Demons Hunter

di Kiary92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Lunedì 9 febbraio 2009 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Martedì 10 febbraio 2009 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Mercoledì 11 febbraio 2009 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Giovedì 12 febbraio 2009 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Venerdì, 13 febbraio 2009 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Sabato, 14 febbraio 2009 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Domenica, 15 febbraio 2009 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Lunedì, 16 febbraio 2009 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Sabato, 28 febbraio 2009 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Domenica, 1 marzo 2009 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Lunedì 2 marzo 2009 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Martedì 3 marzo 2009 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - Mercoledì, 4 marzo 2009 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 - Giovedì, 5 marzo 2009 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 - Venerdì, 6 marzo 2009 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 - Sabato, 7 marzo 2009 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 - Domenica, 8 marzo 2009 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - Lunedì, 9 marzo 2009 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 - Martedì, 10 marzo 2009 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - Mercoledì, 11 marzo 2009 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 - Giovedì, 12 marzo 2009 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 - Venerdì, 13 marzo 2009 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 - Sabato, 14 marzo 2009 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 - Domenica, 15 marzo 2009 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 - Lunedì, 16 marzo 2009 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 - Sabato, 21 marzo 2009 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 - Domenica, 22 marzo 2009 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 - Giovedì, 9 aprile 2009 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 - Venerdì, 10 aprile 2009 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 - Lunedì, 13 aprile 2009 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 - Sabato, 11 luglio 2009 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48 - Venerdì, 17 luglio 2009 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 - Sabato, 18 luglio 2009 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50 - Martedì, 21 luglio 2009 ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51 - Mercoledì, 22 luglio 2009 ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52 ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53 - Lunedì, 27 luglio 2009 ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54 ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55 ***
Capitolo 56: *** Capitolo 56 - Lunedì, 24 agosto 2009 ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57 ***
Capitolo 58: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Lunedì 9 febbraio 2009 ***








Lunedì, 9 febbraio 2009
La sveglia suonava insistentemente, una figura sdraiata sul letto di quella piccola stanza, si rigirò portandosi il morbido cuscino sulla testa, cercando di ignorare la canzone degli Evanescence impostata come tono di sveglia del cellulare. Aspettava con impazienza che la canzone si fermasse, ma niente, non ne voleva sapere di piantarla.
 Si rigirò ancora lasciando penzolare la mano dal letto, cercando a tentoni il cellulare abbandonato sul parquet; lo trovò dopo qualche tentativo, premette qualche tasto a casaccio e lo lanciò in fondo al letto. Si coprì ancora con le coperte fino alle orecchie, pregando che la madre, che l’avrebbe chiamata di lì a poco, la credesse in coma per lasciarle la giornata libera dalla scuola e dormire un po’ di più. La maniglia si girò lentamente con un lungo cigolio sinistro, e una donna dai capelli corvini spettinati e gli occhiali sul naso leggermente storti, fece capolino con la testa dalla porta, strizzando gli occhi, cercando di abituarli all’oscurità della stanza.
- Angelica? - la chiamò la donna con un lieve sussurro.
- mmm - mugolò con il viso soffocato nel cuscino, spostando appena la testa.
- Alzati - disse la madre, come se desse degli ordini, poi, senza aggiungere altro, sparì di nuovo dietro la porta.
Si alzò stiracchiandosi le braccia, ed accese la luce, mugolando non appena fu accecata dalla luce del lampadario appeso al soffitto; e, non appena gli occhi si abituarono alla luce, cominciò a vestirsi, afferrando le prime cose che le capitavano a tiro: un paio di jeans e una camicia nera; dopodiché, prese lo zaino abbandonato ai piedi del letto, vi infilò i libri di scuola e lo appoggiò da una parte. Uscì dalla stanza con la camminata degna di uno zombie.
Percorse il piccolo corridoio, e scese le scale, cercando di non inciampare ed evitare una ruzzolata con stile alla mattina di buon’ora; in cucina, la madre era rivolta verso la mocca sul fornello, con le mani sui fianchi.
Prese due toast e li mise nel tostapane, poi si avvicinò al frigorifero e prese un succo di frutta, burro e una marmellata di pesche. La madre le lanciò un’occhiata, giusto per assicurarsi che non vada a scuola vestita da sgualdrina e poi ritornò con lo sguardo sulla caffettiera.
- Anche oggi vai in autobus? - chiese la donna spegnendo il fornello non appena la caffettiera emise un acuto sibilo.
- Si - rispose in tono freddo prendendo il toast caldo - Perché? - le chiese sedendosi a tavola e cominciando ad imburrare il toast, per poi spalmarci sopra la marmellata.
- Hai la patente...hai la macchina. E potresti svegliarti più tardi invece di prendere l’autobus a queste ore -
- È la mia routine mamma...e mi piace -
- Prendere l’autobus più tardi? - chiese ancora la donna, versando il caffè in una tazzina.
- No...è sempre pieno - rispose automaticamente, sorseggiando il succo di frutta.
In realtà, cercava di evitare gli autobus successivi, perché era sicura di incontrare i vecchi compagni, e non riusciva a farseli piacere in alcun modo, anche se non le avevano fatto niente - Mettimi in punizione se non ti va bene - disse dando un morso al toast.
La madre insisteva dal giorno in cui il padre le aveva comprato una Ferrari f430 nera, per il suo diciottesimo compleanno, avvenuto quasi un anno fa, più precisamente, il 21 marzo. Il primo giorno di primavera. Naturalmente, aveva il permesso di girare con quella macchina, benché fosse solo una neopatentata.
- Fai quello che ti pare... - disse la madre finendo il suo caffè con un ghigno sul volto; ma non la stava nemmeno ascoltando.
La madre fece per andarsene, ma si bloccò sulla porta dell’enorme cucina, si voltò alzando un sopracciglio - Il foglio dei voti? -
Il foglio dei voti, era semplicemente una tabella dove si scrivevano i voti scolastici, ad ogni interrogazione o verifica, sua madre non vedeva l’ora di firmare i suoi eccellenti risultati.
- Hai già firmato tutto -
La donna si voltò e sparì dietro la porta. Non appena terminò la sua colazione, andò in bagno e si mise davanti allo specchio. I lunghi capelli neri scompigliati, il viso pallido eccetto per le labbra che erano leggermente rosee, un paio di piccole borse sotto gli occhi verdi. Iniziò a pettinarsi finchè i non sciolse tutti i nodi lasciando che i capelli mossi cadessero ordinati sulle spalle, si lavò i denti e ritornò in camera. Afferrò le inseparabili All Star, abbandonate sotto al letto e le infilò ai piedi; poi indossò la giacca in pelle, appoggiata alla sedia della scrivania; ed infine si mise in spalla lo zaino.
Afferrò l’mp3 sulla scrivania e si mise le cuffie nelle orecchie e lo accese; poi recuperò il cellulare che giaceva in fondo al letto senza nemmeno un graffio, lo infilò nella tasca dei jeans e uscì dalla camera, chiudendosi la porta alle spalle. Scese l’enorme rampa di scale in marmo bianco, scivolando semplicemente lungo la balaustra, e atterrando in piedi nel lussuoso ingresso, immerso nell’oscurità; arredato con mobili antichi e quadri; c’erano solo tre porte: quella della cucina, quella del salotto e quella d’entrata, che era il doppio, se non il triplo, più grande delle altre.
Si avvicinò alla grande porta in legno, la spinse con forza ed uscì, sentendo subito l’aria gelida che le sferzava il viso con violenza; la porta si richiuse con un tonfo, per via del vento. Attraversò il giardino di quell’enorme casa; lanciò un’occhiata al garage e alla macchina nera, immobile e che, se non fosse per le amorevoli cure di suo padre, avrebbe fatto le ragnatele. Affianco alla Ferrari, la macchina dei genitori: un’Audi bianca; ed infine, nell’angolo del garage, la sua Yamaha R6 nera, con un casco dello stesso colore appoggiato sulla sella.
Distolse lo sguardo non appena arrivò al cancello in ferro battuto; abbassò la maniglia e lo aprì con un cigolio, richiudendolo alle sue spalle; osservando la villa dall’altra parte della strada. Non ci abitava nessuno da diverso tempo, ma quella mattina, davanti alla villa, erano parcheggiati cinque camion di una compagnia addetta al trasloco, intenti a trasportare i mobili all’interno della casa. Non si soffermò ad indagare oltre, e si incamminò velocemente uscendo dalla piccola via; voltò l’angolo e, in meno di un minuto, aveva raggiunto la fermata.
Si appoggiò distrattamente ad un muro ed osservò l’ora sul display del cellulare: 6.38; l’autobus sarebbe arrivato tra qualche minuto, contando anche che, gli autobus, non erano mai puntuali. Chiuse gli occhi ascoltando la canzone che le rimbombava nelle orecchie, muovendo appena le labbra come se volesse cantarla.
“ I miss you, miss you so bad. I don't forget you, oh it's so sad…I hope you can hear me, I remember it clearly…The day you slipped away, as the day I found it won't be the same…”
L’autobus arrivò poco dopo, con la solita scritta in arancione: Verona. Quando si fu fermato, salì e si sedette agli ultimi posti, continuando a pensare alle parole delle canzoni che aveva in testa. Soltanto il cellulare la riportò alla realtà, vibrando nella tasca, lo prese e lesse la scritta sul display: “nuovo messaggio da: Elisabeth ”. Aprì il messaggio.
“ Oh merda! dimmi che non c’era niente da studiare!! ”
“ Interroga solo in matematica” si affrettò a rispondere, per poi premere invio e rinfilare il cellulare in tasca.
Nemmeno il tempo di fissare il misero panorama fuori dal finestrino che il cellulare vibrò ancora.
“ Oddio matematica!!! No no...è un incubo...adesso mi sveglierò e sarò ancora nel mio letto”
“ Ma dai, stai tranquilla...se ti interroga ti faccio i segni dal posto ;) eh...guarda che amica che sono”
“ Sei un tesoro!” rispose l’amica dopo nemmeno un minuto.
Rimise il cellulare in tasca e ritornò a fissare fuori dal finestrino.
L’autobus frenò appena ad un semaforo, e lei concentrò il suo sguardo su un uomo; alto, capelli ed occhi scuri, il volto coperto di sangue, i vestiti laceri e delle ferite un po’ ovunque.
Rabbrividì. Certo, era abituata a vedere cose del genere, ma ogni volta le sembrava la prima.
Una macchina passò a tutta velocità, e per un istante perse il contatto visivo con l’uomo, che poi, era misteriosamente scomparso in un battito di ciglia.

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La scuola, fortunatamente, non era proprio in centro città, e dopo una quindicina di minuti, l’autobus si bloccò alla sua fermata. Scese e s’incamminò verso il parco, dove si fermava ogni mattina in attesa dell’amica.
Era abbastanza triste vedere quel piccolo angolo di paradiso a febbraio; gli alberi erano spogli, l’erba un po’ ingiallita e coperta di brina, come la ghiaia del sentiero, le panchine sparse qua e là, i rami spogli degli alberi e qualsiasi altra cosa. Guardò l’ora sul display del cellulare: 7.15. Elisabeth sarebbe arrivata di li a poco.
Si sedette sulla panchina, fregandosi se fosse asciutta o meno, portò indietro la testa e osservò il cielo grigio solcato da alcune nubi minacciose di un grigio più intenso.
- Ehi! Tu laggiù!!! - urlò una voce lontana - Su presentati -
Si riscosse dai suoi pensieri, si voltò velocemente e fulminò la migliore amica con uno sguardo glaciale - Non ora! -
- Su presentati! - disse Elisabeth arrivando volteggiando al suo fianco, come se danzasse al ritmo di una musica inesistente.
- Elisabeth, sono le sette e un quarto, la gente normale non va in giro a urlare -
- Va bene, va bene - disse abbassando la voce e sedendosi accanto a lei sulla panchina accavallando le gambe.
Elisabeth era tutto il contrario di lei. Aveva dei lunghi capelli color del rame, gli occhi azzurri come il cielo ed era molto più abbronzata, dato che la famiglia, ogni estate, la portava in qualche isola tropicale.
- Andiamo a scuola? Entriamo e ficcanasiamo nella biblioteca? - chiese l’amica aprendosi un po’ il giubbotto in pelle.
- Eli, ormai li abbiamo letti tutti i libri che ci sono là - rispose sorridendo.
- No! Li ha letti tutti. Allora andiamo e aspettiamo gli altri -
Iniziarono ad attraversare il parco, lei in silenzio che ascoltava lo scricchiolio dei sassolini sotto le sue scarpe, mentre Elisabeth rideva sotto i baffi, stringendosi le spalle.
- Che hai da ridere? - chiese calciando un sasso.
- Una barzelletta...la vuoi sentire? -
- No -
- Allora, c’è un tassista con la sua Mercedes, per strada incontra un amico, allora si ferma e tira giù il finestrino. L’amico guarda lo stemma della macchina, e gli chiede “Ma...cos’è quella roba attaccata?” e il tassista, per prenderlo in giro fa “è un mirino” e il tizio fa “Se?” e il tassista “Così centro i pedoni per strada, salta su che ti faccio vedere” allora il tizio sale, e il tassista comincia ad accelerare quando vede un pedone, ma all’ultimo secondo si sposta, ma il pedone viene colpito comunque...allora l’amico si gira e gli fa “Eh...vedi di mettere a posto il mirino...perchè se non aprivo la portiera non lo prendevi!” -
La guardò inarcando un sopracciglio - Dovresti farti vedere da uno bravo sai? -
- Ah ah...dai che fa ridere -  
Non rispose e continuarono a camminare per la piccola stradina in fondo al parco.
- Ehi! c’è la biblioteca aperta! - disse Elisabeth aguzzando la vista, ed indicando un vecchio edificio con la facciata di mattoni rossicci, con una grande porta in legno scuro, e un’insegna appesa in alto a destra.
- Allora andiamo - rispose accelerando il passo per attraversare la strada.
Elisabeth la superò con un paio di volteggi, si fermò davanti alla biblioteca; dove la porta si aprì, senza che la toccasse, e sull’uscio, apparve il vecchio custode del palazzo, con i capelli bianchi arruffati e gli occhiali sul naso, che mettevano in risalto i suoi occhi grigi e stanchi.
- Alla ricerca di nuovi libri? - chiese il vecchio custode mentre infilava uno spolverino marrone.
- Come sempre - rispose con un sorriso - Possiamo salire? -
- Certo -
Salirono velocemente la rampa scale, poi la rossa aprì una porta in legno sulla destra delle scale, ed entrarono.
Si bloccò qualche secondo, osservando gli scaffali in legno, che sostenevano la cosa che amava di più al mondo: i libri. Un sorriso apparve sulle sue labbra, poi si precipitò al solito tavolo, tra gli ultimi due scaffali della biblioteca, isolato completamente dal resto del mondo. Appoggiò lo zaino su una sedia e cominciò a guardare i libri, Elisabeth, dietro di lei, appoggiò lo zaino a terra, incrociò le braccia e sorrise osservandola mentre guardava i libri, incantata.
- Sembri una bambina che scarta i regali di Natale -
- Lo so, ma mi fa questo effetto -
- Ah...per me cerca un thriller - disse chinandosi sul suo zaino e aprendo la tasca anteriore - Vado a prendere qualcosa giù al bar. Non vuoi niente? -
- No grazie, sono a posto - rispose passando ad un altro scaffale.  
- Ok, allora torno subito -
Elisabeth prese il portafogli e sparì dietro la porta. Lei era come incantata.
La maggior parte di quei libri li aveva già letti, e si affannò ancora di più in cerca di un libro mai letto.
- In biblioteca di prima mattina? - disse qualcuno accanto a lei.
Non conosceva quella voce e, d’istinto, arretrò sbattendo contro lo scaffale dietro di lei che oscillò appena. Qualcosa di pesante, all’improvviso, le finì in testa, facendole annebbiare appena la vista e lasciandosi sfuggire un “ahi”.
Alzò lo sguardo e osservò il nuovo personaggio che aveva parlato, e rimase incantata come se osservasse un libro vivente.
Era un ragazzo, alto, benché indossasse un maglione nero, si poteva notare il fisico degno di un’atleta, i capelli castani in disordine, un paio di occhi blu come un cielo in tempesta e un sorriso smagliante stampato sulle labbra.
- Scusa, non volevo spaventarti - disse il ragazzo.
Si sedette a terra con la schiena appoggiata allo scaffale, tenendo premuta la mano sinistra sul colpo appena ricevuto.
- Non ti preoccupare...sono io che mi ero incantata -  
Lui si inginocchiò davanti a lei e le porse la mano - Mi chiamo Matteo Dall’Angelo, sono nuovo di qui -
- Angelica Vetra, tanto piacere - si presentò in un sussurro stringendogli la mano.
- Piacere non tanto, dato che ti è caduto un libro in testa -
- Dipende dal libro -
- Ti è caduta in testa “L’ombra dello scorpione”; io sarei entrato in coma -
- Rassicurante - sussurrò alzandosi da terra.
- Aspetta, tieni questo - disse lui porgendole un fazzoletto bianco - stai sanguinando -
- Grazie - balbettò, afferrando il fazzoletto e premendolo sulla ferita alla testa, lo scostò appena e osservo una piccola macchia di un rosso scarlatto - Mi dispiace per...il fazzoletto...te lo restituirò...un giorno -
- Tienilo pure, mia madre ne ha una valanga - disse ancora sorridendo afferrando un libro dallo scaffale più alto.
- Beh...ehm...ci vediamo...in giro...allora... - disse fissando prima Matteo, e poi Elisabeth apparsa dal nulla con il suo caffè, che osservava divertita la scena.
- Ci vediamo - disse il ragazzo che girò i tacchi, lanciandole un’ultima occhiata prima di avvicinarsi al bancone e comprare il libro che teneva sottobraccio. L’amica si avvicinò furtiva sorseggiando il caffè.
- E quello pezzo di gnocco chi era? - chiese curiosa.
- Uno nuovo -
- Avete fatto amicizia eh...-
- Eli... -
- Oddio non dirmi che ti ha picchiata?!?! - chiese notando il fazzoletto che teneva premuto sulla testa.
- Ma cosa dici! -
- Abbassa la voce che ci fai buttar fuori -
- Sei tu! Mi stai innervosendo! -
- Ah...Angelica, Angelica...hai trovato un thriller per me? -
Si avvicinò allo scaffale e prese il primo libro che le capitò a tiro - To...leggiti questo -  
- La verità del ghiaccio? -
- Sì, è un thriller -
- Va bene allora; tu? -
- Non ho trovato niente -
- Per caso eri troppo distratta? -
- Figurati... -
Uscirono dalla biblioteca e si avviarono verso scuola, percorrendo una piccola stradina.
Dopo nemmeno cinque minuti, erano arrivate a scuola.
Appena fuori dall’entrata principale, alcuni ragazzi erano appoggiati al muro o seduti sulle loro moto e fumavano tranquilli la loro sigaretta mattutina, non appena notarono le due, tutti si misero ad osservarle avvicinarsi. Un ragazzo biondo diede una gomitata al compagno dai capelli castani sussurrandogli qualcosa; poi gettò a terra la sigaretta e si avvicinò a lei, che cercava di ignorarlo con tutte le forze.
Era alto, con dei capelli biondi come il grano gli cadevano sugli occhi un po’ ribelli, indossava una giacca nera, un paio di jeans scuri e delle Adidas bianche.  
- Ehi dolcezza - disse lui appoggiandole la mano sul sedere, ricevendo come risposta uno ceffone in pieno viso.
Lo spinse contro il muro, seria come non mai, fissando i suoi occhi di una strana tonalità dorata.
- Oh, come sei cattiva oggi Angelica -
Lei gli puntò l’indice sul petto - Fallo ancora e giuro che dovrai andare all’anagrafe a cambiare sesso...-
- Angelica tesoro, noi due siamo fatti per stare insieme - disse ancora il ragazzo biondo sogghignando.
- Nei tuoi sogni forse... - disse dandogli le spalle, ed incamminandosi verso l’entrata.
Elisabeth, ancora accanto al biondo, sorrise - Non ti sei ancora stancato Sergio? -
- Io posso avere tutte le donne ai miei piedi -
Si voltò - Tutte tranne me - disse passandosi una mano nei capelli e voltandosi di nuovo, prima di sparire oltre la porta. Elisabeth, salutò Sergio, e la seguì.
All’entrata della scuola c’era solamente un grande muro di mattoni rossicci, completamente ricoperto dall’edera e dal gelsomino; il grande cancello in ferro battuto, che dava sulla strada, era vecchio, ed ad ogni soffio del vento, cigolava in modo sinistro.
All’interno c’era un piccolo giardino riservato agli studenti, con qualche panchina sparsa qua e là.
Arrivò ai gradini in marmo all’entrata principale, dove dei ragazzi stavano seduti tranquillamente, fumando o ripassando le materie della giornata.
Tutti si voltarono, guardandola avanzare, e si spostavano se le intralciavano la strada; mentre lei dava il buongiorno a tutti, facendoli sorridere.
Elisabeth, appena dietro di lei, le afferrò la spalla, facendola voltare.
- Non aspettiamo Alice e Vittoria? -
- Si, ma vado in biblioteca -
Non appena entrò, davanti a lei, c’era la solita rampa di scale che saliva per tre piani, dove altri studenti, se ne stavano seduti, ridendo e scherzando con i loro compagni.
Svoltò subito a destra, dove si stagliava un lungo corridoio, con diverse stanze riservate agli insegnanti e all’ufficio della direttrice. Si bloccò di colpo, osservando un gruppo di bambini che cercavano di trovare la strada per la classe, provando a capire una delle tante piantine infisse sul muro; si avvicinò sorridendo e, non appena questi la notarono, assunsero immediatamente un’aria spaurita.
- Ehi, non mangio i bambini a colazione - disse con un sorriso abbassandosi appena - dove dovete andare? -
Nessuno le rispose, finchè una bambina non si fece avanti; aveva otto anni circa, i capelli castani erano legati con una classica “coda di cavallo”; il viso paffuto e roseo, vestita con un semplice maglione scarlatto e un paio di jeans.
La bambina alzò lo sguardo, scuro come il buio assoluto, e le sorrise.
- Ciao, ci hanno fatto cambiare classe a metà anno scolastico, e adesso dobbiamo andare nell’aula 34 -
- L’aula che cercate è in quel corridoio - rispose indicando il corridoio che aveva appena superato, che portava alla zona ricreazione, e all’uscita sul giardino - Non potete sbagliare, ogni stanza ha una targhetta sulla porta con il numero -
- Grazie mille! - le disse la bambina partendo in quarta, facendo segno agli altri di seguirla; ed il gruppetto sparì oltre il corridoio che aveva appena indicato.
- Angelica GPRS versione 4.0 - disse Elisabeth, dietro di lei, con le mani nelle tasche, mentre osservava fuori dalle grandi finestre alla sua sinistra - Senti Angi, devo andare un attimo in segreteria, mi aspetti in biblioteca? -
Annuì, ed osservò la rossa percorrere tutto il corridoio in fretta e furia; poi ripartì verso la biblioteca.
Si bloccò di scatto, quando una ragazza bionda e una mora, al suo seguito, le tagliarono la strada.
- Non ti hanno insegnato che le persone più importanti si lasciano passare per prime? Eh secchiona? -
- Laura... -
Era una ragazza alta quasi quanto lei. I lunghi capelli biondi un po’ laccati, le arrivavano fino a metà schiena, il viso pallido le metteva in risalto gli occhi grigi. Indossava una camicia bianca aperta fino al limite della decenza, una mini gonna color cachi, e un paio di scarpe con un tacco vertiginoso. Dietro di lei c’era l’inseparabile amica Veronica, abbronzata al contrario di Laura, vestita quasi allo stesso modo; i capelli castani erano legati in una coda, e la guardava con occhi socchiusi.  
- Quanto siamo acide oggi. E a te e alla tua amica non hanno insegnato che non si viene a scuola vestite da puttane? -
- E tu non ti pettini mai? - disse ancora Laura fissandola dall’alto in basso.
- Beh, a te sembra che ti abbia leccato in testa un mucca -
Si guardarono in cagnesco. Elisabeth, tornata di corsa dalla segreteria, la prese per un braccio, facendola allontanare, fissando in cagnesco le nemiche di sempre - Avete il ciclo o ci siete nate con l’esaurimento nervoso? -
- Sta zitta piattola, non sto parlando con te -
- Vieni Angelica, lasciale perdere - sussurrò piano Elisabeth trascinandola via con la forza.


Entrarono in biblioteca che si trovava all’inizio del corridoio, gettò lo zaino a terra e si sedette a malo modo su una sedia.
- La odio! - urlò passandosi una mano nei capelli corvini.
- Eh questo lo sappiamo tutti. La guerra con lei va avanti da quattro anni ormai -
- Ma che le ho fatto di male? -
- È solo invidiosa...questo lo sanno tutte -
- Invidiosa? Di chi? -
- Di te -
- E cos’ho io che lei non ha? -
- Beh tu sei bella, intelligente, buona e gentile...lei è solo bella con un carattere di merda -
Sembrò calmarsi, sospirò e si alzò prendendo lo zaino da terra, tirandogli via la polvere. Non era solo per quello che Laura la odiava. Osservò l’amica con i suoi soliti occhi verdi, che da minacciosi, erano diventati dolci e gentili - Andiamo, sta per suonare -
- Io non mi muovo finche non...-
Nemmeno il tempo di finire la frase che la campanella prese a suonare.
 - ...suona - continuò Elisabeth terminando la frase lasciata in sospeso - Ma tu sei una veggente o cosa? -

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Salirono velocemente le scale, e per poco Elisabeth non si ruppe l’osso del collo, ma fortunatamente, le aveva preso la giacca facendole tornare l’equilibrio.

- Non so come fai a non cadere mai...- disse la rossa.
Come risposta, ricevette soltanto un sorriso.
Raggiunsero la loro classe, dove ormai, c’erano quasi tutti.
La classe era molto grande, all’interno, solo diverse file di banchi sistemati a coppie, una cattedra in legno, una libreria che occupava tutta una parete in fondo all’aula, e la lavagna esattamente dietro alla cattedra. Con un piccolo volteggio, la rossa raggiunse la penultima fila, gettò lo zaino a terra e si sedette sul suo banco; lei la seguì, sedendosi al suo posto, accanto all’amica.
- Che materia c’è adesso? - chiese Elisabeth mentre stiracchiava le braccia, allungando le maniche del maglione marrone che indossava, guardando il cielo grigio fuori dalla finestra, che diventava sempre più cupo e minaccioso.
- Economia - rispose mentre frugava nello zaino.
- Ah...che due...- si bloccò appena in tempo sentendo la professoressa tossicchiare.
Tutti si sedettero ai propri posti e salutarono l’insegnante. La donna era alta e magra, i capelli rossi le sfioravano appena le spalle; indossava una camicia bianca con sopra un maglione marrone, un paio di jeans e degli stivali anch’essi marroni con un tacco non troppo esagerato. Si sedette alla cattedra, infilò un paio di occhiali da vista e aprì il registro, iniziando a scrivere qualcosa.   
- Quanto è allegra stamattina - sussurrò Elisabeth in tono sarcastico.
- Signorina Vetra -
- Si? - chiese alzandosi in piedi.
- L’attendono in Direzione - disse la professoressa senza staccare gli occhi dal registro.
“ In direzione?” - Devo andare subito? - chiese titubante.
- Immediatamente. Si farà passare gli appunti dalla sua compagna -
- Oh...d’accordo -
Lasciò il suo banco, e attraversò l’aula, sentendosi addosso gli occhi di tutti; e uscì. Camminò lentamente per il corridoio, cercando di ritardare l’incontro; sbuffò dopo due minuti, vedendo davanti a lei una porta in legno con una targhetta infissa: “Direzione”. Fece un respiro profondo e bussò. Una voce gentile si fece sentire dall’altra parte della porta.
- Avanti signorina Vetra -
Entrò con lo sguardo alto - Buongiorno direttrice -
La direttrice era una donna giovane, sui trent’anni, i capelli ricci e neri come la pece erano sempre sciolti, il viso abbronzato, le labbra sottili con un po’ di rossetto di un bel rosso lampone. Era seduta dall’altra parte di una grande scrivania in legno, con un po’ di carte sparpagliate qua e là; teneva le braccia incrociate, stropicciando appena la camicia bianca che indossava. Sospirò stancamente e trafisse la ragazza con i suoi occhi neri. Restò in piedi davanti alla scrivania, tendendo alto lo sguardo.   
- Naturalmente si chiederà perché l’ho convocata in direzione. Bene, abbiamo un nuovo studente ed entrerà nella vostra classe, ma prima vorrei che fosse al passo con gli altri compagni e, dato che lei è la più brava della classe, se non della scuola, e caposcuola, le affido il nuovo studente -
- Direttrice, non credo di essere all’altezza di questo compito - disse abbassando lo sguardo.
- Oh, non essere sciocca, te la caverai egregiamente. Il nuovo arrivato ti aspetta giù in teatro. Per oggi sei esonerata dalle lezioni... -
- Buona giornata direttrice -
- Anche a te -
Si chiuse la porta alle spalle, notando appena un sorriso sulle labbra della direttrice. Scese velocemente le scale e arrivò in teatro, aprì la porta che si richiuse subito dopo con un tonfo sordo. La stanza era immersa nella semi oscurità, ma distinse la figura di un ragazzo seduto sulle prime sedie.
- Sei tu quello nuovo? - chiese accendendo la luce e avvicinandosi.
- Sono io -
- Bene, io sono...AH!!!! TU!! -
Sussultò sul posto, vedendo il nuovo arrivato.
- E tu che ci fai qui?!?! - chiese Matteo alzandosi in piedi.
- Ehm...sono a scuola...o forse non l’hai notato -
- Ah...e...perchè non sei in classe? -
- Perché qualche minuto fa, la direttrice mi ha convocato e mi ha affidato l’incarico di portarti allo stesso passo degli altri. Comunque...ti ha fatto vedere la scuola? -
- No a dire la verità...- rispose lui passandosi una mano nei capelli castani.
- Bene, vieni...facciamo un giro, e poi ci fermeremo in biblioteca e vedremo a che punto sei arrivato...-

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Lei e Matteo girarono quasi tutta la scuola, parlando del più e del meno; ed infine, dopo un tour della durata di dieci minuti andarono in biblioteca.
La biblioteca, di solito, era piena di studenti che copiavano i compiti all’ultimo momento, ma adesso era completamente vuota, e non volava una mosca. Si sedettero ad un tavolo sedettero ad un tavolo e Matteo iniziò a parlare degli ultimi argomenti che aveva trattato nella vecchia scuola; e lei lo ascoltava con attenzione, incantata dalla sua voce.
Dopo dieci minuti, scrollò la testa e si alzò, sorridendo - Vieni... -
- Dove andiamo? - chiese il ragazzo rimettendosi lo zaino in spalla.
- In direzione. Devo informare la direttrice, e verrai anche tu -
- Io? -
Annuì semplicemente, aprendo la porta della biblioteca, ed uscendo al fianco del ragazzo.
Percorsero il corridoio principale e si trovarono davanti alla porta della direzione; bussò piano, e appoggiò la mano sulla maniglia.
- Avanti -
Aprì la porta, facendo un piccolo cenno a Matteo appena dietro di lei. Entrarono e restarono in piedi sulla porta.
- Signorina Vetra, Signor Dall’Angelo, prego venite -
I due si avvicinarono alla scrivania della direttrice. Lei si schiarì la voce prima di parlare.
- Direttrice, il signor Dall’Angelo non ha bisogno di nessun aiuto; è un ragazzo intelligente, e non avrà problemi a studiare quei pochi argomenti che non ha fatto; per il resto è al nostro stesso punto -
- Bene, allora può presentarlo alla classe. Signor Dall’angelo, per qualunque necessità, la signorina Vetra sarà a sua disposizione -
- Grazie Direttrice - la ringraziò lui.
- Potete andare. Buona giornata -
I due uscirono e salirono di corsa le scale, fino ad arrivare alla porta della loro classe.
Guardò l’orologio appeso nel corridoio: la seconda ora era appena iniziata; bussò e l’insegnate la fece entrare.
- Professoressa, posso rubarle due secondi? - chiese aprendo appena la porta e infilando la testa dentro.
L’insegnante di italiano, seduta alla cattedra, alzò lo sguardo incrociando i suoi occhi marroni, con quelli verdi della studente. Aveva i capelli castani raccolti in un chignon, la pelle rosea come quella di un bambino, le labbra sottili e rosse. L’insegnante si raddrizzò sulla sedia incrociando le braccia e accavallando le gambe - Ma certo -
- Vorrei presentare alla classe un nuovo studente - disse facendo entrare Matteo.
- Buongiorno a tutti. Io sono Matteo Dall’Angelo -
La classe rispose all’unisono con dei ciao, le ragazze si diedero delle piccole gomitate, e mangiavano il nuovo arrivato con gli occhi. Laura si avvicinò all’amica Veronica sussurrandole qualcosa all’orecchio.
- Bene signor Dall’Angelo, immagino che la direttrice vi abbia affidato alla signorina Vetra, quindi, prenda un banco dall’aula accanto e si sieda vicino a lei -
Si sedette al suo posto, facendo un piccolo cenno al ragazzo che scomparve dietro la porta, ma per rientrare subito dopo tenendo tra le braccia un banco e una sedia; che sistemò accanto a lei, dove poi, si sedette.
- Ma non è il ragazzo di questa mattina? - chiese Elisabeth in un sussurro avvicinandosi appena. Come risposta, annuì semplicemente.
- Ciao. Sono Elisabeth - disse la rossa porgendo la mano al ragazzo.
Matteo la guardò sorridendo - Matteo, tanto piacere -
- Non so se te ne sei accorto Matteo, ma c’è la fauna femminile di questa classe che ti sta mangiando con gli occhi, alcune stanno pure allagando la classe con la bava... -
- Elisabeth...- l’ammonì dandole una gomitata.
- Pure la zoccola ti guarda - continuò la rossa.
- La zoccola? - chiese il ragazzo.
- Si...Laura. Ti racconteremo tutto a ricreazione, vedrai quante risate che...-
- Signorina Hall, vuole caffè e pasticcini per caso? - disse l’insegnante senza smettere di consultare il registro.
- Mi scusi professoressa -
La professoressa iniziò a spiegare e, per tutta l’ora, prese appunti su un block notes, Elisabeth, al suo fianco in silenzio, copiava i suoi appunti aggiungendo vari smile e disegnetti; mentre Matteo ascoltava semplicemente.

- Bene ragazzi...per la prossima volta ripassate; ora state buoni che l’insegnante di matematica arriverà con quindici minuti di ritardo - disse l’insegnante raccogliendo i suoi libri e andandosene dalla classe.
- Matematica? - chiese la rossa.
- Esatto... -
- NOO!!! NO NO NO!!! -
Elisabeth iniziò a correre per la classe.
- Cosa le è preso? - le chiese Matteo.
- Preoccupata per l’interrogazione - rispose - ELISABETH! VIENI QUI IMMEDIATAMENTE!!! -
- Cavolo interroga! -
- Cosa ti ho detto questa mattina? -
- Ah già...mi fai i segnali -
- Brava...quindi datti una calmata -
Matteo iniziò a ridere osservandole, poi, una ragazza bionda apparve lì accanto.
- Ciao. Sono Laura - disse lei con un sorriso, porgendo la mano al ragazzo.
- Piacere, Matteo -
Laura gettò un’occhiataccia a lei e ad Elisabeth, e poi si rivolse ancora al ragazzo con un tono dolce - Il primo giorno e già ti mettono con la Secchiona & Company. Non vorrai stare con loro vero? Naturalmente sei il benvenuto nel gruppo di quelli più...importanti -
“ CHE RABBIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!! GRRRRRRRRRRRR!!!”
Stava per prendere a schiaffi la ragazza, ma Matteo rispose cortese alla sua nuova ammiratrice - Grazie per l’offerta, ma credo che resterò con la Secchiona & Company -
- Beh, se cambi idea...- disse Laura andandosene, lasciando la frase in sospeso.
- Attento che quella ci prova ragazzo...- disse la rossa.
- Che ci provi pure...la rifiuterò tutte le volte -
- Oh, finalmente abbiamo incontrato un uomo che non è attirato dalle sgualdrine, e che pensa con il cervello che ha in testa e non quello nei pantaloni - disse Elisabeth tirando fuori dallo zaino i libri di matematica e sedendosi.
Sorrise appena per poi portarsi una mano alla tasca dei jeans, dove il cellulare stava vibrando.
“ L’avevo spento”
Afferrò il cellulare e guardò il numero sul display.
“ 045 0505033; l’Agenzia” pensò facendo un profondo respiro.
Si alzò di scatto, ignorando gli sguardi di Elisabeth e Matteo.
Entrò nel bagno, mandando fuori, a malo modo, le matricole che massaggiavano tranquillamente; poi si chiuse nel primo bagno libero, prese di nuovo il cellulare e rispose.
- Pronto? -
- Agente 33? -
- Sono io - rispose tranquillamente.
- Mi dispiace disturbarla Agente 33 -
- Non si preoccupi. Categoria? -
- E -
Sbuffò appena. L’avevano chiamata per una banale Categoria E? Di solito la chiamavano per cose ben peggiori.
- Posizione? -
- Nella scuola, nel teatro -
- Cosa? Le zone scolastiche di Verona sono protette -
- È riuscito ad entrare, probabilmente si sarà legato a qualcuno che ha visto -  
Sorrise. La cara vecchia Agenzia aveva bisogno del suo Agente 33: lei. Il suo piccolo segreto.
Questa insolita agenzia radunava delle persone un po’ particolari; in grado di contrastare delle entità soprannaturali, più comunemente note come fantasmi, e vari tipi di demoni, classificati in cinque categorie dalla A alla E in base alla loro pericolosità.
- Non ci sono degli altri agenti? -
- Darebbero nell’occhio; e poi, lei è già nell’edificio signorina Vetra -
- Con chi ho a che fare? - chiese rassegnata.
- Fantasma -
- Esigo di non essere più chiamata per questi semplici incarichi di far passare oltre un Categoria E -
- Certamente 33 -
Riattaccò e si infilò di nuovo il cellulare in tasca.
Uscì dal bagno, e si ritrovò davanti le due ragazzine di prima; sospirò mettendosi le mani sui fianchi - Andate in classe altrimenti vi porto io con la forza -
Una delle due la guardò dall’alto in basso - Ma che vuoi? Non puoi dirci quello che dobbiamo fare -
“ Trattieni la rabbia...non pensare di investirla con l’auto, e di passarci sopra un paio di volte” - Andate immediatamente in classe o quei vostri cellulari del cazzo fanno un volo fuori dalla finestra -
Le due non si mossero - State mettendo a dura prova la mia pazienza - sussurrò tra i denti, battendo velocemente il piede a terra, mentre le due ragazze si guardavano con un ghigno stampato in faccia.
- FUORI HO DETTO! - urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
“ La tattica delle urla, in perfetto stile esaurimento nervoso, funzionano sempre” pensò ghignando, osservando le due che tornavano in classe, guardandola di sottecchi. Uscì finalmente dal bagno, e si guardò intorno, sperando che non ci fosse nessuno, e partì in quarta, scendendo i gradini a due a due; non appena vide la porta d’ingresso, scese un’altra rampa di scale, che si bloccavano davanti ad una grande porta in legno. Spalancò la porta del teatro con un calcio, e si guardò intorno per un po’, prima di fermarsi a guardare l’uomo immobile sul palco.
- Ah, allora sei tu l’anima in pena. Sai, io odio essere interrotta durante le lezioni - disse all’uomo; lo stesso uomo che aveva visto quella mattina fermo sulla strada.
- Dove sono? -
- In un posto dove non dovresti essere. Andiamo al sodo...tu sei morto -
- Sono morto? -
Il tizio sembrava un tantino confuso. Ma in fondo, tutti quelli che aveva visto lo erano, ma dopo sembravano calmarsi non appena vedevano la luce - La vedi la luce? - chiese mettendosi le mani sui fianchi.
- Si - disse l’uomo chiudendo appena un occhio - È forte -  
- Devi andare, è quello il tuo posto, non qui tra i vivi. Là ci sarà il perdono, l’amore e delle persone che ti aspettano -
- Chi? -
- Sta a te scoprirlo -
- Tu la vedi? -
- No -
- E perché credi a queste cose? -
Non rispose, e si mise le mani in tasca.
- Come mai riesci a vedermi? -
- Una storia troppo lunga da raccontare. E poi, non vedo solo te -
- Chi altri  vedi? -
“ Mi sto confidando ad un fantasma” pensò cercando di rendere ironica la cosa - Persone come te, persone che non sono più vive; anziani, uomini, donne e bambini, una volta ho visto pure un cane -
Il fantasma le sorrise e tese una mano verso in nulla; e scomparve senza lasciare traccia.
Sospirò voltandosi di nuovo verso l’uscita “Speriamo di non essere in ritardo”
Salì di corsa la rampa di scale, arrivando in cima con il fiatone. Sfrecciò in classe, e si sedette al proprio posto, sotto lo sguardi di Elisabeth e di Matteo.
- Dove sei stata? - le chiese l’amica.
- In bagno -
- Bugiarda -
Sospirò - In teatro -
- A far cosa? -
- Affari -
- Che tipo di affari? -
- Fai troppe domande per i miei gusti - sussurrò incrociando le braccia, cercando ancora di riprendere il fiato.
- E tu stai mentendo troppo per i miei gusti -
Si voltò osservando l’amica, che aveva le guance completamente rosse di rabbia, ed era un miracolo che fosse ancora viva e vegeta.
- Un giorno saprai -
- Sapere cosa? -
- La verità -
- Cosa stai nascondendo Angelica? Cos’è che non puoi dire nemmeno a me? -
- Una cosa troppo grande per essere svelata -
Entrò l’insegnante di matematica: una donna alta e robusta, tutti la chiamavano Trinciabue, per la somiglianza con l’attrice Pam Ferris - Bene ragazzi, interrogo - annunciò andandosi a sedere alla cattedra.
Elisabeth batté la testa sul banco - No... -
- Signorina Mancini...prego -
Con un sorriso sulle labbra si voltò verso Laura, che sbuffò sonoramente e si avvicinò alla lavagna.
- Evvai evvai... - disse la rossa - Sono salva! Satana oggi non mi avrai!! -
Lei e Matteo si misero una mano sulla bocca per soffocare le risate.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Parlarono sottovoce per tutto il resto dell’ora, e in un lampo arrivò la ricreazione. Lei, Elisabeth e Matteo erano seduti ai loro posti, dove la rossa raccontava al ragazzo gli scontri più esilaranti con Laura.
- C’è stata una volta, che erano ad un soffio dal picchiarsi. Tutto era cominciato con un piccolo litigio, e Laura, dopo una risposta bruttissima di Angelica, che non oso ripetere perché mi rotolerei dal ridere fino a domani, dice “ Questa me la paghi secchiona”, e la qui presente santarellina - disse l’amica indicandola - le risponde tranquilla “ Bene, dimmi quanto. Sai non me ne intendo molto, ma so che le puttane vanno pagate” -
I tre scoppiarono a ridere come se fossero amici da sempre, poi cercando di non pensarci ancora, si riprese e disse - Beh lì ho dato il meglio di me - sussurrò scrollando Elisabeth che continuava a ridere come una deficiente.
- Per conto mio era da premio Oscar - disse il ragazzo togliendosi le lacrime dagli occhi con il palmo della mano.
Laura e Veronica passarono lì accanto e gettarono un’occhiataccia a lei e ad Elisabeth.
- Vi racconto una barzelletta...- iniziò la rossa schioccandosi le dita - Allora, una mora, una rossa e una bionda sono in vacanza in Tunisia, decidono di fare un’escursione nel deserto, e si mettono d’accordo che ognuna porti una cosa che possa servire durante la camminata.
Si ritrovano all’appuntamento, e la mora dice “io ho portato la crema solare, così non ci scottiamo sotto il sole”, poi la rossa fa “io ho portato un ombrello da spiaggia, così se ci fermiamo a riposare, possiamo sederci sotto”, la bionda invece dice “io ho portato la porta di una macchina”. Tutte rimangono in silenzio e la mora e la rossa esclamano insieme “LA PORTA DI UNA MACCHINA? E cosa ce ne facciamo con la porta di una macchina?” e la bionda risponde “così se c’è caldo, possiamo abbassare il finestrino!” -
- Ehi non ce l’avrai mica con le bionde? - disse una ragazza apparsa alle spalle di Elisabeth.
Era di media altezza, e magrolina, aveva i capelli biondi raccolti in una treccia, e alcune ciocche dorate le ricadevano sulla fronte; il viso pallido e suoi occhi azzurri esprimevano gioia e allegria.
- Ah Vittoria...noi ce l’abbiamo solo con una bionda, e tu lo sai bene... -
- Tranquilla...non mi offendo, dato che io ho un po’ di intelligenza in confronto a Laura. Ah...Matteo...piacere sono Vittoria - disse la ragazza porgendo la mano al nuovo arrivato.
- Piacere - disse lui stringendola appena.
- Tu-sai-chi ti ha puntato eh? -
- Non gli stacca gli occhi di dosso...- disse Elisabeth - Ah, Angi...hai detto a Matteo della gita vero? - chiese poi scrollandola un po’.
- Che gita? - domandò cercando di fermare l’amica che non la smetteva di sballottarla di qua e di là.
- Angelica! Come che gita?!? - urlò la rossa scrollandola ancora più forte, mentre lei, tratteneva a stento le imprecazioni.
- Ah quella in montagna dici? -
- Certo! Viene anche Matteo naturalmente! -
- Quando? - chiese il ragazzo fissandole.
- È tra un mese. Andiamo in montagna tre giorni - rispose la rossa sorridendo, lasciandola finalmente in pace.
- Certo che vengo! Voi ci andate? -
- Ovvio! -
- Ti rispondo tra due minuti che non capisco più niente , vedo due Elisabeth - disse passandosi una mano nei capelli.
- Ehi! Avete fatto la radunata senza dirmi niente? - chiese una ragazza apparsa dal nulla.
Era alta, con il viso roseo e un paio di guance rosse; i capelli castani toccavano appena le sue spalle, e fissava il ragazzo con i suoi allegri occhi marroni - Ciao sono Alice - disse facendo un piccolo cenno a Matteo, che rispose con un altro semplice ciao.
- Alice che paura! Tu hai il dono di apparire all’improvviso! - disse Elisabeth.
- Oh non essere sciocca, Angelica mi sente sempre quando cerco di coglierla di sorpresa... -
Tutti si voltarono verso di lei - Che c’è? Non è colpa mia se ti sento! -
- Aspettate. Cosa che non c’entra praticamente nulla...la prossima ora c’è musica giusto? - chiese Vittoria.
- Si -
- Ah...io sono stufa di suonare quel flauto del piffero - disse la rossa incrociando le braccia.
- Tu suoni il flauto? - chiese Matteo.
- Il flauto traverso -
- Voi? Cosa suonate? - chiese ancora il ragazzo rivolto alle altre.
- È già tanto se mi mettono in mano il triangolo! - rispose Vittoria.
- Io il normale flauto che si usava alle medie...e faccio di quelle stonate da paura - rispose invece Alice.
- Io il pianoforte -
- E sentissi che voce...- disse la rossa in un sussurro.
Arrossì appena - Tu Matteo? Suoni qualche strumento? -
Il moro alzò le spalle - So suonare un po’ la chitarra -
- Ehi ragazze, non fatemi diventare stupido il nuovo arrivato - disse Sergio sedendosi sul suo banco - Io sono Sergio...vieni che ti presento gli altri -
- E tu vedi di non farlo diventare un pervertito! -
- Oh Angi, come può diventare un pervertito con un gentiluomo come me? -
- Che modestia Sergio -
***
Si alzò e seguì Sergio fino agli ultimi banchi, occupati da un paio di ragazzi.
- Allora, lui è Federico...- disse il biondo indicando un ragazzo dai capelli rossi e gli occhi azzurri - Lui è Davide - disse ancora Sergio indicando un ragazzo dai capelli biondi seduto sul banco - Nicola - indicando un altro ragazzo dai capelli biondi e un paio di occhi grigi, seduto a terra che mangiava dei crackers.
- Andrea - puntando un ragazzo dai capelli castani seduto accanto a Federico, che alzò la mano salutandolo - e lui è Luca - disse infine Sergio indicando un ragazzo dai capelli neri e gli occhi di ghiaccio, seduto in disparte che guardava da tutt’altra parte con uno sguardo intenso.
Si rivolse agli altri con un saluto, e si sedette accanto a loro.
- Non fare caso a Luca - gli disse Federico in un sussurro - È un po’ incazzato -
- Si notava che è incazzato. Ma che cos’ha? - chiese Matteo.
- Per Angelica -
- Che gli ha fatto? -
- Stavano insieme, ma lui è andato con Laura -
- E la rivuole suppongo...dalla faccia che ha - disse voltandosi verso il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, che fissava intensamente la ragazza seduta tra le altre compagne.
- La guarda come se la volesse mangiare...- sussurrò piano Nicola avvicinandosi a Matteo.
- Chi non se la vorrebbe mangiare...guarda che corpo - disse Andrea.
Sergio si voltò, osservando Angelica - Ehi tesoro! -
La mora si voltò fulminandolo con lo sguardo.
- Me lo dai un bacio? -
La risposta della ragazza fu un puro e semplice invito ad andare a quel paese.
- Quanto ti voglio bene quando fai così! -
I ragazzi ritornarono a confabulare.
- Insomma...siete quasi tutti interessati a lei? -
- All’inizio si...quasi tutti iniziavano a provarci e a chiederle di uscire ma lei rifiutava...e poi alcuni si sono innamorati di altre - disse Sergio indicando Federico e Davide - Io faccio così solo per farla arrabbiare, ma siamo grandi amici. Certo, è bella non si può dire il contrario...e non mi dispiacerebbe... -
Il biondo fu interrotto da Nicola - Dopo Luca non ha avuto più nessuno. Qualcuno dovrebbe chiederle di uscire! -
- Non illuderti, comunque lasciando perdere il discorso...l’ultima ora c’è ginnastica! - disse Andrea guardando gli altri.
Era leggermente confuso. Cosa centrava adesso la palestra? Guardò i compagni uno a uno, aspettando chiarimenti.
- L’unica ora in cui possiamo ammirarla... - disse il moro appoggiandogli una mano sulla spalla - Insomma, maglietta aderente...pantaloncini corti...-
 - Ah...-
Si voltarono sentendo la porta aprirsi di scatto; subito dopo entrò Laura con delle altre ragazze al suo seguito.
- Arriva la bionda con la scorta, quella mora alla sua destra è Veronica, la ragazza a sinistra è Sara - gli disse Federico facendo un cenno verso un’altra ragazza - e quelle dietro sono Giulia, Jennifer e Rachele - aggiunse indicando le altre tre, che seguivano Laura come cagnolini addestrati.
***
- Beh, è carino...- disse piano Vittoria osservando il nuovo compagno di classe.
- Ha dei bellissimi occhi blu...- disse Alice in tono sognante sospirando.
- Per non parlare del fisico...è...è un angelo - disse ancora la bionda - Ma il mio cuore appartiene a Davide per ora...-
- E lo stesso vale per me...- disse l’altra - il mio cuore l’ha rapito un altro angelo -
- Fammi indovinare...per caso ha i capelli rossi e gli occhi azzurri? - domandò con un sorriso.
- Eh...si. Però voi due avete il cuore libero...-
- Beh, non direi...- disse Elisabeth arrossendo un po’.
Si voltò osservando la migliore amica. Sapeva a chi si stava riferendo, quel ragazzo le piaceva da due anni ormai.
- Allora Angelica è l’unica che soffre ancora per le pene d’amore - disse Vittoria.
- Io non soffro per le pene d’amore! -
Un colpo di tosse, e tutte si voltarono verso una giovane donna apparsa sulla porta.
Aveva i capelli castani raccolti in una lunga coda che le arrivava a metà schiena, era bianca come un cencio, portava un paio di occhiali sul naso che nascondevano appena le piccole borse scure sotto gli occhi marroni. Tossicchiò per attirare l’attenzione, e sventolò per aria un flauto.
- Bene ragazzi. Basta perdersi in pettegolezzi dell’ultima ora...penultima ora..e andiamo di là...- disse l’insegnante - Forza forza altrimenti vi appendo a testa in giù fuori dalla finestra...-
Si alzò in piedi osservando poi Matteo che la guardava con un’espressione confusa. Distolse lo sguardo solo per prendere il libro di musica, poi gli si avvicinò, alzando le spalle - Se mi chiedi perché parla così, ti devo rispondere che non ne ho la più pallida idea...-
***
Percorsero il corridoio, e proprio in fondo, l’insegnante aprì la porta che portava la targhetta: “Laboratorio musicale”; fece entrare gli i ragazzi e si richiuse la porta alle spalle.
Angelica si diresse verso un angolo della stanza, dove c’era un pianoforte a coda nero, e si sedette sullo sgabello; mentre gli altri presero posto ai banchi divisi in tre file da sette posti. Elisabeth si sistemò nel posto più vicino al pianoforte, e poi lui, Vittoria ed Alice. L’insegnante prese posto alla cattedra e sfogliò il libro sbuffando.
- Bene...ehm...signor Dall’Angelo? -
Alzò lo sguardo, osservando l’insegnante che impugnava un flauto, puntandolo verso di lui - Si? -
- Se non le dispiace le do del tu...io odio i cognomi. Comunque suonerai il flauto assieme a Alice -
Si alzò, afferrò il flauto che l’insegnante le porgeva e si risistemò al suo posto.
- Beh? Che aspettate? Scaldate gli strumenti e fate fuoco -
Elisabeth gli si avvicinò appena - Intende una specie di riscaldamento, ma usa termini un po’...beh...strani -
- Beh Matteo? Cosa suoniamo? - si intromise Alice.
- Qualcosa di facile -
- Inno alla gioia? -
Lui annuì, ed Alice iniziò a sfogliare le pagine del libro, cercando quella giusta; e, quando la trovò, si bloccò un attimo - Aspetta un secondo - disse la mora voltandosi verso Angelica, che si preparava a suonare il pianoforte - Angelica cosa suoni? -
- Non lo so, hai qualche preferenza? - rispose la ragazza con un sorriso.
- Mmm...perchè non suoni “Per Elisa”? -
La ragazza appoggiò lentamente le dita sui tasti del pianoforte chiudendo gli occhi, ma li riaprì sentendo le dolci note di un violino. Si voltò seguendo lo sguardo di fuoco di Angelica.
Laura era in fondo all’alula con il suo violino marrone scuro, ad occhi socchiusi, che padroneggiava le note della celebre sonata “Le quattro stagioni” di Antonio Vivaldi.
La bionda riaprì gli occhi dopo nemmeno un minuto, terminando un piccolo pezzo della sinfonia; appoggiò il violino sul tavolo e restò in piedi, a braccia incrociate, fulminando con lo sguardo la mora seduta al pianoforte.
Angelica si rivoltò, chiudendo di nuovo gli occhi, appoggiando delicatamente le dita sui tasti d’avorio e d’ebano del pianoforte; e prese a suonare la sinfonia di Beethoven. Tutti nella stanza si bloccarono, abbassando i loro strumenti e ascoltando le dolci note del pianoforte, quasi incantati da quella sinfonia; persino l’insegnante la guardava con interesse.
La mora si fermò dopo due minuti, voltandosi di nuovo verso la bionda a testa alta con un ghigno sul volto.
Laura si sedette sulla sedia piuttosto irritata.
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L’ora trascorse tranquillamente, lui, Alice ed Elisabeth continuavano a ridere ogni volta che sbagliavano, e dal flauto usciva un sibilo acuto. Angelica li guardava sorridendo senza smettere di suonare il pianoforte, e ogni tanto, lanciava delle occhiate di sfida a Laura.
Terminata l’ora, ritornarono in classe, cominciando a chiacchierare in attesa dell’insegnante di ginnastica.
- Ma, io non ho il materiale per fare educazione fisica - disse ad un tratto rivolto alla mora.
- Non preoccuparti, ci sarà una divisa da parte anche per te -
- Divisa? -
- Per educazione fisica abbiamo tutti due divise identiche, pantaloncini corti e una maglietta, più tardi andremo a vedere nel magazzino se ne sono avanzate un paio della tua taglia -
- Ragazzi muovetevi! Ultima ora! - urlò una donna sui trent’anni, dai lunghi capelli biondi legati in una classica coda di cavallo, dall’abbronzatura, si poteva capire che era una donna che stava molto all’aria aperta; e con i suoi occhi grigi osservava gli studenti con occhiate veloci - Per quelli che vanno subito a casa, si possono portare nello spogliatoio lo zaino, mentre gli altri si portano solo quello di ginnastica. Forza! Muovetevi che faccio le ragnatele o metto le radici! -


