L'amore ai tempi del caos

di Hiraedd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** spille... che pungono ***
Capitolo 2: *** cose mai viste ***
Capitolo 3: *** autostima esplosiva ***
Capitolo 4: *** il problema di Lène ***
Capitolo 5: *** il problema di Potter ***
Capitolo 6: *** il messaggio di Lord Voldemort ***
Capitolo 7: *** quel giorno in cui James Potter non uscì con Lily Evans! ***
Capitolo 8: *** ripicche e ripacche ***
Capitolo 9: *** cucine e suoceri- parte 1 ***
Capitolo 10: *** cucine e suoceri- parte 2 ***
Capitolo 11: *** un pugno di silenzio ***
Capitolo 12: *** confessioni e presentimenti ***
Capitolo 13: *** Cepenertola, Gwendy, Pocapontas, Chiaraneve e Alice nel paese delle cose belle ***
Capitolo 14: *** c'è ubriaco e ubriaco ***
Capitolo 15: *** candele nel buio ***
Capitolo 16: *** le reazioni di Emmeline ***
Capitolo 17: *** battiti di cuore, frasi e passi ***
Capitolo 18: *** il lupo e il rospo ***
Capitolo 19: *** ricordi, una causa persa e dei gran bei pettorali ***
Capitolo 20: *** quel che vuol dire avere qualcosa che va per il verso giusto ***
Capitolo 21: *** la timidezza è composta dal desiderio di piacere e dalla paura di non riuscirci ***
Capitolo 22: *** Il mio vero problema sono i Black (Lène McKinnon) ***
Capitolo 23: *** tutta colpa dei calzini! ***
Capitolo 24: *** Il mio vero problema sono i Black (Lène McKinnon)- parte 2 ***
Capitolo 25: *** quel giorno in cui James Potter uscì con Lily Evans! ***
Capitolo 26: *** tutta una questione di filtri- parte 1 ***
Capitolo 27: *** tutta una questione di filtri- parte 2 ***
Capitolo 28: *** in guerra e in amore... ***
Capitolo 29: *** l'ultimo giorno della nostra vecchia vita ***
Capitolo 30: *** come glielo dici? ***
Capitolo 31: *** tutti all'ordine! ***
Capitolo 32: *** la favola della buona notte ***
Capitolo 33: *** una domenica al campo di quidditch ***
Capitolo 34: *** il suo lato più debole ***
Capitolo 35: *** Noi ***
Capitolo 36: *** Inviti ***
Capitolo 37: *** inviti - quando le serate in compagnia di James Potter sono piacevoli ***
Capitolo 38: *** parlando di cose serie ***
Capitolo 39: *** Storia di una ragazza, e del lupo che le insegnò a volare ***
Capitolo 40: *** presi tra due fuochi ***
Capitolo 41: *** Revenge ***
Capitolo 42: *** per le spine e i difetti ***
Capitolo 43: *** Confidenze ***
Capitolo 44: *** Sonaglietti e gelosia ***
Capitolo 45: *** per impedire al tempo di scorrere ***
Capitolo 46: *** questioni di famiglie e tappezzerie ***
Capitolo 47: *** Testamento ***
Capitolo 48: *** FRAN ***
Capitolo 49: *** matrimoni e funerali ***
Capitolo 50: *** frammenti di dolore, di vita e di rumore ***
Capitolo 51: *** getti di parole ***
Capitolo 52: *** piccoli figli crescono ***



Capitolo 1
*** spille... che pungono ***


VILLA POTTER,
ORE 3 p.m. DEL 15 AGOSTO 1977
 
Vergata in inchiostro verde smeraldo, la parola è inconfondibile.
Caposcuola.
No, dico… caposcuola!
Sono spiazzato, anche se “spiazzato” è un eufemismo. A quanto pare, però, non sono l’unico in questa stanza a sfoggiare una delle più incredibili facce da ebete che si siano mai viste. Alzo lo sguardo e mi accorgo che altre tre identiche espressioni ricambiano la mia occhiata.
Il primo a riprendersi è Sirius, che dopo un attimo di incredulità scoppia in una risata simile ad un latrato.
-Merlino, Prongs, stavolta stavo proprio per cascarci- sghignazza strappandomi dalle mani la lettera –devo dire che sembra proprio quella. Certo che potevi sfruttare meglio l’idea… ma forse siamo ancora in tempo…-
Confabula tutto eccitato mentre io, ancora spiazzato, mi limito a guardarlo capendo solo una parola su tre. Vicino a me, Remus è impallidito e Peter non sa che pesci prendere, indeciso se continuare a guardarmi inebetito o dare retta a Sirius.
Nel frattempo, Padfoot ha preso dal suo baule una pergamena nuova continuando a borbottare.
-certo mi dispiace sprecarla… ma se è per una buona causa… insomma, si tratta di Snivellus, mica di uno qualunque-.
Il nomignolo che abbiamo affibbiato a quell’inetto di Piton mi risveglia completamente, e mi volto verso Sirius in tempo per vederlo dare un colpetto alla pergamena con la bacchetta. Mi allungo per afferrarla quando Peter mi precede, rapido come raramente gli capita di essere. A quanto pare ha deciso di stare dalla parte di Sirius, perché osservando bene la pergamena scrolla la testa.
-no, Pad, non va. La Minnie fa le “a” più allungate sulla sinistra, e le “t” meno tozze- dice sventolando la pergamena davanti agli occhi del mio migliore amico –lasciala fare a Jamie, la sua sembra proprio originale-
-lo è- risponde Remus al mio posto. Mi rendo conto che, senza che noi ce ne accorgessimo, ha strappato la mia lettera dalle mani di Sirius.
Con uno svolazzo di bacchetta mormora sottovoce: -special revelio- e la pergamena sfrigola tra se, incantata. Ovviamente non succede niente.
-per la barba di Merlino, Prongs- impreca Sirius, guardandomi di sottecchi –sei caposcuola-.
 

*

 
-no, c’è un errore- ribadisco per la trentacinquesima volta –non è proprio possibile. Insomma, io sono James Potter, quel James Potter! È come se… non so, Piton fosse eletto re delle fate, o…-
-…o Lumacorno mi invitasse alle sue feste…- dichiara Peter per darmi man forte, con un sorriso a trentadue denti.
-…o come se Nick quasi senza testa venisse ammesso alla caccia senza testa…- aggiunge Remus ridacchiando.
-…si, o come se la Minnie si mettesse a ballare nel corridoio a braccetto con Gazza…- ribatto convinto, ridendo sguaiatamente immaginandomi la scena.
-o come se la Evans accettasse di uscire con te a Hogsmeade- aggiunge Sirius con una risata sguaiata.
-LA EVANS USCIRà CON ME QUEST’ANNO- urlo con tutto il fiato che ho in gola.
Mi lancio di peso su Padfoot, che impreparato rotola sul letto su cui si trovava. Afferro il cuscino e inizio a picchiarlo e a prenderlo a cuscinate. Quando vedo che i miei tentativi di mettere a tacere le sue risate non funzionano, tento di soffocarle con il cuscino. Sirius inizia a muoversi convulso.
-di subito che lei uscirà con me- gli intimo minaccioso.
Le risate riprendono. Gli assesto una gomitata sulle costole.
-dillo- ribadisco. Ancora risate, ancora una gomitata.
-DILLO SUBITO-.
Le sue mani si alzano in segno di resa. Gli libero la testa.
-va bene, cadrà ai tuoi piedi…- mormora stroppiato dalle risate –nel vero senso della parola, … probabilmente le verrà un infarto quando vedrà la spilla-.
 

***

 
CASA EVANS
 
 
14 agosto 1977
Lil, tesoro,
sicura di non volermi raggiungere prima del previsto?
Con Emm e Alice pensavamo di andare il 27 a Diagon Alley. Lène ha già detto che per lei non c’è alcun problema, manca solo la tua risposta. Da parte mia, ho proprio bisogno di una scopa nuova, altrimenti la coppa quest’anno ce la scordiamo, e non ho proprio voglia di subire gli insulti di quei viscidi Serpeverde.
Come sono andate le tue vacanze? Io sono stata in Irlanda a trovare i miei parenti, come ti avevo preannunciato in giugno, e devo dire che quella terra mi è piaciuta molto. Ora intrattengo rapporti epistolari anche con allievi maghi di una scuola irlandese, l’istituto SaoirseSorcha.
Sei andata al mare, alla fine? O sei stata tutta l’estate chiusa con tua sorella?
A proposito, grande novità! Mio padre ha comprato un teletitore, è molto bello. L’abbiamo messo in salotto, ma non riusciamo a farlo funzionare, ci hanno dato in dotazione un telelomando ma non sappiamo come usarlo, per di più i disegni del manuale restano fermi quindi non riusciamo a capirci molto. Confidiamo tutti in te, e ti aspettiamo così magari ci insegni ad usarlo.
Ripensa alla mia idea di raggiungerci prima del previsto, non dire subito di no.
 
Tua, Mary
 
 
15 agosto 1977
Miss Lily Evans,
siamo lieti di informarLa che  Lei è stata scelta quale nuova Caposcuola di Hogwarts per l’anno scolastico 1977/78. Nella busta troverà la spilla con il suo distintivo, da appuntare alla divisa scolastica. La preghiamo, il giorno 1 settembre, di recarsi nella carrozza dei prefetti per il viaggio da Londra a Hogwarts dal binario 9 e ¾ alla stazione di King’s Cross.
Cordialmente,
Minerva MacGrannitt
 
 
 16 agosto 1977
Racconta racconta racconta!
Caposcuola? Ma è fantastico! Chi pensi che sia il tuo collega? Di nuovo Remus? Spero per te di si, è un ragazzo simpatico e serio, e ti aiuterebbe molto nel tuo nuovo incarico.
Mary dice che andiamo a Diagon Alley tutti insieme, sono proprio contenta! Quest’estate ho fatto qualche lavoretto e con i miei risparmi penso di riuscire a comprarmi la penna autocorreggente ultimo modello, è fantastica. Inoltre mi piacerebbe potermi comprare un mantello nuovo, ne ho visto giusto uno porpora che sembrava proprio fare al caso mio.
Tu come hai passato le vacanze?
Voglio sapere proprio tutto,
Emmeline
 
 
 
21 agosto 1977
Carissima Lily!
Scusa se ti ho fatto tanto aspettare per avere uno straccio di risposta, ma fino ad ora sono stata ospite a casa di Frank e sua madre mi faceva talmente paura da costringermi a comportarmi da ragazza modello. Per  paura che la mia Briga sporcasse la stanza che tanto faticosamente cercavo di tenere in ordine l’ho mandata a casa mia per tutta l’estate, e non avevo altri gufi a disposizione.
Comunque, raccontami tutto della tua estate! Quello che ho fatto io è presto detto, ho conosciuto TUTTI i parenti del mio Frank, sono tutti molto simpatici. La signora Paciock credo che a volte farebbe paura persino a Voldemort, quindi non ho mai osato contrariarla. Non so se le piaccio oppure no.
Non vedo l’ora di rivedervi tutte, e di tornare a scuola. Ma ci pensi? È l’ultimo anno! Sarà divertente.
 
Un bacio,
Alice
 
P.S. complimenti per la nuova carica!
 
 
 
 
 
24 agosto 1997
Olà!
Ti scrivo direttamente dall'Olanda che, ci terrei a sottolineare, è veramente bellissima.
Torno domani, quindi, non ti preoccupare, anche io verrò con voi a Diagon Alley e ti tormenterò con i racconti di “l'Olanda minuto per minuto!”
Tu che mi dici di te? Oltre al fatto che sei diventata caposcuola, ovviamente c’era da aspettarselo, una
secchiona come te…
non mi crederai mai se ti dico chi ho incontrato qui: Black e Potter, bellissimi e impossibili come sempre. Ops, scusa, dimenticavo che a te non piace sentirmi rivolgere a loro parole del genere.
Comunque james mi ha chiesto di te, e io, fossi in te, gli darei un’opportunità…
Ci vediamo tra qualche giorno
 
Marlene


***
 

Osservo attentamente un pagina della Gazzetta del Profeta da ormai ben dieci minuti.
-Lils, se continui a guardarla così la incenerisci, e poi finisce che non possiamo leggerla anche noi- mi rimbrotta poco gentilmente Lène, rigirandosi tra le mani la sua coppa a cinque gusti di gelato. Faccio poco caso a lei, quando è di malumore è scontrosa, e poi sono troppo presa dal giornale per farci caso –chi vuole provare il gelato all’Erbagraria Muffita?-.
Alice le riserva uno sguardo di puro disgusto.
-che c’è, cara?- le chiede Lène con tono falsamente materno –dici che preferiresti assaggiare quello al Latte Farfallino?-
-si, così poi ti frigola la pancia- ribatte Mary tutta interessata al suo libro –solo tu, Lène, puoi ostinarti a prendere quei gusti, poi stai male per tre giorni di seguito-.
-cos’è la vita senza un po’ di rischio?- chiede allora Marlene inarcando un sopracciglio scuro e delicato come un’ala di gabbiano. La sua bellezza talvolta è sconvolgente, a volte la invidio.
-ben detto, Marli, giuro che sei una malandrina mancata- esclama vivace una voce entusiasta. Alzo gli occhi al cielo chiedendomi perché debbano succedere proprio tutte a me.
Quattro ragazzi, due spavaldi, uno allampanato e uno basso e grassoccio, girano l’angolo e si avvicinano. Il primo è spavaldo, bello come un dio greco. Ha capelli talmente neri da mandare riflessi blu alla luce del sole, occhi di ghiaccio, un sorriso beffardo sul volto e il cervello di un Plancton. È quello che ha parlato, e al quale si rivolge Marlene in tono indispettito.
-chiamami ancora una volta così, Black, e ti giuro che rimpiangerai la dolce Walburga- si limita a dire guardandolo storto. –qualcuno di voi vuole Latte Farfallino?-.
-no, poi mi frigola lo stomaco- ribatte Minus guardandosi attorno, poco interessato alla nostra compagnia. Piccolo e grassoccio, con occhi acquosi e capelli stopposi color topo, è il più improbabile tra i maghi, figurarsi dei malandrini, gruppo scelto. Se i due scemi del gruppo, Sirius come-sono-figo Black e James sono-il-migliore Potter, mi risultano insopportabili, Minus mi è totalmente indifferente. Un’ameba, ecco cos’è… un’ameba quasi magonò.
-Buongiorno ragazze, anche voi qua?- chiede invece Remus J. Lupin, un distinto ragazzo alto e magro dall’espressione tranquilla e imperturbabile –Marlene, piaciuta l’olanda? Buongiorno, Lily- mi saluta gentilmente. È il mio migliore amico, da quando Sev sta con loro.
-Ciao Rem, che piacere rivederti- esclamo alzando lo sguardo dal giornale. Rem è la persona migliore che io abbia mai avuto l’onore di conoscere.
-Remus, l’olanda è bellissima- risponde Lène trasognata –chiedilo ai tuoi compari-
-fantastica, piena di Olandesine- gli assicura Sirius, guadagnandosi un’occhiataccia dalla sottoscritta, che proprio non lo sopporta
-Geniale, ti vendono qualsiasi cosa anche se nel tuo paese di origine è illegale- aggiunge James. L’altro buono.
Il mio sguardo si posa su di lui, molto carino anche se non Bello con la B maiuscola come Sirius, ha grandi occhi nocciola morbidi come quelli di un cerbiatto e capelli neri sempre spettinati. Il cervello è in condivisione con il suo migliore amico, Sirius sono-il-più-figo Black.
Quello di Potter che mi urtà di più, normalmente, è che appena mi vede mi chiede di uscire.
Sempre.
Sempre.
Sempre.
Per questo forse non mi ero accorta di lui. È stato insolitamente silenzioso, avvenimento più unico che raro, e mi ha appena rivolto un cenno della mano senza nemmeno parlarmi.
Forse Merlino si è tagliato la barba, mi chiedo?
Ormai l’attenzione di noi ragazze è tutta presa dai nuovi arrivati, io ho alzato lo sguardo dal giornale, Mary dal libro, Alice ha smesso di parlare di Frank e Emmeline smette per un attimo di rigirarsi tra le dita la sua nuova autocorreggente con inchiostro scopricolore. Quando tutto tace riabbasso lo sguardo sulla Gazzetta, e mi ricordo di cosa mi aveva scioccato tanto. Un sottile filo di preoccupazione mi scuote.
-Lils, c’è qualcosa che non va?- mi chiede Remus avvicinandosi. Deve aver notato che sono impallidita ancora.
-Diamine!- esclamo gettando infuriata il giornale sul tavolo –a quanti siamo, questo mese? Vent’uno, ventidue?-.
-no, non ancora- esclama Emm prendendo il giornale dal tavolo e aprendolo. La foto del marchio nero sembra brillare. Appoggio una mano sul tavolo, vicino alla coppetta del gelato. Non ne voglio più, mi si è chiuso lo stomaco e vorrei tanto che la colpa fosse solo di quell’imbecille di Potter.
-La scorsa notte il marchio è comparso su una piccola villetta nel Cheshire, dentro tre Babbani morti in circostanze misteriose. I tre, due bambini e la madre, stavano cenando. Oliver e Brian Parrowd, insieme alla madre, Vivian Coleman in Parrowd, sono stati trovati morti dalla vicina di casa-.
Emm finisce di leggere e per un attimo al tavolo non si sente volare una mosca. Non mi sono accorta che anche i quattro ragazzi si sono seduti lì con noi, ma non me ne importa più di tanto. Altri tre.
-ventidue- sussurra Emmeline. Anche lei, come me, tiene il conto. Anche lei, come me, è figlia di babbani. Deve tenere il conto.

 

***

 

-merlino, Lils, non potevi svegliarti tardi domani mattina? il massimo che rischiavi era di perderti Ruf!- esclama infuriata per la dodicesima volta Lène.
A suo dire, non vede l'ora di rivedere le altre. Secondo me, non vede l'ora di rivedere Black. Ovviamente la mia migliore amica nega con tutta se stessa da che siamo partite.
Con attenzione varchiamo il binario, cercando di non farci notare da nessun babbano. Al di là della barriera, il treno fischia quasi minacciandoci di lasciarci a piedi.
-tranquilla, Lène, lui è lì- rispondo vedendo i quattro malandrini salire sul treno.
-non so di chi tu stia parlando, non mi abbasso a certe cose- risponde lei in tono di sufficenza.
-certo, come no- ribatto io -e io sono Morgana-.
-senti, Morgana, la riunione nella carrozza dei Prefetti la sta tenendo Merlino? no, perchè se le voci che ho sentito sono vere, faresti meglio a sbigarti a raggiungerlo, prima che faccia saltare per aria la vostra Avalon-.

 

*
 

L'espressione di Lily è tutta un programma, non appena mi vede. Fissa la mia spilla, fissa me, fissa di nuovo la spilla e poi ancora me. Appena la realtà fa breccia nella sua mente, i suoi occhi verdi si riducono in piccole fessure. Faccio quasi un passo indietro, da quanto la temo quando fa così. Ha gli occhi dello stesso colore dell'anatema che uccide. Ovviamente non glielo faccio notare, altrimenti mi uccide davvero. Può non sembrare, ma quest'estate sono diventato più furbo riguardo al caso Lily Evans.
-Silente ha un curioso senso dell'umorismo- rispondo alla sua occhiata truce.
-no, non curioso. Perverso, Perverso fino al midollo- ribatte entrando come una furia nella carrozza.
-in ritardo, Evans?- chiedo.
-evanesci, Potter- risponde. Fin qui tutto normale.
la nostra discussione, se così si può chiamare, viene interrotta dall'arrivo dei prefetti di tutte e quattro le case di hogwarts. Sei per ogni casa, due per ogni anno.

Avery e Mulciber settimo anno, Lastrange e Black sesto anno, Nott e Revir quinto anno. Serpeverde.
Goldstein e Boot, Bortwan e Gwadyen, Brown e Hossas per il Corvonero.
Diggory e Perter, Smith e Belby, Rescor e Zessis per il Tassorosso.
Macdonald e Lupin, Macfadyen e Dunne, Rosmir e Canon per il Grifondoro.

Guardandoli entrare, mi accorgo di come tutti abbiano un rapporto particolare con Lily. Forse lei non se ne accorge neanche, ma i Corvonero la salutano amichevolmente, i tassorosso gentili e i grifondoro particolarmente cordiali, soprattutto Remus e Mary, una delle sue migliori amiche. Mentre la guardo, penso che Lily è proprio speciale.

 

*
 

-molto bene, per di voi non lo sapesse ancora, io sono Lily Evans e lui è James Potter- apre il discorso, mentre io me ne sto zitto a guardare gli altri.
-e chi non li conosce, un babbanofilo e una sanguesporco- ghigna Mulciber, odioso fino al midollo. Non lo sopporto proprio, e vedo Lily stringere i pugni all'offesa.
-almeno a noi ci conoscono... mhm... Macciper?- chiede lei incenerendolo con lo sguardo. il Serpeverde inarca le sopracciglia, quasi non credendo alle sue orecchie.
-ti conviene stare zitta, Evans, se non vuoi che io...-
-ti conviene stare zitto, coso, se non vuoi iniziare l'anno con un debito di punti che la tua casa non riuscirebbe a risanare in trent'anni- risponde glaciale Lily. Credo sia geniale, si, proprio così.
-molto bene, dunque. Quest'anno le riunioni dei prefetti si terrano di venerdì sera. Le ronde si terranno in questo modo. I prefetti del settimo pattuglieranno nell'orario più tardo, una volta a settimana per tre ore. Il sesto anno farà le due ore prima, due volte a settimana. Il quinto farà le prime ore di pattugliamento due volte a settimana. Io e Potter faremo il turno del settimo che rimane scoperto. Nei finesettimana le ronde spettano ai professori- mi si attorcigliano le budella nel sentirle dire che faremo la ronda insieme, tutte le settimane, a tarda notte. Forse non ha solo lati negativi, questa spilla.
-bene- esclama infine facendo uno svolazzo con la bacchetta. dal nulla appare un foglio -per questa settimana scegliamo i turni adesso. Per le altre, facciamo alle riunioni di volta in volta. Qualche preferenza?-.
-Mercoledì sera- grugnisce Avery dal suo posto. Non avevo dubbi che avrebbe scelto per primo. Mulciber sembra d'accordo.
-Giovedì sera- risponde Goldstein.
Questa parte della spilla, invece, non mi piace per niente.







Angolo dell'autrice:
Ehilà! è la prima volta che provo a scrivere su Lily e James, spero di non aver fatto nulla di male.
Nei prossimi capitoli non vi annoierò molto con le mie note, quindi non vi preoccupate.
Spero che qualcuno legga e recensisca!
Buona lettura,
Hir



 

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Capitolo 2
*** cose mai viste ***


È strano, stamattina non ho ancora sentito Potter. Strano bello, non strano brutto, ma comunque è strano. A colazione mi ha salutato con un cenno del capo, che ha rivolto a tutto il mio gruppo e non semplicemente a me, non mi ha chiesto di uscire né si è venuto a sedere accanto a me. Non mi ha chiesto di portarmi i libri e non mi ha guardato per tutto il tempo, in sala grande. In realtà fa così da quando siamo arrivati a scuola, una settimana fa. È strano, sta complottando qualcosa, altrimenti il suo atteggiamento non si spiega.
Non è ancora entrato in classe.
Oh, al diavolo James Potter e il suo ego smisurato!
Mi lascio cadere sulla sedia libera tra Marlene e Emmeline, intenta a scrivere una lettera.
-avete visto Alice? Stanotte non era in camera- dico cercando di avviare una conversazione. Il silenzio mi fa male alla testa, ultimamente. Troppi pensieri.
-‘rank- borbotta Lène soffocando uno sbadiglio.
-si, probabilmente è con lui- risponde Emmeline smettendo per qualche secondo di scrivere e rivolgendomi un sorriso –vi saluta mio fratello, a proposito-.
-quale dei tanti?- sorrido divertita. La famiglia di Emm è buffissima, sono cinque fratelli più lei, che è la mediana. Dei più grandi, uno è Auror, uno medimago e l’altro è alchimista. i più piccoli sono ad Hogwarts, Jared, terzo anno corvonero, e Michael, primo anno grifondoro.
Riesco a vedere con la coda dell’occhio Potter passarmi davanti, accompagnato da Black. No, non accompagnato. In realtà Potter sta letteralmente trascinando Black verso uno dei banchi in prima fila. Sogno o son desta?
-Paul, l’auror. È di stanza in polonia, adesso, e ci sentiamo meno-esclama Emm.
Dovevo immaginarlo. Per quanto ne so, Paul è quello che adora di più. Era al sesto anno quando noi eravamo al primo, ma io lo ricordo veramente poco.
-‘alutamelo- borbotta di nuovo Lène, soffocando un altro sbadiglio. Non posso non rivolgerle un’occhiata soddisfatta.
-sai quanto poco mi piaccia dirlo, ma te l’avevo detto!- la rimbrotto.
-ma se non fai altro che ripeterlo a tutti? E comunque, dici un sacco di cose, è davvero impossibile
ricordarsele tutte- ribatte strofinandosi gli occhi –ma a che ti riferisci, in questo particolare caso?-.
-ti avevo detto di non uscire con quel Benjamin, ieri sera! E tu invece sei rientrata a tarda notte!-
-si chiama Jeremy, non Benjamin- risponde prontamente, ora tutta arzilla –e credimi, ne vale veramente la pena-.
Distorco il viso in una smorfia.
-hai avuto tutto il giorno- ribatto –così adesso sei mezza addormentata e ti devo aiutare io…-
-ovvio, a che servono le amiche senn…-
-buongiorno ragazzi- ci interrompe la McGrannitt –il compito di ripasso è andato piuttosto bene a tutti, ritengo che ormai siate piuttosto a buon livello per quanto riguarda il programma dell’anno scorso. Per questo- esclama poi guardandoci severa –ho deciso di applicare anche quest’anno una tecnica che uso di solito con le classi del M.A.G.O.-
Intorno a noi si sentono alcuni sussurri.
-per quest’anno, lavorerete a coppie, selezionate da me- aggiunge scoccando un’occhiata furente a tutta la classe, come a dire “provate a lamentarvi!”.
Mi guardo in giro, nelle lezioni di trasfigurazione siamo insieme ai corvonero.
-molto bene, ho già deciso le coppie. Per tutto l’anno lavorerete insieme, così da poter migliorarvi a vicenda. Minus, McKinnon- esclama per prima.
Scocco un’occhiata soddisfatta a Lène, che mi guarda timorosa. Ovviamente non ha più la copertura che le serve per non far vedere quanto è stanca. Minus è particolarmente poco dotato in Trasfigurazione.
-Prewett, Perkins- vedo Alice sorridere ad una ragazza di Corvonero. Per lo meno è finita con qualcuno capace.
-Potter, MacDonald- Mary fa un cenno a James, che ricambia con un sorriso. Anche a lei è andata bene, e non lo dico perché Potter è Potter, ma perché è maledettamente bravo in questa materia.
-Vance, Boot- vedo Emm sorridere, e Greg rispondergli.
-Evans- esclama la McGrannitt, e io scatto attenta –Black-.
Mmhph. Almeno prenderò una E alla fine dell’anno. Almeno spero, visto che Black è al livello di Potter in questa materia. Tutti sanno che Trasfigurazione è il mio tallone d’Achille.
Poteva andarmi peggio.

*
Vedo la Evans guardarmi impassibile. Posso dire di non sopportarla, ma in quanto a faccia di bronzo mi fa concorrenza. E ti pareva che la Minnie mi mettesse in coppia con uno bravo, così non facevo niente tutto l’anno… non solo sono in coppia con la Evans, che non è molto capace in questa materia, ma con un Caposcuola. Agghiacciante.
Remus si sposta per affiancare Goldstein, che farà gruppo con lui per tutto l’anno. Il suo posto viene preso dalla Evans, che mi guarda senza staccarmi gli occhi di dosso. Ghigno, pensando a James e a quanto in questo momento mi stia invidiando.
-ehilà, Evans- esclamo cercando di tirarle/tirarmi su il morale –tutto l’anno insieme-.
-sprizza gioia da tutti i pori, Black- si intromette Marlene dal banco affianco al nostro. È capitata con Pete.
-ciao bue, sono l’asino, chi ha le corna?- chiede la Evans ironica. Lène si volta facendole una linguaccia. La guardo con un sospiro prima di voltarmi a mia volta. La Evans mi guarda. Perché diavolo la Evans mi guarda?
Sollevo un sopracciglio, e lei mi risponde con un’innocente alzata di spalle. Faccia di bronzo, come stavo dicendo. Un pezzo di carta mi raggiunge, non ho bisogno di aprirlo per capirne il contenuto.
Bastardo.
Così mi offendi, caro.
Rispondo in fretta, prima che la Minnie ci veda. Mi terrorizza vagamente, quella donna… assomiglia alla Evans.

 
**
 
-suvvia, Evans, non ti arrabbiare!-
-non ti arrabbiare? NON TI ARRABBIARE?- le mie urla si sentono credo fin dalla torre di Astronomia –brutto idiota, secondo te non mi dovrei arrabbiare?-
-ora, Evans, vada per l’idiota, ma brutto proprio no…!-
-taci, Black, prima che decida di trasfigurarti in un verme- ribatto minacciandolo con l’indice alzato e la mano sinistra nel fianco.
-non sei brava in trasfigurazione- mi ricorda con una faccia da schiaffi delle peggiori. Gli tiro un ceffone sulla nuca, e lo sento borbottare.
-nemmeno tu, a quanto ho visto!- aggiungo irata. Quell’idiota ci ha fatto mettere in punizione. In punizione! Io, Lily Evans, in punizione.
-eddai, Lils, è solo una punizione- esclama Mary venendoci incontro –capita a tutti prima o poi, anche alla Prefetta Perfetta Lily Evans!-.
-va al diavolo, Mary-.
-ma ha ragione, scusa- rincara Sirius –non è niente di che, solo un paio d’ore a spolverare trofei-.
-wow, Black, una vera festa- borbotto.
-e non ti ho detto la parte migliore!-
-c’è una parte migliore?- aggiungo spaventata.
-certo che c’è, sei con me!-
-Merlino, Morgana, fondatori, salvatemi!-          

 
*
 
-scusa, ho capito bene?- Lène mi guarda di sottecchi, come se mi fosse spuntata un’antenna.
-Lils, ne sei sicura?- aggiunge Alice inclinando il capo –insomma, Potter è…-
-si, lo sappiamo Alice, ma perché devi scoraggiarla così se è tanto tentata di fare qualcosa?- la rimbrotta Mary tirandole un cuscino. Rivolgo un’occhiataccia a Mary. Non è che io sia proprio tentata, ma devo. Lily Evans è una donna di parola.
Siamo nel dormitorio, sono le tre e mezza del pomeriggio.
-hai bevuto qualcosa? Insomma, una pozione, un filtro… una Vodka…- chiede Lène ancora.
-niente Vodka- rispondo sussurrando. Non mi sarei mai aspettata una reazione del genere.
-ok, io scendo- aggiunge allora Lène, con l’aria di chi ha scoperto di aver ereditato una fortuna.
-perché?- chiede con circospezione Mary.
-dico, te lo immagini James quando la vede? Altro che vodka!-
 
Mi avvicino al campo con circospezione, circondata dalle mie migliori amiche. Mary mi tiene una mano, Lène mi guarda e ride, Emm è ancora scombussolata per esser stata raccattata per le scale mentre scendevamo, Alice borbotta sottovoce.
Sto scendendo in guerra o sto andando a fare un provino?
Si, avete capito bene, un provino. Si, di quidditch. Si, io, Lily Evans.
Tutta colpa di Mary, e di quel benedetto gioco che mi piace fin dalla prima partita che ho visto. Sono brava, io e le ragazze giochiamo sempre, durante le vacanze. Però, in questo specifico caso, ho perso una scommessa con Mary, quindi ho dovuto cedere.
Una Comet 240 in mano, la mano di Mary nell’altra, mi avvicino al campo. I malandrini sono tutti riuniti, stanno confabulando.
Il cacciatore capitano è circondato dall’alto Remus, dal bel Sirius e dal grassoccio Peter. Quando ci avviciniamo tutti e quattro ci guardano.
-ehi, capitano!- esclama Mary abbracciando James. Loro hanno questa specie di ottimo rapporto che non ho mai capito. Mary, la persona più diversa da James sulla faccia della terra, è come una sorella per lui.
-ehi, battitrice! Hai trascinato le tue amiche a vederti giocare?- ancora una volta non mi guarda neanche, ma saluta tutte con gentilezza. Che diavolo gli è preso?
-beh, quasi tutte, si- risponde lei con un sorriso a trentadue denti. Intanto Sirius si accorge che qualcosa non va.

 
**
 
Chiamo James con una manata sulla spalla, e poi guardo la Evans. Guardo ancora la Evans e poi chiamo James. Anche Rem se ne è accorto, e la guarda sorridendo. Rem non me la racconta giusta.
Da quando la Evans gioca a quidditch? Da quando la Evans vola? La sua prima lezione di volo fu un disastro, ve lo posso garantire. È caduta dalla scopa ancora prima di salirci.
-su quella mandibola, Black- esclama la diretta interessata bruscamente. James allora se ne accorge, e la mia mandibola è in buona compagnia, là ai piani bassi.
-pure te, Potter! Cos’è tutta questa sorpresa?- chiede ironica.
-tu… cioè, Lily, tu… hai una scopa in mano!- balbetta con espressione ebete mio fratello.
-ma dai, sei un genio Potter!- esclama allora lei. La osservo farsi spazio, prendere la McDonald per un orecchio e tirarla con se verso il campo, ignorando i suoi strilli.
James si è ripreso a sufficienza per girarsi verso Rem e Lène, che ci guardano ridacchiando (nel caso di Remus) e rotolandosi dalle risate (nel caso della McKinnon).
-in realtà ha perso una scommessa, con Mary- esclama Alice ancora stupita –ce lo hanno detto poco fa-.
-su cosa avevano scommesso?- chiedo portando le braccia al petto e incrociandole. Vedo le altre tre scurirsi. Non lo sanno.
Non avrei mai immaginato una come la Evans scommettere. Cioè, insomma, sono cose che non succedono, queste!
-beh, avevano scommesso sul primo invito dell’anno di James per Hogsmeade- esclama Remus a sorpresa. Girandomi, lo vedo sorridere.
-e tu come diavolo fai a saperlo?- domando –stai passando al lato oscuro, vecchio mio-.

 
**
 
Ok, neanche nei miei sogni ero arrivato a questo punto.
Lily Evans, la mia Lily Evans, quella con i capelli rossi e gli occhi verdi, per quanto dire verdi non renda l’idea, la mia Lily sul campo di quidditch. E non a tifare, ma a giocare.
Si è messa nel gruppo che prova per cercatore. Lo farò per ultimo, così potrò gustarmelo per bene.
In cacciatori siamo rimasti in due, io e Polkiss. Il primo provino che facciamo è questo, e vorrei sbrigarmela in fretta. Si sono presentati in molti, moltissimi. Mai visti così tanti alle selezioni.
Il provino per cacciatore è veloce, ed entra in squadra Andrew Robbins, terzo anno piuttosto capace. Di corporatura magra, è veloce a schivare le persone e riesce a mandare in porta un tiro. Il portiere, d’altra parte, è il grande Frank Paciock. Il piccoletto non può mica pretendere di fargli più di un tiro!
Velocemente raggiungo Mary a cavallo della scopa, che coordina il gruppo dei battitori. Ho lasciato campo libero a lei, perché ovviamente di lei mi fido. Oltre ad essere una splendida battitrice è anche la cosa più vicina ad una sorella che io abbia mai avuto. È fantastica.
-ti devo un grazie, Mac?- le chiedo appena finisce di urlare contro un ragazzo che ha tentato di disarcionarla lanciandole direttamente la mazza, al posto del bolide.
-me ne devi diecimila, Potter- risponde con un sorriso complice –e poi non è stato troppo difficile, dai… a lei il quidditch piace!-
-non ci credo- rispondo –non l’ho mai vista tifare alle partite-.
-il fatto che tu non l’abbia vista non significa nulla- risponde lei con il sorrisetto di chi la sa lunga.
-è brava?- chiedo trepidante.
-lo è- risponde brevemente, prima di scendere in volo verso una ragazzina, per farle vedere bene come si impugna la mazza.

 
*
 
Alla fine abbiamo anche un battitore, tale Jhonatan  Gordon del sesto anno. Muscoloso, sembra un armadio a sei ante. Dopo averlo visto, non posso che concordare con Mac.
E alla fine ci siamo arrivati. Mi pare passata un’eternità quando mi giro verso gli aspiranti cercatori. Dodici. Ovviamente io sono di parte, ma cercherò di essere imparziale. Non posso toglierle gli occhi di dosso.
-facciamo così- esclamo agli aspiranti giocatori. Sento il gomito di Mary nelle costole, quindi abbasso lo sguardo e lo punto su qualcosa, qualsiasi cosa non sia di quel verde brillante o di quel rosso ardente per cui darei la mia vita.
-facciamo così. A coppie di due vi sfiderete. Chi prenderà prima il boccino passerà al turno successivo. I vincitori, poi, si sfideranno ancora. Così fino a che non ne rimarrà soltanto uno-.
-le coppie sono- esclamai facendo girare lo sguardo tra i selezionati.
-Brown e Gross- grida Mary al mio fianco. Si, forse è meglio se le coppie le fa lei, io potrei non essere imparziale. Annuisco quando vedo che mi guarda.
Due ragazzi si fanno avanti, di media corporatura, il primo chiaro di capelli, il secondo scuro.
Mary stende la mano guantata davanti a se, facendo un passo verso i due giocatori.
-a cavallo delle scope, prego- enuncia guardandoli.
Molla il boccino, che dispiega le ali e si alza di pochi centimetri.
-tre, due, uno- conta guardando il boccino –via!

 
**
 
La cosa inizia a farsi interessante. Iniziano i cercatori, e vedo James fissare la Evans.
Certo non avrei mai immaginato la Evans in tenuta da quidditch.
I primi due si fronteggiano, vedo la McDonald liberare il boccino. Vicino a me sento Lène trattenere il respiro, credo stia sperando che entrambi i ragazzi diano il loro peggio così che Lily abbia più possibilità di vincere.
Il ragazzo bruno punta subito verso l’alto, l’altro rimane indietro di qualche secondo. Si inseguono a vicenda, ora l’uno ora l’altro in testa, dietro a quella punta di spillo dorata.
-Brown prende il boccino, Gross è eliminato- esclama la MacDonald ad alta voce, così che tutti sentano.
-ora è il turno di Prewett e MacMillan- un ragazzo e una ragazza si fanno avanti. La ragazza deve essere una parente di Gideon, Fabian e Molly, perché come loro ha i capelli rossi.
Alla fine della gara passa MacMillan, di un soffio.
-Berries e Macfadyen- due ragazze si fronteggiano, salendo a cavallo delle loro scope.
Passa Berries.
-Goddwyhn e Evans- esclama la McDonald.
-ma Mary è diventata pazza?- sento che Alice chiede alla McKinnon, sgomitando –quello con un soffio la butta giù dalla scopa.
Effettivamente mi chiedo anche io a che gioco stia giocando Mary McDonald. L’avversario della Evans è alto di almeno due teste più di lei e largo almeno tre.
-stiamo parlando di Lils, Alice- la rimbrotta Marlene. Mi giro verso di lei, e Remus e Pete fanno la stessa cosa.
-è così brava?- chiedo.
-è Lily Evans, Black- risponde Emmeline.

 
**
 
Vedo Lily farsi avanti, e vedo il suo avversario. Mi giro verso Mary inarcando un sopracciglio. È tutto quello che mi permette di fare.
-a cavallo della scopa, prego- esclama per la quarta volta. Lily sembra sicura. Perché ha tutto sto maledetto coraggio che sembra quasi urlare al mondo “sono qui, cosa aspetti a sfidarmi!”?
Mac libera il boccino, e questo svolazza pigro.
-tre, due, uno… via!- il boccino schizza dietro alla schiena del ragazzone, che si volta e spicca il volo. Non riesco a togliere gli occhi di dosso a Lily, che con un sorriso sicuro inizia ad inseguirlo. Non avevo mai notato quanto volasse bene. Sarà perché nessuno del nostro anno ha dimenticato la nostra prima lezione di volo.
Non riesco a staccarle gli occhi di dosso, mentre schizza veloce nelle vicinanze dell’energumeno. Non gli si avvicina mai troppo, lo affianca e poi, velocemente, schizza dall’altro lato. Sembra una mosca. Veloce come arriva, scompare, tanto per disturbare. Sento Mary ridacchiare.
-è spacciato- mormora con il sorriso sulle labbra.
Vedo che Goddwyhn inizia a malsopportare Lily, che lo disturba e lo distrae danzando attorno a lui, a cavallo della sua Comet. Se ne accorge anche Lily, e non appena il suo avversario si allontana di un palmo di più dal boccino, schizza sulla sua traiettoria e lo prende in mano, volando velocemente verso terra. Atterra davanti alla squadra e porge il boccino a Mary, non riservando nemmeno uno sguardo all’avversario sconfitto.
  
 
 
**
 
Quando atterro per la quarta volta e consegno il boccino a Mary la vedo fare un sorriso a trentadue denti. Le sorrido in risposta, mentre dalle gradinate Lène ulula per la vittoria insieme a Sirius e Alice e gli altri battono entusiasti le mani. È andata bene, mi sono divertita.
-Lils, ma dove hai imparato a volare così?- mi chiede Frank. Non ho il coraggio di guardare Potter, non so cosa pensi di me, così come non so cosa penso io di lui.
-la pratica rende perfetti, Frank- rispondo sorridendo appena.
-in altre parole, invece di pomiciare, lei e il suo ragazzo giocavano a quidditch- gli risponde Mary facendo cenno ad Alice e agli altri di raggiungerci.
In un baleno la mia faccia raggiunge la tonalità dei miei capelli, e scocco un’occhiata a Mary capace di pietrificare un basilisco.
-ragazzo, intendi quel jhon… josh…-
-jack, Frank, era Jack- rispondo tra i denti voltandomi. Incrocio appena lo sguardo di Potter. Continua a guardarmi, senza dire o fare niente.
Appena ci raggiungono gli altri vedo Alice abbracciarmi, e reagisco di conseguenza.
-Alice, devo andare- le dico quando, dopo trenta secondi di abbraccio, non accenna a lasciarmi andare.
-cosa?-
-McGrannitt- rispondo brevemente.
-bene, cari, indovinate chi commenterà la prima partita?- chiede Sirius con un sorriso malandrino. Remus lo guarda e sospira.
-Black, gli indovinelli a più tardi, siamo in ritardo-.
-scusa, Evans?- chiede accigliandosi.
-hai presente stamattina, hai rapato la McGrannitt a zero…-
-oh, giusto- risponde tetro –la sala trofei-.
Gli lancio un’occhiataccia, l’ennesima della giornata. Se non fosse stato per lui…
Non sono stata io a sbagliare mira e a rapare a zero la McGrannitt durante l’ora di trasfigurazione umana!
-Evans, quando torni, fermati in sala comune per misurarti la divisa- mi ricorda Potter.
Mi volto un attimo e incrocio, mentre cammino, il suo sguardo nocciola, morbido come quello di un cerbiatto. Per un secondo, appena più di un battito di ciglia, mi dimentico che sto camminando e per poco non inciampo su Sirius Black. Mi aggrappo a lui per un attimo, giusto in tempo, e mi reggo in piedi. Lui si ferma.
-tutto a posto?- mi chiede.
-naturale- rispondo. È stato solo un giramento di testa, per la stanchezza. Ah, benedetto quidditch!

 
**
 
Non appena entriamo in dormitorio, James si caccia sul letto sprofondando la testa nel cuscino. Pete mi guarda appena, come a chiedermi che dobbiamo fare. Gli faccio cenno di lasciarci soli, lui si volta e va via, in sala comune.
-james, che c’è?- chiedo sedendomi sul suo letto e guardandolo.
-niente- risponde tetro.
-si, si vede- annuisco sorridendo appena –quel niente si chiama Lily Evans?-.
Silenzio.
-io cerco di lasciarla in pace, di mostrargli che sono maturato- risponde lui sempre lasciando a testa immersa nel cuscino.
-ma…?-
-il suo ragazzo le ha insegnato a giocare a quidditch- sospira rassegnato –il suo ragazzo-.
-che ragazzo?-
-josh, jhon, una cosa del genere…-
-se intendi jack, stavano insieme due anni fa, adesso non…-
-capisco- risponde evitando di guardarmi. Poi sospira, si gira e mi guarda.
-il quidditch è mio, io sono più bravo di lui, jhon o come si chiama! Io sono James Potter, io dovevo insegnarle ad andare su una scopa, a prendere un boccino! Non quel galletto tronfio tutto muscoli- perché sicuramente aveva i muscoli- e niente cervello! Chi diavolo è? Mai sentito nominare uno con un nome del genere! Josh, che nome…-
-jack, James, si chiama Jack!- ribadisco sorridendo appena.
-Jack, che nome orribile!- aggiunge senza neanche riprendere fiato.

 
*
 
Punizione con Black, alleluia!
Non vedevo l’ora di spolverare tutti i trofei!
Senza magia, ovviamente, la McGrannitt ci ha ritirato le bacchette prima di andarsene.
La sala dei trofei è grande già normalmente, ma adesso che so che devo pulire tutti i trofei mi pare immensa. Sul pavimento, due stracci e una catinella piena d’acqua fanno bella mostra di se, regalo della professoressa.
Lavoriamo in silenzio per il primo quarto d’ora. D’altronde, che avranno mai da dirsi due persone così diverse e che si sopportano a vicenda così poco?
Dopo un quarto d’ora di lavori non ne posso più: del silenzio, dei trofei, nemmeno di Sirius Black che continua a guardarmi in cagnesco, per non so bene quale motivo.
Ad un certo punto, delle risatine ci fanno voltare. Nel corridoio, oltre la soglia, cinque ragazzine, non più grandi del terzo anno, ridacchiano con aria sciocca gettando tiepide occhiate a Black.
-ciao ragazze!- esclama il mio compare tutto tronfio, felice di avere qualcosa con cui distrarsi.
-ciao Sirius- risponde mielosa una delle tante. Ho detto tiepide? Altro che tiepide occhiate, quella se lo mangia con gli occhi! Ma dico, ha tredici anni, è nata ieri! Ovviamente io faccio parte della tappezzeria.
-ciao Emily- risponde lui.
-Michela- dice lei, senza offendersi.
Ma dico, siamo normali?
-scusate, stiamo lavorando- esclamo d’un tratto alzandomi e sbattendogli in faccia la porta della sala.
-che diavolo hai fatto?- chiede Sirius alterato –volevano solo parlare-
-oh, taci Black!-ribatto impuntandomi e stringendo i pugni. È proprio questo che non sopporto di lui. L’affascinante, arrogante dongiovanni sempre pronto a distrarsi tra le braccia di una nuova fiamma, senza nemmeno badare al suo nome. E quel brutto ceffo di Potter è uguale, la copia sputata. Un momento, che c’entra Potter?
-pallone gonfiato e presuntuoso, antipatico, arrogante..-
-acida, ecco cosa sei- esclama lui alzandosi in piedi e fronteggiandomi –acida e boriosa-
-io non sono….-
-oh, si che lo sei!- risponde inalberandosi sempre di più.
-qual è il problema, Black? Ti dispiace che io abbia mandato a quel paese quell’ochetta giuliva…-
-ma che me ne importa di lei?- ribatte. Quello che mi colpisce di più è il tono, di puro disprezzo. Per quanto non ci siamo mai sopportati, non siamo mai arrivati a questo punto. C’è anche da dire che è la prima volta in vita mia che mi trovo rinchiusa in una stanza con Black, da sola.
-vai a letto con quelle ragazze e poi non ti ricordi nemmeno il loro nome- esclamo sdegnata.
-allora è meglio fare le preziose, come te?- chiede veemente –come te, che fai penare James da una vita, giudicandolo su due piedi senza nemmeno conoscerlo? Tanto che te ne frega, sono io che devo raccogliere i pezzi del cuore che tu spezzi ogni santissima volta, io e i malandrini! Non è un problema per la Perfetta Lily Evans se mio fratello non dorme la notte, se ogni volta che la guarda o le rivolge la parola ne ha come risultato solo insulti, e per cosa? Tu neanche lo conosci! Ma quello che è peggio, tu non vuoi conoscerlo! Perché sei troppo orgogliosa per ammettere che forse, dico forse, potrebbe piacerti se abbassassi quella cresta da gallinella che metti su ogni volta che ti rivolgi a noi-
Lo guardo a occhi spalancati. Sirius Black non si lascia mai andare, sempre controllato e perfettamente padrone di se stesso. Sempre pronto a prenderti in giro, si, ma a farlo con una risata. Non ho parole, quello che dice…
-gli fai del male ogni volta che ti vede, per il semplice fatto che ci sei e non gli rivolgi neanche un sorriso! Perché sei così acida? Maledetto il giorno in cui sei entrata in questa scuola, tu e la tua acidità! Il mio migliore amico perde pezzi, ma che ti importa di quello che perdono gli altri?-
Le sue parole rimbombano nella stanza vuota. Ovviamente non ho risposte, mi ha lasciato scioccata.
Con lentezza, rigidamente, si china e prende lo straccio che ha lasciato cadere. Si volta e va dall’altra parte della stanza, iniziando a spolverare i trofei.

 
**
 
Ok, non so cosa mi sia preso. È la prima volta che faccio una cosa del genere.
Guardo di sottecchi la Evans pulire i suoi trofei, abbiamo quasi finito. Sentirla parlare così mi ha proprio mandato in bestie, odiosa ragazzina. Vedere James con quell’aria da cane bastonato, poi, giù al campo. E il bello è che lui ci tiene, a lei. Non è una delle solite, è la Evans! Ha deciso di cambiare, per lei, di diventare più responsabile, più calmo. E lei non se ne accorge.
Non la sopporto quella ragazza, con i suoi atteggiamenti da primadonna.
Con la coda dell’occhio la osservo mentre finisce di pulire i suoi trofei. Posa lo straccio, si volta verso di me. È indecisa, lo vedo, allora si volta verso la porta. Poi ancora verso di me.
Alla fine esce, senza una parola, senza un suono. Io strofino con più forza.
Viziata!

 
 
 
note dell'autrice:
ok, non so perchè Lily, normalmente, dovrebbe odiare il quidditch. Qui non lo odia, è anche piuttosto brava a giocare, anche perchè il contrario non mi pare scritto in nessuno dei libri... =)

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Capitolo 3
*** autostima esplosiva ***




Corro per il corridoio, diretta all’aula di Pozioni. I sotterranei sono maledettamente scuri, e un paio di volte rischio di inciampare.
Certo è strano che io sia in ritardo, soprattutto considerato che pozioni è la materia che preferisco e in cui riesco meglio, ma la colpa è tutta di quella rompipluffe di Mary che, ieri sera, giochicchiava con la mia scatolina dei bezoar. Ovviamente ha pensato solo stamani a colazione di dirmi che non ricordava dove l’aveva posata, ma sicuramente non nella mia borsa! Ora datemi un buon motivo per non schiantarla… non solo, ma ha ben pensato di vedersi con quel Paul prima delle lezioni, così stamattina ho dovuto cercare in tutto il dormitorio sola soletta, rivoltando metà stanza, fino a che non ho trovato la scatolina sotto al suo letto. Per l’ennesima volta impreco contro Mary McDonald, pensando che un giorno me le pagherà tutte.
Sono quasi arrivata alla porta dell’aula quando sento, da vicino, alcune voci viscide sghignazzare. Ai ghigni compiaciuti fa seguito un gemito disperato, poi un piccolo urlo e un tonfo. Sfodero la bacchetta per precauzione prima di seguire le voci.
Davanti a me si parano, di spalle, tre ragazzi alti. Alzandomi sulle punte dei piedi, silenziosamente, cerco di sbirciare oltre le loro figure. Quello che vedo mi fa gelare il sangue: due bambine, al massimo del primo anno, sono legate e imbavagliate a terra, il viso bagnato di lacrime. Una delle due, che porta l’emblema del tassorosso, ha una guancia sfregiata da un taglio profondo.
Mi accorgo che la figura centrale, Mulciber, alza la bacchetta in modo autoritario. Io sono più veloce.
-ehi, voi tre- li richiamo all’ordine. Lo faccio giusto perché un grifone non colpisce mai alle spalle, ma fanno appena in tempo a girarsi che alzo la bacchetta furiosamente.
-expelliarmus- ordino perentoria. Il getto rosso disarma Mulciber. Accanto a lui, una ragazza bella quanto ostile mi guarda e sfodera a sua volta la bacchetta.
-protego- urlo appena vedo un sortilegio venirmi in contro –expelliarmus-.
La sua bacchetta cade a terra, ma il sortilegio che mi ha lanciato non viene bloccato dal mio scudo. Mi butto da una parte, ma sono troppo lenta. Il suo incantesimo mi sfiora un braccio, e sento il punto bruciare come se bruciasse a fiamma viva. Accanto a lei, si volta il terzo serpeverde. Mi basta uno sguardo, per riconoscere Lestrange.
Veloce come solo i riflessi del quidditch ti rendono, Lestrange muove la bacchetta e un guizzo giallo ne esce fuori. Mai visti incantesimi di quel colore, chissà cosa mi succederebbe se mai mi prendesse. Riprovo con un sortilegio scudo, e questa volta l’incantesimo viene respinto. Ho solo un attimo.
-petrificus totalus- sento soddisfatta il tonfo del suo corpo, mentre cade a terra. Con un movimento veloce, pietrifico anche gli altri due.
Senza perdere tempo vado dalle bambine, scosse e singhiozzanti. Nel momento in cui ho disarmato i tre serpeverde, le corde con cui erano legate le ragazzine si sono allentate, ma loro, forse troppo scosse, non se ne sono nemmeno accorte. Mi avvicino a loro e le accarezzo materna.
-tranquille, va tutto bene- sussurro togliendo loro di dosso i rimasugli delle corde, che stanno cominciando a svanire –andata in infermeria, chiedete a madama Chips se vi può dare un tonico rilassante. Ditele che vi manda la caposcuola Lily Evans-.
Parlo con voce gentile, sorridendo alle bambine. Loro annuiscono asciugandosi le lacrime, poi si dirigono verso i piani superiori. Allora mi volto verso i tre serpeverde, pietrificati al centro del corridoio.
-molto bene allora- riprendo a parlare, questa volta acida –direi che… trenta punti in meno a serpeverde per ognuno di voi, per quello che avete fatto a quelle bambine; poi, trenta punti in meno, Black, per aver colpito una caposcuola con un sortilegio, e venti punti in meno a Lestrange perché hai cercato di colpirmi. Buona mattinata- termino voltando loro le spalle. Non ho alcuna intenzione di sciogliere l’incantesimo che li tiene bloccati, verranno scoperti dai prossimi serpeverde che passeranno per andare in dormitorio.

*


Mi chiedo come è possibile che il braccio mi faccia così tanto male per un semplice taglio. Mi ha tagliato anche la divisa, l’incantesimo della Black, ma poco importa. Entro in aula in ritardo pauroso rispetto ai miei standard, anche se mi rendo conto che la lezione non è ancora iniziata. Non devo essere poi tanto in ritardo, se Lumacorno non è ancora in classe. Noto che i posti in cui mi siedo normalmente sono già occupati, quindi cerco Remus con lo sguardo. Accanto a lui, il posto è libero.
-Rem, scusa, ti dispiace se mi siedo qui?- chiedo arrivandogli alle spalle. Nel posto accanto a lui, mi rendo conto solo adesso, Potter e Black parlano concitati. Minus non segue le lezioni di pozioni, quest’anno, avendo preso solo accettabile al G.U.F.O.
-certo, Lils- risponde voltandosi calmo verso di me –per Merlino, Lils, che hai fatto?-.
La voce preoccupata di Remus attira le occhiate di Potter e Black.
Il che è strano, credetemi, perché quei due sono, probabilmente, le due persone che meno mi hanno anche solo guardata ultimamente. Il più delle volte fanno finta che io nemmeno ci sia. Soprattutto Black, perché Potter, di quando in quando, mi saluta.
Da quando abbiamo litigato, Sirius non mi rivolge più la parola. Non mi rivolge nemmeno più un’occhiata, nemmeno per sbaglio. Semplicemente, per lui non esisto. Certo in condizioni normali non mi dispiacerebbe assolutamente, ma dal momento che la McGrannitt insiste con i suoi gruppi di studio, noi due non possiamo proprio evitarci o ignorarci. Soprattutto perché quella più in difficoltà sono io, mentre lui riesce assolutamente benissimo in ogni lezione. Maledetto Black!
-ho avuto un piccolo scontro- mormoro quando vedo le facce sconvolte dei tre. Sono ridotta così male?
Decido di mostrare a Remus il taglio, quindi mi tiro su la manica destra della divisa e noto, con orrore, che il taglio non è solo profondo, ma anche arrossato e infetto.
-guarda, credi di poter fare qualcosa?- chiedo a Rem, sapendo che lui è molto bravo con gli incantesimi di guarigione.
-Lily, chi ha cercato di scuoiarti?- mi sorprende la voce di Lène, alle mie spalle. Anche lei sembra preoccupata.
-Black e Lestrange- dico atona storcendo il naso –ah, c’era anche quel caprone di Mulciber-.
-Black?- chiede Potter guardandomi per la prima volta veramente dai provini di quidditch.
-la cara Bellatrix- aggiungo guardandolo negli occhi nocciola –è lei, in particolare, che ha cercato di scuoiarmi. Sono riuscita a disarmare Mulciber prima che tornasse dal suo mondo tutto rose e serpi, ma la Black mi ha lanciato questo e… ha oltrepassato il mio scudo. Che incantesimo sarà stato?- chiedo inarcando le sopracciglia.
-non so, ma non mi piace- commenta Remus guardandomi il braccio –non ha un bell’aspetto-.
-e Lestrange?- chiede Mary, seduta accanto a Lène.
-boh, ha tentato un incantesimo giallo che non ho mai visto, ma quello non ha oltrepassato lo scudo. Poi sono riuscita a disarmarli e a pietrificarli- rispondo distratta guardando il mio braccio con aria critica. Remus ha ragione.
-beh, qualcuno ha già annullato l’incantesimo- commenta Mary in tono acido. La Black e Mulciber sono appena entrati in aula. Lestrange ovviamente non c’è, è del sesto anno –anche se la cara Bellatrix non sembra molto contenta. Guarda che faccia ha Mulciber, sembra sia al suo funerale… cosa gli hai fatto per…-
-gli ho tolto centoquaranta punti in totale. Penso che la classifica di Serpeverde non sia mai stata così in basso-.
-ehi, Lily? Non pensi che dovresti andare a farti vedere da Madama Chips?- chiede Potter preoccupato. Fissa anche lui il mio braccio con aria scettica.
-no, sto bene, davvero- cerco di rassicurare tutti, mentre Mary apre la bocca, sicuramente per dare ragione a James.
All’improvviso entra Lumacorno, smettiamo all’unisono di parlare.
-bene bene, miei cari ragazzi- prende a parlare Lumacorno arrivando alla cattedra e voltandosi verso di noi –chi mi sa dire cosa è questa?- chiede indicando un calderone pieno di una pozione verde brillante.
Un paio di mani si alzano. Anche Remus la alza, io invece preferisco passare inosservata, almeno per oggi.
-signor Lupin?- chiede il professore facendo cenno a Remus di parlare.
-il distillato dell’autostima- risponde Remus –deve il proprio colore verde alla polvere di corno di Erumpent. Le proprietà di questa pozione sono simili a quelle della Felix Felicis, con la differenza che questa pozione agisce solo sulla mente della persona che la beve, provocando autostima ma non influenzando minimamente il resto delle persone o degli eventi-.
-e noi per quale motivo la riconosciamo, se escludiamo il colore?- gli chiede Lumacorno.
-per le caratteristiche bolle che si formano sulla sua superficie e volano fino a venti centimetri di altezza, anche quando il fuoco sotto di essa non è acceso-.
-ottimo, quindici punti a grifondoro- sorride il professore. Accanto a me sento qualcuno sbuffare. Mi giro, e mi scontro con gli occhi febbrili della Black, così simili a quelli del cugino ma così diversi.
-ehi, Sanguesporco- mi sussurra all’orecchia, con quella sua cantilena febbrile –io fossi in te starei attenta-.
-ah, è una minaccia, Black?- rispondo guardandola con un sorriso di scherno.
-è una promess…-
-ehi, Bella, torna a giocare con i tuoi amichetti, va- ci interrompe Sirius riservando alla cugina una smorfia disgustata. Due paia di occhi identici si fronteggiano, entrambi molto belli, i primi accesi di disgusto, i secondi di pazzia. La ragazza, poi, con un sorriso saputo si alza e si allontana, tornando dai suoi amici serpi.
-allora, tutto quello che voglio, per oggi, è che mi prepariate un distillato di autostima quantomeno accettabile- riprende Lumacorno facendo un cenno con la bacchetta –le istruzioni, sono sulla lavagna-.

 

***


Quelli non me la raccontano giusta. Ovviamente mi sto riferendo ai serpeverde, che come al solito fanno di tutto per risultare odiosi. Prima, la cugina di Sirius è venuta qui a minacciare Lily.. penso che la scocci il fatto di aver trovato pane per i suoi denti. Lily non si lascia certo minacciare.
Ora, però, ogni tanto tengo controllati i serpeverde. Ridacchiano e fanno i bambini, facendo qualche scherzo ai grifondoro in classe. A Frank fanno volare il calderone, così tanto che gli si rovescia addosso, bruciandogli la pelle di entrambe le braccia. Anche Alice, vicino a lui, ne esce con una gamba ustionata. Lumacorno non si accorge di nulla, e dà la colpa ad Alice togliendo cinque punti a grifondoro, e mandando gli innamorati un po’ malconci in infermeria. A Mary continuano a scappare gli ingredienti, e dietro di me la sento imprecare in malo modo e rivolgere parole decisamente poco femminili a Walden McNair.
Li vedo ridere, di quando in quando, guardando Lily. Quando vedono che li sto osservando, invece, distolgono lo sguardo e lo puntano sulle loro pozioni, senza però togliersi del tutto quel sorrisetto saputo dalle labbra.
Mi volto verso Lils, vedo che ha una scatolina in mano. Dentro alla scatola, della polverina grigia luccica invitante.
-sei già a quel punto?- chiedo un po’ invidioso. Lei sta per aggiungere la polvere del corno di Erumpent. Ho sempre un po’ invidiato la sua bravura in pozioni, perché questa è l’unica materia in cui riesco a fare faville solo nella teoria.
Sorride distratta. So che la sto disturbando, che per lei pozioni è qualcosa di sacro, è solo troppo gentile per dirmelo. Guardo ancora la polvere che stringe in un pizzico tra le dita. C’è qualcosa che non va, la polvere non vola.
Normalmente, la polvere di corno di Erumpent è formata da particelle che si librano solitarie attorno ad una quantità più densa. Quella di Lils ha lo stesso colore, ma non vola.
-Lils, no, non farl…- non faccio nemmeno in tempo a farglielo notare, lascia cadere la polvere nella pozione.
Faccio in tempo a vedere la pozione cambiare colore, diventare viola scuro, poi sento un gran botto, poi più nulla.

 

***


Guardo la Evans, i segni della lotta con mia cugina sono ancora evidenti. È una settimana che la evito, ma ho visto James irrigidirsi quando ha sentito dello scontro, e vedere mio fratello così è una cosa che non mi piace per nulla. Per lui, allontano la mia antipatia per la ragazza. La vedo sorridere a Remus, e vedo il mio amico licantropo guardarla un attimo più del necessario. Lo vedo sbiancare, poi succede tutto velocemente.
I serpeverde stranamente silenziosi, Remus prende Lily per un braccio, forse involontariamente, poi l’esplosione.
E con esplosione, non intendo “boom”. “boom” è riduttivo.
È talmente forte che io e James, a un metro e mezzo di distanza, veniamo sbalzati lontani dai nostri calderoni. James si alza prima di me, mi porge la mano e mi tira in piedi. I serpeverde ci guardano, alcuni trattengono visibilmente le risate, Lumacorno si guarda intorno preoccupato chiedendosi cosa è successo. È un po’ tardo, secondo me.
James dà in un urlo sconvolto, e allora mi volto anche io. Lily è a terra, il volto coperto di sangue. Accanto a lei, Remus è steso scompostamente, una scheggia di calderone grossa un palmo infilzata nella gamba. Sembra dormire, è il mio primo pensiero.
Dietro a Lily, Marlene McKinnon è stata sbattuta contro il muro e ora è svenuta con la testa sanguinante. La McDonald è cosciente, si sta rialzando, ha una ferita sulla fronte. Io ho una gamba che mi pulsa, James un braccio piegato ad un’angolazione innaturale.
-professore, bisogna portarli in infermeria, presto- esclama James chinandosi su Lily e Remus. Anche io lo seguo, vedo il petto del mio amico alzarsi e abbassarsi, è vivo. James tocca la gola di Lily e si rassicura, poi mi fa un cenno.
-dobbiamo sbrigarci, tu riesci a portarla? Pesa meno di Remus- mormora James. È sconvolto, ma è attivo.
-si, ce la faccio- rispondo –c’è anche Marlene da portare su, professore- aggiungo all’indirizzo di Lumacorno, che ci ha raggiunto.
-si, si certamente-.
Come una triste processione funebre ci avviamo verso l’infermeria.
 

 *


-vedrai, appena becco la Black rimpiangerà il giorno in cui sua madre ha dato il primo bacio a suo padre-  esclama la McDonald mentre io, lei e James entriamo in sala comune. James è pallido, ha un braccio fasciato ed è visibilmente sconvolto. Io zoppico ancora un po’, la McDonald ha la fronte coperta da una benda. Sembriamo reduci da una guerra, non da una lezione di scuola.
-farò venire a Mocciosus i capelli puliti, da quanto lo striglierò- le do corda io.
-aspettatemi qui- mormora James svanendo in un soffio su per la scala che porta al dormitorio. Inarco le sopracciglia e vedo che la McDonald fare lo stesso, poi James torna giù. Stringe in mano la mappa del malandrino e il mantello dell’invisibilità.
Guarda Mary.
-vai, James, è talmente sconvolta… non reagirà male- rispondo alla tacita richiesta del mio migliore amico.
-bene. Mac, ti presento…- esclama allora spiegando la pergamena dall’aspetto antico –il segreto del nostro successo!-
-una vecchia pergamena?- chiede scettica.
Con un sorriso beffardo allungo la bacchetta sulla pagina che James ha spiegato sul tavolino.
-giuro solennemente di non avere buone intenzioni- ordino. La mappa inizia a mostrare il suo segreto.
Vedo la McDonald leggere in un sussurro le parole che compaiono scritte, e mi domando se abbiamo fatto bene… insomma, è amica di Lily Evans, Perfetta Prefetta Caposcuola so-tutto-io!
Lo legge due volte, la terza ad alta voce.
 
I SIGNORI MOONEY, WORMTAIL, PADFOOT E PRONGS
CONSIGLIERI E ALLEATI DEI MAGICI MALFATTORI
SONO FIERI DI PRESENTARVI
LA MAPPA DEL MALANDRINO
 
Mary passa lo sguardo da me a James per un paio di volte, poi scoppia a ridere.
-dovreste vedere le vostre facce!- esclama poi sghignazzando –comunque cosa è la mappa del malandrino?-
-preparati a vedere qualcosa di unico- dichiara allora James, riprendendosi e sorridendole.
-pronta?- chiedo io facendo un cenno alla mappa con la bacchetta. Mary annuisce.
All’interno, Hogwarts brulica. È incredibile come, guardando questa mappa, io mi senta contento. È la migliore delle invenzioni dei malandrini, la migliore in assoluto.
-cosa…? È una mappa!- mormora stupita.
-ovvio che è una mappa- risponde James sbuffando –si chiama la mappa del malandrino!-
-si, beh, ma Hogwarts è indisegnabile! Insomma, è una mappa della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, che è dotata di tantissimi incantesimi che dovrebbero impedire di creare una mappa-.
-beh, infatti, se vedi- rispondo io con un sorrisone a trentadue denti –se vedi, le pareti delle stanze sono fatte di parole. Qualunque parola possa descrivere ciò che disegna, ogni singola parola. Quindi tecnicamente, non è disegnata, è scritta-.
-Merlino… l’avete fatta voi?- chiede spaesata.
-certo, chi sennò?-
-siete geniali! L’ho sempre detto che Lily dovrebbe decidersi ad uscire con te, Jamie- esclama estasiata –ma… questa è proprio lei?-
-si, Lily Evans in infermeria- rispondo io, perché James è troppo impegnato ad autocompiacersi –e vicino a lei ci sono la McKinnon e Remus. E guarda, davanti a lei c’è Emmeline Vance, Alice Prewett e Frank Paciock, esattamente come li abbiamo lasciati. Non si sono ancora risvegliati, a quanto pare-.
-Madama Chips ha detto che il taglio di Lily è maledetto- mormora James con un sorriso tirato. A questo scopo, mostra anche la seconda mano –Mac, ti presento il mantello dell’invisibilità dei Potter-.
-un mantello dell’invisibilità? Ma, sono rarissimi- esclama ancora più sbalordita.
-più unici che rari, in realtà- le rispondo io.
-quindi, adesso, se abbiamo finito le presentazioni, mi dirigerei verso la sala comune dei serpeverde- dice James cercando nella mappa –accidenti, non ci sono, non c’è nessuno del settimo nella loro sala comune-.
-come, nessuno?-
-no, nessuno- risponde Mary al posto di James –però, forse… presa, viscida lurida serpe-.
Con fare accusatorio, punta il dito sulla mappa. Con pollice e medio, poi, fa il segno di camminare, percorrendo la strada che sta facendo quella vipera di mio cugina.
-Biblioteca?- chiede Mary sbalordita –allora, Black, non è un vizio di famiglia non sapere neanche dove si trova la biblioteca di Hogwarts!-
-simpatica, McDonald- rispondo truce.
-che ne dite di cambiare un po’ aspetto alla nera Black?- chiede poi con un sorriso gelido come il ghiaccio.
Rettifico, non è solo mia cugina, la vipera. Tutte le donne possono diventare serpi, all’occorrenza
.
 

***


Mary entra il biblioteca e si dirige veloce verso il reparto di incantesimi, quello dove sta seduta Bellatrix Black. Ovviamente non è sola, ma ha uno scagnozzo dietro. Ogni tanto lo vedo in giro, ma non ne conosco il nome. Tipico serpeverde, alto, brutto e stupido. Mica come me!
La Black non la degna di uno sguardo.
Seguo Mary sotto il mio mantello, la vedo prendere un libro dalla copertina di stoffa blu. È abbastanza grande per celare la sua bacchetta. Ha insistito dicendo di volerlo fare lei, lo scherzo, ha detto che noi ci saremmo divertiti a sufficienza con gli altri. Quando le ho proposto di usare il mantello, mi ha guardato con un sorriso e ha risposto “non mi nasconderò da Bellatrix Black”.
Come vuole, niente in contrario.
La sento mormorare, poi vedo i capelli della Black prendere un’accesa tonalità di rosso. La striscia dorata che compare in mezzo è il tocco di classe. Un colpo di bacchetta, poi, e…
-ahh- l’urlo isterico della Black è musica per le mie orecchie –cosa succede, toglilo, ho detto toglimi questa cosa dalla testa, Bencour! Toglimelo subito, sudiciume che non sei altro, i miei capelli…-
L’urlo si perde in lontananza, mentre Bellatrix Black viene portata in giro dai suoi capelli. In realtà, viene trascinata in giro dai suoi capelli, per l’esattezza. In giro per tutto il castello, precisamente.
Usciamo fuori insieme, io e Mary, e troviamo un Sirius Black piegato in due dalle risate. Regge in mano la sua fantastica polamoid Babbana, mi pare l’abbia chiamata, e guarda con sadica soddisfazione la foto. Una Black terribilmente buffa ci guarda, ferma immobile, a testa in giù, i capelli rosso oro lunghi e a forma di grifone.
-questa la mando a zio Cygnus per natale- risponde alle nostre occhiate –e poi faccio una gigantografia e ci faccio il regalo di Walburga-.

 

***


Mi sveglio, mi guardo intorno. Non ricordo molto, solo un viola molto scuro, poi il buio più totale.
Sono in infermeria, ma non sono sola. No, non sono proprio sola, mi dico con un sorriso tirato.
Nel letto alla mia destra Remus sta dormendo, coperto dai lenzuoli immacolati. Alla mia sinistra, Lène ha la
testa fasciata, ed è sveglia anche se stesa su un letto.
Davanti a me, sempre su un letto, Alice mi fa cenno con la mano, la gamba fasciata, un sorriso a trentadue denti a travolgermi, e al suo fianco Frank è seduto su una poltrona imbottita, entrambe le braccia fasciate fino al polso. C’è anche Emmeline, stesa con la testa fasciata, nel letto all’altro fianco rispetto a Frank.
-carino da parte vostra volerci tenere compagnia- esclama Alice sempre sorridendo.
-la prossima volta, però, il pigiama party lo facciamo in camera nostra- la interrompe una voce. Black, sorridente, entra insieme a un Potter ancora più sorridente. Forse me lo immagino, ma mi pare che lo sguardo di Black si fermi un po’ di più su Lène e poi su Remus. Dietro di loro entra Mary, con un sorriso pari a quello di Potter e Black.
-ci puoi scommettere, alcolici gratis- mormora Remus svegliandosi. Tutti intorno a me scoppiano a ridere.
-sei un prefetto!- esclamo a metà tra lo stizzito e il divertito.
-dimmi che non ti faresti un whisky incendiario anche tu, Lily- s’intromette Marlene.
-cosa è successo, comunque?- glisso sulla domanda, non molto elegantemente.
-a quanto pare la tua non era polvere di Erumpent- James parla per la prima volta, sedendosi sul letto accanto a me. Mi guarda e mi fa un sorriso, uno di quei sorrisi alla Potter o alla Malandrino, che dir si voglia.
-si che lo era, i miei ingredienti sono… sono…- resto boccheggiante, e mi volto verso Black.
-Black!- esclamo sdegnata.
-che c’è?- chiede stupito e indignato –perché io?-.
-non tu- rispondo veemente –quella vipera di tua cugina! Ecco che ci faceva accanto a me-.
Il silenzio mi circonda.
-suvvia, Lils, sono accuse pesanti da fare- sussurra Emmeline, non molto convinta.
-no, se nemmeno mezz’ora prima ti tolgo centoquaranta punti- rispondo io.
-tranquilla, Evans- ghigna Sirius Black.
-si, Lily, credo che pagheranno in comode rate, i serpeverde. Guarda la signorina Black!- esclama Mary porgendomi una foto.

 

*


Il giorno seguente, in infermeria rimaniamo solo io e Remus. Emm e Lène se ne sono andate in mattinata, mentre ieri sono stati dimessi i due innamorati.
Io e Remus siamo quelli che sono risultati più colpiti. Eravamo i più vicini all’esplosione, che avrebbe potuto anche ucciderci se solo io avessi messo più polvere nella pozione. Dannati serpeverde.
Io, in più, ho un braccio maledetto. Adesso sembra stare meglio, però, ma sono costretta a prendere tre pozioni dopo ogni pasto, e fanno una più schifo dell’altra.
-spero che non finiscano in fretta di fare scherzi ai serpeverde, me ne voglio gustare qualcuno- dico a Remus con un sorriso, dopo aver guardato il bendaggio alla sua gamba.
Siamo onesti, chi mai vorrebbe fare del male a Rem su questa terra? Così tranquillo e posato com’è, è la persona migliore che esista.
-attenta Evans, potrei prenderti in parola- esclama la voce di James Potter dalla soglia dell’infermeria. È solo, niente Black o Minus attorno.
-Potter, visita di cortesia?- chiedo sorridendogli. Solo un attimo dopo, mi chiedo perché sono così felice. Mi rispondo, tranquillizzandomi, che deve essere il quasi del tutto assente viavai in questa stanza a farmi anelare a incontrare facce nuove.
-esattamente, Evans. Guarda, vi ho portato gli appunti di Trasfigurazione, Sir ti manda anche i suoi, e poi ho preso quelli di Pozioni, di storia della magia…-
-hai seguito storia della magia?- chiedo sbalordita. James Potter ha seguito Ruf? Domani cosa succederà, pioveranno gatti?
-lo so, Evans, sempre pronto a stupirti. Poi ho anche quelli di Erbologia, oggi abbiamo fatto la tentacula velenosa, e ho quelli di Antiche Rune, anche quelli di ieri- termina tutto contento.
-Potter, tu non segui Antiche Rune- ribatto ancora più stupita.
-ho chiesto al professor Dinsery se mi faceva assistere, pensavo che vi sarebbe pesato restare indietro con il programma-.
Ok, domani pioveranno gatti.
Vedo anche Remus sbalordito, prima di aprirsi in un sorriso soddisfatto. Io non riesco a muovermi.
Cosa è successo a James sono-il-migliore Potter? Quello che insultavo dalla mattina alle sette alla sera alle nove, tutti giorni, fino a qualche mese fa?
Gli sorrido, come una stupida, una povera stupida.
Perfetto, McDonald 1- Evans 0. Ma non finisce qui.

 

***


Sono tre giorni che la Evans è in infermeria, sono tre giorni che le porto i compiti. Ovviamente non faccio solo questo, ho il quidditch, le riunioni con i prefetti e le ronde, che ora faccio con Mary perché sia Lils che Rem sono indisposti. Me ne toccano due a settimana, ora. E poi ci sono gli scherzi ai serpeverde, che occupano una buona parte della mia giornata. Insomma, diciamo che non si può proprio dire che in questo periodo io mi stia annoiando.
-Potter, di nuovo qui?- mi chiede Lily vedendomi entrare. Mi blocco un attimo, ma quello che ha detto non lo ha detto con cattiveria, ma con curiosità. Mi sorride, e io mi sciolgo davanti a lei. È così bella.
-beh, ti annuncio che devi tradurre un testo di non so chi per dopodomani, Evans, per Antiche Rune. Mentre per trasfigurazione, devi cambiarmi il naso- commento soddisfatto. Così passerò il pomeriggio con lei.
-fantastico- risponde con un ghigno –posso fartelo diventare come quello di un maiale? E se poi ti lasciassi così?-
-non si scherza sul mio magnifico naso, Evans!- dico sdegnato, scuotendo le spalle –poi come fanno tutte le mie ammiratrici?-
-povero, mi ero dimenticata i tuoi fan club. Se lo faccio, torno qui non appena ne esco, bersaglio delle maledizioni delle tue ochette-.
-gelosa, Evans?- chiedo con un sorrisone.
-ti piacerebbe- risponde arrossendo di botto. Deve essere una caratteristica delle persone con i capelli rossi, mi dico, ma non posso dire che non sia adorabile.
-molto, si- termino io mentre nell’infermeria cala il silenzio. Forse mi sono spinto oltre, ora comincerà ad urlare e tutto finirà. Decido di continuare come nulla fosse –comunque… dove è Remus?-
Mi accorgo per la prima volta che Rem non è più al suo posto.
-Madama Chips ha dimesso anche lui- risponde tetra.
-non l’ho ancora visto, ma non mi sorprende, sono un po’ impegnato- aggiungo pensando alla riunione dei prefetti di poco prima. Lui non c’era, magari non se l’è sentita –a proposito di questo, ti ho portato i rapporti delle riunioni e quello delle ronde, così se vuoi puoi leggerlo e…-
-Merlino, è vero!- risponde lei battendosi una mano sulla fronte –ma come fai a fare tutto? Hai anche il quidditch e le ronde e le riunioni e ora segui anche le mie lezioni e…-
Mi guarda, e sento che per la prima volta mi sta guardando davvero. Non posso far altro che sorridere come un ebete.
 

***


Chi è questo, e che ne ha fatto di James Potter?
Devo sdebitarmi, per tutto quello che sta facendo per me. Come posso fare però?
Insomma, la persona gentile che mi guarda con quegli occhioni nocciola è davvero una delle più gentili che io abbia mai conosciuto. Certo, sentendo gli scherzi con cui lui e il suo amico migliore stanno bersagliando i serpeverde in questi giorni potrebbe anche non sembrare, ma non mi sarei aspettata mai e poi mai un cambiamento così radicale in James Potter!



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Capitolo 4
*** il problema di Lène ***


Accompagno Mary e Lils all’allenamento di quidditch, seppur fuori inizi a fare freddo e il castello mi attragga ben più del campo scoperto. La mia migliore amica è uscita tre giorni fa dall’infermeria, ormai completamente guarita.
Poco dopo il portone vado quasi a sbattere contro due figure. Alzo gli occhi e mi rendo conto che sono Sirius e Remus, probabilmente di ritorno dal campo dopo aver accompagnato James.
-ciao, ragazzi! Non vi fermate a guardare l’allenamento?- chiede Mary mettendo su un piccolo broncio. Remus sorride.
-beh, al campo non c’era nessuno e non pensavamo di stare là da soli… ma se ci siete anche voi…- dice indicando me e Emmeline, affianco a Lily.
-dovrebbe venire anche Alice, penso ci raggiunga con Frank- aggiunge Emm guardando Remus attentamente. Come se non si vedesse lontano un miglio che è innamorata cotta. Penso che l’unico a non essersene accorto sia Remus, e Sirius… ma è normale, non penso che Sirius conosca l’amore, quando si parla di coppia. Lui conosce solo “una botta e via”, penso amaramente.
-Lène, hai già deciso con chi andrai a Hogsmeade?- mi chiede Lils guardandomi attentamente mentre tutti insieme ci avviamo verso il campo. L’attenzione generale si punta su di me.
-con Jeremy- rispondo allegramente.
-ancora Jeremy?- chiede Mary ridendo –questo è un record, Lène, quando è durato? Addirittura venti giorni?- chiede facendo finta di contare i giorni sulle dita di una mano –praticamente sposati- scherza.
-simpatica, McDonald- rispondo truce dandole uno scappellotto sulla nuca –vogliamo parlare di te?- chiedo inarcando un sopracciglio. In realtà, le parole di Mary mi hanno toccato più di quanto non voglia dare a vedere. Poche ore fa ho ricevuto una lettera da casa, l’ho aperta e solo a guardarne il contenuto mi è venuta la nausea… ma adesso, in realtà, non voglio nemmeno pensarci.
-beh- si intromette Emmeline –non so chi delle due sia messa meglio, a dire la verità. Mary, tu con chi vai?-.
-Paul Sanders- risponde con vocetta querula.
-il tassorosso?- chiedo stupita –poi fai tante storie per dieci giorni! Non è tutta l’estate che vi sentite?-.
-dettagli- arrossisce.
-cosa? Ma è più piccolo di noi di due anni!- esclama stizzita Emmeline.
-ahah! Alla McDonald piacciono gli immaturi!- s’intromette Sirius.
-no Black- gli rispondo leggermente alterata –le piacciono più giovani. Se le piacessero gli immaturi si accontenterebbe di te-.

 
Scendiamo al campo con le ragazze, e io continuo a parlare con Remus e la McKinnon. Dalle uscite ad Hogsmeade, il discorso si è spostato sulle lezioni della McGrannitt.
Sono difficili, nemmeno io riesco a seguirle bene come facevo gli anni scorsi. Remus ha problemi a recuperare quello che ha perso nelle lezioni dopo la luna piena, ma anche se mi sono offerto di dargli una mano non ne vuole sapere. Dice che dovrei aiutare la Evans.
La McKinnon non  sembra molto soddisfatta del suo compare, però è troppo educata per dirlo davanti a me e Rem e quindi si limita a storcere il naso. È proprio una bella ragazza, penso mentre la osservo.
Lascio che procedano a parlare mentre penso a chi possa essere questo Jeremy. L’unico Jeremy grifondoro è del primo anno, quindi è da escludere. Forse un serpeverde del nostro anno si chiama Jeremy? O era corvonero…?
Ma che me ne importa?
Stizzito riporto lo sguardo su Remus, che continua a parlare con la McKinnon.
Siamo quasi al campo, ormai, e vedo Frank venirci incontro con Alice, per mano. Sorridono, entrambi… come fosse una novità! È da quando stanno insieme che sorridono!
Mentre Lily, Mary e Frank vanno negli spogliatoi, noi ci appollaiamo sulle gradinate.
Emmeline Vance apre un libro e si mette a leggerlo, alzando lo sguardo su di noi di tanto in tanto per seguire i nostri discorsi. Remus le si siede vicino, e inizia a farle domande su quello che legge.
-che libro è?- le chiede gentilmente.
-Cime Tempestose, me lo ha prestato Mary…- risponde Emmeline.
-delle sorelle Bronte?- chiede Remus –ricordo che lo stava leggendo a Diagon Alley-.
Mi volto verso le altre due, che parlano di cose sicuramente più interessanti.
-…e così mi ha chiesto di sposarlo- sta dicendo Alice a Lène, mostrandole la mano. Un piccolo diamante fa bella mostra di se, all’anulare della brunetta. Vedo la McKinnon esitare, poi scoppiare a ridere e abbracciare la Prewett.
-mi spiegate perché i maghi si sposano così presto?- si intromette Emmeline attirata dai discorsi delle due.
Naturalmente, penso. Emmeline è figlia di una strega Nata Babbana e di un Babbano, e non sa nulla delle tradizioni del sangue puro.
-è una tradizione, niente di più. Nelle famiglie più antiche, poi, si è promessi fin dalla nascita. Oppure i matrimoni vengono combinati allo scoccare della maggiore età dei due ragazzi.- gli spiega la McKinnon, scurendosi un attimo.
Vedo Remus guardarla.
-Lène…- Alice la chiama appena, e ciò basta a farla subito rinvenire, sorridente.
-guarda, sono appena entrati in campo- esclama lei puntando l’indice sul gruppo a cavallo delle scope. Non posso far a meno di notare che, scorrendo con lo sguardo su di noi, ha fatto di tutto per non incrociare il mio.

 
 
Penso che sia ora di darci un taglio, con Jeremy. Non che non mi piaccia, questo non posso dirlo, ma sta iniziando a fare discorsi che mi piacciono poco, sulle vacanze di natale.
E io non posso assolutamente farlo, questi sono gli ultimi mesi che mi restano. Dalle vacanze di natale in poi, sarò ufficialmente fidanzata.
Suona quasi come uno scherzo, io, Marlene McKinnon, fidanzata. È strano, terribilmente strano. Nelle famiglie purosangue, normalmente, i maghi sono promessi sposi fin dalla nascita, se sono gli eredi primogeniti. A noi figli cadetti, invece, lasciano il dubbio privilegio di aspettare fino alla maggiore età. Beh, io sono diventata maggiorenne l’anno scorso a febbraio, ma solo sei giorni fa i miei mi hanno promessa in sposa ad un altro purosangue. Perché? Perché lui è diventato maggiorenne il 2 settembre, ecco perché.
Penso tutto questo mentre, nell’aula vuota del quinto piano, cerco di tenere a bada le mani di Jeremy, che cercano di insinuarsi sotto la mia divisa.
-Jem, no- ordino perentoria ad un certo punto, staccando le mie dalle sue labbra. Lui mi rivolge uno sguardo incredulo.
-perché no?- chiede –cos’hai, Lène? Sei strana, in questi ultimi giorni-.
-strana?- faccio finta di non capire, eppure so benissimo di cosa sta parlando. Ovviamente, lo so benissimo. Sono strana dall’allenamento di quidditch, perché proprio prima di quell’allenamento ho ricevuto la lettera. Lettera? Sembra più un contratto di vendita.
C’era scritto il mio nome, la mia data di nascita, il suo nome, la sua data di nascita. In fondo, una data “in cui” spiegava la lettera “sarebbe stato ufficializzato il tutto”. Maledetti purosangue, mi sento come un quadro antico venduto all’asta!
Non me lo sarei mai aspettato, dalla mia famiglia. Mia madre ha sempre odiato queste cose, anche se poi ha finito per sposare un purosangue, e mio padre… beh, mio padre è un po’ più ligio alle tradizioni, ma non credevo lo fosse così tanto.
Sono rimasta basita, per qualche minuto, a guardare quel nome. Non poteva essere vero.
Ho fatto finta di non sentirla, quella crepa, mentre stavo leggendo. Ma inevitabilmente ho sentito qualcosa che si spezzava.
Chiunque, ma non lui.

 
Due ore in biblioteca sono pesanti per tutti.
Due ore in biblioteca, per me, sono il peggio del peggio. L’unica volta che ho frequentato la biblioteca è stato dal terzo al quinto anno, di notte, sotto il mantello dell’invisibilità di James. Ho chiuso con la biblioteca da ben due anni, avevo giurato di non tornarci mai.
La Evans mi rivolge alcune occhiatacce fin da quando siamo arrivati, occhiatacce che non mancherei di ricambiare se non avessi la testa da un’altra parte.
-Evans- la chiamo sussurrando. Lei alza lo sguardo su di me, posando la piuma.
-che c’è?- chiede brusca. In un secondo momento, guardandomi, deve capire che ho intenzione di fare un discorso serio, perché spalanca gli occhi, stupita.
-ti devo dire una cosa- rispondo in modo stupido.
-parla- acconsente lei.
Ovviamente non è così facile, così inizio buttandomi.
-sai cos’ha la McKinnon?- chiedo velocemente, evitando il suo sguardo.
Un attimo di silenzio, in cui vedo le sue mani chiudersi a pugno.
-tieni le tue mani da casanova lontane da lei, Black- sibila guardandomi truce. Non posso far altro che guardarla impassibile in quegli occhi così verdi –tieni a bada i tuoi ormoni, quando si parla di Marlene McKinnon-.
-non sono affari tuoi quello che faccio o non fa…-
-taci- mi interrompe –è la mia migliore amica. Sei libero di portarti a letto chi vuoi, di scordarti i nomi di quelle galline o di confonderli, non me ne frega assolutamente nulla. Ma non provare a prendere di mira Lène, o ti giuro che rimpiangerai il giorno in cui sei nato-.
Cala il silenzio, i miei occhi nei suoi, quasi una sfida a chi cede prima. Io, per la prima volta in vita mia.
-non è di questo che ti volevo parlare- riprendo –l’altra volta al campo ha fatto uno strano discorso, mentre spiegava alla Vance perché i maghi si sposano giovani. Ha detto qualcosa sulle coppie combinate-.
-non conosco le tradizioni dei purosangue, Black, non so di cosa tu stia parlando- risponde lei lentamente, con un sospiro –comunque Lène ha ricevuto una lettera da casa, prima dell’allenamento. Non ce l’ha lasciata leggere, quindi non so di cosa parli-.
-è costume, tra le famiglie di sangue puro, far fidanzare alla nascita i loro eredi. Alcune, preferiscono aspettare la maggior età dei figli, per un passo del genere e…-
-succede spesso?- mi interrompe bruscamente.
-praticamente sempre nelle famiglie più antiche- rispondo.
-capisco- risponde lei alzando di nuovo la piuma e riprendendo a scrivere –cercherò di scoprire qualcosa di più-
-grazie- termino con un sorriso.
-non lo faccio per te, Black.-
Lo so, però lo fai.

 
Sono tornata dalla biblioteca nemmeno un’ora fa, dopo aver lasciato Black in sala grande intento a strafogarsi di qualsiasi tipo di cibaria. La sala comune di grifondoro è stranamente affollata, questa sera, e stranamente chiassosa. E io, maledetta me, devo ancora finire il tema di pozioni e fare quelle accidenti di predizioni di Divinazione, la materia più inutile su questa terra, che tutte quante ci siamo ritrovate a seguire dopo i G.U.F.O. solo per tenere compagnia ad Emmeline. Perché è così, dicono, che si fa in un’amicizia. Sorrido mentre guardo la nobile Emmeline Vance scrivere con una delle sue troppe piume sulla pergamena. È bella, a modo suo. Nobile, non di sangue, ma ha un nonsoché nel portamento che la fa sembrare regale. È una caratteristica che ha preso da sua madre, perché conosco i suoi fratelli e so bene che per loro non è così.
-è l’asfodelo o l’artemisia a rendere il veritaserum incolore e inodore?- chiede ad un certo punto Mary sbuffando. Emmeline alza a mala pena gli occhi dal suo tema.
-asfodelo- risponde con la sua voce pacata –l’artemisia serve ad attenuare gli effetti collaterali-.
-che sarebbero?- chiede Mary disinvolta riprendendo a scrivere con un sorrisetto.
-no, Emm, non dirglieli- dico io quando vedo Emmeline aprire la bocca per elencarli. È così ingenua, quella ragazza, che se la lasciassi da sola con Mary, quest’ultima se la rigirerebbe tra le dita in meno di tre secondi. Sono molto diverse, ma per certi versi sono simili. Leggono gli stessi libri, ad esempio, mai quelli scolastici. Mai che le abbia viste con una copia di Le rivolte dei folletti nel medioevo minuto per minuto. Sempre con romanzi d’amore e occhi sognanti.
-Merlino, Lily, sei proprio cattiva oggi- si lamenta Mary facendomi una linguaccia.
-non solo oggi, Mac, la Evans è cattiva costantemente- esclama una voce alle nostre spalle. Mi volto, e vedo Black, Potter e Remus venirci incontro dal buco del ritratto. Potter e Black si siedono sul pavimento tra me e Mary, Remus invece prende posto su una poltrona accanto a Emmeline che, lo posso vedere distintamente, ha il viso che va a fuoco. Ora sembra meno nobile di prima, noto. Vedo Mary trattenere un sorriso.
-senti il corvo che dice al merlo “come sei nero”, è Black?- rispondo un po’ stizzita.
-ma io sono nero, Evans- ribatte con un sorriso. Mi volto verso Remus, e lui scrolla la testa come a dirmi di non rispondere neanche alle battute di quell’idiota del suo amico. Gli rispondo con un sorriso.
-ehi, ma voi seguite ancora Divinazione?- chiede Remus allungandosi verso la piccola agenda che uso per segnare i compiti. Li, sottolineati in bella vista, ci sono segnate le predizioni da fare.
-si, siamo arrivati alla tanto affascinante quanto inutile Astragalomanzia!-
-astrache?- chiede Sirius rivolgendomi un ghigno perplesso.
-astragalomanzia, Pad- interviene Remus con un sospiro –l’arte della divinazione tramite il lancio dei dadi-.
-e non potevano chiamarla dadomanzia invece di farsi tutte queste se…-
-Black, astragalomanzia deriva dalla vertebra, ossia astragalos, ossa di cui sono fatte i dadi- intervengo cercando di metter fine al suo farneticare.
-mai sentita una parola del genere- esclama lui in risposta.
-è greca ed è…- mi interrompo, rendendomi conto della persona a cui sto dando informazioni -…oh, ma che te lo dico a fare!-.
-e dove li avete questi dadi?- chiede Potter animandosi per la prima volta in tutta la serata.
Mi sporgo verso la borsa e gli cedo i miei. Lui mi guarda, prende i dadi con un sorriso e se li rigira tra le mani, affascinato. Strano, non mi è mai sembrato interessato alla Divinazione, l’ha mollata al quinto anno, dopo i gufo.
-ce li ha dati il professore- rispondo alla sua occhiata.
-mmh, vediamo, cosa dovrei fare?- chiede poi rigirandoseli ancora nei palmi delle mani.
-lanci i tre dadi in aria e guardi che viene fuori. Li lanci per tre volte- aggiungo.
Vedo che si sta preparando a lanciare, quindi poso il mio tema di pozioni e mi sporgo per prendere la mia copia di Svelare il futuro, aprendola alle pagine giuste. Il silenzio prende piede tra noi sei mentre Potter lancia i dadi.
-che numeri sono venuti?- chiedo divertita.
-vediamo…- sussurra lui girando con lo sguardo attorno ai dadi -2; 6; 1. Che dice il libro?-
-allora, il 6 tra un numero pari e un numero dispari indica fretta, quindi…-
-quindi devi affrettarti a fare qualcosa, Prongs- esclama Sirius tutto eccitato per la novità. Mi ritrovo a pensare “ecco che il bambino ha trovato un altro giochetto!”
-si, l’uno in ultima posizione vicino ad un numero pari indica un problema, e il due vicino al sei indica una situazione da cui puoi trarre beneficio… quindi direi che…-
-…che devi prendere una decisione su qualcosa da cui puoi trarre beneficio…- mi interrompe Mary leggendo dal libro di Emmeline. Le vedo entrambe chine sul libro.
-si- aggiunge Emm –altrimenti potrebbe diventare un problema-.
Ci guardiamo un attimo, in silenzio, poi scattiamo tutte e tre verso le piume.
-la scrivo io!- mi prenoto per prima afferrando un pergamena nuova.
-no, non è giusto, la voglio io!- esclama indignata Mary.
-il libro è mio, Mary, quindi la scrivo io!- ribatte Emm. I malandrini ridono, ma tanto loro ridono sempre.
-dai, su- ribadisco –la scrivo io… anzi, facciamo così! Io scrivo quelle di Potter e le mie, tu Emm quelle di Sirius e le tue e Mary quelle di Rem e le sue, così ne abbiamo due per uno!-.
Ok, da come mi stanno guardando le mie due amiche e Potter ho detto qualcosa che non va. Remus mi guarda sorridente, Sirius un po’ stranito.
-che c’è, che ho detto?- chiedo bloccandomi con la piuma a mezz’aria.
Mary si rotola in terra dal ridere, Emm invece ridacchia solamente. Potter mi guarda con occhi spalancati.
-ah, tu scrivi quelle di Potter e le tue!- esclama estasiata Mary.
Ah, ho capito. Sbaglio madornale dire una cosa del genere.  Arrossisco e il mio viso prende il colore dei miei capelli. Per Merlino, ora che faccio?
-si ma… insomma, solo perché…- mi arrampico sugli specchi, poi mi seppellisco con il viso nella pergamena e riprendo a scrivere. Ora come faccio a tornare a guardarli tutti?
Per fortuna Potter deve aver capito che mi sento in imbarazzo, perché con un gesto della mano riprende i dadi e si affretta a lanciare.
-3, 2, 1- mi dice guardando i dadi. Riprendo il libro posando la piuma.
-allora, l’uno in fondo vicino ad un numero pari indica sempre un problema…-
-sei pieno di problemi, James!- esclama Mary.
-si Mac, questo lo sapevamo anche senza che ce lo dicessero i dadi- ribatte Black facendoci scoppiare a ridere. James si sporge su Sirius per dargli uno scappellotto sulla nuca. Sento Black borbottare.
-il tre davanti indica calma, come a dire che non è il tempo di fare qualcosa…- mormoro affrettandomi a cercare.
-non è il tempo di avere problemi!- esclama Remus.
-no, manca ancora il due, che è…- sussurra Emmeline cercando nel suo libro -…il due al centro tra due numeri dispari indica le decisioni, decisioni importanti…-
-quindi, non è il tempo per te di prendere le decisioni importanti, devi aspettare per risolvere i problemi con più calma- termino vittoriosa.
-ma, non è possibile, si contraddice!- commenta Sirius –quella di prima diceva l’esatto contrario!-.
-si, effettivamente è vero, ma su, stiamo parlando di divinazione!- intervengo –quanto può essere vero? -Insomma, i dadi si usano solo per il monopoli!-.
-il monoche?- chiede Alice unendosi a noi insieme a Frank –uffa, potevate aspettarmi per fare Pozioni, sapevate che non sono per niente portata! E anche divinazione? Che amiche traditrici!-.
-il monopoli, Alice, quel gioco Babbano a cui abbiamo giocato quest’estate, ti ricordi a casa mia?- le chiedo.
-ah, si, quello in cui tu eri ricchissima e ci spillavi un sacco di soldi!- risponde lei scrollando le mani –ricordi spiacevoli. Chi sta lanciando adesso?-.
-ja…Potter! Sta lanciando Potter- dichiaro mordendomi la lingua. Vedo James prepararsi al terzo lancio.
-2,5,3- mi aggiorna.
-allora, il due davanti ad un numero dispari vuol dire rinuncia- lo informo –ma i doppi numeri dispari alla fine annullano la propria negatività, quindi è una rinuncia che porterà felicità-.
-si, poi il 5 in mezzo riguarda i sogni- aggiunge Mary –e il tre significa che…-
-ritardo, significa ritardo- finisce Emmeline.
-quindi rinunci felice al ritardo dei tuoi sogni- esulta Black. Rido.
-per Morgana, Black, non è proprio la tua materia, la divinazione. Secondo me significa che rinuncerai ai tuoi sogni, ma non sarà una rinuncia totale, piuttosto un rimandare a tempi migliori, in cui arriverai alla felicità- concludo contenta. Lo scrivo, e così mezzo compito è andato.
-si, dai, ora tocca a me- dice Mary strappando i dadi a James.
-no, tocca al migliore amico del divinato- risponde Sirius, cacciandosi verso di lei e iniziando a farle il solletico. Sento Mary ridacchiare di gusto, con piccoli urletti. Fra tutte, è quello che lo soffre di più.
-no, uffa, maledetto Black- cerca di scansarsi lei alzandosi dalla poltrona e iniziando a correre per la sala con i dadi in mano. Sirius la rincorre, Mary gli fa lo sgambetto e il ragazzo capitombola su un divano, finendo poi per terra. Noi non ci reggiamo più in piedi dal ridere, vedo che Remus è scivolato per terra e James si sta rotolando sul tappeto. Emmeline ride sguaiatamente e anche io mi diverto a guardare quei due fare gli scemi.
-ecco, presi!- esclama Black tirando su vittorioso la mano che impugna i dadi. Mary gli è attaccata al collo e cerca di strozzarlo, mentre lui cerca di scrollarsela di dosso –adesso possiamo cercare di vedere nei meandri del mio futuro!-.
-e per vedere che, Black?- ci interrompe una voce glaciale. Marlene, la mia migliore amica, è appena entrata dal buco del ritratto. Non mi guarda, non ci saluta, si fionda verso il dormitorio –quale sarà la prossima oca che ti cadrà ai piedi?-.
Black mi spaventa, è esangue. Credo che Lène le piaccia, nonostante tutto quello che gli ho detto io. Da parte sua, la signorina McKinnon non si degna nemmeno di fermarsi, e un secondo dopo è sparita su per le scale del dormitorio lasciandosi una scia di ghiaccio dietro.
-vado a dormire- dice Black freddamente, posando i cubetti d’osso sul tavolino, vicino a lui.
Restiamo tutti a guardarlo salire verso le camerate maschili, poi ci guardiamo tra noi.
-è meglio se vado a parlare con Lène, i compiti li farò domani- sussurro mettendo via la mia roba.
Ho il tempo di vedere Potter alzarsi.
-buonanotte, Potter- mormoro andandomene. Mi guarda esterrefatto, perché? Mi volto e incrocio il suo sguardo.
Non dico più niente, e salgo dietro a Lène.

 
In dormitorio tutto tace. La sagoma della mia migliore amica è ben visibile sotto le coperte, sembra dormire. Ovviamente non ci credo nemmeno per un attimo, quindi mi avvicino al suo letto e mi siedo accanto a lei, posandole una mano sulla schiena.
-Lène, c’è qualcosa che non va?- chiedo inutilmente. Ovvio che è c’è qualcosa che non va.
-tutto, non va- mi risponde tetra, abbassando il lenzuolo. Rimango stupita, alla luce della luna riesco a vedere che ha gli occhi gonfi.
-cosa è successo, tesoro?- le chiedo gentilmente.
Lei tace un attimo, poi mi fa spazio e io mi corico vicino a lei, che mi stringe le braccia in vita.
È così strana e al contempo famigliare, la sua stretta.
Mi ha stretto al primo anno, quando mi mancavano mamma e papà.
E al secondo, quando piangevo per Tunia.
E al terzo, la volta in cui eravamo tutte scioccate per ciò che Mulciber aveva fatto a Mary.
E al quarto, quando Potter ha cercato di guardarmi sotto la gonna (riuscendoci, tra parentesi).
E al quinto, quando ho perso Severus.
E al sesto, durante il giorno degli orrori, quando tanti babbani persero la vita per colpa di Voldemort.
Ora tocca a me consolarla, stringerla e farle capire che va tutto bene, che non è la fine, qualsiasi cosa sia successa.
-i miei genitori mi hanno ceduta in fidanzamento- sospira tra le lacrime. Vedere Marlene McKinnon così mi fa venire rabbia. Perché lei? La forte, bella McKinnon?
-cosa?- chiedo scioccata. Conosco sua madre, non lo farebbe mai. È questo che mi ha tranquillizzato questo pomeriggio, quando Black aveva blaterato di tradizioni e matrimoni in biblioteca.
-mi sposo, Lils- ribadisce lei –mi sposo a giugno-.

 
 
Marlene,
spero che tu capisca. È un onore portare lustro così alla famiglia, inoltre in questo modo ti ricongiungerai con il mio clan di origine.
Non prendertela, per l’amore ci sarà tempo. Un giorno capirai.
Fai la brava,

mamma

 
 
Cosa vorrebbe dire “per l’amore ci sarà tempo”? io non lo amerò mai, mai e poi mai!
Da tutti mi sarei aspettata un simile voltafaccia, ma mai da mia madre. Proprio lei, con tutto quel parlare di libertà e scelta e autonomia.
Per quanto buoni fossero i miei propositi non sono riuscita a restare con Jeremy fino all’uscita ad Hogsmeade, fra due settimane. L’ho appena lasciato, e ho bisogno di aria fresca.
C’è rimasto male, e da una parte mi dispiace.
L’altra parte è insensibile, da quando ho letto la lettera. Non provo più niente, se non un totale sbigottimento. Come hanno potuto? Come può la mamma farmi una cosa del genere? Ho voglia di scrivere a Zia Dorea, magari potrebbe persuadere la mamma a… no, non servirebbe. So che qui il problema è papà. Infilo una mano in tasca, ne tolgo due lettere. Una è quella che ho appena ricevuto da quella traditrice di mia madre, l’altra è sempre il solito pezzo di carta. Ormai è stropicciato e quasi illeggibile.
Marlene Danae McKinnon, 22 febbraio 1961.
Il nome accanto mi risulta difficile da leggere, quindi accartoccio ancora una volta la lettera.
Maledetto sangue, maledette tradizioni. Mi viene quasi da piangere.
Vorrei avere qualcuno a cui parlarne liberamente, ma so che Lils non capirebbe. Lei non conosce il nostro ambiente, non lo sa, e non le ho nemmeno detto chi è lui.
L’unico che potrebbe capirmi, penso, è Black. Ma è anche l’unico che mi accuserebbe, l’unico che non dovrà mai venirlo a sapere. Mi accuserebbe di piegare la schiena, di essere una codarda, di essermi arresa a questa prigione dorata. E io non voglio, non voglio vedere il suo sguardo di accusa, il suo biasimo e il suo disgusto. Non voglio vedere quello che vedo nei suoi occhi quando guarda i suoi parenti. Perché anche se ho promesso solennemente a me stessa di non cadere mai ai suoi piedi, mi piace. Non lo saprà, però lo saprò io, per sempre.
-ehi, McKinnon!- la voce di James mi stupisce.
-James- lo saluto atona. Non siamo molto in confidenza, sebbene sia mio cugino stretto.
-giusto con te volevo parlare- dice lui guardandomi e poi prendendo a camminare. Siamo appena fuori, sul cortile davanti al castello.
-di cosa?- chiedo curiosa, cercando di cacciar via il malumore.
-beh, Sir dice che ultimamente ti vede giù- riprende lui esitando un attimo.
-Black?- chiedo acida. Forse se la sono intagliata tutti dopo ieri sera... ok, togliamo il forse.
-si, beh… dice che sei strana, che lo eviti e che…-
-cos’è, ha problemi? Se ha problemi, se davvero sono io che lo evito, che me lo venga a dire lui- urlo frustrata davanti a un James piuttosto intontito. E davvero non so cosa mi sia preso, so solo che devo urlare, e rompere qualcosa, e gridare forte, perché la mia vita se la stanno prendendo gli altri e ultimamente sto solo restando a guardare –che non mandi qualcuno a fargli da scagnozzo. Che poi, cosa gliene frega a lui se io sono strana?! Che si faccia gli affari suoi una volta o l’altra, cos’è, tutte devono cadergli ai piedi? Se per caso qualcuna resiste allora è strana?-.
Non gli lascio il tempo di rispondere, mi limito a voltargli le spalle. Tanto presto lo farò con tutti, quindi è meglio che io mi abitui, e che si abituino anche gli altri.

 
-allora?- chiede speranzoso Pad dal suo letto. È steso lì, ha preso il mio boccino, se lo rigira tra le dita.
-è scoppiata- rispondo ancora intontito. Quella, checché ne dicano gli altri, non è la reazione di mia cugina. Merlino, ma è possibile?
-come scoppiata?- chiede Sir smettendo di giocare. È teso come una corda di violino.
-mi ha urlato… ti ha urlato, in realtà, di tutto. Che se vuoi sapere che cos’ha, non devi mandare gli scagnozzi, ma chiederglielo direttamente, e che se lei non ti cade ai piedi come tutte le altre non è perché è strana… ok, non lo ha detto proprio così. Ma quando se ne è andata era come se piangesse- finisco scuotendo la testa.
-Marlene McKinnon non piange mai- risponde lui atono. Ha lo sguardo lontano.
-e Sirius Black non si innamora mai- commento io vagamente divertito. Sembra non afferrare, perché non risponde.
-hai detto qualcosa?- chiede voltandosi poco dopo.
-si, ho detto che Sirius Black non si innamora mai- ripeto. Questa volta lui sgrana gli occhi.
-infatti, Sirius Black non si innamora mai- ripete convinto.
Santo Merlino, proteggici tu. Con un Black innamorato cosa può mai succedere?




note dell'autrice:
allora, innanzitutto un paio di cose sullo scorso capitolo, visto che l'altra volta ho aggiornato in fretta e non ho avuto tempo di scrivere alla fine. Per necessità ho cambiato l'età di Bellatrix invertendo in pratica Bellatrix e Narcissa. Ora Narcissa è la più grande delle sorelle Black e Bellatrix la più giovane. In più, in caso non si capisse, il Lestrange nominato nello scorso capitolo è Rabastan, figura che, non so perchè, mi ha sempre un po' affascinato anche se viene nominata poco all'interno della saga.
In questo capitolo ho deciso di soffermarmi un po' di più sulle figure di Sirius e Marlene McKinnon, spero che non vi dispiaccia.
Buona lettura,
Hir

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Capitolo 5
*** il problema di Potter ***


Cammino in corridoio, ho il braccio sulla spalla di Jane, una corvonero molto carina, dai capelli lunghi e scuri e gli occhioni azzurri.
-devo andare, io mi fermo qui- sussurra avvicinandosi a me con quello sguardo timido. La prendo per la vita, per darle l’ultimo bacio. Questa è carina, magari con lei sto un po’ di più. Alla fine l’ultimo bacio diventa gli ultimi baci, e ridacchio cercando di staccarmi. Polpi, ecco cosa sono le ragazze in questa scuola.
-a dopo- sussurra. Con un cenno di assenso gli faccio segno di andarsene.
Continuo a camminare, ho un’ora buca e se torno in sala comune Remus mi costringe a studiare. Oppure la Evans. Certo che la Minnie è proprio un genio con quei suoi gruppi di studio, mi ci mancava giusto questo.
Sono nei dintorni della biblioteca, decido di entrare. Madama Pince è piuttosto stupita quando mi vede, da solo, entrare in questa biblioteca di mia spontanea volontà. Non so che mi sia preso, so che mi dirigo senza neanche pensarci verso il dipartimento di storia della magia.
Ok, ora comincio a preoccuparmi. Che diavolo mi prende?
Guardo quei tomi muffiti, poi mi avvicino. Inizio a scorrerli con l’indice destro, guardo i titoli e poi li dimentico subito dopo, fino a che non trovo quello che mi interessa.
Clan e genealogie magiche antiche.
Giro le pagine, guardo gli schemi e le frasi che si sovrappongono gli uni agli altri. Conosco quel libro a memoria, grazie alla mia adorata mammina.
Trovo i Black, con sotto spiegate tutte le adorabili tradizioni di famiglia, tipo quella di decapitare gli elfi domestici troppo vecchi per portare il te.
Vado avanti, e ne incontro altre, più o meno conosciute. Bones, Hossas, Lynch. Tutte con i loro stemmi e le loro tradizioni.
Alla fine, dopo i Malfoy, trovo i McKinnon.
Il loro simbolo è un corvo con in bocca una gemma rosso sangue, il tutto in campo blu. So che i McKinnon sono corvonero da tutta la vita, che Marlene è una specie di Sirius Black per loro, anche se con meno feriti e meno danni. Molto meno.
Del clan dei McKinnon si ha notizia a partire dal medioevo, attorno all’anno 1000, quando entrarono a far parte della tradizione irlandese nella corte del Re del Munster Brian di Boruma. A loro si deve per buona parte la vittoria nelle battaglie di…
Salto la parte storica, vado direttamente alle tradizioni.
È tradizione del clan sopraccitato, quella di regalare, al diciottesimo compleanno del mago o della strega, un mantello rosso, simbolo del sangue puro della famiglia. Il mantello viene donato un anno dopo l’ingresso effettivo del nuovo membro nel Clan, ossia lo scoccare della sua maggior età, come conferma dell’effettiva appartenenza alla famiglia.
È tradizione inoltre, come in ogni famiglia purosangue, promettere i primogeniti con eredi di altre famiglie in vista dell’ambiente.
Lène non è primogenita, suo fratello Max ha tre anni più di lei. E, a quanto mi risulta, non è ancora ne sposato ne fidanzato.
Tanto meglio. Devo essermi sbagliato, magari la McKinnon davvero non ha nulla che non va e si è arrabbiata con James e me solo per quello che ha detto.
Con un sospiro ripongo il libro, ed esco dalla biblioteca.
L’ora deve essere quasi passata, quindi magari me ne torno in classe. A quest’ora abbiamo incant...
-adesso devo andare, scusami- esclama una voce dietro l’angolo che sto per superare. Mi fermo all’istante, quando la riconosco –ho lezione di incantesimi, e Vitious non vuole che si arrivi in ritardo-.
Si, è lei. La seconda voce, però, mi sorprende ancora di più. Per poco non ci resto secco, in realtà.
-certo, vai pure- risponde una voce uguale alla mia –ma ricordati, la data è stata spostata. Il 23 dicembre, non il 22-.
-perché hanno posticipato la data?- chiede Lène. Mi appoggio al muro. –non gli sembra già abbastanza sporca così, senza farci penare oltre?-.
-McKinnon, non c’è modo di fuggire. Ti conviene fartene una ragione, subito, prima di far perdere il buon nome alla famiglia-.
-la tua famiglia non ha perso il buon nome dopo quello che ha fatto tuo fratello.-
-io non ho un fratello- risponde drastica la voce. Stringo i pugni, bastardo. Dei passi si allontanano, e tutto tace. Allora mi stacco dal muro e giro l’angolo. Vedo Marlene McKinnon, vedo che mi guarda. In lontananza, posso ancora vedere mio fratello Regulus camminare.
La guardo, freddo e distante. Non lui, non lei. È l’unica cosa che riesco a pensare.
-Sirius, io…-
-e così, stiamo diventando cognati- la interrompo glaciale. Non so perché la mia voce è tanto fredda, spaventa persino me –certo, se tu… una volta officiato il… ehm, sacro vincolo del matrimonio, decidessi di non voler più avere un fratello, come sembra abbia fatto Reg, io capirei-.
Non so che mi sia preso, c’è qualcosa che non va. La vedo, mi guarda impassibile, attaccata al muro, bella e irraggiungibile. Mi giro per andarmene.
Non lui, non lei. Non lui, non lei. Non lui, non lei.
-Sir, io ti…- la sua voce flebile mi scuote.
Mi volto, lentamente. Non parla più, in questo momento sono posseduto da qualcosa di molto vicino all’odio.
-congratulazioni per il lieto evento, Marlene Black-. Faccio un cenno con il capo, come un piccolo inchino. Me lo hanno insegnato da piccolo, dopodichè me ne vado. Non mi volto, resto impassibile.
Non lui, non lei. Non lui, non lei. Ormai è un mantra.
Salto le lezioni di tutto il pomeriggio.

 

***

 
Storia della magia, uff.
Primo banco, uff.
Nessuna traccia di Lène, uff.
Da quella sera in dormitorio, Lène non è più Lène. Mi ha detto che si sposa, e poi è stata zitta. Non ha voluto dirmi nulla, solo che dai suoi non se lo aspettava, e che faceva male. Mi ha anche detto che ha provato a chiedere spiegazioni, ma le hanno gentilmente ordinato di non chiedere più nulla, di fare quello che ci si aspetta da lei.
Le ho anche chiesto perché non li manda al diavolo, loro e le loro manie da Purosangue.
Risposta: perché tu non mandi al diavolo Petunia, se anche ti odia e ti fa male?
Colpita e affondata, ho capito.
Ho capito che non può, sono la sua famiglia.
Famiglia è quel posto in cui, quando vai, devono accoglierti. Ma questo coltello non ha un manico da impugnare, perché anche tu sei famiglia per qualcun altro. Anche tu devi accogliere, quando fai parte di una famiglia… e se il prezzo da pagare è un matrimonio? Puoi forse dire che sia un prezzo più alto della rinuncia ad una vacanza con i tuoi amici? Rinunci a qualcosa, per loro. Ma certe volte, per loro rinunceresti a tutto. Cosa dovrebbe mai farti, la famiglia, per farti rispondere “adesso basta”?
Non mi ha detto chi è lui.
L’unica cosa che ha continuato a ripetere, quella sera, sono state due parole.
Non lui.
Mi chiedo chi sia di così terribile, perché ogni volta che cerco di parlarle, mi guarda con occhi spiritati e ripete.
Non lui.
All’improvviso qualcuno si siede accanto a me, sono felice che Lène sia finalmente arrivata.
Mi volto, non è Lène.
-Potter, che ci fai qui?- chiedo brusca. Mi ha interrotto, ha interrotto i miei pensieri.
-posso farti compagnia, Evans?- chiede con un sorriso. È strano, James Potter. Immensamente strano.
-posso farti cambiare idea, Potter?- chiedo io in una domanda ovviamente retorica.
Lui risponde con un altro sorriso, di quelli così luminosi che ti potrebbero accecare.
-ovviamente no- dichiara –stasera abbiamo la ronda insieme?-
-si, perché?- chiedo. Sta ancora sorridendo.
-così, tanto per- risponde.
-Potter, dove è Black?- domando rendendomi conto che normalmente lui e il suo compare fanno casino per tutta l’ora di storia della magia.
-non lo so, l’ultima volta che l’ho visto era abbarbicato a Jill, una corvonero- risponde lui –o forse era Jenn? No, quella era stamattina a colazione. Forse era Jess…-
-fai come se non ti avessi chiesto nulla, allora- rispondo tetra. Ringrazio Merlino, Morgana e Circe che Lène non abbia sentito quest’ultima sua frase. Per quanto cerchi di negarlo, con me non ci riesce. A lei Sirius piace, parecchio.
-adesso ne cambia una ogni pranzo?- chiedo vagamente indispettita.
-non sarai gelosa, Evans- risponde Potter. Si è irrigidito, porgendomi la domanda.
-idiota- borbotto –è che Lène sta uno schifo-.
-si, ho visto. Sai perché?- mi chiede guardandomi con quegli occhioni da cerbiatto che mi fanno sentire… con quegli occhioni da cerbiatto, punto.
Per un attimo, solo un attimo, sto per dirglielo.
-no, non lo so- rispondo ancora più tetra.
 

*


La scuola ormai è iniziata da più di un mese, il tranquillo tran tran di tutti gli anni è ripreso normalmente. Siamo a colazione, e mentre imburro una fetta di pane tostato accanto a Remus mi chiedo perché quel ragazzo stia così male, ogni tanto. È già qualche giorno che non è al suo massimo. Oggi è pallido, ha gli occhi come spiritati.
-Rem, sei sicuro di stare bene?- chiedo ad un certo punto. Mi accorgo che attorno a noi è calato il silenzio.
I tra malandrini mi guardano, con un suono come di una ventosa sento Sirius staccarsi dalla sua ragazza momentanea. Abbiamo tutti fatto finta di non accorgercene, ma ultimamente quando ci sono sia Sirius che Lène intorno si respira ghiaccio puro. Per questo Lène fa in modo di trovarsi nelle vicinanze di Black il meno possibile. Non so cosa quel ragazzo le abbia fatto, ma appena mi troverò sola con lui gliene canterò delle belle. Lo avevo avvisato.
Ultimamente James continua a comportarsi come se non esistesse Lily Evans, come se fossi solo un’amica di Mary. Ed effettivamente, a pensarci bene, io sono un’amica di Mary… ma andiamo, lui è James Potter!
Sirius è tornato a trattarmi normalmente, come tappezzeria particolarmente squallida, pienamente ricambiato.
Peter è Peter, naturalmente. Non fa molto caso a me, in generale.
-si, Lils, non ti preoccupare- risponde con voce tranquilla Remus. È la persona migliore che io abbia mai conosciuto. Sempre calmo, sempre gentile anche nei giorni peggiori.
-non mi pare che tu stia così bene, Remus- si aggiunge Emmeline preoccupata. Sappiamo tutte che ha un debole per Rem da sempre, più o meno –faresti meglio ad andare in infermeria-.
-Emm ha ragione, Rem- rincaro io, con un sorriso gentile –se vuoi ti passo poi i miei appunti, così non resti indietro-.
-grazie, Lils, ma non credo di averne bisogno-.
Annuisco, lievemente preoccupata. È pallido, smunto e con le occhiaie.
Le mie elucubrazioni vengono interrotte da un caos generale, come tutte le mattine. Dal soffitto piovono gufi.
Con mia grande sorpresa, un gufo scuro si appollaia con grazia davanti a me, e quando alzo lo sguardo noto che non regge il giornale, come ogni altra mattina, ma una busta di carta con un nome vergato in inchiostro blu. Quello che è strano, è che è scritto a penna. Penna biro, non piuma.
 

Lily Evans
 
La scrittura di Petunia mi sorprende, non mi ha mai scritto in sette anni. Non sapevo nemmeno che conoscesse il modo per contattarmi, forse ha chiesto a mamma e papà.
Comunque è strano, deve essere qualcosa di importante per averla costretta ad avvicinarsi ad un gufo, lei che odia gli animali.
Tolgo la pergamena dalla zampa del gufo con mani tremanti, e infatti ci metto più del previsto. Di scatto mi alzo, rovesciando un bicchiere di succo di zucca.
-Lils, tutto bene?- chiede Lène allungando lo sguardo curiosa, la sento irrigidirsi quando vede la calligrafia sulla busta.
-scusatemi- mormoro allontanandomi dalla panca e voltandomi verso il portone con la busta stretta in mano –ci vediamo a lezione e… Rem!- dico poi voltandomi ancora –vai in infermeria e non preoccuparti delle lezioni, ci penso io-.
 

***

 
Non ti azzardare a tornare a casa per natale.
Mi sposo, non ti voglio vedere al mio matrimonio. Dirai che sei malata, e che non tornerai.
Vedi anche di non rispondermi, Vernon in questi giorni è ospite a casa nostra per conoscere mamma e papà. Non azzardarti a mandare una di quelle bestie da quel posto di mostri, sono stata chiara?
 
Petunia

 
Leggo la lettera con un sopracciglio inarcato, rivolgendo uno sguardo preoccupato a Lily. Si vede chiaramente che ha gli occhi lucidi e sta sforzandosi di non piangere.
-quella strega!- esclamo sdegnata passando la lettera a Emmeline, che la guarda arricciando il naso. Per quanto poco le piaccia Petunia, si sforza sempre di non mostrarlo a Lily.
-hai fatto preoccupare Rem, andando via così- sussurro abbracciandola stretta –Petunia non merita tanto, tesoro mio-.
-è mia sorella, Alice- sussurra Lily. Penso che nessuno al mondo possa fare più male a Lils di sua sorella, quella racchia! E non lo capisce nemmeno, ottusa com’è!
-lo so, cara- aggiungo. Sento Lène avvicinarsi e trascinare con se le altre.
-lo siamo anche noi, Lils, tue sorelle- esclama cercando di tirarle su il morale. Il che è tutto dire, visto che in questi giorni lei è più tetra del barone sanguinario. Si aggiunge al nostro abbraccio –forza, questo è un abbraccio di gruppo!-.
Anche Mary e Emm si aggiungono, e finalmente sento Lils ridacchiare.
-le migliori sorelle di tutto il mondo- mormora sfregandosi gli occhi –forza, a lezione-.
-si mamma- .

 

***


-allora, ci sono novità che volete comunicarci? Qualche rissa peggio del normale o anomalie nelle vostre case?- chiede ancora una volta Lily. Guardo intorno a noi.
Nessuno dice nulla, quindi Lily scioglie la riunione. Da qualche giorno un fondo di tristezza fa capolino nel suo sguardo quando pensa che nessuna la veda. Non riesco bene a capire come abbia preso il fatto che non la tormento più, sembra quasi non accorgersene neanche. Solo a volte, di tanto in tanto, durante le lezioni mi pare di sentire il suo sguardo su di me.
-Potter, non esci?- mi chiede quando vede che, perso nei miei pensieri, non mi sono mosso di un millimetro. Ormai la classe è vuota, ci siamo solo noi due.
-oh, si- rispondo riprendendomi e voltandomi verso di lei –scusa, stavo pensando-.
-allora ogni tanto succede anche a James Potter- scherza lei. Mi blocco un attimo, non per la frase, alle frecciatine da parte sua sono ormai abituato da un pezzo, ma proprio perché non l’ha detto con cattiveria. Vedo che sorride, ed è un sorriso che non le ho mai visto rivolgermi, neanche in infermeria quando le portavo i compiti. È uno di quei sorrisi che di tanto in tanto regala alle sue migliori amiche, o a Remus. A dire la verità, è quel sorriso che rivolge a tutti quelli che sopporta di buon grado, e fino a poco fa era certo di non essere su quella lista. Le rivolgo un mezzo sorriso in risposta.
-che vuoi che ti dica, anche i migliori hanno delle ricadute- rispondo alzando la testa con orgoglio. La sento ridacchiare, ed è il suono migliore che io abbia mai sentito.
Sorrido in risposta, perdendomi nei suoi occhi.
-senti, James…- il tono con cui si rivolge a me mi spiazza ancora più del fatto che mi abbia chiamato per nome. Sembra indecisa, sta esitando. Le uniche volte in cui esitava parlandomi, negli anni scorsi, era quando doveva decidere che punizione darmi per le mie malefatte, o quanti punti togliere a me e Sir.
-si?- la incoraggio. Sembra così innocua, con i capelli rossi raccolti a coda di cavallo e gli occhi brillanti, il viso cosparso di efelidi e le guance tinte di un rosso acceso. È adorabile quando arrossisce.
-senti, pensavo che…- esita ancora, sembra non saper più che pesci prendere -…si, insomma, volevo ringraziarti per…-
-Jamie!- una voce mi fa sobbalzare, costringendomi a voltare la testa verso la sua fonte. Spalanco gli occhi per la sorpresa, mentre vedo due figure venirmi incontro. Mi rendo conto che io e Lily Evans siamo maledettamente vicini, cerco un pretesto per allontanarmi senza dare troppo nell’occhio.
-Mamma, papà!- rispondo andando verso di loro. La mamma mi abbraccia e papà mi da una pacca sulla spalla. Mi accorgo che Lily è rimasta indietro, dove ero io prima. Le faccio cenno di avvicinarsi, con un sorriso stampato sulle labbra.
-Evans, loro sono mamma e papà… Dorea e Charlus Potter- mi rivolgo a lei con un sorriso. Ovviamente non ho bisogno di presentarla, mamma e papà sanno benissimo chi è.

 

***

 
-Evans, loro sono mamma e papà… Dorea e Charlus Potter-.
Eravamo così vicini, e stavo per chiederglielo. Non mi sono mai trovata così vicina a James Potter, e quello che è peggio, i suoi ci hanno visto.
Mi accorgo che l’allegra famigliola Potter ha lo sguardo fisso su di me, arrossisco ancora di più.
Mi avvicino con un sorriso sulle labbra. I coniugi Potter hanno l’aria gentile, noto subito la grande somiglianza di James con suo padre: entrambi hanno i capelli ugualmente scuri e spettinati, lo stesso taglio d’occhi ed entrambi portano gli occhiali. Quello che mi stupisce di più, però, è lo stesso sorriso luminoso che potrebbe abbagliare un’intera città.
Dorea Potter è una delle donne più belle che io abbia mai visto. Assomiglia vagamente a Marlene, mi viene da pensare, con quei lunghi capelli scuri e le sopracciglia sottili inarcate come ali di gabbiano. Gli occhi, invece hanno lo stesso colore di quelli di James. Nocciola, con qualche pagliuzza dorata.
-penso che avrei potuto capirlo lo stesso, Potter, sei uguale a tuo padre- rispondo sorridendo all’indirizzo di Potter, che mi osserva attento. Mi rivolgo ai suoi genitori –piacere di conoscervi, signori-.
-il piacere è nostro, cara- risponde Dorea Potter, ridendo alle mie parole –si, capelli spettinati e tutto il resto… compreso l’ego spropositato-.
Non posso fare a meno di ridere, la signora Potter è proprio simpatica. Entrambe ridiamo ai borbottii di protesta del marito e del figlio.
-mamma, perché siete qui? Ci sono problemi a casa?- chiede James vagamente preoccupato.
-no, caro, nessun problema- risponde il padre gentilmente –siamo qui solo per vedere Silente. Sai, per lavoro-.
Mi chiedo che lavoro facciano i coniugi Potter. Sono così posati e vestiti bene che, se fossimo nel mondo Babbano, oserei metterli nell’ambiente politico.
-con Silente?- chiede James scettico.
-si, caro, adesso dobbiamo andare- dice Dorea Potter guardando l’orologio –non vogliamo arrivare in ritardo dal preside. James, ci vediamo più tardi, ti veniamo a salutare prima di andare via. Così vediamo un po’ anche Sir. Lily, felici di averti incontrato, cara. Ci vediamo più tardi-.
Osservo i coniugi Potter voltarsi e allontanarsi, e non posso fare a meno di riflettere sulle loro parole. Sirius? Perché vorrebbero vedere anche Black? Sono piuttosto pensierosa, non mi accorgo nemmeno che la signora Potter mi ha chiamata per nome quando James, pochi attimi prima, mi ha chiamata Evans.
-Potter, perché i tuoi sanno il mio nome?-.

 

 ***

 
-Potter, perché i tuoi sanno il mio nome?-.
La voce di Lily mi risveglia. Sembra che mia madre adori Lily, raramente si rivolge con così tanta disinvoltura a qualcuno che non conosce.
-oh, mmm, cosa?- chiedo sussultando –ah, beh, c’è la possibilità che io abbia fatto il tuo nome un paio di volte, davanti a loro-.
-davvero?- chiede, e sembra sinceramente sorpresa.
Cala il silenzio tra di noi, mentre io mi volto a guardare la direzione che hanno preso i miei, per andare da Silente. Per lavoro?
-che lavoro fanno i tuoi, Potter?- chiede Lily, iniziando a camminare verso la torre di grifondoro.
-Auror- rispondo –sono Auror del ministero-.
-davvero?- risponde lei soprappensiero –sembrano persone molto distinte… si, insomma, non diresti mai che fanno lo stesso lavoro di Alastor Moody- sussurra, aggiungendo con sguardo preoccupato al mio indirizzo –meno male, ovviamente, se pensi a tutte le cicatrici di Moody, non può essere che un bene-.
-non potrei essere più d’accordo, Evans- ribatto con un sorriso. La vedo ancora pensierosa. Chissà se il suo stato d’animo ha qualcosa a che fare con la lettera che le è arrivata due giorni fa a colazione? Mooney non ha voluto dirmi niente in proposito.
-ah, Potter- aggiunge all’improvviso –hai notato che tua madre assomiglia a Marlene?-
-mia madre è sorella di sua madre, Evans, è naturale- rispondo con un’alzata di spalle.
-Lène non me lo ha mai detto- dice guardandomi.
-beh, non è così strano. Tra le famiglie purosangue si è sempre imparentati. Guarda me e Sirius, siamo cugini di non so quale grado. Ovviamente da parte di papà sono anche parente di Frank, e anche di Alice-aggiungo meditabondo.
-e te li ricordi tutti? Io è già tanto se ricordo il nome dei miei cugini più stretti… e dire che ne ho pochi- sorride.
Ricambio annuendo.
-beh, ai maghi in tenera età vengono impartite lezioni su queste cose. Sir ne sa molto più di me, io ho solo un’infarinatura, i miei non sono mai stati sostenitori di queste tradizioni da sangue puro- rispondo scuotendo la testa.
-e quelli di Sirius Black invece si?-
-qualunque cosa succeda, Evans, non parlare mai della famiglia di Sirius con lui-.

 

***


Sto camminando da circa mezz’ora per i corridoi, senza una meta precisa, in realtà; so solo che non ho alcuna voglia di tornare in dormitorio, di sentirmi subissata dalle domande, ghiacciata dalle occhiate di Black che sembrano volermi perforare la calotta cranica a forza d’odio puro.
Da quando mi ha lasciata come una pera cotta in mezzo al corridoio vicino alla biblioteca a stento gli rivolgo uno sguardo alla mattina.
Ovviamente mantenere questa freddezza non è nemmeno lontanamente facile quanto si potrebbe pensare, ma d’altronde io sono la McKinnon e lui è Black, niente può essere facile per noi.
Forse è questo, il problema: per me Regulus è il Black sbagliato.
Mi scrollo nelle spalle, fa parecchio freddo, segno che l’estate è ormai un pallido ricordo.
Mi do della stupida per aver lasciato il mantello nella torre, sul letto… magari così il mio letto avrà caldo, ma io schiatto di freddo.
-Lène!- una voce mi chiama dalla cima del corridoio che sto percorrendo, e mi affretto a raggiungere la figura che si sbraccia per farsi vedere.
-Remus, in giro a quest’ora?- chiedo ben sapendo che resta molto spesso in biblioteca fino all’orario di chiusura.
-si, dovevo aiutare Peter in Incantesimi, abbiamo appena finito- mi dice incamminandosi con me, con un sorriso –tu come stai? Ti vedo un po’ giù, ultimamente-.
Annuisco rigidamente. Possibile che vogliano tutti parlare di questo?
Remus però è la gentilezza fatta a persona, non è come tutti gli altri. Infatti mi fa un sorriso e risponde semplicemente.
-se ti servo, io ci sono-.
-grazie- rispondo grata. Non posso non sentirmi un verme, però. Loro stanno così in pena per me e io intanto affilo il pugnale che gli pianterò tra le scapole! Bell’amica, sto per sposare un Serpeverde!
Sto per sposare un Serpeverde.
Posso ripeterlo con duecento toni diversi, ma in fondo la frase non cambia, mai. Mi devo essere rabbuiata, perché Remus mi passa un braccio intorno alle spalle. Sorrido, questa volta di cuore, pensando la stessa frase che penso ogni volta che vedo Remus fare qualcosa che non ci si aspetterebbe mai, da lui:
tra tutti i malandrini, lui è il più malandrino.
Beh, esaminiamoli: il primo, James Potter, è esattamente come chiunque non abbia gli occhi rivestiti di prosciutto e i capelli rossi (qualunque riferimento a persone realmente esistenti è pienamente voluto) può osservare ogni giorno… simpatico, sempre pronto a far ridere gli altri, generoso, darebbe la vita per i suoi amici e per quelli più deboli.
Peter Minus, beh, è Minus. Facendo coppia con lui nell’aula di Trasfigurazione ho imparato a conoscerlo meglio. Sempre in seconda fila, senza essere visto, sembrerebbe più una pedina che un giocatore. In realtà, mi sono accorta, è un giocatore tanto quanto gli altri.
Sirius Black è una persona a cui, e di cui, non parlo volentieri ultimamente.
Remus Lupin è la mente diabolica del gruppo. È incredibile come questo fatto sia vero ma celato a tutto il resto del mondo. È il classico esempio di persona che tira la pietra e nasconde la mano, non per codardia, ma per quieto vivere. O meglio, fa tirare la pietra agli altri, decisamente, e si mantiene la sua reputazione da Prefetto e bravo ragazzo. Tutto quello che ci mette, è il cervello. Decisamente un personaggio degno di stima, un idolo.

 
***

 

Nemmeno la biblioteca riesce a distrarmi, in questi giorni. Prima bastava che mi sedessi ad un tavolo silenzioso con un libro e non ce n’era più per nessuno, ora invece mi limito a fissare le pagine bianche senza capirne nemmeno una lettera. Mi alzo e rimetto il libro a posto, metodi della Trasfigurazione umana. Sto cercando di documentarmi di più, non riesco proprio a sopportare la faccia saputa di Black a lezione ogni volta che sbaglio un tentativo di colorargli i capelli o cambiargli il naso. Mi avvio velocemente verso la torre di grifondoro, fermandomi appena prima di voltare l’angolo. Sento delle voci.
-cercate di fare le persone responsabili, tutti e due, non mettetevi nei guai e…-
-si, mamma, lo sappiamo- la voce di James mi raggiunge.
-tranquilla, zia Dorea, ci sono io con lui- aggiunge la voce di Black
-è proprio questo che ci preoccupa, figlioli- risponde la voce profonda e divertita di papà Potter.
-Merlino, venite qui e fatevi abbracciare, cari- esclama la voce di Dorea –e non fate guai. Guardate che sono seria! Altrimenti vi mando un paio di strillettere da farvi rizzare i capelli dalla paura-.
-state tranquilli- ripetono i due.
Sono ancora stupita. Già mi aveva sorpreso il tono di voce di James qualche ora prima, quando insieme avevamo incontrato i coniugi Potter in corridoio. Sentire i due più arroganti palloni gonfiati di Hogwarts rivolgersi con un tale calore e una tale tenerezza a qualcuno mi sorprende ancora di più.
E per un piccolo, insensato istante, desidero avere anche io qualcuno a cui rivolgermi così. Qualcuno da amare più della mia stessa vita, a cui volere bene con così tanto candore. Hanno un tesoro, tra le mani, quei due squinternati. Sono l’uno il tesoro dell’altro, loro e la fratellanza che hanno potuto scegliere.
Non vorrei interrompere un momento del genere, però controllando l’orologio noto che manca qualche minuto alla fine del coprifuoco. Non vorrei essere sorpresa qui, dietro un angolo, ad origliare una conversazione così privata. Quindi decido di avvicinarmi al ritratto, facendo più silenzio possibile, sperando che i quattro non si accorgano di me.
Giro l’angolo fingendomi trafelata, come se avessi fatto velocemente la strada dalla biblioteca a qui. Vado verso il ritratto ma noto che Dorea Potter mi sta sorridendo.
-ciao, cara- mi saluta cortese. Non posso non fermarmi, altrimenti sembrerei maleducata.
-salve, signori Potter- saluto in risposta.
-suvvia, cara, bando alle formalità. Siamo Charlus e Dorea per gli amici di nostro figlio- scherza il signor Potter dandomi una pacca gentile sulla spalla. Resto sorpresa, soprattutto perché mi ha definito amica di suo figlio… ora, non esageriamo! Va bene che James sembra cambiato, da che l’anno è iniziato, però da qui a definirmi amica di lui e della sua combriccola…!
Faccio scorrere lo sguardo su Potter e Black, per ritrovarli entrambi con gli occhi su di me. Il primo vagamente speranzoso, il secondo indecifrabile come sempre.
-mmhpm… va bene- sorrido cercando di sembrare convinta.
-perfetto allora, Charlus e io è meglio se andiamo- esclama convinta Dorea Potter, riservandoci un ultimo sorriso. Con calma, poi, si girano e se ne vanno.
-ehi, Evans, fuori dal dormitorio dopo il coprifuoco! Non pensavo arrivasse a tanto la tua temerarietà- scherza Black guardandomi truce.
-c’è una prima volta per tutti, Black- rispondo stancamente voltandomi verso il ritratto della signora grassa.
-Draco Dormiens- le ordino.

 

***


-la stai evitando- gli faccio notare mentre rientriamo in dormitorio. Remus e Peter non sono ancora rientrati, forse per il loro ripasso di incantesimi.
-no, non la sto evitando- risponde fingendo un tono lieve e disinvolto.
-chi credi di prendere in giro, Sir?- chiedo sedendomi sul suo letto. Lui si è buttato a capo chino sul letto, sommergendo la faccia sul cuscino.
Dal suo posto si leva solo silenzio per cinque minuti buoni.
-mi ha fatto piacere rivedere Dorea e Charlus- esclama poi nel tentativo, poco elegante, di cambiare discorso.
-non ci pensare neanche, stavamo parlando di Marlene McKinnon- ribatto.
-no, James, tu stai parlando della McKinnon- ricambia lui voltandosi e alzando lo sguardo su di me –a me, della McKinnon, non me ne frega assolutamente nulla-.
-si, si vede, è per questo che hai portato in questa camera più ragazze ultimamente che in sei anni di scuola?- chiedo allora freddamente. Non si fida di me, mi manda in bestie quando fa così.
Io gli ho sempre detto tutto, per lui ho sempre fatto tutto. Ho passato notti intere in sala comune perché la stanza era occupata, ultimamente, e lui che fa? Mi racconta un mare di balle!
-lo sai, almeno potresti avere il coraggio di dirmi che non ne vuoi parlare- gli dico alzandomi dal letto –e non raccontarmi tutte queste cazzate. Perché sei un cretino, Sirius, se non hai ancora capito che non sono qui per accusarti. Ma ovviamente, il grande Sirius Black non vuole parlare, preferisce darmi dello scemo così platealmente- lo accuso voltandomi verso la porta della stanza.
Solo adesso noto che è aperta, e che Lily Evans ci guarda stralunata. Probabilmente è la prima volta che qualcuno che non siano i miei genitori ci vede litigare.
-Evans, che vuoi?- chiedo non troppo gentilmente. Me ne pento subito, strozzerei Sirius, vedo Lily guardarmi gelida.
-la ronda, Potter, o te ne sei dimenticato?-chiede fredda. Poi si volta e se ne va.
La guarda andare via, triste. Ovvio, la ronda. Non è il nostro turno, ma i prefetti corvonero sono in infermeria per un incidente a trasfigurazione, quindi ci tocca sostituirli.
Sento vicino a me mio fratello, con una mano sulla mia spalla.
-scusa James, quando torni parliamo-.

 

***


Scendo come una furia dal dormitorio maschile. Non solo quel cretino si è dimenticato di scendere, ma ha pure la faccia tosta di essere brusco con me quando mi degno di andare a chiamarlo!
Oh, ma vedi che gliela smonto io, quella testa scompigliata. Lui e quell’idiota del suo amico, il belloccio Black. È per colpa sua se Lène è così giù. Quando cerco di parlarle, di parlarle di lui, lei mi guarda severa e mi dice che non è il momento. Odioso individuo privo di morale!
In sala comune Mary cerca di fermarmi. Passo oltre e afferro il mantello dal bracciolo della poltrona, magari durante la ronda fa freddo, poi mi volto e mi fiondo verso il buco del ritratto.
Non ho alcuna intenzione di aspettare Potter.
-Lily!- la sua voce mi raggiunge, le mie gambe si fermano all’istante. Che diavolo mi è preso? Non ho alcuna intenzione di aspettare Potter!
-Lily, per favore, dobbiamo fare la ronda insieme- esclama una volta che mi raggiunge, cercandomi gli occhi. I miei mandano lampi d’ira.
-già, vedo che te ne sei ricordato. Corridoio del quarto, quinto, sesto e settimo piano- gli ricordo.
-si, andiamo- sussurra in risposta, uscendo nel corridoio.
Iniziamo la ronda in silenzio, scendendo la prima scala. Il silenzio si prolunga per i successivi venti minuti, e mi vengono i brividi se penso che devo passare così la successiva ora e quaranta, quindi decido di rompere il ghiaccio.
-Potter, stavi litigando con Black?- chiedo sempre fredda, sebbene io non sia più molto arrabbiata. Non pensavo che quei due litigassero.
-solo una discussione- risponde lui lieve.
-bene, potresti ricordare al tuo amico che appena lo becco da sola gli faccio il mazzo?- ribatto allora scaldandomi di nuovo.
-cosa…. Perché?-
-gli avevo detto di tener giù le sue sudice manacce da Lène- dico furiosa –ma a quanto pare non lo ha fatto. Abbiamo notato tutti che quando sono insieme la tensione si può affettare con il coltello. Quindi…-
-Lily, anche lui ci sta male- mi risponde Potter con quello sguardo da cucciolo bastonato. Mi manda in bestie.
-no, Potter, tu non hai capito! Non me ne frega niente se lui ci sta male, se muore di dolore! Lui se lo merita, sono sei anni che usa le ragazze come fossero sciarpe, cambiandone una ad ogni pranzo-.
-anche Lène lo fa- mi risponde il bastardo. Lo fulmino con un’occhiata. Come si permette? Ok, forse la mia migliore amica ha una passione smodata per i ragazzi, ma non a livello di Black e di… Potter, si, anche lui, che lo ha sempre fatto per sei anni, adesso che ci penso.
-Lène almeno si ricorda i loro nomi, Potter, a differenza tua e di Black- esclamo vittoriosa.
-mia? E che c’entro io?- chiede sorpreso, iniziando ad inalberarsi.
-di a quell’energumeno del tuo migliore amico di tenere giù le mani da Marlene McKinnon, Potter- glisso. Effettivamente, che c’entra lui? Mi sono lasciata trasportare.
-credo che siano abbastanza grandi da potersela vedere da soli- dice ad un certo punto sorprendendomi con un suo sorriso. Effettivamente, penso, ha ragione. Anche perché Lène non mi ha neanche detto cosa è successo tra loro, quindi non posso sapere con certezza ma solo tirare le mie conclusioni.
Continuiamo a camminare, le bacchette sguainate.

 

***


Ormai è un’ora e mezza che facciamo la ronda. Tutto tace da circa un’ora, mi sono abituato ormai al rumore silenzioso del respiro di Lily, accanto a me. Ogni tanto la guardo, vedo che mi guarda. Poi mi viene in mente una cosa.
-Lily?- la chiamo sottovoce.
-che c’è?- risponde lei imitando il mio tono.
-prima, dopo la riunione…- comincio esitante –prima che arrivassero i miei…-
-ah- termina lei. Sa benissimo cosa intendo chiederle. Spero solo che non sia ancora arrabbiata con me.
-si, volevi dirmi qualcosa?- chiedo con un tono appena sussurrata. Non sembra più furiosa, solo imbarazzata.
-si, insomma… non era niente di che…- sulla difensiva. Ahi, brutto segno.
-sicura?- domando sconcertato. Non è mai stata con me sulla difensiva. Sempre sull’offensiva, se vogliamo dirla papale papale!
-io mi chiedevo…- esita ancora –cioè, vorrei ringraziarti per il fatto che tu… si, insomma, per quando hai seguito le mie lezioni per portarmi gli appunti e tutto il resto, quando ero in infermeria, e pensavo a come potrei sdebitarmi…-
Alla buon’ora! Sono passate due settimane, ormai, ma con un sorriso scuoto la testa.
-tu non ti devi sdebitare con me, Lily. L’ho fatto perché mi faceva piacere- rispondo alla sua occhiata obliqua. La vedo ridacchiare.
-immagino quanto piacere possa averti fatto, seguire una settimana di Antiche Rune!- sussurra a sua volta –e comunque volevo solo chiederti… si, insomma, per ripagarti del tuo aiuto…-
-Lily, non…- cerco di insistere.
-ti andrebbe di venire a Hogsmeade con me?-.
Mi blocco, all’improvviso. Cosa ha detto? Velocemente mi tiro uno schiaffo sulla guancia.
Ahi, no, non sto sognando. Insomma, Lily Evans che mi chiede di andare a Hogsmeade con lei! Domani Voldemort ballerà la conga in sala grande?
E secondo lei potrei dire di no ad un’offerta del genere?
Per ripagarti del tuo aiuto…
Alt. Fermi.
Il sorriso che ho in volto si spegne. Vorrei che restasse, vorrei maledettamente guardarla negli occhi e dirle che, si, mi piacerebbe moltissimo. Che sono sei anni che non aspetto altro, che non me lo aspettavo proprio. Eppure non ci riesco, il sorriso si spegne, e non mi viene fuori uno straccio di parola di quello che ho pensato. Al contrario.
-Lily, non credo sia una buona idea- dice qualcuno.
Ci metto secoli a capire che sono io, quel qualcuno, ci metto così tanto che quasi non mi accorgo dello sguardo di lei, incendiato dalla rabbia e dall’offesa.
-la ronda è finita, Potter- esclama scattando verso il dormitorio, e lasciandomi solo come un ebete, con una faccia da ebete, con la mia figura da ebete.
-Lily!- grido dietro di lei. Niente, i passi non rimbombano nemmeno più nel corridoio, ormai è lontana.
Le gambe non mi reggono più. Sono uno stupido, eppure ho fatto la cosa giusta.
Ora, voi crederete che io sia un masochista, che mi piaccia prendermi a scudisciate nella schiena.
No, ma non uscirò mai con Lily Evans solo perché lei si sente in dovere di ripagarmi di qualcosa.
Io la amo, lei no. Fine della storia.

 

***


-allora cosa è successo con Lène?- chiede la voce di Remus, strappandomi dai miei pensieri, piuttosto cupi.
-perché tutti pensate che sia successo qualcosa con Lène?- chiedo disinvolto. Rem è appena rientrato, insieme a Pete. James dovrebbe rincasare tra un po’, dopo aver finito la ronda.
Frank, sul suo letto, legge un libro. Appena sente parlare Rem, si alza su un gomito.
-così, niente in particolare…- glissa Rem guardandomi storto. So che non sopporta il mio modo di fare con le ragazze. So anche che sa che io non sopporto il suo modo di fare con le ragazze –sembri giù, lei non ti guarda neanche più e tu ti porti a…-
-sempre meglio che guardare Emmeline da lontano con quegli occhi da lupo bastonato- lo rimbrotto io. So di essere stato gratuitamente cattivo, me ne pento subito dopo. In effetti, far del male a Remus è da bastardi. Lui è sempre gentile. Sento Frank e Pete tirare il fiato.
-ho capito, io non faccio domande a te e tu non ne fai a me- conclude lui. Sempre gentile. Maledettamente gentile, anche se gli ho appena fatto male. Quanto non lo sopporto quando fa così! Sto per ribattere quando James entra dalla porta, lentamente.
Lo guardo, so di dovergli delle scuse. So di doverle a tutti, in realtà.
Il mio migliore amico sembra sulle nuvole, tanto che non si accorge nemmeno di noi.
Si cambia, si mette il pigiama e poi va in bagno, tutto senza degnarci di uno sguardo. Io guardo Remus, Peter e Frank con un’espressione sorpresa.
-James, succede qualcosa?- chiede Paciock posando definitivamente il libro e sedendosi sul letto. È sempre stato sveglio, Frank, mi chiedo come faccia tutt’oggi a non accorgersi che Rem è un lupo mannaro. Se le cose fossero andate diversamente, lui sarebbe uno dei malandrini?
-Jamie?- domando io quando non sento più rumori in bagno. Mi alzo, apro la porta e lo guardo. È davanti al lavabo con occhi spiritati. Si spruzza d’acqua la faccia, si tira su e si guarda allo specchio. Poi ripete il tutto. Due volte.
-Jamie, un dissennatore ti ha baciato?- chiedo poi guardando i suoi occhi. Lui scrolla la testa. No.
-Mocciosus ti ha baciato?- chiede Remus dietro di me. Non mi rendo conto che tutti e tre gli altri sono ora alle mie spalle, e guardano James ripetere lo strano rituale del lavaggio della faccia.
-la Evans ti ha baciato?- chiede Frank appoggiandosi allo stipite della porta.
James smette di asciugarsi la faccia e ci guarda. Se la mia mandibola non fosse attaccata al mio cranio, sono certo sarebbe caduta. Poi James, piano, scuote la testa. Chiudo la bocca, seguito dagli altri tre.
-‘meade- borbotta James spingendoci da parte e dirigendosi al suo letto.
-andate insieme ad Hogsmeade?- chiede allora Wormtail.
James scuote la testa.
-allora non capisco tutte queste scene- esclamo io stufo di quella messinscena.
Rem mi guarda male, ho ceffato.
-la Evans mi ha chiesto di andare a Hogsmeade con lei- mormora James stupito dalle sue stesse parole. Si siede sul letto e ci guarda.
Frank e Pete boccheggiano, Remus ha l’aria di aver scoperto di essere l’erede universale di un ingente patrimonio. Io non so che faccia ho, non me la sento più.

 





Spero che la storia vi piaccia,
buona lettura, Hir

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Capitolo 6
*** il messaggio di Lord Voldemort ***


Hogwarts, 6 ottobre 1977
 
Max,
ti prego, dimmi che è uno scherzo. Almeno tu dimmi che è uno scherzo.
Mamma risponde alle mie lettere come se nulla fosse, glissando sulle mie domande su questo presunto fidanzamento; solo una volta mi ha scritto chiaro e tondo che si aspetta che io non la deluda. Papà non lo sento da quando sono partita. Almeno tu, rispondimi quello che voglio sentirmi dire.
Ho provato a parlare con Regulus, e Sirius ha perfettamente ragione, è il tirapiedi di Walburga.
La cara Walburga te la ricordi?
 
Cordialmente tua, Lène

 
 
 
Entro in compagnia di Sirius, Remus e Pete in sala grande, incontrando un chiacchiericcio allegro nella stanza. È normale, la gita ad Hogsmeade non è lontana, ed è la cosa che più assomiglia alla libertà in questa scuola.
Hogsmeade. Che terribile punto dolente.
Ieri Sirius per poco non mi ha fatto secco a suon di cuscinate, mentre ho sentito Remus urlare per la prima volta in vita sua. Frank ha iniziato a ridere e ridere fin da che ho preso a raccontare, Pete mi ha guardato per tutta la sera con occhi rassegnati.
-cioè, ma tu capisci- ha esclamato Sir ad un certo punto, lasciando per un po’ il cuscino da parte –io faccio il paiolo alla Evans sul come e sul perché dovrebbe uscire con te, urlandole in faccia tutto quello che mi passa per la testa, e poi tu le dici di no?-
-ma ti sei bevuto il cervello?- mi ha urlato invece Remus, del tutto fuori controllo –hai una minima idea di quello che costi a Lily lasciarsi andare così? Hai una minima idea di quanto le costi cambiare idea sulle persone?! Sei un idiota, James Potter, mi levo il cappello davanti a tanta idiozia! Dici di amare Lily Evans, ma in realtà non la conosci neanche. Sei un pallone gonfiato presuntuoso ed arrogante, Lily ha ragione a pensare di te quello che pensa. E d’altronde, forse è meglio che non usciate insieme, sei così stupido che saresti in grado di usarla come usi tutte le altre-.
Risultato, ora Remus non mi parla più. Nemmeno uno sguardo, nemmeno per sbaglio.
Eppure ho ragione io. Non ho la minima intenzione di uscire con lei solo perché sente di dovermi ripagare di qualcosa. Ho aspettato per sei anni, ma non per sentirmi dire che esce con me perché le faccio pena. Non ci penso minimamente, ne a chiedere scusa a lei, ne a chiedere scusa a lui.
Con uno sguardo sconsolato mi siedo vicino a Mary, che me ne rivolge uno a metà tra l’esasperato e il comico.
-come va?- mi chiede addentando il suo toast. Mi guardo intorno, ma ancora non la vedo.
-non è ancora scesa- mi dice allora Mary, scuotendo la testa –ne lei ne le altre. Stavano ancora dormendo quando sono scesa io-.
-capisco- rispondo allora.
-james, perché…?-
-non ora, Mary, non voglio proprio parlarne. Non ci sono novità con cui distrarsi?- le chiedo ben sapendo che lei sa sempre tutto, e ancora mi sfugge come faccia ad essere sempre così aggiornata.
-mi hai chiamato Mary, devi proprio essere sconvolto- annuisce lei –c’è una novità, James, e volevo chiederti un favore personale su questo…-
Mi blocco mentre sto imburrando la mia fetta di pane.
-è successo qualcosa?- chiede Remus, seduto al fianco di Sirius davanti a noi. È ancora arrabbiato, infatti non mi rivolge la parola ma guarda solo Mary.
-in effetti, abbiamo saputo perché Lène è così… così… così, ultimamente- commenta.
Vedo che non è per niente contenta. Sento Sirius irrigidirsi e alzo lo sguardo. Lo fisso nel suo, immobile, impassibile.
-beh, ha detto che tua madre e la sua sono sorelle, quindi mi chiedevo… si, insomma…- borbotta guardandomi –Dorea mi sembra una molto alla mano e… magari potrebbe fare qualcosa, parlare della situazione con tua Zia. Ho conosciuto Fidelma, e mi sembrava come Dorea, ma vedi, io non ce la vedo proprio tua madre a fare una cosa del genere mentre Fidelma invece l’ha fatto e mi chiedo perché e…-
-Mary, sputa il rospo e non girarci intorno, a mia Zia e a mia madre ci penso io- la blocco alla fine. Da quando in qua Mary McDonald gira intorno alle cose prima di dirtele?
-Lène è fidanzata- butta fuori alla fine. Io inarco un sopracciglio, non vedo dove sia tutto questo male.
-beh, è quel Jeremy di cui parlavate sempre? mi sembra anche l’ora che si metta in testa qualcosa di un po’ più serio- commenta Remus.
Adesso capisco perché Sirius non vuole nemmeno sentirmi parlare di lei. Beh, non gli sta troppo male, tutto considerato.
-no, non avete capito- scuote la testa Mary –si sposa a giugno, con qualcuno che, a quanto ne so, potrebbe anche non conoscere-.
-cosa?- chiediamo io e Remus contemporaneamente. A Peter va di traverso il succo di zucca, Sirius rimane fermo immobile. Alzo gli occhi su di lui, e noto che i suoi sono vuoti, come di vetro.
-suo padre e sua madre hanno concluso un fidanzamento, una di quelle cose che fate voi purosangue- sussurra lei, guardandomi –e poi tra noi c’è chi dice che i mostri sono i Sanguesporco-.
Lo dice con un tale disgusto da spingermi a guardarla negli occhi.
-scrivo alla mamma, immediatamente- le rispondo con un cenno affermativo. Effettivamente non posso che darle ragione.
-grazie, e fai in modo che questa cosa non si sappia- aggiunge.
-Mac, con chi è… insomma chi…-
-non ha voluto dircelo- risponde lei.

 
Scendiamo a colazione tutte e quattro insieme. Alice e Emm davanti, io e Lils dietro.
Ieri sera abbiamo parlato, tutte e cinque.
Sono rimasta scioccata, da quello che mi ha detto Lils.
Cioè, io sono rimasta talmente concentrata sui miei pensieri da non accorgermi che la mia migliore amica sta cedendo dopo sei anni di patimenti alla corte di James Potter, tra l’altro proprio quando lui non fa più niente?
E con niente intendo niente più striscioni in sala comune, niente gufi che piovono in sala grande con mazzi di rose incantate che si moltiplicano quando lei le tocca, niente dichiarazioni nel bel mezzo del corridoio, niente serenate in piedi sul banco davanti alla McGrannitt, a trasfigurazione?
È l’ora che io mi svegli, mi dico. Non ci sono solo i miei, di problemi, a questo mondo.
Per questo ostento un mezzo sorriso, scendendo. Tengo per mano Lils, che sembra normale, ma chiunque riuscirebbe a vedere il fondo di rabbia nei suoi occhi, se lo cercasse.
Alice si dirige verso Mary, e noi le andiamo dietro. Troppo tardi mi accorgo delle persone accanto a lei. Faccio il giro della tavola e mi siedo accanto a Rem, e Lils mi segue. Sento tutti gli occhi puntati su di me, ma d’altronde li sento da un bel po’ di tempo ormai, vorrei tanto non farci più caso.
Mi stupisce, il silenzio che c’è tra i malandrini, come se avessimo interrotto qualcosa. Lils non alza lo sguardo dalla sua tazza di tè, si limita a sorseggiarne un po’ e poi la rimette al suo posto.
James da una gomitata a Mary e sento Remus trattenere uno sbuffo.
-oggi abbiamo l’allenamento, Lils- esclama Mary in tono vivace verso la nostra migliore amica.
-bene- sussurra lei in risposta, senza ancora alzare lo sguardo.
Ripiombiamo nel silenzio.
-Lène, andiamo a vederli?- mi chiede Emmeline, alzando la voce per farsi sentire.
Rispondo con un cenno del capo, affermativo. Magari riesco un po’ a distrarmi.
Il silenzio torna a invadere questa parte della tavolata, almeno fino a che non arriva Frank, che prende posto accanto ad Alice.
-allora, tutti pronti per due ore di Pozioni e due di Erbologia?- chiede tutto pimpante. Vedo che sposta lo sguardo da Lily a James, che fanno di tutto per non guardarsi, e sorride. Mi chiedo perché si stia divertendo così tanto.
-non vedevamo l’ora- rispondo tentando un sorriso. Finalmente, qualcosa che assomiglia ad una smorfia mi si disegna in volto… effettivamente, da quando ho detto tutto, o quasi, alle altre un piccolo peso mi si è tolto dallo stomaco. Mi rendo conto, ora, di essere più leggera.
-chissà che cosa faremo oggi, l’altra volta Lumacorno parlava della Felicis, alla fine della lezione-.
-uff, speravo fosse qualcosa di più interessante- borbotto sbuffando.
-la Felix Felicis non sarebbe interessante?- chiede James alzando lo sguardo per la prima volta da che siamo arrivati. Lils, al mio fianco, si irrigidisce, e Remus lo guarda male.
Lo guarda male? Non è da Remus, proprio no.
-ho detto che vorrei …-
Un frullio d’ali mi interrompe. Un gufo è planato davanti a me, subito seguito da un gufo maculato che si appoggia con grazia sul tavolo davanti a Lils. Vedo che regge la gazzetta, volto lo sguardo verso il mio.
Una lettera, riesco a distinguere la calligrafia. Max.

 
Doolin, 7 ottobre 1977
 
Lène, ti prego, non complicare le cose.
Devi farlo, per una volta in vita tua fa ciò che ci si aspetta da te.
Si, ricordo Walburga, sono stato io a suggerire Regulus Black, ma l’ho fatto per te. Mi pareva che da piccoli andaste molto d’accordo, tra l’altro sei con lui ad Hogwarts e questo ti permetterà di conoscerlo meglio.
Ci sono persone a cui è andata peggio.
Smettila di piangerti addosso, è per il tuo bene.
Sentitamente tuo,
Max
 

Leggo la lettera e mi si gela il sangue nelle vene. Chi diavolo ha fatto il lavaggio del cervello alla mia famiglia? Questo non è mio fratello! Lui suggerire Regulus Black? Ma se non lo sopporta! È sempre stato dalla parte di Sirius.
Alzo lo sguardo verso il tavolo dei serpeverde, vedo Regulus che mi sta guardando. Abbassa lo sguardo subito dopo, e mi dico che anche lui non se la deve passare bene. Insomma, la sua famiglia lo ha promesso ad una grifondoro, pur sempre purosangue, ma grifondoro. Chi se lo sarebbe mai aspettato dalla cara Walburga?
Non faccio in tempo a pensare altro, che un altro gufo raggiunge il primo, affiancandolo.
È un gufo reale, uno splendido animale nero come la notte, con due occhi gialli grandi e splendenti.
Mi porge educatamente la zampa.
-chi ti scrive, Lène?- mi chiede Mary dall’altro lato del tavolo. Per un attimo mi sono dimenticata di avere compagnia. Copro la lettera di Max prima che Lils possa leggerla, ma mi rendo conto che la mia migliore amica è troppo occupata a guardare la Gazzetta per avere interesse per me. Meglio.
-mio fratello- sussurro ancora ghiacciata dalla lettera di Max.
-e quel gufo?- mi chiede Alice allungando una mano –è veramente bellissimo-.
Si sporge per accarezzarlo, ma il gufo la guarda e riprende il volo, senza avvicinarsi a lei.
La vedo perplessa.
-un gufo con la puzza sotto il naso?- ridacchia James sfilando la sua posta dal suo gufo.
Io mi affretto ad aprire la mia lettera, fissando le lettere del mio nome scritte in una delle più eleganti calligrafie che io abbia mai visto.
Ed è tutto dire, visto che sono cresciuta nell’ Elegante Clan Purosangue dei McKinnon d’Irlanda.
Fisso poi il sigillo. Una “W” molto elaborata fa bella mostra di se, incisa nella cera. La spezzo in due, aprendo la lettera.
 

Londra, 07 ottobre 1977
 
Signorina McKinnon,
con la presente spero di trovarti in buona salute.
So, da tua madre, che hai già ricevuto la notizia. Spero tu ti renda conto dell’immenso onore che ti concedo, promettendoti in sposo il Mio unico figlio.
Regulus mi dice che a Hogwarts hai compagnie poco raccomandabili, sudici Sanguesporco e Babbanofili.
Non ho intenzione di permetterti di infangare in questo modo il nome dei Black, quindi mi aspetto che tu passi più tempo con mio figlio e molto meno con quei tuoi luridi amici.
Era ora che mettessi la testa a posto e ti decidessi a crescere.
 
Walburga Black

 
 
Se la lettera di Max mi ha stupito, questa mi fa letteralmente cadere le braccia dallo sconforto. Mi rendo a malapena conto dell’ “onore” che Walburga Black pensa di avermi concesso scrivendomi, e non faccio nemmeno tempo a riprendermi quando sento Lils trasalire al mio fianco.
-per Godric, Lène, guarda qui- sussurra poi. Mi volto, guardandola porgermi il giornale.
Lo guardo, vedo le foto in bianco e nero di una villa in un bosco fitto. E vicino un titolone di almeno cinque centimetri.
Il giorno degli orrori 2, la vendetta?

 
 
Guardo la McKinnon aprire la prima lettera, e assisto imperterrito quando impallidisce leggermente. Il secondo gufo che arriva, invece, fa impallidire me.
È Phineas, il gufo di Grimmauld Place.
Ovviamente anche gli animali devono essere all’altezza, in quella casa maledetta.
Mi sto alzando per lasciare la tavola quando sento la Evans sussultare. Vedo Marlene richiudere la lettera e gettarla nella borsa, poi afferrare il giornale di Lily. Come tutti, mi sporgo per leggere.
 
Il 5 ottobre, sul far della sera, il Marchio Nero è stato avvistato in mezzo ad un bosco del Pembrokeshire, nella tenuta di una delle più importanti famiglie del mondo magico, i Bones.
Nella casa, un’antica villa risalente al 1200, sono stati ritrovati i corpi di tredici maghi recanti segni di maledizioni.
 
È con rammarico che annunciamo la morte dei seguenti maghi e streghe.
 
Artemisia Bones
Frederick Bones
Ines Crouch
George Fenwick
Amanda Hossas
Gregory Lynch
Verity Bones in Lynch
Elettra McGonagall
Percival McKenzie
Marcus Paciock
Sarah Prewett
Barny Weasley
Zorae Mitchell in Weasley
 
Vedo James guardarmi con occhi spiritati. Buona parte di questa gente, anche se non l’abbiamo mai vista di persona, è nostra parente. E tutti, sottolineo tutti, sono purosangue.
Ogni singola persona della lista è, o meglio era, purosangue.
Forse è la prima volta, da che è iniziata questa guerra, che mi rendo conto di tutto questo orrore. Prima, egoisticamente, pensavo si che fosse brutta, ma non così sporca e sudicia come la sento adesso. Ero lontano, che me ne importava se gente senza nomi ne volti soffriva e moriva?
Penso di capire, ora, Lily Evans ed Emmeline Vance, che tengono il conto delle vittime sperando di non trovarci, un giorno o l’altro, i nomi dei loro genitori, dei loro fratelli e delle loro sorelle.
-oh, no…- sento sussurrare dalla Evans. Non sono l’unico che alza lo sguardo su di lei, chiedendomi che ci possa essere di peggio di queste orribili notizie. La vedo puntare il lungo indice affusolato sulla stessa pagina, poco più sotto dell’articolo che abbiamo letto.
 
Famiglie babbane sterminate nel Midlothian, a poche miglia dalla città di Edimburgo. Il Marchio Nero fa la sua apparizione anche nelle isole Orcadi e nei dintorni di Birmigham.
Il numero dei babbani morti questa notte sale spaventosamente se si calcola anche una famiglia morta in circostanze misteriose nel Londinese. Gli Auror del ministero indagano.
 
Credo che la cosa si stia mettendo parecchio male.
Babbani sterminati a fiotti, maghi e streghe trucidati. E purosangue, questa è una svolta drammatica.
Perché si sapeva che i Bones non appoggiavano l’operato di Voldemort, così come gli Hossas.
Il messaggio è chiaro: chiunque si opponga a me verrà cancellato dalla faccia della terra.

 
 
 
 
Il mondo magico è in ginocchio, non c’è altro modo per definire la situazione.
Vedo Marlene McKinnon guardarmi, e intanto passo con le dita tra il soffice piumaggio di Ursula, uno dei gufi della mia famiglia. L’altro, Phineas, ha appena spiccato il volo dal tavolo dei grifondoro, non appena quella Prewett ha cercato di accarezzarlo.
Sono strani, gli amici di mio fratello… ma d’altronde, sono amici di mio fratello, il che dice tutto.
-Black, mi passi il succo di zucca?- mi chiede Piton alzando appena lo sguardo dal Profeta. Lo guardo, prendo il succo e glielo passo, il tutto prima di prendere la lettera di mia madre dalla zampa di Ursula.
Niente di nuovo da casa, mia madre dice solamente che ha scritto a Marlene per “darle il benvenuto in famiglia”. Tsk, mi immagino, il benvenuto che può dare mia madre ad una grifondoro.
Penso che non mi avrebbe mai promesso in matrimonio a Marlene, se non avesse ricevuto ordini dall’alto. Perlomeno, penso, sono i McKinnon e non i Prewett.
Tsk, Babbanofili, farsi beccare in fragrante dal signore oscuro in una riunione a casa dei Bones. Solo loro potevano fare una cosa simile… mi chiedo perché le persone si ostinino ad andare controvento.
In merito a questa mia riflessione, alzo lo sguardo verso l’altro Black, quello venuto male (o fin troppo bene, a seconda dei punti di vista), seduto al tavolo dei grifondoro e intento a fissare il giornale da sopra la spalla della caposcuola Evans.
Lui è il primo, ad andare controvento. Palladino della giustizia, certo.
-Black, mi passi il burro?- mi chiede ancora Piton. Soffoco uno sbuffo, Severus è l’unico che ultimamente mi rivolge la parola, insieme a Bella.
Senza dire nulla gli passo il piattino del burro. Quando i miei “amici” serpeverde hanno saputo che avrei sposato una grifondoro hanno iniziato a bersagliarmi di frecciatine, per questo rivolgo loro la parola il meno possibile. Severus non lo fa mai, e vorrei ben vedere, è stato amico della Evans per anni!
Bella è un’altra questione, completamente. Ultimamente sembra che mi adori, ma so bene da cosa dipende tutta questa stima che sembra avere per me.
Da quando Meda e Sirius sono stati bruciati ce la intendiamo un po’ di più. E poi anche lei si sposa, con quell’idiota di Rodolphus Lestrange. Se almeno avesse scelto Rabastan, che è scaltro e piuttosto versato negli incantesimi, la capirei. Ma credo che lei abbia avuto tutta la scelta che ho avuto io, più o meno zero.
Ci sono persone che per la famiglia farebbero di tutto.
Quando nasci Black, questo tutto è già compreso nel pacchetto, altrimenti fai la fine di mio fratello.
Bruciato.

 
Nota dell’autrice:
ed ecco qui che per la prima volta abbiamo anche il punto di vista di Regulus. Questo capitolo non è certo il massimo, ma il prossimo è già quasi pronto e molto più pieno.
Spero sia una buona lettura,
Hir

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Capitolo 7
*** quel giorno in cui James Potter non uscì con Lily Evans! ***


La lezione è appena finita, e con un sospiro rimetto nella borsa tutte le mie cose. Accanto a me, Black mi rivolge un’occhiata fugace ogni tanto, come se mi volesse dire qualcosa, ma sembra ripensarci. Ultimamente è strano, specialmente se c’è Lène intorno, ma da ieri mattina è ancora più strano. Mi chiedo se nell’elenco dei maghi morti ci fosse qualcuno di sua conoscenza, magari un parente alla lontana, o un amico.
-Lily- una voce mi sorprende riscuotendomi dai miei pensieri. Non la sento spesso, questo è certo.
Dal banco di Emmeline si alza un ragazzo. È alto, ha i capelli biondi e piuttosto lunghi e occhi scuri piuttosto profondi.
-Greg, che piacere vederti- rispondo al suo saluto. Io e Greg siamo più o meno amici. È un prefetto corvonero, Gregory Boot.
-anche per me- risponde con un sorriso. È gentile, simpatico e carino –senti, Andrew mi ha detto che hanno rinviato gli allenamenti di quidditch della nostra squadra, quindi mi chiedevo se ti andasse di andare a Hogsmeade insieme-.
Sussulto e tossisco, sentendo Lène raggiungermi e battermi tranquillamente la mano sulla schiena.
-sicuramente Lils non vede l’ora, vero cara?- Lène fa una strana occhiata obliqua, prima di sorridermi suadente.
-certo…- rispondo piano riprendendomi –mi farebbe piacere-.
In realtà no, non mi farebbe piacere. Alice va a Hogsmeade con Frank, Mary con Paul. Emmeline resta a scuola a studiare Cura delle Creature Magiche, un corso che io non seguo più. Pensavo di uscire insieme a Lène, qualcosa di tranquillo per sgombrarmi la mente e magari strapparle la verità su lei e Sirius Black.
E dimenticare il secco rifiuto di quel cretino di Potter.
-bene, allora ti passo a prendere dal vostro ritratto sabato alle dieci- conclude lui soddisfatto. Poi fa una smorfia contrita –Merlino, ora ho erbologia! Ci vediamo, Lils!-.
-si, ci vediamo- rispondo distrattamente, intenta a guardare la porta. James Potter è appena uscito.

 
-sir, andiamo, faremo tardi a Pozioni-
Sussulto quando sento James prendermi per un braccio. Bene, è ora di muovermi.
È ovvio che James ha appena sentito la risposta che Lily ha dato a Boot, ma non può dire niente, altrimenti Remus sarebbe capace di ammazzarlo. Non lo avevo mai visto così arrabbiato.
Quando entriamo e prendiamo posto nei nostri soliti banchi vedo la chioma scura di Marlene ondeggiarmi davanti agli occhi, e mi rendo conto che lei e Mary si sono sedute davanti a me. Sposto lo sguardo, per accorgermi che Lily e la Vance sono sedute nel banco affianco al loro, davanti a Remus. Dall’incidente, se così vogliamo chiamarlo, con la polvere di corno di Erumpent, è la prima volta che si cambiano i posti a Pozioni.
Sento la voce di Mary McDonald, so con chi sta parlando quindi mi metto bene in ascolto.
Ok, se qualcuno andasse a dire a Marlene McKinnon quello che ho appena pensato, negherei fino alla morte e poi crucerei l’impiccione in questione.
–alla fine hai deciso con chi andare a Hogsmeade? Con quel Mitch, poi? O era David? No, forse quello che intendo io è Michael-.
E dove era finito Jeremy? Me ne sono perso un pezzo.
-con nessuno dei tre, resto qui- dichiara la McKinnon. Per un attimo la vedo girarsi verso di me, e io mi tuffo nella borsa a cercare gli ingredienti.
-qui? A Hogwarts?- chiede Mary.
-no, qui a Pozioni- la prende in giro Lène con un sorriso beffardo. Si spegne subito, noto, alzando lo sguardo –devo fare una cosa-.
-che cosa?-
-studiare- risponde velocemente.
-si, studiane un’altra- ribatte la McDonald.
-tengo compagnia a Emmeline-
-Emmeline non vuole compagnia- ribatte ancora Mary.
-il quidditch- prova ancora la McKinnon.
-mm… e cosa fai, la mazza?- chiede Mary interessata.
-e va bene, è per un ragazzo- sussurra Lène piano. il mio cuore salta un battito… il mio cuore? Merlino, come sto diventando sentimentale.
-resti a Hogwarts per fare qualcosa con un ragazzo…- ribadisce Mary, sussurrando anche lei con fare da cospiratrice. Dopo un po’, la guarda e dice –Lène, tu fai cose con i ragazzi anche fuori da Hogwarts, non mi sembra sia mai stato un problema, per te-.
-taci, Mary. Non voglio che tutti sappiano dei miei affari- la blocca dandole uno scappellotto sulla nuca. La McDonald borbotta –e comunque, questo è importante-.
Questa volta il mio cuore perde davvero un battito. Non può giudicare Regulus importante, mi rifiuto di pensarlo.
-Lène?-
-si?- chiede in un sussurro la McKinnon alla McDonald.
-lascialo- dice d’un tratto la McDonald. Lène sta in silenzio.
-perché?- chiede ad un tratto.
-non ti ho mai visto così infelice, e se è per colpa sua, giuro che lo uccido, chiunque esso sia-.
Se vuole le do una mano.

 
HOGWARTS, 12 ottobre 1977
 
Chiunque abbia detto che amare è voler vedere felice la persona amata senza egoismo ha detto un mare di palle, o almeno questo è il mio modesto parere, signori.
Lo so, come mi ha gentilmente fatto notare Rem, non ho alcun diritto di dire una cosa del genere. Stiamo facendo colazione, sto imburrando una fetta di pane mentre cerco di sbirciare la foto che Sirius ha tra le mani e di non pensare al fatto che tra meno di un’ora Lily Evans –la mia Lily Evans!- uscirà con quel cretino di George Boot o come diavolo si chiama. E cerco anche di non pensare, signori miei, che sarebbe potuto andare tutto diversamente se non avessi mandato tutto a rotoli… ovviamente, però, i miei tentativi di non pensarci sono solo enormi buchi nell’acqua, soprattutto quando ho accanto un Remus particolarmente vivace che mi sussurra all’orecchio di quando in quando.
-pensa, James, tra poco saremo a Mielandia- prende a mormorare ora –lo sai che li fanno degli Zuccotti con la Z maiuscola?-.
Lo guardo male, come se tutti e due non sapessimo che gli zuccotti sono in assoluto i dolci preferiti di Lily.
-davvero Rem?- chiedo fingendo un tono disinvolto –peccato che gli zuccotti non mi piacciano-.
-e lo sai che le burrobirre di Madama Rosmerta sono le più buone in assoluto?- domanda ancora con fare da cospiratore mentre finge di ignorarmi. Dopo qualche attimo aggiunge –peccato che Rosmerta abbia quei boccali così scivolosi, è piuttosto facile farli cadere-.
Lo guardo, poi mi accorgo che mi sta fissando per capire la mia reazione e riporto il mio sguardo su Sirius, tutto intento a strapazzarsi la sua fotografia. Maledetto Remus, mi ha appena riportato alla mente l’episodio a Hogsmeade dello scorso anno, quando ai Tre Manici di Scopa sono riuscito per la prima volta in vita mia a sedermi vicino a Lily. Ovviamente ho rovinato subito tutto, versandole addosso non solo la mia, ma anche la sua burrobirra, ancora quasi bollente, cosa per cui ho fatto perdere al grifondoro cinquanta punti.
-e lo sai che…- sussurra ancora, ma non fa in tempo a finire che Sirius lo interrompe.
-James- esclama ad un certo punto il mio migliore amico –Remus, Pete, guardate che bella la mia ragazza!-.
Tra noi quattro malandrini è calato un silenzio innaturale. Anche Remus tace, i suoi propositi di farmi rodere il fegato completamente dimenticati. E questa chi se l’aspettava?
Sirius Orion Black, il rampollo diseredato della nobile e antichissima casata dei Black, quello che ha la stanza tappezzata di giovani babbane attraenti e in vesti succinte, che nell’ultimo mese ha girato più ragazze che in sei anni in questa scuola, ci vuole presentare la sua ragazza.
Lo guardo stringere la foto tra le mani come fosse un tesoro raro, un bene inestimabile. Poi, con lentezza e delicatezza, la gira, mettendo in mostra il ritratto.
Ora, ragazza è una parola grossa.
A Remus è scesa la mandibola fino a terra, mentre Pete guarda Sirius con aria disperata.
-è… piccola- commento io quando vedo il mio migliore amico distendere il volto in un sorriso che va da orecchio ad orecchio.
-è strana- dichiara Remus –carini i capelli di… che colore è, esattamente?-
-ceruleo- risponde la voce di Mary, dietro di noi.
-si, proprio carina Sir- si intromette Alice raggiungendoci e sedendosi davanti a Remus –soprattutto gli occhi, mooooolto particolari-
-beh, il rosso sangue va di moda- ribatte Mary –poi sono io quella che ha la fissa degli immaturi, eh, Black?-
-immaturi? Ma se ha al massimo…- cerca di ribattere.
-cos’è, Black, hai finito tutte le diciassettenni sulla piazza?- chiede una Marlene McKinnon alquanto acida sorpassandoci e sedendosi accanto a Alice. Vicino a lei, Lily si accomoda tenendo lo sguardo ben fisso al suo piatto. L’imbarazzo tra noi è ancora alle stelle, non abbiamo più parlato se non quando è strettamente necessario, come alle riunioni dei prefetti.
Chissà come, ogni volta che con lei faccio un passo avanti mi ritrovo catapultato tre indietro. Non è normale, no?

