Ritorno alle origini.

di Circe_laMaga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I° ***
Capitolo 3: *** II° ***
Capitolo 4: *** IV° ***
Capitolo 5: *** IV° ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

 

 

 

 

Il riflesso di quel lungo specchio mandava l'immagine di una donna.

Una donna alta, stretta nella sua camicetta nera, scollata quel poco per far immaginare le sue forme.

Una donna con dei sobri pantaloni neri e degli stivaletti scamosciati.

Una donna da lisci capelli corvini, che arrivavano appena sopra le spalle, un po' gonfiati, con una frangetta che arrivava quasi a coprirle la vista. Con occhi, nascosti dai ciuffi di capelli, di un colore caramello, grandi, ma troppo freddi che parevano quasi vuoti. Il naso era quello che le piaceva meno, leggermente gobbo a causa della rottura del setto nasale a otto anni. Ah, che bambina pasticciona che era: riusciva a cadere persino da ferma.

Le labbra, piene, tirate in quella solita smorfia che era solita tenere ogni secondo della giornata. Lei non sembrava più Issa.

Lei non era più Issa. Era lo spettro di se stessa.

 

 

Prologo:

 

Avevi detto che l'avresti lasciata! Lo avevi giurato! Cazzo, era un'altra fottuta bugia?” gridai io, lasciando trapelare tutto il mio disprezzo. Ero delusa, frustrata; mi sentivo ingannata. Era come se fossi un bambino, al quale, alla vigilia di Natale, svelano che Babbo Natale non esiste. Tutti i miei sogni, sbriciolati in un secondo, diventarono polvere, mentre lo squadravo amareggiata. Il mio orgoglio, quello a cui tenevo tanto, era stato schiacciato, ridotto in macerie.

 

Ero entrata per caso in quel bar, troppo depressa, volendo solo affogare tutti i miei problemi nell'alcool.

Lo vidi lì. Lui e quella sua Romina, che si tenevano per mano e sorridevano come le coppiette innamorate dei musical di Broadway. Lui la guardava con amore, come era solito guardare solo me. Era una pugnalata allo stomaco vedere quella scena; fuggii da quel bar tenendomi le mani sul grembo, come se quello che viveva lì dentro, dentro di me, potesse fuggire.

La mattina dopo gli inviai un messaggio. Dovevo capire.

 

Eravamo solo lui ed io in quella stanza. Una stanza dalle pareti grigie e piene di muffa, dove c'era una grossa libreria, un logoro divano verdognolo e una vecchia tv, ormai tolta persino dal commercio. La finestra, che dava sulla strada, era chiusa e il rumore delle auto e della città in movimento sembrava lontano, quasi che il tempo, per noi che eravamo chiusi lì, non scorresse.

Elissa, io non ti volevo mentire, ma...” disse lui, titubante.

Mi conosceva benissimo, dato che con uno sguardo riusciva a scrutarmi l'anima. Ero furiosa, delusa, arrabbiata: lui lo sapeva. Vedeva in che stato ero: una parola detta di troppo e sarei morta dentro, per sempre. Ogni sua frase doveva essere pesata.

Ma cosa, eh? Mi sono fidata ancora una volta. Cazzo, quanto sono stupida! Ho fondato la mia esistenza solo su fottute bugie, cazzo.” continuai io, parlando più a me stessa che a lui. Quando perdevo la testa, diventavo tremendamente volgare.

Lui mi guardò e si avvicinò cauto “Non sei stupida Piccola. Lo sai che ti amo. Non erano bugie, solo ...”

Allora lasciala, quella troia! Lasciala se mi ami davvero! Resta con me se quelle non erano bugie.”
“Non posso, non posso farlo. Lei è la mia ragazza. Lo capisci? Ci sposiamo fra un anno.” disse, mangiandosi le ultime parole.

Il mondò scomparve, la terra si frantumò sotto i miei piedi. Il mio cuore perse un battito e poi iniziò ad accelerare violentemente, come se volesse scappare da questo corpo fatto di sangue, carne e ossa. Il mio corpo non voleva, si rifiutava, di credere a quelle stupide parole.

