The Angel, the angel and the human.

di Insanely Funny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Red hair. The color of the devil? ***
Capitolo 3: *** First contact. ***
Capitolo 4: *** A disaster housewife. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


The Angel, the angel and the human.













0. Prologo.

Qualcuno disse che una vera storia, per essere davvero tale, deve cominciare con "C'era una volta". Ed infatti, c'era una volta, tanto, tantissimo tempo fa, un bellissimo ragazzo.
Era un semplice contadino, con il viso ed il corpo segnato dai segni del tempo, ma, dopo più di una semplice occhiata, anche il più distratto tra i distratti si sarebbe accorto della sua bellezza genuina, che non aveva bisogno di orpelli di nessun genere per brillare come la più splendente delle stelle. Capelli di un biondo dorato, dal taglio rozzo, che gli scendevano malamente tagliati fino alle spalle, corpo eccessivamente magro ma longilineo, pur non essendo molto alto,  pelle scottata dal sole ma che sotto i vestiti si rivelava chiara come perla, e per finire, un viso mozzafiato, delicato, con zigomi alti, labbra non troppo carnose ma non troppo sottili, e due folgoranti occhi blu, che ti incantavano al primo sguardo. E fu di quegl'occhi che l'Angelo Supremo si innamorò.
Dalla prima volta che lo vide, e per tutti i giorni a venire, l'Angelo cercò di trovare sempre più tempo libero per recarsi ad una delle tanti Fonti che pullulano nel regno dei cieli, per poter dare un'occhiata al regno umano, e così ammirare (e perché no, anche sorvegliare), quel bellissimo dono del cielo, arrivando a pensare, ad un certo punto, per quale motivo un essere dalla così rara bellezza sia dovuto cadere nell'imperfetto regno degli umani e non qui, dove la bellezza e la perfezione regnano sovrani. 
Il dilemma possedette l'Angelo per anni, ed intanto il ragazzo crebbe, raggiunse la maggiore età, si fece quasi uomo, anche se, nonostante il passare degli tempo, quel volto e quel viso quasi - che scherzo del destino - angelici non lasciarono mai posto a niente che non si potesse in qualche modo definire elegante, vicino alla perfezione. Le mani rimasero sempre affusolate, nonostante i calli, le gambe sempre dritte, i denti miracolosamente sani e bianchi, ed a quel punto l'Angelo viveva nel terrore che, se solo avesse aspettato un poco di più, quella bellezza sarebbe potuta svanire.
Non poteva assolutamente permetterlo, era stato come soggiogato da quell'essere androgino ma allo stesso tempo maschio, magnifico.
E così, una notte, agì. Lo rapì, senza dire niente a nessuno, neanche al ragazzo, totalmente ignaro delle attenzioni che quell'Angelo nutriva per lui e che quella stessa notte vide per la prima volta, una visione divina nel vero senso della parola. Lo prese e lo portò via, fino al regno dei cieli, e raggiuntolo fece qualcosa che solo un Angelo Supremo potrebbe fare: trasformò l'umano in un suo simile. 
La pelle scotta dal sole e piena di piaghe e tagli divenne perfetta, come se non avesse mai lavorato un giorno in vita sua, i segni della fatica scomparvero dal suo viso, i capelli gli si allungarono, lisci, dorati, brillanti e perfetti, tutta la bellezza parzialmente inespressa del ragazzo, venne fuori di colpo, solo gli occhi, quasi neri ma senza esserlo, rimasero tali e quali di quando era umano. Per ultimo, un paio di ali blu come la notte che riprendevano il colore degli occhi della nuova angelica creatura, gli ornarono la schiena e lo battezzarono come angelo a tutti gli effetti.
L'Angelo Supremo lo portò quindi al suo castello, nascosto alla vista di chiunque, a parte quella dei servitori e della sua.

Questa non è la fine della storia però, signore e signori, ma solo l'inizio. Devono passare ancora migliaia di anni prima che la vera storia d'amore prenda piede, sconvolgendo tutto e tutti, e chissà a cosa porterà tutto ciò. Amore, sofferenza, senso di perdita, di non farcela. Desiderio di morire mentre ci si crogiola in un desiderio che sa di proibito.

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Capitolo 2
*** Red hair. The color of the devil? ***


The Angel, the angel and the human.
 














