As You Wish (incompiuta)

di _Cassie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Avviso (prima o poi doveva arrivare anche il mio turno...) ***
Capitolo 13: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 14: *** Avviso (scusatemi). ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 


Gli unici passatempi preferiti di Isabella erano: cavalcare, nuotare e tormentare il giovane garzone della fattoria, dall’alba al
tramonto.                                                                                  
Il suo nome era Edward, ma lei non lo chiamava mai così...                                                      
«Garzone, riempi questi secchi d’acqua. Poi lucida la sella di Cavallo; voglio vederci rispecchiare il mio viso».
Garzone. Questo era il nome con cui l’aveva ribattezzato dall’età di dieci anni.                                
Nulla al mondo piaceva di più a Isabella che dare ordini a Edward.                                                                               
«Ai tuoi ordini» rispondeva il ragazzo ad ogni richiesta della giovane.                                              
“Ai tuoi ordini” era tutto ciò che le avesse mai detto... 


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C'è nessunooooo?
Quanti di voi non mi conoscono? *Tutti alzano la mano*. Bene.
Quanti di voi mi conoscono? *Grilli in sottofondo*. Siamo spiritosi.
Bene, per tutti quelli che non sanno chi diamine sia la povera pazza che sta scrivendo, mi presento: sono Cassie89, iscritta relativamente da poco, e fino a circa mezz'oretta fa ero solo una lettrice di questo fantastichissimo sito.
Poi (per vostra sfortuna) ho deciso di cambiare. Muahahahahah. 
Allora, questo è solo un minuscolo, microscopico, piccinissimo prologo. Se vorrete, il primo capitolo verrà postato oggi stesso. Basta che commentiate ^^.

P.S. Questa storia non è originale. È basata sul libro "La principessa sposa" e sul film "La storia fantastica".
Ma sarà scritta secondo i miei occhiucci **.
Bene, ho detto tutto. Ho una fifa nera e blu, ma a voi (sempre se c'è qualcuno) non interessa di certo. Santi numi.
Wow. Note più lunghe del capitolo. Non mi ammazzate ç.ç...

Cassie 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 

L’anno in cui nacque Isabella, la donna più bella della Terra si chiamava Leah, una nativa americana che viveva nel “Nuovo Mondo”. 
La sua pelle era del colore del bronzo, priva di qualsiasi imperfezione o impurità e straordinariamente liscia al tatto; i suoi capelli erano del nero più intenso e lucente che occhi umani avessero mai visto, morbidi e setosi come la seta più rara. 
Era corteggiata da tutti gli uomini, invidiata da tutte le donne e ammirata de tutti i bambini delle tribù native americane. 
All’ età di undici anni aveva scoperto la sua bellezza specchiandosi nel ruscello poco distante dall’accampamento indiano. Da allora, ogni giorno per otto anni, tutte le mattine si recava nel luogo dello specchio d’acqua, e passava ore e ore ad ammirarne il riflesso.
Divenne pian piano una donna vanitosa e superba, tanto che per il suo carattere impossibile non trovò mai marito, nonostante la straordinaria bellezza. 
Qualche anno dopo, sulla sua pelle cominciarono a formarsi delle rughe, e i suoi capelli perdettero gradualmente lucentezza.
Quando Isabella aveva cinque anni, la donna più bella del mondo era Victoria, una giovane cortigiana del Regno di Francia. 
I suoi occhi verdi come il prato e i suoi capelli rossi come il sangue le donavano l’ unicità alla quale tutte le donne aspiravano, in quel mondo di futilità e civetterie. 
Molti la chiesero in sposa, e lei in fine accettò James, l’uomo più ambito di tutta la Francia.  
Durante i festeggiamenti del matrimonio, Victoria assaggiò per la prima volta il cibo tanto famoso di cui si parlava da qualche anno a quella parte in tutto il Regno: il cioccolato.
Le piacque talmente tanto che da quel giorno, assieme al marito, cominciò a cucinare dolci e delizie varie con quell’ingrediente tanto speciale, capace di risvegliare l’allegria e la passione nelle persone. 
Nel giro di qualche mese, i coniugi ingrassarono notevolmente, ma continuarono a vivere una vita allegra e soprattutto molto dolce.
I dieci anni di Isabella coincidevano con la nomina della nuova donna più bella: Elizabeth. 
Viveva in Inghilterra, figlia di nobili; ricca ereditiera, viziata ed egoista. 
I suoi lunghissimi capelli color dell’autunno erano la cosa di cui andava maggiormente fiera. 
Era solita farseli spazzolare per ore ed ore, incessantemente, punendo severamente le domestiche che commettevano l’errore di spezzarne anche una singola fibra dorata. Non permetteva a nessun altro di toccarli, nemmeno di sfiorarli con una piuma, tanto ne era gelosa. 
Una domestica, stanca delle angherie subite per colpa di quella chioma tanto odiata, si intrufolò a notte inoltrata negli appartamenti della giovane padrona, con un paio di affilate forbici in una mano. 
Ne uscì mezz’ora dopo, con le stesse forbici nella mano e una quantità enorme di fili color dell’autunno nell’altra. 
La mattina dopo, quando Elizabeth si svegliò, andò come di consueto davanti allo specchio per ammirarsi. La vista di se stessa senza gli amati capelli la sconvolse a tal punto che si precipitò urlando fuori dal palazzo di famiglia, dove per sua sfortuna tutte le pettegole della città erano abituali. 
La notizia fece inevitabilmente il giro della Nazione. 
Quando Isabella compì quindici anni, il suo posto nella classifica era discreto: era la centesima tra tutte le donne del mondo.
Viveva in una fattoria di un piccolo villaggio nel Regno di Florin, confinante a sua volta con il Regno di Guilder, suo nemico giurato. 
Figlia di umili contadini, Charlie e Renée Swan, aveva un viso molto dolce e vivace, a forma di cuore, del colore della panna d’inverno, e i capelli color mogano che le arrivavano di poco sotto le spalle. Il suo corpo era ben proporzionato, dalle curve delicate e femminili, ma ancora molto infantili.                                      
Le sue labbra erano rosee e piene, e i suoi occhi erano color del cioccolato.
Aveva molto potenziale per diventare la prima della classifica, ma per il suo carattere libero e vivace non si curava granché del suo aspetto. 
Nonostante ciò, in tutto il villaggio era la ragazza più desiderata e invidiata.
Non aveva molti amici, anzi, per la verità nessuno. Parlava di rado con le persone, ma non le importava proprio di socializzare con quelle teste vuote, che non facevano altro che giudicarla superficiale e “ribelle”. 
Per cosa poi? Solo perché amava cavalcare senza sella e nuotare nel grande lago, doveva essere considerata un maschiaccio? Libertà e felicità prima di tutto, e grazie tante! 
Le uniche persone con cui aveva un rapporto erano ovviamente i suoi amati genitori.      
Seguiva poi il suo caro cavallo, al quale aveva dato il nome “Cavallo”, non essendo dotata di molta fantasia. 
Ma l’unica persona con la quale Isabella parlava, oltre alla sua famiglia e al suo cavallo, era il garzone. Viveva nella casetta vicino alla sua fattoria da quando avevano entrambi quattordici anni.
All’età di otto anni, dopo la morte dei genitori per un’epidemia sconosciuta, era stato ospitato dagli Swan, fino a diventare il loro aiutante. 
Forse “parlare” non era il termine giusto per indicare i loro dialoghi. Piuttosto lei “ordinava”, sempre con tono fermo e autoritario, e lui obbediva, mesto e bonario. 
Gli unici passatempi preferiti di Isabella erano: cavalcare, nuotare e tormentare il giovane garzone della fattoria, dall’alba al tramonto. 
Il suo nome era Edward, ma lei non lo chiamava mai così... 
«Garzone, riempi questi secchi d’acqua. Poi lucida la sella di Cavallo; voglio vederci rispecchiare il mio viso».
Garzone. Questo era il nome con cui l’aveva ribattezzato dall’età di dieci anni.                                   
Nulla al mondo piaceva di più a Isabella che dare ordini a Edward.                                                                              
«Ai tuoi ordini» rispondeva il ragazzo ad ogni richiesta della giovane.                                         
“Ai tuoi ordini” era tutto ciò che le avesse mai detto... 


Passò il tempo, Isabella compì sedici anni. Quel mese, per la fattoria, era stato molto fortunato, infatti il buon Charlie aveva coltivato ottimi ortaggi dalla sua terra, riscuotendo un discreto guadagno nel villaggio. 
«Bella, tesoro?» chiamò la figlia, che si avvicinò. «Dovresti portare queste zucche al signor Weber giù in paese. Prendi pure il carro e Cavallo, ma ritorna per il tramonto a casa» la ragazza annuì, salutò la mamma che era intenta ad impastare la pasta del pane, e uscì di casa. 
Arrivò al villaggio, e quando incontrava qualche donna o ragazza, esse le giravano a largo. Confusa e pensierosa, andò a casa del buon uomo, consegnò le zucche e ripartì per la fattoria. 
Durante il ritorno, incontrò una ragazza che conosceva discretamente, Irina. Anche lei, vedendola, si voltò sui suoi passi e si affrettò ad andarsene. 
Isabella, infastidita da quel comportamento enigmatico, balzò su Cavallo e sciolse le briglie che lo legavano al carro, per poi inseguire la bionda al galoppo. 
«Ehi, tu! Ferma! Sei Irina, giusto?» si fermò esattamente davanti ad ella, che ansimava per la corsa. 
Non ottenendo risposta, continuò: «Perché tutte le ragazze mi evitano? E dove sono i ragazzi?» chiese. 
«Tu mi chiedi dove sono?» ribatté Irina a bassa voce, quasi temesse di farsi sentire mentre parlava con lei. «Li hai rubati!» rispose, per poi scappare nuovamente, indignata.
Rubati. Li aveva rubati con la sua bellezza, e tutte le donne erano gelose, ma era troppo giovane per capirlo. Tornò indietro per riattaccare il carro e vi risalì sopra.
Arrivò alla fattoria molto prima del tramonto, e all’esterno vi trovò Edward, intento a trasportare pesanti barili da una parte all’altra. Sogghignò.
«Garzone» lo chiamò, scendendo dal carro e avvicinandosi al ragazzo, che si girò verso di lei, i capelli scompigliati dalla fatica, ma il volto rilassato e curioso. 
«Quando avrai finito con quei barili, porta le brocche sul retro» ordinò.
Prima di andarsene, attese la consueta risposta: «Ai tuoi ordini». Sorrise soddisfatta, dopodiché gli diede le spalle e si diresse al grande lago.
L’acqua quel giorno era particolarmente cristallina e tiepida, l’ideale per una nuotata rilassante. 
Isabella si sfilò il semplice abito beige, restando in sottoveste, e si tuffò. 


«Bella, Bella, abbiamo una buona notizia, figliola!» esclamò Renée quando la figlia fece ritorno a casa, con i capelli ancora umidi. Sorrise alla madre e si fece raccontare tutto; durante la sua assenza, il Conte Black era giunto in persona alla fattoria, assieme alla moglie, la Contessa Emily, per conoscere i proprietari delle mucche migliori di tutto il regno.
Naturalmente era merito del garzone, che le accudiva e le nutriva con maestria. 
«La Contessa non gli staccava gli occhi di dosso...» disse a un certo punto la donna. «gli ha persino proposto di lavorare al Palazzo Reale!» Isabella la guardò confusa.
«Ma a chi, mamma?» chiese. 
«Ma come “a chi”, cara? A Edward!» rispose con un sorriso. 
La Contessa aveva proposto al garzone di lavorare a Palazzo. Questo era l’unico pensiero che invadeva la mente di Bella.
E lui? Aveva accettato?
Lei come avrebbe fatto senza l’aiuto del ragazzo? Inoltre, sapeva bene che la Contessa era una tra le donne più belle, era la cinquantatreesima tra tutte le donne del mondo, quindi forse lui ne era rimasto abbagliato. No, impossibile! Come osava lasciare la fattoria, il posto che l’aveva ospitato per anni?
«E lui che ha risposto?» la domanda che uscì dalle labbra di Isabella fu bassa, lenta e di una calma inquietante.
Renée s’accigliò un attimo, pensierosa. «Ha rifiutato. Non si è smosso di un centimetro. Oh, è stato molto garbato e gentile, ma fermo» rispose. Bene, quello era il suo posto. 
Senza aggiungere altro, Bella si avviò in camera sua, per cambiarsi l’abito e asciugarsi i capelli.
Tuttavia, una rabbia cieca s’impossessava di lei pian piano, mentre passavano i minuti. Non seppe darne un motivo.
Dopo cena, la madre le porse un piatto abbondante di stufato, dicendole di portarlo ad Edward, che aspettava sul retro della casa. 
In silenzio aprì la porta della cucina, trovandoselo davanti. Lo guardò dritto negli occhi. 
«Tieni» disse freddamente, porgendogli il piatto. Lui annuì e si allontanò. Questo la indispettì non poco. 
«Non ti ho dato l’autorizzazione di muoverti, garzone» lui si voltò, la guardò e tornò di fronte a lei.
«Non mi piace come tratti Cavallo, lo voglio pulito. Massaggiagli le orecchie, e voglio che la sua coda sia intrecciata. Lucida i suoi zoccoli e ferrali. Poi spazzolalo e dagli da mangiare. E per finire voglio che la sua stalla sia immacolata. Questa sera stessa. E se dovessi metterci tutta la notte, ebbene lo farai».
«Ai tuoi ordini» rispose ancora una volta il povero ragazzo. Lei gli sbatté la porta in faccia, senza degnarlo di altre parole. 
Poi si rinchiuse
in camera sua, e sprofondò sul morbido letto, ma non prima di aver liberato un urlo di rabbia fuori dal petto. 


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Bene. Eccomi qui. Questo è il primo capitolo della storia. Noioso? Da non credere. Ma ho dovuto scriverlo così, per farvi capire un po' la situazione.
Ringrazio ovviamente tutte le fantastiche fanciulle che hanno recensito la storia, e le meraviglie che l'hanno aggiunta tra le seguite.
Vi ringrazio un mondo e mezzo, e se potessi, spedirei a ciascuna di voi un bell'Edward Cullen a casa. Eeeeh...
Ah, a proposito... voi avete animali? Come si chiamano?
Io ho un coniglietto nano nero, che chiamo "Coniglio". Eh già, ho la stessa fantasia di Bella e_e...
Grazie ancora a tutte, vi mando un grandissimo bacione =**********!

Cassie

P.S. ringrazio infinitamente Goten, che è stata la prima a leggere e commentare il capitolo. Date un'occhiata alle sue meravigliose storie, ne vale proprio la pena ^^!


Alla prossima!

 



 
                                                


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***





Capitolo 2



«Il cielo è piuttosto nuvoloso, oggi» Isabella sbuffò. Era almeno la quarta volta che Tyler, un ragazzo da sempre attratto da lei, ripeteva la stessa frase. Era andata al villaggio per consegnare pomodori e lattughe al locandiere Sam, e aveva avuto la “fortuna” di incontrare il giovane sul suo cammino di ritorno, che le aveva chiesto un passaggio. 
«Già» rispose laconica. Il ragazzo, che sedeva affianco a lei sul carro, la guardò con la coda dell’occhio. 
«Penso proprio che pioverà» buttò lì, e Bella sospirò, grata che avesse cambiato frase. 
Alzò gli occhi in su: era sì nuvoloso, ma le nuvole erano bianche come la neve e trasparenti come batuffoli di cotone, che facevano intravedere macchie azzurre di cielo limpido. S’accigliò. 
«Io non credo...» ribatté. Tyler si voltò completamente verso di lei, spazientito. 
«Credi di essere al di sopra di tutto e tutti, Isabella, vero?» chiese con una punta di accusa nella voce rauca. La ragazza lo guardò a sua volta, confusa. 
«No... ho semplicemente detto che non credo che pioverà...» si giustificò. 
«Non riesci proprio a guardare più in là del tuo naso, dico bene?» senza attendere una risposta, Tyler balzò giù dal carro in movimento, e se ne andò per la sua strada a piedi. Isabella rimase spiazzata da ciò che era appena accaduto; no, non era vero che si sentiva al di sopra di tutto e tutti! 
Furiosa come non mai, fece schioccare le redini e partì ad alta velocità. Ma le parole del giovane frullavano nella sua testa. Cosa, del suo comportamento, poteva lasciare intendere che lei si sentisse superiore? 
Era una ragazza assolutamente normale, non si vantava mai e cercava di essere cortese con tutti. 
Guardare più in là del suo naso”... non era vero! Certo che guardava, e anche bene! 
Doveva, però, riconoscere che a volte tendeva ad essere solitaria, a non avere rapporti con le altre persone... 
E se quell’arrogante di Tyler aveva ragione? Se davvero a lei non importava null’altro che se stessa? 
Non si accorse di essere arrivata a casa, ne tantomeno che si fosse fermata. Con lo sguardo fisso sul muro dell’abitazione, rimuginava su tutti i suoi anni trascorsi a “non vedere” la gente intorno a sé. 
In effetti, aveva pensato più volte che la gente del villaggio non fosse “alla sua altezza”. Non le importava di loro e di quello che pensavano. 
Un rumore secco la riscosse dai suoi pensieri, come se fosse riemersa in superficie dopo un tuffo profondo nell’acqua. Volse il capo alla sua sinistra, e vide Edward chino sulla legna da spaccare. 
Egli non diede particolare attenzione a Isabella, e continuò il suo lavoro. 
Si raddrizzò in posizione eretta, sollevò le braccia muscolose che brandivano la pesante ascia, e con un altro colpo forte e deciso, spaccò in due l’ennesimo ceppo. 
Intanto Bella lo osservava. Lui era l’esempio più lampante di come lei si comportasse con le persone: non le importava sapere qualcosa sul suo conto, le interessava soltanto che facesse quello che gli si diceva. 
Forse... avrebbe potuto... no! Tyler era un idiota, punto. Fine della discussione. E tante grazie. 
Smontò dalla sua postazione, si aggiustò la sottana spiegazzata, e senza dire una sillaba entrò in casa. 