Si affiancò ad Angelica, che teneva un piccolo zainetto blu in spalla, ed uscirono dalla classe. Percorsero l’intero corridoio drappeggiato con cartelloni di diverse classi ed argomenti e vecchi quadri dei presidi passati appesi al muro, che sembravano guardarli a malo modo mentre passavano.
Mentre camminavano, gli studenti delle altre classi li osservarono; i ragazzini, lanciavano delle occhiate ad Angelica e a Laura, mentre le ragazze guardavano a bocca aperta Luca, tirandosi delle piccole gomitate; altre passarono a lui, osservandolo con interesse. 
- Non farci caso - sussurrò la mora, avvicinandosi appena.
- Ehi! Angelica! -
Un ragazzino più coraggioso degli altri, si affiancò alla ragazza con un sorriso cominciando a camminare.
Aveva dei capelli biondi e riccioluti, e il viso roseo metteva in risalto i suoi occhi chiari; era molto più alto di lui, ed era magro, con un paio di occhiali da vista sul naso.
- Ciao Al - disse la mora lanciandogli un sorriso.
- Senti, volevo chiederti se ti va...una sera possiamo andare al bar insieme eh? Che ne dici? -
- Oh Al, smettila di farmi il filo; lo sai che sei troppo piccolo per me - rispose Angelica con un altro sorriso - Ma da amica ci vengo volentieri. Ora vai che ti becchi una nota -
- Gli spasimanti si fanno avanti eh? - chiese Sergio affiancandosi alla mora non appena il ragazzino se ne fu andato - Posso invitarti a bere un caffè tesoro? Magari ci metto qualcosa di alcolico, ti faccio ubriacare...poi ti porto a casa mia e ti violento - disse il biondo imitando la voce di Al.
- Ah lo sai com’è fatto Al; continua a provare benché io continui a dire no. A proposito biondastro...non hai trovato ancora nessuna? -   
- Lo sai che c’è sempre un posto per te baby - disse il biondo facendole l’occhiolino.
- Dai non sto scherzando. Io so di una persona che è interessata a te...-
- Ah si? Chi è? La conosco? È carina? -
- Si la conosci - rispose Angelica sorridendo.
- Chi è? Sei tu? -
- Ti piacerebbe. E tu sai chi è in fondo in fondo, e non è difficile da capire -
Sergio alzò lo sguardo verso di lui, puntando la ragazza con il dito, e poi picchiettando l’indice sulla tempia.
- Non sono pazza è la verità! -
- È davvero lei? -
- Si...avanti, chiedile di uscire, sono sicura che ti dirà di si -
- Lo farò -
***
La classe uscì dalla porta sul retro, che portava al cortile ricoperto da foglie marroni e gialle, cadute dagli alberi piantati qua e là. Percorsero un piccolo vialetto ricoperto di ghiaia, nascosto da due siepi, che li portarono innanzi all’entrata della palestra.
L’insegnante si avvicinò alla porta dì’entrata, infilò la chiave nella toppa, fece scattare la serratura, e aprì la porta, lasciandoli passare.
La classe percorse un corridoio, i maschi entrarono nella prima porta, mentre le ragazze entrarono nella seconda, qualche metro più in là. Angelica imboccò spedita il corridoio, seguita a ruota dal ragazzo; percorse l’intero corridoio fino alla porta del magazzino, che in realtà, era una stanza per gli attrezzi, ma loro lo chiamavano sempre magazzino. A terra, come al solito, dei materassini blu, accanto alla parete una rastrelliera con diversi attrezzi, abbandonata in un angolo invece, c’era una rete nera, che conteneva all’incirca una quindicina di palloni, e una rastrelliera che reggeva delle aste in legno lunghe più o meno un metro. La ragazza aprì il piccolo armadietto esattamente davanti alla porta, ed afferrò due magliette blu dell’Adidas aderenti, con le solite strisce bianche sulle spalle, ancora nella loro confezione di plastica, ed due paia di pantaloncini bianchi che arrivavano appena sopra al ginocchio. 
- Immagino siano della tua taglia - disse porgendo le due divise al moro.
- Grazie -
- Ora va pure a cambiarti -
Il ragazzo la ringraziò ancora e scomparve dietro la porta dello spogliatoio maschile; mentre lei, sospirando, entrò in quello femminile dove Elisabeth le lanciò in testa una maglietta.
- Che bella accoglienza - disse togliendosi la maglietta dalla testa per poi incrociare lo sguardo di Laura che usciva dallo spogliatoio con il suo seguito.
- Pensavo fossi un intruso - si giustificò l’amica mentre si toglieva felpa e jeans, restando solamente in slip e reggiseno - Certo che c’è freddino...-
- Finchè resti così poco ma sicuro...- disse prendendo posto su una delle panche in legno, cominciando a sbottonarsi la camicia.
- Si ma...- la rossa si bloccò e si voltò lentamente, fulminando Alice, già pronta nella sua divisa, che se la rideva di brutto mentre si asciugava le mani sulla schiena di Elisabeth - ALICE! -
- Quanto sono simpatica vero? -
- Andiamo Alice, lascia che si vesti almeno - disse infilando la maglietta dell’Adidas - Che si prende il raffreddore o peggio - aggiunse togliendosi i jeans.
- Ha parlato la finlandese qua - disse Vittoria, sedendosi accanto a lei, alludendo solo un po’ alla sua chiara carnagione.
- Andiamo non sono così bianca - obbiettò infilandosi i pantaloncini bianchi quasi quanto le sue gambe - Ehm...insomma...- sussurrò infilando le All Star blu.
- Certo che sei bianca! ma almeno insieme possiamo fare la pubblicità del Ringo! - disse Elisabeth infilandosi la maglietta, e accostando la gamba abbronzata alla sua.
- Forza muoviti che dobbiamo andare - sussurrò alzandosi in piedi e aspettando sulla porta con Vittoria ed Alice, mentre la rossa saltellava di qua e di là infilandosi i pantaloncini e le scarpe.
***
- Che ti avevo detto? È uno spettacolo - disse Sergio dandogli una gomitata.
Si voltò, guardando nella stessa direzione del biondo e si sentì leggermente avvampare le guance. Angelica era là, nella sua divisa da ginnastica che aderiva al suo corpo perfetto, sodo e longilineo, le gambe bianche perfette, come se fossero state scolpite nel marmo da uno scultore, i capelli neri le ricadevano sulle spalle dando la sensazione di essere morbidi come seta. La ragazza voltò lo sguardo verso di lui, come se volesse penetrare nella sua anima con i suoi occhi brillanti come due smeraldi; poi rivoltò lo sguardo verso le compagne e le raggiunse sedendosi a terra tra loro.
- Ah, è sempre un piacere vederla così...- disse Andrea - Luca? a letto com’è? -
Il ragazzo dai capelli corvini, seduto lì accanto, si voltò guardando i compagni - Curiosi ragazzi? -
Sentì nuovamente avvampare il viso, e sperò di non arrossire per la piega che aveva preso la discussione.
Fu ancora Andrea a rispondere - Un po’...allora? -
- L’ultima volta, se non ci fermavamo...avremmo potuto rompere il letto -
Gli altri avevano gli occhi spalancati e balbettavano parole sconnesse e senza senso, sussurrando “ma” o “impossibile”.
- Andiamo ragazzi finitela di borbottare su chissà quale argomento - disse l’insegnante di educazione fisica facendo il suo ingresso nella palestra - 20 giri di riscaldamento muoversi! -
La classe sbuffò all’unisono non appena sentì l’ordine dell’insegnante. La prof, dopo che si fu accomodata alla piccola cattedra posta in un angolo della palestra, alzò lo sguardo dal registro e fulminò i ragazzi uno per uno.
- Cos’avete da sbuffare tanto? Di giri ne fate 30, e se vi lamentate ancora, sarà l’insegnante di economia ad accompagnarvi in gita! -
Tutti scattarono in piedi e cominciarono i giri intorno alla palestra; durante la corsa, si affiancò ad Angelica, che si stava legando i capelli con un piccolo nastro blu.
- La divisa è della tua taglia? - chiese la ragazza sorridendogli, raggiante.
- Si grazie, calza a pennello -
- Ti sta bene - disse la mora tornando a fissare davanti a lei.
- Ehm...grazie -
***
- Bene, adesso faremo una cosa un po’ diversa dal solito, sperando che alcune di voi, e per alcune intendo Angelica e Laura, non si ammazzino a vicenda. Oggi faremo delle specie di incontri con il bastone, nel nostro caso, le aste abbandonate nel deposito degli attrezzi - annunciò l’insegnante, facendo mormorare i ragazzi e le ragazze tra di loro - Sh zitti zitti...ragazze contro ragazze e ragazzi contro ragazzi; verrà fatto un sorteggio per decidere chi duellerà contro chi. Sergio, Luca e Davide, mettete il materasso grande al centro della palestra - disse facendo un cenno al materasso di circa quattro metri per quattro e spesso un metro, di un bel rosso fuoco; appoggiato in piedi, contro il muro in fondo alla palestra, e tenuto stretto da diverse corde - Angelica, Elisabeth e Vittoria...andate a prendere 17 aste nel deposito. Forza muoversi! -
Seguita a ruota dalle due amiche, ripercorse il corridoio ed entrò nel magazzino, sedendosi immediatamente su un mucchio di materassini blu.
- Ma è pazza - iniziò Elisabeth superandola e cominciando a passare le aste a Vittoria - Vuole che ci picchiamo a sangue? Soprattutto tu e Laura - aggiunse lanciandole un’occhiata - Che cosa carina. Sarebbe stato meglio dire “Ragazzi, oggi potete picchiarvi a sangue con l’asta di legno. La signorina Vetra e la signorina Mancini si possono anche ammazzare” - continuò la rossa, cominciando a passare le aste anche a lei.
- Sarà divertente invece - rispose girandosi un’asta tra le mani.
- Ah se lo dici tu...io non ne sono molto convinta -
- Ma dai Elisabeth, l’insegnante non può lasciare che questa pazza e quell’altra si azzannino a vicenda come dei cani randagi - si intromise la bionda - Ci siete? Sono 17 giuste giuste? -
- Guarda che so contare - rispose la rossa.
Ripercorsero il corridoio e, giunte di nuovo in palestra, abbandonarono le aste a terra, lanciarono un’occhiata al materasso rosso posto al centro della palestra; e si risedettero tra i compagni.
- Allora ragazzi, le regole: vince chi disarma l’avversario o lo fa cadere dal materasso. Se vedo che qualcuno ci va troppo pesante, verrà eliminato e in più una nota disciplinare e 5 in condotta. Sono stata chiara? Bene, cominciamo con le donne che sembrano agguerrite come Xena...Laura ed Alice -
Alice si voltò verso di lei, che rispose con un sorriso e un occhiolino. La ragazza salì sul materasso, impugnando l’asta, e stringendola ancora più forte, non appena bionda le fu innanzi.
- Poi tocca a Elisabeth e a Rachele - annunciò la professoressa annotando i nomi su un foglietto di carta a mo di tabellone
- Angelica e Giulia, Veronica e Sara e per finire Jennifer e Vittoria; i ragazzi invece Sergio e Nicola, Luca e Davide, Andrea e Matteo, e chi vince dei due andrà contro Federico. Pronte? Partite!  -
Le due cominciavano a muoversi, menando colpi a casaccio.
“ Beh non sembra poi tanto complicato” si ritrovò a pensare, osservando le due compagne che paravano gli affondi, prima lenti, ma poi sempre più veloci, e alternando la difesa all’attacco.
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L’incontro non durò molto, e Laura ne uscì vincitrice dopo aver disarmato, per pura fortuna, Alice. La bionda scese dal “ring” improvvisato, si passò una mano nei capelli lanciandole uno sguardo di fuoco; e poi si avvicinò a Veronica, a Giulia e a Sara, sussurrando piano qualcosa, sperando che nessuno, a parte le tre amiche, potessero sentirla.
- Se siete contro di lei stancatela e lasciatela a me. Quand’è il nostro turno distraete la prof. La conosco fin troppo bene...e anche lei starà al gioco -  
Si stava riferendo a lei, ne era certa. Ghignò tra se e se, sperando di avere un incontro con lei; poi, senza darci tanto peso, diede una pacca ad Elisabeth.
- Vai Eli, che quella la batti ad occhi chiusi -
- Nessuno è alla mia altezza in effetti, anche tu potresti perdere contro di me - di pavoneggiò la rossa girandosi l’asta tra le dita, come fa un ballerino di Tip Tap con il suo bastone; e poi saltò sul materasso, fronteggiando l’avversaria.
Anche questo match non durò molto, infatti, dopo qualche minuto, la rossa ne uscì vincente, dopo aver fatto cadere Rachele fuori dal ring.
- Bene, blocchiamo le donne e facciamo partire Sergio e Nicola -
I ragazzi furono di gran lunga più veloci delle ragazze; e Sergio fece cadere l’avversario fuori dal ring con uno sgambetto. Il biondo aiutò Nicola ad alzarsi, e poi si risedette accanto ad Angelica.
- Luca e Davide -
I due ragazzi si fecero un cenno e salirono sul materasso e cominciarono a spintonarsi cercando di far cadere l’altro fuori dal ring.
Sbuffò di noia in attesa del suo turo, e si sdraiò per terra tra Sergio e Matteo.
- Che belle scarpe tesoro - disse il biondo osservandole le gambe.
- Anche le tue - rispose mettendosi a ridere.
L’incontro si concluse velocemente, e Luca disarmò l’avversario.
- Angelica e Giulia -
“ Bene bene...” Si alzò lentamente tenendo lo sguardo alto e fiero, afferrò l’asta che Elisabeth le porgeva, e saltò sul materasso senza nemmeno un rumore. Si rigirò l’asta tra le mani e la puntò contro l’avversaria.
- Bu! - disse battendo il piede a terra. Le bastò solo quello per far cadere Giulia all’indietro, fuori dal ring.
Scese dal materasso a testa alta, lanciando un’occhiataccia a Laura, seria più che mai, che la mandò a quel paese con un semplice gesto.
Ghignò maligna, passando casualmente accanto alla bionda - Almeno io non vado a farmi fottere - sussurrò.
Laura si alzò di scatto, a pochi centimetri da lei - È una sfida secchiona? -
- È una guerra -
Ritornò a sedersi tra le sue amiche, che le saltarono subito addosso.
- Tu sei la regina...indissolubilmente...indiscutibilmente...tu sei la regina - disse Alice, alzandosi, facendole un piccolo inchino.
- Chiunque avrebbe potuto farlo -
- Vittoria e Jennifer -
- E Vittoria si alza...e vincerà l’incontro spaccando il culo a quella zoccola -
La bionda prese la sua asta e rotolò sul materasso, provando ad imitare la tizia della pubblicità dello Yoga AQ, cantando everybody was kung fu fighting.
Scoppiò a ridere fissando la ragazza sul materasso, e l’avversaria davanti a lei che la osservava con le braccia incrociate.
- Venite radicali liberi che vi faccio un culo così! - concluse con stile la demenza della giornata, e prese a bastonare Jennifer che cadde subito dal materasso.
La bionda scese e diede un cinque a lei, Elisabeth e ad Alice; per poi lasciarsi cadere tra le braccia di Davide. 
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Gli incontri procedevano bene, avevano impiegato soltanto un quarto d’ora; ed ora toccava al secondo giro per le ragazze. Elisabeth era appena stata sconfitta da Laura, ed ora, la rossa si avvicinava sempre di più, tenendo la testa bassa.
 - Non sono riuscita a batterla - disse l’amica sedendosi al suo fianco.
- Angelica e Veronica -
- Ragazze, è il mio turno - sussurrò alzandosi, girandosi l’asta tra le mani, mentre si avvicinava al ring.
Lanciò un’occhiataccia a Laura e saltò sul materasso, mettendosi davanti a Veronica, che ghignava.
Distolse lo sguardo, cercando di non prenderla a pugni per quegli orribili ghigni, ed incrociò lo sguardo di Matteo, che le sorrise.
- Via! - urlò la professoressa soffiando nel fischietto.
Partirono, e cominciarono a studiarsi come se fossero in un vero duello.
Ogni volta che l’insegnante era distratta, Veronica ne approfittava per colpirla scorrettamente allo stomaco o alle gambe. Quasi tutti andavano a vuoto, ma quelle volte che veniva colpita, con la punta dell’asta, tratteneva a stento delle imprecazioni, che facevano sorridere i ragazzi che la osservavano senza mai staccarle gli occhi di dosso.
Veloce come un fulmine, disarmò Veronica, mettendo fine al duello dopo nemmeno tre minuti. Non si prese nemmeno la briga di aiutarla ad alzarsi e scese dal materasso e si sedette tra Elisabeth e Vittoria, portandosi una mano allo stomaco, dove Veronica, l’aveva ripetutamente colpita senza pietà.
- Quella non ci è andata tanto leggero... -
- Pensa quando sarò contro Laura - rispose alzando lo sguardo verso la bionda, che ghignava, contenta come una pasqua.
- E chi lo dice che vai contro Laura? Devi prima battere me - disse Vittoria con un sorriso, dato che era la sua prossima avversaria; e le appoggiò una mano sulla spalla - andiamo...e non risparmiarti perché sono tua amica eh -
Sorrise e salì di nuovo sul ring, aspettando che l’amica facesse la prima mossa.
- Pronta? -
- Lo sono sempre -
La bionda si lanciò alla carica, cercando di colpirla. Sorrise, scansandosi di scatto, dando un piccolo spintone a Vittoria, che cadde fuori dal materasso.
- AHHHHHHHHHHHH!!!!!! NON È GIUSTOOOOOOOO!!!!! -
- Oh si invece! - disse cominciando a ridere.
La bionda si rialzò e la buttò a terra, cominciando a farle il solletico; e lei rideva, divincolandosi, nella speranza che smettesse.
- Dai ragazze! Basta che adesso tocca a Matteo e ad Andrea -
Lei e Vittoria tornarono accanto agli altri, mente i due ragazzi, ormai sul ring, si spintonavano con forza; ed alla fine, Matteo ebbe la meglio dopo pochi secondi.
-  Sergio e Luca -
Il biondo, accanto a lei, si alzò - Guardate il campione all’opera signore -
Scoppiò a ridere - Campione? Tu? -
- Ovviamente - disse lui avvicinandosi al materasso con Luca, e cominciarono a spintonarsi poco dopo.
“ Umani fratello...” sussurrò una voce fredda, che le fece venire i brividi.
“ Giovani...” sussurrò un’altra voce.
“ Freschi...”
Si guardò intorno frenetica, ignorando Elisabeth che la chiamava. Erano demoni, ne era sicura, ormai aveva sviluppato un sesto senso per queste cose.
- Angelica? -
- Che c’è?! - urlò contro l’amica, che la fulminò con lo sguardo.
- Ma che diavolo ti prende? -
- Io...niente...-
- Laura e Angelica - annunciò l’insegnante, mentre nella palestra calò un silenzio tombale.
Lei e l’acerrima nemica si alzarono in piedi; si voltò verso la rossa che la stava trattenendo per i pantaloncini - Quella è completamente fuori, stai attenta -
- Non preoccuparti, al massimo ci prenderemo il cinque in condotta -
Si voltò e salì sull’enorme materasso con un agile balzo; si posizionò davanti alla nemica, restando sulla difensiva, tenendo il braccio destro in avanti mentre quello sinistro leggermente più indietro, stringendo forte i pugni sull’asta, facendo sbiancare le nocche. Laura, invece, impugnava l’asta a caso, quasi imitando la sua posizione.
- Ragazze non ammazzatevi. Via! -
Presero a girarsi intorno, mentre dalla folla, Giulia iniziò a parlare con la sua vocina stridula - Prof? Credo di essermi fatta male alla caviglia quando sono caduta...che cosa faccio? - chiese tenendo la gamba alzata, fingendo di zoppicare.
- Oh vieni, in infermeria ci dovrebbe essere del ghiaccio - disse l’insegnante accompagnandola fino all’entrata della palestra, ma si voltò verso di loro, che non si staccavano gli occhi di dosso, evitando di abbassare la guardia.
- Non azzardatevi a farvi del male, se una di voi scende con il sangue al naso o altro, andrete direttamente dalla preside...tutte e due, per non parlare della nota e del cinque in condotta - disse l’insegnante uscendo con l’alunna.
Rachele corse alla porta, in modo da avvertire Laura, se l’insegnante sarebbe tornata.
- A noi due Angelica - sibilò la bionda.
Parò i primi affondi dell’avversaria, che si facevano sempre più rapidi, e non riusciva a contrattaccare. I ragazzi, escluso Luca, la incitavano con una stupida canzoncina da stadio, e presto si trovarono a cantarla anche Elisabeth, Vittoria ed Alice. Matteo la guardava attento, anche lui impegnato a fare il tifo e lei si voltò verso di lui, distraendosi pochi secondi, come se fosse incantata dai suoi occhi. La bionda approfittò della sua distrazione e la colpì alla spalla sinistra con la punta piatta dell’asta.
Indietreggiò appena portandosi la mano destra alla spalla, trattenendo mille imprecazioni che le affollavano la mente.
- Non sarà un po’ rischioso? Non vorrete di certo finire dalla direttrice - chiese Nicola avvicinandosi un po’ al materasso, ma loro due non lo degnarono nemmeno di una risposta. Un piccolo scatto, e restituì il colpo a Laura, colpendola alla gamba.
- Sei una puttana! - sussurrò la bionda indietreggiando.
- Mai quanto te, sgualdrina! - ribatté in tono freddo cercando di spingerla giù dal materasso, asta contro asta, puntando con forza i piedi. Laura la fece cadere all’indietro colpendola al ginocchio, sempre con la punta dell’asta; la sovrastò con un balzo e la colpì con forza alle costole, che scricchiolarono con un rumore sinistro.
Strinse più forte l’asta trattenendo un gemito; e fece cadere sul materasso l’avversaria, colpendola alla caviglia. Entrambe rimasero così per alcuni secondi, ma si rialzarono fissandosi negli occhi.
***
Matteo osservava incredulo la scena.
- Sembrano due guerriere vero? - gli sussurrò Andrea, in modo che nessuno, a parte lui, potesse sentirlo.
Non rispose, e ritornò a osservare la ragazza, soffermandosi su ogni piccolo dettaglio: come le gocce di sudore che scivolavano lungo la tempia e il collo; gli occhi, che per tutta la mattinata li aveva visti limpidi e gioiosi, ora, se possibile, erano più cupi e minacciosi, e avrebbero messo paura a chiunque. I muscoli tesi, i pugni serrati sull’asta talmente forte che le nocche erano più bianche del normale e i nervi a fior di pelle; poi teneva le labbra socchiuse e faceva dei veloci respiri, che le facevano alzare e abbassare il petto a ritmo costante.
- Perché non le fermate? -
- Ci picchierebbero a morte...e tutte e due sono testarde ed orgogliose... -
***
Laura scattò all’improvviso colpendole il ginocchio; e contrattaccò subito dopo colpendole la gamba, facendola cadere di nuovo a terra. Si avvicinò, pronta a disarmarla, ma l’avversaria scattò nuovamente, facendole lo sgambetto.
“ Andiamo Angelica, ammazzi demoni! Anche se...Laura potrebbe entrare benissimo nella categoria A” pensò sollevandosi leggermente sui gomiti, ansimando, cercando in tutti i modi di alzarsi.
Laura, invece, era già al suo fianco, la girò con un calcio e la colpì un paio di volte alle costole.
La vista era sfuocata per via del sudore che le cadeva sugli occhi e per il dolore lancinante; socchiuse gli occhi per via di altri colpi e fissò intensamente la superficie del materasso. I suoni giungevano ovattati alle sue orecchie, ma riuscì a distinguere la voce di Rachele, che avvisava Laura del ritorno dell’insegnante.
Si fece forza e spintonò l’avversaria indietro; si alzò in piedi stringendo i denti e tornò a battersi lealmente con la bionda.
- Ah brave, vedo che siete tutte intere - disse la professoressa tornando a sedersi alla sua cattedra.
“ Intera non proprio, penso di avere un pezzo di costola nel polmone ma non è grave...” pensò in tono ironico. Con le ultime forze, spintonò Laura fino al bordo del materasso - Sei solo in grado di giocare sporco vero? - le sussurrò.
- Intanto credo di aver vinto questa battaglia...- ghignò lei mentre finì, con un tonfo, seduta per terra fuori dal ring.
- Non hai ancora vinto la guerra - rispose a tono puntandole contro l’asta.
Laura alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi grigi su di lei - Ma finirà presto...- disse facendo un cenno verso la direzione di Matteo.
Scese dal materasso usando l’asta, come se fosse un bastone, per sorreggersi; subito fu affiancata da Elisabeth, Matteo, Vittoria ed Alice, che la tempestarono di domande.
- Ma respirate di tanto in tanto quando parlate...o avete delle batterie nella schiena? - chiese sorridendo, nonostante la situazione, togliendo il nastro che le legava i capelli - Sto bene, non è niente...Prof? Posso andare a bere? -
- Si certo, vai pure - acconsentì l’insegnante mentre completava il tabellone.
- Prof posso andare anch’io? - urlò Elisabeth mentre la tratteneva per un braccio.
- Si vai...-
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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Percorsero lentamente il corridoio, e la rossa la sorreggeva, tenendole un braccio attorno alla vita.
- Non sai quante parolacce che ti vorrei dire in questo momento - cominciò Elisabeth aprendo la porta dello spogliatoio con un calcio.
- Beh dimmele no? - rispose in tono glaciale, sdraiandosi sulle panche in legno.
- Ma porca puttana Angelica! Se ti scopriva? E poi avresti potuto farti male sul serio! Lei non ci è andata tanto leggera come hai fatto tu, l’avrai notato no? Immagino di si, dato che avrai lo stampo dell’asta nelle costole!  E non mi sorprenderò se ci sarà anche la marca sopra!! Potevi difenderti cazzo! Reagire! -
- Pensi davvero che non mi sia difesa? Ho fatto quello che ho potuto! -
Elisabeth sospirò e si sedette sulla panca accanto all’amica - Fa vedere -
- Non è niente, lascia stare -
- Ti ho detto di farmi vedere -
Si sedette e fissò l’amica - Sto bene. Perché non mi credi? -
- Perché alcune volte le tue bugie sembrano la verità, ma lo sai che io non ci casco -
Sbuffò, e si alzò la maglietta fino alle costole, dove non c’erano lividi - Visto? Non ho niente -
- Vedrai domani che bel segno viola che ti spunta, e lo stesso vale per il ginocchio - disse la rossa afferrando una bottiglietta d’acqua e bevendone un po’ - Ce la fai a stare in piedi? - aggiunse l’amica porgendole la bottiglietta.
- Si - sussurrò bevendo anche lei.
- Allora alzati -
Alzò lo sguardo, appoggiando la bottiglietta d’acqua da una parte - Mi alzo quando mi pare -
- Non ce la fai a stare in piedi -
“Eddai, ammazzo demoni, cosa vuoi che siano un paio di bastonate?” - Si invece -
- Bene - disse Elisabeth avvicinandosi alla porta, allargando le braccia - Dai, dimostralo -
Distolse lo sguardo con un ghigno sul volto - E se non volessi dimostrare niente? - sussurrò.
- Allora ti direi che sei una codarda -
Elisabeth aveva toccato il suo punto debole - Non chiamarmi codarda -
- Perché non lo sei? -
Si alzò in piedi di scatto, ignorando il ginocchio dolorante - No! - urlò.  
- Allora datti una mossa -
Sbuffò, cercando di far sbollire la rabbia - Sai essere bastarda quando ti impegni sai? -
- Lo so -
Sorrise e iniziò a camminare lentamente verso l’amica, senza nemmeno zoppicare - Contenta? -
- Molto -
Entrambe uscirono dallo spogliatoio, e ritornarono in palestra, dove c’era Matteo che, dopo aver buttato l’asta a terra, dava un cinque a Sergio.
- Ah Matteo scusa...era il tuo incontro vero? - chiese Elisabeth al suo fianco, non appena raggiunsero la compagnia.
- Si, e ho vinto...e adesso andrò contro Luca -
- Ragazzi! Ho un’idea per rendere tutto più divertente...e abbiamo un po’ di tempo. Adesso, il vincitore dei maschi andrà contro Angelica, vi va bene? - chiese l’insegnante.
Tutti annuirono all’unisono, mentre lei abbassò la testa, lasciandosi sfuggire delle imprecazioni.
- Cazzo...Matteo, ti prego, batti Luca...non ho voglia di misurarmi contro di lui -
- Ma dopo dovrai duellare contro di me - disse il moro sorridendole.
- Oh, duellerò con te con molto piacere...ora vai -
Lei ed Elisabeth si sedettero accanto alle altre due compagne, che cominciarono a tempestarla di domande.
- Perché ti sei distratta a quel punto? - chiese Vittoria all’improvviso.
- Beh io...-
- Era troppo impegnata a guardare Matteo immagino - rispose Alice - anche lui ti guardava...non ti staccava gli occhi di dosso, ti faceva la radiografia... -
- Ma cosa...diavolo state dicendo? - chiese sorridendo, cercando di nascondere il rossore alle guance.
- Non sei al corrente di questa faccenda eh? Magari non riesci a immagazzinare informazioni perché in questo momento sei troppo impegnata a guardarlo - continuò Vittoria prendendo un aggeggio dalla tasca e cominciando a registrare le sue parole.
Non la stava ascoltando, si era incantata a guardare Matteo sul ring che affrontava Luca.
- Eh già, potremmo dire qualunque cosa in questo momento, come...mmm...magari vi sposerete e avrete un bambino carino con gli occhi blu e i capelli neri, o magari una bambina dai capelli castani e gli occhi verdi. Poi vi comprerete un cane o un gatto, e lo chiamerete Harry magari. Vero Angelica? -
- Cosa? Ah si - disse fingendo di aver seguito il discorso.
- E gli chiederai di uscire? Terrai aggiornate le tue amiche sulla tua vita sessuale? Eh? - chiese Alice, bastarda come non mai.
- Uhm? Si si certo -
- Angelica sveglia! -
- Ti sto ascoltando! - rispose - Parlavi del...ehm...gatto? -
Vittoria riavvolse la registrazione, e le fece ascoltare tutto il discorso, diventando immediatamente rossa - Quanto siete bastarde, davvero...non ho parole -
La rossa diede una pacca sulla spalla - Andiamo, lasciatela stare -
- AHIA! Elisabeth! - urlò portandosi una mano alla spalla sinistra.
Tutti si erano voltati, persino Matteo distolse lo sguardo, e venne disarmato da Luca.
- Eli cazzo, adesso mi tocca affrontare anche Luca - sussurrò.
- Oddio scusa scusa...beh, non potrà molestarti no? -
- Bene, il vincitore è Luca e affronterà Angelica - annunciò l’insegnante - Ma non c’è molto tempo. Volete cominciare comunque? Io devo andare a consegnare il registro e poi devo scappare. Non vi fate del male vero? -
- Tranquilla prof, quando abbiamo finito segniamo il risultato sul foglio - suggerì Luca in tono gentile che non gli apparteneva.
- Ah, bene allora, gli altri possono andare a cambiarsi - disse l’insegnante uscendo, ma nessuno si mosse.
Afferrò la sua asta abbandonata a terra, e saltò sul materasso, portandosi una mano alle costole; poi si mise in posizione davanti al ragazzo.
- Vieni da paparino - disse lui.
- Perché non vieni tu da mammina? - rispose fredda.
Lui ghignò e si avventò su di lei cominciando il combattimento.
Luca era di gran lunga più forte di lei, ma non si lasciò trascinare a terra e cercava di respingere la sua asta, che si muoveva veloce, mancandola ogni volta per un soffio. D’un tratto, lui le afferrò le spalle, e la fece cadere all’indietro sul materasso, sovrastandola con il suo corpo.
- Te l’ha mai detto nessuno che le donne non vanno toccate? -
- Ma tu non sei una donna...sei una gatta selvatica -
Si sentì tutto il peso del ragazzo sul petto, ma non si mosse.  
- Che fai? Non ti liberi? - chiese lui con un ghigno, cominciando ad accarezzarle il fianco sotto la t-shirt.
A quel gesto, prese a divincolarsi cercando di liberarsi, ma senza successo - Toglimi le mani di dosso -
- Mi sembra che non ti dispiaccia che ti tocchi, altrimenti ti saresti già liberata...- disse lui passando ad accarezzarle la schiena, sfiorando il gancetto del reggiseno.
Nella palestra erano rimasti soltanto Elisabeth, Vittoria, Alice, Davide, Federico, Laura, che non si sarebbe persa lo spettacolo per nulla al mondo, e Sergio che tratteneva Matteo, leggermente su di giri, evitando che picchiasse Luca fino alla morte.
- Mi sarei già liberata, se non fosse stato per le botte ricevute dalla stronza della tua amichetta con cui vai a letto -
La bionda a quell’affermazione si alzò e si diresse negli spogliatoi senza dire una parola.
- Lo sai che non mi interessa - disse lui avvicinandosi ancora di più, appoggiando le labbra sul suo collo bianco - è te che voglio -
- Hai avuto la tua occasione, non mi avrai più...e smettila di toccarmi! - urlò spingendo via il moro, finchè non raggiunse l’orlo del materasso. Luca si rialzò immediatamente e prese a ridere in tono gelido, mentre lei cercava di alzarsi in piedi, tenendo l’asta puntata contro di lui.
- Ma cosa credi di fare? Non sei nemmeno in grado di reggerti in piedi - disse lui, mentre lei si alzava del tutto, tenendo la gamba destra leggermente alzata, per via del ginocchio dolorante.  
“ Ha ragione Angelica, rinuncia all’orgoglio e ritirati. No, picchialo per tutto il male che ti ha fatto. Lascia perdere e ritirati. Dovresti pestarlo a sangue” scrollò la testa cercando di allontanare dalla sua mente la vocina buona e quella cattiva.
- Sei una stupida, se pensi che ti lasci andare -
Il moro si scaraventò ancora su di lei, schiacciandola di nuovo sotto il suo peso, tenendole bloccate le spalle con l’asta; si divincolava in qualsiasi modo, cercando di liberare la spalla sinistra, che le faceva annebbiare la vista ogni volta che lui aumentava la stretta, e si trattenne dall’urlare, per le costole che scricchiolavano.
- Avanti, non reagisci? -
- No...mi arrendo - sussurrò piano mentre chiudeva lentamente gli occhi.
Luca sorrise, le strappò l’asta dalle mani e la gettò oltre il materasso; si avvicinò ancora di più al suo viso e la baciò sulla guancia; poi di scatto, scese dal materasso.
***
Luca, dopo avergli lanciato un’occhiataccia, sparì oltre il corridoio degli spogliatoi. Sentì la presa di Sergio affievolirsi, finchè non lo lasciò del tutto; e partì di corsa verso la ragazza mora, che ora sedeva sul bordo del materasso che si massaggiava la spalla.
Angelica alzò lo sguardo su di lui; ora i suoi occhi erano tristi e spenti, e si ritrovò a pensare che era stupenda, benché fosse infelice. Lei riabbassò lo sguardo dopo pochi secondi, passandosi una mano nei capelli.
***
- Tutto bene? - chiese Matteo preoccupato, quasi quanto un amico che la conosceva da anni. Alzò di nuovo lo sguardo, e fece un falso sorriso.
- Certo, ma adesso dovrei andare a cambiarmi - rispose cercando di alzarsi in piedi, ma ricadendo con un tonfo sul materasso.
- Aspetta, ti do una mano... -
- No, ce la faccio da sola grazie - rispose ancora alzandosi del tutto e, tenendo lo sguardo alto quasi in modo regale, si allontanò, percorrendo velocemente il corridoio, fino allo spogliatoio femminile.
Aprì la porta con un sospiro, massaggiandosi la spalla; si sedette sulla panca e si sfilò lentamente la maglia della divisa, lasciando intravedere un piccolo alone nero sulle costole, uno sulla spalle e uno, meno marcato degli altri, sullo stomaco. Sbuffò un’altra volta e gettò la t-shirt nello zaino di ginnastica, senza curarsi di piegarla.
La porta si aprì con un cigolio, e le tre amiche fecero capolino nello spogliatoio; Angelica non vi badò, si diresse nel bagno adiacente allo spogliatoio si sciacquò il viso imperlato di sudore, poi ritornò nello spogliatoio sedendosi sulla panca, prendendo la camicia ed iniziando ad abbottonarla lentamente. Elisabeth, Vittoria ed Alice, restando in silenzio, iniziarono a cambiarsi.
- Angelica? vuoi un passaggio a casa? - chiese la rossa indossando il suo maglione.
- No, prendo l’autobus - disse sfilandosi i pantaloncini bianchi, che finirono nello zaino insieme alle All Star blu, e poi infilò i suoi jeans.
- Anche se è fra...- insistette l’amica guardando l’orologio appeso nello spogliatoio - un’ora? -
La mora alzò lo sguardo dalle scarpe che stava allacciando, sorrise alla rossa e si alzò in piedi, mettendosi lo zaino di educazione fisica in spalla - Ci vediamo domani - disse e, senza aspettare una risposta, uscì.
***
Bussarono alla porta, e alzò lo sguardo non appena sentì la sua voce.
- Ciao ragazzi, ci vediamo domani -
Fu Sergio a rispondere per tutti - Ciao Angi, a domani -
Si rivestì di corsa, sotto lo sguardo del biondo - Hai fretta Matteo? -
- No perché? -
- Niente, sembri uno che si affanna a sbrigarsi per non perdere l’aereo -
- Ci...vediamo domani eh? Ciao Sergio - disse infilandosi il maglione e, tenendo sotto braccio le due divise, uscì di corsa cercando di raggiungerla.
- Matteo? Matteo aspetta un secondo! -
Si voltò e vide Elisabeth che gli correva incontro.
- Vai di fretta? -
- Beh...in teoria no -
- Ti rubo un minuto eh - disse la rossa, frugando nella tasca dello zaino, ed estraendo una penna blu.
Gli afferrò il braccio, gli tirò su la manica del maglione, e cominciò a scrivere - Guarda faccio come le zoccole nei film che scrivono il numero di telefono con il rossetto -
Staccò la penna ed osservò i due indirizzi e-mail e uno smile sorridente.
- Il contatto msn mio e di Angelica -
- Ma sei sicura che...-
- Oh non le dispiacerà, tranquillo -
- Va bene, ci sentiamo -
- Ciao -
______________________________________________________

Ormai la cercava da dieci minuti, ma di lei non c’era nemmeno l’ombra. S’incamminò verso la classe per recuperare lo zaino, vi infilò dentro le due divise, chiuse la cerniera e se lo mise in spalla.  
Camminava tranquillo per il corridoio, guardando a destra e a sinistra; si bloccò all’improvviso davanti alla porta dell’aula di musica, sentendo che qualcuno suonava il pianoforte. La porta era socchiusa, e si avvicinò, spiando dal piccolo spazio.
Angelica era seduta al pianoforte, le sue dita si muovevano velocemente, accarezzando lievemente i tasti. Ne osservava i movimenti, rapito dall’armonia dei gesti, soffermandosi a guardare il volto della ragazza. Gli occhi verdi celati dalle lunghe ciglia, le labbra appena socchiuse e quei boccoli neri che le ricadevano morbidi come seta sulle spalle. Era così preso da quell’incalzante melodia che si trovò costretto a trattenere il fiato per gioire appieno di tutta la sua bellezza; socchiudendo gli occhi, lasciando che le note lo cullassero; i sensi inebriati da quel suonare così geniale, così perfetto…
- Waking up I see that everything is ok     
The first time in my life and now it's so great     
Slowing down I look around and I am so amazed     
I think about the little things that make life great     
I wouldn't change a thing about it     
This is the best feeling… -     
This innocence is brilliant, I hope that it will stay    
This moment is perfect, please don't go away, I need you now     
And I'll hold on to it, don't you let it pass you by… -     


Angelica si alzò in piedi stiracchiandosi le braccia - Matteo puoi anche entrare invece di stare dietro la porta - disse poi alzando lo sguardo verso la porta con un sorriso, mentre si massaggiava la spalla.
“ Come avrà fatto a sentirmi?” pensò restando immobile dietro la porta.
- Matteo, sento il tuo respiro...-
Entrò chiudendosi la porta alle spalle - Scusami, non volevo origliare -
- Figurati -
- Che cosa ci fai ancora qui? - chiese cercando di alleviare l’imbarazzo di poco fa.
- Il mio autobus passa tra un po’...e mi sono trattenuta per suonare...tu invece? - chiese la ragazza con un’alzata di spalle.
- Il mio autobus passa più tardi, e stavo girovagando nel vuoto per la scuola, quando ho sentito che cantavi... -
- Ah...ehm...vuoi unirti a me? - chiese la ragazza.
Lui si avvicinò guardandola in quegli occhi, così magnetici che per tutto il tempo in cui si avvicinò non riuscì a distogliere lo sguardo. Arrivò al suo fianco e lei si spostò appena facendogli un po’ di spazio sullo sgabello, poi alzò di nuovo lo sguardo su Matteo, ancora in piedi che la fissava imbambolato.
- Beh? Ti puoi sedere - disse la mora con un sorriso.
Si riscosse e si sedette accanto a lei - Cosa suoni? -
- Mmm...vediamo...la conosci questa? -
Angelica iniziò a sfiorare i tasti del pianoforte con le dita bianche, come se lo accarezzasse. Poche note melodiche, chiare, limpide...come i suoi  occhi verdi. Sorrise - Hurt -
La mora si fermò sorridendogli.
- Sai anche le parole? - chiese speranzoso.
- Non credo che... -
- Ti prego...canta -
- Ah…ok - disse passandosi una mano nei capelli.
Le sue dita ricominciarono a danzare suo tasti bianchi e neri del piano; chiuse gli occhi schiudendo appena le labbra.
- Seems like it was yesterday when I saw your face
You told me how proud you were but I walked away
If only I knew what I know today
I would hold you in my arms
I would take the pain away
Thank you for all you've done
Forgive all your mistakes
There's nothing I wouldn't do
To hear your voice again
Sometimes I want to call you but I know you won't be there
I'm sorry for blaming you for everything I just couldn't do
And I've hurt myself by hurting you -
***
Bussarono all’improvviso alla porta e sussultò, ritrasse poi le mani dal pianoforte, e le portò alle costole - Si? -
Una bidella gentile apparve sulla porta, con la divisa azzurra, i capelli rossi scompigliati e un paio di occhiali sul naso.
- Mi dispiace interromperti Angelica, ma se non ti muovi perderai l’autobus -
Osservò l’orologio appeso appena sopra la cattedra - Cavolo...- disse alzandosi e mettendosi in spalla lo zaino abbandonato sotto al pianoforte -...grazie - disse ancora rivolta alla bidella che scomparve di nuovo dietro la porta.
Anche Matteo si alzò e si mise in spalla il suo zaino - Andiamo alla fermata insieme? -
- Certo - rispose la ragazza con un sorriso.


Camminarono lentamente, entrambi in silenzio. Lei, di tanto in tanto guardava il ragazzo di sottecchi.
- Tu prendi sempre l’autobus? - chiese lui interrompendo l’imbarazzante silenzio.
- Solo alcune volte - sussurrò mettendosi le mani in tasca - Abiti lontano da qui? -
- Abbastanza -
- Immagino che sarai un po’ disorientato -
- Solo un po’ - rispose sorridendole.
Arrivarono nei pressi di una piccola piazzetta. Al centro spiccava una piccola fontanella, e qualche panchina disseminata di qua e di là, all’ombra dei due grandi tigli, ormai, senza nessuna foglia sui rami.
Superarono la piccola piazza, e si avvicinarono alla fermata dell’autobus che si affacciava sulla strada principale, dove le macchine correvano veloci.
Il telefono, nella tasca della giacca, prese a vibrare, lo afferrò e guardò il display: “Casa”
Sospirò e guardò il ragazzo - Scusa un secondo -
Rispose e si portò l’aggeggio all’orecchio - Che c’è? -
- Tra quanto torni? - chiese sua madre, andando diritta al sodo.
- Mamma, sono cinque anni che vengo a casa all’una e mezza, e tu mi chiedi a che ora vengo a casa? -
- Guarda che qui ha cominciato a piovere di brutto -
- Sono già arrivata alla fermata, e poi cosa vuoi che mi faccia un po’ di pioggia? -
- Dopo ti ammali e vuoi andare a scuola lo stesso -
Sospirò “ In effetti ha ragione” - Ok ok a dopo -
Riagganciò, infilando di nuovo il cellulare in tasca.
Guardò Matteo che osservava una coppia dall’altra parte della strada, che si insultava in dialetto.
- Fanno tutti così quando litigano? -
Rise - Ce ne sono alcuni che sono davvero fantastici. Dovrebbero metterli su Youtube -
Un altro cellulare suonò, e vide Matteo cercare nelle tasche - Di solito non suona mai - si scusò lui - Pronto? Chi parla? No, non sono suo marito. No, non mi chiamo Giuseppe e non ho nemmeno settant’anni. Senta signora io non lo conosco nemmeno questo Giuseppe. Come ho fatto ad avere il suo cellulare? È il mio! No, non l’ho rubato, l’ho comprato onestamente in negozio come fanno tutti -
Scoppiò a ridere, guardando il ragazzo.
- Non so cosa dirle, provi a rifare il numero. Arrivederci -
Matteo la guardò sorridendo - Una gentile signora che aveva sbagliato numero -
- L’avevo sospettato -
Si voltò di scatto, sospirando non appena vide l’autobus rallentare.
- Beh, ci vediamo - sussurrò voltandosi verso il ragazzo.
Salì, non appena l’autobus si bloccò davanti a lei, e, voltando appena la testa, si sorprese di vedere Matteo dietro di lei
- Ehi, mi stai pedinando? -
Lui sorrise solamente, e si sedettero agli ultimi posti, fortunatamente, ancora liberi.
L’autobus ripartì, ed estrasse l’mp3 dallo zaino, mettendosi le cuffie nelle orecchie, ed accendendo l’aggeggio. Si abbandonò completamente sul sedile, sfinita, ed osservò il cielo, dall’altra parte del finestrino.
Dei grossi nuvoloni grigi correvano a più non posso, coprendo per pochi secondi il sole, ancora alto nel cielo; poi si voltò ad osservare le solite case, che vedeva ogni santo giorno. Sui gradini e sulle tegole dei tetti cominciarono a cadere dei grossi goccioloni di pioggia; la gente, che poco prima, camminava tranquillamente sui marciapiedi, adesso correva a più non posso, nella speranza di ritornare a casa in tempo e di non bagnarsi da capo a piedi.
Voltò appena lo sguardo e, senza farsi notare, lanciò un’occhiata a Matteo, anche lui osservava fuori dal finestrino, mentre ascoltava la musica del suo Ipod, e picchiettava l’indice sulle ginocchia.
Si voltò di nuovo, schioccando appena il collo e chiuse gli occhi, tenendosi una mano sul fianco.