1. Red hairThe color of the devil?

Ricordo perfettamente la prima volta che lo vidi. Come al solito, ero scappato dalle cure del tutore di turno, quello che ancora non aveva fatto infuriare Miku per un qualsivoglia motivo. E' sempre stata una persona piuttosto scorbutica, il mio Salvatore.
Non ha mai desiderato che uscissi, per chissà quale motivo, ed è sempre stato convinto che qualcuno o qualcosa avrebbe potuto farmi del male in qualsiasi momento. Almeno, questa era la scusa ufficiale. In realtà comprendevo benissimo questo suo comportamento era dettato dalla sua eccessiva gelosia.
"Sei troppo bello perché altri possano godere della tua bellezza." Si lasciò sfuggire un giorno.
Tutti nella Corte godevano di una bellezza sfavillante. I servitori di Miku, come primo requisito, dovevano essere belli. E' sempre stato il suo chiodo fisso, un suo difetto, o una sua particolarità, che comunque incideva profondamente nella sua personalità. Il più bello comunque, è sempre stato lui. Ho sempre avuto un debole per i suoi capelli color acquamarina, impalpabili al tatto, lisci come seta, e i suoi occhi dalle folte ciglia che, quando si posavano su di me, sembravano colmarsi di dolcezza.
Però non stavamo parlando di lui, ma del mio primo incontro con quell'altro.
Non un angelo, oh no. Successe tutto il giorno in cui le lezioni stavano prendendo una piega ancora più noiosa del solito, e quel tutore era davvero un tipo imbranato e stupido, bastava davvero poco per ingannarlo e fuggire. Il mio rifugio preferito, a quel punto, era una piccola radura immersa nel fitto bosco che circonda il castello in cui vivevo. Alberi altissimi dalle chiome molto folte, nemmeno dall'alto è possibile scorgere il mio piccolo e segreto angolo di Paradiso. Non ho mai avuto amici, la possessività di Miku mi impediva di intrecciare legami con qualcuno che non fosse lui, quindi ero il solo a conoscere quel posto.
Non so se fu la mano del destino a guidarmi. Quel giorno, dopo essermi sdraiato sull'erba di un verde scintillante costellata da fiorellini dai colori delicati qua e là, non rimasi a poltrire fino all'ora di cena come ero solito, conscio che ci sarebbe stato ad aspettarmi Miku infuriato a morte per l'ennesima fuga. Un piccolo movimento dietro un cespuglio attirò il mio sguardo, e nonostante fosse difficile che la curiosità prendesse possesso di me - per forza, tutto era sempre così noioso -, mi alzai in piedi per cercare di capire cosa avevo visto, quando un piccolo esserino... uno piccolo animaletto dal pelo folto e bruno, che si teneva allarmato su due delle quattro corte zampette... mi si parò dinnanzi. Dopo avermi visto, però, fuggì. Oh, ma era così delizioso!
Da principio lo chiamai, illudendomi che si sarebbe fermato dopo aver sentito il suono della mia voce, e poi lo inseguii, facendo attenzione a non impigliarmi le ali nella fitta boscaglia. Al di fuori della radura, il bosco era molto cupo, ma io non avevo paura; ero conscio che mi sarebbe bastato librarmi in volo per riuscire a ritrovare la strada di casa. E così cominciai a correre nella direzione in cui mi era parso si fosse diretto l'animaletto, più veloce, sempre più veloce... fino a che non raggiunsi una seconda radura, ancora più piccola della precedente. Giusto una manciata di metri quadrati. Dall'altra parte della stessa, una scavatura nella corteccia secolare di un albero indicava la tana dell'animaletto con relativa famigliola che mi fissava spaventata, ma la mia attenzione era rivolta da tutt'altra parte.
C'era un buco, esattamente al centro dello spiazzo erboso.