 
 
-cos’è, Black, hai finito tutte le diciassettenni sulla piazza?-.
La sua voce mi fa mancare il fiato. Alzo gli occhi per incontrare i suoi, freddi e scurissimi, che mi guardano maligni.
La guardo glaciale, cercando di infondere nel mio sguardo ogni libbra di disprezzo che vorrei comunicarle.
-cos’è, McKinnon, invidiosa di non esserci più, sulla piazza?- chiedo freddamente continuando a guardarla. È una sfida, questa, come tutto il resto in questa maledettissima vita.
Mi guarda, sembra una regina con il mento fiero alzato e gli occhi così scuri da parere pozzi profondi che stillano acidità come una fontana stilla acqua. I tratti nobili, in parte ereditati dai Black, aiutano il tutto. Trovo che sia bella come non mai, stamani, con i capelli raccolti in una coda di cavallo che le arriva poco più in alto della vita. Intorno a noi, ormai, c’è solo silenzio.
Non mi risponde, si limita ad osservarmi sempre più fredda e pallida. Noto che è più smunta, ultimamente.
Così pallida che le labbra sono quasi cianotiche, così bella che ho quasi la tentazione di baciarla, lì, davanti alla sala grande, davanti a James e a Lily, che mi ammazzerebbe, e a mio fratello, che mi resusciterebbe solo per uccidermi di nuovo.
Ok, sto decisamente perdendo il controllo sulla mia mente.
Invece di fare quello che mi suggerisce il mio cervello, mi alzo, e ci metto tutta la forza di volontà che possiedo.
Mi alzo con tutto il garbo e l’eleganza che la mia infelice famiglia mi ha insegnato, mi volto e me ne vado.

 
 
HOGSMEADE, 12 ottobre 1977
 
Ok, mettiamo bene in chiaro una cosa!
Io Marlene McKinnon la odio.
E non sopporto nemmeno Gregory Boot. Benedetto ragazzo, parla di quidditch e basta! Da quando ha saputo, poi, che sono la nuova cercatrice grifondoro non la pianta un attimo di fare domande.
Ora si è lanciato in un appassionante resoconto della partitella che hanno giocato lui e due suoi cugini alla fine dell’estate.
-andiamo ai tre manici di scopa, ti va?- chiedo cercando di interromperlo. Siamo appena usciti da Zonko, e il freddo mi fa stare male. Lui annuisce continuando a parlare come niente fosse. Ovviamente non lo ascolto più da un pezzo. Dentro, un piacevole tepore ci avvolge.
-cosa prendi, Lils?- mi chiede smettendo per mezzo secondo di parlare del suo ennesimo giro della morte.
-una cioccolata calda, grazie. Vado a cercare un posto a sedere- dico senza nemmeno guardarlo. Mi aggiro nel locale, i tavoli sono tutti occupati. Mi sono quasi rassegnata ad andare al banco quando un grido attira la mia attenzione.
-Lils, di qua, siediti qui con noi!- è la voce di Mary.
Alzo lo sguardo, e incontro i visi contenti di Alice e Mary, sedute vicino ad un esasperato Frank e a tre malandrini sorridenti. Sirius Black è il grande assente.
Oddio, no, a quel tavolo c’è James Potter.
-dove è Paul?- chiedo a Mary raggiungendoli, per sviare l’attenzione dal mio viso rosso fuoco.
-aveva le gobbiglie, quindi è andato via poco fa- risponde con un sorriso –dove è Boot?-
-a prendere da bere- con una smorfia mi faccio cadere su una sedia libera –ricordami di uccidere Lène-.
-Lène?- chiede Alice sbalordita.
-si, esattamente. Lène. Sai, alta più o meno così- e faccio un segno all’altezza della mia testa –capelli scuri, occhi scuri, cuore di pietra…-
-muso lungo, ultimamente…- annuisce Mary per farmi vedere che ha capito.
-si, esatto, proprio lei- rispondo mentre vedo Boot che viene verso il tavolo, dopo avermi individuato.
Cerco di fargli un sorriso, anche piccolo piccolo, ma esce solo una smorfia. Povero ragazzo, ho come l’idea che se non si interesserà a qualcosa che non sia il quidditch il suo essere piuttosto carino non gli servirà a molto.
Poi noto Potter, vedo che mi sta guardando con occhi spiritati e intuisco, da come abbassa lo sguardo,  che lo stia facendo da parecchio tempo. Allora mi volto verso Boot e gli faccio un sorriso a trentadue denti, chiamandolo con la mano.
-vieni, Greg, siediti qui, c’è posto vicino a me!-

 
HOGWARTS
 
Sirius Black, idiota.
Idiota che non è altro.
Grandissimo pezzo di idiota surgelato, figlio di una donna ancora più idiota che non riuscirò mai a rispettare, e di quel gran pezzo di idiota che è suo padre, che è riuscito a farsi scappare un figlio del genere.
Non riesco a pensare ad altro mentre cammino per il corridoio fuori dal ritratto, catapultandomi verso l’ingresso.
Oggi sono andati tutti a Hogsmeade. I malandrini al completo e anche le mie amiche, tranne Emmeline che non uscirà per tutto il giorno dalla biblioteca. Io ho altro da fare, purtroppo.
Tra meno di mezz’ora ho appuntamento con Regulus, spero solo che mi dia buca. È il terzo, da quando ho ricevuto la lettera, ma ho insistito perché questi incontri ci fossero. Quanto io trovi interessante Regulus Black è tutto dire, dal momento che anche se ho insistito tanto perché avvenissero questi incontri sono qui che incrocio le dita sperando che mi dia buca.
Non assomiglia per niente a quell’idiota di suo fratello, laddove Sir mostra spina dorsale Regulus mostra in tutto e per tutto di essere la serpe che è. Striscia dietro alla sua famiglia, sperando di essere abbastanza, cercando di essere abbastanza.
Mi fa pena, questo è vero. Penso che se fosse cresciuto in grifondoro, con suo fratello, sarebbe diventato diverso. Con i se e con i ma, purtroppo, non si va da nessuna parte.
Sono al terzo piano, scendo le scale per andare al secondo. Un luccichio improvviso attira la mia attenzione, nell’alcova dietro alla statua di merlino. Sorrido appena, qualcuno si sarà appartato… beati loro che possono.

 
L’alcova dietro alla statua di merlino è il posto migliore in cui appartarsi. Se si presta sufficiente attenzione si può guardare senza essere visti… ovviamente, però, non sto di certo prestando attenzione, al momento.
Vorrei vedere voi, tra le grinfie di una grifondoro (e che grifondoro!) presa dall’impeto della passione!
Sento la sua mano arrivare ai bottoni della mia camicia, sbottonarli con lentezza, uno per volta, per passare le lunghe dita affusolate sul mio petto, poi sul torace.
Ok, lo ammetto, non mi ricordo come si chiama… qualcosa con la D, comunque.
Era l’unica in sala comune, prima, le altre o sono troppo piccole o sono andate ad Hogsmeade.
Anche io dovrei essere ad Hogsmeade, ma sono rimasto perché in teoria dovrei studiare… in pratica sono nell’alcova con una bella ragazza, ma questo non mi pare il caso di farlo sapere a tutti.
Sento dei passi, non mi preoccupo, se non fosse che non riesco minimamente a concentrarmi su baci e carezze. Insomma, in genere se sei impegnato in questo senso con una ragazza, il rumore dei passi non lo senti nemmeno, troppo preso dagli ormoni, no?
Invece non riesco che a sentire i passi degli altri, e a dirmi che questa Danine, o Danielle, ha le labbra troppo dure, la lingua troppo secca, le mani troppo veloci e ruvide, il collo troppo corto ed è troppo bassa.
Mi fermo, all’improvviso, cercando di scrollarmela di dosso. Lei sembra non rendersene conto.
Aumenta la sua presa su di me, la mano sinistra sul mio fianco. Io le porto le mani al petto, con tutta l’intenzione di spingerla da parte, di allontanarla ancora, ma quella sembra non capire e si struscia su di me ancora di più.
-basta…- ansimo ad un certo punto, stremato da questo non molto fine lottare.
-cosa?- chiede lei sussurrando e lasciandomi per un attimo le labbra. La guardo, non è una brutta ragazza, effettivamente. Piena nelle forme, ha morbidi occhi castani, nella norma.
-non voglio più- rispondo cercando di riprendere fiato e allontanandomi da lei.
Lei mi guarda, gli occhi spalancati. Sembra quasi che stia per scoppiare in lacrime, mi dico.
-perché?- domanda sottovoce.
La guardo, i tratti dolci del viso, le guance rosee e piene, i capelli castani, le sopracciglia marcate.
E all’improvviso capisco.
Il problema sono le sopracciglia.
Non hai le sue sopracciglia, penso.
È solo quando la vedo sbiancare, quando sento la sua spinta contro la statua di Merlino e il rumore dei suoi passi che si allontanano che mi rendo conto di aver espresso l’ultimo pensiero a voce bassa, sussurrata.
Mi volto verso il punto in cui è scomparsa, girando l’angolo.
Mi accorgo solo adesso di una figura alta, dritta e fiera davanti alle scale.
Le sue sopracciglia, quelle giuste, sono appena inarcate, per il resto mi guarda impassibile. E impassibile si volta e continua a scendere le scale, come se non avesse visto nulla.
Con una risata amara mi appoggio alla statua e, alzando lo sguardo, ho tutto il tempo di vedere Merlino che mi guarda dalla sua posa marmorea.
È la mia immaginazione, o il suo sguardo è deluso?

 
HOGSMEADE
 
-ho visto Boot entrare da Zonko, tu non dovevi comprare quei fuochi con innesto ad acqua? Perché non entriamo anche noi?- mi chiede Remus ad un certo punto, un’ora e mezza dopo aver lasciato Hogwarts e il suo calore. Ho come la sensazione che la pelle mi si staccherà dal freddo, tra un po’.
-i fuochi!- esclamo prendendo Remus per il colletto e dirigendomi verso Zonko. Sento Pete zampettare dietro di noi, cercando di tenere il passo.
Ovviamente non me ne frega allegramente una mazza dei fuochi Filibuster, ma già che ci sono prendo
un piccione con due fave, come dicono i babbani!
Li guardo da lontano, dietro uno scaffale. Lily ogni tanto accenna un sorriso, si guarda attorno, sorride di nuovo e dice un paio di parole. Quell’altro, Gep, non smette un attimo di parlarle, ogni tanto le mette un braccio intorno alle spalle, fa gesti in aria come a imitare qualcuno che vola e continua a parlare, e a parlare, e a parlare.
Mi chiedo se a Lily piacciano le persone che parlano tanto, in questo caso andrebbe d’accordissimo con Sirius, che spesso parla solo per dare aria alla lingua.
-lo sai che sembri un maniaco?- mi chiede Remus. Lo guardo, offeso.
-non è vero- rispondo.
-si che è vero, la stai spiando da dietro uno scaffale dopo aver rifiutato un suo invito ad Hogsmeade- commenta lui.
-guarda che lei non voleva venire ad Hogsmeade con me- gli spiego per la cento trentatreesima volta da che ho rifiutato la proposta di Lily –si sentiva solo obbligata-.
Lui sbuffa, scrollando le spalle.
-quindi, scusa- riprende –hai intenzione di uscire con Lily Evans solo quando la vedrai lusingata all’idea di uscire con te?-.
Annuisco, contento che abbia capito.
-sai, i Malandrini non sono più divertenti come erano una volta- risponde –ma tu sei sempre il solito arrogante. Io vado da Rosmerta- aggiunge infine.
Sbuffo, guardo Lily, guardo Remus.
Guardo Remus, guardo Lily.
Guardo Gesh, vedo che Lily si è appena scrollata una sua mano da una spalla e mi tranquillizzo.
Seguo Remus.
 
Entriamo ai Tre Manici di Scopa e benedico Rosmerta a gran voce per il caldo che regna nel suo piccolo reame. Il locale non è ancora molto pieno, per di più gli avventori sono gli abitanti di Hogsmeade che scendono al pub in attesa di novità da Hogwarts. Vedo alcuni ragazzi che parlano al bancone con il padre di Rosmerta, Evan, e poco lontano da lui vedo sua figlia.
Non me ne vogliate se vi dico che Evan ha una figlia di tutto rispetto, dico solo la verità!
Ci avviciniamo al bancone e tutti e tre facciamo gli occhioni dolci alla ragazza, non solo perché è una bella ragazza, ma perché…
-no, non se ne parla neanche!- esclama vedendoci arrivare con la faccia di cani bastonati –toglietevelo dalla testa-.
-ma dai, Rosmerta, quanto ti costa!?- chiedo io cercando di ingraziarmela in tutti i modi –lo sai che i tuoi occhi splendono oggi?-.
-si, Potter, ci scommetto- annuisce lei –ma la risposta resta no-.
-beh, Rosmerta, potresti darcene uno in tre- cerca di convincerla Remus –e comunque sei davvero bella, hai fatto qualcosa ai capelli?-.
-non posso Lupin, nemmeno uno in cinquanta- ribadisce –e no, non ho fatto niente ai capelli, sono come tutte le altre volte-.
-eddai, Rosmerta, mezzo, solo un sorso- continua Peter –la tua veste è proprio elegante e…-
-Minus, non ve ne darei nemmeno se quel dongiovanni di Black mi chiedesse in ginocchio di uscire- ribatte alla fine, sperando così di chiudere il discorso –niente whisky incendiario per voi-.
-vergognatevi- esclama una voce dietro di noi. Mi volto, e vedo Mac ammiccare al mio indirizzo, abbracciata ad un allampanato tizio biondastro. Immagino sia il famoso Paul di Tassorosso.
-ehi, Mac- saluto –non faccia il Prefetto, signorina McDonald. Non ci presenta il suo amico?-.
Mac arrossisce di botto, si volta verso Paul e poi verso di noi.
-lui è Paul Grentorn, loro sono James Potter, Remus Lupin e Peter Minus- ci presenta allora, poi indica un tavolo poco distante –ci sediamo tutti insieme?-.
 
Oddio, la Evans è appena entrata e, per Merlino, noto che è sempre più bella quando mi compare davanti inaspettatamente. Ha le gote arrossate dallo sbalzo di temperatura, gli occhi lucidi per il vento esterno e le mani pallide per il freddo.
Sento Remus sbuffare.
-riprenditi, James, ti sta cadendo la bava nella burrobirra- mi bisbiglia all’orecchio.
Sussulto, mi riprendo, porto la mano alla bocca e mi accorgo che stava scherzando. Allora lo incenerisco con lo sguardo. Intanto l’accompagnatore di Lily si avvicina, quel Get, e la ragazza lo fa sedere accanto a se, indirizzandogli un sorriso luminoso.
-sei un idiota, Rem-.
-senti da che pulpito, Jamie- risponde alzando appena le spalle e rivolgendosi agli altri.
-allora, Emmeline non è venuta?- chiede. Lo guardo un po’ spiazzato.
E bravo Remus, che per una volta ha deciso di prendere la manticora per il pungiglione!
-no- risponde Alice, seduta vicino a Frank –niente Hogsmeade per lei, doveva studiare-.
-certo che…- esclamo io, cercando di mettere in imbarazzo il mio amico –se avesse qualche baldo giovine che si offrisse di aiutarla, di certo non starebbe tutta sola in quella grande biblioteca!-.
Remus mi guarda un attimo, poi ghigna malefico.
-di grazia, james, come fai a sapere che la biblioteca è così grande, visto che non ci sei mai entrato?- risponde. Dal nostro tavolo si levano fin troppe risate. Arrischio un’occhiata verso Lily, vedo che sta ridendo come gli altri –comunque, che cosa sta studiando?-.
-cura delle creature magiche- risponde Mary al posto della sua amica, che sta ancora ridacchiando. Sorrido all’indirizzo del mio migliore amico.
-beh, Remus, cura delle creature magiche, sembra quasi destino- commento, guardandolo negli occhi –magari può risolvere il tuo piccolo problema peloso-.
Remus mi guarda sbalordito, e con un piede mi da un calcio sotto il tavolo.
-intendi il coniglio?- chiede Frank.
Vedo Lily, Alice e Mary inarcare le sopracciglia.
-si, vedete, ho un coniglio particolarmente ribelle- spiega Remus gesticolando –credo che sia incrociato con un…-
-Knarl, con uno Knarl-aggiungo io annuendo.
-ha gli aculei?- chiede Lily scettica. Noto che la sua mano è impigliata a quella di Gep.
Gli aculei glieli faccio uscire io, a quello li, se non la smette di toccarla.
Vedo Lily che mi guarda, e con un sorriso stringe di più la mano al cretino.

 
HOGWARTS

Cammino come una furia, mi lascio il castello alle spalle e mi dirigo verso il mio appuntamento.
Regulus mi aspetta al limitare della foresta proibita, perché nessuno, è stato categorico su questo, deve vederci insieme.
-Marlene- mi saluta annoiato. Ovviamente non mi ha dato buca.
-Regulus- saluto io, il tono acido. Lo guardo.
Obbiettivamente non è un brutto ragazzo, assomiglia a quell’imbecille di suo fratello. Forse è proprio questo, che stona.
Ha i tratti più sfuggenti, meno decisi, che lo rendono più bambino e meno attraente. Se Sirius è bello come un dio, Reg è solo bello. La distratta eleganza di Sir, in lui è meno distratta. Sembra calibrare tutto quello che fa. Sir è istintivo, Reg è posato.
Mi ricorda ancora, per certi versi, il bambino con cui scambiavo le figurine delle cioccorane quando ero piccola. Io mangiavo il cioccolato e lui si teneva le carte. Mi ricordo che, una volta, aveva trovato Morgana.
 
Guardai Sirius scartare la sua cioccorana, e staccarle la testa con un morso. Si rigirò la figurina tra le mani.
-tieni, Reg, è Agrippa. Ne hai già tre, di lui- disse poi lanciandogliela. Io e Sirius avevamo sette anni, Reg solo sei.
-guarda, Marli!- esclamò invece Reg scartando la sua –ho trovato Morgana-.
Mi sporsi per guardare la figurina tra le sue mani. Una bellissima donna, con lunghi capelli neri e labbra di fuoco.
-è bella- risposi io guardandola. Non facevo la raccolta, ma lei mi piaceva proprio.
-puoi tenerla, se vuoi- mi disse Regulus, posandomela tra le mani.
-ma tu non ce l’hai ancora- commentai cercando di restituirgliela.
-non mi importa- rispose lui con un sorriso birbante –facciamo così, io te la regalo ma tu mi prometti che diventerai come lei-.
-cattiva?- chiesi. Non conoscevo  la sua storia, ma così bella mi sapeva tanto di cattiva.
-no, forte- rispose lui.
 
Sorrido appena, ricordando quella sera. Fu una delle ultime volte che li vidi prima di venire a Hogwarts, prima che mia madre e Walburga litigassero.
-perché sorridi?- mi chiede, forse cercando di fare conversazione. È rigido, lo vedo, vestito di nero e appoggiato al tronco dell’albero. Suo fratello è molto più sciolto, nei movimenti, non si guarda attorno quando cammina e gesticola molto di più quando parla.
-pensavo…- esito, incerta se rivelargli i miei pensieri –ti ricordi quando mi hai regalato la figurina di Morgana?-.
È stupito, lo vedo. Assomiglia dannatamente a Sirius. C’è una differenza, però, tra lui e suo fratello. Regulus sa di essere umano, e lo sa perché è sempre concentrato a cercare di non esserlo. Nella sua famiglia non può comportarsi come Sirius, deve essere perfetto, perché la strada di “figlio ribelle” l’ha già intrapresa suo fratello. Deve essere il purosangue perfetto, il mago migliore, il figlio primogenito che non è. Deve essere il prefetto serpeverde che disprezza gli altri.
È per questo che mi fa pena, e perché Sir sembra non pensarci, e perché lui sembra non crederci più.
-si, vagamente- risponde sulla difensiva.
-ti ricordi cosa mi hai chiesto?- chiedo allora.
Lui non risponde. Sa quello che sto pensando.
Non ho mantenuto la promessa, perché Morgana non si arrenderebbe ad un matrimonio combinato.
Alle nostre spalle, all’improvviso, sento un rumore. Mi accorgo che viene dal cespuglio, e sguaino la bacchetta.
-non c’è nessuno, sarà qualche animale- risponde lui quando io mi volto verso il cespuglio. Lui si alza, devo trovare un modo per fermarlo prima che torni nella sua sala comune, tra quella gente.
-perché stai con loro?- gli chiedo alla fine, non sapendo che pesci prendere.
-e con chi dovrei stare, Marlene?- chiede in risposta, fermandosi senza voltarsi.
A questa domanda non ho risposta. Forse è per questo che mi fa pena, perché alla fine se è cresciuto così un po’ di colpa ce l’ho anche io. Perché se quel giorno, quando mi diede la carta di Morgana, non fosse stato l’ultimo della nostra infanzia forse adesso qualcosa sarebbe diverso.
-tua madre mi ha scritto- aggiungo quando vedo che sta per andarsene. Questo lo blocca ancora.
-lo so- risponde.
-vuoi sapere cosa mi ha scritto?-
-non ci tengo particolarmente, no- mi risponde con tono arrogante.
Mi prende rabbia, quando fa così. È proprio adesso che assomiglia di più a Sirius.
-sei uguale a tuo fratello- gli sibilo contro. Si volta, la faccia contratta dall’ira –uguale, non ve ne frega niente di quello che passano gli altri. Esistete solo voi e il vostro maledetto orgoglio-.
-non mi paragonare a Sirius- sussurra con rabbia. So di essermi spinta troppo oltre, perché lo vedo fare dietrofront e lo vedo pararmisi davanti, gli occhi grigi puntati nei miei. Effettivamente, mi dico, devo smetterla di paragonarlo a quell’idiota, perché facendo così non aiuto lui ma soprattutto non aiuto me stessa.
Non so cosa fare, non mi sono mai trovata così vicino a lui.
-e tu non provare, non ci provare neanche, a scegliere i miei amici per me- sibilo in risposta, acida. D’un tratto mi è venuto in mente, quello che voglio dire.
-ma non ho scelto io- mi interrompe –hai scelto te, hanno scelto i tuoi genitori quando hanno acconsentito a questo fidanzamento-.
Rimango muta, immobile.
-la nobile e antichissima casata dei Black non tollera i ribelli, Marlene- finisce prima di riprendere il cammino. Non ho alcuna intenzione di fermarlo, questa volta, tutto quello che riesco a fare è accasciarmi su me stessa non appena scompare alla mia vista.
Guardo con tristezza un filo d’erba, lo strappo senza pietà e me lo rigiro tra le mani. Tutto quello che riesco a pensare è: non ho scelto io.

 
HOGSMEADE

-si, e ti ricordi quella volta in cui trasfigurasti la divisa di Mulciber in una sottoveste di pizzo trasparente?- chiede Alice mentre tutti gli altri ridono al mio indirizzo.
-e quella volta in cui facemmo diventare verdi i serpeverdi?- ricorda Remus con un sogghigno.
Mary si sta rotolando sul tavolo dalle risate, per poco non rovescia la mia burrobirra.
-si, ricordo che andavano in giro con quella nube di fumo sopra con su scritto “sempreverdi”- sghignazza Frank. Vedo Lily ridere, in realtà fin da quando abbiamo iniziato a raccontarci cose degli anni passati.
-Evans, non puoi ridere, sei una caposcuola!- le ricordo con un sorriso fingendomi scioccato. Lei sorride ancora.
-guarda, Potter, tu devi solo che startene zitto- risponde lei ammonendomi con l’indice destro e poi spostandosi su Remus –e tu, signor Prefetto, cosa hai da dire a tua discolpa?-.
-che vedere Mulciber in sottoveste mi ha bloccato la crescita- commenta Remus scatenando un’altra ondata di risatine.
-sono scioccata, signor Lupin-
-anche io lo ero- le risponde Remus, facendole l’occhiolino.
Dopo cinque minuti gli animi si placano, e ognuno torna a parlare di ciò che vuole con il proprio vicino. Io sono seduto accanto a Mary, ma non sono molto di compagnia, troppo intento come sono a osservare le mosse dell’accompagnatore di Lily.
Li vedo parlare, a volte Lily sembra sovrappensiero ma poi si rianima. A volte sembra persino stufa, ma poi ride in modo strano.
Ci metto un po’ a capire che quel suo ridere è un modo per flirtare con quel babbeo biondastro, per me è sempre bellissima e quindi sono sempre incantato da lei. Ma ora, vedendo come ride, come piega la testa da un lato mentre parla con lui, come gli tocca la mano…
E lui la asseconda!
No, capisci, quello vuole essere morto prima di stasera! Perché è ovvio che appena rientriamo a quello una bella fattura non gliela toglie nemmeno Merlino! Sta flirtando con Lily Evans, e lo sta facendo davanti a James Potter… dico, ma si è mai chiesto quel rincitrullito perché tutti i ragazzi con cui Lily è stata abbiano sempre avuto, ad un certo punto della loro storia con lei, due teste o trenta foruncoli sul naso? Cos’è, crede che Lily abbia pessimi gusti in fatto di ragazzi?
Sono tutto preso dalle mie elucubrazioni così lugubri quando vedo che gli altri si stanno preparando ad uscire. Prendo dalla borsa qualche falce e la do a Mary, che si è offerta di passare al bancone a pagare.

 
Fuori fa freddo, e Greg ha ricominciato a parlare di quidditch con Frank.
Mi tiene per mano, a volte rischiando di strapparmi via l’intero braccio a forza di gesticolare per mimare le sue fantastiche ed entusiasmanti mosse.
-picche?- mi chiede Mary avvicinandosi, con James e Remus. Se ho fortuna, James non sa nemmeno cosa voglia dire. E infatti vedo il suo sguardo stralunato e interrogativo.
-assolutamente- rispondo mogia.
Ora, intendiamoci bene, non è che io voglia fare ingelosire James Potter con questo mio fingere di interessarmi a Greg, assolutamente…
… è che non può permettersi, quel pallone gonfiato, di rifiutare un mio invito dopo sei anni, e dico sei anni!, che non fa altro che chiedermi di uscire con lui nei modi più fantasiosi possibili!
-allora, Evans, che giri hai fatto a Hogsmeade quest’oggi?- mi chiede riscuotendomi dai miei pensieri. Ho intenzione di rispondergli per le rime quando, per un motivo o per l’altro, incontro il suo sguardo.
Mi impongo subito di abbassare il mio, o per lo meno di assumere un’aria truce e non quella ebete che sento di avere in questo preciso momento. Non so che rispondere, o meglio, so che rispondere ma il mio corpo non ne vuole sapere di ascoltare il mio cervello.
-Zonko- riesco a rispondere dopo qualche istante.
-Zonko?- chiede sorridendo. Mi sembra di vedere qualcosa di malandrino, in quel sorriso, ma è un lampo così veloce che sicuramente me lo sono sognata.
-si, mia sorella odia le caccabombe- rispondo. Ok, risposta sbagliata.
-caccabombe?- chiede James mentre il sorriso più malandrino che io abbia mai visto fa la sua comparsa sul suo volto –da lei non me lo sarei proprio aspettato, signorina Evans- replica in un tono mostruosamente uguale a quello della McGrannitt.
Rido, nonostante tutti i miei propositi.
Primo, perché è orrendamente uguale alla professoressa.
Secondo, perché mi rendo conto che è da quando sono entrata ai Tre Manici di Scopa e che l’ho visto che rido per le sue battute.
Terzo, perché non avrei mai immaginato, in sette anni di scuola, di interessarmi a James Potter!
Alt, fermi!
Interessarmi a James Potter?

 
HOGWARTS

James rientra in dormitorio con un sorriso a sessantaquattro denti stampato in faccia. In realtà, sorride così tanto che ho quasi paura possa romperglisi il viso a metà.
Io sono steso sul letto, le braccia incrociate sul petto, e fisso da circa due ore il baldacchino sopra di me.
-perché è così?- chiedo a Remus non appena entrano dalla porta.
-così come?- chiede Frank chiudendosi la porta alle spalle e dirigendosi verso il letto.
Con una mano, indico James. Frank si gira e lo guarda, ridendo.
Prongs, al centro della stanza, ha preso Remus per le braccia e ha iniziato a ballare il valzer.
-rimbambito- rispondo poi a voce bassa. Remus impreca cercando di scollarsi Jamie da dosso, impresa non facile quando gli prendono questi suoi attacchi di rimbambite acuta.
-dobbiamo portarlo in infermeria?- chiede Pete salendo sul suo letto.
-ma cosa è successo per ridurlo così? Gli avete dato la pozione rallegrante?- domando io scuotendo la testa. Remus sta ancora cercando di toglierselo di torno, adesso con le cattive, brandendo il tomo di trasfigurazione come un’arma da difesa.
-io e la Evans siamo praticamente sposati- sussurra in estasi James, sedendosi definitivamente sul letto. Non sembra aver notato, però, il libro di Rem.
-wao, cos’è, sei riuscito a strappare il whisky incendiario a Rosmerta e ci hai corretto la sua burrobirra?- chiedo ridacchiando.
-no- risponde James –abbiamo scherzato per tuuuuuutto il viaggio di ritorno-.
-ma lei non era uscita con quel Boot?- chiedo perplesso.
Il sorriso di James si spegne.
-ma tu devi sempre girare il coltello nella piaga?- mi domanda poi, sdraiandosi sul letto con un sospiro.
-è il dovere del migliore amico, Prongs- rispondo tornando a fissare il baldacchino.
Remus si avvicina al suo letto.
-come è andata qui, invece?- chiede Remus –hai studiato?-
-no- rispondo disinvolto. In risposta ricevo un cuscino in faccia –ahi-.
Frank e Pete ridono, Rem scuote la testa.
-perché no?- chiede rassegnato.
-Rem, ho un problema- sussurro poi alzando lo sguardo –sono patetico-.
Sia James che Remus ridono ormai sguaiatamente, unendosi a Frank e Peter. Io sono l’unico che, se solo non fossi Sirius Black, forse piangerebbe.
-finalmente te ne sei accorto, eh, Paddy?- mi chiede Remus battendomi una mano sulla spalla. Ora si è seduto sul mio letto.
-parlo sul serio, Moony- rispondo io ancora più tetro. Volto lo sguardo su James, e vedo che ora mi guarda preoccupato.
-parla, allora- ribatte Remus.
-mi sono innamorato di Marlene McKinnon- mormoro rivolto al baldacchino. Sento intorno a me solo silenzio.
Remus aumenta la stretta sulla mia spalla.
-esistono molti problemi più grandi, Sir- risponde in un sussurro.
-si, appunto- annuisco preparandomi mentalmente a quello che sto per ammettere davanti a quattro miei amici, per la prima volta ad alta voce.
Per un attimo temo di non farcela.
-Marlene sposerà Regulus alla fine della scuola, daranno l’annuncio il ventitre di dicembre-.
-ok, esistono pochi problemi più grandi, Sir- ammette Remus, rassegnato.
Anche in un momento come questo, riesce a strapparmi un sorriso.



note dell'autrice:

innanzitutto voglio ringraziare chi recensisce, chi ha messo la storia tra le preferite, le seguite eccetera, fa molto piacere sapere che c'è qualcuno a cui piace la mia piccola storiella.
in secondo luogo pensavo di fare una piccola legenda dei colori dei personaggi, ossia:


lily
james
sirius
Lène
Alice
Remus
Regulus

prossimamente ci saranno anche i punti di vista di diversi altri personaggi, ma non ho ancora deciso i colori =)
riguardo al capitolo, non mi pare ci sia molto da dire...
buona lettura,
Hir



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Capitolo 8
*** ripicche e ripacche ***


 
 
Hogwarts, 13 ottobre 1977
Mamma,
qui la situazione è piuttosto critica.
Zia Fidelma ha combinato il matrimonio di Léne. Puoi mica chiederle da parte mia cosa le salta in mente?
Non possono farlo, mamma ti prego non permetterglielo. Ti saluta Sir.
Un bacio, Jamie

 
 
Sono passati due giorni dall’uscita ad Hogsmeade, e ora sono qui seduta in biblioteca in compagnia di Sirius Black, che mi guarda e non studia.
-Black, che devo fare per farti studiare trasfigurazione?- chiedo cercando di essere paziente.
Sfido chiunque ad essere paziente con quella faccia di bronzo! Toglierebbe la pazienza anche a un santo, altroché!
-hai una caramella, Evans? Ho la gola dolorante- chiede senza minimamente considerare la mia domanda, a cui per altro non mi aspettavo una risposta.
Mi sporgo verso la mia borsa e tiro fuori una scatolina di tacchetti alla liquirizia. La sporgo verso di lui e la apro.
Vedo la sua espressione scettica e sorrido.
-sono tacchetti, Black, caramelle babbane- rispondo alla sua espressione perplessa.
Ne prende una e la assaggia.
-sono buone- ammette poi prendendone un’altra. Con un sorriso ne prendo una anche io.
Per un po’ stiamo qui, a guardarci e a mangiare tacchetti alla liquirizia, fino a che il sapore dolceamaro delle caramelle non prende il sopravvento costringendoci a non mangiarne più.
-non ne avevo mai provato, di caramelle babbane- riprende dopo un po’, storcendo il naso –non ho mai provato nulla, di babbano-.
-mai?- chiedo sorridendo appena. A volte mi fanno pena, questi purosangue che non sanno nemmeno cambiare canale con il telecomando. In effetti, loro sanno solo muoversi nel mondo magico, io invece sono avvantaggiata.
-mai- risponde lui. Con un sospiro si alza, ripone la pergamena e la piuma e aspetta che anche io faccia lo stesso.
Rassegnata lo imito, e insieme lasciamo la biblioteca. Penso che è la prima volta, nella mia vita, che non penso male di Sirius Black.

 
Forse, e dico solo forse, la Evans non è così male come pensavo. Buoni, quei tacchetti.
La guardo mentre percorriamo i corridoi in direzione della sala comune.
-allora, pronta per i M.A.G.O.?- chiedo, più per fare conversazione che per altro.
-siamo solo ad ottobre, Black, non sarai già in ansia!- mi prende in giro lei, ridendo.
Sbuffo, divertito. I M.A.G.O. sono il mio ultimo problema, ultimamente.
Quello di cui vorrei parlare con la Evans in realtà è altro, ma non troverei mai il coraggio di farlo. La verità è che non vedo Marlene da due giorni, se non alle lezioni. Salta il pranzo e la cena, e anche la colazione. Da due giorni, ormai, siedo davanti ad un posto vuoto, sentendomi ancora più vuoto e incredibilmente freddo.
Ricordo il suo sguardo, su quelle scale, così impassibile da mettermi i brividi.
Sento un fruscio, poi vedo un lampo rosso.
Faccio appena in tempo a spostarmi e a buttarmi su Lily, mi accorgo che i lampi rossi sono due. Alzo la testa per vederne la fonte, e osservo mia cugina che con un’aria maligna mi guarda.
-permettono proprio a cani e porci di stare in questa scuola!- esclama con la sua vocetta stridula che tanto mi da sui nervi.
-mi sono detto la stessa cosa quando ho visto te, Bellatrix- rispondo con un sorriso calmo e un’occhiata glaciale.
Lily si è rialzata e ha sfoderato la bacchetta, io faccio lo stesso.
-in compagnia di una sanguesporco, in più- sussurra mia cugina strisciante, da serpe qual è.
-oh, Bella, auguri per il matrimonio, ho saputo che ti sposi con il troll stupido… come si chiama? Ropolphus?- chiedo inclinando la testa.
-non è l’unico matrimonio della famiglia, Sirius, non so se lo sai- ghigna malvagia. Se bastasse questo, a fermarmi, non sarei diventato quello che sono.
-c’ho fatto l’abitudine, ormai, ai Black con un pessimo gusto in fatto di umorismo. Devo essere l’eccezione che conferma la regola-.
-un giorno o l’altro, Sirius Black, ti cancellerò quel sorriso dalla faccia così come tua madre ti ha cancellato dal suo albero genealogico-.
-un peccato che lo abbia fatto, non è vero?- chiedo –io ero uno dei pochi che lo rendesse un po’ più guardabile, quel vecchio pezzo di stoffa-.
-farò fuori te e quella mezzosangue partorita dal ventre della babbanofila. I Black torneranno a splendere- sussurra ancora.
Un lampo chiaro, Bellatrix si irrigidisce. Lily rinfodera la bacchetta, chinandosi su mia cugina e guardandola negli occhi.
-è proprio il tuo punto debole, il petrificus… che famiglia interessante che avete- mi dice poi scavalcando Bellatrix e rialzandosi –e io che mi lamento perché ho uno zio che crede di essere un pappagallo e passa le sue giornate su un albero a St. James Park-.
Ghigno, soddisfatto. No, la Evans non è malvagia come credevo.
-ah, Black- si ferma un attimo tornando con lo sguardo su mia cugina –trenta punti in meno a Serpeverde-.
Scherzavo, è così malvagia che a mia cugina le fa un baffo. Ma mi piace.
 

-Lily, non puoi inimicarti così Bellatrix Black, quella non ha scrupoli- la rimprovero mentre, seduta su una delle poltrone della sala comune, sono intenta a finire un tema per Ruf.
Che noia, a chi mai potrebbe interessare la data di nascita del centauro che guidò la rivoluzione delle Alpi Apuane nel 714 a.C.?
Lei mi guarda, scrollando leggermente le spalle.
Attorno a noi, Mary sta discutendo con James mentre Minus e Black stanno parlando concitati davanti ad una pergamena che non riesco a vedere, ma non mi interessa.
Alice e Frank stanno facendo i pucci-pucci sul divano, sussurrandosi smielate frasi da cioccolatini che fanno venire le carie a distanza. Emmeline legge l’ennesimo libro e Remus la osserva da lontano, fermandosi di quando in quando a prendere appunti. Sono un po’ rimasta indietro con i compiti, perché anche se ho passato molto tempo a non fare nulla negli ultimi due giorni non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di fare un po’ di compiti.
-non mi fa paura, quell’arpia- sussurra in risposta.
-dovrebbe- rispondo io –l’ultima volta ti ha mandata in infermeria con un braccio maledetto, o sbaglio?-.
Lily mi guarda appena e scrolla ancora le spalle.
-poi non mi hai più detto come è andato l’appuntamento a Hogsmeade!- esclamo ad un certo punto cambiando discorso.
Ho fatto centro, lo capisco da come li vicino tutti smettono di fare quello che stavano facendo.
In ordine, Lily arrossisce, James alza la testa di scatto, Mary smette di parlare, Sirius e Peter piegano la pergamena e le danno un colpo con la bacchetta, fissando il primo Lily e il secondo me, Remus si mette più comodo sulla poltrona posando definitivamente pergamena e piuma, Alice e Frank tacciono improvvisamente e Emmeline alza la testa dal libro.
Vedo che questo è un argomento che interessa solo a me!
-eh, mmph, eh…- Lily biascica qualche verso appena, arrossendo sempre di più –beh, eh…-
-si?- chiedo interessata.
-beh, è andato ben…ino- sussurra prima di gettare una fugace occhiata a James.
Il ragazzo ha le orecchie rosse, e noto che accanto a lui Sirius Black sorride soddisfatto.
Per un attimo dimentico chi è, incontro il suo sguardo e sorrido in risposta, facendogli l’occhiolino come tra due complici di vecchia data. Quegli occhi, per un attimo, mi tolgono il fiato.
Poi tutto finisce, ricordo due occhi identici visti da molto più vicino e che mi guardavano con dispregio. Volto lo sguardo, imbarazzata. Mi alzo, arrotolando la pergamena.
-ti aspetto su- sussurro a Lily mentre le passo davanti. Cerco di scherzare aggiungendo –e ho tutta l’intenzione di sentire “il meglio di Gregory Boot minuto per minuto”-.
-allora ti addormenterai, te lo posso garantire- mi sussurra in risposta, così che solo io possa sentire –ho fatto fatica io a non farlo, ed ero in piedi al freddo e al gelo-.
Sorrido, divertita.
Poi mi ricordo cosa mi ha costretto a questo repentino cambio d’umore e il sorriso mi muore sulle labbra.

 
Un sorriso idiota si dipinge sulle labbra di Sirius dal momento in cui Lène lascia la sala comune e ridacchio appena vedendo la sua espressione ebete. Remus segue il mio esempio, e in men che non si dica si aggiungono anche Pete e Frank.
Tre secondi dopo, sotto lo sguardo attonito di quattro ragazze e un Sirius Black piuttosto scocciato, tre malandrini e un ragazzo quasi sposato si scompisciano dalle risate rotolandosi sul pavimento.
Non ci posso fare niente, è più forte di me, non riesco a restare serio e a guardare la faccia di Sirius contemporaneamente… insomma, voi non avete mai avuto a che fare con un Sirius Black innamorato, e fino ad oggi nemmeno io, ma credetemi, è esilarante! Se solo lo avessi saputo, fino a che punto è divertente, avrei chiesto a Marlene McKinnon di passare da camera nostra tutta le mattine.
-vabbè, ragazze, noi andiamo a dormire, domani ci aspetta una giornata pesante- esclamo poi alzandomi e tirando su un Sirius ancora intento a guardarmi storto.
-si, doppia storia della magia, sarà uno spasso- risponde Remus alzandosi con noi. In ben che non si dica tutti e quattro noi malandrini ci dirigiamo verso la camera, con un sorriso e un buonanotte alle ragazze e a Frank, che sembra tutto intenzionato a farsi venire il diabete a forza di romanticherie.
 

-senti un po’, non è che adesso ti metterai a fare serenate a Marlene McKinnon con tanto di mandolino, vero?- chiedo a Sirius mentre entriamo in camera, dirigendomi verso il bagno. Non so proprio cosa aspettarmi da questo… ehm… Sirius Black 2.0!
-mondolino? Mai sentito nominare- mi risponde scrollando le spalle –e poi, è inutile che fai il gelosone, Remus, sai benissimo che le serenate le faccio solo a te!-.
Non avessi mai parlato! In due secondi lo ritrovo in piedi sul suo letto, con una mano protesa al mio indirizzo come un poeta che tessa le mie lodi e l’altra che stringe la bacchetta, puntata alla bocca e usata come microfono.
 
Remus, Remus di tutto il castello
Giuro su Merlino tu sei il più bello
 
Jamie e Pete si guardano un momento, poi ridacchiano
 
di tutte le schiere dei maghi del mondo
tu sei senza alcun dubbio il più profondo
 
-ok, Pad, scendi da quel letto- lo rabbonisco accorgendomi che sta urlando, probabilmente richiamando su di noi l’attenzione di tutti i grifondoro della torre.
 
Quale dolce visione vedono le mie pupille!
Il mio cuor per te sprizza scintille.
 
Fuori dalla nostra porta si è radunata una piccola folla, noto. In realtà, riesco a vedere i ragazzi del primo e del secondo anno che ci guardano stupiti, gesticolando tra loro.
 
L’ugola tua non riesco a eguagliare
Ma i tuoi pregi io voglio elencare
Quindi non importa se io sono stonato
Perché dei tuoi polpacci mi sono innamorato.
E ancor ti dico, per meglio ribadire,
che vedere il tuo sterno mi fa letteralmente gioire
e la bellezza del tuo indice destro
m’incanta quanto la tua aria da maestro
 
Sono ormai color pomodoro quando, guardando verso la porta, mi accorgo che ormai si sono uniti anche il terzo, il quarto, il quinto e il sesto anno maschili e…
ok, ditemi che dalla bacchetta che si punta alla bocca come un microfono uscirà una cruciatus!
Emmeline mi sta guardando confusa, la testa bionda e gli occhioni spalancati.
Terra, inghiottimi!
E soprattutto, fa tacere Sirius Black.
-Remus, gentilmente, potresti far smettere il tuo innamorato?- mi chiede un Frank palesemente irato sporgendosi appena oltre la porta con la testa –sai, io e Alice siamo in vena di romanticherie, stasera, ed è difficile concentrarsi con un asino che raglia-.
-Sirius Black, chiudi quella ciabatta- urlo puntandogli contro la mia bacchetta. Con un incantesimo non verbale lo disarmo, e allora, magicamente, gli si chiude anche la bocca.
Silenzio, adorato, agognato silenzio.
Ovviamente si tratta di quella specie di silenzio che precede la tempesta, quello in cui tutti sono sbalorditi e si prendono qualche secondo per riordinare le idee. E infatti…
Un coro di risate si libera nel momento stesso in cui richiudo la bocca.
James ride talmente tanto da accasciarsi sul letto e non riuscire a stare in piedi.
Complimenti Remus, hai speso sette anni della tua vita in compagnia di un gregge di idioti!
 

 
Ok, continua a camminare, così, bravo… non pensare a loro, non pensare a loro, non pensare a loro.
-ehi, Black, lo sai che quel colore fa risaltare i tuoi occhi?-.
È stato quel cretino di Grover, a parlare, ora vado là e gli spacco la faccia, amico oppure no.
No, calmo, continua a camminare, non pensare a loro.
-ti sta bene il vestito, Black, mia nonna ne ha uno uguale uguale-.
Mi fermo, faccio un sospiro, mi accomodo vicino a Lily Evans cercando di tenere la mano lontana dalla bacchetta. Azzardo un’occhiata alla mia compagna di banco, vedo che si sta trattenendo dal ridere.
Bastardo, mi ripeto.
Ora, capisco che Remus possa essersi sentito in imbarazzo, ma niente giustifica un trattamento del genere!
Penso che il mio migliore amico lupo mannaro è proprio un bastardo, non esistono mezzi termini.
I miei capelli sono di una gradevolissima tonalità rosa shocking, e quel figlio di un lupo ha trasfigurato i miei jeans e la mia maglietta in una vestaglia a fiori, costringendomi ad andare a lezione di trasfigurazione così conciato… insomma, sembro un incrocio tra mia madre e Ninfadora!
Ah, giusto, dimentico un piccolo, infimo dettaglio: quel rospo di nome Remus Lupin ieri sera mi ha schiantato e poi ha nascosto la mia bacchetta… ha detto che mi sarei divertito a fare una bella caccia al tesoro per tutta la notte e che dovevo essergli ancora grato se non mi concedeva l’immenso onore di farmi vedere da vicino quegli straordinari polpacci le cui qualità avevo solo poco prima finito di decantare!
Risultato: ho cercato la mia bacchetta tutta la notte, mentre quel pazzo sadico che mi ritrovo come vicino di letto mi schiantava ogni volta che mi avvicinavo al nascondiglio del mio legnetto solo per spostarlo e divertirsi ancora un po’.
-signor Black, come siamo vivaci, stamattina- esclama la McGrannitt –a quale dei suoi tanti amici dobbiamo questi colori allegri?-.
La guardo deluso. Da lei non mi aspettavo certo una reazione del genere.
-Remus J. Lupin- rispondo tetro –non rientra più nella categoria degli amici-.
La McGrannitt sorride, sbalordendomi ancora di più.
-ottima trasfigurazione, signor Lupin, davvero- commenta –venti punti a Grifondoro-.
Mi volto per guardare Remus e gli faccio l’occhiolino.
-Moony, domani verde-avvincino!-.

 
Mi sto servendo una doppia porzione di patate al forno quando i malandrini entrano nella sala grande, scortati da un coro di ragazzette urlanti tutte intente a sbavare dietro a Sirius Pink.
Effettivamente, devo ammettere che il rosa gli dona in modo particolare, il che è tutto dire.
Porca Morgana, possibile che fra tutti i ragazzi esistenti su questa maledetta terra debba interessarmi proprio lui?! Insomma, a chiunque altro quel rosa in testa starebbe malissimo! Possibile che lui sembri costantemente un dio greco appena sceso dall’olimpo, anche con una vestaglia orribile addosso?
Non è giusto, signori miei. Quello ha fatto un patto col demonio.
Faccio fatica a mantenere lo sguardo basso quando Remus mi si accomoda vicino, con un ghigno soddisfatto, e James lo segue dall’altro lato. Le altre non ci sono, Lily sta aiutando Mary con i compiti dell’ultimo minuto, Emm sta male ed è restata in dormitorio e Alice è da qualche parte con Frank.
L’attenzione che sto prestando al mio piatto pieno di patate al forno aumenta spropositatamente quando Sirius Black si siede davanti a me.
-non ci sono le altre, Lène?- mi chiede Remus gentilmente.
Gli rispondo con un sorriso, continuando a guardare il piatto.
-no, Lily aiuta Mary con i compiti di Erbologia, che abbiamo alle prossime ore, Alice è con Frank e Emm in dormitorio, sta male-.
Sento Remus irrigidirsi.
-niente di grave- continuo, dicendomi che quei due sono proprio strani, se lasciassero la timidezza al diavolo starebbero meglio di Alice e Frank –solo un mal di testa passeggero. Dice che probabilmente riuscirà a scendere per Erbologia-.
-fantastico- risponde allora Remus, prendendo a mangiare come se nulla fosse.
Mi giro a guardarlo, penso che è incorreggibile.
-senti, ma…- decido di prendere il toro per le corna –capisco che il gioco di sguardi possa essere intrigante, ma dopo sette anni magari è l’ora di fare la mossa successiva…-
Mi godo in tutta tranquillità il rumore del soffocamento di Remus, che sta annegando nel suo bicchiere di succo di zucca.
Sento gli altri tre ridere, e mi unisco con un piccolo sorriso.
-l’hai capita, la mia cuginetta!-.
James mi circonda le spalle con un braccio, Peter ride e annuisce e Sirius mi guarda. Ora, ditemi, che diavolo ha da guardarmi? Non ricambierò il suo sguardo, piuttosto…
Beh, diciamo che resto ferma nei miei propositi dai tre ai quattro millisecondi, fino a che non mi trovo contro la mia volontà ad alzare lo sguardo e a guardarlo negli occhi, il sorriso ancora stampato in volto.
Non so per quanto lo guardo, e noto quanto è buffo con i capelli rosa e quell’espressione insolitamente seria, che quasi stona sul suo viso così bello.
-scusami, chi è che parlava di sguardi intriganti?- interrompe Remus. Questa è la mia volta di arrossire, e distogliendo lo sguardo ne colgo un altro, grigio esattamente identico, impassibile.
Dalla tavola dei serpeverde Regulus Black mi sta guardando.

 
Gli occhi scuri della McKinnon sembrano oltrepassarmi come lame ardenti. Mi sento sotto esame, ricambio lo sguardo. Non so dire che faccia ho, so solo che mi sento terribilmente ridicolo con questi capelli e questo vestito, mentre lei mi guarda così intensamente.
Sento Remus parlare, ma quello deve sempre rovinare tutto? E dire che lo ritenevo il più intelligente, tra noi malandrini. Gli faccio notare questi miei pensieri con un calcio non dosato dritto negli stinchi, che credo inizino a dolergli, almeno dalle imprecazioni si direbbe così.
Riporto lo sguardo su Marlene, noto che ha spostato il suo su qualcos’altro. La vedo irrigidirsi, impercettibilmente, la linea degli zigomi alti si accentua, la mandibola è più pronunciata e la vedo deglutire. È in tensione, non posso non chiedermi il perché. Nel momento esatto in cui mi pongo la domanda, capisco la risposta e faccio fatica a non girarmi, per guardare il tavolo che so essere dall’altra parte della sala rispetto al nostro.
Mi impongo invece di guardare lei, di studiare le reazioni del suo volto mentre lancia un’occhiata forse significativa a mio fratello, quell’altro fratello, quello che non ho scelto. Mi chiedo cosa gli stia dicendo, con quel suo sguardo scuro.
-senti, Lène…- mormora Remus dal suo posto, prendendole una mano –se c’è qualcosa che posso…-
-quando avrò bisogno per le partecipazioni lo chiederò a te- sibila con tono furioso la ragazza. Tutti e quattro alziamo gli occhi su di lei.
Deve averlo fatto inconsapevolmente, perché subito dopo un’espressione affranta le si dipinge sul volto, e con un sospiro si scusa.
-non l’ho fatto a posta, Remus- sussurra riportando lo sguardo al suo piatto –scusami-.
-non ti preoccupare- le risponde il mio amico con un sorriso –comunque dicevo sul serio-.
-lo so-.
Su quelle ultime due parole cala un silenzio intenso, si può quasi affettare con il coltello.
Per la prima volta da che l’ho saputo penso sul serio. Penso sul serio a questo matrimonio, al fatto che degli imbecilli hanno promesso mio fratello e quella ragazza bella quanto imprendibile. Mi chiedo, ma se Regulus doveva sposarsi non potevano scegliergli qualcun’altra? Tra le famiglie purosangue non siamo in tanti, adolescenti, ma qualcun’altra libera sicuramente l’avrebbero trovata, insomma, Walburga Black è Walburga Black!
E Marlene McKinnon è mia.

 
Due ore di erbologia passano in fretta, non che mi piaccia particolarmente come materia ma è leggera, mi riesce bene.
Tutto il contrario di pozioni, ovviamente, di cui abbiamo due ore in compagnia di, niente po’ po’ di meno, tutti i serpeverde più sgradevoli.
Quando entro noto che non ci sono ancora ne le altre ragazze ne i malandrini, ma solo un nugolo di serpi. Per fortuna sono troppo occupati a parlare tra loro perché mi notino. Mi siedo e tiro fuori il libro e la penna, cercando di non attirare la loro attenzione, che comunque è tutta concentrata su qualcos’altro. Fissandoli meglio mi rendo conto che sono tutti intenti a guardare qualcosa intorno alla Black, la cui voce mi giunge sovreccitata e folle come sempre.
-guarda…- sento che la Black sta mormorando quasi come si trovasse davanti ad un idolo –guarda com’è…-
La concentrazione è talmente alta, rivolta verso il gruppo dei serpeverde, che faccio un salto di quasi mezzo metro quando una mano mi sfiora la schiena. Mi volto e…
Che dolore! Sicuramente mi verrà un bernoccolo grande quanto una pluffa domani!
Non so se ridere o imprecare vedendo che accanto a me Sirius Black fa di tutto per non bestemmiare in tutte le lingue che conosce e anche in quelle che non conosce, perfino in marino.
-posso sedermi qui?- chiede poi con tono di voce smorzato, sicuramente a causa della botta.
Per un attimo lo guardo, poi annuisco un po’ stranita.
Dopo cinque minuti, però, del silenzio non ne posso più. Eppure, sia io che lui sappiamo fare conversazione, normalmente. Adesso ho come la sensazione che la mia lingua sia attaccata al palato, per questo provo a muoverla. Ci riesco, allora non vedo quale sia il problema.
Perché diavolo non riesco a farmi venire in mente niente da dire?
-senti…-
-allora…-
Un risolino irritante è quello che ne esce, da parte di entrambi. Non mi sono mai sentita in imbarazzo così tanto.
-prima tu- gli faccio cenno di parlare.
-no, prima le signore- risponde lui.
Con un sussulto mi rendo conto che non ho la più pallida idea di cosa dire. Quindi dico la prima cosa che mi viene in mente.
-ti stavano bene i capelli rosa-.

 
Forse il modo in cui la guardo dice qualcosa di quello che sto pensando. Qualcosa, perché è impossibile che dica tutto, assolutamente impossibile.
E questo, perché sto pensando una marea di cose contemporaneamente, e tutte incasinatissime:
primo, penso a quanto sia bella con i capelli sciolti sulle spalle e qualche ciocca che le ricade sulla fronte;
secondo, penso a quanto sono stato stupido a pregare Remus di riportare i miei capelli al colore originale, potevo lasciarli rosa;
terzo, penso che la testa mi fa un male boia, ma mai dolore fu così ben accetto;
quarto, penso che mi sono seduto vicino a lei, nel suo stesso banco, e nemmeno io so il perché;
quinto, penso che quando tornerò in dormitorio compirò una strage di massa ai danni dei miei compagni di stanza, che adesso cercano di trattenere le risate con scarso successo, alle mie spalle.
Credo che dal mio volto si capisca solo il punto terzo, senza la seconda parte.
-trovo che il rosa mi sbatta un po’- sussurro in risposta. Mi do dell’idiota da solo, possibile che io sia così stupido?
-mi ero dimenticata quanto sei vanitoso, Sirius Black-.
E ora che faccio?
Me lo sono meritato, questo è poco ma sicuro.
Per prendere tempo mi tuffo nella borsa e inizio a tirare fuori tutto, bilancia, ingredienti, libro.
All’improvviso, un pezzo di carta arriva sul mio banco, atterrando delicatamente proprio sul mio libro. Lo apro aspettandomi un messaggio da parte di James. La grafia, invece, tonda e sicura, mi spiazza.

“Non parlare di quidditch”.
Inarco un sopracciglio. Cosa…?
“Cosa vorrebbe dire?” Scrivo velocemente.

“Lei odia che le si parli del quidditch”.
Marlene, intanto, scribacchia qualcosa sul libro.
“E che cosa le piace?”

“cani”
Non posso frenare un sorriso, involontario. Solo dopo, mi rendo conto di quanto sia strana la situazione… Lily Evans mi sta aiutando a conquistare la sua migliore amica?
 
L’allenamento è terribile, nel vero senso della parola.
Piove, c’è la bufera e per qualche minuto, prima, anche la grandine ha fatto la sua comparsa, tanto che è stato impossibile continuare e Potter è stato costretto a chiudere baracca, per oggi.
Sono scola, S-C-O-L-A marcia, penso che se potessi strizzarmi le ossa, con l’acqua che ne racimolerei potrei farmici la doccia.
Ho anche freddo, ma non è questa la causa del mio shock.
Ho la divisa bagnata, la biancheria bagnata, il viso bagnato e i capelli bagnati. Sono stata seduta per due ore su una scopa bagnata. Mi sento perfino il cervello, bagnato.
Non ho mai ringraziato Merlino così tanto come faccio quando entro nello spogliatoio. Benedetti Fondatori!
-ehi, Lils, sei proprio bagnata fino all’osso- si stupisce Lène, che in compagnia di Remus, Emm e Pete ci sta aspettando dentro allo spogliatoio.
-McKinnon, sei un genio- rispondo visibilmente irritata. Senza nemmeno fermarmi a parlare con loro agguanto i miei vestiti asciutti e mi dirigo verso i bagni con le docce. Dietro di me sento imprecare, Potter è appena entrato nello spogliatoio dirigendosi verso la parte maschile.
Potter. Questo si che è un problema.
Insomma, è per colpa sua se quel cretino di Boot continua ad importunarmi con le sue quanto mai inutili chiacchiere sul quidditch! E io che pensavo che Potter fosse un invasato, solo perché si spettina i capelli di quando in quando.
Dall’uscita ad Hogsmeade Boot mi aspetta fuori dalla sala grande per andare a Trasfigurazione, poi fuori da Trasfigurazione per accompagnarmi a Pozioni, poi fuori da Pozioni (solo lui sa come fa ad essere lì in orario anche se si dovrebbe trovare ad una lezione di cura delle creature magiche nel centro della foresta proibita) per accompagnarmi a pranzo. Poi dopo pranzo tocca a Erbologia, mi lascia alla serra per andare a Incantesimi e poi mi viene a riprendere per scortarmi a Storia della magia. Un cagnolino, insomma. Ovviamente, il tutto è condito con una generosa dose di quidditch: la sua scopa preferita, la sua mossa preferita, il suo portafortuna, il suo primo allenamento, la sua sicuramente brillante carriera in qualche strampalata squadra dall’anno prossimo in poi… insomma, una goduria.
Penso a tutto questo mentre mi faccio la doccia e, più tardi, mi rivesto.
Aveva detto che sarebbe venuto a prendermi dopo gli allenamenti, perché doveva fare non so cosa nel mentre.
Una cosa di buona questa pioggia l’ha fatta, mi ha tolto Boot dai piedi e ora posso camminare liberamente. Non faccio in tempo a finire il pensiero che sento la porta degli spogliatoio aprirsi.
Per Merlino!
-Boot! Santo cielo, è possibile avere due secondi di pace in questo mondo? Non mi interessa se il tempo migliore in cui hai preso il boccino è stato due minuti e trentatré secondi, o se una volta un bolide ti ha quasi castrato, magari lo avesse fatto!- esclamo irritata continuando a vestirmi, e solo quando sento silenzio capisco di essere stata un pochino dura, forse.
-lo sapevo, io, che l’uscita ad Hogsmeade con quel cretino non poteva essere andata bene!- esulta una voce dietro di me.
Mi giro, e vedo Potter sulla porta. A quanto pare Greg non è mai entrato… per fortuna che è Potter!
Ehi, aspettate un attimo, è Potter!
Sento il viso infiammarsi mentre cerco, con tutta la disinvoltura di cui sono capace, di non fissarlo.
È a torso nudo. Un gran bel torso, nudo.
Ehi, non l’ho mica guardato così bene…
…si, l’ho fatto.
-Potter copriti!- gli urlo lanciandogli l’asciugamano con cui fino a poco prima cercavo di ravvivarmi i capelli. La salvietta crolla a terra dopo essersi schiantata su quel ben di Merlino di muscoli.

Ma che vado a pensare?!
 
La Evans mi guarda appena, poi urla scioccata e mi lancia un asciugamano sul petto.
Wao, se urla scioccata devo proprio farle schifo, e io che pensavo di essere un bel ragazzo.
-Potter, che cosa ci fai ancora qui?- chiede dopo un po’, iniziando a raccogliere tutte le sue cose nella borsa –pensavo se ne fossero andati via tutti-.
-devo chiudere, Evans- le rispondo –quindi devo essere io, l’ultimo ad andarmene-.
-come vuoi- risponde alzando appena le spalle e buttandosi la borsa a tracolla. Getta uno sguardo attorno, come ad assicurarsi di non essersi dimenticata nulla, poi esce senza salutarmi.
-evans!- la richiamo seguendola.
-copriti Potter- ripete fermandosi. Si gira, ma vedo che non mi guarda. La metto in soggezione? O forse le faccio talmente tanto schifo che non può reggere nemmeno la mia vista a petto nudo?
-cosa fai ora?- chiedo stupendo lei, ma soprattutto me stesso. Non l’avevo chiamata con l’intenzione di dirle qualcosa, l’avevo chiamata e basta.
-come scusa?- domanda lei, sorpresa.
-cosa fai ora? Hai un impegno, magari con…-
-no, Potter- risponde lei –tutto quello che voglio è una cioccolata calda e un bel letto. Magari per la cioccolata è tardi…- aggiunge guardando l’ora. È troppo tardi per la cena, effettivamente -…ma per il letto no di certo-.
-beh, per la cioccolata forse posso fare qualcosa- commento con un sorriso genuino.
E anche per il letto, se vuoi il mio parere… no, questo è meglio se non glielo dico.
-come?- chiede. Adesso pende totalmente dalle mie labbra, si è voltata e si è appoggiata allo stipite della porta.
-le cucine- rispondo con un sorriso –possiamo farci un passo andando verso la torre… se a te non dispiace-.
La guardo, attento. Gli occhi sono di un verde impossibile, le gote arrossate dal calore della doccia, i capelli rossi ancora bagnati. È bellissima, come sempre. E io pendo dalle sue labbra, come sempre, aspettando una risposta che potrebbe spedirmi all’inferno per un paio d’ore.
-beh, non morirò, per una volta- ammette lei, con un sorriso stanco.
-mi vesto e sono tutto tuo- le rispondo. La vedo arrossire e di riflesso arrossisco anche io –no, non…-
-muoviti, Potter, la mia pazienza non è infinita-.
Mi muovo.

 


note dell'autrice:
innanzi tutto grazie mille a chi recensisce, ogni volta che leggo una recensione mi vengono in mente spunti nuovi per questa storia... mi sto divertendo molto a scriverla, e naturalmente mi fa piacere sapere che non sono l'unica che si diverte! Grazie anche a chi ha messo la mia storia sui preferiti, seguiti e ricordati =)
per quanto riguarda il capitolo non ho nulla da dire, lascio a voi i commenti!
Buona lettura,
Hir

 
 

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Capitolo 9
*** cucine e suoceri- parte 1 ***


Ok, non l’ho mai fatto, lo ammetto.
Solo una volta una Marlene McKinnon piuttosto euforica ha tentato di convincermi che sarebbe stato bello, infiltrarci nelle cucine. In realtà, ha insistito così tanto che alla fine sono stata costretta a toglierle due punti a causa della sua irruenza… non ha più nominato la parola “cucine” davanti a me, da allora.
Ora, invece, sono proprio qui, vicino a un James Potter che pare essersi rincretinito tutto d’un tratto, tanto da fare il solletico a un cesto di frutta dipinto in un quadro. Ora, dico, ultimamente sembrava cambiato!
Non faccio in tempo ad esprimere la mia perplessità che, ad un tratto, una delle pere del cesto della frutta si tramuta in una maniglia. Allora sa il fatto suo, questo ragazzo.
-che c’è, Evans, sorpresa?- mi chiede. Si vede che il mio stupore traspare dal mio sguardo, perché io non ho aperto bocca.
-in effetti, mi chiedevo perché mai dovessi infastidire il quadro quando…-
-quando ho vicino la più bella ragazza della scuola da infastidire personalmente?- risponde con un sorriso malandrino dipinto in volto.
Arrossisco, distogliendo lo sguardo. Cioè, io, Lily Evans, arrossisco, distogliendo lo sguardo da quello di James Potter.
Il che è strano, visto che io sono io e lui è lui.
Per Godric, cosa mi prende?
Io, Lily Evans, arrossisco. Davanti a James Potter. E non è la prima volta, a dire la verità.
Anzi, ultimamente è diventata l’abitudine, direi.
Mi riprendo non appena entriamo nelle cucine. Sono enormi, e quando dico enormi intendo gigantesche. Piene di roba, ma enormi.
E ci sono un sacco di creaturine davvero bizzarre, piccole e nodose, rattrapite. Non ho mai visto un elfo domestico, ma ho letto molto su di loro.
-Hill, dove sei?- sento James chiamare a gran voce. Sembra non fare più caso a me, mentre si aggira salutando ora l’uno, ora l’altro elfo con grandi sorrisi e parole gentili.
-ti ricordi i nomi di tutti?- gli chiedo dopo un po’, guardandolo sorpresa.
Ho letto che i maghi in genere non riservano trattamenti particolarmente gentili ai loro servitori. E in più, questi a Hogwarts sono davvero tanti.
-no, non tutti- risponde scuotendo la testa e chiamando ancora –Hill, sono James, dove sei?-.
Con un sonoro crac che mi fa fare un salto alto mezzo metro dallo spavento, vicino a me si materializza un’elfa domestica insolitamente più piccola degli altri. È alta a malapena settanta centimetri, magra e raggrinzita. Quello che mi stupisce di più, però, sono quegli occhioni enormi e dolci, accesi di una luce stupenda.
-padroncino, cosa fa lei qui?!- chiede l’elfa a James in tono di rimprovero –la signora padrona si era raccomandata di…-
-tranquilla, Hill, mamma non lo verrà mai a sapere- la interrompe James riservandole un’occhiata gentile e uno di quei sorrisi che mi piacciono tanto, quelli accesi come il falò di mezz’estate.
Uno di quei sorrisi che mi piacciono tanto?
Ho proprio bisogno di una di quelle cioccolate calde che più cioccolatose non si può, decido.
-e poi, la mia amica Lily ha bisogno della migliore cioccolata calda che Hogwarts è in grado di offrire, non vorremo certo deluderla, vero?- chiede –Lily, ti presento Hill…-
-piacere, Hill- la saluto facendo un gesto con la mano. L’elfa risponde con un sorriso timido, uno sbattimento di palpebre confuso e in men che non si dica scompare verso il fondo della grande stanza. Un attimo dopo non riesco più a distinguerla, nella marea di elfi domestici.
-…mamma dice che la manda qui ogni anno così se io e Sirius abbiamo bisogno di qualcosa abbiamo lei pronta per noi, ma tanto lo so benissimo che la manda qui a tenerci d’occhio- mi sussurra affiancandomi, con aria da cospiratore. Io scoppio a ridere, divertita.
-Dorea Potter è una grande donna- mormoro con un sorriso –ma d’altronde, avere in casa due Potter e un Black deve averla temprata-.

 
***

Non so dove sia finito James, inizio a preoccuparmi.
Di solito, dopo gli allenamenti, non si fa nemmeno la doccia negli spogliatoi e torna subito al castello, visto che preferisce camera nostra… e per ovvi motivi, visto che le ultime volte in cui è rimasto a farsi la doccia agli spogliatoi frotte di ragazzine urlanti hanno quasi buttato giù la porta per cercare di entrare.
E gli hanno rubato i suoi boxer preferiti. E glieli hanno ridati il giorno dopo. Davanti ad una McGrannitt piuttosto inquieta, che gli ha gentilmente propinato una punizione di una settimana.
Ovvi motivi, come dicevo prima.
E allora perché non è ancora arrivato?
Alzo lo sguardo ogni volta che vedo il buco del ritratto aprirsi, saltando come una molla. Non vorrei che i serpeverde se la fossero presa troppo dopo l’ultimo scherzo, in cui siamo riusciti a far saltare in aria cinque dei sei bagni del quinto piano, pieni di roba non meglio identificata (meglio per voi, credetemi) proprio mentre sette ragazzi pomposi e perfidi del settimo anno erano intenti a chiacchierare. Ovviamente tutte serpi.
Conoscendo i tipi come Mulciber e Avery, non mi stupirei se decidessero di attentare alla vita di James quando è da solo… mi stupirei piuttosto del contrario, vigliacchi come sono.
Attorno a me Remus e Pete stanno facendo i compiti, il primo palesemente intento a sbavare dietro ad una Emmeline Vance molto poco presa dal suo libro. Marlene ha ragione, i loro giochi di sguardi potrebbero essere intriganti, se non andassero avanti fin dall’anno di nascita di Merlino.
Mi alzo, deciso a controllare, e chissà che in giro per il castello non becchi pure lei, che non è tornata con noi qui sulla torre ma ha detto che doveva fare una cosa.
Ho il brutto presentimento che questa cosa corrisponda alle iniziali di R.A.B.
Lo so, sono terribilmente patetico, lo so.
Per fortuna che pensieri del genere me li riservo nella mente senza aprire la bocca a sproposito, sennò a quest’ora vi immaginate la mia reputazione che fine avrebbe fatto?

 
-mi hai mandato a chiamare?- la sua voce mi raggiunge, mentre sto camminando in un corridoio al terzo piano. È  a dir poco scocciata, a dir giusto piuttosto furibonda. Annuisco.
-mi hai mandato a chiamare!- risponde lei, e questa volta la furia si sente bene, nella sua voce.
Si ferma, mi guarda. Tutto quello che riesco a pensare è che è una delle più belle ragazze che io abbia mai visto, ma che ha un carattere che poco si addice a me e alla mia famiglia. È più bella di Bellatrix, che fra tutte è la regina. Ma a volte ha un carattere che è peggiore del suo, il che è tutto dire.
-si- ribadisco.
-tu mi hai mandato a chiamare!- esclama ancora, con ira. Mi si avvicina e riesco appena ad afferrarle il polso prima che provi a darmi una violenta sberla. Mi ritrovo a ringraziare i miei riflessi di cercatore, altrimenti adesso sarei steso per terra con una guancia dolorante.
-mi hai mandata a chiamare come si fa con un cane- il suo tono, questa volta, è sgomento.
-beh, io…-
-Signorina McKinnon, voglio sperare che quella mano sia alzata in un gesto di amorevole cortesia- ci interrompe una voce gelida, alle mie spalle.
La conosco fin troppo bene, e lasciando andare la mano a Marlene McKinnon mi volto per fronteggiare mia madre come si conviene a un Black.
-madre- mormoro facendo un leggero inchino con il capo. Dietro, la figura alta e imponente di mio padre fa la sua apparizione –padre-.
Dire che tra i due mia madre è la personalità vincente non rende bene l’idea.
Mia madre è indescrivibile. E quando dico indescrivibile, intendo dire che a parole non si può rendere che una decima parte di ciò che Walburga Black ispira alla maggior parte delle persone che se la ritrova davanti. Con la coda dell’occhio posso vedere Marlene osservare con sguardo impassibile i miei genitori che si avvicinano.
Mia madre è alta, austera, e molto bella: in poche parole, una Black. È rigida, una di quelle donne che affrontano la vita a testa alta. Ma è molto di più: è una di quelle donne che la vita la schiacciano sotto la punta degli stivaletti come normalmente si schiaccia una blatta.
-Regulus- mi risponde lei, il volto serio, la voce fredda. Non lo prendo come un insulto, questo suo modo di fare così serioso… è sempre così, anzi, quando inizia a scaldarsi vuol dire che non ti ritiene degno di essere al mondo… volete un esempio? Sirius, bruciato. Andromeda, bruciata. Isla, bruciata.
Insomma, il calore si riserva solo alle persone che devono bruciare.
Mio padre è il tipico uomo d’affari, molto ricco che pensa soprattutto al lavoro. Non degna di uno sguardo Marlene e mi rivolge solo un’occhiata. Mi chiedo cosa possa essere mai successo, per trascinare mio padre a Hogwarts… si può dire, effettivamente, che abbia iniziato ad interessarsi a me solo quando fu chiaro che Sirius non era propriamente il figlio perfetto, e prima ancora iniziò a interessarsi a Sirius solo in quanto erede. Insomma, se Sirius avesse avuto due teste e quattro orecchie poco sarebbe importato, purchè fosse stato un Black degno di questo nome. Purtroppo per lui ha due orecchie e una testa a loro modo perfetti, peccato sia il resto ad essere sbagliato.

 
Tutta la mia furia è scomparsa non appena Walburga Black ha fatto la sua comparsa sulla scena.
È una donna alta, magra, austera, e sarebbe molto bella se i suoi tratti fossero più dolci e meno tirati. Ha gli occhi dei Black, grigi come il mare e duri come il ferro. Il signor Black, poco più indietro e molto meno interessato a me e a suo figlio di quanto non sembri sua moglie, è la fotocopia di come Sirius e Regulus saranno fra trent’anni.
-Marlene McKinnon, assomigli a tua zia- asserisce la signora Black guardandomi dall’alto in basso, con una smorfia dipinta sul volto –purtroppo-.
La parola cala nel corridoio come l’ascia del boia, stroncando qualsiasi normale tentativo di conversazione. Già, zia Dorea è peggio dell’acido, per i Black. Ha sposato un Potter… un babbanofilo e in più Potter. Credo si possa dire che tutta la sacrosanta dinastia avrebbe preferito vederla sposata con un caimano.
-dunque- sibila poi guardandomi e riguardandomi. Con una mano mi fa cenno di girarmi –sei troppo magra, devi mangiare di più, i tuoi fianchi si devono allargare se vuoi dare ad un Black un degno erede-
-ma…-
-non mi interrompere, ragazzina- mi rimprovera. Io sono ghiacciata qui, sul posto, immobile dopo aver fatto una giravolta su me stessa. Come si permette questa… questa… strega? Mi guarda con aria di sufficienza -sei piuttosto bella, immagino, e piuttosto aggraziata per essere una grifondoro. Regulus mi dice che sei anche moderatamente intelligente-.
Come prego?
Io piuttosto aggraziata?
Sono una McKinnon, benedetti fondatori! Io faccio parte dell’elegante Clan dei McKinnon d’Irlanda, e non sono moderatamente intelligente, sono intelligente punto! Ma chi Morgana si crede di essere, questa racchia imputridita dentro che mi guarda dall’alto in basso come se invece di concedermi la mano di suo figlio mi concedesse di sposare il supremo imperatore di tutto l’universo?
-che cosa ci fa lei qui al castello?- chiedo guardandola negli occhi. Occhi che si assottigliano pericolosamente alle mie parole, noto.
-tanta arroganza- sottolinea continuando a guardarmi.
Il silenzio cala ancora, più pesante di prima.
Non me la ricordavo così, mi pareva facesse più paura. Ora sono indignata, ma non sono impaurita. Sto per dare la mia opinione quando una voce ci interrompe, sarcastica.
-riunioncina di famiglia, a quanto vedo- esclama Sirius svoltando nel corridoio –per fortuna non mi avete chiamato, posso far finta di non avervi nemmeno visto-.

 
-non mi interrompere, ragazzina-.
Devo essere schizofrenico, sento le voci. Eh beh, che dire, dopo sedici anni passati con una madre come Walburga Black, o vieni su come Regulus o vieni su schizofrenico!
-sei piuttosto bella, immagino, e piuttosto aggraziata per essere una grifondoro. Regulus mi dice che sei anche moderatamente intelligente-.
Ok, queste non sono allucinazioni uditive, non avrebbero senso. Di solito, quando immagino mia madre nella mia mente, è tutta occupata ad insultarmi e a compatirsi per il figlio indegno e ignobile che ha tirato su, e poi opportunamente bruciato: ha cancellato le tracce, come se io potessi vantarmi di essere suo figlio. Peccato non avere un arazzo con tutti i nomi di quella sciagurata famiglia da bruciare, uno per uno, giusto per soddisfazione mia, niente di che…
Sento Marlene rispondere, ma non capisco cosa dica. Mi metto a correre, cercando la fonte della voce, velocemente.
Ad un certo punto li trovo, tutti insieme. C’è perfino Orion, mia madre deve proprio essere arrabbiata per essersi portata dietro perfino lui. Decido di intromettermi, se non altro per salvare la McKinnon, che guarda mia madre impassibile… eppure, per quanto impassibile, a me pare disgustata.
-riunioncina di famiglia, a quanto vedo- li interrompo con un ghigno –per fortuna non mi avete chiamato, posso far finta di non avervi nemmeno visto-.
Walburga non mi guarda nemmeno.
-Orion, puoi mica chiudere la finestra? Credo di aver sentito uno spiffero-.
Marlene mi guarda, è l’unica in realtà a guardarmi. Regulus si è irrigidito, mio padre non mi degna di uno sguardo e mia madre fa come se io non esistessi. E fin qui tutto bene.
Il problema è Lène, mi guarda davvero. Mi guarda con un’espressione triste e arrabbiata insieme, gli occhi limpidi e lucidi.
-Lène, hai problemi?- le chiedo gentile ignorando completamente gli altri tre –vuoi che ti riaccompagni in dormitorio?-.
-signorina McKinnon, vado or ora dal preside per parlargli della tua situazione- mi ignora Walburga con il tono ancora più gelido. Lène smette di guardarmi.
-s..situazione?-
-esatto- risponde –sto giusto per chiedere al preside di farti trasferire in una camera singola… immagino che ricordi quello che ti ho scritto-.
Marlene sbianca, poi mi guarda. Sposta di nuovo lo sguardo su mia madre. Io scoppio a ridere, capisco cosa ha intenzione di fare e mi tranquillizzo: la sua, con Silente come avversario, è una battaglia persa.
-ah, ma non mi dire- mi intrometto –è una di quelle tue assurde crociate, come quando sei venuta a parlare col preside per farmi spostare a Serpeverde, o quando hai chiesto che non venissi accettato a Babbanologia-.
L’unico indizio del fatto che Walburga mi ha sentito è lo scricchiolio dei suoi denti che si chiudono più forzatamente.

 
Non ci posso credere, questa donna è un mostro.
Sentire Sirius e Walburga parlarsi darebbe il vomito a chiunque. Sirius parla a sua madre con totale sprezzo, come se fosse la cosa più disgustosa al mondo… credo che anche se avesse a che fare con Lord Voldemort in persona, il suo tono non raggiungerebbe un livello così sprezzante.
D’altra parte, sentire Walburga chiedere al marito di chiudere la finestra mi ha gelato il sangue nelle vene. Come può una madre arrivare a parlare così di un figlio?
Mi volto verso Sirius e lo guardo, lo guardo davvero, per la prima volta in vita mia.
Non so cosa stia provando, so cosa sto provando io. Rabbia, compassione, pietà?
Per la prima volta in vita mia capisco, capisco davvero cosa ha scelto quando è scappato di casa. Capisco perché quel giorno di sette anni fa il cappello parlante lo assegnò a grifondoro, perché solo un grifondoro degno di tale nome può scegliere di tenere testa ad una donna del genere, e di andare fino in fondo. Non oso pensare come si possa combattere Walburga quando la donna che ti parla con tanto sdegno è tua madre. Se mia madre si rivolgesse a me così, penso che desidererei la morte.
-io fossi in te farei i bagagli, ragazzina- mi dice Walburga ignorando del tutto il suo primo, e ormai diseredato, figlio.
-Marlene- la correggo automaticamente. Gli occhi grigi tornano ad essere due fessure, talmente stretti da poter essere scambiati per l’apertura di un salvadanaio.
-ragazzina- ribadisce lei in tono duro –e ovviamente mi aspetto un trattamento più cortese, da una nuora. Ovviamente Regulus ti consiglierà su cosa dire e come dirlo, per questo devo ancora una volta invitarti ad unirti più spesso a lui e alla sua compagnia e a lasciare da parte certe sgradite… ehm, conoscenze-.
Sto aprendo la bocca per ribattere proprio quando lei alza la mano. Per un piccolo, insensato istante ho come il timore che afferrerà la bacchetta e mi getterà addosso una delle maledizioni senza perdono, per lo sguardo che ha. Questo pensiero mi chiude la bocca.
Le da il tempo di andarsene, seguita dal marito.
Solo allora mi esce un gemito, una muta richiesta d’aiuto. Al mio fianco, Sirius mi guarda, Regulus fissa ancora il punto in cui sua madre era fino a giusto tre secondi fa.
E poi fa una di quelle cose che non mi sarei proprio aspettata. Ma mai, come in quei filt (quelle cose babbane che ci ha fatto vedere Lils) quando il protagonista fa una cosa insensata che non sta ne in cielo ne in terra, e tu rimani li con un palmo di naso a guardarlo chiedendoti se lo è o lo fa.
Mi bacia. Anche se definirlo bacio è decisamente troppo.
Mi prende per un braccio e mi avvicina a lui, e meno di un attimo dopo le sue labbra sono sulle mie.
Non succede altro, mi allontana e se ne va senza degnarmi di uno sguardo.
E poi sono io quella scortese.

 
***

-questa cioccolata è davvero buona- sentenzio alla fine, levando la tazza come in un brindisi verso James, che mi guarda seduto nel divanetto davanti a quello dove sono seduta io, accanto al caminetto.
Lui risponde alzando a sua volta la tazza, piena di cioccolata e panna, con una spruzzata leggera di cacao. La mia, sopra alla panna, ha un spruzzata un po’ più pesante sia di cacao che di cannella, proprio come piace a me.
-come fai a metterci sia il cacao che la cannella, non è troppo…?- chiede dopo un sorso, stendendo le gambe. Sono lunghe, noto, e fasciate in jeans scuri.
Ridacchio, portando ancora la tazza alle labbra.
-beh, c’è un trucco, quando è troppo…!- lo prendo in giro io, raccogliendo con un dito un filo di panna sul bordo della tazza.
-trucco?- chiede ancora. Mi guarda, gli occhi attenti seguono i miei, senza lasciarli un attimo. È bello, alla luce del fuoco.
E non è bello perché è James Potter, perché è il cacciatore migliore che la squadra di grifondoro abbia mai avuto.
È bello perché è maledettamente vero, seduto su quel divano, con gli occhi nocciola fissi su di me, leggermente arrossati dalla fatica della giornata, i capelli scombinati anche più del solito e leggermente umidi a causa della doccia. E noto il profilo degli zigomi, la mandibola forte la cui linea è accentuata dalla luce calda del fuoco, che diffonde nei suoi tratti una tenerezza che non vi avevo mai scorto.
Ma che diavolo vado a pensare?
È James Potter! Se lo sapesse Mary mi prenderebbe in giro fino alla nausea, iniziando a saltellare per la stanza e ad urlare “ho vinto!”… pretenderebbe di farmi scontare l’ennesima scommessa… chissà perché, con lei perdo sempre!
-allora, mi vuoi dire quale è il trucco?- mi chiede spazientito. Deve avermelo chiesto già due o tre volte, ma ero così impigliata tra i tentacoli dei miei pensieri che non c’ho nemmeno fatto caso.
Ridacchio ancora. Chissà perché mi viene così da ridere! Penso solo che sia buffo che uno di quei tanti purosangue che, a loro detta, sarebbero i migliori, non conoscano una stupidaggine del genere.
Inclino la testa verso destra, e per un secondo mi limito a guardarlo. Poi poso la tazza sul tavolino che divide il mio divano dal suo, lentamente mi alzo, e faccio qualcosa che non avevo mai messo in prevenzione di fare, con James Potter.
Mi avvicino a lui talmente tanto da potergli contare tutte le pagliuzze dorate che fanno capolino dal morbido nocciola dei suoi occhi. Sono molto più vicina a lui di quanto non fossi quella sera in cui Dorea e Charlus ci hanno interrotto. Sono talmente vicina che posso sentire il suo respiro lento sfiorarmi la pelle delle gote, che sento rossissime.
Poi, con pollice e indice gli serro delicatamente il naso dritto, così da non farlo respirare.
Ora, no, non sono diventata completamente scema, anche se è quello che state pensando.
Non voglio uccidere James Potter! Voglio solo svelargli il trucco, si capisce.
James mi guarda con occhi spalancati, forse indeciso se liberarsi oppure trattenersi dall’essere scortese.
-che cosa…?- la voce mi giunge ovattata, per ovvi motivi.
Così, veloce come l’ho preso, lo lascio. Tolgo le dita lasciando la presa delicata che avevo sul suo naso, e all’improvviso lo vedo spalancare gli occhi sorpreso.
Ha capito.

 
È incredibile, questa ragazza ne sa una più del diavolo.
Quando si è avvicinata a me con fare così inconsapevolmente sensuale ho pensato solo una cosa… anzi, due:
primo, ecco che adesso ci rimango secco;
secondo, per lo meno muoio felice.
Ma poi mi ha stupito. Si è avvicinata con una luce negli occhi che non le avevo mai visto, così bella e seducente che per un attimo ho perso il controllo del mio corpo, che semplicemente se ne stava li quando avrei voluto prenderla e stenderla sul divano, sentire le sue labbra, sentire lei.
Poi mi ha chiuso il naso tra due lunghe e affusolate dita pallide. La sua stretta era decisa ma gentile, e lei era così vicina che per un attimo mi sono anche illuso di poter sentire il battito del suo cuore.
Ma ovviamente non era il suo, di cuore, a battere così furiosamente. Credo fosse il mio, non c’ho prestato moltissima attenzione.
-che cosa…?-
All’improvviso scioglie la sua presa. E capisco!
Un’improvvisa zaffata di cacao mi sorprende avvolgendomi e oscurando, per un attimo, l’intenso odore di fiori che la ragazza sprigiona soprattutto a causa della doccia recente.
Cacao, per un attimo riesco a sentire solo quello, e sgrano gli occhi dallo stupore.
 
***


-tu… tu… tu- balbetto, non so cosa dire, sono scioccato, deluso, ho lo sguardo spiritato. E lei è scioccata, delusa, ha lo sguardo spiritato… ma non quanto me –tu… tu l’hai… insomma tu…-
Lène è ancora ferma al suo posto, non riesco a capire cosa stia realmente pensando. In lontananza, Regulus si allontana. Il rumore dei suoi passi svanisce e nel corridoio resta solo il nostro respiro, affannato, appena udibile nel castello.
E il battito del mio cuore, scioccato, deluso, spiritato. Ma non credo che quello conti qualcosa.
-tu l’hai baciato- esclamo stizzito, e mi sento tanto una primadonna mentre punto il dito verso l’angolo in cui il vero erede dei Black è scomparso.
Marlene si riprende, e mi guarda delusa.
-io l’ho baciato?- mi urla poi contro. Non l’ho mai vista così, non l’ho mai nemmeno sentita gridare contro qualcuno in preda alla rabbia. Di solito è fredda, glaciale. Io ne so qualcosa, di Marlene McKinnon in preda alla rabbia, soprattutto ultimamente –io non l’ho baciato, lui ha baciato me! E poi… poi…-
-poi?- chiedo gelido. Mi sono ripreso a sufficienza da tornare abbastanza me stesso. Aspetto che finisca la frase, ma la vedo annaspare e la fisso ancora più gelidamente.
-poi…- ormai gesticola come una pazza, poi fa qualcosa di inaspettato. Mi da una fortissima spinta che mi sbatte contro il muro –e poi chi diavolo sei, tu, Sirius Black, per chiedere spiegazioni!?!-.
La mia schiena cozza contro un angolo, una botta che mi lascia stranito. Si guarda le mani e mi guarda, poi si volta e si mette a camminare.

 
Destinazione: ci sto lavorando, e non è facile.
Metodo di fuga: ci sto lavorando, e non è facile.
Spiegazione: si sto lavorando, e non è facile.
Ok, immaginatevi di essere appena stati baciati da Regulus Black, davanti a suo fratello che vi accusa ingiustamente (e non ha nessun motivo per farlo, all’apparenza!), in più immaginatevi di essere attratti da quel fratello in modo immensamente forte, ma immensamente sbagliato, e ancora immaginate di essere promessi in matrimonio al fratello di quel fratello, a quello che vi ha appena baciati.
E ora ditemi che pensare alla destinazione, al metodo di fuga e alla spiegazione è facile!
Insomma, è già tanto se mi reggo in piedi, sto camminando ondeggiando come un’ubriaca, non so perché ho spintonato Sirius ne tanto meno dove intendo andare.
Ovviamente Sirius mi raggiunge dopo nemmeno dieci secondi, è rigido e mi si para davanti.
-sono Sirius Black- risponde fermandomi e afferrandomi i polsi con le mani.
Una fortissima scarica mi pervade il corpo, dalla spina dorsale in su, per poco non muoio all’istante fulminata.
Le sue dita si stringono sui miei polsi, sento dolore ma non ho intenzione di dargliela vinta.
-vai al diavolo, Sirius Black- ribatto cercando di scrollarmelo di dosso.
-vacci tu, Marlene McKinnon, e portati dietro quell’accidente di mio fratello, possa morirci, con il diavolo!- la veemenza delle sue parole mi stupisce: mi stupisce perché quelle parole sono infiammate di rabbia quando di solito Sirius Black è talmente freddo da farmi prendere i geloni.
-lasciami- sibilo irata. Non lo so, non lo so proprio il perché, ma adesso mi prudono le mani dalla voglia che ho di tempestarlo di pugni, calci e quant’altro.
-non sembravi così reticente alle attenzioni di mio fratello- risponde truce, non accennando minimamente a lasciarmi andare le mani. Lo guardo negli occhi, e per un attimo non capisco più niente. Vedo solo grigio, sbando, e riesco a reggermi in piedi grazie a solo Merlino sa cosa.
-attenzioni?- rispondo solo per non lasciargli l’ultima parola, perché mi si è seccata la lingua ma non l’orgoglio.
-quel bacio! Che poi, scusami, ma quello non è un vero bacio, non dirmi che è il massimo che sai fare!- esclama alzando la voce.
Cosa?

 
Non posso averlo detto davvero!
Vi prego, fondatori, ditemi che non l’ho detto a voce alta!
Dal suo sguardo capisco che si, l’ho detto a voce alta. A voce molto alta, a quanto sembra.
Ok, ho urlato.
Marlene mi guarda, impallidita. Ha persino smesso di dibattere le braccia per tentare di liberarsi.
-primo- sussurra dopo qualche attimo di silenzio, perfettamente impassibile, come se stesse parlando della lista della spesa –non vedo perché a te dovrebbe interessare una cosa del genere. Secondo, toglimi le tue luride mani di dosso, Black. Terzo- aggiunge guardandomi gelida –Regulus e io siamo fidanzati, per quanto di difficile comprensione questa cosa possa essere-.
-si, è vero, è difficile capirlo- rispondo, e per la prima volta da settimane sono sincero. Perché la prima cosa che mi sono chiesto, quando ho capito tutto, è il perché, il maledetto perché!
Perché Marlene McKinnon non si ribella, non urla, non strepita, non uccide mio fratello e lo manda al diavolo?
E perché Marlene McKinnon sposerà mio fratello quando non mi ha mai nemmeno guardato, non nel modo che vorrei io?
Mi guarda, ora. E io la guardo, sempre tenendo tra le dita i suoi polsi.
Poi faccio qualcosa che non avevo premeditato: alzo le sue mani fino a portarle tra me e lei, le guardo i polsi. Con delicatezza le lascio andare il polso sinistro, reggendo quello destro in modo che sia io che lei possiamo vederlo chiaramente.
Tra di noi, le nostre braccia unite, le mie mani che tengono il suo polso, fragile e bianco. E bello, insensatamente bello.
Un attimo dopo, sotto il suo sguardo indecifrabile, con le labbra seguo la linea blu della vena che si staglia nel pallore marmoreo della sua pelle, baciandole l’incavo del polso come se fosse il mio tesoro più prezioso.
-perché lui si e io no?- le chiedo alla fine, sussurrando appena con voce roca, rotta dal desiderio.

 
***

Prima c’è il cacao, poi non c’è più niente.
Lily, in piedi davanti a me, ride divertita mentre affascinato mi tappo più volte il naso lasciando poi la presa.
Cacao, niente, cacao, niente.
È incredibile, ma se mi tappo il naso non sento il gusto del cacao. Ha ragione, è un trucco per non sentirne la dolcezza.
La guardo affascinato, mentre continuo questo nuovo gioco.
-come sei buffo- ridacchia ancora lei, forse per la mia espressione, forse perché sono davvero buffo. Non so.
-perché succede?- le chiedo.
-cosa, perché succede che sei buffo?- risponde.
-no, perché succede che con il naso tappato non riesco a sentire il gusto del cacao- ribadisco io.
-non lo so- risponde ancora, scrollando la testa e sporgendosi verso il tavolino per riprendere la cioccolata da dove l’aveva lasciata. Poi, come se nulla fosse, si siede sul divano accanto a me.
-succede anche con la cannella?- chiedo. Non sono completamente rimbambito, è solo che questa cosa mi affascina, probabilmente perché è un segreto che mi ha svelato lei. Lei, che ora si siede qui accanto a me come nulla fosse, stringendosi nelle spalle e annuendo.
-mi racconti di te?- le chiedo prima di potermi fermare. Lei alza lo sguardo dalla sua tazza, gli occhi grandi e limpidi.
-cosa vuoi sapere?- chiede in risposta, incerta.
-tutto quello che vuoi dirmi- sorrido. Pensavo l’avrebbe presa peggio.
-tutto?- chiede ancora –anche che da piccola avevo un pesce di nome Terry che ho perso nello scarico della vasca da bagno?-.
-si, anche di quel pesce- annuisco.
E allora inizia a raccontare, dapprima lentamente, poi sempre più entusiasta. Di tanto in tanto si agita, si muove, posa la tazza e gesticola animata.
-e poi, c’è stata quella volta in cui ho cambiato per sbaglio colore alla faccia di Thomas Berry, hai presente la magia accidentale dei bambini? Avevo solo sette anni, in fondo!-.
-povero, che aveva fatto il povero Thomas Berry?- chiedo provando pietà per il malcapitato.
-aveva cercato di tirarmi su la gonna- risponde indispettita.
-ah, hai fatto bene allora- rido mentre il sentimento di pietà va a farsi benedire. Provo una gioia selvaggia nel pensare che il povero cretino non sia riuscito a vedere le sue gambe da favola.
-lo pensi davvero?- chiede con un’aria furba e un sopracciglio inarcato, incrociando le braccia –perché sai, anche tu hai provato a tirarmi su la gonna… magari posso punirti in ritardo-.
-io sono il famoso James Potter, Evans- scherzo scuotendo la testa, e ridendo. Anche lei ride, e mi da uno scappellotto sulla nuca –che altro è successo, poi?-.



note:
innanzitutto, ho dovuto dividere il capitolo in 2, è troppo lungo e vi avrei lasciato ad aspettare troppo, altrimenti =)
in secondo luogo, questo è stato il capitolo più difficile da scrivere di tutti quelli che ho scritto in tutta la mia vita, in tutte le storie, nessuna esclusa. Spero tuttavia che vi piaccia ugualmente.

adesso un paio di precisazioni:
mi sembrava interessante far intervenire sua signoria la signora (è una ripetizione pienamente voluta) Black, che mi è sempre piaciuta un sacco.
inoltre, la storia del cacao è vera. se vi mettete in bocca una cucchiaiata di cacao o cannella in polvere e vi attappate il naso non ne sentite più il gusto... provate, a me piace troppo, perchè poi quando riprendete a respirare l'odore e il gusto vi assalgono molto più intensi.

il prossimo capitolo sarà quello...?
buona lettura, Hir!

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Capitolo 10
*** cucine e suoceri- parte 2 ***



-e poi che hai fatto?- mi chiede Lily guardandomi meravigliata.
-che dovevo fare?- chiedo in risposta. La guardo, è adorabile, mezza sdraiata sul divano, la tazza ormai abbandonata sul tavolo e le nostre risate incontrollate che ormai aleggiano nell’aria. È la seconda cioccolata calda, ormai, e ormai anche io l’ho quasi finita.
-non so, hai lasciato che ti mettessero in punizione?-.
-guarda cara, che sei tu che mi hai messo in punizione quella volta!- rido ormai a crepapelle, non riesco più a vederla dalle lacrime che ho negli occhi. La sento, anche lei sta ridendo ancora.
-allora vuol dire che te lo meritavi, Potter!- risponde imitando alla perfezione il tono severo della McGrannitt.
-certo, ma dimmi che non ti sei divertita, quella volta!- ribatto –ti ricordo che fino a mezzo minuto fa pensavi che fossi un genio-.
-non ho mai detto una cosa del genere, Potter- risponde truce, alzandosi. Nonostante tutto vedo che ha una luce nuova, negli occhi, una luce con cui non mi ha mai guardato.
-però l’hai pensato, ammettilo- sussurro roco. Vederla guardarmi così mi ha lasciato con la gola completamente asciutta, forse per l’emozione. No, sicuramente per l’emozione.
-piuttosto la morte- esclama d’un tratto alzando il mento in una posa fiera. Potrebbe sfidare Voldemort, questa ragazza, solo per orgoglio.
-mhm, ne sei proprio convinta?- chiedo posando la mia tazza e cercando di acchiapparla con il braccio libero, tirandomela sulle ginocchia.
Con dita sicure inizio a farle il solletico, è un tale sollievo sentirla ridere!
Dopo il casino che ho fatto con l’invito a Hogsmeade ho seriamente pensato che non mi avrebbe mai più rivolto la parola, invece scoprire che non è così mi fa stare allegro.
Le sue mani, veloci e piccole, molto più piccole delle mie, si fanno strada fino alla mia testa, cercando di tirarmi i capelli.
-questo è un colpo basso, Evans!- dichiaro –i miei adorati capelli-.
-oh, certo, i suoi adorati capelli!- mi fa il verso alzando gli occhi al cielo. Io ancora rido, e quando mi fermo mi accorgo del silenzio innaturale calato tra noi. Mi sento stupido, e una domanda mi sorge spontanea, a questo punto:
perché diavolo ogni volta che mi trovo a meno di un palmo da lei ho la faccia di una triglia e il cervello di un canarino?
E perché sento che sto arrossendo in maniera spropositata, come lei?
In un attimo mi accorgo che sto tenendo Lily Evans, il mio sogno proibito da sei anni a questa parte, sulle ginocchia.
Da sei anni a questa parte solo perché sono sei anni che la conosco, se l’avessi conosciuta prima ovviamente l’avrei notata, anche se avessi avuto solo due anni.
Sto tenendo Lily Evans sulle ginocchia, gente!
Mi viene la voglia di farmi un sonorus alla gola e urlarlo a tutto il castello.
Lily Evans è sulle mie ginocchia!
Quella Lily Evans è su queste ginocchia!
E adesso mi sta guardando, Merlino, mi sta guardando. Mi guarda negli occhi, e all’improvviso mi sento troppo stupido per tenerla sulle ginocchia, troppo idiota per aver davvero le mani sui suoi fianchi, troppo…
Troppo, o troppo poco.
Adesso è più vicina, posso contarle le lentiggini una per una e, per Godric, sono le più belle lentiggini che io abbia mai visto! Ne ha parecchie, sulle gote ora lievemente arrossate, ma giuro che un giorno riuscirò a contarle tutte, una per una, dovessi metterci un’intera notte, sarebbe comunque la notte più bella della mia vita.
Non riesco a staccare gli occhi dai suoi, così verdi, così brillanti. Penso che i miei sono banali, ma al confronto con i suoi qualsiasi colore è banale.
-James…- un sussurro, niente di più.
Mi sono immaginato questa scena, nella mia mente, talmente tante volte che ho quasi paura di non sapere più come si fa correttamente, una cosa del genere… avete presente come quando ripetete “limone” così tante volte che la parola “limone” perde significato? E non sapete più se si dice “limone” o “milone”?
Ecco, è così che mi sento, non so più se dicendo “milone” direi la cosa giusta.
La mia fronte sfiora la sua, le punte dei nostri nasi si toccano. L’attesa per quello che sta per succedere è al contempo snervante e eccitante, e se da una parte vorrei baciarla così tanto e così velocemente da farci perdere ad entrambi l’uso delle labbra, dall’altra spero che questo attimo non finisca mai.
La guardo, ha gli occhi bene aperti e fissi nei miei, riesco a specchiarmi in quelle pozze chiare e lucenti, penso solo che vorrei affogarci. Una sua mano affonda tra i miei capelli, sento il suo respiro sulle labbra.
-tutti gli studenti vadano nei loro dormitori, gli insegnanti si rechino al corridoio del quarto piano immediatamente. Chiunque sia sorpreso a disobbedire a quest’ordine, verrà immediatamente espulso-.
La voce della McGrannitt ci spaventa al punto che Lily fa un salto indietro, alzandosi di scatto dalle mie ginocchia e sfilandomi la mano dai capelli, e anche io faccio un salto indietro, veloce, e vado a sbattere la testa sull’unico punto duro di tutto il divano, maledette cucine.
Maledetta McGrannitt.
Maledetto il suo tempismo perfetto.
-Potter, deve essere successo qualcosa- esclama Lily, cercando disperatamente di non guardarmi negli occhi. È così rossa che potrei cuocere un uovo sulla sua fronte. Si sta allontanando, e per evitare che se ne vada da sola le prendo una mano. Lei mi guarda, guarda la mano, guarda le tazze e poi il passaggio nel muro –muoviti, andiamo-.
Veloce, mi tira verso il corridoio con una forza che non avrei mai immaginato potesse avere.
Giuro che se il motivo per cui ci hanno interrotti non sarà dannatamente buono, schianterò personalmente Minerva McGrannitt.

 

***


-perché lui si e io no?-
Le labbra di Sirius indugiano sul mio polso lasciandomi sulla pelle una scia umida e bruciante.
Non riesco più a muovermi, a pensare, non riesco nemmeno a non guardarlo negli occhi. Faccio fatica a trattenere il magone che sento incastrato in gola, e che minaccia di scoppiare da un momento all’altro.
Maledetta mia madre e il giorno in cui ha pensato di cacciarmi in questa storia.
-è tutto qui- sussurro in risposta, e non è un’accusa, una domanda o chissà che altro. È una constatazione, una constatazione che mi costa ogni grammo di volontà. Eppure cosa mi aspettavo?
Sirius mi guarda interdetto, le sue labbra ancora vicine al mio polso, il suo tocco ancora impresso nella pelle. E il suo sguardo puntato nel mio, stupito forse?
-cosa?-
-è tutto qui, quello che interessa a te- mormoro. Ancora, niente accuse. D’altronde, perché dovrei accusarlo se la mia vita sta andando a rotoli!?
-che interessa…- è davvero interdetto -…a me?-.
Ok, così però mi fa arrabbiare. Posso accettare tutto, d’altronde lui è Sirius Black, ma che non provi a prendermi in giro in questo modo, può farlo con le sue ochette, ma se lui è Sirius Black io sono pur sempre Marlene McKinnon!
-smettila- sibilo questa volta decisa, e si, suona come un’accusa. È un’accusa in piena regola, a conti fatti.
Mi guarda, abbassa le mani e si separa da me, lasciandomi il polso. Continua a guardarmi.
-Lène, stai bene? Io ti ho appena detto che…- la sua voce mi manda in bestie.
Appunto, mi ha appena detto che! Insomma, sapevo che lui è lui, ma fino a questo punto!
-certo, che diamine te ne frega a te se la mia vita va a rotoli, se mi costringono a sposarlo, se sto male, se rischio tutto? Chi diavolo te lo fa fare a te, di preoccuparti per me?- gli sibilo contro, acida –l’unica cosa che ti interessa è questo! Perché, perché mai un’oca come Marlene McKinnon non cede al fascino di Sirius Black? Ti brucia, Black, non avermi nella tua collezione!?-.
Lui mi guarda stranito, allontanandosi appena.
-no, non ti brucia per il fatto della collezione!- continuo io, spingendolo indietro e mandandolo ancora a sbattere contro il muro –ti brucia che tuo fratello possa avermi e tu no! È solo una stupida gara, partorita da una mente stupida e malata come la tua, idiota che non sei altro! Non capisci perché lui si e tu no, che stupida che sono, io che ancora credevo che te ne importasse qualcosa, delle persone attorno a te, qualcosa in più della tua fantomatica raccolta di ragazze e…-
-tutti gli studenti vadano nei loro dormitori, gli insegnanti si rechino al corridoio del quarto piano immediatamente. Chiunque sia sorpreso a disobbedire a quest’ordine, verrà immediatamente espulso-.
La voce della McGrannitt, magicamente amplificata, raggiunge ogni angolo del castello. Volto appena lo sguardo verso l’ingresso del corridoio, poi di nuovo verso quel pallone gonfiato menefreghista di Black, che si guarda intorno stranito. Ma è per caso ubriaco? È da quando mi ha baciato il polso che sembra totalmente rimbambito.
Merlino, Sirius Black mi ha baciato un polso.
E, cosa assai peggiore, sento il suo tocco ancora su tutta la pelle, infiammata dalle sue labbra, dalla sua lingua.
E, potente come un pugno in faccia, arriva il punto, quel maledetto punto che mi sfiora la mente fin da quando ho ricevuto la lettera con il mio nome e quello di Regulus. Capisco perché non volevo che fosse lui, il mio promesso. O meglio, sapevo già di avere un debole per Sirius Black, ma solo una scema potrebbe innamorarsi di lui.
Solo una scema potrebbe innamorarsi di suo cognato.
Innamorata. Di lui.
Di Sirius Black.
Furiosa, come non ricordo di essere mai stata, lo guardo e lo schiaffeggio.
O meglio, la mia intenzione è quella. Ce l’ho tutta, l’intenzione di schiaffeggiarlo, di fargli talmente male da fargli provare, per una volta nella vita, un dolore degno di tale nome.
Che sia peggio di una cruciatus, peggio di un sectumsempra.
In effetti, penso sia comico come i Black riescano a tirar fuori il peggio di me.
Perché non è proprio uno schiaffo, quello che gli arriva.
Non è nemmeno la mia mano, quella che tocca il suo viso.
È un bacio, quello che gli arriva.
Sono le mie labbra a toccare il suo viso.
In realtà, riesco ad essere molto più violenta con questo bacio che non con mille schiaffi e qualche pugno e anche un calcio, magari.
È solo un attimo, ma con la forza mi faccio strada tra le sue labbra, la mia lingua avvinghia la sua trascinandola in una danza mortale.



Merlino, è possibile provare cose del genere con un semplice bacio?
Con niente più che lo sfregamento di due bocche e l’attorcigliamento di due lingue?
Non so quanto tempo passa, non mi interessa.
Mi scosto e lo guardo.
Poi realizzo quello che ho fatto.
-sei contento ora?- gli chiedo delusa, allontanandomi –hai avuto quello che volevi, come tutti, in questo dannato mese. Mamma e papà il loro dannato matrimonio, Walburga avrà la sua dannata stanza singola, Regulus la sua dannata moglie purosangue e tu il mio dannato nome da aggiungere alla tua dannata lista-.
Mi accorgo delle lacrime quando ormai hanno già iniziato a scendere, mi accorgo che sto urlando come una pazza piangendo come una scema quando sento il silenzio attorno a noi.
Ma tanto a lui che cosa importa?
Delusa, straziata, ormai praticamente morta, mi giro e me ne vado.
Penso che è strano, come Sirius Black riesca a farmi male anche solo stando zitto.

 

***


Quando torniamo in dormitorio, silenziosi e imbarazzati, notiamo subito la strana atmosfera nella stanza. In sala comune, tutti i presenti parlano contemporaneamente, l’uno sull’altro, cercando di approfondire, forse, un argomento.
Guardo James, poi sposto lo sguardo sulla mia mano che ancora tiene la sua, come per aggrapparmi a qualcosa, e sentendo il viso farsi scarlatto mi allontano un po’ interrompendo il contatto.
Mi manca, quella mano forte e grande. Per un solo, insensato istante, penso che le sue dita sembrano fatte proprio per tenere al sicuro le mie.
Cioè, è incredibile come le nostre mani s’incastrino alla perfezione… come un puzzle di quelli che facevo con tunia da bambina.
Merlino, Lily, sei diventata pazza?
Ci manca solo che mi metta a ricamare un asciugamano con le nostre iniziali per fare il corredo.
All’improvviso il buco del ritratto dietro di noi si apre, e vengo letteralmente investita da una Marlene McKinnon in fuga da qualcosa, o da qualcuno.
-scusami Lils- sussurra lei aiutandomi a rialzarmi. La guardo e noto che ha gli occhi rossi e la faccia ancora più pallida del normale.
-tutto bene, Lène?- chiedo trattenendola per un polso.
E il mongolino d’oro per le domande stupide va a… Lily Evans!
-scherzavo, ovvio che non va tutto bene- mi rispondo da sola. Sono contenta, nonostante abbia pianto riesco a strapparle un sorriso, un meraviglioso piccolo sorriso solo per noi due, solo per me, la sua migliore amica. Mi chiedo se quel piccolo sorriso abbia il potere di risanare, poco a poco, tutte le ferite che quegli imbecilli dei suoi genitori purosangue gli hanno causato in questi ultimi tempi.
-ragazzi, sapete che è successo?- chiedo rivolta a Remus e Frank, seduti sulle poltrone accanto al caminetto. Loro ci notano solo adesso, ed è chiaro come il sole che sono preoccupati, glielo si legge negli sguardi ansiosi, nei gesti frenetici con cui gesticolano.
-siete tornati!- esclama Mary spiccando un balzo dalla sua poltrona e circondandoci le spalle in un abbraccio stritola ossa. La stessa sorte tocca anche a James, che è rimasto poco più indietro –ora manca solo Sir-.
-sta bene- risponde a sorpresa Lène, abbassando lo sguardo. Il disprezzo con cui ha parlato è palese.
Non le chiedo come faccia ad esserne così sicura, me lo racconterà stasera.
-è successo qualcosa ad uno studente?- chiedo leggendo le facce delle persone sedute li attorno.
Una scioccata Alice scuote la testa a più riprese, mentre Frank, alquanto incredulo, le carezza i capelli con fare molto paterno; Emmeline si tortura le mani con uno sguardo strano, cercando con gli occhi lo sguardo di Remus mentre Mary china il capo, come rassegnata.
-la McGrannitt è stata qui, prima di avvisare la scuola. Dove eravate? Vi cercava e…-
-grazie, signorina McDonald, ma credo di poter continuare io da qui in poi- la voce della professoressa di trasfigurazione mi fa sussultare, quando entra dal buco del ritratto –signorina Evans, signor Potter, vi prego di radunare i prefetti della nostra casa e di seguirmi-.

 

***


Corridoio del primo piano, ala nord. 
Aula in disuso di difesa contro le arti oscure, che ancora porta i segni della materia di cui tempo fa ospitava le lezioni.
È un’aula buia, rischiarata per l’occasione da due sfere chiare, due piccoli soli. Sulla destra, lungo la parete, corrono grandi fogli con disegni di particolari creature magiche, tra cui un avvincino e una sirena, sulla sinistra una grande lavagna e un acquario con dentro quelli che sembrano i resti di un’animale. È stipata di gente.
In effetti, non siamo nemmeno in troppi, ma la stanza non è troppo grande e già solo noi prefetti e caposcuola siamo in ventisei. In più ci sono i professori, l’intero staff di Hogwarts al completo, capeggiati da un severo e quanto mai enigmatico Albus Silente.
-bene, vedo che ci siamo tutti- prende la parola il preside. Si ferma un attimo, quasi per scegliere le parole con cui iniziare quello che si preannuncia in tutto e per tutto un gran discorso –innanzitutto, ho intenzione di aggiornarvi su ciò che è successo al quarto piano poco meno di un’ora fa, appena prima che venisse diramato l’ordine di non uscire dai dormitori. La studentessa Grainne O’Connell, quarto anno corvonero, è stata ritrovata nell’aula di incantesimi priva di sensi. Il suo stato mostra chiaramente l’uso ripetuto della maledizione cruciatus. Ora, credo farei un insulto alla vostra intelligenza ribadendo la gravità della situazione-.
Silente si ferma ancora e, accanto a me, sento Lily trasalire. Mi guarda, e vedo nei suoi occhi il gelo tipico di una nottata di pieno gennaio… lo vedo con tale chiarezza che per un attimo anche io mi sento invaso da tale sensazione.
-come sta Grainne?- chiede Andrew Goldstein, prefetto corvonero del mio stesso anno. È molto preoccupato, glielo si legge chiaramente dipinto sul volto. Una ragazza, April Hossas, è talmente pallida che tempo da un momento all’altro possa svenire-.
-è stata appena trasferita al San Mungo, non abbiamo ancora notizie dall’ospedale- sussurra una visibilmente sconvolta McGrannitt.
Alcuni gemiti contriti si fanno sentire da parte di noi studenti.
-signore, ha qualche idea su chi possa aver…-.
È Lily a parlare, Silente la interrompe immediatamente.
-molte, signorina Evans, e mi creda se le dico che sono una più sconvolgente dell’altra. Vi ho fatto chiamare, perché vorrei esortarvi, in un momento come questo, a mantenere la calma voi per primi e a farla mantenere ai vostri compagni di casa, con una particolare attenzione al rispetto delle regole. È della massima gravità quello che è successo oggi-.
-professore, pensa che centri qualcosa il fatto che Grainne fosse figlia di babbani?- chiede dal suo posto una Mary McDonald ancora scioccata.
-ah, ci avete convocati qui solo per una stupida sanguesporco?!- esclama stizzito Mulciber dal suo posto, comodamente seduto su un banco con aria strafottente.
La frase di Mulciber infiammò gli animi, e d’un tratto sia serpeverde che corvonero si ritrovarono ad urlare gli uni contro gli altri, gl’ultimi supportati sia da grifondoro che da tassorosso.
-come ti permetti di parlare di lei in questo modo?- sibilò un amareggiato Andrew Goldstein sfoderando la bacchetta.
-dovresti esserci tu al suo posto!- esclamò in risposta un furioso Barny Rescor imitando Goldstein.
-si, per quello che ne sappiamo potresti essere stato addirittura tu- gli diede man forte la MacFadyen facendo trasalire la McGrannitt.
-basta, signori, vi prego-.
Bastarono semplicemente tre parole di Albus Silente per riportare l’ordine nella stanza. Tutti si voltarono verso il preside.
-signor Mulciber, la prego di non usare certi termini con gli studenti di questa scuola. Signorina MacFadyen, la prego, queste sono accuse pesanti da avanzare. Credo che l’avvenimento abbia sconvolto tutte le nostre menti già provate, per altro, dalle fatiche della giornata. Propongo, quindi, di tornare ognuno nelle proprie sale comuni. Potrete aggiornare i vostri compagni di casa e prego perdonerete l’insistenza di un vecchio, se vi ripeto che è della massima importanza che voi calchiate il discorso del rispetto delle regole. Buona notte-.

***

 
Mentre torniamo in sala comune non posso far altro che ascoltare i discorsi dei miei compagni di casa.
-interromperci solo per una sanguesporco, ecco come sono calati gli standard di questa scuola!- esclama Mulciber sdegnato. Accanto a lui, la Nott scuote rabbiosa la testa bionda.
Io, da parte mia, non li sto nemmeno ascoltando. Effettivamente scoccia anche a me il fatto che abbiano interrotto il discorso che stavo facendo con Black solo per aggiornarmi sullo stato di salute di una Sanguesporco, di cui per altro sapevo già tutto, ma non me la prendo così tanto, e avvicinando il mio compagno di stanza mi limito a guardarlo.
-che cosa vuoi ancora, Rabastan?- mi chiede alzando lo sguardo e sospirando.
-cosa ci facevano i tuoi qui, Black?- gli chiedo in risposta, piuttosto entusiasmato –sono venuti per dirti la data?-.
Si, sono più che felice se penso cosa mi riserverà il futuro.
Una vita, e che vita, piena di lusso e di onore.
-no, sono venuti per controllare la McKinnon- risponde in tono piatto.
Ah, si tratta di quello allora. Pensare al matrimonio di Regulus Black con quella schifosa grifondoro mi fa rabbrividire. Insomma, tutti pensavano che il rampollo preferito (unico, ormai, da due anni) di casa Black sarebbe stato accoppiato alla sorella di Greengrass, Megara. Chi se lo sarebbe mai aspettato, da Lui, una richiesta di questo genere?
In tutta la casa Serpeverde gli unici che hanno preso bene questa notizia, oltre a Regulus, sono stati sua cugina e Piton. Io sto iniziando a scendere a patti con questa cosa solo adesso, sebbene Regulus sia mio compagno di stanza da ben sei anni non mi sono fatto troppi problemi nel voltargli le spalle…
Insomma, non è mica un mio amico.
-e la data? Quando si saprà?- gli chiedo ricacciando quei pensieri nella mente.
-quando si saprà, te la dirò- risponde lui bruscamente –magari te la comunicherà direttamente tuo fratello, d’altronde lui è già uno di loro, al contrario dei miei, che non lo sono mai stati-.
-magari- commento io in risposta.
Quando fa così proprio non lo sopporto.
-ma dico, avete visto che faccia aveva quella Sanguesporco che non è altro, la Evans?- chiede ad un certo punto Avery –chissà, magari sa già che la prossima sarà lei-.
Rido, insieme agli altri.
La Evans, proprio non la sopporto, quella ragazzetta piena di se e delle sue regole.
-chi lo sa, magari è abbastanza intelligente da capirlo- rispondo allora –questa volta, però, non sarà abbastanza veloce da schivare il mio incantesimo-.
-dai, Rab, tutti sanno che sei il più bravo, con la cruciatus- mi da corda quella gatta morta della Nott, che solo poco fa ha fatto gli occhi dolci a Mulciber –e chi non lo sa ancora, lo saprà presto!-.

***

 
DORMITORI FEMMINILI GRIFONDORO SETTIMO ANNO, ORE 03.07
 
Tengo Lils stretta per i fianchi, siamo stese sul mio letto e io sto piangendo.
Da quando è rientrata dalla riunione con i prefetti e i professori sono passate più di cinque ore. Siamo salite dopo un’ora, e da allora siamo qui, strette nel letto, senza rivolgerci la parola.
-Lène, perché piangi?- mi chiede ad un tratto, voltandosi. Ha gli occhi luminosi, è bella, c’è qualcosa che la fa risplendere, risplendere da dentro.
-Sirius Black è uno stronzo- rispondo.
-lo sappiamo da sette anni, Lène- sussurra lei passandomi una mano sulla guancia –perché piangi proprio oggi?-.
Soffoco un singhiozzo sul cuscino.
-mi sono innamorata di uno stronzo-.

***


 Lène piange da quattro ore, ormai, e dopo le sue parole è tornato il silenzio, interrotto da qualche singhiozzo.
-Lils?- questa volta è lei a spezzarlo. Mi guarda, è bella. I suoi occhi brillano di lacrime, e mi appunto di spezzare le gambe a Sirius Black in talmente tanti pezzettini che domattina farà fatica a trovarli tutti.
-si?- chiedo guardandola ancora.
-perché risplendi?- mi chiede.
Sorrido, non posso far finta di non capire. So perfettamente di cosa parla.
-James Potter è un idiota- rispondo con un sorriso, imporporendomi.
-lo sappiamo da sette anni, Lils- sussurra lei ridacchiando tra le lacrime –perché sorridi proprio oggi?-.
Soffoco un risolino sul cuscino.
-mi sono innamorata di un idiota-.

 
DORMITORI MASCHILI GRIFONDORO SETTIMO ANNO, ORE 03.08
 
Sono seduto nella nicchia della finestra, guardo il vetro che riflette la nostra stanza. James è seduto sul suo letto, rannicchiato, alterna fasi di sorrisi a fasi in cui diventa più rosso delle tende.
-James, perché ridi e arrossisci?- chiedo guardando il suo riflesso nel vetro.
Mi guarda, scrolla la testa con un sorriso.
-perché sono un idiota- risponde.
Sorrido, annegando il mio dispiacere nella luce che vedo sul suo volto.
-lo sappiamo da sette anni, Jamie- mormoro guardandolo –perché arrossisci e ridi proprio oggi?-.
-perchè le piaccio-.

***

 
Sirius tace, limitandosi a fissare il vetro dopo le mie parole. Sono felice, ma la mia felicità non può non essere toccata dalla sofferenza che cerca di mascherare con il gelo sul suo volto.
-Sirius, perché sei così rigido?- chiedo gentilmente guardando il suo riflesso sul vetro.
Scuote la testa.
-perché sono uno stronzo- risponde infelice.
-lo sappiamo da sette anni, Sir- lo rimbrotto bonariamente –perché sei così rigido proprio oggi?-.
-perché mi odia-.




note:
...e così, il capitolo è finito...
voglio ringraziare le persone che rencensiscono, ogni volta che vedo un commento mi brillano gli occhi dalla gioia, grazie mille =)
mi fa piacere sapere cosa ne pensate!
e ovviamente anche le persone che mi seguono e leggono in generale, un bacione a tutti!
alla prossima,
buona lettura, Hir!


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Capitolo 11
*** un pugno di silenzio ***



È passata una settimana, anzi nove giorni e mezzo da quella notte.
Grainne O’Connell è morta, in seguito al trauma che la maledizione cruciatus ha causato al suo corpo gracile da bambina di quattordici anni. C’è stato chi ha pianto la sua morte, chi ha urlato e chi ha taciuto. C’è stato anche chi se ne è fregato, la quasi totalità del tavolo verdargenteo, sul quale la notizia è scivolata sopra come un velo, senza toccarli, senza sgualcirli. Anzi, gli ha fatto il solletico.
Io ho dovuto guardare i miei amici scendere a patti con la propria coscienza, soprattutto Lily e James, che continuano a ripetere che “loro sono caposcuola, e queste cose non dovrebbero succedere”.
Ho visto Emmeline piegare la testa e piangere silenziosa, Remus batterle una mano sulle gracili spalle come per consolarla senza scoprirsi troppo, Peter Minus spalancare gli occhietti acquosi, Frank irrigidirsi e Alice ammutolire. Ho visto Sirius Black rivolgere occhiate di fuoco a suo fratello, nemmeno minimamente toccato dall’accaduto, sempre in compagnia di quel Lestrange, quello giovane e inquietante. Giovane perché suo fratello, che ha quattro anni più di noi, è solo stupido ma non fa così paura. Ho visto Lène tentare di alleggerire la tensione e pensare meno ai propri problemi, cercare di strappare un sorriso a tutti con i suoi abbracci e con le sue battute. Ho visto Lily scuotere la testa mentre il suo sguardo si perdeva fuori dalla finestra della nostra sala comune, e James guardarla da lontano, forse troppo sconvolto da quello che è successo per fare quella mossa che aspetta di fare da sei anni.
Ho visto questo ma ho visto anche dell’altro:
Ho visto gli sguardi dei miei due migliori amici incrociarsi e incatenarsi l’uno all’altro, e con un sorriso ho pensato che manca poco, al giorno in cui vincerò la mia ennesima scommessa con Lily Evans, al giorno in cui capitolerà.
Ho visto Lène rivolgere occhiate di fuoco a Sirius, e con occhiate di fuoco non intendo occhiate passionali, anzi. Intendo occhiate di fuoco che brucia, che uccide.
Sapete, però, la cosa più strana qual è? È che Sirius non le risponde allo stesso modo.
Cioè, tutti ci siamo ormai abituati a questi loro momenti da non-farti-nemmeno-vedere-perché-ti-infilzo-con-la bacchetta, ai loro battibecchi, a Sirius che risponde male a Lène e a Lène che gela l’atmosfera con le sue battutine al vetriolo.
E poi, proprio quando la storia stava entusiasmando tutta la torre dei grifondoro e parte del dormitorio tassorosso, ecco che si blocca, proprio sul più bello.
Insomma, è come se la Austen avesse deciso di interrompere il mio adorato “orgoglio e pregiudizio” proprio con l’uscita di scena di Lady Catherine de Bourgh. Assolutamente terribile, in pratica.
 
-adesso basta, mi sono stufata- esclamo la sera del decimo giorno, alzandomi dalla mia poltrona in sala comune.
Sia i malandrini che le ragazze interrompono quello che stanno facendo per guardarmi come se fossi uscita pazza.
-Mac, tutto a posto?- mi chiede James guardandomi con gli occhi spalancati.
No, diamine, no che non è tutto a posto. Perché diavolo stiamo tutti bloccati in una specie di limbo da quella maledetta notte, senza essere capaci di riprenderci le nostre vite? Apparentemente va tutto bene, ma solo apparentemente, per l’appunto.
Non si scherza più, non si ride più, non si gioca più, si fanno sempre e solo quei maledetti compiti! Oh, ma ora mi sentono.
-James, ti sembra che vada tutto bene?- gli chiedo sarcastica.
Per ribadire il concetto, lascio cadere il tomo di trasfigurazione sul tavolino, facendo un fracasso infernale.
Merlino, per un attimo mi dimentico di essere arrabbiata e mi incanto a guardare le facce dei miei amici. Sono buffissimi, sembra che abbiano visto Nick quasi-senza-testa veramente senza testa.
-Mary, cosa c’è che non va?- chiede piano Lily, come se temesse la mia reazione.
Tiro indietro la testa e rido.
-che non va? Tutto, non va- rispondo –non va da dieci giorni, ormai, non va da nessuna parte-.
Mi guardano, e per un attimo ringrazio che siamo soli, in sala comune, anche perché è abbastanza tardi.
-bene, ve lo spiego io, cosa non va- riprendo –sono dieci giorni che non si fa altro che studiare, e studiare, e ringhiare silenziosi, Marlene sto parlando di te, e poi studiare di nuovo. Ve lo dico io cosa ci serve, qui,
gente! Una bella festa!-.
Lily mi guarda e inclina il capo.
-una festa?-.
-si, una festa. Una festa in costume, in cui ci sia tanto alcool, tanti ragazzi e tante risate-.
-niente da fare, è contro le regole- risponde Lily tassativa –e tu sei un prefetto-.
-ma io no, Lily, e penso che Mary abbia ragione- mi supporta invece Lène –una festa in maschera è esattamente quello che ci serve. Una festa in maschera per Halloween-.
-oddio, no, ti prego, io odio queste cose- geme Emmeline distrutta, tirando indietro la testa e mimando il gesto di prendere a testate il divanetto su cui è seduta. Però si vede che anche lei è tentata dall’idea.
Io rido.
-se c’è una festa, Mac, c’è Sirius Black- esclama dal suo posto il rampollo diseredato dei Black –mi occupo io degli alcolici-.
-e io mi occupo delle punizioni- ribatte Lily dal suo posto, però si vede che è sempre meno convinta in quello che dice.
Il colpo finale lo da Remus.
-eddai, Lils, una festa, solo una festa…- mormora avvicinandosi alla ragazza e facendo gli occhi da cane bastonato.
Marlene ha ragione, su Remus. Povero un corno, quel ragazzo è Merlino reincarnato!

***

 
Alla fine capitolo. Possibile che abbiano deciso tutti di schierarsi contro di me?
Vogliono la festa? E la festa avranno.
-va bene- cedo alla fine. Gli ululati di Black si mischiano al suono delle mani di Lène, che le batte come una bambina contenta, e a James e Mary che si danno il cinque. Mi sento come una mamma che accondiscende ad una richiesta del suo bambino pestifero.
-a una condizione, però- commento alla fine, ammonendoli tutti con l’indice alzato –il giorno dopo, tutti a lezione! Vi verrò a tirare giù dal letto uno ad uno se soltanto proverete a saltarne qualcuna!-.
-beh, Lils, se dici così cado in tentazione- esulta James alzandosi dalla sua poltrona con un sorriso a trentadue denti. Tutti scoppiano a ridere, io arrossisco fino a diventare rossa come lo stendardo del grifondoro.
In quel momento capisco che Mary ha ragione.
Quanto tempo è che James non fa una battuta del genere e non sorride così?
Quanto tempo è che io non lo sgrido, non me la prendo con lui?
Rido anche io, alla fine.
-va bene, allora- riprende in mano la situazione Mary, richiamando l’attenzione su di se –voi ragazzi pensate a cibarie e bevande…-
-con un minimo di intelligenza, però- li ammonisco interrompendo Mary. Rem annuisce con un sorriso… malandrino.
-…noi ragazze ci occupiamo degli inviti, la faremo qui ma potremo invitare anche gente delle altre case, direi, così è più divertente-.
-niente serpeverde, però- s’intromette Lène –rovinerebbero tutto-.
Vedo James sorridere, Sirius dargli il cinque in risposta, Peter annuire e Remus sfregarsi le mani con soddisfatta.
Rido, ad un tratto, perché dopo dieci giorni di limbo, i malandrini sono tornati.

 

***


Nei giorni successivi si nota chiaramente lo stato di fibrillazione di noi grifondoro del settimo anno.
Sono riuscito ad intrufolarmi a Mielandia con l’aiuto di Jamie e della mappa, grazie al passaggio segreto che porta alla cantina del negozio, e ho sgraffignato tutti i dolci possibili lasciando un adeguato compenso in oro. Di quello ne ho abbastanza, di dolci mai!
-…bene, poi tu che sei tanto bravo in trasfigurazione farai apparire i tavoli, ci sarà tanta roba da mangiare e da bere e quindi…-
-si, quindi ci sarà bisogno di bei tavoli robusti- conclude la frase Remus, guardandomi un attimo.
Siamo appena rientrati in stanza, in compagnia di Frank, dopo l’ennesima giornata estenuante. Quest’anno gli esami iniziano già a farsi sentire, le ore di lezione diventano più difficili e persino io e James, che normalmente non passiamo che una settimana in tutto l’anno a studiare, dobbiamo applicarci seriamente per riuscire in modo decente.
-che c’è Moony, perché mi guardi così?- chiedo interdetto, fissando il mio amico lupo mannaro.
-c’è che lo hai già ripetuto tre volte oggi, cinque ieri e nove l’altro ieri, in più stai stressando anche me e Peter con le storie delle bevande, dei piatti, dei marshmallows e dei bicchierini da liquori, che non ho ancora capito cosa Morgana vuoi farci con quei cazzo di bicchieri da liquori e…-
-Moony, io mi preoccupo!- rispondo irritato, e mi accorgo che il mio tono in questo momento è uguale a quello di mia madre nel momento stesso in cui mia cugina Narcissa il giorno del suo matrimonio si è macchiata il vestito da sposa: isteria pura.
Perché un Black, a sua detta, non si macchia…
…certo, penso io, i Black sono già abbastanza luridi così.
-no, sono io che mi preoccupo, Sirius Black!- ribatte stizzito. Alle mie spalle, James chiude la porta gettando uno sguardo guardingo a Rem, e capisco bene il perché. L’ultima volta che ha risposto così a uno di noi, era quando James ha rifiutato Lily. Non si sono parlati per quasi una settimana, da quel giorno.
-e perché ti preoccuperesti?- chiedo sedendomi sul letto e iniziando a cambiarmi.
Sento Remus guardarmi mentre mi sfilo la maglia e la sostituisco con quella più pesante, di lana.
-Rem, so di essere bello, ma invero il tuo sguardo mi imbarazza- dico voltandomi a guardarlo, e scorgendo nei suoi occhi qualcosa che non vi avevo mai letto… delusione?
-a me imbarazza la tua idiozia, Sirius Black, se proprio vuoi saperlo- risponde lui mettendo fine alle risate che sono scaturite dalla mia battuta –e credimi, non è ignorando la cosa che riuscirai a dimenticarla-.
-non so di cosa parli- ribatto a mia volta, irrigidendomi. Hai ragione, vorrei dirgli.
Perché so perfettamente di cosa parla, ma non ho voglia di ammetterlo.
Per ora nella mia testa c’è la festa, quella benedetta festa di Halloween.
-no, io non so di cosa parlo, tu lo sai benissimo, dannazione- esclama alla fine, dopo avermi rifilato una delle peggiori occhiate che siano mai uscite dagli occhi di Remus J. Lupin, uno dei miei migliori amici.
-ecco appunto, se non sai di cosa parli forse non c’è niente di cui parlare-.
La mia risposta lascia basito non solo Rem, ma anche Jamie, Pete e Frank. I primi due continuano a cambiarsi, l’ultimo mi guarda e poi butta giù una frase a caso.
-sai, Ali mi ha detto che ultimamente vede Lène molto impegnata in questa festa, sembra voglia trovare il vestito perfetto-.
-non lo metto in dubbio- rispondo. Non so più come dare un taglio a questo discorso che non doveva nemmeno nascere, secondo me.
-l’avete vista, ultimamente?- chiede poi James come se nulla fosse –la mia cuginetta è sempre stata bella, diciamocelo, ha preso tutto da me, però c’è da dire che ultimamente è…-
-si, l’ho notato anche io- annuisce Remus.
E chi non l’ha notato, mi chiedo?
Sono incazzato con in miei amici, bastardi che non sono altro.
-da un po’ di tempo i suoi capelli sono così neri- riprende Frank –non mi ero mai accorto che fossero così lunghi. È molto bella, ha una luce negli occhi che…-
-si, ha anche una bella risata- s’intromette Pete, annuendo –quando ride le si illumina il viso-.
Si, questo è vero, penso. Poi vedo Rem dare un’occhiata a James.
-e poi, oggi l’ho vista parlare con Regulus, sorridevano- è questa frase a bloccarmi. James Potter, sei un bastardo fatto e finito. Soprattutto finito.
Quello che faccio mi sconvolge, perché normalmente è il cuscino, e non il mio pugno, ad abbattersi sulla guancia di Prongs, e dopo una risata finisce tutto.
James mi guarda, è spaventato.
Ci metto un po’ a capire che non ha paura di me, dei miei pugni. Ha paura per me, che è diverso.
Mi guarda ancora, gli occhi spalancati. Ci punto dentro i miei, terra contro cielo.
E capisco il perché di quell’occhiata tra lui e Remus. Moony sapeva, sapeva che James era l’unico a poter tirare in ballo Reg.
-deve essere grave, non gli hai mai tirato un pugno- sussurra Peter dal suo posto.
-certo che è grave, è innamorato- gli risponde James alzandosi e scuotendo una mano al mio indirizzo, come a dire che non ne vale la pena, che mi affanni per aiutarlo –ora parli o dobbiamo riiniziare a parlare di lei?-.
-ok, d’accordo- mormoro ancora sconvolto.
Ma a che vette può innalzarmi e in che abissi può farmi precipitare Marlene McKinnon?
Perché quella ragazza scatena tutto questo in me?
Mi faccio paura, adesso inizio a terrorizzarmi da solo. Perché non avrei mai pensato di tirare un pugno a Jamie nemmeno nei miei incubi peggiori.
-ehi, allora?- mi chiede Rem sedendosi accanto a me sul letto.
-stai tranquillo, Sir, non mi hai fatto niente- esclama James dandomi una pacca sulla spalla destra, e regalandomi uno dei suoi preziosi sorrisi.
E così, inizio a raccontare.

***

 
-Marlene McKinnon ti ha baciato- esclamo per la quinta volta, gli occhi sgranati e il tono incredulo.
-beh, sarebbe più esatto dire che ha attentato alla mia vita usando come arma bocca e…-
-è mia cugina, Sir, non mi interessano i dettagli- lo blocco ancora incredulo –ma non cambia che hai baciato mia cugina-.
Sirius mi guarda aggrottando la fronte.
-non fare quella faccia da innocentino- gli dico poi ammonendolo con l’indice teso –hai baciato mia cugina!-.
-punto primo, Prongs, nessuno che mi guardasse per bene potrebbe mai darmi dell’innocentino- mi corregge con tono saputo –punto secondo, non siete certo molto legati, spero di non averti bloccato la crescita-.
Gli rispondo con una linguaccia.
Effettivamente io e Lène non siamo molto legati, ma questo non toglie che è comunque mia cugina.
-non capisco la tua reazione, Jamie- mi rimbrotta Remus –è una bellissima cosa che Sirius abbia finalmente deciso di mettere la testa apposto, una volta tanto-.
Ok, il nome Sirius Black e le parole “mettere la testa a posto” non sono mai stati insieme in una frase, fino ad ora.
-tranquillo, comunque, non è stato un bacio… bacio!- annuncia poi Sirius, con voce atona.
-e che bacio è stato, allora?- chiede Pete dal suo letto, dove è steso da quando Sir ha iniziato a raccontare come si è svolta la sua serata circa tredici giorni fa.
-beh, è stato…-
-vuoi dire che mia cugina non è capace a baciare?- chiedo interdetto, d’un tratto minaccioso. Non saremo molto stretti, ma è pur sempre mia cugina –non ti permettere di dire…-
-Jamie, non ho mai detto una cosa del genere- cerca di rabbonirmi –anzi, è fin troppo brava per i miei gusti-.
-come fin troppo brava?- questa volta inizio a scaldarmi davvero. È mia cugina, è l’unica cosa che riesco a pensare –vedo che ci hai preso gusto, po…-
-Prongs, per fortuna non hai una sorella!- s’intromette Remus infilandosi nel suo letto, dopo aver sistemato come al solito tutti i suoi libri in ordine alfabetico sul piccolo comodino –se sei così geloso di tua cugina…-
-comunque- lo interrompe Sirius alzando la voce –non devi temere per la virtù della signorina Marlene McKinnon, ci ha già pensato lei a difenderla in modo… consono-.
Non posso fare a meno di vedere quanto Sirius sia abbattuto nel dire queste parole. D’un tratto non mi sembra più una buona idea quella di costringere con torture psicologiche Sirius a parlare.
-ma non hai detto che ti ha baciato?- chiede Remus.
-beh, non vi ho detto perché lo ha fatto- lo corregge Padfoot. Moony è quanto mai sorpreso, e anche Frank e Pete hanno i loro dubbi ben stampati in fronte.
-a quanto pare le faccio schifo- mormora ancora Sirius.
Ora sono più che sicuro che ho fatto male, a costringere Sirius al dialogo.
 

***


Scendo in sala comune cercando di non fare troppo rumore per le scale, è l’una di notte e sicuramente dormono tutti. Ultimamente non ho molto sonno, credo sia per il fatto che anche io alla fine mi sono fatta contagiare da questo entusiasmo pre-festa, che sta tenendo svegli tutti gli organizzatori. Remus mi ha addirittura detto che Black a quanto pare non parla d’altro… il che è tutto dire, visto che in genere l’unica cosa di cui parla sono i suoi scherzi a serpeverde o le ragazze che si porta a letto.
Ci voleva una bella festa per risollevare il morale a tutti. Soprattutto perché alla morte di Grainne O’Connell hanno fatto seguito altre morti e scomparse, molte delle quali hanno toccato personalmente gli studenti di Hogwarts.
Il padre di Andrew Goldstein è svanito nel nulla, ma secondo alcune voci sul tetto di casa Goldstein scintillava il marchio nero. Inutile dire che Andrew non è più lo stesso, passa la maggior parte del tempo chiuso nel dormitorio e si rifiuta di mangiare o parlare con chiunque, a quanto dice Greg.
I genitori di Sandra Werwik sono stati torturati ed uccisi, i corpi erano ancora caldi quando li hanno trovati. La ragazza, una tassorosso del sesto anno, non è più al castello e dicono che non tornerà.
Hanno preso anche il padre e la zia di Xeno Lovegood, un ragazzo di un anno più grande di noi che era corvonero fino all’anno scorso.
La lista si allunga, così come anche la paura, penso sedendomi su una delle poltrone accanto al fuoco.
Il fuoco scoppietta allegramente, anche se la sala comune è deserta, e illumina fiocamente la stanza. Sul tavolino tra i divanetti c’è la mia gazzetta del Profeta, la noto solo ora, e ricordandomi che non l’ho finita di leggere mi sporgo per prenderla.
Il titoletto mi colpisce dopo una decina di minuti che la sto sfogliando, quasi alla metà del giornale.
Novità tra gli Auror.
Mi fermo a leggere più attentamente.
Il Ministro della Magia e il capo del dipartimento degli Auror sono giunti ad un accordo in relazione alla questione mossa dal primo ministro: gli Auror al giorno d’oggi sono sempre meno, le fila del nostro esercito si ritrovano quasi dimezzate da che questa guerra è iniziata.
Per questo motivo, all’Accademia Auror i tempi di insegnamento si abbasseranno, dal primo settembre prossimo, da tre anni ad un anno più uno di specializzazione.
Un piccolo passo che permetterà ai nuovi ragazzi di prendere parte a questa guerra attivamente, dice il ministro, e servire il loro paese.
Un suicidio di massa, commenta invece Alastor Moody, scuotendo la testa poco convinto, solo carne da cannone, come dicono i Babbani.
Scuoto la testa, non posso che essere d’accordo con Moody.
Non saranno più ragazzi meno in gamba a farci vincere questa guerra. Il Ministro deve essere a terra per approvare, anzi, consigliare una manovra del genere. Mi stupisco solo che Moody l’abbia accettata.
All’improvviso alle mie spalle sento un rumore, e mi volto lasciando cadere a terra il giornale.
Niente panico, è solo James.
È solo James? Panico, panico allora.
I suoi occhi mi notano solo quando mi alzo in piedi, dalla poltrona, e percorrono la mia figura fino al giornale a terra.
Poi sorride, gentile.
-c’è qualcosa di strano nel giornale?- chiede avvicinandosi.
Vengo assalita da un profumo intenso che non so riconoscere, ho il cervello che va a rotoli.
-eh, beh…- mi affanno a rispondere, ma proprio non so cosa dire –mhphm-.
-niente di nuovo- annuisce lui.
-in realtà… beh, qualcosa c’è- rispondo finalmente titubante, riuscendo a cacciare dalla bocca almeno quelle due parole, anche se sembro un’idiota –in realtà, a quanto pare, hanno ridimensionato la durate del tempo del corso per diventare Auror-.
-ah, si- annuisce lui –papà me ne aveva parlato. A sentire lui è la peggiore delle disgrazie-.
-beh, non gli si può dar torto- rispondo. Lui mi guarda per un attimo, poi sorride vagamente.
Mi risiedo, aspettando di sentire il suono dei suoi passi allontanarsi, ma stranamente non è quello che succede.
Si siede, infatti, nella poltrona esattamente davanti alla mia, e mi guarda con uno di quei suoi sorrisi accesi di mille luci.
-che ci fai in piedi?- mi sforzo di trovare qualcosa con cui fare conversazione, prima che i miei pensieri prendano uno dei sentieri in cui non voglio addentrarmi. Strano, ma quasi tutti questi sentieri c’entrano con James, ultimamente.

 

***


-che ci fai in piedi?- chiede in fretta, non appena mi siedo.
È strana, questa ragazza. È bellissima, molto intelligente, scaltra e brava con la magia, ma non potete negare che è strana un botto.
Perché fino a un mese fa non mi rivolgeva la parola se non per insultarmi, ora invece ogni volta che siamo vicini (oltre a farmi sudare freddo, ma quello è ordinaria amministrazione) mi cerca con il sorriso sulle labbra. Va bene, forse la parte che mi cerca se la sta inventando il mio cervello per alimentare la mia speranza, però è vero che ha sempre il sorriso sulle labbra. Un bellissimo sorriso, tra l’altro.
-non riuscivo a dormire, tu?- rispondo evasivo. Non racconterei mai della discussione con Sirius.
-nemmeno io- dice lei lasciandosi fuggire un sospiro. Con un occhiata fugace al fuoco torna a rivolgere la propria attenzione su di me.
-come stai?- chiede ancora.
-bene, grazie- rispondo gentile.
Lei si morde il labbro inferiore, forse nervosa. Non nascondo un certo godimento nel vederla così nervosa in mia presenza, sembra voler trovare qualcosa da dire e contemporaneamente irritata dal fatto che con frasi gentili stronco tutti i suoi tentativi di fare conversazione.
 

***


Possa Merlino ucciderlo all’istante.
Cosa diamine ha in quella testa spettinata, quel benedetto ragazzo?
Perché non parla e si limita a guardarmi?
-la prima partita della stagione è contro Corvonero, no?- chiedo nell’ultimo (giuro che è l’ultimo!) tentativo di avviare una conversazione civile con quel rincitrullito di James Potter.
Che mi guarda e annuisce, questa volta non parla neanche.
Digrigno i denti silenziosamente e mi chino per riprendere il giornale.
Passiamo così i successivi tredici minuti e cinquantaquattro secondi, prima che quel maledetto si convinca a parlare.
-deve esserci qualcosa di interessante, nel giornale- mormora e, che Merlino lo fulmini, sembra divertito!
-no, niente di particolare- rispondo piuttosto stizzita.
-strano, stai guardando quella pagina da un quarto d’ora- dice allora scrollando le spalle.
Arrossisco, divento rossa come i miei capelli. Un po’ per la rabbia e un po’ per l’imbarazzo.
-si? Beh, ho alcuni pensieri per la testa- ribatto chiudendo velocemente il giornale.
-davvero?-.
Non rispondo. Si, davvero, e hanno tutti i tuoi occhi e i tuoi capelli spettinati.
Ok, questa è uscita prima che fossi in grado di bloccarla.
-posso aiutarti in qualcosa?- mi chiede vedendo che non rispondo.
Sgrano gli occhi, poi balbetto qualcosa in risposta, che suoni come un no confuso.
Di nuovo silenzio.
-Lily, ti posso chiedere una cosa?- domanda alzando per la prima volta la voce dal sussurro che ha contraddistinto la sua parlata fino ad ora.
Annuisco.
-come è andata l’uscita ad Hogsmeade con Boot?- chiede.
Inarco un sopracciglio. Perché ho detto di si?
-perché dovrebbe interessarti?- chiedo in risposta, abbastanza scocciata dalla domanda. Insomma, già mi ha calpestato con tutto quel poco tatto con cui ha rifiutato il mio invito, adesso vuole prendermi pure in giro?
-mi è sembrato di capire che tu non ti sia trovata molto bene con lui- dice ghignando.
Trattengo il respiro.
-mi è sembrato di capire che non ti interessasse particolarmente sapere cosa avrei fatto ad Hogsmeade- rispondo truce, posando il giornale sul tavolo. Mi alzo con tutte le intenzioni di mettere fine il più presto possibile a quella discussione umiliante.
Vedo che il suo ghigno, prima beffardo, si è spento. Ora Potter è serio.
-hai capito male, allora- dichiara incastrando nei miei i suoi occhi. Non ho mai visto James così serio.
-come ti permetti?- chiedo allora presa completamente alla sprovvista.
-è un dato di fatto, Lily. Devi aver capito male- risponde scrollando le spalle. Il tono è sempre serio –non ho mai detto che non mi interessava sapere con chi andavi ad Hogsmeade-.
Resto interdetta per un attimo.
-non importa, comunque- decido che tornare sul diplomatico è la scelta giusta –non è andata male, ma nemmeno bene-.
-bene- commenta annuendo.
-bene?- chiedo questa volta. Non so se essere divertita o irritata. Decido per tutte e due, e gli rivolgo un sorriso piuttosto rabbioso.
-si, bene-.
Bene?
-e perché bene?- chiedo ancora.
-sai che qualcuno gli ha trasfigurato le mani in pinne?- chiede lui in risposta, e questa volta il suo ghigno è palesemente divertito. non posso non imitarlo, visto che so benissimo quello che si vocifera sia capitato a Greg. Ovviamente lui non me ne ha fatto parola, ma dicono che si sia fatto nemico qualcuno di molto abile, visto che il giorno dopo la nostra uscita a Hogsmeade qualcuno lo ha beccato fuori dalla sua sala comune e gli ha trasfigurato entrambe le mani in pinne, pinne rosa fosforescenti.
Scrollo le spalle, per il resto non mi importa molto.
Sto per andare verso la mia stanza quando James mi parla di nuovo.
-perché non è andata bene?-.
Rido, questa volta divertita.
-ha passato tutto il tempo a parlare di quidditch- sbuffo –ogni singolo minuto-.
-che idiota- risponde lui ridendo.
Beh, in effetti non ha molto torto.
-perché?- chiedo voltandomi.
James è vicino a me, mi accorgo con sgomento. Se allungassi una mano gli potrei sfiorare i capelli.
-con la più bella ragazza di Hogwarts, è l’unico che può parlare di quidditch- risponde.
Il tempo sembra essersi fermato nel momento in cui James mi ha sfiorato la guancia con un dito, fino a portarlo sotto il mento. Mi solleva il viso, lentamente, esponendolo alla luce calda del fuoco.

 

***


-sei così bella, Lils- sussurro, e ascolto compiaciuto il suo nome scivolare con grazia sulla mia lingua. Sembra stupita, non so se per come l’ho chiamata o per come ho detto il suo nome, o per quello che sto facendo, magari.
So che sono fortunato, molto fortunato, perché sto toccando il viso di Lily Evans e perché il dito con cui lo sto toccando è ancora attaccato alla mia mano, e non staccato da un morso feroce.
-Lily?- la chiamo ancora, appena un sussurro intriso di tenerezza.
-si?- mi chiede in un soffio.
-posso baciarti?-.
Ok, devo essere impazzito. Non c’è altra spiegazione, sono sotto imperius.
Aspetta, no, non sono io quello sotto imperius.
Perché Lily non risponde, non una parola o un cenno.
Semplicemente si sporge in avanti e, lieve come il petalo di un fiore, mi sfiora le labbra con un bacio.
Talmente leggero, il suo tocco, che se fosse stato un refolo d’aria non l’avrei nemmeno sentita.
Ma è così dolce che per poco non ci resto secco.
-buonanotte, Jamie- mi sussurra a fior di labbra, il suo respiro caldo sulla mia bocca.
-Buonanotte, Lils- mormoro in risposta, guardando i suoi occhi così verdi.
Non riesco a pensare a niente, il mio cervello è in tilt completo. La vedo andare via, tornare in dormitorio, ma io non mi schiodo dal mio posto fino a quando non sento la porta della sua camera chiudersi.
No, in verità una cosa riesco a pensarla.
Lily Evans mi ha appena baciato e, gente, è stato il bacio più bello della mia vita.



note:
ehilà! Grazie mille per le recensioni, mi appassiono sempre di più a questo racconto e vedere che fate lo stesso non può che farmi piacere.
Direi che non ho commenti sul capitolo, quelli li lascio a voi!
Buona lettura, Hir.

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Capitolo 12
*** confessioni e presentimenti ***




-ok, Jamie, ora però inizi a stufarmi- gli dico quando rientra in camera due ore dopo esserne uscito. Io e Frank, fino ad appena un attimo fa, eravamo impegnati in una soddisfacente partita a scacchi, perché giocare con Frank è altamente istruttivo. Anche se ogni volta finisco per perdere.
James non mi degna di uno sguardo, e con sguardo da ebete e sorriso da scemo si dirige verso il bagno.
Impreco, e sento Remus fare lo stesso.
-non di nuovo il rituale del lavaggio della faccia!- inveisce Frank alzandosi dalla sedia e seguendolo.
-non me la laverò mai più, la faccia- sussurra Jamie estasiato, guardandosi allo specchio con occhi spiritati.
Tomtola, come dicono i babbani! Lo sapevo!
-Prongs, cosa è successo questa volta?- chiede Remus paziente, molto più paziente di me. Frank è divertito, gli sono sempre piaciute queste faccende.
Io e Pete ci scambiamo uno sguardo disperato, e andiamo a sederci sui nostri letti seguiti appena un attimo dopo dagli altri tre.
-come?- chiede James, e si vede che ha spento il cervello prima di tornare in camera, perché quasi quasi si possono sentire i grilli frinire nella sua scatola cranica.
-perché non ti lavi più la faccia?- chiedo impaziente, scuotendolo un po’ -non vorrai mica dirmi che sei serio-.
Lui annuisce, io inspiro bruscamente.
Ha la faccia da pesce lesso che ha ogni volta che la Evans rimane nella stessa stanza con lui per trenta secondi di seguito senza insultarlo. Come quella volta che è tornato sorridendo come un idiota perché la Evans gli aveva prestato il suo libro di pozioni, chiaro segno, secondo lui, che di li a qualche giorno sarebbe sicuramente crollata ai suoi piedi. Sono passati due anni e mezzo da quel giorno.
O come quella volta in cui la Evans gli aveva, secondo lui, sfiorato la guancia con la sua adorabile manina, segno inequivocabile del fatto che si sarebbero sposati presto e avrebbero avuto una quantità indefinita di pargoletti con i capelli spettinati e gli occhi verdi. In realtà, ve lo posso dire perché ero presente, lo sfioramento era stata una sberla in piena regola. E dopo un anno, ancora non ci sono i pargoletti, e nemmeno il matrimonio.
Ora, non è per sputtanare in questo modo il mio migliore amico, ma diciamo che quando c’entra la Evans ha la tendenza ad ingigantire un po’ le cose.
Noto appena l’occhiata di Moony, che sembra volermi incenerire seduta stante.
-Sirius, tu non ci crederai mai- mormora estasiato il mio migliore amico.
-ha accettato la tua proposta di matrimonio?- chiede Pete guardingo. Ancora un’occhiata da parte di Moony.
-no, quella domani- risponde estatico James.
Ecco, ci risiamo.
-non è per frenare il tuo entusiasmo ma…-
-mi ha baciato- mi interrompe ignorandomi completamente, la faccia da triglia aperta in un sorriso a centosei denti. Sembra uno squalo a cui facciano male le gengive.
Dire che c’è silenzio nella stanza è dire poco. In realtà il silenzio è così fitto da poter essere tagliato con il coltello.
-bene, signori-
L’unico ad aver mantenuto un po’ di contegno è Frank, che si alza dal suo letto riprendendosi subito. Veloce si gira verso il suo baule e ci rovista dentro, sotto lo sguardo incredulo di noi malandrini.
-direi che è ora di festeggiare, con questa bottiglia che ho conservato giust’appunto per l’occasione- esclama facendo apparire dal nulla cinque calici.
Prendo il mio, ancora intontito. James è sulle nuvole.
-adesso voglio il resoconto minuto per minuto della miglior giornata della vita di James Potter- dico alla fine –se non vogliamo contare, ovviamente, quella in cui ha incontrato me-.

 

***


Non so bene cosa aspettarmi, mentre scendo in sala grande.
Esattamente com’è la faccenda tra me e Lily?
Che cosa siamo?
Io sono uno stupido, ecco cosa sono. perché tutti gli altri, se fossero al mio posto, saprebbero come comportarsi, e io ho una paura folle di fare qualcosa di sbagliato.
E se per caso fosse stato solo un sogno?
La sala grande è affollata come sempre, piena di gente e di pettegolezzi, di sbadigli assonnati e risate tremule. Mi piace, la colazione qui al castello, ha qualcosa di magico… più magico del resto, si intende.
I gufi sono già arrivati, le ragazze no. Che Lily non voglia più scendere e non voglia più vedermi dopo ieri sera?
Chi mi assicura che ai suoi occhi io non abbia fatto la figura dell’imbecille? Magari me lo sono sognato… come devo comportarmi? Idiota, idiota, idiota che non sono altro!
-sappiamo che sei un idiota, ma perché ribadire il concetto proprio adesso?-.
Solo al suono della voce di Sirius capisco che ho espresso i miei ultimi pensieri ad alta voce.
Idiota.
-stai tranquillo- s’intromette Remus –lei non c’è ancora-.
Lo so, dannato lupo mannaro, è proprio questo il problema.
O forse è meglio così?
Merlino, sto diventando pazzo.
Mi siedo al mio solito posto guardando il mio gufo che porta legata alla zampetta quella che ha tutto l’aspetto di essere la risposta di mia madre.
Le avevo scritto di Marlene molti giorni fa, subito dopo l’uscita ad Hogsmeade, e la risposta si è fatta attendere fino ad ora.
Appena afferro la lettera il gufo vola via, lasciandomi con una pergamena in mano che sa di camelia, il profumo con cui mia madre cosparge letteralmente la sua carta da lettera.
-zia Dori ti ha risposto?- chiede Sirius guardandomi interessato.
Io spezzo il sigillo della lettera e leggo tra me.
Godric’s Hollow, 29 Ottobre 1977
 
Cari Jamie e Sir,
innanzitutto io e papà ci scusiamo se vi abbiamo fatto attendere una risposta per tanto tempo, ma abbiamo preferito aspettare di scrivervi qualcosa di più consistente, pensavamo infatti che solo le nostre impressioni non vi avrebbero soddisfatto a sufficienza.
Abbiamo parlato entrambi con la Zia Fidelma, e sembra realmente convinta che questo matrimonio possa essere l’occasione migliore per Marlene, anche perché solo ieri sera è stato dato l’annuncio del fidanzamento di Maxwell McKinnon con nientemeno che Cinthia Rosier. Domani mattina dovrebbe essercene accenno sul giornale.
Abbiamo scritto anche a Walburga, per saperne di più, ma neanche a dirlo non si è degnata di risponderci.

 
-Walburga Black rispondere ad una lettera dei Potter?- chiede Sirius storcendo il naso –mi stupirei se l’avesse anche solo aperta, figuriamoci addirittura leggerla-.
-secondo me la zia non è in se- dico invece io accantonando con un cenno della mano l’argomento “Walburga Black” –insomma, ha promesso i suoi due figli agli eredi delle più antipatiche stirpi di maghi-.
Sirius ride, e se io fossi un’altra persona penserei che potrebbe averlo offeso, la mia frase. Ma in realtà Sirius Black non è un Black, è un Potter da ormai due anni.
-ma sono anche le più pure- si intromette Frank addentando il suo pane e marmellata.
-cosa vorresti dire?- chiedo minaccioso. Non ho mai sopportato tutte quelle discriminazioni su sangue puro e non puro. Remus e Lily sono gli studenti migliori della scuola, eppure sono un mezzosangue e una nata Babbana, questo vuol dire che tutte quelle stirpi purosangue si sbagliano, e di grosso.
-davvero non ci avete pensato?- domanda lui sbalordito. Ci sta guardando come se fossimo pazzi –non mi guardare così, James, non sono razzista, ti sto solo esponendo un fatto-.
-a cosa non abbiamo pensato?- chiede Sirius. Da ieri sera si è ripreso, tornando a parlare della festa con lo stesso entusiasmo di prima, ma senza più gettare veli sulla questione Marlene McKinnon. Credo di poter affermare con sufficiente sicurezza che il mio migliore amico abbia preso una decisione al riguardo.
Prego Merlino che non sia una cazzata, questa decisione.
-beh, i McKinnon sono una delle stirpi più antiche, e Lène e Max sono gli unici eredi non ancora sposati. In più, Max ha più di vent’anni, ormai, e…-
-praticamente la mezz’età- aggiunge Remus con un ghigno beffardo.
Lui non è abituato alle nostre tradizioni.
-tu scherzi, Rem, ma è davvero così, per noi- lo rimbrotta Frank –e comunque, tutte le altre stirpi che contano hanno notato come i McKinnon abbiano allentato un po’ la cinghia, ultimamente. Insomma, uno dei cugini di Lène ha sposato una Babbana, quell’altro che è entrato a Tassorosso dieci anni fa-.
-tu credi stiano ricevendo pressioni?- chiede Sirius inarcando un sopracciglio.
Effettivamente, la storia quadra.
-beh, è possibile- risponde Frank –e, diciamocelo, non sarebbero nemmeno i primi. Solo che su di loro si nota di più perché Fidelma e Timothy non sono esattamente il tipo che segue le tradizioni, normalmente. Insomma, Timothy di più, ma nemmeno tanto-.
Annuisco.
Tuttavia questa storia mi piace sempre meno. Ieri ho visto Sirius sbiancare quando gli ho detto che ho incontrato Marlene in compagnia di Regulus, ed effettivamente anche io sono sbiancato quando li ho incontrati in corridoio. Sembravano, se non amichevoli, per lo meno non ostili.
E se mia cugina non è ostile contro Regulus, perché dovrebbe dimostrarsi schifata da Sirius?
-buongiorno, bella gente- esclama Mary raggiungendoci al tavolo. Dietro di lei c’è Lily.
Merlino, c’è Lily. Come mi comporto?
Cosa faccio?
Una cosa è sicura, via la faccia da ebete, per lo meno lo sguardo, che sia abbastanza serio.
C’è Lily. Mi guarda.
La guardo, gli occhi verdissimi e un sorriso luminoso a schiarirle il bel viso.
Mi sciolgo, e non posso far altro che ricambiare il sorriso.

 

***


La vedo, i capelli rossi raccolti in una coda di cavallo alta che le lascia scoperto il collo pallido, il viso dall’espressione dolce disteso in un sorriso.
Sarebbe anche bella, se non fosse così maledettamente impura, penso.
Davanti a me, Regulus Black trangugia il suo succo di zucca mattutino rivolgendo sguardi astiosi ai presenti in sala.
-che hai, Black?- chiedo svogliato servendomi una generosa dose di bacon con uova. Due generose porzioni di bacon con uova. Tre generose porzioni di bacon con uova. Molto generose, le porzioni.
-mi fa schifo vederti mangiare, Lestrange- grugnisce.
-e tu non mi guardare- rispondo bruscamente.
-notizie da tuo fratello?- domanda posando il suo bicchiere sul tavolo, con un tonfo sordo.
-si- rispondo.
-cosa dice Lui?-
-che dobbiamo fare di più- concludo alzandomi dal tavolo. La cosa non mi va a genio, ma solo perché credo di aver già dato ampia dimostrazione delle mie capacità quattordici giorni fa.
-allora che si fa?- mi chiede inarcando un sopracciglio.
Sbuffo.
-si fa di più- rispondo semplicemente voltandogli le spalle e uscendo dalla stanza.
Prima di procedere per il corridoio mi getto un’occhiata alle spalle.
Sorrido, beffardo, vedendo i capelli rossi.
È seduta vicino a Potter.
Non posso fare a meno di pensare che, per quanto inutili possano essere i babbani, hanno dei modi di dire interessanti…
Come è che dicono?
Due piccioni con una fava.

***

 
-dormito bene?- chiedo cercando di soffocare uno sbadiglio.
-no- esclama tetra Mary pescando a caso una fetta di torta al cioccolato dal vassoio tra me e lei.
-si- mormora Alice tutta pimpante versandosi una generosa dose di caffè (nero e amaro come piace a lei) e sorseggiandolo con calma, come se quella davanti a lei fosse la miglior giornata che ci si potrebbe mai aspettare.
Lily si limita a sorridere, è seduta accanto a James.
Alt.
Lily sorride ed è seduta accanto a James.
C’è qualcosa che non quadra, lo notate anche voi?
Adesso che ci ripenso, in realtà, Lily è su di giri da tutta la mattina, basti il fatto che quando mi sono svegliata stava allegramente rovistando dentro al suo baule completamente sveglia, con un sorriso a trentadue denti e mezzo aperto su tutto il viso.
Come ho fatto a non capire prima che qualcosa non andava? Semplice, dormivo.
Vedo Emmeline aprire la gazzetta del Profeta e sfogliarla svogliatamente, fermandosi di quando in quando su un titolo forse vagamente interessante.
-c’è niente su cui valga la pena soffermarsi?- chiedo servendomi la mia dose di bacon giornaliera.
-l’oroscopo- dice entusiasta chinandosi a leggere tutta pimpante.
Dimenticavo il suo odioso interessamento per la divinazione.
-qualcosa di più concreto- rispondo.
-senti, Lène- mi ignora iniziando a leggere –pesci: questa giornata non inizia certo nel migliore dei modi, colpevole la luna nella dodicesima casa. A causa di questo, infatti, vivete aggrappandovi alla razionalità per non annegare-.
Rido, perché non posso fare altro.
-che gran mucchio di frottole- esclamo indicando il giornale –al mondo c’è gente che muore e questi passano il tempo a blaterare della luna e della sua casa-.
-beh, mica possono scrivere sempre e solo di morte- risponde Mary –il mondo fa già abbastanza schifo senza che ci si metta a drammatizzare la situazione-.
-ben detto, Mac- esclama Sirius dal suo posto.
Lo guardo. Credo che sia la prima volta, da quello che è successo quattordici sere fa, che lo guardo veramente.
Dannato Black, sempre uguale. Maledetto figlio di un cane.
Anzi, no, i cani mi piacciono.
Sorrido tra me, sorprendendomi a pensare che Black, effettivamente, somiglia ad un cane.
Un bel cagnone nero con gli occhi color tempesta.
Ok, Marlene McKinnon, smettila di pensare cose del genere o ti ripudio dal mio cervello.
Black deve aver notato che lo sto guardando, perché alza lo sguardo e mi fissa a sua volta.
Poi mi sorride, inaspettatamente, come non aveva mai fatto.
Mi sorride.
Quel… figlio di un cane!... mi sorride.
-come stai, McKinnon?- mi chiede gentile. Lo guardo per un attimo stralunata, con la stessa espressione che avrei se mi avessero detto che Remus è una femmina.
-non sono affari tuoi, Black- rispondo truce, infilzando il mio bacon in maniera talmente violenta da piegare la mia forchetta.

 
-Lène- mi chiama Lily sporgendosi oltre il suo letto e guardandomi.
-si?- chiedo posando per la decima volta lo stesso libro sul mio comodino e fissandola.
-posso chiederti cosa è successo tra te e Sirius Black l’altra sera?-.
Primo, trovo che sia strano da parte sua riferirsi ad una sera di quasi due settimane fa con il termine “l’altra sera”, secondo non posso non chiedermi perché lo voglia sapere proprio adesso, terzo mi ritrovo a chiedermi, e non per la prima volta da che sono qui a grifondoro, perché nessuno in questo beneamato dormitorio si faccia mai gli affari suoi.
Siamo tornati su da colazione solamente per prendere i libri per le lezioni, quindi non abbiamo molto tempo.
-non è successo niente- rispondo stizzita, armeggiando con la borsa.
-si, e io sono Morgana- ribatte lei.
Al che, la guardo impassibile.
-te li porti male i tuoi milleseicento anni- aggiungo candida. E, candido, è il cuscino che mi prende in pieno viso.
-perché sei così restia a parlarne?- chiede, e questa volta posso sentire nel suo tono una vaga traccia di risentimento. E mi ricordo di un sorriso, a trentadue denti, e di chi le stava seduto vicino a colazione.
Mi sposto il cuscino dal volto, con un sorriso malizioso.
-a quanto ho notato, non sono l’unica restia a parlare di qualcosa- rispondo, e questa volta il suo volto, rosso pomodoro, esprime ben più delle parole.
Tace.
Poi parla, e lo fa velocemente.
-bene- esclama –facciamo un patto, tu mi dici tutto e io ti dico tutto-.
-si, ma facciamo un altro patto- ribadisco –tu alle altre non dici niente, e io alle altre non dico niente-.
-tu si che mi capisci, sorella- risponde lei con un sorriso da orecchio a orecchio.
Resto in silenzio per qualche minuto, poi le faccio cenno con la mano.
-ok- annuisce lei, preparandosi.
-ok- annuisco io, preparandomi.
E poi, insieme, velocemente.
-ho baciato Sirius-.
-ho baciato James-.
Le parole crollano veloci, rotolando sul pavimento e facendo quasi rumore, nel silenzio che viene creandosi.
Non riesco a credere a quello che ha detto.
-vuoi dirmi che dopo sei anni in cui chiunque in questa scuola ha scommesso su vuoi due, hai ceduto?-.
Lei non risponde mi guarda e diventa sempre più rossa.
-beh, sai, lui era lì… io ero lì…- balbetta, e la sua faccia ha ormai superato il colore delle tende –e poi, lui era così… così… io ero così… insomma poi lui mi ha chiesto di… e io ho risposto… e così…-
-non ho alcuna intenzione di fingere di aver capito, stai parlando sanscrito antico per me- la blocco battendo le mani –quindi ora prendi un respiro profondo e raccontami tutto-.

***

 
Aula di incantesimi, Vitious è in piedi sopra ad una pila di libri e ci mostra come, muovendo la bacchetta con una stoccata rapida, possiamo indurre i nostri porcospini a fare le flessioni.
Che poi dico, a cosa ci servirà mai far fare delle flessioni ad un porcospino.
Come se fuori da qui tutti andassimo a fare gli allevatori di porcospini.
Anzi, come se chiunque fosse entusiasta della proposta.
Alle nostre spalle la porta dell’aula si apre, e Lily e Marlene fanno capolino dalla porta, la prima con un’espressione di scusa dipinta sul volto, l’altra con un sorriso serafico che già di per se la farebbe condannare a cinquant’anni ad Azkaban… perché chiunque abbia quel sorriso innocente, è tutto tranne che innocente!
Maledetta ragazza, mi manderà al manicomio.
Un giorno o l’altro ci finirò davvero.
-oh, signorina McKinnon, signorina Evans, grazie per averci degnato della vostra presenza- esclama senza malizia il professore, invitandole ad entrare con quella sua vocetta stridula –stiamo imparando come far fare delle flessioni ai porcospini che vedete sui banchi… se volete accomodarvi…-
Le ragazze si accomodano, e si limitano a guardare ognuna il proprio porcospino.
Riporto lo sguardo su Vitious, di nuovo intento a muovere la bacchetta e a tentate di non cadere, per l’ennesima volta, dal metro di libri che si ritrova sotto ai piedi.
Dopo un quarto d’ora assolutamente atroce di spiegazione veniamo lasciati liberi di incantare a piacere i nostri porcospini.
Accanto a me, Remus parla al suo porcospino.
-Moony, non devi chiederglielo gentilmente, devi incantarlo- gli dico con un sorriso ironico sulle labbra.
-fallo te, se ne sei così sicuro! Guarda cosa fa quando lo faccio!?- detto questo punta la bacchetta verso il porcospino, stringe gli occhi nella solita espressione che ha quando usa gli incantesimi non verbali e un lampo chiaro parte dalla sua bacchetta per prendere in pieno il porcospino…
…che gli fa una linguaccia.
Ma una di quelle linguacce fantastiche, con tre centimetri di lingua fuori.
Quasi cado dalla sedia dal ridere. Sento Moony imprecare.
-Santo Merlino, Sir, potresti fare meno casino? Non vorrei che Emmeline si accorgesse delle figure che mi fa fare questo maledetto porcospino-.
-a proposito di Emmeline- ribatto senza smettere di ridere. Sono costretto a darmi un contegno quando Vitious mi passa vicino, e con un movimento della bacchetta riesco a far fare al mio porcospino una timida flessione.
Rem impreca ancora.
-a che punto siete?- chiedo malizioso –ultimamente state… vediamo, come si dice in questi casi… socializzando?-.
-si, stiamo socializzando- risponde con tutta la dignità che possiede. Almeno se si tiene in conto che il suo porcospino gli sta facendo le linguacce.
-si, come no, e Mocciosus è il mio compagno di scacchi-.
-se lo dici tu. E con Marlene come va?-.
-ho preso una decisione. Questa volta non potrà resistermi- affermo contento.
-siamo in una botte di ferro, allora- risponde lui con lo stesso tono.

 

***


Ehilà, come stai?
Il messaggio mi arriva proprio mentre ruf sta elencando i nomi dei trentasette comandanti della rivolta dei folletti. È una pergamena appallottolata, con un sorriso vedo James che mi sta guardando, dal primo banco della classe.
Bene, e tu? Come va da quelle parti?
La risposta mi viene veloce, senza pensare a troppi perché o percome. Naturale, come stanotte.
Arrossisco pensando a stanotte.
L’ho baciato, ho baciato James Potter.
Sento ancora il suo respiro sugli zigomi, e vorrei risentire il tocco delle sue labbra.
E a dire la verità, quasi non mi riconosco più! Io, Lily Evans, che smanio per il tocco delle labbra di James Potter?
E ancora, di quello stesso James Potter che da anni mi tormentava e che ha misteriosamente smesso due mesi fa?
Cioè, proprio quel James Potter che mi ha umiliato rifiutando un mio invito a Hogsmeade?

Potrebbe andare meglio.
Sorrido, involontariamente, e passo due dita sulla scritta. Si, proprio quel James Potter.
Beh, guarda anche il lato positivo, potrebbe andare peggio.
Lo vedo ridacchiare, e rido anche io dal mio posto.
Poi mi chiedo perché. Non gli ho detto niente di che, lui non mi ha detto niente di che.
Solo due scemi riderebbero così davanti ad un biglietto su cui non è scritto niente di particolare.
Vedo che sta per prendere la piuma quando finisce l’ora. Ruf non ci degna di uno sguardo e scompare oltre la lavagna e il muro, lasciandoci liberi di andarcene da quella lezione terribile, che solo nell’ultima decina di minuti si stava facendo interessante.
-Lils, mi aiuti a fare il compito di Pozioni sul distillato della morte vivente?- mi chiede Mary affiancandomisi.
-Mary, non ci hai nemmeno provato!- esclamo sbalordita vedendo fin dove può arrivare la sua faccia di bronzo.
-cosa? Sempre piena di pregiudizi, tu- risponde imbronciata –non puoi sapere se io ci abbia provato oppure no-.
Rido, mentre ci uniamo ai malandrini e alle altre ragazze. James mi viene vicino, e io gli rivolgo un sorriso timido.
Perché sono sempre così… così… così?!
-Mary, Lumacorno ci ha dato il tema solo un’ora fa- ribatto. Lei si imbroncia ancora di più.
Scuoto la testa, è proprio incorreggibile.
Siamo davanti all’aula di aritmanzia, me ne accorgo solo ora, e tra i malandrini entra nella stanza solo Remus. Mi volto appena in tempo per vedere James salutarci con la mano, mentre con un braccio circonda le spalle di quel suo amico imbecille che è Black. E mi sorride.
Io gli sorrido. Poi mi accorgo di quello che sto facendo, e divento seria. Poi sorrido di nuovo.
Che cosa dovrei fare?

 

***


Aritmanzia, dove diavolo è l’aula di quella materia inutile?
Non ne ho la più pallida idea. So solo che lei ha aritmanzia e devo arrivarci il più in fretta possibile. Sono dieci minuti ormai che corro come un deficiente su e giù per le scale, chiedendo a destra e a manca dove Merlino possa essere quella diamine di aula.
Alla fine la trovo, ed in effetti c’è scritto “aritmanzia” sulla porta.
Busso, aspettando di essere invitato ad entrare.
-buongiorno, professoressa, la professoressa… McGrannitt- se la Minnie mi scopre questa è la volta che mi uccide sul serio –vorrebbe parlare con Marlene McKinnon, mi ha chiesto di venire a chiamarla al posto suo-.
Marlene si gira e mi incenerisce con lo sguardo.
Riesco solo a fare un sorrisetto, e da una sua occhiata capisco che vorrebbe tanto vedermi morire all’istante tra atroci torture.
Bene, cominciamo bene.
Mi segue fuori dalla porta, facciamo un paio di rampe e poi la prendo per un braccio e la chiudo in un’aula vuota.
-colloportus-.
Anche la stanza è chiusa. Bene, ora nessuno ci interromperà. Insonorizzo la stanza, così, tanto per non rischiare.
-Black!- il suo strillo si sentirebbe fin dalla torre di astronomia se non avessi insonorizzato quei quattro muri –come ti permetti? Non ti sembra…-
-no, zitta, adesso parlo io- la interrompo.
Lei non si fa scoraggiare, non mi guarda minimamente e continua la sua tirata.
-stupido figlio di…-
-Lène, volevo solo parlare-.
-non mi chiamare così, io per te sono la McKinnon- sibila irata –come ti sei permesso, per quello che ne sai tu a me quella lezione inter…-
-McKinnon senti…-
-no, sentimi tu, brutto caprone che…-
È una furia, mi odia. Ma io no, ed è ora che la smetta di pensare solo a se stessa.
C’è solo un modo, per tapparle la bocca. Non ne conosco altri, o meglio, quelli che conosco li ho già provati.
Così mi avvento su di lei come lei ha fatto su di me, sperando che l’esito sia migliore.
E effettivamente, l’esito è migliore. Per lo meno, per i primi dieci secondi.
In effetti, per i primi dieci secondi l’esito è stupendo.
La afferro per le spalle e raggiungo le sue labbra, molto più dolcemente di come ha fatto lei dopo che Regulus se ne è andato, quella sera di tanti giorni prima. Non che mi sia dispiaciuto, ma se lo facessi nello stesso modo sono ragionevolmente sicuro che nessuno mi toglierebbe un bello schiantesimo al centro della fronte.
Così la bacio più gentilmente di quello che si meriterebbe, dopo avermi trattato così l’altro giorno, e il giorno dopo e quello dopo ancora, e stamattina, e in generale nell’ultimo mese.
È la sua reazione a lasciarmi spiazzato.
Non si può proprio dire che non sappia farci.
In ben che non si dice si è, o l’ho, appoggiata al muro, non so bene come sia andata, precisamente.
So solo che avevo una sua gamba intorno alla vita e una sua mano tra i capelli, e decisamente poca voglia di pensare ad altro che non fossero le sue labbra sulle mie, la mia lingua con la sua.
Di due baci con lei, entrambi sono stati battaglie all’ultimo sangue. Ed entrambe le ha vinte lei.
Dopo dieci secondi si deve rendere conto di quello che sta facendo, perché si irrigidisce.
Capisco che è il momento per staccarmi, e lo faccio.
Mi scosto con tutta la delicatezza possibile, alzando una mano per bloccarla quando sento che sta per iniziare ad inveirmi contro.
-Bl…-
-ah, non vorrai che io riinizi!- la minaccio fingendomi severo. Poi divento serio, lei si è bloccata.
-adesso ascoltami bene, Marlene McKinnon, apri bene le orecchie. Perché tu non sei l’unica ad avere un problema e il mio problema sei tu-.
Ok, questo non è il modo migliore per cercare di iniziare almeno un “rapporto di amicizia”.
I suoi occhi mandano lampi irati. Si salvi chi può.

 
 
Note:
allora, premetto che questo capitolo non mi piace, ma è necessario, è una cosa di passaggio.
Nel prossimo capitolo prometto che ci sarà qualcosa di più, tipo la festa, l’evoluzione del rapporto Sirius/Lène (anche se non come vorremmo tutti) e qualche accenno in più a Remus e Emmeline, che fino ad ora ho intenzionalmente lasciato un po’ perdere.
Vi ringrazio per le recensioni, è splendido sapere che questo lavoro piace a qualcuno! Se qualcuno però avesse critiche da muovere, si senta liberissimo di farle, ovviamente!
 
Vi prometto che il prossimo sarà più carino!
Buona lettura,
Hir!

