Will You Be There II di Looney (/viewuser.php?uid=81406)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mickey In The Sky With Diamonds (You Got To Be Free!) ***
Capitolo 2: *** Wish You Were Here (And You Run, And You Run To Catch Up With The Sun) ***
Capitolo 3: *** Do You Need Some Time... All Alone (And Where Your Fears Subside, And Shadows Still Remain, I Know That You Can Love Me) ***
Capitolo 4: *** Send Me An Angel (Because sometimes you can't choose-Prima parte) ***
Capitolo 5: *** Fallen Angel (Because sometimes you can't choose...Or not?-Seconda parte) ***
Capitolo 6: *** I've read your last page ***
Capitolo 7: *** Solitudine isn't your destiny ***
Capitolo 1 *** Mickey In The Sky With Diamonds (You Got To Be Free!) ***
Mickey in the sky with diamonds
(You got to be free!)
“Avanti,
nonna, prova a prendermi, se ci riesci!”
“Sono
troppo lenta per te, Mike, non ho più
vent’anni!”
“Ma
io ne ho soltanto sei, nonna!”
“Appunto!”
Correvo
veloce come una bicicletta nuova e bellissima, impossibile da
raggiungere, e mi sembrava che stessi correndo solo io in quella
distesa di erba, ma non ero sola: la nonna mi rincorreva ridendo, e
nonostante la sua età mi raggiunse, afferrandomi le caviglie
e facendomi cadere come un sacco di patate.
Questo
sacco di patate, però, cominciò a rotolare sul
prato, seguita dalla sua compagna, che però si era
dimenticata di un piccolissimo particolare,
e questo piccolissimo particolare, di nome Fernando, stava innaffiando
le piante e gli alberi del nostro giardino, e non voleva essere
disturbato da nessuno.
Infatti poco
dopo le nostre risate furono interrotte da un grido che sembrava molto
simile ad un ruggito.
“Ma
non avete nulla di meglio da fare durante il giorno? Fiordaliso, mi vergogno di te!”
“Sei
un rompipalle assurdo, Fernando! Sto semplicemente giocando con Mike,
non mi pare che ti stiamo dando tanto fastidio!”
“Devi
sapere che io ho bisogno di quiete
quando svolgo il mio
lavoro…”
“Certamente, allora a quest’ora
te ne saresti già andato!”
“Non
è questo il punto!”
Rimasi
a fissare la nonna e Fernando mentre litigavano: era uno spettacolo
unico, ed uno dei miei passatempi preferiti!
Litigavano
per qualunque cosa, e potevo godermi la loro rappresentazione ad ogni
ora della giornata, ogni giorno ed in qualsiasi luogo.
Ma
dopo le loro sfuriate ritornavano i sinceri amici di sempre, e la mamma
tirava un sospiro di sollievo, seguito dai miei applausi e dalle mie
grida.
Purtroppo
quel giorno il divertimento durò pochissimo,
poiché la nonna e Fernando riuscirono a trovare un
compromesso ragionevole: noi saremmo rientrate in casa, e lui sarebbe
rimasto solo soletto insieme alle sue amate piantine.
Io non
volevo assolutamente allontanarmi dal nostro bel giardino, ma la nonna
mi prese per mano e mi trascinò al portone di legno,
ignorando il mio disappunto; anche se la finta durezza dei suoi occhi
mi diceva che era molto dispiaciuta di vedermi così triste e
sola.
Poveri
adulti, soffrono così tanto nell’assolvere i loro
doveri!
Anche
io, però, non ero molto contenta di svolgere i miei: appena
misi piede sul tappeto dell’atrio ed osservai
l’attaccapanni in un angolo traboccante di abiti ed il
minuscolo e buio corridoio che conduceva in soggiorno, mi sentii
inghiottire dalle pareti fameliche della casa e scoppiai a piangere, in
preda al terrore di morire divorata dalla mia stessa casa.
Mia
nonna addolcì la stretta per consolarmi, anche se le sue
parole non mi aiutarono in alcun modo, anzi, le lacrime continuavano a
bagnare copiosamente le mie guance ed il vestitino bianco, impedendomi
addirittura di muovermi dalla mia scomoda posizione.
Fu in
quel momento che la nonna, stanca di vedermi piangere, mi prese in
braccio e mi fece sedere sul vecchio divano, chiedendomi di aspettarla.
Mi
voltai, e vidi le sue gambe salire velocemente le scale: mi chiesi cosa
avesse in serbo per una bambina triste che aveva bisogno di essere
consolata.
Lo
seppi qualche minuto dopo, quando la vidi comparire nel soggiorno con
una pila di polverosi LP tra le braccia, che posò subito
sulla coda del pianoforte, creando piccoli sbuffi di polvere che mi
fecero starnutire anche da una certa distanza.
“Avanti,
questi dischi così vecchi nascondono delle canzoni che
farebbero impallidire i compact disc di oggi! Scommetto che dopo aver
ascoltato una bella canzone ti sentirai subito meglio”
Con
una forza incredibile per una signora di quarant’anni suonati
come lei, si accinse a spingere il giradischi in un punto nel quale
l’acustica della stanza era migliore, spulciò con
cura i 45 giri, e ne scelse uno dalla copertina disegnata, che non
avevo mai visto rovistando tra i suoi dischi.
Però,
non appena la puntina cominciò a danzare tra i solchi del
vinile, riconobbi la canzone, che penetrò in me con una
folata di vento gelido, rigenerandomi fino alle ossa.
Come
tutte le volte che la musica si insinuava nel mio corpo, i miei piedi
iniziarono a muoversi da soli, arrivando a staccarsi da terra: volavo
nel cielo come Lucy, circondata da una miriade di diamanti e bambini
sorridenti, mentre mia nonna cantava nel coro, ondeggiando come un
budino all’amarena.
Mi
lasciai scappare un sorriso, vedendola: sembrava una mamma che voleva
somigliare alla figlia, e la figlia la sgridava per il suo
comportamento infantile, con una aria
da saputella impareggiabile, dicendole che il suo comportamento non era
consono a quello di una donna grande e grossa come lei.
Ma la
mamma non la ascoltava, e pensava a prendere
in prestito i suoi dischi, ignorando gli urli ed i lamenti
della povera figlia.
Somigliava
molto alla storia che mia nonna mi raccontava spesso per tenermi buona,
insieme ad altre di sua invenzione, oppure ai vari ricordi della mamma,
quando era ancora una bambina spensierata e imprudente, che amava far
impazzire la povera nonna.
Quante
ne aveva combinate la mamma prima che io nascessi!
Le mie
risate si allontanarono con le ultime note della canzone, lasciandomi
stranamente felice: aveva ragione, quella canzone, non si doveva essere
pessimisti, bensì rendere le situazioni tristi migliori di
quel che sono.
“Allora,
ti senti meglio,
tesoro?”
“Benissimo,
nonna! Ma che ne dici se ascoltiamo uno dei dischi della mamma?”
“Non
possiamo tesoro, se la prenderà con me e con la mia
incorreggibile immaturità! E poi, ci sono altri album molto
più belli di quelli della mamma, che ne so… Ti
andrebbe bene Elvis?”
“Io
voglio Michael, non Elvis!”
“Uffa,
e va bene, ma solo per cinque minuti!” sbuffò, mia
nonna, che esaudiva tutti i miei desideri per il solo piacere di
vedermi sorridere.
“Evvai!”
La
nonna salì le scale ancora una volta, stavolta decisamente
più imbronciata, mentre io saltavo avanti e indietro per la
stanza, arrivando addirittura sul divano e dietro le tende delle
finestre, e fingendomi un ladruncolo che non voleva farsi scovare dai
padroni di casa.
Quando
ritornò, stavolta trasportando pochissimi vinili rispetto al
primo viaggio, mi catapultai davanti al pianoforte con un sorrisone
disegnato in viso e le mani dietro la schiena, dondolandomi sui talloni.
Finalmente,
dopo tante ore di noia, potevo divertirmi ballando al ritmo delle mie
canzoni preferite!
“Hai
preso Bad, vero?” chiesi
eccitata alla nonna.
“Sì,
l’ho preso, tesoro, non preoccuparti” rispose
stancamente lei.
“Lo
mettiamo?”
“È
quello che sto facendo, un po’ di pazienza”
“Va
bene”
Continuai
a sorridere fin quando la musica attaccò, e lì mi
lanciai in pista assieme a Michael ed alla sua banda di delinquenti,
cantando a squarciagola Bad, che
ormai sapevo a memoria, mentre mia nonna mi guardava con le lacrime
agli occhi, accennando a malapena dei complimenti.
Ogni
volta che mi vedeva ballare per lei era un’emozione
grandissima, ed a stento riusciva a controllarla, sciogliendosi fino a
creare una montagnola di fazzoletti di fronte a sé, rigonfi
di tutte quelle lacrime che le procuravo: era strano, il suo
comportamento, ma la sua gioia mi faceva sentire importante.
Cercavo
perciò di dare il meglio di me stessa per renderla ancora
più orgogliosa della sua unica nipotina, e come compito era
abbastanza facile, visto che si emozionava per un fiore sbocciato tra
l’asfalto od un tramonto sull’oceano.
Stavo
giusto completando una giravolta, quando sentii la porta sbattere
violentemente e dei passi inconfondibili che si avvicinavano al
soggiorno.
Bastò
un attimo, un’occhiata fulminante e delle sopracciglia
pericolosamente aggrottate a scatenare l’inferno: mia madre
si diresse velocemente verso mia nonna, lanciando la cartella piena di
libroni sul pavimento, facendomi sobbalzare, e la aggredì
guardandola dritta negli occhi.
“Mamma,
ti ho detto di non toccare i miei dischi centinaia
di volte! E tu cosa fai?
Li tocchi! E
li ascolti!”
“Ma
era solo per far contenta Mike, non scaldarti così,
tesoro…”
“Io
non mi sto scaldando! Ora, rimetti subito a posto Bad,
ed esci da questa stanza!”
“Su
- subito, cara…”
La
nonna obbedì ai voleri della mamma come se fosse stata sua
schiava, raccogliendo tutti i dischi e riportandoli al piano superiore,
sbuffando e mormorando insulti contro destinatari sconosciuti.
Faceva
davvero una brutta impressione, la mamma che obbediva alla
figlia…
Per
fortuna nel mio caso non era così: non mi piace comandare,
soprattutto chi ha molta più esperienza di me, e potrebbe aiutarmi
molto.
Mia
mamma ne
approfittò per coccolarmi, e per domandarmi come era andata
la giornata: le raccontai le solite cose, rimanere tutto il giorno in
casa con qualche minuto di gioco all’aperto a disposizione
non riservava molte sorprese.
Lei
invece, al college, aveva sempre tante cose da fare, e non si annoiava
mai!
Per
fare un esempio, era la miglior giocatrice di baseball della scuola, e
tutti i suoi compagni maschi la ammiravano in modo smisurato: volevano
addirittura che si candidasse come presidente del consiglio studentesco
o come capitano della squadra di baseball dell’istituto, ma
mia madre aveva cose più importanti a cui pensare, tra le quali io.
Terminare
il liceo per lei era stata un impresa
immane, e solo ora che ero cresciuta poteva sorridere come una volta,
stringendomi forte al petto, e dimenticando tutto quello che aveva
passato per rendermi felice.
Il
college era una scusa per mantenere tutta la famiglia una volta
laureatasi, e per lasciare, un giorno, quella vecchia casa di Beverly
Hills.
Come
era bello andare a scuola. Se solo avessi potuto anche io…
Quelle
poche volte che uscivo di casa, accompagnata da qualche famigliare,
naturalmente, chiedevo di andare al parco affinché potessi
vedere i bambini divertirsi e giocare insieme, con tutte le
libertà concesse alla loro età, ed anche per
sentirmi meno sola.
Io non
potevo avvicinarmi, poiché secondo mia madre o mia nonna era
pericoloso: non sapevo bene cosa ci
vedessero di pericoloso, fatto sta che morivo dalla voglia di lasciare
le loro mani, e correre verso quei bambini sconosciuti, ma non di certo
pericolosi.
I
bambini possono essere qualunque cosa, ma non cattivi.
Cattivi
è una parola troppo grande per loro, poiché non
sanno ancora cosa sia la cattiveria, né, nel migliore dei
casi, l’hanno ancora sperimentata.
La
cattiveria verso un bambino è terribile, se facessero
qualcosa di simile a me non so come reagirei: probabilmente diventerei
pazza, e dovrei andare in giro con uno psicologo, diventando via via un
vegetale, costretta a
vivere senza pensare.
E
questa non è vita.
Farei
meglio a non pensare a queste cose, ma la sofferenza del mondo
è tanta, e pochi uomini di buona fede non bastano per
cancellarla.
Forse
sono troppo altruista, e mi preoccupo troppo per gli abitanti di questo
pianeta, ma la mia natura me lo
impone.
Non
posso farci nulla.
Soltanto
trovare una via di uscita dalla mia prigione dorata, e fuggire verso il
mondo, in modo da placare la mia sofferenza, e poter finalmente aiutare
qualcuno.
L’occasione
giusta mi si presentò verso gli inizi di giugno, quando mia
madre era molto impegnata con gli ultimi compiti in classe, mia nonna
rimaneva tutto il giorno a mollo nella vasca per colpa del caldo
straziante, e Fernando si occupava ancor di più del suo
adorato giardino, che in estate si riduceva ad un deserto, cercando di
salvarne il più possibile.
Gli
unici ingressi della casa erano quello principale ed una porta sul
retro della cucina, che però non veniva mai usata, e che
purtroppo dava sul giardino, ma per mia fortuna ero molto agile, e
riuscii ad arrampicarmi sul tetto dalla finestra della mia cameretta,
atterrando infine sull’erba spinosa del retro, evitando il
pericolo di essere scorta da qualche guardone e da mia nonna, che
sguazzava nella vasca al piano superiore, con la finestra aperta.
Ero
caduta come un sacco di patate, rovinandomi le mani e le ginocchia, e
sporcandomi il vestito di polvere e fango, ma non mi importava molto
della mia salute: ero libera.
Mi
pulii il vestito con cura ed in punta di piedi raggiunsi la spaventosa
staccionata in ferro battuto, che riuscii a scavalcare dopo vari
tentativi, visto che le mie gambe erano molto corte
e la trama piuttosto rada e scivolosa.
Dovetti
sbilanciarmi pericolosamente per arrivare dall’altra parte, e
rischiai quasi di cadere un paio di volte, ma quando toccai terra ero
sana e salva, pronta per continuare la mia avventura.
Sbucai
probabilmente nella proprietà di qualche altro riccone, ma
non mi importava molto: non ero assolutamente spaventata da
ciò che avrei potuto incontrare nelle vie di Los Angeles,
né tanto meno ero preoccupata di farmi scoprire da qualche
essere umano ciarlone.
Il
vento dell’avventura soffiava in me ad una
velocità costante e potente, e finché non si
fosse esaurito non avrei avuto paura di nulla.
Fu
così che mi ritrovai a camminare per il viale parallelo a
quello nel quale si trovava la mia casa, e man mano che il mio cammino
proseguiva, aumentavo il passo, fino a correre verso il centro della
città in aperta discesa, schivando le macchine come
un’antilope rincorsa dai leoni.
Non mi
accorsi, però, di dove stavo andando, e mi ritrovai in un
posto alquanto particolare per me: qui le case erano molto
più sobrie che a Beverly Hills, e la gente decisamente meno
bizzarra.
Era
tutto così strano: non sapevo neanche che esistessero luoghi
così spogli ed ordinari in una città ricca di
stravaganze come quella in cui vivevo io.
La
curiosità, tuttavia, era molto forte, e decisi di andare
oltre quelle case, per scoprire se ce n’erano altre e dove
finivano.
Man
mano che proseguivo il mio cammino, stando sempre all’erta
come può farlo una bambina di quasi sette anni,
l’ambiente si fece meno silenzioso, e le case meno grigie,
mostrandomi ciò che contenevano, ovvero un luminoso tripudio
di persone dalla pelle ambrata e dagli abiti variopinti, che si
affaccendavano negli impegni più disparati: c’era
chi faceva il bucato in una tinozza piena d’acqua, chi
chiacchierava senza posa mentre tagliavano delle verdure in una
bacinella, chi cuciva con grande impegno, e chi si limitava a leggere
il giornale o a fumare una bella sigaretta.
Tra
tutto questo putiferio, mi attirarono le voci e le risate dei bambini
che giocavano lungo la strada, provvisti soltanto di un pallone di
cuoio e di tanta allegria.
Avvertii
una strana sensazione all’altezza del petto: quei bambini dai
capelli scuri non erano gli stessi che incontravo passeggiando mano
nella mano con mia nonna, e che si lagnavano per un ginocchio sbucciato
o per un’unghia rotta, richiamando all’attenzione i
loro fedeli babysitter che si apprestavano a soccorrerli.
Erano
bambini veri, bambini vivi e palpitanti di gioia, ai quali non importava cadere o
scivolare, ma rialzarsi e continuare a giocare, spensierati e puri come
agnellini al pascolo.
Ma a
quanto pare non tutti erano così.
Poco
lontano dal gruppo di piccoli giocatori, scorsi una sagoma seduta sul
ciglio del marciapiede, intenta a guardarsi i piedi, ed incuriosita, mi
avvicinai.
Scoprii
che era una bambina, all’incirca della mia età, ed
anche lei aveva la pelle ambrata ed i capelli neri come gli altri
abitanti della via, ma possedeva qualcosa di strano
che non riuscivo a comprendere.
Forse
era una falsa impressione, ma era così evidente la sua
particolarità…
“Ciao”
le dissi, dopo svariati ripensamenti e dopo una lotta contro la mia
temibile curiosità.
“Ciao”
mi rispose lei dopo qualche minuto, alzando il viso magro per poter
vedere il suo interlocutore.
Ma
dopo neanche cinque secondi ritornò al suo compito di
ammirare i sandali di pelle ai suoi piedi, e si dimenticò di
me.
Piuttosto
offesa, decisi di far
ragionare quella bambina tanto strana che si stava prendendo gioco di
me.
“Che
cosa stai facendo?”
“Sto
contando quanti granelli di terra ci sono in questo punto”
“E
come ci riesci?”
“Non
lo so. Ci riesco e basta”
Rimasi
piuttosto interdetta dall’affermazione della bambina: come
faceva a contare dei granelli di terra osservando semplicemente il
terreno sotto di sé, oltretutto non sapendo neanche da dove
provenissero i suoi poteri?
La
situazione si stava facendo veramente interessante, ed ero curiosissima
di saperne di più sul conto della piccola maga.
“Riesci
a contare soltanto quanti granelli ha questa parte di strada?”
“No.
Riesco anche a contare le stelle nel cielo, e le formiche in un
formicaio. Riesco a far muovere gli oggetti semplicemente ordinando
loro di spostarsi, e riesco a chiamare la mamma da una stanza
all’altra senza alzare la voce”
“Fantastico”
dissi, senza alcuna intonazione particolare: ero talmente sbigottita
dalle rivelazioni di quella ragazzina che non sapevo come risponderle.
Io non
avevo mai avuto talenti particolari, anche se andavo molto fiera di
ciò che sapevo fare: ero una brava ballerina, suonavo il
pianoforte e cantavo a squarciagola tutte le canzoni che ascoltavo,
senza sbagliare una nota al primo tentativo; ma non avevo mai provato a
spostare degli oggetti con la forza del pensiero, né
riuscivo a comunicare con mia mamma
telepaticamente.
Erano,
per me, delle facoltà inarrivabili.
Ed ora
incontro una bambina che possiede una forza psichica incredibile!
“Ah,
che stupida, non mi sono presentata! Sono Michael Diana Josefina, ma tu
puoi chiamarmi solo Mike!”
Porgo
la mano alla mia interlocutrice, che alza la testa solo per guardarmi
profondamente con le sue iridi nocciola, ma non ricambia il saluto.
Accenna
soltanto una caustica risposta.
“Io
mi chiamo Isabel, ma mia
mamma mi chiama Manasvi, che nella sua lingua significa intelligente”
“Fico!
Di che nazionalità
è, tua madre?”
“È
indiana”
“E
tuo padre?”
“Lui
viene dal Messico, e prima di venire qui
abitavamo nella Penisola della California”
“Davvero?
Il mio maggiordomo è californiano, si chiama Fernando!
Cucina benissimo, le sue
tortillas sono deliziose!”
Sentendo
le mie ultime parole, Isabel si scosse dal suo etereo torpore, ed il
suo naso arrivò a toccare il mio nel giro di neanche due
secondi: era bastato il ricordo del cibo a svegliarla dal suo
impegnativo lavoro, e mi stupiva che una bambina così
speciale e provvista di una mente eccezionale potesse essere attaccata
ai beni materiali in modo così maniacale!
“Come
hai detto che si chiama il tuo maggiordomo?”
“Fe-fernando…”
“Oh…Okay”
Isabel
si allontanò lentamente da me, senza distogliere i propri
occhi dai miei, ritornando alla sua silenziosa occupazione.
Io
arricciai il naso stupita: quella bambina era davvero strana!
Ma
c’era qualcosa in lei che mi attraeva: non era una semplice
simpatia, e neanche un fatto mentale.
La mia
anima e la sua erano molto simili, quasi gemelle.
Anche
lei era diversa dalle altre, possedeva abilità innate ed una
voce molto matura per una bambina, così tanto da far paura.
Cominciavo
ad affezionarmi a lei, nonostante la conoscessi da qualche minuto.
“Ehi,
se vuoi assaggiare le tortillas di Fernando posso anche accompagnarti a
casa mia…Solo che non so come ritornarci…”
“Ti
aiuto io a ritrovare la strada, seguimi”
Isabel
si alzò finalmente dal bordo del marciapiede e mi prese per
mano: quel gesto così semplice trasformò il mio
corpo, rendendolo incandescente come lava viva, e facendomi mancare il
respiro per la grande forza che si stava addentrando in me, fino al
centro esatto del cuore, facendone accelerare i battiti.
Quando
mi ripresi, faticosamente, il visino di Isabel mi fissava perplesso,
stringendo ancora la mia mano.
“La
tua pelle è molto fresca: sembra la carezza di un vento di
montagna”
Sembrava
non essersi accorta del mio mancamento, anche se nel suo sguardo si
leggeva il suo turbamento, mentre la voce era profonda e dolce come
sempre.
Non
seppi come rispondere: le sue poche parole mi lasciavano muta, con un
grande punto interrogativo al posto del cervello.
Sapevo
soltanto che dovevo fidarmi di lei, che mi avrebbe condotta fino a
casa, e che avremmo mangiato tante tortillas da far scoppiare i nostri
pancini.
Fu
così che ci incamminammo per le vie della città,
mano nella mano, in assoluto silenzio: i passanti ci osservavano
curiosi, alcuni si fermavano addirittura ad ammirare lo spettacolo,
altri rimanevano immobili, a bocca aperta, altri inciampavano sui
propri passi, altri ancora andavano a sbattere contro un lampione, ma
io e la mia nuova amica (perché di
questo si trattava) non badavamo molto a loro, e continuavamo
imperterrite il nostro cammino.
Arrivammo
davanti al cancello della mia villa in pochissimo tempo: il tempo in
compagnia di Isabel era volato.
Ed il
tempo con mia nonna e mia madre che mi sgridavano per essere fuggita di
casa sarebbe stato simile ad un macigno sulla mia piccola
testa… Se un fattore estraneo non sarebbe incorso a salvarmi
la vita.
Quando
spinsi il cancello per entrare, nessuno di mia conoscenza mi
assalì, anzi! Fernando sfoggiava un sorrisone degno di Louis
Armstrong, e mi salutò calorosamente, chiedendomi chi fosse
la bambina di fianco a me.
“Si
chiama Isabel” gli risposi “L’ho
incontrata poco distante da qui, e quando ha saputo che cucini delle
tortillas formidabili non ha perso tempo e mi ha chiesto di
accompagnarla a casa mia!”
“Hai
fatto proprio bene, cara! Ora finisco di potare le aiuole e sono da
voi. Intanto potete accomodarvi in
cucina”
Non mi
sembrava vero che Fernando, un tipo scostante e sempre imbronciato,
potesse essere così gentile con una sconosciuta, oltretutto
con una mia amica!
Era
qualcosa di incredibilmente meraviglioso, anche se non sapevo spiegarmi
il perché del suo strano comportamento: magari non si era
accorto veramente della mia scomparsa, e pensava che avessi fatto il
giro della casa, entrando così dal cancello
principale…
Purtroppo
le mie ipotesi erano deboli, e ben presto mi arresi all’idea
che i miei erano così stupidi da non essersi accorti dalla
mia fuga (meglio così, in fondo!) e che potevo presentare
Isabel alla mamma ed alla nonna senza troppi intoppi.
In
effetti erano
molto felici di conoscerla, e la ritenevano “davvero una
bambina brava e carina!”, e si offrirono anche di riportarla
a casa dopo la nostra merenda, ma lei declinò
l’invito con gentilezza, e dopo avermi indirizzato un altro
sguardo indagatore, spinse il pesante portone principale della nostra
casa e si incamminò verso il cancello, con una calma a dir
poco innaturale.
L’ultima
cosa che vidi di lei fu la sua treccia scura dondolare sul vestito
variopinto, muovendosi al ritmo dei passi della padrona.
Da
quello strano giorno Isabel venne spesso a trovarmi: talvolta mi
aspettava seduta sul marciapiede intenta a contare i suoi innumerevoli
capelli intrecciati e profumati, altre volte suonava direttamente il
campanello e chiedeva di me.
Quante
sere mi sono addormentata con il desiderio di risvegliarmi la mattina
successiva con la voce di Fernando che annunciava il suo arrivo! Non
ero mai stata così felice in tutta la mia vita: finalmente
avevo un’amica, una vera amica,
e con lei il mondo non mi sembrava più così
ingiusto come una volta.
Con
lei potevo parlare di qualsiasi cosa: aveva un’intelligenza
sconfinata.
Aveva
imparato a leggere a quattro anni, ed ora che ne aveva sei, le sue
letture preferite erano antichi scritti in sanscrito o in farsi, che
traduceva e comprendeva molto velocemente, grazie anche
all’aiuto della mamma, originaria di un paesino sperduto tra
il verde vicino Mumbay, oppure poesie e testi di filosofia
orientale, alcuni dei quali mi leggeva spesso ad alta
voce, facendomi emozionare moltissimo per la toccante interpretazione.
Isabel
aveva una voce meravigliosa, ma nonostante ciò non amava
cantare, e neanche ballare.
Si
riteneva piuttosto goffa, e preferiva leggere sdraiata sul divano che
giocare con i suoi coetanei, i quali la ritenevano piuttosto strana:
lei però, non dava molto peso alle loro chiacchiere, e
riusciva quasi sempre a vendicarsi di chi la prendeva in giro.
Mi
raccontò che, una volta, quando era ancora molto piccola ed
abitava nella California, un bambino più grande
l’aveva insultata per via dei suoi lunghi capelli ondulati,
che teneva sempre sciolti lungo la schiena, dicendole che era troppo
piccola per poter sopportare il peso dei capelli sulla testa.
Lei
all’inizio non mostrò alcun interesse per le
parole del ragazzino, rimanendo immobile e zitta a fissare
l’orizzonte del mare primaverile, ma dopo qualche minuto lo
stesso si sentì sollevare in aria per i capelli, per poi
essere trascinato per tutto il paese, urlando e lamentandosi, senza
tuttavia capire da dove provenisse la misteriosa forza che lo stava
sfottendo.
Non si
era infatti accorto che
la piccola Isabel lo seguiva a debita distanza, mantenendo lo sguardo
fisso su di lui, una selvaggia gioia che brillava nei suoi occhi
sinceri.
Grazie
ai suoi poteri poteva vendicarsi senza far del male a nessuno, e ne era
molto soddisfatta: odiava la violenza, soprattutto se per puro
divertimento.
