E penso a te.

di Mia Swatt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Isabella. ***
Capitolo 2: *** Edward. ***



Capitolo 1
*** Isabella. ***


Buon Sabato pomeriggio a tutti! Come state? Il fandom mi mancava, così nell'attesa di pubblicare la mia nuova storia su Twilight - visto che ora sto portando avanti la mia Originale/Fantasy - eccomi qui con questa FlashFic. Agli inizi era stata pensata per essere una One-Shot, ma poi ho cominciato a scrivere e mi è venuta lunghissima. Ho deciso, quindi, di suddividerla in DUE PUBBLICAZIONI. La prima sarà dal punto di vista di Isabella, la seconda da quello di Edward. Non è la classica storiella con vampiri o creaute sovrannaturali, non si svolge a Forks e nonavrà un lieto fine. Dipende tutto dai punti di vista, insomma. Detto questo, voglio solo ricordarvi una piccola cosa che mi riguarda - o per meglio dire, riguarda le mie store: mai nulla è come sembra!
Ora bando alle ciance! Vi lascio alla prima parte di questa mini - davvero mooolto mini - storia.
BUONA LETTURA!




Canzone che ha ispirato questa FlashFic: E penso a te - Mina Version.

E PENSO A TE

Io lavoro, e penso a te.
Torno a casa, e penso a te.
Gli telefono e intanto penso a te.
Come stai? E penso a te.
Dove andiamo? E penso a te.
Gli sorrido, abbasso gli occhi e penso a te.

Isabella

27 Giugno 2011, Los Angeles.

Mi alzai, svegliata dall’assordante sveglia. Erano le otto in punto, la libreria – come ogni mattina – apriva le sue porte alle nove e mezza. Mi diressi in bagno, controvoglia. Alzarmi presto era sempre stata la mia croce, ma si sa: nella vita devi affrontare i compromessi. Il mondo non aspetta te, mai.
La doccia fresca ravvivò la mia pelle, svegliandomi – finalmente. Afferrai i vestiti, nulla di eccessivo: jeans scuri stretti, una camicetta a maniche corte a scacchi lilla e bianca, un paio di ballerine basse bianche. Feci una rapida colazione e afferrai le chiavi della macchina.
Il mio appartamento si trovava in periferia, mentre il negozio, dove lavoravo, era in pieno centro città. Solitamente – traffico permettendo – ci mettevo sempre una buona mezzora. Accesi il motore, facendo in modo di riscaldare un po’ l’auto, inserii il Cd della mattina e digitai il PIN sul cellulare. Come di consueto trovai un SMS dei miei genitori. Renèe, mia madre, abitava a Jacksonville – Florida – da quando si era risposata con Phil, ora un affermato e importante giocatore di baseball. Mio padre, Charlie, viveva a Forks. Era una piccola cittadina dello Stato di Washington, coperta da uno strato perenne di nuvole e pioggia. Le temperature annuali erano sempre piuttosto basse, ma tutto sommato non era affatto male. Ci ho vissuto per tutti gli anni del liceo, per lasciare a mia madre e Phil un po’ di privacy. Inoltre, era arrivato il momento di passare un po’ di tempo con mio padre.
Mi ero trasferita a Los Angeles da qualche anno. Proprio qui frequentavo il college per diventare giornalista. Per pagare le spese dell’affitto e della retta – non volevo pesare ai miei genitori – avevo trovato questo lavoretto part-time e la cosa non mi dispiaceva per niente.
Lavoravo alla libreria “Rose of Angels” da circa due anni. Ricordo ancora quando trovai il volantino giallo appeso alla bacheca degli annunci del Campus. Era stato un colpo di fortuna.
Nonostante non fossi più una novellina della grande city, vedere tutti quei grattaceli, quelle strade affollate, la metropolita e tutte le splendide altre cose, per me, Los Angeles, era ancora tutta da scoprire.
Arrivata davanti al negozio notai Julian – il mio migliore amico, qui, ma anche proprietario del “Rose of Angels” – inserire le chiavi e aprire la porticina del negozio. Suonai il clacson, facendolo spaventare, e parcheggiai proprio davanti al locale.
― Puntuale come sempre, Bella ― disse Julian, sorridendomi.
― Ovvio, capo ― risposi, prendendolo un po’ in giro. Spensi il motore dell’auto e lo raggiunsi.
Julian Butler, venticinque anni, è sempre stato un ragazzo molto attraente. Alto, più o meno, un metro e ottanta. Capelli castano scuro, occhi azzurri, pelle naturalmente abbronzata. Si è trasferito dal New Mexico – insieme alla sua famiglia – dieci anni fa. Concluse qui gli studi e si iscrisse al college. Il padre, sapendo la sua grande passione per la lettura, per ricompensarlo della sua mente geniale e del suo comportamento da studente e figlio impeccabile, gli aprì questa splendida libreria, la quale divenne – nel giro di pochi mesi – la più famosa e frequentata della città.
― Come sta Jacob?
― Bene, è andato a trovare suo padre a Forks. ― risposi ― Dovrebbe rientrare domani in giornata.
― Oh, quindi sei stata sola tutto il week end? ― domandò, con un sopracciglio alzato. Annuii, sapendo già cosa avrebbe detto di lì a poco, così lo anticipai.
― Lo so, avrei potuto chiamarti. Oppure chiamare Claire. Ammetto di non averci pensato. ― dissi, appoggiando la borsa nel retro. Claire era la fidanzata – nonché futura moglie – di Julian. Era molto carina: capelli castano chiaro, occhi castano/verdi e un carattere stupendo. Insieme erano una coppia splendida.
― Esatto! ― disse lui, aprendo la cassa – Ma come al solito parlare con te o col muro è uguale, Bella. ― sorrisi sfacciata e andai a catalogare gli ultimi arrivi. Aprii gli scatoloni pieni zeppi di volumi e ne rimasi meravigliata. C’era di tutto! Dai classici, come Orgoglio e Pregiudizio, oppure il mio preferito Cime Tempestose, a saggi più voluminosi. Best seller horror, fantasy… oppure commedie romantiche. Adoravo lavorare per Julian. Come lui, anche io amavo quel mondo fatto di carta.
Pulimmo e sistemammo tutto nel giro di un’ora, giusto in tempo per servire la prima cliente della mattinata.