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Capitolo 13
*** Cepenertola, Gwendy, Pocapontas, Chiaraneve e Alice nel paese delle cose belle ***


-Black, mi serve il tuo aiuto questa volta-.
La voce di Lestrange, calma e piatta come il lago nero senza la piovra, interrompe la mia lettura. Siamo nella nostra sala comune, io sono steso su una poltrona nera e con gli occhi seguo quelle linee confuse d’inchiostro sulla pagina bianca senza realmente capirci nulla.
Sbuffo.
-ovvio, Lestrange, che ti darò una mano- rispondo stancamente, voltando pagina.
Cosa ho appena finito di leggere?
Boh, io odio rune antiche. Seguo questo corso solo perché dovevo scegliere tra questo e babbanologia. Neanche a parlarne, ovviamente, di seguire l’altro.
-bene- annuisce lui alzandosi dalla sua poltrona.
La sala comune è quasi vuota, escluso noi due e altri tre studenti.
-allora hai scelto il prossimo chi sarà?- chiedo quando sento che da lui non proviene più alcuna voce.
-ovvio, la Evans-.
Mi blocco, non pensavo dicesse sul serio.
-la Evans?- domando dopo qualche attimo di silenzio.
-si, la Evans- annuisce –ho deciso che ultimamente, con le sue ronde e le sue riunioni, si sta allargando un po’ troppo. In più, ho notato che ha un debole per Potter-.
-pienamente ricambiato, direi- mormoro chiudendo il libro e guardando Lestrange.
-appunto. Così anche quel babbanofilo di Potter è sistemato-.
-ci sto- rispondo. Potter mi sta simpatico tanto quanto quel disgraziato di Sirius –dimmi cosa devo fare-.
-pensavo solo che dovremmo attirarla da qualche parte, da sola, o al massimo in compagnia di qualche sua amica-.
Il volto di Marlene mi compare davanti.
-non lei-.
-non lei- annuisce Lestrange –ma solo perché Lui non lo vuole. Pensavo a quella Vance, il suo sangue non è molto meglio di quella brodaglia che infetta la Evans-.
Faccio un segno d’assenso, ma mi limito a tacere.
-la Vance mi sembra un’ottima vittima. Sempre così posata, devo averla sentita parlare giusto un paio di volte in tutta la sua vita- continua lui rigirandosi tra le dita una pergamena -sarà un piacere sentirla gridare-.
Un suono di passi, che supera la porta d’ingresso del dormitorio, ci fa voltare.
Mia cugina si dirige a passi serrati verso di noi, un sorriso folle sulle labbra.
-Regulus, ho capito bene?- chiede sedendosi sulla poltrona accanto a noi –avete intenzione di colpire la Vance? È un’ameba, non fa altro che scrivere e leggere, non farà scalpore-.
-l’obbiettivo primario è la Evans, Bella, e poi la Vance-.
Bella guarda me, poi guarda Lestrange.
-mi piace come piano, Rabastan- annuisce convinta –se vi riesce, siete praticamente dei nostri-.
Sorrido, perché è quello che ci si aspetta da me.
Lestrange sorride, perché è quello che vuole.
Bella sorride, solo perché è folle.

 
-Black, sei impazzito?- chiedo stizzita inarcando un sopracciglio. Fisso quegli occhi che mi fissano a loro volta, grigi e disarmanti.
-sono mai stato normale?- mi risponde scrollando le spalle.
Domanda più che giusta, direi. Del tutto legittima.
-non capisco cosa tu voglia dimostrare, a te stesso, a me o a chiunque altro in questo castello- dico invece di rispondere alla sua domanda, avviandomi alla porta.
Perché il discorso di Black non quadra.
A lui non è mai fregato un Merlino di niente di quello che la gente pensa di lui.
Lui mi guarda e scrolla le spalle, come a liquidare tutto.
-niente di più di quello che ti ho detto-.
Già, quello che mi ha detto.
-adesso ascoltami bene, Marlene McKinnon, apri bene le orecchie. Perché tu non sei l’unica ad avere un problema e il mio problema sei tu-.
Ora, converrete con me che quando qualcuno inizia così un discorso, gli dareste volentieri ben più di un ceffone. Magari due, o tre.
Però devo dire che, se non mi ha calmato, quella frase mi ha stupito.
-non c’è bisogno che tu mi ripeta quanto schifo ti faccio, quanto ti disgusto. Mi sembra di averlo capito abbastanza in questo ultimo mese. Ci sono cose che non riesco a capire, ma anche tu non mi sembri molto sveglia. Quindi ho intenzione di rimediare-.
E poi, è arrivata la stoccata finale.
Ha allungato la mano, me l’ha parata davanti in un gesto di presentazione e ha esclamato tutto ciarliero.
-buongiorno donzella, io sono Sirius Orion Black-.
Ed è allora che gli ho chiesto se per caso fosse diventato pazzo.
Perché converrete anche voi che è un modo ben strano di comportarsi.
Ora mi guarda con gli occhi ben aperti, limpidi e grigi.
Immensamente bello.
La mano tesa. E ripete.
-buongiorno, donzella, io sono Sirius Orion Black-.
Cosa puoi rispondere ad una frase del genere?
-salve, io sono Marlene Danae McKinnon-.

 

***


-allora, ragazze, pronte per la festa?- chiede Remus non appena la signora grassa si sposta per farci passare.
La sala comune è affollata, qua e la ragazzini del primo e del secondo anno confabulano piano, in un angolo quattro ragazzi del sesto cercano di rimettere in funzione una chitarra scassata, le ragazze sono tutte accomodate nelle poltrone vicino al cammino.
Mary scrive una lettera, seduta per terra e appoggiata al tavolino, dando corda ogni tanto ad Alice che parla di non so cosa, probabilmente pettegolezzi. Emmeline è intenta a disegnare, seduta alla finestra più vicina, si volge di tanto in tanto verso le altre, per annuire. Vedo che ha il carboncino ben saldo nella mano sinistra, e la guancia destra sbaffata di nero. Remus sorride e le si avvicina.
Io volto lo sguardo verso le altre, che rispondono alla domanda di Remus.
-prontissime- risponde Mary staccandosi dalla sua lettera e guardandomi con un sorriso.
-da cosa vi vestirete?- chiedo interessato lasciandomi cadere su una poltrona.
-niente da fare, deve essere una sorpresa- s’intromette Marlene spuntando dalle scale che portano ai dormitori femminili. È seguita da Lily, bella ma leggermente corrucciata, che le lancia occhiate di fuoco ogni tre per due. Sembra essere molto irritata.
-siete sicuri che nessuno di voi passi dal dormitorio corvonero?- chiede stringendo un pacco di foglietti in mano –devo proprio uscire io?-.
Le altre la guardano e Mary risponde con tono saputo.
-per forza, hai perso la scommessa-.
Ma queste due scommettono sempre? chissà su cosa hanno scommesso.
Spero di centrare io anche stavolta.
-sei proprio antipatica, McDonald- la rimbrotta Lily offesa, e aggiunge puntando l’indice verso i suoi piedi –ho già le pantofole, guarda!-.
La McDonald la guarda contrariata, poi le punta contro la bacchetta.
Al posto delle pantofole ora ci sono due scarpe da ginnastica nuove fiammanti.
-consideralo un regalo di compleanno anticipato- le dice candidamente riponendo la bacchetta e volgendosi di nuovo alla sua lettera.
-McDonald, stanotte dormi sul divano della sala comune- ribatte Lily passandole accanto, irritata. Per una volta, vederla arrabbiata con qualcuno che non sono io non può che farmi piacere –consideralo un regalo di compleanno anticipato-.
Detto questo si avvia al ritratto, sbattendo furiosa i piedi per terra.

 

***


-Lily- mi richiama una voce.
Quella voce.
-Lily, ti serve una mano?- mi chiede James raggiungendomi.
Sono furiosa, ma per una volta lui non centra niente. O meglio, non è proprio vero.
Ho perso l’ennesima scommessa su di lui, perché quella serpe di Marlene McKinnon, ormai mia ex-migliore amica, ha spifferato tutto alle altre.
Tutto.
Ogni singola cosa che le ho detto.
E allora è ovvio che Mary abbia voluto riscuotere la vincita.
Devo ammetterlo, non mi costa nemmeno così tanto, questa volta, devo solo portare gli inviti ai corvonero, perché lei non ne ha voglia. Vi sembra che la vincita che abbia riscosso non sia granchè?
Penso che ormai pure lei non ci prenda più gusto, visto che ogni due giorni io perdo una scommessa!
-come, James?- gli chiedo mentre il ritratto si apre, lasciandoci intravedere il corridoio della torre.
-dicevo, ti serve una mano?-.
Beh, non è che proprio io abbia bisogno di aiuto per portare una decina di fogli a corvonero.
-si, grazie- rispondo invece con un sorriso –sono gli inviti per la festa, dobbiamo portarli alla torre dei corvonero-.
-chi avete invitato dei corvonero?- chiede curioso.
-il fratello di Emm, Boot e Goldstein, anche se dubito che l’ultimo verrà, non si è ancora ripreso, e altre sette persone-.
-e tassorosso?-
-più di metà dormitorio- scrollo le spalle –ma non verranno certo tutti-.
Camminiamo in silenzio, io sempre più tesa, lui che sembra non far caso a niente.
-James?- la mia voce è estranea anche alle mie stesse orecchie.
-si?-
-dobbiamo parlare, vero?- chiedo e, ad ogni parola, vorrei una vanga per scavarmi la fossa. Chi diavolo mi fa credere che James voglia parlarmi? D’altronde non ha più accennato a quello che è successo in sala comune.
-dobbiamo parlare- conferma.
Tiro un sospiro di sollievo, almeno vuole parlare.
Ecco, ed ora che ci diciamo?
Sembra pensare la stessa cosa, perché è titubante.
Prendiamo la cosa un po’ più alla larga.
-perché non hai accettato il mio invito ad Hogsmeade?-chiedo.
-perché tu non hai mai accettato i miei?- mi chiede in risposta, ma subito sembra pentirsene, perché si morde il labbro inferiore, pensieroso.
-ma tu rispondi sempre ad una domanda con un’altra domanda?- rido, anche se forse la sua domanda dovrebbe farmi arrabbiare, penso.
Quanto è che non mi arrabbio con James Potter?
Anche lui ride.
-tu credi che sia una cosa facile rispondere ad una tua domanda?- mi prende in giro.
-lo sai che è snervante?- rispondo ridendo apertamente.
-dovrei saperlo?-
-non credi che se ti faccio una domanda mi piacerebbe avere una risposta?-
-e se ti darò una risposta chi mi garantirà che mi porrai un’altra domanda?-.
-lo sai che sei snervante, vero?- chiedo fermandomi e mettendo le mani sui fianchi, cercando di farmi imponente e minacciosa.
-lo sai che sei bellissima, vero?- mi chiede lui con un sorriso a sessantaquattro denti.
-non mi comprerai con un complimento, James Potter!-.
-ho vinto!- esclama felice alzando le mani in segno di vittoria.
Io alzo gli occhi al cielo.
-e quand’è che si è trasformata in una sfida?- chiedo.
-non sei tu, forse, che l’hai trasformata in una sfida?-.
-Touché, non riiniziamo, altrimenti ne esco matta- rido riprendendo a camminare. È bello, parlare e ridere con James senza in realtà dire niente. Non mi capita spesso di ridere così tanto.
-comunque, non dovevamo parlare?-
Ecco tornare, con la sua frase, la tensione.
-tu non hai risposto alla mia domanda- gli dico bloccandomi ancora. E questa volta non ho la minima intenzione di scollare i piedi da terra fino a che non mi darà quello che voglio.
Quello che voglio: una risposta, mi rispondo.
Quella giusta, preferibilmente, e poi un altro bacio, e un altro ancora, e appoggiarci al muro dietro di me e restare tutta la sera…
Ok, esci da questo corpo!
Sono posseduta, non c’è altro da fare. Probabilmente Mary mi ha messo sotto imperius per vincere quelle sue dannate scommesse, perché Lily Evans non penserebbe mai cose del genere, soprattutto non con lei e James Potter come protagonisti.
-mi hai chiesto perché non sono voluto venire con te a Hogsmeade?-.
Annuisco, cercando di non sentirmi una stupida, pregando con tutta me stessa i fondatori perché James non scoppi a ridere.
-era il motivo, ad essere sbagliato, non l’invito- spiega finalmente con un sorriso sulle labbra.
-motivo?- chiedo sorpresa.
-Lily, sono sette anni che ti chiedo di venire ad Hogsmeade con me, e quando finalmente me lo chiedi tu lo fai per sdebitarti- mormora alla fine –è questo, ad essere sbagliato. Non voglio, non ho mai voluto e ti chiedo scusa se ho dato l’impressione che fosse così, negli scorsi sei anni… non voglio che tu esca con me perché ti senti in debito, o perché ti senti costretta-.
-cosa?-. sono incredula. Cosa vorrebbe dire?
-voglio che tu, Lily Evans, esca con me solo se non ci sarà motivo oltre l’uscita stessa. Voglio che tu lo faccia per te, per essere felice, non per sdebitarti con me o per…-
-sei un idiota, James, lo sai?- lo interrompo. Sono leggermente senza parole, per questo lo insulto. Lo faccio spesso, quando non so cosa dire insulto.
-lo so- mi risponde lui –ma avevo ragione-.
È risoluto, il bastardo, molto sicuro di se.
-avevi ragione?-.
-si- annuisce –forse ti ho ferito nell’orgoglio, Lily, ma credimi se ti dico che ho fatto molto più male a me stesso, quella sera… e per la settimana seguente, e anche durante quell’uscita, mi sono roso il fegato per tutta la giornata. Mi dispiace, davvero, ma non ti chiederò scusa-.
-non mi chiederai scusa?-.
Non mi chiederà scusa.
-no, non te lo chiederò- un cenno d’assenso –perché tra noi deve essere spontaneo, voglio che lo sia, come è stato la scorsa notte, come è…-.
Tappiamogli la bocca, Merlino, sta iniziando a straparlare.
Lo faccio io, mi offro volontaria.
Penso che Hogwarts si stia gustando il suo spettacolo, perché io, Lily Evans, sto baciando James Potter, davanti a tutti, in questo corridoio pieno di gente curiosa, e mi sta piacendo.
Un sacco.
A dire la verità, è un bacio mozzafiato, di quelli che ti tolgono il respiro e ti riempiono di qualcos’altro.
Felicità.
Strana, assurda, incredibilmente fantastica felicità.
Sento le braccia di James stringermi e lui rispondere al bacio, e non è semplicemente due labbra che si sfiorano, come la scorsa notte, ma c’è un calore inaspettato, come quello di un abbraccio, che ti invoglia a non sottrarti più da quel contatto.
Non so per quanto vada avanti, non sento i mormorii, di scherno di sgomento o di incredulità, sento solo James, e qualcosa nel petto che batte con la forza di un gong martellante.
Sembrano quasi i rintocchi di un orologio.
-sette anni che ti chiedo di uscire, e tu mi baci due volte in nemmeno ventiquattro ore?- sussurra a fior di labbra James –sei strana forte-.
Rido, mi scosto e, seppur con un notevole sforzo di volontà mi allontano con un sorriso, facendo per girargli le spalle.
-se non ti piaccio me ne vado e non lo faccio più- dico.
-vieni qui- mi risponde prendendomi per i polsi e riportandomi dinnanzi a lui –non ci provare neanche, se te ne vai muoio sul colpo-.
Rido, e torno a baciarlo.
Non c’è il due senza il tre, si sa.

 

***


-Emm, mi serve una mano con i capelli- urla Lily armeggiando con la spazzola, dal bagno giungono suoni ovattati.
-Emm, mi serve una mano con il vestito, secondo te così va bene o è troppo poco scollato?- chiede Lène girandosi e rigirandosi davanti allo specchio.
-Emm, secondo te è meglio il fiocco rosso o quello blu?- domanda Alice cercando dentro il baule, e tirando su due fiocchi enormi.
Sono uno più brutto dell’altro, se volete saperlo.
-Emm, è meglio il mantello bianco sporco o quello nero stracciato?- chiedo io spuntando dall’armadio con i due mantelli incriminati ben stretti tra le braccia.
Non so se lo sapete, ma Emmeline Vance è una maga –o meglio, una strega- per queste cose.
Ha sempre nuove idee (secondo me è lo spirito dell’artista), nuove pettinature da consigliare, nuovi incantesimi per ridurre o aumentare scollature seducenti, nuove opinioni su fiocchi e mantelli.
Se devi andare ad una festa, non ti serve un vestito, non ti serve una pettinatura nuova, non ti serve un fiocco, non ti serve un mantello: ti serve quel genietto di Emmeline Vance.
Che adesso ci guarda a turno scuotendo la testa rassegnata, bellissima e innocente nel suo vestitino da Alice nel paese delle cose belle, credo che si chiami.
-Emm, allora per i capelli?- chiede ancora Lily, affacciandosi dal bagno –e poi, secondo te è meglio l’ombretto chiaro o quello scuro?-.
-Emm, guardi la mia scollatura, per favore?- domanda Lène piuttosto stizzita continuando a rigirarsi davanti allo specchio –io non la conosco quella da cui mi sono vestita, vi dispiacerebbe dirmi se le assomiglio? E poi i capelli come devo metterli, Emm?-.
-Emm, il fiocco, è rosso con il cinturino blu o blu con il cinturino rosso?- la voce di Alice è spazientita mentre la ragazza riemerge dal suo baule.
Si, perché tre su cinque, in questa stanza, non hanno la minima idea di chi siano i personaggi da cui ci stiamo travestendo. E io sono una di quelle tre.
Voi sapete chi è cepenertola?
Ecco, io sono lei, con scopa e secchio e tutto il resto, compreso il fazzolettino tra i capelli.
Non so chi sia, ma mi piace tantissimo, anche perché Lily, che fra tutte è la più brava con questi incantesimi, mi ha assicurato che il mio vestito, a metà serata, cambierà e diventerà un bel vestito da ballo. Perché ha detto che nella storia Babbana succede così.
-Emm, mi vuoi dire come diavolo devo mettermi questi capelli?- chiede per la terza volta Lily –insomma, Wendy non ha i capelli rossi!- sbuffa.
-Lily, nessuna ha i capelli rossi- la rimbrotta gentilmente Emmeline andando verso il bagno e facendole cenno di sedersi. Poi, con mani esperte, inizia ad armeggiare con i capelli di Lily –Alice, il fiocco è tutto rosso, te l’ho ripetuto come minimo cinque volte. Lène, sei già a mala pena ricoperta da quegli straccetti che ti trovi addosso, mi pare già troppo scollato-.
-troppo?- chiede interdetta Lène, guardandosi allo specchio –non mi sembra-.
-già, Emm, non le si vede ancora l’ombelico!- scherzo guardandomi allo specchio a mia volta. Fantastico, sono una serva. Se mio padre mi vede adesso mi disereda, altrochè.
Lène mi fa una linguaccia.
-e poi non ho ancora capito perché proprio io devo fare questa Pocapontas- replica storcendo il naso –quanto verrò presa sul serio con un nome del genere!?-.
-l’alternativa era la fata turchina, ed era per l’appunto turchina… tu ci hai detto che di tingerti i capelli non se ne parlava, quindi Pocahontas è l’unica rimasta- la rimbrotta Lily, che sotto le pazienti cure di Emmeline si sta godendo una rilassante seduta dal parrucchiere –e poi, Pocahontas è fantastica-.
-Emm, allora per il mantello?- chiedo dopo poco, tornando alla carica.
Emm mi guarda e storce il muso.
-quello stracciato- risponde dopo un po’ –tu i capelli devi lasciarli sciolti, e anche tu Lène, lisciali con un colpo di bacchetta, Alice metti il cerchietto e poi passa da qui, che te li sistemo io-.
Meno di un quarto d’ora dopo siamo tutte pronte, e ci fissiamo davanti allo specchio a turno.
Davanti a noi ci sono Cepenertola, Gwendy, Pocapontas, Chiaraneve e Alice nel paese delle cose belle.

***

 
La sala comune è addobbata in modo molto diverso dal solito. Ottimamente, ovvio, ma in modo diverso.
Il rosso e l’oro che normalmente tingono la nostra sala e la rendono calda e accogliente sono spariti, rimpiazzati da un lugubre nero, da ragnatele di seta e da zucche intagliate.
I tavoli per cui ho tanto stressato James sono bene in fila dal lato opposto rispetto al caminetto, zeppi di cibarie provenienti dalle cucine e dalla cantina di Mielandia, di bibite alcoliche e non.
Ovviamente qualcuno è già arrivato, e oltre a me, al resto dei malandrini e a Frank nella stanza c’è già qualche ragazzo del sesto con gli amici corvonero e qualche ragazza del terzo con le compagne tassorosso. I costumi non sono certo originali, penso: una fata, una strega (che però, se ci pensate bene, è originale!), un vampiro e due farfalle.
James è seduto ad una delle poltrone, e da circa un’ora ha lo sguardo fisso sull’entrata al dormitorio femminile. Cerca di nascondere il proprio travestimento con un cuscino.
Io prima per poco non ci sono rimasto secco dal ridere, quando l’ho visto uscire dal bagno conciato a quella maniera.
-Jamie, se guardi ancora un po’ quelle scale si incendiano- lo rimbrotto andandogli vicino e sedendomi sul bracciolo della sua poltrona –o dovrei dire sua altezza-.
-come hai concluso poi con Marlene?- mi chiede senza distogliere lo sguardo e facendosi un po’ rosso. Credo non mi voglia dare soddisfazione.
Scrollo le spalle.
-le ho proposto di riiniziare tutto da capo- gli rispondo.
Certo, perché se anche avessi cercato di discolparmi, lei non mi avrebbe mai perdonato.
Perché è vero che, all’inizio, quando ho capito che avrebbe sposato Regulus, l’unica cosa che mi importava era vincere su mio fratello.
-mhm- annuisce James –e lei come l’ha presa?-.
-sono ancora vivo- sorrido mentre Remus si avvicina a noi –direi meglio di quanto mi aspettassi… ma quindi tu e Lily ora cosa siete?-.
-e io secondo te cosa ne so?-.
-dovrei saperlo io, fratello?- rido apertamente.
-e comunque, quando mi vedrà così non saremo più niente, qualsiasi cosa siamo adesso-.
Torno a ridere di gusto.
Almeno fino a quando dall’entrata del dormitorio femminile, che ormai sia io che James guardiamo come due morti di sete guardano una fontanella, non escono, una per una, cinque ragazze.
La prima è Alice, ma non faccio nemmeno in tempo a vedere da cosa è vestita che subito si attacca a Frank come se le avessero fatto un incantesimo di adesione permanente.
Quei due danno il volta stomaco, lasciatemelo dire.
La seconda ad uscire è Mary, e mi ritrovo a ridere guardando come è vestita. È vestita come un elfo domestico, e si trascina appresso la sua vecchia Tornado e un secchio di legno.
Lei vede me e James ridere e ci fa una linguaccia, dirigendosi verso di noi.
Quando vedo Marlene per poco non mi si secca la bocca.
È bellissima, ovviamente, ma questo lo sapete già.
Ha i piedi scalzi, è bella, le gambe scoperte, è bella, una profonda scollatura nell’abito corto e chiaro, è bella, le braccia scoperte, è bella, una collana di turchesi, è bella (anche la collana), i capelli sciolti e più lunghi del solito, è bella.

 

***


Lily appare all’improvviso dietro a Marlene, vestita con una sottoveste verde acqua che- se mi permettete di dirlo- lascia poco all’immaginazione, e i capelli fermati, con un fiocco dello stesso colore dell’abito, sulla nuca da cui scendono boccoli rosso scuro.
Il colore della veste richiama quello degli occhi, che vagano per la sala, spero ardentemente cercando me.
-sei bellissima- le dico non appena mi si avvicina con un sorriso sulle labbra.
Non ho la più pallida idea di cosa rappresenti il suo vestito, tuttavia è una visione celestiale, quindi penso sia molto meglio tenere chiusa la bocca e bene aperti gli occhi, così faccio sicuramente bella figura.
-anche tu stai molto bene- mi risponde gentile, forse cercando di non ridere di me.
Mi guardo, siamo vestiti da scacchi magici.
Io lo sapevo che non dovevo sfidare Remus, perché non è mai una cosa buona sfidare Remus J. Lupin. Mai.
Avrei dovuto già intagliarmela quel giorno in cui ha tinto i capelli di rosa a Sirius, o quando ha trasfigurato Mulciber in un macacco con il sedere rosso, o quando ha cosparso di polvere urticachefatica il letto di Frank.
Io lo sapevo.
-ehm, beh, vedi- cerco di discolparmi mentre Lily sembra sempre più vicina al momento in cui scoppierà dal ridere. Nel frattempo anche le altre ragazze mi stanno guardando, Mary si sta scompisciando dalle risate facendo versetti inappropriati, Lène cerca di non girare il dito nella piaga e Emmeline distoglie lo sguardo per puntarlo ovunque tranne che su di me.
-è tutta colpa di quel bastardo di Remus- esclamo alla fine puntando il dito inanellato (inanellato!) verso il mio ormai ex migliore amico.
-sai com’è, qualcuno ha pensato di sostituire il mio dentifricio con pastapastosa calce di Zonko-.
-trovo che le tue reazioni siano esagerate- rispondo –e comunque non hai la certezza che sono stato io-.
-c’ho messo tre ore a togliermi tutta quella pasta…-
-io trovo che tu stia molto bene- interviene Emmeline cercando di sedare la discussione, rivolta verso di me –e tu, Remus, hai dei denti perfetti-.
Dovrebbero fare santa Vance.
-belli i vostri vestiti- le risponde Remus con un sorriso –stai molto bene vestita da Alice-.
Lei arrossisce.
-Alice?- chiede Sirius interdetto –perché ti sei vestita da Prewett? È così che la Prewett va in giro in camera?-.
Sembra osservare pensieroso la gonna corta di Emmeline.
-non quella, Alice- gli dice Remus scrollando le spalle –è Alice nel paese delle meraviglie, una fiaba Babbana. Mary deve essere Cenerentola… e tu, Lils, sei Wendy di Peter Pan?-.
-esatto- risponde deliziata Lils –Alice è Biancaneve e Lène è Pocahontas-.
-state tutte molto bene- commenta Sirius che chiaramente non ha capito una sola parola di quello che hanno detto Moony e Lils, ma che non vuole perdersi nemmeno un’angolazione delle gambe di mia cugina.
-noi siamo l’alfiere, la torre, il cavallo, il re e…- dice Remus facendo un cenno verso di me, come se mi presentasse ad una folla -…la regina!-.
-simpatico, Lupin- gli dico facendo una smorfia –ricordami che per natale ti regalo il tranello del diavolo-.

 


Note:
ehilà! Ho deciso di dividere la festa in due capitoli, soprattutto perché alla fine succederà qualcosa che…
vabbè, vi lascio in preda alla vostra immaginazione, magari qualcuno azzecca la scena!
In secondo luogo, so che Pocahontas (il film d'animazione Disney, non la storia) è datata molto dopo il 1977, ed è l'unico tra le storie che ho scelto ad esserlo, ma mi sembrava particolarmente in sintonia con Marlene, molto più di Aurora, comunque, che sarebbe stata la seconda scelta ma che non somiglia molto alla mia Lène. Se a qualcuno ha dato fastidio questa manomissione temporale, mi scuso.
Grazie per le recensioni, sempre così positive da farmi alzare di almeno mezzo metro da terra per la felicità!
Buona lettura,
Hir!

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Capitolo 14
*** c'è ubriaco e ubriaco ***


 

Perché è così che ti frega la vita.
Ti piglia quando hai ancora l’anima addormentata e ti semina dentro un’immagine, o un odore, o un suono che poi non te li togli più.
E quella lì era la felicità.
Te ne accorgi dopo, quando è troppo tardi.

 
 

Guardo Mary McDonald, che mi sta facendo un cenno positivo.
-sonorus- mormoro alla mia bacchetta puntata alla gola.
La sala tace, c’è chi mi guarda stupito, chi mi guarda curioso, interessato.
E poi ci sono Lily Evans e Emmeline Vance che mi guardano con un sorriso sulle labbra. C’è Remus serio, c’è Pete adorante, c’è Sirius computo, Frank e Alice felici, c’è Mac che annuisce e Lène che inclina la testa come per capire meglio. Ci siamo tutti.
-innanzitutto, permetteteci di ringraziarvi perché siete qui, stasera. Questa festa la offriamo noi del settimo grifondoro, e vogliamo dedicarla a qualcuno in particolare- dico rivolto alle persone che adesso sono tutte attente. Con un sospiro continuo –volevamo dedicare questa festa a Grainne O’Connell, il cui destino ha… toccato tutti, qui dentro-.
L’atmosfera si incupisce ulteriormente, ma questa volta non ha nulla a che vedere con le ragnatele e con il nero che tappezza i muri solitamente rossi e dorati. Io per primo mi sento opprimere da un peso non meglio definito, sul petto.
Nella stanza cala un silenzio pesante.
Abbasso la bacchetta, sciolgo il sonorus, guardo gli altri. Sirius sorride e alza un bicchiere pieno di un liquido non meglio identificato.
-a Grainne-.

 
***
 
La festa è nel pieno del suo svolgimento, c’è la musica, ci sono gli alcolici e ci sono i malandrini che si stanno dando da fare in tutto e per tutto per renderla indimenticabile.
Vicino al camino James e Sirius ridono, circondati da un gruppetto del primo anno di tutte e tre le case, sicuramente rievocando gloriosi attimi del passato. Sirius si alza e fa un cenno verso il cielo, poi si alza James e gli da una botta in testa, come uno scappellotto, al che scoppiano tutti di nuovo a ridere.
Invidio la sicurezza con cui si muovono, l’ingenuità che ancora li pervade, esattamente come pervade ancora tutti quelli della mia età.
Tranne Andrew Goldstein, penso guardandolo. È seduto accanto alla finestra, non è travestito da niente, è semplicemente intento a guardare fuori come se tutto il caos nella sala non lo sfiorasse nemmeno.
Povero ragazzo, non voleva nemmeno venire, lo ha costretto Boot che adesso è intento a parlare con Remus. Entrambi hanno fatto un paio di tentativi di portare Andrew nel centro della festa, ma la sua espressione apatica li ha scoraggiati ben presto.
Non è un brutto ragazzo, è alto e ha i capelli scuri, gli occhi nocciola e caldi e i tratti appena un po’ marcati.
-Andrew, posso?- chiedo avvicinandomi e indicando con un cenno la sedia vuota vicino a lui.
Non alza nemmeno gli occhi su di me, fa un cenno di assenso.
Mi siedo, stando bene attenta alla gonna da Alice, che mi ha fatto stare un po’ a disagio per tutta la sera. Non sono abituata agli sguardi che mi sono sentita addosso per tutta la sera, io che porto sempre pantaloni o gonne lunghe.
-domani c’è il quidditch- dico cercando di tirargli fuori almeno un monosillabo.
Niente, lui annuisce solo con la testa senza nemmeno smettere di guardare fuori.
-tu sei un cacciatore, vero?- domando ancora.
Lui non mi risponde nemmeno. Effettivamente tutti sanno che lui è il capitano.
Dopo un po’ mi rassegno al silenzio, limitandomi a restargli vicino per altri dieci minuti.
Faccio vagare lo sguardo per la stanza, districandolo tra le persone presenti. Oggi siamo davvero tanti in questa sala comune, non c’è che dire, mai vista tanta gente qui dentro. La roba da bere è quasi finita, ma d’altronde tra un po’ qualcuno inizierà ad andare a dormire.
Una ragazza tassorosso in un angolo balla con un corvonero biondissimo, sono gli unici due, e in poco tempo vengono accompagnati da altre coppie sdolcinate. Serve dire che ci sono anche Alice e Frank?
Sorrido, guardando una delle mie migliori amiche tra le braccia del suo ragazzo. Stanno così bene, insieme.
In una nicchia, poi, scorgo Mary e Paul in atteggiamenti non proprio consoni ad un pubblico d’età inferiore ai settant’anni, ma vedo che per loro non è un problema, e per oggi “mamma Emm” è in sciopero, non ho alcuna voglia di far loro notare quanto sia inappropriato il loro comportamento.
Vedo Lène affiancarsi a Lils, strattonarla per un braccio e portarla verso i ballerini. Ha messo su il solito broncio, Marlene McKinnon, quello che sa poterle garantire qualsiasi cosa.
Soprattutto da parte di Lils, che darebbe volentieri un braccio, o magari tutte e due, per farla felice. Scuoto la testa, con un sorriso.
Torno a guardare Andrew, e noto che in dieci minuti non si è mosso di un millimetro. Povero ragazzo, mi ripeto.
D’istinto mi sporgo e gli prendo una mano tra le mie. È freddo.
-Andrew?- mormoro dolcemente.
Per la prima volta in tutta la sera distoglie lo sguardo dalla finestra. Ha gli occhi gonfi, rossi, sicuramente ha pianto molto in questi giorni.
-si?- risponde con voce roca. Quant’è che non parla?
-mi dispiace- commento incrociando il suo sguardo.
-anche a me-.

***

 
-hai la maschera?- mi chiede per la dodicesima volta Lestrange.
Sbuffo. Se non lo conoscessi bene, potrei quasi dire che ha paura.
Ma lo conosco bene, non ha paura. È impaziente.
Lestrange non sa aspettare: lui si diverte troppo in azione per avere anche uno solo di quei pensieri che mi girano in testa adesso.
-per la dodicesima volta, Lestrange, ho la maschera- gli rispondo.
Il ragazzo non mi guarda neanche, si limita ad uscire dalla sala comune senza badare affatto a me. I sotterranei sono bui, ma per noi che li conosciamo come le nostre tasche questo non è un problema.
Cammino un passo indietro rispetto a Lestrange, e continuo a guardarmi nervosamente le spalle.
A me l’azione non diverte tanto quanto fa con il mio impaziente compagno. Se mi vedesse Bella, mi prenderebbe in giro, ma per fortuna lei è rimasta in sala comune.
Ci serve qualcuno che ci faccia da alibi, in ogni caso.
Arrivati al terzo piano Lestrange mi degna appena di uno sguardo.
-dividiamoci- mormora andando verso le scale che portano al quarto –ci rivediamo davanti all’arazzo di Gertrude la pazza-.
Annuisco, lo so. Ho sentito. Me lo ripete da tre ore, questo dannato piano.
Velocemente mi dirigo verso la torre ovest.

 

***


Sbatto le palpebre lascivamente davanti ad una Lily Evans piuttosto scocciata, che mi guarda irritata ma si lascia andare al ballo.
So di poter ottenere tutto, così, dalla mia migliore amica.
Il mio sguardo cade tra le persone vicino al caminetto, tra cui spicca un notevolmente orgoglioso re degli scacchi che risponde al nome di Sirius Black.
È sempre impegnato a fare il galletto, penso mentre lo guardo ridere insieme a due ragazze del quarto anno, di cui una quasi con la mandibola slogata a forza di ridere in modo ottuso e poco carino.
Che schifo.
E dire che non è nemmeno tanto carina, per Godric! Sembra talmente piccola da poter essere sua figlia.
E poi quei capelli, di che colore sono esattamente? Sembrano grigio topo.
E gli occhi? Vogliamo parlare degli occhi?
Sono di un banalissimo marrone fango!
Ok, ha un fisichetto carino, ma non è niente a confronto di…
Di chi, Marlene?
Sciocca che non sono altro, perché Merlino continuo a pensare cose del genere?
Buongiorno donzella, io sono Sirius Orion Black.
Oh, al diavolo.
-ehi, Lène- mi riscuote Lily fermandosi in un angolo della sala e indicando alle mie spalle –guarda, quel tassorosso ti sta guardando. Ma non ti girare!-.
Ovviamente mi giro, la curiosità ha la meglio sull’educazione.
-oh, no. È Rider Scott- mormoro abbacchiata –è un cretino, non ti ricordi di lui? Siamo stati insieme alla fine dell’anno scorso-.
-no!- sussulta Lily –era quello con i brufoli?-.
Rido, divertita.
-beh, senza brufoli è meglio- risponde poi guardando ad occhi sgranati –sarà anche un cretino, ma è proprio bello-.
-eh si, Lils, ormai tu di bei cretini te ne intendi, o sbaglio?- la pizzico indicando con un cenno del capo i ragazzi vicino al caminetto. Lì, James, Sirius e Remus stanno ridendo come pazzi gesticolando e intrattenendo con i loro racconti una folla di ragazzette urlanti.
-Marlene McKinnon, smettila subito!- mi minaccia con l’indice davanti al viso –sennò io…-
-chissà che le farai- s’intromette Mary con un sorrisetto sul volto.
-stai attenta anche te, McDonald, non ho ancora dimenticato l’insulto che le mie fantastiche pantofole ad orsacchiotto hanno subito!-.
-quando fai così sei terrorizzante- la sbeffeggia Mary –comunque, quando hai detto che il mio vestito cambierà?-.
-ci vorrà ancora un’oretta, secondo i miei calcoli- risponde Lils.
-bene…- taglia corto Mary mettendo su un’aria maliziosa che farebbe arrossire anche uno scaricatore di porto –comunque, chi è che si intende di stupidi particolarmente belli?-.
Lily diventa più o meno del colore dei suoi capelli, e balbetta a mezza voce qualche cosa di indefinito.
-no, perché sai che in sala ci sono corvonero che raccontano cose assai piccanti!?-.
Se prima Lily era rossa, ora è porpora intenso. Molto intenso.
-qu…quanto piccanti?- chiede cercando con lo sguardo qualcosa di poco compromettente da guardare. Qualcosa che non abbia gli occhi nocciola, i capelli sparati e la bava alla bocca.
-oh, molto piccanti- s’intromette un Sirius Black vestito da re, facendosi avanti con l’aria di una vecchia pettegola –si mormora che ieri, Lily…- abbassa la voce sussurrando qualcosa nell’orecchio a Mary, che ride sguaiatamente in risposta -…e poi, James…- continua a mormorare piano.
-sai, Black- lo rimbecca Lily prendendolo per un orecchio –credo che un vestito da vecchia comare ti sarebbe stato meglio di quello da re. Ora invitami a ballare, forza-.
Lily e Sirius spariscono inghiottiti dalla folla, e rimaniamo io e Mary a guardarci e a ridere come due sceme.
Con le spalle al muro, per qualche minuto, stiamo in silenzio guardandoci attorno.
-dove è Emm?- le chiedo per smorzare il silenzio.
Lei mi indica una finestra, davanti alla quale una bella Alice nel paese delle meraviglie siede accanto ad un Andrew Goldstein molto abbattuto.
-povero ragazzo, chissà che fine ha fatto suo padre- sussurro verso Mary, che sembra pensare esattamente ciò che penso io.
-ci hai pensato, Lène, a come devono sentirsi i figli di babbani?- mi chiede in risposta –alla fine, io e te siamo le più al sicuro-.
Storco il naso.
Mi ricordo fin troppo bene quello che Mulciber le ha fatto anni prima. No, non mi sento molto al sicuro… non la sento molto al sicuro.
Ma non glielo dico, penso che lei stia cercando di dimenticarlo. Lo noto ogni volta che incrociamo quell’essere nei corridoi, ogni volta che i serpeverde ci parlano e ci prendono in giro.
Penso che ci sono persone, al mondo, che non dovrebbero nemmeno esistere.
-tranquilla, Mary, non permetteremo che succeda nulla-.
Com’è che dicono i babbani?
Le ultime parole famose.

 

***


La festa sta andando bene, fin troppo. Se continuiamo così, io e Sirius riusciremo anche a far ubriacare Rem, cosa normalmente impossibile.
Penso alla mia mise, alle facce e alle battute che mi sono state indirizzate.
Passerò sul cadavere di Remus Lupin, stasera, costi quel che costi.
Ma per una degna malandrinata mi serve un degno malandrino, no?
Vedo Sirius ballare nel centro della sala con Lily.
Aspettate un attimo, perché Sirius sta ballando con Lily?
Forse crede che solo perché è mio fratello è immune alle mie vendette terribili?
Con un sorriso diabolico cambio direzione e mi dirigo verso una coppia abbracciata vicino al muro.
Perché per una malandrinata doppia mi serve un altro malandrino, ma quel pirla di Sirius Black ha deciso di darsi la zappa sui piedi, Pete sta dormendo già ubriaco fradicio, Remus è il destinatario dello scherzo… mi serve un complice!
-scusa, Alice, te lo riporto subito- esclamo passando vicino a lei e agguantando Frank per la collottola, per portarmelo dietro. Gli strilli indignati di Alice sono coperti dalle imprecazioni di Frank.
Frank è alto, ha le spalle larghe e i muscoli ben scolpiti. Se non sapessi che è buono come il pane avrei decisamente paura.
-perché, di grazia, hai fatto una cosa del genere?- mi chiede quando lo poso vicino al tavolo degli alcolici.
-perché mi serve una mano-.
-e il tuo degno compare?- domanda.
-sta facendo il cascamorto con la donna della mia vita- rispondo truce, indicando Black (quel viscido!) che fa fare una giravolta a Lily (la mia bellissima Lily!).
Frank annuisce, computo.
-cosa dobbiamo fare?- chiede poi guardando il tavolo degli alcolici.
-far ubriacare Remus- gli dico.
Detto, fatto.

 

***


Speriamo che quell’incapace di Black abbia capito tutto, mi dico.
Sto camminando per il corridoio del quarto piano, per arrivare all’arazzo di Gertrude la pazza, ho le mani che fremono.
-arsenico- mormoro davanti al quadro.
Gertrude la pazza spinge avanti il quadro. Dietro, una nicchia vuota fa bella mostra di se, buia, stretta. Proprio quello che mi serve.
La maschera bianca mi calza a pennello, indosso il mantello e me lo drappeggio intorno alle spalle così che non si veda l’emblema di serpeverde.
Decisamente, anche se l’azione si svolgerà a sera inoltrata, devo stare attento a non farmi scorgere da nessuno.
Non posso proprio permettere che questa azione vada in fumo, secondo mio fratello è l’ultima possibilità.
-lumos-.
Prendo la clessidra di vetro che mi sono portato dietro e l’appoggio al pavimento. Deve girare tre volte, se Regulus fa quello che gli ho detto di fare.
Allora mi siedo e aspetto.

***

 
-vieni! Mescola il mioooooooooooo - urla Remus con un bicchiere in una mano e una bottiglia nell’altre –caldeeeeroneee!-.
-e se con passione ti riusciràààààà- grida in risposta Sirius alzandosi e volgendosi verso Remus gli porge la mano. Remus la afferra e insieme si mettono a girare in tondo.
Mi volto verso James e lo vedo steso a terra dal ridere, esattamente come tutti in sala.
-il mio forte amor bollente- continuano a cantare i due ballando scatenati in mezzo alla sala –questa notte ti scalderà!-.
Remus si interrompe per un assolo terribile, salendo sul tavolo e togliendosi la parte superiore dell’armartura.
Tutti, e sottolineo tutti, nella sala ridono in modo incontrollato.
Emmeline e Marlene si reggono in piedi a vicenda, e poco dopo finiscono a terra, stendendosi sul pavimento e ridendo tra i sussulti del loro corpo, congestionato dal divertimento.
Sirius sale su una poltrona e, in risposta, si toglie la maglia.
-oh, mio povero cuore, dove è andato!?-canta a squarciagola portandosi una mano al petto e poi al cielo, in un gesto che stillerebbe dolore se non fosse così evidente il suo stato di ubriachezza.
-per un incantesimo ti ha lasciato!- gli risponde Remus portandosi una mano alla fronte, disperato.
-ehi, che gli avete fatto bere?- chiedo a James, chinandomi su di lui non appena smette un attimo di ridere.
Noto che ha le lacrime agli occhi.
-ci sono riuscito, Lils- esclama tutto giulivo –sono riuscito a far ubriacare Remus-.
Rido, anche perché sia Remus che Sirius ora si sono inginocchiati, l’uno sul tavolo e l’altro sulla poltrona, urlando come degli ossessi:
-e adesso che per bene l’hai spezzato ridammi, ti prego, il mio cuore innamorato- la canzone finisce con due gorgheggi che fanno assomigliare i due malandrini a due gatti con il mal di pancia.
La maggior parte delle persone si tappa le orecchie, protestando indignati.
-ancora, ancora- chiedono a gran voce due ragazzine del terzo anno, intente a sbavare sui petti nudi di due dei ragazzi più ricercati di Hogwarts.
-via anche i pantaloni!- chiede invece una quinto anno corvonero tra le risate generali.
-Merlino, no- esclamo in risposta passandomi la mano sugli occhi –Black in mutande no! Ci sono minorenni qui dentro!-.
-che c’è Evans, hai paura che la tua reazione potrebbe scioccarli tutti?- mi chiede un Sirius Black urlante, scatenando altre risate.
-no, Black, ho paura che lo spavento possa bloccargli la crescita!- rispondo a tono in mezzo alle prese in giro.
-Lily, adesso io e Sirius ci spogliamo!- ride ubriaco Remus.
Deglutisco.
-no, Rem non farlo, domani te ne pentirai!- esclamo terrorizzata spingendomi in avanti e cercando, a turno, di tirarli giù dai rispettivi piedistalli.
-zitta, Evans, Remus ha delle belle gambe, può permettersi di mostrarle!- mi rimbrotta Black.
Sono tutti stesi in terra dal ridere.
Poi, sia uno che l’altro, iniziano a slacciarsi i pantaloni.

 
-beh, direi che è andata bene- esclama Mary guardandosi attorno soddisfatta. La sala ormai è quasi deserta, tranne per la presenza di un Boot particolarmente ubriaco e qualche sagoma addormentata qui e là. Bene, ci tocca riportare indietro solo lui, gli altri sono tutti grifondoro.
Non oso pensare cosa direbbe la McGrannitt vedendo adesso la sala comune della sua preziosa casa.
-dire che è andata bene è poco, Mac- le risponde James guardando la tavola –è una delle feste meglio riuscite degli ultimi tre anni, direi-.
-zitti tutti, parla la regina!- lo prende in giro un Remus decisamente ancora troppo ubriaco, a cui siamo riusciti a rinfilare i pantaloni solo dopo decine e decine di tentativi (e di fotografie che fungeranno da ricatto per i prossimi cinquant’anni).
-taci, Moony, sei talmente ubriaco da non reggerti più in piedi- lo rimbrotta Black, ondeggiando pericolosamente da una parte e dall’altra mentre attraversa la sala comune.
A dire la verità, di completamente sobri siamo rimasti solo io, Emmeline e James. Mary e Lène sono alticce, Peter dorme rannicchiato su una poltrona, Frank e Alice si passano a vicenda una bottiglia quasi vuota di burrobirra e quei due cretini sono completamente sbronzi.
-magari iniziamo a mettere a posto, io intanto accompagno Boot a corvonero, povero idiota- ordino con voce perentoria sporgendomi verso Greg, che mi guarda con la vista annebbiata e la faccia sconvolta dall’alcool.
Il rumore di un bicchiere che si infrange sul pavimento mi costringe a voltarmi.
James fa no con la testa, più e più volte.
-non ci pensare neanche, tu e il corvo non andate da nessuna parte- taglia corto. Con uno svolazzo della bacchetta ripara il bicchiere.
Mi metto le mani sui fianchi, minacciosa.
-vuoi che la McGrannitt lo trovi qui, domattina?- gli chiedo.
-non mi importa, tu e quello da soli con lui ubriaco e te vestita così?- domanda lui scettico –magari decide che proprio oggi non gli interessa più il quidditch, e allora che facciamo?-.
-Em..line- borbotta Boot alzandosi dalla sua sedia e dirigendosi, a passo ondeggiante, verso il buco del ritratto.
Cosa?
-visto? È abbastanza sobrio da seguire i nostri discorsi- borbotta James in risposta –ed è anche abbastanza sobrio, secondo me, da metterti le mani addosso e…-
Sta facendo il geloso?
Che carino!
No, va bene l’uscire insieme e tutto il resto, ma adesso non mi metterò certo a chiedere il permesso di James Potter per qualsiasi cosa.
-Greg ha ragione, verrà Emmeline con noi-.


-è stato divertente, stasera- mormora Emmeline con un sorriso sulle labbra, mentre mi aiuta a trasportare Greg per i corridoi, stando attenta a che nessun professore ci veda.
Rido sottovoce, per paura di essere scoperte, e annuisco.
-si, molto divertente- rispondo.
-devo dire che ho cambiato idea sulle feste in costume- riprende –Mary mi ha convinto, ha fatto davvero un ottimo lavoro-.
-di quello che vuoi- aggiungo maliziosa –ma secondo me il tocco finale per convincerti lo ha dato Remus, stasera-.
-Lils!- mi sgrida fingendosi oltragiata.
-beh, ha proprio delle belle gambe- commento annuendo con un sorriso malandrino.
-Lils!-
-e anche un bel…-
-Lily Evans!-.
-…cervello- concludo divertita gesticolando –è acuto, intelligente, brillante…-
La vedo ridere.
-…muscoloso-.
Si toglie il cerchietto dai capelli e me lo lancia. Ridacchio e le faccio una linguaccia.
In questo corridoio, ora, la nobile Emmeline Vance e la caposcuola Lily Evans stanno giocando come bambine, con un ubriaco in mezzo che a stento si regge in piedi.
Penso che mi sono divertita, stasera, e che Mary ha avuto proprio un’idea decisamente brillante.
Anche Goldstein alla fine ha riso, davanti a Remus e Sirius che si urlavano una qualche canzone in una lingua nota solo a loro.
Abbiamo riso tutti, ci siamo divertiti, e domani saremo rivali, alla partita di quidditch. I corvonero contro i grifondoro, per il quidditch, tutti insieme per leccarci le ferite a vicenda, per onorare la memoria di una bambina rimasta vittima di una guerra più grande di lei.
Finalmente arriviamo davanti all’ingresso della torre di corvonero.
Picchio il battente a forma di corvo sulla porta. Il corvo si anima.
-chi pur senza armi, senza parlare e minacciare, fa tremare?-.
Fantastico, sono le due di notte dico io!
-Emm, sei tu la più intelligente, a te l’onore-.
-Lils, scherzi vero? Mi reggo a stento in piedi per la stanchezza- la voce di Emmeline è davvero stanca, quindi con un sospiro inizio a pensare.
Torno di nuovo a bussare.
-chi pur senza armi, senza parlare e minacciare, fa tremare?-.
Bella domanda, davvero.
Sono proprio sadici, i corvonero.
-dunque- ragiona Emmeline –si riferisce a qualcuno che fa paura anche senza minacce o armi?-.
-Lord Voldemort?- chiedo incerta.
Il corvo resta zitto.
-la McGrannitt!- tenta Emmeline.
Niente.
-i serpeverde?- chiedo io.
No.
-Hagrid?- prova Emm.
La guardo storta. Hagrid non fa paura!
-Silente?-.
Nulla.
-fa paura senza minacce- ripeto tra me e me.
Chi sarà?
Di nuovo busso con il battente, e ancora il corvo ripete.
-chi pur senza armi, senza parlare e minacciare, fa tremare?-.
Emmeline borbotta tra se, io mi tengo la testa tra le dita certa che prima o poi scoppierà.
-Alice direbbe Augusta Paciock, la madre di Frank…- ridacchio per allentare un po’ il silenzio. Boot non ci pensa neanche a parlare, quasi dorme appoggiato alla mia spalla.
E poi arriva, l’illuminazione, la vedo negli occhi di Emmeline, accendersi nella sua testa.
-ma certo, è tremare la parola chiave!-.
-come?- chiedo.
-ma si, tremare! Tremare non nel senso della paura!- esulta voltandosi verso il corvo –è il freddo!-.
La porta si apre, lasciandomi inebetita a bocca aperta.
Per fortuna non sono finita a corvonero.

 

***


Due battiti sull’arazzo mi fanno capire che è ora.
Raccolgo la clessidra, la infilo in tasca, mi calo la maschera sul volto e stringo in pugno la bacchetta.
-nox- sussurro al buio.
Poi spingo il quadro. Davanti a me, Black è vestito con un mantello nero che celi l’emblema della nostra casa e una maschera bianca a forma di teschio sul volto. Il cappuccio, ultimo tocco, ci copre il capo.
Sorrido dietro alla mia maschera, tenendo ben salda la bacchetta.
-dove sono?- chiedo, la voce ovattata da quella maschera che mi aderisce così bene in volto, deformandomi il viso.
-hanno appena lasciato Boot, pensavo fossero più intelligenti- risponde Black –ci hanno messo tre ore a capire la parola d’ordine di corvonero-.
Annuisco, per mostrare che ho capito, e mi paro nel bel mezzo del corridoio.
-sono grifondoro sanguesporco, per forza sono stupide-.
Dei passi, in lontananza. Manca poco, e non sarà più solo una bambina ma saranno due ragazze quasi adulte a soccombere sotto la mia bacchetta.
Assaporo la tensione, il silenzio interrotto solo dal ticchettio dei loro passi, il suono ovattato della loro voce che sussurra e si infiltra tra quei muri così antichi.
-non hanno nemmeno capito che Boot è stato sotto imperius tutta la sera- aggiunge Black.
Lo guardo.
-infatti non dovevano capirlo-.

***

 
Ci allontaniamo dalla torre di corvonero a passi veloci e spediti. Essere beccate adesso in giro per i corridoi sarebbe un colpo davvero basso, dopo tutto il casino di stasera.
-allora, prima parlavamo del…-
-…cervello!- mi interrompe lei.
-si si, cervello di Remus, naturalmente- annuisco con un sorriso –ma anche i pettorali non sono male, in effetti-.
-Lily!-.
Mi diverte sentirla così scandalizzata.
-beh ma…-
-senti, perché non parliamo un po’ dei pettorali di un certo James Potter?- chiede Emmeline storcendo il
naso –mi pare che nemmeno lui abbia niente di cui vergognarsi!-.
arrossisco. No, nemmeno lui è messo male sotto quel punto di vista.
-e poi chissà com’è il suo…-.
Due figure nel bel mezzo del corridoio ci interrompono, e il chiacchiericcio mio e di Emm si perde nei meandri dell’edificio.
Sono fasciate di nero, a quanto vedo ci stanno dando le spalle, ma è difficile capirlo, c’è scuro e non riesco a vedere bene.
Alzo la bacchetta.
-lumos- sussurro, e la mia bacchetta si accende sulla punta. Sento Emm fare lo stesso. Mi avvicino, dopotutto sono caposcuola –che ci fate fuori dalle vostre sale comuni? Vi serve una…-
-expelliarmus- urlano contemporaneamente due voci. Le nostre bacchette saltano via e si spengono, fondendosi con il buio. Un sussulto da parte di Emmeline, un gemito da parte mia. Inizio a temere, sono disarmata.
Le due figure si voltano, e accanto a me Emmeline sbianca diventando del colore del proprio grembiulino.
Due maschere bianche ci osservano, orrendamente contorte in un ghigno malefico.
La paura mi blocca, sono completamente immobilizzata.
Mangiamorte ad Hogwarts?
-chi.. chi siete?- chiedo schiarendomi la voce, cercando di apparire un minimo autoritaria.
-incarceramus- esclama una delle due figure, e subito sento corde stringermi i polsi, la vita, le caviglie, avvinghiarsi su di me come tanti serpenti.
Emmeline se ne accorge e si volta, cercando di scappare.
Vai via, chiedi aiuto, è l’unica cosa che riesco a pensare.
Forse James è ancora sveglio. Gli altri sarebbero comunque troppo ubriachi per fare alcunché.
Le mie speranze hanno vita breve, quando la seconda figura punta la bacchetta in direzione di Emmeline.
-stupeficium-.
Con un tonfo la mia amica crolla, e con lei crollano tutte le nostre speranze.
-aiu…-
-silencio-.
Il mio grido si perde dopo sole tre lettere. Inizio a preoccuparmi davvero, cerco di muovermi e di sciogliere le corde, e se con una bacchetta in mano sono una strega viva, senza potrei essere l’ennesima sanguesporco morta.
Solo adesso me ne rendo conto.
Morta.
Un attimo prima sei viva, quello dopo no.
Un lampo verde, e sei fumo.
Sgrano gli occhi dalla paura davanti a questi pensieri e continuo a dibattermi, feroce.
-stai ferma, sanguesporco- mi sussurra all’orecchio una voce lasciva, deformata dalla maschera esattamente quanto il viso.
Con un moto di repulsione mi divincolo ancora di più, cercando di scrollarmi di dosso quelle mani appiccicose e quella figura ingombrante.
La mia bocca, aperta, non serve a nulla. Non posso urlare, non posso gridare, fiatare. Non posso nemmeno sussurrare.
-ti ho detto di stare ferma- mi dice ancora la figura, e questa volta mi butta per terra con ferocia.
Se non fosse così tragica, la situazione, quasi quasi riderei.
E chi diavolo si crede di essere, questa maschera vagante, per dare ordini a me, Lily Evans?
Continuo a dibattermi, anzi, triplico la forza dell’attacco.
-sectumsempra- sibila la figura davanti a me.
È un attimo, il dolore è talmente acuto da bloccarmi il fiato in gola. Poi, sulla mia spalla, rosso, compare un segno sinuoso, come un arabesco. Capisco che è sangue, quello è un taglio ed è profondo.
-guarda, feccia, vedi il tuo sangue?- mi chiede la figura avvicinandosi –è sporco, lurido-.
Adesso è talmente vicina che il odore mi raggiunge. Sa di pino, penso.
-non credi anche tu che ciò che è così sporco vada estirpato?- mi chiede piano, sussurrando. Sento il suo respiro sul collo, mi ripugna. Tento ancora di scappare, di calciarlo lontano da me.
Dimentico la sua prima reazione, e la seconda non si fa attendere.
-crucio- sibila.
Dolore.
È la prima cosa che mi viene in mente, e anche la più banale, forse.
Eppure è dolore, quello che sento.
È un dolore talmente acuto da penetrarmi fin nelle ossa.
Sento la testa scoppiare, mi pare di sentire le costole fregare l’una sull’altra, e pugnali incandescenti penetrarmi fino nell’anima.
È il dolore nella sua forma più pura, un dolore talmente immenso da non essere descrivibile a parole.
E quel che è peggio, non riesco nemmeno ad urlare.
Mi mordo le labbra fino a farle sanguinare, e poi la lingua, e quando anche quella sanguina mordo il sangue stesso. Mi sgolo, ma dalle mie labbra non esce nulla, non un suono, un rumore, un fiato.
E solo quando si interrompe capisco che questo è solo l’inizio.
Senza nemmeno fare più caso a me, non appena il dolore si interrompe vomito sul pavimento tutto ciò che ho nello stomaco, sentendo le lacrime scendermi salate sulle guance.
E accanto a me Emmeline, pallida, dorme sonni tranquilli.
Piango, vomito.
Il dolore si è interrotto ma le mie costole mi sembrano sbriciolate, la testa implosa.
-la festa di grifondoro è finita- mi sussurra lasciva la voce all’orecchio –ora inizia quella dei purosangue-.
Lo vedo alzare la bacchetta, mentre la seconda figura si abbassa per far rinvenire Emmeline con un incantesimo e tacitarla.
Gli occhi di Emm si aprono, lentamente, e riesco a vedere la sorpresa lasciare il posto alla paura.
Mi guarda, la guardo, sporca del mio vomito e del mio sangue, con la paura riflessa negli occhi.
-crucio- sussurra ancora la figura accanto a me.
E allora posso solo urlare un urlo che non si sente, gridare un dolore indescrivibile che provo solo io.
E vomitare.
E pensare che, solo mezz'ora fa, ero felice.
Te ne accorgi dopo, quando è troppo tardi.



NOTE:
per prima cosa, un chiarimento su Mary McDonald: nella saga lei è sanguesporco, per questo Mulciber la tortura. In questa storia è purosangue, perchè ho preferito rendere Emmeline sanguesporco piuttosto che Mary. Quello che le è successo è dovuto semplicemente al fatto che è una grifondoro amica dei malandrini.
Seconda cosa, la frase di apertura è tratta dal mio libro preferito, "Castelli di Rabbia" di Alessandro Baricco.
Grazie mille a tutti quelli che leggono e recensiscono e mettono nei preferiti, nelle seguite e ricordate.
Un bacione!
Buona lettura,
Hir.

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Capitolo 15
*** candele nel buio ***



Stava lì,
come una candela accesa in un granaio che brucia
(A.Baricco, Castelli di Rabbia)

 



Aprire gli occhi è un’immensa tortura.
Attorno a me sento un odore metallico, freddo.
Sotto di me sento il pavimento di pietra viva.
La testa mi pulsa dolorosamente, come se cadendo avessi sbattuto la testa.
Ed effettivamente, cadendo ho sbattuto la testa.
Ed è quando ricordo questo particolare, cadendo ho sbattuto la testa, che la necessità già pressante di aprire gli occhi mi sembra l’unica cosa che valga la pena di assecondare.
Perché ricordo fin troppo bene le maschere, il gemito di spavento di Lily, e il grido dell’incantesimo.
Poi ricordo solo il buio, questo buio da cui devo uscire.
Apro gli occhi, li spalanco, e in men che non si dica mi ritrovo legata e tacitata.
Avevo visto bene, allora, mangiamorte.
Inizio a tremare violentemente, non posso impedirmelo, e continuo ancora di più quando mi accorgo di quello che la prima figura nera sta facendo a Lily. Vedo la mia migliore amica contorcersi, il viso deformato dal dolore, le labbra deformate da un urlo che nessuno può udire, il corpo deformato da un’agonia che non si può raccontare.
Che razza di gioia selvaggia e brutale può provare chi la sta sottoponendo ad una tale tortura?
E come diamine si può trovare normale qualcuno così sadico da godere del dolore degli altri?
Quasi me le immagino, le facce di quei due sotto le maschere, ghignanti.
Lo vedo abbassare la bacchetta, gli occhi di Lily si richiudono, il volto arrossato si distende leggermente.
Vedo poi la mia migliore amica sporgersi da una parte, e vomitare ancora.
Sul volto, ha tracce di lacrime e sangue.

 
Il dolore finisce così come è iniziato ma trascinandosi dietro i suoi terribili residui e lasciandomi agonizzante a terra.
Chiudo gli occhi, perché non posso più sopportare quelli di Emmeline che mi guarda scioccata, non posso più sopportare le mura che mi circondano.
Beato oblio, ecco cosa voglio.
Addormentarmi senza mai risvegliarmi, porre fine a tutta questa messinscena per cui non posso nemmeno gridare.
Coraggio, mi ripeto.
Eppure è un pensiero vuoto, quello che mi inonda la testa.
Coraggio, una parola vuota.
Perché ormai tutto è vuoto se paragonato al dolore che mi preme il corpo e lo trapassa.
Perché è facile immaginarsi coraggiosi al calore del fuoco della sala comune, in compagnia delle persone che ci vogliono bene, avvolti da calde coperte. Lo è un po’ meno stesi su questo freddo pavimento, in preda alle convulsioni che mi provoca questo bastardo che non ha il coraggio di mostrarmi il volto.
Ti nascondi dietro alla tua maschera, eh, mangiamorte?
Sento le corde attorno a me allentarsi, e scomparire.
Un sorriso mi nasce sulle labbra, credo sembri più una smorfia. Forse c’è una possibilità.
-sectumsempra- bisbiglia affianco a me la maschera.
L’ennesimo squarcio mi si disegna sinuoso sulla pelle, con un piccolo dolore che ormai nemmeno sento più.
Le mie ossa, nonostante tutto, urlano tra loro per la tortura subita precedentemente.
Se solo potessi urlare, sarebbe tutto diverso.

 
Vedo Lily ansimare stanca, il viso rivolto verso terra, coperto in parte dall’ombra e in parte da quelle ciocche così simili al suo sangue.
È una vista che strazia il cuore, vederla contorcersi, urlare mute preghiere, piangere lacrime amare.
E tutto quello che posso fare, a parte fissarla con orrore, è cercare di scalciare il mio assalitore e prenderlo alla sprovvista.
-stai ferma, lurida puttana-.
Parole gelide che io sento a malapena, mentre vedo con orrore l’assalitore di Lily puntare la propria bacchetta verso di me.
-crucio-.
Sei lettere, una voce gelida e un dolore fuori dal comune.
Il dolore nella sua forma più pura, senza sangue, senza ferite. Senza urla.
Solo dolore, che viene non ad ondate, bensì in un’unica dolorosa fitta senza fine, che mi lascia senza fiato.
Sento solo il dolore, sento le lacrime, ma non c’è sangue e non c’è fiato.
Riesco a vedere quasi la fine, spero di vederla. Buia, accogliente.
Per me, la fine avrebbe il sorriso dolce di Remus.
Poi il dolore si interrompe, vedo qualcosa cadere tra me e la bacchetta tesa dal mio peggiore incubo.

 
Uno sforzo, ecco tutto quello che devo fare.
Alzarmi, solo questo, su queste malferme gambe che stenteranno anche solo a reggere il mio stesso peso.
Uno sforzo, perché non ce la faccio.
Il dolore è forte, ma la rabbia è più forte.
Il dolore è forte, ma la pena è più forte.
Il dolore sarà così forte che nemmeno me lo riesco a immaginare.
Ma il mio orgoglio è più forte di lui.
Più forte della bacchetta tesa, più forte dei crampi, più forte di lui.
Non posso vedere Emmeline piegata, così, lei che è così nobile, così eterea.
Non sopporterei la vista dei suoi occhi resi folli dalle maledizioni.
E uno sforzo è tutto quello che serve.
E uno sforzo è tutto quello che faccio.
Perché se è vero che essere coraggiosi è difficile, stesa su questo pavimento, restare inermi lo è ancora di più.
Un attimo, mi alzo e mi butto di scatto nella traiettoria di quella bacchetta che punta come un indice accusatore una delle mie migliori amiche.
È un attimo, le mie caviglie reggono giusto quel che mi basta per lanciarmi tra quella bacchetta e quella ragazza sempre così posata e ora contorta nelle spire del dolore.
Sento che la maledizione si interrompe.
-maledetti grifondoro, non sono buoni neanche a morire- esclama la maschera, e ride.
Ride.
Non ho la forza di alzare lo sguardo, mi limito ad ansimare appoggiata al terreno, vicino ad Emmeline.
Muovo una mano e raggiungo la sua. Nonostante le corde, riesce a stringermi nella sua presa rassicurante. Non sono più sola.
-crucio-.

 

***


Nel camino non è rimasta che qualche brace ardente. In una delle poltrone, Pete continua a dormire. In un’altra, Sirius e Rem giocano ad un gioco babbano con le mani, mi pare si chiami carta, coltello e pietre, non sembra molto entusiasmante.
-James, non vai a dormire?- mi chiede Marlene alzandosi dalla sua poltrona e prendendo Mary a braccetto.
-aspetto Lils e Emmeline- le rispondo con un sorriso stanco.
-James, vai a dormire- mi ripete con un sorriso –Lils si arrabbia da morire se quando torna ti trova ancora in piedi. Poi dobbiamo sopportarci noi tutti i borbottii su quell’idiota di Potter-.
-si, Jamie, vai a nanna- le da manforte Mac. Sembravano tutte e due ubriache fino a poco fa, ma a quanto pare reggono l’alcool meglio di quanto credessi. Mac si avvicina e mi passa una mano sulla fronte –sei in uno stato pessimo, hai le occhiaie e sei pallido. Se ti vede così decide di scappare con quell’idiota di Boot-.
Rido, passandomi a mia volta una mano tra i capelli.
Sono talmente stanco che fatico a tenere gli occhi aperti.
-vai a dormire- ripete Lène –e porta con te quei due idioti seduti sulla poltrona, se Emm quando torna vede Remus ancora ubriaco le prende un colpo, poverina. Non è abituata a queste feste-.
Annuisco, alzandomi.
-dite che non si arrabbiano se non trovano nessuno?- chiedo poi esitando.
Mac scuote il capo.
-no, abbiamo già pulito e sicuramente aspettano solo di infilarsi nel letto- dice iniziando ad incamminarsi verso il dormitorio. In una delle ultime poltrone in fondo alla sala, quelle più scure, Alice e Frank sonnecchiano abbracciati.
-va bene, allora porto i due ubriaconi tra le braccia di Morfeo- rispondo alla fine prendendo Remus e Sirius a braccetto.
Con una piccola ginocchiata sveglio Pete.
-Wormy, muoviti, andiamo a letto- gli dico facendo cenno di seguirmi –è tardi, e domani pomeriggio c’è il quidditch-.
Salgo le scale del dormitorio lasciandomi alle spalle una sala comune in ordine perfetto nonostante la festa appena terminata.
Con un sorriso, mentre mi infilo sotto le coperte, divido i miei pensieri tra le cose migliori che ho.
I malandrini, Lily, le ragazze e il quidditch.
È in momenti come questi che capisco quanto sono fortunato.

 ***

 

Il dolore arriva talmente intenso da mozzarmi ancora il respiro.
Ho i brividi, sento il sudore colarmi per la schiena  e macchiare la sottoveste colore dell’acqua, chiara.
Getto la testa indietro e stringo la mano ad Emmeline, che in risposta me la stringe a sua volta.
Intanto il secondo assalitore sta facendo del suo meglio su di lei, che si contorce in preda all’agonia.
Dio mio, quando finirà?
Spero presto.
E intanto, sdraiate sul pavimento di un corridoio particolarmente freddo, questa notte, io e Emm ci consumiamo nel calore, come due candele i cui raggi di luce si incontrano solo in un breve spazio: due mani artigliate l’una all’altra, la pelle chiara dell’una e quella ricca d’efelidi dell’altra.
Entrambe, portiamo i segni delle unghie incisi nella carne.
Le ferite dell’amicizia.

 
Il dolore pare non andarsene più.
Un minuto, un’ora, un giorno o un anno. Che importa?
Ho gli occhi talmente inondati dalle lacrime da non capire più nulla, da vedere solo un buio leggermente rischiarato dai lampi delle maledizioni.
Due figure stese a terra, due figure in piedi.
Il suono di singhiozzi muti nell’aria, il silenzio del dolore ovunque attorno a noi.
Riesco a concentrarmi per alcuni secondi su una piastrella, e mi pare che così facendo il dolore diminuisca.
Se resto ancorata alla realtà, forse riesco a sopravvivere ancora un po’, a non abbandonarmi tra le braccia della morte che, ho capito, questa notte verrà.
E sarà benvenuta, nonostante tutto.
Sopravvivere ancora un po’.
Ma per cosa?
Per patire ancora una o due cruciatus?
Per ricevere ancora queste pugnalate di ghiaccio?
L’unica cosa che mi spingerebbe a resistere, la speranza, l’ho persa da un pezzo.
Accolgo il buio con un sorriso sulle labbra.
Voglio la morte.

 
Se solo potessi urlare, ma urlare veramente, secondo me sarebbe più facile.
Capisco cosa vuol dire toccare il fondo solo quando sento la presa di Emmeline rilassarsi.
Non sta più reagendo.
Non voglio neanche pensare a quello che questo vuol dire.
Non voglio pensare che la mia dolce Emm sia morta.
Non può.
Perché se lo fosse, troverei la forza, ora, di rialzarmi e prendere a schiantesimi in pieno volto questi due codardi che attaccano mascherati in piena notte.
Sento l’odio, puro e semplice odio, invadermi, percorrere vertebra per vertebra e rianimarmi, lo sento sbocciare come un paio d’ali in cima alla schiena.
Ma insieme all’odio c’è la consapevolezza.
Che tutto l’odio del mondo non mi potrà salvare, non ora, che non potrà togliermi questo dolore che mi ottura i polmoni impedendomi di respirare, che presto mi fermerà il cuore.
Mi chiedo quanto abbia resistito quello di Grainne O’Connell, di cuore.
Il mio, lo sento, sta per cedere.
Vorrei vincerlo, questo dolore.
Invece credo che perderò
.

NOTE:
So bene che questo capitolo è molto più breve degli altri, tuttavia mi piace moltissimo. Spero piaccia anche a voi, sebbene non sia certo allegro.
Mi farebbe estremamente piacere sapere cosa ne pensate, sia opinioni positive che negative. D'altronde si da, le critiche aiutano a migliorare!
Credo che aggiornerò presto,
buona lettura,
Hir

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Capitolo 16
*** le reazioni di Emmeline ***





Il corridoio è scuro, l’unica luce proviene dalla maschera di Black e, ne sono certo, dalla mia anche se io non posso vederlo.
Percorro con lo sguardo il profilo delle due ragazze stese sul pavimento, ai nostri piedi, dove è giusto che stiano.
Si tengono per mano, che carine.
Rido apertamente facendo un cenno al mio compare.
Si tengono per mano.
Black si china e passa due dita sotto il mento della Vance, o meglio, sotto il mento di quello che resta della Vance.
Alla fine non l’ho sentita gridare, abbiamo ritenuto più saggio usare un incantesimo tacitante.
Quello che resta.
-lei è ancora viva- mormora Black indicandomi l’ammasso di stracci rossi che fino a poco fa si è contorto nel dolore.
Si china sulla Evans e ripete l’operazione.
-lei sta ancora abbastanza bene, è solo svenuta. Per la Vance non manca molto, alla fine-.
Sorrido, anche se so che lui non mi può vedere.
Mi chino sulla Evans a mia volta, la osservo.
Ho il viso più pallido del solito, su cui spiccano tracce di sangue e le efelidi sempre più marcate.
Le labbra sono rosse, di un rosso talmente intenso da spiccare nero sul pallore del suo volto.
Le passo un dito sulle labbra, e vedo che il rosso in realtà è sangue.
-che schifo, sangue sporco- grugnisco alzando la bacchetta.
Con la punta della mia bacchetta, una dodici pollici e tre quarti di betulla, corda di cuore di drago, rigida, le disegno il volto.
La sua guancia è talmente pallida che sembra brillare di luce propria.
-è bella, per essere feccia- mormoro rivolto a nessuno in particolare.
Ed è bella davvero, con quei capelli rosso fuoco e non rosso carota, e gli occhi adesso chiusi che hanno la stessa tonalità dell’anatema che uccide.
Ha pianto, la feccia, vedo tracce di lacrime.
Le punto la bacchetta alla guancia e, per appena un secondo, mi sfiora un’idea stuzzicante.
Perché non…?
-sfregiala- mi dice Black dando un calcio alla Vance –farà più male a Potter, quando la vedrà-.
Mi sorprendo di Black, non ha mai avuto così tanto spirito di iniziativa.
Deve odiare veramente Potter, mi domando se centri con suo fratello.
Non che mi importi veramente, ho già sufficienti problemi da solo senza dover pensare anche ai suoi.
Per un attimo sono tentato di farlo realmente, tanto che la maledizione rotola già sulla mia lingua, ansiosa di uscire.
Un bello sfregio rosso sangue su quella guancia marmorea nel gelo della notte.
-sec…-
Mi interrompo dopo aver appena iniziato la formula.
Non so cosa sia, ma non ho alcuna voglia di sfregiarla.
Non sul viso.
-è già abbastanza feccia così- mormoro in risposta abbassando la bacchetta sulla sua spalla.
Rosso sangue, è quello il colore della sua pelle.
Rosso sangue sporco, mi correggo.
Vado più in giù, con la bacchetta, e raggiungo il suo petto. Traccio la sagoma della clavicola, fino ad arrivare allo sterno, sporgente.
-crucio- sibilo vedendo il corpo subito scosso da fitte di dolore.
Non so, in realtà, come sia il dolore della maledizione cruciatus. Non l’ho mai provato, in realtà.
Però sono straordinariamente bravo a farlo provare agli altri.
La Evans dibatte i piedi e gira la testa da una parte all’altra, il dolore la risveglia.
La guardo, attraverso la maschera, i suoi occhi hanno proprio il colore dell’Avada Kedavra.
-ciao, feccia- la saluto gioviale –tornata dal mondo dei sogni?-.
Interrompo la maledizione. Lei ansima.
Non ha quasi più forze, lo sento. Mi guarda terrorizzata, e tuttavia ha qualcosa in fondo agli occhi, come se il suo animo fosse circondato da un acciaio che nemmeno la mia bacchetta può sperare di scalfire.
-la tua amica è morta- decido di mentire. Questo sicuramente la farà soccombere –presto la raggiungerai-.
La vedo riscuotersi, velocemente, e fare qualcosa che non pensavo avesse la forza di fare.
Mi sputa, sulla maschera.
Poi cerca di parlare, ostacolata dall’incantesimo tacitante.
Tuttavia riesco a leggere il labiale.
Un giorno morirai anche tu.
Sanguesporco.
Con la bacchetta puntata allo sterno, mormoro con un ghigno.
-sectumsempra-.

 

***


Lestrange si sta divertendo. Io non troppo, quello che faccio lo faccio per dovere.
Vedo la ragazza prima contorcersi e poi sputargli sulla maschera.
Per un attimo, non riesco a non ghignare, da sotto la maschera, e sono più che contento che lui non mi possa vedere.
La ragazza Vance, intanto, continua a respirare a malapena. Lei c’è quasi, al punto di non ritorno.
Le do un calcio, magari affretto la sua dipartita.
Poi vedo Lestrange puntare la bacchetta sul petto della Evans e maledirla.
Vedo il sangue, prima un fiotto, poi una piccola pozza.
Mi ribrezza, quel ragazzo, quando fa così. Sembra divertirsi come il gatto con il topo.
È un gioco malsano, il suo.
La vuole spezzare pezzo per pezzo, così che neppure un briciolo della sua anima rimanga in piedi.
Perché effettivamente la Evans non è ancora finita.
Soffrirà ancora per buona parte della notte, e alla fine volente o nolente implorerà la morte pur così, senza voce.
Mi chiedo perché si sia rifiutato di rovinarle il viso.
È vero che è una bella ragazza, ma è pur sempre feccia.
Sto per chiederglielo quando succede qualcosa che dapprima ci paralizza entrambi.
L’incanto gnaulante che ho messo all’inizio del corridoio scatta.
Lestrange mi guarda.
Nelle torture sarà pure un genio, ma per tutto il resto è abbastanza idiota.
Ci giriamo appena in tempo per vedere spuntare dal corridoio una donna in vestaglia scozzese, piuttosto agitata dal rumore.
Un passo, due passi.
Mi volto verso Lestrange, lo prendo per il mantello e me lo tiro dietro, fino al lato opposto, dove iniziamo a correre.

 

***


Sono in mezzo a un lago, ma è un lago strano.
È un lago che sembra più una pozzanghera, di quelli che per quanto ti avvicini al centro il livello dell’acqua non si alza mai, rimane sempre ad altezza ginocchia.
E io sono quasi al centro.
La giornata è bella, ma fredda, e la pelle d’oca prende possesso della parte del mio corpo che non è bagnata dall’acqua, mentre quella sotto alla superficie resta intirizzita dal freddo.
Ancora un passo, poi due. Mi trovo quasi esattamente nel centro perfetto.
L’ultimo passo è quello che mi porta nel centro.
Al posto del centro c’è un buco, è l’unica cosa che riesco a pensare prima di sprofondare completamente nell’acqua.
Acqua, acqua ovunque.
Nel naso, nelle orecchie, nella bocca.
L’acqua mi invade i polmoni gelandomeli all’istante, impedendomi di respirare. Sto affogando.
È buffo come proprio in un momento come questo il mio cuore sembri battere più forte, come se intuisse che quei sordi, intensi battiti potrebbero essere gli ultimi, e volesse allora gridarli al mondo intero.
È buffo, come me li sento rimbombare nelle orecchie piene d’acqua, nella cassa toracica che si sta riempiendo come una botte.
Eppure non sono spaventato. È come se qualcun altro lo fosse al posto mio.
Spaventato.
Effettivamente attorno a me sento fermento, ma non vedo nessuno. Eppure qualcuno mi parla, urla.
Singhiozzi.
Il mio cuore batte sempre più forte.
 
In realtà non è il mio cuore che batte, penso svegliandomi di soprassalto.
Accanto a me, Sirius con un’espressione ebete mi guarda assonnato.
-che cosa diavolo…?- Remus si alza tenendosi la testa, lo sguardo contrariato.
Chiunque sia, quello che bussa alla porta, non ha alcuna intenzione di andarsene.
-no, non è possibile!- borbotta stizzito Sirius –abbiamo di nuovo chiuso fuori Frank?-.
Inarco un sopracciglio.
-credimi, non gliene fregava niente della nostra compagnia, ieri sera- gli rispondo ricordandolo abbracciato ad Alice sul divano.
-Merlino, che mal di testa- borbotta in risposta Rem. Peter dorme della grossa.
 Mi chiedo come faccia, maledizione, con quel fracasso a dormire come un angioletto.
-Sir, vuoi aprire o devono buttare giù la porta?- gli chiedo scettico.
-uff, sempre questa scusa che sono più vicino io, mai che alziate il vostro regale deretano da quel cazzo di materasso- mi rimbrotta stizzito avviandosi alla porta.
La apre.
Spalanco gli occhi, così come Remus e Sirius.
Davanti a noi c’è una McGrannitt in vestaglia scozzese che ci guarda con gli occhi spalancati e lievemente arrossati.
La prima cosa che penso?
Per fortuna che ieri sera abbiamo messo a posto!
La seconda?
La McGrannitt in vestaglia è uno dei miei peggiori incubi. Peggio che affogare.
Ma credo che nemmeno io appena svegliato in mutande sia esattamente in testa ai suoi sogni migliori.
Quindi siamo pari.
-signor Potter, Black- mormora, la voce stranamente rotta.
C’è qualcosa che non va.
-signor Lupin, volete seguirmi, tutti e tre?- chiede ancora, voltandoci le spalle prima che si possa aggiungere qualcosa.
Prendo i primi indumenti che mi capitano a tiro e me li infilo a casaccio.
-professoressa, è successo qualcosa?- chiede intanto Remus che, sempre perfetto, sembra essere andato a dormire vestito di tutto punto. Se si pettinasse sarebbe pronto per le lezioni. Dico, ma ieri sera era ubriaco, possibile che lui potrebbe sfilare in passerella e io sembro appena stato vicino allo scoppio di una bomba?
-seguitemi, in sala comune- taglia corto la McGrannitt –lasciate riposare il signor Minus-.
Sirius mi guarda, io lo guardo. Non ho mai visto la McGrannitt così, e si che noi ne abbiamo combinate parecchie, per farla andare fuori dai gangheri.
La sala comune è più affollata di quanto mi aspettassi. Alice e Frank si tengono per mano, Mary e Lène si coprono il volto con entrambe le mani, quindi non riesco a capire.
Stanno ridendo?
No, credo di capire dalle espressioni di Alice e Frank che non ci sia niente da ridere.
Alice ha il volto rigato dalle lacrime.
Non capisco, dove è Lily? E Emmeline?
-signori Potter, Black e Lupin, mi dispiace di avervi svegliato nel cuore della notte- inizia la McGrannitt, portandosi un fazzoletto di stoffa rigorosamente scozzese al viso, e passandoselo sulla fronte.
Cuore della notte?
Sono solo le cinque. Sono solo tre ore che siamo andati a dormire.
-è successo qualcosa di grave, professoressa?- chiedo iniziando a preoccuparmi seriamente –perché non ha svegliato la Evans e la Vance?-.
La McGrannitt mi guarda, impassibile. Accanto a lei, mia cugina crolla.
E crollare è il termine esatto, ve lo posso giurare.
Si accascia su se stessa con un terribile gemito, stringendosi le ginocchia al petto e dondolandosi. Non piange, o almeno non vedo lacrime, ma è terribile la scena.
Se ci fossero le lacrime sarebbe meglio, più umana.
Ma il suo dolore è disumano.
Sirius è pietrificato, Remus in subbuglio.
Non so che faccia ho, probabilmente un misto.
Ma sono terrorizzato.

 

***


Sentire la voce della McGrannitt rompe tutto.
Rompe l’argine del dolore, rompe la diga, rompe il mio corpo.
Mi accascio scossa da singhiozzi senza lacrime, sento Mary chinarsi e appoggiarmi le mani sulle spalle, dolcemente.
Ha gli occhi torbidi per le lacrime, i capelli scompigliati, è pallida.
Vedo i tre ragazzi impietriti, mi rendo conto di avere esagerato, di non essermi contenuta. Non mi lascio mai andare a reazioni del genere, quando sono in compagnia.
Alzo gli occhi, la McGrannitt mi guarda gentile, con occhi chiari che stillano dolore. Non l’ho mai vista così.
Mi porge la mano, io l’afferro e mi alzo.
-mi scusi, professoressa, non volevo- sussurro, ma la voce mi viene meno già alla seconda parola, e dalla terza in poi dubito che qualcuno riesca a fare più che leggere il mio labiale.
-professoressa, cosa è successo?- chiede alla fine Remus, guardandomi. Mi viene vicino a mi abbraccia, io poso la testa sulla sua spalla.
È così gentile.
La McGrannitt lo guarda, poi scuote la testa.
-la signorina Evans e… Lily e Emmeline sono state aggredite- mormora alla fine sporgendosi verso Rem e appoggiandogli una mano sulla spalla –nonostante l’ora, ho reputato giusto dirlo almeno a voi-.
Guardo James, è cianotico.
-Jamie…- Mary sussurra, la voce rotta dalle lacrime –Jamie, le hanno prese-.
-le abbiamo trovate appena trenta minuti fa, in un corridoio al quarto piano- racconta la McGrannitt. James sta ancora cercando di metabolizzare la notizia –erano… la signorina Evans è stata trasferita subito al San Mungo, la signorina Vance è in infermeria e…-
-Lily è…-
Non riesco a finire la frase, non voglio nemmeno pensarlo.
La McGrannitt scuote la testa.
-dal San Mungo dovrebbero mandarci un bollettino ogni mezz’ora, il primo dovrebbe arrivare a minuti- ci spiega –l’ultima volta che l’ho vista, era viva-.
-voglio andare- esclama James sporgendosi verso la McGrannitt –voglio andare al San Mungo-.
-no, signor Potter, è escluso- la McGrannitt è categorica –non stanotte. Ci mandano i bollettini-.
-e Emmeline?- chiede Remus stringendomi di più le braccia intorno alla vita –è ancora qui in infermeria, magari possiamo veder…-
-non ora, signor Lupin- lo interrompe la McGrannitt –domani, Poppy ha accettato di tenere per voi l’infermeria aperta, ma non ora. È tardi, e la signorina Vance è…-.
È la prima volta, in tutta la mia carriera scolastica, che vedo la McGrannitt senza parole.
-la signorina Vance non si risveglierà stanotte- conclude –e nemmeno domani. Madama Chips dice che se lo farà, si risveglierà tra parecchi giorni-.
È la stoccata finale, quella che serve a dichiararti vinto.
La McGrannitt ci lascia poco dopo, senza aggiungere altro.
E noto che lei sembra più vinta di noi.

 

***


Ovviamente non dorme più nessuno, se non Pete.
La reazione della McKinnon mi ha spiazzato. Non pensavo che un essere umano potesse provare tanto dolore, non pensavo che Marlene McKinnon potesse provare tanto dolore.
Il dolore che vedo riflesso sul mio viso, su quello di Jamie e Rem. E su quello di Mac, di Alice e Frank. Nessuno ha più parlato.
Nessuno ha dimenticato le parole della McGrannitt:
Madama Chips dice che se lo farà si risveglierà tra parecchi giorni.
Se lo farà.
Che cosa diamine hanno fatto a quelle due ragazze?
L’alba sorge dopo secoli, al punto che arrivo a dubitare del fatto che ancora possa esistere un sole.
-è tutta colpa mia- sussurra ad un certo punto james, cambiando per la prima volta posizione sulla poltrona.
Me l’ero aspettato.
-no, Jamie- gli rispondo.
-si- dice invece lui –se avessi insistito a non farla uscire, se…-
-Lily e Emmeline sono Lily e Emmeline- si intromette un’ Alice particolarmente forte –se volevano andare, sarebbero andate comunque-.
-ma se avessi aspettato mi sarei accorto prima del loro ritardo e…-
-Jamie, non serve a niente rimproverarsi adesso- sussurra Marlene, avvicinandosi a lui e sedendosi sulla sua stessa poltrona –è vero, avremmo potuto scoprirlo prima. Ma la colpa, è di quei bastardi, non è nostra. Non è mia, tua, di Alice o Frank. Non è di Mary, Sirius o Remus. È loro, di chiunque si sia azzardato ad avvicinarsi alle mie migliori amiche-.
Le parole della McKinnon si perdono nel silenzio. Ognuno di noi sta offrendo un tributo alle due ragazze, ognuno a modo proprio.
Mi chiedo se anche gli altri stanno pensando a quello che penso io.
Penso che Grainne O’Connell non si è mai risvegliata.

 

***


Non appena vediamo la prima persona scendere in sala comune ci guardiamo tutti e ci fiondiamo verso il buco del ritratto.
Non so chi lo apre, chi per primo si mette a correre in corridoio, chi per primo raggiunge l’infermeria.
Non so come abbiamo fatto a non romperci l’osso del collo giù per le scale, o a non travolgerci l’un l’altro nella nostra folle corsa.
Ma non m’importa.
In men che non si dica siamo davanti all’infermeria, con il fiatone.
Siamo in sette, ma stiamo in silenzio.
Alzo una mano e picchio leggera sull’anta della porta.
Perché dentro c’è Emmeline che dorme, e non vogliamo disturbarla.
Perché a nessuno è ancora entrato in mente che non c’è pericolo che i nostri rumori la disturbino.
La porta si apre mostrando l’infermeria, linda e pulita come al solito.
-Madama Chips, noi volevamo…-
-quanti siete?- chiede brusca.
Siamo in sette.
-no, siete troppi. Solo tre- dichiara truce. Si vede che non ha dormito, continua a ronzare accanto ad un letto coperto dal paravento.
-ma madama…-
-solo tre-.
-non ho alcuna intenzione di…-
-poco casino, solo tre-.
-madama Chips, o ci fa entrare tutti o ci mettiamo a cantare- esclama un Sirius Black piuttosto inviperito.
-dieci punti in meno a grifondoro e…-
-guardi che mi metto a cantare!- la minaccia Sirius. È incredibile come in un momento come questo riesca ad essere comunque così ironico. È una consolazione, sta combattendo da solo la battaglia di tutti, e lo sta facendo con la solita eleganza distratta.
-va bene, entrate ma state zitti, non vi voglio sentir fiatare-.
Con un sorriso Sirius ci precede, oltrepassando il paravento. Sussulta, io mi copro gli occhi e inspiro, chiedendomi cosa mai troverò dietro a quel pezzo di stoffa e ferro.
Lo spettacolo è straziante.
Alice piange apertamente, sorretta da Frank; Remus si accascia su una sedia con il volto tra le mani, distrutto. James sussulta e impallidisce, Lène si inginocchia per terra vicino a Emm e posa la testa sul lenzuolo. Io sono pietrificata.
Emm è più bianca del lenzuolo, la pelle eburnea sembra risplendere. Le guance sono striate da graffi irregolari, piuttosto superficiali, eppure tutti vediamo che ha i capelli ancora un po’ incrostati di qualcosa di scuro.
Penso che più tardi glieli laverò con cura.
I vestiti, vicino al letto, sono completamente rossi.
Stanotte era vestita di bianco, riesco solo a pensare.
-quel sangue…- il sussurro di Alice è rivolto a Madama Chips.
L’infermiera la guarda.
-il sangue non è il suo-.
La sentenza cade come l’ascia del boia. Non è il suo.
È di Lily.

***

 
Ditemi che è solo un incubo.
Un incubo di pessimo gusto.
Perché diavolo non ho accompagnato io quell’idiota di Boot a corvonero?
Perché ci ho lasciato andare loro due?
Emmeline è talmente pallida da sembrare morta. I graffi sul viso, poi, rossi, striano la pelle eburnea facendola brillare di luce propria.
-come sta?- riesco solo a chiedere.
-non ha ferite evidenti- mormora Madama Chips mentre con una bacinella prende a lavare attentamente i capelli della paziente –ma è stata torturata per ore-.
-con cosa?- chiede Remus, sebbene tutti in questa sala sappiano la risposta.
-maledizioni senza perdono- risponde l’infermiera.
Merlino, non ho mai visto Rem così.
Non mi sono mai sentito così.
-la cruciatus non lascia traumi…-
-la signorina Vance è caduta in una particolare forma di coma autoindotto, a quanto vedo- racconta l’infermiera –si risveglierà quando e se… lo vorrà lei-.
-come?-.
-ne io ne voi si può fare nulla- riprende scuotendo la testa.
È orribile.
Dopo un po’ mi riprendo.
-e dal San Mungo ci sono novità?- chiedo.
Lei scrolla la testa.
-ma se Emmeline e Lily sono state…- ingoio la parola torturate, è decisamente troppo -…perché Emm è qui e Lily…-
Poi realizzo, i vestiti. Sono sporchi di sangue.
Se il sangue non è di Emm è di…
-no!- urlo portandomi le mani alla testa.
Sento Sirius parlarmi, dice qualcosa ma non capisco.
Mary mi viene in contro di slancio e mi abbraccia. Stretto, così stretto che mi fa male, e piange stretta a me. Come una bambina che abbia bisogno di rassicurazioni e che ne dia in cambio altre.
La stringo in risposta, e per la prima volta sento le lacrime rigarmi il volto. Lène, vicino ad una finestra tace guardando fuori, ma dubito che veda qualcosa veramente.
Se vede qualcosa, quel qualcosa ha i capelli rossi e gli occhi verdi. Spenti.
Stringo i denti, rabbioso.
-ma la maledizione cruciatus non lascia traumi!- esclamo arrabbiato.
-la signorina Evans è stata preda di altre maledizioni, tra cui il sectumsempra-.
Basta, mi volto ed esco senza una parola.

 

***


È buio, non riesco a muovermi o a parlare.
Ma sento.
Dapprima le urla di James, poi quelle di Mary.
Sembra che urlare faccia loro bene, e sono contenta che loro ci riescano.
Mi brucia il petto, l’addome, le gambe e le braccia.
Ogni singola giuntura, ad essere proprio onesta, mi brucia da morire.
Ma la mano è quella che mi brucia di più, perché la sento vuota.
Non c’è più Lily, sono sola in balia dei ricordi.

 

***


È quasi il tramonto, siamo tutti in infermeria.
La partita di quidditch è stata annullata, è la prima volta in tutti gli anni da che siamo qui che viene annullato il quidditch.
E questo è successo perché sia la squadra di grifondoro, straziata per quello che è accaduto a Lily e Emm, sia quella di corvonero, riportato alla vicenda di Grainne O’Connell, si sono rifiutate di giocare.
Credo che sia terribile che addirittura ad Hogwarts accadano cose del genere.
Hogwarts, che dovrebbe essere casa nostra.
Emmeline ovviamente non ha mosso nemmeno un dito.
La guardo esattamente come stanno facendo tutti gli altri, nella stanza, aspettando un miracolo ogni istante di più, parlandole, a volte, come fa Lène con la sua voce calma, o Mary, che cerca di fare qualche battuta e smorzare così la tensione.
Il sole cala e noi veniamo sbattuti senza troppi riguardi fuori dall’infermeria.
-la signorina Vance ha bisogno di un’atmosfera rilassata-.
Se solo non mi fossi ubriacato, ieri notte.
Forse sarebbe finita in modo diverso, migliore.
Forse su quel letto ci sarei io, e lei sarebbe al sicuro in sala comune, a leggere i libri che ama così tanto e a scrivere ai suoi fratelli.

 

***


-secondo voi chi è stato?- chiedo quando l’atmosfera si fa troppo pesante.
Siamo seduti in sala comune, siamo stati sbattuti fuori dall’infermeria da una stressata Madama Chips.
Sono la prima che interrompe il silenzio, oggi in tutto avremo scambiato si e no quattro parole tra noi, siamo stati tutto il giorno vicino ad Emmeline.
Tutti, a parte James che è andato nello studio di Silente a chiedere un permesso per vedere Lily.
Ovviamente il permesso è stato negato.
Da quello che ci ha detto Jamie, ora Lily è tenuta sotto controllo al San Mungo da una squadra di auror di cui fanno parte anche zia Dorea e zio Charlus, cosa che mi tranquillizza non poco, mentre Emmeline è ritenuta al sicuro così.
-qualcuno a serpeverde- risponde James truce. Non gli ho mai visto quell’espressione negli occhi, sembra pronto ad uccidere. Sembra quasi che, se avesse tra le mani un serpeverde qualunque, potrebbe non rispondere più delle proprie azioni.
James Potter.
Il bonaccione, quello sempre disposto a prendere e a farsi prendere in giro.
-James, sarebbe meglio non accusare prima di…-
Remus viene interrotto da un’occhiata al vetriolo.
Veloce, rapida, letale.
-è stato un serpeverde- ribadisce in tono glaciale.
Nessuno ha il coraggio di dissentire.
È stato un serpeverde, punto.
Si tratta di pregiudizi? Ben vengano i pregiudizi.
Una sua amica e la ragazza che ama sono sul letto di morte, e se l’unica cosa che può fare è avvolgersi nei pregiudizi, la farà.
Ognuno di noi trova il modo di piangere a modo suo, anche se le lacrime non scendono più da un pezzo:
Remus ha passato tutto il giorno a camminare avanti e indietro per l’infermeria, così tante volte che quasi si è scavato il solco in cui ha mosso i suoi passi, borbottando tra se di quando in quando, passandosi una mano tra i capelli e sul volto stanco.
Io ho continuato a parlare a ripetizione ad Emmeline di tutto quello che mi veniva in mente.
Ho parlato della festa, del whisky, del mio vestito e di come mi abbia lasciato le gambe scoperte, di come Rider Scott ci abbia provato, e di come anche lei abbia fatto strage di cuori.
Mary mi dava manforte aggiungendo dettaglia e facendo battute piuttosto spiritose.
Alice ha lavato la testa a Emmeline nonostante tutte le trecce di sangue nei capelli fossero scomparse al tocco di Madama Chips.
Sirius è stato tutto il giorno alla finestra, zitto, guardandomi di quando in quando, insieme a Frank.
Tutta la sala di grifondoro piange le due alunne del settimo anno come fossero già morte.
Ma vorrei alzarmi e urlare che loro non moriranno, perché loro sono forti.
Vorrei dire a tutti che loro non sono Grainne O’Connell, che lei aveva il corpo di una bambina, mentre Lils e Emm sono due donne.
Vorrei dirlo, veramente, che loro si salveranno.
Ma d’altronde io non so come è messa Lily, non l’ho ancora vista.
Ho visto solo tutto quel sangue.

 

***


Sono andati via, mi hanno lasciato nel mio buio.
Stretta nella morsa del dolore che non accenna a diminuire.
Mi fanno male le costole, loro soprattutto, come se fossero incendiate.
Avrei voluto ridere dei racconti di Lène, soprattutto quando mi ha raccontato di Rider Scott. Non era quello con i brufoli?
Però l’ho ascoltata a malapena, troppo tesa nel dolore.
La mano, poi, è la parte che mi duole di più.
Dai discorsi che fanno, so che Lils è viva.
O meglio, è ancora viva.

 

***


Vedo Paul Vance entrare in sala grande velocemente, e raggiungermi con lo sguardo prima che con i passi.
-Marlene, voglio vedere mia sorella- mi dice senza ammettere repliche.
Io guardo Mary, Mary guarda Alice, Alice guarda Frank. E Frank guarda Sirius, che guarda James, che guarda Remus, che guarda Pete, che guarda me.
Annuisco e mi alzo.
-ti accompagno-.
Paul ha gli stessi capelli di Emm, ma ha gli occhi dorati e morbidi e uno sguardo molto diverso da quello della sorella.
Sono passati tre giorni da quella maledetta notte, Emm non ha riaperto gli occhi, e nemmeno Lily. Dal San Mungo non sono arrivate notizie diverse dalle prime, sempre stabile.
Ho chiesto a Silente di farmi andare al San Mungo, ci sarei rimasta meglio se mi avesse fatto una pernacchia in risposta.
No. Ovviamente.
James è a dir poco furioso. Ogni sera urla contro Sirius, che gli risponde a tono ma non lo manda mai a stendere come forse si meriterebbe.
Siamo arrivati in infermeria in completo silenzio, nessuno dice nulla, ci sediamo vicino ad Emmeline e la guardiamo entrambi. Paul le sfiora gentilmente il viso, per scostarle i capelli dalla fronte.
Sotto le palpebre, gli occhi di Emm si muovono come se lei stesse facendo un terribile incubo. Lo fanno da tre giorni, vorrei poterla svegliare.
-come sta Lily, invece?- mi chiede ad un certo punto Paul –Silente ha detto che anche lei è coinvolta, ma non la vedo qui in…-
-è stata trasferita al San Mungo la notte stessa- gli rispondo –era messa… peggio, a quanto hanno detto-.
Tace, forse in preda all’orrore.
Perché non è normale che a Hogwarts succedano cose del genere.
È iniziato tutto con Grainne O’Connell, tutti speravano egoisticamente che finisse con lei.
Prendo una mano a Emmeline.

 

***


Sento la voce di mio fratello.
Agonizzante, terribilmente morta, cerco di risollevarmi ma è come se avessi un drago sdraiato sulla schiena, o sulla pancia. Non riesco a fare nulla, solo a seguire con gli occhi i ricordi.
Vedo la bacchetta, tesa e malvagia, vedo la maschera, vedo il ghigno contorto.
Vedo gli occhi di Lily.
Sento le parole di Marlene.
Era messa peggio a quanto hanno detto.
Peggio.
Non pensavo, a dire la verità, si potesse stare peggio di così.
Com’è il peggio quando il tuo corpo è in fiamme e tu non puoi divincolarti?
Quando sei all’inferno e non puoi urlare?
Come diamine si può stare peggio di così?
Sono contenta di stare meglio, allora.
Il peggio non potrei sopportarlo.
La mano mi fa male, tanto male.
È vuota.
All’improvviso sento qualcuno prenderla, ed è più facile seguire i ricordi, con quella mano stretta tra le dita.
Artiglio con le mie quel polso, affondo in profondità.
Non me ne frega niente della carne che incontro, voglio lacerarla, o del dolore che creo, perché io ne sto patendo di più. Non mi importa se faccio male a Lène, voglio che lei capisca. Voglio che lei mi senta.
Che senta le mie urla, quelle che mi sono state negate.
Forse ho trovato il modo di farmi sentire, e la mano non fa più così male.

 

***


-Jamie, Sirius!- ci chiama la voce di Lène, oltrepassando veloce il buco del ritratto.
Ci stiamo preparando per andare a lezione, prima abbiamo visto quello che deve essere il fratello di Emmeline e abbiamo deciso di lasciarlo solo con la sorella, senza imporgli la nostra presenza in infermeria.
Lène è stravolta, appena oltrepassa il passaggio a muro si piega su se stessa a riprendere fiato.
Ovviamente le siamo tutti intorno in meno di due secondi, preoccupati.
-Remus, Emm si è mossa- mormora riprendendo fiato.
Ci guardiamo, elettrizzati.
-vuoi dire che si è svegliata?- chiede Remus contento.
Questa si che sarebbe una buona notizia.
-no- smentisce lei, e subito un calo di eccitazione pervade la stanza –però si è mossa, mi ha stretto la mano. Me l’ha quasi staccata, in realtà-.
Recupera il fiato, poi prende per mano Mary.
-che aspettate? Forza!- aggiunge prima di lanciarsi verso l’esterno della sala, trascinandosi dietro tutti.
Corriamo come dei pazzi per i corridoi, facendo a gara a chi arriva primo.
Io. Apro la porta e guardo verso il paravento.
Paul Vance sta guardando la sorella e le tiene la mano.
O meglio, è la sorella che gli artiglia la mano con forza.
Il volto è immobile, il corpo è immobile, la mano strizza quella del fratello, con urgenza.
Lo guardiamo tutti stralunati.
Bastava così poco per avere una reazione? Suo fratello?

 

***


Guardo Paul, lo saluto con un sorriso tirato e mi avvicino a Emm. Le prendo l’altra mano, aspettandomi la stessa reazione.
Niente.
-non lo fa, con quella mano- mi dice Paul gioviale –lo fa solo con questa. È un segno positivo, comunque, no?-.
Capisco che ha bisogno che gli si dica che si, è un segno positivo.
Ed infatti credo che lo sia, un segno positivo.
Di certo non è negativo, ma è strano.



NOTE:
questo capitolo parla di Emmeline, il prossimo parlerà di Lils. E' un po' più lungo così da compensare quello di ieri =)
Spero che vi piaccia. Grazie mille per le recensioni!!!
Spero di risentirvi presto,
buona lettura, Hir!

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Capitolo 17
*** battiti di cuore, frasi e passi ***




PRESA DI COSCIENZA
 
Intorno a me c’è silenzio, ma è un silenzio diverso rispetto a quello che pervadeva l’aria quando non riuscivo ad urlare per il dolore.
Attorno a me c’è silenzio, dentro di me i residui di un dolore troppo forte per essere sopportato.
È stato terribile.
Se pensavo, quella sera, quella notte, di aver sperimentato tutto il dolore…
Povera illusa!
Quando il mangiamorte mi ha puntato al petto la bacchetta e mi ha cruciato, proprio lì, la punta della bacchetta sullo sterno, a contatto con la mia pelle…
Quello è il dolore.
Ma adesso c’è il silenzio, e dentro di me l’intirizzimento di muscoli e ossa.
Ogni tanto, vicino, sento delle voci nebulose.
Non capisco nulla, non realizzo nulla.
Nemmeno il mio nome.
Ricordo solo il dolore.

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
ORE 5.37 DEL 1 NOVEMBRE 1977
 
La corsia è illuminata a giorno nonostante l’alba non sia ancora sorta.
Una donna, bella e scarmagliata, cammina, o meglio corre, inseguita da un uomo della sua stessa età.
A legarli, quell’uomo e quella donna, una fede al dito, un figlio di sangue di cui entrambi sono orgogliosi, e un figlio d’adozione di cui sono orgogliosi ugualmente.
Dorea Black in Potter è una di quelle donne che il mondo, la vita, la prende di petto. Sempre pronta a reagire, sempre pronta a combattere.
Strano, per una serpeverde.
Il marito, Charlus Potter, è proprio uguale uguale ai suoi due figli, sia a quello naturale che a quello adottivo. Un bell’uomo che è stato un bel ragazzo, bravo giocatore di quidditch, portiere, ottimo mago in trasfigurazione. Ottimo auror.
Ottimo grifondoro.
Grifondoro e serpeverde, miscuglio interessante: come l’artemisia e la pelle di girilacco, che mischiati insieme creano quasi fuochi d’artificio. E Dorea e Charlus Potter facevano fuochi d’artificio da una vita.
Comunque, la donna e l’uomo correvano per la corsia dell’ospedale San Mungo, a Londra, in arrivo grazie ad una smaterializzazione direttamente dal cortile della loro villetta in Godric’s Hollow.
A chiamarli, era stato il loro capo-ufficio, Alastor Moody.
Che adesso li guardava storto scrutando in modo arcigno anche il resto della corsia.
-ci siamo anche presi un caffè, nel mentre?-.
Per chi non conosca Alastor Moody, sappiate che è l’uomo più brusco, scontroso, arcigno e decisamente poco amabile del mondo.
Niente da stupirsi, quindi, che nessuno lo abbia sposato.
-Alastor, abbiamo fatto prima possibile- gli risponde cortese la donna, incrociando le braccia al petto e gettando uno sguardo all’orologio –ci hai tirato giù dal letto solo dieci minuti fa-.
La risposta di Moody, a questa frase, è un terrificante ghigno malevolo.
-parliamo della ragazza- inizia poi a illustrare –Silente mi ha chiesto di tenerla d’occhio costantemente-.
-è una grifondoro?- chiede Charlus prendendo il suo cipiglio più serio.
-la caposcuola grifondoro, si- annuisce brusco il capo –l’altra ragazza è una sua compagna di stanza, una certa Emmeline Vance, tutt’ora a Hogwarts, in infermeria. Poppy può occuparsi di lei, sebbene non sia messa molto meglio di Lily Evans-.
-allora è Lily- mormora Dorea sporgendosi per vedere la ragazza stesa nel letto oltre la soglia. Nota che il letto è coperto da un paravento con la stoffa bianca.
-la conoscete?-. Moody è sempre più burbero.
-è un’amica di Jamie- gli risponde Charlus –spiegaci meglio-.
-è stata aggredita, insieme alla sua amica, nel corridoio del quarto piano davanti all’arazzo di Geltrude, quando Minerva le ha trovate ha messo in fuga gli assalitori, ma purtroppo non è riuscita a riconoscerli. Aq quanto pare, sono furbi-.
-un altro attacco, quindi, come quello della O’Connell-.
Dorea guarda il marito. Stanno pensando a James e Sirius.
-questa è ridotta peggio-.
 
24960 BATTITI DI CUORE, 4 FRASI, 89 SCALPICCII DI PASSI DOPO
 
Non so quanto tempo sia passato. Non so nemmeno se il tempo è passato veramente.
Ho contato 1345 battiti del mio cuore che sembra impazzito nella mia cassa toracica. A volte batte più velocemente, quasi fino a farmi scoppiare il petto, altre volte sembra invece una nenia che abbia il compito si accompagnarmi in questi momenti, unica consolazione.
Ho sentito tre persone parlare. Non ho capito quello che hanno detto, ma li ho sentiti.
L’ultimo rumore è un passo dietro l’altro.
Ottantanove, in tutto.
Ottantanove passi che hanno oltrepassato la soglia dell’infinito tetro che mi circonda.
Non ricordo nulla, solo il dolore, il mangiamorte.
Il mio nome, non me lo ricordo minimamente.
Ricordo la paura, perché quella è difficile da dimenticare.

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
ORE 10.54 DEL 1 NOVEMBRE 1977
 
L’ospedale è insolitamente tranquillo, per essere mattina inoltrata.
Gli auror di pattuglia sono disposti in due gruppi, il primo fuori dalla stanza della ragazza Evans, formato da Charlus Potter e Augustus Peakes, il secondo fuori dall’ospedale formato da Dorea Potter e Artemisia Tellman.
Al quarto piano, quello riservato a lesioni da incantesimo, fatture ineliminabili, maledizioni e applicazioni errate di incantesimi, i due uomini del primo gruppo scrutano nervosamente la corsia, stranamente deserta.
-è messa troppo male?- chiede Augustus, un uomo stempiato sulla sessantina, a pochi passi dalla pensione.
-non è messa troppo bene- risponde Charlus con lo stesso tono.
L’auror guarda di sottecchi i medimaghi che continuano ad entrare nella stanza della ragazza e ad avvicinarla, per scrutarla e poi tornare indietro.
-Alastor ha detto che la conoscete- insiste Augustus.
-non bene, è una compagna di James- risponde ancora Charlus.
Sta pensando a suo figlio. Sicuramente non ha ancora saputo che lui e sua moglie sono di turno, altrimenti li avrebbe certamente tempestati di gufi per sapere la condizione fisica della sua amica… che poi solo amica non è, lui lo sa bene. Ha visto brillare gli occhi di suo figlio, al suono del nome Lily Evans, nemmeno un mese prima, ad Hogwarts.
 
11040 BATTITI DI CUORE, 1 FRASE E 13, ESATTAMENTE 13, PASSI DOPO
 
C’è qualcuno, accanto a me.
Ne sono assolutamente sicura.
Non so chi sia, non so nemmeno precisamente a che luogo mi riferisco parlando di un intorno a me, ma so che c’è.
So che c’è qualcuno.
E non solo per quei 13 passi che qualcuno ha mosso per raggiungermi.
Sento qualcuno.
Non so da quanto sono qui.
Non so nemmeno se il tempo continua a scorrere, per loro come per me.
Con loro, intendo le persone che parlano, che passeggiano, che mi stanno vicino.
Perché so che c’è qualcuno vicino a me.
Ecco, ora mi ha preso la mano.
È la mano di una donna, ne sono certa. Se potessi farlo, se avessi sufficiente controllo del mio volto, sorriderei.
Sembra il tocco di mia madre.
Non ricordo il mio nome, ma ricordo mia madre.
E il suo tocco.
Perché questo è, sicuramente, il tocco di una madre.
Sento le dita esili tracciarmi il profilo del dorso della mano, scivolare morbidamente fino alle nocche, passare sul palmo e tornare al polso.
E per la prima volta in troppo tempo, non sento più il dolore, la paura.

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
ORE 13.25 DEL 1 NOVEMBRE 1977
 
Il turno di Dorea Potter e di suo marito è finito da ben venticinque minuti. La donna, con un sorriso caldo, ha salutato il marito con un bacio e gli ha detto di andare pure a casa, soprattutto a vedere se il gufo del figlio è andato a far loro visita.
La donna, poi, si è diretta verso la sala numero 21 del quarto piano, con passo sereno ben più della sua mente.
-Maron, Ross, sto un po’ con lei- saluta gentilmente gli auror che le hanno dato il cambio sulla soglia della porta, poi si avvicina al letto. Trecidi passi, e si siede sulla sedia accanto alla brandina, oltre il paravento.
Per un attimo osserva la ragazza. Sembra dormire.
Non ha alcun segno in volto, ma è troppo pallida, ha l’aria malsana. Il viso è teso, gli occhi chiusi continuano a seguire qualcosa come un incubo.
Alastor ha detto, quando lei e suo marito sono arrivati, che la ragazza ha perso molto sangue oltre ad essere stata preda della maledizione cruciatus.
Povera ragazza.
Sectumsempra, uno per ogni spalla e uno particolarmente violento sul petto.
La ragazza non lo sa, pensa Dorea con un sospiro triste e una gran rabbia, ma quelle cicatrici le resteranno per tutta la vita.
Con un sorriso gentile si sporge verso di lei e le prende la mano.
È istantanea, la reazione. Il corpo steso sul lettino sembra rilassarsi.
Allora è niente tracciarle con le dita il profilo del dorso della mano, scivolare fino alle nocche, passare sul palmo e tornare al polso. E ripetere più volte il percorso, così, per farla sentire amata, confortata.
Per farla sentire accudita.
E non farle più sentire il dolore, e la paura.
Perché nessuna ragazza a quell’età, pensa Dorea, dovrebbe conoscere il dolore e la paura.
 
9600 BATTITI DI CUORE, 6 FRASI E 10 PASSI DOPO.
 
Chiunque sia la donna vicino a me, la madre vicino a me, non se n’è ancora andata.
È stata raggiunta da qualcun altro, ho sentito i passi.
Intorno a me c’è silenzio, dentro di me il battito angosciato del mio cuore in pena.
Scandisce il mio tempo, questo cuore malato, questo cuore che per un po’ ha minacciato di smettere questi suoi battiti forsennati. Contarli, è l’unico sistema per non cedere ai ricordi.
Perché qualche ricordo ce l’ho.
Mi ricordo il sangue, e le maschere bianche.
Mi ricordo la paura. E il dolore.
Quello me lo ricorderò in eterno, penso, finché vivrò.
Sempre che sia vivere quello che sto facendo adesso, si intende.
Però ricordo anche qualcos’altro:
gli occhi dolci di una ragazza che, come me, era in preda al dolore.
Morbidi capelli biondi e un po’ crespi, portamento altero.
Nobile.
Spezzata anche lei dal dolore.
Perché non esiste coraggio davanti al dolore.
La mia mano è calda nella presa dolce e rassicurante di quella madre.
Speriamo non vada via, non mi lasci sola nel mio buio scandito dai rintocchi di questo mio cuore impazzito.

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
ORE 15.30 DEL 1 NOVEMBRE 1977
 
Charlus Potter si ferma accanto al paravento, sporgendo più in là solo la testa scarmagliata.
Osserva. Osserva la moglie tenere per mano quella ragazza così malridotta.
James non ha scritto, non ancora.
-ehi, tesoro- sussurra, come se parlando potesse svegliare la ragazza.
-Charlus!- esclama invece la donna, voltandosi –caro, notizie da Jamie e Sir?-.
-no, niente- risponde l’uomo affiancandosi alla moglie, e restando in piedi.
-niente novità, qui- dice invece la donna, forse in risposta alla muta occhiata dell’uomo.
I due coniugi restano immobili per quelle che sembrano ore, e forse lo sono davvero.
-tesoro, tra un paio d’ore verrà Silente. Penso che potremmo andare a casa, siamo svegli da prima dell’alba e il nostro turno riprende stasera-.
La donna scuote la testa.
-questa ragazza è importante per Jamie, Char. Poteva essere lui, a quest’ora, su questo letto. Poteva essere Sir-.
Perché è questo, Dorea Black in Potter, che dai Black ha preso solo l’appartenenza ai Serpeverde. Una donna forte, una moglie amata.
Ma è soprattutto una madre.
 
9704 BATTITI DI CUORE, 45 PASSI DOPO.
 
Alla madre che mi accarezza la mano e alla figura che la accompagna si è aggiunto qualcun altro.
Parla velocemente, come se stesse leggendo o seguendo una routine.
Parla di me, lo sento.
Riesco a distinguere a malapena qualche parola.
La parola coma, la parola agente, la parola casa.
La mia mano è ancora stretta a quella della madre, che continua ad accarezzarmi gentile, come a dire di non preoccuparmi, a dirmi che va tutto bene.
Poi cinque parole, la mano si scosta e mi lascia.
Cinque parole che riesco a capire, chiare.
-va tutto bene, tesoro, tornerò-.
E con la mano, si allontana ancora di più anche la paura.
Perché nonostante tutto, non sono sola.

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
ORE 17.30 DEL 1 NOVEMBRE 1977
 
-Dorea, Charlus- una voce gentile saluta i due coniugi al capezzale della ragazza.
È un vecchio signore con una lunga barba bianca infilata nella cintura, occhiali a mezzaluna e sguardo
azzurro e acuto.
-Albus!- la donna si alza, sempre tenendo la mano alla ragazza dormiente che però non dorme.
-Dorea, vedo che hai pensato di tenere compagnia alla signorina Evans- gentile come sempre, il preside della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts sorride all’indirizzo dell’auror.
-è una cara ragazza- mormora la donna con un sorriso tiepido sulle labbra –l’ho conosciuta lo scorso mese quando ci hai chiamato per l’ordine. James ha una cotta per lei, non so se lo sai-.
-beh, diciamo che a Hogwarts- e qui il preside ridacchia annuendo –nessuno può dire di non saperlo. James è stato… piuttosto esplicito, in questi anni-.
Charlus sorride dolcemente. Già, i Potter sono piuttosto fantasiosi quando si tratta di donne. O meglio, di quel tipo di donne.
-Alastor mi ha detto che non ci sono state novità- dice poi il preside –nessuno ha cercato di venire dalla ragazza. Non che mi sorprenda, d'altronde, ma non voglio lasciarla sola. La signorina Vance, a scuola, non da segni di miglioramento, e i suoi amici –compreso James- sono al suo capezzale da ore. Vostro figlio mi ha chiesto di venire qui, oggi pomeriggio-.
-sarebbe meglio non farli venire, nessuno- annuisce Charlus –tanto non ci sono miglioramenti-.
Il preside annuisce.
-lo credo anche io. Anche se si è infuriato parecchio, temo, al mio diniego-.
La donna sorride tristemente, poi si sporge su Lily e le sussurra all’orecchio.
-va tutto bene, tesoro, tornerò-.
Con un sospiro allontana la mano e distende le dita, condizionate dalla piega mantenuta per ore, strette a quelle della ragazza.
-è meglio se io e Charlus andiamo a casa, adesso- mormora poi –stasera montiamo di turno alle dieci, e siamo in piedi dalle cinque e mezza. Ci vediamo, Albus-.
Sorride e si accinge a lasciare la stanza, accompagnata dal marito.
Sulla soglia, si volta e guarda il paravento.
Povera ragazza.
 
 
 

***************************************
 
 
 
 
HOGWARTS, 5 NOVEMBRE 1977
 
-sono un idiota!- esclamo battendomi la mano sulla fronte.
Sento gli altri che mi guardano, chi stupito, chi sorpreso.
Perché sono cinque giorni che non dico niente più del necessario, cioè da quando Lily è al San Mungo e Silente non mi permette di andare a trovarla.
-perché, Jamie?- mi chiede Sirius smettendo di bere il suo succo di zucca mattutino.
Siamo in sala grande, è appena arrivata la posta.
Effettivamente sono un idiota.
-chi è che ha detto che mia madre e mio padre sono nella squadra che sorveglia Lily?- chiedo rivolto a Marlene.
Lei mi guarda con un sorriso di compassione.
-tu, James- mi risponde –lo hai detto tu-.
Oh.
Vabbè, si sa che non sono in me in questi giorni.
-bene, comunque, posso scrivere a mamma e papà e chiedere a loro di Lils- dico cercando di sorvolare sulla figura appena fatta.
Gli occhi di Lène si illuminano.
-vero, non ci avevamo pensato- esclama infatti in risposta –aspetta, tieni, scrivi-.
Mi porge una piuma e dell’inchiostro.
Sir mi passa una pergamena un po’ macchiata, ma penso che vada bene.
Inizio a scrivere.

Hogwarts, 5 novembre 1977

 
Mamma, papà
Spero di trovarvi in forma con questa mia.
Silente mi ha detto che siete di pattuglia a sorvegliare Lily…
Come sta?
Di certo voi dovete sapere qualcosa, vi prego di dirci almeno in che condizioni è adesso.
 

Un bacio,

Jamie, Sirius, Lène, Remus, Pete, Mac, Alice, Frank.

 
-James, non è meglio se scrivi la lettera solo a nome tuo e di Sirius?- mi chiede Mary guardandomi di sottecchi.
-nah, così si sentiranno meno autorizzati a farmi aspettare anni per una risposta- rispondo con un sorriso beffardo. Il primo da giorni, devo dire –più siamo meglio è… anzi, forse dovrei aggiungerci qualcun altro…-
-Jamie, non tirare la corda- mi rabbonisce Sirius infilandomi una fetta di pane e marmellata in bocca, rischiando di farmi quasi soffocare –e mangia qualcosa, sei magro come un picco-.
-si mamma- lo prendo in giro io.
-e giù i gomiti dal tavolo- scherza lui con un tono che farebbe invidia a Walburga Black.
Tutti ridiamo. È la prima vera risata da giorni.
Eppure mi sento in colpa, perché Lils ed Emm non ridono più.
 

***


L’infermeria è deserta, se non si contano Alice e Mary, la prima con la mano di Emm tra sue e la seconda che cambia l’acqua ai gladioli bianchi sul comodino.
E io, ovviamente, che sto guardando alla finestra.
Cinque giorni.
Sono già passati cinque giorni.
Emm ha avuto dei miglioramenti, oltre la mano.
Talvolta, quando le parlo, sembra quasi che sorrida. È bella, ha il volto più disteso e ha recuperato un po’ di dolore.
Si sveglierà, mi dico.
A questo punto non è proprio possibile che muoia, mi dico.
E intanto non si sveglia.
Non si sveglia e non si muove.
Madama Chips dice che non si potrà dire fuori pericolo fino a che non si sveglierà, e forse nemmeno allora.
-allora, ragazze, ci sono novità?- chiede Remus entrando in infermeria accompagnato da Sirius. Sir mi sorride debolmente.
-nessuna, come al solito- sospiro io –Jamie ha avuto qualche risposta?-.
-nessuna, come al solito- mi risponde Remus.
Sul volto ha un sorriso triste.
Si avvicina a Emmeline e le scosta i capelli dalla fronte.

 

***


Una ventata d’aria fresca mi invade il volto. Qualcuno mi ha toccato la fronte.
Il buio è sempre buio, ma si fa via via meno minaccioso.
La paura rimane, ma c’è qualcos’altro.
È speranza, quella che mi arde nel petto.
È vita, quella che torna a scorrermi nelle vene.
Vorrei sorridere, ma non so dove sia il mio viso, non lo sento.
Sento solo la mano, circondata da altre più calde.
È rilassante, e mano a mano il dolore va a scemare.
Ormai è solo un residuo, lo sento nei muscoli, nelle ossa.
Ma non lo sento più in ogni fibra del mio corpo.
Lo sento solo parzialmente.
Sto dormendo? Dovrei risvegliarmi.
Dovrò risvegliarmi.
Intanto, attorno a me c’è gente che parla.
Parlano di un tema, di trasfigurazione.
È buffo pensare che mentre io sono qui, mentre il fuoco mi mangiava fino a qualche tempo fa, il mondo va avanti comunque.
Ci sono i temi di trasfigurazione, gli incantesimi di difesa, i patronus.
Ho sentito Remus, credo fosse ieri, dirmi che hanno iniziato a fare i Patronus.
-come se ci potessimo riuscire, a ricordare qualcosa di felice, ora- ha commentato poi, stringendomi la mano.
Sono riuscita a stringergli la sua in risposta.
Spero abbia capito.
Che non ho intenzione di arrendermi a questo buio, che lui si sta arrendendo a me, piuttosto.
E che ho bisogno dei miei tempi, per uscire dal tunnel.
Ma che uscirò.



NOTE:
ehilà!
Vorrei spiegare innanzitutto il perchè di questo "cambio" di punto di vista. Avevo pensato di aggiungere un colore per Dorea, ma a ben pensarci non si amalgamerebbe troppo bene, visto che questa è la storia dei ragazzi al tempo dei malandrini e Dorea è un'adulta. Quindi ho deciso per un narratore esterno, ovviamente nero.
Per il resto, magari mi odiate perchè non ho fatto svegliare nessuna delle nostre due "vittime"...
...ma già dal prossimo capitolo dovrebbero esserci svolte...
dai, sto zitta così non vi svelo nulla.
Grazie mille a chi recensisce, dovrei scolpirvi un mezzobusto rifasciato in oro.
Buona lettura,
Hir!

 

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Capitolo 18
*** il lupo e il rospo ***


HOGWARTS, SALA GRANDE, 21.55 DEL 7 NOVEMBRE 1977
 
Il soffitto della sala grande è stellato, esattamente come il cielo che spunta dalle finestre. Buio.
L’inverno mi mette un po’ tristezza, con questo suo essere così scuro:
l’alba è tardi, il tramonto presto, la maggior parte delle giornate sono cupe, le nuvole formano una cappa quasi perenne sia di giorno che di notte.
Oggi il cielo è, incredibilmente, stellato.
Volgo lo sguardo verso il tavolo dei serpeverde, osservando Regulus. Mi sta guardando.
Sono giorni che non ci parliamo, e non per un motivo preciso.
Ci incontriamo, ci salutiamo e tiriamo dritti.
E intanto il 23 di dicembre si avvicina, e con lui si avvicina l’anello che mi stringerà non solo il dito, ma anche le catene ai polsi. Ma in questi giorni ho problemi peggiori di un fidanzamento combinato con uno pseudo-sconosciuto che è anche il fratello del ragazzo di cui sono innamorata e che non mi considera praticamente relegandomi al posto di “amica”.
Due delle mie migliori amiche sono in coma, anche se Emm sembra stare sempre meglio.
Di Lils non si sa nulla di nuovo, se non che le sue condizioni sono stabili.
Sono passati sette giorni, dall’incidente.
E i bollettini sono tutti uguali.
Condizioni stabili.
Non che zia Dorea sia poi così diversa, in quello che dice.

Godric’s Hollow,
06 novembre 1977

 
Cari Jamie, Sirius, Lène, Remus, Pete, Mac, Alice e Frank,
confidiamo con la presente di trovarvi in buona salute.
La nostra lo è.
Le condizioni di Lily in questo momento sono stabili,
i medimaghi non si sbilanciano.
Appena ci saranno notizie vi informeremo,
 

con affetto
Dorea e Charlus Potter

 
Nel gergo della zia, in caso non lo sapeste, vorrebbe dire state buoni e non rompete, che le cose sono già piuttosto critiche così.
E questo non ci risolleva affatto il morale, anzi.
Uno colpo di tosse delicato mi costringe a riportare gli occhi sui miei amici.
-Lène, andiamo?- mi chiede Mary alzandosi.
La guardo e scuoto leggermente la testa.
-voi andate pure, vi raggiungo tra un po’- rispondo.
Devo fare una cosa, e la devo fare adesso.
-se vuoi resto con te- mi dice Sirius –così non dovrai tornare da sola…-.
Ah, vero.
Dall’incidente non ci siamo più separati, tutti e otto noi, ci muoviamo come in branco. Si sa, l’unione fa la forza.
Socchiudo appena gli occhi, non voglio che si fermino li per me, e soprattutto non voglio che lo faccia Sirius.
Non so come farglielo capire senza dare l’impressione sbagliata o risultare scortese o chissà che altro potrei fare, visto che ogni volta che ci parliamo capiamo fischi per fiaschi a vicenda. Nemmeno parlassimo lingue diverse.
Forse siamo prevenuti.
-vi ringrazio, ma andate pure- decido di rispondere diplomaticamente.
Si irrigidisce, e non capisco perché.
Lo cerco con lo sguardo e capisco che sta fissando un punto alle mie spalle. Mi volto appena prima che qualcuno mi picchietti con le dita su una spalla.
-Marlene, ti posso parlare?- mi chiede una voce impassibile.
Mi trovo faccia a faccia con due occhi grigi e freddi.
Ah, ho capito perché Sirius si è irrigidito.
Effettivamente mi sono irrigidita anche io.
Guardo Sirius, che mi guarda in risposta, impassibile.
Mi stupiscono, due paia d’occhi assolutamente identici sono puntati su di me e, rigorosamente, cercano di evitarsi tra loro.
Quanto sono stupide, certe volte, le persone.
-certo, Regulus- gli rispondo alzandomi dal tavolo e rivolgendomi verso gli altri –davvero, andate pure, io torno tra un quarto d’ora-.
Mi guardano tutti, ognuno a modo suo.
Sirius impassibile, James piuttosto scioccato, Remus calmo, Frank e Alice rassegnati, Mary scuote la testa e Peter con gli occhietti acquosi spalancati.
Poi si voltano a vanno via.
E io sospiro.

 

***


-cosa volevi dirmi?- mi chiede poi volgendosi verso di me e indicandomi la porta –ti dispiace se usciamo di qui, intanto? Non ti dava fastidio che ci vedessero insieme?-.
Quante domande.
Intanto stiamo camminando verso la porta della sala grande. Lei, l’incedere silenzioso, orgogliosa ma stranamente triste, io la serpe che le striscia dietro.
-volevo sapere come stai- rispondo.
Forse non sembro molto convinto, perché effettivamente non lo sono.
Ho semplicemente dovuto trovare un modo per interagire, questa situazione non è facile da sopportare. Lestrange dice che passerà.
-bene- mi risponde fredda. E ovviamente mente.
-bene- concludo allora io. Mi fermo.
-c’era qualcos’altro che dovevi dirmi?- chiede ancora guardandomi e inclinando il capo.
È bella quando fa così.
So dove vuole arrivare.
-non so niente- le rispondo io piuttosto bruscamente.
La guardo, mi guarda.
-è stato qualcuno dei vostri, vero?-.
Non nego, non confermo.
Non mento.
Lei la prende decisamente male.
-Merlino, Reg, se sai qualcosa devi dirlo!- esclama furiosa –non puoi startene nel tuo buco a strisciare come una serpe!-.
-è quello che sono, una serpe- rispondo convinto, cercando di glissare sulla prima parte –io non so niente-.
-Lily e Emmeline sono quasi morte!-.
Vero, ma alla fine sono vive.
E se posso dire che questa cosa non  mi disturba, non si può dire la stessa cosa di Lestrange, sono sette giorni che impreca ed è di malumore.
Più del solito, si intende.
Ma, d’altronde, io non so cosa farci, con il suo malumore. E poi è colpa sua, che sta sempre a giocare come un gatto con il proprio cibo… se avessimo seguito il mio piano, sarebbe stata più immediata la cosa.
-sono sopravvissute, no?- le chiedo, cercando di mostrarmi un minimo interessato.
Lei mi guarda e fa un cenno con la testa.

***

 
Mi c’è voluto tutto il mio autocontrollo per non tirare a quel damerino di Regulus qualcosa di più di un bicchiere di succo di zucca, prima.
Arrivare addirittura al nostro tavolo, lui, con quell’emblema verdargento sulla divisa, come se tutta la nostra casa non portasse il lutto per qualcosa di cui ancora non siamo venuti a capo. Perché io so benissimo che è stato qualcuno dei serpeverde, a farlo. Non è un incidente, come tutti dicono, noi lo sappiamo bene, quello che è capitato al quarto piano davanti all’arazzo di Geltrude.
-ragazzi, passo in infermeria prima della fine dell’orario della visita- si congeda Remus per strada.
-poi vieni a dirci se ci sono novità- lo insegue la voce di Alice. Inutile, non credo la abbia sentita. Ormai Rem vive praticamente in infermeria, esclusi i pasti e le lezioni.
-Sir, non stare così rigido- mi rimbrotta James non appena arriviamo davanti al ritratto della signora grassa.
-non sono rigido- ribatto con stizza.
Altrochè se sono rigido, invece.
Mi ero completamente dimenticato di Regulus e Marlene, in tutto questo casino che è successo.
D’altronde, anche se sembra passato un anno, è trascorsa solo una settimana dall’ultima volta che io e Marlene abbiamo parlato… ma parlato veramente.
Da quando ci siamo stretti la mano, in amicizia e fratellanza e altre cazzate varie.
-non mi piace Black, senza offesa- mi dice Mary, dandomi un’occhiata di scusa.
Capisco che si riferisce all’altro, di Black, quello giusto.
-nessuna offesa- rispondo tetro –nemmeno a me-.
Mary mi guarda, e per un attimo sembra quasi compassionevole.
-non capisco perché Lène abbia detto di si, a questa follia dei matrimoni combinati. Insomma…- si interrompe un attimo Alice per guardarci e accomodarsi sul divano della sala comune -…sulla gazzetta l’altro giorno c’era scritto che anche suo fratello si è fidanzato-.
-si, con quella vacca della Rosier- esclama Mary sdegnata –insomma, ve la ricordate la Rosier, o no?-.
E come dimenticarsela? Bella come Afrodite, stupida come una gallina e odiosa come un’ape nei boxer.
-la Rosier, la sorella di Evan?!- chiede Frank –conosco Evan, anche sua sorella. Non abitano lontano da noi-.
Annuisco, più che logico.
Lascio vagare lo sguardo nella stanza, non c’è molta gente.
Alice e Frank sono sul divano, Mary attizza il fuoco, Pete e James improvvisano una partita a scacchi e io mi guardo intorno come un deficiente.
Le assenze risaltano subito, al primo sguardo.
Emmeline non sta leggendo sulla poltrona e Remus non la sta fissando, Lily non sta facendo i compiti.
Brillano, nella loro assenza.
E poi Marlene è fuori ad intrattenersi con la parte bella della prole dei Black.
-domani vado da Silente- annuncia James senza nemmeno alzare lo sguardo dalla partita di scacchi.
Che sta clamorosamente perdendo.
Contro Pete.
È grave.
-speri di ottenere qualcosa?- gli chiedo io di malumore.
Non stiamo a menarcela, è andato da Silente tutti i giorni escluso oggi e ogni volta è tornato più abbacchiato di prima.
-otterrò più facendo su e giù per le scale di questo cazzo di castello da qui fino all’ufficio di Silente che a stare fermo qui come state facendo voi- esclama punto sul vivo.
-cos’è, pensi che a noi piaccia aspettare?- chiedo io alzandomi dalla mia poltrona.
Lui in risposta passa una mano sulla scacchiera e butta giù i pezzi, che gridano infuriati.
-beh, dal momento che non fate altro!- ribatte –nessuno di voi è ancora andato da Silente, ad implorare il permesso di andare da Lily. Se ci vado solo io, è logico che non me lo da ma…-
-stai insinuando che non me ne frega niente della mia migliore amica, James Potter?- si altera Alice alzandosi dal divano. Frank sospira e cerca di intervenire, ma James non lo lascia nemmeno aprire bocca.
-sto insinuando che non hai fatto niente per scoprire come sta-.
-James…-
-no, magari mettiamo in chiaro le cose, così. Non ve ne frega niente di Lily, di come stia o non stia, non so nemmeno cosa le è successo, come l’hanno torturata, magari sta per morire e voi non fate un cazzo per scoprire…-
Lo schiaffo arriva così improvviso che nemmeno lo vediamo partire, di quattordici occhi che ci siamo.
È così forte che spinge James su una poltrona.
-non ti permettere, James, di insinuare una cosa del genere- sibila Mary sottovoce. Ha la mano dolorante, lo schiaffo era davvero forte. Il silenzio è talmente denso da far sembrare il suo sussurro un grido.
La tensione allaga la sala comune in cui siamo noi e pochi altri, dediti ai compiti più che mai. Credo non vogliano correre il rischio di beccarsi uno schiaffo pure loro.
-domani andrò da Silente- ripete James passandosi una mano sulla guancia –e voi verrete con me-.
Io inarco un sopracciglio, e faccio per rispondere.
Ma all’improvviso qualcosa mi ferma.
È una fenice, evanescente, perlacea.
Un patronus.
Il suo patronus.
E parla con la voce del preside della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.
-Emmeline Vance si è svegliata, siete pregati di raggiungerci in infermeria-.
 
 

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE
ORE 22.00 DEL 7 NOVEMBRE 1977
 
Dorea Potter si prepara ad entrare nella vetrina di un negozio abbandonato, salutando suo marito con un bacio. Suo marito, Charlus Potter, si ferma invece fuori dalla suddetta vetrina, in compagnia di Pier Vargas, vice capo all’ufficio auror.
Una volta dentro, rivolge un sorriso distante all’infermiera all’accettazione e muove veloci passi in direzione delle scale.
Destinazione: soglia della stanza 21 al quarto piano.
La ragazza che giace lì dentro, dormendo un sonno che potrebbe essere eterno, non si sveglia da sette giorni. Non conosce più giorno o notte, resta lì immobile da sette lunghi giorni, a lottare contro la morte e il buio.
-Daisy, ci sono novità?- chiede la donna fermandosi davanti alla porta che dovrà sorvegliare per tutta la notte.
-tutto stabile- le risponde una ragazza, la sua compare di quella notte, con un sorriso. I capelli ramati sono raccolti in una crocchia, gli occhi chiari grandi ed espressivi fanno difficoltà a restare fermi in quelli dell’auror più anziano per cui, diciamocelo, nutre una sorta di timore reverenziale pari a quello che si può nutrire per un eroe. Si sa, d’altronde, che Daisy Empty è appena uscita dall’accademia, e in accademia Dorea e Charlus sono molto conosciuti e rispettati.
-i medimaghi non dicono altro? Tra un po’ scatterà l’ottavo giorno da che quella ragazza è entrata in coma, più i tempi si allungano più…-
Ma la voce della donna più grande sfuma nell’incertezza quando vede qualcosa di argenteo avvicinarsi a loro, in un fluido movimento che nulla di umano potrebbe imitare.
Sgranando gli occhi, Dorea Potter sfodera la bacchetta, subito seguita dalla giovane ma valente Daisy Empty.
Vigilanza costante, il motto di ogni auror come si deve.
Il patronus, una fenice, raggiunge le due donne alzandosi in tutta la sua maestosità, parlando con la voce di Albus Silente.
-all’attenzione della squadra auror, la signorina Vance ha ripreso conoscenza, due rappresentanti sono attesi a Hogwarts il prima possibile-.
 
HOGWARTS,
ORE 22.00 DEL 7 NOVEMBRE 1977
 
La porta dell’infermeria è ancora accostata, segno che Madama Chips è ancora dentro.
La raggiungo con calma e getto un’occhiata verso l’interno dell’infermeria, fiocamente illuminato da alcune candele, e la vedo.
è sempre stata molto carina, ma guardandola adesso mi rendo conto di non essermi mai reso conto di quanto lo sia veramente. Bella.
E altrettanto addormentata. Come quella storia babbana, quella della bella addormentata.
Mi ricordo con un ghigno beffardo che il lupo mannaro, in quella storia, non compare.
Mi avvicino e mi siedo accanto al suo letto, non riesco a smettere di fissarla, sono quasi intimidito.
Ok, io sono timido in ogni momento della giornata, ma con lei sono la timidezza personificata.
Con un altro di quei sorrisi beffardi mi ricordo di Sirius, che mi prende costantemente in giro perché, come dice lui, “sette anni che la conosci e non sei ancora riuscito a chiederle un appuntamento”.
Come se fosse possibile.
Come se lei non fosse la principessa ed io non fossi il lupo mannaro.
Lei, così nobile, io, così… mostro.
Getto un’occhiata veloce fuori dalla finestra, la luna risplende, non è ancora piena.
Anche lei è piena, la mia morte, la mia amante.
Cresci dannatamente in fretta quando ti capita quello che è successo a me. Sirius ha quasi diciott’anni e li dimostra tutti, io ne ho diciassette ma la maggior parte delle volte ne dimostro settanta.
Lo so.
Incapace di trattenermi le prendo una mano, dolcemente, sentendo subito la sua stretta ricambiarmi.
La sfioro dolcemente, quasi fosse il mio tesoro più prezioso, toccandole la pelle illibata del polso.
Che poi tanto illibata non è, mi accorgo guardando meglio.
Perché sbiaditi, ma ancora presenti, alcuni graffi le mordono il polso. Stanno allentando la presa, mi rendo conto guardandoli meglio.
-cosa ti hanno fatto?- chiedo in un sussurro disegnandole alcuni piccoli cerchi con i polpastrelli sulla pelle.
-sono le ferite dell’amicizia-.
Sgrano gli occhi.
Un mormorio, un borbottio, appena un sussurro. Ecco cosa è stato.
Ma è la Sua voce, che Morgana mi aiuti, la Sua voce.
Alzo gli occhi per trovare quelli morbidi di lei.
Lei.
Che mi sta guardando, le lacrime agli occhi.
-Emmeline- sussurro in risposta.
Ho gli occhi lucidi.
La principessa si è svegliata, al tocco del lupo mannaro.

***

 
Non so esattamente come ho fatto. Sono giorni che cerco di svegliarmi. Due.
Eppure non ci sono riuscita.
Non fino ad ora.
Tante persone mi hanno preso la mano, e io l’ho stretta loro in risposta.
Anche Remus mi ha stretto la mano, prima di stasera.
Due volte, per la precisione.
Le sue mani non sono quelle grandi e forti di James, rese callose dalla presa sul manico della scopa e dalle intemperie del quidditch.
Non sono quelle eleganti di Sirius, dalle dita lunghe e squadrate, il polso forte.
Non sono quelle grassocce di Peter, che ti stringono fino a stritolarti cercando di darti conforto ma togliendoti il fiato, e non in positivo.
Non sono quelle calme di Frank, magnanime.
Sono quelle di Remus.
Forti, ma senza essere estenuanti.
Grandi, senza essere delle palette come quelle di James.
Gentili, come quando tocca i suoi libri.
Sono quelle mani che mi hanno fatto aprire gli occhi, stasera.
Un attimo prima lotto contro il buio, un attimo dopo c’è Remus illuminato dalla luce della luna che, gentile, gli bagna il volto di una luce candida.
-che cosa ti hanno fatto?- chiede in un sussurro.
Mi rendo conto che forse li ho fatti preoccupare troppo, in questi giorni.
Soprattutto lui, così calmo e posato.
L’ultima volta che l’ho visto…
…arrossisco al pensiero.
Era senza maglietta, su un tavolo in sala comune, e cantava a squarciagola Celestina Warbeck.
-sono le ferite dell’amicizia- gli rispondo, sperando di coglierlo di sorpresa.
Sperando che sia gradita, la sorpresa.
Lo vedo irrigidirsi, sbiancare. Mi guarda, incontro i suoi occhi color del miele.
-Emmeline-.
Il mio nome, tra le sue labbra.
Non mi è mai piaciuto molto, il mio nome.
Non so se ora mi piace di più, so che ha un suono molto più dolce, ora.
-Remus- mormoro in risposta.
Ovviamente la mia voce è lieve, roca.
Tossisco, per schiarirmela, ma una fitta mi raggiunge le coste, bloccandomi il respiro. Mi porto le mani al petto, cercando di fermare il dolore.
-Emmeline, cosa… come stai?-
-abbracciami, Remus-.
Se non le avessi sentite, non avrei mai collegato queste parole alla mia voce.
Sono io che le ho pronunciate.
Il coma mi ha rincitrullito, puoi giurarci.
Eppure sento le sue braccia, insolitamente forti, circondarmi le spalle, la testa sulla mia spalla, il suo fiato tra i capelli.
-sto bene- sussurro in risposta.
Le lacrime iniziano a scendermi sulle guance, e io non posso fermarle, ne per orgoglio, ne per vergogna.
Non ci riesco.
Sento solo le parole che Remus mi sussurra tra i capelli, e sono le stesse parole che si sussurrano a un bambino dopo che ha fatto un brutto sogno. Frasi sconnesse ma dall’aspetto rassicurante, dal suono tranquillizzante.
E piango, piango.
Al punto che non credo di riuscire a fermarmi, o a fermare le parole che, spezzate, com’ero io fino a qualche attimo fa, escono dalle mie labbra.
-mi hanno fatto male- sussurro –ci hanno… Lily voleva urlare, io volevo… ma non potevo, Remus, volevo ma non potevo. Non ci riuscivo e… non ho potuto fare niente… non volevo lasciarla sola ma…-.
I sussurri di Remus mi tranquillizzano, e non so quanto tempo sia passato, se un minuto o un’ora.
So che alla fine mi passa, mi stacco e gli rivolgo un sorriso tremulo.
-grazie- sussurro.
Mi sorride.
-e di cosa?- mi chiede –dovere-.
-grazie- ripeto.
Mi sorride.

Con un dito mi toglie dalle ciglia una lacrima, rimasta impigliata come nella rete di un pescatore.
 

***


Mi guarda, la guardo.
È maledettamente bella, anche così scarmigliata e pallida, impastata di sonno.
Ho ancora la mano sulla sua guancia, a toccarla lieve.
Una domanda, arriva spontanea.
Può il lupo mannaro diventare il principe?
La luna si riflette sui suoi occhi, e risponde alla mia domanda.
No, quello è il rospo, Remus. Non il lupo.
-sarà meglio che io chiami Silente, vorrà sapere che ti sei svegliata- mormoro poi abbassando la mano e alzandomi. Mi sono scostato piuttosto svogliatamente, ma veloce.
La vedo voltare il viso.
E quasi quasi posso sentire Sirius ridere di quella sua risata così simile ad un latrato.
Sei uno scemo, mi sembra dirmi.



NOTE:
ho deciso di dividere il capitolo, questo è il risveglio di Emmeline.
Da qui inizio veramente ad interessarmi anche alla coppietta "tranquilla", ossia Rem/Emm, che sono tenerosi e che fino ad ora ho un po' tralasciato...
aspetto i vostri pareri,
grazie mille a chi legge e recensisce!
Buona lettura,
Hir =)

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Capitolo 19
*** ricordi, una causa persa e dei gran bei pettorali ***




Il messaggio di Albus Silente è stato chiaro, conciso.
Dopo due minuti due, giusto il tempo di fiondarci verso il buco del ritratto, attraversare mezza Hogwarts, pregare sottovoce oppure no che le scale non decidano di cambiare proprio ora, mandare a quel sacrosanto paese Argus Gazza e quella piattola del suo gatto (brutto), schivare le caccabombe che Pix, orribile essere, si è chissà come procurato… eccoci in infermeria.
-Emm!- esclamo chiedendomi se in situazioni del genere, dopo risvegli miracolosi, una persona debba o non debba mettersi a piangere come una fontana dalla contentezza. Scrollo le spalle, nel dubbio la abbraccio (o meglio, la avviluppo in una stretta che farebbe invidia alla piovra gigante) per nascondere le mie lacrime.
È sveglia.
Ammaccata, pallida, dolorante.
Ma sveglia, indubbiamente.
La sento rispondere all’abbraccio lievemente, come se la forza non le bastasse.
-signorina McDonald, il suo affetto è commovente, ma non vorrà fare ricadere la signorina Vance in coma, spero- mi rimprovera Madama Chips, con il suo solito cipiglio da capo delle SS.
-temo, Poppy- la rimbrotta gentilmente il professor Silente –che la signorina Vance sarà preda, nei prossimi minuti, di ben sette abbracci stritolaossa. E credo che saranno immensamente graditi-.
Solo alle parole del professor Silente mi rendo conto delle persone alle mie spalle.
Effettivamente ci sono tutti e sette gli altri, compresa Lène. Mi sposto per concedere anche a loro la loro parte di soddisfazione personale, nel riabbracciare una Emmeline perfettamente sveglia.
Prima Lène, che le si avvinghia contro come una bambina, poi James, che le stringe rassicurante le spalle con un sorriso insolitamente acceso, un sorriso che non si vede da più di una settimana. Poi è la volta di Peter, che imbarazzato passa dal rosso accesso al purpureo balbettando, per risolvere tutto con un abbraccio stentato e un balbettio. Alice, come una mamma ansiosa, le riavvia i capelli dietro alle orecchie e le passa le mani sul volto, Frank la guarda bonario e la stringe in una morsa calma e placida. Remus resta da parte, si limita ad un sorriso gentile. Sirius le si avvicina e la stringe gentilmente.
-giuro che non mi ubriacherò mai più ad una festa- le dice poi mentre si stacca.
-come ha detto Black?- chiede una McGrannitt piuttosto indispettita, al fianco del preside.
-suvvia, Minerva, siamo vecchi, per una volta fingiamoci anche sordi- interviene il professor Silente con la sua aria bonaria e un luccichio divertito negli occhi.
Ridiamo tutti, e per la prima volta da una settimana sento la tensione mollare un poco la presa, allentarsi leggermente.
È bello, poter ridere così.
Tuttavia il preside è il primo a tornare serio, dopo pochi attimi. Sulla sua scia, tutti ci facciamo attenti e limitiamo i sorrisi.
-signorina Vance, credo di esprimermi a nome di tutti, qui dentro, quando dico che sono felice di vedere come lei abbia iniziato questo cammino di ripresa- esordisce in un tono che fa ben capire, ad Emm come a tutti noi altri, come in realtà la questione sia un’altra –so che per lei può essere difficile, signorina Vance, e spero lei comprenda che non glielo chiederei, se non fosse assolutamente necessario…-
-volete che vi dica quello che è successo…?- chiede brusca Emmeline, interrompendo il preside.
Il che è strano, Emmeline che interrompe qualcuno. Voglio dire, Emm è la persona più gentile ed educata che conosca.
Il preside sembra invece capire Emmeline molto bene, perché tutto quello che fa è un cenno di assenso con la testa.
Emmeline fa un sospiro rassegnato.
-non so chi erano- mormora appoggiandosi meglio al cuscino –avevano un mantello nero e la maschera dei mangiamorte. Forse Lily li ha riconosciuti ma…-.
Scuote la testa, un groppo alla gola pare impedirle di continuare.
Mi siedo vicino a lei, le appoggio una mano sulla spalla e le faccio un sorriso rassicurante.
-ehi, Emm, stai tranquilla-.
E così lei inizia a raccontare.

***

 
Non parlo per molto.
Forse vi immaginate uno di quei resoconti strazianti in cui le lacrime scorrono a fiumi, le ragazze si coprono il viso e singhiozzano aspre, i ragazzi stringono i pugni e magari Sirius impreca in modo tale da far arrossire anche un marinaio (perché a Sirius calza sempre a pennello il ruolo di grifondoro senza macchia e senza paura, anche se il mio eroe è Remus).
In verità sono breve, concisa.
Volete sapere perché?
Innanzitutto perché ho vissuto quello strazio una prima volta, e non ho alcuna voglia di ripetere l’esperienza.
In secondo luogo, perché penso che un mago istruito e al livello di Albus Silente sappia cosa vuol dire sentire tutto quel dolore, senza alcun bisogno che una studentessa di diciassette anni gli rinfreschi la memoria.
E tre, perché sono stanca.
Assolutamente, totalmente stanca.
Perché non voglio il dolore, non voglio il buio. Voglio la pace, voglio il sonno ristoratore in cui cerco di piombare da una settimana.
Quindi racconto con tono piuttosto fermo quello che è successo.
-ci hanno sorpreso nel corridoio del quarto piano, ci hanno disarmato e quando ho cercato di chiedere aiuto devono avermi schiantata… o comunque, ho perso i sensi. Sono rinvenuta dopo, non so quanto tempo fosse passato, su Lily avevano già usato le maledizioni, ma in minima parte. Prima torturava solo uno dei due, quello che sembrava divertirsi di più. Poi si è aggiunto anche il secondo. Il primo se l’è presa con Lily, il secondo con me. Quando ho perso i sensi per la seconda volta, Lily aveva ancora gli occhi aperti-.
Sospiro, alla fine. Breve, concisa, non mi pare di aver tralasciato nulla di rilevante.
-non vi abbiamo sentito urlare- mormora la McGrannitt nel silenzio generale.
Eccola, la parte che brucia di più.
Quella che fa arrabbiare pure me, Emmeline Vance. Ed è noto a tutti che io reprimo l’ira costantemente, che non mi arrabbio mai.
-incantesimo tacitante- rispondo risoluta, prima di mettermi più comoda sul letto.
Sento gli sguardi fissi su di me, non lo sopporto.
Mary mi stringe di più a se, per un attimo le sono grata di questo sostegno.
-grazie, signorina Vance- conclude Silente con un sospiro –un’ultima cosa. La signorina Evans ora è al San Mungo, sorvegliata dagli Auror migliori del ministero della magia. Ho chiesto agli stessi di presentarsi qui, stasera, poiché sono loro che si occupano dell’indagine aperta in merito al vostro caso e a quello della signorina O’Connell. Riferirò loro quello che mi ha detto, ma in caso dovesse servire…-
Mi irrigidisco.
Non so perché mi sto comportando in modo così scortese, stasera.
So solo che sono talmente stanca, di tutto, che non mi importa poi molto.
Mi fanno male le costole, mi fanno male le gambe, mi scoppia la testa e ho voglia di piangere, come se non avessi pianto abbastanza prima, sulla spalla di Remus. Ho voglia di restare sola con i miei amici.
-signorina Vance, se non fosse necessario non mi permetterei mai di chiederle una cosa del genere in un momento come questo. Ma lo è-.
Certo, che lo è.
Potrebbe succedere a qualcun altro.
Piano, annuisco.
Poi mi viene in mente una cosa, appena prima che Silente e la McGrannitt oltrepassino la soglia.
-professor Silente, professoressa- li richiamo.
I due si voltano, e i miei amici mi guardano.
Anche Madama Chips mi guarda.
-ridevano- sussurro, e sento Mary irrigidirsi –o meglio, uno di loro due rideva, questo lo ricordo chiaramente. Quello che teneva Lils, era lui a ridere-.

 

***


Mi butto sul letto non appena entro dalla porta.
Abbiamo dovuto lasciare Emmeline, Madama Chips è stata categorica. Quando sento i sospiri di Sirius e Remus e le chiacchiere di Frank e Pete sorrido appena, sul cuscino.
La tensione c’è ancora, come la paura.
Ma ora la speranza è più forte. Perché se si è ripresa Emmeline, si riprenderà anche Lily, no?
È quell’ottimismo che ti prende quando succede qualcosa di bello e insperato, e allora inizi a credere che presto, perché sarà per forza presto, accadrà qualcos’altro. Perché non possono distruggerti spietatamente tutto un’altra volta.
-finalmente qualcosa inizia ad andare per il verso giusto- esclama Frank dopo qualche minuto di silenzio.
-già, il verso giusto- mormora Sirius in risposta.
-è viva- dice invece Remus, e io rido. Non so bene perché, d’altronde.
Rido, e presto mi seguono tutti gli altri.
Ridiamo come degli idioti fino ad avere le lacrime agli occhi, fino a che il torace non ci fa troppo male per il gran ridere. Qualcosa si scioglie.
Mi alzo e tiro il mio cuscino a Remus, che mi guarda stupito.
-adesso tu devi solo smettere di farti seghe mentali e chiederle di uscire- dico sedendomi sul letto.
Remus ride in risposta, ma non la trovo una risata divertita.
Si fa troppi problemi, quel ragazzo.
-non ti preoccupare, Rem, ti insegno io a farti cadere ai piedi una ragazza- gli dice Sirius –conosco metodi infallibili-.
Questa volta la risata di Remus è divertita.
-spero che non sia lo stesso metodo infallibile con cui stai cercando di far cadere ai tuoi piedi Marlene McKinnon. Se usassi lo stesso metodo, domani Emmeline è capace di convertirsi alla castità perpetua-.
-si, appunto, meglio che faccio da solo- mi regge il gioco Remus, lanciando a Sirius il mio cuscino –sbaglio o Lène si sta per sposare?-.
-è solo questione di tempo- ringhia Sirius buttandosi su Remus e cercando di soffocarlo.
Penso che sia buffo, come solo un’ora fa fossimo pronti a sbranarci e litigare.
Hogwarts si sta rialzando.
Emmeline si è svegliata.
Ma manca ancora la mia Lily.
Domani vado da Silente.

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
 
Dorea Potter tiene stretta la mano destra di Lily Evans, sdraiata sul letto, il colore della pelle molto simile a quello bianco del lenzuolo in cui è fasciata.
La donna si volta appena quando sente il marito varcare la soglia della stanza.
-Doree, torno ora da Hogwarts- la saluta il marito, sporgendosi su di lei per lasciarle un bacio tra i capelli scuri.
-la ragazza si è svegliata, allora?- chiede la signora Potter.
-si, ieri sera- mormora l’uomo –Emmeline, si chiama. Ha raccontato ad Albus quello che è successo, ma non è scesa nei dettagli-.
-ci credo, povera bambina- annuisce Dorea, computa –cosa dice Albus?-.
-è furioso- risponde –ovviamente tutto questo non può continuare, ho sentito che altre tre o quattro famiglie hanno ritirato i loro figli da scuola. Hanno aumentato la sicurezza dopo il coprifuoco, bisogna farlo sapere a James sennò tra lui e suo fratello chissà che casini potrebbero combinare-.
La signora Potter sorride, sorpresa e piacevolmente divertita.
Guarda il marito con un ghigno.
-quando fai così, Doree, mi ricordi tremendamente James- la rimbrotta Charlus.
-sono stupita- dice invece Dorea –fino a poco tempo fa io mi rodevo il fegato dalla preoccupazione per quelle teste calde di Jamie e Sir e tu non battevi ciglio… non vorrà mica prendere il mio posto, signor Potter-.
Un sorriso, tutto quello che il marito si limita a risponderle. Le appoggia una mano sulla spalla e sbuffa.
-ho paura, Doree, per Jamie e Sir, per questa ragazza, per tutti loro. A diciassette anni non dovrebbero saper nulla di più sulle cruciatus di quello che imparano a scuola-.
La donna sorride amara, guardando comprensiva il marito.
-Jamie e Sir sono forti, Char. E lo è anche questa ragazza. Albus rimane dell’idea di non avvisare la sua famiglia?-.
 

***


il tempo passa scandito dai battiti del mio cuore, che si fondono l’uno dentro l’altro in un ritmo martellante. Di quando in quando, poi, alcune immagini mi affollano la mente.
Sono ricordi miei?
 
Guardo da fuori la vetrata del grande negozio. È tutto così strano, in questa via.
Sento il sussulto sorpreso della donna che mi tiene per mano, quando legge la scritta d’oro scortecciata che sovrasta l’entrata del negozio.
La leggo anche io.
Olivander: fabbrica bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.
-Mamma, te lo avevo detto che la bacchetta magica di cenerentola esiste davvero!- esclamo in direzione della donna che mi tiene per mano e che, ripresasi dalla sorpresa, ride di gusto –non come quella che mi ha portato Babbo Natale, queste qui secondo me funzionano DAVVERO!-.
Non lascio il tempo ne a Papà ne a Tunia di replicare, e mi fiondo verso il negozio. Quando entro, il suono dei campanellini all’ingresso annuncia la mia visita.
Ad accogliermi è un uomo sulla cinquantina, con occhi grandi e scoloriti e la voce sommessa quando mi parla.
-siamo qui per comprare la nostra prima bacchetta magica, signorina?- mi chiede gentile. Per quanto gentile, quest’uomo mi fa un po’ di paura. Non paura paura come il buio o come il mostro sotto l’armadio, mi inquieta un po’.
-ma funziona veramente, come quella di cenerentola?- gli chiedo ansiosa, come se da quello dipendesse tutta la mia vita.
Lui sorride, poi mi indica una scatola sul tavolo.
-provala, poi me lo dirai tu stessa- mi dice.
Mi allungo sul tavolo, e osservo guardinga la bacchetta. Che ci devo fare?
-deve agitarla- mi sussurra poi come leggendomi nel pensiero.
-e se non succede niente?- chiedo.
-ne proviamo un’altra-.
Mi guardo attorno. Il negozio è piccolo e sporco, ma pieno di scatoline uguali a quella sul tavolo.
Leggermente scettica mi avvicino, prendo la bacchetta tra le mani e… la agito, come con il cacao che metto dentro al latte alla mattina.
Il fracasso è enorme, una brocca sul tavolo esplode e l’acqua all’interno infradicia il banco e il vestito rosa di Tunia, che urla.
-mamma, mi ha bagnata tutta!-.
-no, questa non va bene- mi dice il negoziante prendendo la bacchetta e dirigendosi al muro. Prende un’altra scatola.
-prova questa- mi dice porgendomela.
La estraggo e la agito.
Le carte sul tavolo, prima zuppe d’acqua, vanno a fuoco.
-ahhh- l’urlo terrorizzato di mia sorella quasi mi spacca i timpani.
Mi volto verso di lei e le rivolgo un’occhiata di scuse.
Le fiamme si spengono.
-questa, allora- mormora porgendomene una terza.
Nell’ordine, prima rompo un armadio, poi il tavolo esplode, poi faccio cadere tutte le scatole sulla parete alla mia destra. Una bacchetta dopo l’altra finiscono in un mucchio di scarti.
Alla fine mi porge l’ennesima, sempre con pazienza.
-tieni questa-.
La agito, e questa volta la scatola in mano al negoziante si mette a fluttuare.
-meraviglioso!- esclama lui battendo le mani e sporgendosi verso di me –salice, dieci pollici e un quarto, corda di cuore di drago e mediamente flessibile. Credo di poter affermare con sufficiente sicurezza, signorina, che si troverà particolarmente bene con gli incatesimi anche più difficili-.
-questa è la mia bacchetta?- gli chiedo allora. L’uomo mi sorride.
-pare che l’abbia scelta, cara-.
 
Corda di cuore di drago, dieci pollici e un quarto.
Mediamente flessibile, salice.
Ecco, è la mia bacchetta.
Ricordo quel giorno, il mio primo vero giorno da strega. Ricordo l’ansia di mia sorella, non propriamente d’accordo con quello che ero in grado di fare. Ricordo mio padre e mia madre, così orgogliosi, così spaventati da quel mondo che non potevano comprendere veramente.
Poi ricordo lui.
 
-mamma, cosa devo fare per arrivare al binario?- chiedo. Sono in ansia, tanto. Con le manine, nervosa, stropiccio la stoffa della mia bella borsa nuova, non vedo l’ora di arrivare e raggiungere Severus.
Lo vedo, è accompagnato da sua madre, una donna seriosa e piuttosto bruttina.
-Sev! Sono qui, Sev!- lo chiamo con la mano, e senza aspettare la risposta della mamma mi avvicino agli altri due.
Petunia mi guarda triste e rabbiosa.
-cosa devo fare, Sev?- chiedo ansiosa.
-te l’ho già detto, Lils, devi andare contro la barriera-.
-e se non mi fa passare? E se non le piaccio?-.
-che sciocchezza, Lily, è una barriera, non puoi non piacerle- mi rimbrotta. Poi mi prende per mano, e come se stessi affogando la agguanto.
È questo, che è Sev, per me.
È la persona che mi fa passare quella barriera.
Quella che mi introduce nella mia nuova vita.
 
Severus.
Come se adesso non sentissi abbastanza dolore.
Severus Piton.
Ma dopo di lui…
 
-Evans, Lily-
Quella professoressa, la professoressa McGrannitt, chiama il mio nome mentre nella sala si interrompono gli applausi che hanno accolto lo studente prima di me.
Mi faccio coraggio, sospiro, vado avanti con passi decisi.
Mi siedo, sento il cappello parlante sulla testa.
Dentro, la testa.
-vedo ardere in te il fuoco del coraggio- mi sussurra nella mente, scrutando i miei pensieri –e il coraggio è una dote che noi molto apprezziamo, a Hogwarts. Ma vedo anche un bel cervello, la sete della conoscenza-.
-conoscenza? È un male?- chiedo mordendomi le labbra.
Sento su di me gli sguardi di tutti.
-affatto, no. Ma c’è anche lealtà, e spirito di sacrificio, nel tuo cuore. Di tutti, però, il più forte è l’ardimento, l’audacia e il valore…-
-quindi? Ci stanno guardando tutti- mi dico tenendo lo sguardo puntato a terra.
-si, direi… GRIFONDORO!-.
Scendendo, incrocio lo sguardo di Sev. È deluso? Rammaricato?
Io sono felice, penso gustandomi appieno l’applauso.
È tutto per me.
 
Grifondoro, culla dei coraggiosi di cuore.
Chi me la disse, questa frase?
Occhi nocciola, morbidi come quelli di un cerbiatto.
 
-la mia mamma è una strega, papà è un babbano- sta dicendo una ragazza seduta davanti a me. Ha i capelli biondi, mossi e vispi e morbidi occhi scuri. Ma non tanto, scuri.
Al mio fianco, una ragazza ride. È stata smistata poco dopo di me, prima di quel buffo ragazzetto che assomiglia ad un topolino.
-io sono Lily, Lily Evans- la saluto cordiale.
-Marlene, ma tutti mi chiamano Lène- mi risponde con un sorriso luminoso, prima di lanciare un’occhiataccia al ragazzo all’altro mio lato, che gli ruba il pane dal piatto passandomi davanti con una mano –Sirius, finiscila, non te l’hanno insegnato che non si mettono le mani nei piatti degli altri?-.
-io sono Sirius Black- risponde scioccato dalla domanda di Marlene. Evidentemente si conoscono già –io posso fare tutto-.
Ecco, prevedo già che questo pallone gonfiato non mi piacerà più di tanto.
Davanti a lui un ragazzino ammicca nella mia direzione.
Ora mi ricordo di loro, sono i ragazzi del treno.
Incrocio le braccia al petto, ma noto che quel ragazzino ha degli occhi proprio belli, e dei capelli proprio buffi.
Gli occhi sono nocciola, caldi e morbidi. Riesce a strapparmi comunque un sorriso, nonostante tutto.
 
Lène, e James. E quel troglodita di Sirius.
E poi, Pete, Emmeline, Alice, Frank.
E Mary e Remus, ovviamente.
Il mio ricordo li abbraccia tutti.
 
-guarda questi, Lils, sono sicura che ti piaceranno taaaaantissimo- mi dice Mary porgendomi una pallina blu. La guardo, scettica. Devo fidarmi?
La metto sulla lingua e la reazione è istantanea.
-santo cielo, sto volando!- esclamo prima di scoppiare a ridere. Alice, dalla sua posizione sul letto, sorride di quel suo sorrisetto buffo.
-no, sciocchina, stai levitando, non è la stessa cosa- mi risponde –gli uccelli volano, noi voliamo solo quando siamo sulle scope-.
Le guardo dall’alto, le mie compagne di stanza.
C’è Emmeline, bionda e nobile, sempre calma e pacata. Poi c’è Mary, che ha la battuta sempre pronta e qualcosa che si chiama Quidditch nelle vene, anche se non ho ancora capito come sia possibile. La terza è Lène, con i sorrisi gentili e il sarcasmo indomito, e infine Alice. La dolce, paccioccosa Alice, che a volte dice frasi che fanno venire il diabete e, dopo meno di una settimana, ha già una cotta. Si chiama Frank Paciock, ma ancora non si parlano.
Piano piano scendo, la caramella è finita.
-ora prova questa, prova questa Lily- mi dice tutta eccitata Lène –la mamma me le compra sempre, però forse è meglio che vai alla finestra-.
Oddio, che succederà?
No, aspetta, com’è che dicono in questa scuola?
Merlino, cosa succederà?
Si, meglio.
Sono strani forte, però.
Mi infilo in bocca la caramella che mi porge Lène.
Strizzo gli occhi, apro la bocca e…
Fiamme rosse rosse si perdono nella notte.
Ecco perché dovevo andare alla finestra! Rido, mentre vedo Emmeline inghiottire una caramella a sua volta e mettersi a squittire.
Oddio, penso di morire dal gran ridere.
No.
Merlino, penso di morire, dal gran ridere!
 

 
HOGWARTS,
ORE 12.15 DELL’8 NOVEMBRE 1977
 
Sono seduta sul letto da stamani, quando Madama Chips mi ha aiutato a sistemarmi i cuscini sullo schienale.
Sono costretta a bere tredici pozioni diverse di colori orribili, che variano dal nero al verde petrolio, con gusti orribili che non saprei paragonare a nulla di anche solo vagamente degustabile, ma in compenso sento già le costole urlare un po’ meno.
Sorrido lievemente mentre mi sporgo verso il calamaio per intingere la penna.
Si, ho ripreso a scrivere, ora sto scrivendo una lettera a mio fratello Paul, che fra tutti è quello a cui sono più legata.
Rileggo attentamente, cercando di captare errori nella scrittura.
 
Hogwarts, 8 novembre 1977
 
Polli caro,
come stai?
Credo che mamma e papà ti abbiano già detto che mi sono risvegliata, ed in effetti permettimi di rimproverarti per non avermi ancora scritto.
Ma ti pare?
Mi riterrò ufficialmente offesa fino a quando non mi verrai a trovare o non ti degnerai di scrivermi almeno trenta lettere di un metro e mezzo l’una. E considerati fortunato se non dico a Lizzy di beccarti a sangue le braccia!
 
Affettuosamente tua,
Emmi
 
Rileggo la lettera e con un sorriso la piego in quattro.
Dovrò darla a Lène perché la spedisca, Madama Chips non lascia entrare i gufi in infermeria, ovviamente, quindi tutti i miei contatti con Lizzy avvengono tramite Lène.
Con un sospiro mi porto la mano al collo.
Oddio, non c’è.
Dove diavolo è?
Scatto a sedere rigida come il manico di una scopa, e quasi, per la tensione, mi dimentico di sussultare per il dolore.
Quasi, ovviamente, perché non è che posso ignorare il dolore del tutto.
Gemo indistintamente, portandomi una mano alle costole.
Tuttavia non cambia il fatto che il mio ciondolo non è più al mio collo.
Che me lo abbiano tolto quando mi hanno recuperata nel corridoio del quarto piano? che me lo abbiano preso direttamente i mangiamorte?
-disturbo?- mi chiede gentile una voce.
Mi volto verso la porta, da cui la testa di Remus Lupin mi guarda dapprima con un sorriso, poi con una smorfia.
-Emmeline, non puoi muoverti a tuo piacimento, va a finire che peggiori le tue condizioni. Madama Chips non ti ha forse detto che devi stare sdraiata almeno per i prossimi cinque giorni?-.
Ecco la mamma dei malandrini, mi dico con un sorriso.
-certo, mamma- lo prendo in giro bonaria.
M’irrigidisco leggermente quando sento le sue mani sulla mia vita, mentre con decisione cerca di farmi stendere sul letto.
Oddio, non ditemi che sto arrossendo come sento di star facendo.
Maledetta carnagione pallida, maledetti i miei avi nordici!
Mi sento un peperone, e probabilmente assomiglio a questo, mi dico mentre con lo sguardo incontro gli occhi di Remus.
È incredibile la sfumatura dei suoi occhi, è così calda che sembra miele e così solida che sembra ambra.
Se dovessero chiedermi il mio colore preferito, in questo momento, risponderei esattamente quello. Anche se non ce l’ha un nome, perché occhi del genere ce li ha solo lui.
Comunque, se non sono arrossita io, è arrossito lui.
Subito distolgo lo sguardo, puntandolo insistentemente ad una finestra e a quell’azzurro del cielo esterno così diverso da quell’ambra interna.
-scusami, ho perso il mio ciondolo e…-
-no, non l’hai perso. Lène si è accorta che lo indossavi e ha deciso di togliertelo prima che ti ci strozzassi nel sonno- mi dice lui scuotendo il capo.
Riporto ancora gli occhi nei suoi, perché checchè ne dicono gli altri, è maledettamente difficili mostrarsi scortesi con Remus Lupin.
Solo adesso, allora, mi rendo conto ha ancora le mani appoggiate lievemente ai miei fianchi. La presa è lieve, si, ma ben salda.
È sicura.
Lo diventa un po’ meno quando il proprietario delle mani che mi stringono se ne accorge, e ritira le braccia per portarsele lungo i fianchi.
L’imbarazzo cala come una coltre pesante.
-…e allora… dov’è?- chiedo dapprima con voce roca.
Lui, forse grato della ritrovata parola, si sporge verso il mio comodino e apre il cassetto. Mi porge una catenina d’argento.
Sorrido quando prendo il ciondolo e me lo passo tra le dita.
Pesante, tondo, è un ciottolo d’acciaio.
Incisa, c’è una libellula stilizzata.
-è strano, ci tieni tanto?- mi chiede Remus una volta che l’imbarazzo si è stemprato un po’.
-particolarmente, si- gli rispondo mettendomi al collo la collana. Con attenzione, poi, mi sporgo verso il comodino su cui ho tutta l’attrezzatura per scrivere che mi ha portato Mary questa mattina e prendo un po’ di cera solida.
Sigillo attenta la lettera per Paul, e sulla busta scrivo attentamente il suo nome.
-è molto carino- dice allora lui, indicando il ciottolo che pende al mio collo –lo usi per sigillare tutte le lettere?-.
Sorrido appena.
-è un regalo di Paul, Dylan e Robin- rispondo –me lo hanno regalato quando sono venuta ad Hogwarts per il primo anno-.
Lui annuisce, e io lascio che il sorriso indugi sulle mie labbra un po’ più a lungo.
In un modo tutto suo, mi ritrovo a pensare, è bello.
Non ha la bellezza elegante di Sirius e nemmeno quella sbarazzina di James. Mi trovo a pensare che è il classico bravo ragazzo, dopotutto.
Scoppio a ridere seguendo la scia dei miei pensieri, pensando che non èproprio un bravo ragazzo, me lo ricordo ubriaco e, qui arrossisco, a torso nudo sul tavolo della sala comune.
Ok, l’oggetto dei miei pensieri mi sta guardando come se fosse matta.
Datti una calmata, Emm, datti una calmata.

 

***


Improvvisamente scoppia a ridere, io sobbalzo e poi la guardo stupito.
Pensavo a quanto fosse bella.
Ora penso che forse è anche un po’ pazza.
-scusami, non volevo…- lascia cadere la frase con un gesto della mano, e arrossisce mentre le risate si spengono.
Ancora più adorabile, con le guance e la punta del naso tinte di rosa.
-pensavo a…- riprende prima di fermarsi.
Io inarco le sopracciglia con un sorriso d’aspettativa.
-a?- chiedo.
-alla scorsa sera in sala comune, a te e Sirius ubriachi- risponde piano, e sbaglio o è un luccichio malizioso quello che ha negli occhi?
Da Emmeline Vance tutto mi sarei aspettato, ma l’ho reputata sempre priva di malizia!
Invece è adorabile anche così.
Sirius ha ragione, sono una causa persa in partenza!
Ora tocca a me arrossire.
-ah… mh, l’hai notato- dico e, improvviso, mi assale il bisogno di nascondermi sotto il letto e non uscirne mai più. Probabilmente, quando uscirò di qui, lo farò cacciandomi giù dalla finestra.
-beh, sarebbe stato strano non farlo, eravate mezzi nudi sul tavolo- aggiunge lei, e si, quello è proprio un luccichio che sprizza malizia!
Ma che finestra, dalla torre di astronomia!
Mi porto le mani alle guance, che scottano.
-Merlino, datemi una pala che inizio a scavarmi la fossa!- mormoro intontito.
Non è possibile, io ammazzo Jamie, chissà cosa mi ha messo in quei dannati bicchieri.
E lei ricorda tutto.
-signor Lupin, l’orario delle visite è finito e lei deve andare a lezione, quindi le consiglio di muoversi- ci interrompe Poppy entrando come un uragano nella stanza.
Madama Chips santa subito, mi viene da pensare.
Abbasso le mani e sorrido in direzione di Emmeline, cercando di non pensare a quanto ho già perso credibilità ai suoi occhi quest’anno.
Prima la serenata di Sirius, adesso questo.
Merlino.
Sono proprio un caso disperato.
Mi alzo e vado alla porta, ma vengo fermato dalla sua voce, che mi raggiunge divertita anche se flebile.
-comunque, bei pettorali-.
Quasi mi strozzo deglutendo.
Merlino!

 


NOTE: ok, non mi odiate.
Prometto solennemente che nel prossimo capitolo Lily si risveglierà. In questo capitolo però mi è piaciuto approfondire quella che è un po' la sua storia, così da conoscerla un po' meglio.
Tuttavia credo che questo non sia male, mi diverto moltissimo anche a scrivere le parti tra Emmeline e Remus!
Grazie mille per le recensioni, mi auguro che la storia continui ad essere di vostro gradimento!
Spero di sentirvi numerosi,
buona lettura,
Hir.

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Capitolo 20
*** quel che vuol dire avere qualcosa che va per il verso giusto ***


Se tutto il resto perisse, e lui rimanesse, io continuerei ad esistere: e, se tutto il resto rimanesse e lui fosse annientato, l’universo si cambierebbe per me in un’immensa cosa estranea; non mi parrebbe più di essere una parte di esso.
Emily Bronte, Cime tempestose
 

 
HOGWARTS,
ORE 16.35 DELL’8 NOVEMBRE 1977
 
-che palle, Lène, ma dobbiamo proprio farlo?- le chiedo per la cinquantesima volta da che siamo entrati in questa sala costipata di libri e persone silenti.
È buia, sembra l’antro della strega.
Invece è solo la biblioteca.
-si, dobbiamo farlo per forza- mi risponde alzando appena gli occhi dalla sua pergamena e continuando a scrivere –così passeremo ad Emmeline gli appunti e le faremo vedere quanto teniamo a lei-.
-ma per questo c’è Remus- le faccio notare ragionevole –per gli appunti e le carinerie, intendo. Potremmo organizzarle una festa in infermeria.-
-no, Mary, per ora niente feste- replica risoluta.
Sbuffo, puntando lo sguardo al soffitto.
Non mi è mai piaciuto questo posto.
-guarda! Quella macchia scura assomiglia ad un ippogrifo- faccio con voce sognante puntando un indice al soffitto.
-taci e lavora, McDonald- mi rimbrotta.
-ma mi annoio- dico riportando lo sguardo sulle pergamene.
Il silenzio si condensa nell’aria.
-tu non hai fame?- le chiedo dopo cinque minuti di intollerabile tortura psicologica.
Marlene sospira, io sorrido.
Ancora un’interruzione e vinco, lo so.
Per questo lascio passare qualche minuto.
-ma lo sai che la Rolleys e Perron stanno insieme, finalmente?- le chiedo con tono innocente, rigirandomi la piuma tra le dita –me lo ha detto Diane, che lo ha sentito dire da Jhon che…-
-una fonte attendibile, in pratica- sospira posando la sua piuma –hai vinto, andiamo fuori di qui-.
-weee- esulto come se avessi appena vinto la coppa del mondo di quidditch, buttando tutto nella borsa e aspettando che lei faccia lo stesso.
Dopo un minuto e mezzo siamo in corridoio, e io inspiro l’aria nuova come un assetato si sazierebbe ad una fonte.
-suvvia, Mary, sei proprio esagerata- mi rimbrotta Lène.
-nah, non è vero, io non sono…- m’interrompo bruscamente quando voltando l’angolo finisco in pieno petto ad un armadio con i capelli rossi. Per reggermi in piedi faccio cadere la borsa ma mi abbarbico ad un braccio piuttosto muscoloso.
Alzo lo sguardo e osservo, nell’ordine, Marlene piuttosto sorpresa e due identiche espressioni divertite che mi guardano dall’alto.
-scusami, non ho guardato all’incrocio- scherza uno dei due armadi indicando l’angolo con un ghigno –spero di non averti fatto male-.
-no, nessun problema- rispondo con un sorriso.
Li guardo, sono gemelli, su questo non ci piove.
Hanno i capelli rossi e gli occhi chiari, e due identici sorrisi a trentadue denti.
-no! Non è possibile!- esclama una voce alle nostre spalle.
Alice ci raggiunge correndo, e quello che mi stupisce è che non si ferma davanti a noi, ma si lancia letteralmente addosso agli armadi e ci si arrampica come un koala, ridendo e abbracciando i due ragazzi.
-cosa ci fate voi qui? Non siete troppo grandi per andare ancora a scuola?- commenta divertita quando uno dei due, quello di destra, la rimette a terra con leggerezza.
-ci hai appena dato dei vecchietti, schizzo?- chiede l’altro in risposta, scompigliando i capelli di Alice.
In risposta, la mia compagna di stanza ride. Io e Marlene rimaniamo in silenzio fino a che i tre, finiti i convenevoli, non si accorgono di noi.
-oh, che stupida- esclama Alice ad un certo punto –non vi ho ancora presentati. Marlene e Mary sono le mie migliori amiche e compagne di stanza, loro sono Fabian e Gideon, i miei cugini preferiti-.
Saluto con un sorriso e un cenno della mano, mentre Marlene mi imita.
-cosa ci fate qui ad Hogwarts?- chiede Alice inclinando il capo.
-faccende dell’ordine…-
-…degli auror-.
Mi chiedo se sia normale per dei gemelli concludere l’uno le frasi dell’altro.
Non so quale dei due sia Gideon e quale Fabian, ma so che si stanno guardando e che uno dei due ha un cipiglio minaccioso.
Bingo baby, come direbbero i babbani!
-si, proprio così, sapete com’è, il lavoro- borbotta uno dei due, tirando il fratello per il maglioncino –dobbiamo proprio andare, non vorremo far aspettare Silente-.
Con pochi balbettii anche l’altro si allontana.
Guardo Marlene e Alice, e inarco un sopracciglio.
Sono l’unica che l’ha notato?
-quei due non me la contano giusta- sibila Alice.

