Tristan's History

di Douglas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il menestrello ***
Capitolo 2: *** L'iracibilità di sua Maestà ***
Capitolo 3: *** L'anello d'oro ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - un'improvvisa doccia fredda ***
Capitolo 5: *** Inghiottiti ***
Capitolo 6: *** Cuore imbizzarrito e cuore muto ***
Capitolo 7: *** la marionetta ***
Capitolo 8: *** Sottomissione ***
Capitolo 9: *** Verso l'oscurità... ***



Capitolo 1
*** il menestrello ***


salve a tutti. sono un'appassionata di storie cavallaresche e per questo adoro la serie Merlin così ho deciso di mescolare la mia storia preferita, quella di Tristano e Isotta, con la trama del telefilm, spero che vi piaccia quanto a me

 

 Tristan's history 

Tristano batté leggermente i talloni contro il ventre del suo destriero per far si che questo cavalcasse più velocemente, mentre chiazze verdastre e indefinite gli scorrevano a lato in modo talmente fulmineo da non poter distinguere un albero dall’ altro, il vento fresco prodotto dalla corsa sferzava il suo volto giovane e perfetto mentre i capelli neri vorticavano ai lati della nuca seguendo il ritmo incalzante della cavalcata.

Procedeva per la foresta ad una velocità tale da impedire al cavaliere di pensare a qualsiasi altra cosa che non riguardasse il sentiero sconnesso della foresta.

Aveva gettato praticamente via la sua intera esistenza, disonorando non solo il nome del suo buon padre, il re Rivales di Loonois, assassinato molti anni addietro dal crudele duca Morgan, ma persino quello dell’uomo che lo aveva sempre considerato come un figlio, re Marco di Cornovoglia, grande condottiero e buon amico del re di Camelot Uther Pendragon.

Chiuse per un secondo solo gli occhi, il tempo sufficiente per cui il bel volto dolce e leggiadro di Isotta comparve nella sua mente, era tanto letale quanto irrinunciabile per lui, paragonabile soltanto ad una coppa di buon vino mescolato al veleno più mortale.

Li riaprì istantaneamente imponendo a se stesso di pensare solamente all’avvenire e di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, infatti, dopo essere stato esiliato dalla Cornovoglia, la sua terra natale, aveva vagato a lungo senza meta, girando di corte in corte e spacciandosi per un menestrello d’Acquitania.

Se suo zio lo avrebbe ritrovato, probabilmente, anche se provava per lui un amore grande, le serpi che si insediavano nel magnifico castello di Tintagel lo avrebbero costretto a condannarlo a morte.

Dopo tanto girovagare da una corte all’altra dell’Europa, il valoroso Tristano si era ricordato improvvisamente di una promessa che gli era stata fatta tanto tempo prima, durante il torneo organizzato da suo zio in onore delle nozze con la sua amata Isotta.

Dopo aver affrontato il valoroso Lancillotto del Lago e essendone uscito perdente, il fedele cavaliere di Camelot aveva annunciato che ci sarebbe sempre stato per lui un posto nell’esercito del prode e famoso principe Artù.

Il giovane aveva ben presto dimenticato quell’offerta così generosa forse troppo preso dall’amore che provava verso la bella Isotta, eppure ora sembrava che quella potesse essere l’unica e forse l’ultima occasione per conoscere il grande principe che tutti lodavano.

Finalmente, dopo diversi minuti di cavalcata a briglie sciolte, il ragazzo uscì dalla foreste del regno e si trovò dinnanzi le imponenti mura della città di Camelot che sembravano osservarlo con aria dura e ostile, come duro e ostile sembrava essere il loro re, Uther Pendragon. Era proprio lui che temeva più di tutte, poiché, se avesse scoperto la sua vera identità, lo avrebbe consegnato senza alcun indugio a re Marco.

Si fece coraggio e prima di entrare, per evitare di essere riconosciuto, si sistemò in testa il cappuccio del mantello che gli aveva prestato il nobile scudiero Governale prima di partire, e infine prendendo in mano la sua arpa, compagna di mille avventure, si avvicinò alle guardie che facevano a guardia all’enorme portone della città.

- Straniero, prima di farvi passare e bene che vi facciate riconoscere- esclamò una delle guardie – ebbene il mio nome è Tantris d’Acquitania e sono un menestrello- esclamò il ragazzo con decisione ma le guardie sembrano non esserne ancora convinte poiché una di loro domandò – E per quale ragione un menestrello dovrebbe portare una spada con sé?- esclamò scetticamente la guardia che prima non aveva parlato – ebbene, mie care guardie, come voi ben saprete visto il compito che vi è stato affidato, questo è un mondo pericoloso e un uomo deve portare una spada anche se ha affidato la sua vita all’ arpa- esclamò con decisione con una voce lievemente melodiosa.

Le due guardie si fissarono fra loro dubbiose infine, evidentemente convinte dal discorso del prode Tristano, scansarono le loro asce e ordinarono ad un’ altra di aprire il ponte levatoio.

Tristano, dopo averle ringraziate, entrò senza indugi nella grandiosa Camelot. Prima di avventurarsi nella città bassa, però, smontò da cavallo e lo affidò ad un giovane scudiero pagandolo con tutte le monete d’oro che gli erano state donate per i suoi servigi e poi, con solamente la sua arpa come compagnia, si avventurò per le vie del borgo.

A prima vista la città di Camelot sembrava essere una delle città più fiorenti in cui aveva sostato, pur essendosi avventurato soltanto nella città bassa, e le persone che dovevano essere fra le più povere in quella città sembravano stranamente soddisfatte della vita che conducevano.

Passò attraverso il mercato cittadino dove si vendevano non solo gli ortaggi e i prodotti della terra, bensì anche stoffe e utensili.

Alla fine giunse in una piccola piazza in cui sostava vuota e in attesa la temutissima gogna, uno dei mezzi più temuti e conosciuti del re.

Si fermò esattamente al centro di essa, da quel punto della città Tristano poteva osservare perfettamente la magnificenza dell’enorme reggia del re.

Sorrise soddisfatto da sotto il suo cappuccio chiedendosi dove alloggiassero i cavalieri di Camelot, ma sfortunatamente si ricordò che non poteva avvicinarsi al palazzo finché Uther lo abitasse ancora, così si disse che se lui non poteva andare da Artù, Artù stesso sarebbe venuto da lui.

Così si sedette su uno dei bianchi gradini che portavano alla gogna, prese in mano la sua arpa e cominciò a far scorrere rapidamente le sue dita sulle corde producendo note dolci che vibravano nell’aria con fervore e attiravano sguardi incuriositi ovunque.

Prese un respiro profondo e cominciò a cantare: narrò delle coraggiose gesta di Achille, il prode guerriero greco e della sua tragica fine, tentò di sfoderare tutta l’esperienza da menestrello che aveva acquisito in quegli altri per attirare l’attenzione di più persone e cittadini possibili.

E ci riuscì poiché, in pochi minuti, numerosi cittadini cominciarono ad affollare la piazza per scorgere chi mai stesse suonando così soavemente l’arpa, attirati prima solo per curiosità e poi per stupore e meraviglia.

QCi fu qualcuno che gettò persino monete dinanzi a quel giovane incappucciato così abile e le donne stavano ad ascoltare rapite la storia piansero quando Achille venne colpito dalla freccia proprio nel suo punto debole.

Suonò l’ultima nota, poi prese le monete che gli erano state donate, e si avvicinò ad un uomo che se ne seduto al margine della strada, con la schiena piegata in due, tentando di sollevare un carico pesante di ortaggi.

-Buon uomo!- esclamò Tristano avvicinandosi – si fermi, la aiuterò io a patto che lei mi tenga un secondo queste poche monete- esclamò, anche se si faceva spacciare per un menestrello in fondo era sempre un cavaliere e non poteva dimenticare tutto ciò che gli era stato insegnato in tutti quegli anni da Governale, un cavaliere prima di tutto deve pensare a chi sta peggio di lui, gli aveva spiegato quando era solo un ragazzo alle prime armi.

L’uomo lo guardò dubbioso, sembrava non fidarsi di tanta inaspettata gentilezza ma alla fine, forse fin troppo stanco per il duro lavoro, accettò.

Tristano si caricò in spalla gli ortaggi e attraversò la piazza. Le persone che prima avevano assistito allo spettacolo, lo osservavano ancora estasiati e fra di essi, una ragazza dai capelli ricci legati alla nuca, dalla carnagione bronzea e con un vestito azzurro mare che tutti conoscevano come la serva di Lady Morgana, osservava la scena incerta su cosa stesse accadendo.

- Che sta succedendo qui?- esclamò stupita vedendo tutta quella gente raccolta come in preghiera - un menestrello sta aiutando il vecchio Batch- esclamò un uomo lì di fianco senza dar altre spiegazione, la ragazza annuì come se avesse inteso le parole dell’uomo ma non capì cosa ci fosse di tanto sorprendente in un menestrello che aiutava un anziano.

Tristano, intanto, aveva appoggiato il carico di ortaggi nel punto che l’uomo gli aveva indicato e prendendone in mano uno di essu esclamò – accidenti, ma questi cavoli mi sembrano i più deliziosi che abbia mai visto e questa lattuga sembra proprio adatta ad un re, le va bene se scambio un cavolo e una testa di lattuga per le mie poche monete?-.

L’uomo lo guardò esterrefatto, quelle erano venti o trenta monete e non valevano di certo quanto un cavolo e una testa di lattuga ma non se lo fece ripetere due volte – buon uomo, sarei un pazzo a non accettare- esclamò porgendoglieli e la folla attorno prima borbotto e sussurrò e poi cominciò ad applaudire sotto gli occhi esterrefatti della bella Ginevra.

- signori se volete ascoltare un'altra delle mie novelle, sarà sempre qui a questa ora e accontenterò qualsiasi richiesta, dunque chiedete di Tantris d’Acquitania e io vi soddisferò con un intrattenimento che neanche un re può provare- disse accennando alla dimora che torreggiava al di sopra delle loro teste, in molti risero e si complimentarono mentre il menestrello passò tra la folla, l’uomo però non volle ne compensi ne lusinghe ma avviò solitario sparendo poi fra le vie della città.

In quel momento, la folla si diradò intorno a se, tornando alla vita di sempre, mentre la bella Ginevra era ancora pietrificata dalla meraviglia, si chiese estasiata come facesse un solo uomo ad attirare a sé così tante persone, ma poi si ricordò aveva ancora molte faccende da sbrigare e si ritornò velocemente al castello.

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Capitolo 2
*** L'iracibilità di sua Maestà ***


  ecco un nuovo capitolo, spero che piaccia!   MA MI  RACCOMANDO RECENSITE!!! 

L’irascibilità di sua Maestà

 

Tre giorno dopo Tristano tornò alla piazza in cui si era esibito, il suo spettacolo era previsto per le quattro, così decise di aggirarsi per tutta Camelot in cerca di informazioni sul fantomatico Artù Pendragon.

Non ebbe molta fortuna, tutti quelli con cui parlò decantavano le infinite e molteplici doti del principino: le donne avrebbero scambiato il loro stesso marito per passare una sola notte con lui mentre gli uomini narravano tutte le coraggiose imprese che Artù aveva affrontato mantendo calma e sangue freddo.

Eppure Tristano non credeva ancora che un uomo comune, pur possedendo tutti quei titoli nobiliari, fosse capace di tanto e alle quattro si era ritrovato al punto di partenza, forse più confuso di prima.

Quel pomeriggio, però, ebbe la conferma della fondatezza dei suoi dubbi, quando, tornando nella piazza principale da cui si scorgeva l'immensa reggia di Uther, trovò un ragazzetto mingherlino stretto nella letale morsa della gogna e circondato da cittadini carichi di verdura marcia che veniva tirata addosso al malcapitato.

Si avvicinò silenziosamente mescolandosi fra la folla, poi vedendo che il poveretto aveva ormai la faccia interamente ricoperta di polpa di cavolo marcio, si fece avanti e, estraendo agilmente la spada dal fodero tagliò esattamente a meta una lattuga volante che si dirigeva verso la faccia del ragazzo.

I cittadini, da chissosi e villani, si zittirono immediatamente spalancando occhi e bocche, stupiti più che mai – Fermatevi ammasso di barbari!- gridò Tristano vedendoli rifornire le loro munizioni di verdura maleodorante – messer menestrello spostatevi per cortesia, dobbiamo punire questo criminale come stabilisce la legge di Camelot, nessuno ci vieta di farlo- esclamò uno di loro spiegando le sue ragioni a Tristano con un dito puntato verso il ragazzo terrorizzato.

E voi pretendete che di venire chiamati cittadini? Anche se è la legge di Camelot stessa a specificarlo, come tali dovreste sopportarvi e aiutarvi l'un l'altro anche quando uno di voi sbaglia e non tirarvi addosso verdure marce come barbari... Tu, dimmi che lavoro fai?- domandò improvvisamente rivolgendosi ad un uomo robusto con barba incolta – fabbro... sono un fabbro, messere- esclamò intimorito dal suo tono autoritario – e voi che avete braccia possenti e dita callose sarete senza alcun dubbio dei contadini- esclamò rivolgendosi ai tre uomini che rifornivano la folla delle verdure marce – esattamente- esclamò uno di loro -Allora, mi chiedo perchè degli uomini robusti e forzuti perdano tempo a lanciare frutta marcia ad un ragazzo indifeso e spaventato piuttosto che sellare un cavallo o seminare un campo... credo che il re sarà contento dei “passatempi” in cui si dilettano i propri sudditi- esclamò giocherellando con la punta della spada e infilzando una delle metà dell'ortaggio che prima aveva tagliato in due di netto, era sicuro che quando avrebbe alzato il capo, la folla si sarebbe diradata... e così fu.

Quando tutti se ne furono andati Tristano si sedette sui soliti gradini ormai non più bianchi e cominciò a far scorrere le dita sulle corde dell'arpa rimanendo concentrato sul ritmo della melodia.

-Grazie!- esclamò una voce leggermente acuta alle sue spalle che lo fece sobbalzare, solo dopo diversi minuti si ricordò del ragazzo – non devi ringraziarmi, stavano sporcando la mia postazione- esclamò senza smettere di suonare mentre riprendeva a pizzicare le corde - qual è il vostro nome?- esclamò il ragazzo prendendolo alla sprovvista – Tris… Tantris d’Acquitania- si corresse appena in tempo, la voce del ragazzo era talmente acuta e sgraziata da fargli perdere la concentrazione e la pazienza – ah... be grazie comunque, Tantris d’Acquitania, ho inghiottito tanta lattuga da esserne sazio, dirò a Gaius di diminuirmi la razione di zuppa- disse fra sé quasi rassegnato.

Improvvisamente, senza un vero e proprio motivo, gli scappò una risata, era strano ma quella voce che prima gli era parsa fastidiosa quasi quanto il ronzio di un ape ora sembrava essere quasi di conforto e compagnia, si disse che era davvero peccato che fosse rinchiuso lì in quella gogna... e improvvisamente gli venne un idea geniale.

- come hai detto di chiamarti, ragazzo?- esclamò il menestrello voltandosi per vedere in faccia il suo interlocutore, quello lo guardò in faccia e poi rimase lì impalato per molto tempo a osservarlo negli occhi, stupito –Ehm… in realtà non l’ho ancora detto ma mi chiamo Merlino, ti stringerei la mano ma sono un po’ occupato- esclamò girando appena le mani che spuntavano appena dalla gogna di legno, i suoi occhi però non si staccarono dal suo viso, quel ragazzo era strano, da giocoso e riconoscente il suo tono si era trasformato in uno incerto e curioso mentre il suo sguardo sembrava scrutare con aria confusa le sue iridi nocciola, come in cerca di risposte – e dimmi Merlino, quanto dura la tua pena?- domandò spostando lo sguardo sul lucchetto che univa le due parti della gogna – Finché il principe Artù lo vorrà, quindi credo che tra poco mi libereranno, il principe non sa prepararsi il pranzo da solo- esclamò riprendendo ancora il suo tono ironico – Quindi lo conoscete?- domandò sempre più incuriosito guardandosi attorno in cerca di qualche guardia di passaggio – Sfortunatamente sono il suo servitore, almeno credo di esserlo ancora, questa mattina ho pulito il pavimento e poi sono tornato da Gaius, il medico di corte e mio grande amico, perché dovevo aiutarlo a preparare un unguento e, casualmente, mi sono dimenticato il sapone e il secchiello nelle sue camere e quell’asino, quando è tornato dal suo allenamento quotidiano, non ha notato la saponetta per terra, che voglio dire è grande quanto un pezzo di formaggio e solo uno stupido non poteva notarla, ovviamente il principino ha appoggiato il suo regale piedi sulla saponetta e è caduto per terra sbattendo la sua testa dura e come se non bastasse il secchio, che era appoggiato sul tavolo, è caduto sulla testa di Artù… Il mio nome è riecheggiato per tutti gli angoli del castello, dalle segrete fino alle alte guglie della reggia e alla fine sono finito qui…- aveva raccontato la storia con tale passione e convinzione che spesse volte si era dovuto trattenere dal ridere, ma era stato un errore banale che chiunque avrebbe potuto commettere – pensavo che aveste commesso un crimine grave come rubare dalle dispense o insultare il re o il principe, credo che quest’ Artù Pendragon sia abbastanza irascibile- disse dando ragione al povero servo che fece una faccia come per dire “Andate voi a dirlo ad Artù”.

