without hesitation

di koigumi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Phantom FROM THE PAST ***
Capitolo 2: *** IN THE ARMS OF THE Devil ***
Capitolo 3: *** HEADLONG IN THE Dark ***
Capitolo 4: *** THREE DROPS OF Blood ***
Capitolo 5: *** THE SOUND OF Silence ***
Capitolo 6: *** 6. THE ONLY THING TO DO IS Trust me ***



Capitolo 1
*** A Phantom FROM THE PAST ***




1. A Phantom FROM THE PAST

“Dieci anni. Sono passati dieci anni dalla scomparsa del mio amato Ciel.
Da quel giorno ho potuto dire addio ad ogni mia speranza di poterlo vedere ancora sorridente.”

Era il periodo di piena season, Londra era illuminata dalle mille luci degli sfarzosi palazzi dove, quasi ogni sera, si tenevano balli e gran galà. Le danze, le musiche, gli invitati e le ville erano rimasti identici ad un decennio prima e ciò procurava un grande sconforto nel cuore di Elizabeth.

Da quel triste giorno di inizio primavera, tutto cambiò.
Forse avrebbe dovuto capirlo ancor prima di aprire quel grosso pacco nero che non vi era sorpresa, se non sgradita, ad attenderla …
… e forse quella caramella che accompagnava l’invito al funerale sarebbe servita ad addolcirle l’amara pillola. Ma così non fu.
Così come accadde al piccolo conte Phantomhive, anche lei smise di sorridere.
Non indossò più abiti rosa. Dimenticò di amare le “cose carine”.

Lo stesso modo con cui era solita portare i capelli cambiò: il due codini vaporosi e pieni di boccoli d’oro lucente, la ciocca di capelli sul lato destro del viso, la frangia corta ma elegante.
Adesso la sua lucente chioma dorata era raccolta in una sobria coda, a volte decorata con boccioli di rose e nastri; e la fronte era per metà coperta da una piccola frangia sul lato destro del volto, mentre ai lati i capelli erano tirati, lasciando cadere qualche piccola ciocca davanti all’orecchio.

Da dieci anni ormai aveva smesso di farsi chiamare Lizzy.
-“Sembra una maledizione: ogni persona che mi chiamava in quel modo adesso non c’è più … mio zio Vincent, mia zia Rachel, zia Anne e il mio amato Ciel … tutti morti.”

Quella sera anche lei era stata invitata ad uno di quei balli.
Un parente del Visconte Druitt aveva insistito per averla come ospite a questo ballo, essendo lei ancora nubile. In effetti Elizabeth aveva oramai superato l’età da marito e questa si proponeva a lei come una buona occasione per trovare finalmente un buon partito.

-“Un vestito sobrio ma elegante, Paula. Non vorrei apparire come una disperata in cerca di marito!”
-“Subito, signorina.”

Paula le si avvicinò con in mano un vestito color ciclamino, con riflessi tendenti all’argento.
Da quel giorno si era ripromessa di non indossare più nulla che le riportasse alla memoria il ricordo di Ciel, e in effetti quel vestito era molto simile a quello di sua zia Rachel. Tirò un sospiro e annuì.

-“Per questa volta farò un’eccezione. Spero solo che l’emozione non mi colga nel bel mezzo di una conversazione …”

In compenso, una festa a palazzo forse era il luogo migliore dove aveva la possibilità di svagarsi un po’.
Per quanto potesse ricordare, Ciel non aveva mai partecipato ad uno di quei balli. Nemmeno una volta.
Scesa dalla carrozza, ad accoglierla c’era un’immensa villa tutta illuminata. Poi fiori e fiori a non finire.
L’annuncio del suo ingresso spezzò l’atmosfera della festa: lei era la bella ereditiera senza marito. Lo stupore generale non durò che qualche istante; gli invitati furono di nuovo distratti dalle danze e dal buon vino e ciò permise ad Elizabeth di tornare nell’anonimato.
Avrebbe dovuto resistere solo per quella sera; non ci sarebbero stati più balli in quella season, per lei. Quella serata sarebbe dovuta essere l’ultima occasione per cercare marito di sua scelta, altrimenti sarebbe stata costretta a sposare un socio di suo padre che chiedeva la sua mano oramai da molto tempo.
Si mise in un angolo, con un bicchiere di Champagne in mano, sperando che nessuno degli invitati si accorgesse della sua presenza.

-“E dire che tempo fa mi divertivo a feste del genere: rincorrevo le Lady con dei bei vestiti!”

Un piccolo sorriso malinconico le illuminò il volto. Poi svanì di colpo.

-“Poco importa se stasera non ballerò con nessuno: vorrà dire che mi toccherà sposare Lord Alley. In effetti le mie speranze di vivere una vita felice si sono spente dieci anni fa …”

L’orchestra cominciò a suonare il solito Valzer e ciò riportò alla memoria di Elizabeth un vago ricordo di una piccola ed impacciata dama vestita di rosa che ballava con un uomo alto, forse il suo tutore.

-“Chissà perché quella Lady era tanto spaventata da me. Insomma, ero solo interessata al suo bel vestito italiano!”
-“In verità era d’importazione francese.”

Elizabeth girò di scatto la testa e notò che uno degli invitati le aveva appena rivolto la parola. Era un uomo alto, di bell’aspetto, con i capelli corvini, stranamente troppo lunghi per un lord, ma portati dietro l’orecchio sinistro. I suoi occhi, per metà nascosti da dei sottili occhiali, risplendevano di un marrone acceso quasi tendente al porpora.

-“Pardon, non avevo notato la sua presenza. Incantata, sono Lady Elizabeth Midf...”
-“No, la prego, sia lei ad accettare le mie scuse. Suppongo che quell’affermazione non avesse bisogno del mio intervento, sono desolato.”
E così dicendo proseguì con un delicato bacia mano.
-“Mi presento: il mio nome è Sebastian Michaelis, consigliere del casato Phantom. Incantato.”
-“Casato Phantom? Non credo di aver mai incontrato nessuno dei suoi membri, purtroppo.”
-“Non si preoccupi, my Lady. Ben presto avrà l’onore di incontrare il mio signore …”
-“E’ qui al ballo, stasera?”
-“Ci raggiungerà a momenti. Il mio signore è molto impegnato con la gestione della ditta di balocchi e dolciumi Funtom, cedutagli subito dopo la caduta del casato Phantomhive,come rilasciato nel testamento del conte. Il mio compito è proprio quello di seguirlo e consigliarlo nella sua nuova impresa. Per uno strano scherzo del destino, Phantom e Funtom hanno la stessa pronuncia. Incredibile, vero?”
-“Quindi il conte Phantomhive era in buoni rapporti con il vostro signore, non è così?”
-“Il mio signore è un uomo giovane. C’è una buona probabilità che lui e il conte siano stati compagni di gioco, ma suppongo che la decisione sia dovuta al rapporto del suo predecessore con il precedente conte Phantomhive. Deve sapere che erano in ottimi rapporti, quindi credo che la decisione del conte Phantomhive sia dovuta ad un senso di gratitudine nei confronti della famiglia del mio signore.”
-“Ah, capisco …”
-“Per caso l’ho delusa? Scommetto che avrebbe preferito una risposta diversa, non è così?”
-“Beh, in effetti speravo di poter incontrare qualcuno dei suoi vecchi conoscenti.”
Un’espressione di stupore apparve sul volto di Sebastian.
-“Come mai è così interessata al conte Phantomhive?”
-“Beh, io sono … o meglio, ero la sua …”

D’un tratto il maestoso lampadario di cristallo che illuminava la sala cadde e si frantumò a terra, creando un gran frastuono e sollevando un’immensa nube di polvere che proveniva dal soffitto frantumato.
Elizabeth si coprì d’istinto il volto, per evitare di soffocare. Qualche istante dopo alzò lo sguardo, per cercare una via d’uscita vicina, ma l’unica cosa che vide fu una figura rossa provenire verso di lei.

-“Pardon, se il mio ingresso non è stato dei migliori: volevo partecipare anch’io a questo ballo, ma lì fuori non mi facevano passare … CHE SCEMPIO! A questa festa non sono ammessi Shinigami, però vedo che i demoni sono i benvenuti! Non è così, Sebas-chaaaaan?!”
-“Grell-san, quale onore: se non ti ho fatto a pezzi quella volta che hai ucciso Madame, vorrà dire che questa è l’occasione giusta!”
-“C-cosa succede, Mister Michaelis? Chi è quella donna in abiti da maggiordomo?”
-“Ma che gentile la tua amichetta, Sebas-chan! Sì, sono un maggiordomo, ma purtroppo non sono una donna! Ahimè, questo vorrà dire che non potrò mai coronare il mio sogno d’amore con quell’uomo bellissimo che tu chiami ‘Mister Michaelis’… L’unica cosa che mi rimane da fare è ucciderlo! *DEATH*”

Sebastian prese per le spalle Elizabeth e la voltò verso di sé.
-“Sa dirmi di cosa sono fatte le postate di questa festa?”
-“A-Argento, credo …”
-“Perfetto! La prego, si diriga di corsa verso l’uscita nord-est della villa: a questo strambo ci penso io.”
-“STRAMBO?! Sebas-chan, come ti permetti di chiamarmi così?! E io che pensavo che fossi un gentiluomo!”

Elizabeth eseguì gli ordini di Sebastian e si gettò di corsa fuori dalla villa, finendo per scontrarsi contro il corrimano che precedeva una scalinata che portava al giardino.
Si accasciò a terra, tenendosi la testa stretta fra le mani.

