Pretty, Gentle, Rocket Boy

di Shinushio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


PREFAZIONE:

 

La mia decima storia su EFP *stappa champagne allegra*, bisogna festeggiare!

Originariamente “Pretty, Gentle, Rocket Boy” era nata come shot, un’interminabile shot se posso dirla tutta, ma col senno di poi ho deciso di spezzare il racconto in due perché mi rendo perfettamente conto che i capitoli troppo lunghi possano risultare indigenti ai più (a quanto pare solo io li apprezzo XD): adesso conta sette paginette, spero riusciate a leggerle tutte :D

Dunque dunque, che dire: tanto per cominciare, dopo aver postato Paul's First Time (massì, facciamoci un po’ di pubblicità gratuita: se ve la siete persa, è una shot delirante dove papà - Paul è costretto a cambiare pannolini e asciugare vomito per tutta la notte XD), ho avuto quella che viene comunemente chiamata l’ispirazione divina. Ovvero: scrivere una raccolta di storie (shot, long, flash, drabble…)  su varie coppie, tratte dall’anime, dal videogioco o dal manga, alle prese coi rispettivi figli. Che volete che vi dica? Sarò scaduta, sarò banale, ma scrivere di situazioni familiari è quanto di più bello abbia mai trovato da scribacchiare, quindi sopportatemi. E vi dirò di più: se avete qualche paring o idea da consigliarmi, chiedetemele pure, cercherò di esaudire i vostri desideri XD Al momento la raccolta “Sons & Parents” conta una Paul/Lucinda e una James/Jessie (quella che state per leggere), ma sono previste molte altre storie. Fatemi sapere XD

Allora, per concludere, spero vi piaccia questo piccolo omaggio al Team Rocket, che a mia detta sono i migliori personaggi della serie assieme a Gary, ma questa è un’altra storia. Beh, dato che girano così poche storie su di loro mi sono detta che volevo assolutamente scrivere anch’io qualcosa. Meowth non comparirà perché purtroppo il trio nell’anime si è sciolto e quindi, per seguire la trama e rendere il tutto il più verosimile possibile, ho cercato di attenermi al filo della storia. In ogni caso “Pretty, Gentle, Rocket boy” è ambientato un paio d’anni dopo le rocambolesche avventure dei nostri beniamini, facciamo dieci per convenzione XD

Ah, un’ultimissima cosa: il figlio di Jessie e James si chiama Jeremy e ho scelto questo nome perché mi piaceva l’idea di trovarne uno che cominciasse con la lettera “J” proprio come quello dei suoi genitori.

Ora chiudo davvero, buona lettura XD

 

 

~Pretty, Gentle, Rocket Boy~

 

CAPITOLO 1

 

 

Jeremy Turner stava apportando le ultime correzioni all’ennesimo problema di geometria solida quando udì il portone di casa aprirsi e successivamente richiudersi con ferocia che non avrebbe esitato a definire “brutale”. Poco dopo, come da copione, accade ciò che in fondo, in cuor suo, già si aspettava.

« Jeremy William James Jason Turner vieni qui immediatamente! E’ un ordine. »

Sospirò sconsolato poggiando la matita sul foglio innanzi a sé, dopo essersi premurato di aver asciugato il gommino, sulla capoccia, inumidito dalla propria saliva: in tutti quegli anni aveva sempre pensato che Jessie avesse un’ugola ben lontana dal potersi definire idillica, come tra l’altro potevano confermare le sue povere orecchie dopo ore e ore di esibizioni da parte di questa sotto la doccia. Sospettava fortemente che le sue corde vocali fossero ricoperte da carta vetrata e che fosse proprio quello il motivo per cui ogni volta che parlava, rideva o addirittura sussurrava, i vetri di casa finivano inevitabilmente con il tremare, ma questa tutto sommato era un’altra storia che c’entrava poco o niente con la natura dell’attuale incazzatura cronica dei suoi.

Si alzò, ficcandosi di malavoglia le mani in tasca e uscendo dalla propria camera con l’entusiasmo tipico di chi ha appena scoperto di essere condannato alla forca. Se possibile, il suo umore peggiorò quando entrò in salotto, dove ad attenderlo accomodati sul divano in pelle trovò i suoi genitori; sua madre reggeva tra le mani un foglio che aveva tutta l’aria di essere un documento importante.

« Siediti. » Gli intimarono all’unisono seri come non li aveva mai visti.

A capo chino e sentendosi colpevole di un terribile misfatto a lui sconosciuto, si limitò ad eseguire quanto ordinato, prendendo posto sulla poltrona lì vicino.

Non ci fu alcuna pausa di completo silenzio, tipica di chi si appresta a pensare ad un discorso abbastanza intimidatorio o semplicemente per il gusto di incutere terrore o ansia nella vittima. I due, infatti, presero una generosa boccata d’aria e cominciarono immediatamente la loro arringa sbattendo sul tavolino il suddetto foglio, che il bambino scoprì subito dopo portare il timbro della sua scuola.

« Esigo delle spiegazioni signorino e spero per te che siano illuminanti. » esordì suo padre James incrociando le braccia al petto e fingendo un’autorità e una serietà che non gli erano proprie.

Jeremy studiò preoccupato la causa di quel putiferio e tese timidamente le mani verso il documento; quando lo riconobbe e lo ebbe visionato da cima a fondo, finalmente capì e si sentì a metà tra il rammaricato e il confuso.

« Cosa dovrei spiegare? » ribatté ostentando un’indifferenza che non poteva sentire più lontana.

Questa volta, fu sua madre ad intervenire.

« Tu SAI vero, cos’è quella carta che stringi tra le mani? »

Che domanda sce- sciocca.

« … la mia pagella? » chiese ingenuamente.

La vena sulla tempia di Jessie cominciò a pulsare.

« Precisamente. Ora vorrei che tu mi spiegassi un paio di cosette a tal proposito… » E così dicendo gli strappò il foglio dalle mani, scorrendo col dito fino a quando non trovò ciò che le interessava « Ecco, leggi qui ad alta voce e trova una scusa convincente per quello che hai combinato. »

Jeremy sbuffò contrariato, chiedendosi se tutto questo fosse normale o segno di forte squilibrio da parte dei suoi, mentre i due presi in causa attendevano che il loro unico figlio giustificasse la più grande vergogna mai provata da quando ne avevano memoria. Più mortificante che essere sconfitti per la quattrocentesima volta dai mocciosi ed essere sbalzati via alla velocità della luce; più oltraggiosa che venire declassati e costretti a vendere origami per sostenersi economicamente fino a nuovo ordine; più devastante che sapere che, per quanto ci provassero, Pikachu non sarebbe MAI caduto in mano loro, specie ora che quell’Ash Ketchum era diventato Pokemon Master: il colloquio con gli insegnanti e la consegna delle pagelle.

 

 

 

Jessie e James sbuffarono all’unisono mentre attendevano, seduti su delle seggiole scomodissime, che la fila innanzi a loro si dipanasse. Quale onta doversi comportare come genitori modello e limitarsi a qualche battutina tagliente ogni qualvolta una coppia si avvicinava a loro col chiaro intento di voler attaccar bottone!

« James non ce la faccio più. Stiamo aspettando da quasi un’ora e ci sono ancora venti persone davanti a noi! » si lamentò la donna ostentando uno sbuffo accorato.

All’udire la voce squillante della compagna, l’uomo si riscosse dal proprio torpore quasi rischiando di cadere a gambe all’aria dalla sedia.

« Pazienza Jessie, pazienza. Vedrai che manca poco. » si limitò a dire stropicciandosi gli occhi provati coi palmi delle mani, frase copia-incollata che aveva ripetuto non meno di sei volte negli ultimi quaranta minuti.

