Principe del Deserto

di zenzero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Abitare in un castello di sabbia. ***
Capitolo 2: *** Veleno ***
Capitolo 3: *** Nulla da Dire ***
Capitolo 4: *** Testa o Croce. ***
Capitolo 5: *** Dieci Anni Dopo ***



Capitolo 1
*** Abitare in un castello di sabbia. ***


Abitare in un castello di sabbia

Come al solito non sono concentrato, e abbasso la guardia.  La presa del maestro Duncan mi trova completamente impreparato ed esposto. Mi prende per le spalle e la sua gamba sinistra spinge i miei talloni. Inciampo a terra, cadendo di schiena. Il deserto attutisce la caduta.

La sabbia del cortile del castello è calda e morbida. Mi piacerebbe restare disteso.

“Rialzatevi principe, ” dice invece il mio maestro di arti marziali. Ed io mi accingo a farlo, ripulendomi della sabbia finitami addosso.

“Dobbiamo migliorare la guardia, Sabin”, costata poi.

Io annuisco.

Alle sue spalle Vargas, suo figlio, mi guarda con commiserazione. E’ un ragazzo poco più grande di me, ma notevolmente più alto e robusto. Tra la mia e la sua abilità c’è un abisso.  Si sposta una ciocca di capelli neri finita sul volto color dell’ebano e si limita a fissarmi con scherno.

‘I nobili sono tutti delle pappemolli’, sembra che dica.

Smetto di preoccuparmi di lui, in fondo la lezione di arti marziali non è ancora finita.

Duncan prova ancora qualche presa su di me ma stavolta non riesce a cogliermi impreparato. Poi devo eseguirne qualcuna su di lui ma non riesco a smuoverlo di un centimetro.

Infine è la volta di tirare pugni, ma mi sento già molto stanco. Non riesco a muovere le braccia come vorrei. Il sole sta per tramontare. Il maestro sembra accorgersene.

“Per oggi, basta così Principe.” , dice, “Abbiamo fatto abbastanza.” . E sorride.

Sono quasi sollevato dalla notizia. Vargas lo nota.

“Il piccolo principe ha fatto progressi, oggi”, dice in tono sarcastico, “ha imparato come cadere a terra!”

Non so cosa rispondere.

“Invece, Sabin, state facendo buoni progressi nonostante siate agli inizi“ , dice inaspettatamente il maestro,”E avete delle buone potenzialità. E’ un vero peccato tra poco io non potrò più allenarvi”

Ha ragione. Duncan e suo figlio si stanno preparando a un viaggio in giro per lo stato. Si alleneranno nelle  pratiche ascetiche. Probabilmente non torneranno presto qui a Figaro. Dovrò cercarmi un altro maestro.

Li saluto entrambi, e li guardo allontanarsi nel deserto.

Per me, è arrivato il momento di tornare al castello.

Sotto il tramonto i torrioni di pietra sembrano andare a fuoco. Saluto le guardie e percorro veloce i corridoi. Sono stanco ma devo assolutamente lavarmi, dal sudore e dalla sabbia.

Entro in bagno, e mi immergo in una vasca tiepida preparata per l’occasione. I muscoli tesi finalmente si sciolgono.

Provo a tendere il braccio destro, per tastarne la crescita dei muscoli ma l’arto è sottile e magro come sempre.

Finisco di sciacquarmi e mi asciugo, vestendomi poi solo dei pantaloni. Dopotutto è ancora piuttosto caldo.

Ho lo stomaco delicato e dopo uno sforzo stranamente mi passa la fame, per cui credo che non cenerò.  Mi dirigo in camera mia per riposarmi.

Percorrendo i corridoi del castello, stranamente deserto, sento dei passi affrettati. Qualcuno sta correndo verso di me.

“Principe? Principe?”. E’ una voce femminile. Mi volto e vedo una giovane ragazza. E’ una delle nuove domestiche addette alla pulizia del castello. Mio padre l’ha assunta solo qualche mese fa. Non so neanche il suo nome.

