Schizzi, zucche e una scatola di cartone di Azumi (/viewuser.php?uid=940)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Disclaimer
Disclaimer: Questa storia è stata scritta
per un personale divertimento, (ed in questo periodo ne ho davvero bisogno)
pertanto non è assolutamente mia intenzione offendere Orlando Bloom, né tanto
meno il suo lavoro. Intendete ciò che vi apprestate a leggere, come se si
trattasse della "sceneggiatura" di un film in cui interpreta se stesso. Tutto
ciò che troverete qui è frutto esclusivo della mia mente contorta, dovuto alla
voglia di mettermi alla prova, di cimentarmi in qualcosa di totalmente diverso
da quello che scrivo di solito.
Un ringraziamento
speciale va a Moon ed a JulyAneko che mi hanno sempre spronata a portarla
avanti.
GRAZIE ragazze,
siete davvero due persone speciali!
BUONA LETTURA E
BUON DIVERTIMENTO A TUTTI (spero :P)!
Schizzi, zucche e una scatola di cartone
Prologo
Il mio primo giorno di
lavoro a Los Angeles. Ogni volta che ci penso, trattengo a stento una risata.
E’
incredibile come spesso certe cose che accadono ti cambino radicalmente la vita,
in meglio o in peggio.
Ad
esempio...
Una delle più vecchie case editrici di libri per ragazzi di Los Angeles, la Sons&Waters,
avrebbe chiuso i battenti se io e la mia amica "zucca", per sua fortuna, non
avessimo fatto la nostra comparsa.
La casa editrice
ultimamente non ne stava azzeccando una. Gli ultimi libri per ragazzi che
avevano proposto al giovane pubblico non avevano venduto bene e il direttore
responsabile delle pubblicazioni non riusciva a trovare un’idea che potesse
risollevare le sorti della società. In pratica rischiavano di chiudere
miseramente.
Nello stesso periodo la
sottoscritta, appena uscita dall’accademia, girovagava come una trottola per
tutte le case editrici del suo paese, in cerca di un qualunque editore che le
desse l’opportunità di pubblicare i suoi lavori. Sfortunatamente, la mia era una
ricerca di scarso successo. Anzi, diciamo pure nessun successo. I colloqui:
immagini e frasi ripetute come battute di un copione già scritto. Nessuno se la
sentiva di rischiare con una "novellina ancora fresca d’inchiostro". Ogni volta
che pronunciavano quella maledetta frase, mi montava un tale nervoso che mi
veniva voglia di sbattergli in faccia tutti i miei bozzetti. Se non fossero
stati tanto importanti per me, lo avrei fatto. Dico davvero.
Poi un giorno, un'amica
che lavorava a Los Angeles mi parlò dello stato quasi disastroso in cui versava
la Sons&Waters.
"Perché non provi con
loro?" mi propose quasi entusiasta "Io dico che ti prenderebbero subito"
"Certo! Come no?!"
Ovvio che una società
che pubblicava libri per ragazzi dal 1816, avrebbe accettato i miei bozzetti.
Sicuro.
"Ribadisco, fossi in te,
io proverei."
"Fran, non stai dicendo
sul serio, vero? Ti rendi conto che mi ha riufiutata la Macchia dell’artista,
la casa editrice più scarsa che c’è in questo buco di paese? Figuriamoci se la
Sons&Waters mi prenderebbe! Andiamo! Un po’ di realismo." obiettai sarcastica
mentre, sedute al tavolo del Cafè Paraiso, sorseggiavamo un caffè.
"Questo caffè è terribile
- aggiunsi poi facendo un'espressione disgustata, riposizionando la tazza quasi
piena sul piattino - di paradisiaco al massimo potrebbe avere la tazzina in cui
l’hanno servito."
"In fondo cosa avresti da
perdere?"
"Che è tutto dire."
"Ehi…" mi guardò alzando
un sopracciglio, leggermente indispettita dal fatto che fingessi di non
ascoltarla.
"Nulla in effetti, ma..."
"E allora! Andiamo,
potrebbe essere la tua occasione. Loro hanno bisogno di rinnovarsi, trovare
nuovi artisti pieni d'idee, di talento e tu ne hai da vendere! Per di più hai
bisogno di un editore; perché non sfruttare un’opportunità del genere?"
Morale della favola, alla
fine della giornata, Fran aveva detto e fatto talmente tanto che, quando uscimmo
dal Cafè Paraiso, avevo la testa così piena delle ragioni che aveva
addotto a favore di quella possibilità che alla fine lo feci. Telefonai alla
Sons&Waters e fissai un incontro per la settimana seguente, con un certo Sig.
Johnson.
Il giorno fissato mi
presentai davanti all’entrata della Sons&Waters con camicia bianca e jeans. Lo
so che altri al mio posto, ad un colloquio di lavoro, si sarebbero presentati
vestiti, come dire, in modo un po’ più serio e consono all’occasione, ma io sono
sempre stata così, non mi piacciono molto le formalità.
Tenevo sotto braccio la
mia cartelletta piena zeppa di bozzetti, con i fogli che sfuggivano da ogni
parte e con loro, la mia speranza di essere assunta.
Mi fermai un attimo
davanti all’ingresso ad osservare quell’edificio così antico e serio che, lo
sentivo, m’incuteva un gran senso di rispetto, mettendomi quasi in soggezione.
Feci un bel respiro profondo, cercai di rilassarmi sciogliendo i muscoli del
collo e con sguardo di sfida, prendendo il coraggio a due mani, mi diressi con
passo deciso verso la porta di legno verde. "Andiamo".
L’interno del palazzo era
arredato in stile classico. Uno di quei luoghi che ti fanno tornare in mente
l’Inghilterra d’inizio secolo, con la loro atmosfera che sembra dirti "Ah i bei
tempi andati". Decisamente troppo classico, troppo english per i
miei gusti. In fondo ero abituata al mio piccolo paese di provincia, al massimo
alla caoticità di una grande città com’era L.A. e l’aria che si respirava lì
dentro non mi faceva sentire per niente a mio agio. Mi sentivo fuori posto,
fuori luogo e anche fuori di testa per essermi cacciata in quella situazione.
Accidenti a me e a quando mi faccio convincere da Fran, mi dissi mentre mi
dirigevo verso la porta dell’ascensore. Durante la lenta salita, sentivo il
cuore che mi tamburellava nel petto, ma ad ogni piano che passava non so per
quale motivo, l’emozione pian piano scemava.
Poco dopo mi trovai
davanti a Mr. Johnson. Un ometto dall’espressione seria, come quelli che ti
danno l’impressione di essere sempre molto presi dalle loro cose. Un signore
piuttosto magrolino e molto alto, a dire la verità, per la sua età: sessant'anni
al massimo. Portava i capelli brizzolati leggermente impomatati e i baffi erano
tagliati in modo impeccabile. Indossava un completo grigio fumo-di-Londra,
accompagnato da una cravatta molto anonima e forse anche troppo sobria,
rigorosamente legata con nodo "all’inglese". Tutto di lui era… perfettamente
in ordine. In poche parole un perfetto english-man.
Mi accolse con un sorriso.
"Miss Lynch?"
Anche l’accento è
terribilmente inglese
pensai, annuendo con un cenno del capo.
Non che abbia niente
contro gli inglesi, intendiamoci. Ma sono troppo per bene, troppo precisi
per i miei gusti. Per di più hanno quello strano modo di guardarti,
insomma si vede lontano un miglio che si sentono superiori.
Con un gesto della mano,
mi invitò ad accomodarmi sulla nera poltrona in pelle che si trovava di fronte
alla sua scrivania. Dopo le poche parole di presentazione, gli mostrai i miei
lavori un po’ titubante, con poca convinzione, sicura com’ero che solo per il
fatto di essere terribilmente american non mi avrebbe mai assunta.
Invece notai come Mr.
Johnson visionava con attenzione critica ogni mio disegno. Piacevolmente
sorpresa, pensai che almeno lui non stava fingendo di essere interessato,
sfogliando le bozze velocemente quasi senza guardarle, come avevano fatto tutti
gli altri, e soprattutto non aveva ancora pronunciato quella dannata frase, il
che mi faceva ben sperare. Per quello che potevo intuire dalla sua espressione e
dal suo comportamento, infatti, sembrava piuttosto soddisfatto delle mie
capacità. Lo vidi sorridere impercettibilmente quando si trovò tra le mani il
disegno di una zucca antropomorfa. "Miss Lynch, lei ha indubbiamente un gran
dono", mi disse poi interrompendo il silenzio che si era creato, posando quello
schizzo davanti a me. "Credo che la Sons&Waters sarebbe felice d'averla tra i
suoi collaboratori" aggiunse poi porgendomi la mano. Quasi senza rendermene
conto, a quelle parole gli angoli della mia bocca reagirono alzandosi e
dipingendo un gran sorriso sul mio volto, mentre allungavo la mano e stringevo
la sua. "Benvenuta tra noi".
"SIIIIIIIIIIIIIIIIII!
SISISISISISI!" Scattai fuori dell'ascensore facendo un balzo nel mezzo del
salone. Strinsi la mano in un pugno e la puntai verso il soffitto, in segno di
vittoria.
Il portiere che mi aveva
vista entrare quella mattina e che in quell’occasione non mi aveva degnata di
uno sguardo, a quel fracasso si voltò nella mia direzione guardandomi indignato
con un’espressione che mostrava tutta la sua disapprovazione. Probabilmente la
mia reazione gli era sembrata quella di una pazza schizzoide.
Che s’impiccasse!
"Ehm ehm... – mi schiarii
la voce, portando il pugno davanti alle labbra, assumendo così una posa
assolutamente seriosa, cercando di darmi un contegno - da domani inizio a
lavorare qui!" proclamai soddisfatta, e a testa alta, uscii con sottobraccio la
mia cartellina e i bozzetti che ancora cercavano di scappare da ogni parte.
