Angulus Suspensorum

di Delver of Dreams
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: The beginning of the end ***
Capitolo 2: *** Bellum omnium contra omnes ***



Capitolo 1
*** Prologo: The beginning of the end ***


Fanfiction Originale
Titolo: Angulus Suspensorum
Titolo Capitolo: Prologo: The Beginning of the End
Rating: Arancione
Genere: Principalmente Fantasy
Note: A causa della stesura improvvisata della fanfic saranno aggiunte ogni capitolo quando necessario.



Winona Kylie Undertow, che assai preferiva d' essere chiamata semplicemente Kylie, andava a far visita a sua nonna ogni giovedì. Ogni settimana prendeva la bicicletta e percorreva la discesa che da una collina la portava leggermente fuori città, in quella zona dell' isola dove delle ramificazioni di strade facevano ancora parte del centro urbano, ma erano intervallate da ampi spazi di campagna. Quando pioveva era un problema, perchè doveva stare attenta che la bicicletta non prendesse troppa velocità lungo la discesa e la facesse cadere alla prima scivolata o al primo intoppo, ma quella era una giornata di sole, in cui il calore sembrava quasi voler spaccare l' asfalto, e non c'erano che poche nuvole in cielo. Con un koala che le si stringeva sulle spalle, legato accuratamente alla sua schiena, cercava di far vincere la ragione sull' istinto, tentanto di evitare di chiudere le palpebre avanti al vento sferzante che percorrendo la discesa le soffiava sul volto e fra i capelli tinti di nero; non perchè non le piacesse il vento o le desse fastidio, ma perchè nella sua mente ogni volta si dipanava la fantasia di chiudere gli occhi ed aprire le braccia, quasi nella volontà di volare, per sentire il vento tra i vestiti e lasciarsi cullare da lui; ma poichè era cosciente del pericolo che avrebbe corso, lottava contro questa sua fantasia e si limitava a pedalare amareggiata, per non rompersi l' osso del collo con una caduta o non far schizzare via il koala dalla sua schiena Già a dorvermelo portar dietro rischio ogni volta; con la polizia che mi fiata sul collo a causa sua e della sua stupida testardaggine, figuriamoci essere negligenti e fargli rischiare la vita!; sospirò, guardando per un attimo il koala con la coda dell' occhio Tutto a causa tua...e sei pure fifone pensò, trattenendo un gemito per i dolori che gli artigli dell' animale le causavano sulla pelle Dannato coso.... Rallentò; la discesa era finita e poteva cominciare a pedalare normalmente e senza troppi controlli. Non passavano molte macchine lì, ma comunque preferiva tenersi a lato della strada, per evitare incidenti. La casa della nonna era vicina, alla terza svolta. La riconosceva a causa di un semaforo giallo che stava lì da decenni, ormai. Aspettò che passasse una macchina prima di lei. Era incredibile come non vi fosse nessuno in giro, a quell' ora. Certo, con quel caldo si chiedeva chi altro sarebbe andato in giro, ma comunque le faceva sempre senso il distacco che c'era tra il caotico sottofondo del centro e quella quiete rotta appena da poche macchine o pochi rumori dell' estrema periferia. Si asciugò il sudore dalla fronte e ricominciò a pedalare.
Arrivò a casa di sua nonna cinque minuti dopo. Era una piccola villetta di due piani, con poco giardino e poca luce, l' arredamento il legno scuro e le camere non molto grandi. Sembrava quasi riflettere il carattere della vecchia, che le aprì la porta e la squadrò dal basso con i suoi occhi chiari, socchiusi per vedere meglio.
"Ciao nonna, perchè non metti gli occhiali? disse lei, posando la bicicletta accanto alla porta ed entrando. Non gliel' avrebbe rubata nessuno, tanto il luogo era deserto.
Diede un colpo di tosse: l' aria lì sapeva di chiuso, e c'era un bel po' di polvere. La vecchia andò a sedersi accanto ad un tavolino scuro, dove era posato un rosario. Lo riprese in mano e cominciò a muovere le labbra, poi però si fermò e guardò la nipote, che intanto si era seduta sulla sedia di fronte alla vecchia. "Ti ho già detto mille volte che non voglio quel coso a casa mia" disse la nonna, guardando il koala. La ragazza diede uno sguardo all' animale e lo prese in braccio "Mik non fa nessun male, e poi ci sono io a sorvegliarlo"; la vecchia diede uno sguardo al koala, storcendo la bocca "Oltretutto è illegale" continuò. Kylie sorrise bonariamente "Te l' ho già detto che mi hanno fatto un permesso speciale quando hanno visto che non si staccava da me. Ed a me piangeva il cuore di abbandonarlo con qualche trucchetto. E comunque non se ne sarebbe andato, mi avrebbe seguita" rispose, alzando le spalle. La vecchia squadrò sia lei che il koala, continuando intanto a mormorare preghiere e passando ogni tanto da una pallina del rosario all' altra. Kylie strinse le labbra: era sempre stato così, fin da quando era bambina: sua nonna che la squadrava, e le diceva sempre che qualcosa non andava. Anzi che ora almeno non le passava più il rosario dicendole "Tieni, cara, prega, Iddio sa quanto ne hai bisogno...oh, poverina, poverina! Con quei capelli...prega, dai, sono sicura che le Sante anime del Purgatorio ti ascolteranno. Sei così piccina..oh, povera!", cosa che le aveva sempre dato sui nervi, tanto da farla irritare ogni volta che sentiva qualcuno esortare gli altri ad una preghiera, e con gli anni era diventata felicemente agnostica, dicendo di avere troppe poche prove per giudicare l' esistenza o meno di un fattore divino, e di non sentire opportuno pregare qualcosa o qualcuno che potrebbe anche essere completamente diverso da come veniva concepito, o non esistere affatto. E così chiudeva ogni questione.
Intanto sua nonna aveva fatto passare tra le sue mani dalla pelle sottile e venosa almeno otto di quelle palline rosse, ed ora la guardava come se avesse voluto indovinare i pensieri che le circolavano in mente. Kylie la guardò con i suoi grandi occhi marroni, contornati di grigio-azzurro come quelli della vecchia, che però erano azzurri. Non dissero nulla, e vi fu silenzio per almeno due minuti, quando la nonna parlò di scatto, alzandosi dalla sedia e posando il rosario sul tavolo "Vuoi del tè?" le chiese. La ragazza sorrise "C'è un po' d'orzo?" la vecchia non la guardò, e si diresse verso la cucina strascicando le ciabatte rosee "Come tuo nonno, eh? L' ho comprato ieri." rispose, e scomparve dietro la porta. La ragazza sorrise, e le andò dietro, assicurandosi che il Koala non scivolasse dal suo corpo. Il vecchio pendolo del salotto, nel suo legno scuro e con il suo pendolo d'ottone, annunciò intanto il mezzogiorno con i suoi rintocchi bassi e dal suono scuro. Kylie si fermò un attimo a guardarlo: dopo quella tazza d'orzo sarebbe dovuta tornare a casa.



