Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Sono Usagi Tsukino, ho 19 anni, frequento la 5a liceo quindi tra poco
avrò gli esami di maturità e
Cap. 1- Buio
“Sono
UsagiTsukino e sono una
ragazza obesa. Tutti i dottori mi prospettano le migliori e più rosee
previsioni tra ictus, infarti e chi più ne ha, più ne
metta, ma di tutto questo non mi interessa. Al momento la mia vera e unica
malattia è la solitudine. Nessuno si è mai chiesto che cosa provi una persona
con tale problema, è molto più facile deriderla, prenderla in giro. Eppure il
grasso che da anni mi avvolge è una barriera che allontana tutti, per non
parlare degli uomini. Un po' li odio...in fondo la
maggior parte delle persone che mi prendono in giro sono di genere maschile. E
poi chi vuole un galleggiante affianco a sé? Dicono che l'aspetto non conti,
che vale ciò che si ha dentro... io ho un carattere mite e accondiscendente
eppure sono amica di tutti e di nessuno. Tutti mi vogliono bene, ma non ho
l'”Amica”. Inoltre questo carattere mi ha solo reso una più facile preda dei “brutta cicciona, povera tua madre”.
Invece
io vorrei qualcuno che fosse al mio fianco, che mi amasse per quello che sono,
che mi facesse capire qual è il mio scopo nella vita, perchè
ancora io non l'ho capito. Esisto ma non vivo. Nelle mie decisioni scelgo
sempre la via più facile che poi si rivela un a scelta
presa a caso che rafforza il mio “non essere”.
Dicono
che sono carina, che ho dei bei lineamenti e un bel
volto, che dovrei valorizzarmi. Potrei truccarmi? A cosa serve mascherare un
volto quando il corpo rimane lo stesso! Potrei vestirmi bene? Andate in un
negozio di taglie forti e ditemi cosa trovate e quanto spendete; la maggior
parte dei capi sono da signora e costano una
fortuna...70-80€ al capo, se va bene...per non parlare dell'intimo: classiche
mutandone della nonna eun paracadute
bianco a posto del reggiseno. Morale della favola: anche la società relega gli
obesi ad un angolo, punendoli per il loro esistere,
non permettendo anche a chi è giovane come me di poter esprimere la sua
femminilità. Inoltre, vista la mia mole, anche il mio piedino misura ben 44/45,
di conseguenza se voglio un paio di scarpe da donna, devo andare in negozi
specializzati che si trovano a qualche ora di treno. A tutto questo qualcuno ci
aveva mai pensato? Molti obietteranno: “mettiti a
dieta”. Purtroppo non mi voglio sufficientemente bene per riuscire a
controllare la mia fame nervosa.”
Erano
questi i pensieri che affollavano la mia mente, mentre, piangendo per l'ennesima
presa in giro, correvo verso il parco. E' l'ora del tramonto, a quest'ora non c'è nessuno. Finalmente giungo a destinazione. Ho il
fiatone e le lacrime continuano a solcare il mio viso. Per fortuna c'è sempre
lei, l'altalena, che mi accoglie nei miei momenti di sconforto, anche se le sue
catene mi stringono un po' i fianchi. Inizio a dondolarmi leggermente, quando
avvisto una chioschetto di onigiri. Ne prendo 5 e torno al dolce movimento oscillante dell'altalena. Con
una mano mi tengo e con l'altra ingurgito il mangiare
senza neanche masticarlo. Lui, il cibo, non mi tradisce mai e mi consola
sempre. Continuo a piangere, osservando il cielo sempre più rosso-violaceo.
-Tieni, asciugati le lacrime-
Accanto
a me si era seduto un ragazzo sull'altalena affianco alla
mia e mi porgeva il suo fazzoletto...
-Grazie-
risposi con voce tremolante, ancora sbigottita dall'atteggiamento del
ragazzo.
-Ti
ho visto piangere da lontano e mi chiedevo se avessi bisogno di
aiuto.-
Non
sapevo come comportarmi, provavo imbarazzo all'idea che un estraneo e
per di più di sesso maschile avesse visto una mia parte così
intima e fragile! Da un lato il mio desiderio era solo quello di
essere lasciata sola, poi sarei tornata a casa e avrei fatto finta di
niente, come sempre d'altronde. Dall'altro, qualcosa mi diceva che di
lui potevo fidarmi, che lui mi avrebbe capito e così decisi di
rispondergli sinceramente.
-Ehm...io...veramente...stavo
solo piangendo...perchè mi hanno presa in giro, per il mio
peso. Ma ormai ci sono abituata.-
-Se
ci fossi davvero abituata non ci soffriresti così tanto.-
A
tali parole le lacrime tornarono a sgorgare prepotenti e impetuose
sul mio viso. Era la prima volta che qualcuno si interessava a me, al
mio star male. Era il primo uomo che si rivolgeva a me con tono dolce
e sincero.
-Non
piangere. Ogni essere umano ha un valore inestimabile. Può non
essere compreso dagli altri, ma sei tu la prima a doverlo
comprendere, a non doverne dubitare. E devi essere tu per prima ad
accettare te stessa e il tuo corpo; se non lo fai tu, come puoi
aspettarti che lo facciano gli altri? Nel momento in cui ti sarai
accettata, potranno dirti qualsiasi cosa, ma questa non ti scalfirà
perché sarai consapevole che tu sei più forte di chi ti
aggredisce verbalmente. Inoltre potrebbe anche succedere che perderai
peso spontaneamente, perchè proprio in seguito a questo tuo
cambio di prospettiva, cambierà anche il tuo modo di reagire
alle cose, non sfogandoti sul cibo-
-Mi
hai visto mentre mangiavo gli onigiri...-
-Sì,
ma non devi vergognarti per questo. Non pensare di essere l'unica a
farlo. Ci sono tantissime persone che hanno il tuo stesso problema o
anche il problema opposto. Lo so per esperienza purtroppo.-
-Per
esperienza? Ma tu chi sei?-
-Sono
Mamoru Chiba, psicologo del centro disturbi alimentari di Tokyo. Da
piccolo per anni ho sofferto anch'io di questo tipo di disturbi, ma
per fortuna un amico dei miei genitori mi ha aiutato a uscire da
questo tunnel, portandomi in un centro assistenza e da uno psicologo.
In seguito a questa esperienza ho deciso di laurearmi in psicologia
alimentare. Voglio aiutare gli altri. Voglio aiutare chi sta male
come te. Tieni questo è il mio biglietto da visita. Se vuoi
intraprendere questo percorso di guarigione non esitare a chiamarmi.
Ora tocca a te decidere cosa fare della tua vita e credimi, non sei
destinata a soffrire. Ti attende un destino più grande e
brillante. Ricorda che ogni fanciulla ha dentro di sé una
principessa-
Ebbi
un sussulto. Le sue parole mi avevano aperto un mondo, mi avevano
dato una speranza. Il suo sorriso angelico aveva toccato le porte, da
troppo tempo chiuse, del mio cuore. E chissà, forse era
davvero un angelo? Sentivo che era giusto seguirlo …sentivo
che qualcosa si era mosso dentro di me...
Ecco
svelato chi era il misterioso ragazzo...come hai fatto a indovinare
Cri Cri??XD Intanto grazie davvero di cuore a chi ha letto e/o
commentato.
@Bene91:
come vedi ho esaudito il tuo desiderio. Spero che il capitolo ti sia
piaciuto:)
@Federika21:intanto
grazie della recensione:) Preciso che in generale i miei capitoli
avranno la lunghezza del primo. Preferisco centrarmi su un unico
evento per capitolo e dividere di più la storia;) Intanto
spero che il seguito non ti abbia deluso:)
@Cri
Cri: non sono nuova, ma decisamente leggo più di quel che
scrivo...insomma sono comunque una novellinaXD Sono contenta che
l'argomento ti sia piaciuto; era proprio questo il mio scopo, far
riflettere e far vedere le cose da una prospettiva diversa. Spero di
esserci riuscita:)
@luciadom:
visto? I'm backXD Grazie davvero della tua accoglienza calorosa:) Per
gli errori spero di non averne fatti stavoltaXD Fammi sapere che
pensi del capitolo:)
@Miss
Demy: grazie davvero, i tuoi complimenti mi lusingano e dal tuo
commento posso dire già di aver raggiunto il mio obiettivo di
far riflettere su questo tema. Il che mi dà davvero enorme
soddisfazione! Spero che il seguito ti piaccia:)
@Yammi:
eh hai ragione, me lo sono chiesta anch'io. A parte il fatto che al
mondo di Sailor Moon sono affezionata sin da piccola, credo che come
me ci siano migliaia di fan e ho pensato che magari coloro che
soffrono di problemi alimentari possano accettare di più uno
spunto di riflessione da una storia con personaggi di fantasia a cui
sono affezionati piuttosto che a personaggi nuovi in cui l'eccessiva
identificazione porterebbe a un rifiuto immediato dell'argomento. Non
so se mi sono spiegata beneXD
Ok
lo so, non è un capitolo nuovo, ma ho apportato delle
modifiche nella parte centrale. Il succo non cambia ma la forma sì.
Spero che questo aggiornamento sia comunque gradito. Buona lettura:)
Cap.
3- Decisione
Rientrai
a casa con la testa tra le nuvole. Quasi non mi accorsi di salire le
scale che conducono in camera mia, almeno fino a quando l'ultimo
gradino traditore non mi fece inciampare riportandomi alla realtà.
Chiusi
la porta alle mie spalle e mi sedetti per terra, con la testa
appoggiata al letto. Frugai tra le mie tasche ed eccolo lì, il
biglietto da visita di Mamoru. Iniziai a fissarlo.
Non
so, l'idea di andare dallo psicologo mi rende riluttante, mi fa
sentire malata, mentre io sono solo obesa, non ho mica problemi di
personalità! E poi chi si crede di essere quello lì??