Stavolta li tenevo talmente stretti, orgogliosa com’ero, che non me li sarei
fatti sfuggire per niente al mondo. Come non mi sarei fatta sfuggire quel
lavoro.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1
Capitolo 1
"Accidenti non credevo
fosse un quartiere così in" osservai scendendo dall'auto, una volta
parcheggiato nel vialetto che avevo imboccato poco prima. Quasi in trance,
fissavo quello che, secondo le istruzioni di Mr. Johnson, doveva essere il
premio che mi aveva riservato la casa editrice per averla "rimessa in pista": un
appartamento in una villetta colonica, elegante e sobria, situata in una zona
residenziale piuttosto lontana rispetto al centro-città.
Quella sarebbe diventata
la mia "isola felice" e speravo lo sarebbe rimasta per molto, molto tempo.
Aveva le pareti bianche,
con uno strano ornamento che divideva le facciate dalla parte inferiore del
tetto, leggermente spiovente e ricoperto di tegole rosse. La struttura, a
giudicare dalla composizione, doveva essere quella di un piccolo condominio
abitato da pochi inquilini.
"Bene - mi dissi - meno gente c'è che può distrarmi e meglio riuscirò a
lavorare, soprattutto di notte".
Dopo essere rimasta
qualche attimo imbambolata, affascinata dal verde giardino tagliato all'inglese,
dalle semplici aiuole variopinte che a distanza regolare lo ornavano e dalle
basse siepi che tracciavano il confine dell'abitazione, mi decisi a recuperare
lo scatolone di cartone che avevo caricato sul sedile posteriore del mio
potente mezzo. Ebbi qualche difficoltà all'inizio, nel tirarlo fuori, poiché
era piuttosto pesante. Conteneva più che altro oggetti che ho sempre ritenuto di
"prima necessità", di cui proprio non avrei potuto fare a meno: pennelli, colori
ad olio, acquarelli, tempere, acrilici, la mia tazza di ceramica blu
portafortuna... insomma tutte quelle cosucce che affettuosamente si possono
chiamare cianfrusaglie e che erano troppo importanti da far arrivare con
la mobilia ed il resto delle mie cose col camion dei traslochi, nel pomeriggio.
Arrivata davanti alla
porta, sostai un attimo sull'ultimo gradino pensando a come diavolo avrei fatto
a quel punto ad aprire il portone ed entrare, con le chiavi in tasca e le mani
occupate a sostenere lo scatolone. Mi abbassai un secondo per poggiarlo in
terra, di modo da avere le mani libere per cercare le chiavi. Pessima idea. La
porta si spalancò all'improvviso. Sentii un tonfo, rumore di cocci e poi vidi
tutto nero.
"Porca miseria, non
l'avevo vista! Si è fatta male?"
Aprii gli occhi e li
socchiusi subito dopo. Bene non mi sono fatta di certo. Ero sdraiata
schiena a terra, a pochi passi dagli scalini. Cercai con lo sguardo chi mi aveva
rivolto quella domanda, quando mi trovai, davanti alla faccia, il palmo di una
mano. Avevo preso una bella botta e stentai a capire. Alzai la testa, cercando
di mettere a fuoco la figura che si trovava davanti a me: scarpe della Nike
ultimo modello, un paio di jeans esageratamente larghi, una maglietta color
tuorlo d'uovo con una strana scritta che ancora non riuscivo a leggere, un paio
di occhialoni che coprivano metà della sua faccia mentre il resto scompariva tra
i capelli leggermente lunghi e mossi. Tutto chiaro: quel ragazzo mi stava
offrendo il suo aiuto per rialzarmi.
"Uhm..." Risposi con una
smorfia, "Credo di avere ancora tutte le ossa intere, perciò, tutto a posto"
afferrai la sua mano e in poco tempo mi ritrovai in piedi, a scuotere la polvere
dai pantaloni.
Mi sorrise, suppongo,
contento che non mi fossi fatta niente (anche se il mio "di dietro" sosteneva il
contrario) o forse, sorrideva per la divertente scenetta che gli stavo offrendo
mentre mi "sculacciavo" il sedere, chi lo sa; se anche fosse stato per questo
motivo, non avrei certo potuto ribattere niente: aveva un sorriso fantastico.
"Mi dispiace. Si è
rovesciato tutto" sussurrò voltandosi ed inginocchiandosi per raccogliere
qualcosa. Solo in quel momento mi resi conto che il rumore che avevo sentito,
prima che il mio cervello subisse il black-out, era dovuto alla rovinosa caduta
del mio scatolone.
"N-no... ma non ti
preoccupare! Ci penso io a raccogliere. Non devi disturbarti!"
Forse avevo usato un po'
troppo slancio nel tono di voce, perché si voltò di nuovo. L'espressione del
viso non potevo distinguerla bene, quegli occhiali erano davvero enormi, ma mi
pareva fosse rimasto perplesso; "Nessun disturbo" disse sorridendo di nuovo,
stavolta con un sorriso più furbetto. Aveva raccolto tutto e si era alzato per
porgermi lo scatolone. "Ti trasferisci qui?" aggiunse poi passandomelo.
Presi la scatola dalle sue
mani e notai che portava tre anelli. Strano per un ragazzo pensai, ma
visto il suo intero abbigliamento, mi dissi che non era poi così insolito, in
fondo sembrava un tipo alquanto eccentrico.
"Sì infatti, questo
pomeriggio dovrebbe anche arrivare il camion con il resto" gli sorrisi cercando
di sembrare il più tranquilla possibile ma, mi stavo rendendo conto che il suo
sguardo mi rendeva stranamente nervosa. Mi sembrò che fosse sul punto di
aggiungere qualcos'altro, ma si fermò improvvisamente. Doveva aver notato
qualcosa d'insolito, perché lo vidi spostare velocemente lo sguardo alle mie
spalle. "Mi spiace, ma adesso devo andare". Sembrava quasi in ansia mentre
continuava a fissare quel punto non meglio definito. Incuriosita, feci per
voltarmi e guardare nella stessa direzione, ma mi afferrò per un braccio. Ebbi
l'impressione che l'avesse fatto apposta per impedire che mi girassi.
Non disse niente e
continuò a fissare quel punto alle mie spalle. Restammo per qualche minuto in
quella strana posa, in silenzio; lui guardava alle mie spalle e io avevo preso
ad osservarlo con più attenzione. Doveva avere più o meno la mia età, più alto
di me forse di una decina di centimetri. Stavo pensando che aveva proprio un bel
fisico quando lo sentii lasciare la presa al mio braccio; non sembrava più tanto
ansioso. "Devo proprio andare" mi disse nuovamente. Avevo la sensazione che mi
stesse guardando negli occhi, non potevo saperlo con certezza per via degli
occhiali, ma sentivo che doveva essere così. "Spero però, che ci rivedremo
ancora" aggiunse col tipico sorrisetto da uno che la sa lunga. Senza
darmi il tempo di replicare, si diresse a passo spedito verso l'entrata. Prima
di uscire mi salutò con un gesto della mano, poi svoltò a sinistra e scomparve.
Mi correggo: è proprio
strano pensai,
voltandomi nuovamente verso il portone, e senza rendermene conto, vocalizzai il
resto dei miei pensieri "Davvero niente male. Cominciano ad essere molte le cose
che mi piacciono di questa nuova sistemazione".
Salii i gradini con lo
scatolone in braccio, quando poco dopo realizzai che le chiavi erano ancora in
tasca: "Diavolo!" sbattei un piede in terra, sbuffando con stizza. Ero
sull'ultimo scalino e stavo quasi per piegarmi e poggiare nuovamente lo
scatolone, quando pensai che visti i precedenti, sarebbe stato meglio fare
quell'operazione sul primo gradino. Tornai indietro.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
Ben ritrovati! Eccomi qui con un nuovo capitolo! Non abituatevi però, non sarò
sempre così veloce a postare :P, anche perchè la fic non l'ho ancora terminata,
sebbene l'abbia già completamente strutturata ed il capitolo finale l'abbia già
più o meno scritto.
Un grazie particolare a Niniel82 per esser stata la prima a commentare!
Tranquilla farò il possibile per portarla fino in fondo!^.-
Ma ora basta con le ciance e spazio alla lettura!
Buon divertimento a tutti! :D
Capitolo 2
Era passata già qualche
settimana dal mio arrivo e quel ragazzo non l'avevo più rivisto. Un vero peccato
dato che quello era sì un bel condominio, ma abitato solo da persone, ehm...
diciamo di una certa età. Insomma un po' di gioventù in quel momento non mi
sarebbe affatto dispiaciuta; a parte qualche collega della mia età, tra gli
english-men della casa editrice, la signora Miller - la mia vicina di casa -
e il signore del piano di sopra, non vedevo nessun altro ed in media l'età si
aggirava sui settant'anni.
Con il lavoro e il
trasloco poi, non avevo avuto un attimo di tempo libero né da dedicare a me
stessa né tantomeno per uscire a bere qualcosa con Fran; ancora non avevamo
neanche festeggiato l'assunzione. Come se non bastasse, mi ero messa in testa di
ridipingere l'appartamento; quelle pareti grigiastre mi mettevano troppa
tristezza.
Avevo chiesto il permesso
al Signor Johnson e lui, con il suo calmo e pacato modo di fare, nel suo tipico
accento britannico, aveva commentato: "Miss Lynch adesso l'appartamento è suo,
può disporne come meglio crede".
A volte mi chiedo se non
sia arrivato a L.A con una macchina del tempo, direttamente dal secolo scorso.