- E' laggiù prendiamolo!
- Non ci scappi ladro!
Due uomini alti e piazzati, rasati e ben vestiti gridarono facendo voltare tutti i passanti. L'avevano individuato, il ladro incappucciato che li aveva fatti fessi rubando loro una preziosissima valigetta stava adesso correndo a perdifiato lungo una delle strade principali della città cercando di confondersi con la folla.
- Anf... anf... - ansimava egli stringendo al petto la refurtiva. Si guardava intorno, cercava vicoli dove nascondersi e far perdere le proprie tracce.
- Fermalo Tom, fermalo per Dio!!! - Sbraitava il primo.
- Se lo prendo gli pianto una pioggia di piombo nello stomaco! - Rispose l'altro con lo stesso tono di voce mentre stringeva con forza l'impugnatura del fucile a pompa che portava con sè.
- Prima voglio azzopparlo io sparandogli alle gambe così smetterà di correre!
Impossibile capire a pieno la paura che provava il ladruncolo ascoltando quelle terribili minacce di morte, finchè restava tra la folla non poteva essere bersagliato... però prima o poi l'avrebbero raggiunto. Se si fosse spostato in un vicolo sarebbe stato anche peggio, una fine lenta e dolorosa torturato a colpi di pistola.
Dopo qualche minuto di corsa decise di tentare il tutto per tutto, entrò in un vialetto che portava sulla seconda strada principale della città sperando di trovare protezione in qualche stazione di polizia.
Non ebbe nemmeno il tempo di svoltare completamente che si trovò a pochi metri da un muro che si stendeva da un edificio all'altro e bloccava così il passaggio.
- E' entrato là! Corri corri! - La voce di uno degli inseguitori fece sobbalzare il ladro dandogli il coraggio sufficiente a tentare una scalata al muro. Prese la rincorsa senza pensarci troppo e saltò prima contro il muro dell'edificio di destra per fare leva su di esso e saltare di conseguenza sull'ostacolo. Vuoi per la stanchezza, per il peso della valigia o semplicemente perchè una cosa del genere non l'aveva mai provata, cadde a terra rovinosamente dopo esser scivolato.
Proprio in quel momento i due armadi entrarono a loro volta nel vicolo.
- Finalmente ti abbiamo preso bastardo! - Esordì il primo controllando che la pistola fosse carica e senza sicura.
- Ci hai fatto correre anche troppo, il gioco è bello quando dura poco. - Tom fece esattamente la stessa cosa del compagno.
L'uomo con la pistola si avvicinò alla preda la quale cercò di fuggire verso il muro strisciando indietro, la caduta le aveva fatto battere un ginocchio sull'asfalto perciò non poteva rialzarsi a causa del dolore.
- Vediamo chi è lo stronzetto che ucciderò oggi - afferratolo per un braccio lo sollevo di peso e, con la mano che reggeva l'arma gli tolse il cappuccio.
Agli occhi stupiti dei due uomini apparve una bellissima ragazza mora, gli occhi verdi e le labbra rosso incendio che contrastavano violentemente con l'innaturale pallore del suo volto.
- Ma dico hai visto Tom? - Chiese ridendo e stringendo ancora di più la presa - Stavamo per essere fregati da una puttana!
- Chi l'avrebbe mai detto, una donna! Oggi è il nostro giorno fortunato non trovi? La stupriamo, la uccidiamo e la facciamo a pezzi!
- Non necessariamente in questo ordine - quei due facevano sul serio, l'essere una ragazza aveva giocato a sfavore della povera fuggitiva che in quel momento avrebbe soltanto voluto morire in fretta, aveva perso qualunque speranza.
Il più lontano dei due inseguitori si avvicinò cominciando a togliersi la cintura e sbottonarsi i pantaloni, un filo di bava alla bocca e gli occhi irrorati di sangue, l'altro puntò con forza la pistola alla guancia della sua prigioniera.
Le lacrime le solcarono il volto e dei gemiti di terrore le uscirono smorzati dalla bocca.
Quando tutto ormai sembrava veramente perduto un'ombra saltò silenziosa prima sul muro dell'edificio di destra, quindi su quello opposto per poi raggiungere il muro posto tra i due, i viscidi inseguitori ebbero a malapena il tempo di alzare lo sguardo per vedere un ragazzo effettuare una capriola in aria e colpire entrambi i loro volti con una spaccata a mezz'aria.
Lesto si apprestò a colpire con due calci fulminei le mani che impugnavano le armi riuscendo così a disarmare gli avversari che accusarono un dolore tremendo, probabilmente i polsi erano da rimettere a posto.
- Bastardo! Come osi? - Tom, il più irruento dei due, non ebbe nemmeno il tempo di rialzarsi che un altro calcio lo inchiodò al muro. Tale fu la forza del colpo che fu inutile contrarre gli addominali - ugh... - biascicò poco prima di sputare saliva in eccesso ed eccasciarsi al suolo esausto.
L'altro in un impeto furioso si gettò alle spalle del ragazzo che abbassandosi lo fece sbilanciare, ebbe così tutto il tempo di afferrarlo per il mento e l'inguine e lanciarlo contro l'edificio vicino al compagno. Ricevette quasi lo stesso trattamento, un pugno allo stomaco potenziato dal contraccolpo contro i mattoni: svenne all'istante.
La ragazza, ancora in singhiozzi, alzò lentamente lo sguardo per incrociare quello del suo soccorritore: incontrò due occhi rossi scintillanti, le varie sfumature del suddetto colore si fondevano nell'iride in un maelstrom agghiacciante.
Scrollando la testa il giovane portò i lunghi capelli neri sugli occhi così da celarli.
Le porse la mano ricoperta da un guanto di pelle decorato con delle borchie alle nocche.
- Stai bene? - Pronunciò dopo averla aiutata ad alzarsi.
- Benissimo, grazie - rispose asciugandosi le lacrime col palmo della mano - grazie davvero.
- Smettila di rubare. Per lo meno a chi ha il coltello dalla parte del manico comunque tu lo giri.
- Io...
- Puoi avere tutte le ragioni del mondo, non ci sarà sempre qualcuno a salvarti la vita... intesa anche come parte del corpo in questo caso.
Gli occhi della ragazza tornarono ad essere lucidi, abbassò lo sguardo.
- Capisco. - Si limitò a rispondere mangiandosi le sillabe in preda ad un imminente pianto.
- Basta piangere, adesso dovresti solo pensare a vivere. Sembrano parole da copione ma è ciò che devi fare, sei giovane, quanti anni hai?
- Ventuno... tra poco ventidue.
- Appunto. - Le prese nuovamente la mano, stavolta però non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare - Andiamo, ti riporto a casa.
- Io... no non importa. Posso tornare da sola - per quanto convinta fosse la sua voce le sue dita continuarono a stringere la mano del ragazzo in un tenero abbraccio.
- Non era una domanda. Dove abiti? - Si incamminò fuori dal vicolo, lei dietro di lui - Questa, era una domanda.
- Qualche centinaio di metri da qui, vicino al supermercato, cioè, al parcheggio insomma.
- Ho capito.
- Perchè hai rischiato la vita per me... ehm... il nome?
- E' così importante sapere il nome di una persona che non rivedrai più? - Rispose gelido.
- Ah... - istintivamente la ragazza portò la mano libera a stringere anch'essa quella del suo salvatore.
- Comunque - si schiarì la voce - eri in pericolo, è stato un motivo sufficiente per mettermi in gioco.
- Non mi conosci nemmeno. La gente non fa l'eroe per niente.
- Non ho fatto l'eroe, ho solo preso in mano la mia vita per un attimo e ho deciso di sacrificarla per qualcuno che aveva bisogno, tutto qui.
- Perchè? E' questo che non capisco.
- E io non capisco perchè tu sia così attaccata al motivo per cui ti ho salvata.
- Non saprei... cioè volevo solo... insomma io non avrei mai il coraggio di dare la mia vita per una persona che non amo.
- Fai conto che io ti ami allora, riusciresti ad accettare quello che è successo?
- Forse...
- E' già qualcosa.
- Amaranth.
- Come scusa?
- E' il mio nome: Amaranth.
- Rende giustizia alla persona, è un nome bellissimo.
Amaranth arrossì.
- Grazie. - Sorrise avvicinandosi a lui quanto bastava per cingergli il braccio con le mani e poggiare la testa sulla sua spalla - per tutto.



Fare la spesa non le era mai piaciuto molto. Si ricordava quando sua madre ce la portava, da bambina, prendendola per mano, e lei doveva attendere un tempo che le sembrava fatto di ore intere(ma che probabilmente altro non era che un' oretta scarsa), mentre sua madre prendeva il cibo ed i prodotti per la casa, e non accettava quasi mai le sue richieste, nè lei poteva uscire di lì. Era ancora troppo piccola, sua madre temeva in un rapimento, e se la teneva stretta, anche perchè, con quei suoi capelli azzurri sua figlia non passava proprio inosservata, e qualche fanatico l' avrebbe potuta prendere per uno scherzo della natura, rapirla, e magari ucciderla. No, era meglio che aspettasse lì. Qualche volta però, Winona ne era contenta, visto che riusciva a convincere la mamma a comprarle la cioccolata: aveva sempre adorato la cioccolata: fondente, al latte, bianca, alla nocciola, alla fragola. Non c'era niente che la mettesse più di buon umore di una tazza d' orzo con un poco di cioccolata gustata lentamente. Ma questo era stato anni prima; ora sua madre le dava i soldi contati, e visto che si ritrovava ad essere sempre al verde, era raro per lei il potersi permettere anche solo una barretta di quel dolciume. D' altronde, i soldi le servivano per i libri, il cibo del koala, e la ricarica del cellulare, non poteva certo spenderli anche in dolci, tanto più che facevano male. Si consolava pensando che ad ogni festa, natale, compleanno, onomastico, pasqua o promozione, avrebbe comunque ricevuto la sua meritata barretta. Sorrise, mentre pensava al cioccolato, e si chinava davanti al frigo degli yogurt per scrutarne le marche. Sua madre adorava lo yogurt, lo usava per tutto: dolci allo yogurt, yogurt a colazione, maschera per il viso o per i capelli allo yogurt, e così all' infinito. Mise una vaschetta di quello dentro il cestino rosso della spesa, storcendo il naso: lei invece lo yogurt bianco proprio non lo sopportava. Passò al reparto del latte, scremato, poi a quello delle uova, della pasta, la carne, cereali e così via, fino a che non arrivò a quello dei dolci. Lì non comprava mai nulla, perchè sua madre era fissata con la dieta e suo padre non sentiva la necessità dei dolci, ma ci passava sempre per andare alla cassa, giusto perchè la metteva di buon umore il guardare le conserve della marmellata, del mieie, le caramelle gommose e le barrette di cioccolata bianca esposte. Ed ogni volta doveva sospirare e passare avanti sconsolata, nella direzione della cassa. Passò davanti alla piccola esposizione dei libri del supermercato, e li guardò sconsolata: niente Dostoevskij, Pirandello o Shakespeare, quelli esposti erano solo autori nuovi, che il più delle volte non erano nemmeno così esaltanti, nè nello stile di scrittura, nè nel racconto vero e proprio. E saggi non se ne trovavano, solo romanzi. D'altronde, anche se vi fossero stati, li avrebbe evitati: la annoiavano terribilmente.
Quel giorno però un titolo colpì la sua attenzione. Era un nuovo romanzo, di un autore sconosciuto, dalla copertina marrone, il cui colore rievocava i vecchi libroni che spesso si vedevano nei film d' epoca, durante le riprese in biblioteca. Sul titolo era scritto, semplicemente "Limbo"; al centro vi era l' immagine di una figura umanoide, con un ala nera da pipistrello ed una bianca da angelo, in ginocchio, con le braccia protese verso l' alto, a spezzare le catene con cui era imprigionato. Lei fissò per qualche secondo quel libro, così strano...
E forse sarà stata la scritta in oro scuro del titolo, il color cuoio del libro, la misteriosa figura, od il fatto che, tentando di leggervi la storia, non era riuscita a capire di cosa parlasse, oppure per via dello sconto sul prezzo; fatto sta che se lo portò fino alla cassa, e solo dopo aver pagato si rese effettivamente conto di averlo comprato con i suoi ultimi risparmi Ed addio alla ricarica! brontolò, uscendo dalle porte scorrevoli del supermerkato. Mik la stava guardando abbracciato al palo dove aveva legato la sua bicicletta. Lei mise la busta dietro la bicicletta e la legò bene ad essa, poi levò il grosso lucchetto e lo posò assieme alla catena accanto alla spesa. In ultimo prese il koala e se lo portò a sè come un bambino "Guarda te, ora mi tocca anche portare a casa quel libro...bizzarro, sai? Non sono mica riuscita a capire di cosa parla..." Il koala la guardò con i suoi occhi e le andò dietro la schiena. Lei sospirò, al contatto con quegli artigli taglienti Chissà perchè io non devo mai cercare una cosa...in genere è quella che trova me. E non è mai pienamente piacevole.
Guardò il cielo pomeridiano, e cominciò a camminare verso il parcheggio del supermercato, che portava alla via che avrebbe percorso per tornare a casa. Il parcheggio era all' aperto, e c'erano delle chiazze di erba verde vicino. Accanto vi era un parco con delle panchine. Lei si fermò un attimo a considerare la situazione. Un parco, delle panchine, e quel libro misterioso. Guardò il cielo, poi l' orologio: le cinque del pomeriggio. Sorrise, pensando di avere ancora tempo per tornare a casa, e montò sulla bicicletta diretta verso il parco.
Lì si sedette sotto ad un grosso albero ombroso, l' ideale in quella giornata così calda, e prese dalla busta della spesa quel libro manipolatore e seduttore che l' aveva costretta a comprarlo. Contemplò la copertina: non c' era nessuna pecca grafica, ai suoi occhi quelle catene, quella cella che svaniva nella copertina cuoio del libro, quella figura così reale da poterla toccare, ombrosa e sofferente, sembravano perfette. Aprì il libro: le pagine erano bianche, quindi doveva escludere che si trattasse di un usato. Un nuovo libro uscito? Non ne aveva mai sentito nè l' autore, nè il titolo, e per quanto si sforzasse di ricordare, nemmeno la casa editrice le appariva nota. Sfogliò quel libro: dalle paginè uscì fuori quel tipico odore di carta nuova, ma relegata per molto tempo in una biblioteca. Non sembrava affatto nuovo, dall' odore, sembrava piuttosto stagnante, come se avesse dovuto passare decenni in quel reparto. Ma lei era stata al supermercato anche cinque giorni prima, e quel libro non c'era. Forse era stato fatto apposta? Sicuramente le sembrava una scelta bizzarra da parte dell' editore. La copertina non era di quelle che riportano la vita dell' autore nella loro doppia copertina, a destra, ma una di quelle vecchio stile in cui v'era tutta la biografia dell' autore nelle prime pagine, ed aveva una sola copertina, nessuna protezione (d'altronde, la copertina stessa era piuttosto spessa ed appariva resistente). Sfogliò le pagine per trovare l' autore. E quando lesse quel che lesse rimase praticamente sconvolta, tanto non se l' aspettava.

