Il marchio del fuoco

di Summer Lady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Balla con me ***
Capitolo 2: *** Una lunga mattinata ***
Capitolo 3: *** Anime contorte ***
Capitolo 4: *** Domande, domande e ancora domande! ***
Capitolo 5: *** Rivelazioni ***



Capitolo 1
*** Balla con me ***


Il marchio di fuoco

 

Guida alla lettura: In questo racconto ci saranno due voci narranti, Hikaru e Seth. Per far si che si possano distinguere i due narratori, il brano verrà diviso da tre trattini che indicheranno il cambio di narrazione.

CAP. 1: Balla con me

Le mie scarpe da ginnastica affondavano nella neve fresca ad ogni passo che facevo. Avevo freddo, ma non abbastanza per decidere di tornare a casa, ero ubriaca fradicia, ma non me ne importava, e in più avevo quella fastidiosa sensazione di nausea che mi seguiva da quando avevo lasciato quel locale.
Era stata una lunga serata, avevo fatto molte sciocchezze ma era stata la rabbia a guidarmi, l’odio forse… Eppure non me ne pentivo, mi sentivo liberata! Per una volta avevo fatto tutto di testa mia, non avevo seguito le istruzioni di nessuno, non mi ero fatta influenzare da nessuno. Ero stranamente… contenta!
Giunsi nel parco, non sapendo nemmeno io come. Volevo sedermi un attimo a riflettere su ciò che era successo; intenta com’ero a cercare di centrare la panchina non notai subito la figura che stava proprio accanto a me, appoggiata sul palo di un lampione.
Quando lo vidi capii che c’era qualcosa di strano in lui nonostante il mio stato alterato, a cominciare dal fatto che se ne stava tranquillamente in canottiera e pantaloncini in pieno in inverno! I capelli biondi, non molto lunghi, gli cadevano scompigliati sul volto; lasciando però intravedere il piercing che portava sul sopracciglio sinistro e i vari orecchini che costellavano le sue orecchie. I suoi occhi erano azzurri, di un azzurro veramente ammaliante, seppur molto freddo. Mi colpì inoltre il tatuaggio tribale che ricopriva tutto il braccio e che sembrava continuare sulla schiena. Che strano personaggio!

 

- - -

 

Si era seduta proprio accanto a me e ora mi osservava senza ritegno con i suoi occhi curiosi, mi piaceva nonostante sapessi che era piuttosto disinibita per via dell’alcool che aveva assunto.
Il leggero venticello notturno le spostava i lunghi capelli neri che si sollevavano leggermente per poi appoggiarsi nuovamente sulle sue esili spalle.
All’improvviso la sua espressione curiosa si trasformò in un sorriso sgargiante, come se avesse appena visto qualcosa di veramente meraviglioso. I suoi occhi scurissimi si accesero e lei mosse una mano in segno di saluto. Iniziavo a divertirmi!

- - -


Quell’ incontro mi mise di buon umore e non potei fare a meno di sorridere al giovane che ricambiò il mio sorriso allegramente.
«Freddino questa notte eh?» all’improvviso quel senso di nausea che avevo provato fino a poco prima sparì facendo spazio ad uno splendido tepore, come se avessi appena bevuto una tazza di the e mi fossi seduta davanti ad una stufetta. Una sensazione splendida!
Il ragazzo mi osservò e allargando ancora di più il suo sorriso si sedette accanto a me, come se fosse una cosa del tutto normale. Emanava calore, lo sentivo: era lui la fonte di calore tanto agognata. «Be’ effettivamente preferisco le giornate più calde, però non mi dispiace nemmeno questa atmosfera fredda.» mi guardava negli occhi mentre rispondeva senza batter ciglio. Annuii, per un attimo mi chiesi cosa stessi facendo.. Ero sola in un parco, seduta vicino ad uno sconosciuto. Mi sembrò tutto sbagliato, mi sembrò di essere una sciocca, ma dopo pochi secondi tutte queste considerazioni mi sembrarono vuote e senza senso. Il mio buon senso si era finalmente arreso alle circostanze. Ora iniziava il bello!

- - -

Per un attimo vidi nei suoi occhi un’ombra, come se si fosse accorta di qualcosa. Capii a cosa stesse pensando, stavo cercando un modo per far sparire quelle incertezze quando esse scomparirono da sole e i suoi occhi tornarono allegri e spensierati.
Mi tese una mano sempre sorridendo «Hikaru, mi chiamo Hikaru.» il suo sorriso era veramente perfetto e coinvolgente! «Io mi chiamo Seth.» Ci stringemmo la mano e poi tornammo nel silenzio di poco prima, ma non era un silenzio imbarazzante, era piacevole.
Non potevo più trattenermi, volevo stringerla a me! «Ti va di ballare?» non sapevo come avrebbe risposto alla mia domanda, pensai che si sarebbe rifiutata invece si limitò ad osservarmi, poi si alzò e camminò a passo sicuro verso il centro della piazzola. Mi avvicinai a lei, le presi le mani e iniziammo a danzare.

- - -

Era una situazione piuttosto stravagante eppure era una sensazione così familiare che non mi sembrò poi così strana. Stavo ballando nel mezzo della notte con uno sconosciuto, e mi piaceva! Iniziai a ridere divertita, notando che i miei piedi ora non erano più immersi nella neve. Accanto a me scorsi un alone simile a del fumo, ma molto, molto più bello! Aveva i colori del fuoco, il profumo dei fiori freschi; mentre continuavamo a danzare mi accorsi che le ombre evanescenti erano sempre di più, sempre più grandi ed avvolgenti.
Il vento che ancora accarezzava la mia pelle era diventato una lieve brezza calda che giocava con i miei capelli.
Poi, all’improvviso tutto svanì è torno il gelo della notte: ci eravamo fermati, la nostra danza era finita. Un’ enorme stanchezza si riversò su di me, il peso di una giornata così piena, i postumi della sbornia e la tristezza tornarono alla ribalta tutti insieme sfinendomi. Ora avrei dato qualsiasi cosa per essere nel mio letto, al caldo sotto le coperte..
Guardai Seth e lui mi restituì lo sguardo «Dai, ti accompagno a casa.»
Camminammo in silenzio per una decina di minuti fino a raggiungere la villetta dove abitavo, non gli chiesi come sapesse dove abitavo nonostante avesse sempre camminato stando un passo avanti rispetto a me; mi limitai a sorridergli tirando fuori le chiavi dalla mia tasca e salutandolo entrai in casa.

- - -


La osservai chiudersi la porta alle spalle, l’ ombra la inghiottì e Hikaru uscì dalla mia visuale. Poco dopo osservai la luce della sua camera accendersi e intravidi la sua ombra, poi la luce si spense nuovamente. La immaginai nascondersi sotto il caldo piumino e crollare nel sonno. Immaginai la sua pelle chiara e rilassata, in netto contrasto con la mia carnagione abbronzata. La immaginai baciata della luce della luna.
Rimasi sotto quella finestra per qualche minuto, dopo di che mi avviai verso il parco in cui avevamo ballato fino a poco prima.

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Capitolo 2
*** Una lunga mattinata ***