Comunque, da brava artista quale sono, avevo deciso di colorare ogni stanza in
modo creativo; certo non con colori troppo forti, magari in una tinta pastello
con qualche motivo particolare, ma sempre con l'intento di rendere quel luogo
luminoso, accogliente e perché no, che in qualche modo rispecchiasse anche
qualcosa della mia personalità. Per questo ci stavo mettendo grande impegno e il
tempo che sarebbe servito per terminare il lavoro, stava andando oltre le mie
previsioni.
Per cominciare, a parte il
letto che appena arrivato aveva occupato immediatamente il suo posto nella
camera con la finestra più grande, avevo stipato la maggior parte della mobilia
in una stanza (tanto non avevo molti mobili); il resto delle mie cose era per lo
più rimasto negli scatoloni, disperso chissà dove per la casa. Quelle scatole
marroni erano ovunque: sul bancone che divideva la cucina dalla sala, per terra,
nella stanza che avevo adibito a studio, in bagno e come se non bastasse già
quello a fare dell'appartamento un vero e proprio magazzino, c'erano giornali
stropicciati e pieni di schizzi di vernice sparsi un po' per tutto il pavimento.
Un vero caos primordiale.
*****
Anche quella mattina la
sveglia aveva suonato e come ogni giorno l'avevo presa a cuscinate, infastidita
dalla terribile voce dello speaker che questa volta urlava: "Buooooooooooon
giorno cari ascoltatori! Oggi è una splendida giornata e su L.A splende il sole.
Di certo tutti voi sarete già in piedi..."
"Tutti voi chi?" cercai di
gridare spazientita - anche se dalla mia gola uscì solo un suono strozzato -
all'infernale scatola nera che lampeggiava sul pavimento di fianco al letto; il
comodino era ancora nella famosa stanza-arredo. "Ma lo sai o no che ore sono?
Maledetto te e la tua voce stridula! Neanche avessi qualcuno che ti tiene per le
palle tutto il santo giorno!" inveii, sbuffando e ricacciando subito dopo la
testa sotto il cuscino.
"Ma quest'oggi è anche una
triste mattina, per molte ragazze in tutto il mondo..."
"Perché tutte dopo una
nottata passata a disegnare, per consegnare in tempo il lavoro, sono state
svegliate dal cretino quale sei? Umph, voglio dormire! Non me ne frega niente di
quello che hai da raccontare" sentenziai alzando la testa, quasi soffocata dal
cuscino col quale avevo improvvisato un paraorecchie di dimensioni esagerate.
"Sembra che il nuovo idolo
delle ragazze, colui che è stato votato come il più sexy tra i giovani attori
inglesi..."
Mi arresi spalancando
platealmente le braccia sul letto. Inutile provarci, non mi sarei mai più
riaddormentata, il mio sonno era bello che andato anche per quella mattina;
buttai il cuscino e mi alzai in tutto il mio splendore di donna dai capelli
arruffati, felpa e pantaloni corti, e a piedi nudi mi diressi verso il bagno,
non prestando la minima attenzione alle parole del deficiente che con
inflessioni acute, ogni mattina, faceva il resoconto completo dei nuovi gossip
sulle stelle del momento.
"...Orlando Bloom, che
tutti ricordano come il biondo elfo arciere, nella trilogia cinematografica
ispirata al capolavoro di Tolkien,
pare proprio abbia trovato un nuovo amore."
"Buon per lui!" gridai
dalla cucina; maledetta vocetta stridula, pure da lì riuscivo a sentirla.
Avevo pensato di
prepararmi una sana colazione a base di cornflakes e frutta fresca, dopo essermi
sciacquata la faccia, così mi diressi un po' sbattuta verso il frigo, lo aprii e
infilai la testa all'interno in cerca di qualcosa che stuzzicasse il mio, già
piuttosto spiccato, appetito.
"Tutte le indiscrezioni
dopo il prossimo brano! Restate con noi!"
Ricomparsi poco dopo con
una bottiglia di latte stretta al petto e delle fragole; chiusi la porta del
frigo con un piede e mi diressi al lavello per sciacquare i rossi frutti, sotto
un getto d'acqua fredda; sollevandomi in punta di piedi poi, recuperai un
tagliere da uno dei ripiani alti della cucina e lo poggiai sul bancone. Tutto
questo con in sottofondo la radio che aveva fatto partire le prime note della
hit del momento.
"Ma
sempre le stesse mandano? Che palle sta canzone, sarà la centounesima volta che
la sento questa settimana! Sempre a quest'ora poi!" commentai versando il latte
in una grossa scodella. Una volta terminata quell'operazione, mi scostai un
poco dal bancone e la guardai sconsolata; senza la mia tazzona blu non era la
stessa cosa. Si era rotta nello scontro con quel bel tipo, il giorno in cui ero
arrivata. Pazienza, ne avrei comprata un'altra appena possibile. "Probabilmente
quando non avrò più i denti per mangiare, se continua di questo passo"; scossi
la testa rassegnata.
"Avete sentito la mia
mancanza, vero?"
"Come no..." risposi ironica al tizio della radio, mentre affettavo le fragole a
spicchi.
"Torniamo, allora, al
bell'Orlando. Ho davanti agli occhi la rivista, uscita oggi, che riporta le foto
dell'attore con la nuova fiamma. Foto che pare siano state scattate qualche
settimana fa, proprio qui a L.A."
"Ma
c'è davvero qualcuno cui interessa quello che dici?" chiesi a voce alta,
restando per qualche attimo col coltello sospeso a mezz'aria. "Diamine, non sono
mica marziani le persone dello spettacolo! Fanno cose normali come fanno tutti.
Adesso, solo perché uno è attore, deve veder sbattuta la propria vita su una
qualche rivista-spazzatura?" continuai sventolando il coltello per poi
riprendere a tagliare una fragola. Una volta finito, mi girai e andai a prendere
la scatola di cornflakes dal mobile che avevo alle spalle. Mi sedetti sul
panchetto e iniziai finalmente a mangiare.
Alla radio continuava imperterrito lo sproloquiare dello speaker a farmi
compagnia, ma la mia attenzione, tra una cucchiaiata di fiocchi di cereali e
l'altra, era totalmente rivolta alla consegna delle bozze. Al momento non
m'interessava assolutamente sapere quale fosse la nuova donna del signor Bloom
né tantomeno dove o come, avessero scattato quelle famose foto di cui tanto
ciarlava quel tizio.
Promemoria per il futuro: ascoltare sempre le notizie della radio, chissà magari
che un giorno non parlino di qualcosa che ti riguardi da vicino. Molto
vicino.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
I'm
back again col nuovo capitolo! :D
Prima
di lasciarvi alla lettura vorrei ringraziare:
Fr@: grazie per esserti soffermata a lasciare un commentino anche se eri
di fretta :D
Narsil: felice che la storia ti stia incuriosendo! Anch'io preferisco le
storie che non ti lasciano sulle spine, però capisco anche che gli impegni a
volte siano tanto inderogabili da non lasciare spazio ad altro, o che
addirittura l'ispirazione voli via come sabbia al vento!Spero davvero che non
sia il mio caso. L'intenzione e la volontà di finirla ci sono!^-^
Uriko: Non so se riuscirò ad aggiornare con regolarità, né in tempi
brevissimi, però ce la metterò tutta!Grazie anche a te!
JulyAneko: Tu e Moon l'avete letta in anteprima e mi avete sempre
spronata a continuarla, mi pareva il minimo inserire un ringraziamento tutto per
voi!^.-
Scusa
eh...
come sarebbe a dire che la storia è matta come me?:P Comunque grazie mille, sei
sempre troppo buona!
Bene
gente, è giunto il momento di lasciarvi direttamente alla storia: nuovi sviluppi
all'orizzonte!
Buon
divertimento!
Capitolo 3
Il sole splendeva alto e
caldo quella mattina ed io mi sentivo piena d'energie. Finalmente il meritato
riposo, pensai, tirando le tende e spalancando la grande finestra della
sala.
Quella piccola vacanza era
arrivata tanto inaspettata quanto gradita.
Mr. Johnson si era accorto
di quanto mi fossi dedicata anima e corpo al lavoro in quell'ultimo periodo e
poichè era più che contento dei miei recenti schizzi, mi aveva concesso un po'
di riposo. Tre settimane tutte per me. Non potevo ancora crederci.
Mi affacciai sul giardino
e guardai l'orizzonte: "Buongiorno mondo!" sussurrai, poggiando le braccia sul
davanzale e assaporando l'aria di libertà ad occhi chiusi, mentre inspiravo
profondamente il leggero venticello che mi carezzava la pelle del viso.
La musica della radio
intanto vagava tra le stanze e, come sempre, accompagnava ogni mia azione,
facendo da colonna sonora alla mia vita.
Lasciai che l'aria fresca
del mattino entrasse in casa, mi allontanai dalla finestra e mi diressi verso la
parete opposta.
Avevo già preparato tutto
il necessario: bidoni di vernice colorata, un paio di pennellesse e un rullo per
rendere più veloce la copertura degli spazi ampi.
Adesso che avevo tutto
quel tempo a disposizione, non solo mi sarei potuta dedicare un po' a me stessa,
ma sarei anche riuscita a finire di ridipingere l'appartamento.
Presi la bandana azzurra
che penzolava dalla tasca destra della salopette di jeans che indossavo sempre
quando mi dedicavo a quei tipi di "lavori domestici", la sistemai alla meglio
sulla testa e legai le due estremità del fazzoletto, sotto l'elastico col quale
tenevo raccolti i capelli in una coda alta.
"E adesso a noi" scandii,
allontanandomi di qualche passo dalla parete grigiastra. La guardavo con occhio
critico, inclinando la testa prima da una parte e poi dall'altra, cercando di
visualizzare quello che avrei voluto dipingere, quando il telefono squillò
inaspettatamente. Le mie orecchie l'avevano sentito distintamente, ma la mia
mente, con molta probabilità, non aveva intenzione di recepire il messaggio.
