Will You Be There II

di Looney
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mickey In The Sky With Diamonds (You Got To Be Free!) ***
Capitolo 2: *** Wish You Were Here (And You Run, And You Run To Catch Up With The Sun) ***
Capitolo 3: *** Do You Need Some Time... All Alone (And Where Your Fears Subside, And Shadows Still Remain, I Know That You Can Love Me) ***
Capitolo 4: *** Send Me An Angel (Because sometimes you can't choose-Prima parte) ***
Capitolo 5: *** Fallen Angel (Because sometimes you can't choose...Or not?-Seconda parte) ***
Capitolo 6: *** I've read your last page ***
Capitolo 7: *** Solitudine isn't your destiny ***



Capitolo 1
*** Mickey In The Sky With Diamonds (You Got To Be Free!) ***


                       Mickey in the sky with diamonds

                                     (You got to be free!)

 

 

“Avanti, nonna, prova a prendermi, se ci riesci!”

“Sono troppo lenta per te, Mike, non ho più vent’anni!”

“Ma io ne ho soltanto sei, nonna!”

“Appunto!”

Correvo veloce come una bicicletta nuova e bellissima, impossibile da raggiungere, e mi sembrava che stessi correndo solo io in quella distesa di erba, ma non ero sola: la nonna mi rincorreva ridendo, e nonostante la sua età mi raggiunse, afferrandomi le caviglie e facendomi cadere come un sacco di patate.

Questo sacco di patate, però, cominciò a rotolare sul prato, seguita dalla sua compagna, che però si era dimenticata di un piccolissimo particolare, e questo piccolissimo particolare, di nome Fernando, stava innaffiando le piante e gli alberi del nostro giardino, e non voleva essere disturbato da nessuno.

Infatti poco dopo le nostre risate furono interrotte da un grido che sembrava molto simile ad un ruggito.

“Ma non avete nulla di meglio da fare durante il giorno? Fiordaliso, mi vergogno di te!”

“Sei un rompipalle assurdo, Fernando! Sto semplicemente giocando con Mike, non mi pare che ti stiamo dando tanto fastidio!

“Devi sapere che io ho bisogno di quiete quando svolgo il mio lavoro…

Certamente, allora a quest’ora te ne saresti già andato!”

“Non è questo il punto!”

Rimasi a fissare la nonna e Fernando mentre litigavano: era uno spettacolo unico, ed uno dei miei passatempi preferiti!

Litigavano per qualunque cosa, e potevo godermi la loro rappresentazione ad ogni ora della giornata, ogni giorno ed in qualsiasi luogo.

Ma dopo le loro sfuriate ritornavano i sinceri amici di sempre, e la mamma tirava un sospiro di sollievo, seguito dai miei applausi e dalle mie grida.

Purtroppo quel giorno il divertimento durò pochissimo, poiché la nonna e Fernando riuscirono a trovare un compromesso ragionevole: noi saremmo rientrate in casa, e lui sarebbe rimasto solo soletto insieme alle sue amate piantine.

Io non volevo assolutamente allontanarmi dal nostro bel giardino, ma la nonna mi prese per mano e mi trascinò al portone di legno, ignorando il mio disappunto; anche se la finta durezza dei suoi occhi mi diceva che era molto dispiaciuta di vedermi così triste e sola.

Poveri adulti, soffrono così tanto nell’assolvere i loro doveri!

Anche io, però, non ero molto contenta di svolgere i miei: appena misi piede sul tappeto dell’atrio ed osservai l’attaccapanni in un angolo traboccante di abiti ed il minuscolo e buio corridoio che conduceva in soggiorno, mi sentii inghiottire dalle pareti fameliche della casa e scoppiai a piangere, in preda al terrore di morire divorata dalla mia stessa casa.

Mia nonna addolcì la stretta per consolarmi, anche se le sue parole non mi aiutarono in alcun modo, anzi, le lacrime continuavano a bagnare copiosamente le mie guance ed il vestitino bianco, impedendomi addirittura di muovermi dalla mia scomoda posizione.

Fu in quel momento che la nonna, stanca di vedermi piangere, mi prese in braccio e mi fece sedere sul vecchio divano, chiedendomi di aspettarla.

Mi voltai, e vidi le sue gambe salire velocemente le scale: mi chiesi cosa avesse in serbo per una bambina triste che aveva bisogno di essere consolata.

Lo seppi qualche minuto dopo, quando la vidi comparire nel soggiorno con una pila di polverosi LP tra le braccia, che posò subito sulla coda del pianoforte, creando piccoli sbuffi di polvere che mi fecero starnutire anche da una certa distanza.

“Avanti, questi dischi così vecchi nascondono delle canzoni che farebbero impallidire i compact disc di oggi! Scommetto che dopo aver ascoltato una bella canzone ti sentirai subito meglio

Con una forza incredibile per una signora di quarant’anni suonati come lei, si accinse a spingere il giradischi in un punto nel quale l’acustica della stanza era migliore, spulciò con cura i 45 giri, e ne scelse uno dalla copertina disegnata, che non avevo mai visto rovistando tra i suoi dischi.

Però, non appena la puntina cominciò a danzare tra i solchi del vinile, riconobbi la canzone, che penetrò in me con una folata di vento gelido, rigenerandomi fino alle ossa.

Come tutte le volte che la musica si insinuava nel mio corpo, i miei piedi iniziarono a muoversi da soli, arrivando a staccarsi da terra: volavo nel cielo come Lucy, circondata da una miriade di diamanti e bambini sorridenti, mentre mia nonna cantava nel coro, ondeggiando come un budino all’amarena.

Mi lasciai scappare un sorriso, vedendola: sembrava una mamma che voleva somigliare alla figlia, e la figlia la sgridava per il suo comportamento infantile, con una aria da saputella impareggiabile, dicendole che il suo comportamento non era consono a quello di una donna grande e grossa come lei.

Ma la mamma non la ascoltava, e pensava a prendere in prestito i suoi dischi, ignorando gli urli ed i lamenti della povera figlia.

Somigliava molto alla storia che mia nonna mi raccontava spesso per tenermi buona, insieme ad altre di sua invenzione, oppure ai vari ricordi della mamma, quando era ancora una bambina spensierata e imprudente, che amava far impazzire la povera nonna.

Quante ne aveva combinate la mamma prima che io nascessi!

Le mie risate si allontanarono con le ultime note della canzone, lasciandomi stranamente felice: aveva ragione, quella canzone, non si doveva essere pessimisti, bensì rendere le situazioni tristi migliori di quel che sono.

“Allora, ti senti meglio, tesoro?”

“Benissimo, nonna! Ma che ne dici se ascoltiamo uno dei dischi della mamma?

“Non possiamo tesoro, se la prenderà con me e con la mia incorreggibile immaturità! E poi, ci sono altri album molto più belli di quelli della mamma, che ne so… Ti andrebbe bene Elvis?

“Io voglio Michael, non Elvis!”

“Uffa, e va bene, ma solo per cinque minuti!” sbuffò, mia nonna, che esaudiva tutti i miei desideri per il solo piacere di vedermi sorridere.

“Evvai!”

La nonna salì le scale ancora una volta, stavolta decisamente più imbronciata, mentre io saltavo avanti e indietro per la stanza, arrivando addirittura sul divano e dietro le tende delle finestre, e fingendomi un ladruncolo che non voleva farsi scovare dai padroni di casa.

Quando ritornò, stavolta trasportando pochissimi vinili rispetto al primo viaggio, mi catapultai davanti al pianoforte con un sorrisone disegnato in viso e le mani dietro la schiena, dondolandomi sui talloni.

Finalmente, dopo tante ore di noia, potevo divertirmi ballando al ritmo delle mie canzoni preferite!

“Hai preso Bad, vero?” chiesi eccitata alla nonna.

“Sì, l’ho preso, tesoro, non preoccuparti” rispose stancamente lei.

“Lo mettiamo?”

“È quello che sto facendo, un po’ di pazienza

“Va bene”

Continuai a sorridere fin quando la musica attaccò, e lì mi lanciai in pista assieme a Michael ed alla sua banda di delinquenti, cantando a squarciagola Bad, che ormai sapevo a memoria, mentre mia nonna mi guardava con le lacrime agli occhi, accennando a malapena dei complimenti.

Ogni volta che mi vedeva ballare per lei era un’emozione grandissima, ed a stento riusciva a controllarla, sciogliendosi fino a creare una montagnola di fazzoletti di fronte a sé, rigonfi di tutte quelle lacrime che le procuravo: era strano, il suo comportamento, ma la sua gioia mi faceva sentire importante.

Cercavo perciò di dare il meglio di me stessa per renderla ancora più orgogliosa della sua unica nipotina, e come compito era abbastanza facile, visto che si emozionava per un fiore sbocciato tra l’asfalto od un tramonto sull’oceano.

Stavo giusto completando una giravolta, quando sentii la porta sbattere violentemente e dei passi inconfondibili che si avvicinavano al soggiorno.

Bastò un attimo, un’occhiata fulminante e delle sopracciglia pericolosamente aggrottate a scatenare l’inferno: mia madre si diresse velocemente verso mia nonna, lanciando la cartella piena di libroni sul pavimento, facendomi sobbalzare, e la aggredì guardandola dritta negli occhi.

“Mamma, ti ho detto di non toccare i miei dischi centinaia di volte! E tu cosa fai? Li tocchi! E li ascolti!”

“Ma era solo per far contenta Mike, non scaldarti così, tesoro…

“Io non mi sto scaldando! Ora, rimetti subito a posto Bad, ed esci da questa stanza!

“Su - subito, cara…”

La nonna obbedì ai voleri della mamma come se fosse stata sua schiava, raccogliendo tutti i dischi e riportandoli al piano superiore, sbuffando e mormorando insulti contro destinatari sconosciuti.

Faceva davvero una brutta impressione, la mamma che obbediva alla figlia…

Per fortuna nel mio caso non era così: non mi piace comandare, soprattutto chi ha molta più esperienza di me, e potrebbe aiutarmi

molto.

Mia mamma ne approfittò per coccolarmi, e per domandarmi come era andata la giornata: le raccontai le solite cose, rimanere tutto il giorno in casa con qualche minuto di gioco all’aperto a disposizione non riservava molte sorprese.

Lei invece, al college, aveva sempre tante cose da fare, e non si annoiava mai!

Per fare un esempio, era la miglior giocatrice di baseball della scuola, e tutti i suoi compagni maschi la ammiravano in modo smisurato: volevano addirittura che si candidasse come presidente del consiglio studentesco o come capitano della squadra di baseball dell’istituto, ma mia madre aveva cose più importanti a cui pensare, tra le quali io.

Terminare il liceo per lei era stata un impresa immane, e solo ora che ero cresciuta poteva sorridere come una volta, stringendomi forte al petto, e dimenticando tutto quello che aveva passato per rendermi felice.

Il college era una scusa per mantenere tutta la famiglia una volta laureatasi, e per lasciare, un giorno, quella vecchia casa di Beverly Hills.

Come era bello andare a scuola. Se solo avessi potuto anche io…

 

Quelle poche volte che uscivo di casa, accompagnata da qualche famigliare, naturalmente, chiedevo di andare al parco affinché potessi vedere i bambini divertirsi e giocare insieme, con tutte le libertà concesse alla loro età, ed anche per sentirmi meno sola.

Io non potevo avvicinarmi, poiché secondo mia madre o mia nonna era pericoloso: non sapevo bene cosa ci vedessero di pericoloso, fatto sta che morivo dalla voglia di lasciare le loro mani, e correre verso quei bambini sconosciuti, ma non di certo pericolosi.

I bambini possono essere qualunque cosa, ma non cattivi.

Cattivi è una parola troppo grande per loro, poiché non sanno ancora cosa sia la cattiveria, né, nel migliore dei casi, l’hanno ancora sperimentata.

La cattiveria verso un bambino è terribile, se facessero qualcosa di simile a me non so come reagirei: probabilmente diventerei pazza, e dovrei andare in giro con uno psicologo, diventando via via un vegetale, costretta a vivere senza pensare.

E questa non è vita.

Farei meglio a non pensare a queste cose, ma la sofferenza del mondo è tanta, e pochi uomini di buona fede non bastano per cancellarla.

Forse sono troppo altruista, e mi preoccupo troppo per gli abitanti di questo pianeta, ma la mia natura me lo impone.

Non posso farci nulla.

Soltanto trovare una via di uscita dalla mia prigione dorata, e fuggire verso il mondo, in modo da placare la mia sofferenza, e poter finalmente aiutare qualcuno.

 

L’occasione giusta mi si presentò verso gli inizi di giugno, quando mia madre era molto impegnata con gli ultimi compiti in classe, mia nonna rimaneva tutto il giorno a mollo nella vasca per colpa del caldo straziante, e Fernando si occupava ancor di più del suo adorato giardino, che in estate si riduceva ad un deserto, cercando di salvarne il più possibile.

Gli unici ingressi della casa erano quello principale ed una porta sul retro della cucina, che però non veniva mai usata, e che purtroppo dava sul giardino, ma per mia fortuna ero molto agile, e riuscii ad arrampicarmi sul tetto dalla finestra della mia cameretta, atterrando infine sull’erba spinosa del retro, evitando il pericolo di essere scorta da qualche guardone e da mia nonna, che sguazzava nella vasca al piano superiore, con la finestra aperta.

Ero caduta come un sacco di patate, rovinandomi le mani e le ginocchia, e sporcandomi il vestito di polvere e fango, ma non mi importava molto della mia salute: ero libera.

Mi pulii il vestito con cura ed in punta di piedi raggiunsi la spaventosa staccionata in ferro battuto, che riuscii a scavalcare dopo vari tentativi, visto che le mie gambe erano molto corte e la trama piuttosto rada e scivolosa.

Dovetti sbilanciarmi pericolosamente per arrivare dall’altra parte, e rischiai quasi di cadere un paio di volte, ma quando toccai terra ero sana e salva, pronta per continuare la mia avventura.

Sbucai probabilmente nella proprietà di qualche altro riccone, ma non mi importava molto: non ero assolutamente spaventata da ciò che avrei potuto incontrare nelle vie di Los Angeles, né tanto meno ero preoccupata di farmi scoprire da qualche essere umano ciarlone.

Il vento dell’avventura soffiava in me ad una velocità costante e potente, e finché non si fosse esaurito non avrei avuto paura di nulla.

Fu così che mi ritrovai a camminare per il viale parallelo a quello nel quale si trovava la mia casa, e man mano che il mio cammino proseguiva, aumentavo il passo, fino a correre verso il centro della città in aperta discesa, schivando le macchine come un’antilope rincorsa dai leoni.

Non mi accorsi, però, di dove stavo andando, e mi ritrovai in un posto alquanto particolare per me: qui le case erano molto più sobrie che a Beverly Hills, e la gente decisamente meno bizzarra.

Era tutto così strano: non sapevo neanche che esistessero luoghi così spogli ed ordinari in una città ricca di stravaganze come quella in cui vivevo io.

La curiosità, tuttavia, era molto forte, e decisi di andare oltre quelle case, per scoprire se ce n’erano altre e dove finivano.

Man mano che proseguivo il mio cammino, stando sempre all’erta come può farlo una bambina di quasi sette anni, l’ambiente si fece meno silenzioso, e le case meno grigie, mostrandomi ciò che contenevano, ovvero un luminoso tripudio di persone dalla pelle ambrata e dagli abiti variopinti, che si affaccendavano negli impegni più disparati: c’era chi faceva il bucato in una tinozza piena d’acqua, chi chiacchierava senza posa mentre tagliavano delle verdure in una bacinella, chi cuciva con grande impegno, e chi si limitava a leggere il giornale o a fumare una bella sigaretta.

Tra tutto questo putiferio, mi attirarono le voci e le risate dei bambini che giocavano lungo la strada, provvisti soltanto di un pallone di cuoio e di tanta allegria.

Avvertii una strana sensazione all’altezza del petto: quei bambini dai capelli scuri non erano gli stessi che incontravo passeggiando mano nella mano con mia nonna, e che si lagnavano per un ginocchio sbucciato o per un’unghia rotta, richiamando all’attenzione i loro fedeli babysitter che si apprestavano a soccorrerli.

Erano bambini veri, bambini vivi e palpitanti di gioia, ai quali non importava cadere o scivolare, ma rialzarsi e continuare a giocare, spensierati e puri come agnellini al pascolo.

Ma a quanto pare non tutti erano così.

Poco lontano dal gruppo di piccoli giocatori, scorsi una sagoma seduta sul ciglio del marciapiede, intenta a guardarsi i piedi, ed incuriosita, mi avvicinai.

Scoprii che era una bambina, all’incirca della mia età, ed anche lei aveva la pelle ambrata ed i capelli neri come gli altri abitanti della via, ma possedeva qualcosa di strano che non riuscivo a comprendere.

Forse era una falsa impressione, ma era così evidente la sua particolarità…

“Ciao” le dissi, dopo svariati ripensamenti e dopo una lotta contro la mia temibile curiosità.

“Ciao” mi rispose lei dopo qualche minuto, alzando il viso magro per poter vedere il suo interlocutore.

Ma dopo neanche cinque secondi ritornò al suo compito di ammirare i sandali di pelle ai suoi piedi, e si dimenticò di me.

Piuttosto offesa, decisi di far ragionare quella bambina tanto strana che si stava prendendo gioco di me.

“Che cosa stai facendo?”

“Sto contando quanti granelli di terra ci sono in questo punto

“E come ci riesci?”

“Non lo so. Ci riesco e basta”

Rimasi piuttosto interdetta dall’affermazione della bambina: come faceva a contare dei granelli di terra osservando semplicemente il terreno sotto di sé, oltretutto non sapendo neanche da dove provenissero i suoi poteri?

La situazione si stava facendo veramente interessante, ed ero curiosissima di saperne di più sul conto della piccola maga.

“Riesci a contare soltanto quanti granelli ha questa parte di strada?”

“No. Riesco anche a contare le stelle nel cielo, e le formiche in un formicaio. Riesco a far muovere gli oggetti semplicemente ordinando loro di spostarsi, e riesco a chiamare la mamma da una stanza all’altra senza alzare la voce

“Fantastico” dissi, senza alcuna intonazione particolare: ero talmente sbigottita dalle rivelazioni di quella ragazzina che non sapevo come risponderle.

Io non avevo mai avuto talenti particolari, anche se andavo molto fiera di ciò che sapevo fare: ero una brava ballerina, suonavo il pianoforte e cantavo a squarciagola tutte le canzoni che ascoltavo, senza sbagliare una nota al primo tentativo; ma non avevo mai provato a spostare degli oggetti con la forza del pensiero, né riuscivo a comunicare con mia mamma telepaticamente.

Erano, per me, delle facoltà inarrivabili.

Ed ora incontro una bambina che possiede una forza psichica incredibile!

“Ah, che stupida, non mi sono presentata! Sono Michael Diana Josefina, ma tu puoi chiamarmi solo Mike!

Porgo la mano alla mia interlocutrice, che alza la testa solo per guardarmi profondamente con le sue iridi nocciola, ma non ricambia il saluto.

Accenna soltanto una caustica risposta.

“Io mi chiamo Isabel, ma mia mamma mi chiama Manasvi, che nella sua lingua significa intelligente”

“Fico! Di che nazionalità è, tua madre?”

“È indiana”

“E tuo padre?”

“Lui viene dal Messico, e prima di venire qui abitavamo nella Penisola della California”

“Davvero? Il mio maggiordomo è californiano, si chiama Fernando! Cucina benissimo, le sue tortillas sono deliziose!”

Sentendo le mie ultime parole, Isabel si scosse dal suo etereo torpore, ed il suo naso arrivò a toccare il mio nel giro di neanche due secondi: era bastato il ricordo del cibo a svegliarla dal suo impegnativo lavoro, e mi stupiva che una bambina così speciale e provvista di una mente eccezionale potesse essere attaccata ai beni materiali in modo così maniacale!

“Come hai detto che si chiama il tuo maggiordomo?”

“Fe-fernando…”

“Oh…Okay”

Isabel si allontanò lentamente da me, senza distogliere i propri occhi dai miei, ritornando alla sua silenziosa occupazione.

Io arricciai il naso stupita: quella bambina era davvero strana!

Ma c’era qualcosa in lei che mi attraeva: non era una semplice simpatia, e neanche un fatto mentale.

La mia anima e la sua erano molto simili, quasi gemelle.

Anche lei era diversa dalle altre, possedeva abilità innate ed una voce molto matura per una bambina, così tanto da far paura.

Cominciavo ad affezionarmi a lei, nonostante la conoscessi da qualche minuto.

“Ehi, se vuoi assaggiare le tortillas di Fernando posso anche accompagnarti a casa mia…Solo che non so come ritornarci…

“Ti aiuto io a ritrovare la strada, seguimi

Isabel si alzò finalmente dal bordo del marciapiede e mi prese per mano: quel gesto così semplice trasformò il mio corpo, rendendolo incandescente come lava viva, e facendomi mancare il respiro per la grande forza che si stava addentrando in me, fino al centro esatto del cuore, facendone accelerare i battiti.

Quando mi ripresi, faticosamente, il visino di Isabel mi fissava perplesso, stringendo ancora la mia mano.

“La tua pelle è molto fresca: sembra la carezza di un vento di montagna

Sembrava non essersi accorta del mio mancamento, anche se nel suo sguardo si leggeva il suo turbamento, mentre la voce era profonda e dolce come sempre.

Non seppi come rispondere: le sue poche parole mi lasciavano muta, con un grande punto interrogativo al posto del cervello.

Sapevo soltanto che dovevo fidarmi di lei, che mi avrebbe condotta fino a casa, e che avremmo mangiato tante tortillas da far scoppiare i nostri pancini.

Fu così che ci incamminammo per le vie della città, mano nella mano, in assoluto silenzio: i passanti ci osservavano curiosi, alcuni si fermavano addirittura ad ammirare lo spettacolo, altri rimanevano immobili, a bocca aperta, altri inciampavano sui propri passi, altri ancora andavano a sbattere contro un lampione, ma io e la mia nuova amica (perché di questo si trattava) non badavamo molto a loro, e continuavamo imperterrite il nostro cammino.

Arrivammo davanti al cancello della mia villa in pochissimo tempo: il tempo in compagnia di Isabel era volato.

Ed il tempo con mia nonna e mia madre che mi sgridavano per essere fuggita di casa sarebbe stato simile ad un macigno sulla mia piccola testa… Se un fattore estraneo non sarebbe incorso a salvarmi la vita.

Quando spinsi il cancello per entrare, nessuno di mia conoscenza mi assalì, anzi! Fernando sfoggiava un sorrisone degno di Louis Armstrong, e mi salutò calorosamente, chiedendomi chi fosse la bambina di fianco a me.

“Si chiama Isabel” gli risposi “L’ho incontrata poco distante da qui, e quando ha saputo che cucini delle tortillas formidabili non ha perso tempo e mi ha chiesto di accompagnarla a casa mia!”

“Hai fatto proprio bene, cara! Ora finisco di potare le aiuole e sono da voi. Intanto potete accomodarvi in cucina”

Non mi sembrava vero che Fernando, un tipo scostante e sempre imbronciato, potesse essere così gentile con una sconosciuta, oltretutto con una mia amica!

Era qualcosa di incredibilmente meraviglioso, anche se non sapevo spiegarmi il perché del suo strano comportamento: magari non si era accorto veramente della mia scomparsa, e pensava che avessi fatto il giro della casa, entrando così dal cancello principale…

Purtroppo le mie ipotesi erano deboli, e ben presto mi arresi all’idea che i miei erano così stupidi da non essersi accorti dalla mia fuga (meglio così, in fondo!) e che potevo presentare Isabel alla mamma ed alla nonna senza troppi intoppi.

In effetti erano molto felici di conoscerla, e la ritenevano “davvero una bambina brava e carina!”, e si offrirono anche di riportarla a casa dopo la nostra merenda, ma lei declinò l’invito con gentilezza, e dopo avermi indirizzato un altro sguardo indagatore, spinse il pesante portone principale della nostra casa e si incamminò verso il cancello, con una calma a dir poco innaturale.

L’ultima cosa che vidi di lei fu la sua treccia scura dondolare sul vestito variopinto, muovendosi al ritmo dei passi della padrona.

 

Da quello strano giorno Isabel venne spesso a trovarmi: talvolta mi aspettava seduta sul marciapiede intenta a contare i suoi innumerevoli capelli intrecciati e profumati, altre volte suonava direttamente il campanello e chiedeva di me.

Quante sere mi sono addormentata con il desiderio di risvegliarmi la mattina successiva con la voce di Fernando che annunciava il suo arrivo! Non ero mai stata così felice in tutta la mia vita: finalmente avevo un’amica, una vera amica, e con lei il mondo non mi sembrava più così ingiusto come una volta.

Con lei potevo parlare di qualsiasi cosa: aveva un’intelligenza sconfinata.

Aveva imparato a leggere a quattro anni, ed ora che ne aveva sei, le sue letture preferite erano antichi scritti in sanscrito o in farsi, che traduceva e comprendeva molto velocemente, grazie anche all’aiuto della mamma, originaria di un paesino sperduto tra il verde vicino Mumbay, oppure poesie e testi di filosofia orientale, alcuni dei quali mi leggeva spesso ad alta voce, facendomi emozionare moltissimo per la toccante interpretazione.

Isabel aveva una voce meravigliosa, ma nonostante ciò non amava cantare, e neanche ballare.

Si riteneva piuttosto goffa, e preferiva leggere sdraiata sul divano che giocare con i suoi coetanei, i quali la ritenevano piuttosto strana: lei però, non dava molto peso alle loro chiacchiere, e riusciva quasi sempre a vendicarsi di chi la prendeva in giro.

Mi raccontò che, una volta, quando era ancora molto piccola ed abitava nella California, un bambino più grande l’aveva insultata per via dei suoi lunghi capelli ondulati, che teneva sempre sciolti lungo la schiena, dicendole che era troppo piccola per poter sopportare il peso dei capelli sulla testa.

Lei all’inizio non mostrò alcun interesse per le parole del ragazzino, rimanendo immobile e zitta a fissare l’orizzonte del mare primaverile, ma dopo qualche minuto lo stesso si sentì sollevare in aria per i capelli, per poi essere trascinato per tutto il paese, urlando e lamentandosi, senza tuttavia capire da dove provenisse la misteriosa forza che lo stava sfottendo.

Non si era infatti accorto che la piccola Isabel lo seguiva a debita distanza, mantenendo lo sguardo fisso su di lui, una selvaggia gioia che brillava nei suoi occhi sinceri.

Grazie ai suoi poteri poteva vendicarsi senza far del male a nessuno, e ne era molto soddisfatta: odiava la violenza, soprattutto se per puro divertimento.

Non capiva cosa gli uomini ci vedessero di così bello nelle armi e nelle uniformi militari, pomposo sfoggio di macabre azioni compiute per il bene della patria e per la gioia delle famiglie.