Non
capiva cosa gli uomini ci vedessero di così bello nelle armi
e nelle uniformi militari, pomposo sfoggio di macabre azioni compiute
per il bene della patria e per la gioia delle famiglie.
Io
appoggiavo appieno le sue idee, ritenevo la guerra un crimine
dell’intera umanità: gli uomini erano molto
stupidi se non riuscivano a risolvere i propri problemi con altri Stati
utilizzando la diplomazia.
Mi
pare che non abbia fatto male a nessuno…
La
guerra, invece, provoca solo dolore, ed è ingiusto
combattere se si ha davanti un nemico più debole ed
impreparato, ma la maggior parte delle volte è stato
così.
Non
posso far altro che vergognarmi per i soprusi che il mio Paese ha
compiuto in passato verso chi non era capace di difendersi, oltretutto
idolatrando gli artefici di certi scempi.
Sono
avvenimenti orribili, sui quali molti onesti cittadini americani
dovrebbero riflettere.
E se
non riuscivano a riflettere da soli, c’era Isabel che li
aiutava: era capace di controllare i pensieri e perciò le
azioni degli altri, ma usava questo potere solo nei casi di emergenza,
e quando riteneva fosse opportuno non creare ulteriori impicci da parte
di persone cocciute o imprudenti al danno di individui ragionevoli e
dotati di un ottimo cervello.
Era la
stessa tecnica che aveva adottato con la mia famiglia, e quando me lo
disse ci rimasi di stucco! Non avevo minimamente pensato che i suoi
poteri psichici potessero essere così potenti, e neanche che
li avesse usati per non farmi sgridare da mia
mamma o da Fernando; ma dopo lo sconcerto iniziale, capii
che l’aveva fatto solamente
perché mi voleva bene, e naturalmente per permettermi di
incontrarla altre volte.
Era
molto gentile e generosa, nonostante il suo apparente mutismo, e sapeva
riempirti la giornata in pochi minuti.
Riuscivamo
a capirci anche senza parlare, sia oralmente che mentalmente, anche
perché la mia mente non era così sviluppata da
permettermi di comunicare con Isabel senza alzare la voce.
Lei,
invece, poteva vedere cosa passava per la mia testa, e me ne accorgevo
avvertendo una sgradevole sensazione ai lati della testa: come se mi
stessero aprendo il cervello e vi frugassero con le mani senza alcuna
pietà.
Infatti,
dopo neanche due volte, Isabel smise di osservare i miei pensieri, e si
concentrò di più sul mio aspetto: mi riteneva una
bambina molto fortunata, e soprattutto ricca.
Io le
rispondevo che non era così, ma lei insisteva, e mi invitava
a guardarmi allo specchio, poiché molte volte chi ha delle
grandi qualità o una montagna di soldi tende a nasconderli,
negando sempre la verità.
Eppure
ogni volta che mi specchiavo, non vedevo una bambina fortunata e ricca:
vedevo Mike, punto e basta.
O al
massimo, una bambina felice.
Nulla
più.
Un’altra
curiosa caratteristica di Isabel era il suo insaziabile appetito:
adorava mangiare, soprattutto i dolci, e non disdegnava nessun piatto,
neanche il più apparentemente disgustoso.
Ed il
bello era che non ingrassava di un chilo, rimaneva sempre magra e
leggera come un fuscello.
Forse
il cibo era l’unico appiglio al mondo terreno, che le
impediva di volar via con la mente, poiché ogni volta che si
trovava a tavola si trasformava in una bambina normale, senza alcun
potere sovrannaturale, e perdeva quella bella voce profonda che tanto
mi piaceva.
Ma non
appena si alzava dalla sedia e non vi era più traccia di
cibo nel suo piatto, ritornava la Isabel
silenziosa e sincera di sempre, quell’amica di cui potevo
sempre fidarmi.
Quell’amica
che non mi avrebbe mai tradito.
Piccola
e magra, ma con una grande mente,
un grande stomaco, e soprattutto un grande cuore.
Rieccomi,
signorineeeeeeeeeeeeeeeeee *___*
Allora, vi
sono mancata?=D Spero di sì, perché voi vi siete
mancate tantissimo!
Non vedevo
l’ora di pubblicare questa seconda parte per leggere i vostri
commenti e scoprire cosa ne pensiate!XD Purtroppo non
aggiornerò con cadenza regolare, la scuola non mi permette
certi svaghi -.-“ Ma
sappiate che ora mi sono ingegnata!ù__ù Ho
già scritto tre capitoli (di cui l’ultimo
è da finire) e pubblicherò il secondo non appena
avrò iniziato il quarto.
Perciò
non manca molto, abbiate un po’ di pazienza!XD Vi chiedo
anche di pazientare in questi mesi, per i motivi che già vi
ho esposto.
Per favore,
non prendetevela con me e con la mia pigrizia, perché tanto
non servirà a nulla! Prendetevela con la mia maledetta
scuola!ù__ù
Vabbè,
ora è arrivato il momento di spiegarvi un po’ di
cosette: innanzitutto la narratrice sarà Mike, la nipote di
Fiorellino, come lei lo fu a suo tempo, ma alcune volte
userò la terza persona per descrivere luoghi e situazioni diversi dalla
prospettiva di Mike. Inoltre, non parlerò propriamente di
Michael, ma anche di altri artisti molto importanti, e tutto
ciò per un motivo preciso, che vi spiegherò
successivamente XD
Ah,
un’altra cosa: proprio perché compariranno artisti
differenti da Michael, non sarà propriamente una storia su
di lui… Perciò, starà a voi decidere
se inserirla o meno
nelle crossover =D Naturalmente i primi capitoli non sono
così importanti da questo punto di vista, ma col tempo
potrete inviarmi delle proposte!
Okay, ho
detto tutto!XD Ringrazio tutti coloro che hanno seguito la prima parte
di Will You Be There (e spero seguano anche la seconda XD) e tutti i
nuovi fan che mi farò ù__ù (che
modestia!)
Ringrazio
inoltre le care Rò (GioTanner)
ed Ale (_Ticket) per avermi aiutato
a scegliere titolo e sottotitolo di questo capitolo: grazie infinite,
ragazze! Senza di voi non so come farei!*__*
Ancora
tantissimi abbracci pelosi e ricciolosi =D
La vostra Looney resuscitata!**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Wish You Were Here (And You Run, And You Run To Catch Up With The Sun) ***
Wish You Were Here
(And you run, and you run to catch up with the sun)
Se ne
stava comodamente sdraiata sul divano, e non pensava a nulla:
perché avrebbe dovuto?
Pensare
fa male, soprattutto ad un cervello piccolo e imbecille come il suo.
Ma
allora, perché questo
insignificante cervello si ostinava tanto a pensare alla sua unica
nipotina, la sua unica ragione di vita assieme a sua figlia, ben
sapendo che stava benissimo e si stava divertendo un mondo?
Era
una di quelle domande a cui non sapeva rispondere, e non
perché lei fosse una stupida (ma, in fondo, ci mancava poco)
ma perché queste domande non avevano semplicemente una
risposta.
Incredibile,
ma vero.
L’unica
persona che, poi, poteva aiutarla, era perennemente irreperibile, e
l’ultima volta che si erano parlati risaliva a qualche mese
prima; oltretutto, le aveva già spiegato tutto nei minimi
particolari, e non riteneva necessario farsi vedere molto spesso nei
pressi di casa sua.
Per
questo la sciagurata doveva compiere svariati cambi di autobus e taxi
prima di raggiungere la sua nuovissima villa, un luogo magico e
surreale, talmente incredibile da sembrar tutto una finzione, per
strappargli qualche povera informazione sul suo difficile ruolo di
educatrice.
Purtroppo
Michael, quando si parlava di ciò, diventava una persona
molto misteriosa, ed ero perciò difficilissimo che regalasse
qualche consiglio, anche alla sua migliore amica, la persona di cui era
sicurissimo di potersi fidare, e viceversa.
Cominciava
a capire che l’affetto che lei nutriva per lui non era
ricambiato allo stesso modo, o magari era una sua
impressione…
Boh.
Sapeva
soltanto una cosa: senza di lui, era completamente perduta!
“Fiordaliso,
qui c’è una persona che vorrebbe tanto parlare con
te!”
La
vociona di Fernando la svegliò dal suo sonno, facendola
voltare curiosa verso di
lui: ciò che vide, anzi chi
vide, le bloccò il respiro, lasciandola a bocca aperta come
un pesce fuor d’acqua.
Al
contrario, Michael sembrava perfettamente a suo agio nel suo salotto, e
non aspettava altro che una reazione dalla povera donna di fronte a lui.
Purtroppo,
Fiordaliso aveva dei riflessi molto lenti; quando si decise a tornare
in compagnia dei mortali, Fernando la osservava rassegnato: quando si
sarebbe decisa, quella donna, a crescere?
“Michael
è venuto per parlare con te. Dice che si tratta di una
questione molto importante. Se
magari…”
“Oh
sì, non c’è problema, Fernando, lascia
fare a me!”
“Va
bene” sbuffò esausto il povero maggiordomo, e si
accinse ad andare ai piani superiori, senza prima aver dato
un’altra occhiatina ai due che ora sedevano sul divano, e che
lo stavano spiando a loro volta.
Quando
furono sicurissimi che nessuno li guardasse, si scambiarono uno sguardo
d’intesa: era il segnale.
“Perché
non ti sei fatto sentire quando io ti ho cercato?”
“Avevo
degli impegni, Fiorellino! Se non l’hai ancora capito, sono
Michael Jackson…”
“Non
preoccuparti, non sono così scema! Comunque,
io volevo parlarti di Mike”
“Dimmi,
avanti”
Michael
si sistemò meglio sul divano, mente Fiordaliso cominciava la
sua confessione.
“Qualche
tempo fa, mia nipote giocava nella sua cameretta con una bambina, una
certa Isabel, ora non mi ricordo bene il nome… So solo che
si divertivano un mondo, e non avevo mai visto Mike così
felice in tutta la sua vita! Aveva una compagna di giochi, e non la
smetteva mai di ridere”
“Ed
allora, qual è il problema?” domandò
Michael, spalancando i suoi grandi occhi scuri in direzione di
Fiordaliso, che subito sentì i peli delle braccia rizzarsi
in un brivido.
Lei
abbassò lo sguardo, cercando l’ausilio del suo
coraggio, che purtroppo accorreva soltanto nei momenti meno impensati.
“Il
problema è che non mi ricordo da dove è sbucata
la sua amichetta…” mormorò imbarazzata,
guardandosi sempre le gambe.
Michael
si era rifiutato di riprenderla, poiché non era colpa di
Fiordaliso se ella non si ricordava della piccola Isabel, e non voleva
farla sentire in colpa per la sua frequente svenevolezza.
In
quella faccenda c’era lo zampino di qualcun altro.
Una
persona cui Fiordaliso non avrebbe mai pensato.
“Non
ti ricordi neanche il giorno in cui Mike ti presentò la sua
amica?”
“No.
L’ultimo mio
ricordo risale a molti giorni prima di aver sbirciato nella loro
cameretta, ma non era nulla di rilevante. Piuttosto, mi sembra di aver
molti punti vuoti nella memoria…È tutto
così sfocato…”
“Come
se qualcuno ti avesse cancellato alcuni ricordi…”
“Esatto!
Anche se ho una strana immagine in mente, che non riesco a decifrare:
sono affacciata alla finestra, proprio quella, dietro di te, ed a un
certo punto scorgo mia nipote, che cammina in direzione del cancello. Mi alzo, e decido di andarle a chiedere
spiegazioni, ma non appena metto piedi fuori casa mi sento avvolgere da
uno strano calore, ed una presenza estranea sembra impossessarsi della
mia mente… E poi non mi ricordo più
nulla” concluse Fiordaliso guardando nel vuoto, cercando
qualche possibile indizio che potesse aiutarla a risolvere quel bel
mistero.
Michael
rimase in silenzio: non sapeva cosa dire, anche se si era
già fatto un’idea su chi fosse
l’assalitore mentale di Fiordaliso.
Il
problema era come dirglielo…
“Mi
hai detto che ti sei sentita avvolgere da un grande calore…”
“Sì”
“E
che qualcuno ha cominciato a
rovistare nel tuo cervello”
“Come
scusa?”
Fiordaliso
si sentiva piuttosto a disagio: perché Michael era
così sicuro di ciò che diceva?
Nascondeva
forse qualche altro mistero in quel sorriso così dolce e
spontaneo?
“Un
essere umano dai poteri psichici molto sviluppati ha penetrato le tue
deboli barriere mentali, ed ha manipolato i tuoi pensieri. Non
c’è altra spiegazione alle tue dimenticanze”
“Questo
vuol dire…”
“Che
non ti ricordi dell’amica di Michael semplicemente
perché una persona ha fatto in modo che passasse
completamente inosservata ai tuoi occhi. E quella persona non
può essere altro che Isabel”
“Ma
come fai a esser così certo di quello che dici? Isabel
è solo una bambina, e non penso che possieda dei poteri
così straordinari…”
“Non
centra nulla. Isabel non possiede soltanto quei fantastici poteri, ma
anche un’intelligenza smisurata. Lo so, perché
l’ho conosciuta personalmente”
“E
dove?”
“Me
l’ha presentata un amico” sorrise Michael, un
sorriso molto enigmatico, inquietante.
Fiordaliso
rabbrividì, nonostante si stesse avvicinando la primavera ed
il sole splendeva tranquillo in cielo: le era ancora difficile credere
che una star della musica come Michael, un uomo così
conosciuto, in ogni parte del mondo, potesse in realtà
nascondere la sua vera natura, quella di un messaggero sceso tra di
loro per trasmettere i veri valori di cui ogni umano ha bisogno.
Pochi
conoscevano la sua vera storia, ed altri meno il suo grande segreto:
eppure, per queste fortunate persone, la sua figura rimaneva ancora un
mistero.
Anche
per Fiordaliso, che aveva visto versargli lacrime ingiuste, e che
l’aveva consolato stringendolo tra le braccia quando era
ancora un bambino, che l’aveva strappato da un destino
crudele, e gli aveva permesso di far conoscere il suo talento al mondo
intero.
Di
fronte ai suoi occhi custodi di realtà terribili, lei
diventava del tutto impotente.
“Un
amico molto speciale” continuò Michael, vedendo
che la sua amica non rispondeva, e lei si girò
distrattamente verso di lui, come se non si fosse accorta di
ciò che aveva appena detto.
Si
riprese dai suoi viaggi mentali annuendo e domandando senza alcuna
intonazione particolare :”Un
amico?”.
“Sì”
le rispose Michael, come se stessero discutendo di tappezzerie per
bagni “È uno degli angeli custodi più
importanti e ammirati di sempre. Una
persona meravigliosa”
Al
ricordo del collega, che aveva conosciuto anni prima, gli occhi di
Michael si illuminarono di una luce misteriosa, che solo lui poteva
vedere, dimenticandosi del mondo che lo circondava.
“Lo
conobbi durante l’anniversario della sua morte, qualche
decennio fa: allora ero solo un bambino, e non sapevo la grande impresa
che quell’uomo aveva compiuto. Con il passare del tempo mi
resi conto del suo grande valore, e lui fu così gentile con
me da presentarmi la sua protetta, una bambina dolce e silenziosa,
così intelligente da apparire più grande della
sua età”
Michael
smise di contemplare i ricordi e posizionò i suoi occhi su
Fiordaliso, che tratteneva il respiro cercando di capire chi fosse il
misterioso angelo amico di Michael, ed intanto provava a muovere gli
occhi, ma senza speranza: si rinsavì soltanto alle ultime
parole dell’amico, ed i pensieri nella sua testa cominciarono
a vorticare nervosamente.
Non
era come pensava lei.
No,
non poteva essere…
“Quella
bambina si chiamava Isabel Manasvi. Ed
è una bambina molto speciale”
Michael
sorrise a Fiordaliso, ma lei non sapeva cosa rispondere: era rimasta
piuttosto scioccata dalla verità.
L’amichetta
di sua nipote era un piccolo angelo come lei. Ecco perché,
ogni volta che ripensava al suo visetto serio, il cuore le si stringeva
e lo stomaco avvampava, bruciato da fiamme sconosciute.
Creature
misteriose come lei sconvolgevano l’animo umano, ed
impiantavano le loro radici in esso, costringendolo ad una esistenza dolorosa, ed allo
stesso tempo meravigliosa.
Fiordaliso,
nonostante la sua abitudine a frequentare messaggeri celesti, non era
ancora riuscita a controllare la propria mente né le proprie
emozioni in loro presenza: si immobilizzava al solo urlo di sua nipote,
per quanto poco avesse urlato nella sua breve vita.
E con
Michael le cose non andavano molto meglio.
Sospirò,
rassegnata: non sarebbe mai riuscita a vivere in armonia con gli
angeli, né con se stessa.
“È
un angelo. Come mia nipote. Ed ora che si sono incontrate, cosa
succederà?”
“Se
Isabel è al corrente della sua vera natura, allora lo
confiderà a Michael, ed insieme andranno alla ricerca dei
due angeli rimanenti. Altrimenti,
dovrai pensarci tu”
“Co-cosa
dovrei fare?” mormorò Fiordaliso, incapace di
accettare le parole appena dette da Michael: sua nipote era ancora
piccola, non sapeva difendersi… Come avrebbe potuto tradirla
in quel modo, rivelandole finalmente chi fosse?
Sarebbe
scappata via, lontana da lei, per aiutare chi soffriva, insieme ad
Isabel… E lei non l’avrebbe più rivista.
“Devi
raccontarle tutto, Fiordaliso. Solo così riuscirà
a trovare le sue compagne, ed unite, potranno rendere questo mondo un
posto migliore. Ognuna di loro possiede poteri incredibili, come hai
già notato, e questi poteri non possono rimanere per sempre
rinchiusi dentro la possidente: devono essere liberati. E
ciò può succedere soltanto se chi ne è
dotato è consapevole del suo ruolo”
Michael
smise di parlare quando si accorse che Fiordaliso non tremava
più, ed il suo viso era circondato dalla tristezza.
Poi,
molto lentamente, questo velo cominciò a liberare stille di
dolore, e Fiordaliso si perse in esse.
“Fiordaliso…”
Michael
si sporse verso di lei, e l’abbracciò dolcemente,
sussurrandole parole di conforto, ma purtroppo non funzionavano: la
donna continuava a piangere, mormorando lamenti sconnessi e preghiere,
tutti indirizzati alla sua nipotina, che giocava tranquilla nella sua
stanzetta, saltando sui mobili senza provocare il minimo danno.
“Mike,
tu credi nel destino?”
Mi
voltai confusa verso Isabel, che si trastullava seduta sul tappeto
della mia stanza, molto probabilmente contando i granelli di polvere
nascosti nel tessuto.
Nonostante
fosse passato molto tempo dal nostro primo incontro, non ero ancora
abituata alle sue enigmatiche domande né ai suoi sguardi
indecifrabili.
La
osservai per un po’ di tempo, non sapendo come risponderle:
era una domanda complicata per me... Il destino...
Cosa
ne poteva sapere una bambina di sette anni del destino?
Forse
Isabel mi riteneva al suo stesso livello, e pensava che avrei risposto
in modo adeguato, ma io non ne ero molto sicura.
Né
sulla nostra uguaglianza né sull’esistenza del
destino.
“Mia mamma dice sempre che il
destino è soltanto una scusa per giustificare il presente,
ed anche io la penso allo stesso modo. Ma ci sono alcuni momenti in cui
il presente sembra già scritto, e tu non potresti comunque
far nulla per cambiarlo... Ti è mai capitata una cosa del
genere?”
“Sì,
molto spesso. Ad esempio, i miei genitori sapevano che avrei ricevuto
delle doti speciali, così come sapevano la data ed il luogo
della mia nascita. Inoltre, mi hanno detto che il mio futuro
è quello di usare i miei poteri soltanto per il bene del
mondo, cancellando l’odio ed il dolore che si sono
impadroniti degli animi umani. Solo grazie ai miei doni posso riuscire
in questa impresa, ed è già stato tutto scritto.
Altrimenti sarei una bambina come tutte le altre”
“Mettendola
così, mi stai dicendo che tu credi nel destino?”
“Sì.
È strano che tu non la
pensi come me”
“Perché?”
“È
molto semplice, Michael. Anche tu possiedi delle doti incredibili, ed
il tuo carattere ti spinge ad aiutare il prossimo, dimenticandoti
addirittura di te stessa. Tu sei come me. Sei
nata per sacrificarti”
“Ma
non so neanche cosa significhi! Sono troppo piccola per combattere
contro il male, e non sono di certo matura come te, non ho dei
poteri… e non so cosa fare!”
Mi
accasciai al suolo, impotente e distrutta dalle mie stesse parole,
piangendo lacrime disgustosamente dolciastre.
Non
riuscivo a capire cosa volesse dirmi Isabel, e questo mi faceva stare
ancor più male: voleva forse mettermi alla prova? Da una
persona come lei me lo sarei aspettato… Eppure non
c’era cattiveria nelle sue parole; il suo è solo
un modo per spronarmi, nient’altro di particolare.
E non
sapeva che non ci sarebbe mai riuscita senza prima avermi spiegato per
bene di cosa stesse parlando: l’ignoranza non riesco proprio
a sopportarla.
Doveva
aver letto nei miei pensieri, perché mi si
avvicinò lentamente, e cominciò ad accarezzarmi i
capelli, provocandomi una indescrivibile
sensazione di calore, così piacevole da farmi smettere di
singhiozzare sulla sua spalla.
Mi
staccai da lei per asciugarmi il viso dalle lacrime, e notai sul suo
dolce viso un certo disappunto.
Che ce
l’avesse con me?
“Non
devi piangere, Michael. Solo i deboli piangono”
Mi
osservava mentre mi liberavo delle lacrime, mantenendo sempre la sua
espressione indecifrabile che nascondeva benissimo un universo di
pensieri e parole mai citati.
Era
impossibile mantenere un ricordo al sicuro nella propria testa se
c’era Isabel che ti guardava insistentemente, ed avvertivi
una fastidiosa presenza che girovagava indisturbata nella tua mente.
Con
questo metodo era riuscita a scoprire i segreti di moltissime persone,
alcuni dei quali l’hanno addirittura sconvolta, tanto da
farla piangere.
Ma
più la guardavo, e più ero consapevole della sua
forza e del suo coraggio, virtù così inarrivabili
che tramutavano l’animo dell’uomo in modo
sconcertante.
Non
riuscivo ad immaginare una Isabel
piangente riversa a terra, così come non riuscivo ad
immaginarmi me stessa nelle vesti di salvatrice del mondo.
La mia
fantasia non oltrepassava certi limiti, e la mia timidezza non la
aiutava.
Sandy
osservava il paesaggio monotono e frivolo della via nella quale
abitava, affacciata ad una finestra del soggiorno, ed ogni volta che
scorgeva qualche bel riccone che se la spassava allegramente, sospirava
esausta: c’era così tanta gente disposta a
vendersi per poco, trascurando valori più importanti di una
grande villa o di un jet
privato.
Ma,
dopotutto, se la passavano proprio bene rispetto ad altra gente:
operai, piccoli impiegati, mendicanti accasciati sul ciglio dei
marciapiedi, tanto da confondersi con esso…
La sua
vista fu attraversata da un bolide nero che scomparve in pochi secondi,
trascinandosi via un rombo orribile, che le fece accapponare la pelle.
Dopo
essersi ripresa, voltò le spalle alla grande finestra, e
salì le scale che portavano alla sua camera.
Sì,
c’era gente che se la passava veramente malissimo…
“Perché
sei venuta oggi?”
“Per
ricevere un po’ di compagnia, penso. Bucarsi
da soli è piuttosto triste”
Katie
sprofondò nella sedia della cucina, ansiosa di ricevere un
poco di energia da quella sostanza che Sandy disgustava: non aveva mai
provato a bucarsi, e non l’avrebbe mai fatto.
Da
quando la sua amica preparava la miscela sul tavolo della sua piccola
cucina e se la infilzava nel corpo come una medicina dolce e
indispensabile per il suo sostentamento, il ribrezzo per quella roba
era aumentato moltissimo.
Distruggeva
creature meravigliose come gli esseri umani, molti dei quali ne abusavano orribilmente.
Uno di questi era proprio Katie.
Dopo
la nascita di sua figlia fu colta da una forte depressione, che le
impediva addirittura di badare alla piccola, lasciandola alle cure di
sua madre, mentre lei si deteriorava inesorabilmente.
Sandy
le stette accanto come una vera amica, non potendo fare molto per
Katie, ed alla fine lei si riprese piuttosto bene.
Dopo
cinque anni.
Naturalmente
Katie non era stata aiutata soltanto dai suoi parenti e dagli amici, ma
anche da quella magica sostanza che cancellava dalla sua mente tutti i
problemi e le ansie, rendendola la ragazza più felice del
mondo.
Anche
se sussistevano vari problemi riguardo la
sua condizione: se non si bucava diventava piuttosto irascibile,
cercando conforto in qualcosa di più simile alla droga,
ovvero i farmaci antidepressivi.
Ne
conservava ancora un po’ dai tempi del liceo, e non ne
rimaneva mai senza. Sandy riteneva quelle medicine addirittura
più nocive della droga vera e propria, ma non osava
controbattere per il rischio di dover litigare con la sua amica,
già molto provata emotivamente.
Tutto
quello che poteva fare era starle vicina: lei lo voleva, sentiva che da
sola non ce l’avrebbe mai fatta, neanche con una siringa in
più.
“È
triste quello che fai”
Katie
spense l’accendino e rimirò la sua gioia nel
cucchiaino, ormai pronta per essere assorbita.
La
amava come amava sua figlia.
“Lo
so. Ma è l’unico
modo per tirare avanti”
Sandy
la vide far scivolare il liquido nella siringa, fremendo per
l’eccitazione, mentre lei tremava di paura pensando a quando
essa sarebbe entrata nel corpo della sua amica.
Di
solito chiudeva gli occhi ed aspettava che passasse tutto, cancellando
dalla mente l’immagine di Katie che teneva in mano la sua
adorata siringa, e quando li riapriva l’atto disperato della
sua amica le sembrava meno tremendo.
Quel
giorno però volle tenere gli occhi sbarrati, per superare le
sue paure, e per accettare la realtà: la sua migliore amica
si drogava.
Era un
fatto normale, no? Quanta gente al mondo si drogava per trovare un
po’ di felicità?
“Ecco
qua…”
Sandy
sospirò dolorosamente: finalmente Katie si era iniettata la
sua dose giornaliera, e sembrava più sveglia che mai.
Sorrideva,
ed i suoi occhi erano luminosi come stelle.
La
osservava divertita, mentre riordinava il tavolo e nascondeva la
sostanza nella sua borsa, come se fosse stata la cosa più
normale del mondo.
Gettò
la siringa nel cestino della spazzatura, e sorrise a Sandy.
“Non
ti dispiace, vero?”
“Oh…
No, figurati. A nessuno verrebbe in mente di rovistare nella mia
pattumiera”
“Giusto”
Katie
si sedette di nuovo al suo posto, sempre sorridendo come
un’ebete, e fissò la
povera Sandy, che non si era ancora ripresa dallo choc, e
fuggiva le sue pupille terribilmente dilatate.
“Ti
faccio paura, vero?”
Sandy
alzò lo sguardo, e vide la figura sconvolta della sua amica,
in attesa della risposta.
Il
sorriso le era scomparso dalle labbra, e la sua espressione era
inquietante.
Non
era seria, e neanche preoccupata.
E lei
non sapeva cosa risponderle, da quanto era terrorizzata…
“So
cosa pensi, Sandy. Tu hai paura di
me e per me”
Katie
affondò il volto paonazzo nelle mani tremanti, emettendo
lamenti simili al pigolio di un pulcino, mentre la sua amica la
guardava incapace di parlare: perché si comportava
così? Di solito chi si droga è felice, no? E la
sua amica non era il tipo che la dava vinta tanto facilmente…
Si
sentiva impotente, incapace di consolare Katie, poiché non
sapeva come si dovesse consolare un drogato pentito delle proprie
azioni, e la tensione cresceva con il passare del tempo, rendendola
ancora più nervosa.