Mi si avvicina, sembra agitata. Io mi vergogno un po’ di farmi vedere a torso nudo da una sconosciuta (in generale, mi vergogno di mostrarmi seminudo alle ragazze). Lei però sembra non farci caso.

“Principe, volevo..ecco..dirvi una cosa”, mormora, impacciata.

Io mi limito ad annuire.

“Ecco”, continua lei,” volevo scusarmi con voi. Mi dispiace di avervi schiaffeggiato, la sera scorsa…Ma il fatto è che..mi avete colto alla sprovvista. Non mi aspettavo che mi avreste baciato, insomma..”

Sono alquanto stupito. Non ho idea a cosa si riferisca.

“Che..che stai dicendo??” chiedo, imbarazzato.

Alla mia risposta, la giovane trasalisce. Il volto si arrossa violentemente.

“Oh, perdonatemi, Altezza! Vi ho scambiato per vostro fratello, il Principe Edgar!”

Sorrido. “In effetti, non è difficile confonderci.”

Anche la ragazza sorride, e annuisce. “ D-devo andare. Scusatemi ancora!” esclama, e corre via veloce.

Ridacchio tra me. Edgar ha conquistato un altro cuore. Ancora una volta ha fatto centro. Mio fratello riesce ad amoreggiare con qualsiasi essere di sesso femminile che si muovi.

D’accordo, questa è una cattiveria. Il fatto è che lo invidio un po’. Fisicamente siamo identici, e anche di bell’aspetto. Ma è come se nel mio caso il dono della bellezza fosse stato sprecato. Perché io non ci riesco proprio a parlarci, con le ragazze. Mi impappino, non so di cosa parlare, la mia faccia tradisce l’agitazione. Insomma, sono timido.

L’esatto opposto del mio fratello, il Dongiovanni.

Apro la porta della nostra stanza e lo trovo come se nulla fosse seduto sul letto.

Guardandolo, è come se mi specchiassi. Abbiamo la stessa carnagione olivastra, la stessa altezza., i capelli color dell’oro,  e occhi blu di topazio, tramandati da generazioni di nobili Figaro.

Se proprio fisicamente dobbiamo trovare delle distinzioni, dovrebbero essere nella costituzione. Edgar infatti è più robusto di me. Quando eravamo piccoli ( ma a dire il vero anche adesso) tra i due  ero sempre il primo, e a volte l’unico ad ammalarmi. Era sempre lui a difendermi se incappavo in qualche mostro, e da chiunque volesse farmi del male. (Questo è uno dei motivi per cui sto facendo pratica nelle arti marziali).

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Al momento  vedo il mio gemello piuttosto contento.

“Che c’è, Ed?” gli chiedo incuriosito.

“Papà è tornato”, risponde lui entusiasta.

I miei occhi si spalancano.  Pensavo sarebbe tornato domani. Edgar aspettava me, per andare a salutarlo. Ci mettiamo a correre per i corridoi e raggiungiamo il suo studio.

Bussiamo alla porta.

“Chi è?” chiede lui.

“Siamo noi!” rispondiamo.

“Oh, entrate”

Finiamo nel suo studio. Non ci entriamo molto spesso. E’ pieno zeppo di mobili antichi, che hanno un che di austero e solenne.

Stewart Remy Figaro, nostro padre nonché sovrano del regno di Figaro, è seduto su di un’ampia scrivania ricoperta di carteggi vari. Sembra molto impegnato. Ci guarda con aria seria.

“Beh, che ci fate qui?”, dice un po’ stizzito.

“Ecco..Padre..” mormora Edgar, non sapendo cosa dire. Forse non dovevamo disturbarlo adesso.

“Figli miei, è mai questo un comportamento da tenere?” dice severo.

“Insomma, non venite ad abbracciarmi?”, continua, e sorride.

A queste parole ridiamo anche noi, felici, e corriamo verso di lui. Lo abbracciamo, e lui si stringe a noi. Com’è forte, papà.

A guardarlo, si direbbe un altro nostro fratello. Ha i nostri stessi occhi, e identici lineamenti, e la pelle dello stesso tono. Ma è più alto di noi di un paio di spanne. Ed è un uomo asciutto e robusto.