Crede che parlando possa capire tutto di me e della mia vita solo
perché ha studiato Freud e compagnia? Crede che con un paio di
paroline magiche la mia vita possa cambiare?
Senza
rendermi conto mi sono messa a dire i miei pensieri a voce alta. Un
magone mi annoda la gola. So che per l'ennesima volta mi sto
ingannando; so che per l'ennesima volta sto prendendo in giro me
stessa nell'inutile ed errata illusione che tutto vada bene e che io
sia forte.
Non
ammetterò mai di aver bisogno d'aiuto anche se ne sono
perfettamente consapevole. Esattamente come sono consapevole del
fatto che così non posso andare avanti, che sarebbe solo il
perpetuarsi infinito della mia sofferenza. Non chiamare ora significa
solo rimandare il problema, ignorare un segno del destino che mi
aveva fatto incontrare proprio uno psicologo del centro disturbi
alimentari. Parlare di argomenti così delicati per me,
trovarmi da sola con lui...
Arrossisco.
Ma
dai Usagi che cosa ci sarà mai da vergognarsi!! Lui è
uno psicologo! Certo è carino...è bello...insomma ha il
suo perchè... Uffa cosa vai a pensare! Ok, è il primo
uomo gentile con te ed è pure carino, ma torna coi piedi per
terra e affronta la realtà! Sei obesa e il suo solo interesse
è nei confronti del tuo essere flaccido. Quindi ora prendi una
decisione: affronta il tuo problema o rimani nel tuo brodo, ma non
lamentarti!
All'improvviso
mi ricordai di una frase che il mio defunto nonno mi aveva detto
attorno ai miei undici anni, in occasione di una confidenza in cui
gli dicevo che - non avrei fatto nulla per cambiare le mie forme,-
già piuttosto morbide, -perchè c'erano troppe
incognite, come per esempio il famoso effetto yo-yo. -
Lui
mi rispose: “Anche non prendere una decisione è una
decisione!”
Rimasi
colpita da quel che mi aveva detto ma non cambiai la mia posizione.
Tutti
questi pensieri mi fecero venire mal di testa. Scesi in cucina a
prendere del ghiaccio, tornai in camera e mi stesi. Posai il ghiaccio
sulla fronte e chiusi gli occhi.
-Che
giornata pesante! Mi sento esausta, come se riflettere così
tanto mi avesse privato di ogni briciolo di energia. Possibile?
Eppure non è la prima volta che mi trovo davanti a un bivio, a
dover prendere una decisione importante, ma questa volta sono davvero
in difficoltà. Anche se la prendendo la scelta più
ovvia, mi sembra quasi di farmi del male.-
Sono
circondata dalla nebbia. Sento piangere una bambina. Corro in
direzione di quel suono ma sembro non raggiungere mai il punto di
provenienza. Faccio fatica, ho il fiatone e sento il cuore pompare a
mille. Non ce la farò mai a raggiungerlo! In quell'istante il
pianto scompare e una luce mi abbaglia, accecandomi per qualche
secondo. Da una parte ora c'é Mamoru con in braccio la bambina
e dall'altra uno specchio. La bambina sono io! Ma anche lo specchio
rappresenta me stessa.
-Per
vivere bene il tuo presente devi fare prima pace con il tuo passato.
Solo allora potrai costruire serena il tuo futuro- mi disse Mamoru,
per le cui parole mi scese una lacrima.
Mi
svegliai. Una lacrima solcava il mio viso e ogni dettaglio di quel
sogno era ancora vivido nella mia mente. Guardai l'ora. Erano le 2
del mattino. Mi misi il pigiama e tornai a letto, ma adesso sapevo
cosa fare. Avevo preso la mia decisione.
-
Mamoru Chiba, ti sfido!!- pensai, prima di riaddormentarmi in attesa
che la luce del giorno mi svegliasse per condurmi a scuola.
Mi
alzai combattiva e piena di vigore. Oggi era il grande giorno. Il
giorno in cui dovevo dimostrare a me stessa che ero in grado di
prendermi cura di me. Durante la pausa, lo avrei chiamato.
Le
ore di lezione passarono lentamente e le parole dell'insegnante mi
sembravano un'unica nuvoletta piena di bla bla bla. Finchè
finalmente suonò la fatidica campanella. Composi il numero e
lui mi rispose dall'altra parte del telefono. Al suono della sua voce
angelica, la mia competitività si sciolse come un cubetto di
ghiaccio al sole...
-
Ciao Mamoru, sono la ragazza del parco. Ieri sono stata proprio
maleducata, non mi sono neanche presentata, presa com'ero a piangere!
Mi chiamo Usagi Tsukino. Comunque ti ho telefonato perchè...ecco...è
vero, ho bisogno d'aiuto e vorrei che fossi tu ad aiutarmi-
-Ottimo
Usagi! Non sai come mi hai reso felice! Ti aspetto venerdì
alle 16. L'indirizzo è indicato sul biglietto da visita.
Vedrai che non ti pentirai della tua scelta! E ti attende anche una
sorpresa...-
-Una
sorpresa? Va bene, sono proprio curiosa. A venerdì. Ciao
Mamoru!-
-A
presto Usagi!-
Chiudo
il telefono con il cuore che batte a mille. Una piccola sorpresa,
chissà cosa sarà! So solo che non sono mai stata così
entusiasta. Vorrei che venerdì fosse domani, invece devo
aspettare ancora 4 giorni. Ma non importa, ho fatto un passo e anche
se non so quanto durerà, in questo momento mi sento felice.
Uno
spiraglio di luce filtrava attraverso le scuri e colpiva la mia
fronte, ma esso non mi svegliò affatto. Avevo passato una
notte insonne e agitata e nemmeno i fiori di Bach, che di solito
utilizzo per calmarmi, funzionarono. I miei occhi erano spalancati
già da qualche ora e la mia mente aveva un solo pensiero: era
venerdì.
Mi
alzai e mi feci una doccia gelida nella speranza vana di svegliarmi e
di cancellare qualche segno sul mio viso. Mi vestii e andai a fare
colazione. Latte e pancakes. Entrai in una sorta di trance.
Stranamente mangiavo tutto con calma. Sicuramente chi mi avesse visto
in questo momento mi avrebbe scambiata per uno zombie; per fortuna
sia i miei genitori che Shingo erano già usciti. Presi la
cartella e andai a scuola.
Lo
stato di trance durò per tutta la mattinata, tanto che venni
rimproverata più volte dall'insegnante, ma era più
forte di me. Continuavo a guardare fuori dalla finestra e a
immaginare l'incontro di oggi pomeriggio. Che cosa mi avrebbe chiesto
Mamoru? Quale sorpresa mi attendeva?
Tornai
a casa; era sempre vuota. Mi buttai sul divano...
Tic
toc tic toc. Il tempo passava lento ma inesorabile.
Presi
la metro e in un batter d'occhio eccomi davanti al centro disturbi
alimentari. Le porte automatiche si spalancarono davanti a me mentre
un brivido mi percorse la schiena. Mi sembrava di essere in quei film
dove il criminale veniva condotto al patibolo, quella scena con
l'inquadratura di spalle e davanti a te gli scalini per salire verso
il cappio. Basta Usagi,non agitarti per niente! Espirai
profondamente.
-Brava,
espirare è un modo per buttar fuori la tensione!-
Mamoru
comparve alle mie spalle.
-Ti
stavo aspettando. Visto che mi sono dimenticato di dirti in che
stanza è il mio ambulatorio, ho pensato di venire ad
accoglierti. Prego, per di qua.-
Mi
condusse lungo un corridoio alla sinistra della reception e ci
fermammo davanti alla terza porta. Sul muro un cartellino indicava
*Chiba Mamoru, Psicologo alimentare*.
-
Siamo arrivati. E' giunta l'ora di scoprire la tua sorpresa...o
meglio, di conoscerla!-
Aprì
la porta e con mio stupore dentro lo studio c'erano altre quattro
ragazze. Quando si accorsero di me mi sorrisero radiose. Perché
delle sconosciute si comportavano in maniera così solare con
un'estranea? Io non volevo parlare davanti a tutte queste persone,
pensavo fosse un tête
à tête, un
botta e risposta tra me e Mamoru. Che centrano queste ragazze?
-Lo
so che ti aspettavi che l'incontro fosse più riservato, ma ho
pensato che la prima cosa che dovessi capire era che non sei la sola
ad avere problemi e soprattutto che non sei la sola ad averli con il
cibo. Molte persone ne soffrono, tra cui anche tue coetanee come
vedi. Magari si nascondono dietro a una maschera oppure tagliano
qualsiasi rapporto con chi le circonda e rifiutano qualsiasi tipo di
aiuto. Tu, Usagi, hai saputo reagire prima di altre persone, hai
saputo ammettere che hai bisogno d'aiuto e questo è già
un grande passo. Adesso però non devi mollare. Bene,
accomodati pure su quella poltrona e mettiti a tuo agio. Poi direi di
far parlare prima loro, che dici Usagi?-
-Sì,
va bene- dissi, un po' imbarazzata e un po' delusa. Mi aspettavo
qualcosa di più concreto e utile a me stessa. Mentalmente
contai fino a dieci, chiusi per un attimo gli occhi e con fatica
accettai questo imprevisto. Riguardai negli occhi Mamoru e lui
scambiò uno sguardo d'intesa con la prima ragazza. Era pronta
per parlare.
-Ciao,
mi chiamo Ami e ho 19 anni. Io, come le altre ragazze, siamo state in
cura presso questo centro di disturbi alimentari. Noi abbiamo
accettato volentieri l'invito di Mamoru, innanzitutto perché
gli siamo debitrici; lui ci ha ridato la vita. E poi volevamo farti
un dono. Volevamo regalarti le nostre storie, affinchè tu
potessi trarne incoraggiamento e un motivo di speranza.