Sussultò non appena l’autobus si bloccò. Si diede della stupida per essersi incantata, poi si alzò  lentamente, mettendosi lo zaino sulle spalle; e, quando scese, non si sorprese di vedere ancora Matteo.
- Io sono ancora del parere che mi stai pedinando -
Lui alzò le spalle e sorrise - Solo coincidenze...io abito nella via subito dopo l’angolo -
- Stai scherzando? -
- No perché? -
- Per caso casa tua è quella villa dove ci sono cinque camion per il trasloco? -
- Si...ma come...-
- Perché è esattamente davanti alla mia -
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Si fermò davanti al cancelletto di casa sua, voltandosi verso il ragazzo, che si apprestava ad attraversare la strada.
- Ci vediamo -
Matteo alzò la mano per salutarla, e si allontanò.
Sospirò ed entrò in casa, sorprendendosi del silenzio; di solito la madre accendeva Michael Jackson e faceva il moonwalker per il corridoio.
- Mamma? - chiamò chiudendosi la porta d’entrata alle spalle - Mamma, sei in casa? -
- AU!!!! I FEEL GOOD!!! NA NA NA NA NA NA NA!! -
Non poté fare a meno di spalancare la bocca alla vista della madre, in cima alle scale, in ginocchio che fingeva di suonare la chitarra, i capelli neri legati in una coda e gli occhi verdi puntati su di lei.
- MAMMA!! -
- Cavolo tesoro, anche tu dovresti scioglierti un po’ -
- Io mi sciolgo quando mi pare - disse in tono freddo salendo le scale, entrando poi nella sua stanza.
La sua camera non era grandissima, ma ci stava il minimo indispensabile; un letto ad una piazza e mezza, che ci stava per miracolo, una scrivania in legno davanti alla finestra; poi, fissate al muro, c’erano diverse mensole, colme di libri, e per concludere un armadio, anch’esso in legno, fatto su misura per quel poco posto che restava.
- MAMMA!! VUOI SPEGNERE LA MUSICA?!?!?! - urlò, spaventandosi a morte non appena sua madre passò davanti al corridoio trascinando un trolley con un sorriso sulle labbra.
- Angelica tesoro, chi era quel bel ragazzo con te? -
“ Che fa? Mi spia?” - Un...nuovo compagno di scuola -
- Ah...forse è il figlio della signora Dall’Angelo - disse sua madre, alzando ancora di più la musica.
- La conosci? - chiese sdraiandosi poi sul letto.
-  Io e tuo padre ci siamo presentati questa mattina - disse la madre dall’altra parte del corridoio.
- Ma che diavolo stai facendo?!? Con questa dannata musica vecchia antenata!!! -
Nemmeno il tempo di aggiungere altro, che la madre accese la canzone Single Ladies di Beyoncé.
- MAMMA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! -
Sua madre spense immediatamente la musica - Tesoro, io e il papà dobbiamo partire ricordi? -
- Ah già - disse mettendosi a sedere, afferrando il computer portatile, abbandonato sulla scrivania.
- Lo so Angelica che sentirai la nostra mancanza in questi tre lunghissimi mesi - disse entusiasta la madre passando ancora per il corridoio.
- Già... - sussurrò la ragazza aprendo il portatile e aprendo Messenger.
- Vedi di non bruciarmi la cucina... -  
- Ah ah...spiritosa - disse fissando il corridoio dove la madre, passava per l’ennesima volta, abbracciando una montagna di vestiti.
Per quanto fosse brava nello studio, non riusciva proprio a cucinare, bruciava qualunque cosa; lei e la cucina sono come il polo positivo e quello negativo: si respingono a vicenda.
Ritornò a guardare il computer, e notò Elisabeth online.
    Elisabeth scrive: Ehi Angi, guarda che venerdì abbiamo organizzato una “rimpatriata” a casa di Alice, vieni?
Si affrettò a rispondere.
    Angelica scrive: Certo che vengo!
    Elisabeth scrive: Ah...puoi invitare chi vuoi  
    Angelica scrive: C’è qualcosa dietro quella faccina che non mi convince...
    Elisabeth scrive: Muahhhhhhhhh  
    Angelica scrive: Ancora non capisco...
    Elisabeth scrive: Puoi invitare qualcuno se vuoi...qualcuno...che magari si chiama...Matteo?
    Angelica scrive: D’accordo glielo chiederò...dato che abita davanti a casa mia...
    Elisabeth scrive: WHAT??  
    Angelica scrive: Ah...l’ho appena scoperto anch’io...
    Elisabeth scrive: COME DAVANTI A CASA TUA?!?!?!
    Angelica scrive: Nel senso che casa sua è dall’altra parte della strada esattamente davanti alla mia...
    Elisabeth scrive: Le cose si mettono bene  ...per te naturalmente.  
    Angelica scrive: Scusa...ora vado a mangiare qualcosa. Ci vediamo domani...al solito posto ;) o più tardi se sei online
    Elisabeth scrive: D’accordo ;) Ciao ciao.
La mora chiuse msn, e lasciò il computer acceso sul letto. Si sdraiò un attimo e cominciò a fissare il soffitto, respirando rumorosamente.
 - Tesoro? Che hai? Sei stanca? -
“ Se sapesse che io e Laura ci siamo prese a bastonate...” - No, stavo solo pensando...-
- Sempre a pensare ai ragazzi - sospirò la madre, comparsa improvvisamente sulla porta, appoggiando un braccio allo stipite - La mia bambina cresce, sta diventando una donna, non bella quanto sua madre, però...meglio di niente -
- Caspita mamma, la tua modestia è indescrivibile - disse alzandosi di scatto - Ora scusa, ma vado a mangiare -
- Ma non c’è niente di pronto -
- Infatti cucino io -
Sua madre prese a ridere come una serial killer psicopatica - Scherzi vero? -
- No - sussurrò scendendo la rampa di scale ed entrando in cucina - A noi due...-
Prese una pentola e la riempì d’acqua e la mise sui fornelli. Quando bollì, vi gettò dentro una manciata di riso.
“ Non è poi così male...” pensò mescolando il riso nella pentola “Anche se ho la strana sensazione di aver dimenticato qualcosa...”
Il riso fu pronto, lo mise nel piatto aggiungendo un po’ di burro e il formaggio; lo assaggiò e poi lasciò andare la forchetta passandosi una mano sul volto.   
- Merda...il sale -
Sospirò, e continuò a mangiare.
- Brava la mia Angelica che si fa da mangiare - disse la madre apparsa sulla porta della cucina con i capelli spettinati e gli occhiali leggermente di sbieco - Com’è? -
- Fa schifo - ammise - Ho dimenticato di mettere il sale nell’acqua -
- Ti ci abituerai presto - disse la donna come se fosse una minaccia.
Il campanello suonò, e sua madre saltellò sul posto - È papà! È papà! -
- Mamma, mi dici cos’hai fumato? Che vado a comprarne un po’ anch’io? -
- Non ho fumato niente - le rispose lei aprendo l’enorme porta all’entrata.
Poco dopo entrò un uomo, alto, con un po’ di barba, i capelli scuri e gli occhi dello stesso colore; probabilmente era appena uscito la lavoro dato che indossava una camicia bianca, una cravatta blu e un paio di pantaloni; insomma, il classico abbigliamento di un socio di una grande azienda.
- Ciao tesoro! - la salutò il padre, avvicinandosi a lei ed abbracciandola forte - La mia piccola cucciola dovrà stare a casa da sola -
- Papà, non sono una piccola cucciola - sussurrò staccandosi.
- Ma si che lo sei! -
Si mise le mani sui fianchi, segno che non le rimaneva molta pazienza - Andiamo papà, saprò cavarmela -
- Mi preoccupo di più per la cucina - disse l’uomo - il numero dei vigili del fuoco l’hai memorizzato vero? -
“ So di essere una catastrofe in cucina, ma arrivare a memorizzare il numero dei pompieri, mi sembra un po’ esagerato” pensò - Non ce ne sarà bisogno -
- Scommetto che ordinerà la pizza ogni sera - sussurrò il padre, mentre dava una leggera gomitata alla moglie.
- O fa così, o chiama Elisabeth e provano a cucinare insieme -
- Meglio ordinare una nuova cucina -
- NON BRUCERÒ NIENTE! Ora andate che perdete l’aereo -
Suo padre, con un gesto teatrale, sparì oltre la porta; forse per andare a recuperare le valigie.
Fece per andarsene in camera sua, ma sua madre le afferrò un braccio - Angelica? -
Non rispose, si voltò solamente guardando negli occhi la donna.
- Per quanto riguarda...tu sai cosa...-
- Tu sai cosa, cosa? - domandò confusa.
- Come cosa? Tu sai cosa, ecco cosa. Tesoro! Ormai sei grande, e sai che quando un uomo e una donna si amano...-
La fulminò con lo sguardo - Dove vorresti arrivare? -
- Insomma...mentre noi non ci siamo...la casa...è...VUOTA...e io...non voglio diventare nonna così presto! -
Fortunatamente non poteva guardarsi allo specchio, ma sapeva che era rossa come un pomodoro; le guance bollenti e erano la prova.
- MAMMA!!!! -
- Andiamo tesoro, devi sapere, ad esempio tu sei nata perché...-
- PAPÀ!!!!!!!!!!!!!!!!!! MUOVITI CON QUELLE VALIGIE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! -


I suoi genitori, pronti ad andare, erano fermi all’ingresso, suo padre, carico di valigie e sua madre che trafficava con il suo Ipod.
- Tesoro, noi andiamo -
- Non bruciare tutto - si raccomandò di nuovo sua madre.
- Tranquilli, ora andate -
- Hai per caso fretta di liberarti di noi? -
- In effetti - disse avvicinandosi al padre, abbracciando sia lui sia le valigie, e poi passò a sua madre - Buon viaggio -
I suoi, finalmente, uscirono, e chiuse la porta con un sospiro.
Sparecchiò la tavola in fretta e furia, e ritornò in camera, sdraiandosi lentamente sul letto a pancia in giù; riprese il computer e riaccese msn. Una piccola finestra si aprì non appena eseguì l’accesso: Matteo (matteo_dall’angelo@hotmail.it) Desideri aggiungere questa persona a Messenger? Si. No, grazie”
Si ritrovò a sorridere, e accettò l’invito del ragazzo; che in quel momento era online.
    Matteo scrive: Elisabeth mi ha dato il tuo contatto, spero non ti dispiaccia...
    Angelica scrive: Non mi dispiace affatto...ti ha dato anche il suo?  
    Matteo scrive: Si, ha usato il mio braccio come una lavagnetta  
    Angelica scrive: Non mi sorprende  ...alcune volte quando si annoia in classe mi riempie il braccio di smile e disegnetti.  
    Matteo scrive: Allora me la sono cavata bene  
    Angelica scrive: Poteva andarti peggio...a proposito, venerdì sera andiamo tutti a casa di Alice, vieni?   
    Matteo scrive: Per un film o...
    Angelica scrive: Di solito andiamo la prima, ci ordiniamo una pizza e poi si guarda un film   
    Matteo scrive: A me sta bene! Grazie per l’invito ;)
Si ritrovò a sorridere nuovamente osservando lo smile dell’occhiolino.
“ Cara Angelica...sei partita, te la ridi solamente per uno smile che fa l’occhiolino, fosse almeno lui che te lo fa...ma uno smile”
    Matteo scrive: Bene...mi farai sapere l’ora precisa; ora scusami, ma devo andare...ci sono un mucchio di cose da sistemare...
    Angelica scrive: Lo posso immaginare, vi siete trasferiti questa mattina...  
    Matteo scrive: Ho il computer per metà in una scatola...pensa un po’ che divertente  
    Angelica scrive: Meglio che risistemi tutto allora ;) ci vediamo domani ciao...  
    Matteo scrive: Ciao
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Era sdraiata sul suo letto, con un grosso libro tra le mani, aperto più o meno alla metà. Finendo l’ennesimo capitolo voltò lo sguardo verso la finestra, osservando la pioggia che cadeva e il vento che muoveva le fronde del grande pino, piantato a qualche braccia dalla sua finestra. Chiuse il libro con un tonfo, sbuffando i noia, e lo ripose al suo posto sulla mensola in legno, posta sopra alla scrivania, colma di quaderni, fogli sparsi con qualche nota appuntata sopra, e un libro di scuola, anch’esso aperto, appoggiato sul computer portatile chiuso.
Chiuse libri e quaderni, e li ammassò da una parte assieme agli appunti; si sedette sulla sedia, imprecando a denti stretti non appena, accavallando le gambe, sbatté il ginocchio contro la scrivania. Aprì il pc, lo accese e, dopo qualche minuto di attesa, eseguì l’accesso a Messenger.
Elisabeth, Vittoria, Alice e Sergio erano online.
Si aprì all’improvviso una nuova comunicazione, e si ritrovò a sorridere, leggendo una vecchia canzoncina sulla pioggia che Elisabeth le aveva inviato.
    Elisabeth scrive: Piove, la gatta non si muove, va sotto al letto, trova un confetto...  
Nemmeno il tempo di scrivere qualcosa, che l’amica aveva invitato tutti alla conversazione.
    Sergio scrive: Cavolo, ma c’è la riunione??
    Vittoria scrive: A quanto pare  
    Elisabeth scrive: Almeno parliamo...fuori piove, che altro volete fare?
    Alice scrive: Allora ragazzi...venerdì ci siete tutti?
    Vittoria scrive: Io e Davide veniamo di sicuro
    Sergio scrive: Anch’io! L’ho chiesto anche a Federico, ma deve ancora rispondermi...
    Angelica scrive: Ci sono anch’io  
    Elisabeth scrive: Pure io...ah, mi sono presa la libertà di chiedere ad Angelica di invitare anche Matteo.    
    Alice scrive: E viene?
    Angelica scrive: Si...a che ora ci troviamo da te?
    Alice scrive: Per le 8 vi va bene?
    Sergio scrive: Perfetto  
    Angelica scrive: Io esco, ci vediamo domani...
    Elisabeth scrive: Ma esci con la pioggia??
    Angelica scrive: Si...a domani...
    Alice scrive: Ciao Angi!
    Vittoria scrive: A domani
    Sergio scrive: CIAO TESORO!!!    
Spense il computer e si alzò; si tolse la camicia ed infilò una vecchia felpa con il cappuccio, si mise poi le scarpe, allacciandole strette, afferrò la giacca abbandonata sulla sedia e la infilò lentamente, ignorando il dolore che il livido alla spalla le provocava.
Si mise il cappuccio della felpa sulla testa, coprendole buona parte del viso, afferrò poi le chiavi di casa e si fiondò all’ingresso.
“ Che strano non vedere mia madre che urla durante una crisi post-Beautiful” pensò aprendo la porta e chiudendosela alle spalle con un tonfo.
La passeggiata sotto la pioggia, ormai, era diventata una delle sue strane abitudini; la sensazione delle gocce che le cadevano leggere sulle guance, la facevano sentire bene, come se fosse un tutt’uno con quella poca natura che la circondava.
Attraversò il giardino a grandi passi fino al cancelletto, che aprì con un cigolio sinistro, e richiuse.
La strada era vuota, eccetto per i cinque camion della compagnia di traslochi, davanti alla casa della famiglia Dall’Angelo. Sorrise vedendo Matteo, sotto la pioggia, ormai completamente fradicio che aiuta gli addetti al trasloco, andando avanti e indietro tenendo tra le mani dei grossi scatoloni dall’aria pesante; mentre, accanto a lui, una piccola figura, che teneva in mano un piccolo ombrellino rosso, lo seguiva come un’ombra.
Matteo, nell’afferrare un’altra scatola la notò, e i loro sguardi si incrociarono; lei distolse il suo quasi immediatamente e prese a camminare, abbassandosi ancora di più il cappuccio sul viso.
***
Era ancora lì, immobile, con una scatola tra le braccia, ad osservare la figura che si stava allontanando sotto la pioggia.
- Fratellone? Che cosa stai guardando? -
Lui scosse la testa, togliendosi la figura della ragazza nella sua mente, e si voltò, sorridendo alla piccola bambina.
- Niente Sonia -
Sonia aveva dei lunghi capelli castani che le arrivavano fino alle spalle, lisci come seta, le guance belle rosse, e la bocca curvata in un gran sorriso - Ah sempre a pensare alle ragazze -
- Sonia, sei troppo piccola per queste cose -
- Ho otto anni, mica tre! - esclamò la bambina - La conosci? -
- È una mia compagna di classe -
- Ed è carina? -
- Sonia...- l’ammonì scendendo con un balzo dal camion.
- Che c’è? Ti ho chiesto solo se è carina -
Lui non rispose e percorse velocemente il giardino, seguito dalla sorella.
- Quanto vorrei continuare a leggere il libro che ho appena comprato, peccato che un fratello di mia conoscenza non azzecca mai lo scatolone giusto -
- Ehi, ti ho trovato mezza camera, e i tuoi libri mi stanno uccidendo - disse in un sorriso, appoggiando all’entrata l’ennesimo scatolone.
- I miei non sono libri...sono i libri -
- Va bene va bene - disse aprendo lo scatolone con un taglierino.
- E non hai ancora risposto alla mia domanda - disse Sonia cominciando a frugare tra i libri nello scatolone, estraendo un libro grosso quasi quanto un mattone - Grazie fratellone! L’hai trovato! - esulò la bambina baciandolo sulla guancia.
- Ma che libro è? Non l’ho mai visto - disse.
- Me l’ha comprato la mamma prima di partire da casa - rispose Sonia, mostrandogli la copertina - Le guerre del mondo emerso -
- È un mattone! -  
- Questa è la trilogia completa, e mi piace anche se è un mattone, comunque...allora? questa ragazza? Com’è? Ha i capelli castani? -
- No, neri -
- Gli occhi? -
- Verdi -
- Ha le orecchie a punta? -
- Non sono stato lì a guardare, ma sono sicuro che siano normali -
- Hai guardato se magari ha il marchio nero? -
- Dai Sonia - l’ammonì con un sorriso - Vai a leggere il tuo libro che vado a trovarti le altre cose -
***
Camminava da mezz’ora ormai. Aveva percorso quasi tutto il piccolo paesino, ed era sulla via del ritorno, quando incrociò lo sguardo di un vecchio, fermo sulla soglia di una casa, che indossava una vestaglia bianca.
Si bloccò e lo salutò con una mano.
- Oh ciao Angelica - disse il vecchio con un grande sorriso.
- C’è qualche problema? - chiese.
- Mi sono chiuso fuori. Ma ho lasciato la finestra aperta al piano di sopra, pensi di arrivarci ed aprirmi dall’interno? -
- Certo, nessuno problema - rispose cortese, scavalcando il cancelletto senza difficoltà.
- La tua straordinaria agilità ti precede ragazza mia, mi ricordo ancora quando da piccola ti arrampicavi sul grande pino al parco -
Sorrise e si avvicinò alla grondaia, aggrappandosi per saggiarne la resistenza. La grondaia non emise nemmeno un cigolio, e prese ad arrampicarsi senza difficoltà, appoggiando una mano davanti all’altra, tagliandosi il palmo in un punto dove la lamina di ferro era rotta. Dopo varie imprecazioni, si lanciò verso il balcone, atterrando con un ginocchio abbassato. Si alzò e ed entrò in un piccolo corridoio, attraversando la portafinestra, leggermente socchiusa.
Scese velocemente le scale e si ritrovò in un piccolo soggiorno, arredato con vecchi mobili in legno, sulle quali vi erano appoggiate una miriade di foto, sia in bianco e nero sia a colori; poi c’era una vecchia tv, accesa su un canale di cucina, dove lo chef, preparava chissà cosa con una moltitudine di ingredienti.
Arrivò alla porta d’entrata e l’aprì, per poi sorridere alla vista del vecchio, che le sorrideva a sua volta.
“ Mi daranno il premio - Migliore aiuta anziani di Verona -”
- Grazie mille Angelica - la ringraziò dandole una pacca sulla spalla.
Trattenne a stento un lamento, pensando subito alle mille imprecazioni che potrebbe dire - Si...figuri - sussurrò a denti stretti, uscendo dalla casa, scavalcando poi il cancelletto, trovandosi di nuovo sulla strada.
Sollevò la mano, lasciando che la pioggia togliesse il sangue sul suo palmo; il taglio bruciava, ma strinse i pugni e continuò a camminare, imboccando la via dove abitava.
Matteo era ancora là, ad afferrare scatoloni ed a portarli all’ingresso della casa; sorrise non appena incrociò di nuovo il suo sguardo. Lui ricambiò il sorriso, e le si avvicinò di corsa.
- Che ci fai qua fuori sotto la pioggia? -
- Potrei farti la stessa domanda -
- Touché - esclamò lui con un sorriso - che ti è successo? -
Strinse più forte il pungo e infilò la mano in tasca.
- Niente, solo un taglietto - disse avvicinandosi al cancelletto in ferro battuto di casa sua - Se resti fuori ancora due minuti ti prendi un bel raffreddore...ti va una cioccolata? -
- Volentieri grazie -
Aprì il cancelletto, fece entrare Matteo, lo chiuse di nuovo alle sue spalle e poi, arrivati alla porta d’ingresso, fece la stessa cosa.
- Hai una splendida casa - sussurrò il ragazzo guardandosi intorno.
- Grazie - disse togliendosi la giacca ed appendendola ad un attaccapanni lì vicino.
Lo giudò in cucina, gocciolando dappertutto, facendolo accomodare su una sedia, per poi prendere un piccolo pentolino e una bustina di Ciobar - Come va con il trasloco? Tutto procede bene? - chiese aprendo il frigorifero prendendo una bottiglia di latte.
- C’è una confusione tremenda, mia madre non la smetteva di andare avanti e indietro per la casa -
Rise mentre versava il latte nel pentolino, aggiungendo poi la cioccolata in polvere - Posso immaginarlo, avrete mezza casa chiusa in grossi scatoloni -
- Già, e...-
Matteo venne interrotto dallo squillo di un cellulare - Scusa un secondo - disse lui, frugando nella tasca dei jeans, estraendo poi un cellulare - Pronto? -
Lei prese a preparare la cioccolata, l’unica cosa che sapeva fare, ascoltando di tanto in tanto le parole del ragazzo.
- Sonia che c’è? -
“ Sonia?” pensò, rattristandosi senza alcun motivo “ La sua ragazza?”
- No, non l’ho visto finora l’altro libro...dove sono? A casa di un’amica -
“ Oddio adesso pensa male...”
- Si...Cosa? Perché dovrei? -
Matteo sbuffò e le porse il cellulare - Mia sorella Sonia, vuole parlare con te -
“ Sorella?” - Con...me? -
Lui annuì semplicemente.
- Pronto? - chiese portandosi il cellulare all’orecchio.
- Ciao! Sono Sonia! -
- Ehm, ciao...io mi chiamo Angelica -
- Oh Angelica...che bel nome! Sei una compagna di classe di Matteo vero? -
- Si...-
- Mio fratello è un po’ timido, devi dargli del tempo -
Arrossì di botto, lanciando un’occhiata a Matteo, che si occupava della cioccolata.
- Ah...ehm...-
- Strano vero? Sentirsi dire queste cose da una di otto anni -
- Solo un po’ -
- È stato un piacere conoscerti Angelica, alla prossima - disse la bambina, prima di riattaccare.
Riattaccò a sua volta, porgendo poi il cellulare al ragazzo, prendendo poi due tazze.
- Lo so - disse Matteo versando la cioccolata - è una peste. Cosa ti ha chiesto? -
- Ci...ci siamo...ehm...presentate - disse sedendosi a tavola afferrando la sua tazza, ritraendo subito la mano, guardando il taglio sanguinante - Maledizione - imprecò, alzandosi ed aprendo una credenza in cerca di una benda.
- Stai bene? -
- Si si, non è niente - rispose fasciandosi distrattamente la mano, ritornando poi a sedersi sulla sedia - Oh, quasi dimenticavo, venerdì alle otto - disse sorseggiando la cioccolata calda.
- D’accordo -
Restarono un attimo in silenzio, poi, decise di sparare la prima cazzata che le veniva in mente, rompendo quell’imbarazzante silenzio.
- Da dove venivi, prima di trasferirti qui? -
- Da Milano, poi mia madre ha deciso di cambiare aria, di trovare un posto tranquillo -
Bevette un altro sorso di cioccolata, annuendo appena.
- Tu invece? Il tuo cognome non sembra veneto -
- Oh no, io sono nata qui a Verona, non saprei dirti se vengo da un qualche paesino sperduto dell’Europa -
- Ah beh, pensavo che fossi mezza svizzera, dato che la cioccolata è così buona - disse il ragazzo con un sorriso.
- È un miracolo che riesca a farla, di solito in cucina sono una catastrofe -
Matteo rise finendo la sua cioccolata - Penso di non essermi scusato come si deve per il libro in testa di questa mattina -
- Oh figurati, comunque...- si interruppe non appena il suo cellulare prese a suonare.
Guardò il display e sospirò “ E adesso cosa vorranno?” - Scusa Matteo, ma devo rispondere - sussurrò premendo il tasto di risposta, uscendo dalla cucina.
- Agente 33? -
- Si? - sussurrò lievemente.
- Categoria D -
- Non ho tempo per queste sciocchezze, mandi le matricole e non me -
- Non riescono a vederlo agente -
Sbuffò di noia - Posizione? -
- Viale Garibaldi, nel vicolo cieco in fondo alla strada -
- Non sono armata -
- Ci saranno un paio di agenti ad attenderla -
- D’accordo - riattaccò e ritornò in cucina - Matteo scusami ma devo andare...beh...ci vediamo domani - sussurrò prendendo le due tazze e posandole nel lavello.
- A domani, nel caso...ci sei più tardi su Messenger? - chiese lui fermandosi sulla porta d’entrata.
- Certo, ciao -


Bloccò la moto non appena raggiunse il vicolo in fondo a viale Garibaldi, sfilò il casco, appoggiandolo sulla sella della moto, e si avvicinò all’auto nera, parcheggiata proprio lì accanto, dove, ad attenderla sotto la pioggia, c’erano un paio di agenti, vestiti in modo formale, giacca e cravatta, sembravano dei becchini.
Allungò la mano verso uno di loro, che la guardò male.
- Andiamo matricola, sono nell’agenzia da molto più tempo di te, dammi quella dannata pistola che tieni dietro la schiena -
L’agente rimase di sasso e le porse una Revolver calibro 38; lei l’afferrò e salutò i due agenti con la faccia sconvolta.
“ Mai visto una ragazza ammazza demoni?”
Ghignò e con un gesto fluido, fece scattare il tamburo, ed osservò i proiettili, sistemati al loro posto; controllò che non ci fosse alcun intoppo; non aveva tempo da perdere con un demone di categoria D. Con un altro gesto, lo fece scattare di nuovo, lasciando che ruotasse.
Entrò nel vicolo, bloccando il tamburo della Revolver con l’indice, portandolo poi al grilletto.  
- Andiamo stupido demone, lo so che sei qui -
In fondo al vicolo, quasi completamente buio, brillarono un paio di occhi gialli, tra un paio di cassonetti; poi, subito dopo, una strana creatura sbucò all’improvviso, mostrandole i denti.
- Ci siamo fatti belli oggi? - chiese al demone che camminava goffamente verso di lei, emettendo dei ringhi.
Uno schifoso e sporco demonietto, alto si e no due metri, la bocca aperta dove, dalla sfilza di denti, colava un fiotto di bava di uno strano colore. Le braccia erano innaturalmente lunghe, dato che gli arrivavano fino alle ginocchia, ma non per questo inoffensive; insomma, sembrava ET, solo quattro volte più grosso.
- Direi di no...lo sai che fai davvero schifo? - domandò al demone, girandosi la pistola in mano quasi come gli sceriffi nei vecchi film western. Il demone emise soltanto un cupo ringhio, e le si scaraventò contro.
- D’accordo, facciamo a modo tuo allora - disse schivandolo all’ultimo secondo, ed atterrandolo con un calcio.
La creatura ringhiò ancora, mentre lei gli appoggiava un piede sul collo, premendo con forza - Sei solo un piccolo demonietto - sussurrò puntandogli la pistola in mezzo a quei malvagi occhietti gialli. Sparò più e più volte, finchè il demone non svanì in una nuvola di polvere.
- Vai verso la luce, mi raccomando - sussurrò voltandosi, e tornando verso gli agenti, ancora fermi all’inizio del vicolo.
- Allora? - le chiese un’agente.
- Mi sorprende che non siate in grado ti ammazzare un Categoria D; ah già...non riuscite a vederlo, un vero peccato - disse lanciandogli la pistola - Ci vediamo - disse salendo sulla moto, infilando il casco, e partendo a tutta velocità verso casa, lasciando ancora una volta gli agenti sconvolti.
Pochi minuti, ed era già arrivata a casa. Parcheggiò la moto in garage, appoggiando di nuovo il casco sulla sella.
Salì la scala esterna in parte alla casa, si bloccò sulla porta di casa in cerca delle chiavi.
Aprì piano la porta d’ingresso, che si chiuse subito dopo con un piccolo tonfo. La casa era completamente deserta, i quadri, appesi alle pareti, sembravano guardarla male.
Salì piano le scale e, non appena arrivò nella sua stanza, si tolse scarpe e vestiti, e fece per infilare il pigiama, quando il cellulare prese a suonare.
Lo afferrò e rispose - Ehi Elisabeth -
- Ehi scema, guarda che domani non...eeeetciù!!!!!! non vengo a scuola...-
- Aspetta un secondo che metto il vivavoce -
Dopo aver premuto il tasto per l’auto parlante, lanciò il cellulare sul letto, e si infilò la maglia del pigiama.
- Ma che stai facendo? -
- Mi sto mettendo il pigiama -
- Non quello rosa vero? -
- Perché? Cos’ha? -
- Eeeeeeeeeetciù!!!! Come cos’ha?!? -
- Il mio pigiama è bellissimo -
- Ti mancano solo le pantofole a forma di coniglietto...la prossima volta che le vedo in un negozio te le compro -
- Beh, tu le hai a forma di rana -
- Le mie sono fantastiche, e il mio pigiama è abbinato perché ci sono i ranocchi che ti dicono buona notte -
Sbuffò sonoramente - Che devi dirmi Eli? Vado a prepararmi qualcosa da mangiare e poi mi butto sul divano -
- A preparare da mangiare? Stai bene? Eeeeeeetciù! -
Afferrò il cellulare, e si precipitò in cucina.
- Si, i miei se ne sono andati e devo cavarmela da sola in cucina -
- Ah beh, auguri -
- Tu vedi di guarire dal raffreddore - disse cercando nel frigorifero qualcosa di pronto da infilare nel microonde.
- Io sono una roccia! Comunque...volevo parlarti di...-
- Lui...-
- Si...beh...ecco...e se non mi chiede di uscire? -
- Sono sicura che lo farà presto -
- Ah, beh...per oggi...in palestra con Laura...io sono sicura che non l’hai picchiata tanto forte -
Si bloccò di colpo, voltandosi verso il cellulare, come se l’amica fosse davvero lì - E allora? -
- C’è un motivo? Eeeee....etciù!!!! -
- Si - “E non posso dire niente”
- Importante? -
- Si - “Molto, una cosa che lega me e Laura”
- Va bene, ci sentiamo...etciù...mercoledì, buona cena -
- Se si potrà chiamarla cena... - sussurrò riattaccando il telefono.
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Dopo una cena a base di petto di pollo che non sapeva da niente, anzi, aveva un retrogusto di plastica bruciata; si abbandonò sul divano in soggiorno, osservando il soffitto.
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Ci sono tre strane persone alla porta. Una donna e due uomini, completamente vestiti di nero; e non hanno una faccia affidabile.
- Tu sei Angelica? - mi chiede la donna in tono cortese.  
- Si, sono io - rispondo mentre resto immobile sulla porta.
- Noi sappiamo che puoi vedere i fantasmi -
Non era una domanda, quella donna è certa di quello che ha appena detto. È impossibile, non l’ho detto a nessuno, come possono saperlo?
- No, si sbaglia...non vedo proprio nessun fantasma, vedo solo lei e i suoi due uomini - dico sperando che si levi dalle scatole.
- Lo so che stai mentendo -
- E come può provarlo? - domando incrociando le braccia.
- Con me ho portato solo un Agente, l’altro è un fantasma -
È pazza! Sta dicendo solo cazzate - Non ho altro da aggiungere -
Chiudo la porta, e vado in salotto.
- Ci sono poche persone come te - sussurra una voce.
Mi volto lentamente, e vedo uno dei due uomini davanti alla porta d’entrata. Urlo senza sapere il motivo.
- Non mi mandi via se continui ad urlare -
- Non voglio avere nulla a che fare con voi! Chiunque siate! -
- Con questo dono puoi fare tanto -
- Io non voglio fare tanto! Voglio solo avere una vita normale, una vita senza fantasmi e quelle altre cose che si nascondono nell’ombra! -
Il fantasma sembra pietrificato, non batte ciglio, ma spalanca la bocca - Le cose nell’ombra? -
- Quei strani cosi che ti corrono dietro e sbavano - dico, ovviamente, non mi riferisco ai ragazzini.
- Demoni? -
- Che cazzo ne so! -
- Tu riesci a vedere sia i fantasmi che i demoni? -
- Si, allora? Chiama pure lo psichiatra -
- No, certo che no - dice l’uomo con un sospiro - Tu sei un caso unico...devi entrare nell’Agenzia -
- La mia risposta è no -
- Cambierai idea, anche loro lo sanno -
- Cosa vorresti insinuare? -
- Tu sei un pericolo per loro - mi dice il fantasma - Si sentono vulnerabili contro una persona che riesce a vederli senza usare strane macchine -
- Se pensi di spaventarmi non ci stai riuscendo -
- Saranno loro a farti cambiare idea -
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Sorrise tra se e se. A pochi giorni da quella visita, un demone, fermo all’ingresso di un vicolo buio, aveva incrociato il suo sguardo; e lei era scappata come un coniglio, correndo a perdifiato per piccole stradine, finchè non arrivò a casa, dove ad attenderla, c’era ancora quella donna. Era spaventata a morte, lo ricordava bene; ed alla fine, aveva accettato di entrare a far parte dell’Azienda.
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Lunedì, 28 marzo 2005
Oggi cominciano gli allenamenti. Non si fidano ancora a portarmi all’interno dell’Agenzia, quindi, un paio di agenti mi hanno portata in una palestra pubblica.
- Quando ammazzerai il primo demone ti porteremo all’azienda - mi dice uno dei due tizi, mentre, educatamente, mi apre la porta della palestra.
Mi fermo all’entrata, osservando un ragazzo, seduto al centro della palestra. Ha qualche anno più di me, diciassette forse, ha i capelli di un biondo chiarissimo. Si gira e mi sorride, ed io non posso fare altro che arrossire, e distolgo lo sguardo, non appena mi guarda con i suoi occhi grigi. L’agente dietro di me, mi da una spinta, e non posso che camminare verso il ragazzo, e sedermi accanto a lui.
- Ciao -
- Ciao - rispondo senza guardarlo negli occhi.
- Hanno chiamato anche te? -
- Più che altro si sono presentati a casa mia -
Il ragazzo sembra sorpreso, perche è rimasto letteralmente a bocca aperta - A...a casa tua? Cosa sai fare di tanto formidabile? -
- Non ne vado molto fiera -
- A me puoi dirlo, insomma, siamo entrambi matricole -
Sorrido, non posso farne a meno - Io...vedo i...fantasmi e i demoni -
Spero davvero che il ragazzo non sia svenuto, alzo lo sguardo e gli lancio un’occhiata; ma lui sorride.
- Davvero? -
- Si...-
- Capisco perché si sono presi la briga di venire a casa tua...- dice il ragazzo, tendendo poi la mano verso di me - Io sono Manuel, Manuel Mancini -
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Una lacrima iniziò a scenderle lungo la guancia.
È stato in quel momento che è iniziato tutto, lei e Manuel diventarono grandi amici, scherzavano durante gli allenamenti, dove li facevano combattere l’uno contro l’altro. Dopo l’ammissione all’azienda, loro continuavano a stare insieme; facevano coppia fissa per ogni missione, come nell’ultima. Scostò appena il colletto del pigiama, osservando una piccola cicatrice appena sotto la clavicola. Ricordava bene ogni particolare, una semplice missione. Categoria D, avevano detto.
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- Più tardi cosa facciamo? - mi chiede Manuel, mettendomi un braccio attorno alle spalle.
- No so tu, ma io ho una fame...-
- Pizza? -
- Ci sto -
- Chi non ammazza il demone offre la pizza all’altro -
- Ottimo! Ho fatto bene a non portare il portafogli - dico sorridendo.
Solo pochi mesi dagli allenamenti, ed eravamo già grandi amici, come fratello e sorella. O forse qualcosa di più...
Il demone era in un parco; gli agenti hanno provveduto ad allontanare i civili, lasciandoci carta bianca.
Sguaino la mia arma anti-demone: una katana; una lunga spada, tipica del Giappone, la lama leggermente ricurva come tutte le spade di quel tipo e l’impugnatura a due mani, mi sono affezionata a questa spada, è una delle poche cose che mi fanno sentire viva. Manuel mi guarda sorridendo, estraendo una piccola pistola.
- Hai sentito? - mi chiede non appena un rametto secco si spezzò di colpo.
- Si, è dietro di noi -  
Ci voltiamo di scatto, le armi pronte, la mia spada alzata mentre la Beretta del ragazzo puntata su uno strano demone, con le sembianze umane, è una donna, vestita bianco, i capelli di un rosso acceso e gli occhi dello stesso colore.
L’auricolare inizia a gracchiare e mi porto una mano all’orecchio.
- È un categoria A, andatevene! Arrivano i professionisti -
Panico assoluto. Categoria A. Non è al nostro livello, siamo da pochi mesi nell’Agenzia, e ci siamo scontrati solamente con demoni di categoria E e D.
- Manuel...-
Lui non si muove, tiene gli occhi puntati sulla donna, che sorride, estraendo degli strani pugnali dalla lama ricurva.
Pochi secondi, e sono a terra, tengo gli occhi chiusi, sperando che il corpo sopra al mio non sia il suo, e che il dolore lancinante non fosse uno dei strani pugnali conficcato appena sotto la clavicola.
- Manuel...Manuel...- sussurro e poi vedo il viso della donna, che sorrideva.
- Verrà anche il tuo turno Angelica -
Poi non vedo più niente, solo il buio.
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Si svegliò all’improvviso, e alzò di scatto dal divano imprecando a denti stretti.
Quella scena continuava a tormentarla nel sonno e sembrava non volesse lasciarla in pace.
Si riavvio all’indietro i capelli e sospirò.
Dopo quell’episodio, l’avevano portata all’infermeria dell’Azienda, era stata curata e rimessa in sesto, e poi le diedero la notizia della morte del suo compagno, e della fuga del demone che l’aveva ucciso. Aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola, lo ricordava bene; aveva urlato talmente forte, che l’avevano chiusa in una delle stanze dove imprigionavano i demoni catturati, ancora in vita. La lasciarono là, ad urlare al vento per la morte dell’amico.
Guardò l’ora sul display del cellulare: 21.48; per fortuna si era appisolata solo qualche minuto.
Si alzò del tutto, e si precipitò nella sua stanza, prese il computer, lo accese e si sdraiò sul letto, eseguendo l’accesso a Messenger.
Solo Matteo era online; cliccò due volte sul suo nome, ed aprì una nuova finestra.
    Angelica scrive: Ancora qui a quest’ora?  
    Matteo scrive: Dopo tutta la fatica che ho fatto per sistemare solo una parte della casa, mi merito un po’ di relax :D    
    Angelica scrive: Già...ah, mi sono dimenticata di dirti l’orario delle lezioni
    Matteo scrive: Non ce n’è bisogno...poco fa Elisabeth mi ha detto tutto l’orario
    Angelica scrive: Perfetto allora   
    Matteo scrive: Domani prendi l’autobus?
Ci pensò un attimo, e poi si affrettò a scrivere una risposta.    
    Angelica scrive: Penso di no...perchè?    
    Matteo scrive: Oh, niente...
    Angelica scrive: Scusami, ma sono stanca morta, ci sentiamo domani ok?  
    Matteo scrive: Certo, a domani    
Spense il computer, e lo riappoggiò sulla scrivania; infilandosi sotto le coperte, sperando di addormentarsi il più presto possibile.
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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Martedì 10 febbraio 2009 ***


Martedì, 10 febbraio 2009
Non aveva proprio voglia di prendere l’autobus, si stiracchiò le braccia e scese in cucina quasi come uno zombie, ancora in pigiama. Quello che le ci voleva, era una bella tazza di tè fumante e, per fortuna, riusciva a farlo senza bruciare niente.
Dopo pochi minuti, davanti alla bella tazza di tè, la stanchezza sembrò sparire; lo bevette in un unico sorso, mettendo poi, la tazzina nel lavello. Corse in bagno e si spogliò, entrando poi nella doccia.
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Sono ancora rinchiusa in questa specie di camera per l’isolamento dei demoni. Ho smesso di urlare da un paio d’ore; e solo perché mi è andata via la voce, altrimenti starei ancora urlando.
Quanto mi hanno tenuto rinchiusa qui dentro? Due giorni? Non so, ma so solo che oggi c’è il funerale, il funerale di Manuel.
Devo andarci a tutti i costi.
Mi alzo in piedi e busso alla porta di vetro, dove, dall’altra parte, c’è un agente che mi controlla.
- Mi fa uscire? - dico, anche se dalle mie labbra ne non esce niente.
L’uomo sembra aver afferrato, estrae delle chiavi da una tasca dei pantaloni, e mi apre la porta, facendomi uscire.
Gli faccio un piccolo cenno di ringraziamento ed esco.
Il funerale. Manuel. Ho solo in mente quello.
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Batté i pugni sul muro talmente forte che le mani presero a pulsare.
Doveva smetterla di pensarci. Non era colpa sua se quella donna se n’era andata dopo che l’aveva ucciso.
“ Verrà anche il tuo turno Angelica” le aveva detto.
Ci sperava davvero tanto, sperava che dopo quattro anni quella donna sarebbe ritornata; e gliel’avrebbe fatta pagare cara.
***
La sveglia non la smetteva di suonare.
Allungò la mano con un mugolio, tastando i pulsanti dell’aggeggio, e lo scaraventò dall’altra parte della stanza, facendolo tacere. 
- E che cavolo - sussurrò mettendosi a sedere, afferrando il cellulare sul comodino. 6.30.
Si alzò in fretta e furia, indossando un paio di jeans, una camicia bianca sotto ad un maglione marrone, e poi le scarpe.
Si guardò intorno, sbuffando non appena vide la miriade di scatoloni nella sua stanza, come arredamento, c’era soltanto il letto e un comodino in legno, tutto il resto, era nelle scatole.
Percorse il corridoio, e scese le scale, precipitandosi poi in cucina, sbadigliando.
Sua madre era già in piedi e trafficava con la macchina del caffè, borbottando alcune imprecazioni.
- Stupido affare del...ciao tesoro! - dice la donna, china sull’elettrodomestico che non ne voleva sapere di accendersi.
- ...giorno - rispose sbadigliando, avvicinandosi piano, e dando una leggera gomitata alla macchina del caffè, che partì immediatamente. Si sedette a su una sedia, abbandonando la testa sul tavolo, e sospirando.
- Il ghiro è tentato di tornarsene a letto? - gli chiese la madre, guardandolo con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate al petto.
Era una donna sui quarant’anni, i capelli castani erano leggermente mossi; con gli occhi marroni cerchiati da due piccole occhiaie. Aveva il viso roseo, dai lineamenti affilati che le davano un’aria severa, ma il sorriso che teneva stampato in faccia 24 ore su 24 diceva tutto il contrario.
- Mmm...si - mugolò alzandosi, aprendo il frigorifero e prendendo un succo di frutta - Tu hai dormito bene? -
- Se per dormito bene intendi dormire abbracciata ad una scatola di cartone credendola David Beckham, allora si! -
- Non pensavo ti piacesse dormire con le scatole - disse finendo il suo succo.
- Ci ho disegnato gli smile sopra! -
- Buona giornata, ci vediamo stasera - disse uscendo dalla cucina, e andando nel bagno di sopra.
Si lavò il viso, svegliandosi del tutto con l’acqua fredda, poi i denti con uno lo schifoso dentifricio di Sonia, dato che il suo era in qualche scatola; poi si passò una mano nei capelli, scompigliandoli un po’.
Ritornò in camera, afferrò lo zaino, pieno di libri, abbandonato a terra ed infilò in tasca il cellulare.
Si precipitò all’ingresso, cercando nella tasca della giacca le chiavi dell’auto, ed uscì.
***
Uscì dalla doccia, infilandosi svelta un candido asciugamano appeso lì accanto; poi afferrò il phon e cominciò ad asciugarsi i capelli che già prendevano la forma dei soliti ricci, un po’ ribelli.
Lanciò un lunghissimo urlo, quando una testa sbucò dallo specchio davanti a lei.
- Cazzo! - urlò il fantasma uscendo completamente dal muro - Tu mi vedi! -
- Porca troia se ti vedo - disse cercando di riprendersi - Mi hai fatto prendere un colpo! -
- Scusa scusa! Senti...ma...io che ci faccio qui? -
Guardò il giovane fantasma alzando un sopracciglio - Sei morto! Ora vai nella luce altrimenti ti ammazzo un’altra volta! -
- E con cosa? Dall’abbigliamento, non credo che tu sia armata -
Arrossì di colpo stringendo ancora di più l’asciugamano - Ok ok, allora...tu sei morto - disse riprendendo ad asciugarsi i capelli - Vai nella luce e vedrai che là starai meglio -
- E chi mi dice che non sia una balla? -
- Eh, senti Casper...o vai nella luce altrimenti io...ti giuro che se mi fai arrivare tardi a scuola...io...-
- Ok ok, vado nella luce...- sussurrò il fantasma sparendo di nuovo nello specchio.
Finito di asciugare i capelli, tornò in camera e infilò un paio di jeans scuri, una camicia nera, lasciando i primi tre bottoni aperti, e un maglione dello stesso colore con una scollatura a V. Si chinò sbuffando sullo zaino di scuola, abbandonato a terra, e vi infilò dentro qualche libro a casaccio; infilandolo poi in spalla.
Guardò il cellulare, che aveva fatto la fine della mattina precedente, e lo mise in tasca, sbuffando un’altra volta; poi, senza pensarci due volte, afferrò le chiavi della moto, scese all’entrata, afferrando la sua giacca in pelle.
***
Matteo parcheggiò a qualche metro dalla scuola, afferrò lo zaino, lasciato sul sedile del passeggero, e scese dall’auto.
Notò subito i compagni, fermi sul cancello della scuola, che lo fissavano; alzò una mano e si avvicinò.
- Buon secondo giorno di scuola! - disse Vittoria spuntando dal nulla.
- Ehm, grazie -
Accanto alla bionda, c’era anche Alice, che lo salutò con un semplice gesto della mano.
- Ehi Matteo, non è che per caso hai visto Angelica? - chiese la mora.
- No, non l’ho vista. Perché? -
- Oh niente, di solito arriva sempre alle sette e...-
La ragazza si bloccò, osservando un punto oltre la sua spalla; e si voltò di scatto, guardando una figura su una Yamaha nera, che si fermava sgommando a qualche metro da loro.
- E quello chi è? - chiese stupito.
- “Quella” vorrai dire - sussurrò Nicola, mentre si fermava accanto a lui, dandogli una gomitata.
La figura scese dalla moto, si tolse il casco con lentezza e scrollò la testa, lasciando che i lunghi capelli corvini le si posassero dolcemente sulle spalle. La ragazza avanzò con il casco sottobraccio, aprendosi un po’ la cerniera della giacca.
- Perché deve essere così...così...? - chiese Andrea in un sussurro, rivolto a Nicola.
- ‘Giorno a tutti - disse la mora passandosi una mano nei capelli.
- Angelica, Angelica...tu sei una tentazione...- disse Nicola, ricevendo come risposta un’occhiataccia da parte della ragazza.
- Elisabeth? - chiese Sergio all’improvviso.
- Mi ha chiamato ieri sera e non si sentiva molto bene, così è rimasta a casa - sussurrò lei - Io vado in biblioteca, venite con me? - chiese la ragazza alle due compagne, che annuirono e la seguirono oltre il cancello d’entrata della scuola.
- Oggi è...- iniziò Andrea.
- Stupenda - concluse Nicola dandogli una pacca sulla spalla - Ah Matteo, ti dovrai abituare a queste entrate mattutine...ma almeno, ti rallegrano la giornata - 
- Già...- sussurrò.
- Oh andiamo, lasciatela in pace che non vi vuole - disse Sergio rivolto a Nicola e ad Andrea - Vieni Matteo, lasciamo questi due a fantasticare sulle curve di una ragazza - aggiunse il biondo ghignando.
- Quella non è una ragazza! - urlò Nicola, mentre lui e Sergio si allontanavano - È una dea! -
***
Non appena entrò, qualcosa le finì addosso, e sentì subito un tonfo e alcuni fogli che frusciavano, andando di qua e di là.
Abbasso lo sguardo, e sorrise vedendo una bambina, seduta a terra, completamente coperta di fogli.
- Oh, mi scusi caposcuola - disse la bambina alzando lo sguardo verso di lei.
- Scusami tu, non stavo guardando dove andavo - disse abbassandosi, cominciando a raccogliere i fogli sparsi in giro - Ti sei fatta male? -
- No - rispose la ragazzina, prendendo gli appunti che le porgeva - Grazie - sussurrò ancora alzandosi in piedi.
- Ora vai in classe che suona - disse facendole l’occhiolino. La bambina sorrise e corse su per le scale.
- Oh, com’è gentile caposcuola - disse Alice, al suo fianco, facendole il verso.
Rise - Non credo che ci sia tempo per la biblioteca vero? -
- No - risposero le due amiche in coro.
- Lo dite per non farmi andare, altrimenti m’incanto? - chiese in un sorriso.
- Si - risposero ancora le due all’unisono.
Rise ancora e prese a salire la rampa di scale, tenendo una mano appoggiata alla balaustra, trattenendo il fiato ogni volta che le costole le dolevano per un movimento troppo rapido.
- Ehi secchiona, pronta per andare al lavoro? -
Era Laura; accompagnata come sempre dalle altre quattro oche, ferme sulle scale che sogghignavano per la battuta della bionda.
- Già, ma tutti vanno da te sentendo che la dai a poco - disse con un ghigno maligno, superando Laura, rimasta impalata sul posto.
- Non ti è servita la lezione di ieri eh? -
Si voltò di scatto, lanciandole un’occhiataccia - Non mi hai dato nessuna lezione ieri. Sei tu quella che è finita con il culo per terra - disse voltandosi di nuovo, andando poi in classe, sedendosi al suo posto.
- Caspita, già di prima mattina? - chiese Vittoria.
- Ha iniziato lei - sussurrò togliendosi la giacca e appoggiandola sulla sedia.
- Stai davvero bene vestita così - disse Alice, guardandola da capo a piedi - anche se ti da l’aria un po’ tenebrosa, con quella faccia pallida che hai... -
- E poi l’entrata, Angelica. Quasi tutta la fauna maschile della scuola ti ha sbavato dietro -
- Sbavano dietro a tutte se non te ne fossi accorta - disse passandosi una mano nei capelli.
- Quello è vero -
- Ah, i poveri ragazzini - sussurrò Alice - a forza di guardarti dovranno tirare avanti con docce fredde!! -
- Alice...- l’ammonì, portandosi le mani alle costole, cercando di non dare nell’occhio.
- Poverini, devono già fare i conti con...-
- Le avversità della gioventù! - concluse la mora scoppiando a ridere.
Sorrise, e volse lo sguardo verso Sergio e Matteo, appena entrati in classe. Il moro si avvicinò al banco accanto al suo, con un bellissimo sorriso sulle labbra.
- Buongiorno -
- Ciao Matteo - rispose semplicemente.
- Tutto bene ragazze? - chiese lui guardando Alice e Vittoria.
- Alla grande - sussurrarono le due all’unisono.
Il ragazzo si sedette al proprio posto, appoggiando lo zaino a terra - Tu come stai? - chiese lui guardandola a braccia incrociate.
- Bene, e tu? -
- Divinamente -
Si ritrovò a sorridere, poi sbadigliò portandosi una mano davanti alla bocca, voltando appena lo sguardo.
- Serata intensa? -
Arrossì di colpo - Oh, no no...io, ecco, non sono...fidanzata...non ho dormito molto, tutto qui -
- Oh...beh...-
Matteo venne interrotto dall’insegnante di diritto, che entrò in classe come se fosse una diva di Hollywood; i lisci capelli scuri lasciati sciolti, i soliti occhiali rettangolari sul naso, con la montatura firmata, come il resto del suo abbigliamento; un tocco leggero di trucco e un po’ di eye-liner, facendo risaltare gli occhi scuri quasi quanto i capelli.
La donna si sedette alla cattedra, accavallando lentamente le gambe e, come tutte le altre insegnanti, prese a sfogliare il registro prima di cominciare la spiegazione.
- Com’è allegra oggi la strega - sussurrò Alice che, momentaneamente, era seduta al posto di Elisabeth.
Riuscì solo ad annuire, dato che la professoressa l’aveva già inquadrata.
Afferrò un block notes aprendolo su una nuova pagina, e afferrò poi una penna, portandosela alle labbra come una sigaretta.
- Qui ci vuole una scorta extra di Moment Act...- sussurrò Vittoria, nel banco dietro al suo, che teneva la testa abbandonata sul banco.
- Avanti Vittoria, è soltanto un’ora poi abbiamo...- si bloccò all’improvviso portandosi una mano alle costole, e respirando affannosamente, sotto lo sguardo preoccupato dei tre.
- Ti sei presa proprio una bella batosta ieri - sussurrò la mora al suo fianco.
- Non è niente; solo che...- si interruppe quando l’insegnante prese a battere ripetutamente la penna sulla superficie della cattedra, talmente veloce che le fischiarono appena le orecchie. 
- Signorina Vetra, se non ha intenzione di seguire può liberamente andare dalla direttrice -
“ Brutta testa di...trattieni la rabbia...pensa alle farfalle Angelica, a delle innocue farfalline colorate...” pensò tenendo alto lo sguardo - Mi scusi, professoressa - disse in tono arrogante.
- E non ti rivolgere a me con quel tono -  aggiunse la donna alzandosi in piedi; e, dopo una lunga pausa, prese a spiegare.
Sospirò e cominciò a prendere appunti, lanciando un’occhiata al ragazzo al suo fianco, che la guardava.
- Che c’è? - chiese in un sussurro con la testa china sul block notes.
Matteo sussultò appena - Niente - sussurrò lui, cominciando a scrivere a sua volta.
***
Le tre ore passarono in fretta; durante l’ora di diritto, Angelica si era beccata altre ramanzine dall’insegnante che, probabilmente, ci aveva preso gusto. Alla seconda ora, Alice non sfuggì all’interrogazione di matematica, ma fortunatamente se l’era cavata con un bel 7; poi l’ora di italiano, dove avevano giocato a battaglia navale per tutta la durata della spiegazione. Ed ora, finalmente, la parte più bella della giornata: la ricreazione.
Angelica, al suo fianco, si alzò in piedi, lanciandosi tra le mani una chiavetta elettronica - Matteo? - lo chiamò lei attirando la sua attenzione - Ti va un caffè? -
- Molto volentieri, grazie - accettò gentilmente con un sorriso, ricambiato a sua volta dalla mora.
- Lo offri anche a me Angelichetta? Mia dolcissima zuccherosissima bravissima stupenda amichetta? - chiese Vittoria, alzando finalmente la testa dal banco - Ho bisogno di una super dose di caffeina altrimenti entro in coma -
- Solo se la smetti di chiamarmi Angelichetta -
- D’accordo Angi -
La ragazza si voltò verso la mora, seduta lì accanto - Alice, tu? -
- mmm? - mugolò l’altra - ma che ore sono? -
- Sono le dieci e trenta - rispose Vittoria alzandosi in piedi.
- mmm...di già? Uff, un caffè sarebbe il massimo...mi porti giù in braccio Angi? Altrimenti spreco energie preziose per fare tutte quelle schifose scale -
- Non ti porto in braccio, ed ora alzati pigrona! - disse Angelica prendendo in giro l’amica, riuscendo a farla alzare, strattonandola per un braccio.
Uscirono dalla classe, provando ad ignorare le ragazzine che gli lanciavano delle occhiate d’interesse.
- Ragazze, ma mi portate in giro Matteo come se fosse il maggiordomo? - chiese una voce alle loro spalle.
Tutti si voltarono, esclusa Angelica, che probabilmente, aveva riconosciuto il proprietario della voce; che ora, correva incontro al gruppo, seguito da altri due ragazzi.
- Mi offrono il caffè! Come potevo rifiutare? - disse a Sergio che si bloccò al suo fianco.
- Lo volete anche voi? - chiese la mora, in testa al gruppo, che continuava a camminare.
- Basta che ti fermi un attimo - rispose il biondo.
- Non è colpa mia se non stai al mio...-
La ragazza si bloccò all’improvviso, portandosi una mano al fianco e appoggiandosi al muro del corridoio, cominciando a respirare affannosamente - ...forza muovetevi - sussurrò lei, con una smorfia sul viso, riprendendo a camminare lentamente.


