Il Diario Di Una Psicopatica

di AnyaSparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Esperimento di Morte. ***
Capitolo 2: *** Sogno Rivelatore ***
Capitolo 3: *** Nessuno ***
Capitolo 4: *** Un nuovo Amico ***
Capitolo 5: *** Via come Polvere ***
Capitolo 6: *** Confessione ***
Capitolo 7: *** La prova ***
Capitolo 8: *** Scuse ***
Capitolo 9: *** Il silenzio turbato ***
Capitolo 10: *** Terry ***
Capitolo 11: *** Risata di cuore ***
Capitolo 12: *** Punizione ***
Capitolo 13: *** Insegnamenti ***
Capitolo 14: *** Pensieri.. ***
Capitolo 15: *** Promessa ***
Capitolo 16: *** Per sua volontà ***
Capitolo 17: *** Rimediare ***
Capitolo 18: *** Nulla da Temere ***
Capitolo 19: *** Epilogo - Lettera ***



Capitolo 1
*** Esperimento di Morte. ***


[Me: Premetto che non sono io ad essere pazza, ma ad avere solamente una fantasia sfrenata per queste cose... XD Non amo molto l'horror, ma quando si parla di descrivere la mentalità di una pazza... allora, si... mi piace. Mi piacerebbe molto se recenzionasse qualcuno, in modo da vedere se piace o meno... Non preoccupatevi, accetto anche le critiche negative XD Grazie e buona lettura!]

Capitolo 01
Esperimento di Morte

 

Avere come “dono” la morte è qualcosa che riempie in fondo all’anima, nel cuore e che ti fa star bene nel corpo. Non pensavo che la Morte potesse rendermi così felice.
Sin da piccola mi sono sempre chiesta cosa fosse la morte… o meglio, chi fosse. Ma sebbene ponessi le domande ai miei genitori, nemmeno loro sapevano rispondermi. Ma in verità, chi mai avrebbe saputo cosa o chi fosse la morte?
Al mio sesto compleanno mio nonno morì.
Mia madre, accanto a me con la mia mano nella sua, non faceva altro che piangere. E mi chiedevo: Ma perché? Perché piangere per un uomo che è andato in un posto migliore? Che ha avuto la “fortuna” di passare, di morire?
Mamma, perché il nonno è morto?” mi ritrovai a chiederle guardandola in volto.
Le sue lacrime continuavano a scendere e con un gemito quasi strozzato riuscì a rispondermi “Il Signore se l’è preso”.
Allora il Signore è la Morte?
No, tesoro… Il signore è buono…
E allora anche la Morte deve esserlo…
 
Per anni la mia convinzione fu che il signore e la morte fossero la stessa cosa. Il Signore… era così che mia madre lo chiamava spesso, specialmente quando andavamo in chiesa la domenica. Quando le chiedevo dove stavamo andando con il vestitino della domenica, lei mi rispondeva “Andiamo a trovare il Signore”. Erano risposte strane di cui non capivo il significato. Il signore… perché non aveva un nome? Filippo, Tommaso, Eduardo.. No, lui era il Signore.
Un giorno mentre eravamo in chiesa, mia madre mi permise di uscire con altri bambini. Loro andavano in giro con delle fionde, giocavano all’acchiapparello, o a nascondino… giochi che a me non interessavano tanto. Ma uscì ugualmente perché mi ero scocciata di ascoltare le preghiere.
Forse fu un segno del destino. Forse fu proprio il Signore che mi volle illuminare. Ma mentre ero fuori i miei occhi videro l’esibizione della Morte. Videro le sue tragiche vesti sul corpo di un povero uccellino. Lentamente mi avvicinai e mi accovacciai dinanzi ad esso.
Gemeva, si lamentava.
Mi chiesi se avrebbe dovuto farmi pena. Mi chiesi se avrei dovuto salvarlo. Ma i miei erano fissi solo su quella creatura mezza morta, sofferente. E più la guardavo soffrire più mi accorsi che dentro di me nasceva e cresceva una strana adrenalina, uno strano volere di soccombere quella sofferenza.
No… non devo… la mamma non vorrebbe…”, mi dissi voltandosi verso la chiesa. La mamma non era ancora uscita sebbene le campane avessero già suonato. Sicuramente stava salutando tutti i parrocchiani e un ultimo saluto al Signore, visto che non l’avrebbe rivisto per tutta la settimana. Il gemito del piccolo uccello riprese la mia attenzione. Continuava a soffrire, continuava a gemere. Qualcosa mi attaccò lo stomaco. Era una strana voglia, come se qualcuno mi chiedesse di… soccomberle. Di ucciderlo.
Avanzai lentamente la mano verso la povera creatura e gli presi la testa. Si dimenava sotto la mia mano, cercava di uscire.. ma non solo era troppo debole, ero anche io ad essere superiore a lui.
Io sarò il tuo destino” premetti l’indice e il pollice contro la testa dell’uccellino e poi piegai.
L’uccello smise di cinguettare. Smise di gemere. Smise di soffrire.
Era morto.. e per mano mia.
Riposa in pace” mi feci il segno della croce, come mi aveva insegnato la mamma, e mi alzai guardandolo dall’alto. Dopo di che la mamma venne a chiamarmi e io la seguì.
Avevo ucciso un essere vivente.
Avete tenuto nelle mani il destino di qualcun altro.
E questa cosa mi riempì di una sconcertante adrenalina che mi riempiva lo stomaco sino ad arrivare alla bocca e coprirla con un sorriso.

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Capitolo 2
*** Sogno Rivelatore ***


[Ecco il secondo capitolo. Spero che abbia lo stesso successo del primo capitolo... xD Leggete e commentate.. Grazie in anticipo!]

Capitolo 02

Sogno rivelatore

 

Crebbi con la strana convinzione che la Morte non fosse così terribile come la descrivevano e che se era il Signore a prendere le redini della Morte, sicuramente la gente avrebbe dovuto pensare che la Morte fosse qualcosa di particolare, qualcosa di sacro che si sarebbe dovuto pregare invece di rifiutare. Non né ero solo convinta.. Io sapevo che era così.

Cominciai a collezionare Santine, foto di morti, strappavo dai giornali i necrologi e magari partecipavo a qualche funerale sebbene non fosse nemmeno un mio conoscente. Non era un fattore di passione… io mi sentivo in dovere di farlo.

Cominciai a leggere storie di fantasmi, sebbene le trovassi patetiche. Nulla di ciò che leggevo sembrava reale. Nulla poteva esserlo. Nessun fantasma reale poteva camminare con delle catene ai piedi ed un lenzuolo addosso. Erano patetici.

Pian piano cominciai anche a non parlare. Non ne sentivo il bisogno. Invece era il silenzio di cui avevo bisogno. Con lui avevo tutto. Il silenzio era la chiave fondamentale della Morte. Perchè lei agisce così: nel totale silenzio. La gente cominciava a pensare che fossi pazza... e cominciava a pensarlo anche mia madre.

Fu per questo che, a quindici anni, decise di mandarmi in un istituto per malati mentali. Lei continuava a dire di no, che non era un centro per malattie mentali, per i pazzi... Ma non le davo ascolto. Io sapevo cosa fosse.

Bambina mia, non è per te...” mi disse, quando fummo dinanzi al portone. Mi voltai solo un attimo per guardarla. Aveva gli occhi pieni di lacrime, le labbra chinate verso il basso, il volto pallido... Aveva lo stesso volto di quando il nonno morì. “Vedrai che presto ti sentirai meglio e.. e... tornerai a casa”. Sembrava convinta, e con il mio mutismo la lasciai ancor più convinta. Le porsi un sorriso e mi voltai per entrare dentro l'istituto.

 

Passare del tempo li dentro mi angosciava sempre più. Vedevo persone di tutte le tipologie: malati mentali, bambini con qualche problema, vecchi... Li guardavo uno per uno, li studiavo uno per uno. E li disegnavo. Disegnai un uomo privo di denti. Era brutto.. bruttissimo. E non sembrava neppure felice. Disegnai un bambino con gli occhi storti che metteva angoscia solo a guardarlo. Qualcuno non riusciva nemmeno a mangiare, per quanto soffrisse. Ero attorniata da una quantità di gente che soffriva. Come il povero uccellino che uccisi qualche anno prima. E lo stesso impulso, lo stesso desiderio di prima mi sconvolse lo stomaco. Avrei voluto ucciderli uno dopo uno. Avrei voluto toglierli dal mondo semplicemente per toglierli dalla sofferenza che li sovrastava.

Erano solo uomini e donne inutile che vivevano inutilmente sulla terra. Perchè restare? Perchè continuare a farli soffrire? Quali di questi uomini avrebbe voluto restare veramente in vita?

Togli loro le sofferenze e sarai ringraziata..., era la mia voce interiore a parlarmi, come una coscienza. Ed era il mio lato migliore.

 

Era raro che sognassi... ma molte volte i miei sogni erano rivelatori...

 

Era io, dentro una foresta. Attorno a me c'erano degli alberi. Ero accerchiata da loro. Alberi brutti, scheletrici, senza foglie... tristi. C'era solo il silenzio attorno a me, oltre quei brutti alberi. Pian piano quelli cominciarono a prendere vita. Si muovevano, si attorcigliavano... Si lamentavano specialmente. E chiedevano aiuto.

Aiuto... Aiuto..

La morsa allo stomaco si rifece presente dentro me e quel sorriso che molti chiamavano malvagio, si presentò sulle mie labbra. Li osservavo per bene. Il mio sguardo si concentrò sul primo. Più si concentrava più quello strano albero cominciava a trasformarsi in un vecchietto senza denti “Aiuto... Aiuto...” continuava a ripetermi. Mi avvicinai lentamente verso lo strano albero. Alzai una mano fino a posarla sul tronco. Cominciò a dimenarsi, a gemere, a soffrire... E io lo sentì sotto il palmo della mano. Assaporai la sua sofferenza sulle mie mani, come potere che mi entrava in vena.. Una droga. L'albero prese fuoco, così anche tutti gli altri lasciandomi sola, poi, in un cerchio che puzzava di fumo.

 

Aprii gli occhi velocemente, come se non fossi in alcun modo catturata dal sonno.

Mi alzai ancor in pigiama. Grazie al sogno sapevo cosa fare. Avevo avuto un altro dei miei sogni rivelatori e ciò mi metteva allegria.

L'istituto era nel totale silenzio. Niente di meglio per agire. Chiunque dormiva.. ed io camminavo nei corridoi a piedi scalzi.

Silenziosamente mi diressi verso la cucina dell'istituto. Il buio mi attraeva, così come quel silenzio religioso. Il mio stomaco continuava a brontolare, e non per la fame. Dovevo agire, velocemente.

Aprii il gas di ogni bombola, di ogni stanza, di ogni caldaia. La gente dormiva.. e non si sarebbe mai risvegliata, possibilmente. Mi rallegrai. Ancora una volta tenevo in mano la vita di tante persone. Ancora una volta tenevo nella mia mente il destino di tutte quelle persone.

Quando cominciai a trovare difficoltà nella respirazione, uscii fuori dalla stanza assieme un bidone di gas. Contornai l'edificio con quella. Ne assaporai l'odore. Sapeva tanto di... di... bruciato. Un odore capace di toglierti il fiato ancor prima di ucciderti. Mi abbassai e accesi un fiammifero.

Il fuoco cominciò ad alzarsi, pian piano. Somigliava tanto una donna appena svegliata, che comincia ad arrabbiarsi pian piano.. La fiamma si ingrandì sempre più, e ben presto l'edificio fu contornato dalle fiamme. Feci il segno della croce e me ne andai.  

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Capitolo 3
*** Nessuno ***


[Dopo le belle recenzioni avute nei primi due, spero che anche il terzo sia interessante. Scusate se non scrivo molto, se i capitoli si riducono a uno o massimo due pagine... Grazie di tutto, E buona lettura!]

Capitolo 03
Nessuno

 
 
Leggere sui giornali della propria morte è una cosa fuori dal normale che ti riempie ancor più l’anima. Mi sentivo più libera. Non avevo un nome, non avevo un cognome… Non esistevo più per nessuno.
Io ero Nessuno.
Mi ero uccisa da sola.
Per un attimo pensai cosa avrebbe pensato la mamma. Era stata lei a chiudermi li dentro per uno stato mentale che non avevo. Io non ero pazza… Era il mio “dono” a farlo credere alle persone. Per le strade della città leggevo i nomi delle persone che erano morte li dentro, affissiate e bruciate. In una di quelle c’era anche il mio nome, con il mio viso.
Coperta da un velo sul viso, mi decisi ad andare. Avrei partecipato al mio stesso funerale. Ci sarebbe stata la mia bara, ci sarebbe stato il prete a benedirmi. Ci sarebbero state delle persone.
La mattina del giorno dopo ero già nel luogo del funerale. Il rito si celebrava direttamente al cimitero, dove il prete della nostra parrocchia mi benediva, e le persone attorno piangevano.
Tante macchie nere che versavano lacrime sul terreno.
Per chi? Per cosa? Perché non riuscivano a capire?
Avrei voluto spiegarglielo. Avrei voluto gridarglielo che la Morte non era una … una… cosa così brutta, come tutti loro pensavano. La morte era la salvezza dell’anima e del corpo. La morte era l’emanazione della felicità. La morte era un dono al quale ero stata presentata anni addietro, e che adesso dovevo compiere senza aver esitazioni.
“… Benedici nei cieli questa figliola…”il prete tirò dell’acqua benedetta verso la bara.. la mia bara… e verso i presenti. Fra i punti neri riuscii a vedere anche mia madre. Aveva il volto coperto da un vero nero, un fazzoletto sulla mancina. Lo stesso volto di quando morì il nonno. Lo stesso sguardo intrinseco di lacrime. Lo stesso sguardo disarmato. E mi faceva pena… Una pena terribile. Perché non capiva? Gliel’avevo spiegato tante volte, prima di “diventare” muta, che la morte era la più bella cosa al mondo che ti toglie ogni male. Bisogna temere la vita, non la morte. Ma questo era stato uno dei motivi perché mi aveva preso per pazza. Credeva che mi fossi iscritta in qualche setta satanica, che amassi ed adorassi il diavolo. Ma lei non capiva… Non capiva quanto invece io fossi vicino al Signore, al Dio.
Dei signori si armarono di pala e la mia bara fu sotterrata. Terra dopo terra, la mia bara venne coperta.
“… Che il regno dei Cieli possa accoglierti, che il Signore Dio Grande, possa abbracciarti e accoglierti…
Quale ricordo sarebbe rimasti di me?
La gente pian piano andava via. Asciugavano le lacrime ed andavano.
Nessuno. Nessun ricordo sarebbe rimasto di me. Qualcuno non mi conosceva neppure, per quale motivo piangeva? Era lacrime gettate al vento, menzogne che avrebbe dovute essere punite, lacrima dopo lacrima.
Guardai un'altra volta mia madre. Si dimenava, parlava sotto voce.
La mia bambina… La mia bambina…
Qualcuno l’abbracciò.
Basta.
Era abbastanza quello che avevo visto.
La mia vita stava per modificarsi grazie ad un mio gesto, e adesso sarebbe stato tutto più semplice. Chi mai avrebbe potuto ricercare Nessuno? Chi mai avrebbe potuto trovare Nessuno? Chi mai avrebbe potuto essere Nessuno??
Io.
 

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Capitolo 4
*** Un nuovo Amico ***


[Li ho scritti in contemporanea il terzo e il quarto. Spero vi interessi ancora la pazzia della giovane Nessuno...
Grazie per la vostra lettura e vi ringrazio in anticipo per i vostri commenti.
Buona lettura, Very]


Capitolo 04
Un nuovo amico.

 
La vita fuori dall’edificio per matti non era tanto diversa. In ogni angolo c’era sofferenza. Che si trattasse di una vecchia sulla sedia a rotella, dei lava vetri, dei barboni che chiedevano denaro. E mi veniva una strana rabbia quando la gente passava oltre, quando la gente li guardava con disprezzo o gli rideva in faccia.
Cominciai a vivere in solitario, senza nessuno. Senza la compagnia di un solo cane. Ne vedevo così tanti per strada, con i loro padroni “barboni” a chiedere l’elemosina per strada.
Sofferenza.
Continua sofferenza di cui il mondo si era macchiato. E come si poteva “pulire” quella macchia nera sulla faccia del pianeta terrestre? Con la morte… Solo grazie alla morte il mondo si sarebbe sistemato, si sarebbe… si sarebbe lavato da ogni male.
 