Strinsi gli occhi in una fessura, quasi a voler dimostrare quanto la cosa mi
stesse infastidendo e come se, con quel semplice gesto, avessi potuto far
cessare quel trillo fastidioso. Al quinto squillo, chiusi definitivamente gli
occhi in segno di resa.
"D'accordo, d'accordo.
Rispondo!" dissi avviandomi scocciata verso il divano al centro della stanza.
Afferrai il cordless e attivai la comunicazione.
"Alla buon'ora Nia! Quando
avevi intenzione di rispondere?"
"Ciao Fran. Sì, io sto
bene e tu, come stai?" risposi in tono sarcastico, lasciandomi cadere in una
posizione poco aggraziata.
"Devo ridere o è
facoltativo? Comunque, come stai? Come vanno le cose?"
"Ti dir.."
"Sei ancora tanto presa
dal lavoro da non potere uscire una sera con la tua amica? "
"Veramente io..."
"Voglio dire, ormai è
tardi per festeggiare, ma una bevuta la possiamo sempre fare; mica c'è bisogno
di un motivo, no?"
"FRAN!"
"Si?"
"Abbi pietà di me! Ma come
si fa a metterti in pausa???" chiesi scoppiando a ridere. Fran non si offese a
quella mia battuta sul suo parlare a raffica, anzi, si unì alla mia risata. Ci
conoscevamo da talmente tanto tempo che ci sarebbero volute cose molto più gravi
per farci litigare o offendere, alle parole l'una dell'altra.
Decisi di rimandare a più
tardi la definizione del soggetto da dipingere sulla parete della sala; aveva
aspettato fino a quel momento, di certo qualche ora in più non avrebbe cambiato
le cose.
Mi accomodai meglio sul
divano, mi sdraiai e accavallai un piede sull'altro, raccontando alla mia amica
delle appena ricevute e tanto sospirate vacanze e di come, grazie a questo,
avremmo finalmente potuto festeggiare l'assunzione ed il nuovo appartamento;
lei, occupata com'era con il suo lavoro, non aveva ancora avuto il piacere di
vistarlo e nelle condizioni in cui si trovava al momento, era molto meglio che
non l'avesse fatto.
"Allora facciamo per
domani sera?"
"Ok! Quando esco da lavoro
passo a prenderti io. Quel catorcio che tu continui a chiamare auto... meglio
che lo lasci a casa, prima che lui lasci a piedi noi"
Feci una smorfia
divertita; Fran aveva sempre avuto un'avversione per la mia macchina. D'accordo
era vecchia e un po' "vissuta", ma anche lei lo era e non per questo l'avrei
sostituita con nessun'altra.
"Perfetto, dove hai
intenzione di portarmi? Non in qualche luogo di perdizione, spero" chiesi
facendo un'espressione finto-scandalizzata, come se lei avesse potuto vedermi.
"Mmm..." fece una pausa "Ancora
non lo so, ma mai disperare!" concluse ridacchiando.
"Va bene pazzoide, ci
vediamo domani allora! Fammi uno squillo quando esci dall'ufficio così mi faccio
trovare pronta. Ti ricordi la via? Non è che mi finisci ad Hollywood, cercando
casa mia?"
"Sì, fai pure la
spiritosa! Comunque in caso di necessità c'è sempre la cartina!"
Altra risata generale
prima di terminare la conversazione, dopo esserci salutate ed aver rinnovato
l'appuntamento per la sera successiva.
Non avevo ancora trovato
l'oggetto che avrebbe fatto bella mostra di sé sulla parete. Decisi che l'avrei
fatto più avanti e che per adesso mi sarei dedicata al colore di sfondo.
Le note di "Inner
Smile*" avevano completamente riempito la casa ed io, seguendo il ritmo,
avevo preso a stendere abilmente la prima mano di colore. Un azzurro pallido.
Forse come colore non è
molto caldo, ma io l'ho sempre trovato terribilmente rilassante.
A pensarci adesso alle
condizioni in cui ero, mi viene da ridere. Se qualcuno m'avesse visto in quel
frangente, si sarebbe fatto una di quelle risate da rotolarsi in terra. Tra la
vernice che "accidentalmente" continuava a colarmi sul braccio, mentre con il
rullo facevo avanti e indietro sul muro, gli schizzi che avevo in faccia e i tre
ciuffi di capelli che erano sfuggiti alla bandana, mentre mi lanciavo nel
vortice del "frenetico ballo con rullo" e cantavo a squarciagola " 'Cause
you make me feel..... YEAH!
YEAH! YEAH!… You touch my inner
smile"...
insomma dovevo essere veramente uno spasso.
Ero ferma davanti alla
parete, stringendo il rullo tra le mani come se fosse un microfono e ad occhi
chiusi cantavo "so come on and make your move..... and free me" pronta
per l'acuto, quando sentii suonare il campanello. Un moto d'imbarazzo mi colse
in pieno.
Forse ho un po' esagerato,
pensai preoccupata. Posai il rullo nel secchio di colore, gridai un agitato "Un
momento!" e mi diressi in camera per abbassare il volume della radio.
Decisamente da lì sembrava un po' troppo elevato. Tornai alla porta subito dopo,
intenzionata a non dare tempo di parlare alla signora Miller, tentando di
sfoggiare doti d'attrice che, mio malgrado, non avevo.
Spalancai la porta senza
preoccuparmi di guardare dallo spioncino, né tanto meno di chiedere chi fosse.
Grosso, grossissimo errore.
"Mi scusi, lo so: ho
esagerato con il volume della radio. Prometto che da adesso in poi starò più
attenta. Ma sa come siamo noi giovani! Attivi, pieni di energie e soprattutto un
po' distratti. Non mi dirà che lei, alla mia età, non ha mai recato questo tipo
di disturbo ai suoi vicini? Per stavolta chiuda un occhio! La prego!" dissi
quasi senza riprendere fiato ed alzando gli occhi sul mio interlocutore soltanto
quando ebbi terminato di parlare.
"Bè, a dire il vero, io a
volte faccio anche di peggio ai miei poveri vicini"
L'ho già detto che fu un
grossissimo errore, non guardare chi avevo davanti prima di aprire?
Stavolta non c'era affatto
la paffuta signora dell'appartamento accanto che mi guardava con un'espressione
tra l'indispettito e l'affettuoso, giunta per ammonirmi e subito dopo
perdonarmi. Non c'era nemmeno lo stempiato vecchietto del piano di sopra che a
volte si era presentato alla mia porta in vestaglia, per chiedermi piuttosto
arrabbiato di "farla finita con quel gran fracasso che spaccherebbe i timpani
persino ad una statua di marmo".
Eh no, nessuno dei due.
Sulla soglia della porta se ne stava allegro e sorridente, con una strana
scatoletta di cartone in mano, il giovane che avevo conosciuto il giorno del mio
arrivo.
Eh già, proprio lui.
Indossava gli stessi
occhialoni enormi, ma riuscii ugualmente ad accorgermi che dopo aver guardato
me, aveva gettato un'occhiata distratta all'interno dell'appartamento.
"Mi spiace, forse ti ho
disturbato in un momento un po'... - fece una pausa e le sue labbra si
arricciarono in un sorrisetto piuttosto divertito - difficile?"
Abbozzai un sorriso
nervoso.
* Un
ringraziamento particolare ai Texas per questa canzone!
"Inner Smile"
-Texas- ©Released in December 2000
by Mercury
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
Ciao a tutti!! Eccomi di
nuovo qui!
Pare che la fic stia
piacendo, sono davvero contenta!^____^
Partiamo subito coi
ringraziamenti di rito! ;D
Niniel: ah se tutti
gli imbianchini fossero come Orlando... sai quante a farsi ridipingere le
camere... da letto magari? XD Grazie per i complimenti! Fortunata ad avere
un'amica come Fran, non è facile trovarne così ^^
Fr@: in effetti so
stata un po' cattivella, povera Nia :P però, sai, a volte quando si è presi da
qualcosa e si viene interrotti, spesso a certi "dettagli" non si fa caso! La
nuova fiamma? Mah, chissà ;D
Narsil: Grazie per
aver risposto? MA grazie a te per aver commentato ^.^ Tranquilla, alla fine ci
arrivo... ci devo arrivare! Anche perchè poi, temo di rischiare il "linciaggio"
verbale da parte di qualcuno... XD
Uriko: felice che la
scena ti sia piaciuta! ^__^ a me fa ridere ogni volta che la leggo!
Alessiuccia: Grazie!
Mi fa piacere che la fic per ora ti stia piacendo! Il ridipingere casa è un po'
autobiografico, il colore soprattutto... peccato che a me non abbia suonato
Orlando alla porta ^O^;
Moon: Sono felice
anch'io di aver deciso di pubblicarla!^___^ Grazie ancora per i complimenti, gli
aggettivi usati per descrivere la storia e l'immancabile incitamento! Il
ringraziamento all'inizio, come ho detto anche a July, era più che dovuto ^.-
Comunque, sono decisa a
portarla in fondo! Ce la farò!! è_é (/me alza pugnetto al cielo convinta,
dopo aver messo un piede sulla sedia!) Sperando di non deludere nessuno!
Un grazie speciale anche a
chi legge e non commenta (spesso lo faccio anch'io, quindi vi capisco ^.-)!
GRAZIE A TUTTI!
Ok, ci siamo, adesso...
spazio al nuovo capitolo!
Buon Divertimento!!!
Capitolo 4
Chiunque può convenire con
me che trovarsi davanti un giovane di bell'aspetto e con un sorriso da K.O
immediato, invece che un uomo calvo e/o una signora tonda dalle guance rosse,
crei non pochi problemi a livello sinaptico.