- Matteo? Tu non hai ancora visto il centro città giusto? - gli chiese Alice, mentre prendeva il suo caffè.
- No - rispose in fretta.
- Allora dovremmo rimediare - sussurrò Angelica porgendogli un bicchiere - Domani dopo scuola, ci state tutti? -
- Noi non possiamo venire - rispose Vittoria in un sussurro, abbracciando Davide - Abbiamo da fare -
- Nemmeno io - rispose Sergio.
- Io posso - disse Federico prendendo il caffè che la mora gli porgeva.
- Anch’io, ed Elisabeth? -
- Se oggi stava male, non credo che domani abbia tanta voglia di vagare per Verona - rispose Angelica, prendendo il suo caffè, e soffiando appena per raffreddarlo - Ma glielo chiederò comunque -
- Beh, allora ci siamo io, tu, Matteo, Fede ed Elisabeth in sospeso - disse Alice all’altra mora, bevendo in un solo sorso tutto il caffè; facendo una smorfia di dolore - Cazzo scotta -
- F. F. N. D. - disse il rosso avvicinandosi appena alla ragazza, con un ghigno sul viso.
- Eh? - mugolò Alice, con la lingua di fuori.
- Fatti furba, non dormir -
Per un attimo tutti si guardarono, e poi scoppiarono a ridere, cercando di non sporcare il pavimento di caffè.
- Ci restano 5 minuti - disse Angelica ad un tratto - io vado fuori in cortile -
- In cortile? Sei pazza?! C’è un freddo cane! - esclamò Vittoria abbracciando forte Davide.
- Beh? E allora? La sai che riesco a sopportarlo -
- Ti credo...tu sei un’agente della CIA abituata alle situazioni più estreme - sussurrò Sergio attaccandosi al termosifone.
- Ah ah, spiritoso - disse lei in tono ironico - Comunque non mi farete cambiare idea -
La ragazza, tranquillamente, percorse il corridoio, sparendo poi dietro l’angolo.
- Beh, allora torniamo in classe - suggerì Alice gettando il bicchiere di plastica vuoto, incamminandosi verso le scale assieme agli altri; mentre lui, era rimasto imbambolato sul posto, osservando il punto dove, poco prima, Angelica era sparita.
- Matteo? -
Scrollò la testa, e si maledì per essersi incantato, voltando poi lo sguardo verso Alice - Non vieni? -
- Io...ehm...vado in...bagno...- disse avviandosi verso la porta che dava sul cortile.
- I bagni sono dall’altra parte, ma vai pure da quella parte - disse la ragazza, facendogli l’occhiolino prima di sparire.
Aprì la porta, e rabbrividì appena, sentendo l’aria gelida che gli pungeva il viso. Scese quei pochi gradini in marmo, e si guardò intorno in cerca di lei.
Il cortile, era semplicemente immenso, talmente bello da togliere il fiato; l’erba era di un bel verde acceso, ancora bagnata e coperta dalle foglie che cadevano dagli enormi alberi, completamente spogli, dove, sopra i loro rami, si appollaiavano dei passeri, che cinguettavano timidamente, restando vicini, provando a proteggersi dal gelo.
Al suo fianco, un gelsomino copriva completamente il muro di mattoni, peccato che i suoi piccoli fiori bianchi sbocciavano a maggio, e non poteva sentire il loro meraviglioso profumo.
- Che ci fai qui fuori? -
Voltò di scatto la testa, guardando Angelica, seduta su una delle tante panchine, che lo guardava.
Alzò le spalle e si mise le mani in tasca - Prendo aria, e tu? - chiese avvicinandosi.
La ragazza gli sorrise, passandosi una mano nei capelli corvini - Prendo aria -
Restò fermo, immobile, in piedi vicino alla panchina, guardandola.
- Puoi...sederti se vuoi -
Sorrise e le si sedette accanto, estraendo le mani dalle tasche e strofinandole appena per scaldarle - Certo che c’è freddo -
Lei alzò lo sguardo verso il cielo, ancora cupo e grigio.
- Sembri una di quelle persone che amano stare sole - sussurrò.
- No, questo non c’entra - rispose la ragazza, sussurrando a sua volta, abbassando lo sguardo, osservandosi le ginocchia - è solo che sono fatta così. A volte preferisco stare qui fuori, da sola, perché è quello che sento dentro -
Alzò lo sguardo, osservando le punte degli alberi spogli - Come fai a sentirti sola, quando hai degli amici strepitosi? -
Angelica sorrise ancora - Lo so, ma non posso fare a meno di sentirmi sola per...- disse lei fermandosi un secondo, alzando lo sguardo verso il cielo, e non sembrava dar segni di concludere la frase lasciata in sospeso.
Sospirò appena - Ah, bella moto -
La mora gli lanciò un’occhiata veloce - Grazie, ma ora è meglio andare, o ci prenderemo una punizione -
***
Non appena rientrarono, si bloccò nel corridoio, notando una coppia di ragazzi, un po’ più piccoli di lei, avvinghiati in un abbraccio mozzafiato, che si baciavano con passione.
- Ehi voi due - disse rivolta ai due - Piantatela e andate in classe -
I due si staccarono di malavoglia; la ragazza la fulminò con lo sguardo, mentre il ragazzo le diede una poderosa spallata, facendola indietreggiare appena.
- Ehi idiota! - urlò Matteo all’indirizzo del ragazzo, che si bloccò di colpo.
- Che hai detto? - chiese lui voltandosi.
- Hai capito benissimo - disse il moro facendo un passo avanti, ergendosi in tutta la sua altezza.
- Matteo no...- sussurrò afferrandolo per un braccio - non ne vale la pena -
- Anche se si merita una bella batosta questo imbecille -
- È tutto a posto - sussurrò ancora tirandogli appena il braccio - lascia stare -
Matteo lasciò perdere il ragazzino, poi, entrambi, percorsero il corridoio e cominciarono a salire lentamente le scale.
- Ti ringrazio...comunque - disse tenendo lo sguardo avanti, con una mano appoggiata alla balaustra.
- Per cosa? -
- Per avermi difesa - sussurrò - anche se quel ragazzino mi aveva solo spintonata -
- Era il minimo che potessi fare; nessuno ha insegnato la buona educazione a quello -
Fece per parlare, ma si bloccò al suono della campanella. Si voltò e guardò il ragazzo - Siamo in ritardo -
- Beh al massimo ci fanno la ramanzina -
- Invece no. Ci tocca restare qui un’ora in più come punizione -
______________________________________________________

Salirono di corsa le scale, sperando di passarla liscia; ma si bloccarono davanti alla porta chiusa della classe.
- Posso dare la colpa a te? - chiese Matteo.
Non poté fare a meno di sorridere - Ah no, ti becchi anche tu la punizione - sussurrò bussando alla porta, e l’aprì non appena sentì la voce dell’insegnante, che li invitava ad entrare.
Girò la maniglia, afferrò Matteo per un braccio, e lo spinse in classe per primo, mentre lei cercava di nascondersi.
- Buongiorno, lei deve essere il signor Dall’Angelo se non sbaglio. Beh, vedo che si è abituato alla scuola, non vorrà fare tardi ogni giorno vero? - chiese l’insegnante d’inglese, raddrizzandosi sulla sedia.
Era una donna bassa, i capelli riccioluti le arrivavano appena alle spalle, di carnagione chiara, con le guance appena arrossate; indossava un semplice maglioncino di un bel rosso acceso e un paio di semplici jeans.
- Mi scusi professoressa -
- Signorina Vetra, la vedo, è inutile che continua a nascondersi -
“ Cavolo!” pensò spostandosi al fianco del ragazzo - Ehm, salve! - “Speriamo che gli occhi da Bambi facciano il loro effetto anche con lei”
- Gli occhi da Bambi non funzionano Angelica, almeno non con me -
“ Come non detto”
- In teoria dovrei farvi rimanere fuori dalla porta, e restare un’ora in più alla fine delle lezioni -
“ Dai dai...sii clemente”
- Cosa che naturalmente mi sta sulle palle -
“ Viva la sincerità”
- Sedetevi, ma resterete comunque un’ora in più - disse ancora l’insegnante puntando l’indice contro di loro - la prossima volta vi faccio rimanere due ore, intesi? -
- Si, professoressa - sussurrò abbassando lo sguardo.
Tornarono a sedersi, ed aprirono il libro di inglese.
Si voltò verso Alice, che le tirava appena la manica del maglione, cercando di soffocare le risate portandosi una mano alla bocca.
- Sei...un genio -
Alzò un sopracciglio - Grazie -
- L’ultima volta che mi hanno fatto sistemare tutti gli attrezzi della palestra -
- Tanto non farò niente - sussurrò iniziando a prendere appunti - Al massimo mi chiudo in biblioteca -


Il resto della giornata passò in un batter d’occhio; per tutta l’ora di inglese non avevano fatto assolutamente niente, anzi, aveva giocato a tris con Alice, che scattava in piedi, incavolata come una bestia, perché non riusciva mai a vincere contro di lei.
Le altre due ore di informatica, se possibile, passarono ancor più in fretta, dal lancio di vecchi cd come se fossero frisbee, poi avevano cominciato a lanciarsi da una parte all’altra della stanza un vecchio mouse completamente rotto; ed infine, entrambe stremate, si erano tranquillizzate, e si erano sedute accanto a Matteo, che aveva lavorato per tutto il tempo, e cominciarono a giocare con il lettore cd, aprendolo e chiudendolo in continuazione.
- Ma quando finisce? - sussurrò Alice, chiudendo per l’ennesima volta lo sportello del lettore.
- Tra cinque minuti - rispose Matteo - Angelica? -
- mmm? - mugolò appena, senza nemmeno alzare la testa dalla scrivania.
- Stai dormendo? -
- Sto riposando gli occhi... -
- Oh, questo spiega tutto -
Si raddrizzò appena, stiracchiandosi le braccia - Ma...la prof dov’è? -
- Venti minuti fa, ha detto che andava a prendersi un caffè -
- Ah... - farfugliò - Matteo? Domani prendiamo l’autobus? -
- Non possiamo venire in auto? -
- Dopo dobbiamo andare in centro - sussurrò riappoggiando la testa sulla scrivania - Meglio prendere l’autobus altrimenti diventiamo matti per cercare un parcheggio se ciascuno viene con la propria auto -
- Già, hai ragione -
La campanella suonò, e scattò subito in piedi - È finita!!!!!! -
In pochi secondi, tutti se ne andarono, ma lei si bloccò sulla porta, osservando Matteo che, tranquillamente, spegneva il suo computer.
- Matteo? Dai muoviti! -
Lui la guardò, un po’ sorpreso - Siamo in punizione ricordi? -
Sbuffò appena, e si avvicinò al ragazzo, afferrandolo per un braccio - Andiamo via prima che la prof ci veda e ci...-
- E cosa dovrebbe fare l’insegnante? - chiese una voce femminile alle sue spalle, che la fece rabbrividire.
“ No no...adesso mi giro, e quella che ha appena parlato non è l’insegnante di inglese...” pensò voltandosi lentamente, sospirando poi, nel vedere la professoressa di lingua straniera - Ehm................Salve -
- Vi ricordo che siete in punizione - disse la donna con una punta di acidità nella voce.
- Ehm, si; infatti io e Matt...il signor Dall’Angelo stavamo giusto...ehm...ecco... -
- In biblioteca, a risistemare tutti i libri -
Sospirò appena, ed annuì, trascinando fuori dall’aula di informatica, il ragazzo, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo.
- Per fortuna ce la siamo cavata con la biblioteca, no? - chiese sorridendogli.
- In effetti stare in mezzo alla polvere ha il suo fascino - disse lui ironico, con un sorriso sulle labbra.
Scesero velocemente le scale, in silenzio e si fermò sulla porta della biblioteca, appoggiando una mano sulla maniglia.
- Speriamo che siano quasi tutti in ordine altrimenti...- sussurrò aprendo la porta, trovandosi davanti Luca, seduto su un tavolo, che alzò appena lo sguardo.
- Che ci fai qui? -
- Posso parlarti? - chiese lui.
Sospirò appena - Sbrigati, non ho tempo da perdere con uno come te -
- In privato - disse Luca alzandosi in piedi.
Si voltò verso Matteo, che guardava in cagnesco l’altro ragazzo - Due minuti ok? - chiese appoggiandogli una mano sul braccio.
Il ragazzo uscì senza aggiungere altro, chiudendosi la porta alle spalle - Bene, che vuoi? - chiese.
Luca le afferrò un braccio, e la spinse contro il tavolo, apprestandosi poi a chiudere a chiave la porta.
- Ti avverto; se solo mi sfiori mi metto ad urlare talmente forte che...-
- Non ce n’è bisogno -
- Allora dimmi immediatamente cosa vuoi o lasciami andare - sibilò senza muovere un muscolo.
- Perché dovrei lasciarti andare? - rispose Luca mettendosi la chiave in tasca.
- Ti ripeto la domanda: che cosa diavolo vuoi? -
- Voglio parlare con te -
- Perché qui? -
- Volevo stare in un posto tranquillo -
- Per fare cosa? - chiese, temendo la risposta.
- Per convincerti a tornare con me -
“ Stai scherzando?” pensò, mettendosi poi a ridere.
- Sono cambiato... -
- Non mi sembra - sussurrò sedendosi sul tavolo, accavallando le gambe - L’hai dimostrato l’altro giorno -
- Lo so, non dovevo farlo -
- È troppo tardi - 
- Mi vorresti ascoltare anche solo per due minuti? -
Fece un gesto con la mano, incitandolo a proseguire il discorso, mentre si accomodava su un banco.
- Senti Angelica, mi dispiace per essere andato con Laura dopo che...-
- Taglia - sibilò trattenendo la rabbia.
- Desidero davvero tornare ad esserti amico -
- Non puoi dimostrarmi di essere cambiato. Devi riguadagnarti la mia fiducia...-
- Stanne certa... -
- Non credo che ci riuscirai -
- Certo che ci riuscirò, e tornerai con me -
- Nei tuoi sogni forse - sibilò fredda.
Luca ghignò, allargando le braccia verso di lei - Ehi micetta? Perché invece di ringhiare non vieni qui a fare le fusa? -
“ Questo è troppo”
Si alzò di scatto e tirò un sonoro ceffone al ragazzo - Stai attento, perché posso graffiare - sussurrò riaprendo la porta - Prego -
Il moro ghignò ancora, ed uscì, fulminando Matteo, che si apprestava ad entrare, con la faccia leggermente preoccupata.
- Non è successo niente - disse con un sorriso - Cominciamo? -


Era quasi un’ora che erano in quella dannata stanza, a risistemare i libri messi nei posti sbagliati.
Lei era in piedi su una sedia e, a mano a mano che prendeva i libri dagli scaffali, li passava al ragazzo, al suo fianco, che ne reggeva un paio dall’aria molto pesante.
- Ma perché diavolo non li rimettono a posto dopo averli letti?!?!?!?!?!?!?!?! - urlò, con tono di voce basso, sfogandosi un po’.
Si sporse un po’ di più, provando ad afferrare l’ennesimo libro che era stato messo al posto sbagliato.
- Ci arrivi? -
- Si si...- sussurrò sporgendosi ancora di più, appoggiando un piede sul poggia schiena della sedia, afferrando il libro, sfilandolo lentamente dallo scaffale.
“ Fratello...sono solo in due...”
Le si gelò il sangue nelle vene, e cominciò a guardarsi intorno.
“ No...la ragazza...”
- Angelica? -
Non badò al ragazzo che l’aveva appena chiamata, e continuò a guardarsi intorno.
“ Lui potremmo...ucciderlo...”
Perse l’equilibrio, e chiuse gli occhi, aspettando di cadere a terra, ma non successe nulla. Socchiuse appena un occhio, guardando Matteo, che aveva gettato i libri a terra e l’aveva afferrata al volo; non poté fare a meno di arrossire.
- Hai lasciato cadere i libri - sussurrò distogliendo lo sguardo.
Lui sorrise - Grazie? -
- Matteo mettimi giù...-
- Ok ti lascio andare -
Lui la lasciò andare per un attimo e, per non cadere, gettò le braccia al collo del ragazzo, che l’aveva riafferrata subito dopo.
Si staccò appena - Matteo! -
- Mi hai detto di metterti giù -
- Si ma di solito le ragazze non si scaraventano per terra! - disse scoppiando a ridere, seguita dal ragazzo, che la rimise a terra.
Lui la guardò un attimo, incrociando le braccia al petto - Cosa stavi guardando? -
Arrossì - Io...ecco...niente...-
- Fa niente - sussurrò Matteo raccogliendo i libri da terra, mettendoli nel posto giusto - Credo che possiamo andare -
- Si, abbiamo finito, ci vediamo domani -
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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


                                                   
Era ritornata a casa in pochissimo tempo, aveva velocemente consumato un pranzo a base di spaghetti alla genovese, non cotti proprio del tutto, ma comunque commestibili; ed ora era sdraiata sul divano, con un cuscino premuto sulla testa.
Il cellulare, nella sua tasca, prese a suonare, e rispose velocemente.
- Pronto? -
- Angi? Sono io -
- Ciao Elisabeth, ti senti meglio? -
- Un po’, com’è andata oggi a scuola? -
Sospirò, lanciando il cuscino in fondo al divano - Mi hanno messo in punizione -
- Se? Come mai? -
- Ritardo dopo la ricreazione -
- Che ti hanno fatto fare? -
- Ci hanno fatto sistemare i libri in biblioteca...-
- What?! Frena frena! - urlò Elisabeth dall’altra parte del telefono - Con chi eri? -
- Era in ritardo anche Matteo -
- Vi siete trattenuti troppo in bagno per...-
- No no!!!! - urlò, interrompendo il discorso dell’amica, che, probabilmente, era vietato ai minori - Ci siamo fermati in giardino un po’ più del previsto -
- Ancora meglio. Già vi immagino, seduti su una panchina, che vi stringete forte per proteggervi dal freddo -
Scrollò appena la testa - Ma che diavolo ti sei fumata? -
- Erba matta, si sente? -
- Con tutte le cavolate che hai sparato! Pensavo che ti fossi fumata qualcosa di pesante! - disse ridendo - Comunque, oggi, prima della punizione, ho parlato con Luca -
Elisabeth era in silenzio.
- Elisabeth? -
- Tu tu tu tu tu tu - disse l’amica sperando di imitare il suono del telefono.
- ELISABETH! -
- Per parlato, intendi...prendersi a schiaffi o a bastonate? -
- Per parlato intendo parlato civilmente -
- Hai fatto un discorso civile con Luca?!?! Tu non sei la mia Angi!!! Tu sei un alieno! Magari uno di quelli verdi con la testa gigante e gli occhi come due palloni -
- Uffa Eli - sbuffò.
- Ok ok, e che vi siete detti? -
- Vuole che torniamo amici -
Silenzio.
- Eli? -
- Ma dillo a tua sorella rimaniamo amici!!!!!! Schifoso pezzo di...-
- Ho detto chiaro e tondo che deve riguadagnarsi la mia fiducia -
- Non ci riuscirà mai insomma -
- Ha detto che ci riuscirà, e che tornerò da lui -
Elisabeth, dall’altro lato del cellulare, prese a ridere - Povero illuso -
Lei restò in silenzio, attirando l’attenzione dell’amica.
- Angi, perché te ne stai zitta? -
- E se finirà davvero così? Se tornerò da lui con la coda tra le gambe come un cane bastonato? -
- Non fare la stupida, tu lo ami? -
Sospirò, rimanendo in silenzio.
- Angelica, lo ami ancora? -
- Come posso amarlo ancora? -
***
Si alzò in piedi, mettendosi al centro della sua stanza, guardandola finalmente in ordine e senza l’ombra di uno scatolone.
Piegò la testa di lato, osservando la scrivania in legno, leggermente storta; e strinse ancora un po’ le viti, facendola tornare perfettamente diritta. 
Si guardò intorno, non appena sentì il cellulare suonare.
- Ma dove ca...- si bloccò trovandolo sotto il letto - Pronto? -
- Tesoro sono io - disse sua madre - Questa sera torno tardi, non aspettatemi per la cena, andate a mangiare fuori se volete -
- D’accordo -
- Hai sistemato la tua stanza? -
- Appena finito - disse soddisfatto, osservando ancora la camera.
- Scatoloni? -
- Nemmeno uno -
- Perfetto tesoro; e dato che sei l’uomo di casa vai a sistemare anche la camera di tua sorella -
Sospirò - Mi ci vorrà una vita -
- Ciao ciao -
Riattaccò e lanciò il cellulare sul grande letto - Sonia? -
Percorse il piccolo corridoio, fermandosi davanti alla porta della stanza della sorella. Bussò due volte e, non ricevendo risposta, aprì la porta - Sonia? -
Non era nemmeno lì. Sbuffò scendendo le scale di corsa.
***
Camminò lentamente, dirigendosi verso il piccolo parchetto, in fondo alla via dove abitava. Non c’era quasi niente, solo due vecchie altalene fissate a due rami di una grossa quercia, e alcune panchine, anch’esse vecchie ed arrugginite; ma su una di queste, vi era seduta una graziosa bambina dai capelli castani, di circa otto anni, che si osservava intorno.
Si avvicinò piano alla quercia, e si sedette sull’altalena, cominciando a dondolarsi appena, alzando di tanto in tanto lo sguardo, fissando la bambina che le lanciava delle rapide occhiate.
La bambina si alzò dalla panchina e, senta timidezza, le si avvicinò con le mani nella tasca della giacca.
- Ciao! -
- Ciao - rispose sorridendo.
- Per caso tu sei Angelica? -
“ Cavolo, ma ho il nome scritto sulla maglia?” - Ci conosciamo? -
La bambina sorrise, raggiante, e le porse la mano - Io sono Sonia, ti ricordi? -
Le strinse appena la mano - La sorella di Matteo -
- Già - sospirò Sonia - Caspita, non ti immaginavo così bella! -
Non poté fare a meno di arrossire - Ma scommetto che anche tu fai breccia nel cuore dei tuoi compagni...- disse tornando a dondolarsi lievemente. La bambina divenne rossa, ed abbassò lo sguardo.
- Sonia? -
Sia lei che la bambina alzarono lo sguardo verso un ragazzo dai capelli castani, fermo a qualche metro da loro.
- Ecco dove ti eri cacciata - disse Matteo avvicinandosi ancora.
- Scusa fratellone - rispose la bambina con un sorriso smagliante.
- Angelica - sussurrò lui facendole un piccolo cenno con la testa - spero che Sonia non ti abbia infastidito -
- Oh no, non mi ha assolutamente infastidito; anzi, mi fa fatto piacere parlare con lei - rispose sorridendo alla bambina, che sorrise a sua volta.
- Sonia, dobbiamo proprio andare -
- D’accordo, ciao Angelica! - la salutò la piccola con una mano, e lei ricambiò alzando la sua.
- A domani - disse invece Matteo, facendole un piccolo cenno.
- A domani - ripeté, guardando i due allontanarsi.
***
- È bella - sussurrò la sorella guardando sempre avanti.
- Sonia...- l’ammonì.
- Che c’è? Ho solo detto che è bella! -
Sorrise e la prese in braccio - Ma tu di più -
La sorellina gli diede un bacio sulla guancia - Non quanto lei, perché non le chiedi di uscire? -
- Sonia...non posso -
- Perché no? -
- Ci conosciamo da due giorni -
- Ah, beh...cosa cambia? Il vero amore non si fa aspettare -
Sorrise - Adesso, mia piccola Freud, andiamo a mangiare -
- La mamma? -
- Ha appena chiamato e ha detto che torna tardi -
Arrivarono al cancelletto di casa, che aprì lentamente, facendolo cigolare appena.
- Fratellone? -
- Si? - chiese attraversando il giardino all’entrata, e aprendo poi la porta d’ingresso.
- I bambini nascono perché due persone si amano? -
“ Oh oh...le famose domane su come nascono i bambini. E adesso che faccio?” - Beh, si -
- Il papà amava tanto la mamma vero? -
Sospirò - Si, molto - mentì.
Sonia, fortunatamente, non aveva mai visto il padre, dato che sua madre aveva chiesto il divorzio poco prima di accorgersi di essere rimasta incinta una seconda volta.
Lui odiava quell’uomo con tutto il cuore e non lo considerava più suo padre.
Picchiava sua madre quasi ogni giorno e ricordava fin troppo bene tutte le volte che l’aveva vista piangere, tutte le volte che si chiudeva in bagno cercando di coprire i lividi di quei litigi, raccontandogli tutte le volte una stupida scusa.
Poi finalmente, sua madre lo denunciò alla polizia e chiese infine il divorzio.
Ma quelle poche settimane in carcere non dissuasero suo padre dal lasciarli in pace; no, aveva continuato a perseguitarli, giorno per giorno, intrufolandosi in casa mentre loro non c’erano, rompendo di tutto e di più; e quello era uno dei motivi per cui si erano trasferiti a Verona.
- Un mio compagno ha detto che mi ama -
Sorrise - È una bella cosa -
- Gli ho tirato uno schiaffo -
Sgranò gli occhi - Cosa?!?! Perché?!?! -
- Non voglio un figlio da lui -
Scoppiò a ridere, facendo sedere Sonia sulla tavola.
- Che hai da ridere? -
- Ma se un maschietto ti dice che ti ama, non diventi mamma -
- Bisogna sposarsi per fare dei bambini? -
- Si, e ti sposerai con la persona che ami di più al mondo -
- Il vero amore? Come quello sui libri? - chiese Sonia dondolando le gambe avanti e indietro.
- Il vero amore - sussurrò prendendo il telefono di casa.
- Ma come faccio a capire chi è il mio vero amore? -
- E perché vorresti saperlo? -
- Per non lasciarmelo sfuggire -
Sorrise ancora, appoggiando una mano sulla testa della sorella, e scompigliandole un po’ i capelli - Non so dirtelo, io non l’ho ancora trovato -
***
Rabbrividì appena, sentendo un’altra folata di vento gelido, e si alzò dall’altalena, incrociando le braccia ed ignorando le costole.
Doveva tornare a casa e provare a fare una cena decente, ma aveva la mente da tutt’altra parte.
Pensava a quel giorno, al funerale di quella calda giornata di maggio.
------
Non riesco a tenere alto lo sguardo; sono in piedi, in fondo alla chiesa del piccolo paese dove abitava Manuel. Provo a guardare la sua bara, ma il pianto della sorella giungeva fino lì. Inizio a piangere e a singhiozzare piano. Qualcuno al mio fianco, mi posa una mano sulla spalla, e dice di farmi coraggio.


Al cimitero, poco dopo, guardo di sfuggita la bara del mio compagno, completamente coperta di rose, di un bel rosso acceso.
Laura si avvicinò piano, e appoggiò una mano sulla bara, scansandosi poi quando fu il momento di seppellirlo. Resto immobile, a guardare la fossa che, a poco a poco si riempiva.
Non sono l’unica, anche Laura è rimasta, mentre i genitori, distrutti se n’erano andati.
Sospiro e mi avvicino lentamente alla mia compagna, siamo sempre state buone amiche, devo porgerle almeno le mie, inutili e stupide condoglianze.
Lei si volta verso di me, gli occhi rossi e gonfi dal pianto - Non avvicinarti -
Mi blocco.
- Non parlarmi mai più Angelica, mai più -
------
Si fermò davanti ad una lapide bianca, dove, la foto del ragazzo, la guardava sorridendo.
Appoggiò una mano sulla lastra di marmo, e lesse più volte le lettere e i numeri incisi sopra:
Manuel Mancini
9 gennaio 1988
16 maggio 2005

Si inginocchiò a terra, lasciando che una lacrima sfuggisse al suo controllo - È tutta colpa mia, dovrei esserci io lì, al posto tuo -
Abbassò lo sguardo e non lo rialzò nemmeno quando sentì i sassolini della piccola stradina, smossi da qualcuno; quel qualcuno che si fermò accanto a lei.
 - Non ti vergogni a stare qui? Sulla sua tomba? - le chiese una voce femminile, facilmente riconoscibile.
- Non puoi vietarmi di venire -
Una lunga pausa, interrotta dal canto degli uccellini appollaiati sugli alberi piantati lungo la stradina del cimitero; poi, la ragazza bionda al suo fianco, sospirò appena.
- È per colpa tua che mio fratello è morto Angelica - disse la ragazza con la voce spezzata dal pianto.
Alzò piano lo sguardo - Lo so Laura, e mi dispiace -
- Mi sembra tardi per chiedere scusa - sussurrò la ragazza - E io non ti perdonerò mai. Ora vattene, lasciami da sola -
______________________________________________________

Si chiuse la porta d’entrata alle spalle, che scricchiolò appena.
Entrò in cucina, si sedette a malo modo su una sedia, ed accese la televisione, cambiando velocemente i canali.
Come al solito, non facevano niente, anche se, di lì a poco, avrebbe cominciato “Chi vuol essere milionario”; si ritrovò a sorridere, pensando a tutte le volte che la madre, quando azzeccava, per pura fortuna, una risposta, si alzava in piedi sulla sedia.
Sembrava strano, mancavano da un giorno, e già ne sentiva la mancanza. Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì il cellulare vibrare nella tasca dei suoi jeans; lo afferrò e rispose.
- Pronto? -
- Angioletto? Sono io - disse Elisabeth dall’altra parte dell’apparecchio - Hai voglia di lasciare i tuoi preziosi libri impolverati e di venire qui? -
- Io...non...-
- Ah dai Angi! -
- Non lo so Elisabeth - sussurrò alzandosi in piedi.
- E allora, mia cara amichetta, cosa cucini questa sera? -
Sbuffò appena, passandosi una mano nei capelli.
- Pesce che sa di plastica o poltiglia di spaghetti? -
Scoppiò a ridere. Era impressionante come Elisabeth riuscisse a farle cambiare idea in quattro e quattr’otto colpendola proprio nel suo punto debole - Ok ok, mi hai convinto -
- A casa mia tra un’ora? -
- Ehm...d’accor...- si bloccò sentendo l’avviso di un’altra chiamata - ...scusa un secondo Eli -
Rispose all’altra chiamata, e non si stupì di sentire la voce della solita segretaria dell’agenzia.
- Se mi ha chiamato solo per una stronz...-
- Categoria A, uno dei quattro Elementali -
A quel nome, la segretaria aveva tutta la sua attenzione - Dove? -
- 45 di via Bolzano, c’è un vecchio edificio in fiamme -
Riattaccò senza dire altro, e rispose ad Elisabeth - Eli, senti...possiamo fare più tardi? -
- Cosa?! Perché? -
- Affari -
- Io non riesco proprio a capire Angelica, perché ogni volta che sparisci dici che è per affari? - 
- Elisabeth devo andare -
- Di che affari stai parlando? -
L’amica, dall’altro capo del telefono, era davvero infuriata. Si affrettò a pensare una bugia.
- Mia zia non si sente bene, e devo andare a farle la spesa -
- Bugia -
- Non è vero -
- Non avevi detto che tua zia era in vacanza? -
Si diede della stupida. Qualche settimana fa l’agenzia l’aveva chiamata ancora una volta e, per riuscire a scappare dall’amica, le aveva raccontato la storiella di sua zia, che nemmeno esiste, ferma in aeroporto, che aveva dimenticato il passaporto e lei, da buona nipote, doveva gentilmente portarglielo.
- Allora? -
- Un giorno ti spiegherò Elisabeth, ma non adesso -
L’amica sospirò - Alle 9? -
- Grazie - sussurrò riattaccando “ È ora di usare la mia bambina”  pensò correndo in camera, aprendo l’armadio, ed afferrando una spada riposta in un fodero scuro, nascosta nell’angolo più buio.
Afferrò il manico, estrasse la spada senza alcun rumore, ed osservò il filo della lama, affilato come non mai, benché l’avesse usata diverse volte. Sorrise, contenta di poterla usare contro un Elementale. Rimise la spada nel fodero allacciandola dietro la schiena.


Bloccò la moto ed osservò il vecchio edificio in fiamme.
Scese lentamente, sfilandosi il casco, appoggiandolo, come sempre, sulla sella; poi tolse le chiavi, infilandole nella tasca dei jeans.
Avanzò silenziosa, la spada infilata nel fodero allacciato dietro la schiena, le mani nelle tasche e la testa alta, fregandosene delle strane occhiate che le riservavano i suoi colleghi. “ Mai visto una ragazza con una spada?” pensò, facendo un cenno agli agenti, fermi, appoggiati alle loro auto nere, che annuirono a loro volta.
Si avvicinò alla porta, ormai, quasi consumata completamente dalle fiamme, e la sfondò con un calcio ben assestato.
- Din don - sussurrò, mettendosi una mano davanti al viso, cercando di non respirare l’odore acre del fumo.
Entrò nell’edificio, dove quasi tutto il soffitto era crollato; delle travi in legno giacevano a terra, e bruciavano lentamente.
- Ci rivediamo 33 -
Sorrise, avanzando senza paura - Ciao fiammiferaio magico -
- Da quanto tempo che non ci vediamo -
Adesso poteva vedere distintamente la figura dell’uomo che stava parlando, vestito di nero, che le dava le spalle.
- Solo una piccola curiosità: l’ultima volta...ti ho preso? - chiese sfilando lentamente la spada dal fodero, senza emettere nemmeno un suono, facendo luccicare la lama alla tremolante luce delle fiamme.
- Mi hai mancano per un pelo -
Il demone si voltò, mostrando il suo volto, mezzo ustionato e ancora sanguinante; i vestiti laceri, lasciavano intravedere altre ustioni sulle braccia e sulle gambe.
- È ora di finirla fiammiferaio...mamma non ti ha detto che non si gioca con il fuoco? -
L’Elementale sorrise e scattò verso di lei, che riuscì a distinguere solo una sfuocata macchia scura, che si spostava alle sue spalle.
- Anche tu ci stai giocando però... -
Nemmeno il tempo di attaccare, che il demone la spinse a terra con un calcio nella schiena.
Fece roteare la spada, provando a colpirlo, ma la lama sibilò nel vuoto.
Non appena toccò terra, si rialzò immediatamente, guardando di qua e di là, l’arma pronta e le orecchie tese alla ricerca di qualche suono che non fosse lo scoppiettio del fuoco, che lentamente, consumava le travi in del pavimento, scoprendo una stanza, che probabilmente, i residenti usavano come cantina.
“ Devo darmi una mossa, perché qui crolla tutto”
Un leggero fruscio attirò la sua attenzione; pochi secondi e stava guidando la spada verso il suono.
Un ringhi di dolore, e sul volto dell’Elementare comparve una smorfia divertita - Questa volta mi hai preso -
Il demone afferrò la lama della sua katana e, sotto il suo sguardo sorpreso, se la sfilò dallo stomaco, sporcando il pavimento di viscido sangue nero; dopodiché lanciò la spada lontano, dopo averle fatto perdere la presa sull’impugnatura.
Si lasciò sfuggire un lamento, non appena il demone l’afferrò per una spalla, alzandola senza fatica. La mano dell’Elementale bruciava come non mai; e il calore si faceva sempre più intenso, e dalla spalla, scendeva fino al gomito.
- Stiamo andando maluccio questa volta signorinella -
Non riusciva a tenere la mente lucida, a pensare a qualche stratagemma che la tirasse fuori da quella situazione; osservò poi la spada, diversi metri più in là, in bilico su una trave in legno, che stava lentamente bruciando.
“ Non ci arriverò mai...”
Il demone le afferrò la gola, mentre ghignava divertito; e lei cercava di liberarsi, cercando di respirare quella poca aria che rimaneva nella stanza. Le fece sbattere più e più volte la testa contro il muro di mattoni, cercando, forse, di farle perdere i sensi.
- Non cedi vero? -
- Mai...- sussurrò debolmente.
- Alla prossima allora -
***
Si svegliò di soprassalto, sentendo qualcuno che si sedeva accanto a lui sul divano. Guardò la figura della sorellina, che si sistemava al suo fianco, che cercava di trattenere i singhiozzi
- Sonia, che c’è? -
- Ho paura -
- Di cosa? - chiese prendendola in braccio.
- Non lo so - sussurrò appena la bambina - Sento cose brutte -
Non indagò oltre, sentiva che la sorella aveva davvero paura, ed anche lui, si sentiva un po’...irrequieto...
***
Il demone l’aveva scaraventata fuori dalla finestra, frantumando il vetro in mille pezzi, e poi crollò sull’asfalto, senza più una briciola di energia, con il respiro affannato.
Alzò appena la testa, osservando l’Elementale del fuoco, ancora nell’edificio, svanire tra le fiamme demoniache che aveva evocato, apparendo poi al suo fianco, stringendo tra le mani la sua katana.
- Stavi dimenticando questa -
Il demone appoggiò l’arma da una parte, e si volatilizzò con un perfido ghigno sul volto. Si maledì mentalmente, furiosa con se stessa per averlo fatto scappare un’altra volta.
Era da diverso tempo che loro due si scontravano, mesi forse, ogni volta era ad un soffio dalla vittoria, ma lui se ne andava, sparendo nel nulla.
- Bastardo - sussurrò appena, spostando di poco la mano, cercando di stringere l’impugnatura della spada.
- 33? Si sente bene? -
Voltò lo sguardo verso un altro agente, sui vent’anni probabilmente, chino su di lei.
- Una meraviglia se non fossi sdraiata su un lurido asfalto -
L’agente le porse una mano, ma la scansò bruscamente, alzandosi in piedi da sola.
- Mi è scappato - sussurrò.
- Ce ne siamo accorti -
Fulminò la matricola con lo sguardo - Cos’hai da sfottere pivello? -
- Niente - sussurrò l’agente indietreggiando.
- Io me ne vado - sussurrò stringendosi il braccio sinistro, raccogliendo la sua katana e avviandosi lentamente verso la moto, voltandosi di nuovo verso il ragazzo, che la seguiva - Quale parte di me ne vado non ti è chiara? -
- Deve essere curata -
- Non ne ho bisogno - sussurrò infilando la spada nel fodero - Ultima rilevazione? -
- L’Elementale si è diretto a ovest -
Sbuffò riprendendo a camminare verso la moto, ancora una volta seguita dall’agente.
- Senta Agente...-
- 85 -
- 85, forse non ha capito come funziona...- sussurrò - sono l’Agente 33, sono superiore a lei di ben cinquantadue Agenti, quindi deve eseguire i miei ordini, a meno che non le siano stati dati da un’agente superiore a me - 
- Infatti, mi è stato ordinato dalla direttrice -
Salì sulla moto, infilando il casco ed alzando la visiera - Me la vedrò io con la direttrice. Au revoir...- sussurrò abbassando di nuovo la visiera, e partendo a tutta velocità, lasciando l’Agente impalato in mezzo alla strada.
Accelerò ancora di più: era in ritardo con Elisabeth.
______________________________________________________

Si bloccò davanti al numero 12 di viale Alberti, dove c’era una piccola casetta in mattoni, illuminata da qualche luce esterna, con uno stupendo giardino all’entrata. Spense la moto e scese, avvicinandosi al cancelletto in ferro battuto, ricoperto quasi completamente dall’edera. Si tolse il casco e suonò il campanello un paio di volte.
Elisabeth sbucò all’entrata - Chi è? -
- Elisabeth sono io -
- Io chi? Non sarai mica la mia migliore amica che arriva sempre in ritardo -
Sospirò - Ok ok, ho giusto cinque minuti di ritardo -
- Dovevi essere qui alle 9 -
Inarcò un sopracciglio e infilò la mano in tasca - Infatti saranno le 9 e qualche minuto - sussurrò sfilando il cellulare e guardando il display, che segnava le 9.45 - Oh...beh...dai Eli, perdonami -
La rossa le aprì il cancelletto, e la raggiunse subito dopo, fulminando con lo sguardo l’amica che le faceva il verso.
- Sbaglio o c’è odore di bruciato? -
Sussultò “ Cazzo cazzo...sono io che so da bruciato!”
- Che hai fatto Angi? Hai giocato con... - disse la rossa, bloccandosi poi, osservandole la spalla, con un’espressione leggermente sconvolta - Angelica...stai sanguinando -
Si portò una mano alla spalla, sorridendo in modo forzato all’amica - Sono solo caduta -
La rossa la fece entrare in casa, in un piccolo salottino, con tre divani, vari mobili in legno con una marea di portafoto appoggiati sopra ed una tv appesa al muro come se fosse un quadro, accesa su Italia1.
Elisabeth la fece sedere su un divano e le afferrò il braccio - Tu non sei caduta, ti sei bruciata...-
“ Non indovinerai mai con cosa”
- Come te lo sei fatta? - chiese ancora la ragazza, alzandole piano la manica del maglione, insieme a quella della camicia.
- Sono caduta - si impuntò sperando che l’amica non facesse altre domande.
- Smettila di mentire Angelica! -
Urlò appena quando la rossa le strinse la spalla.
- Perché non mi dici mai niente? Perché non mi dici mai la verità?! -
- La verità è troppo brutta, è meglio che tu non sappia -
- Non sapere cosa?! Qualunque cosa tu faccia non ti fa bene! Guardati! Sei piena di cicatrici! - urlò lei guardandole il braccio.
- Eli...io... -
L’amica si staccò da lei, incrociando le braccia - Bene, stupida ragazzina, non dirmi niente -
- Se ti dico la verità non mi parlerai mai più!! -
Silenzio.
Elisabeth sospirò - Qual è il tuo segreto Angelica? -
Abbassò lo sguardo - Una cosa assurda, non potresti mai capire...e non riusciresti mai ad abituarti... -
- Prova a spiegarmela allora -
Sospirò, sentendo gli occhi pungere per le lacrime, che presto avrebbero cominciato a rigarle il viso; abbassò lo sguardo cominciando a torturarsi le dita, mentre la migliore amica restava in silenzio, in attesa.
- Io... - prese un profondo respiro.
“ E adesso che faccio? Come faccio a dire ad Elisabeth che sono in un’Agenzia segreta che da la caccia ai demoni, ed ho la strana capacità di vedere, parlare e sentire i morti?”
- Vedi...io...ecco...-
Si bloccò non appena sentì il campanello suonare. Elisabeth si alzò, uscendo dal suo campo visivo, rientrando poco dopo con due cartoni della pizza - Scusa, dicevi? -
- Io...- sussurrò prendendo un profondo respiro - Non ce la faccio Elisabeth, non sono ancora pronta per dirti tutto -
L’amica le sorrise, forse aveva capito che quello che stava per dirle, la turbava molto.
Sparì di nuovo oltre la porta della cucina, e ritornò con una garza e una sua felpa - Dammi il braccio ragazzina -
Le porse il braccio, ed Elisabeth, in quattro e quattr’otto, aveva fatto una perfetta fasciatura attorno alla spalla.
Sorrise - Grazie -
- Ma adesso si mangia! -


Era quasi mezzanotte, ed era tornata finalmente a casa. Si mise velocemente il pigiama, e si sedette alla scrivania, accendendo il computer portatile.
Come al solito, eseguì l’accesso a Messenger, restando sorpresa di vedere Matteo ancora in linea.
    Matteo scrive: Che ci fai tu ancora in piedi?
    Angelica scrive: Sono appena tornata, e tu? Appena finito di guardare un film con la fidanzata 
    Matteo scrive:   No no, solo io e Sonia.
    Angelica scrive: Tua sorella è così simpatica 
    Matteo scrive: Vedrai quando entra in confidenza...è un demonio...
    Angelica scrive: Comunque, ti ricordo che domani si va in autobus, prendi quello che prendo io?
    Matteo scrive: Che è esattamente alle ore...
    Angelica scrive: Alle 6.40
    Matteo scrive: Ok...alle 6.35 fuori da casa tua?
    Angelica scrive: Perfetto  Ora vado, ciao...
    Matteo scrive: Ciao
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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Mercoledì 11 febbraio 2009 ***


Mercoledì, 11 febbraio 2009

Si svegliò di soprassalto, con il cuore che le martellava nel petto, quasi impazzito.
Afferrò il cellulare che stava continuando a suonare e guardò l’ora: 6.00. Lo spense e si mise lentamente a sedere, gemendo non appena cercò di stiracchiarsi le braccia.
Sospirò, sollevando la manica della maglietta, togliendosi piano la fasciatura, che le aveva fatto Elisabeth la sera prima; ed osservò l’ustione che partiva dalla spalla e terminava appena sopra il gomito del braccio sinistro.
Imprecò a denti stretti, maledicendo se stessa per essersi distratta e per aver fatto scappare l’Elementale del fuoco.
“Tanto ti trovo prima o poi” pensò, fasciandosi di nuovo il braccio e poi, con un piccolo sforzo, si alzò del tutto dal letto.
Scese la solita rampa di scale, che portava all'ingresso; entrando poi in cucina, prendendo le prime cose commestibili che capitavano: una bottiglia di tè e una brioche alla crema.
Mangiò in silenzio e molto lentamente; tenendo in mano il telecomando della televisione, e facendo un veloce zapping per tutti i canali, sbuffando di noia, ricordandosi che erano le sei di mattina, e che non facevano mai un tubo.
Finì la sua misera colazione; rimise tutto a posto e tornò silenziosa in camera sua, cambiandosi velocemente.
Si rallegrò appena, sperando che la giornata in città la tirasse su di morale.
***
La sveglia cominciò a suonare.
Allungò la mano con un mugolio, e la spense con il solito modo: scaraventandola dall’altra parte della stanza.
Affondò di nuovo il viso nel cuscino non appena sentì la porta aprirsi lentamente.
- Dovremmo fare la scorta di sveglie se continui di questo passo - gli sussurrò la madre, entrando nella stanza, alzando la veneziana .
- mmm - mugolò cercando di chiedere l’ora.
- Sono le 6 -
- Ah...-
- “Ah” un corno, alzati o vengo con la bottiglia d’acqua - disse la madre togliendogli la coperta di dosso ed uscendo dalla sua camera.
- Mmm che ore sono? - chiese Sonia, sbucando appena dalle coperte.
- È presto, torna a dormire - sussurrò alzandosi dal letto, per poi coprire di nuovo la sorella.
Stiracchiò le braccia, sbadigliando di nuovo, e scendendo in cucina, dove la madre faceva il playback di una vecchia canzone di Whitney Houston; ed in mano, al posto del microfono, teneva un limone.
- Non puoi fare a meno di queste scenate? - chiese prendendo un succo di frutta da una mensola.
- And IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII will always love youuuuuuuuuuuuuuuuuu ohh! -
- Mamma! Sonia dorme! - disse bevendo il succo in un solo sorso.
La donna si portò una mano alla bocca, ritornando in cucina - Si è sentito? -
- Che urlavi? -
- Si -
- No...- disse ironico.


