Sapore di Germania.

di CamBk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Allora, 'sta sorpresa prof? ***
Capitolo 2: *** Hamburg. ***
Capitolo 3: *** Bunte Nacht. ***
Capitolo 4: *** Tra sogno e realtà. ***
Capitolo 5: *** Maledetto alcool. ***
Capitolo 6: *** Punizione. ***
Capitolo 7: *** Pugnali di parole. ***
Capitolo 8: *** Giochiamo ad amare? ***



Capitolo 1
*** Allora, 'sta sorpresa prof? ***


- Ehi Val, hai idea di quale sia la stratosferica sorpresa di cui ci ha così tanto parlato la Sacchi? - domando con tono sarcastico macchiato però da una punta di sincera curiosità alla mia compagna di banco, Val.

Si chiama Valeria, ed è una delle ragazze più belle della scuola; ma la sua è senza dubbio una bellezza inusuale. Non è una di quelle biondone platinate stile barbie, e faccina da brava ragazza. Val è val, la tipica sbruffoncella dall’aria perennemente incazzata; alta, snella, con dei lunghi capelli nero corvino, la carnagione chiarissima e due occhi color blu notte contornati da una sottile linea di eyeliner nero. Alle labbra porta un rossetto color melograno ed è una patita dei tatuaggi; ne ha cinque.
Oggi la vedo particolarmente bella, e come al solito attira gli sguardi dei più carini della scuola, che sembrano farle quotidianamente la radiografia; indossa dei jeans attillati e una canotta leopardata –nonostante sia pieno inverno- abbinata ad un giubbotto in pelle nero. A primo impatto ammetto che possa assomigliare a una ragazzaccia tutta sesso, droga e alcool ma Val è una okay, quella sua aria da bulla è solo frutto dell’apparenza.

- Viaggio nello spazio alla scoperta della vita aliena ! - grida, facendo roteare la testa innumerevoli volte attorno al collo, in un movimento che mi da l'impressione di non concludersi mai.
Ah, giusto. Scordavo un piccolo dettaglio; Val sarà pure di una bellezza da miss scappata da un concorso, ma non brilla certamente per carisma o intelligenza, ecco.

- Vaaal - la interrompo bruscamente con tono di rimprovero.

- Blablabla - mi fa il verso lei.

- Eddaaai - scoppio a ridere io, tirandole una gomitata di complicità.

Nell’ora buca di arte in classe da noi è un vero delirio e considerando che oggi è venerdì le cose si complicano in quanto le menti offuscate di quei vegetali dei miei compagni di classe sembrano sognare un miraggio che presto arriverà: il weekend. Eppure, alla terza ora, sembrano svegliarsi da un letargo e in effetti ad un branco di animali ci somigliano anche.
Non sorprende quindi, attraversando il corridoio di fronte alla 3c udire urli e versi animaleschi accompagnati come da copione dalle lamentele della ‘Vivi’, così chiamiamo noi la bidella del nostro piano.
Gli astucci volano come proiettili ad altezza d’uomo, J-Ax rimbomba nelle orecchie di quel tamarro di Max e la miss-non-sarai-mai-al-mio-livello si da’ una ritoccatina al trucco con aria maliziosa.
Bell’atmosfera, no?
Bisogna sforzarsi per crederlo, ma mi trovo realmente in una classe; sì, in una scuola in mezzo a pericolosi ‘atti terroristici’ in attesa del suono della campanella che ci riporti coi piedi per terra.

- Cinque, quattro, tre, due, uno.. ! - strilla Val nelle mie povere orecchie mentre un impertinente ‘drin’ rimbomba puntuale tra i muri cadenti a pezzi della scuola.

- Arriva la Sacchi, gente ! - esclama Lore, il secchioncella di turno - Ho sentito i tacchi ! - aggiunge.

E, dopo un fuggifuggi generale, l'ordine si ristabilisce e il rumore di tacchi si avvicina sempre più.

- Buongiorno miei giovani virgulti - saluta con voce pacata la Sacchi.

La Sacchi è la nostra professoressa di geografia, una gran donna, in tutti i sensi. Non ho idea di quanti anni possa avere, noi immaginiamo una quarantina; è alta, con dei lunghi capelli color biondo oro che le ricadono sulle spalle.
Porta sempre vestitini molto chic, e scarpe con tacchi che rigorosamente non scendono al di sotto dei dieci centimetri. Si trucca poco, giusto un velo di rossetto sulle labbra e del mascara sulle ciglia.E' davvero una bella donna, va ammesso;
per non parlare poi dell'enorme quantità di nozioni racchiuse nel suo magico e laborioso cervello ! Insomma, senza alcun dubbio una persona da ammirare.

- E come promesso, oggi vi svelerò la tanto attesa sorpresa - ci annuncia, lasciandosi cadere dolcemente sulla sedia della cattedra.

Io e Val ci lanciamo un'occhiata divertita, al ricordo dell'ipotesi di Val di qualche minuto prima.
- Guardate un po' qua - aggiunge la Sacchi, tirando fuori dalla borsa 17 biglietti aerei e la mappa di una città. Tutti scattano in piedi dalle sedie, e corrono verso la professoressa che, con aria divertita, attende una reazione.
Leggo veloce l'intestazione dei biglietti aerei: 'Milano (Italia) - Amburgo (Germania)'

- A quanto pare andremo in Tedeschia ! - dice Val, fingendo uno strambo accento tedesco facendo attenzione alla trasformazione delle R, e delle D in T.

Mi rendo conto solo dopo qualche secondo dello stato di estasi in cui sono piombata; Germania, la terra dei miei nonni paterni che ho sempre voluto visitare, sin da quando sono piccola.

- Mona, tutto okay? - si avvicina Val.