Passarono i giorni, le settimane, e a loro volta i mesi. Il freddo inverno era alle spalle ormai, e tutta Florin si preparava a seminare i campi per il raccolto estivo.
Un giorno qualsiasi, ad un’ora qualsiasi, il suono di una tromba attirò l’attenzione di tutti i contadini: un enorme corteo di cavalli e cavalieri, che circondavano una grande carrozza tutta dorata, si faceva strada attraverso il sentiero, diretto proprio verso la fattoria Swan. Isabella, affacciatasi dalla finestra della sua stanza in soffitta, osservò per un paio di minuti quella sfarzosità ancora un po’ lontana, per poi precipitarsi al piano di sotto e avvertire i genitori. 
«Oh, santo cielo, stanno venendo qui!» esclamò Renée. 
«Non preoccuparti, tesoro, sicuramente non è nulla di grave, non abbiamo commesso alcun reato» la rassicurò Charlie, mantenendo i nervi saldi. Diede l’ordine a moglie e figlia di tornare alle loro occupazioni e di non agitarsi, e dopo cinque minuti la tromba udita poco prima suonò ancora, rompendo il nervoso silenzio. 
«Aprite, in nome del Conte!» dichiarò una voce profonda, al di fuori della porta. 
Il buon Charlie eseguì l’ordine, e si trovò davanti tutto il corteo, più i curiosi che lo avevano seguito. 
Bastò un gesto della mano di un cavaliere robusto e nerboruto, perché la folla si dileguasse. 
Poi, dalla carrozza tutta d’oro massiccio, comparve una figura imponente e autoritaria: un uomo, di circa quarant’anni, molto alto e vestito con abiti eleganti e ricchi. Il Conte Black. 
Subito dopo di lui scese una donna, sua moglie, avvolta da un abito veramente sfarzoso e rifinito da fili d’oro e d’argento. Le guance erano incipriate, gli occhi colorati di un azzurro mare, e le labbra rosse come mele. 
«Siamo giunti nuovamente fin qui» cominciò il Conte, «per volere della mia consorte. Aveva molto desiderio di riosservare come il vostro garzone si prende cura delle vostre mucche» così dicendo fece un cenno a Charlie, che s'inchinò leggermente.
«Ma certamente, Miei Signori, e bentornati nella nostra umile dimora» si voltò verso Bella, la quale era rimasta con gli occhi fissi sulla Contessa. Doveva ammettere che era davvero una bella donna, come dicevano tutti.
«Isabella, cara, potresti essere così gentile da andare a chiamare Edward?» la ragazza annuì, ma rimase dov’era. Intanto, gli occhi del Conte su posarono su di lei: non ricordava di averla vista l’ultima volta che era venuto alla fattoria.
Era una fanciulla incantevole, nonostante la polvere sul viso, i vestiti logori e le fattezze infantili.
Immaginava cosa sarebbe diventata nel suo mondo...
«Isabella, non è carino far aspettare la Contessa» la rimproverò bonariamente il padre. Lei annuì una seconda volta, dopo di che si avviò verso la casetta del ragazzo. 
Non si dette pena di bussare, spinse la porta ed entrò, notando sul tavolo di fronte a sé moltissimi libri, di cui uno aperto al centro, e candele accese per illuminare la stanza. Strano, non sapeva che il garzone leggesse. 
Erano stati entrambi istruiti da Charlie, che da ragazzo aveva avuto la fortuna di andare a scuola, tuttavia non se lo aspettava... scrollò le spalle, si guardò intorno e captò un piccolo rumore proveniente da un’altra porta. Aprì piano anche quella e si sporse per sbirciare al suo interno; osservò ad occhi sgranati la schiena nuda e muscolosa di Edward, illuminato dalla luce rossastra di altre candele, intento a fare chissà che cosa. 
Bella, attratta come una calamita, avanzò verso di lui, con passo felpato. 
Ma il ragazzo la sentì ugualmente. 
Si girò di scatto e un’espressione stupita gli si dipinse in volto, appena vide chi aveva davanti. Isabella seguitò a camminare, stranamente agitata, e continuò ad ammirargli il corpo. Mai aveva visto qualcosa di simile, mai aveva osservato un uomo come lui senza camicia. Doveva ammettere che le piaceva. 
Ormai a pochi centimetri di distanza, Bella si accorse di cosa stesse facendo Edward: stringeva in mano una pezza bianca imbrattata di sangue; si stava curando un profondo taglio sull’avambraccio sodo e teso. 
Fu come se la sua mano avesse vita propria, come se avesse deciso sola cosa fare; perché si ritrovò a tracciare la lunga linea sanguinante con le dita delicatamente, quasi ipnotizzata. 
Un brivido percorse il corpo di entrambi a quel contatto. La pelle di Edward era tiepida, liscia e morbida.
Che strana sensazione... 
Bella alzò gli occhi fino ad incontrare quelli attoniti di Edward. In quel momento si rese conto che non li aveva mai guardati con attenzione, perché non ricordava fossero tanto belli: profondi, limpidi, erano dello stesso colore della pietra preziosa che aveva visto al dito della Contessa, solo che brillavano tre volte di più. 
Un momento... la Contessa! come aveva fatto a dimenticarla? Indietreggiò di qualche passo, con le guance in fiamme, e una punta di irritazione. Si ricompose e costruì sul suo volto un’espressione impassibile. 
«Hai visite. La Contessa è qui per te» a quelle parole, l’irritazione crebbe. «Vestiti e vieni in cortile». 
«Ai tuoi ordini» sussurrò il ragazzo, fissando Isabella, che a sua volta osservava la fiamma danzante delle candele.
Dopo aver indossato una camicia, Edward uscì dalla casetta, seguito dalla ragazza che, ancora stupita, si osservò la mano; il suo sangue era ancora sulle sue dita. 
Quello che fece in seguito non seppe spiegarselo mai neanche lei, ma lo fece; portò le dita alle labbra, e leccò via il liquido rosso. Lo trovò dolce, e un altro potente brivido le corse lungo la schiena. 
«Oh, è un vero piacere rivederti, caro Edward!» cinguettò la voce della Contessa, civettuola. Avanzò con un passo di danza verso il ragazzo e gli offrì la mano, che lui prese e baciò. Isabella inarcò un sopracciglio. 
«Il piacere è tutto mio, Vostra Grazia» disse egli con voce morbida, vellutata e calda. 
Nell’aria si sprigionò una risata squillante, bambinesca, sguaiata. Ovviamente appartenente alla donna. 
«Oh, affascinante e galante come la scorsa volta!» si complimentò. Lanciò uno sguardo ammirato su tutta la figura di Edward e riuscì a rendersi conto della ferita. Esclamando un “Povero caaaro!”, prese un fazzolettino ricamato a mano e lo annodò intorno alla ferita. Isabella strinse i pugni. 
«Bene, ecco fatto» esclamò la donna soddisfatta della sua medicazione. «Adesso, vorrei dirti il motivo della mia visita, Edward: sono appassionatamente interessata all’argomento mucche, praticamente sono in preda alla curiosità più frenetica, e ricordo distintamente il tuo eccellente lavoro dell’estate scorsa. Gradirei assistere ancora una volta alle tue cure magnifiche» era incredibile come riuscisse a parlare e sbattere le ciglia senza imbrogliarsi; doveva essersi allenata parecchio davanti allo specchio, probabilmente. 
«Con vero piacere, Mia Signora» rispose Edward con un sorriso. Lei lo guardò negli occhi, profondamente.
Isabella era sicura che nessuno guardava una persona come faceva la Contessa, solo perché interessato alle mucche.
Un momento... Edward ricambiò lo sguardo! Ma dov’era il Conte? Non vedeva che la moglie stava letteralmente spogliando il garzone con gli occhi? Si guardò intorno, cercandolo, e alla fine lo trovò intento a fissarla esattamente come la moglie faceva con il ragazzo. Oh, cielo... distolse immediatamente gli occhi da quelli neri e penetranti del nobile e si guardò la punta delle scarpe. 
Non si accorse subito che Contessa e garzone si erano diretti nelle stalle a braccetto, continuando a fissarsi. 
Ma cosa ci trovava, il garzone, in una donna vecchia e civettuola come quella? Il trucco e i vestiti potevano farla sembrare affascinante nel suo mondo, ma in una stalla era semplicemente ridicola!
E poi non era neanche tutta questa bellezza divina... mah, gli uomini erano proprio strani, pensò.
Corse come una furia dai due e per tutto il tempo stette ad osservarli. Ogni volta che quella donna parlava, sorrideva o sbatteva le ciglia, Bella lanciava occhiate a Edward, per decifrarne le reazioni. Sembrava gradire. 
Una volta finita la dimostrazione, la Contessa si diresse verso la carrozza, pronta a salire. 
«Ti ripropongo l' offerta di mesi fa: perché non vieni a lavorare al mio palazzo? Sono certa con che le tue cure faresti miracoli» ora, le cure erano verso gli animali... o verso lei? Bella non riuscì a capirlo. Trattenne il fiato, in attesa della risposta affermativa del garzone.
«Vostra Grazia, siete molto gentile ad offrirmi un simile onore...» eccolo, ci siamo, pensò la giovane. «Ma temo di dover rifiutare ancora una volta la vostra offerta. Vedete, ho un debito con questa famiglia: loro mi hanno accolto e io non posso abbandonali. Devo ripagarli in qualche modo». 
Di nascosto, Bella si diede un pizzicotto sul braccio; no, era sveglia. Ma allora come spiegare ciò che aveva appena udito uscire dalla bocca del garzone? 
«Beh, sono ovviamente molto rattristata che tu non abbia accettato la mia proposta, ma spero comunque che in futuro ci ripenserai» detto questo, la Contessa salì sulla carrozza d’oro, seguita dal marito.
«Arrivederci, Miei Signori» esclamarono Charlie e Renée. Finalmente la carrozza partì. 
Isabella fulminò Edward, mentre lui la guardava intensamente. Poi, si ritirò in camera sua. 
Non chiuse occhio per tutta la notte, era troppo occupata a riflettere.
Cosa poteva mai spingere una nobildonna quale la Contessa, ad interessarsi ad un semplice garzone?
Perché non c’era altra spiegazione alle sue occhiate: era interessata. I fatti erano fatti. Punto. E tante grazie. 
Certo, doveva ammettere che il ragazzo non era male, aveva due occhi da far girare la testa, verdi come prati infiniti a primavera. Ma chi se ne fregava degli occhi? 
E i suoi capelli erano del colore del bronzo, ribelli, e parevano veramente soffici, facevano venir voglia di intrecciarci le dita dentro.
E aveva una schiena perfetta, levigata e muscolosa; e addominali, pettorali, bicipiti e così via, pur essendo snello.
Ma chi non li avrebbe avuti, a sgobbare tutto il giorno in una fattoria con lavori faticosi?
La sua pelle era perfetta, liscia e vellutata, ma era fortuna la sua, sicuramente. 
Ed era alto. Molto alto, circa un metro e ottantotto. Ma cosa poteva interessare alla Contessa? 
Dovevano essere i denti del garzone, probabilmente. Erano proprio belli, doveva ammetterlo, quel che è giusto è giusto. Bianchissimi e dritti, splendenti come i suoi occhi.
Oh, anche lei aveva bei denti, in sedici anni mai una carie. 
Ma potevano essere davvero i denti ad attirare le attenzioni della nobile? Isabella si concentrò maggiormente.
Tutte le ragazze del villaggio seguivano il giovane, quando andava a fare le consegne, esattamente come facevano i ragazzi con lei, forse anche di più. Ma lui le ignorava. 
Insomma, cosa aveva il genere femminile per trovare un ragazzo comune come lui interessante? 
Beh, comune non proprio... oh, era così confusa! 
La mattina seguente si alzò dal letto più stanca di come si era coricata, ma non le importava un accidente. 
Doveva andare dal garzone e capire cosa avesse di tanto speciale. 
Scese la scale a due gradini alla volta, scansò la madre e corse all’aria aperta. 
Dov’era il ragazzo, dov’era? Fece il giro di tutta la casa, delle stalle, dell’orto, ma non lo trovò. Che strano... 
Mentre tornava dentro casa, un rumore di zoccoli la fece voltare. E lui era lì, poco distante da lei, mentre portava Cavallo nella sua stalla.
Bella notò che il suo adorato aveva il manto bagnato e più lucido del solito. Capì che il garzone lo aveva pulito nell’acqua del lago, di sua spontanea volontà.
Svelta si nascose dietro un albero, osservando il giovane da lontano. Stava spazzolando l’animale, adesso, e alternava carezze e buffetti affettuosi. Eppure quella bestiola era la principale fonte di fatica per lui... 
Bella si spremette le meningi per trovare una scusa per avvicinarsi a lui maggiormente. 
L’occhio le cadde su due secchi vuoti e l’idea le saltò in mente. 
«Garzone!» chiamò a voce abbastanza alta, di modo che egli sentisse. Quando fu abbastanza vicino, lei gli indicò i secchi. 
«Prendi l’acqua dal pozzo...» gli occhi verdi si scontrarono con i suoi. «... p... per favore» aggiunse, intimorita da chissà cosa.
Si guardarono sorpresi. Era la primissima volta che Bella usava quelle parole con lui. E gli occhi erano legati tra loro. 
«Ai tuoi ordini» mormorò Edward, come sempre. 
Ma qualcosa sorprese la ragazza.
Mentre pronunciava quelle parole, la voce del giovane era dolce, calda. E i suoi occhi la guardavano con un’intensità tale da farle trattenere il respiro. 
Quello sguardo era pieno di un qualcosa di cui Isabella non conosceva il nome, e aveva parlato troppo intensamente perché quelle parole significassero solamente quello.
Lo guardò ancora un po’; i suoi occhi erano ancora colmi di quel qualcosa di sconosciuto. 
Pensierosa, Bella si avviò a piedi verso il lago, con l’immagine del viso di Edward nella mente. 
L’aveva sempre guardata in quel modo mentre le diceva quella frase? 
Lo aveva sempre detto con quel tono dolce e avvolgente? 
La risposta era sì. 
Da sempre il garzone le rispondeva con quell’intensità, ma lei non se n’ era neanche accorta. Prima di allora. 
E quelle parole significavano molto, molto più di un semplice “Ai tuoi ordini”. 
Quelle parole significavano “Ti amo”. 
Ed ora, solo ora lo aveva capito. 





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Eccomi, alla fine ce l'ho fatta a postare prima. Lo so, lo so che meno mi vedete meglio è, ma non resistevo xP!
Allora, cosa posso dire a mia discolpa? Che doveva andare così. Nella storia originale l'inizio è molto, mooooolto velocizzato, poiché non si parlerà sempre di Edward garzone e Bella contadina. 
Ma temo ugualmente che mi abbandonerete per la delusione... mi dispiace davvero :(
PER CHI CONOSCE LA TRAMA: vi pregherei di evitare spoiler, per non rovinare la sorpresa alle fanciulle che non sanno.

Ringrazio infinitamente chi ha recensito e aggiunto tra le preferite e le seguite. Siete delle sante, davvero.
Poi ringrazio di tutto cuore corny83 , che mi ha corretta nel precedente capitolo e mi ha aiutata a superare un momento un po' pesante. Grazie.
Mi scuso per i possibili errori, ho riletto più volte, ma non si sa mai. Quindi, se ne trovate, non esitate a scriverlo ^^.
E se avete dubbi di vario genere sul capitolo, chiedete e vi risponderò :D

Bien, vi ho annoiate abbastanza, quindi mi dileguo.

Alla prossima, spero, grandi baci,

Cassie








 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***








Capitolo 3





«Bella? Tesoro, ti senti bene?» chiese Renée preoccupata, vedendo sua figlia con lo sguardo perso nel vuoto. Era da quella mattina che la giovane aveva uno strano comportamento. 
Era uscita in fretta e furia senza neanche fare colazione, ed era ritornata a casa con gli occhi spalancati e fissi davanti a sé. 
«Oh... sì» rispose in una sorta di trance, continuando a dondolarsi distrattamente avanti e indietro sulla sedia. Il muro, per niente interessante, ora sembrava il centro dei suoi pensieri e delle sue attenzioni. 
Lo osservava insistentemente, quasi volesse bucarlo con gli occhi. 
Si alzò di scatto, dirigendosi nella sua stanza. Si sdraiò sul soffice letto e chiuse gli occhi. 
Che le importava, dopo tutto, se il garzone provava qualcosa per lei? Non cambiava nulla, nulla. 
E poi, sicuramente lo aveva solo immaginato, quel suo sguardo. Ma sì, doveva essere perché non aveva mangiato a colazione, la fame doveva averle giocato brutti scherzi. O forse perché lo stesso garzone pensava ancora alla Contessa, mentre pronunciava quelle parole. 
La Contessa. Cos’aveva di tanto bello una donna frivola e impiastricciata di trucco dalla testa ai piedi come lei? E poi, non era mica la Regina, per darsi tutte quelle arie. Aveva gli occhi porcini, la pelle rosa maiale e imbottiture da tutte le parti. Era ridicola. Assurdamente e totalmente ridicola. 
Ed era attratta da Edward. 
Isabella scese dal letto, camminando avanti e indietro per la stanza, a grandi passi. 
Il garzone e la Contessa... come no! E magari poi c’erano anche il ranocchio e la Principessa! Ma per favore... 
Stanca dei suoi stessi pensieri, scese nuovamente in cucina, prendendo una mela e divorandola. Poi prese la brocca del latte e lo versò in un bicchiere, bevendo tutto d’un fiato. 
Ecco. Adesso, con lo stomaco pieno, sicuramente non avrebbe visto l’inesistente. 


Passarono esattamente sette giorni da allora. Sette giorni tranquilli e sereni.
Isabella e Renée erano occupate a preparare la cena, quando la porta di casa si spalancò improvvisamente, rivelando un Charlie tutto trafelato. 
«È successo ancora. Non è possibile...» disse agitato, muovendo le mani in aria e camminando avanti e indietro. Le due donne si accigliarono. 
«Cosa è successo esattamente, caro?» domandò la moglie, preoccupata. Charlie la guardò. 
«Un’ altra nave è stata assaltata la scorsa notte. Era Robert. Nessun sopravvissuto» la sua voce era tesa, seppur chiara, e lasciava trapelare angoscia.
“Il Feroce Capitan Robert” o “Il Terribile Robert”, era un pirata che da più di vent’ anni terrorizzava tutti i mari d’occidente. Al suo passaggio, nessuno sopravviveva. 
Renée si portò una mano alla bocca, con gli occhi sbarrati. 
«Po... povera gente...» sussurrò dopo qualche minuto, quando si riprese. 
«Ma... non saranno sbarcati qui, spero!» esclamò Bella allarmata. Il padre scosse il capo. 
«C’è chi dice di aver visto da lontano la sua nave fare rotta verso ovest. Non credo che dovremmo temere nulla. E poi, Florin non è molto grande come Paese. Un pirata cerca ricchezze» Bella annuì, con il capo chino.  
Non era del tutto convinta dalle parole del padre, però; Florin, seppur piccola, aveva un Regno, e il Re e la Regina non erano certo poveri contadini come loro. Avevano tutte le ricchezze che si desideravano, oltre ad essere prossimi a conquistare Guilder. 
Riflettendo su queste considerazioni, Bella continuò a tagliuzzare le verdure assieme alla madre. 
«Le ho portato le pesche che ha chiesto, Renée» esclamò una voce, quella di Edward. Posò il cesto di vimini colmo di frutta sul tavolo, per poi uscire nuovamente all’aria aperta. 
Bella avvampò di rossore. Aveva appurato, durante quella settimana, che il garzone effettivamente era leggermente innamorato di lei. Ogni suo gesto, ogni suo sguardo lasciava intendere quel sentimento. 
E lei? Come doveva comportarsi con lui? 
«...Bella? Mi ascolti?» la voce della madre le giunse ovattata alle orecchie. 
«Eh, cosa?». 
«Ti ho detto di andare a raccogliere altre uova nel pollaio. Stai attenta a non romperle, questa volta» disse la donna in tono severo. Bella annuì, si pulì le mani al grembiule e prese un piccolo cestello.  
Raccolse le uova con attenzione, cercando di non spaventare le galline e soprattutto di non infastidire il gallo. Ma venne beccata un paio di volte. 
A Edward, sicuramente, non lo beccavano mai, pensò. Lui era molto più bravo di lei, in tutto. 
Era forte abbastanza da spaccare la legna, era paziente abbastanza da accudire gli animali, era un lavoratore nato, praticamente. Inoltre era rispettoso, educato, intelligente, premuroso, gentile, dolce... si sentì il rumore delle uova frantumate al suolo. 
«Oh» mormorò Bella, con un’aria sorpresa e scioccata al tempo stesso. «Oh, santo cielo...». 
Da quando pensava al garzone in quel modo? 
Da quando i suoi pensieri erano tutti rivolti a lui?  
Da quella mattina? 
Dal giorno precedente? 
Da quando i Black erano giunti in casa loro? 
O forse, inconsciamente, da molto prima? 
Lasciò il cestello e le uova rotte così com’erano, correndo come una saetta dentro casa. 
«Mamma, cosa mi succede?» chiese con voce acuta, piombando come un grillo alle spalle della povera Renée. 
Quello che affrontarono nell’ora successiva, fu il più lungo discorso ch’ebbero nella loro vita. Uno di quelli in cui madre e figlia parlano dei fatti della vita, di cose imbarazzanti per entrambe e del futuro. 
Uno di quelli che ti fa aprire gli occhi. 
«... era solo questione di tempo, mia cara» concluse Renée, abbracciando la figlia, che in quel momento era immobile come una statua di pietra. Era solo questione di tempo... 