 
-ricordatemi perché vi ho seguito?- chiedo sibilando in direzione di Marlene e Alice, che camminano furtive.
-perché sei curiosa- mi risponde Alice.
-e perché secondo te Gideon è carino- termina Lène prendendomi per mano e facendo cenno di tacere.
In effetti, nel corridoio dietro il nostro angolo i due gemelli stanno litigando abbastanza furiosamente.
-possibile che ti ritrovi la bocca più larga di quella di una mandragora?- sta chiedendo Fabian.
-ho già detto che mi dispiace, Fab- risponde l’altro.
-sei un idiota- dice allora Fabian –se lo scopre Moody ti fa a fette-.
-quindi non lo deve scoprire- ribatte Gideon –Dorcas cosa ti ha detto prima?-.
-che doveva fare una cosa e che ci incontravamo direttamente da Silente-.
Le voci sfumano in lontananza, e faccio per seguirli ma vengo trattenuta.
-che c’è?- chiedo guardando le mie due compari –voglio saperne di più-.
Loro hanno l’espressione di due che hanno appena vinto una fenice a magitombola.
-non diranno altro, li conosco- mi dice Alice –passeranno il resto delle scale a darsi dell’idiota l’uno con l’altro-.
-e allora perché sei così soddisfatta?- non capisco.
-Dorcas- sussurra.
Dorcas Meadowes, e chi non la conosce?
-Dorcas?- chiedo comunque –mi sfugge, non è la più giovane medimaga degli ultimi cinquant’anni?-.
Vedo Alice aprirsi in un sorriso, che vacilla quando vede che non faccio lo stesso.
-pronto, ci sei? L’hai detto tu stessa! Dorcas è una medimaga-.
È proprio il caso di dirlo, bingo baby!

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
ORE 16.30 DELL’8 NOVEMBRE 1977
 
-Potter!- urlo acida correndo giù dalle scale del dormitorio femminile di grifondoro.
Probabilmente il mio urlo si è sentito fin dall’altra parte del castello.
-Potter!- replico ancora, in caso qualcuno se lo fosse perso.
La sala comune è ammutolita, vicino al fuoco del cammino i malandrini mi guardano. Potter e Black ghignano, Minus ha lo sguardo adorante rivolto verso i due e Remus alza gli occhi al cielo.
-Evans, è tua la soave voce che mi stava chiamando?- mi chiede Potter noncurante.
Soave voce?
Dite che si arrabbiano tanto ma tanto se lo affatturo?
-Potter! Sbaglio o c’è una renna sul mio letto con un giglio rosso in bocca?- gli grido contro raggiungendolo.
Attorno a noi alcuni ridono, altri tramutano la loro risata in colpi di tosse alla mia occhiata omicida.
-tranquilla Evans, tu sei più bella- dice in tono confidenziale –volevo solo augurarti buon natale in un modo un po’ originale-.
 

HOGWARTS
ORE 16.50 DELL’8 NOVEMBRE 1977
 
Remus è davanti allo specchio da due ore, ormai, e Sirius borbotta scocciato dal suo letto.
Siamo tornati dalle lezioni e Remus si è inchiodato davanti a quello specchio, fra le risate sguaiate di Frank e i grugniti di Peter.
Io mi limito ad osservarlo per bene prima di dirigermi in bagno. Ho tutta l’intenzione di andare da Silente, ma prima ho proprio bisogno di una doccia.
Faccio tutto con estrema calma, alla fine penso pure di radermi senza l’ausilio della magia. Non so perché ma ho la certezza che oggi Silente mi darà quel permesso. Lo spero. Diciamo che ho la certezza che me lo darà perché ho tutta l’intenzione di non schiodarmi dal suo ufficio se non lo fa, a costo di usare un incantesimo di adesione permanente su me stesso.
Chiudo l’acqua, ho sentito qualcosa.
Oh Merlino, siamo fritti.
-prendi il cuor che ti ho donato, non ridarmelo spezzato-
-per tutte le fenici, ditemi che non è Remus quello che sta cantando!- esclamo sporgendomi oltre la porta con il volto ancora coperto di schiuma da barba e un asciugamano stretto attorno alla vita.
Ok, questa non è la stanza che ho lasciato meno di un quarto d’ora fa quando mi sono infilato sotto la doccia.
L’unica cosa rimasta simile, anche se non uguale, è Remus. Davanti allo specchio.
Per prima cosa, Frank è avviluppato a quella che deve essere Alice Prewett in uno dei loro baci di saluto made in polpo. Sono seduti sul letto di Frank.
Secondo, sul letto di Peter ci sono una Marlene e una Mac che si stanno rotolando dalle risate.
Terzo, Sirius Black è appeso a testa in giù –probabilmente grazie ad un Levicorpus- e sta facendo facce oscene.
No, non sta facendo facce oscene. Sta imprecando, solo che è tacitato.
Dulcis in fundo, Remus sta ragliando.
No, perché anche se lui continua a dire che sta cantando, non mi sento in pace con me stesso se non specifico che di canto, i suoi barriti, hanno ben poco.
Sembra un gatto con il mal di pancia.
Un gatto caduto dalle scale con il mal di pancia.
Un gatto maledettamente stonato, caduto dalle scale con il mal di pancia.
-cosa è successo?- chiedo a Marlene e Mary, quando smettono di ridere.
-wow Potter, sfido Lily a volerti tutto per se- esclama Lène quando mi vede –che belle gambe-.
Ok, io normalmente non lo faccio.
Ma ora sto arrossendo.
Anche Sirius sta arrossendo, nel tentativo di sbracciarsi e urlare qualcosa.
Con un colpo di bacchetta gli rendo la voce che qualcuno, sicuramente Remus, gli ha rubato.
-bastardo di un prefetto, te ne do tante appena ti becco che ti faccio diventare intonato e cambiare gusti musicali- impreca mio fratello, poi rivolgendosi a Lène –dovresti vedere le mie, di gambe. Altro che Potter-.
Sbuffo, un sorriso divertito sul volto.
-si, certo- replico –mettiamola così, allora. La parte migliore di Sirius potranno essere le gambe, la mia parte migliore invece…-
-di certo non è il cervello- esclama Frank staccandosi da Alice per iniziare a prendermi in giro.
-senti un po’, ma tu non eri impegnato?- gli chiedo con tono saputo indicando Alice. La sua ragazza mi fa un cenno in risposta, con un sorriso, come di saluto.
-e se ancora mi amerai e dirmelo vorrai…-
-a proposito, che ci fate voi qui?- chiede Sirius ancora a testa in giù.
-Remus, non Celestina Warbeck ti prego!- s’intromette Peter dal suo letto.
-perché è così su di giri?- chiede Mac con un sospiro e una risatina.
-a quanto pare Emmeline trova che il signor Remus J. Lupin abbia dei bei pettorali- ci aggiorna Sirius, sempre a testa in giù. A quanto pare allora deve aver stressato Moony non poco per venire a saperlo, da quando sono entrato in bagno.
Rido, accompagnato da Mac.
-oddio, che cosa avete fatto alla mia Emm!- esclama dal suo posto Alice, sbalordita –lei non avrebbe mai fatto commenti del genere su un ragazzo, la conosco bene, è timida!-.
-li ha fatti, invece- le risponde Sirius –altrimenti non avremmo un pavone in camera, a questo giro-.
-io per sempre ti aspetterò, fino a che il mio cuor…. Non sono un pavone, io!- un Remus piuttosto scocciato interrompe la sua performance per rimproverarlo.
-si, come no, sembri James nei suoi giorni migliori- ribatte Sirius –e ora, potresti farmi scendere da qui, gentilmente?-.
Remus si volta e continua a cantare, imperterrito.
-fino a che il mio cuor indietro rivorrò-.
Remus è un sadico, più lo conosco e più me ne convinco.
Ora che Emmeline se ne è uscita con la storia dei pettorali, poi, chi lo ferma più?
-James, ti prego, almeno tu, liberami- mi implora Sirius facendo la faccia da cucciolo bastonato –tu che sei mio fratello, il mio migliore a…-
-“sembri James nei suoi giorni migliori”- gli faccio il verso rientrando in bagno ma lasciando la porta aperta, così posso continuare a sentire quello che succede. Riprendo a radermi le guance, due tocchi e ho finito –faresti meglio a non offendere le persone a cui hai intenzione di chiedere favori…-
-tradimento!- esclama allora quando vede che non ho la più pallida intenzione di liberarlo –Mac, almeno tu, migliore amica che possa esistere e…-
-scherzi? È uno spasso vederti appeso per i piedi!- gli dice invece la mia migliore amica.
Sirius dice il vero quando dice che in lei esiste un lato malandrino.
-e tu, Lène? Luce dei miei occhi, gioia della mia vita, raggio di sol…-
-Merlino, Black, sei così banale nei complimenti che non mi spiego come tu abbia fatto a convincere così tante ragazze a venire con te- lo fredda Marlene. È la prima battuta, da che siamo a Hogwarts quest’anno, che ha il gusto e l’ironia che avevano anche quelle degli anni precedenti. Non so cosa abbiano concordato quei due, ma sembra che tutto stia tornando al proprio posto.
-convincere? Io sono così bello che mi saltano addosso, altrochè- le risponde Sirius.
-o povera vittima, dobbiamo mica chiamare una squadra di Auror per impedire che tu venga stuprato ogni volta che metti piede fuori da questo dormitorio?- lo rimbrotta.
Sirius tace, ma dalle risate posso immaginarne la faccia.
Rido.

***

 
-o povera vittima, dobbiamo mica chiamare una squadra di Auror per impedire che tu venga stuprato ogni volta che metti piede fuori da questo dormitorio?- mi chiede.
Il suo volto, duro e bello come non mai, mi squadra con sarcasmo.
Sembra di essere tornati ai vecchi tempi.
-a quanto pare non servirebbe- le rispondo a tono quando le risa cessano del tutto –perché, a quanto pare, voi donne non riuscite a starmi lontano nemmeno nel mio dormitorio-.
Vedo James che dal bagno sgattaiola verso il suo letto e si sporge verso un cumulo di vestiti, prendendone alcuni e rinfilandosi in bagno.
-traditore, liberami!- lo prego quasi ululando.
Si, sono ancora a testa in giù.
Quel bastardo di Remus sta ancora cantando a squarciagola.
Frank si sbaciucchia con la sua cozza sul suo letto.
Peter mangia una barretta di cioccolato.
Mary e Lène mi guardano.
E quel traditore infingardo è chiuso in bagno, a rivestirsi.
-Frank, se continui così le sloghi la mandibola- dico, e urlo per coprire con la mia voce quella terribile di Remus. Basta radio strega network per lui, decisamente!
-taci Sir- mi risponde per riprendere da dove ha lasciato.
-è uno spettacolo inadatto ai miei occhi puri e al mio cuore innocente- ribatto –io sono candido e pulito-.
-tu di pulito hai solo la coscienza, Black, non l’hai mai usata- mi dice invece Alice, prima di tornare a fare pucci-pucci con il suo mmmore.
-è camera mia, che Merlino ci fate, Prewett, tu e le tue amiche qui?- chiedo spazientito minacciandola con l’indice accusatore.
-siamo venute a chiedervi una cosa- risponde Lène al suo posto, facendosi seria –avete mai sentito parlare…-.
-io vado da Silente, chi mi ama mi segua- la interrompe James uscendo dal bagno velocemente e indirizzandomi un colpo di bacchetta.
Crollo sul letto con un tonfo appena ovattato, e solita fortuna riesco a prendere una zuccata sulla testiera.
-io non ti amo…-
-poche storie- esclama lui prendendomi per un orecchio –io vado da Silente, e tu vieni con me-.

 

***


Mi guardo intorno, incrocio lo sguardo di Sirius e riporto gli occhi sulla scala a chiocciola che si sta muovendo. Con noi otto sopra.
-questa cosa da il mal di mare- esclama Mary esprimendo il pensiero di cinque su otto di noi.
-concordo- dice infatti Alice.
Frank annuisce, Pete da in un singulto.
-a pieno, si- annuisco io.
-e poi, diciamocelo chiaro, topoghiacchi?- chiede scettica Mary –è orribile-.
Si, diciamo che Silente sceglie piuttosto stranamente le proprie parole d’ordine.
-e adesso che si fa?- chiedo guardando la porta dell’ufficio di Silente.
-qualcuno deve bussare- mi risponde Mary. Tutti gli altri stanno zitti.
Sbaglio o non sono l’unica a cui questa porta incute timore?
-io no- esclamo in contemporanea con Sirius, James, Mary e Frank.
-facciamo la conta, chi esce per primo bussa- propone Mary alzando l’indice.
-oh, via, siete grifondoro o tassorosso?- chiede Alice frapponendosi tra noi e alzando la mano per bussare.
La porta si spalanca.
-però, celere il servizio!- esclama Mary prima di bloccarsi, come tutti noi.
Davanti a noi c’è un sacco di gente.
Otto ghigni identici si dipingono sui nostri visi, quasi a scusarci.
-signorina Prewett, signorina McDonald, entrate pure- la voce di Silente ci saluta ad uno ad uno –signorina McKinnon, signor Lupin, signor Paciock, signor Minus, signor Black e signor Potter, benvenuti-.
Un bell’elenco di nomi, senza ombra di dubbio.
Mi guardo intorno, mentre entro.
Al centro della stanza, vicino al trespolo di Fanny, Albus Silente ci fissa benevolo da sopra gli occhiali con le lenti a mezzaluna. Vicino a lui, mia zia sembra piuttosto infiammata da qualcosa, giuro che un attimo fa secondo me stava discutendo con la McGrannitt.
Vicino a loro, intento a fare da paciere, lo zio ci guarda perplesso.
poi ci sono Alastor Moody e i fratelli Prewett. Ultima, vicino a uno dei due gemelli e alla porta, quella che deve essere Dorcas Meadowes.
Non so chi sia rimasto senza parole per primo, se noi o loro.
La porta, mi accorgo, si è aperta perché tenuta da Dorcas, che forse aveva intenzione di uscire.
-salve professore- risponde al saluto Mary, quella più vispa e adatta all’improvvisazione.
-mamma, papà!- esclama James salutando la zia Dorea e lo zio Charlus con un sorriso. Subito noto Sirius fare lo stesso.
L’ingresso nell’ufficio ci ha leggermente destabilizzato, e James è quello più sbalordito di tutti sebbene solo mezzo minuto fa fosse il più convinto.
-professor Silente, ci scusi l’interruzione- inizio allora facendo un passo in avanti. Ok, avere lo sguardo di tutti, e con tutti intendo anche i ritratti dei presidi, puntati addosso di certo non aiuta –volevamo chiedere il permesso per poter far visita a Lily-.
-lo avevo immaginato- risponde con un sorriso.
-si, professore, non ho intenzione di andarmene senza averlo avuto, tra le altre cose- sentenzia James.
-James Potter, come ti permetti!- la voce di zia Dorea spicca per il tono scioccato.
-tranquilla, Dorea, il povero James ha ragione-.

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
ORE 13.15 DEL 9 NOVEMBRE 1977
 
Esco dal camino e mi scrollo di dosso la cenere, lasciandola cadere sul tappeto.
Davanti a me ci sono già tutti e sette, che mi aspettano impazienti di andare a trovare la Evans.
Davanti a loro, gli zii ci aspettano con un sorriso sulle labbra.
Ieri zia Dorea non era così contenta, quando ci siamo ritrovati nell’ufficio di Silente tutti insieme, oggi è di umore migliore.
Ci accompagna fino ad una porta bianca contro le pareti bianche, e sulla porta noto una ragazza e un signore sulla cinquantina. Appuntata sul petto hanno la stella degli auror scelti, lo stesso grado della zia e dello zio.
-non potete entrare tutti insieme- dice la zia rivolgendosi a noi –Lily è oltre il paravento-.
Poi tace.
Vedo la paura comparire sul viso di Lène e su quello di James, e capisco quello che pensano, perché lo penso anche io, istintivamente.
Non ha detto come è messa, cosa ha.
Niente raccomandazioni al non fare casino, niente rumori o scherzi.
Niente commenti sulle sue condizioni.
Madama Chips ha detto che hanno usato il sectumsempra e all’improvviso ricordo i vestiti di Emmeline Vance sporchi di sangue, così come i suoi capelli.
Oltre quel paravento cosa c’è?
Cosa è rimasto della Lily Evans Prefetto Perfetto e Caposcuola ligio alle regole?
-io posso restare indietro, vai prima tu, Jamie- sussurra Lène dando un colpettino a James e un altro a Alice.
Zia Dorea dice che possiamo entrare a gruppi di tre.
Primo gruppo: James, Mary e Alice.
Guardo Lène, e le sorrido.
So che si è tirata indietro soprattutto per paura di cosa potrà trovarci, oltre quella soglia.
E so che devo farlo anche io perché questa è una di quelle cose che James deve affrontare senza di me. È Lily, quella di là.
Penso cosa penserei se ci fosse Lène, al suo posto.
E ringrazio mia madre per quell’assurda idea del matrimonio, perché se anche sto perdendo Lène, ho comunque una possibilità.
James non sa se Lily si risveglierà.

 

***


Appoggio la schiena a muro e mi lascio cadere a terra, sedendomi.
Poco dopo vengo raggiunta da Sirius, e devo voltare il viso per non far mostra dei miei occhi lucidi.
Maledetti occhi lucidi.
-ehi, ti sei divertita a storia della magia, oggi?- mi chiede sedendosi accanto a me, con tono disinvolto.
Lo guardo interdetta.
Sirius Black è strano, su questo non ci piove.
Siamo in un ospedale, al di là di quella porta la mia migliore amica forse sta morendo, mi sono appena comportata da codarda perché io non voglio scoprirlo, se effettivamente sta morendo, se è già più di là che di qua, e Sirius mi chiede qualcosa di improbabile sulle lezioni?
-uno spasso, Black- rispondo sorridendo mio malgrado, mentre mi passo una mano sulla fronte.
Non voglio piangere.
Non devo piangere.
Uno, due, tre, espira, uno, due, inspira.
Come mi ha detto di fare papà, quando da piccola cadevo e mi sbucciavo le ginocchia.
Perché i purosangue non mostrano il loro dolore.
Ne le loro lacrime.
E ci riesco, a non piangere.
Sono molto fiera di me stessa.
-mh- risponde lui –e pozioni?-.
Qui scoppio a ridere.
Per caso non si ricorda cos’è successo?
Lumacorno mi odia, questa è la verità.
E ricordando il mio calderone fuso e la sua tunica in fiamme, questa mattina, una piccola parte di me gli da ragione, anche se ha tolto cinquanta punti a grifondoro e ho una punizione da scontare per mercoledì sera.
-sarebbe potuta andare meglio- gli dico con un sorriso –non credi?-.
-beh, effettivamente il fuoco potevi risparmiartelo- mi dice –però per il calderone è tutto a posto, anche io ne ho fuso uno, tre anni fa-.
-Black, è il quindicesimo che fondo!- esclamo dandogli uno scappellotto sulla nuca, e lo sento borbottare. Però è divertito, si vede.
-entriamo insieme?- mi chiede ad un certo punto, dal nulla.
Prima stavamo parlando di calderoni, l’attimo dopo posso vedere sul suo volto qualcosa che non avrei mai potuto credere di vedervi.
È ansia? O paura?
Mi do della cretina da sola, Sirius Black e paura non stanno mai nella stessa frase.
È ansia, sicuramente.
Mi viene naturale sporgermi e afferrargli una mano, non so se per trattenere lui o me stessa.
Forse mi ci aggrappo come se l’alternativa fosse la caduta in un dirupo.
Spalanca gli occhi nel momento in cui le nostre dita si toccano.
Annuisco, lieve, alla sua domanda, mentre con un dito traccio le linee del suo palmo.
Non parlo, perché ogni volta che parlo con lui le mie parole vengono fraintese e finiamo per sputarci addosso più veleno di quanto ne possiamo sopportare.
Forse guardarlo e tacere è l’unico modo di continuare a tenere tra noi questa sorta di pace.
 

***


Passo oltre il paravento, e mi preparo al peggio.
Cosa sciocca, alla fine.
Perché sembra che lei dorma. Le palpebre abbassate, le lunghe ciglia ramate che accarezzano le guance eburnee, i capelli sparsi sul cuscino.
Non l’ho mai vista dormire.
E mi sono sempre perso questa parte di lei?
È bella. Ed è anche incredibilmente lei.
Per quanto sdraiata su quel letto, priva di sensi, incapace di urlarmi contro e togliermi punti, è sempre Lily Evans, circondata da quell’alone di mistero che ritenevo impenetrabile.
È la Lily Evans che ho sentito sussultare al contatto con le mie labbra, quella notte in sala comune.
La stessa Lily delle cucine, del cacao.
Ma è anche la stessa Lily degli urli, delle minacce, degli schiantesimi lanciati per i corridoi.
Dietro di me, Mary e Alice si avvicinano guardando la loro migliore amica.
Muove gli occhi dietro le palpebre serrate, come a inseguire un sogno.
Mi chiedo a cosa stia pensando.

 

-dai, Lils, lo sappiamo che in fondo ti piace James Potter- mi dice Marlene seduta al tavolo di Florian Fortebraccio, con quei suoi improbabili gusti di gelato –solo che non vuoi ammetterlo-.
Le rivolgo un’occhiataccia.
-la rosa carnivora ti ha mangiato il cervello- le dico indicando il gusto di gelato che ha sul cucchiaino. Solo a lei può piacere la rosa carnivora, pizzica la lingua da morire.
Risponde con uno sbuffo.
-ricordati come dicono i babbani, chi disprezza compra…-
-… che non ha alcun senso, Lène- la rimbrotto io –tu ti compreresti un set di gobbiglie?-.
Perché è universalmente noto che Marlene McKinnon odia le gobbiglie.
-non è la stessa cosa- mi risponde lei.
-comunque si vede, Lils- s’intromette Mary –e si sa che gli cadrai ai piedi prima della fine di questi sette anni ad Hogwarts-.
Rido, sguaiatamente.
-scommettiamo?- chiedo porgendole la mano.
-scommettiamo- risponde lei.
 
Una voce, buffa, mi raggiunge.
-ehi, Lils, devi tornare-.
È Mary, e se potessi farlo sorriderei, davvero.
Mi è mancata un sacco, la sua voce.
-si, assolutamente, Lils, altrimenti come fare con Pozioni?-.
Questa sembra Alice.
-già oggi Lène ha fuso un calderone e ha dato fuoco a Lumacorno- torna Mary all’attacco –e poi, in biblioteca…-
Le parole si succedono, l’una dopo l’altra.
È così bello sentire le loro voci.
Penso quasi che potrei uscire, da questo buio e da questo isolamento.
Che forse con loro il dolore potrebbe andarsene.
In più, devo pagare la scommessa con Mary.
 
L’ho baciato.
L’ho fatto davvero.
Sempre che si possa chiamare bacio, quello sfregamento di labbra alle due di notte in sala comune.
Labbra il cui ricordo ancora aleggia sulle mie. Ci passo la lingua, posso quasi sentirlo di nuovo.
Mi butto sul letto, inspiro ed espiro.
Adesso svengo.
-ehi, Lils, perché sei entrata come una furia?- mi chiede Mary, dal suo letto.
-pensavo dormissi- le rispondo, cercando di prendere tempo –sono le due di notte-.
La sento ridere.
-vale anche per te- mi risponde.
-non riesco a dormire- mento. Nemmeno tanto, infondo. Come posso sperare di dormire dopo quello che è successo?
-idem- dice lei –ma perché hai un sorrisetto ebete stampato in faccia?-.
Io mi faccio attenta, ma sto zitta.
Così magari si rimetterà a dormire.
-chi c’era in sala comune?- chiede maliziosa dopo un po’.
Taccio.
-c’era James, vero?- insiste.
Oh, merda. Non le si può tenere nascosto niente.
-waaaaaa- urla saltando sul letto e accendendo la luce.
In un solo secondo, Marlene cade dal letto, Emmeline urla e sobbalza e Alice si alza, impugna la bacchetta e fa un giravolta su se stessa rimanendo impigliata nelle lenzuola e prendendo una facciata per terra.
-che succede, cosa…?-.
Mary si sta schiantando dalle risate stesa sul suo letto.
-Mary, sei un’idiota- le dice Emmeline, e è difficile far arrabbiare Emmeline.
-concordo, sei una cretina- le da manforte Lène.
-dimmi perché non ti dovrei schiantare- la minaccia invece Alice, tenendo la bacchetta così forte che dalla sua punta sprizzano alcune scintille.
-Lily e James si sono baciati!- dice invece lei continuando a ridere sul letto.
Uno.
Marlene si irrigidisce, Alice abbassa la bacchetta e Emmeline mi guarda.
Due.
Hanno tutte e tre la faccia di chi è appena stato schiaffeggiato.
Tre…
-waaaaaaa- questa volta l’urlo è di gruppo, e in meno di mezzo istante vengo seppellita da tre migliori amiche con il viso spaccato a metà dal sorriso più grande che potessi sperare di ricevere.
 

HOGWARTS,
ORE 07.30 DELL’11 NOVEMBRE 1977
 
Undicesimo giorno da quando Lily ed Emmeline sono state attaccate.
Terzo giorno da quando ho visto Lily al San Mungo per la prima volta, perché dopo quella sono riuscito a tornare all’ospedale dei maghi altre due volte, scortato da mamma e papà.
Eppure non è cambiato niente.
Dannazione, avevo sperato che qualcosa si smuovesse piuttosto in fretta!
Invece no, sono qui a rodermi il fegato e a chiedermi perché mai Merlino non la fa svegliare!
È sempre uguale, sempre su quel letto, sempre a dormire ignara forse che oltre le quattro mura di quella stanza bianca c’è una vita che la aspetta, ci sono io, ci sono i suoi amici e la sua famiglia.
La sua famiglia, mi viene in mente solo adesso.
-ma i genitori di Lily sanno che lei è in ospedale?- chiedo a Marlene, mentre tutti e otto noi facciamo colazione.
Oggi Emmeline uscirà dall’infermeria.
Oggi a pranzo, per la precisione. Siamo tutti in fibrillazione, non vediamo l’ora di scortarla al dormitorio.
Una piccola vittoria, certo. Lily è ancora in coma.
Ma Hogwarts si rialza, grifondoro si rialza.
Alla faccia dei mangiamorte e del loro credo idiota.
-i genitori di Lily non sanno niente- mi risponde Alice al posto di Lène, ancora impegnata a masticare il proprio tocco di pane.
Come fa a mangiare pane per colazione lo sa solo lei.
-come non sanno niente!?- chiede Sirius accanto a me –e se dovesse…-
Rivolgo un’occhiata a Sirius talmente gelida, che sento la voce del mio migliore amico sfumare nel nulla. Non dovesse proprio niente, che sia chiaro!
Sono disposto a dichiarare guerra a Merlino in persona, altrimenti!
 

***


Entro dalla porta cercando di fare attenzione, non vorrei svegliarla nel caso si stesse riposando.
Non si sta riposando, la vedo subito, è seduta sul letto e regge tra le mani un blocco da disegno.
Tra le dita della mano sinistra, poi, un carboncino spuntato fa bella mostra di se.
È buffa, con i capelli biondi legati alla bell’e meglio e uno sbuffo di cenere nera sul mento, che risalta sulla pelle pallida, tutta concentrata sul foglio che io non posso vedere.
-disturbo?- chiedo, come al solito quando vengo a trovarla.
Il che, lo ammetto, ultimamente succede forse un po’ troppo spesso.
Mancano ancora quattro giorni alla luna piena, e sono immensamente sollevato dal fatto che Madama Chips abbia deciso di dimettere Emmeline prima dell’infausta notte.
-Remus!- esclama quando mi vede entrare.
Un sorriso dolce le si dipinge in volto, gentile come sempre.
Non riesco a fare a meno di pensare, tuttavia, a come si trasformerebbe quel sorriso meraviglioso se lei dovesse mai venire a sapere.
Rabbrividisco.
-come stai?- le chiedo quando la vedo indugiare. Forse ha notato la mia reazione.
-meglio, molto meglio- mi dice –non vedo l’ora che arrivi il pranzo, così potrò tornare in camera. Si hanno notizie di Lils? Lène mi ha detto che Jamie ieri sera è stato al San Mungo-.
-sempre uguale, nessun miglioramento fino ad ora- replico triste. La mia migliore amica non da cenni di volersi risvegliare, o di potersi risvegliare.
-beh, guarda il lato positivo- mi risponde lei con un sorriso triste, facendomi cenno di sedermi sul bordo del suo letto –nessun peggioramento-.
Sorrido anche io. Non so da dove tiri fuori tutta questa dose di buonumore dopo tutto quello che ha passato.
-sempre saggia- le dico sporgendomi leggermente sul suo blocco da disegno –che cosa disegni?-.
Lei per un secondo cerca di nascondere il blocco, è quasi istintivo da parte sua.
Poi con un sospiro me lo porge.
-sono molto belli- ammetto guardando il primo disegno e poi tutti gli altri.
Sono per di più ritratti, alcuni anche più vecchi, deve averli fatti prima di questa lunga degenza in infermeria.
Quello che mi stupisce, però, è quello che rappresentano.
Adesso sta disegnando la finestra davanti a noi e tutto quello che c’è oltre, enfatizzando alcune parti di chiaroscuro e abbozzandone appena altre, sfumandole sul foglio.
Poi ci sono i ritratti, i nostri ritratti.
C’è Lily che studia seduta su una poltrona, Marlene che ride, Mary e James, credo che siano loro, che si picchiano sul divano della sala comune mentre un esaltato Sirius Black sembra battere le mani. Ci sono anche io, noto, con una piuma in mano, poi c’è Peter che mangia una barretta di cioccolato e Alice e Frank stretti in un bacio senza fine.
Rido, e alzo lo sguardo su di lei.
-non sono belli- le dico sorridendole –sono splendidi. Sono quelli che hai fatto da quando siamo qui ad Hogwarts? Ci siamo tutti…-
-quelli di quest’anno, si- mi risponde annuendo. È felice.
-di quest’anno?- chiedo allora, guardando il blocco –vuoi dire che ne hai altri?-
-beh, io non amo molto la fotografia- dice scuotendo il capo –quindi ho un album di disegni per anno. Sono i miei ricordi-.
Annuisco, sbalordito.
E penso solo a quanto mi piacerebbe, poter vederne degli altri.
-non mi ero mai accorto che disegnassi così tanto- le dico, e mi stupisco io stesso, perché passo moltissimo del mio tempo a guardarla.
Si irrigidisce, poi mi prende decisa il blocco dalle mani.
Non è meno gentile, ma c’è qualcosa, nel suo modo di comportarsi, che mi fa pensare che probabilmente l’ho offesa.
-non volevo dire che…-
-non ti preoccupare Remus- mi blocca lei, appoggiando l’album da disegno sul suo comodino e dandomi le spalle –scusami, sono un po’ stanca e vorrei riposare prima di tornare al dormitorio. Merlino solo sa che stanotte Mary non farà dormire nessuna di noi dalla voglia che avrà di parlare-.
Un modo molto elegante per dirmi “fuori di qui”.

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
ORE 13.20 DELL’11 NOVEMBRE 1977
 
La festa è bella, è venuta particolarmente bene.
C’era Mary vestita da Cenerentola e Marlene vestita da Pocahontas, che ha a dir poco fatto cadere la mandibola a Sirius.
Fra tutti e due sono così scemi, sorridi.
-Lily Evans, hai ballato con Sirius ma non con me!- una voce mi sorprende, e una mano prende il mio bicchiere e lo posa sul tavolo.
Guardo James, che con un sorriso canzonatorio non smette di guardarti.
-ballo solo con i cavalieri, Potter, le donne non fanno per me- scherzo fissando il suo costume da regina degli scacchi.
La sua mano si allunga e mi intrappola il braccio in una stretta gentile.
-nemmeno se faccio gli occhi da cucciolo bastonato?- chiede facendo gli occhi dolci.
-Merlino, Potter- rido gettando indietro la testa –dopo sette anni ancora non capisci che i tuoi occhi da cerbiatto ferito non fanno effetto?-.
Ed effettivamente non è vero, ma non voglio farglielo sapere.
Non voglio fargli sapere che ogni volta che li fa sento tremare le gambe, le farfalle allo stomaco e la testa che gira. Non voglio, ma non posso fare altro che sorridergli molto più dolcemente di quanto non abbia fatto in questi sette anni.
-le tue parole, Evans, sono in disaccordo con le tue azioni- mi dice infatti avvicinandosi al mio orecchio con le labbra.
Mi agito, subito. Sento il cuore martellarmi nel petto e raggiungere la gola, quasi se ne volesse uscire.
Cosa siamo, in questo momento, io e James Potter?
Non faccio nemmeno in tempo a chiedermelo, ed ecco che mi ritrovo a ballare stretta a lui, con il suo vestito voluminoso e i suoi capelli sparati così in disaccordo l’uno con l’altro.
-lo sai, Potter, che mi sono spesso chiesta una cosa riguardo a te?- gli dico per stemperare la tensione.
-cosa, Evans?- mi chiede divertito. Penso che immagini non sarà nulla si lusinghiero nei suoi confronti.
-mi sono sempre chiesta se per caso i tuoi capelli abbiano litigato, alla tua nascita, gli uni con gli altri. Se sia perché sono in disaccordo che stanno così sparati in direzioni diverse-.
Lo sento ridere, poi le due labbra sulle mie.
-sapevo che non era niente di carino- mi dice a fior di labbra, il suo respiro a tempo con il mio.
Rido, prima di baciarlo leggermente.
Nessuno fa caso a noi.
Ok, spero che nessuno faccia caso a noi.
Ok, ci stanno guardando in parecchi.
Ok, tutti ci stanno guardando, a parte Remus e Sirius che sono quasi ubriachi.
Ubriachi del tutto, in realtà, visto che Remus inizia a cantare a squarciagola.
E James afferra al volo l’istante in cui l’attenzione della sala si sposta sul suo migliore amico per darmi un bacio di quelli veri.
 
Spalanco gli occhi e mi rizzo a sedere, prima di ricordarmi del dolore.
Poi il dolore non è solo un ricordo, ma mi assale le costole e la testa, martellante come il mio cuore.
Mi scappa un gemito, poi getto la testa indietro e rido.
Rido, rido, rido prima di accorgermi che oltre una porta della stanza, un medimago e due signori mi guardano con le sopracciglia inarcate.
Poi il dolore torna ad avvolgermi, mi ridistendo sul letto e chiudo gli occhi.
Ma non dormo più.
Il buio è soltanto un ricordo, ormai.
Il dolore no, ma mi ci abituerò.
 

UFFICIO DI ALBUS SILENTE
ORE 13.30 DELL’11 NOVEMBRE 1977
 
Dorea Potter guarda ad occhi spalancati Albus Silente, così come fanno anche i fratelli Prewett e la professoressa McGrannitt.
-spero vivamente che questo sia uno scherzo di pessimo gusto, Albus- dice la donna non appena si riprende dallo shock.
-questa volta, Albus, devo convenire con Dorea- interviene la professoressa McGrannitt dallo scranno su cui sta seduta.
-nessuno scherzo, mi dispiace- li sorprende ancora il preside –non sono mai stato più serio in vita mia, Minerva, Dorea. Ho ritenuto necessario informarvi, così come ritengo necessario dirvi che proporrò comunque la cosa, quale che sia la vostra opinione-.
-sono ancora ragazzini, Albus!- la voce veemente di Minerva McGrannitt sovrasta i bisbigli dei gemelli e quelli dei presidi nei quadri.
-sono legalmente maggiorenni, Minerva- la voce del preside invece è ferma e decisa –e più che vogliosi di prendere parte a qualsiasi cosa stia succedendo-.
-non aspettarti il mio appoggio, Albus- urla Dorea in risposta.
Dorea ha esattamente il temperamento del figlio, basta poco ad incendiarla.
-Albus, James è…-
-James tra otto mesi sarà fuori da questa scuola, Charlus- gli dice Silente alzandosi in piedi –sarà un adulto in tutto e per tutto, e inizierà a pensare alla sua carriera di Auror, come avete detto voi. Non starà fuori dai guai-.
-sono ragazzi, Albus, non pezzi di carne- inveisce Dorea –non ti lascerò fare di mio figlio carne da cannone-.
-non è quello che ho intenzione di fare, Dorea, lo sai bene. James è comunque un adulto, sceglierà-.
-James è impulsivo, e Sirius! Quel ragazzo è ancora più impulsivo di James, dai a quei due ragazzi un pretesto per lanciare incantesimi e chissà che fine faranno in meno di due mesi- interviene la McGrannitt.
-fai come vuoi, allora, getta mio figlio nel bel mezzo delle fiamme!- nessuno, in quella stanza, ha mai visto Dorea arrabbiata veramente, prima d’ora.
A parte Charlus, e per questo il marito si fa piccolo da una parte.
Dorea Potter arrabbiata è un avversario degno di Lord Voldemort stesso. Eppure anche il marito sa che la battaglia della moglie è persa in partenza. Perché vero, James è un adulto ormai.
-Dorea, senti non…-
Un gufo picchietta la finestra dell’ufficio, che ad un cenno della bacchetta di Silente si apre.
Fanny reagisce all’intrusione volando verso il soffitto e appollaiandosi su uno degli scaffali più alti, come a rimarcare la sua superiorità rispetto all’uccello comune appena entrato.
Nella stanza, il silenzio.
-viene dal San Mungo, è un bollettino- li ragguaglia Albus Silente posando la pergamena portata dal gufo sul tavolo, e appoggiandosi allo schienale del suo scranno –Lily Evans si è svegliata-.


NOTE:

capitolo un po' più lungo del previsto, ma d'altronde vi avevo promesso che Lily si sarebbe risvegliata.
Con questo capitolo si entra un po' più nel vivo delle cose, compare l'ordine e anche alcuni personaggi che più in là diventeranno importanti...

per il resto, grazie a chi mette tra le seguite, le preferite e le ricordate... tuttavia vi arrabbiate se vi chiedo perfavore perfavorissimo qualche recensione in più? mi fa piacere sapere i vostri pareri e magari sapere quale tra le varie storie intrecciate vi piacciono di più, così da poterle sviluppare al meglio!
Ovviamente un grazie grazzissimo a chi recensisce già!

Buona lettura
Hir!

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Capitolo 21
*** la timidezza è composta dal desiderio di piacere e dalla paura di non riuscirci ***



Mentre corro insieme agli altri verso l’ufficio di Silente non riesco a pensare ad altro. Mi ripeto, come un mantra:
Lils si è svegliata.
Si è svegliata.
Si è svegliata.
Adesso andrà tutto bene, no? Adesso che si è svegliata, non potrà che andare tutto bene.
Penso a come sarà, se sarà ancora intontita dal coma oppure perfettamente attenta.
Penso a cosa dirle, perché cosa si dice alla tua migliore amica che esce dal coma?
Le si dice che le vuoi bene?
Le si dice di non farlo mai più, di non abbandonarti più?
Perché la vita è maledettamente difficile, quando lei non c’è.
Se il buio la prende, automaticamente sei presa anche tu, penso passando davanti al ritratto della strega orba.

 

***


Riesco a connettere realmente il cervello solo dopo qualche minuto di corsa.
Ho iniziato a correre perché ho visto gli altri andarsene a perdifiato, e per non perdergli sono stato loro dietro.
Capisco però che il significato del patronus argenteo solo dopo un po’, quando passiamo tutti insieme a passo di corsa davanti al ritratto della strega orba, come una mandria di bufali inferocita.
Davanti c’è James, seguito da Mary e Marlene. Dietro di loro la Prewett, Frank e Remus. Per ultimi io e Pete.
La Evans si è svegliata, più che dal patronus l’ho capito dalla faccia di James.
Incredula, concentrata, tesa allo spasimo come per afferrare qualcosa.
Quando ho visto il suo volto, ho pensato che doveva c’entrare Lily.
Quindi le possibilità sono due:
o Lily si è svegliata, oppure è morta.
No, la possibilità è una:
la Evans si è svegliata.
La seconda possibilità non esiste, penso mentre oltrepassiamo l’ingresso alla biblioteca.

 

***


Il fiato inizia a mancarmi davanti alla biblioteca, e con rammarico penso che la strada è ancora lunga.
Poi un sorriso involontario mi nasce sulle labbra.
La strada è stata lunga anche fin qui, ma noi otto, noi dieci, siamo riusciti a percorrerla e siamo ancora vivi.
Se sarà altrettanto lunga, la strada, da ora in avanti, saremmo sempre in dieci ad affrontarla.
Persone così diverse tutte tese verso lo stesso obbiettivo.
Diciassette anni e uno scopo nella vita.
E oggi, una piccola vittoria.
Lils si è svegliata. La seconda parte di una grande vittoria.
Perché abbiamo iniziato a vincere con il risveglio di Emm, e non abbiamo intenzione di smetterla.
Passiamo davanti all’infermeria e ci fiondiamo sulle scale, tutti e otto con un gran male ai polmoni, alla gola, allo stomaco, ma senza alcuna voglia di fermarci.
Ci sono cose più importanti del fiato, mi dico.

***

Il patronus ci ha colti impreparati, eppure non è stato certo questo a fermarci.
Abbiamo appena raggiunto le scale dopo aver superato la porta dell’infermeria.
La mia migliore amica si è risvegliata.
Ha passato momenti terribili e undici giorni in coma profondo, adesso ha bisogno di noi, di me.
James corre in testa come se da questa corsa dipendesse la sua stessa vita, e forse è proprio così.
Lanciato verso la meta credo si accorga a malapena di noi che cerchiamo in tutto e per tutto di stargli dietro.
La prima rampa di scale inizia a farmi urlare il sangue, scoppiare il cuore.

 

***


Lily si è svegliata.
È quello che continuo a pensare, mentre imbocchiamo in corteo la seconda rampa di scale.
A come sta, a come deve essere difficile risvegliarsi dopo undici giorni così, di nulla, in un posto nuovo, dove non conosci nessuno e con un terribile dolore nel cuore.
Penso che voglia averci accanto, tutti e otto. E tutti e otto stiamo correndo a perdifiato verso la nostra meta.
Emmeline è dovuta restare in dormitorio, povero tesoro, non riesce quasi ad alzarsi dal letto. Ha bisogno di riposo.
Lily sarà messa peggio?
Spero di no, mi dico stringendo la mano di Frank e avviandomi alla terza rampa di scale.

 

***


Adesso muoio.
È ufficiale, stramazzerò al suolo e gli altri non si accorgeranno di me, tranne forse Sirius che pur essendo accanto a me è però con la mente al fianco di James.
È sempre così.
James e Sirius. Due fratelli.
Remus, Sirius e James. Mamma e figli.
E intanto io ho il cuore che mi scoppia e il sangue che ribolle, mentre salgo la terza rampa di scale.
La Evans si è svegliata, di questo sono contento.
È sempre stata molto gentile, con me.
In realtà, è sempre stata molto gentile con tutti, escluso James e Sirius.
Sono contento che si sia svegliata, ma non mi sembra un buon motivo per morire di tachicardia.
Emetto un gemito di sollievo quando vedo i gargoyle.

***

 
Sono il portiere di grifondoro, e sono piuttosto deluso dal fatto che pur facendo tanto sport un po’ di corsa mi debilita fino a questo punto.
Ok, non un po’ di corsa. Abbiamo corso parecchio.
Tuttavia devo usare tutta la mia forza di volontà per non appendermi alla mano della mia Alice e non farmi trascinare da lei, che sembra avere forza per diecimila uomini, quando arriviamo davanti ai gargoyle. È una delle cose che amo di lei, questo trovare forza ovunque.
Questa volta la scala a chiocciola non ci da il mal di mare, e quando arriviamo alla porta non ci tiriamo indietro dal bussare.
L’aria è pregna degli sbuffi di tutti noi, che cerchiamo di recuperare il fiato perduto. Penso che Peter stia morendo, è paonazzo.

 

 ***********

 
Non ricordo molto, la corsa fino all’ufficio di Silente, la metropolvere, i piani di scale fino al reparto di Lily, la corsa verso la stanza 21, la porta aperta, il paravento spostato.
E lei.
Stesa sul letto come l’ultima volta che l’ho vista, i capelli rossi sul cuscino, le guance un po’ più rosee.
E gli occhi aperti.
Non so se l’ho dimenticato, o se forse non l’ho mai realmente realizzato, quanto i suoi occhi siano verdi.
Verdissimi, anche se dire così è dire poco.
Ma soprattutto vivi.
E belli.
Mi devo essere bloccato, perché sento passarmi accanto Mac con entusiasmo, sento gli urletti di Alice e vedo i sorrisi di Remus.
Poi Lily sparisce, tra gli abbracci stritolaossa di tutti i nostri amici, e io rimango lì, inchiodato sulla porta, con gli occhi insensatamente umidi e una gran voglia di restare così per sempre, io che la guardo e lei che mi vede, io vivo e lei viva, e felice, anche se è appena uscita dal coma.
Bellissima, sorridente anche se un po’ provata.
Poi alza lo sguardo e mi fissa.
-Potter, se sapevo che bastava finire in coma per farti stare zitto avrei rimediato sette anni fa!-.

 

***


Vengo letteralmente travolta da quella piccola scheggia di Mary, sento gli urletti eccitati di Alice che batte le mani come una bambina e alzo lo sguardo per sorridere a Remus di uno di quei sorrisi a trentadue denti, quelli grandi come case. Sirius mi si avvicina e si sporge per darmi un leggero bacio sulla guancia.
Però, questo Black, si è girato il mondo da che sono in questo letto d’ospedale?
Deve aver capito il mio stupore, perché scoppia in una risata simile ad un latrato.
-non ti ci abituare, Evans- mi dice infatti, prendendo una sedia e avvicinandola al letto con quel suo modo elegante –diciamo solo che sono rimasto un po’ indietro di trasfigurazione e mi servi per tornare in carreggiata-.
Sorrido in risposta, guardandolo negli occhi.
Non ci siamo mai stati molto simpatici prima d’ora, ma forse, adesso, chissà…
Forse questo è il suo modo di darmi il bentornata, di dirmi che, stranamente, gli sono mancata.
E va bene così, per ora.
Anche Minus si avvicina e mi da un leggero bacio sulla guancia, diventando più rosso dei miei capelli e squittendo nervosamente.
E Frank, che mi scompiglia i capelli con quelle enormi ciabatte da portiere che si ritrova al posto delle mani.
Poi alzo lo sguardo verso la porta, e vedo James.
Lo guardo, poi con un sorrisino alzo il mento in tono provocatorio.
-Potter, se sapevo che bastava finire in coma per farti stare zitto avrei rimediato sette anni fa!-.

 

***


-vuoi del thè, Lils?- le chiede Lène dirigendosi verso la porta.
-no, grazie- risponde la ragazza con un sorriso.
-qualcosa da mangiare?- chiede allora Marlene.
-no, non ho bisogno di nulla- le dice.
-qualcosa per farti passare il tempo? Che so io, un mazzo di carte, un set di…-
-vai pure, Lène, non mi serve nulla- la interrompe Lily con una risata.
Mia cugina annuisce e si volta verso la porta.
-Lène, ti posso accompagnare?- la voce di mia madre si fa strada tra le nostre, ed un attimo dopo mamma e Lène hanno abbandonato la stanza.
Sospiro, con tutto il casino che è successo nelle ultime due settimane mi sono dimenticato dei problemi di mia cugina. Per fortuna mamma è più sveglia di me.
-allora, che avete fatto a scuola?- chiede Lily richiamando la nostra attenzione.
-insomma, Evans, ti sei svegliata da due ore e già chiedi di scuola?- la prende in giro Sirius.
-Lily, al contrario di te e James, è una persona responsabile- si intromette Remus.
-ehi, che c’entra James?- risponde Mac al mio posto.
-sono talmente bello che c’entro sempre, io- le dico in tono arrogante.
-Potter, non so come fai a parlare quando hai la bocca così piena di arroganza- esclama Lily suscitando l’ilarità generale –mi stupisco sempre che non ti ci strozzi-.

***

 
Esco dalla stanza diretta alla sala da thè dell’ultimo piano.
Non sono mai stata al San Mungo prima di questi ultimi giorni, e devo dire che non mi dispiace la cosa. Non è un luogo molto simpatico, ne a prima vista ne dopo.
-Marlene, come stai?- mi chiede Zia Doree con un sorriso materno dipinto sul volto.
So bene che, se messe l’una affianco all’altra, possiamo passare per madre e figlia, perché le somiglio davvero tanto. D’altronde, mamma e zia sono sorelle, ed entrambe hanno ereditato i geni Black dalla loro famiglia.
-sto bene, grazie zia- rispondo –tu e lo zio, invece? Non l’ho ancora visto-.
Lei scuote la testa, e quando lo fa non posso fare a meno di pensare che sembra ancora una ragazzina, sebbene abbia quasi quarant’anni, ormai.
-oh, lo zio è dovuto andare in ufficio, al ministero- mi spiega –ma ti saluta, vi saluta tutti-.
Annuisco.
Io e la zia non siamo molto unite, forse perché sin da piccola la nostra famiglia non ha frequentato molto la loro. D’altronde, va bene non avere pregiudizi, ma per una famiglia come i McKinnon, i Potter sono comunque da evitare.
-Lène, sei sicura che vada tutto bene?- mi chiede fermandosi e costringendomi a voltarmi verso di lei.
La osservo, e penso alla prima cosa che mi è venuta in mente quando ho letto la lettera dei miei genitori.
Potrei chiedere aiuto a zia Dorea. Ecco cosa ho pensato.
E poi ho pensato che sarebbe stato inutile, perché è papà quello delle tradizioni, non mamma.
-zia- le dico dopo qualche secondo di silenzio –perché?-.
Mi sento egoista, a pensare a me stessa e a questo mio piccolo problema quando qualche piano sotto di noi Lily si è appena ripresa dal coma. Eppure c’è chi dice che è nella natura dell’uomo, l’essere egoista.
Non so se ha capito, che tutto gira intorno a questa maledetta domanda.
Perché?
Io, che per la mia famiglia mi dannerei in eterno, perché non puoi odiare di punto in bianco qualcuno che hai amato per diciassette anni, mi chiedo il perché.
È l’unica cosa che importa, il perché.
Se solo mi dessero una risposta, sarebbe tutto più semplice.
Ed è piena di perché, la faccenda.
Perché io, perché lui, perché ora, perché in questo modo.
-parlerò con tua madre, cara- mi promette con un sorriso rassicurante.
Come se potesse servire a qualcosa, parlare con mia madre.

 

***


È l’ora di tornare ad Hogwarts, sono le otto e siamo qui da sette ore e mezza quasi.
Lily si è appena addormentata, stringendomi la mano nel sonno.
-Jamie, è ora che voi andiate- mi dice la mamma avvicinandomisi alle spalle e accarezzandomi i capelli con una mano.
-si, lo so, ma non volevo disturbarla- le rispondo –hai visto Sirius?-.
-è fuori che parla con tuo padre dei ricambi per quella moto volante- asserisce storcendo il naso –finirà per rompersi l’osso del collo, su quell’aggeggio babbano-.
-dai, mamma, ti preoccupi troppo- la rabbonisco con un sorriso –Sirius si romperà comunque l’osso del collo, con o senza diavolerie babbane-.
La sento dare in un sogghigno.
-mi promettete di fare i bravi, a Hogwarts?-
-definisci la parola bravi- la prendo in giro io bonariamente, e borbotto una sottile imprecazione quando lo scappellotto di mia madre mi raggiunge la nuca –prometto, prometto. Lo sai, tu e Lily siete simili-.
Lei sorride, abbassando lo sguardo su Lily.
-siamo belle, affascinanti e disarmanti?- mi chiede.
-fate paura- le rispondo, con un sorriso.
E si, sono belle, affascinanti e disarmanti, ma vi avviso che il mio parere potrebbe essere un po’ di parte.

 
HOGWARTS,
ORE 22.30 DELL’11 NOVEMBRE 1977
 
Mi rigiro nel letto in preda all’ansia.
Come starà Lily? Non sono potuta andare al San Mungo con gli altri e loro non sono ancora tornati.
Il dormitorio è decisamente più comodo dell’infermeria, anche se meno ordinato. Decisamente meno ordinato, penso guardandomi attorno.
Il mio letto è in ordine, lindo, il mio baule chiuso e le cose impilate per bene.
Sposto lo sguardo su quello di Marlene, pare ci sia scoppiata una bomba.
Come diavolo ha fatto a lanciare quella maglia lassù?
Non esiste al mondo qualcuno più disordinato di Marlene McKinnon, ci potete giurare.
Sposto poi lo sguardo sull’angolo denominato Prewett-Paciock che è, come potete immaginare, tappezzato di foto estive ed invernali in cui un sacco di Alice fanno un sacco di facce buffe all’indirizzo di uno strafelice Frank.
Mary ha ragione quando dice che prima o poi quei due moriranno di diabete, penso guardando tutti quei baci melensi.
L’angolo di Mary sembra, più che un angolo, un negozio di accessori per il quidditch, pieno di sciarpe delle Holyhead Arpies, poster e gigantografie di Marie Landwyn, la cacciatrice della squadra, e vari guanti e parastinchi e paraorecchie e paraocchi e parabraccia.
L’unico che assomiglia un po’ più al mio è quello di Lily. Niente foto, niente quidditch, niente fidanzati melensi, niente di niente. C’è la sua roba, più disordinata della mia ma pur sempre discretamente in ordine.
-ehilà, Emmeline cara- esclama la voce di Mary, non appena sento aprirsi la porta della stanza.
-Mary, taci- la rimbrotta Alice –magari sta dormendo-.
Per un attimo medito se mettermi a dormire sul serio e fare finta di non averle sentite. Non sono particolarmente di buon umore, oggi.
-sono sveglia- affermo poi controvoglia.
Non l’avessi mai fatto!
Adesso devo fare i conti con la sovreccitazione di quella bambina che è Mary McDonald, che ha intenzione di raccontarmi minuto per minuto tutta la sua giornata.
Infatti apre le tende del mio letto e si getta su di me ignorando i miei gemiti di protesta.
-Lily sta bene, ti ha mandato un pacchetto di Api Frizzole per ringraziarti del tuo disegno- mi dice sedendosi sul letto e togliendosi la giacca e la sciarpa, che poi lascia cadere a terra.
-fantastico- esclamo rizzandomi a sedere e allungando la mano –dov’è?-.
Tutti sanno che io amo le Api Frizzole.
Il mio sorriso si spegne alla risposta di Marlene.
-ce le ha Mary- mi dice –non ce le hai tu? Lils le ha date a te…-
Mary ha un’espressione in faccia che quasi mi farebbe ridere, se fossi di buon umore.
Tutti sanno che Mary è la persona più golosa della terra, forse anche più di Peter Minus.
-beh, Emm, adesso non arrabbiarti- mi dice alzandosi e indietreggiando spaventata –è che, sai, erano lì, di tutti quei colori, erano belle e…-
-ecco perché levitavi in ospedale!- esclama Alice puntando l’indice accusatore su Mary.
Vedo Mary farsi piccola piccola.
-come non detto- sospiro –Lily deve proprio aver reagito male al coma, se ti ha dato un sacchetto di caramelle chiedendoti di portarmele. Di solito è così attenta, a queste cose…-
Marlene annuisce, Alice sospira forse ringraziando Merlino per la lite sfiorata.
Proprio non ne ho voglia, adesso, di litigare con Mary per delle caramelle.
-ehi, Emm, è successo qualcosa?- mi chiede Lène uscendo dal bagno.
È successo qualcosa?
No, niente di particolare. Sono una stupida.
Una stupida timida.
Stupida.
Mi prenderei a ceffoni da sola ripensando a questa mattina, in infermeria.
Idiota che non sono altro.
-mi dispiace di non aver visto Lily- mento con un sorriso. Mi prenderebbe per una cretina, Mary mi urlerebbe addosso che sono una scema e Alice scuoterebbe la testa e si farebbe mille castelli mentali.
-si, certo, e io sono Morgana rediviva- mi dice invece buttandosi sul mio letto –allora?-.
-ma niente, davvero- sbuffo con un sorrisone –è una stupidata, niente di che-.
-a proposito di stupidate!- interviene Alice puntandomi un dito contro –un uccellino mi ha detto che tu, Emmeline Vance, la mia Emmeline Vance, avresti detto che i pettorali di Remus sono proprio belli-.
Arrossisco, sento scottare il volto, me lo nascondo con le mani.
-ahah!- esclama Mary ridendo a crepapelle –alla fine hai capitolato, allora!-.
-ma che… cosa… non capisco come…- balbetto alzandomi a sedere, indignata –non mi piace Remus!-.
Come se non fosse chiaro a tutti che gli sbavo dietro da una vita, anche se non l’ho mai detto a nessuno.
E che lui questa mattina abbia detto quella cosa.
Quella cosa, la cosa sbagliata.
-oh, uff- esclamo alla fine –comunque non importa, io a lui non piaccio-.
Ecco, l’ho detto.
E mi sento ancora peggio.
Perché una cosa è pensarlo, un’altra ammetterlo ad alta voce.
-cosa?- mi chiede Lène, e sembra stupita sul serio –è solo timido-.
Storco il muso.
Timido un bel paio di… scarpe!
-non è timido. Stamattina ha detto che…-
-cosa?- domanda Mary, rialzandosi dal letto attenta come un segugio. Come se non lo sapessi che fiuta pettegolezzi da lontano un miglio!
-non è proprio quello che ha detto- le dico cercando di farmi capire –ma, insomma… uff-.
-vuoi parlare o devo andare a chiederlo a Remus?- mi minaccia Alice.
-stavamo parlando dei miei disegni, li ha visti e ha detto che… che non si è mai accorto che disegno, nel tempo libero-.
L’ho detto tutto d’un fiato, e decisamente mi aspettavo una reazione diversa.
Continuano a guardarmi cariche d’aspettativa come se dovessi raccontare chissà che. Ecco, lo avevo detto che era una scemenza.
-insomma, io disegno sempre!- strillo, e non mi riconosco più, sembro Alice nei suoi momenti di paranoia migliori –vuol dire che non mi guarda mai!-.
Mary scuote la testa, si batte sulla fronte una mano e crolla sul mio letto mandandomi poco elegantemente a quel paese.
Marlene ridacchia tra se e Alice mi guarda.
-sarebbe tutto qui il problema?- mi chiede la futura signora Paciock.
-non è gentile prenderla così poco seriamente- le dico in una passabile imitazione di mia madre nei suoi momenti migliori.
-Emm, Remus è quello che è rimasto davanti allo specchio per due ore, l’altra sera in camera dei malandrini, a cantare Celestina Warbeck guardandosi gli addominali!-.

 
 
NOTE:
innanzitutto, questo capitolo qua non mi piace moltissimo, ho provato a riscriverlo tre volte ma questa è quella riuscita meglio (vi lascio immaginare gli altri due, allora!).
il prossimo, prometto, sarà migliore! E, credo, sarà incentrato su Marlene e Sirius.
Il titolo è una frase di Beauchene.
Grazie per le recensioni, spero di risentirvi anche per gli insulti (che a mio parere dovrebbero essere tanti, per questo capitolo)!
Buona lettura,
Hir.

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Capitolo 22
*** Il mio vero problema sono i Black (Lène McKinnon) ***


ecco la legenda dei colori, così che vi riesca più facile la lettura!

LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
MARY
ALICE
EMMELINE
REMUS
PETER
FRANK
REGULUS
RABASTAN

 

La giraffa ha il cuore
lontano dai pensieri,
si è innamorata ieri
e ancora non lo sa
(Stefano Benni, Ballate)

 

 
 
-quando hai detto che Madama Chips libera Lily?- mi chiede Paul con un sogghigno, tenendomi le braccia attorno ai fianchi e la testa appoggiata ad una spalla.
-non l’ho detto- gli rispondo con un sorrisetto. Poi gli do una leggera gomitata (che essendo io una battitrice non può essere tanto leggera). Lo sento sussultare –e poi non è che la lascia andare, mica è in gabbia-.
Pare che nessuno capisca la particolare simpatia che nutro nei confronti della cara Poppy. Insomma, fin da che gioco a quidditch mi ha rimesso a posto talmente tante di quelle volte, raccattando pezzi qua e là, che forse non credo in Dio, ma credo in Poppy Chips! Un po’ di riconoscenza gliela devo!
-non sarà in gabbia, ma ha un mastino che le fa la guardia- mi dice infatti Paul, lasciandomi un bacio sulla guancia e allontanandosi velocemente, in tempo per evitare il mio schiaffetto.
 Ormai il mio pollo mi conosce, non è così che dicono i babbani?
-devo andare, ho erbologia alla prima ora e se arrivo in ritardo la professoressa mi uccide- mi dice con un sorriso a trentadue dente, voltandosi e dirigendosi alle serra.
-ma quindi è vero, che tu e Paul state ancora insieme!- esclama la voce di Lène, alle mie spalle.
Mi volto e la vedo venire verso di me con il suo passo sicuro e la borsa a tracolla, un bel sorriso sulle labbra.
-si, ti avevo forse detto il contrario?- chiedo interdetta.
Lei scuote la testa.
-no, solo che… stai mettendo la testa a posto, McDonald!- esclama tutta giuliva.
La guardo stranita, eppure mi accorgo che ha ragione. Insomma, certo Paul non è il ragazzo della mia vita, eppure con lui sto meglio che con tutti gli altri.
-pensa- le rispondo allora –in meno di due mesi Hogwarts ha perso le sue due predatrici migliori- sorrido, indicando me stessa e lei. La vedo rabbuiarsi solo per un secondo, e non posso non chiederle delucidazioni.
-ma…- esito un attimo. Marlene è sempre stata così sicura di se, sempre a consolare gli altri ma mai a farsi consolare. Per quanto poco mi piaccia parlare di sentimenti (non di ragazzi, intendiamoci, parlare di ragazzi è uno dei miei passatempi preferiti) -…si, insomma, come va tra te e Regulus?-.
Quando me l’ha, ce l’ha, detto non volevo crederci. Già il fatto che Marlene McKinnon sia fidanzata è di per se uno di quegli eventi da tramandare e studiare in storia della magia, altro che rivolte dei folletti e cazzi e mazzi.
Ma il fatto che Marlene McKinnon sia fidanzata con niente popò di meno che Regulus Arcturus Black, così ligio alle regole e alle tradizioni… beh, ha dell’incredibile.
Il fatto è che Lène è così unicamente se da non poter essere accostata a nessuno che non sia alla sua altezza. E Regulus non lo è. Ci vuole un carattere forte per piegare la McKinnon, perché lei stessa ha un carattere forte.
Insomma, per quanto poco mi piaccia parlare di sentimenti, questo glielo devo. In memoria di quello che lei ha fatto per me al terzo anno, quello che ha fatto e fa costantemente per tutti noi, con la sua solida presenza, le battutine al vetriolo e tutto il resto.
Perché la sola idea di una McKinnon piccola che non sia più Marlene… beh, basterebbe a sconvolgere il mondo, sia quello magico che babbano.
Marlene storce il naso in risposta.
-mancano ventisette giorni- mi dice, e non so distinguere la sua voce il suo tono.
Non so se sia felice oppure no. Cioè, no, mi spiego meglio. So che non fa i salti dalla gioia, ma a parte questo non so altro.
-Lène, ne sei sicura?- le chiedo allora.
E in questa sono celate migliaia di domande diverse.
-non potrei sopportare di vederti spezzata- aggiungo. Lei mi guarda inferocita.
-i McKinnon non si spezzano, Mary-.
Assurde cose da purosangue, l’ho sempre detto.
-ma Marlene cosa farà, quando sarà una Black?- le chiedo allora parandomi di fronte a lei –insomma, devi scusarmi, Lène, se non ne abbiamo parlato prima. Con tutto quello che è successo ad Emm e a Lily mi è proprio scappato di mente. Ma adesso che ci penso, che ci penso bene, tu non puoi farlo-.
Lei inarca un sopracciglio, limitandosi a guardarmi e a fermarsi per non venirmi addosso.
-non posso farlo?- mi domanda scettica.
-no, non puoi- le rispondo risoluta –non te lo ha ancora detto nessuno? Insomma, mi stupisco di questa cosa. Non so, tipo… James! James non dice nulla? E Sirius? O Lily, Lils è una nata babbana e per lei deve essere ancora più mostruosa, la cosa. I tuoi genitori non ti possono obbligare a…-
-non mi stanno obbligando- mi risponde ferma.
Adesso tocca a me inarcare il sopracciglio.
-non ti stanno obbligando?- le chiedo scettica –sai, a quanto ho visto nella lettera che ti hanno inviato a inizio settembre, non sembrava esattamente che te lo stessero chiedendo!-.
Succede sempre così, quando ci fermiamo a parlare tra noi di questioni un minimo più serie del solito noioso tema di pozioni. Lily dice che siamo troppo simili e che entrambe abbiamo un temperamento troppo grifondoro per fronteggiarci.
Lily è perspicace, lasciatemelo dire.

 

***


Le parole di Mary colpiscono a fondo. Ogni singola parola di quello che dice centra in pieno l’obbiettivo.
Mi sento come uno di quei cosi babbani, quelli con tanti cerchi concentrici che il papà di Lils usa per allenarsi a tirare con il cucile da caccia. Più becchi vicino al centro, più fai punti.
E in questo momento Mary sta prendendo tutti centri pieni, non sbaglia di un millimetro.
Perché da quando Lily si è risvegliata sono passati quindici giorni, da quando ho parlato con zia Doree sono passati quindici giorni. La data si avvicina, mia madre non parla e io pian pianino mi avvicino sempre di più alla loro idea.
Perché in questi quindici giorni ho intravisto un Regulus diverso da quello che pensavo.
*Flashback* -> 3 giorni dopo il risveglio di Lils
Ho appena finito di imprecare in modo piuttosto colorito all’indirizzo di quelle che, fino a cinque minuti fa, erano le mie migliori amiche.
Non faccio nomi, solo cognomi.
Prewett e McDonald, e ho detto tutto.
Brutte infingarde che non sono altre, negli ultimi cinque minuti ho mandato loro talmente tanti accidenti che, se anche uno solo di quelli le raggiunge, domani avremo un doppio funerale da celebrare.
E io danzerei sulle loro tombe, gente, potete giurarci.
Ancora mi chiedo come ho potuto lasciare la povera Emmeline bloccata a letto con quelle due arpie travestite da putti, con tanto di aureola, devo essere impazzita.
Però ho perso a Morgana-numerata, quindi tocca a me seguire la lezione.
Perché loro hanno deciso di restare da Emmeline e farle da schiavette per tutto il giorno: pronto? Parliamo di Emmeline Vance, quella dolce, timida e carina, questo vuol dire che loro poltriranno per tutto il pomeriggio perché Emm non si azzarderà a chiedere loro nulla.
E io invece dovrò sorbirmi divinazione prendendo appunti con attenzione, visto che sono l’unica fra tutte e cinque a lezione!
-Marlene-.
Una voce seria mi chiama dal fondo delle scale. Mi volto, vedo Regulus Black in tutto il suo splendore salutarmi con la mano e salire le scale nella mia direzione. Sono appena appena scettica, ma faccio finta di nulla e sorrido al suo indirizzo.
-Regulus-.
Sembra rilassato. Oddio, non di buon umore, questo no, ma comunque rilassato. Più rilassato di quanto io non lo abbia, forse, mai visto.
-stai bene?- mi chiede.
Il suo tentativo di fare conversazione mi sorprende, lui che sta sempre zitto o al massimo risponde con monosillabi al limite della gentilezza.
-quanto puoi star bene sapendo che devi seguire due ore intere di castelli mentali sulla lettura delle foglie di thè?- sbuffo prima di potermi trattenere.
Lui sorride, divertito.
Scopro così che Regulus Black non è esattamente impassibile, serioso e misterioso quanto dicono. Adesso sta quasi ridendo, e gli occhi chiari gli si illuminano, quasi ridenti.
Sembra così diverso da Sirius, ora.
Mi mordo la lingua.
-beh, dai, ti consolerà sapere che c’è chi è messo peggio di te- mi risponde –alla prossima lezione ho due ore con Ruf-.
Sorrido. Effettivamente è messo peggio.
-allora ti lascerò il primato, per questa volta- gli dico annuendo –anche se mi costa molto caro, devo dire-.
Ride, e noto che ha un bel sorriso.
Non bello come quello del fratello, però.
-non ti piace divinazione?- mi chiede.
-non la sopporto, in realtà- rispondo –non ci credo di certo-.
-e allora perché la segui?-.
-Emmeline la segue, e noi seguiamo lei- scuoto le spalle.
Inarca un sopracciglio.
-cose tra amiche, suppongo- rivelo.
-cose da grifondoro- ribatte lui, con un sogghigno.
In effetti, sono cose da grifondoro. E forse da tassorosso, anche.
So per certo che anche i malandrini hanno fatto una cosa del genere, al terzo anno. Hanno deciso di seguire tutti babbanologia perché Sirius voleva farla. E mica per altro, che gli interessava la materia, era solo per definire ancora di più il suo distacco da sua madre, e per urtarla ancora un po’.
Sirius definisce tutti i confini.
Gira per il mondo con scritto in fronte “QUI FINISCONO I BLACK E COMINCIO IO”.
 
*fine Flashback*
 
Quel pomeriggio mi ha scortato fino a lezione, poi mi ha salutato con un impeccabile baciamano che ha lasciato con un palmo di naso me e tutti i quelli attorno.
Non l’ho rivisto se non due giorni dopo, agli allenamenti della squadra di quidditch.
*Flashback*-> 5 giorni dopo il risveglio di Lils
 
Non appena James ha saputo che Lily è del tutto fuori pericolo, ha stressato la squadra di grifondoro alla nausea (riserve comprese) per riiniziare gli allenamenti. Mary l’ha persino mandato a quel paese, da tanto è diventato insopportabile.
Ha deciso che la squadra scalerà la classifica. Serpeverde è in testa, tassorosso secondo. Corvonero e grifondoro dovranno giocarsi la loro prima partita tra un mese, dopo che la scorsa è stata rimandata.
Per questo io, Sirius, Remus e Alice siamo qui sugli spalti ad assistere all’allenamento: vogliamo evitare a James una morte orrenda e a Mary una permanenza particolarmente prolungata ad Azkaban.
Finalmente l’allenamento finisce, senza nessuna guerra/battaglia/duello/scazzottata. Per quanto mi piaccia il quidditch, sono freddolosa e non ho il mantello. E fuori fa freddo, credetemi.
-Lène, perché non hai portato il mantello?- mi chiede Alice scettica mentre scendiamo dalle gradinate.
Interessante, come domanda.
-non hai freddo?- mi chiede infatti Remus affiancandomisi e prendendomi una mano –Lène, sei gelata-.
-lo so, lo so- rispondo, scrollandomi di dosso i brividi –me lo sono dimenticata, ok, mamma?-.
Sirius ride, vicino a Remus, mentre quest’ultimo mi rivolge un’occhiata in tralice.
È un attimo, e mi sento avvolta in qualcosa di caldissimo e confortevole al massimo. Sento persino le ossa, sciogliersi, nella morsa del caldo. Guardo il velluto, gli alamari d’argento cesellato dai folletti e tre iniziali appuntate in piccoli rigoletti d’oro.
S.O.B.
Sorrido, inconsapevolmente.
-grazie- dico mentre vedo, perché non ho il coraggio di puntare i miei occhi nei suoi e quindi li punto alle sue mani, che mi allaccia le mostrine con dita sicure –Merlino, Black, questo mantello puzza di cane!-.
Sirius e Remus ridono, e io mi chiedo cosa ci trovino di così divertente.
Puzza veramente di cane, il mantello.
Però è comodo e me lo faccio andare bene così, al massimo respiro con la bocca.
Siamo intanto arrivati agli spogliatoi, Alice e Remus entrano.
Sirius rimane al mio fianco, forte, alto, sicuro.
Negli ultimi tempi si è dimostrato all’altezza del migliore degli amici. E ha evitato di parlare delle sue innumerevoli conquiste davanti a me, che non è poco.
-allora, come va?- gli chiedo in un sussurro, voltandomi.
-bene- mi risponde con un sorriso. Sembra sempre talmente padrone di se, che a volte mi stupisce –sai quando Lily uscirà dall’infermeria? Sono passato oggi con James, ma stava dormendo e…-
-non lo sa nemmeno lei, Madama Chips dice che è ancora troppo presto- rispondo scuotendo la testa.
-capisco- mi dice lui, scuotendo a sua volta le spalle.
Imbarazzo, silenzio assoluto.
-come mai il tuo mantello puzza di cane?-.
-Marlene, ti posso chiedere una cosa?-.
Le frasi sono uscite insieme, dopo più di cinque minuti di silenzio, e ci fanno scoppiare a ridere.
-Reg, io fossi in te la terrei a bada, fraternizza con il nemico-.
Una voce stridula ci costringe a voltarci, e vediamo sorpresi l’intera squadra serpeverde venire verso gli spogliatoi.
-oh, no, vuoi dire che i grifoni sono ancora tutti dentro?- ora, come prima, è stata la super odiosa Priscilla Bulstrode a parlare, portiere serpeverde con la voce più stridula che Hogwarts abbia mai sopportato –perché non capiscono che quando il loro turno finisce alle sette e mezza devono essere fuori di lì alle sette e mezza precise?-.
-e perché tu non capisci che la tua odiosa voce è talmente stridula che ogni volta che parli rischi di spaccarci i timpani e non la smetti di parlare?- le chiedo dando le spalle a Sirius e guardando in faccia quell’odiosa smorfiosetta. Sento Sirius, dietro di me, ridere.
-ricordati di tagliarle la lingua, Black, al più presto- dice Lestrange acido rivolto a Regulus, entrando nello spogliatoio.
-si, Black, sempre che non la usi bene in altre attività, non so se mi spiego- commenta viscido Mulciber.
Sento Sirius sibilare.
-attività in cui tu, Mulciber, non sei certo esperto- lo boccio io, con un ghigno –d’altronde, una donna dovrebbe davvero avere un fegato da paura o, se non altro, uno stomaco di ferro per avvicinarsi a te senza vomitare. Lingua e tutto il resto, si intende-.
Questa volta, la risata di Sirius si sente molto bene, simile ad un latrato.
-tu, brutta put…-
-Mulciber, ti devo ricordare con chi stai parlando?- la voce di Regulus è glaciale, come quella di Sirius nei suoi momenti migliori.
Mulciber sibila qualcosa nei confronti di Regulus e segue Lestrange negli spogliatoi, dopo avermi scoccato una lunga occhiata disgustata.
-Lène, se vuoi possiamo…-
-Marlene, possiamo parlare?- la voce di Regulus occulta quella del fratello.
-certo- rispondo.
-in privato- sottolinea Regulus.
Faccio un cenno a Sirius e lo guardo negli occhi.
Lui ricambia impassibile, poi mi accorgo di qualcosa a cui prima non avevo fatto caso.
Una mia mano, la mia mano destra, è stratta attorno al suo polso sinistro, a contatto con la pelle.
Come…?
Ah, ricordo. Prima che io rispondessi a Mulciber lui aveva accennato a ribattere, e io l’ho fermato così, con un semplice tocco.
Imbarazzata ritiro la mano, e sui miei polpastrelli brucia ancora il calore della sua pelle.
-Sirius, ti dispiace se…?-.
-ti aspetto qui- mi interrompe lui –insieme agli altri-.
Teme forse che Regulus possa farmi qualcosa?
Annuisco, poi mi sposto con Regulus verso il campo, alla ricerca di un angolo silenzioso.
-perdona Mulciber, è un idiota- mi dice in tono spiccio scuotendo la testa, non appena ci ritroviamo soli.
Annuisco, e un sorpreso sorriso mi spunta sulle labbra.
-lo so, conosco il tipo-.
-povera te- risponde lui. Una risata è d’obbligo, ora.
-volevi parlarmi?- gli chiedo dopo qualche minuto di silenzio.
Lui annuisce, poi scrolla le spalle.
-non è nulla di importante ma… pensavo che…-
-che?- lo incoraggio, curiosa.
-…che, magari, sarebbe stato interessante andare insieme ad Hogsmeade, tra tre settimane-.
Hogsmeade, il primo sabato di dicembre.
La mandibola per poco non mi cade a terra.
Io e Regulus, insieme.
-un…- esito un attimo -…appuntamento?-.
Lui esala un sospiro, poi risponde piano.
-immagino si possa definire così-.
 
*fine flashback*
 
Adesso manca una settimana e mezza, all’uscita. Non so cosa aspettarmi, da questo mio appuntamento con Regulus.
O meglio, non so come comportarmi. Cosa devo fare? Soprattutto dopo quello che ho sentito.
 
*flashback*-> 10 giorni dopo il risveglio di Lils
 
Maledette serre, spostarsi da una lezione all’altra ora costa i geloni alle mani. Novembre si afferma in tutta la sua gelida bellezza, al castello di Hogwarts.
Alice, accanto a me, fa tutto il percorso attaccata a Frank con le labbra, chissà, forse è un nuovo modo per evitare di perdere sensibilità alle estremità del corpo. Dovrei provarci anche io.
Peccato non avere nessuno da salvare in questo modo, mi dico.
Accolgo con varie benedizioni il calore dell’ingresso del castello, sciogliendomi un po’ e fermandomi per gustarmi il tepore.
Frank e Alice non fanno caso a me, io vorrei non far caso a loro.
All’improvviso qualcosa mi riscuote. Voci. Tre persone stanno salendo la stretta scala per i sotterranei, due davanti ed una dietro.
-che hai, Black? Sembra che tu stia andando al patibolo- sento la voce di Lestrange, gelida.
-taci, Lestrange- questo è Regulus.
-beh, che c’è?- chiede l’altro. La terza figura sta in silenzio.
-abbiamo fallito, perché ha accettato di marchiarci?-.
La voce di Regulus è inconfondibile. Così come il messaggio nella frase.
Senza aspettare che si accorgano di me, sguscio in sala grande a seguito di Alice e Frank, ignari di tutto.
Marchiarci, è l’unica cosa che mi resta nella mente.
Marchiarci.
 
*fine flashback*
 
-non mi stanno obbligando- ribadisco ferrea verso Mary.
Non sto mentendo, stupisco anche me stessa.
Quel “marchiarci” risuona nella mia testa come un gong. Ogni volta che lo vedo, ricordo.
Ma non ricordo solo quella parola, il suo significato.
Ricordo anche il ragazzo che ha riso con me di una risata sincera mentre mi accompagnava a divinazione, portandomi la borsa, e quello che ha fermato Mulciber. Ricordo il ragazzo che è venuto a cercarmi per chiedermi di uscire insieme, senza sapere bene nemmeno lui cosa dire, cosa fare.
E ricordo il bambino che faceva collezione di cioccorane e mi ha fatto promettere di essere come Morgana.
Quel bambino con il contorno delle labbra sporco di cioccolato, il naso rosso per il freddo quando ci tiravamo le palle di neve, le orecchie rosse quando si arrabbiava, le lacrime sulle guance quando combinava un guaio e suo fratello si faceva punire al suo posto.
E mi ricordo, incessante, ricordo a me stessa, che se adesso lui è in questa situazione, è un po’ anche colpa mia, e di quel fratello che non si fa più punire al suo posto.
Perché non è facile abbandonare qualcuno alla propria strada, alle proprie scelte sbagliate.
E il fatto che questo qualcuno sia un diciassettenne con un carattere piuttosto debole, la testa piena di ambizioni che li sono state messe da una famiglia che punta troppo in alto, che appartiene ad una casa che di certo non facilita le sue scelte… beh, questo mi mette ancora più in difficoltà.
Perché la verità è che se Regulus si farà marchiare, sarà perché non ha avuto le stesse possibilità di suo fratello: non lo stesso carattere fiero e ribelle, non lo stessa possibilità di scelta, nemmeno gli stessi amici. Non ha, accanto, persone che gli indichino un’alternativa.
E ho deciso di essere io, quell’alternativa. E non importa se per farlo devo sacrificare la mia felicità.
Sono una grifondoro, vuol dire anche questo.
Ma come glielo spiego, a Mary?
-non importa, Mary- le dico allora scuotendo il capo –adesso abbiamo lezione, andiamo o faremo tardi-.

 

***


Storia della magia è una lezione che concilia il sonno.
Più di quando Remus si mette a fare le sue paternali.
Più di mio padre quando mi parlava dei suoi conti e delle tradizioni di famiglia.
Più di una settimana chiuso in biblioteca senza poter vedere altro che libri muffiti.
Insomma, la noia allo stato puro, snocciolata ininterrottamente per due ore.
E siamo solo a cinque minuti dall’inizio.
Qualcuno entra dalla porta, mi volto e vedo Marlene e la McDonald entrare.
-mi scusi professore, siamo state trattenute-.
Ruf alza a malapena lo sguardo e annuisce, prima di tornare ai suoi appunti ed alla sua noia.
Guardo Mary, che stranamente si siede senza parlare con Marlene.
Strano.
Mary sembra offesa, Marlene pensierosa.
Strappo un pezzo di carta dal libro di Jamie, che mi risponde con una gomitata nelle costole.
-cosa diavolo…?-
-te lo aggiusto dopo, prometto- dico solennemente sporgendomi verso la piuma.
“è successo qualcosa? Se vuoi parlarne, io sono qua”.
Osservo il pezzo di carta volare sul banco di Lène, le sue dita sottili aprirlo e leggerlo.
Un sorriso, tirato e pensieroso ma pur sempre un sorriso, le schiarisce il viso.
Prende la penna e scrive.

“nulla di particolare, soliti problemi”.
Guardo la carta e mi arrovello il cervello.
Soliti problemi?
“posso distrarti in qualche modo?”.
Giuro che, per la prima volta in vita mia, pongo questa domanda senza alcuna malizia.
Penso a come chiedergli quell’altra cosa, quella che sto cercando di chiedergli da più di dieci giorni.
La vedo scuotere la testa, sorprendentemente triste.

“no, non voglio tediarti con i miei problemi”.
Scrivo di getto e invio il biglietto con un colpo di bacchetta, prima di potermi pentire della risposta.
“i tuoi problemi sono anche i miei, niente che ti riguardi potrebbe tediarmi”.
Merlino, da quand’è che sono così sdolcinato?
Forse anche lei pensa la stessa cosa, la vedo stupita osservare il bigliettino, poi si volta verso di me e guarda ancora il foglietto.

“da dove spunta questo Sirius Black? Potevi rispolverarlo prima, non è niente male”.
Ridacchio, involontariamente.
-cos’è questa faccia da ebete?- mi chiede James sporgendosi per vedere quello che c’è scritto sulla carta.
-niente- commento in fretta nascondendo il pezzo di carta, pudico.
-ehi, guarda che quella è una parte del mio libro, io ho il diritto di vederlo!-.
Gli faccio una linguaccia e mi accartoccio tutto per poter rispondere senza che quell’altro sbirci.
“offerta limitata, cara, non è mica a disposizione di chiunque!”. Affianco alla frase, una faccina che fa la linguaccia.
Anche Lène ridacchia quando vede il bigliettino e, credo, anche la faccina.
Mentre si sporge a scrivere sorrido pensando che quando ride è veramente bellissima, soprattutto se a farla ridere sono io.

“ne sono onorata, allora”.
Sorrido, esito.
Ci provo o no?
Sembra divertita, e abbastanza presa da me.
Magari ci provo.
E se poi…
-oh, Merlino, chiediglielo e falla finita- mi dice Remus dal banco affianco al mio.
Inarco un sopracciglio, beffardo.
-senti da che pulpito, Remmie- lo prendo in giro.
Parla proprio lui che ancora non ha chiesto nulla alla Vance!
-non mi chiamare così!- sibila stringendo gli occhi.
-come, Remmie?- chiedo innocentemente.
Ringhia.
Rido.
E scrivo di getto.
Chissà, è andata bene una volta…
“vieni con me ad Hogsmeade?”
Chiaro, conciso. Per evitare figure pessime, tipo scrivere la frase in marino antico a causa dell’imbarazzo e del ripensamento.
Spedisco con un colpo di bacchetta e tengo gli occhi abbassati sul banco.
Non voglio vedere la sua reazione, in caso fosse negativa.
Si, so cosa pensate…
…che ne è del tanto rinomato coraggio grifondoro?
Fatevi gli affaracci vostri, una volta tanto!
In più, io dovevo essere serpeverde!
La carta bianca torna sul mio banco.
Ho le dita tremanti.
Insomma, sono Sirius Black, mi dico!
Apro.

“mi dispiace, ci vado con un altro”.
Resto per quelli che sembrano minuti a fissare la carta, imbambolato, e forse lo sono davvero.
Mi hanno battuto sul tempo.
Non so cosa fare.
Cosa si fa in questi casi?
Nessuno mi ha mai dato il due di picche.
E nessuno è Marlene McKinnon.
Alzo lo sguardo su di lei, è rigida, girata verso Ruf, prende appunti.
Ha i capelli lunghi sciolti sulla schiena, scuri come ali di corvo e mossi, morbidi.
Quanto vorrei poterci affondare le mani dentro.
Devono essere morbidi come il manto di un camoscio.
La schiena dritta, le testa alta.
Sembra una regina.
Alla fine non resisto, e tento il tutto per tutto.
“se posso, con chi?”.
La risposta si fa attendere, e quando arriva è scritta con dita incerte.

Tuo fratello. Regulus”.
 
 

 NOTE:
Ce l'ho fatta! Ho postato questo capitolo il giorno del mio compleanno!
E forse potrete odiarmi come probabilmente potreste odiare Regulus, ma non siate tanto cattivi, in fondo in fondo è buono come un pezzo di pane =)
Questo capitolo si divide in due, ma la seconda parte non sarà la prossima che posterò, ma quella ancora dopo. Il prossimo capitolo si concentrerà su Emm/Rem e Lily/James.
grazie per le recensioni, spero che questo capitolo vi piaccia più dell'altro!
buona lettura,
Hir!
 
 

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Capitolo 23
*** tutta colpa dei calzini! ***



LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
MARY
ALICE
EMMELINE
REMUS
PETER
FRANK
REGULUS
RABASTAN




-Merlino, ti prego, fallo stare zitto!- esclamo inchinandomi al cielo e rivolgendogli un’accorata preghiera.
Accanto a me, Frank si sta sbellicando dalle risate cercando i suoi calzini.
-avete visto i miei calzini verdi?- chiede cercando di trattenere le lacrime agli occhi mentre ride.
Accanto a me James sospira in modo teatrale e si dirige al suo baule in cerca della divisa.
Dal bagno viene sempre la solita nenia.
Mica per niente che quando Remus si fa la doccia cerchiamo tutti di uscire di corsa dal dormitorio. Oltre ad essere stonato è incredibilmente noioso quando declama a gran voce le poesie di quel poeta romano.
Anche questa mattina, non appena il nostro lupo mannaro preferito si è chiuso in bagno, è iniziata la corsa alle vesti.
Chissà perché mi ritrovo con un paio di boxer di James e una canottiera di Peter in mano. Cosa ci fanno nel mio baule?
Dovremmo imparare ad essere un po’ più ordinati, una volta tanto.
Con un urlo schifato getto entrambi gli indumenti in aria e mi metto di nuovo a rovistare nel mio baule.
-qualcuno ha visto la mia cravatta?-
-i miei calzini, dove sono i miei calzini?-
-avete visto la mia bacchetta?-
-cosa ci fa la mia scarpa appesa lassù?- chiedo scettico puntando il dito alla colonna del letto a baldacchino di Frank.
-ce l’ha messa Remus- mi risponde James –hai visto la mia cravatta?-.
-e perché ce l’avrebbe messa, se posso?- chiedo –non ho visto la tua cravatta Jamie-.
-uffa. Pete, hai visto la mia cravatta? La tua bacchetta è li sopra-.
-ragazzi, i miei calzini verdi?- chiede ancora Frank, piuttosto scocciato.
-hai un paio di calzini verdi?- domando –mai visti-.
-si che li hai visti- mi dice –sono quelli che metto ad ogni partita e…-
-ah, sarebbero calzini?- gli chiedo interessato –a me sembravano più cosi bitorzoluti e…-
Il libro di trasfigurazione mi centra in pieno la fronte, e mi manca il fiato per continuare il mio elogio ai calzini.
Calzini che, vittorioso, Frank brandisce a mani alte.
-me li ha confezionati la mia fidanzata, Black- sibila infilandosi i calzini –e mi dispiace per te se non hai una fidanzata che faccia cose del genere per te ma…-
Sto per tirargli il suo libro di trasfigurazione, ma prudentemente Frank si allontana verso la porta.
-…vado, Alice mi aspetta- dice uscendo –ci vediamo a colazione-.
Calzini! Io non voglio qualcuna che mi confezioni i calzini!
Marlene mica li sa fare, i calzini!
Rettifico:
anche se Marlene sa fare i calzini, li farà a mio fratello.
Questo pensiero mi getta nell’umore più nero che sia possibile avere.
-allora, la mia cravatta?-
-cazzo ne so io della tua cravatta, James- ribatto cupo.
Voglio i miei calzini.
-ragazzi, avete visto la mia camicia?- chiede Remus dal bagno.
-hai finito di declamare le tue poesiole da quattro soldi?- gli rispondo irritato, quasi ringhiando –cosa ci fa la mia scarpa sul tetto del baldacchino?-.
Lui inarca un sopracciglio.
-ehi, moderiamo i toni!- mi risponde uscendo dal bagno –era sulla strada tra il bagno e il letto, prima. Non avevo voglia di aggirarla e l’ho appesa al baldacchino-.
-sei sulla strada tra il bagno e il letto, ti posso appendere al baldacchino?- strillo come una donnetta.
Non mi riconosco, ma non è questo l’importante.
-Sirius, Rem, volete piantarla di litigare?- ci chiede James –Remus, la tua camicia e sul mio comodino, Sirius, basta un incantesimo levitante per riprenderti la tua cazzo di scarpa. Ora qualcuno può dirmi dove cazzo è finita la mia cravatta?-.
Peter vede che la faccenda si imbrutta, prende il suo mantello e toglie il disturbo con uno squittio come saluto.
-è una questione di principio, James, la mia scarpa è sul baldacchino! Non è tanto perché è la mia, o perché una scarpa, o perché è un baldacchino, ma che mi dici dei diritti delle scarpe? E le pari opportunità per i baldacchini, come la mettiamo? Solo perché ad  un lupo mannaro brutto e bagnato e mattiniero gira storta, io…-
-Merlino, Sirius, ma ti senti quando parli?- mi risponde Remus intendo ad infilarsi la camicia –e James, c’è una cravatta appesa al comodino di questo brutto ceffo e…-
-non sono brutto- lo interrompo per poi riprendere la mia tirata sui baldacchini e sulle scarpe. Ad un certo punto, non so come, ci si infilano anche i calzini, nel discorso.
-e se il partito dei baldacchini decidesse di ribellarsi? Io sarei in prima fila, ecco come la penso! Tutti i baldacchini contro i calzini e contro i lupi mannari, non c’è categoria peggiore dei calzini se volete sapere il mio parere! Brutti infidi e bastar…-
-SIRIUS ORION BLACK-.
Ops.
Perché James mi guarda con quell’aria omicida?
Taccio. Non mi importa dei baldacchini, delle scarpe e dei calzini.
Scherzo, dei calzini mi importa comunque.
James mi guarda, lo sguardo che slitta dalla cravatta che tiene in mano a quella annodata al mio collo.
-cosa dicevi a proposito della cravatta?- gli chiedo esitante.
Prima di vederlo gettarsi su di me con la cravatta stretta in pugno come un’arma vedo brillare sul tessuto di quest’ultima le mie iniziali ricamate in argento.
-maledetti calzini!- esclamo prima di soccombere sotto James.

 

***


-quindi, vado là e glielo chiedo, no?-.
Remus sembra sicuro, anche se sta sudando. È un po’ pallido, e la luna non c’entra niente.
Però sembra sicuro.
-si, vai e glielo chiedi- rispondo.
Sirius continua a blaterare qualcosa sui calzini, non me ne potrebbe fregare di meno.
È già tanto se non l’ho strozzato con la sua stessa cravatta.
Altro chè calzini e baldacchini.
Mio fratello deve essere caduto da piccolo, per essere tanto scemo, e conoscendo sua madre posso affermare con sicurezza che si, è caduto da piccolo.
-vado là, e glielo chiedo-.
Bene. Va là e glielo chiede.
-non c’è nessuno, là- mi dice non appena passiamo la soglia della sala grande.
Guardo il tavolo dei grifondoro e, in effetti, noto che le ragazze non sono ancora scese.
-pazienta, Rem, arriverà- gli rispondo –sei deciso, quindi?-.
Lui annuisce, è pallido.
Più pallido del normale, si intende.
-tu glielo hai già chiesto?- mi chiede dopo qualche attimo, quando ci sediamo al tavolo.
-circa duemila volte negli ultimi sei anni- ridacchio nervoso.
Quello che mi da più ansia è la risposta, sempre la stessa.
No, in realtà variava molto, la risposta, almeno per l’originalità:
“Potter, piuttosto la piovra gigante”.
“mi dispiace Potter, Pix ti ha preceduto”.
“no, Potter, me lo ha già chiesto la tentacula velenosa, e non ho proprio potuto rifiutare. Sai, il fascino del pericolo!”.
-divertente- ribatte Remus.
-beh, guarda il lato positivo- scrollo le spalle –se ci diranno di no, faremo compagnia a Padfoot-.
Remus mi guarda, scettico.
-e questo sarebbe il lato positivo? Fare da dog sitter ad un cane depresso?-.
Beh, come dargli torto?

 

***


Inspiro, espiro.
La porta di legno è davanti a me, spalancata. Oltre quella porta, la fiumana di studenti radunata attorno ai tavoli attende.
Inspiro, espiro.
Pensavo sarebbe stato più facile. Non lo è, per niente.
Perché oltre quella porta ci sono i miei amici, ma anche i miei nemici.
Ci sono loro, con le loro bacchette tese e quelle maschere che indossavano, forse ora nascoste, ma sempre presenti.
Pensavo fosse più facile, quando ieri scalpitavo in dormitorio per la voglia di lasciare quella stanza.
Non lo è, facile. Per niente.
Vicino a me Mary mi guarda attentamente e mi prende per mano.
Insieme oltrepassiamo la soglia, e non so dove trovo il coraggio di farlo.
Punto lo sguardo al tavolo dei serpeverde, perché sicuramente quei due erano serpeverde, e abbozzo un sorriso gentile e sicuro.
Coraggio grifondoro, forse.
Più probabilmente, orgoglio sopito e risvegliato da tutto quel dolore.
Perché i bastardi che ci hanno fatto questo pagheranno, un giorno.
Con Mary raggiungo il nostro tavolo e mi siedo accanto al mio posto.
Vicino a me aleggia un silenzio quasi assordante, alzo lo sguardo e lo punto in quello di Lène, che a sua volta guarda Alice che sta sbavando guardando Frank. Ridacchio, poi mi volto verso i malandrini.
-come state?- chiedo lanciando una timida occhiata a Remus.
-Remus, stai bene?- gli chiede Mary intuendo quello che sto pensando io –sei pallido… più del solito, intendo-.
James scoppia a ridere ma, ad un’occhiataccia dell’amico, tramuta la risata in un colpo di tosse malriuscito.
-sto bene, grazie- risponde lui schiarendosi la voce –io volevo…-
-avete visto il settimanale delle streghe?- lo interrompe Alice voltandosi verso di noi. Giurerei di aver visto Remus alzare gli occhi al soffitto, spazientito.
Impossibile, Remus è talmente educato che non farebbe mai una cosa del genere.
-hai il settimanale delle streghe?- chiedo sporgendomi, ignorando quello che vuole dirci –mi dai la pagina dell’oroscopo?-.
-dannata divinazione!- esclama in risposta Lène.
-si, certo, come se tu non lo leggessi, l’oroscopo- rispondo io piccata aprendo il foglio di giornale che mi porge Alice –dunque, Pesci-.
Leggo il mio oroscopo sbuffando. Solite cose, niente di nuovo anzi, sempre più smielato.
-sapete, penso proprio che questa Skeeter non sappia nemmeno come si faccia, un oroscopo- commento ripiegando il giornale.
-perché, che dice?- mi chiede Lène avvicinandosi.
-puà, sempre le solite cose, questioni irrisolte e dilemmi interiori, fortuna in amore e bla bla bla- replico –sera tranquilla, come sempre-.
Lène ridacchia.
-fortuna in amore- dice –sembra proprio che quel tipetto tutto nervi sia qui per te-.
Tipetto tutto nervi?
Alzo lo sguardo dal giornale e incrocio quello di Remus.
Lui sta guardando alle mie spalle, presumo il “tipetto tutto nervi”.
Mi volto. Mi sembra di averlo già visto.
-posso esserti d’aiuto?- chiedo con un sorriso gentile. Subito sembra tranquillizzarsi un po’.
Non è male, allampanato e con i capelli scuri.
-ciao, Emmeline, non credo tu mi conosca ma…- la voce gli manca.
Allora allargo il sorriso, cercando di metterlo a suo agio.
La sua cravatta è tassorosso.
-Alex Gray, sesto anno tassorosso- dico io annuendo –se non mi sbaglio, tu frequentavi il club dei duellanti l’anno scorso-.
Quella, era stata una pessima idea di Lily. Il club dei duellanti, intendo.
Ogni santa sera dopo il club una di noi, a rotazione, finiva in infermeria.
Nello stesso momento accadono due cose contemporaneamente.
Alex Gray arrossisce e balbetta un si appena accennato, mentre Remus Lupin si alza e poi si risiede, convulso.
Mi volto verso di lui e fatico a mantenere il viso fermo in una smorfia che non sia troppo sbalordita.
Vedo chiaramente Potter e Black trattenersi dal ridere. Anzi, per la precisione Black ride senza trattenersi.
Mi volto ancora verso Gray.
-posso aiutarti in qualche modo?- chiedo ancora. Il ragazzo ora trema visibilmente.
Sento Mary accanto a me ridacchiare.
Come non sopporto questo modo che ha di fare con i ragazzi. Come fosse una predatrice e la sua preda troppo insulsa per lei.
È un po’ come si comportava anche Marlene, prima che la faccenda del matrimonio avesse inizio. Un po’ come si comporta Sirius con le ragazze.
-ecco, volevo chiederti se…-
-sei?- chiedo ancora visto che esita.
-volevo chiederti se ti andava, per caso di…-
-Emmeline Vance, ti andrebbe di venire ad Hogsmeade con me?-.
Ecco, la voce forte e chiara. Non sembrava appartenere a Gray, mi stupisco. Anche perché il ragazzino sta ancora tremando e si fa sempre più rosso.
E perché accanto a me Mary sembra aver preso una padellata in faccia?
E perché Lène si è voltata e ha gli occhi da triglia?
E perché c’è silenzio?
Mi giro.
Ecco perché… Remus!
Non ci credo, ho perso sensibilità alla mano… quella che lui mi sta tenendo con delicatezza.
Lui è di nuovo in piedi, tutto il tavolo grifondoro ci sta guardando e la gente si accalca per avere una posizione migliore.
Morgana Benedetta!
-c…come?- chiedo frastornata.
Accanto a Remus, James sposta lo sguardo da me al suo migliore amico come se ci fossero spuntate le antenne.
-vuoi venire ad Hogsmeade? Con me?- chiede ancora, la voce sempre forte ma lievemente esitante, come se non credesse realmente di poterlo fare, davanti a tutta la sala grande.
Io mi limito a guardarlo con occhi spalancati e bocca aperta.
Poi sento le mani di Lène che mi raggiungono la mandibola, costringendomi a serrarla, e poi la testa, facendomi annuire forzatamente.
Mi scuoto via le sue mani, lanciandole un’occhiata inviperita.
-si, mi piacerebbe… molto- dico alla fine, scollandomi le parole dal palato una ad una.
Lui annuisce.
Io annuisco.
Lui annuisce di nuovo.
Ora tocca a me, vero?
Lo faccio, annuisco.
Prima che lui possa annuire di nuovo, James si alza, prende Remus per le spalle e lo tira via dalla panca.
-ragazze, ci vediamo dopo- dice scortando via Remus.
Alla fine, quando li vedo passare oltre la porta, mi riscuoto.
-ho un sorrisetto ebete, vero?- chiedo a Mary come conferma.
-puoi giurarci sorella-.
Scoppio a ridere, leggera.

 

***


Rido ancora mentre percorro il corridoio davanti all’infermeria.
Non sono mai stato tanto in infermeria come in quest’ultimo mese, penso aprendo la porta e gettando un’occhiata all’interno.
-signor Potter, lei non dovrebbe essere a lezione?- mi rimprovera un’arcigna Poppy Chips squadrandomi, vicino al letto di Lily.
In effetti, dovrei.
-ho ora buca, Poppy- rispondo tutto sicuro con un sorriso a sessantaquattro denti –Lily dorme?-.
-no, Potter, non dormo- mi risponde da dietro la figura della Chips la soave voce di Lily Evans.
Dalla sera della festa non abbiamo fatto passi avanti. Assolutamente no.
E lo dimostra il fatto che, nell’infermeria, da quando sono entrato, è calata una cappa di silenzio ed imbarazzo talmente densa che si potrebbe tagliare con il coltello.
-come… che lezioni avete avuto stamattina?- chiede lei non appena Madama Chips abbandona la stanza.
-difesa contro le arti oscure- rispondo con un sorriso, lieto che il silenzio si interrompa.
-sempre con i Patronus?- mi chiede piuttosto intimorita.
-si, adesso riusciamo ad evocarne uno corporeo in dieci- rispondo annuendo.
-Merlino, quanto sono rimasta indietro?- domanda, e riesco a vedere una traccia di smarrimento sul suo volto prima che questa venga occultata dalla solita espressione da “Lily Evans”.
-dai, Lily, sei una strega straordinaria, riuscirai a superarci tutti di nuovo!- la consolo con un sorriso.
Lei sorride in risposta, riesco a vedere che il complimento ha fatto breccia nella sua armatura –se vuoi, ti posso aiutare… quando uscirai di qui?-.
Lei sorride, lievemente.
-dopodomani, se tutto va come dice Madama Chips- risponde –e le pozioni si sono ridotte a tre, una dopo ogni pasto!-.
-splendido allora!- annuisco –appena esci ti aiuto, credo davvero che tu sia ancora troppo debole per tentare di evocare un patronus-.
-tsè, sempre il solito Potter- ribatte, ma le sue labbra sono sempre piegate in un sorriso.
Vedo il suo sguardo perdersi in lontananza, fuori dalla finestra.
Mi chiedo cosa veda, in casi come questo. Capita sempre più spesso, che si isoli nel suo mondo, da quando è tornata ad Hogwarts.
-Lily?- la chiamo mormorando appena.
Lei si volta ancora verso di me.
-si?-.
-lo sai che se vuoi parlare, io ci sono, vero?- le chiedo gentilmente. Le prendo una mano con delicatezza, cercando di non spaventarla. Mi sembra tanto un piccolo cerbiatto indifeso…
-non credo di volerne parlare, James- mi risponde, brusca. Esita, poi ritrae la mano.
Annuisco appena.
-non con me, se non vuoi- sussurro poi –ma credo che… si, credo tu ora sia ferita. Se è così, non sarà il silenzio a guarirti. Credo che il silenzio crei ferite ancora peggiori, che nemmeno l’affetto dei tuoi amici potrà più risanare-.
Non mi risponde, si limita a guardarmi negli occhi.
-io ci sono, comunque- le dico alla fine, abbassando lo sguardo –e ci sono anche gli altri: Lène, Mac, Sir. Remus e Alice, Frank e Pete, e Emm, anche se penso sia ancora intenta a raccogliere i propri, di cocci-.
Lei resta in silenzio, ma riporta la mano tra le mie.
Annuisco tra me e gliela stringo, non so se per fermare me dal baciarla o per trattenere lei dall’andarsene via e lasciarmi da solo.
-a proposito di Remus ed Emmeline, sai di quello che è successo in sala grande?- cambio discorso disinvolto come mai, con un gran sorriso, riportando gli occhi nei suoi.
C’è gratitudine, sollievo e divertimento, in quel verde così profondo.
-in sala grande?- chiede interdetta.
-non lo sai? Credo che la notizia abbia già fatto il giro della scuola- dico allora ridendo –Remus le ha chiesto, in realtà l’ha urlato in sala grande nel bel mezzo della colazione, di andare con lui ad Hogsmeade-.
Lei ride di una risata libera, gettando la testa indietro.
-ah, finalmente si è deciso!- mormora alla fine, ancora divertita –è fantastico, davvero. Perché lo ha urlato, comunque? Remus non mi sembra il tipo da serenate alla James Potter-.
Arrossisco e rido, per mascherare il nervosismo.
Sirius è stato bidonato.
Remus è stato accettato.
Io…? Ho paura solo a pensarci.
Non so se reggerei l’ennesimo rifiuto, non ora che ho rischiato di perderla del tutto.
-credo lo abbia fatto per sovrastare la voce di un tassorosso più piccolo, che stava invitando Emmeline in quel preciso istante-.
Ridacchia tra se, poi si ferma e mi guarda.
-Lène mi ha detto che va con Regulus ad Hogsmeade- sussurra alla fine.
-si, Sir non l’ha… mhm… presa molto bene- concludo diplomaticamente.
Non l’ha presa molto bene?
Si, ho usato un eufemismo.
-beh, perché?- chiede lei scrollando la testa –non capisco, va bene che Regulus è suo fratello, però… insomma, mi sembra una reazione fin troppo esagerata per…-
-a Sirius…- mi fermo, mordendomi la lingua -…a Sirius Lène sta molto a cuore-.
Lei mi guarda, e capisco che a capito quello che intendo nonostante la successiva battuta.
-non credevo avesse un cuore, Black-.
Sorrido appena.
-lo ha più grande di quanto tu possa anche solo immaginare- lo difendo con gentilezza.
So che ha capito, non importa che me lo dimostri.
Lei annuisce.
Come diavolo si fa a introdurre un discorso del genere?
Insomma, in duemila volte che glielo ho chiesto mi ha detto di no, perché questa volta dovrebbe dirmi di si?
Certo, ci siamo baciati ma, magari, il coma e tutto il resto…
-cosa hai detto?- mi chiede all’improvviso.
Mi giro, chi ha detto qualcosa?
Vedo che mi guarda.
Io ho detto qualcosa?
-come, prego?- le chiedo.
-cosa mi hai chiesto?-.
-cosa ti ho chiesto?- Merlino, devo sembrare da ricovero!
-come…? Me lo hai chiesto tu, come faccio a saperlo io?-.
È davvero esilarante, la scena.
Peccato che io mi senta un cretino.
-perché ogni volta che ci sei tu nei paraggi mi sento un idiota senza cervello?-.
Ok, questa volta l’ho detto davvero. Mi sono sentito.
Lei scioglie le labbra in un sorriso dolce.
-se non me lo sai dire tu, Potter, non so proprio cosa…-
-si, insomma, ci credo che per sei anni mi hai creduto la cosa peggiore sulla faccia della terra, mi sono comportato da cretino per ogni secondo in cui ti ho avuta vicino, anche io mi sarei preso a badilate nei denti, insomma, ma era più forte di me, non avevo il controllo della mia bocca e quello del mio cervello, perché non è normale, avere così voglia di piacere a qualcuno e avere la certezza che non le piacerai mai, e poi tu hai rifiutato mille volte e cosa mi da la certezza che questa volta tu possa dirmi che va bene, che non ti ripugno e mi potrai sopportare per due ore di fila al…-
-si, Potter-.
-per due ore di fila al villaggio che…-
Mi sento tanto come prima sicuramente si sentiva Sirius a straparlare di baldacchini e calzini e scarpe e licantropi, ma quelle due parole hanno il potere di fermarmi.
-c…come?-.
-si, Potter-.
È decisa, ha il mento alzato e gli occhi chiari puntati su di me.
Sembra una dichiarazione di guerra, un urlo di battaglia.
-si?-.
-si-.
-sicura di aver capito bene? Intendo Hogsmeade, i tre manici di porco e la testa di scopa… cioè, volevo dire le teste del manico e i tre porchi sulla scopa oppure…-.
Merlino, perché è così difficile dire due parole una dietro l’altra in sequenza giusta quando quegli occhi così verdi mi guardano.
-mi stai dando dell’idiota, Jamie?- mi chiede, lo sguardo beffardo. Il mio nome sulla sua lingua è molto musicale, devo dire.
Rispondo prima di pensare alle parole…
…tutto nella norma, insomma.
-beh, tanto a posto non devi essere se accetti di uscire con me-.
 


NOTE:

Eccomi a tempo di record con un altro capitolo (in realtà era già mezzo pronto, e anche quello dopo è già iniziato!).
Direi che non ho nulla da dire, spero che vi piaccia e che recensiate questo capitolo!!!
Buona lettura,
Hir


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Capitolo 24
*** Il mio vero problema sono i Black (Lène McKinnon)- parte 2 ***


LILY
JAMES
LéNE
SIRIUS
MARY
ALICE
EMMELINE
FRANK
REMUS
PETER
RABASTAN
REGULUS




HOGWARTS, 6 DICEMBRE 1977
 
Sono davanti allo specchio da tre ore.
Mi passo le mani tra i capelli, velocemente, poi sulle guance, perfettamente rasate.
La maglietta verde scuro è coperta da un dolcevita beige, i pantaloni fasciano perfettamente la mia figura.
Prendo la sciarpa di serpeverde, la indosso e mi metto il mantello.
Sono perfetto, ufficialmente.
Lestrange esce dal bagno avvolto in un asciugamano, si ferma e mi guarda.
-tutto questo per una babbanofila?- mi chiede beffardo scrollandosi l’acqua dai capelli ancora umidi –non ti starai calando troppo nella parte, Black?-.
Scrollo le spalle, prendo la bacchetta dal comodino e mi avvio alla porta.
-non è una recita, Lestrange- replico prima di uscire –mancano poco più di due settimane, è ora che io inizi a fare sul serio-.
Non mi importa quello che ha da dire quel cretino, esco a passi veloci dai dormitori per ritrovarmi in sala comune. Bellatrix, seduta su una poltrona, sta leggendo un libro.
-porgi i miei saluti alla tua dama, Reg- mi dice alzano lo sguardo malizioso e folle dalle pagine tra le sue mani.
Lei è l’unica che non mi prende in giro, per tutto questo.
Non credevo la avrei mai detto ma, quali che siano le motivazioni che la spingono a tenere i suoi commenti acidi per se, credo di dovere molto, a mia cugina, in questo momento.
-si, Bella, lo farò quando vorrò il divorzio ancora prima dell’annuncio del matrimonio- le rispondo passandole accanto.

 

***


È arrivata, alla fine, questa maledetta alba!
Sono tre ore che sto davanti allo specchio, rigirandomi in continuazione, sciogliendomi i capelli sulle spalle e poi raccogliendoli di nuovo, passandomi sulle labbra una piccola traccia di rosato.
-Lène, quell’accostamento va benissimo- mi dice Mary rigirandosi sul suo letto –sei uno splendore, adesso spegni la luce del bagno-.
Rido, nervosa.
-ma tu quando hai appuntamento con Paul?- le chiedo ovviamente senza spegnere la luce e afferrando una fascia azzurra dal mobiletto del bagno.
-tra tanto, tanto tempo- mormora lei assonnata –sai com’è, al mio ragazzo piace dormire-.
Sorrido, senza rispondere.
Se me lo avessero detto un anno fa, che Mary McDonald avrebbe avuto un ragazzo fisso e io avrei accettato un matrimonio combinato, probabilmente mi sarebbe preso un colpo.
Il sorriso si piega in una smorfia amara e insicura.
Chiunque abbia deciso lo svolgersi degli eventi, avrebbe potuto restare zitto ancora per un po’. Non avrebbe fatto male a nessuno, mi dico.
Intreccio i capelli alla fascia e annodo la stoffa sul fondo della treccia.
Mi guardo, o meglio guardo la ragazza che risponde al mio sorriso stanco dalla superficie dello specchio.
I capelli intrecciati su una spalla, il maglioncino a collo alto lilla e i jeans rattoppati, le scarpe da ginnastica un po’ lise.
Se Walburga Black mi vedesse adesso, si metterebbe le mani nei capelli.
Nell’armadio afferro il mio mantello verde bottiglia.

 

***


-James, svegliati- gli dico ad un certo punto saltando sul suo letto.
Sono in piedi da due ore e mezza, prima ero sdraiato ma ero comunque sveglio.
In effetti non saprei dire quanto ho dormito, ma posso affermare con sicurezza non più di due ore in tutta la notte.
Adesso però, dopo due ore passate a guardare quei quattro bastardi con cui condivido la stanza, ho deciso che non è assolutamente giusto che loro dormano, se io sto sveglio a misurare camera nostra a grandi passi.
-James, svegliati- lo scuoto ancora, e lui mi rispondo con un sorriso ebete e assonnato.
-che c’è, amore mio?- mi chiede.
Rido, cacciandolo giù dal letto con una manata.
-mi dispiace ma non sei il mio tipo- lo prendo in giro –giù dal letto, adesso-.
James si alza a sedere e si guarda attorno.
-un attimo. Perché mi hai svegliato?- domanda.
-non riuscivo a dormire- replico amabilmente.
-ed è un problema mio perché…?-.
-perché sei il mio migliore amico e certe cose me le devi- gli dico alzandomi dal suo letto e guardando Remus.
L’altro, buono!
Lo guardo dormire arricciando il naso e scalciando leggermente.
Nessuno si può immaginare che quello che al di fuori da quella porta è il perfetto e gentilissimo prefetto Remus J. Lupin in realtà è un casinista anche mentre dorme.
Lo osservo per bene, i piedi fuori dalla coperta, il piumone tutto arrotolato sulla pancia, il cuscino a terra e la testa sporta oltre il bordo del letto.
Ma dico, sono io quello che fa casino poi?
Sorrido tra me, prendo una delle sue preziose piume e mi sporgo verso il suo piede destro.

 

***


-Sssiirriusssss!- ascolto l’urlo di Rem con un ghigno, poi mi guardo allo specchio.
Io e Lily ci vedremo a colazione e poi andremo insieme ad Hogsmeade.
Cioè, io e Lily, capite?
James Potter e Lily Evans. I nostri nomi sembrano fatti per combaciare e…
-hai finito di ammirarti, signor James sono-il-più-figo Potter?- mi chiede dalla porta un Remus piuttosto alterato, forse per il modo con cui è stato buttato giù dal letto –puoi lasciare anche a noi poveri mortali l’onore del bagno?-.
Se non avessi un minimo di pietà per Remus gli riderei in faccia.
Fa morire dal ridere, il nostro caro Remus J. Lupin.
-a che ora hai appuntamento con Emmeline?- gli chiedo uscendo dal bagno –dove è Sirius?-.
-io non ho scheletri nell’armadio, solo corpi vivi- mi dice puntando il dito verso il suo guardaroba –alle dieci, dopo colazione-.
Annuisco e mi dirigo all’armadio.
Sirius mi guarda nella penombra del mobile con sguardo assassino, intrappolato in un petrificus eseguito veramente bene.
-te lo sei meritato, Paddy-.

 

***


Ho fatto colazione in fretta e furia, tanto ho lo stomaco talmente annodato che non ho ingoiato che qualche sorso di succo di zucca, poi mi sono diretta nell’atrio del castello.
Regulus, bello e vestito di tutto punto, mi ha fatto un cenno e, quando mi sono avvicinata, ha replicato il baciamano dell’altro giorno con un’eleganza impossibile da imitare.
Tuttavia non distratta come quella di Sirius, che a me pare più naturale.
Adesso siamo qui, nell’atrio, che ci guardiamo con a mala pena il coraggio di fissarci l’un l’atro negli occhi, immobili, e ho come la sensazione di avere attaccate al corpo cose inutili. Come le braccia. O le gambe, che adesso sono di burro.
-andiamo?- mi chiede dopo qualche secondo, la mia mano ancora nella sua, tiepida e tremante.
Annuisco, e mi appiccico in faccia uno di quei sorrisi di circostanza che tanto piacciono ai miei genitori.
Lui deve capire come mi sento, perché all’improvviso mi prende a braccetto.
-sai, credo che il contatto possa farti sentire a tuo agio, in questo caso- mi sussurra vicino all’orecchio –non sei sola-.
È incredibile come queste parole abbiano il potere di sciogliermi, di allentare la tensione. Non tremo più, il mio sorriso diventa più spontaneo ed insieme ci avviamo all’ingresso.
La strada per andare ad Hogsmeade è appena appena spruzzata di neve, deve essere nevicato stanotte ma, troppo impegnata a rigirarmi nel letto, non l’ho notato.
Il silenzio cala su me e Regulus come una cappa, ma per quanto sia imbarazzante devo dire che preferisco questo alle parole.
Insomma, che si dice al tuo futuro marito?
Non mi ero mai trovata in una situazione del genere, devo dire.
Non pensavo che mi ci sarei mai trovata, fino a tre mesi fa.
-come vanno le lezioni?- chiedo alla fine, quando siamo quasi a metà strada tra il castello e il villaggio.
-come al solito- risponde lui scrollando le spalle –trasfigurazione è quella che mi mette più in difficoltà-.
Trasfigurazione.
Io sono in coppia con Minus, il che è tutto dire.
Annuisco e lascio cadere il discorso.
Poi da dietro sento qualcosa, un fruscio, un ringhio.
Con una pressione leggera della mano sul braccio di Regulus mi fermo e lo fermo. Lui mi guarda interdetto, forse si chiede se ha fatto qualcosa di male.
Mi giro e mi guardo alle spalle, non so cosa mi aspetto di trovarci.
Comunque non quello che vedo.
-Hagrid ha un nuovo cane?- chiedo verso Regulus girandomi completamente. Il castello si scorge in lontananza, il sentiero sterrato coperto qua e la da chiazze di neve decora la visuale come un merletto.
E a due metri da me c’è un cane grosso quasi come un orso, col pelo ispido e nero.
Mi farebbe quasi paura se non amassi i cani.
E se questo non scodinzolasse e non mi guardasse con quegli occhioni teneri.
Grigi.

***


Riempio il mio bicchiere di succo di zucca e lo svuoto, velocemente, bevendo alla goccia.
Lo riempio di nuovo, lo svuoto di nuovo.
Remus, puntando lo sguardo su di me, addenta il suo panino –James, primo, quello non è alcolico, quindi non ti ubriacherai nemmeno se te ne scolerai trenta, di bicchieri. Secondo, vuoi correre in bagno ogni tre per due al tuo appuntamento con Lily a causa di problemi alla vescica?-.
Allontano il bicchiere da me e gli soffio come un gatto.
Niente deve rovinare il mio appuntamento con Lily Evans.
Neanche io.
Soprattutto, non io.
Lily mi ammazzerebbe, ne sono sicuro.
-ehilà, biondi!- ci saluta un’entusiasta Mary McDonald sedendosi accanto a me. Dietro di lei, Emmeline ci sorride timida, soffermandosi di più su Remus, che rischia di strozzarsi con il pane. Mary si sporge verso di lui e gli batte una mano sulla spalla, comprensiva.
-tu con chi vai ad Hogsmeade, Mac?- gli chiedo nervoso. Vicino ad Emm c’è Lily, e anche se non mi sono strozzato per dimostrarlo, ho i nervi a fior di pelle.
-con Paul- mi risponde scrollando le spalle.
Annuisco. Sta insieme a Paul da parecchio, ormai. Strano.
-Sirius dove è?- chiede poi imburrando il suo pane.
Bella domanda, Sirius dov’è?
Vedo che Remus, di ritorno dal regno dei morti e ben lontano da ogni tipo di pane, così che possa godersi senza problemi il suo appuntamento, mi chiede con lo sguardo la stessa cosa.
-non farà niente di stupido, vero James?- Lily me lo chiede con un pericoloso luccichio negli occhi.
Vero?
-Lily, è di Sirius che stiamo parlando. Ha mai fatto qualcosa di furbo, in vita sua?-.

 

***


-non che io sappia- mi risponde Regulus prendendomi la mano e tirandomi gentilmente verso il villaggio.
Io non mi schiodo, i piedi puntati a terra e lo sguardo puntato sul cagnolone.
-e allora che ci fa qui un cagnone così?- gli chiedo.
-dai, andiamo, potrebbe essere pericoloso- mi dice indicando il villaggio.
Ok, quando vedo un cane vado in brodo di giuggiole.
Ma non me li sto immaginando, gli occhi dolci e familiari di questo cane.
-ma no, Reg, non vedi che scodinzola?- gli chiedo con ancora indicandogli la coda del cane.
Detto questo mi avvicino, attenta.
Porgo una mano e, attenta, mi avvicino al cane.
Rido quando una lappata mi raggiunge le dita tese, il cane si alza e mi si avvicina.
-vedi, non è pericoloso- dico in direzione del mio accompagnatore.
Lui mi guarda, con sguardo curioso, poi si apre in un sorriso.
-sei buffa- mi dice a sorpresa.
Gli rivolgo un’occhiata fintamente offesa.
-non è una cosa carina da dire alla ragazza con cui esci- lo riprendo.
- e bellissima- si corregge allora in tono divertito –buffa e bellissima-.
Rido.
-così va meglio, si- annuisco alla fine facendo i grattini in mezzo alle orecchie del cane.
-adesso possiamo andare?- mi chiede condiscendete Regulus, facendo un cenno al villaggio.
Annuisco ancora e mi volto verso di lui, dandogli la mano.
-puzzi di cane, Marlene- esclama lui.
Io mi ritrovo a ridere, inconsapevolmente.
Puzza di cane, Black.
Mi rivolgevo al mantello, quella sera al campo di quidditch.
Mi volto un attimino verso il cane, mentre iniziamo a camminare.
-guarda che carino, ci segue- dico a Regulus, indicandolo.
-lo sai, il simbolo dei Black è un cane- mi dice in risposta, meditabondo.
-davvero? Se credessi nella divinazione direi quasi che mi sembra un buon aus…-.
Quasi urlo quando, all’improvviso, una zaffata di neve gelida mi raggiunge il mantello e si infila nel colletto.
Mi volto, un po’ scandalizzata.
È stato il cane?
Sembra avere lo sguardo colpevole.
Ok, sono da ricoverare. Quando mai un cane sembra colpevole?
In risposta mi stacco da Regulus e, afferrata una manciata di neve, la tiro al cane.
-Marlene, ora che stai facendo?- mi chiede il mio accompagnatore e, se lo guardassi in viso, sono certa che lo vedrei alzare gli occhi al cielo.
-ha iniziato lui per primo!- esclamo sdegnata.
 
Situazione attuale: io per terra piena di neve e bagnata fino al midollo. Un cane che ha sul muso un pezzo di neve solida e il pelo fradicio. Un fidanzato quasi ufficiale che mi guarda con un sopracciglio inarcato dall’alto.
-ecco cos’è!- esclamo alla fine cercando di rabbonire Regulus.
Lui mi guarda e, se le sue sopracciglia si potessero alzare ancora un po’, andrebbero a formare l’attaccatura dei capelli.
-cosa, di grazia?- mi chiede.
-avete gli stessi occhi!- dico indicando il cane e il ragazzo a più riprese.
Ecco cosa avevano di famigliare quegli occhi.
Sono uguali a quelli di Sirius.
Scusatemi, di Regulus.
Scuoto la testa, è una partita persa in partenza.
Regulus si addolcisce un po’, mi porge la mano e mi aiuta ad alzarmi.
Siamo talmente vicini che credo, anzi so con certezza, di poter contare tutte le pagliuzze ghiaccio che ha negli occhi.
Sorrido.
-lo sai, hai le ciglia tutte gelate- mormoro con un sorriso.
Sono talmente vicina che riesco a sentire il suo respiro, caldo, sui miei zigomi.
Si avvicina ancora di più.
-anche tu- sussurra alla fine, a fior di labbra, mentre le nostre bocche si incontrano.
Il tocco è esitante, come se nemmeno lui sapesse cosa sta facendo. Poi, piano piano, sempre più deciso.
Ricordo il nostro unico altro bacio, quella sera in cui Walburga è venuta fino ad Hogwarts per farmi spostare dal mio dormitorio. Ricordo l’altro bacio, quella sera. Violento, più una guerra che un gesto d’affetto.
Ricordo le mie lacrime, e le sue labbra.
Non le sue, le sue.
Ricordo tutte quelle sensazioni, quando mi sono chiesta se un semplice bacio potesse farmi provare cose del genere.
Ma è un attimo, poi succede qualcosa di impensato.
Ci siamo dimenticati che non siamo soli.
In meno di mezzo secondo Regulus è a terra, e sopra ha almeno almeno cinquanta chili di cane nero e piuttosto rabbioso.
In realtà, pare furioso dal modo in cui ulula nelle orecchie di Regulus, che lo guarda stranito.
Io sono ancora sbalordita, dal bacio.
Non da questo, bacio.
E mi do della cretina, perché nessuno di normale potrebbe mai pensare alsuo bacio in quest’occasione.
Regulus mi guarda congelato a terra.
Ok, devo fare qualcosa. Non posso starmene impalata come una scema.
-beh- è tutto quello che riesco a dire –forse vuole salvaguardare la mia virtù-.
 

***


Regulus dovrebbe ringraziare Merlino che non lo abbia azzannato alla gola, altrochè.
Il solo vedere le sue mani in quelle di Marlene, le sue labbra su quelle di lei...
Fin dove può arrivare la sopportazione umana?
Per poco non ci sono rimasto secco, quando Lène ha detto che gli occhi del cane sono uguali a quelli di Regulus.
Uguali a quelli di Regulus?
Uguali ai miei! Il cane ha i miei occhi. I miei, non quelli di Regulus.
E Lène, avrebbe dovuto collegarli a me, non a quella sottospecie di fratello che mi ritrovo.
E il bacio?
Merlino, sembravano due fratelli. Io e Marlene, quando ci siamo baciati, eravamo molto più belli.
E no, non sono geloso.
Non ho minimamente immaginato di potermi trovare al posto di Regulus.
Non ho minimamente pensato ai due baci che ci siamo scambiati io e Marlene.
Più dichiarazioni di guerra, in realtà, che baci veri e propri.
Dichiarazioni di guerra capaci di mandarti il cervello in pappa, se proprio volete saperlo.
Non è come sembra, non ci sto pensando!
Siamo ad Hogsmeade, e ci stiamo divertendo.
Penso a quanto è bella Lène vestita così. È così diversa da Regulus, cosa può mai trovarci, in lui?
Penso a quanto è solare mentre giochiamo a palle di neve, io e lei, mentre Regulus guarda la sua futura moglie e un cane giocare e divertirsi.
So a cosa sta pensando…
Un Black non si abbassa a rotolarsi nella neve.
E per questo non si diverte, ora, mentre io mi avvicino a Lène talmente tanto da poterle sfregare il muso bagnato sulla guancia.
Penso a quanto è bella Lène mentre ride, e a quanto mi scoccia che a farla ridere siano le battute di Regulus.
Eddai, quella ti sembra una battuta?
Fratellino, ti credevo più bravo, mi dico. Da me non hai preso proprio niente.
No, non sono geloso, non sono minimamente…
…ehi tu! Giù quella mano! Lasciale la mano o te la stacco!
Ops, avevo le zampe sporche di fango quando gli sono andato addosso.
Come mi dispiace.
Questo è il migliore appuntamento di tutta la mia vita, gente.

 
***

Checché ne dicano gli altri, credo di aver segnato un nuovo record, oggi.
L’appuntamento andato peggio nella storia di Hogsmeade e Hogwarts, non c’è che dire.
Che poi, non è che io non mi sia divertita, penso mentre salgo le scale della torre di astronomia.
Ma credo che Regulus lo avesse pensato diversamente, il nostro appuntamento.
Regulus.
Poteva andare meglio, mi dico.
Lui, al momento di lasciarmi, è scoppiato a ridere e ha detto che poteva andare peggio.
Non credo, no.
Mi trascino fino al punto più alto della torre con tanto di sacchetti e mantello ancora allacciato, non sono passata in dormitorio a lasciare nulla perché so che, se faccio l’errore di mettere piede in sala grande, dovrò spiegare tutta la mia giornata per filo e per segno a quattro ragazze che muoiono dalla voglia di raccontarmi anche la loro, di giornata.
Eppure, adesso, voglio solo stare sola, e riflettere.
Riflettere su quel Serpeverde che sta tornando, nella mia mente, ad indossare i panni di quel bambino di sei anni che io e suo fratello ci ostinavamo a proteggere.
Riflettere anche su quel fratello, che non ne vuole sapere di lasciarmi andare un attimo, nella mia mente.
Mi appoggio con la schiena ad una merlatura, sospirando.
Voglio piangere.
Voglio disperatamente piangere, ed è buffo che io lo faccia adesso, dopo quanto abbiamo passato nell’ultimo mese.
C’è chi dice che piangere sia indispensabile, altrimenti diventi pazza. Credo dica la verità.
Ho sempre creduto di poter affogare i miei dispiaceri in quelli degli altri, ascoltandoli, consolandoli. Non ho mai rimpianto il fatto di non avere nessuno a consolare me.
Mary ci ha provato, e l’ho scacciata.
Lily ci ha provato, e le ho aperto solo uno spiraglio, una notte di troppo tempo fa.
Ma piangere adesso non ha nessuna utilità.
-è andata così male?-.
La voce di James Potter mi raggiunge prima di lui, e quando si siede accanto a me è passato ormai qualche secondo.
-dipende dai punti di vista- gli rispondo guardandolo. Ha un sorriso e una luce, negli occhi, che nemmeno la notte riesce a spegnere –è andata così bene?-.
Sorride ancora di più, sembra volare a mille miglia da qua solo con lo sguardo.
-da tutti i punti di vista- mi risponde prendendomi la mano.
Ridacchio, ed eccole, le lacrime.
Com’è stupido, non è vero, che per mesi non piangi nemmeno se la tua migliore amica rischia di morire e poi, basta solo un sorriso di tuo cugino, una notte stellata, un appuntamento che secondo me è andato male, una tristezza in fondo al cuore, ed eccole lì, le lacrime traditrici.
Basta un bacio paragonato ad un altro.
Basta contemplare una vita di infelicità, perché così sarà la mia, se davvero non mi opporrò a tutto questo.
-vuoi parlarne?- mi chiede gentilmente, massaggiandomi la mano con i polpastrelli.
Io e mio cugino non siamo mai stati troppo legati.
-non lo so- gli rispondo sinceramente, scuotendo la testa e lasciando che le lacrime scendano in silenzio.
-allora posso parlare io?- mi chiede con un sorriso, circondandomi le spalle con un braccio.
-cosa mi racconti?- domando sorridendo appena –com’è andata con Lily?-.
-questo dopo- mi dice ridacchiando –lasciami crogiolare ancora un po’ nella felicità che per una volta va tutto per il verso giusto. Voglio raccontarti una storia-.
Una storia?
-una storia?-.
-si, una storia- annuisce lui.
-c’era una volta?- chiedo.
-oh, si, c’era una volta ma c’è ancora- mi dice. Appoggio la testa sulla sua spalla.
Con un dito mi indica il cielo.
-quella è Sirio- mormora –la stella più luminosa del cielo notturno-.
Annuisco, facendomi seria. Sirius.
-faccio anche io astronomia, James- mormoro.
-vero- annuisce –lo sai, che Sirio sarebbe capace, in una notte senza luna e senza i pianeti più luminosi, di proiettare a terra un’ombra leggerissima degli oggetti?-.
-questa mi mancava- ridacchio –devo essermela persa-.
Annuisce, poi sorride a sua volta.
-è la storia di Sirio, che volevi raccontarmi?- chiedo alla fine, dopo qualche attimo di silenzio.
-è la storia di Sirius, che volevo raccontarti- mi dice scrollando la testa –e di quello che gli è costato scegliere ciò che ha scelto-.
Rimango ferma, immobile.
-guarda quella, invece, di stella- mormora alla fine, puntandone un'altra –è una stella particolare, più facilmente individuabile nei mesi tra dicembre e giugno-.
-Regolo, del Leone, è la stella più brillante di quella costellazione-.
Annuisce.
-due Natali fa, in quella famiglia composta da stelle se ne è quasi spenta una- mi dice, piano –è… caduta. È stata cacciata-.
Già, cacciata.
-due anni fa, la mattina di Natale, ho sentito suonare il campanello. Sirius era li fuori, aveva freddo, fame e sonno. La sera prima se ne era andato da casa sua-.
Annuisco.
Io l’ho saputo il giorno stesso, mia madre ha anche litigato con Walburga per questo.
È una cosa terribile, le ha detto, che una madre rifiuti il proprio figlio.
-da allora, durante le feste e le vacanze, ha vissuto a casa mia-.
Singhiozzo, passandomi una mano su una guancia bagnata.
-mi stai per caso avvisando su quello che mi potrebbe succedere se decidessi di non prestarmi ai piani della mia famiglia? Mi stai dicendo che mi butterebbero fuori di casa?-.
-ti sto dicendo che ci sarebbe sempre qualcuno ad accoglierti- mi sussurra nell’orecchio.
È la prima vera conversazione che ho con mio cugino.
Restiamo in silenzio per un po’.
-perché è andata male, comunque?- mi chiede alla fine.
Ridacchio.
-oh, io mi sono divertita- ammetto con un sorriso bagnato ancora dalle tracce delle lacrime precedenti –molto, in realtà. Regulus credo un po’ meno-.
Mi guarda interdetto.
-beh, non siamo stati un minuto da soli- rivelo.
-i suoi amici?- chiede scrollando il capo.
-un cane- mormoro.
Lui alza la testa.
-un cane?- chiede. Nel suo volto non c’è stupore… pare piuttosto rassegnato.
-nero, grosso- annuisco io fissando le due stelle che prima mi ha mostrato James.
-capisco- dice lui –che cosa ha fatto?-.
Rido, ricordandomi la giornata.
-in ordine? Ha buttato per terra Regulus, gli ha versato addosso una tazza di cioccolata calda, gli è saltato addosso tutto inzaccherato di fango e alla fine lo ha pure morso. Più che da un appuntamento, il povero Black sembrava reduce da una guerra. Ma basta parlare di me. Adesso mi racconti cos’è successo con Lily?-.
James boccheggia, forse stupito dal cambio di tono e di argomento.
Poi inizia a raccontare.



NOTE:
spero che vi divertiate leggendo questo capitolo quanto io mi sono divertita scrivendolo.
Non so perchè, ma quando pensavo ad un appuntamento tra Lène e Regulus mi compariva in mente l'immagine di loro due più Felpato seduti ad un tavolo da Madama Piediburro, con tanto di angioletto e pioggia di coriandoli.
Nel prossimo capitolo, il benedetto primo appuntamento di James Potter e Lily Evans... e quello di Emmeline e Remus.
Grazie mille a chi recensisce, un bacione a tutti!
Buona lettura, Hir!

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Capitolo 25
*** quel giorno in cui James Potter uscì con Lily Evans! ***



LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
REMUS
PETER
FRANK
ALICE
EMMELINE
MARY
REGULUS
RABASTAN




Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la mia libertà bastano le tue ali
(P.Neruda)

 
-mhm… pmhph…cosa…?- borbotto contro Gazza che cerca di infilarmi il sensore ovunque riesca ad arrivare.
-James, hai finito?- mi chiede Lily girandosi dopo aver salutato Emm e Remus, che ci precedono sulla strada per Hogsmeade. È ovvio che ci precedono, colpa di Gazza e di quel cazzo di sensore che…
-no, lì no- esclamo sdegnato –perché ce l’ha sempre più con me che con gli altri?-.
-perché sei James Potter, mi sembra logico- mi risponde Lily ridendo di gusto quando Gazza ci fa segno di andare. Io sono ancora offeso per il trattamento che il custode mi ha riservato, ma sentire ridere Lily mi calma un pochetto.
Certo, mi piacerebbe che ridesse con me, non di me.
-guarda!- esclama non appena usciamo nell’aria decisamente fredda che caratterizza le mattine di Hogwarts.
-cosa?- chiedo stranito guardandomi attorno.
-è nevicato- dice allora indicando le chiazze di neve che qua e là contornano il panorama.
È vero, è nevicato. Non ho mai amato particolarmente la neve, ma mi dico che mi sarebbe bastato guardarla attraverso gli occhi di Lily Evans per poterla amare già anni fa. È così buffa, con quel cappellino viola che fa a pugni con il colore dei suoi capelli, e così bella con quelle gote e la punta del naso arrossata.
Ridacchio mentre la guardo. Lei mi guarda.
-piace anche a te la neve?- mi chiede.
Fino ad ora non particolarmente, no.
-è… bagnata. E fredda. E brucia, se la tieni in mano per un po’- cerco di mediare storcendo il naso. Lei sorride.
-però è bella- conclude testarda.
Rido, divertito dalla sua caparbietà.
Si, è bella.
E adesso che cosa dico?
Non il silenzio, ti prego, quello no. Merlino solo sa che se resto in silenzio sembro un deficiente, con gli occhi da triglia e l’espressione vacua.
-mia madre ti saluta- dico allora.
Sono un genio.
Ho veramente parlato di mia madre alla ragazza che da sei anni è il centro dei miei pensieri?
Peccato non ci sia uno spigolo nei dintorni, ci sbatterei la testa a sangue se solo potessi.
Aspetta, forse, quella pietra lì…
-davvero?- mi chiede Lily interessata, con un sorriso sul volto –hai una madre splendida, James. È sempre così gentile, in ospedale mi ha portato un libro di pozioni, sai? Ha detto di aver sentito dire che sono una pozionista piuttosto abile e…-
Si, lo ha sentito. Da me.
Ridacchio mettendo a fuoco le prime parole di Lily.
-certo, mia madre è gentile fino a che non entra in camera mia. O in quella di Sirius- aggiungo ridendo –farebbe invidia ad una banshee, in quel momento-.
Una gomitata mi raggiunge alle coste.
-ci credo, povera donna, dover vivere con due Potter e un Black in casa farebbe uscire dal seminato anche Merlino in persona!-.
Lily è così infuocata, nelle sue repliche, che mi dico che ascoltarla parlare infiammerebbe anche gli animi più quieti. Eppure è facile parlare con lei. Dopo le prime pause di imbarazzo sciogliersi è facile.
Potrei anche abituarmici, al suo sorriso e alle sue occhiatine misto timide-malandrine.
Rido e inizio a raccontare.
-si, certo. Credimi, qui i santi siamo io, papi e Sir. Tu non c’eri quando si è messa in testa di cucinare-.

 

***


-perché, scusa, tua madre non cucina?- chiedo un po’ stupita.
Lui mi guarda con tanto d’occhi.
-scherzi? Se mai dovesse spedirti una torta, dammi retta, buttala e dille che era buonissima- mi dice allora ridendo.
Io gli do un’altra gomitata.
-no, dico davvero!- esclama scherzando –è che ogni tanto ha uno dei suoi lampi di genio, si appassiona a qualcosa e tenta di fare tutto quello che le passa per la testa. C’è stata la volta della cucina, papà è finito al San Mungo per intossicazione alimentare; poi la volta del giardinaggio, aveva deciso di addomesticare un tralcio di tranello del diavolo e…-
-tranello del diavolo?-.
-si, ha quasi cercato di strozzarla, poi-.
Rido a crepapelle immaginandomi la scena.
-poi, vediamo… che altro.. ah, si! Una volta si è messa in testa, due estati fa, la prima che Sirius ha passato con noi, di ridipingere tutta casa nostra, ogni stanza di un colore diverso. Ovviamente ha schiavizzato me e Sir, ed è finita che alla fine io ero completamente blu con la testa arancione e Sirius correva per la casa con dietro la mamma che cercava di fargli il naso verde-.
Mi ci vogliono interi minuti per calmare l’eccesso di risate.
-poi c’è stata la volta in cui ha deciso che, escluso al lavoro, non si sarebbe più usata la magia per una settimana. Voleva provare a fare come fanno i babbani, diceva-.
-no, ti prego, dimmi che l’hai fermata!- gli dico interrompendolo –non che io abbia poca fiducia in tua madre, s’intende, ma ho visto più che in abbondanza voi purosangue cercare di usare un aggeggio babbano e, credimi, è meglio se continuate con la magia-.
Annuisce, ridendo.
-si, abbiamo fuso quel teletisore…-
-televisore- lo correggo.
-si, quello, e la puzza di bruciato in salotto non se n’è andata per due mesi- racconta con un sorriso.
Sorrido anche io, e senza accorgermene gli metto un braccio attorno alla vita e appoggio la testa alla sua spalla. O almeno, quella è l’intenzione, io non ci arrivo alla sua spalla, lui è troppo alto.
-lo sai, vi invidio- mormoro alla fine.
Sono così a mio agio, in questo momento, che proprio non vorrei essere altrove.
E se penso che è James Potter la persona a cui sono mezzo abbracciata, quasi mi viene da ridere.
-perché?- mi chiede spostando il braccio dalla vita alla spalla, forse per trattenermi meglio quando rischio di cadere oltre una pozzanghera.
-io e i miei ci vediamo poco- rivelo –e non siamo più così legati. Cioè, mia sorella è sempre a casa, per lei mamma è mamma e papà è papà. Io non li vedo che tre mesi l’anno, quando torno a casa anche per le feste, ed è già tanto. Poi, credo che ai miei dia un po’ fastidio la magia e …-
-fastidio?- chiede interdetto.
-si, cioè, non proprio. Più che fastidio, credo non si sentano a loro agio. È una cosa che non riesco completamente a capire, perché la magia fa parte di me, ma loro non mi hanno mai visto qui. Per loro sono sempre la stessa Lily che c’era da andare a prendere a danza alle cinque e mezza, che preferiva il latte condensato, insomma, sempre io. O meglio, loro lo vorrebbero, ma non riescono più a vederla, quella Lily. E invece lei è sempre qui, io sono sempre qui, solo che adesso posso chiamare dalla dispensa il latte condensato con un incantesimo di appello invece che dovermi alzare, per andare a prenderlo…-.
Mi rendo conto di quello che sto facendo, mi blocco e scuoto le spalle.
-…scusami, non sono problemi tuoi, questi- mormoro in tono dispiaciuto.
-ma sono tuoi, e mi interessano- mi risponde a sorpresa, con un sorriso calmo.
Mi accorgo che è maturo. James Potter, in questo momento, è maturo.
Sono io che mi sono ostinata a vederlo stupido e bambino per tutto questo tempo.
Non è stupido, un ragazzo che a diciassette anni vuole di tanto in tanto divertirsi facendo qualche scherzo. È solo un ragazzo di diciassette anni normale.
Annuisco, con un sorriso soddisfatto.
Averlo capito mi tranquillizza, anche se non so ancora come fare, come risolvere questo enorme punto di domanda che è James Potter.
-quando tornerai a casa per Natale potresti cercare di…-
-non tornerò a casa per Natale- rispondo velocemente. Non ho risposto al gufo che Petunia mi ha spedito a settembre, ma ho comunque intenzione di restare a Hogwarts. Già mia sorella mi odia, perché peggiorare le cose? non mi costa molto, rimandare le visite a casa mia, in fondo.
-capisco- mi dice. Non approfondisce, e penso che non gli sarò mai grata abbastanza, per questo. Non ho voglia di parlare di Tunia –dove andiamo di bello? Mielandia?-.
Annuisco, sorridente.
-devo comprare i regali alle altre e anche a voi- elenco dettagliata –anche se il tuo dovrò prenderlo in qualche altro modo, sennò lo vedrai-.
Mi guarda un attimo, stupito.
-io il tuo l’ho da parte da mesi, ormai- mi dice a sorpresa, e per sorprendermi lo fa davvero.
Arrossisco fino a raggiungere un rosso più intenso di quello dei miei capelli.
Tuttavia non riesco a non sorridere in risposta.
-ti volevo chiedere, sai cosa potrebbe piacere a Minus?- cambio discorso prima che le mie ginocchia cedano per il modo in cui mi sta guardando –è l’unico che mi manca, nella lista-.
-topoghiacci, lui li adora- mi risponde con un sorriso –o, in alternativa, gli piacciono i fuochi con innesto ad acqua, ma la varietà che fa i versi degli animali. Sai, non sopporta il rumore dei botti, quindi quella qualità lì per lui è preferibile-.
-perfetto, adesso ci siete tutti- ridacchio alla fine appuntandomi mentalmente le frasi di James.

 

***


-cosa mi regalerai?- chiedo curioso mentre ci dirigiamo a Mielandia.
Sono felice come un uovo di pasqua, come dicono i babbani.
Insomma, vi rendete conto che Lily Evans mi farà il regalo di Natale? Fino all’anno scorso mandava il gufo di famiglia indietro con il solito striminzito (ma bellissimo) bigliettino con su scritto “grazie mille Potter. Buon natale”.
Li ho conservati tutti, da quello del secondo anno a quello del sesto.
-no, caro, sarà una sorpresa- mi dice storcendo il naso, un sorriso luminoso sul volto.
-nemmeno un indizio, piccolo piccolissimo?- chiedo pregandola con gli occhi lucidi.
-no, nemmeno un indizio- mi dice –e ti ho già detto che i tuoi occhioni da cerbiatto su me non hanno effetto-.
Vero, me lo ha ripetuto alla nausea, in realtà.
-beh, tentar non nuoce- dico passando da uno scaffale all’altro –ti va una piuma?-.
So che adora le piume di zucchero. Dopo sei anni a fissarla dall’ultima fila so bene cosa le piace.
Infatti le si illuminano gli occhi.
-perché no?- chiede –e tu, a regali, come stai messo?-.
-non mi lamento, ho trovato anche quello per Sir- dico con un sorrisone –o meglio, lo ha trovato papà nella Londra babbana, ma solo perché io sono a scuola in questo periodo-.
Annuisce mentre le porgo la sua piuma, che insisto a pagare.
Leggermente imbronciata per il fatto, desiste non appena le passo la piuma sotto il naso.
-uff, non è giusto, sai come comprarmi- esclama sdegnata indicando ScrivenShaft –entriamo lì, ti dispiace?-.
La seguo, infilandomi con lei nel calore del negozio.
Poi andiamo da MondoMago,  Stratchy&Sons e Zonko.
Alla fine, sfiniti, ci rintaniamo ai Tre Manici di Scopa a prendere una burrobirra.
La raggiungo con la bevanda calda in due boccali stracolmi, e mi siedo di fronte a lei.
Si è tolta il cappellino e la sciarpa color panna, ha i capelli un po’ spettinati che cerca di far stare a posto con le mani.
-aspetta, faccio io- le dico passandole una mano tra i capelli, con sguardo un po’ critico, sentendomi tanto mia madre quando mi preparava alle cene di gala del ministero –hai i guanti di lana, facendo così li elettrizzi ancora di più-.
Lei annuisce e lascia che sia io a metterle a posto i capelli. Per ultima, le liscio una ciocca riportandogliela dietro all’orecchio, con attenzione.
Per un attimo, mi fermo con le mani tra i suoi capelli, mantenendo quella ciocca del colore del fuoco tra le dita.
Se dovesse fermarsi il tempo, vorrei che fosse qui, in questo momento. Fermo.
Con il suo respiro regolare, il cuore che batte dietro alla mia mano, i capelli tra le mie dita e i miei occhi nei suoi.
Poi ovviamente sono costretto a lasciarle la ciocca, e a ritrarmi.

 

***


Mentre sorseggio in pace la mia burrobirra non posso fare a meno di pensare che James Potter è davvero un bel ragazzo. Insomma, chiunque lo direbbe, io sono stata l’unica a non farlo, per sei anni.
Povera scema, direte voi.
In effetti, lo dico anche io.
James si è allontanato verso il bancone per prendere un’altra burrobirra, e infatti la riflessione profonda di poco fa è scaturita tutta dalla visuale, decisamente ottima, delle sue spalle.
Con un sorriso mi sporgo a guardare i miei regali.
Fantastici, sono proprio soddisfatta al massimo.
-eccomi- mi avverte James sedendosi di nuovo davanti a me.
Sorrido, riportandomi il boccale alla bocca.
-novità?- chiedo, alludendo al fatto che si è trattenuto un attimo a parlare con la figlia del proprietario.
-Rosmerta chiedeva dov’è Sirius, dice che nemmeno la scorsa volta lo ha visto- mi spiega.
-effettivamente, la scorsa volta non c’era- annuisco ricordando.
-no, e oggi non ho la minima idea di dove si sia cacciato- mormora un po’ preoccupato –spero solo che non faccia arrabbiare troppo Lène, qualsiasi cosa abbia in mente di fare-.
Sorrido appena.
-vi conoscete bene?- chiedo all’improvviso, sapendo già la risposta –tu e Sirius, intendo-.
Lui sorride, e in quel sorriso c’è qualunque emozione si possa riuscire a leggervi dentro.
-già- annuisce –se danno un ceffone a lui il dolore lo sento io-.
Già. Quasi quello che ho pensato quando li ho sentiti parlare con Dorea e Charlus all’inizio dell’anno.
-è una bella cosa- gli dico gentilmente.
-non per me, perché, sai, di ceffoni Sir ne prende parecchi- scherza.
Rido.
-guarda che lo so che ti piace, avere qualcuno a cui stare così vicino- lo prendo in giro bonariamente.
Lui mi guarda.
-come fai ad esserne certa?-.
Sorrido, forse triste o forse felice.
-perché piacerebbe a tutti, essere amati così profondamente. Credo sia qualcosa che lascia il segno, e non solo in te, ma anche in quelli che ti vedono-.
-ti vedono?- mi chiede ancora.
-si, ti vedono risplendere- annuisco –hai una luce, negli occhi, quando parli di Sirius, o di tua madre e tuo padre-.
Lui sorride.
-lo prendo come un complimento- mi dice alla fine.
-lo è- gli rispondo con un sorrisone –hai finito? Andiamo a fare gli angeli nella neve!-.
Lui mi guarda, come se fossi scema.
E probabilmente lo sono davvero, ma non mi interessa.
-angeli nella neve?- mi chiede.
-li facevo con Tunia prima di venire a scuola- scrollo le spalle mentre mi dirigo al bancone. Pago la mia burrobirra e aspetto James.
-non saranno quei cosi per cui ti devi sdraiare e sbattere le mani come un ossesso, spero!- esclama fintamente sdegnato.
-tu sbatti le mani come un ossesso, io le muovo delicatamente- rido mentre, fuori dal pub, mi dirigo velocemente verso il limitare del villaggio, e il bosco.
-come vuoi, però il punto resta. Non vorrai davvero stenderti per terra!?- sembra scioccato.
-cos’è, James Potter il grande cacciatore ha paura di un po’ d’acqua?- lo prendo in giro con uno sguardo di sfida.
Non lo avessi mai detto!
In meno di mezzo secondo mi ritrovo catapultata a terra in mezzo alla neve ridendo a crepapelle mentre quell’idiota di James Potter mi fa il solletico.
-oddio, James… basta, ti prego… per Merlino!- strillo cercando di fargli il solletico in risposta –oddio, James, ora muoio-.
Alla fine, sfinita, mi rialzo.
Inclino la testa.
Per terra, James sdraiato mi guarda come reduce da un incontro di boxe, e accanto a lui il mio “angelo” sciancato e piuttosto malridotto aspetta.
-hai tutta la neve tra i capelli- mi dice un istante dopo.
-tu hai tutti i capelli nella neve- sorrido io sedendomi vicino a lui.
È bella, questa giornata.
Se potessi decidere un momento da sognare, questa notte, solo per poterlo rivivere, sceglierei questo.
Non credevo sarebbe mai capitato, e sono contenta di questo mio scetticismo.
-sono contenta di non aver mai accettato prima di uscire con te- dico alla fine. Lui capisce solo dopo qualche istante, ed è incredibile la stilettata di dolore che vedo nei suoi occhi. Subito mi accorgo che ha inteso in modo sbagliato, e gli passo una mano nei capelli, rassicurandolo –hai capito male, James-.
Lui mi guarda indeciso, non credo sappia bene cosa pensare.
-sai, non ci sono molti modi di capire questa frase- mi dice dopo qualche attimo.
Io sorrido, dolcemente.
-la maggior parte delle volte che sogni qualcosa, che lo attendi per tanto tempo e poi finalmente lo vedi realizzarsi, li, davanti ai tuoi occhi…- esito un attimo, gli accarezzo una guancia, passando l’indice sul suo volto come a volerlo disegnare nella mia mente –ecco, quando si realizza ti lascia deluso. Non va mai come ti aspettavi, anzi, ti dai dell’idiota per averlo aspettato per così tanto tempo. Io non l’ho mai sognato, ed è per questo che oggi è il giorno perfetto. È andato tutto come avrei sognato, nei miei sogni migliori-.
Lui tace, mi guarda. Non so cosa pensa.
C’è silenzio, forse pensa che sono scema.
Forse è lui, ora, a pentirsi di avermi aspettato.
Mi chino, leggera, su di lui, e gli lascio un bacio a fior di labbra, gli occhi fissi nei suoi.
Lui si alza leggermente quando io mi allontano, con l’unico scopo di prolungare leggermente il bacio, una fonte di calore in mezzo alla neve gelida.
-ti sbagli- mormora alla fine, tornando a stendersi sul terreno, pieno di neve e bagnato fino al midollo –io l’ho sognato migliaia di volte, ma non è mai stato così perfetto-.

 
***

Il silenzio prosegue ininterrotto per più di dieci minuti.
La sto guardando, e lei sta guardando me. Io sono sdraiato, lei è seduta qui accanto e mi accarezza il volto con dolcezza.
Penso che potrebbe arrivare Voldemort in persona, adesso, e non me ne importerebbe assolutamente nulla.
-cosa hai intenzione di fare dopo Hogwarts?- mi chiede all’improvviso –vuoi diventare Auror come i tuoi?-.
Annuisco leggermente, lasciando che il suo indice passi sul mio zigomo destro per la quarta volta. La mia pelle brucia, io mi crogiolo nel calore.
-si, vorrei diventare un Auror- dico –e tu?-.
Lei ci pensa qualche secondo.
-anche a me piacerebbe, credo… intendo diventare un Auror- aggiunge –però la scorsa lezione, Lumacorno mi ha detto che alla prossima festa del Lumaclub vuole presentarmi un alchimista, quindi ho intenzione di lasciare ancora per un po’ qualche altra porta aperta-.
Annuisco ancora.
-è una cosa giusta- riesco a dire alla fine.
Si, giusta e molto meno pericolosa rispetto all’Auror. In cuor mio spero che decida per l’alchimia.
-ci vieni con me?- mi chiede a sorpresa.
Io mi blocco un attimo, con gli occhi socchiusi intento a godere del suo tocco sul mio viso.
Il momento perfetto. Quante volte l’ho già pensato oggi?
Verrei con te ovunque, penso.
-dove, di preciso?- chiedo non capendo del tutto la domanda.
Primo, perché è Lily Evans che me la pone, secondo perché sono così intento a fare le fusa come un gatto che ho dimenticato di cosa stavamo parlando.
Lei sorride, forse leggendomi nella mente.
-sembri un gatto- mi dice risalendo fino ai miei capelli –ci manca solo che fai le fusa. Alla festa di Natale del Lumaclub, mi accompagni?-.
-si- annuisco subito –quando? Sai, devo stare attento a non prendere punizioni per quel giorno-.
Ride, divertita e rassegnata, scuotendo la testa.
-il ventuno- dice poi –il giorno prima dell’inizio delle vacanze-.
Annuisco ancora.
-va bene, serve l’abito da cerimonia?-.
Annuisce, eppure sembra concentrata in qualcos’altro.
Lo capisco subito, su cosa sta concentrandosi. Lo capisco, in effetti, non appena mi sento mordere il collo dalla neve.
Strillo dalla sorpresa, e lei ride divertita, di gusto.
-sei sleale Lily Evans, non puoi tramortirmi e poi infilarmi la neve nel colletto!- esclamo fintamente sdegnato, mentre con un brivido sento la neve disegnarmi i contorni della schiena –non penserai di passarla liscia, spero!-.
Mi tuffo su di lei prendendola in vita e tirandomela addosso, poi inverto le posizioni e la schiaccio delicatamente contro il terreno, mentre tra le nostre risate cerco di rifilargli una manciata di neve esattamente come ha fatto con me.
Si muove convulsa, cercando di scappare, mentre ride talmente tanto da farle mancare l’aria.
Alle fine le chiudo la bocca con la mia, e forse lei decide che si può dedicare a cose più importanti della mancanza d’aria, perché risponde circondandomi la vita con le braccia.
Il momento perfetto.
Questa frase non mi è nuova.

 

***


-guardami! Sono fradicia!- esclamo indignata indicandomi.
-anche io- mi risponde James divertito –ed è tutta colpa tua e dei tuoi angeli!-.
-sei tu che mi hai buttato per terra!-.
-ma tu mi hai infilato la neve nel colletto…-
-non ho resistito, eri così rilassato!- dico allora con un sorrisetto malandrino.
-ah, e poi sono io quello che si diverte a fare gli scherzi agli altri!- risponde alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa –così non va bene, signorina Evans!-.
Rido alla sua imitazione di Minerva McGrannitt e mi stringo a lui, mentre iniziamo a camminare.
È ora di tornare e sembra solo un minuto fa che eravamo ancora con Gazza dalla porta d’ingresso.
Sono contenta, veramente contenta, come non mi capitava da prima di quella maledetta sera, un mese fa.
-Sirius sarà rimasto al castello- mi dice ad un tratto James –però è strano, aveva detto che non si sarebbe perso Hogsmeade per nulla al mondo-.
-magari non voleva vedere Marlene con suo fratello- gli rispondo comprensiva –deve essere piuttosto triste, la cosa. Non so come faccia Marlene a portarla avanti. Spero non abbia davvero intenzione di assecondare questa buffonata fino in fondo-.
-beh, in realtà è sempre stato piuttosto comune il matrimonio combinato, tra i purosangue- mi corregge.
-assolutamente primitiva, come idea- insisto.
Lui annuisce, comprensivo.
-parlerò con Lène, magari posso convincerla a lasciare perdere- mi dice dopo un po’.
-credi di poterlo fare?- gli chiedo curiosa. Conosco Marlene McKinnon.
-se tocco i tasti giusti, forse…- annuisce pensieroso.
-tasti giusti?- chiedo –intendi il fatto che è innamorata di Sirius?-.
Ops.
Devo aver detto qualcosa che non sapeva.
Eh eh.
Sorridente e coccolosa, ecco il trucco.
No, James continua a guardarmi stranito, e fingo di essere sorpresa.
-davvero non lo sapevi?- chiedo spalancando gli occhi.
Scuote la testa, riflettendo intontito.
-davvero mia cugina è innamorata di mio fratello, e io non lo sapevo?-.
-beh, diciamo però che lo odia parecchio, anche- aggiungo. Se Marlene sa quello che mi sono lasciata scappare mi strozza –contemporaneamente, intendo. Sirius non deve essere qualcuno di facile, di cui essere innamorate… credo che Lène negherebbe fino alla morte se solo tu glielo chiedessi-.
Annuisce.
-in che senso qualcuno di facile di cui essere innamorate?- domanda piuttosto stupito.
Rido, piuttosto divertita.
-su, James, solo dall’inizio dell’anno con quante ragazze è già stato?- ribatto, e vedendolo pronto a ribattere aggiungo –può essere una persona fantastica, ne sono certa, ma come ragazzo non deve essere il massimo. Soprattutto dal momento che capisci di amarlo. Insomma, quella di Lène non è una cotta passeggera, qualcosa che finirà nel giro di qualche settimana!-
-anche Lène si gira i ragazzi tra le dita come fossero carte da gioco- mi risponde scuotendo la testa.
-ed è per questo, che la situazione è particolarmente difficile- gli spiego –se per Lène fosse solo una cotta, sarebbero andati a letto insieme e poi, avendo lo stesso carattere, di nuovo tutto come prima, amici e basta. Ma Lène sa che verrebbe trattata esattamente come lei trattava i ragazzi qualche tempo fa, e la cosa le piace molto meno di quanto le piacesse prima, quando era lei a comandare-.
Lui annuisce.
-parlerò comunque con Lène, se davvero questo è quello che prova per lei la situazione non deve essere rosea- dice alla fine, sorridendo –e invece Mary? Da quanto sta con Paul?-.
Rido.
-beh, decisamente da troppo secondo i suoi standard- gli dico –però stanno bene, insieme… fino a che si divertono, va tutto bene-.
Lui annuisce.
Continuiamo a camminare in silenzio, io con il braccio stretto alla sua vita e lui con il suo attorno alle mie spalle, la sua mano impegnata a giocherellare con i miei capelli.
-lo sai, il cappello che hai fa a pugni con il colore dei tuoi capelli- mi dice a sorpresa.
Sorrido.
-lo so, però il viola mi piace molto e non ho intenzione di non indossarlo per mere questioni estetiche- rispondo.
-bene, ti fa tenerosa- mormora inclinando la testa sulla mia e sfiorando il cappello in questione con le labbra.
-io non sono tenerosa- rispondo un po’ offesa.
-no, è vero- annuisce accondiscendente –sei una persona seria e distinta-.
Ridacchio.
-no, preferisco essere tenerosa- dico allora.
 
Stiamo rientrando al castello, ormai, e si sta facendo sera.
Saliamo le prime due rampe di scale in silenzio, gustandoci l’aria calda che ci avvolge facendoci sentire meno la morsa gelida degli abiti bagnati.
-ti accompagno su e poi vado a cercare Lène- mi dice James mentre sbuchiamo al terzo piano.
-come farai a trovarla? Potrebbe essere ovunque!- gli faccio notare.
-ho i miei metodi- risponde evasivo.
Gli lancio un’occhiata indagatrice.
-mi giuri che non è niente di illegale?- domando persuasiva.
Lui ride, gettando la testa indietro.
-Lily, sono James Potter, è per forza illegale!- esclama divertito.
Rido anche io. In altre occasioni me la sarei presa, ma non ora. Non qui, e non con lui.
-faccio finta di niente solo perché devi parlare con la mia migliore amica- gli dico.
Lui annuisce mentre arriviamo davanti al ritratto della signora grassa.
Non so cosa fare. Cosa devo dire? Come fargli capire che oggi è stato perfetto?
Mi stupisce, con un sorriso e con un bacio.
-grazie- mormoro allora a fior di labbra.
-il prossimo appuntamento, allora, è per il Lumaclub?- mi chiede in risposta, un po’ rattristato.
Sorrido appena, guardandolo negli occhi nocciola così morbidi.
-quello ufficiale si- dico lasciandogli un altro lieve bacio.
-mhm… mi piace la cosa dell’ufficiale- risponde ridacchiando. Annuisco e faccio per voltarmi quando mi viene in mente una cosa.
Decido di buttarmi.
-cosa siamo, allora?- gli chiedo un po’ tremante.
-come?- domanda preso alla sprovvista.
-intendo, ci proviamo davvero?-.
Lui mi guarda.
-hai paura- mormora.
Annuisco, ma non mi sento stupida.
Si, ho paura perché lui è James Potter, e io sono Lily Evans.
E perché oggi è stato bello, ma domani cosa sarà?
-che ne dici se proviamo ad essere semplicemente Lily e James?- mi chiede con un sorriso rassicurante, sfiorandomi la guancia con un tocco delicato.
Gli sorrido in risposta.
-solo Lily e James?- chiedo inclinando il capo –suona bene-.
Mi si avvicina e mi bacia, deciso.
Lily e James.
Rispondo al suo bacio con un bacio ancora più deciso, senza tremare.
Sono gli unici due nomi che non avrei mai creduto di sentire vicini, ma suonano bene.
-Lily…- mormora.
-… James- rispondo con un sussurro.
-Sirius!- esclama tutta giuliva la voce di Black all’inizio del corridoio.
James alza gli occhi al cielo e io rido, rossa come i miei capelli.
-dannato cagnaccio, dove ti eri infilato?- gli chiede James guardandolo con sguardo di rimprovero –ti ho…-
-non dire che mi hai cercato tutto il giorno, sono sicuro che hai fatto cose ben più interessanti che cercare me!- lo interrompe Black con un ghigno beffardo –ciao, Lily, come va?-.
Sorrido, in risposta, poi mi volto verso James.
-vado dentro, sto gelando, ho tutti i vestiti bagnati- lo riprendo scherzosamente.
-ah, cara, la colpa è tua- ribatte James allontanandosi.
-non credo proprio- rispondo –te lo hanno mai detto che hai reazioni esagerate a dei semplici scherzetti?-.
-te lo hanno mai detto che fai scherzetti esagerati?- mi chiede in risposta con un sogghigno.
-ora vomito- ci interrompe Sirius girandosi verso la signora grassa –piovra gigante!-.
-Black, puzzi di cane- esclamo sdegnata quando passiamo attraverso il buco del ritratto.
Sirius mi ferma con una mano sulla spalla.
-com’è andata?- mi chiede di nuovo.
-bene- rispondo io inclinando il capo.
Lui sorride e, udite udite, non pensavo che Black potesse dimostrarsi dolce.
La sua frase poi, smentisce il sorriso allegro e dolce che mi rivolge.
-uff, vuoi dire che in dormitorio mi dovrò sorbire i vaneggiamenti di Jamie?- chiede retorico, circondandomi le spalle con un braccio.
Mi limito a rispondergli con un ghigno, quando insieme entriamo in sala comune.
La sala comune è affollata, piena di persone che parlottano tra loro. Alla poltrona più vicino al fuoco, Emmeline Vance legge.
Come sarà andata la sua uscita con Remus?
Non lo vedo da nessuna parte, il terzo malandrino.
-brutto segno se non sono insieme- mormora Sirius indicandomi Emm –vado a cercare Rem-.
-si, io mi occupo di lei-.
 


NOTE:
Ed ecco il capitolo che penso tutti aspettavate fin da quando è uscito il primo capitolo di questa storia. Spero sia all'altezza delle aspettative, a me piace davvero moltissimo!
Il prossimo capitolo sarà incentrato su Emme e Remus.
Da dire non ho molto altro, se non che mi farebbe piacere sapere i vostri pareri e un GRAZIE immenso a chi recensisce!!!!
Buona lettura,
Hir!


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Capitolo 26
*** tutta una questione di filtri- parte 1 ***


LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
REMUS
EMMELINE
MARY
ALICE
FRANK
PETER
RABASTAN
REGULUS


Per mille volte cercò gli occhi di lei, e per mille volte lei trovò i suoi. Era una specie di triste danza, segreta e impotente.
(A.Baricco, Seta)
 

Quando entro dalla porta mi sporgo per vedere se Remus è nella stanza.
No, vuota.
Strano, i suoi vestiti sono sul letto, ordinati, la sua bacchetta è sul comodino.
Bagno, ecco dove è.
-Remus, sono Sirius- urlo rivolto alla porta chiusa.
Dall’altra parte della porta, per qualche minuto tutto tace. Poi il primo segno di vita.
-Sirius, sono sotto la doccia-.
Alt, fermi tutti.
Perché c’è tutto questo silenzio se Rem è sotto la doccia?
Apro la porta, mi fiondo in bagno e mi siedo per terra, le spalle al muro.
Oltre il vetro smerigliato, Remus ferma l’acqua.
-Sir, che ci fai seduto per terra?- mi chiede.
-ho qualche domanda da farti- gli rispondo velocemente –ti volevo chiede…-
-no, non ti faccio copiare il tema di trasfigurazione- nega velocemente riaprendo l’acqua.
-non volevo chiederti questo- rispondo piccato –volevo chieder…-
-dove sei stato per tutto il giorno?- mi interrompe per la seconda volta.
Qui qualcosa puzza di bruciato.
-fatti miei. Perché Emmeline Vance sta leggendo un libro in sala comune?- gli chiedo velocemente, prima che possa interrompermi di nuovo.
Il silenzio si leva da quella coltre nebbiosa posata sulla doccia.
-Remus- lo chiamo stentoreo –perché Emmeline Vance sta leggendo un libro in sala comune?-.
-ehm- si schiarisce la voce lui –perché le piace leggere?-.
Inarco un sopracciglio.
-dici che le piace più leggere che fare la doccia con te?- chiedo ancora.
La pietra pomice di Remus piove dall’alto e mi colpisce dritto in testa.
-ahi, non è giusto, sei sleale!- esclamo indignato.
-e tu sei un porco- mi risponde in tono saputo.
-no, sono un cane- lo rimbecco.
-eccolo lì, qui ti volevo!- mi sorprende spalancando l’anta e guardandomi da sotto il suo asciugamano –perché un grosso cane nero era ad Hogsmeade e perseguitava Marlene e Regulus?-.
Faccio una faccia innocente e sbatto le palpebre.
-dici che ho un sosia?- chiedo ingenuamente.
-no, dico che hai un fegato grosso come una casa e un cervello più piccolo di quello di un asticello- mi rimprovera –se lo sa Lène ti fa lo scalpo, altrochè!-.
-ehi ehi ehi! Non cambiare argomento! Stavamo parlando di Emmeline Vance- borbotto preso in contropiede.
-no, caro, tu stavi parlando di Emmeline- mi corregge.
-dimmi subito perché Emmeline è in sala comune e tu sei qui, sotto la doccia, e non stai cantando!- lo minaccio alzandomi e puntandogli contro la bacchetta.
Lui si ferma, mi guarda, guarda la mia bacchetta e poi di nuovo me.
-sarebbe una minaccia?- mi dice scettico –saresti più terrificante se non avessi i capelli scoli e uno sbaffo di fango sulla guancia, Padfoot-.
-dettagli- gli dico pulendomi la guancia –avete litigato?-.
Lui si ferma davanti allo specchio e mi guarda.
-non che siano affari tuoi, ma no- mormora –è andato tutto benissimo-.
-si, si vede da quanto sei felice- annuisco beffardo. Poi torno serio e lo guardo –cosa è successo?-.
-Sirius, te l’ho già detto, stanne fuori- mi ammonisce.
Scoppio a ridere, divertito.
-si, sogna lupo- gli rispondo.
Al che, succede una cosa stranissima.
Remus si ferma davanti alla porta del bagno, che aveva spalancato per tornare in stanza, e impallidisce.
Insomma, per far impallidire Remus che è già bianco come un lenzuolo ce ne vuole.
-no!- esclamo alla fine, mezzo ripreso dallo shock.
-non è come pensi- mi dice lui voltandosi e allungando le mani davanti a se, come per tenermi a distanza, ed indietreggia entrando nella stanza.
-no- continuo a dire –no, no, no-.
Non riesco a fare altro che borbottare e avanzare verso di lui.
-tu glielo hai detto!- esclamo alla fine puntandogli contro l’indice.
-non è come pensi- ripete lui –io l’ho…-
-REMUS JOHN LUPIN!- un urlo belluino ci raggiunge dal corridoio davanti al dormitorio, e subito dopo un metro e sessanta di furia e capelli rossi spalanca la porta entrando nella stanza.
Io guardo attonito una Lily Evans piuttosto alterata (si, è un eufemismo) avanzare nella stanza come fosse un boia con l’ascia sguainata.
-Remus John Lupin- ripete a denti stretti, gli occhi spalancati –come hai potuto Obliv…-.
Per poco non le esce il fumo dalle orecchie.
Fa paura, tanta paura.
E Remus, con una prontezza che mai mi sarei aspettato da lui, mi si avvicina e mi strappa la bacchetta dalla mano sinistra.
Poi succede tutto velocemente.
Punta la bacchetta contro Lily.
-Silencio!- esclama, e io fisso sbalordito un altrettanto sbalordita Lily Evans boccheggiante. Remus punta poi la bacchetta alla porta ed esclama –Colloportus!-.
La porta si chiude con un tonfo e la serratura si blocca da sola.
Allora il mio migliore amico licantropo pazzo da legare tira un sospiro di sollievo.
-tu hai fatto cosa?- esclamo stupito, e mi sento un’idiota.
-te lo spiego tra due minuti, vado a vestirmi in bagno, tu stai attento a Lily-.
Lily arrossisce di botto quando vede Remus con solo l’asciugamano legato in vita e distoglie lo sguardo, ammutolita. Io continuo a guardare come un cretino la porta del bagno.
E adesso?

 

***


Sono un idiota.
E adesso che faccio?
Mi sono rivestito velocemente non appena la porta del bagno si è richiusa dietro di me, e ho passato gli ultimi due minuti a impedirmi di sbattere la testa al muro per la mia stupidità. Come ho fatto a non pensare che Lily e James ci avevano visto uscire dal castello insieme?
Sono un cretino.
Ripenso alla mattinata appena trascorsa e mi odio, perché rovino sempre tutto.
Ho rovinato anche uno dei giorni più felici della mia vita, oggi.
 
*Flashback*-> ore 10.30
 
-quindi il ragazzo che è venuto qui un mese fa ad assisterti in infermeria è il tuo fratello più grande?- le chiedo per smorzare l’imbarazzo. Abbiamo lasciato Lily e James nelle mani di Gazza da circa dieci minuti.
-Paul- annuisce lei –è un Auror di stanza in Polonia, torna raramente in Gran Bretagna, ci sentiamo per di più via lettera, o di tanto in tanto anche tramite il camino della sala comune, quando tutti gli altri sono andati a dormire.
Annuisco, interessato.
-capisco. E anche tu sei interessata alla carriera di Auror dopo Hogwarts? James dice che le selezioni all’accademia sono veramente molto dure…- le dico, poi mi rendo conto di come potrebbe intendere la frase e cerco di rimediare con qualche balbettio –cioè, non volevo… intendo, tu ce la faresti benissimo… quello che volevo dire…-.
Lei ride, guardandomi leggermente da sopra la sciarpa di lana che ha attorno al collo e che le copre anche parte del viso. Gli occhi castani e ridenti mi fissano allegramente.
-tranquillo, Remus- mi dice ridacchiando –no, non ho intenzione di fare l’Auror. Merlino, ma mi ci vedi? Timida come sono…-
-secondo me saresti un’Auror splendida- le dico con un sorriso timido.
Se Sirius e James mi vedessero adesso si schianterebbero dalle risate e mi prenderebbero in giro a vita per il mio sex appeal praticamente inesistente.
-non avrei il coraggio di far male nemmeno ad una mosca- risponde autoironica scuotendo una mano guantata –mi piacerebbe entrare nell’ufficio relazioni con i babbani, sai, dopo quello che è successo soprattutto io…-
Gli occhi le si scuriscono un attimo e mi viene naturale circondarle la vita con un braccio.
Poi mi rendo conto di quello che ho fatto e mi irrigidisco un attimo.
Quando però la sento tirare un sospiro e appoggiarmi la testa sul petto mi rilasso e le passo l’altra mano tra i capelli biondi e vaporosi.
-è bella, una carriera del genere. Non ti so dire quanto mi rilassa sapere che non sarai in prima fila, contro quei mangiamorte pazzi- la rassicuro con un sorriso.
Lì per lì, la frase non sembrava per niente stucchevole, anche se a ripensarci…
-e cosa farà l’intrepido malandrino Remus J. Lupin, quando finirà di studiare?- mi chiede dopo qualche secondo mentre riprendiamo a camminare –smetterà di essere un malandrino?-.
Rido, divertito.
-nah, quello è un circolo vizioso, non si danno le dimissioni ai malandrini- scherzo.
Silenzio.
-e allora che farai?- mi chiede ancora.
Guardo in lontananza, tra le montagne. Cosa mai può fare un lupo mannaro?
Mi piacerebbe fare l’insegnante. Sirius dice che sarei bravo. Peccato per quel piccolo problema… non so se sapete a che mi riferisco, ha due orecchie e una coda e ulula ad ogni plenilunio.
-aiuterò mia madre con la sua piccola libreria a Diagon Alley, credo- le rispondo cercando di tirar fuori un sorriso. Guardandomi dal basso, noto che le si sono illuminati gli occhi.
-tua madre ha una libreria?- chiede sorpresa.
-si, è piccola, forse non l’hai mai nemmeno vista… è quella..-
-quella che vende anche i classici babbani?- mi interrompe.
-si, quella- annuisco gentilmente.
-è fantastica!- esclama felice –io e Mary ci passiamo sempre, ha veramente ottimo gusto, tua madre-.
 
*Fine Flashback*
 
Idiota che non sono altro, mentre ci ripenso mi passo una mano sulla fronte.
Come ho potuto farlo?
Da un’ora, cioè da quando l’ho fatto, mi sto rodendo il fegato per i sensi di colpa.
Come ho potuto farlo proprio a lei?
Così gentile e bella, ha sempre una parola cortese per tutti.
E poi, dopo oggi!
Mi passo la mano sulle labbra, come a voler contenere il ricordo, non certo a cancellarlo.
 
*Flashback*-> ore 13.45
 
-comprato tutto?- le chiedo con un sorriso quando usciamo da Scrivenshaft. Proprio lì dentro, penso felice, ho visto che ha adocchiato una piuma d’aquila molto bella, so che a lei piacciono queste cose. Forse riesco a regalargliela, per Natale, aiutando mamma in libreria non appena tornerò a Londra per le vacanze.
-non proprio- replica prendendomi a braccetto e conducendomi verso la piazza principale di Hogsmeade, quella in cui si affacciano i Tre Manici.
-cosa ti manca?- le domando interdetto.
Mi sembrava avesse detto che Scrivenshaft sarebbe stata l’ultima tappa.
-il tuo regalo- mi risponde guardandomi come se mi fossero spuntate le orecchie da lupo. Ok, questo genere di frasi fanno perdere romanticismo all’uscita.
Romanticismo?
Mi immagino Sirius seduto al cinema con un sacco di Popcorn e la risata facile. Il film che sta guardando? La disfatta di Remus Lupin.
-il mio…-
-ma certo, non te lo posso mica comprare adesso!- mi rimprovera bonaria –però non ti preoccupare, ho già in mente cosa fare-.
Non mi preoccupo, penso.
-non mi preoccupo- dico. Ok, mi servirebbe un filtro tra il cervello e la bocca.
Lei mi guarda divertita.
Camminiamo per un po’ in silenzio.
-dove vuoi andare adesso? Ai Tre Manici?- chiedo alla fine.
-no, c’è troppa gente- dice alla fine, dopo averci pensato su per qualche istante –e poi non ho freddo, l’inverno mi piace-.
All’improvviso mi viene un’idea.
Non è proprio il massimo, forse, per lei.
Ma mi piacerebbe accettasse. Andarci con qualcuno di diverso, per una volta.
-sei mai stata alla Stamberga Strillante?- le chiedo azzardando un’occhiata.
-alla Stamberga?- mi chiede esitante in risposta –no… cioè, si, l’ho vista, come tutti ma…-
-non ci sei mai stata dentro, vero?- le domando con un sorriso malandrino.
Forse adesso Sirius smetterebbe di ridere.
-dentro?- sbalordita, mi guarda affascinata in parte dall’idea –mi stai prendendo il giro!-.
Ridacchio, la prendo per mano e mi dirigo veloce verso il limitare del bosco, in direzione della stamberga.
-ci sono stato con i malandrini- le rivelo, attenendomi alla realtà per quanto possibile –è un po’ fatiscente, ma molto più solida di quanto si direbbe guardandola-.
Sorride, forse contagiata dal mio entusiasmo.
D’altronde, siamo grifondoro, è nel nostro sangue l’avventura.
Un po’ meno la prudenza.
 
*Fine Flashback*
 
È successo poco dopo, mi ricordo. Proprio a pochi passi dall’entrata nella fatiscente catapecchia, quando con i respiri mozzi e le guance arrossate dal vento ci siamo fermati l’ultima volta per guardare la casa prima di entrarci.
Sul sentiero siamo rimasti in silenzio ma…
…quel silenzio, è qualcosa che non ho mai provato.
Ho imparato questo, oggi.
Che con Emmeline Vance puoi raccontare una vita pur restando in silenzio.
Lei non straparla, non si prova mai l’impulso di azzittirla. E quando decide, con  la sua vocetta un po’ flebile ma allegra, di rivolgerti la parola, ti senti degno di ogni singola frase, di ogni punto. Ad ogni sospiro, ti ritrovi a bramarne un altro.
E allo stesso tempo, puoi parlare per ore pensando che lei non ti ascolti, ma quando decide di risponderti capisci che non si è persa una sola parola. E allora ti senti avvolto dalla consapevolezza che hai incontrato qualcuno che sa dare il giusto peso al silenzio, ed alla conversazione.
-Remus, vorresti raggiungerci e spiegarti, per cortesia?-.
La voce di Sirius interrompe i miei ragionamenti.