Non un buco normale però, di questo me ne accorsi al primo sguardo. Non poteva essere stato realizzato da un qualche animale, la forma era troppo rotonda e perfetta, e non conoscevo nulla che potesse riprodurre un qualcosa di simile. Ma la cosa più curiosa di tutte era che non riuscivo a vederne il fondo. Più nello specifico, sembrava che, in quel preciso angolo di mondo, ci fosse un pezzetto di vuoto. Proprio così, raggelante, non trovate? Non esisteva nulla lì, e quel posto mi dava una sensazione così strana, che mi spaventai.
Però non scappai via, in un certo senso, ero attratto da quel luogo. Sono sempre stato un angioletto piuttosto particolare, almeno a detta di Miku; mi raccontava spesso che, secoli fa, quando ero più giovane e ingenuo, mi divertivo a esplorare ogni angolo dell'enorme castello, dal tetto ai sotterranei. Ogni stanza, ogni armadio, ogni anfratto, non ha mai avuto segreti per me. Come ho detto prima, non sono mai stato una persona particolarmente curiosa, però non riuscivo a trattenermi quando si parlava di misteri. In passato, quel castello luminoso e bellissimo costituiva un mistero per me; in quel momento, il mistero era proprio quel semplice buco dentro il quale non si scorgeva nulla.
M'inginocchiai, e gattonando con circospezione mi avvicinai cautamente, come se temessi che quella cosa potesse risucchiarmi da un momento all'altro. Appurato che, almeno in apparenza, quella cosa non mi avrebbe mangiato, mi sporsi per guardare.
Prima di tutto, appurai che davvero quel buco fosse senza fondo come mi era sembrato; pareva quasi che il mondo in cui vivevo fosse poggiato sopra una sottile strisciolina di carta, che in quel punto preciso si era strappata. Quel pensiero non si allontanava molto dalla realtà, a ripensarci ora. Dopo un secondo, mi accorsi che in realtà non era propriamente esatto che non ci fosse nulla lì dentro: in effetti, si potevano scorgere alcuni puntini luminosi, molto flebili, simili a decine di stelle.
Improvvisamente, quei bagliori presero a vorticare sotto il mio sguardo attonito, spaventato. Qualcosa mi diceva che sarebbe stato meglio se mi fossi allontanato, ma non riuscivo a staccare lo sguardo da quello spettacolo così straordinario e insolito. In fondo, nella mia lunga vita, non mi era mai capitato nulla di così emozionante.
Per qualche istante non si riuscii a scorgere nemmeno le stelle attraverso quella superficie, che stava cominciando a incresparsi come se in realtà stessi ammirando uno specchio di acqua nera. Poi mi si parò davanti agli occhi l'immagine di una grossa palla dai colori vivaci, prevalentemente azzurro, verde e marroncino, su sfondo scuro. Quell'immagine stuzzicava la mia memoria, forse avevo già visto qualcosa di simile in uno dei vecchi libri di cui era piena la biblioteca del palazzo. Mi accorsi presto che quell'immagine si avvicinava sempre di più, permettendomi di scorgere un numero sempre maggiore di particolari di quella strana sfera a me così misteriosa a mano a mano che si avvicinava. Non mi accorsi nemmeno di essermi avvicinato un po' troppo, le labbra socchiuse in una muta espressione di sorpresa.
Finalmente, quando ormai il profilo di alcuni monti dalle cime innevate si stagliava davanti ai miei occhi, così come la striscia di qualche fiume s'intravedeva timido tra il verde di alcuni campi, realizzai di stare guardando un paesaggio dall'alto, come se lo stessi ammirando librandomi nell'aria. Senza che io lo potessi controllare, quella specie di schermo naturale mi fece percorrere quella che mi parve una lunga striscia di rocce appiattite e lineari. Alla vista delle prime di quelle che mi parvero abitazioni, arricciai le labbra.
"Ehi..." Chiamai con impazienza la polla, pervaso dalla strana sicurezza che mi potesse capire. "... che cosa stai cercando di mostrarmi?"