Superato l'attimo di
smarrimento misto ad imbarazzo per essermi fatta beccare in sì tale bizzarra
situazione ed aver articolato sicuramente qualche frase sconnessa, che
ovviamente non ricordo, l'avevo invitato ad entrare in casa, scusandomi per il
leggero disordine.
"Siediti pure sul divano,
io intanto vado a... ehm..." una volta arrivata a metà sala, camminando
all'indietro, sorrisi e sollevai le mani; il gesto mi sembrava abbastanza
eloquente da solo.
"Ma certo! Tranquilla!"
rispose, ricambiando il mio sorriso. Lo vidi guardarsi un po' intorno per poi
avvicinarsi e poggiare distrattamente la scatola sul bancone della cucina.
"Allora vado... ehm... ok"
sussurrai di nuovo, prima di voltarmi e filare in bagno.
Mentre cercavo di
ripulirmi e l'odore acre del solvente per vernici invadeva la stanza,
cominciarono ad affiorare nella mia mente una serie di strane domande, segno che
probabilmente la mia attività cerebrale aveva ripreso a funzionare degnamente.
Perché aveva suonato alla
mia porta? Voleva qualcosa da me? Ma soprattutto chi era quel tizio? Sdeng!
Realizzazione dell'ultimo minuto: avevo fatto
entrare in casa mia un emerito sconosciuto.
Tornai poco dopo
asciugandomi le mani con uno straccio, ripulita dagli schizzi di vernice alla
meglio e senza bandana – va bene essere artisti un po' eccentrici e trasandati,
ma questo non significa doversi presentare con l'aspetto di una mondina - quando
lo vidi osservare la prima illustrazione della mia cara amica zucca, appesa, in
un bel quadretto dalla cornice bianca, alla parete davanti al divano.
Era lì in piedi, con le
mani dietro la schiena, le dita intrecciate con le aste degli occhiali da sole;
sembrava piuttosto assorto, con il capo leggermente inclinato su un lato e il
resto del corpo in una strana posizione di riposo.
"Anche tu ammaliato dal
fascino della zucca?" scherzai sorridendo, lasciando abbandonato sul bancone lo
straccio.
Si voltò ed indicando la
zucca con gli occhiali rispose "In effetti devo ammettere che la ragazza qui, ha
classe e sex appeal da vendere" e facendomi l'occhiolino aggiunse "Come si fa
a resisterle?"
Vederlo finalmente in
faccia, senza la protezione che gli fornivano gli occhiali da sole, fu
decisamente uno shock per me; sussultai un attimo e subito sperai di non averlo
dato a vedere. Mi concessi solamente un mentale Oh porc...!, dandomi
dell'idiota per non averlo riconosciuto prima.
Come mi ero sbagliata! Nel
salotto di casa mia non c'era assolutamente quello che, pochi attimi prima,
avevo appellato come emerito sconosciuto. Proprio no. Anzi, se c'era
qualcuno che proprio non si poteva dire sconosciuto era esattamente lì, in casa
mia, e non si trattava certo della sottoscritta.
Quel bel ragazzo che se ne
stava sorridente davanti a me, era infatti l'esemplare di figaggine
maschile più ambìto degli ultimi tempi. Non riuscivo neanche a formulare il suo
nome per intero nella mia mente, talmente era assurda la cosa in sè.
Cercai di sorridere come
se niente fosse. E che diamine! Mica potevo uscirmene con un "Cazzo, ma tu sei
Orlando Bloom!" urlicchiando ed additandolo come fosse una specie di bestia rara
mai vista, o peggio saltellando e strabuzzando gli occhi neanche avesse avuto in
testa un paio di antenne viola! Insomma, quello che ci voleva era solo un po' di
contegno. Si ecco, calma e contegno. Come avevo detto qualche mattina fa
rivolta alla radio: le persone famose sono esseri umani come tutti! Non mordono,
non hanno né strane antenne sul capo, né tentacoli in posti impensati e di
sicuro, non mangiano i poveri mortali come me, mi ripetei mentalmente.
Decidendo a quel punto che
dovevo assolutamente buttare al vento tutti quegl'inutili pensieri, mi
avvicinai. Puntai gli occhi sulla zucca. Non distolsi lo sguardo neanche un
attimo. Altro che contegno qui ci vorrebbe una bombola d'ossigeno.
"Bè si, in effetti devo
ammettere che sono stata abbastanza brava"; concentrarmi sulla zucca era
senz'altro la cosa migliore da fare. Assolutamente.
"Vuoi dirmi che l'hai
disegnata tu?" chiese con una nota di stupore nella voce; io annuii, ancora
decisa a non voltare lo sguardo ed a mantenere un sorriso sulle labbra, cercando
di nascondere il disagio che provavo per l'essere lì, a parlare di una zucca
antropomorfa, con una delle stelle, al momento più brillanti, del magico e
patinato mondo del cinema.
"Veramente? Caspita!"
Non potei fare a meno di
sbirciare con la coda dell'occhio la sua espressione stupita, prima che tornasse
a fissare il quadro.
Certo che sono proprio
deficiente! Me ne sto qua, impalata come una mummia essiccata, a parlare di
quanto è sexy la mia zucca con Orlando Bloom, neanche fosse il più vecchio dei
miei amici, e neanche ci siamo presentati! Oddio, lui di certo non ha bisogno di
presentarsi, ma almeno io forse dovrei...
"Accidenti, sei veramente
brava." Commentò con ancora gli occhi fissi sul disegno. "Hai mai pensato di
fare della tua passione per il disegno una professione? No perché, sarebbe uno
peccato, credo, avere un così gran talento e non sfruttarlo." Si voltò
d'improvviso, pronunciando ingenuamente quelle parole.
Oh porc..! Beccata!
Beccata in pieno!
Non mi ero per nulla resa
conto che mentre lui guardava con attenzione l'illustrazione, io stavo fissando
lui; così, di scatto, tornai a guardare la zucca. Decisamente era meglio
ammirare lui, ma purtroppo avevo notato che il mio cervello stava subendo
degl'impressionanti knock-out nelle ultime ore, visto che a quel punto non mi
rendevo nemmeno conto di cosa facevo. Non mi ero voltata per paura d'arrossire,
perché non ero imbarazzata, cioè forse un po' si, ma più che altro perché non
sapevo veramente che fare. Che situazione assurda.
Pensai che continuare a
parlare di disegno mi avrebbe in qualche modo aiutato, o almeno lo speravo.
"Grazie" sorrisi; devo ammettere che mi aveva fatto molto piacere sapere che
pensasse avessi talento. "Certo che ci ho pensato a farne il mio lavoro. Quella
che vedi, infatti, è la tavola originale della prima illustrazione che ho fatto
per un libro di favole. Sai, questo tipo di lavoro è tutto quello che ho sempre
desiderato: vedere i miei disegni su un libro per bambini e pensare che, per
quelle dolci creaturine, quelle figurette colorate dalle linee semplici sono un
mezzo per scatenare la fantasia e attraverso di loro posso trasmettergli
qualcosa di bello, sano e giusto. Sarò sciocca ma, in fondo, cosa sarebbe la
vita senza sogni?"
Eccola là. C'ero caduta di nuovo con tutte le scarpe.
Non
c'è niente da fare, quando inizio a parlare della mia passione, divento
incredibile. Parlo e parlo, e non mi rendo conto che le persone possono
annoiarsi, perchè può non importargli un'acca di quello che invece per me è
praticamente vitale.
Mi
voltai, stavolta consapevolmente e gesticolando tentai di scusarmi. "Perdonami,
ti sto annoiando con tutte queste chiacchere! A volte non mi rendo conto...".
Non
ebbi modo di terminare la frase, sollevò un mano e mi fece segno di non
continuare, scuotendo leggermente la testa.
"Non devi affatto scusarti! Primo, sono stato io a farti una domanda, tu mi hai
semplicemente risposto e secondo, so bene cosa significhi avere una grande
passione. Per me è lo stesso quando parlo di cinema e recitazione, quindi
tranquilla, non mi stai annoiando, anzi."
Dei
tanti sorrisi che mi aveva rivolto da quando ci eravamo incrociati, quello era
senza dubbio il più sincero e luminoso, perciò non potei fare a meno di
rispondere con uno altrettanto riconoscente.
Forse non era un dei miei più vecchi amici, ma visti i presupposti, avrebbe
anche potuto diventarlo; sollevai una mano e gliela porsi. "Nia" dissi soltanto.
Per
un momento mi parve perplesso, forse sorpreso dal mio gesto, poi sollevò la mano
destra e, sorridendo mentre stringeva la mia, rispose solo: "Orlando".
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Salve genteeee!!! Oggi sono
contenta e quindi, nonostante sia stanca morta e abbia poca voglia di smanettare
col pc, per festeggiare una, almeno per ora, piacevole notizia "lavorativa", ho
deciso di fare uno sforzo e pubblicare il nuovo capitolo! Che brava, eh? ;D
Niniel: Prometto che farò di tutto per finirla senza lasciarvi in trepida attesa
per anni ! >_< Per sapere come andrà a finire dovrai aspettare un po'
però... temo :P Mi fa piacere che Nia ti piaccia, voglio molto bene a questo
personaggio ^^
Narsil: eeeh la rivelazione della radio! A tempo debito tutto verrà spiegato!
Carina l'idea del sondaggio :D Magari più avanti si può fare sì ;)
Paddina: Non ti preoccupare se non avevi visto la fic, l'importante è che tu
l'abbia letta e che ti sia anche piaciuta ^__-
Come ho già detto amo molto il personaggio di Nia ed ho cercato di farla più
"vera" possibile, spontanea e naturale in tutte le sue "reazioni" ed azioni,
perciò se a te sta già simpatica, a me non può che fare un gran piacere!