Io appoggiavo appieno le sue idee, ritenevo la guerra un crimine dell’intera umanità: gli uomini erano molto stupidi se non riuscivano a risolvere i propri problemi con altri Stati utilizzando la diplomazia.

Mi pare che non abbia fatto male a nessuno…

La guerra, invece, provoca solo dolore, ed è ingiusto combattere se si ha davanti un nemico più debole ed impreparato, ma la maggior parte delle volte è stato così.

Non posso far altro che vergognarmi per i soprusi che il mio Paese ha compiuto in passato verso chi non era capace di difendersi, oltretutto idolatrando gli artefici di certi scempi.

Sono avvenimenti orribili, sui quali molti onesti cittadini americani dovrebbero riflettere.

E se non riuscivano a riflettere da soli, c’era Isabel che li aiutava: era capace di controllare i pensieri e perciò le azioni degli altri, ma usava questo potere solo nei casi di emergenza, e quando riteneva fosse opportuno non creare ulteriori impicci da parte di persone cocciute o imprudenti al danno di individui ragionevoli e dotati di un ottimo cervello.

Era la stessa tecnica che aveva adottato con la mia famiglia, e quando me lo disse ci rimasi di stucco! Non avevo minimamente pensato che i suoi poteri psichici potessero essere così potenti, e neanche che li avesse usati per non farmi sgridare da mia mamma o da Fernando; ma dopo lo sconcerto iniziale, capii che l’aveva fatto solamente perché mi voleva bene, e naturalmente per permettermi di incontrarla altre volte.

Era molto gentile e generosa, nonostante il suo apparente mutismo, e sapeva riempirti la giornata in pochi minuti.

Riuscivamo a capirci anche senza parlare, sia oralmente che mentalmente, anche perché la mia mente non era così sviluppata da permettermi di comunicare con Isabel senza alzare la voce.

Lei, invece, poteva vedere cosa passava per la mia testa, e me ne accorgevo avvertendo una sgradevole sensazione ai lati della testa: come se mi stessero aprendo il cervello e vi frugassero con le mani senza alcuna pietà.

Infatti, dopo neanche due volte, Isabel smise di osservare i miei pensieri, e si concentrò di più sul mio aspetto: mi riteneva una bambina molto fortunata, e soprattutto ricca.

Io le rispondevo che non era così, ma lei insisteva, e mi invitava a guardarmi allo specchio, poiché molte volte chi ha delle grandi qualità o una montagna di soldi tende a nasconderli, negando sempre la verità.

Eppure ogni volta che mi specchiavo, non vedevo una bambina fortunata e ricca: vedevo Mike, punto e basta.

O al massimo, una bambina felice.

Nulla più.

Un’altra curiosa caratteristica di Isabel era il suo insaziabile appetito: adorava mangiare, soprattutto i dolci, e non disdegnava nessun piatto, neanche il più apparentemente disgustoso.

Ed il bello era che non ingrassava di un chilo, rimaneva sempre magra e leggera come un fuscello.

Forse il cibo era l’unico appiglio al mondo terreno, che le impediva di volar via con la mente, poiché ogni volta che si trovava a tavola si trasformava in una bambina normale, senza alcun potere sovrannaturale, e perdeva quella bella voce profonda che tanto mi piaceva.

Ma non appena si alzava dalla sedia e non vi era più traccia di cibo nel suo piatto, ritornava la Isabel silenziosa e sincera di sempre, quell’amica di cui potevo sempre fidarmi.

Quell’amica che non mi avrebbe mai tradito.

Piccola e magra, ma con una grande mente, un grande stomaco, e soprattutto un grande cuore.

 

 

 

Rieccomi, signorineeeeeeeeeeeeeeeeee *___*

Allora, vi sono mancata?=D Spero di sì, perché voi vi siete mancate tantissimo!

Non vedevo l’ora di pubblicare questa seconda parte per leggere i vostri commenti e scoprire cosa ne pensiate!XD Purtroppo non aggiornerò con cadenza regolare, la scuola non mi permette certi svaghi -.-“ Ma sappiate che ora mi sono ingegnata!ù__ù Ho già scritto tre capitoli (di cui l’ultimo è da finire) e pubblicherò il secondo non appena avrò iniziato il quarto.

Perciò non manca molto, abbiate un po’ di pazienza!XD Vi chiedo anche di pazientare in questi mesi, per i motivi che già vi ho esposto.

Per favore, non prendetevela con me e con la mia pigrizia, perché tanto non servirà a nulla! Prendetevela con la mia maledetta scuola!ù__ù

Vabbè, ora è arrivato il momento di spiegarvi un po’ di cosette: innanzitutto la narratrice sarà Mike, la nipote di Fiorellino, come lei lo fu a suo tempo, ma alcune volte userò la terza persona per descrivere luoghi e situazioni diversi dalla prospettiva di Mike. Inoltre, non parlerò propriamente di Michael, ma anche di altri artisti molto importanti, e tutto ciò per un motivo preciso, che vi spiegherò successivamente XD

Ah, un’altra cosa: proprio perché compariranno artisti differenti da Michael, non sarà propriamente una storia su di lui… Perciò, starà a voi decidere se inserirla o meno nelle crossover =D Naturalmente i primi capitoli non sono così importanti da questo punto di vista, ma col tempo potrete inviarmi delle proposte!

Okay, ho detto tutto!XD Ringrazio tutti coloro che hanno seguito la prima parte di Will You Be There (e spero seguano anche la seconda XD) e tutti i nuovi fan che mi farò ù__ù (che modestia!)

Ringrazio inoltre le care Rò (GioTanner) ed Ale (_Ticket) per avermi aiutato a scegliere titolo e sottotitolo di questo capitolo: grazie infinite, ragazze! Senza di voi non so come farei!*__*

Ancora tantissimi abbracci pelosi e ricciolosi =D

 

                                                           La vostra Looney resuscitata!**

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Capitolo 2
*** Wish You Were Here (And You Run, And You Run To Catch Up With The Sun) ***


                                       Wish You Were Here

         (And you run, and you run to catch up with the sun)

 

Se ne stava comodamente sdraiata sul divano, e non pensava a nulla: perché avrebbe dovuto?

Pensare fa male, soprattutto ad un cervello piccolo e imbecille come il suo.

Ma allora, perché questo insignificante cervello si ostinava tanto a pensare alla sua unica nipotina, la sua unica ragione di vita assieme a sua figlia, ben sapendo che stava benissimo e si stava divertendo un mondo?

Era una di quelle domande a cui non sapeva rispondere, e non perché lei fosse una stupida (ma, in fondo, ci mancava poco) ma perché queste domande non avevano semplicemente una risposta.

Incredibile, ma vero.

L’unica persona che, poi, poteva aiutarla, era perennemente irreperibile, e l’ultima volta che si erano parlati risaliva a qualche mese prima; oltretutto, le aveva già spiegato tutto nei minimi particolari, e non riteneva necessario farsi vedere molto spesso nei pressi di casa sua.

Per questo la sciagurata doveva compiere svariati cambi di autobus e taxi prima di raggiungere la sua nuovissima villa, un luogo magico e surreale, talmente incredibile da sembrar tutto una finzione, per strappargli qualche povera informazione sul suo difficile ruolo di educatrice.

Purtroppo Michael, quando si parlava di ciò, diventava una persona molto misteriosa, ed ero perciò difficilissimo che regalasse qualche consiglio, anche alla sua migliore amica, la persona di cui era sicurissimo di potersi fidare, e viceversa.

Cominciava a capire che l’affetto che lei nutriva per lui non era ricambiato allo stesso modo, o magari era una sua impressione…

Boh.

Sapeva soltanto una cosa: senza di lui, era completamente perduta!

“Fiordaliso, qui c’è una persona che vorrebbe tanto parlare con te!”

La vociona di Fernando la svegliò dal suo sonno, facendola voltare curiosa verso di lui: ciò che vide, anzi chi vide, le bloccò il respiro, lasciandola a bocca aperta come un pesce fuor d’acqua.

Al contrario, Michael sembrava perfettamente a suo agio nel suo salotto, e non aspettava altro che una reazione dalla povera donna di fronte a lui.

Purtroppo, Fiordaliso aveva dei riflessi molto lenti; quando si decise a tornare in compagnia dei mortali, Fernando la osservava rassegnato: quando si sarebbe decisa, quella donna, a crescere?

“Michael è venuto per parlare con te. Dice che si tratta di una questione molto importante. Se magari…”

“Oh sì, non c’è problema, Fernando, lascia fare a me!”

“Va bene” sbuffò esausto il povero maggiordomo, e si accinse ad andare ai piani superiori, senza prima aver dato un’altra occhiatina ai due che ora sedevano sul divano, e che lo stavano spiando a loro volta.

Quando furono sicurissimi che nessuno li guardasse, si scambiarono uno sguardo d’intesa: era il segnale.

“Perché non ti sei fatto sentire quando io ti ho cercato?”

“Avevo degli impegni, Fiorellino! Se non l’hai ancora capito, sono Michael Jackson…

“Non preoccuparti, non sono così scema! Comunque, io volevo parlarti di Mike”

“Dimmi, avanti”

Michael si sistemò meglio sul divano, mente Fiordaliso cominciava la sua confessione.

“Qualche tempo fa, mia nipote giocava nella sua cameretta con una bambina, una certa Isabel, ora non mi ricordo bene il nome… So solo che si divertivano un mondo, e non avevo mai visto Mike così felice in tutta la sua vita! Aveva una compagna di giochi, e non la smetteva mai di ridere

“Ed allora, qual è il problema?” domandò Michael, spalancando i suoi grandi occhi scuri in direzione di Fiordaliso, che subito sentì i peli delle braccia rizzarsi in un brivido.

Lei abbassò lo sguardo, cercando l’ausilio del suo coraggio, che purtroppo accorreva soltanto nei momenti meno impensati.

“Il problema è che non mi ricordo da dove è sbucata la sua amichetta…” mormorò imbarazzata, guardandosi sempre le gambe.

Michael si era rifiutato di riprenderla, poiché non era colpa di Fiordaliso se ella non si ricordava della piccola Isabel, e non voleva farla sentire in colpa per la sua frequente svenevolezza.

In quella faccenda c’era lo zampino di qualcun altro.

Una persona cui Fiordaliso non avrebbe mai pensato.

“Non ti ricordi neanche il giorno in cui Mike ti presentò la sua amica?”

“No. L’ultimo mio ricordo risale a molti giorni prima di aver sbirciato nella loro cameretta, ma non era nulla di rilevante. Piuttosto, mi sembra di aver molti punti vuoti nella memoria…È tutto così sfocato…

“Come se qualcuno ti avesse cancellato alcuni ricordi…

“Esatto! Anche se ho una strana immagine in mente, che non riesco a decifrare: sono affacciata alla finestra, proprio quella, dietro di te, ed a un certo punto scorgo mia nipote, che cammina in direzione del cancello. Mi alzo, e decido di andarle a chiedere spiegazioni, ma non appena metto piedi fuori casa mi sento avvolgere da uno strano calore, ed una presenza estranea sembra impossessarsi della mia mente… E poi non mi ricordo più nulla” concluse Fiordaliso guardando nel vuoto, cercando qualche possibile indizio che potesse aiutarla a risolvere quel bel mistero.

Michael rimase in silenzio: non sapeva cosa dire, anche se si era già fatto un’idea su chi fosse l’assalitore mentale di Fiordaliso.

Il problema era come dirglielo…

“Mi hai detto che ti sei sentita avvolgere da un grande calore…

“Sì”

“E che qualcuno ha cominciato a rovistare nel tuo cervello

“Come scusa?”

Fiordaliso si sentiva piuttosto a disagio: perché Michael era così sicuro di ciò che diceva?

Nascondeva forse qualche altro mistero in quel sorriso così dolce e spontaneo?

“Un essere umano dai poteri psichici molto sviluppati ha penetrato le tue deboli barriere mentali, ed ha manipolato i tuoi pensieri. Non c’è altra spiegazione alle tue dimenticanze

“Questo vuol dire…”

“Che non ti ricordi dell’amica di Michael semplicemente perché una persona ha fatto in modo che passasse completamente inosservata ai tuoi occhi. E quella persona non può essere altro che Isabel

“Ma come fai a esser così certo di quello che dici? Isabel è solo una bambina, e non penso che possieda dei poteri così straordinari…

“Non centra nulla. Isabel non possiede soltanto quei fantastici poteri, ma anche un’intelligenza smisurata. Lo so, perché l’ho conosciuta personalmente

“E dove?”

“Me l’ha presentata un amico” sorrise Michael, un sorriso molto enigmatico, inquietante.

Fiordaliso rabbrividì, nonostante si stesse avvicinando la primavera ed il sole splendeva tranquillo in cielo: le era ancora difficile credere che una star della musica come Michael, un uomo così conosciuto, in ogni parte del mondo, potesse in realtà nascondere la sua vera natura, quella di un messaggero sceso tra di loro per trasmettere i veri valori di cui ogni umano ha bisogno.

Pochi conoscevano la sua vera storia, ed altri meno il suo grande segreto: eppure, per queste fortunate persone, la sua figura rimaneva ancora un mistero.

Anche per Fiordaliso, che aveva visto versargli lacrime ingiuste, e che l’aveva consolato stringendolo tra le braccia quando era ancora un bambino, che l’aveva strappato da un destino crudele, e gli aveva permesso di far conoscere il suo talento al mondo intero.

Di fronte ai suoi occhi custodi di realtà terribili, lei diventava del tutto impotente.

“Un amico molto speciale” continuò Michael, vedendo che la sua amica non rispondeva, e lei si girò distrattamente verso di lui, come se non si fosse accorta di ciò che aveva appena detto.

Si riprese dai suoi viaggi mentali annuendo e domandando senza alcuna intonazione particolare :”Un amico?”.

“Sì” le rispose Michael, come se stessero discutendo di tappezzerie per bagni “È uno degli angeli custodi più importanti e ammirati di sempre. Una persona meravigliosa”

Al ricordo del collega, che aveva conosciuto anni prima, gli occhi di Michael si illuminarono di una luce misteriosa, che solo lui poteva vedere, dimenticandosi del mondo che lo circondava.

“Lo conobbi durante l’anniversario della sua morte, qualche decennio fa: allora ero solo un bambino, e non sapevo la grande impresa che quell’uomo aveva compiuto. Con il passare del tempo mi resi conto del suo grande valore, e lui fu così gentile con me da presentarmi la sua protetta, una bambina dolce e silenziosa, così intelligente da apparire più grande della sua età

Michael smise di contemplare i ricordi e posizionò i suoi occhi su Fiordaliso, che tratteneva il respiro cercando di capire chi fosse il misterioso angelo amico di Michael, ed intanto provava a muovere gli occhi, ma senza speranza: si rinsavì soltanto alle ultime parole dell’amico, ed i pensieri nella sua testa cominciarono a vorticare nervosamente.

Non era come pensava lei.

No, non poteva essere…

“Quella bambina si chiamava Isabel Manasvi. Ed è una bambina molto speciale”

Michael sorrise a Fiordaliso, ma lei non sapeva cosa rispondere: era rimasta piuttosto scioccata dalla verità.

L’amichetta di sua nipote era un piccolo angelo come lei. Ecco perché, ogni volta che ripensava al suo visetto serio, il cuore le si stringeva e lo stomaco avvampava, bruciato da fiamme sconosciute.

Creature misteriose come lei sconvolgevano l’animo umano, ed impiantavano le loro radici in esso, costringendolo ad una esistenza dolorosa, ed allo stesso tempo meravigliosa.

Fiordaliso, nonostante la sua abitudine a frequentare messaggeri celesti, non era ancora riuscita a controllare la propria mente né le proprie emozioni in loro presenza: si immobilizzava al solo urlo di sua nipote, per quanto poco avesse urlato nella sua breve vita.

E con Michael le cose non andavano molto meglio.

Sospirò, rassegnata: non sarebbe mai riuscita a vivere in armonia con gli angeli, né con se stessa.

“È un angelo. Come mia nipote. Ed ora che si sono incontrate, cosa succederà?

“Se Isabel è al corrente della sua vera natura, allora lo confiderà a Michael, ed insieme andranno alla ricerca dei due angeli rimanenti. Altrimenti, dovrai pensarci tu”

“Co-cosa dovrei fare?” mormorò Fiordaliso, incapace di accettare le parole appena dette da Michael: sua nipote era ancora piccola, non sapeva difendersi… Come avrebbe potuto tradirla in quel modo, rivelandole finalmente chi fosse?

Sarebbe scappata via, lontana da lei, per aiutare chi soffriva, insieme ad Isabel… E lei non l’avrebbe più rivista.

“Devi raccontarle tutto, Fiordaliso. Solo così riuscirà a trovare le sue compagne, ed unite, potranno rendere questo mondo un posto migliore. Ognuna di loro possiede poteri incredibili, come hai già notato, e questi poteri non possono rimanere per sempre rinchiusi dentro la possidente: devono essere liberati. E ciò può succedere soltanto se chi ne è dotato è consapevole del suo ruolo

Michael smise di parlare quando si accorse che Fiordaliso non tremava più, ed il suo viso era circondato dalla tristezza.

Poi, molto lentamente, questo velo cominciò a liberare stille di dolore, e Fiordaliso si perse in esse.

“Fiordaliso…”

Michael si sporse verso di lei, e l’abbracciò dolcemente, sussurrandole parole di conforto, ma purtroppo non funzionavano: la donna continuava a piangere, mormorando lamenti sconnessi e preghiere, tutti indirizzati alla sua nipotina, che giocava tranquilla nella sua stanzetta, saltando sui mobili senza provocare il minimo danno.

 

“Mike, tu credi nel destino?”

Mi voltai confusa verso Isabel, che si trastullava seduta sul tappeto della mia stanza, molto probabilmente contando i granelli di polvere nascosti nel tessuto.

Nonostante fosse passato molto tempo dal nostro primo incontro, non ero ancora abituata alle sue enigmatiche domande né ai suoi sguardi indecifrabili.

La osservai per un po’ di tempo, non sapendo come risponderle: era una domanda complicata per me... Il destino...

Cosa ne poteva sapere una bambina di sette anni del destino?

Forse Isabel mi riteneva al suo stesso livello, e pensava che avrei risposto in modo adeguato, ma io non ne ero molto sicura.

Né sulla nostra uguaglianza né sull’esistenza del destino.

Mia mamma dice sempre che il destino è soltanto una scusa per giustificare il presente, ed anche io la penso allo stesso modo. Ma ci sono alcuni momenti in cui il presente sembra già scritto, e tu non potresti comunque far nulla per cambiarlo... Ti è mai capitata una cosa del genere?

“Sì, molto spesso. Ad esempio, i miei genitori sapevano che avrei ricevuto delle doti speciali, così come sapevano la data ed il luogo della mia nascita. Inoltre, mi hanno detto che il mio futuro è quello di usare i miei poteri soltanto per il bene del mondo, cancellando l’odio ed il dolore che si sono impadroniti degli animi umani. Solo grazie ai miei doni posso riuscire in questa impresa, ed è già stato tutto scritto. Altrimenti sarei una bambina come tutte le altre

“Mettendola così, mi stai dicendo che tu credi nel destino?”

“Sì. È strano che tu non la pensi come me”

“Perché?”

“È molto semplice, Michael. Anche tu possiedi delle doti incredibili, ed il tuo carattere ti spinge ad aiutare il prossimo, dimenticandoti addirittura di te stessa. Tu sei come me. Sei nata per sacrificarti”

“Ma non so neanche cosa significhi! Sono troppo piccola per combattere contro il male, e non sono di certo matura come te, non ho dei poteri… e non so cosa fare!

Mi accasciai al suolo, impotente e distrutta dalle mie stesse parole, piangendo lacrime disgustosamente dolciastre.

Non riuscivo a capire cosa volesse dirmi Isabel, e questo mi faceva stare ancor più male: voleva forse mettermi alla prova? Da una persona come lei me lo sarei aspettato… Eppure non c’era cattiveria nelle sue parole; il suo è solo un modo per spronarmi, nient’altro di particolare.

E non sapeva che non ci sarebbe mai riuscita senza prima avermi spiegato per bene di cosa stesse parlando: l’ignoranza non riesco proprio a sopportarla.

Doveva aver letto nei miei pensieri, perché mi si avvicinò lentamente, e cominciò ad accarezzarmi i capelli, provocandomi una indescrivibile sensazione di calore, così piacevole da farmi smettere di singhiozzare sulla sua spalla.

Mi staccai da lei per asciugarmi il viso dalle lacrime, e notai sul suo dolce viso un certo disappunto.

Che ce l’avesse con me?

“Non devi piangere, Michael. Solo i deboli piangono”

Mi osservava mentre mi liberavo delle lacrime, mantenendo sempre la sua espressione indecifrabile che nascondeva benissimo un universo di pensieri e parole mai citati.

Era impossibile mantenere un ricordo al sicuro nella propria testa se c’era Isabel che ti guardava insistentemente, ed avvertivi una fastidiosa presenza che girovagava indisturbata nella tua mente.

Con questo metodo era riuscita a scoprire i segreti di moltissime persone, alcuni dei quali l’hanno addirittura sconvolta, tanto da farla piangere.

Ma più la guardavo, e più ero consapevole della sua forza e del suo coraggio, virtù così inarrivabili che tramutavano l’animo dell’uomo in modo sconcertante.

Non riuscivo ad immaginare una Isabel piangente riversa a terra, così come non riuscivo ad immaginarmi me stessa nelle vesti di salvatrice del mondo.

La mia fantasia non oltrepassava certi limiti, e la mia timidezza non la aiutava.

 

Sandy osservava il paesaggio monotono e frivolo della via nella quale abitava, affacciata ad una finestra del soggiorno, ed ogni volta che scorgeva qualche bel riccone che se la spassava allegramente, sospirava esausta: c’era così tanta gente disposta a vendersi per poco, trascurando valori più importanti di una grande villa o di un jet privato.

Ma, dopotutto, se la passavano proprio bene rispetto ad altra gente: operai, piccoli impiegati, mendicanti accasciati sul ciglio dei marciapiedi, tanto da confondersi con esso…

La sua vista fu attraversata da un bolide nero che scomparve in pochi secondi, trascinandosi via un rombo orribile, che le fece accapponare la pelle.

Dopo essersi ripresa, voltò le spalle alla grande finestra, e salì le scale che portavano alla sua camera.

Sì, c’era gente che se la passava veramente malissimo…

 

“Perché sei venuta oggi?”

“Per ricevere un po’ di compagnia, penso. Bucarsi da soli è piuttosto triste”

Katie sprofondò nella sedia della cucina, ansiosa di ricevere un poco di energia da quella sostanza che Sandy disgustava: non aveva mai provato a bucarsi, e non l’avrebbe mai fatto.

Da quando la sua amica preparava la miscela sul tavolo della sua piccola cucina e se la infilzava nel corpo come una medicina dolce e indispensabile per il suo sostentamento, il ribrezzo per quella roba era aumentato moltissimo.

Distruggeva creature meravigliose come gli esseri umani, molti dei quali ne abusavano orribilmente. Uno di questi era proprio Katie.

Dopo la nascita di sua figlia fu colta da una forte depressione, che le impediva addirittura di badare alla piccola, lasciandola alle cure di sua madre, mentre lei si deteriorava inesorabilmente.

Sandy le stette accanto come una vera amica, non potendo fare molto per Katie, ed alla fine lei si riprese piuttosto bene.

Dopo cinque anni.

Naturalmente Katie non era stata aiutata soltanto dai suoi parenti e dagli amici, ma anche da quella magica sostanza che cancellava dalla sua mente tutti i problemi e le ansie, rendendola la ragazza più felice del mondo.

Anche se sussistevano vari problemi riguardo la sua condizione: se non si bucava diventava piuttosto irascibile, cercando conforto in qualcosa di più simile alla droga, ovvero i farmaci antidepressivi.

Ne conservava ancora un po’ dai tempi del liceo, e non ne rimaneva mai senza. Sandy riteneva quelle medicine addirittura più nocive della droga vera e propria, ma non osava controbattere per il rischio di dover litigare con la sua amica, già molto provata emotivamente.

Tutto quello che poteva fare era starle vicina: lei lo voleva, sentiva che da sola non ce l’avrebbe mai fatta, neanche con una siringa in più.

“È triste quello che fai”

Katie spense l’accendino e rimirò la sua gioia nel cucchiaino, ormai pronta per essere assorbita.

La amava come amava sua figlia.

“Lo so. Ma è l’unico modo per tirare avanti”

Sandy la vide far scivolare il liquido nella siringa, fremendo per l’eccitazione, mentre lei tremava di paura pensando a quando essa sarebbe entrata nel corpo della sua amica.

Di solito chiudeva gli occhi ed aspettava che passasse tutto, cancellando dalla mente l’immagine di Katie che teneva in mano la sua adorata siringa, e quando li riapriva l’atto disperato della sua amica le sembrava meno tremendo.

Quel giorno però volle tenere gli occhi sbarrati, per superare le sue paure, e per accettare la realtà: la sua migliore amica si drogava.

Era un fatto normale, no? Quanta gente al mondo si drogava per trovare un po’ di felicità?

“Ecco qua…”

Sandy sospirò dolorosamente: finalmente Katie si era iniettata la sua dose giornaliera, e sembrava più sveglia che mai.

Sorrideva, ed i suoi occhi erano luminosi come stelle.

La osservava divertita, mentre riordinava il tavolo e nascondeva la sostanza nella sua borsa, come se fosse stata la cosa più normale del mondo.

Gettò la siringa nel cestino della spazzatura, e sorrise a Sandy.

“Non ti dispiace, vero?”

“Oh… No, figurati. A nessuno verrebbe in mente di rovistare nella mia pattumiera

“Giusto”

Katie si sedette di nuovo al suo posto, sempre sorridendo come un’ebete, e fissò la povera Sandy, che non si era ancora ripresa dallo choc, e fuggiva le sue pupille terribilmente dilatate.

“Ti faccio paura, vero?”

Sandy alzò lo sguardo, e vide la figura sconvolta della sua amica, in attesa della risposta.

Il sorriso le era scomparso dalle labbra, e la sua espressione era inquietante.

Non era seria, e neanche preoccupata.

E lei non sapeva cosa risponderle, da quanto era terrorizzata…

“So cosa pensi, Sandy. Tu hai paura di me e per me”

Katie affondò il volto paonazzo nelle mani tremanti, emettendo lamenti simili al pigolio di un pulcino, mentre la sua amica la guardava incapace di parlare: perché si comportava così? Di solito chi si droga è felice, no? E la sua amica non era il tipo che la dava vinta tanto facilmente…

Si sentiva impotente, incapace di consolare Katie, poiché non sapeva come si dovesse consolare un drogato pentito delle proprie azioni, e la tensione cresceva con il passare del tempo, rendendola ancora più nervosa.