Per
quanto mi riguarda, ho sofferto per dieci anni di anoressia. Tutto è
iniziato perché non accettavo la separazione dei miei
genitori. Era il mio modo di ribellarmi e di dire no a una situazione
che non volevo e che non sapevo come affrontare. Senza rendermene
conto iniziai a non mangiare. Ero triste, depressa probabilmente. Non
avevo stimoli per andare avanti. Durante la giornata facevo solo ciò
che mi riusciva bene, ciò che non mi faceva pensare al
presente: studiare. I miei voti erano altissimi, ma passavo tutti i
pomeriggi sui libri, quindi non avevo vita sociale, né amiche.
I miei compagni di classe mi prendevano in giro per i miei voti,
mentre a casa i miei si aspettavano grandi cose da me, ma nessuno in
realtà si preoccupava di me, presi com'erano dal loro lavoro.
La loro separazione fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mi
sentivo imprigionata in una realtà che non mi apparteneva.
Volevo annullarmi, passare inosservata, sparire...o forse volevo solo
attirare l'attenzione su di me. Avevo letto dei libri sui disturbi
alimentari, ma non avrei mai pensato che sarebbe successo a me e
capii la gravità della situazione solo quando mia madre,
entrando in camera mia, mi guardò e scoppiò in lacrime.
Forse mi guardò per la prima volta. Si rese conto che stavo
male. Si sentiva in colpa per non essersene accorta prima. Fu lei che
si interessò a trovare un aiuto psicologico e si rivolse a
questo centro. Alla mia prima seduta mi ci portò con
l'inganno, con la scusa che aveva bisogno di me per delle carte in
banca. Davanti al centro l'istinto era quello di fuggire, ma dentro
di me una vocina ancora voleva la mia salvezza e così entrai.
Con fare arrogante buttai fuori tutta la rabbia che avevo dentro e
urlai contro lo psicologo, contro Mamoru, che non avevo bisogno dello
strizzacervelli, di andare a rompere a qualcun'altra, che me la sarei
cavata da sola come sempre. Ero un fiume in piena. Urlai e
bestemmiai per quasi un'ora e lui non disse una parola, mi lasciò
parlare per tutto il tempo. Io pensavo di averlo sopraffatto, che
avessi sconfitto ogni suo tentativo di controbattere. Invece quando
ebbi finito mi disse con un sorriso infinito: “Io ti perdono.
Ti perdono per ogni parola che hai detto in questo momento, perché
in realtà ciò che mi vorresti dire è solo che
stai soffrendo. Troppe persone non ti hanno ascoltata e non hanno
accolto il tuo punto di vista. Io sono qui per ascoltarti. Io sono
qui per accoglierti e per aiutarti nel tuo percorso di rinascita. Per
ritornare a parlare e a fidarti degli altri, ma soprattutto per
tornare in contatto con la tua anima. E se sei qui vuol dire che già
un po' la stai ascoltando”. La sua risposta mi spiazzò.
Sarebbe stato naturale inveirmi contro e cacciarmi fuori, ma lui era
riuscito a vedere le tenebre che mi attanagliavano il cuore e a far
risplendere la piccola luce che era rimasta dentro di me. La terapia
è durata tre anni e mezzo. E' stato un percorso lungo e
faticoso, un'enorme riflessione su di me, sul mio modo di reagire ai
problemi e di interagire con gli altri. Spesso avrei voluto mollare,
ma sapevo che l'obiettivo era il mio stare bene e avevo notato già
dei segni di miglioramento che mi spinsero a continuare. Avevo capito
che se gli altri non mi davano l'attenzione che cercavo, dovevo
farglielo capire parlando con loro. E se loro non fossero stati
pronti ad ascoltarmi allora avrei guardato avanti comunque e con le
mie forze
avrei fatto di tutto per creare la mia felicità. Una felicità
tanto più bella e piena di soddisfazione, quanto costruita con
le proprie energie. Alla fine i miei genitori si sono separati, ma ho
parlato con loro e gli ho raccontato della mia sofferenza a cuore
aperto, anche se non è stato facile né per me che
rivivevo tutto il dolore, né per loro che si sentivano dire
parole tanto amare. Alla fine accettarono il mio punto di vista e mi
abbracciarono. Io continuai a studiare ma solo per un paio di ore al
giorno, il tempo necessario a imparare ciò che era utile a
guadagnare un 8 e decisi di creare il mio cerchio di amicizie.
Proprio qui, all'entrata e all'uscita da ogni seduta avevo notato
delle ragazze, anch'esse in terapia. Decisi di provare con loro. Una
alla volta, man mano che le incrociavo, le invitavo a un caffé
tanto per conoscerci e così ho trovato le mie migliori amiche.
Ed eccole qui affianco a me.-
Ami
si voltò verso le altre ragazze che sorrisero. Io, invece,
vedevo negli occhi di ciascuna un piccolo turbamento, oltre a una
grande forza ed energia positiva. Il passato che Ami aveva descritto
in qualche modo apparteneva anche a loro, ma quell'esperienza così
negativa e traumatica aveva dato loro anche la possibilità di
rinascere... Chissà se sarebbe capitato anche a me?
Intervenne
Mamoru.
-Grazie
Ami per aver condiviso con noi una parte così privata del tuo
passato. Grazie del dono che hai fatto ad Usagi. Ora Rei, a te la
parola-
Scommetto
che ora penserete..che miracolo è mai questo? Davvero ha
scritto più di una paginetta??? hahahahahaha! Scherzi a
parte,sono contenta che la rivisitazione del terzo capitolo sia
piaciuta.
Ringrazio
ancora tutti coloro che leggono e/o commentano! Grazie grazie grazie!
E un grande in bocca al lupo se tra di voi c'é qualcuno che ha
iniziato la scuola! :)
-Grazie
Ami per aver condiviso con noi una parte così privata del tuo
passato. Grazie del dono che hai fatto ad Usagi. Ora Rei, a te la
parola-
Per
un attimo il mio cervello si spense. Avevo bisogno di un attimo di
respiro. Mi passavano troppi pensieri per la mente. Che centrava
tutto questo con me? Io non ero mica messa così male, non
avevo mica problemi così seri! Cioè sì, ho i
miei problemi, ma in fin dei conti sono in grado di gestirli. Le
mie abbuffate sono solo frutto della mia ingordigia. Devo solo
imparare a controllarmi di più. Sì sono malata, nel
senso che dipendo dal cibo. Devo disintossicarmi in questo senso,
mica ho ragioni nascoste per il mio malessere. Mangio tanto, non
riesco a controllarmi e di conseguenza ingrasso e non mi accetto. E'
un circolo vizioso, ma non c'é niente di freudiano in tutto
ciò.
Però...durante
il racconto di Ami mi si era stretto un nodo alla gola. Mi era venuto
anche mal di testa per via delle lacrime che volevano uscire, ma che
con uno sforzo sovraumano ero riuscita a trattenere. Mi sentivo
mancare l'aria. Calma Usagi, calma! Non puoi mostrarti così
davanti agli altri!
-Ehm...scusate,
devo andare un attimo al bagno-
-ok,
ti aspettiamo- rispose Mamoru, con uno sguardo che indicava
chiaramente che lo avevo preso contropiede, che non se lo aspettava,
ma che tradiva anche un certo senso di soddisfazione. Chissà
cosa stava pensando di me in questo momento.
Mi
alzai e mi diressi verso la toilette che fortunatamente era alla
porta accanto. Entrai. Varcata la soglia c'era una nicchia di medie
dimensioni dedicata ai rubinetti per lavarsi le mani e un grande
specchio ad altezza viso che era lungo quanto la parete della stessa.
Mi avvicinai e aprii il rubinetto per far scorrere un po' l'acqua e
renderla fresca. Mi sciacquai il volto più e più volte.
Bevvi anche un po'. Adesso mi sentivo meglio. Ora dovevo tornare in
ambulatorio...che vergogna! Rientrare voleva dire avere tutti i loro
occhi addosso. Ma mi toccava farlo. Uffa! Era come ricominciare la
seduta una seconda volta...
Rientrai
tenendo lo sguardo basso, mi sedetti e infine espirai, mentre la
ragazza dai lunghi capelli corvini si voltò verso di me.
Sembrava volesse attraversarmi con i suoi occhi. Era davvero bella!
Gambe slanciate, punto vita perfetto, lineamenti del viso dolci ma
che le conferivano un'aria di autorevolezza e determinazione
particolare. Come poteva una ragazza del genere aver avuto dei
problemi alimentari? Poteva fare tranquillamente la modella!
Rei
si schiarì la voce...dovevo averla fissata un po' troppo!
-Ciao
Usagi, sono Rei e ho appena compiuto vent'anni. Abito con mio nonno
nel tempio Hikawa. Mia madre è morta quando io ero ancora
molto piccola e mio padre è un importante politico, quindi è
sempre in giro per lavoro. Non lo vedo e non lo sento mai, ma di
questa cosa non ho mai sofferto particolarmente: mio nonno mi è
sempre stato accanto e ha ricoperto quel ruolo paterno che mio padre
non ha mai saputo assumere. Sin dall'infanzia ho mostrato una
particolare sensibilità nel percepire le auree delle persone.