Aspettare era una perdita di tempo, tempo prezioso che avrebbe potuto essere impiegato cento volte meglio al servizio di Giovanni. Ora che avevano ricevuto una promozione, divenendo entrambi generali, i loro impegni si erano quintuplicati come conigli, costringendoli a rincasare ogni sera ad orari a dir poco inumani e radiare ogni svago o attimo di riposo. Erano orgogliosi del loro lavoro, il suggello di epiche imprese e anni di sfaticate finalmente riconosciute, tuttavia si sentivano in parte in colpa nei confronti del figlio Jeremy, costretto a crescere e imparare l’arte del vivere senza la loro supervisione. Se non altro, il piccolo aveva dimostrato di essere dotato di grande intelligenza e sagacia, doti indispensabili per sapersi destreggiare in quella giungla d’asfalto, palazzi, strade, persone e rapporti chiamata anche “vita”. Ovviamente questo non voleva dire che fosse stato abbandonato a se stesso senza alcun valore, insegnamento o protezione: i week end erano sacri e come tali venivano trascorsi come fossero la più affiatata delle famiglie al mondo. Era in momenti come quelli che si sentivano davvero felici, in grado di esplodere da un momento all’altro di gioia esattamente come quando, ai tempi d’oro, rincorrevano i mocciosi di regione in regione architettando i più rocamboleschi e svalvolati piani per mettere loro i bastoni tra le ruote. Consumare il proprio tempo con Jeremy non era affatto uno spreco e li aiutava a capire che, oltre alla loro prestigiosa carriera, c’era qualcos’altro per cui valesse la pena alzarsi la mattina al canto del gallo e affrontare con determinazione gli impegni della giornata. E non importava quante delusioni sarebbero gravate sulle loro spalle perché le avrebbero sicuramente superate per tornare da Jeremy e trascorrere, anche se corta, una piacevole serata assieme.

Improvvisamente le orecchie di Jessie si tesero captando un sibilo impercettibile al di là della porta. Gli angoli della bocca le si piegarono all’insù in un sorriso mefistofelico mentre, con una mano, cercava disperatamente di strappare suo marito dal mondo dei sogni.

« James tieniti pronto all’azione. » gli sussurrò alzandosi in piedi e fingendo di stiracchiarsi gli arti intorpiditi dal troppo far niente.

L’uomo sussultò svegliandosi di soprassalto.

« Che c’è adesso? » le domandò affiancandosi alla sua figura.

« C’è che mi sono stancata di fare la brava mamma e di sopportare i pettegolezzi di quelle befane – Jessie indicò con un rapido cenno un gruppo di signore intente a cicalare animatamente del più e del meno, lanciando occhiatacce velenose e torve a chiunque si soffermasse a guardarle per più di tre secondi – quindi noi adesso entriamo, non m’importa se non è il nostro turno. »

L’altro annuì con un sorriso complice.

« Team Rocket pronto a partire alla velocità della luce? » le chiese passandosi tra i denti il gambo della rosa prima annodato al taschino della propria giacca.

Lei ridacchiò compiaciuta pronta a ribattere come da filastrocca prestabilito, quando un sussurro non troppo sussurro le giunse alle orecchie strappandole quella punta di buon umore che aveva ritrovato.

« Ma non si vergogna quella Jessie? Andare in giro alla sua età con una permanente del genere! Per non parlare di quel colore poi! Non oso immaginare che razza d’esempio possa dare a suo figlio… »

James non seppe mai quale Dio, o chi per lui ne facesse le veci, ringraziare in quel momento, come d’altro canto non riuscì mai a capire come il piano di sua moglie fosse andato effettivamente in porto. Accadde come in quei film da quattro soldi dove, con il tempismo di un orologio svizzero, una catastrofe veniva sventata perché succedeva qualcosa o arrivava qualcuno che ne rendeva impraticabile l’attuazione. E così ora: la generale Rocket, già sfoderati gli artigli e la bocca costretta in un ringhio feroce, con impressa negli occhi la scritta “stasera mi mangio quattro oche in padella”, dovette rinunciare ai suoi folli e omicida progetti (e grazie al cielo) perché di punto in bianco la porta della sala insegnanti si aprì e una giovane coppia lasciò la stanza con un sorriso sornione e appagato dipinto sui loro volti.

« Jessie… »

Al richiamo di James, quella balzò per aria cogliendo velocemente il messaggio subliminare celato dietro il suo tono di voce: era arrivato il momento di agire!

Lanciatisi un’ultima occhiata d’intesa, i due oltrepassarono la fila veloci come il suono, senza badare minimamente ai gridolini di protesta del club del pettegolezzo né tantomeno al malcontento generale che si diffuse a macchia d’olio: ogni lagna, dibattito o rimprovero che fu loro rivolto fu per Jessie e James il più grande degli encomi mai ricevuti e quando si chiusero la porta alle spalle ghignando malignamente ai genitori lì presenti, si sentirono finalmente in pace con loro stessi.

Per quel giorno erano stati anche TROPPO buoni, oltre che pazienti! Per la miseria, se lo fosse venuto a sapere Giovanni sarebbero stati licenziati in tronco nel giro di pochi secondi, senza contare la profonda vergogna di cui si sarebbero dovuti far carico.

« Prego signori, accomodatevi. » disse loro una donna poco distante invitandoli a sedere davanti alla cattedra.

I due ricambiarono soddisfatti un tipico sorriso di circostanza e, per una volta, eseguirono gli ordini impartiti da una comunissima e scialba signora. In altre e più divertenti contingenze le avrebbero fatto notare che il Team Rocket non prendeva ordini da nessuno, meno che meno da una sciacquetta come lei (eccezion fatta per il capo, ovvio!), peccato solo che ora, all’interno di quell’edificio e dato anche il motivo per cui si trovavano lì, non potevano permettersi di esercitare la loro carica e far scoppiare così il terrore.

Peccato.

« Voi siete i signori…? »

« Turner. » rispose James alzando la voce quanto necessario per coprire i borbottii malevoli e indignati della folla fuori. Ahh… mai musica più soave fu udita dalle sue povere e martoriate orecchie! Anche Jessie doveva star pensando la stessa cosa, vista la smorfia vittoriosa che esibiva senza vergogna né lode.

La pedagoga si sciolse in un risolino tutt’altro che rassicurante mentre i suoi occhi si facevano così luminosi da poter essere comparati ai fari di un automobile.

« Oh, e così voi siete i genitori di Jeremy Turner? » fece con voce incrinata dall’emozione.

La coppia annuì attendendo risvolti mentre quella studiava con occhi sereni un documento che doveva essere presumibilmente la pagella del loro fringuello. La prima.

Jessie sorrise nel pensarlo: già, quella era la primissima pagella di Jeremy, prima come il loro colloquio con gli insegnanti. Non sapeva cosa aspettarsi da degli esseri così ambigui: in cuor suo anelava a ricevere solo parole degne di lode sulle capacità intellettive del figlio, ma sapeva anche troppo bene che aspettarsi qualcosa e sperarci con tutto te stesso era il primo passo per rimanere doppiamente insoddisfatti e delusi in seguito, quando assistevi allo sfracello dei tuoi sogni. Lei e James si erano imposti di non avere la benché minima aspettativa nei confronti del figlio e che, qualunque fosse stata la valutazione finale, l’avrebbero accolta a cuor sereno e ne sarebbero stati soddisfatti. Il loro bimbo studiava tanto e a loro bastava sapere questo: se fosse risultato insufficiente, l’avrebbero aiutato a colmare le lacune e l’avrebbero fatto nella maniera più civile e gentile possibile.

« Dunque ci dica: com’è se la cava il nostro Jeremy? » domandò James con l’entusiasmo di un moccioso a Natale: fare il padre lo esaltava e lo riportava indietro negli anni, quando ancora ragazzo e ricco di buoni propositi trascorreva le proprie giornate ad immaginarsi una vita diversa da quella che aveva, chiusa tra quelle soffocanti quattro mura fatte d’oro e di diamanti. Ecco, fare il papà era il coronamento della vita avventurosa che aveva sempre desiderato, un’esistenza che non avrebbe potuto immaginarsi diversa o senza Jessie al suo fianco.

La sua compagna lo guardò e ridacchiò dolcemente, evento più unico che raro.

« Non penso di esagerare quando dico che vostro figlio è uno degli alunni più dotati e intelligenti che mi siano mai capitati… » esordì raggiante la donna aprendo sotto i loro nasi la pagella dello studente « Prego, osservate. »

I due strabuzzarono gli occhi increduli: accanto al nome di ciascuna disciplina troneggiava a lettere cubitali e nere un dieci con tanto di lode. Nessun abbaglio o errore: erano proprio dei dieci pieni e abbondanti, voti così meravigliosi che riempirono d’orgoglio i loro petti costringendoli a pensare frasi del tipo “Eh bravo il mio bambino”, “Domani gli regalo la nave pirata che mi chiede da mesi” oppure ancora “stasera gli cucino il dessert al cioccolato che gli piace tanto”.