Questo perchè non lesse nulla. La pagina era bianca, vuota.
Come è possibile che non vi sia scritto nulla? Almeno un nome, un qualcosa... Andò di nuovo a vedere la copertina, in cerca dell' autore.
Niente, anche quella era in bianco.
Quale scherzo è mai questo? Avrebbero dovuto scrivere almeno "Anonimo"
Ma nel libro non c'era scritto nemmeno anonimo. Era come se non fosse stato proprio scritto.
Lei lo sfogliò di nuovo, ed il suo stupore crebbe: quelle pagine, quelle stesse pagine che un attimo prima le erano sembrate stampate in inchiostro nero, in forme minute e fitte, ora erano scomparse.
Sfogliò ancora il libro, mentre il suo stupore cresceva. Qualcuno le stava facendo una candid camera? Ma era sicura di aver visto le scritte sul libro, che da allora era rimasto sempre con lei. E poi, non c'era nessuno lì intorno, c'era solo Mik, che di certo non poteva farle nessun tiro di quel tipo.
Quando alzò di nuovo gli occhi al cielo, scoprì che il sole aveva cominciato a calare. Guardò l' orologio: tre minuti alle sei. Non le pareva vero che fosse trascorso così tanto tempo.
Il cielo si era annuvolato, il che non costituiva una novità in quell' isola, ma le nubi erano così nere, ed il vento che aveva cominciato a tirare era così freddo, che lei pensò a qualcosa di peculiare. Non sembrava la solita pioggia carica di umidità: dalle nuvole che ora avevano coperto il cielo fittamente(con quanta velocità, le pareva davvero incredibile tutto questo, e cominciava a chiedersi se non fosse un tiro della sua immaginazione. Forse era malata e non lo sapeva, forse stava sognando), serpeggiavano rapidi dei fulmini, viola, blu, gialli, bianchi, che illuminavano a giorno il cielo ormai nero per le nubi. La pioggia sembrava non dover venire mai, eppure quelle nubi erano gravide d'acqua. L' albero sopra di lei frusciava ed il vento ululava: si spostò dall' albero, ricordando tutte le ammonizioni ricevute fin dalla primissima infanzia riguardo il non sostare sotto gli alberi quando v' era un temporale. Con Mik in spalla e la bicicletta accanto a sè, pedalò di nuovo dentro il parcheggio, per giungere nella strada.
Il suo orologio fece un "bip" che significava il cambio dell' ora avvenuto: le 18:00 precise.
Un fulmine piovve dal cielo, e per un attimo le parve tutto bianco. Quando la visuale tornò nella norma, si ritrovò a sedere per terra, sull' asfalto.La bicicletta era schizzata metri e metri più in la', la ruota ancora in movimento. Era caduta per l' accecamento, ed il cuore ancora le batteva per lo spavento.
Un altro fulmine piovve ancora, stavolta alla sua sinistra. Lei si rannicchiò con un gemito strozzato.
Un altro fulmine ancora, rosso, piovve dal cielo ed andò ad infrangersi sul parafulmini del supermercato.
Alzò gli occhi al cielo, mentre il cuore le batteva veloce in petto: se non avesse avuto tanta paura da rimanere paralizzata, se ne sarebbe andata via di certo. Con le lacrime agli occhi, faceva le più funeste previsioni, e dubitava seriamente di riuscire a portare la spesa oltre la porta di casa sua.
Un tuono: lei si tappò le orecchie. I suoi occhi lucidi guardarono il cielo. Quelle nuvole tinte di nero e di rosso per il tramonto erano strane...in mezzo a loro v'erano fulmini, saette, tuoni, ma le nuvole stesse avevano una forma strana, quasi lanuginosa...guardandole meglio quasi le sembrava di intravedere chiome di alberi piantati al contrario. No, era proprio così, erano alberi.
Guardò ancora: no, erano nuvole. No, si sbagliava. Spalancò gli occhi: tra quelle nuvole, le parve di vedere dei soldati armati di lancia e spada. Uno di essi, del colore delle nuvole, lanciò la sua lancia.
Un fulmine cadde sul tetto del supermarket, e lei emise un guaito. Mik le si accoccolò contro.
La terra cominciò a tremare Un terremoto? Ora? Ma cosa diamine sta succedendo?. Il vento tirava forte, e le parve che gli alberi fossero in procinto di sradicarsi. Lei cadde all' indietro, sdraiata, per il tremore della terra, che rompeva l' asfalto, e si rannicchiò su sè stessa, Mik avvolto in un abbraccio, gemendo e piangendo e non tentando nemmeno di soffocare i singhiozzi. Sentiva urla di altre persone. Ma vicino o lontano da lei? Non avrebbe saputo dirlo. Per lei quelle urla sarebbero anche potute non esistere. La sua visuale coperta dalle palpebre rilevava i flash dei lampi diventando rossa, per poi tornare nera. Aveva cominciato a piovere. Gocce fitte e pesanti cadevano su di lei e su Mik, bagnandole i vestiti, i capelli, la pelle...
Le parve quasi di sciogliersi. Sentiva qualcuno gridare al fuoco, ma non si capacitava di come potesse esservi fuoco sotto la pioggia. Sempre con gli occhi chiusi, strinse Mik di più a sè, e continuò ad emettere gemiti strozzati, a piangere, in preda a convulsioni di pura isteria. Sua madre, suo padre, sua nonna, suo fratello...li avrebbe più rivisti? Ne dubitava fortemente.
Mik le penetrò la pelle con le sue unghie, ma lei non sembrò badarci, tanto era presa da quell' angoscia. E continuavano i lampi, le grida, i tuoni, la pioggia, il terremoto...sembrava non dovesse finire più.
Poi, d' un tratto, sentì qualcosa colpirla, un calore pervaderle il corpo, e con esso un fortissimo tremore. Con essi, un forte dolore, che le contrasse i muscoli e parve prenderle il cervello.
Urlò, con quanto fiato aveva in gola, e le parve di vedere bianco, nero, rosso, azzurro, qualcuno porgerle la mano, tutta la sua vita fino ad allora, i sogni compiuti di notte. Tutti i suoi incubi fino ad allora fatti. Poi tutto si spense, tutto tornò buio, si spense insieme al suo urlo. La mano che stringeva Mik con forza cadde sull' asfalto, il suo viso si rilassò.
E giacque a terra, priva di sensi, sotto la pioggia.



- Mmm... ehi? - Proferì Amaranth guardando il suo accompagnatore.
- Si? - Rispose voltandosi.
- Proprio non puoi dirmi il tuo nome? Non so come chiamarti.
Il ragazzo apparve pensieroso per un istante.
- Dammi dei colpetti, anche sulla mano può andare.
- E' così squallido... non capisco perchè tu debba essere così misterioso.
- Non voglio lasciare tracce del mio passaggio nella tua vita.
- Avrei molto da ridire ma la chiudo qui, troverai sicuramente un'altra scusa.
Irritata si allontanò leggermente da lui seppur continuasse a tenegli la mano, forse non lasciava la presa per paura di perdere la sua protezione, forse perchè le piaceva il tocco delle dita fresche sulla sua pelle.
Continuarono a camminare in silenzio lungo la strada finchè non raggiunsero una piazza tanto vasta quanto affollata, al centro di essa un monumento si ergeva maestoso.
La statua in pietra raffigurava un angelo che trafiggeva un diavolo che si contorceva dal dolore per via della spada conficcata nel suo costato. Il giovane notò come lo sguardo dell'angelo fosse rivolto non verso il proprio nemico agonizzante bensì verso la piazza, era aggressivo, agghiacciante, ma rilassato allo stesso tempo, un po' come se l'angelo in questione volesse provocare timore reverenziale. Il disprezzare il nemico sconfitto non lo rendeva poi così diverso da lui.
- Il paradiso non dev' essere così diverso dall'inferno - sussurrò mentre i suoi occhi incendiati si scontravano con lo sguardo vuoto dell'angelo.
- Scusa? - Chiese Amaranth credendo di aver sentito qualcosa.
- No niente. Pensieri. - Rispose ritornando coi piedi per terra.
- Casa mia è praticamente alla fine di quella strada - indicò la via alla loro sinistra - se non ti scoccia potresti accompagnarmi anche a comprare qualcosa? Il frigorifero ha visto giorni migliori sai...
- Va bene, basta che non ci mettiamo una vita visto che ne ho anche una mia...di vita intendo.
- Guarda che se non ti va puoi anche non venire, non ti obbligo.
- Lo so.
Prendendo l'iniziativa si fece strada tra la folla, la giovane lo seguì a ruota.
- Mi aspettavo qualcosa di più di un "lo so" ma grazie lo stesso per aver deciso di accompagnarmi!
- Non posso lasciarti sola, potresti metterti nei guai.
- Conoscendomi direi che hai ragione! - Ridacchiò portandosi una mano alla bocca per soffocare la risata.
- Pensa che per una volta ho sperato di avere torto.
Amaranth alzò gli occhi giusto il tempo di veder nascere e morire un dolcissimo sorriso sulle labbra del proprio accompagnatore. Rimase impietrita, a bocca aperta, gli occhi spalancati, ma non esageratamente, si bloccarono sul suo viso parzialmente celato dai lunghi capelli corvini.
"Non credevo che potesse farmi un effetto simile... ha solo sorriso."
Istintivamente mosse la mano libera verso il volto altrui e con un gesto lento e delicato spostò una parte dei capelli che lo celavano per raccoglierli dietro l'orecchio.
- Che stai facendo? - Chiese lui confuso.
- Volevo vederti meglio - rispose quasi sussurrando
- Cos'è anche tu non riesci a credere al colore dei miei occhi? Se la domanda è "porti le lenti a contatto" la risposta è no.
- No no tranquillo non volevo chiedertelo, non ci ho proprio pensato, è che prima hai sorriso e mi piace come l'hai fatto.
- Sei strana sai? - Sorrise di nuovo, inutile dire che Amaranth rimase nuovamente di stucco di fronte a quello strano modo di modellare la bocca, il sorriso di chi non è abituato a mostrarlo è, di norma, il più sincero e bello che si possa ammirare.
- Si... io... sono stra... no cioè volevo dire siamo arrivati - Balbettò emozionata poco prima di indicare il supermercato praticamente a poche decine di metri da loro.