Velocemente vi lascio alla storia!
Godetevelo tutto sto capitolo!! ^O^
Capitolo 5
"Bene, Orlando, qual buon vento ti porta qui?" chiesi scherzando mentre mimavo
un mezzo inchino e sorridevo; avevo superato il momento critico, mi sentivo un
po' più tranquilla ed a quel punto ero davvero curiosa di scoprire il perchè
della sua visita, mi sembrava una cosa più che legittima voler sapere che
diamine ci facesse nel salotto di casa mia.
"Stavo per dimenticarmene!" disse facendo una smorfia buffissima con la bocca
per poi voltarsi e dirigersi verso il bancone della cucina "Grazie per avermelo
ricordato".
Rimasta lì a dar le spalle al quadro lo fissavo con aria interrogativa, un
sopracciglio alzato e la testa leggermente inclinata su un lato.
Lo
vidi posare gli occhiali e prendere la scatola di cartone dal laccato lucido del
bancone, per poi tornare con un sorrisetto malizioso verso di me.
"Per te" annunciò porgendomi il cubo di cartone e facendomi l'occhietto.
No, no, no! Aspettate un attimo. Fermate tutto! E' venuto a portare qualcosa...
a me? Ma se neanche mi conosce? Ma come diavolo gira il mondo oggi?
Meravigliata, guardai l'oggetto tra le sue mani e spostai subito dopo lo sguardo
sul suo viso. Infine mi decisi a prendere la scatola, ero disorientata e dovevo
aver assunto un'espressione assurdamente idiota perché si affrettò a spiegare.
"Mi
hanno sempre detto che sono un tipo che colpisce..." cominciò, ma poi
fece subito una pausa durante la quale si portò una mano dietro la nuca e
cominciò a massaggiarsi nervosamente il collo.
Doveva esserci qualcosa di veramente interessante sulle piastrelle del mio
pavimento, perchè aveva spostato lo sguardo in basso e non sembrava intenzionato
a dirigerlo altrove.
Sospirò mentre scuoteva leggermente la testa e un angolo delle sue labbra si
alzò in un mezzo sorriso.
"Beh.. per dirla tutta... non mi era mai capitato di colpire qualcuno nel modo
in cui ho colpito te..." sorrise un po' imbarazzato; in effetti mi aveva colpito
eccome. Proprio in pieno m'aveva preso, con quella porta.
"Mi
dispiace davvero" aggiunse, guardandomi finalmente. "Quando ho raccolto le tue
cose, mi sono reso conto che una tazza si era rotta, così..." disse invitandomi
con un gesto ad aprire la scatola.
Sollevai lentamente un lembo di cartone e tra i fogli di plastica da imballaggio
scorsi... Non era proprio possibile.
La mia tazzona blu.
Lo guardai, se fosse stato possibile, ancora più stupita; quella era veramente
l'ultima cosa a cui avrei potuto pensare.
La
tirai fuori dal cartone e la osservai attentamente sollevandola. Non si trattava
proprio dello stesso tipo di tazza: il blu all'esterno era identico, ma
all'interno il colore della ceramica era diverso, un bel giallo sole.
"Non ne ho trovate di uguali purtroppo" cercò di scusarsi, di nuovo mano alla
nuca, ma continuava a sorridere "Spero vada bene lo stesso" .
Credo, in quell'occasone, d'averlo guardato come inebetita e per di più
boccheggiando stile carpa, poi finalmente mi decisi a rispondergli.
"G-grazie... io non... davvero non era necessario..." dissi posando di nuovo la
tazza nella scatola.
"Lo
sapevo, non ti piace il giallo" commentò prendendo a sua volta la tazza e
rigirandosela tra le mani. "Potrei provare a chiedere se..."
"No, no non è per il colore! Figuriamoci! E' perfetta, solo che..."
Non
sapevo se avessi dovuto accettarla o meno. Il disagio che prima era andato via
via scemando, adesso era tornato prepotentemente a farsi sentire.
Orlando sollevò un sopracciglio piuttosto deluso e forse contrariato, di sicuro
non si aspettava una reazione del genere e ad essere sinceri non me l'aspettavo
nemmeno io.
"Apetta! Non vorrei sembrarti scortese né tanto meno irriconoscente, solo che...
- strinsi tra le mani la scatola e posai di nuovo lo sguardo sulla tazza - Non
avresti dovuto, tutto qui, si trattava soltanto di una tazza" mi affrettai a
scusarmi gesticolando e sorridendo nervosamente; non volevo certo se la
prendesse, in fondo che ne sapevo io che tipo di persona era? Avrebbe anche
potuto reagire in malo modo, sbraitando istericamente solo perchè una donna
aveva osato rifiutare un suo dono.
"Capisco..." disse rimettendo la tazza al suo posto, pareva valutare bene cosa
dire;
"Ma
se ti dicessi che è un regalo di benvenuto, da parte di un tuo vicino, farebbe
qualche differenza?"
"Cosa?!?" chiesi al massimo dello stupore. Adesso sì che mi sentivo davvero alla
fiera delle assurdità! Primo: già era decisamente assurdo che un attore famoso
come lui si trovasse in casa mia; secondo: era ancora più assurdo che si fosse
preoccupato di ricomprarmi la tazza che accidentalmente si era rotta durante il
nostro scontro, con tutte le cose che uno come lui aveva per la testa; terzo e
forse peggiore: un mio vicino? EEEH??? Nooo, ma stava scherzando?! Ci doveva
essere per forza qualcosa sotto.
Colta da improvvisa folgorazione d'un tratto sollevai una mano, facendo segno ad
Orlando di non continuare, poi partii in quarta superandolo e, dopo aver posato
la scatola di nuovo sul bancone, mi diressi verso la finestra, l'aprii e mi
affacciai in giardino. Non oso immaginare che faccia potesse aver fatto Orlando
sentendomi gridare a chissà chi "Non è divertente! Uscite fuori!" per poi
vedermi tornare sui miei passi e andare verso la porta. Come minimo doveva aver
pensato che fossi una pazza psicopatica appena uscita dal manicomio.
Spalancata la porta con un gesto di stizza, sbucai con la testa nel corridoio,
guardando prima a destra e poi a sinistra. Non trovando quello che cercavo
nemmeno fuori della porta, tornai verso di lui, sempre fermo al centro della
stanza, rimasto ad osservare il mio andirivieni senza dire una parola. Giusto
trovandomelo davanti mi resi conto dell'espressione che aveva, dire che era a
metà tra lo sconvolto e lo stupito non è rendergli giustizia.
"Allora, dove sono?" chiesi a quel punto quasi indispettita, le mani sui fianchi
in attesa di una risposta.
"Scusa?"
"Oh
andiamo, adesso basta. Dove sono?"
"Ma
chi?" fece lui sempre più sconcertato.
"Le
telecamere, i cameramen, insomma cos'è, una sorta di Candid Camera?" spiegai io
tutto d'un fiato piuttosto scocciata.
"Cosa?!?!?" mi guardò con tanto d'occhi e poi scoppiò a ridere. No, ad essere
più precisi si stava letteralmente ammazzando dalle risate.
"Tu
credevi che io... – cominciò indicando prima se stesso, poi me - oddio
addirittura... ma dai è assurdo!" continuava a sghignazzarsela senza ritegno.
Capirai, è quello che sto pensando io da un'ora,
sospirai. Se prima mi sentivo a disagio, adesso mi sentivo una grandissima
stupida.
"Non c'è niente da ridere..." obiettai perciò offesa; non era mica carino
prendersi gioco così di me, e che diamine; è vero, forse l'avevo sparata un po'
troppo grossa, ma poteva anche cercare di capirmi. Quella situazione si faceva
più ridicola di minuto in minuto.
"No
scusami hai ragione...umphf... ahahah" arrivò a stento al divano, tenendosi una
mano sulla fronte scuotendo il capo e continuando a ridere. "Adesso smetto... "
tentò allora di trattenersi. "No, non ce la faccio..." ovviamente scoppiò di
nuovo in una grassa risata mentre reclinava la testa sul divano con gli occhi
chiusi, perso nel vortice dello sghignazzamento.
Mi
sentivo un po' offesa a dirla tutta e tremendamente in imbarazzo, ma vederlo
ridere così di gusto fu davvero contagioso, perciò cominciai a ridere anch'io.
**
"Nia... hai sniffato solvente per vernici, dì la verità! Su, a me puoi dirlo!".
Fran mi guardava con tanto d'occhi dopo aver ascoltato il mio resoconto su
quell' incredibile incontro; la sigaretta che poco prima aveva preso tra
le labbra, le penzolava pericolosamente dal labbro inferiore mentre ancora
teneva l'accendino stretto in una mano.
"Fran
che diavolo vai blaterando?" sorrisi fissando l'amica che mi guardava con
sospetto.
"Ammetterai che questa storia vincerebbe il premio per la più grossa baggianata
dell'anno! Poi te che ti metti a cercare i cameramen, dai!"
"Lo
so, ho fatto una figura pessima" abbassai la testa mestamente e la guardai di
sottecchi.
"Però... un bel gesto quello di ricomprarti la tazza, è stato veramente gentile.
Che ti ha detto, dopo? Non sarà certo finita lì, con voi che ve la
sghignazzavate sul divano." Sigaretta di nuovo al suo posto, accesa e fumante.
"Ma
niente di particolare, mi ha solo spiegato che ha preso un appartamento in quel
villino un sacco di tempo fa e che, come spesso capita ad attori del suo
calibro, funge un po' da punto d'appoggio per quando deve venire a L.A. per
lavoro, visto che vive a Londra."
Proprio in quel momento fece la sua comparsa il cameriere del locale con le
nostre ordinazioni. Fran allora appoggiò sul portacenere di vetro la sigaretta e
la picchiettò un paio di volte, per farne cadere la cenere.