Erano passati due anni.
Due anni di vita moribonda.
Stavo assieme a persone che soffrivano dalla mattina alla sera, eppure qualcuno sembrava felice. Felice di cosa?
Vagabondando per le strade, un giorno mi trovai di fronte un negozio di animali. Non avevo mai desiderato una compagnia, ma i miei occhi si illuminarono alla visione di una creatura tanto meravigliosa quanto maligna.
Un serpente.
Un serpente dalle squame nere e rosse, corto e magro, ma dal veleno così potente da ucciderti.  E doveva essere mio.
Prendilo., mi consigliò la mia coscienza. Quasi mi voltai per guardarla, ma non potei che vedere me. Me e solo me a sorridermi, proprio come stavo facendo io.
Entrai dentro il negozio con passo elegante e felpato. Deserto. Non c’era nessuno li dentro. Il posto era pieno di animali: dai cagnolini alle tarantole. Guardai uno per uno gli animali. Belli, dolci… tenebrosi. Io preferivo gli ultimi.
Scusa…” la voce di un uomo mi destò dai miei pensieri. Mi alzai incrociando il mio sguardo nero con quello di lui. Era un ragazzo. Un ragazzo abbastanza paffutello poco più grande di me, con l’apparecchio ai denti. “… Hai bisogno di aiuto?
Lo studiai per qualche secondo. Il volto diventò rosso in qualche secondo, imbarazzato dal mio sguardo insistente. Ragazzino… Come se io potessi essere interessata a lui.
Si” alla mia voce tirò un sospiro di sollievo. Cominciai a camminare lentamente verso la gabbia vetrata in cui era chiuso il mio nuovo amico. “Questo. Vorrei questo” lo indicai. Il serpente sembrò sentirmi, a mi guardò uscendo la lingua. Sorrisi a quella visione. Sapevo che era d’accordo.
Sicura?
Sicura” , sussurrai appena avanzando una mano verso il vetro. La mossi e il serpente cominciò a seguirla in quella strana danza.
Bene, allora vado a chiamare l’addetto che … toglierà il veleno al serpente
Lo vidi andare via a passo velocizzato. Un sorriso mi coprì il volto, mentre guardavo il serpente “Che spreco sarebbe toglierti il veleno?” mi guardai attorno un secondo. Nessuno. La stanza era completamente vuota. Lentamente aprii la gabbia e infilai la mano sinistra. Il serpente si aggrappò sul mio braccio. La sensazione di viscido mi paralizzò per un attimo, solo un attimo, prima di coprire quello strano malessere in un benessere strano. Stavo rubando, lo sapevo.. ma avevo anche ucciso… La cosa non mi sfiorava nemmeno la mente. Se avevo ucciso non era perché “volevo” farlo… Era mio dovere uccidere chi soffriva.
Bene, caro amico… Da oggi in poi sarai tu la mia compagnia” il serpente uscì la lingua varie volte. Era contento. Era  felice anche lui di aver trovato la compagna giusta. Di essere stato liberato.
Presi dalla mia tasca un fiammifero e lo accesi. Osservai il fuoco. Anima calda che scalda il cuore. Poggiai la piccola fiamma dentro la gabbia del serpente e lascia che il fuoco desse vita al suo balletto. Non avrei bruciato tutto il negozio. Non sentivo sofferenza negli animali…
Andiamo
Uscii di spalle dal negozio mentre gli animali cominciavano ad agitarsi.

 

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Capitolo 5
*** Via come Polvere ***


[Devo ammettere delle cose: 
- non so come mi sia venuta in mente una storia dl genere, in quanto io sono una gran fifona. Se avessi letto o visto delle genere del genere avrebbero dovuto portarmi via in barella in ospedale, in quanto sono molto sensibile. 
Spero comunque che voi abbiate lo stomaco più forte di me, e che vi appassionino storie del genere.
buona lettura e... commentate!
Un bacio Very!]


Capitolo 05

Via come polvere

 

Avevo trovato una piccola abitazione, pochi mesi dopo. Era un magazzino abbandonato sotto terra. Non vedevo mai entrarci nessuno, e me ne appropriai. Quanto spreco che fa la gente. Quando spreco di denaro. Lasciare un magazzino abbastanza grande abbandonato era davvero un grande spreco.

Sistemai Linguetta – il mio caro amico serpente – in una scatola di cornetti che sistemai con della paglia e dei fazzoletti. Sembrava stare comodo, e aveva la comodità di uscire quando voleva. Ormai avevamo capito entrambi ad amarci. Amavo Linguetta, e lui amava me come padrona. Insieme avremmo aiutato il mondo a pulirsi da quella macchia nera che sembrava dominarlo. Insieme avremmo tolto la sofferenza e i peccati che illudevano il mondo.

La vita fuori, era una vita di osservazione. Mi piaceva guardare la gente, studiarla. Alle volte mi soffermavo a guadarla negli occhi così tanto a lungo che erano loro stessi a cambiare sguardo, a voltarsi… E io sorridevo. Le persone erano afflitte dai loro peccati, ecco perché non sopportavano i miei sguardi. Esseri inutili. Esseri che non sarebbero nemmeno dovuti nascere. Quale screanzata donna si era fatta il peccato di far nascere delle vipere dal suo grembo??

Mi veniva rabbia solo a pensarci.

 

Andavo spesso attorno alla scuola. Era uno dei posti in cui vedevo spesso infelicità, le pecche della vita, sofferenza.. ma specialmente vedevo peccati. Vedevo tanti ragazzi peccatori di Dio, e non lo capivano nemmeno. E vedevo la sofferenza altrui.

Con Linguetta in tasca mi nascondevo dietro il muro e li vedevo uscire. Il mio sguardo si concentrava su un gruppetto di ragazzini di scuola superiore. Erano quattro ragazzi, solo quattro. Ed erano per quei quattro che stavo mettendo in atto uno dei pensieri più assurdi della mia vita.

Ehi, Moccolo…” sentii la voce del primo ragazzo gridare verso un altro ragazzino sicuramente più piccolo. Quest’ultimo aveva gli occhiali e l’apparecchio ai denti, era biondiccio e ricciolino. “.. Sbaglio o quest’oggi hai dimenticato di darmi la tua merenda?

Il ragazzo più grande, attorniato dagli altri tre, era quello che mi scaturiva più rabbia quanto l’adrenalina allo stomaco. Strinsi la mano in un pugno.

M-ma… ma ver-amente i-io…” non lo lasciarono nemmeno rispondere. Uno dei quattro andò dietro di lui spingendolo. Tutto successe in pochi secondi. Cominciarono a spingerlo, lo misero a testa sotto e lo scossero.

Ridevano.

Ridevano come delle iene!

E vedi di non dimenticartene la prossima volta… Moccolo!” lo gettarono per terra. Qualcuno gli regalò ancora qualche piccolo calcio, qualcun altro gli tirò della polvere.

Peccato. Loro erano il vero peccato del mondo, la vera macchia nera. Ma specialmente lo era il loro capo, quello alto, con la giacca in pelle e scarpe marcate.

Mi sa che oggi abbiamo del lavoro da fare, Linguetta… Proprio si, un bel lavoretto…” accarezzai il serpente e mi decisi a seguire nell’ombra il ragazzo.

 

Ciao ragazzi. Ci vediamo domani

Ciao Josh…

Ciao!

Il ragazzo scese da motore posteggiato su una fiancata del marciapiede. Si tolse il casco conservandolo sotto il sedile e ne prese le chiavi di casa da li.

Mi avvicinai lentamente a lui. Silenziosa come un gatto. In un raptus avanzai la mano verso di lui e gli tappai la bocca e il naso con un fazzoletto intrinseco di alcool e gas. Il solo odore portava alla nausea, e allo svenimento.. Cadde come un sacco di patate per terra. Essendo più piccolo di me, non mi venne granché difficile prenderlo e poggiarlo sul motorino. Mi accorsi che Linguetta era uscita e che camminava sul dorso del giovane.

Linguetta, non adesso!” lo rimproverai sotto voce “Non vorrai toglierti il gusto di assaporarlo dopo, no?

Mi misi alla guida e pilotai verso il magazzino.

 

Il ragazzo sembrava non volersi in alcun modo destare dal sogno. Il volto era piegano all’ingiù. L’avevo legato per bene su una sedia di legno, proprio al centro del magazzino. Rendeva la cosa molto più cinematografica… e se avessi avuto una telecamera avrei anche filmato il tutto.

Di spalle al ragazzo, stavo preparando il tutto. Doveva essere qualcosa di speciale, e anche lui si sarebbe divertito, come non mai. Specialmente lo avrei fatto.

Adoravo quella sensazione di vuoto che mi attorcigliava lo stomaco, che sembrava attorcigliare le budella proprio come quando si attorcigliano degli spaghetti attorno una forchetta. Adoravo quell’adrenalina che me lo bloccava lo stomaco, che avrebbe dovuto farmi sentire male.

Umh… Umh…

Si stava svegliando. Un sorriso mi spuntò sul volto.

Do-ve,,, s-sono…” balbettò, anche intontito.

Buon giorno, Josh”, non lo guardai ancora, mi limitavano a specchiare il mio volto in una delle lame più grosse e affilate. Sicuramente mi vide, perché mi accorsi del suo cambiamento di espressione.

Dove sono? Che… che stai… facendo?

Terrore.

Il terrore di un bambino quando cade per strada, o quando sa di star facendo qualcosa di sbagliato.

Il terrore di un bambino che ha appena visto un brutto film e vuole dormire con la mamma.

Il terrore di un adulto che sa di non scamparla, questa volta.

Mi volta per guardarlo meglio, per assaporare quel terrore. “Sei a casa mia.” Mi avvicinai sempre più a lui “Non ti piace?” sussurrai appena, quando mi trovai vicino al suo volto.

Tremava.

Cristo, come lo sentivo tremare! Quel terrore era come droga per me. Mi entrava nelle vene rendendomi più forte, più potente… Una divinità del.. Bene. Stavo facendo del bene, non del male. Stavo eliminando il peccato… Era questo che mi aveva chiesto Cristo. Era questo il mio compito.

Signor… ina, mia madre mi… mi aspetta a casa e… si preoccuperà…

Scoppiai a ridere. “Oh, povera mamma!” camminai a passi veloci verso il bancone. Presi un fazzoletto e pulii la lama di poco prima. “Tua madre non si perderà nulla, sta tranquillo. Starà nella sua comoda poltrona a guardarsi qualche ridicolo film d’amore.” Il suo terrore aumentava, ed io lo sentivo. Se avesse potuto sarebbe scappato a gambe levate. Sarebbe stato un coniglio. “Noi due invece ci divertiremo davvero tanto, non è così?” schiacciai l’occhio non potendo trattenere una risata.

La prego.. la prego…” aveva le lacrime agli occhi, e dalla voce si capita al cento per cento che stesse soffrendo di paura… Avrebbe potuto avere un infarto, e la cosa non sarebbe stato divertente.

Voglio presentarti qualcuno” mi abbassai verso il lettino di Linguetta e lo presi fra le mani. Lo portai vicino al mio volto sorridendo. “Si chiama Linguetta” feci due passi veloci verso il ragazzo e poggiai il serpente sulla sua gamba.

Gemette. Gemette come un bambino in lacrime.

I suoi occhi esprimevano solo terrore, il cupo terrore!

Linguetta è un serpente molto particolare.” Mi voltai lasciando che il serpente camminasse da se sul corpo del ragazzo “Da quanto l’ho preso non ha fatto altro che seguirmi, ed obbedirmi, proprio come una cane. Forse meglio di quei bastardini che si incontrano per strada. E’ fedele, fedele come lo sono pochi uomini su questa terra che tradiscono le loro mogli per una sgualdrina di strada.” Linguetta continuava a camminare, avanzando sul braccio “Ma devi stare attento ai suoi baci. Un suo bacio d’amore ti inietterebbe del veleno. Sai che tipo di veleno, Josh?” lo guardai un sol attimo, sorridendo. “Un veleno che ti entra lentamente nelle vene, che ti gela il sangue così lentamente che lo senti passare millimetro per millimetro.. E dolore dopo dolore, comincerai a non sentire più il corpo. Prima le braccia, poi le gambe, poi…

Ahhhhhhhhhh!

Non feci in temo a dir altro che l’urlo del ragazzo mi fermò. Un grande sorriso avanzò sulle mie labbra nel vedere che Linguetta aveva agito. L’aveva morso sul braccio sinistro, lasciando il segno.

Ohhh.. Bravo il mio Linguetta…” lo presi piano lasciandolo camminare lentamente per terra. Il mio sguardo vagò un po’ per la stanza incrociando poi lo sguardo dolorante quanto terrorizzato del giovane. “Adesso cominciamo a giocare” Presi una sedia e mi sedetti di fronte ad esso. Il veleno avrebbe fatto male sin da subito, e lo si leggeva nello sguardo. Stava soffrendo davvero… “Sono nei momenti in cui vedo questa sofferenza che mi sento particolarmente felice a Dio.” Sussurra, guardandolo negli occhi “Perché io lo faccio per Lui, sai? Per il Grande, per il Signore. E’ lui che lo vuole.” Presi la lama e la passai lentamente sulla coscia destra del giovane. “Tutta la sofferenza e i peccati del mondo devono essere cancellati, come se non fossero mai nati. Come se non fossero mai esistiti. Che senso ha avere un mondo e vedere tanta sofferenza? Che senso ha avere un mondo sporco di peccati? Sarebbe come lavarsi con dell’acqua sporca… non ti farebbe schifo?!” senza che se ne accorgesse alzai la lama e la infilzai dentro la coscia di Josh.

AHHHHHHHHHHHHHHHHH!” Urlò, come un dannato, ma non gli diedi grande retta mentre mi alzavo girando attorno alla sedia.

Mi viene una grande rabbia quando penso che il Signore avrebbe potuto eliminarli prima. Mi viene una grande rabbia quando penso che Noè avrebbe dovuto togliere, ancor prima di me, tutti questi peccati nel mondo… O Mosè, meglio. Ed invece no.. Tocca a me farlo! Ne sono felice, certo… Ovviamente ne sono. Sto facendo un grande gesto togliendo tutto questo marciume dalla terra.

Ti prego…. Ti prego…” gemeva, piangeva…

Mi voltai guardandolo. Le lacrime gli erano scivolate sul volto e piombavano sulle gamba intrinseca di sangue. “Pregare ormai non serve. Avresti dovuto pensarci prima” Mi sedetti di nuovo sulla sedia. Avanzai una mano verso il suo sangue e me ne bagnai il dito, portandolo poi alla bocca. Lo leccai, assaggiai quel sangue di cui mi deliziai “Hai il sangue dolce. Molto buono

Signorina… signorina la…

Tu sei uno dei peccati più grossi. Ti seguo da giorni, perché è questo il mio compito. Seguire i peccati e spazzarli via come polvere. Ti ho visto per vari giorni minacciare quel ragazzino, quello che tu hai chiamati simpaticamente < Moccolo >.

Non.. non lo faccio più… ma… ma la prego… per favore… io…

Scoppiai a ridere. “Non lo farai più?

Lui annuì.

Ne sei sicuro?

Annuì nuovamente.

Beh… se la metti così…” il suo sguardo sembrava speranzoso, come se adesso io l’avessi lasciato e gli avrei concesso la libertà. “… No. Tesoro, ormai è tardi. Sei un peccato, il tuo sangue è sporco di peccato.” leccai un altro po' del suo sangue e poi lo sputai per terra, tanto per rendere migliore l'idea del suo grande peccato. “E sarai spazzato via, come polvere” glielo sussurra, semplicemente per il divertimento di spaventarlo sempre di più. Per il divertimento di vederlo terrorizzato.

 

Sarebbe morto nel giro di qualche altro minuto. Il volto era diventato pallido, le labbra cominciavano a spaccarsi. I capillari sul volto si erano spaccati all'interno della pelle dandogli una tonalità violacea. Lo sguardo adesso non più terrorizzato, ma consapevole. Consapevole di star morendo, di non essere più una creatura della terra.

Poggiai una mano sul suo capo, e sebbene lui cercò di toglierla, io lo fermai. Era troppo debole ed io troppo forte per lui. Lo ero sempre.

Socchiusi gli occhi e abbassai il capo. “Signore, tu che sei il protettore di questo mondo, ti prego prendi questa piccola pecora nel tuo mondo, nell'azzurro dei cieli. Accogli questo piccolo peccato in un tuo abbraccio, purificalo. Purifica il suo cuore e l'anima. Grazie, Signore.. Grazie...

Alzai nuovamente lo sguardo. Il suo volto era chinato verso il basso.

Josh?” attesi una sua reazione, ma nulla. Non reagiva.

Era morto.

Abbassai il capo facendo il segno della croce e baciandomi le dita “... Amen

Mi alzai, prendendo Linguetta e nascondendola nella tasca “Resta qui, potresti farti male” sussurrai. Presi un bidone di alcool, lo feci scivolare attorno a Josh e attorno all'edificio. Mi diressi alla porta, accesi un fiammifero e lo gettai nell'alcool. La fiamma pian piano prese vita.

Mi feci nuovamente il segno della croce, e scomparsi.

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Capitolo 6
*** Confessione ***


[Ammetto che ancora una volta non è stato facile questa volta scrivere questo capitolo in quanto io sia fedelmente atea! Però spero che a voi piaccia!
KisHolo very!]


Capitolo 06
Confessione.