CAP. 2: Una lunga mattina

Quando mi alzai la mattina successiva mi sembrava che qualcuno avesse preso a calci la mia povera testa, ero disorientata e i ricordi della sera precedente piuttosto confusi.
E se mi fossi sognata tutto? Immagino la scena io, come una povera cretina, che ballavo da sola nel pieno della notte... Davvero fantastico! Effettivamente non mi sarei meravigliata se il troppo alcool mi avesse fatto avere delle allucinazioni, in fondo chi mai sarebbe potuto stare in mezzo alla neve vestito in quel modo?
Scostai le coperte e mi misi a sedere con estrema fatica, un pallido raggio di sole colpì il mio volto obbligandomi comunque a socchiudere gli occhi.
Dopo pochi secondi la porta si spalancò violentemente e mia madre entrò furibonda nella stanza. Mi guardò intensamente come se volesse trasmettermi con quello sguardo tutto il suo ribrezzo. Prima di cominciare a parlare, anzi ad urlare, fece schioccare fastidiosamente per un decina di volte la lingua sul palato. «Dove sei stata ieri sera? Sei un’irresponsabile! Non hai idea di quanto preoccupati fossimo per te!» io alzai lo sguardo, la fissai negli occhi. Quante volte avevo ascoltato i suoi rimproveri in silenzio, tenendo per me tutte le rispostacce che avrei voluto darle. Ma questa volta no, non sarei rimasta in silenzio e non avevo intenzione di farlo più! «Ah si? Eravate preoccupati? Che strano, non l’avrei mai detto! Lo sai ormai sono più di sette anni che ho un cellulare funzionante eppure ieri sera non ho ricevuto neanche una chiamata dei miei preoccupatissimi genitori, neanche un piccolo messaggino, NIENTE!» mi alzai di scatto, pessima mossa, la vista si annebbiò e per un attimo fui sul punto di svenire. Fortunatamente mi ripresi e senza aspettare che mia madre trovasse le parole adatte per rispondermi a tono, presi la mia borsetta, le mie scarpe e uscii di corsa dalla camera e poi da casa.
Meno male che la notte prima ero andata a dormire senza mettermi il pigiama, tenendo invece indosso i vestiti del giorno prima.
Appena chiusi la porta di casa mi ricordai di aver dimenticato di prendere la giacca... Un bel problema, non potevo rientrare ora! Indossavo dei vecchi jeans logori, una T-shirt con disegnati sopra Minnie e Topolino che si stringevano la mano e una felpa che recitava: “come to the dark side; we have cookies”. Ero praticamente pronta per un ballo di gala!
Stranamente quella mattina sembrava essere abbastanza caldo e quindi non sentii molto il freddo mentre mi avviavo verso la scuola.
Arrivai giusto in tempo per il suono della campanella, mi sedetti al mio banco e tirai fuori il mio quaderno degli appunti e una penna blu.
La prima ora era quella di grammatica latina... Una noia indescrivibile, così dopo pochi minuti, come spesso accadeva, emerse la mia vena artistica e iniziai a ritrarre svogliatamente la ragazza seduta di fronte a me. Quando abbozzai i capelli mi accorsi che c’era qualcosa di strano in lei, i capelli biondi erano intrecciati insieme ad un denso fumo nero, e non solo quelli! Tutto il suo corpo lo era... Era inquietante ma allo stesso tempo affascinante. Mi sentii un po’ sciocca quando ripresi il mio schizzo e vi aggiunsi tutti quei nuovi particolari.
La biondina si chiamava Sharon, aveva la faccia di un dolce angioletto, un sorrisino sempre malizioso e un modo di fare da super star. La classica cocca dei prof, all’apparenza perfetta, SOLO all’apparenza però! Era una di quelle che cambiava ragazzi come si cambiano le mutande (ammesso che lei le cambiasse), una persona che giocava con i sentimenti delle persone e per la quale la parola amicizia era un termine più vuoto della mia scatola di biscotti al sale marino che finivo sempre in quattro e quattr’otto.
Mi guardai intorno, Sharon non era l’unica ad essere incatenata tra le ombre, molti altri lo erano. Tuttavia c’erano anche ragazzi avvolti da una luce bianca e luminosa ed altri ancora da una luce piena di sfumature di ogni colore!
A distogliermi dai miei pensieri fu il mio compagno di banco «Ehi! Figo quel tatuaggio!» stava indicando la mia mano sinistra posata sul banco. Sul mio anulare era disegnato un anellino, composto da figure tribali molto simili a quelle sul braccio di Seth.. Oh cavolo!
Vedendomi impallidire il ragazzo accanto a me preferì fingere di non avermi mai chiesto niente e credo che iniziò a trovare il latino piuttosto interessante.
Dal canto mio meglio così. Cercai di ricordare qualche dettaglio riguardante la decorazione impressa sulla mia pelle, ma niente: lo zero assoluto, nada de nada!
Bene, perfetto anzi ottimo direi; il mio sogno da sempre.
E fu in quel momento che presa dal panico mi voltai verso la finestra e vidi Seth che mi salutava con un cenno della mano e con un sorriso incredibile stampato sulla faccia. Be’ fin qui tutto normale, lo salutai a mia volta cercando di mascherare la mia tensione. Dopo qualche secondo capii cosa mi disturbava in tutta questa vignetta e quasi più del tatuaggio... L’aula in cui mi trovavo era situata al terzo piano!!!
Inclinai un po’ la sedia per vedere meglio, forse un po’ troppo perchè persi presto l’equilibrio e rovinai a terra con un gran tonfo. Mi ritrovai una miriade di occhi puntati addosso e sentii sgignazzare più di qualcuno. Si girò anche Sharon che con tono straffottente mi disse: «Oh, povera cara! Cos’è successo? Queste sedie non sono adatte a reggere il tuo peso forse?» la guardai divertita: principiante! «No» risposi «Non credo sia questo il motivo. Infatti se la tua sedia ti regge ancora non credo possa avere dei problemi con me!» Questa volta la classe scoppiò in una sonora risata e Sharon, diventata paonazza, si rigirò di scatto senza aggiungere altro. Ecco queste sono le soddisfazioni della vita!
Anche Seth, ancora appollaiato fuori dalla finestra, rideva divertito. Dovevo parlare con lui! Magari mi avrebbe dato qualche spiegazione, magari sapeva qualcosa.
Finalmente suonò la campanella che indicava la fine della prima ora. Come avrei resistito ancora cinque ore con tutti quei dubbi e perplessità?
Non appena la professoressa della seconda ora entrò in classe le domandai di uscire e mi avviai verso i bagni. Come era accaduto la prima volta che lo avevo incontrato, Seth era appoggiato al muro, intento a guardare nel nulla. Anche questa volta il suo abbigliamento lasciava molte perplessità. Ai piedi portava un paio di anfibi slacciati, i pantaloni, decorati con una fantasia militare, gli arrivavano poco sotto il ginocchio. Questa volta portava una maglietta bianca a maniche corte. Lo osservai un attimo, avrei voluto chiedergli un sacco di cose!

- - -

 

Hikaru mi guardava pensierosa, indecisa sul da farsi. Era stata piuttosto divertente la scenetta in classe, e la faccia di lei quando mi aveva visto fuori dalla finestra era davvero da premio oscar.
Si avvicinò a me lentamente ma con passo sicuro, pronta comunque a fare un balzo indietro all’occorrenza. Mi sforzai a mantenere un’espressione seria anche se era difficile non scoppiare a ridere! La salutai nuovamente e lei si fermò a pochi passi da me, battè le palpebre un paio di volte come se stesse cercando le parole giuste, poi prese coraggio e disse: «Lo sai che siamo al terzo piano vero?» sembrava lo dicesse più per convincere se stessa che per altro. «Si, lo so» la mia risposta non la soddisfò neanche un po’, tornò subito alla carica «Ecco appunto, e tu come ci sei arrivato alla finestra? Chi sei Peter Pan?» Il suo paragone mi fece sorridere «No, io sono meglio!» lei mi schioccò un’occhiataccia irritata, ma poi decise di far finta di niente e di passare al quesito successivo. Mi chiese del mio abbigliamento «Be’ sono un tipo caloroso sai?» la vidi alzare un sopracciglio. Avrei voluto spiegarle tante cose, ma non era ancora il momento. All’improvviso Hikaru sbottò. «Ok, questo è troppo! Va bene l’effetto dopo sbornia, ma qui rasentiamo l’incredibile! Vedo luci intorno alla gente, mi sono fatta un tatuaggio e non me ne ricordo» mi mostrò il disegno «Insomma se l’avessi fatto ieri dovrei avere la pelle almeno un po’ arrossata o che cacchio so io!» si fermò un attimo. Anche quando si arrabbiava era piuttosto carina.
La presi per mano e la accompagnai giù per le scale fino all’atrio. Poi uscimmo dalla scuola, a quel punto lei si fermò.

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Che accidenti stavo facendo? Me ne stavo andando da scuola a metà della seconda ora con un ragazzo che si affaccia alle finestre del terzo piano come se fosse del tutto normale.
Afferrai il braccio sinistro di Seth, quello tatuato, e lo osservai paragonandolo all’anellino nero che stava sul mio dito. Gli stessi segni! «È il marchio del fuoco» Seth mi guardava distrattamente come se la cosa non lo riguardasse più di tanto. Il marchio del fuoco? Che cavolo poteva significare? Ma prima che potessi aprire bocca il ragazzo continuò, questa volta con un’espressione a metà tra rimorso e soddisfazione. «Hai ballato con me, per questo è comparso» Momento, momento, momento.. Quindi era tutta colpa sua??

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Non mi sembrò contentissima dell’idea.. Ok forse avrei dovuto usare un po’ di più tatto, ma ormai era tardi per pensarci! Credo si stesse chiedendo cosa significava tutto ciò e soprattutto chi ero io e cosa volevo. Purtroppo ero vincolato, doveva essere lei a cercarmi, doveva essere lei a darsi le risposte. Io non potevo, anche se avrei voluto. Mi frugai nelle tasche e trovai un bigliettino tutto stropicciato, glielo porsi e lei lo prese un po’ titubante. «Se vuoi delle risposte devi farmi le domande giuste, pensaci e quando sarai pronta vieni da me» dettò ciò mi resi invisibile ai suoi occhi e mi spostai(spostai? appostai?) poco più lontano, volevo osservarla ancora un po’, vedere la sua reazione.
Lei rimase in piedi disorientata, poi si concentro sul foglietto che le avevo dato. Sospirò e si voltò, tornando all’interno dell’edificio.