Dobbiamo farci forza entrambi per separarci dalla sua stretta possente.

“Insomma, volete soffocarci, Padre?” esclamo io ridendo.

“Sabin sei sempre il solito esagerato”, dice lui, mandandomi una pacca sulla schiena che per poco non mi sbilancia.

Lo guardo. Anche se ora è felice e ride con noi, noto dei brutti cerchi attorno agli occhi. Qualcosa lo preoccupa molto. Anche Edgar sembra essersene accorto.

“Padre..” dice infatti, “Come è andato il consiglio tra i regni che si è tenuto dall’Imperatore?”

Nostro padre cambia improvvisamente espressione. I nostri sospetti divengono realtà. “Non come avrei creduto. Anche se non sembra, il nostro non è che un piccolo regno sperduto tra le sabbie. Si prova un certo effetto a misurarsi con sovrani di domini ben più sterminati. Ma comunque abbiamo stretto altre alleanze.”

Io e Edgar annuiamo, lasciandolo parlare.

“ Ma il problema non è rappresentato dei sovrani dei regni vicini, quanto piuttosto dall’imperatore stesso. Gesthal..non sembra più l’uomo di un tempo. Ha perso ogni sua umanità. Invia soldati in terre del tutto estranee ai nostri territori, villaggi e città  che non sono preparati a tali invasioni. Non possono respingergli. E la cosa gli fa anche piacere.

No..L’Imperatore è decisamente cambiato. E tale cambiamento è coinciso con l’arrivo del suo nuovo mago di corte, nonché primo ministro. Quel Kefka.. non mi piace per nulla. Ha uno sguardo folle negli occhi.”

Poi nostro padre sembra riscuotersi e ritorna allegro.

“Oh, ma non è questo il tempo di crogiolarsi nell’amarezza! Piuttosto, non è forse l’ora di andare a tavola? Io ho decisamente fame!”

 

Detto questo esce spedito dal suo studio. Io e Edgar scuotiamo la testa.

Papà rimane sempre lo stesso.

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Una precisazione: le immagini che illustrano questa fan fiction non sono ovviamente mie. Sono illustrazioni disegnate da un certo Kuroinu, sono state utilizzate nel video musicale della canzone "Sabin's Rap", che parla appunto di questa storia.

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Capitolo 2
*** Veleno ***


veleno

Anche oggi fa caldo. Ma al momento  ho pensieri diversi in testa. Sono impegnato a respingere l’attacco di Vargas. So bene che il giovane sta anche cercando molto di controllarsi ma per me rimane un avversario da cui è difficile difendersi.

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Duncan ha voluto che lottassi contro suo figlio. Questa infatti è la nostra ultima lezione.  Riesco ad evitare  una presa di Vargas e sferro anche un pugno che riesce addirittura ad arrivare a segno. Anche il giovane è sorpreso. Ma non mi lascia la soddisfazione a lungo. Compie una sorta di abbraccio e mi getta a terra come un sacco di patate. Continuo a ringraziare il fatto di starmi allenando sulla sabbia.

Prima che possa muovermi Vargas piomba su di me e mi immobilizza. Riesco appena a sollevare la testa.  Schiaffo la mano destra a terra in segno di resa.

 

“Dunque, è ora di andare, Altezza”, dice Duncan quando la lezione si conclude.

Io annuisco tristemente. “Dovete..davvero partire?” chiedo.

Vargas sghignazza. “Vorresti che restassimo per te?”. Duncan gli posa una mano sulla spalla per intimargli di star zitto.

“Abbiamo una tabella di marcia da rispettare. Partiremo domattina all’alba, ci dirigeremo alle montagne di Jidoor”.

Spalanco la bocca, stupito. Jidoor è lontanissima. E loro la raggiungeranno a piedi!

“Beh..buona fortuna..davvero!” riesco a dire.

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“Grazie, Principe. E’ stato un onore averle impartito degli insegnamenti. Vedrete però che prima o poi le nostre strade si incroceranno di nuovo.”