 

***


Vedo Remus uscire, e quello che esce dal bagno è un quarto della presenza che c’è entrata.
Prima ero furiosa, anzi, a dire la verità sono stata furiosa fino ad un attimo fa.
Ma questa visione, Remus che esce da quel bagno con il volto stravolto, vestito di un paio di pantaloni e una maglia grigi e logori, farebbe breccia nel cuore di chiunque.
E allora mi rendo improvvisamente conto che è di Remus John Lupin che stiamo parlando! Se ha Obliviato una delle mie migliori amiche vuol dire che aveva una ragione da lui giudicata ottima per farlo.
Forse, potrei capirlo, se mi parlasse.
Sirius è seduto su quello che deve essere il suo letto, e noto che pare ci sia scoppiata una bomba, tanto sul suo come su quello di James.
Sorrido appena, anche Marlene ha un letto simile.
Purosangue viziati.
Poi mi ricordo di essere arrabbiata, così guardo Sirius e indico le mie labbra.
Lui sorride appena beffardo e mi indica la bacchetta in mano a Remus.
Mi avvicino a Remus, mi siedo sul suo letto con lui e lo abbraccio piano.
Ok, ora sia Sirius che Remus mi stanno guardando ad occhi spalancati.
È vero, mi ricordo, dovrei essere arrabbiata. O almeno, sono entrata qui come una furia sbraitando.
Sorrido appena e indico a Remus le mie labbra.
Con un incantesimo non verbale libera la mia voce, e io sono costretta a schiarirmela appena un po’ prima di poter parlare.
-preferisco quando lo fai a Sirius- gli dico portandomi una mano alla gola.
Sirius mi guarda in cagnesco, ma riesco a vedere che in realtà è divertito, e grato anche.
Perché sono riuscita a far sorridere Remus, che comunque non si toglie quel fondo triste dagli occhi.
-comunque, mi puoi dire perché la mia compagna di stanza preferita non si ricorda di essere uscita con il mio migliore amico?- gli chiedo gentilmente scostandomi da lui e sedendomi a gambe incrociate sul suo letto.
-la tua compagna di stanza preferita?- mi chiede Sirius –pensavo che foste tutte amiche cicci pucci-.
Ridacchio.
-le altre tre sono pazze. Emmeline è la più ordinata, il suo è l’unico angolo della stanza in cui si può stare senza rischiare la vita-.
Ridono anche loro in risposta.

 

***


Lily ha reagito in modo strano. Adesso è qui, seduta sul mio letto, e mi guarda con quegli occhi verdissimi. Ha una mano stretta attorno alla mia, come se non avessi fatto quello che ho fatto.
E poi, perché l’ho fatto?
Perché sono un mostro, un essere abominevole.
Perché non merito di stare accanto a Emmeline.
E l’ho fatto subito, velocemente, perché non mi fosse dato di guardare quegli occhi limpidi e allegri essere velati dal disgusto. Perché non ho di certo questo coraggio.
 
*Flashback*-> ore 14.10
 
Ancora pochi passi e saremo dentro.
Sento la mano di Emmeline stringersi nella mia, come a volermi chiedere un attimo di fermarci.
Mi volto verso di lei, è adorabile con le gote rosse e gli occhi splendenti, i capelli morbidi e vaporosi le circondano il viso come un’aureola.
-stai ferma così, un attimo- le sussurro guardandola, prima di poter stare zitto.
Un filtro, ecco di cosa ho bisogno, un filtro tra bocca e cervello.
Lei mi risponde solo con un occhiata, però mi asseconda.
Stiamo così per qualche minuto, il lupo e la principessa per mano, contro qualsiasi logica, contro qualsiasi favola.
-c’è qualche animale?- mi chiede poi sussurrando –è per questo che non mi devo muovere? Temi che io possa spaventarlo?-.
Le sorrido.
-no, è che con il sole così tra i capelli sembri un angelo- le rivelo arrossendo appena.
Lei ride, forse un po’ colpita.
-un angelo rosso come un peperone- mi risponde.
È un attimo, e il confine si assottiglia fino a farci toccare.
Il lupo e la principessa, il bacio tra il mostro e l’angelo.
Unico punto di contatto tra i due mondi così diversi, le labbra.
Qui siamo oltre la logica, oltre la favola.
La stringo attento, ho paura di romperla.
Il lupo, assopito, si scuote nel sonno.
Non è lontano, il giorno in cui uscirà, il giorno in cui si sveglierà. Manca solo una settimana.
E il martellare del sangue, nelle orecchie, nelle vene, il pulsare del cuore, come impazzito… tutto mi ricorda che quel lupo ha un’unica amante. Splende in cielo ogni notte ma solo una volta al mese si mostra per intero, nella sua ingannevole bellezza.
-entriamo?- le chiedo scostandomi.
Presa alla sprovvista, forse, dal mio tono un po’ troppo brusco, annuisce.
-entriamo- risponde allontanandosi.
Con un sorriso amaro, mentre lei entra nella tana del lupo, penso che i confini sono tornati alla normalità.
L’angelo intoccabile, il lupo addormentato.
E nel mezzo ci sono io, la mano tesa verso di lei, la mente presa da lui.
 
*fine Flashback*
 
-ehi, ragazzi!?- dalla porta chiusa un lieve borbottio, poi uno scalpiccio e un tonfo –ragazzi, ci siete?-.
James ora urla.
-siete in dolce compagnia? Devo andarmi a fare un giro?- chiede ancora continuando a picchiare alla porta –volete degnarvi di…-.
La porta si spalanca, lasciandoci intravedere un James Potter e un Peter Minus, entrambi  con un’espressione buffissima dipinta sul volto.
Solo adesso mi accorgo che Sirius si è riappropriato della sua bacchetta e ha aperto la porta ai nostri migliori amici.
-Lily? Che ci fai…?-.
-entrate e chiudete la porta, James- lo interrompe Lily –Remus mi deve raccontare una cosa-.
Il tono è dolce, ma diretto. Deciso, niente fermerà le sue domande.
-così hai deciso di dirglielo?- mi chiede James sedendosi sul letto dopo aver chiuso la porta. Peter mi osserva guardingo.
-è lei che ha deciso che vuole saperlo- viene in mio soccorso Sirius.
Lily sbuffa, James sorride.
-sai com’è, dopo quello che è successo- mormora la ragazza.
-cosa è successo?- chiede Peter.
Già, cos’è successo?
 
*Flashback*-> ore 16.30
 
Alla fine, nonostante la freddezza iniziale dopo il bacio, siamo entrati nella stamberga e abbiamo ripreso con i nostri abituali rapporti. Entrambi troppo gentili per ignorarci, troppo timidi per affrontarci.
Così siamo andati avanti nell’esplorazione, prima il primo piano, poi più in alto il secondo.
Piano piano siamo tornati a ridere e scherzare come poco prima.
Non è questo, il punto in cui si è spezzato tutto.
Qui siamo riusciti a ricucirci, bene o male.
Alla fine, quando siamo usciti di lì, eravamo di nuovo Emm e Remus.
Vederla lì, stagliata in piedi in quelle stanze malconce e piene di grida per me, nelle notti di luna piena, è stato qualcosa di troppo. Forse aver gustato le sue labbra, è stato già abbastanza. Ma averla portata lì, forse, è stato un passo in più.
Quindi ho deciso di dirglielo.
Insomma, per lo meno saprò che quando guarda me è me che vede, mi sono detto.
Non pensavo che mi sarebbe mancato il coraggio di guardarla, quando lei mi avesse visto veramente.
 
Siamo tornati presto, in sala comune. Emmeline non ha voglia di tornare ad Hogsmeade e io ho solo in mente di assecondare la mia decisione. Quindi, davanti alla signora grassa, sempre per mano, abbiamo detto la parola d’ordine contemporaneamente.
Io sono decisamente in fibrillazione per la rivelazione, lei sembra un po’ in attesa di ciò che succederà oltre questo quadro.
Come darle torto? Dopo il bacio…
La sala comune è invasa di ragazzini del primo e secondo anno, quindi è un niente avvicinarmi con le labbra al suo orecchio.
-mi accompagni in camera? Ti devo dire una cosa, ma qui c’è troppa gente-.
Forse se l’avesse detta Sirius, questa frase, sarebbe risuonata piena di malizia.
Ma io no, non sono il tipo, e lei lo sa.
Con un sorriso timido accenna un si con la testa e mi segue su per le scale e oltre la soglia.
Le indico la stanza.
-siediti sul letto che vuoi, è una storia lunga- le dico.
Lei mi guarda stupita, ma esegue e si siede sul mio, che è quello più in ordine.
-questa stanza assomiglia un po’ alla nostra- dice guardandosi attorno.
Sorrido appena e mi siedo sul mio letto accanto a lei. Le prendo una mano.
-è così terribile?- mi chiede a sorpresa –mi stai forse per dire cosa c’è dietro al tuo coniglio?-.
Perfino in questo momento, sorridere è d’obbligo.
Il mio coniglio. È questo che crede Frank, e lo ha detto a tutti, mi ricordo, quella volta ai Tre Manici di Scopa.
-si, diciamo di si- annuisco. Poi, con un sospiro, inizio a raccontare.
 
*Fine Flashback*

 
NOTE:
 
so che mi odiate tanto tanto, ora, ma non disperate, vi prego!
Questa è solo la prima parte del capitolo, nella seconda tutto si aggiusterà, in un modo o nell’altro, no?
Un po’ di pietà *.*
Non è certo facile inventarsi ben TRE primi appuntamenti!
Per il resto, spero che, amarezza a parte, il capitolo vi piaccia come è piaciuto a me, non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate!
Grazie mille per le recensioni!!!!!!!!
Buona lettura,
Hir.

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Capitolo 27
*** tutta una questione di filtri- parte 2 ***


LILY
JAMES
LèNE
SIRIUS
EMM
REMUS
MARY
ALICE
FRANK
PETE
RABASTAN
REGULUS

Entro in camera e richiudo la porta alle spalle mie e di Pete.
Remus ha deciso, e ha tutto il diritto di farlo, mi dico.
Mi chiedo fino a che punto vuole svelarci. Anche noi?
Certo io non mi ribellerei, ma di Sirius non sono sicuro. Non so quanto Sir si fidi di Lily e per quanto questo non mi piaccia non me la sento di dare contro al mio migliore amico.
Insomma, un conto è far sapere che Remus è un lupo mannaro, un altro che noi tre suoi fidi alleati siamo animagi illegali.
Per questo mi siedo accanto a Sirius, in parte per rassicurarlo proprio perché so che di suo non alzerebbe nemmeno lo sguardo se solo sospettasse che può farlo apparire più… com’è che direbbe lui? Oh, debole e poco integro, e in parte ancora un po’ provato dai discorsi con mia cugina e dalla giornata in generale.
Vedo Remus tirare un sospiro e guardare Lily, e la mia… ragazza?... no, per ora semplicemente Lily, guardare benevola il mio migliore amico licantropo.
-cosa ti stava per raccontare, Remus?- chiedo gentilmente perché benché io sappia già benissimo la risposta devo capire cosa ha scatenato la domanda.
-perché ha obliviato Emmeline dopo aver passato una giornata ad Hogsmeade con lei- mi risponde Lily scuotendo la mano.
-io le ho… detto… chi sono- mormora Remus rivolto a me, forse per spiegarmi il perché del gesto.
Annuisco, sbalordito.
Un oblivion?
Secondo me Remus si preoccupa troppo.
Guardo Pete, è attento.
Guardo Sirius, è preoccupato, come sempre quando si parla di Rem e del suo problema.
Annuisco ancora, e faccio un sorriso a Remus.
-bene- dico –fino a che punto hai intenzione di spingerti con Lily?-.
Remus mi guarda e lo fa anche Sirius.
Io le direi tutto, e chiunque in questa stanza, tranne forse Lily stessa, lo sa.
-Sirius?-.
Alla domanda di Remus anche io fisso mio fratello, in attesa.

 

***


Ho gli occhi di tutti puntati addosso.
Remus mi guarda, timoroso.
La Evans mi guarda, interdetta.
Prongs mi guarda, speranzoso.
Peter mi guarda, attento.
Mi chiedo cosa succederebbe se io adesso dicessi di no.
Ma in cuor mio lo so già.
Prongs sospirerebbe, rassegnandosi.
Peter andrebbe sul suo letto, a sgranocchiare qualcosa.
Remus si terrebbe dentro tutto il suo dolore e il disgusto che, nonostante tutto, prova per se stesso, e inviterebbe Lily a lasciare la stanza in tono gentile ma fermo.
Ma se io adesso dicessi di no, non me li meriterei, degli amici del genere.
-certo, va bene- annuisco scalciando via le scarpe e stendendomi sul cumulo di vestiti che nasconde il mio letto –mettiti comoda Evans, è una storia lunga-.

 

***


–avete un cadavere nell’armadio?- chiede a tradimento, quando Sirius si stende sul letto.
James ride, Peter nervoso squittisce.
Con un sorriso beffardo penso che forse si scandalizzerebbe di meno, se avessi un cadavere nell’armadio invece che un mostro nel cuore.
E invece no, c’è un mostro assetato di sangue con lei, in questa stessa stanza, in questo momento. C’è un mostro, e lei non lo sa.
Ed egoisticamente, sono felice.
Felice che lei non lo sappia perché, quando lo saprà, se ne andrà. Sarà una cosa veloce, “rapida e indolore”. Beh, a ben pensarci, non sarà per niente indolore, non per me.
Al suo sollievo corrisponderà la mia pena.
Al suo disgusto corrisponderà il mio disprezzo.
Al suo odio il mio affetto che, nonostante tutto, non muterà.
Mi ferirà, ma io continuerò a volerle bene.
Per quello che è stata in questi anni, forse inconsapevolmente, forse no.
Per tutte le volte che mi ha aiutato con un incantesimo che non capivo, per tutte le volte che ha sorriso quando io volevo solo piangere.
Ma lei, sarà solo una delle tante persone che mi hanno allontanato per paura. L’ennesimo eroe che rifugge il mostro, per tornare nel suo mondo fatto di tante belle parole.
Il mio mondo, di bello, non ha nemmeno le parole, in realtà.
Il mio mondo è una luna che ogni mese splende piena in cielo, al massimo del suo fulgore, e sprigionando la sua luce alza le sbarre della prigione del mio mostro, lasciando che mi divori, lasciando che, quando ancora tornerà tra le sbarre, porti con se un altro pezzo della mia umanità.
Guardo Sirius e vedo che mi sorride. È gentile.
So cosa ha pensato.
Niente cadaveri nell’armadio, solo un licantropo nella stanza. Che poi non è quello che ho pensato io?
Con la differenza, che per lui non sono mai stato un mostro.
Penso velocemente a quella sera di cinque anni fa, quando i malandrini mi hanno scoperto. James era gentile, Peter era teso.
Sirius è stato l’unico a guardarmi e a ridere, sguaiatamente, con quella sua risata così simile ad un latrato.
-un lupo mannaro, che figo!- ha esclamato battendosi le mani sulla fronte. Esilarato. Non spaventato, non gentile, non teso. Divertito. Non ha indorato la pillola, niente rassicurazioni vuote. Solo quelle cinque parole, che hanno fatto scoppiare a ridere tutti e quattro e hanno sciolto l’atmosfera.
Ci vorrebbero adesso, quelle parole.
Sorrido in risposta al mio migliore amico.

 

***


-avete un cadavere nell’armadio?- chiedo a sorpresa.
I loro toni, i loro volti.
Tutto lascia presumere che il loro segreto mi stupirà tanto da restarci secca.
Sirius si stende sul letto togliendosi le scarpe, Remus sospira per la tredicesima volta, Peter si dirige sul suo letto sgranocchiando qualcosa e James si volge verso Remus, in attesa.
-una cosa, Lily- dice ancora Black guardandomi –non ne parlare con nessuno, nemmeno con Emmeline, per ora. Quello che ti diremo non è mai uscito da questa stanza, non lo sa nessuno. Ma se tu parlassi, ci andrebbe di mezzo molto più di un segreto svelato, o di una punizione per me e James. Remus pagherebbe più di tutti e, checché te ne dirà lui, non se lo merita-.
Guardo Sirius, e per la prima volta da anni sento di stimarlo veramente.
In questo momento, e solo in questo momento, capisco quanto in realtà tenga a Remus.
Annuisco, guardandolo negli occhi.
-bene, allora- sospira James in modo teatrale –che lo spettacolo inizi, dunque!-.
Sirius sorride, Peter ridacchia e Remus si rilassa appena.
-non sono malato- sussurra il mio migliore amico stringendomi la mano –almeno, non nel modo convenzionale-.
-in che senso non sei malato?- scuoto la testa –io ti ho visto, più volte, in infermeria-.
Lui mi guarda, io lo guardo, gli occhi ambrati nei miei occhi verdi.
Conosco la tua teoria, Sev.
Spalanco gli occhi.
Quinto anno, parco di Hogwarts.
Sparisce una volta al mese, con la luna piena.
-ah- è l’unica cosa che riesco a rispondere, mentre con la mente prendo effettivamente in considerazione la teoria di Severus.
Sparisce una volta al mese con la luna piena.
Guardo il volto stanco e segnato, la carnagione pallida e gli occhi ferini.
I capelli castani, bagnati dalla luce della luna fuori dalla finestra.
Istintivamente, rivolgo lo sguardo alla finestra e deglutisco.
Sembra passare un’eternità mentre osservo quel disco perlaceo che ha passato da poco la metà, che io ho sempre giudicato bello ma che Remus, ora me ne rendo conto, deve considerare una maledizione.
Mi vergogno della mia prima sensazione, pena.
Non ho paura, quello no, ma penso che la pena sia peggio.
Perché il ragazzo che conosco da sei anni non merita la mia pena, dovrebbe avere il mio coraggio, le mie rassicurazioni.
Eppure quella schifosa pena è la prima cosa che mi pervade, e non riesco a dominarla se non dopo qualche attimo.
La seconda, forte sensazione che mi ferma respiro è la sicurezza di non aver mai incontrato persona, fuori o dentro Hogwarts, che meritasse questo destino meno di Remus Lupin.
Se davvero esiste un fato, come cerca di inculcarci quella di divinazione, è tremendamente bastardo. E sadico, oserei dire. E inetto, stronzo e indegno di essere.
Perché non ce la si può prendere con Remus e godere delle sue sofferenze. È come prendere a bastonate un cucciolo di cane.
Giusto Mulciber potrebbe fare una cosa del genere.
Poi mi getto su Remus e lo abbraccio così forte che quasi lo faccio cadere dal letto.
-sei un idiota, Remus Lupin- esclamo alla fine, tirandomi fuori la voce con la forza, un po’ roca –un idiota. non me lo avevi mai detto!-.
Vedo Sirius e James guardarmi ad occhi sgranati nemmeno mi fossi messa a ballare la conga mezza nuda.
-che sono un idiota?- mi chiede in un sussurro.
-si, anche quello. Ma intendevo che sei un licantropo- lo rimbrotto scrollandomelo di dosso e rialzandomi.
Lo guardo e scuoto la testa, borbottando con un sorriso.
-come ci sei arrivata così velocemente?- mi chiede Sirius inarcando un sopracciglio e mettendosi a sedere sul suo letto.
-Severus mi disse che aveva una teoria al terzo anno, e poi al quarto e poi al quinto e…- mi interrompo, guardando ovunque nella stanza tranne che i ragazzi seduti sui letti. E poi non mi ha più parlato, quindi non c’è stata altra occasione di ascoltarlo blaterare su lune piene e lupi.
-capisco- mormora Remus annuendo –e, Lily, vorrei farti presente che non è una cosa di cui essere felice. Intendo che sono un mostro, una volta al mese mi spuntano gli artigli e…-.
-non ne sono felice, non ho mai detto questo, e mi scuso- mi affretto a spiegare –se con il mio atteggiamento ho in qualche modo offeso la tua sensibilità-.
-offeso la mia…?- Remus è sbalordito.
-si, non sottovaluto le tue sofferenze, che devono essere enormi, non lo metto in dubbio, ma di certo non sei un mostro e non…-.
-Lily, tu non mi hai visto, ok? Io sono un mostro- mi dice duramente –ed è inutile che tu provi a negare. Ti sarò debitore fino alla morte se continuerai a parlarmi, a considerarmi come facevi fino a qualche minuto fa nonostante tu ora sappia che bestia sono, ma non indorare la pillola, non serve a nessuno-.
-indorare la pillola?- chiedo dopo qualche secondo di silenzio.
Sono rimasta profondamente delusa dal mio migliore amico, e spero di comunicarglielo con questo sguardo, con i miei gesti. Gli lascio la mano e mi alzo dal letto, sentendo qualcosa aggrovigliarmi lo stomaco.
Un segreto per un segreto, mi dico.
Non sarà il silenzio, a guarirti, mi ha detto James in infermeria.
Vado verso la finestra e guardo fuori.
La luna sembra ghignare beffarda.
Un mostro.
-non ho alcuna intenzione di indorare la pillola a nessuno, Remus, non ne sarei capace- gli dico rigidamente –sei un licantropo, non un mostro-.
Lo sento sbuffare.
-senti, Lils, così non andremo da nessuna parte, lo capisci?- mi chiede irritato –tu non ci sei quando…-
-un mostro, dici- lo interrompo duramente, voltandomi verso di lui furiosa –un licantropo è un animale, con istinti da animale, o sbaglio?-.
Mi osserva guardingo, e vedo anche James e Sirius e Peter guardarmi lievemente impauriti, come se non sapessero cosa aspettarsi.
Remus annuisce.
-è il sangue umano che la bestia vuole- mormora alla fine.
Rido, ma è la risata meno divertita che io abbia mai emesso in vita mia.
-tu non hai mai visto un mostro, Remus- gli dico alla fine.
-tu pensi di sapere…-
-no, io ne ho visto due- lo interrompo brusca, mi avvicino e lo guardo negli occhi. So di averli lucidi, esattamente come lucidi li ho tutte le notti quando ascolto Emmeline rigirarsi nel letto, singhiozzare piano per non svegliare gli altri. Siamo ancora impegnate a raccogliere i nostri cocci, come ha detto James. Sono ovunque, i nostri cocci. Alcuni sono talmente piccoli che non ti accorgi nemmeno di averli persi fino a che non incappi in quel buco, in quella mancanza, che fa di te una persona spezzata –camminavano su due gambe, parlavano la nostra lingua e muovevano una bacchetta esattamente come facciamo noi-.
Vedo Remus impallidire, James socchiudere gli occhi e Peter muoversi a disagio. Sirius mi sta guardando, fisso, con… gratitudine?

 

***


Vedo la Evans andare alla finestra mentre Remus cerca di propinarle l’assurda teoria secondo cui lui, il caro, gentile, talvolta bastardo ma buono come il pane, Remus Lupin dovrebbe essere un mostro.
Lo avevamo tutti previsto, questo suo monologo.
Quello che non avevamo previsto, è la reazione di Lily.
James socchiude gli occhi, forse inorridito dalle immagini che gli si parano davanti alle parole di Lily, Peter si muove a disagio.
Io la guardo, grato a quella ragazza che, sola fra tutti gli abitanti di questa terrà, potrà far capire a Remus quanto speciale lui sia, quanto i mostri siano altri, in altre zone, con altre forze.
-sai, mentre io pregavo la morte in ginocchio loro ridevano- ci rivela Lily con tono fintamente leggero, prima di voltarsi ancora. Forse per nascondere le lacrime. Poi si toglie il maglione, veloce, restando con una maglietta a maniche corte. Con gesti veloci e puliti abbassa la manica sinistra della maglietta e mostra a Remus la spalla destra.
James sussulta, subito seguito da Peter.
-ne ho anche sull’altra spalla e…- la voce di Lily si spegne –e anche un’altra, molto peggiore rispetto a queste. Sono causate dal sectumsempra, come sai le ferite maledette non svaniscono mai del tutto, credo che anche tu ne abbia una. Devo ammettere che queste fanno ancora un po’ troppo senso-.
Sospira, rimettendosi seduta e sporgendosi verso Remus.
Gli prende una mano, delicatamente.
-cosa ti ha detto Emmeline, quando glielo hai detto?- gli chiede alla fine mentre tracce salate sulle sue guance iniziano ad asciugarsi.
Devo ammetterlo, non credevo fosse così forte, la Evans.
Dall’inizio dell’anno mi ha stupito più volte, ma mai quanto ora.
James è un ragazzo fortunato, penso.
Avrà i suoi difetti, ma è una delle ragazze migliori che io conosca.

 

***


Lily non ha stupito solo Remus, con la sua appassionante arringa contro i mostri, quelli veri.
Ancora non riesco a staccare gli occhi dalla sua spalla.
Penso che se ne avrò la forza, se davvero staccherò gli occhi da lì, sarà per uccidere il bastardo che gli ha fatto questo.
E capisco, con sconcertante chiarezza, cosa vuole dire Lily.
Capisco cosa è un mostro e sento, con un brivido, che la differenza tra mostro e animale è ben marcata.
So che se mi lasciassero uscire da questa camera, probabilmente, potrei diventare io, il mostro di turno, verso chi le ha fatto provare tutto quel dolore.
Se tocchi i tasti giusti, anche il più innocente degli agnelli diventerà una belva assetata di sangue.
E lei è un mio tasto giusto.
-niente, non le ho lasciato dire nulla- rivela alla fine Remus. E all’occhiata scettica di Lily sorrido.
-non le hai lasciato dire nulla?- chiede stupita.
-no, l’ho obliviata subito… io avevo…- la voce di Remus muore e so che non può dirlo ad alta voce.
Aveva paura.
Perché non è mai facile fidarsi degli altri.
Sospira, Lily, con aria rassegnata alzando gli occhi al cielo.
-credo che tu abbia sottovalutato Emmeline- dice alla fine –così come hai sottovalutato me tenendomi nascosta per sei anni e mezzo una cosa del genere-.
-Lily, io non…-
-no, era una constatazione, non mi serve il tuo parere- lo interrompe severa, poi si apre in un sorriso –però sono contenta che alla fine tu abbia deciso di fidarti di me-.

***


Mi fermo, limitandomi a guardarlo da sotto le ciglia, e forse lo vedo davvero per la prima volta, il mio migliore amico, la persona migliore che io abbia mai incontrato.
Il magone mi stringe la gola.
Com’è possibile che la sua vita possa essere tanto complicata?
Non solo un mezzosangue, ma anche un lupo mannaro.
Questo vuol dire, nella migliore delle ipotesi, l’emarginazione da tutto e da tutti.
Sospiro, passandomi una mano sugli occhi.
E mi chiedo come è possibile, ancora, che ci siano al mondo persone che hanno tutto, e sono degli irrimediabili stronzi, e poi persone senza la cui presenza la terra sarebbe più spenta, la cui luce qualcuno sembra voler spegnere ad ogni costo.
-ti aiuterò, lo sai?- gli dico alla fine, e anche se la pongo come una domanda sia io che lui sappiamo che il mio tono non ammette alcuna replica –darò qualsiasi cosa perché per te sia più facile-.
 

***


Lily non ha detto che sarà facile, ma che mi aiuterà a renderlo più facile.
-in realtà, non è molto dura, ultimamente- le rivelo scambiando un’occhiata con James.
-ma…- esita Lily, forse per decidere quanto tatto usare nella frase –pensavo che per voi fosse… doloroso e…-
-beh, questa è la seconda parte- mormora Sirius che adesso è seduto sul letto.
Sorrido al pensiero di quanto gli costi restare così piuttosto che muoversi e camminare nella stanze, dare a pezzi qualcosa, trasformarsi e mordere il cuscino lottando con James.
-seconda parte?- chiede scettica Lily –cos’è, siete tutti lupi mannari?-.
James ride, Sirius sogghigna e a Peter va per traverso quello che stava sgranocchiando.
-no, non esattamente- le risponde James dolcemente.
Solo adesso, meno occupato dai miei pensieri e più aperto verso i miei amici, mi accorgo che James pur essendo seduto sul letto vive a mezzo metro da terra, per la felicità.
Sorriso pensando che, forse, questa giornata non è stata per tutti un totale fallimento.
-vedi, Lily, quando abbiamo scoperto le carte di Remus…- esita Sirius prendendo piano piano più sicurezza nelle sue parole –abbiamo fatto ricerche. Parecchie, ricerche. In effetti abbiamo passato tre notti a settimana in tutto il terzo e il quarto anno in biblioteca-.
Lily lo guarda, stupita.
-ti giuro, Black, che sei riuscito a sorprendermi- dice divertita –e pensare che non credevo tu sapessi l’ubicazione della biblioteca prima di entrarci con me all’inizio dell’anno-.
Sirius ghigna.
-si, beh, non è questo il punto- riprende Sirius –il punto è che abbiamo scoperto che, per gli animali, la maledizione non vale-.
-non vale?-.
-no, non vale. Il veleno di un lupo mannaro è completamente innocuo su un animale, e così abbiamo fatto qualche… ehm, trucchetto di magia, penso che i babbani lo chiamino così… e ora, eccoci qua!-.
-qua?- borbotta Lily interdetta. Si guarda attorno –cosa vuol dire eccoci qua?-.
Sirius ride e James interviene.
-ti presento Prongs- le dice alla fine, scendendo dal letto e mettendosi davanti al bagno. Con un movimento flessuoso, dopo aver leggermente aggrottato la fronte, si mostra.

 

***


Passo per l’ennesima volta le dita sulle parole stampate, scure nella pagina chiara seppur ingiallita dal tempo.
Per un po’ sono rimasta a fissare l’entrata ai dormitori maschili oltre la quale Lils è sparita da circa venti minuti, poi mi sono rassegnata alle stranezze della mia migliore amica e mi sono rimessa a leggere.
Dovrei proprio ringraziare Remus, per questo libro.
Ancora mi vergogno a pensare che gli ho dato buca. Insomma, cosa deve aver pensato di me?
Quando mi ha svegliato qui sul divano aveva un’espressione dipinta sul volto… insomma, nemmeno io so come giudicarla.
Sembrava colpevole, ma stranamente non contro di me.
Che poi, se io gli ho dato buca che colpa ne ha lui?
Chissà come si è sentito. Complimenti a Emmeline Vance!
Che stupida, vorrei sprofondare.
Ma si può…
-Ehi, Emm, hai visto Lily?- mi chiede Lène sedendosi sul pavimento davanti al fuoco e massaggiandosi le mani.
-sparita nella camera dei malandrini- rispondo voltando una pagina, così tanto per fare qualcosa, perché ovviamente sto pensando a tutt’altro.
Ovvero ad un paio di occhi ambrati e un ciuffo gentile, mani eleganti ed espressione, ancora, colpevole.
-nella camera dei… oh, Remus, il tuo arrivo è provvidenziale!- esclama Lène e, al nome di Remus, scatto sull’attenti faticando con un’enorme sforzo di volontà per mantenermi seduta –sai dove è Lils?-.
Remus sorride, gentile.
-in camera, con James- risponde e, accorgendosi di come dette così queste parole possano apparire compromettenti, sorride ancora –stanno parlando, ci sono anche Sirius e Pete-.
Marlene annuisce, scrollandosi dal volto l’espressione maliziosa.
-bene, vorrà dire che andrò a prepararmi per la cena- mormora guardandomi e sorridendo –se la vedete e… si, insomma, non sarete troppo impegnati… potete dirle che sono in camera e voglio parlarle?-.
Merlino, non può averlo detto veramente!
Maledetti avi nordici che mi hanno tramandato questa carnagione bislacca, per farmi arrossire basta una battuta nemmeno troppo maliziosa.
Non voglio pensare a cosa farei se davvero Lène dovesse dare fondo a tutta la sua scorta di malizia!
Non appena Lène si gira mi porto le mani al viso e mi copro il volto, con l’istintivo pensiero che, si, adesso vorrei che la poltrona si spalancasse sotto di me e mi risucchiasse in qualsiasi angolo della terra, a patto che si trovi ad una distanza da Remus di almeno trecento chilometri.
Il deserto australiano andrebbe bene, ad esempio.
Ma anche Machu Picchu, o la siberia nord-orientale, chessò io, il Kamchatka.
E prima di poter controllare le mie parole, sento una frase che mi rispecchia profondamente.
-vorrei sprofondare-.
Qual è la cosa strana?
A dirla è stata la voce calma e gentile di Remus, che ora è seduto ai miei piedi.

 

“quello che sto per dire non è facile da capire,
 ed è impossibile da ammettere;
ma se vuole ascoltare la nostra storia,
se vuole avere fiducia in me,
allora forse mi crederà, ed è molto importante,
perché lei,
senza saperlo,
è la sola persona al mondo con la quale possa condividere questo segreto” *

 

-vorrei sprofondare- sussurro rivolto al fuoco.
Lily è stata categorica, ma anche se non si fosse dimostrata così ferrea nelle proprie decisioni, che poi sono le mie, di decisioni, avrei fatto comunque quello che sto per fare.
Me lo sono ripetuto come una cantilena per ogni scalino che mi ha condotto dalla camera alla sala comune, e poi mentre parlavo con Marlene, e poi mentre mi sedevo ai suoi piedi.
E ora, ai suoi piedi, la mia decisione non vacilla.
Strano, forse l’ho sempre saputo, fin da che sono entrato in doccia.
Ho fatto una cazzata e ora devo rimediare.
E se rimediando spezzerò qualcosa, sono io l’unico colpevole di questa mia follia.
Spezzare? Credo si possa dire rompere su ogni fronte.
E la colpa è mia. Mia e della mia vigliaccheria.
Del volermela tenere vicino ancora un po’.
-Emmeline, ti devo dire una cosa- decido alla fine, alzando il viso per guardarla negli occhi.
Lei mi guarda, gli occhi prima ridenti adesso seri, computi.
Non sa quello che sto per dirle, e credo si senta in colpa per quello che crede di aver fatto.
Scivola dalla poltrona e si siede ad appena qualche centimetro da me, sul pavimento, la mia gamba destra quasi tocca la sua sinistra, all’altezza del ginocchio, in uno sfiorarsi che mi da un brivido alla spina dorsale.
È un attimo, e con un sorriso penso a quella fiaba babbana, antica e sempre nuova, della bella e della bestia.
Per poco non rido. Noi due, seduti accanto al fuoco come due qualunque. Mi chiedo se lo scrittore fosse un veggente del calibro, magari, di Cassandra Cooman. Se avesse previsto che un giorno, due studenti come tutti gli altri, una bestia ed una bella, si sarebbero seduti accanto al fuoco ad aprirsi ferite a vicenda invece che a leccare via il dolore.
E anche questa volta, realtà e fiaba si incrociano e, mentre le fiamme ci scaldano benedette, io prendo a raccontare la mia storia. La storia di un bambino che a sei anni vide finire la sua infanzia.
La storia di un mostro, che iniziò la propria vita in quella notte di luna piena ormai lontana anni, eppure sempre così nitida nella mia mente.
-mi ricordo tutto. Il profumo degli aghi di pino, l’odore della legna, e quello più selvatico del lupo-.
Penso che sia buffo, come io non abbia mai raccontato questa storia in tutta la mia vita e come oggi, proprio in questo benedetto giorno, io mi ritrovi a raccontarla non una, bensì tre volte… di cui due alla stessa persona, ignara.
Quando finisco la storia ho ancora paura, e sorrido amaramente pensando a come Lily prima mi ha sequestrato la bacchetta inviandomi da Emmeline armato solo del mio coraggio e della mia decisione.
E della mia paura, ovviamente.
Emmeline tace, forse assimilando le mie parole e scomponendole in frasi più semplici.
-quello che stai cercando di dirmi è che sei un lupo mannaro?- mi chiede all’orecchio, e noto come anche dopo una notizia come questa sia in grado, con tutto il tatto del mondo, di ricordarsi che siamo in una stanza gremita di persone e di sussurrarmi all’orecchio per non farsi sentire.
-è una parte di quello che sto cercando di dirti, si- annuisco.
All’improvviso sento freddo, sebbene io sia vicino al fuoco e ad Emmeline.
-una parte?- chiede guardinga.
Non so perché non gli do nemmeno il tempo di assimilare il mio primo “racconto” che inizio con il secondo.
-potrai odiarmi, alla fine- inizio tentennante –odiarmi come mi odio io per averlo fatto e…-
-fatto cosa, Remus?-.
-io ti ho già detto chi… o meglio cosa, sono- le rivelo alla fine. Lei mi risponde con un’occhiata scettica.
-permettimi di dissentire, ma se mi avessi già detto chi sei, me lo sarei ricordato, credimi-.
Sorrido amaramente.
-no, non in questo caso-.

 

***


Sono rimasta a bocca aperta.
Scioccata, arrabbiata, offesa, delusa.
Vedo che lui mi legge tutto questo negli occhi.
Scioccata per quello che ha fatto;
arrabbiata per avermelo raccontato così, su due piedi, davanti al fuoco e con la mia mano tra le sue;
offesa perché nonostante tutto non riesco a non pensare che non si è fidato di me. Ma non solo. Ha deliberatamente lasciato che io mi crogiolassi nella vergogna in quest’ultima ora, mi ha preso in giro, mi ha sottovalutato, mi ha colpito al cuore dopo che io glielo avevo mostrato.
E poi, l’offesa peggiore. Ha deciso al posto mio che io non lo avrei accettato. Mi ha relegato nello stesso angolo immondo che normalmente occupano i serpeverde, pronti a fermarsi alle apparenza. Ha deciso che io sarei stata una di loro, se avessi saputo. Mi ha giudicata.
-avevo paura tu mi giudicassi- dice alla fine del racconto.
Deglutisco, sentendo la terra mancarmi sotto i piedi.
-e invece lo hai fatto tu- rispondo gelida, e faccio uno sforzo immenso per non mettermi a piangere –tu hai giudicato me-.
Mi alzo e mi liscio i jeans e il mantello, fino a raggiungere una sorta di stabilità emotiva.
In quanto a quella fisica, sono certa di reggermi in piedi puramente per orgoglio.
Lo guardo ancora, e questa volta nel mio sguardo, nella mia mente, in ogni singola parte del mio cuore, la delusione dilaga.
E guardando il suo viso segnato dall’amarezza e dalla repulsione non posso che disgustarmi di me stessa.
Perché dovrei odiarlo, dovrei essere delusa di lui.
La delusione, invece, che provo, è rivolta a me, al resto del mondo, e a quel qualcosa, o qualcuno, che ha deciso di dare a Remus quell’aria da bravo ragazzo, quella che adesso gli leggo in volto.
Perché la cosa peggiore, è quella che sto leggendo nel suo sguardo.
Io vorrei odiarlo, lo vorrei davvero, ma è Remus quello che ho davanti.
Penso che l’odio che leggo nei suoi occhi, la delusione e la rabbia, bastino per entrambi.
Capisco che gli fa davvero male, l’idea di aver fatto quello che ha fatto.
Ma anche a me ne ha fatto. E lo ha fatto consapevolmente.
-scusami- dice alla fine, e siamo così vicini che posso leggergli dentro ogni singola emozione.
-è buffo, non è vero?- rido sarcastica e, lo giuro, vorrei essere fredda, ma non ce la faccio. Ho il tono di una bambina piagnucolosa, me ne rendo conto, ma davvero mi sento violata, travolta dall’indignazione, e tutto quello che mi importa adesso è farglielo capire –che io abbia accolto la notizia della tua natura con così tanto sangue freddo ma che a farmi male sia solo come mi vedi. Una bambina, facile al giudizio e all’isteria. Dovrebbe essere il contrario, dovrebbe importarmi più quello che sei piuttosto di come mi vedi-.
Lui mi guarda e tace.
-tranquillo, comunque- dico alla fine, dopo qualche sospiro, volgendomi verso la scala e il dormitorio –se è quello che temevi, non dirò niente a nessuno-.

 
***

Sono nel dormitorio maschile di grifondoro.
Ok, non è normale ma nemmeno poi troppo strano.
Sono sul letto del mio migliore amico.
Non è normale ma nemmeno troppo strano.
Sono in presenza di un cervo, di un topo e di un cane.
Questo non è normale, è decisamente strano.
Mi sto divertendo.
Questo è strano, punto.
-Black, più che un cane sembri un orso- lo prendo in giro quando alla fine torna ad essere lo sbruffone senza cervello figlio di un dio greco (di un bel pezzo di un dio greco, tra l’altro) –ah, e ti hanno già detto che puzzi di cane?-.
Black ride e finalmente posso capire appieno da dove arriva questa sua risata simile ad un latrato.
-glielo diciamo tutti a ripetizione- squittisce Peter, alla fine. O Wormtail, come adesso so che si chiama il topolino che ha appena fatto la sua scomparsa oltre le coperte.
-e pensa che durante la notte si muove come se corresse, in sogno- aggiunge James sedendosi sul suo letto –hai presente come fanno i cani quando dormono? Uguale-.
Il suo tono ha tanto l’aria di una presa in giro, Sirius ringhia.
-beh, almeno io non sono come te. insomma, questo era il tuo primo appuntamento con Lily e hai già le corna!- lo sbeffeggia non facendo caso a me che divento rosso pomodoro o a Prongs che gli si lancia addosso armato di corna. Dalla massa nera sul pavimento proviene un ringhio, un singulto e un uggiolato.
Ridacchio, e sobbalzo quando il rumore di un grattare sordo alla finestra mi raggiunge l’orecchio.
Mi volto e vedo che, nel buio della notte, due magnetici e grandi occhi gialli fissano la scena sbattendo appena le palpebre scure.
-un gufo!- esclamo quando metto a fuoco l’immagine.
Per terra, Prongs e Padfoot (che strani nomi, mi dico) tornano ad essere Sirius e James che, incastrati tra loro come pezzi di puzzle, mi guardano straniti.
Io indico la finestra, Peter si affanna per arrivare ad aprirla.
-aspettavate posta?- chiedo interdetta. Di solito, la posta viene consegnata di mattino, a tutti tranne che a me, visto che mi madre fa di tutto pur di non scrivermi nell’orario in cui dovrebbe farlo. Trova strano, dice, che ci sia un orario definito. Secondo lei ci si può scrivere a qualsiasi ora. Poi, notando che il gufo trattiene cinque lettere legate alle zampe, inarco un sopracciglio –tanta posta, tra parentesi-.
Il gufo plana gentilmente nella stanza, eleggendo a proprio trespolo uno sgabello adesso inutilizzato.
Porge la prima zamba, alla quale sono legate due lettere, io sciolgo i nodi e prendo la seconda zampa, con altre due lettere fissate.
Le guardo. La prima è mia, leggo.
-Miss Lily Evans,
dormitorio maschile del settimo anno,
casa Grifondoro,
Hogwarts,
Scozia-.
Guardo le altre lettere, uguali in tutto tranne che nel nome.
Mr Sirius Orion Black, Mr James Potter, Mr Peter Minus.
Le porgo ai rispettivi proprietari che mi guardando ancora stupiti, poi apro la mia spezzando il sigillo di ceralacca.

 
Miss Lily Evans,
 
la preghiamo di raggiungerci nello studio del preside Albus Silente non appena avrà un minuto del suo tempo da dedicarci.
Distinti saluti,
la vicepreside e il preside,
M. McGrannitt e A. P. W. B. Silente
 
P.S. posso chiederle cosa ci fa lei nella stanza maschile del settimo anno di grifondoro?
Ossequi, Minerva McGrannitt

 
Per prima cosa divento bordeaux in volto.
Per seconda cosa alzo lo sguardo inferocita su un James e un Sirius sbalorditi dopo aver letto la propria lettera.
-che avete combinato questa volta?- chiedo scoccandogli una delle mie occhiate truci stile Minerva McGrannitt prima maniera.
 

 
 
 
*Se solo fosse vero, Marc Levy
 
NOTE:
questo capitolo è forse un po’ più lungo degli altri. Non disperate per la situazione di Emmeline e Remus, si risolverà tutto, ve lo prometto.
In questo capitolo ho voluto, benchè incentrato su Remus ed Emmeline, lasciare un certo spazio al rapporto particolare che Remus ha con le persone a lui vicine. Soprattutto Sirius e Lily.
Per quanto riguarda Remus e Sirius, non vi negherò che io sono piuttosto propensa a pensarli più come coppia che come amici. In questa fic non sarà così, ovviamente, visto l’andazzo delle cose, tuttavia mi riesce difficili pensarli solo come amici, e scrivendo di loro ho voluto sottolineare questo loro essere un po’ più vicini. L’amicizia che li lega non è come quella fraterna che lega James a Sirius o a Remus, sarà più “parassita” con il giusto concentrato di preoccupazione di Sirius verso lo stato di Remus, mentre Remus, non so se avete notato anche durante l’uscita con Emmeline, pensa sempre a quello che Sirius potrebbe o non potrebbe fare (e dire) delle situazioni in cui si trova.
Spero comunque di non aver deluso nessuno per questa mia visione della coppia.
Per il resto… grazie mille per le recensioni, splendide ovviamente, che mi fanno sempre molto piacere!!!!
Ah, dimenticavo di chiedervi una cosa.
C'è per caso un punto di vista che vi piace più degli altri?
Perchè mi sono accorta che tendo a dare più spazio a quelli che preferisco, ma magari voi ne preferite altri, così se ce n'è qualcuno che ritenete sia migliore potete dirmelo e io cercherò di concentrarmi di più su quelli...
Buona lettura,
non vedo l’ora di sapere che ne pensate,
Hir


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Capitolo 28
*** in guerra e in amore... ***


LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
EMMELINE
REMUS
ALICE
FRANK
MARY
PETER
RABASTAN
REGULUS


-che cosa può essere successo per far convocare noi nell’ufficio di Silente?- chiede sbuffando Emmeline trascinandomi letteralmente giù dalle scale del dormitorio e poi oltre il ritratto.
-Emm, ti pare il caso di trascinarmi in giro così?- le chiedo stizzita in risposta, indicandomi i capelli bagnati, la canottierina bianca e i pantaloni del pigiama con disegnate ranocchie estremamente imbarazzanti.
Emme perde appena un secondo del suo tempo per gettarmi un’occhiata disinteressata.
-a me sembri perfettamente presentabile- dice.
-…se vogliamo sorvolare sul fatto che mi prenderò una broncopolmonite, questo castello ha più spifferi del campo di quidditch- la rimbrotto imbronciandomi leggermente e iniziando a tremare di freddo.
-quante storie per un po’ d’aria- sputa fuori risentita.
Nonostante il freddo e la voglia di scaldarmi muovendomi mi blocco all’improvviso.
-mi sono persa qualcosa?- le chiedo gentilmente inarcando le sopracciglia.
Lei sbuffa e da in un sorriso tirato.
-non è nulla- risponde riprendendo a camminare.
Camminiamo in silenzio, con solo il rumore dei suoi passi e dei miei brividi come sottofondo. Ogni tanto incrociamo uno studente o due con una pila di libri sotto il braccio, soprattutto nelle vicinanze della biblioteca, ma per il resto il nostro percorso si snoda tranquillo per i corridoi del castello.
Di questo maledetto castello freddo.
Rabbrividisco per l’ennesima volta quando arriviamo davanti alle gargolle e Emm inizia la solita lista di dolci.
Con un sorriso penso che, per fortuna, non esistono poi tutte queste varietà di dolci… sarebbe molto peggio se invece che dei dolci Silente avesse la passione di, chessò io, i classici babbani.
Almeno sui dolci siamo tra tutte bene informate (si può cercare di non esserlo con Mary in camera).
Reprimo un brivido quando al “Piperille nere” di Emm la statua si fa da parte e ci lascia salire sulla scala. Ormai sono così intirizzita che mi stupisco che le rane sul mio pigiama non abbiano iniziato a saltellare per scaldarsi.

 

***


La porta si apre per fare entrare Mary e Alice, seguite da Frank.
Io, James e Peter non siamo riusciti ancora a convincere Lily di non essere la causa di questa convocazione… infondo non lo crediamo realmente neppure noi.
Forse è per questo che quando siamo entrati ci siamo diretti dritti dal preside.
-non siamo stati noi- abbiamo esclamato con tono spassionato.
Silente ci ha guardati ed è scoppiato a ridere, mentre la Minnie ci ha guardati e basta.
La Evans ha sbuffato.
È incredibile quanto viste da vicino la Evans e la Minnie si assomiglino.
No, non è un complimento.
Alla nostra occhiata perplessa Silente ha risposto con un sorriso.
-mancano ancora un paio di persone- ci ha rivelato occhieggiando la porta –quando ci saremo tutti vi comunicherò il motivo di questa visita-.
A quanto pare, questo paio di persone sono ben più di un paio.
Cinque minuti dopo di noi ci ha raggiunto Remus, l’espressione gentile e imbronciata.
Ahi. Non è andata bene con Emmeline.
Poco dopo ecco entrare Mac e gli sposini felici.
Immagino che adesso manchino veramente solo un paio di persone.
Emmeline e Marlene, secondo i miei calcoli.
La porta si spalanca e, velocemente, le due ragazze oltrepassano la porta, la prima con espressione stizzita la seconda imbronciata.
Cala il silenzio nella stanza, già per altro molto silenziosa, e tutti ci soffermiamo in particolare sulla figura di Lène.
Il mio primo pensiero è … beh, non è proprio un pensiero. In realtà è più una reazione.
Sento James trattenersi le risate in bocca a forza, forse mi sta guardando.
Qui lo dico e qui lo nego, sono arrossito.
Io, Sirius Black, arrossito.
Il mio primo vero pensiero è che è veramente bella anche con i capelli bagnati, quella canottierina che lascia ben poco all’immaginazione (lo so che la mia immaginazione è quella di un pervertito, come dice sempre Remus, ma sfido chiunque a guardare Marlene McKinnon in queste condizioni e a non farci un pensierino) e quei buffi pantaloni lunghi in flanella con delle rane assolutamente improbabili.
-signorina McKinnon, il messaggio non era così urgente, dopotutto- la riprende la McGrannitt severamente.
Per fortuna non l’ha capito, che non era così urgente, mi dico, altrimenti non avrei avuto questa magnifica visuale.
Arrossatura a parte, si intende.
Adesso è Marlene ad arrossire.
-mi scusi, professoressa, ero sotto la doccia ed Emmeline mi ha letteralmente trascinato qui lasciandomi a malapena il tempo di rivestirmi-.
-credevo fosse successo qualcos’altro- mormora Emmeline in tono di scuse.
Silente sorride e fa un cenno con la mano come a dire di lasciar perdere.
Mi chiedo se Lène non abbia freddo, con solo quella canottiera addosso. Di tanto in tanto la vedo rabbrividire, e mi accorgo che si, ha freddo, ma non fa più di tanto per darlo a vedere.
Mentre Silente inizia a parlare mi avvicino a lei e mi tolgo la felpa, slacciando con dita rapide i bottoni di stoffa.
Le vedo lo stupore dipinto in volto e, con un sorriso, le cedo la mia felpa.
-no, non…- non fa in tempo a iniziare la frase che uno starnuto la coglie impreparata.
Mentre il mio sorriso si allarga le porgo la felpa con più insistenza.
Con un sorriso di scuse la prende e la indossa.

 

***


-bene, ragazzi, accomodatevi, vi prego- inizia Silente non appena siamo tutti presenti, e con uno svolazzo di bacchetta fa apparire dal nulla dieci sedie ugualmente comode.
Lui e la professoressa McGrannitt rimangono in piedi, le braccia incrociate al petto e lo sguardo il primo gentile, la seconda risoluto e severo come sempre.
-innanzitutto vi voglio chiedere come state, vi siete ripresi bene dalle vostre recenti peripezie?- ci chiede gentilmente. Io do in un sorriso, Emmeline annuisce piano, gli altri si schierano dall’una o dall’altra parte.
-bene. Abbiamo ritenuto di dovervi lasciare in pace per almeno il tempo necessario a riprendere in mano le vostre vite adeguatamente prima di farvi questa richiesta, benché l’idea di farvela ci sia da ben più tempo, temo-.
Richiesta? E cos’è tutto quest’uso della seconda persona plurale?
Lui e la McGrannitt? È forse qualcosa inerente alla scuola?
-è qualcosa che riguarda i nostri studi?- chiede Remus muovendosi a disagio sulla propria sedia.
Silente arriccia le labbra, poi ci guarda severamente da sopra i suoi occhiali con le lenti a mezzaluna.
-temo, signor Lupin, che non abbia molto a che fare con i vostri studi, no- mormora il preside e, nonostante la calma con cui viene formulata la risposta, non può non gettarmi in ansia. Ora il preside è completamente serio –possiamo affermare che c’entri con la vita fuori di qui-.
La professoressa McGrannitt alza il mento, guardandoci dall’alto con occhi severi.
Ci passa in rassegna uno ad uno, squadrandoci per qualche secondo molto attentamente.
Silente aspetta che lei abbia terminato questo suo esame, poi riprende a parlare.
-quella che vi faremo adesso, sarà ovviamente una proposta che non sarete costretti ad accettare- inizia meditabondo –d’altronde, devo dire di aver pensato di farla a voi soprattutto alla luce degli avvenimenti dell’ultimo mese, che si sono risolti positivamente, a differenza della volta scorsa-.
-parla di Grainne?- chiedo interessata.
In effetti mi è parso strano che nonostante gli attacchi alla ragazzina, a me e ad Emmeline non ci fosse nessuno intento ad indagare.
-quello che è successo alla signorina O’Connell, a lei, signorina Evans e a lei, signorina Vance, è qualcosa che non si deve ripetere. Sono state aggiunte protezioni al castello, come saprete sicuramente il coprifuoco è stato alzato anche agli studenti di quinto, sesto e settimo anno nell’ultimo mese. Quello di cui io e la professoressa abbiamo intenzione di parlarvi, ha molto a che fare con quegli avvenimenti-.
Tutta quest’aura di mistero mette un pochetto i brividi, se proprio devo essere sincera.
-probabilmente non avete mai sentito parlare dell’ordine della fenice, quindi ve ne parlerò io stesso stasera-.
A queste parole, vedo Mary e Lène contorcersi sulla sedia e mettersi a tacere a vicenda. Accanto a loro Alice alza gli occhi al cielo.
-l’ordine della fenice è formato da un gruppo di maghi che ha, come obbiettivo, quello di mettere i bastoni tra le ruote di Lord Voldemort e dei suoi mangiamorte-.
Il preside sembra volutamente ignorare i sussurri che si spargono tra noi a queste sue parole.
Io mi limito a far lavorare il cervello.
Lord Voldemort e i suoi mangiamorte.
Quindi…
-lei crede che ci siano Mangiamorte tra gli studenti di Hogwarts?- chiedo alla fine del mio ragionamento.
Silente mi guarda.
-io credo a molte cose, signorina Evans, alcune delle quali alquanto improbabili- sorride in risposta, gentile –tuttavia tra le cose che credo non c’è ancora l’idea che alcuni tra i miei studenti siano mangiamorte. Non ancora-.
Annuisco.
-se questo ordine della fenice combatte contro Voldemort, io voglio starci- afferma sicuro James guardando Silente deciso –voglio combattere-.

 

***


-anche io voglio fare la mia parte- esclama Sirius dando man forte a suo fratello.
E figurarsi se non avrebbe parlato, penso rintanandomi in questa felpa così calda e così grande. Ci navigo dentro.
Inspiro, attentamente, mentre sento anche Remus e Mary dire la loro.
L’odore è quello di Sirius, un misto di sapone pulito, fresco e cane bagnato. Sorrido inconsciamente.
Poi mi ricordo che Regulus, invece, farà parte dell’altro lato.
Sgrano gli occhi quando mi accorgo che è adesso, che è arrivato il momento che speravo arrivasse non prima del 23 dicembre.
Mi chiedo, è possibile riconoscere i punti di svolta quando ci incappiamo dentro?
Voglio dire, è così facile?
Ci ritroviamo ad un bivio chiaro dinnanzi a noi e tutto quello che dobbiamo fare è puntare il dito? È davvero così?
Sarà oggi, il giorno in cui sceglierò da che parte stare?
Perché se mi dichiaro d’accordo con loro, se davvero mi paro in prima fila davanti a Voldemort, avrò scelto. Può una scelta escluderne un’altra?
Alzo gli occhi per incontrare quelli di Silente, così chiari e colmi di… comprensione?
-non dovete darmi la vostra risposta adesso, ragazzi- dice il preside e io sono sicura, quasi al cento per cento, che lui lo dica soprattutto rivolto a me –desidererei che voi ci pensaste bene, prima di affidarvi al vostro fegato a spada tratta. Questa, deve essere una scelta dettata dal cuore, si, ma anche dalla mente. Prendetevi il tempo che vi serve, dopodichè riferite a me o alla professoressa la vostra decisione e… preferirei, per ora, che non ne parlaste con nessuno e che prendeste la vostra decisione in totale autonomia. Fate la scelta che per voi è più giusta per i motivi per voi più validi, e non pensate a quello che diranno gli altri di voi. Un uomo deve per prima cosa nutrire stima e rispetto nei confronti di se stesso-.
Con un sorriso gentile, si dirige alla sua scrivania e, non so come ne perché, tutti capiamo che questo è un congedo. Lo capisco perché gli altri iniziano ad alzarsi e, augurata la buona serata al preside e alla professoressa, si dirigono alla porta.
-signorina McKinnon?- mi chiama il preside non appena mi alzo. Sono in compagnia di Sirius e James, e sto giusto pensando ad un modo per augurare ai restanti buona cena quando la sua voce autoritaria ma gentile mi blocca sul posto.
-si, professore?- chiedo gentilmente.
-potrebbe fermarsi un attimo? Avrei notizie sulla sua famiglia da darle- mi dice con un sorriso, indicandomi una sedia davanti alla sua scrivania –potrà raggiungere i suoi amici a cena, non ne avremo per molto-.
Annuisco, lanciando a Sirius un’occhiata desolata. Inizio a slacciarmi la felpa, per porgergliela indietro viste le maniche corte della sua maglia, ma lui mi fa un cenno di diniego e mi sorride, indicandomi la scala.
Mi aspetta di sotto.
Sorrido, annuendo.
Lasciano la sala l’uno dopo l’altro e la professoressa è l’ultima ad uscire, dopo un cenno gentile del capo.
All’improvviso, ma nemmeno tanto visto che avrei dovuto immaginarlo, mi ritrovo sola con il professor Silente, in preda all’imbarazzo e al silenzio.
Il professore sembra non farci caso e ancora mi indica la sedia davanti a lui.
Con attenzione mi siedo, guardando il tavolo tra noi.
-signorina McKinnon, ha freddo?- mi chiede Silente gentilmente, probabilmente alludendo alle mani strette al petto.
Sorrido appena.
Come posso dirgli che non è per il freddo, che mi stringo nella felpa di Sirius, ma solo perché è la felpa di Sirius?
Mi prenderebbe per una ragazzina.
-no, professore, non ho freddo- rispondo decidendo di non dare spiegazioni.
Lui mi risponde con un sorriso condiscendente.
-allora, come va quest’anno la scuola?- mi chiede ancora –l’anno dei M.A.G.O., è sempre un anno più difficile degli altri-.
Rido lievemente.
-non molto, a dire la verità, per ora ho problemi solo con trasfigurazione- dico scuotendo le spalle –e poi, è Lily quella che si preoccupa per le lezioni già così presto. Io ho intenzione di iniziare da dopo natale- rivelo con un sorriso.
Il professor Silente mi sorride.
-e dimmi, invece, ho notato che il signor Black passa molto tempo insieme a lei- mi dice a sorpresa.
Cos’è, un’intervista per il settimanale delle streghe? Certo che è proprio pettegolo!
-io e Sirius siamo solo amici- replico schietta velocemente, quasi mangiandomi le parole.
-io infatti parlavo di Regulus Black- sorride lui, e sembra davvero divertito!
Arrossisco molto velocemente, avvampo come se qualcuno mi avesse dato fuoco e replico tacendo.
Credo che la mia reazione sia già piuttosto esplicita così.
Silente ride.
-ah, come può l’amore spingerci tra spine così feroci?- chiede il professore retorico, ammiccandomi e sorridendo –devo dirti, Marlene, che ho notato come tu fossi titubante, durante il mio piccolo discorso, prima. Ti devo chiedere… c’è qualcosa di cui desideri parlarmi?-.
Mi blocco, e tutto il sangue che prima è affluito al mio volto ora scompare, quasi dileguandosi. So di essere pallida.
Legilimanzia?
O semplice intuizione?
-signore, io…- borbotto, ma in realtà non so cosa dire.
Non posso dire ad Albus Silente il motivo per cui ero tanto certa di dover sposare Regulus prima della conversazione avuta con James. E va bene, anche prima non ero poi tanto sicurissima di quello che avrei fatto… cioè, a livello logico dovrei sposare Regulus.
Ho un sacco di buone ragioni per accettare il fidanzamento combinato, no?
Facendolo posso aiutarlo, posso far contenta la mia famiglia, forse in un lontano futuro potrò anche essere felice.
Ma per farlo è l’altro lato, quello da cui sarò. Soprattutto ora, con quest’ordine della fenice che spunta proprio come un fungo alla fine di una giornata divertente passata insieme al mio forse marito e ad un cane con gli occhi grigi e dolcissimi. Che mi chiede di scegliere, di puntare il dito e percorrere una delle due strade davanti a me.
-non sempre è facile scegliere la strada giusta, che spesso è anche quella in salita- mi interrompe il professore, con il suo tono calmo e gli occhi che sembrano averne visto di tutti i colori dietro a quelle lenti spesse.
-e se fossero tutte in salita, le strade?- chiedo alla fine, non sapendo ancora bene come districarmi tra i miei stessi pensieri.
Silente sorride.
-allora forse dobbiamo lasciare che il nostro cuore prenda le decisioni come la mente non è stata capace di fare- mi risponde, fermandosi un attimo per riflettervi meglio. Poi aggiunge –sai, Marlene, talvolta amare è distruggere-.
Lo guardo, pensando.
-distruggere?- gli chiedo alla fine.
-non sempre, la fine di qualcosa è la fine di tutto. Una fenice non è l’unico essere che rinasce dalle proprie ceneri. Ci vuole sacrificio, impegno, coraggio e dedizione. Ma si può ricostruire ciò che si distrugge. Quello che serve, più di qualsiasi cosa, è la volontà. Se hai quella, Marlene, non servirà nient’altro. Le tue scelte, sono solo tue: le fai con la tua mente, con i tuoi pensieri. Non sono colpa o merito di qualcun altro-.
È proprio di me che stiamo parlando, adesso?

 

***


Esce dallo studio di Silente dopo appena dieci minuti. Mi sono attardato ad aspettarla con il pretesto di riavere indietro la mia felpa, tuttavia come so di non essere riuscito a farla a James so di non essere riuscito a farla nemmeno a me stesso.
La guardo scendere dalla scala con passo incerto, ben diverso dal solito incedere silenzioso e sicuro che contraddistingue la McKinnon che conosco. Si stringe la mia felpa addosso quasi non avesse altro, in questo mondo, a cui aggrapparsi.
Vederla dentro a qualcosa di mio, così infagottata in qualcosa palesemente troppo grande per lei, mi lascia un retrogusto in bocca null’affatto spiacevole. È come averla un po’ più vicino senza tutte le parole dure che scorrono abitualmente tra me e lei non appena ci azzardiamo ad aprire bocca in compagnia l’una dell’altro.
È quasi come sentirmi parte di lei, una sensazione che inebria ed insieme fa tremare le gambe dal panico.
Se poi penso che tra meno di venti giorni sarà promessa a mio fratello ufficialmente… a quelle due sensazioni si aggiunge quella di impotenza, e un disastroso ma seducente istinto di spaccare tutto.
Quando si accorge di me si ferma traballando, poi si raddrizza forse istintivamente.
-c’è qualcosa che posso fare per te?- mi chiede rigida. Poi si morde la lingua e mi guarda –scusa, rivuoi la tua felpa indietro-.
Sorrido.
-no, tienila pure, non ho freddo- la fermo nell’istante esatto in cui sta cercando di sbottonarsi il colletto.
-ma hai le mani gelate!- esclama stizzita prendendomi a tradimento una mano prima che io possa ritrarla.
Sorrido cauto.
-non ti preoccupare, davvero, io ho sempre le mani fredde- invento di sana pianta.
Qualsiasi cosa pur di vederla ancora avvolta in quella felpa.
Lei mi guarda perplessa, poi annuisce.
-è tutta colpa di Emm, davvero avrei preso il mantello se me ne avesse lasciato il tempo- dice alla fine riprendendo a camminare. Si volta a guardarmi e, timidamente, aggiunge –torni alla torre con me?-.
Anche in tutte e quattro, le torri, con te, vorrei risponderle.
Mi limito invece a tacere e annuire, cosa che trovo più furba visto che se adesso aprissi la ciabatta che mi trovo al posto della bocca probabilmente sparerei una di quelle cazzate che hanno il potere di raffreddare il momento. Mi affianco a lei e riprendiamo a camminare, in silenzio.
Così vicini che, di tanto in tanto, la sua mano pallida sfiora inavvertitamente la mia.
-dove sei stato oggi?- mi chiede alla fine titubante –non ti ho visto ad Hogsmeade e…-
-sono stato qui- rispondo velocemente –non c’era molto da fare al villaggio, lo conosco già a memoria e…-
-capisco- annuisce.
No, non credo che tu capisca veramente.
Mi mordo la lingua e mi accingo a ripetere la sua domanda.
-tu invece? Ti sei divertita con lui?- chiedo e, mi stupisco, voglio davvero sapere la risposta.
Perché ho visto che si è divertita, con me, o meglio, con Padfoot, e ho voluto sul momento attribuire appunto al grosso cane nero tutto il suo divertimento. Ma se non fosse stato così?
Se invece fosse stato proprio l’appuntamento con Regulus a divertirla?
L’idea che lei voglia veramente sposare Regulus, magari per amore, non mi ha mai sfiorato fino ad ora.
Ho sempre pensato che il motivo per cui lo farà sia perché non vuole schierarsi contro la sua famiglia, ma…?
-io mi sono divertita, si- annuisce con un sorrisetto malizioso –non so Regulus, però-.
Sorrido in risposta, attento a non farmi vedere, e mi dico che forse, in un’altra occasione, in un’altra situazione, se la ragazza in questione fosse un’altra, proverei pena per mio fratello, quello di sangue.
Ma l’occasione, la situazione e la ragazza sono tali che io non posso proprio commiserare il serpeverde. Vincerà già abbastanza per il solo merito di essere nato giusto.
Non chiedo spiegazioni, quindi alle parole di Lène, e inizio a fischiettare.
-ehi, Remus ti sta influenzando?- mi chiede ironica dopo un po’ –sbaglio  o è proprio Celestina Werback quella che sento?-.
Scrollo la testa.
-sbagli, decisamente- le dico azzittendomi.
-ah ah, si, certamente- annuisce beffarda voltandosi e camminando all’indietro, per avanzare davanti a me guardandomi negli occhi.
-cosa farai durante le vacanze di Natale?- le chiedo all’improvviso, volendo cambiare argomento. Vedo i suoi occhi oscurarsi e capisco di aver usato le parole sbagliate.
-non lo so ancora- mi risponde tergiversando.
Assottiglio lo sguardo.
Possibile che…?
-sai, il 28 dicembre è il mio compleanno- le dico a mo di spiegazione, gesticolando esageratamente con le mani a causa dell’ansia –e io e James abbiamo intenzione di dare una festa, poca roba, insomma, giusto poche persone. Pensavo solo ai malandrini e a voi ragazze e mi chiedevo se…-
-mi piacerebbe, davvero- mi risponde quando perdo le parole, dopo quel se.
Ci sono un sacco di se, in ballo, in effetti.
Se tu ci sarai.
Se non ti chiuderanno in casa non appena chiuso il contratto.
Se avrai la forza di opporti un minimo a mia madre.
Se per te non sarà troppo doloroso.
se. Ce ne sono un sacco.
Ha detto che le piacerebbe, non che ci sarà.
-ma…?- chiedo inarcando il sopracciglio, non so se ancora speranzoso o già abbattuto. Non so nemmeno voglio davvero avere questa risposta, che potrebbe darmi la stoccata definitiva.
Lei abbassa gli occhi, arricciando le labbra.
-l’invito sarà valido in caso dovessi passare al lato oscuro?- sussurra poi con una smorfia che vuole essere scherzosa.
Un sorriso fuori, il mio, eppure sento qualcosa arricciarsi all’interno. Possibile sia il mio stomaco?
Alla fine allora vuole farlo veramente.
-io… si, certo, naturalmente- annuisco, la voce roca che quasi si rifiuta di uscire.
Il lato oscuro, la definizione calza a pennello.
Dal 23 dicembre in poi sarà oltre la mia portata.
Non potrò più raggiungerla, e conoscendomi so come reagirò.
Non mi spingerò oltre nemmeno con il pensiero.
E se dovessi decidere di…
Non appena la frase raggiunge la mia mente apro la bocca, sperando che esca da sola prima che me la possa rimangiare.
-non lo farai, vero?- le chiedo alla fine, fermandomi.
Anche lei si ferma.
Mi guarda con un sorriso timido e innocente.
-venire alla tua festa?- mi domanda in risposta.
-sai cosa intendo- le dico con un sorriso speranzoso.
Lei mi guarda ancora, questa volta ferma e decisa.
Sembra star acquistando sempre più sicurezza. Poi sospira.

 

***


Si, so cosa intendi.
Quanto è difficile guardarlo negli occhi adesso?
Sembrano lampi grigi. Mi guardano in attesa di una risposta, circondati da lunghe ciglia scure e, incredibilmente, lucidi.
Ha gli stessi occhi del cane, penso. È incredibile quanto siano simili, quegli occhi. Mi guardano con la stessa dose di speranza e divertimento, e alla fine sorrido ricordando la giornata appena trascorsa. So cosa fare, forse.
Ma se mi dovesse fare male?
-non so cosa deciderò di fare, il giorno del contratto. Mi aiuterai?- gli chiedo alla fine.
Lui mi guarda ancora, prima di fare qualcosa di assolutamente incredibile.
Mi prende per le spalle e mi abbraccia, in una morsa ruvida e calda, le sue braccia intorno alla vita, le mie braccia sulle sue spalle. Con il volto affondo nei suoi capelli, profuma d’aria fresca, neve e…
Rido, divertita.
Sorpreso, mi guarda e inarca le sopracciglia scure.
I nostri occhi, così diversi, si trovano a poco più di una decina di centimetri, i visi così vicini come raramente lo sono stati.
-puzzi di cane, Sir- mormoro ridacchiando affondando il volto nell’incavo della sua spalle e, all’improvviso, mi rendo conto di quanto quell’incavo sembri fatto apposta per la mia fronte, di come la clavicola segua il profilo delle mie labbra, che sfiorano l’orlo consunto di una vecchia t-shirt scolorita.
Anche lui ride, divertito e sorpreso insieme, stringendomi di più le mani sui fianchi.
-ti aiuterò, Lène- mormora tra i miei capelli, sorridendo appena –certo, però, non potrai avercela con me se cercherò di tirare acqua al mio mulino, nel frattempo-.
-che vuoi dire?- gli chiedo divertita, perché non sono molto brava a destreggiarmi tra i detti babbani.
-esattamente quello che ho detto- mi dice, ed è mortalmente serio, quando mi guarda –in guerra e in amore tutto è lecito… ora scusami, avevo dimenticato di dover fare una cosa-.
Lo guardo allontanarsi, il tono lieve dell’ultima frase ancora nelle orecchie.
Sirius Black che parla d’amore?

 
 
 
 
NOTE:
dal prossimo capitolo mi concentrerò di più sui punti di vista che preferite, ultimamente ho fatto qualche casino con il computer quindi questo è scritto velocemente =)
i prossimi capitoli si concentreranno di più su Lène e Sirius, anche se in sottofondo ci saranno ovviamente anche le altre due coppie!
grazie delle recensioni, spero vi piaccia anche questo capitolo!
Buona lettura,
Hir
 


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Capitolo 29
*** l'ultimo giorno della nostra vecchia vita ***


LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMMELINE
REMUS
PETER
MARY
FRANK
ALICE
REGULUS
RABASTAN

Devo riflettere.
Devo decisamente riflettere.
Devo decidere.
Devo decisamente decidere.
Devo anche finire il tema di pozioni.
Devo decisamente finire il tema di pozioni.
Insomma, a conti fatti devo fare davvero un sacco di cose, e ho pochissimo tempo.
Avete presente quei momenti in cui sai di avere poco tempo quindi non fai altro che ripeterti “mi devo concentrare” fino a che non ti accorgi che sono già passati minuti preziosi e tu sei ancora talmente concentrata a concentrarti che non riesci a pensare ad altro o a sfruttare il tempo in modo qualitativo?
Ecco, è uno di quei momenti.
Nove ore e trenta minuti, ecco quanto manca al momento in cui James andrà di filato nello studio di Silente, a comunicare la sua decisione. E Sirius lo seguirà. E ovviamente anche Remus, Peter e Frank.
E se ci andrà Frank ci andrà anche Alice, che trascinerà Mary che implorerà Emmeline che vorrà Lily al suo fianco, che ci terrà a sottolineare che non lo fa perché lo fa Potter, ma perché è sua precisa volontà farlo. E a quel punto mi afferrerà senza troppi complimenti per un braccio e mi trascinerà davanti alla cattedra del preside.
E nel momento esatto in cui tutti dichiareranno spassionatamente la loro intenzione di combattere in prima fila contro Lord Voldemort e amici belli, io dovrò ammettere che uno di quegli “amici belli” è in effetti il ragazzo a cui la mia famiglia mi ha promesso, dovrò farlo davanti a tutti i miei amici e davanti a Sirius che, nonostante tutte le sue proteste e le sue indubbie arti come attore non potrà non avere un infarto davanti al fatto che suo fratello di sangue, quello a cui da piccolo evitava le punizioni facendosi picchiare al suo posto, tra un po’ diventerà un mangiamorte.
E poi c’è chi chiama problemi bazzecole come una “T” in aritmanzia.
Ecco, lo sto facendo di nuovo. Sto di nuovo perdendo tempo.
Nove ore e ventitré minuti.
Seduta al tavolo della biblioteca mi metto le mani tra i capelli ed appoggio i gomiti al tavolo, in una chiara richiesta d’aiuto.
Nonostante siano le undici del mattino di domenica non c’è nessuno in biblioteca, sono sola. O forse è proprio perché sono le undici di domenica mattina che sono sola in questa stanza piena di pergamene e libri muffiti.
Tutti gli altri stanno facendo qualcosa di più divertente che stare seduti a crogiolarsi nell’indecisione in biblioteca, o almeno lo spero per loro.
James, Frank insieme a Lils e Mary sono agli allenamenti in vista della super partita di domenica prossima, per cui c’è un livello d’aspettativa che in genere qui ad Hogwarts si vede nelle vicinanze della finale della Coppa del quidditch; Remus e Peter erano in sala comune a giocare a scacchi, Alice e Emmeline stavano invece seguendo gli allenamenti, nonostante il leggero nevischio che da ore cade dal cielo.
Non ho visto Sirius, invece.
Probabilmente è con qualche stangona bionda con le gambe lunghe attorcigliate alla sua vita e…
Hugh.
Non voglio andare avanti con i pensieri, potrei non rispondere di me stessa.
Sbuffo, alzo la testa e passo l’indice sul libro, cercando di leggere quei fili d’inchiostro e cercando di farmeli entrare bene in testa.
 
La pozione depietrificante agisce grazie alla presenza, tra i suoi componenti, della mandragola, una pianta la cui droga deve essere utilizzata quando…
 
Perché, scusate, mettiamo tutto sul piatto della bilancia:
da una parte c’è la mia famiglia, mia madre, mio padre e Max, che non si è schierato con me in questa crociata bensì ha pensato addirittura di proporre Regulus come mio possibile marito. C’è Regulus stesso, che assomiglia terribilmente a quel bambino tutto ossa che da piccolo mi stressava con la sua collezione di figurine delle cioccorane e che adesso, nonostante non abbia alcun motivo per farlo, sembra avermi preso in simpatia. Mi ha addirittura chiesto di uscire, e ieri ad Hogsmeade si è comportato da perfetto gentiluomo ridendo addirittura degli scherzi che il cane sembrava tirargli apposta, solamente per far ridere anche me.
Dall’altra parte, c’è la mia famiglia che sicuramente non sarebbe d’accordo se io rifiutassi questo matrimonio, c’è un Regulus mangiamorte fatto e finito senza possibilità d’appello, ma ci sono anche i miei migliori amici e Sirius.
Sirius, penso cercando disperatamente di essere obbiettiva.
Sirius che ha avuto, e ha, in giro per Hogwarts, decine di ragazze ai piedi.
Quello stesso Sirius di cui mi sono scioccamente innamorata. Dico, potevo essere più scema?
È vero, sembra interessato, ma Sirius Black non si innamora. Sarebbe contento della sua geniale vittoria verso suo fratello e poi di nuovo tutto come prima, amici o facsimili.
O quello che siamo in questo momento, insomma, con ogni pretesto valido per litigare nascosto dietro alla prima colonna.
Nove ore e quindici minuti.
Ok, adesso basta, chino la testa e mi rimetto a leggere.
 
Lo svantaggio principale dell’utilizzo della mandragola nella pozione depietrificante consiste nel fatto che la pianta deve essere al giusto stadio di maturazione per essere impiegata correttamente. Un uso improprio di tale pianta potrebbe causare sonno irreversibile o morte nel soggetto a cui la pozione viene somministrata.
 
Sospiro, e inizio a scrivere.

 

 ***

 
Insomma, non è proprio possibile!
Io James lo strozzo!
Forse però lo farò dopo la partita della settimana prossima, altrimenti i grifondoro potrebbero farmi la pelle, se rischio di far annullare un’altra volta la partita.
Questo non cambia comunque che io prima o poi lo strozzo, cacciatore migliore della squadra di quidditch o meno.
Insomma, obbiettivamente, a che diavolo gli serve la mappa del malandrino quando va a giocare a quidditch?
A niente, direte voi.
E allora perché se l’è portata dietro? Vi chiederei io.
Al che, voi dovreste rispondere boccheggiando dallo stupore.
Fatto sta, che quell’idiota se l’è portata dietro, e io ho passato tutta la mattina in giro per la scuola come un idiota in cerca di Marlene McKinnon che non si trova da nessuna parte chiedendomi come posso tirare acqua al mio mulino se quel deficiente di James Potter mi impedisce di farlo.
Insomma, non è difficile, anche un giocatore di quidditch idiota come James può arrivarci!
Ho quindici giorni per convincere Lène. Quindici giorni per farle capire che sposare mio fratello non è proprio quel che si definisce un’idea intelligente, soprattutto perché non vedo il motivo per cui dovrebbe accontentarsi della copia (il sopracitato Regulus Black) quando può tranquillamente avere l’originale in tutto il suo splendore (magicamente io, s’intende).
Certo, ho intenzione di farglielo capire in un modo che mi ritragga più modesto e che non ritragga invece Regulus così perdente, perché ho comunque una dignità.
Tutti i miei meravigliosi piani per la mattinata, comunque, sono andati in fumo nel momento in cui quel cretino di mio fratello, quello per scelta, ha deciso di far prendere un po’ di neve alla nostra splendida mappa. Quando lo acchiappo farò prendere un po’ di neve anche lui, magari appeso per i boxer alla torre di astronomia, e poi vediamo chi vince!
All’alba delle dodici e quarantacinque, comunque, non ho ancora ne acchiappato James ne trovato Marlene, che sembra essere evaporata.
Passando davanti alla biblioteca, alla fine, mi accorgo che no, non è ancora evaporata, ma è seduta al tavolo principale della biblioteca, proprio davanti al banco di Madama Pince, tutta sola intenta a scrivere su una pergamena.
Marlene McKinnon che studia di domenica mattina?
-ehilà, è un po’ che ti cerco- esclamo avvicinandomi e sedendomi dalla parte opposta rispetto a lei, un sorriso sulle labbra mentre penso che dire un po’ sia comunque riduttivo.
È dalle nove e venti che la cerco.
-davvero?- mi chiede appoggiando la piuma e guardandomi seria.
Non mi crede?
-si- annuisco semplicemente, gettando uno sguardo alla pergamena –pozioni? Il compito sulla pozione rigenerante?-.
-depietrificante- mi corregge con un sorrisetto –si, quello-.
-era esattamente quello che avevo intenzione di dire- annuisco ridendo –l’hai finita?-.
-lo stavo facendo giusto prima che qualcuno senza nome ma con un bel sorriso mi interrompesse con la scusa di perdere tempo- mi rimprovera bonaria.
-oh… mhm…- ho perso le parole.
Un bel sorriso?
Io ho un bel sorriso, gente, capito?
-parlavi di me?- le chiedo seducente alla fine, cercando di prenderla sul ridere altrimenti cado dalla sedia.
-no, di Madama Pince- ribatte divertita da questa sottospecie di schermaglia –sei qui per un motivo, Black, o hai deciso di darti all’esplorazione di luoghi di Hogwarts a te sconosciuti come la biblioteca?-.
Sospiro, teatralmente.
-divertente- rispondo con un sorriso galante –ovviamente ho un motivo, dolcezza-.
Inarca un sopracciglio, puntandomi la piuma alla gola.
-non chiamarmi dolcezza- mi intima con un sorrisetto ironico –e quale sarebbe, se posso?-.
-io e gli altri stiamo organizzando un’epica battaglia a palle di neve, dopo pranzo, sarai dei nostri?- le chiedo alla fine.
Lei pare pensarci un attimo.
-se sono in squadra con Lils, si. È un’ottima stratega- mi rivela con fare da cospiratrice.
Sorrido, annuendo.
-bene, allora siamo in squadra con la Evans- mi annoto mentalmente.
-siamo?- chiede scettica.
-certo, dolcezza, non vorrai mica che il grandissimo Sirius Black perda una battaglia a palle di neve, no?- domando stranito –ho una reputazione da difendere, io-.
Lei ride, divertita.
-mi dispiace dirtelo, Sir- annuncia alla fine –ma penso che la tua reputazione si sia rovinata il secondo giorno di scuola, quando uscisti dal dormitorio tutto nudo perché James ti aveva fatto trovare una biscia nel letto-.
Strizzo il naso per dimostrare quanto poco mi piacciano ricordi di questo tipo.
Quel James Potter, devo ricordarmi di strozzarlo.
-odio i serpenti- le rivelo alzandomi dal tavolo e spostandomi verso l’entrata o, in questo caso, l’uscita.
-ti aspetto a pranzo, non fare tardi per colpa dei compiti di Lumacorno, non ne vale la pena-.
Sorrido mentre mi lascio alle spalle la biblioteca.
D’altronde, Lène ha detto che ho un bel sorriso.

 

***


Ripongo la scacchiera dopo aver stracciato per l’ennesima volta Pete. Siamo in sala comune, che non è per niente affollata visto che tutti si godono la neve ingaggiando battaglie e guerriglie.
Le ragazze sono sedute accanto al fuoco, a quanto pare soffrono il freddo, James si sta ancora facendo la doccia e Sirius è sparito chissà dove. All’appello manca anche Marlene, che a detta di Lily e Mary sta facendo i compiti in biblioteca.
Con borbottii scocciati i pezzi neri e bianchi della scacchiera si mischiano nella sacca, niente affatto contenti di essere riposti tutti insieme e mischiati.
Appoggio la sacca sul tavolo e mi do a quella che nell’ultima giornata è diventata la mia occupazione preferita: commiserarmi guardando Emmeline Vance leggere. O cenare. O fare colazione. O disegnare. O dormire.
Ok, no, non sono ancora arrivato al punto di seguirla in dormitorio, ma il fatto che non mi degni nemmeno più di un’occhiata da ormai quasi diciotto ore mi sta dando i nervi. Insomma, potrebbe urlarmi contro invece di fare l’indifferente!
James scende dal dormitorio con i pantaloni di una tuta e una maglia a maniche lunghe, i capelli ancora bagnati e gli occhiali un po’ storti. Faccio per chiedergli come è andato l’allenamento quando il buco del ritratto si apre, facendo passare un sogghignante Sirius Black dall’aria inquietante.
-ve l’ho già detto, gente, che oggi pomeriggio si gioca a palle di neve?- chiede retorico abbandonandosi sul divano. Poi, accortosi della presenza del suo migliore amico nonché Prongs, gli punta il dito contro con fare svogliato –tu ricordami che ti devo strozzare, più tardi-.
James annuisce, divertito, sedendosi per terra con la schiena sulle gambe di Lily, che non fa una piega.
Anche qui, benedetto chi ci capisce qualcosa, su quei due.
Insomma, io non ci capisco proprio niente.
Stanno insieme? Non stanno insieme?
Questa è la domanda del secolo.
Lily passa distrattamente le dita tra i capelli di James, che si accoccola come un gatto sotto il suo tocco.
-una battaglia a palle di neve, Black?- gli chiede Lily interessata –ci sto-.
Sirius sorride, facendogli l’occhiolino.
Ha il sorriso facile, questo Sirius Black, oggi.
-tanto per la cronaca, ci state tutti, che vi piaccia oppure no- sorride Sirius in direzione di noi altri. Mary scoppia a ridere, seguita da Emmeline… è bella quando ride, Emmeline Vance.
-cos’hai, una paresi alla faccia, che sorridi sempre?- gli chiedo stizzito.
-un uccellino mi ha detto che il mio sorriso è bello- mi risponde con la solita faccia di bronzo.
Cosa?

 

***


Siamo a pranzo, mi servo diligentemente una porzione di roastbeef e riporto la forchetta di portata sul vassoio, quando sento e vedo una mano elegante sfiorare la mia “per caso”.
Alzo gli occhi, arrossendo furiosamente e abbassando velocemente lo sguardo quando vedo i suoi occhi ambrati fissarmi. Sembra un cane bastonato.
Ha tutta l’aria di essere un cane bastonato.
Anzi, non un cane, un lupo.
Un lupo bastonato.
-Emme, hai comprato tutti i regali di Natale?- mi chiede Lène sedendosi davanti a me, accanto a lui, e servendosi una generosa dose di arrosto.
-si, Lène, li ho comprati tutti- le rispondo con un sospiro prima di iniziare a mangiare.
-anche il…-
-non ho alcuna intenzione di dirti quello che ti ho regalato, lo scoprirai come tutti la mattina di natale- la interrompo con un sorriso soave, prima di riprendere a smaciullare quella fetta di carne che ha avuto la malaugurata idea di finire sul mio piatto.
-non sei per niente divertente, Emmeline- mi rimprovera mettendo su un offesissimo quanto falso broncio. Dopodichè si volta verso Lils, impegnata a discutere con Mary –e tu, Lils, hai comprato già tutti i regali di natale?-.
Lily sorride, probabilmente sa già dove vuole arrivare la nostra amica.
-quasi tutti, si- le risponde con annuendo entusiasta.
-anche il mio?- le chiede allora Marlene maliziosa.
-si, anche il tuo- annuisce divertita.
È impossibile non sorridere quando Lily sorride così… malandrina.
-ah, anche il mio regalo che è…-
-… una fantastica enciclopedia babbana non illustrata che tratta dei metodi di coltura delle piante acquatiche prima del cinquecento avanti cristo, tesoro, sono sicura che ti piacerà tantissimo- esclama Lily fingendosi entusiasta.
Marlene rimane senza parole, non certo per la gioia, visto che chiunque in questo mondo, o perlomeno in questa scuola, sa quanto poco a Marlene piaccia l’erbologia.
Segue quella lezione solo per le sue ambizioni alla carriera di medimago, per cui è indispensabile un M.A.G.O. in quella materia.
Tutte e quattro noi ragazze scoppiamo a ridere convulsamente alla faccia di Lène, che si accorge dello scherzo e mi tira il tovagliolo.
Per non farmi colpire sono costretta ad un repentino appiattimento verso la panca e le ginocchia di Mary, movimento che fa cadere la mia borsa.
Ora, tutti conoscete quella legge di Murphy che parla della fetta di pane imburrata? In poche parole, essa dice che se vi cadrà una fetta di pane imburrata, essa cadrà sempre e comunque con la parte imburrata rivolta al pavimento… mi sembra che da qualche parte si parli anche di un gatto, ma a dir la verità non mi interessa molto in questo momento.
Tornando alla sala grande, comunque, la mia borsa ha fatto esattamente quello che avrebbe fatto una fetta di pane imburrata degna di questo nome: è caduta dalla parte della chiusura, che non è chiusa ma aperta, e ha sparpagliato i libri contenuti in essa con grande devozia, come secondo uno schema preciso.
Sbuffo, impreco, sbuffo di nuovo, tutto questo tra i denti così gli altri non mi sentono.
-oh, povera Emme!- mi compatisce Mary riprendendo Lène con tono da maestrina –guarda che le hai fatto dare, ci sono libri da tutte le parti, ora!-.
Lène mi sorride con aria di scusa riprendendo a mangiare il suo arrosto.
Io sorrido, poi scuoto la testa.
-non è niente, non ti preoccupare- le dico convinta –meno male solo che non c’è la Pince, ho preso tutto dalla biblioteca e se li vedesse in queste condizioni mi servirebbe a Gazza su un piatto d’argento-.
Mary sorride mentre mi aiuta a raccogliere i libri.
-ehi, Emm, ti sei data a letture spettrali?- mi chiede prendendo un libro e sfogliandone le prime pagine.
Vicino a noi tutti alzano lo sguardo, e io allungo la mano per strappare il libro dalle mani di quell’impicciona di Mary McDonald.
Non abbastanza in fretta, però.
-mhm…- sospira alla fine guardandomi –l’influsso della luna nelle creature notturne, interessante. Hai intenzione di comprarti un lupo mannaro?-.
Mi blocco, impallidisco, avvampo, impallidisco di nuovo, mi chino sotto il tavolo per prendere gli ultimi libri dal pavimento e intanto pregare che la panca sotto di me diventi una voragine.
Alla fine, più o meno di un colore accettabile ma più rosea del normale, riemergo e riprendo come se nulla fosse il mutilamento del pezzo di carne sul mio piatto, sentendo gli occhi di tutti puntati addosso.


***

 
-allora, con chi sono in squadra?- chiedo eccitata dalla possibilità di rotolarmi nella neve.
Lo so, non è geneticamente normale l’amore che provo per questa magnifica soffice coltre bianca che ogni anno, puntuale come la McGrannitt a lezione, viene a stendersi su Hogwarts portando una magnifica calma e uno splendido silenzio sulle montagne scozzesi.
Sirius mi guarda e mi indica.
-Evans, tu sei caposquadra- mi dice, e io ghigno soddisfatta –James è l’altro caposquadra-.
Come?
Ma…
Uff, e va bene. Non so perché speravo tanto di finire in squadra con lui. È una stupida cosa da sentimentalisti e io, mi ricordo drizzandomi sulla schiena con sguardo fiero, non sono una sentimentalista.
Ghigno in segno di sfida a James, che dopo aver indirizzato un’occhiata inviperita verso il suo (credo ex) migliore amico mi risponde ugualmente.
-le vostre squadre sono…-
-ma come, se siamo caposquadra dovremmo potercele scegliere da soli, le squadre- gli dico in tono stizzito.
-mi dispiace Evans, io organizzo io decido- risponde in tono saputo –e poi, James fa schifo a tirare palle di neve, quindi io sarò in squadra con te-.
Sorrido in risposta.
-per questa volta ti perdono, allora- gli dico.
-bene, le squadre sono: Mac, Frank, Remus e Alice con James. Io, Marlene, Peter e Emmeline con Lily- afferma alla fine, piuttosto soddisfatto delle sue parole.
Riesco a vedere Lène avvicinarglisi e, sfiorandogli una spalla da dietro, mormorargli qualcosa. Un sorriso involontariamente dolce nasce sulle labbra di Sir, e per una volta resto zitta senza denunciarli.
Ok, non lo dico agli altri, tuttavia non posso impedirmi, mentre raggiungo Black, di dargli una pacca sulla spalla.
-beccato- gli sussurro con un sorrisetto alzando gli occhi al cielo.
-le regole sono queste- dice invece ad alta voce quel cane di Black, ignorandomi completamente –allora, ogni squadra avrà una base, protetta da al massimo due picchetti. Nella base starà un oggetto ben visibile che la squadra avversaria dovrà rubare. Le altre tre persone nella squadra dovranno attaccare. Se si viene colpiti, bisognerà tornare alla propria base e ritentare il colpo-.
Tutti annuiscono, mostrando di aver capito.
-bene signori, al fischio si inizia-.

 

***


-in questo momento ti adoro-.
Ecco quello che ho sussurrato all’orecchio di Sir nel momento in cui mi ha annunciato che saremmo stati in squadra con Lils.
Ho ancora nella mano il tocco della sua spalla, vedo ancora il suo sorriso benché da un momento all’altro il gioco debba iniziare.
Vedo Sir con la lingua tra i denti.
Tre,
due,
uno…
…fischio!
Peter scatterà per primo, per attirare lo sguardo di tutti su di lui ed essere, tristemente, la preda del primo lancio.
Io e Emm, secondo i piani, scattiamo in un secondo momento non appena le prime palle di neve lasciano le mani dei nostri avversari e io bersaglio un Frank piuttosto contrariato mentre Emmeline si occupa di Remus, con mio sommo divertimento. Peccato non poter assistere alla scena.
Mi ritrovo James davanti e, checché ne dica Sirius, in qualità di cacciatore James non fa per niente schifo, quindi chiedo aiuto ad un albero riparandomi con il suo tronco e prendendo intanto una manciata di neve.
È fantastica, l’adrenalina.
Era un sacco di tempo che non provavo nulla del genere. L’ebbrezza dello scartare proiettili di neve ma nel contempo la furia del gioco che ti prende quasi affinando i sensi.
È parecchio, tra una cosa e l’altra, che non mi divertivo così tanto.
Ora che ne ho l’occasione ho intenzione di sfruttarla fino in fondo.

 

***


-ok, ragazzi, la situazione è critica- ammette James guardandoci uno ad uno.
-critica?- chiedo scettico facendo passare uno sguardo da lui ad Alice, bagnata fino al midollo dalla neve, a Frank che ha un bernoccolo sulla fronte a Mary che si tiene la pancia dal gran ridere ma esibisce una felpa strappata a me che fatico a non rabbrividire per il freddo –è una catastrofe, James, siamo ventisette a tre!-.
Mary ride ancora di più, ormai è andata.
-sempre positivo Rem, mi raccomando!- esclama irritato.
-non è colpa mia se fai schifo come stratega, Jamie- gli rispondo con un sorriso gentile.
-qual è la prossima mossa, capo?- gli chiede invece Mary con un sorrisone a trentadue denti.
-beh, non miriamo più all’oggetto, tanto non ci riusciamo, in un modo o nell’altro, ad avvicinarci a quel cazzo di coso-.
Ridiamo tutti insieme, James non ha tutto questo torto, alla fine.
Sirius e Lily sono degli ottimi difensori, anche se sono praticamente certo che Sirius abbia barato più di un paio di volte.
-e cosa hai intenzione di fare, di grazia?- gli chiedo alla fine, dopo aver riflettuto.

 

***


Sirius fischia di nuovo, stiamo vincendo, anzi, li stiamo stracciando.
Come si può definire un ventisette a tre?
In pratica altro che vittoria.
Non siamo nemmeno troppo malconci, e ci stiamo divertendo come non facevamo da mesi.
Il bilancio è più che positivo, penso slanciandomi con una palla di neve stretti in mano e la lingua stretta tra i denti.
Non so da chi mi sia stata trasmessa tutta questa voglia di vincere, perché di certo io non l’ho mai avuta, però mi piace. È eccitante, sfidare gli altri ed uscirne vincitrice.
Lancio la prima palla di neve contro Remus, che la schiva e ne raccoglie una manciata da terra, appallottolandola alla bell’e meglio e rilanciandomela.
Riesco a scartarla lanciandomi verso terra e  raccattandone dell’altra. Mi alzo, pronta a voltarmi verso Rem, all’improvviso lo sento tirarmi per la vita e buttarmi a terra.
-ehi, guarda che non vale!- esclamo tra lo stizzito e il divertito.
È incredibile come in alcuni momenti il nostro cervello annulli la consapevolezza di cose scomode, quasi preferisca archiviarle per tirarle fuori in altri momenti.
Dovrei essere arrabbiato con lui per quello che ha fatto solo ieri, ma non ci riesco.
Intorno a noi sento altri gemiti di protesa, e mi accorgo che James ha placcato Lils, Sirius è stato atterrato da un Frank piuttosto combattivo e Mary si è rivolta a Lène con ben poca grazia atterrando anch’ella. In piedi resta solo Peter, inseguito da una Alice piuttosto vendicativa per una palla di neve poco divertente che prima le ha causato i geloni ad una guancia.
Questo prima di incrociare i suoi occhi, così ambrati e caldi nel gelo di dicembre, anche mentre siamo con la neve fino ai gomiti e gelati fino al midollo.
-stai facendo ricerche sui lupi mannari?- mi chiede ad un soffio dal viso.
Annuisco, guardandolo negli occhi.
-la gente teme ciò che non conosce, Remus- rispondo in un sussurro.
-non mi conosci, non ti faccio paura?-.
-mi fai più paura per ciò che potresti farmi a parole- gli dico.
All’improvviso me lo ricordo.
Io sono arrabbiata con lui! Perché diavolo ho lasciato che si avvicinasse a me così tanto?
Che cuocia ancora un po’ nel suo brodo, il lupo!
Con un balzo atterro su di lui, scambiando le posizioni, poi mi alzo velocemente sperando che il rossore svanisca veloce come è arrivato.
-non dovevamo andare da Silente?- chiedo guardandoli.
Sento Remus rialzarsi, e lentamente sorrido.
Ma diamine, non dovrei essere ancora arrabbiata?

 
 
 
NOTE:
spero che vi divertiate a leggere questo capitolo quanto io mi sono divertita a scriverlo.
Volevo fosse leggero e divertente perché, dopo questo capitolo, c’è l’entrata nell’ordine e quindi la linea di confine tra “buoni” e “cattivi” si marcherà di più. Spero di aver raggiunto il mio obbiettivo.
Grazie mille per le recensioni, non vedo l’ora di sapere che ne pensate di questo,
buona lettura,
Hir!

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Capitolo 30
*** come glielo dici? ***


LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
REMUS
EMMELINE
PETER
MARY
ALICE
FRANK
REGULUS
RABASTAN
 

Come glielo dici,
a un uomo così,
che adesso sono io che voglio insegnargli qualcosa
e tra le sue carezze voglio fargli capire
che il destino non è una catena,
ma un volo[…]?*

 
Lo guardo negli occhi, grigi, e li lo fisso fin da che è comparso da quella maledetta porta che ha segnato la sua appartenenza ad una casa diversa.
Adesso è davanti a me, mi guarda, ad una decina di metri dalla soglia della sua sala comune verdargento, e mentre lo guardo, mentre lo osservo, mi chiedo cosa sarebbe successo se invece che nei sotterranei a strisciare fosse stato mandato a librarsi alto nel cielo cobalto come i grifoni.
Cosa sarebbe se…?
Ma con i se non si va da nessuna parte.
E questo ragazzo, così simile a quell’altro e in realtà da lui così diverso, e io, che forse per lui sarei l’ideale o forse no, oggi, ora, dobbiamo discutere, e decidere.
Ho passato tre mesi a crogiolarmi nell’indecisione, e ci volevano le parole di Emmeline per riscuotermi dal mio torpore.
Quella frase insicura, detta più che altro, io lo so, per allontanarsi da Remus Lupin, quel “non dovevamo andare da Silente?” che la mia amica si è scollata dal palato a forza, è stato quello a smuovermi.
È stato un po’ come sentirmi dire dalla voce della mia coscienza, quella buona, quella che assomiglia proprio ad Emm, “ma per quanto tempo pensi di accantonare la questione?”.
Prima di oggi, si erano levate in risposta le altre voci:
quella razionale che appartiene a Lils, che mi diceva di pensarci ancora un po’;
quella sbarazzina di Mary, che mi diceva che in fondo tutto si sarebbe sistemato;
quella di Alice, che mi diceva di seguire il cuore.
Eppure è quella di Emmeline ad avermi scosso, oggi.
E alla fine ho deciso.
Ho proposto agli altri di andarci a cambiare, prima di presentarci da Silente, perché farlo bagnati fradici e con la neve anche nelle mutande non mi pareva un’idea intelligente, e sono scesa qui, incontro a lui, prima ancora di andare al dormitorio.
A fare le mie domande, e a dare le mie risposte.
-hai chiesto di me? Una ragazza del secondo hanno mi ha detto che…-
-ho bisogno di parlarti- gli svelo abbassando lo sguardo.
Ha le spalle più strette di Sirius, il torace meno marcato. O forse Sirius porta solo magliette più aderenti?
No, deve essere proprio Regulus che è più piccolo.
-ed è talmente importante da chiedere di me?- mi chiede inarcando un sopracciglio.
-perché mi hai chiesto di uscire?-.
Ok.
Non era proprio da qui che avevo intenzione di iniziare.
Forse la sto prendendo un po’ alla larga.
Un po’ tanto alla larga.
Ok, ho la coda di paglia, contenti?
Sono lontana mille miglia dalla destinazione effettiva dei miei pensieri.
-cosa…?-
-rispondi- lo interrompo brusca.
Lui mi guarda stranito.
Beh, devo sembrargli strana.
-perché pensavo fosse più furbo conoscerci prima di… ma te l’ho già detto, no?- mi chiede poi stizzito di rimando.
-e perché hai accettato di conoscerci di più?-.
Ok, adesso sono un miglio più vicina.
Diciamo che sono a novecentonovantanove miglia lontana dalla destinazione prefissa.
-perché…- mi guarda irritato -…Marlene, vuoi chiedermi qualcosa in particolare o risaliamo all’indietro con le domande fino ad arrivare a quella giusta?-.
Ottima idea!
Ho sempre saputo che è più intelligente di Sir, da questo punto di vista!
-direi la seconda- annuisco soddisfatta.
Lui arriccia la fronte e sospira.
-perché mi sembrava potesse farti piacere che noi due ci conoscessimo di più, prima di raggiungere l’accordo-.
-e perché volevi farmi un piacere?- gli chiedo sospetta.
Novecento novantotto.
Lui sorride appena, divertito forse da questo mio continuo gioco dei perché.
-perché non mi sembrava intelligente iniziare il nostro legame con astio da una delle due parti-.
Annuisco.
Novecento novantasette.
-Marlene, questo gioco ha una fine?- mi chiede.
Annuisco.
-siamo ancora lontani, vero, dalla fine?- domanda divertito.
Annuisco ancora.
Che ci posso fare, io dovevo essere corvonero come tutta la mia famiglia, mica un’impavida grifondoro!
Non ho il coraggio nel sangue, secondo me!
-e perché hai iniziato il nostro legame?- domando io riprendendo la mia sequela di interrogativi.
-beh, immagino che anche a te abbiano inviato la lettera con…-
-non mi prendere per scema, Black, sai che non è questo che intendo- lo blocco subito.
Lui inarca un sopracciglio.
-scusa?-.
-perché hai accettato?- gli chiedo ancora –insomma, io sono la figlia disgraziata dei McKinnon, tu sei il prezioso erede dei Black, un perché ci deve essere-.
-questo vale per mia madre, McKinnon- mi dice in una risposta enigmatica tutta sua.
-che risposta sarebbe, questa?- non riesco a fare a meno di domandare in tono scettico.
-che domande sarebbero, queste?- mi sento rispondere a tono.
Sospiro.
Sospira.
Sei una grifondoro, Lène, raccogli il coraggio a due mani e…
-Regulus, sul serio- gli chiedo –perché hai accettato? Potevi pescare più in alto, sei bello e sei ancora al sesto anno, hai tempo-.
Lui mi guarda ancora un attimo scettico.
Mi accorgo solo più tardi di averlo appena definito bello.
Beh, non bello come Sirius, che di lineamenti è proprio stupendo, ma comunque è bello.
-stai pensando a Sirius, vero?-.
Mi blocco, probabilmente perdo tutto il colore che ho sul volto.
Come…?
-hai una strana espressione, a volte, quando mi guardi- mi dice a sorpresa, continuando nel suo discorso –è la stessa che avevi ieri da Scrivenshaft quando squadravi le penne per la tua migliore amica, e mi elencavi le qualità che una aveva e all’altra invece mancavano-.
Sgrano gli occhi, ho freddo.
So bene che non sono i sotterranei.
-non ne ero certo, non fino ad ora, ma vedendo come hai reagito…- sembra stranamente triste, quasi spento -…un’idea mi è venuta al campo da quidditch, quando ti ho chiesto di uscire. Eravate da soli fuori dagli spogliatoi e stavate parlando, poi Mulciber si è messo a sproloquiare e Sirius avrebbe reagito, se tu non lo avessi fermato-.
Me lo ricordo. Aveva il polso caldo, potevo sentire la pelle sotto le dita.
Raramente mi sono sentita così vicina a Sirius, in tutta la mia vita.
-lo sai, pensavo non esistesse, la persona che avrebbe potuto farlo. Fermarlo, intendo-.
Il silenzio segue le sue parole, teso e imbarazzato.
Alla fine mi sento in dovere di spezzarlo.
-che cosa devo dire?- gli chiedo alla fine.
Lui scuote la testa.
-una cosa- mi risponde –devi dire una cosa, a lui, a te, alle persone che mi giudicano perché non sono come lui. Io ho raccolto i cocci di quello che lui ha lasciato. Lui ha scelto di andarsene, io non ne ho mai avuta l’opportunità. Lui ha fatto il figlio ribelle, io ho dovuto fare il primogenito anche se non era il mio, il compito. Ho dovuto accettare, perché lui non lo aveva fatto. E non mi interessano tutte le vostre chiacchiere da grifondoro, Marlene. La verità, è che quando ti ci ritrovi invischiato, combattere non serve-.
Scuoto la testa.
-combattere serve sempre- rispondo.
Questa deve essere una frase da Lily nei suoi momenti saggi.
-si, a spezzare, a distruggere- ribatte con enfasi.
Con un sorriso amaro, ricordo le parole di Silente.
Non sempre, la fine di qualcosa è la fine di tutto. Una fenice non è l’unico essere che rinasce dalle proprie ceneri. Ci vuole sacrificio, impegno, coraggio e dedizione. Ma si può ricostruire ciò che si distrugge. Quello che serve, più di qualsiasi cosa, è la volontà.
-neanche in questo caso, è servito- sussurra alla fine –combattere non è servito-.
-come?- chiedo in un mormorio, avvicinandomi per sentire meglio.
-ho provato a prendermi l’unica cosa che avrei potuto avere- dice alla fine, alzando lo sguardo sui miei occhi –ci ho provato, Lène, ma alla fine non ci sono riuscito, no? Alla fine lui ha preso anche quello-.
Non capisco cosa intenda.
Lente, le sue labbra si posano sulle mie.
Talmente lievi che non me ne accorgo fino a che il mio naso non sfiora la sua guancia, e i miei occhi si ritrovano incatenati nei suoi.
Sospiro appena.
Capisco cosa intende.
-ti sbagli- riesco a scollarmi dal palato alla fine, le labbra ancora sulle sue.
-no, non mi sbaglio-.
Scuoto la testa, gli afferro il braccio, stringo con forza sul polso.
Il polso sinistro.
Conficco le dita nella pelle, e nonostante il maglione riesco a sentire con le unghie la cute, e il suo sibilo.
-ti sbagli- ripeto scostandomi  e, senza lasciare il suo polso, lo porto tra me e lui.
Veloce, gli occhi inchiodati nei suoi, gli tiro il maglione fin sopra il gomito.
Sussulto quando vedo la pelle intatta e nitida, bianca e perfetta.
-sbagli tutto, Regulus- gli dico alla fine –combattere serve. Ti ho sentito parlare con Lestrange, un po’ di tempo fa. Puoi fare la scelta giusta, Regulus. Se solo tu volessi, potresti salvarti*-

 
 

Come glielo dici,
a una donna così,
che tu vorresti salvarti,
e ancora di più vorresti salvare lei con te,
e non fare altro che salvarla,
e salvarti,
tutta una vita,
ma non si può,
ognuno ha il suo viaggio, da fare,
e tre le braccia di una donna si finisce facendo strade contorte*
 

La guardo, i miei occhi nei suoi così scuri, e insieme così espressivi.
Come i miei non saranno mai.
Perché lei vuole qualcosa da me, è venuta qui con il preciso intendo di averlo, quel qualcosa, e non se ne andrà fino a che non lo avrà ottenuto.
Lo so. Così come so che non lo otterrà.
Perché resto convinto.
A ribellarsi si finisce con l’essere bruciati. Come Sirius, come Meda.
Bisogna essere giusti, giusti per la situazione che si vive.
E non bastano gli occhi di una ragazza per cambiare le carte in tavola.
Per quanto quegli occhi siano scuri e espressivi.
Per quanto siano i suoi.
-Marlene, io non sarò mai più salvo*-.
Lei mi guarda, e il dolore si fonde con qualcos’altro.
Rabbia?
-perché?- mi chiede inaspettatamente aggressiva.
Sorrido, amaro.
Ma a cosa mi sono ridotto?
Innamorato, forse, di una delle tante innamorate di mio fratello.
Mi disgusto.
Io sono un Black, mia madre rabbrividirebbe.
-perché per farvi fare la parte degli eroi, Marlene, servono i cattivi, in questo mondo- ribatto acido allontanandola da me con una spinta leggera, riprendendomi il mio polso ancora intatto –e perché c’è chi non si può prendere il lusso di andarsene-.
Mi volto verso la porta della sala comune e con una decina di passi la raggiungo.
Veloci, anche le sue parole mi raggiungono.
-è perché sei un codardo, Black- esclama dal fondo, e le parole risuonano cupe nel corridoio.
Qui siamo nei sotterranei.
Tra le serpi non esistono codardi.

 

Come glielo dici,
a un uomo così,
che ti sta perdendo?*

 

 ***

 
-sapete dove è Lène?- chiedo guardandomi attorno mentre scendo le scale che dalla sala comune portano al nostro dormitorio.
In sala comune i malandrini al gran completo aspettano.
-non è ancora rientrata?- mi chiede James guardandosi attorno.
Ha ancora i capelli umidi a causa della neve, e le mani arrossate per il freddo.
È innocuo come non l’ho mai visto, seduto su quella poltrona, con l’aria di un bimbo.
Per poco non rido.
-no, non è ancora rientrata. In effetti, ha detto che stava via poco e…-
Il ritratto si spalanca, Marlene entra.
È straordinaria la calma con cui ci raggiunge, il viso rilassato al massimo, gli occhi limpidi e grandi, scuri come non mai.
-lo so, sono tremendamente in ritardo, se volete andare vi raggiungo non appena mi cambio- dice anticipando le parole di cinque persone, cioè io, James, Sirius, Mary e Alice.
Noi restiamo a guardarci con la bocca ancora aperta e l’aria tremendamente stupida.
-ti aspetto qui- dice alla fine Black.
James annuisce.
Io annuisco, ma non perché lo fa James!
Remus annuisce.
Peter annuisce.
Frank annuisce.
Alice annuisce.
Mary annuisce.
Emmeline annuisce.
Insomma, stiamo tutti qui ad aspettarla.

***

 
Sembro matta. Non mi sono neanche cambiata totalmente, solo la maglia e il pullover panna, ma i jeans sono sempre gli stessi inumiditi. Ho pettinato un po’ i capelli e mi sono guardata allo specchio, poi sono scesa.
James si è alzato, si è affiancato a Sirius che ha guardato Remus che ha preso Peter per un braccio che si è attaccato a Frank. Allora Alice con un sorriso si è schierata al fianco del suo prezioso sicuramente prima o poi marito, tirando con se Mary, che ha preso per un braccio Emmeline che ha afferrato senza troppi complimenti Lily che mi ha guardato e ha detto, solennemente:
-non lo faccio perché lo fa James ma perché voglio farlo, sia chiaro-.
Alla fine, quindi, mi sono ritrovata a guardare il professor Silente nelle palle degli occhi con la bocca aperta, sperando di trovare le parole giuste come per magia.
Ovviamente non è successo niente del genere, e me ne resto qui a bocca semiaperta, a guardare alternativamente il preside e James, che si fronteggiano, il primo calmo e sereno e il secondo teso come una corda di violino.
-è strano, non trovi?- mi dice Mary ad un orecchio, forse per spezzare la tensione –non sono mai stata in quest’ufficio in sei anni, e di colpo vedo più questa stanza che il nostro dormitorio-.
Sorrido appena, continuando comunque ad arrovellarmi il cervello.
-ne sei sicuro, James?- chiede gentilmente il professor Silente.
-certo che ne è sicuro, professore, è James Potter- gli regge la scena il suo fido compare.
-e voi, ne siete sicuri tutti?- ci chiede guardandoci uno per uno. Si sofferma su di me, guardandomi gentile e severo come non mai –assolutamente sicuri?-.
Annuiscono tutti.
Io ripenso con un sospiro alla conversazione spiccia avuta con Regulus nemmeno mezz’ora fa, nei sotterranei.
Ci ripenso con un misto di amarezza e delusione, perché avevo iniziato a crederci veramente.
A credere che lui non avesse scelto spontaneamente questa vita.
Ma in fondo, forse, Silente aveva ragione, quando parlava di scelte.
Ognuno compie le proprie in totale autonomia.
Le tue scelte sono soltanto tue, mi ha detto, non sono colpa o merito di qualcun’altro.
-si, ne sono sicura- annuisco alla fine.

 
 
 
 
*Tutti gli asterischi sono collocati in frasi prese dal libro Oceano Mare, di Alessandro Baricco, comprese le due frasi di Lène e Regulus:
se solo tu volessi, potresti salvarti
io non sarò più salvo.
 
NOTE:
questo capitolo è scritto in maniera diversa rispetto agli altri, e credo fermamente che sia il mio preferito, fino ad ora.
L’ho immaginato spesso diverso, questo credo sia quello venuto meglio, e ripeto, mi piace un sacco… spero vi piaccia altrettanto. Le frasi che ci ho collegato sono prese dal mio libro preferito, e le trovo straordinariamente adatte.
Per il resto, non c’è molto da dire.
Questo capitolo è un po’ più corto rispetto agli altri, tuttavia credo che unirlo insieme al prossimo solo per allungarlo sarebbe stata una scemenza, meglio distinguerli nettamente.
Grazie mille per le recensioni, alle quali giuro risponderò prestissimo appena avrò un minuto di tempo!
Spero vivamente che vi piaccia,
buona lettura, Hir!
 
 
 
 
 

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Capitolo 31
*** tutti all'ordine! ***


LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
REMUS
EMMELINE
MARY
ALICE
PETER
FRANK
REGULUS
RABASTAN



10 DICEMBRE 1977  ORE 20.10
 
-ehilà, siete pronti?- chiede la voce di Mary, allegra, fuori dalla porta.
Mi guardo attorno, spaesato.
Frank, seduto sul letto, è perfettamente vestito e pronto all’azione.
Sta leggendo un libro per ingannare il tempo.
Remus si lava i denti in bagno, facendo facce allo specchio.
Sirius si pavoneggia nella stanza a torso nudo, forse cercando una sua maglietta dei Tornados che, cito testuali parole, circa tre settimane fa aveva visto sul tetto del baldacchino di Peter.
Io sono quasi totalmente vestito, mi manca un maglione, mentre Peter  è chiuso nella doccia da circa un’ora e non vorrei che fosse annegato, quindi forse è il caso di dare un’occhiata.
-Rem, smetti di ringhiare allo specchio- gli dico affacciandomi alla porta del bagno –Pete è ancora nella doccia?-.
Remus grugnisce e si sporge verso la doccia, poi mi fa un cenno positivo e torna a guardare in cagnesco quel povero specchio che non può far altro che fissarlo di rimando.
-James, ci siete?- chiede la voce soave di Lily.
Mi ero dimenticato delle ragazze.
-entrate se volete, ci servono ancora dieci minuti- le invito galante, sperando in cuor mio che Lily non faccia caso ai calzini sporchi di Sirius sul mio comodino, alle maglie di Sirius che fungono da scendiletto, alla sciarpa di Sirius che, non mi chiedete perché, è appesa sul lampadario, alle scarpe di Sirius che…
Beh, immagino abbiate capito. Potrei andare avanti così per tutta la sera, se non avessi cose più importanti da fare.
-ragazzi, vi servirebbe un po’ d’ordine- esclama Mary buttandosi a pesce sul letto di Sirius.
-e poi siamo noi donne che ci mettiamo un’eternità a prepararci, vero?- chiede Lily sedendosi placidamente sul mio letto, ritagliandosi un angolino non invaso dai vestiti.
-dai, Lils, abbiamo ancora venti minuti abbondanti- fa Lène di rimando sedendosi sul letto di Remus insieme ad Emmeline, e sbadigliando vistosamente.
-l’appuntamento era per le otto, Marlene- la corregge in tono saputo –e le otto e d…-
-su, Lils, chiunque sa che quando si dice le otto, non si è veramente in ritardo fino alle otto e mezza!- la rabbonisce Mary, ghignando in direzione di Sirius –però, Black, niente male la visuale-.
Sirius alza gli occhi verso Mary, mezzo nudo ma per niente imbarazzato.
-sto cercando la mia maglia- dice a mo di scusa sventolando una mano con eleganza.
-quale?- chiede Lène osservando il pavimento –lì ce n’è una nera, sotto il letto di Peter c’è quella azzurra che avevi ieri mattina a colazione, e quella lì è…-
-com’è che ti ricordi che maglia avevo a colazione?- gli chiede Sirius fermandosi visibilmente compiaciuto a osservarla, appoggiandosi alla colonna del baldacchino come se non fosse in realtà mezzo nudo e dannatamente in ritardo, checché ne dica Mary della faccenda.
Marlene avvampa, bloccandosi nel tentativo di scorgere meglio la maglia di Sirius che spunta tra le coltri del suo letto.
Decido che è ora di smontare quel galletto impagliato di mio fratello e correre in soccorso a mia cugina che visibilmente non sa che pesci prendere.
Del tutto casualmente, si intende, scorgo la maglia dei Tornados piegata nel baule aperto di Sir, la prendo e gliela lancio colpendolo dritto dritto in faccia.
-perché ti stava decisamente male, Pad- mi intrometto –e ora muoviti, Lils ha ragione, siamo in ritardo-.
Faccio un occhiolino a Lily e mi sporgo per prenderla per mano –vi aspettiamo in sala comune, tanto io sono pronto-.
Non sento cosa mi risponde Sir, so che sembra parecchio scocciato.
-ma brontola sempre, Sirius?- mi chiede Lils sulle scale, mentre con un braccio le circondo la vita avvicinandola a me. Appoggia la testa alla mia spalla e mi guarda, di uno sguardo talmente verde che rischio quasi di cadere dalle scale mancando un gradino.
-costantemente- le rispondo quando recupero l’equilibrio, giusto per non fare la figura dello scemo totale quale ora mi sento.
-mi sono sempre chiesta cosa le ragazze trovassero in lui- replica meditabonda –si, escluso il fascino da dio greco, insomma-.
Alt.
Mi blocco, in bella vista, sull’ultimo scalino giusto prima della sala comune nemmeno troppo affollata.
-come sarebbe la storia del dio greco, scusa?- le chiedo gentilmente.
Adesso non ci si può più fidare del proprio fratello?

 

***


Scoppio a ridere prima di potermelo impedire.
Non ho pensato, prima di parlare, che la persona con cui sto conversando è niente popò di meno che James Potter, anche conosciuto come una delle persone più presuntuose e arroganti che Hogwarts abbia mai vantato, nonostante io inizi sinceramente ad apprezzarlo non posso rinnegare questo lato del suo carattere talvolta assai fastidioso.
-ehi, che c’è da ridere?- chiede scocciato guardandomi seriamente.
Non posso impedirmi di ridacchiare ancora.
-tu sei geloso!- esclamo galvanizzata dalla scoperta.
James Potter geloso. Di Sirius Black.
Quello stesso James Potter che mi osserva, ora, divertito.
Ehi, perché è divertito?
Dovrei essere io quella divertita!
Perché ogni volta che mi ritrovo a parlare con James finisco sempre con l’aver la frittata rigirata?
-allora, sei geloso?- insisto cercando di riportarlo alla sua “gelosia” –perché, sai, Sirius è scemo ma ha proprio un bel…-.
In meno di un secondo mi ritrovo schiacciata contro il muro, le sue labbra premute sul collo scoperto, la pelle che scotta sulla scia della sua bocca e la gola incredibilmente riarsa, come fossi in un deserto in piena estate.
Sono in un castello scozzese, ergo irrimediabilmente umido e pieno di spifferi, ed oggi è il dieci di dicembre.
Non so proprio spiegarmi lo stato della mia gola.
Le labbra di James tracciano il profilo della mia mandibola fino ad arrivare all’angolo delle mie, il suo respiro sulla mia pelle.
Forse so spiegarmi lo stato della mia gola.
-stavi dicendo?-.
Si allontana di qualche centimetro per guardarmi ad occhi socchiusi, assomigliando terribilmente ad un gatto che punti una preda.
Mugugno infastidita sporgendomi in avanti, cercando di raggiungere le sue labbra, ma più io mi avvicino a lui e più lui si allontana da me.
-allora, dicevi?- mi stuzzica ancora con un sorrisetto.
Io sorrido serafica.
-che ha proprio un bel fegato, Sirius Black, a farsi trovare a torso nudo da noi ragazze!- esclamo sdegnata –potesse permetterselo…-
Ridiamo, insieme.
Lo guardo ancora per qualche attimo, mentre i suoi occhi nocciola mi fissano ancora incredibilmente morbidi.
Poi mi sporgo verso di lui e, sempre sorridendo, gli poso leggera un bacio sulle labbra. Sento la sua mano raggiungermi la nuca, e dirigermi nell’alzarmi un po’ di più. Compita come raramente lo sono, mi allungo un po’ di più sulle punte dei piedi, socchiudendo leggermente le labbra per permettere alla mia lingua di inumidire le sue, eppure sono sempre un po’ esitante.
Con James Potter è tutto simile all’essere seduta su una bomba ad orologeria, non sai quando esploderà e cosa sentirai quando lo farà.
È un po’ come quando, questa estate, seduta sul sedile anteriore dell’auto di papà cercavo di destreggiarmi provando a mettere in moto la macchina. Quando dopo aver girato la chiave con il piede fisso sulla frizione dovevo concentrarmi a rilasciare questa lentamente accelerando al punto giusto senza far andare troppo su di giri il motore e fargli fare quel rumore infernale. Al contempo, però, non dovevo accelerare poco altrimenti la macchina si sarebbe spenta facendo un saltello poco dignitoso in avanti.
È proprio così, con James.
Devo calcolare ogni minima sensazione ed emozione.
Perché se mi spingo troppo avanti, ho paura di andare su di giri, facendo un rumore infernale e distruggendomi dall’interno pezzo per pezzo, ma restare troppo ferma otterrebbe il risultato, forse, di farci spegnere entrambi, con o senza saltello.
Quindi a malincuore provo a scostarmi da James, quando sento la sua lingua raggiungere la mia.
Ci provo, ma non è il tentativo mi riesca proprio in modo eccellente.
Esito, mentre nonostante tutti i miei pensieri e le grida della mia parte razionale non riesco a interrompere il contatto di blocco, con un taglio netto.
Ancora un tocco, veloce? Veloce veloce?
Un minutino appena?
Più scombussolata che mai, mi allontano e appoggio la testa al muro, con un sospiro.
Sento che James mi sta guardando, forse chiedendosi cosa mi sia preso.
O forse autocompiacendosi di avermi ridotto il cervello in pappe.
Socchiudo gli occhi e lo guardo appena.
Decisamente la seconda.
Ghigno beffarda.
-comunque, Potter, non posso dire con certezza nulla sul fegato di Black, ma il suo fondoschiena non è niente male, lasciamelo dire- lo sorprendo sgusciando via dall’abbraccio non appena sento le voci degli altri lungo le scale, appena sopra di noi.
Lui mi guarda stranito, una luce forse divertita negli occhi.
No, indispettita.
-e tu quando è che avresti visto le grazie di Sirius?-.
Rido.
-certi dettagli non si svelano nemmeno in punto di morte- gli rivelo con uno sguardo accattivante.
Adesso tocca lui ridere e ghignare.
-beh, Evans, dici così di Sirius perché non hai mai visto le mie, di grazie- mi sussurra raggiungendomi alla parete affianco e guardandomi malizioso.
-ma dico io, vi sembra il luogo?- s’intromette Black passando tra me e James con un occhiata di scherno –James, caro, sembri un cervo in fregola-.
-sai com’è, Black, la camera era già occupata- lo casso io con un sorrisetto.
Evans 1- Black 0.

 

***


Osservo James da quando siamo usciti dalla sala comune, cammina a circa tre metri da terra e ha occhi solo per la Evans.
Certo, chi se la immaginava così, la Evans, vista da vicino?
Ok, se James avesse sentito questo mio ultimo pensiero, mi avrebbe spalmato al muro, ufficio di Silente o meno… tende ad essere tremendamenteterritoriale su argomenti sacri come Lily Evans.
Per carità, che se la tenga, non ci sono problemi! Bella ragazza o meno, come pseudo-amica va più che bene… io preferisco altri tipi.
Un solo tipo, in effetti.
Da qualche giorno Marlene McKinnon è rilassata al massimo.
Credo abbia parlato con Regulus, e sebbene io sia interessato a questa conversazione, mi terrorizza anche.
Credo sia meglio avere l’effetto sorpresa un po’ più in là, magari.
Spero anche che sia bella, la sorpresa.
-signor Black, vuole andare?- mi chiede Silente e, dal tono di voce, credo non sia la prima volta che lo fa.
Ero inabissato dei miei pensieri, e allora?
-come prego?- chiedo gentile, visto che non ho ascoltato una sola parola di quello che ha detto –andare dove?-.
Silente mi guarda divertito, poi mi fa un cenno verso Marlene.
-Black, sturati le orecchie- commenta gentile come sempre.
Se ve lo state chiedendo, no, non mi sono innamorato della sua dolcezza.
Nemmeno di quella di fondo.
Perché credo che un ragazzo debba scavare molto a fondo in Marlene McKinnon per trovarla, la dolcezza. A fondo nell’orgoglio e nel sarcasmo, e nella testardaggine.
-il preside ha spiegato, signor Black- mi dice velocemente la McGrannitt, severa –che l’ubicazione del quartier generale dell’ordine vi verrà svelata solo in un secondo momento, viaggerete tramite metropolvere guidata per ora. Se vuole affiancarsi alla signorina McKinnon, viaggerete in coppia-.
-c…certo, professoressa- mi ritrovo a balbettare come un deficiente.
Ed è un’occhiata di commiserazione quella che mi riserva Marlene?
Ora, questa proprio non la posso sopportare impunemente.
-quanto sarà lungo?- chiedo interessato.
-un paio di minuti, signor Black- mi risponde Silente sempre più divertito.
Lo hai capito il vecchio genio!?
Beh, di certo anche lui deve aver avuto i suoi giorni di fuoco, nonostante tutto.
Sussulto, allontanando dalla mente pensieri decisamente poco gradevoli sul preside nei suoi giorni di fuoco.
Vedo Marlene prendere un pugno di polvere volante e, con la scusa del viaggiare insieme, le circondo la spalla con un braccio.
È rigida, mentre lascia cadere la polvere nel fuoco.
La metropolvere guidata si differenzia dalla metropolvere normale solo per una cosa: il camino di partenza e quello di destinazione sono legati a doppio filo, si viaggia dall’uno all’altro senza possibilità di errore. Quindi, non c’è alcun bisogno di dire la destinazione, perché automaticamente si finirà nel camino prescelto.
-Black, sei comodo?- mi chiede la McKinnon guardandomi truce.
Se non la conoscessi bene potrei dire che si sta divertendo un mondo.
Visto che la conosco bene posso dire si sta godendo un sacco, in realtà, le mie attenzioni.
Almeno almeno quanto io mi sto godendo le sue spalle.
-in effetti, McKinnon, ora che me lo fai notare…- mormoro guardandola malizioso e facendogli scendere la mano sulla vita. Posso quasi raccogliere il brivido che sento scuoterle il corpo, e se solo non fossimo in un camino, circondati dal piacevole calore delle fiamme, potrei imputarlo al freddo dicembrino.
-Black, lasciami la…-
-e se poi mi perdo per strada?- chiedo in tono innocente.
-non sia mai, per carità- esclama stizzita.
Sorrido appena, mentre il viaggio rallenta. Credo ci stiamo avvicinando al camino di arrivo.
-sei sicura che hai fatto la scelta giusta, Lène?- le chiedo, le labbra vicino all’orecchio.
Lei mi guarda, in risposta, poi accenna un sorriso.
-non sono mai stata così sicura- mi risponde voltando il viso verso di me.
Giuro, giuro su Merlino e i fondatori e Morgana e Circe e Babaraba che non è mai stata così desiderabile come adesso.
E se ve lo dico io, potete credermi.

 

***


Adesso mi bacia.
È l’unica cosa che riesco a pensare mentre lo guardo negli occhi, il mio viso e il suo di nuovo così maledettamente vicini.
E incredibilmente, un’ansia assurda mi assale.
Assurda, perché non ha proprio ragione d’essere: io sono Marlene McKinnon, diamine!
E Marlene McKinnon sta ai ragazzi come Hagrid sta alle creature mostruose.
Credo sia proprio questo, il punto.
Ai ragazzi.
Non a Sirius Black.
Insomma, senza niente togliere a tutti gli altri, Sirius è tutto un altro paio di maniche.
Ho giusto il tempo di pensare due cose:
la prima è che potrei affogarci, dentro quegli occhi grigi;
la seconda, è che quegli occhi grigi sono così inconsapevolmente giusti da darmi un brivido.
Poi tutto s’interrompe, come la più squallida della magia, e insieme piombiamo su un tappeto vecchio e logoro e pieno di cenere, scaraventati fuori dal camino con la grazia di un gigante in un negozio di manufatti di folletti.
In sequenza, batto la testa contro qualcosa di estremamente duro, la vista mi si appanna e un gomito alquanto appuntito mi si pianta dritto sullo sterno, facendomi gemere dal dolore.
Alla fine, stremata, rimango sdraiata per terra e, sopra di me, alquanto scomposto e abbandonato con il suo dolce peso, Sirius Black sembra ridotto peggio di me.
-Black, sei tutto intero?- gli chiedo dopo aver ripreso il fiato che quella gomitata mi aveva strappato via.
Lui borbotta in risposta.
-come?- chiedo ancora.
-ho detto che ho sbattuto la testa contro qualcosa di maledettamente duro, McKinnon- mi dice alzando appena lo sguardo –e che un bernoccolo coi fiocchi rovinerà il mio fascino per qualche giorno-.
Sorrido appena.
-primo, quel qualcosa di maledettamente duro era la mia testa, Black- gli rivelo ricambiando lo sguardo beffardo, e poi scuotendo appena le spalle –secondo, il tuo fascino ne risulterà migliorato, ti darà l’aria di uomo vissuto che ti manca. Terzo, hai il gomito più appuntito della Gran Bretagna, lo sai? Mi hai perforato lo sterno-.
Ride, si alza con qualche gemito di protesta e poi mi tende la mano.
-che sia chiaro, McKinnon, a me non manca assolutamente nulla- mi dice squadrandosi attorno –c’è nessuno?-.
L’ultima frase, urlata, provoca un sacco di rumori in una stanza affianco.
Alcune voci ci raggiungono.
-sono già arrivati?-.
-il professor Silente è sempre in anticipo…-
-…ci sono già tutti?-.
-lasciatemi guardare, anche io voglio vederli-.
-uff, Gideon, hai la testa più grossa dell’inghilterra, per merlino! Fosse anche piena poi…-
-guarda che se insulti la mia testa ti insulti da solo, idiota-.
-Gid, Fab, potreste smetterla di accapigliarvi per…-
-si, ecco, smettetela un po’, gemelli da strapazzo-.
Io guardo Sirius, e insieme ci dirigiamo alla porta.
Lì, veniamo a dir poco travolti da una piccola folla, circondati da braccia calorose e guardati come se fossimo… com’è che li chiama Lily?... atieni, si!
-adesso basta, andate tutti di là- dice velocemente la voce severa di Dorea Black in Potter, ossia mia zia –li aspetteremo io e Dorcas di qua, tutti voi di là e muti! Non voglio sentire le vostre voci-.
Certo che quando zia fa così mi fa davvero un po’ paura.

 

***


Il viaggio sta per concludersi, vedo che stiamo rallentando.
James mi tiene la mano e di tanto in tanto mi guarda, come se volesse chiedermi qualcosa ma non avesse il coraggio di farlo.
Alla fine sospiro e lo guardo, rassegnata.
-che c’è, James?- chiedo esasperata.
Lui mi stringe la mano.
-vorrei che tu non entrassi nell’ordine, Lils- rivela piano.
Apro la bocca per dissentire, indignata, ma lui mi fa cenno di tacere.
-no, aspetta, lo so che non ho alcun diritto di chiederti di non farlo, so che vuoi farlo più che mai ma… non posso fare a meno di preoccuparmi, Lils, e questo almeno me lo devi lasciar fare-.
Richiudo la bocca, sentendomi stupida.
Alla fine sorrido appena.
-Jamie, di che hai paura realmente?- gli chiedo inclinando la testa, e mi stupisco di quanto sembri dolce, il suo nomignolo, detto da me. Quando lo usa Remus ha un’aria diversa.
Certo sembra dolce, ma non smielato alla Alice e Frank.
Dolce buono, non dolce cattivo.
Un po’ come quando lui mi chiama Lils.
-di vederti di nuovo al San Mungo- dice sussurrando appena –di sentirmi ancora così impotente davanti ad un letto su cui sei stesa tu, con appena qualche possibilità di risvegliarti-.
Sospiro.
-è proprio per questo che devo farlo, James- gli rispondo accentuando il sorriso.
-lo so- annuisce in risposta, stingendo la presa sulla mia mano –è proprio per questo che mi preoccupo-.
Annuisco anche io e mi avvicino a lui appoggiandogli la testa sulle spalle e cercandogli il collo con le labbra.
-non smettere di farlo- gli sussurro contro la pelle morbida.
Sento che appoggia la testa alla mia, e all’improvviso ci fermiamo, venendo spinti dal fuoco in avanti. Mi pesto un piede nel tentativo di rimanere in piedi, ma tutto sommato l’atterraggio si conclude senza ferite.
Davanti a noi, la signora Potter e una ragazza bionda e piuttosto carina ci guardano in risposta.
Solo quando mi sento passare addosso lo sguardo di Dorea Potter mi accorgo che ho ancora la testa sulla spalla di suo figlio e una sua mano ben tenuta salda tra le dita.
Fa caldo, non trovate?

 

***


James e Lily entrano nella stanza con il tavolo per ultimi, il primo straordinariamente di buon umore, la seconda rossa quanto i suoi capelli e piuttosto imbarazzata. Dietro di loro, Dorcas Meadowes e la zia li seguono, l’ultima alquanto soddisfatta.
Vedendomi, mi rivolge il solito sorriso caldo che riserva sia a me che a James ogni volta che ci rincontra, e che prima non mi aveva regalato, forse presa dalla foga di aspettarci tutti insieme.
Sorrido in risposta mentre, seduto tra Charlus e Marlene, ascolto distratto i discorsi degli altri.
Gideon e Fabian Prewett tengono banco con le loro simpatiche diatribe, di tanto in tanto sorretti da Alice che, vicino a loro, da manforte una volta all’uno, un’altra all’altro.
Alastor Moody osserva tutti con fare indagatore, come sempre in pratica. Zio Char è particolarmente di buon umore, e parla con un ragazzo coi capelli scuri che deve avere solo qualche anno più di me.
Dietro la zia e Dorcas, alla fine, spunta il professor Silente seguito dalla McGrannitt, che si chiude la porta alle spalle.
Il professore si avvicina al tavolo e si siede accanto a Moody, e non appena lo fa nella stanza si sparge il silenzio come una macchia d’olio, ora siamo tutti in attesa che il preside parli.
-buongiorno, o sarebbe meglio dire buonasera- esordisce sedendosi –direi che ci siamo tutti, possiamo cominciare-.
Al cenno d’assenso di molti, il preside indica noi ragazzi.
-prima di tutto, lasciatemi spiegare qual è il preciso obbiettivo di quest’ordine- comincia Silente, richiamando l’attenzione di tutti –l’Ordine della Fenice vuole prevedere e, possibilmente, ostacolare, i piani di Lord Voldemort. Non voglio mentirvi, nessuno qui dentro lo vuole, quindi vi dirò che è molto pericoloso prendere parte a quest’Ordine ed esserne parte effettiva potrebbe essere mortale, in futuro. Per ora, posso asserire con sicurezza che Lord Voldemort non ha mai sentito parlare di noi, tuttavia sappiate che non sarà così per sempre. Forse presto, forse tardi, l’Ordine uscirà allo scoperto. Se volete tirarvi indietro, ovviamente, nessuno qui si prenderà gioco di voi, sappiatelo. Un ripensamento non vi marchierà come codardi, ed è soprattutto per questo che l’ubicazione di questo luogo non vi è stata resa nota. Qualcuno vuole tirarsi indietro?-.
Alla domanda del preside, nella sala continua ad aleggiare il silenzio.
Lui annuisce, soddisfatto.
Alcuni membri dell’ordine scuotono la testa, tra questi posso vedere zia Dorea e la McGrannitt.
Sorrido alla zia, incoraggiante, che mi sorride tristemente di rimando.
-inizierei con le presentazioni, visto che ho ragione di credere che non tutti vi conosciate. Per prima cosa, vorremo spiegarvi come noi membri dell’ordine della fenice comunichiamo tra di noi-.
-i Patronus?- chiede Lène, seduta accanto a me piuttosto rigidamente.
Silente annuisce, compiaciuto.
-esattamente, quindi vi chiederemo di evocarne uno per noi, qui. Lo faremo tutti, così che in caso di emergenza possiamo riconoscere a vicenda la persona che ci ha contattato. Tutto chiaro?- prende a parlare Moody con la sua voce brusca e scontrosa –e siete pregati di prestare attenzione, vigilanza costante, ragazzi-.
Interdetto, guardo Moody.
Fin da che abito con i Potter ho incontrato Alastor Moody una decina di volte, e mai che gli abbia sentito dire qualcosa di diverso da quella frase!
Deve essere un po’ il suo motto, forse.
Certo, con tutto quello che ha visto nella sua vita fa bene a ricordare anche agli altri la presenza di oscurità, ma credo lui calchi un po’ troppo la mano, a volte.
-bene, alzatevi in piedi, dite il vostro nome completo e evocate un incanto patrono- ci dice indicando me per primo che, confinando con zio Char, sono il primo della lunga schiera di studenti nuovi membri dell’ordine.
Mi alzo in piedi e faccio un sorriso a trentadue denti.
-Black, fai poco lo smorfioso-.
Certo che Alastor Moody è quasi sempre insopportabile.
Sorrido ancora di più in risposta.
-sono Sirius Black- mi presento indolente –e…-
-il nome completo, Black- mi rimbrotta ancora Alastor Moody.
Sbuffo.
-sono Sirius Orion Black- mi ripresento stavolta scocciato –e il mio patronus è un cane-.
Alzo la bacchetta prima che Moody apra bocca per riprendermi e cerco un ricordo felice.
L’abbraccio.
Ripenso all’abbraccio che ho scambiato con Lène nei corridoi la sera di Hogsmeade e pronuncio la formula.
Un grosso cane nero simile ad un orso, argenteo e formato da una patina simile a vapore, scaturisce dalla mia bacchetta per correre per la stanza.
Alla fine, dopo che tutti gli hanno dato uno sguardo, lascio che si dissolva nell’aria e mi risiedo, piuttosto soddisfatto.
-bene, passiamo alla prossima- commenta gentile Silente, facendo cenno a Marlene.
Lei sorride in risposta.
-Marlene Danae McKinnon- dice alzando la bacchetta –il mio patronus è un camoscio-.
In effetti, dalla sua bacchetta scaturiscono fili argentei che si condensano in un agile camoscio dalle corna lievemente ricurve nella parte superiore. E intanto io, con la mia faccia da triglia migliore, penso ancora a come suoni musicale il suo nome.
Marlene Danae McKinnon.
Un Black alla fine ci starebbe male, se preceduto dal nome di mio fratello.
Intanto accanto a lei si è alzata Mary.
-io sono Mary Abigail McDonald- esclama, evocando di seguito il proprio patronus.
-un passero?- chiedo divertito.
Lei mi guarda truce.
-è un colibrì, cretino- mi rimbrotta piuttosto divertito.
Un colibrì. Le sta particolarmente bene, devo dire.
 

 
NOTE:
per prima cosa, un appunto sul fattore metropolvere. Quello di Grimmauld Place, di camino, era collegato alla metropolvere, quindi lo è anche quello del quartiere del primo ordine della fenice, secondo me. La metropolvere guidata, ovviamente, è una mia aggiunta, la Rowling non ne fa menzione.
Nel prossimo capitolo il resto dei Patroni.
Io trovo particolarmente azzeccato quello di Mary, un colibrì secondo me le sta particolarmente bene. Purtroppo la Rowling, sui patroni, dice assai poco già riguardo ai protagonisti, figuriamoci a tutti gli altri. Spero vi piacciano, io li ho già trovati tutti e vi aggiornerò nel prossimo capitolo.
A proposito del prossimo capitolo, sarà incentrato, esclusa la parte iniziale, su Remus ed Emm, per la gioia, ne sono certa, di più di uno di voi!
Mi chiedevo… ho visto nelle altre ff che gli autori hanno il vizio di dare i propri personaggi ad alcuni attori… a me non colpisce particolarmente come cosa, tuttavia alcuni di questi personaggi li ho ritrovati in attori più o meno conosciuti. Per ora non tutti, però.
Se vi interessa:
Sirius da giovane -> Ben Barnes  (guai però chi mi tocca Gary Oldman, che io adoro oltre ogni limite, e che resta sempre il Sirius per eccellenza)
Marlene -> Zooey Deschanel, più o meno.
Emmeline -> Rosamunde Pike.
Mary -> Jennifer Garner  (soprattutto il sorriso e l’aria atletica)
Per ora, non ne ho incontrato nessun altro, nei miei vagabondaggi su internet o zapping alla tv.
Grazie mille, ovviamente, a chi spende una parte del proprio tempo a leggere questa storia e ancora di più a recensirla, e a chi la mette tra le varie seguite, preferite e ricordate.
Spero di sentire i vostri pareri, sia positivi che negativi!
Infine spero che il capitolo vi piaccia,
buona lettura,
Hir.
 

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Capitolo 32
*** la favola della buona notte ***


 LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
MARY
EMMELINE
REMUS
PETER
FRANK
ALICE
REGULUS
RABASTAN


“la forza del lupo è nel branco, la forza del branco è nel lupo”
Il Libro della Giungla, di Rudyard Kipling

 
 
Il mio colibrì si dissolve in uno sbuffo argenteo, e l’attenzione di tutti per un attimo si catalizza su di me.
Mi risiedo, con un sorriso rivolto al nulla, e vedo Lily alzarsi.
-Lily Evans, il mio patronus è una lince- soffia rivolta a tutti, alzando la bacchetta e facendone scaturire un morbido gattone enorme.
Se non fosse argenteo, il suo patronus avrebbe le sfumature fuoco dei suoi capelli.
Certo, mi chiedo come Moody possa aspettarsi che ci ricordiamo tutti i patronus dopo averne visti una ventina in una botta sola.
Ovviamente, vigilando costantemente.
Nel frattempo si è alzato Peter, mostrando il suo patronus a forma di topo, e James, dalla cui bacchetta è fuoriuscito un elegantissimo cervo dall’imponente palco.
Sento Sirius mormorare a Marlene qualcosa sul fatto che lui e Lils non stanno nemmeno insieme ed è già cornuto. Gli lancio un’occhiataccia che farebbe rabbrividire Voldemort, ma ovviamente Sirius Black ha la faccia di bronzo e mi risponde con una linguaccia.
Remus si alza, si presenta e fa apparire un lupo dalla pelliccia argentea, stranamente magro e nervoso, splendido e letale.
Strano, non mi sembra molto un patronus da Remus Lupin.
Vicino a lui, Alice si alza e si annuncia con la vocetta querula.
-Alice Murron* Prewett- esclama esaltata –il mio patronus è un gatto-.
Il gatto lezioso che da ormai qualche mese associamo tutti ad Alice fa seguito alle sue parole, muovendo la coda e arricciandola a suo piacimento.
-Frank Paciock- segue il suo fidanzato –il mio patronus è un rospo-.
Il rospo di Frank spunta e gracida in giro per la stanza.
Al suo dissolversi Emmeline si alza e, per ultima tra noi, leva la bacchetta.
-Emmeline Lyra Vance- si presenta un po’ timida, come sempre –il mio patronus è un ermellino-.
Un animale simile ad un furetto volteggia in aria con l’eleganza tipica di Emm, dissolvendosi poi sulle sue spalle.
Ecco, mi dico, ora inizia la parte critica.
Già non conosco la maggior parte di queste persone.
Devo solo concentrarmi ed affibbiare ad ognuno di loro l’animale che vedo uscire dalla bacchetta.
Al terzo patronus ci rinuncio definitivamente.
È un po’ presto, direte voi.
No, non è un po’ presto, non se il secondo e il terzo patronus appartengono a due persone quasi esclusivamente identiche che sogghignando con due uguali sorrisi allegri.
Quello di destra è Gideon o Fabian?
E di chi è il leopardo?
Forse quello con la scimmia è Gideon. No, è Fabian.
Uno dei due mi guarda divertito, probabilmente, dalla mia fronte arricciata per la concentrazione.
È Fabian.
No, è Gideon.
No, è Fabian. È sicuramente Fabian.
-sono Gideon- mi sibila, probabilmente vedendomi in difficoltà.
Mi apro in un sorriso di sollievo e alzo il pollice all’insù, segno di vittoria.
Mi risponde con lo stesso segno.
Ovviamente mi sono persa tuuuuutti i patroni che hanno succeduto quello di Fabian, che è seduto accanto a Gideon, che mi guarda ancora con un sorrisetto.
Colta da un dubbio lo guardo in risposta.
-scimmia o leopardo?- gli chiedo divertita, sempre sibilando.
Davanti a me Alastor Moody picchia il pugno sul tavolo.
Ops.
Un sorriso a trentadue denti in risposta, il capo leggermente inclinato.
Un pezzo di carta mi raggiunge, passando incredibilmente sotto il naso di Moody senza che lui se ne accorga.
Scimmia.
 

***

-io non sono ancora d’accordo, Albus- esclama Dorea Potter un poco imbufalita non appena il suo patronus evapora nell’aria.
Una lupa, dal folto pelo scuro e gli occhi magnetici. Con movenze sinuose e possenti, la lupa si è aggirata per la stanza per circa cinque secondi prima che la sua evocatrice la dissolvesse con un colpo di bacchetta.
Sembrava una madre pronta a proteggere i propri cuccioli dalla furia di una tigre a costo della vita.***
Ed è davvero così, mi sorprendo a pensare guardandola, Dorea Black. Tanto bella quanto temibile.
-io la appoggio, Albus- le da manforte la McGrannitt, trascinando la sala in una discussione –Dorea ha ragione, sono appena maggiorenni!-.
Al che, la sala si agita come se qualcuno l’avesse scossa come una saliera.
James e Sirius protestano a gran voce indignati, Remus scuote appena la testa forse esasperato dal comportamento dei suoi migliori amici. Charlus Potter sostiene i figli a gran voce, Alastor Moody cerca di far prevalere il silenzio, un ometto sui trentacinque anni con un buffo cappello squittisce qualcosa con voce stridula, penso abbia detto di chiamarsi Dedalus Lux. Accanto a lui, Edgar e Amelia Bones, fratello e sorella di qualche anno più grandi di noi, ex tassorosso entrambi, scuotono la testa con fare rassegnato, come se ormai fossero abituati a un litigio del genere.
Un certo Sturgis Podmore, un ragazzo prestante sui vent’anni, chiacchiera allegramente con il suo vicino di sedia, Benjy Fenwick, un ragazzo dall'aria cheta che somiglia un po' a Remus e con un altro ragazzo dai capelli scuri che mi sembra abbia detto di chiamarsi Caradoc.
-silenzio, signori, vi prego- esclama ad un certo punto un divertito Albus Silente, guardandomi con un sorrisetto –Dorea, Minerva, abbiamo già messo la cosa ai voti, e i ragazzi essendo maggiorenni hanno tutto il diritto di decidere per conto proprio-.
-non contano gli anni che uno ha sulle spalle, Albus- ribatte la McGrannitt piuttosto riottosa –ma i grilli che si hanno per la testa. E permettimi di dirti che il signor Black e il signor Potter sono quantomai…-
-sappiamo tutti i trascorsi di James e Sirius, Minerva, ma credo comunque che la scelta stia a loro- la interrompe Silente, con l’aria di aver detto la medesima cosa un sacco di altre volte. La McGrannitt sbuffa e si siede, contrariata –bene, qualcun altro ha qualcosa da dire circa questo argomento?-.
La sala tace.
-molto bene, direi che possiamo andare avanti con l’ordine del giorno, allora. La parola a te, Alastor- sospira Silente in direzione del caposquadra Auror.
-molto bene- esordisce Alastor Moody –dunque, ragazzi. Vi è stato proposto di entrare a far parte dell’Ordine della Fenice soprattutto a causa dei recenti avvenimenti-.
-intende dire l’attacco a me ed Emmeline?- chiedo interessata.
-esattamente- risponde l’Auror –e anche a quella poveretta O’Connell-.
Annuisco, e insieme a me annuiscono anche gli altri.
-non vi è per caso venuto in mente qualche altro particolare, tipo il colore della cravatta di chi vi ha attaccato, il timbro della loro voce, anche le scarpe o…-
-no, niente- lo interrompo io. Pensare a quella sera fa male e non è di nessun aiuto. Io non ricordo nulla.
Annuisce.
-molto bene, allora- risponde guardandoci attentamente –avete sospetti su chi possa essere stato? Credete che qualcuno dei vostri compagni possa ambire a diventare mangiamorte, prima o poi?-.
Beh, io un’idea ce l’avrei.
È Mary a rispondere per me.

 

***


-beh, quella capra di Mulciber sarà sicuramente il primo- esclamo irritata cercando di mantenere un tono calmo.
-signorina McDonald, sono accuse molto gravi da rivolgere, queste- le risponde la McGrannitt, rivolgendole uno sguardo tra il comprensivo e l’ammonizione –è solo a causa dei vostri trascorsi o…-
-è solo un sospetto, nessuno di noi ne ha la certezza- le rispondo con uno sbuffo –però i tiri che ci giocano lui e quell’arpia di Bellatrix non fanno per niente ridere. Hanno spedito metà di noi in infermeria a settembre e per poco Lils e Remus non ci hanno lasciato le penne-.
-altri nomi da elencare?- chiede Silente quando ho finito di parlare.
A sorpresa di tutti, prende la parola Marlene, guardandosi per un attimo timorosa in giro.
Poi fa una cosa che lascia di stucco James e Remus, oltre che me e Lils. Prende una mano a Sirius, sotto al tavolo, e alza la testa più convinta.
-Regulus Black e Rabastan Lestrange riceveranno il marchio nero a breve-.
Se avesse sganciato una bomba probabilmente l’impatto non sarebbe stato lo stesso.
Vedo Sirius irrigidirsi e guardarla stranito, come se stentasse a capire le sue parole, Silente e la McGrannitt farsi attenti, Moody guardarla con severità e i ghigni identici sui volti dei gemelli Prewett spegnersi lentamente facendo spazio a espressioni più compute.
-ne sei sicura, Marlene?- le chiede Silente –ne sei assolutamente sicura?-.
-si- risponde Lène annuendo –non sono sicurissima del quando, ma so cosa con assoluta certezza-.
Moody ringhia.
-come lo sai?- le chiede.
Lène solleva un delicato sopracciglio. Viste così, sedute allo stesso tavolo, Marlene McKinnon e Dorea Black sembrano madre e figlia.
Stessa bellezza, stessa raffinatezza, stessi modi.
Anche stessa testa dura, se posso permettermelo.
Conosco bene Marlene e piuttosto bene Dorea, visto che io e James abitiamo vicini da una vita, e posso affermare con assoluta sicurezza che entrambe hanno una testa così dura da far invidia all’argento dei folletti.
-ho sentito dei discorsi tra Lestrange e Reg, circa tre settimane fa e me lo ha confermato Reg domenica sera-.
Alzo lo sguardo su Sirius, che adesso sembra assolutamente normale.
Tranne che per la piega serrata delle labbra e la stretta alla mano di Lène, che non emetta un suono di dolore o fastidio nonostante la mano sia sempre più pallida nella stretta di Sirius.
Alla fine, anche Black pare accorgersi di come sta riducendo la mano della mia compagna di stanza, e la lascia andare appoggiandosi allo schienale.
-ne sei sicura, Lène?- chiede poi sussurrando appena.
Annuisce, Lène, lo sguardo triste.
Annuisce anche Sirius, lo sguardo duro.
Mi giro verso Lils, che guarda ancora Sirius forse aspettandosi qualche reazione violenta.
Se lo fa, se davvero si aspetta una scenata, rimarrà a bocca asciutta.
Conosco abbastanza Sirius da sapere che non farà assolutamente nulla.
È terribile, penso. È terribile che anche nel nostro piccolo mondo, nella nostra casa, a Hogwarts, ci siano ragazzi che hanno già deciso da che parte stare.
È terribile, che abbiano scelto la parte sbagliata.
la fine non mi è mai sembrata così vicina.
-è veramente iniziata, quindi?- le chiedo in un sussurro.
-cosa?- mi chiede in risposta, lo sguardo lievemente appannato.
-la guerra- mormoro io.
Lily mi guarda.
Annuisce piano.
-si, Mary, e noi ci siamo dentro fino al collo-.

 

***

 

“Potente” non descrive per nulla come mi sento con un pennello in mano,
una tela bianca e una tavolozza carica di colori al mio fianco.
Non c’è nulla che può anche minimamente uguagliare
l’incredibile scarica di emozioni che l’atto della creazione porta con se.
Creare qualcosa che solo tu sai essere destinato alla grandezza eterna.
(Alyson Noel)

 
HOGWARTS, 13 DICEMBRE 1977

Non mi è mai piaciuta la notte.
Ho sempre pensato che tutto quel buio un giorno o l’altro avrebbe finito per inghiottirmi, così come sembra inghiottire le stelle appena prima dell’alba.
E poi, siamo sinceri, di notte non c’è niente di interessante da disegnare! Se ti affacci alla finestra della nostra sala comune, l’unica cosa che vedi è il buio, e le luci della zona ovest del castello che ti guardano come tanti piccoli occhi socchiusi.
È un po’ inquietante.
Eppure stasera ho trovato qualcosa da disegnare.
Sono scesa in sala quando anche gli ultimi studenti sono saliti nelle loro camere, mi sono seduta sulla poltrona davanti al fuoco e ho iniziato a mordere la matita carboncino già peraltro abbastanza rovinata.
Poi ho guardato il fuoco e ho schizzato le prime fiamme, niente più che un intrico contorto di linee nere, più calcate sulle estremità e meno all’interno, per mostrare la luce delle fiammelle più calde.
Appena concluso il primo disegno ho sentito il primo ululato.
Da far accapponare la pelle. Mi sono fiondata alla finestra ad ascoltare quel lamento atroce, guardando la luna con occhi cattivi.
Quelle urla grondano dolore da tutte le parti, e quella sta lì, a compiacersi, maligna e piena come un uovo.
Di certo questo non aumenta il mio amore per la notte.
Al secondo ululato sono tornata a sedermi, ho chiuso gli occhi e ho appoggiato la matita al foglio.
Sono rimasta così fino a che l’urlo non si è spento, o fino a che le mie orecchie non si sono chiuse per la tristezza.
Non so quale delle due sia quello che è successo veramente.
Poi ho iniziato a disegnare.
Sempre con gli occhi chiusi, quasi a voler scacciare la visione di quella notte, la matita appoggiata al foglio. Sembra muoversi di propria volontà, quel bastoncino di carbone rivestito in legno, tutto mangiucchiato all’estremità e con la punta arrotondata, disegnando forse linee sinuose sul bianco della carta che io non vedo perché ho gli occhi chiusi.
Non so quanto ho continuato, andando avanti così, a disegnare quelle urla.
Alla fine sono cessate, io ho riaperto gli occhi ed ho staccato la matita senza ormai più alcuna punta dalla carta.
Sorrido, all’improvviso, pensando a quanto sarebbe più facile se, per ogni dolore, bastasse una matita, a disegnarlo.
 

***

la luna è tutto ciò che ci rimane quando il sole se ne va


La sera è calata in fretta, il sole è quasi scomparso oltre l’orizzonte, che ormai non rimane più che una linea di luce lontana. Siamo tornati tutti alle nostre solite vite, dopo l'incontro con l'Ordine della Fenice. Aspettiamo tutti con ansia la prossima riunione.
Ma prima c'è qualcos'altro, da fare.
-Rem, ci aspetti giù? Jamie ha il turno di ronda con Lily, ci raggiunge quando finisce- mi dice Sir –tu intanto vai, io aspetto Pete e arrivo-.
Annuisco, stancamente, poi prendo il mantello tutto rattoppato e me lo avvolgo sulle spalle, rabbrividendo.
Odio essere così debole quando la luna è più vicina.
Una sensazione, questa debolezza, che sparisce non appena l’astro splende alto nel cielo, e poi torna non appena esso svanisce.
Una seccatura, in pratica.
Scendo le scale con attenzione, sentendo il mal di testa accanirmi e al contempo l’udito farsi più sottile.
Nelle due ore che precedono la trasformazione il lupo inizia la sua risalita, prendendo una parte di me e dandomene una propria.
In sala comune James e Lils si accingono ad uscire, io li saluto e prendo la direzione inversa rispetto alla loro, dirigendomi all’infermeria.
I dettagli sono importanti. Devo continuare ad andare da Madama Chips nonostante anche i malandrini conoscano il mio segreto, altrimenti tutto andrebbe in fumo. E non posso permettere che si scopra che i miei migliori amici sono diventati illegalmente animagi per me.
Emmeline non c’era, in sala comune.
Forse non ricorda nemmeno che questa notte c’è la luna piena, forse non gliene interessa minimamente.
Forse ha paura.
Sicuramente ha paura, anzi.
Ce l’ho anche io, se è per questo…
Raggiungo l’infermeria dove Poppy mi aspetta diligente, mi guarda gentile e mi accompagna fino all’ingresso.
Lì, senza più studenti tra i piedi, mi guarda.
-le auguro una buona nottata, signor Lupin- mi dice come ogni volta, quasi come un rituale che si ripeta ogni mese –vengo a prenderla domattina-.
Annuisco, le sorrido gentile e mi dirigo al platano lentamente.
È sempre bello, camminare al crepuscolo verso la stamberga.
Un po’ come la calma che precede la tempesta, non so se capite.
Sai che dopo c’è il dolore, e per questo ti crogioli nella calma immobile di un giorno che finisce.
L’ennesimo giorno, e poi l’ennesima notte.
Piano, lentamente, arrivo al platano picchiatore che la luce non si è ancora spenta del tutto, e nella penombra guardo il nodo che spunta tra le radici rialzate dell’albero.
Anche questo momento è magico.
Non ne ho mai parlato con nessuno, di quello che sento, di quello che faccio prima di arrivare alla mia personalissima prigione, le cui sbarre sono state alzate per me dai miei migliori amici due anni fa. Penso che dovrei farlo, comunicarlo a qualcuno, anche semplicemente per far capire che esiste, una sorta di pace, in quello che sono.
Con un sorriso penso che l’unica abbastanza… unica, per capirlo, sarebbe Emmeline.
Lei, abbastanza sensibile da disegnare gli umori della gente nel suo album annuale.
Lei che legge tutti quei libri impersonando la protagonista nella propria mente, provando le sue emozioni e poi disegnandole con mano sicura e carboncino scuro.
Che stupido che sono, ho tolto la memoria all’unica persona che potrebbe davvero provare a capirmi.
E ora lei mi odia… comprensibile, direte voi.
-Wingardium Leviosa- esclamo con la bacchetta puntata su uno dei tanti rami caduti sul terreno. Lo faccio levitare e premo il nodo con attenzione.
La furia dell’albero si placa.
Scivolo attraverso il buco e percorro lentamente il corridoio, il lupo sempre più vicino, e la paura anche.
Arrivo alla stamberga puntuale come sempre, salgo il primo piano, abbandono il mantello iniziando a sentire il primo calore del pelo che ancora non ho addosso, ma che è sempre con me.
Stendo il mantello ben lontano dal punto in cui ho intenzione di rivelarmi al lupo, così da non doverlo rappezzare per l’ennesima volta, rendendolo meno dignitoso di quanto già non sia.
Mi siedo sulla poltrona in parte sfondata, e aspetto.
Aspetto i primi segni del calore, mentre posso quasi sentir crescere i capelli leggermente, sentir ardere la pelle delle mani.
A volte fremo dalla voglia di stringere qualcosa con le unghie, non ancora diventate artigli, altre invece provo l’inusuale istinto di mordere qualcosa di compatto.
Mi freno, neanche a dirlo.
Noto sul pavimento le orme che ho lasciato dopo che un mese di polvere vi si era posata con diligenza. Sento come se avessi rovinato uno schema, con i miei passi.
La prima stilettata di caldo, mi spoglio della maglietta rimanendo a torso nudo.
Sento i muscoli contrarsi, ormai non manca più molto.
Mi passo la lingua sulle labbra come se a farlo potessi aggrapparmi di più al mio odore, quello vero, non quello del lupo.
La seconda stilettata, calore alle gambe, tolgo anche i pantaloni. Ripongo i vestiti l’uno dopo l’altro sopra al mantello, così da riaverli intatti domani mattina, al sorgere del sole.
Sono ormai nudo, vicino alla finestra, bagnato dai raggi di una luna ormai piena, l’ultima cosa che sento e che ho la consapevolezza di sentire sono i passi concitati dei miei migliori amici oltre la porta.
Poi, involontariamente, un gemito.
Un secondo gemito, sento le dita tendersi spasmodicamente, le unghie inspessirsi e diventare artigli, il pelo crescere, gli occhi scurirsi lievemente.
Posso avvertirlo, anche se non posso spiegarlo.
Sento il lupo riemergere dal suo profondo burrone, una voragine che impiega un intero mese a scalare.
È sempre così, eppure è sempre diverso.
Quando ero piccolo, faceva più male.
Con il passare degli anni, il dolore si è modificato.
Sento male, ma anche un immenso sollievo.
Sorrido alla luna, lieve, pensando che davanti a lei non mi devo nascondere.
Poi ululo, finalmente libero.
 

***


Mi soffermo a guardarlo appoggiata allo stipite della porta.
Con un sospiro penso che solo un mese fa la situazione era invertita, lui a guardarmi e io ad essere guardata.
La luna è tramontata da un pezzo, ormai, tra un po’ tutti scenderanno per colazione, tutti escluso Remus J. Lupin, che riposa nel letto candido dell’infermeria con quell’espressione calma e posata che nemmeno il dolore di tutta una notte tra le grinfie del lupo è riuscito a scalfire.
Remus Lupin, la persona più coraggiosa che io conosca.
Questo ovviamente non toglie che sia anche la più stupida.
Cosa di poco conto, comunque.
Chiunque, su questa terra, meriterebbe questo inferno molto più di quanto non farà mai lui.
Chiunque, nessuno escluso.
Ultimamente ho fatto svariate ricerche sull’argomento, attardandomi in biblioteca fino notte fonda, studiando il calendario per capire in quali giorni evitare di disturbarlo, visto che a quanto ho imparato il lupo emerge si la notte di luna piena, ma comunque resta appena sotto la superficie nei giorni appena precedenti e in quelli appena successivi.
Lentamente, cercando di fare meno rumore possibile, mi avvicino al letto e mi siedo sulla poltroncina lì vicino, osservandolo dormire. Deve essere spossato e dolorante, non voglio assolutamente disturbarlo.
Credo me ne andrò non appena darà cenno di svegliarsi, certamente non vorrà trovare qui a guardarlo una pseudo-sconosciuta come me.
È quasi una settimana che io e Remus Lupin non parliamo più. Sabato scorso siamo andati insieme ad Hogsmeade, a quanto dice lui, ma io dell’uscita non serbo il minimo ricordo.
Certo, dovrei essere arrabbiata.
E forse lo sono davvero.
Però la tristezza è maggiore.
Insomma, ho passato il primo appuntamento con il ragazzo del quale sono –più o meno segretamente- cotta da anni e non me ne ricordo nemmeno uno stralcio?
Insomma, che abbiamo fatto?
Abbiamo riso o ci siamo tirati addosso i piatti per tutto il giorno?
Quanto mi sono sbilanciata, cosa sa lui ora di me che io stessa ignoro?
E perché diamine non sono infuriata, accecata dall’odio e dall’ira?
Non capisco, non posso reagire come farei se la colpa fosse di qualunque altra persona invece che di Remus? Perché se fosse stato James Potter, a farmi una cosa del genere, lo avrei ucciso sui due piedi senza pormi nemmeno il problema delle macchie di sangue! O anche Sirius Black, o chiunque in questo accidenti di mondo!
Ma con Remus non riesco ad arrabbiarmi fino a quel punto.
Ci ho provato, ma non ci riesco. Forse è vero quello che dicono i romanzi babbani che leggo, forse davanti all’amore ognuno ha dei metri di paragone tutti suoi… che se visti dall’esterno possono sembrare ridicoli.
Per Remus sono rimasta sveglia tutta la notte, a tracciare su un pezzo di carta linee talvolta dolci ma molto più spesso aspre e calcate.
Con un sospiro mi sporgo verso la borsa e prendo il mio album, sfogliandolo fino al prossimo foglio bianco.
C’è qualcosa di assolutamente perfetto, in un foglio così bianco e al contempo pieno di storie.
Quando sfoglio il mio album, mi sembra di essere esattamente al centro di mille universi diversi, segreti. Perché le persone che io dipingo, disegno, abbozzo, coloro, con mille tecniche e mille stili diversi, hanno una loro storia. È come trovarsi al centro di una strada frequentata da infinite persone diverse, come trovarsi nel bel mezzo della metropolitana di Londra nell’ora di punta.
Scontri millemila persone diverse, di cui non avrai che un assaggio, appena sfiorato, e nonostante tutto la loro vita continua ad andare avanti, un sacco di persone ignare che nella loro vita, per quell’attimo, ci sei stata anche tu.
È questo, quello che succede nel bel mezzo dell’atto della creazione. Tu crei quei disegni e non sai dove andranno a finire, sai solo che sei tu che li hai creati ma loro già esistevano, perché di certo la loro storia non inizia con la tua prima pennellata, e non finisce con il tuo ultimo ritocco.
Anche adesso, l’immagine che con lentezza ed una certa fatica faccio uscire dal mio carboncino, ha la storia di Remus alle spalle, ma una storia tutta sua.
Vorrei dire che il disegno riesce con facilità, ma credetemi, non esisterebbe menzogna più grande.
Passo la mano sul carboncino per decine di volte per risistemare l’angolo dell’occhio, la piega delle labbra addormentate, il ciuffo ribelle che ricade sulla fronte, cercando di imprimere nell’immagine più Remus possibile. E quando non mi riesce la fronte, allungo la mano sicura verso la Glabella per disegnarne meglio il volume.
È una cosa che mi ha insegnato mia madre: toccare per capire, capire per disegnare.
E non sono riuscita a fermarmi nemmeno questa volta, senza pensarci ho allungato le dita e gli ho toccato la fronte chiara e serena nel sonno.
Allora è successo qualcosa di unico:
Remus ha sorriso.
Ha sorriso di un sorriso dolcissimo, come quello di un bambino nella culla. Il sorriso è andato esattamente come è venuto, nel lampo di un istante, ma c’è stato, l’ho visto.
Ritraggo la mano, temendo di averlo svegliato, ma il respiro appesantito dal sonno non mente.
Allora allungo di nuovo le dita e gli sfioro i capelli.
E lui ancora sorride.
Ridacchio, pentendomene subito dopo.
Il sonno è un momento così personale che nessuno dovrebbe prendersi gioco di qualcuno mentre dorme. Eppure Remus è così tenero, mentre sorride come un bambino.
Ancora una volta, mi dico.
Non faccio mica nulla di male.
Infondo lui sta dormendo, chissà che sta sognando per sorridere così.
Dopo una notte come questa si merita tutti i sorrisi che un sogno può dargli.
Così allungo ancora la mano, gli accarezzo i capelli, e lui sorride.
È così dolce.
Chissà cosa vede.
Alla fine, com’è anche prevedibile, si sveglia.
Per la fretta di ritrarre la mano faccio cadere il carboncino, che si sgretola sul pavimento. Alzo gli occhi al cielo, scriverò a mamma pregandola di comprarmene altro, da Scrivenshaft non ne hanno.
-Emmeline?- mi chiede con voce roca ed occhi socchiusi.
Sussulto come se mi avesse sorpreso a fare qualcosa di assolutamente sconveniente. Ed in effetti, rifletto, mi ha sorpreso a fare qualcosa di assolutamente sconveniente.
Sorrido.
-come stai?- gli chiedo premurosa.
Poi mi blocco.
Insomma, è il caso di mostrarsi così attenta nonostante quello che ha fatto?
Forse se non gettassi la spugna così presto…
…oh, al diavolo, in questo momento Remus non ha certo bisogno di rancore!
-scusami, è una domanda stupida, me ne rendo conto- mi correggo subito dopo dandomi mentalmente dell’idiota –vuoi che ti lasci riposare? Devi essere molto stanco e io…-
-Emmeline…-
-scusami, davvero, non volevo disturbarti ma…-
-Emmeline…-
-dopo averti ascoltato stanotte non ho…-
-Emmeline…-
-non ho potuto fare a meno di venire a vedere…-.
-Emmeline…-
 

***


-… venire a vedere se stavi bene, magari hai bisogno di qualcosa e…-
Gli occhi ancora stropicciati di sonno sorrido appena.
Mi ha interrotto talmente tante volte che non credo di aver qualche possibilità di metter fine a questa sequela di parole.
Mi porto una mano alla testa, duole terribilmente.
Lei se ne accorge, perché tace immobile guardandomi di sottecchi e mimando una parola con le labbra.
-scusa-.
Sorrido ancora, sentendo la pelle del volto tirare.
-non ti preoccupare, ci sono abituato- sminuisco il dolore.
Sembra che dentro alla mia testa qualcuno stia battendo i piatti forsennatamente.
Oddio, ditegli di smettere.
A quello che suona i piatti, non a Emmeline, ovviamente.
-è il tuo album?- chiedo vedendo che in grembo regge il suo album da disegno –hai fatto qualcosa di nuovo?-.
Lei prima stringe l’album tra le mani, come se avesse qualcosa da nascondere, proteggere. Poi mi mostra la pagina su cui stava lavorando, attenta.
Sorrido, riconoscendomi nel suo foglio, leggermente imbarazzato.
-sei brava- gli dico per stemprare la tensione –e sei anche gentile. Lui è più bello-.
Sorride in risposta.
-in realtà il compito dell’artista è quello di riprodurre la verità per come la percepisce egli stesso, non per come la vedono gli altri- mi corregge guardando il disegno. Arrossisce in meno di qualche secondo.
Sono lusingato, non mi merito di essere visto così.
Non da lei.
Poi realizzo quello che ha detto prima, mentre cercava di scusarsi con parole affrettate e piuttosto goffe.
Dopo averti ascoltato stanotte.
Stanotte.
Averti ascoltato.
-sei stata sveglia tutta la notte?- le chiedo all’improvviso.
Lei mi guarda, e il rossore sulle sue guance si accentua di più, risaltando contro i capelli biondi che le circondano il volto come un’aureola.
Bellissima, anche così, con le occhiaie che spiccano un poco sotto gli occhi scuri e morbidi e i capelli scarmigliati che prima non avevo notato.
Le sue guance rosse sono una risposta come non me ne avrebbero mai dato le sue parole.
Allora faccio qualcosa che non pensavo avrei mai fatto.
Neanche mentre la faccio, neanche mentre mi sposto, mi rendo veramente conto di quello che sto facendo. Solo alla fine, quando mi ritrovo sul bordo del letto e gli indico lo spazio vuoto, realizzo appieno.
-vieni- le dico alla fine, forse più sbalordito io di me stesso che lei di tutta questa situazione.
-come?- mi chiede.
-non hai dormito per colpa mia, stanotte- le spiego.
-non ho potuto fare di più che stare sveglia- dice dopo un attimo, titubante. Poi si alza, posa il proprio album sulla sedia e si stende dove le ho mostrato. Lentamente, ancora con i muscoli doloranti, le circondo la vita con il braccio destro.
-hai fatto abbastanza- le mormoro in risposta.
Dopo quello che ho fatto appena una settimana fa non pensavo mi sarei ritrovato mai veramente in una situazione del genere.
Ho Emmeline Vance sdraiata affianco, i capelli biondi sparsi sul cuscino, il respiro caldo e tremulo e il cuore che batte a qualche palmo di distanza dalla mia mano.
-avrei voluto fare di più. Farti stare meglio, in qualche modo-.
-hai fatto abbastanza- le ripeto.
Restiamo così per tantissimo tempo, io a fissare il soffitto, lei a fissare non so cosa perché mi da la schiena e non le vedo il volto.
-dormi?- mi chiede alla fine.
Scuoto il capo, poi ricordandomi che non mi può vedere mormoro un diniego.
La sento sorridere.
-dovresti dormire, sei ancora debole, Remus- mormora.
-stavo pensando- le rivelo.
Ripenso a quello che mi sono detto mentre andavo nella stamberga, ieri sera.
Che se mai ne avessi parlato con qualcuno, quel qualcuno doveva essere Emm. Perché solo lei, con la sua sensibilità, avrebbe potuto capire.
-a cosa?- mi chiede.
Le rivelo la prima cosa che mi viene in mente.
-sembra una favola sarcastica- le dico indicandola e poi indicando me.
-sarcastica?- mi chiede, e dalla voce sembra assonnata.
-beh, si è mai vista una favola in cui la bella  la bestia dormano nello stesso letto?- le chiedo in risposta, un sussurro.
La sento ridacchiare.
-è una bella favola, Rem- dice voltandosi lentamente, credo lo faccia per non farmi male.
Aspetto di vedere i miei occhi fissi nei suoi.
Sorrido, in risposta.
-mi perdoni per quello che ti ho fatto?- le chiedo alla fine, proprio mentre le sue palpebre stanno per chiudersi.
-cioè, farmi star sveglia tutta la notte?- mi chiede aprendo appena un occhio.
Sorrido, amaro.
-sai di cosa parlo-.
Sorride, lieve.
-mi racconti quello che è successo?- domanda.
-ad Hogsmeade?-.
Annuisce.
-raccontami la favola della buonanotte- mormora, il sorriso ancora sulle labbra.
-pensa, c’è anche il lupo cattivo- ironizzo.
Il sorriso si tende di più.
-in realtà è un cucciolone che ha voglia di coccole- sussurra.
Sorrido in risposta.
-c’era una volta…-.

 


*il secondo nome di Alice, è preso dal nome della moglie di William Wallace nel film Braveheart. Il perchè è presto detto: Alice Prewett nella saga viene nominata si e no un paio di volte insieme a suo marito, tuttavia credo fermamente sia un personaggio degno di stima al pari di Lily Evans. Per questo ho scelto di darle il nome di quella che nel film è una donna molto coraggiosa.
**la frase d'apertura è presa dal Libro della giungla, di Kipling. In particolar modo, nello scoutismo questa è la parola maestra di Raksha, che poi è la mamma lupo adottiva di Mowgli. Ora, Raksha, per chi non lo sapesse, è un lupo con magnetici occhi verdi che sfida Shere Khan la tigre per difendere i suoi piccoli. Dorea mi sa tanto di Mamma Raksha, come la chiamano i lupetti negli scout, ed essendo io capo scout mi è piaciuto aggiungere questa citazione.


NOTE:
Da un sabato sera in casa con la febbre direi che non ho particolari cose da dire. Spero solo che il capitolo piaccia, a me è piaciuto molto soprattutto scrivere su Emm, in cui mi rispecchio molto.
Solo grazie, davvero grazie a chi recensisce. E ovviamente anche a tutti gli altri!
Buona lettura,
Hir

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Capitolo 33
*** una domenica al campo di quidditch ***


LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
EMME
MARY
REM
PETER
FRANK
ALICE
REGULUS
RABASTAN



Perché Lils mi guarda così?
Oh, guarda, è seduta su un fungo tutto blu.

Che strano, è normale che i funghi si trasfigurino in navi?
Per fortuna che è arrivato Frank, magari riusciamo a convincerla a scendere dalla prua della nave in cui si è messa a fare da polena.
Ecco, adesso sto volando. Mi è bastato pensarlo e ho spiccato il volo.
Beh, si sa, la magia è la magia.
E di chi sono tutte queste voci?
Mi sembrava Mary quella di prima. Ma che strano, Mary non c’è.
-hai visto Napoleonessa, Lène?-.
Ehi, aspettate, c’è anche Lène? E che c’entra la scopa di Mary?
Si, avete capito bene. Napoleonessa è la scopa di Mary. Da quando ha sentito nominare il famosissimo soldato-imperatore babbano francese non c’è stato verso di scollarglielo dalla mente, diceva che con il suo nome la sua scopa avrebbe condotto la squadra alla vittoria…
Beh, non è mia abitudine giudicare le persone, ma non sono l’unica a dire che Mary è strana.
Indubbiamente ha il suo fascino, ma è strana.
Intanto Lils continua a fare la polena.
Oh, guardate, c’è anche Remus. Che ci fa con un mazzo di tentacule velenose?
-Emmeline, alzati- la voce di Mary, di nuovo, irritata –Lène, Lils, dove è Napoleonessa?-.
Strano.
Mary sembra sclerata come solo prima di una partita può essere.
Partita.
Napoleonessa.
Mi sveglio giusto in tempo per vedermi arrivare in faccia un cuscino enorme.
-Emmeline! Vuoi alzarti!?-.

 

***


Ovviamente vengo svegliato, come quasi ogni santissima mattina, da un Remus Lupin di umore nero che non appena si alza dal letto decide di strapparmi via le coperte con la scusa che “se non dorme lui non vede il motivo per cui dovrei farlo io”.
-Rem, fottuto bastardo, ridammi le coperte- mugugno rigirandomi su un lato mentre, con un occhio semiaperto, posso vedere il mio migliore amico portare avanti il suo rituale della sveglia mattutino senza minimamente essere toccato dai miei insulti e dai miei accidenti.
D’altronde, se solo uno degli accidenti che gli mando ogni mattina da sei anni fosse andato a segno, addio Remus Moony John Lupin.
Così, come se niente fosse, Remus avanza come uno zombie fino al letto di Frank, afferra il primo libro che gli capita tra le mani –che chissà come mai è sempre il più pesante in circolazione- e lo lancia con la mira di un cacciatore nato proprio in testa a James, che si sveglia di soprassalto urlando come un bambino. Poi, il nostro caro lupetto, si avvicina ancora al letto di Frank per assestare uno spintone al povero malcapitato che, come tutte le mattine, cade dal letto con un gran tonfo.
Per ultimo, ma non certo per importanza, si sporge verso Peter e, con un sonorus, prende a cantargli una canzone di dubbio gusto che lui chiama Dio salvi la regina direttamente nell’orecchio.
-Rem, ricordami perché non ti abbiamo buttato ancora fuori dalla stanza?- chiede James interdetto mentre, dopo un corpo a corpo all’ultimo sangue con le coperte, riesce finalmente a far sbucare la testa dalla coltre color porpora.
-perché mi volete bene- esclama un Remus Lupin già di umore meno nero con un sorrisetto sulle labbra –e perché non avete altri a cui chiedere di copiare Storia della Magia-.
Colpiti e affondati.
Seppellisco la testa sotto il cuscino sperando che il buio torni presto a reclamarmi, ma deve essere il mio giorno sfortunato dal momento che quel bastardo di mio fratello, quello per scelta, decide che tanto ormai è sveglio e non ha più voglia di dormire. E sostiene la sua tesi saltando sul mio letto più volte.
-Sirius, cortesemente, potresti coprire le tue grazie?- mi chiede Frank dirigendosi in bagno.
Grugnisco, infastidito anche dal comportamento di James.
-‘ono in boxer- gli faccio notare mezzo addormentato.
-ecco, appunto perché sei in boxer, copriti- mi risponde a tono Remus.
Uff, non si può mai fare quello che si vuole in questo diavolo di posto.
Possibile? Magari se mi infilo in letto appena loro scendono a fare colazione…
-muoviti, Sir, c’è la partita-.
Ecco, come volevasi dimostrare.
-è alle undici, Jamie, la partita- gli faccio notare ancora, rifiutandomi di aprire gli occhi.
Se cedo è la fine.
Non posso arrendermi così facilmente.
-sono le nove e mezza, Sir-.
Sbuffo.
-voglio restare a nanna-.
James ridacchia.
Apro un occhio.
-ti ricordi, Lène ha detto che ci accompagna agli spogliatoi- mi dice alla fine –certo, ha detto che ci accompagna solo se siamo puntuali…-
Apro l’altro occhio.
Sventolo bandiera bianca.

