Le Cronache della Terra di Ithil

di alucard90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Conoscenze ***
Capitolo 3: *** Rivelazioni ***
Capitolo 4: *** Risveglio ***
Capitolo 5: *** Guardiani e Tutori ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Una luce bianca e azzurrina permeava l’aria.

Una ragazza, con una lunga veste cerimoniale bianca, con gli orli dorati e delle scritte in quella che doveva essere una lingua ormai dimenticata da tempo. Quelle scritte brillavano della stessa luce azzurrina che riempiva l’aria e che sembrava colpire solo la ragazza. Ma la luce non proveniva da nessuna parte, la ragazza era colpita da una luce che non sembrava avere una fonte: la fonte della luce era proprio la ragazza.

<< È arrivata la tua ora demone. >> esclamò la ragazza con voce chiara e ferma. La ragazza teneva in mano un lungo bastone bianco, che recava in cima una sorta di fiore bianco-azzurro sul quale era incastonato un’ametista grande come il pugno della ragazza. Il bastone magico era puntato verso una strana nuvola di fumo nero che si muoveva freneticamente nell’aria molto distante dalla ragazza, e cercava di avvicinarsi in qualsiasi maniera a lei, ma ogniqualvolta tentasse di allungare i suoi malefici prolungamenti gassosi verso di lei, un raggio di luce lo colpiva e il tentacolo si ritraeva.

<< Puoi minacciarmi quanto vuoi, ma lo sai anche tu che non sei in grado di farmi nulla, Angela Maria Julia Pendragon. Sai benissimo che il tuo potere è uguale al mio. Nessuno dei due può vincere. >> disse una voce proveniente dalla nube malefica; quella voce aveva un che di malefico e malvagio, ma era anche seducente e tentatrice.

La ragazza sentì un brivido correrle lungo la schiena al suono di quella voce, e sapeva che tutto ciò che diceva era vero. Tutti gli anni passati ad allenarsi e ad imparare incantesimi ed evocare cerchi magici sembravano inutili.

Non posso arrendermi ora, si disse la ragazza. Devo riuscire a sconfiggerlo in qualsiasi modo. Vediamo cosa posso fare, pensò la ragazza. Poi gli venne un’idea.

<< So benissimo che quello che dici è vero, ma non posso permetterti comunque di vagare libero per le terre di Isil a sterminare ingiustamente tutte le persone innocenti che abitano questa splendida terra. E proprio in nome di questa terra che io ti sconfiggerò! >> a questa affermazione gli occhi della ragazza brillarono di astuzia, e l’essere malefico verso il quale erano rivolti tremò, come se avesse percepito in anticipo l’idea della ragazza e la cosa lo spaventasse.

Poi la ragazza mosse il bastone e, prendendolo a due mani, lo mise in orizzontale davanti a se e chiuse gli occhi.

La luce proveniente dalla ragazza brillò più intensamente e gli occhi della ragazza divennero di un viola luminoso che sapeva di una magia antica. La ragazza cominciò a balbettare una melodia strana, composta da parole di una lingua dimenticata ma molto potente. Ogni volta che ripeteva la frase dall’inizio, allontanava un dito dal bastone, e la luce intorno a lei si faceva più brillante.. Ripeté la formula cinque volte, fino a staccare tutta la mano sinistra dal bastone, che manteneva solo con la mano destra. Con questa lo fece ruotare e, puntandolo verso il demone, lo mosse nell’aria in maniera circolare.

<< Ho capito cosa vuoi fare! >> esclamò la voce, e la nube prese a tremare in maniera quasi convulsiva. << TU SEI PAZZA!! Così ci condannerai entrambi! >>, disse, e iniziò a vorticare su se stessa, come se cercasse una via di fuga.

Ma la ragazza continuava imperterrita il suo rituale.

Improvvisamente, la ragazza fermò il bastone, e riprendendolo con due mani lo piantò con forza nel terreno.

Il demone sapeva che il rituale si sarebbe presto concluso, e facendosi prendere dal panico, agitò i suoi tentacoli gassosi e prese ad emanare una velenifera aura nera che si concentrò in un unico punto davanti alla nube, in direzione della ragazza.

La ragazza aveva ancora gli occhi chiusi, e sembrò non accorgersi dell’attività del mostro davanti a lei. Intanto il demone iniziò anche lui una cantilena, questa però aveva un che di oscuro nelle sue parole, sebbene sembrasse appartenere alla stessa lingua utilizzata dalla ragazza. Giunto alla fine del suo incantesimo, il demone gridò la parola finale ad alta voce, e la sua aura si trasformò in un enorme raggio demoniaco che era direzionato verso la ragazza.

<< Osto i Menel! >> gridò la ragazza, sollevando la mano destra, e il potente raggio si schiantò contro un enorme muro di mattoni di luce, che brillarono al contatto con l’energia del mostro. L’impatto fece cadere la ragazza all’indietro, mandandola con i piedi per aria.

Fiuu, appena in tempo, pensò la ragazza. un secondo di ritardo e... la ragazza estrasse dallo stivaletto un lungo pugnale dalla lama bianca e dall’elsa dorata; sulla lama, nel punto in cui si inseriva nell’elsa, vi erano cinque piccole pietre che brillavano di 5 luci diverse: oro, verde, rossa, azzurra e viola. La ragazza prese il lungo pugnale e tenendolo con le due mani recitò una piccola formula, e questo si circondo di una sfera di luce bianca che lo sollevò, facendolo galleggiare sui palmi della giovane maga.

<< È arrivata la tua ora, Morion. >> eslamò la ragazza, con grande rabbia nella voce.

Il pugnale si diresse versò il demone, e questi tremo di un terrore profondo, come di chi è sicuro della propria fine.

La ragazza chiuse nuovamente gli occhi, e richiamando a se tutta la propria energia, pronunciò l’incantesimo che avrebbe messo fine al combattimento.

<< Lithuannen Ringorn uin Isilme o Ithilkemen, im nallas! Sigillo della Terra di Ithil, io ti evoco. Rinchiudi il demone Morion e scaglialo al centro del Mondo! >> gridò la ragazza, e i suoi occhi divennero prima luminosi, poi viola brillante infine bianchi. Con una mano scagliò il pugnale contro il demone, mentre l’altra era puntata dritta verso il cielo. Quest’ultimo si illuminò del colore dell’alba ed un gigantesco cerchio viola apparve tra le nubi, che minaccioso iniziò a scendere lentamente verso terra.

Il cerchio, man mano che scendeva, riduceva di poco le sue dimensioni fino ad avere il diametro di Ithilia, la capitale delle Terre di Ithil. Il sigillo, spostandosi nell’aria, si posizionò perpendicolarmente al demone. La ragazza intanto aveva abbassato il braccio e lo aveva puntato verso il demone. Chiuse le mani a pugno, abbassò le braccia, e il sigillo prese a girare lentamente su se stesso. La ragazza, avvolta dalle sue vesti svolazzanti a causa del vento provocato dai movimenti dell’energia, si avvicinò lentamente al proprio bastone, che estrasse da terra con la sola mano destra, e puntandola verso il demone disse: << È finita Morion. Io ti RINCHIUDO! >> disse Angela, gridando l’ultima parola, e il cerchio, riducendosì ancora, si schiantò contro il demone.

Contemporaneamente, la ragazza staccò l’ametista incastonata sul bastone e la scagliò contro il demone. L’ametista e il sigillo raggiunsero contemporaneamente il demone, una nuvola di polvere si sollevo, tingendosi di viola a causa dell’energia sviluppata dall’impatto. Quando la polvere si posò, il campo di battaglia si era trasformato in una distesa arida, segnata da lunghi solchi profondi scavati nella pietra.

Al limite di questo immenso cerchio, spuntarono numerosi anemoni viola e piccoli germogli di pino. Al centro di questa piana, spunta un cristallo di ametista alto come una persona. È così che ebbe origine la Piana Del Sigillo, al centro del quale risiede la Prigione di Ametista di Monior. Dell’orrenda creatura contro il quale fu scagliato il Sigillo nessuna traccia; la ragazza giaceva invece a terra, in ginocchio con le mani appoggiate, al suo bastone, che era conficcato in terra.

<< Finalmente ci sono riuscita, Maestro. >> disse, senza forze. Dopo questo, la ragazza chiuse gli occhi e sparì nel vento. Il bastone rimase conficcato nel terreno e, inclinandosi leggermente, la sua luce si affievolì, e il suo fiore perse i petali, facendo cadere a terra un piccolo seme che immediatamente germogliò.

 

 

* * *

 

Centocinquanta anni dopo.

 

Il ragazzo raccolse il ramo da terra in fretta e furia, ma, rallentato dal braccio ferito, nn si mosse con la velocità desiderata. Infatti, il suo avversario fu più lesto di lui e con un colpo di taglio della mano, spezzò il ramo del ragazzo prima che l’altro potesse colpirlo.

<< Non mi batterai mai in quelle condizioni, Amos! >> disse Servant e terminò la sua affermazione con una grassa risata malvagia.

<< Io non ci conterei più di tanto, Serv. Sai, la sorte potrebbe riservare delle brutte sorprese per te nel corso di questa battaglia. >> disse Amos, concludendo con uno sghembo sorriso di scherno. Aveva in mente qualcosa di particolare per il suo avversario.

<< Smettila di parlare in maniera tanto elegante, schifoso buffone. So benissimo che non puoi fare più niente con un braccio rotto. Le tue abilità in combattimento sono notevolmente ridotte. >> disse Servant con una nota di nervosismo e sospetto nella voce.

I due ragazzi ricominciarono a combattere fra loro, anche se Amos era nettamente più lento di Servant a causa del braccio compromesso.

Ad un tratto Amos fece una cosa che prese Servant di sorpresa: mentre indietreggiava schivando i colpi serrati di Servant, concentrò l’energia nelle gambe, che gli permise di spiccare un salto altissimo. Mentre era ancora a mezz’aria, la mano destra di Amos iniziò a brillare di una luce verde fioca poi sempre più intensa.

<< Magia!>> farfugliò terrorizzato Servant. A questo non aveva affatto pensato.

Lui era più bravo di Amos nel corpo a corpo, ma sapeva benissimo che nel campo della Magia, Amos non aveva rivali.

<< Calen Lach, tamman!>>. Amos pronunciò quelle parole e la sua voce assunse una tonalità antica, come se venisse da un’altra epoca o da un altro mondo.

Servant riconobbe la lingua di quelle parole istantaneamente: era l’Antica Lingua.

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Capitolo 2
*** Conoscenze ***


Capitolo I

Conoscenze

 

Amos Pendary era un normale ragazzo di campagna, che abitava con i suoi genitori e la nonna ,in una casa nel villaggio La Foglia, nella regione della Terra di Ithil chiamata Ascarion, che ospitava la capitale dell'intera Ithil, Ithilia. Amos aveva un’età indefinita a causa del suo faccino sempre simile a quello di un bimbo, anche se ormai era vicino all’essere dichiarato un uomo. Purtroppo era talmente magro che a prima vista poteva sembrare anoressico, ma che, a detta di chi lo conosceva bene, il suo fisico magrolino lo rendeva estremamente agile. Amos aveva passione sfrenata per la lettura, come solo poche persone hanno. Lui adorava leggere qualsiasi libro, dai manuali di giardinaggio ai romanzi horror con più di duemila pagine. Per lui leggere era diventato facile come respirare, e questo lo aveva portato ad assumere un modo di parlare che rendeva quasi antico il suo modo di parlare; la sua abitudine di leggere tutto ciò che vedeva aveva acuito la sua vista ed era diventato un grande osservatore. Riusciva ad individuare i dettagli più minuti e trascurabili di qualsiasi cosa, cose che nessuno avrebbe notato, meravigliandosi come un bambino per ogni minima cosa. Il padre aveva insegnato a leggere anche ad Amos, poiché lui lavorava con i libri, come suo padre, e suo padre prima di lui. Così Amos aveva iniziato a leggere prima qualche manuale sui fiori, poi, una volta affinata la tecnica di lettura, era passato a leggere libri importanti, come Storia delle Terre di Ithil.