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Ormai non capivo più niente, ancora una volta le mie emozioni erano terribilmente in contrasto tra loro. Da un lato avevo paura, dall’altro provavo uno strano senso d’appagamento. Non sapevo che fare, come comportarmi!
Appena finite le lezioni sarei andata in biblioteca a fare delle ricerche. Ora come ora sapevo per certo solo una cosa: Seth era la chiave!

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Capitolo 3
*** Anime contorte ***


CAP. 3: Anime contorte

Quella mattina mi svegliai più tardi del solito. Solitamente mi piaceva svegliarmi presto, poco dopo l’alba per andare ad osservare il risveglio della città. Eppure la notte appena passata era stata piena di tormenti e di pensieri angosciosi che mi avevano impedito di riposare come mio solito. Effettivamente dire che io dormissi non era esatto, rimanevo in uno stato di dormiveglia che però distendeva i miei muscoli e faceva riposare la mia mente. Ma quella notte no! Nella mia testa c’era solo lei, con il suo sguardo intenso e con il suo sorriso spaziale.
Rimasi disteso sul letto, osservando il soffitto ancora immerso nei miei pensieri, quando qualcuno bussò alla porta della stanza. Poco dopo il viso di Scarlet Rose fece capolinea da un’anta socchiusa. I capelli biondissimi, quasi bianchi, le pendevano sulla spalla, tenuti insieme da un fiocchetto fatto con del nastro rosso bordeaux e il lungo abito che indossava era del medesimo colore del fiocco. La ragazza entrò nella stanza per poi fermarsi davanti al mio letto «Lo sai, ogni tanto vorrei proprio riuscire a capire cosa c’è nella tua testa, sapere a cosa pensi..» mi voltai ad osservarla e lei sostenne senza problemi il mio sguardo. «So che non vuoi parlare di queste cose con me Seth, e ancora non capisco il perchè, ma in ogni caso vorrei riuscire ad aiutarti!» rimasi in silenzio per qualche secondo, poi mi alzai «Non puoi aiutarmi Rose, e comunque non ho bisogno dell’aiuto di nessuno. Non ti preoccupare».
Aprii l’armadio che si trovava in un angolo dell’ampia camera e ne tirai fuori una maglietta nera con disegnati sopra alcuni personaggi di un manga piuttosto popolare. La indossai e tornai verso il letto. «Vedi c’è una ragazza... Lei ha qualcosa in più...» Rose mi guardò perplessa «..e come fai a saperlo? Se è una mortale non montarti la testa; sono tutte uguali, nessuna è immune al nostro fascino.» sospirò chiudendo gli occhi come se credesse che tutti i problemi che si stavano affollando nella mia testa non fossero altro che sciocchezze. «Abbiamo ballato...» a quel puntò l’espressione della giovane cambio improvvisamente, si incupì visibilmente e si mise ad osservarmi come se le avessi appena confessato qualcosa di incredibilmente disastroso «Avete fatto COSA?» «Ballato Rose, ballato e lo sai cos’è successo? È apparso! Il marchio del fuoco è apparso! Capisci cosa vuol dire?» lei si alzò di scatto «Tu non capisci in che guaio ti sei cacciato Seth! Sei veramente uno stupido!» feci per ribattere ma lei girò i tacchi e se ne andò sbattendo la porta. Era arrabbiata forte.. In un certo senso era comprensibile però sapeva come me che era l’unica possibilità che avevamo per salvare la nostra stirpe, l’unica che poteva veramente far tornare il fuoco potente e ardente come lo era stato una volta.
Questo però, solo se fosse tornata da me... Era questo che mi tormentava! Hikaru sarebbe tornata? Sarebbe venuta a parlare con me?
Infilai ai piedi un paio di vecchie All Star e mi avviai verso la porta, prima mi aprirla mi fermai e tornai indietro fino al lato opposto della stanza, dove due imponenti ante si stagliavano quasi fino al soffitto; erano piuttosto massicce, per una persona comune sarebbero state impossibili da aprire. Erano di un bianco immacolato, intervallato soltanto da macchie di colore che rappresentavano maestosi e ammalianti fuochi. Sfiorai con le dita la piccola sfera rossa che si trovava al centro di quell’opera d’arte. Questa si accese facendo diramare intorno a sé i simboli del fuoco. Le ante si schiusero lasciando spazio ad un magnifico specchio, contornato da diversi intarsi, anch’essi rappresentanti splendide fiamme.
Osservai la superficie liscia e perfetta e come al solito osservai la figura catturata al suo interno. Non rifletteva me. Quello specchio non aveva mai riflettuto chi gli si poneva davanti, rifletteva invece la figura di una giovane donna, che sembrava incatenata sul fondo del mare. I suoi capelli, colorati di un rosso acceso e vivace, fluttuavano nel liquido che circondava la ragazza. I suoi occhi erano chiusi e la sua espressione indecifrabile. Si limitava a muoversi leggermente come sospinta da una dolce corrente.
Quell’immagine era allo stesso tempo incredibilmente affascinante e incredibilmente straziante. Mi allontanai di qualche passo e le ante si richiusero sullo specchio. «Ti tirerò fuori da lì, è una promessa!» detto ciò uscii dalla camera e mi avviai verso la città.
Camminavo in silenzio tra la gente, non volevo essere notato, volevo solo sentire la vitalità tipica del viale ora innevato. Le piccole bancarelle che sorgevano ai lati della zona pedonale erano ormai già tutte aperte. Alcune persone si fermavano ad osservarle distrattamente, altre invece ,troppo prese dai propri pensieri, ci passavano oltre come se non esistessero. A quell’ora lungo il viale alberato si vedevano solo anziani e impiegati che correvano a lavoro, gli studenti erano già tutti nelle scuole. Il brusio che c’era in quel luogo mi era incredibilmente familiare, infatti era da molti anni che percorrevo la mattina presto per poi giungere al parchetto che sorgeva poco più in là.
Quando vi giunsi il piccolo spazio era deserto. La neve fresca aveva ricoperto gran parte delle superfici e l’unico suono che si sentiva era il canto mattutino di qualche uccellino in cerca di cibo. Mi sedetti sulla stessa panchina sulla quale, qualche giorno prima, si sedette Hikaru. Mi osservai intorno, senza guardare niente in particolare fino a quando non notai un bambino che correva felice sprofondando ad ogni passo nella neve fresca. Rideva girandosi ogni tanto nella direzione di una vecchia signora che si era seduta su una panchina poco distante, probabilmente la nonna. Lo guardai un po’ mentre continuava a lasciare dei solchi sulla neve immacolata.
Dopo qualche minuto decisi di andarmene da qualche altra parte e mi misi in cammino. Avanzavo senza una meta precisa, o almeno così credevo. Infatti poco dopo mi ritrovai davanti ad un edificio familiare: la scuola di Hikaru. Vi entrai senza pensarci troppo e raggiunsi la sua aula. La porta era aperta e potevo sentire chiaramente una voce femminile che spiegava concitata una poesia di Leopardi. Il clima di noia che regnava all’interno della classe era ben percepibile. Molti studenti sghignazzavano tra loro, altri avevano la testa posata sul banco e si trovavano in una situazione di dormiveglia altri ancora erano intenti a scribacchiare su fogli e diari.
Finalmente la vidi. Era seduta in un angolo, nell’ultima delle quattro file di banchi. Non faceva nulla di particolare, aveva il capo posato su una mano ed un’espressione annoiata dipinta sul viso.
Per un secondo ebbi la sensazione che mi avesse visto, ma non era possibile; al momento ero invisibile ai suoi occhi. Lei prese un pezzo di carta e vi scribacchiò sopra qualcosa. Mi avvicinai per leggere:
Ciao Seth! Rimasi di stucco. Aveva scritto proprio a me! Lei notò la mia espressione confusa e riprese a scrivere. Come immaginavo posso vederti solo io… Posso anche sentirti? Le risposi di si ad alta voce ma nessuno a parte lei mi sentì. Sono andata in biblioteca ieri, a fare delle ricerche: su di te. «Trovato qualcosa di interessante?» conoscevo già la risposta. No, solo qualche stupida leggenda su esseri fatati ma nulla che mi sembrasse veramente legato a te. Sorrisi, se non altro non trovava la mia presenza indifferente. Era un buon segno. Lei mi sorrise a sua volta e scrisse di nuovo sul pezzo di carta. Dovrei essere arrabbiata con te, per questo intendo. Mi indicò il marchio sul suo dito. Ma non lo sono! Questo simbolo mi piace, mi piace come è fatto e mi piace la figura che fa sul mio dito anche se ancora non so bene cosa rappresenti. Le piaceva! Il marchio le piaceva, nessuno aveva mai detto una cosa del genere! Ero al settimo cielo.
Ora non ti montare la testa però! Ridacchiò, e tirò fuori dal diario un secondo pezzo di carta ci scrisse sopra qualcosa e me lo porse. Era un numero di cellulare il suo immaginai. Così possiamo sentirci in ogni caso. Sempre se ti servisse qualcosa di DAVVERO importante. Socchiuse gli occhi e portò il dorso della mano sotto il mento come se volesse nuovamente sostenere il capo. Ah che ragazza complicata!