La giornata passò in fretta, come sempre. Per quel Lunedì – non avendo lezione al college – feci tutto il giorno, mentre Julian andò a sostenere uno degli ultimi esami che lo dividevano dalla laurea. Mangiammo un panino farcito, al volo, a mezzogiorno e poi ognuno di noi tornò alle proprie mansioni. Non potevo, però, lamentarmi di aver passato una giornata stancante o noiosa, in quanto in torno alle quattro del pomeriggio venne a farmi compagnia Claire.
Mi trovavo a casa, adesso. Più precisamente nella vasca da bagno. Il mio appartamento non era piccolo, ma neppure tanto grande. Un monolocale in periferia, composto da sala da pranzo, cucina, stanza da letto e bagno. Quest’ultimo era dotato di una vasca da bagno gigantesca. Il mio sogno. A Forks, Charlie, aveva solo una piccola doccia da condividere.
Immersa in quel gradevole tepore i ricordi della mia infanzia tornarono alla mia mente. Prepotenti. I giorni di scuola, le mie pazze amiche – che purtroppo non sentivo né vedevo più – le discussioni con mio padre, i brutti voti e quelli belli… e quegli occhi. I suoi smeraldi, che mi hanno riscaldato il cuore per anni in quella fredda città, la quale oramai, era solo un dolce ma lontano ricordo.
Avevo ventuno anni adesso. Non ero più una ragazzina. Ero al terzo anno di college, a un passo per diventare quello che sono sempre voluta divenire: una giornalista di successo. Un sorriso amaro si formò sulle mie labbra. Alla fin fine non ti penti di nulla, pensai. Ed è la verità. Di ciò che ho fatto nella mia vita non mi sono mai pentita. Non ho rimpianti per ciò che ho fatto, per ciò che ho scelto. Forse uno solo… ma ormai è troppo tardi per tornare indietro.
Lo squillo del telefono mi fece sobbalzare. Presi l’asciugamani e me lo avvolsi attorno al corpo, correndo a prendere il piccolo cordless nero.
― Pronto?
― Bella, tesoro! ― sorrido, riconoscendo la voce del mio ragazzo dall’altro lato del telefono.
― Ciao Jake.
― Com’è andata la giornata? ― chiede, evidentemente interessato e preoccupato ― E il fine settimana? Lo hai passato bene?
― Sì, Jake. ― risposi, facendo un sorriso tirato ― Com’è andata a Forks? Tuo padre come sta? Hai visto anche Charlie, per caso?
― Ovvio! ― rispose, sghignazzando ― Charlie mi ha chiesto di te per tutto il tempo, mi ha perfino dato delle cose per la sua bambina.
Scoppiai a ridere a quelle parole. Mio padre non cambia mai, pensai.
Mentre Jacob mi spiegava di aver rivisto tutti i suoi amici di La Push, non riuscii a trattenermi dallo sprofondare nei miei ricordi.
Stavo con Jacob Black – una volta mio migliore amico – da quasi un anno, ormai. Jake, era più piccolo di me di un anno, anche se la differenza di età non si è mai né sentita né vista. Era indubbiamente più alto di me, più muscoloso, più prestante e innegabilmente più maturo. Questo poteva dipendere moltissimo dal fatto che perse la mamma quando era solo un bambino. Si trasferì a Los Angeles, per caso – o almeno, questo è ciò che ha sempre detto – quasi due anni fa. Aveva cominciato a frequentare l’università a Forks, ma a detta sua, gli insegnanti e le lezioni erano insoddisfacenti. Fu così che ci mettemmo insieme, circa un anno dopo il suo trasferimento qui.
― Bella? ― sentii la voce di Jacob e trasalii ― Ci sei ancora?
― Sì, sì. ― risposi in fretta, anche se non avevo udito neanche una parola ― Sono qui. Ti stavo ascoltando!
― Sei stanca? ― domandò dolcemente, fino a farmi sciogliere il cuore. Era sempre così buono e comprensivo con me.
― Sì, credo sia un po’ di stanchezza.
― Allora vai a dormire, amore mio. ― disse e riuscii quasi a percepire una sua debole e dolce carezza ― Io arriverò domani in serata.
― D’accordo. Allora buona notte, Jake.
― Buona notte, amore mio. A domani! Ti amo.
― Ti amo anche io, Jake. ― risposi, riattaccando. Ed era vero. Amavo Jacob Black. Forse, però, non di quell’amore viscerale che ti consuma dentro. Era amore, quello sì, lo sapevo. Lo sentivo. Ma non sarei riuscita più ad amare in quel modo… nel modo di molti anni fa. L’amore che provavo per Jacob non era neanche lontanamente paragonabile a quello che provai – e forse, provavo ancora – per lui.
Erano passati anni, più o meno due – più o meno, un anno dopo il mio trasferimento a Los Angeles – da quel giorno.
Mi trovavo in centro, era Natale e fioccava. La neve, a differenza di Forks, era soffice e meno gelida. Ero a Hollenbeck Park, seduta su una panchina davanti al ruscello che passava in mezzo al parco. Avevo con me il mio bicchiere di frappuccino e il mio libro preferito. Attendevo. Aspettavo che lui arrivasse. Per ore attesi, sotto il freddo e sotto la neve. Ma lui non venne mai. L’ennesima promessa non mantenuta. A tarda ora, col cuore gonfio di dispiacere e un magone a gravarmi sul petto, tornai a casa. Non lo sentivo da parecchie settimane. Il problema non era che non mi amasse o mi amasse troppo poco – o almeno, così credevo – avevo totale fiducia in lui. Il guaio erano gli orari, gli impegni. Tante piccole cose che, a lungo andare, possono rovinare una relazione anche troppo stabile. Lui si trovava a New York. Era partito poco dopo di me. Aveva ventuno anni all’epoca, e i tre anni di college a Forks erano finiti. Avrebbe dovuto specializzarsi, così – sotto consiglio di suo padre – decise di concludere gli anni di studio a New York City. Comunemente conosciuta come la Grande Mela. Ne ha compiuti poco tempo fa ventiquattro, pensai. Sospirai pesantemente e la rabbia si rimpossessò di me. Come aveva fatto a dimenticarmi così in fretta? Come aveva fatto a lasciarmi con un messaggio e poi, senza neppure avvisarmi, cambiarmi numero? Come aveva potuto distruggermi in quel modo?
Ero andata a New York, qualche mese più tardi. Non rispondeva alle mie chiamate, né ai messaggi. Presi, così, la decisione di andare a trovarlo. Comprai il biglietto aereo con gli ultimi risparmi che avevo e volai dritta a New York. Conoscevo il suo indirizzo, me lo aveva dato appena riuscì a stabilirsi. Ma non avevo avuto ancora modo di andarci. Solitamente veniva lui da me, per evitare che il viaggio mi pesasse. Arrivata in aeroporto chiamai un taxi e mi diressi alla Fifth Avenue di Manhattan. Da quello che ne sapevo, era il borgo più ricco e di cultura di New York.
Quando arrivai dinanzi all’enorme casa bianca il cuore cominciò a battermi furioso nel petto, ma quella sensazione durò poco. Pagai il taxista e quando mi voltai, pronta a scendere le mie gambe si immobilizzarono. Davanti a me, bello come sempre, c’era il mio fidanzato che abbracciava una ragazza. I capelli di lei erano biondo/rossicci. Era alta, sicuramente più di me, corpo snello e perfetto.
― Grazie per questa notte. Ne avevo davvero bisogno. ― disse, baciandogli la guancia.
― Quando vuoi, Tanya. ― rispose lui, sfacciato ― Per te ci sono sempre.
Non volli sentire altro. Chiesi al taxista di riportarmi subito all’aeroporto e così fece. Lui non mi vide, ma io capii tante cose. Il motivo per cui non venne quel giorno da me, perché aveva cambiato numero e non volle rispondere più alle mie chiamate. Era un maschio e come tale non potevo aspettarmi troppo. Avevo creduto nel suo amore, però. Nella nostra storia, nel nostro futuro insieme. Tutte bugie, mi dissi. Erano state solo bugie.
Quella fu l’ultima volta che lo vidi. L’ultima volta che osservai i suoi capelli bronzei, scompigliati dal vento. L’ultima volta che vidi il suo sorriso o i suoi incredibili occhi verdi. L’ultima volta che il mio cuore batté all’impazzata per un amore vero. Ceco, dilaniante. Eterno.