Ebbene sì: il famelico duo del Team Rocket, conosciuto e temuto in ogni angolo del globo –anche se sotto mentite spoglie– era ridotto a un brodo di giuggiole, un impasto spugnoso e privo di spina dorsale. E sapete una cosa? Non glie ne poteva interessare di meno, tanta era la soddisfazione e la gioia che permeava il loro cuore in quel momento.

« Un genio della matematica, calligrafia elegante, temi originali e traboccanti di fantasia, ottimo intuito… sì signori Turner, non riesco a trovare niente nel curriculum di vostro figlio che possa essere catalogato meno che da dieci. »

Più ascoltavano più si sentivano leggeri e ebbri di compiacimento: l’avevano sempre saputo che il loro adorato ragazzo aveva talento da vendere! Di questo passo, con un po’ di fortuna e una buona parola sarebbe diventato presto un’ottima…

« Poi devo dire… » continuò l’insegnante aggiustandosi gli occhiali sul naso e interrompendo il filo dei loro pensieri « …che non solo è un bambino particolarmente dotato, ma è anche un vero e proprio alunno modello. Mai visto ragazzino con un’indole più buona e tranquilla della sua. »

La prima stonatura.

Jessie alzò un sopracciglio visibilmente perplessa, dopo essersi convinta che le sue orecchie dovevano PER FORZA averle giocato un brutto scherzo.

« Come scusi? Credo di non aver capito bene… » mugghiò lanciando un’occhiata titubante a James, il quale ricambiò a sua volta turbato.

La signora studiò meticolosamente i due, con attenzione e precisione quasi chirurgica: ok, forse era solo una sua stupidissima –non avrebbe saputo in quale altro modo definirla – impressione, ma quella bizzarra coppia non sembrava… felice di ciò che stava dicendo loro. Doveva esserci sicuramente uno sbaglio: chiunque sentendosi tessere lodi di tal fatta si sarebbe sciolto d’orgoglio come neve al sole e per loro doveva essere così.

« Dicevo: vostro figlio è uno degli studenti più dotati e… »

« Sì sì, questo lo abbiamo capito, è la parte dell’“alunno modello” che ci è poco chiara. » la interruppe James attendendo trepidamente delucidazioni.

La poveretta guardò ai due come si guarda alla cosa più strana e ineccepibile che vi possa capitare sotto il naso.

« Beh sì, vostro figlio è educatissimo, avete fatto davvero un ottimo lavoro come genitori, su questo c’è ben poco da discutere. » spiegò accennando un sorriso tutt’altro che sicuro e che sembrava destinato ad affondare nelle sabbie mobili della perplessità a breve.

All’udire quelle parole, James impallidì facendosi bianco come un cencio mentre Jessie continuava a strabuzzare gli occhi esterrefatta.

« Ci deve essere un errore… » Sentenziò infine forzando un sorriso scherzoso che però l’altra non si sentì di ricambiare.

« No no, vi posso assicurare che Jeremy è un angelo. Quando arriva a scuola saluta tutti gli insegnanti e i bidelli, aiuta sempre i compagni di classe in difficoltà, cerca di mettere ordine nelle zizzanie dei suoi coetanei. E’ un bambino adorabile che si è fatto amare da tutti, insegnanti e non. E’ impossibile non volergli bene. »

James era letteralmente sul punto di svenire, Jessie di esplodere.

« Io non… riesco a capire. Ma lei ci sta parlando proprio di Jeremy Turner? Ne è sicura? » chiese la rossa tentando quell’ultima spiaggia « Magari si sta confondendo con qualche altro ragazzino… »

« Penso sia proprio impossibile confondere il piccolo Jeremy per un altro… » fu la risposta che ricevette in cambio.

La maestra espirò a fondo raccogliendo tutto il pudore e il rispetto che aveva in corpo e cestinandoli all’istante, pronta per chiedere cosa ci fosse che li rendesse così… scontenti, sì, nei confronti di ciò che aveva appena riportato. Ora era semplicemente impossibile credere di aver preso fischi per fiaschi, non con una donna in preda a un violento tic all’occhio, che si stava divertendo a graffiare il bracciolo della seggiola sulla quale era seduta, e un uomo sul punto di svenire innanzi a lei!

« Scusate se mi permetto signori ma… » raccolse le idee onde evitare malintesi ed incomprensioni « …ecco, come dire, non sembrate particolarmente felici di quello che vi ho detto. Forse mi sono espressa male, forse non avete capito, non saprei… »

I due rimasero in silenzio, assorti in chissà quale amletico pensiero, continuando a crogiolarsi nella propria sofferenza ancora per un po’, fino a quando la signora Rocket non riprese la parola.

« Lei ci sta dicendo che nostro figlio è una specie di… paladino della giustizia – storse le labbra nel pronunciare tali parole come stesse masticando bile -, un ragazzo attento, che non fa il più piccolo dispetto o sgambetto ai suoi compagni, educato, rispettoso delle regole… »

« Esatto! » si intromise non riuscendo a trattenere un sospiro di sollievo nel constatare che finalmente la coppia sembrava aver capito, sollievo che si dissolse poco dopo quando udì la risposta che quella aveva già pronta sulla lingua.

« E DI COSA DOVREMMO ESSERE FIERI PRECISAMENTE?!? » strillarono all’unisono con voce garrula e furibonda « FORSE DI AVERE UN FIGLIO SMIDOLLATO?? »

Ammutolì facendosi piccola piccola, costernata e spaventata dalla reazione alquanto stravagante dei due, specie della signora, Jessie.

« I-io non direi smidollato: il vostro Jeremy è così sensibile, così buono… è una be-bella cosa, o no? » domandò con voce tremante sperando in un cenno d’assenso che ovviamente non arrivò.

Per tutta risposta, Jessie agguantò malamente la pagella del figlio e si alzò, facendo segno a suo marito di imitarla: sembrava non intenzionata a trascorrere un solo minuto in più lì dentro, ad ascoltare bislaccherie del genere e sopportare la presenza di quell’inetta.

- Questa sera giuro che mi sente… - aveva borbottato avviandosi verso la porta con una cadenza di passi sgraziata e pesante, seguita da un pallido James ancora a rischio di un possibile mancamento.

E mentre l’insegnante rimaneva seduta, inebetita, a fissare il vuoto che si era venuto a creare davanti a lei, i coniugi Rocket marciavano a passo di guerra verso casa, furibondi e delusi come mai prima d’ora.

E per fortuna che non si erano fatti nessuna aspettativa…  

 

 

   

« Dieci e lode in comportamento?? Ma non ti vergogni??? » sbraitò sua madre saltando per aria come una molla precedentemente tenuta compressa.

Jeremy la guardò continuando a non capirci niente.

« Ma… non è forse una bella cosa? Insomma, è un dieci, no? »

« NO CHE NON E’ UNA BELLA COSA!! » ribatté lei poggiandosi teatralmente una mano sulla fronte; James, sedutole accanto, annuiva con la testa fornendole spiritualmente supporto morale « Avere dieci in comportamento equivale a dire che sei uno smidollato, un ragazzino senza spina dorsale! Scommetto che i tuoi amici ti prendono in giro e si approfittano di te! »

« Non è vero, non si approfittano mica! » controbatté furioso perfettamente conscio di non meritarsi un trattamento del genere.

« Va bene, non se ne approfittano, ma rimane comunque un bel problema! Mi spieghi come speri di poter entrare nel Team Rocket un giorno con dei precedenti simili?? »

Finalmente il piccolo Jeremy capì e si arrabbiò ulteriormente: ecco il motivo di quel malcontento senza logica! Come aveva fatto a non arrivarci prima? E sì che non facevano altro che parlargli di quella organizzazione da qualche mese a questa parte!

« Ancora con questa storia?? Ve l’ho già detto centinaia di volte: io non ci voglio entrare in quella banda là, il Team Rotter… »

« ROCKET! » lo corressero contemporaneamente i due storcendo le labbra infuriati e alzando gli occhi al cielo.