-“Se il conte Phantom era compagno di giochi di Ciel, vorrà dire che avrà la sua stessa età … non che io voglia rimpiazzare Ciel, questo è ovvio, ma sempre meglio lui che Lord Alley!”
-“Questo mi rincuora.”

D’un tratto Elizabeth si voltò, alla ricerca della persona che aveva pronunciato quelle parole; lì fuori era buio, ma riuscì comunque ad intravedere una sagoma tra le ombre.

-“Siete voi Lord Phantom? Il vostro consigliere mi aveva tanto parlato di voi, poco fa alla festa …”
-“Quello lì? Ha fatto solo il suo dovere.”

Pian piano la sagoma si avvicinava e i suoi lineamenti si facevano sempre più marcati. In un preciso momento Elizabeth riuscì a scorgere il volto dell’uomo nell’ombra: era un bambino!

-“M-Ma come può essere?! Lei non è il conte Phantom!”
-“Perché ne è così sicura?”
-“Perché il conte dovrebbe avere su per giù la mia età, ovvero venticinque anni! Lei è solo … solo un …”
-“… un RAGAZZINO, intende dire?!”
-“Beh, sì!”
-“Mia cara, le posso assicurare che ho molti più anni di quanti non ne dimostri, questo è certo!”

All’improvviso un boato interruppe il frastuono proveniente dalla sala e il combattimento tra Sebastian e Grell cessò. Sebastian, i cui abiti erano oramai ridotti in brandelli, si diresse verso Elizabeth e il conte, portando in mano qualcosa di piccolo e nero.

-“Vedo che avete avuto l’onore di incontrare il mio signore, Miss.”
Rivolse poi il suo sguardo al conte.
-“Signorino, non vorrà mica dimenticarsi questa.”

Così dicendo srotolò una benda per occhio totalmente nera e , avvicinatosi al ragazzino, gliela allacciò dietro la testa, coprendo l’occhio destro.
A quel gesto, Elizabeth si rizzò in piedi e, dopo essersi diretta velocemente di fronte al piccolo conte, alzò la mano destra per colpirlo in volto.

-“Come osi prenderti gioco di una ragazza fragile come me! VERGOGNATI! Razza di …!”

Prima che potesse arrivare solo a sfiorare il volto del ragazzino, la mano di Elizabeth fu prontamente fermata da Sebastian che la bloccò con una forte stretta al polso.

-“Pardon, my Lady. Ma non posso permettere che il mio signorino venga colpito da nessuno, compresa lei.”
Immobilizzata da Sebastian, Elizabeth rimase di fronte al piccolo conte, così simile al suo Ciel nei modi di agire. A quel punto, il ragazzino si voltò verso Sebastian.

-“Lasciala andare.”

Sebastian mollò la presa e Elizabeth indietreggiò il più velocemente possibile, tenendosi stretto il polso ancora dolorante.
I due intanto si allontanarono di qualche passo e cominciarono a parlare tra di loro.

-“Allora Sebastian, come si chiama?”
-“Purtroppo non ho ben compreso a quale casato appartenesse, ma il suo nome è Elizabeth.”
-“Come ti sembra?”
-“Signorino, se dovessi paragonare la sua anima ad una delle pietanze offerte stasera al ballo, questa donna sarebbe di sicuro un trionfo di dolci.”
-“Bene! Allora l’abbiamo finalmente trovata, non è così?”
-“Sì, ad un primo impatto parrebbe di sì.”
-“Perfetto. Sebastian, allora preparami subito la sua …”
-“Signorino, potrei consigliarle di ‘terminare’ il tutto in un luogo più consono del giardino di questa villa?”
-“Hai ragione.”

I due tornarono nuovamente vicino al Elizabeth, questa volta molto più impaurita di prima.

-“La prego, venga con noi. La porteremo via da questa residenza ormai in pezzi. La mai carrozza è proprio qui davanti …”
E così dicendo il ragazzino porse la mano ad Elizabeth, mostrando un vistoso anello turchese.
Alla vista del gioiello gli occhi di Elizabeth si illuminarono.

-“Oh, lo sapevo! Lo sapevo! L’aspetto non è più quello, questo è ovvio: i capelli sono cresciuti, il tuo volto è molto più maturo di dieci anni fa. Io non ho mai smesso di sperare che tu fossi vivo da quando è stato detto che la bara era stata sepolta vuota!”
-“M-Ma cosa dice?!”
-“Non lo so nemmeno io: non so perché dopo dieci anni il tuo aspetto sia rimasto quello di un tredicenne e non so nemmeno perché ti sei finto morto. Ma so per certo che questo ragazzino davanti a me sei tu, CIEL PHANTOMHIVE.”

Il ragazzo e il suo maggiordomo rimasero pietrificati dalle parole di Elizabeth. Ad un tratto il conte si avvicinò a lei, sfiorandole il volto con la mano.

-“L-Lizzy?”
-“Sì, anche se oramai ho smesso di usare quel nomignolo.”

Sebastian prese di scatto il braccio del conte, voltandolo verso di sé.
-“Cosa diavolo crede di fare?! La nostra copertura oramai è saltata e questa donna cercherà sicuramente delle risposte al perché lei sia ancora vivo, non le pare?”
-“Tu non ti immischiare! Se la copertura salta, quello che ci rimette sarò io, non tu!”
-“Le ricordo che io sono destinato a obbedirle e a seguirla per l’eternità.”
-“ Esatto, allora renditi utile: prepara la carrozza!”
-“Yes, my Lord.”
Così dicendo Sebastian si allontanò, proseguendo verso il giardino.

Ciel prese la mano di Elizabeth, la quale era ancora piegata sulle ginocchia.
-“Ti prego, Lizzy: non cercarmi mai più. Dimenticati di questo incontro.”
-“Ma come? Non ti sono bastati i dieci anni di sofferenza che ho dovuto passare!? Io non posso dimenticarti, non ne sono capace! Ho bisogno di sapere perché tu …”
-“No! Sono io che ho bisogno di sapere che sei al sicuro: quindi, te ne prego, tieniti il più lontano possibile da me e da Sebastian. Non me lo perdonerei mai se tu dovessi …”
-“Cosa? ‘Se io dovessi’ cosa?”
-“Se tu dovessi buttar via la tua anima.”
-“Ma è impossibile! Tu mi hai sempre difeso, non mi faresti mai del male! Lo so per certo.”
-“Sappi che io non sono più quello di una volta.”

D’un tratto la carrozza si arrestò davanti alla scalinata e il conte si precipitò lungo le scale per raggiungerla il prima possibile.
-“Signorino, è il momento. La luna è già troppo alta e questo non le fa bene alla salute.”
-“Mpf … zitto e parti!”

Ma mentre Ciel si apprestava a salire sulla carrozza, Elizabeth si affacciò al corrimano della scalinata, con il volto rigato di lacrime. Non poteva lasciar andare il suo Ciel prima di aver ottenuto anche una parziale risposta.

-“Se non sei più il conte che conoscevo, allora chi saresti adesso?!”
Ciel entrò nella carrozza, ma prima che la portiera si chiudesse, si voltò dall’altra parte, incrociando lo sguardo di Elizabeth.

“Beh, ora sono solo … un diavolo di conte.”




NELLA CAMERETTA DELL'AUTORE
Ehi, tu! Sì, dico proprio a te, che stai leggendo questo commento…
Sono felice che tu abbia trovato del tempo da dedicare alla mia storia…

Non sono mai stato un tipo che condivide molto facilmente le sue creazioni, che siano queste disegni oppure storielle da quattro soldi.
Ma questa storia è particolare: mi venne in mente all’improvviso, mentre facevo non so cosa davanti al computer.

Mi sono chiesto: ma l’anime di Kuroshitsuji può davvero finire così?! E tutti gli altri personaggi che fine faranno?
Poi mi venne in mente il bel faccino di Lady Elizabeth, così candido e roseo. E a quel punto mi sono chiesto nuovamente: e Lizzy? Che fine farà?

Così ho scelto lei come mia protagonista: esatto, proprio Lizzy!
La petulante, appiccicosa ed assillante Lizzy Midford.

E poi l’ho immaginata grande, bella, elegante ed austera come la madre.
Ma ancora sofferente per la perdita del suo amato, avvenuta oramai dieci anni prima…

Allora? Che ve ne pare come idea? :D
Non immaginerete mai cosa ho in serbo per il futuro di questa storia!!!

… ma per il momento non anticipo nulla: dico solo
CHI VIVRÀ VEDRÀ!

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Capitolo 2
*** IN THE ARMS OF THE Devil ***


2. IN THE ARMS OF THE Devil

La carrozza si arrestò davanti ad una piccola villa poco distante dal centro di Londra.

Era la Town House della famiglia Phantomhive, dove molti anni prima si recava il conte assieme ad alcuni suoi conoscenti per poter servire più da vicino la regina Vittoria. Dalla morte di questi, la casa passò al presunto casato dei Phantom, fino ad allora nascosto nell’ombra. Ma stranamente la casa risultava essere abitata anche nel periodo che seguiva la chiusura della season.
Il conte scese dalla carrozza e, seguito dal suo maggiordomo, entrò nella villa.

L’interno era ben curato: la tappezzeria, cambiata da poco, risplendeva di un brillante color turchese; le tende pesanti di velluto, accostate ai lati delle finestre, lasciavano filtrare i raggi di un sole appena sorto.

In effetti erano ancora le prime ore del giorno. Quella notte si era rivelata più movimentata del previsto.

“Una volta trovata, il gioco è fatto!” gli aveva suggerito Sebastian poche ore prima della festa. Ma chi poteva mai immaginare che l’anima perfetta per Ciel fosse anche quella a lui più cara?