Cavolo,
perché era sempre così stupida? Quando si sarebbe
decisa ad aiutare veramente Katie?
Il giorno prima della sua morte?
Si
grattò nervosamente la testa, fino a far sanguinare il cuoio
capelluto: non doveva pensare a queste cose, non doveva…
“Sono
un mostro. Sono diventata un
mostro”
Katie
piangeva e si lamentava quando Sandy ritornò alla
realtà.
Il
suono della sua voce spezzata dal pianto era una tortura per le sue
orecchie, ma non sapeva come farla smettere.
Era
un’incapace.
A
parte ospitare la sua amica durante i finesettimana e farle un
po’ di compagnia durante le sue abluzioni, non era capace
d’altro.
Tutti
la ritenevano una ragazza brillante per il solo fatto di possedere una
laurea alla Columbia ed un banchiere come padre a New York…
Qualità
insignificanti di fronte al suo vero essere.
“Che
fai, piangi anche tu?”
Sandy
sentì la mano di Katie stringere la sua, e pensò
che il mondo andava
tutto al contrario: era lei che doveva consolare Katie, non Katie che
doveva consolare lei.
Ma
ormai non le importava più tanto.
In
qualche modo si sentiva ricambiata. L’affetto che univa lei e
l’amica era lo stesso.
Dopo
dieci anni nessuna delle due era cambiata.
Ohilà,
bella gente! Rieccomi a fracassarvi
le palle con una storia che ben pochi leggono D: No, non è
vero questo!XD C’è ancora gente che legge la mia
storia, ma tutto ciò che chiedo è un vostro
parere: se voi non mi fate sapere nulla, io non migliorerò
di conseguenza, e non scriverò più -.-“
Perciò, un minuscolo commentino (anche per criticarmi
giustamente) me lo lasciate? Non chiedo molto, non sono
una di quelle che ammazzerebbe per una recensione
ù__ù e poi mi piace parlare con voi lettrici, troppissimo, vi giuro <3
Anche se mi mandate un messaggio ne sarei molto felice =D
Comunque, ora
passiamo al resto: ho aggiornato solo ora perché non
riuscivo (anzi, non RIUSCIVAMO) a trovare un titolo decente per questo
capitolo! Ma alla fine è saltato fuori, eh, Rò?XD
Non puoi capire quanto sia felice per questo! Tu sei una titolista
bravissima, e ti giuro, non ti cambierei con nessuno <3 Ah, e
sei anche la mia salvatrice!ù__ù
Tuttavia, non
sei esonerata dalla recensione della mia storia,
perciò… Mi raccomando XD
Vorrei
ringraziare anche le poche persone che hanno recensito XD, ovvero la
dolce _lullaby
alias Margot (la mia gemellona
*__*), Lafayette alias Moma, una
delle mie più grandi fan <3 e naturalmente la cara GioTanner, ovvero Rò, la
titolista. Ragazze, vi voglio tanto bene, e mi sembra anche banale
dirvelo. Ma è inevitabile che in queste situazioni io mi
lasci andare al romanticismo XD Sopportatemi, vi prego!XD
Okay, si
è fatto tardi, e VOI dovete leggere ancora la mia storia!
ù__ù Scherzo, naturalmente!XD
Spero
comunque che vi piaccia questo capitolo <3 Grazie moltissimo a
chi mi segue ed anche a chi ha semplicemente letto.
Alla prossima
Looney
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Do You Need Some Time... All Alone (And Where Your Fears Subside, And Shadows Still Remain, I Know That You Can Love Me) ***
Do you need some time… all alone
(And when your fears subside, and shadows still
remain, I know that you can love me)
Il
problema era come dirglielo.
La
faceva tanto facile, Michael: lui aveva solo il compito di
osservare ed analizzare.
Osservare ed analizzare, osservare
ed analizzare…
Ma
cosa cavolo significa?
“Ehi,
nonna! Devo dirti una cosa!”
La
voce squillante della nipote irruppe nelle orecchie di Fiordaliso come
un coro di angeli, e la vide correre verso di lei, le codine che
ondeggiavano sul vestito di cotone, il sorriso che le illuminava il
viso meglio ancora del sole.
Il
cuore le si strinse dolorosamente: davvero doveva
dirglielo?
Era
così bella e spensierata senza sapere di essere uno
strumento scaccia-cattivi, così innocente nella sua
infanzia, e molto intelligente per la sua età.
Poteva
almeno aspettare un altro anno, cosicché lei ne avrebbe
avuti otto.
Oppure
gliel’avrebbe detto nel giorno del suo nono compleanno! O
sarebbe stato meglio il decimo?
“Cos’hai, nonna? È successo qualcosa?”
Mike
la fissava dall’alto della sua posizione: sembrava
comprendere più cose di quante in realtà sapesse.
Come
poteva una bambina speciale come lei vivere senza neanche sapere chi
fosse?
Sicuramente
avrebbe capito.
Doveva
capire.
“Nonna?”
E se
invece non l’avesse presa bene? Si sarebbe ribellata alla sua
natura, avrebbe cercato un modo per liberarsi della sua
responsabilità… Avrebbe privato il mondo della
sua indispensabile presenza…
“Nonna,
mi stai ascoltando?”
“Come…?
Oh, sì, tesoro!”
Mike
la guardò piuttosto perplessa: sua nonna era diventata molto
strana negli ultimi giorni.
Ogni
volta che la vedeva i suoi occhi si velavano di malinconia, i suoi
gesti si facevano lenti e le sue parole si riducevano ad un mormorio.
Non
aveva mai visto la nonna così prima di allora: che le fosse
successo qualcosa?
“Sei
sicura di stare bene, nonna?”
“Sicurissima,
amore, non ti preoccupare! Allora, cosa volevi dirmi di così
interessante?”
“Veramente…”
“Cosa
c’è?”
“…Nulla…
Non ti preoccupare. Volevo solo parlarti di una cosa che mi aveva detto
Isabel”
Fiordaliso
guardò preoccupata sua nipote: la sua amichetta era una
bambina molto particolare, ed alcune volte se ne usciva con espressioni
più grandi di lei, facendo rabbrividire anche i muri.
Che
avesse già rivelato il tremendo segreto che lei si portava
dentro da sette lunghi anni, sfasciando i suoi propositi e rendendola
completamente inutile?
Sperò
che non fosse troppo tardi… Mike
doveva sapere, ma non in modo così avventato.
Dopotutto
le parole di una nonna sono più affidabili di quelle di una
ragazzina di sei anni!
“Allora
siediti qui, accanto a me, e raccontami tutto”
“Certo!”
Mike
si catapultò sul povero divano, investendo Fiordaliso con la
sua piccola mole, e la donna si congratulò per la sua
delicatezza, spettinandole i capelli.
La
bambina si lasciò coccolare, come sempre, e si
accomodò meglio tra le braccia di Fiordaliso, giocherellando
con l’orlo del suo vestito e strofinando il viso sulla spalla
della nonna per catturarne il calore.
Solo
dopo varie effusioni Mike iniziò il suo racconto, facendo
spuntare la sua testa riccioluta dalle braccia di Fiordaliso, e
sorridendole sinceramente.
“Mi
prometti che non racconterai niente a nessuno?”
“Te
lo prometto, Mike! A chi vuoi che lo spifferi?”
“Non
lo so, te l’ho detto per sicurezza… Comunque, ieri
Isabel mi ha chiesto sei io credessi nel destino, ed io le ho risposto
di no, ma molto spesso è come se lui venisse a cercarti, e
non ti lasci la libertà di agire. Poi
le ho rifatto la stessa domanda, e lei mi ha risposto di sì,
anche se molto enigmaticamente. Mi ha anche detto che era strano che
non la pensassi come lei, poiché…
Poiché, secondo lei, noi siamo molto simili. Abbiamo
entrambe delle capacità straordinarie che ci differenziano
dagli altri, e dovremmo usarle per aiutare il mondo a migliorarsi. Io
mi sono sentita piuttosto turbata da questa affermazione, ed allora
sono scoppiata a piangere. Isabel mi è venuta vicino, e mi
ha consolato. Mi ha detto che solo i deboli piangono, ed io non sono
una debole. Mi sono ripresa quasi subito, anche se lo spettro del
pianto era ancora dentro di me, e premeva per uscire di nuovo.
Per
distrarmi, Isabel mi ha mostrato ciò che è capace
di fare con la mente: dovresti vedere, nonna, è incredibile!
Riesce
a spostare gli oggetti senza parlare, e sa anche farli volare!
Ha
provato a far volare me, ma non ci è riuscita: diceva che i
suoi poteri non funzionano sugli angeli…”
A quel
punto, le mani di Fiordaliso divennero fredde come ghiaccio, come la
sua espressione, congelate nella paura.
Mike
non sapeva cosa fosse successo alla nonna: ad un tratto, non appena
aveva finito la frase, la sua figura si era irrigidita.
E
se…?
“Nonna?
Nonna, stai bene?”
Fiordaliso
si scosse dal torpore in cui era caduta, ed il suo sguardo cadde in
quello della nipote, che, preoccupata, le stringeva ancora la mano.
Sbatté
le palpebre, e rassicurò la piccola: non era successo
niente, era tipico di sua nonna avere dei mancamenti, anche nel bel
mezzo di un discorso, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine, e
lei, sua nipote, non doveva preoccuparsi per lei.
“Sì.
Non è niente”
“Non
è vero! Dici sempre che va tutto bene, quando invece non
è vero! Dimmi cos’hai, nonna! Perché ti
sei bloccata prima,
quando ti stavo dicendo di Isabel e dei suoi poteri?”
L’imbarazzante
silenzio che seguì non convinceva Mike: sua nonna aveva
sicuramente qualcosa da nasconderle…
Un
segreto impronunciabile, che le aveva tenuto nascosto per sette anni, e
che lei aveva il diritto di conoscere.
“Nonna,
devi dirmi quello che sai, per favore. Voglio sapere cosa sta
succedendo: Isabel è molto misteriosa
nell’esprimersi, ma mi ha fatto capire molte cose, e vorrei
che tu mi spiegassi meglio. Ti
prego”
Fiordaliso
non poteva più nascondersi: ormai era giunto il momento di
dire la verità, senza tralasciare alcun particolare scomodo
all’interpretazione di sua nipote.
Sicuramente
avrebbe capito.
Ne era
certa.
“Lo
farò” disse Fiordaliso, stringendo la manina di
Mike nelle sue, provando, in qualche modo, a trasmetterle quel poco di
fiducia che si nascondeva nel suo animo, e che troppe volte aveva
donato, nonostante per buone cause.
Ma la
piccola aveva fiducia nella nonna, e non aspettava altro che una
risposta.
Povera
Mike…
Come la capiva.
“Allora…
Vuoi sapere qualcosa di specifico, o vuoi che ti racconti tutta la
storia dall’inizio?”
“Voglio
sapere perché Isabel mi ha chiamata angelo.
Gli angeli non sono delle creature mitiche, che scendono sulla Terra
per proteggere gli umani e trasmettere loro la Parola
di Dio?”
“In
realtà la religione non centra nulla, Mike. Gli angeli sono
dei messaggeri, certo, ma non
trasmettono soltanto la Parola di
Dio: gli angeli, attraverso le loro capacità, trasmettono
dei messaggi agli uomini, negativi o positivi che essi siano. Sta agli
umani comprendere quali messaggi siano buoni per loro, o nocivi. Capito?”
Mike
annuì, non molto convinta: di messaggi dei quali parlava la
nonna ne aveva ricevuti pochissimi.
O
forse lei li chiamava in un altro modo…
Magari
consistevano in quella bella sensazione che provava ogni volta che
inseriva un disco nello stereo e si lasciava andare alla melodia,
qualunque essa fosse.
Dopotutto
ogni canzone porta un suo messaggio,
e sta all’ascoltatore comprenderlo.
Ebbene,
anche i cantanti, i musicisti ed i compositori sono angeli?
E lei?
“Ed
io quindi ho il ruolo di trasmettere messaggi?”
“Esatto”
“E
come si fa? Non ci ho mai
provato”
“È
semplicissimo: devi sfruttare al meglio le tue qualità, ed
allora chi ti vedrà verrà colto dalla cosiddetta illuminazione, e comprenderà
ciò che tu vuoi dire con la tua arte”
“La
mia arte?”
“Certo!
Tu sai ballare molto bene, Mike, e sai cantare divinamente. Sono queste le tue
qualità”
“Io
pensavo a qualcosa di più… Più magico, ecco”
“Ciò
che sei è magico. Ciò
che fai è magico…”
Fiordaliso
strinse delicatamente la mano della sua nipotina, guardandola con occhi
sognanti, mentre lei era ancora confusa da ciò che aveva
detto la nonna.
Se
fosse stata veramente un angelo, a
quest’ora non sarebbe qui: sarebbe fuori, in quella
invivibile città così simile ad una giungla, a
soccorrere gli infelici portandogli gioia ed amore.
E loro
l’avrebbero ricompensata con dei sorrisi; quei sorrisi che le
venivano rivolti spessissimo da sua nonna, sua madre, Fernando e
chiunque le si avvicinasse. Quei sorrisi che molte volte non
significavano niente, ed erano solo un complimento di circostanza o una
presa in giro bella e buona.
Le
salì al petto una strana voglia di ricompensa: voleva vedere
i suoi parenti veramente felici.
Ma non
sapeva come fare.
Tutta
colpa della sua ignoranza! Se lo avesse saputo prima, avrebbe
certamente una risposta, un appiglio che le avrebbe consentito di
ragionare e di capire.
Era
tutto lì. E lei era stava privata della verità
per troppo tempo.
“Non
è vero”
Mike
sfilò la manina da quelle della nonna, che la
guardò disorientata: mai, prima di allora, sua nipote si era
ribellata alle sue coccole con un tono così severo.
Sembrava
un’altra persona. Irriconoscibile.
“Cosa
ti prende, amore? C’è…?”
“Non
è vero che ho qualcosa di magico. Non
è vero niente”
“Ma
cosa stai dicendo, Mike?
Non credi alle parole di tua
nonna?”
“Ci
avrei creduto tanti anni fa, ma ora non più! Sei una
bugiarda, mi hai tenuta nascosta la mia vera identità per
tutto questo tempo!”
Alzando
la voce, Mike si allontanava anche dalla nonna, che in un disperato
tentativo di toccarla, annaspava come un naufrago tra i flutti,
inutilmente: sembrava che sua nipote fosse circondata da un campo di
forza che non le permetteva di avvicinarla. E lei non poteva far altro
che persuaderla a ritornare.
“Ma
tu non potevi capire,
Mike! Eri troppo
piccola!”
“Non
si è mai troppo piccoli per conoscere la verità!
Tu sapevi cosa ero, e non me
l’hai detto!”
“Avevo
paura che non la prendessi bene,
Michael! Pensavo, pensavo che non fossi ancora pronta…”
Il
volto già scuro di Fiordaliso diventò livido, e
le lacrime annebbiarono la sua vista, facendole apparire Mike più lontana di
quello che fosse.
Raccolse
il viso tra le mani tremanti, singhiozzando di fronte agli occhi della
nipote, che piano piano si stavano riempiendo di lacrime come i suoi,
forse per compassione, o forse per rabbia.
Nonostante
l’evidenza dei fatti, non riusciva a credere che si stesse
allontanando da lei. Non era possibile. Stava sognando.
“Pensavo
che tu fossi una persona migliore, nonna. Pensavo
di potermi fidare di te…”
E dopo
aver guardato Fiordaliso per un ultima
volta, Mike si voltò e corse lungo le scale, lasciandosi
dietro l’apparenza della vita passata.
Si
buttò a capofitto sul letto, gli occhi pieni di lacrime, e
rimase così chissà per quante ore.
Non le
importava più lo scorrere del tempo, né cosa
avrebbe detto sua madre non vedendola saltellare per casa con le
braccia al vento ed il sorriso sulle labbra, quel sorriso che stava
lentamente morendo dai suoi pensieri e che molto probabilmente non
sarebbe più tornato.
Affondò
ancor di più il viso nel cuscino, ma quando si
sentì soffocare riemerse con il volto arrossato e gli occhi
ridotti a piccoli laghi scuri; si fermò ad osservare
distrattamente il cuscino, non trovandoci nulla di interessante se non
la sua innaturale morbidezza in una situazione così dolorosa.
Soffocò
un singhiozzo e scese goffamente dal letto, come una farfalla
sballottata qua e là da dei ragazzini maleducati e che ora
ha perso la facoltà di volare per sempre.
E
proprio per questo si accasciò ai piedi del letto, non
avendo più la forza nelle gambe e sentendosi una vera
nullità. Ma purtroppo non poteva più far nulla.
Solo
aspettare.
Aspettare
di crescere ed abituarsi all’idea di dover cambiare il mondo,
e pensando ai vari sistemi per portare a termine la missione.
Avanti,
non era così difficile…
Bastava
impegnarsi.
“Non
piangere, signorina! Ti
fa diventare più brutta, e tu non lo sei affatto!”
Mike
sussultò al suono di quelle parole, scrutando la stanza alla
ricerca del possessore della voce, anche se aveva un vago sospetto di
chi potesse essere.
Quella
persona che l’aveva accompagnata per tutta la sua esistenza.
Quella
persona che, nonostante non si fossero mai incontrati, non
l’aveva mai abbandonata.
Sentiva
la sua presenza vicino a sé, nonostante non riuscisse a
vederlo…
Un
venticello fresco come una carezza.
“Sono
qui, Mike”
La
bambina smise di guardarsi attorno, ed i suoi occhi si fermarono sulla
finestra del balcone spalancata, dove tra le impalpabili tende di seta
ed il dolce sole di fine autunno, una sagoma scura e dal volto nascosto
dalla luce stava in piedi, forse osservandola da molto tempo, con le
mani in tasca.
All’inizio
lei non capiva cosa dovesse fare né cosa dovesse dire alla
figura di fronte a sé, ma fu la stessa a pensarci: si
avvicinò dolcemente a lei, sorridendole così
radiosamente che il sole non poteva reggere il confronto a
così tanta bellezza.
Mike
si sentì come incantata dal suo viso, dai suoi occhi, dal
suo sorriso: non sembrava un essere umano…
Non
poteva esserlo, certamente, ma il suo atteggiamento e il suo sguardo
sincero rievocavano in lui una parvenza di umano.
Mike
non riusciva a spiegarsi, tuttavia, cosa
fosse il suo ospite.
Non
era umano, ma sembrava esserlo… Cos’era?
“Tu-tu
chi sei?”
“Ma
come, Michael? Non mi
riconosci?”
La
misteriosa figura si inginocchiò davanti a lei, non
smettendo di sorridere, e le accarezzò una guancia come
segno di sincerità.
“Sono
io, il tuo migliore amico. Sono venuto a farti visita,
poiché mi sembravi molto triste, e volevo alleviare il tuo
dolore”
Ma
Mike non sembrava del tutto convinta dalle parole dell’ospite
inatteso: quel viso l’aveva visto molte volte sulle copertine
di dischi impolverati risalenti a vent’anni prima, e sapeva
che ormai non esisteva più.
Al suo
posto c’era un altro viso, che però apparteneva
alla stessa persona.
Eppure
qualcosa in lei le diceva di crederci, di fidarsi
dell’apparenza…
In
quel momento qualsiasi conforto sarebbe stato ben accetto.
“Ti
ringrazio… Ma come sei venuto qui?”
“Ti
ho sentita piangere, ed allora sono venuto da te… Molto
semplice!”
“E
da dove vieni?”
“Da
là” Il ragazzo si alzò in piedi ed
indicò a Mike un punto preciso verso il mare, dove la scia
di case luminose proseguiva ancora per chilometri, fino al confine con
l’altra contea.
Mike
conosceva quel posto: una volta c’era andata con sua nonna
per una passeggiata, e lei le aveva indicato un grande cancello scuro,
sormontato da una scritta che lei non poteva ancora leggere.
Dietro
questo cancello la vegetazione cresceva rigogliosa, e si intravedeva il
tetto di un immenso edificio.
Sin da
subito era rimasta affascinata dalla particolarità di quel
luogo così isolato dal resto della metropoli, eppure
così ricco di vita: se lo immaginava come una dimora per
signori, elegante e pratica, dove tutti gli inquilini vivevano in
splendida armonia.
Ed ora
conosceva finalmente il presunto padrone di quel luogo magico: si
sentiva felice, ma allo stesso ancora molto timorosa.
Non
poteva fidarsi così ciecamente di uno sconosciuto:
magari aveva buone intenzioni, ma si era comunque intrufolato nella sua
stanza senza permesso!
E
conosceva anche il posto in cui abitava Michael…
Forse
se gli chiedeva…?
“Ehm…
Senti…”
“Cosa
c’è?” L’ospite
prese istintivamente le mani di Mike nelle sue, nelle
quali sparirono completamente.
Quel
gesto confuse ancor di più la bambina, che si costrinse a
parlare nonostante il ribollire dei suoi pensieri.
“Tu
conosci mia madre? Si chiama Katherine, ma per tutti è
Katie. Mi ha raccontato di averti incontrata, quando era ancora una
ragazzina…”
Mike
non fece neanche in tempo a finire la frase che gli occhi
dell’ospite si illuminarono come astri, e parvero addirittura
sorridere.
“Oh,
la piccola Katie! Sì, mi ricordo di lei! E tu le somigli molto…”
Accarezzò
dolcemente la guancia di Mike, e lei rabbrividì al contatto,
anche se non voleva scostarsi: quella mano era così fresca e
morbida…
Le
ricordava tanto quella di sua nonna…
“Perché
mi hai fatto questa domanda? In fondo sapevi che sarei venuto da
te… Tua madre non te l’ha detto?”
“No. Non mi ha detto nulla” Si sentiva
piuttosto mortificata: lui era venuto pensando che lei sapesse
già tutto… Ed invece non sapeva un bel niente.
Che
figuraccia!
“Oh,
ecco perché mi sembravi piuttosto titubante
sull’argomento! Ma non ti preoccupare, ci penserò
io a te!”
Prese
per mano Mike e la aiutò ad alzarsi.
Quel
gesto così naturale spazzò via quasi tutta la sua
insicurezza, e si convinse che quel ragazzo (di qualunque
entità fosse) era buono, e voleva veramente aiutarla
nell’accettazione e nella consapevolezza della sua vera
natura.
Rimaneva
ancora in lei un sentore negativo, che le chiedeva di riflettere e di
stare attenta, poiché sono le apparenze che ingannano
maggiormente. Sua nonna glielo ripeteva sempre.
Perciò
prestava attenzione ad ogni movimento del misterioso ragazzo, non
trascurando di certo i suoi modi di fare ed il sorriso immenso.
“Innanzitutto
saprai un po’ di cosette! Tua
nonna ti ha spiegato, vero…?”
“Mi
ha detto soltanto… Che…”
“Che
sei un angelo, vero?”
“Sì”
“Okay,
è già qualcosa! Allora, accomodiamoci qui e ti
spiegherò per bene tutto il resto!”
Si
sedette sul letto e Mike lo seguì, incrociando le gambe.
Passarono
qualche secondo in silenzio, nei quali
Mike era troppo emozionata per parlare, e lui (ovvero Michael) pure.
Fu
proprio lui a rompere il ghiaccio con la piccola.
“Sai,
questa è la prima volta che parlo ad un bambino”
“Perché,
non hai mai visto bambini in vita tua?”
“No,
non è questo! Non ci ho mai parlato, ecco… Io non
sono… Quello che appaio. Sono
un riflesso”
“Un riflesso?” Gli occhi di Mike
si spalancarono e presero la forma di due piattini da the, tanto che
Michael si spaventò della sua reazione: cavolo, iniziavamo
proprio bene!
“Ehm,
sì… Un riflesso.
Tecnicamente sarei una parte dell’anima del vero Michael
Jackson, che però non ha il suo stesso aspetto, come ben
vedi. O meglio, questo è quello che aveva
all’età di circa venti anni”
“Sì…
Vedo” Mike osservò meglio Michael: sembrava una
persona in carne ed ossa, mentre in realtà era una riflesso. Forte!
Ma,
tra le altre, una domanda imperava. La più scomoda,
in effetti.
“Michael...
Ma perché il vero Michael Jackson non è venuto a
trovarmi, ed ha mandato te? Pensavo che lui avesse tempo per
chiunque… Per i bambini…”
Il
riflesso di Michael sospirò e guardò la piccola,
un velo di compassione che gli copriva gli occhi scuri.
“Non
è così, mia cara. Solo perché
è Michael Jackson non significa che abbia tempo per
conoscere ed abbracciare tutti i suoi fan, così come non ha
tempo per incontrare te. Certo, tu occupi una posizione più
elevata di una semplice fan, ma venirti a trovare tutti i giorni
è molto rischioso: i fan lo assalirebbero, capisci? Ed i paparazzi anche”
Mike
annuì lentamente, nonostante non avesse capito qualche
passaggio: cosa voleva dire quel riflesso con “posizione
elevata”? Davvero lei, una insulsa
bambina in una enorme città come Los Angeles occupava un
posto così importante nel ruolo di un uomo così
famoso?
Era
assurdo, veramente! Lei amava moltissimo Michael, ma sapeva con
certezza che questo amore non era ricambiato, poiché lui non
sapeva neanche della sua esistenza. E poi, lei era solo una
bambina…
Ai
bambini non erano concessi molti poteri.
Dovevano
obbedire e basta.
Tuttavia,
le sfuggì un’altra scomoda domanda:
“Perché dovrei occupare una posizione elevata
rispetto agli altri fan di Michael? Cosa sono io per lui?”
Qui
Michael sospirò rumorosamente e stavolta più che
compassionevole sembrava indeciso: doveva dire tutta la
verità alla bambina, ma lei era così intelligente
che aveva scoperto già molte delle informazioni top secret in suo possesso!
Cavolo,
in base alla descrizione del Grande Capo non sembrava così
sveglia!
“Beh,
ecco… Non è semplice da spiegare”
Michael
fece un altro grande sospiro per darsi la forza di continuare: non era
facile, ma doveva farcela.
“Tu
non sei un angelo qualsiasi: come te ce ne sono soltanto quattro ogni
cento anni. Ognuno di voi racchiude un pensiero, un’arte
diversa, e nonostante le varie differenze, siete molto uniti anche a
distanza. Anche ora, nonostante non ne conosca nessuno, tu avverti la
loro presenza, vero?”
Sicuro?
Come faceva a sentire la presenza di
tre persone in punti indefiniti nella sfera terrestre? Lei non sapeva
lavorare con la mente. Isabel sapeva farlo, ma la sua arte si
restringeva al campo visivo. Non sapeva fare davvero
nulla.
“Io…
Io non sento nulla…”
I suoi
occhi così grandi e dolci in qualsiasi occasione, ora
esprimevano commiserazione: aveva smesso di piangere qualche minuto
prima per lo stesso motivo, ma il suo ritorno alla memoria
l’aveva scossa ulteriormente.
Si
sforzò, ma non riuscì a sentire nulla, tranne il
rombo delle automobili e l’aspirapolvere di Fernando al piano
inferiore.
Per il
resto, buio totale.
Abbassò
le spalle delusa.
“Niente,
non ci riesco”
Michael
la capiva; capiva il suo disagio, la sua disinformazione, e la sua
incompleta accettazione di sé.
Le
accarezzò dolcemente una spalla, consolandola come meglio
poteva.
Certo,
era una bambina molto sveglia ma era anche incredibilmente fragile.