- Si, cioè, no. Almeno, credo. Intendo, figo ! - mi metto a saltellare, fare piroette, cantare.
Se mi sento un po' stupida? Bhe, forse un poco, si. Ma che dire? Germania, Amburgo. Terra di famiglia, e terra natale delle persone senza le quali ora come ora, non sarei nessuno.

- Mona, hai sentito? Si va in FrocioLandia a trovare i FrocioHotel, figata ! - esclama Ste, quell'idiota vestito da truzzo, che ascolta musica truzza, vive come un truzzo, in un mondo di truzzi.

- Devo ricordarti il colore della mia cintura di Karate? Mh? Ne hai bisogno? - ringhio io.

- Ahi ahi ahi, qui qualcuno è stato colpito nel punto debole, eh? - ricambia lui.

Ebbene sì, brutto idiota; ci hai preso. Si viaggia verso FrocioLandia, si, come l'hai chiamata tu. La terra dei FrocioHotel, si, come li hai chiamati tu.

- Dicasi anche Germania, dicasi anche Tokio Hotel - ribatto offesa io, e gli volto le spalle dirigendomi col mio biglietto tra le mani verso il mio banco.

- Forte questa sorpresa, prof ! - si lascia scappare Val, tra un saltello e un altro.

Si, decisamente forte sta sorpresa, prof. 

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Capitolo 2
*** Hamburg. ***


‘I gentili passeggeri sono pregati di prepararsi all’atterraggio’.
Mi strofino gli occhi con le mani, e tiro un sospiro di sollievo;
odio volare, odio gli aerei, odio stare seduta sospesa in cielo a chilometri di distanza da terra, ma più di tutto odio la naturalezza con cui Val affronta questo viaggio, fotografando dal finestrino la pista d’atterraggio dell’aeroporto che si avvicina.
‘Wilkommen in Hamburg’ una voce gentile ci invita a slacciare le cinture e scendere dai velivolo.
Non appena tocco terra mi sento rinascere; ho come la sensazione di aver trattenuto il respiro per tutta la durata del tragitto, vale a dire un paio d’ore circa.
Inspiro l’aria a pieni polmoni, e una ventata d’aria gelida mi scompiglia i capelli; il freddo è pungente e mi stringo nel cappotto, odiandomi per non aver indossato la mia ingombrante sciarpa in lana.
Pur avendo le dita intorpidite dal gelo invernale, sfilo dalla tasca destra del mio cappotto il cellulare e corro ad aggiornare il mio blog facendo scorrere veloce le dita sui tasti: ’Freddo devastante, aeroporto di Amburgo. Xoxo, M.’

***

Mezz’ora dopo circa, mi ritrovo nella hall di un albergo a tre stelle.
E’ accogliente e profuma di casa; una moquette color cuoio riveste i pavimenti creando un’atmosfera quasi festosa. La tappezzeria ai muri è sobria, di un beige chiarissimo, e l’ascensore è internamente rivestita da specchi.
La receptionist blatera qualcosa in un tedesco incomprensibile, e poi ci indica la direzione della stanze; prendo al volo la chiave che Val mi lancia, e leggendo il numero inciso sulla placchetta dorata vengo percorsa da un brivido: zimmer 483.
Questa è decisamente una di quelle che io chiamo strane-coincidenze-della-vita.
Non ne parlo con Val, capirebbe mai? Non ho nemmeno il tempo di rifletterci su, che quell’uragano di ragazza bella come il sole mi prende la mano e comincia a correre come una furia su per le scale trascinandomi dietro di sé.
Infilo le chiavi nella serratura, e con un leggero calcio spalanco la porta; l’accoglienza e il calore notati nella hall sono evidentemente comuni a tutte le stanze dell’albergo.
Alzo gli occhi,e sulla parete compare uno stranissimo orologio a forma di bussola; segna le 19.45.
- Serata libera ! – grida Val rientrando in camera, con un sorriso che le occupa tutto il viso.
-Come dici? – rispondo, spalancando le tende dell’enorme finestra accanto al mio letto, quasi ignorandola.
- La Sacchi ci ha dato qualche ora d’aria – sbuffa Val – sei ancora lì in piedi? Ti vuoi muovere? – ringhia.
- Fantastico! – esclamo.
Dopo esserci infilate il cappotto, e dopo essermi arrotolata uno sciarpone attorno al collo, chiudiamo la porta alle nostre spalle e sgattaioliamo fuori dall’albergo.

***

Siamo in piena Amburgo,è meravigliosa.
Una marea di luci, colori, e suoni ci accoglie in una piazza colma di persone, per lo più del luogo.
Tiro fuori dalla borsa la cartina acquistata poco prima in aeroporto, e trascino Val in un McDonald’s a cento metri da noi.
-Sai cosa pensavo?- farfuglia Val, mentre cerca invano di mandar giù un boccone decisamente troppo grande.
-Mh?- rispondo disinteressata.
-Una di queste sere ci facciamo un giro fuori da un locale che..- e come finale mi fa l’occhiolino, con aria complice.
-..che?- cerco meglio di capire cos’ha in mente.
-Ho saputo che qua intorno c’è un locale frequentato dalle celebrità, non so, gente di quel tipo- replica entusiasta Val.
Per tutta risposta annuisco, sì, ci faremo un giro.
-..che ne sai che magari non becchiamo tu-sai-chi ! E con tu-sai-chi intendo il ‘ragazzo’ di cui porti il nome sulla collanina. – alla parola ‘ragazzo’ storce in naso e indica con un cenno del capo la catenina argentata che porto al collo.
La stringo forte a me, e le porgo un’occhiata di sfuggita; in bella calligrafia, inciso sulla medaglietta luccicante appare un nome: bill kaulitz.