Cavolo, perché era sempre così stupida? Quando si sarebbe decisa ad aiutare veramente Katie? Il giorno prima della sua morte?

Si grattò nervosamente la testa, fino a far sanguinare il cuoio capelluto: non doveva pensare a queste cose, non doveva…

“Sono un mostro. Sono diventata un mostro”

Katie piangeva e si lamentava quando Sandy ritornò alla realtà.

Il suono della sua voce spezzata dal pianto era una tortura per le sue orecchie, ma non sapeva come farla smettere.

Era un’incapace.

A parte ospitare la sua amica durante i finesettimana e farle un po’ di compagnia durante le sue abluzioni, non era capace d’altro.

Tutti la ritenevano una ragazza brillante per il solo fatto di possedere una laurea alla Columbia ed un banchiere come padre a New York…

Qualità insignificanti di fronte al suo vero essere.

“Che fai, piangi anche tu?”

Sandy sentì la mano di Katie stringere la sua, e pensò che il mondo andava tutto al contrario: era lei che doveva consolare Katie, non Katie che doveva consolare lei.

Ma ormai non le importava più tanto.

In qualche modo si sentiva ricambiata. L’affetto che univa lei e l’amica era lo stesso.

Dopo dieci anni nessuna delle due era cambiata.

 

 

Ohilà, bella gente! Rieccomi a fracassarvi le palle con una storia che ben pochi leggono D: No, non è vero questo!XD C’è ancora gente che legge la mia storia, ma tutto ciò che chiedo è un vostro parere: se voi non mi fate sapere nulla, io non migliorerò di conseguenza, e non scriverò più -.-“ Perciò, un minuscolo commentino (anche per criticarmi giustamente) me lo lasciate? Non chiedo molto, non sono una di quelle che ammazzerebbe per una recensione ù__ù e poi mi piace parlare con voi lettrici, troppissimo, vi giuro <3 Anche se mi mandate un messaggio ne sarei molto felice =D

Comunque, ora passiamo al resto: ho aggiornato solo ora perché non riuscivo (anzi, non RIUSCIVAMO) a trovare un titolo decente per questo capitolo! Ma alla fine è saltato fuori, eh, Rò?XD Non puoi capire quanto sia felice per questo! Tu sei una titolista bravissima, e ti giuro, non ti cambierei con nessuno <3 Ah, e sei anche la mia salvatrice!ù__ù

Tuttavia, non sei esonerata dalla recensione della mia storia, perciò… Mi raccomando XD

Vorrei ringraziare anche le poche persone che hanno recensito XD, ovvero la dolce _lullaby alias Margot (la mia gemellona *__*), Lafayette alias Moma, una delle mie più grandi fan <3 e naturalmente la cara GioTanner, ovvero Rò, la titolista. Ragazze, vi voglio tanto bene, e mi sembra anche banale dirvelo. Ma è inevitabile che in queste situazioni io mi lasci andare al romanticismo XD Sopportatemi, vi prego!XD

Okay, si è fatto tardi, e VOI dovete leggere ancora la mia storia! ù__ù Scherzo, naturalmente!XD

Spero comunque che vi piaccia questo capitolo <3 Grazie moltissimo a chi mi segue ed anche a chi ha semplicemente letto.

Alla prossima

 

                                                          Looney

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Capitolo 3
*** Do You Need Some Time... All Alone (And Where Your Fears Subside, And Shadows Still Remain, I Know That You Can Love Me) ***


                    Do you need some time… all alone

(And when your fears subside, and shadows still remain, I know that you can love me)

 

Il problema era come dirglielo.

La faceva tanto facile, Michael: lui aveva solo il compito di osservare ed analizzare.

Osservare ed analizzare, osservare ed analizzare

Ma cosa cavolo significa?

“Ehi, nonna! Devo dirti una cosa!”

La voce squillante della nipote irruppe nelle orecchie di Fiordaliso come un coro di angeli, e la vide correre verso di lei, le codine che ondeggiavano sul vestito di cotone, il sorriso che le illuminava il viso meglio ancora del sole.

Il cuore le si strinse dolorosamente: davvero doveva dirglielo?

Era così bella e spensierata senza sapere di essere uno strumento scaccia-cattivi, così innocente nella sua infanzia, e molto intelligente per la sua età.

Poteva almeno aspettare un altro anno, cosicché lei ne avrebbe avuti otto.

Oppure gliel’avrebbe detto nel giorno del suo nono compleanno! O sarebbe stato meglio il decimo?

“Cos’hai, nonna? È successo qualcosa?”

Mike la fissava dall’alto della sua posizione: sembrava comprendere più cose di quante in realtà sapesse.

Come poteva una bambina speciale come lei vivere senza neanche sapere chi fosse?

Sicuramente avrebbe capito.

Doveva capire.

“Nonna?”

E se invece non l’avesse presa bene? Si sarebbe ribellata alla sua natura, avrebbe cercato un modo per liberarsi della sua responsabilità… Avrebbe privato il mondo della sua indispensabile presenza…

“Nonna, mi stai ascoltando?”

“Come…? Oh, sì, tesoro!”

Mike la guardò piuttosto perplessa: sua nonna era diventata molto strana negli ultimi giorni.

Ogni volta che la vedeva i suoi occhi si velavano di malinconia, i suoi gesti si facevano lenti e le sue parole si riducevano ad un mormorio.

Non aveva mai visto la nonna così prima di allora: che le fosse successo qualcosa?

“Sei sicura di stare bene, nonna?”

“Sicurissima, amore, non ti preoccupare! Allora, cosa volevi dirmi di così interessante?

“Veramente…”

“Cosa c’è?”

“…Nulla… Non ti preoccupare. Volevo solo parlarti di una cosa che mi aveva detto Isabel

Fiordaliso guardò preoccupata sua nipote: la sua amichetta era una bambina molto particolare, ed alcune volte se ne usciva con espressioni più grandi di lei, facendo rabbrividire anche i muri.

Che avesse già rivelato il tremendo segreto che lei si portava dentro da sette lunghi anni, sfasciando i suoi propositi e rendendola completamente inutile?

Sperò che non fosse troppo tardi… Mike doveva sapere, ma non in modo così avventato.

Dopotutto le parole di una nonna sono più affidabili di quelle di una ragazzina di sei anni!

“Allora siediti qui, accanto a me, e raccontami tutto

“Certo!”

Mike si catapultò sul povero divano, investendo Fiordaliso con la sua piccola mole, e la donna si congratulò per la sua delicatezza, spettinandole i capelli.

La bambina si lasciò coccolare, come sempre, e si accomodò meglio tra le braccia di Fiordaliso, giocherellando con l’orlo del suo vestito e strofinando il viso sulla spalla della nonna per catturarne il calore.

Solo dopo varie effusioni Mike iniziò il suo racconto, facendo spuntare la sua testa riccioluta dalle braccia di Fiordaliso, e sorridendole sinceramente.

“Mi prometti che non racconterai niente a nessuno?”

“Te lo prometto, Mike! A chi vuoi che lo spifferi?”

“Non lo so, te l’ho detto per sicurezza… Comunque, ieri Isabel mi ha chiesto sei io credessi nel destino, ed io le ho risposto di no, ma molto spesso è come se lui venisse a cercarti, e non ti lasci la libertà di agire. Poi le ho rifatto la stessa domanda, e lei mi ha risposto di sì, anche se molto enigmaticamente. Mi ha anche detto che era strano che non la pensassi come lei, poiché… Poiché, secondo lei, noi siamo molto simili. Abbiamo entrambe delle capacità straordinarie che ci differenziano dagli altri, e dovremmo usarle per aiutare il mondo a migliorarsi. Io mi sono sentita piuttosto turbata da questa affermazione, ed allora sono scoppiata a piangere. Isabel mi è venuta vicino, e mi ha consolato. Mi ha detto che solo i deboli piangono, ed io non sono una debole. Mi sono ripresa quasi subito, anche se lo spettro del pianto era ancora dentro di me, e premeva per uscire di nuovo.

Per distrarmi, Isabel mi ha mostrato ciò che è capace di fare con la mente: dovresti vedere, nonna, è incredibile!

Riesce a spostare gli oggetti senza parlare, e sa anche farli volare!

Ha provato a far volare me, ma non ci è riuscita: diceva che i suoi poteri non funzionano sugli angeli…

A quel punto, le mani di Fiordaliso divennero fredde come ghiaccio, come la sua espressione, congelate nella paura.

Mike non sapeva cosa fosse successo alla nonna: ad un tratto, non appena aveva finito la frase, la sua figura si era irrigidita.

E se…?

“Nonna? Nonna, stai bene?”

Fiordaliso si scosse dal torpore in cui era caduta, ed il suo sguardo cadde in quello della nipote, che, preoccupata, le stringeva ancora la mano.

Sbatté le palpebre, e rassicurò la piccola: non era successo niente, era tipico di sua nonna avere dei mancamenti, anche nel bel mezzo di un discorso, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine, e lei, sua nipote, non doveva preoccuparsi per lei.

“Sì. Non è niente”

“Non è vero! Dici sempre che va tutto bene, quando invece non è vero! Dimmi cos’hai, nonna! Perché ti sei bloccata    prima, quando ti stavo dicendo di Isabel e dei suoi poteri?

L’imbarazzante silenzio che seguì non convinceva Mike: sua nonna aveva sicuramente qualcosa da nasconderle…

Un segreto impronunciabile, che le aveva tenuto nascosto per sette anni, e che lei aveva il diritto di conoscere.

“Nonna, devi dirmi quello che sai, per favore. Voglio sapere cosa sta succedendo: Isabel è molto misteriosa nell’esprimersi, ma mi ha fatto capire molte cose, e vorrei che tu mi spiegassi meglio. Ti prego”

Fiordaliso non poteva più nascondersi: ormai era giunto il momento di dire la verità, senza tralasciare alcun particolare scomodo all’interpretazione di sua nipote.

Sicuramente avrebbe capito.

Ne era certa.

“Lo farò” disse Fiordaliso, stringendo la manina di Mike nelle sue, provando, in qualche modo, a trasmetterle quel poco di fiducia che si nascondeva nel suo animo, e che troppe volte aveva donato, nonostante per buone cause.

Ma la piccola aveva fiducia nella nonna, e non aspettava altro che una risposta.

Povera Mike… Come la capiva.

“Allora… Vuoi sapere qualcosa di specifico, o vuoi che ti racconti tutta la storia dall’inizio?”

“Voglio sapere perché Isabel mi ha chiamata angelo. Gli angeli non sono delle creature mitiche, che scendono sulla Terra per proteggere gli umani e trasmettere loro la Parola di Dio?

“In realtà la religione non centra nulla, Mike. Gli angeli sono dei messaggeri, certo, ma non trasmettono soltanto la Parola di Dio: gli angeli, attraverso le loro capacità, trasmettono dei messaggi agli uomini, negativi o positivi che essi siano. Sta agli umani comprendere quali messaggi siano buoni per loro, o nocivi. Capito?”

Mike annuì, non molto convinta: di messaggi dei quali parlava la nonna ne aveva ricevuti pochissimi.

O forse lei li chiamava in un altro modo…

Magari consistevano in quella bella sensazione che provava ogni volta che inseriva un disco nello stereo e si lasciava andare alla melodia, qualunque essa fosse.

Dopotutto ogni canzone porta un suo messaggio, e sta all’ascoltatore comprenderlo.

Ebbene, anche i cantanti, i musicisti ed i compositori sono angeli?

E lei?

“Ed io quindi ho il ruolo di trasmettere messaggi?”

“Esatto”

“E come si fa? Non ci ho mai provato”

“È semplicissimo: devi sfruttare al meglio le tue qualità, ed allora chi ti vedrà verrà colto dalla cosiddetta illuminazione, e comprenderà ciò che tu vuoi dire con la tua arte

“La mia arte?”

“Certo! Tu sai ballare molto bene, Mike, e sai cantare divinamente. Sono queste le tue qualità”

“Io pensavo a qualcosa di più… Più magico, ecco

“Ciò che sei è magico. Ciò che fai è magico…”

Fiordaliso strinse delicatamente la mano della sua nipotina, guardandola con occhi sognanti, mentre lei era ancora confusa da ciò che aveva detto la nonna.

Se fosse stata veramente un angelo, a quest’ora non sarebbe qui: sarebbe fuori, in quella invivibile città così simile ad una giungla, a soccorrere gli infelici portandogli gioia ed amore.

E loro l’avrebbero ricompensata con dei sorrisi; quei sorrisi che le venivano rivolti spessissimo da sua nonna, sua madre, Fernando e chiunque le si avvicinasse. Quei sorrisi che molte volte non significavano niente, ed erano solo un complimento di circostanza o una presa in giro bella e buona.

Le salì al petto una strana voglia di ricompensa: voleva vedere i suoi parenti veramente felici.

Ma non sapeva come fare.

Tutta colpa della sua ignoranza! Se lo avesse saputo prima, avrebbe certamente una risposta, un appiglio che le avrebbe consentito di ragionare e di capire.

Era tutto lì. E lei era stava privata della verità per troppo tempo.

“Non è vero”

Mike sfilò la manina da quelle della nonna, che la guardò disorientata: mai, prima di allora, sua nipote si era ribellata alle sue coccole con un tono così severo.

Sembrava un’altra persona. Irriconoscibile.

“Cosa ti prende, amore? C’è…?”

“Non è vero che ho qualcosa di magico. Non è vero niente”

“Ma cosa stai dicendo, Mike? Non credi alle parole di tua nonna?”

“Ci avrei creduto tanti anni fa, ma ora non più! Sei una bugiarda, mi hai tenuta nascosta la mia vera identità per tutto questo tempo!

Alzando la voce, Mike si allontanava anche dalla nonna, che in un disperato tentativo di toccarla, annaspava come un naufrago tra i flutti, inutilmente: sembrava che sua nipote fosse circondata da un campo di forza che non le permetteva di avvicinarla. E lei non poteva far altro che persuaderla a ritornare.

“Ma tu non potevi capire, Mike! Eri troppo piccola!”

“Non si è mai troppo piccoli per conoscere la verità! Tu sapevi cosa ero, e non me l’hai detto!

“Avevo paura che non la prendessi bene, Michael! Pensavo, pensavo che non fossi ancora pronta…

Il volto già scuro di Fiordaliso diventò livido, e le lacrime annebbiarono la sua vista, facendole apparire Mike più lontana di quello che fosse.

Raccolse il viso tra le mani tremanti, singhiozzando di fronte agli occhi della nipote, che piano piano si stavano riempiendo di lacrime come i suoi, forse per compassione, o forse per rabbia.

Nonostante l’evidenza dei fatti, non riusciva a credere che si stesse allontanando da lei. Non era possibile. Stava sognando.

“Pensavo che tu fossi una persona migliore, nonna. Pensavo di potermi fidare di te…”

E dopo aver guardato Fiordaliso per un ultima volta, Mike si voltò e corse lungo le scale, lasciandosi dietro l’apparenza della vita passata.

 

Si buttò a capofitto sul letto, gli occhi pieni di lacrime, e rimase così chissà per quante ore.

Non le importava più lo scorrere del tempo, né cosa avrebbe detto sua madre non vedendola saltellare per casa con le braccia al vento ed il sorriso sulle labbra, quel sorriso che stava lentamente morendo dai suoi pensieri e che molto probabilmente non sarebbe più tornato.

Affondò ancor di più il viso nel cuscino, ma quando si sentì soffocare riemerse con il volto arrossato e gli occhi ridotti a piccoli laghi scuri; si fermò ad osservare distrattamente il cuscino, non trovandoci nulla di interessante se non la sua innaturale morbidezza in una situazione così dolorosa.

Soffocò un singhiozzo e scese goffamente dal letto, come una farfalla sballottata qua e là da dei ragazzini maleducati e che ora ha perso la facoltà di volare per sempre.

E proprio per questo si accasciò ai piedi del letto, non avendo più la forza nelle gambe e sentendosi una vera nullità. Ma purtroppo non poteva più far nulla.

Solo aspettare.

Aspettare di crescere ed abituarsi all’idea di dover cambiare il mondo, e pensando ai vari sistemi per portare a termine la missione.

Avanti, non era così difficile…

Bastava impegnarsi.

“Non piangere, signorina! Ti fa diventare più brutta, e tu non lo sei affatto!

Mike sussultò al suono di quelle parole, scrutando la stanza alla ricerca del possessore della voce, anche se aveva un vago sospetto di chi potesse essere.

Quella persona che l’aveva accompagnata per tutta la sua esistenza.

Quella persona che, nonostante non si fossero mai incontrati, non l’aveva mai abbandonata.

Sentiva la sua presenza vicino a sé, nonostante non riuscisse a vederlo…

Un venticello fresco come una carezza.

“Sono qui, Mike”

La bambina smise di guardarsi attorno, ed i suoi occhi si fermarono sulla finestra del balcone spalancata, dove tra le impalpabili tende di seta ed il dolce sole di fine autunno, una sagoma scura e dal volto nascosto dalla luce stava in piedi, forse osservandola da molto tempo, con le mani in tasca.

All’inizio lei non capiva cosa dovesse fare né cosa dovesse dire alla figura di fronte a sé, ma fu la stessa a pensarci: si avvicinò dolcemente a lei, sorridendole così radiosamente che il sole non poteva reggere il confronto a così tanta bellezza.

Mike si sentì come incantata dal suo viso, dai suoi occhi, dal suo sorriso: non sembrava un essere umano…

Non poteva esserlo, certamente, ma il suo atteggiamento e il suo sguardo sincero rievocavano in lui una parvenza di umano.

Mike non riusciva a spiegarsi, tuttavia, cosa fosse il suo ospite.

Non era umano, ma sembrava esserlo… Cos’era?

“Tu-tu chi sei?”

“Ma come, Michael? Non mi riconosci?”

La misteriosa figura si inginocchiò davanti a lei, non smettendo di sorridere, e le accarezzò una guancia come segno di sincerità.

“Sono io, il tuo migliore amico. Sono venuto a farti visita, poiché mi sembravi molto triste, e volevo alleviare il tuo dolore

Ma Mike non sembrava del tutto convinta dalle parole dell’ospite inatteso: quel viso l’aveva visto molte volte sulle copertine di dischi impolverati risalenti a vent’anni prima, e sapeva che ormai non esisteva più.

Al suo posto c’era un altro viso, che però apparteneva alla stessa persona.

Eppure qualcosa in lei le diceva di crederci, di fidarsi dell’apparenza…

In quel momento qualsiasi conforto sarebbe stato ben accetto.

“Ti ringrazio… Ma come sei venuto qui?”

“Ti ho sentita piangere, ed allora sono venuto da te… Molto semplice!”

“E da dove vieni?”

“Da là” Il ragazzo si alzò in piedi ed indicò a Mike un punto preciso verso il mare, dove la scia di case luminose proseguiva ancora per chilometri, fino al confine con l’altra contea.

Mike conosceva quel posto: una volta c’era andata con sua nonna per una passeggiata, e lei le aveva indicato un grande cancello scuro, sormontato da una scritta che lei non poteva ancora leggere.

Dietro questo cancello la vegetazione cresceva rigogliosa, e si intravedeva il tetto di un immenso edificio.

Sin da subito era rimasta affascinata dalla particolarità di quel luogo così isolato dal resto della metropoli, eppure così ricco di vita: se lo immaginava come una dimora per signori, elegante e pratica, dove tutti gli inquilini vivevano in splendida armonia.

Ed ora conosceva finalmente il presunto padrone di quel luogo magico: si sentiva felice, ma allo stesso ancora molto timorosa.

Non poteva fidarsi così ciecamente di uno sconosciuto: magari aveva buone intenzioni, ma si era comunque intrufolato nella sua stanza senza permesso!

E conosceva anche il posto in cui abitava Michael…

Forse se gli chiedeva…?

“Ehm… Senti…”

“Cosa c’è?” L’ospite prese istintivamente le mani di Mike nelle sue, nelle quali sparirono completamente.

Quel gesto confuse ancor di più la bambina, che si costrinse a parlare nonostante il ribollire dei suoi pensieri.

“Tu conosci mia madre? Si chiama Katherine, ma per tutti è Katie. Mi ha raccontato di averti incontrata, quando era ancora una ragazzina…

Mike non fece neanche in tempo a finire la frase che gli occhi dell’ospite si illuminarono come astri, e parvero addirittura sorridere.

“Oh, la piccola Katie! Sì, mi ricordo di lei! E tu le somigli molto…”

Accarezzò dolcemente la guancia di Mike, e lei rabbrividì al contatto, anche se non voleva scostarsi: quella mano era così fresca e morbida…

Le ricordava tanto quella di sua nonna…

“Perché mi hai fatto questa domanda? In fondo sapevi che sarei venuto da te… Tua madre non te l’ha detto?

“No. Non mi ha detto nulla” Si sentiva piuttosto mortificata: lui era venuto pensando che lei sapesse già tutto… Ed invece non sapeva un bel niente.

Che figuraccia!

“Oh, ecco perché mi sembravi piuttosto titubante sull’argomento! Ma non ti preoccupare, ci penserò io a te!

Prese per mano Mike e la aiutò ad alzarsi.

Quel gesto così naturale spazzò via quasi tutta la sua insicurezza, e si convinse che quel ragazzo (di qualunque entità fosse) era buono, e voleva veramente aiutarla nell’accettazione e nella consapevolezza della sua vera natura.

Rimaneva ancora in lei un sentore negativo, che le chiedeva di riflettere e di stare attenta, poiché sono le apparenze che ingannano maggiormente. Sua nonna glielo ripeteva sempre.

Perciò prestava attenzione ad ogni movimento del misterioso ragazzo, non trascurando di certo i suoi modi di fare ed il sorriso immenso.

“Innanzitutto saprai un po’ di cosette! Tua nonna ti ha spiegato, vero…?”

“Mi ha detto soltanto… Che…”

“Che sei un angelo, vero?”

“Sì”

“Okay, è già qualcosa! Allora, accomodiamoci qui e ti spiegherò per bene tutto il resto!

Si sedette sul letto e Mike lo seguì, incrociando le gambe.

Passarono qualche secondo in silenzio, nei quali Mike era troppo emozionata per parlare, e lui (ovvero Michael) pure.

Fu proprio lui a rompere il ghiaccio con la piccola.

“Sai, questa è la prima volta che parlo ad un bambino

“Perché, non hai mai visto bambini in vita tua?”

“No, non è questo! Non ci ho mai parlato, ecco… Io non sono… Quello che appaio. Sono un riflesso”

Un riflesso?” Gli occhi di Mike si spalancarono e presero la forma di due piattini da the, tanto che Michael si spaventò della sua reazione: cavolo, iniziavamo proprio bene!

“Ehm, sì… Un riflesso. Tecnicamente sarei una parte dell’anima del vero Michael Jackson, che però non ha il suo stesso aspetto, come ben vedi. O meglio, questo è quello che aveva all’età di circa venti anni

“Sì… Vedo” Mike osservò meglio Michael: sembrava una persona in carne ed ossa, mentre in realtà era una riflesso. Forte!

Ma, tra le altre, una domanda imperava. La più scomoda, in effetti.

“Michael... Ma perché il vero Michael Jackson non è venuto a trovarmi, ed ha mandato te? Pensavo che lui avesse tempo per chiunque… Per i bambini…

Il riflesso di Michael sospirò e guardò la piccola, un velo di compassione che gli copriva gli occhi scuri.

“Non è così, mia cara. Solo perché è Michael Jackson non significa che abbia tempo per conoscere ed abbracciare tutti i suoi fan, così come non ha tempo per incontrare te. Certo, tu occupi una posizione più elevata di una semplice fan, ma venirti a trovare tutti i giorni è molto rischioso: i fan lo assalirebbero, capisci? Ed i paparazzi anche”

Mike annuì lentamente, nonostante non avesse capito qualche passaggio: cosa voleva dire quel riflesso con “posizione elevata”? Davvero lei, una insulsa bambina in una enorme città come Los Angeles occupava un posto così importante nel ruolo di un uomo così famoso?

Era assurdo, veramente! Lei amava moltissimo Michael, ma sapeva con certezza che questo amore non era ricambiato, poiché lui non sapeva neanche della sua esistenza. E poi, lei era solo una bambina…

Ai bambini non erano concessi molti poteri.

Dovevano obbedire e basta.

Tuttavia, le sfuggì un’altra scomoda domanda: “Perché dovrei occupare una posizione elevata rispetto agli altri fan di Michael? Cosa sono io per lui?”

Qui Michael sospirò rumorosamente e stavolta più che compassionevole sembrava indeciso: doveva dire tutta la verità alla bambina, ma lei era così intelligente che aveva scoperto già molte delle informazioni top secret in suo possesso!

Cavolo, in base alla descrizione del Grande Capo non sembrava così sveglia!

“Beh, ecco… Non è semplice da spiegare”

Michael fece un altro grande sospiro per darsi la forza di continuare: non era facile, ma doveva farcela.

“Tu non sei un angelo qualsiasi: come te ce ne sono soltanto quattro ogni cento anni. Ognuno di voi racchiude un pensiero, un’arte diversa, e nonostante le varie differenze, siete molto uniti anche a distanza. Anche ora, nonostante non ne conosca nessuno, tu avverti la loro presenza, vero?

Sicuro? Come faceva a sentire la presenza di tre persone in punti indefiniti nella sfera terrestre? Lei non sapeva lavorare con la mente. Isabel sapeva farlo, ma la sua arte si restringeva al campo visivo. Non sapeva fare davvero nulla.

“Io… Io non sento nulla…”

I suoi occhi così grandi e dolci in qualsiasi occasione, ora esprimevano commiserazione: aveva smesso di piangere qualche minuto prima per lo stesso motivo, ma il suo ritorno alla memoria l’aveva scossa ulteriormente.

Si sforzò, ma non riuscì a sentire nulla, tranne il rombo delle automobili e l’aspirapolvere di Fernando al piano inferiore.

Per il resto, buio totale.

Abbassò le spalle delusa.

“Niente, non ci riesco”

Michael la capiva; capiva il suo disagio, la sua disinformazione, e la sua incompleta accettazione di sé.

Le accarezzò dolcemente una spalla, consolandola come meglio poteva.

Certo, era una bambina molto sveglia ma era anche incredibilmente fragile.