Non so se hai presente quando una persona ti sta simpatica o
antipatica a pelle; quello dipende dall'aurea e quindi dall'energia
che noi stessi emaniamo e che allo stesso tempo riceviamo
dall'esterno. Io sono in grado di percepire questa energia e di
capirne la natura, se benigna o maligna. Probabilmente è una
capacità che mi ha trasmesso mia madre che in vita era una
sacerdotessa. Comunque tutto ciò non era un problema, almeno
fino a quando, all'età di sei anni, iniziai le scuole
elementari ed accusai un mio compagno di essere un criminale, perchè
io lo sapevo, lo sentivo e vedevo attorno a lui un alone nero, perché
lui era un essere maligno. Queste mie esternazioni fecero allontanare
i miei amici e i miei compagni di classe, nonostante poi, a distanza
di un paio di settimane, questo bambino sia stato accusato
effettivamente di atti di bullismo. Ormai tutti i miei coetanei mi
chiamavano strega, alcuni addirittura mi accusavano di aver
trasformato io quel bambino in un criminale e piano piano mi
isolarono. La voce si diffuse anche tra i genitori che ben presto
richiesero il mio allontanamento dalla scuola. Mio nonno decise così
di farmi studiare a casa; si occupò lui personalmente della
mia istruzione. Per mesi egli cercò di farmi riallacciare i
rapporti con i miei compagni o di farmi coltivare delle nuove
amicizie, ma fu tutto inutile. Ormai ero segnata. Ogni volta che
uscivo o andavo al parco mi sentivo osservata, venivo additata, la
gente bisbigliava alle mie spalle. Non ne potevo più. Mi
rintanai in casa, l'unico posto dove potevo stare in pace, ma così
ebbe inizio anche il mio calvario. Durante il giorno, mentre mio
nonno era alle prese con il lavoro nel tempio, studiavo, giocavo con
le bambole e con i videogames e guardavo per ore la tv. Ma pian
piano anche questo mondo iniziò a diventare soffocante;
neanche giocare non mi dava più gioia. Tutto mi annoiava
ormai. Era come un film visto e rivisto un centinaio di volte.
Iniziai a passare intere giornate sdraiata a letto a guardare il
soffitto o a dormire. Noia, noia, noia. La noia mi paralizzava. Non
avevo più stimoli e letteralmente non avevo idee di cosa fare.
Mi sentivo così inutile. Mi sentivo come un neonato che
mangia, beve e dorme, mangia, beve e dorme. E così la
sedentarietà iniziò a farmi lievitare. Avvilita dalla
situazione e dalla mia nuova rotondità, cominciai
paradossalmente a sfogarmi sul cibo. Ogni tanto, solo per passare il
tempo e fare qualcosa di diverso, ma in preda a una sorta di istinto
primordiale di autodistruzione, aprivo la credenza e iniziavo a
divorare ciò che mi capitava a tiro. Mi riempivo fino allo
sfinimento, fino ad avere sforzi di vomito, fino a quando lo stomaco
mi chiedeva pietà. Buttavo giù il cibo senza neanche
assaporarlo. Non vomitavo, né rifiutavo il cibo o avevo una
percezione distorta di me stessa; semplicemente avevo un desiderio
spasmodico di riempire il vuoto che avevo dentro e che mi circondava.
Quando poi mio nonno mi chiedeva come mai ci fosse il frigo vuoto
rispondevo che avevo consumato qualcosa, ma che molte cose le avevo
buttate via perché erano scadute. Oppure semplicemente gli
dicevo che si ricordava male, che il frigo era già vuoto da un
pezzo. Usagi, anche questo è un disturbo alimentare e si
chiama Binge Eating Disorder. E' un disturbo poco conosciuto rispetto
all'anoressia e alla bulimia ed è tradotto in maniera un po'
blanda come “Disturbo o sindrome da alimentazione
incontrollata”. Chi ne soffre mangia in maniera esagerata in un
brevissimo lasso di tempo e contemporaneamente prova una sensazione
di totale perdita di autocontrollo e di terrore di essere scoperto.
Sono le cosiddette abbuffate, spesso consumate quando si è da
soli e quasi in segreto, perchè alla fine quello che si prova
verso se stessi è solo squallore per essersi ridotti così
e per non riuscire ad uscirne. Io pian piano passai dal sovrappeso
all'obesità leggera e infine all'obesità grave. Mio
nonno ovviamente si era reso conto della mia infelicità. Per
caso un giorno lesse una pubblicità su un giornale che parlava
di questa struttura, quindi prese il telefono e parlò con lo
psicologo di turno, ossia Mamoru. Con lui fissò un
appuntamento. Sì, all'inizio fu proprio mio nonno ad andare in
psicoterapia. Voleva capire come comportarsi con me, come aiutarmi in
prima persona dall'esterno e allo stesso tempo anche lui aveva
bisogno di sfogarsi un po' e di parlare di quella nipote a cui tanto
voleva bene ma che tanto lo faceva preoccupare. Finché non
giunse il momento in cui dovevo mettermi io in gioco. Durante un
pomeriggio di sole, il nonno mi invitò all'ombra dei ciliegi
in fiore. Io, anche se un po' restia, accettai. Lui mi parlò
col cuore in mano. Mi disse che aveva capito che avevo un problema
serio, che aveva iniziato da qualche tempo a frequentare uno
psicologo per cercare di capire come farmi reagire rispetto a questa
situazione. “Rei, io ti voglio un bene immenso e te ne vorrò
sempre, qualunque aspetto tu abbia. Ma tu Rei, tu te ne vuoi? Sei
contenta di come sei?”. Ovviamente risposi di no e solo allora
mi resi conto di quanto lo avessi fatto soffrire. Non mi ero accorta
del suo stato d'animo, dei suoi sguardi...o forse non li volevo
vedere. Preferivo piangere di me stessa e stagnare nel mio malessere.
Cambiare costava troppo. Voleva dire uscire di nuovo, affrontare di
nuovo le occhiate e il giudizio degli altri. Come si suol dire, si sa
sempre cosa si lascia, ma mai quel che si trova. Eppure la sofferenza
che vidi quel giorno negli occhi di mio nonno mi convinsero a
provare. Iniziai la psicoterapia con Mamoru, nonché una lunga
rieducazione alimentare. Ripresi a fare un po' di attività
fisica e pian piano mi sentii meglio. Col migliorare del mio aspetto
fisico, aumentò anche la mia autostima. Ora so che quello che
ho è un dono ed è una parte di me. Solo chi lo
accetterà, merita il mio bene e la mia considerazione. E le
cose arrivarono poi da sé, a partire dalle amiche. Conobbi Ami
e le parlai della mia capacità, ma lei non si spaventò
affatto, anzi ne era affascinata e scherzando mi ha nominata la sua
guardia del corpo e il suo spirito protettore! Poi feci conoscenza
anche con loro-
disse,
voltando lo sguardo verso le due ragazze che ancora non avevano
parlato. Sembravano tutte davvero affiatate.
-Ma
prima di parlare della nostra amicizia, forse é meglio farle
raccontare la loro storia. Solo così capirai come essere
davvero se stesse e accettarsi è l'unico modo per trovare
delle vere amiche-
Che
dolce Rei! La sua sincerità, il suo modo di parlare, la sua
gestualità mi avevano conquistata. E la sua storia...beh la
sua storia mi aveva molto colpito. Prima con Ami non ero sapevo cosa
aspettarmi e non ero pronta a una risposta emotiva così forte,
ma adesso con Rei mi sembrava tutto diverso. Ero riuscita ad
accogliere la sua storia e forse a prendere un piccolo insegnamento
di come la vita sia dura per tutti, ma anche di come sia la nostra
reazione a determinare la realtà che ci circonda. Inoltre
credo di aver trovato il mio disturbo, anche se non credevo avesse un
nome.
Binge
Eating Disorder. Sei tu il mio nemico.
Eccomi
qui col nuovo capitolo! Sempre un grazie di cuore a chi legge e/o
commenta e in particolare a coloro che mi seguono fedelmente:) Un
abbraccio
-Usagi,
come ti senti? Se non ce la fai possiamo interrompere qui, non c'è
alcun problema. Se invece te la senti, possiamo andare avanti e
concludere con le storie di Makoto e Minako. Io ci terrei a finire il
racconto di tutte, ma devi dirmelo tu. Cerca di capire il tuo stato
d'animo e non farti problemi a dare qualsiasi risposta. Nessuno è
qui per giudicarti.-
L'intervento
di Mamoru interruppe i miei pensieri e avviò una nuova
riflessione interiore. Come stavo? Beh, certamente erano storie molto
toccanti e sicuramente per alcuni aspetti erano anche simili al mio
vissuto. Considerate le mie reazioni così diverse alle storie
di Ami e di Rei, non sapevo neanch'io cosa aspettarmi da me stessa
ascoltando i prossimi due racconti, però sentivo che se non
avessi superato questa sorta di rito di iniziazione, tutto sarebbe
stato inutile. Sì, dovevo avere ancora un pizzico di coraggio
e ascoltare. Solo dopo i loro racconti avrei avuto elementi
sufficienti per capire se quella che stavo intraprendendo era davvero
la strada giusta per me. Solo con i loro racconti potevo considerare
la mia prima seduta completa. Ne ero perfettamente consapevole quindi
non feci attendere oltre la mia risposta.
-Sì
Mamoru, voglio ascoltarle. Al momento sento che posso farcela- dissi
con un tono di voce deciso e sincero.
-Bene,
allora Minako, Makoto, chi vuole parlare per prima?-
-Inizio
io- rispose la ragazza dagli occhi verde acceso.
Era
davvero carina anche lei, ma la sua era una bellezza inusuale. Aveva
la grazia e l'armonia del corpo femminile, ma la massiccità
del corpo e la definizione dei muscoli tipicamente maschile. Il tutto
fuso in maniera assolutamente deliziosa. I capelli castani e mossi
erano raccolti in una coda alta in modo tale da mettere in mostra
degli splendidi orecchini a forma di rosa, segno inequivocabile di un
animo sensibile e delicato. Il suo sguardo, allegro e vivace, si era
offuscato non appena aveva annunciato il suo desiderio di parlare.
Probabilmente, anzi sicuramente, tutto ciò le costava
moltissimo. Ma se davvero la faceva soffrire così tanto,
perchè farlo? Perchè farlo per una estranea? Perchè
farlo per me? Non avevo ancora trovato le risposte alle mie domande,
quando lei iniziò a parlare.
-
Ciao, mi chiamo Makoto. Devo ammettere che per me è dura
essere qui in questo momento a parlarti in maniera così
franca, anche perchè ciò che ti sto per raccontare fa
parte di me ed è una parte che nonostante tutto fatico ancora
ad accettare completamente. Però so che anche se ciò mi
fa male, voglio affrontarlo. Forse egoisticamente, è il mio
modo per dimostrare a me stessa che sono forte per quanto il dolore
sia ancora così vivo dentro me.