― Bella! ― urlò Jake, abbracciandomi e facendomi volteggiare tra le sue braccia, in mezzo all’aeroporto di Los Angeles.
― Ehi! ― urlai, ridendo ― Ma cosa fai! Sei pazzo!
― Sì, solamente di te. ― disse e mi baciò. Il contatto fu lento, dolce e anche passionale. Jacob era caldo, in qualsiasi cosa facesse. Ci metteva il cuore.
― Mi sei mancata.
― Anche tu, moltissimo.
Afferrò il suo bagaglio e prese la mia mano, dirigendoci verso la mia macchina. Salimmo, notando che il suo sguardo non si era staccato un attimo da me.
― Come stai? ― domandò, dopo che mi ero messa sulla carreggiata. Direzione: il nostro appartamento. O così credeva lui.

Come una persona orribile, che invece di pensare al suo ragazzo ha passato quasi tutto il fine settimana a pensare ad un altro uomo. Qualcuno che ora non c’è, che mai più ci sarà. Qualcuno che dovrebbe restare nel passato, pensai. Ma risposi diversamente.
― Bene, grazie. E tu?
― Ora che sono qui, con te, molto meglio! ― arrossii, non mi ero mai abituata alla sua dolcezza disarmante.
― Dove stiamo andando? ― chiese, notando che non era la strada di casa. In effetti, era una sorpresa per lui. Qualche tempo prima che partisse per Forks aveva tentato di insegnarmi ad andare in moto ma, purtroppo, quello non era di certo il mio talento. Andai a sbattere. Fortunatamente non mi feci nulla, ma la moto si danneggiò parecchio. Jacob non la portò mai ad aggiustare, ritenendola troppo pericolosa per me. Sapevo, però, quanto ci teneva.
― È una sorpresa. ― risposi, guardandolo con la coda dell’occhio. Sembrava un bambino in quel momento. I capelli neri, corti. Gli occhi castani, così profondi… la pelle scura, i muscoli in bella mostra. Era così diverso da…
― Bella, attenta! ― urlò Jake, notando che stavo finendo fuori strada.
― Scusami! ― dissi ― Mi sono distratta!
― A guardare me. ― disse, sghignazzando ― So di essere bellissimo, ma tieni gli occhi sulla strada.
Sorrisi, scacciando il pensiero che mi martellava in testa: non stavo solo guardando. Io stavo paragonando.
― Dimenticherai mai quella mia frase? ― domandai, cercando di restare lucida.
― No, mi dispiace. ― rispose, scoppiando a ridere ― Quella volta sei stata buffissima! ― sbuffai, facendomi travolgere dalla sua ilarità. Nonostante tutto.
― Siamo arrivati. ― gli riferii, parcheggiando accanto all’officina “Da James”. Ne uscì subito un uomo sulla trentina, alto. Capelli biondi e occhi chiari. Completamente ricoperto di tatuaggi.
― Ehi, Isabella. Ciao!
― Ciao James. È pronta quella cosa che ti ho chiesto?
― Certamente. Venite. ― disse e lo seguimmo.
― Cosa ci facciamo qui? ― sussurrò Jacob, al mio orecchio. Gli chiesi di fare silenzio, mimando un “adesso lo scopri, non essere impaziente”.
― Eccola qui. ― parlò James, dinanzi una moto nera tirata a lucido.
― Oh mio Dio! ― urlò Jacob, in preda all’eccitazione ― Non ci credo. L’hai fatta sistemare per me? ― mi domandò ed io annuii. Mi avvolse in un abbraccio, posandomi sulle labbra un bacio per niente casto.
― Dio quanto ti amo, Isabella Swan!
Gli sorrisi, abbassando lo sguardo, mentre lo vidi avvicinarsi al mezzo e scambiare due parole con James.
Cosa ne sarebbe stata della mia vita se non avessi avuto Jacob? Ringrazio ancora Dio che lo ha mandato da me. Lui c’è sempre stato. Anche quel giorno a Hollenbeck Park. Ero sola, quasi in lacrime. Ma lui c’era. Mi porse una mano, invitandomi a seguirlo dentro un bar per riscaldarmi, ma rifiutai. Si sedette così accanto a me, per un po’. Poi mi diede un bacio sulla guancia e andò via.
Come sarebbe stata, invece, la mia vita se lui non mi avesse tradita? Forse saremmo insieme, adesso. Ero sempre stata convinta che il nostro amore fosse stato scritto nelle stelle, nel destino. Ero ingenua, è vero. Ma ci credevo. Credevo in lui, in noi. Nel nostro amore, che superò – almeno ai tempi del liceo – ogni cosa. Poco importava se io fossi più piccola. Poco importava che io fossi la migliore amica di sua sorella. Poco importava che lui fosse più ricco di me, più bello o intelligente. L’unica cosa che ci importava era il nostro amore che, purtroppo, poi si è sciolto come neve al sole. Sono passati anni eppure ti penso ancora, Edward. Ma la vita va avanti. Essa va sempre avanti.