Naturalmente questa non mi rispose, ma sembrò accelerare il giro turistico; enormi edifici rettangolari e grigi, strade dai toni spenti, senza quasi un briciolo di verde... sempre in alcuni libri, mi era capitato di vedere raffigurazioni di alcuni villaggi, ma questo era il più strano che mi fosse mai capitato di vedere. I pochissimi angeli, a parte Miku, che mi era capitato di incontrare, come me vivevano in sfavillanti palazzi circondati dai paesaggi più disparati; ero però cosciente che angeli di rango minore, ed alcuni demoni innocui, vivessero ammonticchiati in edifici di emergenza che riuscivano a ricavare sfruttando la legna degli alberi o invadendo caverne. Quindi, mi chiedevo, che zona di regno angelico questo stupido buco mi stesse facendo vedere. L'immagine zoomò così rapidamente da farmi avere le vertigini, e così potei scorgere le prime forme di vita che abitavano quel luogo: tanti esseri senza ali. Alcuni di essi erano così piccoli che in un primo momento mi parvero putti, peccato però che anche questi non avessero le ali. Altri avevano strane escrescenze sul petto che mi fecero strabuzzare gli occhi dallo sconcerto. Ormai avevo poggiato le mani ai lati di quel buco e con il naso quasi sfioravo quella strana pellicola invisibile.
Mi stavano passando davanti un numero incalcolabile di quegli esseri, ognuno più strano dell'altro, tutti diversi. Ormai avevo perso la concezione del tempo, non sapevo più da quanto stessi accucciato in quella radura, però i muscoli delle gambe e delle braccia mi si stavano intorpidendo. Un angolo del mio cervello stava cercando incessantemente di ricordarmi che Miku ormai mi aveva già dato per morto o disperso, e proprio quando stavo per darle ascolto, uno di quei angeli-senza-ali attirò la mia attenzione. Come se l'avesse capito, la polla misteriosa fermò improvvisamente l'immagine, cambiando bruscamente direzione per seguire gli spostamenti di quel tipo.
Lo guardai attentamente, aggrottando le sopracciglia perplesso quando mi resi conto del suo abbigliamento, così differente dalla mia tunica bianca ad una sola manica, cucita apposta per permettere alle mie ali blu, ripiegate contro la mia schiena, di non avere impedimenti di sorta. Dava l'impressione di indossare indumenti molto scomodi. Successivamente, la mia mente frivola si concentrò anche sul suo volto. Capelli rosso fiamma dal taglio medio e banale, occhi verdi. La prospettiva era cambiata, in modo che potessi osservare la sua faccia come se lo avessi avuto davvero davanti a me. Qualcosa si mosse dentro di me.
Sembrava avesse lo sguardo perso nel vuoto, e le labbra carnose di tanto in tanto mimavano parole che non potevo sentire. Ma la mia attenzione era principalmente attratta dal suo colore di capelli. Non mi era mai capitato di vedere una chioma di quella colorazione, anche se sapevo fosse una caratteristica dei demoni - non che li avessi mai visti, ma le paure di Miku l'avevano portato a impartirmi numerose lezioni di demonologia -, però... non mi dava per niente l'impressione di essere un essere maligno. Anzi. C'era da considerare anche la capacità di cammuffamento che a quella razza non mancava.
Ero così profondamente immerso nei miei complicati ragionamenti, che neanche mi accorsi di non essere più in grado di scollargli gli occhi di dosso. Assimilavo ogni suo più piccolo movimento e caratteristica. Ad un certo punto sarei riuscito a ritrarlo anche ad occhi chiusi. Improvvisamente, mi venne voglia di toccarlo. Senza pensare alle conseguenze, allungai una mano verso la superficie nuovamente piatta di quel buco. Reagì al mio tocco. Emanò improvvisamente un lampo di luce così accecante da costringermi a chiudermi di scatto gli occhi. I pensieri non ebbero il tempo di formularsi, sentii numerose mani afferrare gambe, braccia, busto, ali, e tirarmi giù, sempre più in basso. Gridai.