Era sera quando Bella prese la decisione di andare da Edward. “Prese la decisione”, appunto. Non la mise subito in atto.
Impiegò ben tre ore per decidere di muoversi dal suo letto fin nel cortile e davanti alla casetta. 
E impiegò circa dieci minuti per decidere di bussare alla porta. 
Il ragazzo, invece, non fece passare neanche mezzo secondo per aprire. 
Si guardarono. Uno sorpreso, l’altra imbarazzata. 
«Ehm...» provò a dire Bella, distogliendo lo sguardo dal viso del giovane. Era troppo bello. «I... io volevo... dirti...». 
«Hai bisogno di qualcosa? Cavallo sta bene?» domandò subito Edward. 
«Sì sta bene, ma non sono venuta qui per chiederti qualcosa...» disse la ragazza, prendendo un respiro profondo, le guance incandescenti. Strinse i pugni per farsi coraggio. «volevo solo dirti grazie» era la prima volta che lo ringraziava. E la sorpresa era evidente sul volto di Edward. 
«Grazie per tutti questi anni passati a sopportarmi. Lo so che non ho fatto altro che schernirti, e umiliarti, e coprirti di sarcasmo. Mi dispiace» abbassò il capo. «Ho dovuto fare i conti con l’eventualità che te ne potessi andare con la Contessa, che non saresti più tornato... da me... per capire che sei importante. Mio dolce Edward. Mio caro, gentile, meraviglioso Edward... la mia mente ti prega di ordinarmi per poterti obbedire, farei qualsiasi cosa per te. Io ti amo». Lo guardò negli occhi, il cuore in volo. 
Lui le chiuse la porta in faccia, senza una parola. 
Senza una parola. 
Isabella fuggì, con il cuore frantumato in mille pezzi. 
Sbatté la spalla contro un albero, ma non si fermò. 
Non riusciva a vedere dove correva, perché lacrime amare le offuscavano la vista. 
Inciampò e si rialzò, poi inciampò ancora. E ancora si rimise in piedi. 
Perché? Perché il garzone l’aveva respinta? Pareva innamorato, dannazione! Oh... ma certo! Era colpa della Contessa! Emily Ariette Black lo aveva rubato. 
Ma perché non parlare? Perché era stato in silenzio? 
Forse perché non c’era niente da dire. Non ricambiava il suo amore, tutto qui. 
Corse a perdifiato, per un tempo che le parve infinito, sperando che il dolore alle gambe e al fianco sinistro potessero distrarla da quello che aveva in petto. Inutilmente. 
Si lasciò cadere dov’era, stanca di correre, singhiozzando violentemente. 
Chiuse gli occhi per arrestare le lacrime. 
Poi, fu il nulla. 


Quando li riaprì, il sole stava sorgendo. Si era addormentata, di un sonno senza sogni. 
Sbadigliando sonoramente, si guardò intorno, scoprendo solo allora di essere distesa sull’erba fresca e alta di un giardino selvatico. Si mise in piedi, con un gran mal di testa, pulendosi la sottana, per poi incamminarsi verso casa. 
Casa. Il luogo dove le si era spezzato il cuore. 
Le lacrime le solcarono le guance. Ma erano diverse da quelle della sera precedente; queste erano silenziose, bollenti, veloci. 
Non si curò di accelerare il passo, perciò quando tornò alla fattoria, trovò i genitori preoccupati e terrorizzati. 
«Isabella! Oh, santo cielo, ci hai fatto prendere un colpo! Dove sei stata?» Renée era piuttosto isterica. 
«Mi dispiace. Sto bene. Mi sono addormentata nel bosco» rispose con voce piatta e incolore. 
Si barricò nella sua stanza. 
Qualcuno bussò alla porta. 
«Per favore. Sono stanca. Non voglio vedere nessuno» disse. Ma ancora, qualcuno bussò. 
Sbuffando, Bella andò ad aprire, trovandosi Edward davanti. 
«E... Edward... garzone... che ci fai qui?» sussurrò. 
«Sono venuto per salutarti» a quelle parole, le ginocchia le cedettero, e dovette aggrapparsi alla maniglia. 
«C... che cosa?». 
«Parto. Una nave diretta in America salperà tra meno di tre ore. Devo sbrigarmi». 
«È per quello che ti ho detto ieri sera?» chiese la ragazza. Edward annuì. E il mondo finì. 
«Ti... ti prego... non andare via» provò a persuaderlo. «Prometto che non sarò un peso, per te. Reprimerò ciò che provo, ma resta. Non ti darò alcun fastidio, ma ti prego...» ma non finì mai la frase. 
Le labbra di Edward avevano messo a tacere le sue, imprigionandole con dolcezza. 
Le lambì delicatamente, quasi con timore, per poi tracciare leggermente il contorno del labbro inferiore con la punta della lingua. Isabella ansimava. 
«Ah, allora è questo il modo giusto per zittirti» sussurrò il giovane sulle sue labbra, con un sorriso gentile. «Se lo avessi saputo prima, lo avrei fatto molto tempo fa».  
«Ma... cosa... mi ami, Edward?» chiese lei, con un filo di voce. 
«Ti amo? Mio Dio... Sono rimasto qui tutti questi anni per te. Ho studiato, imparato le lingue per te e lavorato per te. Solo per te. Ho reso il mio corpo forte perché pensavo che ti sarebbe piaciuto. Non ricordo un giorno, in tutti questi anni, in cui non sia andato a dormire e mi sia svegliato senza pensarti, sperando che un giorno volgessi il tuo sguardo verso di me. E non ricordo un singolo giorno in cui il suono della tua voce non abbia mandato il mio cuore a sbattere contro il costato. Devo continuare?». 
«Ma allora perché vai via?» sussurrò Bella. Edward le posò una mano sulla guancia. 
«Voglio guadagnare i soldi necessari per sposarti, costruire una casa solida e robusta e vivere bene per il resto della vita con te al mio fianco» rispose. 
Bella lo abbracciò forte, posando il capo sul suo petto. 
«Ho paura che non ti rivedrò mai più...» mormorò tormentata. Lui sorrise, ricambiando la stretta. 
«Certo che mi rivedrai. Starò via per poco, te lo prometto, Bella. Io tornerò sempre da te». 
«Come puoi esserne sicuro?». 
«È vero amore» ribatté Edward sicuro. «Credi che sia roba di tutti i giorni?». Con queste parole, la liberò dell’abbraccio, indietreggiando. Si guardarono ancora. Poi lui fece per andarsene. 
«Aspetta!» esclamò Bella. Gli prese il volto tra le mani, avvicinandolo al suo, per posare un dolce bacio sulle sue labbra.
«Ti amo. Ti aspetto...» sussurrò, mentre tratteneva le lacrime di malinconia. 
«Ti amo anch’io. Per sempre» disse Edward. Poi se ne andò. 







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Ecco qui il terzo capitolo! Sarò sincera, mi sono annoiata a morte a scriverlo. Preferisco di gran lunga il quarto, che ho gia finito.
Beh, che dire... affrettato, lo so, ma come ho scritto nelle note della scorsa volta, l'inizio è flash. 
Non so se vi siete rese conto, ma il merito è della Contessa. Ebbene sì, ragazze, se non ci fosse stata lei, Bella col caSSo che avrebbe capito ciò che provava. E anche Tyler ha i suoi meriti. Non tutte l'avranno capito subito.
Theeeen, ringrazio infinitamente chi commenta (*W*), chi ha aggiunto la storia tra preferite/seguite/ricordate e chi legge silenziosamente. Vi adoro tutte, una per una.
Se avete domande sul capitolo, non esitate a chiedere. E se avete trovato degli errori/orrori vi prego di segnalarmeli, senza paura. Non mordo mica. Primo perché non so dove beccarvi, secondo perché lo faccio solo se mi arrabbio, eheheh... okay, la pianto.




Spero di ritrovarvi anche al prossimo capitolo (il mio preferito, fin ora).
Un bacione!



Cassie























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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***















Ma salve! Come va la vitaccia?
Quante di voi hanno cominciato la scuola (-.-)??
Quante di voi speravano di non vedermi più? *Tutte alzano la mano* spiritosone...
Ebbene sì, ecco qua il mio capitolo preferito. Ho la vaga sensazione che questo sarà solo il mio capitolo preferito, non il vostro... pazienza, mi rifarò. È una promessa ;)
Ringrazio di tutto cuore chi commenta, chi ha inserito tra preferite, seguite e ricordate, e chi legge silenziosamente. Ma quanto vi amo???
LEGGETE A FINE CAPITOLO!











Capitolo 4 





Dopo la partenza di Edward, Isabella era sempre triste e malinconica; vagava solitariamente tra i campi di grano per tutto il giorno, a volte sospirando, a volte scoppiando in pianti isterici. 
Dopo tutto, il suo grande amore era partito mentre lei era rimasta a Florin, nel bel mezzo del nulla. 
Si sentiva sola, come se nulla avesse più senso, ora che il centro del suo universo era lontano. 
I coniugi Swan tentarono in tutti i modi di consolarla, di rallegrarla. 
«Tesoro, che ne diresti di cavalcare un po’? Così, per passare il tempo...» proponeva Charlie.  
«Già» si aggiungeva Renée. «potresti andare in giro, distrarti». 
«No... non mi va...» era la consueta risposta della figlia. Naturalmente era inutile insistere. 
Così passarono altri giorni, tutti uguali, grigi e monotoni. 


Fu dopo una settimana di pianti che si fermò a riflettere per bene su ciò che stava accadendo: Edward era in giro per il mondo, a quest’ora; magari adesso era sbarcato a Londra, pronto a salire sulla nave diretta in America. 
Avrebbe senz’altro incontrato qualche bella ragazza di città... e se si fosse dimenticato di lei, perché aveva passato tutto il tempo a piangere e lamentarsi, sciupandosi? 
Chi le assicurava che una volta che Edward avesse guadagnato tutti i soldi che servivano, non l’avrebbe più voluta, preferendo sposare una giovane bellezza americana? 
Si guardò allo specchio, presa dal panico: in effetti, i suoi occhi erano arrossati e gonfi, e il colorito era pallido come le lenzuola che Renée stendeva ad asciugare al sole la mattina. 
Edward l’avrebbe lasciata per una ragazza più bella? Le avrebbe detto di non amarla più? 
No! Lei era Isabella Marie Swan, forte e decisa, e non avrebbe mai permesso che una qualsiasi ragazza di città le portasse via il suo unico amore! 
Edward l’amava, e presto la lontananza sarebbe stata solo un ricordo; nell’attesa, doveva impiegare meglio il suo tempo. Doveva essere perfetta, per il ritorno del suo amore. 
Armata di una determinazione tutta nuova, si precipitò al piano inferiore, trovando i genitori intenti a fare colazione. 
«Mamma, papà, ho bisogno del vostro aiuto: come devo fare per migliorare il mio aspetto?» chiese velocemente. I coniugi si guardarono. 
«Beh... potresti cominciare con un bel bagno...» suggerì Renée. 
«... e fare qualcosa per i capelli» aggiunse Charlie. «E indossare abiti più puliti». Bella annuì, ringraziò e si mise all’opera. 
Da quel giorno cominciò a svegliarsi tutte le mattine all’alba, per svolgere i suoi compiti nella fattoria; ora che il garzone se n’era andato, i lavori erano più faticosi e occorreva più collaborazione. 
Inoltre, appena in paese si seppe che i nobili erano andati nuovamente a far visita agli Swan, le ordinazioni di latte, formaggi, frutta e verdura aumentarono notevolmente. 
Isabella mungeva le mucche, prendeva l’acqua dal pozzo, puliva le stalle, aiutava Renée a cucinare e faceva le consegne con il carro.  
Era solo nel tardo pomeriggio che trovava il tempo per dedicarsi al suo aspetto.  
Riempiva sempre un grosso pentolone d’acqua, che metteva a riscaldare sul fuoco del camino nell’angolo, e intanto andava a raccogliere tutte le erbe e i fiori più profumati, riponendoli in un grande cesto. 
Tornata a casa, versava l’acqua calda in una vasca in camera sua, gettando dentro anche le erbe aromatiche, dopodiché vi si immergeva per qualche minuto, lavando bene ogni centimetro di pelle e sfregando finché non splendeva. 
Lavava e spazzolava i capelli per bene, indossava abiti che cuciva lei stessa la sera, e perfezionava i piccoli difetti del suo corpo. 
Pian piano il suo potenziale cominciò a realizzarsi. 
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, si aggiudicò il trentesimo posto in classifica, superando di gran lunga Emily Ariette Black. 
Ed era felice. Perché sapeva che il suo Edward non avrebbe creduto ai suoi occhi, quando si sarebbero rivisti. Il solo pensiero di riabbracciarlo e baciarlo la fece splendere talmente tanto che divenne presto ventesima, ed ora la concorrenza era spietata. 
Quando consegnava il latte, la gente che la vedeva non poteva fare altro che restare a bocca aperta. 
Molti ragazzi cercavano di parlarle, e tutti quelli che lo facevano la trovavano più cortese e gentile di quanto non fosse mai stata: sorrideva, parlava dolcemente, ascoltava e ringraziava. 
Anche le ragazze presero l’abitudine di salutarla quando passava – evento che mai nessuno avrebbe osato neanche lontanamente immaginare. 
E quando le chiedevano di Edward, si apriva in un sorriso radioso, cominciando ad elencare tutti i pregi dell’amato; poteva passare delle ore intere a parlare di lui senza stancarsi mai, sempre con lo sguardo brillante e adorante. 
Era totalmente innamorata, e più tempo passava, più quell’amore aumentava. 
Ragion per cui la notizia la colpì come la colpì... 


Un pomeriggio di novembre, dopo aver svolto un paio di consegne e raccolto la legna per il fuoco, rincasò trovandosi davanti Charlie e Renée in piedi al centro della stanza, immobili. 
Parevano scolpiti nella pietra, tanta era la rigidità nella loro postura. 
Il suo cuore cominciò ad accelerare, perché sapeva bene che qualcosa era accaduto. 
Qualcosa di estrema gravità. 
«Al largo della costa della Carolina...» sussurrò suo padre. 
«...senza preavviso. All’alba» continuò Renée, la voce spezzata e agitata. 
Isabella alternò lo sguardo dall’una all’altro, senza capire. 
«Che cosa?» chiese.  
«Pirati. Hanno attaccato la Queen’s Pride, dov’era Edward» nella stanza risuonò il rumore della legna sul pavimento. Bella si lasciò cadere su una sedia. Silenzio assoluto. 
Dopo quella che parve un’eternità, riuscì a parlare: «È stato fatto prigioniero, allora?».  
Renée scosse il capo, mentre lacrime luccicanti le rigavano il volto addolorato. 
«Era Robert...» disse Charlie. 
Parlare, muoversi, respirare, anche solo vedere, divenne terribilmente difficile. 
I pirati avevano attaccato la nave su cui viaggiava Edward... 
I pirati erano capitanati da Robert... 
Il Terribile Robert non lasciava superstiti... non lasciava superstiti.  
E la verità crollò sulle spalle di Isabella. 
Cominciò a parlare velocemente: «Gli hanno sparato? Pugnalato al cuore? Gli hanno tagliato la gola mentre dormiva? Pensate che l’abbiano svegliato, prima? Forse l’hanno frustato a morte... Cosa gli hanno fatto?» Renée le si avvicinò, tentando di calmarla, ma lei scattò in piedi. 
«No! Sto bene, de... devo...» senza finire la frase, si rifugiò in camera sua, chiudendo la porta a chiave. 
Vi rimase per parecchi giorni, senza uscire una sola volta. 
A nulla valsero le suppliche di Renée e gli ordini di Charlie, perciò si limitarono a lasciare piatti di cibo fuori dalla porta, di cui Bella prendeva spizzichi minuscoli, quel tanto che bastasse a mantenerla in vita. 
Di giorno, il silenzio assoluto; di notte, singhiozzi soffocati. 
Edward era morto. Nessun’altra certezza, nessun’altra verità.
Morto per mano di un assassino senza scrupoli, crudele e spietato. Morto a soli diciassette anni, compiuti cinque mesi prima. Morto all’improvviso. 
E adesso, tutto era finito. 


Quando Bella uscì, tre settimane dopo, aveva gli occhi asciutti.  
I genitori la osservarono guardinghi, seduti a tavola per la prima colazione. Fecero per alzarsi, ma lei li fermò con un gesto della mano. 
«Sono perfettamente in grado di badare a me stessa. Tante grazie» e così dicendo, prese un piatto con del cibo, cominciando a mangiare lentamente. La fissarono.  
A onor del vero, non aveva mai avuto aspetto migliore: quando si era rinchiusa nella sua stanza, era una fanciulla bella da non credere. La donna che ne era emersa era un tantino più magra, molto più saggia, enormemente più triste. 
Il suo volto era fiero, elegante, di una bellezza eterea; ma dietro i lineamenti perfetti e delicati, si leggeva il dolore. C’era carattere e familiarità con la sofferenza. 
Aveva appena diciassette anni, era la donna più bella di tutto il secolo. 
Sembrava non importarle. 
«Stai bene, tesoro?» mormorò Renée. Bella posò la tazza di latte, delicatamente. 
«No. Ma ora non conta più nulla» mentre parlava, una lacrima lenta, silenziosa e solitaria le rigò la guancia sinistra. 
«Non amerò nessun’altro» disse dopo una lunga pausa.  
Dopodiché, il silenzio scese sulla tavola. 