Purtroppo, avrebbe dovuto smettere di esserlo…

“Avanti, non fare così, Michael. Non è nulla di grave, non tutti nascono senza dover imparare, neanche gli angeli come te! Ti insegnerò io tutto ciò che vorrai sapere, e non dovrai aver paura di sbagliare, perché tutti sbagliano. Anch’io ho sbagliato, e senza i miei errori non sarei mai riuscito a migliorare. Non piangere, vedrai che sarai un angelo perfetto…

Gli occhi di Mike incontrarono quelli del suo nuovo amico, e le sembrarono così grandi e scuri in confronto ai suoi… Così veri

“No-non ho paura di sbagliare, ecco… Ho paura di tutto ciò. Non mi immaginavo neanche che potessi essere così importante agli occhi del mondo. Io, una bambina qualsiasi, ora sono custode del mondo. È difficile ammetterlo”

“Già, moltissimo. Non puoi capire come mi sono sentito io quando mi hanno chiesto di badare a te! Ero al settimo cielo, anzi, ancora più in alto! Tuttavia ero intimorito dalla tua grandezza, e spesso ho pensato di girare i tacchi e ritornarmene dal Grande Capo, per dirgli che non volevo più portare a termine il compito che mi aveva assegnato; ma lui, irremovibile, mi cacciava sempre via! Così, mi sono fatto coraggio, e sono venuto da te

“Davvero eri intimorito da me?”

“Certo! Te l’ho già detto, tu sei un essere raro; e molto spesso le rarità vengono trattate con molta cura e devozione. Per questo hanno scelto una persona buona e generosa come Michael Jackson per occuparsi di te, ovvero io. Sì, insomma…”

Michael si guardò le mani intrecciate, non volendo assolutamente incrociare lo sguardo interrogativo di Mike.

“Io sono pur sempre una piccola parte dell’anima del vero Michael Jackson, perciò sono lui. Per te non sono un estraneo, quindi…”

Osservò finalmente Mike, trovandola molto più sorridente e rassicurata. Poi guardò oltre la sua testolina ricciuta e scorse vari suoi poster, ritratti dei periodi più belli della sua vita: con i zombie di Thriller, nel suo costume da cattivo ragazzo in Bad, con tanti bambini sorridenti a qualche concerto, con ET, con Quincy, con tanti suoi amici che gli hanno sempre voluto bene…

Ed ora, se lo sentiva, anche quella bambina sarebbe diventata sua amica.

Naturalmente era troppo presto per parlare, ma la sua sincera inquietudine, il suo sorriso, i suoi riccioli così ordinati e luminosi, lo facevano sentire bene.

Abbozzò un sorriso, e si sentì stranamente ridicolo: non sapeva cos’altro dire…

Ma fu lei a salvarlo, posando la manina scura sulla sua, e trasmettendogli tutta la sua fiducia.

“Tu ora sei mio amico. Ed anche se dovranno incorrere vari problemi nel nostro rapporto, giuro che non ti lascerò mai solo, mai, neanche fra un milione di anni!

A Michael gli si sciolse il cuore: poche parole ma tanto amore.

Come poteva aver paura di una creatura così dolce e spontanea?

La prese delicatamente tra le braccia e la abbracciò, avvertendo la sua sorpresa e la sua forte gioia.

Rimasero così per chissà quanto tempo, stretti l’uno all’altra, e nessuno dei due osava parlare, per non interrompere la magia di un incontro che si ripete soltanto quattro volte ogni cento anni.

 

 

Buongiorno gente!=D Scusate il ritardo, ma purtroppo ieri e l’altro ieri non mi andava di postare, perciò peggio per voi XD Aaaah sono ritornata da una serata spettacolare *_* C’era quell’essere di un altro mondo, dagli occhi che scioglierebbero pure il ghiaccio.. Con la amatissima fidanzata -.-“ Che devo dire, mi sono dovuta sorbire i loro vari slinguazzamenti.. Bleah D: Vabbè, penso che non vi interessino le mie faccende personali!XD Passiamo alla storia: come avrete capito, si avvicina per la piccola Mike un periodo difficile, ma grazie all’amicizia, e soprattutto all’aiuto speciale di Michael, riuscirà a superare i vari problemi che ostacoleranno il suo cammino… O quasi tutti.

Leggere per sapere ù__ù

Oggi vado molto di fretta, perciò mi conviene salutare immediatamente le care ragazze che hanno recensito, ovvero Lafayette e GioTanner. Le mie dolci compari *___*

Ah, ma la cara Rò merita un ringraziamento in più! Grazie per lo splendido titolo <3 e per tutta la pazienza che metti nel tuo lavoro. Dovrebbero farti santa!XD Santa Rò da ROMA (non dimentichiamoci che tu sei figlia di CESARE ù__ù)

Okay, con queste varie cazzate ho chiuso.. Non so quando posterò il quarto capitolo, ma so per certo che la storia andrà avanti ancora per mooolto tempo XD Perciò, per quei pochi che mi seguono, armatevi di pazienza e di tanta fortuna. Non si sa mai, magari un giorno potrei non pubblicare un capitolo per mooolto tempo.. E lì voi mi ammazzerete come è già successo in passato!XD

Ci vediamo presto, miei cari amichetti <3

 

                                                         La vostra Looney

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Capitolo 4
*** Send Me An Angel (Because sometimes you can't choose-Prima parte) ***


                                          Send Me An Angel

 

            (Cause sometimes you can’t choose-Prima parte)

 

Quante foglie cadevano in autunno! Ancor peggio dei capelli…

Di vari colori, fragili e leggere, come farfalle danzavano sospinte dal vento, creando coreografie da sogno.

Era strano vedere Los Angeles in quello stato, ma Katie c’era abituata: molte volte, per lei, la dolcezza felina di quella città era apparsa come una amara belva dai denti appuntiti, pronta a ferirla.

E così come le foglie morte, gli alberi spogli ed il cielo plumbeo sembravano per gli altri abitanti una vera e propria calamità, per lei rappresentavano un attimo spensierato di pace.

La metropoli insonne si riposava, sgravando tutto il peso del dolore e della vita, che se ne andava trasportato dal vento, proprio come quelle belle foglie.

Volteggiavano intorno a lei, indifferenti ai suoi sguardi stupiti, e si posavano sul freddo pavimento di pietra, a pochi centimetri dalle sue scarpe da ginnastica.

Se avesse avuto una decina d’anni di meno le avrebbe sicuramente schiacchiate, per udire il dolce scricchiolio sotto i suoi piedi, ma ora si limitava a guardarle come se fossero state degli adorabili cuccioli di cane dal pelo caldo e cangiante.

Si massaggiò la testa con le dita: cavolo, paragonava le foglie gialle a dei cuccioli! Stava proprio messa male…

E conosceva, soprattutto, le cause del suo male.  

Era inevitabile andarci a sbattere la testa, ogni tanto: era , sempre con lei, non poteva sfuggirle.

All’inizio pensava che fosse una gran bella cosa, perché la tirava su, la faceva stare bene, e vedeva tutti intorno a lei contentissimi della sua ripresa, sorridenti… E poi vedeva sua figlia.

Quella povera bambina costretta a vederla ogni sera sempre più stanca, e pensava che lei stesse benissimo, che fosse felicissima di vederla e di abbracciarla dopo un’intera mattinata passata a girovagare per casa come un fantasma…

Certo, Katie era felice di riabbracciare sua figlia, come tutti i pomeriggi… Ma c’era qualcosa di ancor più imperdibile per lei: quella sostanza magica a cui lei non avrebbe mai rinunciato, neanche sotto tortura (e per tortura intendeva la disintossicazione in qualche centro specializzato, che aveva la stessa allettabile presenza di un manicomio).

Rabbrividì, nonostante fosse ben imbacuccata in un cappotto invernale, e sentì i denti tintinnare tra di loro nella bocca: cominciava a voler bene a quella cosa che le aveva cambiato la vita, quasi come se fosse sua figlia.

È incredibile come lei cambia il modo di pensare della gente: si viene trascinati in un dolce oblio, nel quale l’unico ricordo della vita precedente la sua venuta non è altro che una siringa sporca di sangue rappreso e tanta, tantissima tristezza.

Dopodiché si ricomincia a sorridere, portando in sé la gioia della nuova amica, che felice danza dentro di te come il vento in estate, conferendoti quella espressione gioiosa ma allo stesso tempo stanca che caratterizza tutti coloro che fanno uso di lei.

Purtroppo questo periodo di estasi dura ben poco, e dopo si è costretti a sorridere forzatamente pur di dimostrare agli altri che la felicità non è andata perduta, bensì si sta attraversando quei tipici “periodi no” della vita, e che non è molto consono scherzare su certi argomenti.

Katie si era però accorta che molti dei suoi amici comprendevano il suo stato, e le stavano vicino, come se dovesse morire da un momento all’altro.

Il primo pensiero che giunse alla mente fu proprio lei: davvero anche i suoi amici si bucavano? Era per quel motivo che sapevano come consolarla, la incoraggiavano e passavano molto tempo con lei?

Non poteva assolutamente crederci: erano dei bravissimi ragazzi, non l’avrebbero mai fatto…

Lei era la ribelle del gruppo, lei era colei che impudicamente andava incontro al pericolo, e veniva puntualmente ripresa dai suoi conoscenti più saggi e posati…

Di solito gli altri la seguivano, e la prendevano d’esempio.

Ma stavolta non c’erano più gare, non esisteva più una gerarchia primitiva, e neanche una veneranda sottomissione.

Lei non era più il terrore, ma semplicemente Katie.

Katie, quella ragazza che ne ha viste parecchie nella sua giovane vita, e che non avrebbe di certo smesso con il passare degli anni.

La piccola Katie, mingherlina ma resistente, temprata da segreti ed esperienze piuttosto spiacevoli.

Quella stessa ragazza, che qualche anno prima si sarebbe ritratta al sol pensiero di una siringa nel corpo, e che ora ne teneva sempre una sotto il materasso, o addirittura negli armadietti della scuola, insieme ad una consistente dose di fiale o polverine varie…

Si ricordava perfettamente la prima volta che i suoi amici le fecero provare l’acido lisergico: erano ad una festa di nostalgici, e per ravvivare un po’ l’atmosfera uno di loro aveva portato alcune cartine, e lei, per curiosità ma anche per spavalderia, le aveva prese in mano.

Fu la notte più spaventosa della sua vita: ritornò a casa su una specie di elefante-giraffa che pigolava come un pulcino, ed i suoi amici sembravano tanti funghi col cappello luminoso, che non smettevano di muoversi.

Oppure, quando si fece la sua prima sniffata; era piccola, aveva sì e no diciassette anni, ma tanta voglia di vivere e di sperimentare.

Forse anche troppa… Fatto sta che si ricordava nitidamente quel giorno, come se fosse stata lucidissima.

L’esperienza più bella, però, risaliva al suo profondo periodo di depressione. La notte vegliava con un coltellino svizzero in mano, e nell’udire il pianto della sua piccola che la chiamava, posava l’affilata lama sul suo tenero collo, esercitando una leggera pressione. Ancora poco, e sarebbe diventata cibo per i vermi…

Ma il pianto era troppo forte, e la riportava sempre alla realtà: si alzava, e di malavoglia allattava quella creatura piccolissima e fastidiosissima, come se stesse tenendo in braccio una bomba atomica.

La situazione naturalmente migliorò quando la siringa entrò nel suo braccio e nel suo cuore: tutto gli sembrava più bello, più colorato, più… vivo.

Fu come rinascere.   

Era meraviglioso. Ma poi…

Scosse leggermente il capo, come per scacciare quelle congetture impure dalla sua mente: non voleva pensarci, non voleva pensarci mai più.

Sospirò rumorosamente.

“E’ più facile dirlo che farlo, Miss Braccia Bucate”

Si alzò dalla fredda panchina, prese da terra il borsone degli allenamenti e si incamminò verso casa, fantasticando sulla sua possibile vita senza Eroina &Co.

 

“Nonna, nonna!”

Stavo scendendo velocemente le scale, con Michael dietro di me che cercava inutilmente di seguirmi, ed intanto mi lanciava scongiuri e raccomandazioni, che io puntualmente non ascoltavo.

Ero così contenta di aver scoperto finalmente tutta la verità che non davo più retta a nessuno!

La mia testa era completamente piena di felicità, che dovevo assolutamente condividere con qualcuno. Altrimenti sarebbe scoppiata!

“Nonna!”

Atterrai sul pavimento dopo un grazioso salto dal terzultimo gradino, e Michael, per paura di cadere addosso a me, si sporse all’indietro, e cadde rovinosamente sugli scalini.

“Cavolo, la prossima volta non correre, signorina! Potevo prenderti in pieno, lo sai?”

Sembrava parecchio irritato, ma per me doveva semplicemente abituarsi alla mia gioia; mi girai verso di lui e lo aiutai ad alzarsi, nonostante pesasse più di me.

“E dai, Michael, non essere così catastrofista! Sto bene, come vedi, ed anche tu non sei ridotto male!”

“Già” sbuffò il povero riflesso, che di etereo aveva ben poco, e poteva farsi male così come tutti gli altri esseri umani.

Si pulì l’elegante abito da sera dalla polvere, e mi seguì alla ricerca della nonna, che stranamente non era spaparanzata sul divano a guardare la televisione come tutti i pomeriggi, né a riflettere mestamente sul guaio che aveva combinato rivelandomi così a bruciapelo un segreto di importanza storica.

Perlustrai il piano terra della nostra villa, e non la trovai neanche in cucina, o in bagno; perciò, decisi di uscire in giardino, dove un pallido sole illuminava le amate piante di Fernando.

Stava lì, mia nonna, appoggiata ad una colonna delle veranda, mentre osservava rapita il paesaggio davanti a lei.

Non si era neanche accorta del mio arrivo, e sinceramente mi dispiaceva molto disturbarla, anche se la situazione lo permetteva.

Volsi lo sguardo dietro di me: Michael mi incoraggiò facendo l’occhiolino, ed invitandomi a parlare.

Io mi girai rigidamente in direzione della nonna, osservando ancora una volta i suoi capelli scuri che ricadevano sulle spalle, mossi dolcemente dal vento, con qualche impercettibile sfumatura grigia sulle tempie, segno del tempo che passava.

Ripensai a ciò che aveva rischiato nel dirmi tutta la verità, a quante lacrime aveva versato vedendomi correre via da lei come da un orribile mostro, e mi sentii terribilmente in colpa: ero stata davvero stupida a non riflettere dal suo punto di vista, considerandola una bugiarda, e sbattendo i pugni per terra per ciò che ormai non poteva più essere cambiato.

Lo stomaco si fece pesante, e per togliermi quel peso dovevo solo avvicinarmi e dirle tutto ciò che mi era successo nei precedenti minuti.

“Nonna…”

Finalmente lei si voltò al mio richiamo. Aveva la faccia sconvolta di chi ha appena pianto, e non si è ancora del tutto ripreso.

I suoi occhi erano gonfi di sorpresa, e la bocca tremava sotto la forza di parole che non volevano essere pronunciate, ma che premevano per uscire dalle labbra.

Dopo un attimo che mi sembrò eterno, lei mi sorrise, un sorriso stanco, e mi si avvicinò.

“Tesoro… Ha-hai bisogno di qualcosa? Perché sei così seria?”

Io sospirai dolorosamente, e mi si spezzò quasi il cuore.

“Nonna… Innanzitutto volevo darti le mie scuse per prima. Ho capito che per te non è stato di certo facile dirmi tutte quelle cose, ed io sono stata così stupida da non mettermi nei tuoi panni e pensare con il tuo cervello. Perdonami, sono un’egoista, bella e buona! E poi… Sappi che non mi dispiace poi così tanto: posso aiutare gli altri, no? È bellissimo!”

Dapprima mia nonna non disse nulla, forse sconvolta da ciò che le avevo detto. Poi fece un passo in avanti e si accucciò per terra, in modo tale che il suo viso ed il mio fossero perfettamente paralleli.

Scorsi nei suoi occhi un bagliore di felicità, ma non seppi precisare per quale motivo.

Sapevo soltanto che finalmente la nostra pace era sancita.

“Tesoro, scusami tu per come ti ho trattata. Pensavo che tu fossi ancora troppo piccola per queste cose, e la paura di sconvolgerti la vita mi ha di certo influenzato. Non avevo però fatto i conti con la tua innaturale intelligenza… E neanche con la mia stupidità, devo dirlo! Perciò, mia piccola Michael…” E qui la nonna mi accarezzò la guancia con l’indice, disegnandovi forme immaginarie.

“Stai attenta a quello che fai, pensa sempre prima di agire. Ci sarà molta gente pronta ad approfittarsi di te, ma tu non dargli retta, e continua lungo la tua strada. Mi capisci?”

Annuii, e stavolta capivo. Capivo la mia povera nonna, ed il suo cuore infranto.

I suoi occhi mi fecero così tenerezza che non resistetti, e la abbracciai fortissimo, come quando ero ancora più piccola e volevo dimostrarle la mia forza stritolandole le costole e le braccia.

Lei mi ricambiò ridendo sommessamente e sussurrandomi parole di conforto che alle mie orecchie parvero come una ninna nanna.

Rimanemmo così per molto, dondolandoci nella nostra gioia.

Ero così felice che mi ero completamente dimenticata di Michael, che molto probabilmente osservava le nostre effusioni imbronciato e piuttosto offeso.

Mi sciolsi dall’abbraccio, scusandomi con la nonna, e mi volsi per vedere se il povero Michael era ancora dietro di me: in effetti c’era, ma mi fissava in modo così fastidiosamente insistente da farmi sentire terribilmente in colpa.

Che cavolo, speravo davvero che non si fosse offeso tanto!

“Oh, Michael, scusami davvero tanto, ma ero troppo presa per ricordarmi che tu eri dietro di me, e ci osservavi! Mi perdoni, vero?”

Sfoggiai una delle mie più innocenti espressioni, per conquistare Michael, ma lui era veramente molto offeso, perché continuò a fissarmi arrabbiato.

“Cara Mike, forse non capisci che anch’io ora faccio parte della vostra famiglia, e che con voi condivido qualsiasi cosa? Comunque, ti sei dimenticata di presentarmi a tua nonna: non ha una gran bella faccia…”

“Oddio, è vero!”

Chissà cosa stava pensando la nonna di me! Molto probabilmente si rammaricava nell’aver avuto una nipote così strana, e che oltretutto parlava da sola…

“Ehm, nonna…” tentai di spiegare, ma lei mi bloccò, e mi sorrise.

Rimasi piuttosto stupita dal suo gesto: che già sapesse…?

“Non servono spiegazioni: Michael mi ha già detto tutto. Però, ti prego soltanto di non urlare per così poco, i vicini potrebbero sentirci…”

Guardai stupita mia nonna, e sbuffai: tanto casino per nulla!

“Comunque potevi dirmelo prima, Michael” sibilai al riflesso, che ora se ne stava tranquillamente seduto sul pavimento a rimirare il giardino, come se non fosse successo nulla nell’arco di mezz’ora: possibile che desse tutto per scontato? Sapevo da neanche qualche minuto che ero un angelo, e dovevo già conoscere tutti i segreti del mestiere!

Non sarebbe stata facile… Per niente.

Osservai la nonna che finalmente era felice della nostra riappacificazione, e sorrideva alla vista di me che me la prendevo con il pavimento della veranda, ben sapendo che lì c’era una specie di fantasma che se la spassava con la mia inesperienza.

All’improvviso un lampo le attraversò il viso, e prese velocemente la mia mano.

“Vieni, Mike, mi sono ricordata che devo darti una cosa!”

Mi trascinò lungo le scale, tanto che dovetti correre per stare appresso alle sue gambe velocissime e molto più lunghe delle mie. Alla fine arrivammo davanti alla porta della sua stanza, e lei aprì piano la porta, mentre io mi riposavo dalla scarpinata: se lo avessi saputo, mi sarei anche potuta preparare psicologicamente!

Quando lei mi invitò ad entrare il mio respiro era tornato regolare, ma il mio cuore accelerò leggermente i battiti, colpito dalla possibile sorpresa che la nonna voleva donarmi.

Mi fece accomodare sul letto, e la vidi armeggiare con il suo cassetto del comodino, così strapieno di segreti che aveva trovato un valido vice nell’armadietto della scrivania. Tuttavia la nonna custodiva i suoi averi più preziosi nel cassetto, e non nell’armadietto, dove chiunque avrebbe potuto rovistare, non essendoci la chiave, ma soltanto una rudimentale chiusura a scatto.

Finalmente riemerse dal suo oceano di oggetti, il viso rosso ed emozionato, e le mani dietro la schiena a nascondere il mio regalo.

I battiti del cuore aumentarono quando lei mi si avvicinò lentamente, come una belva, e si inginocchiò di fronte a me, un sorriso amichevole sulle labbra.

“Questo è un oggetto molto speciale: me l’ha dato Michael per te, perché un giorno potessi portarlo, e grazie ad esso riconoscere i tuoi simili tra i miliardi di volti che ci sono al mondo. Spero che lo conserverai bene”

Detto questo mi porse una catenina d’oro alla quale era appesa una coroncina di diamanti, così brillante e pura da lasciarmi quasi senza fiato.

Davvero quella meraviglia era per me?

La osservai ancora, stupita, prima di prenderla delicatamente fra le mani e saggiare la sua leggerezza ed il piacevole gelo: nessuno mi aveva mai fatto dei regali così preziosi, e mi sentivo anche commossa da tutte le attenzioni che la nonna e Michael, da quando avevano accidentalmente messo piede nella mia “seconda” vita, mi procuravano.

Forse era un modo per scusarsi della loro eccessiva avventatezza, ed apprezzavo il loro gesto; mi faceva sentire finalmente una bambina normale.

“Ti piace, tesoro?”

La nonna non la smetteva di guardarmi con occhi amorevoli, mentre io tenevo i miei fissati sul gioiello tra le mani.

“Sì, è molto bello. Grazie” fu tutto ciò che seppi dire, e dopo aver rimirato il ciondolo un’ultima volta, lo indossai: certo, era davvero bellissimo!

Ancora non riuscivo a crederci pienamente…

“Vieni, ritorniamo giù: aspetteremo la mamma, così lo diremo anche a lei!”

“Okay!” Mi fiondai fuori dalla porta, lungo le scale, mentre la nonna mi seguiva placidamente, con un sorriso ebete in faccia.

Ad aspettarci al piano inferiore c’era Michael, che non era venuto con noi per non disturbarci, e non vedeva l’ora di iniziare il mio “addestramento”. Mi avrebbe di certo trascinato in qualche strano luogo se la nonna non ci avesse chiamati (anche se non vedeva Michael, avvertiva la sua presenza, soprattutto perché io non potevo di certo parlare da sola…) e ci avesse chiesto di aspettare in soggiorno, tranquilli, il ritorno di mia madre.

Fu ciò che facemmo: dopo un po’ che ci annoiavamo terribilmente, iniziammo a raccontarci barzellette; poi imitammo alcuni personaggi famosi, cosa che mi riusciva non molto bene, mentre Michael era un vero e proprio campione; poi giocammo agli indovinelli, e quando ci fummo stancati sia di giocare che di fare gli stupidi inutilmente, parlammo un pochino del mio presunto “addestramento”: cosa avrei dovuto fare esattamente, quali prove avrei dovuto affrontare, la mia vita in parte programmata…

Lui non si dilungò molto, poiché ero ancora troppo inesperta per certe cose, ma mi rivelò che le mie varie prove si incentravano sul trasmettere agli altri un messaggio attraverso la mia arte, come aveva detto la nonna.

Tuttavia dovevo perfezionarmi in continuazione, per raggiungere un risultato sempre migliore dei precedenti, e perciò, coinvolgere molta più gente.

Mi avrebbe di certo aiutato lui, essendo esperto del campo, e avrebbe anche ripreso i miei gesti, nel caso avessi perso la retta via; tutto questo fece salire in me una certa sicurezza, che prima non avevo, e gli sorrisi come per trasmettergli, quella sicurezza.

Lui certamente la avvertì, perché mi ricambiò, stringendomi anche la mano in un caldo abbraccio.

La magia si interruppe quando sentimmo il campanello suonare fastidiosamente, ed udimmo i passi della nonna che andava ad aprire: doveva essere la mamma!

Mi fiondai verso l’ingresso e quando vidi la figura che lentamente entrava in casa reggendo un grosso borsone puzzolente, gli saltai letteralmente addosso, senza neanche lasciarle il tempo per riprendere fiato, o salutare.

Tuttavia, non ne sembrava così dispiaciuta: rideva, e mi scompigliava i capelli, facendomi dondolare come una bambola di pezza, ed io intanto la abbracciavo ancora più forte, tanto che dovette buttare il borsone per terra per non perdere l’equilibrio.

Ci ruzzammo fin quando la mamma non fu così stanca da non potermi reggere più tra le braccia, e mi lasciò andare; io perciò la condussi in soggiorno, insieme alla nonna ed a Michael.

Quel giorno ero particolarmente felice di vedere la mamma, e non vedevo l’ora di dirle cosa era successo quel pomeriggio, renderla partecipe della mia gioia, e magari ricevere qualche buon consiglio.

Alla fine del nostro discorso (poiché ci eravamo espresse alternamente sia io che la nonna), il suo viso si illuminò di un bellissimo sorriso, e mi abbracciò ancora, complimentandosi con la sua bella bambina.

Io mi dondolavo tra le sue braccia, consapevole della mia condizione, e pensai che la bambina tra me e la mamma fosse proprio lei: i suoi gesti così dolcemente infantili, i sorrisi gratuiti, le smorfie buffe…

Ero cresciuta con una mamma gioviale ma seria nelle occasioni importanti, che si esprimeva come tutti i mortali, ma sapeva controllare in una maniera assurda le sue emozioni, cosa che alla nonna non riusciva, e moltissime volte si era dimostrata una persona molto diversa dalle apparenze.

Ora la mia nuova mamma si era addolcita, e prendeva tutto con allegria o con eccessiva drammaticità; non riconosceva le tragedie dalle satire, e diventava lei stessa attrice di una sconosciuta ed incomprensibile opera teatrale: recitava il suo ruolo in perenne disaccordo con se stessa, riuscendo spesso a farci perdere le staffe, e non mollava mai la sua opinione, anche se molto probabilmente comprendeva quanto fosse stupida ed inutile.

Quel cambiamento così radicale durava da circa tre anni, da ciò che ricordavo, ma mai come in quel periodo si era accentuato.

Desiderava sempre essere coccolata e sfoggiava degli occhi così dolci che avrebbero fatto imbarazzare un cerbiatto, e magari qualche minuto dopo ti mandava a quel paese senza troppi complimenti, rinchiudendosi poi nella sua stanza, dove rimaneva fino alla mattina seguente, senza neanche mangiare.

Già, la situazione stava degenerando, e non sapevamo assolutamente come aiutare la povera mamma, poiché non comprendevamo neanche il suo male né le cause di esso: lei era diventata troppo imprevedibile per noi, e non riuscivamo a parlarle.

Ci limitavamo soltanto ad infonderle il maggior affetto possibile, come stavo facendo io in quel momento, e non ci ponevamo più troppe domande: il tempo avrebbe sistemato tutto.

Il caro vecchio amico tempo…

Quando ci sciogliemmo dall’abbraccio lei mi guardò con occhi sognanti, e mi accarezzò i capelli, annodando le dita nei riccioli come faceva per il filo del telefono.