Sposarla? Tu … tu … tu la sposi? No, ti prego dimmi che mi stai prendendo per il culo. No, no, no. Tu non ami quella.” dissi, sull'orlo delle lacrime. Mai mi ero esposta tanto con lui. Avevo sempre mantenuto un'aria fredda, distaccata; avevo cercato di mostrarmi intoccabile, come se niente e nessuno avrebbe potuto ferirmi. Così da fargli credere che sarei stata intoccabile persino da lui. Lui, però, poteva. Io ero la sua marionetta e lui, di me, poteva farne ciò che voleva. Anche buttarmi nel primo cassonetto dei rifiuti.

Lei mi ama. Io ho imparato ad amarla. Lei mi fa stare bene. Sono felice, quand'è con me. Io le appartengo. Lei mi sta migliorando.”

Io scoppiai in lacrime. La prima volta che piansi davvero.

Io ti amo, non lei. Io ti amo! Lei sta solo cercando di cambiarti. Io ti amo per ciò che sei. Ti prego.” dissi, singhiozzando.

Lui mi guarda “No, tu non mi ami. Il tuo è egoismo, Issa.”

Io gli tirai uno schiaffo; come poteva accusarmi di egoismo? Si, certo ero egoista, ma quando si trattava di lui... oh, io diventavo la sua serva, pronta a dargli tutto ciò che voleva. Ero dipendente da lui. La mia testa aveva bisogno di lui per andare avanti.

Lui si infuriò. Iniziò a gridarmi contro “Ci conosciamo da quando avevamo quattordici anni, ma tu hai sempre fatto la stronza, Issa! Tu eri quella che non aveva bisogno di nessuno. Quella che ha sempre comandato tutti. Sempre. Mi hai lasciato, dopo che mi avevi tradito. Sei tornata, non ti ho voluta. Mi hai fatto innamorare per riavermi con te. Eri una merda come ragazza, lo sai? Mi urlavi contro, mi insultavi. Flirtavi con altri ragazzi e poi tornavi; io come un coglione, naturalmente, ti perdonavo sempre. Poi ti ho detto che ti amavo e tu mi hai lasciato! Mi hai fatto sentire in colpa, solo perché avevo detto di amarti. Ti rendi conto quante stronzate hai fatto? Sei una codarda. Sai quante volte è stata male Romina perché io tornavo sempre da te? Lei mi ama, mi fa sorridere e ritorni tu per l'ennesima volta e pretendi che io ancora ci sia per te. Dopo tutto quello che hai fatto! Si, ti amo, non posso negarlo, ma non potrei mai essere felice con te! Lo so. Tu mi renderesti la vita un inferno. Tu sei il diavolo tentatore in persona, ma io non ci posso cascare più.”

Io piango più forte. “Tu mi conosci. Lo sai che sono una fottuta codarda. Che ho paura di chi mi circonda. Lo sai che mi ci vuole tempo per abituarmi. Tu sai come sono fatta. Io, mi dispiace, Peter. Io ti amo.”

Lui tacque, nemmeno mi guardò in faccia.

A quanto pare, però, le tue erano tutte balle, quella sera? 'Si, la lascio. Amo solo te. Io voglio te. Voglio sposarti. Non sai quanto mi manchi!' Erano tutte balle?” iniziai di nuovo a gridare.

Amo Romina, mettitelo in testa. Non mi cercare più, chiaro?” disse lui, duro.

Il mio cuore si ruppe.

Gli tirai uno schiaffo, l'ennesimo.

Vedi? Sei una bambina, così immatura. Non rifiuti un no. Non sei al centro dell'universo Elissa Bianchi, cazzo!” mi sputò in faccia quelle parole.

Iniziai a singhiozzare, mentre mi premevo le mani contro il ventre.

Me ne vado, Elissa. Sparisci dalla mia vita, per favore.” disse lui.

Continuando a piangere, alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi azzurro ghiaccio.

Baciami, un'ultima volta!” chiesi, quasi implorando.

Lui lo fece, mi baciò.

 

Un bacio di addio che trasmetteva tutto; dolore, risentimento, passione, amore, colpa e odio. Uno di quei baci che ti fa fermare il cuore, uno di quei baci che non dovrebbero finire mai.

Appena le nostre labbra si staccarono lui aprì la porta e scomparì, portandosi via buona parte di me.