« Quel che è, io comunque non voglio averci a che fare. »

James intervenne prontamente, facendo cenno a Jessie di calmarsi e di lasciargli il testimone: sarebbe riuscito a giostrare quel capriccio in maniera magistrale, poco ma sicuro; lui ci sapeva fare coi mocciosi…

« Figliolo… » esordì fingendo una calma e una disponibilità tutt’altro che sincere « …adesso sei giovane ed è ovvio che tu non riesca a comprendere le gloriose gesta e le nobili intenzioni dell’organizzazione, ma un giorno… »

« Macché un giorno! Io non voglio fare l’agente del Team Rocket da grande! » ribatté Jeremy sbattendo i piedi per terra.

« Ah sì? E cosa vorresti fare allora? Il truffatore? Il contrabbandiere? »

James e Jessie attesero pazientemente una risposta cercando di sedare la rabbia che stava montando alla testa, tentativo andato definitivamente a farsi benedire quando udirono ciò che neanche nei loro più mirabolanti sogni si sarebbero MAI aspettati.

« Io voglio aiutare l’agente Jenny, diventare un poliziotto!! » rispose innocentemente il bimbo inconsapevole del profondo shock che avrebbe causato al povero cuore dei suoi vecchi.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Jessie afferrò il primo cuscino che le capitò sotto mano e lo strappò in preda all’ira mentre James sveniva cadendo a terra, proprio davanti ai piedi del ragazzo il quale, spaventato, balzò indietro di qualche metro: il loro Jeremy voleva fare il… piedipiatti?? E loro che avevano ingenuamente pensato che il dieci e lode in comportamento fosse la vergogna più grande che si fosse abbattuta su di loro! Quella notizia era un cataclisma!

« Scordatelo giovanotto, dovrai passare sul mio cadavere! Tu entrerai a far parte del Team Rocket, che ti piaccia o no! » sentenziò la donna cercando inutilmente di far rinvenire suo marito « E anzi, sai che ti dico? Domani stesso provvederemo a far sì che quel dieci in comportamento cali a picco! Ti insegneremo personalmente a comportarti come si deve! Preparati, avrai una grande lezione di vita, e ora fila a letto! »

« Non voglio imparare a fare il criminale! »

In quella, James aprì nuovamente gli occhi tirandosi su con una certa difficoltà. Barcollò un po’ in preda alla confusione che gravava sulle sue spalle, poi guardò il sangue del suo sangue e quasi scoppiò in un pianto dirotto.

« Ma dove abbiamo sbagliato? » frignò mettendosi le mani tra i capelli e tirandoseli un po’.

« E’ tutta colpa tua! Tua e della tua famiglia! » gli rinfacciò Jessie prendendosela a morte « Scommetto che ha preso da quei smidollati dei tuoi! »

« Non è vero! »

« E invece sì! »

« Ti ho detto di no! Smettila di scaricare le colpe su di me, guarda che è anche tuo figlio! »

La situazione si era inspiegabilmente capovolta e ora i coniugi Turner si dilettavano a punzecchiarsi l’un l’altro ignorando il figlio. Ingenuamente, Jeremy sperò che questo bastasse a dissuaderli dal loro folle piano, far di lui un futuro criminale, ma ancora non poteva sapere cosa gli sarebbe toccato sopportare l’indomani e cos’avrebbero avuto il coraggio di tirar fuori.

Ancora non sapeva niente…

 

 

 

 

Continua

 

 

 

NOTE SCONCLUSIONATE DELL’AUTRICE:

 

Beh, penso che per Jessie e James non possa esserci vergogna più grande di un figlio poliziotto XD

Giusto una piccola precisazione: ecco, ovviamente non so se sia vero o possa avvicinarsi ad esserlo, ma non so quanto dei genitori possano essere scontenti di una pagella come quella del piccolo Jeremy, specie se è tutta dieci. Ovviamente trattandosi di criminali, mi sono sforzata di esagerare un po’ le cose per accentuare la comicità del quadretto, spero non risulti sgradevole alla lettura.

Beh, per il momento è tutto. Prima o poi posterò il seguito, che potrebbe essere anche più corto del primo ma con un finale del tutto inaspettato… ah, non vi anticipo nulla! Per il momento continuate a seguirmi e magari a recensirmi. Mi farebbe tanto tanto piacere.

Un bacio <3

 

 

 

 

Shin

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


PREFAZIONE:

 

Eccomi qua con l’aggiornamento XD

Che dire? Ovviamente ringrazio tutti quelli che hanno recensito il primo capitolo e salvato la storia tra le preferite/seguite/ricordate (voi sapete chi siete): significa davvero molto per me, non scherzo. Ci metto l’anima quando scrivo e prima di postare qualcosa sono capace di rileggermela anche centinaia di volte perché voglio rasenti la perfezione (anche se dicono non sia di questo mondo XD). Fatto sta che mi farebbe piacere se anche chi solo legge mi facesse sapere la sua: so che ci siete, purtroppo io sono una di quelle rare autrici che va a vedersi la vocina “gestisci storie”, quindi le conto le centinaia di visite che ricevo. Dai su, fatemi un favorino-ino-ino e spendete un minuto della vostra vita a far sapere cosa pensate delle mie storie <3

Note ed eventuali non ne ho anche perché ho paura di fare spoiler. Commenterò il tutto a fondo pagina, quando avrete letto anche voi e potrò fare allusioni su tutto quel che mi pare >.<

Ah, un’ultima cosa! Ringrazio Kokoro per avermi suggerito qualche paring e avviso che ho già pronte le idee per le seguenti coppie: Lance/Sandra, Drew/Vera, Green/Blue, N/Touko e, sorpresa delle sorprese, ho anche una Green/Red (che guarda caso sarà una long a più capitoli, credo la più corposa). Poi, se devo essere sincera, avrei in mente anche una shot su Gary padre single, ma vedremo XD Per il momento è così: come sempre, se avete qualche idea da suggerirmi e spezzoni di vita “genitori-figli” che vorreste leggere, fatevi avanti e fatemelo sapere. Se posso vedrò di accontentarvi.

Ok, adesso vi lascio per davvero al secondo capitolo della storia XD  

Buona lettura.

 

 

~Pretty, Gentle, Rocket Boy~

 

CAPITOLO 2

 

Quella mattina il sole picchiava forte. Se ne stava là, a sonnecchiare incontro all’orizzonte, lanciando placide e disinteressate occhiate al via vai di gente che si snodava lungo le stradine della piazzuola.

Jeremy rantolò scollandosi di dosso la canottiera pregna del suo sudore e arieggiandosi il volto con l’impiego di una mano. La lingua a penzoloni, la gola arida e la fronte imperlata gli conferivano un aspetto trasandato e quasi sofferto, l’aria di chi avrebbe anche potuto uccidere pur di sfiorare con la punta delle dita una granita fresca alla coca-cola. Il pensiero poi del motivo per cui si trovava in quel luogo rendeva il tutto ancora più opprimente e sgradevole, specie considerando cosa gli sarebbe toccato fare di lì a poco.

Si voltò lanciando un’occhiata perplessa ai suoi genitori camuffati, o almeno cercavano di farlo, da alberi (preferì non commentare) e mimetizzati in mezzo ai cespugli. Se avesse dovuto descriverli utilizzando una sola parola avrebbe scelto ridicoli senza remore alcuna: eccoli là, grandi, grossi e vaccinati, con dei ramoscelli legati ai capelli e tra le mani e un vestito di foglie addosso che, più che farli sembrare a degli arbusti, li trasformava in una versione più fantasiosa e futuristica dell’incredibile Hulk.

« Sapete, comincio a capire perché tutti i vostri piani per catturare il Pikachu di quell’Ash Ketchum siano falliti… » Constatò con una vena di sarcasmo attendendo ordini.

Alla fine non ce l’aveva fatta, non era riuscito ad opporsi alla decisione dei due, più che mai risoluti a far di lui il più grande criminale, dopo Lupin III, che la storia potesse vantare. Bisognava dire tuttavia che grazie alle sue doti recitative, ai piagnistei isterici e ai capricci infantili era riuscito a intavolare un compromesso bastantemente accettabile: niente truffe, nessuna ruberia monetaria o giochi taroccati, il che era già una gran cosa.

« Fai poco lo spiritoso giovanotto! Vorrei vedere te alle prese con un Pikachu; è uno dei Pokemon più odiosi e maligni che ci siano. » ribatté sua madre con fervore incendiario.

James annuì, perdendosi plausibilmente in qualche flashback dove lui e la sua Jessie venivano sbalzati e fatti volare via alla velocità della luce.