“Sono così fiera di te, piccola mia. So che non sarà facile, ma ricordarti sempre… Non smettere mai di sperare, perché la speranza è sempre l’ultima a morire. Lo sai, questo, no?”

Io annuii, cercando negli occhi apparentemente felici della mamma una possibile luce avversa, ma tutto ciò che vidi fu amore, sincero.

Per quel giorno rinunciai alla mia investigazione quotidiana, e dopo aver baciato la mamma sulla guancia, scesi dal divano e mi diressi in camera mia, con la scusa che volevo stare un po’ da sola, dopo tutto quel trambusto, e riposarmi.

Naturalmente, la nonna e la mamma acconsentirono, sorridendo.

Ricambiai, e mentre stavo salendo per i gradini, mi accorsi di un particolare: il caro Fernando, da quando mi trovavo nella stanza con Michael, non aveva dato più segni di vita, come se fosse scomparso all’improvviso.

Mi girai intorno, cercando quella chioma leonina ormai grigia, ma l’unica massa di capelli in vista era quella nera e riccia di Michael, che mi seguiva ormai dappertutto.

Cominciai a preoccuparmi, e ridiscesi le scale per chiedere alla nonna notizie di Fernando, ma lei mi seppe soltanto dire che non lo vedeva da circa un’ora, e che non sapeva dove si fosse cacciato.

La ringraziai e rimuginai per un po’ su questo: di solito non lascia mai la villa, ed è sempre visibile, impegnato in qualsiasi faccenda domestica possibile ed inimmaginabile…

Inoltre era molto strano che fosse sparito così, all’improvviso…

Vabbè, era meglio non pensarci più: alla fine sarebbe sbucato fuori, sicuramente!

Ritornai perciò in camera mia, e ci rimasi per molto tempo, seduta sul letto, con Michael al mio fianco che mi accarezzava i capelli, senza un motivo preciso: forse perché voleva abituarmi alla sua presenza, o forse perché si sentiva veramente di farlo…

Fatto sta che era una sensazione meravigliosa: le sue dita erano così morbide ed il suo tocco così leggero che ben presto le mie palpebre cedettero, e mi appisolai, cadendo in un sonno ristoratore, che dopo quella giornata così movimentata era capitato proprio al momento giusto.

 

Mi svegliai con gli occhi impastati ed i muscoli intorpiditi, poiché avevo dormito in una posizione molto scomoda, ma la figura di Michael, che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che vegliare su di me, mi infuse la giusta dose di serenità per sorridergli, nonostante il mio sonno non ancora concluso.

Lui ricambiò e mi aiuto a sedermi sul materasso, mentre mi stropicciavo gli occhi, e cercavo approssimativamente di capire per quanto tempo avevo dormito: dietro le finestre il cielo si stava pian piano scurendo, ed una piccola stella spuntò sopra il sole morente, come se fosse venuta per salutarlo.

Doveva essere ora di cena, sicuramente…

“Michael…” dissi, ancora intorpidita dal sonno. “Che ore sono? Penso di aver dormito tantissimo…”

“In effetti, sono quasi le otto!” mi rispose Michael, con un gran sorriso. “E faresti bene a scendere: Fernando è un tantino irritato dal tuo ritardo”

“Okay…” Non avevo alcuna voglia di alzarmi da quel bel letto, ma dovetti, e mi avviai giù per le scale, dalle quali si sentiva un bel profumo: Fernando aveva cucinato un’altra delle sue strambe ricette vegetariane per me e per la nonna, ed un menu da cavernicolo per mia madre.

Mangiai con molta calma, ed ascoltai incuriosita le barzellette che mia nonna ogni sera si inventava per rallegrarci l’animo prima di andare a dormire: erano stupide, ed alcune non avevano neanche senso, ma facevano scompisciare dalle risate!

L’unica che, però, rimaneva seria, era la mamma, che piluccava la sua bistecca, osservandola malinconica.

Anch’io la osservavo, cercando in qualche modo di comprendere la sua tristezza; ma non ero Isabel, ed i miei viaggi mentali non portavano a nessuna meta.

Mi alzai da tavola dispiaciuta, e corsi in camera per infilarmi il pigiama ed andare sotto le coperte: non volevo più pensare, né alla mamma, né al compito che incombeva su di me.

Volevo solo dormire, abbracciando Michael a mo’ di orsacchiotto di peluche.

Ma mentre mi stavo lavando i denti al bagno, guardando insonnolita la mia immagine riflessa nello specchio, mi ricordai dell’unica persona che ancora non avevo avvisato della mia nuova vita, e quasi mi strozzai con il dentifricio nel tentativo di pronunciare il suo nome, che tuttavia venne inondato dall’acqua del rubinetto.

Michael, presosi un bello spavento, mi chiese di stare tranquilla, e di non preoccuparmi per così poco, ed io, giustamente, gli diedi retta: dopotutto era tardi, e non potevo andare da nessuna parte.

Mi accoccolai perciò nel mio caldo lettuccio, con Michael al mio fianco, ripensando alla gran bella giornata trascorsa ed a quella che sarebbe venuta.

 

La mattina dopo mi svegliai più elettrizzata che mai: non vedevo l’ora di rivelare a lei, ad Isabel, ciò che avevo scoperto.

La sua intelligenza sicuramente aveva già intuito molte cose, ma rimaneva la gioia di parlarle di persona, di osservare il suo viso apparentemente impassibile cambiare espressione, ascoltare la sua dolce voce ed i suoi saggi consigli: mi fidavo moltissimo di lei, e sicuramente sarebbe stata molto contenta per me.

Una volta mi aveva parlato proprio di questi cosiddetti angeli, ma non si era molto dilungata: tutto ciò che avevo saputo da lei era, in fondo, ciò che anche mia nonna mi aveva detto.

Tuttavia, non vedevo l’ora di incontrarla!

Passai molte ore girovagando per casa, nell’attesa di uscire assieme a Michael (la sua presenza, secondo la nonna, mi avrebbe protetto da qualunque pericolo), ed osservavo nervosa l’orologio appeso in soggiorno, in attesa delle tre del pomeriggio.

Infatti ero così eccitata da non considerare il fattore “scuola”, ed ora mi toccava soffrire per molto tempo, interagendo al massimo con mia nonna e Fernando, che la mattina non erano una buona compagnia.

Neanche pranzai, per quanto ero emozionata. Mangiai soltanto una mela, per non accasciarmi a terra senza forze, dopo neanche mezz’ora.

Quando sentii il pendolo battere le tre, mi precipitai fuori dal portone, salutando velocemente la nonna e Fernando, e sfrecciando sulla grande strada tranquilla, popolata soltanto da alcuni maggiordomi che portavano a spasso il cagnolino della padrona, oppure le padrone che sfoggiavano tutte le loro ricchezze sulle sole

mani.

Michael storse il naso e mi prese dolcemente per mano, vedendomi sin troppo esuberante, e mi chiese la via esatta in cui abitava Isabel.

Gli indicai approssimativamente il luogo, e lui, guidato da una strana forza, forse tipica dei riflessi come lui, mi guidò per la strada che conoscevo quasi a memoria, tra le viuzze strette e ricoperte da scadente asfalto della zona dedicata alla popolazione ispanica.

Quando entrammo nella via in cui abitava Isabel, mi lasciò andare la mano ed io potei correre verso la casa della mia amica, con il cuore a mille ed il sorriso stampato sul viso dalla mattina.

Corsi fin quando non scorsi la famigliare treccia scura che, immobile sulla schiena della padrona, sembrava quasi chiamarmi: mi avvicinai lentamente, e pronunciai il suo nome con una punta di timore.

Lei si voltò, gli occhi magnetici fissi su di me.

Era incredibile quanta potenza avesse nei suoi soli occhi… Un solo sguardo, e le barriere mentali e fisiche crollavano, distrutte da una forza sconosciuta ed antichissima.

“C-ciao, Isabel…” Dovetti abbassare lo sguardo per parlarle, emozionata come ero.

Al contrario, lei sembrava perfettamente a suo agio, come se avesse aspettato questo momento da sempre.

“Isabel…” Ripetei il suo nome, stavolta più chiaramente. “Devo dirti una cosa molto importante, che in un certo riguarda anche te… L’ho scoperto ieri, ed anche se tu saprai già tutto, beh… Volevo parlartene, ecco! E’ così bello parlare, non credi?”

“Molto” rispose lei, gli occhi ancora fissi su di me. “Comunque, non so di certo come sono andate le cose, altrimenti a quest’ora ti avrei già congedato, non credi? Ora siediti qua con me e raccontami tutto”

Mi indicò lo scalino sul quale era seduta, ed io, piuttosto titubante, obbedii.

Le rivelai tutto. Tutto ciò che la nonna mi aveva nascosto per anni, e che finalmente potevo raccontare a qualcuno che mi capisse veramente.

Mi soffermai soprattutto sulla natura dei vari angeli, sui loro poteri e sul legame che univa i protetti ai custodi, un legame così forte da non esser spezzato neanche dalla morte di uno dei due.

Lei mi ascoltava, immobile come una statua, talvolta muovendo impercettibilmente la testa, e sbattendo le palpebre come ali di una farfalla.

I suoi occhi si incupirono quando le spiegai l’importanza per un angelo speciale di riconoscere i propri simili attraverso un oggetto di uso comune, principalmente un gioiello od un manufatto artigianale, il quale infondeva un’energia tanto particolare quanto misteriosa, poiché soltanto noi potevamo sentirla.

Per gli ignoranti umani rimaneva soltanto un bellissimo tesoro da custodire.

Stavo per chiederle quale fosse il motivo della sua improvvisa rigidità quando lei tuffò silenziosamente una mano nella scollatura della sua maglietta e ne tirò fuori un monile orientale dall’aria molto raffinata ed elegante, che, nonostante la sua ricchezza di particolari, appariva sinuoso e leggero tra le mani di Isabel.

Mi tese le mani, invitandomi ad osservarlo, ed io rimasi per molto tempo ad ammirare la sua fattura ed il dolce contrasto tra i luminosi rubini e la pelle di ambrata di Isabel.

Era un oggetto senza pari, semplicemente… E più lo guardavo, più forte era il desiderio di afferrarlo tra le mie mani…

Non feci in tempo, poiché la furba Isabel se lo rimise al collo con un gesto fulmineo, lasciandomi con un palmo di naso.

Improvvisamente, però, seppi come comportarmi di fronte al suo gesto apparentemente senza senso: non ero sicura di quel che stavo per fare, ma un senso particolare, distaccato dagli altri, mi diceva che quella era la giusta soluzione.

Con una leggera inquietudine, mi sfilai il ciondolo dal collo, e glielo porsi, come lei aveva fatto con la sua collana.

Dapprima sembrava non dare alcun segno di cedimento di fronte alla mia stupenda catenina, ma poi vidi le sue mani tremanti avvicinarsi sempre più alle mie, nel tentativo di afferrare il gioiello, e fu lì che ritirai le braccia, soddisfatta del mio risultato.

Isabel sospirò lievemente, vinta dalla forza del ciondolo, e posò i suoi profondi occhi su di me: aveva capito, finalmente…

Io la guardai per un attimo assorta, poi le sorrisi dolcemente, ed infine, mossa da un affetto che di umano non aveva quasi nulla, la abbracciai fortissimo, assaporando l’aroma dei suoi capelli ed il solletico della stoffa della maglietta sul mio collo.

Dopo un secondo di stupore, anche lei mi circondò il collo con le sue esili braccia: sentii il tintinnio della sua collana contro la mia, e quel suono, così cristallino, mi annunciò che avevo trovato ufficialmente la mia prima vera compagna.

La bambina, e poi successivamente la ragazza, con la quale avrei condiviso il mio ruolo e combattuto per gli stessi valori, con la quale avrei mantenuto, per sempre, un legame ancor più forte dell’amicizia.

Sorrisi a quel pensiero, e convenni che la mia posizione non era poi così male: avevo trovato una nuova amica, e ne aspettavo ancora due in chissà quale parte del mondo… Insieme, potevamo fare qualunque cosa.

Credevo in me, ed in loro.

Quando mi sciolsi dall’abbraccio con Isabel, la nostalgia mi attanagliò: era così bello abbracciare qualcuno a cui volevi veramente bene!

Ma ormai, non c’era più niente da dire. Se non Buona Fortuna.

Mi alzai dagli scalini polverosi e mi ripulii il vestito dalla fastidiosa ghiaia, prima di salutare Isabel e prometterle che presto sarei ritornata.

Lei mi sorrise, un sorriso quasi impercettibile, ed alzò una mano in segno di saluto.

Per l’ultima volta mi voltai verso di lei, riluttante a lasciarla lì, sola con i suoi pensieri.

Michael, che aveva assistito alla scena, mi porse la sua mano, e mi chiese di non preoccuparmi per Isabel, poiché era una bambina molto intelligente, e sapeva cavarsela perfettamente da sola.

Io sbuffai: anche se la situazione non richiedeva tutta questa leggerezza, il mio angelo custode si stava dimostrando davvero superficiale!

O forse, per lui era diventata ormai una cosa molto normale aver a che fare con piccoli angeli come me ed Isabel, e non dava più molta corda alle nostre parole ed azioni.

Sì, doveva essere così…

Mi decisi a non pensare più ad Isabel quando uscimmo dalla via in cui abitava, e ci dirigemmo finalmente verso casa, un peso in meno nel cuore, ma la consapevolezza di non poter più custodire giustamente i propri segreti e paure. Neanche in esso.

 

“Coff, pant…” *Looney striscia ansante verso Efp, trasportando con sé il suo manoscritto*

“E finalmente…” *solleva con la poca forza che le è rimasta i fogli in alto*

“CE L’HO FATTA!” *esulta, strozzandosi con la sua stessa saliva*

“Non ci crederete, signori… Ho passato ben DUE mesi a scrivere, e ciò che ne è venuto fuori lo potete ammirare qui, subitissimamente! Ma non siete felici?*__* Io sì!” *cerca di alzarsi per parlare meglio, ma scivola su un sasso bastardo e ricade*

“Oh, proprio ora ci voleva!D: non vi dispiace se ringrazio chi devo ringraziare e poi me ne vado? Così siamo felici tutti ù__ù Allora, per prima cosa vorrei ringraziare la mia… fantasia D: Okay, sono seria ù__ù Vorrei ringraziare tutte le care signorine che mi sono vicine e che come al solito mi sostengono, recensendo (?) e dandomi ottimi consigli! Poi, un ringraziamento a parte lo merita la mia cara Rò (GioTanner) che non solo ha recensito tutti i miei capitoli *__* Ma mi aiuta anche a trovare dei titoli stupendi! Grazie infinite, Rò, ti voglio bene! <3

Ah, poi c’è la mia cara Margot (_lullaby) che sta leggendo proprio ora il mio quinto capitolo *coff* Già, proprio il quinto -.-“ E la mia dolcissima e bellissima Ambra *_* (ovvero fall again) che qualche giorno fa mi ha dimostrato il suo apprezzamento =D Grazie infinite, Ambrina <3

Okay, penso di aver finito con i ringraziamenti… Se avete letto e non avete capito qualche passaggio, basta dirmelo ed io vi spiegherò tutto ù__ù

E detto questo, tolgo il disturbo! Tantissimi saluti a tutti *____*

 

                                                                               Looney

 

P.S.:no, oggi non vi farò partecipi del mio dolore per lui .__. La prossima volta, okay? Tanto lui sta sempre lì -.-“

 

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Capitolo 5
*** Fallen Angel (Because sometimes you can't choose...Or not?-Seconda parte) ***


                                                Fallen Angel

 

    (Cause sometimes you can’t choose…Or not?-Seconda parte)

 

Dopo esserci riconosciute a vicenda come compagne, io ed Isabel eravamo diventate ancora più unite che mai: facevamo praticamente qualsiasi cosa insieme, e non ci stancavamo mai di parlare, o di scherzare, o semplicemente di stare sdraiate sul prato del mio giardino ad osservare le silenziose nuvole che formavano ai nostri occhi bizzarre creature.

Insieme ci dimenticavamo del mondo circostante… Addirittura dei nostri poveri protettori, che, nonostante fossero attenti e premurosi con noi, non potevano vietare ad una la compagnia dell’altra, e viceversa.

Michael, infatti, mi disse su questo che se un protettore avesse costretto il suo protetto a compiere azioni che andavano oltre la propria volontà, sarebbe stato ricacciato subito tra gli angeli che ancora non badavano a nessun umano, e molto probabilmente non sarebbe mai più stato scelto.

Questa aspettativa mi terrorizzava moltissimo, non solo perché così non avrei più rivisto Michael, ma anche perché sarei stata di nuovo sola, come tanto tempo prima.

Ora che avevo due splendidi amici, non volevo di certo rovinare tutto con un banale ed apparentemente stupido gesto.

Michael era molto gentile e disponibile con me, ed io cercavo di non approfittarmi della sua infinita pazienza: così, prevenivamo possibili rischi di separazione.

Stavo scarabocchiando sul mio quaderno, Isabel di fronte a me che con la sua manina delicata tracciava linee sinuose le quali andavano a creare un bellissimo paesaggio montano, quando Michael si rivolse a me, con voce divertita ed allo stesso tempo seria.

“Lo sai a cosa stavo pensando, Mike?”

Io mi voltai verso di lui, lasciando la mia povera ballerina senza braccia e senza volto.

“A cosa, Michael?”

“Beh…” rispose lui, una punta di malizia nella voce. “Tu ed Isabel vi siete trovate, ma ci sono ancora due angeli come voi che stanno cercando i loro simili. Sono lontane… Ma una più di dell’altra. E sai perché?”

Avvicinò il suo volto al mio, sorridendo sotto i baffi, mentre io, confusa, socchiudevo gli occhi nel tentativo di capirci qualcosa.

“Io… No, non ho capito. Perché una è più lontana dell’altra…?”

Lui mi osservò ancora una volta e poi sfoderò ancora uno dei suoi enigmatici sorrisi.

“Perché è ancora in viaggio per raggiungere la nostra Terra. Quando sarà nata, la potremmo vedere, dandole il benvenuto affettuosamente, ed augurarle un’esistenza felice e spensierata. Naturalmente non possiamo avvicinarla, poiché ancora non sa bene ciò che le aspetta, ma un piccolo contributo di coraggio non ha mai fatto male a nessuno! Allora, andiamo?”

La matita mi scivolò dalle mani tremanti, e schiusi la bocca in una smorfia che somigliava apparentemente ad un sorriso: naturalmente ero felicissima di poter assistere ad un evento così straordinario, ma Michael l’aveva detto con una tale naturalezza che difficilmente sarei rimasta impassibile!

Mi accinsi ad annuire convinta solo dopo aver recuperato la matita e rivolto a Michael un sorriso rassicurante.

“Beh… Certo che mi va! Ma quando dovremmo andarci?”

“Il giorno e l’ora esatta in cui nascerà, e precisamente…

Michael ci pensò un po’ su, e poi schioccò le dita all’arrivo del ricordo.

“Giusto! Il giorno 8 Ottobre alle ore 22:47! Visto come sono preciso?”

“Ma non è un po’ tardi? La nonna non mi lascerà restare alzata per così tanto tempo!

“Non ti preoccupare, penso io a tua nonna” mi rassicurò Michael, sfoggiando una delle sue espressioni più dolci, che mi fece letteralmente scogliere.

Gli sorrisi, senza un motivo preciso, e poi lo abbracciai forte.

Isabel intanto continuava il suo disegno con estrema calma e precisione, senza dare tanto peso a noi due che ci scambiavamo gesti affettuosi, poiché poteva conoscere tutto ciò che voleva dalla mia mente.

In effetti, poco dopo scansai Michael dalle mie braccia, avvertendo una fastidiosa sensazione che mi attanagliava il cervello, che se ne andò così come era venuta.

Sbattei le palpebre e mi rivolsi alla mia amica.

“Isabel!”

Lei alzò il capo e mi guardò implorante, le guance colorate leggermente di rosso.

“Scusa. Mi sembrava scortese interrompervi”

Lo sorrisi, senza rammarico nel cuore: sapevo quanto fosse dura per lei rinunciare all’utilizzo dei suoi poteri per così tanto tempo, e la leggera svista era dovuta al suo più completo smarrimento.

Senza i poteri si sentiva persa.

“Non ti preoccupare, è tutto passato. Ma la prossima volta avvisami!”

Lei abbassò il capo, nascondendo un sorriso tra la ondulata chioma scura, come a significare che le dispiaceva, e che era molto grata con me per averla perdonata di un gesto non molto carino.

Io non dissi più nulla, limitandomi a sorridere alla sua testa profumata, e mi rimisi sul disegno, stavolta con minor impegno: non ero mai stata molto brava nel disegno, e già saper disegnare una casetta per me era tanto!

Tracciai delle linee che somigliavano molto a delle braccia, quando mi ritornarono in mente le parole di Michael: stava per nascere un angelo come me… E come Isabel.

Un evento più unico che raro, ed io avevo la fortuna di assistervi.

Sospirai sul mio scarabocchio, ed iniziarono a riaffiorare i ricordi di qualche settimana prima: in quella soleggiata giornata di settembre, dopo aver litigato con la nonna ed esser corsa in camera a piangere, la luce aveva illuminato la stanza e mi aveva mostrato il cammino che avrei dovuto intraprendere.

Mi spostai da un gomito all’altro, e sentendo tintinnare la catenina sorrisi ancora: tutto ciò che mi univa ancora al mondo degli umani era quel banale monile di metallo e pietre…

Quant’erano sottili i confini del mondo!

Sottili come il tratto di una matita.

E se questa matita si cancellasse definitivamente? Cosa succederebbe?

“Michael…” Mi rivolsi al riflesso dietro di me con una certa, sconosciuta inquietudine.

“Cosa c’è, tesoro?”

“Si possono annullare le distanze tra il nostro mondo e quello degli angeli? Non esistono punti di passaggio, o simili?

Michael sospirò a quella domanda: molto probabilmente non dovevo neanche fargliela!

“Come mai te ne sei uscita con questa domanda?”

“Così… Me lo sono sempre chiesto”

“Okay…” Michael non sembrava tanto sconvolto dalla mia domanda quanto dal fatto che… Non sapeva come rispondermi!

O almeno, era ciò che ricavavo dalla sua espressione molto eloquente.

“Sì… Esistono, e ne sono anche molti. Ma sono difficili da trovare: di solito si scelgono i posti più nascosti all’occhio umano, oppure così insignificanti da non destare alcuna curiosità. Ad esempio, una volta un tizio si ritrovò nel nostro mondo, senza sapere neanche quale strada avesse preso! In realtà era andato a farsi una tranquilla passeggiata in compagnia del suo cane, ed imbattendosi in una vecchia miniera non aveva esitato ad esplorarla fino in fondo.

Soltanto che quella non era una miniera.. bensì un varco! La sua faccia non appena vide i miei compagni fu qualcosa di incredibilmente forte!

Michael rise a quel ricordo, ed io con lui: non vorrei esser stata nei panni di quel pover’uomo, ma era comunque un’avventura degna di essere raccontata!

Non capitava di certo tutti i giorni di ritrovarsi in un mondo ultraterreno, abitato da riflessi ed anime con il compito di aiutare gli umani e trasmettere messaggi a non finire…

Pensandoci bene, però, gli esseri umani erano circondati da angeli: persone anonime, che si impegnavano discretamente per realizzare i propri desideri, e veder finalmente premiata la loro fatica.

Osservai distrattamente il mio disegno, e mi chiesi se gli obiettivi della gente comune potevano, in qualche modo, sostenere i nostri, così incredibilmente enormi, poggiati sulle spalle di quattro, minuscole persone.

Forse le preghiere servivano proprio a questo… Ad aiutare ed essere aiutati; naturalmente, chi non aveva bisogno di aiuto non aveva neanche bisogno di preghiere.

Isabel, la bambina misteriosa che era accucciata di fronte a me, intenta a terminare il suo disegno, sicuramente non era aiutata da nessuno: i suoi genitori l’avevano istruita perfettamente, e sembrava non aver più alcuna insicurezza.

Così padrona di se stessa, a soli sei anni…

Mentre io… Io ero ancora imperfetta. Una bozza.

 

Dopo un ultimo svolazzo sulla testa della ballerina che voleva rappresentare erroneamente una ciocca di capelli sfuggita dalla sua elegante pettinatura, sbuffai amareggiata e riposi tutto il mio occorrente da disegno in un cassetto: Isabel neanche si accorse del mio gesto, e Michael lo ritenne sin troppo significativo.

Infatti mi ero leggermente stancata di disegnare, e volevo uscire un po’ all’aria aperta, passeggiando per il giardino ed osservare Fernando mentre potava le sue amate piante.

Impieghi di tutti i giorni, noia persistente.

In quei momenti non riuscivo a trovare qualcosa di particolarmente interessante da fare, e perciò mi ritrovavo tra i fiori e le piante autunnali, che da noi crescevano come se fosse estate.

Mi soffermai soprattutto sui gigli, che dolcemente cedevano il posto all’erba comune: bianchi e delicati come nuvole, così puri nella loro ignoranza.

Accarezzai i morbidi petali, e gli sorrisi: anch’io ero come loro, prima di sapere tutto

Per un motivo o per l’altro, i miei occhi si fecero pian piano lucidi, fino a riversare tutto il loro dolore sugli innocenti fiori davanti a me, che inerti sopportavano il mio dolore.

Mi accasciai vicino a loro, e sentii il disperato bisogno di ritornare la bambina felice e spensierata di prima, quella che non doveva badare al mondo intero, quella che era sempre riuscita a cavarsela, in qualche modo, in ogni situazione.

Ora, non riuscivo più a far nulla come prima. Lo dimostravano i miei disegni ancor più astrusi del solito: grigi, senza significato, riflessi di un’anima tormentata e smarrita.

Cercai di ricacciare indietro le lacrime, ma a nulla servirono le mie lotte interiori, e scoppiai finalmente in un pianto liberatorio, carico di tutta l’inquietudine che avevo provato in quegli ultimi giorni.

Non avevo paura di farmi udire da qualcuno, poiché sicuramente nessuno mi avrebbe capito. E chi poteva capirmi era distratto… Lontano.

Alzai gli occhi al cielo, ansimante: lui era ancora più lontano delle noiose nuvole biancastre che impallidivano di fronte all’azzurro dell’infinito.

E l’infinito di certo non poteva impedire alle nuvole di muoversi e sparire dalla mia visuale…

Sobbalzai quando sentii sfiorarmi la spalla, e mi girai di scatto: lui mi osservava preoccupato, sconvolto da quelle lacrime che avevano solcato il mio viso in modo così disumano.

Le sue labbra tremavano nel tentativo di dirmi qualcosa di efficacemente rassicurante, ma non ne uscì che un mormorio sconnesso, accompagnato da un morbido abbraccio, che mi avvolse tutta.