A parte questo, Amos era un semplice ragazzo di campagna, che abitava in una piccola casa fuori città, fatta di pietra che il nonno di suo padre aveva costruito tempo addietro con le proprie mani. Nei pressi della casetta aveva inizio una grande foresta che ricopriva l’intera montagna e che proteggeva il villaggio vicino al quale la casa era stata costruita.

Lui adorava la foresta dietro casa, tanto che si sentiva più sicuro là dentro che in casa; infatti, aveva un posto segreto in quella foresta, che nessuno conosceva. Lo aveva scoperto per caso un giorno mentre faceva una passeggiata esplorativa, per trovare un posto tranquillo dove leggere in tranquillità lontano dal trambusto dei suoi fratelli più piccoli, Lea e Andres.

Era un posto favoloso: circondata da altissimi e altrettanto fitti abeti secolari, una radura ricolma di fiori di campo di mille sfumature di colori. Amos aveva cercato a lungo notizie su quell’albero bellissimo, ma non ebbe alcun risultato, nonostante avesse cercato nella più che fornita biblioteca del padre. Il padre di Amos, Ron Pendary, era un bibliotecario che amava collezionare libri e specialmente quelli antichi di cui poi si prendeva cura, per esempio, sostituendo la rilegatura ormai rovinata o trascrivendo parti illeggibili. Dai compaesani era stato scherzosamente il “Dottore dei Libri”ed era piuttosto famoso nella provincia, tanto che talvolta usciva di casa il mattino, per recarsi nei paesi limitrofi il confine, e rientrava la sera tardi.

 

Il ragazzo aveva trovato, vicino a casa sua, una radura nella foresta dove c’era un albero altissimo alla cui base le radici si sollevavano da terra e creavano una sorta di rifugio, nel quale Amos riuscì a costruirsi la sua piccola reggia. Li si rifugiava quando voleva leggere o quando voleva stare un po’ da solo. In quella piccola casetta ci teneva di tutto: la sua collezione di cristalli che aveva trovato durante le varie perlustrazioni nella foresta; tutte le piante in pericolo di vita della mamma, di cui lui si prendeva sempre cura; la sua collezione di rametti dalle forme strane; i suoi libri preferiti (anche se la mamma gli aveva detto che fuori venivano rovinati dall’umidità, anche se non era mai successo); e infine la sua collezione di spade e bastoni di legno che aveva trovato girando quella piccola radura.

Questo era l’Amos che tutti conoscevano. Quello che nessuno conosceva, lo si poteva trovare solo quando Amos entrava nella casetta nella radura. La passione di Amos era la magia: lui collezionava tutti i libri di magia che riusciva a trovare nella vecchia biblioteca di famiglia. Molti di quei libri erano romanzi su maghi e stregoni, altri veri e propri manuali di magia. Ogni tanto sperimentava le cose che erano scritte sui suoi manuali, ma senza risultati.

Nessuno conosceva i suoi segreti. Nessuno tranne lui. O almeno così credeva.

Un giorno la nonna, vedendolo uscire di corsa dalla stanza del padre con dei libri in mano, lo seguì: la nonna di Amos, era sull’ottantina, ma era una “nonnetta molto energica”, come la definivano i compaesani; era la donna più anziana del villaggio. I ragazzini del villaggio costruivano intere leggende sulla povera vecchina, dicendo che prima era nata lei e poi venne costruito il villaggio di La Foglia. Lo seguì fin dentro la foresta, dove ne perse le tracce. Per fortuna, ad Amos piaceva molto quella casetta e faceva sempre la stessa strada, tanto che si era formato un sentiero che portava direttamente alla radura. Quando la nonna raggiunse la radura, rimase di sasso nel vedere il gigantesco albero che svettava al centro della radura. Individuò subito il rifugio di Amos, e vi si avvicinò con cautela, facendo attenzione a non fare rumore e ascoltando i rumori provenienti dall’interno della casa. Quando realizzò che Amos stava solo leggendo, se ne andò senza fare il minimo rumore, cercando di non distrarre il ragazzo dalla lettura. Il ragazzo non se ne era mai accorto. 

Un giorno, che a giudizio di Amos era come gli altri, successe qualcosa di particolare. Quel giorno, mentre era nella sua casetta, la nonna venne a trovarlo.
<< Nonna?! Che ci fai qua? Come facevi a sapere del mio rifugio? Come ci sei arrivata? La mamma sa che sei uscita? Oddio e ora che faccio?!>> Amos sparò tutte queste domande alla velocità della luce,mentre, con le mani nei capelli, faceva avanti e indietro nell’angusta casetta.
<< Tranquillo nipote, da sempre so che venivi qua per leggere nella tua casetta.>> disse la nonna, tranquillizzando Amos.
<< Ma come facevi a sapere che venivo qua?>> chiese incuriosito Amos.
<< Quando io ero piccola, venivo qua a raccogliere i fiori per mia madre. Tra qualche settimana arriverà la stagione dell’Aria, e vedrai quanti fiori sbocceranno in questa piccola radura.>> rispose la nonna sorridendo. << E poi ti ho seguito, l’altra volta, quando sei scappato con i libri di magia di tuo padre in mano.>> confessò la nonna sorridendo, lasciando esterrefatto il povero ragazzo. Fecero questo discorso mentre tornavano a casa, perché Amos aveva insistito per riportare la nonna a casa. Una volta arrivati, la nonna chiese ad Amos se la poteva accompagnare fino in camera. Quando entrò la vecchia si sedette sulla sua sedia a dondolo, regalatagli dal falegname vicino casa.

La camera della nonna era un posto dove era sempre voluto entrare: non vi era mai stato perché la mamma, quando lui voleva farle visita, lo sgridava dicendogli di non disturbare la povera vecchia. Amos trovò che la stanza della nonna era molto simile alla sua, ma allo stesso tempo molto diversa: si, era grande come la sua, e c’era il letto con il comodino al fianco, ma aveva le tende di un rosa scuro e pieno che davano alla stanza un’atmosfera particolare, quasi magica.
<< Scusa nonna,toglimi una curiosità, prima hai detto di conoscere già quel posto. Ma come? Quando sono arrivato là per la prima volta, la radura era nascosta da un muro alto di cespugli. Da quanto conosci quel posto?>> chiese il nipote preoccupato alla nonna, come sempre, tranquilla.
<< Caro nipotino, conosco quel posto da quando avevo la tua età. Sai anch’io avevo la passione delle passeggiate in mezzo alla natura. E ho tuttora la passione per le piante e le gemme. E ho anche un’altra grande passione. >> disse la nonna, stuzzicando il nipote.
<< Quale altra passione? >> chiese curioso Amos.
<< Seguimi.>> disse la nonna, alzandosi dalla sua sedia a dondolo e dirigendosi verso una parete.
Amos seguì la nonna con lo sguardo, incuriosito, e la vide andare al centro della stanza e sollevare il vecchio tappeto viola, che lei stessa aveva fatto.A un certo punto, la vecchia signora si chinò come a cercare qualcosa. << Hai perduto qualcosa nonna?>> chiese Amos, preoccupato. Senza dar segno di aver sentito,la nonna gli fece cenno di avvicinarsi. << Scusa, Amos, potrebbe tirare su questa tavola? Grazie, io non ho più la forza per certe cose.>> chiese la nonna al nipote.
Amos guardò la nonna e, stupito, si accorse che nel pavimento di legno c’era un piccolo foro, giusto per farci passare un dito. Strano, si disse Amos, non l’avevo mai notato. Non che ci sia salito spesso quassù, però è curioso. Amos si avvicinò, e, curioso, iniziò ad esaminare quel piccolo forellino: provando a guardarci attraverso non si vedeva nulla, solo buio. Poi vide una linea sottile, quasi invisibile, che tagliava sei assi del pavimento tutte alla stessa altezza; poi seguendo la linea con lo sguardo vide che si congiungeva con un’altra linea, e questa con un’altra ancora.
<< Nonna che ci fa una botola in camera tua?>> chiese stupito Amos alla nonna.
<< Ma come… fa niente, lascia perdere. Ora solleva il coperchio.>> disse la nonna, interrompendo subito la discussione.

Amos fece spallucce e obbedì. Infilo il dito nel piccolo foro, puntò i piedi per terra, e tirò. Con suo enorme stupore sentì scricchiolare le assi del pavimento, per poi sentire una sorta di risucchio, come se la botola fosse stata chiusa per molto tempo.
<< Hai visto? Non era poi così difficile. >> puntualizzò la nonna. << Ora spostati, Amos>>disse e, poggiando la mano sul petto del ragazzo e lo spinse delicatamente indietro.
La nonna esaminò il corridoio, poi disse: << Bene si può ancora passare. >> e terminò la frase con un sorriso.

Amos fece per entrare nella botola, ma la nonna lo fermò.
<< Fermo, nipotino mio caro. Non vedi che c’è buio?>> fece notare la Nonna Angela ad Amos.
<< Nonna, guarda che non ho più paura del buio. >> rispose Amos.
<< Non è il normale buio che conosci, questo, nipotino mio caro. È, comunque, ho bisogno di un poco di luce in più. >> disse la nonna, sorridendo all’espressione che colorava il volto di Amos, che in quel momento non sapeva se essere sorpreso della scoperta del corridoio segreto o chiedersi per quale motivo la nonna avesse detto una cosa così ovvia. Si guardò intorno.
<< Nonna, come accendo la luce se non ci sono le torce?>> chiese Amos, notando la mancanza di interruttori in quel corridoio così buio.
<< Mio caro Amos, sei così abituato alle comodità delle torce da non poterne fare più a meno. >> disse la nonna tirando fuori da una tasca interna della sua vestaglia porpora, un piccolissimo oggetto d’argento.
<< Questo, mio caro nipotino, è una scatola d’argento, ma non una qualunque, perché è speciale. >> spiegò la nonna. La piccola scatolina d’argento somigliava ad un’ accendino vecchio stile, e presentava, in rilievo, un disegno di una stella a cinque punte, inscritta in un cerchio e circondata un rametto di edera, le cui foglie erano state decorate con dello smeraldo
<< Nonna! Ma è bellissimo! Dove lo hai preso?>> disse il ragazzo meravigliato da quel piccolo oggettino argentato.
<< Questo, nipotino mio, è un regalo che mi è stato dato in dono da alcuni amici molto speciali. >> rivelò la donna, e finì la frase con un breve sorriso, quasi stesse ricordando qualcosa di bello accaduto in passato. Amos guardò curioso la nonna, ma non osò chiedere.
<< Ora guarda. >> disse la nonna.
Nonna Angela tolse il coperchio alla piccola scatolina, poi pigiò le tre foglioline verdi una dopo l’altra, in senso orario. Ma non successe nulla
La nonna riprovò, ma invano. << Mmmmh. >> disse la nonna con sguardo contrariato. << Che succede, perché non funziona?>> supplicò la nonna.
<> disse Amos.
<< Speriamo di no! >> esclamò la nonna, così improvvisamente da far sobbalzare Amos.
<< Sarebbe un peccato. >> disse Amos.
<< Oh, Amos. Sarebbe molto peggio.>> disse la nonna, senza accorgersi dello sguardo contrariato di Amos, come se avesse detto una cosa troppo strana.
Mentre la nonna provava un altro paio di volte ad accendere il piccolo acciarino, Amos rifletté sul perché quell’affarino si rifiutasse di accendersi. Gli balenò in mente un’idea.
<< Nonna, è possibile che sia bloccato?>> azzardò Amos.
<< No, non potrebbe essere bloccato, perché… Sai che forse hai ragione, ma ci hai preso solo in parte.>> disse la nonna. Improvvisamente, Nonna Angela si illuminò in viso, come se gli fosse arrivata la risposta al loro problema. La nonna strinse in mano l’accendino, poi chiuse gli occhi. Amos guardò la nonna come se si aspettasse di sentirla russare da un momento all’altro.
Ma, fortunatamente non avvenne.
La donna, aprì lentamente gli occhi, e Amos si accorse che avevano cambiato colore, divenendo quasi viola. Poi vide la nonna lasciare andare pian piano l’accendino, prenderlo con l’altra mano e passere l’indice della mano destra sulle tre foglie smeraldine. Ad Amos parvero brillare per un momento, mentre la nonna passava il dito sopra le loro numerose sfaccettature. Poi la nonna, guardò il nipote che la fissava, e gli sorrise. Amos notò che il colore degli occhi della nonna era cambiato nuovamente, tornando a quel castano originale a cui lui era tanto affezionato.