Era pronto per uscire; ritornò in camera sua e, senza fare il minimo rumore afferrò lo zaino appoggiato a terra in parte al letto.
Si avvicinò a Sonia, ancora addormentata, le accarezzò lievemente la guancia ed uscì di nuovo, chiudendosi la porta della camera alle spalle; scendendo poi di corsa le scale, giungendo all'ingresso, arredato con pochi mobili e una miriade di scatole, lasciate a terra.  Girò la maniglia della porta di ingresso, e la tirò verso di sé, rabbrividendo non appena sentì l'aria gelida che gli scompigliava i capelli.
Attraversò di corsa il giardino, dove vi erano piantati solo due piccoli ulivi, e una piccola siepe che costeggiava i gradini che conducevano al cancelletto, che si spalancò da solo per il forte vento. Sospirò appena, mettendosi le mani in tasca e, dopo aver attraversato il giardino, si chiuse il cancelletto alle sue spalle.
Attraversò la strada, ancora deserta, fermandosi poi a guardare l’entrata della casa di Angelica. Suonò il campanello, sperando che la ragazza fosse sveglia.
Non appena la vide sbucare dalla porta, se possibile, si rallegrò.
- Buongiorno - disse non appena la mora fu al suo fianco.
- Ciao... - sussurrò lei chiudendo il cancelletto, sussultando appena.
Era un po’ strana, doveva ammetterlo; era più pallida del solito, le occhiaie scuse sotto gli occhi e si stringeva il braccio sinistro.
- Tutto bene? - chiese.
- Si...-
Non ne era molto convita, lo si vedeva dal modo in cui teneva bassa la testa; ma non indagò oltre, e s’incamminarono verso la fermata dell'autobus.
La ragazza si appoggiò al muro con un sospiro, togliendosi la cartella dalle spalle ed appoggiandola poi a terra con noncuranza; lui, invece, sbadigliò, guardando l’ora segnata sul display del cellulare: 6.40.
-  È in ritardo - sussurrò la ragazza, facendogli un piccolo cenno.
- Ehi tesoro... -
Si voltò guardando un ragazzino che indossava una felpa pesante, con diversi buchi e tagli, dei pantaloni a vita bassa lasciavano intravedere gli orribili boxer rossi tirati un po’ troppo in su.
- Hai una sigaretta? -
La ragazza lo fulminò con lo sguardo e non rispose.
- Ok stai calmina... - disse il ragazzo, ritornando nel suo gruppo di amici, vestiti tali e quali a lui.
- Non c’è gente normale da queste parti? - chiese.
Lei distolse lo sguardo dalla strada, e gli sorrise - Spero di si -
Si voltò verso la strada, guardando l’autobus avvicinarsi, e fermarsi proprio davanti a loro; si avvicinarono e salirono, seguiti dall’altra gente che si spingeva per accaparrarsi un posto a sedere.
Lei si accomodò in fondo all’autobus, mentre lui si sedette un posto dietro del suo.
Angelica si voltò a guardarlo, sorridendo - Che fai lì dietro? -
- Hai la faccia arrabbiata ed ho pensato: “meglio stare alla larga” -
La mora si portò una mano alla bocca, trattenendo le risate.
- Che c’è? -
- Dai Matteo, non sono arrabbiata è solo che sono le 6.45 di mattina - sussurrò lei alzandosi dal suo posto; sedendosi accanto a lui, sorridendo.
- Oh, l’esaurimento nervoso della mattina...ci passo sempre anch’io -
Angelica gli sorrise, infilandosi una delle due cuffie dell’mp3 - Esatto, quindi non preoccuparti che non mordo - sussurrò lei facendo l’occhiolino.
***
Si voltò, guardando dritto avanti a sé, nel piccolo corridoio dell’autobus. La maggior parte dei posti a sedere era già stata occupata, e dei ragazzini, si erano seduti sui gradini della porta posteriore dell’autobus, mettendo a tutto volume la solita musica da discoteca, che, a parer suo, era solo rumore.
Spostò lo sguardo oltre il finestrino, alla sua sinistra, infastidita da quel continuo “tunz tunz”; non riusciva proprio a capire cosa trovassero quei marmocchi in quel dannato genere musicale, anche se lei, ormai, era abituata con Christina Aguilera e il sano Rock n’Roll.
- Anche tu trovi odiosa quella musica? - le chiese Matteo, come se potesse leggerle nel pensiero.
Trasalì appena, ma poi annuì semplicemente - Trovo che sia il genere più odioso che ci sia; con due cucchiai riuscirei a fare una canzone simile -
Il ragazzo le sorrise - Saresti sprecata...hai una voce stupenda -
Era arrossita; poco ma sicuro. Si grattò una guancia - Beh...io... - balbettò imbarazzata - ...insomma...me la cavo -
- Sei troppo modesta -


Scesero dall'autobus, e subito s'incamminarono verso la scuola, attraversando la strada, bloccandosi poi davanti alla biblioteca.
- Vuoi andare in biblioteca? - chiese Matteo, al suo fianco, con un ghigno sul volto.
- Per prendermi un altro libro in testa? No grazie! - rispose con un sorriso.
- Non è stata colpa mia; sei tu che ti sei spaventata... -
- Non mi ero spaventata...mi avevi colta di sorpresa! -
- Ma se erano cinque minuti che me ne stavo lì impalato! - disse lui, cominciando a ridere - Di la verità...ti eri incantata -
- Non è vero - mentì, mettendosi le mani in tasca.
- Ti eri incantata a guardare i libri... -
- No -
- Si -
- No -
- Si -
Scrollò la testa con un sorriso - Beh...forse per qualche secondo... -
- Se vuoi andare ti prometto che farò il bravo - disse il ragazzo con un sorriso.
- Niente spaventi?- chiese alzando un sopracciglio.
- Niente spaventi -
Sorrise - Allora in questo caso...-
Aprì la porta d'entrata dell'edificio e salirono la rampa di scale, silenziosi come fantasmi, mentre lei, ad ogni piccolo rumore, si guardava intorno.
Entrarono nella biblioteca, che, come sempre, era vuota; il vecchio signore al bancone proprio all'entrata, sorrise - Angelica! -
Come risposta, fece un piccolo cenno con la testa - Buongiorno -
Dopo di lei, anche Matteo salutò il vecchio, che lo guardava in modo strano, con le folte sopracciglia grigie leggermente oblique.
- Possiamo dare un'occhiata ai libri?- chiese in tono cortese.
- Oh ma certo ragazza! Questa é come se fosse casa tua -
Sorrise al vecchio e s'incamminò, seguita da Matteo, al solito tavolo nascosto tra gli scaffali. Si tolse subito lo zaino, lasciandosi sfuggire un piccolo lamento per la spalla; mentre Matteo, che aveva fatto lo stesso, la guardava in modo strano.
- Che c'é?- chiese, massaggiandosi la spalla sinistra.
- Che hai fatto?-
- Io...niente -
Lui, per fortuna, non andò oltre, e si alzò il piedi iniziando a guardare i libri, posti ordinatamente sugli scaffali; mentre lei lo affiancò subito dopo.
- Sonia impazzirebbe per una biblioteca come questa - sussurrò lui afferrando un libro a caso, togliendo quella poca polvere sulle pagine.
- Sei fortunato ad avere una sorella così dolce - disse alzando appena un braccio, afferrando uno dei tanti libri sullo scaffale.
- Tu sei figlia unica? - chiese lui sedendosi su una sedia, cominciando a sfogliare le pagine del libro.
- Si, mi sarebbe piaciuto avere una sorellina e...beh...fare le cose che si fanno tra sorelle -
Lui alzò un sopracciglio - Ossia? -
- Giocare alla playstation ovviamente! -
Matteo sorrise appena - Ai soliti giochetti per femminucce -
- Questo lo dici tu... -
- Oh giusto, tu sei un caso a parte - disse il moro alzando lo sguardo - E dimmi a cosa...-
- Devil may cry! -
Il ragazzo alzò un sopracciglio - Tu? -
“ L’unico gioco che si avvicina un po’ alla mia verità” - Si...-
- Cioè...tu giochi con...- sussurrò lui chiudendo il libro con un tonfo - Devil may cry -
- Perché? -
- Non è troppo violento? -
Sorrise, incrociando le braccia al petto - E perché noi ragazze non possiamo giocare ai giochi violenti? -
- Beh, perché voi...siete...ragazze. Giocate con il trucco e con le bambole -
Prese a ridere, rimettendo a posto il libro che aveva preso poco prima - Sarò l’eccezione alla regola - disse sedendosi di fronte a lui.
Restarono lì seduti per diversi minuti, quando portò una mano alla tasca, non appena il cellulare prese a vibrare - Pronto? -
- ANGELICA!!!!!!!! Ma dove diavolo sei? -
- In biblioteca - sussurrò alla migliore amica.
- Ti conviene darti una mossa, non hai guardato l’ora? -
- No -
- Appunto... -
Elisabeth riattaccò, e guardò l’ora: 7.40
- Ci conviene andare - sussurrò al ragazzo - Altrimenti faremo tardi -
______________________________________________________

Erano giunti all’ingresso della scuola, dove, ad attenderli, c’era parte della brigata: Elisabeth, con in mano il libro di matematica; accanto a lei, Sergio, che fumava tranquillo una sigaretta, guardando la rossa che studiava; poi Vittoria e Davide, lì accanto, abbracciati.
Salutò tutti e si fermò al fianco della migliore amica, dandole una gomitata - Stiamo studiando matematica? -
Elisabeth, per tutta risposta, sospirò, chiudendo il libro - Più che altro: provo a studiare -
- Vedrai che andrà bene -
- Spero che chiami un’altra...-
Il suono della campanella li riscosse dal loro discorso e Sergio, con una smorfia, buttò a terra la sigaretta che aveva appena acceso, pestandola subito dopo.
- Prima ora? - chiese il biondo prendendo lo zaino che aveva abbandonato a terra.
- Diritto - sussurrò con una smorfia, quando Elisabeth le afferrò il braccio sinistro; ma fortunatamente, nessuno la notò.
- Dal tono di voce si direbbe che sei tentata di tornartene a casa - sussurrò Vittoria, al suo fianco.
- No...e poi, dobbiamo andare in città - disse avviandosi verso la porta d’entrata, a braccetto con la rossa e gli altri subito dopo.
- Ah, dimenticavo...io non posso perché ho l’allenamento di calcio - disse il rosso.
Alice, accanto ad Elisabeth, si mise le mani sui fianchi, sbuffando - Macché allenamento! Stai seduto per terra venti minuti e corri per 30 secondi! -
- Non è vero! -
- Si invece! - urlò la mora mettendosi a correre.
- Se ti prendo...- disse Federico mettendosi a correre; ed entrambi sparirono oltre l’entrata.
- Ah...l’amore - disse Elisabeth in un sospiro - Dì Matteo...tu sei fidanzato? -
- Io...no -
Ignorò l’amica che le dava delle piccole gomitate, e tutti entrarono nella scuola, iniziando a salire la solita rampa di scale che, alla mattina, sembrava infinita.
- Angi? - la chiamò Alice, all’ultimo piano, che si affacciava dalla balaustra - Trattieni la rabbia che Laura è sull’orlo di una crisi di nervi -
Ghignò appena - Meglio...-
- Ma perché non fate le adulte e vi ignorate semplicemente? - chiese Vittoria tirandole appena il maglione.
- Ci odiamo troppo per ignorarci -
- Più che altro - iniziò Sergio - Siete troppo stronze per ignorarvi -
Si voltò verso il biondo - Grazie Sergio, è sempre una soddisfazione parlare con te -
- Figurati -
- Anche se in parte...- iniziò Elisabeth - ...Sergio ha ragione -
- Ma scusate...lei mi provoca, cosa dovrei fare? - chiese sorridendo.
- Ignorarla? - chiesero tutti, escluso Matteo, in coro.
- Non ci penso proprio -
- La solita Angi...- iniziò Vittoria - ...testarda...-
- ...orgogliosa...-
- ...violenta...- disse il biondo.
- Non sono violenta! - disse ormai, sulla soglia della classe.
- Nooooooooooooooooo -


L’insegnate di diritto era già seduta alla cattedra, con il registro aperto, impugnando una stilografica che grattava sulla carta quando scriveva.
- Vi sembra l’ora di entrare? - chiese la prof senza alzare nemmeno lo sguardo.
- Non è nemmeno suonata - rispose maligna, mentre lei ed Elisabeth si accomodavano al loro posto.
- Sedetevi e tirate fuori i libri - ordinò la donna alzandosi in piedi - Ritorno fra cinque minuti - aggiunse poi uscendo dalla classe.
- Angi? -
Voltò lo sguardo verso la rossa, che estraeva dallo zaino il libro di diritto, con la copertina piena di smile - Che c’è? -
- Per ieri sera... - iniziò l’amica cercando velocemente la pagina giusta del libro - ...è una cosa talmente brutta che non te la senti nemmeno di parlarne a me? -
Sospirò, abbassando lo sguardo - Ti prego Elisabeth, non adesso... -
- Si, scusa...hai ragione, ma voglio solo capire -
- Te lo dirò un giorno Elisabeth, ma non sono ancora pronta -
- Tanto si sa... - disse una voce alle loro spalle - ...che la secchiona è una codarda -
Voltò lo sguardo e si alzò dal proprio posto, avvicinandosi pericolosamente a Laura, che ghignava. Era vestita come al solito, solo che questa volta, sullo zigomo spiccava un piccolo taglio carminio.
- Ritira subito quello che hai detto -
- Cosa? Il fatto che sei una codarda? -
- Esatto - sussurrò avvicinandosi ancora di più.
- Mai. Perché è quello che sei...una codarda -
Prese un profondo respiro, cercando di trattenere la rabbia, e strinse i pugni, facendo sbiancare ancora di più le nocche.
- Sbaglio per caso? -
- Di grosso anche -
Laura ghignò - Che strano, a me è sembrato il contrario -
- Se stai parlando di tuo fratello...- iniziò, fermandosi subito dopo, quando la bionda le afferrò un braccio, spingendola poi contro il muro.
- Non nominarlo! -
Prese un altro respiro, ignorando tutta la classe, che si era voltata a guardare il loro litigio.
- Non è stata colpa mia -
- Oh, e chi mai potrebbe crederti? - disse la ragazza avvicinandosi ancora di più - Chi mai potrebbe credere ad una che dice di vedere i fantasmi? - le sussurrò lei all’orecchio.
Le sue mani tremavano, e di sicuro era diventata ancor più pallida del solito - Come fai a... - provò a chiedere; ma le mancavano le parole. Laura si allontanò con un ghigno stampato sulle labbra, senza nemmeno darle risposta.
- Angi? -
Si voltò, guardando Elisabeth, leggermente preoccupata.
- Che diavolo ti ha detto? -
- Niente - sussurrò sedendosi tra l’amica e Matteo, vedendo l’insegnante rientrare.
- Pagina 347 - annunciò la professoressa, cominciando a spiegare, anche se, ovviamente, nessuno ascoltava.
Lei prese un foglio bianco e lo porse ad Elisabeth, che iniziò a scrivere.
--- Sabato 28 c’è una festa ---
Corrugò la fronte --- Festa? Dove? --- rispose, porgendo di nuovo il foglietto all’amica.
--- In un locale non molto distante da dove abito io...vieni? ---
--- Dipende... ---
--- Da cosa? ---
--- Che festa è? ---
--- In maschera ---
--- Tema? ---
--- Angeli e demoni ---
Si portò la penna alle labbra, pensandoci su --- Io, tu, Alice e Vittoria? ---
--- Ovviamente ---
--- Ci sto...ma i costumi? ---
--- Ci peeeeeeeeeeeeeeeeeeeenso io...passa il biglietto a Vittoria ---
--- Vittoria...tu vieni? --- scrisse, piegando poi il bigliettino, passandolo alla bionda dietro di lei, che rispose immediatamente.
--- E mi avete svegliato per una cosa del genere? ---
--- Dai Viky! Si o no? ---
--- Vengo vengo... ---
Piegò il bigliettino e lo passò ad Elisabeth, che sorrise appena, scarabocchiando una risposta.
--- Ad Alice lo chiediamo dopo perché è in coma ---
Annuì, appallottolando il biglietto, cominciando poi a seguire la lezione; ma, dopo una ventina di minuti, crollò sul banco, annoiata a morte.
- Che c'é l'ora dopo?- chiese Elisabeth in un sussurro, dandole una piccola gomitata.
- Ginnastica -
- Oh fantastico! Magari oggi quella pazza ci mette in mano dei bazooka - sussurrò battendo le mani sul banco, attirando l'attenzione dell'insegnante di diritto.
- Oh scusi prof, c'era...un insetto e...-
- ...l'hai spiaccicato - concluse l'insegnante.
- Oh no, l'ho solo spaventato -
- Metodo alquanto barbaro per far volare via un insetto, signorina Hall -
La classe scoppiò in una risata.
- E prima di questo stava comunicando con il suddetto insetto? -
Un'altra risata, mentre lei scivolava sempre di più sotto al banco, cercando di non dare nell'occhio.
- Beh...insomma...gli ho detto di volare via -
- Incredibile, la ragazza che sussurrava alle mosche -
Altra risata generale della classe.
- Punizione signorina Hall, a lei e alla sua compagna, che cerca di svignarsela scivolando sotto il banco; venerdì resterete un'ora in più. Signorina Vetra per lei la punizione é raddoppiata, dato che é anche caposcuola e deve dare il buon esempio, rimarrà un'ora in più della signorina Hall -
" COSA?!?!?! Schifosa...troia di insegnante che non sei altro!!!!" - Cosa?! Ma solo perché ha sbattuto i pugni sul banco e abbiamo sussurrato due parole in croce?!- chiese alzandosi in piedi, facendo più baccano possibile nel spostare la sedia all'indietro.
" Io e il mio orgoglio del cavolo, ma quella si merita la mia ribellione!"
- Si sieda, rimarrà qui fino alle tre anche lunedì e martedì - disse l'insegnante con un ghigno sulle labbra, scrivendo sul registro.
- Non può fare una cosa del genere! -
La prof alzò lo sguardo, con un ghigno maligno sul volto - Oh, certo che posso. Ora si sieda prima che la mandi dalla direttrice -
- Angelica, smettila o ti farai sospendere - le sussurrò la rossa tirandole appena la maglia.
Non demorse e restò in piedi, fulminando l’insegnante con lo sguardo.
- Si sieda immediatamente! -
Si risedette solo perché la migliore amica la strattonò per la maglia; e fulminò un’altra volta la professoressa, che ghignò.
- Molto probabilmente, in giornata verrà convocata dalla direttrice -
Non abbassò lo sguardo, e lo distolse soltanto quando l'insegnante riprese a spiegare con un sorriso sulle labbra.
Matteo, al suo fianco, le diede una piccola gomitata e le passò un foglietto piegato in quattro.       
--- Ma come fai a cacciarti sempre nei guai? ---
Si affrettò a scribacchiare una risposta, fingendo di seguire la lezione.
--- Io non mi caccio nei guai, sono loro che danno la caccia a me! ---
Ripassò il foglietto al molo, che sorrise, scrivendo ancora.
--- Ti faranno sistemare la biblioteca XD ---
--- Guarda che ti faccio prendere una punizione così mi fai compagnia :) ---
Passò di nuovo il foglietto a Matteo, mentre Elisabeth, approfittando di un attimo di distrazione dell’insegnante, allungò la mano ed afferrò il foglietto, cominciando a scrivere a sua volta; porgendoglielo poi, quando finì.
--- Innamorati!!...finitela di mandarvi i messaggini ---
Arrossì immediatamente, mentre Matteo si trattenne dal ridere.
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L’ora era finalmente terminata, e tutti aspettavano l’insegnante di educazione fisica. Elisabeth, accanto a lei, era seduta sul banco che si stiracchiava le braccia, sbadigliando.
- Hai fatto le ore piccole? - chiese sorridendo.
La rossa sbadigliò un’altra volta - Ti piacerebbe vero? Così hai qualcosa di cui parlare -
- Oh, guarda che io ho molte cose di cui parlare...- disse incrociando le braccia - ...come va con Sergio? -
L’amica arrossì di botto - Io...ecco...ehm...insomma...non...-
- Ah, è per quello che avete fatto tardi - sussurrò in tono malizioso.
- Ma cos’hai capito!! -
- Io ho capito che, ieri sera, tu e lui...- iniziò, bloccata poi da Elisabeth, che le aveva messo una mano sulla bocca.
- Adesso ti lascio andare se la smetti di sparare cazzate -
Annuì, respirando forte, non appena la ragazza la lasciò andare - Potevi uccidermi! -
- Ma tu non muori nemmeno se ti passo sopra con il carro armato -
- Beh...allora? Ti ha chiesto di uscire? -
Elisabeth arrossì ancora - No...-
Spalancò la bocca - Ma allora è un asino!!! -
- Ma se magari è timido...-
Inarcò un sopracciglio, portandosi una mano alla spalla sinistra, massaggiandola appena - Ma parli di Sergio? Sergio Sergio? -
L’amica annuì.
- Ma secondo te ha la faccia di uno timido? -
- Non starete parlando di me vero? -
Voltò appena lo sguardo, scrollando la testa con vigore non appena vide il ragazzo dai capelli biondi - Assolutamente no! -
- Elisabeth? Ti posso parlare -
- Certo -
Sergio arrossì lievemente - Tu...insomma...vieni...a casa di Alice venerdì? -
Quasi cadde dalla sedia “ Hai fatto la domanda sbagliata!!!!!! Dovevi chiederle se voleva uscire con te!!!!!! Asino!!!!!!”
- Oh...io sì, vengo -
- E tu Angi? -
Lo guardò, alzando un sopracciglio - Stupido -
- Cosa?! Perché? -
Si alzò in piedi, afferrando il ragazzo per un braccio - Vieni con me -
Lo trascinò fuori dalla porta, mettendosi poi le mani sui fianchi in stile Molly Weasley - Sei un cretino Sergio -
- Lo so...lo so...-
- Perché non le chiedi di uscire? -
- Perché non so se accetta -
- Tutto qui? Devi soltanto dire “vuoi uscire con me?” -
- Si ma...-
- Non ti dirà mai di no -
Il biondo sospirò - Hai ragione -
 - Quindi...cosa le chiederai? -
***
Si passò una mano nei capelli, mentre camminava per il corridoio; ma si bloccò non appena vide Sergio ed Angelica, fuori dalla porta della classe. Lui con la schiena appoggiata al muro, e lei con le mani sui fianchi.
- Vuoi uscire con me? - chiese il biondo.
- Ottimo -
Sospirò appena, riprendendo a camminare verso la classe, attirando l’attenzione dei due “Lui la conosce da anni...” pensò atterrito.
- Matteo! Dove ti eri cacciato? -
Alzò lo sguardo verso il biondo, che gli si avvicinò.
- Io...in giro -
- Meglio tornare in classe prima che arrivi l’insegnante -
- Troppo tardi Vetra - disse la voce della professoressa di ginnastica, alle sue spalle - Chiami gli altri -
Ritornò in classe ed afferrò lo zaino di ginnastica, e seguì gli altri per il corridoio. Sergio lo affiancò subito dopo, sorridendo.
“ Sii felice per lui almeno” disse la vocina buona dentro la sua testa, che provò a cacciare.
- Allora...- iniziò provando ad essere gentile - ...tutto bene con Angelica? -
Il biondo corrugò la fronte - Eh? -
- Non fare il finto tonto, ho sentito che le chiedevi di uscire... -
L’amico, al suo fianco, prese a ridere, portandosi le mani allo stomaco - No no...Angelica mi aveva trascinato fuori perché non riuscivo a chiedere ad Elisabeth di uscire con me; e lei mi dice “Quindi...cosa le chiederai?” e io le ho risposto “Vuoi uscire con me?” -
- Ah...-
- Che avevi capito? -
- Beh pensavo che...-
- Geloso? -
- Io? No! -
- Sicuro?? -
- Al cento per cento. Mai stato più sicuro in vita mia -
***
Arrivarono finalmente alla palestra, i ragazzi si separarono dalle ragazze, e tutti andarono nei rispettivi spogliatoi.
Si sedette sulla panca in legno, aspettando che le altre si cambiassero.
- Angi? Non fai ginnastica?-
Sorrise a Vittoria, al suo fianco, che prendeva la divisa da ginnastica dallo zainetto - Oggi non mi sento molto bene - rispose.
Abbassò di nuovo lo sguardo, ignorando Elisabeth, seduta accanto a lei, che la guardava con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate.
- Forza muoviti! -
- Ok ok...mi cambio - disse la ragazza cominciando a togliersi la felpa.
- Quasi dimenticavo...gli abiti dove li compriamo? - chiese guardando la rossa.
- Ho detto che non ti devi preoccupare...so io dove trovarli! -
- Che abiti? - chiese Alice, già vestita, sbucando con la testa, dalla porta del bagno.
Incrociò le braccia al petto - Sabato 28 c’è una festa in un posto sconosciuto vicino alla casa di Elisabeth; tu vuoi venire? -
- Festa come? - chiese la mora avvicinandosi con qualche piroetta.
- Con tema angeli e demoni -
- Signore - disse la ragazza facendo un piccolo inchino - A bomba!!! Io vengo di sicuro! -
- E per i vestiti... - iniziò Elisabeth mentre infilava le scarpe da ginnastica - Conosco un negozio dove possiamo trovarli, e magari vi ci porto qualche giorno -
- Si ma, non all’ultimo momento come fai di solito - disse Vittoria sedendosi accanto a lei - L’ultima volta è stato un disastro -
- Halloween vero? - chiese.
- Dove la signorina caposcuola ha dato sfogo alla sua creatività - disse la bionda guardandola male - Tu e le tue idee del... -
- Ma se era un travestimento perfetto! - esclamò Elisabeth, prendendo a ridere, ignorando le occhiate di Laura e le altre.  
- Peccato che andare in giro con un lenzuolo non è stato il massimo -
Alice volteggiò un altro paio di volte, per poi afferrarle un braccio, facendola alzare in piedi - E ti lamenti? Ti ricordi cos’aveva fatto a me? -
Tutte voltarono lo sguardo verso di lei, portandosi le mani sui fianchi, scrollando la testa a destra e a sinistra.  
- Che c’è? Doveva essere uno zombie no? - chiese guardandole ad una ad una.
- Peccato che sembravo una ragazza dai “facili costumi” - iniziò Alice, interrompendosi subito dopo, aspettando che Laura e le altre, già pronte, uscissero dallo spogliatoio; poi riprese - Volevi farmi sembrare come Laura?! -
- Ma dai che era un lavoro perfetto! -
- Allora farò lo stesso lavoro perfetto su di te sabato - disse Alice, ghignando.
- Ehm...no grazie -
Elisabeth, sbuffando, le prese un braccio, mentre con l’altro cercò di spintonare fuori Alice - Andiamo che facciamo tardi -
Uscirono dallo spogliatoio e raggiunsero la palestra, guardarono i compagni di classe, seduta a terra, disposta a semicerchio intorno all’insegnante, in piedi, che alzò lo sguardo verso di loro, alzando le mani e cominciando ad agitarle - Avanti muovetevi che ho una novità! -
- Probabilmente dirà che i bazooka sono finiti, ma che, in compenso avremmo le mitragliette - le sussurrò Elisabeth.
- La sento signorina Hall! -
Si avvicinarono piano; poi Vittoria si sedette vicino a Davide, Alice accanto a Federico, cominciando a prenderlo a pugni; mentre lei ed Elisabeth si sedettero accanto a Sergio e a Matteo.
- Angi non fai ginnastica? - le chiese il biondo avvicinandosi un po’.
- No - rispose fredda, senza aggiungere altro.
- Ah...- sospirò lui - ...i soliti problemi femminili -
Si voltò verso il ragazzo, fulminandolo con un’occhiata di fuoco - No...sono nell’impossibilità di praticare attività fisica - disse andando a sedersi sulla panchina di legno, in parte alla solita cattedra abbandonata nell’angolo più remoto della palestra; ed infine sorrise all’insegnante che la fissava intensamente.
- Perché diamine non fai ginnastica? - le chiese la donna socchiudendo gli occhi, che sembravano ardere dalle fiamme.
- Non mi sento molto bene professoressa -
- Non è una scusa - disse l’insegnante alzandosi in piedi, mettendosi poi davanti a lei.
Sbuffò, tirando appena il collo del maglione, lasciando intravedere la candida fasciatura sulla spalla - Questo le basta? -
L’insegnante parve sconvolta, ed la fissava a bocca aperta - Ma come diavolo fai a romperti sempre qualcosa? -
- Un incidente - si giustificò - Sono caduta dalla moto...e non è rotta -
- Ok ok...resta qui e non fare casino - sussurrò la donna scrivendo qualcosa sul registro; e poi chiamò all’ordine i suoi compagni, che si zittirono.
Voltò lo sguardo verso Elisabeth, che cercava di comunicarle qualcosa a gesti, puntando prima la professoressa e poi lei.
- Dopo - sussurrò all’amica, che, come risposta, annuì.
- Bene ragazzi, vi sembrerà una domanda strana...- iniziò l’insegnante facendo qualche passetto avanti - ...mi serve il vostro numero di scarpe -
Tutti si guardarono, alzando le spalle e borbottando alcune parole; chiedendosi, molto probabilmente, che diamine ci fa la prof con il numero delle loro scarpe.
- Calmi, calmi...dalla settimana prossima ci sono quattro ore dedicate al pattinaggio sui rollerblade -
“ Cosa?! NO!!! No!! Assolutamente no!!!” pensò alzando lo sguardo e sbuffando “ Ditemi che non è vero”
- Alcuni di voi non saranno capaci - continuò l’insegnante - ...ma vedrete che in fondo in fondo, scusate il termine, è una cazzata. Per sicurezza, comunque, vi verranno prestate anche le ginocchiere e i proteggi polso -
La classe sbuffava e borbottava parole senza senso, mentre Elisabeth la guardava, sperando di aver frainteso le parole dell’insegnante. Si picchiettò l’indice sulla tempia “ È pazza”.
- Quindi ragazzi e ragazze...numero di scarpe -


Dopo aver raccolto tutti i numeri di scarpe, l’insegnante aveva fatto correre i suoi compagni avanti ed indietro per la palestra; Elisabeth e Vittoria erano sedute da una parte, con il fiatone; assieme al gruppetto al completo di Laura, che però continuava a correre.
L’insegnante, seduta alla cattedra al suo fianco, le diede una piccola gomitata - Ti rode eh...stare qui seduta e non competere con la tua amichetta -
Sorrise - Non ho bisogno di competere professoressa -
- Ah no? -
- Io sono già migliore di lei -
L’insegnante ghignò sotto i baffi - Non so come fate a non andare d’accordo...avete molte cose in comune voi due -
- Non credo -
- Oh, invece si. Da quello che vedo, entrambe volete essere la migliore -
Voltò lo sguardo verso il gruppo che, ormai, correva da dieci minuti e solamente Laura non aveva il fiatone.
“ Supererebbe facilmente la prova di resistenza dell’Agenzia” pensò, scrollando poi la testa “ Per carità, non la voglio tra i piedi anche là”.
Sbuffò appena, stringendosi la spalla; senza accorgersi di Elisabeth, che le si sedeva accanto con aria preoccupata, ancora con il fiatone per la corsa.
- Dovresti farti vedere quella spalla -
Sorrise in modo forzato, sperando di rasserenare la migliore amica; ma ritornò seria non appena sentì due voci conosciute, che, molto probabilmente, riecheggiavano soltanto nella sua testa.
- Riesce a sentirci- disse uno; mentre lei si guardava intorno.
- Angelica? che diamine stai guardando? -
Non stava ascoltando l’amica, che le tirava appena la manica per attirare la sua attenzione; ma continuava a muovere la testa a destra e a sinistra guardando ogni angolo della palestra, ogni trave che componeva il soffitto, i due canestri da basket e l’entrata del corridoio, che conduceva agli spogliatoi; ma non notò niente di strano.
- Angi? -
- Niente - rispose immediatamente - Mi fischiavano le orecchie -
- E quando ti fischiano le orecchie hai l’abitudine di guardarti di qua e di là? -
- Sì -
- Allora ci siete solo tu e Laura con questa strana abitudine -
- Laura? -
Elisabeth indicò la bionda, che aveva interrotto la sua corsa ed era ferma al centro della palestra, che puntava con aria preoccupata il corridoio degli spogliatoi, quasi completamente al buio.
- Professoressa...- sussurrò in tono distratto, senza distogliere lo sguardo dal corridoio - ...vado in bagno -
Si alzò e, senza attendere risposta, partì di corsa, addentrandosi poi nel corridoio.
“ Avanti...dove diavolo siete?”
Fece qualche piccolo passo avanti con i nervi a fior di pelle; ma si bloccò subito dopo, sentendo qualcuno, dietro di lei, con il fiatone.
- Allora sei una matricola -
Voltò appena la testa, guardando Laura, che ghignò maligna - Problemi? -
Rise portandosi le mai ai fianchi - Tornatene in palestra, non è roba per te -
- Perché? Per te lo è? -
Sospirò, dandole di nuovo le spalle, lanciando una veloce occhiata al corridoio - Dimmi Laura, quanti demoni hai ammazzato di preciso? -
La bionda la fulminò con lo sguardo - Un paio -
- Categoria? -
- D -
- Bene - sussurrò in tono da “perfetta ragazza che prende per il culo la gente” - Questi sono di categoria A. Vuoi provare ad ucciderli e morire nel tentativo, o vuoi farti da parte lasciando lo spazio alla sottoscritta, che di demoni così ne ammazza uno al giorno? -
La nemica sembrò cedere, ed indietreggiò di qualche passo - D’accordo ma resto dietro di te -
Ghignò maligna ed iniziò ad avanzare piano nel buio; con la mano destra, chiusa a pugno, leggermente avanti, mentre la sinistra, per difesa, a pochi centimetri dal mento.  
Si fece ancor più cauta quando le ombre sembravano muoversi a pochi passi da lei; ma giunse alla fine del corridoio e non c’era anima viva o morta.
- Qui non c’è niente - sussurrò.
- Però...che occhio -
Si voltò verso la bionda, che aveva ripreso il suo tono strafottente di sempre.
- Cos’erano? -
- Demoni ombra -
- Pochi sono in grado di ucciderli - disse Laura.
- Ed io sono una di questi - sibilò - Ora tornatene in palestra -
- Potrebbero attaccare di nuovo -
- Non lo faranno -
- Come puoi esserne sicura? -
Ghignò maligna, incrociando le braccia al petto - Si vede che sei una matricola che si occupa della categoria D - disse dandole le spalle, ritornando in palestra.
Si voltò verso Elisabeth, al centro della palestra, che faceva stretching con gli altri; ed ovviamente, la guardava in modo strano.
Riuscì soltanto a sorriderle, abbassando di nuovo lo sguardo.


Terminata l’ora di educazione fisica, tutti si erano cambiati ed erano corsi in classe per una tranquilla ora di religione. L’insegnante era una strana, i capelli castani perennemente spettinati; un paio di occhialetti che la facevano sembrare una parente della McGranitt e uno strano sorriso. L’argomento iniziale era l’islam, ma come sempre, la professoressa si era allargata nei sui discorsi.
- Beh ragazzi - iniziò la donna sedendosi sulla cattedra - ...saprete naturalmente che Gesù non è nato il 25 dicembre -
Alzò lo sguardo dal suo braccio, che Elisabeth stava accuratamente riempiendo di smile e numeri - Beh certo - disse attirando l’attenzione dell’insegnante - Il 25 dicembre è la festa pagana del sole invincibile ed il cristianesimo, fondato su quella religione, adottò quella data per festeggiare la nascita di Cristo, che probabilmente, è nato a marzo -    
La prof era rimasta leggermente sorpresa - Sì, è esatto...brava Angelica - si complimentò lei, continuando poi il discorso.
- Perché tu sai queste cose ed io no? - le chiese Elisabeth, ripassando una faccina.
- Io leggo... -
- Oh beh, contenta tu...contenti tutti - sbuffò la rossa - Matteo? Mi dai il tuo numero? -
Il ragazzo, al suo fianco, si voltò confuso verso Elisabeth, dettandogli poi il suo numero di cellulare che l’amica, si apprestava a scrivere sul suo braccio.
- Ora dammi tu il braccio - sussurrò ancora lei, allungando la mano verso Matteo, che ubbidì.
- Elisabeth ma che diavolo...- disse, bloccandosi subito dopo vedendo il suo numero scritto sull’avambraccio del ragazzo.
- Così potete chiamarvi -
Inarcò un sopracciglio - Perché? -
- Magari Matteo si perde in città...-
- Signorina Vetra? -
Si alzò lentamente in piedi, guardando una donna sulla porta - Si?-
- È convocata dalla direttrice -
Sospirò uscendo dalla classe, lanciando un’ultima occhiata ad Elisabeth, per poi percorrere lentamente il corridoio, e scendere poi la rampa di scale.
La solita porta le si presentò davanti troppo presto. Bussò ed aspettò che la direttrice le diede il permesso di entrare.
- Avanti -
Prese un respiro profondo ed abbassò la maniglia, tenendo alto lo sguardo - Buongiorno direttrice -
La donna era seduta al solito posto, vestiva elegante, come sempre, e la guardava da dietro i suoi occhiali.
- Siediti -  disse la donna facendo un piccolo cenno alla sedia. Si sedette senza discutere.
- Vedi, la tua insegnante di diritto é venuta qui l'ora precedente, lamentandosi della sfacciataggine di un'allieva troppo orgogliosa per accettare le sue decisioni -
- Direttrice io...-
- Fammi finire - sussurrò la preside alzando una mano, bloccandola - Ti devi ricordare che l'insegnante é un gradino sopra di te, benché tu sia caposcuola. Ma ora voglio sapere la tua versione dei fatti -
Abbassò lo sguardo, stringendo i pugni abbandonati sulle ginocchia - Vede direttrice, la professoressa é...diciamo troppo esagerata, per poche parole ha subito pensato di punire sia me che la signorina Hall, facendoci rimanere un'ora in più -
- Lo trovi sbagliato? - chiese la direttrice incrociando le braccia e accomodandosi meglio sulla sedia.
- Solamente in parte. Il grado della punizione dovrebbe essere imposta dalla gravità di quello che si ha fatto, non si fa restare un'ora dopo le lezioni per quattro chiacchiere, al massimo un compito in più. Questo per quanto riguarda la signorina Hall -
- E riguardo a lei? -
- Io sono stata indiscreta, e merito la punizione, ma non mi pento di aver fatto presente all'insegnante che sbagliava - disse fiera, alzando lo sguardo pieno d'orgoglio.
La direttrice la osservò un attimo, portandosi le mani sotto al mento - La signorina Hall é esonerata dalla punizione, mentre tu rimarrai qui solo venerdì fino alle 15. Ora puoi tornare in classe, ma ricorda Angelica, alcune volte devi mettere da parte il tuo orgoglio. Anch'io alla tua età ero così, ma trattenermi mi ha portato qui - disse la direttrice togliendosi gli occhiali - Tu puoi fare molto Angelica, molto più di quanto pensi -
Annuì leggermente, alzandosi dalla sedia - Buona giornata -
- Anche a te -
Si richiuse la porta alle spalle, sussultando non appena sentì il suono acuto della campanella, che annunciava l’inizio della ricreazione. Il corridoio, in pochissimi secondi, fu invaso da una moltitudine di studenti, che correvano verso i distributori automatici, sperando di servirsi per primi. Non si stupì di vedere Alice, che si faceva largo tra la folla, in modo da arrivare alla macchinetta del caffè.
- Alice! -
La mora si bloccò all’improvviso, allungando il collo per capire chi la chiamava; poi infine la notò ed arrivò al suo fianco in un batter d’occhio con il fiatone.
- Angi! Piccola ragazzina che non sei altro...com’è andata dalla direttrice? -
- Bene, mi sono presa solo la ramanzina - rispose battendo una mano sulla spalla dell’amica - Mi offri un caffè? -
- Dipende -
- Da cosa? -
La mora le fece gli occhi dolci - Oggi non mi uccidi vero? -
- Perché dovrei ucciderti? -
- Perché non posso venire in città -
Sorrise - Ma certo che non ti uccido...-
- Davvero? -
- Ti torturo! -


Erano davanti alla macchina del caffè; lei beveva tranquilla, mentre Alice sbuffava di continuo, reggendo il suo bicchiere.
- Ti odio...-
- Non è colpa mia se Elisabeth ha sfogato il suo lato artistico su di te - disse sorseggiando un altro po’ di caffè.
- Ah beh...Matteo ha sentito la tua mancanza sai -
La fulminò con un’occhiata - Non iniziare anche tu...-
Alice ghignò, tirandole appena la manica del maglione - Eddai...vedo le tue occhiatine nella sua direzione... -
- Ma quali occhiatine... - sussurrò finendo il caffè e gettando il bicchiere vuoto nel cestino.
Fece per andarsene, ma Alice la trattenne per un braccio, facendola voltare di scatto. Ignorò il lieve dolore alla spalla.
- Che c’è? -
L’amica finì il caffè, gettandolo poi nel cestino, e si voltò verso la macchinetta, quasi completamente coperta dai ragazzini che si prendevano la merenda - Oh mio dio -
La guardò, leggermente confusa - Ma di che diavolo stai parlando? -
- Ci sono ancora gli m&m’s!!! -
- Eh, allora? -
- LI VOGLIO!!!!!! -
Pochi secondi e la mora era già in mezzo agli altri studenti, che si faceva largo - Avanti ragazzi! Fate passare quelli più vecchi! -
Si diede una piccola sberla sulla fronte - Alice! -
- Ci sono quasi!!!!!! -
- Lascia perdere! - urlò avvicinandosi un po’ per assistere meglio alla scena.
- MAI! -
Sorrise appena, ma trasalì subito dopo quando qualcuno la trascinò nel bagno. Si ritrovò a fissare un paio di occhi color del ghiaccio, la schiena appoggiata alle candide mattonelle del muro e una mano serrata sul polso.
- Finiscila di comportarti così - sibilò portandosi ad un soffio dal viso di lui.
- Che cos’hai? - chiese Luca aumentando la stretta sul suo polso.
- Niente -
- Bugiarda - disse lui avvicinandosi al suo orecchio - Perché non hai fatto ginnastica? -
- Non mi sentivo molto bene - rispose senza muovere nemmeno un muscolo.
- Ma se facevi ginnastica anche se il giorno prima...noi due...-
Liberò la mano bloccata e diede un sonoro schiaffo al ragazzo, che le afferrò subito dopo il polso.
- Devi finirla di rompermi le palle, Luca. Sono stata chiara? -
- Non mi sembra che ti dia fastidio - sussurrò lui.
- Invece mi da molto fastidio. Ora smettila prima che ti arrivi un calcio nello stomaco -
Il ragazzo ghignò un’ultima volta, prima di lasciarla andare - Mi ecciti sai? -
- Beh, allora vai a sfogare i tuoi istinti sessuali su Laura - sussurrò, uscendo dal bagno, trovandosi faccia a faccia con Alice, che si gustava il premio per le sue fatiche.
- Ce l’hai fatta... -
- Avevi dei dubbi in proposito? -
- No...ma adesso dammene uno - disse facendo gli occhi da Bambi.
- No...-
- Come sarebbe a dire no? -
- Scordatelo! -
- Se ti prendo!!!!!! -
Corsero su per le scale e giunsero quasi immediatamente alla porta della classe. Elisabeth e Matteo erano lì fuori, molto probabilmente, le stavano aspettando.
La rossa le si scaraventò letteralmente addosso - Allora? Dalla direttrice?-
- Per te la punizione é annullata, mentre la mia si é solo accorciata -
- Oh Angelica, non dovevi difendermi -
- Non ti preoccupare - sussurrò - Oggi Alice non viene...-
- Si, me l’aveva detto prima...e nemmeno io vengo - disse la rossa incrociando le braccia.
- Cosa? Perché?-
- Perché di si... -
Guardò Elisabeth, poi Alice e poi di nuovo Elisabeth - Che diamine state escogitando voi due?- chiese mettendosi le mani sui fianchi.
- Ehhhhhhh...affari nostri amica - disse la rossa imitando la voce di Bugs bunny.
- Uffa - sussurrò - Siete due... -
Elisabeth, non la stava nemmeno ascoltando; era troppo occupata a guardarsi intorno.
- Matteo? - urlò lei chiamando il ragazzo, che stava parlando con Sergio e gli altri - Oggi siete solo tu e Angelica, vuoi rimandare ad un altro giorno?-
Il ragazzo fece per parlare ma lo interruppe - Se non ti va possiamo rimandare alla settimana prossima -
- Per me è lo stesso - disse il moro con un sorriso.
- Allora ci andate - rispose l’amica al suo posto - Cazzo matematica! -
- Elisabeth...oggi non c’è matematica -
- What? -
- Oggi non c’è matematica -
- E io ho studiato per niente allora! -
- Ehi ragazzi! - urlò l’insegnate di musica, appena sulla porta - Sedetevi che oggi si fa una cosa grandiosa dato che abbiamo due ore, ed in più uscite tutti un’ora prima -
Elisabeth si voltò verso l’insegnante - Ci fa ballare con la calzamaglia? -
- Ti piacerebbe vero? Comunque no! Ora sedetevi che vi devo parlare della gita - urlò la donna provando a superare il brusio di sottofondo, che non accennava a smettere - Ragazzi! Non volete ascoltare la novità sulla gita? No? Bene allora me ne vado e voi state qui a fare due ore di economia...-
Tutti smisero di parlare e si sedettero ai propri posti.
- Wow, ecco l’effetto quando si tira fuori il discorso “economia”. Comunque, abbiamo deciso una cosa dell’ultima ora stramega fighissima. Allora, innanzi tutto, la spesa della gita è di 150 €...in più, ecco la grandissima novità...dato che sarà solo la vostra classe ad andare in gita, si faranno delle coppie - disse l’insegnante prendendo dei piccoli foglietti da sei centimetri per tre, e cominciando a distribuirli uno ciascuno - Scrivete il vostro nome, lo piegate in due e poi li mettete qua dentro - aggiunse ancora lei agguantando una piccola scatola in cartone.
Dopo che tutti ebbero messo il proprio nome nella scatoletta, l’insegnate cominciò a mescolare.
- Prima coppia: Sergio e Jennifer. Seconda coppia: Davide e Rachele -
Vittoria le si avvicinò piano - Gli devo fare un discorsetto prima di partire -
- Ah, non ti preoccupare, cosa vuoi che faccia con quella? -
- Terza coppia: Laura e... -
“ Ti prego non io, ti prego non io, ti prego non io, ti prego non io!!!!!!!!”
- ...Vittoria -
- No...che sfiga - disse la bionda dietro di lei battendo la testa sul banco più e più volte.
- Vittoria non sporcare il banco di sangue. Quarta coppia: Veronica e Nicola. Quinta coppia...- disse l’insegnante estraendo altri due bigliettini - Luca ed Elisabeth -
“ Almeno non sono finita con Luca o con Laura” pensò, rasserenandosi.
- Sesta coppia: Alice e Federico -
Si voltò verso l’amica - Che culo - le sussurrò, e come risposta ricevette solo un occhiolino.
- Settima coppia: Angelica e...- disse la prof estraendo un altro bigliettino - Matteo -
Alzò una mano, e Matteo le diede subito il cinque.
- Ultimo gruppo composto da tre persone: Andrea, Giulia e Sara. Bene, le coppie sono state fatte; gli altri dettagli vi saranno dati il giorno prima di partire. Arriveremo in mattinata immagino e l’autobus non si fermerà proprio davanti al nostro rifugio, ma abbiamo deciso di farvi gareggiare, per le prime tre coppie che arrivano alla baita, niente compiti per casa fino a mercoledì prossimo, escludendo naturalmente la relazione che dovete fare sulla gita per quella di italiano -
- Ma come faremo a raggiungere la baita? - chiese Sergio.
- Vi daremo una mappa e una bussola, se vi perdete...beh...sperate di non perdervi altrimenti farete la conoscenza dei lupi. Dormirete con il vostro compagno in una stanza che vi sarà assegnata all’arrivo alla baita. Non potete andare da una stanza all’altra, e inoltre, vorrei aggiungere che non siamo sorde noi prof...vi sentiamo...nel caso ci siano strani rumori molesti provenire dalle stanze...soprattutto quelle delle ragazze che divideranno la stanza con dei maschietti -
Tutti scoppiarono a ridere.
- E adesso tutti in teatro -
- Teatro?!? - chiese la classe in coro.
- Esatto ragazzi! Niente musica...soltanto teatro -
Uscirono dalla classe, ed Elisabeth la raggiunse subito - Che diavolo ha in mente? -
- Non ne ho idea. A volte mi spaventa quando fa così - ammise.
- Sei capitata proprio con... - disse l’amica lanciando un’occhiata a Matteo.
- E tu con Luca - sussurrò - Mi dispiace -
- Me la saprò cavare; comunque...magari Matteo ti chiederà di uscire -
Sospirò lievemente - Elisabeth... -