 
 

Angolo mio:
Salve a tutti.
E' una storia senza pretese che mi è balenata in mente. Lo so, la grammatica fa cagare, ma vorrei sapere che ne pensate.
Mi accontento anche di un "FA SCHIFO, IDIOTA"
Ho scelto il nome Elissa perché studiando l'Eneide mi sono innamorata del personaggio di Didone. L'altro suo nome è Elissa e penso che il personaggio ci assomigli: è forte e combattiva ma quando si tratta di amore è una codarda, un po' come Didone che si è suicidata.
Grazie. (Piccola recensione Please!)


 

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Capitolo 2
*** I° ***


 I:

Avevo riesumato quell'album di fotografie dopo ben otto anni. Era stato il regalo di maturità dei miei migliori amici; loro sapevano quanto per me valessero certi ricordi.
Nelle prime pagine c'erano solo mie foto: io che facevo facce buffe, che facevo smorfie, che leggevo o studiavo, che giocavo con il mio Ipad; passando dalla Issa quattordicenne, alla Issa diciottenne si ripercorreva la mia adolescenza. Piano piano che sfogliavo, trovavo le foto con i miei migliori amici, i miei compagni di classe, che tra l'altro mi odiavano, mia madre, persino il mio gatto. Mi mancavano tutti terribilmente.
 
Avevo messo l'ultima maglietta del mio comò nel trolley turchese. Anche la terza valigia era pronta. Avevo paura, come ogni istante della mia patetica vita. Ero cambiata in otto anni, ero diventata una donna. Una donna che si era rimboccata le maniche, questo si. Dipendeva dai punti di vista. Secondo me, ero stata coraggiosa, sicuro, per gli altri, ero stata una codarda a fuggire così. Una codarda, come sempre. Una codarda, come erano soliti ripetermi tutti.
Chiamai Corinna, la domestica dell'enorme villa appartente a Marco, mio marito da ormai due anni. Trascinò le tre enormi valigie nella Jeep che mi aveva regalato Marco, che andarono ad prendere lo spazio non ancora occupato dalle valigie di mio figlio.
Scesi in salotto e trovai mio figlio spaparanzato sul divano che guardava i Simpsons con aria assente.
"Alan, sei pronto?" chiesi, destando la sua attenzione.
"Si, mamy. Andiamo di già?" chiese lui, guardandomi con quei suoi occhietti azzurri.
"Prima salutiamo Marco." dissi seria.
Lui si alzò svogliatamente dal divano, venendomi incontro e porgendomi la sua piccola mano. Ci dirigemmo verso lo studio, dove Marco era al pc.
Quando aprii la porta, lui alzò lo sguardo e ci guardò interrogativo.
"Partite già?" disse con la sua voce profonda. Aveva una quindicina di anni in più rispetto a me. Iniziava già a perdere qualche capello e la sua barba incolta iniziava a diventare brizzolata.
"Si, ti siamo venuti a salutare!" dissi, guardandolo fredda.
"Su campione, vienimi a dare un abbraccio!" parlò, rivolgendosi a mio figlio.
Alan si diresse verso di lui, lo abbracciò distaccato e gli disse un "ciao" banale.
Io non mi avvicinai, mi faceva schifo quell'uomo. Appena tre giorni prima lo avevo visto nel nostro letto con la segretaria messa a pecorina. Come avevo fatto a sposarlo? La vocina della mia testa mi ricordo due parole: 'Sicurezza economica'. Già, speravo di dare un futuro migliore a mio figlio, con quel matrimonio.
"Ti faccio poi sapere per quanto ci fermiamo, va bene?" dissi.
Lui annui e ci augurò buon viaggio. Presi per la mano mio figlio e uscii da quella enorme villa, diretta, dopo otto anni, dalla mia famiglia.
 