 
Non era la prima volta che uccidevo un essere umano, ma gli antecedenti dentro l'istituto per malati, non li avevo visti morire. Li avevo solo uccisi. Josh l'avevo ucciso e accompagnato nella sua morte, l'avevo benedetto e avevo pregato il Signore di accorglielo con se affinchè fosse purificato. Era la cosa giusta da fare. Era qualcosa che avrebbero dovuto far tutti sulla terra.
Bruciando l'edificio avevo perso il posto dove abitare, ma non era tanto questo a sconvolgermi. Avevo vissuto per due anni per strada senza alcun problema, di certo non era questo a spaventarmi. Avevo dovuto bruciarlo. Dovevo bruciare il corpo del ragazzo, affinchè l'anima si staccasse dal corpo. Bruciare il corpo non è mai qualcosa di orrendo, ma solo un dono che si fa al corpo e all'anima, proprio come fanno gli indiani. O almeno.. credo che siano loro.
Eppure sentivo dentro di me qualcosa. Sentivo qualcosa di strano, un peso allo stomaco.
"Quando senti un peso...", era solita dirmi mia madre "..va a confessarti. Ti sentirai subito meglio".
Ma a quali persone potevo dire il mio peccato? A quante, specialmente?
Nessuno avrebbe mai capito le mie motivazione, se avessi detto che avevo ucciso già tante persone. Avrebbero chiamato i poliziotti e io sarei andata in cella senza poter riuscire a finire il mio lavoro.
Un lavoro cominciato va sempre finito. Sempre! E io devo finirlo, per volontà di Dio., mi dissi.
Qualche giorno dopo aver ucciso Josh, andai in chiesa.
Era una sera di Autunno. Il vento trasportava quell'odore dolciastro della castagne arrostite che si vendevano nei paeselli. Le foglie continuavano a cadere, a morire sul terreno asciutto. Quando entrai in chiesa l'odore d'incenso mi attraversò le narici sino ad arrivare dentro. Era la stessa sensazione che avevo quando sentivo la paura altrui. Uguale. Quasi palpabile dentro me.
Mi coprii il volto con una stoffa di tela nera e mi avvicinai alla croce. La studiai per qualche istante. Il Cristo messo in croce, con una corona di spine sul capo sanguinante, e lo sguardo moribondo. Nessun terrore. Lui sapeva bene che sarebbe morto per mano degli uomini. Feci un misero inchino baciandomi la mano sinistra dopo aver fatto il segno della croce. Alzandomi, mi avvicinai nelle "casette" - come ero solita chiamarle io - per la confessione. Poggiai le mie gambe li inginocchiandomi. Li dentro c'era già un prete che, da quanto vidi fra il telaio, stava leggendo qualcosa. Sperai che fosse la Bibbia o qualcosa di formale.
"Salve Padre", salutai, congiungendo le mani.
"Salve Figliola", ricambiò il saluto chiunque ciò che aveva in mano per dedicarsi a me. Da quanto tempo qualcuno non mi dedicata un pò di attenzione? Beh, da quando in un certo senso ero.. morta.
Recitai a memoria l'Atto di Dolore finchè non fu lui stesso a fermarmi.
"Dimmi, figliola.. quali sono i tuoi peccati?" Il suo sguardo non era rivolto a me, ma lo era il suo orecchio.
Esitai un sol attimo nel rispondere, e poi la risposta mi uscì a fior di labbra "Ho ucciso"
Sentii nel prete un fremito, sentii il suo stupore e terrero che portarono il suo sguardo verso di me. Avevo il volto chinato verso il basso e le mani ancora congiunge con un rosario fra queste. Un sorriso comparve sul mio volto, con un misto di soddisfazione, ma preferii nasconderlo. Dovevo essere seria, e non mi avrebbe mai ascoltato.
"Ho ucciso, Padre. Ho ucciso più volte, ma non per volontà mia. Io emetto il volere del Signore Gesù Cristo. Ho il dovere di eliminare la macchia nera del mondo. Ho il dovere di eliminare la sofferenza nel mondo affinchè non resti nient'altro che la felicità.. che la visione di una bella vita dinanzi a noi. Ho il dovere di eliminare il peccato dal mondo, perchè non tutti i gesti sono perdonabili, Padre. Lei stesso credo che lo sappiate meglio di me"
Non parlava. Sentivo un suo gemito ogni qual volta che mi esprimevo. Anch'esso aveva terrore di ciò che stavo dicendo, dei miei gesti.. Aveva timore di me. Io, Nessuno.
"Padre.. Padre c'è ancora?", domanda alzando il volto verso la finestrella bucherellata.
"S-si.. Si, sono ancora qui, Figliola" prese fiato. Lo prese e lo risputò. "Figliola.. Il nostro Signore non vuole questo. Il nostro Signore non vorrebbe mai che tu facessi del male alle persone. Il Nostro Grande Signore vorrebbe che tu ti togliessi questo fagello dalle mani, che andassi a casa con tua madre e tuo padre, che vivessi come una persona normale"
"E' stato lui a dirmelo" sussurrai. Ricordai dell'uccellino. Quello era stato un chiaro messaggio di aiuto da parte del Signore. Voleva vedere se ero adatta ad aver affidato questo compito. "E non uccido. Io aiuto.. Le persone soffrono, che motivo hanno di star ancor vivi quando nel cielo c'è Dio che può accorglierli? Li sopra non ci sono malattie. Li sopra non c'è sofferenza. Li sopra non ci sono peccati. E' questo che vuole il Signore, salvare il mondo.."
"Figliola io..."
Lo bloccai "Mi benedica".
Si bloccò anch'esso a questo sussurro. Era un ordine, lo sapevo bene. Ma avevo bisogno della sua benedizione per poter continuare. Avevo bisogno della benedizione di Cristo per continuare in questa impresa.
"Co.. cosa?" era esterefatto, lo sentivo anche io dalla voce.
"Benedicetemi" ripetei, con volto alzato. "Ho bisogno della benedizione per continuare"
"Ma tu non devi! Non devi continuare ad uccidere...", sussurrava, non voleva che qualcuno lo sentisse. Ed invece io avrei urlato tutto al mondo. Di cosa avrei dovuto aver pudore? Di far la volontà di Cristo? Molti mi avrebbero guardato male.. Ma questo solo perchè sono molti i credenti.. ma quasi nessuno ci crede così tanto da mettere in pratica ciò che Lui ti dice. E quindi fan finta di essere sordi, di non sentire le Sue volontà.
"Non devo?" sorrisi appena "Non devo?! Mi sta dicendo di ignorare la voce del Signore? Come può dire una cosa del genere?" alzai un tantino il tono della voce.
Era diventato pallido, e specialmente era spaventato dalla mia reazione. Mi credeva un assassina, una pazza assissina che avrebbe potuto ucciderlo senza pensarci mezza volta. Ma io non avrei mai ucciso una pecora del Signore.
"Figliola.. Per favore..."
"Ora. Beneditemi" insistetti.
Il prete sbuffò voltando lo sguardo verso la parte opposta. Alzò poi il braccio dentro voltandolo verso di me. "Ti Benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Spero che il Signore possa starti vicino nel bene .. nel male." si fermò un attimo sospirando. Sembrava qualcosa di realmente faticoso per lui, qualcosa che sicuramente non aveva mai sognato di farlo. "Sei purificata da ogni peccato, nuovamente battezzata."
Mi feci il segno della croce e mi alzai "La ringrazio Padre, non mi dimenticherò del suo gesto"
Feci un piccolo inchino al capezzale di Cristo ringraziando anche lui ed uscii dalla chiesa a piccoli passi.

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Capitolo 7
*** La prova ***


[Buona lettura: aspetto con ansia vostre recenzioni .. XD]

Capitolo 07
La prova.

 
Anni.
Gli anni passarono quasi senza che io me ne rendessi conto.
Un anno era passato da quando avevo ucciso Josh, da quando mi ero fatta benedire dal prete. Continuavo a vivere per strada come una vagabonda, assaporando la sofferenza della gente di strada, quella sofferenza che continuava a propagarsi. Restavo sempre nell’ombra, per il timore che qualcuno potesse riconoscere la ragazza che ero prima.
No, adesso non lo ero più…
Io sono Nessuno.., me lo ripetevo spesso, come per esserne certa.
Spesso, portata dalla mente al passato, mi limitavo a spiare casa mia. La guardavo da dietro un cespuglio, guardavo lei.. Mia madre. Era sola. Spesso la vedevo leggere il mio diario segreto, spesso ancora la vedevo sfogliare l’album fotografico, o vedere i video dove ero presente io. Mi resi conto che la sua tristezza era la mia… La tristezza che ti chiude lo stomaco anche se non mangi da giorni. Era sciupata, più magra, pallida.. Peggio di un cadavere.
E ci fu il momento in cui mia madre fu portata in ospedale. Quella tristezza la stava portando alla pazzia cupa, di quelle irrecuperabili. La sua mente l’aveva portata a pensare al suicidio. Ed io avevo assistito. Aveva preso un coltello e aveva cominciato a tagliarsi.
Fu la visione più sconcertante della mia vita.
Avrei voluto entrare e fermarla, ma sapevo di non potere. Sarebbe morta sul colpo se avesse visto sua figlia li. La figlia che aveva fatto sotterrare, che lei pensava di aver ucciso. Entrai in un negozio delle vicinanze e chiamai la polizia e l’ambulanza dando loro l’indirizzo. Tornai appena in tempo per vederla piangere ad ogni taglio. Per lei quella tristezza, quella sofferenza era troppa.. era davvero tanta per sopravvivere. E capii che avrei dovuto ucciderla tempo addietro. Cristo voleva mettermi alla prova, come aveva fatto con Abramo. A lui aveva chiesto di uccidere il figlio.. Io avrei dovuto uccidere mia madre.
 
Andai anche io in ospedale, qualche ora dopo.
La notte era cupa, terribilmente cupa. Il vento che tirava era gelido, e quasi tremai al respiro della notte. Entrai, guardandomi in giro. Di certo l’ospedale è il posto della sofferenza. E’ il posto dopo la sofferenza non solo la si vede… ma la si tocca, palpabile come una penna, come un foglio.. e tagliente come una lama.
Rimasi paralizzata quando un bambino incrociò lo sguardo con il mio. Era un bellissimo bambino, dovetti ammettere a me stessa. Occhi azzurri, pelle pallida.. e una flebo attaccata al braccio sinistro. Piangeva, voleva toglierla. Io l’avrei fatto: gliel’avrei tolta.
Una signora piangeva e urlava, mentre il medico le parlava.
Un ragazzo con una gamba ingessata.
Urla, pianti, strepiti…
Quella sofferenza meschina cominciava a farmi girare la testa e a farmi vedere una nausea terribile.
Brucialo.. L’hai già fatto una volta., mi disse la mia coscienza.
Abbassai il capo sospirando “Non adesso. Lo farò quando .. quando sarà il momento
Ha bisogno di aiuto, signorina?” , la voce di una donna in camice mi risvegliò dai miei pensieri.
Per qualche attimo mi limitai a guardarla come se dovessi pensarci. E lei continuava a guardarmi paziente, ma come se avessi qualche problema. Le parole mi si erano bloccate in gola, non riuscivo a parlare. La mente era ancora confusa, e sapevo di non poter resistere abbastanza. Quella sofferenza doveva sparire, doveva andare via dai miei occhi e dal mondo.
Si”, finalmente una parola uscì dalle mie labbra. E faticai anche. Sentivo la mia pelle gelida, come se sentissi tanto freddo.. eppure il bollore dentro me aumentava sempre più.
Chiesi di vedere mia madre esponendole il nome e cognome.
Si, certo.. mi segua
Il corridoio che mi portò verso la stanza di mia madre era lungo. Così lungo e così pieno di camere dove stavano rinchiuse persone. Avrei bruciato camera dopo camera, avrei spazzato via quella sofferenza e l’avrei scopata e gettata via. Non sarebbe più esistita, non ci sarebbe più stata. E il mondo sarebbe stato libero e più felice.
Prego
Ringraziai la donna in camice con un gesto del capo, ed entrai. La donna chiuse la porta alle mie spalle.
Mia madre era li, sdraiata. Una flebo attaccata al braccio sinistro.
Pelle quasi trasparente, da far paura. Labbra violacee. Vene che sporgevano sulle mani. In questi anni non mi ero accorta di quanto fosse invecchiata. Erano solo tre anni dalla mia presupposta morte, e in tre anni mia madre era invecchiata di trenta. Mi faceva una grande pena.
Mia madre era diventato un cadavere che aspettava solo di spegnersi definitivamente.
Alzai una mano accarezzandole la fronte.
Umh.. Umh…
Tolsi la mano immediatamente. Ebbi paura. Stava per svegliarsi ed io ero li. Cosa avrei dovuto fare? Scappare via? Non feci in tempo.
I suoi occhi semi spenti si aprirono e posarono il loro sguardo su di me. Mi fissarono per qualche istante che a me sembrarono eterni. Ma restai immobile.
Sto… sto sognando?” chiese sotto voce. Si guardò attorno capendo di essere in ospedale.
Sorrisi nel guardarla. “Forse. O Forse No” presi una sedia e mi sedetti vicino a lei. Le presi una mano e l’accarezzai piano, lentamente.
Sei tu” un gemito le uscì dalle labbra, voce quasi rotta dal pianto mentre i suoi occhi cominciavano a riempirsi di lacrime. “Sei tu.. Sei la mia bambina..” aveva cominciato a piangere come spesso faceva.
Le sorrisi annuendo, senza parlare. Era così che lei mi ricordava: con quel sorriso strano sulle labbra ma senza parola. Continuavo a tenere la sua mano gelida fra le mie.
Scusami” mi sussurrò.
Alzai il capo non capendo. “Di cosa, mamma?
Di averti ucciso. Se non ti avessi mandato in quell’istituto saresti viva…
Mia madre pensava ancora che fossi morta. Abbassai di nuovo il capo ma lo rialzai sorridendo. Un sorriso fra il felice e il malinconico. Non dovevo essere cambiata molto in questi anni, o almeno lei non lo capiva. “Non devi scusarti” sussurrai accarezzandole la fronte “E’ bellissimo li sopra mamma. Non sai quanto. Non si sta male, non si soffre.. La gente ride continuamente e .. e.. si gioca. Si gioca tanto. Poi … poi c’è il nonno.” avevo le lacrime agli occhi. Per la prima volta in vita mia mi sentii scoppiare il cuore da un emozione diversa. Non era adrenalina, non era voglia di uccidere o ribrezzo per la sofferenza.
Io non volevo che mia madre morisse. Non volevo ucciderla con le mie mani. E vederla soffrire in quel modo scaturiva un dolore immenso dentro me, una sofferenza tale che, se fosse stata un arma, avrebbe potuto uccidermi. Ma ero forte, e sarei rimasta ferma con quel sorriso stampato sul volto a dirle quanto felice sarebbe stata li sopra.
Davvero? Davvero c’è il nonno?” un sorriso le illuminò il volto.
Le sorrisi anche io, sebbene avessi una voglia matta di smetterla e scoppiare a piangere. “Si.. Si è li sopra. C’è anche la nonna con il nonno. Mangiamo tutti assieme al pranzo…sono tutti molto felici…” Mi fermai qualche istante guardando i suoi occhi bagnati dalle lacrime. Fermai le mia labbra che poi si mossero lentamente  “Vuoi venire anche tu?
La guardai nel silenzio, aspettando una sua risposta che non tardò molto.
Annuì.
Il cuore ebbe un sussulto, balzò quasi fuori dal petto. Mi sembrò che si fermasse, come il mio respiro.
Ti prego, Dio.. Non farmelo fare., pregavo mentalmente. Ma non ebbi alcuna risposta. E mia madre aveva scelto.. Voleva andare li sopra, voleva essere felice. Nuovamente felice, come lo eravamo un tempo. Perché aveva potuto dimenticare la morta del padre, ma la mia morte.. la morte di sua figlia l’aveva portata alla follia.
E allora dormi.” Gemetti fra le labbra “Appena ti sveglierai ti troverai in un altro posto, e sarai felice come lo eri prima” le sorrisi e lei lo ricambiò.
Chiuse gli occhi e si abbandonò al sonno. Aspettai che si addormentasse prima di agire.
Mi alzai e cominciai con il togliere la flebo. Tolsi tutti i fili che la attorniavano, che la facevano soffrire. Perché per lei la vita era diventata una sofferenza. La guardai ancora per qualche secondo e socchiudendo gli occhi portai una mano sul suo naso e la bocca.
Li tappai privandola della respirazione.
Chiusi gli occhi alzando il volto verso il cielo “Accoglila e rendila felice come lo era un tempo Signore.” Si muoveva, il suo corpo cercava di vivere. Ma sapevo che la sua anima non voleva. “Signore, tu sei grande.. Amala da figlia, rendile nuovamente la felicità, accoglila nei regno dei cieli e proteggila. Rendila la grazia di stare con i suoi cari come vuole lei. E abbine cura…
Si fermò. La macchina accanto continuava solo ad emettere un solo rumore senza mai fermarsi.
BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
 Rimasti ferma un solo attimo.
L’avevo ucciso.
Le avevo ridato la libertà.
Mi guardai attorno come se potessi vedere la sua anima volare.
Grazie di tutto” sussurrai verso il cielo.
Mi feci il segno della croce ed uscii come ero entrata.

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Parla Very: Non so voi, ma io scrivendo questa storia mi sono davvero immedesimata in Nessuno (chiamiamola così visto che non le ho dato un vero nome. Secondo me è meglio così) e.. ho immaginato di parlare con mia madre in quel modo. Non ci crederete, ma da scrittrice sono quasi scoppiata a piangere.
Spero che anche a voi sia successa la stessa cosa a voi.. perchè in questo modo vuol dire che la storia ha funzionato e che vi ha regalato le mie stesse emozioni.
Grazie per aver letto: Very.

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Capitolo 8
*** Scuse ***


[Spero vi piaccia.. KisHoli!!]

Capitolo 08
Scuse.