 

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Capitolo 3
*** Bunte Nacht. ***


Tiro un respiro profondo, e mi lascio cadere sul letto, priva di forze.
Acchiappo il cellulare e in un attimo aggiorno: ‘Oggi lato ovest di Amburgo, più morta che viva. Xoxo, M.’
Val appena entrata in camera s’è tuffata nella doccia, e sono trascorsi all’incirca venticinque minuti; in questo momento un devastante mix di noia-sonno-freddo-fame mi sta assalendo, dunque afferro il portatile di Val accuratamente nascosto sotto le lenzuola e comincio a navigare in Internet.
Come aveva detto che si chiamava quel locale? Ban..no. Nuch..no no. Ah sì, Bunte Nacht !
Digito rapidamente il nome del famoso locale di cui mi aveva parlato Val, e mi appaiono immediatamente una serie di commenti positivi al riguardo.
Col tedesco non vado un granchè lontano, lo ammetto; ho un sette striminzito.
Ma riesco in linea generale a capirne qualcosa; sul comodino trovo un foglietto di carta e ci annoto sopra l’indirizzo.
Qualche istante dopo Val fa capolino dalla porta scorrevole del bagno, è meravigliosa; indossa dei legghins neri lucidi, un top di paillets argentate, una giacchetta nera che le sta a perfezione e un paio di tacchi a dir poco vertiginosi.
Ha raccolto i capelli in un’acconciatura che fa tanto ‘attrice anni ‘80’, ed il trucco è più pesante del solito.
- Sei splendida, ma non è una novità, no?- resto seduta a gambe incrociate sul letto, e le faccio cenno di fare una giravolta su se stessa.
Val simula una mini sfilata nel nostro buco di stanza al secondo piano, e si ammira soddisfatta allo specchio;
-Ora tocca a te, la reggia è tutta tua ! – sorride, indicandomi il bagno.
-Volo!- rispondo, e dopo pochi minuti sono finalmente nella doccia.
L’acqua bollente mi accarezza il corpo, e il vapore tenta di annebbiare i pochi pensieri che aleggiano nella mia mente; chiudo gli occhi e mi abbandono totalmente al piacere di questo momento.
Dopo un quarto d’ora circa, riemergo dai fumi bollenti di questo squallido box doccia, e resto immobile davanti allo specchio in accappatoio.
Quando sono sola con me stessa, mi autodistruggo. La mia immaginazione prende a viaggiare velocemente, infiltrandosi in ogni pensiero remoto, risvegliandolo;
pur sforzandomi di restare lucida, mi soffermo su un’immagine che appare nitida nella mia mente.
Quale è il suo potere? Mi domando.
Ogni qualvolta mi trovo sola, davanti ad uno specchio, oppure abbandonata in un sonno non del tutto profondo, i miei pensieri si concentrano sulla stessa, monotona seppur meravigliosa immagine.
Un ragazzo alto, moro, dal corpo esile e ossuto; occhi nocciola intensi, tratti delicati e femminili, e due labbra chiare e carnose.
Ne sono innamorata, e nonostante sia un perfetto sconosciuto credo fermamente di desiderarlo più di qualunque altra cosa al mondo; 
un senso di leggera malinconia mi pervade la pelle e si tuffa nel mio stomaco, trasformandosi in uno spiacevole subbuglio.
Ad un tratto, quasi magicamente, una lacrima spinge prepotentemente contro la mia palpebra, e sfocia sulla mia guancia ancora umida.

***

-Sei magica stasera, spettacolare!- si complimenta Val, divertita.
Mi osservo allo specchio ma pur sforzandomi non noto nulla di speciale nella mia immagine riflessa;
indosso un vestitino in lana color pietra, abbinato a un paio di collant nere e degli stivali in coordinato. I miei capelli ricci color oro mi ricadono con dolcezza sulle spalle, e il viso ancora da bambina è velato solo da un sottile strato di trucco.
-Ah Val, quasi dimenticavo ! – distolgo lo sguardo dallo specchio e mi rivolgo alla mia compagna di stanza – ho avuto informazioni sul Gunte Nacht, apre alle 22.00 e questo è l’indirizzo – aggiungo porgendole il foglietto di carta sgualcito su cui ho distrattamente annotato qualche parola.
-Ah,ragazza mia, io ti amo ! – esclama entusiasta Val, cingendomi in un abbraccio decisamente energico.
-Allora, che aspetti?- conclude, catapultandosi fuori dalla stanza in men che non si dica.

***

QUESTA SERA DUE OSPITI A SORPRESA, BRINDIAMO AD UNA NOTTE PIU’ VIVA CHE MAI.
BUNTE NACHT.
I miei occhi scorrono distrattamente sulla locandina illuminata all’ingresso del pub-discoteca più ‘in’ di Amburgo; tento invano di sguinzagliare la mia fantasia, un attimo prima che Val mi piombi davanti come un uragano, e mi trascini verso l’ingresso del locale.
-Siamo minorenn..- tento di sussurrarle.
-Sh, lascia fare a me ! – mi zittisce Val, e si avvicina al buttafuori con sguardo sensuale. Gli sussurra qualcosa, e l’uomo sulla trentina, affascinato dal sex appeal della mia amica, non oppone alcuna resistenza al nostro passaggio.
Un esplosione di musica mi invade i timpani, e fatico a farmi strada tra la folla che mi circonda;
ovunque posi il mio sguardo, noto ragazze in atteggiamenti intimi con uomini decisamente più avanti d’età; ad un angolo, sforzandomi, distinguo due figure intente in qualche traffico che di pulito ha ben poco; tento invano di raggiungere Val, che è già sfrecciata verso il piano bar e regge tra le mani un bicchiere colmo di non-so-che-cosa dal colore rossastro.
Le luci psichedeliche delle discoteche hanno sempre messo a dura prova i miei nervi, facilmente urtabili, e la mia lucidità.
Ad un tratto sento una mano forte e mascolina che con tocco energico e deciso di posa sul mio fondoschiena.
Un senso di sgradevole schifo mi percorre il corpo, posandosi sul mio stomaco, e provocandomi  una nausea incontrollabile; la stessa mano ora si avvicina al mio viso, e mi sventola sotto gli occhi una banconota da cinquanta.
-Non sono una puttana, stronzo- grido, cercando di sovrastare il fracasso creato dalla musica.
Mi gira la testa, e temo che il mio stomaco reggerà ancora per poco; il sangue mi pulsa nelle vene bollente, e sento quasi cedermi le gambe.
Devo prendere aria, e sgomitando cerco di dirigermi verso il segnale ‘USCITA’ a circa una decina di metri da me.
Pochi attimi e come per magia sento l’aria gelida entrarmi dentro velocemente, e darmi una scarica di forza; mi trovo in un vicolo cieco, illuminato solo in parte da un lampione al neon.
Respiro, chiudo gli occhi, respiro nuovamente.