« Ascolta la mamma Jeremy, ti servirà in futuro. »

« Ne dubito visto che io non mi metterò di certo a fregare i Pokemon degli altri. » Constatò con voce sibillina e facendo spallucce.

La coppia ghignò malignamente, gesto che costò loro la caduta di qualche ramoscello dai capelli scarmigliati. Al ragazzino non servì certo un genio per capire che quelle smorfie non avrebbero portato a niente di buono: avevano avuto il coraggio di ostentare delle facce e delle espressioni simili anche quella volta in cui si erano messi in testa di provare a cucirgli un abito da Eevee per Carnevale, creando alla fine un costume più simile ad un escremento di Tauros o Miltank. E ovviamente, come in ogni sitcom comica che si rispetti, era stato pure costretto ad indossarlo, dato che non si erano premurati di comprargli un cambio.

« Invece oggi lo farai. Sceglieremo noi quale dovrai rubare però. » gli annunciò bellamente Jessie guardandosi in giro con aria guardinga.

Il ragazzino avvertì distintamente il suo cuore perdere un battito, poi due, anche tre, mentre cercava di convincersi che la coppia gli stesse solo giocando un tiro mancino; in fondo, aveva già avuto modo di costatare quanto fosse penoso il loro senso dell’umorismo, come quella volta in cui suo padre si era divertito a fargli credere che sotto il suo letto risiedesse un branco di Gastly dediti a fargli venire gli incubi durante la notte. Inutile dire che, in seguito a quel raccapricciante episodio, non era più riuscito a chiudere occhio per una settimana e aveva preso a visitare ogni sera il letto dei suoi.

Le sue speranze si infransero brutalmente nel giro di pochi istanti e lo fecero nel peggiore dei modi.

« E a proposito di Pikachu… » continuò la donna indicando qualcosa a suo marito con un cenno esplicito del capo « Perché non provi a prendere quello laggiù? Così vedrai se è facile come può sembrare. »

« Ma io non ho mai detto che fosse facile e non voglio rubare i Pokemon degli altri! » piagnucolò senza aver il coraggio di voltarsi e guardare la vittima designata « …io non credo di esserne capace… »

« Ma certo che lo sei, ti scorre il nostro sangue nelle vene! »

Come a voler marcare la demenzialità di quanto udito, lanciò loro un’occhiataccia iraconda incrociando le braccia al petto: ah beh, se quella era la garanzia che si ritrovava tra le mani, allora sì che poteva essere sicuro… del suo fallimento!

Scosse violentemente la testa pronto ad urlare se fosse stato necessario.

« Non voglio, per favore… »

« Tranquillo Jeremy, non sarà un furto vero e proprio. » lo rincuorò suo padre con voce piatta e quasi rassicurante « Ecco, devi riuscire a prendere il Pokemon in modo che sembri che sia scappato così dopo, quando metteranno i volantini e offriranno ricompense a chiunque lo trovi, tu ti farai avanti e prenderai un bel gruzzoletto. »

« Ma è una truffa! Avevamo deciso che non avrei dovuto farne neanche mezza! » controbatté pallido come un cencio fingendo un pieno controllo di sé.

La situazione si stava facendo pesante: ormai, se lo sentiva, era solo questione di tempo prima che le lacrime prendessero il sopravvento e lo obbligassero a piegarsi al loro volere, facendogli così fare la figura del poppante. Si sentiva male, il suo stomaco lamentava dolori e bruciori tutt’altro che trascurabili: sembrava quasi che qualcuno lo avesse ripiegato su se stesso facendoci un bel nodo con fiocco.

Jessie sorrise amorevolmente permettendosi una carezza affettuosa dedicata proprio al suo adorato pargolo.

« Io non la chiamerei truffa, che ne dici invece di “piano-rendi-più-ricchi-e-felici-la-tua-mamma-e-il-tuo-papà”? »

Jeremy scosse il capo con troppa violenza allontanando così la mano di lei dal suo volto scosso da lievi tremiti.

« Il succo non cambia. Non voglio, mi avete imbrogliato! » O meglio, si era lasciato imbrogliare, perché era troppo imbarazzante pensare che quei due fossero riusciti a raggirarlo in modo così banale. Non esisteva proprio.

« Ti avverto signorino, non rientreremo a casa fino a quando non avrai preso quel Pikachu, a costo di rimanere in questo cespuglio infestato da Weedle per tutta la notte! » riprese lei assumendo un tono di voce ben lungi dal potersi definire “aperto al dialogo”. Della serie “o così o niente” e purtroppo il messaggio arrivò chiaro e tondo anche al nostro eroe.

Chinò il capo sotto il peso della sconfitta. Di lui si potevano dire tante cose, tranne fosse stupido o per niente perspicace: sapeva riconoscere quando esagerava o tirava troppo la corda ed era perfettamente conscio che, se avesse insistito con le proteste e le lamentele, quasi certamente i due avrebbero mantenuto la promessa – o meglio minaccia – fatta poco prima.

Deglutì voltandosi e adocchiando finalmente il Pikachu in questione: indossava un fiocco azzurro al collo e si divertiva a scorazzare alle calcagna di una bambina pressappoco della sua età, coi capelli neri e gli occhi verdi come due smeraldi. I due ridevano felici e ignari dell’infausto scherzo, se così si poteva chiamare, che il destino aveva loro in serbo e, nel vederli così sereni, si sentì l’essere più disgustoso e abominevole dell’universo (anche se, a pensarci bene, non aveva ancora fatto niente per ritenersi tale). Era il pensiero più che altro a porlo sotto scacco.

Non voleva, avrebbe preferito raparsi i capelli a zero o rinunciare a tutti i modellini dei Pokemon che aveva in camera sua piuttosto che compiere un mal’affare del genere. Come potevano essere così cattivi i suoi genitori?

« Forza, sbrigati! Non vorrai che ti sfugga vero? » gli sussurrò suo padre dandogli una leggera spinta d’incoraggiamento e attirando così qualche occhiata curiosa in sua direzione: oltre che essere terribilmente dolorosa, quella situazione era anche infinitamente imbarazzante! « Noi staremo qui nel caso ti serva qualcosa. Se vediamo che non ce la fai interverremo. »

“Di male in peggio.” pensò annuendo flebilmente e lasciandosi condurre dalle proprie gambe dove queste volessero, o meglio, dovessero andare.

Sospirò addolorato, come desiderasse espirare tutta la sofferenza che ghermiva il suo cuore. Cercò di concentrarsi sullo sciabordio della fontana lì vicino, di ignorare le occhiate insistenti dei suoi genitori e addirittura di estraniarsi dal proprio corpo, in modo da non essere cosciente quando il peggio sarebbe accaduto, ma con ovvi e scarsi risultati. Quindi si sedette su una panchina a caso, vicino a dove stava bighellonando la fanciulla, e cominciò a riflettere.

Che fare? Avvicinarla con una scusa era fuori discussione, si sarebbe potuta insospettire e, quando un giorno se lo sarebbe ritrovato davanti per la seconda volta con il suo Pikachu tra le braccia, avrebbe potuto trovare legittimamente strano che proprio lui avesse ritrovato il suo amico scappato. Però era un peccato, quella bambina sembrava davvero simpatica e molto graziosa, gli sarebbe piaciuto giocare un po’ in sua compagnia; magari in altre e più felici sedi avrebbero potuto diventare amici, chi poteva dirlo?

Si lasciò scappare un sorriso intenerito quando quella cinse tra le braccia il corpicino del compagno e strusciò il proprio volto contro quello dell’altro, ridacchiando soddisfatta e farneticando chissà cosa che non riuscì a carpire. Sembrava dolce, un po’ ingenua e disattenta, la classica “testa calda” che veleggia tra le nuvole indifferente nei confronti di chi o cosa non riesca a catturare la sua attenzione. Lui doveva rientrare evidentemente in questa categoria considerando il fatto che, per quanto fossero vicini e per quanto lui la stesse studiando con meraviglia, quella continuava a ignorarlo come niente fosse, completamente assorta nel suo mondo e nella contemplazione del suo amico.

« Ehi Pikachu, ti va di giocare a nascondino? » gli chiese con vocetta acuta ed esternando una gioia che Jeremy non avrebbe potuto sentire più estranea « Io conto e tu ti nascondi. »

Il piccolo topino verseggiò qualcosa di allegro, poi roteò su se stesso pronto per entrare in azione.