La professoressa li guidò giù per la rampa di scale, ed infine aprì una porta, giungendo in teatro.
Tutti si sistemarono davanti al palco, mentre la donna camminava avanti ed indietro, con uno strano sorriso stampato sulle labbra - Ragazzi facciamo Romeo e Giulietta -
- Cosa?! - esclamò Sergio passando in ultima fila.
- Niente storie, adesso ci vogliono due volontari; una ragazza per Giulietta e un maschietto per Romeo -
“ Non mi farò mai avanti, questo è poco ma sicuro” pensò mettendosi le mani in tasca.
- Oh brava Angelica! Bravo Luca! -
Alzò gli occhi verso l’insegnante sgranando gli occhi - Cosa? -
- Siete gli unici che si sono proposti - rispose la professoressa mettendole in mano un paio di fogli.
Si voltò scandalizzata verso i compagni, che avevano indietreggiato, lasciando loro due avanti.
“ Ma porca...”
Il ragazzo le si avvicinò piano - Contenta Giulietta? C’è la scena della festa... -
- Non provarci nemmeno -
Lui si avvicinò ancora di più, appoggiando le labbra sulle sue, premendo con forza, cercando di forzarle. Scrollò la testa, si allontanò appena, tirando uno schiaffo a Luca, che si portò la mano destra sulla guancia.
- Lurido porco -
- Ehm...meglio cambiare Romeo eh...Sergio? Vieni tu? - chiese l’insegnante, in piedi sulla sedia, con lo sguardo rivolto verso il biondo, che spiccava tra tutti gli altri per la sua statura.
- Non ci penso proprio - disse Sergio abbassandosi, nascondendosi dietro Elisabeth.
- Davide? -
- Ehm...ho mal di gola prof! - disse il ragazzo mentre Vittoria gli pestava il piede.
- Allora viene Matteo che è sicuramente il mio salvatore -
Il ragazzo sospirò, avvicinandosi, prendendo il copione che era destinato a Luca. I due si lanciarono uno sguardo di sfida; Luca tornò al proprio posto, la guancia ancora rossa con i segni delle sue dita, mentre Matteo si fermava al suo fianco.
- Schiaffo perfetto, il suono era semplicemente splendido -
Sorrise - Ne sono felice -
- Forza ragazzi! Sul palco! -
Entrambi salirono quei pochi gradini che li dividevano dal palco in legno scuro.
- Allora la scena con la festa... - sussurrò cercando la pagina giusta nel copione, leggendo velocemente le battute, diventando improvvisamente rossa “ Aspetta aspetta...ma non è la scena dove si baciano??” pensò sentendo le guance avvampare ancora di più.
Matteo le si avvicinò, afferrandole la mano.
- Avessi profanato con la mia mano indegna questo sacro santuario, rimedio al mio peccato: queste mie labbra, pellegrini rossi di vergogna, con un bacio correggono quel tocco indelicato -
- Buon pellegrino, la vostra mano giudicate con più calma, che solo umile devozione, in fondo, ha mostrato: anche i santi hanno mani che i pellegrini han toccato, e chi torna dal Santo Sepolcro usa unire palma a palma -
- Non hanno labbra i santi? E i devoti palmieri? -
- Sì pellegrino, ma le devono usare in devozione -
- Oh cara santa, lascia allora che le labbra imitino la preghiera delle mani, se non vuoi che la fede si muti in disperazione -
- Non si muovono i santi, anche quando ascoltano le altrui preghiere -
Matteo si avvicinava sempre di più, e aveva davvero paura per quello che potrebbe accadere nella battuta successiva.
- E allora resta immobile, mentre colgo il frutto delle mie preghiere. Così le tue labbra cancellano il peccato dalle mie -
Il ragazzo era sempre più vicino, fino a fermarsi ad un soffio dalle sue labbra, e poi si scansò.
- Allora le mie labbra hanno il peccato che han tolto -
- Il peccato dalle mie labbra? Oh, colpa dolcemente denunziata. Ridammi il mio peccato - disse lui, avvicinandosi di nuovo, fingendo un altro bacio.
- Tu baci a regola d’arte... - sussurrò.
- Magnifici! Magnifici! - urlò la professoressa - Vi prego...fate la scena del balcone! -
- Ehm magari se chiama altri due... - sussurrò.
- No! Voglio voi due -
- Ma gli altri si stufano -
- Ragazzi!!! - urlò la prof attirando l’attenzione degli alunni - Vi annoiate? Se dite sì vi mando a fare economia! –
- No! - urlarono tutti - È una lezione magnifica! -
- Ehm...in questo caso... - disse girando velocemente le pagine del copione.
- Comincia Giulietta! -
Sospirò - Ma qualcuno non mi può sostituire? -
- Zitta e recita -
- Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre e rifiuta il tuo nome, oppure, se non vuoi, giura che sei mio e smetterò io d'essere una Capuleti - disse scrollando la testa, fingendo poi di impiccarsi.
Matteo sorrise e poi si schiarì la voce - Devo ascoltare ancora, o rispondere subito? -
- È solo il tuo nome che m'è nemico, e tu sei te stesso anche senza chiamarti Montecchi. Cos'è Montecchi? Non è una mano, un piede, un braccio, un volto, o qualunque parte di un uomo. Prendi un altro nome! Cos'è un nome? Ciò che chiamiamo rosa, con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo, così Romeo, se non si chiamasse più Romeo, conserverebbe quella cara perfezione che possiede anche senza quel nome. Romeo, getta via il tuo nome, e al suo posto, che non è parte di te, prendi tutta me stessa -
Rialzò lo sguardo, di sicuro era arrossita, e guardò Elisabeth che le faceva “ok” con il pollice. Arrossì ancora di più e tornò a guardare Matteo.
- Ti prendo in parola. Chiamami amore e sarà il mio nuovo battesimo: ecco, non mi chiamo più Romeo -
“ Magari potessi chiamarlo amore...ma che diavolo pensi Angelica??”
- Chi sei tu che così avvolto nella notte inciampi nei miei pensieri? -
- Con un nome non so dirti chi sono: il mio nome, sacra creatura, mi è odioso in quanto tuo nemico. L'avessi qui scritto, strapperei la parola -
- Ancora le mie orecchie non hanno bevuto cento parole della tua voce, e già ne riconosco il suono. Non sei tu Romeo, un Montecchi? -
Voltò lo sguardo verso i compagni, e notò l’insegnante con le mani giunte e gli occhi lucidi.
“ Certo che potrebbe anche chiamare altri due al posto nostro...” pensò.
Continuarono poi per diverse battute; ed era come incantata dalle parole del ragazzo davanti a lei. Le sembrava davvero di essere Giulietta, affacciata al balcone. 
- Ah, mi lascerai così, insoddisfatto? - chiese lui, mentre dai compagni si levò una piccola risata.
- E che soddisfazione vorresti, stanotte? -
Altre risate; di sicuro Alice aveva detto qualcosa a luci rosse agli altri.
- Scambiarci la promessa d’un amore fedele -
- Il mio amore te l’ho già dato prima che me lo chiedessi, eppure vorrei dovertelo dare di nuovo -
- Vorresti riaverlo indietro? E perché mai, amor mio? -
- Solo per esser generosa e dartelo un’altra volta; in realtà...-
- BRAVISSIMI!!!!! -
Si spaventò sentendo la voce dell’insegnante che squillava per il teatro “ Sarebbe stato meno imbarazzante fare l’haka degli All Blacks” pensò.
- Siete stati fantastici! Ci mettete d’avvero l’anima in quello che dite! - urlò ancora salendo sul palco - Adesso tornate pure al posto...E NE VOGLIO ALTRI DUE PER UN’ALTRA OPERA!!! -
Tutti presero a tossicchiare, dando le spalle all’insegnante.
- Economia! -  
I suoi compagni ritornarono composti con la faccia leggermente delusa.
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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Mai il suono della campanella fu melodioso come in quel momento.
Tutti corsero verso la porta, salendo velocemente le scale, in modo da mettere più distanza possibile tra loro e l’insegnante di musica. Uscirono lentamente dalla porta principale della scuola, cercando di non spintonare i bambini che correvano da tutte le parti, impazienti di tornare a casa.
- Io non riesco a capire perché non volete venire - disse rivolta all’amica, al suo fianco.
- Beh, ti lasciamo sola con Matteo -
- Ah ah, spiritosa -
Finalmente riuscirono a superare il cancello d’ingresso, e tirò un sospiro di sollievo dato che, non aveva investito nessuno e che nessuno aveva investito lei. Elisabeth le tirò piano il braccio; fece per voltarsi verso di lei, ma sentì tutto il suo peso addosso.
- Elisabeth - disse sorreggendo l’amica - Elisabeth che hai? -
Si sedettero a terra, sull’orlo del marciapiede, cercando di non farsi investire dalla fiumana di ragazzini che parlava della giornata di scuola appena conclusa.
- Elisabeth stai bene? - chiese appoggiandole una mano sulla fronte - Ma tu scotti - sussurrò.
- In compenso la tua mano è gelida -
- Elisabeth...-
- Angi non ti preoccupare, vado a casa e mi butto sul divano -
- Sei a piedi o in macchina? -
- In macchina - rispose la rossa in un sussurro.
- Non posso lasciarti andare a casa così - disse all'amica, alzando un braccio facendosi notare da Matteo, che la raggiunse in un batter d'occhio.
- Ehi...che succede?-
Si voltò di scatto verso Sergio, lì accanto, che guardava la rossa preoccupato.
- Si é sentita male quando siamo uscite, e adesso l'accompagno a casa -
- Ci penso io, tu devi andare in centro no? -
Sospirò guardando l'amica, che sembrava riprendersi - D'accordo -
Il biondo prese in braccio Elisabeth e, senza aggiungere altro, si diresse verso l'auto della ragazza, parcheggiata dall’altra parte della strada.
Si alzò in piedi, voltandosi verso Matteo - Andiamo?-
Camminavano lentamente verso la fermata dell'autobus. Lei agitata come non mai, preoccupata per Elisabeth, benché fosse affidata alle amorevoli cure di Sergio; mentre lui le lanciata qualche veloce occhiata.
- Non ti devi preoccupare - disse all'improvviso il ragazzo - C'é Sergio con lei -
- Hai ragione, ma non posso fare a meno di preoccuparmi -
Lui sorrise, cercando, probabilmente, di alleviare la tensione - Sembrate due sorelle -
Si mise le mani in tasca, facendo un piccolo sorriso - Ce lo dicono quasi tutti - disse bloccandosi davanti alla fermata, dove un vecchio autobus arancione stava frenando con diversi cigolii.
- Oh cavolo -
- Che c'é?-
- È strapieno - si voltò e sorrise - Sarà uno spasso... -
Le porte si aprirono con altri cigolii sinistri e, spintonando un po' la gente idiota che si fermava sulla porta, benché ci fosse mezzo autobus vuoto, riuscirono a salire, restando fermi sull'ultimo gradino con il rischio di essere spiaccicati dalle porte del mezzo, o dalla gente che non riusciva a reggersi alle apposite maniglie.
- Allora - cominciò non appena l'autobus partì - Come prima cosa, andiamo a mangiare. Hai qualche preferenza?-
- Mi va bene qualsiasi cosa - rispose lui alzando le spalle.
- Allora ti porto nel posto dove fanno i panzerotti più buoni di Verona -
L'autobus inchiodò all'improvviso, e si ritrovò a stringere forte il braccio di Matteo; sentiva le guance avvampare e ritornò a sostenersi alla solita maniglia.
" Non arrossire, non arrossire Angelica! Pensa a...come fanno i ciclopi a fare l'occhiolino a qualcuno?"
- Ma dove l'ha presa la patente? Su internet? - domandò il ragazzo.
- Probabile...-
- Comunque...guarda che se i panzerotti non sono buoni, non verrò mai più -
Scrollò la testa - Sono buoni, fidati - rispose in un sorriso fissando fuori dal vetro sporco della porta dell’autobus.
Il telefono spese a vibrare, distogliendola dal suo passatempo improvvisato.
Prese il cellulare dalla tasca e guardò il nome di Elisabeth che continuava a lampeggiare.
- Eli! Stai bene? - chiese rispondendo all’amica.
- Tutto tranqui vecchia! -
- Eh? -
- Tranqui -
- Ehm...potresti fare una frase comprensibile alla mia mente antiquata? -
- Io...Sergio - sussurrò Elisabeth.
- Per caso hai sbattuto la testa da qualche parte? - domandò sperando che l’amica non abbia subito seri danni al cervello.
- Ma no...-
- E allora parla -
- Io...Sergio...parlato -
- Mi sembra davvero di parlare con una scimmia - disse sbuffando - Di cosa voi due parlato? - chiese cercando di imitare una voce da donna delle caverne.
- Insomma, ci siamo quasi chiariti...e proviamo a frequentarci... -
Sorrise - Sono contenta...ah scusa...io essere contenta -
- Dai deficiente! Siete già in città voi due? -
- No, siamo ancora in autobus -
- Beh...- iniziò l’amica dall’altra parte del telefono - ...buona giornata -
- A domani malata - disse prima di chiudere la chiamata - E adesso si scende -
- Finalmente - sussurrò Matteo prenotando la fermata - Non ne potevo più -
L’autobus rallentò con diversi cigolii, fermandosi subito dopo. Scesero velocemente prima che la folla di persone li uccidesse per assicurarsi un piccolo posto sul mezzo.
- Quello é Castelvecchio - sussurrò puntando il pollice alle sue spalle, indicando delle alte mura di mattoni - È il più importante monumento militare della signoria Scaligera ma non aggiungo altro perché non mi ricordo... -
Il ragazzo scoppiò a ridere - Non sai la storia di Castelvecchio? - chiese lui cercando di prenderla un po’ in giro.
- Non la ricordo...- sottolineò con un sorriso.
S'incamminarono luogo una piccola stradina, che si insidiava tra due case e sbucarono poi in via Roma, affollata, come sempre.
- Caspita, quanta gente - sussurrò il ragazzo al suo fianco.
- E questo é niente in confronto a via Mazzini -
Finalmente, giunsero in piazza Brà, colma di gente, turisti soprattutto, che si guardavano intorno, stupiti.
Al centro della piazza, c'era un piccolo spazi verde, dove vi erano piantati una decina di alberi, tra pini e altre specie; al centro, una fontana che, dalla loro posizione, era quasi completamente nascosta, e una statua di colore scuro di Vittorio Emanuele II a cavallo.
- Quella...- sussurrò indicando un enorme edificio alla sua destra - ...é la Gran guardia, quello invece...- disse indicando un edificio più nuovo rispetto al precedente - ...è Palazzo Barbieri e poi, se ci spostiamo appena... - sussurrò incamminandosi verso sinistra, dove c'erano un mucchio di tavoli dei ristoranti che davano sulla piazza, finché l'enorme anfiteatro non fu ben visibile - ...la famosa Arena di Verona -
- Dove ogni anno fanno le famose opere liriche -
Si voltò stupita verso il ragazzo - Bravo! Quasi tutti dicono dove fanno il Festivalbar! -
Scoppiarono a ridere e ripresero a camminare.
- L'anno scorso... - iniziò - ...verso il periodo natalizio hanno montato una piccola zona per il pattinaggio su ghiaccio. Elisabeth mi ci ha trascinato con la forza, benché io non sappia pattinare...-
- Non sai pattinare?- chiese lui, già con il sorriso sulle labbra.
- Quella era la prima volta, non ci avevo mai provato prima, ho guardato dei bambini di sei o sette anni che ci riuscivano alla perfezione e ho pensato "ci riescono i bambini, perché non dovrei riuscirci io?"- disse portandosi le mani al viso - Non l'avessi mai fatto!! Sono tornata a casa mezza rotta, con un miliardo di lividi!! -
Matteo prese a ridere, tenendosi la pancia - Ah ah già ti immagino rotolare sul ghiaccio -
- Più che altro ero sdraiata sul ghiaccio - lo corresse scoppiando a ridere - E farò la stessa fine la settimana prossima con i roller -


Camminarono ancora un po', cercando di evitare i turisti che, nel guardarsi attorno sbalorditi, gli venivano addosso.
Si bloccarono subito dopo, non appena fu all'inizio di via Mazzini, affollata come non mai, tra gente che faceva shopping sfrenato, studenti, e un tizio vestito da Charlie Chaplin che faceva il mimo a tutti.
- Quasi come Milano?- chiese.
Lui sorrise - Milano è molto peggio -
Costeggiarono l'Arena, e svoltarono a sinistra per via anfiteatro, bloccandosi davanti ad un piccolo bar, chiamato Povia, con alcuni tavoli all'esterno, dove c’erano seduti degli ragazzi che ridevano e scherzavano.
Si tolse la cartella dalle spalle e l'appoggiò con noncuranza a terra, in parte alla sedia dove si sedette con un sospiro; Matteo, invece, dopo essersi guardato intorno, si accomodò proprio di fronte a lei.
Una donna dai corti capelli neri, vestita di nero con un grembiule verde con il nome Povia scritto in oro ed in carattere corsivo, si avvicinò a loro con un gran sorriso.
- Cosa vi porto? - chiese la donna strofinandosi le mani sul grembiule.
- Due panzerotti - rispose cordiale - E da bere per me tè alla pesca e... -
- Due tè alla pesca - disse il ragazzo con un sorriso.
- Arrivano subito! - esclamò la donna tornando dentro al locale.
Sospirò, appoggiando i gomiti sul tavolino, reggendosi poi la testa con le mani - Dimmi Matteo...dato che prima ghignavi delle mie disgrazie sul pattinaggio...permetti una domanda? -
- Certo -
- Tu sai andare sui roller? -
- Da piccolo ci andavo, ma penso di riuscire a rimanere in piedi -
Sorrise, riappoggiandosi allo schienale della sedia in plastica - Vedremo..magari sarai tu quello che finirà a gambe all'aria - disse in tono quasi maligno, ghignando.
- É una minaccia?-
Scoppiò a ridere, non riusciva a resistere, era più forte di lei - Al massimo ti trascino per terra con me! -
La donna dai capelli neri arrivò al loro tavolo sorreggendo un vassoio e servì due bicchieri di tè e due fumanti panzerotti, allontanandosi subito dopo.
- Prego - sussurrò guardandolo.
Lui prese il panzerotto con un tovagliolo di carta e gli diede un morso.
- Allora? -
Matteo annuì con vigore, mandando giù il boccone - É divino -
- Te l'avevo detto -
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Finito di mangiare, ritornarono indietro ed imboccarono via Mazzini, colma di gente che osservava i negozi, e camminavano spediti, guardando di tanto in tanto alcune vetrine; nel suo caso, la vetrina della libreria.
- mmm...non ho niente da leggere...- sussurrò ad un soffio dalla vetrina.
Matteo sorrise, avvicinandosi - Ti piace leggere? -
- No, non mi piace...- iniziò - Io adoro leggere -
Il ragazzo prese a ridere, dandole un’affettuosa pacca sulla spalla - Sembri mia sorella, anche a lei piace leggere -
- Beh...- sussurrò staccandosi dalla vetrina e ricominciando a camminare - ...tua sorella è fantastica -
- Tu non hai fratelli o sorelle? -
- No...figlia unica - disse svoltando a destra per via Cappello.
Alzò lo sguardo al cielo. Delle nuvole grigie coprivano il freddo sole di febbraio di tanto in tanto e minacciavano un temporale.
Si bloccarono davanti ad un mucchio di ragazzine, che scrivevano i loro nomi e, molto probabilmente, anche quello del fidanzato, sui muri in pietra, che erano l’entrata della casa di Giulietta, famoso personaggio Shakespeariano. 
- Fammi indovinare - sussurrò Matteo, guardando le ragazzine che scrivevano sul muro con degli indelebili - Casa di Giulietta -
Sospirò mentre osservava i numerosissimi nomi scritti sul muro e bigliettini attaccati con chissà cosa - Scrivendo il proprio nome e quello dell'amato o dell'amata si spera di avere una vita felice con la tua dolce metà -
- Il tuo nome é scritto qui da qualche parte? -
Si stupì della domanda che il ragazzo le aveva rivolto - No...e poi...sono contro il vandalismo! - disse a voce alta, sperando che le ragazzine la sentissero. Infatti si voltarono, guardandola male, mentre lei ghignava divertita, ritornando a camminare.
- Esiste un posto tranquillo da queste parti?- chiese lui ad un tratto.
- Si, ne conosco uno... - sussurrò.
***
Erano seduti su un muretto bianco, pieno di scritte e di frasi d'amore; il volto rivolto verso l'altra sponda dell'Adige, silenzioso.
- Sarebbe stato meno noioso se fossero venuti anche gli altri - sussurrò lei senza distogliere lo sguardo dalle piccole onde che si formavano sulla superficie dell'acqua.
- Stupidaggini, mi sono divertito a sentire le tue figure con il pattinaggio -
Angelica sorrise lievemente - Se sapessi anche i disastri in cucina mi prenderesti in giro fino alla morte -
- Non sai cucinare? - chiese.
- Sono un disastro assoluto - disse lei, sospirando - Ma tu non hai mai fatto brutte figure? Almeno posso prenderti in giro anch’io! -
Prese a ridere - Non catastrofiche come le tue, ma anch’io ho la mia lista di figuracce! -
Le raccontò di tutto e di più, ridendo delle sue stesse figuracce, poi passò ai compagni; parlò della sua scuola a Milano, i suoi amici fuori di testa, e poi finì per raccontare la storia di suo padre. Con lei era molto semplice raccontare quello che, a volte, tornava a far male.
- Mi dispiace - sussurrò la ragazza alla fine, gettando un sassolino nell’Adige - Non è stato facile vero? Lasciare tutto per andare via da Milano -
- Non è stato semplice, ma era la cosa giusta - sussurrò - E poi, mia madre fa talmente tanto casino che mi tiene occupato -
Angelica prese a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca - Di solito è il contrario! - disse la ragazza con le lacrime agli occhi per il troppo ridere.
- Scherzi? Questa mattina l’ho beccata che imitava Whitney Houston -
La mora rimase stupita qualche secondo, poi ricominciò a ridere - È come mia madre! - 
- Meglio non farle incontrare allora -
- Per tre mesi è scampato pericolo, dato che i miei sono partiti -
- A casa da sola? -
Lei annuì, ricominciando a ridere - Sì! E sarà fantastico! -
- Beata te! -
***
Smise di ridere e mise una mano in tasca ed estraendo il cellulare che aveva preso a vibrare.
Trasalì nel vedere un sms inviato dall'Agenzia: " La Direttrice vuole vederla il più presto possibile"
Rimise il cellulare in tasca con un ghigno.
" La Direttrice può aspettare" pensò.
Scrollò la testa non appena sentì una goccia di pioggia sulla sua guancia, che colava fino al mento.
- Piove...- sussurrò - ...e non abbiamo nemmeno l’ombrello -
- Meglio tornare allora - disse lui - Sono le cinque...siamo rimasti seduti qui due ore -
- Il tempo vola, e se non ci diamo una mossa...perdiamo l’autobus! -
______________________________________________________

Si bloccò davanti alla fermata in Corso Porta Nuova, completamente fradicia e si appiattì contro il piccolo tronco di uno dei tanti alberi piantati di tanto in tanto.
Matteo, rassegnato, incrociò le braccia al petto, restando sotto la pioggia.
- Che fai lì sotto la pioggia? -
- Ormai siamo fradici, cosa serve ripararsi sotto un alberello dove, ovviamente, ci bagniamo comunque? -
Sorrise - Dai stupido! Almeno ci ripariamo un po’! -
Lui sospirò e si avvicinò piano - L’autobus? -
- Dovrebbe arrivare tra qualche minuto...-
- Se l’abbiamo perso è colpa tua - disse il ragazzo con un sorriso.
- Mia? - chiese - E perché mai? -
- Perché....di si! -
- Oh bravo! Diamo la colpa alle dolci fanciulle innocenti! -
Matteo prese a ridere - Si dà la colpa alle dolci fanciulle perché a loro si perdona tutto! -
Sorrise appena, guardando le gocce di pioggia che cadevano a terra - Solo a volte -
Il ragazzo le afferrò la manica della giacca e la tirò appena - Arriva l’autobus -
 Alzò lo sguardo, osservando il mezzo grigio e blu che rallentava, e che, successivamente, si fermava.
Le porte si aprirono e subito dei ragazzini si spintonavano per salire per primi cercando riparo dalla pioggia che cadeva sempre più fitta; mentre loro fecero qualche passo incerto, bagnandosi ancora di più.
- Avanti maledizione...- imprecò a denti stretti.
Finalmente riuscirono a salire e, come sempre si sedettero agli ultimi posti.
Appoggiò lo zaino, completamente fradicio, a terra, cercando nella tasca in cerca del lettore mp3; Matteo, al suo fianco, la guardava curioso.
- Che c’è? - chiese mettendosi una sola cuffietta.
- Sei...un po’ pallida -
Alzò un sopracciglio, sorridendo poi al ragazzo - Mi avranno scambiato all’ospedale con la bambina di una famiglia norvegese -
Il ragazzo prese a ridere, appoggiando la testa al sedile, ormai completamente bagnato.
Sorrise un’ultima volta e accese l’mp3, battendo poi l’indice sul vetro del finestrino, al tempo della vecchia canzone in spagnolo di Christina Aguilera, che era appena partita; sussurrando qualche parola.
 - Sai lo spagnolo? - le chiese Matteo all’improvviso.
Sussultò appena, voltandosi verso di lui - Io...insomma...quello che serve per... -
- Cantare...-
Annuì cercando di trattenere il calore che, piano piano, saliva alle guance, arrossandole - È solo una vecchia canzone...-
- La ricordo, mia sorella l’ascolta quasi sempre...in inglese però -
Trasalì appena, portandosi una mano alla spalla, massaggiandola appena - A tua sorella piace Christina Aguilera? -
Matteo annuì, passandosi una mano nei capelli bagnati, che, secondo lei, sembravano ancor più belli.
- Beh, dopotutto...tua sorella è un mito! -
Lui scoppiò a ridere, appoggiando la testa al finestrino, freddo come il ghiaccio, portandosi, di tanto in tanto, una mano alla spalla, provando ad alleviare il dolore.
Provò a distrarsi guardando fuori dal finestrino; la pioggia cadeva sempre più fitta e dei ragazzini correvano a perdifiato, cercando di raggiungere un posto riparato, altra gente invece, con gli ombrelli aperti, camminava verso via Mazzini, pronta a fare acquisti anche sotto l’acquazzone.
Socchiuse appena gli occhi ed abbassò appena il volume dell’mp3, che stringeva nella mano sinistra.


Sentì Matteo, ancora al suo fianco, alzarsi piano, facendo cigolare appena il sedile.
- Dobbiamo scendere - sussurrò il ragazzo, sfiorandole appena il braccio, ritraendolo subito dopo, sentendola lamentarsi.
- Già arrivati? -
- La prossima fermata - disse lui mettendosi in spalla lo zaino - Abiti qui da sempre...dovresti saperlo -
Si passò una mano nei capelli, guardando il noto paesaggio fuori dal finestrino - Mi affido a te -
Si alzò a sua volta, infilando lo zaino, avvicinandosi immediatamente alla porta d’uscita, togliendosi la cuffia dall’orecchio.
Accanto a lei, dei ragazzini si davano delle gomitate, facendosi l’occhiolino a vicenda.
“ No ti prego...non ora”
- Ciao tesoro - disse un ragazzo.
“ Cazzo...” pensò fulminando quello che aveva parlato “Perché non capitano quando ho le palle girate?”
- Scendi? -
Ghignò maligna - Problemi per caso? -
Il ragazzo si alzò dal sedile, sporgendosi un po’ in avanti, avvicinandosi - Si -
- Vedi di risolverli da solo, ragazzino -
Gli altri amici presero a ridere, dandogli delle pacche sulla schiena al ragazzo, che si stava risedendo con “la coda tra le gambe”.
Matteo la raggiunse, avvicinandosi appena al suo orecchio - Questi idioti ti importunano? -
Scosse piano la testa - Sono solo dei ragazzini -
Il ragazzino di prima li separò, toccandole appena la spalla sinistra. Si morse la lingua, cercando di non dire parolacce catastrofiche.
- Ehi non toccare la mia ragazza! - disse il ragazzo, rivolto a Matteo.
- E mi spieghi come fa una ragazza bella come lei ad essere fidanzata con un coglione come te? - domandò Matteo mettendosi le mani sui fianchi.
Arrossì appena.
Il ragazzo l’ammiccò - Cose che lei sognerebbe soltanto -
“ CHE HA DETTO?!?!?!?!?!?!?!?!?! IO LO AMMAZZO DI BOTTE!!!”
Matteo si avvicinò e lo afferrò per il colletto della maglia - Ascoltami moccioso, vai a fare in culo, e vedi di andarci velocemente -
“ URRÀ! TI AMO MATTEO!!!” pensò, dandosi della stupida subito dopo.
Il disturbatore si risedette per la seconda volta. Ghignò e prese Matteo per un braccio, tirandolo giù dal mezzo, che si era appena fermato. Continuava a piovere, ma meno forte di prima.
- Wow - sussurrò lanciandogli un’occhiata - Non ti facevo così cattivo -
- Io non sono cattivo, quello se l’è cercata -
Sorrise, portandosi una ciocca di capelli bagnati dietro l’orecchio - È la seconda volta che mi difendi, se continui così verrò sempre in giro con te! - disse mentre svoltavano per la via dove abitavano - Anche se so difendermi benissimo da sola -
- Su questo non ho dubbi -
Erano giunti ormai davanti alla casa di lui, e Matteo suonò il campanello, mettendosi poi le mani in tasca.
Poi Silenzio. Uno di quei silenzi imbarazzanti dove non sai cosa dire.
- Oh...sono un’idiota, ti ho seguito fino a casa tua...- disse facendolo sorridere.
- Non abiti molto lontano -
- Già, beh... - disse indietreggiando di qualche passo - A domani -
- A domani -
- Angelica! Angelica!! Perché non rimani? -
Si voltò sentendo la voce della sorella di Matteo e sorrise non appena la vide sulla porta di casa, con indosso un impermeabile e delle vecchie scarpe da ginnastica.
- Vorrei tanto, ma devo andare in un posto - disse.
- Eh beh? Poi ritorni qui no? Avanti! Siamo solo io e Matteo! -
Sorrise - Se a tuo fratello non dispiace - disse guardando il ragazzo non molto distante da lei.  
Lui alzò le spalle - Un piatto di pasta? -
- Perfetto -
- E adesso mi metto a correre sotto la pioggia come una stupida marmocchia - esclamò Sonia, iniziando a correre a più non posso per il giardino.
- Sonia... - la rimproverò il fratello.
- Ehi Angelica! -
Sorrise un’altra volta - Che c’è? -
- Prova a prendermi! -
Ghignò appena, appoggiando lo zaino a terra - Ma...non lo so Sonia, è che sta piovendo ed io...PRONTI! VIA! -
Prese a correre a più non posso sotto la pioggia, cercando di prendere la bambina, che scattava di qua e di là; le mancava persino il respiro da quanto rideva. Si avvicinò ancor di più a Sonia, ed entrambe finirono a terra, rotolando sull’erba bagnata.
- Mi sembra di avere due sorelle - disse Matteo all’entrata di casa, al riparo dalla pioggia.
- Va bene, rientro! - esclamò la bambina alzandosi da terra, ed entrando in casa, bagnando dappertutto - Qui alle 8! - esclamò poi sbucando dalla porta. Si alzò da terra e alzò il pollice.
Matteo, ancora all’entrata, sorrise - Ti ha preso di mira, non riuscirai a liberarti di lei molto facilmente -
- Non ti preoccupare - disse avvicinandosi al cancelletto, togliendosi dei fili d’erba dai jeans - A dopo -
- A dopo -


Diede le spalle al ragazzo ed attraversò la strada, completamente deserta, come al solito; si avvicinò al cancelletto in ferro battuto di casa sua, aprendolo subito dopo con una piccola chiave e chiudendolo con un tonfo.
Entrò finalmente in casa, al caldo; tolse le scarpe, sfilò lo zaino, completamente zuppo, dalle spalle e la giacca, abbandonando tutto in parte alla rampa di scale, vicino all’attaccapanni.
“ Quello che ci vuole adesso...è una lunghissima doccia calda...” pensò, sospirando non appena si guardò la spalla sinistra, dove la benda era sporca di sangue.
- Maledizione -
***
- Dovresti andare a fare un bagno - disse Sonia, mentre si divincolava come una matta cercando di togliersi l’impermeabile.
Tolse la giacca e le scarpe, salendo poi i primi gradini della scalinata - Non farai casini vero? -
La sorella, benché avesse l’aspetto di un angioletto, ghignava maligna, quasi fosse il diavolo - Ma certo fratellone! -
- Che cos’hai in mente? -
- Niente -
- Bugiarda -
- Come potrei rovinare la serata con la tua ragazza -
Sgranò gli occhi - Non è la mia ragazza -
- Aspetta a dirlo...vi do un mese, non di più -
- Eh? -
Sonia sorrise, facendo l’occhiolino - Capirai...-
***
Non appena uscì dalla doccia, il cellulare cominciò a suonare ed a lampeggiare, mostrando di continuo la scritta “Elisabeth chiama” con la foto della migliore amica. Afferrò il telefono e premette il tasto di risposta; Elisabeth, dall’altra parte, iniziò ad urlare come una ragazzina che aveva appena visto una star di Hollywood.
- Allora??????????? - chiese curiosa come non mai.
- Allora cosa? -
- Angelica!! Non fare la stupida!! Com’è andata oggi? -
- Bene -
- Come bene?!?!? -
- B di Bologna, E di Empoli, N di Napoli ed E di Elisabeth mi farai diventare matta! -
- Che avete fatto? Dove siete andati? Vi siete presi la pioggia? Poi magari vi siete riparati in un posto appartato e magari...Beh? Raccontami! Piccola ragazzina pallida che non sei altro! - disse l’amica tutto d’un fiato.
- Elisabeth non abbiamo fatto niente, davvero. Ora scusami, non ho proprio tempo, adesso devo prepararmi che vado...in un posto e poi vado a mangiare da...un amico... -
Si bloccò sperando che l’amica non facesse caso all’ultima frase che aveva detto, ma invece, Elisabeth si fece ancora più curiosa.
- A mangiare da un amico? E ci vai da sola? -
- Eh...s..........no....c’è voglio dire...cavolo Elisabeth...vado a mangiare da un mio amico punto e basta, la sorella di Matteo me l’ha chiesto e io... - disse bloccandosi un’altra volta e maledicendo se stessa.
- BECCATA!!!!!!!!! BECCATA!!!!!!!!! BECCATA!!!!!!!!! BECCATA!!!!!!!!! BECCATA!!!!!!!!! BECCATA!!!!!!!!! -
- Forse hai capito male...zzz...non c’è campo! -
- Oh sì che c’è campo signorinella! - esclamò l’amica, eccitata.
- zzz...no...zzz...sono in una...zzz...galleria...zzz...adesso ti metto giù! -
- NO!!! Non osare! Quanti anni ha la sorella di Matteo? -
- zzz...non ti sento! zzz...hai detto...zzz...hanno la mozzarella? zzz -
- DAI IDIOTA! -
Ritornò seria - Sua sorella ha otto anni. Avanti Elisabeth, è solo una cena non cominciare a pianificare -
- Poi alla fine ti troverai in camera sua e... -
Alzò un sopracciglio - Tu sei troppo maliziosa -
- Almeno un bacetto? - chiese l’amica, che sapeva, stava trattenendo le risate.
- No! Adesso ti prego...devo prepararmi -
- Mettiti il vestito quello scollato!! -
- MAI!!! -
- Dai!!! Così fai colpo!!!!! Non dirmi che non ti piace...e che non è un figo della madonna -
- Beh... - sussurrò, per poi scrollare la testa a destra e a sinistra - Elisabeth! SIAMO SOLO AMICI! -
- Seee...ce ne sono tanti che hanno iniziato così...vabbè, vai a prepararti e vedi di non rimanere...-
- Ciao! - disse riattaccando prima che l’amica dicesse una cazzata delle sue.
Gettò il cellulare sul letto e si strofinò le braccia, provando a scaldarsi dagli improvvisi brividi gelidi che le percorrevano la schiena. Una risata infantile attirò la sua attenzione.
- Chi è? - chiese stringendosi nell’asciugamano.
Un’altra risata.
“ Non devo fare domande di cui so già la risposta” pensò, allungando una mano verso il piccolo spazio tra il muro e un lato dell’armadio, afferrando la katana.
Uscì in corridoio, fermandosi in cima alla rampa della scalinata, guardando una figura scura, leggermente sfuocata. Estrasse l’arma dal fodero assaporando il lungo e limpido suono della lama che grattava contro il bordo d’argento.
La figura rise ancora, iniziando a battere, quelle che sembravano mani.
- Prega per la tua sorte, prega, perché per te arriverà la morte. Negli incubi peggiori ti verrà a trovare, il suo sguardo glaciale non guardare -
- Che diavolo stai dicendo demone? - chiese irrequieta, stringendo ancor di più il manico della spada.
- La paura ti assale. È lei che viene per farti del male. Lei vuol godere delle tue grida, un momento prima che ti uccida. La cacciatrice, preda diventerà se lei ti troverà. Non tentare di scappare...devi solo pregare -
Scese le scale di corsa e, quando raggiunse il demone, fendette l’aria con un colpo, ma la lama della katana sibilò nel vuoto e la risata infantile continuava a riecheggiare nelle pareti di casa. S'inginocchiò a terra portandosi le mani alle orecchie, lasciando poi che la spada cadesse a terra con diversi tintinnii.
- Smettila! Smettila! - urlò con le tempie che pulsavano di dolore, mentre il demone continuava a ripetere i versi della strana poesia.
- Prega per la tua sorte,
Prega, perché per te arriverà la morte -
Appoggiò la schiena al muro, respirando affannosamente quando le mancò il fiato; le sembrava di affogare.
Tossì più e più volte, stringendosi una mano al petto, storcendo appena il naso quando sentì il sapore metallico del sangue in bocca.
- Negli incubi peggiori ti verrà a trovare,
Il suo sguardo glaciale non guardare - sussurrò ancora la voce infantile, che sembrava affievolirsi.  
Restò immobile per un altro paio di minuti, finchè il respiro non tornò regolare e poi si alzò in piedi, impugnando di nuovo la katana.
“ Di cosa stava parlando?” si domandò, togliendosi il sangue che colava dall’angolo della bocca.
- Fottutissimo demone - sibilò, salendo di nuovo la rampa di scale.  
***
Uscì dalla doccia, avvolgendo un asciugamano intorno alla vita.
- Matteo hai finito? - chiese sua sorella fuori dalla porta.
- Sì -
Sua sorella entrò, portandosi subito dopo le mani agli occhi - Sei nudo! -
- Sonia! -
- Scherzavo! - disse la sorella facendogli la linguaccia.
Le appoggiò una mano sulla testa e le scompigliò i capelli - Vai a fare un bagno peste -
- Se non hai finito l’acqua calda -
Sorrise e si chiuse la porta del bagno alle spalle, andando nella sua stanza, vestendosi in fretta e furia, indossando un paio di jeans e una maglia. Si sedette alla scrivania, proprio sotto la finestra ed accese il computer.
Nell’attesa, prese a guardare fuori.
Aveva smesso di piovere, ma il cielo diventava sempre più scuro e il vento sempre più forte, facendo muovere la punta degli alberi del giardino della casa dall’altra parte della strada. Eseguì l’accesso a msn e, quasi immediatamente, Sergio inviò trillo seccante.
    Sergio scrive: Com’è andata oggi Latin Lover?
Alzò un sopracciglio.
    Matteo scrive: Eh?
    Sergio scrive: Non fare il finto tonto...ci hai provato?
    Matteo scrive: Provarci? Ma io...eh?
    Sergio scrive: Eh...porcellino XD
    Matteo scrive: Ma a cosa pensi!?!?!
    Sergio scrive: Eh...siete finiti per sbaglio a casa tua...sul letto e...
Scoppiò a ridere, lanciando un’occhiata alla casa di fronte alla sua.
    Matteo scrive: Ti sbagli
    Sergio scrive:   Non dirmi che sei venuto a casa con una bionda...
    Matteo scrive:   Certo che no...
    Sergio scrive: Non dirmi che ti interessa Laura!
    Matteo scrive: 
    Sergio scrive: No dai...perchè a te...piacciono le more con gli occhi verdi 
    Matteo scrive: 
    Sergio scrive: Sei cotto vero? E pronto da servire...
    Matteo scrive:   Mi stai facendo cadere in depressione Sergio
    Sergio scrive: Ok ok...ti lascio in pace   Salutami Angelica se è ancora sul tuo letto!!
    Matteo scrive:     Ma che simpatico
    Sergio scrive: Beh? Quando sarete fidanzati sarà normale per voi...
Sospirò.
    Matteo scrive: Tu pensa ad Elisabeth
    Sergio scrive: Beccato 
    Matteo scrive:   già...ci vediamo domani
    Sergio scrive: Certo, ciao...
Guardò fuori dalla finestra, osservando nuovamente la casa di Angelica, dove la porta d’entrata si stava aprendo lentamente.
“ La ragazza della porta accanto” pensò.
***
Uscì di casa e socchiuse appena gli occhi quando l’aria fredda della sera le sferzò il viso.
Si alzò ancor di più la cerniera del giubbotto, incamminandosi verso una rampa di scale esterna, scendendo i gradini a due a due.
Entrò in garage, aprendo l’auto che emise due sonori beep; aprì la portiera, infilò le chiavi e, tenendo premuta la frizione, le girò, mettendo in moto la Ferrari.  Nessuno alla sua età avrebbe potuto guidarla, ma fortunatamente, l’Agenzia riservava un trattamento speciale per i propri agenti.
Aprì il cancello con un telecomando, abbandonandolo poi nel portaoggetti assieme al cellulare, e, non appena il cancello fu del tutto aperto, partì a tutto gas.
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Svoltò a destra presso un grande parcheggio, peccato che, di macchine, non ce n’era nemmeno una, eccetto la sua ovviamente; mentre l’unico edificio, sembrava completamente abbandonato.
Parcheggiò in uno dei tanti posti liberi e scese, osservando il vecchio edificio in mattoni rossicci, con le finestre sprangate da assi di legno marce, che andavano a sostituire i vetri rotti dai ragazzini. Si avvicinò con passo spedito all'entrata, dove una vecchia porta mezza distrutta cigolava di tanto in tanto. “ La casa dei fantasmi” la chiamava da piccola, per le urla che provenivano dall’interno, anche se non c’era nessuno. Ottima copertura per la sede di un’agenzia segreta contro demoni e fantasmi.
Entrò, ignorando le occhiate di quattro fantasmi nascosti nell’ombra, e si avvicinò all’unica porta completamente intatta.
- L’ordine è di per sé qualcosa di divino - disse scandendo ogni parola.
La porta sibilò e successivamente scattarono un paio di serrature.
Appoggiò la mano sulla maniglia, entrando in un piccolo corridoio dalle pareti bianche, illuminato da delle nuovissime luci al neon appese al soffitto di tanto in tanto. Più avanti, una scala scendeva sottoterra.
“ I migliori agenti d’Italia rintanati sotto il naso di tutti” pensò scendendo i gradini uno ad uno, fino ad un’altra porta.
Una telecamera, piazzata nell’angolo più alto, ronzò appena, puntandosi su di lei.
Le lanciò un’occhiataccia - Avanti J. è una vita che sono qui -
La serratura scattò e la porta si aprì verso l’interno con un sibilo.
Prese a camminare lungo un corridoio di cemento armato, privo di arredamento e, nell'aria, c'era il solito odore di disinfettante, simile a quello degli ospedali, che lei non sopportava.
Gli agenti, che incontrava, le lanciavano delle strane occhiatacce; e li capiva, dato che loro erano vestiti in giacca e cravatta, mentre lei era vestita in modo informale. Ma a lei potevano perdonare tutto...o quasi.
Svoltò per diverse volte, imboccando alti corridoio, ignorando completamente le occhiate dei colleghi, finché non giunse ad una grande porta di vetro, con una piccola targhetta infissa sopra che diceva: DIRETTRICE.
Bussò e poi entrò, richiudendosi la porta alle spalle.
“ Averlo un ufficio così” pensò guardando la grandissima stanza, con al centro una grossa scrivania di legno dall’aria molto antica, con un computer a schermo piatto appoggiato sopra, e una donna dai capelli scuri con un paio di aristocratici occhi grigi, vestita di nero ed apparentemente seduta dall’altra parte. Alle spalle della Direttrice c’erano degli scaffali, dove vi erano sistemati sopra dei grossi volumi dall’aria molto vecchia; mentre ai lati, c’erano dei quadri dall’aria molto strana e una finta finestra che lasciava filtrare quella poca luce artificiale necessaria per illuminare appena la stanza.
La donna alzò lo sguardo - Lei é l'agente...-
- Più in gamba dell'Agenzia?- azzardò, mettendosi le mani sui fianchi, rimanendo sulla porta.
- ...più testarda, cocciuta, irresponsabile che ci sia e devo aggiungere modesta oltre tutto -
Sbuffò, irritata - Tutto questo solo perché non mi sono fatta curare?-
- Quel demone potrebbe averle trasmesso chissà cosa -
- Ma se sto benissimo! -
- Non si rivolga a me con quel tono 33 -
Non abbassò la testa, e non cambiò tono di voce - Decido io quando é il caso di farmi curare, non lei -
- 33, lei é la migliore in questa agenzia - disse la donna, mettendosi le mani nei capelli - Non ho intenzione di perderla per una, scusi il termine, cazzata -
La donna fece il giro della scrivania e si mise esattamente davanti a lei - Lo vedi cos’è successo a me? Sono così perché ero una stupida ragazzina, e adesso devo rimanere a vita su questa sedia a rotelle -
Sospirò appena. La Direttrice non si spostava mai dalla sua scrivania, sembrava quasi vergognarsi di far vedere com’era ridotta. I novellini raccontavano qualunque tipo di storia, da un incidente durante una missione, alcuni dicevano che si era messa tra un demone artificiale, creato in laboratorio da un’altra agenzia segreta di pazzi, e la figlia, morta poi per le ferite; ma nessuno sapeva la verità.
Non abbassò lo sguardo sulla sedia a rotelle, ma continuò a guardare la donna negli occhi - Ha ragione, mi scusi -
- Ora vai in infermeria - iniziò l’agente 1 - Che non capiti mai più una cosa del genere, sono stata chiara 33? -
Annuì poco convinta e le diede le spalle - Arrivederci -
Chiuse la porta e prese a camminare per il corridoio.
- Angelica! Aspetta aspetta! - urlò una voce femminile.
Si voltò guardando una ragazza, più o meno della sua età, i capelli biondi legati in una classica coda ed indossava un camice bianco, come quello degli infermieri, e le stava correndo incontro.
- Beatrice -
La bionda si fermò davanti a lei, piegandosi appena, cercando di riprendere fiato.
- Siamo un po’ fiacche oggi -
- Spiritosa -
La conosceva da un anno. Avevano fatto subito amicizia scherzando soprattutto sui loro nomi.
Angelica, la principessa del Catai, una dei protagonisti dell’Orlando innamorato e Beatrice, colei che guidò Dante Alighieri per il paradiso.
- Che diamine ci fai qui a quest’ora? -
- Ramanzina - sussurrò riprendendo a camminare verso l’infermeria - Marco c’è? -
- Dovrebbe essere ancora in infermeria - rispose Beatrice, dietro di lei, che ancora cercava di riprendere fiato - Che ci vai a fare? -
- Visita -
La ragazza la superò con qualche passo, portandosi le mani ai fianchi, assumendo l'espressione di una madre preoccupata.
- Il demone dell'altra sera?- chiese lei, e come risposta annuì.
- Posso accompagnarti?-
- No - sussurrò sorridendole - Mi devi fare un favore grande grande -
- Se vado nei guai non mi prendo responsabilità - rispose l'amica con un'alzata di spalle - Che ti serve? -
- Tu puoi accedere agli archivi vero? -
Beatrice rimase un attimo a bocca aperta - Ah no! Scordatelo! -
- Un piccolo demone mi ha fatto visita sussurrando una filastrocca molto inquietante, che ha avuto effetti anche su di me -
- Effetti?-
- Mi sembrava di affogare, come paralizzata dal freddo -
- Non é una bella cosa...e il piccolo demone?-
- Un bambino abortito probabilmente - suppose svoltando per un altro corridoio.
Alcuni di questi piccoli demoni nascevano dalla rabbia dei bambini abortiti, furiosi con il mondo per avergli negato la nascita.
- Ho bisogno che trovi qualsiasi cosa che abbia dei cenni a poesie con effetti fisici sull'uomo , allora mi aiuti?-
La ragazza sospirò - Ok, più tardi lancio il tracer e i risultati dovrebbero essere automaticamente inviati alla tua posta elettronica -
- Perfetto - disse fermandosi davanti ad una porta bianca - Ci sentiamo...alla prossima -
- Ciao -
Aprì la porta dell'infermeria e si spaventò a morte vedendo un uomo, chino sul cadavere di un demone dalle strane sembianze, che lei non aveva mai visto.
- Marco -
L'uomo si raddrizzò - 33! - urlò lui aprendo le braccia - Che ti porta qui?-
Marco era basso e calvo, lo prendeva perennemente in giro per i suoi strani occhiali tondi e spessi; come Beatrice, indossava un camice che però era sporco di sangue di un rosso più scuro del normale.
- Una veloce visita dopo una ramanzina della direttrice -
L'uomo sorrise, e lei fece lo stesso: le sembrava di parlare con uno dei Lumpa-lumpa.
- Che é quel coso?- chiese facendo un cenno al demone morto.
- Demone artificiale, me l'hanno portato questo pomeriggio -
- Bel passatempo - sussurrò avvicinandosi all'unica scrivania dove vi erano appoggiati diversi strani attrezzi - Tra quanto puoi darmi un'occhiata?-
- Se hai fretta anche subito - disse l'omino strofinando le mani sul camice, nella speranza di togliere un po' di sangue - Solo che il mio amico occupa il lettino -
- Non c'é problema, posso stare anche seduta...tu ci arrivi lo stesso? - domandò con un ghigno sedendosi sulla sedia della scrivania.   
- Si che ci arrivo - disse Marco avvicinandosi ad un lavandino, lavandosi le mani con il sapone - Allora...dov'é questa ferita?-
Senza imbarazzo si tolse piano il maglione, mostrando all'uomo la spalla sinistra, ancora fasciata.
Lui prese un paio di forbici e le si avvicinò, cominciando a tagliare la benda, scoprendo poi l'ustione. Marco si sistemò gli occhiali, afferrando poi una piccola pinza.
- Ci sono dei frammenti di vetro, probabilmente sono quelli che continuano a farti male -
L'omino, con la precisione di un chirurgo, iniziò ad estrarre i frammenti di vetro, gettandoli poi uno a uno nel lavandino.
Marco si staccò da lei, cominciando poi a frugare in un cassetto della scrivania, estraendo poi un tubetto di crema.
- All'inizio brucerà un po', ma serve per disinfettare nel caso il demone ti abbia contagiata -
Strinse forte gli occhi non appena Marco cominciò a spalmare la pomata.
- Ho quasi finito...- sussurrò lui, mettendo da parte il tubetto di crema e prendendone un'altro, cominciando a spalmarlo sulla spalla. Sospirò non appena sentì la fresca crema che le dava un attimo di sollievo.
- Dovrebbe guarire in un paio di giorni e non dovrebbe rallentarti nelle missioni - disse il Lumpa-lumpa, prendendo una benda dal solito cassetto, cominciando poi a fasciarle la spalla - Finito -
Raccolse il maglione e lo infilò di nuovo - Grazie Potter -
- Ehi ehi! Forza fuori di qui prima che ti prenda a calci -
Uscì dall’infermeria e, dopo qualche minuto, oltrepassò nuovamente la porta video sorvegliata ed infine l'entrata della casa dei fantasmi. Aveva ricominciato a piovere, e corse velocemente verso la macchina, salendo e mettendo in moto.
Il cellulare, nel porta oggetti iniziò a suonare e a far lampeggiare la foto di sua madre che impugnava una scopa come se fosse una chitarra; lo afferrò e rispose.
- Pronto?- chiese mettendo subito il vivavoce.
- Tesoro!!!! -
- Ciao mamma -
- Volevo sapere se hai bruciato la cucina -
- No ovviamente -
Dall'altra parte cadde un silenzio di tomba.
- Ma tu chi sei? - le chiese la madre.
- Mamma!! -
- Ok ok, adesso ti passo il papi, non bruciare niente questa sera! -
- A parte che non mangio a casa - sussurrò, sperando che la madre non sentisse.
- Ehi cucciolo! - urlò suo padre.
- Ciao papà -
- Allora...quanti ragazzi hai portato a casa in tre giorni?-
- PAPÀ!!!! -
- Beh, con la casa vuota... -
- Nemmeno uno! -
- Oh povero cucciolo...sei stata un po’ sfortunata -
Sospirò - Va tutto bene lì? -
- Oh sì, Roma è stupenda! -
- Ci sono già stata papà -
- Ah...è vero...beh, io e mamma dobbiamo andare! -
- Ciao -
- Ciao cucciolo! - urlò suo padre, chiudendo poi la conversazione.
***
Lui e Sonia erano in cucina.
Mancavano un paio di minuti alle otto, e aveva messo una pentola sui fornelli; sua sorella invece, stava apparecchiando con cura la tavola, saltellando e cantando una canzone.
- Put on your pretty lights, you’re in the city of wonder…your Minds in Disturbia! It’s like the darkness in light - cantava la bambina saltellando di qua e di là.
Il campanello, fortunatamente, la fece smettere di cantare e subito corse alla porta - ANGI!!! -
Sonia premette una decina di volte il pulsante per aprire il cancelletto, poi si fece da parte, lasciando entrare l’ospite, che teneva un pacchetto in mano - Ho portato il dolce...vi dispiace? - chiese Angelica con un sorriso.
- Certo che no - disse avvicinandosi - Lascia pure a me - aggiunse prendendo il pacchetto.
- Beh, dipende - disse Sonia richiudendo la porta - Torta con cosa? -  
La mora si abbassò, arrivando all’altezza di Sonia - Panna e fragole -
- Ok non ci dispiace! -
La mora sorrise prima di essere trascinata in cucina dalla bambina, che la fece sedere su una sedia.
- Vi serve una mano? - chiese la ragazza, mentre lui tornava ai fornelli.
- No, e poi sei un’ospite -
- E hai portato la torta! - disse Sonia, finendo di sistemare la tavola - Dimmi...sai giocare a scacchi? -
- Certo - rispose imbarazzata la ragazza.
- Allora facciamo una partita! - urlò la bambina correndo via senza attendere risposta.
Nella cucina calò il silenzio, rotto solo dall’improvviso suono dell’acqua che prese a bollire.
- Non pensavo che sapessi cucinare - sussurrò la ragazza, arrivata silenziosamente al suo fianco.
Sorrise - Questione di abitudine, mia madre non c’è quasi mai e devo badare a Sonia -
La ragazza sbuffò - Meglio che vada a fare un corso di cucina -
***
Sonia ritornò saltellando, reggendo tra le braccia una scacchiera e un piccolo scrigno, entrambi in legno. Appoggiò la scacchiera sulla tavola ed estrasse tutti i pezzi dal cofanetto.
- Bianchi o neri? -
- Neri -
La bambina iniziò a sistemare tutti i pezzi - I bianchi muovono per primi -
Si sedette di fronte a Sonia, che aveva già mosso un pedone con disinvoltura, e rispose muovendo il cavallo.
- Beh...com’è andata a scuola Matteo? - chiese la bambina spostando in avanti un altro pedone bianco.
- Bene - rispose il ragazzo, che osservava gli spaghetti nella pentola - Tu invece hai fatto qualche altro malanno? -  
Spostò un pedone e sorrise, guardando la bambina.
- Ho chiesto scusa a quello dello schiaffo - rispose spostando l’alfiere in avanti - Gli ho detto chiaro e tondo che non mi piace -
Rise sotto i baffi, spostando la torre, che stava per essere mangiato dall’alfiere bianco.
- Così si fa -
- E poi gliene ho tirato un altro - sussurrò Sonia mangiando un pedone - E bello forte -
- Sonia...-
- Insisteva...-
- Non è un buon motivo per tirargli uno schiaffo, quante altre ragazze lo fanno? - chiese Matteo mescolando gli spaghetti.
Tossicchiò appena, mangiando un pedone bianco con il cavallo.
Il ragazzo si voltò - Ah già...-
- Cosa? - chiese curiosa la bambina, mangiandole un pedone.
- Niente - sussurrò spostando un altro pedone.
- Chi hai picchiato? -
- Nessuno -
- Bugiarda -
Sbuffò appena - Un ragazzo molto simpatico -
- Immagino che per simpatico tu intenda “simpatico come una martellata sulle dita” -
- Esatto -
- Non uccidere mio fratello! -
Sorrise, spostando la torre, mangiandole l’alfiere - Certo che no, tuo fratello è a posto -


Pochi minuti ed aveva messo Sonia alle strette, ancora poche mosse e avrebbe dato scacco matto.
- OH MIO DIO!!! -
Sussultò sulla sedia non appena la bambina si mise ad urlare, indicando la finestra - Cosa? -
- FUORI...C’È UN...-
Guardò fuori dalla finestra. Lei non vedeva niente.
- Sonia io non vedo niente -
- Guarda meglio! -
- Non riesco proprio a capire cosa... -
- Ah no! Falso allarme! Era un ramo -
Si voltò, osservando la scacchiera completamente cambiata; a lei restava solamente il re e un cavallo, mentre Sonia aveva il doppio delle pedine di prima.
- Eh...eh...mai distrarsi con una Dall’Angelo -
Iniziò a ridere, buttando la testa all’indietro - Mi hai fregata -
- E alla grande -
- Avete finito vuoi due? È pronto...- sussurrò Matteo scolando gli spaghetti, mettendoli poi in un’altra pentola, aggiungendo il pesto.
Sonia fece qualche mossa, una dietro l’altra, lasciando il suo re senza via di fuga - Scacco matto - disse mettendo via la scacchiera e tutti i pezzi. Matteo intanto, da bravo cameriere, servì gli spaghetti che avevano un ottimo odore.
- Quanti ne vuoi Sonia? - chiese il ragazzo avvicinandosi al posto della sorella, accanto al suo.
- Vai...vai...vai...vai...vai...via...no! Troppo! - disse la bambina sorridendo - Scherzo Matteo!! Mamma mia! -
______________________________________________________

La cena fu semplicemente ottima, e lei aveva finito tutto in pochi minuti, essendo due giorni che mangiava malissimo. 
Dopo gli spaghetti, Matteo prese la torta dal frigorifero e cominciò a tagliare la torta che aveva portato.
- Una fetta grande grande - disse Sonia al fianco del ragazzo - Un altro po’...ancora...vai...vai...mettici dentro anche una fragola bella grossa...OK! -
La bambina prese un piattino, dove Matteo sistemò una fetta di torta. Sonia ritornò al suo posto iniziando a mangiarla di gusto.
- È ottima! - urlò lei quando ebbe mandato giù il primo boccone.
- L’ho fatta io! -  
Matteo si bloccò con il coltello, pronto per tagliare un’altra fetta; mentre Sonia aveva smesso di mangiare.
- Scherzo scherzo! Sonia sarebbe già per terra con i crampi allo stomaco - 
Matteo tirò un sospiro di sollievo, tagliò altre due fette, ed iniziarono poi a mangiare.
***
Angelica, seduta davanti a lui, alzò lo sguardo, sorridendo, portandosi poi un dito alle labbra.
“ Ma che vuol dire?”
- Matteo? - lo chiamò la sorella, che lo stava osservando - Hai i baffi di panna -
- Tu invece hai la barba di panna -
- Lo so! È venuta fuori bene vero? -
Lui e Angelica scoppiarono a ridere.
- Oh beh...in questo caso - iniziò la ragazza portandosi la sua fetta di torta alle labbra, facendo un bel paio di baffi alla panna. 
Scoppiarono tutti a ridere.
- Oddio! Sembri quei tizi francesi dei film! -
Angelica scoppiò a ridere un’altra volta - Oh no, ma io sono una ragazza - disse lei con uno strano e buffo accento francese.
Lui e Sonia scoppiarono a ridere, poi, fortunatamente, tutti si pulirono i finti baffi di panna con il tovagliolo.
- Oddio che idea! Sono una genia -
Si voltò, guardando Sonia, in piedi che finiva la torta, con uno strano luccichio negli occhi.
- Cosa? - chiese.
- Adesso vedrai fratellone - disse la bambina, sparendo poi oltre la porta della cucina. Lasciando soli lui e Angelica.
- Matteo, hai ancora un po’ di panna...- sussurrò la ragazza, ghignando.
Sussultò appena - Dove? -
La mora si portò una mano al mento, e lui tentò subito di pulirsi - Ancora? -
Lei annui, alzandosi in piedi e lui trattenne il respiro, tentando nuovamente di pulirsi, mentre la sua mente galoppava a briglia sciolta, immaginando come sarebbe finita quella situazione, ma fortunatamente, Angelica rimase dov’era.
- Basta - rispose la ragazza con un sorriso.
***
- Twister!! -
Si voltò, un po’ sconcertata, verso Sonia, ferma sulla porta della cucina con la scatola del gioco “twister”, che saltellava come una matta.
- Dai! Dai! Dai! Dai! Dai! Dai!!!! -
Guardò Matteo, che si copriva il volto con le mani - È la fine -
- Ehm...ok? - chiese.
La bambina prese a saltellare ancora più velocemente, mentre il ragazzo abbandonò la testa sul tavolo - È davvero la fine -
- Perché così tragico? È solo un gioco -
- Adesso vedrai...-
Sonia le afferrò il braccio e la trascinò verso il grande salotto, iniziando poi a spostare il tavolino ed arrotolare il tappeto.
Matteo le raggiunse, restando ad osservare la sorella, che ora, sistemava il tappetino con disegnati dei pallini colorati di blu, rosso, giallo e verde; ed infine sistemò una piccola “dado-ruota” che serviva per scegliere in modo casuale i pallini del tappetino e uno dei quattro arti possibili, mano destra, mano sinistra, piede destro e piede sinistro.
- Chi comincia? - chiese la bambina con un’espressione leggermente diabolica.
Indicò Matteo, al suo fianco, che le abbassò immediatamente la mano.
- Comincia tu Angelica! -
Il moro le diede una leggera spintarella e lei si fece avanti, ignorando il ghigno sulla faccia di Sonia, che si apprestava a girare la ruota.
- Mano destra sul blu -
- Eh...ok...- sussurrò piegandosi appena, appoggiando la mano destra su un pallino blu.
- Vai Matteo! Piede destro sul verde! -
Il ragazzo, abbandonando gli sbuffi, sorrise e appoggiò il piede su un pallino non lontano da lei.
- Ci vorrebbe un po’ di musica però - iniziò Sonia - Vado a prendere un cd...voi non muovetevi! -
Arrossì senza alcun motivo e girò un po’ la testa cercando di vedere Matteo - Tua sorella mi farà venire mal di schiena! -
- Sei solo all’inizio...-
Sonia ritornò saltellando in salotto con un cd in mano, che mise nel lettore cd su uno dei mobili, facendo partire una vecchia canzone dei Black Eyed Peas: Ehy Mama.
- Bene...io...mano sinistra sul rosso -
Alzò lo sguardo per vedere la bambina appoggiare la sua manina su un pallino rosso, accanto al fratello, allungando poi l’altra mano per girare.
- Angelica: piede sinistro sul verde -
Si guardò intorno “ Cristo santo...” pensò allungando la gamba ed appoggiando il piede sul primo pallino verde che trovò, leggermente distante.
- Matteo: mano destra sul giallo -
Vide il ragazzo piegarsi leggermente, toccando poi un pallino giallo, accanto a lei.