Mio figlio si era addormentato. Andare in macchina lo rilassava, come d'altronde succedeva a me.
Alan, l'unica mia felicità. Quel bambino che avevo odiato finchè non lo avevo preso per la prima volta in braccio e avevo notato quegli occhi azzurri. Da quel 11 marzo di sette anni fa, avevo fatto di Alan la mia ragione di vita.
Lui mi dava sicurezza. Lui era una certezza. Lui mi aveva trasformato in una donna, lui rappresentava la mia prima scelta coraggiosa. Lui mi dimostrava che tutte le rinuncie che avevo fatto non erano state vane. Un suo sorriso mi trasmetteva allegria, una sua domanda mi faceva riflettere. Lui era mio figlio e questo mi bastava. Io avevo solo lui.
Era un bambino bellissimo, anche se detto dalla madre può sembrare di parte. Aveva capelli biondi riccioluti, la carnagione chiarissima e due penetranti occhi azzurri. Era già alto per la sua età ed era snello. Di certo, caratterialmente, non aveva preso da me, oltre al sarcasmo pungente. Certe volte, mio figlio era proprio stronzo.
La strada era tranquilla, per adesso tutto procedeva al meglio.
Avevo affittato un appartamento, così da poter avere la nostra intimità. La via la conoscevo a memoria, infatti la casa si trovava vicino alla mia vecchia scuola.
 
L’appartamento non era grandissimo, aveva una camera, un salone con divano letto e un cucinino stretto.
Mio figlio si riaddormentò all’istante e io presi in mano il cellulare, scrivendo un unico messaggio indirizzato a tutti.
[Sono di nuovo qua. Mi siete mancati molto, se volete dall’ultima volta che vi ho scritto, non avete cambiato idea e volete rivedermi, rispondete a ‘sto squallido messaggio.]
Destinatari: Roby; Selina; Kiara; Stefan;
 
Fissai il cellulare per una buona mezz’ora, con la paura che i miei migliori amici non mi volessero vedere. Mi tranquillizzai quando la prima risposta arrivò. 




Eccomi di nuovo. Il primo capitolo, un po' l'introduzione. Si poteva capire dal prologo che lei era incinta. Eccoci qua otto anni dopo, che ritorna nella sua vecchia vita portandosi dietro una personcina: Alan.
Lasciate anche solo un piccolo commento, così provo a fare in modo di migliorare.
Accetto anche un "Ma muori, che schifo!"
P.S Sto cercando di migliorare la grammatica.