***



OFF.

... Quanti mesi sono passati? Tanti, sigh. y_y Problemi vari mi hanno portato a non continuare la ff per un beeel po' di tempo, però... chi non muore si rivede, no?
Grazie mille a tutti quelli che hanno letto lo scorso capitolo, alla prossima. <3

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Capitolo 3
*** First contact. ***


The Angel, the angel and the human.
 











2. First contact.

Successe tutto in meno di un secondo. Senza nemmeno accorgermene, con un tonfo sonoro finii sopra qualcosa di morbido.
"... Ahi! Ma che diavolo...?!" Guardai in basso, verso la fonte di quella voce sconosciuta. Incredibile, non ci potevo credere! Ero finito proprio sopra il ragazzo che stavo osservando dalla polla! In un primo momento ero così stupito che non mi passò neanche per la mente di spostarmi: mi limitai a guardare fisso quella chioma rossastra che si agitava da una parte all'altra nel tentativo di verificare cosa diavolo gli fosse finito sulla schiena. Quando cercò di tirarsi su, finii con le gambe all'aria.
"Ehi, come vi permettete?! Potevate almeno avere la buona creanza di chiedermi gentilmente di alzarmi!" M'irritai praticamente subito, poco abituato com'ero ad essere trattato male, nonostante avessi torto marcio in quella situazione.
Lui si alzò in fretta, e i suoi occhi verdi mi guardarono subito in cagnesco. "Come mi permetto?! Sei TU che mi sei finito addosso, te ne rendi conto? E poi, da dove sei sbucato fuori, sei caduto dal cielo?" Io aprii la bocca, ma da essa non ne uscì alcun suono. Effettivamente, ero arrivato proprio da lì. "E poi, si può sapere chi sei? Un amante dei cosplay?! Guarda che non è periodo di fiera." A quel punto lo guardai a dir poco stranito, le sopracciglia così sollevate che sembrava stessero per congiungersi all'attaccatura dei capelli.
"Ma..." Davvero, non trovavo le parole. Non mi era mai capitata una conversazione del genere. Osservai il mio abbigliamento, poi il suo. Poi di nuovo il mio, mentre mi alzavo da terra. "... ma!" Mi guardai meglio. Anzi, feci un giro su me stesso, come se non credessi ai miei occhi. Intanto il ragazzo, così come buona parte della gente che passava per quella strada, mi guardava stranito. "... oddio, le mie ali!" Non c'erano più. Bum, caput, scomparse.
"Hai perso la parte più importante del travestimento, allora. Cos'è, dovevi sembrare un angelo? Ammetto che, con quelle lenti a contatto e i capelli lunghi, dai un po' l'idea. Lasciami indovinare: ti sei buttato da un palazzo per verificare se riuscivi a volare sul serio? Sei proprio fuori di testa allora. Beh, io vado, ci vediamo." Mi aggrappai al suo braccio prima ancora che lui terminasse il suo monologo. "Non avrai davvero intenzione di lasciarmi qui da solo, vero?!" In fondo, mi trovavo in un posto che non avevo mai visto prima, ero letteralmente sconvolto per la recente scoperta di una mia parte anatomica improvvisamente scomparsa, non sapevo come tornare a casa, e lui era la mia sola ancora di salvezza. Che lo volesse o no.
E da come mi guardava, non sembrava per nulla contento della cosa. "Sei davvero pazzo come sembri!" Agitò il braccio per cercare di scacciarmi via, come se fossi stato una mosca, ma la mia presa era fin troppo ferrea. "Non mi lasciare qui! E' anche colpa tua se sono finito in questa situazione! Se non mi fossi sporto troppo per guardarti, a quest'ora quella strana polla non mi avrebbe inghiottito e non sarei finito in questo mondo assurdo!" L'ultima frase, mi vergogno un po' ad ammetterlo, la dissi piagnucolando. La compostezza che vantavo da tempo, le buone maniere, il linguaggio forbito, erano sparite tutte in un lampo. Senza accorgermene, avevo addirittura smesso di dargli del "voi".
L'espressione sconvolta che ormai aveva assunto il suo viso, non accennava a dissiparsi. "... No! No, no, e poi no!" Accortosi di stare urlando, abbassò sensibilmente il tono della voce. "Piccolo pazzo, tu magari hai anche il tempo di importunare la gente per strada, ma io sono impegnato! Sto tornando da una sfiancante giornata di università, ho solo voglia di rilassarmi, e tra qualche ora mi aspetta il lavoro part time. Non so chi tu sia, non posso credere che una situazione del genere stia capitando proprio a me, non so come mai sono ancora qui a parlarti, ma sappi che non riuscirai MAI a convincermi a portarti con me!".

 
 