“Naturalmente”,  dico io.

Ci abbracciamo. Con Vargas, invece, stringo solo la mano.

Come sempre li guardo allontanarsi, divenire sempre più piccoli nel deserto. Ma nel vederli ora si accompagna uno strano senso di amarezza.

 

Nei giorni successivi nulla sembra cambiare, a parte il fatto che ora ho i pomeriggi liberi. Mio fratello continua a correre dietro chiunque porti la gonnella.

Nostro padre non torna al castello spesso. Ultimamente è sempre più ombroso.

 

Un pomeriggio per passare il tempo mi metto a leggere sul mio letto. Edgar entra in camera senza bussare. Ha uno sguardo un po’ smarrito.

“Sabin”, inizia, preoccupato, “ultimamente hai fatto caso a papà?” mi chiede.

Il libro non è molto interessante così lo lascio perdere.

“A dire il vero negli ultimi giorni non l’ho visto spesso. Mi sembra solo un po’ stanco”, rispondo indifferente.

Edgar scuote la testa. “C’è qualcosa di più. Prima l’ho aiutato, a fare il bagno ai Chocobo. C’è qualcosa che lo turba..ha come un’ombra sul viso. Non parla quasi per niente. E sembra anche più smagrito del solito.”

Non capisco cosa voglia dire. “Forse ha solo tanti pensieri per la testa”

“Sabin, tu la fai troppo facile. Io credo possa essergli accaduto qualcosa di grave.”

 

Cerchiamo di appurare la cosa a cena.  In effetti stasera non mangia molto, cosa che non è da lui. Continua a muovere la forchetta nel piatto.

“Non avete fame, Padre?” chiede Edgar.

Lui scuote la testa.

“Al Consiglio.. c’è stata una cena..piuttosto abbondante..Sono sazio..”

Si porta una mano alla bocca e tossisce. Una, due volte.

“Tutto bene, Padre?” chiedo io, stavolta.

Lui mi sorride, anche se si vede benissimo che sta fingendo.

“Sono a posto. Tranquilli. “

Per dimostrarlo prende un calice di fronte a sé e lo riempie di vino.

“Alla salute di Figaro!” esclama levandolo in alto. Beve un sorso ma non fa in tempo nemmeno a posare il calice sul tavolo. I suoi occhi si spengono e lui cade a terra senza dire una parola.

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La sala da pranzo, prima del tutto silenziosa, ora si riempie di strepiti e urla, e non riesco a distinguere la mia voce dagli altri.

I minuti seguenti passano veloci come incubi. Papà rimane immobile, io  rimango immobile.  Uno sciame vociante di gente frenetica lo solleva da terra come se fosse gommapiuma. Lo solleva e lo trasporta a letto.  Dopo un’attesa insostenibile arriva il medico di corte. Dice a tutti di uscire dalla sua stanza. Non possiamo che obbedire. Altri minuti lunghissimi che non vogliono passare.

E quando il medico finalmente esce dalla stanza sembra anch’egli esausto.

Mio fratello si fa avanti per primo.

“Dottore, ma cosa gli è successo? Una malattia rara?”

L’uomo scuote la testa. “Non si tratta di un morbo, Principe, ma qualcosa di peggio. Il Re è stato avvelenato.”

Sia io che Edgar rimaniamo di stucco.

“V-veleno?” chiedo io, “ma .. come è possibile?”

“Questo, non ci è dato saperlo”, mormora lui tristemente.

L’impero. L’impero lo ha avvelenato. Ne sono sicuro.

“E purtroppo, “ continua il medico, “non ho idea della tipologia di veleno che abbia assunto. Non posso somministrargli un antidoto.”

“No! Lei deve fare subito qualcosa! “ ,urla agitato Edgar , “Anche dargli un antidoto che non sia proprio adatto! Almeno..”

“Così facendo rischierei solo di ucciderlo. No, non posso fare nulla. Dobbiamo solo aspettare. Forse, il suo corpo potrebbe riuscire a neutralizzare da solo gli effetti dell’intossicazione. Dopotutto, il Re è di tempra forte”.