Purtroppo,
avrebbe dovuto smettere di esserlo…
“Avanti,
non fare così,
Michael. Non è nulla di grave, non tutti nascono senza dover
imparare, neanche gli angeli come te! Ti insegnerò io tutto
ciò che vorrai sapere, e non dovrai aver paura di sbagliare,
perché tutti sbagliano. Anch’io ho sbagliato, e
senza i miei errori non sarei mai riuscito a migliorare. Non piangere,
vedrai che sarai un angelo perfetto…”
Gli
occhi di Mike incontrarono quelli del suo nuovo amico, e le sembrarono
così grandi e scuri in confronto ai suoi…
Così veri…
“No-non
ho paura di sbagliare, ecco… Ho paura di tutto ciò. Non mi immaginavo neanche
che potessi essere così importante agli occhi del mondo. Io,
una bambina qualsiasi, ora sono
custode del mondo. È
difficile ammetterlo”
“Già,
moltissimo. Non puoi capire come mi sono sentito io quando mi hanno
chiesto di badare a te! Ero al settimo cielo, anzi, ancora
più in alto! Tuttavia ero intimorito dalla tua
grandezza, e spesso ho pensato di girare i tacchi e ritornarmene dal
Grande Capo, per dirgli che non volevo più portare a termine
il compito che mi aveva assegnato; ma lui, irremovibile, mi cacciava
sempre via! Così, mi sono fatto coraggio, e sono venuto da te”
“Davvero
eri intimorito da me?”
“Certo!
Te l’ho già detto, tu sei un essere raro;
e molto spesso le rarità vengono trattate con molta cura e
devozione. Per questo hanno scelto una persona buona e generosa come
Michael Jackson per occuparsi di te, ovvero io.
Sì,
insomma…”
Michael
si guardò le mani intrecciate, non volendo assolutamente
incrociare lo sguardo interrogativo di Mike.
“Io
sono pur sempre una piccola parte dell’anima del vero Michael
Jackson, perciò sono lui.
Per te non sono un estraneo,
quindi…”
Osservò
finalmente Mike, trovandola molto più sorridente e
rassicurata. Poi guardò oltre la sua testolina ricciuta e
scorse vari suoi poster,
ritratti dei periodi più belli della sua vita: con i zombie
di Thriller, nel suo costume da cattivo ragazzo in Bad, con tanti
bambini sorridenti a qualche concerto, con ET, con Quincy, con tanti
suoi amici che gli hanno sempre voluto bene…
Ed
ora, se lo sentiva,
anche quella bambina sarebbe diventata sua amica.
Naturalmente
era troppo presto per parlare, ma la sua sincera inquietudine, il suo
sorriso, i suoi riccioli così ordinati e luminosi, lo
facevano sentire bene.
Abbozzò
un sorriso, e si sentì stranamente ridicolo: non sapeva
cos’altro dire…
Ma fu
lei a salvarlo, posando la manina scura sulla sua, e trasmettendogli
tutta la sua fiducia.
“Tu
ora sei mio amico. Ed anche se dovranno incorrere vari problemi nel
nostro rapporto, giuro che non ti lascerò mai solo, mai,
neanche fra un milione di anni!”
A
Michael gli si sciolse il cuore: poche parole ma tanto amore.
Come
poteva aver paura di una creatura così dolce e spontanea?
La
prese delicatamente tra le braccia e la abbracciò,
avvertendo la sua sorpresa e la sua forte gioia.
Rimasero
così per chissà quanto tempo, stretti
l’uno all’altra, e nessuno dei due osava parlare,
per non interrompere la magia di un incontro che si ripete soltanto
quattro volte ogni cento anni.
Buongiorno
gente!=D Scusate il ritardo, ma purtroppo ieri e l’altro ieri
non mi andava di postare, perciò peggio per voi XD Aaaah
sono ritornata da una serata spettacolare *_* C’era
quell’essere di un altro mondo, dagli occhi che
scioglierebbero pure il ghiaccio..
Con la amatissima fidanzata -.-“ Che devo dire, mi sono
dovuta sorbire i loro vari slinguazzamenti..
Bleah D: Vabbè, penso che non vi interessino le mie faccende
personali!XD Passiamo alla storia: come avrete capito, si avvicina per
la piccola Mike un periodo difficile, ma grazie all’amicizia,
e soprattutto all’aiuto speciale di Michael,
riuscirà a superare i vari problemi che ostacoleranno il suo
cammino… O quasi tutti.
Leggere per
sapere ù__ù
Oggi vado
molto di fretta, perciò mi conviene salutare immediatamente
le care ragazze che hanno recensito, ovvero
Lafayette e GioTanner. Le mie dolci compari *___*
Ah, ma la
cara Rò merita un ringraziamento in più! Grazie
per lo splendido titolo <3 e per tutta la pazienza che metti nel
tuo lavoro. Dovrebbero farti santa!XD Santa Rò da ROMA (non
dimentichiamoci che tu sei figlia di CESARE ù__ù)
Okay, con
queste varie cazzate ho chiuso..
Non so quando posterò il quarto capitolo, ma so per certo
che la storia andrà avanti ancora per mooolto tempo XD
Perciò, per quei pochi che mi seguono, armatevi di pazienza
e di tanta fortuna. Non si sa mai, magari un giorno potrei non
pubblicare un capitolo per mooolto tempo..
E lì voi mi ammazzerete come è già
successo in passato!XD
Ci vediamo presto, miei cari amichetti
<3
La vostra Looney
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Send Me An Angel (Because sometimes you can't choose-Prima parte) ***
Send
Me An Angel
(Cause sometimes you can’t choose-Prima parte)
Quante
foglie cadevano in autunno! Ancor peggio dei capelli…
Di
vari colori, fragili e leggere, come farfalle danzavano sospinte dal
vento, creando coreografie da sogno.
Era
strano vedere Los Angeles in quello stato, ma Katie c’era
abituata: molte volte, per lei, la dolcezza felina di quella
città era apparsa come una amara belva dai denti appuntiti,
pronta a ferirla.
E
così come le foglie morte, gli alberi spogli ed il cielo
plumbeo sembravano per gli altri abitanti una vera e propria
calamità, per lei rappresentavano un attimo spensierato di
pace.
La
metropoli insonne si riposava, sgravando tutto il peso del dolore e
della vita, che se ne andava trasportato dal vento, proprio come quelle
belle foglie.
Volteggiavano
intorno a lei, indifferenti ai suoi sguardi stupiti, e si posavano sul
freddo pavimento di pietra, a pochi centimetri dalle sue scarpe da
ginnastica.
Se
avesse avuto una decina d’anni di meno le avrebbe sicuramente
schiacchiate, per udire il dolce scricchiolio sotto i suoi piedi, ma
ora si limitava a guardarle come se fossero state degli adorabili
cuccioli di cane dal pelo caldo e cangiante.
Si
massaggiò la testa con le dita: cavolo, paragonava le foglie
gialle a dei cuccioli! Stava proprio messa male…
E
conosceva, soprattutto, le cause del suo male.
Era
inevitabile andarci a sbattere la testa, ogni tanto: era lì,
sempre con lei, non poteva sfuggirle.
All’inizio
pensava che fosse una gran bella cosa, perché la tirava su,
la faceva stare bene, e vedeva tutti intorno a lei contentissimi della
sua ripresa, sorridenti… E poi vedeva sua figlia.
Quella
povera bambina costretta a vederla ogni sera sempre più
stanca, e pensava che lei stesse benissimo, che fosse felicissima di
vederla e di abbracciarla dopo un’intera mattinata passata a
girovagare per casa come un fantasma…
Certo,
Katie era felice di riabbracciare sua figlia, come tutti i
pomeriggi… Ma c’era qualcosa di ancor
più imperdibile per lei: quella sostanza magica a cui lei
non avrebbe mai rinunciato, neanche sotto tortura (e per tortura
intendeva la disintossicazione in qualche centro specializzato, che
aveva la stessa allettabile presenza di un manicomio).
Rabbrividì,
nonostante fosse ben imbacuccata in un cappotto invernale, e
sentì i denti tintinnare tra di loro nella bocca: cominciava
a voler bene a quella cosa che le
aveva cambiato la vita, quasi come se fosse sua figlia.
È
incredibile come lei cambia il modo
di pensare della gente: si viene trascinati in un dolce oblio, nel
quale l’unico ricordo della vita precedente la sua venuta non
è altro che una siringa sporca di sangue rappreso e tanta,
tantissima tristezza.
Dopodiché
si ricomincia a sorridere, portando in sé la gioia della
nuova amica, che felice danza dentro di te come il vento in estate,
conferendoti quella espressione gioiosa ma allo stesso tempo stanca che
caratterizza tutti coloro che fanno uso di lei.
Purtroppo
questo periodo di estasi dura ben poco, e dopo si è
costretti a sorridere forzatamente pur di dimostrare agli altri che la
felicità non è andata perduta, bensì
si sta attraversando quei tipici “periodi no” della
vita, e che non è molto consono scherzare su certi argomenti.
Katie
si era però accorta che molti dei suoi amici comprendevano
il suo stato, e le stavano vicino, come se dovesse morire da un momento
all’altro.
Il
primo pensiero che giunse alla mente fu proprio lei:
davvero anche i suoi amici si bucavano? Era per quel motivo che
sapevano come consolarla, la incoraggiavano e passavano molto tempo con
lei?
Non
poteva assolutamente crederci: erano dei bravissimi ragazzi, non
l’avrebbero mai fatto…
Lei
era la ribelle del gruppo, lei era colei che impudicamente andava
incontro al pericolo, e veniva puntualmente ripresa dai suoi conoscenti
più saggi e posati…
Di
solito gli altri la seguivano, e la prendevano d’esempio.
Ma
stavolta non c’erano più gare, non esisteva
più una gerarchia primitiva, e neanche una veneranda
sottomissione.
Lei
non era più il terrore,
ma semplicemente Katie.
Katie,
quella ragazza che ne ha viste parecchie nella sua giovane vita, e che
non avrebbe di certo smesso con il passare degli anni.
La
piccola Katie, mingherlina ma resistente, temprata da segreti ed
esperienze piuttosto spiacevoli.
Quella
stessa ragazza, che qualche anno prima si sarebbe ritratta al sol
pensiero di una siringa nel corpo, e che ora ne teneva sempre una sotto
il materasso, o addirittura negli armadietti della scuola, insieme ad
una consistente dose di fiale o polverine varie…
Si
ricordava perfettamente la prima volta che i suoi amici le fecero
provare l’acido lisergico: erano ad una festa di nostalgici,
e per ravvivare un po’ l’atmosfera uno di loro
aveva portato alcune cartine, e lei, per curiosità ma anche
per spavalderia, le aveva prese in mano.
Fu la
notte più spaventosa della sua vita: ritornò a
casa su una specie di elefante-giraffa che pigolava come un pulcino, ed
i suoi amici sembravano tanti funghi col cappello luminoso, che non
smettevano di muoversi.
Oppure,
quando si fece la sua prima sniffata; era piccola, aveva sì
e no diciassette anni, ma tanta voglia di vivere e di sperimentare.
Forse
anche troppa… Fatto sta che si ricordava nitidamente quel
giorno, come se fosse stata lucidissima.
L’esperienza
più bella, però, risaliva al suo profondo periodo
di depressione. La notte vegliava con un coltellino svizzero in mano, e
nell’udire il pianto della sua piccola che la chiamava,
posava l’affilata lama sul suo tenero collo, esercitando una
leggera pressione. Ancora poco, e sarebbe diventata cibo per i
vermi…
Ma il
pianto era troppo forte, e la riportava sempre alla realtà:
si alzava, e di malavoglia allattava quella creatura piccolissima e
fastidiosissima, come se stesse tenendo in braccio una bomba atomica.
La
situazione naturalmente migliorò quando la siringa
entrò nel suo braccio e nel suo cuore: tutto gli sembrava
più bello, più colorato,
più… vivo.
Fu
come rinascere.
Era
meraviglioso. Ma poi…
Scosse
leggermente il capo, come per scacciare quelle congetture impure dalla
sua mente: non voleva pensarci, non voleva pensarci mai
più.
Sospirò
rumorosamente.
“E’
più facile dirlo che farlo, Miss Braccia Bucate”
Si
alzò dalla fredda panchina, prese da terra il borsone degli
allenamenti e si incamminò verso casa, fantasticando sulla
sua possibile vita senza Eroina &Co.
“Nonna,
nonna!”
Stavo
scendendo velocemente le scale, con Michael dietro di me che cercava
inutilmente di seguirmi, ed intanto mi lanciava scongiuri e
raccomandazioni, che io puntualmente non ascoltavo.
Ero
così contenta di aver scoperto finalmente tutta la
verità che non davo più retta a nessuno!
La mia
testa era completamente piena di felicità, che dovevo
assolutamente condividere con qualcuno. Altrimenti sarebbe scoppiata!
“Nonna!”
Atterrai
sul pavimento dopo un grazioso salto dal terzultimo gradino, e Michael,
per paura di cadere addosso a me, si sporse all’indietro, e
cadde rovinosamente sugli scalini.
“Cavolo,
la prossima volta non correre, signorina! Potevo prenderti in pieno, lo
sai?”
Sembrava
parecchio irritato, ma per me doveva semplicemente abituarsi alla mia
gioia; mi girai verso di lui e lo aiutai ad alzarsi, nonostante pesasse
più di me.
“E
dai, Michael, non essere così catastrofista! Sto bene, come
vedi, ed anche tu non sei ridotto male!”
“Già”
sbuffò il povero riflesso, che di etereo aveva ben poco, e
poteva farsi male così come tutti gli altri esseri umani.
Si
pulì l’elegante abito da sera dalla polvere, e mi
seguì alla ricerca della nonna, che stranamente non era
spaparanzata sul divano a guardare la televisione come tutti i
pomeriggi, né a riflettere mestamente sul guaio che aveva
combinato rivelandomi così a bruciapelo un segreto di
importanza storica.
Perlustrai
il piano terra della nostra villa, e non la trovai neanche in cucina, o
in bagno; perciò, decisi di uscire in giardino, dove un
pallido sole illuminava le amate piante di Fernando.
Stava
lì, mia nonna, appoggiata ad una colonna delle veranda,
mentre osservava rapita il paesaggio davanti a lei.
Non si
era neanche accorta del mio arrivo, e sinceramente mi dispiaceva molto
disturbarla, anche se la situazione lo permetteva.
Volsi
lo sguardo dietro di me: Michael mi incoraggiò facendo
l’occhiolino, ed invitandomi a parlare.
Io mi
girai rigidamente in direzione della nonna, osservando ancora una volta
i suoi capelli scuri che ricadevano sulle spalle, mossi dolcemente dal
vento, con qualche impercettibile sfumatura grigia sulle tempie, segno
del tempo che passava.
Ripensai
a ciò che aveva rischiato nel dirmi tutta la
verità, a quante lacrime aveva versato vedendomi correre via
da lei come da un orribile mostro, e mi sentii terribilmente in colpa:
ero stata davvero stupida a non riflettere dal suo punto di vista,
considerandola una bugiarda, e sbattendo i pugni per terra per
ciò che ormai non poteva più essere cambiato.
Lo
stomaco si fece pesante, e per togliermi quel peso dovevo solo
avvicinarmi e dirle tutto ciò che mi era successo nei
precedenti minuti.
“Nonna…”
Finalmente
lei si voltò al mio richiamo. Aveva la faccia sconvolta di
chi ha appena pianto, e non si è ancora del tutto ripreso.
I suoi
occhi erano gonfi di sorpresa, e la bocca tremava sotto la forza di
parole che non volevano essere pronunciate, ma che premevano per uscire
dalle labbra.
Dopo
un attimo che mi sembrò eterno, lei mi sorrise, un sorriso
stanco, e mi si avvicinò.
“Tesoro…
Ha-hai bisogno di qualcosa? Perché sei così
seria?”
Io
sospirai dolorosamente, e mi si spezzò quasi il cuore.
“Nonna…
Innanzitutto volevo darti le mie scuse per prima. Ho capito che per te
non è stato di certo facile dirmi tutte quelle cose, ed io
sono stata così stupida da non mettermi nei tuoi panni e
pensare con il tuo cervello. Perdonami, sono un’egoista,
bella e buona! E poi… Sappi che non mi dispiace poi
così tanto: posso aiutare gli altri, no? È
bellissimo!”
Dapprima
mia nonna non disse nulla, forse sconvolta da ciò che le
avevo detto. Poi fece un passo in avanti e si accucciò per
terra, in modo tale che il suo viso ed il mio fossero perfettamente
paralleli.
Scorsi
nei suoi occhi un bagliore di felicità, ma non seppi
precisare per quale motivo.
Sapevo
soltanto che finalmente la nostra pace era sancita.
“Tesoro,
scusami tu per come ti ho trattata. Pensavo che tu fossi ancora troppo
piccola per queste cose, e la paura di sconvolgerti la vita mi ha di
certo influenzato. Non avevo però fatto i conti con la tua
innaturale intelligenza… E neanche con la mia
stupidità, devo dirlo! Perciò, mia piccola
Michael…” E qui la nonna mi accarezzò
la guancia con l’indice, disegnandovi forme immaginarie.
“Stai
attenta a quello che fai, pensa sempre prima di agire. Ci
sarà molta gente pronta ad approfittarsi di te, ma tu non
dargli retta, e continua lungo la tua strada. Mi capisci?”
Annuii,
e stavolta capivo. Capivo la mia
povera nonna, ed il suo cuore infranto.
I suoi
occhi mi fecero così tenerezza che non resistetti, e la
abbracciai fortissimo, come quando ero ancora più piccola e
volevo dimostrarle la mia forza stritolandole le costole e le braccia.
Lei mi
ricambiò ridendo sommessamente e sussurrandomi parole di
conforto che alle mie orecchie parvero come una ninna nanna.
Rimanemmo
così per molto, dondolandoci nella nostra gioia.
Ero
così felice che mi ero completamente dimenticata di Michael,
che molto probabilmente osservava le nostre effusioni imbronciato e
piuttosto offeso.
Mi
sciolsi dall’abbraccio, scusandomi con la nonna, e mi volsi
per vedere se il povero Michael era ancora dietro di me: in effetti
c’era, ma mi fissava in modo così fastidiosamente
insistente da farmi sentire terribilmente in colpa.
Che
cavolo, speravo davvero che non si fosse offeso tanto!
“Oh,
Michael, scusami davvero tanto, ma ero troppo presa per ricordarmi che
tu eri dietro di me, e ci osservavi! Mi perdoni, vero?”
Sfoggiai
una delle mie più innocenti espressioni, per conquistare
Michael, ma lui era veramente molto offeso, perché
continuò a fissarmi arrabbiato.
“Cara
Mike, forse non capisci che anch’io ora faccio parte della
vostra famiglia, e che con voi condivido qualsiasi
cosa? Comunque, ti sei dimenticata di presentarmi a tua nonna: non ha
una gran bella faccia…”
“Oddio,
è vero!”
Chissà
cosa stava pensando la nonna di me! Molto probabilmente si rammaricava
nell’aver avuto una nipote così strana,
e che oltretutto parlava da sola…
“Ehm,
nonna…” tentai di spiegare, ma lei mi
bloccò, e mi sorrise.
Rimasi
piuttosto stupita dal suo gesto: che già sapesse…?
“Non
servono spiegazioni: Michael mi ha già detto tutto.
Però, ti prego soltanto di non urlare per così
poco, i vicini potrebbero sentirci…”
Guardai
stupita mia nonna, e sbuffai: tanto casino per nulla!
“Comunque
potevi dirmelo prima, Michael” sibilai al riflesso, che ora
se ne stava tranquillamente seduto sul pavimento a rimirare il
giardino, come se non fosse successo nulla nell’arco di
mezz’ora: possibile che desse tutto per scontato? Sapevo da
neanche qualche minuto che ero un angelo, e dovevo già
conoscere tutti i segreti del mestiere!
Non
sarebbe stata facile… Per niente.
Osservai
la nonna che finalmente era felice della nostra riappacificazione, e
sorrideva alla vista di me che me la prendevo con il pavimento della
veranda, ben sapendo che lì c’era una specie di
fantasma che se la spassava con la mia inesperienza.
All’improvviso
un lampo le attraversò il viso, e prese velocemente la mia
mano.
“Vieni,
Mike, mi sono ricordata che devo darti una cosa!”
Mi
trascinò lungo le scale, tanto che dovetti correre per stare
appresso alle sue gambe velocissime e molto più lunghe delle
mie. Alla fine arrivammo davanti alla porta della sua stanza, e lei
aprì piano la porta, mentre io mi riposavo dalla scarpinata:
se lo avessi saputo, mi sarei anche potuta preparare psicologicamente!
Quando
lei mi invitò ad entrare il mio respiro era tornato
regolare, ma il mio cuore accelerò leggermente i battiti,
colpito dalla possibile sorpresa che la nonna voleva donarmi.
Mi
fece accomodare sul letto, e la vidi armeggiare con il suo cassetto del
comodino, così strapieno di segreti che aveva trovato un
valido vice nell’armadietto della scrivania. Tuttavia la
nonna custodiva i suoi averi più preziosi nel cassetto, e
non nell’armadietto, dove chiunque avrebbe potuto rovistare,
non essendoci la chiave, ma soltanto una rudimentale chiusura a scatto.
Finalmente
riemerse dal suo oceano di oggetti, il viso rosso ed emozionato, e le
mani dietro la schiena a nascondere il mio regalo.
I
battiti del cuore aumentarono quando lei mi si avvicinò
lentamente, come una belva, e si inginocchiò di fronte a me,
un sorriso amichevole sulle labbra.
“Questo
è un oggetto molto speciale: me l’ha dato Michael
per te, perché un giorno potessi portarlo, e grazie ad esso
riconoscere i tuoi simili tra i miliardi di volti che ci sono al mondo.
Spero che lo conserverai bene”
Detto
questo mi porse una catenina d’oro alla quale era appesa una
coroncina di diamanti, così brillante e pura da lasciarmi
quasi senza fiato.
Davvero
quella meraviglia era per me?
La
osservai ancora, stupita, prima di prenderla delicatamente fra le mani
e saggiare la sua leggerezza ed il piacevole gelo: nessuno mi aveva mai
fatto dei regali così preziosi, e mi sentivo anche commossa
da tutte le attenzioni che la nonna e Michael, da quando avevano
accidentalmente messo piede nella mia “seconda”
vita, mi procuravano.
Forse
era un modo per scusarsi della loro eccessiva avventatezza, ed
apprezzavo il loro gesto; mi faceva sentire finalmente una bambina
normale.
“Ti
piace, tesoro?”
La
nonna non la smetteva di guardarmi con occhi amorevoli, mentre io
tenevo i miei fissati sul gioiello tra le mani.
“Sì,
è molto bello. Grazie” fu tutto ciò che
seppi dire, e dopo aver rimirato il ciondolo un’ultima volta,
lo indossai: certo, era davvero bellissimo!
Ancora
non riuscivo a crederci pienamente…
“Vieni,
ritorniamo giù: aspetteremo la mamma, così lo
diremo anche a lei!”
“Okay!”
Mi fiondai fuori dalla porta, lungo le scale, mentre la nonna mi
seguiva placidamente, con un sorriso ebete in faccia.
Ad
aspettarci al piano inferiore c’era Michael, che non era
venuto con noi per non disturbarci, e non vedeva l’ora di
iniziare il mio “addestramento”. Mi avrebbe di
certo trascinato in qualche strano luogo se la nonna non ci avesse
chiamati (anche se non vedeva Michael, avvertiva la sua presenza,
soprattutto perché io non potevo di certo parlare da
sola…) e ci avesse chiesto di aspettare in soggiorno,
tranquilli, il ritorno di mia madre.
Fu
ciò che facemmo: dopo un po’ che ci annoiavamo
terribilmente, iniziammo a raccontarci barzellette; poi imitammo alcuni
personaggi famosi, cosa che mi riusciva non molto bene, mentre Michael
era un vero e proprio campione; poi giocammo agli indovinelli, e quando
ci fummo stancati sia di giocare che di fare gli stupidi inutilmente,
parlammo un pochino del mio presunto
“addestramento”: cosa avrei dovuto fare
esattamente, quali prove avrei dovuto affrontare, la mia vita in parte
programmata…
Lui
non si dilungò molto, poiché ero ancora troppo
inesperta per certe cose, ma mi rivelò che le mie varie
prove si incentravano sul trasmettere agli altri un messaggio
attraverso la mia arte, come aveva detto la nonna.
Tuttavia
dovevo perfezionarmi in continuazione, per raggiungere un risultato
sempre migliore dei precedenti, e perciò, coinvolgere molta
più gente.
Mi
avrebbe di certo aiutato lui, essendo esperto del campo, e avrebbe
anche ripreso i miei gesti, nel caso avessi perso la retta via; tutto
questo fece salire in me una certa sicurezza, che prima non avevo, e
gli sorrisi come per trasmettergli, quella sicurezza.
Lui
certamente la avvertì, perché mi
ricambiò, stringendomi anche la mano in un caldo abbraccio.
La
magia si interruppe quando sentimmo il campanello suonare
fastidiosamente, ed udimmo i passi della nonna che andava ad aprire:
doveva essere la mamma!
Mi
fiondai verso l’ingresso e quando vidi la figura che
lentamente entrava in casa reggendo un grosso borsone puzzolente, gli
saltai letteralmente addosso, senza neanche lasciarle il tempo per
riprendere fiato, o salutare.
Tuttavia,
non ne sembrava così dispiaciuta: rideva, e mi scompigliava
i capelli, facendomi dondolare come una bambola di pezza, ed io intanto
la abbracciavo ancora più forte, tanto che dovette buttare
il borsone per terra per non perdere l’equilibrio.
Ci
ruzzammo fin quando la mamma non fu così stanca da non
potermi reggere più tra le braccia, e mi lasciò
andare; io perciò la condussi in soggiorno, insieme alla
nonna ed a Michael.
Quel
giorno ero particolarmente felice di vedere la mamma, e non vedevo
l’ora di dirle cosa era successo quel pomeriggio, renderla
partecipe della mia gioia, e magari ricevere qualche buon consiglio.
Alla
fine del nostro discorso (poiché ci eravamo espresse
alternamente sia io che la nonna), il suo viso si illuminò
di un bellissimo sorriso, e mi abbracciò ancora,
complimentandosi con la sua bella bambina.
Io mi
dondolavo tra le sue braccia, consapevole della mia condizione, e
pensai che la bambina tra me e la mamma fosse proprio lei: i suoi gesti
così dolcemente infantili, i sorrisi gratuiti, le smorfie
buffe…
Ero
cresciuta con una mamma gioviale ma seria nelle occasioni importanti,
che si esprimeva come tutti i mortali, ma sapeva controllare in una
maniera assurda le sue emozioni, cosa che alla nonna non riusciva, e
moltissime volte si era dimostrata una persona molto diversa dalle
apparenze.
Ora la
mia nuova mamma si era addolcita, e prendeva tutto con allegria o con
eccessiva drammaticità; non riconosceva le tragedie dalle
satire, e diventava lei stessa attrice di una sconosciuta ed
incomprensibile opera teatrale: recitava il suo ruolo in perenne
disaccordo con se stessa, riuscendo spesso a farci perdere le staffe, e
non mollava mai la sua opinione, anche se molto probabilmente
comprendeva quanto fosse stupida ed inutile.
Quel
cambiamento così radicale durava da circa tre anni, da
ciò che ricordavo, ma mai come in quel periodo si era
accentuato.
Desiderava
sempre essere coccolata e sfoggiava degli occhi così dolci
che avrebbero fatto imbarazzare un cerbiatto, e magari qualche minuto
dopo ti mandava a quel paese senza troppi complimenti, rinchiudendosi
poi nella sua stanza, dove rimaneva fino alla mattina seguente, senza
neanche mangiare.
Già,
la situazione stava degenerando, e non sapevamo assolutamente come
aiutare la povera mamma, poiché non comprendevamo neanche il
suo male né le cause di esso: lei era diventata troppo
imprevedibile per noi, e non riuscivamo a parlarle.
Ci
limitavamo soltanto ad infonderle il maggior affetto possibile, come
stavo facendo io in quel momento, e non ci ponevamo più
troppe domande: il tempo avrebbe sistemato tutto.