La
mia storia è un po' più complessa delle altre ragazze.
Tutto iniziò una notte di tanto tempo fa, quando avevo sei
anni. Me lo ricordo come se fosse ieri. I servizi sociali irruppero
all'improvviso in casa mia e mi portarono in un orfanotrofio. Quella
notte i miei genitori erano morti in un incidente aereo e io ero
rimasta sola. La mia prima reazione fu quella di chiudermi in me
stessa. Non mi interessava socializzare con gli altri bambini, io
volevo una famiglia, la mia famiglia. Ogni sabato chi voleva adottare
un orfanello veniva all'istituto e sceglieva chi più gli stava
a genio. Dopo aver giocato un po' con il prescelto se lo portava via.
Io, un po' per il mio modo di fare, un po' per il mio essere
mascolino, non venivo mai scelta. Passarono giorni, mesi, anni e io
ero sempre lì. In quell'orfanotrofio divenni una adolescente,
una adolescente ribelle. Passai da un comportamento mansueto, freddo
e pacato a uno violento e aggressivo. Iniziai a picchiare i nuovi
arrivati più deboli, mentre con quelli più forti formai
una banda con l'unico scopo di creare più problemi possibili.
Mi dedicai agli atti di bullismo e quel senso di onnipotenza che
pervase il mio corpo fu la prima sensazione che provai dopo anni di
apatia.
Apatia...no,
non era apatia. Era il dolore del lutto, una sofferenza del tutto
inattesa in una mente che sognava ancora la spensieratezza. Non
sapevo come affrontarlo. Quel dolore mi lacerava l'anima e lasciava
dietro di sé un tormento che avvelenava ogni mia cellula;
prima fonte di vita, ora puro deserto. Quel dolore aveva raso al
suolo il mio raziocinio, la mia forza di volontà e lo stesso
desiderio di esistere; aveva portato all'estremo quella rabbia
latente e fatto urlare quel silenzio roboante del mio cuore. Ero
furiosa con il destino che mi aveva privato delle persone a me più
care e allo stesso tempo ce l'avevo con loro come se fossero state
colpevoli della loro e della mia sorte. Non ero pronta ad accogliere
questa nuova realtà e mi chiusi in questa finta apatia,
lasciando decidere della mia vita degli sconosciuti. Poi, dopo
l'ennesimo sabato passato a vedere gli altri andarsene, delusa ancora
una volta dal mondo degli adulti, decisi di sfogare la mia rabbia
all'esterno, con degli atti di bullismo appunto. Per le responsabili
dell'istituto fu un sollievo quando all'età di sedici anni
decisi di andarmene, anzi gli feci pure un favore visto che comunque
avevano intenzione di allontanarmi dall'istituto. Ma dove potevo
andare?
Non
avevo soldi con me e quindi per alcune settimane vissi in una capanna
di cartone che mi ero costruita e mi lavavo nei bagni pubblici di un
parco. Durante il giorno passavo di negozio in negozio a chiedere se
avessero bisogno di un aiuto, ma la risposta era ovviamente sempre
no. Mi sembrò di trovare il paradiso quando un signore mi
propose di lavorare per lui offrendomi persino l'alloggio. Senza
saperlo ero finita dritta dritta nelle mani di un “padroncino”.
Voleva che mi prostituissi. Appena capii le sue intenzioni, tentai di
ribellarmi ma lui mi violentò e mi picchiò
selvaggiamente...-
Sul
volto di Makoto iniziarono a sgorgare lacrime amare. Singhiozzava.
Era un pianto impetuoso, desideroso di esprimersi, ma lei si coprì
il volto quasi a vergognarsi di quella sua reazione. Rei si alzò
e la andò ad abbracciare, quindi le diede un fazzoletto, che
la mano di Makoto accettò rapida, anche qui quasi a voler far
finta che non fosse accaduto nulla, che il ricordo narrato non la
turbasse. Mamoru le si avvicinò e chinò davanti a lei.
-Basta
così, Makoto. Fa lo stesso. Ti ringrazio per aver accettato
l'invito, hai dimostrato grande coraggio, ma adesso basta così.-
-No,
Mamoru voglio finire. Devo finire. E' una sfida con me stessa e devo
vincerla, costi quel che costi. Dovessi consumare fino all'ultima
lacrima che ho in corpo. Ricordare è doloroso, ma ho imparato
che il silenzio è una sofferenza ancora maggiore. Più
ne parlo e più il peso che ho nel cuore si alleggerisce pian
piano. E inoltre, Usagi non capirebbe perchè sono finita qui,
al centro disturbi alimentari.-
-Credo
che questo non sia un problema, giusto Usagi?-
Mamoru
si rivolse a me. Io ero rimasta pietrificata dal racconto di Makoto.
Possibile che la vita e il destino debbano accanirsi in tal modo
contro una persona? Non era giusto, nessuno se lo merita. Eppure
accade...perchè? Qualcuno ha mai trovato la risposta? Quanto
avrei voluto saperlo.
Con
un dito scacciai via la lacrima che disobbediente era riuscita a far
capolino sul mio volto e risposi a Mamoru che ovviamente Makoto
poteva fermarsi e prendersi il suo tempo per calmarsi un po', ma lei
insistette e riprese a parlare dopo pochi minuti.
-Dopo
quell'episodio, mi facevo schifo, mi sentivo sporca. Odiavo il mio
corpo, odiavo per l'ennesima volta la mia esistenza e vivevo nel
terrore che fossi rimasta incinta di quel porco. Contavo
ossessionatamente i giorni che mancavano al ciclo; furono un vero
inferno. Volevo farla finita, annullarmi, sparire definitivamente, ma
non avevo il coraggio di suicidarmi. Smisi si mangiare, di bere e
allo stesso tempo iniziai a provocarmi il vomito, volevo buttare
letteralmente tutto fuori, volevo espellere qualsiasi cellula che
fosse stata contaminata da quel verme viscido. Persi rapidamente una
trentina di chili. Ero ridotta davvero pelle e ossa, me ne rendevo
conto, ma ero contenta perché ciò significava che la
mia ora era sempre più vicina e che quindi il momento della
mia liberazione era prossimo. Un giorno Mamoru mi trovò
svenuta all'angolo di una strada. Notò subito il mio stato di
denutrizione e disidratazione e capì subito che il mio era un
caso decisamente grave. Mi portò all'ospedale. Innanzitutto
era necessario ristabilire il fisico e raggiungere dei livelli
ematici accettabili per dichiararmi fuori pericolo. Poi ci si sarebbe
occupati del resto. Quando mi svegliai in quel letto di ospedale,
tutto intorno a me era bianco e io pensavo sul serio di essere in
un'altra dimensione, di essere al “banco accoglienza”
dell'aldilà. Quando poi misi a fuoco il sacchetto della flebo
che pendeva sopra la mia testa, capii tutto e iniziai a piangere. Non
c'ero riuscita. Ero ancora viva. Qualcuno mi aveva soccorso...e io lo
odiavo.
I
mesi successivi furono durissimi. Fui trasferita in una clinica
riabilitativa specializzata, ma, nonostante i diversi tentativi, io
continuavo a non voler collaborare. Rimanevo nel mio silenzio. Se mi
avessero fatto un elettroencefalogramma, sarebbe stato piatto. Nella
mia mente non c'era più nulla, non c'era più spazio.
Volevo essere solo lasciata in pace. Poi un giorno Mamoru mi venne a
trovare. Solo in quel momento seppi che era lui che mi aveva salvato
e portato all'ospedale. Tra le lacrime lo aggredii verbalmente mentre
con dei deboli ma decisi pugni colpivo ripetutamente il suo petto.
Con che diritto aveva deciso della mia vita? Per la prima volta nella
mia vita urlai ed espressi tutta la rabbia che avevo dentro. Urlai al
punto da sentire la vibrazione della mie corde rimbombare nel
cervello. Urlai fino al punto di sentirmi esplodere la testa. Lui mi
lasciò sfogare e infine mi abbracciò. Io mi abbandonai
a quel gesto, il mio primo abbraccio, e piansi per ore tra le sue
braccia, fino a quando mi addormentai. Mamoru rimase con me per ben 7
ore consecutive e si ripresentò il giorno dopo per parlarmi
con calma. Mi disse di essere uno psicologo alimentare e che aveva il
forte desiderio di aiutarmi a rinascere. Perchè nessuno è
nato per soffrire e lui voleva dimostrarmelo. Perchè anche il
suo passato era stato travagliato, ma era riuscito a trovare un
equilibrio e a trovare un senso alla propria vita. E lui voleva
aiutarmi a capire il mio, il senso della mia esistenza, perchè
sicuramente c'era. Prima però dovevo completare la terapia
nella struttura. Solo dopo lui sarebbe potuto subentrare nella mia
riabilitazione. Io accettai. All'inizio mi sembrò quasi di
farmi violenza da sola, raccontando la mia storia, di cui tra l'altro
mi vergognavo tantissimo, ma con lo psicologo dell'istituto pian
piano imparai a “metabolizzare” le mie emozioni e
sensazioni a riguardo. Anche se tuttora mi fa male, anche se tuttora
piango al ricordo di quel tragico giorno, ora riesco ad esserne
mentalmente distaccata, a mantenere integro il mio io e a
rispettarlo. Ora sono consapevole dei miei limiti, ma anche delle mie
capacità e so fino a dove posso spingermi. Ora so che il senso
della mia esistenza consiste nell'aiutare gli altri. Mi dedico al
volontariato e assisto gli anziani della casa di riposo “Sakura”.
Li porto a fare una passeggiata, racconto loro una storia, gioco con
loro a tombola. Vedere i loro sorrisi, mi dà una gioia immensa
e fa star bene anche me. Mi sento utile, mi sento viva... capite?
finalmente mi sento! Io sono, esisto, ho uno scopo e questo mi basta.