« Allora va bene. Pronti… via!! » e si nascose gli occhi dietro le mani lasciandolo a bocca aperta per lo stupore.

Quella era l’occasione che aspettava, il cosiddetto momento d’oro. Ora non doveva far altro che seguire con lo sguardo il Pokemon, vedere dove si nascondeva e acciuffarlo senza farsi notare. Più facile a dirsi che a farsi ma doveva rischiare. D’altro canto, anche il detto lo diceva: chi non risica non rosica.

« Tre… quattro… cinque… »

Scattò in piedi mettendosi a tampinare Pikachu, il quale per opera della dea bendata, che doveva essersi destata di buon umore quel giorno, finì col cacciarsi dentro a un cespuglio di rovi, poco distante da dove stazionavano i suoi.

“Ora o mai più” si disse saltando a sua volta dentro il viluppo e trovandosi faccia a faccia col sopracitato topolino dalle guanciotte rosse cremisi. Quello lo guardò con cipiglio circospetto, esternando tutta la diffidenza che nutriva nei suoi confronti, oltre che un incommensurabile sorpresa dovuta a chissà cosa.

E ora? Che fare?

Jeremy sospirò in preda allo sconforto, lasciando che la stanchezza, la tensione e il dolore sfuggissero al suo controllo ed abbandonassero le viscere più recondite e putrefatte del suo cuore. Pochi secondi dopo era letteralmente scoppiato a piangere, e lo era nel modo più apocalittico, catastrofico e pietoso possibile immaginario: maledizione, lui non ne voleva sapere di far star male quella bellissima ragazzina e, meno che meno, di sgraffignare un Pokemon altrui come fosse un oggetto! Erano creature intelligenti, capaci di comprendere il linguaggio umano, come poteva sperare di riuscire a mettere a segno un colpo così difficile? I suoi genitori erano stati davvero perfidi nei suoi confronti e tutto perché aveva portato a casa una stimabile pagella con la media del dieci! Avrebbe dato via tutti i suoi giocattoli per scoprire che quello che stava vivendo altro non era che un luttuoso incubo peccato solo che, essendo un tipo risoluto e purtroppo pragmatico, aveva capito presto che sperare in una sciocchezza di tal fatta non gli avrebbe reso nulla, quindi tanto valeva sbattere il naso davanti al muro della realtà, incassare una sonora batosta e continuare per quella strada.  

« Pikapika? » gli fece il roditore piegando la testolina di lato.

Accennò un sorriso amareggiato puntando i gomiti sul terreno e tirandosi su col busto.

« Scusa, non volevo spaventarti… » biascicò con enorme fatica « …ecco, so che puoi capirmi e quello che avrò da dirti non ti piacerà neanche un po’ però vedi, se non lo faccio i miei genitori si arrabbieranno e allora… allora… » scoppiò nuovamente in un pianto dirotto facendo preoccupare il Pokemon anzi a sé.

Pikachu gli poggiò la zampetta sulle spalle e gli fece un versetto allegro, intimandolo a suo modo a proseguire il racconto.

E così fece.

« Vedi mamma e papà fanno parte del Team Rocket e… »

Come ebbe pronunciate quelle parole, la creatura balzò all’indietro facendosi di nuovo ostile, mentre le guance precedentemente lisce ora erano solcate da numerose, piccole e scintillanti scariche elettriche.

« No aspetta! Lascia che ti spieghi. E’ vero mi hanno chiesto di rubarti però io dopo ti restituirò alla tua padroncina, giuro! » esclamò tendendo una mano verso l’animaletto e indugiando in silenzio.

Quello parve calmarsi ma continuò a restare a debita distanza, guardandolo sbalordito.

« Sì, lo so che non ha senso. » riprese lui asciugandosi gli zigomi inumiditi coi polpastrelli inzaccherati di terriccio e fanghiglia « Mamma e papà vorrebbero che io entrassi a far parte di quell’organizzazione mentre io voglio fare il poliziotto. Però senti, se mi aiuti e accetti di rimanere con me per qualche giorno, ti prometto che non appena la tua allenatrice verrà a cercarti ti cederò nuovamente a lei. Devi solo fingere che io ti abbia rubato. Ti prego, per favore… » supplicò piangendo più forte e vergognandosi come un ladro, per l’appunto, di quel che stava facendo: non solo stava per truffare una povera ragazzina innocente ma stava anche per mettere in piedi la più colossale menzogna che avesse mai ordito nei confronti dei suoi vecchi. Si sentiva un mostro.

Il piccolo inclinò la testa e lo fissò con aria perplessa, avvicinandosi cautamente ai suoi piedi come questi fossero un temibile avversario, poi sospirò e scosse il capo tristemente: non poteva farlo, non poteva far stare in pena la sua padroncina. Certo avrebbe voluto aiutare quello sventurato ragazzino ma non a discapito di chi lo amava e lo aveva cresciuto e accudito sin da quando ne aveva memoria.

Jeremy si illuminò in un sorriso disperato.

« Certo, capisco, in fondo è giusto così. » fece senza smettere di lacrimare: comprendeva le ragioni del Pokemon e il suo buon senso gli suggeriva che in fondo quella era la cosa giusta da fare, tuttavia sapeva bene cos’avrebbe comportato lasciar correre via Pikachu ed era proprio per questo che non riusciva a smettere di piangere.

Il topolino chinò le orecchie dispiaciuto, tentando inutilmente di chetarlo: poteva immaginare quanto quella situazione lo facesse soffrire e apprezzava il fatto che rispettasse la sua decisione. Era un supplizio a dir poco immane vederlo conciato in tal modo.

« Pika… piii… » sussurrò chiudendo gli occhi per impedirsi di guardare. Della serie “occhio non vede, cuore non sente”.

« Scusa, non lo faccio apposta è solo che… che… »

Non ce la fece più: il bimbo si accasciò a terra cominciando a sbattere pugni e piedi in preda a deliranti capricci infantili, che sortirono tuttavia un effetto a dir poco miracoloso. Pikachu, infatti, dopo averle provate tutte e aver capito che qualunque cosa avesse tirato fuori dal cilindro non sarebbe stata in grado di fargli tornare il buonumore, si arrese all’evidenza e alzò tre dita della zampetta, sventolandole davanti agli occhi gonfi e umidi del suo nuovo compagno d’avventure.

Quello studiò con scarso interesse il gesto senza capirne il significato.

« Tre cosa? » mugugnò con vocina stridula.

« Pikapi! » gracchiò l’animaletto battendo la coda il terreno e alzando le braccia al cielo, come un bambino che si tende verso sua madre per chiederle di esser preso tra le braccia.

Jeremy improvvisamente comprese e un sorriso radioso gli si riaccese in volto.

« Stai cercando di dirmi che ci stai? Davvero?? »

L’altro annuì, anche se poco convinto e riluttante, esibendo una smorfia deliziosa e allo stesso tempo complice.

« Oh io… io non so come ringraziarti davvero! Ti prometto che ti farò tornare presto dalla tua famiglia e che mamma e papà non alzeranno mezzo dito su di te! Sarai sotto la mia protezione. » urlò in preda alla gioia abbracciando il Pokemon entusiasta come non mai.

Di nuovo, Pikachu alzò le tre dita della zampa destra invitandolo a guardare attentamente e a capire cosa stesse cercando di fargli notare.

« Aspetta… » spremette le meningi senza distogliere l’attenzione dalla creatura « …non è che mi stai dando un limite di tempo? »

Di nuovo, quello annuì compiacendosi della sagacia e dell’intuito del bambino.

« Ma certo! Mi stai dando tre giorni per caso? Oh, ma anche prima! Se tutto va bene, anche in due dovremmo risolvere la faccenda. »

« PikaPi!! » esclamò quindi allegramente ficcandosi seduta stante sotto la sua felpa e appiattendosi contro il suo petto.

Traboccante di gioia, incredulità e gratitudine, Jeremy strinse affettuosamente quella caldissima palla di peli e si sbrigò a tornare da Jessie e James. Non si voltò a cercare con lo sguardo la ragazzina, la quale tra l’altro stava ancora ingenuamente cercando il suo amico ridendo divertita e ignara dell’amara sorpresa che di lì a poco si sarebbe ritrovata tra capo e collo: molto probabilmente i suoi genitori l’avrebbero anche sgridata e una parte di lui era sinceramente dispiaciuta per lei, mentre l’altra era ancora su di giri per il successo insperato appena riportato. E quando Jessie e James lo videro tornare ed estrarre da sotto la maglia il piccolo esemplare di Pikachu, si sentì doppiamente soddisfatto nel sentirsi dire “siamo fieri di te, figliolo!”