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*Sbircia da dietro la porta*... ehm... io... *scappa*



Fi
datevi di me!!


Cassie










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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***












Capitolo 5







Re Eleazar era un uomo anziano, con la barba e i capelli lunghi e bianchi, di media altezza. 
Era piuttosto magro e ossuto, e la pelle olivastra e rugosa come un foglio di pergamena accentuava l’illusione che fosse fragile come un oggetto di cristallo. 
Tutti nel Regno lo amavano e rispettavano, per il suo buon cuore e la sua lealtà. 
Tratti caratteriali che purtroppo non ereditò il Principe Caius, suo unico figlio e successore al trono.
Egli era tutto l'opposto del padre.
Di carattere egoista ed estremamente viziato, il suo unico amore non era rivolto né al suo popolo, né alla sua famiglia; bensì alla caccia. 
Non lasciava passare un singolo giorno senza uccidere un essere vivente, gioendo nel vederlo soffrire. Che fosse questo un indifeso cane, un invincibile ghepardo, un selvaggio rinoceronte o un piccolo uccellino. 
E bisognava ammettere che era un cacciatore eccezionale, poiché i suoi sensi erano sviluppati in maniera incredibile: era capace di inseguire un falcone nella notte più nera, o un serpente nelle paludi più profonde, e in ogni caso vinceva sempre. 
La sua stanza preferita era quella dei trofei, ovviamente; era un’immensa sala dalle mura di legno scuro pregiato, con sopra appesi non quadri o specchi, ma teste di animali che egli stesso aveva catturato e ucciso nel corso della sua vita.
Se ne potevano contare addirittura ventimila, forse anche di più.  
Egli andava estremamente fiero di quella stanza, mostrandola ad ogni visitatore proveniente da Regni diversi – destandone disgusto, infatti durante le cene non mangiavano quasi mai. 
Se i florinesi stimavano il padre, era anche vero che disprezzavano Caius. 
Non era adatto a fare il Re, troppo distratto per adempire ai doveri di sovrano. 
Ma non vi era più scelta. 
Perché nonostante Eleazar fosse sempre stato un uomo forte e dalla salute ferrea, nell’ultimo periodo si era ammalato gravemente. 
E quando il Re si ammala, bisogna cercare al più presto un successore maschio. 
Caius era il prossimo della lista. E non aveva la più pallida idea di come governare un Paese. 
Per essere sinceri, non sapeva neanche che il padre fosse in fin di vita, poiché era stato per sette mesi all’estero per una battuta di caccia in grande stile. 
Per questo, quando tornò al Palazzo Reale, la sorpresa fu tanta...  


«Cosa diavolo dovrei fare?» urlò una volta appresa la notizia, tanto che la sua voce risuonò in un eco per tutta la contea circostante. 
La madre, la Regina Carmen, cercò di calmarlo con dei colpetti sulle spalle. 
«È necessario, figlio mio. Tuo padre è troppo vecchio per continuare a fare il Re. Questo è il tuo compito».  
Caius sbuffò sonoramente, mettendosi a sedere con le mani tra i capelli. 
Non voleva, non voleva! Odiava avere responsabilità! Ma sapeva che doveva farlo. 
«Molto bene» disse infine. «Quando salirò al trono?» la Regina sorrise rincuorata.                                   
«Dopo che avrai preso moglie» rispose. Caius s’immobilizzò.                                                        
«COSA DIAVOLO DOVREI FARE?». 


Due ore dopo aver appreso la notizia, il Principe era ancora barricato nel suo studio, misurando a grandi passi il pavimento. 
Doveva esserci una scappatoia.  
Lui non poteva sposarsi così di punto in bianco, senza preavviso. 
Sposarsi... puah! Che parola inutile e odiosa! No, doveva trovare una soluzione, e subito.                                                   
E a chi si rivolgeva quando aveva necessità di un consiglio? Al Conte William Ephraim Black, ovviamente. 
«Billy!» chiamò a gran voce. Subito per il corridoio si sentì il rumore di passi affrettati, dopodiché la porta dello studio Reale si aprì e comparve l’uomo, affannato. 
«Ha urlato, Mio Signore?» domandò con reverenza, entrando nella stanza con un profondo inchino. 
«Ho bisogno di un tuo consiglio, mio buon amico» esordì il Principe, portando le mani dietro la schiena. «Mio padre è morente, e come tu ben sai, io prenderò il suo posto. Il problema è che non ho alcuna intenzione di diventare Re, né tantomeno di sposarmi. Tu cosa mi suggerisci di fare?» lanciò un’occhiata al Conte, che intanto rifletteva. Dopo quelle che parvero ore, finalmente si decise a parlare. 
«Ho ascoltato attentamente tutto ciò che avete detto. E ho riflettuto. La conclusione a cui sono giunto, è che ci vorrebbe un miracolo». 
«Qualcuno ha detto “miracolo”?» intervenne una voce sconosciuta, che fece sobbalzare i due uomini. 
Un vecchietto minuto e basso era appena comparso dal nulla. 
«E tu chi sei?» chiese con arroganza Caius, portandosi una mano al petto. «Mi hai fatto prendere un colpo».  
«Buono a sapersi, si mantiene il cuore giovane e vispo» rispose l’ometto. «Io sono Marcus, ma preferisco “Max Dei Miracoli”» tese una mano sottile e ossuta al Principe, che ignorò palesemente. 
«Tu saresti in grado di sistemare questa disgraziata faccenda?» domandò sospettoso. Max dondolò la testa.  
«Diciamo che potrei dare un piccolo aiutino. Rinviare la morte del Re a un altro momento, ad esempio» a queste parole, Caius esultò. 
Così, di fretta e furia, lo strano vecchio venne condotto al capezzale del buon Eleazar.  
«Ah. Niente male, ho visto cose molto più gravi...» commentò Max.
Prese alcune boccette di vetro da una tasca della tunica nera, e le fece ingerire al malato. 
Poi chiuse gli occhi e cominciò a canticchiare filastrocche senza senso. 
«Cosa diamine stai facendo? Su, sbrigati, o questo ci lascia le penne!» sbottò spazientito Caius. 
«Sssh!» lo zittì Max. «Ho finito! Tre... due... uno...» indicò Eleazar, che subito si mise ritto a sedere. 
«Prodigio...» sussurrò il Conte. 
«Miracolo...» fece eco il Principe. 
«Mi fa male la testa...» constatò il Re. 
«Sarebbero settecento monete d’oro» concluse il miracolista. «Comunque, non gli ho donato la vita eterna. Gliel’ho soltanto allungata di altri cinque anni» aggiunse. 
«Cosa? Pretendi settecento monete d’oro soltanto per cinque anni di tempo? Fuori dal mio Palazzo!» urlò Caius. Il povero vecchietto venne cacciato via dalle guardie. 
«Su, su, non siate così triste. Cinque anni sono comunque cinque anni» tentò di consolarlo Billy Black. 
«Devo comunque trovare una donna da sposare» l’ultima parola sembrò più uno sputo.                                  
«Beh... avrei un’idea...» mormorò Black. 


La fattoria Swan era sempre la stessa. 
I lavori erano sempre faticosi, le ore di riposo minime e il dolore di Isabella era triplicato. 
Già, perché tre mesi dopo la morte del suo amato, vennero a mancare anche i suoi genitori, in una fredda notte d’inverno. Sembrava che stessero ancora dormendo, la mattina in cui Bella andò a chiamarli...                                                     
L’unica compagnia della ragazza erano il suo Cavallo e gli altri animali. 
Si chiuse gradualmente in un silenzio assoluto, interrompendo anche le consegne in paese.                                     
D’altra parte, la gente pensava fosse morta, come tutti gli altri. Nessuno si dette pena di andare a controllare che stesse bene.  
Questo dimostra che, in fondo, lei aveva sempre visto giusto sul loro conto.                                  
Così il tempo passò, lento e inesorabile.
Fu in un tardo pomeriggio di aprile che, dopo aver svolto tutte le faccende, Bella decise di andare nell’ultimo posto in cui avrebbe mai pensato di tornare: la casetta di Edward. 
Sentiva un bisogno smodato di sfuggire alla sofferenza, eppure voleva sentirlo più vicino.                          
Ricordare era vietato... dimenticare faceva paura. Ma per una volta, decise di agire d’impulso. 
Varcò la soglia della piccola abitazione deserta; il pesante silenzio che gravava nell’aria circostante le fece salire il cuore in gola. Ascoltò i suoi passi riecheggiare nel vuoto.  
Osservò il letto nell’angolo, intatto. Poi passò accanto al tavolo non più ingombro di libri, sfiorandone distrattamente la superficie impolverata. 
«Continuo ancora a sperare di vederti uscire da questa casa...» mormorò improvvisamente, dopo mesi di mutismo. «Non so il perché. È... è come se ti sentissi ancora qui con me...» continuò a parlare al nulla. «Anche Cavallo sente la tua mancanza. Le notti a volte sono molto lunghe, sai? Fisso e fisso l’oscurità in cerca di un po’ di luce... ma te ne sei andato» la sua voce, già debole, si spezzò; si accasciò a terra, scossa dai singhiozzi. 
Non si rese conto di quanto tempo passò; secondi, minuti, ore? Non importava. Si accorse, però, di alcune voci maschili provenienti dall’esterno. Uscire o non uscire? Stava ancora decidendo sul da farsi, quando un forte bussare la fece sobbalzare. Con passo traballante, andò in cortile. 
Riconobbe all’istante il Conte Black, ma non riuscì a dare un nome all’altro uomo vicino al primo, che intanto la fissava attentamente, quasi volesse leggerle la mente. 
«Avevi ragione, William. È di una bellezza straordinaria» commentò con voce altezzosa. Il Conte annuì incredulo. 
«Posso assicurarvi con tutta certezza che mesi fa non era così bella, seppur aveva un enorme fascino, Vostra Maestà». Lo sconosciuto smontò dal suo cavallo candido, avanzando con testa alta verso Isabella.  
«Io sono il tuo Principe. Cerco moglie, e tu sarai perfetta per me» diretto, senza tanti giri di parole. La ragazza lo guardò negli occhi grigi e arroganti, senza tradire la minima emozione. 
«Io non sono adatta a sposarvi. “Sposarsi” significa “amore”, e non è di certo ciò che cerco. Vi prego di lasciarmi sola» la sua impertinenza colpì non poco i due nobili. 
«Ho deciso così. Tra cinque anni diverrai mia moglie e Regina di Florin, ma nel frattempo verrai istruita alla vita di Corte. Oppure...» il tuo tono divenne minaccioso, così come il sorriso che spuntò sulle sue labbra. «Morirai tra atroci sofferenze, in un futuro molto prossimo. A te la scelta». 
«Non ti amerò mai» sussurrò Bella, con gli occhi ridotti a due fessure. 
«Non saprei che farmene del tuo amore» ribatté annoiato Caius. 
«Va bene. Allora sposiamoci» mormorò sconfitta la ragazza. la sua storia aveva inizio.  









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La sua storia ha inizio. Vi ricordo infatti che fino ad ora, la storia è stata straordinariamente disordinata e velocizzata. 
Ma dal prossimo capitolo, le cose avverranno con il giusto corso del tempo. Tuuuuttavia, non posso promettervi che sarà meno incasinata xP! 
Vorrei ringraziare Lully Cullen  per i suoi incoraggiamenti, sempre e comunque. Ti adoro, tesoro *W*.                
Poi vorrei anche ringraziare gaccia  , che mi ha segnalato gli errori/orrori nello scorso capitolo.
E, come sempre, mi inchino davanti alle fantasticherrime (ebbene sì) fanciulle che hanno recensito, ricordato, seguito e preferito questa piccola pazzia. Bacioni e abbraccioni a tutte :****************!  
Domanda/sondaggio: preferite le scene comiche (sempre se lo sono, per voi) o le scene tristi? Sono curiosa... 




Fidatevi, mie care *fischietta ingenuamente*... 



Cassie






 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***












Capitolo 6





Sebbene il Principe avesse il potere e il diritto di scegliere chi sposare, le leggi Reali imponevano categoricamente che entrambi le parti avessero un titolo nobiliare. 
Il fatto che Isabella fosse una semplice contadinella di periferia, perciò, non passò inosservato a Corte. 
«Tra tutte le dame che ti circondano, tra tutte le fanciulle più potenti ed influenti che esistano sulla Terra, tu vuoi sposare una comune mortale?» la Regina Carmen avrebbe potuto far carriera come cantante lirica, a giudicare dagli acuti che emetteva la sua esile gola da circa un quarto d’ora. 
«Già» confermò semplicemente il figlio, sbadigliando. Dopo un’intensa giornata passata ad uccidere e massacrare, tutto ciò di cui aveva bisogno era solo silenzio e riposo. 
«“Già”? Ma come? Non puoi ignorare le leggi!» strillò ancora Carmen. 
Passarono tutta la notte a battibeccare, finché non si giunse ad un accordo: nominarono Isabella Principessa di Forksland, uno dei tanti possedimenti terrieri del Re. 
La vecchia Isabella Marie Swan ora dava il benvenuto alla nuova Isabella Marianne Swanson di Forksland. 
E questo titolo non le piaceva per niente. 
«Perché dovrei cambiare anche il mio nome?» chiese con irritazione a Caius, una delle rarissime volte in cui si vedevano. 
«Perché quello di prima non si addiceva ad una nobildonna». 
«Voglio mantenere il nome che avevo alla nascita. È l’unica cosa che mi lega al passato...» sussurrò l’ultima parte. 
«Va bene, tanto servi solo a darmi un figlio» commentò derisorio il Principe. 


A Palazzo non persero tempo; in meno di una settimana, vennero convocati i migliori educatori di tutto il Paese, allo scopo d’istruire la futura Regina a comportarsi come tale. 
«Isabella, questo è Mister Varner. Sarà il tuo nuovo maestro. E queste sono Miss Weber e Miss Hammer; dizione e postura» l’informò Caius. Bella lo guardò con sfida. 
«Pensavo di servire unicamente per darti un figlio» disse con disprezzo mal celato. 
«Infatti non era mia intenzione darti la possibilità di avere una cultura. Fosse stato per me, avresti potuto vivere per sempre nell’ignoranza, tanto vali poco. Ma mia madre non tollera ciò, quindi...» il suo tono divenne pian piano minaccioso. «E poi, credo proprio che ti insegnerò personalmente le buone maniere. Tanto per cominciare, nessuno può rivolgersi a me senza che sia interpellato, a parte i miei genitori». 
«Non chiederò mai il tuo permesso per dire quello che penso. Mai. Sono nata libera, e morirò libera» Caius si accostò al suo orecchio. 
«Se non tieni a freno la lingua, morirai liberamente in pochissimo tempo» sussurrò. Poi uscì dalla stanza. 
Da quel giorno, Isabella venne seguita passo dopo passo, studiando il protocollo, la storia di Florin, l’albero genealogico della famiglia Reale, e un sacco di altre cose straordinariamente noiose.
La sveglia era sempre alle sei – non che si lamentasse di questo, visto che alla fattoria si alzava anche alle cinque – e si cominciava subito con le letture classiche romane e greche. 
Seguiva poi la lezione di dizione quotidiana, che durava circa due ore, con breve pausa per la colazione. 
Poi la postura, come versare il té, come rivolgersi ad un altro nobile o un suddito, come salutare, e persino come alzarsi da tavola in presenza di ospiti. Infine, fino a sera, ascoltava Mister Varner per ore mentre raccontava ogni singolo avvenimento storico. 
Le regole, d’altra parte, erano assurde: non poteva affacciarsi dal balcone per nessun motivo, e non le era permesso di esporsi alla luce solare senza un ombrellino a farle ombra, poiché la pelle di una Principessa doveva essere perfetta e immacolata. 
Ad ogni singolo pasto, usava sempre più di cinque posate e tre bicchieri, mantenendo costantemente le spalle dritte e la schiena ben eretta.  
E la sua vecchia vita le mancava immensamente. 

«Vostra Maestà, quante volte dobbiamo ancora ripeterglielo?» disse retorico Mister Varner, in un pomeriggio di nove settimane dopo. 
«Ma siamo in estate. Perché non posso aprire un po’ la finestra e godere dell’aria fresca?» domandò Bella. 
«Vostra Altezza, non sta bene che una Principessa apra le finestre da sé. Ci sono i servi per questo. E in secondo luogo, l’aria estiva è portatrice di influenze. Vi prego, continuiamo la lezione». 
«Non mi sembra tanto normale...» borbottò a bassa voce Bella, ma Varner non la sentì. 




Cinque anni dopo... 

La Piazza Grande di Florin era affollata come non mai.
Tutti attendevano con ansia la presentazione della futura sposa del Principe. 
Uomini, donne, bambini e anziani erano accorsi da tutte le parti del Paese, per assistere a questo evento. 
Nessuno aveva mai visto la Principessa, ma le voci sulla sua bellezza erano diffusissime.
Verso mezzogiorno, Caius comparve dal balcone principale con un’andatura fiera e rigida.
«Miei sudditi» esordì con un vocione rimbombante. «Come ben sapete, la nostra Nazione fra tre mesi festeggerà il cinquecentesimo anniversario. Al tramonto di quel giorno, io prenderò in moglie la Principessa Isabella Marie Swan di Forksland. Voi non la conoscete, ma la conoscerete adesso» ad un suo gesto teatrale della mano, le porte alle sue spalle si aprirono e Bella lo affiancò. 
E la folla rimase letteralmente senza fiato. 
La Principessa ventiduenne aveva di gran lunga surclassato la diciassettenne campagnola che era un tempo. 
La sua pelle era del colore della panna d’inverno, con le guance rosee e vellutate. 
I suoi occhi color cioccolato erano grandi, profondi, malinconici. 
Le sue labbra carnose, in passato rosee, adesso erano rosse come ciliegie mature. 
E i suoi capelli castani erano cresciuti fino alla vita, ricadendo in delicate onde sinuose. 
Sembrava quasi che la luce del sole danzasse con lei, regalandole un’aura soave ad ogni minimo movimento. 
Qualsiasi difetto, anche il più banale, era scomparso. 
Il Principe le prese la mano delicata, sollevandola in alto, mentre tutti esultavano entusiasti.  
«Vorrei camminare tra di loro...» disse Bella. 
«Non puoi, chi ti dice che non ci siano dei folli malintenzionati?» la rimproverò Caius. 
«Non accadrà nulla. Conosco questa gente, ero una di loro. So che non mi faranno del male» ribatté decisa.          
Scomparve dal balcone, e in pochi minuti eccola comparire sull’ampia scalinata del Castello, da sola.       
Avanzò lentamente, vagando dappertutto con lo sguardo. 
Ovunque andasse, la folla si apriva per lasciarla passare. 
Gli uomini la guardavano estasiati; le donne ammirate; i bambini volevano toccarla e parlarle. 
E lei lo fece. 
Comportandosi come una Regina, mantenendo la postura dritta e un sorriso cortese sulle labbra, ascoltò tutto ciò che volessero dirle, grata di poter mescolarsi ancora tra le gente comune.  
Tutti l’adoravano già.
Ma... 
... nell’angolo più lontano della Piazza Grande...
... nell’ edificio più alto del Paese... 
... sprofondato nell’ombra più oscura...
... l’uomo in nero aspettava. 
Neri gli stivali di cuoio. Neri i pantaloni e la camicia. Nera la maschera che indossava, più dell’ala di un corvo. 
Ma neri più di tutto splendevano i suoi occhi. 
Lampeggianti, crudeli, mortali... 