- - -

 

In questi pochi giorni ne erano capitate di cose strane…E ora mi chiedevo perché avevo dato il mio numero ad una persona che tutto sommato rimaneva per me comunque un’estranea. Che cosa sapevo di lui? Il nome, si e poi? Che… volava, o qualcosa del genere? Ottimo praticamente niente d strano.
Tante cose in quel periodo erano piuttosto anormali, ad esempio mi sarei aspettata una bella punizione dopo la rispostaccia che avevo dato a mia madre l’ultima volta, lei invece si era limitata a fare come se niente fosse, quasi come se non esistessi quando invece, fino a pochi giorni prima, non avrebbe perso occasione per ricordarmi quanto io sia stupida e insulsa in confronto con la mia adorabile e perfetta sorellina. Certo lei era entrata in un’università prestigiosa, aveva sempre ottenuto ottimi voti, non si era mai cacciata nei guai e non aveva sgarrato nemmeno una volta nel suoi 24 anni di vita. Certo ne sarei stata capace anch’io se non avessi avuto l’ombra di una vita sociale, di un vero amico e di altre cose che fanno di un adolescente un adolescente.
Seth si era seduto a terra, giusto dietro di me e fingeva di ascoltare ciò che la prof tentava di spiegare. Avrei voluto porgergli tantissime domande ma era come se sentissi di dover trovare sola le risposte che stavo cercando.
Sentii vibrare il telefono nella tasca dei jeans. Lo tirai fuori furtivamente e aprii il messaggio che mi era appena arrivato: numero sconosciuto.
Solo per curiosità Hika.. Ma quindi vedi anche le loro anime?
Immaginai che fosse Seth e iniziammo così una lunga discussione via sms.

  • Dipende da cosa intendi per anime…
  • Hai detto che vedi delle luci intorno alla gente.
  • Yes, luci tutte diverse tra loro e poi ultimamente… Vedo altro… Qualcosa che non saprei spiegare, è come se vedessi le loro intenzioni, quello che li turba. Come se vedessi un’altra persona completamente diversa da come l’ho sempre vista.
  • Wow! Non credevo che la tua vista avesse già sviluppato questo livello di visione.
  • Mmm.. ma è un male??
  • Be’ no, ora saprai da chi guardarti veramente.
  • Ah certo come no! Seth alcune persone sono davvero mostruose! Sono.. sono.. non saprei come descriverle!
  • Molte persone rimangono legate tutta la vita a dei traumi subiti e ciò condiziona molte cose nella loro esistenza a cominciare dalla loro anima. Essa viene corrotta e distrutta pian piano, pezzo per pezzo.

Parlare di queste cose mi metteva i brividi! Mi arrivò un altro messaggio:
La cosa peggiore è che le persone di questo tipo non sanno, non capiscono che c’è qualcosa che non va, finchè non commettono qualcosa di terribile! Spesso voi umani identificate tutto ciò con la pazzia anche se in realtà non è proprio di pazzia che si tratta.
Un brivido freddo mi salì su per la schiena e il sangue mi si gelò nelle vene.
Finalmente il suono della campanella segnò la fine delle lezioni. Buttai velocemente tutto ciò che avevo sul banco nel mio zaino e mi avviai verso la porta dell’aula, seguita a ruota da Seth. Una volta fuori lui si rese visibile a tutti e camminammo fianco a fianco in direzione di casa mia.
Giunti di fronte ad essa ci fermammo. «Ti farei salire però i miei non te lo permetterebbero» era vero… Lo salutai con un cenno della mano e un sorriso. Lui ricambiò e fece dietro front, allontanandosi a passo sicuro.
Salii le scale di casa e arrivai nella mia cameretta, posai lo zaino sulla scrivania e tirai fuori il cellulare per rileggere ciò che mi aveva scritto Seth. Come la prima volta un brivido mi salì per la schiena. Che fastidiosa sensazione!
Passai la giornata senza fare niente di particolare. Feci solo una ricerca sul nome Seth ma non mi fu molto utile. Scoprii solo che il suo nome poteva essere interpretato in due diversi modi: secondo gli ebrei Seth aveva il significato di “eletto, prescelto”, tuttavia il nome Seth apparteneva al dio egizio del caos e veniva inteso come “bagliore, luce accecante”.
Certo di confusione me ne stava creando abbastanza, però non vedevo come questo potesse aiutarmi.
Guardai l’orologio, era ormai tardi. Spensi il computer ed andai a preparare la borsa per allenamento. Ero pronta, ma l’autobus sarebbe passato solo tra una mezz’oretta. Mi sedetti sul letto e presi in mano il cellulare. Avrei voluto sentire nuovamente Seth, ma non avevo idea di che scrivergli... Stavo quasi per lasciar perdere poi alla fine mi feci coraggio e gli scrissi: Ehi, ciao! Senti se non hai niente da fare che ne dici di accompagnarmi ad allenamento? Ho il bus tra una mezz’oretta..
Seth mi rispose immediatamente: Ma certo! Sarò da te tra dieci minuti! A dopo :)
Ero contenta, stranamente contenta!

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Corsi per tutta la strada e arrivai sotto casa sua come promesso entro dieci minuti, lei era già davanti alla porta che mi aspettava. Portava un cappotto sopra ad una tuta nera e un paio di scarpe da ginnastica. Adagiato sul braccio portava un borsone sportivo, i suoi lunghi capelli,legati in una treccia, le pendevano oltre la spalla sinistra. I ciuffetti ribelli erano stati bloccati con alcuni fermagli colorati.
Appena mi vide si avvicinò a me sorridendo. «Grazie per essere venuto! Sai non avevo molta voglia di farmi la strada da sola...» le sorrisi allegro «Tranquilla, è un piacere per me» e lo era davvero! Ci avviammo verso la fermata dell’autobus che arrivò poco dopo il nostro arrivo. Trovammo due posti a sedere più o meno a metà bus, eravamo in silenzio per un po’, dopo di che le domandai che tipo di sport praticasse: «Pallavolo, gioco a pallavolo praticamente da sempre» pallavolo eh? Questo sport mi aveva sempre incuriosito, avevo visto qualche partita alla televisione, ma non avevo mai visto qualcuno giocare dal vivo. «Tu pratichi qualche sport invece?» la osservai un secondo, sembrava veramente interessata. «No, almeno non con una squadra o qualcosa del genere. Qualche volta faccio qualche tiro a canestro ma niente di che.» lei annuì. Per un attimo mi sembrò pensierosa, si voltò verso di me e mi domandò se l’indirizzo sul foglietto che le avevo dato fosse quello di casa mia. «Certo, perchè me lo chiedi?» «Curiosità... Be’ magari domani potremmo, che ne so, pranzare insieme e parlare di... si ecco, “cose serie”» arrossì leggermente, lo notai anche se lei cercò di nasconderlo abbassando lo sguardo. «Si, perchè no! Possiamo fare a casa mia che ne pensi?» «Ok, non mi sembra una cattiva idea. Ah, questa è la nostra fermata!» scendemmo dall’autobus e raggiungemmo la palestra. «Grazie per la compagnia allora! Ci sentiamo per domani ok?» «Perfetto!» la salutai dandole un bacio sulla guancia. Lei arrossì violentemente e mi salutò frettolosamente per poi correre all’interno della struttura.
Diventai invisibile e entrai nella palestra. Mi sedetti sugli spalti e osservai per un po’ l’allenamento. Hikaru era veramente bellissima nonostante il sudore che le colava dalla fronte. Si impegnava molto nell’allenamento, come se non le importasse d’altro. Mi sentii in colpa a spiarla così e quindi decisi di andarmene.
Mi avviai verso casa, dovevo pensare a come organizzare il pranzo. Volevo che fosse perfetto. Ordinai un po’ camera mia e scelsi cosa preparare. Non ero un granchè come cuoco ma comunque sempre meglio di niente…