 

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Capitolo 4
*** Tra sogno e realtà. ***


Fa un freddo che ti si gela nelle ossa, sento le labbra consumarsi, e la pelle raggrinzirsi a causa dell’insopportabile temperatura;
ma io in quell’inferno non ci torno.
Ad ogni mio respiro inquino l’aria con leggere nuvolette biancastre, paragonabili al  fumo di una sigaretta.
E’ squallido qua intorno, il grigio dell’asfalto e il bianco dei muri della facciata di fronte che cadono a pezzi conferiscono a questo vicolo deserto un’aria non del tutto rassicurante.
Do’ le spalle all’uscita del pub, e assaporo ad occhi chiusi il maestoso silenzio che regna qua fuori, a pochi passi dal delirio;
mi sento come relegata ad un angolo del mondo, in cui pochi tentano di metter piede.
Qui fuori non c’è anima viva, sono tutti rinchiusi nella gabbia alle mie spalle a godersi lo sballo del sabato sera tra alcool, droga, e giochi perversi;
mi stringo nel cappotto, intenzionata a riscaldarmi col calore del mio stesso corpo ma ad un tratto sento una presenza alle mie spalle.
Resto con la testa china sulle mie ginocchia, convinta che sia solo frutto della mia immaginazione; per un attimo sento quasi un respiro affannoso,
ma scuotendo la testa tento di concentrarmi nuovamente sul biancore dei miei pensieri.
Ora ne sono certa, qualcuno ha scelto di addentrarsi nella tristezza della notte di Amburgo; odo dei passi dietro di me, e getto un’occhiata alle mie spalle.
Vorrei non averlo mai fatto.
La figura maschile avanza, e prende posto accanto a me ai piedi di un marciapiede sporco e devastato; inspira, chiude gli occhi, e poi inspira nuovamente.
Un intenso capogiro mi coglie di sorpresa, mentre le mani rintanate nelle tasche del cappotto prendono a tremare in un movimento incessante.
Sento scemare la mia lucidità, e lo stomaco mi si stringe in una morsa dolorante;
il sangue pulsa sulle tempie, e seppure io mi stia sforzando, riesco a malapena a completare un intero respiro.
Tutto attorno a me appare poco nitido, mal definito; tutto tranne la figura di cui avverto la presenza a pochi centimetri da me.
Un ragazzo alto, snello e moro sosta seduto a terra, col viso tra le mani; non distinguo i suoi lineamenti con facilità, ma nonostante questo noto le sue mani, il suo corpo, il brillante colore dei suoi capelli setosi.
Indossa un paio di pantaloni scuri che fatico a identificare, una maglia attillata color oro e un giacchetto in pelle nero.
I miei pensieri s’annebbiano, nel momento in cui solleva il viso e dirige il suo sguardo in cielo, cercando il chiarore della luna.
Lo guardo con la coda dell’occhio, tentando di passare inosservata; quel profilo lo riconoscerei tra una folla di centinaia di migliaia di persone.
Credo di non sentirmi bene, mi stropiccio gli occhi con le mani e vedo le figure intorno a me cominciare a girare vorticosamente, apparendo sempre meno visibili.
Un tuffo al cuore, e un fiume di lacrime bollenti.
-Piacere, Bill – è tutto ciò che riesco ad avvertire.
Dopodichè uno schermo nero privo di colore si sostituisce alla mia mente, nulla più, se non un intensa voglia di poter gridare a pieni polmoni. 

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Capitolo 5
*** Maledetto alcool. ***