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Undici giorni che non posto. Quanto faccio pena da uno a dieci? Puah!
Il fatto è che stavo scrivendo altro e non avevo mai tempo per finire questo capitolo.
Comunque... c'è stato un bel salto temporale, ma non dovete preoccuparvi di questo.
Bella è diventata ancora più bella (suggerisco di fare un saltino al capitolo 1 e rileggere la sua descrizione per rinfrescarvi la memoria), e il matromonio si avvicina.
ATTENZIONE, ATTENZIONE PREGO: SI ACCETTANO SCOMMESSE SU CHI DIAVOLO SIA L'UOMO IN NERO DELL'ULTIMA PARTE. OGNI TEORIA È BENVENUTA, ANCHE LA PIÙ  ASSURDA XD!
Ringrazio di tutto cuoricino le angiole (?) che commentano, preferiscono, seguono e ricordano 'sta roba.
Mi dileguo ^^!



Cass


P.S. (non c'entra nulla con la storia, ma chi se ne frega): ho cambiato il nick da "Cassie89" a "Cassie9", perché si creava confusione.
Io non ho ventidue anni, quel numero ha solo un significato per me.

Bye bye!







 




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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***





                                                                                               

Capitolo 7





L’uomo in nero correva nella notte, silenzioso.                                                                          
La luna gettava ombre sinistre sulla foresta, rendendo il paesaggio spettrale e cupo.                                    
Ma a lui non importava nulla.                                                                                     
Aveva un piano, e nulla sarebbe riuscito a distoglierlo dalla sua decisione.                                  
Giunse alla scogliera dove la sua nave era ormeggiata; il vento sferzava le onde, increspandole.              
Con un agile scatto, si arrampicò ad una cima e raggiunse il ponte deserto.                                             
Nel silenzio della notte si sentivano solo i suoi passi.                                                               
Si fermò improvvisamente, affinando l’udito, e in un battito di ciglia sguainò la spada, girandosi di scatto per contrastare il colpo che stava per ricevere. 
Le spade si scontrarono, producendo un sordo clangore.                                                          
«Dannazione!» imprecò un uomo dalla chioma bionda e leonina. «Mai una volta che riesca a coglierti de sorpresa!» aveva un forte accento spagnolo. L’uomo in nero sorrise. 
«Quando imparerai a muoverti senza fare rumore, mi coglierai di sorpresa».                                                    
«Prima o poi capirò como fai a sentirmi siempre» promise il biondo. Abbassarono le armi contemporaneamente.           
«Gli altri sono sotto coperta?» chiese l’uomo in nero.                                                                                    
«Sì, capitano».                                                                                                     
«Bene. Quanto ne sai su questo Paese?».                                                                                      
«No mucho. Sé que c’è la Princesa più bella de todo el Mundo, pero ninguno l’ha mai vista».                      
«Io l’ho vista, oggi. Ho un incarico per te» i suoi occhi scintillarono nel buio. «Voglio Isabella Swan. E la voglio viva».   


La sera dopo...  

«Vi auguro una buona notte, Vostra Maestà. Con permesso...» Isabella si alzò dal suo posto e fece un mezzo inchino alla Regina Carmen, che rispose con un cenno del capo.  
«Riposa bene, cara. Domani sarà una giornata particolarmente faticosa per te».  
«Certamente» con un ultimo inchino la ragazza lasciò la Sala Pranzo.  
Pensò distrattamente e con molto poco interesse al cambiamento della Regina: i primi tempi era sempre severa e distaccata con lei, mentre adesso era magnanima e gentile. 
Incredibile come il solo aspetto esteriore potesse influire tanto sul comportamento di una persona. 
Scosse la testa inconsciamente, salendo le ampie e lunghe scale che l’avrebbero portata al terzo piano, dove si trovavano i suoi appartamenti, che comprendevano una grande e sontuosa camera da letto, una ricchissima biblioteca, uno studio e una sala da bagno personale. Non aveva mai avuto tanto in vita sua.                                                     
Ma la cosa non l’entusiasmava per niente. 
Percorse pigramente il corridoio impreziosito da dipinti e vari specchi, e con uno sbuffo annoiato aprì la porta della sua camera.  
La fiamma danzante delle candele sui lampadari illuminava ancora tutto l’ambiente, così da rendere più semplice i movimenti di Bella mentre indossava la veste da camera. 
Aveva espressamente ordinato di non volere domestiche che l’aiutassero in questa semplice operazione; dopotutto l’aveva sempre fatto da sola, quando era ancora felice nella sua fattoria.  
Stroncò i suoi nostalgici pensieri sul nascere. 
Prima regola: ignorare il passato e guardare al futuro. Ormai lo faceva da anni. 
Indossò una vestaglia finemente ricamata e uscì sul suo balcone, osservando la notte davanti a sé; la luna quella notte era quasi piena, aveva la forma di un uovo. Concentrò tutta la sua attenzione su essa, per non ricordare. 
Qualcosa volò in cielo, forse un gufo, forse un’aquila notturna. 
Se solo avesse avuto un paio di ali, sarebbe scappata da tutto quello che la circondava e avrebbe messo quanta più distanza possibile tra sé e quel Paese che la stava facendo soffrire tanto. 
Sospirò malinconicamente, sbadigliando in seguito.  
Lanciò un ultimo sguardo alla luna, per poi chiudere le tende alle sue spalle e rientrare nella stanza.  
Si sdraiò sotto le lenzuola pregiate e cadde in un sonno profondo. 


Un fruscio. Un tonfo soffocato nella stanza. Isabella dormiva ancora. 
Passi lenti, attutiti. Lei continuava a dormire. Senza sapere che nella sua camera vi era un intruso.                
L’uomo la guardò dall’alto della sua posizione, vigile e attento.                                                                        
Alla debole luce lunare la sua chioma bionda pareva argentata, e la pelle del suo viso era cadaverica.                   
Sembrava un fantasma. 
Con uno scatto fulmineo posò una mano sulla bocca di Bella, che si svegliò con un sussulto. 
Prima che potesse dimenarsi o urlare, l’uomo le afferrò il collo, premendo con sapienza alcuni punti.                            
La ragazza svenne all’istante. 
La prese tra le braccia e con passo felpato andò fuori dal balcone, lasciandola cadere giù.                                                  
Un secondo uomo, molto più robusto e muscoloso del primo, la prese al volo. 
«Bel colpo!» esclamò l’uomo magro sottovoce, calandosi giù con la corda che aveva usato per salire.                  
Una volta a terra, i due scapparono via, silenziosi come erano venuti. 


Quando Isabella aprì gli occhi il buio era quasi scomparso. Li richiuse, domandandosi distrattamente come avesse fatto a vedere il cielo sopra di sé dall’interno della sua stanza.                                                       
Probabilmente stava ancora dormendo. Sbadigliò, stiracchiandosi.
«Tutta a manca!» disse qualcuno. «... avanti! Spiega bene quelle vele, forza!» vele? Stava sognando di essere su una nave?  
Alla prima voce se ne aggiunsero altre, tutte maschili, e tutte troppo realistiche per appartenere al suo inconscio.   
Riaprì gli occhi... e s’ immobilizzò. 
Era realmente su una nave. 
Si alzò in piedi, guardandosi attorno, il panico e la confusione crescevano lentamente e le bloccavano la gola.           
Come c’era finita lì? 
Che le sarebbe successo? 
Quanto era distante da casa?  
Qualcuno balzò dall’alto accanto a lei, producendo un tonfo sordo che la distrasse dalle sue domande.               
Una ragazza dai ricci capelli rossi e grandi occhi castani la guardava intensamente. 
Non poteva avere più di vent’anni, e i suoi tratti erano delicati e felini allo stesso tempo. 
«Finalmente ti sei svegliata» esclamò dopo un lungo silenzio, con voce infantile e sfacciata. 
«Dove mi trovo? Perché sono qui?» chiese Bella ansiosamente. La ragazza fece un mezzo sorrisetto.                    
«Sei sulla nave più temuta di tutti gli oceani» dichiarò. «Le tue ore sono contate...». 
«Gazza!» urlò una voce nuova. Una voce forte, rude, autoritaria. Una voce da brividi. «Lascia stare la nostra ospite» l’ultima parola era carica di disprezzo. «Torna di vedetta». 
Bella si girò verso la persona che aveva parlato.  
Un uomo alto, tutto vestito di nero, la fissava. Era terrificante. 
«Sì, capitano» mormorò la ragazza. Agile come un gatto, si arrampicò ad una corda e scomparve tra le vele.         
«Voi chi siete?» sussurrò Bella. 
«Sono uno che non scherza. Non devi sapere altro» ribatté sprezzante l’uomo in nero, incrociando le braccia al petto. 
Tutti gli altri marinai guardavano la scena in silenzio. 
«Ho il diritto di sapere chi mi ha rapita!» sibilò la ragazza. il suo tono era fiero, impavido, sebbene i suoi occhi celassero timore. L’uomo in nero sorrise derisorio. 
«Non hai nessun diritto, tu» ribatté. «Oh, avevo quasi dimenticato di essere in presenza di una nobile...» fece un mezzo inchino con il capo. «Vostra Altezza, qui comando io. Benvenuta sulla mia nave» così dicendo, la trafisse con i suoi occhi gelidi, per poi andarsene via. 
Chissà quale sarebbe stata la sua sorte... 








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Ehm... che posso dire a mia discolpa? Un. Bel. Niente.
E come cantava Caterina Caselli: perdono, perdono, perdonooooooooooooooo!
Davvero non so cosa mi sia preso, ma negli ultimi giorni non riuscivo proprio a scrivere niente. Infatti il capitolo non mi convince, ma per non farvi aspettare ancora l'ho postato. Che brava, eh? xD
Well, non ho nulla da dire sul capitolo, se avete domande, dubbi o segnalazioni su errori/orrori, io sono qui.
Un gigantesco GRAZIE alle ragazze che recensiscono, che preferiscono, seguono e ricordano e anche a quelle che leggono in silenzio. Vi amo *-*
Vorrei inoltre cogliere l'occasione per salutare Marco Simoncelli, scomparso alla giovane età di ventiquattro anni per un maledetto incidente. Non riesco a non pensarci... sarà sempre nei nostri cuori ç_ç...


P.S. L'abbigliamento del Man In Black è questo: http://i52.tinypic.com/e7nr7m.jpg


Personalmente lo trovo fighissimo *Q*
E lui è il personaggio originale del film ^-^

Adios!



Cassie











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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***









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Per questa fantastichissima copertina si ringrazia di cuore  Vanessa_ . Ti voglio bene, tesoro <3







Capitolo 8






Isabella si affacciò dal parapetto della nave, guardando distrattamente le onde.                                           
L’aria salmastra le era sempre piaciuta, specialmente quando da ragazzina andava sulla spiaggia in sella a Cavallo; spesso passava là intere giornate, portandosi dietro qualche cosa da mangiare per sé e per il suo amato compagno d’avventure, come amava chiamarlo lei.                                                                                                                      
Un debole sorriso le illuminò il volto pallido, al ricordo di quei giorni felici.                                      
Ma sapeva che non era un bene ricordarli.
Scosse la testa liberandola dai pensieri, e continuò ad osservare l’acqua blu scuro.                                     
Tuffarsi, rischiare la vita per fuggire. Ne valeva la pena? Isabella rifletté: se non avesse rischiato, sarebbe morta comunque, perché – come le aveva detto la ragazza rossa – le sue ore erano contate.                                
Ma cosa volevano da lei? Perché ucciderla senza motivo, così?                                                                         
Una lacrima di rabbia, paura e nervosismo premette per uscire, ma lei la represse.                              
Doveva essere forte, doveva mostrarsi calma e decisa agli occhi del nemico.                                         
Inspirò profondamente, con il cuore in gola, e si allontanò dal parapetto.                                         
Cominciò a passeggiare per il ponte, senza una meta precisa.  
La ciurma intorno a lei continuava il suo lavoro, ignorandola.                                                         
Tutti gridavano, tutti ridevano sguaiatamente. Tranne quattro.                                                               
Erano seduti in disparte, accanto all’Albero Maestro, apparentemente tranquilli.                                          
Uno era alto, grande come un armadio, con i capelli corti neri e ricci; un altro ancora era più basso, con la pelle bronzea, e dimostrava sì e no diciannove anni; il terzo aveva i capelli di un biondo chiarissimo e il viso innocente come quello di un bambino; infine l’ultima era la ragazza dai capelli rossicci.
Indossava una camicia bianca, calzoni marroni e stivali e cinturone di cuoio, che stranamente le donavano.                              
Quella ragazza era estremamente bizzarra; stonava in mezzo a tutti quegli uomini molto più grandi e robusti di lei come una rosa tra le ortiche, eppure non sembrava provare il minimo disagio.
Bella si avvicinò al gruppetto senza neanche pensarci, fino ad essere ad un metro di distanza da loro.  
«Cosa vuoi?» le chiese la rossa, scattando in piedi così velocemente da sembrare una leonessa pronta a saltare.        
«Non mi sembra giusto che voi sappiate il mio nome mentre io non so nulla di voi» disse Bella imperturbabile. I quattro la guardarono e sorrisero contemporaneamente.
«Bene» commentò la ragazza. «Ma non capisco cosa se ne possa fare una morta dei nostri nomi. Il mio nome è Gazza Ladra...». 
«Nessie, ancora con questa storia?» l’interruppe il ragazzo dalla pelle scura.                                         
«Stai zitto, cane!» l’ammonì lei, ma lui la ignorò e si rivolse a Isabella, che intanto osservava la scenetta con divertimento.    
«Il suo vero nome è Renesmee, ma insiste con questo stupido nomignolo. Io mi chiamo Jacob, e loro sono Emmett e Peter» entrambi gli uomini fecero un cenno del capo in direzione della Principessa, che contraccambiò.                    
«Perché lei si fa chiamare Gazza Ladra?» chiese poi, senza nascondere la curiosità. Renesmee sorrise raggiante, come una bambina il giorno del suo compleanno. 
«Perché ho un debole per tutto ciò che luccica» così dicendo, estrasse dalla tasca della sua camicia una catenina d’oro brillante. Bella portò una mano al suo collo, sgranando gli occhi.
«Come... come hai fatto a...». 
«Dovresti guardarti meglio alle spalle, Principessa» esclamò Gazza stendendo un angolo della bocca in un sorriso furbo, per poi restituirle la catenina. 
Poi, senza preavviso, scattò in un’altra posizione, accovacciandosi a terra per schivare un pugnale che puntava alla sua testa. 
L’arma andò a conficcarsi con un sibilo ad una porta.                                                                
Isabella rimase immobile, il cuore accelerato dallo spavento. Tutti gli altri invece erano tranquilli.
«Jazz...» disse Gazza rialzandosi, guardando alla sua destra. «non ti sopporto quando fai così».                   
Bella seguì il suo sguardo, notando solo allora un uomo seduto con la schiena poggiata all’Albero Maestro.          
Il suo viso era per metà nascosto da un cappello a larghe tese con una grande piuma, e le sue braccia erano incrociate sul petto, come se non si fosse mai mosso di lì.  
«Sai que estoy de cattivo umore quando me fa male la cabesa» disse con voce annoiata.                              
«Sì, lo so. Ma sei comunque irritante quando lanci quello stupido pugnale» erano calmi e sereni come se stessero parlando del tempo, invece che di un quasi - assassinio.                
L’uomo sollevò il cappello, rivelandosi.                                                                      
Il suo volto dai tratti spigolosi e regolari era incorniciato da una massa dorata di capelli lunghi fino alle spalle, che ricordavano la criniera di un leone. 
Aveva grandi occhi scuri e profondi, e un naso dritto.                                                       
Sarebbe stato davvero un bell’uomo, se non fosse stato per due lunghe cicatrici, una per guancia, che partivano dagli zigomi fino ad arrivare agli angoli della bocca, rovinando l’armonia dei tratti.                        
«Lui chi è?» sussurrò Bella, senza distogliere lo sguardo dall’uomo. 
«Si chiama Jasper» rispose Gazza. «È il primo ufficiale del capitano. Non si sa molto su di lui prima che si arruolasse in questa ciurma. Non vuole parlarne con nessuno».                                                     
«La mia historia è lunga y complicada. No quiero parlarne ahora» disse Jasper categoricamente.                     
«Molto socievole e gentile...» commentò Emmett.                                                           
In quel momento, una lievissima melodia si diffuse nell’aria, catturando l’attenzione della Principessa.                   
«Cos’è?» chiese in un sussurro, acuendo l’udito.                                                                       
Non attese risposta. Seguì il suono, che proveniva dalla porta dove era conficcato il pugnale di Jasper, e aprì lentamente. 
Rimase sulla soglia, guardandosi attorno; la stanza era buia. Sembrava che la mattina non fosse mai giunta lì. L’unica fonte di luce era una candela, posta su di un pianoforte a muro, dove l’uomo in nero stava seduto.  
Era lui che suonava.                                                                                                         
Ben presto la musica s’intensificò, crebbe di sentimento.                                                           
Era malinconica.                                                                
Bella chiuse la porta alle sue spalle senza fare rumore ed entrò, ma lui non diede segno di averla sentita. Continuò a far volare le sue lunghe dita affusolate sulla tastiera d’avorio, creando accordi armonici e struggenti. 
Perfino Bella, che da ormai cinque anni aveva rinchiuso il suo cuore in uno scrigno segreto, si commosse a quella melodia, portandosi una mano sul cuore come per attenuare il sottile dolore che provò.
Non si accorse del tempo che passò in quella stanza misteriosa e sinistra. Era come in uno stato di ipnosi, e solo quando l’uomo in nero terminò la composizione con un ultimo accordo prolungato, si ridestò.                                                                  
«So che sei qui...» disse lui improvvisamente, senza voltarsi. Il cuore di Isabella cominciò a battere forte.    
«Volevo ascoltare» si giustificò. «È bellissima, molto emozionante» ammise dopo qualche secondo di silenzio.                  
Lui sorrise sarcastico, voltandosi e incontrando i suoi occhi. Alla debole luce danzante della candela, il suo viso nascosto era se possibile ancora più inquietante.   
«Tu non saresti capace di cogliere la bellezza neanche se ti si presentasse davanti. Per non parlare delle emozioni. Sei molto fredda, Altezza, sai? Quand’è stata l’ultima volta che hai pianto? Quando ti si è spezzata un’unghia?» mentre parlava, si alzò dallo sgabello e avanzò verso di lei, che intanto indietreggiava.            
«Come osi? Chi credi di essere tu per potermi insultare così? Sei un farabutto, un criminale, ecco cosa sei!».      
Lui la spinse contro la parete, addossandosi a lei.                                                          
Una sua mano andò velocemente a coprirle la bocca, immobilizzandola. In quel momento parve che se solo avesse voluto, le avrebbe potuto schiacciare il cranio con una semplice pressione.
«Sssh...» soffiò al suo orecchio. Bella sentì il suo respiro solleticarle la pelle, mentre brividi di paura e rabbia si impossessavano del suo corpo. «Hai la lingua molto lunga, Principessa. Stai attenta, potresti cacciarti nei guai. E io non do mai una seconda possibilità». Premette con maggior forza la mano sulla bocca di Bella, quasi a darle un avvertimento. Poi la lasciò, allontanandosi come scottato. 
Bella annaspò, in cerca di aria, massaggiandosi la pelle vicino alle labbra. Le aveva fatto male.                   
«Tu non mi fai paura» dichiarò a testa alta. Lui si voltò, inchiodandola con gli occhi.                    
«Fossi in te non sarei tanto sicuro. Non credi che potrei farti soffrire molto? Pensaci. E ora fuori dal mio ufficio!»       
Svelta come un fulmine, la Principessa corse fuori, alla luce del sole.  
E fu allora che decise: in un modo o nell’altro, sarebbe fuggita da quell’incubo.