Tristano estrasse di nuovo la sua lucente spada dal fodero, ma prima prese in mano la sua arpa, pronto a scappare – Che volete fare?- esclamò Merlino atterrito e allo stesso tempo stupito – vi libero, mio caro amico- esclamò Tristano guardandosi in giro in cerca di qualche guardia o del principe stesso – no, non dovete farlo. Il principe si arrabbierà con voi e vi arresterà e poi…- esclamò osservando la spada lucente, gli avrebbe potuto staccare la testa di netto – non temete, Merlino, la mia presa è salda e sicura, non ti farai male e poi non mi arresteranno se non riusciranno a prendermi- disse sorridendo, finalmente vide un manipolo di soldati che si dirigeva verso la loro direzione, forse erano proprio le stesse che avrebbero dovuto liberare Merlino…

- Arrivederci Merlino- disse quasi facendo un inchino poi prese la spada con due mani e sferzò un colpo che spezzò il lucchetto, accadde tutto in un attimo, le guardie si accorsero subite dei movimenti sospetti dell’uomo e quando lo videro liberare il prigioniero, lo rincorsero senza badare a Merlino che si era appena liberato dalla gogna. Tristano era sicuro di essere più veloce di loro, da ragazzo, durante gli allenamenti con il fido Governale si erano allenati a sviluppare le gambe soprattutto per migliorare l’agilità durante il combattimento, e in pochi minuti lì distanziò andandosi a nascondere in un viottolo vuoto, aspettò che le guardie smettessero di cercarlo poi uscì dal suo nascondiglio.

Con questo gesto, il nome di Tantris sarebbe arrivato velocemente alle orecchie del principe, o come probabilmente Merlino avrebbe definito le regali orecchie d’asino di quella testa dura di sua Maestà.

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Capitolo 3
*** L'anello d'oro ***


 

 

Salve a tutti! Inanzittutto voglio ringraziare di cuore Elfina per i suoi bellissimi complimenti ma vorrei ringraziare anche tutte le persone che hanno letto entrambi i capitoli.

Ecco un altro capitolo forse un po’ più riflessivo

Baci da Douglas


 

Ps i personaggi e le trame utilizzate non sono miei e non li utilizzo a scopo di lucro, lo faccio soltanto per puro piacere di scrivere

 

 

Capitolo 3- L’anello d’oro

 

Dum, dum, dum…

I colpi secchi di tamburo seguivano il ritmo dei battiti del suo cuore che in quei momenti sembrava appesantirsi come un macigno in pieno petto. Artù sbatté le palpebre per distogliersi dai pensieri che lo affliggevano, poi tornò ad osservare atterrito i tre prigionieri che, a passi lenti e affaticati per le catene che stringevano le caviglie, procedevano in direzione del punto d’esecuzione posto al centro della piazza.

Ebbene sì, il grande principe Artù Pendragon, il fiore della cavalleria di Camelot, colui che aveva affrontato: grifoni, draghi, criminali di ogni genere, folli stregoni e aveva attraversato indenne le terre perigliose, aveva paura.

Non ne provava certamente per quei prigionieri, erano soltanto un uomo scarno e sua moglie stanca e debilitata per la lunga permanenza nelle celle di Camelot e il loro unico figlio che non si reggeva neppure in piedi.

No, era spaventato, anzi terrorizzato, dalla follia che si insediava nell’uomo che stava alla sua destra. Girò appena lo sguardo dandogli una rapida occhiata: il volto indurito dal passare degli anni e da tutte le orribili esperienze passate era contratto in un’ espressione seria ce carica d’odio, ma per chi lo conosceva bene come lui poteva scorgere della soddisfazione che insediava quegli occhi bui e profondi.

Quando i tamburi smisero di suonare, tornò ad osservare i tre prigionieri che da quella posizione riuscivano ad osservarli perfettamente in volto.

Mentre Uther attaccava con il suo solito discorso duro e inflessibile, sentì un paio di occhi trafiggerlo come una delle più taglienti spade dei tanti nemici che aveva affrontato durante la sua relativamente breve vita, si accorse in un secondo momento che erano gli occhi del bimbi che si erano posati su di lui: grandi, innocenti e smarriti.

Si sentì con le spalle al muro così preferì ritirarsi all’interno del castello cercando di mantenere un’ espressione neutrale, era l’unica cosa che gli era concesso fare in quelle occasioni. Sapeva che suo padre non avrebbe approvato il suo comportamento poiché, secondo lui, un principe deve sempre approvare le decisioni del proprio re e padre, ma lui odiava con tutte le sue forze fingere al suo popolo.

Sospirò amaramente quando si lasciò tutto alle spalle, dietro quella finestra di vetro spesso, e andò ad osservare la scena da una delle ampie finestre delle sue stanza da cui si riusciva a vedere chiaramente lo scenario atroce che si presentava davanti ai principeschi occhi cristallini del ragazzo.

Li osservò inerme mentre venivano strattonati verso il patibolo, non opposero la ben che minima resistenza talmente erano rassegnati alla loro sorte.

Quando vide la fiamma danzante della torcia posarsi sulla legna accatastata ai loro piedi, serrò le mani avvolte in rigidi guanti di pelle e chiuse gli occhi per qualche secondo continuando a domandarsi se quei tre fossero stati veramente stregoni non avrebbero potuto facilmente fuggire…

- Buondì, Artù- trillò una voce al suo fianco, il principe, preso alla sprovvista, riaprì gli occhi stupito nel sentire quella voce - Merlino, diamine! Non ti hanno insegnato a bussare prima di entrare?- domandò.

Merlino, dall’espressione crucciata sul suo volto, sembrava lottare interiormente per trovare una risposta adeguata ma Artù fu più veloce e puntò l’indice verso la porta con un gesto eloquente.

Il paziente servo sbuffò, uscì dalla porta, bussò e fece sbucare la testa in modo tale che le sue orecchie contrastassero comicamente con il colore scuro delle porte - Mi scusi principe, se non è troppo impegnato, posso entrare?- esclamò con tono poco convincente, Artù ghignò soddisfatto – Molto meglio, ora puoi entrare-.

Quando il ragazzo fu completamente entrato nella stanza, il biondo si ricordò del motivo del suo iniziale stupore – Un momento… che diavolo ci fai qui?! Non ho dato l’ordine di liberarti!- esclamò osservandolo circospetto – in realtà non sono state le guardie a liberarmi… ma sono certo che, in fondo, non te ne importa perché non vedi l’ora di assegnarmi qualche utile mansione- esclamò il ragazzo voltandosi e dirigendosi verso la porta a passi decisi.

-Merlino- lo richiamò il suo padrone pronunciando il suo nome con un tono rabbioso, il numero 5 secondo Merlino.

Il giovane mago e allo stesso tempo povero servitore del principe, di fatti, aveva come bizzarro “passatempo” durante le lunghe e noiose giornate incui nemmeno uno straccio di forza oscura minacciava Camelot, ossia quello di numerare, a secondo dell’intonazione della voce di Artù, tutte le volte che il suo nome veniva pronunciato da lui: il numero uno era il tono con cui dettava un ordine, il numero due era il tono di rassegnazione che usava quando Merlino diceva una stupidaggine, il numero tre, quello più ricercato, era il tono di soddisfazione di quando terminava correttamente una mansione, il numero quattro, il più pericoloso, era quello usato dal principe quando c’era qualcosa che lo incuriosiva sui comportamenti del servo ed infine il tono furioso era il numero cinque, lo stesso che qualche ora prima era rimbombato in ogni antro del castello di Camelot.

Merlino di voltò, sfoggiando uno delle sue facce ignare più convincenti.

Se ci fosse stato Uther al mio posto a quest’ ora ti avrebbe già fatto tornare alla gogna, quindi mostrami un minimo di riconoscenza e dimmelo- esclamò il principe con tono stranamente pacato, se la quiete prima della tempesta avrebbe dovuto possedere un volto sarebbe stato di certo quello di Artù in quel momento.

- Non credo che sia importante… voglio dire, l’importante è che io sia tornato più pronto e scattante di prima per eseguire ogni vostro ordine- esclamò Merlino con l’ultimo briciolo di coraggio che gli rimaneva.

Per la paura, Merlino si ritrovò a toccare con la schiena il muro, aveva attraversato quasi tutta la stanza camminando all’indietro per allontanarsi il più possibile da quella fiera rabbiosa che era divenuto il principe, come non si può aver paura di un uomo con le iridi infuocate?

- Merlino, la tua stupidità è senza confini, se non mi dirai immediatamente chi ti ha liberato ti farò pulire le scuderie ogni giorno della tua ignobile vita e, inoltre, fari compagnia ogni notte ai miei cavalli poiché dormirai con loro.- esclamò sfondando i timpani delle sue enormi protuberanze che aveva come orecchie.

- Ecco… io… un menes- balbettò indeciso prima che si sentisse bussare alla porta.

- Avanti!- esclamò il nobile cavaliere furioso non smettendo di lanciargli occhiatacce, dalla porta fece capolino una guardia – Principe, il re ha convocato il Consiglio e attende la sua presenza- esclamò con fare solenne.

Arù tornò per pochi attimi a essere inflessibile – Dite a mio padre che sto arrivando ma che ho ancora una QUESTIONE da risolvere…- al pronunciare la parola questione, i suoi occhi saettarono verso il servo.

L’uomo uscì senza dire una parola e, vedendo che Artù stava allacciando il lungo mantello rosso simbolo della cavalleria di Camelot, Merlino tirò un sospiro di sollievo.

-Sia chiaro- esclamò il biondo tornando improvvisamente alla carica – il nostro discorso non finisce qui…- e così dicendo uscì dalle stanze.

Merlino lo seguì poco dopo e attraversando il castello, i due si ritrovarono nella Sala del Trono gremita da cavalieri e consiglieri come non mai.

Quando Artù si faceva largo fra la folla e Merlino si avvicinò a Gaius ponendosi al suo fianco, i cavalieri e i consiglieri si allinearono proprio davanti al trono in attesa dell’arrivo del re.

Quando il re fece anch’esso la sua entrata trionfante, tutti in quella sala, a parte un altera fanciulla seduta a suo fianco, si inchinarono al suo cospetto e solo dopo un suo breve cenno si potettero rialzare.

- Padre…- esclamò Artù con un tono colmo di rispetto e accennando un inchino – Artù, mi domandavo se avessi notato qualcosa di strano durante l’esecuzione di oggi…- disse con tono austero e convinto – strano dite? No… veramente no- esclamò lui ripensando alla cruenta esecuzione a cui aveva assistito poco prima: era crudele, ripugnante, ingiusta ma non si poteva definire certamente strana.

Ne sei sicuro?- chiese il re accigliandosi, il ragazzo ci ripensò su ancora ma ne trasse le stesse conclusioni –si, padre. Cosa ha notato di strano lei ?- esclamò rivolgendosi a lui con i toni che si addicono a una seduta del Gran Consiglio – ho notato che gli spettatori erano molto meno del solito, saranno stati all’incirca una decina anche se tra gli stregoni c’era un bambino… di solito i bambini attirano molto pubblico- esclamò tranquillamente il re, Merlino, un po’ nascosto fra quella gente, rabbrividì per il tono pacato con cui Uher parlava della morte di un innocente bambino e si chiese se anche Artù lo stesse facendo o se fosse rimasto del tutto indifferente come il padre.

- In realtà non saprei, forse il pubblico si è stancato delle esecuzione- disse sinceramente il figlio suscitando un occhiata contrariata del vecchio re - oppure c’è qualcos’altro che attira la loro attenzione, ma non saprei dire cosa…- si ricorresse il giovane.-

-Uther, permettete…- esclamò l’algida ragazza dalla pelle di porcellana che sedeva su un sontuoso trono accanto al suo – ma certamente Morgana, ditemi, avete dei sospetti?- domandò lui rivolgendo le proprie attenzioni al glaciale sguardo di Morgana – non ne sono certa, ma credo di avere dei sospetti. Se permettete vorrei che la mia serva vi raccontasse qualcosa che mi è parso interessante, Ginevra!- disse la pupilla del re chiamando la sua serva.

La bella Ginevra emerse timidamente dalla folla attirando uno sguardo in particolare, uno azzurro come il cielo che si scorgeva dalle enormi vetrate delle finestre della sala del Trono.

-Vorrei che cortesemente ripetessi al re ciò che mi hai raccontato qualche giorno fa su quello che hai visto giù nella città bassa, precisamente nella piazza principale- la invitò con tono apparentemente cortese, eppure il suo tono zuccheroso veniva incrinato in continuazione da qualche nota acida.

Ginevra, nel frattempo, distolse lo sguardo da quello del bel principe e arrossì trovandosi così al cospetto del re a raccontare i fatti della sua vita privata – beh… ho assistito ad uno spettacolo di un menestrello- disse semplicemente – un menestrello??? non ho ricevuto alcuna visita di un menestrello in questi giorni. Per che mai un menestrello non dovrebbe presentarsi alla corte del re?- esclamò Uther incuriosito dalla vicenda, la risposta di Ginevra fu ancora una volta molto timida e pacata – in realtà, ha detto di essere il menestrello del popolo e non del re- appena queste parole furono pronunciate dalle rosee labbra di Ginevra, la Sala del Trono si riempì bisbigli.

- un menestrello del popolo? È assurdo, non esistono menestrelli al servizio del popolo!- esclamò con un tono sbalordito e allo stesso tempo oltraggiato – e c’è di più… quest’uomo non si fa pagare per i suoi spettacoli. Ho assistito personalmente ad uno di essi e direi che il comportamento degli spettatori era vagamente sospetto.- disse questa volta Morgana cercando di deviare il semplice racconto Ginevra – Che intendi per sospetto?- domandò il principe anch’esso interessato dalla discussione – che le persone sembrava incantate ad ascoltare la sua musica: troppo silenziose, troppo attente e alla fine, nel suo cappello, sono piovute cascate delle poche monete possedute dai cittadini, eppure lui le rifiuta sempre caldamente donandole a qualcun altro, a qualcuno meno fortunato di lui- esclamò Morgana insediando come al suo solito dubbi e paure nella mente del padre.

- Posso sentire il fetido odore della magia anche da questa distanza, mia cara Morgana. Quest’uomo deve essere arrestato- esclamò il re ormai plagiato dal discorso della sua figlioccia, altri bisbigli e borbottii pervasero la stanza.

- Se permette Sire, avrei un obiezione da fare.- esclamò un vecchio avanzando tra armature luccicanti e abiti sontuosi – ma certo Gaius, fate pure. Cosa ne pensate voi di questa situazione?- domandò il re stando a sentire l’unico uomo che potesse fargli cambiare idea oltre ad Artù – vedete, io credo che sia ingiusto condannare un uomo senza avere una prova … se quest’uomo è realmente così influente tra il popolo, condannarlo, anche se innocente, potrebbe causare delle insurrezioni popolari, io suggerisco di accertarsene con cura e solo in quel caso, emanare una condanna a morte.- esclamò l’anziano medico di corte utilizzando tutta la sua lungimiranza.

- Forse Gaius non avete tutti i torti… Artù voglio che tu convinca quest’uomo a venire a palazzo, utilizzando tutti i mezzi a tua disposizione… sono stato chiaro?- esclamò con il suo tipico tono autoritario –certo Padre, come desideri- disse il principe inchinandosi una seconda volta prima di uscire dalla Sala del Trono.

 

Merlino osservò Gaius tornare al suo fianco e fare il segno di seguirlo.

Dopo aver attraversato un corridoi e aver salito una rampa di scale, si trovarono nel laboratorio del medico di corte ingombro di manoscritti e ampolline ricolme di strane e curiose erbe medicinali che Merlino aveva catalogato tante di quelle volte da fargli venire il voltastomaco.

Quando si sedette su uno sgabello posto a lato del grande tavolo in legno sui cui stavano ogni genere di polveri e liquidi di ogni colore, Gaius attese una sua spiegazione .

Merlino sapeva benissimo di chi stavano parlando poco prima durante la riunione del Consiglio, discutevano dell’uomo che lo aveva liberato dalla gogna quella mattina, eppure non gli era sembrato sospetto se non per quell’inquietante particolare nei suoi occhi.-

Gaius credete che Tantris possa essere pericoloso, ti ho raccontato di come si è comportato con me sta mattina. Mi ha salvato da un' umiliazione pubblica, non credo che una persona malvagia l’avrebbe fatto- spiegò Merlino mentre anche Gaius si sedeva su uno degli sgabelli – Da quello che mi hai raccontato, Merlino, non credo che questo famigerato menestrello del popolo sia poi così pericoloso.

Dico soltanto che può essere potenzialmente pericoloso, ricorfati che hai incontrato tantissimi stregoni che per un primo momento sembravano essere amichevoli e gentili e poi ti hanno tradito. Ma quello xhw più mi fa dubitare di lui è quel particolare nei suoi occhi...- disse Gaius cercando di far ragionare il suo allievo – era un anello d’oro, vi dico, un piccolo cerchio dorato che avvolgeva le sue iridi scure come se lo stesse per soffocare- precisò Merlino ricordandosi perfettamente quel particolare.

Gaius inforcò gli occhiali e cominciò a sfogliare qualche polveroso manuale dall’odore stantio mentre Merlino tentava la fortuna cercando sul suo libro di incantesimi ma mezz’ora di ricerche sembrarono non portare alcun risultato…

- Qui non c’è niente, tra qualche ora andrò a cercare un manuale fra gli archivi del castello ma per ora è meglio che tu ti tenga pronto per il momento in cui Artù andrà ad incontrarlo. Cerca quindi di stare il più vicino possibile al principe- esclamò al finale Gaius chiudendo di scatto il libro polveroso.