-Sai chi sono,vero?- mi domanda con voce arrogante, dandomi leggere scosse per farmi riprendere conoscenza.
Sto per essere schiacciata dall’enorme ego di una rockstar celebre in tutto il mondo, nonché ospite quotidiano di ogni mio pensiero.
Scuoto la testa.
-Ma come? Mai sentito parlare di Bill Kaulitz, frontman della band tedesca dei Tokio Hotel?- mi chiede sorpreso.
-No, mi spiace.- sussurro con un filo di voce, in un tedesco improvvisato.
Sembra spaesato, la sua espressione si fa ad un tratto cupa; mi frullano in testa milioni di pensieri, fatico a dare un ordine alla miriade di parole che fanno a botte nel mio cervello , privo oramai di qualsiasi lucidità.
Mi rialzo in piedi, tentando una passeggiata per non mostrare a Bill il mio palese imbarazzo.
Sto mentendo spudoratamente.
Sto fingendo di non essere una fan, fatto di cui vado tra l’altro molto fiera; fingo di non conoscere ogni dettaglio della sua vita pubblica e privata, quando so per certo che non è così.
Sto persino fingendo di non provare nulla per questo essere maledettamente perfetto, che ora mi scruta dalla testa ai piedi restando immobile accanto a me.
-Potrebbe essere positivo,sai?- esclama pochi istanti dopo, con aria decisamente entusiasta.
Non riesco a spinger fuori nemmeno una dannata parola, perciò mi limito a rivolgergli il mio sguardo interrogativo.
-Voglio dire, è piacevole trovarsi a tu per tu con qualcuno che possa volerti conoscere come Bill, e non come Bill-Kaulitz-cantante-dei-Tokio-Hotel. Talvolta mi sento del tutto vuoto, privo di un’identità; desiderto con un battito di ciglia di potermi catapultare indietro di qualche anno, al periodo in cui tutto questo non mi era piombato addosso senza pietà.
Certo, la fama, i soldi, i concerti, i fans; non sono altro che la rappresentazione della mia vita ad oggi.
Ma spesso mi domando ancora chi sono, cosa si cela dietro questi abiti firmati e due occhi pesantemente truccati.-
Sospira.
Mi sento inutile, piccola, insignificante; nel mio corpo ribolle un mix di emozioni distruttive.
Il freddo punge sulla mia pelle come un mazzo di spilli, e sento le palpebre pesanti a causa del forte stress emotivo a cui sono sottoposta da circa una ventina di minuti.
Improvvisamente avverto una leggere pressione sulla spalla destra; Bill ha appena allungato il suo braccio attorno alle mie spalle, e strofina energicamente il tessuto del mio cappotto con la sua mano bianca e delicata, per riscaldarmi.
Tutto intorno a me sparisce, e solo la leggera foschia che aleggia tra le nostre figure sembra illuminarsi e splendere, contrastando il buio della notte.
-Freddo?- mi bisbiglia ad un orecchio.
Sento il calore del suo respiro poggiarsi sul mio collo, e rabbrividisco.
Annuisco intimidita e alzo gli occhi, posandoli sul suo viso perfetto; nello stesso istante Bill fa lo stesso, e i nostri sguardi s’incrociano.
Nel turbine d’angoscia che s’impossessa del mio corpo, immagino un universo colmo di stelle al di là del nocciola dei suoi occhi.
Odio il silenzio che ci improvvisamente ingoiati, e tutto a un tratto sento vibrare il cellulare che reggo nelle mani.
Distolgo velocemente gli occhi con un’espressione visibilmente imbarazzata, e apro la chiamata.
Mi sforzo di sentire qualcosa, ma la musica a tutto volume copre ogni forma di suono; eppure avverto in lontananza la voce di Val, poi improvvisamente percepisco un grido, il tonfo di qualcosa scaraventato a terra e una porta che sbatte.
Dopodichè torno ad udire la confusione della folla, e la linea s’interrompe.
Una scarica di terrore mi blocca ferma immobile, e sento la paura scorrermi su fino allo stomaco; Val è in pericolo.
Salto in piedi di scatto, spaventando Bill che mi osserva con aria interrogativa; afferro la sua mano e lo trascino con me, scaraventandomi all’interno del locale, in preda al panico.
-Devi aiutarmi- grido, tentando di sovrastare il fracasso della musica – Dov’è il bagno? – l’isteria s’impossessa di me ogni secondo di più.
Bill si fa strada sgomitando tra la folla, non considerando le urla della fan che ci stanno accerchiando; si dirige verso una scritta luminosa, la quale indica una porta sgangherata color cenere.
Dall’interno dei bagni sento dei lamenti, è la voce di  Val; all’improvviso una voce maschile prende il sopravvento e dopo un tonfo soffocato, si espande il silenzio.
Spalanco la porta, ansimando e trovo Val accasciata a terra, col mascara sbavato e i jeans sbottonati; piange a dirotto, e potrei giurare di vederla tremare sotto il giacchetto in pelle che le copre le spalle.
Sdraiato a terra a pochi passi da lei c’è un uomo, sulla quarantina; improvvisamente, osservandolo, noto un particolare. Porta al dito medio un anello spesso, nero lucido, lo stesso anello che notai distrattamente sulla mano robusta dell’uomo che nella confusione mi aveva offerto dei soldi. L’uomo è ferito, perde sangue dal naso e deve aver ricevuto una spinta che l’ha scaraventato a terra.
In piedi di fronte a me, un ragazzo coi pugni serrati ansima rabbioso; si volta di scatto verso me e Bill, atterriti sulla porta, incapaci di qualsiasi reazione.
E’ Tom Kaulitz, potrei metterci la mano sul fuoco.
Indossa dei jeans larghi, un maglione bianco e porta in testa un cappellino nero con la visiera grigia; gocce di sudore gli attraversano la fronte, per lasciarsi poi cadere sulle treccine nere brillanti.
I singhiozzi di Val mi risvegliano dallo stato di shock in cui sono piombata; corro verso di lei, e mi getto a terra prendendole il viso tra le mani.
-Che cazzo hai fatto?- grido.
Puzza di alcool, è visibilmente ubriaca.
Tenta di balbettare qualcosa,probabilmente delle scuse, ma il suo respiro affannoso le leva il fiato.
Mi alzo in piedi, la afferro per le braccia e mi sforzo di sollevarla da terra; la sento ansimare, e all’improvviso si lascia andare, svenuta.
Sento cadere il suo corpo senza forza, fino a che due braccia si prestano a raccoglierlo mentre scivola dal mio controllo; Tom tiene in braccio Val, stretta a sé.
Le lacrime sgorgano dai miei occhi, e li sento bruciare, scottare; sto tremando, e un potente capogiro porta la stanza a fluttuare attorno a me.
Poi il paradiso; affondo il viso nel petto di chi ora mi ha cinta tra le sue braccia, e mi accarezza il viso, umido di lacrime.
Sollevo lo sguardo, e la sua figura mi accende un fuoco nel cuore.
-Sono qui, non devi temere nulla- sussurra.