 
Mia madre era l’unica persona che avevo al questo mondo. L’unica persona a cui volevo bene e che mi voleva bene, sebbene i miei problemi, sebbene avessi un compito difficile che Cristo mi aveva affidato.
E adesso non c’era più.
Chi avrei guardato adesso?
Che avrei osservato di nascosto?
Chi avrei amato?
Dentro la casa di mia madre, dentro la casa che una volta era stata mia, seduta su una poltrone non facevo altro che piangere. Uccidere mia madre era stata la prova più difficile che avrei potuto fare.
Non avevo mai sofferto così tanto in vita mia.
Mi sentivo il cuore tagliato in due, l’anima pensante e il corpo un ammasso di carne. Mi doleva tutto, specialmente la mente. Avrei voluto strapparmi gli occhi con i quali avevo visto mia madre morire. Avrei voluto tagliarmi le mani con le quali avevo messo fine alla vita di mia madre. Avrei voluto… avrei voluto morire. Avrei voluto tagliarmi il corpo, millimetro per millimetro… e sentire la stessa sofferenza che aveva sentito mia madre prima di morire. Lo volevo, lo volevo con tutta me stessa.
Mi accorsi che per terra c’era ancora l’album fotografico. Lo osservai per qualche istante prima di chinarmi e camminare a gattoni verso esso. Lo aprii nel mezzo e osservai una foto. C’eravamo io e la mamma, lei che mi abbracciava di dietro ed io dinanzi con un sorriso enorme. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma non gemetti. Lasciai che esse scivolassero sulla foto, bagnandola. E non mi fermai. Voltai ancora pagina. Rappresentava me nel mezzo, mia madre a sinistra con le labbra sulla mia guancia e mio padre dal opposto a baciarmi la fronte.
Papà…” toccai la foto sfiorandola con la mancina. Le mie lacrime continuavano a scendere, ad inzuppare la foto. “… mamma
Un’altra foto rappresentava mia madre e mio nonno con me sulle gambe. Tutti in un grande sorriso.. Un grande sorriso felice.
Con un moto di rabbia presi l’album e cominciai a strapparlo, pagina dopo pagina, fino a prenderlo di peso e gettarlo via, contro il muro.
Perché mi hai fatto questo!!?? Io stavo cercando di aiutarti, che motivo c’era di uccidere l’unica persona a cui volevo bene??!!” guardai il soffitto urlando, sebbene io stessi parlando con qualcun altro. Io cercavo di parlare con Lui che non rispondeva mai. “E’ questo il mio destino? Uccidere le persone giusto? Beh, non c’è problema.. per te farei qualsiasi cosa ma.. perché Lei! Perché.. perché mia.. madre…” scoppiai di nuovo a piangere. Le mie gambe non reggevano. Crollai con le ginocchia per terra e i polsi contro il pavimento.
La fine della sofferenza di mia madre aveva portato la mia sofferenza.
Mi sdrai sul pavimento continuando a piangere.
Piangevo con una bambina.
Piangevo come mia madre.
Piangevo come Josh prima di morire.
scusami.. Scusami…” sussurrai rivolto a più persone. Mi scusai verso il Signore per quel che avevo detto. Mi scusai verso quei vecchi che avevo ucciso. Mi scusai verso mia madre alla quale avevo dato sofferenza. Mi scusai verso Josh… al quale avevo dato più sofferenza di altri, prima di regalargli la morte eterna e la serenità.
Mi scusai fino ad addormentarmi sul pavimento gelido della sala da pranzo.

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Parla Very: Ancora una volta mi sono così immedesimata in Nessuno che ho sentito lo stesso dolore, la sua stessa sofferenza.. Spero che sia piaciuto anche a voi. Baci Very

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Capitolo 9
*** Il silenzio turbato ***


[Ammetto che questa storia sta prendendo il genere drammatico più che horror però è qualcosa che ci sta secondo me. Spero che vi piaccia e se volte lasciare un commento o critica che sia, fatelo.. Io adoro leggere i commenti XD]

Capitolo 09
Il silenzio turbato

 
Avevo bisogno di dimenticare.
Avevo bisogno di distanziare la mia vita dalla città in cui ero nata, vissuta e cresciuta… La città in cui avevo ucciso delle persone, ma specialmente dove avevo ucciso mia madre. Il solo pensiero continuava a darmi la nausea. Per gli altri non avevo sofferto… ma vedere mia madre sofferente e costretta a renderle la libertà, come da mio compito, aveva influito in me dandomi quella sofferenza che non meritavo.
Stavi facendo il lavoro che Cristo voleva… perché dovevo anche soffrire? Perché voleva farmi questo?
O… o forse stavo sbagliando? Forse avevo intrapreso male le volontà di Cristo? Possibile che le avessi malintese?
Fu per questo che partii.
Avevo voglia di cambiare zona, di cambiare me. Avevo voglia di cambiamenti.
Così mi certificai come Sarah, diciannove anni, orfana.
Ero una nuova persona. O, per lo meno, cercai di esserlo.
 
Silenzio.
Adoravo il silenzio che si fermava, quello che non si muoveva nemmeno un po’. Tenevo gli occhi chiusi, assaporandolo come se fosse cioccolata, come se fosse qualcosa di dannatamente dolce da assaporare sino all’ultimo briciola. Ma sul treno durò molto poco quel silenzio liberatorio. Un bambino, infatti, entrò dentro la mia stanza disturbando il mio silenzio.
Non dissi nulla.
Era solo un bambino di cinque anni.
E continuai a fingere di dormire.
Mi sentivo osservata, dannatamente osservata. E sapevo che il bambino mi stava guardando, mi stava osservando… Per la prima volta mi sentii come quell’uccello che, quasi alla stessa età del bambino, studiai prima di renderlo libero.
Sei morta?
Mi venne da sorridere alla voce flebile del bambino, eppure senza un motivo di pudore. I bambini non hanno mai quella vergogna di parlare, di dire ogni cosa senza pensarci. Per questo erano i miei preferiti.
Dovette accorgersi del mio minimo movimento delle labbra perché emise una leggera risata “No, non lo sei…” si avvicinò ancor un po’ a me poggiando la sua piccola manina sulla mia gamba. La sua piccola mano calda, piena di vita, pulsante… sulla mia gamba gelida. “E non stai nemmeno dormendo… Apri gli occhi
Mi chiesi dove fosse sua madre. Perché l’aveva lasciato solo? Non avrebbe dovuto… Il bambino invece di me avrebbe potuto trovare qualche peccatore, e allora sarebbe stati guai. Con un leggero fastidio, leggerissimo però, aprii gli occhi. Inizialmente vidi il volto del bambino del tutto sfocato, ma chiudendo e riaprendo gli occhi velocemente cominciai a capire meglio i lineamenti del volto. Pelle chiara, capelli biondi a caschetto ed occhi meravigliosamente azzurri. Sembravano tanto color cielo. Il cielo limpido in una serena giornata d’inverno. Gli sorrisi, e lui fece lo stesso.
E adesso? Perché hai voluto che aprissi gli occhi?” gli chiesi fra l’essere scocciata dal turbamento del silenzio e il simpatico. Ma sicuramente il bambino si era reso conto solo del secondo sentimento, oscurando il primo.
Si avvicinò e si sedette accanto a me. “Voglio parlare. Mio padre dorme e.. lui dorme sempre. Ed io sono sempre solo…
Non appoggiava nemmeno i piedi per terra, per quanto fosse piccolo. Lo osservai sorridendo.
Bene… allora parliamo” sussurrai, accarezzandogli la testa.
Di certo non avrei preso io il filo del discorso, ma sapevo già che l’avrebbe fatto il marmocchio accanto a me.
Perché sei sola? Non hai la mamma e il papà tu?
E non era proprio il filo del discorso che desideravo prendere. Il mio sguardo cambiò. Il sorriso scomparve, così anche quelle fossette sul volto che mi spuntavano quando sorridevo. Serrai le mascelle per qualche istante socchiudendo gli occhi.
Non ci sono più
Perché?
Mi voltai guardandolo. Aveva quei occhi così incantevoli… “Perché… Perché il Signore li ha portati con se
Umh…” guardò dinanzi a se “.. Dio non deve essere poi così buono come dicono
Sgranai gli occhi per qualche istante prima di sorridere. Mi ricordai della morte del nonno. Il signore che dava la morte.. il Signore buono… La morte Buona. Erano tutti passaggi della mia mente, passaggi reali. “No… No… Dio è molto buono. Il Signore li porta li sopra per non farli soffrire più, perché li sopra c’è un mondo migliore, una vita migliore…
Ma rende infelici gli altri” lo guardai un attimo senza capire. Lo sguardo gli era diventato triste in un sol attimo “La mia mamma è morta quando sono nato. Non l’ho  mai conosciuta.”
Pensai che doveva essere strano essere senza una mamma. Senza una persona che ti coccolasse sin da piccolo, che prendesse le tue difese, che ti teneva fra le braccia anche quando eri grande… solo perché glielo chiedevi con gli occhi luccicanti di lacrime. Gli sorrisi, alzai la mano e gli accarezzai i capelli “Ma la tua mamma ti vuole bene lo stesso. Sta li sopra e ti osserva. Ti guarda, ti manda messaggi…
Non è vero” scosse la testa facendo agitare quei capelli color sole “Il mio papà dice che sono tutte cazzate” sbarrai lo sguardo. Non tanto per la parola usata – anche, se devo ammetterlo – ma tanto per il padre che aveva detto che tutto questo erano solo delle cavolate. I bambini dovrebbero sapere la verità sin dal principio. I bambini dovrebbero credere a tutto già da piccoli, anche più piccoli del bambino di fronte.
E tu credi di più a tuo padre?
Annuì. Sicuramente non aveva altra persona al mondo se non il padre.. ecco perché gli credeva.
Gli sorrisi scuotendo il capo “E tu credigli.. Ma vedrai che tua madre presto o tardi ti manderà un messaggio
Mi guardò sorridendo, come se fosse estasiato dalla mia risposta. Si inarcò verso di me per abbracciarmi, e lo fece… solo qualche secondo. Restai sospesa, sospesa nel vuoto quasi. Alzai le mani come se il bambino mi stesse puntando una pistola. Rigida nel corpo, proprio come un tronco d’albero. E il bambino non sembrava essere nemmeno un po’ imbarazzato.
James!” la voce maschile mi fece quasi sussultare. Un uomo sui venticinque anni spuntò dinanzi la porta della camera. Aveva i capelli scuri, gli occhi verdi, carnagione olivastra. Non somigliava per nulla al bambino. Sicuro che egli somigliasse maggiormente alla mamma che al padre. “James, quante volte ti ho detto che non devi disturbare le altre persone?!
Si avvicinò al bambino che si distaccò da me, guardando il padre con un misto di terrore e vergogna. Guardai prima l’uno e poi l’altro.
Papà… Papà aspetta…”
Te l’ho detto un sacco di volte!” lo prese per un braccio strattonandolo quasi facendolo cadere per terra.
Rimasi scioccata. “Sign…
Chiedi scusa
Il bambino mi guardava con gli occhi pieni di lacrime.
L’uomo lo strattonò ancora per un braccio “Chiedi scusa, James!”
Guardi che …
Scusi”
Mi fermai sul bambino. Il labbro in giù, triste. Il volto rivoltò sul pavimento. Gli occhi allagati di lacrime. Mi resi conto che le scuse non erano sincere, semplicemente perché il padre l’aveva costretto a farlo, a chiedermi scusa.
“… non c’era alcun bisogno”, fermai lo sguardo sull’uomo il quale ricambiò. “James non stava facendo nulla di male. Stavamo parlando del più e del meno” gli spiegai continuando a guardarlo.
L’uomo non poté far altro che scambiare lo sguardo dal mio a quello di suo figlio.
Andiamo” lo voltò prendendolo per mano “E mi scusi ancora…
Mi dava le spalle, ma riuscii a percepire il suo volto. Serio, sfinito…
Il mondo continuava ad essere pieno di sofferenza.
Il bambino non aveva la madre, e un padre che cercava di educarlo, di farlo venire su bene… senza aver alcun riscontro positivo.
Da questo capii che avrei dovuto cambiare destino. Da questo capii quello che avrei dovuto fare.

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Capitolo 10
*** Terry ***


[Immagino proprio che non sia più un genere del tutto horro, ma spero che la storia continui ad appassionarvi, anche questo cambiamento. Ma attenzione: le persone non possono cambiare così velocemente. Specialmente, alle volte cambiare è difficile... XD Buona lettura e recenzite, se volete]

Capitolo 10
Terry

 
Se la mia storia era cominciata con omicidi, adesso stavo cercando di cambiare. La morte di mia madre mi aveva portato a pensare che la sofferenza non può che portarne altra, e sempre ancora. Qualcuno finisce di soffrire e ci sarà sempre un altro a soffrire ancor di più. Era qualcosa che non riuscivo a concepire, qualcosa che mi sconvolgeva… eppure si, era reale. La prima io avevo sofferto tanto nell’uccidere mia madre, ma ancor più costatando che lei non ci sarebbe stata più, che non avrei più potuto osservarla di nascosto, osservare i suoi lineamenti che giorno dopo giorno invecchiavano. Non avrei più potuto osservare i suoi occhi grigi ormai spenti, sempre pieni di lacrime. Non avrei più potuto osservare quel sorriso bagnato di lacrime mentre leggeva qualcosa di mio o guardava le foto.
Non l’avrei più rivista.
E avevo deciso.
Se il Signore mi aveva chiesto più volte di togliere la sofferenza, forse non c’era bisogno della morte in alcuni casi. Forse in alcuni casa bastava… bastava cambiare il modo di vivere. Forse alle volte si poteva cambiare la sofferenza in felicità. Ed io potevo farcela… potevo aiutare qualcuno a cambiare la sua vita, a cambiare la sofferenza in qualcosa che si avvicina alla felicità.
Fu per questo che andai a lavorare in un centro assistenza. Non era proprio un lavoro. Mi ero proposta come volontariato. Non ricevevo denaro ed in cambio cercavo di aiutare la gente.
Li di persone sofferenti ce n’erano abbondantemente. Da bambini a vecchi, donne e uomini, ragazzi e ragazze.
In primo tempo mi sentii spaesata. Tutta quella sofferenza… Come avrei fatta ad eliminarla tutta? Ricordai quelle fiamme, quella puzza di gas… Ricordai il mio secondo omicidio. Era stato qualcosa di esilarante, qualcosa che non dimenticherò mai per tutta la mia vita. E li avrei dovuto far la stessa cosa… Solo che non era possibile.
 
Avevo vent’anni.
Al centro mi facevano assistere qualunque, ma io preferivo parlare con i bambini. C’era chi parlava troppo, c’era chi non parlava proprio. Era una bambina a cui venivano fatte delle codine alla testa, volto pulito. Aveva sette anni forse, se ricordo bene. Indossava una salopette jeansata, una magliettina colorata di sotto e delle comode scarpe da tennis. La prima volta che la vidi era seduta su una della scala del’edificio. Stava giocando con delle biglie colorate. Le prendeva e le esaminava con cura, proprio come io qualche anno prima facevo con i coltelli, prima di uccidere qualcuno.
Lentamente, più silenziosa di una gatta, mi avvicinai alla bambina e mi sedetti vicino.
Ciao!
La bambina sussultò prendendo il sacchetto con le biglie e portandolo al petto. Le labbra avevano preso la forma di un broncio, e la sua espressione era… era.. davvero arrabbiata. Ma con chi? E per cosa?
Non voglio prenderti le biglie, tranquilla”, come se potessero interessarmi. Ma era pur sempre una bambina, normale che tenga maggiormente alle biglie che ad altro. Magari non teneva nemmeno al’affetto umano. “Come ti chiami?
La bambina abbassò il capo senza emettere un sol suono. Nessuno parola. Uscì due biglie e cominciò a giocarci facendo finta che io non ci fossi.
E va bene” sospirai. Non ero la tipa che mi arrendevo così facilmente, quindi sorrisi. “Io mi chiamo Sarah, e ho vent’anni.” Va bene, diciamo che non le interessava nemmeno questo e quella bambina stava cominciando a darmi un tantino sui nervi. Quella sua inespressività, quel suo modo di reagire… tanto simile al mio. Non le importava di nulla e nessuno. Come ero io. Non mi importava delle persone, solo di me stessa. Non parlavo con le persone perché mi prendevano per pazza. Non parlavo con la gente semplicemente perché loro non capivano. E invece lei perché non parlava? Che motivo aveva per racchiudere la sua voce dentro i polmoni? “Sai, quand’ero piccola, anche più grande di te, nemmeno io parlavo.” Alzò il capo. Adesso sembrava alquanto interessata “La gente non mi capiva. Pensava che fossi pazza, e allora mi richiusi in me stessa perché… perché…  non volevo essere presa per una folle per quel che facevo. Lo facevo per bene, per chi sta in cielo e che mi aveva chiesto di…” mi fermai. Non potevo rivelare tutto alla bambina. I segreti del signore erano di lui, e se mi aveva scelto non potevo certo raccontare a tutti che Cristo mi aveva dato il compito di uccidere. La questione si sarebbe ripetute ed io sarei stata nuovamente presa per la folle che non ero. Ma la bambina sembrava abbastanza curiosa, mi guardava con quei occhi grigi spalancati. Voleva sapere. Sospirai socchiudendo gli occhi “… parlare con gli animali” inventai sul momento. Non era vero, nessuno era in grado di parlare con gli animali, tranne me con Linguetta, si intende. “E quindi le persone mi prendevano per pazzi”
La bambina mi guardava , seria inizialmente. Poi le sue labbra si inarcarono sino a formare un sorriso. Sorrisi anche io. “Davvero puoi parlare con gli animali?” che bella voce che aveva. Una bellissima voce fina.
Annuii mentendo. Ma che importava una bugia quando potevo far parlare quella bambina. “Prima. Adesso non più. Non credo almeno” spiegai guardandola “Adesso me lo dici il tuo nome?
Terry
Che bel nome!” alzai una mano per scompigliarle i capelli ma a quel gesto si scostò deviando la mia mano che rimase in aria. Tornò il suo sguardo cupo. “Terry…” non feci in tempo a dir altro che la bambina, proprio come prima, si alzò con le biglie e corse per le scale sino a chiudersi dentro una stanza. Era strano. Era davvero strano quel comportamento. E volevo scoprire cosa le fosse successo per aver quell’atteggiamento. Non ero semplicemente curiosa, volevo scoprire il codice per eliminare la sofferenza di Terry, e ci sarei riuscita.
 