 

 

 

Erano passati appena due giorni quando per le strade delle città cominciarono a spuntare i primi manifesti con l’immagine del Pokemon che Jeremy aveva rubato impressa sulla carta, recante la scritta “disperso esemplare di Pikachu maschio con al collo un fiocchetto azzurro e una piccola cicatrice a forma di mezzaluna sull’orecchio sinistro. Si offrono X.000.000 Yen a chiunque lo ritrovi”. Più sotto, erano stati riportati anche due numeri di cellulare e una supplica accorata di aiuto.

Jessie e James ridacchiarono vittoriosi quando quella mattina, prendendo il quotidiano tra le mani, scovarono un sontuoso articolo a proposito di un Pikachu disperso e risero ancora più di gusto nel ponderare che finalmente si sarebbero potuti levare di torno quella palla al piede. Da quando era lì, infatti, quella dannata bestiolina si era comportata alla stregua di un vandalo, riuscendo ad essere domata solo dalla gentilezza e dalle preghiere di loro figlio Jeremy. Quei due giorni, per quanto corti, erano stati incredibilmente intensi e bislacchi, forse da considerarsi come sottospecie di deja-vù: avere a che fare con quel mostriciattolo li aveva riportati indietro nel tempo, quando ancora giovani e senza aspettative trascorrevano le giornate ad inseguire i Pokemon dei mocciosi, in particolare quelli di quell’Ash Ketchum.

Quanti bei momenti ormai andati! Quante lacrime, dolori, piccole gioie assaporate!

« Jeremy la colazione è pronta. » chiamò Jessie poggiando il pentolino del latte nel lavello e prendendo posto a tavola.

Immediatamente si sentì lo scalpiccio di piedi che battevano sulle scale in legno: poco dopo loro figlio li raggiunse, tallonato a breve distanza dal Pikachu in questione.

« Jeremy te l’avrò detto un migliaio di volte! Non voglio quell’animale in cucina! » lo riprese la donna esibendo un’espressione arcigna.

Il bimbo ricambiò l’occhiata pacato dondolandosi sulla propria sedia.

« Ma a lui piace seguirmi e a me piace stare con lui. Non fa mica niente di male. »

« Questo lo decido io. Grazie al cielo oggi è l’ultimo giorno che dovremo sopportarne la presenza. » e così dicendo addentò una brioche strappando dalle grinfie del marito il giornale che quello stava beatamente leggendo.

« Ehi! » protestò il poveretto allungando le mani nel vano tentativo di riprendersi ciò che era di sua proprietà.

Jessie lo ignorò e si concentrò invece sulla propria colazione, quando anche suo figlio prese a infastidirla.

« Come sarebbe a dire “oggi è l’ultimo giorno”? Perché? » chiese gettando una frecciatina al Pokemon, il quale chinò il capo e attese risvolti in sacrosanto silenzio.

« E’ così. » confermò spiegando le pagine della rivista e porgendogliela, indicandogli la testata dell’articolo che lei e James avevano spulciato poco prima. « I suoi proprietari si sono fatti vivi e, come previsto, hanno offerto una lauta ricompensa per chiunque lo trovi. »

Jeremy annuì leggendo distrattamente quanto riportato sul giornale: sua madre aveva ragione. Effettivamente i proprietari del suo nuovo amico si erano fatti vivi e lui, volente o nolente, aveva il dovere di riportarlo da loro.

Spirò con una certa sofferenza, impegnandosi per ignorare l’attacco nauseabondo di bile che stava ustionando le pareti del suo esofago.

La verità? Si era affezionato a Pikachu e l’idea di restituirlo non gli faceva fare propriamente i “salti di gioia”. Ci aveva messo meno di venti minuti ad abituarsi alla sua presenza, trenta a ritenerla strettamente necessaria. Dopo un’ora aveva preso a chiamarlo amico e dopo due a confidargli i suoi più oscuri e scabrosi segreti (uno a caso, il fatto che trovasse molto carina la sua padroncina). Avevano dormito assieme quella notte e la mattina seguente si era svegliato ritrovandoselo a pochi millimetri dal naso. Si erano divertiti a far uscire dai gangheri Jessie e fare i dispetti a James, avevano cercato invano il tesoro perduto che secondo lui era sepolto proprio sul retro di casa e il tutto nel giro di appena due giorni.

« Sarà meglio che chiami i padroni di quel Pokemon, prima ce ne disfiamo meglio è. » brontolò la donna imprecando contro il latte bollente che le aveva ustionato la lingua.

Riscosso dai propri pensieri posò un’ultima volta la sua attenzione sul suo nuovo compagno, il quale ricambiò l’occhiata annuendo abbacchiato con la testa: anche lui era dispiaciuto ma sapevano entrambi che, per quanto fosse doloroso, era ormai prossimo il momento di dirsi addio.

« Va bene. Cosa devo dire? » chiese addentando una focaccina e dandone una piccola parte all’amico.

James scrollò le spalle finendo di bere il suo caffè ultra - zuccherato.

« Dì solo che hai trovato Pikachu e che li aspetterai al centro Pokemon di XXX quando va bene a loro. »

Il bimbo guardò suo padre angustiato, rendendosi conto di un piccolo particolare che fino a quel momento gli era sfuggito.

« Cioè vuol dire che voi… non verrete con me? » domandò conoscendo però già la risposta.

Jessie prese prontamente la parola senza curarsi di indorargli la pillola.

« Oh no, hai cominciato da solo e da solo finirai. Fin’ora hai fatto un ottimo lavoro, non ti resta che concludere. »

Sospirò avvilito, il morale tre metri sotto terra e una gran voglia di esprimere il proprio dissenso al riguardo. Insomma: quale incosciente avrebbe lasciato girare liberamente per le strade un bambino con una così grande somma di denaro nelle tasche? Nessuno… a meno che questo “Nessuno” non portasse il nome di Jessie o James. Che incoscienti!

Alla fine, optando per un più che dignitoso e intelligente silenzio, riuscì a salvaguardare non solo la propria dignità ma anche la quiete che vigeva sovrana su di loro.

Terminò di consumare il proprio pasto senza spiccar parola, ascoltando il chiacchiericcio animato dei suoi genitori nato da una fervida disputa su cosa avrebbero potuto comprare con tutti i soldi che erano stati promessi nel manifesto. Jessie insisteva sul nuovo televisore a cristalli liquidi in 3D più un sacco di cosmetici indispensabili per ogni lady che si rispetti; James ribatteva su dei modellini d’automobili d’epoca sui quali ogni esperto avrebbe voluto metterci sopra le mani. Erano così impegnati che non si accorsero dei suoi movimenti, del fatto che si fosse spostato in salotto e si stesse accingendo a fare la famosa telefonata al proprietario di Pikachu.

Digitò sovrappensiero il numero riportato sulla rivista e pigiò il tasto di chiamata, dopo aver lanciato l’ennesima occhiata avvilita al suo nuovo e già perduto amico.

Stava facendo la cosa giusta, certo. Peccato solo che nessuno prima d’ora gli avesse mai spiegato che non sempre comportarsi bene fosse anche la cosa più facile da fare…

 

 

 

Quando la porta di casa si aprì cigolando appena, Jessie e James balzarono per aria affrettandosi ad accogliere il loro Jeremy a braccia aperte, pronti a celebrarlo come eroe tornato dal campo di battaglia.

La prima ad arrivare, ovviamente, fu proprio la donna la quale, spintonando e facendo valere i propri diritti in quanto esponente del gentil sesso, non aveva avuto alcuna difficoltà a raggiungere il figlio e buttargli le braccia al collo. Pochi secondi dopo era sopraggiunto anche James, gli occhi lucidi e sfavillanti come due stelle e traboccanti di gioia nel constatare che quel dannato Pikachu “sporco-piscio-cago-dove-mi-pare-e-piace-perché-questa-non-è-casa-mia” non stava più attaccato alla sua caviglia (= finalmente era stato riportato a chi di diritto), felicemente sostituito dal  gruzzoletto di soldi che Jeremy stava porgendo loro.