Quando giunse il tramonto, Isabella si avvicinò di soppiatto al parapetto della nave, attenta che nessuno la stesse osservando.
Si sarebbe tuffata in quelle acque scure come la notte, dopodiché avrebbe nuotato con tutta la forza che aveva in corpo, fino allo stremo.
Sapeva perfettamente che le probabilità di salvarsi in oceano aperto, da sola, erano pari a zero.                
Ma restare un minuto di più su quella nave sarebbe stata una condanna a morte peggiore. Decisamente.           
Lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle, dopodiché afferrò la cima di una vela e salì in piedi sul freddo legno lucido.        
Fissò le onde sotto di lei per quelle che parvero ore.                                                        
Ricordò di quando a dieci anni si era tuffata da uno scoglio alto dieci metri a testa in giù, per dimostrare a Samantha Righte che era in gamba. Tutta l’acqua che bevve e la fece quasi affogare.                     
Fortunatamente c’era Edward nei paraggi, che subito si tuffò e la salvò.           
Ma questa volta non era una scommessa tra bambine.                                                
Non ci sarebbe stata Samantha con le sue urla terrorizzate, come non ci sarebbe stato il suo Edward pronto a ripescarla sul fondo dell’oceano.  
Questa era una scommessa tra la vita e la morte. Tra Bella e l’uomo in nero.                                                                    
Con un ultimo respiro profondo, si tuffò.  


L’acqua non era fredda come aveva immaginato... lo era molto di più.                                                            
Riaffiorò in superficie, prendendo boccate d’aria, ma era inutile. Non riusciva a respirare, era come se l’aria nei suoi polmoni si fosse congelata, come tutti i muscoli del corpo.
Cercò di non farsi prendere dal panico, ma era terribilmente difficile.                                                           
La nave si stava allontanando, spostando una quantità enorme d’acqua al suo passaggio.    
Non aveva preso in considerazione la corrente.                                                                             
Venne travolta un paio di volte da due grandi onde, e le sue vesti bagnate non erano d’aiuto per mantenersi a galla.          
La testa le cominciò a girare, mentre la mancanza d’ossigeno in corpo diventava insopportabile.         
E venne spinta ancora sott’acqua.                                                                                                                   
Fu come se ogni centimetro della sua pelle venisse trafitto da mille lame, una trappola mortale senza via di fuga.     
Isabella smise di agitarsi, ormai la sua ora era arrivata.                                                          
Le passarono davanti agli occhi il volto di sua madre, di suo padre... di Edward.                                
l’unica cosa buona era che presto li avrebbe raggiunti e chissà, forse sarebbero stati per sempre insieme, lì in Paradiso.     
Poi, fu il nulla. 











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Se ve lo state chiedendo no, non è un miraggio... e non è neanche un incubo. Sono realmente puntuale. Ahahahahah xD
Personalmente non ho nulla da dire su questo capitolo, se avete domande o segnalazioni, sono qui.
Spero comunque che vi sia piaciuto... qui entrano in scena alcuni personaggi molto importanti.
Ringrazio come sempre tutte le ragazze che leggono, recensiscono e inseriscono la storia nei tre gruppi *W*
Vanessa_ 
ha ideato la magnifica copertina ad inizio capitolo, e voglio ringraziarla pubblicamente. Non so se sta leggendo, ma il capitolo è dedicato a lei *-* Vi consiglio vivamente TUTTE le sue storie, perché meritano davvero taaaaaanto tanto *Q*
Ho una domandina da farvi (sì, sono una ficca naso u.u): come avete passato Halloween?

Bacionissimi!

Cassie



P.S. Pensavaaaate di esservi liberate di me, eh? Muahahahahah!!
Vorrei chiarire un punto sul perché faccio SEMPRE ritardo con gli aggiornamenti.
Più che mancanza d'ispirazione è sovraccarico d'ispirazione.                         
È un periodo di tempo in cui sto inventando storie diverse ogni giorno, e non scherzo. 
Trovo ispirazione ovunque, davvero, perfino un bicchiere d'acqua mi suggerisce una scenetta carina per una storia.
Per questo non trovo mai il tempo di scrivere questa, sono troppo occupata a dare sfogo alla mia fantasia e – diciamolo pure – alla mia pazzia. 
Ce ne sono in programma almeno altre due, più una one - shot, ma non so se e quando le pubblicherò. 

A risentirci!







               

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***








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Per la copertina si ringrazia di cuore Vanessa_ . Consiglio TUTTE le sue storie, perché meritano davvero *-*






Capitolo 9







«Jacob Black, scendi immediatamente! Questa è la mia postazione» ordinò Renesmee con voce che voleva essere autoritaria, ma che alle orecchie delle altre persone suonava infantile e delicata. Il ragazzo sorrise.
«Andiamo, Nessie. Voglio solo farti un po’ di compagnia». La ragazza chiuse gli occhi e inspirò dal naso.
«Non. Chiamarmi. Nessie» disse seccamente. Jacob sbuffò infastidito.       
«Ancora? Quello stupido nomignolo non si addice alla tua grazia. “Nessie” invece è molto più delicato e dolce».
«Ti risulta che io sia delicata e dolce, Black?» chiese lei retoricamente.
«In effetti no...» convenne lui. E per la prima volta si trovarono d’accordo su qualcosa. 
«Bene. Adesso ti sarei molto obbligata se mi lasciassi in santa pace a fare il mio dovere» così dicendo, Gazza spinse il ragazzo per farlo scendere dalla vedetta. 
Ma lui, grande com’era, non si mosse di un centimetro.               
«Quanta fretta che hai. Su, godiamoci questo bel tramonto insieme e poi scendo» e indicò il sole che lentamente assumeva sfumature rossastre contro il cielo dorato.
Certo, era una situazione piuttosto strana, pensò la ragazza. Stare soli, a più di dieci metri dalla terra ferma, ad osservare il paesaggio... avvampò alle guance e volse il viso dall’altra parte.
Chissà perché, poi, era arrossita. Lei non arrossiva mai. 
Improvvisamente, qualcosa cambiò nell’aria. Lo percepì. 
Mentre Jacob continuava ad osservare il sole, lei tese le orecchie e si concentrò con tutta la forza che aveva in corpo.
Chiuse gli occhi, per sentire maggiormente ogni singolo rumore.
Le arrivarono distintamente il suono dei loro respiri, il vociare degli altri dal basso, i passi, i canti e le risate. Perfino il suono del pianoforte del capitano.
Poi, ancora più distintamente come un tuono nel silenzio più assoluto, sentì il rumore dell’acqua infranta da qualcosa.
O meglio, da qualcuno
Aprì i grandi occhi scuri e li puntò verso la fonte del rumore.
Lì l’acqua era più agitata e schiumosa.
Ripercorse velocemente tutto il ponte sottostante con lo sguardo, controllando che nessuno mancasse all’appello.
Nessuno, neanche uno. Tranne la Principessa. 
«È scappata!» urlò tanto forte da far sobbalzare l’ignaro Jacob.
«Ma cosa... Chi?» chiese confuso. Gazza neanche rispose, scavalcò la ringhiera della vedetta con una capriola e scese giù con un balzo.
Corse agilmente fino all’ufficio del capitano, e senza bussare entrò. 
«Signore, la Principessa si è tuffata in mare» dichiarò sicura.
L’uomo in nero la guardò accigliato dal suo pianoforte. Quella sciocca ragazzina era arrivata a tanto?
In meno di tre secondi era già sul ponte intento a togliersi maschera, spada e pistola di dosso, tuffandosi immediatamente.
Allontanò la mente dalle spiacevoli sensazioni che l’acqua ghiacciata procurava al suo corpo, e concentrò tutto nei muscoli e nella vista. Doveva trovarla.
Mantenendo sangue freddo si calò giù, fino ad essere a tre metri dal livello dell’acqua.
Ignorò le tempie che pulsavano e i polmoni che iniziavano a reclamare ossigeno, e continuò la sua ricerca.
Tutto scuro, tutto apparentemente vuoto e privo di vita. 
Ma lui non si arrese e continuò a nuotare, determinato a recuperare quella ragazza tanto incosciente.
Infine la trovò.
Circa due metri più in basso, una massa di vesti bianche fluttuava e si scorgeva a mala pena.
Pareva uno spettro.
E forse era troppo tardi per salvarla.
Con uno scatto permessogli dalle ultime forze, l’uomo in nero afferrò la vita di Isabella e risalì in fretta.
Il sangue pulsava nelle vene del collo e nelle braccia, ma lui non si dette per vinto e finalmente ritrovò aria per i suoi polmoni.
Ne prese grandi boccate, ritrovando subito sollievo, dopodiché afferrò la cima che gli altri gli avevano lanciato e si lasciò sollevare.
Una volta a bordo, fece sdraiare la Principessa sul pavimento e subito le controllò l’arteria del collo. 
«Maledizione!» imprecò. «Fate largo! Non respira!».
«Oìdo el capitano? Tornatevene al vostro posto» gli fece eco il primo ufficiale.
«Jazz» lo chiamò l’uomo in nero.
«Capitano» 
«Tu resta qui, devi aiutarmi. Falle un massaggio cardiaco, io provo con la respirazione».
Mentre Jasper eseguiva, lui andò a tappare il naso di Isabella e premere le labbra sulle sue, soffiando tutta l’aria che aveva nei polmoni.
«Andiamo... dai forza, forza, respira...» mormorava nervosamente, man mano che i secondi passavano. 
Spinse lo spagnolo da una parte e premette entrambe le mani sul petto della fanciulla, per poi ritornare alla respirazione.
E così fece per altre due volte. Finché Bella non tossì, rigettando un’enorme quantità d’acqua. 
Era salva. 
L’uomo sospirò profondamente, il cuore alleggerito notevolmente. 
Si risollevò, e solo in quel momento si accorse di essere ancora bagnato e congelato fino alle ossa.
«Puoi andare, Jasper. Grazie» congedò il biondo, che annuì e si dileguò.
Ci mancava solo che avessi la sua vita sulla coscienza... pensò l’uomo in nero, mentre prendeva Bella tra le braccia per portarla al riparo nel suo ufficio. 


Isabella si svegliò di soprassalto, sentendo la testa pesante e la gola arida.
Si strofinò gli occhi e osservò l’ambiente intorno a lei, confusa; era sdraiata su un morbido e grande letto, posto la centro di una sala molto sobria ed elegante.
Una tenue luce mattutina filtrava da una finestrella quadrata dai vetri finemente lavorati.
Riconobbe il pianoforte a muro posto alla sua sinistra. Quello doveva essere l’ufficio del capitano.
Rabbrividì, ma non per il freddo. Erano riusciti a riprenderla.
Visto che non era più stanca, scostò le pesanti coperte e scese dal letto. 
Non indossava più la veste da camera di quando era stata rapita. Al suo posto portava una camicia candida e un po’ troppo grande per lei, e dei calzoni scuri. 
Chissà chi l’aveva spogliata...
Si passò una mano tra i capelli annodati e a passo incerto si diresse alla porta e aprì, uscendo fuori.
Il sole era ancora molto basso, sicuramente era mattina presto.  
Come al solito, c’erano almeno una decina di marinai che sbraitavano indicazioni tra di loro.
Non fece in tempo a muovere un passo, che Gazza le comparve ad un centimetro dal naso... appesa a testa in giù.
«Buh!» esclamò. «Finalmente sveglia, Principessa. Ti comunico che sei nei guai. Il capitano è molto, molto arrabbiato» l’informò con leggerezza nella voce. Bella la guardò impassibile.
«Posso chiederti un favore?» disse tranquillamente. «Potrei avere un po’ d’acqua? E qualcosa da mangiare?». Gazza borbottò parole sconnesse, facendo una piccola capriola per raddrizzarsi, e saltellando si allontanò. Tornò pochi istanti dopo con un calice d’argento e un cestello colmo di frutta.
La Principessa ringraziò, bevve l’acqua tutta d’un sorso – la gola adesso andava un po’ meglio – e prese una mela mezza rossa e mezza gialla, divorandola letteralmente.
«Wow. La fame non ti manca, Altezza. Lì dove abiti non ti danno da mangiare?» chiese la ragazza rossa, osservandola con il capo piegato da un lato. 
«Non mi danno da mangiare qui» precisò Bella, continuando a mordere la mela.
Ne mangiò altre due, prima di potersi ritenere soddisfatta. Gazza fischiò.
«Per Bacco... hai quasi finito tutte le scorte di cibo...» scherzò. «Dovrò dire al capitano di fermarci al primo porto al più presto per rifornirci». 
«Dov’è il tuo capitano?» chiese Isabella. La piccoletta le indicò un punto dietro alle sue spalle.
Lei si voltò, notando solamente allora degli scalini che portavano ad una specie di soppalco, posto sopra l’ufficio di comando.
Pareva un balcone, tutto interamente fatto in legno scuro e lucido.
L’uomo in nero stava dritto in piedi, rigido, con le mani salde sul timone, lo sguardo fisso davanti a sé.
«Come mai ha quei vestiti?» sussurrò Bella all’orecchio di Renesmee. L’uomo, infatti, non indossava più i soliti capi neri, ma una camicia candida come la sua e pantaloni marroni. La maschera sempre presente. 
«Si è tuffato personalmente nell’acqua gelata per ripescarti. Avevate tutt’e due bisogno di un cambio».
«Sei stata tu a spogliarmi e rivestirmi... vero?» chiese ancora con timore. 
«No, no. È stato lui» rispose con leggerezza Gazza, dopodiché se ne andò saltellando da qualche altra parte.
Isabella scosse il capo divertita, osservandola sparire; poi prese un respiro profondo e raggiunse il capitano. 
«Perché salvarmi da morte certa se hai in programma di uccidermi comunque?» chiese freddamente, mentre lui continuava a scrutare l’orizzonte, quasi si aspettasse che comparisse qualcosa.
«Non ho mai parlato di ucciderti ora» precisò minacciosamente. Pur non volendolo, lei tremò.
Si tormentò le mani e prese fra i denti il labbro inferiore, riflettendo. 
Ora che aveva visto la morte in faccia, ora che era stata ad un passo dal nulla... aveva paura. Terribilmente.
«Se mi lasci andare ti prometto che avrai tutto ciò che vuoi» giurò supplicante. Lui scoppiò a ridere, ma non era una risata allegra.
«Tu prometti? Tu? Una donna? E che valore ha la tua promessa? Dici cose insensate, Altezza» la sua voce era rude e arrabbiata; strinse forte il timone, tanto che le sue mani cominciarono a tremare. 
«Ti offrivo una piccola salvezza. Ma sappi che ovunque mi porterai, fosse pure la fine del Mondo, il Principe Caius ti troverà. Non esiste cacciatore più grande di lui» disse Isabella sicura. 
«Sei convinta che il tuo grande amore ti salverà, non è vero?» chiese lui freddamente, lanciandole un’occhiata per la prima volta.
«Sì, lui verrà a salvarmi. Ma non ho mai detto che è il mio “grande amore”. Io e il Principe siamo stati sinceri fin dall’inizio. Non provo niente per lui».         
«Mi stai dicendo che non ami il tuo futuro marito? Allora significa che non sei capace di amare» sibilò l’uomo duramente, tornando con gli occhi fissi davanti a sé.     
«Tu non sai niente di me, né dei miei sentimenti!» ribatté Bella con rabbia, afferrandolo bruscamente per una spalla e facendolo voltare verso di lei. «Ho amato più di quanto un assassino come te potrà mai immaginar...» si zittì quando vide il braccio di lui sollevarsi in aria, pronto a colpirla.
Chiuse gli occhi, attendendo il dolore, ma non sentì nulla. La mano era ferma a pochissimi centimetri dalla sua guancia.
«È un avvertimento, Altezza; la prossima volta non mi fermerò. Dalle mie parti la donna che mente viene punita».    
«Il Principe ti farà impiccare». 
«Non potrai sfuggirmi comunque; io non lascio mai superstiti». 
Io non lascio mai superstiti. Quelle parole arrivarono da un altro tempo e un altro luogo. Isabella le sentì risuonare come un eco nelle sue orecchie, sempre più forte. 
Sgranò gli occhi e il respiro le si mozzò nel petto, mente un nome le si formava in mente con certezza assoluta.
«Io lo so chi sei» sussurrò. Lui la guardò di sbieco, apparentemente tranquillo. I grandi occhi castani di Bella scrutarono il volto mascherato. «Sei Robert... sei il pirata Robert, ammettilo!» sulle labbra scoperte dell’uomo spuntò un sorriso diabolico.
«Con vero piacere, Principessa» fece un lieve inchino con il capo, derisorio. «C’è qualcosa che posso fare per lei?».   
«Sì, c’è qualcosa che può fare un assassino come te» sibilò Bella con gli occhi ridotti a due fessure. «Bruciare vivo nelle fiamme dell’Inferno» Robert scoppiò a ridere ancora, questa volta con più allegria.  
«Però, che grinta tutt’a un tratto. E io che ero convinto fossi terrorizzata. Ma dimmi, perché ce l’hai tanto con me?» il suo tono era sarcastico e sfacciato. Isabella si perse nei ricordi. 
«Hai ucciso il mio amore...» sussurrò più a sé stessa. Robert annuì sovrappensiero.   
«Molto probabile. Ne ho uccisi tanti» lasciò il timone, percorrendo il soppalco a grandi passi, avanti e indietro, con le braccia incrociate al petto. «Chi era questo tuo amore? Un altro riccone brutto, viscido e maligno come il tuo Principe?» a quelle parole la ragazza s'infuriò maggiormente. 
«No! Era un garzone, povero!» quasi urlò. «Era meraviglioso. Gentile come pochi. Dolce, premuroso, intelligente... era perfetto» distolse lo sguardo da quello del pirata, puntandolo lontano. Strinse le braccia intorno al petto, per non lasciarsi crollare in mille pezzi. «Il suo viso è la cosa più bella che abbia mai visto. Aveva occhi splendidi» mormorò infine.
Strinse i denti, cercando di trattenere le lacrime. Ma una sfuggì al suo controllo, rigandole la guancia. 
Lui fermò il suo andirivieni, fissandola a lungo. Stava per parlare, quando un marinaio dai folti capelli e baffi grigi l’interruppe. 
«Gazza mi ha detto di dirvi che le provviste stanno per terminare, signore».       
«Bene» rispose Robert. «Attraccheremo al prossimo porto. Adesso puoi andare, Jills, e grazie dell’informazione» il marinaio annuì e se ne andò. Robert tornò a guardare Bella.
«Adesso lasciami in pace» le disse freddamente. «Ho bisogno di stare un po’ solo. E non fare nulla di stupido; ti tengo d’occhio».       
Senza dire una parola, la Principessa scese gli scalini e si accovacciò in un angolo ombreggiato, piangendo per la prima volta dopo cinque anni. 