Parecchi giri, pallini e canzoni dopo: era a pancia in su, la gamba sinistra quasi completamente distesa su un pallino rosso e le braccia piegate in modo incredibilmente strano, mentre Matteo e Sonia erano sopra di lei, in posizioni altrettanto scomode.
- E se cado? - chiese mentre le braccia tremavano.
- Penitenza -
- Che tipo di penitenza? -
- Una penitenza catastrofica! - esclamò la bambina facendola persino sussultare.
- Quanto catastrofica? -
- Talmente catastrofica che girare in pigiama per la via ti sembrerà una passeggiata -
Deglutì “ Questa bambina ha delle idee da serial killer”
- Ma mi credi?! Scherzo! Non succede niente -
Sospirò di sollievo - Ma...adesso chi gira la ruota per me? -
- Giro io, sono il più vicino... - disse Matteo girando la ruota - ...mano destra sul rosso - 
Alzò leggermente la testa, notando subito un pallino rosso vicino alla mano del moro.
“ Non cadere...non cadere...non cadere...” pensò mettendosi ancor di più sotto il ragazzo. Arrossì senza volerlo.
Matteo girò ancora una volta - Mano destra sul blu - disse abbassandosi un altro po’, distendendo il braccio, con il viso ad un soffio dal suo; riusciva persino a specchiarsi nei suoi occhi.
Sonia, in qualche maniera, riuscì a girare ancora il “dado-ruota”, mettendo poi il braccio sinistro accanto a lei.
- Sonia mi fai il solletico... - sussurrò voltando appena lo sguardo verso la bambina, che le punzecchiava il fianco con il gomito.
- Lo so! -
“ Waaaaaaaaaaaa vuole farmi fare la super penitenza catastroficaaaaaaaaaa!! Nooooooooo!”
Si mosse appena, cercando di allontanarsi - No! Eddai Sonia! - esclamò con ormai le lacrime agli occhi, cercando di trattenere le risate.
Un’altra piccola gomitata e crollò sul tappeto del Twister, trascinando con se sia la bambina, al suo fianco, sia Matteo, sopra di lei.
“ Ehm...SALVE!!! Sono la tua mente Angelica...volevo dirti...RIPIGLIATI!!!”
Il ragazzo si spostò subito dopo, scoppiando a ridere, seguito a ruota da Sonia.
- Altro giro? - chiese Sonia, già in piedi.
- Aspetta due minuti che mi riprendo - sussurrò ancora distesa sul tappetino.
- Forza! In piedi -
La bambina le afferrò un braccio, cercando di alzarla, senza successo.
- Avanti Angelica! -
Si mise in ginocchio - Ok ok...gira la ruota -
Sonia girò il dado-ruota - Piede destro sul blu -
Si mise in posizione, guardando il ragazzo con aria supplichevole - Ti prego...salvami -
Matteo rise, appoggiando la mano destra sul rosso, su indicazione di Sonia, che si posizionò subito dopo al suo fianco.
- Angi...mano sinistra sul verde -
Si sistemò un’altra volta - Questa è l’ultima partita vero? -
- Vediamo quanto resistiamo - iniziò la bambina - Matteo, piede destro sul giallo -
Lasciò un po’ di posto al ragazzo, che spostò il piede, appoggiandolo su un pallino proprio sotto di lei.
La bambina si spostò appena, appoggiando la mano destra su un pallino rosso.
- Piede sinistro sul giallo -
Sospirò, scavalcando la gamba di Matteo, appoggiando il piede, sperando di centrare un pallino giallo.
Sonia cadde sul tappeto, ridendo come una matta.
- Che c’è? - chiese Matteo torcendo il collo cercando di guardare la sorella.
- Ah ah oddio come siete messi! -
Arrossì di colpo. In effetti, se la signora Dall’Angelo fosse entrata, l’avrebbe sbattuta fuori a calci denunciandola per atti osceni in casa sua.
- Vabbè voi continuate...-
Guardò Matteo, appena sotto di lei, che scrollò la testa - Devo nasconderlo da qualche parte questo gioco -
- Hai pienamente ragione -
______________________________________________________

Mancava qualche minuto alle dieci ed erano seduti sul grande divano in soggiorno, la tv accesa che mostrava un dvd che Sonia aveva proposto: Van Helsing. Matteo era seduto da una parte del divano, lei dall'altra e Sonia comodamente sdraiata con la testa appoggiata al suo braccio.
- Ma la tizia é stupida?- chiese ad un tratto la bambina quando, nel film, le tre spose di Dracula attaccavano il villaggio - Non può ammazzarla subito?-
Sorrise - Ma così non può farsi salvare -
- Ma tanto non la salva nessuno...le due spose se ne vanno perché Van Helsing ammazza l'altra -
Sonia sbadigliò, tremando appena, incrociando le braccia.
- Hai freddo?- chiese Matteo avvicinandosi alla sorella.
- Un po'-
Le appoggiò una mano sulla fronte bollente della bambina - Ha la febbre -
- No, sto bene -
Anche il ragazzo le tastò la fronte - Dovresti andare a letto -
- Uffa...siete dei guastafeste, lo dite solo per farmi andare a dormire -
Sorrise, facendo sedere Sonia sul divano - Non siamo dei guastafeste -
- E poi hai la febbre - disse il moro prendendo in braccio la sorella, facendo poi il giro del divano, mettendola giù sui primi gradini.
- Angelica?-
Si voltò verso Sonia - Sì?-
- Puoi rimanere se vuoi -
- Forse é meglio che vada -
Il sorriso della bambina si spense - Tornerai un'altro giorno?-
- Ma certo -
- Allora ciao - concluse Sonia, salendo poi le scale.
- Ciao - sussurrò.
Infilò la giacca, avvicinandosi poi a Matteo, in parte alla porta - Ci vediamo domani - disse lui con un sorriso.
Annuì semplicemente, poi Matteo, da bravo gentiluomo, le aprì la porta d'entrata.
- Grazie - sussurrò, prima di entrare nel buio della notte.
***
- Matteo Dall’Angelo! -
Sussultò nel sentire la voce della sorella, e si voltò. Sonia, infatti, era in cima alle scale, con indosso un pigiama rosso.
- Perché diavolo non le chiedi di uscire? -
- Ancora con questa storia?-
- Magari si aspettava un bacio -
- Sonia...- l'ammonì, e la bambina, per tutta risposta alzò le spalle, dirigendosi in camera sua.
" Però Sonia ha ragione...cosa mi costava?" pensò, scrollando la testa subito opo " Ci conosciamo da tre giorni"
***
Si buttò sul letto, senza un briciolo di forze.
" Che giornata" si ritrovò a pensare, guardando il soffitto di camera sua.
Restò così per cinque minuti buoni, nella speranza di prendere sonno, ma si alzò dopo un po', togliendosi i vestiti ed infilando il pigiama rosa che Elisabeth odiava con tutto il cuore per via dei coniglietti; afferrò poi un vecchio libro da una mensola e lo aprì, socchiudendo però gli occhi di tanto in tanto.
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Sussulto non appena il campanello suonò un paio di volte; chiudo il libro e guardo l'ora sul cellulare: 23.47
Chi diavolo può essere a quest'ora?
Mi alzo quando il campanello suona una seconda volta, scendo le scale ed apro la porta, guardando Matteo, fermo all'entrata.
- Come...hai fatto a...-
Non mi lascia nemmeno il tempo di terminare la frase, che entra senza tanti complimenti, chiudendosi la porta blindata alle spalle con un tonfo sordo.
- Matteo che stai...-
Mi spinge piano contro il muro, ed io non riesco a fare a meno di guardarlo in quegli occhi blu così belli.
- Sono qui per te - sussurra lui iniziando a sfiorarmi il collo con le labbra.
Scuoto la testa, cercando di mantenere quella poca lucidità rimasta - Matteo...-
Le sue labbra si posano sulle mie per qualche secondo, e poi ritorna sul mio collo.
- Resta con me - sussurra lui stringendomi i fianchi.
- Io... -
Poi fu un attimo. Il morso sul collo, il dolore ed il sangue caldo che cola lentamente.
Non ho il coraggio di guardare e porto una mano ai suoi capelli.
- Se tu sei questo allora uccidimi, perché io non ho il coraggio di fare lo stesso con te -
Lui si stacca appena e mi sorride, con le labbra ancora rosse per il mio sangue e, benché sia un mostro, lo trovo bellissimo.
- Sei sicura?- mi chiede Matteo pulendosi l'angolo della bocca.
- Sì - sussurro accarezzandogli la nuca.
Lui si avvicina piano, mi bacia un'altra volta e poi si avvicina al mio orecchio - Allora svegliati -  
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Si svegliò di soprassalto, mettendosi immediatamente a sedere.
" Dannato sogno!!!!" urlò mentalmente, afferrando il cellulare, che suonava senza sosta.
- Pronto! - urlò contro la segretaria dell’Agenzia.
- Ehm...mi scusi se...la disturbo 33...ma c’è un demone non classificato in centro città: Ponte nuovo del Popolo -
Sbuffò di noia - D’accordo, andrò a controllare - rispose a malo modo riattaccando guardando l’ora sul cellulare: 23.58
Si vestì in fretta e furia, afferrando la katana, nascosta in un angolo e le chiavi della macchina.
“ Non classificato...” rifletté per qualche secondo “Potrebbe essere lei?”
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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Giovedì 12 febbraio 2009 ***


Giovedì, 12 febbraio 2009

Parcheggiò la macchina in uno dei tanti posti liberi e guardò fuori dal finestrino. Ghignò non appena vide uno stupido demone andare avanti e indietro.
Si piegò leggermente, tastando lo spazio sotto il sedile, e ne estrasse una pistola. Controllò che fosse carica e scese dall’auto, lasciando la spada sul sedile posteriore. La pistola sarebbe stata più che sufficiente per una simile sciocchezza.
- Alla faccia del demone non classificato - sussurrò girandosi la pistola tra le mani, avanzando silenziosamente.
Puntò l’arma contro il demone e sparò, colpendolo alla nuca, facendolo dissolvere in una nuvola di polvere.
Si voltò nuovamente verso la macchina, ma si bloccò a metà strada, rimanendo immobile quando qualcuno prese a battere le mani.
- Complimenti...- disse una voce femminile - Sei migliorata davvero tanto... -
Si voltò, guardando il buio che la circondava, in cerca della fonte della voce.
- Allora avevo visto giusto...sei tornata - disse voltandosi verso la macchina, osservando un’ombra scura appoggiata alla portiera.
- Io non me ne sono mai andata - disse l’ombra facendo qualche passo verso di lei - Ti ho osservata per tutto questo tempo, aspettando di finire il lavoro che mi è stato assegnato anni fa -
Respirò profondamente, facendo qualche passo indietro - Vorresti finirlo adesso? Sai...sono stanca...ho le palle girate e non ho proprio voglia di affrontare una lurida cagna come te! -
Sparò qualche colpo verso l’ombra, poi prese a correre, maledicendo sé stessa per essere stata così sciocca da aver lasciato di proposito la katana in auto.
“ Ma che sto facendo? Sto scappando come un coniglio”
Si bloccò al centro del Ponte nuovo del Popolo, non molto distante da dove si erano fermati lei e Matteo quel pomeriggio.
L'atmosfera era come quella nei vecchi film horror di serie b: la nebbia impediva di vedere sia l'inizio sia la fine del ponte, la luce dell'unico lampione acceso lampeggiava, minacciando di spegnersi da un momento all'altro e l'unico rumore erano le piccole onde dell'Adige contro i grossi sostegni in pietra del ponte.
Respirò profondamente cercando di riprendere il fiato e di far rallentare il suo cuore che le batteva impazzito nel petto.
- Scappare é inutile e poi non é nello stile di una ragazza orgogliosa come te... - sussurrò la voce nell'oscurità - ...é da codardi -
- Cosa può saperne un demone dell'orgoglio? Voi non avete sentimenti, siete degli esseri vuoti e dannati, e brucerete tutti all'inferno - sibilò lanciando un'ultima occhiata al lampione, ormai spento.
- Ancora arrabbiata per il tuo amico?- chiese il demone entrando finalmente nel suo campo visivo.
Non era cambiata di una virgola: i capelli rossi lasciati sciolti si muovevano di tanto in tanto, sollevati dalla leggera brezza, il viso pallido come quello di un cadavere e gli occhi, brillanti come due braci, erano puntati su di lei.
- Oh lo spero vivamente, altrimenti che divertimento c'é?- disse il demone volteggiando a ritmo di una musica inesistente.
Nemmeno il tempo di controbattere che una mano gelida si serrò attorno al suo collo, facendola boccheggiare quasi immediatamente. Con un'espressione di odio guardò la donna, che la sollevò ancora di più, facendola penzolare oltre la balaustra di pietra del ponte.
- Avanti...perché non la fai finita e mi butti nell'Adige?- chiese, provocandola.
- Moriresti troppo velocemente, e non riuscirei a vedere i tuoi occhi privi di luce, di vita...no...morirai lentamente, con una terribile agonia...-
Si portò le mani al collo, cercando di allentare un po' la presa della donna, che aumentava sempre di più.
- Oppure puoi unirti a noi -
- Mai...- sussurrò afferrando la pistola, sparando un colpo, che finì la sua corsa nel cranio della donna.
Spalancò gli occhi, quando il demone sorrise diabolicamente, come se niente fosse - Ma...-
Il demone si toccò la fronte con un dito e la ferita fu completamente rimarginata - Sei una stupida se pensi che una semplice pistola possa uccidermi -
La morsa alla gola si strinse ancora di più, e riprese a boccheggiare.
- Sai, l’idea dell’Adige non è male...e sicuramente torneresti a galla, provando a scappare - 
- Io non scappo...mai...-
- Lo vedremo - sussurrò la donna, lasciando la presa.
Precipitò per diversi metri e l’impatto con l’acqua fu tremendo.
Annaspò leggermente, muovendo le braccia, provando a combattere contro la corrente per risalire a galla.
Inghiottì dell’acqua, talmente fredda che le sembrava di sentire mille aghi ghiacciati conficcati nei polmoni; come la sensazione che aveva provato quando quello strano, piccolo demone era entrato in casa sua cantando quella stupida filastrocca, che ora sapeva, era riferita alla donna-demone dai capelli rossi.
Il freddo era lacerante e perse quasi immediatamente la sensibilità alle braccia e alle gambe.
“ Non può finire così...” pensò, agitando le gambe, ormai insensibili, ritornando a galla.
Ponte nuovo del Popolo era più o meno a cinquecento metri da lei e la donna era ancora là, ad ammirare lo spettacolo della sua morte.
Agitò ancora le braccia. La corrente era davvero forte, e se non si fosse aggrappata a qualcosa sarebbe andata a finire contro i grossi sostegni in pietra del ponte più vicino: Ponte Navi.
Nuotò verso la riva, ma la corrente la portava sempre più vicina ai sostegni e, cosa ancor più pericolosa, in quel tratto c’erano dei massi che spuntavano dall’acqua; si sarebbe salvata con le costole rotte oppure l’avrebbero ripescata a chilometri da lì con l’osso del collo rotto.
“ Resisti...” pensò nuotando con le ultime forze verso un tratto di terra, sempre più vicina.
La donna apparve dal nulla sulla strada, più alta di qualche metro, rispetto alla riva.
- Forza! Vieni qui! - urlò il demone lanciando qualcosa nel buio, che però riconobbe in una frazione di secondo.
S’immerse evitando per un soffio di farsi trapassare la testa da dei pugnali, che le ferirono il fianco.
Provò a riemergere, ma la corrente la trascinò per un altro paio di metri, facendole sbattere la schiena contro uno dei sostegni del Ponte Navi, tirandola nuovamente sott’acqua.
Agitò le braccia, provando a combattere contro l’Adige, e riemerse in superficie, prendendo un profondo respiro, prima di essere trascinata nuovamente sott’acqua, spinta contro i massi scuri, che non riusciva nemmeno a distinguere nella notte.
Sbatté più e più volte la schiena e il petto, graffiandosi contro la parete rocciosa, e tutte le volte provò involontariamente ad inspirare aria, trovando soltanto acqua.
“ Che brutta fine” pensò riemergendo, ormai sfinita, lasciandosi trascinare dalla corrente, che sembrava meno forte di prima, forse per via dei massi che ne rallentavano la corsa.
Ormai era spacciata; non riusciva a muoversi per via dei muscoli intorpiditi dal freddo, l’acqua che ormai le riempiva i polmoni e non sentiva nemmeno il dolore della ferita al fianco.  Non si preoccupava nemmeno del fatto che più avanti c’erano altri ponti.
Sbatté piano contro un altro masso, e afferrò una sporgenza provando ad issarsi senza successo.
Un piccolo pezzo di terra era a pochi metri e forse sarebbe riuscita ad arrivarci, prese un profondo respiro e si diede una spinta, nuotando più velocemente che poteva, ignorando la fredda morsa che le impediva di fare movimenti più agili.
“ Un piccolo sforzo”
Non appena toccò la piccola riva, vi strisciò sopra, sputando tutta l'acqua che aveva nei polmoni, tossendo talmente forte che il demone l'avrebbe individuata in pochi istanti.
Si trascinò ancora più in su, vicino al muro in mattoni rossicci, alto diversi metri, restando poi sdraiata di schiena con la mano destra sul fianco sanguinante.
- Dio mio...fa che non mi trovi - sussurrò sfinita, guardando il limpido cielo stellato - Fammi morire in pace - sussurrò, trattenendo poi il fiato nel sentire dei sassolini smossi da qualcuno, che camminava tranquillo sulla strada più in alto, rispetto a lei.
- Lo so che ci sei...- sussurrò una familiare voce femminile - So che non sei ancora morta -
Si spostò, schiacciandosi ancor di più contro il muro, evitando di far rumore, benché il suono dei rametti che spezzava, sembravano spari in quella notte silenziosa.
La donna apparve dal nulla, in piedi sul muretto possa di lei - Allora è vero il detto...chi non muore si rivede -
Si spaventò a morte, quando il demone fu ad un soffio dal suo viso - Ma guarda...- sussurrò curiosa lei - ...i battiti del tuo fragile cuore stanno rallentando -
- Almeno io...ho un cuore che...batte - sussurro appena, afferrando uno spesso ma piccolo ramo da terra.  
- Oh, quelle sono debolezze da umani...un cuore che batte, che ama...tutte stupidaggini -
Gemette quando la donna l'afferrò per il collo, sollevandola da terra.
- Avanti, sei già stanca? E io che volevo divertirmi con te -
Ghignò maligna, raccogliendo le ultime forze - Allora non voglio...deluderti -
Con un veloce scatto e le conficcò il rametto nella gola, facendolo sprofondare per diversi centimetri.
La reazione del demone fu, come previsto, quella di mollare la presa sul suo collo, portandosi le mani al rametto che le spuntava dalla gola, ringhiando imprecazioni.
Si alzò in piedi, cominciando a correre nonostante gli arti intorpiditi dal freddo; salì una scalinata in pietra, arrivando sulla strada. Si guardò intorno, osservando la piccola zona, poco illuminata con diverse vecchie case. 
Entrò nel primo vicolo che le capitò a tiro, tenendosi la mano sul fianco, e si sedette a terra, lasciandosi sfuggire un lamento.
“ Sono fregata” pensò appoggiando la schiena contro il muro.
Aveva perso la pistola quando il demone l’aveva gettata nell’Adige, ed ora era disarmata, bagnata fradicia e, come se non bastasse, stava per piovere.
Dei lievi passi risuonarono nell’aria e si spostò silenziosamente nell’angolo più buio del vicolo, giusto in tempo per vedere il la donna che passava davanti al vicolo, guardandosi di qua e di là, nella speranza di trovarla e di darle il colpo di grazia.
Si riavviò all’indietro i capelli bagnati e si abbracciò le ginocchia, provando a scaldarsi, ma ben presto abbandonò le braccia lungo i fianchi, socchiudendo gli occhi sempre di più.
“ Non arrenderti...” pensò cercando di farsi forza; ma il freddo le intrappolava il corpo in una gelida morsa.
- Vieni fuori...lo so che sei qui...-
Rabbrividì per il suono della voce del demone, che sembrava vicina, molto vicina.
Una goccia di pioggia le cadde sulla guancia e rotolò silenziosa fino al collo.
Strinse i denti ed allungò la mano, in cerca di qualcosa da usare come arma, ma riuscì solamente a fare rumore. Imprecò a denti stretti, portandosi una mano al fianco “ Che sf...”
Trattenne un grido quando la donna apparì dal nulla, sorridendo - Eccoti qui -
Il demone portò il viso ad un soffio dal suo e l’afferrò per il collo, alzandola senza sforzo.
- Ti ho trovata - sussurrò la donna piegandole appena il collo, mostrandole poi i denti, simili a quelli dei vampiri delle storie da raccontare ai bambini - Ti arrendi così facilmente? -
Chiuse gli occhi “ È finita” pensò.
- Ti risparmierò la vita, se ti unisci a noi -
Le mancava l’aria, ma riuscì a ghignare - Mai -
Il demone le sorrise - Allora muori - 
Si lasciò sfuggire un sospiro “ Addio...” pensò quando sentì il freddo respiro della donna sul collo.
Aspettò il morso e il dolore, ma non avvenne niente, sentì solamente la sgommata di un’auto che si fermava lì accanto.
La donna si staccò, lasciandola cadere a terra con un tonfo - Sarà per un’altra volta - sussurrò lei, scomparendo nel nulla.
- Angelica! -
Voltò appena lo sguardo, guardando Beatrice ed altri due agenti che correvano verso di lei. Si sforzò di sorridere - Sto bene -
La ragazza si inginocchiò al suo fianco, tastandole il collo - Mio dio...sei gelida...-
- Devo solo...andare a casa -
- No, tu non vai a casa...tu vieni all’Agenzia -
Uno dei due agenti la prese in braccio, e lei non oppose nemmeno resistenza.
La fece sedere sul sedile posteriore dell’Audi, accanto a Beatrice, che si affannava a cercare qualcosa.
- Ma non avete una cazzo di coperta?! -
I due agenti salirono davanti e quello seduto sul sedile del passeggero si voltò - Nel baule -
Beatrice lanciò diverse parolacce, iniziando ad armeggiare con il sedile, provando ad aprirlo e prendere la coperta nel baule.
Abbandonò la testa contro il finestrino, mentre l’auto partì a tutta velocità.
“...aspettando di finire il lavoro che mi è stato assegnato anni fa...” pensò, ricordando le parole del demone “Chi l’ha mandata per uccidermi?”
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Socchiuse gli occhi, guardando le facce preoccupate di Beatrice e di Marco.
- Finalmente ti sei svegliata! - urlò il nano dandole un paio di lievi sberle sulle guance.
Alzò appena la testa, guardando l’infermeria dell’Agenzia. Era avvolta in una coperta beige, distesa su una specie di barella.
- No no...stai giù - le ordinò la ragazza, spingendola di nuovo sulla brandina.
- Che ore sono? - chiese, cercando di non battere i denti per il freddo.
- Le 5 - rispose il Lumpa-lumpa porgendole una tazza fumante - È tè -
Afferrò la tazza, rimettendosi a sedere, e bevette tutto in un solo sorso - Devo andare a casa - disse mettendosi a sedere sul lettino, stringendo ancor di più la coperta intorno al corpo - I miei vestiti? - chiese guardando Beatrice, che le porse un fagotto di vestiti.
- I tuoi sono ancora bagnati e questi sono della tua taglia -
Prese il fagotto e lo appoggiò da parte - La mia auto? -
- Ho mandato un paio di agenti a recuperarla, dovrebbero arrivare tra qualche minuto - rispose Marco, mettendosi le mani sui fianchi ed avviandosi verso la porta - Ci vediamo ragazze -
- Ciao nano! - urlò la bionda, sventolando la mano per aria. Non appena il Lumpa-lumpa chiuse la porta, si alzò in piedi ed iniziò a vestirsi velocemente, ignorando il fianco che le doleva da impazzire.
- Non dovresti sforzarti tanto - disse Beatrice, accomodandosi sulla barella.
La ignorò infilando le sue scarpe, ancora un po' umide - Ci vediamo - disse uscendo dall'infermeria senza aggiungere altro.
***
La sveglia prese a suonare, svegliandolo di soprassalto.
Guardò l’ora e per poco non fece un infarto: 7.35.
Si alzò in fretta e furia, indossando le prime cose che capitavano a tiro; mise qualche quaderno nello zaino e lo infilò in spalla, scendendo di corsa le scale.
- Ciao tesoro! - urlò sua madre in cucina con una tazza di caffè in mano - Caffè? -
- NO! SONO IN RITARDO! - urlò aprendo la porta d’entrata.
Scese una piccola scala esterna, premette il telecomando della macchina, che si aprì con due beep, e successivamente quello del cancello, che iniziò ad aprirsi con diversi cigolii. Saltò in macchina, facendo ruggire il motore; poi, a tutta velocità uscì dal garage.


 Frenò di colpo, guardando l’ora sul cellulare, abbandonato sul sedile del passeggero: 7.56
“ Che culo” pensò, scendendo dalla macchina, mettendosi lo zaino sulle spalle.
Gli altri erano tutti fuori, al solito poso vicino al cancello d'entrata; tutti, eccetto lei.
Sorrise quando Elisabeth iniziò ad agitare le braccia, in modo da farsi notare; attraversò la strada e li raggiunse.
- Siamo un po' in ritardo oggi - disse la rossa dandogli qualche pacca sulla spalla - Giusto in tempo per il drin -
Guardò la ragazza, chiedendosi cosa poteva aver fumato quella mattina, poi, non appena la campana prese a suonare, si diresse con gli altri all'entrata, in silenzio - Che avete? - chiese preoccupato ai compagni.
Sergio sembrò dar segni di vita, ed alzò la testa - Due ore di italiano -
Non appena il biondo concluse la frase, tutti tornarono a fissare i gradini dell'infinita rampa di scale.
- Non é poi così male - sussurrò, sistemandosi lo zaino sulle spalle. Elisabeth, Vittoria ed Alice, come risposta, lo uccisero con un semplice sguardo - Come non detto -
Entrarono in classe dove tutti si erano già sistemati ai loro posti. Nicola e Andrea, seduti in fondo all'aula, erano in uno stato di coma; mentre Laura, seduta sul banco davanti a quello dei due ragazzi, era circondata dalle altre che ascoltavano le sue parole come se fossero le cose più intelligenti del mondo. Si sedette al suo posto, ed osservò il banco vuoto di Angelica, sospirando.
- Pene d'amore? - chiese la rossa, gettando lo zaino a terra con noncuranza.
- No, figurati -
- Buongiorno ragazzi - salutò l'insegnante, entrando come una diva nella classe - Aprite immediatamente il libro che queste due ore saranno super toste...Il ritratto di Dorian Gray -
Elisabeth sbatté la testa sul banco, ritornando subito composta; poi, senza farsi notare dall’insegnante con gli occhi sul libro di testo, si sedette al posto di Angelica.
- Tu sai dov’è finita? - chiese sottovoce, fissando il libro.
- Pensavo lo sapessi tu... - sussurrò la rossa, voltandosi verso Vittoria, in coma - Vicky? -
- mmm? -
- Sai dov’è Angelica? -
- No mamma non la voglio quella maglia...- si lamentò la bionda girando la testa, abbandonata sul banco - Non mi piace Hallo Kitty...preferisco i Pokemon -
- Ehm...ok...-
- Signorina Hall, vuole parlare lei? -
- Ehm...- Elisabeth, lanciò una veloce occhiata al libro - Allora in questo libro si parla di...-
- Dorian Gray - suggerì.
- Dorian Gray che...inventò l’acchiappa colore Grey, cambiando solamente la vocale del cognome...e alla fine c’è la celebre frase citata anche da Wikipedia: Acchiappa colore Grey! Ottimo direi! -
Gli altri si misero a ridere, mentre lui si diede una sberla in fronte - Il ritratto Elisabeth -
- E con il secondo libro si fa un ritratto con una confezione tra le braccia e...-
- Si sieda signorina Hall, Oscar Wilde si starà girando nella tomba -
Altre risate ed Elisabeth si sedette, quando qualcuno bussò alla porta.
- Avanti -
Tutti voltarono lo sguardo, ma lui ed Elisabeth quasi caddero dalla sedia nel vedere Angelica che sbucava dalla porta.
- Siamo un po’ in ritardo oggi -
- Mi scusi professoressa -
- Si può sedere, domani porterà la giustificazione del ritardo -
***
Raggiunse lentamente il posto di Elisabeth, tirò indietro la sedia senza fare il minimo rumore e si sedette, respirando affannosamente.
- Ma dove diavolo sei stata?- le chiese l'amica dandole una leggera gomitata.
- Mi sono addormentata - sussurrò lanciando un'occhiata a Matteo, anche lui con l'aria preoccupata.
- Notte di fuoco eh? - le chiese Elisabeth, facendole l'occhiolino.
- No...non ho dormito molto ieri sera e questa mattina non ho nemmeno sentito la sveglia, tutto qui -
- Sicura di star bene? Sei più pallida del solito -
- Sì...tranquilla Eli - sussurrò prendendo il suo block notes, che l'amica le tolse immediatamente dalle mani, iniziando a scriverci sopra.
--- Oggi andiamo a prendere i vestiti :) ---
--- Non saprei...a che ora? ---
--- mmm...per le 16! E tu vieni a mangiare da me! ---
--- Beh...dipende ---
--- Da cosa? ---
--- Cosa fai da mangiare? ---
Elisabeth scoppiò a ridere, bloccandosi subito dopo l'occhiataccia dell'insegnante.
--- Quello che vuoi! Tesoro! ---
--- O_o ehm...---
--- Dai...raccontami di ieri sera ---
--- Uffa...non é successo niente! Abbiamo giocato a Twister e poi abbiamo guardato un film con sua sorella...---
--- E dopo che la marmocchia é andata a letto? ---
--- Me ne sono andata ---
L'amica scattò in piedi con le mani nei capelli - NON CI POSSO CREDERE!! -
- Signorina Hall... - la richiamò ancora una volta l'insegnante.
- Non posso credere che...ehm...Dorian...non sia un parente dell'inventore dell'acchiappa colore Grey -
La professoressa si diede una sberla in fronte e, con un gesto, la fece sedere di nuovo.
--- Tu sei andata a casa?!?! ---
--- Sì, che altro potevo fare? ---
--- Potevi fartelo!!!! ---
--- Come sei delicata... ---
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Le due ore passarono in modo incredibilmente lento; ed ora mancavano soltanto dieci minuti al suono della campanella.
Aveva passato il tempo a scarabocchiare sul block notes; non aveva né voglia né volontà di ascoltare l’insegnante che continuava a parlare sul “Il ritratto di Dorian Gray”.
Elisabeth era ancora in coma, seduta sulla sedia a braccia incrociate, la testa bassa e gli occhi socchiusi; ogni tanto alzava la testa, annuendo, fingendo di seguire il discorso della prof; Matteo invece, da bravo studente, prendeva appunti su un quaderno, concentrato come non mai.
Diede una piccola gomitata all’amica, che si riscosse dal coma.
- Zitto e nuota...nuota e nuota... zitto e nuota...nuota e nuota...e noi...che si fa? Nuotiam -
- Ritorna al tuo posto - sussurrò - Oh scusa...nuota al tuo posto -
Si scambiarono velocemente di posto, e si avvicinò al ragazzo - Come diavolo fai? -
- A prendere appunti? Scrivo... -
Sospirò, tenendo la testa appoggiata alla mano - Spiritoso...intendo, come fai a seguire un discorso così noioso? Tutti entrano in coma il giovedì mattina; tutti...eccetto tu. Ci deve essere una spiegazione -
- Mi piace la letteratura, e poi...anch’io sono annoiato -
Alzò le spalle - Come sta Sonia? -
- Questa mattina non l’ho nemmeno vista, sono uscito di casa di corsa in due minuti -
- Addormentato? - chiese con un sorriso.
- La sveglia non ha suonato - rispose lui, terminando di scrivere una frase, chiudendo poi la penna con il tappo.
- Non scrivi più? -
- Preferisco parlare con te -
Sorrise ancora una volta - Lo prendo come un complimento -
- Fai pure - disse lui guardandola con l’aria preoccupata.
- Che c’è? - chiese ignorando il lieve dolore alla schiena e al petto ogni volta che respirava.
- Ti senti bene? -
- Sono...solo stanca -
- E pensare che dobbiamo andare a comprare i vestiti...- sussurrò Elisabeth, con la testa sul banco - E per quello servono parecchie energie -
- Vestiti? - chiese il ragazzo.
- Andiamo ad una festa in maschera il 28, potresti venire anche tu - rispose con un sorriso.
- E chiediamo anche agli altri maschietti - disse Elisabeth scattando in piedi, non appena la campanella prese a suonare - Liberi! Finalmente liberi! -
- Adesso c’è matematica - sussurrò, afferrando il libro di testo dalla cartella e gettandolo sul banco.
Elisabeth, assunse un’espressione da cane bastonato, e si risedette - Cazvolo -
- Comunque, se volete venire anche voi a comprare gli abiti - disse a Matteo.
Lui si passò una mano nei capelli - In maschera eh -
- Consolati...le odio anch’io e per di più mi vestiranno come una...- si bloccò di colpo, portandosi le mani alle orecchie.
“ Prega per la tua sorte, prega, perché per te arriverà la morte”
- Non ora - sussurrò portandosi una mano al fianco.
- Che hai Angi? - le chiese Elisabeth con voce preoccupata, appoggiandole le mani sulle spalle. Si scansò a malo modo.
“ Negli incubi peggiori ti verrà a trovare, il suo sguardo glaciale non guardare. La paura ti assale. È lei che viene per farti del male”
- Smettila...lasciami in pace - sussurrò lievemente, sentendosi senza forze.
- Angelica - la chiamò Matteo.
Non vedeva più niente, ma sentì ugualmente le forti braccia del ragazzo che la stringevano.
“ Lei vuol godere delle tue grida, un momento prima che ti uccida”
***
- Angelica cos’hai? Ti prego parla - chiese stringendola tra le braccia.
- Portami via di qui...- sussurrò lei con aria sfinita.
Non se lo fece ripetere due volte. Si alzò in piedi, sorreggendola.
Uscirono dalla classe e si fermò in corridoio, facendo sedere Angelica a terra, con la schiena appoggiata contro il muro. Le si sedette accanto.
La professoressa, dietro di loro, tossicchiò appena, attirando la sua attenzione. Si voltò e fece per giustificarsi, ma l’insegnante, alla vista della ragazza, annuì soltanto, chiudendosi la porta alle spalle.
Si voltò verso Angelica, cercando di dire qualche parola - Non saranno i miei spaghetti di ieri -
La ragazza trattenne un lamento, portandosi una mano al fianco - No...no...-
- Allora cos’hai? - chiese preoccupato.
La mora sorrise, sdrammatizzando la situazione - È una storia troppo lunga e troppo difficile da comprendere -
- Sono qui, ti ascolto -
Lei scrollò la testa - Non posso...non ci riesco -
- Provaci - sussurrò.
Angelica non rispose, sembrava svenuta: il viso pallido come quello di un cadavere, gli occhi chiusi ed il respiro lento ed affannato.
- Le voci...- sussurrò lei, quasi fosse sonnambula.
- Che voci Angelica? - domandò stringendole la mano, fredda come il ghiaccio.
- Nella mia testa...-
- Cosa ti dicono? -
- ...lei...- delirò la ragazza.
“ Non ci capisco niente” pensò, scrollandola appena.
Angelica aprì gli occhi, e respirò profondamente, passandosi una mano nei capelli.
- Ti senti meglio? -
Lei annuì lentamente - Sì... -
Lo sguardo della mora cadde sulla sua mano. Lasciò immediatamente la presa, arrossendo.
- Io...ti ho detto qualcosa mentre...? -
- Stavi delirando, hai parlato di...lei...delle voci nella tua testa -
Lei distolse lo sguardo, imbarazzata - Non farci caso... - sussurrò, spostandosi appena, osservando la porta chiusa della classe, alle sue spalle - Ti sto facendo perdere la lezione -
- No, tu mi stai salvando dalla lezione -
Lei sorrise - Mi devi un favore allora -
- Eh no, siamo pari...ieri ti ho salvato dal moccioso sull’autobus -
Angelica sorrise ancora una volta.
- Mi ricordi tanto un mio amico...- sussurrò lei posandogli una mano sulla guancia - Era uno dei pochi che riusciva a farmi ridere -
- Avete litigato? -
- No - iniziò lei, abbassando gli occhi pieni di lacrime - È morto -
Si rattristò a sua volta. Non poteva farne a meno: se lei era triste, anche lui lo era.
- Mi dispiace -
La mora scrollò la testa, pulendosi gli occhi con il dorso della mano - È successo tanti anni fa, oramai è passato - 
Le prese la mano e l’aiutò ad alzarsi in piedi - Ti va una cioccolata? -
La ragazza, come risposta annuì - Lo fai per saltare matematica? - chiese lei con un sorriso.
Scrollò la testa - No, io sono bravo in matematica -
- Tu sei bravo in tutto -
Sorrise - Certo! Sono un Dall’Angelo! - disse fingendo di pavoneggiarsi, facendo ridere Angelica.
- Tu sei un angelo - sussurrò lei, facendolo arrossire appena.
Scesero lentamente le scale; lei teneva una mano sulla balaustra in ferro e l’altra stringeva il suo braccio.
- Ce la fai? -
- Non sono un’invalida Matteo -
- Hai ragione...ma volevo prenderti un po’ in giro - disse facendo ridere la ragazza.
Un paio di minuti ed erano nella “zona ricreazione”; frugò nella tasca ed estrasse 50 centesimi; li inserì nella macchinetta del caffè e premette il pulsante per la cioccolata al latte. Si rivoltò verso Angelica, appoggiata al termosifone, con gli occhi rivolti alla finestra, osservando il cielo di un grigio chiaro.
***
Pochi secondi e Matteo le porgeva un bicchiere in plastica, contenente della cioccolata fumante.
- Grazie - sussurrò afferrando il bicchiere. Lui fece un gesto teatrale con la mano, e si mise accanto a lei.
- Se devi parlare con qualcuno non farti riguardo -
Lanciò un’occhiata al ragazzo, sorridendo con malizia - Anche gentiluomo, chissà quante ammiratrici avrai a Milano -
- Oh moltissime...hanno fondato un fun club - disse lui cercando di prendere in giro i figli di papà che si credevano al centro del sistema solare. Iniziò a ridere, facendo attenzione a non rovesciare la cioccolata.
- In realtà a Milano ho avuto poche fidanzate - iniziò lui, osservando fuori dalla finestra - Storie da niente insomma -
Finì la cioccolata e buttò il bicchiere nel cestino lì accanto - Saranno state delle zoccole -
“ Evvai...comincia l’odio verso le ex”
Lui rise - No, no...è solo che non riuscivo ad amarle -
- Perché? -
Matteo alzò le spalle - Pensavo che prima o poi avrei trovato la ragazza giusta...bella...intelligente...brillante in ogni cosa -
Sorrise - Non credo che esista una persona così, ognuno ha i suoi difetti...i suoi peccati...segreti da tenere nascosti -
- I segreti rendono eccitante una relazione - disse lui, ghignando.
- Non i segreti pericolosi -
- Anche quelli! -
Prese a ridere - Non finirai mai di stupirmi Matteo Dall’Angelo! E io che ti credevo un ragazzo per bene -
- Io sono un ragazzo per bene...non vado in giro per i corridoi a rimorchiare una ragazza diversa ogni giorno -
- Non ne dubito, parecchi però lo fanno -
- Luca è uno di quelli immagino -
Sospirò, stringendosi il fianco - No, lui è pazzo...non mi lascia un giorno di pace -
- Mi avevano raccontato la storia... -
- È un anno che non parlano d’altro...le matricole sanno essere davvero petulanti a volte - 
- Già le immagino a saltare dietro a Luca ed urlare -
Sorrise ancora, riavviandosi i capelli all'indietro - Vai a capirle -
Lui alzò le spalle - Le matricole preferiscono i cattivi -
- Io sono dalla parte dei buoni -
- Anche se un po' cattiva lo sei -
- Io? Scherzi sono una ragazza tranquilla -
Matteo sottolineò l'ultima parola facendo le virgolette con le dita.
- É vero! -
- Soprattutto se in mano hai un'asta di legno -
- Quello era un caso a parte -
- Quando hai intenzione di fare rissa con Laura, fammelo sapere in anticipo...così raccolgo le scommesse! -
Si portò una mano alla bocca, cercando di trattenere le risate.
- Lo scontro del secolo: La vendetta 2; Angelica vs Laura -
- Su chi scommetti? -
- Su di te ovviamente -
- Bravo, non volevo farti perdere soldi! -


Si sedettero a terra, questa volta in silenzio. Passarono diversi minuti e la campanella sarebbe suonata da un momento all'altro. Matteo, al suo fianco, sospirò.
- Grazie - sussurrò appena.
Lui si voltò, confuso - Per cosa? -
Le venne naturale appoggiargli una mano sulla guancia - Di tutto -
Matte appoggiò la mano sulla sua e si avvicinò sempre di più. Non era difficile capire le sue intenzioni, ma non si spostò; sentiva già il suo profumo e il lieve rumore del suo respiro.
Era ad un soffio dal suo viso quando il trillo acuto della campana li fece sussultare entrambi. Matteo si alzò immediatamente in piedi, leggermente imbarazzato.
- Ah, quasi dimenticavo...per venerdì dato che dobbiamo andare a casa di Alice... -
- Ti ci porto io no? -
- Ah, sì...me l'ero scordato... -
Il silenzio imbarazzante fu interrotto dagli studenti che uscivano dalle classi, ammassandosi al distributore automatico come bestie.
- Adesso arriverà Elisabeth di corsa e si scaraventerà su di te -
- Può darsi - sussurrò, cercando di alzarsi, senza però riuscirci.
Il moro capì al volo e le porse la mano.
- Signor Dall'Angelo, lei mi sta viziando - disse accettando l'aiuto e ritornando in piedi.
- Non era mia intenzione signorina Vetra -
- Angi! -
Piegò appena la testa, osservando la migliore amica che correva per il corridoio, scaraventandosi poi contro di lei.
- Stai bene? -
- Sì, sì...sto bene -
- Indovina... -
- Interrogata in matematica - sussurrò.
- Esatto, e...-
- ...hai preso...-
- 7!!!! - urlò la rossa saltandole al collo.
- Grande! - urlò a sua volta iniziando a saltellare con l'amica.
- FERMI TUTTI!!!! -
Tutti gli studenti presenti si zittirono ed osservarono Alice, ferma sulla porta che si girava tra le mani una chiavetta elettronica.
- Quanti m&m’s ci sono? -
Fu un ragazzino a rispondere - Due -
- Bene, adesso con calma...mi lasciate passare...che ne prendo uno. Non fate movimenti bruschi perché le mie mani sono la peggior arma che esista...tiro di quei ceffoni fotonici...dopo la caposcuola s'intende - disse la ragazza avvicinandosi alla macchinetta.
Sorrise - Grazie Alice -
- Di niente cara! - rispose la mora, lanciando poi un urlo - No! Si sono bloccati!!!! Ma porca...Waaaaaa -
Lei ed Elisabeth iniziarono a ridere, mentre Alice guardava Matteo con gli occhi da Bambi - Matteo...tu che sei un bellissimo uomo forte ed intelligente...non é che magari...-
Il ragazzo iniziò a ridere, si alzò le maniche della maglia appena sopra il gomito, si avvicinò poi alla macchinetta e, senza sforzo, la scrollò di qua e di la, facendo cadere gli m&m’s di Alice.
- Evvai!!!! - esultò la mora, mentre il ragazzo tornò al suo fianco.
Si soffermò a guardare il braccio muscoloso di Matteo, rovinato da una strana cicatrice sull'avambraccio, lui, notando il suo sguardo, come se niente fosse, si abbassò le maniche.
- Storia lunga - sussurrò il ragazzo.
- Tuo padre?-
Lui annuì solamente.
Salirono tutti assieme le scale e lei come al solito, fingeva di stare bene.
- Sapete perché uno scheletro non si butta dal trampolino? - chiese continuando a salire le scale.
- Perché è morto? - chiese Elisabeth.
- No...perchè non ha fegato! -
Tutti si bloccarono guardandola a bocca aperta; Alice aveva persino smesso di mangiare gli m&m’s.
- Che c’è? -
- Pessima -
- Allora...cosa bevono due pecore in birrerie? -
- Acqua? -
- Una Beeeeeeeeecks! -
Tutti abbassarono la testa, scrollandola appena.
- È tornata l’Angelica di sempre - sussurrò Elisabeth. 
______________________________________________________

Erano in classe, tutti seduti ai loro posti, in attesa dell’insegnante d’inglese.
Matteo le si avvicinò appena - Ti senti meglio? -
- Sì, tranquillo - sussurrò come risposta, concentrando poi il suo sguardo sulla professoressa, che entrava nella classe tentando di fare il moonwalk.
- Hallo!! -
- Attento...- sussurrò a Matteo - Questa è davvero pazza -
La professoressa era bassa e cicciottella, i capelli grigio scuro facevano, in qualche modo risaltare gli occhi azzurri, assomigliava molto all’attrice che interpretava Dolores Umbridge.
- Buona notte...- sussurrò appoggiando la testa sul banco.
- No no Miss Vetra -
Rialzò la testa - What? -
- Non dormire che sarà una lezione interessante -
- Interesante como un... - sussurrò in spagnolo senza però terminare la frase, per via di Elisabeth che le tappò la bocca con una mano. Matteo, invece, tratteneva a stento le risate.
- Finiscila di parlare spagnolo -
- Por qué? -
- Non capiamo un coño - disse la rossa usando l’ultima parola in spagnolo - Che in dialetto veneto si dice: Non se capise un casso -
Si diede una sberla in fronte - Che delicata -
- E tu smettila di parlare spagnolo -
- Ven conmigo...ven conmigo baby -
- Mi stai facendo venire mal di testa Vetra - disse Elisabeth, massaggiandosi le tempie.
- Escuchame...- sussurrò iniziando il ritornello di una canzone di Christina Aguilera - Solamente tu, acercate a verme. Solamente tu, porque me enloqueces. Solamente tu, no me hagas esperar. Contigo quiero estar, ser tuya nada mas...solamente tu! -
- Basta basta! Mi farai impazzire! - urlò la rossa, attirando l’attenzione dell’insegnante.
- Ehm...the dog is under the table and the cat is on the chair - disse Elisabeth, sedendosi di nuovo - Angelica questa te la faccio pagare -
- Che paura…-
- Matteo ti prego, falla stare zitta tu -
- Perché? Mi diverto così tanto -
- Ven conmigo...ven conmigo baby - sussurrò facendo l’occhiolino al ragazzo.
- Io non riesco proprio a capire - iniziò la rossa - Vi siete fatti una canna o vi siete sniffati altra roba? -
- Questo è il mio modo per sfogarmi - disse.
- Quando di fidanzi...ricordami di fare le condoglianze al tuo lui - 
- Perché mai? -
- Ti sfogherai con lui a letto immagino -
Arrossì di botto - Elisabeth Hall! -
- Spero che soddisfi pienamente i tuoi desideri sessuali -
- Bastaaaaaaaaaaaaaaaa -
- Sai che lividi poi...povero ragazzo -
- Io non faccio male a nessuno -
L’amica si spostò appena, rivolgendosi a Matteo - Non ascoltarla...prima sembra tanto dolce e carina, ma poi... -
- A proposito Angi - disse Vittoria, dietro di loro, che finalmente si era risvegliata dal coma - Stupende le mutandine rosse! - 
Arrossì ancora di più, boccheggiando - Come...come...sai...-
- Sono un po’ appariscenti in effetti...è un completo? -
- Vittoria! -
- Che c’è? Sono carine -
- Fa vedere - disse Elisabeth cercando di spostarla.
- La finite voi due? -
Alice, davanti alla rossa, si voltò - La finite di parlare di mutandine? -
- Alice, guarda come sono carine! - disse Vittoria.
- Non batteranno mai le mie...sono a pois! -
- La volete finire? Basta parlare di...- si bloccò, lanciando un’occhiata imbarazzata al ragazzo, rosso come un peperone, che stava cercando di ignorarle - ...voi sapete cosa -
- Io però preferisco il nero...è più...- iniziò la rossa, rimuginando sulle parole da dire.
- Da troia - dissero in coro lei, Vittoria ed Alice.
- No, sono molto più...mmm...argh...- sussurrò Elisabeth imitando il verso della tigre.
Matteo, al suo fianco, appoggiò la testa sul banco - Non è che potete cambiare discorso per favore? -
Risero piano, ritornando poi in silenzio.
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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


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Nota

Ciao a tutti!
Scusate se vado così spedita, ma gran parte della storia è già scritta, avendola postata anche su un altro sito.