« Tesoro sappi che siamo fieri di te. Hai reso la tua mamma e il tuo papà le persone più felici dell’universo! »

Il bimbo rimase in attonito silenzio, fissandosi la punta delle scarpe con aria perplessa, quasi imbarazzata: quello non era esattamente il tipo di reazione che ci si aspetterebbe dalla riuscita di una missione così dura e faticosa, tuttavia la coppia parve non farci troppo caso e decise di liquidare la faccenda stendendoci sopra un velo pietoso.

« Veramente ci sarebbe una cosa che dovrei dirvi… » cominciò, ignorando i gridolini entusiasti dei due che, impiegati a contare soldo per soldo il bottino per assicurarsi che il totale ammontasse alla cifra pattuita, parevano essersi dimenticati temporaneamente della sua presenza.

Spirò passandosi una mano tra i capelli, indeciso se raccontare una bugia o rivelare loro l’incredibile verità dei fatti. Sapeva bene che quella storia non avrebbe portato a niente di buono e che, nella più rosea delle ipotesi, i due sarebbero finiti dritti in ospedale con prognosi riservata. Dunque che fare? Confessare ciò che aveva scoperto oppure tenere per sé quel segreto e risparmiargli un atroce dolore?

La scelta non era così difficile, specie considerando tutti i guai che gli avevano fatto passare nel giro di neanche tre giorni: oh sì, loro avevano tutto il diritto di esserne coscienti e, per quanto se ne dispiacesse, non poteva fare a meno di gioire pregustando in anticipo la sua piccola, ma non per questo trascurabile, vendetta.

« Allora? Com’è andata? Raccontaci tutto figliolo. » lo intimò James invitandolo ad accomodarsi, quasi dimenticandosi che anche lui viveva in quella casa e che quindi non gli occorreva certo un invito per decidere dove, come e quando sedersi.

Decise di non farci troppo caso.

« Bene. La bambina che abbiamo visto al parco si chiama Lara, mi ha invitato ad andarla a trovare per poter giocare con lei e il suo Pikachu il prossimo sabato. »

Jessie ridacchiò con fare complice rifilandogli un’amichevole gomitata allo sterno. Lui incassò, stando sulle sue, pronto per far esplodere la bomba.

« Ma sentitelo il nostro ometto rubacuori! Ma bene! »

Preferì non commentare, masticando una battuta poco ortodossa pronta sulla lingua: chissà se sua madre avrebbe continuato ad elogiarlo quando avrebbe scoperto di chi quella bambina fosse figlia e…

« Tutto suo padre! » esclamò di punto in bianco James distogliendolo dai suoi pensieri.

Arrossì appena al pensiero di Lara, la quale non si fece troppi scrupoli ad occupare la sua mente per l’ennesima volta e riaccendere in lui il ricordo di quel pomeriggio trascorso assieme: alla fine, proprio come se l’era immaginata, si era rivelata essere la creatura più gentile, dolce, vispa, serena, vivace e disponibile che avesse mai avuto l’onore d’incontrare, dotata di un sorriso capace di oscurare la brillantezza delle stelle in cielo. Non stava letteralmente più nella pelle al pensiero che a breve l’avrebbe rivista e, con un po’ di fortuna, sarebbero potuti diventare anche ottimi amici. Il ricordo del suo volto trasfigurato dall’immensa gioia nel vedere il suo Pikachu sano e salvo e davanti a lei era inciso a fuoco nella sua mente e così sarebbe stato per sempre, se lo sentiva.

« Beh, è una bambina davvero graziosa, sappi che la tua mamma approva. E poi… » Jessie finì di contare l’ultimo yen con un ghigno subdolo impresso sul volto « …poi, a giudicare da quanti soldi ci ha dato per quel maledetto topo, ne deduco possa essere un buon partito anche economicamente parlando. »

Suo marito annuì incrociando le braccia al petto, soddisfatto come non mai, forse pregustando il sapore di una ricchezza ancora impalpabile ma non per questo sgradevole.

« Parole sante. E dicci un po’: da chi era accompagnata? Dai suoi genitori immagino… »

Jeremy annuì lasciandosi volutamente sfuggire un sardonico sorriso: fra poco quella coppia di canaglie avrebbero imparato sulla propria pelle che le cattive azioni non portavano a nulla di buono.

« Sì, c’era suo padre. Un tipo strano forte sapete? Come mi ha visto mi ha detto che gli ricordavo tanto voi… »

…silenzio di tomba.

I due tacquero all’improvviso mentre i ghigni, che fino a poco prima avevano ornato i loro volti, ora scemavano alla velocità della luce sostituiti da smorfie di pura costernazione. Una nuova e acuta preoccupazione prese possesso delle loro iridi, le gole si seccarono e le fronti si imbrattarono di sudore divenendo lucide.

« Cosa…? Noi conosciamo quest’uomo? Ha fatto i nostri nomi? Ma ne sei proprio sicuro? » chiesero scambiandosi un’occhiata perplessa.

Jeremy annuì di nuovo immaginandosi le loro facce nel momento in cui avrebbe rivelato loro che il Pikachu che avevano avuto sotto il naso per ben due giorni altri non era che…

« Sì, mi ha detto di mandarvi i suoi saluti e vi ringrazia tanto per averlo aiutato a ritrovare il suo Pokemon. »

Un enorme, mastodontico e cubitale punto interrogativo si elevò sopra le loro teste, chiaro segno che non erano ancora riusciti a capire quanto fossero stati stupidi e ingenui nel farsi scappare, una volta catturato e nelle loro mani, proprio…

« …e qual è il suo nome? » domandarono infine.

 

 

*************

 

 

Ash Ketchum stava amabilmente sorseggiando il suo caffè sulla veranda di casa quando udì distintamente un urlo mostruoso propagarsi nell’aria e risuonare tra le pareti della conca ove era situata Pallet Town.

« Ehi papino, hai sentito anche tu? Che cos’era secondo te? »

Si voltò di scatto intercettando così lo sguardo smeraldino di sua figlia Lara, poi quello svogliato del suo adorato -e appena ritrovato- Pikachu e infine quello canzonatorio di Misty, la quale scosse il capo blaterando qualcosa a proposito del fatto che avesse sposato un cretino.

Sorrise teneramente scompigliando la chioma corvina del suo più grande orgoglio, nonché inesauribile fonte di gioia.

« Niente di che tesoro, perché non esci a giocare un po’? »

Quella sorrise facendo cenno al Pokemon di seguirla e si dileguò dal suo campo visivo nel giro di pochi secondi.

E metre il sole splendeva alto nel cielo, i Pidgey cinguettavano allegri e spensierati, gli alberi erano in fiore e Misty continuava ad inveire contro di lui, capì che il piccolo Jeremy doveva appena aver riportato i suoi affettuosi saluti ai carissimi Jessie e James.

 

 

 

 

 

The End

 

 

 

NOTE SCONCLUSIONATE DELL’AUTRICE:

 

Alla fine sono stata davvero veloce, quasi non ci credo XD Se penso che ho una long ferma al terzo capitolo da circa un anno… meglio sorvolare =.=

Vi dirò che sono basita: insomma, questa è la mia prima long portata a termine (e chissene se ha solo due capitoli!). Poi sono doppiamente felice perché sono FINALMENTE riuscita a coronare il mio sogno, ovvero scrivere una fiction che si chiude in due capitoli, ma questa è un’altra storia…

Allora, note ed eventuali: mi congratulo con me stessa (=.=’) perché, ammettetelo, sono stata incredibilmente veloce ad aggiornare. Diciamo che mi sono data una mossa perché voglio cominciare anche le altre shot/long, quindi volevo togliermi dai piedi questa storia (detto con tutto l’affetto di questo mondo, sia chiaro) per potermi dare da fare.

Alla fine penso che la storia si commenti da sola e che la morale sia chiara: come dire Jeremy, le cattive azioni non restano impunite. Certo che, povero Team Rocket, erano finalmente riusciti ad acciuffare Pikachu… se lo sono lasciati scappare come degli stupidi >.<

Beh, direi che è tutto. Ringrazio chi ha letto questo piccolo esperimento, chi l’ha salvato tra i preferiti e chi continuerà a seguirmi anche in futuro (e magari anche chi sarà così buono da recensire, non trovate? XD).

Un bacio e alla prossima.

 

 

 

 

Shin

 

 

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