Merlino, dopo quelle parole, scoccò un occhiata implorante verso il suo mentore che gli suggeriva, anzi lo implorava di fare qualcosa di diverso invece di subire le angherie del padrone anche oltre l'orario di servizio.

Gaius non disse nulla e riprese mescolare una brodaglia scura e maledorante così Merlino di dovette rassegnare.

Così, armandosi di tanta pazienza e una buona dose di sapone, si diresse verso l’armeria dove l’armatura del principe da lucidare, altrimenti che prode cavaliere dall’armatura brillante sarebbe se la sua armatura fosse stata opaca e rugginosa?

Doveva fare sempre tutto lui...

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - un'improvvisa doccia fredda ***


 

 

Salve a tutti, non sapete quanto io sia felice di tutto queste visite, di chi mi segue e chi mi ha recensito quindi grazie mille!!! Soprattutto a Fliflai perchè ho storpiato il suo nome chiamandola elfina nell'altro capitolo

mI RACCOMANDO RECENSITE E FATEMI SIA COMPLIMENTI CHE CRITICHE, anche quelle sono sempre gradite!

Quindi buona lettura a tutti!

Capitolo 4- Un’ improvvisa doccia fredda

 

La notte ricopriva ancora con il suo manto tenebroso l’intera foresta che circondava le mura del castello di Tintagel, quando Tristano si ritrovò a vagare fra le querce più antiche che assumevano le sembianze di mani dagli acuminati artigli mentre i loro rami erano scossi dal tumultuoso soffio del vento.

Tristano, che era in parte menestrello, ricordava tutte quelle antiche vicende che ebbero luogo secoli orsono in cui il vento rappresentava il drastico cambiamento e si chiese se quella strana bufera che aveva sopraffatto l’intera Cornovaglia grazie alla sua potenza potesse ricollegarsi a quelle leggende.

In realtà non si ricordava perché si ritrovasse lì, qualche ora prima si era rifugiato fra le mura di una piccola stalla collocata, come tante altre, tra i sobborghi della lussureggiante Camelot.

In quel momento, invece, si ritrovava di nuovo in quel luogo maledetto ad osservare il magnificente castello addormentato che provocava in lui un grande senso di nostalgia…

Prima dell’incontro con Isotta, quel castello era stato per lungo tempo la sua unica casa e ricordava ancora bene il senso di appartenenza che lo invadeva ogni volta che tornava a casa da una lunga battaglia: stanco, logoro e a volte ferito.

Ogni guglia, ogni via e ogni abitazione di Tintagel faceva sorgere in lui antichi tormenti che a Camelot sembravano lasciarlo momentaneamente in pace…

L’unica emozione che quella reggia sapeva offrigli in quel momento, però, era un sentimento di protezione e sicurezza poiché era cosciente che il suo unico amore e la sua unica maledizione si trovava al sicuro fra le sue mura, stretta fra le braccia di quell’uomo che in passato aveva considerato quasi come un padre.

Tristano uscì dal bosco e la pallida luce lunare lo inondò e illuminò i suoi tratti spigolosi e, in certi versi, virili mescolati ancora a quelli infantili che faticavano a scomparire dal suo volto.

Fu proprio in quel momento che, piegando il capo verso l’alto, verso una delle tante finestre, una raffica di vento lo travolse. Il vento si era fatto talmente impetuoso da far si che le punte dei rami più alti si ricongiungessero al terreno.

Si quietò solo pochi minuti dopo sostituito da un venticello che riusciva a scuotere appena le foglie sugli alberi.

La lieve brezza sospinse verso il prode cavaliere un oggetto indefinito che vorticò e brillo mestamente alla flebile luce della Luna, cominciò a disegnare forme indefinite e irregolari nella notte nera finché, con estrema precisione, si posò leggiadro sul palmo aperto del giovane.

Tristano si soffermò ad osservarlo, pareva quasi un filamento d’oro puro proveniente da un abito di qualche nobildonna ma sfortunatamente, dalla consistenza, capì immediatamente che quello non era affatto un filo bensì era un lungo e lucente capello biondo appartenente alla chioma dell’unica persona al mondo a cui tenesse veramente.

Ebbe un tuffo al cuore e sentì per qualche secondo il respiro mozzarsi nel suo petto.

Strinse la mano intorno al sottile filamento non fatto d’oro ma di pura tristezza e sofferenza e infine appoggiò il palmo della mano in cui lo stringeva sulla parte sinistra del suo petto facendo si che le uniche cose che si frapponessero fra il capello e il suo cuore palpitante fossero i suoi abiti e la sua carne.

Sperava che entrambi si potessero fondere fra loro così che avrebbe potuto portare sempre con sé un ricordo della sua amata oltre che ai dolci e allo stesso tempo dolorosi ricordi.

Tornò ad osservare il castello chiedendosi se ci fossero tracce di Isotta da qualche parte ma tutto quello che vide furono alberi, mura e nessun segno di vita.

Improvvisamente qualcosa lo distrasse dalla sua perlustrazione, si accorse di un lancinante dolore che proveniva dalla mano ancora appoggiata sul cuore e quindi tornò ad osservare le sue dita.

Il capello d’oro era sparito e al suo posto c’era un finissimo anello d’oro che stritolava quasi quanto un cobra l’indice della mano tanto da far cadere alcune gocce di sangue vermiglio sul terreno verdeggiante.

Il ragazzo tentò in vano di toglierlo dal dito che cominciava ormai sanguinare vistosamente e quando ce la fece ci fu un istantaneo attimo di buio seguito da un immagine al quanto sfuocata di una spiga di grano placidamente distesa sul palmo della sua mano…

Anzi per essere più precisi era completamente circondato da spighe di grano che fungevano da giaciglio alle sue stanche membra.

Che cosa diavolo stava succedendo?

- Ehi tu… ehi, menestrello.- esclamò una voce.

- veramente ho sentito dire che si chiama Tantris.- disse una voce più acuta che fece scattare una scintilla nella mente assonnata del giovane, una voce così fastidiosamente acuta non poteva che possedere al servo del principe che aveva salvato dalla gogna, quindi trasse la conclusione di essere tornato a Camelot…

Si ricorresse mentalmente fra sé, era probabile che non si fosse nemmeno allontanato da Camelot, forse era stata la sua mente a viaggiare lontano e immergendosi in ricordi dolorosi del passato.

Eppure doveva ammettere che questa volta il sogno era più bizzarro degli altri.

- e sentiamo Merlino, chi ti ha detto il suo nome se nessuno alla corte lo conosce?- continuò la voce più profonda e a lui totalmente sconosciuta.

- Ecco… veramente è stato Gaius… anzi no Morgana… o per meglio dire Ginevra…- disse finché la sua frase si tramutò in borbottio sconnesso e del tutto impercettibile.

Tristano volse il suo sguardo verso i due uomini tentando di metterli a fuoco il più possibile e fu proprio in quel momento che l’altra figura zittì Merlino.

-Oh… Buongiorno.- esclamò il menestrello mettendosi a sedere e riuscendo infine a distinguere il lineamenti dei due visi.

Il primo era il volto pallido e in certi versi smunto del giovane servo Merlino che lo osservava con un espressione guardinga dipinta in volto; la stessa espressione contraddistingueva il volto quasi spigoloso, levigato in alcuni tratti del mento e degli zigomi, di un altrettanto giovane ragazzo biondo.

Il viso era stranamente più aggraziato rispetto all’intera sagoma muscolosa avvolta in abiti troppo eleganti e puliti rispetto a quelli che avrebbe indossato un cittadino comune…

-Bene Artù Pendragon mi onora della sua regale presenza. Non voglio comportarmi come un cortese e servile cavaliere venuto alla sua corte, gli renderò la vita più difficile del solito e credo che ci sarà da divertirsi- pensò fra sé Tristano sghignazzando vistosamente rivolgendo cotanta villania verso i due arrivati.

- Siete Tantris il menestrello- esclamò quello non sbilanciandosi nemmeno per un secondo.

Tristano si alzò da terra, si ripulì gli abiti e la chioma dalla paglia che era rimastra incastrata qui e là fra le pieghe dei suoi abiti e i folti ricci bruni e poi, con un grande sorriso luminescente, si impegnò per mettere a disposizione del futuro re di Camelot il suo migliore inchino che risultò traballante e incerto, quasi insolente pur essendo uno dei massimi gesti di cortesia dimostrabile ad un futuro re – in persona. Siete venuti anche voi per una delle miei storie?- esclamò deciso a mettere alla prova il famigerato sangue freddo del principino.

Artù lo osservò incerto se offendersi per la troppa spavalderia che quel semplice menestrello gli gettava in faccia o se prendere quel bizzarro inchino e quel sorriso ironico per una presa in giro… in ogni caso quello strano strimpellatore di arpa non gli stava dando una buona impressione.

- no, saremmo venuti per incontrarvi ufficialmente visto che vi rifiutate categoricamente di venire a palazzo.- esclamò quello evidenziando la sua scortesia – Non adoro i palazzi e in particolari quelli che servono a nascondere le imponenti malefatte dei loro sovrani.- disse togliendo finalmente l’ultima spiga che si gli era fastidiosamente infilzata sulla schiena, e prestando così poca attenzione al discorso del principe.

- Vedo che non amate molto la monarchia… ma vi posso consigliare caldamente di non procedere con questo discorso se non volete essere arrestato. Avete davanti a voi il futuro re.- esclamò misurando accuratamente ogni parola, il suo sforzo per trattenersi dallo sfidarlo pubblicamente in un duello ad ultimo sangue era trattenuto a mala appena dalla volontà di portare quel giovane tanto sprovveduto al castello dove sarebbe stato giudicato colpevole di stregoneria e condannato finalmente a morte.

- allora perdonate la mia insolenza, principe, ma sono una persona piuttosto schietta a cui non piace mentire che io abbia davanti un servo o un uomo dal sangue blu come il vostro.- disse dimostrando di non avere peli sulla lingua.

Artù non sapeva cosa pensare su questo menestrello insolente e schietto, di solito quelli che suo padre chiamava per i banchetti ufficiali erano sempre pronti a prostrarsi ai piedi del re senza la minima esitazione mentre lui se ne prendeva addirittura gioco.

Tristano, mentre tentava quasi invano di non scoppiare a ridere per la faccia accartocciata in un espressione dubbiosa, stranita e infuriata del principe, si voltò verso il suo secondo ospite che stranamente non aveva spiccicato una parola invece di chiacchierare allegramente come al loro primo incontro… Sembrava che lo stesse studiando.

- Vedo che avete portato il vostro servitore, credo che non ci sia bisogno di presentazione dopo il nostro incontro di qualche mattino fa.- aggiunse il menestrello svegliando dal suo stato temporaneo di coma il grande condottiero.

-Come scusa?- domandò voltandosi verso il servitore che nel frattempo aveva indietreggiato di molti passi, quasi per nascondersi dietro uno dei grandi pagliai di quella stalla.

Il suo tono era semplicemente furibondo.

- si… insomma. Ricordate la questione in sospeso che avevate dovevate risolvere… beh l’avete risolta- esclamò Merlino cercando di farlo ridere e alzando le braccia in segno di arresa.

- M-E-R-L-I-N-O - esclamò con un tono furioso che fece accapponare la pelle del suddetto interessato – io…- tentò non riuscendo a pronunciare una singola parola.

Assistendo a quella scena, Tristano si sentì maledettamente in colpa, insomma doveva certamente provocare il principino per capire se fosse realmente quel grande re che tutti preannunciavano, ma non voleva certamente che Merlino, l’unica persona che si era dimostrata gentile con lui, passasse dei brutti guai per colpa sua.

- In sua discolpa- esclamò il menestrello frapponendosi fra i due – volevo soltanto dire che sono stato io a liberarlo prima che si potesse opporre, lui continuava a ripetermi che era sinceramente pentito di ciò che aveva fatto e che se avrebbe potuto avrebbe prolungato la sua permanenza per altre 24 ore… e poi non voglio spargimenti di sangue qui dentro, devo ancora pulire il pavimento e le macchie di sangue sono estremamente difficili da togliere- esclamò prendendo in mano secchiello e spazzola, sfortunatamente per la sua permanenza lì doveva pagare un prezzo.

Dietro di sé, sentì che il servitore fare un grande sospiro di sollievo.

Ci fu qualche attimo di esitazione da parte del principe e il silenzio venne riempito dal fruscio ritmato della spazzola che strusciava per terra, Merlino si offerse di aiutarlo ma Artù lo bloccò con una semplice occhiataccia poi formulò il suo discorso - sempre ammesso che questa storia sia vera, mi spiegate perché avete liberato il mio servitore?- disse fuori dai gangheri per la poca attenzione a lui prestata, quando finalmente il ragazzo intense la spazzola nel secchiello degnò di Artù di una risposta – credo perché mi facesse un po’ pena e anche perché volevo farmi conoscere da voi per il mio valore… no, mi ricorreggo, solo perché mi faceva pena.- disse tenendolo sulle spine, dentro di sé la mente di Tristano si ingegnava per trovare ogni modo possibile per infastidirlo.

-VOI NON POTETE- esclamò Artù digrignando i denti – voi non potete assolutamente liberare il mio servitore senza il mio consenso, voi non potete esibirvi nella piazza centrale senza essersi presentato al re e soprattutto non potete rivolgersi ad un reale con un tono tanto insolente!-.

Tristano a quelle parole, fece una risata amara e carica di sarcasmo e poi, fermando il suo lavoro e pulendo le ginocchia dalla polvere lo fissò in volto deciso – Sapete cosa vi dico? Che voi “reali” siete tutti uguali: pretendete, ordinate e imponete. Sono un menestrello e mi sono esibito in tante di quelle corti che ormai non ricordò più nemmeno un nome di uno dei tanti re ma il loro comportamento si ripete con una frequenza quasi nauseante. Sono venuto a Camelot perché dai racconti che si sono diffusi per tutto il mondo voi siete considerato il cambiamento… Beh da quello che ho capito erano tutte menzogne.-

Artù era furibondo, ovviamente, ma era anche sbalordita dalla tenacia e dal coraggio che quel ragazzo, così differente da lui, gli dimostrava.

Neanche per un secondo la sua voce si era dimostrata tentennante, era dura, ferma e inflessibile mentre i suoi occhi e il suo sguardo rigido era puntato tenacemente ancora verso di lui.

Ma Artù, pur essendo molto impressionato, non poteva farla passare liscia a quella sottospecie di strimpellatore.

-Voi menestrelli siete sapete solo chiacchierare.- esclamò contrastando il suo lungo discorso con poche parole, poi il biondo fece dietrofront e, con il mantello rosso che svolazzava alle sue spalle, si diresse all’esterno della stalla.

Merlino, invece, rimase impalato a fissarlo, nessuno, a parte qualche buon amico come Lancillotto o Galvano, lo aveva difeso con tanta tenacia di fronte al suo aguzzino personale.

- non c’è ne bisogno Merlino…- esclamò Tristano anticipando i suoi ringraziamenti, Merlino annuì ancora incapace di muoversi – Tantris, vorrei parlarti in privato, puoi recarti alla taverna questo pomeriggio?- disse ignorando i richiami assordanti del padrone.

Tristano fermò il suo spazzolare e lo fissò con un espressione interrogativa ma cercò comunque di fidarsi di lui così rispose – certamente. È meglio che tu vada ora io devo finire di pulire qui e…- ed ecco che una brillante idea si fece largo fra i meandri più malvagi della sua mente – devo andare a cambiare l’acqua- dichiarò.

Merlino al momento non capì quell’affermazione ma poi, quando lo vide prendere il secchiello colmo di acqua sporca e maleodorante in mano e dirigesi verso l’uscita capì tutto.

Si precipitò all’esterno e vide la scena che avrebbe ricordato per sempre nei momenti in cui il suo padrone gli avrebbe ordinato delle commissioni impossibili e faticose.

Tristano infatti, con quel secchiello, aveva compiuto uno dei più grandi sbagli della sua vita ossia farsi come nemico il grande principe di Camelot.

In quel momento, circondato da risate di ogni genere: acute, profonde, fastidiose e melodiose, il suddetto principe se ne stava ritto impettito con lo sguardo che trafiggeva il prode Tristano che se la rideva di gusto.

I suoi capelli e i suoi abiti completamente zuppi aderivano perfettamente al corpo del padrone, l’acqua che invece aveva investito il viso non più tanto principesco di Artù era già bollita via per la temperatura che avevano le sue guance.

Merlino non tentò nemmeno per un secondo di sorridere a quella scena.

Forse l’avrebbe fatto più tardi approfittando così dell’oscurità della sera e del fatto che tutti stessero dormendo beatamente ma per ora preferiva starsene zitto ad osservarlo valutandone le conseguenze.

Il gesto di Artù fu istantaneo.

Sguainò la sua lucente spada dal fodero e librò un colpo verso il menestrello sicuro che quello fosse troppo intento a ridere per accorgersene.

Merlino non ebbe tempo per pensare ad una magia sufficientemente efficace da arrestare l’ira di Artù e chiuse gli occhi convinto che un menestrello non fosse capace di difendersi da un attacco così repentino.

Un suono metallico gli fece riaprire gli occhi mentre un silenzio teso si diffuse per tutto intorno alle due figure che si stagliavano fra le altre soprattutto per le spade che si incrociavano fra loro e stridevano.