Ciel si accasciò su una grossa poltrona foderata di pelle rossa. Il suo maggiordomo si accomodò proprio di fronte a lui, poggiando su di un tavolino un vassoio con delle tazze da tè vuote.

-“Dannazione!”
-“Suvvia, non si abbatta signorino. Stiamo parlando dell’anima perfetta: è ovvio che vi si presenti qualche ostacolo di fronte!”
-“Non potrei semplicemente cercarne un’altra?”
-“La probabilità di trovare un’altra anima simile a quella di Lady Elizabeth è di una su … vediamo, un milione! Dovrebbe ritenersi fortunato del fatto che non ha dovuto faticare tanto per trovarla. In effetti dieci anni sono un’inezia in confronto ai secoli che occorrono a un demone qualunque per trovare la sua prima perfect soul.”
-“E tu la chiami fortuna questa? Il fatto che la mia prima perfect soul sia l’anima dell’unica persona a me cara rimasta su questo mondo … tu la chiami fortuna?!”
-“Signorino, non mi faccia la predica. Essere demoni non è una passeggiata: lei non sa ancora di quali atrocità si dovrà macchiare le mani una volta stipulato il suo primo contratto!”
-“Quello è l’ultimo dei miei pensieri: ho dovuto già passarne abbastanza quando ero in vita …” -“In ogni caso la sua decisione deve essere presa il più presto possibile. Ho notato che, durante la vostra conversazione, lo sguardo di Lady Elizabeth indugiava molto sul suo occhio destro. Adesso io non vorrei crearle altre paranoie, ma eviterei di perdere altro tempo qui alla Town House. C’è una grossa probabilità che la marchesina possa scoprire il significato del marchio e, a quel punto …”
-“ … possa invocare un demone?”
-“Esattamente. E in quel caso lei …”
-“… io perderei la mia anima perfetta.”
-“Purtroppo è così.”

Il piccolo conte si alzò di scatto dalla sua poltrona.
-“Se è così, Sebastian, allora ho deciso: prenderemo la sua anima, prima che qualcun altro possa precederci!”
-“Pardon, signorino: ma se, per caso, la remota possibilità che la marchesina abbia già stipulato un contratto fosse diventata realtà ancor prima del nostro arrivo, allora …?”
-“In quel caso il discorso non cambia: voglio quell’anima e la otterrò. Costi quel che costi!”
Così dicendo il conte lasciò la stanza, dirigendosi verso il corridoio della casa e lasciando il suo maggiordomo ancora accomodato sulla poltrona nel salotto.
Questi, con un’aria rassegnata, cominciò a riordinare le tazze nel vassoio. Dopo di che si portò una mano alla fronte ed emise un leggero sbuffo.

-“Ah … ‘costi quel che costi!’, eh conte? Come se non sapessi già che il lavoro sporco toccherà tutto a me.”


*************


Come al solito, qualche istante dopo la fuga in carrozza di Ciel e Sebastian, alla festa sopraggiunse Scotland Yard. Stranamente nessuno degli invitati ricordava niente dell’accaduto, eccetto Elizabeth, la quale però non confessò nulla alla polizia, ma si limitò ad informare gli agenti che si trovava in giardino per via della polvere che la soffocava.

Dopo esser stata riaccompagnata alla sua residenza da una carrozza di Yard, Elizabeth fu accolta da un vigoroso abbraccio della madre, la quale era stata in ansia per tutta la notte.
Dopo aver spiegato alla famiglia l’accaduto, tralasciando ovviamente la descrizione dell’incontro con Ciel e Sebastian, Elizabeth si diresse in camera sua e lì si accasciò pesantemente sul suo voluminoso letto a baldacchino, decorato con pizzi e fodere di un delicato color panna.

Chiuse gli occhi per un istante: nella sua testa giravano mille pensieri, a volte un po’ sfuocati, altre volte molto più nitidi. Non si sarebbe aspettata di rincontrare il suo Ciel tanto facilmente, ma sapeva in cuor suo che doveva comunque provarci.
Quale dei tanti particolari le sarebbe servito per poter rivedere il suo amato? Forse il nome del casato? Ma no: ‘Phantom’ era un nome troppo comune. E poi, conoscendo Ciel, avrebbe di sicuro fatto in modo tale da rimanere nell’anonimato.

Poi Elizabeth si ricordò di un particolare. Un particolare che aveva attirato la sua attenzione qualche istante prima che il maggiordomo comparisse: era uno strano disegno nell’occhio destro del conte. Lo ricordava nei minimi particolari: il disegno geometrico di una stella che, con le sue cinque punte, toccava il cerchio che la circondava, a sua volta inserito in un cerchio spinato.

-“Non sarebbe possibile attribuirlo ad un gioco di luce” disse “molto probabilmente questa è la chiave per arrivare al mio Ciel!”

Cominciò a disegnare quello strano simbolo su alcuni fogli della sua camera, sperando di poter trarre qualche risposta. Il disegno era quello giusto, ma Elizabeth non era in grado di ricollegarlo a nessun significato in particolare.
Con le mani ancora sporche di inchiostro si accasciò nuovamente sul letto.

In quel preciso istante entrò nella camera la sua cameriera Paula, portando con sé un vassoio stracolmo di dolci come colazione per la marchesina appena tornata.

-“Buongiorno signorina Elizabeth: la signora marchesa mi ha detto che sarà sicuramente stanca ed affamata, quindi mi ha ordinato di portarle un’abbondante colazione a letto.”
-“Grazie Paula. Lascia pure il vassoio sulla scrivania: mangerò appena mi sarò ripresa.”
Elizabeth fece segno alla sua cameriera di poggiare il vassoio.

Paula si avvicinò alla scrivania della sua signorina e notò con stupore le macchie di inchiostrò su tutto il legno. Poggiò il vassoio e fece per voltarsi, quando con il piede sinistro colpì un piccolo foglio accartocciato per terra. Aprendolo notò il disegno che qualche istante prima Elizabeth aveva fatto e, con aria preoccupata, si diresse verso il letto dove era distesa la sua signorina.

-“Signorina, cos’è questo disegno?!”
-“D-Dove l’hai preso? Pensavo di averlo gettato via!?”
-“La prego, signorina: dimentichi qualsiasi cosa abbia a che fare con simboli del genere! Sua madre non glielo perdonerebbe mai!”
-“Aspetta! Tu sai cosa significa quel simbolo?!”
-“Signorina, non sono nata ieri. So per certo che questo è un pentacolo!”
-“Ascoltami Paula: ho bisogno che tu mi dica cosa significa questo simbolo. Non fraintendermi, io non c’entro nulla con tutto ciò, ma questo potrebbe essere l’unico indizio concreto per risanare definitivamente una ferita aperta oramai da dieci anni!”

Gli occhi di Elizabeth si riempivano di lacrime ad ogni parola che pronunciava. Così Paula abbassò lo sguardo e ripose il foglio, prese un fazzoletto di seta e asciugò le lacrime della sua signorina. Poi si sedette sul letto, al fianco di Elizabeth.

-“Signorina, davvero lei non sa cosa significhi questo simbolo?”
-“Non ne ho la più pallida idea …”
-“Beh, allora credo che non la rallegrerà sapere …”
-“Sapere cosa?”
-“… sapere che questo è uno dei più famosi simboli per riti satanici.”

Un’espressione di sconcerto apparve sul volto di Elizabeth: cosa c’entrava Ciel Phantomhive con i riti satanici? Ma soprattutto: perché quel simbolo era stampato sul suo occhio? Il fatto che portasse la benda anche prima di dieci anni fa stava a significare che faceva parte di una setta satanica ancor prima di scomparire? Forse fu la perdita dei suoi genitori che lo portò a fare delle scelte sbagliate?
Molte erano le domande che affliggevano la povera Elizabeth, ma una sola era la certezza: per poter rincontrare il suo amato Ciel avrebbe dovuto affrontare le sue paure e cadere tra le braccia del demonio.

La sola idea le faceva accapponare la pelle, ma oramai non era più una bambina. Poteva decidere di dimenticare tutta questa faccenda, sposare Lord Alley e lasciare che la sua vita le scivolasse addosso, dicendo addio ai suoi sogni e alle sue speranze di ragazza.

Oppure poteva decidere di saltare nel vuoto, seguire l’unica ed incerta strada per arrivare alla felicità e abbandonare i suoi fantasmi del passato. Il percorso si sarebbe rivelato più arduo del previsto perché, arrivati a quel punto, nulla si ottiene senza prima sacrificare qualcosa.

-“Paula, ho bisogno di documentarmi su questa faccenda: portami tutti i testi che riesci a trovare riguardanti riti e sette sataniche.”
-“M-Ma, signorina: quel genere di testi sono vietati!”
-“… se non l’hai capito, quello era un ordine.”
-“Farò del mio meglio, signorina.”

Così dicendo la cameriera si congedò da Elizabeth, lasciandola nuovamente da sola nella sua camera. L’adrenalina era a mille: avrebbe attraversato le porte dell’inferno solo per Ciel. Oramai ne era più che convinta e niente le avrebbe fatto cambiare idea. Quando Ciel era “in vita” si era sempre adagiata sugli allori, consapevole che nulla avrebbe distrutto quella tranquillità. Dopo, il dolore le ha impedito di provare emozioni. Adesso, invece, aveva un obiettivo da raggiungere e nulla da perdere.

-“Riti satanici … Certo che sei davvero bravo a metterti nei guai, eh Ciel?”