Detto questo, se ne va.

Da allora non sappiamo dire quanto tempo passiamo al  capezzale di nostro padre. Il sole cala e sorge, forse anche più di una volta ma noi restiamo indifferenti allo scorrere del tempo, al passaggio tra la luce e il buio.

Papà  rimane sempre nello  stesso stato. Immobile, rigido, muto. Il volto nobile e fiero contratto da una morsa di dolore. Le mani che artigliano le coperte spasmodicamente. I minuti angoscianti in cui sembra non riuscire a respirare.

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Non so quando questo accade, ma improvvisamente sento che le forze mi stanno abbandonando. Edgar se ne accorge. “Forse, è meglio se andiamo a dormire. Solo un pochino.”

“No!”, urlo io in modo infantile. Ma sento che  la testa mi ciondola lentamente in avanti.

“Abbiamo fatto il possibile. E’ giusto che ci riposiamo anche noi.”,  continua mio fratello.  In affetti, ha anche lui gli occhi semichiusi dal sonno.

Alla fine mi lascio convincere. Lui mi aiuta ad alzarmi, e ci trasciniamo nei nostri letti. Cerchiamo ristoro nel sonno.

 Ed io sogno. Sogno mia madre, Crystale. Non è la prima volta che appare nelle mie notti. Ogni volta la sua figura sembra essere avvolta da una grazia innaturale. Forse è perché l’ho vista solamente dipinta in ritratti di quando era giovane. Non l’ho mai potuta conoscere di persona, poiché purtroppo è morta nel darci alla luce.

Ogni volta che penso a lei , assieme alla nostalgia mi accompagna uno strano senso di colpa. Io sono stato il secondo a nascere. Forse è per causa mia che non è sopravvissuta. Se fosse nato solo Edgar, forse ce l’avrebbe fatta.

Nonostante la mia angoscia, nel sogno mia madre è serena. Sorride, come se non avesse alcuna preoccupazione. Osserva felice il deserto dall’alto della torre più alta del nostro castello.

“Mamma..” mormoro, e mi sveglio.

Avverto un vociare confuso e agitato provenire dai corridoi. I domestici sono in subbuglio. Ho un brutto presentimento.

Edgar si è alzato prima di me e mi guarda. Sembra avere i miei stessi pensieri. E’ incredibile come, nonostante la diversità dei nostri caratteri,  nei momenti cruciali ci troviamo in perfetta sintonia, potremmo quasi dire cosa l’altro stia pensando.

Solo ora mi accorgo che la notte è calata da un pezzo.













Una precisazione: le immagini che illustrano questa fan fiction non sono ovviamente mie. Sono illustrazioni disegnate da un certo Kuroinu, sono state utilizzate nel video musicale della canzone "Sabin's Rap", che parla appunto di questa storia.

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Capitolo 3
*** Nulla da Dire ***


senza titolo Da ora in poi la storia non mi appartiene quasi per nulla. Mi limito a riportare pensieri ed azioni cosi' come avvengono nel gioco, inventando unicamente i pensieri dei personaggi.




Ci dirigiamo nella stanza  di nostro padre.   I domestici dovrebbero essere tutti a dormire, o al massimo svolgere qualche incombenza notturna, ma al momento nessuno di loro si pone un simile problema. Né io e Edgar diciamo qualcosa a riguardo. Tutti noi siamo nella camera di Stewart Remy Figaro, ora disteso sul suo letto e nascosto dalle tende del baldacchino. Tutti immobili, in attesa. Ognuno perso nei propri pensieri.

Questa corte solitamente chiassosa e ciarliera è ora immersa nel silenzio. Solo i respiri affrettatati del Re interrompono il fluire sempre uguale del tempo.

Sento che le gambe stanno per cedermi. Appoggio la schiena contro il muro. Cerco conforto nello sguardo di mio fratello. Ma lui non mi guarda, fissa il pavimento.

“Papà è forte”, mi dico, lo ripeto a me stesso come un mantra, “Papà supererà anche questa notte, e tutto tornerà come prima. Ne sono sicuro”

Deve essere così.