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Capitolo 3
*** II° ***


  II°
 

 
[Ciao Issa. Rispondo al tuo squallido messaggio, sì. Mi manchi e voglio assolutamente vederti al più presto. Che ne dici ‘sta sera a cena? Abitiamo nella vecchia casa dei miei, quindi sai l’indirizzo. Rispondi. Baci.]
Mittente: Selina;
Selina era, da sempre, la mia migliore amica. Negli ultimi tempi si erano aggiunte anche Roby e Kiara, ma Selina non l’avrei mai potuta dimenticare. Insomma, era con lei che ero stata al mio primo concerto, con lei avevo preso la mia prima sbornia, con lei, in prima superiore, ero stata rimandata di educazione artistica. Era la prima persona di cui mi ero fidata ciecamente, la prima persona a cui ho raccontato di mio padre. Era estremamente importante che lei mi volesse vedere.
[Sono felice che tu abbia risposto. Accetto il tuo invito, ma porto con me una persona J]
Lei mi rispose dopo poco, dicendo che ne sarebbe stata felice. Corsi subito a disfare le valigie, cercando qualcosa da indossare. Si, lei mi aveva visto appena sveglia, ma era importante fare un buona figura per me. Non le avevo parlato per così tanto tempo che ero stupita che mi avesse risposto. Alla fine trovai un paio di Jeans scuri e una camicetta a maniche corte. Sembravo una persona seria, così da dare l’idea di essere maturata finalmente, di non essere più la solita lunatica, depressa Elissa.
Andai a svegliare mio figlio, bellamente stravaccato sul divano, che russava beato. Appena sveglio, si strofinò gli occhietti e mi chiese “Dove andiamo, mamma?”
“Da Selina, una mia vecchia amica. Ti starà simpatica, vedrai!” dissi, rassicurandolo. Alan, per questo verso, mi assomigliava abbastanza: aveva una fottuta paura delle novità, includendo anche la paura degli estranei in essa.
Non ci fu verso di costringere il bambino a infilarsi qualcosa di decente, così fui obbligata a portarlo in pantaloncini e canotta.
La casa di Selina non era troppo lontana dall’appartamento che avevo in affitto, ma scelsi di prendere comunque la macchina. Per come me la ricordavo, quella via era abbastanza malfamata quando ero adolescente, quindi non volevo andare in giro di notte, con magari Alan addormentato, a piedi. Quando arrivai nel parcheggio notai una moto fiammante ed acquistai la certezza che Selina stava ancora con Domenico, il fidanzato storico. Domenico aveva la passione per le moto e per Selina. Era un uomo veramente insopportabile, lunatico e con un pessimo senso dell’umor, simile al mio. Selina, però, riusciva a prenderlo e si era innamorata di tutti i suoi difetti. Dovevo ammettere, però, che nemmeno Sel aveva un carattere particolarmente facile. Era violenta, lunatica, esibizionista, prima donna, ma tutti le volevamo bene per quello che era.
Vidi il campanello con quei due nomi sopra e fui felice, felice per loro. Suonai e dopo pochi istanti una vocina di donna mi chiese “Chi è?”
“Ehm, Issa. Sono Issa” dissi, con voce titubante.
Selina ci aspettava sulle scale. Era esattamente come la ricordavo, con quelle sue guanciotte arrossate. Era sempre bassa, aveva capelli a caschetto lisci come spaghetti e quegli occhi a mandorla erano sempre lì al loro posto. Aveva un sorriso a trentadue denti e, appena salii l’ultimo gradino, mi saltò letteralmente addosso abbracciandomi. Mi stupivo di tutta quella sua dolcezza, infatti la Selina violenta che conoscevo non si fece attendere. Finito quell’abbraccio, mi arrivò uno schiaffo che mi arrossò una guancia.
“Stronza!” Disse lei, con aria crucciata. Io la squadrai per benino. Notai uno strano rigonfiamento nella zona del ventre.
“Sel, tu sei incinta!” Dissi quasi gridando. Lei, però, si distrasse. Infatti, scorse mio figlio che stava ancora sugli scalini e ci guardava curioso.
“Era, era lui la persona che portavi?” Disse con voce tremante. Io annuii e lei sorrise, dicendo che non poteva farci stare ancora sulle scale.
Mio figlio si andò a sedere sul divano, guardando sempre stranito quella nanetta con la frangetta. Si mise a guardare un vecchio film ed entrò in catalessi. Io seguii Sel in cucina, dove tutto il bancone era occupato da roba da mangiare. Cercai di allungare il braccio verso le bruschette ma, prima che lo potessi fare, mi arrivò un pizzicotto e la sua voce incazzata.
“Non ti sembra che mi devi dare qualche spiegazione? Okay, sono felice di rivederti. Sta di fatto che sono molto incazzata, anche.”
“Anche tu mi devi spiegare della tua pancia, Sel!” dissi, cercando di cambiare discorso.
Lei mi guardò truce: secondo me stava pensando un modo per uccidermi e nascondere il cadavere.
“E’ tuo figlio, il bambino?” mi chiese. Io mi limitai ad annuire.
“Come si chiama?”
“Alan, bello e armonioso. Anche prezioso.” Dissi, indicandole la scelta di quel nome.
“Giusto che tu sei fissata con i significati dei nomi. Quanti anni ha?” mi chiese.
“Otto anni a marzo.” Mi sedetti sullo sgabello, pronta a subirmi il terzo grado.
“E’ bellissimo, sul serio. Ora, però, devi parlare. Perché sei scappata così? Non ammetto variazioni del discorso. Se non me lo spieghi, ti butto fuori a calci da casa mia, chiaro?”
“E’ complicato, Sel. Ho dovuto. Per voi sarò una codarda, ma fidati è il gesto più coraggioso che abbia mai fatto!”
“Forse non hai capito, cara la mia Issa. Io voglio sapere tutta la storia. Tu me lo devi, per avermi fatto stare in pensiero otto anni.”
“Sono rimasta incinta di Alan, avevo paura che il padre scoprisse che ero incinta e me lo portasse via. Avevo paura del vostro giudizio. Ero spaventata e confusa. L’ho fatto per il bene di quel coso che avevo nella pancia, che si è trasformato nella cosa migliore della mia vita!” dissi, tutto d’un fiato, fissando le mie bellissime scarpe.
“E chi è il padre, Issa?” chiese lei.
“Non te lo posso dire, ti prego non insistere. Non posso!”
Lei non insistette, mi abbracciò e basta. Lei mi aveva capito, per una volta.
 