<< Ora, mio piccolo Amos, sono sicura che si accenderà. Sta tranquillo. >> disse la nonna, con la voce piena di sicurezza.
Fece scorrere nuovamente il dito sulle tre foglioline, che restarono illuminate per un periodo leggermente più lungo, e una piccola cascata di scintille dorate e luminose al buio del corridoio. Poi la nonna guardò contrariata, il piccolo affarino, e con rabbia batté le mani una contro l’altra, tenendo la scatolina fra le mani. << Funziona stupido maledettissimo affarino! >> imprecò la nonna, attirandosi lo sguardo scioccato del nipote che non l’aveva mai sentita parlare in quel modo. La donna provò una terza volta: passò nuovamente il dito sulle tre foglioline, di nuovo quelle rimasero accese un’istante, di nuovo le piccole scintille.
La nonna, sotto lo sguardo scioccato del ragazzo, in un accesso d’ira gridò improvvisamente di rabbia dicendo << Dannazione, ACCENDITI!! >>, e dalla piccola scatola d’argento si sprigiono una fiamma viola e luminosa alta un palmo, che gettando la sua luce violacea sulle pareti, illuminava gran parte del corridoio.

Amos si chiese come un affarino piccolo come quello potesse produrre tanta luce.
<< Ah-Ha! Funziona!>> esclamò improvvisamente di gioia la nonna, facendo trasalire il ragazzo.
Dopo essersi ripreso dal piccolo spavento, Amos si complimentò con la nonna per esser riuscita ad accendere il piccolo accendino d’argento. Ma c’era una domanda che gli bussava tra i denti, e Amos non poteva trattenerla, perché doveva soddisfare la sua sete di curiosità.
<< Nonna, ma come mai la fiamma del piccolo accendino non è gialla, ma ha questo curioso colore viola?>> chiese, anche se le sue parole erano state accelerate dalla curiosità.
<< Ti avevo detto o no che questo accendino era speciale.>> rispose la nonna sorridendo maliziosa, e cominciò a percorrere il corridoio, ora illuminato dalla luce viola ametista dell’acciarino speciale d’argento, seguito a ruota da Amos.

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Capitolo 3
*** Rivelazioni ***


Capitolo II

Rivelazioni

 

 

La purpurea vestaglia della nonna sventolava nell’aria umida e fresca del corridoio segreto, e segnava i movimenti della donna con un morbido fruscio.La luce violacea del piccolo accendino di Nonna Angela colorava ogni cosa con il suo bel colore ametista.La nonna era seguita da Amos, che ardeva di curiosità perché voleva sapere dove la nonna lo stava portando, in più voleva anche sapere chi gli aveva regalato quel meraviglioso accendino. I passi di Amos erano attenti e misurati, e quindi restava ogni tanto indietro di una curva, mentre la nonna camminava spedita, conoscendo a memoria ogni centimetro di quel corridoio.
Finalmente uscirono da quel piccolo, umido e, una volta, buio tunnel. Ma dov’erano andati a finire. 
<< Nonna dove siamo? Non ho mai visto questo posto. >> chiese Amos, un po’ invidioso perché la nonna conosceva più posti segreti di lui, un po’ preoccupato perché non sapeva dove si trovava.
<< Siamo in una radura vicino all’Antico Albero. Non saresti mai riuscito a trovare questo posto da solo. >> spiegò l’anziana donna.
<< Vicino alla mia casetta?>> chiese incredulo Amos. << Com’è possibile? Eravamo in camera tua, cinque minuti fa. Come abbiamo raggiunto la radura così in fretta?>>. Quando la nonna si portò una mano alla tempia destra, Amos capì che aveva esagerato un tantino con le domande.Preoccupato per la nonna, gli chiese come andava.
<< Bene, figliolo. Non è niente di grave. Ho solo usato troppa magia per la mia età. Ehm…>> fece la nonna schiarendosi la voce. << Volevo dire energia… Ho usato troppa energia per la mia età. Ehm>> si schiarì di nuovo la voce, guardando si sottecchi il nipotino.
<< Magia? Hai detto magia?>> chiese Amos, stupito.
<< No, ho detto energia… Ho detto energia, si, energia. >> disse la nonna cercando di convincere il ragazzo, e anche se stessa, di quello che diceva, ma evidentemente con scarsi risultati.
<< No, ne sono sicuro. Hai detto magia. Hai detto:’ Ho usato troppa magia per la mia età’. >> disse Amos, un po’ sconcertato dalle parole della nonna.
<< No, Amos, ti dico che ho detto energia, non magia.>> insistette l’anziana.
<< Nonna, non sono stupido, ho sentito bene. Hai detto magia. >> Amos continuò ad insistere.
La nonna, che vantava una fama di infinita pazienza, sbottò in un accesso d’ira che fece rabbrividire Amos.
<< Amos Pendragon, osi tu darmi della bugiarda? >> la voce della nonna, quando pronunciò l’antico nome di famiglia, divenne strana, quasi tuonante. E Amos ebbe paura di Nonna Angela.
<< Scusa nonna, mi dispiace. >> disse Amos, singhiozzando. Aveva diciassette anni, e non aveva mai pianto davanti ad un adulto, né tantomeno di paura. La nonna, dispiaciuta per l’accesso d’ira che aveva avuto col nipotino, si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò affettuosamente.
<< No, scusami tu, mio dolce nipotino caro. Scusami tanto, non dovevo arrabbiarmi tanto, per una stupidaggine del genere poi. >> e gli baciò la fronte.Amos sorrise e tirò su col naso. La nonna fece una smorfia di disgusto. Lui sorrise e chiese scusa.
<< Allora ammetti che avevo ragione? Hai detto magia, non energia. >> disse Amos, ritornando all’argomento. La nonna non aveva alcuna intenzione di arrabbiarsi nuovamente con il ragazzo.
<< Hai visto che bello questo posto. >> disse, cambiando argomento. << Questo posto lo conosco da quando ero bambina. Oh, ma guarda, è ancora in piedi. >> esclamò la nonna sorpresa, fissando una piccola costruzione di legno, mentre il ragazzo si guardava attorno.

La radura era molto simile a quella dove si trovava l’albero secolare dove Amos aveva costruito il suo rifugio. Ma al centro di quella radura era cresciuto un albero, un ginepro cinese secondo Amos, che crescendo aveva formato, con le radici una sorta di caverna molto simile a quella dell’altra radura, e da dentro quella caverna si dipartiva una struttura, che ricordava vagamente le forme di una casa, costruita tutta in legno, e quel legno ormai vecchio stava marcendo, e la casetta della nonna cadeva a pezzi.
<< Wow! >> esclamò Amos, sussurrando. << Questo posto è bellissimo, molto simile alla mia radura. >>fece notare il ragazzo alla nonna.
<< Si >> rispose la nonna << Hai ragione. >>. Disse la nonna sorridendo al nipote.
<< Ma cosa è quella montagna di legno marcio?>> chiese curioso Amos.
<< Quello è ciò che resta del mio rifugio segreto. >> disse la nonna, amaramente. A quelle parole, Amos sgranò gli occhi.
<< Cosa? Avevi un rifugio anche tu? E cosa te ne facevi? >> chiese a raffica.

<< Usavo questa piccola casetta per nascondere i miei libri preferiti, per nascondere la mia collezione di pietre e la mia collezione di spade e bastoni.>> rivelò la nonna. 
<< Cosa? Avevi una collezione di pietre e spade anche tu? Ma… Ma…. Per quale motivo?>>. Amos era sempre più stupito delle cose che la nonna gli rivelava.
<< Quelle cose mi servivano. >> disse nonna, ma nella sua voce si era insinuata una nota di tristezza.
<< Per cosa ti serviva quella roba? >> chiese Amos sempre più incuriosito.
<< Perché non entriamo. Vediamo se all’interno si è salvato qualcosa. >> la nonna non aveva alcuna intenzione di rispondere, e la velocità con cui cambiò argomento sorprese Amos, la cui curiosità crebbe ancora , non avendo avuto risposta.

Quando entrarono videro: all’interno della casetta non era rimasto quasi niente, tranne qualche pagina di un vecchio libro, strappata ed ingiallita dal tempo, e quello che era rimasto era completamente rovinato: quello che una volta doveva essere un tavolino, giaceva a terra in un mucchio di legno ormai marcio in cui le termini avevano trovato un paradisiaco banchetto; c’era anche la libreria della nonna, di cui erano rimasti solamente la struttura e due o tre dei dieci ripiani, che una volta sorreggevano il peso di tantissimi libri. I ripiani mancanti erano sparsi per tutto l’interno della casetta, alcuni erano rimasti miracolosamente integri, mentre altri erano andati completamente distrutti e giacevano a terra completamente invasi dalle termiti.Amos gironzolava all’interno di ciò che restava di quello che una volta doveva essere un ottimo rifugio, chiedendosi com’era possibile che il tempo e le termiti avessero potuto fare tutto quel danno. Si girò per domandarlo alla nonna, e la vide: era rimasta sulla soglia di ciò che restava della porta e sembrava essere sull’orlo del pianto.

Amos gli si avvicinò e la abbracciò, cingendogli le spalle, tentando di consolarla. Sulla guancia della nonna scorse una lacrima, che cadde sul maglione verde scuro del nipote, che di riflesso la strinse ancora più forte.
<< Mi dispiace tanto, nonna, per la tua casetta. Ma infondo era solo una casetta di legno.>> disse il ragazzo tentando di consolare la nonna.La nonna si staccò dalla spalla del nipote e, estraendo da una tasca nascosta della sottoveste un fazzoletto, si asciugò le lacrime, cercando di riprendersi.
<< Tranquillo nipotino mio, va tutto bene. Quello che mi dispiace di più non è la perdita della casa, ma la perdita di tutti i miei libri, delle mie carissime piante e soprattutto dei cristalli che ero riuscita a trovare.>> rispose la nonna, cercando di tranquillizzare il nipote, che era turbato dalla sua crisi di pianto.
Mentre parlava con la nonna, Amos iniziò a vagare nuovamente per le rovine della casetta. Si guardava attorno, con la speranza di trovare qualcosa che appartenesse alla nonna ed era sopravvissuto alla furia distruttiva del tempo. Mentre cercava, notò che nella libreria un ripiano si era staccato e giaceva in posizione verticale, appoggiato alla struttura della libreria; Amos si diresse verso quel pezzo di legno, deciso a vedere che nascondeva dietro.
Arrivato alla libreria, sollevò la piccola asse di legno, che sbriciolò nelle sue mani appena tentò di lanciarla via.