Il
caro vecchio amico tempo…
Quando
ci sciogliemmo dall’abbraccio lei mi guardò con
occhi sognanti, e mi accarezzò i capelli, annodando le dita
nei riccioli come faceva per il filo del telefono.
“Sono
così fiera di te, piccola mia. So che non sarà
facile, ma ricordarti sempre… Non smettere mai di sperare,
perché la speranza è sempre l’ultima a
morire. Lo sai, questo, no?”
Io
annuii, cercando negli occhi apparentemente felici della mamma una
possibile luce avversa, ma tutto ciò che vidi fu amore,
sincero.
Per
quel giorno rinunciai alla mia investigazione quotidiana, e dopo aver
baciato la mamma sulla guancia, scesi dal divano e mi diressi in camera
mia, con la scusa che volevo stare un po’ da sola, dopo tutto
quel trambusto, e riposarmi.
Naturalmente,
la nonna e la mamma acconsentirono, sorridendo.
Ricambiai,
e mentre stavo salendo per i gradini, mi accorsi di un particolare: il
caro Fernando, da quando mi trovavo nella stanza con Michael, non aveva
dato più segni di vita, come se fosse scomparso
all’improvviso.
Mi
girai intorno, cercando quella chioma leonina ormai grigia, ma
l’unica massa di capelli in vista era quella nera e riccia di
Michael, che mi seguiva ormai dappertutto.
Cominciai
a preoccuparmi, e ridiscesi le scale per chiedere alla nonna notizie di
Fernando, ma lei mi seppe soltanto dire che non lo vedeva da circa
un’ora, e che non sapeva dove si fosse cacciato.
La
ringraziai e rimuginai per un po’ su questo: di solito non
lascia mai la villa, ed è sempre visibile, impegnato in
qualsiasi faccenda domestica possibile ed inimmaginabile…
Inoltre
era molto strano che fosse sparito così,
all’improvviso…
Vabbè,
era meglio non pensarci più: alla fine sarebbe sbucato
fuori, sicuramente!
Ritornai
perciò in camera mia, e ci rimasi per molto tempo, seduta
sul letto, con Michael al mio fianco che mi accarezzava i capelli,
senza un motivo preciso: forse perché voleva abituarmi alla
sua presenza, o forse perché si sentiva veramente
di farlo…
Fatto
sta che era una sensazione meravigliosa: le sue dita erano
così morbide ed il suo tocco così leggero che ben
presto le mie palpebre cedettero, e mi appisolai, cadendo in un sonno
ristoratore, che dopo quella giornata così movimentata era
capitato proprio al momento giusto.
Mi
svegliai con gli occhi impastati ed i muscoli intorpiditi,
poiché avevo dormito in una posizione molto scomoda, ma la
figura di Michael, che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che
vegliare su di me, mi infuse la giusta dose di serenità per
sorridergli, nonostante il mio sonno non ancora concluso.
Lui
ricambiò e mi aiuto a sedermi sul materasso, mentre mi
stropicciavo gli occhi, e cercavo approssimativamente di capire per
quanto tempo avevo dormito: dietro le finestre il cielo si stava pian
piano scurendo, ed una piccola stella spuntò sopra il sole
morente, come se fosse venuta per salutarlo.
Doveva
essere ora di cena, sicuramente…
“Michael…”
dissi, ancora intorpidita dal sonno. “Che ore sono? Penso di
aver dormito tantissimo…”
“In
effetti, sono quasi le otto!” mi rispose Michael, con un gran
sorriso. “E faresti bene a scendere: Fernando è un
tantino irritato dal tuo ritardo”
“Okay…”
Non avevo alcuna voglia di alzarmi da quel bel letto, ma dovetti, e mi
avviai giù per le scale, dalle quali si sentiva un bel
profumo: Fernando aveva cucinato un’altra delle sue strambe
ricette vegetariane per me e per la nonna, ed un menu da cavernicolo
per mia madre.
Mangiai
con molta calma, ed ascoltai incuriosita le barzellette che mia nonna
ogni sera si inventava per rallegrarci l’animo prima di
andare a dormire: erano stupide, ed alcune non avevano neanche senso,
ma facevano scompisciare dalle risate!
L’unica
che, però, rimaneva seria, era la mamma, che piluccava la
sua bistecca, osservandola malinconica.
Anch’io
la osservavo, cercando in qualche modo di comprendere la sua tristezza;
ma non ero Isabel, ed i miei viaggi mentali non portavano a nessuna
meta.
Mi
alzai da tavola dispiaciuta, e corsi in camera per infilarmi il pigiama
ed andare sotto le coperte: non volevo più pensare,
né alla mamma, né al compito che incombeva su di
me.
Volevo
solo dormire, abbracciando Michael a mo’ di orsacchiotto di
peluche.
Ma
mentre mi stavo lavando i denti al bagno, guardando insonnolita la mia
immagine riflessa nello specchio, mi ricordai dell’unica
persona che ancora non avevo avvisato della mia nuova vita, e quasi mi
strozzai con il dentifricio nel tentativo di pronunciare il suo nome,
che tuttavia venne inondato dall’acqua del rubinetto.
Michael,
presosi un bello spavento, mi chiese di stare tranquilla, e di non
preoccuparmi per così poco, ed io, giustamente, gli diedi
retta: dopotutto era tardi, e non potevo andare da nessuna parte.
Mi
accoccolai perciò nel mio caldo lettuccio, con Michael al
mio fianco, ripensando alla gran bella giornata trascorsa ed a quella
che sarebbe venuta.
La
mattina dopo mi svegliai più elettrizzata che mai: non
vedevo l’ora di rivelare a lei, ad Isabel,
ciò che avevo scoperto.
La sua
intelligenza sicuramente aveva già intuito molte cose, ma
rimaneva la gioia di parlarle di persona, di osservare il suo viso
apparentemente impassibile cambiare espressione, ascoltare la sua dolce
voce ed i suoi saggi consigli: mi fidavo moltissimo di lei, e
sicuramente sarebbe stata molto contenta per me.
Una
volta mi aveva parlato proprio di questi cosiddetti angeli,
ma non si era molto dilungata: tutto ciò che avevo
saputo da lei era, in fondo, ciò che anche mia nonna mi
aveva detto.
Tuttavia,
non vedevo l’ora di incontrarla!
Passai
molte ore girovagando per casa, nell’attesa di uscire assieme
a Michael (la sua presenza, secondo la nonna, mi avrebbe protetto da
qualunque pericolo), ed osservavo nervosa l’orologio appeso
in soggiorno, in attesa delle tre del pomeriggio.
Infatti
ero così eccitata da non considerare il fattore
“scuola”, ed ora mi toccava soffrire per molto
tempo, interagendo al massimo con mia nonna e Fernando, che la mattina
non erano una buona compagnia.
Neanche
pranzai, per quanto ero emozionata. Mangiai soltanto una mela, per non
accasciarmi a terra senza forze, dopo neanche mezz’ora.
Quando
sentii il pendolo battere le tre, mi precipitai fuori dal portone,
salutando velocemente la nonna e Fernando, e sfrecciando sulla grande
strada tranquilla, popolata soltanto da alcuni maggiordomi che
portavano a spasso il cagnolino della padrona, oppure le padrone che
sfoggiavano tutte le loro ricchezze sulle sole
mani.
Michael
storse il naso e mi prese dolcemente per mano, vedendomi sin troppo
esuberante, e mi chiese la via esatta in cui abitava Isabel.
Gli
indicai approssimativamente il luogo, e lui, guidato da una strana
forza, forse tipica dei riflessi come lui, mi guidò per la
strada che conoscevo quasi a memoria, tra le viuzze strette e ricoperte
da scadente asfalto della zona dedicata alla popolazione ispanica.
Quando
entrammo nella via in cui abitava Isabel, mi lasciò andare
la mano ed io potei correre verso la casa della mia amica, con il cuore
a mille ed il sorriso stampato sul viso dalla mattina.
Corsi
fin quando non scorsi la famigliare treccia scura che, immobile sulla
schiena della padrona, sembrava quasi chiamarmi: mi avvicinai
lentamente, e pronunciai il suo nome con una punta di timore.
Lei si
voltò, gli occhi magnetici fissi su di me.
Era
incredibile quanta potenza avesse nei suoi soli occhi… Un
solo sguardo, e le barriere mentali e fisiche crollavano, distrutte da
una forza sconosciuta ed antichissima.
“C-ciao,
Isabel…” Dovetti abbassare lo sguardo per
parlarle, emozionata come ero.
Al
contrario, lei sembrava perfettamente a suo agio, come se avesse
aspettato questo momento da sempre.
“Isabel…”
Ripetei il suo nome, stavolta più chiaramente.
“Devo dirti una cosa molto importante, che in un certo
riguarda anche te… L’ho scoperto ieri, ed anche se
tu saprai già tutto, beh… Volevo parlartene,
ecco! E’ così bello parlare, non credi?”
“Molto”
rispose lei, gli occhi ancora fissi su di me. “Comunque, non
so di certo come sono andate le cose, altrimenti a quest’ora
ti avrei già congedato, non credi? Ora siediti qua con me e
raccontami tutto”
Mi
indicò lo scalino sul quale era seduta, ed io, piuttosto
titubante, obbedii.
Le
rivelai tutto. Tutto ciò che la nonna mi aveva nascosto per
anni, e che finalmente potevo raccontare a qualcuno che mi capisse
veramente.
Mi
soffermai soprattutto sulla natura dei vari angeli, sui loro poteri e
sul legame che univa i protetti ai custodi, un legame così
forte da non esser spezzato neanche dalla morte di uno dei due.
Lei mi
ascoltava, immobile come una statua, talvolta muovendo
impercettibilmente la testa, e sbattendo le palpebre come ali di una
farfalla.
I suoi
occhi si incupirono quando le spiegai l’importanza per un
angelo speciale di riconoscere i propri simili attraverso un oggetto di
uso comune, principalmente un gioiello od un manufatto artigianale, il
quale infondeva un’energia tanto particolare quanto
misteriosa, poiché soltanto noi
potevamo sentirla.
Per
gli ignoranti umani rimaneva soltanto un bellissimo tesoro da custodire.
Stavo
per chiederle quale fosse il motivo della sua improvvisa
rigidità quando lei tuffò silenziosamente una
mano nella scollatura della sua maglietta e ne tirò fuori un
monile orientale dall’aria molto raffinata ed elegante, che,
nonostante la sua ricchezza di particolari, appariva sinuoso e leggero
tra le mani di Isabel.
Mi
tese le mani, invitandomi ad osservarlo, ed io rimasi per molto tempo
ad ammirare la sua fattura ed il dolce contrasto tra i luminosi rubini
e la pelle di ambrata di Isabel.
Era un
oggetto senza pari, semplicemente… E più lo
guardavo, più forte era il desiderio di afferrarlo tra le
mie mani…
Non
feci in tempo, poiché la furba Isabel se lo rimise al collo
con un gesto fulmineo, lasciandomi con un palmo di naso.
Improvvisamente,
però, seppi come comportarmi di fronte al suo gesto
apparentemente senza senso: non ero sicura di quel che stavo per fare,
ma un senso particolare, distaccato dagli altri, mi diceva che quella era la giusta soluzione.
Con
una leggera inquietudine, mi sfilai il ciondolo dal collo, e glielo
porsi, come lei aveva fatto con la sua collana.
Dapprima
sembrava non dare alcun segno di cedimento di fronte alla mia stupenda
catenina, ma poi vidi le sue mani tremanti avvicinarsi sempre
più alle mie, nel tentativo di afferrare il gioiello, e fu
lì che ritirai le braccia, soddisfatta del mio risultato.
Isabel
sospirò lievemente, vinta dalla forza del ciondolo, e
posò i suoi profondi occhi su di me: aveva capito,
finalmente…
Io la
guardai per un attimo assorta, poi le sorrisi dolcemente, ed infine,
mossa da un affetto che di umano non aveva quasi nulla, la abbracciai
fortissimo, assaporando l’aroma dei suoi capelli ed il
solletico della stoffa della maglietta sul mio collo.
Dopo
un secondo di stupore, anche lei mi circondò il collo con le
sue esili braccia: sentii il tintinnio della sua collana contro la mia,
e quel suono, così cristallino, mi annunciò che
avevo trovato ufficialmente la mia prima vera compagna.
La
bambina, e poi successivamente la ragazza, con la quale avrei condiviso
il mio ruolo e combattuto per gli stessi valori, con la quale avrei
mantenuto, per sempre, un legame ancor più forte
dell’amicizia.
Sorrisi
a quel pensiero, e convenni che la mia posizione non era poi
così male: avevo trovato una nuova amica, e ne aspettavo
ancora due in chissà quale parte del mondo…
Insieme, potevamo fare qualunque cosa.
Credevo
in me, ed in loro.
Quando
mi sciolsi dall’abbraccio con Isabel, la nostalgia mi
attanagliò: era così bello abbracciare qualcuno a
cui volevi veramente bene!
Ma
ormai, non c’era più niente da dire. Se non Buona Fortuna.
Mi
alzai dagli scalini polverosi e mi ripulii il vestito dalla fastidiosa
ghiaia, prima di salutare Isabel e prometterle che presto sarei
ritornata.
Lei mi
sorrise, un sorriso quasi impercettibile, ed alzò una mano
in segno di saluto.
Per
l’ultima volta mi voltai verso di lei, riluttante a lasciarla
lì, sola con i suoi pensieri.
Michael,
che aveva assistito alla scena, mi porse la sua mano, e mi chiese di
non preoccuparmi per Isabel, poiché era una bambina molto
intelligente, e sapeva cavarsela perfettamente da sola.
Io
sbuffai: anche se la situazione non richiedeva tutta questa leggerezza,
il mio angelo custode si stava dimostrando davvero superficiale!
O
forse, per lui era diventata ormai una cosa molto normale aver a che
fare con piccoli angeli come me ed Isabel, e non dava più
molta corda alle nostre parole ed azioni.
Sì,
doveva essere così…
Mi
decisi a non pensare più ad Isabel quando uscimmo dalla via
in cui abitava, e ci dirigemmo finalmente verso casa, un peso in meno
nel cuore, ma la consapevolezza di non poter più custodire
giustamente i propri segreti e paure. Neanche in esso.
“Coff,
pant…” *Looney striscia ansante verso Efp,
trasportando con sé il suo manoscritto*
“E
finalmente…” *solleva con la poca forza che le
è rimasta i fogli in alto*
“CE
L’HO FATTA!” *esulta, strozzandosi con la sua
stessa saliva*
“Non
ci crederete, signori… Ho passato ben DUE mesi a scrivere, e
ciò che ne è venuto fuori lo potete ammirare qui,
subitissimamente! Ma non siete felici?*__* Io sì!”
*cerca di alzarsi per parlare meglio, ma scivola su un sasso bastardo e
ricade*
“Oh,
proprio ora ci voleva!D: non vi dispiace se ringrazio chi devo
ringraziare e poi me ne vado? Così siamo felici tutti
ù__ù Allora, per prima cosa vorrei ringraziare la
mia… fantasia D: Okay, sono seria ù__ù
Vorrei ringraziare tutte le care signorine che mi sono vicine e che
come al solito mi sostengono, recensendo (?) e dandomi ottimi consigli!
Poi, un ringraziamento a parte lo merita la mia cara Rò (GioTanner) che non solo ha recensito
tutti i miei capitoli *__* Ma mi aiuta anche a trovare dei titoli
stupendi! Grazie infinite, Rò, ti voglio bene! <3
Ah, poi
c’è la mia cara Margot (_lullaby)
che sta leggendo proprio ora il mio quinto capitolo *coff*
Già, proprio il quinto -.-“ E la mia dolcissima e
bellissima Ambra *_* (ovvero fall again)
che qualche giorno fa mi ha dimostrato il suo apprezzamento =D Grazie
infinite, Ambrina <3
Okay, penso
di aver finito con i ringraziamenti… Se avete letto e non
avete capito qualche passaggio, basta dirmelo ed io vi
spiegherò tutto ù__ù
E detto
questo, tolgo il disturbo! Tantissimi saluti a tutti *____*
Looney
P.S.:no, oggi
non vi farò partecipi del mio dolore per lui .__. La
prossima volta, okay? Tanto lui sta sempre lì -.-“
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Fallen Angel (Because sometimes you can't choose...Or not?-Seconda parte) ***
Fallen
Angel
(Cause sometimes you can’t choose…Or
not?-Seconda parte)
Dopo
esserci riconosciute a vicenda come compagne, io ed Isabel eravamo
diventate ancora più unite che mai: facevamo praticamente
qualsiasi cosa insieme, e non ci stancavamo mai di parlare, o di
scherzare, o semplicemente di stare sdraiate sul prato del mio giardino
ad osservare le silenziose nuvole che formavano ai nostri occhi
bizzarre creature.
Insieme
ci dimenticavamo del mondo circostante… Addirittura dei
nostri poveri protettori, che, nonostante fossero attenti e premurosi
con noi, non potevano vietare ad una
la compagnia dell’altra, e viceversa.
Michael,
infatti, mi disse su questo che se un protettore avesse costretto il
suo protetto a compiere azioni che andavano oltre la propria
volontà, sarebbe stato ricacciato subito tra gli angeli che
ancora non badavano a nessun umano, e molto probabilmente non sarebbe
mai più stato scelto.
Questa
aspettativa mi terrorizzava moltissimo, non solo perché
così non avrei più rivisto Michael, ma anche
perché sarei stata di nuovo sola, come tanto tempo prima.
Ora
che avevo due splendidi amici, non volevo di certo rovinare tutto con
un banale ed apparentemente stupido gesto.
Michael
era molto gentile e disponibile con me, ed io cercavo di non
approfittarmi della sua infinita pazienza: così, prevenivamo
possibili rischi di separazione.
Stavo
scarabocchiando sul mio quaderno, Isabel di fronte a me che con la sua
manina delicata tracciava linee sinuose le quali andavano a creare un
bellissimo paesaggio montano, quando Michael si rivolse a me, con voce
divertita ed allo stesso tempo seria.
“Lo
sai a cosa stavo pensando,
Mike?”
Io mi
voltai verso di lui, lasciando la mia povera ballerina senza braccia e
senza volto.
“A
cosa, Michael?”
“Beh…”
rispose lui, una punta di malizia nella voce. “Tu ed Isabel
vi siete trovate, ma ci sono ancora due angeli come voi che stanno
cercando i loro simili. Sono lontane… Ma una più
di dell’altra. E sai
perché?”
Avvicinò
il suo volto al mio, sorridendo sotto i baffi, mentre io, confusa,
socchiudevo gli occhi nel tentativo di capirci qualcosa.
“Io…
No, non ho capito. Perché
una è più lontana
dell’altra…?”
Lui mi
osservò ancora una volta e poi sfoderò ancora uno
dei suoi enigmatici sorrisi.
“Perché
è ancora in viaggio per raggiungere la nostra Terra. Quando
sarà nata, la potremmo vedere, dandole il benvenuto
affettuosamente, ed augurarle un’esistenza felice e
spensierata. Naturalmente non possiamo avvicinarla, poiché
ancora non sa bene ciò
che le aspetta, ma un piccolo contributo di coraggio non ha mai fatto
male a nessuno! Allora,
andiamo?”
La
matita mi scivolò dalle mani tremanti, e schiusi la bocca in
una smorfia che somigliava apparentemente ad un sorriso: naturalmente
ero felicissima di poter assistere ad un evento così straordinario, ma Michael
l’aveva detto con una tale naturalezza che difficilmente
sarei rimasta impassibile!
Mi
accinsi ad annuire convinta solo
dopo aver recuperato la matita e rivolto a Michael un sorriso
rassicurante.
“Beh…
Certo che mi va! Ma quando dovremmo
andarci?”
“Il
giorno e l’ora esatta in cui nascerà, e
precisamente…”
Michael
ci pensò un po’ su, e poi schioccò le
dita all’arrivo del ricordo.
“Giusto!
Il giorno 8 Ottobre alle ore 22:47! Visto
come sono preciso?”
“Ma
non è un po’ tardi? La nonna non mi
lascerà restare alzata per così tanto tempo!”
“Non
ti preoccupare, penso io a tua nonna” mi rassicurò
Michael, sfoggiando una delle sue espressioni più dolci, che
mi fece letteralmente scogliere.
Gli
sorrisi, senza un motivo preciso, e poi lo abbracciai forte.
Isabel
intanto continuava il suo disegno con estrema calma e precisione, senza
dare tanto peso a noi due che ci
scambiavamo gesti affettuosi, poiché poteva
conoscere tutto ciò che voleva dalla mia mente.
In
effetti, poco dopo scansai Michael dalle mie braccia, avvertendo una
fastidiosa sensazione che mi attanagliava il cervello, che se ne
andò così come era venuta.
Sbattei
le palpebre e mi rivolsi alla mia amica.
“Isabel!”
Lei
alzò il capo e mi guardò implorante, le guance
colorate leggermente di rosso.
“Scusa.
Mi sembrava scortese
interrompervi”
Lo
sorrisi, senza rammarico nel cuore: sapevo quanto fosse dura per lei
rinunciare all’utilizzo dei suoi poteri per così
tanto tempo, e la leggera svista era dovuta al suo più
completo smarrimento.
Senza
i poteri si sentiva persa.
“Non
ti preoccupare, è tutto passato. Ma
la prossima volta avvisami!”
Lei
abbassò il capo, nascondendo un sorriso tra la ondulata chioma scura, come a
significare che le dispiaceva, e che era molto grata con me per averla
perdonata di un gesto non molto carino.
Io non
dissi più nulla, limitandomi a sorridere alla sua testa
profumata, e mi rimisi sul disegno, stavolta con minor impegno: non ero
mai stata molto brava nel disegno, e già saper disegnare una
casetta per me era tanto!
Tracciai
delle linee che somigliavano molto a delle braccia, quando mi
ritornarono in mente le parole di Michael: stava per nascere un angelo
come me… E come Isabel.
Un
evento più unico che raro, ed io avevo la fortuna di
assistervi.
Sospirai
sul mio scarabocchio, ed iniziarono a riaffiorare i ricordi di qualche
settimana prima: in quella soleggiata giornata di settembre, dopo aver
litigato con la nonna ed esser corsa in camera a piangere, la luce
aveva illuminato la stanza e mi aveva mostrato il cammino che avrei
dovuto intraprendere.
Mi
spostai da un gomito all’altro, e sentendo tintinnare la
catenina sorrisi ancora: tutto ciò che mi univa ancora al
mondo degli umani era quel banale monile di metallo e pietre…
Quant’erano
sottili i confini del mondo!
Sottili
come il tratto di una matita.
E se
questa matita si cancellasse definitivamente? Cosa succederebbe?
“Michael…”
Mi rivolsi al riflesso dietro di me con una certa, sconosciuta
inquietudine.
“Cosa
c’è, tesoro?”
“Si
possono annullare le distanze tra il nostro mondo e quello degli
angeli? Non esistono punti di passaggio, o simili?”
Michael
sospirò a quella domanda: molto probabilmente non dovevo
neanche fargliela!
“Come
mai te ne sei uscita con questa domanda?”
“Così…
Me lo sono sempre chiesto”
“Okay…”
Michael non sembrava tanto sconvolto dalla mia domanda quanto dal fatto
che… Non sapeva come rispondermi!
O
almeno, era ciò che ricavavo dalla sua espressione molto
eloquente.
“Sì…
Esistono, e ne sono anche molti. Ma
sono difficili da trovare: di solito si scelgono i posti più
nascosti all’occhio umano, oppure così
insignificanti da non destare alcuna curiosità. Ad esempio,
una volta un tizio si ritrovò nel nostro mondo, senza sapere
neanche quale strada avesse preso! In realtà era andato a
farsi una tranquilla passeggiata in compagnia del suo cane, ed
imbattendosi in una vecchia miniera non aveva esitato ad esplorarla
fino in fondo.
Soltanto
che quella non era una miniera..
bensì un varco! La sua faccia non appena vide i miei
compagni fu qualcosa di incredibilmente forte!”
Michael
rise a quel ricordo, ed io con lui: non vorrei esser stata nei panni di
quel pover’uomo, ma era comunque un’avventura degna
di essere raccontata!
Non
capitava di certo tutti i giorni di ritrovarsi in un mondo
ultraterreno, abitato da riflessi ed anime con il compito di aiutare
gli umani e trasmettere messaggi a non finire…
Pensandoci
bene, però, gli esseri umani erano circondati da angeli:
persone anonime, che si impegnavano discretamente per realizzare i
propri desideri, e veder finalmente premiata la loro fatica.
Osservai
distrattamente il mio disegno, e mi chiesi se gli obiettivi della gente
comune potevano, in qualche modo, sostenere i nostri, così
incredibilmente enormi, poggiati sulle spalle di quattro, minuscole
persone.
Forse
le preghiere servivano proprio a questo… Ad aiutare ed
essere aiutati; naturalmente, chi non aveva bisogno di aiuto non aveva
neanche bisogno di preghiere.
Isabel,
la bambina misteriosa che era accucciata di fronte a me, intenta a
terminare il suo disegno, sicuramente non era aiutata da nessuno: i
suoi genitori l’avevano istruita perfettamente, e sembrava
non aver più alcuna insicurezza.
Così
padrona di se stessa, a soli sei anni…
Mentre
io… Io ero ancora imperfetta. Una bozza.
Dopo
un ultimo svolazzo sulla testa della ballerina che voleva rappresentare
erroneamente una ciocca di capelli sfuggita dalla sua elegante
pettinatura, sbuffai amareggiata e riposi tutto il mio occorrente da
disegno in un cassetto: Isabel neanche si accorse del mio gesto, e
Michael lo ritenne sin troppo significativo.
Infatti mi
ero leggermente stancata di disegnare, e volevo uscire un po’
all’aria aperta, passeggiando per il giardino ed osservare
Fernando mentre potava le sue amate piante.
Impieghi
di tutti i giorni, noia persistente.
In
quei momenti non riuscivo a trovare qualcosa di particolarmente
interessante da fare, e perciò mi ritrovavo tra i fiori e le
piante autunnali, che da noi crescevano come se fosse estate.
Mi
soffermai soprattutto sui gigli, che dolcemente cedevano il posto
all’erba comune: bianchi e delicati come nuvole,
così puri nella loro ignoranza.
Accarezzai
i morbidi petali, e gli sorrisi: anch’io ero come loro, prima
di sapere tutto…
Per un
motivo o per l’altro, i miei occhi si fecero pian piano
lucidi, fino a riversare tutto il loro dolore sugli innocenti fiori
davanti a me, che inerti sopportavano il mio dolore.
Mi
accasciai vicino a loro, e sentii il disperato bisogno di ritornare la
bambina felice e spensierata di prima, quella che non doveva badare al
mondo intero, quella che era sempre riuscita a cavarsela, in qualche
modo, in ogni situazione.
Ora,
non riuscivo più a far nulla come prima. Lo dimostravano i
miei disegni ancor più astrusi del solito: grigi, senza
significato, riflessi di un’anima tormentata e smarrita.
Cercai
di ricacciare indietro le lacrime, ma a nulla servirono le mie lotte
interiori, e scoppiai finalmente in un pianto liberatorio, carico di
tutta l’inquietudine che avevo provato in quegli ultimi
giorni.
Non
avevo paura di farmi udire da qualcuno, poiché sicuramente
nessuno mi avrebbe capito. E chi poteva capirmi era
distratto… Lontano.
Alzai
gli occhi al cielo, ansimante: lui era ancora più lontano
delle noiose nuvole biancastre che impallidivano di fronte
all’azzurro dell’infinito.
E
l’infinito di certo non poteva impedire alle nuvole di
muoversi e sparire dalla mia visuale…
Sobbalzai
quando sentii sfiorarmi la spalla, e mi girai di scatto: lui mi
osservava preoccupato, sconvolto da quelle lacrime che avevano solcato
il mio viso in modo così disumano.