-Sorpreso?- domandò quando le loro spade si abbassarono svelando i loro visi al loro rispettivo avversario.
Artù non rispose e librò un altro colpo in aria che andò di nuovo a vuoto e così il loro combattimento iniziò.

I due, coinvolti in una strana danza, si affrontavano fra loro con aria truce uno e il viso sereno e concentrato l’altro parando e schivando ritmicamente i colpi del proprio avversario.

Il combattimento si prolungò per altri venti minuti poiché l’uno era abile quanto l’altro e nessuno di loro riusciva ad avere la meglio.

Le guardie arrivarono poco dopo, probabilmente richiamate per lo scompiglio creato da quel combattimento e in meno che non si dica, Tristano fu circondato.

Quello, sconfitto dalla loro maggioranza numerica, ritrasse la spada e alzò le braccia in segno di resa.

Le guardie gli furono subito addosso e lo spintonarono verso la reggia.

Quando il prigioniero gli passò vicino, Merlino gli scoccò un occhiata dubbiosa e incerta chiedendosi se la sua promessa fosse ancora valida, lui gli sorrise e poi sussurrò impercettibilmente.

- A dopo.- esclamò non perdendo per un secondo il suo buon umore.

Era strano ma Merlino ebbe l’impressione che, in quel momento non fossero le guardie a scortare Tantris al castello ma che Tantris si stesse facendo scortare dritto dritto davanti al re.

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Capitolo 5
*** Inghiottiti ***


Salve a tutti, eccomi qua con un nuovo capitolo!

Un po' Horror a dirla tutta!

Forse se all'inizio lo leggerete vi chiederete cosa centri questo capitolo con l'intera storia, ma se proseguirete fino alla fine lo capirete... Devo ammettere che però questo capitolo non è tutto farina del mio sacco perchè ho preso inspirazione da tanti film o libri (es Wonderous Straing, se si scrive così altrimenti chiedo scusa ha tutti i fan accaniti), quindi ribadisco che la storia non è scritta a scopi di lucro...

Buona lettura e mi raccomando, RECENSITE E DITE  LA VOSTRA!

Capitolo 5- Inghiottiti

 

Le acque chiare e cristalline del fiume Trunf scorrevano placidamente partendo dalla sorgente posta in alta montagna, attraversando radure e foreste, campi e distese agricole fino ad arrivare ad una radura silenziosa nel centro della foresta di Canteval, regno vicino e rivale a quello di Camelot.

Queste, infine, sfociavano in una conca profonda qualche metro, cadendo per una cascata cristallina e andando a formare una piccola pozza d’acqua rilucente quanto uno specchio e ombreggiata da alberi di vario genere.

Di giorno, quello specchio d’acqua sembrava una perfetta oasi dove qualsiasi anima solitaria poteva trovare conforto o rifugio.

Di notte, però, questa si trasformava in una trappola brulicante di creature immonde e terrificanti.

 

Capitò una sera, quando ormai il sole toccava l’orizzonte, che una malcapitata carrozza si fermò sulle sue sponde.

Nella carrozza, una ricca nobildonna, cresciuta nella bambagia fin dalla nascita, urlava e strepitava per ottenere ciò che voleva come aveva fatto sempre durante il corso della sua intera esistenza: voleva, anzi pretendeva un bagno rinfrescante in una serata così calda.

La donna, dopo essere scesa dalla carrozza, si era svestita e tuffata bagnando così il suo corpo con quelle acque gelide.

Nuotò andando avanti e indietro e toccando le sponde rocciose della conca mentre le guardie la sorvegliavano da lontano. Era ormai stanca di nuotare, così, si avvicinò alla sponda proprio mentre il sole spariva completamente.

Improvvisamente, proprio mentre la nobildonna si issava sulla riva spoglia e spigolosa con l’intenzione di tornare alla carrozza, sentì delle lievi note di clavicembalo aleggiare nell’aria.

Si immobilizzò, dapprima atterrita e successivamente piacevolmente colpita… quella era la stessa canzone del suo carillon che suonava incessantemente tutte le notti quando aveva meno di un anno.

Era l’unico oggetto capace di farla addormentare, nemmeno il canto di sua madre era tanto soave da riuscirci. Si guardò in giro, chiedendosi se qualcuno la stesse spiando o le stesse giocando in tiro mancino, spaventandola. Se sapeva di quella canzone, probabilmente era una persona che la conosceva piuttosto bene…

Si guardò in giro, cauta, e solo dopo pochi minuti intuì che la musica proveniva dal centro del lago e cresceva di intensità diventando quasi assordante.

Quella musica, le infondeva uno strano senso di protezione e calma così si decise a rituffarsi per verificare cosa stesse accadendo.

Arrivò con ampie bracciate al centro del lago, nel punto esatto da cui sembrava provenire la melodia, ma non vide nulla se non acque scure che rilucevano in modo inquietante e che sembravano accanirsi contro il suo corpo irrigidito dal freddo, come se stessero tentando di affogarla.

- è solo un’impressione, è solo un’impressione- si ripeteva mentalmente per rassicurarsi.

 

Accadde tutto in un attimo…

Non ebbe nemmeno il tento per gridare aiuto…

Mani viscide e unghiate afferrarono il collo del piede e la trascinarono verso il basso…

Giù, sempre più giù…

Nelle profondità finche anche l’ultimo centimetro d’aria nei suoi polmoni si sostituì a quelle acque che le erano sembrate tanto invitanti…

 

Venti minuti dopo, le guardie si allarmarono non sentendo più nessuno rumore e andarono a controllare. Fu il panico quando si accorsero che il lago era stranamente vuoto e tetro. Allarmati si tuffarono nell’acque scure di quella pozza ma, come la precedente, sentirono la canzone che i due cantavano quando aveva paura o quando facevano delle solitarie ronde notturne e poi, anch’essi, furono inghiottiti.

Dalle profondità dello specchio d’acqua, tre figure oscure emersone dalle sue acque che, in quel momento, vorticavano e ruotavano come se fossero tormentate da chissà quale corrente marina o mulinello.

Alla penombra, quelle tre figure con fisico statuario da donna, lunghi capelli selvaggi e ribelli, profili dolci e aggraziati avrebbero fatto innamorare qualsiasi uomo: dal giovane e ingenuo contadino al saggio e stimato re o sovrano.

In realtà, se la luce del sole fosse riuscita ad illuminarle, quelle bellissime dame si sarebbero trasformate in orride bestie con alghe putrescenti apposto dei capelli, artigli lunghi e acuminati apposto delle unghie, occhi vacui come quelli di uno squalo invece che dolci e colorati come quelli di qualunque altra donna ma soprattutto lunghe code di pesce formate da squame dure quanto l’acciaio che avrebbero fatto invidia all’armatura del più prode dei cavalieri.

-Maledizione!- esclamò una di loro con voce sgraziata e stridente – anche questi tre avevano un sapore orribile! Mai che ce fosse uno con una bella canzone… sempre ninne nanne melense- esclamò pulendosi con un unghia un pezzo di carne che gli era rimasto fra le fauci – Sorella, abbi pazienza! È già un miracolo che una nobildonna si sia tuffata qui dentro dopo così tanto tempo… è vero siamo tutte stufe di mangiare solo cervi e caprioli, la loro carne non riesce a soddisfare mai completamente il nostro appetito. Ci vorrebbe una di quelle canzoni che ti fanno leccare i baffi e che ti fanno rimanere sazio per molto tempo, come quella di quel vecchio… Vi ricordate! Era così patetico, nuotò fino al centro del lago convinto che ci fosse sua moglie a cantarla- disse ridendo di gusto alle sventure di quel povere anziano – ed è finito per affogare senza nemmeno che noi intervenissimo- disse la terza completando la frase della sorella sirena.

Tutte e tre scoppiarono in una risata acuta che rimbombò fra i rami e i tronchi degli alberi producendo un eco tetro.

-Comunque è da troppo tempo che non facciamo un banchetto come si deve… e io lo ripeto, sono stanca di mangiare solo stupidi animali- disse la seconda con un tono feroce e famelico, le altre due rimasero in silenzio a riflettere scuotendo le code in modo quasi epilettico e formando enormi cerchi che si propagavano nelle acque buie formando piccole onde irregolari e increspando la superficie.

- Ho trovato- disse la terza sirena, quella che sembrava essere la maggiore fra le sorelle –si… potrebbe essere una buona idea…ma ci sarà da rischiare parecchio- esclamò lasciando quella affermazione in sospeso; le altre due, più giovani e inesperte, si avvicinarono alla maggiore e la pregarono di spiegare il loro piano.

La terza sorrise in modo sinistro tanto da scoprire le zanne affilate incastonate nel suo sorriso inquietante e sussurrò – credo che dovremmo fare una visitina al caro Uther Pendragon- esclamò malignamente mentre le altre due ruggivano inferocite – UTHER PENDRAGON??? Ha ucciso quasi tutta la nostra specie, Carmilla! Mio marito e i nostri fratelli sono caduti combattendo contro di lui e forse i nostri stessi figli potrebbero fare la stessa sorte. Se noi ci addentriamo dentro il suo castello sarebbe la nostra fine- i suoi occhi sembrarono accendersi d’ odio solo pronunciando il nome di Uther.

- Il nostro banchetto allora sarà più soddisfacente e grazie al suo potere potremmo richiamare a Camelot le persone più sensibile con delle succose canzoni per la testa- disse quella bramosa passando la lingua biforcuta, simile a quella di un serpente, sulle labbra violacee.

- Come faremo a sopravvivere distanti dall’acqua con Uther che osserva ogni nostro movimento?- domandò quella più piccola che era rimasta zitta fino a quell’istante, sottomessa come al solito al volere delle sorelle.

-A questo ci ho già pensato, con un po’ di astuzia potremmo avere tutta l’acqua che vorremmo senza destare sospetti… Plasmeremo la mente del principe Artù e lo convinceremo a fornirci di tutta l’acqua possibile e poi ci sbarazzeremo di lui… un principe giovane come lui deve avere la carne tenera.- disse Carmilla, la maggiore, non spegnendo la sua brama e, senza consultare le sorella  si rituffò in acqua.

Ma prima che potesse scendere in profondità la sorella più piccola ma non meno forzuta la trattenne per la coda e la fece riemergere facendo ruggire la sorella di rabbia – Dicono che il principe Artù abbia una delle anime più sensibili del reame… potresti lasciare a me la sua canzone. Voglio il principe tutto per me- esclamò senza alzare lo sguardo verso quello malvagio della sorella che si incupì sempre più – te lo cedo pure, a patto che tu non stia dicendo questo per quella assurda storia di trovare un marito umano, Iside… lo sai che fine ha fatto quel ragazzo umano di cui ti eri innamorata- esclamò con tono minaccioso puntando l’artigli verso il viso deforme di Iside – l’hai… l’hai ucciso- balbettò quella ricacciando il doloroso ricordo nel suo cuore – esatto, quindi ti consigli di seguire i nostri ordini senza discutere altrimenti questa la tua punizione, questa volta, ti sarà fatale.- e così dicendo, dopo un ennesima occhiata di puro odio verso la smidollata sorellina in lacrime, si rituffò.  

 

 

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Capitolo 6
*** Cuore imbizzarrito e cuore muto ***


 Salve a tutti, inanzitutto volevo ringraziare tutte le persone che hanno letto la mia fanfic... In modo particolare ringrazio chi mi recensisce e chi mi segue perchè mi da sempre utili consigli

Ecco un nuovo capitolo spero che piaccia a tutti...

 

Capitolo 6- Cuore imbizzarrito e cuore muto

 

Il caldo di quei giorni sembrava aver raggiunto i suoi livelli più alti, quando, Tristano, ancora rinchiuso nelle celle di Camelot, quel pomeriggio cercava un po’ d’aria fresca sporgendo appena il viso accaldato verso la piccola finestrella che dava direttamente sulla piazza.

Lì si fermavano carrozze, cavalli e carri fermandosi proprio davanti l’ingresso del castello del grande re Uther Pendragon e di suo figlio Artù.

Ripensando a quel nome, un senso soffocante d’odio lo afflisse, come se il suo stomaco stesse lottando contro un veleno preparato da chissà quale stregone e druido si contrasse dolorosamente su sé stesso.

Come volevasi dimostrare la vendetta del principino non si era lasciata attendere…

Tristano si era aspettato di tutto: duelli all’ultimo sangue, permanenze mensili alla gogna, l’esilio da Camelot e non aveva scartato nemmeno l’ ipotesi di una decapitazione pubblica; Però, mai in vita sua, avrebbe sospettato che esistesse una mente tanto diabolica da concepire un piano astutamente malvagio come quello.

Artù si era limitato semplicemente ad accomodarsi sul suo trono e attendere silenziosamente la vendetta.

Le celle di Camelot, infatti, erano uno dei punti più caldi dell’intera città nei periodi estivi, talmente calde che nemmeno le guardie osavano sorvegliare i prigionieri in quei forni. Tristano non aveva mai immaginato come fosse l’inferno, ma certamente sarebbe stato  molto più fresco della sua attuale “dimora”.

La scusa apparente della sua permanenza nelle prigioni era stata attribuita all’imminente arrivo di tre dame che erano state accolte con tutti gli onori nella corte dell’uomo più ricco dell’intera Inghilterra: erano stati organizzati balli, giostre, spettacoli e il rumore delle risate arrivava persino da lui, il povero prigioniero dimenticato anche da Dio stesso.

Continuava, però, a mantenere una calma invidiabile poiché sapeva che le guardie avrebbe riferito subito al principe ogni suo minimo segno di cedimento: era una sfida silenziosa  e strategica degna dei più grandi intellettuali di corte.

Così fra i reali occupati e le guardie che lo ignoravano, solo tre persone avevano dimostrato pietà verso di lui: il suo unico amico Merlino, il medico di corte Gaius e una umile serva che diceva di essere grande amica di Merlino e che gli portava acqua e cibo in abbondanza aggiungendo   spesse volte qualcosa in più che riusciva a rubare dalla dispensa dalle cucine reali.

Erano una ragazza umile, dai comportamenti garbati e servili che si rivolgeva a lui come se stesse parlando ad un cavaliere e, anche se lui aveva insistito più volte perchè lo trattasse come un suo pari, lei insisteva altrettanto nello specificare che una persona così colta e raffinata meritava un trattamento speciale come quello che lei riservava ad un uomo di corte.

Le era molto grato per tutto quello che faceva, rischiando in certi versi il proprio lavoro per uno sconosciuto, ma doveva ammettere che, per i primi giorni, non si era fidato molto di ciò che gli portava, proprio perché era stata una serva umile e fedele come lei a compiere l’errore che avrebbe segnato per sempre la sua intera esistenza; il terzo giorno però la fame e la sete ebbero il sopravvento sul suo orgoglio.

Tristano stanco di quell’attesa asfissiante, prese l’asse di legno che aveva staccato dal lettino rudimentale della cella e, piegando le ginocchia, si preparò ad attaccare colpendo ripetutamente le sbarre della cella con movimenti fluidi e rapidi e provocando dei rintocchi simile a quelli di una campana che si propagavano per tutte le segrete fino ad arrivare all’orecchio delle guardie ormai abituate allo strambo comportamento del prigioniero.

Quando Tristano fu troppo stanco per continuare e quando l’umidità aveva fatto appiccicare i suoi abiti al corpo sudato e qualche riccio ribelle alle sue guance arrossate, si fermò ansimando e si distese sul letto riflettendo sullo strano comportamento di Merlino nel loro primo incontro dopo il suo arresto.

Il ragazzo, utilizzando sempre toni garbati e scanzonati, gli aveva fatto un mucchio di domande sul suo passato, sempre molto precise e dettagliate che avevano messo in difficoltà il giovane menestrello e la presenza dell’anziano medico di corte che lo scrutava guardingo da sotto quelle palpebre pesanti non lo aveva di certo rassicurato.

La domanda che però lo colpì di più fu quella che riguardava i suoi occhi…

Tantris, ma i vostri occhi sono sempre stati così… particolari?

Gli aveva domandato il servo del principe con un tono sospettoso.

Captò uno strano tremolio della voce di quella domanda che era gli era stata rivolta e subito dopo dimenticata, ma aveva capito che tutto quell’interrogatorio girava intorno ad essa.

Particolari? Che significa che i suoi occhi erano particolari?

Erano di un normale marrone corteccia, molto profondi certamente, ma pur sempre ordinari: non erano belli quanto quelli azzurri di Isotta e nemmeno espressivi come quelli della serva che gli portava il cibo ogni giorno.

Ma allora perché quella domanda doveva essere così importante?

Lui era un menestrello e nessuno poteva ingannarlo se si trattava di menzogne ben architette, riconosceva qualsiasi tremolio o incertezza della voce e Merlino, rivolgendogli quella domanda, sembrava essere molto in ansia, quasi desideroso di una risposta strana; lui, invece, aveva semplicemente detto la verità, ossia che i suoi occhi erano marroni come quelli della madre.

Improvvisamente un rumore di chiavi sbattute l’una contro l’altra lo riportò alla realtà e, con uno scatto rapido, si alzò in piedi e riprese il suo combattimento come se nulla fosse.

Forse si trattava solamente delle serva che gli portava il cibo, ma voleva dimostrare a chiunque fosse che lui era ancora vispo e pieno di forze.

Immaginatevi la sorpresa del cavaliere quando il principe di Camelot in persona lo degnò finalmente della sua presenza.

– Visita di cortesia o semplicemente state costando se io respiri ancora?- esclamò Tristano non rinunciando nemmeno questa volta al suo tono sarcastico.