Questo legno è completamente marcio, devo stare attento, pensò Amos, mentre spostava il resto dell’asse marcia. Aveva ragione, l’asse di legno nascondeva qualcosa.
Infatti, dietro il legno marcio, era nascosto, in posizione verticale, uno dei libri della nonna, uno strano libro verde con i bordi della rilegatura in oro lucente. Lo strano di quel libro è che non portava alcun titolo. Amos lo raccolse, e mentre lo puliva per darlo alla nonna, si accorse che dietro al libro si era nascosto un piccolo cristallo viola.
Tutto contento per il suo prezioso ritrovamento, si voltò per mostrarli alla nonna.
<< Nonna, guarda che ho trovato! >> disse correndo dalla nonna, che intanto era uscita dalla casa.
<< Guarda nonna! Guarda qua! >> ripeté Amos per richiamare l’attenzione della nonna.
La nonna si voltò, e quando vide che cosa il nipote gli stava portando.
<< Fammi vedere, svelto! >> disse la nonna stupita del miracoloso ritrovamento.La nonna prese il libro e il cristallo che Amos gli stava porgendo, e le lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso. Quelli erano un libro che gli era stato regalato quando era più giovane mentre il cristallo era il primo che aveva trovato, ed era tutto ciò che rimaneva di una grande collezione.
<< Tieni. >> disse la nonna.<< Come?>> domandò Amos, pensando di non aver capito.<< Tieni, prendili.>> ripeté la nonna, porgendo il libro e il cristallo al nipote.<< Non posso nonna, sono tuoi. >> disse Amos, spingendo indietro i regali.
<< No, Amos, non più. Ora questi libri spettano a te, di diritto. >> disse la nonna, restituendo nuovamente gli oggetti verso Amos.<< Non posso davvero, nonna. Questi oggetti fanno parte della tua vita. Non posso accettarli, sul serio. >> disse Amos rispedendo indietro i regali.
<< Amos caro, ti sto dicendo di prenderli>> disse la nonna, non capendo per quale motivo il nipote non accettasse il suo dono.<< Davvero nonna, non posso. Il libro poi non ha nemmeno un titolo, e se poi è il tuo diario? Non posso permettermi di leggere una cosa tanto personale. Poi la gemma l’hai trovata tu, è tua. È tutto ciò che rimane della tua collezione e…>>.
<< Amos Pendary >> lo interruppe la nonna, con una voce cupa, << Prendi questo dannatissimo libro di magia>> disse la nonna.<< Come scusa?>> chiese stupito Amos. Era la seconda volta che lo diceva.<< Che cosa?>> disse, confusa, la nonna.
<< Hai detto libro di magia, vero?>> chiese Amos. Questa volta sapeva di non aver capito male.
<< No, ho detto prendi questo libro e vai via>> disse la nonna, tentando di convincere il nipote. In realtà, neanche lei credeva alle sue parole.<< So bene quello che hai detto nonna. Hai detto libro di magia.>> ribatté Amos.<< Amos, io ho detto…>>.
<< Nonna, smettila!>> la interruppe Amos. << Smettila di prendermi in giro! So benissimo ciò che hai detto, ed è già la seconda volta in tutta la giornata che ripeti la parola magia!>> sbottò Amos, che non riuscì a trattenersi.
<< Scusa, nipotino, hai ragione. Ho detto magia.>> ammise la nonna.
<< Che cosa? L’hai ammesso allora!>> disse Amos stupito.
<< Si hai ragione. Ho detto: “libro di magia”. Perché è questo che quel libro è: un libro di magia.>> ammise tristemente la nonna.<< Un libro di magia. >> disse sognante il ragazzo. << Quindi anche tu collezionavi libri di magia, vero?>> chiese Amos.<< Come scusa?>> disse la nonna.<< Ho detto se tu collezionavi libri di magia, prima.>> si corresse il ragazzo, essendosi accorto di aver rivelato un suo segreto.<< Amos, mi stai per caso nascondendo qualcosa?>> chiese la nonna mettendo le mani sui fianchi e facendo un passo avanti in direzione del ragazzo.<< Chi, io? No no, assolutamente niente. Io non sto nascondendo assolutamente niente>> disse il ragazzo, cercando di convincere anche se stesso.Allora , la nonna utilizzò la sua tecnica per indurre le persone a svelare la verità: mise le mani sui fianchi e iniziò a fissare in malo modo il ragazzo, che si fece sempre più piccolo sotto lo sguardo indagatore della nonna.<< E va bene lo ammetto! Colleziono libri di magia, va bene?>> ammise Amos, pur di togliere quello sguardo accusatore da sopra di se.<< Davvero?>> chiese la nonna con fare minaccioso.

Il ragazzo annuì lentamente con la testa e si preparò mentalmente al dolore fisico. Che non arrivò.
<< Ma è fantastico!>> sbottò la nonna d’improvviso, come se avesse appena scoperto qualche grande tesoro.A quel punto fu Amos a mettere su uno sguardo accusatore.

E la nonna se ne accorse, ma solo dopo aver fatto tutto il giro della radura, saltellando come una bambina.

<< Sono così felice che ti sia appassionato alla magia. È una cosa bellissima, ma allo stesso tempo pericolosa quindi devi stare attento.>> la nonna iniziò a metterlo in guardia.<< Ma su nonna, come può essere pericolosa, se non posso neanche usarla.>> disse Amos.<< Come non puoi usarla? Vuoi dire che non hai poteri?!>> chiese la nonna stupefatta.
<< No che non ho poteri, come potrei averli. Nessuno nella nostra famiglia è un mago, sempre a patto che la magia esista sul serio.>> Amos iniziava a dubitare della sanità mentale di sua nonna.
<< Amos Pendary, tu sei il settimo figlio di un settimo figlio. Di sicuro in te scorre la magia.>>rivelò la nonna.
<< Settimo? Ma non sono primogentio?>> ora Amos dubitava seriamente della sanità mentale di nonna Angela.

<< No Amos, tu sei il settimo figlio. Sei il più piccolo, per questo non hai conosciuto i tuoi fratelli. Il tuo primo fratello, si chiama Emmett, si è trasferito in Inghilterra, in un piccolo paesino della Scozia. Il tuo secondo fratello, Arnold, si è trasferito, invece, in America, si è sposato con una bellissima donna chiamata Sofya, ed ha avuto tre figli.
Il tuo terzo fratello, Enric, è morto poco dopo essere nato. Fu un grande dolore per tua madre. Per terza hai avuto una sorella, Angela, proprio come tua madre, lei sta in un paesino a una quindicina di chilometri da noi. Il tuo quarto fratello non è neanche nato, perché ha abortito, anche quello fu un grande dolore. La quinta figlia, Erica, si è trasferita in una delle isole dell’Arcipelago di Lore, si è sposata con un bel ragazzo che si chiama Luis, ed ha avuto due figli e >> mentre la nonna illustrava ad Amos il suo albero genealogico, parlava con occhi luccicanti.
Ma ad Amos sembrava mancare qualcosa.<< Ed il mio sesto fratello dov’è? Come si chiama?>> chiese alla nonna.
E lo sguardo della nonna si fece cupo. << Il tuo sesto fratello, Marc, non è più tra noi da un po’.>> rispose tristemente nonna Angela.
<> chiese sorpreso Amos.<< No, non è morto. Ma non è più in questo mondo.>> disse la nonna, sempre più triste.<< Ma… >> Amos stava per fare un’altra domanda su suo fratello, ma vedendo quanto la nonna soffriva per parlarne, decise di cambiare argomento.
<< Ma come faccio ad usare i miei poteri? Ho provato un sacco di incantesimi ma non hanno mai funzionato.>> chiese, per tirar su il morale della nonna.
E infatti la nonna cambiò espressione. << I tuoi incantesimi non hanno mai funzionato per il semplice motivo che i tuoi poteri non son mai stati risvegliati. Ora andiamo via da qui, il sole sta calando e inizia a fare freddo. Inoltre qua con il calare del sole inizieranno ad arrivare creature che sarebbe il caso non incontrare.>> disse la nonna, ed inizio ad incamminarsi verso casa.
<< Cosa vorresti dire? Che oltre alla magia esistono anche i demoni?>> chiese Amos, rendendosi subito conto della stupidità della sua domanda.

<< Certo! Non crederai che la mia casetta si sia ridotta così con il tempo>>.

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Capitolo 4
*** Risveglio ***


Capitolo III

Risveglio

 

 

 

Quella notte, Amos non riuscì a dormire bene. I suoi sogni erano popolati dai volti presunti dei suoi sconosciuti fratelli, da demoni che apparivano d’improvviso e poi sparivano, dal volto del suo sesto fratello e da sua nonna che continuava a dirgli che lui era dotato di chissà quali poteri e che lei da giovane aveva studiato la magia. Quella notte sognò anche un altro mondo, un mondo dove la terra era arida e secca, popolato di demoni e mostri terrificanti, dove l’unica cosa che ricordava una qualche forma di vita erano gli alberi secchi che improvvisamente prendevano fuoco a causa dell’aria ribollente. D’improvviso un monte esplose lanciando fuoco e pietre roventi in ogni direzione. Dalla bocca del vulcano si sentì un rombo cupo e assordante, che pian piano si trasformo in un urlo disumano e selvaggio.Amos si sveglio di soprassalto e si accorse che quell’urlo proveniva dalla sua bocca.Oddio, pensò Amos, per fortuna era solo un brutto sogno. Ma che razza di posto era quello? Forse è meglio non pensarci più, si disse. In fondo, era solo un brutto sogno.