"Una Caipiroska alla fragola e un Daiquiri, ecco qua" disse il ragazzo, posando
attentamente il vassoio sul tavolo e posizionando davanti ad ognuna di noi il
proprio cocktail;
"Scusa, potresti portarci anche una cesta con delle patatine, per favore?" fece
ad un tratto Fran, guardandolo fisso.
"Certo, solo un attimo" rispose lui per poi allontanarsi a passo spedito.
"Per fartela breve – ripresi, stringendo tra le mani il mio bicchiere - ha
acquistato l'appartamento al piano di sopra, di fianco a quello del vecchio
McAnzie, sai il suonato, e sono più le volte che non c'è, che quelle che ci
abita. T'immagini... un altro inglese! Come se già per me non fosse abbastanza
dover lavorare col signor Johnson!"
Il
cameriere arrivò di nuovo con un piccolo cestino di vimini, ricolmo di patatine
all'apparenza integre e fragranti, e dopo averlo sistemato al centro del tavolo,
se ne andò.
Fran allungò una mano, prese un paio di patatine e ne assaporò con critica
attenzione la sfoglia gialla, poi scosse la testa in segno di diniego.
A
quel gesto sollevai lo sguardo al cielo esasperata. Possibile che tutte le
volte, dovesse fare una questione sulla freschezza o meno delle patatine?
"Ancora con questa storia?" chiesi, anche se già sapevo quale sarebbe stata la
risposta.
"Lo
sai benissimo che avendo lavorato in un bar, so che manovre sono soliti fare e
non mi piacciono per niente! Piuttosto tornando a te... io più che preoccuparmi
della sua nazionalità mi preoccuperei del fatto che è un attore, anzi l'attore
più famoso e ricercato del momento. Anche se, ti dirò, non è che poi mi abbia
fatto impazzire con le sue ultime interpretazioni... però è anche vero che io
non ne capisco molto di cinema..."
"Scusa perché dovrebbe preoccuparmi? Non riesco a seguirti." domandai
noncurante, sorseggiando il liquido rosa.
"Come perché? Mi pare logico, tu hai sempre detto che il tuo nuovo appartamento
ti piace perché è piuttosto silenzioso, soprattutto la notte ché è il periodo
della giornata in cui lavori meglio"
"E
allora? Cosa c'entra questo con la popolarità del caro – mimai imitando
l'apertura di un paio di virgolette - Orlando?"
"Uuh
my dear Orlando!" disse maliziosa;
"Oddio! Ma falla finita con quell'espressione, va'!" l'ammonii bonariamente
schiaffeggiandole una mano.
"Comunquesia
il caro Orlando, sicuramente ha una vita piuttosto attiva e ... una vita
notturna altrettanto movimentata, non so se mi spiego" disse, assumendo
un'espressione piuttosto eloquente.
Appoggiai il bicchiere sul tavolo, scossi la testa e sorridendo le risposi "Fran,
tesoro, sei davvero incredibile!"
"No, sono solo realista. Metti che poi quello combina qualche festino
sesso-droga-e-rock-and-roll? A quel punto che faresti?" mi chiese rilasciando
fumo nell'aria, dopo aver copiosamente aspirato dalla sigaretta.
"E
certo, magari si organizza una nuova Woodstock nel salotto di casa, ma fammi il
piacere! Comunque, vuoi davvero sapere che farei?", chiesi avvicinandomi per
guardarla, mentre socchiudevo gli occhi in un paio di fessure.
Fran annuì, io ripresi la mia precedente posizione, afferrai di nuovo noncurante
il bicchiere e dopo aver sorseggiato un attimo il cocktail, risposi.
"Se
dovesse davvero organizzarne... bè, gli chiederei se c'è posto per altre due
persone, mi pare ovvio!" e posando nuovamente il bicchiere, sorrisi beffarda
mentre Fran scoppiava a ridere.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Documento senza titolo
Ragazze chiedo umilmente perdono in ginocchio sui ceci! E' da un sacco che non
aggiorno, ma ho delle motivazioni più che valide! Sono stata occupatissima
in quest'ultimo periodo, mi hanno trasferito in un'altra sede per lavoro e così
nuovi colleghi e nuove mansioni, è stato abbastanza stressante. Adesso
che mi sono un po' ambientata va decisamente meglio!
Ringraziamenti
lampo a tutti quelli che hanno commentato e scusate ancora per l'immane ritardo!
Un saluto speciale a delle persone che ho conosciuto da poco, ma che mi sembra
di conoscere da sempre. Grazie!
E adesso via al capitolo!
Capitolo
6
Qualcuno aveva
parlato di "vacanza meritata e gradita"? Di sicuro non io. Sì,
Il caro sig. Johnson mi aveva concesso tre settimane di permesso. Esattamente,
mi aveva concesso, il verbo al passato è d'obbligo. Perchè purtroppo,
a quanto pareva, la Sons&Waters non poteva proprio fare a meno di me per
un periodo così lungo.
Quando quella mattina
avevo sentito squillare il telefono, in un primo momento avevo pensato si trattasse
di Fran ma, ahimè, non appena avevo riconosciuto l'inconfondibile accento
inglese, come colta da un funesto presentimento, avevo cominciato ad innervosirmi;
e non a torto a quanto pareva. L'inglese, con la diplomazia che lo contraddistingueva,
non aveva fatto altro che ripetermi quanto gli dispiacesse dovermi revocare
il permesso, ma proprio non poteva fare altrimenti.
"Non sa davvero quanto mi rincresce doverle portare questa triste notizia,
il periodo di riposo le spetta di diritto, sono io il primo a riconoscerlo,
ma nonostante questo il nuovo presidente non ha voluto sentire ragioni; ha organizzato
un'importante manifestazione, durante la quale verranno esposte le tavole originali
delle illustrazioni appartenenti ai libri di maggior successo che la nostra
società ha pubblicato negli ultimi anni e per l'occasione, ha deciso
di esporne anche di inedite. Poichè al momento è la nostra più
promettente illustratrice, questa gatta da pelare tocca a lei Miss Linch, sono
davvero mortificato. Se devo essere sincero, io non sono molto d'accordo con
questa nuova linea direttiva, ma non posso oppormi purtroppo."
E così addio riposo! Le mie serene e tranquille vacanze erano svanite,
nel fumo degli obblighi verso la società. Era pur vero che era passata
una settimana dalla mattina in cui avevo fatto quella figura pessima con l'illustre
Mr. Bloom. Sette giorni durante i quali avevo potuto riposarmi almeno un
pochino, grazie anche a Fran ed al suo programma "doppia R" ovvero
"Riposo e Relax", ma l'idea di dover riprendere a lavorare così,
su due piedi, non mi allettava affatto. In più non avevo nemmeno finito
di rimettere in ordine la casa. C'era ancora qualche mobile da sistemare e cosa
più seccante, quella parete all'ingresso aveva finalmente un colore di
fondo ma era ancora priva di qualunque disegno o decorazione.
In quel momento comunque non mi sarei potuta occupare del murales,
mi aspettava un periodo di fuoco; dovevo darmi davvero da fare per trovare un
soggetto adatto, disegnarlo e consegnare le nuove bozze, il tutto in tempi brevissimi.
Se fossi uscita indenne da quella situazione, sarebbe stato un miracolo. E
chiederò un aumento!
L'intera nottata
l'avevo praticamente passata a schizzare figure e scenari; per riuscire a stare
sveglia ero persino dovuta ricorrere alla mia arma segreta: un intruglio composto
da caffè nerissimo ed altri ingredienti energizzanti; la pozione magica
scoperta durante l'ultimo anno all'accademia. Mi ricordo ancora quelle vere
e proprie "lotte contro il tempo"; tra una cosa e l'altra finivamo
sempre col ridurci all'ultimo momento per terminare i lavori assegnatici. Quella
brodaglia mi ha salvato un sacco di volte da una bocciatura sicura come il sorgere
del sole. Merito di Mick, mio compagno nel corso di Analisi di Arti visive,
che la scoprì; in quali strane circostanze non l'ho mai voluto sapere.
Grazie a questo espediente comunque, quella notte ero riuscita ad andare avanti
col lavoro per non so quante ore, finchè non ero crollata, quasi perdendomi
lentamente tra le braccia di Morfeo. Per fortuna, non so come, ero riuscita
ad alzarmi prima di perdere completamente conoscenza ed, ancora ad occhi chiusi,
avevo raggiunto a tastoni la mia stanza e m'ero infilata a letto. Se avessi
passato seduta alla scrivania le poche ore di sonno che mi restavano, quella
mattina mi sarei alzata con un tremendo mal di schiena.
La radio e le sue
canzoni mi facevano compagnia, mentre il pane si stava tostando e io m'apprestavo
ad affettare un paio d'arance rosse per farne una spremuta.
Mentre compivo quest'operazione lo sguardo mi cadde sulla tazza blu. Sorrisi.
Alla fine avevo accettato il regalo che ora faceva bella mostra di sé
sul mobile di fianco al lavello.
Le fette, pronte, saltarono con un trillo fuori dal tostapane, risvegliandomi
da quel pensiero; mi diressi così verso il ripiano della cucina in cui
sistemavo i piatti, ne presi uno e a piedi scalzi mi spostai in direzione tost.
Afferrai il primo ma lo lasciai subito cadere nel piatto.
"'Azzoo!! Scotta!"
La giornata iniziava con due dita bruciacchiate. E se il buondì si
vede dal mattino, si comincia bene!
Terminata la colazione, mi preparai, cercando di rendermi quanto meno presentabile,
una maglietta ed un paio di jeans a vita bassa andavano più che bene;
poi detti un ultimo sguardo ai miei disegni. Strano a dirsi, non li trovai pieni
di difetti come invece mi aspettavo.