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Capitolo 11
*** Risata di cuore ***


Capitolo 11
Risata di cuore

 
Vedere la sofferenza degli altri mi rincuorava. Perché la vedevo, non la eliminavo. Provavo sempre un enorme rabbia quando vedevo qualche bambino che soffriva, o qualche povero anziano. Ma capii che la sofferenza è qualche che regala anche la vita, qualche che non dovrebbe esistere, ma che ha creato lo stesso Signore che ha creato la felicità. Ingiustamente, ma l’ha creata.
La notte preferivo chiudermi della mia stanza con un po’ di musica classica. Mi permetteva di dormire senza sentire i gemiti delle persone anziane o i pianti dei bambini.
La maggior parte del tempo lo passavo con i bambini, ma specialmente con Terry. Era lei che volevo capire. Era lei che volevo far parlare, sebbene ci riuscissi sempre meno. Ciò che sapevo era che non voleva essere toccata. Odiava il rapporto fisico, e non appena qualcuno faceva senno di toccarla si rabbuiava e scappava via, con lo stesso muso in volto. Era qualcosa che mi premeva, che non riuscivo a capire. Spesso le avevo chiesto il motivo, ma l’unica sua risposta era stato uno sbuffo… nulla di più.
A pranzo tutti mangiavamo nella mensa. I bambini si mettevano con i bambini, e poi c’erano i tavoli per i volontari e per i lavoratori. Solitamente preferivo sedermi sola con un blocchetto a lato in cui scrivevo e disegnavo alcune scene. Se a quindici anni disegnavo persone malconce e davvero tristi, adesso disegnavo il bene. Cercavo di trovare una risposta a: “qual è la felicità del mondo?”. Beh, potevano essere i bambini allegri. Poteva essere un sorriso di qualcuno. Poteva essere un bacio dato al vento per qualcuno… Ma questo poteva far scomparire la sofferenza? Forse non del tutto… Ma una minima parte si.
Mi trovavo con il vassoio dinanzi, con sopra un po’ di pasta allagata dal sugo, una fettina di carne, qualche patatina e un budino. So che la gente normale comincia sempre dalla pasta, ma io adoravo cominciare dalla dolcezza, e quindi dal budino. Ne presi un cucchiaino e lo richiusi fra le mie labbra assaporandone il sapore dolciastro del cioccolato.
Sarah?”, mi sentii chiamata e non poté che alzare il capo. Purtroppo sopra non vidi nulla, quindi lo riabbassai incrociando il mio sguardo con un bambino biondo dagli occhi azzurri. Mi sorrideva e mentre lo faceva corse da me.
Ciao James
Riconobbi il bambino del treno che era stato rimproverato dal padre per avermi disturbata. Mi abbracciò e gli accarezzai il capo. Non ci conoscevamo, avevamo scambiato solo due chiacchiere … eppure lui sembrava conoscermi da secoli. Cosa che apprezzai. Mi piaceva quel senso di voler bene, mi faceva sentire protetta oltre che amata, in un certo senso.
Sono contento di vederti qui. Lavori qui?
Annuii due volte.
In quel momento arrivò anche l’uomo del treno, il padre di James, con un vassoio rosso in mano. Era strapieno di cibo. Guardò James e poi alzò lo sguardo su di me. Sembrava scosso un tantino, e non capii se per suo figlio che mi abbracciava o perché era sorpreso di vedermi nuovamente.
Salve” si sedette al mio tavolo senza chiedermi permesso, ma saltai il particolare. Infondo il tavolo era per tutti e poi mi piaceva la compagnia di James. “James ti ho preso le patatine, dai. Mangia prima che si raffreddino
James si distaccò da me sedendosi accanto al padre.
L’uomo alzò lo sguardo verso di me mentre versava della salsa rossa sulle patatine del figlio. “Quindi… Lei lavora qua?” mi chiese, con quel che credetti un sorriso. Non l’avevo visto sorridere sul treno, e nemmeno poco prima.
Sorrisi anche io, annuendo “Volontariato, per la precisione
Anche io
Annuii ancora, mettendo in bocca un po’ del mio budino mischiandolo anche con il sugo della pasta. Ero peggio dei bambini che mischiavano qualunque cosa, ma la cosa mi importava poco. Che male avrebbe potuto farmi? Forse mal di pancia? Bene… avrei sofferto un po’. Più soffrivo di dolore fisico più mi sentivo vicino al Cristo. Era strano anche da pensare ma si.. era così!
Quindi lavoreremo assieme
Direi di si” alzai il volto sorridendo un tantino.
Voleva parlare… Cosa che sul treno non s’era visto. Si sentiva anch’egli solo? Forse… Ma per me la questione non era tanto drammatica. Avevo vissuto anni nella solitudine, che male avrebbe potuto farmi qualche altro anno? O… per sempre?
Nessuno.
Wow!” esclamò James con una patatina in bocca e le labbra sporche di quella salsetta rossa “Che bello! Che Bello, che bello, che bello!
L’uomo si voltò verso suo figlio con una smorfia di disgusto “James, che schifo! Pulisciti la bocca, dai!” prese un tovagliolo cercando di prendere il volto del figlio per pulirlo per bene.
Scoppiai a ridere.
Non sapevo nemmeno io perché, ma quella scena.. quella scena mi fece venire una strana sensazione allo stomaco. Pian piano le labbra si mossero sul mio volto all’insù sino a che un onda non attraversò il mio stomaco e uscì dalle mia labbra in una risata. Una fragorosa risata più che divertita.
Il tizio mi guardava stranita, mentre James aveva preso a ridere come me, forse più forte.
Mi.. mi scusi. Davvero, non era… non era mia… intenzione…” non riuscivo a frenarmi.
Da quanto non ridevo? Ma specialmente, da quanto non ridevo in questo modo?? Ero davvero divertita. Stavo ridendo col cuore oltre che con la testa.
Di nulla, signorina.” Sembrava essere diventato di nuovo serio, come se la mia risata l’avesse infastidito.
Non parlammo più.
Finimmo di mangiare, e ognuno andò al proprio lavoro. 
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Me!: Ammetto ancora una volta che la storia dall'horror (al quale ritornerò) sta cominciando ad andare sul lato drammatico o anche romantico. Ma questo non cambierà il genere di prima.. perchè la nostra Nessuno o Sarah, come adesso si fa chiamare, avrà ancora il tempo a la volontà di rispettare il suo patto con Dio, la sua volontà. Il suo volere. Ma nel mentre... che ne pensate?? Che ne pensate di questa nuova Sarah che, da pazza scatenata, adesso è diventata volontaria al benessere?
Fatemi sapere.
Baci!

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Capitolo 12
*** Punizione ***


[Buona lettura!]

Capitolo 12
Punizione.

 
Il mio compito era quello di far giocare i bambini. Che compito assurdo, come se i bambini dovessero aspettare me per giocare. Come se io fossi davvero adatta per quel compito. Se volete proprio saperlo, no… Non mi sentivo adatta per un compito del genere. Solitamente i bambini giocavano, facevo per loro delle cacce al tesoro, con tesoro delle caramelle. Era l’unica cosa che veramente li rendeva felici. Mentre io mi passato il tempo a scattare delle foto. Delle meravigliose foto a quei bambini. Fermavo il loro sorriso, la loro felicità, quei attimi di gloria nell’aver trovato il tesoro.
E, credetemi, era qualcosa che riempiva il cuore.
Un po’ come il pensiero della morte. Comincia ad entrarti nelle vene, piano… Lentamente. E come una coperta ti ricopre l’anima, e riempie il cuore. Qualcosa di estenuante che non puoi dimenticare. Come potresti riuscirci dopo aver ucciso un paio di persone? Dopo aver ucciso il tuo stesso sangue, tua madre?
Mi bloccai qualche attimo nei miei pensieri e non mi accorsi immediatamente del gruppo di bambini che stava in cerchio. No che mi incuriosirono tanto, ma il mio sesto senso – se così possiamo chiamarlo – mi disse che c’era qualcosa che non andava. Posai la macchinetta fotografica di lato e mi avvicinai al gruppo.
Dai, che aspetti… uccidila!
“No, che schifo! Io non l’ammazzo quella cosa!”
E’ solo…
Che diavolo state facendo?
Si voltarono tutti verso di me. Erano cinque bambini quasi tutti della stessa età. Dieci, forse undici anni. Alzai la testa per vedere cosa c’era attorno al cerchio. Era un ape. Una piccola ape che cercava di volare ma non poteva visto che aveva il bastone di uno dei bambini sopra il corpo. La sentivo gemere, la povera ape. Riuscivo a sentire il suo dolore, la sua ira… Riuscivo a sentire l’adrenalina dentro se che gli impediva di uscire fuori. E sentivo la mia di adrenalina, che cresceva dentro lo stomaco. Era una sensazione insopportabile.
Erano peccatori.
Volevano uccidere una povera ape. Una piccola e docile ape.
Brutti marmocchi!” non potei guardarmi allo specchio, ma non mi ci volle molto per capire che il mio volto era diventato rosso di ira. Il sangue batteva nelle tempie. Avrei dovuto ucciderli, uno per uno. Uno dopo l’altro. E con le torture peggiori. Strinsi i pugni nelle mani. Se avesse stretto ancor di più mi sarei tagliata con le mie stesse unghia.
E’ solo…
“… un ape?”interruppi il bambino che teneva il bastone e continuava a torturare la piccola ape. “E pensi che un ape non abbia il tuo stesso diritto di vivere? Pensi che quella piccola creatura abbia meno diritti di te? Chi sei tu per poter decidere il suo avvenire? Chi diavolo sei tu per poter decidere il destino degli altri?!” senza rendermi conto avevo alzato un po’ il tono della voce. I bambini mi guardavano inorriditi. Nuovamente mi sentii guardata come se fosse pazza. Quei occhi, quello sguardo… Non ero io ad essere pazza, erano loro a non capire ciò che sentivo. Senza aspettare qualche minuto in più presi la mano del bambino e tolsi il bastone. La piccola ape arrancò un po’, prima di poter prendere il volo. Fortunatamente  per i marmocchi, l’ape non ebbe risentimento – cosa che sicuramente avrei avuto io – e non tornò per pungerli. A che scopo poi? Sarebbe morta lo stesso. Si sarebbe ucciso per cosa? Dar una lezione a un moccioso? Non ne sarebbe valsa la pena, perché è raro che cambino per una puntura d’ape. Feci un piccolo sorriso, osservandola ancora volare. Mi voltai per andarmene.
Sei una stupida! Chi ti mischiava nel nostro gioco?!” la voce del bambino arrestò il mio passo. Mi voltai verso di lui guardando dall’alto del mia altezza – sebbene non fossi un colosso, ma solo qualche centimetro più di loro. “Stavamo giocando, stupida Cozza!”
Rimasi inorridita. Non tanto per le prese in giro, ma quanto per quello che aveva detto. Stavano giocando. Loro stavano solo giocando… Che cosa orrenda. Che … che schifo!
Mi avvicinai di qualche passa.
Giocando…” ripetei con tono basso. “Ma certo. Voi stavate solo.. giocando!” solo a ripetere mi veniva una grande nausea allo stomaco. Sentivo salirmi qualcosa in gola. Sapevo che era la rabbia. E più quel bambino parlava più me lo immaginavo legato in qualche letto a farlo soffrire, come quella povera ape che prima lui stesso stava torturando per… per gioco! Sorrisi fra il disgustato e il sarcastico, avvicinandomi ancora. Gli altri bambini, vedendo forse della follia nei miei occhi, fecero qualche passo indietro. Ma non quello che stava cercando di sfidarmi. Lui rimase immobile a fissarmi “E quanto gusto ci provi a giocare con la vita delle altre creature?
Mi fissò seriamente, ma quella serietà finì un momento dopo lasciando posto ad un sorriso per nulla gioviale. Maligno. Ecco com’era quel bambino: maligno. Una creatura del male, del Diavolo. “Più di quanto immagini
La rabbia aumentava, ma così anche la meraviglia. Socchiusi un attimo gli occhi.
Uccidere. Era questa la voglia che avevo. Un essere così doveva solo essere eliminato. Non aveva importanza che fosse solo un bambino.. Doveva semplicemente sparire dal mondo.
Davvero?” sorrisi appena. Feci un passo, e un altro.. e un altro ancora, sino ad essere vicino a lui. Mi abbassai per mettermi alla sua altezza. Gli occhi castani mi squadrarono. Con velocità presi il suo braccio e lo strinsi. “E ti piacerebbe soffrire, eh? Dimmi, piccolo… Proveresti gusto nel provare il sapore del dolore, di sentire il sangue fermarsi attimo dopo attimo. Di sentire il tuo cuore battere forte, velocemente… e poi sentirlo battere sempre più piano. Dimmi, quanto gusto proveresti nel provare il dolore della morte?” ad ogni mia parola la mano aumentava la sua stretta.
Il bambino gemeva. Era diventato pallido. Le mie unghia affondavano nella sua tenera carne, lasciando le macchie di sangue. Dolore… era questo che trovai sul suo volto. Ed era così piacevole. Era così sublime assaporare il dolore di quel peccatore, figlio di Satana. Un sorriso mi percorse il volto.
Non è così bello, vero? Non è così esilarante come la sofferenza che provano gli altri, non è così?
Ti prego, smettila!” il bambino aveva cominciato a piangere. Lacrime. Erano sempre quelle che vedevo quando erano messe alle strette. Il sangue aveva cominciato a scendere sulla mia mano, ma io continuavo a stringere. Doveva provare lo stesso malessere dell’ape, il suo stesso dolore, la sua stessa voglia di scappare via.. di essere libera. E lo avrebbe capito non appena avesse provato quel dolore che lo avrebbe portato al pensiero della morte.
Sai, anche l’ape chiedeva di essere lasciata in pace. E tu volevi ucciderla. Avresti saputo vivere con il peso di aver ucciso una creatura vivente? Avresti poggiato la testa sul candido cuscino e dormito col pensiero di aver messo fine alla vita di una creatura di Dio?
Il bambino continuava a piangere senza emettere alcun suono se non quello dei gemiti.
Sarah?
Continuavo a stringere, sempre più.
Sarah? Che diavolo fai?!” il papà di James, di cui spesso dimenticavo il nome, si avvicinò a me prendendomi per un braccio. Alzai lo sguardo su di lui e lo vidi. Vidi il suo sguardo spaventato, inorridito, scandalizzato. “Che stai facendo?” mi chiese con voce flebile.
Lo punisco” ero seria, e non poco.
Mollalo, dai.”
Come potevo mollarlo? Una scena del genere gli sarebbe potuta costare un braccio!
Sarah, mollalo!”
Mi decisi a mollarlo, sebbene la mia ira crescesse. Ritrassi la mano bagnata del suo sangue. Il suo sangue peccatore.
Guardai il volto scandalizzato del bambino.
Guardai il volto scandalizzato dell’uomo.
Guardai la mano… E con un sorriso mi voltai e me ne andai.

[Angolo Autrice: Pensavate che Nessuno o Sarah si fosse rasserenata? Beh, vi sbagliavate di grosso. La mente di una pazzoide non può cambiare.. Può solo dimenticare, cercare di cambiare per qualche attimo.. Ma non all'improvviso, e non subito. Ha solo cambiato progetto... nulla di più.
Grazie di aver letto , e commentate se volete, che mi piace davvero tanto leggere i commenti!
Grazie, Very!]