Piansi sulla sua spalla, mentre lui mi accarezzava dolcemente i capelli e mi cullava come se fossi stata una neonata, cercando di trasmettermi tutto il suo calore e la sua comprensione.

Sapeva che dopotutto il suo aiuto era limitato, ma voleva sprecarlo tutto per la persona che ne aveva più bisogno.

Io.

“Non voglio più sentirti piangere, stellina. Tu non devi piangere, mai. Comprendi?”

Annuii, tirando su col naso e continuando a singhiozzare come un rubinetto rotto: ogni giorno ero sempre più debole, soprattutto di fronte alle parole di Michael ed Isabel.

Loro la facevano facile, erano persone molto più forti di me, e questa faccenda non li aveva eccessivamente toccati.

Mi chiesi se un giorno sarei stata alla loro altezza, e non mi sarei più buttata giù inutilmente, come stavo facendo ora…

Ma tutto ciò che uscì dalla mia testa fu un orribile senso di smarrimento.

Ricacciai indietro le lacrime: non volevo farmi vedere così debole da Michael, poiché comprendevo il suo disagio, e sapevo che una sola lacrima avrebbe potuto scatenare azioni incontrollabili e sconosciute.

Singhiozzai in silenzio per molti minuti, finché lui non mi sollevò tra le braccia e mi portò in casa senza dire una parola, ma semplicemente carezzandomi la guancia, e mi posò sul divano, aspettando pian piano che io mi calmassi.

Ci vollero venti minuti buoni prima che ciò avvenne e fui in grado di ritornare nella mia stanza assieme ad Isabel, che per tutto il tempo aveva spiato i nostri comportamenti dalle leggere tendine della finestra, come un fantasma.

Al mio arrivo mi accolse sorridendo lievemente, come era solita fare, e mi chiese di non disegnare più, bensì di parlare: di qualsiasi cosa, mi avrebbe di certo fatto bene.

Fu così che ci sistemammo sul tappeto che prima era completamente cosparso di disegni, ed iniziammo a discutere sui  primi argomenti che attraversavano le nostre teste, e man mano aggiungevamo nuove idee e situazioni, fino a creare una ragnatela infinita di parole, dove noi stesse ci perdemmo, ridendo a crepapelle.

Dovemmo ricominciare da capo, e la faccenda fu più intricata della prima volta, e della seconda, e della terza… Fin quando ci accasciammo sul pavimento, ansimando per le troppe risate che ci eravamo lasciate sfuggire in quei momenti.

Io guardavo sognante il soffitto, dipinto di un dolce azzurro, e sentii la mia mano sfiorare quella di Isabel, che guardava me, totalmente assente, come se stesse pensando ad altro.

Anche se i pensieri di Isabel erano sconosciuti ai molti, e le sue espressioni non lasciavano trapelare nulla.

“Hai un colorito più roseo, ora. Sapevo che parlare ti avrebbe fatto bene”

Mi sorrise, ed io ricambiai.

Il suo metodo anti-depressione mi era ancora sconosciuto, ma avevo constatato la sua efficacia, ed ora potevo dire di essere di nuovo contenta.

Mi capitavano spesso questi momenti “no”, e l’unica medicina per me era inserire un LP o un CD nello stereo, ed abbandonarmi completamente alla musica.

Volteggiando nell’aria, disegnando figure sconosciute con il mio stesso corpo, mi liberava dai mali che opprimevano il mio essere.

Però, dopo l’infantile scenata di quel pomeriggio, capii che l’antidoto migliore alla tristezza non era altri che l’amore.

 

Con un’ultima spinta sulla grondaia sporgente, facendo attenzione a non scivolare sui miei stessi piedi, mi ritrovai avvinghiata totalmente alle tegole rossicce della mia casa, con l’assurda paura di cadere nel vuoto: sotto non vi era altro che l’amato giardino di Fernando e Michael, che osservava molto attentamente i miei movimenti, reggendomi per la vita.

Isabel era salita già da un bel pezzo, utilizzando i suoi poteri, ed ora stava davanti a me, pronta ad intervenire nel caso di una possibile caduta.

Io non osavo muovermi, anche se avrei dovuto: non potevo di certo rimanere appiccicata al tetto per sempre!

“Avanti, Mike, tirati su! Ci sono io a prenderti”

“Non è quello il punto, Michael.. Ho paura di cadere…”

Michael sbuffò sonoramente, preoccupato dalla mia insana fobia del vuoto.

“Anche se tu cadrai ci sarà Isabel a soccorrerti! Dimentichi che è capace di spostare gli oggetti col pensiero? Ecco, saprà spostare anche te!”

“Ma i suoi poteri non funzionano con me: io sono come lei!”

“Oh, cavolo, hai ragione… Beh, questo non toglie che devi salire. Altrimenti non riuscirai mai a vedere la nascita del nuovo angelo

“Lo so, ma ho comunque paura! Vabbè, ora cerco di tirarmi su…”

Mi aggrappai meglio che potei alle tegole, e spinsi con tutta la forza che avevo nelle gambe per tirarmi definitivamente su, in piedi sul tetto.

I miei sforzi mi fecero guadagnare qualche centimetro buono, ma non bastava per essere finalmente al sicuro, così Michael mi spinse per le gambe ed io mi ritrovai distesa sulle fredde tegole del tetto, troppo impaurita per muovermi, con i piedi di Isabel che mi guardavano.

Fui molto stupita dalla sua impassibilità, ma poi sentii porgermi una mano piccola come la mia e, senza alcuna esitazione, la afferrai.

Quando mi alzai in piedi, gli occhi di Isabel scintillavano alla luce dei lampioni ed i suoi capelli erano mossi da una fredda aria autunnale; tuttavia, sembrava non farci minimamente caso.

Anche Michael nel frattempo ci aveva raggiunte, e si congratulò con me per la mitica impresa che avevo compiuto: io, completamente rossa in viso, lo ringraziai con un sussurro emozionato.

Lui sghignazzò amorevolmente e poi ci chiese di accomodarci, perché mancavano solo dieci minuti alla nascita del nuovo angelo, e dovevamo prestare molta attenzione!

Così ci sedemmo ed aspettammo per un po’, scrutando avidamente il cielo, seguendo il percorso di qualsiasi stella ci capitasse a colpo d’occhio: infatti, secondo Michael ogni stella era un angelo presente sulla Terra, e la sua nascita era rappresentata proprio dalla caduta dell’astro.

Questo mi lasciò perplessa, perché per antonomasia le stelle cadenti non sono mai associate alla nascita… Ma ormai ero lì, e cominciavo a non stupirmi più molto.

Quando mancavano poco più che due minuti alla nascita dell’angelo, Michael ci chiese di stare il più attente possibile, cosicché avremmo potuto osservare un particolare che contraddistingueva le stelle degli angeli dalle normali stelle: tra la luce ci sarebbe sembrato di scorgere delle fattezze umane, sotto forma di bambini, ovvero la forma primordiale di ognuno di noi.

Tenni gli occhi ben puntati nella direzione che Michael ci aveva indicato, ed aspettai. Dopo due minuti, però, non successe nulla: niente stelle cadenti, niente bambini di luce, e soprattutto, niente angelo neonato.

Guardai Michael apprensiva, ma il suo volto non seppe esprimermi niente di rassicurante: neanche lui riusciva a capire, e controllava nervosamente l’orologio da polso, lamentandosi sottovoce.

“Eppure avevo calcolato tutto per bene: era proprio questo l’orario… Oh Dio, cosa sarà successo?...”

“Per me l’angelo non voleva nascere ad un’ora stabilità” azzardò Isabel, mentre scrutava il cielo nell’attesa di un qualsiasi segnale.

“Ma è impossibile che accada una cosa del genere! Gli angeli devono attenersi a regole precise, altrimenti il loro compito non servirebbe a nulla!” dissi io, scattando improvvisamente verso di lei: ultimamente, con ciò che mi aveva insegnato Michael, cominciavo a prendere il mio ruolo seriamente, e nonostante alcuni attimi di paura, la mia fermezza sulla situazione era a dir poco spaventosa.

Infatti mi ritrassi subito dopo, comprendendo la mia inutile avventatezza, soffermando lo sguardo sulle tegole rosse del tetto: Isabel parve capire, e voltò di nuovo lo sguardo verso il cielo.

“Hai ragione, Mike… Ma questo si è comportato come voleva

Anche Michael ora guardava il cielo, aspettando un misero indizio sulla presenza dell’angelo, ma solo le stelle ricambiavano la sua ansia. Fredde e bianche come ghiaccio.

Mi chiesi cosa avesse spinto quella creatura di Dio a ribellarsi a delle regole ben precise e giuste: forse non voleva bene al suo Creatore?

Mi sembrava un’ipotesi davvero infondata, ma molta gente, non credendo in Dio, lo scansava e si dedicava ad altri culti.

O addirittura, negava la sua più completa esistenza.

Questi pensieri mi fecero rabbrividire, ancor più dell’aria pungente intorno a me, e mi strinsi nel cappotto, pregando che l’angelo nascesse al più presto, e che le mie paure si dissolvessero.

Così mi sedetti ed aspettai, per l’ennesima volta in quella sera.

Guardammo il cielo incessantemente, ancora per un’ora, sperando in una luce, in un nuovo fuoco…

I rumori della strada sotto di noi attutivano i sospiri ed i colpi di tosse, e ci raddrizzavamo ad ogni brillio del cielo, seppur misero riflesso di divertimenti terreni e menti annebbiate dai piaceri.

Allo scoccare della mezzanotte, cominciammo ad abbandonare la vana speranza di trovare l’angelo e di ritornarcene a casa: Michael, dopo un ultimo sguardo al cielo, chiese a me ed Isabel di scendere dal tetto, poiché ormai era tardissimo, e non potevamo svegliarci tardi la mattina.

Io obbedii riluttante, e mi lasciai scivolare con molta cautela per la scala a pioli che prima avevamo utilizzato per salire, aiutata da Michael.

Isabel chiamò a sé il ramo sporgente di uno dei tanti alberi che crescevano di fronte alla nostra casa, e modellandolo con la mente, lo usò come scala.

La vidi scendere tranquillamente, e provai una profonda fitta al cuore: quanto avrei voluto per una sola volta saper fare ciò che lei faceva con tale naturalezza.

La mia goffaggine non sarebbe più stata un problema.

Ed invece no, dovevo scomodare le persone che mi volevano bene per delle mie minuscole debolezze! Ah, come era difficile essere una bambina che tutti consideravano apparentemente perfetta!

Toccando il suolo erboso del nostro giardino, mi sentii di nuovo me stessa, ed il solo scricchiolio delle foglie sotto i miei piedi mi faceva sorridere.

Michael ed Isabel erano di fianco a me, e tra poco avremmo dovuto riaccompagnare Isabel a casa, poiché non voleva ascoltare le mie richieste: infatti, proprio perché era tardi e per una bambina (ma anche per una donna) era pericolosissimo girare per le strade di Los Angeles nel cuore della notte, le avevo chiesto di rimanere a dormire da noi.

Lei, però, non voleva sentir ragioni.

Fu così che lanciai un lungo sospiro, e decisi di riaccompagnare personalmente la mia amica, ignorando completamente le tremende suppliche e minacce di Michael.

Con un gesto fulmineo, presi Isabel per mano e mi avviai fuori dal cancello di ferro battuto, facendo finta che il buio di fronte a me non ci fosse, e che non mi stesse inghiottendo lentamente.

Proprio quando poggiai il piede sulla prima piastrella del marciapiede dopo il cancello, l’intera via fu illuminata da una luce tenue e chiarissima, che non proveniva sicuramente dalla Terra.

Mi guardai confusa intorno, mentre Isabel aveva già alzato gli occhi al cielo e mi strattonava il braccio per invitarmi a fare lo stesso.

Io, curiosissima, ma anche intimorita da ciò che avrei potuto trovare nel limpido mare celeste sopra di me, seguii per un po’ il riflesso della luce sulla strada, poi alzai il viso per ammirare uno spettacolo unico: una lunga scia di polvere luminosa correva per il cielo ad una velocità costante, dirigendosi verso Nord, ed il suo nucleo palpitante sembrava quasi salutare il mondo sotto di sé.

La osservavo a bocca spalancata, incapace di muovermi: mille pensieri si rimestavano nella mia testa, tutti rivolti a quella creatura che circa sette anni prima ero stata anch’io.

D’altronde, non era semplice credere per me che, alla nascita, ero una sottospecie di cometa che poteva muoversi autonomamente e poteva pensare.

Era meraviglioso, ma allo stesso tempo inquietante.

Durante l’avvistamento dell’angelo e le nostre successive reazioni, anche Michael si era avvicinato, ed ora stava contemplando i mille intrecci che la luce della cometa dipingeva sui tetti delle case e sui lampioni, il suo volteggiare nel cielo e la sua velocità che andava gradualmente ad aumentare con l’avvicinarsi alla sua destinazione.

Sembrava molto sollevato dalla sua apparizione, ma anche incredibilmente dubbioso sulla sua misteriosa nascita: in fondo, aveva ritardato di un’ora e più, ma non aveva subito alcun danno…

Che fosse una creatura del tutto diversa da me ed Isabel, adatta per essere analizzata e studiata a fondo?

Purtroppo non potevo leggere nel pensiero di Michael, e tutto ciò che potei acquisire, lo attinsi dagli occhi impegnati a studiare il cielo e la piccola cometa nata.

Io ed Isabel ci divertivamo a scoprire un viso umano sepolto tra la luce, ma non trovammo nulla se non delle piccole ed insignificanti ombre grigie, riflessi della luce.

Seguimmo l’angelo per tutto il suo percorso lungo la volta celeste, che durò pochi minuti, per poi vederlo tuffarsi con un guizzo verso l’abbondante vegetazione di un promontorio solitario, lasciando dietro di sé alcuni sprazzi di impalpabile polvere luminosa.

Per un attimo, nessuno parlò: gli unici rumori che si avvertirono furono i miagolii dei gatti, della musica in lontananza, probabilmente proveniente da qualche festa mondana ed i rombi delle automobili lungo la grande via principale.

Il primo ad abbassare gli occhi fu Michael, poi Isabel ed infine io, che da quella faccenda ne avevo ricavato soltanto molta confusione ed una gran voglia di rintanarmi sotto le coperte e dormire.

Ero davvero troppo stanca per parlare ancora, e la portata del fenomeno al quale avevo assistito era così grande che mi sarebbe occorsa certamente una notte intera per dormirci e quindi pensarci su.

La soluzione migliore era ritrovarci tutti assieme la mattina successiva e discuterne con calma: sicuramente sarebbe saltato fuori qualcosa! Ora eravamo stanchissimi tutti e tre, ed il sonno non avrebbe che peggiorato la situazione.

Descrissi perciò a Michael la mia idea, e lui fu molto d’accordo, così d’accordo che mi mandò immediatamente a dormire!

Io accettai ridendo, seguita da Isabel, alla quale si era congelato il naso a forza di guardare per aria, e corsi verso la porta di ingresso, con un gran gelo alle mani ed ai piedi.

Il tepore del vestibolo mi accolse con tutta la sua dolcezza, e finalmente buttai il grosso cappotto sulla panca, pregustando la morbidezza del letto e la bella dormita che avrei consumato subito dopo.

Isabel invece non sembrava particolarmente insonnolita, e si mise a giocare con i fiori del vaso vicino a noi, facendomi concludere che il suo interesse per la faccenda era molto limitato.

Sospirai e salii in cameretta per svestirmi, ed intanto un brivido mi percorreva lo stomaco arrivando fino alle labbra.

Quella sera mi sentivo molto in gamba, molto matura… ma anche molto confusa, insicura.

Pensai al mio destino (perché in fondo quello era) ed al modo in cui un angelo come me aveva osato sfidarlo, decidendo la data e l’ora della sua nascita.

La domanda che più pulsava nel mio cuore era: io sarei stata capace di una simile azione? Avrei tradito i miei compagni per puro amore della libertà?

Scossi la testa, decisa: no, ero sin troppo sincera per farlo.

E chiunque avesse commesso quel gesto così sfrontato, non amava noi… Non amava le sue compagne, le sue amiche

E non amava neanche essere un angelo.

 

Isabel scrutava con interesse il contenuto della sua tazza, creando piccoli vortici ambrati ed immergendoci ogni tanto una zolletta di zucchero per ammirare lo spettacolo del quadratino bianco che pian piano, a contatto col tornado in miniatura, si scioglieva e si andava a depositare sul fondo della tazza.

Io quella mattina non avevo molta fame, e mi limitavo a piluccare qualche biscottino alle mandorle di Fernando, sputando le odiose pellicine tipiche dei frutti, che mi si conficcavano con dolore nelle gengive.

Michael leggeva tranquillo il giornale, e non badava alle due bambinette sedute di fronte a lui che, per ammazzare il tempo, si inventavano dei giochini a dir poco deprimenti.

Tutto sommato, non che la giornata fosse molto allegra, e l’entusiasmo della sera precedente era lentamente scemato al mattino, inghiottendo sia noi che lo straordinario scoop dell’angelo perduto, come ormai era stato ribattezzato.

Io pensai immediatamente che la notizia era così stupefacente da non poter esserci alcun commento, neanche la più piccola parola.

Io, che la sera prima ero galvanizzata dalla nuova esperienza!

Ero curiosa di conoscere il nuovo angelo, di trovare nel suo corpo qualche anomalia, di leggere nei suoi occhi il perché del suo gesto avventato…

Dopotutto, non poteva essere così lontano: si era diretto a Nord, e sicuramente il Canada non era un posto molto confortevole per viverci! Noi angeli avevamo bisogno della luce e di molta gente, per poterla poi aiutare con i nostri influssi, proteggendola da possibili cattive idee e soprattutto cattive azioni.

Ma come al solito, non sapevo da dove iniziare.

Sospirai, prendendo un altro biscotto dal vassoio e sgranocchiandolo con piacere mentre Isabel terminava i suoi esperimenti e si fiondava sugli esercizi di sollevamento della tazza vuota davanti a lei, che oscillava pericolosamente in prossimità del mio esile braccio.

Avevo la netta sensazione che Isabel avrebbe perso il controllo sulla tazza e che i pezzi di porcellana frantumata si sarebbero conficcati nella mia carne, quando Michael alzò gli occhi dal giornale e ci osservò con finto disinteresse.

“Allora… Non avete alcuna domanda da pormi riguardo ciò che è accaduto ieri notte?”

Silenzio. La tazza di Isabel volava sopra la mia testa, ed io la guardavo apprensiva, mentre un Michael molto offeso osservava l’intera scena.

Cercò di attirare la nostra attenzione una seconda volta, schiarendosi rumorosamente la gola, ma senza successo.

Esasperato, afferrò la tazza di Isabel, che assunse un’espressione a dir poco terrea e si accasciò sulla sedia, diventando ancora più piccola di quello che era, e la nascose con cura dietro la schiena. Io scattai ordinatamente al mio posto, decisamente spaventata dalla reazione che aveva avuto Michael, e mi promisi di non farlo arrabbiare ulteriormente.

Certo, la faccenda dell’angelo non era un argomento leggero, e sapevamo entrambi che andava discussa con la massima cura, ma quella mattina mi sentivo davvero stanca. Svuotata di tutte le energie della sera precedente, incapace di aprire gli occhi e stare attenta.

Se fossi andata a scuola, il mio comportamento sarebbe risultato inadatto… Ma Michael si stava dimostrando un maestro più esigente di quanto pensassi.

Sbattei le palpebre e mi concentrai meglio su ciò che voleva dirci, anche se la maggior parte delle informazioni le avevo già ricavate da un po’ di tempo.

“Ebbene, questa mattina so per certo che siete stanche (anche se non riesco a capire perché) e perciò non avete voglia di parlare… Vi illustrerò io cosa ho scoperto, e ci penserete su, naturalmente.

Sapete certamente che ognuna di voi ha un protettore, ovvero un angelo che si è offerto di insegnarvi giustamente come vivere su questa terra e seguirvi nel vostro lungo cammino fino alla morte di uno dei due. Di solito questi protettori vengono scelti tra i più grandi uomini del mondo, tutti coloro che hanno saputo trasmettere un messaggio positivo all’umanità: certo, ce ne sono alcuni, come me, che andrebbero subito scartati…” Michael ridacchiò della battuta, e noi lo seguimmo di gusto, ritenendo che fosse impossibile rifiutare una persona buona e dolce come lui, e che se fosse stato così deludente come diceva di essere, a quest’ora avrei avuto un altro protettore!

Quando le risate scemarono e la nostra attenzione ritornò su Michael, egli continuò il suo discorso.

“…Un angelo, però, non può scegliere di essere protettore senza prima aver consultato ‘il grande Capo’! Quindi, ogni secolo tutti noi ci riuniamo e decidiamo chi sia più adatto a questo compito: di solito scegliamo un solo angelo, e successivamente tutti gli altri.

Abbiamo fatto lo stesso anche con voi, certo” sorrise Michael, rivolgendosi a noi, poiché ci aveva viste piuttosto perplesse.

Mi sembrò solo un’impressione, ma quel sorriso non nascondeva nulla di buono.

“Successivamente si arriva ad un punto in cui manca soltanto un protettore, e quindi il corrispettivo angelo: questo è un momento delicatissimo, poiché finalmente il cerchio si chiude, ed i quattro angeli designati iniziano finalmente a vivere. Gli aspiranti protettori rimasti e gli eletti aspettano con pazienza, e non sono ammessi colpi bassi né boicottaggi.

Purtroppo, questo secolo il nostro consiglio ha visto un periodo di preoccupante ansia: infatti non riuscivamo a trovare un ultimo protettore adatto, e chiunque si offrisse poi si rilevava totalmente insoddisfacente.

Eravamo ormai pronti a rivolgerci ad altri angeli più esperti quando qualcuno ebbe la straordinaria idea di rivolgersi ad un uomo, l’unico sulla faccia della Terra che ci avrebbe permesso di far nascere l’ultimo angelo speciale e portare di nuovo amore e felicità tra gli uomini.

Sembrava che tutto stesse andando per il verso giusto… Ma non era così.

Egli non rispose alla nostra richiesta, e neanche a quella successiva, e neanche alle altre che vennero.

Eravamo distrutti. Solo lui poteva salvarci, e ci ignorava!

Un comportamento così non l’avevo mai visto in tutta la mia carriera di angelo, e mi fece perdere la grande fiducia e stima che nutrivo per lui sin da piccolo.

Poi passò un periodo difficile, separandosi dai suoi amici e dalla sua famiglia, creandosi una nuova vita, e la sua indole ribelle si addolcì, permettendoci di ritentare il nostro piano.

Ed a discapito di tutte le cattive previsioni che i più anziani del consiglio si erano divertiti a tessere, accettò la nostra proposta.

I suoi passati tentativi di sfuggire alle nostre richieste, però, produssero nei pensieri del futuro angelo (sì, Mike, gli angeli non ancora nati possono pensare come esseri umani maturi!) idee confuse, contrastanti: così, accecato dal rumore soffocante del suo cervello stracarico di informazioni, si mosse guidato da una forza sconosciuta a tutti, persino a lui, nascendo un’ora e qualche minuto dopo il tempo prestabilito.

Il suo comportamento riluttante ha già allertato i parenti, e sicuramente si adotteranno misure di sicurezza per permettergli di non commettere altri guai e di seguire le regole degli angeli nella più perfetta armonia. Anche se è ancora tutto da decidere…”

Michael si passò una mano sulla fronte sudata, le vene pulsanti attorcigliate alle falangi; nonostante fosse il frutto di una mente variopinta, riflesso di una realtà ormai passata, scorsi delle piccole rughe in prossimità degli occhi, segno che l’animo era turbato.

Anch’io abbassai il volto, preoccupata più per Michael che per quello che sarebbe accaduto di lì a poco tempo: un angelo ribelle era davvero una bella gatta da pelare, soprattutto se ad occuparsene c’erano due bimbette dai visini spaesati, e di certo un solo riflesso non avrebbe cambiato la situazione.

Poverino, come lo capivo! Sentirsi d’un tratto affidare il caso sulle spalle non era il massimo della felicità!

Ma sicuramente io ed Isabel l’avremmo aiutato: anche se non potevamo fare molto, qualsiasi gesto era importante.

“Michael…” poggiai la mia mano sulla sua, così piccola che quasi non si notava. “Capisco come ti senti affranto, ma ora piangere non serve a nulla. Ti aiuteremo noi con l’angelo, e sicuramente riusciremo a trovare una soluzione adatta per tutti. Dopotutto, noi siamo qui per rendere felici gli altri, no?

Le sue iridi scure mi fissavano dolci, urlando tutta la gratitudine che Michael altrimenti avrebbe espresso a parole, e mi avvolgevano totalmente, come il cielo avvolge le stelle.

Mi sentivo incredibilmente soddisfatta della mia opera di rassicurazione, e senza che Michael me l’avesse chiesto, gli buttai le braccia al collo e sorrisi tra i suoi riccioli, mentre lui ricambiava la stretta.

Vicino a noi Isabel, che era rimasta in silenzio per tutto il tempo, giocava con le briciole dei biscotti, divertendosi a creare strane galassie di pasta frolla nella quale orbitavano pianeti di mandorla e cioccolato, e non sembrava assolutamente offesa dal mio comportamento: anzi, si stava divertendo molto da sola!

Solo quando mi sciolsi dall’abbraccio di Michael e tutti e tre ci alzammo per andare a riposare in camera, mi accorsi delle briciole che Isabel aveva lasciato cadere sul tavolo: non erano sparse disordinatamente, ma formavano un disegno.

Sembrava un cerchio… Un sole…

Ma prima che potessi osservarle ancora, Michael mi chiamò per l’ennesima volta e dovetti scappare da uno dei tanti enigmi della mia amica.

 

Salve gente! Allora, avete passato bene questo mese e mezzo senza di me? Scusate davvero per il ritardo ma ho attraversato un periodo di depressione e noia galattico .__. Giuro, per giorni non ho praticamente scritto! Spero che questo capitolo vi piaccia, non ho avuto il tempo di ricontrollarlo e se c’è qualche errore non me lo perdonerei ç__ç Mi dite voi se qualcosa non va bene? A me farebbe molto piacere *__*

Allooooora, visto che nessuno ha recensito il mio precedente capitolo..Non devo ringraziare nessuno, se non me stessa <.<

Il titolo, come sempre, è opera della cara Rò (o GioTanner, come si voglia dire ù__ù) che al contrario di me ha ispirazione per questo genere di cose *maledetta ragazza!D:*

Altri ringraziamenti vanno naturalmente a chi ha letto e mi supporta, alla mia amata matita che non ce la fa più a portare sotto forma di disegni i miei scleri (che forse vedrete anche nella forma scritta xD) e soprattutto i miei pochissimi amici, che stranamente in questo periodo si fanno sentire <3 Vi ringrazio tutti!*_*

Per finire (e direi, sono le undici e mezza e sto morendo di sonno!D:) vi invito a recensire un po’ di più la mia storia, visto che pubblico ma poi nessuno mi da il proprio giudizio! Per favore, siate clementi ç__ç

Ci vediamo, e spero con qualche parolina in più

 

                                                                                            Looney esaurita D:

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** I've read your last page ***


                                      I’ve read your last page  

 

 

 

L’aria fresca di primavera avvolgeva le foglie degli alberi ed i fiori appena sbocciati del giardino, trasportando i profumi e le carezze del vento lontano, fino alle finestre della casa, fino alle persone annoiate ed apparentemente felici che vi abitavano.