- nessuna delle due, se fosse stato per me tu saresti rimasto qui dentro ancora per qualche settimana- rispose il principe con tono spavaldo – Vi credete più coraggioso di me solo perché queste sbarre ci dividono?- disse il menestrello colpendo con l’asta di legno nel punto esatto delle sbarre  che stava all’altezza della faccia di Artù – Stai parlando con colui che, oltre a queste sbarre, possiede la cella in cui vivete e il suolo su cui camminate, quindi ti conviene startene zitto e ascoltare ciò che sono venuto a dirti…-.

A fatica, Tristano fermò il suo allenamento osservando il suo avversario con aria truce – sono tutto orecchi, sua Maestà- esclamò accennando quell’inchino tanto fastidioso al futuro re.

-Ebbene, come sapete la principessa d’Irlanda e le sue dame di corte sono venute a farci visita questa settimana. Desiderano un menestrello per allietare la loro serata e Camelot momentaneamente non ne ha disposizione se non uno molto fastidioso rinchiuso qui dentro. Il re, quindi, propone a voi, Tantris d’Acquitania, un accordo, una settimana al suo servizio in cambio della libertà: accettate l’offerta?- domandò il principe Artù con un tono troppo cerimonioso e pomposo inadatto al suo carattere irascibile.

Tristano, però, non badò a quello strano comportamento che avrebbe potuto essere uno spunto adatto a una delle sue solite battute ironiche, ma rimase impietrito senza respirare e senza un muscolo attivo che potesse reagire a quella notizia… solo il cuore accelerò come un cavallo imbizzarrito.

- la principessa Isotta d’Irlanda?- disse il ragazzo facendo crollare quella maschera di sicurezza che aveva così abilmente creato – sì, è venuta qualche giorno fa a trovare il re in rappresentanza della Cornovaglia, c’è qualche problema?- lo informò il principe stordito da quell’improvvisa reazione.

Tristano impiegò qualche secondo per metabolizzare il tutto e per rendersi conto che, in quel palazzo così lontano dalla sua patria, c’era l’amore della sua vita e che nemmeno quelle sbarre di acciaio avrebbero potuto fermarlo a quel punto.

Rispose con un sussurrò d’assenso appena accennato voltandosi ad osservare il via vai di piedi e di gonne che si intravedevano dalla sua finestrella, troppo stravolto per cercare una risposta dignitosa.

Nemmeno lì poteva essere in pace con se stesso e probabilmente, quella sera stessa, sarebbe dovuto scappare il più lontano possibile in cerca di qualche luogo in cui non si sapeva nemmeno dove fosse la Cornovaglia.

- Potete uscire a patto che vi andiate a lavare e vi vestiate in maniera consona - disse senza accennare nulla sul fatto che puzzasse quanto un maiale o che i suoi vestiti fossero sudici e incrostati di fango. Sbirciò appena squadrando quella strana espressione carica di risentimento, stupore, confusione e… pena.

Artù Pentdragon provava pena per un tale impertinente dopo che l’aveva umiliato di fronte al suo intero popolo?!

- Dovete arrivare alle otto di sera puntuale altrimenti vi verrò a cercare e vi guadagnerete l’onore di essere esiliato da Camelot dal principe in persona.- disse tornando al suo solito tono acido e carico di risentimento e, senza farsi pregare, si voltò e procedette a passo spedito verso l’uscita mentre le guardie si inchinavano a lui in segno di rispetto. 

 

Quando Tristano indossò il capello che completava il suo abbigliamento sentì il vago impulso di non presentarsi al banchetto di quella sera e scappare il più lontano possibile da Camelot.

Si tratteneva soltanto perché quella sera avrebbe potuto vedere la sua amata Isotta, anche se era il veleno in lui a desiderarla.

Sentiva un battito del cuore che il cervello non aveva comandato, un sudore provocato dalla tranquillità dei suoi pensieri e lo stomaco sotto sopra anche se il suo cervello era consapevole di quell’amore involontario.

Chiuse le palpebre imponendosi di pensare a come assassinare il figlio del re per avergli fatto indossare quell’orrore.

Si specchiò nella tinozza d’acqua con cui aveva fatto il bagno e sbuffò. Era ridicolo, semplicemente ridicolo. Si sentì improvvisamente avvolto da un tremore rabbioso che fece vibrare tutto il suo corpo.

Dalle sue narici uscivano fumo e fiamme che probabilmente anche il mostro di Wexford che aveva sconfitto qualche anno addietro, avrebbe invidiato.

I suoi abiti, oltre a essere una taglia in più del dovuto, erano sfavillanti e sgargianti cuciti con merletti, pizzi e lustrini mentre le scarpe erano talmente larghe che chiunque gli sarebbe passato accanto sarebbe potuto inciampare sui suoi piedi. Sul cappello svettavano tre enormi piume rosse che andavano fastidiosamente a cadere sulla fronte comprendo del tutto la visuale del malcapitato menestrello.

Infuriato, prese il capello e lo gettò a terra e poi si andò a sedere tra la paglia morbida della sua stalla…

Quello non era un abito da menestrello ma da GIULLARE.

Si mise a riflettere per qualche secondo osservando il suo copricapo che sembrava attenderlo beffardo all’uscita.

- Ci devo andare…- concluse rassegnandosi all’idea di essere deriso da tutta la sala. Isotta era là e lei non poteva di certo attenderlo in eterno.

Prima di andare però tentò di rimediare a quel disastro: per prima cosa strappò le penne rosse e spelacchiate dal cappello, poi cambiò le scarpe indossando le sue e infine strappò con la spada i merletti più evidenti anche se il colletto divenne sfilacciato e cominciò a prudergli il collo.

Infine, sistemandosi al meglio il capello sulla testa ricciuta e prendendo sotto braccio l’arpa, si avviò con passo spedito verso il castello sbirciando ogni tanto il cielo cupo e carico di pioggia.

Arrivò in orario alle porte del castello di Artù e le guardie, con un ghigno fastidioso e complice sulle labbra, lo fecero passare senza chiedere chi fosse.

Proseguì silenziosamente per le sale buie svoltando a destra e poi a sinistra e alla fine arrivò davanti ad un magnifico portone tutto elaborato dove una ragazza si guardava in giro con aria preoccupata.

Si tranquillizzò soltanto, quando puntando lo sguardo profondo verso di lui, gli fece segno di avvicinarsi.

- Finalmente, il re vi sta aspettando e non sa più come intrattenere gli ospiti. È in collera con voi- esclamò la ragazza mantenendo un tono lievemente isterico.

La riconobbe, era la stessa ragazza che ogni giorno gli portava da mangiare – mi dispiace non volevo farvi passare dei guai per causa mia- si scusò realmente dispiaciuto.

- ma no, ha frainteso tutto. Non sono io che sono arrabbiata con lei- disse arrossendo e tentando a sua volta di scusarsi – allora entri in quella sala e riferisca al re che annunci il mio nome e io gli preparerò un magnifico spettacolo- esclamò ridendo fra sé soddisfatto, il re era in collera con lui… tanto meglio, ci sarebbe stato molto più da divertirsi.

La ragazza, senza aggiungere altro, entrò furtivamente nella sala del trono e richiuse la porta dietro di sé.

Era pronto, aveva fatto quello spettacolo un centinaio di volte, davanti a qualsiasi re o sovrano e di qualunque nazionalità fosse aveva sempre gradito.

Fortunatamente era un attimo musico e sapeva improvvisare in caso di emergenza e la fortuna volle che la sua voce fosse molto soave ma, allo stesso tempo, forte e possente e questo gli aveva fatto guadagnare fama persino in Cornovaglia. Se poi si aggiungeva una innata dote teatrale, una sfacciata faccia tosta e un certo carisma si poteva dire che Tristano, se non fosse stato figlio di un re, sarebbe potuto essere un eccellente menestrello.

Non era pronto invece a rivedere Isotta…

In quegli anni aveva fatto così fatica a dimenticarla tanto che, per i primi tempi, se intravedeva una dama che le somigliava vagamente, scappava dirigendosi il più lontano possibile in cerca di pace.

Attese qualche secondo, e per la seconda volta, la ragazza sbucò nel corridoio buio dove Tristano attendeva.

- è ora, in questo momento il re vi sta presentando al suo pubblico. Dovrò semplicemente avvertire la guardia perché vi apra il portone e poi potrete entrare…- spiegò mantenendo una calma invidiabile - vi ringrazio- esclamò prendendo una lunga boccata d’aria e grattando fastidiosamente il collo ormai arrossato da quel colletto fastidioso.

La ragazza lo osservò per qualche secondo, incuriosita da quello strano menestrello che rispondeva per le rime al futuro principe di Camelot ma si emozionava a tal punto prima di fare uno spettacolo che probabilmente aveva già ripetuto un centinaio di volte.

Non aveva mai notato come quel  velo di tristezza copriva sempre la sua voce e il suo sguardo, come se qualcosa di terribile gravasse sempre sulla sua coscienza.

-Permette?- domandò quella cautamente indicando il suo collo – certamente…- esclamò Tristano ripassando le battute del suo spettacolo a mente, le sapeva ormai a memoria ma aveva paura che la sua voce, rivedendo Isotta dopo così tanto tempo, lo tradisse.

La ragazza fu molto veloce, con abilità tagliò due fastidiosi fili del colletto e lo ripiegò verso l’esterno facendo si che non gli prudesse più.

Tristano, sollevato, le regalò un sorriso sincero e si decise a domandarle quale fosse il suo nome.

-Mi chiamo Ginevra, ma se non le dispiace la pregherei di chiamarmi Guen- disse lei sorridendogli a sua volta.

-Bene Guen, ora sono pronto ad entrare. Avvisate la guardia- le disse convinto stringendo la sua amata arpa.

Guardò la ragazza entrare silenziosamente nella sala del trono e, in due decimi di secondo prima che la porta si aprisse, tutte le battute che aveva ripassato si cancellarono dalla sua mente e rimase il nulla.

La sala era gremita di gente, e la luce delle candele poste sopra ogni tavolo faceva splendere ogni ninnolo sfarzoso delle nobildonne o dei nobiluomi in quella sala e a Tristano parve persino che i loro sguardi rilucessero come i loro gioielli, illuminati da una luce di curiosità.

Lo sfavillio più rilucente, ovviamente, proveniva dalla corona posta la testa di un uomo dallo sguardo duro ed autoritario che lo scrutava torvo dal tavolo centrale attorno al quale erano state poste due lunghe tavole ricolme di ogni prelibatezza e leccornia.

-Uther Pendragon è più spaventoso di quanto mi ricordassi…- questo fu l’unico pensiero che riuscì a formulare prima di inchinarsi con grande rispetto verso l’uomo e i suoi due figli, aveva all’incirca tre anni quando lo aveva visto prima di allora.

Poi, senza dir nulla, si sedette sullo sgabello che era stato appositamente posto per lui al centro della sala e scrutò la folla in cerca di Isotta.

La trovò seduta nella stessa tavolata del re, proprio accanto ad Artù, ma stranamente il suo cuore non fece una piega e sentì un senso di tranquillità pervaderlo improvvisamente, come se l’ansia di qualche secondo prima non fosse mai esistita…

Lasciò subito quegli stupidi pensieri e, scaldando prima la voce, cominciò la sua lunga narrazione:

- Gentili dame e cavalieri, il mio nome è Tantris d’Acquitania, detto anche menestrello del popolo ed è ho girato in tutte le corti europee fino ad arrivare al lontano Oriente alitando le cene e i banchetti di ogni re o imperatore.

Posso affermare con sicurezza che, però, non mi sono mai sentito tanto onorato di intrattenere un sovrano tanto magnanimo, saggio e cortese ma soprattutto amorevole verso i propri figli e sudditi come Uther Pendragon.

E proprio di quest’amore così forte ed intenso, vi voglio parlare in una sera tanto calma, tranquilla e silenziosa come questa.

E quindi vi narrerò, con le stelle che sono mie testimoni, dell’amore dell’eroe delle dodici fatiche, Ercole, che affrontò il suo viaggio con l’obbiettivo di lenire il dolore che provò dopo la morte dei suoi figli provocata dalla sua stessa mano e stregato da una crudele dea.

Un amore tanto grande quanto infinitamente triste accompagnerà il pranzo dei miei gentili ascoltatori e farà provare a loro la gioia ma anche la fatica di essere padre…-.

Dopo quel discorso così toccante, prese in braccio la sua fedele arpa e cantò con la struggente tristezza che accompagnava il suo stesso destino e il suo nome la morte dei giovani pargoli di Ercole, con ardente passione e spirito d’avventura ogni fatica che il semidio dovette affrontare ed infine riuscì a diffondere nella sala un senso di sollievo quando Ercole si liberò dalla sua maledizione.

Quando terminò, un silenzio ricolmo di stima e rispetto si diffuse per la sala.

Uther, con occhi stupiti, si meravigliò dalla passione e dal talento di quel giovane che sembrava sapere più lui del mondo che un vecchio re rinchiuso da tanti anni il quella teca di cristallo che era il suo castello.

Il re si levò in piedi e, con fare solenne, cominciò ad applaudire seguito successivamente dall’intera sala e l’applauso proseguì per diversi minuti.

Tristano però non sorrideva, rimaneva immobile ad osservare la sua amata Isotta che applaudiva entusiasta.

Per la seconda volta, il suo cuore non reagì, anzi, si acquietò battendo normalmente come se stesse osservando una fanciulla qualsiasi.

Impossibile, era sicuramente Isotta quella ragazza dai capelli biondo grano e dagli occhi azzurri quanto il cielo della sua patria… era per quegli occhi, quei capelli e quelle labbra tanto invitanti che il suo animo non si dava pace.

Stranamente, anche osservando in ogni particolare il suo sorriso che incorniciava il viso perfetto ed il rossore per quello sguardo insistente che la scrutava, il suo cuore non accennava a fare bizze o capricci per lei.

-Complimenti messer Tantris d’Acquitania, ci ha offerto uno spettacolo molto emozionante… non siete d’accordo con me Morgana? E voi Artù?- domandò il re rivolto ai suoi due figliocci.

La prima stirò il volto gelido in un sorriso inquietante e, come il padre, si dilungò in complimenti scontati e ripetitivi mentre il secondo lo osservò con una espressione scocciata e confusa e si limitò a pronunciare un debole sì mentre sul volto di Tristano appariva un sorriso vittorioso.

- Dopo questa magnifica esibizione seguirà la festa danzante richiesta dalle nostre gradite ospiti…- disse il re provocando un altro scrosciante applauso – naturalmente anche messer Tantris è invitato- concluse il re rivolgendosi al menestrello ancora seduto sullo sgabello al centro della sala.

Quello si alzò, si inchinò ed esclamò con voce squillante – Spiacente, ma ho altri spettacoli da preparare. Si era concordato solo uno spettacolo per sera- disse con voce vagamente annoiata e molto disdicevole nei confronti del sovrano.

Questa volta il silenzio che si propagò nella sala fu veramente teso e agghiacciante. Uther osservò il menestrello con aria vagamente rabbiosa. Tristano non accennò ad abbassare lo sguardo che si scontrava con forza con quello austero del re mentre ancora nessuno osava parlare.

- La prego, rimanga con noi un altro po’- esclamò una voce dolce e suadente che avrebbe riconosciuto fra mille, un pensiero rapido fluttuò fra i suoi pensieri e consigliò al menestrello di scappare lontano da quella voce.

Tristano la soffocò colpito dal tono implorante di Isotta – lo farò- esclamò titubante il ragazzo.

Anche questa volta i loro sguardi si incrociarono e, per la terza volta, il suo cuore rimase immobile.

Quella non poteva essere Isotta…   

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Capitolo 7
*** la marionetta ***


salve a tutti, ecco un nuovo capitolo un po' più emozionante dell'altro che era riflessivo.

Buona lettura e mi raccomando, recensite!!!

Capitolo 7 – La marionetta

 

Quando le dita esperte del musicista si appoggiarono sui tasti color madreperla del clavicembalo, gli ospiti si poterono alzare dai loro rispettivi posti a tavola e si disposero liberamente all’interno dell’enorme sala del trono per ascoltare estasiati le complicate melodie che si diffondevano lentamente.

Tristano, invece, che non toccava cibo da quella mattina, si avvicinò distrattamente ad una delle tavolate dove erano state disposte diverse leccornie che i popolani potevano solamente sognare.

Gustò lentamente un pezzo di pane fresco e del formaggio caprino.

Nessuno fino a quel momento, aveva avuto il coraggio di rivolgergli la parola, forse per paura di fare un grave torto al sovrano che, in quel momento, sembrava aver gran voglia di rimangiarsi il suo invito.

Eppure sentiva tanti sguardi posati su di lui, come spilli acuminati che pungevano la sua pelle per constatare se da quelle ferite potesse uscire del sangue blu.

Tristano, come di solito accadeva, le ignorava apertamente ma lanciava occhiate fulminee a Isotta che, dall’altra parte della sala, parlava allegramente con il principe Artù.

La vide dimenarsi e gesticolare con ampie bracciate e spesse volte la sua voce sembrava sovrastare la musica raffinata che si diffondeva nella sala.

Tristano la guardò stupito di quel comportamento così bizzarro; Isotta era sempre stata una ragazza molto garbata ed elegante e non avrebbe mai osato parlare con un principe in quel modo.

Anche Artù aveva notato quell’ esuberanza, ma faceva buon viso a cattivo gioco e le sorrideva cortesemente.