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Ebbene sì. È Robert, sorelle.
Mi dispiace (o forse no è.è...). Non serve che vi dica che
dovete fidarvi di me, giusto? Bene.
In questo capitolo in particolare ci terrei molto a sapere cosa ne pensate, le vostre considerazioni, le vostre minacce e, perché no, anche i vostri consigli.
Come sempre GRAZIE alle dolsissimissime angiole che ricordano, seguono, preferiscono, recensiscono e leggono silenziosamente <3


Vorrei ricordare, inoltre, tutte le vittime dell'inondazione. Sono ancora piuttosto sconvolta da quelle immagini ç__ç... mi sembra la fine del Mondo...



Un saluto!






Cassie











 

Ab


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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***








Note a inizio capitolo. Perché? Boh. Mi andava così. Non sempre c'è un motivo per quello che scrivo o come lo scrivo (colossale bugia).
Inizio con un bel MI DISPIACE. Ho ritardato talmente tanto che mi vergogno di me stessa. Spero che questo capitolo (<3 <3 <3) mi faccia perdonare da voi *-*
Grazie come sempre a tutte le meravigliose creature che leggono, recensiscono e inseriscono la storia tra preferite, seguite e ricordate. Vi lovvo (o.o??).
Mi piacerebbe leggere le vostre impressioni su questo capitolo, perché è importante. Estremamente.

Bene, non ho nient'altro da aggiungere ^-^
A rileggerci!


Cassie





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Per la copertina si ringrazia di cuore Vanessa_ . Consiglio TUTTE le sue storie, perché meritano davvero *-*






 




Capitolo 10





In una piccola taverna di periferia, un pomeriggio inoltrato, due donne scambiavano qualche parola indisturbate. 
Una era dietro l’ampio bancone, intenta ad asciugare un bicchiere, mentre l’altra era seduta su uno sgabello con il mento poggiato su una mano e rigirava un cucchiaino nella bevanda fumante davanti a sé. Pareva piuttosto tranquilla, forse un po’ annoiata. In effetti, la locanda a quell’ora era praticamente deserta, dato che tutti i marinai, pescatori e contadini cominciavano ad arrivare solo dalle undici in poi per bere in compagnia. 
«Rose...» disse la donna seduta sullo sgabello, sbadigliando. «passami lo zucchero». 
«Alice, sono già tre volte che mandi giù quell’intruglio» la riprese l’altra severamente. «Non credo ti faccia tanto bene».  
«È cioccolata calda. Non credo mi ucciderà». Sbuffando, la bionda le passò il contenitore bianco. 
Nell’esatto istante in cui la piccoletta dai capelli neri e spettinati versava lo zucchero nella cioccolata, i suoi occhi si offuscarono e l’espressione divenne vacua e distante.    
«Oh, no, ci risiamo...» borbottò la bionda Rosalie alzando gli occhi al cielo.
Ci vollero dieci secondi perché Alice mettesse nuovamente a fuoco la vista.
«Non indovinerai mai cosa il futuro mi ha appena rivelato!» esclamò eccitata. 
«Ancora, Alice? Lo vedi che troppa cioccolata ti fa male?». 
«No, no, no! Questa volta è vero! Una nave dalle vele strappate sta per arrivare proprio qui» dichiarò la moretta sicura. Rosalie posò il bicchiere sul bancone e la guardò dritta negli occhi neri.   
«Scommettiamo che non sta arrivando un bel niente?» propose, sicura della vittoria.
«Andata. Dieci monete» rispose Alice, tendendo una esile mano che prontamente venne afferrata e stretta da Rosalie. «Oh, e... preparati. Sono pirati». 

***




«Non mi piace ripetere le cose cento volte, Isabella!» esclamò Renesmee dall’altra parte della porta, continuando a bussare incessantemente. «Apri. Questa. Dannata. Porta!».
Non ricevette risposta.
«Ah, è così? Fai la dura? Sappi che sono più dura di te!» continuò a parlare, con quella vocetta stridula e delicata che prometteva tutto il contrario di quello che aveva appena detto. Infatti... «Ahia!» strillò, dopo aver tentato di buttare giù la spessa porta con una spallata.
Bella non se ne curò; continuò ad osservare il cielo grigio oltre la finestra della stiva. Un gran temporale si preparava a scoppiare da un momento all’altro.
Pian piano Gazza passò dalle minacce e gli ordini alle suppliche. E finalmente, con uno sbuffo spazientito, la Principessa aprì la porta. 
«Devi lasciarmi in pace, okay?» sibilò duramente, i tratti del volto perfetto sfigurati dalla furia. «Tu e tutti gli altri... non siete altro che assassini!». La piccoletta ricambiò lo sguardo, impassibile. 
«Tu non sai niente» disse decisa.
«Non so niente? Bella, questa! Chi sei tu per potermi parlare in questo modo? Nient’altro che una sporca assassina, come il tuo capitano!». 
«TU NON SAI NIENTE!» l’urlo fu talmente potente da zittirla. La guardò torva, con la mascella rigida. «Senti...» mormorò Gazza dopo un silenzio che parve infinito «so quello che ti ha detto. Il tuo garzone e tutto il resto. Ma...» Bella l’interruppe.
«Non c’è nessun “ma”. Di’ al tuo capo di guardarsi le spalle perché, quando meno se lo aspetta, si ritroverà un pugnale conficcato nella schiena» così dicendo si richiuse dentro la sua stiva.                     


Passarono diverse ore prima che la nave potesse attraccare sulla terra ferma.
Port Angeles fu il primo porto sul suo cammino; era una cittadina molto graziosa, un agglomerato di casette rustiche, taverne, locande, pub, e negozietti vari.
La tipica “valle felice”, insomma, dove banditi e ladri erano pressoché inesistenti. O forse talmente abili da non farsi riconoscere.
«Principessa, esci subito» tuonò il vocione dell’enorme Emmett. Benché non lo volesse ammettere, Bella era intimorita da quell’omone, quindi non se lo fece ripetere due volte ed eseguì.
Lui la prese subito di peso, caricandola sulle spalle. Un urletto sorpreso e spaventato uscì dalla sua gola.
«Posso camminare anche da sola, grazie tante!» disse piccata.
«Oh... va bene, scusa» mormorò Emmett goffamente, e altrettanto goffamente la rimise a terra.
«Cosa vuoi da me?» chiese freddamente la fanciulla. Lui si strinse nelle spalle.
«Il capitano mi ha detto di portarti sul ponte, e io eseguo i suoi ordini» spiegò semplicemente. «Dobbiamo scendere dalla nave».
«E perché mai?». 
«Perché è da tanto che noi non camminiamo sulla terra ferma e non dormiamo in un letto vero. Non sai quanto sia faticosa la vita del pirata, sempre in giro per mare con solo uova, cetriolini e frutta da mangiare. E poi le brande non sono proprio comode, per uno grande come me» sembrava tanto un buon uomo, che Bella non riuscì a vederlo come un assassino. Aveva degli occhi azzurri e innocenti, come quelli di un bimbo. Beh... un grande bimbo.
Insieme risalirono gli scalini che portavano fuori, alla luce del sole. Tutti gli altri uomini della ciurma erano scesi da una passerella e seguivano il Terribile Robert lungo il molo. 
Un ometto basso e dall’aria pomposa si fermò a guardarli, ma loro lo ignorarono bellamente, continuando il loro cammino. L’ometto, evidentemente offeso, sgambettò e si parò davanti a Robert.
«Fermi tutti!» ordinò con una vocetta irritante. «Per ormeggiare la nave dovete pagare almeno dieci monete d’argento». L’uomo in nero guardò prima la nave, poi il piccoletto davanti a sé, che arrivava sì e no al suo petto.
«Emmett» chiamò, con voce roca e autoritaria, e lui accorse subito, affiancandolo. «Fa’ vedere a questo gentile signore come paghiamo noi» detto fatto; Emmett prese per il colletto l’uomo e lo sollevò di almeno mezzo metro da terra. Lui sgambettò e di dimenò.
«Okay, okay, potete andare! Mi lasci stare!» strillò con la sua vocetta, ma Emmett non lo mollava.
«Emm» disse Robert con un sorriso nella voce. «lascialo pure, ha capito». In meno di un secondo, l’ometto era con il sedere per terra. 
«Furfanti!» strillò isterico, diventando tutto rosso. In risposta ricevette una sonora risata dal capitano. 


La “Taverna della rosa nera” era la più isolata e di conseguenza la migliore che i pirati potessero trovare per alloggiare, per non dare troppo nell’occhio in città.
Non era il caso che stupide voci cominciassero a circolare, specie se si era sparsa la notizia del rapimento della Principessa di Florin.
Quella taverna era situata ai confini di un boschetto fitto di querce e sempreverdi, vicino ad un sentiero di terra battuta che portava in cima ad una collinetta.
Non era grande, ma non era neanche tanto piccola, ed era formata da tre piani.
Al primo piano vi era una sala dalle pareti quasi tutte vetrate, con numerosi tavoli e sedie, e l’odore di tabacco e liquori si mischiava al profumo del cibo caldo.
Al secondo e terzo piano vi erano alcune camere da letto, poiché spesso i viandanti si fermavano a dormire per una notte o due. Gli arredamenti erano semplici, confortevoli, per nulla squallidi.
I pirati non fecero in tempo a varcare la soglia d’ingresso, che una voce argentina – simile ad un coro di campanellini – tintinnò per tutta la sala.
«Visto? In perfetto orario!». Poi, una figurina bassa e minuta balzò giù da uno sgabello e trotterellò allegramente verso di loro, fermandosi giusto in tempo per non andare a sbattere contro il petto muscoloso di Jasper.
La ragazzetta alzò lo sguardo e portò i suoi grandi occhi neri in quelli castani dello spagnolo, che la fissava stralunato.
«Sei più alto di quanto mi ricordassi» pigolò entusiasta. «ma non importa, finalmente sei qui!» e batté le mani saltellando.
«Perdono, señorita, ma credo che me abbia escambiado por qualcun altro» borbottò imbarazzato Jasper, mentre tutta la ciurma li fissava divertita.
«Vi prego di scusare Alice» intervenne una bellezza bionda dietro il bancone. «In qualche modo lei sapeva del vostro arrivo».
Alice si aprì in un gigantesco sorriso, annuendo freneticamente e scompigliando maggiormente la sua intricata capigliatura.
Bella – che per tutto il tempo era stata circondata da Jacob, Gazza, Emmett e Peter, di modo che non scappasse – la osservò incuriosita; era davvero molto magra e piccolina, aggraziata nei movimenti e con un ovale perfetto incorniciato da una massa ribelle di capelli neri come il carbone, o come i vestiti di Robert.
Il suo nasino piccolo e all’insù, la boccuccia rossa, gli occhioni grandi e vivaci e la pelle chiara la facevano somigliare straordinariamente a un folletto, uno di quelli raffigurati nei libri di fiabe per bambini.
«Rose» cinguettò rivolgendosi alla bellissima bionda. «sbaglio o mi devi qualcosa?».
Sbuffando, Rose prese dalla tasca alcune monete e le fece cadere una ad una nella piccola mano di Alice.
«Streghetta...» borbottò imbronciata. Poi si rivolse agli uomini. «Cosa posso fare per voi?». Robert fece un passo avanti e, senza togliere la maschera dal volto, si rivolse alla donna: «Abbiamo intenzione di fermarci qui per la notte. Suppongo che venti camere bastino» incrociò le braccia al petto, senza tradire alcuna emozione.
«Alloggiare qui vi costerà come minimo...» provò a dire Rosalie, ma s’interruppe quando il pirata lanciò sul bancone un sacchetto traboccante di monete d’oro.
«Sono circa duecento pezzi. Spero possa bastare» disse imperturbabile.
«Duecento...» sussurrò Rose, aggrappandosi alla superficie di legno per non cadere svenuta. «C... certo che vanno bene. Potete rimanere qui tutto il tempo che volete».
«Bene» rispose Robert soddisfatto. 


Dopo che Rosalie ebbe mostrato tutte le camere agli uomini, Isabella si chiuse a chiave nella sua stanza con l’intenzione di non scendere per la cena.
Approfittando del fatto che nella camera ci fosse una vasca, si fece un bel bagno caldo, poi indossò le vesti da camera che Gazza le aveva lavato sulla nave.
Mentre si spazzolava i lunghissimi capelli, qualcuno bussò.
«Isabella, devo parlarti» un brivido le corse lungo la spina dorsale. Robert.
«Vattene via» disse con il cuore in gola. Ma lui bussò ancora, più forte.
«Per favore, apri. È importante».
«Vuoi uccidermi» non era una domanda. Sentì un sospiro, poi silenzio. Ma dopo due minuti, ancora quei colpi alla porta. «Vattene!» urlò Bella.
«Se non mi lasci entrare tu, entrerò io» minacciò lui.
Tuttavia non tentò di sfondare la porta, come si aspettava la ragazza da un momento all’altro.
Passarono alcuni minuti, ma non si sentì più nulla dall’altra parte. 
Ma proprio quando sembrava che se ne fosse andato veramente, un fruscio alle spalle di Bella la fece sbiancare. Si voltò, e lui era lì. Nella sua stanza. Più scuro che mai.
«Dovresti tenere la finestra chiusa di sera. È già la seconda volta che qualcuno irrompe in camera tua senza che te ne accorga» commentò tranquillamente.
«Assassino» sussurrò lei in risposta.
«Lasciami spiegare...».
«Io non voglio sentire niente da te».
«E invece ascolterai. Attentamente» ordinò Robert, abbandonando i modi gentili. «Quando sei venuta a sapere della morte del tuo garzone... cosa hai provato?». Silenzio assoluto da parte della Principessa. «Troppo doloroso per parlarne o semplicemente non hai provato nulla?» chiese pungente lui.
«Non voglio parlarne con te» scattò Bella. «È morto per causa tua. È soltanto colpa tua!».
«Ma se lo amavi tanto allora perché stai per sposare il Principe?» urlò Robert, facendola indietreggiare.
«Sono stata costretta. Te l’ho già detto, io non amo Caius» si bloccò per qualche istante, poi continuò. «Quel giorno... sono morta anche io».
Prima che lui potesse ribattere, prima che qualsiasi pensiero coerente potesse formarsi nella sua mente, Bella gli rubò la spada dal cinturone di cuoio e gliela puntò alla gola.
«E morirai anche tu, adesso» sussurrò, mentre una luce di puro odio le illuminava gli occhi color cioccolato.
Robert rimase immobile, ma il suo pomo d’Adamo faceva su e giù lungo la gola. Aveva paura, pensò la ragazza soddisfatta.
«Aspetta!» disse lui disperato. «Non... non farlo. Te ne pentiresti». 
«Non c’è niente di cui mi possa pentire» mormorò lei con un filo di voce. «Rivoglio indietro il mio Edward!» urlò improvvisamente. 
«Ai tuoi ordini». 












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Capitolo 12
*** Avviso (prima o poi doveva arrivare anche il mio turno...) ***









Ho postato questo avviso per informarvi che... cancello la storia!!
Ahahahahahah, ovviamente scherzo (mi dispiace per voi) xD Volevo solo informarvi che il prossimo capitolo sarà postato la prossima settimana, perché in questi giorni ho avuto parecchio da fare e mai un attimo per scrivere.
Ma non temete! Ho un piiiiiccolo spoiler per voi ^-^
Eccolo qui:


Alice posò la tazza di cioccolata sul tavolo, mentre Jasper la guardava.
«Estàs bien?» chiese cautamente. Quella piccola ragazzina era imprevedibile.
«Oh, sì. Tutto bene» rispose Alice con calma, sorridendo amabilmente. «Cuori che si trovano, cuori che si ritrovano...». 



Spero possa piacervi, sto facendo del mio meglio ^-^"


Se avete domande io sono qui :)

Alla prossima!




Cassie



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Capitolo 13
*** Capitolo 11 ***











Eccomi. Avevo promesso che avrei fatto del mio meglio per postare presto, e ovviamente ho ritardato ugualmente. Grandioso -.-
Questo capitolo è molto importante, estremamente, direi. Spero vi piaccia.
Ringrazio come sempre tutte le ragazze che commentano, preferiscono, seguono, ricordano o semplicemente leggono. Dolcissime creature *-*

E adesso, si parte.






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Per la copertina si ringrazia di cuore Vanessa_ . Consiglio TUTTE le sue storie, perché meritano davvero *-*


 



Capitolo 11






Gli oggetti producono tanto rumore quanto è il loro peso.
Ad esempio, un sasso che cade a terra produrrà sempre più rumore di una piuma. È un fatto logico. Il sasso sarà sempre più rumoroso della piuma, qualsiasi cosa accada.
O una spada e una maschera. La spada sarà sempre più rumorosa di un pezzo di stoffa.
Eppure... quando Isabella lasciò cadere la spada che stringeva nelle mani tremanti al suolo, sembrò che il tonfo metallico fosse stato inghiottito dal nulla, come qualsiasi altro rumore nella stanza. 
Mentre la maschera che l’uomo in nero si lasciò scivolare dal suo volto produsse un sonoro riecheggiare nello spazio vuoto fra i due. Un rumore definitivo.
Perché la maschera, pur essendo più leggera, aveva un peso diverso rispetto alla spada. Almeno per Isabella.
Rimase con gli occhi fissi sul pezzo di stoffa nero, come se si aspettasse che da un momento all’altro prendesse vita propria. Perché, a questo punto tutto, era possibile.
Poi, con lentezza esasperante, alzò lo sguardo sul volto dell’uomo davanti a sé. Mascella squadrata, labbra piene e perfette, naso dritto, zigomi alti... occhi verdi. Come smeraldi. Come la pietra preziosa che brillava al dito della Contessa Black quando, qualche anno prima, era andata a far visita alla fattoria.
Occhi indimenticabili, che in quel momento la fissavano ansiosi, intimoriti.
Occhi che soltanto ad una persona avrebbero potuto appartenere.
Occhi che credeva di non poter mai più rivedere.
«Oh... mio dolce Edward...» sussurrò Bella, un istante prima che il buio la inghiottisse.   
 