Le sue
labbra tremavano nel tentativo di dirmi qualcosa di efficacemente
rassicurante, ma non ne uscì che un mormorio sconnesso,
accompagnato da un morbido abbraccio, che mi avvolse tutta.
Piansi
sulla sua spalla, mentre lui mi accarezzava dolcemente i capelli e mi
cullava come se fossi stata una neonata, cercando di trasmettermi tutto
il suo calore e la sua comprensione.
Sapeva
che dopotutto il suo aiuto era limitato, ma voleva sprecarlo tutto per
la persona che ne aveva più bisogno.
Io.
“Non
voglio più sentirti piangere,
stellina. Tu non devi piangere, mai. Comprendi?”
Annuii,
tirando su col naso e continuando a singhiozzare come un rubinetto
rotto: ogni giorno ero sempre più debole, soprattutto di
fronte alle parole di Michael ed Isabel.
Loro
la facevano facile, erano persone molto più forti di me, e
questa faccenda non li aveva eccessivamente toccati.
Mi
chiesi se un giorno sarei stata alla loro altezza, e non mi sarei
più buttata giù inutilmente, come stavo facendo
ora…
Ma
tutto ciò che uscì dalla mia testa fu un orribile
senso di smarrimento.
Ricacciai
indietro le lacrime: non volevo farmi vedere così debole da
Michael, poiché comprendevo il suo disagio, e sapevo che una
sola lacrima avrebbe potuto scatenare azioni incontrollabili e
sconosciute.
Singhiozzai
in silenzio per molti minuti, finché lui non mi
sollevò tra le braccia e mi portò in casa senza
dire una parola, ma semplicemente carezzandomi la guancia, e mi
posò sul divano, aspettando pian piano che io mi calmassi.
Ci
vollero venti minuti buoni prima che ciò avvenne e fui in
grado di ritornare nella mia stanza assieme ad Isabel, che per tutto il
tempo aveva spiato i nostri comportamenti dalle leggere tendine della
finestra, come un fantasma.
Al mio
arrivo mi accolse sorridendo lievemente, come era solita fare, e mi
chiese di non disegnare più, bensì di parlare: di
qualsiasi cosa, mi avrebbe di certo fatto bene.
Fu
così che ci sistemammo sul tappeto che prima era
completamente cosparso di disegni, ed iniziammo a discutere sui primi
argomenti che attraversavano le nostre teste, e man mano aggiungevamo
nuove idee e situazioni, fino a creare una ragnatela infinita di
parole, dove noi stesse ci perdemmo, ridendo a crepapelle.
Dovemmo
ricominciare da capo, e la faccenda fu più intricata della
prima volta, e della seconda, e della terza… Fin quando ci
accasciammo sul pavimento, ansimando per le troppe risate che ci
eravamo lasciate sfuggire in quei momenti.
Io
guardavo sognante il soffitto, dipinto di un dolce azzurro, e sentii la
mia mano sfiorare quella di Isabel, che guardava me, totalmente
assente, come se stesse pensando ad altro.
Anche
se i pensieri di Isabel erano sconosciuti ai molti, e le sue
espressioni non lasciavano trapelare nulla.
“Hai
un colorito più roseo, ora. Sapevo
che parlare ti avrebbe fatto bene”
Mi
sorrise, ed io ricambiai.
Il suo
metodo anti-depressione mi era ancora sconosciuto, ma avevo constatato
la sua efficacia, ed ora potevo dire di essere di nuovo contenta.
Mi
capitavano spesso questi momenti “no”, e
l’unica medicina per me era inserire un LP o un CD nello
stereo, ed abbandonarmi completamente alla musica.
Volteggiando
nell’aria, disegnando figure sconosciute con il mio stesso
corpo, mi liberava dai mali che opprimevano il mio essere.
Però,
dopo l’infantile scenata di quel pomeriggio, capii che
l’antidoto migliore alla tristezza non era altri che
l’amore.
Con
un’ultima spinta sulla grondaia sporgente, facendo attenzione
a non scivolare sui miei stessi piedi, mi ritrovai avvinghiata
totalmente alle tegole rossicce della mia casa, con l’assurda
paura di cadere nel vuoto: sotto non vi era altro che l’amato
giardino di Fernando e Michael, che osservava molto attentamente i miei
movimenti, reggendomi per la vita.
Isabel
era salita già da un bel pezzo, utilizzando i suoi poteri,
ed ora stava davanti a me, pronta ad intervenire nel caso di una
possibile caduta.
Io non
osavo muovermi, anche se avrei dovuto: non potevo di certo rimanere
appiccicata al tetto per sempre!
“Avanti,
Mike, tirati su! Ci sono io a
prenderti”
“Non
è quello il punto, Michael..
Ho paura di cadere…”
Michael
sbuffò sonoramente, preoccupato dalla mia insana fobia del
vuoto.
“Anche
se tu cadrai ci sarà Isabel a soccorrerti! Dimentichi che
è capace di spostare gli oggetti col pensiero? Ecco, saprà spostare anche
te!”
“Ma
i suoi poteri non funzionano con me: io sono come lei!”
“Oh,
cavolo, hai ragione… Beh, questo non toglie che devi salire. Altrimenti non riuscirai mai a vedere la nascita del nuovo angelo”
“Lo
so, ma ho comunque paura! Vabbè, ora cerco di tirarmi
su…”
Mi
aggrappai meglio che potei alle tegole, e spinsi con tutta la forza che
avevo nelle gambe per tirarmi definitivamente su, in piedi sul tetto.
I miei
sforzi mi fecero guadagnare qualche centimetro buono, ma non bastava
per essere finalmente al sicuro, così Michael mi spinse per
le gambe ed io mi ritrovai distesa sulle fredde tegole del tetto,
troppo impaurita per muovermi, con i piedi di Isabel che mi guardavano.
Fui
molto stupita dalla sua impassibilità, ma poi sentii
porgermi una mano piccola come la mia e, senza alcuna esitazione, la
afferrai.
Quando
mi alzai in piedi, gli occhi di Isabel scintillavano alla luce dei
lampioni ed i suoi capelli erano mossi da una fredda aria autunnale;
tuttavia, sembrava non farci minimamente caso.
Anche
Michael nel frattempo ci aveva raggiunte, e si congratulò
con me per la mitica impresa che avevo compiuto: io, completamente
rossa in viso, lo ringraziai con un sussurro emozionato.
Lui
sghignazzò amorevolmente e poi ci chiese di accomodarci,
perché mancavano solo dieci minuti alla nascita del nuovo
angelo, e dovevamo prestare molta attenzione!
Così
ci sedemmo ed aspettammo per un po’, scrutando avidamente il
cielo, seguendo il percorso di qualsiasi stella ci capitasse a colpo
d’occhio: infatti, secondo Michael ogni stella era un angelo
presente sulla Terra, e la sua nascita era rappresentata proprio dalla
caduta dell’astro.
Questo
mi lasciò perplessa, perché per antonomasia le
stelle cadenti non sono mai associate alla nascita… Ma ormai
ero lì, e cominciavo a non stupirmi più molto.
Quando
mancavano poco più che due minuti alla nascita
dell’angelo, Michael ci chiese di stare il più attente possibile,
cosicché avremmo potuto osservare un particolare che
contraddistingueva le stelle degli angeli dalle normali stelle: tra la
luce ci sarebbe sembrato di scorgere delle fattezze umane, sotto forma
di bambini, ovvero la forma primordiale di ognuno di noi.
Tenni
gli occhi ben puntati nella direzione che Michael ci aveva indicato, ed
aspettai. Dopo due minuti, però, non successe nulla: niente
stelle cadenti, niente bambini di luce, e soprattutto, niente angelo
neonato.
Guardai
Michael apprensiva, ma il
suo volto non seppe esprimermi niente di rassicurante: neanche lui
riusciva a capire, e controllava nervosamente l’orologio da
polso, lamentandosi sottovoce.
“Eppure
avevo calcolato tutto per bene: era proprio questo
l’orario… Oh Dio, cosa sarà successo?...”
“Per
me l’angelo non voleva nascere ad un’ora
stabilità” azzardò Isabel, mentre
scrutava il cielo nell’attesa di un qualsiasi segnale.
“Ma
è impossibile che accada una cosa del genere! Gli angeli devono attenersi a regole precise,
altrimenti il loro compito non servirebbe a nulla!” dissi io,
scattando improvvisamente verso di lei: ultimamente, con ciò
che mi aveva insegnato Michael, cominciavo a prendere il mio ruolo
seriamente, e nonostante alcuni attimi di paura, la mia fermezza sulla
situazione era a dir poco spaventosa.
Infatti mi
ritrassi subito dopo, comprendendo la mia inutile avventatezza,
soffermando lo sguardo sulle tegole rosse del tetto: Isabel parve
capire, e voltò di nuovo lo sguardo verso il cielo.
“Hai
ragione, Mike… Ma questo si è comportato come
voleva”
Anche
Michael ora guardava il cielo, aspettando un misero
indizio sulla presenza dell’angelo, ma solo le stelle
ricambiavano la sua ansia. Fredde e bianche come ghiaccio.
Mi
chiesi cosa avesse spinto quella creatura di Dio a ribellarsi a delle
regole ben precise e giuste: forse non voleva bene al suo Creatore?
Mi
sembrava un’ipotesi davvero infondata,
ma molta gente, non credendo in Dio, lo scansava e si
dedicava ad altri culti.
O
addirittura, negava la sua più completa esistenza.
Questi
pensieri mi fecero rabbrividire, ancor più
dell’aria pungente intorno a me, e mi strinsi nel cappotto,
pregando che l’angelo nascesse al più presto, e
che le mie paure si dissolvessero.
Così
mi sedetti ed aspettai, per l’ennesima volta in quella sera.
Guardammo
il cielo incessantemente, ancora per un’ora, sperando in una
luce, in un nuovo fuoco…
I
rumori della strada sotto di noi attutivano i sospiri ed i colpi di
tosse, e ci raddrizzavamo ad ogni brillio del cielo, seppur misero riflesso di divertimenti
terreni e menti annebbiate dai piaceri.
Allo
scoccare della mezzanotte, cominciammo ad abbandonare la vana speranza
di trovare l’angelo e di ritornarcene a casa: Michael, dopo
un ultimo sguardo al cielo, chiese a me ed Isabel di scendere dal
tetto, poiché ormai era tardissimo, e non potevamo
svegliarci tardi la mattina.
Io
obbedii riluttante, e mi lasciai scivolare con molta cautela per la
scala a pioli che prima avevamo utilizzato per salire, aiutata da
Michael.
Isabel
chiamò a
sé il ramo sporgente di uno dei tanti alberi che crescevano
di fronte alla nostra casa, e modellandolo con la mente, lo
usò come scala.
La
vidi scendere tranquillamente, e provai una profonda fitta al cuore:
quanto avrei voluto per una sola volta saper fare ciò che
lei faceva con tale naturalezza.
La mia
goffaggine non sarebbe più stata un problema.
Ed
invece no, dovevo scomodare le persone che mi volevano bene per delle
mie minuscole debolezze! Ah, come era difficile essere una bambina che
tutti consideravano apparentemente perfetta!
Toccando
il suolo erboso del nostro giardino, mi sentii di nuovo me stessa, ed
il solo scricchiolio delle foglie sotto i miei piedi mi faceva
sorridere.
Michael
ed Isabel erano di fianco a me, e tra poco avremmo dovuto
riaccompagnare Isabel a casa, poiché non voleva ascoltare le
mie richieste: infatti, proprio perché era tardi e per una
bambina (ma anche per una donna) era pericolosissimo girare per le
strade di Los Angeles nel cuore della notte, le avevo chiesto di
rimanere a dormire da noi.
Lei,
però, non voleva sentir ragioni.
Fu
così che lanciai un lungo sospiro, e decisi di
riaccompagnare personalmente la mia amica, ignorando completamente le
tremende suppliche e minacce di Michael.
Con un
gesto fulmineo, presi Isabel per mano e mi avviai fuori dal cancello di
ferro battuto, facendo finta che il buio di fronte a me non ci fosse, e
che non mi stesse inghiottendo lentamente.
Proprio
quando poggiai il piede sulla prima piastrella del marciapiede dopo il
cancello, l’intera via fu illuminata da una luce tenue e
chiarissima, che non proveniva sicuramente dalla Terra.
Mi
guardai confusa intorno, mentre Isabel aveva già alzato gli
occhi al cielo e mi strattonava il braccio per invitarmi a fare lo
stesso.
Io,
curiosissima, ma anche intimorita da ciò che avrei potuto
trovare nel limpido mare celeste sopra di me, seguii per un
po’ il riflesso della luce sulla strada, poi alzai il viso
per ammirare uno spettacolo unico: una lunga scia di polvere luminosa
correva per il cielo ad una velocità costante, dirigendosi
verso Nord, ed il suo nucleo palpitante sembrava quasi salutare il
mondo sotto di sé.
La
osservavo a bocca spalancata, incapace di muovermi: mille pensieri si
rimestavano nella mia testa, tutti rivolti a quella creatura che circa
sette anni prima ero stata anch’io.
D’altronde,
non era semplice credere per me che, alla nascita, ero una sottospecie
di cometa che poteva muoversi autonomamente e poteva pensare.
Era
meraviglioso, ma allo stesso tempo inquietante.
Durante
l’avvistamento dell’angelo e le nostre successive
reazioni, anche Michael si era avvicinato, ed ora stava contemplando i
mille intrecci che la luce della cometa dipingeva sui tetti delle case
e sui lampioni, il suo volteggiare nel cielo e la sua
velocità che andava gradualmente ad aumentare con
l’avvicinarsi alla sua destinazione.
Sembrava
molto sollevato dalla sua apparizione, ma anche incredibilmente
dubbioso sulla sua misteriosa nascita: in fondo, aveva ritardato di
un’ora e più, ma non aveva subito alcun
danno…
Che
fosse una creatura del tutto diversa da me ed Isabel, adatta per essere
analizzata e studiata a fondo?
Purtroppo
non potevo leggere nel pensiero di Michael, e tutto ciò che
potei acquisire, lo attinsi dagli occhi impegnati a studiare il cielo e
la piccola cometa nata.
Io ed
Isabel ci divertivamo a scoprire un viso umano sepolto tra la luce, ma
non trovammo nulla se non delle piccole ed insignificanti ombre grigie,
riflessi della luce.
Seguimmo
l’angelo per tutto il suo percorso lungo la volta celeste,
che durò pochi minuti, per poi vederlo tuffarsi con un
guizzo verso l’abbondante vegetazione di un promontorio
solitario, lasciando dietro di sé alcuni sprazzi di
impalpabile polvere luminosa.
Per un
attimo, nessuno parlò: gli unici rumori che si avvertirono
furono i miagolii dei gatti, della musica in lontananza, probabilmente
proveniente da qualche festa mondana ed i rombi delle automobili lungo
la grande via principale.
Il
primo ad abbassare gli occhi fu Michael, poi Isabel ed infine io, che
da quella faccenda ne avevo ricavato soltanto molta confusione ed una
gran voglia di rintanarmi sotto le coperte e dormire.
Ero
davvero troppo stanca per parlare ancora, e la portata del fenomeno al
quale avevo assistito era così grande che mi sarebbe occorsa
certamente una notte intera per dormirci e quindi pensarci su.
La
soluzione migliore era ritrovarci tutti assieme la mattina successiva e
discuterne con calma: sicuramente sarebbe saltato fuori qualcosa! Ora
eravamo stanchissimi tutti e tre, ed il sonno non avrebbe che
peggiorato la situazione.
Descrissi
perciò a Michael la mia idea, e lui fu molto
d’accordo, così d’accordo che mi
mandò immediatamente a dormire!
Io
accettai ridendo, seguita da Isabel, alla quale si era congelato il
naso a forza di guardare per aria, e corsi verso la porta di ingresso,
con un gran gelo alle mani ed ai piedi.
Il
tepore del vestibolo mi accolse con tutta la sua dolcezza, e finalmente
buttai il grosso cappotto sulla panca, pregustando la morbidezza del
letto e la bella dormita che avrei consumato subito dopo.
Isabel
invece non sembrava particolarmente insonnolita, e si mise a giocare
con i fiori del vaso vicino a noi, facendomi concludere che il suo
interesse per la faccenda era molto limitato.
Sospirai
e salii in cameretta per svestirmi, ed intanto un brivido mi percorreva
lo stomaco arrivando fino alle labbra.
Quella
sera mi sentivo molto in gamba, molto matura… ma anche molto
confusa, insicura.
Pensai
al mio destino (perché in fondo quello era)
ed al modo in cui un angelo come me aveva osato sfidarlo, decidendo la
data e l’ora della sua nascita.
La
domanda che più pulsava nel mio cuore era: io sarei stata
capace di una simile azione? Avrei tradito i miei compagni per puro
amore della libertà?
Scossi
la testa, decisa: no, ero sin troppo sincera per farlo.
E
chiunque avesse commesso quel gesto così sfrontato, non
amava noi… Non amava le sue compagne, le sue amiche…
E non
amava neanche essere un angelo.
Isabel
scrutava con interesse il contenuto della sua tazza, creando piccoli
vortici ambrati ed immergendoci ogni tanto una zolletta di zucchero per
ammirare lo spettacolo del quadratino bianco che pian piano, a contatto
col tornado in miniatura, si scioglieva e si andava a depositare sul
fondo della tazza.
Io
quella mattina non avevo molta fame, e mi limitavo a piluccare qualche
biscottino alle mandorle di Fernando, sputando le odiose pellicine
tipiche dei frutti, che mi si conficcavano con dolore nelle gengive.
Michael
leggeva tranquillo il giornale, e non badava alle due bambinette sedute
di fronte a lui che, per ammazzare il tempo, si inventavano dei
giochini a dir poco deprimenti.
Tutto
sommato, non che la giornata fosse molto allegra, e
l’entusiasmo della sera precedente era lentamente scemato al
mattino, inghiottendo sia noi che lo straordinario scoop dell’angelo perduto,
come ormai era stato ribattezzato.
Io
pensai immediatamente che la notizia era
così stupefacente da non poter esserci alcun
commento, neanche la più piccola parola.
Io,
che la sera prima ero galvanizzata dalla nuova esperienza!
Ero
curiosa di conoscere il nuovo angelo, di trovare nel
suo corpo qualche anomalia, di leggere nei suoi occhi il
perché del suo gesto avventato…
Dopotutto,
non poteva essere così lontano: si era diretto a Nord, e
sicuramente il Canada non era un posto molto confortevole per viverci!
Noi angeli avevamo bisogno della luce e di molta gente, per poterla poi
aiutare con i nostri influssi, proteggendola da possibili cattive idee
e soprattutto cattive azioni.
Ma
come al solito, non sapevo da dove iniziare.
Sospirai,
prendendo un altro biscotto dal vassoio e sgranocchiandolo con piacere
mentre Isabel terminava i suoi esperimenti e si fiondava sugli esercizi
di sollevamento della tazza vuota davanti a lei, che oscillava
pericolosamente in prossimità del mio esile braccio.
Avevo
la netta sensazione che Isabel avrebbe perso il controllo sulla tazza e
che i pezzi di porcellana frantumata si sarebbero conficcati nella mia
carne, quando Michael alzò gli occhi dal giornale e ci
osservò con finto disinteresse.
“Allora…
Non avete alcuna domanda da pormi riguardo ciò
che è accaduto ieri notte?”
Silenzio.
La tazza di Isabel volava sopra la mia testa, ed io la guardavo
apprensiva, mentre un Michael molto offeso osservava l’intera
scena.
Cercò
di attirare la nostra attenzione una seconda volta, schiarendosi
rumorosamente la gola, ma senza successo.
Esasperato,
afferrò la tazza di Isabel, che assunse
un’espressione a dir poco terrea e si accasciò
sulla sedia, diventando ancora più piccola di quello che
era, e la nascose con cura dietro la schiena. Io scattai ordinatamente
al mio posto, decisamente spaventata dalla reazione che aveva avuto
Michael, e mi promisi di non farlo arrabbiare ulteriormente.
Certo,
la faccenda dell’angelo non era un argomento leggero, e
sapevamo entrambi che andava discussa con la massima cura, ma quella mattina mi
sentivo davvero stanca. Svuotata di tutte le energie della sera
precedente, incapace di aprire gli occhi e stare attenta.
Se
fossi andata a scuola, il mio comportamento sarebbe risultato
inadatto… Ma Michael si stava dimostrando un maestro
più esigente di quanto pensassi.
Sbattei
le palpebre e mi concentrai meglio su ciò che voleva dirci,
anche se la maggior parte delle informazioni le avevo già
ricavate da un po’ di tempo.
“Ebbene,
questa mattina so per certo che siete stanche (anche se non riesco a
capire perché) e
perciò non avete voglia di parlare… Vi
illustrerò io cosa ho scoperto, e ci penserete su,
naturalmente.
Sapete
certamente che ognuna di voi ha un protettore, ovvero un angelo che si
è offerto di insegnarvi giustamente come vivere su questa
terra e seguirvi nel vostro lungo cammino fino alla morte di uno dei
due. Di solito questi protettori
vengono scelti tra i più grandi uomini del mondo, tutti
coloro che hanno saputo trasmettere un messaggio positivo
all’umanità: certo, ce ne sono alcuni, come me,
che andrebbero subito scartati…” Michael
ridacchiò della battuta, e noi lo seguimmo di gusto,
ritenendo che fosse impossibile rifiutare una persona buona e dolce
come lui, e che se fosse stato così deludente come diceva di
essere, a quest’ora avrei avuto un altro protettore!
Quando
le risate scemarono e la nostra attenzione ritornò su
Michael, egli continuò il suo discorso.
“…Un
angelo, però, non può scegliere di essere
protettore senza prima aver consultato ‘il grande
Capo’!
Quindi, ogni secolo tutti noi ci riuniamo e decidiamo chi sia
più adatto a questo compito: di solito scegliamo un solo
angelo, e successivamente tutti gli altri.
Abbiamo
fatto lo stesso anche con voi, certo” sorrise Michael,
rivolgendosi a noi, poiché ci aveva viste piuttosto
perplesse.
Mi
sembrò solo un’impressione, ma quel sorriso non
nascondeva nulla di buono.
“Successivamente
si arriva ad un punto in cui manca soltanto un protettore, e quindi il
corrispettivo angelo: questo è un momento delicatissimo,
poiché finalmente il cerchio si chiude, ed i quattro angeli
designati iniziano finalmente a vivere. Gli
aspiranti protettori rimasti e gli eletti aspettano con pazienza, e non
sono ammessi colpi bassi né boicottaggi.
Purtroppo,
questo secolo il nostro consiglio ha visto un periodo di preoccupante
ansia: infatti non
riuscivamo a trovare un ultimo protettore adatto, e chiunque si
offrisse poi si rilevava totalmente insoddisfacente.
Eravamo
ormai pronti a rivolgerci ad altri angeli più esperti quando
qualcuno ebbe la straordinaria idea di rivolgersi ad un uomo,
l’unico sulla faccia della Terra che ci avrebbe permesso di
far nascere l’ultimo angelo speciale e portare di nuovo amore
e felicità tra gli uomini.
Sembrava
che tutto stesse andando per il verso giusto… Ma non era
così.
Egli
non rispose alla nostra richiesta, e neanche a quella successiva, e
neanche alle altre che vennero.
Eravamo
distrutti. Solo lui poteva salvarci, e ci ignorava!
Un
comportamento così non l’avevo mai visto in tutta
la mia carriera di angelo, e mi fece perdere la grande fiducia e stima
che nutrivo per lui sin da piccolo.
Poi
passò un periodo difficile, separandosi dai suoi amici e
dalla sua famiglia, creandosi una nuova vita, e la sua indole ribelle
si addolcì, permettendoci di ritentare il nostro piano.
Ed a
discapito di tutte le cattive previsioni che i più anziani
del consiglio si erano divertiti a tessere, accettò la
nostra proposta.
I suoi
passati tentativi di sfuggire alle nostre richieste, però,
produssero nei pensieri del futuro angelo (sì, Mike, gli
angeli non ancora nati possono pensare
come esseri umani maturi!) idee confuse, contrastanti: così,
accecato dal rumore soffocante del suo cervello stracarico di
informazioni, si mosse guidato da una forza sconosciuta a tutti,
persino a lui, nascendo un’ora e qualche minuto dopo il tempo
prestabilito.
Il suo
comportamento riluttante ha già allertato i parenti, e
sicuramente si adotteranno misure di sicurezza per permettergli di non
commettere altri guai e di seguire le regole degli angeli nella
più perfetta armonia. Anche
se è ancora tutto da decidere…”
Michael
si passò una mano sulla fronte sudata, le vene pulsanti
attorcigliate alle falangi; nonostante fosse il frutto di una mente
variopinta, riflesso di una realtà ormai passata, scorsi delle piccole rughe in
prossimità degli occhi, segno che l’animo era
turbato.
Anch’io
abbassai il volto, preoccupata più per Michael che per
quello che sarebbe accaduto di lì a poco tempo: un angelo
ribelle era davvero una bella gatta da pelare, soprattutto se ad
occuparsene c’erano due bimbette dai visini spaesati, e di
certo un solo riflesso non avrebbe cambiato la situazione.
Poverino,
come lo capivo! Sentirsi d’un tratto affidare il caso sulle
spalle non era il massimo della felicità!
Ma
sicuramente io ed Isabel l’avremmo aiutato: anche se non
potevamo fare molto, qualsiasi gesto era importante.
“Michael…”
poggiai la mia mano sulla sua, così piccola che quasi non si
notava. “Capisco come ti senti affranto, ma ora piangere non
serve a nulla. Ti aiuteremo noi con l’angelo, e sicuramente
riusciremo a trovare una soluzione adatta per tutti. Dopotutto, noi
siamo qui per rendere felici gli altri, no?”
Le sue
iridi scure mi fissavano dolci, urlando tutta la gratitudine che
Michael altrimenti avrebbe espresso a parole, e mi avvolgevano
totalmente, come il cielo avvolge le stelle.
Mi
sentivo incredibilmente soddisfatta della mia opera di rassicurazione,
e senza che Michael me l’avesse chiesto, gli buttai le
braccia al collo e sorrisi tra i suoi riccioli, mentre lui ricambiava
la stretta.
Vicino
a noi Isabel, che era rimasta in silenzio per tutto il tempo, giocava
con le briciole dei biscotti, divertendosi a creare strane galassie di
pasta frolla nella quale orbitavano pianeti di mandorla e cioccolato, e
non sembrava assolutamente offesa dal mio comportamento: anzi, si stava
divertendo molto da sola!
Solo
quando mi sciolsi dall’abbraccio di Michael e tutti e tre ci
alzammo per andare a riposare in camera, mi accorsi delle briciole che
Isabel aveva lasciato cadere sul tavolo: non erano sparse
disordinatamente, ma formavano un disegno.
Sembrava
un cerchio… Un sole…
Ma
prima che potessi osservarle ancora, Michael mi chiamò per
l’ennesima volta e dovetti scappare da uno dei tanti enigmi
della mia amica.
Salve gente! Allora,
avete passato bene questo mese e mezzo senza di me? Scusate davvero per
il ritardo ma ho attraversato un periodo di depressione
e noia galattico .__. Giuro, per giorni non ho
praticamente scritto! Spero che questo capitolo vi piaccia, non ho
avuto il tempo di ricontrollarlo e se c’è qualche
errore non me lo perdonerei ç__ç Mi dite voi se
qualcosa non va bene? A me farebbe molto piacere *__*
Allooooora,
visto che nessuno ha recensito il mio precedente capitolo..Non devo ringraziare nessuno,
se non me stessa <.<
Il titolo,
come sempre, è opera della cara Rò (o GioTanner, come si voglia dire
ù__ù) che al contrario di me ha ispirazione per
questo genere di cose *maledetta ragazza!D:*
Altri
ringraziamenti vanno naturalmente a chi ha letto e mi supporta, alla
mia amata matita che non ce la fa più a portare sotto forma
di disegni i miei scleri (che forse vedrete anche nella forma scritta
xD) e soprattutto i miei pochissimi amici, che stranamente in questo
periodo si fanno sentire <3 Vi ringrazio tutti!*_*
Per finire (e
direi, sono le undici e mezza e sto morendo di sonno!D:) vi invito a
recensire un po’ di più la mia storia, visto che
pubblico ma poi nessuno mi
da il proprio giudizio! Per favore, siate clementi
ç__ç
Ci vediamo, e
spero con qualche parolina in più
Looney
esaurita D:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** I've read your last page ***
I’ve read your last page
L’aria
fresca di primavera avvolgeva le foglie degli alberi ed i fiori appena
sbocciati del giardino, trasportando i profumi e le carezze del vento
lontano, fino alle finestre della casa, fino alle persone annoiate ed
apparentemente felici che vi abitavano.