Un ricciolo d’aria passò tra i capelli tinti di Fiordaliso, ma lei non ci badò: era troppo intenta ad ascoltare l’uomo (o la sua essenza) seduto di fronte a lei.

Stavano parlando di cose serie, come sempre: mai una volta che si raccontassero qualche barzelletta!

“Come ti ho già spiegato, la situazione è molto complicata: se non troviamo quella piccola peste immediatamente il mondo sarà in pericolo!”

“Ciò non ti impedisce di dire cavolate, Michael: mia nipote rimarrà dov’è, e nessuno, neanche te, potrà portarla via da qui!”

“Ma tu non capisci, Fiordaliso, che se non troviamo l’angelo mancante e lo riportiamo sulla retta via noi tutti saremmo spacciati? Dovrebbe interessarti la sorte del tuo pianeta!

“Sì, mi interessa, ma la vita di mia nipote è più importante

“Oh cavolo… E’ davvero difficile farti cambiare idea

Michael si asciugò la fronte dal sudore, esausto per tutte le parole sprecate con Fiordaliso, parole che non avevano portato ad alcuna soluzione. Quella donna era davvero testarda!

Ritenere sua nipote ancora una bambina incapace di badare a se stessa lo faceva veramente innervosire, ma purtroppo non poteva riprendere in continuazione il comportamento della donna: era pur sempre sua amica!

Sospirò sommessamente, voltandosi verso di lei.

“E non guardarmi con quella faccia da finta offesa!”

Lei sbuffò, decisamente scocciata, ed alzò gli occhi al cielo.

“Senti chi parla”

Lui si limitò a guardarla rassegnato: avrebbe voluto scomparire di nuovo, ma il tempo che si era preso per parlare con Fiordaliso non era ancora scaduto.

Si allontanò da lei, dal porticato, fino ad arrivare ad un cespuglio di rose piccolissime non ancora sbocciate: le ammirò per un attimo, poi si chinò per annusarne il profumo… Ma non scorse altro odore se non quello delle foglie ancora intrise d’acqua per la doccia mattutina.

Alzò il volto, sconsolato: in quella forma poteva approfittare di piaceri umani davvero effimeri paragonati ad una bella dormita o ad una abbuffata, e sembrava addirittura che la natura stessa gli negasse l’essenza di un fiore, o la gioia alla vista dei delicati petali abbandonati nei loro letti verdi e rigogliosi.

Scacciò il dispiacere e puntò il suo sguardo su altre piante, alcune dai fiori già schiusi, altre dall’intenso odore aromatico, che di certo non guastavano al suo povero naso.

Passeggiò per il giardino per circa un quarto d’ora, il tempo di riprendersi dalla piccola litigata e prepararsi a ciò che sarebbe accaduto successivamente: pensava spesso all’angelo perduto, ed alla promessa fatta alle due bambine:“Lo troveremo, e lì ci occuperemo di lui. A quanto pare il suo protettore non è in grado di seguirlo”.

Il pensiero di quel bambino (o di quella bambina) che trascorreva una esistenza misera, circondata da persone che non conoscevano il suo valore, lo faceva rabbrividire: come si poteva essere così crudeli con un angelo?

Oh non voleva più pensarci. Il dolore era troppo…

Inoltre doveva continuare le ricerche; doveva assolutamente trovarlo.

Sospirò, e si diresse verso il portone: Mike ed Isabel erano dentro a giocare, e voleva che Fiordaliso non si impicciasse tanto di una faccenda per lui molto delicata.

Quando oltrepassò la porte ed ebbe messo piede sul primo scalino, scoprì che i pochi minuti che si era preso per apparire di fronte a Fiordaliso erano terminati: qualcosa si mutò in lui, ma dopo fu come se non fosse cambiato nulla.

Non badò neanche ad uno sbigottito Fernando che lo vedeva scomparire mentre trasportava una grande cesta del bucato (pericolante, per giunta) e continuò a salire le scale.

Stava per bussare alla porta della cameretta di Mike quando la mano si fermò a mezz’aria: come l’avrebbe presa? Aspettava da tanto tempo quell’occasione per dimostrare le sue doti di piccolo angelo: per molti mesi si era esercitata insieme alla sua amichetta, che ne sapeva di certo più di lei, ed ora era sicurissima di poter affrontare un’impresa tanto grande come quella di trovare un angelo perduto e donargli l’educazione necessaria alla sua natura.

Ma Fiordaliso era stata categorica: era ancora troppo piccola per badare a se stessa.

Ma in fondo…Se non avesse mai scoperto di essere un angelo, le cose non sarebbero cambiate molto!

Il problema perciò, in qualunque modo si girasse, era sempre lei, la famigerata nonnina.

Piuttosto rincuorato da queste riflessioni, finalmente si decise a bussare e ad aprirgli gli apparve proprio Mike: aveva gli occhi luminosi come il cielo ed a quanto pare non vedeva l’ora di vederlo.

“Ciao, Michael! Hai finito di parlare con la nonna?”

A quella domanda i pensieri di Michael si gelarono: doveva aspettarselo…

Ed ora cosa le avrebbe detto? Non voleva raccontarle altre bugie.

“Oh…Sì, appena qualche minuto fa!”

“E cosa ti ha detto riguardo…Tu lo sai”

“Beh, non che si fosse espressa molto: era confusa, e preoccupata, e stava anche mangiando, e sai come può essere irritante la nonna se la disturbi nel bel mezzo di un’abbuffata…

“E perciò?”

“E perciò…Mi ha detto…”

“Cosa?”

“Ehm…”

Era difficile parlare con gli occhi di Mike fissi nei suoi, quegli occhi che da sparuti stavano diventando pian piano più consapevoli, più belli. Erano proprio quegli occhi che gli impedivano di mentire.

Sospirò togliendosi dal cuore l’affanno, ed acquisendo la forza per dirle la verità.

“Tua nonna non vuole che tu vada via da casa, Mike. Per lei sei ancora troppo piccola, e sai quanto tiene a te, quanto ti vuole bene…

“Non mi vuole bene: non vuole che io salvi l’angelo!”

“Ma cerca di capirla: lei è sola, e sta attraversando un periodo difficilissimo. Per favore, non essere così egoista”

A quel punto lo sguardo della bambina si ghiacciò: si sentiva accusata di un male che non aveva commesso.

Lei non era egoista, pensava a sua nonna… Ma i suoi comportamenti venivano sempre fraintesi.

Possibile che nessuno la capisse veramente?

Neanche Michael, il suo protettore, la difendeva. Avrebbe sempre potuto chiedere aiuto ai suoi compari e manipolare i pensieri della nonna, proprio come faceva Isabel. Sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi problemi.

Purtroppo neanche un angelo era perfetto.

“Pensi che io non la capisca? Che sia così menefreghista da lasciarla sola? No, non l’ho mai fatto, neanche con la mamma! So che loro hanno bisogno di me, ma questo non giustifica la loro risposta

Aveva le labbra contratte nello sforzo di non piangere, e gli occhi gonfi; pronunciava ogni parola come se avesse sputato una pietra conficcata in gola.

Michael la stava a guardare, ormai impotente: voleva avvicinarsi, ma allo stesso tempo voleva darle il tempo per sfogarsi ed urlare quanto voleva.

Intanto i suoi lamenti continuavano, e vide spuntare dalla porta socchiusa uno visino preoccupato: era Isabel, che aveva avvertito la tristezza dell’amica ed era venuta a consolarla.

Dopo un attimo di esitazione passata ad osservare Mike ed il vuoto davanti a lei (dove si trovava lui) le si avvicinò e la abbracciò senza emettere alcuna parola.

I loro corpi uniti formavano una colonna informe, abbastanza forte da sorreggerle entrambe ma troppo debole per contrastare gli attacchi che avrebbero potuto distruggerla.

Michael si ritrovò a pensare, inerte, all’oscuro destino che aspettava le due ragazzine: ora che una piccola anima aveva osato sfidare le leggi del Signore, nulla era più così definito e roseo, ed il compito principale era mantenere una stabilità decente per andare avanti e riportare tutto al suo ordine originario.

Da quanto tempo stavano setacciando il mondo nel tentativo di trovare quell’angelo? Sei mesi? Otto? Un anno?

Ormai aveva perso il conto dei minuti passati ad osservare le varie cartine dei continenti con la speranza che uscisse da quelle pagine stanche qualche misero indizio.

E quel poco che sapevano, derivato ormai dall’esperienza, era tutto inutile…

 

Passò del tempo prima che le acque si calmassero: Mike continuava ad avere le sue crisi di pianto isterico, e sembrava che nulla potesse calmarla.

Isabel diventava ogni giorno più silenziosa; e Michael, l’unico che avrebbe dovuto portare avanti il “progetto”, era sull’orlo del precipizio: naturalmente le bambine non conoscevano i problemi che un angelo protettore doveva affrontare tutti i giorni.

Nella speranza di trovare qualche indizio importante rimaneva tutta la notte sveglio, seduto sul tetto della casa, ad osservare il paesaggio di fronte a lui, interpretando i vari segni che gli si mostravano lentamente davanti agli occhi.

Non sapeva neanche lui come avesse acquisito questi poteri: di solito i protettori non hanno altre qualità se non quelle per cui sono nati, e trovarsi improvvisamente provvisto di nuove capacità lo rendeva piuttosto dubbioso.

Tuttavia, parlando con il protettore di Isabel, aveva scoperto che anche lui era stato fornito di nuovi poteri, proprio per rendere più rapida la ricerca del “furbacchione”, come ormai veniva chiamato da tutti.

Naturalmente, se avessero ritrovato l’angelo, quei poteri sarebbero scomparsi.

Era una strana sensazione, e si stava lentamente abituando; non l’aveva detto neanche a Mike, per paura di una possibile reazione da mamma iperprotettiva quale si stava dimostrando di essere: ogni volta che lo vedeva allontanarsi le sue lacrime avrebbero inondato di certo tutto il piano superiore se Michael non si fosse avvicinato di nuovo a lei, abbracciandola ed accarezzandole i capelli.

C’era da dire che preferiva la bambina sola ma felice di prima, che la piagnucolona e premurosa di adesso! Ma purtroppo, finché le cose non si sarebbero sistemate, neanche il carattere di Mike si sarebbe stabilizzato.

Ad aggravare la situazione della bambina, però, era il peso della famiglia: sua madre stava malissimo, e lei non sapeva cosa aveva.

Lei, la nonna e Fernando le stavano sempre vicino, la curavano e la rallegravano con le loro battute, ma notare i suoi miglioramenti non la aiutava affatto.

Era come se si fosse chiusa in una bolla d’aria impenetrabile, nella quale anche i suoi sentimenti venivano offuscati dal dolore.

Michael, nella sua veste di protettore, purtroppo non poteva caricarsi tutte le ansie di Mike sulla schiena, e provvedeva soltanto (anche se di malavoglia) alla sua educazione angelica: avrebbe voluto far di più, ma il Capo non voleva.

Era stato categorico in questo:

“Nonostante il peso della responsabilità sia grave da portare per un piccolo angelo, l’angelo protettore non dovrà assolutamente aiutarlo né prendere il suo posto. Questo equivale ad una insensata paura del proprio compito, pertanto l’angelo in questione verrà subitaneamente sostituito da un altro più capace e soprattutto meno incline a cadere nella prodigalità di sentimenti.”

Parole dure, che il buon Michael non riusciva più a sopportare: da sempre si era prefisso il compito di aiutare i più deboli, regalandogli tutto ciò che poteva, e privarsi del grande potere che generosamente gli era stato offerto con la sua piccola amica, lo infastidiva moltissimo.

Stanco di farsi del male pensando solo ed esclusivamente a Mike, decise di svagarsi un po’ disegnando forme indefinite nell’aria muovendo le gambe a ritmo di una musica sconosciuta: la danza lo rilassava moltissimo, anche per poco tempo, e sentire il sudore scorrere lungo il profilo del viso per lui era una sensazione stupenda.

Volteggiava sulle tegole rosse, e quando incontrava un ostacolo non esitava a schivarlo con maestria, atterrando delicatamente sul tetto e continuando il suo gioco con il vento.

Non si fermò se non quando fu sicurissimo di essere stanco e di avere il cuore (od un suo simile) pulsante come un motore.

Guardò un attimo le ville di fronte a lui, il limpido luccichio della rugiada mattutina sulle foglie degli alberi, i lampioni che se ne andavano a dormire lasciando al Sole il compito di illuminare la strada e chi vi passava.

Tutto era così maledettamente tranquillo paragonato ai suoi sentimenti che dopo due secondi non ebbe più la forza di guardare niente e decise di ritornare da Mike a farle compagnia mentre dormiva.

 

“Sei sicura di volerlo fare?”

“Mi sembra l’unica soluzione…Se non osiamo, in qualche modo, non ne ricaveremo niente

“Lo so, ma è rischioso. Potrebbero accorgersene, Isabel! E poi, cosa farai? Dove andrai?”

“Ancora non l’ho deciso”

I bei capelli di Isabel ondeggiavano alla luce del sole, come lingue di fuoco nero, mentre raccoglieva alcune pietruzze dal terreno e le sistemava nella sua grande borsa.

Chissà a cosa le sarebbero servite, nel suo lungo viaggio alla ricerca della verità…

Al contrario di me, lei era molto coraggiosa e non le importava cosa avrebbero potuto pensare i suoi genitori quando si sarebbero accorti della sua scomparsa. D’altronde la sua famiglia ha sempre visto il suo come un ruolo nobile, per il quale sacrificare la vita era un vero onore.

Mia nonna non mi ha lasciato uscire di casa per sette anni, temendo il peggio.

Ed ora riesco a riconoscerne le conseguenze.

“Se avrai bisogno di me, ti basterà chiamarmi, ed io arriverò

Riemersi dai miei pensieri: Isabel mi sorrideva enigmatica, come sempre. Ma avvertivo il suo affetto per me, e questo mi rassicurava.

Le sorrisi e le lanciai uno sguardo di raccomandazione: se avessi perso anche lei ingiustamente, non avrei più potuto vivere serenamente.

Lei… era la mia unica amica…

Quei pensieri tristi mi uscirono dagli occhi, dove tutti potevano ammirarli; non era esattamente quello che volevo, ma ormai il danno era fatto.

Mi asciugai il viso con le mani, e nell’alzare la testa vidi che lei si era avvicinata a me, e se ne stava immobile a fissarmi.

Tirai su col naso: ero davvero tanto interessante per lei?

La risposta non si fece attendere, poiché Isabel abbassò lo sguardo e mi lasciò cadere in grembo un oggetto leggero e scivoloso.

Io stupita lo presi tra le mani, cercando intanto di capire perché Isabel aveva compiuto una simile azione ed a cosa mi sarebbe servito quel che tenevo in mano.

Lasciai scivolare le perline del braccialetto tra le dita, ma non arrivava nessuna risposta da loro: erano mute come bolle di sapone.

Poi ad un certo punto Isabel parlò…

“Questo braccialetto l’ho fatto con le perline della mia collana: è un modo per ricordarti sempre di me

Mi guardava e guardava il braccialetto come per invitarmi ad indossarlo; io ero completamente paralizzata dalla felicità!

Non sentivo più le gambe sotto di me, e le mani erano diventate due sculture di ghiaccio, che sorreggevano il gioiello per miracolo, e la bocca tremava come intirizzita dal freddo, anche se il sole ci stava ancora guardando dal cielo azzurro, divertendosi a creare ombre colorate sull’asfalto, riflessi dei miei pensieri che la lingua non aveva la forza di esprimere.

Tentai più volte di ringraziare Isabel, ma quel che uscì dalla bocca fu soltanto un rantolo insignificante. Facevo fatica persino a tenere la bocca aperta.

Notando i miei sforzi, Isabel non disse nulla e mi prese le mani, racchiudendo perciò il braccialetto in un groviglio di mani inestricabile. Non so cosa mi fece comprendere il significato del suo gesto, ma mi calmai anch’io, mentre un fuoco lento saliva in me proprio partendo dalle mie mani.

E lei le guardava, come se ci fosse racchiuso il mondo.

 

Non passarono molti giorni da quando Isabel mi inviò una lettera.

Mi ero svegliata turbata, i frammenti dei sogni ancora vividi davanti ai miei occhi, e mi apprestavo a scendere dal letto quando Fernando aprì la porta tutto trafelato.

“Mike…Mike, ho qui una lettera per te…Non so di chi sia, non c’è scritto niente. Ci sono solo due disegni sopra la busta ed il nome del destinatario…

“Ehi, calmo! Siediti e dammi la lettera, per favore”

“Okay” Fernando mi porse la lettera mentre si accomodava sul letto disfatto, ansimando come un cammello: gli anni cominciavano a farsi sentire anche per lui!

Osservai per bene la busta: c’erano davvero due disegni sopra, ed il tratto mi ricordava molto quello di Isabel. Molto chiaro ed attento ai particolari più insignificanti.

La aprii con cautela e presi il foglio all’interno, così emozionata che mi tremavano le mani, e stavo per iniziare a leggere quando Fernando iniziò.

“Non è che potrei sentire anch’io cosa dice? In fondo mi sono fatto due rampe di scale a piedi per portartela!

Sospirai e acconsentii; in fondo Fernando era uno di famiglia!

Mi schiarii la voce solennemente ed iniziai a leggere:

 

    Cara Mike,

 

      sono in viaggio da parecchie settimane ma ancora non sono riuscita a trovare alcun indizio. Spero che da te vada meglio! Come stai?

Purtroppo prima non ho potuto scriverti perché ero troppo impegnata nella ricerca dell’angelo, e non avevo neanche un po’ di carta a disposizione. Io sto bene, non ti preoccupare.

 

“Oh almeno lei sta bene!”

“Cosa significa? Anche noi stiamo benissimo!”

“Ti stai forse dimenticando di una cosa, Mike?”

“Ehm…Veramente…La lettera non è ancora finita!”

 

 

    “Ultimamente penso spesso a noi due, ed a quanto stavamo bene insieme: chissà per quanto tempo rimarremo divise…

Il compito che ci è stato affidato è sì onorevole, ma molte volte abbiamo bisogno di riposo e di affetto. E’ così per noi come per tutti gli altri esseri umani

 

“Ha perfettamente ragione!”

“Ma scusami, tu che cavolo centri?”

“Volevo intervenire, tranquilla!”

“Ma non è rispettoso nei miei confronti!”

“E dai, non fare l’esagerata e continua”

“Uff, va bene...E’ quasi finita”

 

     “Ora ti lascio, devo continuare a camminare per raggiungere il Nord!

Ricordati sempre che io ti sono vicina, e che se ci saranno novità te le farò sapere in tempo, sempre scrivendoti.

A presto, mia cara amica

 

                                                                                         Isabel”

 

“E’ finita così?”

“Credo proprio di sì, Fernando”

Stringevo la lettera tra le mani, gli occhi vuoti e confusi.

Avrei voluto leggere di più, seguire con attenzione la grafia delicata di Isabel, le sue vocali allungate e gli svolazzi ad ogni fine di parola, le sue scoperte, i suoi pensieri, emozioni e nostalgie; ed infine piangere al momento dei saluti, davanti ad un modesto “A presto” …ed invece mi dovevo accontentare di poche parole scritte con snervante tranquillità e impercettibile rassegnazione.

Non mi aspettavo una missiva così povera da parte di un fenomeno come lei, ma sicuramente la vergogna aveva frenato il suo desiderio di raccontare: prima non si fermava mai davanti ad un ostacolo, schivandolo come un ciottolo sul marciapiede, proseguendo trionfante il suo cammino.

È come se il suo fallimento l’avesse privata di quella silenziosa energia che sentivo ardere in lei ogni volta che mi stava vicino, un’energia che per me sembrava infinita… Ma non lo era.

Ogni cosa aveva un limite, purtroppo.

Ed io, stupida ragazzina, mi ero aggrappata sin troppo a questa energia, senza neanche chiedermi cosa provasse Isabel, cosa sentisse ogni volta che le chiedevo aiuto, rendendola schiava della mia debolezza…

Il foglio che avevo tra le mani iniziò ad inzupparsi di lacrime anormali, gelide: solo ora riuscivo a comprendere il mio errore, e me ne vergognavo profondamente.

Ero sicurissima che non sarei più riuscita a guardare in faccia Isabel da quel momento. Rimediare ormai era troppo tardi, ed una persona come me non ne era capace.

Non avevo di certo torto a considerarmi una nullità…

 

Fumi e vapori di fine giornata si riversavano dalle finestre di casa Villa quando gli abitanti le aprivano per prendere un po’ d’aria.

Certo, l’aria di Los Angeles era quel che era, ma a Katie non dava fastidio più nulla, neanche i gas di scarico delle automobili. Anzi, c’era da dire che la eccitavano.

Da quando aveva ricevuto una bella mazzata riguardo il prezzo della merce, aveva deciso di comprare soltanto nei giorni festivi, quando tutto costava meno, e godersi quegli attimi di felicità offerti dalla sua amica in modo breve ma intenso.

Capitava spesso di vederla intenta ad armeggiare con una siringa nei vicoli bui delle periferie, luoghi proibiti e deliziosi.

Lì aveva conosciuto molta gente come lei: ci aveva scambiato qualche parola, ed anche qualche spinello.

Erano di certo          quei tipi che sua madre avrebbe massacrato a padellate e gettati vivi in una fossa, ma lei ci stava bene, e sinceramente non gliene importava molto dei giudizio della madre.

Ormai quella signora di mezza età doveva pensare alla sua nipotina, e non aveva più tempo per la figlia…

Nonostante l’affetto che nutriva per la madre, a Katie non era mai andata a genio l’idea che Mike dovesse vivere nella bambagia come una principessina, senza neanche scoprire i segreti che quella città sapeva nascondere.

Naturalmente, questa idea era stata di sua madre.

Quella donna che l’aveva educata all’amore ed alla speranza, facendole credere che il mondo fosse tutta un’illusione e che le disgrazie accadano per volere del destino, e che solo i più buoni si potevano salvare da un’esistenza dura ed eterna.

Lei era di altre opinioni, ma Fiordaliso non l’ha mai ascoltata così a fondo da capire quel che veramente la ragazza provava: per lei erano i tipici problemi dell’adolescenza, sarebbe passato tutto.

Ed infatti era tutto andato liscio.

Aveva avuto una figlia dal suo professore di matematica, conosciuto il piacere del proibito prima ancora di compiere la maggiore età e speso centinaia di dollari guadagnati degnamente per il più sporco degli affari.

Sì, era andato tutto bene. C’era gente che se la passava molto peggio di lei, ed al solo pensarci il suo cervello si dilatava fino a creare una voragine di tristezza e solitudine, che inghiottiva tutti i pensieri belli e non la faceva più respirare.

Certo, aveva imparato a sopportare la vita, ma non era ancora riuscita a sopprimere il dolore. Dolore.

Tanta gente non sa cosa significhi dolore… E tanta lo sa fin troppo bene.

Anche le finestre sanno cosa sia il dolore: in un certo senso assistono a ciò che accade in una stanza, e se vogliono lo condividono con altri, come per dire; “Ehi, guardate un po’: c’è gente che soffre dentro questa casa! Perché non fate nulla per aiutarla invece di stare impalati a guardarmi? Io sono solo una finestra e non posso fare un cazzo per loro!

Benedette finestre, come sono modeste!

Katie rimuginò sulle sue idee per un po’: non erano poi così male, anche se maledettamente insensate.

Stette ancora un po’ a guardare il paesaggio, prima di chiudere le imposte di legno della finestra e sprofondare nel buio più assoluto.

 

 

Salve gente! Scusate davvero per il ritardo D: stavolta ho proprio esagerato! Pensavo che non avrei più avuto problemi nell’aggiornare la mia storia, ma adesso mi rendo conto di quanto mi sono sbagliata.

Purtroppo ho avuto dei problemi in questi mesi, sia a livello fisico che mentale, che non mi hanno permesso di continuare a scrivere come volevo.

Per settimane intere non ho praticamente scritto nulla!

Ho riniziato circa un mese fa, e fortunatamente ho quasi finito xD devo solo aggiungere il titolo ai capitoli, ma non sarà un problema, fidatevi!

Vi chiedo infinitamente scusa per questo mio errore, poiché in fondo siete voi, lettori, a darmi ancora la voglia di scrivere: forse in questo periodo riuscirò ad assorbire la vostra forza ed a continuare decentemente il mio lavoro.

 

Pensando ad altro, vi ricordo che sto correggendo la prima serie di “Will you be there”, quindi, chiunque voglia leggere, si ricordi che i primi capitoli sono ancora in fase di correzione, pertanto il livello di scrittura è ancora basso come la mia voglia di alzarmi da questa sedia maledetta .__.

Inoltre, ho notato che ci sono delle incoerenze tra ciò che scrissi molto tempo fa e quello che sto scrivendo adesso: se per caso vi rendeste conto di errori o distrazioni, non esitate a dirmelo! Sarei molto felice di questo, anzi xD (con questo, non voglio dire che non ricontrollo quello che ho scritto: ho la memoria a breve termine, tutto qui xD)

 

Per ultimo, vorrei ringraziare chi ha letto, e soprattutto chi ha recensito! Come natalia, della quale apprezzo le recensioni ed i complimenti alla storia. Grazie mille, mi servono proprio incoraggiamenti del genere!xD

Se recensirai anche questo capitolo, ti prometto di illustrarti ancora meglio la trama della storia :D

Ringrazio inoltre la cara GioTanner per il titolo *_* mi sei sempre d’aiuto, Rò, grazie mille <3 

 

Bene, adesso posso anche andare via D:

Grazie per aver letto questo capitolo, alla prossima! (non vi preoccupate, sarò puntuale u.u)

 

 

 

                                                                                                  Looney**

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Solitudine isn't your destiny ***


                               Solutidine isn’t your destiny

 

 

 

“Accidenti, quanto picchia oggi!”

Fernando aveva ragione: oggi era davvero una giornata caldissima, e neanche eravamo a giugno!

Sentivo l’urlo straziante della vegetazione intorno a me ed il suo insaziabile desiderio di acqua, che però non poteva essere mai soddisfatto appieno: in fondo l’innaffiatoio era quel che era!