Eccomi qui, lo so abbassate i forconi per favore! Chi mi conosce sa che una cosa del genere - cioè Bella e Jacob - da me non lo aspetta. Eppure... Questa piccola storia mi è venuta in mente ieri mattina. Quindi abbiate pietà, sarà il caldo! Cosa ne pensate? Isabella è una persona autonoma, indipendente rispetto a quella della Meyer. Studia, lavora, vive per conto suo lontana da casa. Lontana da Forks. Aveva un amore - che lei considerava vero - ma le viene sgretolato sotto gli occhi. Sono cose orribili, eppure accadono. Edward non va da lei Hollenbeck Park, così lei lo raggiunge a New York e cosa vede? Il suo ragazzo che saluta una ragazza, che lo ringrazia per la nottata passata insieme. Forse molte di voi, di noi, sarebbero scese e lo avrebbero preso a schiaffi, ma mettiamoci anche nei panni di Isabella o delle persone come Isabella. Non sai cosa succede col tuo fidanzato, le cose vanno male, lui non si presenta ad un appuntamento, vai a cercarlo e lo trovi con un'altra! Vale la pena parlare? Forse sì, ma non tutti hanno il coraggio di sprecare parole quando la verità è lì, davanti ai tuoi occhi.
La seconda parte di questa FlashFic verrà pubblicata Mercoledì 24 Agosto, per dare il tempo a chi vuole recensire di farlo e per chi vuole leggerla con calma. Mio Dio quanto ho scritto! Tolgo il disturbo, dai!

A Mercoledì! Un abbraccio a tutti :)

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Capitolo 2
*** Edward. ***


Buon pomeriggio a tutti! Come va? Prima di postare la seconda - e ultima - parte di questa piccolissima storia, ci terrei a sottolineare una cosa. Il pairing Bella/Jacob non è per niente nelle mie corde, anche se io non detesto Jacob. A me da solo fastidio il suo incaponirsi, ecco. Solo questo, ma come ragazzo non lo disprezzo... Adoro la coppia Edward/Bella, ma ho semplicemente "preso in prestito" dei personaggi, non le vicende o gli "accoppiamenti" che questo ne comporta. (In tutte le altre mie storie Bella sta con Edward, ma questa è un pò diversa. Volevo lanciare un messaggio più profondo). Ci tengo poi, a precisare -come già detto- che non ci sarà il lieto fine, almeno, non quello che si può pensare. E' una storia diversa, che segue il filo della sua canzone ispiratrice "E penso a te"... Spero di non deludere, comunque, le vostre aspettative e spero, anche, che se la fine non sarà come la immaginavate non abbiate sprecato tempo a leggere questa piccolissima flashfic... Purtroppo nella vita non sempre le cose vanno come noi le pensiamo o immaginiamo. Non sempre ci comportiamo in modo perfetto. Siamo esseri umani, sbagliare è nella nostra natura. Nelle recensioni mi è stato segnalato di più il pairing della storia, più che la storia in sè - mentre io volevo lanciare un altro tipo di messaggio. Qualcun altro mi ha detto che Isabella dovrebbe voltare pagina, vivere la sua storia con Jacob. Ma alla fin fine, cosa sta facendo? Purtroppo dimenticare un grande amore non è così semplice. Isabella sta con Jacob, è vero non come ha amato Edward, ma lo ama, e anche se non sembra lei sta vivendo. Lei sta andando avanti, lei si sta costruendo una vita. Ma quando qualcuno riesce a entrarti dento, arrivando fino infondo all'anima non è così facile dimenticarlo e basta. A volte, non si dimentica mai. Il tempo guarisce le ferite, ma le cicatrici restano. Ma credo di essermi dilunga anche troppo... Perciò, vi lascio a questo ultimissimo capitolo! Ma mi raccomando, leggete anche quello che scriverò dopo! A fondo pagina, è importante.
BUONA LETTURA!





Canzone che ha ispirato questa FlashFic: E penso a te - Lucio Battisti.


E PENSO A TE

Scusa è tardi, e penso a te.
Ti accompagno, e penso a te.
Non son stato divertente e penso a te.
Sono al buio, e penso a te.
Chiudo gli occhi, e penso a te.
Io non dormo e penso a te.