Al piano inferiore...


Alice posò la tazza di cioccolata sul tavolo, mentre Jasper la guardava.
«Estàs bien?» chiese cautamente. Quella piccola ragazzina era imprevedibile.
«Oh, sì. Tutto bene» rispose Alice con calma, sorridendo amabilmente. «Cuori che si trovano, cuori che si ritrovano...».
 

Ci vollero tre ore perché Isabella rinvenisse.
La sua mente era confusa, mille immagini le confondevano il cervello. Tenne gli occhi saldamente chiusi, temendo di svegliarsi e fare i conti con la dura realtà. Dalla posizione comoda capì di trovarsi in un letto, e qualcosa di caldo e solido le cingeva la vita saldamente.
Improvvisamente ricordò tutto ciò che era successo e spalancò gli occhi, trovandosi davanti il più bell’angelo del Paradiso. «Edward» sussurrò. Il sogno le sorrise debolmente. «Sei più bello del solito».
«Bella...» soffiò lui, carezzandole una guancia delicatamente. Edward sentì qualcosa bagnare la pelle della ragazza, e deboli sussulti scuoterla. «Cosa c’è?» sussurrò allarmato. 
«Adesso te ne andrai di nuovo, vero? Mi lascerai come sempre...» mormorò Bella, mentre i singhiozzi aumentavano di frequenza e violenza. Perché lei sapeva che quello era soltanto un sogno, uno dei tanti che veniva a tormentarla e prendersi gioco di lei. L’angelo la strinse maggiormente a sé. «No, non me ne andrò, stai tranquilla» sussurrò rassicurante.
«Lo dici sempre, lo dici ogni volta. Finché non mi sveglio» la sua voce era spezzata. Chiuse gli occhi, portandosi una mano sulla bocca per coprire i singhiozzi.
«Sssh... non piangere. Non è un sogno. Sono qui, non piangere» mormorò Edward tormentato, sfiorandole il collo con la punta delle dita. Le portò qualche ciocca di capelli dietro l’orecchio e a quel contatto il cuore di Bella galoppò. Tentando di regolarizzare il respiro, riaprì gli occhi riportandoli sul viso di Edward. Era tutto troppo reale perché fosse soltanto un sogno, si ritrovò a pensare; sentiva il suo respiro solleticarle il viso, il calore delle sue braccia intorno al corpo e il suo profumo troppo intensamente perché fosse soltanto una mera illusione.
Con lentezza, quasi con timore, posò una mano sul viso di Edward, ormai privo dei tratti infantili. Era un uomo, adesso. Un bellissimo uomo. Non il ragazzo che lei ricordava sempre nei sogni.
«S...sei vivo...» sussurrò più a sé stessa. «Sei vivo!» ripeté con voce più alta, comprendendo solo allora il significato delle sue parole. Con uno scatto repentino allacciò le braccia attorno al collo di Edward, affondando il volto nell’incavo della sua clavicola e scoppiando a piangere, questa volta di gioia pura.
Il suo Edward era lì con lei davvero, come un miracolo, e la stringeva contro il suo petto caldo e forte.
«Te l’avevo detto che sarei tornato da te. Sempre, Bella» anche nella sua voce si poterono sentire i singhiozzi. «Perché non mi hai aspettato?».
Bella lo guardò con occhi angosciati, perdendosi in quelle gemme verdi. «È stato il Principe a scegliermi. Ti prego di credermi, io non lo amo» disse flebilmente. Lui le sorrise lievemente, carezzandole una guancia e asciugando le lacrime.
«Ti credo» sussurrò. Non temeva che Isabella fosse innamorata del Principe... temeva che fosse innamorata di qualcun altro che non fosse lui. L’avrebbe accettato, comunque. Mai più si sarebbe fatto sopraffare dalla rabbia come nei giorni precedenti.
Bella si calmò, respirando profondamente. Osservava attentamente il volto del suo angelo, imprimendo nella mente ogni più piccolo particolare. Aveva così tante domande che la sua testa era in totale confusione. «Cosa hai fatto in tutti questi anni?» sussurrò, stringendosi maggiormente a lui e posando un orecchio all’altezza del cuore.
«Ho viaggiato per mare per tutto il tempo. Quando ti ho detto di essere Robert... era la verità».
«Ma come? Lui... lui naviga da più di vent’anni, mentre tu sei partito solo da cinque» disse esprimendo la sua confusione. Edward sorrise dolcemente, chinandosi su di lei e sfiorandole la fronte con la punta del naso. Bella fremette.
«E se ti dicessi che l’ho incontrato davvero?».
«Non capisco più nulla» ammise lei, facendolo ridacchiare.
«Beh... è la verità. Adesso ti spiego: circa cinque mesi dopo la mia partenza la nave su cui mi ero imbarcato s’imbatté nella Death, la nave di Robert. Ovviamente, tutte le persone a bordo iniziarono ad urlare e tuffarsi in mare per cercare una via di fuga. Alcuni morirono all’istante con l’impatto dell’acqua ghiacciata – a proposito di questo, non credere che mi sia dimenticato del tuo tentativo di fuga, dopo ne riparleremo –, mentre altri vennero catturati e portati sulla Death» Bella ascoltava in silenzio il racconto, il cuore impazzito sia per il tono basso e caldo di Edward che per l’avvertimento che le aveva fatto. «Uno di quelli ero io. In quell’istante pensai che mi avrebbero ucciso, e subito pensai a te...» se possibile, il cuore della ragazza aumentò ancora di più il suo intercedere. «Come potevo accettare di morire lasciandoti sola? Non potevo tollerarlo! Ancora oggi mi rendo conto del rischio che corsi quella volta...» Edward sorrise, il suo sguardo vagò fuori dalla finestra senza vedere realmente il crepuscolo che si scuriva sempre più, perso nei ricordi.
«Cosa? Racconta» lo esortò Bella incuriosita. Lui tornò a guardarla.
«Ehm... diciamo che mi comportai da perfetto idiota incosciente...» disse con un sorrisetto. «Emmett – che era nella ciurma di Robert da qualche anno – mi teneva bloccato per i polsi. Ora, tu sai quanto è forte. E dato che ormai mi reputavo spacciato, non vidi altra scelta se non quella di tentare di combattere. Sferrai un calcio nel basso ventre ad Emmett, che subito mi lasciò andare, dopodiché afferrai una spada dal cinturone di uno della ciurma – esattamente come hai fatto tu prima con me – e iniziai a battermi da solo contro circa venti uomini molto più esperti di me» Bella sbarrò gli occhi.
«Pazzo! Incosciente!» esclamò con fervore.
«Già, quello che dico io. Mi sorprende che riuscii a cavarmela persino contro Jasper. Sai che è il migliore spadaccino di tutto il Mondo?» disse con leggerezza.
«E tu sei riuscito a tenergli testa?» chiese di rimando Bella, affascinata e allibita al tempo stesso.
«Credimi, non so neanche io come. È per questo che ogni volta che può mi sfida a duello, gli brucia ancora quella sconfitta. Ma tornando alla storia, me la stavo cavando egregiamente contro di lui, che aveva espressamente chiesto agli altri di non intervenire e di allontanarsi, quando sentimmo dei passi giungere fino a noi e il silenzio calare. Era Robert, che aveva assistito al nostro scontro».
«Santo cielo...» sussurrò la giovane.
«Eh, già. E fu proprio quel mio gesto avventato – il voler ribellarmi e combattere contro “gli esperti” – che mi salvò la vita. Robert non mi uccise perché rimase impressionato dalle mie “potenzialità”, come le chiamava lui. Da allora mi prese sotto la sua protezione e mi insegnò tutto ciò che sapeva su navigazione, scherma, scontri corpo a corpo, stile di attacco e difesa, come sviluppare i cinque sensi – anche se Gazza è più brava di me in questo – e l’immunità alla maggior parte dei veleni. Mi insegnò anche a suonare il pianoforte» sorrise al ricordo. Bella annuì.
«Quella musica che avevi suonato quel giorno... era bellissima». I suoi occhi si scontrarono con quelli di Edward.
«L’ho composta io pensando a te» ammise. Le guance della ragazza andarono a fuoco. «Non l’ho mai detto a nessuno». Rimasero in silenzio per qualche secondo, occhi negli occhi.
«Poi, un giorno...» riprese a parlare Edward. «Robert mi chiamò nella sua stanza e mi disse che il suo vero nome era Thomas, e che Robert era una sorta di titolo da tramandare da pirata a pirata. Mi raccontò di come lui lo ereditò da un certo Christofer, e poi mi disse che io sarei stato il suo successore. Nessuno si spaventerebbe mai di fronte al pirata Thomas o al pirata Christofer, sta tutto nel nome e nelle storie che circolano. Perciò adesso io sono Robert».
«Mamma mia...» sussurrò Bella impressionata. Adesso tutto le era chiaro. Eccetto un piccolo particolare... «Perché non mi hai detto subito che eri tu?» chiese. Edward sospirò, abbassando lo sguardo.
«Perché pensavo che mi avessi dimenticato. Che fossi felice» mormorò.
«Come hai potuto pensare una cosa simile?» esclamò la giovane, allontanandosi di qualche centimetro da lui.
«Avresti avuto tutte le ragioni, in fondo. Ero morto per te».
«E perché mi hai rapita?» questa volta il suo tono non era severo, solo curioso.
«Non lo so. Non ti avrei mai fatto del male, comunque. Avevo solo bisogno – tu non immagini quanto – di vedere il tuo viso. Ti avrei riportata a Florin dopo aver fatto rifornimento di cibo e acqua. Posso ancora farlo, se è quello che desideri» sussurrò l’ultima parte, gli occhi verdi fissi sul cuscino al quale era poggiato. 
«No!» urlò Bella velocemente, in preda all’ansia. «Voglio stare con te. Sempre». A quelle parole, Edward alzò lo sguardo e lo portò nel suo. La riavvicinò a sé, posandole delicatamente una mano sulla guancia, avanzando sempre più. I loro respiri cominciarono a fondersi e affannarsi, il sangue scorrere come un fiume in piena nelle vene.
«Bella...» sussurrò sulle sue labbra, chiudendo gli occhi. Ma un pensiero lo colpì forte come una botta in testa, e si irrigidì. «Ho... bisogno di sapere una cosa» sussurrò improvvisamente freddo. Lei deglutì timorosa e annuì, attendendo la domanda. «Quel Caius... ti ha... toccata con le sue mani?» sembrava che si stesse trattenendo dallo spaccare qualcosa, lo si capiva dalla mascella contratta e i pugni chiusi e tremanti.
«No, non mi ha neanche sfiorata» rispose lei lievemente. «Il massimo è stato tenermi la mano per pochi secondi una sola volta».
«Bene. E... altri uomini...» Bella arrossì violentemente.
«No, ho... ancora la mia virtù...» rispose più in imbarazzo che mai. «E tu?» si morse la lingua un secondo dopo aver formulato quella domanda.
«Beh... ti basti sapere che ti ho aspettata...» forse lui era più imbarazzato di lei. Non parlarono per qualche secondo. Bella si diede un pizzicotto sul fianco, di nascosto, per verificare che fosse tutto reale.
«Ahi!» gli sfuggì prima che potesse controllarlo.
«Cosa c’è?».
«Nulla, non preoccuparti...».
«Mi ami ancora?» chiese di getto Edward, esprimendo ad alta voce i suoi pensieri. La risposta avrebbe cambiato tutto. Bella lo fissò sorpresa.
«Ma... come puoi farmi una domanda simile? C’è anche bisogno di chiedere?».
«Ho bisogno di una certezza, sto impazzendo» sussurrò lui avvicinandosi.
«Ma è ovvio che ti amo. E non puoi proprio farci niente» arrossì fino alla punta dei capelli.
«Era tutto quello che volevo sentire» sussurrò Edward un istante prima di prenderle il viso tra le mani e far unire le loro labbra.
Fu un bacio diverso da quello che si scambiarono tanti anni prima; quello era un bacio malinconico, il bacio del saluto. Questo, invece, era il bacio del ritrovo.
La punta della lingua di Bella andò a tracciare i contorni delle labbra di Edward, che dischiuse a sua volta. Approfondirono il bacio mentre i loro cuori scandivano un ritmo irregolare e veloce, e le mani carezzavano il viso dell’altro. Edward la fece stendere supina e si portò sopra di lei, senza pesarle addosso. Riportò le labbra sulle sue e la baciò con foga che neanche lui credeva di possedere.
Un rumore proveniente dallo stomaco di Bella interruppe quel momento. Edward si staccò da lei e puntò gli occhi nei suoi.
«Penso sia meglio andare di sotto e mangiare qualcosa, prima che commetta qualche sciocchezza» mormorò con voce calda.
«Non è necessario, io... voglio continuare a baciarti...» ammise lei arrossendo. Edward stese un angolo della bocca in un sorrisetto e scivolò dal letto, porgendole la mano.
«Avremo tutto il tempo più tardi, Bella. Adesso andiamo».   


La sala della Taverna era già affollata, benché fossero appena le dieci di sera; l’aria era satura dell’odore di tabacco, birra e cibo. C’era una grande confusione, risate sguaiate, chiacchiere confuse, urli, imprecazioni e rumore di sedie spostate.
«Mio Dio, non si capisce niente...» borbottò Bella mentre scendeva le scale. Edward ridacchiò.
«Io ci sono abituato. Scommetto che in tutti questi anni tu abbia dimenticato come ci si diverte davvero».
«Mmm...» fece una smorfia. Ora che ci pensava, non si divertiva più da un bel pezzo.
Stavano scendendo gli ultimi gradini, quando un silenzio tombale scese sulla sala. Isabella sentì addosso a sé gli occhi della gente.
«Cos’hanno tutti quanti?» soffiò inclinando il capo verso Edward.
«Sono tutti abbagliati dalla tua bellezza» le sussurrò all’orecchio, baciandole il lobo e facendola rabbrividire. «È comprensibilissimo. Ti ho lasciata che eri uno splendore, ma quando ti ho rivista ho dovuto fare leva sul mio autocontrollo per non... ehm... hai capito, no?».
«C - certo...» balbettò la fanciulla, rossa come il sangue.
I due si fecero largo tra la gente, giungendo finalmente al lungo tavolo occupato dal resto della ciurma. La sala continuava a fissare Bella a bocca aperta. Qualcuno – Jacob – fischiò con ammirazione. 
«Caspita, hai fatto colpo, Isabella» commentò divertito.
«Iniziano a diventare molto irritanti» borbottò Edward in risposta, cingendo le spalle della sua amata con un braccio e lanciando occhiatacce a destra e sinistra. Per poco Jacob non si soffocò con un boccone di pane. 
«Capo! Ma... ma...» provò a parlare, dopo aver tossito convulsamente. «La... maschera?». Intanto il vociare era ricominciato, perciò non ci fu bisogno di mantenere un tono basso. Gazza, che era seduta vicino a lui, sbuffò sonoramente, attirando l’attenzione dei tre.
«Ma è ovvio, no?» esclamò in tono saccente. «Il capo si è deciso a rivelarsi, finalmente. Era ora, Ed...» aggiunse stiracchiandosi e incrociando le braccia. «un altro po’ e le avrei detto tutto io». Bella lanciò uno sguardo interrogativo prima a lei, poi a Jacob e infine a Edward. 
«Loro sanno tutto» le spiegò. «Mi chiamano Robert in compagnia di estranei».
«Oh, sì... Credo proprio che qualcuno mi debba delle scuse...» così dicendo, Gazza lanciò un’occhiatina alla Principessa, che le sorrise amabilmente.
«Neanche sotto tortura, Nessie» cinguettò angelicamente, facendo ridere i due ragazzi. 
«Non. Chiamarmi. Nessie! Mi fa sentire piccola! Io non sono piccola!» ma il suo broncio fece pensare a tutto il contrario.                                                                                                  
 
Quella sera sarebbe stata indimenticabile per Bella. Non ricordava una volta in cui si fosse divertita tanto. 
Ballare sui tavoli assieme a Paul, Jake e Nessie, vedere il povero Jasper cercare di contenere l’esuberanza della piccoletta dai capelli neri, che non lo lasciava mai un secondo, ridere e scherzare come quando era bambina, non avere pensieri per la testa... era qualcosa che non credeva di poter fare più. 
Si strinse maggiormente al suo amato che la cullava tra le braccia nel confortevole letto della stanza.
«Ti amo» soffiò con gli occhi chiusi, mezza addormentata.
«Ti amo» rispose Edward baciandole la fronte.
Per una volta poteva essere certa che la realtà sarebbe stata di gran lunga migliore dei sogni.      







                         
 
  









 

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Capitolo 14
*** Avviso (scusatemi). ***










Entro su EFP tutti i giorni, o quasi. Non manco mai. Allora perché non pubblicare?
È complicato da spiegare.
Direi che le parole migliori per descrivere il periodo che sto passando sono: "crisi da pagina bianca". Chi è un'autrice potrà senz'altro capirmi.
Questa è la mia prima storia. È la prima volta che scrivo qualcosa dall'inizio, solitamente (e lo faccio tutt'ora) butto giù spezzoni di varie stoirelle. La mia cartella Documenti è piena, poveraccia.
Quando decidi di pubblicare una tua "opera", vieni invasa dall'euforia. Ti senti felice, ma al tempo stesso timorosa perché hai paura che non possa piacere. Io mi sono sentita esattamente così.
Mi dicevo: "oddio, cosa mi è saltato in mente? Adesso la cancello, giuro!". Ma i commenti mi hanno fermata.
Pensavo che come storia fosse... non dico bella, perché è ridicolo anche solo pensarlo, ma quantomeno accettabile.
Questo finché non l'ho riletta tutta d'accapo. Mi sono resa conto di quanto sia futile e superficiale il mio stile, soprattutto nei primi tre capitoli. Gli errori sono imbarazzanti e i pensieri confusi, per non parlare dei periodi.
Mi dispiace, ragazze.
Non me la sento di cancellarla perché, come ho già scritto, è la mia prima storia. Come potrei eliminarla così? Dimostrerei poco rispetto verso coloro che l'hanno aggiunta nei tre gruppi e hanno commentato. Se state leggendo, sappiate che è merito vostro se sono arrivata fino al capitolo undici. Siete tantissime, non ho parole.
Quindi, la cosa giusta da fare, secondo me, è mettermi in pausa per un po' e superare la botta in testa. Ma per il momento mi sento un'inetta.
Continuerò a scrivere, comunque. Forse quando tornerò, avrò molti capitoli già pronti sul PC. Perché tornerò, cosa pensate? Che possiate liberarvi di me così facilmente? Cassie è forte e testarda, cocche.
Con questo messaggio non voglio certo commuovervi o fare la vittima. Ma ho pensato che sarebbe stato più giusto avvisarvi, invece che sparire dalla circolazione così, all'improvviso. Scusate.
Vi abbraccio forte forte e vi dico a rileggerci. Sempre se vorrete ancora seguirmi :)

                                                                                                                                  
                                                                                                                                                Cassie
                                                                                                                            







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