Voglio mettere un punto e voltare pagina. Faccio ancora fatica ad
avvicinarmi al sesso maschile inteso come compagno di vita, ma ci sto
lavorando con Mamoru, con cui da un paio di mesi ho iniziato un nuovo
percorso.
Usagi
ti prego, prendi in mano la tua vita e affronta ciò che ti fa
star male! Non hai idea di come ciò cambi poi la prospettiva e
il modo di vedere ogni cosa che ti circonda!-
Inaspettatamente
si era rivolta a me e mi aveva detto quella frase tutta d'un fiato.
Aveva ragione. In cuor mio sapevo che non potevo andare avanti così,
eppure perchè facevo così fatica a vedere un futuro
diverso da quello triste che mi ero immaginata finora? Pensare a
qualcosa di diverso era irreale. Forse era proprio su questo che
Mamoru doveva iniziare a lavorare con me. Sulla mia motivazione, ma
prima dovevo decidere se intraprendere questo percorso o meno.
E
dai racconti che stavo ascoltando, mi ero convinta.
-Makoto
ha ragione- intervenne Mamoru - Usagi finora avevi ascoltato storie
di disturbi alimentari nati da problemi familiari o personali, quindi
da un preciso motivo scatenante. Dal racconto di Makoto puoi dedurre
come invece questi possano nascere anche da una complessità di
situazioni, ma soprattutto hai potuto comprendere che è
possibile risollevarsi anche in seguito a eventi piuttosto gravi.
Prendi questo insegnamento.-
Mi
sentivo un po' stupida. In confronto i miei problemi non erano così
seri, eppure eccomi qui davanti a uno psicologo. Risposi convinta.
-Sì,
Mamoru, lo farò.-
Ciao
a tutti! Scusate l'attesa ma è decisamente un periodo no e ho
avuto una sorta di blocco d'ispirazione. Scrivere questo capitolo è
stato decisamente un parto, spero che ciò non traspaia troppo.
Spero anche che questo capitolo rimanga realistico nella sua
tragicità, ma soprattutto di non avervi deluso. Abbiate un po'
di pazienza per via degli aggiornamenti, perchè non so se e
quando la mia ispirazione continuerà a collaborare. Intanto
ancora grazie a tutti coloro che leggono e/o recensiscono! Grazieeeee
Avevo
ascoltato tre racconti, tre storie di persone apparentemente normali
ma che nascondevano dentro di sé una sofferenza enorme. Storie
di maschere cadute, di lotte e di rinascite. Quante persone
incrociamo ogni giorno e valutiamo superficialmente basandoci solo
sul loro aspetto? In realtà ogni volta che ci troviamo davanti
a qualcuno, siamo di fronte a una fitta trama di fili sottili che si
intrecciano andando a formare la psiche e, assieme ad essa, l'
apparenza. Ognuno di noi sostanzialmente è un inganno,
l'inganno che ci siamo costruiti per sopravvivere in questa realtà
fatta di giudizio e superficialità. Ogni istante è una
perenne battaglia per l'affermazione di sé, per urlare al
resto dell'oceano, l'esistenza di una goccia preziosissima e identica
solo a se stessa, seppur apparentemente uguale alle altre.
Mancava
soltanto un racconto, quello della ragazza che sin da subito aveva
attirato la mia curiosità per la sua somiglianza con i miei
tratti principali. Lunghi capelli biondi, nel suo caso raccolti in
parte con un delizioso fiocco rosso. Grandi e profondi occhi azzurri.
Indossava un vestitino di seta rosa che scivolava dolcemente mettendo
in risalto la sua linea perfetta e le decorazioni glitterate dello
stesso le donavano una luce particolare che sottolineava la
delicatezza del suo viso. Si poteva tranquillamente definire una
venere. A parte l'abissale differenza di chili, quella ragazza
rifletteva la potenziale me stessa. Sul serio potevo diventare come
lei? Eppure se si trovava proprio qui di fronte a me, voleva dire che
anche la sua vita non era stata facile.
Quando
mi vide pronta, iniziò a parlare.
-
Ciao Usagi, sono Minako, sono figlia unica e abito qui a Tokyo con i
miei genitori. Quando ho iniziato a stare male, abitavamo in una casa
decisamente piccola e con muri sottili, il che significava, nella
vita quotidiana, la totale mancanza di privacy e di libertà.
Unisci questa condizione al fatto che il rapporto tra i miei era una
continua lite e che il rapporto tra me e loro non fosse mai stato
idilliaco ed ecco la bomba pronta ad esplodere. I miei genitori si
volevano bene, ma nel corso degli anni il carattere di mio padre era
decisamente peggiorato, diventando di un pignolo maniacale,
parlandoti sempre con un tono perennemente giudicante, rendendo un
problema qualsiasi cosa che evadesse dalla routine quotidiana. Lui,
avendo cominciato presto a lavorare, era andato in pensione
altrettanto presto quindi si era assunto la responsabilità
della casa. Era un perfetto casalingo, si occupava di tutto a
360°gradi, faceva le lavatrici, stendeva, cucinava, ma lo faceva
solo per dovere verso la famiglia. Il problema era che se tentavi di
fare qualcosa ti criticava perchè non la facevi come lui
oppure, se non la facevi, ti criticava lo stesso perchè
“nessuno muoveva il culo”. Decideva lui cosa mangiare e
bisognava essere tutti assieme, per cui alle 18.30 tutti a casa, guai
a tardare, pena urla e critiche per mezzora. Pessimista di natura, ti
caricava dei suoi pensieri nefasti.
Mia
madre lavorava e lavora tuttora tutto il giorno. La vedevo di sera e
con lei mi sfogavo, in parte trovando comprensione, in parte
scontrandomi anche con lei che non capiva il mio punto di vista. Io
sono cresciuta in questa atmosfera. Insicura, immotivata, depressa,
non in grado di prendere una decisione che fosse mia al 100% e di
spezzare questa dipendenza, soprattutto psicologica che avevo nei
loro confronti. Il fatto poi che la casa fosse piccola e “aperta”
complicava ulteriormente le cose, impedendomi anche di fare cose
semplicissime, come invitare un'amica per qualche sana risata,
chiacchierata o confidenza, ascoltare musica dallo stereo o ascoltare
la tv normalmente, attività che dovevo svolgere sempre con le
cuffie. Inoltre ero perennemente sotto la vista dei miei. Non potevo
esprimermi né verbalmente, poiché avrei rischiato il
finimondo, né materialmente, poiché non potevo per
esempio personalizzare la stanza o uscire la sera senza essere
rimproverata pesantemente, come se avessi chiesto la luna. La mia
personalità era completamente soppressa. Esasperata da questa
situazione decisi di realizzare il mio sogno: diventare un idol.
Volevo
guadagnare soldi sufficienti a comprare una casa con spazi adeguati
per tutti, volevo diventare indipendente economicamente, volevo
dimostrare ai miei genitori quanto valessi e avere su di loro una
sorta di vendetta, quindi mi presentai ad un casting di una
famosissima agenzia di Tokyo. La concorrenza non mi intimoriva, ero
pronta a rischiare il tutto per tutto. Inoltre sin da piccola avevo
una innata predisposizione al canto e quindi puntavo su quello.
Quando fu il mio turno, tutto andò per il meglio, almeno per
me. Cantai divinamente e ricevetti molti applausi dai presenti, ma la
giuria non fu dello stesso parere: ero troppo grassa. La mia taglia
44 non andava bene; per loro requisito essenziale era la taglia 40 o
al massimo la 42; della 44 non se ne parlava proprio. Mi dissero
quasi con disgusto che la pancetta avrebbe rovinato la piega perfetta
dei vestiti di scena, che quei fianchi erano troppo tondi per
indossare un abito d'alta moda, che non dovevo più presentarmi
ai casting se non fossi prima dimagrita in maniera considerevole. Non
mi ero mai posta alcun problema per il mio fisico, mi consideravo una
ragazza normale, ma carina. Tuttavia da allora l'aspetto, ma
soprattutto il peso divennero la mia ossessione. Decisi di mettermi a
dieta.
Litigai
con mio padre per avere la libertà di scegliere cosa mangiare.
In realtà i miei genitori non videro più cibarmi e
nemmeno io vidi più l'ombra di un alimento. Ero rimasta
talmente scioccata dai quei commenti così acidi da voler
dimagrire a tutti i costi e il più in fretta possibile per
ripresentarmi da loro e, detto ironicamente, “fargli rimangiare
tutto”. All'inizio fu durissima ignorare i morsi della fame,
piangevo per ore per i crampi che avevo, ma pian piano questi
divennero i miei compagni di vita. Mi abituai, perchè la
ricompensa emotiva era fortissima: i compagni di classe iniziavano a
vedermi finalmente come una donna, per strada mi fischiavano dietro e
i conoscenti mi facevano i complimenti per la nuova forma acquisita.
I loro elogi divennero una vera e propria droga, una roba da sballo.
Finalmente ero la protagonista della mia vita, finalmente godevo di
un'attenzione mai ricevuta e venivo ammirata dagli altri.
Però
ogni droga ha il suo prezzo, crea dipendenza e assuefazione.
E
così non mi fermai e continuai a dimagrire. Sulle mie guance
iniziarono a formarsi dei solchi profondi, guardandomi era possibile
contare il numero delle costole e delle vertebre. Ma per me ero
semplicemente bellissima e questo mi bastava a far tacere il dolore
che provavo nello stomaco da ormai un paio di mesi. I miei ovviamente
si erano accorti che qualcosa non andava e cercarono invano di
parlarmi e convincermi a riprendere a mangiare. Per la prima volta
dopo anni i miei genitori erano concordi, erano tornati una coppia
unita di fronte al dramma della loro figlia; tutto ciò non
fece altro che rafforzare il mio desiderio di andare avanti nel
rifiutare il cibo, perchè se ero riuscita a compiere questo
miracolo allora non mangiare faceva davvero bene e non solo a me.