A cena, c’era Domenico, ora marito di Sel, che sembrava sul serio un’altra persona. Era sempre stato un tipo lunatico, ma quella sera era veramente divertente e giocava con Alan che si divertiva una marea.
“Sel, allora sta pancia?” chiesi io, mentre Domenico rincorreva mio figlio per tutto il salotto, che se la rideva come uno scemo.
“Sono al quinto mese! Non è fantastico?”
“Lo è! Almeno potrò vedere questo bimbo che nasce!” dissi io, con una punta di rammarico in voce.
Chissà se gli altri avevano figli, se erano sposati o cosa.
Mancavano all’appello altre tre persone.

Angolo dell'autrice:
Ecco il secondo capitolo. La storia è ancora un po' ferma. Lei incontra Selina, una delle sue migliori amiche. C'è ancora tanto da chiarire, ma da adesso in avanti si alterneranno interi capitoli "flashback". Il nome Selina significa piccola luna, per questo l'ho scelto. L'amica in questione è molto lunatica! Spero ci siano meno errori grammaticali, recensite vi prego :)
Circe la Maga

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Capitolo 4
*** IV° ***


III°

 
Eravamo sedute a quel parco, con i cartoni vuoti di vino bianco attorno a noi. Sel rideva come una pazza, mentre io non riuscivo a capire un cazzo. Si era appena unito a noi Ste, che ci guardava con uno sguardo bastonato. Si stava domandando cosa aveva fatto per meritare la fidanzata e la migliore amica ubriache alle sei di pomeriggio. Con lui Bryan, un ragazzo cicciotto con gli occhiali, che, ai tempi, mi veniva dietro. Sel si alzò e iniziò a correre, inseguita dai due. Io volevo solo piangere. Facevo sempre quella fine, da sbronza. Mi nascosi dietro un cespuglio. A quei tempi ero innamorata del mio amico di infanzia, ma a lui, ormai, di me non gliene fregava niente.
Sel arrivò a svegliarmi e, delicata come sempre, mi tirò uno schiaffo urlandomi “Non piangere, cazzo!”       Me lo ripetei come un monito: “Non piangere, Issa. Non piangere.” Selina mi prese per un braccio e mi trascinò in mezzo al parco, a correre assieme a lei. Inizio a togliersi la felpa e poi la t-shirt, rimanendo in canotta. Lei era solita spogliarsi e fare l’esibizionista. Io stavo lì, come una cogliona, a ridere.
Decisi di andare a cercare un mio amico, perché avevo l’insano desiderio di cavargli gli occhi e giocarci a dadi. Prima che potessi muovermi, però, arrivò un ragazzo. Lo conoscevo, era amico di Ste. Mi pareva si chiamasse Philippe. Sel ed Io gli andammo incontro e lo vidi squadrarmi con un sorrisino sinistro. Sel e Ste ci lasciarono lì, soli. Eravamo in mezzo al parco e io iniziai a parlare. Non mi ricordo bene cosa dissi, le poche cose che sapevo me le raccontò Bryan. Gli avevo elencato tutti i miei difetti: di quanto mi facesse schifo il mio naso, del fatto che avevo la pancia e che odiavo le mie tette. Ricordavo distintamente, però, che gli stavo parlando a due centimetri dal naso, lui abbassato per arrivare al mio metro e settanta. Non avevo mai notato i suoi occhi. “Tu hai gli occhi azzurri!” dissi, come una stupida.
Da quello che mi raccontò Bryan, mi disse che era chiaro che stessimo flirtando. Sapevo solo che quello strano ragazzo dagli occhi color ghiaccio, il naso aquilino e i capelli biondi aveva uno strano effetto sul mio corpo o sui miei ormoni. Ci perdemmo un attimo a fissare Sel e Ste. Selina stava riempiendo la pancia di Ste di succhiotti, ma, dalla nostra prospettiva, pareva che gli stesse facendo un pompino.
Sel mi si avvicinò, ubriaca marcia alle sette di sera. “Fattelo, cazzo!” Mi disse. Anche Ste si era avvicinato al ragazzo, ma io ero troppo andata per capire ciò che gli diceva. Lui ed io ci riavvicinammo, io che continuavo a parlare e gli dicevo che mi trovavo un cesso. Mi ricordavo che fece “Non lo sei” e poi mi baciò. Avevo baciato tanti ragazzi, ma quello era il più bel bacio che avessi dato. Sentivo qualcosa smuoversi nella pancia o forse era solo l’alcool. Sta di fatto che non mi dispiacque quando mi prese per la mano e continuò a baciarmi. Avevo la testa in trip, quello sì. Sembrava, però, che le nostre lingue fossero fatte per combaciare, che i nostri corpi vicini, emanassero più elettricità di una centrale nucleare. Era come se non avessi fatto altro che aspettare quel bacio, come le principesse delle fiabe non fanno altro che aspettare il bacio del loro principe.
Quando tornai a casa, pensai che tutto era finito. Che per lui, sicuro, non era significato niente. Infondo, nemmeno ci conoscevamo. Ricordavo a stento il suo nome. Solo che lui, quella sera, mi scrisse su Facebook. Aveva le mie sigarette e a scuola sarebbe sceso a portarmele.
Quella notte non dormii. Le prime due ore erano impossibili, non facevo altro che aspettare che lui scendesse al mio piano. Lo fece. Passammo dieci minuti buoni a parlare e a sorriderci. Non mi importava nemmeno delle mie compagne che mi fissavano male. Mi ci perdevo in quei suoi occhi. Scoprii che Philippe era il suo cognome. Lui era Peter.
La sera uscii con Ste, senza Sel, perché la stupida si era beccata la bronchite a spogliarsi in pieno febbraio. Lui non c’era, però. Al collegio si era scatenato il putiferio, tutto per colpa mia. Bryan, che diceva di essere innamorato di me, era furioso perché il suo caro amico Peter mi aveva baciato e di conseguenza se la prendeva con tutti quelli che ci conoscevano. Peter non c’era, solo di questo mi importava.
Nemmeno il giorno dopo a scuola c’era. Mi sentivo stupida. Una vera idiota che si era illusa per un semplice bacio. Mi maledissi per sei ore e chiamai Roby, che non sentivo da più di un mese. Avevo bisogno di lei. Io avevo sempre bisogno di lei.