- - -


Finito l’allenamento mi feci velocemente una doccia e uscii dalla palestra in compagnia della mia amica Lara. Lei era un anno più grande mi me e aveva già la macchina e si offrì di darmi uno strappo a casa. Accettai volentieri visto che era già buio pesto e l’autobus sarebbe passato solo tra una quindicina di minuti. Uscivo spesso con lei, mi piaceva la sua compagnia. Era una persona semplice e piena di energia.
Le chiesi di non lasciarmi davanti a casa perché mia madre si arrabbiava se mi facevo portare in auto.. Paghiamo l’abbonamento all’autobus perché tu lo usi, non per farti portare sempre in auto. Era così che dicevano…
Lara mi lasciò a metà strada tra il parchetto e casa mia. La salutai e mi avviai a passo lento verso la villetta. Mi sentivo stranamente osservata, mi girai più volte senza però vedere nessuno. Eppure quella strana sensazione continuava a venirmi dietro.
Mi fermai e osservai la viottola deserta che stavo percorrendo, stavo iniziando a pensare che mi fossi solo sognata tutto quando nell’ombra vidi una sagoma. Strinsi gli occhi per vedere meglio ma l’unica cosa che riuscii a distinguere furono due occhi rossi come rubini che mi fissavano intensamente. Venni assalita dalla paura, la sagoma si avvicinò stando sempre attenta a rimanere nell’ombra. Non potevo proseguire verso casa, avrebbe potuto prendermi. Mi voltai di scatto e presi a correre in direzione del parco. Ero spaventata. Di quella figura non ero nemmeno riuscita a vederne l’anima… Forse era questo che mi faceva più paura.
Correvo come una pazza nonostante fossi già piuttosto stanca per via dell’allenamento, non sapevo dove andare e la sinistra figura era sempre a pochi passi da me. Continuavo ad inciampare, a fare slalom tra la gente che sapevo non avrebbe potuto aiutarmi.
Ad un certo punto misi in piede in un avvallamento del terreno e stramazzai violentemente a terra. Mi rialzai velocemente, buttando una veloce occhiata alle mie spalle. Quegli occhi erano sempre lì, non li vedevo ma li sentivo. Li sentivo indugiare sulla mia pelle, li sentivo scrutarmi dentro. La mia paura continuava ad aumentare.
All’improvviso mi venne in mente l’indirizzo che mi aveva dato Seth. Però al momento non sapevo esattamente dove mi trovassi, così sbirciai le indicazioni delle vie e trovai la strada giusta solo per un colpo di fortuna. Arrivai davanti ad una villetta isolata dalle altre e giunta al portone mi attaccai al campanello come un ossessa. Rispose una voce scocciata che sembrava appartenere ad una ragazza. «Per favore aprimi!» non sapevo che dire «Seth, cerco Seth!» «Seth? E tu chi saresti?» mi voltai e vidi l’ombra avvicinarsi, le lacrime mi salirono agli occhi e la mia voce divenne incredibilmente piagnucolosa «Hikaru, sono Hikaru! Per favore, per favore aprimi…» l’essere era ancora più vicino, troppo vicino. Poi all’improvviso, quando ormai mi aspettavo di vedere il volto del misterioso assalitore di fronte al mio, la porta si aprì e io vi entrai di corsa finendo dritta tra le braccia di Seth. La tensione era al massimo e sentendomi ora al sicuro mi lasciai andare al pianto che fino a poco prima ero riuscita a trattenere.

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Capitolo 4
*** Domande, domande e ancora domande! ***


CAP. 4: Domande, domande e ancora ancora domande!

Hikaru era tra le mie braccia, visibilmente sconvolta. Piangeva tenendo il volto nascosto tra le pieghe della mia maglietta, le lacrime bagnavano il tessuto colorato. Le sue braccia mi stringevano a lei e dovetti sostenerla quando le gambe le cedettero definitivamente. La feci delicatamente sedere al suolo accarezzandole i capelli e cercando di rassicurarla come meglio potevo. Mi si spezzava il cuore a vederla in quello stato. In quella piccola figura rannicchiata non c’era niente della Hikaru che conoscevo, sembrava una bambina, piccola e indifesa. Notai che aveva un ginocchio sbucciato e le mani graffiate, un chiaro ricordo di una caduta recente.
Scarlet Rose la stava osservando stizzita, senza però dire nulla. Dopo un po’ decise di essere di troppo e si allontanò senza aprir bocca.
Eravamo ancora nell’atrio e l’unico rumore che si sentiva era il singhiozzare sommesso della ragazza. Le presi il volto fra le mani e la osservai, cercando di mostrarle l’espressione più dolce possibile. I suoi occhi erano ancora pieni di lacrime e il suo viso era ancora più pallido del solito, i suoi capelli erano leggermente arruffati e piuttosto scompigliati. «Va tutto bene ora, sei al sicuro qui. Puoi stare tranquilla» sfoggiai il mio sorriso più rassicurante e cercai di studiare la sua reazione. Lei si limitò ad annuire lentamente come se non ne fosse ancora del tutto convinta. Forse non aveva nemmeno capito bene cos’era successo e purtroppo ero così coinvolto da lei che non avevo fatto in tempo a controllare chi o che cosa le avesse provocato quell’ondata incontrollata di terrore.
Hikaru alzò il volto e mi osservò per qualche secondo, poi riabbassò lo sguardo. «...qui?» la sua voce era talmente talmente flebile che non riuscii a capire cosa avesse detto. Le appoggiai una mano sulla guancia e le domandai di ripetere «Posso rimanere qui? Almeno per un po’...» fece un enorme sforzo per non balbettare e per far sembrare la sua voce la più ferma possibile. Le sorrisi «Certo, puoi restare quanto vuoi.» Chiamai Scarlet «Rose puoi preparare un the caldo per la nostra ospite, per favore?» lei annuì e si avviò verso la cucina, io mi rivolsi nuovamente a Hika «Ti va di andare in camera mia, piuttosto che rimanere qui nell’atrio?» lei fece un cenno d’assenso con la testa e  cercò di alzarsi. Mi sembrò che facesse una fatica disumana per rimettersi in piedi. Le offrii la mia mano e lei la prese per aiutarsi. Tremava. Era così fragile, instabile sulle gambe e ancora piuttosto spaventata. La guidai per il lungo corridoio, senza farle fretta. Quando arrivammo di fronte alla mia stanza sembrava veramente esausta. La feci sedere sulla comoda poltrona rossa che stava vicino alla scrivania. Il suo sguardo era assente, perso nel vuoto.
Morivo dalla voglia di sapere cosa era successo, chi le aveva fatto questo, chi si era permesso! Mi trattenni, se se la fosse sentiva avrebbe parlato con me di sua spontanea volontà. Non volevo farla agitare ancora di più, non volevo che sul suo viso tornasse l’espressione terrificata che avevo visto poco prima.
Per un attimo sembrò riprendersi, mi guardò «La borsa... la mia borsa, l’ho lasciata lì...» capii che parlava del suo borsone di allenamento. «Non ti preoccupare, mando qualcuno a recuperarla ok?» e così dicendo mi alzai per avviarmi verso la porta, quando sentii qualcosa tirarmi per la maglietta. Mi voltai, era Hikaru «Non te ne andare, non lasciarmi sola...» la osservai per un attimo e le sorrisi «Stai tranquilla, torno subito. Non ti lascerò sola!» le diedi un bacio sulla fronte e lei lasciò andare con riluttanza il tessuto che teneva ancora stretto nella mano. Uscii un attimo, il tempo necessario per chiedere a Rose di mandare una sua servetta a recuperare il borsone. Scarlet sbuffò ma annuì, cacciandomi poi in mano una tazzona di the fumante.