Un
ricciolo d’aria passò tra i capelli tinti di
Fiordaliso, ma lei non ci badò: era troppo
intenta ad ascoltare l’uomo (o la sua essenza) seduto di fronte a lei.
Stavano
parlando di cose serie, come sempre: mai una volta che si raccontassero
qualche barzelletta!
“Come
ti ho già spiegato, la situazione è molto
complicata: se non troviamo quella piccola peste immediatamente
il mondo sarà in pericolo!”
“Ciò
non ti impedisce di dire cavolate, Michael: mia nipote
rimarrà dov’è, e nessuno, neanche te, potrà portarla via
da qui!”
“Ma
tu non capisci, Fiordaliso, che se non troviamo l’angelo
mancante e lo riportiamo sulla retta via noi tutti saremmo spacciati?
Dovrebbe interessarti la sorte del tuo pianeta!”
“Sì,
mi interessa, ma la vita di mia nipote è più
importante”
“Oh
cavolo… E’ davvero difficile farti cambiare idea”
Michael
si asciugò la fronte dal sudore, esausto per tutte le parole
sprecate con Fiordaliso, parole che non avevano portato ad alcuna
soluzione. Quella donna era davvero testarda!
Ritenere
sua nipote ancora una bambina incapace di badare a se stessa lo faceva
veramente innervosire, ma purtroppo non poteva riprendere in
continuazione il comportamento della donna: era pur sempre sua amica!
Sospirò
sommessamente, voltandosi verso di lei.
“E
non guardarmi con quella faccia da finta offesa!”
Lei
sbuffò, decisamente scocciata, ed alzò gli occhi
al cielo.
“Senti
chi parla”
Lui si
limitò a guardarla rassegnato: avrebbe
voluto scomparire di nuovo, ma il tempo che si era preso
per parlare con Fiordaliso non era ancora scaduto.
Si
allontanò da lei, dal porticato, fino ad arrivare ad un
cespuglio di rose piccolissime non ancora sbocciate: le
ammirò per un attimo, poi si chinò per annusarne
il profumo… Ma non scorse altro odore se non quello delle
foglie ancora intrise d’acqua per la doccia mattutina.
Alzò
il volto, sconsolato: in quella forma poteva approfittare di piaceri
umani davvero effimeri paragonati ad una bella dormita o ad una abbuffata, e sembrava
addirittura che la natura stessa gli negasse l’essenza di un
fiore, o la gioia alla vista dei delicati petali abbandonati nei loro
letti verdi e rigogliosi.
Scacciò
il dispiacere e puntò il suo sguardo su altre piante, alcune
dai fiori già schiusi, altre dall’intenso odore
aromatico, che di certo non guastavano al suo povero naso.
Passeggiò
per il giardino per circa un quarto d’ora, il tempo di
riprendersi dalla piccola litigata e prepararsi a ciò che
sarebbe accaduto successivamente: pensava spesso all’angelo
perduto, ed alla promessa fatta alle due bambine:“Lo troveremo, e lì ci
occuperemo di lui. A quanto pare il suo protettore non è in
grado di seguirlo”.
Il
pensiero di quel bambino (o di quella bambina) che trascorreva una esistenza misera, circondata
da persone che non conoscevano il suo valore, lo faceva rabbrividire:
come si poteva essere così crudeli con un angelo?
Oh non
voleva più pensarci. Il dolore era troppo…
Inoltre
doveva continuare le ricerche; doveva
assolutamente trovarlo.
Sospirò,
e si diresse verso il portone: Mike ed Isabel erano dentro a giocare, e
voleva che Fiordaliso non si impicciasse tanto di una faccenda per lui
molto delicata.
Quando
oltrepassò la
porte ed ebbe messo piede sul primo scalino, scoprì che i
pochi minuti che si era preso per apparire di fronte a Fiordaliso erano
terminati: qualcosa si mutò in lui, ma dopo fu come se non
fosse cambiato nulla.
Non
badò neanche ad uno sbigottito Fernando che lo vedeva
scomparire mentre trasportava una grande cesta del bucato (pericolante,
per giunta) e continuò a salire le scale.
Stava
per bussare alla porta della cameretta di Mike quando la mano si
fermò a mezz’aria: come l’avrebbe presa?
Aspettava da tanto tempo quell’occasione per dimostrare le
sue doti di piccolo angelo: per molti mesi si era esercitata insieme
alla sua amichetta, che ne sapeva di certo più di lei, ed
ora era sicurissima di poter affrontare un’impresa tanto
grande come quella di
trovare un angelo perduto e donargli l’educazione necessaria
alla sua natura.
Ma
Fiordaliso era stata categorica: era ancora troppo piccola per badare a
se stessa.
Ma in
fondo…Se non avesse mai scoperto di essere un angelo, le
cose non sarebbero cambiate molto!
Il
problema perciò, in qualunque modo si girasse, era sempre lei, la famigerata nonnina.
Piuttosto
rincuorato da queste riflessioni, finalmente si decise a bussare e ad
aprirgli gli apparve proprio Mike: aveva gli occhi luminosi come il
cielo ed a quanto pare non vedeva l’ora di vederlo.
“Ciao,
Michael! Hai finito di parlare con la
nonna?”
A
quella domanda i pensieri di Michael si gelarono: doveva
aspettarselo…
Ed ora
cosa le avrebbe detto? Non voleva raccontarle altre bugie.
“Oh…Sì,
appena qualche minuto fa!”
“E
cosa ti ha detto riguardo…Tu lo sai”
“Beh,
non che si fosse espressa molto: era confusa, e preoccupata, e stava
anche mangiando, e sai come può essere irritante la nonna se
la disturbi nel bel mezzo di un’abbuffata…”
“E
perciò?”
“E
perciò…Mi ha detto…”
“Cosa?”
“Ehm…”
Era
difficile parlare con gli occhi di Mike fissi nei suoi, quegli occhi
che da sparuti stavano diventando pian piano più
consapevoli, più belli. Erano proprio quegli occhi che gli
impedivano di mentire.
Sospirò
togliendosi dal cuore l’affanno, ed acquisendo la forza per
dirle la verità.
“Tua
nonna non vuole che tu vada via da casa, Mike. Per lei sei ancora
troppo piccola, e sai quanto tiene a te, quanto ti vuole
bene…”
“Non
mi vuole bene: non vuole che io salvi l’angelo!”
“Ma
cerca di capirla: lei è sola, e sta attraversando un periodo
difficilissimo. Per favore, non
essere così egoista”
A quel
punto lo sguardo della bambina si ghiacciò: si sentiva
accusata di un male che non aveva commesso.
Lei
non era egoista, pensava a sua nonna… Ma i suoi
comportamenti venivano sempre fraintesi.
Possibile
che nessuno la capisse veramente?
Neanche
Michael, il suo protettore, la difendeva. Avrebbe sempre potuto
chiedere aiuto ai suoi compari e manipolare i pensieri della nonna,
proprio come faceva Isabel. Sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi
problemi.
Purtroppo
neanche un angelo era perfetto.
“Pensi
che io non la capisca? Che sia così menefreghista da
lasciarla sola? No, non l’ho mai fatto, neanche con la mamma!
So che loro hanno bisogno di me, ma questo non giustifica la loro
risposta”
Aveva
le labbra contratte nello sforzo di non piangere, e gli occhi gonfi;
pronunciava ogni parola come se avesse sputato una pietra conficcata in
gola.
Michael
la stava a guardare, ormai impotente: voleva avvicinarsi, ma allo
stesso tempo voleva darle il tempo per sfogarsi ed urlare quanto voleva.
Intanto
i suoi lamenti continuavano, e vide spuntare dalla porta socchiusa uno visino preoccupato: era
Isabel, che aveva avvertito la tristezza dell’amica ed era
venuta a consolarla.
Dopo
un attimo di esitazione passata ad osservare Mike ed il vuoto davanti a
lei (dove si trovava lui) le si avvicinò e la
abbracciò senza emettere alcuna parola.
I loro
corpi uniti formavano una colonna informe, abbastanza forte da
sorreggerle entrambe ma troppo debole per contrastare gli attacchi che
avrebbero potuto distruggerla.
Michael
si ritrovò a pensare, inerte, all’oscuro destino
che aspettava le due ragazzine: ora che una piccola anima aveva osato
sfidare le leggi del Signore, nulla era più così
definito e roseo, ed il compito principale era mantenere una
stabilità decente per andare avanti e riportare tutto al suo
ordine originario.
Da
quanto tempo stavano setacciando il mondo nel tentativo di trovare
quell’angelo? Sei mesi? Otto? Un
anno?
Ormai
aveva perso il conto dei minuti passati ad osservare le varie cartine
dei continenti con la speranza che uscisse da quelle
pagine stanche qualche misero indizio.
E quel
poco che sapevano, derivato ormai dall’esperienza, era tutto
inutile…
Passò
del tempo prima che le acque si calmassero: Mike continuava ad avere le
sue crisi di pianto isterico, e sembrava che nulla potesse calmarla.
Isabel
diventava ogni giorno più silenziosa; e Michael,
l’unico che avrebbe dovuto portare avanti il
“progetto”, era sull’orlo del precipizio:
naturalmente le bambine non conoscevano i problemi che un angelo
protettore doveva affrontare tutti i giorni.
Nella
speranza di trovare qualche indizio importante rimaneva tutta la notte sveglio, seduto
sul tetto della casa, ad osservare il paesaggio di fronte a lui,
interpretando i vari segni che gli si mostravano lentamente davanti
agli occhi.
Non
sapeva neanche lui come avesse acquisito questi poteri: di solito i
protettori non hanno altre qualità se non quelle per cui
sono nati, e trovarsi improvvisamente provvisto di nuove
capacità lo rendeva piuttosto dubbioso.
Tuttavia,
parlando con il protettore di Isabel, aveva scoperto che anche lui era
stato fornito di nuovi poteri, proprio per rendere più
rapida la ricerca del “furbacchione”, come ormai
veniva chiamato da tutti.
Naturalmente,
se avessero ritrovato l’angelo, quei poteri sarebbero
scomparsi.
Era
una strana sensazione, e si stava lentamente abituando; non
l’aveva detto neanche a Mike, per paura di una possibile
reazione da mamma iperprotettiva quale si stava dimostrando di essere:
ogni volta che lo vedeva allontanarsi le sue lacrime avrebbero inondato
di certo tutto il piano superiore se Michael non si fosse avvicinato di
nuovo a lei, abbracciandola ed accarezzandole i capelli.
C’era
da dire che preferiva la bambina sola ma felice di prima, che la
piagnucolona e premurosa di adesso! Ma purtroppo, finché le
cose non si sarebbero sistemate, neanche il carattere di Mike si
sarebbe stabilizzato.
Ad
aggravare la situazione della bambina, però, era il peso
della famiglia: sua madre stava malissimo, e lei non sapeva cosa aveva.
Lei,
la nonna e Fernando le stavano sempre vicino, la curavano e la
rallegravano con le loro battute, ma notare i suoi miglioramenti non la
aiutava affatto.
Era
come se si fosse chiusa in una bolla d’aria impenetrabile,
nella quale anche i suoi sentimenti venivano offuscati dal dolore.
Michael,
nella sua veste di protettore, purtroppo non poteva caricarsi tutte le
ansie di Mike sulla schiena, e provvedeva soltanto (anche se di
malavoglia) alla sua educazione angelica: avrebbe voluto far di
più, ma il Capo non voleva.
Era
stato categorico in questo:
“Nonostante
il peso della responsabilità sia grave da portare per un
piccolo angelo, l’angelo protettore non dovrà
assolutamente aiutarlo né prendere il suo posto. Questo
equivale ad una insensata
paura del proprio compito, pertanto l’angelo in questione
verrà subitaneamente sostituito da un altro più
capace e soprattutto meno incline a cadere nella prodigalità
di sentimenti.”
Parole
dure, che il buon Michael non riusciva più a sopportare: da
sempre si era prefisso il compito di aiutare i più deboli,
regalandogli tutto ciò che poteva, e privarsi del grande
potere che generosamente gli era
stato offerto con la sua piccola amica, lo infastidiva moltissimo.
Stanco
di farsi del male pensando solo ed esclusivamente a Mike, decise di
svagarsi un po’ disegnando forme indefinite
nell’aria muovendo le gambe a ritmo di una musica
sconosciuta: la danza lo rilassava moltissimo, anche per poco tempo, e sentire il
sudore scorrere lungo il profilo del viso per lui era una sensazione
stupenda.
Volteggiava
sulle tegole rosse, e quando incontrava un ostacolo non esitava a
schivarlo con maestria, atterrando delicatamente sul tetto e
continuando il suo gioco con il vento.
Non si
fermò se non quando fu sicurissimo di essere stanco e di
avere il cuore (od un suo simile) pulsante come un motore.
Guardò
un attimo le ville di fronte a lui, il limpido luccichio della rugiada
mattutina sulle foglie degli alberi, i lampioni che se ne andavano a
dormire lasciando al Sole il compito di illuminare la strada e chi vi
passava.
Tutto
era così maledettamente tranquillo paragonato ai suoi
sentimenti che dopo due secondi non ebbe più la forza di
guardare niente e decise di ritornare da Mike a farle compagnia mentre
dormiva.
“Sei
sicura di volerlo fare?”
“Mi
sembra l’unica soluzione…Se non osiamo, in qualche
modo, non ne ricaveremo niente”
“Lo
so, ma è rischioso. Potrebbero accorgersene, Isabel! E poi,
cosa farai? Dove andrai?”
“Ancora
non l’ho deciso”
I bei
capelli di Isabel ondeggiavano alla luce del sole, come lingue di fuoco
nero, mentre raccoglieva alcune pietruzze dal terreno e le sistemava
nella sua grande borsa.
Chissà
a cosa le sarebbero servite, nel suo lungo viaggio alla ricerca della
verità…
Al
contrario di me, lei era molto coraggiosa e non le importava cosa
avrebbero potuto pensare i suoi genitori quando si sarebbero accorti
della sua scomparsa. D’altronde la sua famiglia ha sempre
visto il suo come un ruolo nobile, per il quale sacrificare la vita era
un vero onore.
Mia
nonna non mi ha lasciato uscire di casa per sette anni, temendo il
peggio.
Ed ora
riesco a riconoscerne le conseguenze.
“Se
avrai bisogno di me, ti basterà chiamarmi, ed io
arriverò”
Riemersi
dai miei pensieri: Isabel mi sorrideva enigmatica, come sempre. Ma
avvertivo il suo affetto per me, e questo mi rassicurava.
Le
sorrisi e le lanciai uno sguardo di raccomandazione: se avessi perso
anche lei ingiustamente, non avrei più potuto vivere
serenamente.
Lei…
era la mia unica amica…
Quei
pensieri tristi mi uscirono dagli occhi, dove tutti potevano ammirarli;
non era esattamente quello che volevo, ma ormai il danno era fatto.
Mi
asciugai il viso con le mani, e nell’alzare la testa vidi che
lei si era avvicinata a me, e se ne stava immobile a fissarmi.
Tirai
su col naso: ero davvero tanto interessante per lei?
La
risposta non si fece attendere, poiché Isabel
abbassò lo sguardo e mi lasciò cadere in grembo
un oggetto leggero e scivoloso.
Io
stupita lo presi tra le
mani, cercando intanto di capire perché Isabel aveva
compiuto una simile azione ed a cosa mi sarebbe servito quel che tenevo
in mano.
Lasciai
scivolare le perline del braccialetto tra le dita, ma non arrivava
nessuna risposta da loro: erano mute come bolle di sapone.
Poi ad
un certo punto Isabel parlò…
“Questo
braccialetto l’ho fatto con le perline della mia collana:
è un modo per ricordarti sempre di me”
Mi
guardava e guardava il braccialetto come per invitarmi ad indossarlo;
io ero completamente paralizzata dalla felicità!
Non
sentivo più le gambe sotto di me, e le mani erano diventate
due sculture di ghiaccio, che sorreggevano il gioiello per miracolo, e
la bocca tremava come intirizzita dal freddo, anche se il sole ci stava
ancora guardando dal cielo azzurro, divertendosi a creare ombre
colorate sull’asfalto, riflessi dei miei pensieri che la
lingua non aveva la forza di esprimere.
Tentai
più volte di ringraziare Isabel, ma quel che uscì
dalla bocca fu soltanto un rantolo insignificante. Facevo fatica
persino a tenere la bocca aperta.
Notando
i miei sforzi, Isabel non disse nulla e mi prese le mani, racchiudendo
perciò il braccialetto in un groviglio di mani
inestricabile. Non so cosa mi fece comprendere il significato del suo
gesto, ma mi calmai anch’io, mentre un fuoco lento saliva in
me proprio partendo dalle mie mani.
E lei
le guardava, come se ci fosse racchiuso il mondo.
Non
passarono molti giorni da quando Isabel mi inviò una
lettera.
Mi ero
svegliata turbata, i frammenti dei sogni ancora vividi davanti ai miei
occhi, e mi apprestavo a scendere dal letto quando Fernando
aprì la porta tutto trafelato.
“Mike…Mike,
ho qui una lettera per te…Non so di chi sia, non
c’è scritto niente. Ci sono solo due disegni sopra
la busta ed il nome del destinatario…”
“Ehi,
calmo! Siediti e dammi la lettera,
per favore”
“Okay”
Fernando mi porse la lettera mentre si accomodava sul letto disfatto,
ansimando come un cammello: gli anni cominciavano a farsi sentire anche
per lui!
Osservai
per bene la busta: c’erano davvero due disegni sopra, ed il
tratto mi ricordava molto quello di Isabel. Molto chiaro ed attento ai
particolari più insignificanti.
La
aprii con cautela e presi il foglio all’interno,
così emozionata che mi tremavano le mani, e stavo per
iniziare a leggere quando Fernando iniziò.
“Non
è che potrei sentire anch’io cosa dice? In fondo
mi sono fatto due rampe di scale a piedi per portartela!”
Sospirai
e acconsentii; in fondo Fernando era uno di famiglia!
Mi
schiarii la voce solennemente ed iniziai a leggere:
“Cara Mike,
sono in viaggio da parecchie
settimane ma ancora non sono riuscita a trovare alcun indizio. Spero
che da te vada meglio! Come stai?
Purtroppo
prima non ho potuto scriverti perché ero troppo impegnata
nella ricerca dell’angelo, e non avevo neanche un
po’ di carta a disposizione. Io sto bene, non ti preoccupare.
“Oh
almeno lei sta bene!”
“Cosa
significa? Anche noi stiamo
benissimo!”
“Ti
stai forse dimenticando di una cosa, Mike?”
“Ehm…Veramente…La
lettera non è ancora finita!”
“Ultimamente penso spesso a noi due,
ed a quanto stavamo bene insieme: chissà per quanto tempo
rimarremo divise…
Il compito
che ci è stato affidato è sì
onorevole, ma molte volte abbiamo bisogno di riposo e di affetto.
E’ così per noi come per tutti gli altri esseri
umani”
“Ha
perfettamente ragione!”
“Ma
scusami, tu che cavolo
centri?”
“Volevo
intervenire, tranquilla!”
“Ma
non è rispettoso nei miei confronti!”
“E
dai, non fare l’esagerata e continua”
“Uff,
va bene...E’
quasi finita”
“Ora ti lascio, devo continuare a
camminare per raggiungere il Nord!
Ricordati
sempre che io ti sono vicina, e che se ci saranno novità te
le farò sapere in tempo, sempre scrivendoti.
A presto, mia
cara amica
Isabel”
“E’
finita così?”
“Credo
proprio di sì, Fernando”
Stringevo
la lettera tra le mani, gli occhi vuoti e confusi.
Avrei
voluto leggere di più, seguire con attenzione la grafia
delicata di Isabel, le sue vocali allungate e gli svolazzi ad ogni fine
di parola, le sue scoperte, i suoi pensieri, emozioni e nostalgie; ed
infine piangere al momento dei saluti, davanti ad un modesto
“A presto” …ed invece mi dovevo
accontentare di poche parole scritte con snervante
tranquillità e impercettibile rassegnazione.
Non mi
aspettavo una missiva così povera da parte di un fenomeno
come lei, ma sicuramente la vergogna aveva frenato il suo desiderio di
raccontare: prima non si fermava mai davanti ad un ostacolo,
schivandolo come un ciottolo sul marciapiede, proseguendo trionfante il
suo cammino.
È
come se il suo fallimento l’avesse privata di quella
silenziosa energia che sentivo ardere in lei ogni volta che mi stava
vicino, un’energia che per me sembrava infinita…
Ma non lo era.
Ogni
cosa aveva un limite, purtroppo.
Ed io,
stupida ragazzina, mi ero aggrappata sin troppo a questa energia, senza
neanche chiedermi cosa provasse Isabel, cosa sentisse ogni volta che le
chiedevo aiuto, rendendola schiava della mia debolezza…
Il
foglio che avevo tra le mani iniziò ad inzupparsi di lacrime
anormali, gelide: solo ora riuscivo a comprendere il mio errore, e me
ne vergognavo profondamente.
Ero
sicurissima che non sarei
più riuscita a guardare in faccia Isabel da
quel momento. Rimediare ormai era troppo
tardi, ed una persona come me non ne era capace.
Non
avevo di certo torto a considerarmi una nullità…
Fumi e
vapori di fine giornata si riversavano dalle finestre di casa Villa
quando gli abitanti le aprivano per prendere un po’
d’aria.
Certo,
l’aria di Los Angeles era quel che era, ma a Katie non dava
fastidio più nulla, neanche i gas di scarico delle
automobili. Anzi, c’era da dire che la eccitavano.
Da
quando aveva ricevuto una bella mazzata riguardo il
prezzo della merce, aveva deciso di comprare soltanto nei giorni
festivi, quando tutto costava meno, e godersi quegli attimi di
felicità offerti dalla sua amica in modo breve ma intenso.
Capitava
spesso di vederla intenta ad armeggiare con una siringa nei vicoli bui
delle periferie, luoghi proibiti e deliziosi.
Lì
aveva conosciuto molta gente come lei: ci aveva scambiato qualche
parola, ed anche qualche spinello.
Erano
di certo
quei tipi che sua madre avrebbe massacrato a padellate e
gettati vivi in una fossa, ma lei ci stava bene, e sinceramente non
gliene importava molto dei
giudizio della madre.
Ormai
quella signora di mezza età doveva pensare alla sua
nipotina, e non aveva più tempo per la figlia…
Nonostante
l’affetto che nutriva per la madre, a Katie non era mai
andata a genio l’idea che Mike dovesse vivere nella bambagia
come una principessina, senza neanche scoprire i segreti che quella
città sapeva nascondere.
Naturalmente,
questa idea era stata di sua madre.
Quella
donna che l’aveva educata all’amore ed alla
speranza, facendole credere che il mondo fosse tutta
un’illusione e che le disgrazie accadano per volere del
destino, e che solo i più buoni si potevano salvare da
un’esistenza dura ed eterna.
Lei
era di altre opinioni, ma
Fiordaliso non l’ha mai ascoltata così a fondo da
capire quel che veramente la ragazza provava: per lei erano i tipici
problemi dell’adolescenza, sarebbe passato tutto.
Ed infatti era tutto andato liscio.
Aveva
avuto una figlia dal suo professore di matematica, conosciuto il
piacere del proibito prima ancora di compiere la maggiore
età e speso centinaia di dollari guadagnati degnamente per
il più sporco degli affari.
Sì,
era andato tutto bene. C’era gente che se la passava molto
peggio di lei, ed al solo pensarci il suo cervello si dilatava fino a
creare una voragine di tristezza e solitudine, che inghiottiva tutti i
pensieri belli e non la faceva più respirare.
Certo,
aveva imparato a sopportare la vita, ma non era ancora riuscita a
sopprimere il dolore. Dolore.
Tanta
gente non sa cosa significhi dolore…
E tanta lo sa fin troppo bene.
Anche
le finestre sanno cosa sia il dolore: in un certo senso assistono a
ciò che accade in una stanza, e se vogliono
lo condividono con altri, come per dire; “Ehi, guardate un
po’: c’è gente che soffre dentro questa
casa! Perché non fate nulla per aiutarla invece di stare
impalati a guardarmi? Io sono solo una finestra e non posso fare un
cazzo per loro!”
Benedette
finestre, come sono modeste!
Katie
rimuginò sulle sue idee per un po’: non erano poi
così male, anche se maledettamente insensate.
Stette
ancora un po’ a guardare il paesaggio, prima di chiudere le
imposte di legno della finestra e sprofondare nel buio più
assoluto.
Salve gente! Scusate
davvero per il ritardo D: stavolta ho proprio esagerato! Pensavo che
non avrei più avuto problemi nell’aggiornare la
mia storia, ma adesso mi rendo conto di quanto mi sono sbagliata.
Purtroppo ho
avuto dei problemi in questi mesi, sia a livello fisico che mentale,
che non mi hanno permesso di continuare a scrivere come volevo.
Per settimane
intere non ho praticamente scritto nulla!
Ho riniziato circa un mese fa, e
fortunatamente ho quasi finito xD devo solo aggiungere il titolo ai
capitoli, ma non sarà un problema, fidatevi!
Vi chiedo
infinitamente scusa per questo mio errore, poiché in fondo
siete voi, lettori, a darmi ancora la voglia di scrivere: forse in
questo periodo riuscirò ad assorbire la vostra forza ed a
continuare decentemente il mio lavoro.
Pensando ad
altro, vi ricordo che sto correggendo la prima serie di “Will
you be there”,
quindi, chiunque voglia leggere, si ricordi che i primi capitoli sono
ancora in fase di correzione, pertanto il livello di scrittura
è ancora basso come la mia voglia di alzarmi da questa sedia
maledetta .__.
Inoltre, ho
notato che ci sono delle incoerenze tra ciò che scrissi
molto tempo fa e quello che sto scrivendo adesso: se per caso vi
rendeste conto di errori o distrazioni, non esitate a dirmelo! Sarei
molto felice di questo, anzi xD (con questo, non voglio dire che non
ricontrollo quello che ho scritto: ho la memoria a breve termine, tutto
qui xD)
Per ultimo, vorrei ringraziare chi ha
letto, e soprattutto chi ha recensito! Come natalia, della quale
apprezzo le recensioni ed i complimenti alla storia. Grazie mille, mi servono proprio
incoraggiamenti del genere!xD
Se recensirai
anche questo capitolo, ti prometto di illustrarti ancora meglio la
trama della storia :D
Ringrazio
inoltre la cara GioTanner per il
titolo *_* mi sei sempre d’aiuto, Rò, grazie mille
<3
Bene, adesso
posso anche andare via D:
Grazie per
aver letto questo capitolo, alla prossima! (non vi preoccupate,
sarò puntuale u.u)
Looney**
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Solitudine isn't your destiny ***
Solutidine isn’t your destiny
“Accidenti,
quanto picchia oggi!”
Fernando
aveva ragione: oggi era davvero una giornata caldissima, e neanche
eravamo a giugno!
Sentivo
l’urlo straziante della vegetazione intorno a me ed il suo
insaziabile desiderio di acqua, che però non poteva essere
mai soddisfatto appieno: in fondo l’innaffiatoio era quel che
era!