Una volta da bambino mi successe qualcosa di strano. No, forse era il me bambino che vedeva tutta la situazione in modo distorto, adesso non c'è niente di strano dietro il sacrificio di mio padre. Eravamo in casa, mio padre nel suo studio, mia madre deve avergli preparato la cena a parte, lui lavorava sempre fino a tardi la sera. Ecco, mi pare di vederla quando gli porta il piatto, minestra in brodo con un po' di formaggio grattugiato, era l'ideale per sentire un dolcissimo tepore nelle fredde sere d'inverno.
Alla televisione c'erano i soliti cartoni animati, ma a me piacevano, tanto quanto possono piacere ad un bambino che ancora non sa parlare, ero lì, seduto sul divano a contemplare la scatola magica mentre mi mordicchiavo le dita delle mani, quando vidi uscire mia madre dallo studio con un coltello in mano, uno di quelli che si usano per affettare il pane credo.
Si avvicina a me, no, fa una deviazione. Prima spegne la tv, i cartoni animati l'hanno sempre infastidita. Poi torna verso di me, stringe forte il coltello nella mano e lo alza sopra la testa: la punta affilata rivolta verso il basso si ergeva in librazione sopra la mia testa.
Vidi mio padre sorridermi, sudare e, ogni tre per due, sussultare mentre mi impediva di vedere cosa stesse facendo la mamma dietro di lui. Non capii subito perchè era corso fuori dalla sua stanza e si era messo tra noi due, era strano.
Sentivo mamma fare versi strani, sembrava addirittura piangesse, o forse era arrabbiata, poi si fermò. Mio padre si alzò barcollando, io gli sorrisi mentre lui ricambiava come aveva fatto finora senza dire una parola, girandosi e dandomi le spalle mi mostrò, involontariamente, la schiena piena di ferite sanguinanti. Non sapevo contare ma anche se ne fossi stato capace non avrei osato cominciare a numerarle dalla prima all'ultima, Dio solo sa quante erano.
Non piansi, continuai a sorridere credendo che fosse tutto un gioco. Con le ultime forze che rimanevano al mio vecchio egli si lanciò su mia madre semplicemente spingendola, il coltello di mamma, per quanto ne so, lo trafisse un'ultima volta, al cuore.
Caddero entrambi poco lontano da me, lei battè la testa e svenne sul colpo... lui non si accorse di aver battuto la testa.
Solo adesso capisco il perchè del mio nome... solo adesso capisco perchè sono così, è stato mio padre, a chiamarmi così, a darmi il giusto imprinting, è stato bravo a capire che il coltello che mia madre reggeva quando gli ha portato la cena non l'aveva usato per cucinare. Si è sacrificato per me e nonostante tutto ha sorriso, ha sorriso a me mentre la morte lo abbracciava seducendolo per fargli esalare l'ultimo respiro prima di compiere a pieno il suo estremo sacrificio. Nonostante tutto non ha ucciso sua moglie, mia madre, la sua assassina, la mia assassina.

- E questo come contorno... mi stai ascoltando?
La voce di Amaranth riportò alla realtà il ragazzo che, immerso nei suoi pensieri, non si era accorto di esser stato trascinato a fare la spesa.
- Io... si scusa.
- Insomma vuoi svegliarti? Non hai aperto bocca da quando siamo entrati... qualcosa non va? - Chiese premurosa.
- No è che ripensavo a mio padre.
La ragazza stava per chiedere informazioni su questo fantomantico padre, ma si fermò appena in tempo, si fermò appena capì che probabilmente egli era ormai scomparso.
- Ah... senti ti va di cenare da me stasera? Però se non vuoi non me la prendo eh, sul serio.
- Si, mi andrebbe.
L'umore della giovane cambiò radicalmente in un solo istante, un'espressione felice si impossessò del suo volto.
- Allora muoviamoci così avremo più tempo per cucinare! Forse la cosa non ti entusiasma, nemmeno a me, devo ammetterlo, ma con più tempo a disposizione le probabilità di fare un buon lavoro aumentano!
- Sono d'accordo - lui abbozzò un altro sorriso che subito venne ricambiato con entusiasmo - non è che stai cercando di diventare mia amica per farmi dire come mi chiamo? - Continuò mentre entrambi si dirigevano alle casse.
- Come sei scemo! Certo che no! - Rispose sbuffando - volevo solo cercare di ripagarti, anche se non farò mai abbastanza per restituirti i favori che mi hai fatto.
- E nemmeno ce n'è bisogno, non pensarci ormai è acqua passata.
- Ci proverò.
Il cestello della spesa fu velocemente svuotato e la merce posta sopra il rullo della cassa, una volta saldato il conto furono riempite due buste di plastica.
- Faccio io - propose lui sollevandole senza dare il tempo ad Amaranth di ribattere.
- Grazie mille! - Rispose lei poco prima di gettare un occhio all'orologio - Le 18:00, è meglio sbrigarsi!
Camminarono a passo svelto fino a raggiungere l'uscita del supermercato e, una volta fuori, ai loro occhi si presentò quello che aveva tutta l'aria di essere l'apocalisse. Fulmini di ogni tonalità di colore infrangevano il cielo per scaraventarsi a terra precedendo boati agghiaccianti, le nuvole tetre, gonfie e imponenti oscuravano il cielo che all'orizzonte appariva infuocato come la bocca di un vulcano e nero l'inchiostro. Il vento soffiava forte, aggressivo e sferzante contro ogni superficie eppure non riusciva a smuovere quelle nuvole nefaste, sollevava polvere, portava con sè piccoli oggetti ma nulla poteva contro di loro. Cominciarono a cadere fulmini sempre più vicini, come se il potere sprigionato dai cieli convergesse sul parcheggio del supermercato restringendo sempre più il suo campo d'azione.
- Che sta succedendo? - Chiese Amaranth terrorizzata.
- Pensi che ne sappia qualcosa? Muoviamoci altrimenti rischiamo di prenderci un fulmine in testa senza tanti complimenti. - Rispose l'altro.
- NO!!! - Una voce familiare fece voltare i due che si trovarono faccia a faccia con uno dei due malavitosi che inseguivano Amaranth - Non andrete da nessuna parte! Vi avevo persi ma ora che vi ho trovati finalmente per voi è finita, a cominciare da te figlio di puttana!
Seppur l'uomo si reggesse a malapena in piedi un po' per lo stato fisico per niente buono (dovuto allo scontro di poco prima) un po' per la forza del vento, alzò il braccio che reggeva la pistola e premette sul grilletto senza esitare un secondo di più.
Accadde tutto in un attimo, il tempo di un mezzo respiro, forse meno, la ragazza si piegò sulle gambe e con uno scatto si mise sulla traiettoria del primo proiettile facendo da scudo di carne all'amico. Le sue braccia attorno al collo di lui, il proiettile che le perforava la carne, lui lasciò cadere le borse di plastica e abbracciò lei tenendola per la vita. Come descrivere il volto di entrambi? Spaventati? Confusi? Oppure sconvolti? Impossibile stabilirlo con certezza, Amaranth si specchiò negli occhi di colui che il giorno stesso le aveva salvato la vita, quegli occhi rossi che aveva visto sempre seri, fermi, adesso tremavano spalancati e irrorati da rigagnoli di sangue. Lui ricambiò lo sguardo capendo soltanto in quel momento quale folle gesto avesse fatto la giovane nel disperato tentativo di salvarlo. In preda alla furia omicida l'uomo continuò a sparare scaricando il caricatore già mezzo vuoto sul corpicino che già aveva ferito a morte.
- Brutta puttana!!! Muori come la cagna che sei!
Le parole scivolarono sui due ragazzi come acqua sulle rocce, una scossa di terremoto violenta come poche spezzò l'asfalto aprendo delle fenditure nel terreno e deformando la superficie dello stesso. Caddero, l'una sopra l'altro mentre ancora si tenevano abbracciati.
- Amaranth! Amaranth tieni duro! - Disse lui in preda al panico - Perchè? Perchè l'hai fatto?
- Io... ugh! - Il sangue le colò dalla bocca strozzando la frase - Io... volevo pro...tegger...ti.
- Non è così che doveva andare! Dovevi startene al tuo posto razza di stupida!
- E... e vederti... morire? - Ansimò con fatica - Io, non voglio... che tu muoia...
Gli prese il volto con un mano discostando i capelli dagli occhi scarlatti.
- Come ti chiami... come?
- Thysia. - Rispose a quel punto lui tenendole la mano ormai gelida.
- Ora capisco... sa...crificio... in greco... - Sorrise, sorrise seppur torturata dai proiettili dentro il suo corpo - e' bellissimo... il tuo nome...
- Risparmia le forze ti prego! Troveremo una soluzione, riuscirai a salvarti! - La disperazione si impossessò di lui.
- No... è tardi... o... ormai. - prese un respiro abbastanza profondo da permetterle di parlare più chiaramente - Thysia, mi hai insegnato tu... a sacrificarmi per qualcuno... io ti amo, ti amo come simbolo, come l'esempio da se...seguire... io ho protetto te stavolta, perchè ti amo... non ci conosciamo, non ci conosciamo per niente, ma ti amo...
- Amaranth. - Sospirò sperando che il tempo tornasse indietro per magia e le regalasse una seconda possibilità.
- E' bello quando mi chiami... grazie... della bella giornata, mi... mi dispiace per la cena.
La pioggia cominciò a cadere.
- Devo... devo andare... addio Thysia.
- No!!! Rimani con me, ti salverò te lo prometto!
Amaranth non rispose. Silenzio.
- Amaranth! AMARANTH!!!
A nulla servì urlare il suo nome, ormai era morta: o forse viveva ancora, nella spada.
Thysia rimase scioccato, stupito o cos'altro quando, dopo la morte dell'amica vide la stessa scomparire tra le sue braccia disgregandosi in un fumo nero e affusolato. Al suo posto una lunghissima spada nera, una katana di ottima fattura, lucente e affilata, la guardia era a forma di spirale rossa sangue e il manico coperto di bende bianche. Perse il controllo di sè, tant'è che non si accorse di essersi alzato e di aver raccolto la spada, non si accorse di aver camminato per qualche mentro contro l'assassino di Amaranth, non si accorse di averlo giustiziato tagliandolo a metà. Il resto fu buio.