 

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Capitolo 6
*** Punizione. ***


E’ mezzanotte e mezza, e il coprifuoco è scattato all’incirca una trentina di minuti fa;
riconosco il McDonald’s a pochi passi dal nostro albergo, e una decina di metri più in là un’insegna luminosa indicante l’Hamburg Hotel obbliga l’autista a fermarsi.
E’ tutto così surreale; spalanco la portiera, e salto giù controllando di continuo l’orologio sul display del mio cellulare. Butto l’occhio all’interno della vettura, Val si è addormentata sui lussuosi sedili in pelle, accanto a Tom che tiene poggiata sulle gambe la sua borsa in pelle.
Faccio segno al maggiore dei Kaulitz di svegliarla, e farla uscire dall’auto; Tom scuote dolcemente il corpo esile della mia amica, sussurrandole una manciata di parole all’orecchio.
Val apre lentamente gli occhi, e si guarda intorno confusa; è decisamente sotto shock, e sono certa che quelli che ci si prospettano sono guai seri.
La prendo per mano, e una volta scesa dalla macchina, faccio sì che si lasci andare completamente su di me, reggendola dalla vita; ho paura.
Ho una dannata, dolorosa, incessante paura.
Val è pallida, fredda come un cadavere e tremante; e io continuo ad avere paura.
Ad un tratto la portiera anteriore si apre, e Bill si precipita fuori con aria traumatizzata, si sfila il giacchetto in pelle nero firmato D&G e lo avvolge attorno alle spalle di Val, che abbozza un sorriso.
Dopodiché mi passa una mano tra i capelli, e mi porge un foglietto di carta su cui è annotato in bella calligrafia un numero di cellulare.
-E’ il mio, scrivimi appena ti va. – aggiunge, provocandomi una gioia talmente immensa, da poter essere paragonata alla paura che s’è infiltrata in me da quando ricevetti la telefonata di Val fuori dal Bunte Nacht.
Sorrido, e annuisco; il mio non è un sorriso genuino, pulito. E’ un sorriso tanto per, buttatoi lì in un momento in cui tutto servirebbe, tranne che apparire felici.
Mi incammino verso l’entrata dell’hotel, la hall è stranamente deserta.
Porgo per un istante lo sguardo alle mie spalle, e scorgo la limousine nera ultimo modello allontanarsi a gran velocità, abbandonando dietro di sé una sporca nuvola grigiastra.
Allungo il passo, scongiurando la fortuna di assistermi, almeno fino alla porta in legno della mia stanza; ci sono quasi, il corpo di Val si fa sempre più pesante, e la mia lucidità scema ogni istante di più.
-Credete di prenderci in giro?- una voce acuta alle mie spalle mi fa sobbalzare.
Non oso girarmi, anche se qualcosa mi dice che sarebbe la cosa giusta da fare.
-Che è successo a Leone?- la voce prosegue con la sua indisponente serie di domande.
-Stanchezza e freddo, mix devastante- borbotto io, di tutta risposta, decisa a non fermarmi.
-Domattina un bel discorsetto vi attende, signorine- conclude in tono severo una voce maschile.
Infilo le chiavi nella serratura, faticando a reggermi in piedi; tiro un calcio alla porta e mi precipito verso il letto di Val, lasciandola cadere sulle morbida lenzuola bianche.
Mi affretto a richiudere la porta, e in lontananza noto la professoressa Sacchi e il professor Venturi parlottare tra loro, animatamente.
Mi avvicino alla finestra, è buio pesto fuori, notte fonda per giunta; infilo una mano in tasca alla ricerca del mio cellulare, e mi ritrovo fra le mani il foglietto di carta un po’ sgualcito con annotato sopra quelle cifre magiche.
Fatico a crederci, e mi odio per amarlo a tal punto; stringo forte al mio petto quel foglietto di carta e comincio a piangere, a singhiozzare, a riversare sul mio viso quel tumulto che mi sconvolge l’esistenza.
Piango lacrime calde, bollenti, amare; i singhiozzi mi impediscono di respirare, e di trovare una ragione per riuscire a smettere.
Mi accuccio ai piedi del letto, stringendomi nelle spalle; infilo nelle orecchie le cuffie del mio ipod, e m’abbandono alla forza della musica, domandandomi: quanto si può moltiplicare un istante?

***

Riapro gli occhi alle sei del mattino, e il mio primo pensiero è Val; sta dormendo, il suo viso stanco e segnato dal trucco sbavato riposa sul cuscino profumato, e il suo respiro è lento, quasi inesistente.
Tempo una decina di minuti, e mi fiondo nella doccia; sotto lo scorrere dell’acqua bollente una miriade di immagini, flashback, suoni e colori si apprestano ad affollare la mia mente.
Ricordi sfuocati ed altri nitidi della nottata appena trascorsa mi pugnalano come coltelli, provocandomi fitte intense al petto; mi sento terribilmente svuotata da ogni sintomo di vita, incapace di provare gioia.
Mi rintano nel mio accappatoio blu cobalto, e nella mia mente riaffiora una domanda;
quanto si può moltiplicare un istante?
Spalanco la porta del bagno, in punta di piedi mi avvicino al comodino, e afferro il mio palmare;
menu-messaggi-crea nuovo messaggio.
‘Quanto si può moltiplicare un istante?’
Opzioni-Invia-Digita numero.
Frugo energicamente nella mia borsa con entrambe le mani, e sospiro soddisfatta appena vedo comparire un angolo bianco del foglietto di carta oramai in pessime condizioni.
Digito qualcosa sulla tastiera, e premo il tasto invio.

***

-La serata di oggi la trascorrerete nella vostra accogliente e confortevole stanzetta, in contemplazione della piazza di Amburgo dalla finestra, è chiaro?- tuona la voce acuta della professoressa Sacchi.
Val annuisce, visibilmente imbarazzata e io mi limito a una smorfia d’approvazione.
Nulla di così malvagio, insomma; una punizione che mi sarei senza dubbio aspettata dopo essere tornata in hotel con più di mezzora di ritardo, con l’aria stravolta e una ragazza sbronza tra le braccia.


***

-Ancora a smanettare con quell’affare?- esclama Val, vedendomi digitare frettolosamente qualcosa sullo schermo del mio cellulare. Siamo sedute a gambe incrociate in un grazioso parco in una zona decisamente chic della città, pausa pranzo.
-Aggiorno il blog, nulla di che- rispondo fredda.
‘Oggi lato est di Amburgo, e questa sera bloccata in prigione. Xoxo M.’