- - -

Rimasi sola nella stanza, era ampia e ben arredata. Regnavano i colori caldi, soprattutto il rosso. Mi meravigliai del fatto che la prima cosa di cui mi ero preoccupata dopo la fuga fosse mio borsone. Un secondo pensiero mi balenò in mente, qualcosa di ancora più strano. Tirai fuori dalla tasca il cellulare. Come mi aspettavo non avevo ricevuto alcun messaggio dai miei, forse non si erano nemmeno accorti della mia assenza... Iniziai a scrivere un sms a mia madre, giusto per dimostrare la mia buona volontà e per distrarmi da quei ricordi confusi che ora mi tormentavano. Sta notte dormo a casa di un amico, ci sentiamo presto. Proprio un messaggio da figlia esemplare... Solo dopo averlo inviato mi resi conto che forse sarebbe stato meglio scrivere a casa di un’amica. Poi però capii che non mi interessava più di tanto quello che avrebbero pensato di me. Stavo cercando di pensare a una qualunque cosa che avrebbe allontanato il ricordo di quello sguardo. Socchiusi gli occhi, senza però abbassare la guardia. Tentavo di non ripensare alla folle corse che avevo fatto, riaprii le palpebre e cercai di concentrami sulle grandi ante bianche che si trovavano di fronte a me. Erano così ammalianti con i loro disegni vivaci che sembravano quasi veri. Mi chiesi cosa ci potesse essere dietro quelle meraviglie. Mi strinsi nella coperta che mi aveva dato Seth prima di uscire dalla stanza.
In quel luogo aleggiava un odore dolciastro che mi aveva avvolta non appena avevo varcato la porta d’entrata. Era un misto fra il profumo di agrumi e di fiori esotici unito all’odore della vaniglia.
Come promesso Seth rientro dopo pochi minuti con in mano una tazza bianca che sembrava di porcellana. Me la porse e si sedette sulla morbida moquette che ricopriva il pavimento della stanza, osservandomi mentre sorseggiavo la bevanda bollente.
Cercai di abbozzargli un sorriso, in fondo se lo meritava. Non so bene a cosa assomigliò la mia espressione però vidi il suo volto distendersi leggermente.
Non potevo dire di stare bene, l’angoscia continuava a tenermi in pugno e non ero sicura di aver ancora capito bene cosa mi fosse successo. Non sapevo ancora spiegare il terrore che mi aveva assalita, la consapevolezza che solo Seth avrebbe potuto proteggermi da quella paura, da quell’ombra. Sentivo ancora quello sguardo su di me. Quel ricordo mi fece rabbrividire violentemente e io tirai istintivamente la coperta sopra di me, fino a farla arrivare appena sotto le labbra. Seth si accorse del mio gesto e si alzò di scatto «Hai freddo? Vado a prenderti un’altra coperta!» Non riuscii nemmeno ad aprir bocca che Seth era già filato fuori dalla porta. No, non avevo freddo, era impossibile avere freddo in quella stanza così calda, calda in ogni senso.
Mi ritrovai nuovamente sola, persa nei miei pensieri e nelle mie paure. Mi rimisi a fissare, senza accorgermene, le due ante bianche. Dopo pochi secondi sentii le mie palpebre diventare pesanti e nonostante mi sforzassi ti tenerle almeno socchiuse, non riuscii ad evitare che la stanchezza mi prendesse. All’improvviso mi sembrò come se sulle mie spalle premessero dei macigni. Nella mia mente si manifestò un turbine di immagini che non avrei saputo dire se fossero state reali o solo il frutto della mia immaginazione. Poi all’improvviso il turbinio si arresto e la mia mente si riempì di una sola immagine.
Una ragazza galleggiava in dell’acqua cristallina, i suoi arti erano legati ed ancorati a qualcosa, che non riuscivo a vedere, tramite delle spesse catene. I suoi capelli rossi si muovevano lentamente, in un modo quasi surreale. Sembrava dormisse, quando i suoi occhi si spalancarono all’improvviso e un sorrisetto malizioso comparve sul suo volto.
Poi più niente, solo il buio pesto.

- - -

Quando tornai con una seconda coperta in mano, trovai Hikaru raggomitolata su se stessa, immersa nella coperta, si era addormentata...
Era piuttosto carina, sembrava una bambolina, da un lato della coperta pendeva la sua mano con la tazza del the vuota ancora stretta tra le esili dita. La presi cercando di non svegliarla. Doveva essere veramente esausta, sotto i suoi occhi, ancora gonfi a causa del lungo pianto, si disegnavano infatti dei piccoli solchi bluastri. Le labbra erano semi aperte e se mi avvicinavo al suo volto potevo sentire ancora il profumo del the che aveva bevuto. Il suo respiro era regolare e ogni tanto si muoveva leggermente, stiracchiava le dita, oppure girava delicatamente la testa sfregando la guancia contro la spalla.
Infilai un braccio dietro la sua schiena e l’altro sotto le ginocchia, la alzai con tutta la coperta, stando attento a non lasciarle penzolare il capo, e la posai sul letto il più delicatamente possibile. Lei non sembrò accorgersi dello spostamento, continuò a dormire come se niente fosse, ma non prima di essersi richiusa nuovamente su se stessa.
Osservai ancora il suo volto addormentato, come se fossi in cerca di qualcosa che fui contento di non trovare.
Mi scostai da lei e mi avvicinai alla finestra che dava sul giardinetto dietro la casa. Quella sera la luna piena illuminava il cielo notturno, dando poca visibilità alla moltitudine di stelle che solitamente le tenevano compagnia. Tutto era così stranamente silenzioso, non si sentivano nemmeno le cicale che erano solite cantare durante la notte.
Mi sedetti sulla poltrona dove fino a poco prima era distesa Hikaru, si sentiva ancora il calore del suo corpicino e l’odore dello shampoo che era solita ad usare.
Mi sedetti a riflettere su ciò che era successo quella sera. Ancora mi chiedevo cosa avesse potuto spaventare in quel modo la ragazza. Decisi che l’indomani avrei cercato di parlarle, dovevo stare attento però, non volevo in alcun modo farla star male.
Sentii bussare leggermente alla porta «Avanti» sussurrai, con tono appena udibile. La porta si aprì e dentro entrò una bambina, vestita veramente come una piccola bambolina, portava un vestitino bianco piuttosto voluminoso e tra i capelli rosa pallido spuntava un cerchietto con sopra un fiocchetto sempre rigorosamente bianco. La piccola venne avanti trascinando il borsone di Hikaru. Me lo porse e fece per congedarsi. La ringraziai e chiusi la porta dietro di lei.
Nonostante sapessi non fosse corretto nei confronti di Hikaru aprii comunque la borsa per controllare che non fosse stata toccata da estranei. Dentro era tutto piegato ordinatamente, anche gli indumenti che aveva indossato in palestra. Trovai anche un asciugamano ancora umido che probabilmente aveva utilizzato per farsi la doccia. Ero tentato di tirare tutto fuori per mettere ad asciugare, poi però ci ripensai, non volevo essere troppo invadente. Richiusi la borsa e la spostai sotto alla scrivania.
Osservai ancora per un attimo il volto addormentato della giovane, decisi che dovevo parlare con Rose. Uscii dalla stanza silenziosamente, lasciando la porta socchiusa e mi avviai verso la camera di mia sorella.