***


 
Alla fine, lo convinsi. E' sempre stata una persona dall'animo troppo buono, glielo dico sempre, ancora oggi.
Mi portò con sé, prima di tutto, in un centro commerciale, quando gli fu chiaro che non avevo un posto dove stare, nemmeno un soldo in tasca, e quindi, di conseguenza, nemmeno un abito decente. Mi fece mettere un paio di jeans modello slim ed una camicia bianca. Rimase molto sorpreso quando si accorse che i capelli erano veri, così come i miei occhi.
"Così scomodo, così scomodo..." Mormoravo tra me e me, mentre con molto disgusto mi accingevo a mangiare, con le mani e senza le mie solite posate d'argento, un panino, in un posto che lui aveva chiamato fast food. Il problema era causato dal ruvido tessuto dei jeans, ed anche dalla troppa aderenza della camicia, ma lui non aveva voluto sentire ragioni, si vergognava troppo a portarmi in giro conciato com'ero.
"Allora, quindi ora tu saresti tipo... il mio animaletto da compagnia?" Gli lanciai un'occhiata interrogativa. "Sì insomma... ti ho vestito, ti sto nutrendo, e poi tu hai un'aria così spaesata, proprio come un micetto abbandonato... ahah! Scusa se ti dico queste cose, non prendermi sul serio!" Le sue guance si erano colorate di rosso, mentre con agitazione cercava di ritrattare alla meglio quello che aveva appena pronunciato. Un tipetto impacciato, poco sicuro di sé, troppo buono, che non pensa mai prima di parlare, timido... così diverso dall'idea che mi ero fatto di lui.
Io mi limitavo a starmene zitto, ascoltando a tratti i suoi vaneggiamenti, con il cervello che in parte ancora cercava un modo per uscire da quella situazione assurda, e per il resto si beava della visione di quel ragazzetto. Era incredibile, non mi sembrava ancora vero che potessi vederlo dal vivo. D'istinto allungai una mano, per cercare di sfiorargli il volto, ma lui si ritrasse improvvisamente, cosa che aiutò a svegliarmi dal mio stato di trance. Abbozzai un sorriso di scuse per il mio gesto poco galante. "Come ti chiami?" 
"Ah, io? Ehm..." Era davvero adorabile. "Kristian. Tu?"
"Catan." Mi portai un dito alle labbra, cominciando a mordicchiare un'unghia. "Dove ci troviamo?"
Eccola, di nuovo, quell'occhiata stranita. "In che senso? Vuoi sapere la via? Beh, ecco..."
"Intendo, in che paese ci troviamo. Non mi trovo più nel regno dei cieli, vero?" Lo interruppi di colpo, guardandolo seriamente negli occhi. Avevo bisogno della prova definitiva.
Lui, con mia grande sorpresa, scoppiò a ridere. "Regno dei cieli? Basta, sei sicuramente uscito da qualche manicomio. Ed io che ancora cerco di parlare civilmente con te." Scosse più volte la testa, a metà tra il divertito e il rassegnato.
Non capivo molto di quello che diceva, la maggior parte di quei vocaboli erano a me sconosciuti, ma quel tono aveva tutta l’aria di presa in giro. "Guarda che non stai parlando con un idiota. Ti ho fatto una domanda precisa, e ti pregherei una risposta altrettanto esaustiva."
Forse fu il tono con cui pronunciai quelle parole a farlo diventare serio tutto d'un colpo. "Scusa, non volevo offenderti, non era mia intenzione. Mi dispiace, non è stato carino." Il cipiglio arrabbiato che avevano preso le mie sopracciglia, si distese nell'esatto istante in cui pronunciò quelle parole. "Ci troviamo in America, comunque. Los Angeles, hai presente? Ma come fai a non saperlo?"
Oh, adesso toccò a me ridere. E di gusto. "Angeles" ha detto, davvero molto divertente. Il destino ha dato il meglio di sé, quella volta. Davvero un gran burlone.
"Senti Kristian." Il mio improvviso cambiamento, da ilarità compulsiva a serietà inquietante, sicuramente gli avrà dato la certezza della mia instabilità mentale. Ma non me ne accorsi nemmeno. "Non so come sono finito in questo mondo assurdo, ma la polla magica mi ha fatto arrivare fino a te, e quindi deve esserci un motivo." Gli puntai deciso un dito al petto. "Non so ancora quale sia, ma sicuramente c'è, quindi... devo rimanere assieme a te. Ospitami nella tua dimora!"

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Capitolo 4
*** A disaster housewife. ***


The Angel, the angel and the human.