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Capitolo 13
*** Insegnamenti ***


Capitolo 13
Insegnamenti

 
Nella stessa giornata piovve. Provavo pace. Provavo solo pace quando quelle lacrime celestiali cadevano piombando sul terreno. Cominciava sempre lentamente, la pioggia, proprio come quando si piange… e poi comincia ad aumentare la velocità. Anche il cielo talvolta ha bisogno di sfogarsi.
Da piccola mia madre mi diceva che erano i santi e Cristo che piangevano. Piangevano per noi, per quello che accadeva nel mondo. Tutti gli omicidi, tutte le persone morte.. Il cielo lo ricordava, e piangeva per tutti.
Mi chiesi se il cielo stesse piangendo anche per me. Avevo sbagliato quel giorno? Avevo fatto qualcosa che non andava fatto? Ci pensavo in tutti i minuti… ogni secondo il mio pensiero stava a quel bambino a cui avevo stretto il braccio. Il braccio era una sciocchezza… avrei dovuto staccarglielo per ciò che aveva commesso, avrei dovuto ucciderlo senza pensarci. Era questo che meritava, quel… quel Peccato.
Ciao
Mi voltai per vedere chi era a salutarmi. Ma dalla voce non mi venne difficile riconoscerlo.
Ciao”, ricambiai.
Lui si sedette accanto a me, su uno scalino dell’edificio. Non venivamo bagnati visto che c’era il tetto di sopra a proteggersi.
Cosa fai?”, mi chiese.
La curiosità della gente mi ha sempre dato fastidio, ma non poté che sospirare “Penso” Guardavo verso destra… mentre lui stava alla sinistra. No che non volessi guardarlo, ma era stato lui a fermarmi. E mi aveva guardato come se io avessi sbagliato. E adesso cosa voleva? Dirmelo in faccia? Voleva capire se fossi davvero una pazzoide? Voleva capire se…
Perché hai fatto quella cosa oggi?
Per appunto, voleva sapere perché l’avevo fatto.
Un sorriso quasi malinconico – forse pentito – mi crebbe sul volto. “Andava fatto
Andava fatto?” ripetè con voce quasi sconcertata. Sicura nella sua Bibbia non c’era scritta una cosa del genere. Secondo lui doveva essere solo perdonato. “Sarah hai quasi strappato la carne a quel ragazzino! Che vuol dire che < andava fatto >?!
Mi voltai per guardarlo. In effetti aveva lo sguardo quasi smarrito, sconcertato.
Senti…” il nome. Non lo ricordavo mai.
Nath
“… Nath.” Lo ripetei velocemente, senza smettere di guardarlo “Ha quasi ucciso un ape. L’ha torturata. La teneva sotto un suo bastone caratterizzando i minuti di quella piccola ape che desiderava solo volare. Per te non è nulla, certo.. Ma andava fatto, se no non avrebbe mai capito.” Mi voltai nuovamente dal lato opposto guardando un albero. “E non capirai nemmeno tu” sussurrai.
Per qualche secondo non parlò. Lo sentii solamente prendere qualcosa dalla tasca. Con la coda dell’occhio mi accorsi che stava prendendo una sigaretta. La portò alle labbra e l’accese con un accendino. Odiavo il fumo, odiavo chi fumava. Ma di certo questo non era un peccato mortale… Questo era solo un vizio. Uno stupido vizio.
Se non sbaglio il “Non uccidere” è uno dei comandamenti del Signore, giusto?” quella domanda mi restò per qualche attimo senza parola. Cosa ne sapeva lui di chiesa? Aveva detto a suo figlio che sua madre era morta… Punto. No che fosse andata in un mondo migliore, semplicemente la madre di James era morta.
Precisamente” mi decisi a rispondere dopo qualche secondo.
E tu? Hai mai ucciso?”
Bloccata, Rimasi bloccata. Cosa voleva sapere? Perché voleva saperlo? Era un poliziotto per caso? Mi voltai per guardarlo in volto. Potevo leggere la sua anima, il Signore mi aveva anche dato questo potere. La vedevo pulita, si. I suoi occhi sembravano sinceri, come il suo sorriso pulito.
Forse” era solo un sussurro, forse nemmeno. Forse mi uscii solo fra le labbra, ma nulla di che.
E il Signore? Secondo te ha mai ucciso?
Che razze di domande erano? Mi stavano mandando in pappa il cervello! Continuavo a guardarlo in modo stranito. Non… non poteva chiedermi una cosa così… così ovvia.
Come puoi chiedermi una cosa del genere? Il Signore…
Secondo me Si”, non mi permise nemmeno di rispondere. Ma la sua risposta mi bloccò. Si… Secondo lui il Signore si era sporcato le mani di sangue. Del nostro sangue, sangue umano. No, non poteva dire una cosa del genere. Scossi il capo senza smettere di guardarlo. “Si, Sarah.” Continuò ad annuire con quel sorriso in volto “Come mi spieghi allora la morte della mia ex moglie, nonché madre di James?” Ci fissammo per qualche attimo. Io non riuscivo a parlare. Per me il Signore era tutto. Non avevo una casa, una madre, una famiglia… ma se lui era li sopra mi importava solo di questo. “Elèna aveva un cancro. Quando concepimmo James non lo sapevamo ancora, ma gli esami lo certificarono. < O Lei o il Bambino >, disse il dottore. Quel Cancro era entrato nelle nostre vite come lo era entrato quel piccolo bambino. Eppure Elèna piangeva… Di felicità. Non dimenticherò mai il suo sorriso inondato di lacrime mentre mi diceva < Io morirò ugualmente.. Quanto vale morire per dare la vita ad una creatura. La nostra creatura >.
Non riuscivo nemmeno a respirare. Gli occhi mi si riempirono di lacrime in qualche attimo. La pioggia era aumentata, come se lo stesso Cielo capisse la gravità di ciò che succedeva.
Continuava a crescere, sia la malattia che il feto. La vidi invecchiare in quel nove mesi, come se passassero ad ogni mese un anno. O dieci, per la precisione. La pancia le si ricopriva piena di lividi, e anche la pelle. Vedere la sua pancia macchiata di bluastro non era mai uno spettacolo esilarante ma… La baciavo. Perché l’amavo. Elèna era la mia vita. Elèna era il mio presente, e sarebbe stato il mio futuro se… se non avessimo concepito James.” Continuava a guardarmi negli occhi. Ed io non capivo se trovato quella storia terribilmente sconcertante o solo qualcosa che aveva caratterizzato la vita di Nath ed Elèna, nonché di James. “Al parto era senza forze. Il Cancro si stava mangiando tutto dentro lei. Partorì con l’auto dei medici e morì. Aveva dato alla luce James e lei era andata via lasciando il vuoto dentro noi, specialmente dentro me” sospirò. Prese aria come se quella storia l’affliggesse. Affliggeva anche me. “Poco dopo mi dissero che James aveva ereditato il cancro dalla madre. Mi dissero che al momento era in forma benigno, che fino ai dieci anni non mi avrebbe dato molti problemi. Dovevo trovare gli organi giusti, con il suo stesso sangue. Ma siamo in un paese in cui ormai si preferisce morire che essere tagliati e morire lo stesso” mi sorrise, un sorriso ricco di risentimento. Credeva di non aver fatto nulla.
Una lacrima mi scivolò sul volto, mi rigò la guancia. Ma non smisi nemmeno un secondo di guardarlo. “Perché dici a James che sua madre non sta in cielo? E’ li che stanno tutti i morti… in un posto migliore
Mi sorrise scuotendo il capo “E quale madre abbandonerebbe il figlio per andare in posto migliore, Sarah? Tu lo faresti?
Nuovamente mi bloccò con quelle domande. Non aveva ragione, perché Elèna era andata via perché era malata donando la vita a James. Ma bisogna vedere la mentalità di un bambino. Cosa avrebbe pensato se Nath gli avesse detto che Elèna, sua madre, fosse andata in un luogo migliore, più bello? Se la sarebbe presa?
Il Signore da… Ma toglie anche” continuò “E’ il ciclo della vita, Sarah. Gli animali uccidono per mangiare, gli uomini uccidono per pazzia o… < misericordia >. E Cristo… Cristo uccide per noi, per metterci alla prova”  lo guardai senza capire, e mi sorrise “Se Elèna non fosse morta io non avrei avuto James. Se James non fosse nato Elèna non fosse morta. Ma ti assicuro che in un certo senso la morte di Elèna non ha potuto che rendermi felice. Ringrazio sempre il signore di avermi dato James.”
Nath mi stava insegnando tante cose. Cose a cui non avevo pensato, ma che adesso mi sembravano fatali. Lo guardai, e mi alzai senza nulla dire.
Dovresti dire la verità a James. E’ un bambino intelligente e… capirebbe
Annuì.
Gli sorrisi e me ne andai.
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[Angolo Autrice: Spero che questo capitolo non sia troppo religioso. Comunque, quello che dice Nath sono le stesse cose che penso io. Va bene non sono granchè praticante della religione, non ho mai creduto davvero nel signore... in gesu cristo e tutti gli altri. Io mi limito ad osservare davvero quello che succede, e se c'è qualcuno in cui crede davvero al signore, secondo me sono davvero gli Atei.
E dopo questo, spero che vi sia piaciuto questo dialogo riflessivo!
Se avete voglia recensite!
Un bacio, Very!] 

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Capitolo 14
*** Pensieri.. ***


Capitolo 14
Pensieri..

 
Vivere dentro quell’istituto non faceva che rendere la mia mentalità sempre più accesa. Dovevo portare il rispetto li, dovevo riuscire a far capire ai mocciosi che quello che loro credevano solo un semplice gioco in realtà metteva a rischio la vita delle creature di Dio. Ma erano bambini, ecco perché non riuscivano a capirlo.
Anche io mettevo il destino delle persone sulle mie mani, e le chiudevo, rendendole mio. Ma la mia era una cosa diversa: io lo facevo per il volere divino di Cristo. Era lui a segnalarmi il sangue buono e quello avariato, brutto e amaro. Era lui a segnalarmi i figli di Satana. E il piccolo che aveva quasi ucciso l’ape lo era.
Ma ben presto decisi di dimenticare il misfatto. Decisi di assecondarlo un po’ fingendo di essermi dimenticata di ciò che aveva commesso. E le mie giornate tornarono a guardare i bambini, ad osservare i loro sorrisi. Ad ascoltare le loro risate. Ed io passavo il tempo a disegnarli sul mio album da disegno. Non c’era nemmeno un anima triste adesso li. Semplicemente qualcosa di felice.
Ma c’era ancora qualcosa che non andava… C’era qualcuno che non andava.
Mi voltai incrociando appena lo sguardo con Terry. Era li, accanto a me. Ed era sola.
Perché non sei a giocare con gli altri bambini?
Fingi di non interessarmi molto continuando a disegnare. Infondo non mi interessava granché perché non giocasse. Mi sarebbe interessato, invece, capirla meglio. Capire quella forma di disaggio che aveva nello sguardo.
Terry ovviamente non rispose, continuando a giocare con un filo d’erba per terra. E mi infastidiva davvero quando non rispondeva. Purtroppo non potevo far altro che stare a guardare ogni sua mossa. Era l’unica anima triste li, in quel luogo. Perché gli altri potevano essere figli di Satana, ma avevano sempre il sorriso sulle labbra. E Terry? Terry non aveva nell’uno nell’altro. Non aveva ne il sorriso gioioso di Cristo né quello peccaminoso del Diavolo.
La bambina tirò un sospiro che io ascoltai attentamente. Era un sospiro di quelli che tengono dentro tante cose, senza che si riescano a dirle.
Qualcosa non va?” chiesi, ancora senza guardarla. Ma continuavo a fingere di non esserle molto interessata. Era questo che lei voleva, no? Ed era questo che io facevo. Fingevo…
Oggi viene il mio papà” voce fina, quasi sussurrata. Sembrava non volesse farlo sentire a nessuno.
E allora? Insomma.. non è una bella… cosa?” cominciavo a non esserne certa.
La bambina alzò lo sguardo verso di me. Mi guardava cercando di trasmettermi qualcosa. Sembrava volesse parlare telepaticamente, sol con la voce del suo sguardo.
Penso di si” sussurrò poi.
E mentiva.
Cristo, come mentiva!
Qualcun altro non se ne sarebbe accorto, ma io avevo capito. A Terry non piaceva la compagni a di suo padre, e a me non restare che scoprirne il motivo.
 
Fui li quando il padre di Terry arrivò. In verità fui li per caso, accidentalmente. Ma in quei pochi attimo lo squadrai per bene. Spalle larghe, mani scure, vestiti rovinati.. Quale padre felice di vedere la propria figlia veniva in quel modo? C’era qualcosa che non mi convinceva in quell’uomo. Con lui però stava parlando la direttrice del luogo.
Sarà una bellissima settimana, non è vero Terry?” , chiese la direttrice con un sorriso. Il padre accarezzò la testa di Terry che si limitò ad annuire con il volto basso. Poi le prese la mano con la propria rozza, scura, e la portò fuori.
C’era qualcosa che non mi piaceva.
Quell’improvviso formarsi di adrenalina in me mi insospettiva. Avrei dovuto fermarli, dire che Terry sarebbe rimasta li. Non mi fidavo di quell’uomo… Non mi fidavo di nessun uomo. Ma ormai era tardi, e avrei rivisto Terry non prima di una settimana.
 
Pensavo.
Per tutta la settimana non feci altro che pensare a quello che Terry stesse facendo, a come si sarebbe comportata con il padre. Quando la vidi a scuola assieme a suo padre, quella settimana prima, non mi sembrava granchè una bambina felice di star con il padre. Ecco perché volevo scoprire tutto, ecco perché io dovevo sapere tutto quel che riguardava la situazione familiare.
Ma benché ne parlassi con la direttrice, benché ne parlassi con altri.. nessuno sembrava essersi accorto del disagio che Terry aveva scritto in volto quando stava assieme a suo padre.
Decisi di non parlarne con nessuno. Decisi di chiudermi in me e pensare a cosa avrei fatto durante quella settimana che mi sembrava estremamente lunga. Terribilmente lunga.
In uno di quei pomeriggi lunghi in cui i bambina giocavano con le figurine e le bambina raccoglievano dei fiori nel prato, io mi ritrovavo a stare seduta sotto un albero a scrivere qualcosa.
Cosa pensi?
Non mi accorsi nemmeno di Nath che si era avvicinato, ma in primo tempo non gli diedi nemmeno retta. Dovevo finire quello che avevo appena cominciato. Solo non appena concluso mi voltai verso di lui incrociando il mio sguardo con il suo.
Chi ti fa credere che stia pensando?” si, perché lui non mi aveva chiesto cosa stessi scrivendo.. ma cosa stessi pensando. E questa cosa, dovetti ammettere, che mi incuriosii parecchio.
Aprì le labbra in un sorriso e per qualche secondo abbassò lo sguardo per terra, per poi rialzarlo e guardarmi dritto negli occhi “Semplicemente perchè non mi hai notato per quasi un quarto d’ora.”
Lo guardai, come a capire se stesse dicendo il vero. Solo per questo?
E.. e perché quando pensi i tuoi occhi non si chiudono nemmeno un attimo. Come diavolo fai?”, ecco questa era una cosa che non avevo mai notato. Guardai il mio squadernino – ovvero, il mio Diario Segreto  - e sospirai. Non sapevo se Nath fosse un uomo di cui avrei potuto fidarmi. Io sapevo che fidarsi di una persona era una cosa estremamente pericolosa, ed io correvo già abbastanza pericolo per far leggere i miei pensieri a Nath.
Pensavo a Terry”, ma la frase uscii prima dei miei pensieri, e quasi mi presero in soprassalto. Non potei che sospirare. Alzai lo sguardo su di lui, scuotendo appena il capo. Mi guardava senza capire. Come, come avrebbe potuto capirmi, in verità? “Penso che non si senta a suo agio con suo padre
Sarah..”
Lo so, adesso mi dirai anche tu che mi faccio strane fantasie semplicemente perché suo padre è stato in carcere per un anno o due ma..
Sarah, non sei l’unica a pensarlo. Lo penso io, e lo pensa la direttrice.. ma non abbiamo alcun potere per fermare suo padre. Perché è suo padre, lo capisci?
Silenzio. Un silenzio paralizzante mi arresto del tutto, fermandomi anche il respiro. Loro sapevano.. loro sapevano tutto e non hanno mai fatto nulla per fermarlo. Per un attimo fui invasa dalla rabbia. Una rabbia cieca. Una rabbia micidiale, di quelle che crescono solo a chi sa uccidere senza pensarci. Una rabbia che può crescere solo a chi lo fa per uno scopo, per Lui.
Vedi, Terry ha vissuto una vita parecchio dura, sin dalla nascita. La madre è morta alla sua nascita e suo padre era un trafficante di droga. Ha la fedina penale sporca ma.. non ha mai ucciso nessuno e dubito che possa far del male a sua figlia. E’.. è pur sempre sua figlia, no?” sebbene mi raccontassi la storia della povera bambina, mi accorsi del suo dubbio.
E’ pur sempre sua figlia.
È pur sempre sua figlia…
No che voglia dire molto, sai?” chiusi il quaderno e mi alzai. Adesso avevo altro a cui pensare. Specialmente dovevo pensare a come andare a riprendere Terry.
Sarah, non far qualcosa di sbagliato
Lo guardai ancora una volta. E questa volta i nostri sguardi si incrociarono davvero. Furono solo secondi.. ma secondi in cui sentii quasi dentro me la sua anima. Mi strinse il cuore questa strana sensazione, davvero.
Mai fatto qualcosa di realmente sbagliato” un sorriso solcò sul mio viso. No,non volevo rassicurarlo. Ma sapevo quello che dovevo fare. Sapevo quello che realmente andava fatto..
Ma avrei dovuto aspettare la fine della settimana per rendermene conto.
___________________________________________________________________________________

NOTA AUTRICE:
Mi scuso, prima di tutto, per il ritardo. Beh, è estate.. e no, non mi sto divertendo nemmeno un pò visto che mi tocca lavorare anche d'estate XD Ma comunque.. spero che anche questa puntata vi piaccia. Sto arrivando alla fine... fra poco ci sarà il gran finale **
Un bacio a tutti e grazie di aver letto..
Se volete recensire fatelo pure. Mi riempie il cuore ogni volta che ne leggo una **
Kisholo, Very **

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Capitolo 15
*** Promessa ***


Capitolo 15
Promessa.