Io stavo aiutando il nostro “giardiniere” a prendersi cura delle piante e mi dispiaceva moltissimo che la natura si piegasse all’afa in modo così spaventoso.

Di solito ci sono delle piante che vivono bene al sole ed altre che invece necessitano di molta acqua: il nostro giardino era uno strano miscuglio di piante desertiche e delicati fiori occidentali, che si tenevano appena nei loro esili steli, come bambini malati, stremati dalla sofferenza.

Ma bastava un po’ d’acqua perché il loro splendore potesse tornare.

Stavo giusto innaffiando delle rose fuori stagione quando sentii qualcuno che mi chiamava. Non era Fernando, e neanche la nonna.

Alzai il volto e intravidi, nascosta dalle guglie appuntite del cancello di ferro, una figura famigliare.

Lasciai l’innaffiatoio vicino ai fiori per andare ad aprire alla misteriosa presenza ed avvicinandomi ancora di più scoprii la sua identità: era Sandy, la migliore amica della mamma.

“Ciao Sandy! Da quanto tempo che non ci vediamo!” le dissi mentre aprivo il cancello e la lasciavo entrare.

“Oh ciao Mike! Cavolo, come sei cresciuta! L’ultima volta che ti ho visto eri una bambina”

“Ma non sono passati neanche due mesi…”

“Lo so, ma voi ragazzette di oggi crescete molto velocemente. Guarda un po’, hai già le tette!”

“Ehm, veramente…” Ciò che in realtà Sandy chiamava “tette” non esisteva: al suo posto vi era un rigonfiamento appena accennato sotto la maglietta che neanche poteva chiamarsi seno!

Feci per nascondere le rotondità minuscole, e lei scoppiò in una sonora risata.

“Ma dai, scherzo! Io alla tua età le avevo anche più piccole!”

Mi rivolse uno dei suoi splendidi sorrisi e mi sentii più sollevata; anche se stava scherzando, avevo dei seri problemi di autostima.

Mi vedevo talmente brutta da non guardarmi neanche allo specchio, e gli altri insistevano che ero bellissima e priva di imperfezioni.

Si vedeva che non stavano passando ciò che in realtà stavo passando io. Trattavano l’adolescenza come un periodo di crescita qualsiasi, e questo mi irritava davvero tanto.

Giusto Sandy sembrava provare quel che provavo io, forse perché era stata anche lei una ragazzina emarginata e sin troppo viziata per i suoi gusti.

Alcune volte avrei voluto avere la sua stessa età per lavorare con lei ed essere sua amica. Mi sarebbe piaciuto davvero tanto.

“Comunque, cara…Come sta la mamma?”

Oh giusto, la mamma! Mi ero completamente dimenticata!

E’ impossibile che la sua migliore amica venga a trovarla senza un motivo, no?

“Oh sta meglio adesso, anche se non vuole ancora uscire di casa. E’ un bel problema…”

“Se non se la sente è inutile forzarla; quando sarà un po’ più forte sono sicura che ce la farà!”

Sandy, mia cara, è da cinque mesi che continui a sperare!

“Io non ne sarei tanto sicura..Comunque se vuoi salutarla, ti accompagno in camera sua. Tanto non la disturbi!”

“Va bene, ma rimarrò per poco tempo: non voglio stancarla”

“Prego, allora, seguimi. Sarà molto contenta di vederti!”

Desiderosa di rientrare in casa e vederla senza quell’enorme cappello che la proteggeva dal sole, la condussi lungo il selciato, tra il prato arso dal sole e le foglie ingiallite: quello spettacolo, pensai, accentuava ancora di più la malinconia di fine estate.

Il mio compleanno era passato da circa due mesi ed ancora mi sentivo una bambina, senza tette e con la disinvoltura di un elefante.

Eppure avevo dodici anni.

Dodici anni passati in solitudine, spesso in quel giardino ora in decadenza. E quando pensai che fosse arrivato un po’ di refrigerio nella mia vita, una goccia di felicità…Quella è scivolata imprudentemente via per poi non fare più ritorno.

Ogni estate speravo di essere bagnata ancora da quella goccia, sentire il suo potere rigenerativo in me e ridere felice insieme a lei, ma ormai era inutile aspettare.

Sapevo che non sarebbe tornata prima dell’inizio dell’autunno.

Anche la mamma aveva la sua goccia di felicità personale: si stava togliendo il cappello-parabola proprio ora.

“Oh in casa si sta proprio bene! Oggi è una giornata particolarmente afosa, non trovi?”

“Già, ma ormai sono abituata. E poi a me il sole non brucia, per fortuna”

“Certo, tu hai la carnagione molto più scura della mia! Come Katie…Mi ricordo che mi prendeva sempre in giro perché al mare non mi spogliavo mai, mentre lei poteva rimanere un giorno intero sotto il sole e non si scottava neanche il collo! Che pessimi ricordi…”

La vidi arricciare il labbro e risi anch’io pensando alla situazione: ascoltare da altre persone episodi di vita quotidiana riguardanti mia madre era sempre esilarante! Lei mi aveva ormai raccontato tutto quello che c’era da sapere sulla sua gioventù, e spesso falsava le vicende per farle sembrare più eroiche possibili.

I suoi amici, invece, non avevano alcun gusto nel mentirmi, ed esponevano i fatti nudi e crudi, non solo per sottolineare l’umanità della mamma ma anche per dimostrare che tenevano a lei; riconoscevano i suoi sbagli, le sue paure, cose che lei non avrebbe mai ammesso in pubblico.

Preferiva apparire forte e coraggiosa piuttosto che mostrare le sue debolezze e farsi aiutare da qualcuno.

È proprio quel che capita quando si ammala e tutti cerchiamo di accudirla, ma lei rifiuta qualsiasi aiuto e si rimette in sesto da sola.

Quella volta, però, non ebbe neanche il coraggio di alzare la mano e protestare.

Non riusciva neanche ad alzarsi dal letto, le era faticoso addirittura respirare…

Non guardava neanche fuori dalla finestra, aperta solo per lei; esisteva solo il soffitto.

Io non entravo spesso nella sua stanza, nonostante sapessi quanto le avrebbe fatto piacere, ma quella volta non potei evitarlo: dovevo accompagnare Sandy e sicuramente la sua debolezza non le avrebbe permesso di stare da sola assieme alla mamma.

Una volta aperta la porta, feci molta attenzione a non disturbare la mamma: agitata come era si sarebbe spaventata con tutto quel rumore.

Ultimamente i suoi sensi si erano acuiti, trasformando il fruscio delle lenzuola in un rombo infernale, ed il lieve peso di una piuma in cento incudini. In quanto alla vista, non la usava più: per lei la realtà era un ammasso di impercettibili e frenetiche ombre grigie.

Nel chiamarla per sottolineare la mia presenza, perciò, non dovetti avvicinarmi al suo letto, poiché riconosceva la mia voce perfettamente.

Dal tono con il quale mi rispose era molto felice di vedere me e Sandy, e ne fui particolarmente sollevata: era da tanto tempo che non la vedevo così contenta!

Nonostante ormai il suo viso non esprimesse più sentimenti, si voltò verso di noi e si alzò a sedere sul letto: anche muoversi le era diventato difficile.

Trascinò tutto il peso sui morbidi cuscini e si appoggiò esausta allo schienale del letto, per poi ansimare e chiudere ancora gli occhi.

Quei semplici movimenti le erano costati una fatica immane; avrebbe anche potuto evitarli, ma lei non si riposava mai del tutto, e cercava di apparire molto sollevata.

“Come va, mamma?” le chiesi mentre mi mettevo seduta sul letto assieme a Sandy.

“E me lo chiedi pure? Sono nelle esatte condizioni in cui ero ieri, anche se mi fanno meno male le ossa. E poi ho sete…”

Come al solito, la mamma non si smentiva mai: non era mai abbastanza debole per sdrammatizzare.

“Se vuoi ti porto subito un bicchiere d’acqua, mentre parli con Sandy. Cavolo, da quanto tempo dovete vedervi? Avrete un sacco di cose da raccontarvi!”

“Sì. Tantissime”

E dopo aver sentito l’ennesima battutina ne ebbi davvero abbastanza: un malato non doveva comportarsi così!

Chiesi a Sandy di attendere per qualche minuto e scesi in cucina non solo per prendere l’acqua alla mamma ma anche per lasciare sole le due amiche.

Magari parlando con Sandy la mamma avrebbe smesso di sputare battutine tristemente ironiche sulla sua condizione e si sarebbe un po’ calmata. Quella ragazza dagli occhi vivaci come fronde mosse dal vento aveva un potere così grande che neanche si accorgeva di possedere, e questo mi preoccupava parecchio, ma allo stesso tempo mi confortava.

La mamma era davvero fortunata ad avere una persona come lei al suo fianco.

 

Dopo che Mike uscì dalla stanza, se ne stettero in silenzio per un bel po’: sinceramente, non sapevano di cosa parlare.

Era da molto che non si vedevano, e nessuna delle due aveva subito dei cambiamenti visibili: Katie possedeva ancora quell’aria scomposta che si addiceva ai malati, i capelli appiccicati sulla fronte che formavano piccole onde e si andavano ad incontrare con il sudore, gli occhi socchiusi, le labbra secche come il deserto. Nell’insieme, uno spettacolo abbastanza deprimente.

Sandy invece trasudava salute da tutti i pori: era sempre la stessa ragazza timida e intelligente, con le sopracciglia sottili e le mani sempre curate. L’unico cambiamento radicale verificatosi nel suo aspetto riguardava i capelli, che un tempo ricadevano lunghi e morbidi fino alla vita, ed ora le coprivano appena le orecchie.

Nonostante il dispiacere causato da questa follia, il nuovo taglio le dava un’aria più malinconica, che non le dispiaceva.

Sandy, nonostante le varie fortune che aveva ricevuto dalla vita, era una persona molto pessimista, ma ciò non le pesava affatto: aveva sempre desiderato che nella sua vita ci fosse un po’ di ansia a guastarle i piani.

Odiava le cose facili e ricche di suggerimenti; non aveva mai chiesto aiuto a nessuno e più andava avanti con le sue stesse forze, più si sentiva felice.

Ora come ora, aveva studiato per cinque anni lontana da casa ed era ritornata solo per stare vicina a quella sciagurata della sua migliore amica, che come al solito riempiva di insulti anche il cuscino e non la riconosceva più.

Tuttavia, le voleva ancora più bene di prima. E sapeva che per Katie era lo stesso.

Quella ragazza che stava pian piano sprofondando nel buio più assoluto le voleva ancora bene.

Non poté fermare un sorriso al sol pensiero: allungò la mano verso la fronte della sua amica e le scostò delicatamente i capelli umidi fin dietro le orecchie.

Si fermò un attimo a guardarla: era ancora la stessa Katie, la stessa ragazzina che aveva conosciuto quell’autunno di quattordici anni fa.

La stessa ragazzina che l’aveva conquistata sin dal primo istante in cui il suo viso imbronciato si era voltato verso di lei, rossa come un peperone, per pura curiosità ma anche per lo stupore di aver vicino una figura tanto strana, mentre le foglie vorticavano sulle loro teste, intrise di malinconia, e si andavano a posare sulle piastrelle venate di nero.

Ricordava ancora la loro danza nel cielo prima di accasciarsi al suolo, tra i loro piedi.

Ricordava ogni singola piega della sua gonna che le ricadeva delicatamente sulle gambe magre, scomponendosi fino a formare un piccolo sole blu.

Ricordava anche le sue mani bianche tinte di rosso dall’autunno, e la cartella appoggiata alla panchina di legno scorticato, vicino a quella di Katie.

Ora non erano più sedute una di fianco all’altra.

Non si stavano più riposando sotto gli alberi dopo una dura giornata di scuola.

Non avevano più quei visi rotondi da bambina, gli occhi sin troppo grandi.

Ma Sandy sentiva che quel grande sentimento non era cambiato.

Improvvisamente le sue labbra iniziarono a tremare, desiderose per qualcosa di irraggiungibile. Eppure così vicino.

Come aveva potuto nascondere ciò per tutto questo tempo?

Era stata brava, ma non poteva resistere oltre.

Ormai non era più tempo di fingere.

Si chinò lentamente verso l’angosciante figura sdraiata sul letto, non curandosi minimamente di poter essere scoperta, ma proseguendo semplicemente per il cammino che le indicava l’istinto.

Si fermò a pochi centimetri dal naso di Katie: poteva sentirne il respiro affannoso inondarle le orecchie ed il cuore.

Si ritrasse improvvisamente e scosse la testa: la sua amica stava soffrendo terribilmente, non poteva approfittarsi di lei.

Osservò per poco il suo volto sconvolto ed alla fine, vinta dal desiderio, le diede un innocente bacio sulla fronte. Sembrava stare meglio dopo quel piccolo gesto, e Sandy se ne compiacque.

Sorrise dolcemente all’amica, e si sarebbe chinata ancora su di lei se Mike non fosse entrata improvvisamente nella stanza, portando in mano una caraffa piena d’acqua e dei bicchieri.

“Scusate se vi ho fatto attendere, ma…Ho avuto da fare! Ecco l’acqua, mamma”

Posò un bicchiere sul comodino e versò l’acqua, per poi riempirne uno anche a Sandy, che però rifiutò educatamente l’offerta.

“Non c’è problema, allora, la bevo io” le rispose Mike, un pochino offesa.

Tuttavia sorrise a Sandy, ed aiutò la madre a mettersi seduta sul letto per bere più comodamente.

Trascorse un po’ di tempo con le due donne, prima di scappare di sopra, con la scusa che doveva aiutare Fernando a stendere il bucato; purtroppo per lei Fernando ora era in cucina a chiacchierare amabilmente con Fiordaliso mentre stava sistemando le stoviglie nei cassetti.

Katie non ci fece minimamente caso, troppo occupata a guardare il soffitto. Sandy, invece, seguì Mike con lo sguardo, fin quando la porta della camera non si chiuse dietro di lei.

E proprio in quel momento Fiordaliso scoppiò a ridere al piano inferiore, e Fernando la seguì.

 

Per la fretta stavo quasi per inciampare sulle piastrelle del pavimento, nonostante portassi ai piedi delle solidissime ciabatte antiscivolo, e non mi resi neanche conto di essere arrivata davanti alla porta della mia stanza, per quanta foga ci misi nel rialzarmi e nel ripartire, manco fossi Carl Lewis!

Perciò, la mia seconda caduta fu inevitabile. Il caldo mi dava veramente alla testa!

Mi appoggiai alla maniglia della porta e la aprii, per poi strisciare cautamente dentro la mia stanza.

Mi richiusi la porta dietro, e lanciai un sospiro di sollievo: finalmente ero al sicuro!

Né occhi né orecchie indiscrete avrebbero spiato le mie azioni.

Mi alzai ed andai verso il letto, sul quale avevo lasciato la preziosa reliquia, il motivo per cui mi ero praticamente rotta una gamba ed un piede, e la presi trepidante in mano.

Ero davvero emozionata, nonostante si trattasse di un banalissimo pezzo di carta. Okay, non esageriamo…Quel banalissimo pezzo di carta era una lettera dalla mia cara e preziosa (nonché unica) amica Isabel.

Da molto tempo ormai non mi scriveva più, e soprattutto non avevo ricevuto nuove notizie sull’angelo caduto.

Chissà se la mia geniale amica aveva scoperto qualcosa di interessante!

Presi la lettera in mano, e prima di aprirla notai se ci fossero gli strani disegni che comparivano sempre sulle altre buste: motivi geometrici, spirali, volteggianti cerchi magici, che invadevano la carta da cima a fondo.

Avvertii una fitta al cuore: Isabel era così premurosa che spendeva il suo tempo già scarso per decorare l’intera busta con i suoi disegni, il tutto per far sentire la sua presenza accanto a me.

Sapeva quanto amavo la sua arte, quanto avrei voluto celebrarla…

Strinsi gli occhi nel tentativo di non perdermi in stupidi pianti, e tastai la carta fin quando non trovai l’apertura.

Iniziai a strappare saggiamente la carta ai bordi, facendo attenzione a non rompere il foglio all’interno.

Arrivata nel mezzo, però, mi aiutai con una forcina per capelli, poiché le mie mani erano troppo goffe per continuare quel lavoro di assoluta precisione.

La mia fida compagna riuscì nel suo intento: sfilai la lettera dalla busta martoriata, e la aprii.

Ero così eccitata che per un attimo ebbi la sensazione di non riuscire a leggere la grafia minuta e chiara di Isabel, ma dopo un po’ i miei occhi si abituarono allo spiccato contrasto tra carta e inchiostro, ed iniziai a leggere speditamente.

 

 

“Cara Mike,

 

come stai? So della tua infelicità per la mia mancanza, ma non dovrai soffrire ancora per molto: infatti ritornerò a Los Angeles tra qualche settimana, il tempo per riordinare le mie ricerche e dare un’ultima occhiata ai miei scarsi risultati.

Non sono riuscita a scoprire nulla di nuovo riguardo l’angelo ribelle.

Neanche il mio protettore, Michael, e gli altri angeli non sanno dove si trovi, né cosa stia facendo in questo momento.

È come se fosse lontano dal nostro mondo.

Spero che, quando ritornerò, in tua compagnia riusciremo a trovare nuovi indizi; ormai sei grande, sono sicura che i tuoi famigliari ti lasceranno venire con me!

Inoltre devo parlarti assolutamente di un avvenimento molto importante: devi fidarti, ho scrutato nel futuro attraverso le lingue di fuoco sprigionate da una piuma di avvoltoio rovente.

È sconveniente anticipare ciò che ti dirò, quindi armati di pazienza e stai calma.

Questa lettera arriverà sicuramente prima di me, ma le distanze che ci separano non sono enormi: ritornerò tra qualche settimana, te lo prometto.

Adesso ti lascio, devo continuare i preparativi per la partenza.

Ci vedremo non appena ritornerò.

 

                                                                                                 Isabel”

 

 

Rilessi le ultime righe per almeno cinque volte prima di alzare gli occhi dal foglio e rimanere accecata dal celeste intenso delle pareti, che si mescolava al bianco del pavimento di marmo.

Per un momento mi girò la testa: non riuscivo a capire, però, se era per ciò che avevo appena letto o semplicemente per aver alzato la testa troppo velocemente.

Il mio cervello insisteva per la seconda, ma sapevo che la prima opzione era la più plausibile.

Non osavo credere a ciò che avevo appena letto.

Isabel, la mia amica, la mia migliore amica, era riuscita… A predire il futuro?

Da sempre mi ribadiva che i suoi poteri le permettevano di leggere nella mente di chiunque, di manipolarne i pensieri e di condurre la realtà a proprio piacimento, ma non poteva predire il futuro.

Aveva conosciuto chi era in grado di farlo, ma non era mai riuscita ad imitare le loro azioni, né tantomeno a scorgere qualche frammento di futuro.

Sicuramente la sua scoperta era sensazionale!

Rimasi per qualche minuto a rimuginare sulle misteriose parole della mia amica, fin quando non decisi di ritornare dalla mamma e Sandy per assicurarmi che fosse tutto a posto.

Pensarci mi avrebbe fatto soltanto male, mi avrebbe bruciato le energie e non mi avrebbe permesso di vivere.

Ma nonostante i miei continui lavaggi del cervello, una spiacevole sensazione si riproponeva alla sommità del cuore, costringendomi a fermarmi e a pensare: davvero sarei dovuta essere felice di ciò che aveva scoperto Isabel?

E se fosse stato un avvenimento doloroso?

 

Quel giorno non era poi così bello come lo erano stati gli altri: avevo visto la prima foglia gialla della stagione.

L’estate iniziava a fare le valigie per andarsi a riposare, e ritornare fresca e profumata l’anno successivo.

Io me ne stavo seduta sugli scalini della veranda, con niente di meglio da fare che guardare il cielo.

Nubi bianche come cotone si rincorrevano, scivolavano sul vento, inciampavano e poi continuavano il loro cammino, su uno sfondo azzurro come il mare.

Apparivano così felicemente imperturbabili che mi facevano quasi rabbia!

Sicuramente non sapevano quanto gli abitanti della Terra desiderassero ardentemente la loro felicità; anzi, non gliene importava praticamente nulla.

Erano passate diverse settimane dall’apertura delle scuole: ormai eravamo ai primi di ottobre.

Erano diverse settimane che aspettavo il ritorno della mia amica. Ma non avevo più ricevuto sue notizie, e cominciavo seriamente a preoccuparmi.

Dove era finita? Perché ritardava così tanto? E la sua scoperta sensazionale? Che quella sia stata così sconvolgente da non permetterle di tornare in tempo?

Mi ponevo mille domande, ma non riuscivo a trovare una risposta ad alcuna.

Tutto quel che potevo fare era osservare il cielo, ed aspettare: la mia amica non era una stupida, sicuramente se la sarebbe cavata.

Stavo pensando a quanto fossero dure le assi di legno sotto il mio sedere quando la buffa testa della nonna si affacciò alla finestra del soggiorno e per poco non mi perforò i timpani con una richiesta che poteva tranquillamente dirmi senza alzare la voce.

Voleva che badassi un pochino alla mamma, visto che lei doveva uscire insieme a Fernando per alcune commissioni, e lasciarla sola le sembrava poco umano.

Dopotutto, era mia madre, anche se da molto tempo non la riconoscevo più; dopo la misteriosa malattia, durata sì e no due anni e mezzo, si era un pochino ripresa: si era alzata dal letto, aveva iniziato a vagare per la stanza senza motivo, non la disturbava più alcun dolore e non trovava fastidioso parlare o sorridere.

Tutti quegli improvvisi cambiamenti mi resero molto felice, ma sicuramente la salute ritrovata mutò mia madre in una persona completamente diversa da quella che ero abituata a frequentare: innanzitutto, non voleva uscire di casa, perché aveva paura ad attraversare la strada ed i rombi provocati dai motori la infastidivano; poi, esigeva la compagnia mia e della nonna, in qualsiasi momento della giornata, anche quando doveva andare in bagno; aveva il terrore del buio, e di notte dormiva con la lampada del comodino accesa; le pupille degli occhi, un tempo grandi, erano diventate piccolissime, tanto che non riuscivo più a scorgerle nel marrone profondo dell’iride.

Il suo viso solare e dai tratti morbidi si indurì fino ad incupirsi.

Spesso aveva un’espressione inquieta che addirittura mi intimoriva.

Sembra brutto a dirsi, ma iniziavo ad aver paura di mia madre.

Ogni volta che andavo a farle visita ed i suoi occhi vuoti si posavano su di me, avvertivo un tremendo disagio, che si attenuava soltanto quando chiudevo la porta della sua stanza e la lasciavo sola.

È quel che successe quando quel giorno andai a farle compagnia: stava seduta sul letto a sorseggiare lentamente il the che la nonna le aveva portato poco prima, in pigiama e con i capelli arruffati.

Sicuramente non si era accorta della mia presenza, perché non alzò neanche lo sguardo, continuando a bere meccanicamente la bevanda calda, gli occhi fissi sul pavimento.

Mi avvicinai un po’ preoccupata, e le stampai goffamente un bacio sulla fronte sudata.

“Buongiorno mamma” le dissi.

Lei si mosse intimorita, e le sue pupille mi investirono con tutto il loro gelido calore: aveva gli occhi gonfi di ansia.

Abbassai velocemente lo sguardo, per non far capire quanto in realtà fossi tesa, e buttai lì qualche domandina premurosa.

“Allora, mamma, come stai? Hai freddo? Stai tremando. O forse sei troppo stanca? Cos’è, perché non mi rispondi?”

In effetti, era come parlare ad una statua. Mia mamma era di nuovo scivolata nelle sue ignote riflessioni, ed ogni tanto si ricordava di avere una tazza di the in mano.

Si muoveva così silenziosamente da sembrare un fantasma.

Insistei ancora un po’, fin quando non venni alla conclusione che aveva bisogno di riposarsi e stare da sola.

La nonna mi avrebbe di certo perdonato.

“Ora vado via, mamma. Ci vediamo stasera a cena, va bene?”

La mia domanda si perse nel vuoto, mentre mi alzavo dal letto e raggiungevo la porta.

Stavo per chiuderla quando lanciai un ultimo sguardo alla spettrale figura di fronte a me che un tempo era stata mia madre.

 

Stavo iniziando seriamente a preoccuparmi.

Mia madre non poteva continuare a vivere in quelle condizioni, né rifiutarsi di andare dal medico.

In tutti gli anni che le sono stata accanto come figlia, non l’avevo mai vista con una medicina in mano, anche se aveva l’influenza o il mal di testa, e non l’avevo mai sentita parlare dei dottori e degli ospedali.

Lei odiava gli ospedali sin da quando era piccola, per un motivo altamente sconosciuto sia a me che alla nonna.

Era triste, però, non poterla aiutare a superare il suo malessere, qualunque esso sia stato.

Tutto quel che potevamo fare era aspettare che lei guarisse, da sola; ma non sempre il tempo portava via con sé la malattia.

Me ne iniziavo a rendere conto in quei giorni: ormai la mamma sopravviveva grazie a noi, alle nostre cure, ed i suoi movimenti erano più simili a quelli di un robot che di un essere umano.

Ero davvero inquieta.

Ma non potevo sfogare la mia ansia con niente o nessuno, non serviva a niente.

A niente.

Anche piangere mi sembrava inutile: più inondavo la casa di lacrime più le onde del malessere si infrangevano sul mio cuore, e lentamente lo corrodevano.

Non avevo più punti di riferimento.

Mi sentivo sola, ancora una volta.

 

 

 

Ola gente! Eheh stavolta vi ho fregato: sono riuscita ad aggiornare prima dei sei mesi u.u  spero che siate contenti della mia ricomparsa!

Allora, come procedono le vostre vacanze? Le mie male ç__ç non ho praticamente smesso di studiare dal 30 di giugno! Cioè, ma è possibile? Io, che ero così brava a scuola..ç^ç

Vabbè, lasciamo perdere e parliamo della mia storia.

Ultimamente ho scritto soltanto capitoli di passaggio, saltando nel tempo a più non posso, ma sappiate che dal prossimo capitolo la narrazione diverrà più rapida e non vi annoierò più con Michael, Fiordaliso e Fernando che bisticciano e giocano a chiapparella; le indiscusse protagoniste saranno Mike e le sue amiche, ovvero Isabel e gli altri due angeli che non ancora conoscono.

Cercherò in tutti i modi di rendere avvincente la narrazione, trattandosi di argomenti che riguardano bene o male delle ragazzine adolescenti, ma non vi prometto nulla di buono xD

Bene, ed ora passiamo ai ringraziamenti!

Ringrazio con tutto il cuore , ovvero GioTanner, per il titolo ^^; e poi ringrazio natalia, per essere una lettrice così fedele della mia storia: non immaginavo che potessero essercene ancora!xD

Con questo vi saluto, signori, alla prossima!

 

                                                                                           Looney*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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