Edward

31 Dicembre 2011, New York.

Un altro anno stava per giungere al termine. Un altro anno senza la parte migliore di me. Un altro anno senza di lei. Sospiro, guardando l’orologio al mio polso. Un regalo di mio padre, per Natale. Come hai passato tu quel giorno? Mi domandai, sapendo che non avrei mai avuto una risposta. Il dolore non era svanito neanche per un secondo. Sono passati due anni – forse qualche mese in più – da allora, eppure il tuo ricordo è ancora vivo dentro di me. Scossi il capo, cercando di non pensarci troppo. Almeno non questa sera.
― Edward, sei pronto? ― domandò Alice, entrando in camera mia.
― Sì, arrivo subito. ― risposi, afferrando la giacca e uscendo.
Abitavo in una piccola villetta a schiera nella Fifth Avenue di Manhattan, New York. Ormai mi ero abituato a quella città, a quel ritmo frenetico. Avevo da poco concluso la prima parte di specializzazione medica al college, iniziando così il mio primo e vero tirocinio al Presbyterian Hospital. Avevo ventiquattro anni e di strada per diventare medico ne avevo ancora molta da percorrere, ma quello era ciò che volevo fare. Fin da quando avevo sei anni. Molti dei miei compagni di scuola sognavano di fare i calciatori, i motociclisti… io sognavo di fare il medico. Il pediatra, per essere esatti.
― Dovremmo incontrarci con Rose e gli altri tra un’ora. ― disse Alice, risvegliandomi dai miei pensieri ― Sono le dieci, Edward. Ce la facciamo ad arrivare al locale per le undici? ― annuii, aprendo la macchina con il piccolo telecomando nero.
― Devo andare a prendere Tanya. ― informai Alice, mettendo in moto e ingranai la prima, uscendo dal parcheggio.
― Tra voi c’è qualcosa? ― chiese mia sorella, con fare noncurante.
― Cosa dovrebbe esserci?
― State insieme?
― Alice, ma che razza di idee ti vengono?
― Scusami, ma Edward sono passati quasi due anni. Pensavo che tu ti fossi rifatto una vita qui a New York.
― Beh, ti sei fatta un’idea sbagliata. ― quasi le ringhiai addosso ― Alice, Tanya è una carissima amica, ma tra di noi non c’è niente. Ci abbiamo provato, ma lei è ancora psicologicamente instabile. Mentre io… ― lasciai la frase a metà. Non dovevo aggiungere nient’altro, mia sorella avrebbe capito.
― Sei ancora innamorato di lei? ― annuii soltanto ― L’hai più sentita? ― scossi il capo. Non sapevo più niente di lei. Più nulla. Ricordo ancora quel periodo, prima della rottura. Le cose non era chiare, né erano tutte rose e fiori. Ma credevo nell’amore, nel suo amore per me. Se mi avessero chiesto di buttarmi da un burrone, mettendo in conto che per salvarmi fossi dovuto essere certo del suo amore per me, avrei accettato senza esitazione. Quanto mi sbagliavo… Eravamo sempre stati noi, da sempre e per sempre. O almeno, così credevo.
― Tu? ― domandai ― L’hai più sentita, tu? ― scosse il capo.
― Sono due anni che non la sento. ― parlò flebile ― Quando avete rotto ci scambiavamo qualche SMS o qualche E-mail, ma nulla di più. La vedevo strana, lo sai. Ma non mi ha mai voluto dire nulla. E poi…
― Poi avete smesso di sentirvi.
Conclusi la frase, giusto in tempo per vedere Tanya fuori, sul marciapiede. La sua famiglia era un caso disperato: sua madre beveva, mentre il padre era sempre fuori a farsi qualche prostituta. Capivo perché, fin da quando aveva quattordici anni, aveva cominciato a farsi di cocaina. La sua situazione non era per niente facile. Anzi, tutto il contrario.
― Ciao! ― salutò entrando in macchina. Non era affatto male a livello fisico: capelli biondo/rossicci, forme al punto giusto, alta all’incirca un metro e settanta, occhi azzurri.
― Tanya, quante volte ti ho detto di non aspettarmi sul marciapiede? Sai che il tuo quartiere non è dei migliori. Gira brutta gente.
― Scusa Edward. Ma se non uscivo subito da quella casa commettevo un duplice omicidio.
― Discutono ancora? ― domandò Alice, riferendosi ai suoi genitori. Tanya annuì, ma non aggiunse altro.
Arrivammo al locale poco prima delle undici. Emmett e Jasper non avrebbero avuto nulla da ridire. Parcheggiai non molto distante e notai subito la chioma mossa e bionda di Rosalie. Ci dirigemmo verso di loro all’istante. Emmett era mio fratello maggiore, aveva ventotto anni. Jasper e Rosalie, invece erano coetanei miei e di mia sorella: il primo aveva la mia età, la seconda quella di Alice. Prendevamo spesso in giro Emmett, sostenendo che fosse un pedofilo. Tra lui e Rose c’erano sette anni di differenza. Ma lui non si scomponeva mai. Quando la conobbe erano all’università, ciò implicava che lei non fosse minorenne e questo rendeva tutto legale e possibile.
Passammo la serata a bere, chiacchierare e divertirci. Io, almeno, ci provai. A mezzanotte precisa alzammo i calici e brindammo al nuovo anno. L’ennesimo. Mentre tutti facevano il trenino, ballando e cantando, mi allontanai. Presi la giacca e uscii un po’ fuori. Estrassi il mio pacchetto di sigarette e ne accesi una. Non fumavo spesso, anzi, questa era proprio una novità. Avevo cominciato neanche un anno fa. Era una pessima abitudine, lo sapevo, specialmente per uno che voleva fare il pediatra. Ma ne fumavo giusto qualcuna, quando ero nervoso o giù di corda.
― Il fumo fa male, dottore. Non glielo hanno insegnato?
― Non dovresti stare dentro a festeggiare con gli altri, Tanya?
Si avvicinò, scrollando le spalle, mentre si stringeva nella giacca nera.
― Troppi alcoolici. ― rispose, alzai un sopracciglio.
― Tu hai problemi di altro tipo, non di alcool.