 

Giorno dopo giorno le parole di Nath continuavano ad entrarmi dentro. La vita che aveva passato e continuava a passare Terry non era giusta. Ero sicura che suo padre le facesse qualcosa e che poi le proibisse di parlare. E più pensavo a ciò più avrei voluto andare a casa di suo padre per vedere con i miei occhi. Sfortunatamente non mi era permesso allontanarmi per gli altri bambini. Dovevo stare attento se qualcuno di loro si facesse male, se qualcuno cadeva o… si graffiasse accidentalmente un braccio. L’ultima volta che avevo punito quel bambino Nath aveva raccontato loro una bugia, dicendo che era scivolato e si era graffiato, quel figlio di Satana. Adesso guardandoli giocare, mi resi conto che qualcosa avevano imparato. Avevano imparato ad aver paura. Bastava che li guardassi per rendermi conto di quanto mi temessero davvero… Ed io adoravo quando mi guardavano in quel modo.
Il mio passatempo preferito era quello di intagliare qualche pezzo di legno. Maggiormente raffiguravo serpenti, coltelli o paletti.
Il silenzio si era impossessato del bosco, e non fu difficile per me sentire il pianto di qualcuno. Inizialmente poteva sembrare semplicemente un gatto, o qualche animale ferito. E se inizialmente non gli davo granché conto, ne fui incuriosita in seguito. Misi da parte il mio lavoro molto silenziosamente, e mi alzai. Dovevo ascoltare bene, dovevo scoprire da dove veniva. I bambini si erano allontanati un po’, ma sapevo bene che non si sarebbero allontanati più di tanto.
Più mi avvicinavo al pianto, più mi sembrava chiaro di chi fosse. Sperai con tutto il mio cuore di no, che non fosse della persona che credevo fosse. Ma fu evidente quando la vidi. Era dietro un albero con la testa fra le ginocchia. Tremava e piangeva. Le codine fatte da chissà quale suora li dentro uscivano dalle braccia.
Terry?
La chiamai ma mi resi conto che era solo un sussurro, un flebile sussurro che quasi stentai io a sentire. Mi chinai velocemente mettendomi di fronte alla piccola.
Terry.. Terry, che è successo?” cercai di poggiare una mano sul capo della bambina, ma Terry ne parve abbastanza infastidita, scansando di proposito la mia mano. “Terry per favore. Cos’è successo?” cominciavo a preoccuparmi terribilmente. Sapevo che non era mia stato il mio caso, ma l’angoscia mi aveva preso allo stomaco e più vedevo Terry fare in quel modo più cresceva dentro me quella specie di malessere. Tanto che alla fine non riuscii a trattenermi. Le presi entrambe le spalle e la scossi “Che diavolo è successo, Terry!
Solo in quel modo fermò il pianto. Lentamente alzò il volto, e per fortuna lo fece lentamente. Non poté sopportare quello sguardo per qualche secondo di più, eppure restai a guardarla. Aveva il labbro spaccato in due e sanguinante, anche se il sangue era asciutto. Sotto l’occhio, proprio sullo zigomo destro, aveva una parte violacea. Un taglio le delineava la fronte.
Restai con il fiato sospeso a guardarla in quel modo.
Chi è stato?”
Domanda assurda. Sapevo chi era stato. Sapevo che aveva avuto quel peccato fra le mani al quale le avrei tagliate seriamente. E l’avrei fatto, anche velocemente. I miei occhi andarono anche su altre parti del corpo. Aveva lividi un po’ ovunque: sulle braccia, sulle gambe e sullo stomaco. Arrestai il mio sguardo sullo stomaco per qualche istante prima di riposarli sui suoi occhi intrinsechi di lacrime.
La presi nuovamente per le spalle scuotendola “Chi è stato?” volevo saperlo da lei. Doveva avere il coraggio di dirlo ad alta volte.
Io.. Io non…
Dillo Terry. Dillo, Terry! Chi è stato, forza!
Sarah io non…
Non la feci nemmeno parlare. Fu solo un attimo, ma la mia mano partì sul volto di lei schiantando tutte e cinque dita sul volto già sporco di lividi. “Lo voglio sapere Terry. Devi dirlo. Devi.. Devi liberarti!
Lo facevo per lei. Mi guardava con terrore, eppure con quella speranza di prendere coraggio e dirlo chi era stato. Doveva dirlo, diavolo. Suo padre aveva peccato, e doveva pagarlo. La guardai tenendola ancora fra le spalle, ma senza scuoterla questa volta.
Puoi farcela. Chi è stato, forza
E’ stato.. E’ stato..” la guardai speranzosa. Aveva terrore.. e non di me. Sapevo che suo padre la picchiava affinché stesse muta, sebbene fosse talmente evidente a chiunque guardasse. Ma lei doveva aveva il coraggio di dirlo. Le sue guance cominciarono di nuovo a bagnarsi di lacrime e il suo labbricino a muoversi verso il basso “.. Papà.” Chiuse gli occhi continuando a piangere in quella maniera. Una bambina. Era solo una bambina, e non aveva alcun diritto di soffrire in quel modo. “E’ stato papà!
Le sorrisi mentre lei piangeva. L’aveva detto. Aveva detto chi era stato, ed era stata capace di liberarsi. L’abbracciai tenendo la testa contro la mia spalla.
Shhh.. Passerà tutto, te lo prometto”, socchiusi un secondo gli occhi accarezzandole la nuca.
Terry avrebbe avuto la sua vendetta e la sua liberazione.
Avevo promesso.. ed io mantenevo sempre le promesse.

___________________________________________________________________________________

Nota Autrice:  Eccovi un altro capitolo lacrimoso ** Spero che anche questo vi piaccia e spero che non prendiate troppo in antipatia "Sarah" anche perchè io da autrice comincio davvero ad adorarla. Non ci crederete, ma stavo per piangere anche io quasi.. Non so se avrei avuto il coraggio di prendere a ceffoni una bambina per farla parlare, ma so che sarebbe stato meglio così
Spero vi sia piaciuto..
Un bacio
Very!

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Capitolo 16
*** Per sua volontà ***


Capitolo 16
Per Sua Volontà

 
Ci sarei riuscita.
Sarei riuscita a vendicare Terry e a punire il peccatore.
L’adrenalina, la rabbia, la furia.. continuavano a crescere a dismisura dentro me e sentire che se anche avrei colpito il muro non avrei provato alcun dolore. Ma preferivo schiantare il mio pugno sul viso dell’uomo. Ma l’uomo non si sarebbe limitato a soffrire solo per lo schianto del mio pugno. Sarebbe stato qualcosa di duro, qualcosa che gli avrebbe fatto rimpiangere tutti quei anni a maltrattare la propria figlia.
Ma volevo sapere il motivo.
Sarebbe morto lo stesso, si. Ma dovevo sapere il perché.
“Sarah, dove vai?”
Nemmeno lo ascoltai. Dovevo andare veloce… Dovevo trovare la casa del padre di Terry e andare a casa sua.
La mano di Nath mi prese per un braccio voltandomi. “Dove stai andando?” dovette vedere il mio sguardo furioso, ricco di odio e voglia, tantissima voglia, di uccidere. Il suo sguardo osservava il mio, ma il suo era disorientato, al contrario del mio che era ben orientato sulla mia missione.
Strattonai il mio braccio guardandolo minacciosamente. Nessuno avrebbe potuto fermarmi.. nemmeno lui.
Sarah, che stai facendo?!
Voleva capire. Era come se sapesse cosa sarei andata a fare. Era come se.. come se… riuscisse a capirmi in qualche modo, ma credeva che tutto questo fosse sbagliato.
Faccio ciò che è corretto, Nath” provai nuovamente a voltarmi, ma mi riprese di nuovo.
Io non credo. Qualunque cosa tu stia pensando di fare non è esatto
Mi guardava dritto negli occhi. Voleva leggermi, ma non sapeva che leggermi sarebbe stato qualcosa di terribile. Qualcosa di affascinante quanto terribile. Lui andava sul giusto.. ma io sapevo che anche io andavo sul corretto. Che la storia di Terry, e le sue sofferenze, dovevano cessare.
Lo fissai anche io negli occhi. Uno sguardo duro, che pian piano diventò morbido. Ma era solo un trucco. Senza che quasi se ne rendesse conto, alzai la mancina colpendo velocemente la tempia destra di lui. Fu solo un attimo.. un attimo in cui vidi i suoi occhi chiudersi e cedere sotto il peso di quel colpo. Non l’avrebbe ucciso, la stonato sol per qualche momento.
Lo vedremo Nath… Lo vedremo
 
Arrivare a casa del padre di Terry non fu complicato. La stessa Terry mi aveva spiegato dove stava. Avevo portato con me il mio amico Linguetta. Era da molto che non lo vedevo. Da molto che non parlavo con il mio carissimo amico..
Scusami”
In tutta risposta lui uscì la lingua passando la testolina sotto il mio collo.
Era una giornata calda. Abbastanza calda. Le pulsazioni dentro le mie vene non decidevano a fermarsi.
Sente, può andare più veloce?
Il taxista guardava dallo specchietto retrovisore. Aveva uno sguardo fra il terrorizzato e il perso. Per cosa? Per il serpente?
Guardi, non le fa nulla.. ma si decida andare più veloce
Il nervoso cominciava a crescere dentro me rendendolo quasi impossibile da addomesticare. Arrivammo dinanzi la palazzina qualche attimo dopo. Diedi il denaro la taxista e lasciai che se ne andasse. La palazzina era abbastanza vecchia, disagiata.. sembrava stesse cadendo a terra da un momento all’altro. Mi avviai verso la porta, notai che era aperta. Terry mi aveva spiegato che viveva al terzo piano.. e che spesso quelle rampe di scale se l’era fatte di sedere, cadendo una dopo l’altra. Il sol pensiero mi diede la spinta per salir ancor di più, ancor più velocemente. Arrivata alla porta, premetti verso la maniglia. Questa era chiusa. L’unica cosa che mi restava di fare era suonare, e così feci aspettando che il caro signore mi venisse ad aprire. Cosa che accadde poco dopo. Lo sguardo dell’uomo mi squadrò per qualche istante. Aveva una birra nella mancina e con la destra teneva la porta. Indossava una canottiera bianca sudicia di sudore, un pantalone di pigiama e delle pantafole rotte. Quel sorriso malizioso che gli crebbe mi fece salire un conato di rabbia lungo la trachea trasportandosi poi sulle braccia.
Posso fare qualcosa per te, bellezza?
Non resistetti. Il mio braccio si alzò colpendo a pugno chiuso il viso dell’uomo. Ebbe sol un attimo di esitazione prima di piombare per terra frantumando anche la bottiglia di birra.
Si, tesoro
Entrai e chiusi la porta.
 
Era da molto che non legavo qualcuno ad sedia. Era da molto che non torturavo qualcuno, che non lo facevo soffrire. Non mi rendeva imbarazzata, semplicemente cercavo di ricordare come fosse dar delle sofferenze a qualcuno. Per parecchi mesi i miei occhi avevano visto la felicità. Ero riuscita a disegnarla, a proiettarla dentro me.. Ma non avevo dimenticato che nel mondo esisteva quella macchia. Uomini che imponevano sofferenze ad altri. Per cosa? Solo per soddisfazione.
Ma quell’uomo se ne sarebbe pentito. Quell’uomo avrebbe chiesto perdono presto o tardi.. sebbene ciò non sarebbe servito a molto.
Aspettavo con ansia che si svegliasse. Quando diede i primi sintomi di riconoscimento, non poté che voltarmi per guardarlo.
Il gioco sarebbe cominciato presto.
Umh.. Umh…” si, era così che facevano tutti quando si svegliavano.
Un sorriso solcò sulle mie labbra non appena vidi i suoi occhi aprirsi. Erano rossi.
Buon giorno” sussurrai piano, lentamente. La mia mano teneva un coltello abbastanza affilato.
Ma cosa..? Signorina.. cosa fa in..
Non appena mi vide alzare con quell’arma fermò la sua lingua. Mi avvicinai a lui. Potevo sentire da lontano quel puzzo di alcool che lo impregnava. Che schifo. Che orrore. La mia mano andò immediatamente sui suoi capelli, li afferrai tirandoli con tutta la forza possibile. Il disegno di terrore quanto dolore che affacciò sul suo volto non poté che regalarmi l’eterna gioia.
Sono venuta per Sua volontà
Sua.. Volontà? Di.. di che stai.. Chi diavolo sei?
Chi non avresti mai desiderato di incontrare” lasciai i suoi capelli e schiantai la mia mano sul suo viso lasciandogli un graffio con le unghia.
Ahhh!
Dannazione!” non riuscivo a controllare quella micidiale rabbia. La sentivo dentro. Nel mio stomaco, nella mia anima, nelle mie vene. “Ho cercato di non uccidere. Ho cercato di catapultare la volontà del Signore rendendo le persone felici ma.. Ma a cosa serve quando un padre come te non fa altro che picchiare la figlia?!” mi guardava, era terrorizzato. Era cosciente che fra pochi istanti sarebbe morto in balia della mia furia, una tempesta di rabbia inesauribile. “Cosa sei tu se non un peccato umano?” era una domanda, alla quale non mi rispose. Non riuscii a trattenere un altro ceffone che lo colpì in volto. E poi un altro, e un altro ancora.. Finchè i ceffoni non diventeranno pugni. Nocche che si frantumavano sul suo volto.
Stavo diventando cieca.
La mia stessa ira cominciava ad accecarmi e non mi rendevo conto di star uccidendo l’uomo a suon di pugni.
Mi fermai sul quando sentii sotto la pressione di un mio pugno il suo naso che si fratturava. Avevo la mano intrinseca di sangue, ma non come la faccia dell’uomo. L’avevo tumefatto. Macchie di sangue che gli ricoprivano il volto.
Chi cazzo sei, puttana!” mi urlò fra le lacrime. Sofferenza.. era questo che volevo vedere in lui. Eppure qualcosa mi prese lo stomaco. Non avevo mai provato quella sensazione.. Un orribile sensazione che per un attimo riuscii a fermarmi. Sapevo di cosa di trattava. Le parole di Nath mi presero per la gola. Mi fissai la mano, e li poté vedere il volto di Nath che mi diceva che tutto questo era sbagliato. Che avrebbe lo punito la legge.. non io.
No.. No questa volta non è sbagliato..
Mi voltai prendendo aria. Era più difficile di quanto pensasi. Ma avere nella mente il volto livido di Terry mi diede più forza quanto più rabbia in corpo.
E’ giusto così. Lui deve pagare per quello che ha fatto”.
Mi avvicinai nuovamente a lui con lo stesso coltello di prima. Terrore, orrore nel suo sguardo. Ma non avevo più voglia di sorridere. Lui avrebbe sofferto peggio di sua figlia. Avrebbe avuto le sue stesse sofferenze, i suoi stessi dolori. E per mano mia.
Quando conobbi Terry non voleva nemmeno parlare. Sembrava una qualunque ragazzina della sua età. Una bambina. Una bambina che aveva conosciuta la sofferenza.. glielo si leggeva nello sguardo. Eppure nessuna bambina dovrebbe conoscere la sofferenza, vero?” Calmai il mio tono di voce, rendendolo quasi ironico nel parlare. Mi abbassai e con uno scatto tolsi la legatura delle gambe alla sedia. Con un altro tolsi quello delle mani. Lo liberai dalla sedia.. ma non dal suo destino. Quello stava incombendo su di lui. Con uno strattone lo spinsi per terra. “Ma tu.. tu gliel’hai fatta conoscere. Per mano tua. Del suo stesso sangue!” Lo colpii con un calcio. Uno solo, proprio sullo stomaco. Senza che me ne accorgessi Linguetta uscì dalla mia tasca andando sul pavimento, proprio vicino all’uomo.
Ti prego.. Ti prego.. Io non…
Tu non volevi? E’questo che mi dici?” mi venne istintiva una risata. Una fragorosa risata “Ohhh.. Che Dio perdoni questa tua menzogna prima di accoglierti nel suo regno. In ogni caso.. è l’inferno quel che ti aspetta. Prima e dopo!
Continuava a guardarmi con terrore. Osservavo Linguetta che continuava a camminare sotto il contorno dell’uomo senza che lui nemmeno se ne accorgesse. L’uomo voltò appena lo sguardo rendendosi conto di avere fra le mani un serpente.
Ahhhhhhhhh! Ahhhhhhhhh!
L’urlo spaventò terribilmente il mio serpente, che per difendersi lo morse.
Un sorriso solcò sulle mie labbra, nuovamente.
Adesso ti conviene pregare, perché vie di scampo non ne hai. Morirai fra.. pochi attimi. E’ una promessa!
Piangeva. Piangeva come una bambino che sapeva di non poter avere qualcosa. E Cristo.. Il terrore che cresceva nei suoi occhi continuava a darmi quella strana sensazione.
Per favore.. Per favore…” il suo pianto rendeva ridicolo quel gioco, quanto rendeva ridicolo lui stesso.
Ne ho abbastanza dei tuoi pianti da bambino! Hai fin troppo fatto soffrire quella bambina.. e dovrai soffrire anche tu!
Mi abbassai sedendomi sul suo tronco. Tremava come una foglia. Il veleno stava facendo effetto. Lo vedevo dalle vene che cominciavano a diventare violastre, successivamente sarebbero diventate bluastre.
Quanto sono stata ridicola. Il Signore aveva cercato di aprirmi gli occhi prima. Non esiste un mondo senza peccato finchè ci saranno persone come te.” Gli presi la gola, gliel’afferrai e la strinsi sotto la mancina, mentre la destra teneva ancora il mio coltello.
Non.. Non.. è mia.. Figlia..
Quella frase mi bloccò. Restai immobile per qualche momento, mentre quella frasi mi riempii di consapevolezza. Terry non era sua figlia.. Sua madre aveva tradito lui, e lui si sentiva in dovere di provocare del dolore alla figlia che non aveva il suo stesso sangue.
Ti prego.. Per favore.. Io…
Non lo lasciai nemmeno fiatare. Con un colpo secco entrai il pugnale sul suo petto. Il sangue che usciva mi diede in un istante la nausea, così come i suoi gemiti. Mi ero macchiata nuovamente le mani di sangue. Sangue di peccato.. ma un peccato diverso dagli altri. Adesso capivo tutto. Adesso capivo che il mondo non si sarebbe mai ripulito.
Il suo sguardo ricco di dolore mi attraversò gli occhi. Sospirai a mala pena, mentre mi alzavo “Buon viaggio
Mi voltai, ma rimasi immobile.
Cosa hai fatto? Sarah.. che hai fatto?
__________________________________________________________________________________