@Fede: Eccoci qua a fine prologo! E come ogni prologo si lasciano un buon numero di interrogativi ai lettori xD spero almeno che la storia non vi abbia annoiato (la mia parte soprattutto u_u tanto lo so che Elena è più brava!). Nel prossimo capitolo aspettatevi di tutto, sia chiarimenti che nuovi interrogativi e, ovviamente un bel salto nel tempo ^^ recensite numerosi =)
@Elena: Penso che Fede dica di essere meno bravo solo per sentirsi dire il contrario(muhaha). In ogni caso, spero di aver scritto in modo coerente. E per quanto riguarda quel libro...mmm, ero tentata di anticiparvi qualcosa, ma poi mi sono ricordata di star scrivendo solo un prologo...vabbè, sarà per il futuro!

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Capitolo 2
*** Bellum omnium contra omnes ***


Fanfiction Originale
Titolo: Angulus Suspensorum
Titolo Capitolo: Bellum omnium contra omnes
Rating: Arancione
Genere: Principalmente Fantasy



Era passato un anno da quel giorno, eppure il mondo era sempre lo stesso: lo stesso ammasso di rovine.
Lo scoppio della guerra aveva dato il colpo di grazia ad un pianeta già troppo impegnato a fronteggiare problemi quali il nucleare, i conflitti politici e religiosi, governi sempre più egoisti e dittatoriali. Sull'isola, luogo natìo di Thysia, come in ogni altro posto, regnava l'anarchia. Si cominciarono a formare gruppi malavitosi intenzionati a compiere la scalata al potere, aumentavano di giorno in giorno al punto che ogni abitante era tesserato in uno schieramento. E il resto del mondo? Le potenze quali America, Asia ed Europa erano collassate, non aveva più senso parlare di sviluppo, capitalismo, produzione nè tanto meno commercio: tutto il sistema era stato distrutto in una notte e nell'anno trascorso le cose erano rimaste tali e quali com'erano alla notte d'inizio guerra.
Curioso come l'uomo debba sopportare sulla sua pelle un conflitto da lui non provocato, ma non era forse il loro più grande desiderio il sapere cosa ci fosse dopo la morte? Non hanno forse pregato per anni solo per avere delle risposte? La verità però è meno rosea di quello che speravano: la verità è che il Paradiso esiste... l'Inferno esiste... mentre il Purgatorio è da sempre stata la loro casa!
Per trecentosessantacinque giorni da allora gli angeli e i diavoli si erano dati guerra su campo neutro, la Terra, campo che inevitabilmente subì sin dal primo istante le devastanti conseguenze delle numerose e incessanti battaglie.
Durante le prime settimane furono solo fiamme, getti di lava e nubi di polvere, tutto questo cessò rapidamente lasciando il posto a terreni devastati, deserti, baratri e rovine di ogni genere. Non vi era quasi più differenza tra giorno e notte: ogni momento era buono per morire, notte o giorno che fosse. Il cielo era costantemente oscurato da nuvole grigiastre, il terreno cicatrizzato dalla siccità che aveva colpito gran parte delle nazioni. Nonostante tutto, la vita resisteva, piante, animali e umani non avevano ancora intenzione di lasciarsi inglobare da uno dei due regni in lotta. Seppur in minima quantità l'acqua continuava a scorrere nei fiumi, il cibo prodotto dalle terre ancora fertili era sufficiente a sfamare la popolazione rimasta e i relativi animali che inevitabilmente sarebbero stati macellati una volta cresciuti abbastanza. La speranza muoveva ancora il Purgatorio come sempre aveva fatto fin dalla sua creazione.

La solidarietà, seppur non sia mai stata il punto di forza dell'uomo, non era del tutto andata a farsi fottere, sull'isola esisteva una specie di mensa pubblica alla quale era possibile rivolgersi giornalmente per ottenere cibo sufficiente a sopravvivere fino all'indomani. Il rumore assordante di una mitraglietta automatica fece sobbalzare tutti i presenti in coda per ricevere la loro parte di viveri.
- Bene bene bene cosa ci offre oggi la casa? - Un uomo con la cresta, accompagnato da altri due uomini e due donne vestiti con indumenti di pelle fece il suo ingresso nel capannone adibito a mensa comune.
- Ovviamente qualcosa di più di ieri! Il nostro stomaco ha fatto casino finora - rispose uno dei ceffi al seguito.
- Forza non avete ancora preparato i sacchi? - Esordì una delle donne riferendosi ai volontari che servivano il cibo - muovetevi e vedete di farli pieni stavolta oppure vi riempiamo di piombo dal primo all'ultimo.
Gli addetti al magazzino corsero subito a prendere vivande in una stanza adiacente su ordine degli impiegati al bancone, la gente in coda non aveva nemmeno scomposto la fila, ormai erano abituati a subire maltrattamenti del genere e il loro spirito era consumato a tal punto che non riuscivano a provare nemmeno le emozioni più negative come la paura.
- Sta diventando monotono assaltare questo posto, questi pezzenti non si ribellano nemmeno - l'uomo che non aveva ancora parlato si avvicinò ad un anziano che stava portando il cibo offertogli ad un tavolo, si pose sulla sua traiettoria e protese le mani verso di lui lo spinse facendolo cadere seduto a terra - vedete? patetico.
Per nulla sorpreso il vecchio si levò sulle ginocchia e, tremante, allungò una mano per afferrare il suo tozzo di pane: non ebbe nemmeno il tempo di toccarlo che il tacco della seconda donna fece pressione sulla sua pelle schiacciando a terra la mano. L'aggredito sputò un rantolo di dolore mentre quell'arpia si divertiva a premere sempre di più con la scarpa.
- Non si mangiano le cose cadute per terra, sei un verme schifoso ecco cosa sei! - Disse lei divertita.
Con che coraggio i presenti avrebbero potuto urlare "qualcuno lo aiuti"? Con lo stesso coraggio che li teneva inchiodati nel loro angolino a guardare impotenti la scena? Nessuno avrebbe potuto farci nulla, l'anziano era ormai con entrambi i piedi nella fossa.
D'un tratto una figura celata da un lungo mantello e incappucciata lasciò il suo posto in fila e prese a camminare verso l'uscita, portava con sè un oggetto smisuratamente lungo avvolto in uno strato di bende.
- E tu che hai intenzione di fare pivello? Torna al tuo posto prima che ti sistemi - il malvivente con la mitraglietta, doveva essere il boss della banda, impugnò l'arma puntandola contro quel personaggio misterioso il quale continuò a camminare tranquillamente.
- Sei sordo o cosa? Ti ha detto di stare al tuo posto! - Colui che aveva spinto il vecchio lasciò perdere la sua preda pronto a farsi intendere con la forza.
A quel punto il personaggio misterioso strinse il mantello nella mano libera e lo lanciò davanti a sè coprendo così il campo visivo del suo avversario e della donna alle sue spalle. Finì tutto velocemente: i due teppisti non ebbero nemmeno il tempo di urlare che già i loro corpi erano stati tagliati a metà praticamente nello stesso istante. I busti caddero dalle gambe che li sorreggevano sporcando di sangue il terreno sottostante, l'anziano, che essendo rimasto chinato aveva evitato una brutta fine, scappò terrorizzato.
L'omicida, che aveva ormai superato l'ostacolo dei primi due avversari, era un ragazzo di venticinque anni, mediamente alto, dai lunghi capelli corvini tenuti sciolti, la sua pelle chiara, le sue iridi dipinte di sangue. Brandiva una spada completamente nera fatta eccezione per la guardia e l'impugnatura ancora avvolta nelle bende, ebbene si, era una spada lunga più di due metri lo strano oggetto che portava con sè. In quel momento lo impugnava con una sola mano il cui braccio era completamente steso, l'altra mano puntata a terra.
- No... - Mormorò colui che stringeva la mitraglietta tra le mani vedendo il ragazzo avvicinarsi rapidamente - Nooooo!
Non ebbe nemmeno il tempo di premere il grilletto che sia lui che l'arma vennero tagliati con un solo fendente, i due rimasti cercarono di scappare tornando di corsa sui loro passi ma lo spadaccino lanciò la spada contro di loro tenendola per le bende dell'impugnatura che agirono da catena.
Manovrando l'arma con maestria decapitò entrambi i sopravvissuti con macabra eleganza e riprese al volo la lama ritirandola a sè.
Con un colpo secco tagliò l'aria e il sangue che aveva insudiciato l'oggetto venne scosso via andando ad imbrattare il pavimento: dopo essersi rimesso il cappuccio corse via lasciando i presenti nello stupore.