Uno strano brontolio proveniente dal suo stomaco gli rammentò che era ora di colazione. Allora scese dal letto e si avviò verso la porta quando, ma solo quando passò davanti allo specchio che si accorse di non avere più i vestiti.Dove diavolo è finito il mio pigiama? Si chiese. Cercò di fare mente locale: eppure ogni volta che cercava di ricordare dove potesse averli messi, si ricordava che era andato a dormire “con” il pigiama; poi d’un tratto, la mamma lo chiamò.
<< Amos Pendary! Vieni subito qua! >> gli urlò la madre dal piano di sotto.
<< Arrivo! >> rispose il ragazzo e mentre scendeva le scale si avvolgeva sempre più stretta la vestaglia che aveva preso uscendo dalla camera. Camera sua infatti si trovava al piano di sopra, insieme a quella dei genitori, mentre al piano di sotto, c’era la cucina, il salotto e la camera della nonna.
<< Che succede? >> chiese una volta arrivato di sotto.<< Ma dove sei?>> domandò, dato che nel salotto la mamma non c’era.
<< Sai benissimo dove sono. In cucina! >> gli urlò la madre, affacciandosi dalla porta della cucina, che dava sul salone.
<< Che succede? >> chiese nuovamente Amos, una volta in cucina.
<< Che diavolo ci faceva il tuo pigiama, completamente strappato, sopra il tavolo della cucina? >> chiese la madre con tono accusatorio.
<< Ecco dov’era! Ma che ne so che ci faceva. Io ricordo solo che quando sono andato a letto lo avevo addosso! >> rispose il ragazzo.
<< Come lo avevi addosso? E questo di chi è allora? >> domandò la mamma sventolando i brandelli di pigiama, sempre con il suo tono da giustiziere, come lo chiamava Amos.
<< Ti ho detto che non lo so che ci facesse là il mio pigiama! E poi io stanotte lo avevo addosso. >> disse nuovamente il povero ragazzo.
<< Ma se questo è il tuo pigiama allora…>> disse la mamma pensierosa.<< Si… >> gli fece Amos. Il viso della mamma cominciò a cambiare colore, ed iniziò a diventare paonazza. Si voltò di scatto, e vedendo il figlio completamente nudo, con indosso solo la vestaglia, esplose.
<< FILA DI SOPRA E VESTITI!! >> esplose la mamma.Amos, terrorizzato dall’attacco d’ira della madre, volò letteralmente sopra i gradini delle scale, salendoli a quattro a quattro. E una volta in camera ci si chiuse.Come diavolo ci è arrivato il mio pigiama in cucina, pensò fra se e se il ragazzo, mentre cercava nell’armadio qualcosa da vestire. E poi, chi si è permesso di rovinare il mio pigiama? E ora che mi vesto? Dove sono finiti i miei pantaloni preferiti? Uffa, devo mettere ordine…Mentre tutti questi pensieri turbinavano all’interno della testa di Amos, per la stanza la voce della nonna che lo chiamava.
<< Dimmi nonna, che c’è? >> chiese Amos, dal piano di sopra.
<< Sei sveglio? >> chiese la nonnina, urlandolo su per la tromba delle scale.
Vedi un po tu, ti sto rispondendo, pensò Amos, ma non lo disse. Rispose invece:<< Certo nonna, dimmi pure. >>
<< Vieni tra dieci minuti in camera mia. Devo… Tu vieni, d’accordo? >> fece la nonna con il tono di voce di chi nasconde una sorpresa.Sorpreso dal tono della nonna, Amos rispose:<< Va bene nonna. Arrivo.>> disse.
Ma la nonna non rispose. Deve essere già sparita, pensò Amos mentre si vestiva.Già la giornata era iniziata male, se ci si metteva anche la madre ad incolparlo per qualcosa che non aveva fatto, e la nonna che non voleva dirgli per quale motivo lo cercava, era pronto a tirar giù i muri alla prima cosa storta. Ma lasciò perdere.Dopo aver trovato finalmente i tanto anelati pantaloni, indossò il maglione verde regalatogli dalla nonna e si diresse verso la camera dell’anziana signora..
Arrivato davanti alla porta della nonna, Amos bussò, chiedendo permesso.
Ma nessuno rispose. Amos bussò una seconda volta.<< Nonna, posso entrare? >> chiese. Ma nessuno rispose.
<< Nonna ci sei? >> chiese, aprendo lentamente la porta. Ma nessuno rispose. E nessuno avrebbe mai potuto rispondere, dato che la camera era vuota.
Amos rimase fermo sulla soglia della porta della stanza vuota guardandosi in giro: la stanza era tutta in ordine, come era ogni giorno; il letto era stato rifatto in maniera tanto impeccabile che pareva non ci avesse dormito nessuno, gli abiti erano riposti in ordine di colore nell’armadio, come soleva fare Nonna Angela. Anche la sedia a dondolo era in ordine, come che non ci si fosse seduto nessuno. Tutto pareva in ordine.Amos continuò a guardarsi intorno, finché non la notò: la botola segreta era aperta.
Lentamente, il ragazzo ci si avvicinò. Com’è possibile? Lei aveva detto che non era in grado di aprirla. Si abbassò per scendere i gradini che portavano al corridoio.Nonna dove sei finita? Si chiedeva mentre attraversava ansiosamente il corridoio dalle pareti muffite, che portava al rifugio segreto della nonna. Mentre percorreva il corridoio, notò che il buio diventava sempre più fitto, finché, quando si trovava a metà del percorso, già non vedeva più nulla. Il buio si era fatto talmente fitto da dare la sensazione di smarrimento persino all’animo più impavido. Infatti Amos iniziò a respirare faticosamente, e si fece prendere dal panico: iniziò a tornare più volte indietro, ma invano, il buoi sembrava aver ingoiato le pareti gettandolo in un pozzo scuro e senza via di uscita. Iniziò anche ad andare avanti, ma solo per tornare nuovamente indietro, e cambiò direzione tante di quelle volte da perdere il senso dell’orientamento.
Il ragazzo iniziò a farsi prendere dallo sconforto. Non uscirò mai più da qui, si diceva, e così si disperò e si mise a piangere, temendo di non poter più rivedere la propria famiglia. Ma qualcosa dentro di lui si svegliò, ed una voce risuonò nella sua testa.Smettila scemo, diceva la voce. Smettila di frignare come una ragazzina viziata e alzati. Si accorse che era la sua di voce, era la sua coscienza che diceva questo.Ma non riuscirò mai ad uscire da qui! È troppo buio e non vedo nulla, rispose lui.Certo, mai ci provi, mai riesci, disse la coscienza.Come che non ci abbia mai provato. Ma dov’eri tu quando ho perso il senso dell’orientamento?Amos, si stava innervosendo. Ora anche la sua coscienza si metteva contro di lui.Quando se ne rese conto, iniziò a chiedersi se, frequentando troppo la nonna, non stesse perdendo anche lui il senno.Dai rammollito, alzati. Gli fece nuovamente la sua coscienza.

Il ragazzo decise che forse era il caso di dargli retta. E si alzò. Decise di concentrarsi per avere un quadro più preciso della situazione.Ripercorse mentalmente tutto ciò che era successo dall’arrivo nella camera della nonna:era entrato, l’aveva cercata, aveva notato che la porta del giardino segreto era aperta ed era entrato per vedere se la nonna era per caso nel giardino. Aveva così iniziato a percorrere lo stretto corridoio.Stretto! Si disse. Ecco! Vediamo, se è veramente come mi ricordo, non dovrei riuscire a stendere le braccia. Ma prima vediamo se cambia qualcosa facendo così. Allora, aprì gli occhi e li richiuse velocemente. Ma non cambiò nulla. Decise così di tenerli chiusi, per concentrarsi meglio. E distese le braccia. Poco dopo averle staccate dal corpo, il dorso delle sue mani toccarono la superficie umida e ruvida delle pareti. Allora piegò le braccia e le sollevò.

Ecco, come ricordavo la distanza è quella tra i due gomiti. Distese le braccia e poggiò i palmo delle mani sulle pareti del corridoio, e così messo iniziò a camminare in direzione della presunta uscita. Dopo qualche minuto, che ad Amos parve non finire mai, l’oscurità iniziò a diradarsi e a lasciare il posto a una luce bianca e l’aria, dapprima umida e maleodorante di muffa, lasciò il posto ad un’aria pulita, fresca e che sapeva di pino.Eccola, finalmente! È quella l’uscita! Pensò allegramente il ragazzo, contento di trovarsi finalmente all’aperto. Ed eccola, la nonna, finalmente l’aveva trovata. Stava in piedi vicino al grande albero che torreggiava in mezzo alla radura, con la schiena appoggiata contro la corteccia ruvida della maestosa pianta, e leggeva un libro molto simile a quello che lui aveva trovato nella libreria distrutta nella casetta della nonna, solo che questo era di un colore simile al bordeaux. Era vestita con un abito lungo sino a terra, di seta azzurra, con le maniche larghe e le orlature dorate con quelle che sembravano delle scritture in una lingua antica. La nonna alzò lo sguardo dal libro e sgranò gli occhi quando vide chi era l’intruso.

<< Wow, sei già qui! Come hai fatto? >> disse la nonna, sorpresa di vederlo.<< Come ho fatto? Mi è sembrato di stare la dentro per ore! E comunque ho camminato con le mani appoggiate al muro. Ma come mai tu sei vestita in quella maniera? E perché mi hai chiamato poco fa? >> disse Amos, che non ne poteva più dei modi misteriosi della nonna, soprattutto dopo aver passato quelle che gli sono sembrate ore, per attraversare il tunnel.<< Pace nipote. Ora risponderò alle tue domande.>>disse la nonna.
<< Innanzitutto, ti ho chiamato dicendoti di venire in camera perché dovevo mostrarti una cosa. Sapevo che non trovandomi in camera ti saresti diretto verso la radura, e qui volevo congratularmi con te per aver superato degnamente la prima prova.>> continuò.<< Prima prova? Ma che… >> la interruppe Amos.<< Pace ho detto. Ora risponderò alle tue domande.>> rispose la nonna. E riprese:<< Come ti dicevo, sei qui perché hai superato brillantemente la prima prova, passando tranquillamente attraverso l’incanto Oscurità di Perdizione. Ora ti attende la seconda prova: la Raccolta. Dovrai raggiungere e cogliere quello >> e con il dito indicò un fiore attaccato ad uno dei rami più alti del gigantesco albero della radura. << Una volta raccolto me lo dovrai portare, ma deve essere integro. Ti avverto una sola sgualcitura e dovrai rifare tutto. Hai capito?>> chiese la nonna dopo aver finito di spiegare ad un’ attonito Amos, che ormai non riusciva a capire se e quando la nonna fosse uscita di senno.
<< Hai capito? >> ripeté la nonna, non avendo ricevuto risposta.
<< Si ho capito. Non ho capito però se stai dicendo sul serio oppure è solo uno scherzo.>> disse Amos, con una faccia che mostrava tutta la sua perplessità.<< Certo che non è uno scherzo. Mi credi una pazza?>> rispose la nonna.La risposta di Amos fu un grugnito per aver trattenuto una risata troppo forte. Al che la nonna si infuriò.
<< Ora tu, Amos Eruner Pendragon, salirai su questo antico albero di Yggdrasil e cercherai il suo fiore. >> disse Nonna Angela.
Mise da parte i pensieri che la nonna aveva scatenato con il suo strano comportamento e si concentrò su quello che la nonna gli aveva chiesto di fare: doveva arrampicarsi sull’Yggdrasil e raccogliere il suo fiore. Yggdrasil: non aveva mai sentito quel nome. Gli risultava come in un’altra lingua, ma che non conosceva. Forse era qualcosa come il vichingo o una lingua simile, perché quel nome aveva un che di antico. E poi non aveva mai visto un fiore di Yggdrasil, come poteva andare a raccogliere un fiore che non conosceva. Mentre pensava a ciò con lo sguardo scorreva la chioma dell’immenso albero foglia per foglia.Ma come faccio a raccogliere il fiore di Yggdrasil se non so nemmeno come è fatto, ne tantomeno dove sia?, pensò Amos, e poi sembra stia dando di matto quest’ultimo periodo, pensò Amos, sorridendo per la piccola cattiveria rivolta alla nonna.
<< Guarda
che ti ho sentito!>>
disse la nonna << Ora trova quel fiore!!>> gli urlò contro. Come diavolo ha fatto a sentirmi se stavo pensando? Forse ho parlato a voce alta, pensò il povero Amos, e abbandonando ogni pensiero si dedicò alla ricerca del fiore. Decise di scendere dall’albero e cercarlo da terra, ma una volta arrivato, iniziò a fare il giro dell’albero, ma non riuscì a trovare niente che somigliasse ad un fiore. Poi intravide qualcosa: una sorta di foglia spessa, arrotolata su se stessa, molto simile ad un bocciolo. Si arrampicò nuovamente sull’albero e si diresse verso il ramo dove aveva visto il bocciolo. Si avvicinò lentamente e lo sfiorò con le dita: al suo tocco, il bocciolo tremò lievemente e fiorì rivelando un bellissimo fiore bianco, con petali grandi come il palmo della sua mano e candidi come la neve.Finalmente pensò Amos l’ho preso finalmente.
Ma mentre pensava questo, il fiore iniziò ad annerirsi nelle mani del ragazzo a velocità incredibile.

I petali si fecero cenere mentre il ragazzo cercava inutilmente di inventarsi qualcosa.


Nulla.

Non poteva fare nulla per evitare che quel fiore si incenerisse nelle sue mani.
Amos strinse forte il fiore nelle mani.