Dopo qualche ora, o forse sono passati solo pochi minuti, il respiro di papà rallenta. Diviene meno affrettato, meno potente.

La sacerdotessa, una donna dai capelli grigi che abita da sempre in questo castello, si avvicina al capezzale del Re, si china su di lui. Rimane per un po’ immobile, poi si solleva. Si gira verso di noi, ci guarda senza vederci.

La Corte riprende a parlare. Camerieri, cuochi, domestici continuano lentamente i loro discorsi. Piccoli bisbigli affrettati.

Non so cosa stiano dicendo. Non li sento. Non li voglio ascoltare. Tutti bisbigliano e scambiano occhiate, alternativamente al letto e a noi.

Poi, Edgar si gira verso di me. I suoi occhi blu non esprimono alcuna emozione in particolare, ma grazie a essi capisco. Capisco tutto perfettamente.

“Sabin..” sussurra mio fratello. Usa un tono che raramente gli ho sentito pronunciare.  La sua voce esprime sempre allegria, mai una simile rassegnazione. Si avvicina a me, avvicina un braccio per toccarmi, per consolarmi, ma io lo respingo con tutte le mie forze.

Sabin, Papà è…

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“NON E’ VERO!”, urlo io con forza, e scappo via. Scappo dalla camera di mio padre e corro nel castello.

E’ uno scherzo. Non è vero. Edgar mente. Tutti mentono.

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Le pareti del castello mi scorrono velocemente accanto. Non controllo le mie gambe. Mi conducono dove vogliono loro. Salgo rampe e rampe di scale, senza badare alla fatica.

Mi ritrovo sul terrazzo. E’ il punto in cui i soldati stanno di guardia, ma oggi non c’è nessuno.

Il vento soffia con forza, caldo, portandosi dietro la sabbia. Mi sferza la faccia senza scopo. I granelli di sabbia si mescolano alle mie lacrime.

Sono vuoto. Non c’è più niente dentro di me. Mi sono state portate via le persone che amavo. Non ho più niente.

A parte un fratello, che sento mi sta raggiungendo. Arriva al terrazzo e mi viene vicino.

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“Ecco..” ,Edgar incespica, non sa come parlare. E’ la prima volta che mi capita di vederlo così, ”Papà..non ce l’ha fatta”, mormora.

Che cosa lo dice a fare, mi chiedo. E’ inutile costatare una cosa tanto ovvia, tanto orribile.

Sento altri rumori di passi che incedono sugli scalini di pietra. Più incerti e più lenti di quelli di Edgar.

“Siete qui, Principi”, dice una voce femminile. La sacerdotessa. Sul suo volto di pietra si scorge appena la fatica della salita, nient’altro.

“Vostro padre”, inizia a parlare con voce flebile e spenta , “Ha detto che intende affidare Figaro a entrambi. Queste sono state le sue ultime parole”.

La sacerdotessa e’ venuta fin quassù per dirci questo. Solamente questo. Non una parola di conforto, non il minimo dolore per la morte di nostro padre. Mi sale un moto di rabbia incontenibile. Velocemente mi alzo da terra.

“Che schifo!” urlo con tutto me stesso, “Lo sanno tutti che l’Impero ha avvelenato papà. Eppure tutti riescono a pensare solo a chi sarà il suo successore!”

La donna mi guarda stupita.

“E probabilmente a nessuno è importato che la mamma sia morta  dopo il parto. Nessuno è triste per loro che non ci sono più!”

Le mie parole fanno mutare l’espressione della sacerdotessa. Ora spalanca gli occhi. Scuote la testa.

“No..questo non è ..” la donna inizia a parlare ma io non la lascio finire. Mi avvento su di lei. Non so cosa mi stia accadendo. Probabilmente è il senso incredibile di devastazione che provo ad agire per me.

“Siete schifosi proprio come tutti gli altri!” continuo a urlare.

“Sabin!” esclama mia fratello.

Sentendomi chiamare da lui, finalmente mi calmo. La sacerdotessa mi guarda spaventata. Cosa mi ha preso? Ovviamente lei non è che una spettatrice degli eventi.