3. A disaster housewife.
Come al solito ci furono litigi, minacce a vuoto e tentativi di fuga da parte di Kristian per non permettermi di rifugiami nella sua abitazione, ma alla fine gli fu chiaro che non avrebbe avuto la benché minima possibilità di sfuggirmi. Così raggiungemmo la sua casa. Fu la prima volta in migliaia di anni di esistenza che presi la metropolitana, e quella fu un'esperienza molto eccitante per me; per Kristian non molto, visto che rischiai quel giorno di finire sotto le rotaie del treno. Anche l'ascensore che abbiamo usato nel palazzo dove viveva fu un evento traumatico per lui. Insomma, si rese presto conto che avrebbe dovuto accudirmi come se fossi stato un bambino di tre anni, totalmente ignaro dei pericoli che mi circondavano.
"Benvenuto a casa mia... prima di tutto, mettiamo bene in chiaro alcune regole: non ci si butta giù dalla finestra, non si mangia e beve nulla senza chiedermi il permesso - e, soprattutto, non toccare nessun flacone azzurro o verde o rosa, quelli sono detersivi! De-ter-si-vi! -, se apri il rubinetto dell'acqua ricordati di chiuderlo, non mettere le dita nelle prese della corrente..." Com'era ovvio, smisi di ascoltarlo dopo la prima regola. Ero troppo sconvolto da quello che i miei occhi stavano guardando: televisione, elettrodomestici, elettricità... tutto nuovo per me. Nel regno celeste come illuminazione c'erano solo le candele, oppure Miku utilizzava la sua forza interiore per creare sfere di luce che illuminavano l'ambiente, e per svagarci c'erano solo carte o libri. 
Cominciai a toccare qualsiasi cosa mi capitasse sottomano, cercando di capire il funzionamento di ogni oggetto. "Come funziona questo?"
"Catan, ti prego, non combinare disastr--" Crash.
"Oh, si è rotto. E questo?"
"Mettilo subito giù!" Boom.
"Ops. E questo..." 
"Smettila subito! Questa è casa mia, non ti permetto di distruggerla!" Mi strappò subito dalle mani l'oggetto che stavo esaminando, salvandolo da una brutta fine.
"E questa la chiami casa? Ha solo una camera da letto, cucina e bagno! Si può sapere dove tieni i servitori?"
"Non ci sono servitori, qui, pazzerello."
"..." Lo guardai basito. "Come non ci sono! E se per caso mi viene fame, o sete, o ho bisogno di farmi un bagno... come faccio?!"
Ora toccò a lui guardarmi male. "Fai... da solo?"
"... No. No no no no, questo è indicibile!" Stavo per aggiungere altro, ma Kristian mi interruppe.
"E ti dirò di più: tocca a te occuparti della casa fino a quando non te ne andrai di qui; devi renderti utile in qualche modo, non posso certo mantenerti a gratis!" Mi sarebbe piaciuto ribattere, ma sapevo che aveva ragione. 
"Ma... io non so pulire, cucinare e cose del genere..." Potevo almeno appellarmi a questo.
"Ti arrangi! Ora scusami, ma ho il lavoro part-time. Occupati della casa e prepara la cena, intesi? Se per caso qualcosa non ti è chiaro, ti dò il permesso di usare il computer, ciao!" Non mi diede nemmeno il tempo di ribattere che si chiuse la porta di casa alle spalle, chiudendo a chiave per fare in modo che io non scappassi rubando qualcosa, me l'aveva spiegato prima che entrassimo nell'appartamento.
"Compu... che?" Anche quelle poche ore in cui Kristian mi lasciò solo, furono un vero spasso per me.