 

***


Io odio le mie migliori amiche.
Cioè, no, voglio loro molto bene, ma a volte le odio.
Tipo quelle volte in cui ti tirano giù dal letto alle otto e mezza della domenica mattina con la scusa di una partita di quidditch importantissima e poi passano davanti allo specchio l’ora e mezza successiva.
O tipo quelle volte in cui ti tirano giù dal letto con uno sgarbato tiro del cuscino alle otto e mezza della domenica mattina con la scusa di una partita di quidditch importantissima e poi passano davanti allo specchio l’ora e mezza successiva.
Ma lo sapete quando è che le odio più di tutte le altre volte?
Quando mi mettono in imbarazzo.
-oh, guarda Emme, ci sono i malandrini- esclama infatti Mary tutta estasiata –ciao ragazzi! No, Remus, quel posto Lène lo sta tenendo per James e… no, quello vicino a Lils è per Sirius! Come mi dispiace, Rem, ma questo vicino a me è per il mio caro portiere che oggi le deve parare tutte e da questo lato qui c’è Peter… rimane solo quello vicino ad Emmeline!-.
Guarda che caso!
Inspiegabile, davvero.
Alzo gli occhi al cielo mentre mi tingo di un terribile color prugna.
Le lancio un’occhiataccia che, se i miei occhi fossero bacchette sarebbe vittima di due cruciatus insieme.
Sento Remus sedersi accanto a me e mi stringo nelle spalle, cercando di non sfiorarlo e non guardarlo per non fare la figura della cretina.
-sapete, ragazze, stamani Rem aveva la luna storta e…- noto l’occhiata beffarda che Sirius rivolge al mio vicino -…potrei scommettere che fosse perché, come si può dire…-
-…non si è svegliato tra accoglienti braccia amiche- termina James tutto giulivo.
Merlino, fulminami!
Da quando ieri mattina ci hanno trovati abbracciati su quel letto d’infermeria non la smettono più con questa loro gara a chi fa la battutina più divertente.
Ovviamente ora ho le guance fiammeggianti, così calde che se solo ci appoggiassi il panetto del burro quello si squaglierebbe.
-Merlino che freddo!- riprende Sirius non appena le risatine che in questo momento mi risultano odiose di Mary, Lène, Lils e Alice (si, proprio quelle che dovrebbero essere le mie migliori amiche) si spengono –non credo che un maglione basterà, per restare al caldo al campo di quidditch, oggi-.
-già- lo spalleggia James –missà che dovremmo tutti abbracciarci… chissà, forse Emme e Remus ci insegneranno come si fa, loro sembrano così esperti e…-
-James Potter, sarai talmente fradicio di sudore dopo la partita che nemmeno la piovra gigante potrebbe volerti abbracciare- ribatte Remus senza battere ciglio.
Eh già, lui non arrossisce a queste battutine e fa finta di niente.
Ovviamente io invece sono cotta come il bacon che mi sto servendo e muta come un pesce.

 

***


Bastardi, figli di un cane e di un cervo che non sono altro.
Emmeline è così imbarazzata che sento il calore sul suo volto fin da qui, tiene gli occhi bassi e si rifiuta di spiccicare parola.
Tre minuti fa mi è sembrato di sentire un calcio sotto al tavolo, e Mary ha fatto una faccia strana, però la mia elegante vicina non ha ancora parlato sebbene la conversazione si sia spostata su toni più normali che non contengono parole come “letto”, “infermeria” o “abbraccio”.
-dopo la partita si fa festa su alla torre- esclama James con un sorriso ad un certo punto –ho sentito che McCormac e Dunne si stanno procurando tutto il necessario e…-
-primo, non è detto che voi vinciate e…-
Alle mie parole, James mi guarda furioso, Mary mi fissa oltraggiata a bocca semiaperta, a Frank cade la forchetta di bocca e Lily si blocca stringendo le pagine della gazzetta del profeta così forte che quasi le sbriciola.
Mai dire una cosa del genere prima di una partita di quidditch.
-…e, come non detto, forza grifondoro!-.

 

***


-niente insulti, linguaggio sporco, offese gratuite, niente bisticci o botte, risse o oggetti volanti che casualmente colpiscono disarcionando i giocatori avversari- dichiara la McGrannitt con sguardo omicida –in poche parole, Black, mi aspetto da lei una cronaca pulita e rispettosa, niente quindi che possa imbarazzare me o la casa che ha il dubbio onore di annoverarla tra i propri membri. Sono stata chiara?-.
Deglutisco.
-limpida- rispondo con voce roca –talmente chiara che riesco a vederle attraverso-.
Deglutisco ancora.
-ah, dimenticavo- termina con un sorriso serrato che sembra dire “faccia quello che le dico o le faccio la pelle”. Questa donna fa paura –niente sarcasmo pesante, Black-.
Annuisco ancora.
Sarcasmo pesante? Io?
Mi sta confondendo con qualcun altro.
Sto giusto giusto per farglielo notare quando il piede di Marlene mi raggiunge uno stinco.
-ahi- commento mordendomi la lingua.
-come scusi?- mi chiede la McGrannitt stupita.
-niente- sorrido angelico scoccando un’occhiata piuttosto irritata a Marlene.
Possibile che la vecchia abbia gli occhi di falco quando si tratta di scoprire le malefatte mie e dei malandrini ma quando in ballo ci sono le sue care ragazze abbia delle fette di prosciutto al posto dei bulbi oculari?
La McGrannitt mi rivolge ancora uno sguardo severo poi si volta e si incammina su per le gradinate, verso il posto del cronista.
-che pensavi di fare, di staccarmi una gamba?- chiedo irato alla volta di Lène, che mi guarda a metà tra il falsamente sorpreso e l’enormemente divertito.
-beh, se tu avessi replicato la McGrannitt ti avrebbe staccato la testa- ridacchia lei alla fine –quindi, a parità, credo che una gamba sia meno importante-.
Rido insieme a lei, mentre insieme ci attardiamo nel prato davanti all’entrata alle gradinate.
-ma non avevi detto che le mie gambe ti piacevano?- le chiedo con un sorriso beffardo –devo pensare che la mia testa ti piaccia di più?-.
Mi guarda con la fronte aggrottata e posso quasi vedere i suoi neuroni arrovellarsi per cercare una risposta abbastanza arguta.
Alla fine mi guarda, con un sorrisetto.
Io la guardo, con un sorrisetto.
-beh, Black, di te mi piace tutto-.
Lei mi guarda, con un sorrisetto.
Io la guarderei con un sorrisetto se la mia mandibola fosse ancora al suo posto.
Faccio appena in tempo a vederla arrossire, veloce si gira e se ne va.

 

***


Che diamine mi è preso?
Si, insomma, si può capire cosa ho pensato:
un modo per stupirlo, una battuta che lo lasciasse a bocca aperta, qualcosa a cui Sirius Black non potesse proprio rispondere.
D’altronde, centinaia di ragazze hanno cercato di zittirlo, in tutti questi anni, e ci sono riuscite solamente occupandogli la bocca in altri modi.
Mi rendo conto che sto sorridendo come una scema sotto questa fitta pioggerellina solo quando vedo le persone attorno a me squadrarmi costernate.
Me ne frego.
Sono riuscita a zittire Sirius Black!
Non è roba da tutti i giorni!
-Lène, perché hai quel sorriso da scema?- mi chiede Alice non appena raggiungo lei, Emme, Remus e Peter.
Sghignazzo.

 
***

Inclino la testa per seguirla con lo sguardo.
Insomma, possibile che Marlene McKinnon abbia il maledetto potere di lasciarmi con la gola secca ogni volta che mi rivolge la parola?
Il mantello verde smeraldo ondeggia sulla scia dei suoi ultimi passi, il cappuccio che cela i capelli.
Cammina come se niente fosse, la McKinnon, verso la propria meta, fregandosene altamente dei cadaveri che si lascia dietro.
Il mio, tanto per fare un esempio.
E quello di altri due, un corvonero e un serpeverde, il primo del quarto e il secondo del terzo anno.
Rivolgo loro un’occhiataccia.
Devo già combattere abbastanza, mi pare, senza che ci si mettano in mezzo altri due marmocchi.
Con un sospiro mi avvio alle gradinate, sui passi della McGrannitt, spremendomi il cervello pensando a qualcosa non elencato dalla donna nella lista delle cose che “è meglio che io non faccia se non voglio che lei mi faccia la pelle”.
 

***


-quanto manca al fischio di inizio?- chiedo allungando il collo verso il campo, nel vano tentativo di distinguere i giocatori uscenti dagli spogliatoi.
Alla fine, finalmente, riesco a trovare la nostra squadra capeggiata da James, con la fianco Mary e quell’altro battitore simile ad un armadio a sei ante. Dietro di loro, una Lils piuttosto nervosa –lo capisco da come si sistema i capelli già stretti in una perfetta crocchia rossa e bagnata dalla pioggia- chiacchiera con Frank. I due sono seguiti dai due cacciatori colleghi di James.
-qualche minuto- mi risponde Remus soffiandomi la frase in un orecchio, come se fosse un’informazione da cedere solo ai più fidati.
Sorrido, involontariamente.
Penso a tutte le battute del giorno prima.
Qualche minuto dopo, come annunciato da Remus, ecco il fischio d’inizio.

 

***


-in campo Grifondoro contro Serpeverde, i capitani si stringono la mano, i cercatori si fronteggiano. Potter e Avery al comando, Evans e Black –quello brutto, signori- in veste di cercatori…-
-Black…-
Breve, conciso, chiaro.
Il sibilo della McGrannitt mi raggiunge dalla sua posizione al mio fianco sinistro.
Il fischio d’inizio fende l’aria con precisione assoluta, e altrettanto precisamente James e Avery si alzano in volo dopo essersi stretti la mano.
-contro una squadra del genere le serpi non hanno alcuna possibilità, gente- esclamo divertito –James ha la pluffa, la passa a Polkiss che… bolide su Polkiss di quella scimmia di Bettermind e… suvvia professoressa, mi dica obbiettivamente se non sembra una scimmia… va bene, ok, va bene, ahia!-.
Oggi si è alzata dalla parte sbagliata del letto, la Minnie. Non aveva mai osato picchiare qualcuno con il suo bastone da passeggio prima d’ora.
-ottimo bolide della McDonald, fantastica quella ragazza, l’ho sempre detto che avrebbe dovuto nascere malandrina- commento sempre più divertito quando il bolide di Mac strappa un ululato di dolore a Mulciber, facendogli tra l’altro cadere di mano la mazza –Potter in possesso di pluffa, la passa a Robbins che schiva il bolide di Bettermind e si tuffa alla porta e… Mayfair para-.
Un urlo sdegnato dai grifondoro si contrappone alle urla di gioia di serpeverde.
Ho sempre paragonato le partite di quidditch tra serpeverde e grifondoro al calderone di Remus a pozioni che, si sa, è tanto bravo nella teoria quanto disastroso nella pratica.
-Defyd con la pluffa, la passa a Avery che ovviamente se la lascia scappare, povero cretino, proverei quasi pena per lui se solo…-
-Black!-.
-Potter ha la pluffa, forza James! Potter passa a Polkiss, che passa al nuovo acquisto grifondoro Robbins, che schiva un bolide e rilancia a Potter, che tira e…- come tutti, allo stadio, i miei occhi sono fissi sulla pluffa –Grifondoro 10- serpeverde 0, per le mutande a pois di Merlino!-.
Per una volta la McGrannitt è decisamente troppo esaltata dal primo punto della partita per far caso alle mie parole.
-pluffa a quel tricheco di Avery che passa a quell’idiota di Lestrange che… ehi, guardate, la grandissima Lily Evans, ottimo acquisto grifondoro, ha appena avvistato il boccino; quel cretino di Black –quello brutto, signori- se ne accorge solo adesso e cerca di aumentare la presa sulla scopa e di raggiungere la ragazza e… ehi, che ci fa Lestrange, lassù? Attenzione, i tre si lanciano in picchiata al suolo, Evans in testa, seguita dai due serpeverde, qualcuno dovrebbe spiegare a quel pirla di Lestrange che essendo un cacciatore a lui del boccino dovrebbe fregargliene tanto quando a Snivellus dello sciampo, non mi sorprende che il grifondoro sia in testa di quaranta punti se le serpi hanno giocatori così stupidi e… terra mancata per un soffio da Lily che scatta verso l’alto senza perdere per un solo attimo la vista sulla pallina, sempre tallonata da Black e Lestrange e…-.
Mi butto di lato quando Lily e gli altri due si tuffano con tanto di scopa sulle gradinate, aggirano così la torretta e si rigettano in campo, pronti per un’altra picchiata.
-permettetemi di dire, signori, che la Evans ci sa proprio fare con quella scopa, sfido chiunque a dire il contrario, tiene testa a quei due cretini sebbene siano in squadra dal loro secondo anno. Schiva un bolide, fenomenale ragazza, il bolide colpisce il braccio teso di Regulus, forza Mac di nuovo, stavolta mira alla testa, però!-.
-Black, moderiamo i toni-.
-questa è la sfida più avvincente del giorno, e mentre i cercatori si rincorrono voglio ricordarvi il punteggio, gente, cinquanta a dieci per grifondoro, la Mayfair ha avuto giorni migliori, ma torniamo a Lily Evans e i suoi due tallonatori, recuperate per Lestrange un manuale di quidditch, così magari capisce che lui è un cacciatore, o meglio, credo lo sarà ancora per poco, gente, se fosse nella mia squadra sarebbe buttato fuori a calci nel cu…-
-Black!-
-…cuscino, gente. Evans in un’altra picchiata, il boccino è sfuggente e veloce e… attenta Lils!-.
Vedo appena Lily girarsi verso gli altri due, il volto pietrificato forse dal gelo, prima dell’impatto con il suolo.

 

***


Se la McGrannitt non lo distrugge entro due secondi lo faranno i serpeverde a fine partita, penso guardando Sirius dal nostro posto sulle gradinate. Sembra dotato di particolare enfasi quando vede Lils scattare verso il boccino, che in questo momento svolazza ad un capo della curva verdargento.
-ehi, cosa c’entra Lestrange?- chiede Emmeline puntando il dito verso il cielo rannuvolato.
In effetti, noto, oltre a Regulus anche Rabastan Lestrange è scattato in direzione del boccino, come fosse un cercatore.
-qualcuno gli ha giocato un confunfus?- chiede Alice alzandosi sulle punte dei piedi.
Vedo Remus scrutare torvo verso James, che ha abbandonato la ricerca della pluffa per fossilizzarsi sulla caccia al boccino.
-James, segna qualche punto adesso che sono tutti fissati con Lily!- gli urla Mary passandogli accanto. Sono entrambi sospesi in aria appena sopra di noi –muoviti, idiota, dobbiamo vincere!-.
Un mezzo urlo di trionfo dalla curva serpeverde mi fa quasi temere che Regulus sia riuscito a prendere il boccino, ma a quanto pare è solo Avery che chissà come è riuscito a passare Frank con la pluffa e a segnare.
Cinquanta a dieci.
Stringo la lingua tra i denti.
Forza, Lily, James!
Mary si concentra per spedire il bolide su Regulus, Lily lo schiva con facilità e Reg ci rimette un braccio.
Stringo con forza le mani, ricordandomi che è il nostro avversario.
Ho una strana sensazione, non mi sto divertendo per niente.
Sensazione che si acuisce quando vedo Lils lanciarsi nell’ennesima picchiata, seguita più vicino da Lestrange e un poco più indietro da Regulus.
-stanno cercando di distrarla!- esclamo irritata puntando il dito sui tre, quando vedo Lestrange volarle così vicino da sfiorarla.
Poi è un attimo, Lestrange si allontana con un sorrisetto, Lily si gira e sembra… scioccata?
E poi, l’inferno.
-LILY!- urlo con quanto fiato ho in gola.
Troppo tardi.

 

***


Mentre Sirius si concentra su Lily riesco a segnare indisturbato quattro punti, prima che Avery riesca a rubarmi la pluffa da sotto il naso e segnare con il mio stesso trucco.
Sento che gli occhi di tutti sono puntati su Lils e quelle due serpi, mi chiedo che razza di tattica sia la loro. Stanno forse cercando di distrarla?
Mi fermo a mezz’aria, bloccato dall’ennesimo ruggito di sdegno dalla curva serpeverde, Frank ha parato un tiro di Defyd.
Mary lancia il bolide e becca Regulus, che si stringe la mano al petto con espressione contrita prima di tornare a tallonare Lily insieme al suo compare.
L’espressione che ha in volto Lestrange fa venire i brividi, me ne accorgo solo quando passano accanto a me in un fruscio unico talmente veloce che quasi non li vedo arrivare.
Guarda Lily come se fosse un pezzo di carne.
La rabbia mi assale, appena lo becco lo faccio fuori.
Lo vedo andarle talmente vicino che quasi temo la voglia buttare giù a forza dalla scopa, poi se ne allontana.
Vedo Lils voltarsi impercettibilmente verso di lui, prima della fine.

 

***


La telecronaca di Sirius inizia sotto il peggiore degli auspici, ma ormai siamo abbastanza abituati al suo sarcasmo e ai suoi sicuramente non troppo velati insulti.
Io, la partita l’ho iniziata già male.
In realtà ultimamente non è che io abbia poi così tanto la testa sulle spalle, la data, o meglio le date, si stanno avvicinando.
E più la data si avvicina più Marlene si allontana.
Ho ancora bene in mente le sue parole.
Mi ha chiamato codardo. E forse lo sono davvero.
-allora, Black, sei pronto?- mi chiede Avery lasciandomi una pacca sulla spalla.
Annuisco.
Lui è uno di loro da una vita. Non ha il marchio, ma è uno di loro.
Suo padre è uno dei fidati del Signore Oscuro. Penso che lui capisca.
-Lestrange, la ragazza nuova dei grifondoro, se Regulus dovesse essere in difficoltà prendila di mira tu-.
Vedo Rabastan annuire, con quel suo sorrisetto scarno e un po’ inquietante. Sebbene divida con lui il dormitorio da cinque anni e mezzo non posso proprio definirlo amico.
Mi parla.
Gli parlo.
E va bene così.
Entriamo in campo, Avery e Potter si stringono la mano con quei sorrisetti beffardi stampati in volto, e la partita inizia.
Meno di dieci minuti dopo siamo già sotto di un punto.
-Amanda, tieni gli occhi su quella pluffa e cerca di non fartela più scappare- ringhia Mulciber ai danni della Mayfair, che lo guarda irritata abbassando di scatto una mano verso la giacca della divisa.
-Mulciber, senti chi parla, hai perso la mazza dopo due minuti di gioco!- vado in soccorso alla Mayfair mentre cerco il boccino. Mulciber ringhia e va a recuperare la mazza.
Imbecille che non è altro.
Grosso e stupido, ecco com’è.
Poi all’improvviso, la Evans vede il boccino.
Lo dice Sirius e, per una volta, quell’idiota di mio fratello ha ragione.
Me ne accorgo troppo tardi.
Mi lancio verso la Evans più che verso il boccino, con Lestrange alle costole.
No, non ha preso troppo sul serio le parole di Avery.
Jacob Avery diceva proprio sul serio con quel “prendila di mira tu”.
È la tattica che i serpeverde adottano da secoli nei confronti dei nuovi cercatori.
Metterli sottopressione, distrarli in ogni modo possibile.
E, mentre velo una ciocca rossa come il sangue liberarsi dalla crocchia bagnata della ragazza che mi precede verso il boccino, mi dico che quasi certamente so come Lestrange ha intenzione di distrarla.

 

***


Uno svolazzo dorato attira il mio sguardo. In mezzo a questa pioggerellina che mi da sui nervi non è facile individuare i bolidi, figuriamoci una pallina grossa come un uovo, tuttavia sono certa di quello che vedo e mi lancio verso il mio obbiettivo.
Passano due secondi, e Regulus Black è alle mie spalle, mi saetta intorno nervosamente.
Tutto sparisce, la folla, le grida, perfino i bolidi. Mi risulta facile schivarli mentre rincorro con la mente ancora prima che con la scopa il boccino.
Sbuffo rabbiosa contro quella pallina dorata, irritata dal suo gioco. Talvolta quasi mi scivola in mano e poi, come per prendere la rincorsa, si slancia in avanti con un tiepido ronzio, le ali che si muovono talmente veloci da essere invisibili.
Allungo la mano, la ritraggo poi appena in tempo per schivare un bolide che sento invece colpire Black.
Il sorrisetto mi nasce spontaneo sulle labbra alla sua esclamazione di dolore.
Scendo in picchiata, ma il sorrisetto mi si spegne sulle labbra non appena scorgo un’altra figura venirmi incontro.
Possibile che Black abbia ignorato il dolore al braccio?
Non è Black, è Lestrange.
Ha negli occhi la pericolosità del lupo, mi squadra come fossi un pezzo di carne.
-vattene, non sei un cacciatore?- gli chiedo stizzita.
La picchiata si fa più veloce, entrambi raggiungiamo vette di velocità forse mai raggiunte prima.
È un attimo, mi si avvicina e mi sfiora.
-dimmi Evans, è vero quello che dicono, ti sei tolta la tua sottoveste verde per Potter?-.
Eh?
Ma è ubriaco?
Il suolo si avvicina.
Sottoveste verde.
Quattro metri, tre metri e mezzo.
Verde.
Tre metri.
Sottoveste verde.
Non so cosa fa più male, essere investita dalla consapevolezza o dal suolo.
O dal buio.

 
 
NOTE:
questo è più che altro un capitolo di passaggio, un po’ più leggero degli altri, forse. E' un capitolo parecchio colorato, a causa dei diversi punti di vista, spero non risulti confusionario per qualcuno di voi.
Tra due capitoli, Natale e Capodanno.
Ringrazio per le recensioni, splendide,
un sentito abbraccio a tutti!
Spero che questo capitolo vi piaccia, non vedo l’ora di sentire i vostri pareri,
buona lettura,
Hir.
 
 
 

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Capitolo 34
*** il suo lato più debole ***


LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMME
REMUS
PETER
FRANK
ALICE
MARY
REGULUS
RABASTAN







“Era un tipo strano, il vecchio John Murray.
Diceva che, se il Signore aveva deciso di rafforzare il braccio sinistro di Jamie, invece che il destro,
un motivo doveva pur esserci.
E siccome il vecchio John era abilissimo nel maneggiare la spada
mio padre lo ascoltò e lasciò che Jamie combattesse con la sinistra.
 […]
Ricordo che, quando erano molto piccoli, il vecchio John disse a Ian
che era compito suo stare alla destra di Jamie per poter difendere il suo lato più debole,
durante un combattimento. E infatti lo faceva:
presero la cosa molto seriamente, quei due.
Credo che il vecchio John avesse ragione, in effetti.
Dopo un po’ nessuno li sfidava più, nemmeno i ragazzi McNabb.
Oltre ad essere entrambi di buona stazza e bravi spadaccini,
quando combattevano spalla a spalla non c’era modo di sconfiggerli,
anche se gli avversari erano superiori di numero.
[…]
Prova a guardarli anche adesso, quando camminano nei campi.
Non credo che se ne rendano conto, ma lo fanno ancora.
Jamie si sposta sempre a sinistra in modo che Ian possa stargli sulla destra
e difendere il suo lato più debole.
[…]
Jamie è fortunato ad avere Ian”*
 

 
-signor Potter, lei non può stare qui-.
La voce indignata di Madama Chips non potrebbe proprio raggiungere toni più striduli, penso mentre cerco di schivarla come fosse un bolide.
Ovviamente, Madama Chips non è un bolide.
In questo momento, però, vorrei avere una mazza.
-mi lasci passare, Poppy, devo vedere Lily- le dico quindi in risposta cercando di non perdere la pazienza, perché sono quasi certo che perdere la pazienza in una situazione simile non sia di alcun aiuto.
-la signorina Evans, Potter, al momento deve riposare e…-
-suvvia, Poppy, facciamo silenzio, parola mia che non disturberemo assolutamente il sonno di Lily- interviene alle mie spalle una voce.
Mi giro, Sir mi fa l’occhiolino e alle sue spalle posso vedere anche gli altri.
A questo punto, il sopracciglio destro di Poppy Chips si alza proporzionalmente al numero dei presenti in corridoio, otto esclusi me e lei.
-siete matti, signori, a credere che io vi faccia entrare in gran mandria nella mia infermeria- dice alla fine, sbarrandoci l’ingresso nella sala con i letti con la sua imponente figura.
Sorrido, angelico.
-suvvia, Poppy, di solito lei ne fa entrare sei alla volta- esclamo tutto giulivo –guardi, Alice, Peter e Mary sono bassi, quindi contano per uno e…-
-ehi!-
-attento a quel che dici, Jamie-
-bassa a chi, Potter?-
-e va bene, signor Potter, ma badate bene che entrerete tre per volta, non uno di più, quanto è vero che io mi chiamo Poppy Chips-.
Sospiro, decisamente più tranquillo.
Tanto, che lei si chiami o meno Poppy Chips, non appena svolterà l’angolo entreremo tutti in gran mandria, facendo un casino tremendo e cercando di tirare su di morale Lily.

 

***


-Merlino, Lils, dovrebbero farti il tesserino a punti- esclamo entrando in infermeria. Lils è sveglia, la caduta non era certo tanto grave, giusto il minimo indispensabile per farci perdere la partita –o magari, che so io, ogni cinque visite in infermeria una omaggio con tanto di visita guidata-.
Lils, appoggiata al cuscino, ridacchia appena, poi torna a guardare la finestra con espressione rannuvolata.
Deve essere triste perché abbiamo perso la partita.
Mi siedo accanto a lei, mentre Jamie prende posto dall’altra parte del letto e gli altri si dispongono in ordine sparso per la sala.
-Evans, stai tranquilla, nessuno ce l’ha con te- le dice piuttosto gentilmente Sirius, o per lo meno gentilmente quanto può essere gentile Sirius.
-ce l’ha con…?- Lily sembra un po’ sfasata.
-tesoro, sei sicura che la testa vada bene?- le chiede Lène dal suo posto accanto alla finestra –hai battuto la testa e…-
-la partita, Lils- le faccio presente –ti ricordi, Regulus che ha preso il boccino, Lestrange che ti inseguiva…-.
Lils spalanca gli occhi, poi mi guarda stranita e annuisce velocemente.
-si, certo, la partita- esclama convinta –mi dispiace davvero e…-
-non ti preoccupare, Lestrange è stato un bastardo- le dice in risposta James, prendendogli la mano e sorridendo.
Gli occhi verdi di Lils si fissano su James per un attimo, verdi sulla pelle eburnea e impallidita dalla caduta, poi si sgranano ancora.
-Lily, sei sicura di stare bene?-.
Lène insiste con un sorriso dolce, avvicinandosi alla nostra migliore amica con fare materno.
-forse dovresti fermarti in infermeria per la notte, Lils- le dice alla fine –sono sicura che Madama Chips acconsentirà se…-
-si, hai ragione- risponde a sorpresa Lily –forse dovrei fermarmi qui per la notte, mi sono accorta che la testa mi duole un po’-.
Lène annuisce, io guardo Lils interdetta.
Non è sempre stata lei quella che quando capitava tra queste quattro mura scalpitava per uscirne il più in fretta possibile?
Alla fine ci tratteniamo vicino al suo letto per le successive due ore, fino a quando Madama Chips non torna, scopa alla mano, e ci minaccia di picchiarci brutalmente con il manico di legno.
-Lils, sicura di stare bene?- le chiedo alla fine quando, dopo averla salutata, ci dirigiamo tutti verso la porta.
Vedo Sirius salutarla per ultimo e precederci verso il corridoio, vicino a James.
Lils mi fa un sorriso, che sarei capace di decretare falso anche se non la conoscessi come le mie tasche.
-tutto bene, Mary, stai tranquilla- mi dice –salutami Paul-.

 

***


Io li odio i serpeverde.
Li odio sempre, penso che siano una piaga dell’umanità e che andrebbero spazzati via con due colpi di bacchetta. Un bel gratta e netta eseguito a regola d’arte, insomma.
Oggi però li odio ancora di più.
Da quando Prongs è in squadra i serpeverde hanno vinto la partita solo tre volte, compresa quella di oggi.
La prima volta, al nostro terzo anno, hanno vinto la prima partita del campionato dopo aver messo fuori uso l’allora portiere grifondoro Parker Baston. La seconda volta hanno vinto grazie al gioco più sporco che si sia mai combattuto sul campo di quidditch di Hogwarts. La terza volta hanno vinto mettendo fuori gioco il cercatore, o meglio, la cercatrice grifondoro, Lily Evans.
Per cui, in barba al cappello parlante e alle sue paternali e filippiche sull’amicizia tra case, spero mi perdonerete se odio profondamente e svisceratamente quella casa maledetta.
Per fortuna non ci sono finito.
Ogni volta che ci ripenso, non posso non rivolgere a Merlino e Morgana le più intense preghiere. Se penso che avrei potuto, avrei dovuto, finire lì, mi vengono i brividi.
-bastardi-mi sibila James all’orecchio –se becco Lestrange io…-
-alla fine, però, Lestrange non l’ha toccata- lo interrompe Lène dietro di noi –per questo non è stato punito, lui non l’ha minimamente toccata e…-
-mi chiedo cosa possa averle detto quel figlio di una serpe per farla distrarre- ragiona Mary.
-sicuramente baci e carezze, conoscendo il tipo- replico ironico –l’avrà insultata e…-
-stiamo parlando di Lils, Black- mi blocca Marlene –è possibile che lei si arrabbi per un insulto tanto quanto che la McGrannitt balli la conga in sala grande-.
Ci ragiono.
Non sulla McGrannitt che balla la conga, ovviamente, ma sulle parole di Lène.
Effettivamente Lily non si è mai scomposta per gli insulti –velati o meno- rivolti al suo sangue. Penso che in qualche modo ne sia addirittura felice, che sia grata di questa opportunità che ha di conoscere entrambi i mondi. Però ha ragione Marlene, a questo punto. A Lils non è mai importato degli insulti.
Mi chiedo se stasera…
Appena entriamo in sala grande vengo distolto dai miei pensieri dalle battutine idiote dei serpeverde, che si rivolgono a noi in toni di scherno e, ovviamente, me li fanno odiare ancora di più.
-guarda che espressione tutta soddisfatta che ha Lestrange, sembra abbia scoperto oggi che è il suo compleanno- mi sussurra all’orecchio Lène, e mentre si scosta i capelli dietro all’orecchio vengo investito in pieno dal suo profumo, tramortito, quasi.
-secondo te cosa le può aver detto?- le chiedo e, involontariamente, con una mano le stringo il polso.
Ha un profumo così buono, di pioggia, e una delle poche cose che riesco a capire è che non voglio che lei si allontani.
-ehi, Potter, allora avevo ragione quando dicevo che la Evans è in squadra solo perché ti scalda il letto-.
La voce di Avery ci raggiunge, ed è con un enorme sforzo di volontà che mi volto verso James e lo afferrò per la manica, scostandomi da Lène. L’ho sentita trasalire, ed è con un’espressione stupita che la osservo mollare la tracolla sulla panca, dirigersi a passo di marcia verso il tavolo di serpeverde e i posti in cui la squadra sta riunita a celebrare la sua “meritatissima” vittoria e fermarsi davanti a loro, fermo baluardo del fiero spirito grifondoro.
Posso vedere Marlene chinarsi verso Lestrange, sfiorargli l’orecchio destro con i capelli e dirgli, a voce talmente alta da poter essere udita in tutta la sala.
-il giorno in cui scoprirò come hai fatto a farla cadere da quella scopa, Lestrange, ti farò rimpiangere il primo bacio che tua madre diede a tuo padre-.

 

***


Mi sto godendo i miei tre quarti d’ora di gloria da ormai un bel po’ di tempo.
Seduto davanti a me, nella tavola in sala grande, Regulus Black mangia attentamente dal suo piatto senza badare a nessuno di quelli che ha intorno.
Tra tutte le persone qui ad Hogwarts, Regulus è l’unico che io riesca a sopportare di buon grado senza stancarmene subito. Forse perché, tra tutti gli imbecilli di serpeverde, lui è quello forse un po’ più intelligente.
-e se lo dicesse in giro?- mi chiede alla fine.
Sbuffo, un po’ irritato e un po’ divertito.
-non potrà mai provarlo, Black, ora calmati altrimenti inizieranno a chiedersi perché tremi come una foglia-.
Lui alza lo sguardo e lo punta nei miei occhi, sicuro.
-io non tremo, sei tu che sei un idiota- replica freddo –non avresti dovuto essere così esplicito-.
Sospiro, arricciando le labbra.
-piantala Black- lo blocco alla fine –abbiamo vinto, no?-.
Lui alza lo sguardo e lo punta su qualcuno alle mie spalle.
Mi volto, dritti davanti a noi, ad una decina di metri di distanza, se ne sta l’allegra compagnia degli straccioni, capeggiata da Potter che di certo non si può dire sia di buon umore.
All’ennesima battutaccia priva i gusto di Avery, che spalleggiato da Mulciber è di questo lievemente più intelligente, Potter scatta e viene fermato dal suo compare giusto prima di estrarre la bacchetta.
Tuttavia la minaccia non arriva da Potter, bensì dalla McKinnon, che a passi rapidi e ben calcolati si dirige verso di noi senza troppe cerimonie.
Si ferma dietro di me, posso sentirne incombere la figura slanciata, mentre davanti a me Black non lesina sguardi impassibili alla sua futura moglie.
Marlene McKinnon è una bella ragazza, credo che a questo tasto nessun ragazzo di Hogwarts possa ribattere negativamente, ma la trovo estremamente irritante.
Non particolarmente intelligente, non particolarmente simpatica, non particolarmente razionale o decisa.
Semplicemente un bella ragazza, che a quanto posso vedere ha fatto perdere la testa non ad uno, bensì a due Black in contemporanea. Forse non è poi così scema.
Adesso, quella bella ragazza, è china su di me ed i suoi capelli mi sfiorano le spalle.
-vuoi qualcosa, McKinnon?- le chiedo fermo con un sorrisetto strafottente stampato in viso.
-il giorno in cui scoprirò come hai fatto a farla cadere da quella scopa, Lestrange, ti farò rimpiangere il primo bacio che tua madre diede a tuo padre-.
Intorno a noi ora c’è il silenzio.
Lei si rialza e si riavvia verso il suo tavolo come avesse tutto il tempo del mondo.
-lo sai, McKinnon, non dovresti dare le spalle al tuo nemico, se non sei assolutamente certa di poterlo battere-.
-questo vuol dire che so di poterti schiacciare, Lestrange- mi dice voltandosi, appena un paio di metri a separarci –ti schiaccerò come una blatta se oserai toccare Lily, o chiunque altro-.
Inarco un sopracciglio rigettandogli un sorriso beffardo.
Vorrei rispondergli a tono, ma se lo facessi mi scoprirei troppo, e correrei un rischio troppo grosso. Non ora, mancano meno di dieci giorni.
Toccarla un’altra volta?

 

***


Il fuoco della sala comune è caldo, e con le sue uniche fiamme riesce a riscaldare tutta la torre grifondoro.
Mi chiedo come sarebbe vivere nei sotterranei, dove fa sempre più freddo che in tutte le altre parti del castello.
-Rem, ti va una partita a scacchi?- sento James chiedere con voce un po’ assonnata.
Moony annuisce, prende la solita scacchiera con gli angoli malridotti e si siede al tavolo più vicino al fuoco. Vedo la Vance alzare lo sguardo, e con un sorriso ripenso alle battute di stamani, quando ancora tutto il casino della partita era ancora ben lontano.
Sbuffo, bei tempi, quelli.
-che ore sono?- chiedo alla fine, mentre i miei due migliori amici dispongono le proprie pedine assai recalcitranti, peraltro.
-ehi, fa attenzione, mi hai storto tutta la corona              !- sento esclamare da parte della regina nera di James, che con voce sdegnata si riaggiusta i capelli –poi il re non mi guarda più se sembro un pedone buzzurro!-.
Alle sue parole, un’ondata di protesta da parte dei pedoni prende il via, come se qualcuno avesse acceso una miccia.
-falli tacere, James, ho mal di testa e le loro voci sono odiose- esclama Mary dalla sua poltrona, quella accanto a Marlene. Lène la guarda sbuffando da sopra i suoi compiti di trasfigurazione.
-inizia a stare zitta tu, Mary- la rimbrotta intingendo la penna nell’inchiostro seppia.
Mi chiedo perché non usi il nero, per scrivere.
È vero che il seppia è più caldo, ma è anche più difficile da trattare, bisogna fare molta attenzione e…
-in che anno è stato approvato l’incanto di trasfigurazione delle altezze permanente?- chiede alla fine alzando lo sguardo.
Nessuno la guarda, Mary è impegnata a strizzarsi le tempie nel tentativo, penso, di smorzare il dolore; Emmeline sta tentando di leggere il libro ma vedo più volte il suo sguardo spostarsi su Remus, lui e James sono concentrati sulla partita che inevitabilmente James finirà per perdere, lo sappiamo tutti, Peter tenta di destreggiarsi tra il suo tema di pozioni e il libro che probabilmente non ha mai aperto, Alice e Frank pensano abbondantemente ai propri affari senza distogliere lo sguardo l’una dall’altro.
Sospiro, mi alzo e la affianco sulla poltrona.
Con un sorrisetto la vedo farsi piccola piccola e, con un ghigno di risposta, mi accomodo affianco a lei. Alla fine, dopo vari contorcimenti, riesco a sedermi comodo con lei quasi in braccio.
Il profumo che ho sentito prima a cena torna prepotente ma stranamente naturale, inebriandomi.
-è stato approvato nel 1749 dall’allora ministro della magia Sir Richard Kyle junior- le dico aprendo il libro con attenzione mentre lei inizia a scrivere –e saresti pregata di fare attenzione con il tuo inchiostro, i miei pantaloni sono beige e vorrei che beige restassero-.
Lei sorride.
-come siamo pignoli, signor Black- mi prende in giro –come se poi toccasse a te smacchiarli e lavarli-.
-condivido le pene di chi dovrà farlo- la correggo indicandole nel libro la risposta alla seconda domanda –e comunque, faresti meglio a scrivere che fu inventato da Lady Berter e perfezionato in seguito da Reginald Black, che deve essere un mio antico parente, quindi probabilmente era matto-.
La sento ridere in risposta.
-dici che devo scriverci anche che probabilmente era matto?- mi chiede alla fine, rigirandosi per guardarmi negli occhi.
-certo, è un appunto preciso-.
-ma non ci sono fonti storiche che lo dimostrano!-.
Ridacchio.
-hai a che fare con un sacco di Black, Lène- la correggo io –non esiste miglior fonte che l’esperienza. Sicuramente era matto, anzi. Uno svitato squilibrato-.
Annuisce, si china a scrivere, ma sono certo che non scriverà niente del genere.
Dopo due altre domande alzo lo sguardo e mi ricordo di aver posto, prima, una domanda che non ha ancora ricevuto risposta.
-allora, qualcuno mi dice che ora è?- chiedo.
Remus distoglie un attimo lo sguardo dalla scacchiera e si guarda il polso.
-le dieci meno dieci- mi risponde sicuro e, alle sue spalle, posso vedere James prelevare un cavallo di Remus con sguardo da cospiratore.
Sghignazzo in direzione del mio migliore amico, che mi prega a gesti di non dire niente del suo cambio di pedina.
Come se avesse anche una sola chance di vincere contro Remus… non ce la farebbe nemmeno se lui avesse tutte regine e il lupacchiotto tutti pedoni!
-voi non avete fame?- chiedo a sorpresa.
Sono un po’ in ritardo sulla mia tabella di marcia.
-fame?- chiede Mary dal suo posto –Black, sei una fogna-.
-sempre gentilissima, Mac- ribatto alzandomi e passandole accanto –sono contento che tu abbia mal di testa-.
-ho il mal di testa perché sono troppo intelligente- mi rimbrotta.
-si, oppure perché spari troppe cazzate- la prende in giro Lène che torna a sedersi dopo avermi fatto alzare.
-Jamie, prendo quello che noi sappiamo e faccio un salto nelle cucine- gli dico passandogli accanto e dirigendomi ai dormitori.
Annuisce, forse troppo intento a cercare di distrarre Remus per fregargli un’altra pedina per sentirmi.
Quando torno dal dormitorio, comunque, con stretti in mano mantello e mappa James ha clamorosamente perso e quindi inveisce sulla crudeltà del nostro migliore amico, Remus ribatte dichiarandolo un bugiardo e un barone, cosa che non posso in tutta coscienza negare, mentre Mary li implora di fare silenzio.
Con un ghigno mi dirigo al buco del ritratto, ed una volta fuori mi metto il mantello.
-giuro solennemente di non avere buone intenzioni- mormoro rivolto alla mappa. Mentre il suolo di Hogwarts si dispiega sul foglio io inizio a localizzare le persone che più mi interessano.
Dunque, Gazza e Mrs Purr sono nei sotterranei, ala nord.
Silente è nel suo studio.
La McGrannitt è nell’aula di trasfigurazione.
Madama Chips è nelle sue stanze che sono accanto all’infermeria.
Con un dito, punto sul cartiglio “Lily Evans!” bloccato in infermeria.
Con un sospiro, cerco di mettere a tacere la coscienza che mi dice che non ho fatto bene a mentire così a James, tuttavia la Evans è stata chiara.
-puoi trovare un modo per venire qui dopo cena?- mi ha chiesto mentre la salutavo, proprio quando Madama Chips è rientrata –non dire niente a James, ti devo parlare-.

 

***


-buonanotte, signorina Evans-.
La voce di Poppy Chips mi raggiunge quando la luce si spegne.
-buona notte, Madama Chips- le auguro.
Poco dopo sento chiudersi la porta, e finalmente posso tirare un sospiro di sollievo e mettermi in attesa di Black, che spero non faccia cazzate e per una volta dia retta a me.
Più  ci penso, più mi dico che è la soluzione migliore.
Non è troppo legato a me, quindi non ci sarà nessun desiderio di vendetta, però è legato a doppio filo a James, quindi non è come escludere totalmente il (mio?) ragazzo dalla questione.
Non so perché, comunque, ma continuo a sentirmi in colpa.
Cerco di seppellire la coscienza sotto tutto quello che trovo, tutte le scuse e tutte le parole che mi sono detta.
Quello che mi ha detto Lestrange continua a ronzarmi nella mente, come se lo avessi inciso nella fronte.
Quando mi sono risvegliata, dopo essermi accertata di non avere niente di rotto, ho iniziato a riflettere sulla questione.
In realtà, prima ancora, c’è stato lo shock.
Dannato bastardo che non è altro!
Lui e uno dei suoi compagni mi hanno usato come affilacoltelli e l’hanno passata liscia.
Il secondo pensiero che mi è balzato in testa è stato piuttosto vendicativo.
L’hanno passata liscia fino ad ora!
Fuori dall’infermeria potevo già sentire le parole di James, che cercava di convincere Madama Chips a farlo entrare.
Ho subito pensato di rivelarglielo, di dirmi cosa quel maledetto ragazzo mi ha detto per farmi cadere dalla scopa, e con lui di dirlo a tutti i ragazzi che sono nell’ordine.
Poi ho pensato di dirlo anche all’ordine.
E sebbene io abbia ancora in mente di portare avanti la mia seconda idea, la prima l’ho depennata con qualche rimorso e senso di colpa.
C’è Emmeline, che sicuramente vorrebbe sapere chi ci ha fatto, chi le ha fatto tutto quello che appena un mese e mezzo fa abbiamo dovuto patire.
Emmeline, che cerca di non farlo pesare a nessuno ma che ancora totalmente non si è ripresa. Ancora, qualche volta, la sento rigirarsi nel sonno e capisco, perché succede anche a me, il motivo per cui lo fa, inconsciamente.
Emmeline, che ne avrebbe diritto.
E poi c’è James, e il rapporto che, volenti o nolenti, ci siamo venuti a creare attorno e… dentro, in qualche modo.
C’è il James che una volta mi ha detto che lasciare correre non sarebbe giusto, che sarebbe meglio parlarne, non  lasciar cadere tutto nel silenzio.
C’è il James al quale ho visto più volte, stesa in un letto simile a questo nella stanza 21 del San Mungo, balenare negli occhi una rabbia omicida.
Ed è proprio questo James che mi ha fermato.
E quello che mi fa rodere di più il cuore per i sensi di colpa.
Così, sono arrivata ad una conclusione:
Sirius Black.
Non Marlene, troppo impulsiva.
Non Mary, troppo rabbiosa.
Non Alice, troppo sensibile.
Non Remus, troppo calcolatore.
Non Peter, troppo ignavo.
Non Frank, troppo estraneo.
Non James, troppo coinvolto.
E nemmeno  Emmeline:
lei può avere il diritto di sapere, ma io non ho la forza per raccontarglielo.
Alla fine rimane solo Black.
Non è di certo affezionato a me, anche se in qualche modo ci rispettiamo, tuttavia non è completamente estraneo, perché è come un fratello per James.
È il suo scudo e la sua arma, al contempo. È la corazza di James.
È di quello che ho bisogno, ed è quello che ho bisogno di fargli capire.
Spero lo capirà.

 

***


Ci è mancato un pelo che non incrociassi Vitious per i corridoi. Non avevo notato il suo nome sulla mappa, e anche se coperto dal mantello dell’invisibilità preferisco non incrociare per niente i professori.
…hanno come un sesto senso, e poi sanno del mantello, merito di quel genio di Dorea Potter, che non appena ha scoperto cosa suo marito avesse regalato a suo figlio per il suo dodicesimo compleanno ha allertato il preside e compagnia bella.
Stimo mia zia, ma in momenti come questi mi delude un po’.
Comunque, alla fine, sono arrivato fino alla porta dell’infermeria.
Dentro, la sala è buia, me ne accorgo non appena spingo l’anta per entrare.
-Evans, sei sveglia?-.
La mia voce rimbomba un po’ nella sala quasi vuota, poi una bacchetta si illumina e io vedo Lily Evans guardarmi rischiarata dal debole raggio di luce tra le sue mani.
-entra, Black, e chiudi la porta- mi dice seriamente.
Annuisco, sempre più sorpreso.
È strano che Lily Evans chieda proprio a me una specie di consulto, quando è più che ovvio che non sopporta il mio modo di fare.
Sono venuto qui, per l’appunto, spinto dalla curiosità. Deve essere qualcosa di serio, altrimenti non si sarebbe fidata.
Insomma, diciamocelo chiaro e tondo, non è che i rapporti tra me e Lily Evans siano mai stati idilliaci, e sebbene si siano rischiarati un po’ da quando esce con Jamie, siamo ancora parecchio distanti dal dichiararci fratello e sorella.
Mi avvicino al suo letto, quindi, e resto piuttosto sorpreso quando la vedo farsi un po’ da parte per lasciarmi un po’ di spazio.
Silenziosamente mi siedo e mi volto verso di lei, il bel viso rischiarato appena dalla luce della bacchetta.
-è importante, vero, quello che stai per dirmi?-.
Alla mia domanda lei risponde con un sorriso.
-prima di dirtelo voglio la tua parola-.
La guardo, mi guarda.
-riguardo?-.
Lei sospira.
-vorrei che tu non dicessi niente a James e a tutti gli altri. Più di tutti, però, non devi dire niente a James-.
Mi irrigidisco.
-è molto, quello che mi chiedi, Evans- le dico alla fine, non arrabbiato, solo un po’ irritato.
Non è mai facile nascondere qualcosa a James.
Insomma, non è facile per niente nascondere qualcosa a qualcuno che ti conosce meglio di quanto conosca se stesso. Tant’è vero che a volte le cose su di me le scopre prima lui del sottoscritto, come il fatto che Lène mi piace più di quanto sarebbe lecito essendo io Sirius Black.
-lo posso capire- mi dice alla fine e, sorprendentemente, mi mette una mano sulla spalla, stringendo lievemente. Poi spegne la luce –ti dispiace? È più facile, parlare senza guardarsi in faccia-.
-paura, Evans?- le chiedo ghignando.
Resto sorpreso dalla sua risposta.
-si-.

 

***


-si-.
È veloce, un monosillabo che fende l’aria con il potere di una lama tagliente.
Si.
Ho paura.
Una paura matta, per di più.
-di cosa hai paura, Lily?- mi chiede Sirius, forse stupito dal mio tono.
Decido di rispondere a modo mio, iniziando dall’inizio.
-c’è un motivo, per cui ho scelto te, fra tutti, per parlare di questa situazione- gli rivelo, e nel buio riesco a sentire il suo respiro, calmo –Marlene è troppo impulsiva, Mary è troppo rabbiosa in queste occasioni, le prende troppo di petto. Alice è un po’ incantata, troppo sensibile, non vuole pensare male e anche quando lo fa indora la piccola. Remus è il mio migliore amico, ma prende cose così troppo sul serio, e sebbene non sia impulsivo non è certo gentile con chi non se lo merita e…-
-gentile?-.
-gentile, si- annuisco, e capisco che lui di quello che sto dicendo non capisce ancora niente –Peter è troppo inerte, Frank è troppo estraneo, James troppo coinvolto… e Emmeline… beh, Emmeline è un’altra questione-.
Mi interrompo un attimo.
-io sono la persona giusta?- mi chiede alla fine.
Annuisco, poi ricordandomi che non può vedere sorrido appena.
-si, sei la persona giusta. Non prenderai la cosa troppo di petto, perché io non sono Marlene, che riesce a scatenare in te passioni calde…- sorrido ancora, e sento che anche lui, in fondo, sorride.
È questo che intendevo, dicendo che al buio è più facile parlare.
-…al contempo, però- riprendo dopo qualche attimo –sei la persona più vicina a James-.
-quindi c’entra James?-.
Ci rifletto.
-no, non in prima persona. però ho notato una cosa, una settimana fa, quando, nella vostra stanza, mi avete detto… tutto. James, quando io ho parlato di quello che è successo a me ed Emm, beh, lui…-
-ho visto come ha reagito, Lily- mi aiuta lui.
Si, lo abbiamo visto tutti e due.
Aveva negli occhi la rabbia cieca dell’animale, del predatore. Quando io ho mostrato le mie ferite, ho visto il disprezzo per chi me le ha fatte farsi strada nei suoi occhi che, normalmente morbidi, si sono induriti all’improvviso.
-è per questo che non devi dirgli niente, Sirius- termino con un sospiro –non dargli il motivo di fare qualcosa di cui si potrebbe pentire-.
Sirius tace per un attimo.
-sai qualcosa, vero?- mi chiede alla fine –qualcosa di ciò che è successo quella…-
-si- annuisco.
Per un po’ cade il silenzio, posso quasi sentirlo ragionare.
Ti prego, accetta.
Ti prego, accetta.
Forse è egoistico, non so, devo solo condividere con qualcuno questa enormità.
-facciamo così- riprende dopo circa tre minuti di silenzio –io non gli dirò nulla, ma dovrai farlo tu-.
-ma…-
-no, Lily- scuote la testa, lo sento, nel buio –non terrò un segreto del genere alla persona per me più vicino ad un fratello per tutta la vita. Non voglio, e sono quasi sicuro che non ce la farei-.
-allora io non…-
-però… aspetta, c’è un però. Starò zitto per il prossimo futuro, fino a che la rabbia per quello che ti è successo, che vi è successo a te ed Emmeline, non sarà sfumata. Poi, alla fine, dovrai dirgli quello che hai scoperto. E se è qualcosa di importante, dovrai dirlo a Silente-.
Sto zitta per qualche attimo.
-Sirius, quando lo saprà, lui…-
-si arrabbierà, lo so, lo conosco. Se la prenderà con me, perché non glielo ho detto, con te, perché non glielo vuoi dire. Però, se lo faremo a tempo debito, avrà solo noi su cui sfogare la propria rabbia, e al massimo ci terrà il muso per un po’-.
Ridacchio, alla fine, divertita da quel modo di dire.
Ride anche lui.
Annuisco.
-va bene- gli mormoro in risposta.

***

 
-va bene-.
Acconsente piano.
Anche io la imito, poi lei accende la luce con un lumos appena sussurrato.
-è stato Lestrange-.
Vorrei dire che questa notizia mi stupisce, ma in realtà non è così.
-ne sei sicura?- mi limito a chiederle.
Lei annuisce, tetra.
-mi ha detto qualcosa riguardo ad una sottoveste verde- mi rivela –non ricordo esattamente le parole, ma lui sapeva che sarebbero andate a segno, lo sapeva che avevano il potere di farmi cadere da quella scopa.
Annuisco, piano.
-devi dirlo a Silente- le dico alla fine.
-non è una prova consistente, in realtà, ha solo parlato di una sottoveste e non mi ricordo nemmeno cosa ha detto ma…- deve prolungare la frase alla vista della mia espressione risoluta -…va bene, lo dirò a Silente. E a Emmeline, anche, credo abbia il diritto di saperlo-.
Annuisco, non posso che darle ragione.
Poi ghigno.
-lo sai- le dico a sorpresa –è strano, tu che ti confidi con me, e tutto questo parlare, e io che ho mentito agli altri per incontrarti-.
-è vero, è strano- conviene lei con una risata –anche perché noi due non ci sopportiamo… vero?-.
Sorrido.
-vero- annuisco in pieno –sei una so-tutto-io-.
-e tu un rompipluffe- commenta lei divertita.
-e tu una Prefetto perfetto-.
-anche Remus lo è- appunta lei –E tu un casinista-
-e tu troppo ligia alle regole- dichiaro ridacchiando.
-e tu troppo ligio agli scherzi- sbuffa.
-e tu troppo topo di biblioteca-
-e tu troppo libertino-.
-l’unica nota positiva che hai, Evans, è che sei amica di Marlene-.
Ride.
-l’unica nota positiva che hai, Black, è che sei il fratello di James-.
Adesso tocca a me ridere.
-l’unica nota positiva che hai, Evans, è che sei cotta a puntino di Jamie-.
Questa volta sghignazza appena.
-l’unica nota positiva che hai, Black, è che sei innamorato cotto di Lène-.
-touché-.
Alla fine, quando entrambi smettiamo di ridere, come solo due scemi sanno fare, mi accorgo che è passato decisamente troppo tempo da quando sono entrato in infermeria.
-devo andare, o gli altri mi daranno per disperso, e devo ancora passare dalle cucine-.
Lei sorride appena.
-chiama Hill- mi fa notare.
Sorrido e annuisco.
-inizio a pensare che forse non sia poi così una bella cosa, che tu e James finalmente usciate insieme- commento divertito –ti svelerà tutti i nostri segreti-.
-io invece continuo a pensare che sia una fortuna, che tu e James siate come due fratelli- dichiara alla fine, quando ho raggiunto la porta e la sto aprendo.
Mi blocco e mi volto verso di lei, ancora illuminata dalla luce della bacchetta.
-perché?- le chiedo curioso.
-è bello, quello che siete l’uno per l’altro. Proteggete a vicenda il lato più debole dell’altro. In James, il carattere così aperto e in te il carattere così chiuso-.
Rifletto, poi annuisco.
-anche io credo che sia una fortuna che io e James siamo come due fratelli- le dico. Senza aggiungere altro mi volto e la lascio nel suo letto, sentendola da dietro la porta spegnere la bacchetta.
Richiudo l’anta, mettendomi di nuovo il mantello.
Proteggete a vicenda il lato più debole dell’altro.
In James, il carattere così aperto, e in te il carattere così chiuso.

Sorrido appena.
No, Evans. Il punto debole di James sei tu, mi dico guardando la mappa.

 
 
*”La Straniera” di Diana Gabaldon
 
NOTE:
allora, innanzitutto una piccola comunicazione.
Causa trasloco in un’altra città, nella prossima settimana aggiornerò più lentamente, diciamo un capitolo ogni quattro giorni, più o meno. Cercherò di non fare passare più di quattro giorni tra un capitolo e l’altro, comunque =D
Per il capitolo, invece, mi dispiace deludere le fans del linciaggio a Lestrange e della vendetta. Ho preferito questa piega, spero sia lo stesso di vostro gradimento, io la trovo più “umana”.
Ho voluto, questa volta, approfondire Sirius e Lily insieme, visto che dalla lettera che nei Doni della Morte Harry trova in camera di Sirius, Lily e Sirius sembrano molto in buoni rapporti. Da qui inizia ad evolversi il tutto.
La frase iniziale è presa dall’autrice Diana Gabaldon, e ritengo ritragga splendidamente il rapporto tra Sirius e James, perlomeno per come li vedo io.
Spero che vi piaccia il capitolo, grazie mille per le splendide recensioni, appena ho un secondo rispondo con calma!
Buona lettura,
Hir!

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Capitolo 35
*** Noi ***


 LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
MARY
REGULUS
RABASTAN
REMUS
ALICE
FRANK
PETER
EMMELINE

Mi accorgo del mio enorme errore solo appena entro in camera.
Mi guardo intorno, Frank è steso sul suo letto a leggere e Peter è sparito, fatto evanescere forse da un James Potter particolarmente ansiato o da un Remus Lupin particolarmente pignolo.
Gli ultimi due malandrini, escluso io, girano a vuoto per la stanza chi prendendo a caso roba da un letto o dall’altro per scagliarla per terra, chi passando davanti allo specchio a intervalli regolari per aggiustarsi il farfallino color panna.
Non appena apro la porta, comunque, l’attenzione si catalizza su di me:
ed eccolo lì, l’errore.
So benissimo che la cosa più intelligente da fare sarebbe richiuderla e darmi alla fuga prima che un lupo mannaro esagitato e un cervo in fregola mi rincorrano per tutta la scuola facendomi domande assurde o pretendendo consigli ancora più assurdi.
Insomma, cosa ne posso sapere, io, di quale fiore sia meglio appuntarsi al taschino per far colpo su una ragazza? Ok, io sono Sirius Black, ma per far colpo su una ragazza ho sempre avuto bisogno solamente del mio bel sorriso e dei miei splendidi occhi grigi, modestia a parte.
Ovviamente la stessa cosa non si può dire di James e Remus, che a forza di seghe mentali stasera sono diventati due fasci di nervi insopportabili.
-Sir, il farfallino è meglio panna o giallo?- mi chiede Remus scostando James con una gomitata brusca.
-dipende dal colore del vestito di Emmeline- gli rispondo sospirando.
Ormai è troppo tardi per una ritirata strategica.
-e di che colore è vestita Emmeline?-.
Rido, divertito.
-Rem, sei tu che esci con la Vance, cosa ne so io del vestito di Emmeline?- gli domando logico, inarcando le sopracciglia.
Rem sbuffa e si chiude il bagno.
-non usare troppo gel- gli ricordo passando accanto alla porta chiusa e buttandomi sul letto.
-Paddy, il mantello di che colore lo metto?- mi chiede James con la testa infilata nel baule, forse alla ricerca del suo mantello preferito.
-Jam, passi Remus, ma tu partecipi ai balli dell’alta società sin da che hai iniziato a camminare!- lo rimprovero alzando gli occhi al cielo.
Mi fa una linguaccia.
-non è che Lène ti ha detto il colore dell’abito di Lily, vero?-.
Lo guardo, interdetto.
-ma mi avete preso per la migliore amica pettegola del dormitorio femminile di grifondoro?- domando indicando Frank –sono Sirius Black, per queste consulenze c’è Paciock!-.
-non mi tirare in mezzo, Sir- esclama sdegnato girando con accortezza una pagina del suo libro.
-…a Peter!- dico allora –perché non avete chiesto a Pete?-.
-perché Minus ha l’aria di avere il senso estetico di un cactus, Black- esclama la voce di Marlene e, voltandomi, la vedo entrare a passo di marcia nella nostra camera come se stesse andando in guerra –dall’altra camera, mi chiedono di dirvi che Emme è vestita di rosso e Lils di grigio, in caso vi possa interessare-.
-Lène, permettimi di farti un monumento- ribatte allora James, inchinandosi al cospetto della sua salvatrice –quindi dici che il mantello scuro non stona?-.
La McKinnon lo guarda ad occhi socchiusi e annuisce, divertita.
-Remus?- mi chiede poi con un sorriso.
Indico divertito la porta del bagno, ghignando quando lei si avvicina ad aprirla.
La scena è comica, e vede Remus seduto con aria cupa davanti allo specchio con in mano entrambi i farfallini, lo sguardo che passa dall’uno all’altro, tetro.
-panna, Lupin- esclama convinta, al chè un sorriso enorme si spalanca sul viso di Remus.
Lène alza gli occhi al cielo e sorride in risposta, divertita.
-muovetevi, siete in ritardo- dichiara alla fine, voltandosi e sedendosi sul primo letto che capita, quello di James.
Mi siedo accanto a lei, guardando i miei due migliori amici affaccendarsi a prendere le ultime cose, dirigendosi poi a passo spedito verso la porta.
-e poi siamo noi donne quelle che ci mettono un’eternità a prepararsi- commenta rivolta a me con un delizioso sorriso.
-beh, sono più o meno in orario- le rispondo adocchiando l’orologio sveglia di James a forma di pluffa –in ritardo solo di cinque minuti.
Lei inarca un sopracciglio, poi sorride con aria saputa.
-tre- ribatte sollevando tre dita, poi ne abbassa uno –due, uno…-
La porta si spalanca e un Remus dall’aria scocciata oltrepassa la soglia velocemente, fiondandosi sul suo letto. Alla fine, ne viene fuori con un paio di scarpe.
Con un sorriso divertito lo osservo mettere da parte le pantofole a orsetto e infilarsi con aria stizzita le scarpe da cerimonia tirate a lucido per l’occasione.
-buona fortuna - gli dico quando torna verso la porta, questa volta con aria più risoluta.
-grazie- ribatte tetro prima di scendere.
Ridacchio.

 

***


Guardo Remus uscire dalla camera e sbattersi la porta alle spalle.
-quindi tu cosa…-
Sirius non ha nemmeno il tempo di iniziare la frase che ecco la porta torna ad aprirsi di nuovo.
Remus entra questa volta decisamente furioso.
-cosa ti sei…?-.
-la bacchetta, Sir- risponde senza nemmeno guardare verso di noi, gli occhi puntati sul comodino. Alla fine, dopo averla afferrata, si rivolge ancora verso la porta.
-in bocca al lupo- gli augura Sirius sorridendo divertito.
Remus si ferma e ringhia in risposta.
-crepa, Black- esclama alla fine riprendendo a camminare.
Sirius inizia a ridere sguaiatamente, e solo dopo qualche istante riesce a trattenersi, lasciandosi crollare sul letto di James.
Lo sguardo, per un attimo, con le palpebre abbassate e i capelli scuri ed elegantemente disordinati sparpagliati sulla trapunta porpora.
Inclino il capo, continuando a guardarlo.
Lui di tanto in tanto sghignazza, divertito dalla situazione, sempre con gli occhi chiusi, sembrerebbe quasi addormentato se non sbuffasse sprazzi di risa ad intervalli irregolari.
-erano molto in ansia, vero?- chiedo per lenire il desiderio di toccargli il volto che mi fa prudere le mani.
Lui apre a malapena un occhio, e mi guarda intensamente.
-Remus da giorni non è più se stesso. Credo che il dilemma del farfallino fosse troppo pure per lui- scherza tornando a chiudere l’occhio.
-anche Emme era molto agitata, continuava a dire che il vestito la ingrassava e non valeva la pena, che sarebbe stata più elegante in pigiama e cose così-.
Lui ridacchia.
-non riesco proprio ad immaginarmela, la Vance in preda al panico da pre-appuntamento- ride ancora.
Rido anche io, scuotendo il capo.
E alla fine lo faccio davvero, allungo la mano e lentamente, come fosse di porcellana, gli sfioro il volto avvenente. Sento il suo respiro bloccarsi, e credo sia l’istinto quella forza che lo spinge a voltare il viso fino a schiacciarlo di più sul palmo aperto della mia mano.
Per un po’ restiamo così, io con la mano tesa verso di lui, lui con il viso posato tra le mie dita, talmente intenti a cercarci da non fare caso più a nulla.

 

***


Mi butto sul letto non appena Remus esce, sbattendosi la porta alle spalle.
Chiudo gli occhi lasciando che la luce soffusa della stanza disegni arabeschi oltre le mie palpebre, cercando di concentrarmi su qualsiasi cosa non sia il calore del corpo di Marlene accanto a me.
-erano molto in ansia, vero?- mi chiede con voce morbida.
Sollevo una palpebra per guardarla, e nolente mi concentro sul suo profilo pulito rischiarato dalla luce calda della lampada. È così bella, con i capelli sciolti sulle spalle e gli occhi scuri come ossidiana incastonata nel marmo, così bella che per un attimo non sembra nemmeno vera, e devo fare uno sforzo per capire che lei è veramente qui, vicino a me, talmente vicina che potrei toccarla, se solo lo volessi.
E per volere, lo voglio.
Lo voglio così tanto che mi tocca chiudere a pungo la mano destra per sovrastare questo desiderio insensato.
-Remus da giorni non è più se stesso. Credo che il dilemma del farfallino fosse troppo pure per lui- rispondo alla fine. Mi accorgo che non riesco a distogliere lo sguardo, è troppo bella e troppo vera insieme perché io possa guardare qualcos’altro. Perché non c’è nient’altro, nella stanza, che regga il confronto.
Allora mi obbligo a richiudere quell’unico occhio aperto che mi sono concesso, quell’unica finestra che avevo sul mondo.
-anche Emme era molto agitata, continuava a dire che il vestito la ingrassava e non valeva la pena, che sarebbe stata più elegante in pigiama e cose così-.
Ridacchio. Non me la immagino proprio, la Vance in ansia.
E in mancanza di altro da dire, dico quello, pur risultando forse banale.
Non la sento più, non mi risponde.
Forse è stato davvero banale.
Poi la sento, dapprima esitante, poi leggermente più sicura, mi sfiora lo zigomo in un tocco talmente dolce da farmi desiderare di rinnegare qualsiasi cosa, purchè non smetta mai.
L’istinto, forse, o l’egoismo, più probabilmente, mi spinge il viso verso quel palmo caldo e profumato, che non sa di rosa o di vaniglia, ma semplicemente di lei, di quel profumo che ho sentito troppe volte e che ogni singola volta mi ha inebriato come il miglior idromele.
È caldo come un fuoco in una notte di tormenta e una zaffata d’aria fresca al contempo, è chiaro come la luce ma confortante come il buio dei suoi occhi.
Per un attimo stiamo così, e quasi spero di trattenere quest’attimo di eternità che cerca di sgusciare via, bloccato tra il mio zigomo e i suoi polpastrelli.
-molto carini, davvero, potevate dirmelo che volevate restare soli- esclama ad un certo punto Frank –non c’era bisogno di farmi sentire di troppo, comunque-.
Lène schizza via dal letto alla velocità della luce, e si mette accanto alla finestra, volgendomi le spalle.
Io apro gli occhi in tempo per vedere Frank lasciare la stanza.
Maledetto Paciock!

 

***


La porta del dormitorio maschile di grifondoro si richiude dietro alle spalle di Frank, lasciandomi adesso veramente sola nella stanza insieme a Sirius.
Veramente sola.
Sono una stupida, mi ero davvero dimenticata che Frank Paciock era steso a leggere sul suo letto?
Idiota.
Voltata verso la finestra osservo nervosamente il riflesso sui vetri, che rispecchia una stanza in penombra ed in pieno disordine e, seduto sul letto, un ragazzo con le mani tra i capelli e gli occhi chiusi per l’ennesima volta.
-credo che…- sobbalzo al suono stesso della mia voce, troppo acuta e flebile, certo non fissa come mi piacerebbe che fosse –ci vediamo domani-.

 

***


-resta ti prego- esclamo prima ancora di riuscire a bloccarmi.
Marlene, la cui figura ha quasi raggiunto la soglia, si ferma con una mano protesa verso la porta, forse indecisa se voltarsi verso di me o meno.
Alla fine si gira e mi guarda con quei suoi occhi talmente scuri e intensi da sembrare pezzi di carbone incastonati in alabastro.
-scusa?- è di nuovo poco più che un sussurro.
-non volevo metterti in imbarazzo- la rassicuro pur non sapendo, esattamente, per quale motivo io mi stia scusando. Alla fine, mica ho fatto tutto da solo.
E poi, che ho fatto di preciso?
Forse anche lei si sta ponendo le stesse domande, però alla fine la vedo annuire e distendere il volto in un sorrisetto, rimanendo ferma al proprio posto forse non sapendo esattamente cosa fare.
E forse anche io non aiuto, continuando a guardarla in risposta con lo sguardo vacuo.
C’è talmente silenzio, nella stanza, che quasi riesco a sentire i grilli frinire.
-hai finito il compito di pozioni?-.
-pensavo che tu e James faceste parte del Lumaclub-.
Le due frasi, tese a spezzare il silenzio e la tensione, sono uscite quasi in contemporanea.
Ridacchio, osservandola fare lo stesso.
-prima le donne- le faccio cenno con la mano, tipo inchino elegante, segnalandole con un  cenno il mio letto quasi in ordine davanti a me. Io, sul letto di James, mi metto più comodo.
-no, non l’ho ancora finito- mi dice alla fine dopo essersi seduta, piuttosto rigidamente, sulla mia trapunta un poco sfatta –tu?-.
-certo- rispondo  con un sorriso –e comunque no, niente Lumaclub per il sottoscritto… nemmeno per James, in realtà, è che è stato invitato da Lils per stasera-.
Lei annuisce.
-torni a casa per le vacanze?- mi chiede sempre rigida come un bastone.
Assecondando un istinto che non so bene da dove parta allungo la mano tra il mio posto e il suo, lasciando penzolare il braccio nel vuoto.
Ed è proprio questo che mi sembra, un salto nel vuoto.
-sai- parlo prima di potermene pentire –è più facile sentirsi a proprio agio quando si è a contatto diretto-.
Lentamente, guardandomi negli occhi, allunga la mano titubante, fino a portare il palmo della mano sul mio dorso.
Restiamo così per un po’, in silenzio, tranquillamente, lasciando che il mio respiro si fonda nel suo, a dividerci mezzo metro di corridoietto tra un letto e l’altro, in poche parole molto meno di quanto non ci abbia diviso in questi ultimi mesi.
-sai, non sono molte le volte in cui ci parliamo senza urlarci contro- sussurra dopo qualche istante, o forse dopo qualche ora.
-in genere, non per essere pignolo e fare il Remus Lupin della situazione, ma di solito sei tu che urli- puntualizzo vagamente divertito.
-Black, tra i due qualcuno dovrà fare la parte di quella responsabile- mi risponde ugualmente divertita –tu fai i casini, io cerco di rimetterli a posto-.
Adesso tocca a me ridere.
-no, io faccio i casini, tu urli e Lily li mette a posto- le faccio presente.
Sorride, mi guarda negli occhi e tace.
Ma è il silenzio più espressivo in cui io sia mai incappato.
È buio come i suoi occhi, ma chiaro come la luce che splende in essi.

 

***


Lo guardo, la guancia appoggiata alla trapunta porpora che ancora, dal mattino, porta il suo profumo, le dita intrecciate alle sue e il respiro inspiegabilmente corto.
-Sir, faresti una cosa per me?- gli chiedo alla fine, presa da un bisogno estemporaneo che fino ad oggi non ho minimamente calcolato.
-quello che vuoi- mi risponde.
Lo fa con un tono, e con uno sguardo, che per un attimo mi secca la gola.
E penso che se anche per mille volte, a mille ragazze diverse, ha detto la stessa frase, negli occhi ha una luce che sembra dire “io ci credo davvero”.
E io? Io ci credo?

 

***


-quello che vuoi- le rispondo, e non c’è velocità, nel mio tono, solo convinzione.
Mi chiedo se il suo sguardo di adesso sia lo stesso che ha convinto decine di ragazzi prima di me, lo stesso che li ha attirati senza false promesse ma solo forti speranze.
Mi guarda, adesso, con un sorriso piccolo e vero sulle labbra ben disegnate.
-sai che giorno è dopodomani?- mi domanda.
È questo il favore che devo farle?
Dirle che giorno è dopodomani?
-il ventitré- rispondo sicuro.
Lei annuisce.
Allora annuisco anche io.
-e così alla fine è arrivato- sussurro piano.
-puntuale come il tisco, direbbero i babbani- mi risponde cercando, in qualche modo, di fare del sarcasmo.
Ironica anche quando posso vedere, chiare come stelle, lacrime inespresse brillare nei suoi occhi.
-Marlene, cosa farai?- le chiedo alla fine, curioso.
Non più arrabbiato, deluso, irritato.
Solo curioso. Perché la curiosità è, credo, l’unica cosa che ora proprio non mi può ferire.
-non lo so- mi risponde sincera –so poche cose, e tre queste non c’è quello che farò. So quello che vorrei fare, ma non so cosa farò-.
-fai quello che vuoi fare, Lène- le dico allora, ghignando piano –sei troppo giovane e troppo bella per ripiegare adesso. Sei troppo preziosa, per troppe persone-.
-Regulus si farà marchiare- dice allora.
-si- annuisco io, stringendo i denti.
-non ci sarebbe più concesso di avere contatti- continua, come se stesse facendo l’inventario della dispensa.
-probabile-.
Silenzio.
-Regulus si farà marchiare- mormora ancora.
-non ci sarebbe più concesso avere contatti- le rispondo io.
Forse sono egoista, o meglio, sono egoista senza il forse, ma non ce la faccio a lasciarla andare così.
-Regulus si farà marchiare, Sir- esclama allora lei, come a sottolineare qualcosa di poco chiaro.
-Regulus vuole farsi marchiare- ribatto allora io, duro.
Perché è fondamentale, che questo lei lo capisca.
Non c’è nessuno che lo obbliga.
Mia madre? Si può scavalcare, io l’ho fatto.
Voldemort? Si può morire per un ideale, molti lo fanno.
-e questo ci da il diritto di lasciarlo solo?- questa volta si agita, a queste parole il suo viso prende un po’ di colore e lei si alza dal letto, impuntandosi come una bambina.
Ma non è una bambina, quella davanti a me, è Marlene McKinnon, alle prese con un discorso che forse avremmo dovuto fare mesi fa, ma per cui entrambi eravamo ancora troppo immaturi.
E adesso?
Cosa dovrebbe averci fatto crescere così, all’improvviso?
-questo ci da il diritto di pensare a noi, Lène!- le rispondo calmo, gentile, come raramente so essere.
-e da quando in qua c’è un noi?-.
Da quando ho capito che non mi basta più essere solo io.

 

***


-e da quando in qua c’è un noi?-.
La domanda mi è uscita prima che io potessi controllare parola per parola ogni singolo fiato.
Ma in fondo, è vero.
Da quando in qua c’è un noi?
Lui non mi risponde, tutto quello che fa è limitarsi a guardarmi.
-quale era il favore che volevi chiedermi?- mi domanda alla fine, guardandomi negli occhi tristemente.
-ho bisogno di te, vorrei che tu mi accompagnassi, dopodomani-.
Ecco, l’ho detto.
Non mi è mai venuto in mente, fino ad ora, non ho mai pensato ad una richiesta del genere, ma c’è, ed è importante darle voce finché mi ronza nella testa. Fino al momento in cui non mi sembrerà una richiesta stupida.
-mi stai chiedendo di accompagnarti a firmare il contratto di fidanzamento con mio fratello?- mi chiede scettico.
-ti sto dicendo che ho bisogno di qualcuno che mi accompagni, e di volere te, al mio fianco, quel giorno-.
Ecco, ora sembra una cosa stupida.
Eppure non ci posso mica fare niente, se suona stupido, non posso mica rimangiarmi ogni parola.
-perché?-.
Non sembra avvilito, sembra solo curioso.
-perché?!- domando interdetta.
-perché io?- chiede più chiaramente –perché vuoi che io ti accompagni dal tuo fidanzato. Perché non Lily, o Mary-.
Sospiro.
-non è il mio fidanzato. Ti ho già detto che non so cosa farò. Voglio te per un motivo- gli dico allora –voglio te perché se io devo capire che Regulus vuole farsi marchiare almeno quanto vogliono marchiarlo, tu devi capire che è anche un po’ colpa nostra se tutto questo sta succedendo. Colpa nostra, mia e tua. Reg non è forte come te, non è sicuro come te, sei tu che lo hai lasciato a cuocere nel suo brodo, gli hai lasciato la vita che non gli spettava, il titolo che non gli spettava-.
Si irrigidisce alle mie parole. Si alza dal letto e mi si avvicina, ora siamo entrambi accanto alla porta, io con le spalle rivolte verso il legno e lui sempre più vicino.
-stai dicendo che sono scappato?-.
-sto dicendo che hai fatto una scelta, e che non sei stato l’unico a subirne le conseguenze. E ti sto dicendo che è colpa mia perché non ho creduto in lui, perché un carattere non è scritto in un nome, ma nelle persone che ti circondano e ti amano. E noi, questo, non lo abbiamo fatto-.
Ormai è talmente vicino che nei suoi occhi freddi come il ghiaccio posso contare le pagliuzze dure come il ferro.
È bello, e scuro, come la notte.
-siamo soli in camera, McKinnon, è la paura di me che ti fa tremare?- mi chiede di punto in bianco, abbandonando le riflessioni precedenti, le labbra a pochi centimetri dalle mie che soffiano sussurri di fiato caldo sul mio viso.
Sto tremando?
Sto tremando.
-credi sia la paura, Black, a farmi tremare? - gli sussurro in risposta, sfiorandogli il naso con la punta del mio.
Ho baciato solo due altre volte Sirius Black ed entrambi i baci sono stati più battaglie che vere e proprie schermaglie d’affetto.
-Black?- mormoro quando sento le sue dita toccarmi una spalla.
-McKinnon?- domanda forse divertito.
-potrebbe essere dolce, questa volta?- domando scioccamente.
Ridacchia, le labbra ormai sulle mie.
Ho baciato solo due altre volte Sirius Black:
la prima volta lo feci io, il famoso primo passo, e fu una delle alternative alla cruciatus. La prima che mi venne in mente, per l’esattezza;
la seconda volta fu lui, a fare il passo, e fu per zittirmi bruscamente.
Nessuna delle uniche due volte fu spiacevole. Anzi.
Ma si sa, non c’è il due senza il tre.
Dolcezza non è abbastanza, per descrivere questo bacio. Un bacio che aspetta, nel momento stesso in cui si posa, trascinandosi nella sua attesa tutte le cose non dette che verranno dimenticate non appena ognuno tornerà bene al chiuso nella sua mente.
Un bacio che ha aspettato e si consuma lentamente nelle braci di un respiro affannato, di un gemito soffocato.
Poi solo un bacio non basta più. Non per noi, che tutto abbiamo avuto, quando solo Sirius e Marlene si parlavano a malapena.
Non per Noi, quel noi che lui ha messo insieme, nella stessa frase, poco fa.
Non basta, un semplice bacio, a sedare una guerra iniziata mesi fa.
Una guerra che ha ferito solo noi, ma che ci ha fatto un male del diavolo.
Uno dopo l’altro, i baci che scendono sul collo mi fanno rabbrividire, le sue labbra seguono il mio profilo fino alla clavicola, leggermente sporgente, le sue dita oltre la camicetta, oltre il primo bottoncino scuro, oltre il secondo.
La pelle fredda delle sue mani a contatto con la pelle più calda, naturalmente calda, della curva del mio collo, mentre avverto il suo desiderio fare a gare con il mio, come a voler scappare dalle nostre labbra ora ancora unite, di nuovo.
Perché si sa, non c’è il due senza il tre, ma il quattro vien da se.
-sarà dolce- mi sussurra all’orecchio, la mano calda ora stretta attorno al mio fianco nudo.
Dolce.

 

***


-verrò con te, dopodomani- sussurro con il viso tra i suoi capelli.
La luce soffusa nella stanza persiste, illuminando ora le sua braccia nude nella stessa limpida chiarezza con cui solo due ore fa aveva illuminato il suo profilo.
Pulita, è questo che è.
E fantastica. E terribilmente dolce. E bella, di quella bellezza che hanno le cose irraggiungibili, come le cime delle montagne avvolte dalla nebbia e dalla foschia.
Le sue gambe, che toccano le mie e ad esse si incrociano in una lotta silenziosa ma non per questo meno avvincente, si fermano per un attimo, fremendo.
Sento, più che vedere, i suoi occhi brillare. E il suo sorriso risplendere.
-grazie- mi risponde accoccolandosi vicino a me, più stretta sotto le lenzuola.

 



NOTE:
Con questo capitolo cambio il titolo alla storia, “A testa alta” voleva infatti essere solo un titolo provvisorio e “L’amore ai tempi del caos” mi piace di più, oltre ad essere il titolo di una splendida canzone dei Modena, magari la conoscete.
Con questo, ringrazio chi ha recensito e avverto che molto probabilmente scriverò una One-Shot di approfondimento su questo capitolo… se vi interessa, quando la posterò vi avviserò!
Spero il capitolo vi piaccia, e informo che il prossimo parlerà della festa di Lumacorno vissuta dalle due coppie invitate…
Al prossimo capitolo, spero vi piaccia questo!
Buona lettura,
Hir

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Capitolo 36
*** Inviti ***


LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
MARY
EMMELINE
REMUS
ALICE
FRANK
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
Hogwarts, 18 dicembre 1977
Cara mamma,
mi dispiace informare tutti voi che non ci sarò, per Natale, sono bloccata in infermeria a causa di una malattia.
Non ti preoccupare, non è niente di grave, si chiama spruzzolosi ed è solo altamente infettiva per le prime due settimane di malattia. Davvero, dì anche a papà di non preoccuparsi, giacchè se escludiamo il cerchio alla testa e la febbre sto benissimo.
Vi manderò i miei regali con un gufo, fate gli auguri a Petunia per il matrimonio da parte mia.
 
Con tantissimo affetto,
la vostra Lils
 

 
Io odio molte cose.
Odio essere presa in giro, odio le mie amiche quando mi mettono in imbarazzo, fino a qualche tempo fa odiavo James Potter, ultimamente odio l’infermeria di Hogwarts, dal momento che ci finisco dentro un giorno si e l’altro pure, odio i serpeverde, soprattutto quelli più accaniti, vedi Mulciber e allegra banda, odio dover leggere sul giornale, ogni mattina, notizie di morti babbane di cui quasi non interessa niente a nessuno, odio Lord Voldemort, odio di tanto in tanto questi due mondi che non riescono ad accettarmi completamente.
Ma più di tutto, odio dover mentire alla mia famiglia, odio doverlo fare con il sorriso, odio che sia la mia stessa famiglia ad obbligarmi a farlo.
Petunia mi ha chiesto mesi fa di non tornare per natale, eppure…
Forse sono una stupida a sperare, invano, che tutta questa situazione un giorno o l’altro si risolva.
Anche adesso, guardando questa lettera, mi odio per il tono freddo e scostante con cui l’ho scritta, per le uniche parole sincere del commiato, per la mia arrendevolezza.
Mi odio perché non voglio piangere per colpa di Petunia, anche se sento gli occhi pungere, perché voglio odiarla come lei odia me, e invece mi ritrovo a sperare che nel segreto del suo cuore alberghi ancora un po’ di quel sentimento fraterno che invade il mio, dolce e amaro nella morsa del dolore.
Non puoi smettere di amare a comando, neanche se la persona che ami ti pesta il cuore sistematicamente ogni due per tre riducendolo in brodaglia.
Non puoi smettere di amare a comando soprattutto se la persona che ami è stata la tua migliore amica, la prima persona di cui ti sei fidata in questo mondo.
Non puoi smettere di amare a comando se in fondo al cuore continui a sperare che ritorni ad essere quello che era.
Mi porto una mano al volto, alle tempie, pregando tutta me stessa di non lasciarsi vincere dalle lacrime.
Sigillo la lettera con un colpo di bacchetta piuttosto furioso, soffocando un singhiozzo nella sciarpa e richiamando un gufo con un gesto del braccio.
Maledetta Petunia. Maledetta io.
Mi chiedo cosa succederebbe se io morissi, se questa guerra assurda e insensata mi reclamasse… probabilmente Petunia farebbe finta di non aver mai avuto una sorella.
Traccio con mano sicura il nome di mia madre, lego la lettera ad una delle zampe del gufo e lo guardo spiccare il volo, in alto contro il cielo nuvoloso e scuro, in cui si perde dopo appena qualche secondo.
Vorrei poterlo fare anche io, senza scopa, senza pensieri.
Volare senza niente che mi leghi alla terra, con la speranza di una meta legata alla mente.
Un posto dove andare, un posto in cui essere, finalmente, a casa.

 

 ***

 
-ehi, Emme, mi dai una mano con Pozioni?-.
Sospiro.
-pozioni è per domani, Mary!- esclamo stizzita guardando l’orologio –sono le dieci, si può sapere che avevi da fare prima!?-.
Mary mi guarda con aria biricchina.
-ho visto Paul, e il tempo è volato- si scusa.
-Paul è a otto piani di differenza da noi, Mary, puoi vederlo quando vuoi, possibile che tu non riesca proprio a metterti in testa “prima il dovere e poi il piacere”?-.
-ma che piacere è se non me lo concedo quando voglio?- mi fa notare lei –e poi, che ti è successo, sembri avere un tranello del diavolo per capello ultimamente!-.
Sbuffo.
In effetti ha ragione, oggi non sono particolarmente di buon umore.
E nemmeno ieri lo ero.
E forse anche l’altro ieri ero un po’ scostante.
E forse anche…
Vabbè, diciamocela chiara: sono così dalla partita di quidditch.
E la colpa? Di Remus John Lupin.
Possibile che noi due facciamo un passo avanti e tre indietro!?
Da dopo la partita non mi considera più, anzi, sono quasi certa che mi stia evitando almeno quanto lo sto evitando io.
Uff, io non sono per niente esperta in questi giochetti! Quando lo vedo gli rivolgo poco meno che un saluto, ma è ovvio, lui a stento mi guarda!
Non lo sopporto, proprio odioso in questo periodo.
Ok, lo ammetto, lo penso costantemente, ma questo non vuol mica dire niente!
Se lui ha deciso di evitarmi, allora non vedo perché dovrei andarlo a cercare io. Non si è mai sentito che Emmeline Vance corra dietro ad un ragazzo…
…certo, non si è mai sentito perché l’unico ragazzo che mi sia mai piaciuto è Remus, ma possiamo anche sorvolare tali inutili particolari.
-e guarda qual è il risultato di tanto piacere?- le faccio notare irritata –ti ritrovi con un tema di cinquanta centimetri da fare e pochissimo tempo per farlo. Sei un incosciente, Mary Abigail McDonald, davvero non te la meriti un’amica come me!-.
-questo vuol dire che mi farai copiare il tema?- mi chiede speranzosa, distraendosi un attimo guardando alle mie spalle. La vedo fare una faccia sorpresa, poi un sorrisetto malizioso –guarda guarda, bel tenebroso a ore dodici!-.
Mi volto, e capisco chi è il bel tenebroso di cui sta parlando.
A dire la verità, più che tenebroso è solo timido, secondo il mio modesto parere.
-ciao Mary, posso parlare un attimino con Emmeline?-.
Devo fare uno sforzo per mantenere al suo posto la mia mandibola.
Come si permette di arrivare tutto tronfio e spedire la mia migliore amica da qualche altra parte con il pretesto di parlarmi dopo avermi ignorato per giorni?
-prego?- chiedo appena riesco a ritrovare un po’ di voce.
-certo, non ti preoccupare, guarda, devo giusto chiedere una cosa a Frank sugli allenamenti, torno dopo- esclama giuliva Mary McDonald abbandonandomi al mio destino su quella poltrona.
Maledetta McDonald!
Vatti a fidare delle amiche!
Osservo Remus sedersi nel posto lasciato libero da Mary e guardarmi, un po’ a disagio. Io sono imbarazzata, e un po’ arrabbiata. Lo ammetto, sono anche segretamente deliziata.
Alla fine è venuto a cercarmi!
Ovviamente però non glielo farei mai capire.
-come stai, Remus?- chiedo tornando a guardare il libro che stringo tra le mani.
Remus mi guarda, con un sorriso sulle labbra.
Merlino, come fa a sembrare sempre così dolce?
Che faccia di bronzo!

 

 ***

 
Merlino, come fa ad essere sempre così bella?
Che splendido viso!
E la cosa peggiore, è che lei nemmeno se ne accorge.
Sembra piuttosto gelida, adesso, nel domandarmi come sto.
Possibile che noi due si faccia sempre un passo avanti e tre indietro?
Incredibile!
Sirius dice che se non mi muovo Emmeline se la prenderà qualcun altro, e lei capirà che non valgo un soldo bucato…
…certo, ha un bel dire, Sirius Black, innamorato della promessa sposa di suo fratello!
Io per fortuna un fratello non ce l’ho.
Sospiro e mi faccio forza, devo chiederglielo.
Devo.
Insomma, l’ho già fatto una volta, posso replicare senza problemi!
E se lei non accettasse? E se preferisse uscire con Mulciber che con me?
Uff, io…
…oh, all’aria i miei castelli mentali.
Buttati, Remus.
Buttati.
Apro la bocca.
-bene, grazie… senti Emmel…-
-Emmeline! Grazie al cielo ti ho trovato!- esclama Lène entrando dal buco del ritratto e fiondandosi su Emm. La ragazza, lentamente, alza gli occhi dal libro fissando dal basso una delle sue migliori amiche.
-cosa è successo, Lène?-.
-devo finire il compito di erbologia, non è che potresti…-
-Merlino, Lène! Erbologia è per domani alla prima ora, ma perché fra tutte non vi svegliate prima?- domanda stizzita.
Strano.
Non ho mai sentito Emmeline Vance rispondere male a qualcuno di proposito.
-ti prego, Emmeline, ti prego ti prego!- le sussurra Lène inchinandosi –guarda, se lo fai giuro che ti presto per una settimana intera il maglione azzurro cielo che tengo sempre in baule! Sta bene con i tuoi capelli e…-
-per forza, è il mio il maglione azzurro cielo- risponde ancora, irritata, sporgendosi verso la borsa.
-ti compro una fornitura a vita di api frizzole!-.
Vedo Emmeline fermarsi, sul viso un sorrisetto.
Lo sapevo che doveva avercelo, un punto debole, la bella Emmeline!
Api frizzole. Mi segno mentalmente la cosa, si sa mai.
-uff, va bene, ma che sia chiaro, è l’ultima volta!-.
Estasiata, Marlene afferra il compito con la faccia di una bambina felice, nascondendolo nella sua borsa prima che Emmeline possa cambiare idea, e dandosi alla fuga verso il dormitorio.
-…e ricordati di cambiare le frasi!- le urla dietro Emme, sbuffando e alzando gli occhi al cielo.
La sento distintamente borbottare qualcosa riguardo a delle “purosangue viziate, pigre e indolenti, senza un minimo di rispetto”.
-stavi dicendo?- mi chiede, e questa volta ha un sorrisetto lievemente più caldo, e un tono sicuramente meno gelido.
-si, sei a conoscenza della festa di natale di Lumacorno?- le chiedo un po’ teso. Lei annuisce, compita come solo lei sa essere. Le farfalle nel mio stomaco hanno iniziato a ballare la salsa. Merlino, e se dice di no? –mi chiedevo se tu…-
-Emm, giusto te cercavo!-.
Alzo gli occhi al cielo quando Alice Prewett, un sorrisone a trentadue denti stampato in viso, ci raggiunge sistemandosi accanto ad Emmeline.
Lei sospira.
-che c’è, Alice?- le chiede in tono rassegnato.
-senti, non so se hai presente ma… sai, oggi pomeriggio al circolo delle gobbiglie, e poi ho dovuto fare Pozioni ed è stato difficilissimo, ho pure dovuto cercare Lumacorno per chiedergli il permesso per la sezione proibita, perché insomma, non è facile la ricerca sull’amortentia, e lui ha detto di non volere cose banali e…-
-Alice, avrà una fine questo tuo blaterare? Sai, io e Remus stavamo parlando- le fa notare Emmeline, vagamente divertita e vagamente rassegnata.
Alice mi vede solo adesso, e con un sorriso la saluto con le mani.
-oh, ciao, Rem- mi saluta presa totalmente alla sprovvista –si, scusate, volevo solo chiedere a Emmeline se per caso mi può far dare un’occhiata ai suoi compiti di Divinazione e…-
-Merlino, Alice, perché diavolo non li hai fatti prima? Possibile che vi dobbiate tutte ridurre all’ultimo secondo?-.
Alice la guarda con occhi da cane bastonato, al ché Emmeline si impietosisce e si sporge verso la borsa.
-cambia qualche previsione, così, tanto per non far vedere che hai sfacciatamente copiato- le ricorda con un sorriso amabile.
-oh, Emm, ricordami di farti una statua, un dipinto, un monumento, un conto aperto alla Gringott pieno di soldi, un…-
-per ora mi basta che mi lasci finire il mio discorso con Rem, Alice- le dice divertita, indicandomi di nuovo.
Alice si gira ancora, sempre stupita, e annuisce.
-si, hai ragione, io sono decisamente di troppo- saluta alla fine, dileguandosi verso i dormitori.
Sorrido anche io, e sono contento questa volta di trovare una Emmeline Vance decisamente più sciolta, e forse più accomodante.
Ha addirittura detto di voler parlare con me!
-dicevi?- mi chiede per quella che mi pare la diciassettesima volta nel giro di dieci minuti.
-si, dunque, hai presente la festa di Lumacorno?- le chiedo ancora –beh, io pensavo che potremmo…-
-Emmeline, meno male che ti ho trovata, pensavo di dover girare per tutto il castello per…-.
Eh no, ora basta.
-Emmeline, ti va di venire con me alla festa di Lumacorno?-.
Quasi urlo, un po’ irritato.
A tutto c’è un limite, cribbio!
Solo dopo mi accorgo che, in effetti, tutta la sala comune ancora piuttosto affollata ha assistito al mio spettacolo.
Complimenti, Remus Lupin, tu si che sai il significato della parola discrezione!

 

 ***

 
-senti, io penso che potremmo fare così- mi dice Sirius dopo un’accesa discussione –dunque, invitiamo le ragazze e Frank, ognuno porta qualcosa da mangiare, così Emmeline e Lily avranno il pretesto per portare qualcuna delle loro diavolerie babbane, poi possiamo guardare un filt e…-
-credo di chiamino filn, Sir- lo correggo puntiglioso.
-si, vabbè, uno di quelli, un filc, tanto saremo lontani dalla luna piena quindi anche Moony non avrà problemi a stare da noi, potremmo anche invitare tutti a rimanere lì a dormire, fare una specie di pigiama party alla babbana, così festeggiamo l’ultimo giorno dell’anno vecchio, il primo dell’anno nuovo e il mio compleanno… allora, che te ne pare?-.
-fantastico-.
-ovvio, è una mia idea!-.
Stiamo camminando al corridoio del terzo piano dopo essere sgusciati nelle cucine.
Se c’è una cosa di assolutamente splendido nell’essere caposcuola, è il poter andare in giro indisturbato anche dopo il coprifuoco.
Una figura scura ci passa davanti, infilando il corridoio perpendicolare al nostro tranquillamente.
-ehi, tu, lo sai che il coprifuoco è scattato da un’ora?- chiedo bruscamente.
Non mi piace togliere punti ai ragazzi per una cosa stupida come l’uscita oltre il coprifuoco, soprattutto visto che si possono contare sulle dita di una mano le sere in cui non l’ho violato io stesso, nei primi sei anni.
C’è anche da dire che con quello che è successo a Grainne O’Connell e a Lily ed Emmeline, è molto più pericoloso andarsene in giro indisturbati.
La figura si è fermata e, quando arriviamo a soli pochi metri da lei, si volta e ci mostra il volto.
-grazie, James, lo so che il coprifuoco è scattato da un’ora- mi risponde Lily con un sorriso tirato.
-Lils!- le dico raggiungendola. Sento Sirius aumentare il passo per raggiungerci.
-ehi, Evans, tutto bene? sembri pallida- le fa notare pignolo e sgarbato come sempre.
Do una gomitata al mio migliore amico, che si limita a sussultare.
Tuttavia non posso non notare i segni evidenti di qualcosa che non va.
Lily ha il viso un po’ tirato dalla stanchezza, è pallida e trema per il freddo.
-sto bene, grazie- mente voltandosi –stavo andando in dormitorio, comunque-.
-non eri a cena- le faccio notare togliendomi la felpa e porgendogliela –metti questa, Lily, tremi dal freddo e a me non serve… e guarda qui! Abbiamo un sacco di cose da mangiare, puoi prenderne qualcuna-.
Per un attimo sembra tentennare, poi indossa la felpa e scuote il capo.
-non ho fame, James, grazie- mi dice.
Sento Sirius sbuffare.
-prendi questo pezzo di torta, Evans- esclama mettendole tra le mani una grossa fetta di dolce al cioccolato –non c’è onore nel morire di fame-.
Lily ridacchia, un po’ più serena.
-e questa dove l’hai sentita, Black?- chiede divertita.
Sirius sorride.
-se te lo dicessi, dovrei ucciderti- le rivela con un luccichio pericoloso nello sguardo.
-ok, adesso basta- mi intrometto tra Lily e Sirius passando un braccio sulle spalle della mia… ragazza?...-Lily, che ci facevi in giro per la scuola?-.
La sento irrigidirsi.
-niente, mandavo una lettera- risponde stizzita.
Una lettera?
-per quattro ore?- le chiede Sirius al posto mio –una lettera moooolto lunga, un papiro, direi-.
Lily, stranamente, non ride.
Anzi, ora che le sono più vicino, noto le guance leggermente arrossate, come se le avesse strofinate più volte.
Inclinando il capo le tocco la tempia con il naso, in un gesto che vuole essere rassicurante.
-ehi, tutto bene?- le domando gentile.
Lei annuisce.
-meraviglioso- mi dice un po’ ironica.
Siamo davanti al ritratto della signora grassa, e lei si volge per dire la parola d’ordine.
-ehi, Evans, a proposito- interviene Sirius per spezzare la tensione –stavamo pensando ad una festa, a casa mia e di James, la sera di capodanno… sei dei nostri? Ci sarà tanta musica, allegria, magari un film e i più fighi della scuola-.
Lily ride.
-vuoi dire che inviterete Anthony Simmons?- chiede beffarda.
Alt.
Chi diavolo è Anthony Simmons?
-ehi, e questo da dove spunta?- le chiedo irritato con un sorrisetto –dimmi subito dove abita, di che casa è e…-
Gli spezzo le ossa, lo giuro.
-tranquillo, James, stavo scherzando- risponde divertita passando nel buco del ritratto. Vedo il sorriso svanire, e mentre si rivolge a Sirius si fa anche più distaccata –mi dispiace, Black, ma non ci sarò-.
-come?- chiediamo in coro io e Sirius –in che senso?-.
-non vorrai mica scappare con Appody Simons o come diavolo si chiama!- esclamo io scioccato.
Lei soffoca un sorriso e ci guarda tristemente.
-passo le vacanze qui a scuola, mia sorella si sposa e non mi vuole tra i piedi- ci dice sospirando.
Ecco il perché di quelle lacrime.
Chissà perché, io questa sorella non la sopporto proprio.
Non facciamo nemmeno in tempo a rispondere, io e Sirius, che subito Lily si gira e si dirige verso Emmeline e Remus, seduti in poltrona e intenti a parlare.
-Emmeline, meno male che ti ho trovata, pensavo di dover girare per tutto il castello per…-.
La voce di Lily viene interrotta da Remus che sbotta irritato in modo piuttosto brusco.
-Emmeline, ti va di venire con me alla festa di Lumacorno?-.
Nella sala cala il silenzio.
Io osservo la scena con sguardo critico:
Lily si è fermata scettica, Emmeline guarda Remus divertita arrossendo furiosamente come un peperone e Remus, dapprima piuttosto alterato, sembra farsi piccolo piccolo al centro della sala.
Sirius, accanto a me, scoppia in una risata simile ad un latrato e, avvicinandosi a Remus, gli batte una mano su una spalla.
-ehi, amico- esclama sinceramente divertito –puoi contare sull’effetto sorpresa una volta, quando urli in una stanza piena di gente ad una ragazza se vuole uscire con te, ma dalla seconda volta inizia ad essere banale. Trovati un altro metodo!-.
Perché sia Remus che Emmeline sono scoppiati a ridere?

 

 ***

 
Godric’s Hollow, 20 dicembre 1977
 
Cara Lily,
spero con la presente di trovarti in buona salute,
soprattutto perché sia Sirius che soprattutto James mi hanno raccontato della tua disavventura con la scopa.
Spero davvero, quindi, che tu sia uscita dall’infermeria e tu sia tutta intera. Purtroppo conosco molto bene i metodi di gioco dei serpeverde, essendo stata nella loro squadra ad Hogwarts, e nessuno meglio di me sa quanto possano essere scorretti.

 
Merlino, lei una serpeverde? Non me lo sarei mai aspettato.
Allora è vero che non tutti i serpeverde sono tipici serpeverdi.

 
Comunque, tornando a noi, volevo parlarti un attimino con calma ed ho pensato che scriverti fosse una buona idea. Ovviamente mi scuso nel caso questa lettera giungesse malaccetta, ma spero di tutto cuore che avrai cura di riflettere sulla nostra proposta.
Sirius e James, credo te lo abbiano detto, hanno intenzione di fare una piccola festicciola a casa nostra per la notte di capodanno, in cui tra l’altro si festeggerebbe il compleanno di Sirius.
Dal momento che a loro farebbe estremamente piacere la tua presenza, che sarebbe resa impossibile dalla tua permanenza ad Hogwarts, vorrei invitarti a trascorrere le vacanze a casa nostra. Questo sarebbe anche il desiderio di Charlus, che si unisce a me nell’invito.
Spero vivamente in una tua risposta positiva, saremmo davvero contenti di averti con noi a natale.
 
Con affetto,
Dorea Potter
 
P.S. non ti devi preoccupare, cara, di James e Sirius. Non ti lascerei mai passare da sola le settimane di vacanza con Sirius e James, credo sarebbero capaci di far scappare la pazienza ad un santo. Per questo, come certo saprai, ti dico che a pochi isolati da casa nostra abitano i McDonald, la cui figlia è credo una delle tue migliori amiche.
 
Con affetto,
Doree

 
Il gufo è arrivato, con la posta del mattino, mi ha lasciato la lettera e si è accomodato su una sporgenza nelle finestre aspettando la mia risposta.
Risposta che darei, se non fossi ancora impegnata a leggere la lettera con la mandibola ad altezza del terreno. E con tanto d’occhi, si intende.
Dorea Potter mi ha veramente appena invitato a passare le vacanze a casa sua?
Alzo gli occhi su James e Sirius accanto a me che, ignari e ancora piuttosto addormentati, sono impegnati a pucciare tozzi di pane e marmellata nel loro latte mattutino.
Possibile che proprio loro abbiano chiesto a Dorea di risolvere la situazione?
-ehi, Lily, è una lettera importante quella che hai ricevuto?- mi domanda Mary, seduta davanti a me, che come al solito segue la legge “chi si fa gli affari propri campa cent’anni, chi si fa gli affari degli altri campa meno ma si diverte di più”.
Abbasso la lettera con un sorriso.
-solo le solite notizie da casa- mento fingendo disinteresse.
In realtà, le mie mani fremono dalla voglia di sbattere al muro James Potter e Sirius Black fino a scoprire ogni cosa.
-è zia Doree?- mi chiede Sirius voltandosi verso di me, e portandosi alle labbra la tazza così da ovattare le proprie parole e farle giungere solo a me.
-cosa…?-.
-dille di si, Evans- mi dice con un sorrisetto.
Inarco un sopracciglio, interdetta.
-non vi da fastidio?- gli chiedo in risposta curiosa –che io mi intrometta nella vostra famiglia, voglio dire-.
Noto un guizzo in quegli occhi duri normalmente come l’acciaio.
Ormai inizio a capire, per Sirius Black la famiglia Potter è la sua vera casa.
Sirius mi guarda, in modo straordinariamente intenso, poi abbozza un sorrisetto.
-mi darebbe più fastidio dover sopportare le lamentele di James per due settimane- risponde alla fine, burbero e scontroso –e poi, a tutti fa piacere avere un po’ di compagnia a natale-.
Lo guardo con occhi nuovi, questo Sirius Black che non ho mai conosciuto, che non ho mai voluto conoscere, mentre si versa del succo di zucca e riprende a parlare allegramente con James.
Scopro che forse, qualcosa di buono c’è, in questa combriccola di matti che si fa chiamare “malandrini”.


-ok, è tardi, vogliamo muoverci?- strillo isterica nel bel mezzo della stanza, passandomi le mani sulla vita a lisciare il satin grigio che mi avvolge morbidamente il corpo.
È un bel vestito, devo ringraziare Lène di avermelo prestato.
Lo farò quando sarò totalmente in possesso delle mie facoltà mentali, mi appunto.
-Lily, mancano ancora venti minuti all’appuntamento, e devi solo sistemarti i capelli- mi fa notare Lène divertita, assistendo alla scena sdraiata comodamente sul letto.
-me li sistemi tu, visto che parli tanto, e fai qualcosa di utile per una volta in tutta la sera?- le chiedo stizzita e irritata.
In risposta lei si limita a ridere.
-secondo me dovresti lasciarli sciolti, sono così belli!- si intromette Alice intenta ad aggiustare il vestito a Emmeline.
-si, come se a James importasse davvero di come porta i capelli- esclama ridendo Mary –troverebbe Lily sexy anche nel suo pigiama con gli orsacchiotti rosa-.
Le faccio la linguaccia passandomi una mano tra i capelli.
Ma come diavolo fa Emmeline a stare così calma?
A dire la verità, guardandola meglio, mi accorgo che è un poco più pallida del solito, ma vestita di tutto punto di seta azzurra fa la sua figura.
Lène sospira e si alza dal letto.
-vado a dire ai ragazzi di che colore siete vestite, conoscendoli saranno in paranoia, soprattutto James- mormora dirigendosi alla porta con un sorrisetto.
-si, scommetto che è proprio per questo che vai nella camera dei ragazzi- la prende in giro Mary in tono saputo, muovendo le mani tra i miei capelli –per tranquillizzare Remus e James. Ovviamente Sirius non c’entra niente-.
-taci McDonald- la riprende Lène chiudendosi la porta alle spalle e scomparendo dalla nostra vista.
Purtroppo per lei, facciamo tutte in tempo a vedere le gote un pochino rosse.
Merlino, proprio Black doveva capitarle!
Beh, alla fine io dovrei anche stare zitta dal momento che sto per uscire con Potter.
Con Potter!
Per la seconda volta!
-quanto ci scommetti che stanotte non torna?- ci chiede divertita Mary con un sorrisetto.
Alice sospira.

 

***


Remus è tornato per la seconda volta in camera, sbuffando come una ciminiera e inveendo contro non so chi in modo veramente poco carino e adatto alla situazione.
Ridacchio, passandomi un dito tra la gola e il colletto, che chissà perché mi sembra sempre più stretto ogni secondo che passa.
La sala comune è affollata come tutte le sere, accanto alla finestra alcuni ragazzi del terzo anno si divertono a modo loro passandosi una magipalla, accanto al fuoco due o tre ragazze parlano tra loro, disseminate per la stanza varie persone leggono o scrivono, chi seduto in poltrona chi accomodato per terra alla bell’e meglio.
Sento i passi sulle scale del nostro dormitorio, che annunciano l’arrivo di Remus raggiungendomi insieme ai suoi improperi alla volta delle scarpe e della bacchetta.
-tutto a posto, Rem?- gli chiedo divertito –hai mica dimenticato anche la testa, in dormitorio?-.
Lui mi incenerisce con uno sguardo freddo.
-è un ciuffo blu quello che hai sulla testa, Jamie?- mi chiede truce.
Ciuffo blu?
Che storia è questa?
Oddio, mi serve uno specchio.
Subito, adesso.
Devo vedere i ciuffi blu.
È inaccettabile un ciuffo blu.
-blu?- balbetto in panico –dove… come…?-.
-ehi, ragazzi, siete pronti?-.
Mi blocco, trattenendo le imprecazioni e volgendo lo sguardo alla porta del dormitorio femminile, dove una splendida Lily Evans ci sta guardando accanto ad una Emmeline Vance decisamente molto carina.
La gola mi si secca mentre osservo il suo corpo fasciato di grigio, gli occhi verdissimi e grandi, i capelli lasciati ricadere sciolti in morbide onde, con solo qua e là qualche ciocca tirata indietro, per lasciare il viso scoperto.
Sei bellissima, vorrei dirle.
-non ciuffo colpa blu mia- è tutto quello che mi esce.
Remus accanto a me ride appena, intento a fissare Emmeline senza lasciarsi cadere la mandibola, mentre Lily mi guarda interdetta.
Complimenti, James Potter, ordine di merlino prima classe per l’essere più stupido che sia mai esistito!
 

 
 
 
NOTE:
questa è la prima parte di un capitolo piuttosto lungo, spero che vi piaccia. Mi sono divertita a scriverlo, e si svolge quasi interamente prima del capitolo 35.
Grazie per le recensioni, fantastiche, spero mi farete sapere anche cosa pensate di questo capitolo!
Ci vediamo al prossimo,
buona lettura,
Hir!
 

 
 

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Capitolo 37
*** inviti - quando le serate in compagnia di James Potter sono piacevoli ***


LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMMELINE
REMUS
MARY
FRANK
ALICE
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
NOTE 1:
Questo capitolo inizia un po’ dopo rispetto a dove è finito quello prima, ma non vi preoccupate, è giusto così.
 
 
Apro la porta e mi guardo attorno, con un sorriso entusiasta.
Le pareti della stanza sono dipinte di un caldo color crema, il mobilio è semplice e confortevole, la camera grande e ariosa.
Gran parte dell’atmosfera viene data da grandi vetrate che danno sulla strada, coperte da morbide tende di organza color panna.
Al centro della stanza attaccato al muro, imponente e massiccio nel suo legno chiaro, quello che ha l’aria di essere un comodissimo letto a baldacchino dalle colonne intagliate magistralmente troneggia ricoperto di una trapunta morbida che da sul verdino.
Sorrido, la stanza è dorata e verde, quasi fosse l’incontro delle case grifondoro e serpeverde.
Chi avrebbe mai immaginato che due case nemiche da tanto tempo e tanto diverse potessero convivere così armoniosamente?
L’effetto della stanza parla da se. All’interno, infatti, non c’è nulla che stona o arricchisce in maniera stucchevole l’arredamento. È elegante senza essere pacchiana, dolce senza essere mielosa.
-allora, la stanza è di tuo gusto?- mi chiede Dorea Potter entrando dietro di me e guardandomi con un sorriso.
-è splendida, grazie mille signora Potter- la ringrazio di cuore –tutta la vostra casa è molto bella, complimenti-.
Lo dico perché lo penso, oltre che per gentilezza.
La casa dei Potter è veramente fantastica. Ogni stanza un colore, da quel che ho potuto vedere, piena di foto e calore. È una casa che sa di vissuto ma non di consunto, e arredata magnificamente dallo spiccato gusto Black della signora della dimora.
-sei davvero gentile, Lily- mi risponde unendo le mani in grembo –ma ti ho già chiesto di chiamarmi Dorea, se non sbaglio-.
-ma…-
-niente ma, cara- mi anticipa scuotendo una mano con noncuranza –mi fa sentire vecchia. Ora ti lascio, cara, vorrai sistemarti. Ti aspettiamo giù per cena, fra un’ora, se vuoi rinfrescarti il bagno è dietro quella porta, per tutto il resto fai pure come se fossi a casa tua-.
Vedo Dorea avviarsi alla porta con un’espressione gentile dopo avermi indicato il bagno.
-se ti serve qualcosa, Lily, io e Charlus siamo a tua completa disposizione- mi dice alla fine, voltandosi –e ovviamente anche Sirius e James, anche se non so quanto tu voglia far affidamento su due elementi del genere-.
Ridacchio alla sua faccia inorridita.
-grazie mille, Dorea- le rispondo allora con un sorriso mentre esce.
Osservo la porta richiudersi alle sue spalle, poi mi volto verso il mio baule lasciato in un angolo da qualche diligente elfo domestico.
Hill, forse?
Mi avvicino al baule e piano piano inizio a disporre le mie cose per la stanza, iniziando a sentirla oltre che calda e accogliente anche un pochetto mia.
Il bagno è grande e spazioso, completo sia di vasca che di doccia,  e noto che la vasca assomiglia tantissimo, seppur in scala ridotta, al fantastico bagno dei prefetti pieno di comfort a Hogwarts.
Ah, essere ricchi, che pacchia deve essere!
-Lily, possiamo entrare?-.
-Evans, sei nella doccia?-.
Scuoto la testa, sbuffando divertita.
C’era da immaginarselo che mi avrebbero preso d’assalto subito, sono l’ospite che desta curiosità per i due bambini della casa.
Esco dal bagno e mi appoggio allo stipite della porta.
-niente doccia, stavo solo ammirando il tutto. È una bella stanza- commento divertita.
james storce il naso.
-il verde serpeverde potevano anche evitarselo- dichiara Sirius.
Io rido.
-trovo che stiano molto bene questi due colori insieme, invece- ridacchio in risposta –non sono troppo pomposi come il porpora e l’oro e nemmeno troppo algidi come il verde e l’argento-.
Mi guardano come se avessi detto un’eresia.
-tua madre era serpeverde, no?- chiedo alla fine –come fai a disprezzarli tanto?-.
-zia Doree è l’unica serpeverde decente che io conosca- mi risponde Sirius con un sorrisetto –anzi, no… anche zia Meda, e infatti anche lei è stata buttata fuori dalla famiglia-.
Scuoto la testa.
-la famiglia Black deve avere un sacco di scheletri nell’armadio- gli rispondo con un sorriso.
Sirius sospira.
-non solo nell’armadio, anche in cucina, nelle scale, in sala da pranzo, in corridoio…-
-capito cosa intendi dire- sorrido in risposta.
Anche lui e James sorridono.
-vabbè, dai, ti lasciamo un po’ in pace- mi dice alla fine Sirius.
-dobbiamo proprio?- sospira James.
Sirius sbuffa teatralmente e trascina il suo compare verso la porta.
-ci vediamo a cena, Evans- mi saluta Sirius uscendo.
-si, a dopo, Lils-.
Durante queste vacanze ci sarà da divertirsi.

 

***


La cena a casa mia viene servita ogni sera alle otto, almeno è così quando ci siamo io e Sirius, durante il resto del tempo non saprei dire. Comunque viene servita ogni sera nella sala da pranzo vicino alla cucina, alla tavola rotonda.
Oggi, in via del tutto eccezionale, ci sono cinque posti invece dei soliti quattro, ed è una cosa strana, in realtà, visto che come famiglia siamo poco inclini all’invitare ospiti a cenare e dormire. Esclusi i malandrini, ma Remus e Peter ormai sono quasi di famiglia, qui.
Lily deve ancora scendere, io e Sirius siamo ai nostri posti e mamma è in cucina a controllare che tutto proceda bene… spero, spero molto vivamente, che in realtà non stia cucinando lei, altrimenti Lily scapperà a gambe levate alla prima tartina dell’antipasto.
-cosa sta facendo la mamma in cucina?- chiedo con fare cospiratore a papà, che mi guarda sorridendo bonario.
-non starà cucinando?- mi da manforte Sirius.
-ehi, di là, vi ho sentito benissimo- s’intromette mia madre in tono irritato.
Mio padre scoppia a ridere.
-Doree, sei stata tu a insegnare ai ragazzi a fare della verità uno dei pilastri della loro giovane vita- scherza ridendo ancora.
Io e Sir lo imitiamo.
-mi pareva che uno degli altri pilastri fosse l’educazione- gli risponde a tono la mamma uscendo dalla cucina.
-mamma, capiscimi, non vorremmo che Lily scappasse a gambe levate dopo appena l’antipasto- le dico sorridendo.
-tranquillo, James, se sono riuscita a sopportare per due interi appuntamenti te e il tuo stratosferico ego senza scappare in Messico e cambiare identità, sono più che certa di non aver niente da ridire su una cena-.
Mia madre scoppia a ridere, seguita a ruota da Sirius e papà, quando Lily entra nella stanza con questa poco gentile e poco divertente uscita su di me.
Le faccio una linguaccia in risposta.
-ma se ti sei divertita tantissimo- esclamo fingendomi stizzito con un sorrisetto nascosto –hai anche detto che non vedevi l’ora di replicare-.
Sirius fischia.
-Evans, non sapevo fossi così…-
-è la fantasia di James che è molto produttiva, in realtà- ribatte ridendo e sedendosi al posto vuoto tra Sirius e papà.
In realtà si è molto divertita, ieri, alla festa di Lumacorno.
 
Flashback-> ore 20.30 del 21 dicembre 1977
 
L’ufficio di Lumacorno è, ovviamente, addobbato a festa.
Talmente addobbato da essere quasi trasfigurato, espanso com’è con un incantesimo irriconoscibile e ornato da festoni verdi argento di dubbio gusto, secondo il mio modesto parere.
Ovviamente, non siamo i primi ad arrivare.
Quando facciamo il nostro ingresso nella stanza, quasi non mi reggo in piedi, giurerei di essere ubriaco marcio se non sapessi di non aver bevuto nemmeno una goccia.
Insomma, gente, non so se capite.
Sono sulla soglia di quella che, con gli occhi a fessure e guardata storto, potrebbe sembrare una sala da ballo orribilmente decorata con i colori della casata nemica alla mia, questo è vero, ma non so se capite cosa provo quando dico che, stretta al mio braccio, c’è una splendida Lily Evans raggiante nel suo vestito di satin grigio!
Insomma, i nostri rapporti sono migliorati e ultimamente posso prendermi confidenze, con lei, che prima non avrei mai osato concedermi… o meglio, posso prendermi confidenze che prima mi prendevo, con la sola differenza che adesso non rischio la vita ogni volta che lo faccio.
-signorina Evans!-.
La voce del tricheco ci raggiunge, acuta e soave come sempre, prima di quanto ci raggiunga la sua mole decisamente… importante.
-signorina Evans, sono molto contento di vederla qui e…- gli occhi di Lumacorno brillano avidi posandosi su Lily. No, non avidi in quel senso, ma pure questo sguardo non mi piace per nulla. Poi si posano su di me, e una smorfia di disagio malcelato gli si dipinge sul volto pieno -… singolare, davvero, la scelta del suo cavaliere, signorina Evans-.
Lily trattiene a stento un ghigno e, giuro, in questo momento sembra uguale uguale a Sirius nei suoi momenti migliori.
Lily da in un sorriso, io in una smorfia.
-Lily cara, mi permetterai di presentarti il mio amico Albert de Somervì, l’alchimista di cui ti parlai tempo fa, non appena arriverà, spero-.
Questo già si fa più interessante.
Sono disposto a rinunciare a stare al suo fianco, questa sera, anche per due ore se questo serve a far cadere l’idea malsana di unirsi agli Auror una volta finita la scuola.
-certamente, Professore- annuisce Lily, sempre molto gentile.
Ora mi chiedo, ma solo con me ogni tanto urla come un’isterica?
No, perché io ne sono innamorato da anni, ormai, ma è innegabile che Lily Evans abbia degli splendidi capelli rossi, degli stupefacenti occhi verdi e l’ugola d’oro di una sirena fuori dall’acqua!
-ma solo con me strilli come un’aquila?- le chiedo alla fine, non appena Lumacorno viene trascinato come da un collare invisibile verso un banco particolarmente ricolmo di ananas candito.
-beh, Potter, tu hai un talento tutto particolare nel farmi uscire dai gangheri- ridacchia, in effetti nemmeno troppo per scherzo.
-ne ho parecchi, di talenti particolari, Evans- ironizzo divertito.
Lei inarca le sopracciglia in modo comico e mi guarda da sotto in su.
-evidentemente non quello di allacciarti il farfallino come Merlino comanda- mi risponde sporgendosi e aggiustandomi da se, con mani veloci e precise.
Ha un’aria di straordinaria intimità, questa scena.
Io che la guardo da sotto lo schermo delle mie ciglia e lei che mi aggiusta i vestiti come una mamma premurosa. Nessuno mi aggiusta i vestiti fin da che ho abbastanza anni da provvedere da me.
È tenera, la scena. Tenera e solida, in un modo tutto suo.
Se uscire insieme a Lily Evans è paragonabile a stare per tutto il tempo sulla lama di un coltello, ora per la prima volta ho come la sensazione di poter scommettere qualsiasi cosa, su noi due.
Ogni cosa, senza alcuna eccezione.
-e così non hai trovato di meglio, eh, come cavaliere?- la prendo in giro io, divertito.
-sai com’è, ci si accontenta di quello che c’è- sospira teatralmente.
 
Fine Flashback

 

***


Alla fine, nonostante i pronostici di James, l’antipasto si rivela davvero molto buono e leggero, così da non togliere l’appetito per le prossime portate.
-Lily, cara, ci insegnerai ad usare un teletisore in questi giorni? Ne abbiamo giusto uno in cantina che…-
Charlus non fa in tempo a finire la frase che ecco i nostri tre commensali iniziano a sbuffare ironici.
-ti prego, Char, evitiamo di farci riconoscere per quello che siamo già alla prima cena, altrimenti la povera Lils scapperà sul serio- lo rimprovera bonariamente la moglie.
-ma davvero, cara, sarebbe interessante sapere come funziona un teletisore-.
-televisore- lo correggo con gentilezza –per me non c’è problemi, non è molto difficile, possiamo provarci-.
Charlus mi sorride contento, Dorea scuote appena la testa scura, Sirius sbuffa e James si passa una mano sugli occhi.
-cara, i tuoi genitori lavorano?- mi chiede Dorea quando la prima portata compare in tavola “come per magia”. Zuppa di pesce, splendido.
-mio padre si- rispondo con un sorriso –la mamma si occupa della casa. Papà è un avvocato-.
-un avvocato!- esclama Charlus entusiasta –ha studiato Magisprudenza?-.
Io ridacchio, divertita.
Esclusa Mary, non ero mai stata a casa di nessun mago di sangue puro a livello dei Potter e, dopo sei anni e mezzo in questo mondo, ancora non riesco a non stupirmi di fronte all’ignoranza dei maghi in campo babbano.
-no, per i babbani è Giurisprudenza. È simile alla Magisprudenza, ma tratta leggi diverse, ovviamente-.
-capisco- mi risponde Charlus –deve essere interessante la vita nelle case babbane, insomma, lavare con la lavatrice… si chiama così, vero?-.
Annuisco, sorridendo.
È davvero buffo, il padre di James.
-io e Sirius condividiamo la passione per le motociclette, Sirius ne ha una che però vola, grazie a qualche ritocco qua e là con la magia. Sono più comode delle scope-.
-beh, questo è poco ma sicuro- annuisco in risposta –anche se posso parlare solo delle motociclette terrestri, di quelle volanti non so dire nulla-.
-un giorno, Evans, ti porto a fare un giro sulla mia…-
-ma neanche morto, Sir- si intromette James truce –lei non salirà mai su quella cosa con te, scordatelo. L’unica volta che ci sono salito io per poco non ci rimetto tutti i denti-.
Sirius sbuffa.
Sono comici, questi due, se presi dalla giusta prospettiva.
-beh, per una volta sono d’accordo con James- rispondo –non ho niente contro di te, Sir, ma in certi campi sei tutto fuorché affidabile-.
Mi fa una linguaccia in risposta mentre Dorea gli serve divertita un po’ di zuppa.
-siete solo due invidiosi-.

 

***


Arriviamo ancora vivi e in realtà divertiti al secondo, passando addirittura per un sorbetto decisamente molto buono. Sicuramente l’ha fatto Hill.
Osservo Lils servirsi il Roastbeef con attenzione, usando delicatamente le posate da portata per selezionare le sottili fette di carne.
-come va ad Hogwarts la vita?- chiede la mamma ad un certo punto, dopo aver finito di ragguagliare papà di noiosi dettagli sul lavoro.
-tutto normale, direi- risponde Sirius tagliando l’arrosto –ci hanno riempito di compiti per la ripresa delle lezioni, soprattutto la McGrannitt, la prossima uscita ad Hogsmeade è fissata per metà Gennaio e secondo il professore di Divinazione ci sarà una pioggia di stelle la notte prima di Capodanno-.
Lily lo guarda scettica.
-tu non segui Divinazione- gli dice alla fine.
Io annuisco, lui scuote le spalle.
-forse non lo sai, Evans, ma le mie belle orecchie sono posizionate al lato del mio viso non solo per una questione estetica, che comunque svolgono molto bene, ma anche perché sono utili alle funzioni di ascolto- le risponde -ne parlava la scorsa sera la Vance con Mac-.
Lils sospira.
-capisco- risponde alla fine, iniziando a mangiare.
-Sirius, James- ci interrompe la mamma, richiamandoci all’attenzione –la signora Remsy necessita di un aiuto con un aggeggio babbano chiamato caldaia, le ho detto che sareste passati domani nel…-
-oh, mamma, ma possibile che riesci ad incastrarci ogni volta che torniamo a casa per le vacanze?- mi lamento piagnucolando.
-per questa volta passo, domani ho appuntamento con Marlene- ridacchia Sirius scoccandomi un’occhiata -beffarda.
-mamma, stiamo cercando di far scappare Lily a tutti i costi? Per le mutande di Merlino, mamma, parliamo della signora Remsy!-.
-modera i toni, James- mi rimprovera irritata –devo ricordarti che quella signora vi tratta sempre al massimo della gentilezza? Ha detto che farà la torta marmorina e vi aspetta verso le quattro del pomeriggio. Quanto dura il tuo appuntamento, Sir?-.
Mia madre considera la questione chiusa.
Insomma, stiamo parlando della signora Remsy!
Quella donna puzza, è innegabile, e ogni volta che ha qualche lavoretto da fare lo propone a me e a Sir parlandone direttamente alla mamma, che ovviamente ci costringe ad accettare.
Passare un pomeriggio dalla signora Remsy è una cosa tediosa al massimo, visto che passa tutto il tempo a spettegolare sui vicini e a raccontare i particolari delle malattie più o meno intime di suo marito, il signor Remsy, un babbano di circa centottantadue anni. Insomma, a tutto c’è un limite!
L’unica cosa buona di tutto l’affare, qui, è la sua torta marmorina.
Sirius mi guarda come se avesse ingoiato qualcosa di particolarmente amaro.
-mah… non so…- temporeggia –probabilmente fino a molto più delle quattro… chessò, le sei, le sette… del giorno dopo-.
Lily ridacchia.
-tu non hai la minima idea di cosa si sta parlando, Lils!- la minaccio con l’indice teso –è una tortura, ci credo che suo marito è sempre fuori casa, chi la sopporta una così per tutto il giorno per tutta la vita?-.
-beh, c’è da dire che se l’è scelta!- sospira Sirius.
Su questo non posso darle torto.
-in più è una babbana, non so mai come parlare con lei- mi difendo ancora –a volte mi guarda come se mi fosse spuntato il terzo occhio e…-
-e capiamo di aver detto qualcosa di sbagliato- termina Sirius al mio posto.
-dai, James, ti accompagno io- dichiara Lily divertita –non può essere così male!-.
-per fortuna qualcuno di sensato ha varcato la soglia di questa casa oltre a me!- esclama mia madre decisamente sollevata –devo ringraziare Morgana e Circe per questo-.
-comunque- cambia discorso mio padre un po’ piccato dal fatto di essere stato definito insensato –come è andata ieri sera la festa del caro Lumacorno? È sempre il solito, alle sue feste di Natale?-.
-è stata la prima a cui ho partecipato, e per fortuna è anche l’ultima- commento sollevato –piena zeppa di Serpeverde-.
Mia madre mi guarda scocciata.
-non è stata poi così terribile, James- ribatte Lily –meglio delle altre…-
-devono essere state agghiaccianti, allora- le rispondo a tono, con un sorrisetto –e poi, ovvio che ti è piaciuta di più delle altre, a questa c’ero anche io-.
-si, tu e il tuo ego formato gigante- dice risoluta –ad un certo punto, ho perfino temuto fossimo andati alla festa in tre!-.
Sirius scoppia a ridere, io lo incenerisco con lo sguardo.
Non è andata così male, Lils sta solo scherzando.
 
Flashback-> ore 21.15 del 21 dicembre 1977
 
Siamo arrivati tre quarti d’ora fa e da allora abbiamo solo salutato un sacco di persone dai nomi improbabili e visto un sacco di serpeverde dall’aria snob.
Cerco Lily con lo sguardo e la ritrovo nel punto in cui l’ho lasciata solo due minuti fa, quando mi sono allontanato per prendere da bere, che si guarda intorno sollevandosi di tanto in tanto sulla punta dei piedi.
-tieni, Lils- le dico avvicinandomi e porgendole un flûte di champagne –hai visto qualcuno di interessante?-.
-solo Rem e Emmeline, guarda come sono dolci- ghigna alla mia volta indicandomi con il mento i due protagonisti della sua uscita. Il mio amico e la sua amica stanno parlando animatamente con tanto di sorrisi a trentadue denti, e di tanto in tanto vedo Emmeline arrossire. Poi la vedo scattare e spalancare gli occhi, imbarazzata. Siamo troppo lontani per capire che si stanno dicendo, eppure posso vedere benissimo Emmeline Vance coprirsi le labbra con una mano e poi ridacchiare nervosa.
-beh, hai ragione, stanno molto bene insieme- le sussurro all’orecchio, circondandole la vita con il braccio libero –ma noi di più-.
La sento trattenere un respiro tremulo e ghignare.
-Potter, non ti sembra di prenderti un po’ troppe confidenze?- mi chiede.
-sono ubriaco- mi giustifico mostrandole il mio flûte.
-ma se non ne hai ancora toccato un goccio- scherza ridendo.
Scuoto la testa.
-non ho detto di essere ubriaco d’alcool- replico con un sorrisetto. Lei si volta e mi guarda.
-ti prego non dire che sei ubriaco di me perché cadresti sul banale- ribatte ridendo adesso apertamente.
Rispondo con un sorriso.
-no, in effetti è la bellezza di Lumacorno la causa della mia sbronza- le dico diplomatico.
Sento un tacco raggiungermi la caviglia.
-sei l’antiromanticismo, Potter- mi dice ridendo.
-senti da che pulpito, Evans- rispondo io divertito.
Restiamo così per un po’, a guardare la sala. Alla fine vedo Lumacorno avvicinarsi di nuovo a noi.
-ops, Tricheco a ore tre, Tricheco a ore tre- sussurro al suo orecchio con un sospiro.
-sei maligno, James Potter- mi risponde.
-eh, che vuoi, il fascino del bastardo e dannato-.
Ride apertamente.
-guarda, caro, che quello è Sirius- mi dice –tu sei quello imbranato e con gli occhiali… Professore, che piacere! Io e James stavamo giusto notando l’ottimo gusto delle decorazioni-.
Il professore le rivolge un sorriso.
-grazie, Lily cara, appena due cosucce-.
Ottimo gusto. Si, certo, e io sono Merlino.
-anche lo champagne è ottimo, professore- lo adula Lily.
-grazie cara! Signor Potter, le posso mica rubare la dama per qualche minuto? Un mio caro amico avrebbe piacere di conoscerla, è un alchimista piuttosto famoso, sa, e la signorina Evans nutrirebbe interesse in materia… di certo può privarsi della sua dama per appena qualche attimo, dico bene?-.
-benissimo, professor Lumacorno- rispondo con un sorriso lasciando andare il braccio dalla vita di Lily e prendendole una mano –Lils, faccio un giro qua attorno, magari c’è qualcuno di interessante-.
Con un baciamano degno di mio padre lascio Lily nelle grinfie del tricheco, non senza una certa ansia, e riprendo a girare per la sala guardandomi attorno.
Remus adesso è da solo, in un angolo, le braccia strette al petto e lo sguardo un poco rabbuiato, che fissa insistentemente la pista da ballo.
Lo raggiungo e, con un ghigno, gli indico i ballerini.
-anche a te hanno fregato la dama, Moony?-.
Remus mi guarda con un diavolo per capello.
-piccolo insolente marmocchio, è arrivato e ha iniziato a farle un sacco di complimenti e…-
Guardo Emmeline che balla sulla pista accompagnata da uno studente che mi pare di aver già visto.
Ma dove?
Ah, ecco.
-beh, una volta per uno, Remus- gli dico con filosofia –l’ultima volta gliel’hai soffiata da sotto il naso-.
Ridacchio, ricordandomi la scena. Rem mi guarda con la fronte aggrottata.
-fai dello spirito, Prongs?- mi chiede scettico.
-come non detto- scuoto la testa io.
-e dove è Lily, invece?- domanda interessanto.
-se l’è presa il tricheco, vuole farle conoscere un alchimista e…-
-guarda guarda guarda- ci interrompe da dietro una voce strascicata –il fiore all’occhiello della casa dei piccioni-.
Mi volto, incrociando con lo sguardo gli occhi freddi di Lestrange e di quella che si vocifera sarà sua cognata, Bellatrix Black.
-ehi, Black, metti già le corna a tuo marito prima ancora di essere sposata?- ribatto duramente –e con tuo cognato, poi... non si fa, cara Bellatrix, non porta lustro e onore alla famiglia-.
Scuoto la testa ritmicamente.
Io quei due proprio non li sopporto.
-onore?- replica lei, con la sua vocetta folle e gli occhi spalancati –senti chi ne parla, un babbanofilo che gira con rinnegati, magonò e bestie, e che si sbatte una sanguesporco-.
Prima che io possa reagire interviene Remus.
-prima o poi troverai qualcuno che ti taglierà quella lingua biforcuta che ti ritrovi, Bellatrix-.
La Black inarca un sopracciglio fine e ben disegnato con aria sdegnata.
-non prima che qualcuno vi tagli le ali, piccioni- commenta alla fine, voltandosi nel suo lungo vestito color tortora –ci si vede, feccia-.
Alla fine si allontanano leggeri come sono arrivati, squallidi e tristi come una processione funebre d’infimo ordine. Non poteva certo mancare questo incontro sensazionale a dir poco.
 
Fine Flashback

 

 ***

 
La cena è terminata con la stessa allegra atmosfera che aveva all’inizio, devo dire di essermi decisamente sbagliata sui Potter per sei anni.
Quando raggiungiamo il piano di sopra, quindi, sono piena come un tacchino e decisamente insonnolita, eppure non sono riuscita a bloccare l’entusiasmo di James e Sirius che vogliono a tutti i costi mostrarmi la casa stanza per stanza. Al piano di sotto la sala da pranzo è situata vicino alla cucina e al salotto, ad un piccolo studio e biblioteca e ai servizi da giorno. L’ala notte, al piano di sopra, comprende cinque stanze, una per i coniugi, una per ogni figlio, una che adesso occupo io e la quinta vuota, che è una seconda stanza degli ospiti. Quando entro nella stanza di James un tripudio di colori grifondoro, poster di squadre di Quidditch e fotografie varie di lui e i malandrini mi fissano dalle pareti rosse.
In tutto e per tutto identica alla stanza di Sirius tranne per i poster di motociclette e moto babbane.
Alla fine, ridendo per qualche battuta di Sirius, ci sediamo sul letto di James e mi guardo attorno ancora una volta, fissando le foto.
In una ci siamo anche io e Lène, sullo sfondo, sedute su due poltrone accanto al fuoco della sala comune.
Poi ce n’è una di James con un gigantesco pesce in un secchio, una della famiglia Potter al completo che sorride in uno dei Natali precedenti, quasi sicuramente lo scorso, una di Sirius e James tutti sporchi di vernice che ridono indicandosi a vicenda, una di Dorea e i Malandrini in cucina inzaccherati di farina fin nei capelli, una di Remus con i calzini –spero puliti- infilati nelle orecchie ed una faccia buffa, e una dei quattro mitici malandrini insieme seduti sotto il faggio sul lago nero.
-sono molto belle- sorrido indicandole –questa è la più bella, siete rimasti tutti e quattro molto bene-.
È particolare, come foto.
Sono loro quattro seduti sotto il faggio, Sirius, James e Remus intenti a fare il solletico ad uno sghignazzante Peter, che con sguardo adorante sembra chiedersi come sia finito in mezzo a quella compagnia così ricercata.
Guardo James, che mi sta guardando.
Mi stupisco, di quanto sia normale, ora, essere qui insieme a lui, quando nemmeno quattro mesi fa proprio non lo sopportavo.
 
Flashback-> 22.00 del 7 dicembre 1977
 
Dopo aver parlato con l’amico di Lumacorno devo dire di essere affascinata da questa materia.
Potrebbe essere interessante, se solo non fossimo in periodo di guerra.
-ciao Lily-.
Una voce mi sorprende da dietro e, scioccamente, mi giro pensando possa essere James.
Che stupida, affibbiare a James una voce tanto strascicata.
Severus.
Nel suo pastrano scuro, gli occhi insondabili e il viso pallido.
-Evans, per te- gli rispondo cercando di tirar fuori le unghie.
Ma solo con me strilli come un’aquila?
Me lo ha chiesto James nemmeno un’ora e mezzo fa.
Vorrei farlo anche con Severus, lui che mi ha fatto molto più male di quanto non me ne abbia mai fatto James, ma non ci riesco proprio.
-come va, Lily?- mi chiede ignorando le mie parole.
-andava bene fino a qualche minuto fa- sussurro io.
-io… pensavo…- sospira, poi riprende –perché nelle vacanze di Natale non passiamo insieme qualche ora, magari al parco giochi sopra Spinner’s End, come quando…-
-non torno a casa per le vacanze- rispondo velocemente.
-resti a Hogwarts?- mi chiede –forse potrei…-
-no, non resto a Hogwarts- rispondo ancora.
Glielo dovrei dire, dove vado?
Sarebbe il colpo di grazia, la fine di tutte le speranze del poter tornare, un giorno, se non altro a parlarci civilmente.
No, James non merita di essere trattato come una pietra, da scagliare per ferire, e l’invito gentile di Dorea e Charlus neanche.
-scusami, devo cercare il mio cavaliere- mi ritiro alla fine, voltandomi verso il resto della sala.
Con una mano mi trattiene il braccio.
-Lily, ti prego-.
-lasciami, Piton- ribatto duramente.
Perché deve provare questo piacere sadico nel rigirare il coltello nella piaga?
Alla fine il braccio si ritrae, e lui si allontana verso non so che meta. Non mi importa.
Dopo qualche minuto riesco a ritrovare James, il buonumore completamente scomparso.
Azzardo un sorrisetto.
-scusami, mi fa un po’ male la testa, ti spiace se rientriamo?-.
Mi guarda con gli occhi socchiusi, poi scuote la testa e annuisce.
-vuoi che ti accompagni da Madama Chips?- mi chiede abbracciandomi per la vita e portandomi delicatamente verso la porta.
Scuoto il capo.
-non ti preoccupare, è solo stanchezza, passerà presto- lo rassicuro mentre passiamo a prendere i nostri mantelli.
Salutiamo Remus e Emmeline e ci allontaniamo in direzione della porta.
Alla fine, non appena usciamo, sospiro liberamente.
-scusami, ti ho trascinato via, forse preferivi restare ancora alla festa, non abbiamo nemmeno ballato e…-
-oh, certo, smaniavo all’idea di restare ancora lì dentro- scherza con aria sciocca, facendomi ridere appena –stai tranquilla, la cosa importante è che tu stia bene-.
Annuisco e sorrido, dandomi della stupida all’idea di averlo fatto davvero preoccupare per niente.
-ti va una tazza di tè?- mi chiede alla fine, indicando il quadro d’ingresso alle cucine –è ancora presto e domani possiamo dormire relativamente fino a tardi, quindi possiamo…-
-si, certo, perché no?- rispondo con un sorrisone –un tè va bene-.
Entriamo nelle cucine e, come la scorsa volta, rimango sorpresa dal continuo tramestio degli elfi. Per sei anni non avrei mai immaginato fossero così, le cucine.
Dopo aver chiesto delle tazze di tè ci accomodiamo sul piccolo divanetto davanti al fuoco, vicini come la scorsa volta non eravamo, seduti su due poltrone diverse.
Sospiro, appoggiando la testa sulla sua spalla.
-James, dimmi la verità- gli dico alla fine, chiedendo attenzione –davvero ne a te ne a Sirius da fastidio che io mi intrometta nella vostra famiglia, a Natale? Sir dice che…-
-Lils, se ci avesse dato fastidio l’idea, non avremmo chiesto alla mamma e a papà di trovare una soluzione- mi sussurra all’orecchio –e poi, Sir, per quanto burbero può essere, adora la compagnia a Natale. Ovviamente non devi dirgli che te l’ho detto, perché sennò pretenderebbe le nostre teste-.
Rido appena, rassicurata dalle sue parole.
-dici che non mi devo sentire in colpa?- gli chiedo.
Scuote la testa, poi mi posa un lieve bacio sul capo mentre arrivano le tazze di tè.
 
Fine Flashback

 

 ***

 
-vabbè, ragazzi, meglio che approfitti del fatto che ancora mi reggo in piedi per andare a dormire, altrimenti crollo qui- dice alla fine Lily, dopo circa mezz’ora da che siamo arrivati in camera.
Lily e Sirius hanno davvero tanto in comune, anche se forse non se ne rendono conto nemmeno loro.
-buonanotte, Evans- le augura Sirius facendole un cenno con la mano.
-notte Lils, sogni d’oro- le dico invece io, con un sorriso.
-buonanotte, ragazzi, ci vediamo domani- ci risponde lei, rispondendo al mio sorriso con un altro un po’ assonnato.
La porta si richiude alle sue spalle, non faccio in tempo a girarmi verso mio fratello che me lo ritrovo addosso in forma di cane.
Si ritrasforma in umano e mi si siede sopra, brandendo il cuscino come arma.
-notte, Lils, sogni d’oro- mi fa il verso con vocetta querula –Merlino, sei proprio cotto-.
Gli faccio la linguaccia.
-ti conviene non parlare proprio, va!- esclamo ridendo –oh… aspetta… Marlene ti ha restituito quel… mhm… libro che era venuta a cercare ieri sera? No, perché deve essere stato davvero molto importante per averlo cercato anche tra le lenzuola!-.
Non faccio in tempo a finire di parlare che ecco che cerca di uccidermi a suon di cuscinate.
Rido allo sfinimento ripensando a ieri.
 
Flashback-> 23.15 del 7 dicembre 1977
 
Con la risata di Lily ancora nelle orecchie, e un sorriso ebete stampato dritto in faccia, salgo veloce le ultime rampe di scale verso la porta del dormitorio.
Sono contento perché, se anche quando abbiamo lasciato la festa Lily era di malumore –perché, sia chiaro, non ho creduto nemmeno per un secondo alla storia del malditesta-, quando prima mi ha augurato la buonanotte era decisamente di ottimo umore.
Nelle cucine abbiamo parlato di tutto.
È straordinario come stiamo bene insieme.
Poco prima di risalire ho incrociato Remus, che aveva appena riaccompagnato Emmeline con un sorriso abbastanza ebete sulle labbra da farmi desumere che sia andato tutto bene, stasera.
Adesso, però, ho tutta l’intenzione di svegliare Sirius e urlargli nelle orecchie che, alla fine, la Evans passerà le vacanze di Natale a casa Potter… roba che se solo me lo avessero detto un anno fa sarei morto sul colpo!
-Sirius Black sei il…-
Mi blocco, non appena spalanco la porta e, dietro di me, si blocca anche Remus.
Marlene McKinnon ci guarda un attimo sorpresa, in piedi accanto al letto, poi diventa, stranamente, rossa come il fuoco.
-Jamie, Rem, non si bussa?- ci chiede stizzito Sirius uscendo dal bagno in accappatoio.
Udite udite, gente, è proprio Sirius Black quel ragazzo rosso come un pomodoro che ci sta sgridando perché siamo entrati nella nostra camera senza avvisare?
-non pensavamo di…- tenta Remus –insomma, è anche camera…-.
Sirius ci guarda un tantino infuriato, i capello scompigliati più del solito.
È un accappatoio, quello?
-è un accappatoio, quello?- chiedo sbalordito.
Mi sento molto stupido.
Remus inspira bruscamente.
-no, è un vestito da sera, idiota- mi risponde Sirius sbuffando.
-so che è un accappatoio, cretino- gli rispondo a tono scuotendo la testa –ma cosa ci fai in accappatoio… insomma, tu, Lène… Lène… tu…-.
Ah.
-tu… tu… tu…-
Ho la mano puntata su Sirius, gli occhi sbarrati.
-io sono venuta a chiedere a Sirius un…- interviene Marlene –un…-
-un libro!- esclama Sirius andando in aiuto a mia cugina, rossa quanto normalmente è pallida, i capelli scarmigliati e gli occhi lucenti.
Un libro?
-perché, Sirius sa leggere?- mi precede Remus ironico.
Mi volto con un sorrisetto e lo vedo allegro ridacchiare.
Dopo meno di un secondo un pesante tomo di babbanologia mai usato mi passa sopra la testa e centra in pieno Remus, che si accascia con un gemito, maledicendo Sirius e rialzandosi solo quando è certo che nessun libro tenterà più il volo verso la sua testa.
-fuori di qui, immediatamente- esclama Sirius sdegnato indicando noi due e la porta.
-ma noi…-
-fuori di qui!-.
Sirius Black non mi ha mai fatto tanta paura quanto me ne fa adesso.
 
Fine flashback
 

 

 
 
 
 
NOTE:
allora, innanzitutto dovete sapere che il computer si è rotto e non ho potuto aggiornare prima. Il prossimo aggiornamento arriverà senz'altro in tempi più brevi di questo!
In secondo luogo, so che qualcuno che aspettava novità su Remus e Emmeline mi odierà di certo.
Questo capitolo e non il prossimo ma quello dopo parleranno della festa rivissuta tramite i flashback dei protagonisti.
Il prossimo sarà, invece, credo, un capitolo un po’ particolare…
infine, spero davvero che vi piacerà questo capitolo perché a me è piaciuto un sacco scriverlo, ed è per questo che è venuto più lungo del solito, mi sono divertita davvero molto.
Grazie mille per le recensioni, spero di risentirvi presto con nuovi pareri!
Buona lettura,
Hir!

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Capitolo 38
*** parlando di cose serie ***


LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMMELINE
REMUS
MARY
FRANK
ALICE
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 

La sera, come tutte le sere, venne la sera.
Non c'è niente da fare: quella è una cosa che non guarda in faccia a nessuno.
Succede e basta. Non importa che razza di giorno arriva a spegnere.
Magari era stato un giorno eccezionale, ma non cambia nulla. Arriva e lo spegne. Amen.
Così anche quella sera, come tutte le sere, venne la sera*


 

Quando rientro in camera Lily ed Emmeline sono intente a liberarsi a vicenda dei vestiti, aiutandosi l’un l’altra in quell’intrico di stoffe e nastri.
Non ci sono né Mary né Alice, sicuramente la prima probabilmente a Tassorosso, la seconda in sala comune con Frank. Apro la porta, mi appoggio allo stipite e guardo due delle mie migliori amiche ridacchiare in maniera stupida e aiutarsi a svestirsi, complici nella loro intatta felicità, nell’idillio di quella serata andata finalmente esattamente come doveva andare.
Sono davvero felice per loro, che ultimamente sono state impegnate a ricostruirsi la fortezza che due bastardi sicuramente serpeverde hanno provato con così tanto impegno a distruggere.
Non si abbatte con facilità un grifondoro, penso guardandole.
Emmeline conquista, alla fine, per prima il bagno, e si chiude dentro gelosamente mentre Lily sbuffa.
-beh, direi che vi siete divertite- sorrido vedendola sussultare alle mie parole.
Lily si volta verso di me con un sorriso a trentadue denti.
-ho passato serate peggiori- mi dice alla fine, allargando ancor di più il sorriso, se possibile.
Annuisco.
-e serate migliori?- chiedo interessata avvicinandomi al letto.
Lily scuote la testa, eloquentemente.
Rido liberamente, adesso.
-penso che Mary sarà qui presto, ormai, per riscuotere la sua vincita alla scommessa- le faccio notare.
Lei mi fa una linguaccia in risposta, mentre inizio a spogliarmi con attenzione. Mi volto verso il muro, dando le spalle a Lily per osservarmi attentamente ed essere certa di non avere, sul corpo, segni troppo visibili di quanto appena successo.
Bingo.
Appena sotto all’ombelico un’ombra rossastra fa bella mostra di se, un leggero morso o, meglio, quello che sembrava lì per lì un leggero morso. Se ne è rimasto il segno tanto leggero non deve essere stato.
Sirius Black sei un’idiota, penso con affetto.
-come sta il caro vecchio Lumacorno?- chiedo tentando di fare un po’ di conversazione.
Devo parlare a Lily di quello che è successo tra me e Sirius?
Dipende da se voglio o no avere in camera lo scalpo di Sirius Black, magari appeso alla testata del letto della mia migliore amica.
-sempre la solita viscida serpe- risponde Lils alzando appena le spalle.
Proprio in quel momento esce dal bagno Emmeline, fischiettando allegramente.
Lily fa per fiondarsi in bagno.
-Lène, dovresti dire a chiunque ti ha fatto quel succhiotto sul collo che sta poco bene, mostrare in pubblico segni di tipiche effusioni da letto-.
Ecco, appunto.
Com’era la cosa dello scalpo?
Lily mi guarda di sottecchi, poi fa un paio di passi verso il bagno, poi si volta e mi guarda di nuovo.
Alla fine si decide e mi minaccia con l’indice.
-ascoltami bene, McKinnon, quando uscirò da quel bagno vorrò ritrovarti esattamente nella stessa posizione in cui sei adesso, non ti azzardare a scappare!-.
Perfetto.
Rivolgo un’occhiataccia a Emmeline Vance che mi fissa con un’espressione da cucciola bastonata stampata in volto, scuoto la testa e mi infilo sotto le coperte aspettando che il boia esca dal bagno.
Alla fine eccola rispuntare con un sorrisetto sadico dipinto in volto e movenze da investigatrice alla Sherlock Holmes.
-ehi, Miss Murple, puoi pure appoggiare la lente di ingrandimento- la rabbonisco facendomi forza e sospirando –patteggiamo?-.
Lily scoppia a ridere.
-dove hai passato le ultime tre ore, Lène?- mi chiede fingendo noncuranza.
Ora, ve lo dico per esperienza, gli interrogatori di Lily Evans iniziano sempre così.
È una tattica, la sua. Ti fa abbassare la guardia e poi… PAM! Ti stende con le sue conclusioni a sorpresa.
-nel dormitorio maschile- decido di non mentire.
Lei inarca un sopracciglio.
-sei così ingenua, McKinnon, da credere che questo mi basti?-.
Aspetta, com’è che dicono i babbani?
Via il dolore, via il dente!
Beh, tutto sommato, davanti alla prospettiva di una nottata a sentire le urla sdegnate di una Lily Evans piuttosto inquieta, me lo farei pure togliere un dente!
-sono stata con Sirius- esclamo alla fine, coprendomi le labbra con le mani solo un secondo dopo.
Le mandibole di Lily e Emmeline fanno a gara a chi va più giù, quasi quasi tra un po’ inizieranno a scavare.
Però è più facile, se lo dico ad alta voce.
Quindi decido di riprovare.
-ho fatto l’amore con Sirius Black- enuncio alla folla, come se fossero affari loro, tra l’altro.
Cade il silenzio più totale, come se anche i muri avessero assimilato la notizia e avessero deciso di fare un minuto di raccoglimento a causa della mia dipartita.
-tu…- Lily sembra avere la gola secca, se la schiarisce e riprova –tu e Sirius avete…-
-si- annuisco, senza alcun problema.
Meglio tagliare la testa al topo, direbbero i babbani.
-tu e Sirius- commenta poi Emmeline, riprendendosi dallo shock iniziale.
-si- annuisco ancora.
-Sirius sono-il-più-figo Black e te- insiste Lily.
-io, Marlene Danae McKinnon e Sirius Orion Black- chiarisco io, a scanso di equivoci.
-ah- risponde semplicemente Emmeline.
-tu e lui avete… insomma siete…-
-io e Sirius abbiamo fatto l’amore. Hai presente? maschio, femmina, letto. Anche se, a pensarci bene, si può fare anche femmina e femmina e maschio e maschio se proprio vogliamo essere puntigliosi. Però si- concludo un po’ stufa di tutto questo stupore –io e Sirius siamo andati a letto insieme-.
La porta della camera si apre, Mary fa capolino con aria divertita e curiosa.
-Lène, se volevi farlo sapere a tutta la torre grifondoro ci sei riuscita-.
 
Alla fine il concilio delle cinque si riunisce.
È così che lo chiamo, fin dal primo anno, quando tutte e cinque ci ritroviamo sul letto di Emmeline –generalmente il più in ordine- per parlare e spettegolare di tutto quello che ci passa per la testa. Armate di smalto cambiacolore e piperille nere a bizzeffe iniziamo a parlare e a farci il solletico quasi contemporaneamente, fino a che la cosa non finisce con più morti che vivi, la boccetta dello smalto in frantumi sul pavimento e le piperille in giro per il letto che te le ritrovi piantate nella schiena ogni due per tre.
Sono proprio questi i momenti che mi mancheranno di più, una volta uscita da qua.
-racconta tutto-.
L’ordine perentorio arriva da Alice, che mette su l’espressione da psicologa da psicoanalizzare che tanto le piace sfoggiare quando qualcuno ha problemi di cuore.
Problemi di cuore?
No, fatemi galleggiare nella mia nuvoletta rosa ancora per qualche ora.
Da domani si ricomincia con le battute, le illusioni, la guerra e i pensieri scomodi.
Ma ora, con un languore tiepido che mi pervade ogni singola parte del corpo al pensiero di quello che è successo nella stanza dei malandrini, non ho alcuna intenzione di deprimermi.
-e da cosa dovrei cominciare?- chiedo ricambiando con sguardo vacuo.
Come si mette nero su bianco qualcosa del genere?
Con gli altri ragazzi era diverso.
Insomma, Sirius è Sirius!
-cosa ti ha detto dopo?-.
Questa è Emmeline.
È estremamente interessante provare a giudicare le persone in base alle domande che ti fanno.
Questa domanda è proprio da Emmeline, si preoccupa sempre del dopo. È stato gentile? Un pezzo di stronzo?
-e così, alla fine hai ceduto…-
Questa è la tipica frase da Lily Evans. Però è fatta con un sorriso, segno del miglioramento dei suoi rapporti con Sirius.
Insomma, il sorriso è un po’ tirato, questo è vero, però, gente, è Lily Evans! Non potete pretendere che si metta a fare il corredo per il matrimonio quando ha sempre affermato che sarebbe stato da immani cretine lasciarsi cadere sul letto di Sirius Black.
-è stato dolce?-.
C’è bisogno di dirvelo, che questa domanda viene da Alice Prewett?
Si, Alice, è stato dolce.
-di che colore aveva i boxer?-.
Questa, invece, è Mary McDonald in tutta la sua grazia.
Poco fine, ma dritta al punto!
Scoppio a ridere seguita subito dalle altre tre, e noto che le nostre risate disorientano la nostra interlocutrice non poco.
-che c’è? Che ho detto di…- domanda spaesata –insomma, volevo solo sapere se aveva le iniziali ricamate anche lì e…-.
Merlino, per fortuna Mary non cambia mai!
Alla fine, con un sospiro lieve, inizio a raccontare.

 

 ***

 
ESPRESSO DI HOGWARTS, ore 12.30 del 22 dicembre 1977
 
Non è cambiato nulla, o forse è cambiato tutto.
Non sapevo nemmeno io cosa aspettarmi, non fino a che non l’ho vista stamattina a colazione chiacchierare animatamente con Mary cercando di strapparle una fetta imburrata e ricoperta di marmellata.
Qualunque cosa mi fossi aspettato, non l’ho trovata.
Nessuno sguardo smielato o occhiata ardente, nessun gesto intimo e segreto.
Però ho riconosciuto il modo in cui si è scostata una ciocca di capelli dal volto e il piccolo sorriso soddisfatto con cui ha appurato la giusta dolcezza del latte nella tazza.
Non è cambiato niente tra noi, forse siamo cambiati noi.
O per lo meno, io.
-qualcosa dal carrello?-.
Puntuale ed efficiente come al solito.
-due brioche dolci, grazie-.
Se c’è una cosa bella su questo treno, è che quando passa il carrello puoi chiedere quello che vuoi.
Pago e prendo la mia ordinazione, porgendone una a Remus, accanto a me.
Lui cerca sempre di risparmiare, su queste cose, ma io so benissimo che adora la roba dolce e le brioche, riempite all’interno con cioccolata filante –quella che ti si scioglie in bocca- sono in assoluto le sue preferite.
È una tradizione, per me, cedergli una delle mie al ritorno per le vacanze di natale.
-allora, Dorea e Charlus vanno alla festa di gala alle cinque, come ogni santissimo capodanno, quindi potete venire per quell’ora così iniziamo a preparare. Poi…-
-io passo a prendere Emmeline e alla festa veniamo insieme-.
Ecco, questa è una cosa interessante.
Ieri sera erano tutti così concentrati su di me, e io ero così concentrato a fuggire le domande e le botte di James, che non mi sono minimamente interessato a Remus e al suo appuntamento.
-come è andata ieri sera, a proposito?- chiedo interessato.
Remus diventa all’incirca di cinque colori diversi.
-oh, che carino, guarda che cambia colore peggio dello smalto- lo prende in giro James, dandomi manforte –certo Emmeline si è trovata un ragazzo proprio per bene!-.
Rido, divertito.
-taci, Potter, tra un po’ si passa a te- lo spengo ironicamente rivolgendomi poi di nuovo a Remus –dimmi, potete sperare di prendervi per mano prima dei venticinque anni o siete ancora alla fase “ci guardiamo a vicenda perché siamo belli e timidi”?-.
-sei un idiota, Sirius- esclama Remus rifilandomi una poco elegante gomitata nelle coste.
-beh, questa non è esattamente una novità- commenta la voce divertita di Mac, mentre la sua testa fa capolino dalla porta dello scompartimento.
Dietro di lei, le ragazze al completo.
-possiamo entrare?-.
Annuisco, seguito da tutti gli altri.
Una per una si infilano nello scompartimento scegliendo il proprio posto, chi vicina al finestrino e al panorama già visto e rivisto ma sempre e comunque nuovo della scozia, chi vicina al corridoio ed ai pettegolezzi.
-ragazzi, ci pensate che questa è la penultima volta che facciamo il viaggio verso Londra da studenti?- domanda ad un certo punto Mary.
Riporto lo sguardo sull’interno della cabina, passandolo da Lily e Alice intente a leggere una rivista a Emmeline e Remus intenti a parlare vicini vicini.
Insomma, è andato così bene il loro appuntamento?
Dovrei farmelo raccontare!
-beh, Mary, guardala da un altro punto di vista- interviene Lily strappandomi dalla visuale forse eccessivamente sdolcinata di Remus e Emmeline per mano –se non studierai di più a fine anno sarai bocciata e questo viaggio non sarà il penultimo!-.
-nah, Mac, ti immagini che brutto un anno senza malandrini?-.
È James che ha parlato, e che adesso sta ridendo all’espressione rassegnata di Lily e Lène, che alzano gli occhi al cielo divertite.
-sarebbe finalmente un anno normale- gli risponde Lily.
Sbuffo, con un sorrisetto.
-e contro chi grideresti, Evans?- le chiedo curioso.
Lily mi risponde con un sorrisetto stampato in volto.
-ci saranno sempre degli idioti, Black-.
-ma non saranno mai belli quanto me e James, Evans-.
-magari saranno più modesti-.

 
Alla fine il viaggio prosegue senza alcun intoppo e arriviamo a Londra perfettamente in orario, come al solito.
La banchina del binario nove e ¾ è stracolma di gente, che si allontana come un solo unico organismo dalle porte del treno non appena l’espresso si ferma sui binari.
Dal finestrino leggermente appannato riesco a vedere una marea di teste, alcune coperte dai cappucci dei mantelli colorati, altri da berretti buffi da bambino.
In fondo alla banchina, appena prima che i binari si immergano nella nebbia, aspettano due distinte persone ritte in piedi, non attaccate l’una all’altra ma abbastanza vicine perché si possa vedere il legame –assai labile- tra loro.
La crocchia scura di Walburga Black la riconoscerei ovunque, penso guardando da quella parte.
Lei, mia madre, si gira e mi guarda appena, il suo sguardo passa su di me come fossi semplicemente parte della nebbia circostante, poi si fissa su qualcosa alle mie spalle.
La mia copia giusta, quella venuta meglio secondo i canoni della famiglia.
Alla fine c’è poco da prendersela, penso mentre guardo Regulus sorpassarmi e andare incontro ai nostri genitori.
Mio padre resta di qualche passo indietro, ovviamente poco interessato, mentre sento mia madre fare le prime garbate ma distanti domande su Hogwarts e l’andamento della scuola.
Mi volto con l’intento di cercare Dorea e Charlus sulla banchina, tra gli altri genitori, ma lo faccio forse con troppo impeto e scontro una figura più piccola di me.
Gli occhi scuri e insondabili di Lène mi fissano dal basso con curiosità mista a sicurezza.
-tutto bene?- gli chiedo visto che con la mia mossa l’ho quasi fatta cadere a terra.
-te? tutto bene?- mi chiede in risposta.
Sposto lo sguardo su quelli che una volta erano mamma, papà e Reg.
Non ho mai avuto con mia madre e mio padre tutta la confidenza che ho con Dorea e Charlus, non credo nemmeno di averli mai chiamati davvero mamma e papà.
Con Regulus invece è diverso.
È strano, davvero strano, pensare che il bambino a cui conservavo le figurine più introvabili delle cioccorane, lo stesso bambino con cui da piccolo giocavo agli Auror in giro per casa, sia ormai irrimediabilmente perso.
-potrebbe andare meglio- le rispondo enigmatico, tentando un’ironia che non mi viene, strappandomi un sorrisetto forzato da dove non so.
-ci vediamo domani?- mi chiede sfiorandomi il volto con il palmo, gentilmente.
-ti scrivo stasera- rispondo con un sorriso questa volta più sincero.
-Sir, io…-
Dietro di me, inconfondibili rumori di passi ci costringono a voltarci.
-Marlene, desidero parlarti-.
Aggrotto la fronte davanti alla maleducazione di mia madre.
Vicino a lei spunta la madre di Lène. Non l’ho vista arrivare.
-io veramente…-.
-vai, ci sentiamo stasera- la saluto con un sorriso –vado a cercare zia Doree e zio Char-.

 

 ***

 
Godric’s Hollow, 22 dicembre 1977
 
Marlene,
ci credi che proprio non so cosa scriverti?

 
Tiro la linea bruscamente, cancellando quelle parole che mi fanno assomigliare terribilmente al James prima maniera –ossia quando la Evans non lo guardava neanche di striscio- o a Frank in astinenza da Alice.
No, decisamente poco Sirius Black.
Per rompere il ghiaccio è meglio ripiegare sui soliti convenevoli di rito…
 

come stai?
Com’è andato il ritorno a casa?
Spero che i tuoi stiano bene, salutami tuo fratello.

 
Sorrido divertita, guardando prima la linea brusca tirata sulla prima frase, poi i convenevoli strappatempo e spazio che normalmente sono abituata a scrivere nelle lettere ai miei genitori.
Continuo a leggere con occhi avidi.
Quasi non mi riconosco più, i miei occhi cercano le sue parole come il mio corpo cercava le sue carezze. Non sono abituata a reazioni così violente, e che perdurano nel tempo.

 
La cena è stata divertente, devo dire di dover rivalutare la Evans.
Ti sei persa un James geloso del sottoscritto, quando mi sono offerto di portare la Evans a fare un giro sulla mia motocicletta volante…
…tranquilla, la Evans ha rifiutato, se vuoi in giro ci porto te…

 
Troppo sdolcinato?
Nah, magari se mi rimetto a scrivere subito dopo di cose normali sembra giusto una frase alla Sirius Black come tante altre…

 
Pensa, sono riuscito a scansarmi l’ennesima gita a casa della signora Remsy.
Eh, no! L’ennesimo lavoro alla vecchia non posso proprio sopportarlo.
Pensa, l’ultima volta io e James ci siamo dovuti sorbire tutti i percome e i perché delle emorroidi di suo marito. Non mi chiedere cosa siano, non ne ho la più pallida idea e ho tutta l’intenzione di tenermi la mia ignoranza!
Credo proprio che se Lily sopporterà un intero pomeriggio dalla vecchia, sarà finalmente pronta per sposarsi James e sopportarselo per tutta la vita. Una volta superata la signora Remsy, il peggio è passato!
…certo, poi resta solo da sopportarsi Jamie, ma sono cosucce da nulla…

 
Ridacchio divertita, pensando che Sir ha proprio ragione, in effetti.
La signora Remsy, che io conosco solo per sentito dire dai Malandrini e da Mary, che la conosce e la odia a livelli incredibili, deve essere proprio un osso duro.
Se Lily riuscirà a sopportarla per un pomeriggio, tutto per far compagnia a James, allora il prossimo passo sarà inevitabilmente il matrimonio.
Continuo a leggere.

 
Spero non sia troppo tardi per spedirti la lettera, non vorrei svegliarti.
Domani allora ci vediamo? A che ora?

 
Qui la penna d’aquila che stringo tra le dita sbava un po’.
Sono nervoso?
Teso come una corda di violino penso sia più appropriato.

 
Ti va di prendere un gelato insieme, prima?
Potremmo incontrarci da Florian un’oretta in anticipo, tanto a me non fa differenza quanto sto fuori.
Non so, era solo un’idea, decidi tu e fammi sapere.
Aspetto con ansia la tua risposta.
Aspetto la tua risposta.
Aspetto.
Sir

 
Alla fine scoppio a ridere, come prevedibile.
Gelato? A dicembre inoltrato?
Ma Sirius si impegna per essere così buffo o è una cosa che gli viene naturale?
Guardo le ultime tre righe, e per un secondo appena passo sopra i graffi sulla pergamena con un polpastrello. Delicata come raramente sono.
Alla fine torno in me, mi guardo attorno e afferro la prima pergamena piuttosto pulita che trovo.
Intingo la penna e scrivo.

 
McKinnon Manor, 22 dicembre 1977
 
Sirius,
probabilmente leggerai domattina la risposta.
Non importa, ero ancora sveglia quando mi è arrivata la tua lettera ed ho deciso di risponderti subito.
Il rientro è stato un po’ turbolento, ho litigato con Max.
Niente di serio, stupidi litigi tra fratelli, come quelli tra te e James.
Te lo saluterò appena faremo pace.

 
Di acceso, in tutta la stanza, c’è solo la candela sul mio comodino, che getta lunghe ombre sulle pareti rosse e ingombre di poster.
Leggo parola per parola la lettera di Lène, con la lentezza di chi vuole pregustarsi ogni minima sfumatura di ciò che leggerà.

 
La cena è stata un po’ fredda, mio padre è assente per motivi di lavoro e mamma non stava molto bene, a quanto dice è colpa dell’emicrania made in Black che ogni tanto colpisce voi della famiglia.
Alla fine, comunque, sono riuscita a sapere che domani l’appuntamento è per le tre dall’ufficio notarile, quindi penso che potremmo vederci da Florian per il gelato per l’una e mezza, dopo pranzo, ti va?

 
Vada per il gelato, a dicembre inoltrato.
L’invito sembra troppo esplicito?
Merlino, quando parlo con Sirius mi sembra di star seduta sopra una cassa di dinamite, basta un niente per incendiarlo e, alla mossa sbagliata –e quando ci siamo io e lui da tenere in conto, le mosse sono quasi tutte sbagliate- boom.
Boom.

 
Potremmo fare un giro per Diagon Alley insieme.
L’ufficio notarile non è lontano dalla gelateria.
Fammi sapere,
ti abbraccio,
Lène.

 
È così, allora, gustandomi parola per parola di una lettera corta ma piena, che arrivo a godermi il suo abbraccio.
Quasi mi scappa da ridere, se mi vedesse Remus adesso scuoterebbe la testa e direbbe che anche Sirius Black, alla fine, ha ceduto.

 
Godric’s Hollow, 23 dicembre 1977
 
Lène,
va benissimo l’ora e il luogo, ci vediamo lì.
Ti abbraccio anche io,
Sir
 

La risposta mi raggiunge poco dopo la mezzanotte, quando ho già spento tutte le luci e l’unico chiarore che mi permette di leggere le sue parole è la luce della luna.
Sorrido involontariamente, rimettendomi sotto le coperte e tenendo quello stralcio di pergamena, appena un pezzettino strappato probabilmente da qualche compito ancora incompleto, tra le mani, sotto il cuscino.

 

 ***

 
L’una e venticinque.
Sirius Black non è mai in anticipo, mi ripeto dandomi dello scemo da solo, mai.
E perché questa volta lo è?
Sirius Black è sempre in ritardo, quelle poche volte in cui si degna di presentarsi.
Oggi no. Oggi sono arrivato con venti minuti di anticipo.
Io.
Non sono nemmeno più tanto sicuro che questa sorta di appuntamento prima del dopo sia stata una grande furbata. E se lei decidesse di fare quello che le dicono?
Se lei volesse fare quello che le dicono?
Se lei…
-Sirius, sei già qua?-.
La sua voce interrompe i miei vaneggiamenti strappandomi dai miei pensieri.
Mi volto, ovviamente è bellissima.
Ovviamente non glielo dico.
-non hai freddo?- le chiedo invece, guardandola.
Ha un vestito azzurro lungo fino a metà coscia, collant chiare a ricoprirle le gambe –che, in tutta sincerità, sono fermamente convinto si siano allungate ancora dall’altra sera-, e porta i capelli raccolti in  una coda alta, che le fa risaltare il viso.
-sei un idiota, Sirius Black- mi rimprovera bonariamente aggiustandosi il vestito.
Poi fa una cosa che non avevo minimamente calcolato.
Si avvicina e mi bacia.
Non un bacio mozzafiato, di quelli palesi con suoni e risucchi.
Cioè, si, per mozzare il fiato, lo mozza eccome! Però è solo un lieve tocco, sembra quasi calibrato male. Sembra destinato alla mia guancia, ma è come se avesse perso l’equilibrio e fosse caduto fino alle labbra, per restarci qualche attimo.
-gelato?- mi chiede poi con le labbra vicino all’orecchio.
Cioè, dopo avermi stordito con il bacio ed il profumo, mi chiede se voglio un gelato?
-senti, perché non approfondiamo il fatto che sono un idiota?- la fermo io ricambiando il bacio delicatamente, e poi lasciando la delicatezza da un’altra parte, facendomi più irruento.
-sei un idiota- ripete, questa volta con voce più lieve, quasi un singulto.

 

 ***

 
Alla fine, siamo entrati in gelateria.
Alla fine.
Cioè, più o meno, all’alba delle due e venticinque.
Minuto più minuto meno…
…minuto più, decisamente.
Sirius si sporge oltre la vetrina per adocchiare i gusti, mentre Florian Fortebraccio in persona ci chiede quali gusti vogliamo.
-per me Erbagraria Muffita, Latte Farfallino e Fior di Fiorertola- elenco giudiziosa come sempre –è possibile avere anche un pezzo di pesca candita?-.
Scegliere il gelato è un’arte in cui io non mostro alcun talento, sia chiaro.
Prendo sempre i gusti peggiori…
…beh, a ben pensarci
-certamente, signorina- mi risponde gentile –e lei?-.
Sirius ripiega sui gelati alla frutta. Inarco un sopracciglio.
-devi stare attento alla linea, Black?- gli chiedo divertita.
Mi fa una linguaccia e si prende il suo gelato, porgendomi anche il mio con un inchino vecchio stile che quasi sfocia in un baciamano galante.
Con ancora il sorriso sulle labbra ci sediamo al primo tavolino libero che troviamo nel locale.
Ok per il gelato a dicembre, ma con un po’ di senso!
-allora, James e Lily sono dalla signora Remsy?- chiedo curiosa per intavolare una conversazione.
-ah, beati loro- commenta lui ridendo e prendendo un cucchiaino di gelato al lampone –proprio li invidio-.
-vuoi dire che sono una compagnia migliore della signora Remsy?- domando divertita.
-non ti montare la testa, McKinnon- scherza lui inclinando il capo.
Faccio una smorfia, poi mi infilo in bocca un cucchiaino di Erbagraria Muffia.
Merlino, che schifo!
Rido mentre mi porto una mano alle labbra trattenendo una smorfia non troppo bene.
-che c’è?- chiede sorpreso.
-c’è che è veramente terribile- sghignazzo quando riesco a mandare giù il boccone.
Lui ride.
-e allora perché lo hai preso?- mi domanda, e voi direte, a ragione.
Rido anche io.
-era un gioco che facevo da piccola con Max. Prova- gli dico alla fine prendendo una dose generosa di gelato sul cucchiaino e infilandogliela in bocca prima che possa rifiutare.
C’è da dire che accoglie il cattivo gusto molto meglio di quanto non abbia fatto io.
Strizza appena il naso, ma si mostra educato nel resto dell’espressione.
-e perché diamine facevate un gioco così stupido, tu e Max?- mi chiede non appena recupera il dono della parola.
-adesso fa schifo, ma è il retrogusto ad essere buono. Senti che bel sapore che ha, poi-.
Lui aspetta.
Io aspetto.
-nah, fa schifo comunque-.
Rido insieme a lui lanciandogli un tovagliolino di carta.

 

***


Un quarto d’ora dopo aver preso il gelato io ripulisco la coppetta vuota, lei sta quasi finendo.
-ho capito perché sei finita a grifondoro e non a corvonero- le rivelo alla fine, sardonico.
-e perché, di grazia?- mi chiede infilandosi l’ennesima cucchiaiata di gelato tra le labbra e soffocato il risolino che produce l’effetto solletico del Latte Farfallino.
Ridacchio.
-ci vuole il coraggio di un grifondoro a finire una coppa di gelato così- le faccio notare –l’intelligenza del corvonero ti spingerebbe a scegliere altri gusti-.
Finiamo il gelato e ci rialziamo, l’aiuto a infilare il cappotto chiaro e passando dalla cassa pago entrambi i gelati. Lei non si lamenta e mi rivolge un sorrisetto ironico.
In risposta le porgo la mano e la trascino fuori.
-dunque, McKinnon, tra un po’ inizia la parte seria della giornata- mi rassegno a dire.
Alla fine, un discorso serio prima o poi va affrontato. E questo lo stiamo rimandando da mesi, ormai.
-la parte peggiore- mi risponde lei perdendo il sorriso, d’un tratto.
La guardo, ha gli occhi mortalmente seri e le labbra tirate in una smorfia indecisa.
-beh, allora mi lusinga sapere che mi ritieni la parte migliore- le dico, e nemmeno troppo per scherzo, in fin dei conti.
Lei si ferma, mi guarda e punta poi lo sguardo sul selciato della via.
-Sir, cosa è successo tra di noi?-.
La guardo, seriamente.
-dipende da quello che farai- le dico chiedendomi dove voglia andare a parare.
Lei alza lo sguardo.
-parla chiaro, Black- dice alla fine, in tono spiccio –non mi piacciono i giri di parole. Saresti disposto a provarci, seriamente?-.
-si-.

 
La citazione è di Baricco, presa da Castelli di Rabbia
 
NOTE:
Buon pomeriggio!
Spero davvero che vi piaccia il capitolo, e per le persone che vogliono sapere com’è andata tra Emmeline e Remus, oltre ai piccoli spunti per tutto questo, ci sarà il prossimo capitolo!
Un grazie enorme a chi continua a recensire, un bacio a tutti, spero che il capitolo vi piaccia.
Buona lettura,
Hir.



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Capitolo 39
*** Storia di una ragazza, e del lupo che le insegnò a volare ***


LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMMELINE
REMUS
PETER
FRANK
MARY
ALICE
REGULUS
RABASTAN
CORRISONDENZA




-Paul? È tuo fratello?-
-uno dei tanti, si, il mio preferito-
-è quello che è venuto a trovarti mentre eri in infermeria?-
-si, lui. Non ci vediamo spesso, lui adesso è un Auror in Polonia-
-anche tu vuoi farlo..? l’Auror, intendo-
-io? L’Auror?-
-si, quando usciremo da scuola, vuoi fare l’Auror?-
-io non saprei far male nemmeno ad una mosca! No, non mi ci vedo per niente, a fare l’Auror-.
 
-sei l’unico che conosco che metta lo zenzero nella burrobirra-
-anche io sono l’unico che conosco che metta lo zenzero nella burrobirra-.
Risata, dolce e allegra.
-ma poi ti pizzica la lingua!-
-beh, ogni piacere merita un sacrificio-.
 
-la libreria in Diagon Alley è di tua madre?-.
Stupore.
-si, io ci lavoro ogni tanto d’estate, quando capita-.
-ma quella piccolina che fa angolo con Wizard’s street?-
-si, proprio quella. Quella con le tendine lilla-.
-Merlino! È la più bella di tutta Diagon Alley!-
-davvero?-
-si, è la mia preferita, anche Mary la adora… ha sempre un sacco di classici babbani spesso introvabili anche nelle librerie babbane!-.
-sono contento che ti piaccia-
-tua madre ha veramente ottimo gusto-.
 
-quindi, cosa farai nelle vacanze di Natale?-
-non mi ci fare pensare, sarà un Natale estenuante-
-dici? Che avrà di così terribile?-
-non terribile, sarà solo molto stancante… la mia è una famiglia particolarmente numerosa-
-perché, quanti altri fratelli hai oltre a Paul?-
-tre, e saranno tutti a casa… poi ci sono le due sorelle di papà e i miei cuginetti, e il fratello e la sorella della mamma che hanno tre figli ciascuno, ancora molto piccoli-
-wow, e dire che io ho solo un cugino che vive in America e mi dimentico perfino di fargli gli auguri!-.
Un’altra risata.
 
È esattamente come rivivere tutto, ogni singola espressione, ogni lampo di stupore e di allegria che le passa negli occhi… io l’ho già visto!
Ma è per colpa della mia stupidità, che lei non se ne ricorda.
Ho tirato in ballo esattamente le stesse cose che sono uscite nelle nostre conversazioni ad Hogsmeade, esattamente gli stessi argomenti, gli stessi toni… talvolta le stesse parole!
L’ho fatto per un motivo, ovviamente, non per il semplice squallido gusto di prenderla in giro senza che lei se ne accorga.
Forse sono così egoista da volere che conservi inconsciamente il ricordo di quella giornata passata a divertirci e finita in maniera tanto brusca e stupida. Sicuramente bramo ardentemente che lei ricordi ogni singolo attimo che abbiamo passato insieme, in quella giornata, e sapere che io sono l’unico ostacolo che effettivamente glielo impedisce mi fa rodere il fegato.
Vendetta poetica, credo si chiami.
Alla fine, a chiudere i nostri discorsi, sale una musica gentile e lieve, forse un po’ malinconica.
-balli?-.

 
-balli?-.
Una domanda improvvisa, forse non troppo ponderata.
Un silenzio un po’ pesante, smorzato da un risolino.
-non sono capace-.
Una rivelazione, poi un’altra risatina.
-non è difficile, vieni qui-.
 
Il primo passo, il secondo, gli occhi fissi sulle proprie gambe.
-non guardare quello che fai con le gambe, lasciati andare-.
La musica, leggera e melodiosa, accarezza l’aria come fosse la spalla di una donna.
-ma se non mi guardo i piedi sbaglio e ti calpesto-.
-sopporto di peggio, non ti preoccupare. Tutto quello che devi fare è rilassarti-.
-ma…-
-guardami negli occhi, Emmeline-.
La musica è così leggera che, se solo la sala non si stesse muovendo con lei, quasi si potrebbe non sentirla.
Gli occhi castani incontrano quelli ambrati, entrambi caldi e posati, dolci.
I sospiri, i respiri, i capelli chiari sul vestito azzurro, i sorrisi e gli sbagli, di tanto in tanto.
Tutto fa atmosfera, lieve, carezzevole.
Ma anche carica di un’energia esaltante, che ti spinge a volerne sempre di più.
 