Nota Autrice: Non so se sono stata troppo dura. Non so se ho scritto bene.. so solo che mi ritrovo a sentirmi un pò come Sarah alla fine di ogni racconto.. E questa volta vi ho lasciato un pò di suspance ... Spero che vi sia piaciuto, sebbene sia un tantino crudo. Non scriverò lentamente, perchè ho già in mente il seguito..
Recensite pure :)
Baci Very

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Capitolo 17
*** Rimediare ***


Capitolo 17
Rimedio

 

Immobile.
Rimasi immobile nel vedere chi avevo dinanzi.
Sarah.. Sarah, che hai fatto?
Continuava a ripetermelo, mentre io restavo immobile a fissarlo. I suoi occhi, il suo sguardo che vagava da me all’uomo morto per terra. Il mio era solo per lui.
Perché… Perché…
Era un peccatore” , Mi decisi a parlare. Non mi interessava molto del pensiero di Nath. Lui non capiva. E non avrebbe mai capito quello che provavo ogni qualvolta che avevo nelle mani la vita di qualcun altro. E non era tanto il potere quello che mi eccitava.. ma la superiorità. Ero superiore a chiunque fosse sotto di me, a chiunque piangesse.
Nath mi guardava con nel volto disegnato semplicemente stupore, oltre che malessere. Gettai il coltello per terra, proprio vicino all’uomo.
Chiama la polizia” sussurrai. Quell’uomo sarebbe stato trovato prima o poi, e c’era già qualcuno che mi aveva visto. Dovevo chiuderla in quel modo.. dovevo smetterla. Non credevo di aver esagerato ma prima o poi mi avrebbero scoperto. Prima o poi sarei stata io la prima a soffrire e a dovermi uccidere.
No, aspetta.. Tu.. Tu…
Nath, smettila!” mi ritrovai di fronte ad urlargli. “E’ morto. L’ho ucciso, va bene!?” non avevo mai pronunciato tale parola in vita mia. Prima di allora mai e poi mai mi ero decisa a dire che avevo ucciso un uomo. “Le mie mani si sono sporcate del suo sangue.. e se proprio vuoi saperlo, non è l’unico sangue di cui mi sono macchiata
I suoi occhi si aprirono nello stupore. Era immobile, eppure sentivo un suo tremolio che gli attraversava il corpo. Stupito ed impaurito.
Feci un passo in avanti, ma un suo gesto mi fermò “Ferma. Sta ferma
Sospirai, alzando gli occhi al cielo “Nath, non sono un’assassina
Ah no?” i suoi occhi guardarono l’uomo per terra dal quale affiorava ancor del sangue “Mi sembra strano pensarlo
Cosa ne capiva lui? Cosa sarebbe riuscito a capire? Aveva sempre fatto discorsi concreti ma mai e poi mai aveva toccato con mano un vero uomo pieno di peccato. Non aveva mai toccato la sofferenza con le mani, sentirne il rumore. Mai. Ma eseguii i suoi ordini e rimasi immobile.
Come vuoi” presi a camminare per la stanza lentamente. Linguetta stava passeggiando li, proprio accanto all’uomo. Lo presi con entrambe e le mani e lo riposi nella mia tasca.
Quante altre persone hai ucciso?
Era strano. Voleva tenermi li, ma non per chiamare la polizia. E allora.. quale sarebbe stato il suo scopo? Farmi un interrogatorio? A cosa gli sarebbe servito?
Parecchie
Quante?
Sembrava deciso. E fu proprio la sua decisione a farmi sorridere. E se prima sorridevo, in un secondo momento mi liberai in una risata.
Perché vuoi saperlo? Che cosa ti darebbe una mia risposta? Farti credere ancor di più che sono un’assassina? Te l’ho già detto: io non sono un assassina
Convincimi. Fammi credere che non lo sei. Dammi una.. dammi una sola ragione
Quelle frasi mi incuriosirono. Lui credeva in me. Se fosse stato qualcun altro sarebbe scappato. Se fosse stato qualcun altro.. non sarei stata li a parlare con un morto. Presi un sospiro, e l’aria puzzava già di morte.
Io non lo faccio per me. Non vendico me stessa… Lo faccio per Sua Volontà. E’ lui che mi indica le persone che non devono vivere. I peccati. O le sofferenze. Ho ucciso la mia stessa madre perché stava soffrendo. Mi chiedo.. Mi chiedo, perché esiste questo nel mondo? Perché esiste la sofferenza? E perché la sofferenza genera altra sofferenza?” Era passato qualche anno da quando avevo pianto l’ultima volta. Eppure adesso sentivo gli occhi pungermi, sentivo quella strana sensazione che mi prendeva al petto, come se volesse soffocarmi. Non ero pentita… E non sapevo nemmeno perché piangevo adesso. “Ho provato anche a rendere la sofferenza in felicità. Ho provato a vedere il peccato, ed esaurirlo. Ma come.. come posso fare? Le persone ricche di peccato devono essere eliminate e…
No” il suo sospiro mi fermò, arrestò la mia lingua. Presi fiato, lasciando che questa volta la parola sia a lui “Credi di non sbagliare in questo modo? Uccidendo anche tu ti macchi di peccato. Non te ne rendi conto?
Peccato.
Le mie mani macchiate di sangue.
La mia ira.
Il vuoto allo stomaco.
E il sangue.. sempre il sangue.
Come potevo uccidere il peccato e.. averlo adesso? Era il suo peccato che finiva in me..
Le lacrime sgorgarono sul mio volto.
Peccato.. Io ho.. peccato..
Avevo la voce rotta dal pianto, ma lui mi capì. Cercò di avvicinarsi, ma lo fermai con un gesto della mano. L’ira ricominciava a crescere e a rendermi lo stomaco vuoto.
Si ma rimedierai. Ci sono tanti altri modi per rimediare
Il mio pianto mi aveva portato a chinarmi per terra. Ero esausta. Ero confusa. Ero.. stanca. Stanca di far quella vita.
Hai ragione” sussurrai abbassando lo sguardo sul pugnale, allungando appena la mano su di esso “Rimedierò.. ma non esistono altri modi
Sarah no!
Cercò di avvicinarsi, ma non fece in tempo.
Il dolore mi colpii immediatamente. Una sensazione stranissima trovarsi con un pugnale dentro lo stomaco. Il mio sangue che sgorgava, scendeva sul pavimento. Non avevo mai visto il mio sangue.. Ed era bellissimo. Un sorriso mi attraversò il volto mentre la mia stessa vista cominciava a diventare nera.
Ho.. Ho rimediato
Il sapore del sangue. Del mio stesso sangue sulla gola, sulla lingua.. E vidi rosso in un momento. Poi nero.. e poi il nulla.

___________________________________________________________________________________


Nota Autrice: Ecco un altro capitolo. Forse breve.. Forse troppo breve.. ma spero che vi piaccia ugualmente!
Sta finendo.. la storia sta per concludersi e spero che alcuni di voi vadono siano alla fine **
Perchè ci sono persone - di cui farò nome all'ultimo - che mi hanno seguito sin dall'inizio e che ringrazio con tutta me stessa **
Baci Very **

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Capitolo 18
*** Nulla da Temere ***


Capitolo 18
Nulla da Temere
 

TuTum.
TuTum.
TuTum…
Cos’era? Era l’unico rumore che riuscivo a percepire in quel momento, oltre uno strano ronzio che mi infastidiva le orecchie. Tirai parecchia aria dalle narici, ma qualcosa la bloccava. Avevo qualcosa dentro il naso che ancor più mi infastidiva, peggio delle orecchie.
Vedevo solo il nero. Solo il bellissimo ed lontanissimo nero.
Ma lentamente cercai di aprire gli occhi. Pian piano la luce penetrò in quel nero, graffiandolo… come graffiò il mio sguardo che si apriva e richiudeva velocemente.
Umh.. Umh…” sussurrai. Mi risvegliai come quei peccatori che prima avevo ucciso, con lo stesso verso. Ma cosa stava succedendo? L’ultima volta che avevo visto il bellissimo nero credevo di aver chiuso gli occhi per sempre. E adesso mi ritrovavo a gorgogliare qualcosa.
Sarah… Sarah mi senti?
Una voce. Una voce che conoscevo perfettamente bene.
Aprii bene gli occhi ritrovandomi di fronte Nath. Mi teneva la mano sinistra, dove c’era infilato un ago. Cercai di muoverla, ma la mano di Nath la fermava.
Come ti senti?
Alzai lo sguardo su di lui. “Male”, solitamente in queste occasioni si riesce a dire di star bene, ma nessuno capisce che in realtà ci si sente come se un camion ti fosse passato di sopra. Io non stavo male sol perché mi ritrovavo in un letto d’ospedale. Io stavo male perché Nath mi aveva portato in ospedale. Io dovevo morire. Io dovevo andare via da quel luogo.
Se vuoi chiamo…
No” lo fermai prima che potesse chiamare qualcuno. Non volevo nessuno. Non volevo vedere nessuno. Quel luogo mi ricordava mia madre… Era anche li che mia madre era stata portata prima che l’uccidessi. I ricordi mi presero alla gola come una mano pronta a strozzarmi. Che sensazione orribile, quel bruciore di lacrime che ti attorciglia alla gola e che sembra quasi soffocarti. Ed io soffocavo le mie lacrime. Cercavo di chiuderle dentro gli occhi, di non farle uscire. “Perché?” fu solo un sussurro il mio. Solo un semplice sussurro.. Eppure Nath parve sentirmi.
Mi sorrise, un sorriso alquanto triste. “Perché non c’era alcun motivo
Si, invece” non riuscivo a parlare bene. Ogni qual volta che mi entrava aria, sembrava che questa mi spezzasse qualcosa dentro. “Ho peccato. Io ho peccato… E dovevo morire
Il silenzio si fermò fra noi, ma sol pochi attimi prima che lui prendesse la parola “Hai confessato i tuoi peccati, Sarah. Adesso non hai alcun motivo per morire
Confessato? Non riuscivo a capire, e il mio sguardo ne diede atto. Fu lui a parlare per me.
Prima di concepire James con Elèna, stavo per prendere i voti. Questo fa di me un prete, non credi?” un sorriso gli passò il volto. No, non capivo. Come poteva essere un prete e dir tutte quelle cose contro il Signore. Lui che diceva che il Signore aveva ucciso. E che non diceva mai a James che sua madre stava nel Regno dei Cieli. Lo guardai stranita, senza riuscire a parlare per un paio di secondi. “Lo so, lo so.. Sembra strano ma…
Sembra impossibile”, precisai. Non ci credevo. Era davvero qualcosa di impossibile.
Ma non lo è”, mi rassicurò. Ed era il suo stesso sguardo a rassicurarmi, con quel sorriso che pian piano, dal triste, sembrava diventare più convinto “Fin da piccolo il mio desiderio era stato quello di seguire il Signore, di seguire le sue volontà, le sue diciture. Ma poi conobbi Elèna, il mio essere si incrociò con il suo e… e nacque James.” Mi chiesi come potesse un uomo di chiesa concepire con una donna. No.. non avrebbe potuto farlo. Era contro.. contro ogni regola.
Lasciai perdere il discorso, prendendo un lungo sospiro “Cosa centra con la mia morte? Confessata o meno, avevo peccato
No, non più. Ieri, quando ti ho fatto quelle domande, ti ho benedetto. Ho benedetto la tua mente, il tuo spirito e la tua anima. Credimi Sarah.. adesso non devi più temere nulla
Era convinto. E il suo sorriso lo dimostrava. Prese la mia mano fra le sue, tenendola stretta fra le sue.
“Non hai più da temere nulla, va bene?
Cercava ancor di convincermi.
Ma avevo ucciso. Lo sapevo perfettamente che le mie mani non si sarebbero pulite così facilmente, così come il mio spirito. Ero tutta sporca di sangue, dalle mani, allo spirito.. Dalla testa sino allo stomaco. E lo sentivo. Sembravo sentire l’odore di quel sangue dolce, quel sangue che mi aveva fatto scaturire l’eccitazione al primo assaggio.
Avevo ucciso Josh.
Avevo ucciso mia madre.
Avevo ucciso il padre di Terry.
Quante… quante persone ero stata in grado di uccidere? Quante persone erano state sotto le mie mani e spargere lacrime, a pregare inutilmente? Ed io ero stata il loro destino, il loro umile destino.
Me… me la regali quella… penna?
Nath abbassò lo sguardo sulla propria camicia prendendo la penna. Era una normalissima Big.
Questa?
Annuii, allungando la mano. Lui me la diede con un sorriso che io ricambiai.
Adesso vorrei riposare un po’. Mi sento molto stanca
Annuì lasciandomi la mano “E ricorda… Non hai nulla da temere. Riposati
Va bene
Lo vidi uscire dalla stanza e mi salutò ancor una volta dalla finestra prima di sparire.
Si… Si, dovevo riposare. E avrei riposato bene, li nel Regno dei Cieli. Presi la penna e aprii il tappo con la bocca. Alzai il mio braccio sinistro e cominciai a scrivervi: < Io sottoscritta, Jada Bilek, chiedo di dare i miei organi a James. > Ecco. Ecco, l’avevo fatto. Se qualcuno avrebbe dovuto vivere, era proprio quel bambino. Proprio James. Lui, lui no… Lui non meritava di morire. E non perché era un bambino.. Ma perché aveva un buon cuore.
Gettai la penna per terra e cominciai a togliere tutti i fili sul mio corpo. La flebo, le ventose sul petto, il conta battiti… Tutto. E trattenni l’aria. Il mio ultimo sorriso si disegnò sul volto, mentre mi rilassavo con la testa sul cuscino.
Nath aveva ragione. Non avevo più nulla da temere. Li sopra sarei stata bene. Non avrei avuto dolori, non avrei sofferto.. E non avrei avuto alcun bisogno di uccidere.
Ben presto sarei stata in  un mondo migliore.
Ben presto avrei conosciuto il Signore.
Lui mi avrebbe accolto, come ogni sua figlia. Perché per anni lo avevo seguito, nel bene e nel male. Per anni sol lui era stato la mia famiglia.
Ma un altro pensiero che mi venne in mente prima di vedere del tutto nero fu… “Mamma… sto arrivando

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Nota Autrice: Ecco un altro capitolo.. L'ultimo capitolo in cui Sarah.. o meglio Jada - visto che ormai avete scoperto il suo vero nome - parla. Non parlerà più, promesso.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto ma... Non è finito così!
Andate avanti susu!
Un bacio Very

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Capitolo 19
*** Epilogo - Lettera ***


Epilogo

 

L’unica cosa che so di questa storia è che Sarah non era pazza.
Sarah era una ragazza ricca di sentimento. Ed era quello stesso sentimento che la portava a far cose sbagliate, qualcosa che per lei comunque era giusto.
Ha lavorato in questo edificio per trovare la felicità.. ma in quale luogo ormai è possibile trovarla? Ha scoperto che la felicità alle volte porta tristezza… che la tristezza porta sofferenza… e che la stessa sofferenza può portare alla morte se non si cura bene.
Molto spesso era lei a portare alla morte…
Adesso Signori… Chi di voi potrà mai dire che questa ragazza stesse sbagliando? Leggendo il suo diario mi son resa conto che non ha ucciso alcun innocente. Josh.. era un peccatore. Prendeva in giro qualche compagno di scuola. Il padre di Terry era un uomo spregevole.. Un uomo che picchiava la sua stessa figlia sol perché non aveva il suo sangue. E sua madre.. sua madre soffriva terribilmente.
Sarah non era pazza.
Sarah era la persona più sapiente di questo mondo.
Lei sapeva vedere il vero. Lei sapeva distinguere il bene con il male.
A modo suo… ma era quello che noi non riusciamo a vedere.
Lei aveva gli occhi.
Il cuore.
La mente.
E l’anima.
Lei era Sarah.
 

Nath.

 

The End

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Nota Autrice: Bene. The End. Fine... Finish... xD
Non so in quante lingue dirle, ma so che il racconto è finito.
In ogni caso vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno seguito sino ad adesso accompagnandomi nella mia scrittura ed elogiando il mio racconto. Sinceramente, ogni qualvolta che vedevo una recensione in più mi luccicavano gli occhi. Adesso.. spero che non sia finito troppo male per voi, o troppo banale... Spero che in ogni caso anche la fine vi sia piaciuta. Io ho fatto un cammino stupendo assieme a voi...
Grazie di aver letto... sino alla fine.
Un bacio, Very.

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