- - -

Aprii un occhio, poi l’altro. A giudicare dalla luce che entrava dall’ariosa finestra doveva essere notte inoltrata. Guardai l’orologio che tenevo al polso, erano le tre e mezza... In definitiva non avevo dormito molto e mi sentivo ancora piuttosto stanca.
Nella mia mente si affollarono molti pensieri. Non ricordavo di essermi stesa sul letto, forse ero troppo stanca per ricordarmene. Mi guardai intorno e mi resi presto conto che Seth non si trovava nella stanza. Tutta quella situazione era così surreale. Fino a qualche giorno prima non avrei mai potuto immaginare i cambiamenti che la mia vita avrebbe subito in così poco tempo. Eppure ora ero lì, nel letto di un ragazzo che appena conoscevo, di cui però ero fermamente convinta di potermi fidare. Non so cosa mi rendesse così sicura, fatto sta che non avevo dubitato di Seth neanche una volta, nemmeno per un attimo. Avrei dovuto essere arrabbiata con lui, non ci voleva un genio per capire che la causa di tutte le mie disgrazie era quel biondino sorridente.
Ripensai alla prima volta che ci eravamo incontrati, ai pochi ricordi offuscati che mi rimanevano di quella serata. Quelle luci meravigliose che sembravano accompagnarci  nella nostra danza silenziosa. Era stato tutto così... magico!
Rimasi distesa sull’ampio letto a fissare il soffitto per alcuni secondi cercando di riprendere sonno ma, nonostante la stanchezza, non ci riuscii.
Con uno sforzo enorme mi misi a sedere e poi successivamente mi alzai in piedi. La testa mi girava leggermente, sarei tornata a stendermi volentieri ma la natura chiamava.
Uscii furtivamente dalla stanza per andare alla ricerca del bagno. Girai a casaccio per l’enorme abitazione, duecento stanze e nemmeno l’ombra di un bagno! Come la camera di Seth anche il resto della casa rimaneva sulle tonalità del rosso. La maggior parte dei mobili sembravano di fattura antica, quasi tutti fatti in legno finemente intagliato. Ogni elemento dell’arredamento aveva inciso sopra una fantasia diversa; il tema principale rimaneva tuttavia la natura.
Lungo le pareti del corridoio che stavo percorrendo stavano appesi numerosi quadri: paesaggi fantastici, tramonti stratosferici, quadri di una bellezza quasi irreale. Ciò che mi sembrava strano era la completa assenza di ritratti o anche di semplici fotografie. Non ne avevo vista nemmeno una, nè nella stanza di Seth nè nelle numerose stanze che avevo visitato. Decisi di non farmi troppe domande, di punti interrogativi ce n’erano già troppi!
Avanzai lentamente per evitare di urtare qualcosa a causa della luce soffusa che entrava dall’esterno. Voltai un angolo e sentii delle voci in lontananza, forse c’era qualcuno che avrebbe potuto indicarmi dove trovare la toilette. Mi avviai più speditamente nella direzione da cui provenivano i bisbigli ma mi bloccai non appena fui abbastanza vicina da distinguere le voci di Rose e Seth.
«Rose piantala di fare la ragazzina ok? Devi cercare di capire!»
«Capire? Capire cosa? Che sei un completo idiota? Non avresti dovuto farti coinvolgere così da lei! Non avresti dovuto nemmeno avvicinarti a quella mocciosa!» Scarlet sembrava fuori di se dalla rabbia, la sua voce si era fatta stridula, quasi isterica senza perdere però quel tono autoritario da sorella maggiore.
«Non chiamala così!»
«E come dovrei chiamarla scusa? Dimmi Seth, cosa hai in mente di fare? Sono stufa di pararti il culo! Ti metterai nei guai, lo sappiamo entrambi! Ne vale davvero la pena?»
«Si! Quando lei sarà tornata tutti i problemi si risolveranno, sarà tutto più semplice Rose! Non lo capisci?»
«Non c’è niente da capire Seth! Niente! Anche se Flame tornasse non è detto che sia in grado di fermare tutto questo come ne sarebbe stata capace una volta... Smettila di sognare Seth, apri gli occhi, guarda in faccia la realtà, non ci possiamo fare niente» il suo tono era ora stanco, rassegnato, così... spento.
Non capivo a cosa si stessero riferendo, non capivo perchè Scarlet fosse così adirata e al tempo stesso così spaventata. Anche Seth era strano, era eccitato eppure allo stesso tempo dubbioso e preoccupato.
Mi accorsi che la discussione era finita, probabilmente di li a poco qualcuno sarebbe uscito dalla stanza e non sarebbe stato piacevole farmi trovare lì ad origliare, quindi mi girai e corsi via il più silenziosamente possibile tornando alla mia ricerca del bagno.
Flame, chi era Flame? Perchè Seth voleva che tornasse? E dov’era ora? Basta! Ero stufa, troppe domande e invece di trovare le risposte che cercavo trovavo soltanto altri quesiti. La paura mi assalì di nuovo, quella faccenda era strana, troppo strana. D’altro canto era tutta colpa mia, io avevo ceduto all’invito di Seth, ero stata io a cercarlo! Ora era un mia responsabilità. Troppe volte avevo pianto sul latte versato, avevo mollato, mi ero arresa. Questa volta non l’avrei fatto, sarei andata fino in fondo. Avrei fatto vedere a tutti chi ero veramente! Avrei potuto salvare il mondo per quel che ne sapevo, sempre se fossi riuscita a trovare il bagno...
«Hika?» era Seth, mi sorrise quando mi vide, cancellando completamente i segni della preoccupazione dal suo viso solare «Che ci fai qui? Pensavo stessi ancora dormendo.» Lo guardai negli occhi, cercando di non far trapelare le mie emozioni «Sarai rimasta a dormire volentieri ma avevo proprio bisogno di andare al bagno, anzi ne ho ancora bisogno...» Seth si mise a sghignazzare, poi a ridere sonoramente. Non capivo cosa ci fosse di così divertente, mi sentii presa un po’ in giro. «Hika, Hika! Non so bene come dirtelo ma... il bagno è direttamente collegato a camera mia, non l’avevi notato?» in quel momento credo di aver fatto una faccia davvero incredibile perchè a Seth vennero le lacrime agli occhi mentre cercava, con scarsi risultati, di trattenere le risate.
Mi riaccompagnò nella sua stanza e mi mostro la porticina proprio di fronte ai piedi del letto. Diventai rossa paonazza, già il bagno stava lì, proprio lì! E invece io quella porta non l’avevo nemmeno notata! Accidenti a me, che figuraccia!
Entrai velocemente nello stanzino, ridendo e scherzando ero giunta al limite!
Quando uscii dalla toilette trovai Seth seduto sulla poltrona rossa, che dormiva. Lo coprii con una coperta che trovai appoggiata ad una sedia, poi mi coricai anche io, addormentandomi quasi immediatamente.
Il resto della notte fu piuttosto tormentato, feci strani sogni, vidi strane cose che non mi sapevo spiegare. Come apparivano nella mia mente, in un lampo sparivano lasciando posto ad altre, sempre più strane, sempre più inquietanti.
L’unica cosa che rimase impressa nella mia mente fu il volto di quella ragazza fluttuante, che continuava a sorridermi maliziosamente e mi guardava, mi guardava con aria di sfida, di sufficienza. E io la guardavo a mia volta senza poter fare niente. Alzai un braccio, come per toccarla e anche lei fece lo stesso. Le nostre mani si posarono in concomitanza su una superficie fredda, liscia. la superficie di uno specchio. Quella donna non era altro che un riflesso in uno specchio. Il mio riflesso.

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Capitolo 5
*** Rivelazioni ***


CAP. 5: Rivelazioni

Mi sveglia di soprassalto, ansimando. Il mio sonno era stato piuttosto tormentato, non mi sentivo affatto riposata, anzi mi sentivo più stanca di prima. Cercai di fare mente locale per dare un senso alle ultime dodici ore. Per quanto mi sforzassi non ero in grado di trovare un filo logico in mezzo a quel pasticcio. Mi mancavano troppi tasselli, avevo troppe domande, troppe paure.
Iniziai a camminare per la stanza, immersa nei miei pensieri, quando la mia attenzione fu attratta da una piccola sfera incastonata nella massiccia porta bianca che aveva già catturato il mio sguardo più volte la sera prima. Sembrava fatta d’ambra, anche se in realtà il colore non corrispondeva all’arancione tipico della resina. La sferetta pareva contenere un ciclone al suo interno, come un incontro di venti, qualcosa di difficile da descrivere. Allungai la mano verso il cimelio e di colpo mi tornò il mente la ragazza del mio sogno, quella che sembrava essere il mio riflesso. Non mi assomigliava, non ero io, lo sapevo, ma era come se non ne fossi del tutto convinta. Che strana sensazione! Ormai le mie dita erano in procinto di sfiorare la sfera quando la porta alle mie spalle si spalancò. Feci qualche passo indietro ritraendo la mano e mi sembrò quasi di essere uscita da uno stato ipnotico...
Alle mie spalle fece capolinea Seth con in mano vassoio contenente una tazza e un piattino con dei biscotti.
Per un attimo mi sembrò che il suo volto si fosse adombrato poi però mi sorrise come se niente fosse «Ti ho portato la colazione, spero ti vada bene!» osservai il vassoio, per fortuna nella tazza c’era solo del latte. Seth sembrò notare la mia occhiata «Qualcosa non va? Preferivi del caffè forse?» la sua voce era preoccupata, faceva sempre di tutto per soddisfarmi, il motivo ancora di sfuggiva, ma sembrava una preoccupazione genuina che mi faceva un certo piacere. Mi affrettai a rispondere «No, no! Il latte va benissimo! Il caffè invece non mi piace neanche un po’..» lui ridacchiò divertito notando il mio sgomento.
Mi sedetti sulla poltrona appoggiando il vassoio sulle gambe e iniziando ad inzuppare i biscotti nel latte caldo. Dovevo parlare con Seth di quello che era successo la notte scorsa, anche se non mi andava affatto, anche se al solo pensiero riaffiorava la paura, quella sensazione pungente che mi faceva pensare di essere spacciata, quegli occhi.
Mi feci coraggio ma la mia voce suonò comunque piuttosto titubante quando iniziai a parlare. «Senti Seth...» gli raccontai per filo e per segno tutto ciò che mi era accaduto, non tralasciai nulla, neanche una delle molte emozioni che avevo provato. La parte più difficile di cui parlare era senza dubbio quella riguardante il penetrante sguardo che mi aveva seguita. Seth mi ascoltava con attenzione, con un espressione estremamente seria dipinta in volto. Non mi interruppe mai, sembrava stesse immagazzinando ogni singola informazione che gli fornivo. Nei suoi occhi vedevo rabbia, preoccupazione ma soprattutto odio. Conclusi il discorso raccontandogli del mio inseguitore «Ne ho visto solo l’ombra, nient’altro! Nemmeno la sua anima... Forse è quello che mi ha spaventato maggiormente...». Sospirai, l’aver raccontato ciò che era accaduto mi faceva sentire più leggera, ma allo stesso tempo mi aveva messo addosso una certa inquietudine.
Seth si limitò ad annuire, poi si avvicinò a me, mi accarezzò la guancia con il dorso della mano e si mise a camminare lungo tutto il perimetro della stanza, pensieroso.
«Hai un’idea di chi potesse essere?» Seth si fermò di colpo, come se non si aspettasse la domanda. Mi rispose senza però girarsi nella mia direzione «Forse... Non ne sono sicuro però.» stava mentendo! Il suo tono era decisamente cambiato, c’era una nota di rimorso nelle sue parole. Lui sapeva di chi si trattava, ma perchè non voleva dirmelo allora? Posai il vassoio con i resti della colazione a terra, mi alzai e andai verso il ragazzo. Gli presi la mano e lui si girò di scatto, trovandosi il mio viso a qualche centimetro dal suo. Mi sembrò spiazzato. «Coraggio Seth, credo che il tempo dei misteri debba giungere al termine... Devo sapere, ne ho bisogno! La mia vita sta cambiando radicalmente e voglio sapere il perchè. Sono stufa di aspettare delle risposte che non hai intenzione di darmi.».
Lui mi guardò un attimo, poi abbassò lo sguardo e, sempre tenendomi la mano, mi fece sedere sul letto accanto a lui.