Una giocosa folata di vento, che era riuscita a filtrare attraverso il verde muro di rami e foglie, soffiò su Amos, scompigliandogli i capelli e soffiando via la cenere del fiore via dalle sue mani.Con lo sguardo seguì la cenere volare via nel vento. Seguì tutti i curiosi movimenti con cui la cenere, trasportata dal vento, creava curiosi disegni evanescenti nell’aria. Una folata di vento più forte disperse la cenere. Ma un momento prima che la cenere sparisse dalla sua vista, Amos sentì un rombo assordante provenire dal terreno; si volse, ed era l’albero che tremava e si contorceva, scosso da irrefrenabili fremiti. Sembrava si stesse avvizzendo a vista d’occhio.
<< Cosa hai fatto! >> esclamò la nonna. Aveva gli occhi sbarrati, come se stesse assistendo ad un massacro.
<< Ho raccolto il fiore come mi avevi chiesto, ma si incenerito nelle mie mani… >> spiegò il ragazzo, distrutto dal senso di colpa, ma che non aveva la più pallida idea di ciò che stava succedendo.
<< Dovevi solo trovarlo, non prenderlo, magari strappandolo alla pianta! >> disse la nonna con le mani nei capelli. << Ma comunque non ho mai visto l’Albero reagire in questa maniera. Che hai fatto Amos, dimmi come l’hai preso.>> disse Angy, supplicando il ragazzo.
<< Beh ho visto il bocciolo e quando mi sono avvicinato per prenderlo…>>
<< Dovevi prendere il fiore, non il bocciolo. Ecco perché questa reazione, l’Albero non era pronto.>> lo interruppe la nonna, che prese a parlare da sola.
<< Nonna, non ho preso il bocciolo, ma il fiore>> spiegò Amos.<< Ma se hai appena detto che…>> iniziò la nonna.
<< Ho sfiorato il bocciolo e quello è fiorito! Ho preso il fiore non il bocciolo!>> disse il ragazzo interrompendo la nonna.
Nonna Angela rimase a bocca aperta. Non sapeva più cosa dire.<< Resta comunque il fatto che hai strappato il fiore alla pianta. Ecco perché la pianta sta morendo: gli hai strappato l’Ultimo Fiore…>> dopo aver pronunciato quel nome, gli occhi della nonna ebbero un fremito, e la donna rimase in piedi a fissare il vuoto.
<< Nonna? Che hai, stai bene?>> chiese il ragazzo, spaventato dalla strana situazione in cui si trovava: un albero millenario che, per quanto detto dalla nonna sembrava magico, moriva sotto i suoi occhi, e la nonna che sembrava in una sorta di trance.
Amos, spaventato, prese la nonna per la tunica e cominciò a strattonarla chiamandola, per svegliarla dal suo stato comatoso. Esasperato dai continui scricchiolii e potenti schiocchi provenienti dall’albero che si contorceva, e dalla nonna che, qualunque cosa lui facesse, lei non si muoveva, Amos stava iniziando a perdere la testa, e facendosi prendere dal panico, gridò << BASTAAAAAAAA!!>> e colpì la nonna con un manrovescio. A quel colpo, gli occhi della nonna, tornarono a brillare, e l’albero smise di scricchiolare. Scioccato dalla sua stessa reazione il ragazzo si accasciò a terra, in ginocchio, e si guardo la mano destra, con la quale aveva osato colpire sua nonna. Nel frattempo, la nonna, al colpo, uscì dal trance, e traendo un profondo respiro si lasciò andare a terra con violenza, sedendosi sull’erba. Un lungo momento di silenzio nella radura, poi l’albero ricominciò con gli scricchiolii.<< Oh no! Non di nuovo!>> disse il ragazzo.<< Amos, aspetta! C’è qualcosa di diverso nell’albero.>> disse la nonna al ragazzo, che aveva già preso la strada di casa.Amos si fermò un istante, cercando di capire a cosa si riferisse la nonna: lo capì al volo. L’albero non si stava contorcendo di nuovo, ma sembrava che si stesse quasi srotolando: stava ritornando alla posizione originaria. Amos rimase a guardare quello strano spettacolo, con gli occhi talmente fissi e aperti da sembrare che stessero per cadergli a terra da un momento all’altro. La nonna, che anche lei stava assistendo a quell’evento, scosse la testa come per scacciare un brutto pensiero, e sbattendo gli occhi più volte disse: << Amos, corri! Dobbiamo andarcene da qui, l’albero si sta seccando e presto si spezzerà e cadrà!>> dicendo questo, corse verso il nipote e lo prese per un braccio, cercando di portarlo via. Ma il ragazzo non si muoveva, nonostante la donna tirasse; Amos era incantato a guardare l’albero che si muoveva. La nonna allora strattonò più forte, e il ragazzo si girò: << Nonna lasciami, non c’è alcun pericolo. L’albero si sta fermando, guarda! >>, disse, indicando l’albero. La nonna guardò verso l’alto: il ragazzo aveva ragione, l’albero si era fermato,; ma mentre guardava in alto, una piccola fogliolina ancora verde si staccò dall’albero, e volteggiando nell’aria, passò affianco a lei, sfiorandogli il viso. Subito dopo quella, un’altra, e poi un’altra ancora.
<> disse la nonna, con un tono fra la meraviglia e l’orrore. Amos guardò in alto: una pioggia di foglie verdi stava cadendo dai rami sempre più spogli. Fra tutte le foglie che cadevano, due foglie, dal verde scuro, striate di bianco dalla luce del sole, si posarono sopra gli occhi del ragazzo. La nonna, alla vista della scena, scoppiò in una risata liberatoria, ma aveva un lieve tono di nervosismo nella voce. Tuttavia, il ragazzo non rideva; era rimasto immobile in quella posizione, nonostante tutte le foglie fossero cadute e l’albero fosse rimasto spoglio di tutto. Non aveva nemmeno tolto le foglie dagli occhi. Riprendendosi dalla risata, la nonna si avvicinò al ragazzo, e mettendogli la mano sulla spalla, lo scosse. Amos ebbe un fremito, e inarcando la schiena due volte, buttò in avanti la testa, facendo così cadere le foglie dagli occhi. Infine aprì la bocca in un grido e guardò verso l’alto: i suoi occhi avevano cambiato colore, divenendo del colore delle foglie che poco prima li avevano coperti: l’iride era divenuta verde scuro attraversata da piccole venature bianche. Il grido di Amos, si fece sempre più acuto, sino a diventare impercettibile, dopodiché il ragazzo chiuse gli occhi e si accasciò al suolo. La nonna, che lo aveva afferrato per un braccio lo sostenne, ma il ragazzo si era seduto per terra, dondolando la testa come se quella non avesse più sostegno; allora la nonna lo face sdraiare per terra, e sventolandogli la manica sulla faccia per farlo respirare, lo chiamava per nome.

<< Amos, piccolo dai riprenditi. Nipotino caro su svegliati, ti prego. Amos dai svegliati. Piccolo su, apri gli occhi.>>.
<< Nonna non chiamarmi piccolo, non lo sopporto.>> disse Amos con il tono di chi ha perso la voce, e con gli occhi ancora chiusi trasse un respiro profondo.La nonna sorrise, e disse: << Dai, ora apri gli occhi.>>.
<< Va bene >> disse il ragazzo, e aprì gli occhi, che erano tornati al colore normale, quello del legno di un albero antico e vivo. Guardò la nonna negli occhi, e la vide preoccupata. << Sto bene, nonna, niente di rotto.>> disse Amos per tranquillizzarla.
<< Va bene, ragazzo mio. Alzati ora.>> disse la nonna, ma Amos vide che la preoccupazione non era svanita dai suoi occhi, sebbene sorridesse.

Lo sguardo di Amos venne attratto da qualcosa di curioso: l’albero completamente spoglio, stava emettendo delle piccole gemme verdi dai rami, cosa che negli altri alberi avveniva circa nel giro di qualche ciclo lunare. Allora tentò di richiamare l’attenzione della nonna, che ancora lo scrutava in viso alla ricerca di qualcosa: << Nonna, guarda. >> disse, indicando i rami.
La nonna si volse e rimase meravigliata: le gemme si erano trasformate in boccioli.
<< La Prova finale! Ecco cosa faceva l’albero.>> disse la nonna, e subito dopo assunse un’aria pensierosa, e iniziò a balbettare tra se e se: << Ma non aveva mai fatto così, nemmeno con Marc, o Servant. >>.
<< Prova Finale? Quale prova finale, di che parli nonna!>> chiese Amos, ora preoccupato per cio che doveva fare: non aveva nessuna intenzione di arrampicarsi nuovamente su quell’albero, specialmente dopo che l’aveva visto muoversi in quella maniera.
<< La Prova Finale, caro, è semplicissima.>> disse la nonna, e lo invitò a seguirla.
Andarono vicino al tronco, ai piedi dell’albero e si sedettero su una radice grossa che spuntava dal terreno. << Ora, la prova è questa: l’albero misurerà il tuo potenziale magico. Ma in maniera piuttosto particolare. Vedrai.>> disse la nonna, e poggiando una mano sulla grossa radice, chiuse gli occhi, e pronuncio delle strane parole, in seguito alle quali la mano della nonna prese a brillare di un viola chiarissimo, che poi si spense subito. L’albero, come se rispondesse ad una domanda, vibrò, e dalla radice su cui erano seduti, spuntò una piccola gemma, che crebbe lentamente, divenendo un ramo, e curvandosi, si diresse verso il ragazzo. << Tranquillo, nipote, non ti farà del male. >> disse la nonna per tranquillizzare il ragazzo, che si era spostato per schivare la pianta. La gemma sulla punta del ramo si shiuse e ne fuoriuscì una gigantesca foglia, grande quanto un braccio umano, ma uguale alle foglie dell’albero, e quella si porse ad Amos. << Che devo fare nonna? >> chiese il ragazzo.
<< Niente di difficile, devi solo posare la mano sulla foglia. >> spiegò la nonna.
<< Va bene.>> disse Amos e, pur diffidente, pose la mano sulla foglia.
<< Ora dovresti sentire una piccola…>> ma la nonna non finì la frase.
<< AAAAAAAAHI!!! >> gridò Amos: una spina a forma di ago era uscita dalla foglia ed era entrata nel polso del ragazzo attraverso il palmo.
<< Potevi dirlo prima?! >> grido il ragazzo alla nonna, ma quella si scusò dicendogli che non aveva fatto in tempo ad avvertirlo.
<< Ora, grazie al tuo sangue, l’albero misurerà il tuo potenziale.>> spiegò la donna.
<< Come?>>, chiese il ragazzo.
<< Fiorendo. Sbocceranno tanti fiori quanto grande è il tuo potenziale, ma ci vorrà un po di tempo. Inoltre, i fiori avranno un colore diverso dal normale, e quello indichera a quale elemento sei portato.>> rispose la nonna.
<< Tu quanti fiori avevi? >> chiese Amos per ingannare l’attesa e per ignorare l’ago nel polso.
<< Cinque fiori. Il numero più alto della storia dei maghi della nostra famiglia.>> disse la nonna, con fierezza e orgoglio.
<< Ah. E qual’ è il numero più alto di fiori che sia mai sbocciato?>> chiese Amos, incuriosito.
<< Sette. >> rispose la nonna. << Ed il Mago a cui quel numero appartiene è il nostro attuale re. >> disse la nonna.

<< WOW! Allora sei davvero potente.>> disse Amos meravigliato. << Io invece come minimo avrò un solo fiore, sempre che sbocci.>> disse il ragazzo rattristandosi.
<< Ma no su vedrai. E comunque guarda che uno o due fiori non sono male, significa che sei abbastanza forte.>> disse la nonna, per tirarlo su di morale.
<< Va bene. Se lo dici tu.>> disse Amos.
Un fremito percosse la radura.
<< Oh, ecco. L’albero ha finito. Vieni.>> disse la nonna, rivolgendosi al ragazzo.
Amos sentì l’ago ritrarsi dal braccio, e la foglia si ritirò nella punta del ramo, che sparì nella radice da cui era uscito.
Il ragazzo si alzò e seguì la nonna fino a un punto nella radura dal quale si poteva ammirare tutta la chioma. I rami si erano riempiti di boccioli, che sembravano pronti a schiudersi. Un secondo fremito, poi il miracolo: con un lieve suono, simile allo schiocco di dita, tutti i boccioli si schiusero, rivelando fiori bianchissimi, ed ogni bianco petalo era attraversato da una linea verde chiaro che serpeggiava fino al centro del fiore.