***

Mi trovo seduta sull’autobus in pessime condizioni che ci sta conducendo in un celebre luogo della città; sento vibrare il mio palmare nella tasca destra del cappotto, guardo il display: un nuovo messaggio.
Premo sul tasto leggi, e rimango estasiata sia dal mittente che dal contenuto del messaggio di risposta:
Come si misura un emozione? Firmato, Bill. 

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Capitolo 7
*** Pugnali di parole. ***


-Ce l’hai con me, vero?- mi domanda Val, sfilandomi un auricolare dall’orecchio.
Non rispondo; se ce l’ho con lei? Certo che sì, maledizione.
-La notte scorsa eri fatta e sbronza, sei quasi stata violentata, ho dovuto riportarti in stanza in braccio e abbiamo totalmente ignorato il coprifuoco. Tu che ne dici?- ringhio, innervosita.
-Ehi ehi ehi- con la mano mi fa segno di calmarmi –io non ho preso quella roba di proposito, okay? Quel bastardo mi ha offerto due o tre bicchieri, e da un momento all’altro tutto ha perso ogni senso, e sono stata del tutto privata della mia dignità, ritrovandomi coi jeans sbottonati in un cesso che cadeva a pezzi. E ricordami un istante tu dov’eri. A quanto pare hai trascorso la serata seduta sul marciapiede fuori dal locale, in compagnia di quel frocio di Bill Kaulitz, a bisbigliarvi romanticherie, o sto forse sbagliando?- sbotta Val.
-Cosa scusa? Stai forse tentando di riversare la colpa della tua incoscienza su di me? Ti sbagli, sai, Val? Quel che è successo non è stato altro che il frutto di qualcosa che tu stessa hai voluto. Ricordati bene di quel che è accaduto la scorsa notte e stampati bene in testa le mie parole: che non accada mai più. Ti è chiaro?- tutta la mia rabbia si sta scagliando contro Val.
-Ah, ora siamo giunte al momento della predica? Scusami tanto se ho intaccato il mito di Mona-la-ragazza-modello. Stai pur certa che non si ripeterà.- replica Val, alzando la voce.
-E tanto perché tu lo sappia, l’effemminato con l’anello al naso non ricorderà nemmeno il tuo nome dopo ieri sera, sei una nullità in confronto a ciò che è lui, ammettilo- Val sta sprigionando tutta la sua cattiveria.
Le sue parole mi colpiscono come pugnali, una ad una, senza pietà; sento un enorme macigno risalirmi lungo lo stomaco, e bloccarsi in gola.
Scoppio in lacrime.
-Vaffanculo, stronza!- grido tra un singhiozzo ed un altro, e scaravento a terra il cellulare che tengo stretto fra le mani.
-La verità fa sempre male- avverto ancora l’acidità della sua voce in lontananza, mentre mi chiudo alle spalle la porta del bagno, portandomi le mani alle orecchie per allontanare lei e le sue fottute parole.
‘Sei una nullità in confronto a lui, ammettilo.’
Mi guardo allo specchio, e sento rimbombarmi nella testa quelle parole; il mio viso è spento, privo di ogni luce, e i miei occhi piangono lacrime di petrolio; o almeno così sembra, a causa del mio mascara, colato lungo le guance.
‘Non ricorderà nemmeno il tuo nome’.
Stringo i pugni, e lascio che quelle parole mi feriscano a fondo, lacerandomi l’anima più di quanto già non lo sia. E’ incredibile quanto gli esseri umani, qualche volta, vadano a cercarsi il dolore; c’è un non so che di masochista in me, e di questo sono sempre stata certa.
Voglio evadere, abbandonare questa stanza d’albergo e vagare per Amburgo sotto il diluvio; voglio godermi la pioggia sulla pelle, il freddo nelle ossa e il respiro affannoso dettato dalla rigida temperatura.
Voglio ma non mi è concesso; sono le nove di sera, e mi trovo imprigionata in hotel a causa di una punizione che, detto francamente, sono andata a cercarmi con quell’idiota di Val.
Per di più sono seduta a gambe incrociate sul cesso, a scrutarmi tristemente allo specchio, in attesa del nulla
-Ne hai ancora per molto?- Val bussa energicamente alla porta.
Io la spalanco, ed evitando il suo sguardo, mi dirigo verso la finestra.
-Ma che hai fatto in faccia? Mi sembri uscita da un horror ! – esclama, notando il trucco sbavato e l’aria visibilmente abbattuta.
Rispondo con una smorfia non ben definita, e mi siedo a terra, accanto al termosifone; la vista da questa finestra è splendida,decisamente. La piazza è completamente illuminata, e pullula di gente d’ogni tipo; il McDonald’s ben visibile dalla mia posizione è colmo di persone, e un via vai di ombrelli colorati pervade i vicoli che si diramano dalla piazza.
Amo la pioggia, mi trasmette una tranquillità e una gioia d’animo quasi divina; adoro avvertire il ticchettio della pioggia sui vetri, e lo scorrere delle auto sull’asfalto. Non a caso sono nata in una giornata uggiosa, esattamente come questa sera, diciassette anni fa.
Ad un tratto il mio sguardo si posa alla mia destra, e noto a terra innumerevoli frammenti del mio palmare, che solo pochi minuti prima ho scaraventato a terra presa da un impeto di rabbia; mi armo di tanta pazienza, e comincio a rimettere minuziosamente insieme l’oggetto del quale non riuscirei a privarmi.

***

Qualcosa vibra sul comodino, è il mio cellulare, resuscitato dopo attimi di terrore;
lo prendo tra le mani, e mi cade irrimediabilmente l’occhio sull’orario in alto a sinistra, le 21.21.
Un nuovo messaggio-Visualizza:
‘Mi domando se, rivendendoti, rimarrei di nuovo incantato dalla tua bellezza. B.’