È quando la danza arriva al suo apice, nell’esatto momento in cui due figure simili e diverse acquistano contorni più nitidi, che la musica si spegne.
È sempre così.
Quando tutto sembra essere con il fiato sospeso, qualcosa interviene a bloccare l’attimo, come a rimandare l’avvenire a data da destinarsi.
Quando la musica si interrompe, quindi, l’aria sembra ripopolarsi di voci, di suoni, perfino di odori, che fino a poco prima non c’erano.
È in questo caotico brusio rinato che due sguardi, stupefatti e sognanti, si incontrano quasi per sbaglio e, quasi per sbaglio, restano incatenati l’uno all’altro.
 
La musica si interrompe e, proprio sul disgregarsi dell’ultima nota, colgo lo sguardo di Remus.
Stasera mi sembra di camminare ad un palmo da terra, e quando lo guardo negli occhi tutto il mio mondo assume tinte ambrate che poco hanno a che fare con l’ambiente circostante.
Ha le labbra dischiuse, e mi ritrovo a chiedermi perché, per quale assurdo motivo, il mio sguardo si sia posato proprio su di loro. Dolci come lo sguardo del loro proprietario, morbide e delicate.
Remus Lupin, penso all’improvviso, ha proprio il tipo di labbra che mi piacerebbe baciare.
Farei carte false, per baciare quelle labbra.
E all’improvviso mi prende l’ansia, il panico.
È il mio primo bacio, non sono assolutamente sicura di esserne capace.
E se poi non mi piacesse?
Se il mio modo di vedere Remus cambiasse…
…se lui mi rifiutasse?
Sono come sull’orlo di un dirupo, la musica si è fermata e siamo rimasti solo io e lui, contornati da null’altro che i nostri pensieri.
 

-allora, vi state divertendo?-.
Un sospiro, forse un’imprecazione trattenuta.
Poi un sorriso, che più falso non si può.
-ci si sta provando, James-.
 
Guardo il mio migliore amico con l’ardore delle fiamme stampato negli occhi.
Lui e Lily, uno vicina all’altro, fanno la loro bella figura.
Lei alta e slanciata, rossa come il fuoco con due pietre di giada incastonate sul viso al posto degli occhi; lui sempre inevitabilmente scompigliato, più o meno elegante e con la gioia stampata in ogni singola pagliuzza degli occhi nocciola.
Il ritratto della felicità.
Mi scuserete, spero, se vi dico che in questo momento della loro felicità non me ne potrebbe proprio fregare di meno.
L’unica felicità di cui mi importa qualcosa è la mia, e quella di Emmeline, per lo meno in questo momento.
-James, guarda, c’è Elizabeth! Devo giusto chiederle una cosa per incantesimi…-
Lily, con il suo innato buonsenso ed un’occhiata di scusa riflessa negli occhi, si allontana trascinando a se James per un braccio.
Sospiro, e quasi istantaneamente sento Emmeline fare lo stesso.
Sorrido.

 
Un sorriso.
-allora…-
-stavamo dicendo…-
Due risate smorzate, un po’ imbarazzate.
Si ricordano perfettamente ciò che stavano dicendo.
E non le voci, ma gli occhi.
Non a parole, o forse proprio a parole, ma parole di una lingua sconosciuta, un codice che solo loro possono decifrare.
 
-balli bene-.
La prima cosa che gli è venuta in mente per stemperare l’imbarazzo.
E, cosa quasi irreale, ci riesce.
La risata cristallina di lei invade l’aria attorno a loro.
-si, dillo ai tuoi piedi-.
La risata più cupa e roboante di lui le fa da contorno.
-ho sopportato di peggio-.
-ne dubito-.
 
-vado a prendere da bere?- mi propone alla fine, quando la musica riattacca e una parte delle persone nella stanza riprende a ballare.
-si, grazie- gli rispondo con un sorriso gentile –io semplice acqua-.
Annuisce, poi si allontana.
Ripenso alle sue labbra, prima piegate lievemente in un sorriso, poi dischiuse forse da un pensiero, e alla fine quasi serrate, a chiudere una smorfia di disappunto all’interruzione di James e Lily.
Quando torna, tra le mani due calici di acqua, ancora sono persa nei miei pensieri.
-ci avresti mai pensato, a James e Lily, qui, insieme?- gli chiedo a sorpresa.
Lo guardo mentre sposta l’attenzione sul suo migliore amico e la sua migliore amica, la seconda al braccio del primo, perfetti e intimi nel loro legame tutto particolare, che bene non sanno definire nemmeno loro.
-ci avevo sperato, se devo essere sincero- rivela alla fine, con un sorrisetto soddisfatto.
-anche io- gli dico con un sorriso.

 

***

 
La serata procede senza interruzioni, se non si contano quelle di Lumacorno, esaltato dalla presenza dei suoi stessi ospiti illustri.
O meglio, la serata procede senza interruzioni fino ad un certo punto.
Poi, un tipo allampanato e dai capelli scuri si avvicina.
Mi pare di averlo già visto, ma in questa scuola, se si è studenti, ci si vede per forza prima o poi.
-ciao Emmeline-.
Ha una voce piccola piccola, così flebile che, penso, basterebbe un nulla a spezzarla.
-Alex, vero?- lo saluta lei in risposta, con un sorriso gentile.
Osservo le sue labbra piegarsi lievemente.
Ha delle labbra stupende, Emmeline Vance, sottili e perfette, e con l’aria di essere così morbide da far concorrenza al burro.
Ha delle labbra perfette, Emmeline Vance.
Ha esattamente il tipo di labbra che mi piacerebbe baciare.
Labbra che adesso sono tirate in un sorriso gentile rivolte a…
…come si chiama?
Alex Gray.
Quell’Alex Gray?
-tu non fai parte del Lumaclub- gli faccio notare in tono brusco.
Emmeline si volta verso di me inarcando le sopracciglia, e il nostro interlocutore mi guarda appena.
Forse gliel’ho fatto notare in modo un po’ troppo brusco.
-Emmeline, sei veramente… bellissima stasera… vorresti…- la voce del ragazzo, appena un poco più forte di prima, tentenna appena già alla seconda parola.
-…vorrei?-.
-vorresti concedermi un… ballo?-.
Ah, questo non è per niente divertente.
-ma lei…-
-si, volentieri-.
La mia protesta si perde nella voce più sicura di Emmeline, che tende la mano guantata al ragazzo.
Se fosse stato James, il ragazzo con cui stasera è uscita Emme, avrebbe trovato insulti coloriti per smorzare l’entusiasmo del povero idiota fino a farlo evanescere completamente.
Se fosse stato Sirius, l’accompagnatore di Emmeline, Alex Gray sarebbe stato talmente intimorito dal cognome e dalla prestanza del mio migliore amico da non farsi nemmeno vedere per tutta la sera.
Ma ovviamente sono io, il cavaliere di Emmeline.
E io, si sa, non insulto la gente gratuitamente né la intimorisco con lo sguardo, o con il cognome, o con tutte e due.
Io sto zitto e lascio che le labbra che farei di tutto pur di baciare ancora sorridano ad un tassorosso allampanato quanto imbranato, penso guardando Emmeline allontanarsi al suo braccio.
Riesco quasi a sentire la risata canina di Sirius far eco alla musica appena iniziata.

 

***

 
Mi è sembrato il modo migliore per non offendere nessuno e nel contempo per spezzare quella statica tensione che c’era nell’aria, accettare la proposta di Alex e ballare con lui.
Ma.
C’è sempre un ma, e qua ce n’è più di uno.
Se ballare con Remus mi era sembrata un’impresa al di sopra delle mie possibilità, ballare con Alex si sta rivelando un’impresa ciclopica.
Io non ne capisco niente, ma posso dire solo che se Remus è un bravo ballerino, Alex è alquanto imbranato.
Non glielo direi mai, tuttavia.
Io pesto i piedi a lui e lui a me, a volte ci giriamo dalla stessa parte finendo con lo scontrarci ripetutamente, siamo entrambi rigidi come se ci avessero infilzato con una bacchetta e, nel complesso, sto passando i dieci minuti peggiori della mia vita.
-quindi, tu e Remus Lupin uscite ancora insieme- mi dice ad un certo punto Alex, forse per spezzare l’imbarazzo.
Sembra che la lontananza dal mio accompagnatore gli abbia dato maggior loquacità.
Ancora insieme.
In realtà, mi dico, io non sono mai uscita con Remus Lupin.
-più o meno- mi limito quindi a rispondergli.
Lui annuisce.
-sai bellissima, Emmeline- dice quindi.
Sgrano gli occhi e mi fermo goffamente, trascinandolo con me nella staticità del momento.
-ehm… grazie, Alex, sei veramente gentile…-.
Poi succedono più cose contemporaneamente, e nella mia testa scoppia il caos.
La musica finisce, Alex balbetta, poi mi pesta un piede.
Poi con una mano, titubante, sulla mia nuca, mi tira a se poco aggraziatamente e mi bacia, in modo timido e impacciato.
 

***

 
Guardo Emmeline e Alex, lontani una decina di metri, ballare.
Stringo talmente forte i calici tra le dita che mi stupisco di non sentire il vetro sottile andare in pezzi, eppure quasi non me ne accorgo, preso ad osservare con sguardo cupo una figura elegante e slanciata fasciata d’azzurro e un tizio allampanato che sembra una cicogna goffa muoversi tra le altre coppie.
Vedo un cameriere passare qui accanto e lascio che i calici delicati, che ancora mezzi pieni tengo tra le dita, si posino sul vassoio d’argento che porta abilmente in equilibrio su una sola mano. Godo del loro suono cristallino, come per sfogarmi tramite quelle note vitree.
-anche a te hanno fregato la dama, Moony?-.
Eccolo, James, puntuale e sorridente, che allude a Emmeline e al sesto anno tassorosso indicandomeli con un ghigno divertito.
Come se io non sapessi perfettamente da me dove sono in questo momento.
-piccolo insolente marmocchio, è arrivato ed ha iniziato a farle un sacco di complimenti e…-
Vedo il suo sguardo insistere su Emmeline e Alex.
-beh, una volta per uno, Remus, l’ultima volta gliel’hai soffiata da sotto il naso-.
Lo guardo storto.
Giusto James potrebbe ridurre ogni cosa tra me ed Emmeline ad una semplice gara d’appuntamenti, mi dico.
-fai dello spirito, Prongs?-
-come non detto- risponde alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo.
-dov’è Lily, invece?- chiedo curioso.
-se l’è presa il tricheco. Voleva farle conoscere un alchimista suo…-
-guarda, guarda, guarda- ci interrompe il tono strascicato e folle di quella pazza di Bellatrix Black, accompagnata da Rabastan Lestrange.
Quel ragazzo da i brividi.
Perdendomi per un attimo nei miei pensieri mi perdo i successivi due o tre battibecchi tra James e Bellatrix, intervenendo solo alla fine, quando il mio migliore amico sembra essere al punto d’ebollizione.
-prima o poi troverai qualcuno che ti taglierà quella lingua biforcuta che ti ritrovi, Bellatrix-.
-non prima che qualcuno vi tagli le ali, piccioni- mi risponde inarcando un sopracciglio delicato come la pennellata di un artista.
È tanto bella quanto folle, questa Black.
Come tutti gli altri Black, insomma.
Mai che ne facciano uno normale, in quella famiglia.
 

 ***

 
Per i primi tre secondi sono troppo stupita per fare qualsiasi cosa non sia aspettare.
Poi penso che questo è il mio primo bacio, ed è una cosa talmente imbranata che quasi mi ripugna.
Poi penso qualcosa che non è mio. Cioè, viene da me, ma io non l’avevo mai pensata, mai sentita.
Ora, per la prima volta.
O forse no.
-stai ferma così, un attimo-.
-c’è qualche animale? È per questo che non mi devo muovere, temi che io possa spaventarlo?-.
-no, è che con il sole così tra i capelli sembri un angelo-.
-un angelo rosso come un peperone-.
All’improvviso, un languore mai provato mi assale.
Mi sento pesante, e poi leggera, ancorata a terra e al contempo fluttuante nell’aria.
Spingo Alex lontano da me, volgendomi verso Remus nel tentativo di cercare i suoi occhi e la sua figura rassicurante, la sua voce calma e calda, imbarazzata, forse, ma mai imbranata.
Trovo gli occhi, ambrati, rivolti verso di me.
Quelle labbra che mi piacerebbe tanto baciare, che mi è piaciuto tanto baciare, tirate in una smorfia di disappunto e incertezza.
Io ho già baciato Remus Lupin.
Mi muovo quasi inconsapevole, i miei passi lo trovano quasi più velocemente dei mie occhi, la mia voce è un sussurro più sorpreso dei miei pensieri.
-c’è stato un bacio, tra noi, che tu non mi hai raccontato- gli dico.
E sono stupita, e felice, e anche un po’ irritata dal fatto che, quando gli ho chiesto di raccontarmi tutta la nostra storia, in realtà lui non me l’abbia raccontata fino in fondo.
-c’è stato un bacio, tra noi, che io non ti ho raccontato- mi dice alla fine.
-perché?- gli chiedo incuriosita.
L’irritazione è svanita con le sue parole.
Forse perché so, ne sono assolutamente certa, che per ogni cosa che fa Remus Lupin c’è una scusa, da qualche parte, che magari non condividerò ma che sarò in grado di capire.
Come la storia dell’oblivion.
C’è un motivo, può non piacermi, ma in una certa ottica si può accettare.
E infatti la sua risposta ne è la prova.
-se te lo avessi detto, avresti creduto alle mie parole senza alcuna malizia o avresti pensato che la mia sarebbe stata una mossa per approfittarmi di te?-.
-perché hai sempre una risposta pronta?-.
Lui sorride, e riesco a vedere distintamente il suo sorriso impensierirsi per un attimo.
-che c’è?- domando guardandolo da sotto in su.
-mi stavo chiedendo se essere grato a Alex Gray per averti fatto ricordare oppure geloso per quello che ha appena fatto-.
La mia risata, allegra e divertita, è subito seguita dalla sua, più profonda.
Poi mi alzo sulle punte dei piedi e, togliendomi dalle labbra quell’espressione ebete che so di avere stampata in viso, lo bacio leggermente.
Alla fine, non mi dispiace nemmeno troppo non ricordare il nostro primo bacio, se tutti gli altri saranno come questo.

 

***
***

 
-ma quindi tu e Lupin fate sul serio?-.
La domanda, schietta e diretta, raggiunge in pieno l’obbiettivo.
Siamo sedute al tavolo in sala grande, i ragazzi non sono ancora scesi.
Il soffitto della sala grande rispecchia l’atmosfera cupa dell’esterno, nebbiosa, il paesaggio scozzese sembra, dalle grandi finestre, ricamato di fitta nebbia.
-ecco, si, concentriamoci sulla dolce Emmeline- interviene Marlene alla domanda di Mary. Comprensibile, da ieri sera le battute su lei e Sirius si sprecano, nel dormitorio femminile. E, se è vero che sia James che Remus se la sono intagliati, credo anche in quello maschile –spenniamola come una gallinella-.
La guardo truce, eppure sono talmente felice che non riesco ad avercela con lei per più di tre secondi.
Poi mi apro in un sorriso lieve e contento.
-si- annuisco.
Si, facciamo sul serio.
Chi l’avrebbe mai detto?
Emmeline Vance e Remus Lupin.
-quindi alla fine la più addormentata grifondoro del secolo e il più serio e timido dei malandrini si sono messi insieme per primi- conclude Mary soddisfatta.
-si, io…- poi mi accorgo di quello che ha detto –ehi! Io non sono la più addormentata del secolo!-.
Le altre ridono.
-beh, sei anni dietro ad un solo ragazzo e poi…-
La frase di Lils viene spezzata dal mio tovagliolo che le piomba in viso, mettendola a tacere e sporcandole il naso di marmellata.
-ti sta bene- concludo tutta soddisfatta, riprendendo a mangiare.

 

***

 
-ma quindi, tu e la Vance state insieme?-.
La domanda arriva direttamente da James, che si sporge oltre la porta del bagno per guardarmi in viso con un sorrisetto ghignante.
-ecco, appunto, accaniamoci per una volta sul serio prefetto perfetto Remus John Lupin, e lasciamo un po’ stare le domande indiscrete rivolte al povero e bellissimo, incompreso Sirius-.
La voce di Felpato ci raggiunge, provocando un piccolo eccesso di risate all’interno del piccolo bagno.
Comprensibile, direi, questa sua frecciata, dal momento che ieri sera lo abbiamo stressato per ore sulla storia di Marlene e il “libro” che dovrebbe averle prestato.
Sorriso afferrando lo spazzolino e non rispondo.
Io e Emmeline insieme, da non crederci.
Eppure è così.
-da non crederci- riflette infatti James ad alta voce –il serio Lupin e la bella addormentata Vance si sono messi insieme prima di chiunque altro tra i malandrini-.
-nfon fchiamafla beffa addofmenfafa- lo riprendo con lo spazzolino tra i denti.
-come scusa?- mi prende in giro lui in risposta, facendomi la linguaccia.
Gli tiro il dentifricio, prendendolo dritto in fronte e ascoltando compiaciuto il suo gemito di dolore.
-tfi fta bene- gli faccio notare in tono saputo.

 
 
 
 
 
Il ballo tra Remus ed Emmeline, io me lo sono immaginato con in sottofondo la musica di Dario Marianelli
“a Postcard to Henry Purcell”
 
NOTE:
mi scuso moltissimo per l’attesa, sarei veramente da cruciare.
Prometto che i prossimi aggiornamenti saranno più veloci.
Questo capitolo è stato veramente complicato da scrivere, spero che vi piaccia lo stesso.
Ringrazio tantissimo per le recensioni allo scorso capitolo, alle quali risponderò il più presto possibile!
Se per caso questo capitolo non vi piace, maleditemi pure tra le recensioni, sono sempre aperta alle critiche (anche se quelle positive non mi fanno per niente schifo, sappiatelo ^^).
Un bacio a tutti,
buona lettura, Hir.

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Capitolo 40
*** presi tra due fuochi ***


LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
MARY
 
-santissima Morgana, Circe e tutti i fondatori, tu e Sirius avete ragione!- esclamo entrando in casa Potter e sfilandomi la sciarpa.
Dietro di me sento James ridere divertito.
-ah, lo sapevo che prima o poi sarebbe accaduto- esclama sicuro.
-accaduto?- chiedo interdetta.
-Lily Evans che ammette che io, James Potter, ho ragione su qualcosa- mi risponde ridendo e sfilandomi il cappotto.
-idiota- piccata gli mollo una gomitata poco gentile sul fianco.
Però ha ragione. Quante cose sono cambiate in nemmeno quattro mesi!
-sarò un idiota, però anche tu hai ammesso che ho ragione- mi fa notare.
Sbuffo.
-Merlino, è proprio terribile- cedo alla fine mentre lo seguo in salotto –non ha smesso di parlare un attimo, in due ore sono riuscita a sapere tutta la sua vita, quella del marito e dei tre figli-.
-si, se Merlino fosse stato più pietoso gliene avrebbe concesso uno solo, di figlio-.
-se Merlino fosse stato più pietoso non li avrebbe nemmeno fatti incontrare, lei e suo marito. Per fortuna, almeno la torta era buona, sono piena come un tacchino-.
-per fortuna sei più bella-.
-della torta?-.
-del tacchino-.
Sbuffo, e replico la gomitata di poco prima rivolta al fianco, accentuando, però la forza nel braccio.
-sei un idiota-.
-un idiota che ha ragione- ribatte.
Alzo gli occhi al cielo, perché non sono stata zitta?
-eddai, fammi gustare appieno il mio momento di gloria!-.
Ridacchio.
-adesso ho capito perché Mary la odia tanto- commento.
-la signora Remsy? La odiano tutti, chi più chi meno… in fondo in fondo anche la mamma non la sopporta, ma è obbligata a mostrarsi gentile, la chiama sopportazione per un buon rapporto di vicinato-.
Annuisco computa.
-capisco-.
James sorride.
-però hai visto come sono stato bravo a ripararle la caldara?-.
-caldaia, James- lo correggo paziente.
-si, vabbè, quella- ribatte lui –ci ho messo solo due ore. E senza magia, per di più!-.
Scuoto la testa.
-ogni quanto le si rompe, quella caldaia?-.
-più o meno ogni natale, e d’estate ogni due settimane. Penso si chiami sfruttamento, secondo il ministero-
-e questa volta Sirius se l’è saltata…-
-ci puoi giurare che la prossima volta ci andrà lui, brutto figlio di un cane. Cioccolata?-.
-sei un trogolo- commento divertita scuotendo la testa –ti sei appena mangiato metà torta della signora Remsy!-.
Sorride, sbattendo angelicamente le palpebre.
-devo crescer…-
-disturbo?-.
La voce squillante di Mary McDonald ci distrae dalla nostra diatriba costringendoci a sporgerci verso l’ingresso. Il sorriso entusiasta di una delle mie migliori amiche fa bella mostra di se dallo stipite della porta spalancata.
-Mac, entra, fa freddo- la rimprovera a mo’ di saluto James, facendo un cenno rivolto alle poltrone accostate al camino.
-sto bene, grazie James per l’interessamento, è un piacere vederti, e tu come stai?- lo prende in giro Mary entrando nella stanza.
La saluto con un sorriso gettando una bonaria occhiata di rimprovero verso James.
-cosa…?- tenta di giustificarsi lui.
-buzzurro- esclamo alzando gli occhi al cielo.
 

-ma non dovevi essere con Paul?- mi chiede Lily curiosa squadrandomi dal suo posto sulla poltrona più vicina al fuoco allegro del caminetto.
Sbuffo.
-aveva promesso ad uno dei suoi amici che si sarebbero visti a Diagon Alley, non avevo voglia di andarci- scuoto la testa.
Lei mi guarda di sottecchi, le domande che le frullano in testa ben espresse dai suoi occhi verdissimi e ridotti a fessure.
So cosa si sta chiedendo. O meglio, cosa sta pensando, senza alcun punto di domanda.
Io adoro Diagon Alley, ci passerei tutta la vita.
-Mary, va tutto bene?-.
Sbuffo ancora, alzando gli occhi al cielo.
Io e Paul abbiamo litigato, questo è vero, ma non è che deve saperlo per forza tutto il circondario.
Sono cose che capitano, in una coppia.
O almeno credo che capitino.
Non mi è mai capitato di far parte di una coppia. Di una coppia seria, intendo.
Merlino, sembra un circolo vizioso, penso.
È proprio per questo che abbiamo litigato.
Siamo una coppia seria?
La domanda di riserva, per favore?
-Mac?-.
Mi accorgo di essermi persa nei miei pensieri, senza aver risposto a nessuno di loro due.
Sorridente e coccolosa, tesoro, mi ripeto, sorridente e coccolosa.
-certo, tutto bene- annuisco, per poi inventarmi una scusa sui due piedi –mamma vuole ridecorare il salotto in stile luigi XVI. Non si può più stare in casa, c’è pieno di cataloghi di antiquari magici in giro. Ne ho trovato uno persino in lavanderia!-.
Lily sorride tristemente, i suoi occhi sembrano dirmi che se voglio parlare, lei c’è.
Le sorrido in risposta, non è niente di grave.
-dimmi, Potter, dov’è quel cretino di Black?- gli chiedo tutta interessata, abbandonando il tentativo di fare conversazione e arrivando dritta al punto.
Non è forse per questo che sono venuta fin qua?
Insomma, ho percorso a piedi addirittura due isolati, tutto per poter parlare con Black.
-Sirius?- mi chiede James –è a Diagon Alley, credo, aveva appuntamento con Lène-.
Appunto. Proprio di questo volevo parlare con Mister “sono-il-più-figo” Black.
-ti dispiacerebbe mandarmelo non appena torna a casa? Avrei proprio bisogno di parlar…-
Vengo interrotta da  un fruscio e da una luce argentata che entra dal camino, e che pur non facendo quasi alcun rumore attira i nostri sguardi come una calamita.
-cosa…?-.
-Diagon Alley in fiamme, non muovetevi di casa, ci faremo sentire quanto tutto si sarà calmato-.

 

***

 
Le fiamme ruggiscono lambendo gli scaffali ingombri di libri, la carta crepita nella morsa del fuoco, il caldo è soffocante e l’aria densa di fumo.
Vicino a me sento qualcuno tossire, ma il fumo scuro quasi oleoso mi impedisce di vedere alcunché oltre i due metri di scaffali che mi sovrastano.
-Lèn…- sbuffo e tossisco, tenendomi una mano premuta sullo stomaco, laddove quasi mi pare si sia formato un tappo che mi impedisce di respirare.
Anelo aria fresca come un assetato brama una fonte, sento gli occhi bruciare e iniziare a lacrimare.
Chi diavolo ha trasformato il Ghirigoro in una fornace piena di fuoco e fiamme?
Perché l’inferno si è trasferito a Diagon Alley, in una banale libreria?
Attorno a me sento qualche urlo, ogni tanto il tonfo di qualcuno che si accascia sovrastato dalle fiamme e dal fumo, vinto da un nugolo di maschere nere che svaniscono veloci come sono arrivate, lasciando alle proprie spalle solo cumuli di fuoco e brace ardente.
-Timothy!- la voce di una donna, l’urlo straziante di una madre, probabilmente, mi perfora un timpano –Tim, dove sei?-.
Mi appoggio con le spalle alla libreria portandomi una mano alla bocca.
Voglio aria, aria, aria.
Non ce la faccio, non posso resistere ancora per molto.
Il grigio del fumo è ormai così denso che a stento riesco a vedere il pavimento di parquet. Nel tentativo di afferrare il vuoto e reggermi in piedi, scontro una pila di libri causando una piccola frana.
 
Flashback-> 23 dicembre 1977 ore 15.00
 
Siamo arrivati precisi in tempo prima che il folletto a capo dello studio chiudesse la porta dietro le spalle della mia augusta madre e del resto di quella famiglia di pezzenti.
Che, ci tengo a precisare, non è la mia.
Le mie parole, le sue parole, mi frullano ancora in testa, così potenti e salde.
Se Marlene McKinnon non esistesse, non faccio altro che ripetermi da mezz’ora, bisognerebbe inventarla.
È bastato un mio si, semplice e schietto, a provocare quel luccichio deciso nei suoi occhi color brace, a far scattare le sue sopracciglia in un piglio decisamente arguto?
Giusto un passo prima di oltrepassare quella soglia, insieme, per prendere una decisione, lei mi afferra un polso e mi blocca.
-sia chiaro, Black, nel caso in cui tu decida di tradirmi con una delle tue tante oche ti ritroverai a maledire il malaugurato giorno in cui tua madre posò i suoi occhi per la prima volta su tuo padre-.
Sorrido appena.
-è una minaccia, McKinnon?-.
Scontata, lo so, eppure sempre d’effetto.
Un luccichio pericoloso nello sguardo, un sorrisetto sadico appena accennato, dipinto su labbra così perfette che solo la mente contorta di Merlino avrebbe potuto inventarle.
Sono fatte per far cedere, quelle labbra.
-che domande, certo, Black-.
 
Fine Flashback
 

Un boato, un urlo e poi più niente.
Il buio causato da tutto questo fumo è inquietante, nemmeno le fiamme riescono a rischiararlo completamente.
Fiamme alte come gli scaffali, travi che dal soffitto crollano fino al pavimento, travolgendo tutto ciò che trovano nel loro passaggio. Tutti quelli che trovano nel loro passaggio.
Il fumo è talmente denso che sembra  liquido mentre, cercando di respirare, mi ritrovo ad inghiottirne grandi manciate.
Mi brucia la testa, mi pulsa come se qualcuno ci stesse giocando a quidditch dentro, e mi ritrovo a piangere per inumidire gli occhi che dolgono da quanto sono secchi.
Un altro boato, e poi il dolore, assurdo e totale, sembra spaccarmi la schiena.
Un gemito è tutto quello che mi esce dalle labbra, un singulto subito soffocato dall’ardore urlante delle fiamme.
Non so chi sia stato l’emerito cretino che ha osato affermare che per il troppo dolore si sviene.
Evidentemente non aveva provato questo tipo di dolore.
Perché adesso, io non vorrei far altro che addormentarmi, e invece mi ritrovo a dover lottare con anima e corpo per conservarmi questa vita che tanto mi sta costando.
 
Flashback-> 23 dicembre 1977 ore 15.05
 
-McKinnon, che scherzo sarebbe mai questo?-.
La voce scocciata di Walburga mi sorprende e mi giro verso di lei, quasi scottata.
Datti una calmata, Lène, mi dico cercando di mettere un freno ai battiti impazziti del mio cuore.
Sono in ansia, sono tesa e sono decisamente nervosa.
In ansia, non so cosa succederà quando prenderò veramente la mia decisione. Non so nemmeno a cosa sono disposta a rinunciare per avere la mia vita come la voglio io.
Rinunciare a Sirius e ai miei amici? Sono così importanti, per me.
Non mi immagino la mia vita senza di loro. Non mi immagino, tra vent’anni, chiusa in un tailleur prezioso come quello di Walburga, con il suo stesso sguardo schifato, a proclamare la supremazia del sangue puro e in special modo dei Black ovunque.
Rinunciare a Regulus, a tentare di salvarlo? Sono davvero così meschina da lasciarlo al suo destino perché non voglio sacrificare nulla?
Non voglio nemmeno pensare al tatuaggio che presto gli ornerà il braccio, e la vita intera. Non voglio pensare che l’unico modo per salvarlo sia abbassare la testa e cedere. Non voglio pensare che nemmeno quello potrebbe funzionare.
Rinunciare alla mia famiglia, a quell’affetto incrollabile che mi ha accompagnato fin da che ho i primi ricordi?
Non so cosa significherebbe, scegliere di andarmene di qui senza firmare quel contratto.
Guardo Sirius…
Non so nemmeno cosa significherebbe firmarlo.
Merlino, perché deve essere tutto così complicato?
-vorrei che si leggesse il contratto- dico alla fine, tossicchiando prima per liberarmi la voce di ogni incertezza.
Ci sono persone che affrontano questa stupida guerra tutti i giorni, mi dico, riuscirò bene a tener testa a Walburga Black per il tempo sufficiente questo pomeriggio.
 
Fine Flashback.
 

***

 
La voce di Dorea svanisce insieme ad uno sbuffo di fumo argenteo, la lupa evanesce e lascia al suo posto un vuoto che per qualche secondo pare incolmabile.
Diagon Alley in fiamme.
Le parole scavano nell’aria vuoti inimmaginabili, quasi viene a mancare l’aria.
-Diagon Alley in fiamme- ripete Lils con voce atona. Mi guarda, poi guarda James, poi riguarda me.
James, bianco come un cencio, non riesce a staccare gli occhi dal punto in cui, tra le poltrone, il patronus è appena scomparso.
-Sirius- mormora alla fine –Sirius è a Diagon Alley con Lène-.
Spalanco gli occhi.
-anche Paul- sospiro lasciandomi cadere sulla poltrona.
Diagon Alley in fiamme.
Quei bastardi questa volta hanno colpito il punto giusto per mettere il mondo magico in ginocchio.
Insomma, Diagon Alley è il culmine della vita magica Londinese, è la via magica per eccellenza. Colpendola, hanno colpito il cuore del mondo della magia, quello che accoglie anche i babbani.
Sotto le feste, in genere, è sempre talmente piena di gente da essere quasi invivibile.
Le corse agli ultimi regali, gli studenti, soprattutto i nati-babbani, che portano le proprie famiglie a visitare quel particolare angolo di paradiso intriso di magia per mostrare che si, la magia esiste davvero ed è spettacolare.
Decine e decine di persone accalcate le une sulle altre all’interno dei negozi più belli e più gettonate, come accessori per il quidditch, Dolci Delizie e l’emporio del gufo.
Il rumore di una poltrona che striscia sul pavimento mi riporta alla realtà, giusto in tempo per vedere James alzarsi dalla sua poltrona e puntare il camino.
-James, che diamine hai intenzione di fare?- gli urla Lils, gli occhi verdi tondi come boccini, il tono tra l’irato e il preoccupato.
-restate qui, devo andare da Sirius- risponde lui spiccio.
-James, non osare…-
La risposta di Lily si perde nell’aria all’arrivo di un secondo patronus.
Un leone sghimbescio d’aspetto, il patronus sembra zoppicare.
-restate fermi ovunque voi siate-.
La voce di Alastor Moody riecheggia nella stanza generando un po’ di timore, per lo meno nella sottoscritta, prima di spegnersi e lasciare una traccia di vapore nell’aria.
Guardo Lils, che fissa il punto in cui il patronus è scomparso, e poi James, teso come ad aspettare qualcosa.
Non appena l’alone argenteo scompare completamente, James riprende la sua corsa verso il caminetto.
-James!- sbraita ancora Lils –James, resta qua, se ne sta occupando qualcun altro-.
James si volta, la guarda e poi guarda me. Poi torna con lo sguardo mortalmente serio su di lei.
-Lily, è Sirius, so che ovunque lui sia, in questo momento vuole me-.
 

***

 
Un gemito vicino a me, così vicino che forse posso individuarne la fonte.
Mi guardo attorno cercando di farmi forza, di trovare nei miei polmoni otturati dal fumo ancora qualche piccola bolla d’aria.
Ci riesco, con non so quale forza, riesco a rialzarmi lentamente e a farmi strada per qualche passo in quella libreria che adesso è una fornace. Alcuni scaffali sono caduti, formando una gabbia compatta attorno a me, amalgamati da fiamme, cenere e fumo.
-do…dove sei?- chiedo tossendo a voce più alta possibile.
Sto a malapena sussurrando, mi sento la lingua come un pezzo di sughero.
-aiuto- la voce, lieve e gracile, proviene da sotto una piccola pila di libri. Se faccio attenzione riesco a veder spuntare una mano piccola, piuttosto ossuta, il polso schiacciato dal peso della carta stampata.
Mi chino al fianco della piccola pila e inizio a togliere libri dal pavimento, vedendo poco per volta emergere un bambino gracile e con gli occhiali. Getto i libri alle mie spalle, so che saranno carburante per un fuoco che mi sta corrodendo fin dentro l’anima, che provocheranno questo fumo che adesso mi sta uccidendo esalazione dopo esalazione.
Due occhi socchiusi mi fissano da dietro le lenti quadrate.
-ehi, guardami- riesco ad articolare tra un colpo di tosse e l’altro.
-voglio la mamma- risponde lui, probabilmente talmente tanto sotto shock da non capire nemmeno bene la situazione –portami dalla mamma-.
Deve essere la signora che ha urlato prima.
-sei Timothy?- chiedo ricordando il nome che ho sentito nell’aria.
Annuisce.
-voglio la mamma. Voglio qualcuno che ci aiuti-.
Già, lo vorrei anche io.
 
Flashback-> 23 dicembre 1977 ore 15.13
 
-Il presente contratto sancisce la promessa unione di due membri illustri di due antiche casate.
Marlene Danae McKinnon, nata il 22 febbraio 1961, stato di sangue: puro, si impegna ad unirsi in matrimonio a Regulus Arcturus Black, nato il 2 settembre 1961, stato di sangue: puro, portando in dote la somma di 700 galeoni d’oro. Regulus Arcuturus Black, nato il 2 settembre 1961, stato di sangue: puro, si impegna ad unirsi in matrimonio a Marlene Danae McKinnon, nata il 22 febbraio 1961, stato di sangue: puro.
Il matrimonio è da celebrarsi entro e non oltre i dodici mesi di scadenza previsti da questo contratto.
Fideiussore di questo contratto: Walburga Drusilla Black in Black e Fidelma Cassiopeia Black in McKinnon-.
Posso vedere Marlene pietrificata dopo la lettura del contratto, l’unica cosa che si muove, in lei, è lo sguardo, che sembra quasi impazzito vagliare tutte le possibilità.
So che per lei è abbastanza difficile senza che io mi metta a dare sarcasmo o a litigare al suo posto, quindi mi siedo in un angolo e mi limito a tacere, confidando intimamente che faccia la scelta più giusta.
-ora che il contratto è stato letto, invito i due ragazzi a firmare sotto il proprio nome, dopodichè firmeranno le due garanti-.
Alla fine proprio non ce la faccio, a restare fermo nei miei propositi e a non guardare Marlene. Vedo che ricambia il mio sguardo, pensierosa, e le sue parole mi risuonano nella mente.
Saresti disposto a provarci seriamente, Black?
-non chiedeteglielo- dico alla fine, quando la vedo temporeggiare.
Perché a volte è così difficile, prendere una posizione, quando le persone che escludi sono persone che ami così tanto?
Quando decisi di andarmene di casa lo feci senza alcun ripensamento.
Non amavo mio madre e mio padre, e l’amore per mio fratello si era dimostrato più debole delle convinzioni del sangue.
Capisco solo ora che non posso chiedere a Marlene di scegliere tra la sua famiglia e i suoi amici, non posso chiederglielo io e non dovrebbero farlo nemmeno loro.
-taci- mi rimprovera mia madre.
-non chiedetele di scegliere- continuo ignorandola, come sempre, d’altronde –non chiedetele di scegliere tra la sua famiglia e i suoi migliori amici-.
Guardo Fidelma, così simile a sua figlia, e vedo che mi sta guardando attentamente.
Tuttavia, in Marlene c’è qualcosa che in Fidelma manca. È l’anima d’acciaio che, una volta sfiorito il bocciolo, rimane ad ornare con il suo profumo e la sua rattrappita bellezza. Come un fiore messo sotto una pressa, rimane intatto e forte, nonostante la fragilità.
Un fiore che appassisce attaccato allo stelo, invece, si affloscia su se stesso privo di dignità e di colore.
Tutto quello che deve succedere, adesso, è che qualcuno tagli lo stelo a Marlene e la convinca a crescere da sola.
 
Fine Flashback.

 
Sdraiata a terra con la schiena inondata di dolore mi accorgo che, sul pavimento, il fumo è più rarefatto e l’aria è più respirabile.
Non che sia fresca, questo no.
Il fumo tende ad andare verso l’alto.
Ho le braccia ricoperte di graffi e schegge di vetro, di bruciature ed ustioni, la pelle bagnata di sudore e sporca di fuliggine.
Le unghie sono quasi tutte spezzate, le mie mani sanguinano, i mie occhi lacrimano.
Eppure ci sto riuscendo, centimetro dopo centimetro, sospiro dopo sospiro, a tirarmi fuori da qui.
La schiena mi brucia e mi duole, ma suppongo sia un bene che io la senta ancora.
-Sirius- esclamo sentendo la gola raschiare da tanto è asciutta –Sirius, ci sei?-.
I libri, gli scaffali e le fiamme sembrano formare una prigione attorno a me, una prigione le cui sbarre sono costituite da un fumo denso e grigio.
-Lène- mi risponde la sua voce, ovattata da qualche metro di distanza e da una parete di scaffali.
Il sollievo che questa piccola risposta appena accennata mi procura mi invade il petto e mi spinge a singhiozzare.
-Sir, stai bene?- riesco ad urlare.
-si, tu stai bene?-.
Sono quasi fuori, vorrei rispondere, ma uno scaffale crolla accartocciandosi su se stesso e obbligandomi a schivare schegge di legno e lapilli di fuoco.
-Lène!- l’urlo preoccupato si spegne poco dopo il frastuono causato dalla frana.
-sto bene, sto bene- lo rassicuro.
-Marlene, arriverà qualcuno a salvarci- mi sorprende, rassicurante. La sua voce è appena un po’ più forte, deve essere appoggiato al di là di questo stesso scaffale.
-Black, non si può dire che tu non sia ottimista-.
 
Flashback-> 23 dicembre 1977 ore 15.20
 
-non chiedeteglielo-.
La sua voce ha come il potere di aprire un sipario, ecco che gli attori vanno in scena.
Questa volta, però, io non ho alcun copione, non so che fare, proprio adesso mi si è seccata la lingua.
Hanno appena letto il contratto, vogliono spingermi a firmare e li sto odiando tutti per questo.
Non riesco a dire di no, e mi sto odiando per questo.
E poi c’è Sirius, che un po’ lo sto odiando e un po’ lo sto amando per il semplice fatto che c’è.
-taci- lo interrompe Walburga.
-non chiedetele di scegliere- la ignora lui rivolgendosi a mia madre –non chiedetele di scegliere tra la sua famiglia e i suoi migliori amici-.
Non avete il diritto di farlo.
La fine della frase è implicita, ma aleggia nell’aria con la chiarezza di un patronus.
Non avete il diritto di farlo.
Ed è vero, non ce l’hanno. Così come io non ho il coraggio di dir loro che non voglio farlo, non voglio scegliere e, nel caso in cui dovessi scegliere, non voglio sposare Regulus con un contratto così squallido.
Bella mira che ha avuto il capello parlante, nello spedirmi a Grifondoro.
Non ho nemmeno la forza di dire un semplice no.
-Sirius ha ragione, non chiedetemelo- riesco a dire alla fine.
Mia madre mi guarda, severa come mio padre.
Credo si fossero aspettati un tentennamento del genere.
-firma quel documento, Marlene- mi dice mia madre portandosi una mano alla testa, forse preda di qualche emicrania strana, o semplicemente scocciata all’idea di dover discutere.
Ecco, questo atteggiamento mi da fastidio.
Come se io fossi una di quelle bambine recalcitranti e di indole ribelle, come se io fossi solita impuntarmi su minuzie insignificanti solo per averla vinta.
-potremo parlarne un attimo?-.
-firma quel documento e stai zitta, ragazzina- interviene Walburga, mettendo fine con la sua voce aspra a qualsiasi tentativo di risposta di mia madre.
-stavo parlando con mia madre- le faccio notare –mamma, non farmi scegliere-.
-la vita è fatta di scelte, Marlene- s’intromette una voce nuova.
Regulus ha fatto un passo avanti e ha aperto bocca per la prima volta da venti minuti.
Lo guardo, inarcando un sopracciglio.
-già, e a quanto pare tu hai già fatto le tue- concordo –tutte sbagliate-.
Lui mi guarda, io lo guardo.
Poi sorride, un sorriso di scherno come quello di nemmeno venti giorni fa.
Merlino, è passato così poco dalla volta nei sotterranei?
-ci hai mai pensato, che per noi i cattivi siete voi?- mi dice con un sorriso sardonico.
 
Fine flashback
 

***

 
James Potter sei morto, ci puoi giurare.
È questo quello che penso quando lo vedo scomparire tra le fiamme verdognole della metropolvere.
Morto.
Se ti prendo ti disintegro, pezzo per pezzo.
-andiamo- dichiaro a Mary ancora ferma immobile sulla poltrona.
-cosa? Ma Lils, lui ha detto…-
-chissene frega di quello che dice quel pallone gonfiato di James Potter- ribatto duramente –idiota, presuntuoso arrogante, bastardo-.
-cosa vuoi…?-
Non le do nemmeno il tempo di finire, afferro una manciata di polvere volante, la butto nel fuoco e mi ci fiondo dentro prendendola per la collottola.
-Diagon Alley!- esclamo a voce ben chiara.
Non ho paura di finire in mezzo al fuoco, la metropolvere ha la particolare proprietà di farti atterrare nel camino più vicino a quello che desideri tu, se questo è in fiamme o inagibile.
Infatti, il camino di Madama McClan è quello più vicino e, prima di uscire dal negozio, noto che sembra completamente abbandonato.
Ma non è infiammato, non c’è fuoco da nessuna parte.
Possibile che si siano sbagliati e…?
No, una nube di fumo grigio è visibile all’altro lato della strada, ed alte fiamme sembrano lambire alcuni edifici di robusta e solida pietra.
Fiamme che si nutrono di pietra?
-ma quello è ardemonio!- esclama Mary lasciandosi sfuggire uno squittio terrorizzato.
Ardemonio.
Ora ho paura.
Ci sono solo alcune persone in grado di controllarlo efficacemente.
I mangiamorte, Lord Voldemort e Albus Silente.
Dal momento che dubito seriamente che il preside si sia messo ad incendiare il Ghirigoro, Dolci Delizie e Accessori per Maghi, non restano che due alternative, l’una più orrida dell’altra, ed entrambe pessime.
Uscendo dalla bottega del cucito riusciamo a scorgere un sacco di gente ammassata davanti agli edifici in fiamme, chi piangente, chi urlante, chi sporco di cenere e semplicemente stanco.
Gli ultimi devono essere i superstiti.
Guardo le loro facce, non ci sono ne Lène, ne Sirius.
Mary vede Paul, ma non sembra troppo sollevata, e capisco perché.
Lène non si vede da nessuna parte.
-Marlene!- la chiamiamo più volte. Niente, nessuno risponde. Alla fine Paul ci si affianca.
-ho visto Sirius e Marlene entrare al Ghirigoro prima che andasse in fiamme-.
Eccola, la stoccata finale.
Guardo il fumo, le fiamme così vive che seminano distruzione e, probabilmente, morte.
No, non voglio nemmeno pensarci.
-James!- urlo vedendolo sporgersi verso il Ghirigoro –James, non andare lì dentro, non ci provare-.
Lo raggiungo, lo afferro per i polsi e lo giro verso di me.
-James, non ci provare, non andare lì dentro.
-Lily, c’è Sirius lì dentro-.
Ed ecco che esplode, dentro di me, una rabbia cieca e una furia omicida.
C’è Sirius lì dentro.
So perfettamente che non è il momento giusto per sentirla, eppure è proprio gelosia quella che mi attanaglia le viscere?
-non andare, James, ti prego!- lo supplico piangendo e tenendolo fermo per i polsi.
Sono una persona orribile, vero?
Perché sento tutta questa paura? Perché sento tutto questo dolore, questa rabbia e questo odio?
Mi sento un mostro, nel momento in cui James mi sfugge dalle braccia e si tuffa nell’edificio.
-Jamie!- non posso far altro che strillare, e lasciare che le lacrime sfuggano ai miei occhi come James sfugge a me.
Mi sento un mostro, quando lo vedo entrare.
Mi sento un mostro perché darei qualsiasi cosa per vederlo riemergere vivo, anche se questo qualsiasi cosa fossero le vite di Sirius e Marlene.

 



NOTE:
ok, mi odiate, è comprensibile.
Non è colpa mia, davvero, cerco di aggiornare e scrivere il più velocemente possibile, ma tra tutto è davvero un periodo un po’ estenuante. In più ho aggiornato un po’ in ritardo per poter aggiornare anche l’altra mia ff, quindi chiedo scusa.
Comunque, posso capire che mi odiate.
Spero che questo capitolo vi piaccia, davvero, credo sia uno dei miei preferiti in assoluto.
Continuerà nel prossimo, ovviamente.
Di precisazioni da fare non ne ho, risponderò alle recensioni appena possibile.
Un bacio e un grazie a chi legge e recensisce facendomi sapere cosa ne pensa,
sperando che vi piaccia,
buona lettura,
Hir
 
 
 

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Capitolo 41
*** Revenge ***


 
LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
MARY
EMMELINE
REMUS
ALICE
PETER
FRANK
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 



La vendetta, è una sorta di giustizia selvaggia*

 


Io non ho mai avuto grandi aspirazioni nella vita.
Non ho mai desiderato essere un coraggioso grifondoro, quando sin da che sono nato mi hanno avvolto in copertine verdi e argentate.
Non ho mai desiderato avere una madre comprensiva che la sera, prima di addormentarmi, mi rimboccasse le coperte cantandomi una dolce ninnananna, quando sin da che sono nato mi hanno affidato alla cura degli elfi impartendomi l’educazione a stampo Black.
Non ho mai desiderato avere un amico con cui confidarmi quando finivo in punizione, o un’atmosfera allegra a Natale, o ridere dal mattino alla sera circondato da simpatiche compagnie.
Non ho mai desiderato nemmeno di essere il primo della classe o il ragazzo più ambito di Hogwarts.
In realtà, ad essere proprio onesti, non ho mai nemmeno desiderato di essere promesso in matrimonio alla figlia piantagrane di una dinastia secolare.
O almeno, non l’ho desiderato fino a quel giorno in cui, spinto da un non ben preciso senso di gelosia mista ad imbarazzo, l’ho vista al campo da quidditch parlare con quel cretino di Sirius e allora l’ho invitata ad Hogsmeade.
Non ho mai cercato la gloria fine a se stessa, come ha fatto Sirius, non ho mai cercato una famiglia che amasse anche i miei due nomi, oltre al cognome, non ho mai cercato amici per cui dare la vita con il sorriso.
Non ho mai cercato nemmeno una ragazza che avesse il potere di rincretinirmi con un solo sguardo, o con due parole.
A lei ne è bastata una sola.
Quel no, appena sussurrato, che Sirius e sua madre le hanno dovuto strappare fuori con le pinze.
 
Flashback-> 23 dicembre 1977 ore 15.20
 
-la vita è fatta di scelte, Marlene- mi intrometto ad un certo punto, quando una sua frase forse mal calcolata attira la mia attenzione.
Proprio non lo sopporto, questa sorta di perbenismo grifondoro, secondo cui io ho sbagliato semplicemente perché ho fatto qualcosa che loro non avrebbero mai fatto.
-già, e a quanto pare tu hai fatto le tue- mi risponde con un sopracciglio lievemente inarcato –tutte sbagliate-.
La guardo con attenzione.
Poi sorrido, di un sorriso beffardo e intriso di freddezza.
-ci hai mai pensato che per noi siete voi i cattivi?-.
Ecco, la loro intoccabile logica grifondoro per me ha sempre avuto una falla.
Possibile che per loro sia tutto bianco o nero?
Io non ho mai desiderato essere un mangiamorte, ma mio fratello è scappato di casa, se ne è andato e mi ha lasciato a rappezzare alla bell’e meglio tutti i buchi che ha trascurato lui.
Io non ho mai desiderato essere un serpeverde, ma mio fratello è finito a grifondoro, quindi sono passato io a raccogliere i cocci che lui ha lasciato per terra.
In realtà, io ho raccolto i cocci di mio fratello per tutta la vita.
Lui troppo impulsivo, troppo deciso, che non si è mai curato delle persone a cui deve passare sopra per seguire la sua strada nella vita.
Non che io lo biasimi più di tanto, in realtà io non ho mai desiderato nulla e mi sono sempre rassegnato a prendere il posto che gli altri mi lasciano, nella vita.
A sentire mio fratello, questo è un atteggiamento da codardi.
Io non credo sia così.
Credo che nel mondo ci siano persone come lui, che nascono con il preciso compito di troneggiare e con tutte le qualità per arrivare a farlo, persone che non si danno la pena di pensare quanto questo costi a coloro che li circondano. E persone come me, che hanno il preciso compito di modellarsi in base agli atteggiamenti di quelli come lui, perché non si può lasciare un buco nella tela della vita semplicemente perché c’è chi non si è degnato di riempirlo.
E credo che il mondo abbia bisogno di entrambi, coloro che mirano a qualsiasi costo al proprio obbiettivo e coloro che si modellano per riparare i danni dei primi.
Perché per farvi fare la parte degli eroi, Marlene, servono i cattivi, in questo mondo e perché c’è chi non si può prendere il lusso di andarsene.
Ricordo con precisione quando l’ho detta, questa frase, nella penombra dei sotterranei, ad una ragazza che pensava di potermi salvare.
Come se io volessi essere salvato.
Come se io potessi scegliere.
Io non ho mai desiderato, di scegliere.
In realtà, quelli che si possono permettere di scegliere sono in pochi, i più fortunati, forse… a tutti noi altri poveri mortali resta disporci come meglio crediamo, per prendere meno botte quanto tutta la baracca cadrà e noi ci resteremo intrappolati.
Capita.
-adesso basta, ragazzina, firma e levati dai piedi-.
La voce di mia madre interrompe quel filone di pensieri che mi ha portato indietro nel tempo di due settimane. Marlene la guarda insicura, poi sussurra piano.
-no-.
Sapevo che sarebbe arrivato, quel no.
L’ho capito quel pomeriggio ai sotterranei, che non avrebbe acconsentito, che si sarebbe rifiutata se io mi fossi rifiutato di farmi salvare.
Perché anche questo, è incredibilmente grifondoro.
Il voler a tutti i costi vedere il buono nelle persone, il volergli far fare le cose secondo loro più giuste.
Come se una persona non avesse i propri motivi, per scegliere quello che sceglie.
Lo avevo capito, che non avrebbe acconsentito.
Ma non avevo pensato che mi avrebbe fatto così male.
 
Fine flashback.
 

***

 
 
Guardo le fiamme. Sono talmente alte da farmi paura, talmente calde che posso avvertirne il calore soffocante perfino da qui, lontano almeno cinque metri dall’edificio che sta andando a fuoco.
Mi volto, riesco a trovarla con lo sguardo, incrocio i suoi occhi e vi leggo una preghiera che poi tanto muta non è, dal momento che sta inveendo contro di me ora veemente, ora supplichevole.
Volto di nuovo la mia attenzione al Ghirigoro, deglutendo.
C’è mio fratello, lì dentro, ne sono sicuro.
Così come sono sicuro che se non mi ammazzerà il fuoco, lo farà la rabbia di Lily quando uscirò di li.
Ma c’è mio fratello, lì dentro.

 
La consapevolezza dei miei desideri, delle emozioni che sto provando, mi attanaglia le viscere con tanta forza che ho bisogno di restare qualche secondo immobile per assorbire tanta intensità.
Merlino, come sono arrivata a questo punto?
Meno di cinque mesi fa disprezzavo James Potter con tutta me stessa, lo deridevo e non desideravo altro che vederlo fallire in tutte le sue imprese mirabolanti. Meno di cinque mesi fa strepitavo al solo sentirne il nome, mi sentivo bruciare gli occhi dalla rabbia non appena lo scorgevo a cinquanta metri, facevo di tutto pur di prenderlo insieme a quel cretino di Black e affibbiare ad entrambi una punizione da lode.
Ora, a cinque mesi di distanza, lo imploro di non tuffarsi in un edificio in fiamme per salvare suo fratello, sarei disposta a dare la vita della mia migliore amica pur di riaverlo indietro vivo.
Come sono arrivata a questo punto?
Da quando ho smesso di inveire alle sue battute e ho iniziato ad attendere i suoi sorrisi con il cuore in gola?
E perché diamine me lo sono permesso?
 

 ***

 
L’aver sentito la sua voce oltre questo mare di libri mi ha un po’ rassicurato.
Almeno è ancora viva, e non faccio che ripetermi che in questo oceano di fuoco essere ancora vivi è già qualcosa.
È strano, questo fuoco si comporta in modo strano. Non si alimenta dei libri che gli lancio, li invade ma non li lambisce per consumarli.
Deve essere ardemonio, mi dico.
Ardemonio lanciato da qualcuno che non vuole ucciderci e basta, incenerendoci, ma che vuole ucciderci facendoci soffrire, torturandoci con il calore e con il fumo, così denso che quasi non ci si riesce a vedere attraverso.
Mi ricordo del bambino, riesco a estrapolare dalla mente annebbiata dal dolore e dal calore alcune parole per accertarmi che sia ancora qui vicino.
-Timothy, sei qui?-.
Il bambino mi risponde tossendo, con voce gracile ma ancora ben udibile.
-la tua amica è dall’altra parte dei libri?-.
Si, maledizione, si.
Devo riuscire a trovare un modo per uscire vivi da qui, per farla uscire viva da qui.
Le ho promesso che mi sarei impegnato, a far quadrare questa strana relazione che sta nascendo tra noi.
Gliel’ho promesso.
 
Flashback-> 23 dicembre 1977 ore 15.25
 
-ti prego, Regulus, vieni via con noi- le parole di Marlene mi provocano un moto di stizza che mi obbligo a tenere a bada –non devi per forza farlo, non devi per forza fare quello che ti dicono loro-.
Guardo mio fratello, veramente forse per la prima volta dopo un sacco di tempo.
Le parole di Marlene sono sincere, ma so già quale sarà la risposta.
Mio fratello non verrà con noi.
Non è abbastanza coraggioso per opporsi, e non lo sarà mai.
-non lo farà, Lène- le dico –preferisce la sua esistenza fredda e grigia, preferisce un marchio sul braccio alla libertà-.
Perché diamine quel damerino non si ribella?
Loro e le loro idee gli hanno rovinato la vita.
Poteva salvarsi, se solo l’avesse voluto.
Mio fratello, infatti, ha abbassato la testa e lo sguardo.
Alla fine, innumerevoli, si sono levati solo gli insulti di mia madre, che non si risparmia mai i propri commenti, soprattutto se negativi.
-Fidelma, fai qualcosa, insomma!- alla fine, dopo strepitii e borbottii si è arresa rivolgendosi alla madre di Marlene, che ha passato un lungo momento con le mani alla testa come a curarsi un dolore improvviso.
-mamma, ti prego…-
-Marlene, firma quel pezzo di carta oppure vattene via da qui- la interrompe suo padre, altero e serio come sempre.
Non avrei mai pensato al signor McKinnon come ad una persona così severa. È vero che è quello che tiene un po’ di più alle tradizioni nobili dei maghi, ma visto così sembra una copia sbiadita di mia madre.
Comunque l’ho già detto, mi pare.
Se Marlene McKinnon non ci fosse, bisognerebbe inventarla.
-io amo Sirius-.
Eh?
 
Fine flashback.

 
Continuando a strisciare raggiungo la libreria oltre cui ho sentito parlare Sirius, e inizio con le palme bruciacchiate delle mani a spingere lo scaffale. Ci sarà pure un modo di uscire di qui, mi ripeto.
Intanto ingoio fumo, saliva e lacrime salate. Non riesco a smettere di piangere a grandi singhiozzi, sento la vita e, peggio, la voglia di vivere, scivolarmi tra le dita come acqua.
-Sirius?- lo chiamo ancora.
-Lène?-.
Sospiro ancora.
-levati da dietro alla libreria e aiutami a tirarla giù da quella parte- lo informo –e stai più in basso che puoi, l’aria è più respirabile e c’è meno fumo-.
-ok, spingi lo scaffale, noi tiriamo-.
Noi?
-c’è qualcun’altr…- vengo sorpresa da un eccesso di tosse che mi squassa i polmoni, impedendomi di continuare.
-un bambino- mi risponde la sua voce ovattata –stai bene, Lène?-.
Annuisco, poi mi ricordo che non mi può vedere.
-si-.
Non ho fiato per dire altro, continuo a tempestare di pugni e schiaffi la libreria davanti a me, sperando che ceda in fretta, mentre il dolore alla schiena si fa sempre più acuto.
Alla fine cede, in un mare di lapilli e scintille che bruciano i nostri abiti.
Dall’altra parte, accovacciati al suolo, Sirius e un bambino con gli occhiali mi guardano straniti.
Finalmente la fortuna inizia a girare.
 
Flashback-> 23 dicembre 1977 ore 15.30
 
La mia affermazione ha scatenato l’inferno.
Non so perché l’ho detto ad alta voce, non pensavo di averne il coraggio, ma volevo spezzare quella tensione immobile che si è formata nella stanza come una cappa di nebbia vacua.
È una di quelle cose che fai senza pensare minimamente alle conseguenze, sperando tuttavia che si sblocchi qualcosa, anche se magari poi te ne penti subito dopo.
Beh, se il mio intento era quello di sbloccare qualcosa, direi che ci sono riuscita.
Walburga ha iniziato ad urlare come una pazza isterica, a darmi della feccia e della donna scarlatta, espressione, se mi permettete, un po’ datata.
Mia madre mi ha guardato come si guarda una manticora.
Mio padre ha smesso di respirare, ho quasi paura che gli venga un infarto.
Quello che osservo con più attenzione, comunque, è quello che mi colpisce di più, un riflesso di delusione sul volto di Regulus, che quando cerco di cogliere il suo sguardo volta la testa come a scacciarmi. Avverto la spinta quasi come se fosse fisica, mi ritrovo quasi a barcollare.
Sirius mi guarda stranito, come se non capisse dove voglio andare a parare.
Non lo capisco nemmeno io, a dire la verità.
Ho semplicemente detto qualcosa che pensavo avrebbe potuto sciogliere la situazione.
Quando lo fa Mary funziona sempre.
 
Fine flashback.

 

 ***

 
E così, alla fine, Sirius si è preso anche quell’unica cosa che mi ero ritagliato per me.
Com’è che dice sempre lui?
È arrivato per primo.
Mi sforzo di respirare, di prendere questa cosa con la stessa filosofia che riservo alle altre che lui mi strappa da sotto il naso.
Non mi è mai importato molto, alla fine, di avere o non avere una cosa piuttosto che un’altra.
Questo è quello che mi ripeto come un mantra.
 
Flashback-> 23 dicembre 1977 ore 15.30
 
Il rancore che provo verso Sirius, più che essere mio, è sempre stato di qualcun altro, di qualcos’altro.
Da due anni disprezzo mio fratello perché ci si aspetta che sia così, perché io devo fare così.
La rabbia, invece, che mi avvolge adesso come un bozzo protettivo non ha niente a che fare con quel rancore sbiadito. È bruciante, e mi infiamma al punto che mi devo controllare per non prenderlo per il collo e spaccargli quel bel faccino che tanto si cura.
Bastardo.
Le tempie mi pulsano, ho male alla testa e mi bruciano gli occhi che sento iniettati di odio.
Non riesco a sopportarne nemmeno la vista, ne sua ne di Marlene.
Per questo volto la testa, e il desiderio che ho di spintonarla spero che si senta anche così, anche se non la tocco nemmeno con il pensiero.
Maledetta.
Avevo qualcosa che avrebbe potuto rendermi felice, e Sirius me l’ha tolta.
Pagherà per questo, giuro che lo farà. E sentirà tutto il dolore di questo fuoco che mi invade, sarà impotente e guarderà il suo mondo andare in pezzi.
Esattamente come sto facendo io.
Sento mia madre che strepita ancora, minaccia a vuoto con la sua voce glaciale, fulmina con un solo sguardo sia quel figlio che non ha mai apprezzato sia quella ragazza a cui tanto a malincuore mi avrebbe ceduto.
-andiamocene- dico alla fine voltandomi verso la porta.
-come? Ma, Regulus, questa ragazzina…-
-non mi interessa, madre- le rispondo gelidamente –non la voglio una babbanofila del genere-.
 
Fine Flashback.

 
Più tardi, li ho visti uscire dall’ufficio notarile per mano, Marlene con gli occhi rossi e mio fratello, mio fratello, con un sorriso sereno sulle labbra.
Ci dirigemmo alla Gringott, io e mio padre silenti come al solito, mia madre indispettita o, a dir la verità, completamente infuriata.
-razza di bambina viziata… come ha osato… e quell’altro, feccia… sangue del suo sangue… se solo potessi… razza di lurido bastardo… babbanofili e feccia, ecco a cosa porta… sfrontata e impudica…-.
-madre, andate voi alla Gringott, io devo ritirare in farmacia alcune scorte di ingredienti per le pozioni- la interrompo piuttosto bruscamente, innervosito dal suo borbottio, ancora scosso dalla rabbia.
Al cenno di assenso dei miei genitori mi mossi verso la farmacia facendo lunghi respiri per calmarmi.
Questa sera stessa scriverò a Lestrange, mi dico, per sapere con esattezza la data in cui è stato fissato il marchio.
Tanto per ribadire che io non ho alcuna intenzione di farmi salvare.
Sono quasi alla farmacia quando li vedo di nuovo, lei ferma davanti alla vetrina del Ghirigoro che fissa il vuoto e lui intento a guardarla, un braccio intorno alle sue spalle, come a volerla consolare, come se ne avesse qualche diritto. Poi entrano, come una coppia qualunque, come se non avessero niente a che fare con il pugnale che mi spunta tra le scapole.
E all’improvviso mi viene un’idea.
Tanto per ribadire che io non ho alcuna intenzione di farmi umiliare.
Il resto, è storia.
 

***
 
L’interno è denso di fumo grigio che lambisce la pietra con la stessa intensità con cui avvolge i libri.
Non si nutre di nulla, consuma tutto.
Estraggo la bacchetta con prontezza per mormorare un aguamenti piuttosto potente, ma non mi sconforto quando vedo il getto d’acqua evaporare. Sapevo che sarebbe successo, ma tentar non nuoce.
-Sirius?- chiamo a gran voce portandomi una mano al volto per conservare un po’ d’aria pulita –Sirius, Lène?-.
All’inizio non mi risponde nulla se non lo schioccare del fuoco e il ruggire delle sue fiamme roventi.
Penso che qualunque morte sarebbe preferibile a quella data dal fuoco, la cui mano non è certo magnanima.
Attorno a me ci sono crolli e esplosioni, e per un attimo ho davvero paura che sia troppo tardi, troppo tardi per Sirius, per Lène e per me.
Se morissi, Lily non mi perdonerebbe mai.
Ricordo il colore dei suoi occhi offesi, arrabbiati, preoccupati e delusi.
Delusi.
Non voleva che io mi gettassi nel fuoco per salvare Sirius, forse non capisce che io per Sirius morirei. Così come morirei per lei, senza alcun ripensamento.
In genere, dai propri migliori amici ci si aspetta che darebbero la propria vita pur di proteggerci. Io sono sicuro che i malandrini lo farebbero, per me.
Ebbene, io so per certo che darei la vita per loro e per Lily senza alcun battito di ciglia, lo farei con il sorriso sulle labbra.
Ma forse questo Lily non lo capisce.
Quando il fuoco sembra farsi più vicino, mi dico che non appena uscirò da qui prenderò Lily per mano e troverò un modo per dimostrarle quanto la amo, per farle capire che per me lei è importante quanto la mia stessa vita, e di più.
Quando uscirò da qui, perché io da qui ci uscirò.
-Sirius, Lène!- li chiamo ancora, fino a quando la gola non mi brucia come se ingoiassi ad ogni respiro carta vetrata.
-siamo qui!-.
Morgana e Circe, hanno risposto! Velocemente, quanto più veloce le fiamme mi permettono, mi spingo verso di loro passando sopra a libri e scaffali crollati. In un angolo non ancora lambito dalle fiamme riesco a vedere un corpo a terra. È una donna dai tratti minuti, le braccia e le gambe scomposte, le punte dei capelli in fiamme.
Non c’è alcun dubbio sul fatto che non sia più viva.
 

 
 
 
 
 
 
 
*Francesco Bacone
 
NOTE:
allora, questo capitolo è visto soprattutto da parte di Regulus, perché ho voluto approfondire un po’ di più la sua personalità per poi evolvere le sue azioni in futuro.
Spero che vi piaccia, a me è piaciuto molto e il prossimo capitolo si prospetta, a parer mio, ancora più interessante.
Nel prossimo capitolo avremo i conflitti interiori ed esteriori tra James e Lily, e il natale a casa Potter.
Come sempre, grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito, spero di sentire ancora i vostri pareri, risponderò appena avrò un po’ di tempo da dedicarvi.
Buona lettura,
Hir.
 
 
 

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Capitolo 42
*** per le spine e i difetti ***


LILY
SIRIUS
JAMES
MARLENE
EMMELINE
REMUS
MARY
ALICE
FRANK
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 

 
Elua, può l’amore stringerci tra spine così feroci?*

 
 
Sono avvolto in una coperta, sporco e sudato, e guardo l’edificio che prima era in fiamme ora nudo e terribilmente desolato.
Attorno a me, dentro di me, ancora echeggiano le urla strazianti del ragazzino che è stato portato, solo mezz’ora fa, al San Mungo urlante e scalciante da due Auror già troppo avvezzi al proprio lavoro per lasciarsi commuovere alle lacrime da una scena che, sicuramente, hanno già visto molte volte.
È terribile come io senta ancora la sensazione del fuoco sulla pelle, e come questa sensazione mi faccia rabbrividire.
Già, strano. Sono bagnato dal sudore del fuoco e della paura anche se sono avvolto in una coperta calda e ho in circolo almeno tre litri di Pozione Riscaldante.
Tremo, ho freddo.
Zia Dorea, tra un rimprovero e un abbraccio, mi ha detto che deve essere lo stress a cui sono stato sottoposto.
Già, anche se è Auror da tanto tempo, non si è ancora abituata a situazioni del genere. O forse non si è abituata a situazioni in cui siano coinvolte persone a cui tiene.
-vuoi acqua, Sir?-.
La domanda arriva da James, che si siede accanto a me e mi porge un bicchiere scheggiato senza attendere risposta.
Mi inumidisco le labbra secche con la lingua. Strano come non si senta la mancanza di qualcosa fino a quando non ce la fanno notare.
-grazie- rispondo quindi bevendo a grandi sorsi.
La gola riarsa ruggisce al contatto con l’acqua, e devo trattenere le lacrime che istintive mi sono salite agli occhi.
-stai bene? tutto a posto?- mi chiede voltandosi verso il Ghirigoro –Marlene sta bene, non ha nulla di grave, è solo stordita dal fumo e sta riposando-.
Strano come non si senta la mancanza di qualcosa fino a quando non ce la fanno notare.
Annuisco, svuotato da tutto e riempito dal fumo, probabilmente.
-bene- gracchio alla fine con voce roca –e te? stai bene?-.
Lui sorride di quei sorrisi impossibili, che solo James sa fare.
-certo che sto bene, sono James Potter- mi risponde dandomi una gomitata leggera sul braccio.
Sorrido anche io.
Se non ci fosse stato lui, mio fratello, chissà dove sarei io adesso.
-dovresti farti vedere al San Mungo, mamma dice che…-
-James, sto bene, non mi serve il San Mungo- cerco di tagliar corto con voce raspante.
-col cavolo che stai bene, Black- mi interrompe la voce burbera di un zoppicante Alastor Moody –e anche tu, Potter, queste scottature vanno medicate-
-ma…-
-zitti, al San Mungo tutti e due-.
 

***

 
Il San Mungo è sempre terribilmente bianco, nonostante io ne sia uscita ormai da quasi due mesi ricordo con precisione ogni singolo attimo passato in questa realtà ovattata, che non è cambiata e probabilmente non cambierà mai.
Ricordo di aver pensato, dopo qualche giorno di degenza qui, come questo ospedale assomigli un po’ ad un limbo. Sempre uguale e sempre diverso, l’aria inviolata dal lieve scorrere di un tempo che qui non passa mai.
Sono seduta fuori da una porta, bianca come tutto il resto, in attesa di non so bene cosa, con pensieri intrisi di senso di colpa in testa e un male terribile alle tempie.
Oltre quella porta, la mia migliore amica è stesa su un lettino e sta dormendo, a quanto hanno detto i medimaghi, stordita dal fumo dell’ardemonio e troppo stanca per ricevere visite.
Perché è così difficile scendere a patti con i propri pensieri?
-Lily, James e Sirius ti aspettano per tornare a casa-.
È la voce di Dorea Potter che mi fa sobbalzare, più formale del solito e, in parte, anche più fredda.
L’ho delusa.
Sapesse quanto ho deluso me stessa, signora Potter.
La guardo con occhi spiritati, la figura sottile stagliata eretta nel cono di luce più chiara creato dal portone aperto del reparto “Grandi ustionati”.
-posso restare ancora un po’, Signora Potter?-.
La vedo tentennare, alzare gli occhi al cielo e fissarmi in risposta pronta al diniego.
Poi si blocca, mi guarda incuriosita e accenna un tiepido si con la testa.
Sospiro e appoggio di nuovo la fronte sulle ginocchia, aspettando non so cosa, seduta per terra nel reparto “Grandi ustionati” del San Mungo.
Sapesse quanto ho deluso me stessa.

 

***

 
-direi che con un po’ di riposo e le pozioni che le ho dato dovrebbe tornare tutto a posto in un paio di giorni- mi dice la medimaga guardandomi bonaria –ha avuto fortuna, signor Black-.
Annuisco computo, so bene di aver avuto fortuna.
-il ragazzino che era con me e Lène nella libreria?- chiedo incuriosito –mi pare si chiamasse Timothy-.
-terremo ricoverato il bambino per qualche giorno, fino ai funerali della madre- mi spiega la medimaga con un sorriso triste –credo che adesso sia in compagnia del padre, non ha nulla di grave. Tutto sommato, penso che si possa dire che il vostro gruppetto sia stato molto fortunato, nell’incendio, nessuno dei tre ha patito gravi danni-.
Annuisco ancora.
-ora, per quanto la riguarda, signor Black, non posso non insistere con la faccenda del riposo- continua la donna guardandomi con scrupolo –le ferite guariranno in poco tempo così, e non dimentichi le pozioni-.
Prendendo le boccette che mi porge, saluto ed esco dalla porta.
Fuori dall’ambulatorio James mi guarda un po’ assente, Zia Doree fa un sorriso prendendomi le medicine dalle mani e Zio Char mi da una lieve pacca sulla spalla.
-possiamo andare a casa, ora?- chiedo passandomi una mano sugli occhi –dov’è la Evans?-.
-sono andata a chiamarla ma ha chiesto di stare ancora un po’ qui, forse vuole aspettare che Marlene si risvegli- mi dice Zia Doree indicandomi la porta del reparto in cui è ricoverata Lène.
-la trattengono fino a domani, vero?-.
-a quanto pare si- annuisce Zio Char.
Io sposto lo sguardo su James che, stranamente silenzioso, si limita a camminare con noi e a guardare un punto fisso davanti a se.
Mentre lo zio e la zia continuano a parlare tra loro, forse dell’incendio o forse di altro, mi avvicino a James.
-ehi, Prongs, perché quel muso lungo?- chiedo tentando di strapparlo alle sue riflessioni.
-eh? Oh… Pad, com’è andata la medicazione? Tutto bene?-.
Alzo gli occhi al cielo.
-si, grazie Jamie dell’interessamento- ribatto assecondandolo –perché sei così pensieroso?-.
Scuote le spalle, poi torna a guardare il nulla.
-…Jam…-
-oh, Merlino, non capisco perché Lily mi tenga il broncio- esclama ad un certo punto inveendo contro il soffitto immacolato dell’ospedale –da quando siamo usciti dalla libreria mi guarda e non mi parla-.
Sospiro e guardo James.
Vedo che mi sta guardando.
-oh, no, no, no, no… no… assolutamente no!-.
-io per te mi sono buttato in una libreria infuocata!- ribatte scioccato James.
Bastardo, lo sapevo che lo avrebbe fatto.
Sono tutti dei cretini quelli che pensano che James sia un grifondoro con i fiocchi. Quando fa così starebbe proprio bene tra i serpeverde!
-io… no! No! Assolutamente…-.

 

***

 
-posso sedermi?- la voce roca e un po’ burbera di Sirius Black mi fa sobbalzare.
Sono ancora seduta nella stessa identica posizione in cui ero seduta mezz’ora fa quando è venuta a chiamarmi Dorea.
Alzo la testa dalle ginocchia e annuisco lentamente.
Sirius si siede accanto a me, soffocando qualche imprecazione probabilmente per il dolore procuratogli dalle rimanenti scottature.
Restiamo in silenzio per un po’, lasciandoci cullare dal rumore dei passi scattanti di medimaghi e infermieri che passano davanti a noi.
-sai, due estati fa, la prima che ho passato dai Potter, siamo dovuti correre al San Mungo perché James si è quasi spaccato la testa cadendo dal tetto-.
Guardo Sirius scettica.
-e cosa ci faceva James sul tetto, esattamente?-gli chiedo circospetta.
Ridacchia appena.
-voleva convincere il gufo reale dei Potter, gran bell’animale ma con un bruttissimo carattere, a consegnarti una strillettera d’amore, era piovuto solo qualche ora prima, ha messo un piede in fallo e…-
-pum-.
-spack, direi piuttosto- sorride ancora –e poi c’è stata quella volta in cui si è messo in testa di trovare almeno trenta cose rosse come i tuoi capelli e altre trenta verdi come i tuoi occhi. C’è un albero, in giardino, che fa delle mele rosse, ma proprio rosse, e quella volta, era la fine di agosto, appena prima di tornare a scuola, e ce n’era una sola già matura, ed era proprio in cima. Si è slogato una caviglia cercando di raccoglierla, e anche per quello siamo dovuti venire fin qui. È caduto in un modo spettacolare, e ha pianto per un’ora come un bambino-.
Sorrido, involontariamente.
-però non dirgli che te l’ho detto, o esigerà la mia testa- mi dice in tono confidenziale.
Ridacchio ancora, poi mi fermo e lo guardo.
-e poi c’è stata quella volta che…-
-perché me lo stai dicendo?- gli chiedo.
Lui torna serio in un attimo, mi guarda con quei suoi occhi grigi e normalmente freddi e fa un sorriso strano, amaro.
-quelle sono le volte in cui sono dovuto scendere a patti con la mia coscienza- mi rivela –ogni volta che arrivavamo a questo punto, lui si faceva male per te, tu non lo guardavi nemmeno, io ti odiavo tantissimo. Quando cadde dal tetto desiderai che tu non fossi mai esistita, e che il mio migliore amico avesse più dignità-.
Sospira, si porta le mani alla fronte e fissa davanti a se, raccontando.
-insomma, non ho mai capito perché si fissasse così tanto con te. James è un bel ragazzo, ha sempre uno stuolo di ragazze disposte a fare qualsiasi cosa per essere degnate anche di un solo sguardo, ma lui non guarda altri che te-.
-sono sempre stata una sfida per lui- sospiro anche io.
-vero- annuisce dandomi ragione –ma per James, le sfide sono tutto, nella vita. Non fa mai nulla senza intenzione di vincere, e quando vince si tiene la vittoria ben stretta. Da tutto per lei. Ed è una cosa che ho sempre odiato, perché io voglio bene a James come a un fratello, da che lo conosco condivido tutto con lui, capisco il quidditch perché lo capisce lui, in trasfigurazione sono bravo perché lui è il migliore, faccio scherzi alla gente insieme a lui. Ma questa cosa non l’ho mai capita, prima. Questo fissarsi con te, non l’ho mai capito e accettato. Insomma, va bene che James ci provi con la Evans, mi dicevo, ma al trentesimo due di picche basta! Dovrebbe cambiare bandiera, mi dicevo-.
Io sto zitta, aspettando che l’eco delle sue parole si spenga.
-prima, quando ho visto James tuffarsi tra le fiamme, ho… ho desiderato che ne riemergesse- provo a spiegare –e non mi importava nulla se il prezzo sareste stati tu e Lène, o quel ragazzino, o…-
-già, e ti sei sentita un mostro- termina lui per me.
Annuisco.
Lui annuisce restando in silenzio.
È incredibile, quanto solo restando vicini e zitti ci si possa sentire in intimità. Se me lo avessero detto quattro mesi fa, non ci avrei scommesso uno zellino bucato, ma ora, qui con Sirius, mi sento in pace e a mio agio.
-quindi adesso non ce l’hai con me perché ti ho voluto morto?- chiedo sorridendo appena, cercando di spezzare la serietà del momento.
-e tu non ce l’hai con me perché sto insieme alla tua migliore amica?- butta lì scherzoso in risposta.
La mandibola mi cade sul pavimento, mentre lo guardo alzarsi da terra e porgermi la mano.
-come… tu… cosa?- gli chiedo senza parole. Poi cerco di darmi un contegno –hai intenzioni serie?-.
Sorride, con il suo eterno sorriso alla Peter Pan.
-Evans, questo era il mio turno di impicciarmi degli affari degli altri e fare discorsi seri- mi risponde precedendomi nel corridoio.
 

***

 
-io non riesco proprio a capire cosa vi sia saltato in mente, razza di incoscienti che non siete altro, potevate morire, potevate rimetterci tutti la pelle, se qualcuno…-
-Doree, non essere troppo dura, tu…-
-zitto Charlus, stavo parlando con loro, non con te-.
La voce di Dorea Potter sferza l’aria con la potenza di una frusta d’acciaio.
-ma, Doree…-
-zitto. E voi! Se qualcuno vi ordina esplicitamente, e con qualcuno intendo io o papà, vi ordina esplicitamente di restare a casa, di non gettarvi nel caos, di non pensare minimamente di raggiungerci, non pensate che magari un motivo potrebbe pur esserci? No, loro non pensano che…-
-mamma, non avevo pensato che…-
-hai detto bene, James, tu non hai pensato!- lo interrompe Dorea, gli occhi lucidi dalla rabbia, il volto gelido –e non pensando, potevi morire. Mettiti in testa che quello in cui viviamo è un mondo di guerra, James, un mondo a cui non importa se tu sei un grifondoro e ti credi coraggioso, mettiti in testa che se qualcuno ti dice di stare fermo, se qualcuno che ti vuole bene ti dice di stare fermo, lo fa perché si preoccupa per te, non perché vuole dimostrare di essere coraggioso più di quanto non lo sia tu. Mettiti in testa che questo mondo non è una sfida continua, James, è una guerra, dove se perdi muori, e muoiono delle persone che dipendono da te. L’infanzia è finita, impara a crescere!-.
-mamma, in quella libreria c’era Sirius!-.
-ci avremmo pensato noi, James, noi! Siamo noi gli Auror, non tu, tu non dovevi esserci, a Diagon Alley. Facendo così, mi costringi a non dirti più nulla, la prossima volta-.
-mamma, non…- James mi fissa boccheggiante, come a cercare un appoggio alle sue idee.
Lo guardo e scuoto la testa.
-tua madre ha ragione, James- gli dico con una smorfia sul volto e la rabbia nella voce.
Dorea ha ragione, James poteva morire.
Quello che mi brucia ancora di più, poi, è che lui non mi abbia dato retta. Non ha nemmeno preso in esame, le mie suppliche.
-c’era Sirius, lì dentro!- ribadisce esasperato.
Già, c’era Sirius. Un Sirius che adesso assiste a questa lite di famiglia restando zitto e stranamente perso nei propri pensieri, senza intervenire in alcun modo.
-già, e c’eri anche tu- mormoro voltando il capo in modo tale da non incrociare il suo sguardo –scusatemi, vado un po’ a stendermi-.
Detto questo raggiungo la porta e esco dalla stanza.
Sono stanca.

 

***

 
Mia madre continua la sua strigliata per circa venti minuti, venti minuti in cui me ne dice di tutti i colori con voce ringhiante che farebbe invidia ad un drago.
E guai se provo a dire che non sono d’accordo!
Si accanisce con particolare entusiasmo su di me da quando Lily le ha detto che ha ragione.
Alla fine, però, si quieta. Alla fine cioè dopo molto tempo.
-vado di sopra- dichiaro infuriato quando finisce la sua ennesima tirata.
La vedo scuotere la testa rassegnata, e infilo le scale prima che possa riprendere con queste scenate.
Possibile che mia madre non capisca?
C’era mio fratello, in quella libreria! Non ho mai nemmeno pensato di non tuffarmici dentro, fin da che ho capito che Sirius era là dentro.
Salendo le scale arrivo alla zona notte, e il mio sguardo cade sulla porta della stanza di mio fratello. Sirius mi passa vicino, mi da una pacca sulla spalla come a ringraziarmi e, con un sorrisetto ghignante, mi indica camera di Lily.
Mi avvicino alla porta della camera di Lils, chiusa, e busso lievemente.
-Lily? Posso…?-.
La sento tossire, poi un attimo di silenzio.
-entra- il sussurro appena accennato.
Spingo il battente, entro nella stanza e mi richiudo la porta alle spalle, poi mi volto verso il letto.
Lily mi guarda, ha gli occhi rossi ed è appoggiata alla testiera del letto con la trapunta a coprirle le gambe.
-Lils, io…-.
Mi interrompo, la guardo e non so cosa dire.
Che dovrei dirle?
Che mi dispiace? Sarebbe una bugia, lo rifarei anche adesso, se Sirius fosse in pericolo.
Che la capisco? No, anche questa sarebbe una bugia.

 

***

 
Salgo le sale velocemente, sono ansiosa di arrivare in camera mia, di buttarmi sul letto e dormire.
Arrivata in camera mi chiudo la porta alle spalle e mi accoccolo sul letto, sfilandomi le scarpe e mettendomi sotto la trapunta completamente vestita.
Sono spossata.
È così stancante, amare qualcuno?
La conversazione con Sirius ha chetato una parte dei miei pensieri, ma ho ancora la testa che ronza e gli occhi che mi bruciano.
Mi sento un mostro, non posso realmente credere a tutto quello che ho pensato vedendo James entrare al Ghirigoro. Ho davvero desiderato tutto quello che ho desiderato pur di riavere James?
C’era la mia migliore amica, in quella libreria!
Perché è così difficile venire a patti con i propri pensieri, accettare senza remore anche le ombre dei propri desideri?
Alla fine sento un tiepido bussare alla porta, che mi distoglie dai miei pensieri.
-entra- dico, immaginandomi James dietro la porta.
Quando lo vedo entrare lo guardo un po’ stranita e mi rannicchio di più sotto le coperte.
-Lils, io…-
Lo vedo, che nemmeno lui sa cosa dire.
Non può dirmi che gli dispiace, sarebbe una bugia, so che lo rifarebbe anche adesso.
Che mi capisce? Ne dubito, visto come mi ha guardato quando ho urlato il suo nome, fuori da quella libreria.
Quindi mi guarda con quegli occhi vacui spesso ridenti e ora vagamente preoccupati.
Lo vedo aprire la bocca per rispondermi.
-lo so- lo precedo.
Lui chiude la bocca intontito e mi guarda stralunato.
-lo so benissimo che non ho alcun diritto di dirti niente, che credi di essere nel giusto e…-
-Lily, se dentro a quella libreria ci fossi stata tu, io avrei fatto la stessa identica cosa-.
Sospiro.
-lo so, James- ripeto rattristata –ma non per questo devo essere d’accordo-.
Alla fine, restando in silenzio, viene a sedersi sul ciglio del letto, lontano non più di trenta centimetri da me.
Mi prende la mano, e per un po’ restiamo entrambi fermi, con il solo rumore dei nostri respiri a cullarci, ognuno nei propri pensieri, vicini ma un po’ distanti, quel tanto che basta per sentire ognuno le ragioni dell’altro. Poi ripenso al discorso che ha fatto Sirius, e a tutte le volte che James si è fatto del male correndomi dietro.
A tutte le volte che io lo guardavo e vedevo il solito bambinetto stupido pallone gonfiato, e a tutte le volte in cui lui vedeva in me un pretesto per migliorarsi, per tentare di raggiungere vette che ancora non aveva toccato.
-lo sai, quando ho accettato di uscire con te non avrei mai pensato che mi sarebbe piaciuto così tanto- dico alla fine.
Lo vedo alzare la testa, sbalordito dalla piega presa dalla conversazione.
-emh…- è a disagio, lo vedo, non sa dove voglio andare a parare –beh, ne sono lusingato e…-
-Merlino, James, non ne devi essere lusingato!- esclamo un po’ rabbiosa –senti, ascoltami bene, Potter. Io di notte parlo nel sonno, a volte urlo e litigo a quanto dicono le altre, il mio carattere mi provoca cambiamenti di umore repentini, a volte ingestibili, ho una sorella che mi odia e in tutta coscienza credo che abbia anche un po’ ragione, perché l’ho esclusa dal mio mondo, qualche volta sono superficiale, soprattutto con te, spesso do giudizi affrettati e quasi mai cambio idea, oggi ho desiderato, sul serio, di vederti riemergere da quell’edificio a qualunque costo, compresa la vita dei nostri migliori amici, a volte so di essere cattiva e non me ne dispiaccio, ho il maledetto vizio di mordermi le labbra quando sono nervosa, sono permalosa e spesso irascibile, mi arrabbio per questioni di principio e quando discuto voglio avere ragione, e…-
-Lily, perché…?-.
-zitto, non ho finito- continuo imperterrita –mangio i gamberi con le mani, sono geneticamente impossibilitata a mangiarli con forchetta e coltello, non ci riesco proprio, non mi piacciono le romanticherie e le cose strappalacrime, come i romanzetti che leggono sempre Mary e Emmeline, e odio i Chihuahua, mi fanno proprio schifo. Ah, e prima di andare a dormire normalmente controllo che la borsa per il giorno dopo sia fatta, perché mi urta dovermi alzare prima per farmi la borsa, divento isterica per questo-.
Silenzio, alle mie parole fa eco solo quello.
E lo sguardo di James spaesato che si chiede, probabilmente, come siamo passati dal parlare dell’incendio al blaterare su come mangio i gamberi.
-beh, credo di conoscerti meglio, adesso- annuisce cercando di tirare le fila del mio discorso, ma lo vedo che è sempre confuso, quindi con un sorriso stanco lo aiuto.
-quello che ti ho detto, sono i miei difetti- gli spiego stringendogli di più la mano –a volte sono insicura, altre volte troppo dispotica, lo so. Me ne rendo conto. A volte i miei difetti mi fanno paura, perché penso che la gente, conoscendoli, potrebbe giudicarmi e decidere di chiudermi la porta in faccia. Ma ora te li ho detti, tutti, dal primo all’ultimo, sono tutti i miei difetti e sicuramente ce ne sono altri, ma adesso non mi vengono in mente. Io i tuoi difetti li conosco, e oggi mi sono resa conto, pienamente, che nonostante tutto ho una paura terribile di vederti andare oltre quelle fiamme senza tornare più indietro. Io… Merlino! Credo di essermi innamorata di te veramente!-.
Mi lascio cadere con la schiena sulla testiera del letto, sospirando, mentre osservo James sempre più sbalordito.
-Morgana santissima, innamorata di James Potter! Ma dico, lo avresti mai detto?- borbotto ancora, alzando gli occhi al cielo –io amo James Potter! E non…-.
Sento uno strattone alla mano ancora ancorata a James, poi socchiudo gli occhi istintivamente quando lo vedo vicinissimo, quando sento le sue labbra cercare le mie, la sua lingua inumidire la mia.
-dillo ancora, ti prego- mi sussurra a fior di labbra.
-cosa? Morgana santissima, inn…-
-no, intendo la seconda parte- sorride.
-ah- sospiro scostandomi un po’ per guardarlo negli occhi –ti amo-.
Sorride ancora, appena appena, poi mi raggiunge con irruenza le labbra per occuparle in un bacio mozzafiato.
Quando si scosta, alla fine, lo guardo un po’ stranita.
-e questo cosa vorrebbe dire?- gli chiedo divertita.
-che non ti porterò mai a mangiare pesce fuori- afferma sicuro cercando di evitare il piccolo schiaffo che provo a rifilargli.
-idiota- sospiro tornando a baciarlo.
-ti amo- mi risponde.

 




 
*Jacqueline Carey, Il principe e il peccato
NOTE:
ok, speravo di riuscire ad aggiornare prima, ma non ci sono riuscita, mi dispiace.
Allora? Di questo capitolo mi piace soprattutto la discussione con Sirius, mi diverto ad approfondire il rapporto tra Sirius e Lily, è interessante.
Nel prossimo capitolo spiegherò dal punto di vista di Lène la faccenda dell’ardemonio.
Grazie mille per le recensioni, rispondo appena ho un attimo di tempo perché ora devo scappare.
Spero di risentirvi numerosi,
buona lettura,
Hir!



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Capitolo 43
*** Confidenze ***


LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
EMMELINE
REMUS
MARY
ALICE
FRANK
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 

Noi, siamo i più fortunati*


-giratempo-
-polvere volante-
-termoghiaccio riscaldevole-
-leprecauni-
-Nimue-
-eh, però, non vale, non troverò mai una parola magica che inizia per “Ue”- le faccio notare stizzita storcendo il naso.
-e allora dichiarati perdente- mi risponde la mia migliore amica sorridendo a trentadue denti –così vinco io e ci togliamo il pensiero-.
-ma se abbiamo iniziato a giocare per far passare più velocemente il tempo!- ribatto rifiutandomi di perdere il giochetto idiota nel quale ci stiamo dilungando per far passare il tempo.
Da quando Lily è uscita dal San Mungo non è passato troppo tempo, eppure è stato abbastanza per dimenticare quanto ci si annoi in un ospedale se non hai nulla di serio da controllare.
Merlino, meno male che Marlene non ha nulla di serio, però è davvero noioso stare qui ore cercando di far passare il tempo.
-va bene- cede alla fine –riniziamo-.
-mandragora- decido allora riflettendo attentamente.
-radigorda-.
-ma non esistono le radigorde!- esclamo sdegnata.
-secondo Xeno Lovegood si, esistono e come- replica lei con tono saputo.
-beh, secondo me no- puntualizzo -e se vuoi giocare con me dovrai attenerti alle mie regole-.
-uff, come sei noiosa- mi rimbrotta –come se tu non barassi mai-.
-cosa c’entra? Ora mica stiamo parlando di me-.
Alza gli occhi al cielo.
-ranocchio- esclama alla fine.
Inarco un sopracciglio.
-e dove sarebbe la magia, in un ranocchio?-.
Lei mi guarda con quel suo sguardo limpido e innocente che, proprio per definizione, la identifica come colpevole.
-nella storia della principessa e il ranocchio, quella babbana che piace tanto a Lily, il ranocchio è magico e…-
-non vale- ribatto allora sorridendo.
-eh, però, non è giusto, decidi sempre te- esclama offesa alla fine, raccogliendo le braccia al petto proprio come una bambina arrabbiata –io con te non ci gioco più-.
Alzo gli occhi al cielo, divertita, e curiosa prendo la palla al balzo.
-bene, visto che a quanto pare non sai giocare a un gioco così facile come la Locomotiva*- sospiro alla fine ricacciando indietro i suoi lamenti sdegnati con un gesto piuttosto snob della mano –vorrà dire che parleremo un po’, sai, come ai vecchi tempi-.
Lei mi guarda interdetta.
-e di che vorresti parlare?-.
Sorrido malandrina.
-come avevi detto l’altra volta scusa? Boxer neri?-.
in risposta si fa leggermente più attenta, poi ridacchia e arrossisce insieme.
È una cosa che proprio non riesco ad associare a Marlene McKinnon, il pudore.
È come se descrivendo me dicessero che sono timida!
Eppure, da quando quest’anno Sirius Black le ronza attorno –perché le ronza attorno e questo è innegabile- vederla arrossire non capita di rado, anzi, è piuttosto all’ordine del giorno, anche se si vede che cerca in tutti i modi di tenersi appiccicata in volto la sua tipica aria smaliziata.
-grigi, in realtà- mi risponde alla fine mettendosi seduta più comodamente sul letto.
-bene, pretendo un resoconto dettagliato del vostro appuntamento di ieri, e di come siete finiti quasi arsi dalle fiamme della passione dilagante e…-
-leggi troppi libri, Mary- mi rimbrotta divertita –e comunque non c’è molto da raccontare…-
-bene, vuol dire che finiremo prima e poi potremmo spettegolare in santa pace- le dico mettendo fine alle scuse campate in aria –e vedi di condire bene il racconto, deve essere bello succoso, non vorrai dirmi che mi sono sopportata quattro mesi di tragicommedie amorose per essere lasciata a bocca asciutta!?-.
 

***

 
Mary è sempre Mary.
Qualsiasi cosa succederà in futuro, spero proprio non cambi mai.
-io e Sirius stiamo insieme-inizio quindi a raccontare dalla fine, giusto perché mi pare possa risultare più comprensibile poi il tutto.
Mary mi guarda, esitante.
-tu e Sirius…? Sirius Black, intendi? Black quello alto, bello come un dio greco particolarmente in forma, anima da dannato e cuore d’oro?- mi chiede scettica.
-quanti altri Sirius conosciamo?- le chiedo rimanendo interdetta per un attimo.
Lei sospira, poi ridacchia.
-no, è che, insomma, te e Sirius… non siete esattamente le prime persone che metterei insieme vedendovi per strada e… insomma, state insieme sul serio? Cioè, insieme come una vera coppia?- chiede ancora stupita, come a volersi sincerare che si, non è il primo d’aprile e qualcuno non spunterà gridando “scherzetto”.
-si- rispondo sicura. Poi esito leggermente –beh, almeno, ci proviamo… insomma, nessuno di noi due ha molta esperienza in quanto a relazioni fisse ma fisse per davvero, quindi immagino che andremo per tentativi-.
Lei annuisce, sembra che per ora mi segua.
-quindi, per il matrimonio…-
-non ho dato il mio consenso- rispondo ripensando per un attimo al viso deluso di mia madre e di mio padre. Non sono ancora passati a trovarmi in ospedale, possibile che siano arrabbiati con me fino a questo punto? Ho rischiato di morire in quella libreria! Poi però ritrovo il sorriso –dovevi vedere gli occhi di Walburga quando ho detto che amo Sirius davanti a tutti, sembravano boccini da tanto che erano grandi!-.
Cerco di non pensare automaticamente anche ad un altro paio di occhi di stampo Black, che mi hanno guardato un po’ delusi e un po’ arrabbiati proprio nel momento in cui qualcosa è andato al proprio posto, in quella stanza.
-la cara Walburga, non sai cosa darei per essere stata una mosca in quell’ufficio. Deve essere stata una scena epica-.
Sorrido appena.
-ma quindi alla fine ti sei trascinata dietro Sirius?- mi chiede cercando di far chiarezza, probabilmente, in tutto quel casino di fili intrecciati che dovrebbe essere l’inizio della mia storia con Sirius.
Insomma, io, Marlene McKinnon, ho una storia seria.
Se si pensa che è con Sirius Black, poi, si rischia di cadere nel ridicolo.
-beh… più o meno, si- rispondo annuendo –cioè, ci eravamo accordati per vederci prima e parlare, emh… dell’altra sera, non so se hai presente…-
Mi sorride maliziosa.
-si, ho presente, boxer grigi, tu con un succhiotto sul collo, il giorno dopo non lo guardavi neanche senza diventare rosso peperone…-
-dovevamo parlare, insomma- la interrompo maledicendo questo insano vizio di arrossire che mi è preso ultimamente –e così abbiamo preso un gelato da…-
-un gelato a dicembre? Certo che siete rimbambiti forte fra tutti e due-.
-vuoi ascoltare me o parli tu?- le chiedo alla fine spazientita. Lei sospira e tace.
Era l’ora!

 

***

 
Sento la pelle del polso bruciare da ieri.
Mi hanno detto di non toccarlo, posso solo guardarlo e soffrire.
Che poi, non è nemmeno un dolore tanto atroce. Sembra un po’ come l’arsura che si forma attorno alle labbra quando il viso viene sferzato dal vento, è un dolore assolutamente sopportabile.
Quello che non è sopportabile, è altro, in realtà.
È la delusione bruciante, un sentimento del tutto nuovo per me. Non sono mai stato abituato a vivere a stretto contatto con le mie emozioni. Quello impulsivo, tra i due, è Sirius, pronto a dare di matto per un nonnulla, a sacrificarsi e morire in un impeto di gloria.
Ieri, la mia delusione bruciava con la forza dell’ardemonio che ha ucciso quella donna, la mia prima vera vittima, una figlia di babbani.
La mia prima vera vittima.
Secondo mia madre dovrei sentirmi potente e, in un certo senso, è anche così.
Eppure non posso fare a meno di pensare che non me ne importa nulla. Non voglio sentirmi potente, alla fine Sirius si è salvato, con la solita fortuna sfacciata che quell’ingrato non si merita affatto.
A pagare per la mia furia è stata una sanguesporco che è morta al posto suo.
Non che mi dispiaccia, ma comunque non era quello che mi ero prefissato.
Ma almeno un vantaggio l’ho tratto, da tutta questa faccenda.
Ho visto gli occhi di mia madre brillare a seguito di una mia azione, e non del mio solo nome.
È in momenti come questo che riesco quasi a capire, forse, quello che vuole Sirius da una famiglia.
Poi mi ricordo chi è Sirius, cosa ha fatto, e tutto torna normale.
E mi dico che un giorno o l’altro anche il tanto amato Sirius Black pagherà il conto.
 

***

 
Se chiedete a uno qualunque tra i miei migliori amici come sono alla mattina, dovete aspettarvi una sola risposta: intrattabile.
Si, la maggior parte delle volte, io sono intrattabile.
O meglio.
Io ho l’assoluta necessità fisiologica di dormire almeno dodici ore a notte, altrimenti sono intrattabile.
E, a parer mio, ho tutta la ragione di esserlo!
Soprattutto alla vigilia di Natale, dico io, dovrei avere il sacrosanto diritto di dormire almeno almeno fino alle undici e mezza, meglio ancora se mezzogiorno, così facciamo cifra tonda.
Quindi è, tutto sommato, di malumore che mi avvio per il corridoio del reparto “Grandi Ustionati” del San Mungo con passo strascicato capo chino, ancora mezzo intontito dal sonno.
Sono le nove del mattino, insomma!
Arrivo davanti alla porta della stanza in cui è ricoverata Lène proprio in tempo per sentirne uscire il mio nome.
Mi avvicino di più giusto quel tanto che basta per sentire quello che hanno da dirsi le persone dentro alla stanza…
…e, no! In caso ve lo steste chiedendo, io non sto origliando!
Cioè, hanno detto oppure no il mio nome? Questo vuol dire che io posso stare ad ascoltare.
Tecnicamente sto partecipando alla conversazione stando zitto e nascosto.
-beh… più o meno, si- dice la voce della mia… ragazza? Fa un po’ strano pensarla così, in realtà –cioè, ci eravamo accordati per vederci prima e parlare, emh… dell’altra sera, non so se hai presente…-
Non è affatto divertente scoprire a diciotto anni di non essere immuni al rossore, in caso ve lo steste chiedendo.
Affatto.
-si, ho presente, boxer grigi, tu con un succhiotto sul collo, il giorno dopo non lo guardavi neanche senza diventare rosso peperone…-
Come diavolo fa Mac a sapere di che colore erano i miei boxer?
Ah, che lingua lunga hanno le donne!
-dovevamo parlare, insomma-  la interrompe Marlene e, dal suo tono di voce, posso capire che è palesemente a disagio –e così abbiamo preso un gelato da…-
-un gelato a dicembre? Certo che siete rimbambiti forte fra tutti e due-.
-vuoi ascoltare me o parli tu?- le chiede alla fine Lène, mettendo a tacere la sua migliore amica –stavo dicendo che ci siamo messi d’accordo per prendere un gelato insieme. E abbiamo parlato di… un po’ di cose-.
-dell’altra sera?-.
Ma com’è che Mac sembra più informata di me?
-no, in realtà non abbiamo parlato di niente del genere. Abbiamo chiacchierato di gusti di gelato e delle case di Hogwarts, a quanto mi ricordo, ma non abbiamo quasi nemmeno sfiorato il fatto che l’altra sera noi…-
-voi vi siete rotolati nel letto con somma felicità di entrambi- conclude Mary con quella sua vena sempre così spiritosa.
-io non mi rotolo sul letto con nessuno, McDonald- la rimprovera Lène con voce offesa.
Eh no, a quanto mi ricordo abbiamo rotolato eccome, McKinnon.
-come vuoi, comunque come sarebbe a dire che non ne avete parlato? E allora che avete fatto, giocato a carte!?- sento il suono che sempre un po’ come di uno schiaffetto, e mi dico che deve essere Mac che si è battuta la mano sulla fronte con aria rassegnata –Merlino, qui l’amore vi sta rimbambendo tutti! Lily che si mette con James, Emmeline che ride come un ebete tutte le volte che c’è Remus in giro, Alice che praticamente è sposata con Frank, ma tu! Mi fidavo di te, McKinnon, e invece ci sei caduta come una pluffa, e con tutta la scopa per dirla fino in fondo! E…-
-pensavo ti interessasse sapere cosa è successo ieri, non farmi sapere le tue note da cinica mangiatrice di uomini, McDonald!-.
-hai ragione, scusami-.
Sorrido appena, anche io voglio proprio sentire cosa ha da dire la McKinnon.
-insomma, alla fine abbiamo parlato un po’ di tutto ma tutto sommato di niente. E poi glielo ho chiesto. Se aveva intenzione di essere serio, capisci? Da quella risposta sarebbe dipeso tutto il resto-.
Oltre questa porta, solo silenzio per qualche attimo.
-ma tu lo avresti fatto sul serio?-.
-cosa?-.
-sposato Regulus, intendo. Lo avresti sposato sul serio?-.
Ancora silenzio.
-non lo so. Insomma, non ho detto di no per Sirius, se è questo che ti interessa sapere. Ho detto di no perché lui mi ha dato un motivo per farlo, un motivo che non mi facesse sentire in colpa. Perché, checchè ne dica lui, o Silente, o tutti gli altri, Regulus non ha scelto da solo la propria strada. Se fosse stato smistato a Grifondoro, invece che a Serpeverde, fosse sarebbe diventato come Sirius e…-
-Lène, tu sai che…-
-no, smettila. Una persona non nasce cattiva, lo diventa. Lord Voldemort e Bellatrix Black esclusi, ovviamente, ma lei più che cattiva è pazza da legare. È troppo facile accusare qualcuno di essere cattivo, di fare le scelte sbagliate, ma anche io sono un po’ colpevole. E dopo ieri, lo sono ancora di più, perché avevo la possibilità di stargli vicino e supportarlo e l’ho buttata via per godermi la mia vita in santa pace. Ma non riesco a non pensare che sono stata io a mettere l’ultimo mattone sul muro che ci divide, Mary-.
Ancora silenzio.
Vorrei far capire a Lène che lei non ha colpa.
-quindi, mi pare di capire che alla fine hai detto di no e che lui ti ha detto di si- riprende Mac.
-a quanto pare-.
Mi viene da sorridere.
-beh, Sirius Black e Marlene McKinnon fanno coppia fissa, roba da richiedere una giornata di lutto scolastico a Hogwarts-.
Adesso rido sul serio. Mac ha questa particolare capacità di passare da un discorso serio ad una battuta in non più di un battito di ciglia.
-e poi cosa è successo?- le chiede ancora.
-oh, beh, mia madre e mio padre non erano molto contenti, non hanno parlato e se ne sono andati. Non sono nemmeno venuti a trovarmi qui in ospedale, a dire la verità- posso sentire la tristezza che cerca di celare nel suo tono di voce, forzatamente lieve –e poi siamo andati al Ghirigoro, in vetrina avevo visto esposto un libro sull’Alchimia e mi era venuto in mente che potevo regalarlo a Lily, che ha detto di essere interessata all’argomento dopo la sua conversazione con l’amico di Lumacorno. Poco dopo essere entrati, c’è stato uno scoppio e Sirius mi ha spostato lontano, sono caduta oltre uno scaffale e me ne è caduto un altro addosso, quindi sono rimasta bloccata come in trappola-.
Mary ora sta zitta, posso immaginarne il viso pallido e le labbra tirate in una smorfia severa e triste.
-ho pensato davvero di morire, Mary- le rivela Lène.
Già, l’ho pensato anche io.
Ho pensato anche, mi ricordo, che non potevo farlo prima di godermi appieno almeno qualche giorno di questa strana storia tra me e lei per cui ci siamo fatti guerra negli ultimi quattro mesi di scuola.
-per fortuna siete usciti vivi da quell’inferno- le ricorda Mary.
Sento Lène sospirare.
-non lo so se è stata fortuna. È stato il coraggio di James. Però c’è una cosa, che rimane strana nonostante io ci pensi ininterrottamente da quando mi sono svegliata-.
-cosa?-.
-era Ardemonio, no?-.
-si-.
-e l’Ardemonio non si può guidare? Insomma, la persona che lo genera non lo dovrebbe guidare alla distruzione di ciò che più gli interessa?-.
Mac tace.
-e quindi, pensavo, perché bruciava un po’ ovunque ma senza cercare un obbiettivo preciso?-.
Bella domanda, devo dire. Non ci avevo pensato.
-beh, magari il mangiamorte che l’ha usato era lontano e non poteva dirigerlo bene, o magari non aveva il pieno controllo della situazione-.
Adesso è Lène, che tace.
-tu hai un’idea precisa?- le chiede Mary ancora.
-no- risponde lei esitando appena –ma la domanda è da stamattina che mi rode il cervello-.

 

***

 
Osservo il polso, la pelle pallida rende quasi brillante il nero dell’inchiostro intriso di magia.
Il pizzicore va allievandosi minuto dopo minuto.
Sono stato ricompensato, penso guardandomi il polso, per quello che ho fatto ieri.
Erano tutti felici, Bella, mia madre, mio padre e la zia Druella.
Ho incontrato anche Lestrange, che è stato marchiato con me.
Era l’unico, nella banda, a guardarmi serio senza alcuna traccia di soddisfazione.
Passava lo sguardo da me al mio polso, quel suo sguardo inquietante.
Poi mi ha chiesto se, bruciando quella libreria, avevo raggiunto il mio obbiettivo.
-è andato tutto come volevi?-.
Cinque parole, in risposta alle quali ho sorriso in modo sinistro.
No, non è andato tutto come volevo.
Perché alla fine, quando ho avuto la possibilità di colpire Sirius, lei era lì accanto a lui.
E, nonostante tutto, non sono riuscito a colpire.
 
 

 
 
*dal film “Lo straniero che venne dal mare”, non ricordo il regista ma so che la protagonista era la splendida Rachel Weisz
 



NOTE:
 
questo credo sia stato il capitolo più difficile da scrivere di tutte le storie che ho scritto fino ad ora, e non solo di quelle di Harry Potter. So che è più corto degli altri e vi chiedo davvero scusa, ma cercare di scrivere ancora sarebbe equivalso a farmi violenza da sola, tirare fuori queste sei pagine è già stato un’impresa.
Dal prossimo capitolo, riprendiamo il corso della storia normale altrimenti ci addormentiamo, direi.
Per le altre cose, mi dispiace informarvi che sono in partenza, vado una settimana nella bella Paris a festeggiare l’ultimo dell’anno come si deve, quindi aggiornerò con un po’ di ritardo. Prometto, però, un capitoletto coi fiocchi perché ho proprio tanta ispirazione per il Natale.
A proposito, buon Natale a tutti anche se un po’ in ritardo!!! E buon anno un po’ in anticipo, direi!
Rispondo alle recensioni appena riesco, prometto, vedo di farlo prima di partire domani =)
Se vi interessa, ho inaugurato una  ff che sarà molto più breve di questa che ha per protagonisti Dorcas Meadowes e Fabian Prewett, e parla della loro storia e di come è nata. La scrivo per poter introdurre un po’ meglio questi due personaggi che, insieme a Gideon, saranno più avanti molto MOLTO presenti in questa storia. Se avete tempo ci date un’occhiata? Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate! Se vi interessa si intitola “Per il mio cuore basta il tuo petto, per la mia libertà bastano le tue ali” e la trovate sulla pagina del mio profilo.
A questo punto, grazie mille per le recensioni, bellissime come sempre, alle quali risponderò il prima possibile!!!!
Un bacio grande grande e un augurio per una fine dell’anno sereno e un inizio d’anno che sia il più fantastico possibile, accanto alle persone che più amate!
Buona lettura,
Hir



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Capitolo 44
*** Sonaglietti e gelosia ***


LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
MARY
EMMELINE
REMUS
ALICE
PETER
FRANK
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 



 -mamma, vado dai Potter- esclamo rivolta alla tromba delle scale che portano al piano di sopra. Mio padre, seduto sul divano e ancora mezzo assonnato, mi rivolge un sorriso e un gesto della mano come a dire “va pure, se non ti sente la avviso io”.
Ricambiando il sorriso prendo il cappotto e la sciarpa.
-niente di nuovo sul Profeta?- chiedo incuriosita.
-niente di nuovo- mi risponde soffocando uno sbadiglio e voltando pagina –solo il ministero che cerca di insabbiare l’incendio a Diagon Alley con speculazioni varie… secondo le ultime notizie, sarebbe accidentale-.
Rido, a volte non si può rispondere che così alla stupidità degli uomini.
-certo- ribatto un po’ frustrata –a chi non è mai capitato di starnutire e scatenare un po’ di ardemonio per caso?-.
Chissà dove andremo a finire, se continuiamo così.
Con il ministero che rema contro, con la gente che nasconde la testa sotto la sabbia per la paura, come uno struzzo.
-torno per pranzo, porto i vostri auguri a Doree e Charlus- lo avviso.
-si, grazie tesoro- mi risponde continuando a leggere.
È la mattina di Natale, un Natale che è arrivato un po’ in ritardo preceduto da eventi decisamente tra i peggiori.
Insomma, normalmente i primi quattro mesi di scuola volano e dopo un battito di ciglia ti ritrovi a Natale senza sapere minimamente come ci sei arrivata, tutta indaffarata per le ultime compere alla vigilia.
Ma quest’anno no.
Niente compere alla vigilia, l’ho passata in compagnia di Marlene che, al San Mungo, ha dovuto aspettare tarda sera per essere dimessa, e di Sirius, agitato come un ape al favo.
E prima ancora, l’attacco a Lily e Emmeline, e prima quello a Grainne O’Connell.
Quest’anno sembra essere stato costellato da tragedie, per finire, spero, con quella di due giorni fa.
L’aria frizzante tipica dell’inverno di Godric’s Hollow mi riempie i polmoni all’improvviso, non appena metto il naso fuori di casa.
Fermandomi, mi prendo il lusso di lasciare che lo sguardo vaghi qui intorno, tra questi pini un po’ imbiancati di neve e le autonobili –Lils ha detto che si chiamano così- dei pochi babbani che vivono qui attorno ancora a riposo… dopotutto, chi è che va al lavoro la mattina di Natale?
Mi appoggio alla colonnina del pergolato che precede la porta di casa mia, godendomi la meravigliosa vista di questo piccolo angolo di mondo.
In realtà, Godric’s Hollow non è così bella, ma ogni volta che mi capita di tornarci, vivendo ormai più a Hogwarts che a casa mia, non posso non fermarmi a guardarla incantata.
Da casa mia posso vedere il balcone della Signora Remsy, quell’odiosa donna, e le sue finestre dalle quali ora sporgono i cuscini, probabilmente messi lì per prendere aria; la piazza del paese è stranamente vuota, niente negozi aperti, niente bambini che corrono da un parte all’altra, solo un gatto acciambellato ai piedi del monumento dei caduti.
Si respira pace, qui, così tanta che se uno vedesse solo questo angolo di mondo magico, se non lo conoscesse affatto e si affacciasse ora qui come ci si affaccia ad una finestra, non immaginerebbe mai che in realtà il nostro è un mondo frammentato dalla guerra e dai pregiudizi di malati psicopatici con strambe idee sul sangue puro.
Sospiro e, per la prima volta da quando sono nata, penso che forse mi piacerebbe, essere estranea a tutto questo mondo, e vederne solo questo scorcio, per poter riscoprire la bellezza intrinseca della magia: non contaminata dall’egoismo, dall’egocentrismo, dalla paura e dalla morte.
Quando non le conosciamo, le cose ci appaiono sempre migliori di quello che sono.
Riprendo a camminare scendendo lentamente i due scalini che precedono il vialetto, e dopo aver percorso quest’ultimo con calma apro il cancelletto che da sull’asfalto rovinato.
Mi avvio verso casa dei Potter, che dista solo tre o quattro minuti a piedi da casa mia, cercando di godermi un po’ di pace prima del tornado che sono certa mi invaderà a casa Potter.
Insomma, già normalmente casa Potter è trafficata, ma in caso non bastassero quei due terremoti di Sirius e James, la presenza di Lily ma soprattutto quella di Lène devono in qualche modo farsi sentire.
Ieri sera, all’uscita dall’ospedale, Doree si è offerta di ospitare Lène per le vacanze di Natale, o almeno fino a quando i suoi genitori non rinsaviranno.
E sono certa che Dorea Potter riuscirà a farli rinsavire. Soprattutto sua sorella, verso la quale non ha smesso di imprecare per  tutto il viaggio fino a Godric’s Hollow.
Sono persa nei miei pensieri, come al solito, insomma, quando sento un dolore piuttosto forte al naso e poi, di conseguenza, al fondoschiena. Mi accorgo di essere caduta a terra solo quando una mano piuttosto grande mi afferra un polso con delicatezza per aiutarmi a rialzarmi.
-grazie io… scusa, non guardavo dove…-
-Mary! Sei Mary, no?- mi chiede una voce già sentita.
Ho davanti una sagoma ingombra di pacchetti, stagliata contro il cielo mattutino, per cui non riesco assolutamente a vedere il proprietario di tale voce.
-scusami chi…?-.
-Gideon Prewett!- mi risponde entusiasta.
Scostando un pacchetto dalla pila che ingombra le sue braccia, riesco a vederlo in volto e un sorriso mi viene naturale, scorgendo il suo.
Certo, uno dei gemelli Prewett!
-Merlino, scusami per esserti venuta addosso un’altra volta…- esclamo imbarazzata portandomi la mano libera al naso –certo che ad addominali stai messo bene, deve essere contro di loro che ha scontrato il mio naso-.
-come prego?-.
Arrossisco fino alla punta dei capelli, e scuoto la mano in un gesto che vorrebbe essere disinvolto.
-scusami, a volte dico le cose ancora prima di pensare a quanto sia saggio dar loro voce- spiego.

 

***

 
La prima cosa che penso non appena mi sveglio è che ho un freddo boia.
Come è possibile che ci sia così freddo sotto al piumone?
Lascio vagare le mani sul mio corpo, e mi rispondo con un sorrisetto stranito.
Niente piumone.

Come niente piumone?
Apro gli occhi maledicendo tutti i personaggi delle figurine delle cioccorane, quel simpaticone di Albus Silente compreso.
La prima cosa che vedo, aprendo lentamente le palpebre per abituarmi alla luce mattutina, è il rosso porpora della ricca carta da parati che addobba le pareti della stanza, decorata con pennellate eteree d’argento.
Faccio passare lo sguardo dallo scrittoio di legno di betulla nell’angolo alla porta del bagno, dal guardaroba intarsiato al grande specchio nell’angolo, e all’improvviso inizio a ricordare dove sono.
Casa Potter, camera degli ospiti numero due. La numero uno è occupata da Lily.
Tuttavia, questo ancora non spiega la mancanza del piumone.
Dovrei dire a zia Dorea di essere un po’ più gentile con gli ospiti, perché tutto sommato privare un ospite del proprio piumone la mattina di natale potrebbe essere preso come segno di scortesia.
La prima cosa che sento, invece, è il leggero russare che pervade la stanza.
Io russo e non l’ho mai saputo?
Ma soprattutto, russo così tanto che russo anche da sveglia?
Voltandomi capisco che no, io non russo, almeno per quanto mi è dato sapere, o per lo meno non russo da sveglia.
Quello che russa, da addormentato si intende, è Sirius Black.
Con uno sguardo veloce al mio corpo mi accorgo di essere completamente vestita, coperta, in realtà, da uno splendido e morbidissimo pigiama di lana con i controfiocchi.
Dunque, che cosa ci fa Sirius Black nel mio letto?
Lo so, ragazzi, al mattino non sono molto sveglia.
Sfido chiunque a dire il contrario di se stesso!
-ah, ecco che fine ha fatto il mio piumone!- sussurro vittoriosa guardando il corpo del mio ragazzo (Merlino, solo la parola mi fa senso) stretto nel MIO piumone come un arrosto pronto per il forno.
Si, Sirius Black può essere decisamente più bello di così, se si impegna un minimo.
Sorridendo appena mi accingo a svegliarlo.
-Sirius…-
Le labbra perfette si piegano appena in una smorfia, unico segno che mi abbia sentito.
-Sir, svegliati, se ti vede zia Doree così sono pluffe amare- ritento, sempre piuttosto dolcemente.
La smorfia si accentua un po’ di più, salvo poi ridistendersi nel solito placido sorriso da sonno profondo.
Inarco un sopracciglio, poi, con fare ben poco seducente, lo afferro per le spalle e inizio a scuoterlo.
-Black, non è gentile che tu ti prenda tutto il piumone quando io rischio di buscarmi una broncopolmonite!-.
 
Flashback-> 25 dicembre 1977 ore 00.20
 
Sono seduta sul letto della stanza degli ospiti rossa di casa Potter, gli occhi chiusi per non lasciar scendere nemmeno una stilla di dolore, le braccia incrociate al petto e la testa chinata in avanti.
Siamo tornati da nemmeno dieci minuti dal San Mungo, e sebbene poco fa crollassi dal sonno ora sento tutta la stanchezza scivolarmi tra le dita come acqua, rilasciando al suo passaggio solo piccoli granelli della pena che mi opprime il cuore da quando mi sono risvegliata.
Non riesco davvero a credere che, sebbene io sia stata ad un passo dalla morte, i miei genitori o mio fratello –mio fratello!- non…
-posso?- una voce mi sorprende dalla porta, a cui do le spalle.
-certo- rispondo, riconoscendo Sirius dal timbro un po’ roco.
-zia Doree vuole sapere se hai tutto- mi dice e, anche se non lo sto guardando in faccia, sento un sorriso gentile sulle sue labbra.
-eh? Si, si, ringraziala da parte mia-.
Lui, a questo punto, fa una cosa terribilmente da Sirius Black.
Si affaccia sul corridoio e si schiarisce la gola.
-Dorea, tutto a posto dice- urla a pieni polmoni lasciando che la sua voce vaghi tranquillamente per tutta la casa, fregandosene beatamente degli altri inquilini che, dico io, a mezzanotte passata potrebbero anche dormire.
Scuoto la testa sorridendo appena.
-così ero capace anche io, Sir- lo rimbrotto leggera.
Lui mi ignora bellamente.
-buonanotte anche a te, zia- grida a Dorea.
-Sirius, è mezzanotte passata!- lo rimbecco ancora –faresti meglio ad abbassare la voce-.
Lui mi ignora ancora una volta. Alzo gli occhi al cielo.
-come stai?- si premura di chiedermi entrando e richiudendosi la porta alle spalle.
Sorrido ricacciando la tristezza per incrociare il suo sguardo luminoso.
-bene- annuisco cercando di convincere un po’ anche me stessa –e tu?-.
Lui mi guarda forse un po’ compassionevole, poi scuote la testa e si sfila le scarpe prima di salire sul MIO letto e appoggiarsi al MIO schienale.
-starei meglio, se tu fossi sincera- mi dice attirandomi a se e facendomi appoggiare la schiena al suo petto.
Sospiro, crogiolandomi per un attimo in questa sorta di abbraccio fraterno.
-potrei stare meglio- rispondo allora chiudendo gli occhi e appoggiando la testa nell’incavo del suo collo.
Lo sento sorridere.
-lo sai, un sacco di ragazze ti direbbe che no, non potresti stare meglio di così- ironizza –sei tra le braccia del superbellissimo Sirius Black all’inizio della notte di natale, il sogno di ogni ragazza, in pratica-.
Rido.
-ti sei dimenticato supermodesto- lo prendo in giro.
-beh, mi sono anche dimenticato avvenente, affascinante, carismatico, pieno di talenti, un involucro d’oro e muscoli ripieno di…-
-non di certo di neuroni- ridacchio, cercando di sfuggire il palmo aperto con cui cerca la mia nuca per darmi uno scappellotto.
-e poi molto dotato in trasfigurazione, in incantesimi, in divinazione, in…-
-ah, tu dotato in divinazione?!- quasi mi strozzo con la mia stessa saliva.
Lui si interrompe e mi guarda seriamente, il capo inclinato così da potermi vedere in volto nonostante la strana posizione.
-scommettiamo che indovino cosa ti regalerò domani?-.
Scoppio a ridere, di nuovo, scuotendo la testa.
-sei un cretino, Sirius Black- sospiro.
-sei ancora triste?- mi chiede in risposta.
Scuoto la testa, con un sorrisetto.
-allora va bene, sono un cretino-.
 
Fine Flashback.

 

***

 
Lo scricchiolio dell’altalena del giardino di villa Potter è l’unico rumore di sfondo a questo pezzo di mondo tranquillo.
Sono sola, seduta su un piccolo seggiolino a dondolo che molto tempo fa deve essere stato di James, e mi giro e mi rigiro cercando di scoprire diverse prospettive per gustarmi il panorama.
Ho già aperto gran parte dei miei regali, anzi, a dire la verità li ho già aperti tutti tranne uno.
Infatti adesso indosso il maglione pesante di lana finemente filata che mi ha regalato Emmeline, tinto di uno splendido verde smeraldo, e al polso ho il bracciale di cuoio intrecciato che –sorprendentemente, oserei aggiungere- ho trovato nella pila dei regali contrassegnato con un biglietto da parte di Sirius.
Ho messo una sola goccia dell’essenza d’ambra che mi ha regalato Mary, un profumo buonissimo rinchiuso in una bella boccettina di vetro soffiato egiziana, e ho ancora tra le dita la sensazione delle paginette del piccolo libricino di poesie che mi ha regalato Remus, e che ha scovato Merlino solo sa dove.
Tutto sommato, nonostante ciò che è successo da settembre fino ad ora, questo sembra essere un buon natale.
-ehilà, buon natale!- esclama divertita la voce di James alle mie spalle. Mi volto e lo vedo avvicinarsi con un sorriso stampato in volto.
-buon natale- replico sorridendogli in risposta e inclinando il capo per ricevere il suo bacio di buon augurio.
-come mai già sveglia? Sono appena le nove- mi fa notare con uno sguardo ironico.
-voleva essere una battuta?- gli rispondo scoccandogli uno sguardo a metà tra lo scocciato e il divertito.
-tra te e Sirius, non so chi dorma di più alla mattina-dice sorridendo.
-probabilmente tu- rido in risposta.
-te lo hanno mai detto che sei davvero antipatica?- mi chiede arricciando il naso.
-ma tu lo vuoi il tuo regalo o no? Perché sennò lo riciclo per qualcun altro che…-
Mi slancio in avanti nell’esatto momento in cui lo vedo venire contro di me, un sorriso scherzoso dipinto in faccia e le braccia protese in avanti per afferrarmi. Per un soffio riesco a sfuggire alla presa e, ridendo piuttosto sguaiatamente, a lanciarmi lontano dall’altalena verso il piccolo praticello curato personalmente, a quanto mi ha detto James, dall’elfa che sorveglia lui e Sirius anche a Hogwarts.
Il nostro piccolo inseguimento dura solo pochi minuti, ai termini dei quali ci ritroviamo accasciati per terra con il fiatone.
-sei anni di quidditch non hanno fatto poi tutti sti miracoli- ridacchio dandogli un leggero sberlotto sulla spalla.
Riprendendo fiato non riesce a scollarsi dal palato nulla se non un “mhmh” appena accennato. Dopo qualche minuto, però, scatta su pimpante come una molla e, seduto sul prato, mi guarda con il suo tipico sguardo da cerbiatto bastonato.
-allora, cosa dicevi del mio regalo?- chiede allegramente con un sorriso che va da orecchio ad orecchio.
Scuotendo il capo punto la bacchetta alla finestra della mia camera, mormorando un “accio” sottovoce.
Gli porgo il pacchettino con un sorriso, mordendomi le labbra e cercando di non far trasparire l’ansia.
Ci ho messo un po’ di tempo per trovare il regalo adatto, ho stressato Marlene e Mary, soprattutto Mary, alla nausea e alla fine nemmeno Alice ne poteva più di starmi a sentire quando parlavo del mio fantomatico regalo e il tutto cercando di far credere a tutti che cercavo il regalo per quell’idiota di Boot e non per James.
Chiudendo gli occhi lo sento scartare il pacchetto, dopodichè aspetto il verdetto.
-Merlino, sono davvero i guanti di Basil Horton?!- esclama sussultando.
Aprendo gli occhi lo vedo sorridere entusiasta, e finalmente posso raddrizzare il capo, intuendo di aver colpito il bersaglio.
-già- commento soddisfatta-
-quel Basil Horton?- chiede ancora quasi come non credesse ai propri occhi –quello dei Falcons?-.
Lo guardo mentre, con dita leggere, sfiora lieve l’autografo un po’ sbiadito sulla pelle bianca dei guanti, sorridendo di riflesso.
-quanti altri Basil Horton conosci?- gli chiedo ridacchiando.
Lui mi guarda ancora con quel sorriso, così intenso che potrebbe quasi accecarmi.
-allora ti…?- faccio per chiedere.
-NON CI CREDO!- ulula Sirius Black dall’altro lato del giardino, in compagnia di Marlene –quelli sono i guanti di passa-la-pluffa Horton!-.
Guardo divertita la mia migliore amica e il suo (Merlino mi fulmini) ragazzo farsi strada in giardino, lei più o
meno normale, lui con una capigliatura alquanto singolare.
-Black, sembra quasi che tra i tuoi capelli sia esploso un bombarda- esclamo critica.
-grazie Evans, davvero non saprei come iniziare la giornata se non ci foste tu e le tue perle- replica soffocando uno sbadiglio senza distogliere lo sguardo dai guanti che ho regalato a James.
-sono davvero quei guanti?- chiede con occhi colmi di meraviglia.
-si, ti piacciono? Me li ha regalati Lily- gli risponde James tutto giulivo, sfoggiando il suo nuovo regalo proprio come un bambino farebbe con il suo nuovo giocattolo.
Sirius mi guarda con un sorriso innocente dipinto in volto.
-Evans, lo sai che sono innamorato di te da un sacco di tempo?- mi chiede sbattendo le palpebre.
Rido divertita.
-niente da fare, Black- ribatto –ormai il tuo regalo è già impacchettato e… ma non li hai ancora aperti?- chiedo curiosa.
Non finisco nemmeno la domanda che Sirius ha già lasciato il giardino urlando qualcosa che suona come “i miei regali, i miei regali, dove sono i miei regali!!!”
Io e Marlene ridacchiamo, James invece volta il capo in direzione di quella che, mi dico, deve essere la finestra della camera di Sirius, e con le mani si tappa le orecchie.
-cos…?- fa per chiedere Lène.
-CINQUANTATRE!-.
L’urlo viene dalla camera di Sirius.
Sospirando, io e Marlene ci portiamo le mani alle orecchie per seguire l’esempio di James.
-cosa cinquantatre?- chiedo curiosa.
James alza gli occhi al cielo prima di iniziare a spiegare.

 

***

 
OK, McDonald, calma, mi dico serrando un attimo le palpebre.
Mio padre è uno dei membri più rispettati del Wizengamot, mia madre è il capo dell’ufficio per la cancellazione della magia accidentale al ministero, mio nonno è stato ministro della magia, mia nonna una mantenuta dal quel ricco purosangue che si è sposata all’età di diciassette anni.
Ora, tutte queste persone a detta di chiunque le abbia conosciute e le conosca ancora, sono l’emblema dell’eleganza e il fior fiore dell’aristocrazia dell’Inghilterra magica.
Ora, com’è possibile che avendo avi così illustri io non riesca a fare tre passi di seguito, questa mattina, senza fare figuracce colossali?
Partendo dall’incontro scontro con Gideon Prewett, passando allo sgambetto che gli ho fatto per sbaglio finendo per far cadere a terra tutta quella montagna di pacchetti che tiene tra le mani e arrivando alle trentaquattro volte in cui ho confuso lui e il fratello chiamandolo Fabian erroneamente, non mi pare di averne fatta una giusta.
Insomma, una catastrofe.
Per fortuna ormai riesco a scorgere casa Potter, meta comune di entrambi, e tiro un sospiro di sollievo all’idea che non manca molto alla separazione.
Non ci posso fare niente, Gideon Prewett mi mette un’ansia senza precedenti, non so proprio spiegarmi il perché.
Sarà quel sorriso senza tacche, così pieno da offuscare il sole, o quegli occhi così chiari che mi guardano amichevolmente.
Boh, proprio non me lo so spiegare il perché.
È un attimo: un secondo prima sono in piedi a parlare –più o meno allegramente- con Gideon Prewett, e l’attimo dopo sono con il sedere irrimediabilmente a terra per la seconda volta in nemmeno dieci minuti.
Guardando verso l’alto vedo –per la seconda volta in dieci minuti- un paio di allegri occhi azzurri che mi guardano un po’ stralunati. Un attimo dopo, però, mi accorgo che non sono gli stessi con cui avevo a che fare fino a un minuto fa, anche perché Gideon Prewett è ancora al mio fianco e non  davanti a me.
-com’è che ogni volta che incontro uno di voi due sono sempre con il culo per terra?- chiedo dando sfoggio di tutta la mia eleganza con un sorriso che vorrebbe essere gentile.
Entrambi i gemelli scoppiano a ridere e, mentre Gideon aggiorna suo fratello sul nostro incontro di soli pochi minuti fa vengo affiancata da una figura che prima non avevo notato.
-vuoi una mano?- mi chiede gentilmente la ragazza accucciandosi accanto a me e porgendomi il braccio.
Ringraziandola mi tiro su e le rivolgo uno sguardo gentile.
-tu sei Dorcas, vero?- le chiedo con un  sorriso –ricordo di averti visto alla riunione-.
È una ragazza non molto alta, con i capelli biondi legati in una casta coda bassa e gli occhi di un penetrante verde scuro, che potrebbe quasi confondersi con il castano. I tratti del viso sono dolci, non bellissimi ma carini, la figura fasciata da jeans è lievemente arrotondata, florida e armoniosa.
Poi sorride, e al sorriso che le raggiunge anche gli occhi non riesco proprio a scostare lo sguardo.
-Mary McDonald, vero?- mi chiede gentilmente –non fare caso ai Prewett, prima o poi ci si fa l’abitudine-.
Con gli occhi cerco le due figure così simili, che ci precedono intente a discutere.
-sei un idiota, Fab, ti avevo detto di prendere quello verde e lasciare quello giallo, e non di…-
-e perché non l’hai preso tu, allora? È facile parlare così! Chi non fa non falla, Gideon!-.
-chi non fa non…? Ma dico, mi hai visto? Sembro Mundungus Fletcher di ritorno da una razzia da quanto sono pieno di roba e tu mi dici…-
-si, si, la fai facile tu- replica il fratello inveendo contro Gideon –se ti va bene, ho preso questo, altrimenti te lo fai andare bene lo stesso, ok?-.
Gideon alza gli occhi al cielo.
-ma certo!- esclama in risposta al gemello –il regalo giallo era per il piccolo Percy, è un sonaglietto con i campanelli, ma sono sicura che Dorea Potter sarà deliziata da questo regalo, idiota, lo troverà utilissimo!-.
Guardo Fabian annaspare alla ricerca di una scusa, poi lo vedo alzare le spalle e scuoterle come a togliersi da ogni responsabilità.
-beh, scommetto che a James piacerebbe un fratellino- dice poi in tono saputo scoccando un’occhiata di scuse a suo fratello.
Io e Dorcas dobbiamo trattenere le risate, ma i due se ne accorgono e si voltano verso di noi, due coppie identiche di sopracciglio alzato.
-ma fate sempre così?- non posso trattenermi dal chiedere, incuriosita e divertita. A rispondermi è Dorcas.
-sempre, a volte anche di notte mentre dorme Fabian litiga nel sonno con suo fratello- mi dice ridacchiando.
-secondo me a Dorea basta il pensiero, troverà utile il sonaglietto, le piacerà un sacco- provo a consolare un imbronciato Gideon.
-si, e il piccolo Percy si divertirà un sacco con il suo nuovo robot da cucina- mi risponde con un sorrisetto il gemello affranto.
Ok, lo ammetto, non ho la più pallida idea di che cosa sia…
-non ho la più pallida idea di che cosa sia un pobot da cucina, ma mi fido se mi dici che è bello- ribatto boccheggiando.
I miei tre interlocutori scoppiano a ridere.
-lascia perdere, questi due sono innamorati pazzi di qualsiasi pezzo d’uso comune in una casa babbana, quando vengono da me passano la loro serata davanti alla lavatrice- mi spiega Dorcas scuotendo la mano.
-vabbè, credo che tornerò a casa a prendere il regalo giusto- dice Gideon rivolgendo un’occhiata piuttosto furiosa al fratello e calcando particolarmente sull’ultima parola –aspettami qui se non vuoi che Dorea Potter ti cruci istantaneamente risvegliando il lato serpeverde che è in lei-.
-ti accompagno, ti va?- mi offro volontaria per la spedizione affiancandomi a Gideon.
Ok, non ho la più pallida idea del perché io mi sia offerta di accompagnarlo, soprattutto visto che poco fa non vedevo l’ora di arrivare dai Potter per sottrarmi dall’esame attento di quei chiari occhi azzurri.
-tanto dai Potter sicuramente dormono tutti- concludo disinvolta con un sorriso, prendendo Gideon a braccetto –tra Sir, Jamie, Lène e Lils non so chi vinca il premio “dormiglione dell’anno”-.

 

***

 
-così tu cinquantadue e lui cinquantatré- completo alla fine la sua storia per lui –ha vinto Sirius, quest’anno-.
James scuote le spalle.
-vinco sempre io, una volta tanto posso anche lasciargli la vittoria-.
Cinquantadue.
Cinquantadue sono i regali che le sue fan gli hanno mandato per natale.
Cinquantadue!
Ho sempre ritenuto la gelosia un sentimento stupido, e credo di aver già dato il mio massimo in questo campo solo pochi giorni fa, quindi forse è meglio che io tiri un respiro o due per calmarmi.
-quindi, fammi capire- s’intromette Marlene –voi ogni anno fate la gara a chi riceve più regali dai membri del vostro fan club-.
James annuisce.
-non te la prendere, Lène, è solo un gioco che…-
-si, si- annuisce calma e placida, con un sorrisetto –ho capito-.
Io annuisco in risposta, replicando il sorrisetto.
-si, beh, è…-
-ma quello è un gufo?- chiede Lène puntando un dito verso il cielo.
In effetti, a quanto pare, siamo sulla rotta di un piccolo pennuto davvero carino. Quando plana su di noi, artigliandosi allo steccato li vicino, posso vederne il piumaggio di  un morbido castano chiaro, quasi ambrato, e gli occhi scuri e ipnotici. Alla zampa ha attaccato un  piccolo pacchetto e un biglietto, che James si affaccia a leggere.
-oh- si ritrae passandomi il tutto –guarda, Lils, è per te-.
Inarco un sopracciglio.
-per me?- chiedo afferrando il pacchettino e aprendo il biglietto di pergamena sigillato con ceralacca rossa.
“Alla splendida Lily Evans, affinchè tu possa passare uno splendido Natale, G. Boot-.
-chi è?- mi chiede Lène affannandosi per sbirciare il biglietto da sopra la mia spalla. Io velocemente lo richiudo e rivolgo la mia attenzione al pacchetto, scartandolo.
Tempo tre secondi, e una piccola collanina d’argento mi cade tra le dita, fredda contro le mie dita ancora più fredde.
-è… carina- mi dice Lène con un sorrisetto –sbaglio o è un boccino il ciondolo?-.
Ma dai! E chi se la poteva aspettare una cosa così da quel pezzo d’ossessione per il quidditch che è Gregory Boot?
-già- annuisco –è di Boot-.
Lène e James mi guardano, straniti.
-il regalo- spiego meglio –me lo manda Gregory Boot-.
Marlene sorride, James deglutisce come se stesse ingoiando un rospo amaro.
-e come diavolo si permette quell’idiota di fare un regalo alla mia fidanzata? Io lo eviro-.

 
 
 
 
 
 
NOTE:
ok, so di essere in ritardissimissimissimo.
Però comprendete, Parigi è Parigi!
Ore giuro solennemente che risponderò alle recensioni!
Per quanto riguarda il capitolo, spero vi piaccia, ho intenzione di pubblicare il prossimo il prima possibile.
Spero di sentirvi,
buona lettura,
Hir
 
P.S. per quanto riguarda la storia, secondo la Rowling Dorea Potter muore entro la fine del 77.
Ora, visto che mi sono affezionata a questo personaggio, spero che non vi dispiaccia se la faccio vivere un po’ più a lungo!
 

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Capitolo 45
*** per impedire al tempo di scorrere ***


LILY
MARLENE
SIRIUS
JAMES
MARY
ALICE
FRANK
PETER
EMMELINE
REMUS
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 

Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto.
In realtà la mia è una battaglia disperata contro l'idea
che siamo tutti destinati a scomparire.
Sono deciso ad impedire al tempo di scorrere.
È pura follia.*

 
 
-ehi, sei vivo?-.
La voce di Marlene mi fa sobbalzare, le mani ancora impastate nei regali delle mie fan –eh si, signori miei, per una volta nella vita ho vinto su James Potter!-.
-guarda qui, alcuni sono davvero utili! Questa, ad esempio, mi ha regalato una bellissima spazzola che dice “Sirius” ogni volta che mi pettino!- le faccio vedere tutto contento –e questa qui mi ha regalato un paio di boxer fantastici, guarda, hanno sopra la mia foto-.
Glieli mostro tutto contento, mi rendo perfettamente conto di sembrare un bambino con un nuovo giocatolo ma…
…ma non è esattamente quello che sono?
-fantastici- risponde con un sorrisetto –ora ti dispiacerebbe scendere con me? Lily sta quasi sclerando, James è geloso di un regalino di Boot e non la lascia in pace un attimo-.
Rido, è decisamente da James dimostrarsi geloso di UN regalo quando lui ne ha ricevuto ben CINQUANTADUE.
-arrivo subito- annuisco dando un ultimo sguardo ai regali.
-ma è davvero un calzascarpe quello?- mi chiede Lène fissando scettica il mucchio di oggetti che invade il mio letto.
Scrollo le spalle.
-beh, ho detto che alcuni sono davvero utili, altri proprio non li capisco. Oh, guarda!- esclamo poi prendendo in mano uno degli ultimi pacchetti che ho aperto –è una macchina fotografica, la porto giù così facciamo alcune foto-.
Lène sorride, voltandosi verso di me e dedicando un lungo sguardo alla mia nuovissima macchina fotografica.
-anche io voglio dei fan, non è giusto!- si lamenta un attimo dopo.
Io prendo in mano la macchina fotografica e sorrido.
-in realtà i tuoi fan sono tutti nel ripostiglio delle scope ad Hogwarts, con le braccia e le gambe tutte rotte e…- la anticipo con tono saputo –no, io non centro assolutamente nulla! Adesso, da brava, sorridi ed esclama gioiosamente “Sirius Black è il miglior ragazzo di tutto il mondo”-.
Click.

 
La foto mostra una bellissima ragazza con i capelli scuri un po’ scompigliati, gli occhi neri alzati al cielo quasi in segno di supplica e le mani giunte in preghiera. Muovendosi, continua a ripetere “Merlino!”
 
*
 
-per Merlino, Sir, tu non cambi mai!- esclamo divertita guardando Black rispuntare da dietro l’obbiettivo con un sorriso furbo stampato in volto.
-sempre ad insultarmi- mi fa notare precedendomi verso la porta –non hai detto che James è in pericolo?-.
In pericolo?
E quando mai avrei detto una cosa del genere?
-scusa? Quando l’ho detto?- chiedo interdetta.
-non hai forse detto che James sta facendo il geloso irritando la Evans?- mi domanda con un sorrisetto.
Annuisco.
-beh, la Evans irritata, secondo me, è uno dei pericoli più grandi che ci siano- mi dice soddisfatto –fa a gara solo con Voldemort, mia madre e la McGrannitt in babydoll-.
-sei un cretino-.
L’eco delle mie parole si spegne lungo il corridoio del primo piano, e fino a quando non arriviamo alle scale nessuno dice nulla.
-aspetta, stai ferma li dove sei- esclama ad un certo punto Sirius, così forte che mi fa sobbalzare, prima di gettarsi a pesce su di me.
-cosa…?-.
Click.

 
La foto, particolarmente caotica, ritrae due sagome in movimento, un ragazzo in primo piano che si lancia su una ragazza intenta, con occhi spalancati, ad abbassarsi. La foto magica mostra la successiva caduta, del ragazzo e della ragazza per le scale, gambe e braccia attorcigliate.
 
*
 
-Sirius, sei un cretino-.
La voce della mia migliore amica mi sorprende, non tanto per quello che dice ma per il tono, a metà tra l’irritato e il divertito, che raggiunge me e James in sala da pranzo.
La colazione è pronta sul tavolo, mancano ormai solo Marlene e Sirius.
Dorea guarda tutti trepidante per non so che cosa, Charlus e James stanno addentando il loro pezzo di torta allo yogurt e io bevo il mio caffè bagnandoci dentro un biscotto al cioccolato.
-buongiorno a tutti, gente- ci saluta Sirius entrando preceduto da Marlene.
Dorea e Charlus salutano con un sorriso, James con un grugnito forse un po’ risentito a causa di quella loro strana gara dei regali di natale e io con un cenno dell’unica mano libera che mi ritrovo.
-è una macchina fotografica, quella, Black?- chiedo interessata portandomi alla bocca il biscotto.
-si, il biglietto era firmato qualcosa come Rose McKingole-.
-…McKintale, è di tassorosso- lo correggo io –sono quasi sicura che a Hogwarts non ci sia nessuna McKingole-.
-ecco, si, brava, quella- annuisce lui.
-sono buonissimi questi biscotti!- faccio notare sporgendomi per prenderne un altro –sono davvero…-
-ti piacciono?- esclama Dorea tutta gioiosa –sai, li ho fatti stamattina, insieme alla torta allo yogurt-.
Nella sala succedono parecchie cose contemporaneamente:
per prima cosa si sentono cadere le forchette di Charlus, James e Sirius ad una sola voce, producendo un
tintinnio sui piattini di porcellana piuttosto inquietante; per seconda cosa, sia Charlus che Sirius si alzano dalla sedia cautamente allontanandosi il più possibile dal tavolo, mentre James si fionda su di me picchiettandomi il polso per farmi mollare il biscotto.
Sbalordita alzo gli occhi dal tavolo a Dorea Potter, che ha un aria piuttosto abbattuta dipinta sul volto, a suo marito, che le batte una mano sulla spalla per consolarla.
Alla fine, la voce di Sirius ci sorprende, allegra come poco prima.
-fate tutti un bel sorriso….- esclama divertito –questa si intitolerà “Quando Dorea Potter cercò di avvelenarci tutti!-.
Click.

 
La foto ritrae un gruppo di persone attorno ad un tavolo. Sulla sinistra un ragazzo di profilo con i capelli particolarmente scomposti e gli occhiali in bilico sul naso che guarda con terrore un piatto con una fetta di torta addentata, mentre vicino a lui una ragazza con lunghi capelli rossi si guarda in giro disorientata con le mani ancora nell’atto di portare qualcosa alla bocca. Un signore sui quarantacinque anni è in piedi dietro alle spalle della moglie, una donna molto bella e molto abbattuta, e le batte gentilmente una mano sulla spalla, come a consolarla. Per ultima, una ragazza seduta davanti ai due coniugi, si tiene la pancia dal ridere e guarda il fotografo con gli occhi scuri lacrimanti.
 
*
 
Quando vedo la campagna inglese addormentata sotto la neve fare capolino davanti ai miei occhi dopo la materializzazione tiro un sospiro profondo. Sempre a braccetto, riesco a sentire gli occhi di Gideon su di me.
-casa nostra- mi fa notare indicandomi una casupola di modeste dimensioni proprio sul limitare di un boschetto ora spoglio.
Annuisco con un sorriso.
-è un bel posto in cui vivere- commento continuando a guardarmi intorno –adoro la campagna-.
Gideon continua a guardarmi e, mentre un sorriso gli nasce sulle labbra, arriccia la fronte.
-non c’è alcun tipo di  vita di società, in campagna- mi fa notare.
Rido divertita.
-questo la rende ancora migliore- rispondo pensando a tutte quelle odiose cene da purosangue fissati –e poi, guarda, quel posto li è ottimo per giocare a quidditch!- replico entusista.
Lui sorride in risposta.
-si, normalmente giochiamo li con Sturgis e Dearborn- mi dice soppesandomi con lo sguardo –anche tu giochi a quidditch-.
-certo, sono la battitrice di grifondoro- annuisco, perdendo il sorriso d’un tratto –mi hanno offerto un posto da riserva, l’anno prossimo, nei Magpies, ma non credo che accetterò-.
Lui mi guarda sbalordito.
-come non accetterai!? Ti stanno antipatici?- mi chiede forse cercando di capire come io possa volermi far fuggire dalle mani un’occasione tanto ghiotta.
-è che non…- esito un attimo –non sarei utile a nessuno, giocando a quidditch mentre c’è la guerra. Penso che tenterò anche io di entrare al ministero in un modo o nell’altro, magari tra i tiratori scelti-.
Scuoto le spalle scostando lo sguardo dal suo e fissandolo in un punto imprecisato, nella campagna.
Lui tace per qualche minuto, così tanto che quasi credo abbia abbandonato il discorso.
Intanto mi fa strada verso la casa, apre la porta e mi fa cenno di entrare.
Questa, è una vera sorpresa.
Da fuori, la casupola di legno, pare piccola. Appena entro, invece, una sala piuttosto grande mi accoglie, davanti a me un consunto divano scuro con un sacco di cuscini colorati, un caminetto perennemente acceso e un tavolo per sei persone in legno di quercia dall’aria possente.
-è…- cerco le parole adatte. Diversa da casa mia? Non c’è dubbio. Modesta? Anche questo è vero –piena di vita- annuisco alla fine.
Su ogni superficie piana decine di fotografie che si muovono mi salutano entusiaste, alcune raffiguranti Fabian e Gideon, altre raffiguranti una coppia di signori dai capelli rossi che devono avere qualche anno in più dei due gemelli, e altre ancora sembrano foto di famiglia con tanto di nonni al seguito.
Alcune, poi, raffigurano tre bellissimi bambini di diverse età, uno sui sei o sette anni, uno di poco più piccolo e uno che deve averne al massimo due o tre. Vedo poi una foto in cui un Fabian –dovrebbe essere lui- e una Dorcas sorridente e quieta si abbracciano davanti al camino, poi una foto della ragazza in divisa di medimaga con un sorrisone che le illumina gli occhi e infine sempre lei più sei ragazzi, di cui cinque in uniforme perfetta di Hogwarts in quello che deve essere l’ultimo giorno di scuola.
-ti piacciono?- mi chiede vedendo che non riesco a distogliere gli occhi dalle fotografie –mamma aveva la passione delle foto, e anche Dorcas è un po’ fissata-.
Annuisco appena.
-sono molto belle- gli dico poi sporgendomi verso l’ultima foto, quella di tutti insieme a scuola –posso?-.
Lui annuisce e sorride appena.
-quelli siamo io e Fabian…-
-già, lo vedo- ridacchio.
-…si, beh… poi li ci sono Sturgis Podmore e Caradoc Dearborn, sono quelli in piedi accanto a noi, li hai già visti alla riunione dell’ordine, se non sbaglio- mi mostra i due ragazzi che, effettivamente, ricordo di aver già incontrato –e quello è Benjy Fenwick, anche lui dell’ordine, l’eccezione ambulante di serpeverde. Il ragazzo scuro di pelle è uno dei nostri migliori amici, ma adesso è all’estero a seguire un corso di addestramento specialistico in Germania, mi pare, per passare di livello tra gli Auror. Si chiama Kingsley Shacklebolt-.
Annuisco.
-era il vostro ultimo giorno a Hogwarts?- chiedo curiosa.
Lui mi guarda stupito.
-sembriamo davvero così tristi?- mi chiede poi in risposta.
Scuoto la testa.
-non tristi, è… non so, forse ho solo indovinato-.
La mia frase è seguita dal silenzio, ma non un silenzio imbarazzato come quelli che ci hanno sorpreso prima, a Godric’s Hollow. Questo è uno di quei silenzi che dice molte cose, tutte insieme ma senza alcun caos, o forse dice solo che potrebbe continuare all’infinito senza mai mettere a disagio nessuno.

 
*
 
-James, ti hanno mai insegnato a tenere in ordine la tua stanza?- mi chiede Lily storcendo il naso quando entra in camera mia.
Io ghigno indicandole la porta spalancata oltre il corridoio della stanza dirimpettaia alla mia.
-quella di Sirius è peggio- le rispondo.
Lei mi guarda divertita.
-e questa che risposta sarebbe?- mi chiede mettendosi le mani sui fianchi.
Scrollo le spalle con un ghigno senza rispondere altro.
Lei si guarda attorno, curiosa, come se non fosse ancora mai entrata nella stanza.
-perché hai insistito per portarmi qui?- mi domanda dopo qualche minuto di silenzio.
Mi abbasso accanto al letto.
-hai ricevuto dei bei natali per questo regalo?- le chiedo sovrappensiero cercando quello che sto cercando sotto al letto.
-…cosa?- mi risponde divertita bloccandosi nella sua ispezione e voltandosi verso di me all’improvviso.
-scusa…- le dico allora con un sorriso capendo di aver detto qualcosa di assolutamente poco sensato –chiedevo cosa hai ricevuto per natale, a parte quella spilla da quel cretino di Boot-.
Lei mi guarda con occhi fiammeggianti.
-mi ha regalato un ciondolo, non una spilla- precisa irritata –e poi, Boot non è un cret…-
-si, si, certo- la interrompo con un sorrisetto, cercando di aggiustare il tiro quando la vedo stringere i pugni –lo sai che hai degli occhi fantastici? Hanno lo stesso identico colore dell’Avada kedavra-.
Lei mi guarda interdetta, poi un piccolo sorriso le nasce sulle labbra prima tirate in una smorfia di disappunto.
-lo sai che fai schifo a fare i complimenti?-.
Ridacchio e poi, trattenendo uno strillo, sobbalzo quandoqualcosa mi artiglia una mano da sotto il letto.
-Jamie, cosa stai…-
-spero di non far schifo anche a fare i regali, allora- cerco di distoglierla da quello che sto facendo con un sorriso seducente.
Lei strizza le labbra.
-non saprei, non me lo hai fatto il regalo- mi dice con disinvoltura cercando di mascherare il disappunto nella voce.
Sorrido appena, mordendomi le labbra quando ancora le mie dita vengono straziate da quelle piccole unghiette malefiche.
Stufo, ringhio rivolto al materasso, o meglio, a ciò che sta sotto al materasso.
-James, mi vuoi dire che diavolo stai facendo?- esclama alla fine, probabilmente stanca del mio calo d’interesse verso di lei.
Mi rialzo, sbuffando.
-ascolta Lily, non era questo il modo in cui volevo darti il mio regalo e…-
-il tuo regalo?-.
-esatto, il mio regalo. Ci ho provato, davvero, ma proprio non ci riesco. Se vuoi il mio regalo, devi andartelo a prendere- termino con serietà indicandole il letto.
-hai nascosto il mio regalo sotto al tuo letto?- mi chiede stranita.
Sbuffo.
-beh, diciamo che ci è andato da solo, sotto al mio letto- specifico irritato –credo che sia spaventato dall’odore di Sirius e…-
-puzza così tanto, Sirius?- mi chiede curiosa e divertita.
-non in quel senso, non…- balbetto stupidamente –oh, insomma, guarda sotto al letto-.
Con una risatina si china e si affaccia alzando appena la trapunta porpora che ricade ai lati del mio letto.
-stai attenta che graffia- la informo portandomi la mano offesa alle labbra e tentando di lenire il dolore.
-oh che tesoro- mi risponde lei affannandosi a portare un braccio sotto al letto –vieni qui amore caro, sei un fantastico gattino!-.
 
*


-Mr. Tomato-
-secondo te assomiglia ad un pomodoro?-
-Socrate-
-non so chi sia costui, ma decisamente ha un brutto nome-
-Ramses-.
-c’era un giocatore di quidditch, una volta, che si chiamava così. Mi pare giocasse nei Tornados, fu la delusione più completa, giocava da cercatore e in tutta la sua carriera ha preso solo tre boccini -.
-Nimbus-
-la marca di una scopa? Vuoi chiamare il tuo gatto con la marca di una scopa? Poi sono io quello fissato con il quidditch-
-Stellafreccia-.
-Lily, amore, quando avremo un figlio mi ricorderai che nella scelta dei nomi tu fai schifo?- mi chiede teneramente James rivolgendomi uno sguardo a metà tra il tenero e il rassegnato.
In tutta risposta, spostando Polpettone nell’altra mano, gli concedo di guardare da vicino il mio palmo spalmato sulla sua guancia.
-…e ricordami anche che hai la mano pesante- conclude riaggiustandosi gli occhiali con una risata.
-Adone- concludo –si chiamerà Adone-.
Indico il gattino che ci sta guardando con due enormi occhi scurissimi come chiedendosi dove mai sarà capitato. È bellissimo, con questo suo foltissimo pelo lungo e bianco striato di nero e le orecchie piccole e sormontate da un ciuffo simile a quello delle linci.
-Adone?- mi chiede stranito il mio ragazzo.
Annuisco, convinta.
-perché, cosa ha che non va Adone?- gli chiedo minacciosa.
Lui sospira.
-beh, è meglio di signor Pomodoro, in effetti- conclude –e anche di Stellafreccia, se proprio vogliamo dirla tutta-.
Sorrido, poi lascio una carezza sulla fronte del gatto, dove alcune linee nere disegnano sul bianco del pelo una M accennata.
-è bellissimo- commento alla fine, con un sorriso in direzione del gatto e uno in direzione del mio ragazzo –grazie, James-.
Lui mi sorride in risposta, lasciando che i suoi occhi rispondano al mio ringraziamento.
Restiamo a guardarci per un tempo indefinito, una vicino all’altro, poi la porta della stanza si spalanca e io cerco con lo sguardo il nuovo arrivato.
-sorridete!?- esclama Sirius con la sua nuova macchina fotografica in mano.
Sospiro, alzando gli occhi al cielo.
-Merlino, Sir, chi ha avuto la brillante idea di regalarti questo aggeggio infernale?-.
Sirius sorride sardonico e con astuzia attiva il flash.
Click.
 

La foto mostra due ragazzi, seduti l’uno accanto all’altro, in evidente stato d’agitazione, lei con le mani impegnate a trattenere un gattino di dimensioni minuscole in preda al terrore scaturito, probabilmente, dall’esplodere del flash. Il ragazzo mostra, sul viso e sulle mani, segni di graffi freschi.
 
*
 
-maledetto…-
-Sirius Black, vieni subito qui!-
-ah ah, ma che hai fatto?-
-figlio di un cane sdentato e pulcioso che non sei altro-
-arrogante pallone gonfiato stupito e con cervello menomato di un Black!-.
Continuo a ridere cercando, di tanto in tanto, di riprendere fiato mentre guardo, in compagnia di un delizioso gattino, la scena comica davanti ai miei occhi.
Lily, con in mano la bacchetta sguainata e occhi che lanciano anatemi che uccidono ovunque, corre dietro ad un ghignante Black che se la da a gambe. Dal bagno, invece, arrivano le urla e gli improperi di James, che di tanto in tanto si affaccia dalla porta mostrando le sue ferite di guerra come un trofeo e sbraitando contro il suo –credo ex- migliore amico.
Io, accomodata sul letto di James, ovviamente mi gusto la scena.
Ci vorrebbero i crocco-corn, quelle nuvolette bianche e saporite che Emmeline ci concede di mangiare quando andiamo a casa sua a vedere i filt con lei.
-Sirius…- alla porta della stanza zia Dorea si schiarisce la voce, dedicando appena uno sguardo rassegnato alla camera del figlio, ridotta peggio che mai.
-maledetto di un Black che non sei altro, dovrebbero spedirti al San Mungo per ferite accidentali al cervello, ecco cosa dovrebbero fare, rinchiuderti a doppia mandata in un ospedale psichiatrico con la camicia di forza…-.
-Sirius…- zia Dorea riprova a farsi sentire, trattenendo un sorriso che però riesce a far capolino lo stesso sulle sue labbra perfette.
-eddai, Evans, è stato uno scherzetto, niente di che…-
-Sirius…-
-uno scherzetto da niente?- si intromette James sporgendosi dalla porta del bagno –quella bestiaccia mi ha quasi cavato un occhio!-.
-Sirius Black, potresti prestarmi ascolto solo un secondo?- alla fine, Dorea riesce a farsi sentire alzando un poco la voce ed entrando nella stanza.
-mamma, stiamo facendo un discorso serio!- replica James con il tono di chi la sa lunga.
-James Potter, ritieniti fortunato che io non abbia commentato le condizioni in cui versa adesso la tua camera, dico solo che sembra un campo di battaglia- lo interrompe Dorea –e adesso, Sirius, questa ti è arrivata con un gufo reale scuro dall’aria distinta… sembrava uno dei gufi dei Black, caro-.
Sirius perde l’aria felice così come l’aveva acquistata, e tende rigidamente la mano all’indirizzo della Zia, che gli porge la lettera con uno sguardo rattristato ma colmo di affetto.
-sai che te lo risparmierei, caro, se potessi, vero?- gli sussurra poi passandogli una mano lieve e delicata tra i capelli.
Sirius sorride appena e annuisce.
Poi si dedica alla sua lettera velocemente, rivolgendomi però un lungo sguardo. Credo si stia chiedendo se queste nuove notizie centrino con me e con quello che abbiamo fatto.
Una volta aperta, scorre la lettera con occhi veloci che sembrano quasi impazienti di terminare la lettura. Arrivato in fondo, lo vedo alzare di nuovo lo sguardo sulla prima riga e iniziare ancora, dall’alto verso il basso, a leggere la scritta.
-chi…?- è James a chiederlo.
-Regulus- mormora Sirius passandogli la lettera.
Io sussulto, lui mi guarda e scuote la testa, come a dirmi che non sono io il motivo di quella corrispondenza.
James inizia a leggere la lettera.
 

Grimmauld Place, 25 dicembre 1977
 
Sirius,
sono obbligato ad informarti della prematura scomparsa di Alphard Black.
Sei atteso per la lettura del testamento il 2 gennaio 1978 alle ore 11.30 in Diagon Alley, all’ufficio del signor Lawrence Stoiner.
Non sei obbligato a rispondere a questa lettera, tanto non leggerò comunque ciò che manderai indietro.
Un buon natale a te e alla tua fiamma.
Regulus Arcturus Black

 
-è morto lo zio Alphard- sussurra Sirius guardando il soffitto.

 
*Robert Doisneau
 
 
 
 
NOTE:
Buonasera! Ebbene, ecco qui un capitolo piuttosto leggero ma, a parer mio, anche piuttosto riuscito. Mi piace molto il poter raccontare attraverso le foto scattate la storia dei personaggi, direi che non è da buttare come idea!
Ringrazio tutti per le recensioni allo scorso capitolo, mi emoziona sempre leggerle e spero proprio che non diminuiranno!!!!!
Non ho niente da dire, direi, su questo nuovo capitolo, escluso che davvero prometto solennemente che la Remmeline si sta avvicinando (scommetto che qui qualcuna si sente tirata in causa!), un grazie grazissimo ancora a chi legge questa storia!
Buona lettura,
un bacio,
Hir

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Capitolo 46
*** questioni di famiglie e tappezzerie ***




NOTE:
Le scrivo prima perché ho un sacco di cose da farmi perdonare.
Accetto maledizioni senza perdono, strillettere e anche il vecchio uno-due dato alla babbana, se volete picchiarmi, o anche una chiavetta internet nuova visto che la mia a quanto pare è diventata allergica al mio pc. Risultato: connessione impossibile. Quindi mi connetto quando posso con il pc delle mie migliori amiche, che probabilmente mi odiano perché frego loro la connessione.
Coooomunque.
Oltre al ritardo, so benissimo di essere terribile anche con le risposte alle recensioni. Ora ho sonno, vista l’ora, ma prometto solennemente che domani mattina non appena mi alzo rispondo a tuuuuuutti gli arretrati, lo giuro.
Un  grazie grazzissimo a chi recensirà (lo so, non me lo merito, sono davvero terribilmente terribile), a chi ha questa storia nelle preferite, nelle seguite, nelle ricordate eccetera.
Adesso vi lascio alla lettura del tutto,
un bacio,
Hir
 
 
 
JAMES
LILY
MARLENE
SIRIUS
EMMELINE
REMUS
MARY
ALICE
FRANK
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
Ci sono sere in cui tutto sembra perfetto, in cui tutto sembra destinato a durare per sempre.
Sono sere particolari e, in genere, ho imparato a capire nel corso degli ultimi tempi, sono proprio quelle sere in cui tutto si rompe nemmeno troppo silenziosamente.
Perché questa, di sera, è iniziata proprio come doveva: c’è stata tutta la fase della preparazione, iniziata con un lungo bagno caldo e poi continuata con la scelta dei vestiti, i vari abbinamenti e poi la pettinatura. C’è stata poi la fase dell’attesa, in cui ogni due per tre mi sporgevo alla balaustra delle scale per urlare a mia madre se, fuori dalla finestra della cucina, vedeva mica qualcuno avvicinarsi al nostro vialetto d’ingresso. Poi c’è stata la fase del ripensamento, quella in cui quasi mi sono convinta a spogliarmi e ad infilarmi sotto le coperte calde del mio letto, per passare così la serata di capodanno, con la trapunta tirata fino al naso e gli occhi spauriti a far capolino nell’oscurità della mia stanza. Alla fine, a concludere tutte le fasi, è arrivato il suono del campanello, allegro, mentre quasi già iniziavo a slacciare il cinturino delle decolté nere per lasciarle sul pavimento e infilarmi a letto.
-Emmeline, cara, è per te-.
Lo so. Lo so che è per me, è tutto il pomeriggio che ci penso.
Anzi di più, da ieri sera, e forse anche dal giorno prima.
Ora devo solo trovare un po’ di quel coraggio che il cappello parlante ha scovato in me quando mi ha infilato in Grifondoro senza tanti complimenti e scendere quella rampa di scale che mi separa dal ragazzo migliore che io abbia mai conosciuto.
Detta così, forse, può sembrare facile.
-arrivo!-  urlo verso il piano terreno sporgendomi dallo stipite della porta, la voce un po’ rauca dall’ansia.
Riesco a sentire, al piano di sotto, la risata di mio padre echeggiare in sala.
-ah, donne, si fanno sempre aspettare!- lo sento esclamare rivolto, probabilmente, a Remus.
Mi basta un solo secondo per capire che Remus, in questo momento, è in salotto con niente popò di meno che mio padre e due dei miei cinque fratelli, entrambi buoni come il pane ma che quando si parla dell’unica figlia femmina della famiglia diventano un po’ irrequieti. In meno di due minuti sono sulla soglia del salotto, perfettamente vestita, con i laccetti delle decolté chiusi a meraviglia e un sorriso nervoso dipinto in volto.
-Remus, che piacere rivederti!- mormoro un po’ intimidita dalla scena, che vede schierati mio padre sul divano e Paul e Brian vicino alla porta, che squadrano Remus con un’espressione molto particolare in volto.
Remus, al contrario di quanto mi sarei aspettata, sembra molto calmo e per nulla agitato.
-andiamo?- chiedo io puntando lo sguardo alla porta e dirigendomi all’appendiabiti per prendere il cappotto.
-ma come, Emme, non ci presenti il tuo amico?- mi interrompe mio padre con uno sguardo divertito. Vedo Remus deglutire in risposta: ok, forse non è così calmo come sembra.
Fisso i miei in quegli occhi ambrati che spesso riescono ad infondermi una sicurezza quasi angelica, poi sbatto le palpebre e, con l’espressione di un condannato al patibolo mi volto verso mio padre e i miei due fratelli.
-papà, dove è la mamma?- mi viene spontaneo chiedere, ben conoscendo i suoi punti deboli. Infatti, la sicurezza che mio padre ha riflessa negli occhi cede per un attimo il posto all’ansia che prova sempre quando sa, perché lo sa, che mamma non approverebbe quello che sta facendo.
-in cucina…- mormora rivolto all’atrio –credo-.
-Remus, lui è mio padre, Oscar- via il cerotto, via il dolore, mi dico –lui è Paul, ma già lo conosci, e lui è Brian, il mio fratello medimago… ora che le presentazioni sono…-
-Remus, dimmi, sei a scuola con Emmeline?- chiede a sorpresa mio padre, piazzandosi davanti alla porta con fare minaccioso.
-si, signore- risponde Remus in tono educato.
-anche tu a Grifondoro, quindi?-.
-si, signore- risponde ancora Remus.
Non posso fare a meno, mentre cerco di spingerlo, con finta disinvoltura, verso la porta, di lanciargli un timido sorriso, a cui lui risponde con una semplice strizzata d’occhio, il sorriso di risposta che gli sfiora solo leggermente le labbra per invadergli gli occhi dorati e rassicuranti.
Mi sento incredibilmente fortunata, perché questo splendido ragazzo, che è una delle persone migliori che io abbia mai avuto l’onore di conoscere, si  interessa proprio a me senza alcuna spiegazione plausibile. Non saprei dire il perché lo faccia, so solo di essere grata a Merlino per averlo conosciuto.
-e dimmi, come vai a scuola?-.
Sbuffo in risposta.
-papà, Remus è il ragazzo più intelligente e colto di Hogwarts- interrompo queste assurde domande –e noi dobbiamo proprio andare, ora, prima di arrivare sconsideratamente in ritardo-.
-ma, tesoro…-
-Oscar Dorian Vance- tuona la voce di mia madre uscendo dalla cucina con tanto di mestolo alla mano –finiscila subito di torturare questi due poveri ragazzi e… buonasera, caro, tu devi essere Remus, Emmeline ci ha parlato così tanto di te!-.
Vedo Remus osservare mia madre con una luce divertita negli occhi.
-è un piacere conoscerla, signora- le risponde facendole un piccolo cenno con il capo, come un inchino d’altri tempi. Sento mia madre ridere deliziata.
-io sono Christabel, la madre di Emmeline- si presenta scoccando poi un’occhiata veloce all’orologio da polso che indossa sopra la maglietta, sporco di farina –oh, ma cari, se starete ancora qui arriverete in ritardo, dovete sbrigarvi-.
Era l’ora.

 

*

 
La madre di Emmeline è una delle figure più particolari che mi sia mai capitato di incontrare. Tutto, in lei, ispira nobiltà, dal nome alla figura arzilla e minuta che si aggira per la casa con i polsi infarinati e il mestolo di legno tenuto come il più prezioso degli scettri.
Emmeline ha preso molto da lei, i capelli biondi e gli occhi ridenti, le due adorabili fossette sulle guance e quel modo di sbattere le palpebre, che le tinge in viso l’innocenza come se ogni sguardo fosse una pennellata di perfezione. E anche quell’aria altera che, senza alcuna vanità, la innalza di qualche gradino anche con le mani immerse nei vasi delle mandragore nelle serre di erbologia.
Dal signor Vance, Emme deve aver ereditato il naso appena un po’ troppo lungo e le labbra rosee, oltre che quell’amore incondizionato per la famiglia che ha riflesso negli occhi ogni volta che parla di loro e che, questa sera, ho potuto vedere negli occhi del padre ogni volta che guardava la figlia. Anche l’arco delle sopracciglia, lieve e poco arcuato, deve averlo ereditato da lui.
-perdona mio padre, è decisamente troppo protettivo con me- sussurra alla fine quando, dopo le raccomandazioni dei suoi genitori, riusciamo ad uscire nel gelo dell’inizio della notte di capodanno.
-beh, sei l’unica figlia femmina, è comprensibile- le rispondo sommamente divertito.
Lei scuote le spalle, come a voler scacciare una mosca, poi mi guarda negli occhi.
Guardarla è una delle cose che preferisco fare, in assoluto.  Guardarla e vedere un angelo biondo che mi guarda, i suoi occhi scuri fissi su di me, che chissà cosa vedono, se il mostro o il ragazzo. Eppure, quando sono con lei il mostro è talmente lontano da poter quasi fingere che non esista, non graffia, non morde, non fa male.
In effetti, ho passato anni a guardarla:
l’ho guardata per anni leggere i suoi libri sulla poltrona vicino al caminetto, le calde fiamme del fuoco che ne accendevano il volto di colori tenui accentuando la linea affascinante delle sopracciglia, giocando con il colore dei suoi occhi e con l’oro intessuto nei suoi capelli. L’ho osservata crescere, sempre china su quei libri, ho guardato le morbide labbra muoversi quando, intenta a leggere, non riusciva a trattenersi dal modulare quelle parole a voce bassissima, quasi ad afferrarne meglio il significato.
Quando si alza sulle punte per baciarmi –non avrei mai immaginato che in un tale involucro di timida dolcezza potesse esistere un fulcro di decisione così fermo- avverto le sue labbra, ferme ed invitanti muoversi sulle mie, costringendomi ad abbassarmi con lei per prolungare questo bacio ancora un po’, giusto due secondi.
-grazie per la piuma, era bellissima- mi sussurra alla fine a fior di labbra –la desideravo tantissimo, la userò solo per scrivere le cose più importanti, così che non si rovini-.
-non ti piacerà mai quanto a me piace la raccolta di disegni che mi hai regalato tu- le rispondo con un sorriso, sempre vicinissimo, la fronte appoggiata alla sua –non sapevo che mi avessi ritratto così tante volte-.
Sorride appena.
-sei anni sono tanti da far passare con la punta del carboncino come unico diario segreto- mormora lei –e poi, hai tratti interessanti, da disegnare-.
 

*

 
Quando arrivo a casa dei Potter l’atmosfera è a dir poco elettrica, e l’atrio è pieno di gente.
-wow- esclamo entrando e trovando una splendida Dorea Potter in abito da sera, accompagnata da un’elegantissima Dorcas Meadowes in lungo nero con ricami bianchi –ma qui non doveva esserci una festa con un sacco di musica e schifezze da mangiare?-.
Dorea mi rivolge uno sguardo divertito.
-Mary, sei tu, per fortuna! Sir e Jamie devono ancora essere sotto la doccia, fino a un minuto fa erano talmente nervosi che per poco Lily e Marlene non li hanno piantati in asso. Noi stiamo uscendo, Dor e i Prewett sono passati dopo il lavoro, andiamo insieme a quel maledetto ballo di gala del ministero-.
-deve essere una bella occasione, siete tutti stupendi, così in tiro- esclamo piuttosto divertita, pensando a quanto io odierei partecipare ad una cosa del genere. Essendo obbligata fin dalla tenera età di due anni a partecipare a messinscena tipiche da purosangue, so benissimo cosa vuol dire l’occhiata disgustata che Dorea mi lancia.
-si, tra tutti non vediamo l’ora di deliziarci con la visione di Moody in Frat- esclama uno dei due gemelli, a occhio e croce Fabian, un braccio attorno alla vita della sua ragazza.
-frak- lo corregge velocemente Dorcas, con un sorriso dolcissimo in volto mente gli scosta una ciocca rossa dal viso.
Sorrido, indicandoli.
-siete davvero una bella coppia, voi due insieme- faccio notare con un sorriso a trentadue denti –divertitevi, stasera-.
-come una pasqua- mi risponde l’altro gemello, l’aria tetra dipinta negli occhi che mi costringe a sorridere ancora di più.
-è la voce soave della McDonald quella che sento?- esclama una voce dalla stanza attigua, voce che riconosco piuttosto facilmente come quella di una Marlene McKinnon con un diavolo per capello.
-…cosa..?-
-credo che il suo umore sia direttamente proporzionale all’umore di Sirius- mi spiega Dorea con un sorriso di scuse –in questi giorni sono intrattabili, tutti e due-.
Sorrido appena.
-beh, non è che ci si potesse aspettare esattamente che fossero tutte rose e fiori, conoscendo i tipini che sono- commento con uno sguardo rassegnato –e si che sarà sempre peggio, prevedo-.
In effetti, se penso a due persone come Sirius e Lène insieme, è già tanto se resisto alla voglia di scappare a nascondermi il più in fretta possibile. Conoscendoli, passeranno due giorni a litigare e il terzo a fare pace.
-Mac, sei qui!- non mi sono accorta dell’entrata in scena di James fino a che non me lo sono ritrovata davanti.
-sono la prima?- chiedo incuriosita.
-Alice e Frank arrivano per le otto, Remus e Emmeline dovrebbero essere qui a momenti e Peter è già su con Sir- mi dice aiutandomi a sfilare il cappotto e ad appenderlo all’attaccapanni accanto all’ingresso. Quando gli porgo il mio soprabito mi guarda con tanto d’occhi –Mac, non ci posso credere, sei vestita da donna!-.
Poco distanti da noi, vicino alla porta della sala da pranzo, i gemelli Prewett scoppiano a ridere, e posso vedere un sorriso dipingersi anche sul volto di Dorcas, che però cerca di trattenersi per rispetto.
-stai molto bene, secondo me- mi dice infatti, probabilmente per gentilezza, quando rifilo un ceffone nemmeno troppo gentile sulla nuca a James.
-non ho mai detto che tu non stia bene, solo che è strano vederti le gambe- dice alludendo al vestito lilla che arriva solo fino alle ginocchia –Paul arriva più tardi?-.
Sono ancora voltata verso Dorcas quando James mi fa la sua domanda, ed istantaneamente mi viene da sospirare abbassando lo sguardo.
-Paul non arriva, Potter-.

 

*

 
Guardo Mary procedere impassibile verso la sala, gli occhi accesi di qualcosa che oscilla tra la rabbia e la tristezza, e decido saggiamente di non fare più domande su Paul.
-Charlus, hai finito di prepararti?- urla mia madre verso le scale, per poi rivolgersi a me –caro, noi usciamo, se tutto fila liscio dovremmo riuscire a andarcene da quel covo di matti per l’una, al massimo per l’una e mezza. Non distruggete la casa, per qualsiasi cosa c’è Hill, ma non fatela disperare, povera creatura, la casa è imperturbata, quindi non disturberete nessuno, se quando torno sento puzza di alcool vi appendo tutti al nostro delizioso albero di natale come tante palline colorate-.
Sbuffo.
-mamma, solo un po’ e…-
-no, non si discute, prova a infilare in questa casa anche solo un goccio di marsala e credimi, finisci in cucina a lavare piatti per un mese- mi minaccia con la punta del dito indice davanti agli occhi, prima di aggiungere con tono fintamente innocente –ah, e… se volete, in forno ci sono dei biscotti che ho fatto per capodanno, potreste assaggiarli e…-
Manco morto, penso.
-magari domani, mamma- rispondo optando per qualcosa di un po’ più diplomatico.
Vedo Gid e Fabian ridere alle sue spalle, e devo faticare per riuscire a trattenere un eccesso di risa.
-divertitevi- auguro poi a tutti, divertito particolarmente dal volto di Gideon, che mi rivolge uno sguardo truce prima di lanciare un’occhiata incuriosita verso la porta della sala.
Forse lui preferirebbe restare con noi piuttosto che infilarsi in quella gabbia di pinguini, a quanto pare però alla serata gala del ministero è obbligatorio partecipare se si vuole fare una buona impressione.
 Li guardo sfilare davanti a me tutti vestiti in perfetto ordine, mia madre con un lungo abito verdone e Dorcas con un vestito nero ricamato di bianco e gli uomini in abito da cerimonia.
Quando raggiungo le ragazze in sala da pranzo mi accorgo che Sirius e Peter sono scesi dabbasso e che Lily, con un sorriso leggermente sollevato, parla con una Marlene decisamente più malleabile di poco fa.
In questi ultimi giorni, da quando a Natale Sir ha ricevuto quella lettera dai Black, tra lui e lei non so chi sia stato più scostante, il primo deciso a non mostrare alcun velo di dolore nell’espressione fintamente felice, la seconda ferita dall’atteggiamento del suo ragazzo che si rifiuta di soffrire mostrandolo al mondo. In questi giorni mi sono ritrovato a compatire decisamente Lène, sapendo bene quanto sia difficile vivere attorno ad un Sirius Black amareggiato che tenta di respingerti per non mostrarti la parte più debole di se. Anche Lily lo fa, sono molto simili quei due, e a volte questa cosa fa soffrire anche me.
Con lo sguardo cerco Mary, intenta a scrutare il panorama da una delle finestre esposte ad ovest, e ignorando il resto della sala mi avvicino a lei con un sorriso sul volto.
-ehi, Mac, va tutto bene?-.
Lei sussulta quando sente la mia voce.
-certo, va tutto bene- risponde continuando a guardare fuori.
-e Paul?- chiedo inclinando il capo, e raggiungendo con lo sguardo il riflesso dei suoi occhi che mi guardano dal vetro.
-Paul sta bene- mi risponde tetra, poi tira un sospiro –non è niente, davvero, James. Abbiamo solo discusso un po’, ma è normale. È che io non lo amo, capisci? E lui non ama me, assolutamente. Stiamo insieme per divertimento, e a quanto pare questo divertimento sta finendo-.
Scuoto la testa.
-beh, è durato più degli altri- sospiro alla fine.
Lei sorride appena.
-è un bravo ragazzo- annuisce –è solo che…-
Vedo che si interrompe, come se fosse indecisa se continuare oppure no con il suo discorso.
-solo che?- la sprono un po’.
-insomma, stasera siete tutte coppie- commenta con un sorriso sarcastico –io qui ci sto come la pelle di girilacco nell’amortentia-.
Scoppio a ridere divertito.
-senti un po’, ma…- chiede poi sempre con un sorriso, questa volta più dolce e vero, sulle labbra –i Prewett sono spesso a casa vostra?-.
Annuisco.
-si, spessissimo, soprattutto da quando Fabian e Gideon sono entrati nella squadra di mamma e papà, negli auror, sai. Spesso si fermano a cena, e anche Dorcas, sai, lei e Fabian stanno insieme-.
-si, lo so- annuisce.
-ah, si, avevo dimenticato che a Natale tu e Gideon siete arrivati insieme, magari avete parlato un po’- mi ricordo –sono proprio forti, i gemelli Prewett. E anche Dorcas è simpatica-.
-è molto dolce- commenta lei.
-non conoscevi i Prewett, prima?- le chiedo incuriosita.
Lei scuote la testa.
-non prima di entrare nell’ordine, no- mi dice –cioè, li ho visti una volta ad Hogwarts. Pare che il loro ultimo anno sia stato quello precedente al nostro primo-.
Confermo.
-si, Dorcas invece ha un anno in meno, era a corvonero il nostro primo anno-.
Fa cenno di aver capito.
-non ti abbattere per Paul, Mary- le dico alla fine, tirando un sospiro e dandole una pacca sulla schiena –e stai tranquilla, non ti faremo fare da tappezzeria, stasera. Senza la Mac non sapremo come divertirci!-.