NELLA CAMERETTA DELL'AUTORE
Salve, gente! Grazie ancora per aver trovato il tempo da dedicare alla mia fan fiction!
Come promesso, ecco a voi il secondo capitolo!
L’ho postato velocemente perché lo avevo già preparato un mese fa, assieme ad altri 4 capitoli seguenti, per un totale di 6 capitoli già pronti!
Non potete immaginare quanto mi venga difficile scrivere questa storia:
ogni momento libero della giornata lo impiego per pensare a cosa scrivere nel capitolo seguente ma, quando mi ritrovo davanti al pc … PUFF! Tutto svanito!

Io me lo dico sempre: la mia musa mi odia! XD

In ogni caso spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento (anche se come capitolo non è il massimo, visto che alla fin fine è solo informativo).
Ma vi prometto che nel prossimo ci sarà molta più “azione” (non inteso come “combattimenti”, ma come “scene fondamentali nella storia”).

Alla prossima, miei cari!

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Capitolo 3
*** HEADLONG IN THE Dark ***


3. HEADLONG IN THE Dark

“Tre gocce di sangue che scorre nelle vene
Che sono dell’anima e del corpo le catene,
Disegnano il marchio del demonio dell’inferno
Che custodirà la mia anima in eterno.
Con ciò questo patto suggello e la mia fede abbandono
E dal Signore non mi sarà concesso alcun perdono …”


Dopo aver pronunciato queste parole, Elizabeth si accasciò a terra, proprio dove aveva disegnato un pentacolo col suo sangue. In quel momento nulla le importava se il suo vestito era sporco di sangue, né se qualche cacciatore potesse imbattersi in lei. Il terreno era morbido, il verde degli alberi circondava l’azzurro del cielo. Elizabeth sentiva venir meno le forze sempre più.

-“Sto morendo.”

Eppure aveva eseguito il rito come scritto nel volume di magia nera che aveva letto. Dal polso continuava a scorrere sangue e pian piano il braccio si colorava di viola. Il suo viso cominciò a perdere colorito e le sue mani diventavano sempre più deboli.
Le palpebre erano sempre più pesanti ad ogni battito e la vista sempre più appannata. Chiuse gli occhi. Sentiva le forze che la abbandonavano. Il respiro si faceva sempre più lento. D’un tratto il suo petto si fermò: il braccio le scivolò di lato, la testa si accasciò sull’erba e il suo cuore smise di battere.

Elizabeth era morta. E allora perché si sentiva ancora viva?
Una strana voce femminile le rimbombava nella testa.
-“Liz … Lizzy … Lizzy …”

Sentì le forze che le ritornavano lentamente. In effetti la sua era stata una morte tutt’altro che violenta e indolore. Non appena riuscì a muovere la testa riaprì gli occhi. La vista era ancora molto appannata, ma non riusciva comunque ad intravedere nulla. La sensazione dell’erba soffice sulla quale si era accasciata solo qualche istante prima di morire era svanita. Dal suo braccio non scorreva più sangue. La morbida seta di cui era fatto il suo vestito non c’era più.

Non appena riacquistò la vista si accorse di non indossare più i suoi vestiti: al posto del suo candido vestito color ciclamino, ora indossava una veste completamente bianca. Si accorse inoltre di non trovarsi più nel bosco dove aveva tentato di invocare un demone, ma in una immensa stanza scura di cui non si riusciva ad intravedere alcuna parete.

-“D-Dove mi trovo?”
-“Indovina?”
Era la stessa voce che poco prima le risuonava nella testa pronunciando il suo nome.

-“E’ un incubo, vero?”
-“Non sono sicura che si possano avere incubi anche da morti …”
-“Quindi sono morta davvero?!”
-“Beh, bisogna esserlo per trovarsi qui, non credi?”
-“Allora questo è l’Inferno?”
-“Non esattamente: questo luogo non prevede né punizione né salvezza eterna. Questo luogo è per coloro che sono disposti a cedere la propria anima in cambio di un ultimo desiderio. Il fatto che tu ora indossi una veste bianca sta a significare che la tua anima è pura ed inviolata: una vera rarità in un mondo pieno di depravazione come il vostro.”
-“Quindi io …”
-“Ora basta chiacchierare: per poter sancire un patto bisogna che ti illustri ciò che ne consegue.”

Elizabeth tacque e la voce poté continuare.

“Elizabeth Esel Cordelia Midford: questo è il punto di non ritorno.
Invocando un demone hai rinnegato la tua fede
e per questo motivo non ti sarà concesso di attraversare le porte del Paradiso.
Se deciderai di proseguire verso il sentiero scelto
Sacrificio, desiderio e il patto ti legheranno a me, un demone,
tua fedele schiava.
Altrimenti la tua anima sarà condannata ad un’eternità di dolore nel girone dei suicidi.”


-“Vale a dire che in entrambi i casi la mia decisione mi costerà l’anima, non è così?”
-“Ognuno è artefice del proprio destino, cara Lizzy.”

Se fino a quel momento la paura aveva offuscato ogni suo pensiero, non appena Elizabeth sentì pronunciare il suo soprannome si rammentò della vera ragione per cui aveva compiuto quel gesto così estremo. E la sua esitazione svanì di colpo.

-“ Se tu sei il demone che ho invocato, allora esigo che tu esaudisca il mio ultimo desiderio: della mia anima nulla mi importa più ormai da dieci anni.”
-“Meglio così: è sempre meno doloroso cedere qualcosa a cui si tiene poco …”
-“Esatto. Questo desiderio non mi porterà né ricchezza né longevità. Tuttavia ho intenzione di utilizzarlo …”
-“ … ‘utilizzarlo’ per cosa?”
-“Desidero utilizzarlo per Ciel Phantomhive.”

Una lieve pausa, forse dovuta allo stupore, seguì la precisazione di Elizabeth. La sua richiesta sembrò aver spiazzato il demone, il quale però, qualche secondo dopo, proseguì.
-“Ah, quindi il tuo desiderio riguarda Ciel Phantomhive … credo proprio che ci sarà da divertirsi!”

*******
Quella stessa mattina, davanti alla residenza Midford, si arrestò una carrozza trainata da un cavallo completamente nero. Il nocchiero era il maggiordomo della famiglia Phantom e, all’interno della carrozza, vi era lo stesso conte.

Ciel e Sebastian si erano recati alla villa di Elizabeth con l’intento di prendere la sua anima, dopo l’animata conversazione in salotto del giorno prima. Il piccolo conte per l’occasione non indossava alcuna benda all’occhio destro, ma copriva comunque il vistoso marchio con una grossa ciocca di capelli.
Il maggiordomo, invece, portava i capelli tirati all’indietro, nella stessa maniera in cui dieci anni prima glieli sistemava la marchesa, madre di Elizabeth. Entrambi erano vestiti di scuro: Ciel inoltre, portava in dono un mazzo di campanule azzurre.
Ad accogliere gli ospiti inaspettati fu la cameriera Paula.

-“Buongiorno. Posso esservi d’aiuto?”
-“Sì, grazie. Il mio signore, il conte Phantom, ed io siamo venuti a far visita alla marchesina Elizabeth. È in casa, adesso?”
-“Purtroppo è uscita a fare una passeggiata, ma credo ritornerà presto. Prego, accomodatevi in salotto: lì potrete aspettarla comodamente davanti ad una tazza di tè.”
-“Signorino, lei che ne dice?”
-“D’accordo …”

I due si accomodarono su un vistoso sofà color verde menta, al centrò di una magnifica sala di gusto tipicamente vittoriano, con un enorme camino al centro della parete. La stanza era ben illuminata da enormi vetrate, decorate con lunghe tende di pesante velluto verde e leggero cotone bianco.

Non appena la cameriera si allontanò per preparare il tè, il piccolo conte si voltò verso il suo maggiordomo, facendogli segno con la mano di fare un giro della casa.

-“Cerca qualcosa che possa ricondurci a lei nelle prossime 24 ore.”
-“Sarà fatto, signorino.”

Il maggiordomo si precipitò nel corridoio e cominciò a perlustrare le varie camere. Sapeva di aver a disposizione solo pochi minuti per fare un giro completo della casa senza essere scoperto, ma ci sarebbe dovuto riuscire comunque, perché era un ordine del suo padrone.

-“Non vorrei essere nei suoi panni quando finalmente troverò un modo per togliermelo davanti ai piedi e dovrà vedersela tutta da solo!”
Un sinistro sorriso apparve sul volto di Sebastian.
-“In ogni caso, meglio non perdere altro tempo: comincerò dalla camera della marchesina. Lì ho molta più probabilità di trovare qualcosa.”

Entrò furtivamente nella camera di Elizabeth, cercando di non toccare né spostare niente che non gli interessasse. Al fianco del letto a baldacchino, sul comodino di legno chiaro intagliato, una pila di grossi e vecchi libri attirò l’attenzione di Sebastian.

-“Questi non sembrano proprio libri per una lettura leggera da camera, o sbaglio?”
Così dicendo si avvicinò al comodino e prese tra le mani uno di quei volumi, né studiò il contenuto. Ad ogni parola che scorreva, il suo sguardo si faceva sempre più preoccupato.
-“E così anche Lady Elizabeth ha intenzione di seguire le orme del signorino, eh?”

Prima di abbandonare la camera con quell’ingombrante volume tra le mani, come prova da portare al suo signorino, Sebastian notò un piccolo appunto scritto ad inchiostro, forse troppo frettolosamente, perché pieno di macchie.