- Cos'è tutta questa pietà verso dei vermi come gli umani?
Una voce serpentina, agghiacciante e tenebrosa proveniva da dentro di lui.
- Hai dimenticato da dove vengono i tuoi poteri, Thysia?
- Affatto. - Il giovane rispose con fermezza.
- Ah no? - Un'ombra scura si attorcigliò attorno al suo corpo, aveva la forma di una grossa serpe la cui testa si materializzò di fronte a lui a diversi centimetri dal suo volto - non ho mai visto nessun graziato all'Inferno.
L'entità oscura strinse la presa sulle membra fragili del ragazzo il quale, impotente di fronte al dominio del serpente che giocava con lui come fosse stato un burattino, s'inginocchiò e poggiò le mani a terra. La spada cadde di fianco a lui.
- Tuttavìa... - continuò la bestia - non posso punirti dopo l'ottimo sacrificio che hai effettuato, cinque anime ti salvano quindi dalla tua punizione.
Thysia si sentiva soffocare, tossì sputando gocce di sangue. A seguito di ciò fu prontamente liberato dalla morsa che lo asfissiava.
- Ricordatelo ragazzino - scivolò lentamente lungo il corpo torturato e si acciambellò ai piedi dello stesso - l'Inferno ti ha dato il potere e l'Inferno te lo toglierà se non agirai secondo il suo volere, se non abbraccerai i suoi ideali, se sarai indulgente e altruista.
Il serpente scomparve diradandosi come nebbia, non se n'era andato, era tornato a casa, dentro di lui, Thysia: il nuovo servo del regno dei dannati.


I pezzi di cemento caddero sul terreno, facendo alzare una grossa nube di polvere. Tossì.
"Sta' più attento a dove metti i piedi!"
"Scusa..."
Due giovani scesero la rovina di quel palazzo che ormai perdeva ogni pezzo. Tenevano la mano poggiata sul muro, e camminavano in fila indiana, poco distanti l'uno dall'altra, abbastanza lentamente. Il soffitto era in parte scoperto, e permetteva alla luce tenue di filtrare e di infrangersi sui pezzi di palazzo crollati, grigi e miseri di fronte a loro.
La ragazza saltò sul terreno, e si stiracchiò le braccia e la schiena, mentre il giovane dietro di lei era ancora impegnato a scendere dal grosso pezzo di cemento che era caduto tempo prima e faceva da collegamento tra un rialzamento del palazzo ed il terreno vero e proprio.
La ragazza si girò verso di lui, corrugando le sopracciglia "Sbrigati, dai!" incrociò le braccia e si avvicinò a lui. "Quanto ci metti?" lo prese per la stoffa della maglietta e, senza tanti complimenti, gli diede uno strattone verso il basso. Questi scivolò e cadde in ginocchio, a terra.
"Ma sei matta? Potevo farmi male?"
"Smettila di lamentarti, su, e muoviti. Non vorrei che ci beccassero quì" lo afferrò per un braccio e cominciò a camminare velocemente. Con l'altra mano si teneva la gamba zoppicante. Sul polpaccio aveva conficcato un pezzo di metallo, e le scendeva un grosso rivolo di sangue, che aveva bagnato i pantaloni blu, i calzini bianchi e le scarpe consunte.
Lei continuò a trascinare l'amico nella città deserta. Le finestre dai vetri rotti si mossero cigolando al loro passaggio, ed alcune sbatterono per il vento. Qualche insegna di negozio si mosse producendo un rumore sinistro. A terra, alcuni vecchi giornali rotolavano sull'asfalto pieno di crepe, su cui erano cresciute alcune piante ormai secche. Lei si morse il labbro inferiore, e girò dalla strada principale in un vicolo cieco riparato da alcuni palazzi. Sul fondo c'erano alcune casse sfondate ed un secchio della spazzatura rovesciato ed ormai quasi del tutto privo del suo contenuto, di cui rimanevano solo le buste.
Lei lo lasciò ed andò a sedersi su una dei resti delle casse. Alzò i pantaloni di stoffa che le arrivavano a metà polpaccio ed esaminò parte della ferita. Provò ad alzare ancora la stoffa, ma toccò per sbaglio il pezzo di ferro che aveva conficcato. Rabbrividì, e si morse le labbra. Con la mano tremante lo afferrò. I muscoli le si contrassero tutti, e lei fece uno scatto in avanti con la testa, chiudendo le palpebre. Fece un respiro profondo e, tenendosi il ginocchio con l'altra mano, tirò fuori il pezzo di ferro. Il sangue cominciò a sgorgare copioso, mentre la sua mano tremante lasciò cadere il pezzo di ferro insanguinato. Questi fece un rumore cadendo a terra, mentre lei si chinava sulla gamba gemendo. L'altro ragazzo, che intanto si era chinato ad esaminare il contenuto rimasto del secchio della spazzatura, volse un rapido sguardo verso di lei, e poi riprese a cercare.
"Una benda, diamine!"
Lui cominciò a cercarsi addosso la benda, ma rispose subito alzando le spalle "Mi dispiace!"
"Ah, diamine!" senza indugiare si tolse dalla spalla la cinghia che teneva legato alla sua schiena un lungo bastone azzurro, che posò a terra, e si levò la maglietta e la attorcigliò, per poi annodarla sulla ferita. Poi si alzò, prese il suo bastone, lo svelse dalla cinghia, che si rimise sulle spalle ormai coperte solo dal reggiseno bianco, e si rimise in marcia facendo peso sull'asta.
"Dai, muoviti, che lì non c'è niente. Meglio andare a vedere se c'è qualcosa alla mensa comune."
"Come preferisci."

La città a quell'ora pareva vuota, e tirava un vento caldo che le scosse i capelli azzurri e lisci. Guardava davanti a sè, stringendo il bastone con tutta la sua forza.
Attraverso i suoi occhi, quella città parve popolata da figure azzurre ed evanescenti, che la guardavano, o passavano quasi volando, attraverso case e pali della luce.
Dietro di lei, Tom camminava con le mani dentro le tasche.
Si fermò, e prese a guardare fisso davanti a sè. Tom si fermò di conseguenza.
I suoi occhi castani contornati di grigio cominciarono a guardarsi attorno, lucidi di lacrime. Ad un tratto li chiuse, portandosi la mano libera alla testa.
"Basta! Basta! Basta!"
Tom sussultò, indietreggiando.
"Di nuovo quelle voci?"
Lei dopo qualche secondo annuì.
"Mi chiamano, mi dicono quello che devo fare...che devo fare, Tom? Ho paura di loro."
Tom corrugò la fronte e si avvicinò a lei. Avvicinò alla sua spalla una mano tremante, ma non ve la pose, anzi la ritirò dentro la tasca. Volse lo sguardo altrove.
Kylie riprese a camminare "Non è nulla, son sciocchezze. Andiamo, che è tardi. E non vorrei..." la sua voce tremò nel dire l'ultima parola, ma il suo sguardo era fisso.
Ripresero il passo, girando più volte in vicoli stretti e vuoti. Si ritrovarono in un'altra strada principale. Una persona entrò dentro una casa dalle finestre sfondate.
Fecero per girare in un vicolo, ma un'ombra passò davanti a loro. Kylie alzò il braccio con il bastone, bloccando il passo a Tom. Rimase con le gambe divaricate, il labbro inferiore morso, a scrutare davanti a sè.
Rimise il bastone a terra, poggiandovisi. Continuò a fissare davanti a sè, respirando a fondo. Socchiuse le palpebre.
Mostrati...dove sei?
Rimasero ancora immobili. Kylie riprese a camminare, ma un passo dopo l'ombra schizzò di nuovo davanti a loro. Stavolta si mise in guardia, con il bastone davanti a sè.
"Chi sei?" strinse il bastone "mostrati!"
L'ombra schizzò di nuovo davanti a loro. Loro non si mossero. Tom gemette. Kylie si morse il labbro, sgranando gli occhi.
L'ombra schizzò fulminea e si avventò su di loro. Lei fece per porre il bastone davanti a sè orizzontalmente, in posizione di difesa, ma non fece in tempo.
Tom era a terra, una figura nera e fatta da una materia simile al fumo, ma di esso più solida, gli si avventava sopra, stringendolo al collo. Lui gemeva e cercava di levarsela di dosso, mentre quella emetteva versi striduli e gli si muoveva addosso.
Kylie fece uno scatto verso l'ombra, e con il bastone diede un montante dal basso, prendendo l'ombra sullo stomaco e portandola in alto con il suo bastone. Diede uno strattone verso l'alto, e quella con un gemito si sollevò in aria, per poi scattare e ritornare per terra, china nella sua postura quadrupede, nella sua forma umanoide. Fece un verso simile al soffio dei gatti. Kylie aggrottò le sopracciglia, mettendosi davanti a Tom, che ansimava e si portava la mano al collo, ancora sdraiato per terra. La ragazza fece volteggiare il bastone, e dal suo braccio partì una luce azzurrina che si espanse su tutta l'arma, e gli fece uscire due lame dagli estremi. Guardò l'ombra.
Per qualche secondo, rimasero immobili. Poi l'ombra le saltò addosso. A lei bastò portare la punta con cui aveva minacciato l'essere infernale verso l'alto nel momento in cui vi si avventava contro. L'azione fu così veloce che si vide solo una scia azzurra andare verso l'alto e poi essere scaraventata in basso. Alla fine di questa, Kylie era inginocchiata a terra, con una mano sulla sua ferita, sudata ed ansimante, e le lame del suo bastone si erano ritratte. Da questo, la luce azzurrina tornava ad essere assorbita dal suo braccio. Sul terreno c'era una fossa. Tom si alzò e le andò vicino.
"Dannazione." Kylie ansimò "non sono riuscita a distruggerla" chiuse gli occhi portando il busto verso la gamba ferita ed emettendo un gemito.
"E' scappata?"
"Sì, ma per il momento penso che resterà lontana."
Tom guardò il cielo nuvoloso sopra di lui.
"Su" Kylie gli porse un braccio "aiutami ad alzarmi. Quì è troppo pericoloso."
Lui la aiutò, e lei poggiò il suo peso di nuovo sul bastone.
"Va' avanti tu, io sono troppo lenta."
Tom cominciò a camminare, volgendosi un paio di volte verso di lei, che ancora ansimava.
Kylie guardò il cielo, con gli occhi umidi e la mano sulla gamba "Perchè mi fate questo?"