 

*

 
Osservo la piccola falce di luna nel cielo, lo specchio intatto delle stelle e l’oscurità della notte rischiarata dai fuochi d’artificio babbani che esplodono ormai a intervalli irregolari dalle sette di stasera.
È una strana notte per dare inizio ad un anno nuovo.
È passata poco più di una settimana, non ho ancora notizie della mia famiglia, eppure mi sento inspiegabilmente felice. Felice come raramente mi è capitato di essere.
Certo, non mancano i momenti bui.
Come quelli in cui rivedo gli occhi di Regulus che mi guardano sentendosi traditi, o immagino quelli di Max che mi osservano delusi.
Non mancano nemmeno i momenti in cui mi pare di sentire gli improperi e le urla di Walburga, o i sospiri traditi di mia madre.
Però c’è sempre qualcuno che, con un gesto, una parola, un semplice sguardo, riesce a respingere questi dolori con la speranza che, più si allontanano, meno possano pesare in futuro.
So bene che non è così, tuttavia mi piace crederlo.
Resta comunque il fatto che, nonostante tutto, sono qui. L’ultimo giorno dell’anno, la prima notte di un nuovo mondo, insieme ai miei migliori amici.
Mi volto e osservo la facciata chiara di casa Potter, animata dalle luci della festa e dalla musica leggera. A Godric’s Hollow sono talmente tanti, i maghi, e talmente evidenti, le stranezze, che i pochi babbani hanno imparato a non notarle nemmeno più.
Zia Doree e zio Char sono invitati ad una delle tante serate di gala, e ci hanno lasciati a festeggiare sia capodanno che, anche se di qualche giorno in ritardo, il compleanno di Sirius.
Sospiro ripensando a Sirius.
Dopo aver ricevuto l’amara notizia da suo fratello, Sirius è semplicemente andato avanti.
È così abituato a nascondersi in se stesso, quel ragazzo, da rifiutare che una qualsiasi sua emozione turbi la quiete dei suoi amici. Credo sia per questo, infatti, che mi evita da una settimana.
O meglio, non è proprio che mi eviti.
Quel ghigno irresistibile che ha sulle labbra è sempre lo stesso, non è mutato di una virgola, così come la luce negli occhi, così malandrina, è quella di uno, due, tre mesi fa. A volte, in questi giorni, mi ha sorpreso con qualche suo sguardo strano, talvolta avvicinandosi forse con l’intenzione di abbracciarmi, eppure tirandosi indietro all’ultimo momento. Mi chiedo perché tra noi ci sia di nuovo questo vetro odioso che ci permette di vederci e non di toccarci, di respirarci addosso.
Adesso capisco perfettamente quello che devono aver provato Emmeline, Mary, Alice e Lily nei primi giorni in cui avevo ricevuto la notizia del mio fidanzamento con Regulus, quando mi sforzavo di apparire normale eppure mi veniva naturale odiare tutti.
Mi chiedo qual è stato il momento preciso in cui ho iniziato ad interessarmi a Sirius Black, a scorgerne i cambiamenti d’umore nonostante la solita maschera di spavalderia elegante che indossa quasi costantemente.
La cosa frustrante, di tutto questo, è che potrei capire perfettamente tutto quello che gli è successo, ora che anche io ho preferito me stessa alla mia famiglia, potrei tentare di ascoltarlo, di capirlo, di consolarlo, per questa morte improvvisa di una delle poche persone degne di questo nome della sua famiglia.
Ma non ci riesco, non ci posso riuscire se lui per primo non tenta un passo verso di me.
Sembra semplicemente che per lui sia tutto normale, che non sia successo nulla dalla mattina del venticinque dicembre ad oggi.
Perché fra noi due non può quadrare tutto come dovrebbe?
Anche stasera, non ha fatto altro che ignorarmi.
Cioè, non è che mi ignora, è che non mi coinvolge, che è diverso. Mi parla come se fossi una uguale agli altri, di tanto in tanto mi guarda, ma nemmeno più di tanto. E con questo, non è che io voglia dire di essere diversa da tutti gli altri, ma credo proprio di meritarmela, un po’ di considerazione!
Aveva detto più o meno giusto, la sera ad Hogwarts in cui mi ha invitato alla sua festa. Siamo in pochi, i malandrini più Frank e noi ragazze.
È passato Natale, ormai, e ancora non mi sono decisa a dargli quello che gli ho comprato. È che non c’è mai un momento solo per noi, non c’è ancora stato, lui sembra non volerlo e con tutto quello che è successo…
Sembra stupido.
Solo una settimana fa mi sembrava un sogno l’idea di avere tutta una vita, senza matrimoni o fidanzamenti combinati, da vivere davanti a me, e oggi mi sento senza nemmeno un po’ d’aria, con la certezza assoluta di non avere abbastanza tempo, di volere che tutto quadri e quadri adesso, non domani, non tra un mese, ora.
Torno a guardare il cielo, torturando con la dita della mano nervosa le frange della morbida sciarpa panna che mi ha regalato Lils.
-non hai freddo, Lène?- mi chiede all’improvviso una voce.
Quella voce, ovviamente.
Mi volto appena, giusto per incrociare i suoi occhi grigi.
-e tu, Sir, non hai freddo?- gli chiedo in risposta notando che porta solo una maglia leggera.
-nah, io non soffro il freddo- scuote le spalle, affiancandomi. Già, a quanto pare lui non vuole soffrire mai.
-a volte fa bene…- mormoro rivolta al cielo –è… liberatorio-.
-soffrire il freddo?- mi chiede alla fine con un accenno di sorriso sulle labbra.
Io rimango seria scuotendo la testa.
-soffrire e basta- rispondo enigmatica.
Continuo a guardare il cielo, ma con la coda dell’occhio noto che lui si è girato e mi sta guardando, forse attentamente, forse svogliatamente. Credo sia sempre impossibile dirlo, con Sirius Black.
-credo di aver sbagliato tutto, in questi giorni- mi dice a sorpresa.
Alzo gli occhi su di lui, restando a fissarlo interdetta.
-cosa intendi?- chiedo.
Lui mi guarda, con un sorriso.
-penso sia l’ora di fare una cosa. Anzi, avrei dovuto farla giorni fa, ma con tutto quello che è successo, io non… avevo bisogno di un attimo di tempo- mormora in risposta.
Sono sempre più indecisa. Cosa pensare?
Quando Sirius Black esordisce così, cosa ci si può aspettare?
-devo preoccuparmi?- chiedo scherzosa, cercando l’appoggio di un sorriso e una risata, magari una di quelle battute che sanno spezzare il momento e l’imbarazzo.
Al contrario, lui rimane serio.
E mi guarda in un modo che…
Merlino, sono questi i momenti in cui mi arrabbio con Sirius Black!
Perché mi deve guardare così?
Probabilmente sono la centesima ragazza che fa sentire unica solo con lo sguardo.
-forse è meglio di si- mi dice a sorpresa, appena un mormorio –è meglio se inizi a preoccuparti-.
Eh?
Ma è ubriaco?
Solo successivamente noto il pacco che tiene tra le mani.
È piuttosto voluminoso, fasciato in carta blu notte, lucida, un nastro d’argento e un ricciolo nel fiocco.
Rimango bloccata, non mi azzardo a prenderlo nemmeno quando me lo porge.
-cos’è?- chiedo, e se la mia faccia è stupida quanto la mia voce siamo messi bene.
-è il tuo regalo di Natale- mi sorprende.
Non voglio farlo, eppure rido.
-natale è passato da una settimana, Sir- gli faccio notare prendendo però il pacchetto e rigirandomelo tra le mani come se mi potesse attaccare da un momento all’altro.
Lui sorride in risposta.
-beh, infatti dovevo darti questo regalo quando fossimo stati soli insieme, e questo è il primo vero momento che ci capita di passare da soli… e poi, questo regalo ha bisogno di qualche spiegazione- aggiunge in ritardo, come se dirlo gli costasse fatica.
Lo guardo.
-e le spiegazioni intendi darle prima o dopo che io lo apra?-.
Lui ricambia il mio involontario sorriso.
-dopo, altrimenti ti svelerei il contenuto del pacchetto-.
Logico, mi rispondo.
Con dita tremanti raggiungo il nastro e tiro il ricciolo, osservando il filo d’argento snodarsi e avvolgersi al mio polso come un bracciale.
Velluto, lo riconosco.
Luccica alla luce delle stelle, chiudendosi in un elaborato nodo.
La carta cede alle insistenze della mia mano, e con un fruscio la sento cadere a terra mentre le mie dita affondano in qualcosa di morbido e serico.
È voluminoso, manda riflessi argentei alla luce della luna.
Lascio che si spieghi, lieve.
È un mantello e, anche senza vederlo, posso indovinarne il colore.
Rosso porpora.

 

*

 
La vedo srotolare il mantello con dita dapprima tremanti, poi sempre più sicure.
Il mantello rosso si spiega tra le sue dita morbidamente, frusciando appena.
Spio la sua reazione, vedo i suoi occhi brillare e so, prima ancora di sapere come mi sento io stesso, che quel luccichio è provocato da lacrime represse.
Non mi chiedo nulla, semplicemente apro la bocca, confidando che qualcosa di buono ne uscirà.
Semplicemente, la vita me lo deve.
Ce lo deve.
-so quanto ti è costato fare quello che hai fatto, Lène- le dico quindi –e questo regalo ha molti compiti. Il primo, è quello di chiederti scusa in modo adeguato. Sono stato un cretino ad isolarmi così in questi giorni, avrei dovuto parlarti di più, cercarti di più. Eppure cerca di capirci qualcosa, Lène, visto che io non ci riesco. Insomma, sei la prima ragazza con cui mi impegno seriamente, e credo di dover sbagliare ancora molte cose prima di riuscirci nel modo giusto-.
So che il mio discorso ha preso una piega inaspettata, forse delirante. La vedo, tuttavia, reprimere un sorrisetto che sembra soddisfatto.
Ora mi sta guardando negli occhi con quei tizzoni neri che si ritrova piantati in volto. È straordinariamente bella, e per un secondo maledico mio fratello per essersela fatta scappare.
Solo ora realizzo completamente che se lei si fosse anche solo degnata di guardarmi, forse avrei trovato il coraggio di farmi avanti mesi fa.
-mio fratello è un cretino. Regulus, è un idiota. aveva la possibilità di essere felice, con te, e l’ha lasciata sfumare per mia madre e mio padre, per i loro desideri. Non ha avuto fegato per combattere, e lo conosco abbastanza da dirti che se ne pentirà tutta la vita. Tua madre capirà, la aiuteremo noi a capire. Che averti felice è molto meglio che averti ricca. Tuo padre capirà che averti felice è molto meglio che averti sposata ad una tradizione. Tuo fratello capirà che tu hai avuto il coraggio di fare quello che lui si è rifiutato di pensare. Anche lui aveva la possibilità di tirarsi indietro, ma non l’ha fatto. Adesso è fidanzato con la Rosier, che sarà bella ma è un guscio vuoto con un marchio sull’avambraccio, come un animale. Capirà che averti felice e piena, è molto meglio che averti infelice e vuota. Walburga capirà che esiste qualcuno in grado di tenerle testa fieramente, mio padre probabilmente non capirà niente, ma non ci sarà molto di cui stupirsi-.
Ride appena, alle mie ultime parole, e io la seguo, incapace di distogliere gli occhi dai suoi.
Vedo una lacrima lasciarle le ciglia e gettarsi nel vuoto, proprio come ha fatto lei una settimana e mezzo fa, in quell’ufficio.
-e io?- chiede alla fine –capirò mai?-.
-capirai che non rimpiangerai mai quello che hai fatto, che hai deciso da sola per quanto possa fare male. E nel frattempo, nel mentre, noi…-
-nel frattempo cosa?- chiede interdetta.
-nel tempo che impiegheranno per capire tutto questo, nel tempo che Reg impiegherà per capire di essere stato un idiota, tua madre nel capire che sei felice e va bene così, tuo padre nel capire che non ti pieghi ed è bello così, tuo fratello nel capire che il coraggio è una virtù prima che un difetto, Walburga nel capire che non può permettersi di passare in testa a tutti, mio padre nel capire che non capirà. Nel frattempo, ti aiuterò io. Siamo due scappati di casa, rifugiati con il nostro piccolo mondo a brandelli cercando di tenerlo saldamente insieme… beh, quattro mani sono meglio di due, no?-.
Le asciugo la lacrima, quell’unica, che poi le ha disegnato uno sbuffo argenteo sulla guancia.
Delicato, quasi assente.
-possiamo tenerci in piedi a vicenda- le dico alla fine, avvicinandomi a lei –formare insieme ai nostri amici la famiglia che ci manca. Insomma, lì dentro c’è Remus, che già si comporta come una mamma, Lily che può fare tranquillamente la parte del papà, Mary e James che sono come fratelli dispettosi, la Vance che può passare per la sorella saggia della combriccola, Frank e Alice che fanno gli adolescenti innamorati, Peter che è come un fratello che cerca protezione. C’è tutto, lì dentro, tutto quello che ci serve per essere felici. E poi, ovviamente, ci sono io!-.
-ovviamente- ride lei in risposta, gli occhi divertiti puntati sul mio viso.
-ovviamente, certo- le dico con un sorriso –qualche mese fa mi è… capitato, penso si possa dire così, di cercare la tua famiglia e le sue tradizioni in un libro di genealogia antica…-
-…genealogia antica? Vuoi dire che sei davvero entrato nella biblioteca di Hogwarts di tua spontanea volontà senza esserci stato trascinato dentro per un orecchio?-.
Sembra davvero stupita.
Sbuffo.
-stavo dicendo, che mi è capitato di leggere che nella tua famiglia ci si regala un mantello porpora per sancire l’entrata ufficiale nel clan-.
Alla fine, le mie parole sembrano fluttuare nell’aria prima di dissolversi.
Vorrei che capisse da sola, il sottinteso di tutto questo discorso, perché non sono abituato a parlare di sentimenti e a cedere fino a questi punti, è difficile per me farlo e non mi viene naturale.
So di doverglielo, ma non è facile.
-vorresti entrare nel mio clan, Sirius Black?- mi chiede alla fine in un sussurro che ha ben poco della ragazza pensosa che ho incontrato poco fa in questo cortile e molto di quella che mi ha fatto dannare tanto in questi mesi.
-vorrei esserlo, il tuo clan, Marlene McKinnon- le sussurro in risposta.
Le mie parole suonano talmente sdolcinate alle mie stesse orecchie che ho come l’impulso di soffocare tante romanticherie con il bacio con cui vado a occuparle le labbra, a cercarle la lingua mentre le mie mani si incastrano tra i suoi capelli con la stessa irruenza con cui si impiglierebbero ad una matassa di lana filata malamente.
Questo bacio stride pericolosamente se messo a paragone del discorso che ho appena fatto, del modo in cui l’ho appena guardata, dell’atmosfera della serata. Eppure stride in modo armonioso, perché è un po’ che lo desidero, e l’idea di aver finalmente, dopo tutti questi mesi, il diritto di poterlo fare mi raggiunge all’improvviso, facendomi spalancare gli occhi e restare imbambolato tanto che anche lei se ne accorge, si scosta e mi guarda insospettita.
-Black?- mi chiede passandomi la mano davanti agli occhi –tutto bene?-.
-io e te stiamo insieme- mormoro alla fine.
Lei inarca le sopracciglia finemente disegnate.
Poi annuisce, interdetta.
-mi pareva avessimo deciso così- mi dice esitante.
-quando il mio fan-club lo saprà, a quelle benedette ragazze prenderà un colpo!-.
Sento un po’ in ritardo lo scappellotto raggiungermi la nuca, e non posso far altro che massaggiarmi la testa grugnendo in risposta, perché so benissimo di essermelo meritato.
 

*

 
-che ore sono?- chiede ad un certo punto Sirius rientrando con un braccio attorno alla vita di Marlene, che sorride radiosa.
-le undici e mezza- risponde Lily mentre, seduta sul divano, passa le dita tra i capelli già di per se parecchio spettinati di James. James, dal canto suo, si gode le attenzioni di Lily con uno sguardo ebete dipinto negli occhi, l’espressione da triglia grigliata. Alle parole di Lily, però, scatta sull’attenti senza ritrarsi del tutto dal tocco della sua ragazza.
-siamo in ritardo, siamo in ritardo- inizia a dire spostando lo sguardo da me a Sirius a Peter.
-in ritardo?- ripete stranita Lène, voltandosi verso Sirius con un punto di domanda enorme impresso negli occhi.
Sirius sorride, poi con la tipica irruenza che lo caratterizza trascina la povera McKinnon sul divano insieme a lui, facendola sedere con molta poca grazia sulle sue gambe.
-è un’usanza dei malandrini- spiega poi alla sua “ragazza” (Merlino, quando me l’ha detto per poco non ci sono rimasto secco) –la sera dell’ultimo dell’anno, prima che scatti la mezzanotte, facciamo la lista di tutte le regole di Hogwarts che abbiamo già infranto e quella di tutte quelle che ci mancano-.
Se posso permettermi, non è stata una cosa molto saggia rivelare il tutto davanti a Lily, sapendo quanto la ragazza è ligia alle regole.
Infatti, con un sospiro e una manata sulla fronte induce James a mettersi seduto composto per poter iniziare la propria ramanzina.
-James, tu quest’anno sei un caposcuola, non puoi mica…-
-suvvia, Evans, siamo in vacanza, togliti la spilla almeno in questi giorni!- la rimbrotta amichevolmente Sirius.
Vedo Lily scuotere la testa, fingendosi rassegnata.
-siete proprio una massa di arroganti, viziati, palloni…-
-…gonfiati e rincretiniti, talmente pieni di ego da non sapere come fa la nostra scopa a reggerci quando voliamo- finisce Sirius per lei –si, Evans, lo hai già detto più o meno settanta volte, esclusa questa-.
Vedo James sporgersi verso di lei e chiuderle la bocca con un bacio a stampo. Nello stesso identico istante, Lily diventa più o meno dello stesso colore dei propri capelli quando sente la voce del suo ragazzo continuare.
-ti devo ricordare, Lils, che avevi detto anche che piuttosto che uscire con me saresti andata ad Hogsmeade con la piovra gigante?-.
Una risata collettiva invade la sala, mentre tutti, chi più velocemente chi meno, ci raduniamo attorno al divano.
Alice e Frank siedono sulla poltrona vicino al caminetto acceso, Mary è accomodata sul tappeto persiano a gambe incrociate, intenta ad accarezzare Adone, che a quanto pare è il regalo di Natale a Lily di James, Peter è seduto in equilibrio precario su uno dei braccioli del divano, che è occupato da Sirius e James, il primo con Lène in braccio e il secondo tutto preso a schivare i piccoli schiaffetti imbarazzati di una Lily ancora rossa come un peperone, seduta accanto a lui. Io e Emme, infine, siamo seduti sulla poltrona più vicina al tavolino da tè.
Questa è, senza dubbio, da annoverare tra le serate più belle della mia vita. Questa, quella in cui Sirius, James e Peter hanno deciso di diventare animagi per me, quella in cui lo sono diventati davvero, e quella di solo una decina di giorni fa, nell’ufficio di Lumacorno.
-allora, chi inizia?- chiede James facendo il giro dei presenti con lo sguardo.
Mary ridacchia.
-come funziona esattamente?- chiede curiosa.
-funziona che a giro si dice una regola di Hogwarts, la prima che ti viene in mente, e gli altri devono rispondere se l’hanno infranta oppure no. È semplice, una sorta di inventario- spiega James a beneficio di tutti quelli che, presenti nella stanza e nel circolo delle sue amicizie solo nell’ultimo anno, non hanno mai partecipato a quest’usanza –inizia Remus-.
Sorrido, poi dico la prima regola con cui di solito inauguriamo quest’attività.
-vietato violare il coprifuoco. Io l’ho fatto-.
-Remus, è ovvio che tutti hanno violato un coprifuoco almeno una volta, sei proprio banale!- mi riprende Sirius scuotendo la testa –ti ricordo io come si fa: vietato uscire senza permesso dai confini di Hogwarts. io l'ho fatto-.
-anche io- risponde Peter dalla sua posizione in bilico sul bracciolo.
-fatto- annuisco in risposta.
-io no, non è giusto!- esclama Mary sgomenta.
Lily le rivolge uno sguardo di fuoco.
-e meno male, che non l’hai fatto! Si rischia l’espulsione!- ribatte, poi si volta verso James –tu non l’hai fatto, vero?-.
L’espressione innocente di James è già di per se un’ammissione di colpa.
-io no- scuote la testa Emmeline, appoggiata alla mia spalla.
-io si- annuisce Marlene tutta contenta, guadagnandosi un’occhiataccia dalla sua migliore amica.
La risposta di Frank e Alice è, come è prevedibile, negativa.
-bene- annuisce James –vietato… entrare nelle cucine! Eddai, Lils, io so per certo che sei recidiva su questo reato!-.
-cosa non devono sentire le mie orecchie, Lily Evans!- esclama ad alta voce Marlene indispettita –sei entrata nelle cucine con James quando io, da sei anni, ti chiedo di farlo per me!? Nemmeno più degli amici, ci si può fidare, a questo mondo-.
Ridacchiamo tutti delle sue parole e del cuscino che letteralmente le vola in volto scagliato con precisione assoluta da Lily.
-taci McKinnon!- abbaia prima di strizzare il naso con aria buffa e altezzosa –non ho alcuna intenzione di spiegare alcunché a nessuno-.
-Pete, tocca a te- richiamo il nostro amico per continuare l’attività.
-vediamo… vietato l’ingresso alla Stamberga Strillante?- esita annuendo poi più sicuro –fatto-.
-la stamberga strillante?- chiede Lène ad occhi sgranati –mai avvicinata a più di cinquanta metri-.
-fatto- esclama invece un vittorioso Sirius sporgendosi per dare il cinque ad un altrettanto vittorioso James.
-fatto anche io- convengo.
-anche io ci sono stata!- dichiara una soddisfatta Emmeline, prima di rimanere per un attimo interdetta –insomma, non me lo ricordo però…-
-Vance, Evans, devo dire che la nostra compagnia vi fa decisamente male!- commenta Sirius tutto giulivo –una che sgattaiola di notte nelle cucine, l’altra che gironzola impunita per la stamberga strillante… anche se, me lo perdonerai Evans cara, se ti dico che il premio temerarietà per questa volta lo vince decisamente la Vance e…-
Il cuscino che prima aveva centrato in pieno Marlene viene richiamato indietro con un incantesimo d’appello, solo per essere rilanciato con ancora più forza e decisione, facendo ridere tutti i presenti.
-Lily, dai, ora tocca a te!- cerca di entusiasmarla James, guardandola carica di aspettativa –stupiscici!-.
Lily sembra pensarci un attimo, gli occhi rivolti pensosamente al cielo, poi un sorriso vittorioso le si dipinge sulle labbra.
-volete vedere, Black e Potter…- comincia vittoriosa –che riesco a trovare una regola che io ho infranto e voi invece no?-.
Sirius ride con quella sua risata così simile ad un latrato.
-Lils, non ti conviene sfidarli- la ragguaglia Mary.
Io mi chiedo cosa mai intenderà sfoderare Lily.
-ebbene, signori- sussurra con fare da cospiratrice –vietato mangiare in biblioteca!-.
James e Sirius la guardano straniti per qualche secondo, prima che James prenda la parola.
-lo sai, amore- dice inclinando la testa come farebbe un bambino davanti ad un enigma –io il tuo senso dell’umorismo non lo capisco proprio, a volte… però ti amo lo stesso un sacco- cerca di riparare alla fine, in risposta all’ennesimo cuscino, che vola per l’ennesima volta centrando in pieno, adesso, Potter.

 

*

 
Fuori fa freddo, e appena mettiamo il naso all’esterno rabbrividisco stringendomi leggermente nelle spalle.
Sento le braccia di Remus, delicate e gentili, stringermi in un abbraccio che ha un po’ la funzione di farmi sentire parte del tutto e un po’ quella, ne sono certa, di farmi sentire un po’ meno freddo.
-sei felice?- mi chiede dopo qualche istante di silenzio.
Mi volto verso di lui ma, a causa della nostra posizione, non riesco a vedere del suo volto che la parte inferiore. Sorrido alla sua domanda, perché sento che è sincera, che non mi ha chiesto se sono felice tanto per chiedermi qualcosa, ma perché è quello che vuole sapere, come se la sua felicità dipendesse dalla risposta alla sua domanda. Sembra tutto così naturale, con lui.
-non potrei chiedere di più, alla vita- gli sussurro in risposta quando, proprio allo scoccare della mezzanotte, sento tutti attorno a me agitarsi e brindare, e urlare frasi assurde e ridere come matti.
Mi guardo attorno, e quello che vedo è la mia seconda famiglia, quella che pezzo dopo pezzo, in questi quattro mesi, mi si è costruita attorno, quella che ha sofferto con me, ha pianto le mie lacrime e sorriso le mie risate, quella che ha penato e vegliato sul mio sonno in infermeria e fremuto la sera del mio appuntamento con Remus.
Frank e Alice si sorridono guardandosi negli occhi, come se al mondo non esistesse altro che il loro amore.
James e Sirius, uno vicino all’altro, difendono ognuno la parte più debole del fratello, sorridendo entrambi ad un cielo pieno di stelle probabilmente chiedendosi cosa ci riserverà il futuro, o ancora più probabilmente sperando che Dorea non sarà così cattiva come ha promesso quando scoprirà che in casa è entrata una bottiglia di Whisky incendiario.
Marlene, Mary e Lily si abbracciano e indicano tra di loro i fuochi d’artificio babbani più belli in tutto il cielo.
E Peter, vicino a me e Remus, squittisce entusiasta ridacchiando delle parole con cui il mio lupo mannaro preferito inaugura il nuovo anno.
Si, sono felice.




NOTE 2 LA VENDETTA:
bene, adesso, con la coscienza un po' più pulita, solo un paio di parole:
per prima cosa, so bene che questo capitolo inizia ben una settimana dopo il natale a casa Potter. L'ho fatto apposta, mi pareva inutile dilungarmi su giornate che ho intenzione, comunque, di raccontare in un secondo momento in una storia a parte dedicata solo a Lily e James, una piccola long di massimo tre/quattro capitoli che scriverò in un secondo tempo.
la seconda cosa riguarda Mary e Paul, la cui storia verrà approfondita nei prossimi capitoli, quindi non vi preoccupate se non ci state capendo molto.
sicuramente c'era anche una terza e una quarta cosa, ma adesso proprio non me le ricordo.
Non  mi resta che augurarvi una buonanotte (o un buongiorno) e andarmene a dormire.
Ancora scusa per il tempo che vi ho fatto aspettare, non si ripeterà più (voglio sperare),
Hir


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Capitolo 47
*** Testamento ***



NOTE:
so benissimo di essere imperdonabile, come so che il capitolo che segue non è quello che vorreste leggere, per il semplice motivo che non è quello che avrei voluto scrivere.
Ultimamente ho troppo caos intorno e un blocco dello scrittore che nemmeno immaginate, questo è il massimo che sono riuscita a tirare fuori -il che è dire tanto-.
Prometto solennemente, visto che ho già alcune idee per il prossimo capitolo, di pubblicare entro domenica!
E vi rassicuro dicendo che non ho alcuna intenzione di lasciare le mie ff incompiute, assolutamente. Pubblico coi miei tempi, forse, ma pubblico.
Confidate mentre io schivo tutte le vostre maledizioni!
Buona lettura,
giuro che pubblico presto perchè questo è un po' corto,
Hir
 
 
LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
REMUS
EMMELINE
PETER
FRANK
ALICE
MARY
REGULUS 
RABASTAN
CORRISPONDENZA


 
Mi guardo attorno un po’ spaesato, il braccio ancora stretto nella morsa ferrea della Evans. 
Sul serio, questa ragazza ha una presa da Boa Constrictor. Incredibile che James sia ancora vivo.
-Black, che posto mai sarebbe questo?- mi chiede scettica guardandosi attorno.
In effetti non posso darle tutti i torti: il vicolo in cui ci troviamo è scuro e piuttosto sporco, isolato e decisamente stretto. Nell’insieme, è piuttosto malridotto.
Proprio da Zio Alphard, a mia madre si rivolteranno le budella non appena capirà di dover mettere un piede in questa fogna.
-non conosco molto della tua famiglia- riprende la Evans continuando a scrutare l’aspetto degradato del luogo –ma non mi immaginavo frequentasse posti del genere-.
Sorrido appena, sommamente divertito dall’espressione di educato disgusto che arriccia il volto di Lily.
-diciamo che Zio Alphard era un po’ particolare, come persona-.
-sai, Black, un’antenata che cerca di promuovere la caccia ai babbani, una che taglia le teste agli elfi domestici quando finiscono la loro carriera, uno che è il peggior preside che Hogwarts ricordi e una che si diverte ad incendiare il proprio albero genealogico al solo scopo di cancellare la parte normale della famiglia…- terminò di contare mostrandomi un sorriso e quattro dita tese –inizio a temere i casi particolari, quando si parla della tua famiglia-.
Scoppio a ridere divertito, indicandole la porta sgangherata a poco più di una decina di metri da noi.
-beh, se la metti così non posso proprio darti torto. Zio Alphard era normale, più o meno… almeno a quanto io ricordi- le racconto, dicendomi che forse non è stata tutta sta brillante idea quella di informarla un po’ sul conto dei Black, quando ha accettato di accompagnarmi –non l’ho mai visto molto, stava sempre via. Era il fratello di Walburga, ma non si sopportavano un granché, e credo sia per questo che veniva a casa nostra molto di rado. In genere, quando arrivava, ci portava qualche regalo particolare, per questo era il mio parente preferito e…-
-Sirius!-.
Una voce delicata ma entusiasta mi costringe a voltarmi verso l’ingresso del vicolo e, di conseguenza, una volta realizzata la figura slanciata che mi trovo davanti, a scoppiare in una risata divertita. 
-Meda! Per Merlino, Zio Al ha proprio giocato sporco questa volta, se ha costretto Walburga e Cygnus a chiamare anche…-
Ouf.
Sono costretto a ripiegarmi su me stesso quando una specie di fungo dai capelli corti e verdi mi raggiunge con una testata, artigliandomi le gambe in una morsa che dovrebbe sapere di abbraccio affettuoso.
-Merlino, questa qui non ha certo preso l’eleganza dai Black, si muove con la grazia di un drago con la spruzzolosi- mormoro divertito con voce soffocata dal momentaneo dolore. Mi rialzo, attento a tenere la piccola marmocchia quanto più distante le mie braccia riescano a fare –Evans, ti presento ufficialmente quell’unico pezzo di famiglia decente che mi resta. Andromeda Tonks e sua figlia Ninfadora-.
La Evans sorride rivolta alla mia cuginetta, che ricambia il sorriso con una smorfia appena accentuata.
-voi vi sposate?- chiede poi con quella schiettezza tipica dei bambini, che Merlino solo sa come fanno a tirare fuori nei momenti più impensabili. Sembra un po’ un uscita tipica di Mac.
La Evans, impettita, rivolge a Dora uno sguardo dapprima scioccato, poi appena meno sbalordito. Alla fine, scoccandomi un’occhiata irritata e facendo un passo indietro come a confermare che, no, io e lei non ci sposeremmo nemmeno ubriachi, scuote la testa.
-assolutamente no, te lo posso garantire- le risponde alla fine chinandosi per portarsi alla stessa altezza di mia cugina, per poterla guardare negli occhi con facilità. Con un sorriso, poi, sfodera il mignolo destro porgendolo alla bambina –prometto-.
Dora, con un sorriso sfacciato, afferra con il proprio il dito teso di Lily.
-bene, perché quando sono grande mi sposa a me, Sius- le comunica solenne, annuendo convinta –vero, Sius?-.
-assolutamente si, Dora- rispondo ricambiando il sorriso e prendendola in braccio con un gemito soffocato –stiamo crescendo, vedo. Sentimi un po’, le mangi le verdure buone che ti fa la mamma? Perché sennò io mica ti sposo-.
 
*
 
La signora Tonks mi rivolge un sorriso gentile come di scuse indicando la figlia, poi ci fa cenno verso la porta per indicarci di entrare.
È incredibile quanto assomigli a Bellatrix Black. A quanto ho capito, deve essere la sorella. Ha la stessa altera bellezza, ingentilita però da tratti dolci e morbidi che su quella strega di Bellatrix stonerebbero troppo. Ha le labbra più piene, noto, i capelli lievemente più chiari e gli occhi più grandi e dolci, similissimi a quelli della figlia.
La bambina è adorabile, anche se a quanto da a vedere sembrerebbe essere un terremoto personificato. 
-sai, Black, non credevo che avrei mai detto una cosa del genere rivolta a te…- lo rassicuro scuotendo la testa –ma ci sai fare con i bambini-.
-certo, mi sono allenato- mi conferma con un sorrisetto derisorio –sennò chi è che vizierà i piccoli Potter, quando tu e James metterete al mondo una piccola squadra di quidditch?-.
Incapace di trattenermi, scoppio in un colpo di tosse che mi evita l’imbarazzo del silenzio.
-una squadra di quidditch?- chiedo delucidazioni interessata.
-ne preferisci una di gobbiglie? Non che io abbia pregiudizi, Evans, ma i giocatori di gobbiglie me li immagino tutti con la schiena piegata, occhialuti e con la pancia-.
Faccio in tempo solo a inarcare le sopracciglia, interdetta, poi mi accorgo che la stanza in cui ci troviamo adesso è già ingombra di gente. Sulla destra, appena oltre la porta, una donna dall’aria severa, i capelli neri e le labbra tirate accompagna il Regulus Black dall’aria rigida che siamo abituati a vedergli a scuola. Vicino a lei, Bellatrix Black e la sua espressione a metà tra lo sprezzo e la follia affianca una ragazza alta, con folti capelli biondissimi, che ricordo di aver già visto a Hogwarts, probabilmente qualche anno fa.  Narcissa, che deve essere la sorella di Andromeda e Bellatrix, è accompagnata da un ragazzo alto che ricordo di aver visto più volte a scuola, era prefetto serpeverde al nostro primo anno. Dietro di loro, impettiti e rigidi esattamente come Walburga, stanno una donna dai capelli biondi quanto quelli della sua secondogenita e un uomo dall’aria importante, l’espressione colma di tronfio disgusto.
Vista tutta insieme, la famiglia Black impressiona. Sembra essere un gruppo scultoreo, le espressioni cesellate con incredibile capacità su volti marmorei e sprezzanti. C’è ogni colore, dai capelli biondi platino di Druella Rosier a quelli scuri come ali di corvo di Walburga, dagli occhi grigi di Regulus –così simili a quelli del fratello tanto odiato- a quelli neri di Bellatrix, che a loro volta sembrano una copia con contrasto di quelli della sorella. 
E in mezzo alla sala, come una creatura quasi ultraterrena, tra il lato dei Black –e annessi- giusti e quello di quelli ripudiati e sfrattati, c’è la meravigliosa nota di colore data dai capelli di un verde cangiante di Ninfadora, che si guarda attorno un po’ intimorita e un po’ curiosa.
La stanza è rettangolare, più lunga che larga, e al lato opposto rispetto a quella dalla porta dall’aria malconcia noto una scrivania di robusto legno di quercia dall’aria piuttosto spartana. Seduto alla scrivania, un folletto dall’aria puntigliosa e sgradevole fissa alcune carte che tiene tra le dita come volesse estirparne ogni parola. Dall’esterno, dall’aspetto dimesso del vicolo e da quello decisamente poco rassicurante dell’ingresso l’ufficio si direbbe un posto decadente. All’interno, sebbene non sfarzosa, la sala mantiene un’aura di intatta dignità che incute, se non timore, per lo meno una qualche forma di rispetto.
-bene, adesso che siamo tutti presenti…- dichiara con voce roca ma piuttosto acuta il folletto –possiamo iniziare con la lettura del testamento di Alphard Arcturus Black, deceduto il giorno 21 dicembre 1977 all’età di quarantasette anni. il defunto, privo di moglie in vita e figli legittimi, ha nominato nel suo testamento i signori Regulus e Sirius Black, le signore Narcissa Black in Malfoy e Andromeda Black in Tonks e la signorina Bellatrix Black. Passo a leggere le ultime volontà del defunto-.
Vedo Walburga Black farsi attenta, gli occhi ridotti a due fessure sottili, e stringere con una mano la spalla del figlio prediletto. Più che stringerla, pare la stia artigliando.
Sirius sembra non notare il gesto, gli occhi puntati attentamente alla scrivania. 
Quando mi ha chiesto di accompagnarlo, non ho ben capito ancora adesso il perché, mi sono sentita in dovere di assecondare la sua richiesta. È strana, questa mia empatia con Black: è come se cercassi di ritrovare in lui un po’ di me, perché rivedo nello sprezzo che suo fratello nutre nei suoi confronti un po’ dell’odio che anima mia sorella, e mi servo della sua forza per non sentir svanire la mia. 
E poi, è sorprendente quanto Sirius riesca a soffrire senza nemmeno farlo notare. Anche adesso, sembra completamente rilassato in questa sua posa strafottente, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo puntato sul notaio. Solo i pugni nascosti mostrano, o forse nascondono, la vera rigidità che il sorriso sghembo è volto a smentire.
-io, Alphard Arcturus, lascio ad ognuno dei miei nipoti una lettera vergata di mio pugno. In ognuna di queste lettere, spiego le mie decisioni sui lasciti che ho intenzione di fare. Le lettere sono incantate, si mostrano solo al destinatario: in quest’ultima categoria, non sono compresi né mia sorella Walburga Berenice né mio fratello Cygnus Phineas-.
Il notaio si interrompe un solo attimo per prendere cinque buste tra le mani e disporle sul tavolo più o meno ordinatamente.
-a Narcissa lascio la mia collezione di pennelli e colori ad olio, memore della sua passione per la pittura, e la mia collezione di quadri, sorvegliati nella camera 302 della banca dei maghi Gringott. A Bellatrix lascio gli spartiti manoscritti contenuti nella stessa camera blindata, e il mio pianoforte a coda perché possa continuare a godere della musica che suona. A Regulus Arcturus lascio la mia collezione di armi magiche antiche, collezione conservata per intero nella camera blindata citata sopra. Ad Andromeda lascio la mia casa nel Wiltshire oltre al cottage vicino Edimburgo, protetti dall’incanto Fidelius. A Sirius lascio tutta la mia eredità pecuniaria contenuta nella camera blindata 746 della Banca dei maghi Gringott, nella camera blindata 003 della Banca Internazionale dei maghi Sassoni e nella camera blindata 209 della Banca Illustre di Cipango, confidando che lo aiuti nell’immediato futuro-.
Delle precedenti parole, lette con tono veloce e sbrigativo, ho capito solo questo:
Sirius Orion Black, da membro ripudiato di una famiglia illustrissima -e quindi accolto sotto il tetto di una lontana parente che ormai per lui vale più di una madre- è diventato un ricchissimo ereditiero.
 
*
 
La parte migliore delle visite di Zio Alphard era sempre il regalo con cui ci salutava appena arrivato.
Il resto della mia famiglia compra il proprio regalo in modo che sia il più bello, il più costoso e lussuoso di tutti: è sempre stata una specie di gara, nella mia famiglia. 
Non che questo mi facesse schifo, da piccolo. Mi piacevano i regali in generale, quelli lussuosi ancora di più.
Eppure i regali di Zio Alphard avevano un fascino tutto loro: i carboncini di diversa morbidezza che portava a Narcissa, i ricettari di dolci esotici per Andromeda, gli spartiti di ballate tradizionali che aveva sempre per Bella, l'immancabile coltellino di qualche antica tribù che regalava a Regulus... e per me, puntualmente di nascosto da mia madre, i modellini babbani di motociclette e moto varie, con cui mi divertivo a giocare durante le punizioni eterne che Walburga mi assegnava per "temprare la mia fibra Black".
La posso vedere, adesso, impettita e rigida, con le spalle dritte rivolte al muro e lo sguardo -e che sguardo- incendiato da una rabbia folle per le ultime parole del folletto.
-quel... bastardo lurido traditore del suo sangue- esclama alla fine sdegnata rivolgendosi al folletto, l'indice accusatore puntato eloquentemente verso la pergamena -come ha potuto, carne della carne dei Black, come ha osato... ma non può! Non può assolutamente farlo, mi oppongo. L'eredità di cui parla è divisa in parti uguali anche tra me e Cygnus e...!-.
Vedo il folletto guardarsi attorno sulla scrivania, lanciando occhiate spazientite ai cumili di carta. Alla fine, artigliando con lunghe dita la pergamena in questione, la fissa per qualche secondo.
-i controlli eseguiti hanno confermato l'appartenenza al Signor Alphard Arcturus Black delle camere 746, 003 e 209. Per quanto riguarda la camera 302, appartiene in pari misura al Signor Alphard Arcturus Black, al Signor Cygnus Phineas Black e alla signora Walburga Berenice Black in Black. Gli oggetti nominati dal signor Alphard Arcturus Black, in particolare i colori da disegno, i pennelli, la collezione di quadri, la collezione di spartiti e quella di armi antiche, appartengono anch'essi al signor Alphard Arcturus Black. Questi controlli sono certificati dal Dipartimento Controllo delle eredità pericolose e dei Testamenti del Ministero della Magia Inglese-.
 
*
 
La prima ad andarsene, neanche a dirlo, è Walburga Black. 
Dapprima scioccata, poi piano piano sempre più sclerata, ha alzato i tacchi lasciando la sala con la bacchetta in pugno e urla tonanti a seguirla nel fruscio del mantello nero.
Alla fine, mantello dopo mantello, espressione di sprezzo dopo espressione di sprezzo, se ne sono andati tutti. 
Regulus dietro a sua madre, lo sguardo un po' basso e un po' alto come chi non ha ancora deciso che strada seguire, il ragazzo alto e biondo, Lucius Malfoy, preceduto dal suo bastone da passeggio con la testa di un serpente e seguito dalla moglie e dalla cognata. Narcissa e Bellatrix, due bellezze quasi ultraterrene, la prima chiara e la seconda scura, gli sguardi sprezzanti puntati sulla sorella ormai perduta, ripudiata da loro stesse, e su quello che, ai loro occhi, deve essere l'abominio personificato, la mistura di un sangue puro come il loro al fango più infimo.
Druella Rosier e il suo sguardo saccente, puntato sulla porta come se non avesse una figlia e una nipote in quella stessa stanza. Cygnus Black, ancora intento a salmodiare maledizioni verso il fratello morto.
Sembra quasi che il gruppo di statue che prima avevo intravisto contro il muro della sala si sia animato dando vita allo settacolo più scadente di un varietà di second'ordine. 
 
*
 
-Black... credo sia ora di andare- mi richiama gentilmente la Evans, una mano sulla spalla per... confortarmi?
Non so bene cosa mi abbia spinto a chiederlo alla Evans.
Potevo chiedere a James di accompagnarmi: si sarebbe divertito a insultare mia madre nemmeno troppo velatamente e a lodare il mio defunto zio per l'abile mossa nel lasciarmi tutto quell'oro.
Potevo chiederlo a Lène. Lei, a me, lo aveva chiesto. Forse glielo dovevo anche. Ma le avrebbe fatto male, rivedere Reg, rivedere mia madre.
E Remus? Rem mi avrebbe accompagnato volentieri, abbastanza calmo e posato per non inveire contro mia madre e abbastanza ditaccato da non soffrire.
Forse anche a Peter, spalla onesta un po' vigliacca, ma pur sempre leale.
No, ho chiesto alla Evans.
In realtà, non l'avevo programmato. Era successo davanti alla sua camera, lei usciva, io passavo per entrare nella mia, e l'avevo incrociata.
 
Flasback- 1 gennaio 1978 ore 21.35
 
Incrociare la Evans per i corridoi di Casa Potter ha ancora un che di strano. 
Ogni volta che la vedo mi pare quasi di risentire quei "Speraci, Potter!" o "Sparisci, ho già un appuntamento con un maride, mi dispiace" che seguivano sempre gli inviti di James negli anni passati. Erano quasi una cantilena, ormai, e c'era chi -io ovviamente no!- passava le proprie colazioni a scommettere con i compagni di casa su quale sarebbe stata la risposta del giorno a James Potter. La più gettonata, neanche a dirlo, era "preferisco la piovra gigante".
Quella che ho scoperto in questi giorni è una Evans molto diversa. Potrei quasi arrivare a chiamarla Lily... quasi, però!
Quando la vedo uscire dalla stanza, con i capelli in disordine e un decisamente buffo pigiama a fiorellini rossi e neri in campo bianco, non posso non scoppiare a ridere, pensando alla tipica ragazza che siamo tutti abituati a vedere a Hogwarts, linda e in perfetto ordine nella sua tenuta da Caposcuola.
Inizio a vedere di cosa può essersi innamorato James, soprattutto quando vedo il suo viso, dapprima corrucciato poi sempre più sorpreso, illuminarsi alla luce di una risata inconsapevole e un po' sbalordita... penso non sappia neanche perchè sto ridendo.
Le faccio cenno di lasciar perdere e la saluto con l'intenzione di andarmene a dormire, stanotte fra tutti non abbiamo riposato molto e prevedo che domani sarà una giornata piuttosto... lunga e faticosa.
-Sirius, tu come...-
La Evans che si azzarda per prima a parlare con me merita da se un segno sul calendario, ma la Evans che mi chiama addirittura per nome in tono così serio merita proprio che io mi fermi ad ascoltarla!
Mi blocco, quindi, sui due piedi, voltandomi lentamente. Guardandola in viso mi accorgo di quanto sia stupita lei stessa della sua serietà, e un po' imbarazzata. Eppure ricordo che non è la prima volta in cui ci troviamo a parlare seriamente di ciò che ci sta più a cuore: c'è stata la sera nel nostro dormitorio, e quella in infermeria mi ha rivelato i suoi sospetti -a quanto pare fondati- su Rabastan Lestrange.
-si?- mi limito quindi ad aspettare.
-Auguri, per domani- dice alla fine, arrancando fra i propri pensieri probabilmente per trovare le parole giuste -immagino che non sarà facile, per te. A quanto ho capito tuo Zio era l'unico che...-
Ah, era questo.
-si, certo- taglio corto gelidamente.
Perchè vuole farsi gli affari miei? 
So di essere stato cattivo, con la mia risposta simile ad una doccia fredda, ma proprio non riesco a soffrire chi parla della mia famiglia con un simile tono di pena impresso nella voce. 
Possibile che non riescano a capire? Sempre con quel tono accondiscendente, come se fosse stata anche una mia scelta, quella di andarmene.
-buonanotte, Evans- le auguro poi con un sorriso stanca, riprendendo la solita aria un po' ilare e un po' strafottente -e non sgattaiolare nel bel mezzo della notte in camera di James, io vi vedo!-.
-Sirius, davvero io...-
-no- replico quando vedo che il mio tentativo di sviare il discorso va a vuoto -non voglio auguri, patetiche dimostrazioni di pena o di affetto, non voglio abbracci e baci e non...-
-forse dovresti stare zitto-.
Eccola la vera Evans, la Caposcuola che con un ringhio degno della McGrannitt ti fa temere l'inferno.
-come...?-.
-non importa quello che vuoi, importa quello di cui hai bisogno- mi dice alla fine, un sorriso sincero e un po' imbarazzato a sostituire la smorfia tesa delle labbra -e se hai bisogno, io sono qui-.
involontariamente mi ritrovo a sorridere, e mi odio per questo.
Ho pensato più volte di chiedere a Lène di accompagnarmi, e un paio di chiedere a James. Ma la prima è ancora troppo scottata dall'esperienza di dieci giorni fa, il secondo non è decisamente tipo da trascinarsi dietro in situazioni del genere... ha qualche problema con il rancore, e Merlino solo sa che ne serba un bel po' per mia madre e mio padre a causa di tutti i nostri arretrati.
Ho anche rifiutato l'invito di Dorea e Charlus perchè mi accompagnassero, visto che domani non lavorano. Non sono molto il tipo che si nasconde dietro alle gonne di qualche adulto.
E questo è il bello: non ho mai pensato alla Evans.
E in realtà non ci ho pensato nemmeno adesso, anche se mi ritrovo con chissà quale voce e quale idea in mente a chiederlo proprio a lei.
-Mi accompagni?-.
Prima di potermi controllare mi ritrovo a guardarmi attorno come a cercare chi ha posto la domanda. Solo in un secondo momento mi accorgo che sono stato io.
-si-.
La stessa reazione da parte sua mi conferma i miei stessi pensieri.
 
Fine Flashback
 
-Black, credo sia ora di andare-.
Lily mi richiama alla realtà, la mano di nuovo sulla mia spalla, la stanza ormai vuota esclusi noi due e Meda con la piccola Dora, che se è rimasta turbata dalla reazione dei propri peggiori parenti -o dalla mancata reazione, visto che si sono limitati a non guardarla neanche- non lo mostra assolutamente, al'esterno nel vicoletto, tutta presa a contare le formiche in fila imitandone i colori con tutte le sfumature di capelli che riesce a trovare.
-si, credo di si- annuisco distogliendo lo sguardo dal punto sul muro che ho fissato per gli ultimi tre minuti, il tempo che è servito a tutti gli altri per lasciare l'ufficio.
-Sir, noi... Dora! Dora, non allontanarti, e lascia stare quelle formiche, Morgana Benedetta, stai un po' calma! Sir, noi dobbiamo andare, dovremmo essere a pranzo dai genitori di Ted, e siamo già molto in ritardo- mi saluta Meda con il suo tipico sorriso dolce ma un po' altezzoso, una delle poche cose che, caratterialmente, ha ereditato da suo padre. 
-si, ora andiamo anche noi- le rispondo ricambiando il sorriso e la conseguente stretta di mano rassicurante. 
Noi Black non siamo persone molto fisiche, nelle relazioni. Non tutte le relazioni, ovviamente. Ci sono momenti -che poi sono quelli che preferisco- che necessitano di fisicità. Ma mai in queste situazioni. 
-Sirius, promettimi che non ti caccerai nei guai- mi raccomanda Meda con lo stesso tono di una madre premurosa -che studierai per i M.A.G.O. e che...-
-Meda, ti stai calando troppo nella parte della mamma- le faccio notare con una risata divertita -ma stai tranquilla, fidati di me-.
-ah, questo non è certo un modo per farmi stare tranquilla!- mi fa presente lasciandomi un leggero schiaffetto sulla nuca -e passa a trovarci, quando puoi. A Dora manchi-.
-signorina Evans?-.
Una voce ci distoglie facendoci spostare gli occhi verso l'ingresso del vicolo. 
Un gruppo di persone, sette per la precisione, richiama la nostra attenzione capeggiata da un uomo dall'aria burbera che, a mio parere, potrebbe sembrare la controfigura venuta male di Alastor Moody.
-signorina Evans?- ripete l'uomo avvicinandosi zoppicando, il volto rugoso costellato da cicatrici tirato in una smorfia severa.
-si?-.
-ci segua, prego- le dice mostrando un distintivo dall'aria logora -Dipartimeno Auror del Ministero della Magia, lei è sotto la nostra tutela-.
-cosa...?- la Evans pare non capire. E nemmeno io, infatti, capisco.
-scusi, è successo qualcosa?- chiedo seriamente -Dorea, Charlus stanno bene?-.
-il Signore e la Signora Potter verranno informati, la Signorina Evans deve venire con noi-.
 
 
NOTE BIS:
scusate ancora per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare, ci provo a pubblicare prima, ma proprio non ci riesco! è un po' il periodo frenetico e un po' "no", speriamo passi presto.
Grazie davvero per le recensioni, per chi mette nei preferiti e nelle seguite, e anche per chi legge soltanto!
Non credo di avere altro da dire, ma sono mezza morta di sonno e quindi potrei dimenticarmi qualcosa!
Un bacio, Hir
 
 
 
 
 

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Capitolo 48
*** FRAN ***


LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
MARY
EMMELINE
REMUS
ALICE
FRANK
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 

A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri.
Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono.
 Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi.
Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran.
Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran.
Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più?
C'ha un'anima, anche lui, poveretto?
Prende delle decisioni?
Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. [...]
È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto.
Quando cade un quadro.
Quando ti svegli un mattino, e non la ami più.
Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra.
Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui.
Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio.
Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse:
"A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave".
Ci rimasi secco.
Fran.
 

 
-quindi cosa facciamo adesso?- chiedo quindi con un sorriso stanco, appoggiandomi con la schiena al muretto sul ciglio della strada pedonale.
Siamo nel bel mezzo della Londra Babbana, non ho la più pallida idea di come si chiami questa strada, mi sono affidata completamente a lui. So che siamo usciti dal paiolo magico, abbiamo camminato per tutta la via e svoltato a destra all’ultima traversa. Da lì in poi ho perso il conto, ma sono certa di non aver camminato per più di tre o quattro minuti.
Paul mi guarda con un sorriso molto simile al mio, tranquillo in una posa rilassata accanto a me, gli occhi lucenti di un sacco di cose non dette.
-sapevamo che sarebbe finita così- mi risponde dopo qualche istante di silenzio, una sigaretta babbana tra le dita, accesa e con ormai un po’ di cenere sulla punta.
Sospira, scrolla la sigaretta e se la rimette in bocca.
-all’inizio, forse- annuisce ancora continuando il suo discorso–ma poi…-
-poi ci siamo abituati, all’idea di noi due insieme- finisco io per lui, prendendogli una mano tra le mie e capovolgendola per ammirarne il palmo, liscio e segnato solo dalle linee della vita, del successo e di non mi ricordo cos’altro perché a divinazione in genere dormo.
-già- sospira lui, ancora –e non dovrebbe essere così, vero?-.
Lo guardo, interdetta.
-così come?- chiedo curiosa.
-non ci si dovrebbe abituare- risponde lui enigmatico.
Non lo so, se ci si dovrebbe abituare. Penso a Frank e Alice, che stanno insieme da anni e hanno litigato una volta sola, un litigio vero e proprio, ma che non si lascerebbero per nulla al mondo.
Loro si sono abituati?
Mi appunto di chiederlo a Alice quando la rivedrò.
Si è abituata?
Mi rigiro ancora il palmo di Paul tra le mani. Mi hanno sempre affascinato, le mani degli altri.
Non gli occhi, o i capelli, o i muscoli… beh, un po’ quelli si.
Ma le mani, le mani più di tutto il resto. C’è scritta tutta una vita vissuta, sui palmi delle mani, e a star a sentire Emmeline e quelli che credono nella divinazione, anche tutta una vita da vivere.
L’amore. Ecco qual è, l’altra linea nel palmo della mano.
Guardo quella di Paul, di linea dell’amore.
Non ho mai creduto a queste sciocchezze, ma mi sembra quasi di vederci scritto che io in quella linea non ci sono, non nella sua.
-a te fa male?- chiedo incuriosita verso Paul, che mi guarda con lo stesso sorriso bonario di sempre sul volto. A guardarlo così non lo diresti che non ha nemmeno sedici anni, sembra molto più grande, quasi più grande di me. E calmo, quieto come un lago dal fondale basso ma dagli splendidi colori.
-mi fa male pensare che potrei perdere una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto- mi dice sinceramente con una sfumatura calda nella voce –non ti amo, Mary, ma sei una delle persone più… splendide? Che io abbia mai avuto l’onore di frequentare-.
Annuisco, schiarendomi la gola.
Sono lacrime quelle che mi pungono gli occhi?
-e non è proprio dolore, quello che provo. Sento l’amaro che mi prende quando finisco un buon libro, e so che non ci sarà un finale diverso-.
Sorrido tristemente.
-questa storia non deve finire con l’ultima pagina, lo sai? Non ti amo, Paul, ma ti voglio un bene dell’anima, sei…-
Lui annuisce, comprensivo.
-fa più male di quanto pensassi, tutto sommato- dichiaro alla fine, gli occhi irrimediabilmente lucidi.
Dovrei davvero chiedere ad Alice se si è abituata.
-credi che abbiamo sbagliato, da qualche parte, in questa storia?-.
Paul è stato un’ancora, in molti casi.
L’ho conosciuto sull’espresso di Hogwarts, alla fine dell’anno scorso, e ci siamo scritti per tutta l’estate. Siamo anche usciti insieme, di tanto in tanto, e poi abbiamo deciso di provare a stare insieme davvero, nonostante gli anni tra noi, nonostante le differenze –piuttosto evidenti- dei nostri caratteri, nonostante io non fossi mai stata con nessuno seriamente e lui fosse ancora silenziosamente innamorato di un’altra.
-no, sono sicura di no- rispondo scuotendo il capo.
-mi hai insegnato a divertirmi, McDonald- mi dice alla fine, sciogliendosi in una risata e scostandosi dal muretto, per allontanarsi di qualche passo –e a non prendermi troppo sul serio-.
Ridacchio divertita, pur con tutto questa matassa annodata attorno a cuore e polmoni, pur con tutto questo peso sulle spalle e nella pelle.
-Sanders, mi hai insegnato così tanto che non potrei farne un elenco in tutta la giornata-.
Lui prima mi guarda, poi mi sorride teneramente.
-allora dovremmo anche insegnarci a dirci addio, non credi?-.
Già, la parte più difficile.
Io non lo amo, ma gli voglio bene. Paul è una persona fantastica, e io me la sto fantasticamente facendo scappare.
-non l’ho mai fatto- scuoto la testa.
-nemmeno io- risponde.
Alla fine, perché questa mi pare proprio una fine, mi si avvicina lentamente e, socchiudendo gli occhi come a non voler guardare, mi lascia un leggero bacio a fior di labbra prima di allontanarsi.
Non sembra neanche un bacio, ha proprio il sapore che mi immagino dovrebbe avere un addio.
-ci vediamo a Hogwarts- sorride prima di voltarsi.
Inevitabilmente, rido.
-ci vediamo sul campo da quidditch, Sanders-.
Con una luce allegra negli occhi si gira e mi guarda.
-oh, inizia a tremare, McDonald-.
Poteva andare peggio.

 

*

 
La cucina di casa Potter splende più di uno specchio mentre, con attenzione, mi verso un bicchiere di succo di zucca nella tranquillità della casa. In salotto sento Zia Doree suonare il piano con maestria, mentre posso avvertire soffocato il rumore delle pagine che Zio Char sfoglia svogliatamente sul divano, per far passare un po’ di tempo.
Non sono di ottimo umore, considerando che Sirius e Lily sono usciti più di tre ore fa e ancora non sono tornati. Insomma, quanto ci vorrà mai per la lettura di un testamento?
E quell’idiota non mi ha nemmeno permesso di accompagnarlo!
Merlino come non lo sopporto quando fa così. Sono i momenti in cui vorrei avere un ragazzo normale, questi.
Uno di quelli che ti sorride senza problemi, senza farsi mille castelli sull’orgoglio e sull’arroganza, che ti prende per mano facendoti capire quanto è importante, senza tuttavia lasciarlo intendere ad altri.
-non sono ancora tornati?- mi chiede James entrando in cucina irritato.
Sembra essergli andata di traverso tutta questa faccenda. È convinto che avrebbe dovuto chiederlo a lui, Sirius.
Ma a quanto pare, quell’idiota di un Black ha pensato bene di fregarsene, di quello che avrebbe dovuto fare, e di fare invece quello che gli andava.
Come sempre, in pratica.
Non capisco perché continuiamo tutti a stupirci e a restarci male, a soffrirne.
Dovremmo ormai aver capito che Sirius Orion Black è una persona essenzialmente egoista.
Presa dai miei pensieri reagisco ad essi sbattendo il bicchiere che ho in mano sul tavolo.
Maledizione a me e alla rabbia che fatico a controllare, il bicchiere è andato in mille pezzi e una scheggia mi ha ferito il palmo.
-Lène, che hai…- domanda James guardandomi spaesato –ti sei fatta male?-.
Continuo a guardarmi la mano, osservando qualche goccia di sangue colare sulla superficie immacolata del tavolo di vetro.
-non è nulla, no- rispondo alla fine estraendo la scheggia più grossa e rivolgendo la mia attenzione su quelle più piccole. Maledizione, dove ho lasciato la bacchetta?
Con tanti piccoli tic le estraggo una ad una, ogni più piccolo frammento, sibilando per il dolore e cercando così di far passare il tempo. Alla fine, con un sospiro, prendo un po’ d’acqua da una delle brocche sul ripiano accanto al fuoco e la verso sulla ferita.
-aspetta, dammi qua- mi dice James protendendo la mano verso di me, e sfoderando la bacchetta con l’altra –ferula-.
Benedetti incantesimi guaritori.
-ragazzi, tutto bene?- chiede zia Dorea entrando in cucina, curiosa –ho sentito qualcosa rompersi-.
Sono così nervosa che non mi sono nemmeno accorta che la musica in sottofondo, prima lenta e regolare, ora è svanita.
-solo un incidente con un bicchiere, zia, niente di grave- le dico muovendo la mano sana verso il tavolo e i cocci di vetro bagnati di sangue e succo di zucca.
-reparo- mormora James svogliatamente –gratta e netta-.
All’incantesimo di James il bicchiere si ripristina e il tavolo si pulisce da se.
-ecco- sussurro io in risposta ad un’occhiata lieve della zia –tutto a posto ora, dovremmo…-
Un fruscio leggero, un richiamo da parte dello zio e poi alcuni passi veloci verso la cucina.
Lo zio entra scarmagliato, il giornale ancora tra le mani, seguito da uno sbuffo argenteo, una scimmia.
Non so perché, ma da quando sono entrata all’ordine ho imparato ad associare i patronus a grandissimi casini piuttosto che a pensieri felici.
-Lily Evans è stata scortata al quartier generale da Soterby e i suoi- dice la voce di uno dei gemelli Prewett, non ricordo più quale dei due ha la scimmia come patronus –Sirius è con lei. Raggiungeteci-.
 

*

 
Sono rimasta a guardare per minuti interi il vicolo da cui è sgusciato via Paul, la sensazione amara, quella di cui mi ha parlato lui prima, ancora presente nel cuore e nella mente.
Non è proprio dolore, è qualcosa di meno, o qualcosa di più.
E quindi, ora, sono tornata ufficialmente la Mary McDonald di prima, quella che cambiava ragazzi con la stessa celerità delle camicie della divisa scolastica.
Non che questo mi dispiaccia, anzi, mi sembra di respirare aria fresca quando inizio a camminare alla ricerca di un posto tranquillo per smaterializzarmi. È solo strano, Paul è stato un pezzo importante della mia quotidianità, e lasciarlo andare così mi sembra come separarmi da qualcosa di non indispensabile, ma comodo.
Non so neanche come è successo, ma alla fine mi sono messa a piangere.
Me ne sono accorta solo quando, trovato un vicolo sufficientemente isolato, ho sospirato e ho sentito sulle labbra il sapore salato delle lacrime.
Trovo che sia di enorme sollievo, piangere.
Mi appoggio al muro del vicolo con le spalle e resto così per un paio di minuti, gli occhi chiusi e le lacrime che mi scorrono sulle guance per nessun motivo in particolare.
Ho voglia di urlare e ridere, di giocare a quidditch e correre, di parlare con Marlene di ragazzi e con Alice di Frank, argomento che trova sempre in lei la piena accettazione. Ho voglia di vedere il viso irritato di Emmeline quando le chiedo i compiti da copiare e quello di Lily, sarcastico, quando elogio le qualità di James al solo scopo di trovarla in fallo perché “no, lei e Potter non usciranno mai insieme”.
Ho voglia di vedere persone felici e di sentire risate piene di divertimento, e di vedere l’amicizia vera dalla quale sono abitualmente circondata.
Penso a questa, appoggiata al muro sudicio di un vicolo della Londra babbana, intenta a piangere quel groviglio di emozioni che non so bene districare.
Ma quando vedo il cervo argenteo che, davanti a me, mi guarda con gli occhi grandi che ho sempre immaginato con il colore caldo di James, capisco che non sarà la felicità a fare da punta a questa giornata.
-siamo al ministero della magia, al quartier generale degli Auror, hanno preso Lily in custodia perché è successo qualcosa alla sua famiglia, ma loro non parlano. Mamma e papà sono con lei, non li abbiamo ancora visti. Raggiungici appena puoi-.
 

*

 
-raccontami ancora cos’è successo, con ordine- si impone James, l’espressione tesa e controllata rivolta a suo fratello, le mani ben in mostra, come a chiedere a tutti di stare calmi, quando la persona più vicina a perdere la tranquillità è proprio lui.
Sbuffo chiudendo gli occhi per contenere quella che sembra essere un’emicrania coi fiocchi, o forse per non dover fissare il mio sguardo nel suo e in quello di Marlene, che da accusatore è diventato preoccupato, e infine intimorito.
Questa guerra inizia a fare troppe vittime secondo i miei gusti.
-siamo usciti dall’ufficio notarile e un gruppo di uomini ci ha…-
-…si, si, questa parte l’ho capita. Intendo dire cosa vi hanno detto precisamente, quanto si sono sbilanciati-.
Sospiro.
-niente, James, non hanno detto niente. Hanno detto solo che cercavano la Evans e che avrebbero avvertito la zia e lo zio di averla in custodia. Non una parola su nulla-.
Adesso è il turno di James, di sbuffare, anche se non capisco il perché.
-intendo proprio le parole- insiste infatti –dimmi le parole esatte che…-
-James, non credo sia questione di parole-.
La voce di Dorcas riscuote James per qualche secondo, costringendolo a voltare lo sguardo con cui mi sta incenerendo su di lei, che lo guarda con un sorriso comprensivo al fianco di Fabian e Gideon.
È stato Gideon a chiamare zia Doree e gli altri, a quanto mi hanno detto, quando gli auror dell’altra squadra non l’hanno fatto.
Come faccia Dorcas Meadowes a far trapelare così poco e al contempo così tanto di se stessa con un semplice sguardo ed un sorrisetto comprensivo lo sa solo lei. Da quando la conosco non l’ho mai vista irritata per qualcosa, solo sempre molto silenziosa e vicina a Fabian, in un modo che non puoi non notare, entrando nella stessa stanza: ti accorgi che stanno insieme anche se si trovano ai due estremi della sala, intenti a fare cose diverse; c’è qualcosa che li unisce, che non ho mai visto in nessun’altro.
L’attesa si prolunga così nel silenzio, un silenzio scandito dal respiro di troppe persone chiuse nell’atrio del quartier generale degli auror. I gemelli Prewett sono stati incaricati di tenerci d’occhio mentre al di là di questa porta chissà cosa sta succedendo.
Questo senso di potenza destabilizza, davvero. E l’ho provato fin troppe volte in fin troppo poco tempo.
Sono stufo.
Alcuni passi veloci preannunciano l’arrivo di qualcuno, e quando vedo una figura di media altezza svoltare l’angolo riconosco Mac e il suo cappotto bianco, i jeans un po’ sdruciti e i capelli raccolti in due trecce ai lati del viso che su di lei hanno un tocco sbarazzino che le dona molto.
-James, che cosa è…?-.
Non fa in tempo a finire la domanda che Marlene le si tuffa tra le braccia, stringendola e appoggiando il capo alla sua spalla.
-Mac, pensavamo fossi a casa tua, ma quando siamo arrivati non c’eri e…-
-si, lo so, avevo un appuntamento- taglia corto sulle spiegazioni di James, scuotendo il capo.
Ha davvero gli occhi lucidi e le guance rosse?
Sembra le abbia sfregate più volte.
-Mac, hai pianto?- chiede infatti James, la discrezione fatta a persona –hai visto Paul?-.
Mary emette un sospiro, che è a metà tra uno sbuffo e una risata, poi scompiglia con aria tristemente giocosa i capelli a quello che, a conti fatti, per lei è un migliore amico.
-deve ancora nascere, Potter, il ragazzo che mi farà piangere-.
Il che, a voler proprio essere onesti, non risponde a nessuna delle due domande poste da James, ma che pare tranquillizzarlo immediatamente.
-sapete cos’è successo?- chiede poi Mac rivolta soprattutto ai Prewett –è successo qualcosa a Rosie e Trevor?-.
-Rosie e… chi…?-.
Posso leggere sul volto di Fabian Prewett un po’ di sconcerto, non ha la minima idea di chi siano le persone che Mac ha appena nominato.
-i genitori di Lily. Stanno bene?-.
-non lo sappiamo, Mac- le risponde trucemente James, che pare aver ripreso l’aspetto ansioso di poco fa.
Poi la porta si apre giusto di una fessura, quel tanto che serve a Dorea per far sporgere la testa e puntare lo sguardo su di noi.
James scatta come una molla, ma sua madre gli rivolge solo un sorriso intristito.
-Dorcas, potresti entrare un attimo?-.
Vedo la ragazza assottigliare lo sguardo verde –anche se di un verde più banale rispetto a quello della Evans-, e annuire compita.
 

*

 
Appoggiata a questo muro mi sento stranamente impotente: è una sensazione che ho provato fin troppe volte, quest’anno; non mi è piaciuta la prima volta e non può certo piacermi ora.
Il ticchettio del grande orologio a muro occupa i nostri istanti scandendoli in secondi lentissimi. Ci si potrebbe non credere, a quanto può passare lentamente il tempo.
Da quando Dorcas è entrata nella stanza, sotto lo sguardo vigile e stranamente triste dei due gemelli Prewett, non so dire se sono passati minuti, ore oppure giorni, ma so dire che James non ha mosso un muscolo, che Sirius si è attorcigliato le mani per tutto il tempo, che Marlene è appoggiata al muro con le mani sulle tempie come a voler contenere un grande mal di testa, e che io me ne sono rimasta qua, con le spalle alla parete e la tentazione sempre più forte di aprire questa porta e tirar giù un casino degno di Merlino.
Ci sono persone a cui la pazienza non viene insegnata o, se anche si prova ad impartirgliela, loro non la imparano. Io sono una di quelle, e per questo fremo all’idea di ciò che può star succedendo lì dentro.
-avevi appuntamento con Paul?- mi chiede all’improvviso Marlene, aprendo gli occhi ma mantenendo le mani alla testa.
Aggrotto la fronte, sorpresa.
-non mi sembra il momento adatto- le dico con un sorrisetto stano. Mi sembra di averne già dispensati troppi, oggi. Forse, oggi è una di quelle giornate che, appena scendi dal letto e rischi di lavarti i denti con il sapone, dovresti capire di restare a dormire, così, per sfizio.
Marlene mi guarda come a dire “tanto che abbiamo da fare, se non aspettare per chissà quante altre ore?”.
Non posso proprio darle torto, e aspettare parlando è forse meglio che aspettare in silenzio.
-si- rispondo quindi annuendo e fissando lo sguardo sulla finta finestra del ministero, illuminata di una luce solare che in realtà è solo un incantesimo.
-e?-.
Eh!
Scrollo le spalle con disinvoltura, dando in un sorriso che di divertito ha ben poco.
-peccato, mi stava simpatico, Sanders- dice James continuando a tenere lo sguardo puntato sulla porta, sia mai che esca Lily da sotto la fessura senza che qualcuno se ne accorga.
-oh, beh, sicuramente più di… com’è che si chiamava, quel corvonero dell’anno scorso?- Sirius sembra divertirsi ad insultare la gente.
-quale, Roger o Dylan?- chiede Marlene interessata –quello scuro di capelli o il biondo con gli occhi neri?-.
-quello scuro, con la puzza sotto il naso- mormora James con un sorrisetto.
-si, quello strabico- gli da manforte Sirius.
-non era…- faccio per ribellarmi.
-perché, scusami, ti ricordi quel Serpeverde di due anni fa?- mi interrompe James, scoccandomi un’occhiata dall’aria riprovevole –Mac, ho quasi temuto di non poterti più rivolgere la parola-.
-ma come…?-.
-oh, si, e poi c’era quello con il neo sul sopracciglio, te lo ricordi? Anche quello tassorosso… ma, Mac, a te proprio i grifondoro non ti piacciono, eh?-.
-comunque, il mio preferito era quel Moran, talmente timido da non riuscire a spiccicare due parole una dietro all’altra, anche quello tassorosso-.
Alla fine, fintamente stizzita, mi rivolgo a loro con la voce grossa ed un sorrisetto piuttosto divertito in volto.
-la volete piantare di parlarne come se io non ci fossi?-.
A questo punto uno dei due gemelli Prewett, di cui mi sono completamente dimenticata, scoppia a ridere abbandonando per un attimo la posizione accanto alla porta, per piegarsi su se stesso e ridacchiare comodamente. Vedo l’altro sorridere tranquillamente.
-che c’è?- chiedo curiosa a quello che ha almeno il buongusto di rimanere eretto, per quanto sorridente.
-niente, è che…- scuote la testa sbuffando una risata –se quello che dicono i tuoi amici è vero, assomigli molto ad un nostro compagno a Hogwarts-.
-era uno di quelli nella foto che hai visto a Natale- si intromette l’altro gemello, Gideon a quanto pare –Caradoc D…-
-oh, si, quello bello- annuisco ricordando il ragazzo in questione.
I gemelli sbuffano all’unisono.
-per quello che mi riguarda sono più bello io- replica Fabian alzando gli occhi al cielo.
Il momentaneo attimo di allegria che ha sostituito l’ansia sul viso di tutti si spegne esattamente come si è acceso al sopraggiungere di un rumore di passi concitati.
Sei visi nuovamente tesi si voltano verso l’ingresso del corridoio, da cui spuntano un Remus Lupin piuttosto agitato e una Emmeline Vance decisamente pallida, con occhi grandi come piattini.
-Sirius, James, cosa…?-.
Credo che a Remus basti osservare il viso di James, nuovamente rivolto alla porta e nuovamente ansioso, per leggere tra le righe e portarsi una mano alla fronte.
Per quanto riguarda Emmeline, invece, credo di non averla mai vista così spaventata. È come se si fosse accorta solo ora, veramente, del male che può fare una guerra.
Perché quello che nessuno riesce ad ammettere ad alta voce, ma che tutti sappiamo, è che i genitori di Lily non ci sono più.
Alla fine, la porta si apre per lasciar passare una Dorcas Meadowes padrona di se stessa.
Non è proprio triste, ha l’espressione tirata di chi è perso tra i meandri di una storia che non vuole raccontare. Senza nemmeno alzare gli occhi si dirige verso Fabian, con una sicurezza e una dignità che raramente ho scorto in altre persone.
-Rosie e Trevor sono morti, vero?- chiedo alla fine con sorprendente lucidità, avvertendo l’atmosfera generale sussultare.
C’è chi pensa che la mia schiettezza potrebbe essere poco consona al momento, forse, ma credo che parlare chiaro sia più facile.
Dorcas, lentamente, annuisce. Evidentemente lo pensa anche lei.
Questi sono quei momenti in cui respiri grandi e profondi sono le uniche cose che possono salvarti la vita. Quando senti le parti del tuo corpo andarsene per i fatti propri, qualcosa al centro del petto cadere e lo stomaco rivoltarsi su se stesso.
Non posso non pensare che sarebbe stato meglio, dannatamente meglio, tornarsene tutti a dormire appena dopo essere scesi dal letto.

 
 

*la citazione è tratta dal libro/testo teatrale "Novecento, un monologo", ovviamente di Baricco, che poi è il testo da cui è stato tratto il famoso film "La Leggenda del Pianista sull'Oceano" 
 

 
NOTE:
come promesso, oggi è domenica, e ho pubblicato!
Questo capitolo mi piace particolarmente, soprattutto la parte su Paul e Mary. D’ora in poi il personaggio di Mary parlerà sempre di più.
Il prossimo, di capitolo, arriverà entro domenica prossima, se riesco provo prima, ma non prometto nulla di certo. Sarà molto ma molto triste, credo, ho qualche idea ma non ho ancora scritto molto, ma so che sarà molto molto colorato.
Ringrazio ovviamente tutti quelli che recensiscono, ora mi dedicherò alle risposte!!! E ringrazio anche chi legge solamente, spero la storia sia di vostro gradimento!
Buona lettura,
Hir



 

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Capitolo 49
*** matrimoni e funerali ***


LILY

JAMES

MARLENE

SIRIUS

EMMELINE

REMUS

PETER

FRANK

MARY

ALICE

REGULUS

RABASTAN

CORRISPONDENZA

 

 

 

 

 

Mi è sempre piaciuto il deserto.

Ci si siede su una duna di sabbia.
Non si vede nulla.

Non si sente nulla.

E tuttavia qualche cosa risplende nel silenzio*.

 

 

A Godric’s Hollow tutti conoscono i Potter:

conoscono la signora Dorea, donna tutta d’un pezzo, bella, furba e sempre con un sorriso sulle labbra per tutti… escluse le volte in cui la si sente gridare contro i due figli;

conoscono il signor Potter, Charlus, uomo dal carattere mite, sempre con una buona parola per tutti in bocca e quell’imprecazione che suona così strana, "dannati serpeverde!", a terminare tre frasi su cinque, specie quelle rivolte alla moglie;

i due ragazzi, poi, chi potrebbe non conoscerli? James, allegro e ridanciano, Sirius, tenebroso e bellissimo… fra tutti e due, hanno dietro una fila di cuori infranti che arriva dalla porta di Casa Potter fin al centro della piazza del paese, circa al monumento dei caduti.

Con il passare degli anni, giorno dopo giorno, Godric’s Hollow ha potuto veder passare un quantitativo piuttosto variegato di persone di tutte le età e di tutte le forme:

persone che arrivano sulla soglia dei Potter, che entrano, che escono, che riprendono la propria vita come nulla fosse.

Qualcuna riparte subito, qualche altra si ferma un po’ di più:

c’è la ragazza dei McDonald –gente particolare pure quella, grandi amici dei Potter, ugualmente conosciuti nel piccolo paesello- con lo sguardo sveglio, il sorriso sbarazzino e la tenuta perennemente sportiva;

c’è il signore inquietante, pieno zeppo di cicatrici in volto e con l’espressione sempre arcigna di chi si aspetta un attacco alle spalle non appena si volta, spesso zoppicante o con un braccio fuori uso –c’è chi pensa faccia di mestiere il soldato, chi l’agente segreto, chi l’addomesticatore di leoni per il circo che due volte all’anno passa per la città più vicina-;

negli ultimi due mesi si vedono spesso pure due ragazzi di testa rossa, simpatici, un po’ strampalati ma piuttosto innocui, nell’insieme; sono sempre accompagnati da una ragazza dai capelli biondi e lisci, una giovane dalle forme morbide ma dall’aria tutto sommato trascurabile.

Sulle ultime due arrivate si mormora qualsiasi cosa:

la signora Bensy ha detto alla signora Segrfid, la moglie del panettiere, che giura di aver sentito da Jhon il calvo –gran pettegolo, quello!- che la signora Remsy –l’altra buona- ha ospitato per un intero pomeriggio uno dei due figli dei Potter, e quella che si dice essere la ragazza di quest’ultimo, proprio a casa sua.

Quello che si dice della ragazza è che, oltre ad avere i capelli rossi –i Potter paiono avere particolare simpatia per i pel di carota-, ha anche un paio di bellissimi occhi verdi, una viva intelligenza e un caratterino decisamente particolare –il che, detto dalla Signora Remsy, equivale al paragonare la povera malcapitata ad una gorgone inferocita-.

Paiono talmente innamorati, seppur in un modo tutto loro fatto di battute ironiche e occhiate beffarde, che i più, in paese, li danno sposati entro l’anno corrente: d’altronde, il Signore e la Signora Potter si sono sposati presto, e c’è chi ricorda i genitori del Signor Potter, morti in un incidente appena una decina d’anni prima, anch’essi piuttosto giovani per avere già un figlio sposato e un nipote.

La seconda ragazza invece ha avuto l’incredibile capacità di attirare su se stessa tutti gli sguardi e i commenti maligni ed invidiosi del vicinato: bella come la morte, con un sorrisetto malizioso sul volto, pare proprio aver accalappiato il secondo dei figli dei Potter. Tutte le ragazze del paesello sono concordi: è a dir poco insopportabile, e non per il semplice fatto di essersi presa il sogno proibito di ogni donna dai sei a sessant’anni d’età nel giro di dieci chilometri… "è una donna scarlatta, ecco cos’è" mormorano le madri delle vecchie fiamme del giovane, che fino all’altro ieri avevano sperato di poterlo avere per l’una o l’altra delle proprie figliole.

Ma è una mattina strana quella del 5 gennaio 1978, è una mattina in cui tutto –perfino le voci della signora Bensy, della signora Segfrid, la moglie del panettiere, di Jhon il calvo, quel gran pettegolo, e della signora Remsy, l’altra buona- tace tra le strade e sulla piazza di Godric’s Hollow. Tace tutto, esattamente come nei tre giorni precedenti.

*

Mi aggiusto il mantello nero sulle spalle, il cappuccio ben calato sulla schiena, i capelli sciolti e una lieve traccia di trucco appena accennato, quel tanto che basta per restare in ordine. Indosso una lunga tunica nera, e penso distrattamente a come questo colore faccia risaltare il pallore innaturale del mio viso, i miei occhi scuri e i capelli quasi dello stesso colore.

È la settima volta che ripeto l’inventario: mi aggiusto il mantello, il cappuccio, i capelli, ricontrollo il trucco.

Otto, ora.

Mancano due ore al funerale, so benissimo di essere in largo anticipo sugli altri, quindi mi allontano dallo specchio e mi stendo sul letto.

E faccio quello che cerco di impedirmi di fare da qualche giorno.

Penso.

È questa la fregatura, quando non hai nulla di bello da fare e qualcosa di angosciante da non fare assolutamente: lo fai.

Questi tre giorni sono stati strani, pieni e vuoti insieme, bloccati in un’immobilità inquietante. Perfino gli elfi della casa si sono accorti di questa strana atmosfera, e benchè prima svolgessero i propri lavori allo scoperto, adesso paiono comportarsi come gli elfi di Hogwarts, silenti e invisibili anche se ugualmente efficienti.

-non sono mai stato a un funerale- mormora Sirius entrando nella mia stanza, il sorriso triste aperto sul volto come fosse un obbligo portarlo.

Sorrido tristemente in risposta, sempre stesa sul letto, socchiudendo gli occhi e aspettando che si sdrai accanto a me.

-nemmeno io- rispondo alla fine, quando sento le molle del materasso cedere un poco sotto il suo peso. Mi passa una mano dietro alle spalle, e io mi sollevo un po’ per rendergli più facile il tutto e nel contempo accoccolarmi contro di lui, in un gesto d’un intimità straziante che fra noi mancava fino ad oggi.

*

Non mi è mai stato chiesto di assorbire un lutto, non un lutto vero.

Non sono mai stato legato troppo alla mia famiglia, quindi non ho mai pianto per i suoi morti… anche la morte di Zio Alphard, alla fine, non mi ha toccato più di tanto. Era uno zio per cui, in un modo strano e contorto, ho provato un affetto sincero –l’unico, a dire il vero-, ma l’ultima volta che l’ho visto avevo tredici anni, e prima di allora l’avevo incontrato all’incirca una decina di volte:

troppo poche per un vero affetto famigliare, quello che provavo per lui assomigliava più all’ammirazione di un nipote verso qualcuno di estraneo sempre alla ricerca di una buona avventura.

Per dire la verità, non ho mai considerato molto nemmeno i genitori di Lily Evans, anzi, ricordo a malapena una coppia di adulti per mano sulla banchina dell’espresso il primo giorno di scuola del primo anno. Lei alta e flessuosa con i capelli di un rosso fulvo, lui con i capelli di un biondo sporco e un pizzetto dello stesso colore.

Entro un po’ esitante nella camera di Lène, e la osservo stesa sul letto già pronta di tutto punto, gli occhi semichiusi e la mano destra sulla fronte, come a impedirsi di pensare.

-non sono mai stato a un funerale- mormoro dopo alcuni secondi, lasciando la porta appoggiata alle mie spalle e dirigendomi verso il letto.

Mi siedo accanto a lei, poi mi abbandono sul materasso e con un braccio le circondo le spalle.

-nemmeno io- mi risponde accoccolandosi vicino a me, in una posa che non so come ne perché mi ricorda quella di una bambina che voglia essere protetta dal resto del mondo, un mondo che le sta facendo male senza sapersene spiegare il perché.

-come va?- le chiedo immergendo il viso nella schiera di capelli che, aperti a ventaglio sul materasso, profumano del suo adorabile profumo.

Inspiro, espiro.

Non è il dolore per l’assenza di due genitori che non ci sono più, a farmi sentire questo lutto: è il dolore che vedo negli occhi dei miei migliori amici, di mio fratello e della sua ragazza, che da quando lo ha saputo non si è più fatta vedere in giro, di Remus, di Mary, di Lène, come anche in quello di Pete e Frank, che sono venuti ieri in visita ma non hanno risolto niente, e di Alice, che è tutta una lacrima e un digrignamento di denti. È quello di Emmeline che, pallida come un cadavere, è l’unica ammessa alla compagnia di Lily, e che poi ci riferisce quello che la nostra comune amica fa.

Non so perché proprio Emmeline, quando ci sono un sacco di altre persone in questa casa. Immagino che sia una cosa della Evans, il saper scegliere le persone migliori per una data situazione, come quando ha voluto che solo io sapessi di Lestrange. Se ha una buona qualità, la Evans, è questa: sa scegliere, anche in momenti come questi.

-Rosie cucinava dei biscotti buonissimi, con un sacco di cioccolato e la granella di mandorle sopra. Li faceva a forma di domino di carnevale, era la sua festa preferita, e in ogni tegame di biscotti ce n’era uno con la marmellata: uno solo. Chi, dopo cena, aveva la fortuna di trovarlo e mangiarlo, poteva di diritto scegliere il film da guardare alla sera alla televisione. Sono stata quattro volte a dormire da Lily, e ho beccato il biscotto marmelloso, così lo chiamavano, una volta sola. Abbiamo guardato tutta la sera un cartone idiota, perché io non sapevo destreggiarmi con il televisore e quello era il primo che mi è passato davanti agli occhi- racconta sottovoce, con tono vacuo. Poi da in una piccola risata, solo uno sbuffo –beh, sempre meglio di quando lo ha trovato Mary, il biscotto marmelloso! Ci ha costretto a cambiare canale tutta la sera, le piaceva più il telecomando che quello che passava nel televisore-.

Non ho la minima idea di che cosa stia dicendo, non capisco cosa sia un canale e giusto intuisco cosa è un telecomando, deve essere quello che Dorea ha fuso con i suoi sghiribizzi.

Però capisco che parlare lenisce questo vuoto dentro che non può mettere a tacere in altro modo.

-e Trevor, adorava Lily e Petunia. Petunia proprio non la sopporto, ma a quanto pare qualche lato positivo deve avercelo anche lei, se Trevor l’ha trovato. In alcune cose assomigliava un po’ a Zio Charlus, ma era molto più ordinato e suonava il pianoforte benissimo-.

*

Dorea Potter socchiude appena gli occhi per abituarsi alla penombra della cabina armadio. Velocemente, senza perdere tempo, estrae un vestito nero senza troppe pretese, quello che usa di solito in situazioni del genere.

Si, lei è piuttosto avvezza ai funerali… con il lavoro che fa, e con i tempi che corrono, il morto ci scappa ogni due o tre settimane.

Raramente, però, se ne sente così toccata.

Sa che prima o poi toccherà anche a lei, a suo marito. Sa che daranno la vita per impedire ai propri figli di fare la stessa cosa, perché questa guerra illogica non faccia altre vittime inutili che un giorno potranno essere chiamate eroi.

-Doree, i Prewett passano di qui prima del funerale- dice suo marito entrando nella camera matrimoniale e infilandosi nella cabina armadio. Anche lui, con gesti veloci e precisi, trova l’abito da cerimonia scuro, quello che sempre usa in situazioni del genere –secondo Fabian, potrebbe aiutare che Lily parli ancora con Dorcas, e Dor si è detta d’accordo-.

La donna annuisce, come a non voler spezzare ulteriormente quella cappa di silenzio che da qualche giorno si è posata sulla casa normalmente molto vivace.

-la ragazza, la sorella… è…?-.

-se ne sono occupati Daisy e Augustus- le risponde il marito intuendo la natura della domanda –era in viaggio di nozze con il marito nel nord della Francia, ma li hanno trovati e informati. Al funerale dovrebbero essere presenti-.

Dorea si volta per far cenno al marito verso la cerniera che occupa tutta la schiena del vestito. Come fosse un gesto abituale, Charlus la chiude velocemente per porgere alla moglie i polsi e farsi chiudere quei bottoni della camicia così antipatici.

-strano che non abbia scritto a Lily, o che non sia venuta a trovarla- mormora in risposta la donna –sei sicuro che Daisy l’abbia avvertita sull’attuale ubicazione della sorella?-.

Charlus si mostra scettico.

-a quanto pare, non vanno molto d’accordo-.

-vuoi dire così tanto?- chiese la moglie ancora più scettica –insomma, sono morti i loro genitori. Nemmeno io e Fidelma andiamo troppo d’accordo, ma a tutto c’è un limite-.

Charlus pare pensarci un attimo, poi scrolla le spalle.

-povera ragazza- si limita solamente a dire.

*

-James, faresti meglio a scendere dabbasso, Remus ti aspetta in salotto- sussurro rivolta al ragazzo, seduto sul pavimento del corridoio, la schiena appoggiata alla porta della propria camera, lo sguardo fisso sulla porta della camera di Lily.

Non mi stupisce trovarlo così, ormai mi sono abituata.

-Emmeline- mormora con voce roca in risposta, alzandosi in piedi –vado subito e…-

Aspetto con attenzione che finisca la propria frase, il viso puntato a quella porta, qualche parola sulla punta della lingua, intrappolata. Alla fine, con uno sguardo sconsolato, scrolla le spalle e va via.

Sospiro, guardando le sue spalle normalmente dritte e fiere oggi incurvate sotto il peso di un dolore doppio che è costretto a portare da solo: onestamente dispiaciuto per la morte degli Evans, è preoccupato per la salute di Lily, che non esce da quella camera da due giorni e mezzo e rivolge a malapena qualche monosillabo in risposta quando proprio è obbligata.

Solo due persone sono ammesse alla sua presenza: io e Dorcas Meadowes.

Per quanto empatici, nessuno in casa si accosta con totale condivisione al suo stesso dolore: Dorcas è l’unica, lì, che ha perso il padre per lo stesso motivo di Lily, nessun altro ha avuto una qualche perdita legata a questa insensata guerra.

Alla fine busso a quella porta che per la maggior parte delle persone è chiusa.

-Lils, sono Emme-.

*

Sento lo sguardo di Emmeline Vance puntato sulla mia schiena, mentre scendo le scale diretto al soggiorno. Da tre giorni odio la mia vita, odio la mia casa, odio quella porta che mi impedisce di vedere la mia ragazza, di parlarle, odio questa guerra e questo generale senso d'impotenza.

In salotto, Remus è seduto sulla poltrona preferita di Sirius -che se solo lo vedesse, gli farebbe lo scalpo per aver osato tanto- e sfoglia la Gazzetta con la sua abituale flemma, gli occhi ambrati che rincorrono le parole, carpendone il significato.

Quando scendo le scale il mio migliore amico lupo mannaro chiude lentamente il giornale, si volta con un sorriso intriso di compassione ma non di pietà e mi fa cenno di avvicinarmi.

Mi siedo accanto a lui, guardo il soffitto e mi concentro per mantenere una facciata che sia, se non menefreghista, per lo meno imperturbabile.

Non posso mettermi a piangere.

-come va?- mi chiede.

Scuoto le spalle, un po' infastidito da una domanda così ovvia.

-cosa dice il giornale?- chiedo in risposta, protendendo una mano verso la Gazzetta.

Lo vedo esitare, il dubbio che gli illumina gli occhi.

-niente di nuovo- prova a mentirmi.

Scoppio in uno sbuffo di risata che di divertito non ha proprio nulla, ma che trasuda tutta la frustrazione e l'odio che mi pervadono da giorni.

-ti dispiacerebbe non prendermi in giro?- chiedo, più cattivo di quel che si merita.

Lui si limita a sospirare, perchè è Remus Lupin e non manda nessuno a spigolare da quando a due anni e mezzo ha imparato il significato della parola "cortesia", e poi mi passa il giornale.

*

Smaterializzarsi a Godric's Hollow non ha mai richiesto un grande impegno ne una grande cura per quanto riguarda la riservatezza: i maghi che ci abitano hanno adibito a "luogo di transito" un vicoletto buio e cieco, per nulla invitante agli occhi dei babbani.

Alle undici in punto due figure appaiono quindi dal nulla, precedute di appena un millesimo di secondo da un crac rivelatore. Sono due ragazzi identici quasi in tutto, escluso per il completo indossato: quello di destra blu scuro, quello di sinistra marrone. Hanno i capelli rossi e gli occhi di un azzurro cielo appena offuscato dalla solennità dell'occasione, le espressioni un po' intristite ma le figure ben ritte contro le pareti della casa affianco al vicolo.

-aspetti Dor?- chiede uno all'altro, aggiustandosi il colletto del completo blu scuro.

-si, precedimi pure se vuoi- risponde il secondo appoggiandosi alla parete.

Il primo, allora, con un sorriso e un cenno svolta l'angolo e sparisce, diretto a Casa Potter, lasciando il fratello a fissare con sguardo un po' annoiato la parete insudiciata poco distante davanti a se.

Dorcas ha insistito perchè si vedessero direttamente là, e la sera prima lo ha quasi buttato fuori di casa con la scusa del mal di testa.

Dorcas non ha mai usato con lui la scusa del mal di testa, e lui un poco se l'è presa, sul momento. Poi ha ricordato lo sguadro torbido di una ragazzina di sedici anni tutta presa dal dolore per la morte del padre, la mano tesa in risposta alla vincita di un duello, il sorriso che lo ha conquistato, e l'intelligenza acuta dietro a quegli occhi verde banale che lui ha imparato ad amare come non pensava si potesse amare qualcuno.

Devono essere momenti difficili anche per la sua Dorcas, si dice. Tutto questo, i mangiamorte, i genitori prima torturati e poi uccisi, gli occhi pieni di dolore di Lily, la ragazza di James... tutto questo deve riportarla a quel giorno d'estate quando, tornando a casa, ha trovato lei stessa il marchio nero ad illuminare il cielo.

Con un sospiro, si passa la mano sugli occhi per cancellare le tracce di preoccupazione e, insieme, ansia.

Non può fare a meno di preoccuparsi per lei, perchè la ama troppo e a volte non riesce a capirla, perchè lei ha ancora quella corazza addosso dietro la quale è stata abituata a nascondersi per anni prima di mostrarsi a lui, e perchè per lui quell'armatura è, talvolta, ancora impenetrabile.

*

Questa è la terza volta che faccio il giro dell'isolato, guardando la soglia di casa Potter per due o tre minuti prima di decidere di intraprenderne un altro.

La prima volta ero due ore in anticipo, poi di mezz'ora in mezz'ora sono arrivata ad essere sempre più puntale.

Non ho il coraggio di entrare in quella casa dall'atmosfera quasi irrespirabile: camminando per Godric's Hollow è facile trovare qualcosa con cui distrarsi, il colore dei panni stesi, il decadimento di una delle villette sul ciglio della strada, la forma buffa di una casetta per cani.

-pensi di entrare o farai un altro giro ancora?- mi sorprende una voce alle spalle, che cerca nel tono di apparire un minimo divertita.

Mi volto, sorpresa. Non mi sono accorta di nulla.

-da quanto tempo sei li?- chiedo con un sorrisetto.

Gideon -o Fabian, ma credo che sia Gideon- Prewett mi sorride con le mani nelle tasche del suo completo da cerimonia blu scuro.

-abbastanza- risponde con una risata.

Ridacchio anche io, cercando di tirare fuori da questa mattinata così triste qualcosa di divertente. Poi mi volto verso di lui e di nuovo verso la casa.

-mi fa un po' paura, l'idea di entrare- mormoro, e non so perchè lo dico proprio a lui.

-capisco- mi risponde appoggiandomi, lieve, una mano sulla spalla, e stringendola in una morsa tanto delicata da essere quasi inesistente -li conoscevi bene?-.

Ci penso per qualche minuto.

-inizio a pensare che non si possa conoscere bene qualcuno- dico alla fine, enigmatica -sono stata a casa loro, qualche volta. Più di qualche volta, in effetti. Non sono mai stata a un funerale, sai?-.

-sono più divertenti i matrimoni, se vuoi il mio parere- replica cercando di alleviare una tensione.

-non sono mai stata nemmeno a quelli- mi trovo a rispondere, stupidamente.

Sto davvero cercando di far passare il tempo così, parlocchiando con Gideon Prewett?

Questo ragazzo mi piace, penso.

-ti ci porto io, a un matrimonio, se trovi il coraggio di oltrepassare quella soglia- mi dice allora utilizzando la mano ancora posata sulla mia spalla per darmi una leggera spinta verso la porta di casa.

Capisco che è un modo come un altro per aiutarmi a sconfiggere questa paura cieca che mi fa venir voglia di fare un altro giro dell'isolato.

Si, questo ragazzo mi piace.

 

 

 

 

*Citazione da "Il Piccolo Principe", libro che adoro.

 

 

NOTE:

Secondo i miei calcoli, è ancora domenica per almeno un'ora e mezza circa, quindi a conti fatti ho rispettato la scadenza, cara... non faccio nomi, ma sono certa che chi ha orecchie per intendere ha inteso benissimo =D e anche questa volta l'ho scampata!

Ok, forse questo capitolo lascia un po' così, a bocca asciutta, ma devo dire che è tagliato a metà. Nella seconda parte parleranno anche Remus, Alice, Frank, quel ratto di Minus e.... Regulus e Rabastan, si, anche loro.

Verremo a sapere con esattezza ciò che è successo in casa Evans.

E infine, parlerà anche Lily, che tace da due capitoli.

Ora, spero di non avervi deluso troppo, è un passo un po' difficile da scrivere e in questo periodo sono decisamente troppo stanca, ma passerà.

La prossima domenica è il compleanno delle mie migliori amiche, e in più andrò a sciare, quindi non posterò esattamente quel giorno... a questo punto le scelte sono due: o pubblico sabato, o martedì. Non odiatemi nel secondo caso, vi prego!

Basta, la smetto di rompervi le pluffe e mi limito a ringraziarvi mille volte per le bellissime recensioni, alle quali risponderò domani sera, ora sono troppo stanca e domani lavoro -.-

Grazie anche a chi legge ma non recensisce, spero che la storia vi piaccia,

un bacione a tutti,

buona lettura,

Hir

P.S. volevo ricordare a chi interessasse la mia altra ff su Fabian e Dorcas, la trovate sul mio profilo. Si intitola "per il mio cuore basta il tuo petto, per la mia libertà bastano le tue ali" e aggiornerò il prima possibile

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 50
*** frammenti di dolore, di vita e di rumore ***


Dopo tanto tempo di attesa torno con il cinquantesimo capitolo, per inciso il primo  –di questa come di tutte le mie altre storie- dedicato a qualcuno in particolare.
 
Lo dedico ad una persona che non potrà leggerlo,
perché è in un letto di ospedale malato di un male cattivo,
con un dolore così grande che nessuno scrittore potrà mai inventare.
 
 
LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
EMMELINE
REMUS
ALICE
FRANK
MARY
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
 
 
 
 

non faccio nomi, d’altronde il tuo non ti piace,
ma sappi, che è dedicato a te.
Per la nostra amicizia, per il bene che ti voglio e che ti ho voluto,
giorno dopo giorno,
imparando a conoscerti.
 
 
 
 
Non era questo che sognavo,
d’inverno,
quando sognavo questo*

 
 
 
 
In questi giorni la Black è spesso al maniero dei Lestrange.
I preparativi per il matrimonio incombono, benchè manchino ancora sei mesi e mezzo al grande evento, ed ovunque in giro per la casa si possono vedere diversi campionari di fiori e stoffe in attesa di essere esaminati e, puntualmente, scartati.
Dedico uno sguardo schifato all’ennesimo drappo di una qualche esotica seta bianca posata con noncuranza sul bracciolo di una delle poltrone accanto al camino est, nel grande salone, prima di accomodarmi con disinvoltura sulla poltrona vicino a mio fratello per leggere in tutta tranquillità i brani di Difesa da riassumere per compito.
-a quanto dicono sulla Gazzetta vi siete dati da fare. C’è voluto qualche giorno perché la notizia arrivasse alla stampa, a quanto pare, e tu non ne parli mai- mormora Rodolphus in tono lieve, minimamente interessato al catalogo di abiti da cerimonia che mia madre ha tanto insistito per mostrargli. Lo vedo alzare lo sguardo curioso –è stato come ti aspettavi?-.
Arriccio le labbra, passando distrattamente le dita sulla pagina degli Inferi del mio libro di Difesa Contro le Arti Oscure e ripensando al tardo pomeriggio di quattro giorni fa.
-capitanava Stroker, non è stato come mi aspettavo- mi limito a riassumere impassibile.
Stroker è, fondamentalmente, un idiota. Uno dei tanti che segue gli ordini più per paura che per altro.
-lo sarà, fidati, andando avanti lo sarà- mi risponde lui con un sorrisetto e uno sguardo speranzoso.
Annuisco.
Ho atteso con troppa ansia, e al compimento il tutto non ha retto il confronto. Capita, mi dico.
Sarà meglio, andando avanti tutto migliorerà, come dice Rodolphus.
-questa è la seconda volta che la Evans la scampa, quindi- continua lui voltando la pagina di quel catalogo.
-non c’era- ammetto controvoglia.
C’è chi non è stato contento di ciò. Il signore oscuro, tanto per nominarne uno.
Quella ragazza è sempre stata insopportabile, ma da quando ha deciso di fuggire la morte è diventata anche scomoda.
Mio fratello interrompe per un secondo la sua ricerca per fissarmi interdetto.
-ma non hai detto di averla vista lasciare Hogwarts?-.
-l’ha fatto, infatti- mormoro rivolto più a me stesso che a mio fratello. L’ho vista sul treno, insieme ai suoi amici –anche Black l’ha vista. Secondo lui era anche a Diagon Alley, dopo l’incendio, con i Potter-.
Lo sbuffo di risa da parte di mio fratello è inevitabile.
-babbanofili- sussurra in tono leggero –i Black si vantano tanto della loro antica casata, ma dovrebbero potare il proprio albero genealogico. Anche Bell dice che ormai troppi dei suoi parenti non seguono più le tradizioni della casa. I Potter. Nessuno di sano si vanterebbe di avere come cugina la paladina del bene Dorea Potter. E vogliamo parlare dei McKinnon? Se vuoi il mio parere, quello della più giovane dei loro, quella Marlene, è un affronto bello e buono a tutti i purosangue-.
-Black ha sbagliato a lasciar condurre tutto a sua madre- annuisco –se un simile affronto fosse stato fatto a me, sarebbe stata la condanna a morte di tutta la sua famiglia, sangue puro oppure no-.
Il silenzio succede di poco le mie parole.
C’era anche Black, a casa degli Evans.
Lui e il suo sguardo da cucciolo bastonato.
-la Evans è dai Potter, quindi?- chiede interessato Rodolphus.
Scrollo le spalle, cercando di non mostrare quanto la cosa mi bruci.
Nessuno scampa due volte indenne alla forza della mia bacchetta.
-è la possibilità più plausibile. Un attacco adesso è quanto di più stupido potremmo fare, Casa Potter è asserragliata dai membri di quello stupido ordine e…-
-devi aspettare Hogwarts, Rabastan- mormora dietro alle mie spalle la voce strascicata e folle di Bellatrix.
Mi volto appena per indirizzarle un cenno di saluto, mentre la vedo entrare dalla porta con passo lento e con la stessa disinvoltura con cui camminerebbe in casa sua.
Alla fine mi arriva davanti, posizionandosi alle spalle di mio fratello, bella e folle come la morte.
Più di un uomo si è invaghito di lei, di quegli occhi lucenti e grandi e di quel viso bello e spietato.
È nata senza il beneficio di una coscienza, la mia quasi-cognata.
 

*

 
-è ora di andare, Lils-.
La voce di Emmeline, fioca ma ben udibile all’interno della penosa cappa di silenzio che avvolge Casa Potter, mi strappa da pensieri che non sono angoscianti o malinconici, ma tremendamente vivi.
È strano, a tutto avrei pensato, tutto, tranne che a questo, se me lo avessero detto:
quando leggi qualche libro, e arrivi proprio nel momento peggiore, quello in cui stenti a credere che la protagonista sia così forte da passare a testa alta pure quella nuova sventura, quando ti chiedi se non sia troppo chiedere al personaggio di una storia di rialzarsi e affrontare qualcos’altro, qualcosa che vada oltre le mille sventure che già le sono capitate, proprio in quel momento… beh, non si ha sempre come l’impressione che tutto si fermi, immobile, come a voler rendere un attimo di dolore con la vivida intensità di un’eternità straziante?
C’è un classico babbano che adoro fin da quando ho avuto, due estati fa, l’idea di leggerlo.
La signora delle Camelie mi ha sempre saputo prendere come altri libri non hanno invece mai saputo fare. Insomma, in quel libro c’è tutto! Traspare il vivido ritratto di un’eroina che ha fatto dell’amore la sua moneta, il cui lavoro è essere amata ma che, nel suo infelice destino, viene lasciata a morire da sola; c’è una sorta di feroce modernità, e un lieve amore per quella Parigi così particolare bloccata sulle soglie della metà dell’Ottocento. C’è tutto. E c’è anche quel momento in cui lo scrittore si sofferma sul dolore del protagonista, che non riesce a rassegnarsi alla morte di una donna che tanto ha amato e per la quale prova sensi di colpa oltremodo strazianti.
In quel preciso momento, all’interno della narrazione, il tempo pare quasi rallentare.
Quello che trovo strano è che, se anche i miei genitori sono morti, io davvero non riesco a rallentare:
la mia mente, i miei pensieri, sono sorprendentemente vivi; il mondo, fuori da questa finestra, da questa porta, vibra d’intensità. Persino i colori, normalmente quasi opachi sotto il cielo tipico della nostra nazione, paiono risplendere con vigore.
Dove diavolo è l’immobilità tipica di chi si crogiola nel dolore?
Gli scrittori sono forse tutti una manica di bugiardi, che sperperano parole per la sola gioia di poter rileggere la propria bravura?
Da giorni il dolore va e viene con la forza delle onde: il minuto prima è bruciante e accecante, quello dopo malinconico… ma comunque, sempre, eternamente vivo.
Come a ricordarmi che d’ora in poi non ho scelta, dovrò condividere con lui la mia vita, e che questa vita scorrerà indelebile come i ricordi che mi ossessionano la mente, e i sogni, e i pensieri.
-Lils, che mantello vuoi mett…-
-quello di velluto, mi da l’idea che ci sia piuttosto freddo, fuori- mormoro indicando la finestra.
Emmeline mi guarda da sotto le lunghe ciglia bionde, e annuisce compita.
In questi giorni non ho desiderato altro che lei, attorno. Lei e Dorcas Meadowes, che da un dolore del genere è uscita e rinata pur portandolo nel proprio cuore, là dove il vuoto lasciato da suo padre rischiava di renderla incompleta.
Sento gli occhi bruciare quando, per l’ennesima volta, li strofino con dita impazienti, per togliere quelle poche lacrime vigliacche che, a differenza delle altre, non hanno avuto il coraggio di lasciarsi cadere sul precipizio delle mie guance. Ho la pelle del viso irritata, le labbra screpolate e gonfie, le occhiaie accentuate e gli occhi rossi.
Lo so.
Ho la testa invasa dalle immagini di volti che ho paura di dimenticare: le labbra che mi hanno cantato la ninnananna da piccola, gli occhi che hanno pianto di commozione vedendomi tornare a casa dopo il primo anno a Hogwarts, le mani che mi intrecciavano i capelli e quella voce melodiosa che mi invitava a scendere da camera mia quando il pranzo era pronto in tavola.
Sono cose che nessuno potrà restituirmi, e la consapevolezza di ciò talvolta mi assale come acqua alla gola, quasi facendomi temere di non riuscire a respirare.
Ho alle spalle tre notti passate a piangere e ricordare, talvolta nella disperazione più misera, talvolta nella malinconia più struggente.
E questo silenzio, questa tensione…
Sanno di vita, nonostante tutto.
Posso sentire il mio cuore battere in sottofondo, posso udire il lento rumore del mio respiro. Quando piango, ascolto il gemito dei miei singhiozzi.
Ascolto, in questo silenzio, il canto della mia vita che di smettere di scorrere non ne vuole sapere.

 

*

 
Respira a fondo l’aria fredda del vicolo, Dorcas Meadowes, nei tre secondi che succedono la materializzazione. La odia, la odia dal profondo fin da prima di superare l’esame.
Respira per dimenticare la sensazione di occlusione tipica della magia appena effettuata e la fitta di stordimento che ogni tanto ancora la coglie, quando ripensa al funerale a cui di lì a poco avrà occasione di partecipare.
È davvero stanca, Dorcas, quando ripensa a tutte le morti che ha dovuto scavalcare per arrivare dove è adesso.
E non solo quella di suo padre, o quella degli Evans, ma quella di ogni singolo paziente che da anni ormai le capita sotto mano, vittima di una guerra senza alcun senso.
-come stai, Cas?- le chiede Fabian con un sorriso intristito e un lieve bacio sulla guancia.
Niente nomignoli, tra loro, ne baci appassionati.
Dorcas è fatta come è fatta e Fabian sa amarla teneramente per come è, perché così esiste solo lei.
-ora che ci sei tu, meglio- sorride dolcemente la ragazza, ricambiando con una carezza lieve alla guancia dell’amato. Non è romantica, la sua risposta, ha più il suono di una constatazione.
Fabian è la sua ancora di salvataggio, l’unica persona a cui può aggrapparsi, e riesce ad amarlo in un modo spontaneo e sincero come non avrebbe mai pensato di poter fare.
Il ragazzo le porge il braccio, invitandola a reggersi a lui come un cavaliere d’altri tempi.
-Stur, Ben e Docco ci raggiungono là?- chiede Dorcas sospirando, guardandosi attorno per le strade decisamente poco affollate di Godric’s Hollow.
-si, anche se non so quanto potrà resistere Fenwick con tutti e due assieme- le risponde Fabian concedendosi un sorriso divertito –ogni tanto penso che prima o poi mi toccherà edificargli un monumento per la pazienza-.
Dorcas si limita ad un sorriso affettuoso in direzione dell’amico lontano, sicuramente intento a sorbirsi le lamentele di Dearborn e le entusiastiche uscite di Podmore, che non può fare a meno di essere se stesso nonostante la tristezza insita in una giornata come quella.
 

*

 
-signora Potter, buongiorno- saluto entrando in casa, rivolgendo a Dorea un sorriso triste –grazie per averci permesso di passare da qui prima di… si, insomma, per fare compagnia a Lily-.
Dorea mi risponde con un sorriso, sporgendosi verso di me per darmi un bacio su ogni guancia.
-figurati, Alice, avervi qui come supporto è un piacere- mormora rivolgendo un sorriso anche a Frank –Lily scenderà a momenti, Emmeline è andata a chiamarla, gli altri sono tutti in sala-.
Mano nella mano ci dirigiamo in sala, invitati dalla signora Potter, e affacciandoci possiamo vedere il vasto corredo di visi più o meno compostamente tristi che decora la sala come un arredo particolarmente tetro.
-Ali, per fortuna sei qui- mormora Lène abbracciandomi lievemente.
Ricambio l’abbraccio strapazzandola un po’, tanto ormai sono abituati ai miei abbracci da polpo, e sono sicura che ne hanno anche un po’ bisogno. C’è necessità, soprattutto in questi momenti bui, di qualcuno che mantenga la fede nell’amore.
-ehi, tesoro, va tutto bene?- mormoro in risposta lasciandole un bacio sulla guancia e portando le mani ad accarezzarle le gote, imporporate dalla tensione. So, dalle lettere di Mary, che Lily non si fa vedere da quando ha ricevuto la notizia.
Vedo Mary insolitamente tesa, seduta sulla poltrona dal cui bracciolo si è alzata Marlene. Accanto a lei, in piedi, Gideon e Fabian attendono compostamente  rivolti alle scale che portano al piano di sopra.
Mi sporgo verso i miei cugini per salutarli con un abbraccio, poi mi chino su Mary per baciarla sulla guancia, ed è quando sento le sue mani stringermi, o meglio, artigliarmi, il collo che mi accorgo di quanto anche lei debba risentire di tutto questo.
La stringo ancora un po’, sentendola respirare contro la pelle del mio collo, poi mi accorgo del suono del suo respiro, ora più calmo e controllato, e mi distacco lievemente, con un sorriso gentile.
-Emme è su?- le chiedo indicando il piano di sopra.
Lei annuisce guardandosi le mani dalle unghie tormentate.
Annuisco ancora, mentre vedo Frank fare il giro dei saluti e rispondere con un sorriso alle pacche sulle spalle di Sirius e James, al cortese abbraccio di Remus e allo squittio di Peter.

 

*

 
Sono nella sala principale di Casa Potter e aspettando che Emme e Lily scendano di sotto, accompagnate da Dorcas, non posso fare a meno di chiedermi cosa mai sarebbe successo se questa tragedia fosse successa un anno fa.
Sarebbe riuscita Lily a sopravvivere a un dolore tanto forte senza l’appoggio della metà delle persone qui presenti?
Gli ultimi mesi hanno visto una delle più grandi evoluzioni in atto all’interno dell’intero settimo anno di Hogwarts, soprattutto grifondoro.
La neonata amicizia tra Lily e Sirius, lo sbocciare del rapporto mio e di Emmeline, quello tanto atteso e mai sperato tra Lily e James, questa strana cosa che vede partecipi Sirius e Lène, Alice e Frank sempre vicini, Mary che è a metà tra l’essere semplicemente una delle ragazze e l’essere un malandrino in piena regola, l’aver svelato il mio segreto a quella che, a conti fatti, è la mia migliore amica.
È come se una storia da tempo scritta avesse trovato il modo di svilupparsi come doveva, con, in sottofondo, il rumore e il fastidio della guerra, le vittime e gli eroi, che molto spesso sono la stessa cosa.

 

*

 
Emmeline mi precede verso la sala, le spalle ritte e i capelli sciolti a guidarmi, il capo alzato e, anche se non posso vederle, le lacrime agli occhi.
Supera Dorcas, le fa un cenno con il viso e so che un sorriso spunta sulle sue labbra, le sta simpatica a pelle.
Io la seguo, la mente ben fissa sui miei passi, perché da li non può scappare, e perdersi nei meandri di pensieri troppo vivi per un momento tanto cupo, e triste. Un passo dopo l’altro, supero la porta.
Passo davanti alla camera di James, vedo quella di Sirius, innaturalmente in ordine, mi pare di capire. Ha addirittura il letto rifatto, un po’ maldestramente, le lenzuola un po’ scomposte, non ordinate come le mie quando il letto me lo rifaceva la mamma, come lo trovavo quando tornavo da Hogwarts, con le mie lenzuola preferite verdi e viola.
Recupero i miei pensieri, pensando che si stanno avventurando su sentieri pericolosi, e sposto lo sguardo sulle scale, sulla balaustra di legno tirato a lucido, dove neppure un’impronta smuove la superfice d’ebano tanto perfetta. Guardo il primo scalino, poi il secondo, e il terzo, in uno scivolo che finisce sul pavimento di moquette bianca della sala… chissà come fa Dorea a tenerla così linda, papà si dannava sempre l’anima dicendo che scegliere quella moquette panna che arredava casa nostra era stata l’idea più stupida che avesse mai avuto, questa e l’affidarsi alle previsioni dell’oroscopo il giorno in cui aveva deciso di non seguire la sua vocazione d’artista invece di studiare legge.
In fondo alla scala, come una piccola folla che aspetti la croce d’apertura della processione, stanno le persone che ormai, a conti fatti, sono quelle che per me contano più della vita stessa.
Perché avrei dato la vita, per la mia famiglia, ma me l’hanno portata via.
Perché insieme a mia madre e a mio padre non si sono portati via anche questo cuore che pulsa in maniera quasi dolorosa all’interno della mia gabbia toracica? Quasi mi stordisce, questo rumore vivo.
Vedo Marlene, che non mostra mai il proprio dolore, con gli occhi scuri arrossati per le lacrime trattenute, e Mary che cerca di lottare con il suo sarcasmo, perché qualche frase divertente venga fuori e spezzi questa cappa di silenzio opprimente, che palpita di vita in un giorno in cui la vita non dovrebbe calcare la scena di questo macabro teatro.
James mi guarda spiritato, sono giorni che non lo vedo, e Sirius lo sorregge con una mano sulla spalla, come a dargli forza, il fratello che non ha avuto naturalmente ma che si è scelto.
Io una sorella l’ho avuta, naturalmente, ma non l’ho sentita e so già, così come i vecchi sentono la pioggia nell’aria a causa dei dolori alle articolazioni, so già che mi incolpa di tutto, e anche di più.

 

*

 

L’errore annulla qualsiasi passato nell’istante in cui arriva a bruciare qualsiasi futuro*

 
 
Non ho mai pensato che mi sarebbe piaciuto.
In realtà, non ho mai pensato che mi dovesse piacere. Andava fatto, per il bene e la gloria della famiglia Black, per mia madre che ci teneva così tanto, per mia cugina i cui occhi brillano di follia, per il blasone che mi da uno spessore sin da quando sono nato. Andava fatto, per quel fratello che due anni fa mi ha abbandonato, lasciandomi questo posto nel quale devo entrare per forza.
Quello che non avevo calcolato era che mi disgustasse tanto.
Sono poche, le cose che mi disgustano profondamente.
Mio fratello, anche se una parte in fondo a me, molto in fondo, non può non stimarlo per le scelte che ha avuto il coraggio di fare. I sanguesporco, anche se in fondo nemmeno così tanto. La mania di sangue di quel pazzo di Lestrange, anche se più che disgustarmi mi spaventa.
Non è stato il marchio in se -anche se il fatto di essere stato marchiato come un vitello pronto per il macello inizia a non piacermi più così tanto- che ha spento quei pochi sogni di gloria che mi sono permesso di fare, e nemmeno l’attacco ai coniugi Evans se considerato come un attacco isolato.
A disgustarmi è stato l’assoluta mancanza di gloria in tutto ciò.
Non c’è alcun onore, nell’inginocchiarsi davanti a chi ti considera meno della polvere.
Tutto ciò che si è consumato, in quella stanza illuminata da una luce pomeridiana che già da se sapeva di maligno, è stato un orrore, che puzza di sangue e ha il colore del buio.
 
Flashback-> 1 gennaio 1978
 
Fremo, un po’ per il freddo dato dall’ansia, un po’ per il timore di non essere all’altezza.
Ho visto gli occhi di mia madre brillare per me, in questi giorni. Non per un nome che le ha portato gloria, ma per un figlio che ha scelto la strada giusta.
Era una di quelle piccole gioie che non avevo mai provato, fino a pochi giorni fa.
Lestrange, accanto a me, pare aver perso quello sguardo sicuro con cui normalmente si scherma. Pare essere semplicemente vuoto, un contenitore da riempire di nuove esperienze, di nuove follie.
-Black, Lestrange- ci chiama all’ordine Dolohov, lo sguardo maligno rischiarato da un blando divertimento –la Evans la lasciamo a voi, vedete di non farvela scappare come è successo l’ultima volta-.
Lestrange pare ringhiare in risposta, non gli piace gli si ricordi che ha fallito.
Credo odi la Evans più di quanto non sappia dire, per il semplice fatto di essergli sopravvissuta: se hai alle spalle un gran corredo di morti, una vittima illesa può anche passare, ma se sei alle prime armi, se alle spalle hai solo qualche cadavere senza neanche nomi importanti, il fallimento può decretare la tua morte.
Ancora una risata, il pallido luccichio di denti in un sorriso che di benevolo ha nulla, poi una mezza giravolta e il pop della materializzazione.
Crack.
La piccola sala dalla moquette color panna è deserta, un arredamento che sa di calore e famiglia a fare da unico occupante della stanza, il tipico arredamento che a casa mia stonerebbe.
-Trevor, dove hai lasciato la cartellina con le bollette?- la voce di una donna, morbida, si leva dalla stanza accanto. Deve essere la cucina, si sentono alcuni rumori, un piatto spostato, acqua corrente, uno strano scampanellio e poi, quando Antonin si muove verso la porta, quando la sua figura si staglia sulla soglia, il suono di qualcosa in frantumi, probabilmente un piatto.
-cosa… che…-
La voce adesso è esitante e spaventata e, quando mi avvicino a Antonin, posso vedere l’espressione di assoluta paura sul viso della donna. Non ha i lineamenti della figlia, ma più allungati, e l’unica cosa che la riconduce alla figlia è, a parer mio, il colore dei capelli, fulvi come il manto di una volpe.
È un attimo, la donna ci guarda, spaventata, e prova ad urlare, poi finisce a terra, legata da un colpo della bacchetta di Antonin, che a quanto pare ha voglia di divertirsi. Legata, non immobilizzata, perché le prede che non urlano non concedono piena soddisfazione.
Mi guarda, gli occhi cattivi oltre la maschera.
-Black, non dovevi cercare la Evans?-.
Sussulto, scosto lo sguardo dalla donna a terra, che ha iniziato ad imprecare e a minacciare.
La Evans a quanto pare non ha ereditato da suo padre il caratterino.
Non ci metto molto a capire che la Evans non c’è, al piano di sopra apriamo la prima porta, una stanza matrimoniale, la seconda, una stanza sul giallognolo ben ordinata e inequivocabilmente vuota, la terza, rosata sulle pareti, la sciarpa di grifondoro appesa ad una parete, unico segno di magia in un mondo che non ne comprende e non dovrebbe nemmeno conoscerne l’esistenza… il segno di un abominio.
Dal piano di sotto iniziano le urla, devono aver trovato anche l’uomo, ma la donna urla di più, scalpita ed inveisce ancora un po’, poi le resta solo la forza di urlare, e forse di piangere.
Non sono vere, mi dico quando, all’ennesimo urlo, un fremito di disgusto mi coglie non sono urla vere.
Ma perché dovrei mentirmi per qualcosa che ho voluto per tutti questi anni?
Allora mi costringo a scendere.
-non c’è- mormoro in direzione di Lestrange, che come un lupo affamato sembra seguire l’olfatto verso la sua preda.
-dannati sanguesporco- risponde inveendo –chiediamo agli altri, se Antonin e Lucius non hanno già finito con loro-.
Quello che si conclude nel pomeriggio, è un massacro. Un massacro che sa di sangue e vigliaccheria, che non ha nulla della gloria tanto decantata da Bellatrix, che ha l’odore del vomito che vorrei rigettare e della paura che mi asserraglia la mente. È disgusto, puro e semplice, e malignità.
Come quella luce che penetra dalla finestra bagnando di falso calore i volti pallidi e sporchi di sangue di quell’uomo e quella donna, gli occhi sgranati di lui, quelli già vacui di lei.
-dicci dov’è tua figlia- è quello che continua a chiedere Dolohov.
-non lo so- ripetono a turno.
E il sangue, e la barbarie di una bestia accecata dalla follia.
E il disgusto, perché io non voglio diventare una bestia.
E la cognizione, che il primo passo per diventare una bestia è farsi marchiare come carne da macello.
E un pentimento che arriva troppo tardi, insieme alla vigliaccheria e alla consapevolezza che non avrò mai il coraggio di tirarmi indietro.
 
Fine flashback
 

*

 
I signori Evans devono essere stati molto amati, in vita.
Questa guerra sta mietendo un sacco di vittime, e la pena che provo è davvero enorme. E una sottile paura, che mi ingombra il cuore, la consapevolezza di vedere la morte troppo vicina.
Attorno alla bara chiusa, posata sul campo ricoperto di neve, c’è un sacco di folla, in lacrime o dispiaciuta, tutti vestiti di nero. Magici o babbani, in mezzo a tanto dolore non li si distinge nemmeno.
Risalta tra la folla lo stravagante abbigliamento di Silente, il particolare copricapo della McGrannitt e il panciotto color smeraldo di un commosso Horace Lumacorno. Tutti e tre, oltre a risaltare, attirano un gran numero di sguardi incuriositi tra le lacrime e i fazzoletti usati.
Lily resiste, stoica, ritta sui due piedi, la testa ben alta, le guance rigate da lacrime silenziose. Pare non voler distogliere lo sguardo dalla bara ricoperta di peonie e garofani, le mani attorcigliate strette l’una all’altra, il corpo snello lontano da tutti, come a non voler essere toccata da nessuno.
In questo momento non riesco a vedere la Lily Evans che ogni tanto mi sorride gentile, che in passato mi ha aiutato a fare qualche compito, la Lily Evans che fino a qualche mese fa urlava contro Prongs.
James è accanto a lei, lo sguardo tenuto basso, forse ferito da tanta immeritata distanza.
Mi chiedo come sarebbe essere al posto della mamma e del papà di Lily, e la paura mi coglie di nuovo.
Quando il sacerdote babbano raccoglie l’attenzione con le sue preghiere simili a nenie, non posso non unirmi a lui.
Io non voglio morire.
 

*

 
C’è qualcosa di sorprendentemente vero in tutto questo dolore, qualcosa che non si limita a toccare ma a travolgere con l’intensità di un ciclone.
La mia Alice, accanto a me, si accascia abbarbicandosi al mio braccio mentre piange singhiozzando a viva voce, e nemmeno io riesco a trattenere quelle poche lacrime che il vivo dolore di Lily, di Mary e di Lène riesce a strapparmi. Anche Emmeline, poco più indietro, singhiozza piano, la testa sulla spalla di Remus.
Odio veder soffrire la gente, soprattutto se le persone che soffrono sono amici miei.
Da dove mi trovo posso osservare il viso severo e intristito di Albus Silente, e quello rigato dalle lacrime di Minerva McGrannitt, che pur piangendo non riesce a non conservare la solita serietà.
Alice mi ha indicato Petunia Evans con un cenno, prima, poi mi ci ha trascinato davanti per andare, con voce nasale e attutita dal pianto, a farle le condoglianze.
Non l’ha mai sopportata, ma non per questo riesce a far finta di nulla. Io ho iniziato a non sopportare Petunia Evans nel momento stesso in cui, con voce gelida e un’occhiata mortifera, ci ha invitato ad abbandonare il funerale portando con noi quel “mostro di sua sorella”.
Quanto rancore in tanto dolore?
Come sia arrivata ad odiare sua sorella, lo sa solo lei.
Non posso pensare di provare tanto astio per un membro della mia famiglia.

 
 
 
 
 
 
*ovviamente le citazioni sono di Baricco.
 
NOTE:
 
eccomi!
Lo so, con che faccia mi presento qui dopo più di un mese, ad elemosinare scuse per non farmi picchiare dalla folla inferocita?
Purtroppo questo non è un periodo facile, speriamo passi il più in fretta possibile.
 
Vorrei passare ai ringraziamenti, credo proprio sia arrivato il momento di ringraziarvi tutti davvero davvero.
Ok, oggi sono sentimentale, ma ci sono alcuni tra voi che mi seguono e commentano ogni mio capitolo, con buffa dedizione e talvolta pronti a strigliarmi a dovere, scrivendo parole che mi fanno sorridere nonostante il momento non sia dei migliori.
Grazie a tutti, odio fare nomi e quindi non li farò, ma chi mi sa risollevare il morale con una semplice recensione sa che parlo proprio di lei, o di lui. Grazie davvero.
 
E grazie a chi si è recensito in una botta sola un sacco di miei capitoli, è stato davvero commovente.
 
Detto questo, prometto di non dimenticarmi mai di voi, di non interrompere questa storia assolutamente e di tornare il più in fretta possibile… e anche di rispondere alle recensioni!
 
Un sacco di promesse,
quanto al resto non ho altro da dire,
spero che la storia continui ad essere di vostro gradimento,
un bacio
Hir

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Capitolo 51
*** getti di parole ***


So che mi odiate, ma ormai credo di aver iniziato a farci l’abitudine. La verità è che per le mie ff ho un sacchissimo di idee, me le sogno la notte, poi mi metto davanti al computer e vado in modalità “faccia da triglia-ameba”.
Coooooomunque….
Ho deciso che questa parte di ff si concluderà tra un capitolo. Quella dopo si chiamerà “L’amore ai tempi dell’odio” e inizierà dal ritorno a Hogwarts, anche se il metodo di narrazione verrà un po’ stravolto, se non altro per i primi capitoli. Finita anche quella seconda parte, ci sarà la terza che si chiamerà “L’amore ai tempi della fine”.
 
Una precisazione: tranquilli, anche se aggiorno più lentamente, non ho alcuna intenzione di lasciare incompleta questa storia. Ho intenzione di arrivare almeno fino almeno alla nascita di Harry.
 
Grazie come al solito per le recensioni, data l’ora risponderò domani, ma sappiate che le ho adorate, come sempre! Un bacio a tutti e un grazie a chi si ferma a dare un’occhiata a questa storiella,
buona lettura,
Hir
 
 
 
 
 
 
 
LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMMELINE
REMUS
PETER
FRANK
ALICE
MARY
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
 
-tu, brutto…-
-Mary, basta!-
-ehi, McDonald, ritrai gli artigli-
-stupe…-
-Mary, siamo in un cimitero babbano!-
-lasciami, Emmeline, e tu, come osi…?-
-Caradoc, staccali!-
-Gid, portala via-
-tu, lurido pezzo di stron…-
-Mary, adesso basta, stai attirando trop…-
-Mac, che stai…?-
-con che faccia ti presenti proprio qui, Mocciosus?-
-Piton!-
-GIDEON, PRENDI LA RAGAZZA E PORTALA VIA!-
-mangiamorte bastardo!-
Crack.
 
Pop.
L’aria torna con un Pop soffocato, prendo una boccata, il respiro affannato mentre lotto duramente con queste braccia che mi stringono: troppo forti, non c’è niente da fare, anche se mi stringono con gentilezza hanno una morsa troppo salda per le mie misere forze.
Alla fine smetto di dibattermi inutilmente, cerco di riprendere fiato e di trattenermi a mani aperte le braccia doloranti, stringendomi il petto che nella confusione ha preso qualche colpo.
Quando sollevo appena lo sguardo, dopo qualche secondo di tregua, vedo due occhi curiosi e spiazzati fissarmi con uno sguardo di un azzurro lancinante, simile al colore del cielo in piena estate.
Fisso Gideon Prewett per qualche attimo, sento ancora il sangue scorrermi come fuoco nelle vene e il cuore battere a livello delle tempie con tanta forza da non lasciarmi modo di sentire il suono stesso del mio respiro affannato, vedo ancora rosso dalla rabbia e per un attimo, un attimo solo, vorrei mangiarmi questo ragazzo che ha avuto l’ardire di afferrarmi così velocemente e portarmi via da una vendetta che era giusto ci prendessimo.
Che affronto è mai questo?
Come ha potuto quel bastardo mostrarsi in un giorno tale, dopo le scelte che ha fatto, dopo quello che è successo?
Lui, che si diceva amico di Lils, come ha potuto darle tanto dolore da rischiare di spezzarla in mille pezzi?
E perché non c’è qualcuno in questo mondo che riconosca alla parola giustizia il suo vero significato, e non lasci quei bastardi nelle mani delle persone che hanno fatto soffrire con tale meticolosa cattiveria?
-lasciami andare- sibilo a meno di un palmo dal volto di Gideon, che mi guarda sorpreso e spiazzato da quando ci siamo smaterializzati.
Lo stupore, però, a quanto pare non gli impedisce di essere fermo nella risposta.
-non credo proprio-.
-ti ho detto di lasciarmi andare- intimo di nuovo, scaldandomi ancora pericolosamente.
-non fino a quando non ti calmerai, McDonald-.
-perché?- chiedo truce rivolgendogli uno sguardo che, se non è iniettato d’odio poco ci manca.
Lui mi guarda, sempre un po’ spiazzato, e all’improvviso qualcosa di quello che fa spiazza me, che non sono certo abituata a cambiamenti di umore tanto repentini.
Sorride, di un sorriso a trentadue denti di quelli che ti fanno dimenticare da che parte è girato il mondo, e se il cielo è sul soffitto o sul pavimento.
Non risponde, e si limita a guardarmi con quel sorriso stampato in volto, e ad allentare leggermente la presa, pur senza lasciarmi andare del tutto.
-non avevi nessuno diritto di portarmi via così- gli dico non appena riesco a schiodare il mio dal suo sguardo.
-beh, volevo evitare un omicidio a così breve distanza dagli ultimi, soprattutto visto e considerato che un Avada Kedavra nel bel mezzo di uno dei più famosi cimiteri babbani dell’Inghilterra avrebbe potuto infrangere il nostro famoso Statuto di Segretezza-.
-oh, al diavolo lo Statuto di Segretezza- è tutto quello che mi viene in mente –Severus Piton è l’essere più ignobile che io conosca-.
Quando scosto lo sguardo da quello di Gideon Prewett, che per un attimo aveva richiesto per se tutta la mia attenzione, non vedo altra soluzione che scrutare il panorama attorno a noi, se non altro per non fare la figura dell’idiota completa.
Avendo scelto lui di materializzarci, mi rendo conto di non essere a Godric’s Hollow come pensavo, bensì poco lontana dalla soglia di casa sua e di Fabian, casa in cui sono già stata il giorno di Natale.
-casa tua?- chiedo scettica domandandomi per quale motivo ci abbia materializzati proprio qui e non a Godric’s Hollow, luogo in cui sicuramente si aspettano di trovarci Dorea e Charlus Potter. Lui annuisce appena, indicandomi il luogo in generale.
-si, è qualcosa che abbiamo messo appunto noi dell’ordine. In caso di emergenza e di pericolo, ognuno di noi ha bene in mente un posto, uno solo, in cui materializzarsi per mettersi in salvo- mi spiega lasciandomi andare con un sorriso gentile, ora che si è accorto che mi sono calmata –deve essere una cosa istintiva, il luogo a cui pensi nelle brutte situazioni. Serve a non spaccarsi, se sei sicuro su dove andare e trasporti con te qualcuno, quel qualcuno non è in pericolo-.
Per un attimo rimango sorpresa da quello che dice.
E anche se riconosco la genialità del tutto, non lo ammetto ad alta voce, perché io, in teoria, sono arrabbiata con lui per avermi prelevato dal cimitero con la gentilezza di un gufo con una lettera.
-comunque questo non cambia nulla, o mi riporti davanti a Piton o io non ti rivolgo la parola per i prossimi duemila anni-.
Lui mi guarda e sorride di nuovo.
-credo che correrò il rischio-.
 

*

 
Guardo con occhi disgustati il punto esatto in cui è scomparso Severus Piton, andatosene immediatamente dopo aver lasciato sulla tomba dei coniugi Evans uno sguardo poco meno che addolorato.
Non ho mai sopportato Piton, non è mai stato il tipo di persona con cui avrei fatto amicizia facilmente: non è solare come James, intelligente come Remus, sfacciato come Mary o gentile come Emme. Era amico di Lily, e per questo ne tolleravo la presenza, per non offendere la mia amica con i miei giudizi. Ma è sempre stata un mistero, per me, quella loro frequentazione.
Non di rado mi capitava di chiedermi cosa ci trovasse, Lily, in lui. Spesso mi ponevo questa domanda quando Lils ci lasciava studiare da sole per fare compagnia a lui, o quando preferiva andare a Hogsmeade in sua compagnia anziché con noi.
Il tutto è culminato, poi, in un pomeriggio piuttosto caldo di giugno in cui, vuoi per lo stress dei G.U.F.O vuoi per lo stress delle torture subite dall’allegra compagnia dei Malandrini, Severus ha capitolato insultandola per le sue origini come, peraltro, ha sempre fatto con tutti i Nati Babbani di Hogwarts tranne lei.
Se non altro, tutto quello era bastato per aprire gli occhi a Lily, che aveva scelto la sua strada.
Non è malvagio, e poi è un amico di famiglia, è stato il primo mago che ho incontrato.
E adesso che dovrei fare?
L’ho visto andarsene dopo essere stato a questo funerale. Perché mai c’è venuto? Coraggio? O rimorso? Ne l’una né l’altra delle due caratteristiche si adegua al suo essere serpeverde.
Lily è la più calma, adesso, qui, e la posso vedere tracciare con lo sguardo lucido i caratteri che decorano la tomba dei suoi genitori senza alcun tipo di espressione dipinta sul volto. Mentre Lène si agita e Emmeline trattiene le lacrime, mentre James ringhia e Sirius scalpita dalla voglia di inseguire il serpeverde, mentre Peter tenta di consolare un abbattuto Remus Lupin, lei affronta il suo futuro guardandolo negli occhi: leggendo le parole che testimoniano che adesso non ha una famiglia vera. Petunia non sarà mai una famiglia, per lei, è un rapporto troppo rovinato per essere altro che rancore ed estraneità, e noi, per quanto bene possiamo volerle, non possiamo essere per lei qualcosa che non siamo.
Il mondo di Lily Evans è andato in pezzi, e con una fitta allo stomaco di dolore e rabbia mi accorgo che non saremo io o James o Lène o Mary a doverlo ricomporre. Noi siamo i pezzi, sarà Lily a doverci mettere a posto.

 

*

 
Il mio proposito di non rivolgere alcuna parola a Gideon Prewett per i prossimi duemila anni, come promesso, evapora con le candide volute di fumo che si levano da questa tazza sbeccata piena di tè.
Quanto sono riuscita a tenere il muso?
Due minuti, giusto il tempo di entrare in casa, sedersi al tavolo in cucina e scaldare l’acqua per il tè con un incantesimo.
Cercando di soffocare un sorriso, lo vedo benissimo, Gideon si porta la propria tazza alle labbra per inalare l’odore del tè prima di berlo. Da sopra una delle tante sbeccature della tazza, due curiosi occhi azzurro cielo mi scrutano vagamente divertiti, forse cercando di capire quanto fossi sincera asserendo di non aver intenzione di rivolgergli la parola in futuro.
Silenziosamente, ma solo perché non saprei proprio come intavolare con lui una conversazione, mi porto la mia tazza alle labbra, fissando il colore del tè con uno sguardo opaco, ancora un po’ irritata per tutto quello che è appena successo.
Penso che ultimamente mi sono ritrovata spesso in compagnia di questo ragazzo, del suo sguardo azzurro e limpido, non freddo o caldo, ma spesso divertito e pulito… e amichevole. Per certi versi assomiglia a Paul, mentre per altri è completamente diverso da lui. Ha un’aura, un alone intorno che ti fa capire che, per qualsiasi cosa, ti puoi fidare di lui, sempre e comunque.
E mentre io penso, il tempo passa.
Passa un minuto, ne passano due, e poi tre. Ben presto i minuti si accavallano l’uno sull’altro, e non mi bastano più solo le dita delle mani per contarli, e mentre passano, mentre scorrono lievi insieme al silenzio –presente ma non pesante- sento fluire via quell’irritazione che ancora mi annoda lo stomaco. Piano, lentamente, il residuo di amarezza evapora, come il ricordo accantonato dell’ombra di Severus Piton accanto alla tomba dei genitori di Lily, e come il disprezzo che non riuscivo a spegnere.
-hai deciso, poi, cosa fare con il Magpies?- mi chiede smettendo di sorseggiare il proprio te.
Scrollo le spalle, disinvolta, senza fornire una vera e propria risposta.
-Caradoc dice che dovresti accettare- dice poi leggero facendo un cenno con la mano, come se fosse normale che Caradoc –chiunque esso si… ah, si, il tizio della foto, il suo amico!- si interessi al mio futuro.
-e perché?- chiedo stranamente interessata, con un misto di divertimento e curiosità.
-beh, perché non hai motivi veri per rifiutare- mi risponde lieve guardandomi amichevole –e perché James parla di te come di una delle più brave battitrici che lui abbia mai visto e, onestamente, James ha il quidditch scolpito nelle ossa, compresa l’arroganza di chi è bravo e sa di esserlo. Mi ricorda un po’ Caradoc, per questo, ma Docco ha l’ego maggiore che io abbia mai incontrato. È una fortuna che James non sia così tanto presuntuoso-.
Con un sorriso non posso che concordare con lui, avendo una stima ben precisa dell’arroganza di James in questo come in altri campi… se lo fosse di più, non so quante persone potrebbero sopportarlo.
-non so cosa farò, ci penserò quando verrà il momento- taglio corto scuotendo ancora una volta le spalle, come a liquidare la faccenda.
In genere preferisco non pensare al futuro, non sono esattamente il tipo di persona che vive la giornata in funzione di uno o di molti domani… oggi, poi, con la giornata che è, il pensiero di un domani mi dà a dir poco la nausea.
E invece lui insiste.
-arriverà presto- mi dice infatti, riportandosi la tazza alle labbra e nascondendosi così per un attimo dietro alla porcellana rovinata –dovresti pensarci ben prima, potresti parlarne anche con lui… Caradoc, intendo. Sai, lui è giocatore professionista-.
Apro la bocca per ribattere che sono affari miei quando e come intendo decidere sul mio futuro, ma ovviamente quell’aggiunta alla fine, come un’appendice di poca importanza, mi blocca e attira la mia attenzione come un incantesimo di appello.
Maledetto ragazzo, deve avermi inquadrato bene fin da subito, se riesce a spiazzarmi così facilmente.
Richiudo la bocca assumendo un’aria se non meno interessata, sicuramente meno stupida.
-ah, si?- mi limito a rispondere dignitosamente.
-ha iniziato come riserva delle Vespe di Wimbourne, ora è Portiere-.

 

*

 
Alla fine, come una lenta processione, ci dirigiamo all’uscita del cimitero.
Tutti tranne Lily, che ci fa cenno di andare avanti e precederla. Vedo James esitare, fissare con uno sguardo triste la sua ragazza e fermarsi un attimo. Poi muove ancora un passo, si ferma ancora, e si muove un’altra volta. Sembra indeciso, e anche se rimane di qualche passo indietro a noi, tra tutta la combriccola e Lily, lo vedo assottigliare lo sguardo nocciola in direzione della ragazza e della tomba e scuotere piano la testa.
Lily alza lo sguardo su di lui, e gli lancia un leggero sorriso, che si perde un po’ tra quegli occhi verdi spalancati e lucidi e quella pelle un po’ pallida, dal colorito malsano. I capelli rossi, poi, spiccano come lingue di fuoco ad accarezzarle il collo e le spalle, coperte dal pesante mantello.
-ti aspettiamo fuori dal cancello- sento che le dice, dolcemente, prima di prendere una decisione e seguirci.
Sono arrivato a pensare che sia il ruolo più difficile, quello di James, incastrato in un silenzio che lui non è abituato a sopportare: James è per natura una persona rumorosa, scavezzacollo e allegra, sempre pronta a fare scherzi e a ridere degli altri quanto di se stesso.
A volte.
 

*

 
Dedico il mio ultimo sguardo a quella piccola folla di persone che d’ora in poi sarà tutto il mio mondo. Sono riuscita a mantenere gli occhi asciutti per gli ultimi venti minuti, venti lunghissimi minuti, da quando è scoppiata quella piccola baruffa e Severus, il mio Sev, se ne è andato con uno sguardo di rammarico. Ho sorriso di un sorriso amaro quando ho visto Gideon Prewett trascinare Mary –la mia accanita, furiosissima Mary- lontano dal mio ex migliore amico e smaterializzarsi con lei verso un luogo in cui speriamo non attenterà alla vita di nessuno.
La lenta processione non potrebbe essere più eterogenea, penso guardandoli sparire tra le lapidi di marmo bianco o pietra grigia e fredda, in questo grande cimitero. Dorea e Charlus, Remus, Peter, James, Lène, Alice, Frank e Sirius, Emmeline e Dorcas, Fabian, Caradoc, Benjamin, Sturgis, Hestia e la McGrannitt, affiancate da un Silente che mi ha rivolto un sorriso consapevole da sopra i suoi occhiali con le lenti a mezzaluna.
Alla fine, lentamente, svaniscono tutti, gli abiti da cerimonia di colori cupi e i mantelli di velluto pesanti, le scarpe invernali e le bacchette mezze sguainate.
E allora, solo allora, volto di nuovo lo sguardo sul marmo bianco e sulle scritte dorate, che in un primo, sentimentale momento non riesco nemmeno a decifrare.
Ci sono le date di nascita e di… morte, si, di morte. Credo sia giusto imparare a chiamare le cose con il proprio nome, e ho come l’impressione che non passerà molto tempo prima che io ne senta di nuovo la cupa presenza.
Poi ci sono i loro nomi, vergati in bella grafia, in un rilievo d’ottone ancora splendente e per nulla ossidato.
Trevor Dyfed Evans e Daisy Rosie McPherson Evans si erano conosciuti su una spiaggia di Barmourth*, ma questo lo sapevo io –grazie ai loro racconti, alle storie che mi raccontava la mamma quando con l’insistenza tipica di una bambina di tre o quattro anni volevo scorgere in quella di mio padre e mia madre un tralcio della favola della buonanotte popolata da principi e principesse- e pochi altri: lei, bella turista in vacanza, a rilassarsi sulla spiaggia con il cane al guinzaglio, lui, del personale dell’ufficio informazioni, a guardare il mare mentre, in pausa pranzo, si gustava il suo panino pomodoro e mozzarella.
E sotto quei due nomi, solo due parole.
Per amore.
Tracciando con lo sguardo quelle poche lettere, avverto le lacrime scendere debolmente sulle guance, rigarmi le gote in linee ordinate e precise, fino al mento e poi giù, oltre il dirupo verso il vuoto.
Avverto le mie gambe fare lo stesso, il mio corpo accasciarsi, e i palmi delle mani schierarsi come a evitare la catastrofe completa. Poi, semplicemente, singhiozzo rannicchiandomi con le ginocchia al petto, presa da questo disperato istinto di rimanere tutta intera, tutta attaccata, mentre tutto va in pezzi.
Per amore.
È per questo che sono morti. Per amore.
E l’ultima cosa che ho fatto, è stato mentire, mentire a tutti e due loro, dicendo che non tornavo per una malattia, perché da bambina egoista ho preferito rintanarmi lontana dai miei problemi, da mia sorella, dai miei genitori, da una vita che non capisco e da un mondo che non capisce me.
-lo sai, mamma, non volevo che finisse così- riesco a dirle, a dire a quella pietra bianca che non mi può sentire. Tiro su con il naso, mi asciugo le lacrime e mi raddrizzo sulla schiena, così da poter guardare ancora meglio quel tocco di marmo –anche se… non credo che “finire” sia il termine più adatto. Credo sia appena iniziato, tutto. Allora non volevo che iniziasse così-.
Sorrido, l’ultima volta che ho parlato con mia madre –parlato sul serio, per dire più di qualcosa senza importanza- è stato all’inizio dell’estate. Le ho detto che ero contenta di essere tornata, ed ero sincera. Non pensavo al fatto che probabilmente casa nostra mi sarebbe stata piccola, abituata come sono ad Hogwarts, alla folla in Sala Comune, agli allievi e ai professori, alle cene caotiche e alle partite di quidditch.
Sette mesi fa.
-mi sono unita all’ordine, e questo è il motivo per cui ci troviamo qui-.
Non è esattamente il mio più grande pregio saper indorare la pillola, né agli altri né a me stessa. E piango, mentre lo dico, rannicchiata per trattenere quelle parti di me che vogliono andarsene via.
-ho… ho fatto più amicizia con i ragazzi di Grifondoro, adesso dovresti vederci- mormoro ridacchiando stupidamente, eppur piangendo di continuo, senza poter in alcun modo frenare le lacrime –e poi c’è James… papà, tu non lo avresti proprio sopportato… o magari no, ti sarebbe piaciuto! Proprio non so, se c’è una cosa che Jamie sa fare maledettamente bene è stupirmi, e a volte farmi ridere… più spesso, farmi arrabbiare. Spero che dopo oggi, dopo questi giorni, saprà ancora farmi ridere… non so se ne sono ancora capace. Spero di si-.
Parlando, le parole escono fuori meglio. Sento il cuore battere con il tranquillo ritmo di sempre, come a volermi ricordare che ci siamo rimasti io e lui, a fare lo sporco lavoro.
-non sono ancora entrata nel pieno della guerra e già ho paura. Ho paura per James, e Lène, e Sirius e Emme e Mary e Alice e Frank e Peter. E anche per me, perché se mi portano via anche loro io sono peggio che polvere e…-
-loro ti hanno sempre voluto bene- mi interrompe la voce rigida di mia sorella, alle spalle. Sobbalzo, poi volto la testa e vedo la figura magra e alta di Petunia stretta in un cappotto nero, i capelli biondi e lunghi al vento, il viso severo e fermo. Ha lacrime sulle guance e una smorfia disgustata al viso, ma le sue parole non sanno di disprezzo. Sono amare, severe e un po’ irritate, forse. Ma capisco che questo, adesso, quello tra me e lei, è un addio più definitivo di quello che sto dando ai miei genitori in questo cimitero.
Perché se non c’è un incantesimo in questo mondo che possa riportare in vita i morti, non ce n’è nemmeno uno che possa riaggiustare un legame come il nostro, quando si è rotto tanto in profondità.
È un po’ come se si rompe una bacchetta, non la si riaggiusta a meno di non essere speciali: e io in questo momento sono tutto tranne speciale.
-quando non c’eri, mancavi, anche se hai scelto tu di andartene- mormora ancora mia sorella, il tono leggermente più acuto –hai scelto loro, e adesso te ne andrai via dietro quelle persone pazze nei loro pastrani scuri, perché è quello che sei sempre stata, e che ho sempre cercato di capire-.
Sospiro.
-non mi aspetto più che tu capisca, Tunia- rispondo io, il tono sommesso e stanco.
-nemmeno io- mi dice nello stesso identico tono, gli occhi ancora fissi alla lapide –hai vinto Lily-.
Mi volto, non capisco quello che dice.
-come?-.
-hai vinto- ripete –te li sei presi, tu e la tua magia che li ha uccisi. Hai dimostrato che il tuo mondo è più forte, hai vinto. Ora vattene con loro, con gli assassini, i tuoi magnifici maghi, e lasciami a disporre dei miei morti con la dignità che si dà ad un perdente-.
-non è giusto, Tunia- mi infervoro alzandomi in piedi –sono… erano anche la mia famiglia, non puoi…-
-cosa?- mi interrompe algida alzando il mento in segno di sfida –rinnegarti? Lo hai fatto tu per prima, Lily-.
La guardo con occhi sgranati mentre si stringe di più le braccia attorno al petto, limitandosi a fissare la tomba.
Non c’è una porta da sbattere, una finestra da chiudere, lo sento, eppure sento anche che non vuole più rivolgermi la parola. Mi ha come congedata, messa alla porta della sua vita, della sua famiglia, dell’intero mondo babbano.
Mentre me ne vado, voltandole le spalle, mi fermo un attimo.
-addio, Tuni-.
Il vincitore è solo.

 

*

 
-quindi tu fammi capire- ripeto ancora sconvolta davanti a un Gideon Prewett piuttosto divertito –Caradoc Dearborn sarebbe quel Caradoc Dearborn, portiere delle stesse Vespe di Wimbourne in cui gioca il miglior battitore degli ultimi cinquant’anni che poi, a conti fatti, è lo stesso battitore della nazionale inglese, Ludovic Bagman**-.
-si- mi risponde disinvolto Prewett, con un sorriso a trentadue denti.
Gli lancio la prima cosa che trovo a portata di mano, il mio cucchiaino da tè, e lo vedo destreggiarsi abilmente tra una smorfia oltraggiata –è il suo cucchiaino da te, che gli ho lanciato- e una divertita –sicuramente per il mio urletto stridulo da fan in visibilio.
-e questo… per cosa…?-.
-non me lo avevi detto!- esclamo io decisamente offesa, intrecciando le braccia al petto indispettita.
-beh, mica vado a dirlo a tutti- mi risponde lui con un sorrisetto.
-no che non va a dirlo a tutte- ci interrompe suo fratello, entrando in cucina con Dorcas al seguito e un sorriso ben stampato in volto –sennò poi Ludo gli frega le ragazze. Insomma, l’auror sottopagato non fa proprio testo quando si può avere il meglio dei battitori della nazionale inglese, è per questo che cerca sempre di starsene zitto su queste cose-.
Io e Dorcas scoppiamo a ridere contemporaneamente, mentre Gideon fa una linguaccia a suo fratello.
Non mi ero nemmeno accorta che fossero entrati, da tanto che ero impegnata a fingere di essere offesa.
-beh, Ludo Bagman secondo me è quello con cui rischi meno- sorrido io scuotendo il capo –è un po’ bruttino, se mi consenti l’espressione. Dearborn invece è proprio un bel pezzo di Merlino-.
Fabian e Gideon si guardando e scuotono il capo, come due maschere identiche.
-Docco è già fuori dal mercato- mi risponde Gideon con aria saputa.
-e comunque siamo più belli noi, no?- chiede Fabian in direzione della propria ragazza, speranzoso.
Vedo Dorcas esitare e poi glissare con lo sguardo verso un suppellettile estremamente interessante.
-stiamo insieme da sette anni e mezzo, Fab, hai ancora bisogno di rassicurazioni?- gli chiede alla fine la sua ragazza.
Wow. Sette anni e mezzo.
Sette anni e mezzo fa io giocavo ancora con la mia scopa giocattolo.
-sono già tornati a casa o sono ancora al cimitero?- si sta intanto informando Gideon, riportando sui presenti la sua bella cappa di tristezza, com’è ovvio che sia dopo un funerale.
-dovrebbero essere a casa, aspettavano che Lily uscisse dal cimitero- mormora Dorcas.
-si, è per questo che siamo qui, Doree si sta iniziando a chiedere se avevi intenzione di rapirla- aggiunge bonario Fabian.
Gideon scrolla la mano con fare leggero.
-nah, parla troppo- ribatte divertito.
-a proposito di parlare!- esclamo io puntandogli contro l’indice accusatore –io non ti dovevo più rivolgere la parola-.
-te l’ho detto che era meglio correre il rischio-.

 

*

 
-ehi, posso?-.
Un lieve bussare alla porta, poi l’anta viene aperta gentilmente e un volto con due caldi occhi color nocciola incastonati fa capolino nella stanza.
Rannicchiata nel mio letto, posso sentire in sottofondo i rumori della casa che riprende a vivere, Dorea che suona al piano e Charlus che traffica in cucina, la porta di casa che si apre per fare probabilmente entrare Mary –a giudicare dal chiacchiericcio di sottofondo di tutti i nostri amici- e il timido miagolare di Adone fuori dalla porta, probabilmente ad accompagnare la richiesta di James.
-si, vieni- mormoro facendomi da parte nel letto e guardando James voltarsi di spalle per chiudere la porta. Sono stanca di piangere, voglio chiudere gli occhi e dormire per tutta la giornata, magari per tutta la settimana. Non pensare più, questo aiuterebbe.
Vedo Adone saltare sul letto con modi aggraziati e rannicchiarsi tra le mie gambe, ma tanto so che poi si rialzerà e salirà più in su, accoccolandosi sul mio petto, perché credo di essere l’unica persona al mondo ad avere un gatto che anela il contatto fisico anche mentre dorme.
Alla fine, faccio cenno a James di stendersi al mio fianco, e lo sguardo mentre con gesti un po’ rigidi si toglie le scarpe e si stende accanto a me.
Mi avvicino di più a lui, ignorando i miagolii infastiditi di Adone, che non è molto contento del mio muovermi ininterrottamente per cercare la posizione migliore, poi appoggio la guancia sulla sua spalla e, respirando sul suo collo, mi limito a chiudere gli occhi.
-grazie Jamie- mormoro rivolta alla pelle della sua spalla, sotto la mia guancia.
-perché, Lils?- mi chiede appoggiando la mano sul mio fianco e la testa sulla mia testa.
-perché ci sei- sussurro ancora.
Lui sorride appena, lo sento.
-beh, dopo averti conosciuta andarsene è davvero impossibile-.
Sorrido, e quando mi addormento, il mio sonno profuma di James Potter.

 
 
 
 
 
*Barmouth, ridente località gallese affacciata sul mare, che ho visitato personalmente. Non so dire se i coniugi Evans fossero di Barmouth o meno, ma so che visitandone i cimiteri ho notato parecchi Evans sepolti intorno alle chiesette –molto pittoreschi, i cimiteri di tradizione celtica, sia quelli gallesi che quelli irlandesi, a parere mio- e la fantasia ha fatto il resto.
 
**non so se Ludo Bagman fosse esattamente il più grande battitore degli ultimi cinquant’anni, ma mi pare di ricordare fosse un battitore bravo delle vespe di Wimbourne, e ho letto che giocava proprio attorno agli anni ottanta secondo la Row. Caradoc Dearborn invece è un giocatore di quidditch perché io ho deciso così, e tanto basta, ok? =D

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Capitolo 52
*** piccoli figli crescono ***


L’ultimo capitolo della prima parte di questa ff, è dedicata ai miei genitori, da cui ho preso spunto per far nascere Dorea Potter e Gillian Sidonie McDonald –uguali uguali a mia madre- e Fergus McDonald e Charlus Potter –che sono un po’ la copia di mio padre-.
 
 
LILY
JAMES
MARLENE
SIRIUS
MARY
EMMELINE
REMUS
PETER
FRANK
ALICE
RABASTAN
REGULUS
CORRISPONDENZA


 
 

Il momento sbagliato per diventare padre,
è diciotto anni prima di una guerra
E.B.White

 
 
 
 
 
Gillian Sidonie Mayfair in McDonald scosta le tendine di pizzo Leavers per scrutare la strada, l'ordinato vialetto della villa a schiera in cui abitano lei e suo marito -e sua figlia, per tre mesi all'anno- e lo steccato perfettamente bianco e tirato a lucido che separa la prima dal secondo.
Ha gli stessi capelli scuri della figlia, le stesse labbra generose e un non so che nello sguardo che trasuda voglia di vivere e di divertirsi. Benchè l'intensità dello sguardo sia quello che ha passato alla figlia, il colore varia decisamente: due punti di luce color della giada, di quel verde così chiaro da poter variare in grigio con un semplice battito di ciglia.
-Mary non è ancora tornata?-.
I passi di suo marito la distraggono dalla quieta osservazione del quartiere. Fergus McDonald ha gli occhi dello stesso colore della figlia, una piazzetta in testa tra i capelli ramati ormai radi e il volto assonnato di chi si è appena alzato dal divano in cui è crollato al ritorno dal funerale, stanco morto.
-no- risponde tornando a scrutare fuori dalla finestra.
-chissà dove l'ha portata quel Prewett- mormora Fergus versandosi una buona dose di succo di zucca direttamente in bocca dalla brocca -non è che mi fidi tanto di lui, si vede lontano chilometri che fa gli occhi dolci alla mia bambina-.
Jill scuote la testa rassegnata, indirizzando al marito una smorfia fintamente disgustata.
-e io che pensavo di aver sposato un illustre membro del Wizengamot e non un animale- ribatte scrollando il capo -non dire stupidaggini, Mary è troppo piccola, Gideon non la degnerebbe di un solo sguardo-.
-gli sguardi non c'entrano nulla- le assicura Fergus con quell'aria da truce irlandese che da sempre spaventa chi non lo conosce bene. In quest'ultima categoria non è fortunatamente da annoverarsi la moglie, che conoscendolo alla perfezione dopo diciannove anni di matrimonio e tre di fidanzamento sa benissimo come in realtà suo marito sia buono come il pane e placido come le acque di una polla -a quell'età è tutta questione di ormoni-.
-oh, quanto la fai lunga- lo rimbrotta scuotendo il capo -come se tu a quell'età fossi stato diverso. Guarda che mi ricordo benissimo di quando ti beccavo in qualche alcova nascosta a Hogwarts, e non eri certo solo-.
Il marito manda giù ancora un sorso di succo di zucca, poi appoggia la brocca al tavolo della cucina e guarda Jill come se le fossero spuntate le antenne.
-questo non c'entra assolutamente nulla- replica con lo scetticismo tipico degli avvocati, magici o babbani -ho messo la testa a posto. E poi qui non si parla di me o di te, ma della mia bambina-.
Jill sorride, intenerita.
-la tua bambina fra soli due mesi compie diciotto anni-.
-sarà la mia bambina anche quando ne avrà sessanta, avrà cinque figli, tredici nipoti e quattro gatti- le risponde a tono il marito, lasciando la cucina.
La donna scuote ancora la testa seguendo con lo sguardo Fergus fino a quando la sagoma di questo non sparisce su per le scale, probabilmente diretto in doccia. Alla fine, quando l'irlandese brontolone scompare alla vista, riporta l'attenzione alla strada.
Li vede spuntare da dietro l'angolo, Jill, con quell'occhio allenato che solo le mamme hanno per tutto ciò che riguarda le figlie, ridere l'una vicina all'altro come due vecchi amici, quei due che un mese prima non si conoscevano neanche, uno sguardo castano e sbarazzino e uno azzurro fresco come il cielo.
Forse suo marito non è bravo solo a brontolare, allora.
 

*

 
-Prometti che ci penserai- mi dice alla fine quando riesce a smettere di ridere, con ancora un sorriso luminoso sul volto.
Arriccio le labbra, con la stessa smorfia che rivolgo a mia madre quando mi chiede di mettere in ordine la mia camera.
-pensare non costa nulla- concedo alla fine, scuotendo il capo rassegnata.
Il sorriso in risposta fa sembrare quello di prima la fiammella di una candela confrontata a un grande sole.
-bene- annuisce poi seriamente -perchè non ti ci vedo per nulla come auror o tiratore scelto-.
Inarco le sopracciglia.
-ah, no?- chiedo scettica.
-perdi la calma troppo facilmente, McDonald- mi risponde nuovamente divertito.
Sorridendo tra me e me mi accorgo che siamo a pochi passi dal cancelletto di casa mia.
-questa me la lego al dito, non ti rivol...-
-rivolgerò la parola per i prossimi duemila anni. Si, questa l'ho già sentita- mi prende in giro divertito, indicandomi casa mia -ora è meglio che rientri, c'è freddo e potresti ammalarti. Ci si vede... alla prossima riunione, ok?-.
Mi accorgo con stupore della piccola fitta di nostalgia che mi coglie alle sue parole. Negli ultimi giorni mi sono abituata talmente ai Prewett e a Dorcas che quasi ho scordato la differenza d'età e il fatto che non solo non ci siamo mai frequentati, ma fino a poco tempo fa non sapevo nemmeno che esistessero.
Dopodomani si torna a Hogwarts, a quel piccolo mondo che viene toccato solo raramente dai fatti esterni.
-si, certo- annuisco scacciando quella piccola fitta con uno dei miei soliti sorrisi sbarazzini, quelli che invitano a non prendermi troppo sul serio. Faccio fatica a respingere quel lieve senso di malinconia, quando lo vedo guardarmi con quel suo sguardo leggero, perché solo così si può chiamare, leggero -buon lavoro, allora, per le prossime settimane-.
Mi sorride in risposta, sbattendo le palpebre con quel tic che lo fa assomigliare ad un gufo. Anche suo fratello lo fa, mi sono accorta.
-grazie, e buon rientro a Hogwarts- mormora annuendo gentilmente.
Ok, devo ammetterlo, per un attimo sento l'imbarazzo condensarsi nell'aria come una cortina di nebbia. Come ci si saluta tra conoscenti che vanno particolarmente d'accordo?
Per tutte le giarrettiere di pizzo di Morgana, sono Mary McDonald, quella che farebbe arrossire un marinaio anche solo con uno sguardo! Non posso imbarazzarmi così, solo per due occhi azzurro pervinca!
Così, con tutta la disinvoltura che mi è propria in ogni movimento, in ogni sguardo, e con quella piccola punta di malizia nel sorriso che mi contraddistingue fin da che ho memoria, mi sporgo verso di lui e –sebbene con una certa fatica vista la notevole differenza d’altezza- lo coinvolgo in uno dei miei abbracci stritolaossa, quelli che ti fanno temere l’accartocciamento della cassa toracica per farti dimenticare la malinconia dell’addio imminente.
Con un sorrisetto, capisco che lui capisce, e lo sento rispondere con lo stesso entusiasmo disinvolto di chi non fa altro che abbracciare le persone –sebbene con più delicatezza, per ovvi motivi-.
-grazie davvero, Gideon- gli mormoro contro la guancia ricoperta di lieve peluria rossa –salutami Fabian e Dorcas-.
Mi volto velocemente, scostandomi da lui e da quel contatto forse troppo diretto, mantenendo le spalle dritte mentre mi dirigo verso casa senza guardare indietro, quasi a voler respingere quel senso di cameratismo ed insieme tristezza che in questo momento mi invade la mente. Riesco appena a vedere la tendina di pizzo della cucina muoversi e tornare al proprio posto, accompagnata dalle dita lunghe ed eleganti di mia madre, poi sospiro ed entro in casa, sentendo dietro di me i passi di Gideon allontanarsi.
Sorrido appena, e non so il perché.
 

*

 
Gillian vede sua figlia rientrare in casa con lo sguardo opaco e uno strano sorriso sulle labbra, un sorriso che quasi pare dover lottare per uscire.
La sente, prima di vederla realmente, sbattere la porta alle proprie spalle –perché si, sua figlia è totalmente incapace di quella grazia congenita e raffinata eleganza che tutte le sue amiche hanno passato in eredità alle loro figlie purosangue-, togliersi il cappotto con movimenti decisi e per nulla gentili, sfilarsi sciarpa e cappello –puntualmente abbandonati a marcire sopra il portaombrelli, come se non ci fosse a meno di un passo di distanza l’attaccapanni intagliato in ebano e betulla-, scompigliarsi i capelli con un movimento disinvolto e togliere i guanti per gettarli sulla madia dell’ingresso.
-è stato gentile, Prewett, ad accompagnarti fino a casa-.
Con un sorrisetto nascosto dietro alla tazza da te, Gillian si gode lo spettacolo della figlia presa in contropiede. Non è facile, cogliere Mary con le mani nel sacco, nemmeno se si è sua madre.
-è vero- annuisce alla fine con una disinvoltura che ingannerebbe chiunque, tranne Jill –è stato molto cortese-.
Annuisce piano, indicando alla figlia la cucina.
-c’è il pranzo, a meno che tu non abbia già mangiato con…-
-no, anzi, ho una fame da lupi- la interrompe Mary con un sorrisetto sbarazzino fiondandosi in cucina –hai provato a fare il manzo come lo fa la nonna? Sembra avere un buon odore-.
Normalmente è Fergus che cucina, in quella casa atipica di purosangue mezzi irlandesi e mezzi matti. Jill si dedica soprattutto ai dolci, che le vengono sempre piuttosto bene, esclusa la crostata alla frutta, il suo personale tallone d’Achille.
-sono passata dai Potter, prima di tornare qui- dice scoperchiando il piatto colmo di stufato di manzo alla birra –ma Lily dormiva, a quanto ha detto Lène-.
-sembrava stare meglio, all’uscita del cimitero. Deve essersi un po’ consolata, forse, stando da sola con sua sorella-.
Mary da in una risatina che di divertito ha ben poco, poi inizia a mangiare lentamente, gustandosi la carne talmente tenera che si scioglie in bocca e fissando la finestra con aria un po’ distratta.
Gillian sorride appena, pensando a come poter riportare la discussione su ciò che le interessa veramente.
-sai, tuo padre dice che il figlio dei Prewett ti fa gli occhi dolci-.
Già, i McDonald in generale sono gente a cui piace prendere il toro per le corna, come si usa dire. Mary smette per un solo attimo di mangiare, ben lungi dall’apparire imbarazzata da una constatazione del genere e, anzi, pensando per un attimo a tutto quello che è successo in quei giorni.
Alla fine scuote il capo, sbuffando appena.
-nah, Gid non ci pensa neanche a me, sono troppo piccola. È gentile e simpatico, tutto qui- scrolla la forchetta come a fare segno di lasciar perdere.
-è quello che ho risposto anche io. Peccato, però, è carino. Ed è scapolo-.
Mary si ferma ancora una volta, e adesso non ha quello sguardo lieve che aveva fino ad un attimo fa, ma un’espressione completamente diversa. Pare quasi una bambina che sia stata colta con le mani nel barattolo della marmellata, in dubbio se leccarsi le dita e dichiararsi colpevole o fare gli occhi dolci e distogliere l’attenzione.
Jill glielo legge in volto, che quel pensiero sua figlia l’ha già fatto qualche volta.
 

*

 
Quando Dorea Potter apre la porta della stanza che momentaneamente –e, ormai lo sa, per sempre- è di Lily, il vassoio del tè tra le mani aristocratiche, quasi se lo aspetta di trovare quello che trova.
I capelli rossi della ragazza, distesi sul cuscino come una pezza di seta cangiante color del fuoco, si mischiano alla zazzera arruffata di suo figlio, addormentato con gli occhiali storti e la bocca semiaperta, sul cuscino rivestito di raso verde. Per un attimo le sembra di guardare un quadro, una tela su cui la sapiente mano di un artista ha dipinto con brevi e veloci tocchi di pennello l’essenza stessa di quei due ragazzi.
È passata appena un’ora da quando sono tornati, da quando ha visto Lily rifugiarsi in camera e James seguirla quatto quatto, quasi a cercare l’invisibilità del mantello che era di suo padre, e che ora è suo. Sorride appena fra se.
Come se lei non lo avesse visto, con quell’aria da cane bastonato rigirarsi per la casa per giorni e giorni, prima del funerale, e poi alla cerimonia stessa, lottare contro quell’istinto primordiale che è l’adolescenza, e che ti porta a pensare di avere tutti contro.
Il sorriso si tira in una smorfia poco felice, al pensiero che quei due ragazzi, e i loro amici, e lei stessa, e suo marito… tutti loro, hanno davvero qualcuno contro, in quel momento, adolescenza o meno.
Con il vassoio sempre ben saldo tra le mani e lo sguardo vispo e attento si avvicina ai due, notando le scarpe di entrambi ai piedi del letto, il modo protettivo in cui James tiene il braccio sulla vita di Lily, il viso sereno della ragazza e il colore scuro del suo abito a renderle il volto ancora più pallido di quanto già non sia.
Appoggia delicatamente il vassoio sullo scrittoio della camera, attenta a non far tintinnare le tazze di fine porcellana, e poi si dirige alle finestre, con l’unico intendo di chiudere le tende e, con esse, sbattere fuori il pallido sole invernale che fa capolino dalle vetrate.
Quando la stanza si adombra, finalmente, si dirige a passi lievi verso la porta, sempre attenta a non svegliare nessuno. Arrivata al battente di legno, però, si ferma un attimo e torna a voltarsi, l’espressione guardinga di una madre preoccupata e, a voler proprio vedere, anche imbarazzata. Socchiude lievemente gli occhi chiari, mettendo a fuoco le due sagome sul letto, che dormono della grossa e non si accorgono minimamente di lei e dei suoi pensieri.
Osserva attentamente l’abito da cerimonia che James ancora indossa, la camicia elegantemente chiusa nei polsi, i gemelli smaltati nei colori di Grifondoro –unica condizione posta quando, a undici anni, gli sono stati regalati da Fidelma e il resto della famiglia McKinnon-, il mantello che ancora non si è tolto. E poi la ragazza, con il suo abito scuro sotto al ginocchio, le calze color carne e un piccolo ciondolo al collo.
Forse è ora di fare a James e Sirius il discorso delle api e dei fiorellini.
È un pensiero veloce, quello che le passa per la mente, e che subito la fa avvampare come un ciocco di legna secca nel più caldo dei camini. Ringrazia di essere al buio, se la vedesse suo marito la prenderebbe in giro a vita per questa sua riluttanza nel riconoscere nei suoi bambini due giovani uomini.
Forse posso lasciare che sia Charlus a spiegare loro i meccanismi dell’essere umano.
 

*

 
Sento bussare alla porta con un tocco delicato, e alzo lo sguardo quel tanto che basta per incrociare quello scuro di Lène, che mi fissa dalla porta.
-posso entrare?-.
Inclino il capo e le faccio un sorriso divertito, pensando che, Merlino, a volte Marlene McKinnon è proprio in grado di stupirmi! Con tutte le volte in cui mi sono intrufolato in camera sua, mi chiede anche il permesso per entrare nella mia.
-hai finito di giocare a scacchi con Charlus?- chiedo curioso.
Lei mi rivolge uno sguardo a metà tra l’indispettito e il divertito, lasciandosi andare ad una risata strana.
-le pedine si sono rifiutate di giocare per me, lo hanno chiamato un suicidio di massa-.
Faccio un sorriso il più possibile compassionevole pensando che, effettivamente, è proprio negata a giocare a scacchi. Anche io, fossi stata una di quelle pedine, mi sarei rifiutato… ma questo è meglio non farglielo sapere.
-sei un bastardo, Sirius Black- mi si avventa contro con un pugno poco gentile al petto. Ecco, appunto, deve avermi letto nel pensiero.
-un bastardo che ti piace, però- le faccio notare indicandole il letto accanto a me e facendole segno di sedersi, o sdraiarsi.
-modesto-.
Annuisco, divertito.
-si, è una delle mie tante qualità, mi pare di avertelo già detto- le rispondo a tono –ma non ti devi preoccupare, mia cara, non sentirti in soggezione nello stare insieme ad un essere tanto perfetto-.
Ed eccoli, gli occhi scuri di Lène, assottigliarsi leggermente come quelli di un gatto.
-secondo te dovremo parlare un po’ di questa cosa dello stare insieme?- mi dice dopo qualche attimo di silenzio, in un tono leggero e disinvolto che quasi mi inganna. Se non avessi impiegato gli ultimi quattro mesi a studiarla come un’ossessione –quale è diventata, poi- quasi quasi potrei cascarci. Ma ormai, dopo averla guardata tanto, dopo averla vista in preda a qualsiasi emozione –dalla rabbia al dolore, dalla gioia all’estasi del piacere- non può più ingannarmi.
-se tu lo vuoi- mormoro in risposta con un tono egualmente falso.
Perché alla fine, le cose fra me e la McKinnon si sono risolte bene, no?
Insomma, a capodanno, con quei bei discorsi –discorsi sentiti, davvero- ho iniziato a crederci. E si, pensare in questi termini da una parte mi esalta dall’altra mi da il voltastomaco.
Non sono mai stato particolarmente romantico.
Ho voglia di toccarla, di sentire la morbidezza della sua pelle sotto i miei polpastrelli e di vedere il rossore –non avrei mai creduto che potesse arrossire tanto, l’algida, controllata McKinnon- sulle sue guance, sfumare sugli zigomi perfetti e illuminare gli occhi di gioia.
-hai pensato che abbiamo passato un sacco di tempo a parlare, in questi giorni, ma non abbiamo fatto altro?- mi chiede innocentissimamente, con un sorrisetto da bambina sulle labbra generose.
Deglutisco, ricordando d’un tratto che nemmeno io sono immune al rossore.
Non è cosa che mi faccia piacere ricordare.
Insomma, ha un così strano senso del pudore, Lène!
-mhmph, dici?- chiedo sfiorandole con le dita lievi il fianco, e sentendola trattenere il respiro per un attimo. Arrossisce, in un vampa di calore che invoglia a sfidarne ancora la presenza. Uno sguardo malizioso smentisce tutto, l’imbarazzo e il pudore, che forse è solo eccitazione ben celata.
-dico- mi risponde ridendo appena divertita, voltandosi fino ad avere il mio sguardo all’altezza del mio, una gamba lunga a contatto con la mia.
-se Zia Doree entra adesso in questa camera ci fa a fette e poi le dà in pasto ad Adone- le faccio presente sorridendo contro le sue labbra.
-e poi tu saresti un Grifondoro?- mi chiede beffarda, un sorriso sarcastico sulle belle labbra –alla faccia del coraggio-.
Ringhio divertito alzandomi sui gomiti e lasciandola scivolare sotto di me.
-mi stai dando del codardo, McKinnon?- le chiedo all’orecchio prima di prenderle tra i denti il lobo dell’orecchio destro. Un morso, un bacio, un morso, un bacio.
-…forse…- mormora soffocando un gemito e artigliandomi un braccio con la mano.
Soffoco un singulto quando inizia con dita lievi a slacciarmi i bottoni della camicia e…
-Sirius, è tuo il mant…-.
Al suono di voce di Zia Dorea scatto sull’attenti come una molla, scendendo dal letto ed allontanandomi da Lène con un unico movimento fluido.
Vedo lo sguardo della zia –pietrificata sulla porta con una mano ancora sulla maniglia- saettare da me a Marlene e poi da Marlene a me, soffermandosi sulla camicia mezza sbottonata e sul succhiotto sul collo di Lène, che io mi stavo diligentemente impegnando a marchiare.
La vedo deglutire, poi scuotere appena il capo.
-non fa niente- mormora con voce flebile, sempre inchiodata dallo stupore.
Immagino le servirà qualche minuto per riprendersi.
 

*

 
Dorea si chiude alle spalle la porta della camera di Lily, poi va verso le scale ripercorrendo la lista delle cose da fare nel pomeriggio.
Ha delle scartoffie da compilare per il lavoro –e chi se lo immaginava che fare l’Auror comportasse un tale spreco di carta e di inchiostro?-, deve andare alla Gringott per sistemare alcuni conti, passare per l’ennesima volta a casa McKinnon per cercare di far ragionare la sorella, andare in ufficio a portare le scartoffie ed essere in casa in tempo per cena. Sono solo le tre del pomeriggio, e già si sente stanca.
-ehi, hai finito di giocare a scacchi con tuo zio?- chiede a Lène quando la ragazza le passa accanto per salire al piano di sopra, sulle scale.
-si- le risponde tetra la ragazza.
Dorea sorride, lei e Marlene si assomigliano sotto molti punti di vista. Quando lei perde a scacchi contro suo marito diventa intrattabile, e perde sempre perché non ci azzecca per niente con gli scacchi.
-vuoi che passo da casa tua per prendere il baule per Hogwarts, Lène?-.
La ragazza si ferma un secondo solo sulle scale, forse pensando che le piacerebbe passarci lei, da casa propria, per prendersi il suo baule.
-si, grazie zia-.
Dorea annuisce, continuando il percorso per raggiungere la sala. Su una delle poltrone, un mantello scuro fa bella mostra di se, le iniziali elegantemente ricamate in filo d’argento sul colletto.
Merlino, i ragazzi si dimenticherebbero persino la testa se non l’avessero attaccata al collo.
Afferra il mantello di velluto pesante –quello elegante, non quello ordinario-, lo scruta attentamente con occhio critico e si volta ancora verso le scale.
Le fa talmente tante volte, in quei giorni, per star dietro a quegli impiastri dei figli, che ormai non rischia nemmeno più di avere il fiatone dopo l’ennesima sfacchinata.
Si dirige senza indugio verso la camera di Sirius, soprappensiero.
-Sirius, è il tuo mant…-
Le manca la voce quando vede quello che ha davanti.
Resta imbambolata per qualche attimo, lasciando che il suo sguardo passi da un Sirius enormemente scompigliato e con l’aria colpevole di un cane bastonato ad una Marlene con lo sguardo innocente, la cui innocenza è completamente messa in dubbio dal segno rosso che ha sul collo.
Lei, stesa sul letto, lui, in piedi e in imbarazzo.
-non fa niente- mormora con voce flebile all’indirizzo del figlio adottivo.
Le serve qualche minuto per riprendersi dallo shock.
-fate come se non fosse successo niente, il tuo mantello-.
Detto questo, si volta e veloce com’è arrivata se ne va, richiudendosi la porta alle spalle e tirando più sospiri velocemente.
È proprio il caso di far loro il discorso delle api e dei fiorellini.
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
 
buonasera a tutti! Vi ho fatto aspettare un po’ per quest’ultimo capitolo, però ho un modo per farmi perdonare. Finita di aggiornare questa storia aggiungerò immediatamente il prologo della seconda parte, che ho già finito di scrivere, quindi diciamo che entro al massimo una decina di minuti dovrebbe essere online!
Si chiamerà “L’amore ai tempi dell’odio”, e la troverete sulla mia pagina, come sempre.
Detto questo, dall’inizio della seconda parte si cambia metodo di narrazione….
Bene, non so più che dire quindi mi sa che mi congederò,
grazie a tutti per le recensioni, risponderò tra domani e dopodomani, giuro
buona lettura,
Hir.
 
P.S. se vi va di leggerla, ho aggiunto una storia sulle sorelle Black, che non c’entra nulla con questa ff, ma che comunque potete trovare sul mio profilo. Si intitola “…ma, più di ogni alta cosa, la bocca delle Black”
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 

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