“ Un patto con un’anima che ha perso il suo cammino
Dona a questa il potere di cambiare il suo destino:
Tre gocce di sangue che scorre nelle vene
Che sono dell’anima e del corpo le catene,
Disegnano il marchio del demonio dell’inferno
Che custodirà la mia anima in eterno.
Con ciò questo patto suggello e la mia fede abbandono
E dal Signore non mi sarà concesso alcun perdono.
O demonio, con te io muoio e poi risorgo
E in cambio la mia anima ti porgo.”


Con un gesto veloce, Sebastian poggiò il pesante volume sulla pila di libri e al suo posto, prese il piccolo appunto.
-“Credo che questo sarà molto più utile di un intero libro di magia nera.”

Abbandonò la camera e tornò dal suo padrone appena in tempo per il tè. Paula ne servì una tazza ciascuno: era un semplice Earl Grey Jackson, lo stesso che prendeva ogni mattina il piccolo Ciel appena sveglio. Ma oramai quel tè non aveva più alcun sapore.
La cameriera si congedò presto, perché indaffarata con le faccende domestiche, lasciando Ciel e Sebastian soli nel salotto.

-“Perché ci hai messo così tanto?”
-“Mi perdoni se l’ho fatta aspettare molto, ma ho trovato qualcosa che potrebbe esserle d’aiuto.”

Così dicendo porse l’appunto a Ciel, il quale prima lo rigirò tra le mani e poi lo lesse un paio di volte a voce soffusa.

-“Cosa dovrebbe significare questo?”
-“E’ un’antica formula usata nei testi di magia nera per invocare un demone.”
-“Un demone? Questo vuol dire che siamo arrivati in ritardo?”
-“Non è ancora detta l’ultima parola, signorino. In ogni caso, non possiamo rischiare indugiando oltre in questa magione. Dobbiamo muoverci e alla svelta.”
-“Sì, ma … dove dobbiamo cercarla?”
-“Fortunatamente ho già qualche idea di dove si trovi adesso la marchesina: i posti più idonei a questo genere di ‘invocazioni’ sono chiese sconsacrate o luoghi all’aperto ed isolati. E, non essendo la marchesina persona tale da conoscere chiese sconsacrate, è da escludere la prima ipotesi. Inoltre la cameriera ha detto che è uscita a fare una passeggiata, il che vuol dire che non ha preso la carrozza e che quindi non è lontana. E qual è il luogo più isolato e più vicino a questa villa, raggiungibile anche a piedi?”
-“La pineta!”
-“Esattamente. Forza signorino, non perdiamo altro tempo: ogni istante può essere decisivo.”




NELLA CAMERETTA DELL'AUTORE
Hola Hola, carissimi lettori!
… ebbene, sì: sono tornato, armato di un nuovo capitolo!
Era quasi mezzo mese che non postavo un capitolo su questa storia ... o forse ero proprio io che non lo volevo fare: dovete sapere che sono un tipetto alquanto vergognoso … so bene che la mia storia è di un livello abbastanza basso, perciò prima di postare un capitolo nuovo, ho bisogno di una pausa di riflessione nella quale passo la maggior parte del tempo a dirmi:

DAI, PUOI FARCELA! NON ABBATTERTI! SEI BRAVO! LA GENTE APPREZZERA’ IL TUO LAVORO!!!

Come potete ben capire, la mia coscienza è fin troppo lusinghiera…
Comunque, con questo capitolo siamo finalmente entrati nel vivo della storia (lettori: “era ora!!!”)
Spero che possa piacervi! Lascietemi qualche commentino, bello o brutto che sia! :D
Byeee~

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Capitolo 4
*** THREE DROPS OF Blood ***


4.THREE DROPS OF Blood

-“S-Sebastian: lei … è … è morta.”

Ciel si avvicinò lentamente al corpo freddo e pallido di Elizabeth disteso sull’erba, col vestito ancora sporco di quel rosso sangue delle sue vene. L’espressione che aveva sul volto la ragazza non era per niente sofferta:
pareva una principessa addormentata dall’incantesimo di una strega malvagia. Ma purtroppo questa volta il principe azzurro non avrebbe potuto risolvere la situazione tanto facilmente.

Il maggiordomo si avvicinò al suo signorino che stringeva il corpo della marchesina in un tenero abbraccio.
-“Signorino: mi dispiace, ma è troppo tardi ormai … non si abbatta.”

Il piccolo conte rivolse il suo sguardo al maggiordomo: stranamente nessuna lacrima rigava il suo volto, né il suo viso sembrava straziato dal dolore.
In effetti Ciel era ormai un demone e come tale non era in grado di provare emozioni. In ogni caso, la reazione di quest’ultimo spiazzò del tutto il povero Sebastian, lasciandolo con un’espressione di stupore in volto.

-“Ti sbagli, Sebastian: non è mai troppo tardi se si è disposti a mettere in gioco tutte le proprie carte. Non ricordi il mio ordine? Ho specificatamente detto ‘COSTI QUEL CHE COSTI’ e così sarà!”
-“Purtroppo lo ricordo perfettamente, signorino. E ne ho anche compreso perfettamente il suo significato.”
-“Perfetto. Allora mettiti subito all’opera: voglio quell’anima … e la voglio SUBITO!”
-“Yes, my Lord.”

Così dicendo Sebastian sferrò un potente pugno con la mano destra proprio nel punto in cui Elizabeth aveva disegnato il pentacolo col suo sangue poco prima di morire. Il colpo fu talmente forte che la terra cominciò a tremare e il conte perse l’equilibrio, finendo per cadere sbadatamente.
Il maggiordomo, fingendo di non essersi accorto della caduta del suo signorino, sogghignò nascostamente e riprese poi a colpire il pentacolo.

Al quinto colpo Sebastian si rialzò in piedi.
-“Signorino, devo chiederle di allontanarsi.”
-“Perché mai dovrei allontanar- …”

Il maggiordomo si precipitò verso il suo signorino, ponendosi davanti a questi come scudo. In quel preciso istante un boato, ancora più forte di quello causato dai colpi di Sebastian, risuonò nell’aria e scosse la terra. I due, non riuscendo a rimanere in piedi per il forte tremore della terra, caddero sulle ginocchia.

Tutt’intorno soffiava un forte vento che, sollevando una sottile polvere, fitta come nebbia, impediva di poter intravedere qualsiasi cosa che non fosse ad un palmo dal proprio naso.
Non appena anche la polvere cominciò a scendere, sia Sebastian che Ciel, con un’espressione di lieve timore disegnata sul volto, volsero lo sguardo in cerca di qualcosa.

Dinnanzi a loro, ritta su due piedi e con un’espressione più viva di sempre, c’era Elizabeth.
Al suo fianco, in abiti da cameriera finemente curati, una donna. O meglio: un demone.
Elizabeth continuava a tenere lo sguardo basso, come se solo ora si fosse davvero resa conto della gravità del suo gesto. I suoi vestiti erano ancora ricoperti di sangue, ma il suo polso non riportava alcuna ferita né cicatrice. I capelli erano sciolti, ciò dovuto al forte vento che aveva sollevato la polvere.

Gli abiti della cameriera al suo fianco, invece, erano perfettamente in ordine: diversamente dal solito abbigliamento in uso dalla servitù della famiglia Midford, quella donna indossava un completo nero assieme ad un grembiule finemente contornato da pizzi e merletti.
Il colletto della sua camicetta era stretto da un elegante nastro di seta bianca, impreziosito da una spilla con l’emblema dei Midford ed adornata di gemme.

Tra sé e sé, Sebastian notò subito che l’abbigliamento di quella cameriera era un po’ troppo azzardato per un semplice servitore.
-“Dannazione: la marchesina è sempre così attenta all’abbigliamento, persino a quello della sua corte. Mentre il signorino … beh … sicuramente il mio abbigliamento è l’ultimo dei suoi problemi, ci avrei scommesso la sua anima!”
Sebastian si accorse che il suo signorino lo guardava in modo molto strano.

-“Signorino, c’è qualcosa che non va?”
-“Idiota! Devo aspettare ancora molto prima che tu mi dia una mano per alzarmi?!”

In effetti, durante la scossa, sia Ciel che Sebastian avevano perso l’equilibrio: prima cadendo sulle ginocchia e poi finendo per inciampare. Oramai la polvere era calata e il rombo era cessato, quindi al piccolo Ciel non sarebbe più servita la protezione di Sebastian.
-“Pardon, signorino: la aiuto subito a rimettersi in piedi.”

Così dicendo, Sebastian si levò di scatto e, porgendo la mano destra, afferrò Ciel per il braccio e lo aiutò a sollevarsi.
In quell’istante Elizabeth sollevò lo sguardo: fino a quel momento non si era accorta della presenza di qualcuno oltre lei e la sua cameriera. In effetti non riusciva a capire ancora bene chi fossero quei due individui di fronte a lei.
Ma non appena il piccolo conte si rizzò completamente in piedi e alzò lo sguardo, il volto di Elizabeth si colorò di gioia, ma anche di amaro rimorso.

-“CIEL!”

Elizabeth cercò di precipitarsi verso il suo amato Ciel, ma qualcosa la bloccava. Infatti, una vigorosa stretta di polso della cameriera le impediva di avvicinarsi a Ciel e Sebastian.
Elizabeth le rivolse così uno sguardo di sfida.

-“È un ordine: lasciami andare!”
-“Mi dispiace, signorina: come sua protettrice non posso permettere che lei si avvicini a cose o tantomeno ad individui pericolosi.”
-“Pericolosi? Impossibile: Ciel e il suo maggiordomo non mi farebbero mai del male!”