Angolo dell'autrice:
Innanzi tutto voglio ringraziare le due persone che mi hanno recensito: Maryangy e  _Black_Abyss_
Sto cercando di migliorare in quanto a grammatica, spero che si possa vedere qualche risultato. Questo è un capitolo flash back, ce ne sarà qualcuno giusto per chiarire un po' le idee.
E' ancora tutto molto confuso, sono capitoli di passaggio. Vorrei dire che Selina è una delle sue migliori amiche, diciamo l'unica persona da cui non riesce a staccarsi, perché ha fatto tutte le sue prime esperienze con lei. Quella, però, con cui ha un legame, tra virgolette, magico è Roberta. Spero continuate a seguirmi, fatemi sapere che ne pensate.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto questa storia 
Circe_laMaga

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Capitolo 5
*** IV° ***


IV°


Quella notte non riuscii a dormire. Era solamente il primo giorno che ero in quella cittadina dimenticata da dio, ma già sentivo l’ansia che assaliva. Un masso che pesava sui miei polmoni e mi faceva respirare a fatica.
Cercai il pacchetto di sigarette di scorta che tenevo nella borsa e uscii sul balcone. Ero solita farlo da adolescente: stare fino alle quattro di mattina ad ascoltare musica con l’aria fresca che mi faceva venire i brividi.
Riabbracciare Sel mi aveva fatto tornare a quei quattordici anni, dove eravamo unite più che mai. L’avevo conosciuta in prima media, dove io ero ancora una bambina che si vestiva con le tute della Nike, occhiali sbilenchi e capelli arruffati. Sel era sempre stata una ragazzina particolare, dove giorni ti contagiava con la sua solarità e la sua risata e altri dove era già tanto che ti rivolgeva la parola. Poi, nell’estate della terza media, mi aveva sostituito con ragazze più carine, simpatiche e popolari di me e il mondo era crollato. Era la mia unica amica e capii quanto era importante per me quel legame. Riuscii a rilegarci e fu la prima a sapere tutti i miei segreti. Poi tutto si rovinò di nuovo. Non ero disposta a sciogliere quel legame, però, non ce la facevo. Era l’unica che mi teneva legata a quel topo da biblioteca che ero, prima di cambiare.
Rivederla mi aveva scombussolato. Aveva portato alla mente troppi ricordi, troppi litigi e troppe cazzate. Avevo un nodo all’altezza dell’esofago che non si sarebbe sciolto neanche avessi ingerito dell’acido. La guancia faceva ancora male per quello schiaffo, ma come biasimarla? Di certo, io mi sarei incazzata non poco se l’avesse fatto lei. Il bello di Sel, però, era che non era orgogliosa e pensavo fosse questo che la spinse a rispondere per prima a quello squallido messaggio, preceduto da una mail qualche giorno prima.
Mi sentivo uno schifo ad aver fatto loro questo. Non tanto per il fatto di aver lasciato i miei amici, quanto per essere ritornata così, da un giorno all’altro, e imporre la mia presenza.
 