 
***
 
 
"Catan, fila nell'angolo."
"Ma io non..."
"Nell'angolo."
"Ma non è colpa mia!"
"Dovevi solo mettere in ordine due cose e accendere un fornello! E' già un miracolo che non ti sbatta fuori di casa per quello che hai combinato! Ed ora, NELL'ANGOLO!"
Mi fiondai subito nell'angolino della vergogna, sentendomi terribilmente in colpa.
Avevo rischiato di incendiare casa perché avevo dimenticato un fornello acceso (e pensare che ai tempi credevo di aver fatto una magia senza volerlo), rotto o danneggiato la maggior parte degli oggetti che avevo cercato di "mettere a posto" e allagato il bagno, addormentandomi nella vasca con il rubinetto aperto. Mi sentivo tremendamente in colpa; in fondo Kristian aveva fatto così tanto per me...
"Vuoi... che ti dia una mano?" 
"No."
"Ne sei proprio sicuro?"
"Sì." Lasciai passare qualche minuto.
"Io... mi dispiace davvero."
Un sospiro. "Lo so."
Smisi di parlare. Kristian mise in ordine tutto quanto da solo, e impiegò diverse ore nel farlo. Ormai fuori era buio pesto, ed io ancora non riuscivo a capacitarmi di quello strano effetto: nel regno dei cieli è sempre, costantemente, giorno. Ma non ebbi il coraggio di chiedere a Kristian il perché di quella magia. Solo quando, preparata la cena, m'invitò con un cenno a sedermi assieme a lui, mi accomodai su una delle sedie.
"In fondo non è colpa tua." Fu lui il primo a parlare. "Dovevo crederti quando hai detto di non saperci fare con le faccende domestiche. Però non credevo fino a questo punto."
"Te l'ho detto, non sono capace, non ho mai tenuto una scopa in vita mia, ci hanno sempre pensato i miei servitori."
"Devi essere davvero ricco per avere dei servitori in casa, che, se non ho capito male, deve essere molto grande."
Annuii. "E' grande eccome! Ma cosa significa "ricco"?"
"Ancora con queste strane domande? Ricco significa una persona che ha molti soldi, uno importante!"
"Ah, allora penso di sì. Miku è molto importante. Porta la carica di Angelo Supremo del Regno dei Cieli! Il più potente angelo di tutti." Lo dissi con orgoglio.
"Ma sarebbe una specie di linguaggio segreto, il tuo? Cosa sarebbe questo "Regno celeste"?"
"Il posto da cui sono venuto."
"Esiste davvero un paese chiamato così?"
"Non è un paese, è un mondo intero!"
Kristian scosse la testa più volte, incapace di capire. Chissà che confusione aveva in testa. Cercai di venirgli incontro.
"Vedi... io non appartengo a questo mondo. Mi trovavo nel Regno dei Cieli, ed ero appena scappato dal mio castello. Sono andato nel mio bosco preferito, e ho trovato una specie di polla, oppure... forse uno specchio magico, che mi ha fatto vedere il tuo mondo, e mi ha catapultato qui, facendomi pure perdere le ali!"
Il mio racconto non sembrava averlo aiutato a mettere in ordine i pensieri. "Aspetta, frena, frena. Cominciamo dall'inizio..." Ma almeno adesso non mi dava più del cosplayer fuori di testa. "Facciamo finta che io creda alla storiella che vieni da quella specie di mondo incantato. Quando parli di ali, intendi ali vere? Che ti permettevano di volare?"
Annuii con forza.
"E chi sarebbe quel Miku?"
"Miku è l'Angelo Supremo, te l'ho già spiegato. Vivo con lui."
"E anche lui vola, e cose del genere...?"
"Certo!"
"Non puoi darmi proprio una prova di quello che dici, eh? Non so, puoi fare qualcosa per convincermi di essere un "angelo"?"
Ci pensai seriamente, ma alla fine fui costretto a scuotere la testa, afflitto. "No... non so come mai, ma non sono capace di fare le stesse cose che fa Miku... lui crea delle luci dal nulla, è in grado di governare gli elementi, io invece nulla di nulla." Era un argomento che mi metteva spesso in ansia, e Miku non mi dava spiegazioni al riguardo.
"Beh, questo è un bel problema... Ah!" Improvvisamente, Kristian si mise le mani nei capelli. "Adesso basta! Andiamo a dormire, tutto questo è assurdo." Mi lanciò un'occhiata rattristata, che in un primo momento non capii. "Domani faremo alcune ricerche, vediamo di riuscire a portarti a casa, che sia in questo Regno dei Cieli o meno, vedrai che capirò come farti tornare."
M'illuminai subito. "Sì! Grazie!" Gli saltai letteralmente addosso per la contentezza, stringendolo in un abbraccio che non si aspettava. E che, sinceramente, stupì anche me. Non oppose resistenza, quindi potei sentire il suo corpo contro il mio, ogni suo singolo muscolo non sfuggiva alla pressione dei miei polpastrelli, nonostante l'impedimento dei vestiti. Non avevo mai toccato nessuno al di fuori di Miku, nemmeno un contatto accidentale, e quando il cuore cominciò a battere più forte del solito e il respiro a bloccarsi nel petto, non riuscii più a muovermi per lo stupore, travolto da quell'improvviso sbocciare di sentimenti.
Fu lui, con movimenti incerti, ad allontanarmi, abbozzando un sorriso timido nella mia direzione e carezzandomi lievemente una guancia. "Bene..." Un sussurro imbarazzato. "Ora andiamo a cambiarci, puoi occupare il mio letto fino a quando non tornerai a casa."
"... Perché... non dormiamo insieme?" Un calore inatteso risalì sulle mie guance, che si fecero bollenti.
"... Va-va bene." Anche lui sembrava imbarazzato. "Sì, perché no?"
Dormimmo raggomitolati stretti stretti, come cuccioli bisognosi di affetto, facendoci calore reciprocamente. Domani sarebbe stato un giorno molto speciale, me lo sentivo.

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