Il piccolo conte, sentitosi chiamato in causa, si avvicinò ai due e, evitando lo sguardo della donna, a lui completamente estranea, rivolse la sua parola ad Elizabeth.
-“Perché? Perché lo hai fatto?”
-“Perché era l’unico modo per poterti incontrare di nuovo.”
-“Cosa?! Ti avevo esplicitamente chiesto, anzi, ti avevo ordinato di stare alla larga da me e Sebastian!”
-“Lo so ma … per me è impossibile dimenticare anche solo per un istante della tua esistenza, Ciel! Eppure, se solo tu mi avessi dato un indirizzo, un oggetto, qualsiasi cosa mi avesse potuto ricondurre a te, di sicuro non mi sarei dovuta arrangiare con l’unico indizio che avevo trovato quella sera …”
-“Quale indizio?”
-“Questo qui.”

E così dicendo Elizabeth sollevò la folta ciocca di capelli che copriva l’occhio destro del volto di Ciel, così da poter mostrare il vistoso marchio stampato sull’iride cobalto e sulla pupilla di un nero profondo.
Il piccolo conte non esitò a chiudere alla svelta l’occhio e a coprirselo con una mano, quasi come se quel marchio fosse per lui causa di imbarazzo.

Alle spalle del piccolo conte vi era il suo maggiordomo che studiava la scena con aria assorta. Ciò che stava avvenendo, a suo parere, suonava un po’ illogico:
come avrebbe mai potuto, una ragazza ingenua e religiosa come la marchesina, invocare un demone? E cosa mai avrebbe potuto chiedere come desiderio, in cambio della sua anima?
Da demone, Sebastian era sempre stato un tipo molto riservato: ciò lo aveva portato ad impadronirsi di un gran numero di anime durante la sua esistenza, ma, d’altro canto, ciò gli impediva in quel momento di poter riconoscere la faccia della sua nuova rivale.

-“Qui manca qualcosa …”

In effetti ciò che turbava Sebastian non era né il desiderio della marchesina né il viso della nuova cameriera dei Midford, ma piuttosto un elemento, una caratteristica mancante in tutto quel contesto, ma che in quel momento gli sfuggiva di mente.
Fu proprio il gesto della marchesina verso il suo signorino a ricordargli qual era quel particolare mancante.

-“Mi spiace interrompere questo delizioso quadretto, ma ho una questione irrisolta a cui solo la marchesina e la sua cameriera possono dare risposta. Se è stato davvero suggellato un patto tra Lady Elizabeth e … questa donna, come mai non vi è alcun marchio stampato sulla marchesina?”

Non appena Sebastian ebbe finito di parlare, la cameriera di Elizabeth prese la parola.
-“Pardon, che sbadata! Eppure pensavo di averlo posizionato in modo che fosse ben visibile.”

Spostando i capelli dal collo di Elizabeth, la donna scoprì un vistoso marchio rosso sul lato destro del collo della sua signorina.
Il marchio presentava come sempre un pentacolo ma, diversamente da quello di Sebastian, questo risultava avere la punta superiore molto più lunga delle altre.
Allora, dopo aver delicatamente fatto scivolare via i capelli della sua signorina dalle sue dita, si portò una mano al petto e proseguì con un profondo inchino verso Ciel e Sebastian.

-“Perdonate la mia scortesia, oggi sono davvero smemorata … ho persino dimenticato di presentarmi: il mio nome è Katie Leiden e sono la perfetta cameriera del casato Midford!”




NELLA CAMERETTA DELL'AUTORE
Un bentornato a tutti voi, carissimi lettori!
Oramai ci ho preso la mano in questa faccenda (soprattutto col fatto dei codici HTML),
quindi riesco bene o male, a postare più di un capitolo al mese …
spero però che anche voi troviate il tempo per recensire i miei capitoli,
anche se con la fine dell’estate si ritorna ai ritmi lavorativi e scolastici, che ci impediscono di dedicare molte ore della giornata davanti al pc! -_-“

In ogni caso, questo capitolo non è uno dei miei preferiti, in verità: non mi ha mai convinto fino in fondo e, più sono le volte che lo rileggo, più mi pento di averlo reso pubblico!
INFORMAZIONE: vi starete sicuramente chiedendo “ma il nome della cameriera ha qualche significato particolare?” ebbene sì, e ve lo spiego subito:
Il nome Katie l’ho scelto in base ad una ricerca sulle parole giapponesi e infatti l’ideogramma “価値” (che si legge “KATI”) significa “valore”,
mentre il cognome è una parola tedesca che significa “sofferenza”.
Ci ho messo ore e ore per arrivarci, ma finalmente ho dato un nome all’innomintata (mentre scrivevo la storia, al posto del nome della cameriera ci scrivevo “innominata”).
Fa tanto Alessandro Manzoni, non trovate?!

Oh, mi sono dilungato un po’ troppo…
in ogni caso: spero che questo capitolo sia di vostro gradimento!
Aspetto con ansia la vostra recensione, bella o brutta che sia!
Un saluto a tutti voi!

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Capitolo 5
*** THE SOUND OF Silence ***


5. THE SOUND OF Silence

Passi di donna risuonarono lungo il corridoio e interruppero il religioso silenzio che dominava la residenza dei Midford.
Sola, in cucina, ed intenta a preparare la cena c’era la cameriera Paula, governante della magione e cameriera personale della marchesina Elizabeth sin dalla tenera età.

Il legame che si era creato tra la marchesina e la sua cameriera in tutti quegli anni di fedele servigio da parte sua al casato Midford, era paragonabile solo a quello tra due sorelle.
Ma oramai gli anni passavano sempre più in fretta e per la sua padroncina era arrivato il momento di metter su famiglia: ciò da un lato rattristava molto Paula, visto il fatto che sarebbe stata costretta ad abbandonare quella casa a lei tanto familiare, ma dall’altro la rendeva molto felice sapere che avrebbe servito la marchesina anche dopo il matrimonio e che, magari, avrebbe cresciuto anche i figli della sua signorina.

La voce di Elizabeth che proveniva dal corridoio, interruppe nuovamente il silenzio.
-“Paula, sono tornata. Raggiungici in salotto: ho bisogno di parlarti!”

“Finalmente, dopo tutte queste ore la signorina è tornata!” pensò “… ma, cosa avrà voluto dire con ‘RAGGIUNGICI in salotto’?”

Ad aspettarla in salotto vi era la marchesina, interamente vestita di una camicia da notte bianca e sporca di terra e polvere e con i capelli sciolti che le cadevano davanti le spalle, assieme ad una donna dai suoi stessi abiti da cameriera.
-“S-Signorina, che piacere rivederla … ma cosa sono quegli abiti?! Chi è questa cameriera?”

Lo sguardo di Elizabeth era basso, quasi interamente nascosto dalla frangia che le cadeva davanti agli occhi coprendole la fronte.
La voce mozzata e tremante esitava ad uscire dalla sua bocca, come se le parole fossero mille aghi che le perforavano la gola.

-“Lei … Lei è la nostra nuova cameriera.”
-“Ma signorina: sono io la vostra cameriera! Lo sono da ormai venti anni e più!”
-“… ho detto che lei è la nostra nuova cameriera.”
-“M-Ma signorina! Non più farmi questo! Mi dica almeno il perché, ne ho il diritto!!!”
-“PERCHÈ HO DECISO COSÌ!”

A quelle parole, Elizabeth alzò di scatto il volto verso Paula: i suoi occhi pieni di lacrime luccicavano a quella tenera luce di tardo pomeriggio ed il suo volto, completamente rigato dal pianto, si presentò alla stessa Paola con un’espressione sofferta che mai era apparsa sul volto della sua signorina.

-“Ti prego, Paula, non complicare le cose più di così: fa’ le tue valigie e lascia questa casa. Ti saranno date tutte le referenze che desideri ma, per carità, non fare altre domande … non capiresti.”
-“Come desidera, signorina …”

Così dicendo la cameriera Paula si allontanò dal salotto con passo incerto ed animo sconvolto. Tutto si sarebbe aspettata purché quelle parole uscire dalla bocca della sua signorina.

Rimasero sole nel salotto Elizabeth e la sua nuova cameriera.
-“Signorina, non si preoccupi, ha fatto la cosa giusta.”
-“Taci! Per colpa tua ho dovuto cacciare dalla mia stessa casa la persona a me più cara …”
-“Ne era consapevole al momento del patto che, arrivati a questo punto, avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa che le sta a cuore. Io non ne ho nessuna colpa: questo era l’accordo. Invocare un essere come me di propria spontanea volontà è risaputo essere un atto degno di un animo debole, poiché non comporta mai nulla di buono. Crede davvero che il suo riprovevole gesto possa essere considerato come un'impresa di coraggio?”
-“Non mi importa di cosa pensi sul mio conto: se avessi avuto anche solo una minima alternativa, stai certa che non ti avrei mai invocata!”
-“Ma guardi che un’alternativa c’era …”
-“Oramai non ha più importanza: ho ceduto la mia anima in cambio del mio più grande desiderio e non intendo sprecare altro tempo prezioso per discutere con te su cosa avrei o non avrei dovuto fare!”
-“D’accordo, come desidera lei, signorina.”
-“ … e non osare chiamarmi ‘signorina’: per te io sono la SIGNORA Elizabeth Midford!”
-“Oh, se la mettete così, allora: Gern, Meine Herrin.”


*******

Quello stesso pomeriggio pareva che il silenzio fosse sovrano d’ogni dove: nelle stanze e lungo i corridoi della residenza Phantom non un soffio di vento, né un battito d’ali risuonava nell’aria.
Erano oramai passate da molto le cinque ed il sole filtrava i suoi stanchi ed quasi spenti raggi oltre le finestre della Town House.
Nel salotto, seduti sulle solite poltrone di pelle rossa, il conte ed il maggiordomo passavano le ore in silenzio l’uno di fronte all’altro con aria molto più contrariata del solito, finché il piccolo conte non prese la parola.