La causa di tutto  è solo Gesthalth. L’impero, il suo dominio malato. L’alleanza poco chiara che nostro padre ha stretto con lui. Non era altro che una pedina. Si è ribellato ed è stato gettato via, assieme ad altri pezzi.

 “Impero di assassini! Non la passeranno liscia!” mi metto a urlare con tutte le mie forze.

Sento che tra breve piangerò di nuovo. Ma non voglio farmi vedere in lacrime davanti a loro. Mi alzo in fretta e corro velocemente via, raggiungo un’altra rampa di scale.

Salgo e arrivo in cima alla torre. E’ il punto più elevato del nostro castello. Da qui si può ammirare un panorama immenso. C’è il deserto sconfinato, e più avanti le brune catene montuose.  Narsche, e la nostra bella Figaro.

Il regno che d’ora in poi dovremo governare.













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Capitolo 4
*** Testa o Croce. ***


testa o croce ScreenShot010

Io e Edgar siamo stati preparati fin da piccoli, a diventare dei sovrani. Anni e anni di studi specializzati, allenamenti continui, un’educazione molto rigida. E a dire il vero io al solo pensiero di una tale responsabilità mi sono sempre sentito morire. Avevo sempre pensato che quando sarebbe giunta l’ora di compiere il nostro dovere, saremmo già stati pronti.  Ma nessuno di noi si sarebbe aspettato che il momento avrebbe potuto arrivare adesso, in modo così improvviso.

Abbiamo solo diciassette anni. Nessuno si mette a governare a una simile età. Prima dei vent’anni si cerca di diventare adulti, ci si diverte,  si trova una ragazza.  Non si governa un regno da soli.

Non so perché, ma il pensiero mi torna su Duncan e Vargas. Loro non hanno vincoli o legami. Sono liberi, girano il mondo.

Scruto il deserto. Chissà dove si trovano, in questo momento.

Ancora una volta avverto il rumore di passi a me noti. Edgar mi ha raggiunto. Inizialmente rimane sulla soglia della porta, incerto, poi lo sento avvicinarsi a me.

Edgar. Chissà se anche lui è preso dai miei stessi pensieri.

Ormai, non posso far altri che esternare quel che provo.

“Andiamocene via di qui!”, dico improvvisamente, “Dimentichiamoci di questo regno assurdo, e viviamo come vogliamo! Tanto, neanche a te interessa diventare Re, vero?”.

Mio fratello sembra essere colpito dalle mia proposta. Rimane in silenzio. E’ come se cercasse il modo migliore per rispondermi.

“Stai proponendo di..vivere liberi da ogni responsabilità?” dice infine.

Il tono non è scherzoso, né incredulo. Come se davvero stesse considerando la mia proposta.

Riprende a parlare, ma nel suo tono c’è una sfumatura di amarezza.

“Se ce ne andassimo entrambi, che ne sarà di Figaro?”, mi chiede, “Nessuno salirebbe al trono. E invece papà contava su di noi per assicurare al regno un futuro prospero.”

Come sempre, ha ragione. Mi sento davvero infantile quando riesce a spiazzarmi in questo modo.  Il regno ha bisogno di noi. Siamo nati al solo scopo do governarlo. E’ il nostro destino.

Eppure, perché i miei occhi tornano a guardare senza sosta il deserto? Perché ogni fibra del mio corpo non riesce ad accettare ciò che è invece palesemente ragionevole? Ammiro l’orizzonte immenso di fronte a me e avrei voglia di fuggire subito, gettarmi dalla torre e correre solo nel deserto.

Edgar riprende a parlare, e stavolta lo guardo.

Ha una fermezza incredibile nella voce. “Sabin , risolveremo la questione con un lancio di moneta”, dice, e fruga nel panciotto, tirandovi fuori una piccola moneta d’oro. Vi è inciso il volto di uno di noi due sopra. Non capisco di chi sia.