 

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Capitolo 8
*** Giochiamo ad amare? ***


 Bussano alla poera, sono ormai le dieci e un quarto e fuori pare che il padre eterno stia tirando secchiate d’acqua sulla terra.
Vado ad aprire mentre Val è rinchiusa in bagno con le cuffie alle orecchie da un’infinità di tempo; sono impresentabile a chiunque scelga di bussare alla nostra porta questa sera.
Ho i capelli raccolti in maniera disordinata, e indosso un paio di legghins con un maglione in lana che uso ogni notte per dormire.
Apro lentamente la porta buttando un occhio al di fuori, e resto totalmente incantata da ciò che mi trovo di fronte; bello come solo un angelo oserebbe essere, avvolto da un cappotto nero e una sciarpa grigia.
-Ehi, disturbo?- domanda Bill guardandomi con aria imbarazzata.
-N-no, cioè io..no, nient’affatto- balbetto tentando di costruire una frase di senso compiuto.
Sorride, ed è incantevole.
-Posso..?- chiede sporgendosi all’interno della stanza.
Non rispondo, mi limito ad annuire e concedergli lo spazio necessario per potersi fare strada nella camera.
-Prego- aggiungo invitandolo a sedersi sul letto matrimoniale al centro della stanza.
E’ così sorprendentemente bello questa sera, anche se mi rendo conto che è già la seconda volta che lo penso in due giorni, il che mi fa riflettere sul fatto che questo enorme splendore gli calzi addosso ormai, esattamente come quei jeans che, lo ammetto, gli stanno a meraviglia.
Prima di accomodarsi Bill si leva sciarpa e cappotto, e li poggia sulla poltrona accanto alla finestra; prendo posto di fronte a lui, a gambe incrociate, guardandomi attorno per evitare qualunque forma di imbarazzo, dovuta a magnetici scambi di sguardi.
-Sei esattamente come ti ricordavo, sì- sussurra, studiandomi dalla testa ai piedi.
- ..se non più bella- aggiunge poco dopo, sorridendo.
Mi esplode il cuore, lo giuro.
Se solo ci riuscissi terrei a freno questo pullulare di sensazioni di gioia che mi assalgono, ma non è facile.
Soprattutto trovandomi davanti ad uno spettacolo simile, che ora si guarda intorno spaesato e palesemente imbarazzato.
-Grazie, sei fin troppo gentile, dico sul serio- replico, sfornando il mio primo vero sorriso.
-Diventerei troppo troppo gentile se ti domandassi di sorridere di nuovo?- risponde con aria maliziosa.
Alzo gli occhi al cielo, fingendo di rifletterci su, dopodiché esclamo prestandomi al gioco:
-Dammi una valida ragione per farlo, e di sorrisi te ne regalerò ben due !
Mi trovo immensamente a mio agio in questo momento.
-Ah si? Immagino quindi che tu mi stia sfidando- esclama Bill facendomi l’occhiolino.
Scoppio a ridere, sinceramente divertita.
Bill si mette all’improvviso in ginocchio sul letto, e in un batter d’occhio afferra il cuscino e me lo scaraventa addosso energicamente; mi ritrovo ad un tratto sdraiata, con il cuscino premuto sul viso e una risatina isterica di sottofondo.
Con uno scatto mi impossesso del cuscino e lo lancio ai piedi del letto, e in un attimo mi tuffo su Bill, attaccandolo con  una scarica di solletico; sento il suo corpo dimenarsi tra le mie braccia, e continuo a ridere, raggiungendo quasi le lacrime.
In questa lotta di corpi, ormai alla pari, sento il suo profumo invadermi le vie respiratorie; mi domando se è tutto frutto della mia fantasia e magari a momenti mi risveglierò nel mio letto, in piena notte o se è la pura, splendida, radiosa realtà.
-Ma che è tutto sto casin.. ah.- Val riemerge dal bagno, e lancia a me e Bill un’occhiata schifata.
-Tolgo il disturbo va’, continuate, continuate pure- ringhia, uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Io e Bill ci scambiamo un rapido sguardo, e senza nemmeno darmi il tempo di poter riprender fiato, rieccolo che mi assale senza pietà; rido, rido, rido senza limite.
Mi concentro nel vivermi questi istanti, in cui assaporo il vero senso della parola GIOIA.

***

Un letto disfatto, due cuscini a terra, la sua sciarpa dimenticata sulla poltrona della mia stanza, e le lenzuola leggermente bagnate dalle lacrime scaturite da una risata sincera.
Osservo ciò che i miei occhi si trovano davanti, e sospiro; corro alla finestra, scosto velocemente la tenta color carta da zucchero e faccio sì che i miei occhi si spingano oltre i vetri appannati dalla pioggia.
Scorgo allontanarsi la limousine nera ultimo modello, anche se in realtà nel buio riesco a distinguere solo i due fari posteriori; è esattamente mezzanotte, lo segna il campanile nella piazza al di sotto della mia stanza d’hotel.
Afferro la sciarpa che Bill ha sbadatamente scordato in camera mia, e me l’avvolgo attorno al collo; il suo profumo delicato mi accarezza la pelle, facendomi rabbrividire.
Mi avvicino alla scrivania, e mi metto a frugare energicamente nella mia borsa, alla ricerca del mio cellulare; una volta trovato, comincio a digitare freneticamente qualche parola, e pochi istanti dopo osservo la casella ‘invio in corso’ comparsa sullo schermo;messaggio inviato.
‘Caro Bill, ti donerei ogni mio sorriso.’
Nemmeno il tempo di posare il cellulare sul tavolo, e una vibrazione mi fa sobbalzare;
un messaggio ricevuto.
‘Ho paura dell’amore, ma amo il rischio. B.’

 

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