-“Avevi specificato che quella dell’invocazione di un demone da parte di Lizzy era solo una REMOTA POSSIBILITÀ, o sbaglio!?”
-“… era pur sempre una possibilità da prendere seriamente in considerazione. Non è colpa mia se la marchesina è così perspicace e veloce, signorino.”
-“Tsk! ‘Perspicace e veloce’ un bel niente! È solo colpa tua se ci troviamo in questa situazione: avresti dovuto provvedere a nascondere il marchio con la benda prima di farmi incontrare ‘la preda’ al ballo!”
-“Se ben ricordo ero leggermente impegnato a fronteggiare un sadico pazzoide vestito di rosso, quella sera. E poi come potevo sapere che quella ragazza era proprio Lady Elizabeth Midford?”
-“Bastava che ne ascoltassi il nome per intero, razza di idiota!”
-“M-Ma …”
-“Ma un bel niente! Esigo che tu ripari a questo tuo madornale errore recuperando quell’anima a tutti i costi! Non intendo pagare per un tuo sbaglio, è chiaro?!”
-“Temo che questa volta non possa risponderle con il mio consueto ‘Yes, my Lord’ …”
-“Come sarebbe a dire?!”
-“Intendo dire che ciò che mi sta chiedendo non solo rasenta l’impossibile, ma il solo tentativo potrebbe compromettere l’esistenza di entrambi.”
-“Eh?”
-“Mi ascolti, signorino: il testo usato dalla marchesina risale a molti anni fa. Sicuramente il libro nel quale è riportata quella formula appartiene ad una collezione molto antica riguardante la magia nera e di solito le formule contenute in questi volumi riguardano principalmente demoni o creature infernali di un certo ‘calibro d’importanza’ …”
-“E con questo cosa vorresti insinuare?”
-“Intendo dire che, purtroppo, la formula usata dalla marchesina è una delle più comuni, ma anche una delle più pericolose: il demone con cui abbiamo a che fare è risaputo essere uno tra i più potenti. Non sarà un’impresa semplice!”

Le ultime parole di Sebastian sembravano aver spiazzato il conte, il quale non rispose, colto da un attimo d’esitazione. Ma subito dopo ribatté con voce ferma.

-“D’accordo: vorrà dire che ci sarà più lavoro per te!”
-“Signorino! Ma allora non mi ha ascoltato!?”
-“Oh, mio caro Sebastian, ho ascoltato ogni tua parola dalla prima all’ultima … ma vorrei ricordarti che ‘chi rompe paga’: tu ,a causa dei tuoi errori, hai distrutto il mio piano ed ora devi ripagarmi!”
-“Non posso assicurarle la vittoria, questa volta …”
-“SEBASTIAN, È UN ORDINE: RIPORTAMI QUELL’ANIMA A QUALSIASI COSTO!!!”
-“Oh, se la mettete così, allora: Yes, my Lord.”




NELLA CAMERETTA DELL'AUTORE
Hola Hola, lettori carissimi ed affezionati!

Scusate il ritardo con cui ho postato (causa: incidenti di percorso che non sto qui ad elencare)
Lo so, lo so: vi avevo promesso un capitolo più “emozionante” e invece vi ho rifilato questo polpettone introspettivo.
Purtroppo la storia sta prendendo una piega FIN TROPPO SERIA,
quindi sono costretto ad inserire questi capitoli di passaggio che non piacciono nemmeno a me!
Ci tengo a portare a termine in modo (spero) decente la mia PRIMA fan fiction in assoluto,
quindi per questo (e credo anche per il prossimo) capitolo sono costretto a dilungarmi
su queste scene quotidiane tanto odiate e tanto monotone…
[P.S.: "Gern, Meine Herrin" è tedesco e significa "Sì, mia signora"]

Spero comunque che troviate un po’ di tempo da dedicare anche a questo capitolo.


Piccolo angolo dei ringraziamenti:

non ho mai lasciato spazio ai ringraziamenti, ma adesso mi sento in dovere di farlo.

Ringrazio tutti coloro che hanno letto anche solo una misera riga di questa storia;
ringrazio tutti coloro che hanno lasciato anche solo una mezza recensione (per me è molto importante);
infine ringrazio i miei lettori più accaniti: AliYe - Mione1986 - Rebl_fleur - PoisonAlice
Grazie di cuore a tutti quanti !

Un saluto a tutti voi!

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Capitolo 6
*** 6. THE ONLY THING TO DO IS Trust me ***


6. THE ONLY THING TO DI IS Trust me




Quella sera il piccolo conte ed il suo maggiordomo rimasero alla Town House.
Sebastian aveva ricevuto un preciso ordine dal suo signorino e perciò non poteva permettersi di agire senza prima aver pensato ad un piano d’azione: l’impresa che lo aspettava non era delle più semplici e tantomeno delle più leali, visto che avrebbe dovuto impossessarsi di un’anima già conquistata da un altro demone.
Non vi era un suo reale interesse personale in tutta questa faccenda, e questo complicava le cose: fino a dieci anni prima, quando il suo unico obiettivo era quello di poter finalmente assaporare l’anima del suo signorino, ogni ordine di Ciel veniva prontamente eseguito in modo impeccabile proprio perché Sebastian finalizzava il tutto a quel preciso istante in cui avrebbe riscosso una delle sue migliori perfect souls.
Ma ora, il solo fatto di dover lavorare duramente per l’interesse di un marmocchio era diventato tutt’altro che stimolante, fino al punto che Sebastian malediva ogni sera quel fatidico giorno in cui fu invocato dal suo signorino.

-“Mi scusi, signorino, ma la faccenda è complicata: se desidera un lavoro fatto per bene avrò bisogno almeno di una notte per riflettere sul da farsi.”

Con queste parole il maggiordomo si congedò dal piccolo conte e si diresse verso il giardino della villetta.
Era oramai sera, il sole era calato da poco e lungo l’orizzonte della città si intravedeva ancora una sottile linea color porpora, inframmezzata dai fumi della metropoli londinese, che sfumava in un candido color violetto fino ad arrivare all’intenso blu del cielo notturno, illuminato da poche stelle e una grande luna rossa, quasi insanguinata.
Sebastian si sedette sui gradini del portico, fissando con aria di sconforto intorno a se.

-“Ah, è passato solo un decennio eppur mi è parso un secolo!”

D’un tratto, dai piccoli roseti al fianco della scalinata comparve un micino, completamente nero e con occhi di un giallo splendente che si illuminavano anche al buio della sera. Alla vista del felino il viso del maggiordomo parve rasserenato, come se avesse riconosciuto un volto a lui familiare.

-“Finalmente! Era da tanto che ti aspettavo, che fine avevi fatto?”
Il gattino si avvicinava con passo sicuro a Sebastian.
-“Meow!”
-“Scommetto che anche tu hai perso la tua mamma e il tuo papà, vero?”
-“Meeooow …”
-“Ah, sai, dovresti ritenerti fortunato: prima o poi tu morirai e tutti i tuoi guai spariranno. Purtroppo per me, invece, questa fortuna mi è stata negata molto tempo fa …”

A quel punto Sebastian prese una delle sei bottiglie di vetro lasciate davanti alla porta dal lattaio e versò del latte sul marmo delle gradinate, così che il gattino potesse berne un po’.

-“Ma dico io: non potevo fare un patto con uno di voi felini? Scommetto che i vostri ordini sarebbero stati molto meno stressanti : un po’ di cibo e coccole, tutto qui. E invece mi tocca stare alle dipendenze di un bamboccio coi complessi di superiorità, per giunta senz’anima!”

Non appena Sebastian ebbe finito di parlare, il gatto smise di bere quel poco di latte versato sul gradino e scappò via, proprio dietro l’angolo dell’abitazione.

-“A-Aspetta! Dove scappi!?!”

Dallo stesso angolo da cui era scomparso il gatto apparve Katie, la cameriera di Lizzy.
L’espressione di Sebastian si riempì di stupore, ma anche di rassegnazione: in effetti era da tanto che ambiva quel meritato pomeriggio di riposo ed ora, se il signorino avesse saputo della presenza di quella donna, sarebbe stato costretto a mettersi all’opera pur senza un piano.
Così fu Sebastian ad avvicinarsi all’inaspettata ospite, cercando di nascondere la presenza di quest’ultima dallo sguardo del suo signorino.

-“Lei qui? Che strana sorpresa …”
-“… suppongo che la mia presenza le sia sgradita, signor Sebastian.”
-“Beh, in effetti … cosa l’ha portata fin qui?”
-“Conosco i loschi fini del suo signorino e ciò mi rende abbastanza contrariata al riguardo.”
-“Condivido a pieno il suo stato d’animo, miss Leiden: come demone non mi permetterei mai di intromettermi tra un mio simile e la sua preda. Ne andrebbe del mio orgoglio; ma purtroppo sono costretto ad infrangere questa regola per via di un ordine del mio signore.”
-“Ti compatisco, Sebastian: un predatore che diventa schiavo di una sua preda per l’eternità.”
-“Pardon, ma nella mia umiliante condizione la sua compassione è proprio l’ultima cosa a cui ambisco!”
-“Hai ragione: ed è per questo che mi trovo qui.”
-“In che senso?”
-“Ti piacerebbe far passare al tuo signore tutto quello che lui ha fatto passare a te durante il tuo fin troppo prolungato periodo di servigio?”
-“Assolutamente!”
-“Allora stammi a sentire: io sono un demone di buona parola e ti posso assicurare la mia più completa fedeltà. Ti propongo una sfida: il vincitore si aggiudicherà l’anima di Lady Elizabeth.”
-“E io cosa ne ricaverei?”
-“Stai tranquillo, ho già programmato tutto: entrambi otterremo ciò per cui stiamo lottando. L’unica cosa che devi fare è … fidarti di me.”