 

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Cercai di fare mente locale, ormai dovevo raccontarle un po’ di cose. Cercai di selezionare mentalmente le informazioni che avrei potuto darle e rimuginai non poco su come  fornirgliele. Hikaru mi stava fissando impaziente, sapeva che stavo cedendo, sapeva che le avrei raccontato qualcosa e non aspettava altro. Era avida di informazioni. «Purtroppo non posso raccontarti ancora tutto, sarebbe troppo pericoloso per te... Ti prenderebbero di mira...» lei ridacchiò ironica «Perchè, non è già successo?». Scossi il capo «No, quello era solo un... pedinamento, se così si può chiamare. Se ti prendessero veramente di mira probabilmente non saresti riuscita a raccontarmi quello che è accaduto. Per tua fortuna sei più importante di quello che pensi, altrimenti non gli saresti scappata ieri sera.»
Hikaru si incupì visibilmente, chiaramente scossa dalle mie parole. Ormai aveva capito che la posta in gioco era piuttosto alta. Si strinse nelle spalle, lo sguardo fisso su un punto indefinito della moquette. «Parlami di te... Che cosa sei? Questo puoi dirmelo?» alzai un angolo della bocca quasi a volerle mostrare un sorriso. Mi ero rassegnato ormai, tanto prima o poi l’avrebbe scoperto; tuttavia non sapevo proprio cosa aspettarmi dalle sua reazione «Sono... be’ quello che voi umani chiamate demone, diavolo...» Scrutai il suo volto pronto a vedere la paura negli occhi della ragazza, una paura che non vidi. Vidi invece un sacco di emozioni estremamente contrastanti tra loro, forse un po’ di ansia, ma più che altro stupore e rassegnazione. «Non hai paura di me? Dovresti averne!» lei ci pensò su un attimo poi si voltò verso di me senza però incrociare il mio sguardo. Era comunque piuttosto scossa. «Qualcosa mi dice che per me tu sei il meno pericoloso... Insomma se avesti voluto farmi del male lo avresti già fatto, invece fin ora mi hai protetta e poi... Non so perchè ma mi ispiri fiducia.» accennò un piccolo sorriso, più a se stessa che a me e mi incoraggiò ad andare avanti, a continuare a raccontare. «Vedi io sono un demone del fuoco e molto spesso sono anche stato associato al caos... Forse lo saprai: Seth il dio egizio del caos.» lei annuì «Saresti tu quel dio?» ridacchiai e lei sembrò un po’ infastidita dalla mia reazione «No, no! Non sono mica così vecchio! Quel Seth era un mio antenato diciamo, una cosa del genere. E se ti interessa è ancora vivo da qualche parte...» Hikaru fece una smorfia, pensando che la stessi prendendo in giro, peccato che non fosse così, lasciai stare «Be’ diciamo che come demone sono ancora piuttosto giovane...» mi morsicai la lingua, non era il momento per le stupidaggini... «E quindi tu sei un demone del fuoco giusto? E anche Scarlet lo è?» cercava di scoprire il più possibile,che curiosa! «Si, diciamo di si. Lei però è un demone minore, meno potente rispetto a me, sai suo padre era umano, quindi i suoi poteri sono come dimezzati...» feci una pausa e osservai la ragazza, probabilmente nella sua mente si stavano affollando mille pensieri, non sarebbe stato strano! Ripresi parlando come se le stessi raccontando del più e del meno «Rose per me è come una sorella, lo è sempre stata da quando ci siamo conosciuti...».
Hikaru stava fissando con sguardo assente la parete della stanza, come me del resto; non avevo il coraggio di guardarla in faccia mentre le raccontavo qualcosa che avrebbe cambiato la sua vita per sempre...

 

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Che confusione! Le cose si facevano sempre più complicate e sentivo che quello che stavo per chiedergli le avrebbe complicate ancora di più.. «Parlami del marchio per favore.» vidi Seth tirare un sospiro e prepararsi all’ennesima spiegazione, esitò prima di iniziare a raccontare «Allora, da dove comincio...» fece una lunga pausa e poi iniziò con tono rassegnato «Ok, iniziamo alla lontana diciamo, devi sapere che i demoni del fuoco non sono gli unici tipi di spiriti esistenti, ne esistono molti altri. Ci sono quattro razze dominanti, legate agli elementi e moltissime altre che sono legate ad un oggetto, ad esempio gli spiriti dei vari alberi o delle conchiglie...» mentre parlava il ragazzo non mi guardava, il suo sguardo vagava nella stanza e si posava ovunque tranne che su di me «Ogni categoria di demoni ha il proprio marchio, sempre diverso. Quei disegni indicano la potenza dello spirito, più estesi sono più forte è lo spirito su cui essi sono dipinti.» riflettei sulle sue parole, poi mi feci coraggio e domandai del marchio sul mio dito «Eh, quello è una cosa un po’ diversa... Tu non sei un demone, ma quell’anello può farti diventare tale, al momento i tuoi poteri sono piuttosto limitati, se ci hai fatto caso ora patisci meno il freddo» aveva ragione, me ne ero accorta ma avevo cercato di negarlo a me stessa, avevo preferito pensare che in realtà la temperatura si era alzata, che il freddo dell’inverno stava iniziando a cedere il passo alla tiepida primavera. Tuttavia sapevo che non era così... «Potrei diventare un demone?» Un brivido mi corse per la schiena, io un demone? Ma fammi il favore! Iniziavo a spaventarmi seriamente... «Tranquilla, non è una cosa così semplice, solo un demone piuttosto potente potrebbe farlo e non contro la tua volontà! Ci sono regole al riguardo.» preferii non indagare oltre su queste regole, me ne stetti zitta per un po’, cercando di immagazzinare tutte le informazioni. Se prima non ne avevo avuto abbastanza, ora ne avevo ricevute fin troppe tutte insieme. Insomma che Seth non era umano l’avevo capito anche prima, ma ora tutta la faccenda con demoni, marchi, casate forse era un po’ troppo per il mio cervellino ancora troppo scioccato.
Mi alzai e feci alcuni passi nella stanza, come per sgranchirmi le gambe, rimuginando su ciò che mi aveva appena detto il ragazzo. Lui si limitò ad osservarmi con aria assente, più che me sembrava osservare un punto oltre a me: le porte bianche. Accidenti quelle due ante erano piuttosto misteriose e mi incuriosivano parecchio, eppure avevo come la sensazione che Seth non avesse alcuna intenzione di parlarmene, neanche se gliel’avessi chiesto. Al momento, tuttavia, avevo altro a cui pensare.
«Tu saresti abbastanza potente da trasformarmi?» speravo la risposta fosse stata no, mi avrebbe fatto stare più tranquilla... Vana speranza «Si, i demoni che riescono a trasferire il marchio sono anche in grado di trasformare però...» lasciò la frase in sospeso, si era chiaramente pentito di quell’ultima aggiunta. Tacque, forse sperava non ci avessi fatto caso, be’ invece l’avevo fatto e ora ero piuttosto preoccupata. Non sapevo se chiedergli di andare avanti con la frase o meno; mi feci coraggio «Però..?» Seth scostò gli occhi da me e fissando l’intonaco della parete disse sommessamente: «Niente, niente» Falso! Si sentiva che era un bugia a chilometri di distanza! Il ragazzo si accorse che avevo capito che qualcosa non quadrava così aggiunse «Nulla di cui tu ti debba preoccupare». Bene, ora si che mi sentivo decisamente meglio...
In quel momento guardai distrattamente l’orologio che avevo al polso: 9.47. Lo ricontrollai, accidenti stavo saltando scuola! Cavolo, cavolo! Iniziai a saltellare per la stanza «La scuola! Devo andare a scuola!» Seth mi osservava divertito e sibilò un “Opss” tra i denti. Maledetto! Presi il borsone che trovai sotto la scrivania, constatando che Seth me l’aveva recuperato, presi un blocco di fogli bianchi e una penna del tavolo di legno sotto al quale avevo trovato la borsa.
Diedi un bacio sulla guancia a Seth e feci per uscire di corsa, quando lui mi fermò chiamandomi per nome. Il suo volto era buio e non prometteva niente di buono. «C’è ancora una cosa che ti devo dire...» esitò un attimo poi si decise «Quello che ti ha seguita ieri è mio fratello».

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