Il ragazzo e la donna rimasero a bocca aperta, in silenzio.

Nessuno dei due fiatava.
Fu la nonna a rompere il silenzio: << Deve esserci un errore. Non è possibile. >> disse la nonna, che non credeva ai propri occhi.
<< Sicuramente. Non posso essere più forte del nostro re. >> disse Amos, rifiutando il significato di quel fenomeno. << Comunque la prova non la rifaccio.>> disse, rifiutando qualsiasi verifica.
La nonna si era avvicinata all’albero, e facendo gli stessi gesti che fece sulla radice, chiese all’albero se avesse sbagliato. Ma l’albero, con un’esplosione di energia verde, fece saltar via la nonna, che fu soccorsa dal ragazzo.
<< Nonna stai bene? Che ha detto?>> chiese il ragazzo.

<< Tranquillo sto bene. Non ha sbagliato. Ha ragione lui.>> disse la nonna, meravigliata.
<< Tu, Amos Eruner Pendragon, sei il Guardiano dell Yggdrasil. Ed io sono stata nominata tua tutrice.>> disse la nonna, sollevando il palmo, e mostrandolo al nipote: al centro del palmo, vi era una piccola stella a cinque punte racchiusa in un cerchio.

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Capitolo 5
*** Guardiani e Tutori ***


Capitolo IV

Guardiani e Tutori

 

<< Guardiani? Tutori? Nonna ma di che stai parlando?>> chiese il ragazzo confuso.<< Sto parlando dei tuoi recenti attacchi, di come si è comportato l’albero al tuo tocco e di come ha reagito poco fa... Parlo del tuo destino Amos. Tu sei il Guardiano…>> <> chiese il ragazzo, confuso. Allora la nonna si sedette su una roccia ai piedi dell’albero e prese a parlare: << Devi sapere che centocinquanta anni orsono, in un luogo sperduto ora noto come la Piana del Sigillo, una potente maga e un antico demone si scontrarono dando vita ad un duello senza esclusione di colpi…>>.
<< Perché adesso mi stai raccontando questa storia? La conosco già, grazie.>> disse il ragazzo interrompendo la nonna.
<< Come? La conosci già?! E chi te ne ha parlato? >> chiese la nonna, incuriosita.<< Nessuno. L’ho letta in uno dei libri di papà. Mi pare si chiamasse “Origini e Formazione dei Luoghi Magici delle Terre di Isil”, credo.>> disse il ragazzo.<< Esattamente cosa sai di questa storia? >> chiese la nonna.
<< Non molto, a dire la verità.>> disse il ragazzo. << Il libro non era proprio dettagliato. So soltanto che circa duecento anni fa la Piana non esisteva e che fu originato dallo scontro della maga Angela Pendragon con un demone molto potente chiamato Morion. Non si sa molto sulla battaglia, ma si sa che la maga utilizzò il sigillo più potente mai creato per rinchiudere il demone in una gigantesca ameth. L’esplosione di energia che derivò dalla chiusura del sigillo creò un’enorme cupola che rese il terreno sterile per circa 20 miglia, creando quella zona ormai nota con il nome di Piana del Sigillo. Inoltre sul bordo della piana cresce una pianta medicinale molto potente che non cresce da nessun’altra parte nel mondo e viene chiamata Fiore di Ameth, poiché il colore dei petali è identico alla pietra in cui è stato rinchiuso Morion. Inoltre, vicino alla pietra, è nato dal nulla un albero che si stima abbia 150 anni quindi probabilmente ha assistito alla furiosa battaglia. L’albero viene chiamato Albero di Ameth, perché i suoi frutti sono delle bacche simili in forma e colore alla pietra.>> concluse il ragazzo, con un sorriso trionfante per aver dimostrato quanto fosse ampia la sua conoscenza.<< C’è una cosa che non sai…>> disse la nonna, frantumando l’orgoglio del ragazzo in un solo istante.
<< E cosa sarebbe?>> chiese il ragazzo, con un tono che dimostrava che il suo momentaneo orgoglio era andato in pezzi.
<< Nessuno, oltre a te, dovrà venire a conoscenza di questa informazione. È estremamente riservata. Io conosco l’identità della maga.>> disse la nonna con un tono triste, come se ricordasse tempi oscuri.A quelle parole, Amos sbarrò gli occhi: nessuno era a conoscenza di tale informazione, nemmeno i maghi più antichi e più saggi, visto che quella battaglia fu talmente violenta che anche se ci fossero stati dei testimoni, la furia del cerchio incantato usato dalla maga li uccise, portando alla stessa fine anche la maga. Come può mia nonna conoscere il nome della famosa maga che distrusse Morion? si chiese il ragazzo e rivolse la stessa domanda alla nonna.
<< Perché… vedi nipotino caro… sono io quella maga… il mio nome è Maria Angela Pendragon. Sono io quella che ha sconfitto Morion, il Grande Demone.>> disse la nonna con una faccia che, nonostante il suo nome corrispondesse a prodezze leggendarie, non dimostrava fierezza, bensì tristezza e dolore.Amos, che dapprima era rimasto sbigottito dalla notizia, scoppiò a ridere.
<< Perché ora ti sei messo a ridere? >> chiese la nonna, tra l’imbarazzo e lo stupore.
<< Come puoi pretendere che io creda ad una cosa tanto poco credibile. In una sola giornata mi hai rivelato che sei una maga, che io sono dotato di poteri magici, che vicino a casa c’è un Yggdrasil, l’albero magico più potente della creazione, che ho un potenziale magico più grande del nostro re, e che sono anche il nipote della maga che sconfisse il Grande Demone e che guarda caso quella maga sei tu… e io dovrei crederti? E come potrei, è tutto così incredibile, così assurdo!>> disse il ragazzo e scoppiò in una chiassosa risata nervosa.La nonna si sentì profondamente offesa dalle parole del ragazzo, ma non lo diede a vedere e girò le spalle per evitare che il nipote potesse vedere le lacrime che di li a poco sarebbero sgorgate dai suoi occhi.
<< Fai come ti pare, puoi credermi o meno. Fatto sta che queste cose sono tutte reali e prima o poi dovrai prendere coscienza di questo, in un modo o nell’altro.>> disse la nonna, e si diresse verso casa.
<< Comunque ti consiglio di fare ritorno a casa il prima possibile, visto che si sta facendo notte e dentro il bosco il buio cala prima. E non so se ti conviene restare fuori al buio.>> disse la nonna, uscendo dalla radura, ma il ragazzo non la sentì perché si stava ancora riprendendo dalle risate.
<< Nonna scusa, ma come pretendi che io possa credere a una cosa del genere?>> chiese il ragazzo, asciugandosi le lacrime che gli erano sgorgate per il troppo ridere. Ma non ricevette risposta.
<< Nonna!>> chiamò il ragazzo. << Dove sei? Nonna dai vieni fuori.>> disse, ma non ricevette risposta.Allora si mise a chiamarla a gran voce. Ma non ricevette nessuna risposta. Capì allora di essere rimasto solo, e intanto il buio era calato. La paura iniziò ad insinuarsi nel suo cuore e a farsi spazio nella sua mente, come un verme che si insinua in un frutto maturo, ed inizia a consumarlo dall’interno. In quel momento, i sensi di Amos si potenziarono, e coglieva ogni minimo rumore, dandogli forse più attenzione di quella che in genere gli dava. Allora, il rumore di una foglia che cade da un albero divenne il rumore di un macigno che cade in mare, il suono di un ramo che si spezza divenne simile ad un esplosione, e la paura cominciò ad impadronirsi del cuore del ragazzo.Il rumore di un ramo che si spezzava vicino a lui lo fece sobbalzare, e girandosi di scatto vide una figura alta e grossa che gli dava le spalle, e che in quella penombra poteva benissimo essere sua nonna.

<< Nonna? >> chiese il ragazzo, ma in risposta ricevette uno sbuffo che nell’aria fredda della notte si condensò ed usci dalla bocca della figura come una piccola nuvola di fumo. La luna, ormai alta nel cielo, si trovava in una fase che si approssimava alla pienezza, quando la sua luce venne offuscata da una nuvola. La grande figura davanti al ragazzo si girò verso di lui, mostrando due grandi occhi gialli, dal carattere animalesco. Un brivido di freddo percorse la schiena di Amos, e un vago senso di morte cominciò a sostituirsi alla paura. Un secondo sbuffo di fumo uscì dalla bocca della gigantesca figura, stavolta talmente caldo che come uscì si condensò in piccole goccioline che caddero al suolo come una piccola pioggia.
La nuvola passò da sopra la luna, e la sua luce tornò ad illuminare qualsiasi cosa, anche quello che il ragazzo non avrebbe mai voluto vedere: la grande figura, colpita dalla luna, mostro tutto il suo terribile splendore. Era molto simile ad un essere umano, se non fosse stato per i suoi occhi gialli come e la sua faccia, che sembrava essere coperta di cicatrici che risplendevano come minuscoli specchi quando colpiti dalla luce della luna. Inoltre aveva delle gambe simili a quelle umane, se non fosse per il fatto che aveva le ginocchia nella parte posteriore della gamba, come i gatti. E le braccia, lunghe fino a terra, avevano mani dotate di dita lunghissime simili ad artigli, i quali riflettevano la luce della luna come l’acciaio.
E poi l’odore che il suo corpo e il suo respiro emanavano, ricordavano al ragazzo quello dei cadaveri. Un vago sentore di morte invase la radura, e il ragazzo ebbe davvero paura. Quella cosa l’avrebbe sicuramente ucciso, e, poteva scommetterci, non avrebbe lasciato avanzi del pasto. La creatura fece un passo avanti, e la paura si impadronì completamente del ragazzo che senza pensarci due volte si girò di scatto e si mise a correre. Ma la creatura era troppo veloce per lui, e lui non sapeva dove andare: non voleva inoltrarsi nel bosco per paura di trovare altri mostri, ma non aveva altro posto dove andare perché ormai aveva percorso tutta la radura. Non posso continuare a correre in eterno, pensò il ragazzo. Se devo morire stanotte lo farò combattendo fino all’ultimo, si disse, e senza pensarci due volte, si arrampicò sull’albero, dal quale poteva vedere bene i movimenti della creatura. Questo bastardo è un predatore che si diverte a giocare con la sua preda, prima di farla a brandelli con i suoi artigli, pensò Amos analizzando i movimenti della creatura e il suo comportamento, mentre quella girava intorno all’albero aspettando il momento giusto per attaccare o semplicemente che il ragazzo cadesse dal suo nascondiglio. Ma se è così si aspetterà una brutta sorpresa, si disse e cercò sull’albero un ramo che potesse fare al caso suo. Lo trovò poco più in la di dove lui era seduto, un lungo bastone con la punta curvata verso l’interno, come un gancio. Bello! Ma come faccio a staccarlo? Come per esaudire un suo desiderio, la base del ramo si seccò fino a staccarsi completamente, cadendo in grembo al ragazzo. Grazie! Pensò il ragazzo, ringraziando l’albero.
Con la sua nuova arma, il ragazzo si fece coraggio e aspettò il momento giusto per attaccare la creatura immonda che stava gironzolando intorno all’albero. Quel momento arrivò quando un ramo si stacco dall’albero su cui il ragazzo era seduto: il mostro si girò di scatto, come solo una bestia demoniaca può fare, e si diresse verso il punto da cui il rumore proveniva. ORA! Pensò il ragazzo e saltando giù dal suo nascondiglio, colpi il suo nemico con la parte uncinata del suo bastone, facendogli sbattere la testa contro un macigno ai piedi dell’albero. La creatura si riprese subito dal colpo e alzandosi mostrò un viso schiacciato e violaceo a causa del forte colpo. Ora la creatura non era più affamata, ma cercava solo vendetta; vendetta contro la preda che aveva osato attaccarlo. Il sangue colava dalla sua fronte sull’occhio destro,un sangue nero che sapeva di cadavere. Il ragazzo fissava quel mostro con uno sguardo terrorizzato ma che dimostrava di non aver nessuna voglia di morire.
L’attacco che seguì agli sguardi arrivò dal mostro, che si scagliò contro il ragazzo con un urlo così stridulo che fece ghiacciare il sangue nelle vene del ragazzo. Il braccio del demone si alzò e si abbatté sul ragazzo con forza sovrumana, tanto da scagliarlo a terra lontano dall’albero; ma il ragazzo, reggendosi sul bastone, si risollevò e schivando il nuovo attacco del mostro, colpì quest’ultimo utilizzando il bastone come una clava e tutta la forza che aveva in corpo, mandandolo a sbattere contro il tronco dell’albero al centro della radura. Ma il mostro si riprese, e con uno scatto di reni si alzò e si scagliò nuovamente contro il ragazzo, ma questo era pronto e lanciandosi contro il suo avversario anche lui. Quando furono vicini l’uno all’altro, Amos prese il mostro al collo con il suo bastone uncinato e tirando indietro lo mandò nuovamente a sbattere contro l’albero. Il mostro scosse la testa, stordito dal colpo, e si scagliò nuovamente contro il ragazzo, nell’ennesimo tentativo di uccidere il suo avversario. Ma la sua vittima fece qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. Nell’attacco precedente, dopo aver mandato a sbattere il mostro contro l’albero, il ragazzo era inciampato sui suoi stessi piedi ed era rimasto per terra, quindi il demone cercò di finirlo infilzandolo con i suoi artigli d’acciao. Ma il suo braccio non sfiorò mai il ragazzo: questi si era girato durante l’attacco, e mentre stava per essere colpito gridò <> ed una barriera di energia verde apparve attorno al ragazzo mandando in frantumi il braccio del mostro, che, urlando di dolore, si strinse il moncherino. Il ragazzo, in quell’attimo di confusione si risollevò da terra, e stupito, fissò la barriera che lo circondava. In un ultimo, disperato, impeto d’ira, il mostro corse contro il ragazzo per strappargli la vita dal viso ma il ragazzo gridando ancora fece espandere la barriera, che assumendo il colore delle fiamme, colpì il demone, ricoprendolo di piccole fiammelle nere che lo fecero gridare di dolore.
Allora il mostro, che prima di quel momento non aveva mai dato segno di tale capacità disse: << Non posso ucciderti, Mago. Ma questo non mi impedisce di maledirti.>>. La sua voce roca e cavernosa erano spaventose, ma più spaventoso fu quello che fece in seguito. Infilando un’artiglio all’interno dell’orbita dell’occhio destro, si cacciò fuori l’occhio con un urlo di dolore, e questo lo tirò contro il ragazzo.