*************


-“Mi scusi, signorino, ma la faccenda è complicata: se desidera un lavoro fatto per bene avrò bisogno almeno di una notte per riflettere sul da farsi.”
-“Benissimo: se mi cerchi sono in camera mia …”

Il piccolo conte Phantomhive si allontanò dal salone e si diresse verso la sua camera da letto.
Chiuse la porta e si appoggiò con le spalle su di essa, chinando la testa con aria sofferta. La sua era la tipica espressione angosciosa di chi non riesce a trattenere più a lungo le lacrime, ma i suoi occhi non erano lucidi: non lo erano ormai da dieci anni.

-“Io n-non … non ce la faccio …”
Si levò così di scatto dalla porta e si strinse con le mani quelle poche ciocche di capelli che gli coprivano la fronte, proseguendo con voce più alta.
-“Non riesco a piangere per una stupida come te, Lizzy! Buttare via il proprio futuro per un dannato come me: sei solo una stupida! STUPIDA! STUPIDAAA!!!”

Ciel si gettò violentemente sul suo letto, stringendo tra le mani un piccolo cuscino foderato di pizzi e merletti, con il quale finì per coprirsi la faccia.
L’unica cosa che desiderava in quel momento era poter piangere, ma non ci riusciva. Sentire le lacrime salate scorrere sulle guancie, non riuscire a trattenere il singhiozzio del suo pianto: erano questi i piccoli gesti naturali, umani, che riuscivano a far ricordare al piccolo Ciel di essere vivo.
Vivo.
Ma oramai Ciel era morto, un semplice corpo che vagava per le vie di Londra, un animale col solo intento di soddisfare la sua fame. E questo lo rendeva furioso: abbassarsi allo stesso livello Sebastian, di colui che lo aveva servito in cambio della sua anima, servita su un piatto d’argento come portata principale.

-“DANNATO! SONO SOLO UN DANNATO!!!”

Ma in realtà quello che desiderava di più Ciel non era poter tornare a piangere, né a ridere o ad amare. Ciò che gli procurava quella profonda angoscia nel suo cuore di pietra era la consapevolezza che quell’incubo non sarebbe mai finito.
Morte.
Ciel desiderava la sua morte.
Aveva da tempo abbandonato la speranza di poter tornare a vivere come essere umano; da tempo aveva dimenticato cosa sono i sentimenti, le gioie e i dolori. Ma di una cosa sola non si era dimenticato: la morte, la fine del tutto, l’ultimo viaggio verso l’ignoto.
Cosa ci sarebbe stato ad attenderlo nell’aldilà poco gli importava: grazia divina o eterna dannazione era indifferente per lui. L’importante era sbarazzarsi del suo corpo, di quella maschera da bambino che era costretto a portare e che, oramai, calzava troppo stretta.
Ma il piccolo conte era troppo orgoglioso (ed ancora troppo poco esperto) per potersi togliere “la vita” e regalare così una profonda soddisfazione al suo maggiordomo.

-“Intendo farlo soffrire nello stesso modo in cui lui ha fatto soffrire me quando ero in vita.”

E quale miglior punizione se non quella di dover servire per l’eternità e senza alcun interesse personale un essere inferiore al suo stesso livello?
Non appena Ciel smise di dare sfogo a quei rancori che lo affliggevano, si alzò dal letto, sistemò nuovamente il cuscino sulle coperte e si diresse verso la finestra per ammirare gli ultimi bagliori di un sole morente al tardo pomeriggio.
Si strofinò la mano sulla guancia e poi sugli occhi, come per asciugare quelle lacrime che non era riuscito a piangere e indirizzò il suo sguardo al giardino della villetta, in cerca della figura del suo maggiordomo.

-“Quel gattofilo starà di sicuro sprecando il mio latte per quelle pulciose palle di pelo …”
Ma, più voltava lo sguardo e più si accorgeva che il suo maggiordomo non era in giardino: così si affrettò a sistemarsi la camicia, ormai tutta sgualcita, e si precipitò fuori dalla sua stanza.
-“SEBASTIAN! Sebastian, dove sei?!”
-“Da questa parte, signorino.”
La voce di Sebastian proveniva dal salone e così Ciel aumentò il passo, finendo per arrestarsi di colpo alla vista di Sebastian e una donna: la cameriera di Lizzy.
-“Ho interrotto qualcosa?”
-“Ma no, signorino, anzi: credo che il nostro discorso possa interessarle molto.”
-“Di che si tratta?”
-“Una sfida.” Interruppe Katie.
-“Una sfida?”
-“Esatto: il vincitore si aggiudicherà l’anima della mia signora.”
-“Parli sul serio?! E tu saresti disposta a mettere in gioco un’anima così preziosa?”
-“Per me equivale ad un’anima come tante altre, ma per te questa è la prima perfect soul, quindi intendo offrirti una possibilità, anche se minima.”
-“Beh, se la metti in questi termini, allora non mi resta che accettare!”
-“Calma, calma: quanta fretta! Lascia almeno che te ne descriva le regole …”


*************


Le parole di quella donna suonavano come quelle pronunciate da Sebastian al momento del patto con Ciel: dure, fredde, con un pizzico di amarezza e di superiorità, scandite da un ritmo solenne tra una frase e l’altra.

-“Regole …” pensò Ciel “… davvero una strana parola se pronunciata da un essere così infimo e meschino!”
Ma nel mentre il piccolo conte rifletteva, la donna continuava a parlare.

“Ciò che le sto offrendo, conte Phantomhive, è la possibilità di ottenere il contratto
che determina il possesso dell’anima della mia signora, Lady Elizabeth Midford.
Nel caso di vittoria da parte sua, la mia signora non ricorderà nulla dell’accordo stipulato con me
bensì avrà piena convinzione di essere ormai sua umile preda.
In ogni caso, il mio dovere terminerà lì, di conseguenza non sarò tenuta a fornirle
alcun particolare sul desiderio espresso dalla mia signora: questa è la prima regola.”


Ciel rimase per un attimo immobile: in effetti quella regola lo aveva lasciato un tantino confuso. Nessun demone può operare senza sapere ciò che sta facendo, tantomeno senza conoscere il perché di tanta fatica sprecata. Ma un attimo dopo si rese conto che tutte le sue preoccupazioni erano infondate: Elizabeth avrebbe di sicuro desiderato qualcosa riguardante lui stesso, perciò al momento della scambio, l’unica cosa che gli sarebbe rimasta da fare era divorarle l’anima.

-“Tutto chiaro?” disse Katie.
-“Certo, prosegui pure.”
Così Katie continuò.

“Nel caso di vittoria da parte mia, l’anima della mia signora rimarrà di mia proprietà
e quindi sarò tenuta a portare a termine la missione da lei stessa affidatami
senza ulteriori intromissioni da parte sua e del suo maggiordomo.
Con questo non le impongo alcuna punizione dovuta alla sua sconfitta,
bensì le ordino di lasciarmi svolgere il mio dovere al meglio: questa è la seconda regola.”


-“Mi sembra giusto” ribatté il piccolo conte.
La cameriera questa volta non fu interrotta, così poté pronunciare l’ultima regola.

“Considero quest’ultima non una regola, bensì una precisazione:
Questa sfida si svolgerà nell’arco di ventiquattro ore,
dal primo bagliore dell’aurora fino al rintocco della mezzanotte.
Ma soprattutto, questa sfida verrà portata a termine lealmente
TRA TE E ME.”


Il tono della voce di Katie si soffermò parecchio sulle sue ultime quattro parole, scandendole quasi per volerle imprimere nella memoria dei suoi interlocutori.
Ma Ciel Phantomhive, in quel momento, sembrava tutt’altro che interessato ai discorsi della cameriera: nella sua mente già assaporava il momento della vittoria. Eppure lei aveva richiamato più volte la sua attenzione durante il suo discorso.
Non appena Katie si accorse che lo sguardo del conte indugiava altrove, si alzò di scatto dalla poltrona, stringendo i pugni come per trattenere la rabbia e urlò con tono abbastanza infastidito.

-“E io che perdo tempo con un marmocchio presuntuoso come te!!!”
-“Eh?!”
-“Oh, non mi ascoltavate nemmeno adesso, vero conte?!”
-“Ho ben compreso quello che mi avete detto: se vinco l’anima va a me … bla, bla, bla … non posso sapere il desiderio … bla, bla bla … se vinci tu ti staremo alla larga … bla, bla, bla … questa sfida è tra me e te, tutto chiaro!”
-“Vi converrà ricordare bene queste tre semplici regole domani.”
-“Quindi la sfida è domani?!”
-“Non eravate voi quello che desiderava impossessarsi dell’anima della mia signora il prima possibile?”
-“Giusto, e sia: domani all’alba!”
-“Vi aspetterò davanti ai cancelli di Buckingham Palace, una volta arrivati vi spiegherò in cosa consiste la sfida.”
-“A domani, allora!”
-“A domani, conte.”

Con queste parole la cameriera si congedò dall’abitazione, lasciando nuovamente Ciel e Sebastian nella solitudine della Town House. Il sole era ormai tramontato da qualche ora e l’orizzonte era illuminato dai mille bagliori di Londra. La carrozza si allontano, diretta verso la residenza Midford.

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