Lei sembrava non voler mollare la presa e seguiva il principe di qua e di là nella sala, non lasciandogli un attimo di respiro.

Il menestrello immerso nella sua contemplazione, interrogava ancora il suo cuore ma questo sembrava non rispondere ai suoi segnali.

Isotta stava parlando con un altro uomo, un principe per di più, e questo continuava a essere più preoccupato per lo sguardo interrogativo che il vecchio medico di corte e il suo assistente continuavano a rivolgergli.

- Tantris…Tantris vi sentite bene?- chiese una voce esterna ai suoi pensieri che lo fece tornare alla realtà. Il volto di Ginevra apparve improvvisamente.

- Certamente, Ginevra… volevo dire Guen.- disse il menestrello ricorreggendosi – volevo farti personalmente i complimenti perché sembra che gli altri invitati abbiano dimenticato cosa sia la cortesia- disse schiettamente la ragazza.

Tristano ne fu sorpreso.

- Voi non avete paura dell’ira di Uther? L’ho appena umiliato davanti ad una sala piena di nobili…- disse improvvisamente divertito da quella conversazione, stranamente a Camelot ogni persona sembrava diversa da come appariva. Ospiti inclusi.

- Uther mi ha già portato via la persona più cara che mi rimaneva… che altro può farmi?- disse con fare deciso lanciando un occhiata piena di rancore al sovrano.

- mi dispiace molto – esclamò pentito per la sua spavalderia ma si accorse che improvvisamente, la serva, aveva chinato il capo in un inchino.

- Non c’è ne bisogno Guen – esclamò una voce dolce e voltandosi si accorse dei due ragazzi e della fanciulla che avevano interrotto la loro conversazione.

Il principe, la cui voce era diventata improvvisamente troppo gentile, osservò Tristano con un aria di sfida.

- abbiamo interrotto qualcosa di importante?- domandò il futuro re con voce acida ma il suo sguardo lo tradiva… non smetteva di osservare Ginevra con occhi curiosi e interrogativi, come se aspettasse che chiarisse tutto.

- nulla di importante, mi stava semplicemente facendo i complimenti- esclamò Tristano tentando di riparare il danno.

- bene, è proprio per questo che sono venuto qui da voi – esclamò il principe distogliendo lo sguardo dalla ragazza – per farvi i complimenti.- ma la sua frase non proseguì oltre…

Quelle tre semplici parole erano già stato uno sforzo sovraumano per lui.

- si siete stato eccezionale, la vostra voce è così sublime e passionale e deliziosa…- esclamò Isotta con una voce che a Tristano parve quasi famelica.

- Invece a me è piaciuta più la parte finale, ma non riesco a capirne il motivo- esclamò Merlino ridendo sotto i baffi e beccandosi un’occhiataccia dal padrone.

Anche Tristano trattene a stento una risata.

 

Accadde tutto così velocemente che Tristano fece fatica, anche qualche ora dopo, nel suo letto caldo e non molto comodo, a ricordare.

Si era sentito solamente un grande frastuono di bicchieri andati in frantumi e piatti e vassoi che si scontravano violentemente contro il terreno duro della sala.

Tutti gli ospiti erano accorseri a osservare la donna distesa e ricoperta dalla lunga tovaglia bianca che aveva trascinato con se durante il suo svenimento.

Il medico di corte e Merlino si attivarono immediatamente e, mentre le guardie spostavano dalla donna tutto ciò che l’aveva colpita come il candelabro e alcuni piatti d’oro, la gente le si stringeva tutt’ intorno.

- Quella è la mia serva… avrà dimenticato di assumere la pozione che gli aveva consigliato il medico per prevenire i suoi malori- esclamò Isotta rivolgendosi ad Artù, Tristano e Ginevra, gli unici che non erano accorsi a soccorrere la damigella.

- Artù mi potete accompagnare fino alla carrozza a prendere la medicina. Per una fanciulla come me non è saggio uscire di notte da sola- esclamò rivolgendo uno sguardo implorante al biondo che non si fece scongiurare  e la seguì fuori di lì.

Tristano, incuriosito dalla velocità con cui Isotta sembrava aver riconosciuto la sua serva che, ancora avvolta nella tovaglia e distesa per terra circondata da mille persone, sembrava non voler rinvenire.

Decise così di seguire silenziosamente quella strana ragazza che ora più che mai si convinse non essere Isotta.

Non c’era un vero e proprio motivo per cui non si fidasse di lei, forse perché sembrava troppo affezionata ad Artù o forse soltanto perché aveva preso le sembianze della donna che più amava.

Lì seguì veloce cercando di farsi che i suoi passi non rimbombassero per il castello vuoto e silenzioso e, mantenendo una certa distanza dalle due sagome veloci, li pedinò fino ad arrivare alla famigerata carrozza.

Vide la fanciulla invitare Artù ad entrare lì dentro, forse perché quattro mani avrebbero trovato più velocemente quella strana pozione apposta di due e quando il principe chiuse dietro di sé la porta della grande carrozza fatta in legno, Tristano si posizionò dietro ad una grande colonna di marmo, in attesa.

Da quella posizione riuscì a scorgere lo stemma reale impresso sulla carrozza e attestò che quell’emblema, che rappresentava un giglio divorato da un aquila, non era lo stemma reale né di re Marco né dei principi d’Irlanda.

Il ragazzo attese diversi minuti con l’orecchio proteso per sentire ogni minimo rumore, ma i due sembravano ancora cercare il rimedio per gli attacchi di quella serva.

Dieci minuti dopo, il silenzio regnava ancora per quella piazzetta avvolta dalle tenebre ed esso era interrotto soltanto dal respiro affannato del giovane.

E dopo che l’orologio del campanile suonò le dieci rintocchi, si decise ad avvicinarsi e ad aprire lo sportellino.

La scena che gli si presentò davanti fu a dir poco raccapricciante, gli splendenti capelli biondi di Isotta e l’intero sedile della carrozza erano totalmente inondati da un liquido purpureo simile a sangue.

Le mani della ragazza erano strette intorno alle spalle di Artù mentre i denti acuminati erano posati nella carne rosea del giovane.

A fianco, un’ ampolla di vetro trasparente si riempiva di un liquido latteo che roteava vivacemente e tentava in vano di disporsi nella zona del tappo, come se stesse cercando di farlo scoppiare.

Tristano, grazie ai suoi riflessi pronti, estrasse la spada dal fodero per attaccare quell’immonda creatura ma quella mostrandogli i denti e una lunga lingua violacea lo costrinse ad allontanarsi.

Improvvisamente il liquido latteo nell’ampolla diventò splendente per qualche istante e poi ritornò a essere senza vita come ogni liquido che si rispetti.

Quel cambiamento non fu ignorato dalla creatura che sussurrò all’orecchio del giovane ragazzo svenuto delle parole strane e sibilanti.

L’unica parola che riuscì a capire fu UCCIDI…

Artù si alzò in piedi come una marionetta legata da fili invisibili e, brandendo anch’ esso la spada, cominciò a infierire colpi mortali sul povero Tristano.

Il ragazzo non poteva fare altro che schivare e parare poiché, se avrebbe attaccato, sarebbe stato il principe stesso a rimetterci e non la creatura che proteggeva.

Il combattimento proseguì per diversi minuti, poi, troppo esausto per continuare solamente a parare i suoi attacchi, rientrò nel castello e si mise a correre in cerca di aiuto… forse se fosse stato supportato da qualche guardia avrebbe potuto avrebbe potuto avere la meglio.

Con il fiato mozzato per quella corsa sfrenata, spalancò le porte della sala del trono e gridò a gran voce rivolgendosi al re – Il principe… il principe Artù è stato attaccato da un mostro- urlò attirando l’attenzione di ogni dama o cavaliere che si stringevano ancora attorno alla donna svenuta.

Forse anche lei era un’altra di quelle bestie selvagge.

- Dove? Quando?- domandò il re lasciando la ragazza alle cure di Gaius – poco fa… è stato attaccato dalla principessa Isotta- disse tentando di formulare un discorso convincente ma con scarsi risultati.

- Mi state forse prendendo in giro?- domandò il re avvicinandosi pericolosamente al menestrello e osservando i suoi occhi oscuri e fieri.

- Non lo farei mai in queste circostanze!- esclamò mentre la sua voce manteneva la sua serietà e sicurezza.

- Ecco la medicina!- esclamò improvvisamente la voce del principe Artù che entrò trafelato ma sano nella Sala scatenando brusii ovunque.

Tristano lo osservò stupito mentre sentiva l’ira del re accrescere.

- Fuori! Vattene prima che io ti condanni a morte!- sibilò con rabbia il re.

Tristano, anche se apparentemente in torto, raccolse la sua arpa e, inchinandosi appena, uscì dalla sala a testa alta.

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Capitolo 8
*** Sottomissione ***


Salve a tutti quelli che mi seguono, mi leggono o mi recensiscono... ecco un nuovo capitolo di questa storia. Per intanto tutto vi sembrerà piuttosto confuso ma con il tempo capirete un po' meglio la trama della storia.

Buona lettura e mi raccomando, recensite e dite la vostra! Ovviamente accetto anche le critiche!

 

Capitolo 8 – Sottomissione

 

Un flebile raggio di sole oltrepassò il vetro trasparente delle finestre della camera degli ospiti e colpì in pieno le palpebre chiuse di una giovane fanciulla dai capelli lunghi e dorati.

Infastidita, spalancò gli occhi cerulei ed emise un boato molto simile ad uno spaventoso ruggito, mostrando le fauci fameliche.

- Buongiorno- esclamò una voce gentile al suo fianco e una mano forte le accarezzò un braccio. Un brivido molto umano le attraversò la schiena facendola sentire speciale.

Anche se lei era una sirena, una delle creature più selvagge e astute che esistano in natura, non sentiva di esserlo pienamente poiché aveva ricevuto in dono l’unica capacità che le sue sorelle non possedevano.

Questo poteva essere per lei una benedizione venuta dal cielo quanto una maledizione proveniente direttamente dagli inferi.

Al contrario di Carmilla e Briseide, la minore delle tre sorelle provava altri sentimenti che non fossero l’odio e il rancore: provava tristezza, sorpresa, felicità, astio, gelosia ma soprattutto era in grado di innamorarsi.

Si rigirò fra le coperte calde e avvolgenti e il sorrise accogliente di Artù le fece battere il cuore come non accadeva da lungo tempo.

- Buondì mio bel principe- esclamò la ragazza accarezzando il profilo delicato del ragazzo… era da così tanto tempo che non godeva della compagnia di un essere umano poiché Carmilla non la faceva avvicinare ad uno di loro se non per sfamarsi.

Artù, invece, era troppo bello e sensibile per morire… il suo carattere così fiero e autoritario sapeva sciogliersi sotto le carezze di una donna.

- Padrona, che cosa comanda?- esclamò il ragazzo con un tono di voce vagamente freddo e distaccato e questo fece soffrire enormemente la piccola sirena.

Sapeva benissimo che l’amore che provava verso quel nobile cavaliere non sarebbe mai stato ricambiato poiché la sua volontà sostava silenziosa in un ampolla di vetro e non nel suo cuore.

- Ti prego non chiamarmi più padrona e trattami come se fossi la tua amata- ordinò la ragazza sconsolata e, osservando con una vaga tristezza quelle meravigliose mani così potenti quando stringevano una spada, invidiò profondamente la ragazza che aveva rubato il suo cuore.

Non una dama altolocata bella e impossibile ma una stupida e semplice servetta.

Il ragazzo annuì rigidamente e scostò una ciocca di capelli biondi che era ricaduta sul viso della ragazza. - Dimmi quanto mi ami- lo invitò Iside sussurrando quelle parole all’orecchio destro del ragazzo.

- io vi amo più del mio popolo, mia dolce fanciulla. Amo i vostri stupendi capelli che ondeggiano quando la brezza li scompiglia, amo le vostre labbra sottili e delicate dal quale scaturiscono parole dolci e sagge come succede all’acqua cristallina che emerge dalle più alte sorgenti, amo i vostri profondi occhi in cui potrei affogare e la vostra pelle che sa di rose…-  esclamò provocandole una cascata di brividi e lei, senza troppo esitazioni, lo baciò con tutto l’ardore e la passione che sentiva in corpo.

- mi dispiace- sussurrò appena le loro labbra si staccarono di qualche centimetro – per cosa mia amata? - esclamò il ragazzo stringendola a sé con tanta facilità – Per quello che ti ho fatto ieri sera. Ti ho provocato un dolore immenso solo per un mio capriccio ma l’ho fatto anche perché tu possa essere risparmiato quando le mie sorelle porteranno a termine la loro missione- esclamò giocherellando distrattamente con una delle ciocche bionde di Artù, come se uno sterminio fosse qualcosa all’ordine del giorno tra le immonde creature del mare.

- un dolore di un attimo per una felicità di una vita – ripeté meccanicamente il principe come se quella frase gli fosse stata inculcata nel cervello usando la forza.

- Sorellina, sai essere molto ripetitiva. Non è la stessa frase che ha pronunciato quell’altro smidollato prima che Carmilla lo mandasse all’altro mondo?- esclamò una graziosa damigella di corte dai lunghi capelli neri e dagli occhi grigi taglienti come la lama di un coltello appollaiata sopra uno dei grandi armadi di legno della stanza.

A quelle parole, l’improbabile Isotta saettò in piedi davanti al letto e, mostrando gli spaventosi canini appuntiti, nascondeva dalla visuale dell’altra il principe ancora disteso fra le coperte rosse che osservava la donna con uno sguardo perso nel vuoto.

- Vattene Briseide!- esclamò emettendo un suono simile ad uno boato e l’altra dama, più anziana della principessa, sembrò improvvisamente divertita dal comportamento protettivo della sorella.

- Calmati sorellina, il principino non te lo ruba nessuno. Non condivido questa tua insana mania di giocare con il cibo. Io potrei farmi un bell’antipasto con lui…- esclamò osservando famelica il ragazzo con aria famelica.

Isotta si avvicinò furtivamente alla dama Briseide mostrando ancora i denti più pericolosi del reame – LUI NON SI TOCCA!- urlò mentre il suono delle fauci che stridevano l’uno sull’altra invadeva la stanza.

- Tu non oseresti mai colpire tua sorella solo per un insulso umano, vero?- esclamò l’altra per nulla spaventata dal tono minacciosa della bionda.

- se fosse necessario lo farei sicuramente. Ma so che tu non lo ucciderai perché ci serve per il nostro piano. Sai che oggi pomeriggio verrà costruita la nostra dimora e senza di lui, tra qualche ora, noi tre potremmo finire disidratate- esclamò malignamente la sorella tentando di non scatenare dell’ulteriore ira che si annidava nell’animo di ognuna di loro come un ragno infetto che intaccava le pareti della sua anima.

- Smettetela voi due! Iside sai che non tollero questo tuo stupido attaccamento agli esseri umani tuttavia il principe ci sarà molto utile per riuscire a sottomettere tutti senza provocare il minimo sospetto. Quindi stagli alla larga Briseide- urlò una voce possente sovrastando gli ululati e i versi che le altre due si scambiavano.

Quella voce le fece zittire immediatamente.

Le due sorelle si prostrarono in un inchino profondo quando Carmilla, la più temuta e glaciale fra le tre, apparve nella stanza.

- Come procedono i preparativi per questo pomeriggio?- domandò rivolgendosi alla minore ma a rispondere, questa volta, fu il principe che, con espressione vacua sul volto, ordinò: – Guardie! Voglio che costruiate un enorme vasca d’acqua per allietare il soggiorno delle mie ospiti.- e subito dopo si zittì, tornando a distendersi inerme tra le coperte vermiglie mentre la maggiore ghignava soddisfatta.

- Molto bene, vedo che sei riuscita a sottomettere il principe senza destare alcun sospetto. I miei complimenti!- esclamò sarcastica mentre l’altra piegava il capo sempre più in basso come se la sorella le avesse caricato un pesante macigno dritto sulle spalle.

- Non ne ero a conoscenza!!! Credevo che la nostra messinscena avesse convinto tutti persino quello scettico del re. Come potevo sospettare che un stupido menestrello ci avesse pedinato?- si scusò Iside strillando impaurita –Fortunatamente il re è più ottuso di te altrimenti sarebbe stata la nostra fine- concluse Briseide e, lanciando un occhiataccia alla sorella minore, balzò giù dall’armadio affiancandosi Carmilla.

- Questo Tantris potrebbe esserci d’impaccio… quindi voglio che una di voi due lo elimini o almeno lo sottometta al nostro potere prima che riesca a convincere il re- esclamò Carmilla soffermando lo sguardo prima su una poi sull’altra che non osavano neppure emettere un fiato.

Alla fine prese la sua decisione.

- sarai tu Iside ad ucciderlo- esclamò Carmilla con fare autoritario – io? Perché proprio io e non Briseide? Lei ha solo dovuto fingere di svenire mentre io venivo quasi uccisa da quello. Non avrà dimenticato dell’attacco e quindi non abbasserà nemmeno per un secondo la guardia- urlò Iside indicando la sorella in malo modo.

 – Questo, cara la mia sorellina, è un ordine e non una richiesta. Mi è sembrato che quel Tantris provi qualcosa per questa sciocca principessa di cui hai preso le sembianze e quindi sarebbe più facile fare crollare le sue difese… Inoltre vuoi che ti ricordi chi ha il coltello dalla parte del manico?- esclamò quella sorridendo diabolicamente e, con uno scatto repentino, si ritrovò seduta sul letto stringendo pericolosamente un unghia tagliente quanto una spada vicino alle vene pulsanti del collo di Artù.