Mio figlio mi svegliò saltandomi sulla pancia e gridando un sonoro “SVEGLIA DORMIGLIONA!”
Io sussultai e appena aprii gli occhi, mi ricordai dell’incontro con Seline la sera prima. Incinta, dio mio!
Mi alzai malamente e mi preparai per portarlo a fare colazione al bar. Andai al bar della stazione, dove ero solita rintanarmi nei pomeriggi freddi dei miei quattordici anni e dov’ero una cliente fissa per comprare le sigarette. Avevo diminuito molto la quantità da quando era nato Alan, ma tornare in quella città mi spinse a comprarle di nuovo. Dannato vizio … dannata città. Portai mio figlio a fare un giro del centro e mi persi nel raccontargli storie della mia adolescenza.
“Mamma, perché te ne sei andata?” mi chiese, vedendo i miei occhi lucidi a rivedere tutti quei posti. Era strano rivisitare quei posti, fulcro della mia vita. Mi trascinarono nella malinconia più estrema, quasi potessi vedere, dal di fuori, io adolescente che camminavo, parlavo e ridevo. La piazza, dove si trovava il comune, mi ricordava terribilmente Selina. Quante volte ci eravamo fermate lì a giocare come due bambine, a rincorrerci e ad insultarci. Poi c’era quel parco, il parco dove passavo i miei pomeriggi, dove avevo preso le mie sbornie più epiche. Il parco, che era come una casa per me e Roby. Mi sembrava quasi di rivederla, mentre passavo sotto il gazebo, con quei suoi capelli rossi e quel suo portamento da mammut. Con quei suoi sorrisi, con quella sua spontaneità. Roby era l’unica che riusciva a capirmi, in un modo o nell’altro. Tra noi non esistevano segreti. Almeno, finché non cambio. Avevo sofferto molto per quel suo cambiamento. Era diversa, con me. Quasi non ci vedevamo più e i nostri rapporti si erano raffreddati. L’unica certezza che non me la fece perdere, era che da qualche parte, quella mia migliore amica stordita era rimasta.
“Sai, Alan. Non ho avuto scelta. E’ stato meglio così, però” dissi, stringendo la sua piccola manina. Quel bambino era la mia vita, tutto ciò che mi era rimasto.
Lo portai a mangiare al Mc Donald. Lui era tutto felice con quel suo Happy Meal, ma la malinconia ancora attanagliava la mia anima. D’un tratto, entrarono tre ragazzi e mi venne in mente quando ero io, con Roby e Max, ad entrare da quella porta, con i sorrisi sul volto, perché probabilmente avevamo detto qualche battuta idiota.  Il cellulare squillò. Un messaggio, era arrivato un messaggio.
“Ciao Issa. Pensi sul serio che non ti voglia vedere? Che ne dici di una cenetta al solito cinese? Ho voglia di riabbracciarti!”
Mittente: Kiara. 


Angolo autrice:
Scusate del ritardo mostruoso, ma la scuola è iniziata e scrivo solo durante le ore di matematica. Questo è un capitolo di passaggio, come quello prima, ma i veri capitoli stanno per arrivare. Sto cercando di studiare anche un po' di grammatica, quindi spero sia un minimo migliorata. Recensite, grazie mille che mi leggete! (Un ringraziamento speciale a 

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