“Me l’ha data papà. Tu sarai la testa, io la croce. E vedremo cosa uscirà. Il vincitore sceglierà la strada da seguire. Senza rimorsi né rimpianti. Va bene?”, continua, guardandomi negli occhi.

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Non so se ridere o piangere. Dopotutto, tutto ciò è assurdo. Il nostro destino giace nella faccia di una piccola moneta. Ma in fondo, non ho più niente da perdere.

Così annuisco.

“Allora,  pronto?”

Detto questo lancia davvero.

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Osservo affascinato la moneta stagliarsi nel cielo immenso e freddo. Il tempo sembra rallentare mentre essa raggiunge la luna, al culmine del suo volo.

Il nostro destino ora si compierà.

 













Una precisazione: le immagini che illustrano questa fan fiction non sono ovviamente mie. Sono illustrazioni disegnate da un certo Kuroinu, sono state utilizzate nel video musicale della canzone "Sabin's Rap", che parla appunto di questa storia.

 

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Capitolo 5
*** Dieci Anni Dopo ***


dieci anni dopo

 

 

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Sabin sorride, provando nostalgia per quei vecchi ricordi. Dopo tutti questi anni, è finalmente tornato al castello di Figaro. Si siede sul trono di suo padre, che ha l’imbottitura azzurra e delle strane corna ai lati del poggiatesta.

Dopo tanto tempo, il castello non sembra affatto essere cambiato. Le antiche mura proteggono ancora gli abitanti dalle sabbie del deserto, i tappeti rossi accolgono i visitatori stanchi. Il luogo in cui abitava è rimasto uguale, ma lo stesso non si può dire di lui.

Ha raggiunto il maestro Duncan e si è allenato con lui nelle pratiche ascetiche e nelle arti marziali. Ha girato per il mondo, guadato fiumi, scalato montagne. Lottando contro qualunque essere, in qualsiasi condizione climatica.

Voleva diventare forte. Se non poteva prendersi cura di Figaro, avrebbe almeno potuto proteggere suo fratello. Sicuramente adesso ne è in grado.

“E tu, hai scelto la libertà”, costata una voce a lui conosciuta.

Edgar gli si avvicina. Ora non sono più completamente identici. Sabin è adesso più alto di Edgar, di parecchi centimetri. E decisamente più robusto.

Edgar è rimasto snello, e la sua bellezza si è affilata. Ha continuato a fare strage di cuori.  “Sono passati dieci anni. Era una ragazzo, e adesso è diventato un uomo”, dice, guardando il fratello ammirato.

“E tu il suo re!”, completa Sabin sorridendo.

Edgar si siede sul trono accanto al suo, con un identico sorriso. Questo, almeno hanno ancora di uguale.

Il giovane re rimane un attimo pensieroso.

“Sabin”, dice poi, “Pensi che papà sarebbe orgoglioso di me?”

Lui è stupito dalla domanda.  "Come puoi chiedermelo? Certo che lo sarebbe!”

I due gemelli si guardano, non riuscendo più a specchiarsi l’uno nell’altro.

Dieci anni..come sono potuti passare tanto in fretta?

Il Re improvvisamente si alza, e guarda Sabin. Ha uno sguardo euforico.

“Avanti! Brindiamo alla salute di due adulti un po’ confusi!”, esclama.

Muove le mani come se dovesse reggere un calice colmo.

Corre sino al centro della sala del trono, e solleva in alto il suo invisibile calice.

“Brindiamo a papà!”, esclama entusiasta.

Sabin lo raggiunge, e porta anch’egli in alto il suo calice.

“E alla mamma! E a Figaro!”, esclama sempre più forte.

I due nobili si guardano.

 

Quel che è stato è stato. Non si può cambiare il passato. Nessuno sa cosa gli riserva il futuro. A loro però non importa, perché adesso sono insieme.

E basta solo questo a renderli felici.

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Continua....nel gioco....













Una precisazione: le immagini che illustrano questa fan fiction non sono ovviamente mie. Sono illustrazioni disegnate da un certo Kuroinu, sono state utilizzate nel video musicale della canzone "Sabin's Rap", che parla appunto di questa storia.

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