Io
stavo aiutando il nostro “giardiniere” a prendersi
cura delle piante e mi dispiaceva moltissimo che la natura si piegasse
all’afa in modo così spaventoso.
Di
solito ci sono delle piante che vivono bene al sole ed altre che invece
necessitano di molta acqua: il nostro giardino era uno strano miscuglio
di piante desertiche e delicati fiori occidentali, che si tenevano
appena nei loro esili steli, come bambini malati, stremati dalla
sofferenza.
Ma
bastava un po’ d’acqua perché il loro
splendore potesse tornare.
Stavo
giusto innaffiando delle rose fuori stagione quando sentii qualcuno che
mi chiamava. Non era Fernando, e neanche la nonna.
Alzai
il volto e intravidi, nascosta dalle guglie appuntite del cancello di
ferro, una figura famigliare.
Lasciai
l’innaffiatoio vicino ai fiori per andare ad aprire alla
misteriosa presenza ed avvicinandomi ancora di più scoprii
la sua identità: era Sandy, la migliore amica della mamma.
“Ciao
Sandy! Da quanto tempo che non ci vediamo!” le dissi mentre
aprivo il cancello e la lasciavo entrare.
“Oh
ciao Mike! Cavolo, come sei cresciuta! L’ultima volta che ti
ho visto eri una bambina”
“Ma
non sono passati neanche due mesi…”
“Lo
so, ma voi ragazzette di oggi crescete molto velocemente. Guarda un
po’, hai già le tette!”
“Ehm,
veramente…” Ciò che in
realtà Sandy chiamava “tette” non
esisteva: al suo posto vi era un rigonfiamento appena accennato sotto
la maglietta che neanche poteva chiamarsi seno!
Feci
per nascondere le rotondità minuscole, e lei
scoppiò in una sonora risata.
“Ma
dai, scherzo! Io alla tua età le avevo anche più
piccole!”
Mi
rivolse uno dei suoi splendidi sorrisi e mi sentii più
sollevata; anche se stava scherzando, avevo dei seri problemi di
autostima.
Mi
vedevo talmente brutta da non guardarmi neanche allo specchio, e gli
altri insistevano che ero bellissima e priva di imperfezioni.
Si
vedeva che non stavano passando ciò che in realtà
stavo passando io. Trattavano l’adolescenza come un periodo
di crescita qualsiasi, e questo mi irritava davvero tanto.
Giusto
Sandy sembrava provare quel che provavo io, forse perché era
stata anche lei una ragazzina emarginata e sin troppo viziata per i
suoi gusti.
Alcune
volte avrei voluto avere la sua stessa età per lavorare con
lei ed essere sua amica. Mi sarebbe piaciuto davvero tanto.
“Comunque,
cara…Come sta la mamma?”
Oh
giusto, la mamma! Mi ero completamente dimenticata!
E’
impossibile che la sua migliore amica venga a trovarla senza un motivo,
no?
“Oh
sta meglio adesso, anche se non vuole ancora uscire di casa.
E’ un bel problema…”
“Se
non se la sente è inutile forzarla; quando sarà
un po’ più forte sono sicura che ce la
farà!”
Sandy,
mia cara, è da cinque mesi che continui a sperare!
“Io
non ne sarei tanto sicura..Comunque se vuoi salutarla, ti accompagno in
camera sua. Tanto non la disturbi!”
“Va
bene, ma rimarrò per poco tempo: non voglio
stancarla”
“Prego,
allora, seguimi. Sarà molto contenta di vederti!”
Desiderosa
di rientrare in casa e vederla senza quell’enorme cappello
che la proteggeva dal sole, la condussi lungo il selciato, tra il prato
arso dal sole e le foglie ingiallite: quello spettacolo, pensai,
accentuava ancora di più la malinconia di fine estate.
Il
mio compleanno era passato da circa due mesi ed ancora mi sentivo una
bambina, senza tette e con la disinvoltura di un elefante.
Eppure
avevo dodici anni.
Dodici
anni passati in solitudine, spesso in quel giardino ora in decadenza. E
quando pensai che fosse arrivato un po’ di refrigerio nella
mia vita, una goccia di felicità…Quella
è scivolata imprudentemente via per poi non fare
più ritorno.
Ogni
estate speravo di essere bagnata ancora da quella goccia, sentire il
suo potere rigenerativo in me e ridere felice insieme a lei, ma ormai
era inutile aspettare.
Sapevo
che non sarebbe tornata prima dell’inizio
dell’autunno.
Anche
la mamma aveva la sua goccia di felicità personale: si stava
togliendo il cappello-parabola proprio ora.
“Oh
in casa si sta proprio bene! Oggi è una giornata
particolarmente afosa, non trovi?”
“Già,
ma ormai sono abituata. E poi a me il sole non brucia, per
fortuna”
“Certo,
tu hai la carnagione molto più scura della mia! Come
Katie…Mi ricordo che mi prendeva sempre in giro
perché al mare non mi spogliavo mai, mentre lei poteva
rimanere un giorno intero sotto il sole e non si scottava neanche il
collo! Che pessimi ricordi…”
La
vidi arricciare il labbro e risi anch’io pensando alla
situazione: ascoltare da altre persone episodi di vita quotidiana
riguardanti mia madre era sempre esilarante! Lei mi aveva ormai
raccontato tutto quello che c’era da sapere sulla sua
gioventù, e spesso falsava le vicende per farle sembrare
più eroiche possibili.
I
suoi amici, invece, non avevano alcun gusto nel mentirmi, ed esponevano
i fatti nudi e crudi, non solo per sottolineare
l’umanità della mamma ma anche per dimostrare che
tenevano a lei; riconoscevano i suoi sbagli, le sue paure, cose che lei
non avrebbe mai ammesso in pubblico.
Preferiva
apparire forte e coraggiosa piuttosto che mostrare le sue debolezze e
farsi aiutare da qualcuno.
È
proprio quel che capita quando si ammala e tutti cerchiamo di
accudirla, ma lei rifiuta qualsiasi aiuto e si rimette in sesto da sola.
Quella
volta, però, non ebbe neanche il coraggio di alzare la mano
e protestare.
Non
riusciva neanche ad alzarsi dal letto, le era faticoso addirittura
respirare…
Non
guardava neanche fuori dalla finestra, aperta solo per lei; esisteva
solo il soffitto.
Io
non entravo spesso nella sua stanza, nonostante sapessi quanto le
avrebbe fatto piacere, ma quella volta non potei evitarlo: dovevo
accompagnare Sandy e sicuramente la sua debolezza non le avrebbe
permesso di stare da sola assieme alla mamma.
Una
volta aperta la porta, feci molta attenzione a non disturbare la mamma:
agitata come era si sarebbe spaventata con tutto quel rumore.
Ultimamente
i suoi sensi si erano acuiti, trasformando il fruscio delle lenzuola in
un rombo infernale, ed il lieve peso di una piuma in cento incudini. In
quanto alla vista, non la usava più: per lei la
realtà era un ammasso di impercettibili e frenetiche ombre
grigie.
Nel
chiamarla per sottolineare la mia presenza, perciò, non
dovetti avvicinarmi al suo letto, poiché riconosceva la mia
voce perfettamente.
Dal
tono con il quale mi rispose era molto felice di vedere me e Sandy, e
ne fui particolarmente sollevata: era da tanto tempo che non la vedevo
così contenta!
Nonostante
ormai il suo viso non esprimesse più sentimenti, si
voltò verso di noi e si alzò a sedere sul letto:
anche muoversi le era diventato difficile.
Trascinò
tutto il peso sui morbidi cuscini e si appoggiò esausta allo
schienale del letto, per poi ansimare e chiudere ancora gli occhi.
Quei
semplici movimenti le erano costati una fatica immane; avrebbe anche
potuto evitarli, ma lei non si riposava mai del tutto, e cercava di
apparire molto sollevata.
“Come
va, mamma?” le chiesi mentre mi mettevo seduta sul letto
assieme a Sandy.
“E
me lo chiedi pure? Sono nelle esatte condizioni in cui ero ieri, anche
se mi fanno meno male le ossa. E poi ho sete…”
Come
al solito, la mamma non si smentiva mai: non era mai abbastanza debole
per sdrammatizzare.
“Se
vuoi ti porto subito un bicchiere d’acqua, mentre parli con
Sandy. Cavolo, da quanto tempo dovete vedervi? Avrete un sacco di cose
da raccontarvi!”
“Sì.
Tantissime”
E
dopo aver sentito l’ennesima battutina ne ebbi davvero
abbastanza: un malato non doveva comportarsi così!
Chiesi
a Sandy di attendere per qualche minuto e scesi in cucina non solo per
prendere l’acqua alla mamma ma anche per lasciare sole le due
amiche.
Magari
parlando con Sandy la mamma avrebbe smesso di sputare battutine
tristemente ironiche sulla sua condizione e si sarebbe un po’
calmata. Quella ragazza dagli occhi vivaci come fronde mosse dal vento
aveva un potere così grande che neanche si accorgeva di
possedere, e questo mi preoccupava parecchio, ma allo stesso tempo mi
confortava.
La
mamma era davvero fortunata ad avere una persona come lei al suo fianco.
Dopo
che Mike uscì dalla stanza, se ne stettero in silenzio per
un bel po’: sinceramente, non sapevano di cosa parlare.
Era
da molto che non si vedevano, e nessuna delle due aveva subito dei
cambiamenti visibili: Katie possedeva ancora quell’aria
scomposta che si addiceva ai malati, i capelli appiccicati sulla fronte
che formavano piccole onde e si andavano ad incontrare con il sudore,
gli occhi socchiusi, le labbra secche come il deserto.
Nell’insieme, uno spettacolo abbastanza deprimente.
Sandy
invece trasudava salute da tutti i pori: era sempre la stessa ragazza
timida e intelligente, con le sopracciglia sottili e le mani sempre
curate. L’unico cambiamento radicale verificatosi nel suo
aspetto riguardava i capelli, che un tempo ricadevano lunghi e morbidi
fino alla vita, ed ora le coprivano appena le orecchie.
Nonostante
il dispiacere causato da questa follia, il nuovo taglio le dava
un’aria più malinconica, che non le dispiaceva.
Sandy,
nonostante le varie fortune che aveva ricevuto dalla vita, era una
persona molto pessimista, ma ciò non le pesava affatto:
aveva sempre desiderato che nella sua vita ci fosse un po’ di
ansia a guastarle i piani.
Odiava
le cose facili e ricche di suggerimenti; non aveva mai chiesto aiuto a
nessuno e più andava avanti con le sue stesse forze,
più si sentiva felice.
Ora
come ora, aveva studiato per cinque anni lontana da casa ed era
ritornata solo per stare vicina a quella sciagurata della sua migliore
amica, che come al solito riempiva di insulti anche il cuscino e non la
riconosceva più.
Tuttavia,
le voleva ancora più bene di prima. E sapeva che per Katie
era lo stesso.
Quella
ragazza che stava pian piano sprofondando nel buio più
assoluto le voleva ancora bene.
Non
poté fermare un sorriso al sol pensiero: allungò
la mano verso la fronte della sua amica e le scostò
delicatamente i capelli umidi fin dietro le orecchie.
Si
fermò un attimo a guardarla: era ancora la stessa Katie, la
stessa ragazzina che aveva conosciuto quell’autunno di
quattordici anni fa.
La
stessa ragazzina che l’aveva conquistata sin dal primo
istante in cui il suo viso imbronciato si era voltato verso di lei,
rossa come un peperone, per pura curiosità ma anche per lo
stupore di aver vicino una figura tanto strana, mentre le foglie
vorticavano sulle loro teste, intrise di malinconia, e si andavano a
posare sulle piastrelle venate di nero.
Ricordava
ancora la loro danza nel cielo prima di accasciarsi al suolo, tra i
loro piedi.
Ricordava
ogni singola piega della sua gonna che le ricadeva delicatamente sulle
gambe magre, scomponendosi fino a formare un piccolo sole blu.
Ricordava
anche le sue mani bianche tinte di rosso dall’autunno, e la
cartella appoggiata alla panchina di legno scorticato, vicino a quella
di Katie.
Ora
non erano più sedute una di fianco all’altra.
Non
si stavano più riposando sotto gli alberi dopo una dura
giornata di scuola.
Non
avevano più quei visi rotondi da bambina, gli occhi sin
troppo grandi.
Ma
Sandy sentiva che quel grande sentimento non era cambiato.
Improvvisamente
le sue labbra iniziarono a tremare, desiderose per qualcosa di
irraggiungibile. Eppure così vicino.
Come
aveva potuto nascondere ciò per tutto questo tempo?
Era
stata brava, ma non poteva resistere oltre.
Ormai
non era più tempo di fingere.
Si
chinò lentamente verso l’angosciante figura
sdraiata sul letto, non curandosi minimamente di poter essere scoperta,
ma proseguendo semplicemente per il cammino che le indicava
l’istinto.
Si
fermò a pochi centimetri dal naso di Katie: poteva sentirne
il respiro affannoso inondarle le orecchie ed il cuore.
Si
ritrasse improvvisamente e scosse la testa: la sua amica stava
soffrendo terribilmente, non poteva approfittarsi di lei.
Osservò
per poco il suo volto sconvolto ed alla fine, vinta dal desiderio, le
diede un innocente bacio sulla fronte. Sembrava stare meglio dopo quel
piccolo gesto, e Sandy se ne compiacque.
Sorrise
dolcemente all’amica, e si sarebbe chinata ancora su di lei
se Mike non fosse entrata improvvisamente nella stanza, portando in
mano una caraffa piena d’acqua e dei bicchieri.
“Scusate
se vi ho fatto attendere, ma…Ho avuto da fare! Ecco
l’acqua, mamma”
Posò
un bicchiere sul comodino e versò l’acqua, per poi
riempirne uno anche a Sandy, che però rifiutò
educatamente l’offerta.
“Non
c’è problema, allora, la bevo io” le
rispose Mike, un pochino offesa.
Tuttavia
sorrise a Sandy, ed aiutò la madre a mettersi seduta sul
letto per bere più comodamente.
Trascorse
un po’ di tempo con le due donne, prima di scappare di sopra,
con la scusa che doveva aiutare Fernando a stendere il bucato;
purtroppo per lei Fernando ora era in cucina
a chiacchierare amabilmente con Fiordaliso mentre stava sistemando le
stoviglie nei cassetti.
Katie
non ci fece minimamente caso, troppo occupata a guardare il soffitto.
Sandy, invece, seguì Mike con lo sguardo, fin quando la
porta della camera non si chiuse dietro di lei.
E
proprio in quel momento Fiordaliso scoppiò a ridere al piano
inferiore, e Fernando la seguì.
Per
la fretta stavo quasi per inciampare sulle piastrelle del pavimento,
nonostante portassi ai piedi delle solidissime ciabatte antiscivolo, e
non mi resi neanche conto di essere arrivata davanti alla porta della
mia stanza, per quanta foga ci misi nel rialzarmi e nel ripartire,
manco fossi Carl Lewis!
Perciò,
la mia seconda caduta fu inevitabile. Il caldo mi dava veramente alla
testa!
Mi
appoggiai alla maniglia della porta e la aprii, per poi strisciare
cautamente dentro la mia stanza.
Mi
richiusi la porta dietro, e lanciai un sospiro di sollievo: finalmente
ero al sicuro!
Né
occhi né orecchie indiscrete avrebbero spiato le mie azioni.
Mi
alzai ed andai verso il letto, sul quale avevo lasciato la preziosa
reliquia, il motivo per cui mi ero praticamente rotta una gamba ed un
piede, e la presi trepidante in mano.
Ero
davvero emozionata, nonostante si trattasse di un banalissimo pezzo di
carta. Okay, non esageriamo…Quel banalissimo pezzo di carta
era una lettera dalla mia cara e preziosa (nonché unica) amica Isabel.
Da
molto tempo ormai non mi scriveva più, e soprattutto non
avevo ricevuto nuove notizie sull’angelo caduto.
Chissà
se la mia geniale amica aveva scoperto qualcosa di interessante!
Presi
la lettera in mano, e prima di aprirla notai se ci fossero gli strani
disegni che comparivano sempre sulle altre buste: motivi geometrici,
spirali, volteggianti cerchi magici, che invadevano la carta da cima a
fondo.
Avvertii
una fitta al cuore: Isabel era così premurosa che spendeva
il suo tempo già scarso per decorare l’intera
busta con i suoi disegni, il tutto per far sentire la sua presenza
accanto a me.
Sapeva
quanto amavo la sua arte, quanto avrei voluto celebrarla…
Strinsi
gli occhi nel tentativo di non perdermi in stupidi pianti, e tastai la
carta fin quando non trovai l’apertura.
Iniziai
a strappare saggiamente la carta ai bordi, facendo attenzione a non
rompere il foglio all’interno.
Arrivata
nel mezzo, però, mi aiutai con una forcina per capelli,
poiché le mie mani erano troppo goffe per continuare quel
lavoro di assoluta precisione.
La
mia fida compagna riuscì nel suo intento: sfilai la lettera
dalla busta martoriata, e la aprii.
Ero
così eccitata che per un attimo ebbi la sensazione di non
riuscire a leggere la grafia minuta e chiara di Isabel, ma dopo un
po’ i miei occhi si abituarono allo spiccato contrasto tra
carta e inchiostro, ed iniziai a leggere speditamente.
“Cara
Mike,
come
stai? So della tua infelicità per la mia mancanza, ma non
dovrai soffrire ancora per molto: infatti ritornerò a Los
Angeles tra qualche settimana, il tempo per riordinare le mie ricerche
e dare un’ultima occhiata ai miei scarsi risultati.
Non
sono riuscita a scoprire nulla di nuovo riguardo l’angelo
ribelle.
Neanche
il mio protettore, Michael, e gli altri angeli non sanno dove si trovi,
né cosa stia facendo in questo momento.
È
come se fosse lontano dal nostro mondo.
Spero
che, quando ritornerò, in tua compagnia riusciremo a trovare
nuovi indizi; ormai sei grande, sono sicura che i tuoi famigliari ti
lasceranno venire con me!
Inoltre
devo parlarti assolutamente di un avvenimento molto importante: devi
fidarti, ho scrutato nel futuro attraverso le lingue di fuoco
sprigionate da una piuma di avvoltoio rovente.
È
sconveniente anticipare ciò che ti dirò, quindi
armati di pazienza e stai calma.
Questa
lettera arriverà sicuramente prima di me, ma le distanze che
ci separano non sono enormi: ritornerò tra qualche
settimana, te lo prometto.
Adesso
ti lascio, devo continuare i preparativi per la partenza.
Ci
vedremo non appena ritornerò.
Isabel”
Rilessi
le ultime righe per almeno cinque volte prima di alzare gli occhi dal
foglio e rimanere accecata dal celeste intenso delle pareti, che si
mescolava al bianco del pavimento di marmo.
Per
un momento mi girò la testa: non riuscivo a capire,
però, se era per ciò che avevo appena letto o
semplicemente per aver alzato la testa troppo velocemente.
Il
mio cervello insisteva per la seconda, ma sapevo che la prima opzione
era la più plausibile.
Non
osavo credere a ciò che avevo appena letto.
Isabel,
la mia amica, la mia migliore amica, era riuscita… A predire
il futuro?
Da
sempre mi ribadiva che i suoi poteri le permettevano di leggere nella
mente di chiunque, di manipolarne i pensieri e di condurre la
realtà a proprio piacimento, ma non poteva predire il futuro.
Aveva
conosciuto chi era in grado di farlo, ma non era mai riuscita ad
imitare le loro azioni, né tantomeno a scorgere qualche
frammento di futuro.
Sicuramente
la sua scoperta era sensazionale!
Rimasi
per qualche minuto a rimuginare sulle misteriose parole della mia
amica, fin quando non decisi di ritornare dalla mamma e Sandy per
assicurarmi che fosse tutto a posto.
Pensarci
mi avrebbe fatto soltanto male, mi avrebbe bruciato le energie e non mi
avrebbe permesso di vivere.
Ma
nonostante i miei continui lavaggi del cervello, una spiacevole
sensazione si riproponeva alla sommità del cuore,
costringendomi a fermarmi e a pensare: davvero sarei dovuta essere
felice di ciò che aveva scoperto Isabel?
E
se fosse stato un avvenimento doloroso?
Quel
giorno non era poi così bello come lo erano stati gli altri:
avevo visto la prima foglia gialla della stagione.
L’estate
iniziava a fare le valigie per andarsi a riposare, e ritornare fresca e
profumata l’anno successivo.
Io
me ne stavo seduta sugli scalini della veranda, con niente di meglio da
fare che guardare il cielo.
Nubi
bianche come cotone si rincorrevano, scivolavano sul vento,
inciampavano e poi continuavano il loro cammino, su uno sfondo azzurro
come il mare.
Apparivano
così felicemente imperturbabili che mi facevano quasi rabbia!
Sicuramente
non sapevano quanto gli abitanti della Terra desiderassero ardentemente
la loro felicità; anzi, non gliene importava praticamente
nulla.
Erano
passate diverse settimane dall’apertura delle scuole: ormai
eravamo ai primi di ottobre.
Erano
diverse settimane che aspettavo il ritorno della mia amica. Ma non
avevo più ricevuto sue notizie, e cominciavo seriamente a
preoccuparmi.
Dove
era finita? Perché ritardava così tanto? E la sua
scoperta sensazionale? Che quella sia stata così
sconvolgente da non permetterle di tornare in tempo?
Mi
ponevo mille domande, ma non riuscivo a trovare una risposta ad alcuna.
Tutto
quel che potevo fare era osservare il cielo, ed aspettare: la mia amica
non era una stupida, sicuramente se la sarebbe cavata.
Stavo
pensando a quanto fossero dure le assi di legno sotto il mio sedere
quando la buffa testa della nonna si affacciò alla finestra
del soggiorno e per poco non mi perforò i timpani con una
richiesta che poteva tranquillamente dirmi senza alzare la voce.
Voleva
che badassi un pochino alla mamma, visto che lei doveva uscire insieme
a Fernando per alcune commissioni, e lasciarla sola le sembrava poco
umano.
Dopotutto,
era mia madre, anche se da molto tempo non la riconoscevo
più; dopo la misteriosa malattia, durata sì e no
due anni e mezzo, si era un pochino ripresa: si era alzata dal letto,
aveva iniziato a vagare per la stanza senza motivo, non la disturbava
più alcun dolore e non trovava fastidioso parlare o
sorridere.
Tutti
quegli improvvisi cambiamenti mi resero molto felice, ma sicuramente la
salute ritrovata mutò mia madre in una persona completamente
diversa da quella che ero abituata a frequentare: innanzitutto, non
voleva uscire di casa, perché aveva paura ad attraversare la
strada ed i rombi provocati dai motori la infastidivano; poi, esigeva
la compagnia mia e della nonna, in qualsiasi momento della giornata,
anche quando doveva andare in bagno; aveva il terrore del buio, e di
notte dormiva con la lampada del comodino accesa; le pupille degli
occhi, un tempo grandi, erano diventate piccolissime, tanto che non
riuscivo più a scorgerle nel marrone profondo
dell’iride.
Il
suo viso solare e dai tratti morbidi si indurì fino ad
incupirsi.
Spesso
aveva un’espressione inquieta che addirittura mi intimoriva.
Sembra
brutto a dirsi, ma iniziavo ad aver paura di mia madre.
Ogni
volta che andavo a farle visita ed i suoi occhi vuoti si posavano su di
me, avvertivo un tremendo disagio, che si attenuava soltanto quando
chiudevo la porta della sua stanza e la lasciavo sola.
È
quel che successe quando quel giorno andai a farle compagnia: stava
seduta sul letto a sorseggiare lentamente il the che la nonna le aveva
portato poco prima, in pigiama e con i capelli arruffati.
Sicuramente
non si era accorta della mia presenza, perché non
alzò neanche lo sguardo, continuando a bere meccanicamente
la bevanda calda, gli occhi fissi sul pavimento.
Mi
avvicinai un po’ preoccupata, e le stampai goffamente un
bacio sulla fronte sudata.
“Buongiorno
mamma” le dissi.
Lei
si mosse intimorita, e le sue pupille mi investirono con tutto il loro
gelido calore: aveva gli occhi gonfi di ansia.
Abbassai
velocemente lo sguardo, per non far capire quanto in realtà
fossi tesa, e buttai lì qualche domandina premurosa.
“Allora,
mamma, come stai? Hai freddo? Stai tremando. O forse sei troppo stanca?
Cos’è, perché non mi
rispondi?”
In
effetti, era come parlare ad una statua. Mia mamma era di nuovo
scivolata nelle sue ignote riflessioni, ed ogni tanto si ricordava di
avere una tazza di the in mano.
Si
muoveva così silenziosamente da sembrare un fantasma.
Insistei
ancora un po’, fin quando non venni alla conclusione che
aveva bisogno di riposarsi e stare da sola.
La
nonna mi avrebbe di certo perdonato.
“Ora
vado via, mamma. Ci vediamo stasera a cena, va bene?”
La
mia domanda si perse nel vuoto, mentre mi alzavo dal letto e
raggiungevo la porta.
Stavo
per chiuderla quando lanciai un ultimo sguardo alla spettrale figura di
fronte a me che un tempo era stata mia madre.
Stavo
iniziando seriamente a preoccuparmi.
Mia
madre non poteva continuare a vivere in quelle condizioni,
né rifiutarsi di andare dal medico.
In
tutti gli anni che le sono stata accanto come figlia, non
l’avevo mai vista con una medicina in mano, anche se aveva
l’influenza o il mal di testa, e non l’avevo mai
sentita parlare dei dottori e degli ospedali.
Lei
odiava gli ospedali sin da quando era piccola, per un motivo altamente
sconosciuto sia a me che alla nonna.
Era
triste, però, non poterla aiutare a superare il suo
malessere, qualunque esso sia stato.
Tutto
quel che potevamo fare era aspettare che lei guarisse, da sola; ma non
sempre il tempo portava via con sé la malattia.
Me
ne iniziavo a rendere conto in quei giorni: ormai la mamma sopravviveva
grazie a noi, alle nostre cure, ed i suoi movimenti erano
più simili a quelli di un robot che di un essere umano.
Ero
davvero inquieta.
Ma
non potevo sfogare la mia ansia con niente o nessuno, non serviva a
niente.
A
niente.
Anche
piangere mi sembrava inutile: più inondavo la casa di
lacrime più le onde del malessere si infrangevano sul mio
cuore, e lentamente lo corrodevano.
Non
avevo più punti di riferimento.
Mi
sentivo sola, ancora una volta.
Ola
gente! Eheh stavolta vi
ho fregato: sono riuscita ad aggiornare prima dei sei mesi u.u
spero che siate contenti della mia ricomparsa!
Allora,
come procedono le vostre vacanze? Le mie male ç__ç
non ho praticamente smesso di studiare dal 30 di giugno!
Cioè, ma è possibile? Io, che ero così
brava a scuola..ç^ç
Vabbè,
lasciamo perdere e parliamo della mia storia.
Ultimamente
ho scritto soltanto capitoli di passaggio, saltando nel tempo a
più non posso, ma sappiate che dal prossimo capitolo la
narrazione diverrà più rapida e non vi
annoierò più con Michael, Fiordaliso e Fernando
che bisticciano e giocano a chiapparella;
le indiscusse protagoniste saranno Mike e le sue amiche, ovvero Isabel
e gli altri due angeli che non ancora conoscono.
Cercherò
in tutti i modi di rendere avvincente la narrazione, trattandosi di
argomenti che riguardano bene o male delle ragazzine adolescenti, ma
non vi prometto nulla di buono xD
Bene,
ed ora passiamo ai ringraziamenti!
Ringrazio
con tutto il cuore Rò,
ovvero GioTanner,
per il titolo ^^; e poi ringrazio natalia, per essere una
lettrice così fedele della mia storia: non immaginavo che
potessero essercene ancora!xD
Con
questo vi saluto, signori, alla prossima!
Looney*
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=578116
|