Iside sussultò spaventata poi, piegando di nuovo il capo in segno di sottomissione, accettò il suo nuovo incarico.

 

 

Se il principe Artù non fosse stato così impegnato a ordinare alle guardie di costruire quello scempio stringendo la mano di una perfetta sconosciuta, avrebbe sicuramente deriso la sua espressione idiota. Perché Merlino né era assolutamente certo: in quel momento doveva proprio sembrare un completo imbecille.

Forse lo sembrava per la mascella praticamente caduta al suolo, forse per gli occhi azzurri ormai completamente fuori dalle orbite o forse per le braccia penzolante che si sottomettevano silenziosamente alla forza di gravità o forse per tutte tre le cose.

Quello che stava accadendo, però, andava contro ogni limite della sua immaginazione poiché un intero plotone di guardie stava silenziosamente costruendo un enorme tinozza per il bagno proprio al centro della piazza centrale della cittadella come una vera squadra di carpentieri.

Il ragazzo sbatté insistentemente le palpebre tentando di acquisire un po’ di lucidità.

Si guardò attorno stupefatto e si accorse di non essere il solo ad assistere a quello strambo spettacolo messo in scena dal principe e dalla sua bionda ospite.

Qualche metro più in là, seminascosta da un enorme colonna che sorreggeva la reggia di Camelot, c’era Ginevra che osservava con la sua stessa espressione di qualche attimo prima quella strana costruzione.

Senza farsi notare da Artù, immerso in una fitta conversazione con la principessa Isotta, si avvicinò silenziosamente alla ragazza e notò che il suo sguardo non era posato sulla tinozza gigante bensì sulle due figure reali strette in un abbraccio.

Si accorse che i suoi occhi erano leggermente arrossati e il cesto dei panni , che reggeva qualche attimo prima, era caduto al suolo spargendo il suo contenuto disordinatamente.

Merlino si bloccò addolorato dalla visione della sua migliore amica e provò l’impulso di scappare per lasciarla sola con il suo dolore.

- Merlino!- esclamò improvvisamente appena notò la figura smilza del servo avvicinarsi e, con un gesto veloce, si asciugò gli occhi e raccolse da terra tutto il suo bucato.

- Buondì Guen! Hai idea di cosa stia accadendo qui?- domandò il giovane mago fingendo di ignorare le lacrime cristalline che le avevano inumidito gli occhi.

- Ne so quanto te! Questa mattina sono andata al mercato ed erano già al lavoro. Il principe non ti aveva accennato di questo suo progetto? – domandò distogliendo lo sguardo dai due e concentrandosi a fatica su Merlino.

- Veramente non l’ho più sentito dalla festa di ieri sera perché mi ha ordinato di tornare a casa e di prendermi una giornata libera…- esclamò corrugando le sopracciglia stupito lui stesso dell’improvvisa magnanimità del suo padrone. Non era nemmeno sicuro che il principe conoscesse termini come giornata libera o vacanza.

- A cosa credi che serva?- domandò Merlino distogliendosi da quei buffi pensieri e indicando l’enorme vasca con fare scettico – Non saprei. Sinceramente non credo che possa avere qualche scopo militare… però io non sono un cavaliere di Camelot e non ne capisco nulla di strategia quindi non è da escluderlo.- concluse infine.

- Vorrei tanto sbagliarmi ma anche io credo che non abbia tale scopo… e se venisse riempita d’acqua e usata soltanto per fare un bagno a quelle principessa snob mi toccherà fare due chicchere con il mio caro pesce lesso innamorato- esclamò il ragazzo osservando sospettosamente le labbra della ragazza che sussurravano parole impercettibili  all’orecchio del futuro re.

- Nella città bassa ci sono famiglie in cui l’acqua scarseggia e credo che sia uno spreco vero e proprio… E se il popolo lo venisse a sapere probabilmente si nascerebbero delle proteste… Ti devo salutare: devo tornare da Morgana, arrivederci Merlino.- esclamò con tono afflitto e osservandola trascinarsi a passò lento su per le scale del castello, provò un senso soffocante di dispiacere schiacciargli il torace e impedendogli quasi di respirare.

Merlino tornò ad osservare l’incessante lavorio delle guardie che seguivano silenziosamente gli ordini del principe erigendo sostegni in legno o rinforzando con altre travi le sponde rigide della vasca.

Prendendo un po’ di coraggio si decise ad affrontare il suo principe consapevole che un’ orrenda punizione lo attendeva.

Fece un solo passo in avanti prima che un braccio lo trascinasse con sé in un oscuro vicolo. Due profondi occhi marroni cerchiati da due anelli d’oro inconfondibili lo osservarono con decisione. Tantris il menestrello , infatti, se ne stava nascosto dietro la colonna con il dito posto davanti le labbra sottili facendogli segno di stare in silenzio.

Merlino seguì il suo consiglio ma osservò quello strano ragazzo con un espressione dubbiosa sul volto. Non sapeva ancora cosa pensare di lui: soprattutto perché la sera prima aveva sventolato ai quattro venti un improbabile attacco del vigoroso principe da una delicata principessa che non potrebbe fare del male nemmeno ad una mosca.

Doveva ammettere che, se il suo comportamento non fosse stato così sospetto, lo avrebbe considerato quasi quanto un eroe. Non era da tutti sfidare il re ad una gara di sguardi e uscirne vincitore , soprattutto se lo si è appena umiliato pubblicamente.

- Non è una buona idea per voi starvene così vicino alla reggia. Questa volta il re non potrebbe essere così clemente e credo che nemmeno Artù provi una stima poi così profonda verso di voi per salvarvi la vita- sussurrò tutto d’un fiato Merlino appena ripreso dallo shock e osservando il menestrello avvolto in un lungo mantello scuro si domandò come avesse fatto ad eludere le guardie.

- Quante volte devo dirvi che io non ho paura di nessuno dei reali di Camelot: né del figlio e tanto meno del padre. Il destino mi assegnò, già alla nascita, un grande peso che grava tuttora sulle mie spalle…- esclamò il ragazzo con quel tono malinconico che Merlino non sapeva ancora spiegarsi.

- Dovreste averne invece… il re è furibondo- esclamò ricordando l’espressione omicida con cui aveva osservato il menestrello andarsene dal suo prezioso castello.

- me ne compiaccio…- esclamò Tristano soddisfatto e Merlino sentì un senso di dispiacere invaderlo. Quel ragazzo sembrava essere così simpatico seppur un po’ sprovveduto.  Eppure c’era qualcosa in lui che non lo convinceva del tutto e finché non avrebbe rivelato la verità, avrebbe mantenuto le distanze da lui.

- Voi mi credete Merlino?- domandò improvvisamente il menestrello con voce profonda e il giovane mago lo osservò stupito dalla immediatezza della domanda, come se quel giovane ragazzo avesse capisse l’ostilità che il servo di Artù ostentava nei suoi confronti.

- Io non lo so… mi sembra incredibile quello che avete detto. Sono il servo del principe eppure non ho trovato stranezze nel suo comportamento- esclamò con fare poco convinto.

- Ah no? è quella come la reputate?- disse il menestrello indicando con vigore l’enorme contenitore mentre i suoi occhi lo infilzavano con decisione.

Merlino rimase a riflettere diversi minuti, indeciso.

- Una stranezza…-  concluse abbassando lo sguardo sui suoi stivali logori.

- Esatto. Merlino, ti giuro che ho visto con questi miei stessi occhi i canini di quella ragazza infilzati nella pelle chiara del principe e non me lo sono né immaginato né inventato… non so che diavolo di creatura sia quella,  né cosa voglia da Artù ma di una cosa sola sono sicuro: sta manovrando il principe a suo piacimento per ottenere fama o potere. Quindi rispondete a questa domanda Merlino. A chi riponete la vostra fiducia? ad una principessa sconosciuta o a un uomo che vi ha salvato più volte la vita?- disse con tono ostile mentre esplodeva come un vulcano in eruzione

- Devo riflettere.- esclamò alla fine Merlino confuso ma determinato a mantenere calma e sangue freddo anche di fronte alle provocazioni.

La razionalità era il fattore più importante di un mago.

- Non aspettare troppo Merlino perché la facilità con cui la malvagità potrebbe prendere il sopravvento sul potere non ti potrebbe concedere poi così tanto tempo per riflettere- esclamò amareggiato per non aver ottenuto la risposta che si aspettava.

Merlino lo guardò negli occhi per l’ultima volta, come se implorasse a quello sguardo di parlargli e di confessare tutta la verità su messer Tantris ma ricevendo in risposta solo fulmini guizzi d’ira annebbiati da una tiepida tristezza, abbassò lo sguardo e si avviò a passo spedito verso il principe.

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Capitolo 9
*** Verso l'oscurità... ***


Salve a tutti, sono di nuovo io... Ecco un nuovo capitolo che forse non sarà così appassionante ma chiarirà molti dubbi.... ma ne creerà anche di nuovi.

Ok forse il caldo mi sta dando alla testa ma spero che sia di vostro gradimento...

Buona lettura...

RINGRAZIAMENTI SPECIALI ALLA MIA UNICA LETTRICE SAHARA CHE SEGUE APPASSIONATAMENTE LA MIA STORIA

PS... RECENSITE E DITE LA VOSTRA!!!

 

Capitolo 9: Verso l’oscurità…

 

Ad ampie falcate, Merlino raggiunse i due innamorati e si fermò a pochi passi da loro per ascoltare quale fossero gli importanti problemi di cui un principe e una principessa di due regni ampi e potenti potessero discutere.

Prima di interrompere la conversazione tanto arguta e ponderata su chi fra loro due fosse più carino, il giovane mago si voltò a scrutare il vicolo buio in cui aveva lasciato il menestrello e, scrutando con attenzione, notò un lembo scuro del suo lungo mantello spuntare volutamente alla luce del sole.

Intimorito dalla sua invisibile presenza, si costrinse a voltarsi e si impose di dimostrare più a sé stesso che al menestrello che Artù era rimasto il borioso ma saggio principe di sempre.

Utilizzando una certa dose di cautela, Merlino tossicchiò appena per attrarre la loro attenzione ma i due erano troppo intenti a scambiarsi complimenti su come fossero entrambi biondi, belli e ricchi.

Se Merlino non avesse avuto una missione da compiere, probabilmente avrebbe sfruttato a suo vantaggio quella situazione tanto sdolcinata interrompendo quel momento idilliaco con battute sarcastiche che entrambi non avrebbero neppure capito.

- Artù – esclamò semplicemente il ragazzo allontanando quei pensieri, ma  furono entrambe le figure a voltarsi come legate da qualche spago invisibile.

- Ed ecco il mio servo preferito! Ti presento la principessa Isotta d’Irlanda, lui invece è il mio servitore personale Merlino – fece le presentazioni con un tono un tantinello troppo entusiasta ma si mostrava sempre un padrone devoto davanti ai suoi ospiti.

- è un onore conoscervi principessa- esclamò il servo con un profondo inchino che lei non corrispose. Gli lanciò soltanto uno sguardo attento e poi tornò a scrutare la sua opera.

- Artù, se non ti dispiace vorrei parlarti… in privato- bisbigliò attento a non fare insospettire la sua bionda amica.

- non ci sono parole che tu non possa pronunciare di fronte al mio amore: perché lei non possiede solo il mio cuore ma anche le mie orecchie e la mia mente.- esclamò con un tono di voce piatto.

Le sue parole però non lo stupirono quanto ciò che, soltanto grazie alla sua dote da mago che gli permetteva di scorgere tutto al rallentatore, intravide scaturire dalle labbra carnose della fanciulla.

Erano state parole veloci: stridenti quanto sibili di serpenti e grottesche quanto i grugniti del troll di montagna che aveva incontrato qualche anno prima.

Anche se le parole che i due pronunciarono simultaneamente erano diverse, il movimento delle loro labbra fu identico come se Artù doppiasse una complicata frase di una lingua arcaica e oscura, sicuramente non umana.

- Merlino, ti senti bene?- esclamò la fanciulla con fare apprensivo e il giovane mago mise a bada per qualche attimo la sua fervida immaginazione per non far trapelare ciò su cui stava riflettendo.

- No – esclamò incapace di una frase di senso compito e, con la coda dell’occhio, tentò di scorgere se, dietro di sé, messer Tantris fosse ancora in ascolto.

- Credo che al mio amico Merlino gioverebbe un bel riposo. E meglio che tu segua Gaius nelle tue stanze e ti faccia una bella dormita…- disse il principe con un tono innaturalmente apprensivo e una bella pacca sulla spalla.

Artù era certamente un buon padrone, teneva alla salute e alla serenità di ogni suo servitore ma aveva una sfacciata tendenza a tenere per sé la sua protettività.

Ne fu estremamente sorpreso.

Merlino si guardò intorno e, ricordando le parole di Artù, vide il medico di corte camminare a passo lesto verso la scalinata che conduceva al suo laboratorio, carico come non mai di libri e pergamene provenienti proprio dalla biblioteca reale.

Decise di seguire il consiglio di Artù, visto che ormai i due si erano rintanati nel loro tenero mondo fatto di baci e coccole e non lo degnavano nemmeno di uno sguardo.

Aveva assolutamente bisogno di un consiglio da una voce amica perché aveva fatto un tale sovraccarico di notizie e informazione che doveva avere il tempo e il supporto necessario per riuscire a formulare un pensiero concreto.

Dopo aver affiancato il suo vecchio compare, Merlino lo aiutò a trasportare tutto quel carico pesante e, lanciando un ultima occhiata interrogativa verso il vicolo buio, si accorse che il lembo di mantello insieme al suo padrone erano spariti nel nulla.

Mentre attraversavano i corridoi luminosi e semideserti del castello, Merlino raccontò del suo faccia a faccia con Tantris e si dilungò nella descrizione di quei particolari che avevano fatto vacillare la sua convinzione che il menestrello fosse un impostore.

Effettivamente, sia per la sua sfacciata premura sia per la sua quasi totale ossessione per la principessa, Artù non si poteva proprio definire normale.

Il medico e il servitore attraversarono ancora un corridoio in religioso silenzio, riflettendo su ciò che avevano discusso e rimandando tacitamente ciò che non poteva essere pronunciato pubblicamente, ma soltanto fra le sicure mura del loro laboratorio di medicina.

- Forse sono le parole di un uomo innamorato…- disse Gaius posando i volumi sul tavolo di legno ingombro di pozioni gorgoglianti e scatolette di legno piene di radici ed erbe medicinali.

 -Aspettate Gaius, non ho ancora terminato il mio racconto. Infatti sono assolutamente sicuro che di qualunque bestia o persona si tratti, stia manovrando Artù a piacere per ottenere il potere che tanto desidera. Ho sentito che Isotta bisbigliava una strana formula magica al suo orecchio facendo si che le labbra di lui traducessero ciò che lei gli sussurrava…-.

Gaius parve sorpreso di quella novità e, fermandosi qualche secondo a riflettere, aprì di scatto il più voluminoso e polveroso dei libroni che aveva sottratto dalla biblioteca.

Sfogliò velocemente le pagine fragili e ingiallite e poi, inforcando gli occhiali e arrestando la sua ricerca, puntò lo sguardo semi-coperto dalle palpebre pesanti su uno stemma reale.

- Qui dentro ho trovato la storia della principessa Isotta, come mi avevate chiesto voi, e sono venuto a conoscenza che la madre della fanciulla è una delle più potenti druide di tutti i tempi. Non è da escludere che sia stata la principessa stessa a sottomettere al proprio potere uno dei più influenti principi dell’intera Inghilterra- spiegò Gaius.

- Cosa credete che voglia la principessa Isotta che non abbia già? Il regno di re Marco di Cornovaglia è secondo per estensione e ricchezza soltanto alla favolosa Camelot e poi il loro re è un grande alleato di Uther.- analizzò Merlino muovendosi freneticamente avanti e indietro per il laboratori ingombro e sbattendo ogni tanto addosso a qualche sgabello o facendo cadere qualche pergamena o cianfrusaglia.

- Forse si tratta proprio di questo: di alleanze. Forse l’Irlanda tornerà ad attaccare l’Inghilterra quando sarà indebolita a sufficienza dopo la perdita di un valido alleato come il regno di Camelot. Non per niente suo zio era il Moroldo ed era temutissimo da tutti prima che fosse sconfitto e ucciso.- Gaius però non ne pareva molto convinto delle sue stesse affermazioni.

- è stato Uther ad assassinare il Moroldo?- domandò Merlino chiedendosi  se il motivo di quella alleanza potesse essere una spiegazione plausibile per i dissapori fra la principessa e Camelot.

 – Uther??? Certo che no. Nessuno aveva il coraggio di affrontarlo perché tutti sapevano a che fine orribile andassero incontro i suoi avversari. Era troppo forte, abile e scaltro per uno come Uther e il re stesso non permise ad Artù di partire perché, a quel tempo, era troppo giovane per affrontarlo. Ironia della sorte, fu un ragazzo della sua stessa età ad ucciderlo: un giovane principe coraggioso orfano sia di madre che di padre chiamato messer Tristano di Loonois. Purtroppo si dice che abbia lasciato la Cornovaglia già da molti anni alla ricerca di altri regni da salvare e che di lui si siano perse definitivamente le tracce.- esclamò Gaius con tono reverenziale ma lasciando cadere così il discorso.