Il fuoco scoppiettava dentro al cesto della spazzatura riempito di carta che avevano rinvenuto nel vicolo poche ore prima.
Tom stava appresso a questo, smuovendo la carta ed il legno messo all'interno del contenitore. Kylie era seduta su una delle casse, il bastone posato accanto a lei, e la maglietta di nuovo infilata addosso. Sulla ferita ora c'era un altro pezzo di stoffa che era riuscita a trovare in un vecchio edificio abbandonato. Accanto a lei stava posata anche una borsa di stoffa che aveva ripreso dal loro ultimo nascondiglio prima di andare lì.
Dentro vi era tutto quello che le era rimasto. Sospirò.
"Domani dovrei andare a trovare la nonna."
Tom non rispose.
"Anche se, impegnata com'è a recitare rosarii, dubito che sentirebbe la mia mancanza." posò la testa sulle ginocchia.
Tom continuò ad occuparsi del fuoco.
"Non ha voluto credere all'evidenza...che strano..." mormorò, guardando il muro davanti ai suoi occhi "eppure gli angeli sono proprio scesi sulla terra..."
Tom si sedette a terra, con la schiena contro il muro "che ci vuoi fare, sono persone anziane. Non puoi imporle una convinzione che non ha mai avuto all'età di ottantadue anni."
"Non lo farei, ma è una cosa evidente."
"Piuttosto" Tom si rialzò "la cosa strana è che sia ancora in perfetta salute dopo tutto quello che è successo."
"E chi l'ammazza a quella?" Kylie alzò la testa e le sopracciglia "E' dura la sua pellaccia, mica no."
Tom sorrise, tornando al fuoco. Kylie rimase seria.
Passarono qualche minuto senza dirsi nulla. Da mangiare non c'era niente, e sonno non ne avevano. Il cielo era già nero e ricoperto di stelle, che si vedevano brillanti tra le nuvole grige.
Kylie si volse verso la sua borsa, ed estrasse qualcosa.
Era il libro che aveva trovato quella volta al supermercato. Lo sfogliò, con gli occhi inumiditi. Si morse il labbro inferiore.
Sulla prima pagina v'era una scritta:

"In prologo, finis"

"Nel prologo, il limite. O la fine." chiuse gli occhi. Era stata la prima scritta a comparire sul libro. Continuò a sfogliarlo. V'erano altre frasi, alcune molto lunghe, e tutte le aveva lette. Si morse il labbro, lo richiuse con uno scatto che fece voltare Tom e lo rimise dentro la borsa, che lasciò cadere dalla cassa. Lei scese con il piede sano e si sdraiò a terra, accanto al bastone.
"Notte, Tom." disse. E chiuse gli occhi, non ascoltando nemmeno la risposta del giovane.



Thysia colpì due volte quella che più che una porta sembrava una grande lastra di ferro ammaccata un po' ovunque. Attese qualche secondo, colpì una terza volta. Di nuovo una breve attesa e la porta si spalancò producendo un rumore macchinoso: dietro di essa un ragazzo di all'incirca 27 anni, alto più di Thysia, rasato e dalla pelle vistosamente abbronzata.
- Entra - invitò.
L'interno della stanza alla quale il giovane fece accesso era ben arredato se si considera il macello che c'era al di fuori di quelle quattro mura. C'erano diverse poltrone, due divani, tre tavoli di cui uno al centro della stanza, attrezzature da cucina e varie altre cianfrusaglie tra cui spiccavano anche diverse armi sia da fuoco che bianche.
- Beh? - Proferì l'uomo mulatto.
- Beh cosa? - L'altro si sedette sul divano vicino al tavolo e prese la spada con entrambe le mani cominciando a riavvolgerla nelle bende che aveva precedente mente raccolto sul divano stesso.
- Hai dovuto combattere di nuovo? Angeli? - Chiese riferendosi ovviamente alla spada senza bende.
- Fortunatamente no. Erano solo una gang di teppisti, stavano facendo casino alla mensa.
- E tu non sai startene al tuo posto.
- Non devo starmene al mio posto.
- Fa un po' come vuoi, basta che poi tu non venga a piangere da me se ti fai male.
- Vedo che hai raccolto altre armi...
- Moltissime, ho altri depositi sparsi qua e là, ovviamente ben nascosti. Qui cominciamo a starci stretti amico mio.
- Apprezzo il fatto che tu voglia aiutarmi ma credi davvero che tutte queste armi siano davvero efficaci? Insomma stiamo parlando di angeli, diavoli e chissà quali altre creature...
L'uomo, che rispondeva al nome di Sabin, si sedette a sua volta su una poltrona di fronte al divano.
- Se non proviamo a fare qualcosa, qualsiasi cosa, perderemo questa stupida guerra. Se ciò accadesse non avremo più una casa alla quale fare ritorno, saremo schiavi, non importa se all'Inferno o in Paradiso.
- Possiamo solo sperare che i nostri alleati si accontentino di una banalissima vendetta... fa strano aiutare chi da sempre ha rappresentato tutto il male del mondo.
- Che tu lo voglia o no è da questo lato del ponte che devi stare, ti hanno dato i poteri.
- Già... in ogni caso non credo che il Paradiso sia molto diverso dall'Inferno, ho ragioni di odiarlo almeno alla pari di quest'ultimo.
Le urla della gente catturarono l'attenzione dei due amici: fuori dal loro bunker era scoppiato il putiferio.
Aspettarono qualche secondo, grida e schiamazzi continuarono con la stessa intensità finchè un rumore assordante, come di qualcosa che crolla, fece aumentare ancor di più il chiasso.
Thysia corse fuori, l'entrata del covo era ben nascosta fra le macerie ma anche se fosse stata sotto il naso di tutti nessuno le avrebbe dato peso in quel momento, vuoi perchè la folla si era radunata sulla strada opposta, oppure perchè c'era qualcosa di più coinvolgente di un semplice ingresso ad un rifugio.
Il ragazzo giunto sul luogo di quello che sembrava, ed effettivamente era un crollo, notò subito un angelo sbattere le ali a mezz'aria sfoggiando tutta la sua eleganza oltre all'equipaggiamento da battaglia in argento (ad eccezione della spada che era fatta di semplice ferro, almeno in apparenza). Dalle macerie dell'edificio ormai distrutto completamente si erse, terribile e maestoso allo stesso tempo, un demone antropomorfo completamente nero, nudo e possessore di pericolose armi naturali come gli artigli, le corna e una coda lamellata.
- Voi angeli siete sempre più codardi! - Ringhiò la creatura immonda - Avete paura di graffiarvi? Non è forse per questo che vi chiudete in quelle corazze?
- Taci demone! - Lo ammonì la creatura celeste - Preparati ad essere giustiziato!
Con un violento battito di ali si gettò come una saetta verso il nemico brandendo in una mano la spada e proteggendosi con lo scudo che reggeva nell'altra. Il demone saltò sull'edificio adiacente proprio un attimo prima dell'impatto col proprio avversario il quale sembrò schiantarsi fra le macerie, invece scattò nuovamente e attaccò con un fendente.
Il colpo andò a vuoto a seguito di una schivata, approfittando del leggero vantaggio la creatura infernale girò su se stessa e sbattè la coda contro l'armatura argentata ammaccandola e scaraventando colui che la indossava diversi metri lontano da sè.
- Puah! - Sputò - se vestire quello stupido argento non è da codardi io sono uno dei vostri santi.
L'angelo si rialzò dopo aver slittato per terra in mezzo alla folla in parte rimasta travolta - Vuoi forse che ti mostri cosa succede se tolgo l'armatura? Ti accontento subito! - Col manico dell'arma battè violentemente su ogni parte dell'equipaggiamento che indossava: busto, gambali, schinieri, guanti elmo e spallacci s'infransero come vetro lasciando a protezione della carne soltanto abiti di stoffa.
- Finalmente il codardo si è... - il demone non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che un fendente lo raggiunse tranciandogli di netto entrambe le gambe, dietro di lui il suo avversario squoteva la spada per pulirla dal sangue acido del quale si era macchiata.
- AAARRH! MALEDETTO!!! - Si accasciò a terra urlando bestemmie e orribili minacce mentre con le mani si toccava le ferite appena riportate, era successo tutto in un attimo, una volta alleggerito di tutto quel metallo il cavaliere celestiale aveva riacquisito una certa rapidità nei movimenti.
- Adesso capisci perchè indossiamo queste armature? - Si avvicinò al ferito e levò in alto la spada - Perchè altrimenti questa guerra non avrebbe senso!
Un attimo prima che la lama potesse giustiziare l'immonda creatura, quest'ultima sputò acido e colpì in pieno volto l'avversario che barcollò e cadde all'indietro lasciando spada e scudo.
- Ugh! - rantolò stringendo i denti, l'acido gli aveva colpito gli occhi togliendogli la vista probabilmente per il resto dei suoi giorni - sei un vile! Schifoso dannato!
- Ahahahahah sei tu che sei ingenuo! E adesso sarò io a finirti! - Spigendosi con le mani egli si gettò sull'angelo che riuscì però, calciando l'aria a caso, a colpirlo gettandolo giù dal tetto dell'edificio sul quale stavano combattendo. La determinazione della bestia non accennava a svanire, aiutandosi con la coda strinse con forza la gamba con cui esa stata colpita e trascinò con sè la creatura celeste: entrambi caddero al suolo facendo scappare la folla sottostante.

La gente guardava il combattimento a distanza di sicurezza, tra gli spettatori c'erano anche Sabin e Thysia che assistevano come unici esseri umani per niente stupiti o terrorizzati, la loro vita nell'ultimo anno era stata molto più terrificante di un banale scontro tra esseri superiori.
- Tutto ciò è raccapricciante... è un massacro da entrambe le parti - commentò Sabin mentre notava come i due sfidanti si stessero colpendo ferocemente in una rissa per mutilati.
- Che vuoi farci? E' la guerra. - Thysia finì la frase appena qualche attimo prima che il cadavere del demone gli venisse lanciato contro. Con un movimento rapido e preciso afferrò la katana e tagliò la carcassa che lo superò senza colpirlo, ovviamente le persone nelle immediate vicinanze fuggirono spaventate.
- Così il nostro amico a riacquisito la vista... che sorprendente abilità di rigenerazione - commentò il ragazzo abbassando l'arma.
Durante la lotta furiosa che lo vedeva impegnato l'angelo era riuscito a riprendere gradualmente l'utilizzo degli occhi, probabilmente una sorta di magia celeste che gli aveva permesso di avere la meglio, infatti una volta inquadrato il bersaglio aprirgli il petto a mani nude fu un gioco da ragazzi per lui.
- Oggi è il mio giorno fortunato! - Esclamò - Uccido un'orribile bestia e come per magia incontro uno sporco umano corrotto. Due al prezzo di uno! - Svelto volò sul tetto dell'edificio alle sue spalle e raccolse le armi lasciate cadere poco prima.
- Sei un pesce piccolo - lo schernì Thysia - ti ucciderò prima che tu possa chiamare i rinforzi.
Due passi furono una rincorsa sufficiente per il balzò che il ragazzo spiccò verso il suo nemico, la katana pronta a sferrare una spazzata all'altezza del busto.
- Lento - per evitare l'enorme portata dell'arma avversaria l'angelo gli andò incontro e tentò di bloccare con lo scudo. Inutile. Il metallo nero della lama squarciò l'argento come se fosse stata carta, inevitabilmente anche l'angelo venne tagliato senza tanti complimenti.
- L'avevo detto che eri un pesce piccolo... - per evitare di rimanere troppo a lungo sotto gli occhi giustamente meravigliati dela folla il giovane si allontanò dal luogo della battaglia lasciandosi cadere nella strada che ospitava la facciata opposta dell'edificio.
- Però... - proferì Sabin tornando al rifugio con massima discrezione - E' migliorato veramente tanto dall'ultima volta che l'ho visto in azione, sembra addirittura che adesso riesca a controllarsi. E' un sollievo, almeno adesso non dovrò fuggire ogni volta che si arrabbia.