― Hai ragione.
― Allora, qual è la versione ufficiale?
― Ti ho visto uscire e ho pensato di farti compagnia. ― concluse, diventando rossa come un peperone. Mi fece sorride.
Tanya aveva ventidue anni. Non andava al college e non lavorava. Il primo non poteva permetterselo, il secondo… era ancora un rischio.
― Non sono molto divertente questa sera, mi spiace.
― Edward, tu non sei mai divertente. ― mi accigliai. Non era assolutamente vero! Io ero un tipo divertente, certo prima lo ero di più.
― Sono un ragazzo molto spiritoso, io.
― Oh certo, certo. ― rispose, scoppiandomi a ridere in faccia.
― Visto? ― chiesi ― Ti ho fatta ridere. ― si avvicinò a me, accarezzandomi il viso. Afferrò la sigaretta e la buttò a terra, spegnendo il mozzicone con un piede. Mi accarezzò il colletto della giacca e si alzò in punta, posando le sue labbra sulle mie. Il bacio fu innocente, dolce, disperato. Quasi come se avesse bisogno di conferme, di qualcuno su cui poter contare. Risposi a quel gesto, posando le mani sui suoi fianchi. Ma a lei si sovrappose un altro volto: capelli scuri, occhi nocciola, un viso a cuore. Mi staccai, quasi come se mi fossi scottato. E ripensai a quegli anni. Ripensai a quel giorno di Novembre di molto tempo fa.
Ero andato a Los Angeles, il mio aereo era in ritardo. Le cose tra me e lei non andavano più troppo bene. I nostri impegni ci rubavano un sacco di tempo. Spaventato da tutto ciò decisi di andare da lei e passare insieme un week end, senza distanza, senza distrazioni. La sentivo lontana, distante. Volevo porre fine a tutto quello. Avevo cercato perfino un college più vicino a lei e lo avevo trovato. Peccato che non servì più. Quando arrivai nel luogo dell’incontro – Hollenbeck Park – mi sentii gelare il sangue, e non per il freddo di quel periodo. Seduta su una panchina c’era la mia ragazza insieme a qualcun altro. Erano seduti vicini, uno accanto all’altra. Lui le stava accarezzando una guancia.
― Vieni con me. ― disse lui, avvicinandosi a lei pericolosamente. La quale sorrise, ricambiando il gesto.
― Sei un caro ragazzo, Jake. ― Jake, Jacob Black. Quel nome mi rimbombò nelle orecchie. Da quando quel cane era a Los Angeles? E perché lei non me ne aveva parlato? Sapevo, fin dai tempi in cui abitavamo a Forks, che Jacob Black provava un forte interesse nei suoi confronti. La cosa mi lasciò perplesso. Ma non volevo dare nulla per scontato. Magari era un caso, magari il destino mi metteva alla prova.
― Quest’anno, qui con te, è stato il migliore della mia vita. ― disse lui, ed ogni traccia di speranza svanì, si sciolse come neve al sole.
― Anche a me è piaciuto molto, Jake.
Non volli più sentire niente. Facendo attenzione a non disturbarli indietreggiai, sperando che nessuno dei due mi vedesse. Non volevo fare sceneggiate, ma se mi avessero visto sicuramente avrei preso a pugni quella sua faccia da ragazzino immaturo. E lei… non me lo aspettavo proprio. Capii tutto, però. Tutte le volte che diceva di stare in libreria fino a tardi, le uscite a orari assurdi con i compagni di corso… quanta fiducia vana. Quanta fiducia andata persa. Un futuro che, probabilmente, vedevo e sognavo solo io, andato a rotoli. Tornai in aeroporti e presi il primo volo per New York. Decisi che se era così che stavano le cose, era meglio finirla lì. Non volevo diventare cattivo o scontroso nei suoi confronti, ma al momento avevo solo rabbia cieca. Ira latente, pulsante. Lei, così piccola e indifesa, mi aveva distrutto il cuore.
Fu in quell’occasione che conobbi Tanya. Era completamente fatta, fuori dall’aeroporto. Quando mi vide, senza una ragione precisa, venne da me e mi chiese aiuto. Mi raccontò la sua storia e cercai di aiutarla. Per un po’ la feci stare a casa mia. Era una casa grande per un persona sola, una stanza non mi avrebbe privato di chissà quale spazio. L’aiutai a uscirne, anche se furono settimane dure, mesi pesanti. Ma alla fine ce la facemmo, insieme. I momenti peggiori erano le notti. Turbolente, violente. Veloci corse in ospedale perché le venivano attacchi di panico o di epilessia.
Grazie mille, Edward. ― disse una volta ― Grazie per questa notte, ne avevo proprio bisogno.
Aveva avuto una crisi più forte delle altre, eravamo agli inizi. Così decidi di accompagnarla in una clinica. La mattina dopo venne a prendere alcune cose che aveva lasciato da me, insieme all’assistente sociale, o come si chiamano in questi casi.
Quando vuoi, Tanya. ― risposi ― Per te ci sono sempre.
Ed era vero. Era troppo fragile perché affrontasse la vita da sola. Aveva bisogno di qualcuno, ed io volevo darle una mano.
― Mi dispiace… ― disse Tanya, risvegliandomi dai miei pensieri ― Non so perché ti ho baciato.
― Non fa nulla. È capitato.
― Edward, io… ― la interruppi, sapevo cosa avrebbe detto. Ma non potevo spezzarle il cuore un’altra volta. Non se lo meritava.
― Tanya, tu sei una ragazza stupenda. Ma non sono pronto per una relazione.
― C’entra lei, vero? ― domandò, con una nota di tristezza nella voce ― La ragazza dai capelli mossi e castani. Quella di cui hai la foto sul comodino.
― Sì. ― risposi, soltanto.
― Se è destino la riavrai, Edward. ― disse, cercando di sorridere ― E se questo non accadrà, io sarò qui ad aspettarti.
Mi avvicinai a lei e l’abbracciai forte.
― Ti voglio bene, Tanya.
― Ti amo, Edward.
Le posai un delicato bacio sulla fronte e mi avviai verso la macchina. Sapevo che Alice e gli altri l’avrebbero riaccompagnata a casa.