- Gaius, poco fa mi sembravate poco convinto delle vostre stesse parole…- osservò Merlino liberando uno sgabello ingombro di libri accatastati e sedendosi a suo fianco – Avete ragione Merlino. Infatti, la principessa Isotta è sempre stata riconosciuta come una nobildonna leale e giusta che ha appreso ben poco dalla madre se non l’utilizzo delle erbe naturali per curare i bisognosi. Inoltre, dopo la morte del Moroldo e il matrimonio di quest’ultima, i due paesi sono in pace fra loro. Infine, cosa non meno importante, sono assai stupito che tu non abbia riconosciuto nemmeno una parola della formula magica che hai udito. Da quello che mi racconti sembra proprio che sia una lingua bestiale fatta di sibili e grugniti…- esclamò Gaius chiudendo il libro che parlava della storia della bella principessa e spalancandone uno meno voluminoso.

- Il che ci porta a ciò che ha visto messer Tantris. Una bestia dai canini affilati che sottomette un principe alla proprie volontà per ottenere lussi e agi. Non avete trovato nessun indizio utile sull’esistenza di simili creature?- domandò Merlino osservando le immagini rappresentate con devozione sulle pagine ingiallite.

- Sfortunatamente no, in natura esistono molte tipologie di creature che utilizzano i propri canini per uccidere la propria preda. Uccidere ma non sottomettere…- spiegò il vecchio medico.

- E io non sono ancora completamente sicuro se fidarmi o meno di messer Tantris. Nasconde troppi segreti e pretende che io lo debba ascoltare riponendo in lui tutta la mia fiducia- esclamò.

Sentiva ancora le sue parole risuonargli in testa come campanelle d’allarme.

 

Non aspettare troppo Merlino, perché la facilità con cui la malvagità potrebbe prendere il sopravvento sul potere non ti potrebbe concedere poi così tanto tempo per riflettere.

 

- Credo di aver scoperto una cosa durante le mie ricerche che ti farà dubitare ulteriormente di lui…- esclamò Gaius spalancando con un tonfo sordo un libro dalla copertina rigida e pesante ma contenente poche pagine tutte candide come la neve.

Merlino, stupito dall’affermazione del medico di corte, osservò il dito raggrinzito dell’uomo puntato sul titolo scritto in corsivo da una calligrafia ordinata e pulita.

- Effetti collaterali di un filtro o pozione… Gaius questo è un libro di magia!- lesse Merlino ad alta voce.

- Esatto.- esclamò il vecchio annuendo con convinzione – Continua pure a leggere fino alla fine del capitolo-.

 Merlino annuì e, schiarendosi prima la voce, lesse: - Gli effetti collaterali di una pozione o filtro sono molteplici e si suddividono in istantanei e permanenti. Gli effetti istantanei, contrari a quelli desiderati, differiscono a seconda dell’abilità di colui che ha prodotta la pozione: più il metodo di preparazione è preciso meno saranno gli effetti collaterali. Gli effetti collaterali istantanei si esauriscono insieme agli effetti desiderati a seconda della durata prevista. Al contrario, gli effetti collaterali permanenti resisteranno a lungo nel tempo e potranno essere riconosciuti solo da un occhio esperto ed ovviamente, come i loro effetti desiderati, non si esauriranno fino alla morte del soggetto stesso…- Merlino si arrestò di colpo, ricordando che soltanto lui e Gaius sembravano essersi accorti degli anelli dorati contenuti nelle iridi nocciola del menestrello.

Occhi esperti che sapevano riconoscere la magia.

- Quindi vorresti dire che Tantris…- disse Merlino con voce tremante.

- è sotto l’effetto di una pozione permanente.- concluse il vecchio medico di corte levando gli occhiali appoggiati sul naso imponente.

Questo metteva ogni cosa in chiaro.

Anche se si spacciava per il paladino del popolo, Non c’era da fidarsi di messer Tantris.

 

Tristano, con il capo chino, non staccava le dita affusolate dalle corde sottili.

Canticchiava una sorta di serenata d’amore dedicata alla sua robusta moglie del fabbro e si sforzava di mantenersi concentrato sugli accordi che doveva suonare. Erano semplicemente tre ma erano comunque sufficienti a ravvivare un amore che si era affievolito dopo il tradimento di lui.

Quando finalmente anche quella ballata terminò, alzò appena lo sguardo per scorgere le figure strette in un abbraccio. Normalmente quella scena avrebbe fatto sorgere in lui un’ amara vampata di gelosia per la  felicità concessa ad una semplice coppia come la loro.

Ma la soffocante sensazione di essere sorvegliato prevaleva su ogni altro sentimento.

Un omone dalla folta barba grigia si fece largo fra la folla, e piegato il capo in segno di rispetto, si avvicinò al menestrello con aria vagamente imbarazzata.

- Nobile messer Tantris, so che forse questa mia richiesta la infastidirà, ma mi piacerebbe che dedicasse una canzone d’amore alla mia adorata Giselle.- esclamò indicando una donna scheletrica dal viso ormai rosso per l’imbarazzo.

Era già la decima richiesta ricevuta da parte di un cittadino e non ce ne era stata nemmeno una che riguardasse altri temi: tutte serenate o ballate d’amore.

-Non dovete sentirvi dispiaciuto per me. Mi compiaccio che le persone ricerchino più l’amore dell’odio. Se tutto ciò non accadrebbe, prevedo periodi oscuri per queste ridente città. Non è forse il compito di ogni menestrello degno di questo nome  di diffondere giubilo e gaudio a chiunque ne abbia bisogno?- esclamò il giovane facendo ammutolire per lo stupore l’uomo.

-Siete molto saggio per essere così giovane- esclamò suadentemente una voce che riconobbe senza nemmeno alzare lo sguardo – l’età non è forse solo un numero creato dall’uomo? L’intelletto, invece, è qualcosa concesso solo a noi umani da Dio in persona.- disse mentre brusii soffocati si facevano largo fra la folla animando gli animi di tutti: dalle donne più pettegole ai lavoratori più discreti.

Tristano, seppur infastidito da quei fugaci commenti che la bestia con le sembianze di Isotta non risparmiava ad ogni pausa fra una richiesta e l’altra, si armò di pazienza e cantò la serenata con tutta la passione di cui poteva usufruire.

Sapeva che, per quanto si impegnasse, la costante presenza di quella creatura lo faceva sentire sotto pressione e gli impediva di concentrarsi al massimo.

Scrutò velocemente il volto del uomo, per capire se la ballata fosse stata di suo gradimento e, quando vide la moglie accoglierlo a braccia aperte, fu incapace di riservare una fugace occhiata al viso estremamente incantevole di Isotta.

Dopo che gli applausi si furono esauriti, Tristano attese che qualcuno si facesse avanti ma dopo gli attimi di silenzio che seguirono, egli si  preparò ad andarsene.

- Se permettete, io avrei ancora una richiesta per voi Messer Tantris.- disse la temibile voce interrompendo sul nascere il suo discorso finale – Vorrei che mi cantaste un breve saggio sulla vostra vita- esclamò facendo borbottare in modo ancora più alto tutta la folla che non si sarebbe lasciata scappare un simile spettacolo.

Tristano, per la prima volta, si sentì atterrito. Era stato messo di fronte a una così improvvisa decisione che non aveva neppure avuto il tempo per inventare una storia che fosse minimamente credibile.

- Sono un menestrello al servizio del popolo e non di me stesso.- rispose stupito lui stesso per la scusa convincente che aveva saputo fornire.

- Credo che anche il popolo stesso approvi la mia richiesta, talmente è affascinato da voi. Suvvia, non fate il misterioso. Avrete così tante avventura da narrare! E altrettante interessanti origini da raccontare! E poi, un giovane così bello, non può non aver avuto qualche appassionante storia d’amore con qualche graziosa fanciulla o persino con qualche ricca principessa. - e, a quelle ultime parole, il suo falso sorriso si tramutò in un ghigno malizioso e compiaciuto. Quella bestia stava sicuramente alludendo alla fragorosa passione che aveva vissuto in passato e che aveva rovinato la sua intera esistenza.

 I brusii e i mormorii si trasformarono in voci sempre più numerose che appoggiavano la bionda principessa. Aveva ottenuto l’arma più potente e silenziosa che potesse utilizzare in quella circostanza: il consenso popolare.

Tristano, rassegnato da quella prospettiva, non trovò altre vie di fuga poiché la folla di curiosi serrava ogni possibile passaggio e ogni scusa proferita sembrava ormai vana.

Lanciò uno sguardo di puro disprezzo alla donna anche se gli fu impossibile caricarlo di tutto l’astio che provava nei suoi confronti: dopo tutto quello era sempre il viso dolce della sua amata.

Chiuse gli occhi per qualche istante, concentrandosi sulle parole esatte da utilizzare, ma era ben poche perché tutti i ricordi più importanti erano legati alle sue nobili origini.

Tristano di Loonis era sempre lì, dietro la maschera del menestrello Tantris d’Acquitania, per questo non era facile inventare di sana pianta la storia di una persona che non era mai esistita.

- I menestrelli non sono egoisti come i nobili, mia cara fanciulla. Come gli artisti e  i pittori, raramente raccontano della propria vita perché l’hanno interamente dedicata alla musica e al canto. Narrano le storie altrui: Prodi cavalieri, re pazzi, leggiadre principesse e persino di comuni contadini che ottengono fama e successo. La chiave del successo è racchiusa tra le corde sottili delle loro arpe e chiunque di voi ne fosse interessato, il nostro amato menestrello potrà narrarcelo senza esitazioni.- quella voce possente squarciò in due la folla e rivelò la figura di un aggraziato cavaliere armato di tutto punto che difendeva a spada tratto il povero menestrello. Le donne, al suo passaggio, sembravano sciogliersi ai suoi piedi, folgorate dall’armonia dei suoi lineamenti e incantate dai muscoli definiti che si scorgevano da sotto la cotta di maglia.

Tristano lo riconobbe in un secondo e ringraziò la sua buona stella per aver ricevuto quell’aiuto.

Nessuno sembrò avere il coraggio di contraddirlo, così Tristano sfruttò quell’ultima possibilità per narrare la storia di un contadino che diventò re soltanto grazie alla sua astuzia.

Era una storia stravagante, raccontava di questo pover’ uomo che incontrò, durante il suo viaggio verso il castello della principessa che avrebbe dovuto sposare, tre strambi personaggi: un uomo che aveva sempre freddo, un uomo permanentemente assetato e un uomo fornito di un udito eccezionale. Grazie al loro aiuto, riuscì a superare le tre prove e così gli fu permesso di sposare la figlia del re e di salire al trono.     

Quando quella novella fu conclusa, fu soddisfatto nello scorgere la piazza semi-deserta ma soprattutto si sentì rincuorato nello scorgere la lunga veste lilla della principessa ondeggiare seguendo i suoi passi lesti e irosi.

La seguì con lo sguardo finché non sparì dentro le mura della cittadella poi scoccò uno sguardo colmo di gratitudine verso la figura slanciata di fronte a sé.

- Ser Lancillotto- esclamò alzandosi e chinando il capo in segno di rispetto.

- Messer Tristano…- esclamò accennando anch’esso un inchino.

I due si guardarono negli occhi per qualche secondo, mantenendo un contegno cavalleresco, poi i loro visi si stesero in due sorrisi complici e ben presto si ritrovarono abbracciati.

La stima che avevano provato reciprocamente durante la loro sfida si era trasformata, con il passare dei giorni successivi al torneo, in una solida amicizia basata sul rispetto e sulla lealtà degna di due nobili cavalieri come loro due.

- Shh… ti prego non chiamarmi più con quel nome!. Sai che in questo luogo anche i muri hanno orecchie – esclamò il menestrello quando si separano – Quando ti ho lasciato in Cornovaglia, eri un insuperabile cavaliere stimato e apprezzato da ogni dama e cavaliere mentre qui ti ritrovo a sottostare agli ordini di umili contadini- disse Lancillotto con un tono vagamente sarcastico.

- Forse perché in passato ho seguito il consiglio di uno stolto cavaliere che mi consigliava di visitare Camelot e di ottenere tutti i meriti spettanti ad un cavaliere di alto rango.- Tristano riuscì a pieno a infliggare occhiatacce disprezzanti al suo compare.

- Veramente io pensavo che tu avresti seguito il mio consiglio soltanto quando Artù fosse salito al trono. In quel caso avresti ricevuto tutti gli onori che spettano all’uccisore del Moroldo. Uther dimentica con facilità i favori che gli sono stati concessi mentre la memoria del figlio di ferro. Persino io sono stato bandito ufficialmente da Camelot dal re in persona, mentre il principe mi ha assicurato un posto di comando nella futura cavalleria dei cavalieri di Camelot…- esclamò con fare orgoglioso e Tristano si complimentò con lui: ricordava bene la triste storia di Lancillotto del Lago, il cavaliere più abile dell’intera Inghilterra che non  possiede però nemmeno un briciolo di sangue blu.

- Siete stato bandito? E per quale ragione?- domandò stupito il menestrello e, senza farselo dire due volte, prese con sé l’arpa e andò a nascondersi seguito dal suo accompagnatore fra le vie intricate della città bassa evitando così gli sguardi attenti di guardie e sentinelle.

- Ho nascosto a tutti le mie umili origini tentando così di farmi investire come cavaliere. Ci sono riuscito ma per salvare il principe mi sono fatto scoprire e il re non è stato affatto clemente con me.- raccontò con tristezza.

- Tipico…- sbuffò Tristano incrociando le braccia.

- E voi cosa ci fate qui? L’ultima volta che ho sentito parlare delle vostre nobili gesta eravate… in Gallia, se non erro, dove avete affrontato una creature della notte e poi in Tessaglia dove avete sconfitto una banda di Centauri che distruggeva i villaggi e si impadroniva dei loro tesori- elencò con grande precisione.

-Voci! Per carità, l’unico mostro che ho affrontato è stato un drago tanti anni addietro! Ma se per creature immonde intendete malefici duchi e marchesi che prosciugavano a suon di tasse il loro popolo, posso darvi anche ragione. La verità è che fuggo da una realtà che è più grande di me: ho combattuto nelle battaglie più sanguinose, in cerca forse di qualche abile spadaccino che mi affronti e metta fine una volta per tutte alle mie sofferenze. Ho attraversato tutta l’Europa a fianco del mio caro maestro Governale a cui ho permesso di tornare in Cornovaglia per riabbracciare i suoi cari e ho fatto tappa qui per conoscere il grande principe di cui tutti parlano… mi ricorreggo, di cui tu me ne parlavi, e tuttora lo fai, con così tanta devozione. Credo di aver fatto un madornale errore nel venire fin qui perché sembra ancora così immaturo per affrontare da solo il governo di un regno influente come Camelot- i suoi occhi studiarono a fondo l’espressione stupita e quasi contrariata di Lancillotto quando insultò il suo adorato idolo.

- Hai avuto troppo poco tempo per conoscerlo. Scommetto che alla fine della tua sosta sarai della mia stessa opinione…- ridacchiò quello con aria gioviale.

In quegli occhi così profondi poteva leggere il pensiero che gli stava passando per la testa ricciuta… - Ne dubito!- stava pensando quella testa matta di un cavaliere.

- C’è qualcosa che mi sta trattenendo a Camelot, oltre al suo principe…- aggiunse Tristano interrompendo la risata dell’altro e sfoderando così un espressione d’intesa con l’altro – Isotta dai biondi capelli… la vostra amata- esclamò seriamente Lancillotto.

-NON È LEI- urlò senza una vera ragione ma poi si ricorresse stupito lui stesso del suo maleducato comportamento -quella è una principessa tanto quanto lo siamo tu ed io. In verità è una abominevole creatura che sta soggiogando il principe per ottenere qualcosa in cambio. Forse fama e potere ma non è da escludere anche che il suo unico obbiettivo principale sia il principe stesso. Sfortunatamente qui nessuno sembra prendere sul serio le parole di un menestrello- dedusse Tristano.

- Questa notizia è davvero preoccupante. Nessuno si è accorto del pericolo che sta correndo Camelot?- domandò ansiosamente.

- Io solo e forse anche il servitore di Artù…- disse senza dare poi così peso alle sue parole che invece furono prese in considerazione da Lancillotto.

-Merlino!- esclamò improvvisamente come sollevato da quella notizia.

- si esatto, proprio lui, ma dice che non si fida di me perché non gli ho rivelato la mia vera identità. Forse se gli parlaste voi, probabilmente crederebbe alla mia versione- concluse il menestrello.

-Impossibile, non posso avvicinarmi troppo alla reggia senza farmi scoprire. Se volete salvare Camelot dovrete parlare voi con Merlino e riferirgli che messer Lancillotto ha urgentemente bisogno di parlargli.- esclamò intercettando il suo sguardo infastidito.

- Immediatamente.- aggiunse l’altro cavaliere vedendo che il menestrello non reagiva.

L’altro parve sbuffare impazientemente poi, salutandolo con un semplice cenno del capo, si avviò alla reggia con passo leggero e silenzioso.

Lancillotto lo osservò divertito ma soprattutto sorpreso dal carattere tempestoso che aveva acquisito durante i suoi interminabili viaggi: a Tintagel, Tristano si dimostrava un ragazzo ben educato e gentile con tutti mentre ora spargeva sarcasmo su ogni risposta pronta che dava.

Tutto d’un tratto un brivido freddo gli percorse la schiena e prima che si accorgesse delle mani strette intorno alla sua gola, due taglienti canini affondarono nel suo collo.

Da quel momento l’oscurità regnò sovrana.

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