Due colpi sulla porta, attesa, altro colpo, Sabin aprì.
- Bentornato Thy! - Esclamò alzando le braccia - entra entra, è arrivato anche Jeth poco fa.
- Ehilà fratello! - Dall'altra parte della stanza, comodamente seduto su una poltrona, se ne stava un ragazzo della stessa età di Thysia ma molto più esuberante e attivo. I suoi capelli erano lunghi e biondi, gli occhi grigi e la pelle piuttisto chiara, alto e allenato quanto bastasse, così si presentava il terzo e penultimo cittadino che fosse a conoscenza di quel bunker.
- Ciao Jeth, è un piacere vedere che non ti hanno ancora ucciso.
- Ahahah, non esiste che io muoia ricordatelo bello! Adesso sedetevi che ho un bel po' di informazioni da regalarvi.
- Giusto - concordò Sabin - aspettavamo solo tu Thy.
- Cosa? - L'interpellato sussultò - volete dire che Elena...
- Frena frena frena - Jeth lo interruppe - non le è successo niente tranquillo, era con me fino ad ora e visto che sa già tutto ha preferito ritirarsi nel suo alloggio personale, se così possiamo chiamare quel tugurio.
Si schiarì la voce.
- Tornando a noi: ho scoperto una terza fazione in guerra.
- Una terza fazione? - Pronunciarono gli ascoltatori all'unisono.
- Proprio così, dall'inizio della guerra ad ora questo terzo regno, se possiamo paragonarlo agli altri due, è cresciuto sempre più velocemente e adesso ha raggiunto un livello di pericolosità piuttosto alto, seppur ancora lontano da quello di Inferno e Paradiso.
- Cos'è adesso anche il Purgatorio scende in guerra? - Chiese Sabin incrociando le braccia.
- Naaa Purgatorio è solo il secondo nome di "Terra", questi tizi, questo terzo regno, non hanno niente a che vedere con l'aldilà... che ora è più qua che di là, passatemi la battuta...
- Passata, arriva al dunque - Thysia lo incoraggiava a stringere.
- Sono umani, tutti esseri umani! Una sorta di nuova grande alleanza che in qualche modo sembra voler partecipare a questo scontro epico battendosi ad armi pari con angeli e demoni.
- E' una follia.
- Non se anche loro hanno poteri come il tuo.
- Pazzesco... non ho mai creduto di essere il solo... non so se dire benedetto o maledetto, beh in ogni caso è pazzesco che le persone come me si siano riunite tutte sotto un'unica bandiera.
- Bandiera? No, mazzo di carte.
- Come scusa?
- Pare che gli alti esponenti di questa... chiamiamola alleanza, organizzazione se volete, si facciano chiamare come le figure delle carte da Poker, compreso l'asso e non escludo la presenza di qualche Jolly.
- Questa poi - Sabin sembrava più deluso che sorpreso - faranno sul serio?
- Lo scopriremo solo osservandoli, io ed Elena continueremo a carpire informazioni per tutta l'isola, non sarà facile ma ci proveremo.
- Consigli? Insomma potremmo scoprire di aver ben tre nemici piuttosto che due. - Thysia sembrava preoccupato.
- Il più ovvio: guardatevi le spalle.


Il buio si spandeva davanti ai suoi occhi. "C'è nessuno?"
La sua voce echeggiò nel vuoto.
Kylie mosse un passo incerto, muovendo gli occhi attorno a sé. Ispirò profondamente, ma trattenne il fiato. "C'è nessuno?" si fermò.
Il suo eco si dipanò nello spazio oscuro. Lei si morse un labbro, portandosi la mano al petto. Il suo cuore batteva velocemente.
Chiuse gli occhi, stringendo le palpebre "Calmati..."
Sotto di lei vi fu uno scricchiolio. Sotto ai suoi piedi si ramificarono dei fasci di luce bianca. Lei li guardò trattenendo il fiato. La luce formava dei cerchi, delle forme geometriche, ed in alcuni tratti era simile ai rami di un albero. Aumentando di espansione, aumentava anche la propria luminosità. Lei socchiuse le palpebre.
Un forte vento cominciò a spirare, andando dal basso verso l'alto. Lei si coprì gli occhi con un braccio.
Le parti nere in mezzo ai disegni luminosi cominciarono a vibrare, poi a tremare sempre più forte. Kylie barcollò. Poi cominciarono a staccarsi dalla loro zona d'origine, lasciando solo il bianco al loro posto. Tutti quei frammenti di oscurità le andarono contro. Urlò, portandosi entrambe le braccia a coprire il viso. Sentiva il vento gelido soffiarle sulla carne con forza, ed i pezzi di oscurità che le andavano a sbattere contro la pelle, come se fossero state mattonelle.
Poi, tutto fu bianco, mentre per lei tutto fu nero.

Buio. Davanti alle sue palpebre chiuse si vedeva solo una leggera luce rossa. Le sue ciglia vibrarono un poco, ma non aprì le palpebre. Stava ferma con le braccia incrociate e la schiena appoggiata nell'angolo formato dal muro e da una delle casse. Il vento le soffiava debole sul volto, e non sentiva alcun rumore. "Evidentemente Tom è andato a cercare qualcosa da mangiare..." sospirò, mantenendo gli occhi chiusi. "Ma perché mi sono svegliata?" Si spostò su un lato. Una fitta le prese la gamba. Strinse le palpebre e si portò la mano sulla benda improvvisata la sera precedente. Tastò con le dita all'interno del pezzo di stoffa. La prese un'altra fitta, ma non sentì nulla di bagnato, anzi, il pezzo di stoffa le sembrava rigido. Tirò fuori la mano e la incrociò nuovamente con l'altro braccio.
Le sue sopracciglia si contrassero lievemente, e si morse un poco il braccio. Accanto a lei sentiva una pulsazione.
Il suo respiro accelerò, mentre ascoltava quella scansione ritmica precisa e bassa. Sospirò ancora, e rilassò tutta la muscolatura, mantenendo però le braccia incrociate.
Kylie...
Sussultò, aprendo gli occhi.
Rimase a fissare il pavimento, respirando velocemente.
Kylie...
Lei scosse la testa. Si portò le mani alla testa "Lasciatemi in pace!"
Ragazza...
Lei scosse ancora la testa "Smettetela, non vi voglio sentire!"
Accanto a lei, la pulsazione si era fatta più forte. Lei si appoggiò di nuovo al muro. Si portò una mano sulla fronte "Non ce la faccio più..."
Non puoi rinnegarci!
Lei si accucciò nell'angolo "Basta...Vi prego, andate via..."
La pulsazione continuava. Lei emise un singhiozzo, scattò verso la borsa e, cacciato un braccio al suo interno, prese il libro.
Arricciò il naso: il libro pulsava sulla sua mano. Con mano tremante lo aprì.
"Cosa volete?"
"Bellum omnia contra omnes."

"Hobbes..." buffò. con il labbro che le tremava. Volse lo sguardo altrove, chiudendo il tomo "Un po' sibillino come consiglio..."
Si appoggiò di nuovo al muro, guardando davanti a sé "Che vogliano mettere le genti degli inferi le une contro le altre?". Le salì un groppo in gola "Oppure è degli umani che parlano?"
Afferrò il bastone accanto a lei, e cominciò ad alzarsi in piedi, aiutandosi appoggiando la mano al muro ed alle scatole o con il bastone.
"Che strano...." aggrottò le sopracciglia "In genere Tom non si allontana mai per troppo tempo..."
Prese la brosa che era posata a terra, e vi lasciò cadere il libro dentro. Poi, appoggiandosi al bastone, cominciò a muovere qualche passo claudicante.
Una figura correva verso di lei contro luce. Lei distanziò i piedi, stringendo il bastone. Quando la figura le fu più vicina, rilassò i muscoli, e sorrise.
"Dove ti eri cacciato?"
"Ky! Vieni, vieni con me..." le afferrò un braccio, ma lei gli diede uno schiaffo sulla spalla "Mi hai fatto prendere un colpo, sciagurato!"
Lui alzò gli occhi al cielo, e la strattonò. Lei si appoggiò al bastone "Non cominciare a correre, ti ricordo che sono ferita!"
Il ragazzo sbuffò, e le diede un altro strattone "Quante storie per un graffio. L'ultima volta che è capitato a me non mi hai dato il tempo nemmeno per respirare!"
Lei inarcò le sopracciglia "Ma tu ti eri fatto male al dito!". Tom sospirò "Dettagli..." strattonò ancora una volta il suo braccio avanti a sé "Dai, però, non sprechiamo tempo! E muoviti!"
"Dove?"
"Non parlare e seguimi!
E, sospirando si avviarono.



@Elena: Scusate per il ritardo, colpa mia xD
@Fede: Ok ok la mia compagna ha fatto un ritardo pauroso nello scrivere ma aveva i suoi buoni motivi per non mandare avanti la storia u_u quindi per me è assolta e spero anche per i lettori u_u ma adesso andiamo al capitolo! Le cose dovrebbero cominciare a risultare più chiare ma non abbiamo ancora svelato nulla mahuhauahuaah c'è ben altro da sapere u_u immagino comunque che lo scenario sia sufficientemente chiaro =) e spero che per ora la fanfic vi stia piacendo ^^

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