Per quel che riguarda il disegno sono sempre molto puntigliosa e critica, spesso
è capitato che finissi col decidere di rifare da capo una serie di illustrazioni
solo perché c'era qualche piccolo particolare che non mi convinceva.
Ma fortunatamente non fu quello il caso.
Corressi qualche dettaglio qua e là e, abbastanza soddisfatta, raccolsi
i fogli e li riposi in una cartellina, poi pensai che mi avrebbe fatto bene
prendere un po' d'aria, così afferrai il giacchetto di pelle che avevo
lasciato sul divano il giorno prima, presi le chiavi dal mobiletto di fianco
alla porta, ed uscii, chiudendomi l'uscio alle spalle.
"Ehilà ciao! Siamo mattinieri a quanto vedo."
Mi voltai e con sorpresa scoprii che il mio nuovo vicino, stava giusto
passando davanti al mio appartamento ed al momento mi guardava con curiosità,
sorridendo.
"Buongiorno" risposi, lasciandomi scappare uno sbadiglio a mezza bocca;
quando però mi resi conto che stavo quasi per farglielo praticamente
in faccia, spalancai gli occhi portandomi di scatto una mano davanti alle labbra
e per reazione lo sbadiglio morì così, nel nulla.
"Nottataccia?" chiese poi, allusivo.
Annuii. "Avrò dormito si e no 3 ore stanotte!"
Se solo si azzarda a dire "E si vede" giuro che me ne frego se
lui con la faccia ci lavora, gli assesto un pugno sul naso!
Sorrise. "Stavo giusto andando a prendere un caffè... vuoi...?"
Fece un gesto come a voler rafforzare l'invito. Mi sta invitando?? A prendere
un caffè! Lui, un inglese... il caffè?! Sconvolgente.
"Ehm, ma non credi che uscire così, sarebbe un po' pericoloso
per te? Cioè voglio dire..." tentai perplessa e gesticolando lo
indicai in modo plateale come a voler dire: insomma sei quello che sei,
come fai?
"Tranquilla, basterà usare i giusti accorgimenti ed evitare ad esempio
posti affolati o nei quali ci si aspetta di veder spuntare sulla porta, da un
momento all'altro, attori come... Orlando Bloom" scherzò facendomi
l'occhiolino, poi dallo zaino che portava su una spalla, tirò fuori un
cappello alla pescatora e un bel paio di enormi occhiali scuri, rigorosamente
non griffati e se l'infilò, uno dopo l'altro. Fece poi un inchino e cedendomi
il passo m'invitò ad uscire per prima. "Prego".
Devo dire che era
bastato davvero quel piccolo espediente per renderlo mescolabile alla
folla, così conciato poteva passare tranquillamente inosservato. Insomma
di ragazzi che girano a quel modo ce ne sono a bizzeffe, ma io non ero ugualmente
tranquilla e continuavo a voltare lo sguardo a destra e a sinistra, come se
da un momento all'altro mi aspettassi di veder far capolino dai posti più
insospettabili, qualche fotografo o qualche fan scatenata a caccia
di autografo e foto. Invece niente; nessun fotografo, nessuna fan,
niente di niente. Nemmeno quando, lasciato il villino ed imboccata la strada,
entrammo nella via che portava alla zona commerciale.
Durante il tragitto
gli sbadigli si susseguirono copiosi, tanto che ad un certo punto, il mio accompagnatore
cominciò a sorridere maliziosamente; lo guardai tentando un'espressione
finta offesa.
"Ok, ok perdonami!" s'affrettò a scusarsi, mettendo le mani
giunte di fronte al viso e voltandosi dalla mia parte, mimando un mezzo inchino
senza però smettere assolutamente di sorridere.
"È che la tua espressione assonnata è dannatamente buffa".
"Felice di rallegrarla anche di prima mattina... signorino"
risposi prima incerta e poi guardando avanti e sollevando leggermente la testa,
tentando di "darmi un tono", marcando volutamente sull'ultima parola,
imitando l'accento spiccatamente britannico di Mr. Johnson.
Orlando si lasciò sfuggire una risata e poi schiarendosi la voce con
un colpo di tosse, con voce impostata, chiese "Se non sono indiscreto,
madame, posso chiederle a cosa è dovuta?"
Sorrisi e mi affrettai a rispondere "E' presto detto, le mie agognate ferie
sono svanite come un anello di fumo e per di più mi hanno gentilmente
fatto sapere che dovrò creare delle nuove bozze da presentare ad una
mostra che la società o per meglio dire, il nuovo presidente organizzerà
a breve... tutto questo per dimostrare di essere all'altezza della fiducia accordata!
Ho passato quasi tutta la notte... ahum...-sbadigliai– a scervellarmi
per trovare qualche buona idea e poi a buttare giù qualche schizzo...
ahum."
"E com'è andata?" mi chiese piuttosto interessato; magari la
mia professione lo incuriosiva, chissà... certo non quanto la sua incuriosiva
me, sia chiaro, però era strano, mi piaceva l'idea che ad uno come
lui potesse interessare quello che facevo, mi suscitava una sensazione
di orgoglio misto ad autostima.
"Mah, non so - ripresi dopo un attimo di riflessione - sono abbastanza
soddisfatta di quello che ne è uscito a dire il vero, le illustrazioni,
da un punto di vista tecnico sono venute molto bene, solo che... non sono ancora
certa che possano riscontrare i gusti del capo, anche perché
non ho avuto molti contatti diretti con lui dacchè ha preso la dirigenza
della società" spiegai.
"Comprendo benissimo, non è mai facile riscontrare i gusti del
capo, in qualunque campo si lavori, purtroppo; il fatto è che vorrebbero
la perfezione in tutto ciò che fai, ma siamo pur sempre esseri umani,
non certo delle macchine" disse continuando a guardare dritto avanti a
sé, come se stesse parlando più con se stesso che non con me.
Quelle parole mi colpirono molto, tanto che infilai le mani nelle tasche della
giacca e presi a fissare la punta delle mie scarpe, perdendomi in alcune silenziose
riflessioni personali.
Finchè la sua voce non mi richiamò alla realtà.
"Comunque tutto quello che possiamo fare è impegnarci e dare il
meglio di noi. Basterà", sorrise rassicurante.
Sollevai la testa e annuii.
Nel frattempo, una giovane donna, bionda, piuttosto alta che indossava un tailleur
bianco ed un cappello dello stesso colore a falde larghe, ci superò a
passo svelto; portava al guinzaglio un minuscolo cagnetto e lo esortava con
alcuni precisi strattoni al laccio, ad avanzare e non fermarsi ad espletare
i propri bisogni fisiologici presso l'idrante rosso, posizionato all'angolo
del marciapiede.
Camminammo ancora
un po', l'argomento di conversazione si era, per fortuna, spostato su questioni
rigurdanti il nostro piccolo condominio. In poche parole, un po' di sano e gratuito
pettegolezzo.
Avevo raccontato ad Orlando di tutte le volte che avevo assistito ai maldestri
tentativi messi in atto da Mr. Elder (il signore che abitava di fianco a lui
ed a McAnzie-il suonato, al piano di sopra), nel cercare di nascondere il suo
spiccato interesse per la signora Miller, che abitava invece al piano terra,
nell'appartamento subito dopo il mio, vicino alle scale.
"Stai dicendo sul serio?" chiese ad un certo punto, spalancando la
bocca in un'espressione di puro stupore; io assentii con un cenno del capo e
lui ancora incredulo scosse la testa, sorridendo. "Non posso credere che
sia arrivato a tanto!"
"Te lo posso giurare!" gli dissi quindi, fermandomi e costringendo
lui a fare altrettanto. "Una volta, addirittura, mentre ritiravo la posta,
l'ho visto accucciato sulla prima rampa di scale che l'osservava da lì,
con la testa tra le sbarre di ferro del corrimano, mentre lei stava salutando
la sua amica del venerdì, mi pare si chiamasse Flora o qualcosa di simile...
comunque non è importante... dicevo... dopo che ebbe salutato la sua
amica, nel momento in cui rientrò in casa, lui fece per alzarsi e salire
un gradino, soltanto che deve aver messo male un piede, forse indossava le pantofole,
perché in un attimo l'ho visto perdere l'equilibrio; ha fatto una serie
di strambi movimenti con le braccia, nel tentativo di riacquistarlo, cercando
di non cadere! Così...– presi a gesticolare nervosamente, cercando
di imitare il vecchietto, mentre Orlando aveva cominciato a ridacchiare, divertito
da quello spettacolino improvvisato.
"Si è ripreso per miracolo afferrando la balaustra! Io dico che
dallo spavento avrà perso, si e no, 10 anni di vita; si teneva una mano
sul petto ed è rimasto in quella strana posa, respirando lentamente per
diversi minuti, finchè non s'è accorto che lo stavo fissando.
Deve aver pensato che avessi assistito a tutta la scena! Perciò ha subito
assunto un'espressione altezzosa ed una postura impettita e come se nulla fosse
stato, è sparito al piano di sopra. Non ti dico lo sforzo che ho fatto;
ho rischiato seriamente di scoppiare a ridergli in faccia!"
"Ahahahah! Quanto avrei pagato per vedere la sua espressione, quando si
è accorto di te! Eppure è sempre un uomo così compito...
Incredibile."
Riprendemmo a camminare finchè i nostri passi non ci portarono in una
piazzetta. Fu allora che Orlando m'indicò una piccola caffetteria che
faceva angolo con una minuscola stradina; se non me l'avesse segnalata lui,
difficilmente ci avrei fatto caso. L'insegna era di dimensioni molto ridotte,
di quelle vecchio stile, in ferro battuto ed una lastra di metallo con su scritto
"Lando's", penzolava immobile, sporgendo appena dal muro del palazzo.
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