Non
sentivo mia madre che piangeva la notte, non sentivo mio padre che la
consolava.
Andai
avanti così per mesi, finché il corpo stremato si
ribellò alla mia volontà e svenni in bagno. Fui portata
all'ospedale, il che fu decisamente una fortuna. I medici
innanzitutto iniziarono a reidratare il mio corpo, mi fecero numerose
flebo e mi alimentarono in endovena al fine di stabilizzare i miei
livelli ematici. Per una settimana non vidi altro che flebo 24 ore su
24, tanto ero devastata fisicamente. Il difficile arrivò dopo,
quando dovetti affrontare per la prima volta dopo tanto tempo il
confronto col cibo. Mi presentarono una porzione di verdure bollite e
un po' di pasta in bianco; qualcosa di leggero che permettermi di
riabituarmi pian piano al sapore, alla masticazione e alla
digestione. Nonostante la quantità del cibo portatomi fosse
decisamente esigua, feci fatica a ingerire anche quella, anzi ne
lasciai persino un po'. Mangiavo lentissimamente, quasi stessi
imparando per la prima volta a farlo. Però volevo mangiare! Mi
ero resa conto che avevo toccato il fondo e dopo il fondo c'era
soltanto un'altra cosa: la morte...e io invece avevo ancora il mio
sogno da realizzare. I medici erano contenti di questa reazione, ma
sapevano che era solo l'inizio e che la strada per la guarigione
sarebbe stata lunga.
Un
giorno chiesi a mia madre di portarmi uno specchio. Lei rimase
interdetta, vidi nei suoi occhi il terrore. La rassicurai: ero pronta
per affrontare questo passo anche se, ne ero sicura, sarebbe stato un
pugno nello stomaco... e così fu. Appena vidi la mia immagine
riflessa scoppiai a piangere. Mia madre mi abbracciò, iniziò
a piangere anche lei e rimanemmo strette l'una con l'altra per minuti
infiniti, in un pianto liberatorio per entrambe. Da troppo tempo non
sentivo...o non volevo sentire la vicinanza di mia madre e fu bello
ritrovarla e percepire di nuovo il calore umano.
Rimasi
in ospedale per due mesi e lì piano piano imparai a
rialimentarmi quasi normalmente. Fu allora che i medici mi
prescrissero un vero e proprio piano psicoterapeutico presso questo
centro di disturbi alimentari. Come potrai immaginare lo psicologo da
cui entrai in cura fu Mamoru. Qui dovetti affrontare alcuni fantasmi
del mio passato, alcuni scherzi del mio inconscio e dei dolori mai
superati. Oggi posso affermare di essere guarita, il che mi permette
di essere serena nel parlare della mia malattia che come avrai
capito, anche nel mio caso, era l'anoressia. Tuttavia continuo a
venire qui una volta al mese. Non sai quanto faccia bene sfogarsi! E
per questo, Usagi, io ti prego dal profondo del cuore; se ti vuoi un
minimo di bene, intraprendi questo percorso e scoprirai dentro di te
delle risorse e delle energie inimmaginabili che ti permetteranno di
cambiare radicalmente la tua vita! Ti prego Usagi, fidati di noi! Lo
so che quello che stai provando in questo momento è la
sensazione di non essere compresa e di essere sola, ma sappi che non
c'è nulla di più sbagliato. Innanzitutto se vuoi avere
delle nuove amiche, noi siamo qui a tua disposizione. Ovviamente non
ti diciamo che saremo amiche per la pelle da un giorno all'altro, ma
perché non provarci e negarti questa possibilità?
Quando ti sentirai pronta, potrai chiedere i nostri contatti a Mamoru
e noi saremo ben felici di rivederti e passare un pomeriggio assieme,
in sala giochi, a fare shopping, a bere un caffé o a fare una
chiacchierata. Senza impegno, ma se te la senti ne saremmo davvero
onorate, giusto ragazze?-
Si
voltò verso le altre ragazze che prontamente annuirono.
Non
sapevo se accettare la loro offerta, ma alla fine che cosa avevo da
perdere? Nel caso non mi fossero piaciute, avrei sempre potuto
dirglielo. Che dire dopo tutto ciò che avevo ascoltato?
Sicuramente era stata una giornata pesante e avevo molto su cui
riflettere. Mi sentivo stanca, quasi le loro storie mi si fossero
caricate sulle spalle e mi era venuto anche mal di testa. Tuttavia
quel peso paradossalmente aveva allentato quel groppo alla gola che
mi attanagliava da tanto tempo.
-Ragazze,
io vi ringrazio per tutto, per la sincerità con cui mi avete
confidato dei vostri momenti così difficili e per la
disponibilità che avete dimostrato pur non conoscendomi. Ora
tocca a me, ma ho bisogno prima di smaltire un po' di emozioni. Vi
chiedo scusa, ma vorrei andare a casa. Mamoru...direi che mi hai
portato delle buone motivazioni per continuare!-
Sorrisi.
-Prima
di andarmene...posso abbracciarvi?-
-Ma
certo!- risposero in coro.
E
così le abbracciai. Le abbracciai una a una. Avevo bisogno
anch'io di contatto fisico, di sentirmi voluta bene. Volevo sentire
accolto questo mio grande corpo. Vissi degli istanti di strane
sensazioni. Percepivo chiaramente che i loro abbracci erano sinceri e
speravo che anche loro provassero lo stesso, perchè era così.
Uscii
dall'ambulatorio stanca, confusa, ma felice e ottimista.
Cosa
che non mi capitava da decisamente tanto tempo.
Scusate
l'attesa, ma come detto nel capitolo precedente l'ispirazione é
a tratti alterni...E con questo capitolo ho finito i racconti delle
inner. Spero di non avervi deluso. Ringrazio sempre chi legge e
commenta! Arigato !^^
In breve tempo tornai a casa. Ero davvero esausta.
Troppe cose erano successe in un solo pomeriggio, troppe emozioni avevano
sussultato dentro di me. Mi buttai sul letto con l’intento di riposare un
pochino prima di cenare, ma con la coda dell’occhio scorsi un vecchio album di
foto posto tra una pila di libri altrettanto vecchi. Attratta in maniera
inconsueta da quell’album, mi alzai, lo presi e iniziai a sfogliarlo. Dalla
nuvoletta di polvere che si sollevava a ogni cambio di pagina, dedussi che era da
molto tempo che restava chiuso. Ed eccomi lì, ripresa nelle
mie varie pose, nelle mie varie espressioni, nelle mie diverse età.
Sin da piccola mostravo un
certa tendenza alla rotondità, ma mia madre, sotto pressione dei medici, mi
portò subito da alcuni esperti di dietologia pediatrica con lo scopo di
correggermi e permettermi una crescita sana. Considerando la situazione
presente decisamente non ebbe successo. Sfogliando
quelle pagine ebbi alcuni flash: bambini che all’asilo mi prendevano in giro,
bambini che all’elementari mi prendevano in giro,
adolescenti che alle medie mi prendevano in giro. Non ho mai avuto pace. In
particolare alle medie incontravo sul bus un ragazzino che mi rivolgeva delle
frasi crudeli a dir poco e il solo ripensarci mi faceva star male.
Mi sviluppai presto, quindi mi sentii subito
diversa dalle altre bambine: ero sempre la più grande di tutte, la più alta, la
più matura, ma per questo ero anche la meno compresa e nessuno si era accorto che
ero anche la più bisognosa d’affetto.
Da più parti l’unico pensiero che mi veniva trasmesso era quello che dovevo dimagrire al più
presto, perché prima è meglio è, perché i bambini fanno meno fatica, perché più
tempo passa e più alto sarà il tasso di rischio di patologie legate al peso.
Così, all’età di dieci anni, intrapresi per la prima e ultima
volta una dieta seria. All’inizio la soddisfazione era tanta e il mio aspetto
era decisamente migliorato: gambe un po’ a x, ma
lunghe e snelle, viso definito e privo di doppio mento e sensazione di essere
davvero carina! Dopo tanto tempo potevo finalmente vestirmi come una bambina
della mia età! Gioii all’inverosimile quando riuscii trovare un abito di jeans
che mi calzava alla perfezione. In un anno avevo perso dieci chili. Mi sembrava
di sognare! Purtroppo quello stato di beatitudine durò ben poco. Con l’arrivo
dell’estate, delle vacanze e dei gelati gli sgarri si
fecero sempre più frequenti e i chili tornarono inesorabilmente a salire.
Dopo aver sofferto così tanto
per dimagrire, bastava così poco per recuperare peso? Purtroppo sì e così
recuperai i chili persi con gli interessi, decisamente
alti. Lo sconforto prese possesso di me e divenni una ragazza triste e a
disagio col suo essere.
Sin da piccola, inoltre, a scuola ero piuttosto
brava. All’elementari e alle medie un ottimo dopo
l’altro, alle superiori un dieci dopo l’altro. Era l’unica cosa che sentivo
rendesse orgogliosi i miei genitori e la mia famiglia. Mio nonno esponeva in
casa la mia pagella come un trofeo e la mostrava a chiunque varcasse la porta.
Ogni tanto arrivava qualche mancia e qualche regalo.
L’azienda di mia madre mi aveva premiato più volte con borse di studio per
merito e quindi anche lì ero piuttosto famosa. Eppure tutta questa “notorietà”
mi dava fastidio, mi soffocava, creava attorno a me delle aspettative
enormi che io non sapevo se volevo e potevo soddisfare. Mi dicevano diventerai
una donna manager…chissà se lo diventerò, chissà se lo vorrò diventare.
Presto avrò l’esame di maturità e prenderò l’ennesimo cento della mia vita; per
l’ennesima volta mi diranno brava e sbandiereranno il mio diploma ai quattro
venti. E poi dovrò fare l’università, quale non si sa, ma tanto ho ancora
qualche mese per pensarci.