L’occhio colpì la barriera, la mandò in frantumi e centrò l’occhio destro del ragazzo che gridò per il dolore.

<< Questa è la mia maledizione, ragazzo.>> disse il demone.<< Sha-Rion è il suo nome. Perché questa è ciò che caratterizza l’animo dei Demoni Cacciatori!>> disse il demone, e corse via, in fiamme, ma ridendo.Il ragazzo allora scoppiò in lacrime, e corse via anche lui, verso casa.

 

La nonna, dopo aver lasciato la radura, si diresse nuovamente in camera sua, passando dal solito corridoio segreto.Una volta uscita da dentro la botola, richiuse il coperchio, lo coprì con il tappeto colorato e andò verso il suo armadio per cambiarsi i vestiti. Si tolse quelli da cerimonia, sui quali recitò un incantesimo ed essi tornarono puliti e splendenti come la prima volta, li piegò e li rimise nella scatola in fondo all’armadio dove li teneva nascosti. Cercò dei vestiti comuni, che si addicevano meglio al suo stato di anziana del villaggio, e scelse una lunga veste blu notte, che li arrivava alla caviglia e lasciava liberi i piedi. Poi prese delle scarpe dal fondo dell’armadio e le indossò, pronta per rimettersi a lavorare sulla sua opera con i ferri. I suoi capolavori erano noti in tutta la regione per la bellezza e la raffinatezza dei ricami e l’utilizzo di colori sempre vivi che non sbiadivano nel tempo; la nonna infatti era famosa per la sua dote nel ricamo e nel rammendare tutto quello che gli veniva chiesto, rendendolo bellissimi anche i più semplici centrini da tavola. Talvolta era stata anche lei a corte, per rammendare delle tende o per creare semplici indumenti come scialli e foular, che di rado venivano impiegati per paura di rovinare tali opere d’arte. In quel momento aveva appena iniziato un suo nuovo lavoro, che ancora non aveva preso una forma definita, di cui era a conoscenza solo la tessitrice.
Mentre stava lavorando alla sua nuova opera, la nonna percepì qualcosa, un insolito picco di magia era presenta nell’aria, molto più elevato di quelli che avvenivano normalmente in natura. Il suono sordo di una lontana esplosione catturò la sua attenzione, e, in quel momento, affacciandosi al balcone della sua camera, vide che qualcuno stava attraversando la foresta di corsa. I suoi pensieri corsero immediatamente al nipote; poi vide che la figura in corsa era ricoperta da quelle che sembravano fiamme nere e viola. Oh no! Amos è in grave pericolo! Pensò la donna, e corse subito a spostare il tappeto, pronta ad aprire la botola per dirigersi alla radura. Ma qualcosa la fermò; qualcosa che non avrebbe dovuto sentire: una risata selvaggia e perversa attraversò l’aria. La nonna riconobbe subito il tipo di risata, caratteristica solo di quel tipo di creatura. Demoni Cacciator d’Anime! Amos è in gravissimo pericolo! pensò l’anziana donna, e subito aprì la botola pronta a tuffarcisi dentro per soccorrere il suo adorato nipote. Ma una volta aperta, fu proprio da dentro la botola che il ragazzo uscì, disperato, in lacrime e coperto di sangue e qualcosa di nero e puzzolente.
Sangue di demone? Non dirmi che… pensò la nonna, scartando subito un’idea assurda come quella che le era venuta in mente.
<< Amos caro, cosa ti è successo? >> chiese invece la nonna, preoccupata per le condizioni del ragazzo.
<< Ti stavo cercando, quella cosa mi ha attaccato e io sono scappato…>> rispose il ragazzo tutto d’un fiato. Poi ricominciò: << Sono salito sull’albero, che mi ha dato un bastone e io ho picchiato quella creatura… poi quel coso mi ha attaccato e io… io… non lo so… qualcosa l’ha spinto via e poi la creatura ha preso fuoco…. E quella mi ha colpito all’occhio con qualcosa di tondo…. Credo che fosse un suo occhio… poi ha detto qualcosa come – ti maledico, mago – cosa è successo, nonna? Ho paura!>> disse il ragazzo, singhiozzando tra una frase e l’altra.
<< L’albero ti ha dato un bastone? La creatura ha preso fuoco? Ti ha colpito con un suo occhio? Amos cosa stai dicendo? Rilassati adesso e raccontami tutto nel dettaglio.>> disse la nonna.
Allora il ragazzo, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, prese un bel respiro per rilassarsi e raccontò la sua disavventura alla radura.Dopo aver ascoltato tutto con attenzione, la nonna posò le sue mani sulle spalle del ragazzo e tirandolo a se lo strinse in un forte abbraccio.
<< Ora è tutto finito, mio caro. Ora rilassati. >> disse al nipote. << Io lo sapevo che eri davvero potente. Hai dato fuoco ad un Demone Cacciatore, figliolo. Non è cosa da tutti. >> disse la nonna, ritornando indietro con la mente a tempi ormai lontani.
Il ragazzo sorpreso si allontanò dalla nonna. << Come fai a saperlo? >> chiese il ragazzo.
<< Sapere cosa? Del demone? Tutti i demoni di quel livello sviluppano fiamme nere se toccato dal Fuoco dei Maghi. >> spiegò la nonna.
<< Come fai a… allora è vero! >> balbettò Amos. << Allora è vero ciò che mi hai detto. Tu sei veramente la famosa Maga che sconfisse Morion, il Grande Demonio.>> disse Amos sbalordito.
<< Ti chiedo umilmente scusa, per non averti creduto e per aver riso di te a quel modo.>> disse il ragazzo, e nel farlo alzò la testa per guardare la nonna in viso.Solo in quel momento la nonna si rese conto della reale gravità della situazione. Nell’iride dell’occhio destro del ragazzo era apparso un sottile cerchio nero con quattro punti neri sopra, disposti come i punti cardinali: il sigillo dei demoni cacciatori.
<< Oddio ragazzo. Che cosa ti ha fatto quella creatura? >> chiese tristemente l’anziana donna.
<< Te l’ho detto nonna. Lui mi ha attaccato, io mi sono nascosto sull’albero. Poi io l’ho attaccato con il bastone e lui mi ha tirato quello che credo fosse un suo occhio e mi ha centrato qui.>> disse il ragazzo indicandosi l’occhio destro, che oltre ai strani segni risultava anche arrossato e infiammato.
<< Ho capito. Amos questa è una cosa molto grave, significa che sei stato maledetto.>>
<< Si, ha detto proprio così quella cosa.>> disse il ragazzo, interrompendo la nonna.<< La maledizione che ti ha lanciato non è una banale maledizione. È una cosa molto più rara, un sigillo. E fra tutti quelli esistenti questo è uno dei più rari, anche se non uno dei più potenti a dire la verità.>> spiegò la donna, cercando di rassicurare quanto poteva il nipote.
<< Nonna, il demone ha detto che questo sigillo mi obbligherà a sfogare la mia rabbia in maniera incontrollata. È vero? >> chiese Amos.
<< Questo sigillo influenza i tuoi stati d’animo, ma da essi è a sua volta influenzato. Perciò non è vero che non si può controllare. Basta imparare a controllare se stessi, le proprie emozioni.>> spiegò la nonna.
<< E questo come posso farlo? Non ho nessuno che possa…>> si interruppe a metà della frase, colto da un’improvvisa idea.

<< Ho capito! Questo è il compito del Tutore, il tuo compito! Quello di aiutare il Guardiano nel suo addestramento, giusto?>> disse Amos, anche se conosceva già la risposta.
<< Certo nipotino mio, questo è il mio compito. Io, Angela Maria Julia Pendragon, Tutrice del Guardiano dell’Equilibrio Amos Eruner Pendragon, ti aiuterò nell’arduo compito di controllare il male e il bene.>> disse la nonna in tono solenne.
<< Wow. Ah nonna, volevo chiederti: perché mi chiami Eruner? Cosa significa?>> chiese il ragazzo.
<< Eruner è il tuo nome da mago. Tutti i maghi esistenti hanno oltre al loro nome di nascita anche un nome, che in genere viene deciso dai loro maestri. Invece nel tuo caso è stato l’Albero a decidere il tuo nome al posto mio.>> disse la nonna, con una breve nota di malinconia nella voce. Poi riprese: << Beh del resto mi ha fatto un favore. Non ho la più pallida idea di che nome avrei potuto darti.>> disse la nonna, concludendo con una breve risata.
<< Bello, mi piace. >> disse il ragazzo. << Ma cosa significa?>> chiese.
<< È elfico antico, molto probabilmente uno dei linguaggi dialettali elfici. Credo che sia la lingua degli Elfi Verdi, gli abitanti dei boschi. Dovrebbe significare “dono di Madre Natura”, credo.>> rispose la nonna.
<< Credo? >> chiese il ragazzo, con una nota di sarcasmo.
<< Si beh il mio elfico si è ultimamente arrugginito. Sai non sono molti quelli in grado di parlare ancora l’Antica Lingua.>> disse la nonna e poi si mi se a ridere e il nipote si mise a ridere con lei.

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