Arrivai a casa mia alle tre di mattina. Non mi cambiai, salii direttamente in camera. Tolsi la giacca, buttandola sulla sedia, e mi stesi sull’enorme letto. Troppo grande per una persona sola. Se è destino la riavrai, aveva detto Tanya. Peccato che io ero proprio di tutt’altro parere. Credevo che se non fossimo insieme ora, qui e adesso, era proprio a causa del destino.
Ero sdraiato supino, fissavo il soffitto completamente al buio. Cosa stava facendo adesso? Con chi era in quel preciso momento? Ancora con Jacob? O forse, ora, stava con qualcun altro. Un altro, che comunque non ero io.
Chiusi gli occhi, provando a dormire. Ma fu tutto inutile. L’unica immagine che riuscivo a immaginare era la sua. Il suo viso, il suo corpo, le sue attenzioni per me, i suoi baci… mi voltai su un fianco, provando a pensare ad altro, ma fu tutto inutile.
Passai la notte così, crogiolandomi nei ricordi. Quando il chiarore dell’alba mi sorprese mi misi a sedere, passandomi una mano tra i capelli. Afferrai la sua foto dal comodino, ancora incastonata in quella cornice d’argento che comprai diversi anni fa. Osservai la fotografia, accarezzando quel dolce viso coi i polpastrelli e sorrisi amaramente.
― Buon anno, Isabella. ― dissi, riponendo l’oggetto dove l’avevo preso.