La cosa non mi rendeva entusiasta perché io sono
sempre stata un’eterna indecisa… le decisioni le avevano prese sempre gli altri per me
e quindi fare delle scelte che fossero mie al 100% mi era del tutto impossibile
e mi faceva entrare completamente in crisi. Giornate passate a piangere perché
non mi sentivo autonoma, non mi sentivo grande, non mi
sentivo pronta.
E mio padre era esattamente come quello di Minako, irascibile, routinario,
pignolo all’estremo; anche per lui qualsiasi cosa io facessi al di fuori del
suo ciclo giornaliero costituiva un problema. Alla visione di quelle crisi
esistenziali mi criticava pesantemente perché non capiva e non voleva una
figlia piagnucolona. Spesso provo il desiderio di scappare di
casa, di scappare da tutto e da tutti. Purtroppo, però, dal mio desiderio di
evasione ho ottenuto finora solo un rapporto distorto con il cibo. Il mio unico amico, l’unico sempre disposto ad ascoltarmi e a
consolarmi.
Tutte queste cose messe assieme mi rendono la
persona infelice che sono adesso. Mi sento triste, come se fossi stata privata
di qualsiasi forza per ribellarmi al mio destino, privata di qualsiasi energia
positiva che mi permetta di reagire e creare un futuro diverso. Il MIO futuro.
Vorrei essere accettata per quello che sono: una sognatrice a
cui piace un mondo rosa, fatto di coccole, tenerezza, dolcezza e di
gente gentile, dove io mi senta felice per ciò che faccio e ciò che sono. Sono
consapevole che tutto ciò nella realtà non esiste in senso così puro, certo
sono idealista ma anche desiderosa di provare a crearlo, il MIO mondo, o per lo
meno di creare il mio angolino rosa, dove poter star bene.
Ora dovevo solo dirlo a Mamoru,
speravo solo di trovarne il coraggio e di non mettermi a piangere come una
bambina, odio piangere davanti agli altri, odio
mostrare le mie debolezze. Magari si metterà a ridere e
io come un’idiota ci rimarrò male, però devo provarci, ho fatto una promessa a
me stessa.
Devo provare a volermi più bene.
Scusate l’attesa. Spero mi
perdoniate e che il capitolo vi piaccia anche se più corto dei precedenti.
Vista la mancanza di ispirazione ho deciso di far
finire la storia entro uno-due capitoli. Lo devo a
voi che mi seguite e a me che non piace lasciare qualcosa in sospeso. So che
rimarrete delusi e che probabilmente mi verrà detto
che ho concluso il tutto in maniera frettolosa e che la trama poteva essere
sviluppata in maniera migliore. Io spero comunque di poter degna fine alla
storia, per quando essa sia anticipata rispetto al previsto.
Forse aveva ragione chi mi criticava
nei primi capitoli…
Avevo
pensato di accoglierla direttamente all’entrata con la scusa che non le avevo detto dov’era il mio studio. In realtà, dalla piantina
della struttura posta all’entrata, lo avrebbe tranquillamente trovato da sola. Sin
dal primo incontro al parco avevo provato verso di lei un forte istinto di
protezione. Era una sensazione nuova anche per me e difficile da descrivere e
da accettare. Non era di certo la prima ragazza obesa che avevo in cura, ma
vederla sola sull’altalena a mangiare gli onigiri, mi
aveva spezzato il cuore. Effettivamente, forse, era la prima paziente che
vedevo soffrire al di fuori del contesto
ambulatoriale. Ormai era diventata un’abitudine separare la vita lavorativa da
quella privata e comunque, abitando nella periferia di
Tokyo, non avevo mai incrociato, né tanto meno incontrato le pazienti per
strada. Quel giorno poi passavo per il parco per puro caso, spinto dal
desiderio di fare una passeggiata e di guardare il tramonto gustandomi un
gelato, prima di tornare a casa. Si direbbe un incontro voluto dal
destino.Comunque
questa particolare attenzione che nutrivo spontaneamente nei suoi confronti,
era un atteggiamento che dovevo troncare sul nascere. In primis era deleterio
per lei, perché la mia non obiettività potrebbe
influire negativamente sul mio modo di agire durante la terapia, rallentandone
i risultati. E poi era contro l’etica professionale affezionarsi in tal modo a una paziente.
«Articolo 26 del codice
deontologico degli psicologi
Lo psicologo si astiene
dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri
problemi o conflitti personali, interferendo con l’efficacia delle sue
prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. »
Così
mi ero ripromesso di controllarmi, di mostrarmi amichevole ma distaccato, ma
dentro di me, mi ripetevo che alla fine non c’era nulla di male
nell’accoglierla all’ingresso e così feci. Nonostante
ciò, quella fu una delle sedute più difficili della mia vita.
Fare
lo psicologo mi veniva piuttosto naturale, mi era sempre piaciuto aiutare gli
altri a capire se stessi e avevo intrapreso questa
professione proprio per questo e in seguito alla mia esperienza personale. Il
difficile era stato cercare di restare calmo, vedendo quella ragazza tentare di essere forte davanti agli altri e guardandola sopportare
da sola quel peso che le stavo volontariamente buttando addosso. L’esperienza e
anche la teoria erano a favore di questo tipo di
approccio per molti versi violento, ma quell’essere,
così robusto nell’apparenza ma così fragile nella sua essenza, lo stava facendo
pentire di non aver iniziato in un altro modo. Ormai comunque
era troppo tardi, la strada era stata intrapresa e non aveva senso cambiare in
quel momento. A ogni parola di Ami vedevo il suo
sguardo spegnersi; o si riconosceva nel racconto oppure stava lottando con
tutte le sue forze pernegare la sua
somiglianza della sua storia con quella di Ami. Quando
poi aveva chiesto di andare alla toilette, istintivamente le sorrisi per
rassicurarla e mostrarle comprensione. In realtà la preoccupazione attanagliava
il mio cuore. Stavo sbagliando tutto con lei? Mi influenzava
già a tal punto? No, non poteva essere e così tornai serio e nell’attesa chiusi
gli occhi e mi focalizzai mentalmente verso il vertice
superiore del triangolo che avevo formato davanti a me con le mani, poggiando
gli indici sulla fronte. Mi concentrai sul mio respiro, sentii l’aria entrare
dalle narici e scivolare attraverso la trachea sino a raggiungere i polmoni,
percepii la vibrazione di questi ultimi che pian piano si dilatavano sino a
raggiungere la loro massima estensione e quindi tornavano a contrarsi e
ascoltai il rumore dell’aria che riacquistava la sua libertà. Ora ero di nuovo
concentrato sul mio obiettivo. Ora potevo proseguire senza intoppi…però quando
la vidi rientrare e fissare così intensamente Rei, le stavo scoppiando a ridere
in faccia!! Aveva un’espressione buffissima e
contemporaneamente molto tenera.
Durante
il racconto di Rei, sembrava più rilassata, probabilmente stava iniziando ad
accettare l’esistenza di questo tipo di situazioni e di problematiche; fu un
primo, ottimo segnale! Inoltre Rei stava parlando
proprio del BingeEating,
quindi sicuramente era riuscita a catturare l’attenzione di Usagi.
Vedevo Usa sempre più determinata, ma per delicatezza
nei suoi confronti le chiesi come si sentiva. Fortunatamente la risposta fu positiva, il che mi rese molto felice ed orgoglioso di lei.
Stava già compiendo dei passi importanti. La consapevolezza era il primo passo
verso la guarigione e lei stava accettando di buon grado gli input che gli stavo mandando. Con il racconto di Makoto la sua reazione fu
molto differente. Sicuramente l’esperienza di Mako
era stata tremenda ed in fondo era inevitabile che turbasse Usagi.
Infatti la vidi asciugarsi una lacrima, ma feci finta
di nulla per non imbarazzarla e d’altronde come poterla biasimare? Quando Makoto si rivolse a lei direttamente, lo spavento e lo
stupore le si dipinsero in volto. Questo improvviso
ruolo attivo l’aveva colta alla sprovvista e forse era anche un po’ precoce, ma
l’accorato appello di Mako, e quindi una bella
scrollata, poteva farle solo bene.
Dopo
all’incirca due ore dall’inizio della seduta, si
cominciavano a vedere i primi segni di cedimento alla stanchezza sul volto di Usagi. Era stata una giornata intensa per lei e mancava
ancora il racconto di Minako. Ero proprio curioso di
vedere la reazione di Usa davanti a una ragazza che le
somigliava tanto e speravo sinceramente che diventassero amiche. Sicuramente
tutte assieme sarebbero state un bel gruppo, nonché un
ottimo esempio per Usagi e allo stesso tempo Usa
sarebbe uscita dal guscio che si era inconsapevolmente creata. Non volevo
forzare le cose, ma fortunatamente fu la stessa Minako
a togliermi le parole di bocca e a proporre di approfondire la conoscenza. Ero
molto orgoglioso delle ragazze!
Avevo
delle sensazioni positive eimmensa fiducia nelle capacità di Usa,
nonostante il percorso lungo e irto di insidie che l’attendeva.
Guardai l’orologio, erano già le 23
passate. Avevo pensato un po’ troppo! Presi un nuovo quaderno dalla dispensa.
Aveva un bellissimo coniglietto disegnato sulla copertina; sì, era proprio per
lei. Sul primo foglio scrissi in caratteri maiuscoli: “ Usagi
Tsukino, anni 19, BingeEatingDisorder”.
Voltai
ancora pagina ed iniziai a scrivere qualche appunto di quella prima giornata:
·Ascolto
dei racconti di Ami, Rei, Makoto
e Minako
·Reazioni
diverse della paziente. Momento di panico, ma ripresa
rapida e determinazione crescente
·Desiderio
di proseguire
·Prima
presa di consapevolezza
·Accettazione
delle nuove realtà, no ribellione -> ottimo segno
·CE LA
FARA’ !
Salve a tutti, so che è
un’eternità che non aggiorno, ma spero che con questo capitolo mi faccia perdonare.
Ho pensato di vedere la seduta da un altro punto di vista…che ne dite? Un
abbraccio