Mi alzai, spalancando la finestra e assaporai l’aria fredda che si infrangeva contro il mio viso. Un sorriso tirato comparì sul mio viso. Un nuovo anno era iniziato, l’ennesimo. Senza di lei.

Ecco la fine della storia. Cosa dire? Queste cose, purtroppo, succedono. Entrambi si amavano, entrambi erano insicuri, entrambi hanno sbagliato a non cercare un confronto nell'altra persona. Ha un nome tutto ciò? Sì, la non fiducia. Edward va da Isabella, ma cosa trovo? Lei seduta con un ragazzo, il quale moriva dietro Bella fin da quando erano adolescenti. Dal canto suo, però, Bella non ha mai detto nulla a Edward. Probabilmente perchè non riteneva che la cosa fosse importante da sapere, perciò non cercate malizia perchè io non ve ne ho messa. Isabella crede che Edward non si sia presentato all'appuntamento - pensiero sbagliato - così va a New York, ma trova il suo ragazzo con un'altra donna. Trae conclusioni errate. Edward la vede con Jacob, pensa così che lei lo stia tradendo - pensiero sbagliato - torna a New York e incontra Tanya, la aiuta. La ragazza si infatua del giovane, ma il suo cuore appartiene ancora alla giovane ragazza cresciuta a Forks. Destino, fato, poca fiducia, fraintendimenti, lontananza, nuova vita, arroganza di sapere senza chiedere... e molto altro. Questo porta molto spesso a far finire anche la più grande delle storie d'amore. Entrambi sbagliano, entrambi perdono. Entrambi - nonostante le loro vite vadano avanti - si cercano, si amano. Ma entrambi sono troppo feriti per cercare un contatto. Isabella sta con Jacob, Edward tra poco diventerà pediatra... Due vite unite fino allo stremo che, per colpa della fatalità, vengono divise. Ho voluto dare a Isabella la parte di quella che rialza, perchè credo che nel fandom ci siano moltissime storie dove Edward la lascia e lei, troppo distrutta dal dolore, respinge tutto e tutti. Edward magari si metterà con Tanya - che come avrete potuto vedere è completamente diversa dalla classica Tanya che si trova in moltissime ff - chi lo sa. Oppure troverà un'altra donna, oppure ancora, troverà il coraggio di andare a parlare con Isabella, per chiarire. E dopo chi lo sa... Come la vita che da tante domande e mai una risposta, la mia piccola flash si conclude qui. Lasciando a voi l'immaginazione del dopo. Mi è stato chiesto di pensare ad un altro capitolo, un piccolo extra per dare ai due protagonisti un lieto fine... Sinceramente non lo so. La storia era stata pensata così come l'avete letta, perciò non so se vi sarà il lieto fine, per adesso - sicuramente - c'è solo questa fine.
Spero di non avervi delusi, in caso contrario scusatemi tanto!

Un abbraccio :)

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