Lasciate pure un piccolo commento per esprimere qualsiasi giudizio.

Buona lettura.
Chiara
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L'ora d'inglese era ormai terminata, e lei del Elisabeth erano uscite dalla classe, bighellonando in giro per i corridoi, seguite da fischi d'approvazione dei ragazzi delle altre classi. Ma non vi badava nemmeno; ripensava al momento poco prima del suono della campanella che annunciava la ricreazione, quando Matteo era ad un soffio dalle sue labbra. Non riuscì a trattenere il calore che, a poco a poco, andava alle guance.
- Perché sei arrossita? - le chiese l'amica lanciandole un'occhiata - Non pensavo che apprezzassi i fischi d'ammirazione -
- Non...non é per quello -
Elisabeth sorrise con malizia, capendo forse quello che pensava - Che é successo con Matteo alla terza ora? -
Sorrise - Abbiamo parlato e...-
- E? -
- E stavamo per baciarci, ma é suonata la campanella e non...-
- ANGELICA VETRA! Tu non l'hai baciato perché é suonata la campanella?!?!?!-
Balbettò qualche parola, fermandosi in mezzo al corridoio - Sono timida! -
Elisabeth si bloccò a sua volta, prendendole le spalle e scrollandola con forza -ESCI DA QUESTO CORPO SATANA!!!! LASCIA CHE QUESTA RAGAZZA VIVA LA SUA VITA CON TRANQUILLITÀ!!!!-
Tentò invano di bloccare l'amica - Eli...mi stai...uccidendo -
La rossa si bloccò, afferrandole le mani - Lo sai che a volte...penso che tu sia una grande idiota? -
- Lo sospettavo -
- Potevi baciarlo! -
- Ma la campanella...-
- Ti avvinghiavi a lui e gli ficcavi la lingua in... - disse Elisabeth, senza terminare la frase perché le coprì la bocca con la mano.
- Sii più delicata - sussurrò.
- Sdupida ragazzina - rispose l’altra con la voce soffocata.
- Elisabeth Hall - sospirò lasciandola andare.
- Cristo, Angi! Potevi baciarlo! Adesso si creerà una situazione di costante imbarazzo -  
- Io...- sussurrò lievemente, appoggiando la schiena al muro e scivolando sempre più in basso, fino a sedersi a terra.
- Angelica? -
- Sto bene... -
- Non mi sembra - disse l'amica sedendosi a terra, al suo fianco - É ancora per quella cosa che fai? -
Strinse la mano sul fianco - Sì -
- Un'altro incidente? -
Annuì convinta - É per questo che non ho dormito -
- Ma cos'é che fai esattamente? -
- Io...non...-
- Non puoi dirlo perché io non capisco, é una cosa troppo brutta, eccetera, eccetera -
- Ti prego Elisabeth, non insistere -
L'amica si alzò in piedi, porgendole la mano - Dovresti andare in infermeria -
- Passerà - sussurrò, accettando l'aiuto ed alzandosi in piedi - Adesso c'é diritto vero? -
Elisabeth annuì e si voltò verso la porta della classe, prendendola a braccetto - Contenta? -
- Talmente contenta che preferirei andare in infermeria -
***
Angelica, appena rientrata in classe, accompagnata da Elisabeth, si sedette al proprio posto, con un lieve rossore alle guance.
- Che c'é? - chiese in un sussurro mentre tirava fuori dallo zaino il libro di diritto.
Lei sussultò appena, evitando il suo sguardo - Niente -
- Se c'é qualcosa che ho fatto di male, ti prego, fammelo presente -
La ragazza sorrise - Non hai fatto niente, é solo che pensavo... -
Angelica non riuscì a terminare la frase, che l'insegnante di diritto, con i soliti abiti di marca, fece un'entrata da diva di Hollywood, sedendosi poi alla cattedra, aprendo immediatamente il registro.
- Vetra, le ricordo che domani é in punizione -
La ragazza al suo fianco abbassò la testa - Sì, professoressa -
- E non parlarmi con quel tono. Fosse stato per me, saresti rimasta in punizione una settimana -
Sentì la rabbia montargli dietro. Come poteva parlarle in quel modo?
Fece per alzarsi in piedi ed urlare contro quella strega, ma Angelica, prevedendo forse le sue intenzioni, lo afferrò per un braccio, trattenendolo.
- Non ne vale la pena -
Represse la rabbia e strinse i pugni - Non puoi farti trattare così -
Lei sorrise con amarezza - Oggi non ho proprio voglia di litigare con lei -
L'insegnante iniziò la sua spiegazione, facendo qualche schema alla lavagna, Angelica, rimase in silenzio, prendendo appunti in modo rigorosamente ordinato, tenendosi una mano al fianco.
- Qualche ora fa avete detto di una festa - sussurrò a bassa voce, prendendo appunti.
- Sì, ti va di venire? -
- In maschera -
- Con tema angeli e demoni -
- Costume? -
La ragazza sorrise - Penso di sì -
- Finitela di confabulare - sussurrò Elisabeth lanciando un aeroplano di carta mentre la professoressa dava le spalle alla classe.
Sorrise, guardando l’aeroplanino che volava silenzioso per un piccolo tratto; ma il suo sguardo si soffermò su Laura, seduta al suo posto, il pugno serrato intorno ad una matita, che guardava Angelica con rabbia. Si voltò verso la lavagna, facendo finta di niente.
- Penso che Laura abbia voglia di litigare - sussurrò, attirando l’attenzione della ragazza al suo fianco.
- È da questa mattina che mi guarda così -
- Che le hai fatto? -
- Non le ho fatto niente - sussurrò Angelica alzando lo sguardo verso la lavagna, riabbassandolo subito dopo - Io non comincio mai una rissa -
- Sembra davvero arrabbiata...-
- Forse so il motivo - rispose lei.
Non indagò oltre, dopotutto erano affari suoi.
- Da cosa ti vesti? Per la festa intendo -
- Non ne ho idea, di solito è Elisabeth che si fionda su un vestito incitandomi a provarlo -
- Qualche idea almeno? -
- Demone sicuramente -
Sorrise - Non avevo dubbi -
- E tu un angelo? -
- Sicuramente un angelo -
- Non avevo dubbi - lo imitò la ragazza, sorridendo.
***
Elisabeth le afferrò il braccio, iniziando ad agitarsi mentre osservava l’orologio appeso alla parete e, contemporaneamente, preparava la cartella.
- Che c’è? -
- 5 -
- Eh? -
- 4 -
- Io non capisco...-
- 3 -
- Ma cosa stai dicendo? -
- 2 -
- Ah, la campanella -
- 1 -
- Iuppi - esultò sottovoce poco prima del suono della campanella.
In fretta e furia, tutti uscirono dalla classe, e rimasero solamente lei, Elisabeth, Matteo, l’insegnante, che si apprestava ad uscire velocemente dalla classe e Laura, seduta al proprio posto, che risistemava le proprie cose nello zaino con estrema lentezza.
Matteo si alzò in piedi, attirando il suo sguardo con un colpo di tosse. Sorrise, alzandosi in piedi - A domani -
Lui sorrise - Vedi di riposarti -
- Sto bene -
- A domani, fate sapere agli altri della festa - disse il ragazzo, uscendo dalla porta.
Si voltò verso Elisabeth, che le punzecchiava il braccio - Potevi dargli un bacino -
- Ah, ma smettila - sussurrò infilandosi lo zaino in spalla.
Uscirono dalla classe, dove rimase solamente Laura, che chiudeva la zip dello zaino con svogliatezza.
- Allora...- iniziò Elisabeth prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans - Mangiamo e dico ad Alice e a Vittoria di venire per le tre a casa mia -
- E poi vestiti -
- Oh, non rompere che non ti sforzi nemmeno per cercare il vestito giusto per te -
- Ho solo bisogno di un abito -
- Ma noi ragazze dobbiamo comunque essere...-
- Vestite da troie? -
- No! E poi tu devi essere sexy per Matteo! -
Fece per controbattere e mandare l’amica a quel paese, quando una voce infuriata riecheggiò per il corridoio.
- Vetra! -
Si voltò verso Laura, che le correva incontro, e restò immobile, anche quando la bionda l'afferrò per il collo.
- Perché non me l'hai detto?! - urlò la ragazza facendola indietreggiare, mettendola con le spalle al muro del corridoio.
- Non so di cosa stai parlando -
Laura le fece sbattere la testa, ignorando Elisabeth che la intimava di lasciarla andare.
- Lo sai benissimo! -
- Non sapevo nemmeno che era lei -
- Volete darvi una calmata? - chiese la rossa preoccupata, cercando di allontanare Laura.
- Aspettami fuori Eli, ti raggiungo subito - sussurrò lanciando un'occhiata all'amica - Non preoccuparti -
Elisabeth la fulminò con lo sguardo, voltandosi e incamminandosi verso le scale.
- É lei che ha ucciso Manuel? - le chiese Laura, stringendo la presa sul collo, ma lei non boccheggiava nemmeno.
- Sì -
- Perché l'hanno affidata a te? -
- Non sapevano nemmeno loro che era lei, altrimenti avrebbero mandato più agenti -
- Te la sei fatta scappare! -
- Non potevo batterla - sussurrò afferrandole il braccio, togliendosi Laura di dosso.
- Non la troverò mai più! Non potrò vendicare mio fratello che é morto per colpa tua! -
- Come potevo sapere che si sarebbe messo tra me e quel demone!?!? - urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Fortuna che erano usciti tutti - Non sai più a chi dare la colpa! -  
- Zitta! -
- È la verità! E in fondo tu sai che ho ragione! -
- Sta zitta! - urlò furiosa la bionda, facendole sbattere nuovamente la testa - Non dovresti nemmeno nominare mio fratello -
- Era pur sempre un mio amico!! -
- Lo credi tu...mio fratello... -
Laura la lasciò la frase in sospeso, lasciandola andare, allontanandosi senza aggiungere altro. Giurò di aver visto una lacrima che le rigava il volto. Sospirò, portandosi una mano al fianco; aspettò qualche minuto e scese a sua volta le scale.
Uscì dal grande cancello in ferro della scuola e fece un respiro profondo quando una soffio di vento gelido le sferzò il viso. Infilò le mani nelle tasche dei jeans, e si avvicinò ad Elisabeth, appoggiata alla sua Lancia Y dall’altra parte della strada.
- Andiamo? - chiese lei salendo in auto, infilando le chiavi e mettendo in moto la macchina.
Salì senza dire una parola, appoggiando lo zaino nei sedili posteriori, facendo poi la stessa cosa con quello dell’amica.
- Chiarito tutto? - domandò la rossa, partendo un po’ troppo piano per i suoi gusti.
Sospirò giocherellando con i tasti della radio - Sì... -
- Era parecchio incazzata -
- Già -
- Vi siete picchiate? -
- No -
- Finiscila di parlare con monosillabi! -
Sospirò, sintonizzando la radio, che non faceva altro che gracchiare inutilmente, su un radio giornale, che elencava le notizie del giorno.
- Sergio non mi sembra molto interessato - iniziò l’amica, nel tentativo di farla parlare - Sembra che se ne freghi di me -
- mmm -
- Oggi si è avvicinato solo un paio di volte -
- Dagli tempo -
- Questa mattina mi ha chiesto se domani mattina andiamo a prendere il caffè insieme -
- mmm...fantastico -
Elisabeth la fulminò con lo sguardo - Finiscila di far finta di ascoltarmi -
“ Ieri notte due persone sono state ritrovate senza vita...” diceva la radio, gracchiando di tanto in tanto e lei alzò ancora di più il volume, cercando di sistemare la frequenza.
- Aspetta... -
“ ...in un vicolo, poco distante da Ponte Navi......una giovane coppia di turisti inglesi......secondo la polizia......”
- PERCHÉ NON SI SENTE UN CAZZO!?!? - urlò battendo i pugni sul cruscotto.
- Ehi calmati! - urlò l’amica, sistemando la radio in men che non si dica.
“ Una donna si aggirava poco distante dalla scena del crimine, alcuni testimoni sostengono che sia sparita all’improvviso senza lasciare traccia. Restate con noi nei prossimi giorni e... ” spense la radio con mano tremante, per fortuna, Elisabeth non o notò.
- Cavolo - sussurrò la rossa - Una donna omicida qui a Verona -
Non rispose, annuì solamente.
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Elisabeth si fermò davanti a casa sua.
Scese dall’auto mettendosi il suo zaino in spalla e tenendo quello dell’amica per una spallina - Tua madre? - domandò.
- È già andata al lavoro - sussurrò l’amica scendendo a sua volta dall’auto, inserendo l’allarme con due sonori beep - Sono le due e mezza, l’abbiamo mancata di qualche minuto -
- Peccato, volevo salutarla - disse sospirando - Se solo tu corressi di più -
La rossa la fulminò con lo sguardo mentre inseriva le chiavi nella serratura del cancelletto - Non sono una pazza furiosa come te alla guida, e guido una Lancia...non una Ferrari -
Un lungo miagolio ed alzò lo sguardo sulla soglia di casa, dove un grosso persiano nero, se ne stava seduto sul tappeto davanti alla porta.
- Lucifero! - esclamò Elisabeth aprendo il cancelletto.
Il gatto si avvicinò di corsa, fermandosi di colpo e le soffiò, pronto a difendersi in caso di necessità.
- Come non detto...stupido gatto... - sussurrò la rossa andando verso la porta d’entrata.
Sorrise, abbassandosi ed allungando le mani verso Lucifero. Non ci fu bisogno di parlare: il gatto le saltò tra le braccia, iniziando a fare le fusa.
- Gatto traditore! - urlò Elisabeth aprendo la porta - E tu lo sei il doppio! -
- Forse non lo coccoli a sufficienza - disse alzandosi in piedi, grattando il gatto dietro le orecchie e raggiungendo l’amica, che le teneva la porta di casa aperta.
- Stasera non dormi con me bello - disse la rossa al gatto, che emise un piccolo miagolio - Oh, è inutile che fai così...dovevi pensarci prima -
Lucifero miagolò un’altra volta, strofinando la testa contro il suo collo, e lo accarezzò un’altra volta.
- Bene Catwoman - disse Elisabeth andando in cucina, togliendosi lo zaino e la giacca - Che si mangia? -
- Ravioli burro e salvia? - chiese appoggiando il persiano su una delle sei sedie sistemate attorno alla tavola.
- Ehm...non so farli - sussurrò Elisabeth prendendo una pentola e riempiendola d’acqua - Però ho i ravioli -
- Li faccio io allora! -
L’amica, scandalizzata, appoggiò lentamente la pentola sui fornelli - Cosa? -
- Li faccio io...sono capace e non sono difficili da fare -
- L’hai già fatto altre volte? -
- Moltissime...- mentì, ignorando lo sguardo severo della rossa - Ok solo un paio - mentì ancora - Va bene! Una volta sola! -
- Mi sembrava strano! - urlò Elisabeth, fiera di averla smascherata.
- E poi sotto la tua supervisione come posso bruciare qualcosa? - disse sorridendo.
- Che ti serve? - chiese la rossa mettendosi le mani sui fianchi.
- Aspetta -
Corse in bagno e si lavò accuratamente le mani, ritornando in cucina con le mani ancora gocciolanti - Un paio di foglie di salvia e una padella antiaderente -
Elisabeth rimase scioccata - Come sai dell’esistenza della padella antiaderente? -
Alzò le spalle - Non lo so, magari mi stai infondendo qualche concetto basilare della cucina -
La ragazza iniziò a ridere, mentre staccava delle foglie di salvia da una piantina in un bicchiere pieno d’acqua; le appoggiò poi sul tavolo seguite dalla padella antiaderente e da un pacchetto di ravioli surgelati.
Accese il fornello e, dopo un po’ di minuti, quando l’acqua prese a bollire, vi buttò il sale, seguito dai ravioli. Elisabeth, prese del burro dal frigorifero.
- Prega Dio di non fare casino - disse la rossa tagliando un pezzo di burro, adagiandolo poi nella padella antiaderente.
- Macché casino - disse mettendo qualche foglia di salvia nella padella e accendendo il fornello, tenendo la fiamma bassa - Sono brava se mi impegno - “Almeno spero”


Quando i ravioli iniziarono a galleggiare nella pentola, li scolò e li buttò nella padella, dove il burro si era ormai sciolto.
- Ah, la panna - disse aprendo il frigo e prendendo la piccola confezione di cartone della panna.
L’aggiunse ai ravioli, che lasciò sul fuoco per un altro paio di secondi. Elisabeth, nel frattempo, aveva preparato la tavola sistemando due piatti, due forchette, due bicchieri, qualche tovagliolo di carta rossa e una bottiglia di Coca Cola.
Spense il fuoco e riempì i due piatti, appoggiando poi la padella da una parte. Lei ed Elisabeth si guardarono, lanciando un’occhiata ai ravioli sistemati nei piatti.
- Chi assaggia? - chiese.
- Non io - disse la rossa facendo un passo indietro.
- Ok, ok lo faccio io - sussurrò prendendo una forchetta, conficcandola in un raviolo. Lentamente ne assaggiò uno - Che strano - borbottò.
- Cosa? Stai male? Chiamo l’ambulanza? -
- No...è solo che sono un po’ strani...insomma, sono mangiabili, ma non sono come quelli che fa mia madre -
Elisabeth le prese la forchetta dalle mani e ne assaggiò uno - Ma che diavolo è sta roba?! - urlò lei non appena lo mandò giù, versandosi un bicchiere di Coca Cola, bevendolo tutto d’un sorso.
- Eppure ho fatto esattamente quello che andava fatto, non ho sbagliato niente -
La rossa annuì - Se hanno questo sapore dolce avrai sbagliato sicuramente qualcosa...magari era la panna che è sca...- si bloccò all’improvviso - ANGELICA VETRA!!!!!! -
“ Quando urla nome e cognome non promette nulla di buono” - Cosa? -
L’amica le sventolò ad un soffio dal naso la confezione di cartone della panna - Leggi! -  
- Fatta con gli ingredienti migliori...-
- Più in basso! -
- Scade il 3 marzo 2009 -
- NO ANGELICA!! La scritta più grande della confezione! -
Le venne un groppo alla gola non appena lo lesse mentalmente un paio di volte - Panna da...dolci -
- PANNA DA DOLCI!!! -
Si diede una sberla in fronte - Sono una frana, non toccherò mai più una cucina in vita mia -
- Cristo santo... - sussurrò Elisabeth, calmandosi - Tu mi vuoi uccidere -
Assaggiò un altro raviolo - Almeno i ravioli non sono bruciati o crudi -
- Vado a vomitare... - disse la rossa facendole la linguaccia.
Sospirò - Faccio due panini? -
- Con la bondola! -
- Ok - disse aprendo il frigorifero.
- Niente panna stavolta Vetra! -
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Ore 16.00
Alice e Vittoria, entrambe puntuali come un orologio svizzero, erano arrivate a casa di Elisabeth e tutte e quattro, sedevano sul divano in salotto. Lucifero arrivò silenzioso accanto a lei, facendo le fusa e strusciando la testa contro la sua gamba.
Lo prese in braccio, iniziando ad accarezzarlo.
- Bene, per i vestiti - disse Elisabeth, alzandosi in piedi, mettendosi le mani sui fianchi - Io sono il diavolo naturalmente -
- Tu Angelica? - chiese Vittoria - Il nome sa tanto da santa, ma credo che tu farai un demone -
" Ma guarda che coincidenze...una Demons Hunter che si veste da demone" - il diavolo é già occupato, quindi passerò al vampiro – sussurrò accarezzando il persiano.
- E noi due Alice? Angeli? -
- Tu ci stai bene perché sei bionda con gli occhi azzurri -
- Beh cosa centra? Anche Angelica potrebbe fare l'angelo, solo che non ci sta bene con il bianco, infatti indosserà qualcosa di nero o di un altro colore scuro -
- Alice perché non fai l'angelo della morte? - suggerì.
- Giusto!! Grande Angi!! -
- E adesso ci vuoi svelare dove diavolo andiamo prendere i vestiti? - chiese la bionda.
- Of course... - sussurrò Elisabeth con un ghigno sul volto - Let’s rock girls! -

Dopo nemmeno quindici minuti, la rossa parcheggiò la sua auto davanti ad un vecchio edificio, con due grosse vetrine sporche ed una grossa insegna, praticamente illeggibile. Scesero tutte dall'auto, e guardarono il negozio con sospetto.
- Sicura che troveremo quello che cerchiamo? - chiese Alice mettendosi le mani in tasca.
- Al 100% ragazze -
Entrarono senza aggiungere altro, ed osservavano con attenzione il luogo, poco illuminato, alcuni porta abiti erano ammassati in sul lato sinistro del negozio con un paio di vestiti avvolti dal cellophan appoggiati sopra; sul lato destro invece, c’erano un paio di camerini con la tenda rosso scura tirata. Davanti a loro un lungo bancone di legno, dove un vecchio aveva alzato la testa non appena sentì la porta richiudersi. I suoi occhi si illuminarono e si raddrizzò mentre si avvicinarono al bancone di legno.
- Salve, cosa desiderate? -
- Allora, a me servirebbe un vestito da diavolo -
- È fortunata signorina, il più bello é ancora in magazzino e credo sia della sua taglia, ma può benissimo farlo stringere dalla sarta - disse il vecchio sparendo poi oltre una porta semi nascosta dietro il bancone, dalla quale ne uscì una donna sulla quarantina.
- Desiderate altro? - chiese la donna strofinandosi le mani.
- A me serve qualcosa di bianco - iniziò Alice - Se avete delle piccole ali da angelo sarebbe il massimo -
- Da angelo, si ci sono un paio di vestiti laggiù, sia bianchi che neri di quattro diversi tipi -
- Bene, Alice, andiamo a guardare -
Le due ragazze saltellarono fino al punto indicato dalla commessa, e cominciarono a guardare i vestiti.
Il vecchio tornò dal magazzino con un abito in pelle rosso fuoco, con una coda da diavolo e diverse cinghie.
- Ecco a lei, se vuole lo può provare. Anna può tornare al suo lavoro - disse il vecchio. La donna sbuffò e sparì oltre la porta.
- E lei? - le chiese il vecchio con un gran sorriso.
- Io cercavo qualcosa dall'aria misteriosa, possibilmente nero e un mantello -
- Mi faccia indovinare...vampiro?- chiese l'uomo sempre sorridendo - Ho quello che fa per lei -
Aspettò qualche secondo, osservando le striature del legno del bancone, e il vecchio ritornò con un abito, tenendolo tra le braccia come se fosse oro.
- Lo vuole provare? Anche se sono sicuro che le starà d'incanto - disse il vecchio porgendole il vestito da sopra il bancone - È di sicuro l’abito migliore di questo negozio -
- Sì - sussurrò osservando il bustino di pelle - Vado...a provarlo -
Si avvicinò all’unico camerino libero, scostando la tenda per poi tirarla nuovamente.
Osservò il vestito alzando un sopracciglio, poi alzò le spalle, mettendolo da una parte e sfilandosi i jeans e la maglia.
Infilò la gonna, che le arrivava più o meno, a una decina di centimetri sopra al ginocchio e poi un bustino in pelle che si chiudeva sulla schiena con una serie di lacci, lasciando scoperte le palle fino all'incavo del seno.
- Elisabeth? Mi devi aiutare -
La rossa entrò nel camerino restando a bocca aperta.
- Angi sei...bellissima -
- Se fossi una puttana sarei pronta per andare a lavorare! Mi puoi allacciare il bustino per favore? -
- Si certo -
Sentì Elisabeth che cominciava ad intrecciare i lacci del bustino, e alla fine lo strinse con forza.
- Elisabeth...puoi stringere...di meno che...mi stai...schiacciando...-
- Aspetta eh, trattieni il fiato...-
Obbedì, e subito dopo sentì il bustino che si allargò appena.
- Infila il mantello e poi esci fuori - disse Elisabeth uscendo.
- Già che ti vogliamo vedere!!! - urlò Vittoria - E così vedi anche noi che siamo già pronte!!! -  si mise il mantello sulle spalle, attaccandolo al collo da una piccola catenina d'argento. Uscì dal camerino scalza, e allargò le braccia verso le amiche, che sbattevano velocemente gli occhi.
- Beh? Che avete? -
- ...ti...-
- ......sta...-
- .........benissimo...-
Sorrise per il fatto che avevano detto una frase di senso compiuto in tre - Allora lo prendo? -
- Aspetta un secondo! Ferma lì non ti muovere! - urlò Alice mentre si toglieva gli stivali in pelle con un tacco vertiginoso - Prova con questi -
Li indossò alla svelta, e si fece osservare ancora dalle amiche.
- Sembri una... -
- Zoccola - terminò la frase facendo un giro su se stessa.
- Macché scema -
Guardò Vittoria ed Alice. La bionda aveva un vestito bianco che le arrivava appena sopra le ginocchia, con una profonda scollatura e due piccole ali da angioletto. La mora, era vestita di nero, anche il suo abito aveva una leggera scollatura, ma in più aveva la schiena completamente scoperta e il vestito aveva qualche strappo di qua e di la. Anche lei, portava un paio di piccole ali, simili a quelle dei pipistrelli, e un paio di corna nere che le spuntavano dalla testa.
- Siete splendide - sussurrò - I vestiti vi stanno d'incanto -
- Ma tu sei ancora più splendida -
Sorrise, togliendosi gli stivali e porgendoli nuovamente ad Alice; poi ritornò in camerino, rivestendosi in fretta e furia, piegando accuratamente l’abito da vampira.
Uscì affiancandosi alla migliore amica, che reggeva il suo abito da diavolo, aspettando che Vittoria ed Alice si cambiassero.
- Non ti ho visto con l’abito - sussurrò.
- Sembravo Elektra con la coda da diavolo - disse imitando qualche mossa di lotta.
Alice uscì dal camerino, con in mano i vestiti piegati disordinatamente, i capelli spettinati come non mai e un sorriso smagliante sulle labbra; dopo un po’, anche Vittoria uscì dal camerino, con i capelli in disordine e la treccia che ormai si stava sciogliendo.
- Ma come diavolo fate a ridurvi i capelli così? - chiese Elisabeth passandosi una mano nei suoi, perfettamente ordinati.
- Beh guarda Angelica -
Tutte si voltarono verso di lei, che iniziò a fissare il pavimento - Cos’ho? -
- Niente di insolito - disse Alice - Tu sei sempre spettinata -
Sbuffò appena - Antipatiche -
- Tanto per la festa le piastro i capelli -
Alzò lo sguardo fulminando la rossa, che aveva appena parlato - Tu non piastri niente a nessuno -
- Allora ti sistemo e basta -
Sospirò sonoramente, avviandosi con le amiche al bancone, dove il vecchio si strofinava le mani con uno strano luccichio negli occhi. Abbassò il viso cercando di evitare lo sguardo di una vecchia signora, che la guardava stupefatta.
“ Merda” pensò infilando le mani in tasca, sentendo la voce tremolante della vecchia che la chiamava.
Elisabeth, intanto, porse al vecchio tutti i vestiti ed estrasse il portafogli.
- Nel negozio in fondo alla strada, se può interessarle, vendono le lenti a contatto colorate e altre cose - disse il vecchio, strappando lo scontrino dalla cassa e porgendolo alla rossa.
- Grazie mille, quanto le dobbiamo?-
- Non fare la finta tonta ragazza - disse piano la vecchia che le girava intorno - Mi hai guardato negli occhi -
- Per tutti i vestiti sono 120 € -
- Potresti dire a mio marito che la cosa che sta cercando è in una scatola nel cassetto del mio comodino? -
Annuì distrattamente, osservando il viso della vecchia che s’illuminò, sussurrando un ringraziamento prima di sparire nel nulla.
Elisabeth pagò per tutte e quattro, poi salutò cordialmente, prendendo i vestiti tra le braccia ed uscirono dal negozio, eccetto lei.
- Desidera altro? -
- La cosa che sta cercando è nel cassetto del comodino di sua moglie - disse, dandogli immediatamente le spalle, sperando che il vecchio non la fermasse. Uscì guardando le amiche che stavano sistemando gli abiti nel piccolo baule della Lancia.
- Siamo a posto allora - sussurrò Elisabeth, che fece per salire al posto di guida della macchina, ma la fermò prendendole il polso.
- Fai guidare me? - chiese sentendosi osservare da qualcuno nell’ombra.
 - Ehm...ok -
L’amica fece il giro e salì, mentre, Alice e Vittoria si erano già sistemate nei posti posteriori. Premette la frizione e girò le chiavi, partendo a tutta velocità, inchiodando bruscamente ad ogni incrocio o semaforo.
- Ma sei pazza?! - urlò Alice da dietro - Vuoi rallentare? -
Accelerò ancora di più. Voleva andarsene dal quel posto prima che qualche fantasma notasse quello che riusciva a fare, seguendola poi a casa.
Lanciò un’occhiata al specchietto retrovisore: un vecchio con un bastone da passeggio marrone, che indossava solamente una vestaglia bianca e delle pantofole,  era fermo in mezzo alla strada, guardando nella direzione della Lancia. Staccò gli occhi quando fu trapassato da un’altra macchina.
***
Sussultò non appena sua sorella, che probabilmente, era appena ritornata da scuola, iniziò urlare ed irrompere all’improvviso in camera sua.
- Cosa? - chiese girandosi nel letto, ignorando Sonia, che aveva preso a saltare sul materasso.
- Com’è andata oggi a scuola? -
- Bene -
La bambina riprese ad urlare - Con Angelica intendo -
- mmm...Sonia -
- Eh eh? Allora? Le hai chiesto di uscire? -
- No...-
- Oh Sonia - disse sua madre, sulla soglia di camera sua - Lo sai che tuo fratello è un po’ timido -
Scattò in piedi, fronteggiando sua madre, che lo guardava con un sopracciglio alzato - Io non sono timido -
- Allora invitala qui...a...studiare lingue - disse sua madre in tono malizioso.
- Mamma!!! -
- Cosa!? - disse la madre con un malizioso sorriso sulle labbra che si allargava sempre di più - Oh, andiamo tesoro...che ti costa invitarla ancora una volta? Sonia si era divertita -
Sbuffò, annuendo poco convinto del suggerimento di sua madre, che se ne andò da camera sua.
Sonia, ancora nella stanza, si sedette sul letto, con le gambe incrociate, gli occhi chiusi e le mani appoggiate sulle ginocchia, sembrava facesse yoga.
- Che stai facendo? - chiese.
- Sto escogitando un piano infallibile per farvi uscire insieme -
- Non ce n'é bisogno, domani andiamo insieme a casa di una sua amica -
- Oh! Che carini! - esclamò la bambina, abbandonando la posizione di meditazione per iniziare a saltare sul letto - Magari con una musica romantica alla radio -
Sorrise, cercando di calmare la sorella e di farle cambiare argomento - Sai che anche lei ascolta Christina Aguilera? -
- DAVVERO?!? -
- Sa suonare anche il pianoforte - "ed ha una voce stupenda" pensò ricordando la sua voce dolce e cristallina mentre cantava.
- Poi? Cosa sai ancora? - chiese Sonia, curiosa come non mai.
- É simpatica, intelligente, brillante...bella -
- Ok...basta basta...dimmi cose che non so! -
***
Dopo essere arrivate davanti alla casa di Elisabeth, Alice e Vittoria, le salutarono, si presero i vestiti dando i soldi alla rossa e salirono sulle loro auto; lei, ancora al volante, fece dietro front e, con l'auto dell'amica, ancora seduta al suo fianco, partì verso casa.
- Davvero bello il tuo vestito - iniziò Elisabeth cercando una stazione decente alla radio - Sotto il bustino dovresti mettere una camicia però, altrimenti congelerai alla festa -
Annuì tenendo gli occhi sulla strada.
" Altre novità sulla donna che ha ucciso i due turisti inglesi in un vicolo vicino a Ponte Navi; poco prima dell'omicidio, avvenuto intorno alle 3 di questa mattina, delle persone, che abitano nei pressi di Ponte Nuovo del Popolo, affermano di aver visto le sagome di ben due donne. La prima, dicono i testimoni, aveva corso per un tratto del ponte, ma poi si era bloccata"
Strinse forte il volante, lanciando un'occhiataccia alla radio.
" Le luci si sono spente all'improvviso, ma notarono la seconda figura femminile che raggiungeva la ragazza, poi, raccontano i testimoni, non riuscirono a distinguere più nulla, ed infine udirono uno sparo"    
- Cavolo - disse la rossa parlando sopra la radio - Magari l'assassina ha sparato per uccidere l'altra...e c'é un terzo cadavere da qualche parte nell'Adige -
" Sono io che ho sparato per provare ad ucciderla, non c'é nessun cadavere" pensò, svoltando in via Alessandro Manzoni, fermandosi davanti al cancelletto di ferro battuto di casa sua.
Entrambe scesero dall'auto, lei aprì il baule della Lancia, prese il suo vestito e si avvicinò al cancelletto mentre Elisabeth si metteva al posto di guida.
- Domani ti riporto i soldi del vestito -
La rossa, dentro l'auto, alzò il pollice, facendole l'occhiolino, per poi partire lentamente, sparendo oltre l'angolo della strada.


Salì in camera, buttò il vestito sul letto e si sedette sulla sedia della scrivania. Accese il computer, sperando di trovare qualche e-mail di Beatrice sull'effetto che quella strana poesia aveva su di lei. Non appena eseguì l'accesso a msn, una piccola finestrella l'avvertiva di un nuovo messaggio di posta elettronica; vi cliccò sopra due volte, aprendo un'e-mail, apparentemente illeggibile, piena di trattini, punti e numeri. Beatrice, probabilmente, l'aveva criptata.
Un'altra piccola finestrella le richiedeva la password da inserire entro 2 minuti dall'apertura dell'e-mail; sapeva che, allo scadere del tempo, se non si era in possesso della chiave d'accesso, il messaggio si sarebbe distrutto.
" Beatrice e le sue manie sulla privacy" pensò. Sicuramente la password era il suo numero d'agente. Scrisse il numero 47 e premette invio, e magicamente, i trattini, i punti e i numeri diventavano lettere, segni di punteggiatura e spazi.
Stampò l'e-mail e, successivamente, la criptò nuovamente, cambiando la password e salvandola nella propria cartella sul desktop. Si dondolò sulla sedia, leggendo il testo appena stampato.
- Come pensavo - sussurrò concentrandosi su in piccolo pezzo.
... I bambini demone, con la loro rabbia riescono a sopraffare le menti più deboli ... riescono a penetrare la mente, facendo provare alla vittima qualsiasi sensazione desiderino, talvolta con qualche canzoncina infantile o filastrocche ... per la vittima il dolore sembra vero, tuttavia é soltanto una questione psichica ... questo tipo di demone può essere ucciso, ma con gran difficoltà ... le armi non servono a nulla, la vittima si deve solamente convincere pienamente che tutto quello che sta provando non é reale ... sembra facile, ma non lo é ...
Si abbandonò contro lo schienale della sedia, facendola cigolare appena.
- Che sfiga...- si lasciò sfuggire.
***
Sonia era ancora seduta sul suo letto con espressione imbronciata, perché si era categoricamente rifiutato di parlare ancora di Angelica.
- Uffa però - sbuffò la bambina.
Si alzò, prese il libro dalla candida copertina, riposto sul comodino ancora dall’altra sera, si sdraiò sul letto ed aprì il libro, riprendendo a leggere da dove aveva interrotto.
- Potresti invitarla un’altra volta -
- Sonia...-
- Poi io me ne vado a letto...-
- ...vorrei leggere...-
- E rimanete da soli...-
Rimase zitto, rimettendo il segnalibro alla stessa pagina.
- Sul divano a guardare un film romantico sulla scena del bacio -
- Non credo che Angelica sia una da film romantici -
- E poi voi vi avvicinate...-
Si alzò in piedi ed infilò la giacca, prendendo poi il libro e tenendolo sotto braccio - Ci vediamo stasera -
- Ehi dove vai?!?! - esclamò Sonia scattando in piedi.
- Cerco una biblioteca dove leggere in santa pace -
***
Aprì l'armadio, lasciandosi sfuggire un'imprecazione vedendolo mezzo vuoto.
" Mi tocca fare la lavatrice" pensò, scendendo di corsa le scale, aprendo una porta seminascosta, che conduceva alla cantina e alla lavanderia.
" Fortuna che so impostare la lavatrice" pensò scendendo le scale con i vestiti da lavare ed entrò nella lavanderia, un piccolo spazio angusto con una lavatrice e una tavola da stiro ripiegata ed appoggiata al muro.
Aprì l'oblò della lavatrice e vi infilò i vestiti, la richiuse e la mise in moto.
- Dovresti mettere un po' più di ammorbidente - disse all'improvviso una voce dall'accento spagnolo.
Sussultò, spaventandosi a morte alla vista di una donna con il busto che sbucava dal muro.
- Cristo santo! - esclamò.
- Scusami, non volevo spaventarti - disse la donna con un sorriso - La prossima volta dovresti mettere più ammorbidente cara -
- Lo farò - sussurrò cercando di calmare il cuore, che batteva all'impazzata - Ti serve qualcosa? -
- No...stavo dando un'occhiata in giro - disse la donna, facendole l'occhiolino e sparendo di nuovo.
Sospirò uscendo dalla lavanderia - Vai a capirli a volte i fantasmi -
Risalì di corsa le scale, guardandosi poi intorno quando fu al vuoto e silenzioso ingresso. Sospirò sentendo la leggera mancanza della madre che, solitamente, girava per casa cantando o impugnando la scopa, fingendo di suonare una chitarra; per non parlare di suo padre che, mentre guardava uno dei suoi film preferiti, ripeteva le battute a memoria. Ricordò una sera, quando suo padre, si riguardava per l’ennesima volta il film “Scarface”, era scattato in piedi urlando “Senti faccia di merda! Staccati la testa e ficcatela nel culo...e guarda un po’ se ci entra!!”. Sospirò ancora una volta, avvicinandosi all’appendiabiti, prendendo la sua giacca. Erano le cinque passate, un giro non le avrebbe fatto male.
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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Sussultò non appena notò un'auto che avanzava lentamente accanto a lei. Il finestrino del passeggero si abbassò con un leggero sfrigolio, mostrandole il volto sorridente di un ragazzo dagli occhi blu.
- Che ci fai in giro? -
Si fermò, sorridendo a Matteo, che arrestò l'auto - Una passeggiata...e tu? -
Lui sorrise raggiante - Vado in biblioteca -
Si mise le mani sui fianchi - Signor Dall'Angelo, ma se lei non sa nemmeno dov'é la biblioteca in questo piccolo paesino -
- La sto cercando infatti, ma spero che lei mi aiuti a risparmiare tempo prezioso, signorina Vetra -
Il suo sorriso era semplicemente stupendo, restò lì ferma, imbambolata per qualche secondo, che però credette ore. Sorrise a sua volta, ignorando la vocina maliziosa nella sua testa che la intimava di saltare in macchina e baciarlo con passione, per portarlo a casa sua e finire sul letto.
- In fondo alla strada c'é un edificio in mattoni, se guardi bene c'é un'insegna con scritto: Biblioteca Grifone - disse.
- Se non ha niente da fare, posso chiederle di unirsi a me? -
- Sì - sussurrò con un sorriso - Solo se la smetti di darmi del lei  -
Salì sull'auto, mettendosi subito le cinture di sicurezza; Matteo ripartì e, seguendo le sue indicazioni, dopo pochissimi minuti di viaggio, raggiunsero la biblioteca.
Scese dalla macchina osservando l’edificio e sospirò, ripensando a quando era piccola. Ogni volta che la pioggia la sorprendeva all’uscita pomeridiana di scuola, si rifugiava sempre lì; sommersa dai libri che tanto amava.
Matteo l’affiancò, riportandola alla realtà, e gli fece strada, aprendo la porta d’entrata.
La biblioteca era illuminata da delle finestre poste sulla parete alla loro destra, che rendeva il luogo quasi inquietante, gli scaffali in legno colmi di libri, alla loro sinistra, sembravano formare una specie di labirinto, poi c’era un vecchio bancone, anch'esso di legno, dove accanto c'era un grosso tavolo con cinque sedie sistemate attorno, seduta su una di queste, c'era una ragazza immersa nella lettura, nascosta quasi completamente da una montagna di grossi e polverosi libri sistemati sul tavolo.
- Vieni - sussurrò a Matteo, prendendogli una mano - Tra gli scaffali c'é un altro tavolino, mi siedo sempre là, così nessuno può disturbarmi -
Entrò nel labirinto di scaffali, trascinando il moro con se;svoltando a sinistra e a destra, arrivando ad un piccolo tavolo di legno, sotto ad un'ampia finestra dalla quale filtravano dei raggi di sole, che creavano uno strano effetto. Si sedettero, rimanendo in silenzio per un po'.
" Ma perché ho accettato di venire con lui? Magari volva leggersi in santa pace il suo libro" pensò abbassando lo sguardo, picchiettando l’indice sul tavolino. Matteo, aprì il libro dalla candida copertina, che teneva sottobraccio, ed alzò appena gli occhi.
- Nel bianco - sussurrò leggendo il titolo che spiccava sul dorso, benché fosse scritto in piccolo.
- É quello che ho comperato lunedì mattina -
- Quando stavi per farmi entrare in coma - disse piano con un sorriso, che il ragazzo ricambiò.
" É così bello quando sorride..."
Si alzò in piedi, sfogliando velocemente i titoli dei libri, sperando di trovarne uno che facesse al caso suo; ed alla fine, ne afferrò uno a caso dalla mensola più alta, iniziando poi a leggerlo non appena si risedette davanti al ragazzo.
Poi silenzio, entrambi s'immersero nella lettura, ma lei continuava a pensare a quella mattina, poco prima della ricreazione.
***
Finito l'ennesimo capitolo, alzò appena lo sguardo dalle pagine del libro, guardando Angelica, ancora seduta di fronte a lui, immersa nella lettura di un grosso libro, immobile e con il respiro lento e regolare. Sorrise senza motivo nel vederla attorcigliarsi una ciocca di capelli scuri intorno al dito. La ragazza girò un'altra pagina del libro alzando lo sguardo, mentre lui lo riabbassava, sforzandosi di non fare stupidi pensieri.
- Si sta facendo tardi - disse lei in un sussurro, chiudendo il libro - Ci siamo incantati troppo -
" Incantato dai tuoi occhi..." pensò, scacciando la piccola vocina nella sua testa, guardando fuori dalla finestra, dove il cielo era diventato più scuro - Già, sarebbe meglio ritornare -
Angelica rimise il libro a posto, allungando il braccio ed alzandosi in punta di piedi.
" Incantato dal tuo corpo..."
Scrollò la testa ancora una volta - Angelica? -
- Si? - chiese lei voltandosi, gli sembrò che i suoi occhi lo trapassassero da parte a parte; e sembravano, se possibile, caldi e freddi allo stesso tempo.
- Sono in debito per una cioccolata, no? - disse, mentre la mora sorrise, abbassando lo sguardo - Ti va? -
- Certo -


Aprì la porta la grande porta all’entrata e, con un teatrale gesto della mano, la invitò ad entrare - Prego -
Angelica sorrise, lanciandogli un'occhiata - Che gentiluomo -
Non appena entrarono, richiuse lentamente la porta alle spalle, sperando che Sonia non li sentisse. Si riavvicinò alla ragazza, aiutandola a togliersi la giacca.
- Non smetterò mai di dire che questa casa é splendida -
Appese la giacca all'appendiabiti e fece lo stesso con la sua, spaventandosi a morte non appena, voltandosi, trovò la madre che sbucava con la testa dalla porta della cucina, guardando la mora con interesse e con un sorriso malizioso stampato sulle labbra.
***
- Tu devi essere Angelica, la figlia dei signori Vetra - disse la donna facendo un passo avanti.
Era giovane, sulla trentina d’anni forse, i capelli castani, proprio come quelli di Matteo, e il sorriso stampato sulle labbra la faceva sembrare ancor più bella - Esatto, è un piacere conoscerla signora Dall'Angelo - disse porgendole la mano.
- Il piacere è mio - rispose la donna con un sorriso, stringendole la mano - Che ci fate qui? Siete venuti a studiare lingue?? -
“ Eh??”
Matteo si era portato una mano alla fronte.
- N...no...- sussurrò imbarazzata.
- mmm...un vero peccato, più avanti forse - disse la madre di Matteo dileguandosi subito dopo, lasciandoli soli.
- Tua madre è...-
- Strana -
- Quasi quanto la mia - sussurrò guardando nel vuoto - Che intendeva per “studiare lingue”? -
- Sperava che vi sbaciucchiaste! - urlò Sonia in cima alle scale, sbucata dal nulla.
Non poté fare a meno di arrossire - Ah...beh...- “MAGARI!!” pensò urlando nella sua mente.  
La bambina scese di corsa le scale, saltandole in braccio, facendole quasi perdere l’equilibrio. Strinse i denti per il fianco dolorante.
- Che c’è di male? - chiese la bambina staccandosi.  
- Sonia...- l’ammonì il fratello, dietro di lei, a braccia incrociate.
- Beh, che ci fai qui? - le chiese la bambina.
- Tuo fratello mi ha chiesto se...avevo voglia di una cioccolata -
- E tu sei golosa e non hai resistito -
Sorrise, fingendo che fosse quello il motivo per cui aveva accettato - Già, come potevo? -
- Hai fatto i compiti Sonia? - chiese Matteo alla bambina, che sbuffò.
- Li ho finiti tutti - sussurrò Sonia - Ok avevo appena cominciato quando siete arrivati -
- Meglio che vai a finirli allora, o tua madre si arrabbierà -
Sonia annuì convinta, dandole le spalle e salendo qualche gradino - Lasciatemi un po’ di cioccolata -
- Quando hai finito ne faccio una anche per te - sussurrò il ragazzo incrociando le braccia al petto.
La bambina salì gli scalini uno a uno, molto lentamente, quasi come se lo stesse facendo a rallentatore.
- Ti do mezz’ora altrimenti niente cioccolata - disse il ragazzo, appoggiando la mano sulla maniglia della porta della cucina.
- CORRO!!! - urlò Sonia, sparendo dietro una porta del piano di sopra. Arrossì al pensiero che una di quelle camere era quella di Matteo. Entrarono in cucina e il ragazzo la fece accomodare su una sedia.
- Io non so fare la cioccolata, ma in compenso ho la macchinetta del caffè che la fa per me -
Sorrise - Va più che bene -
La piccola macchinetta del caffè impiegò quasi un minuto per riempire due tazze di cioccolata al latte. Il ragazzo gliene porse una, e l’accettò con un sorriso, soffiando appena per raffreddare la tazza fumante.
Matteo, invece, fissava intensamente la tazza, pensando forse alle parole da dire.
***
Bevette un sorso ed alzò lo sguardo, sentendo gli occhi di lei puntati addosso; ed infatti, Angelica lo fissava divertita.
- Baffi al cioccolato? - domandò.
La ragazza scoppiò a ridere, senza riuscire nemmeno a rispondergli, lui fece lo stesso, pulendosi le labbra subito dopo.
- Matteo? -
Alzò lo sguardo, sorridendo - Si? -
- Io volevo scusarmi per questa mattina - disse la ragazza tutto d’un fiato.
- No, è colpa mia - “ Sono stato io ad avvicinarmi” - Sono stato troppo impulsivo...scusami-
Lei sorrise come se niente fosse - Fa niente -
Non sapeva di cosa parlare, e disse la prima cosa che gli venne in mente - Hai sentito dei due turisti uccisi? -
Angelica, se possibile, impallidì ancora di più - Sì, orribile -
Bevette un altro sorso di cioccolata, osservandola di sottecchi - Ti senti bene? -  
Lei annuì poco convinta, incrociando le braccia al petto - Sì, non è nulla...sono solo stanca -
- Immagino che Elisabeth ti abbia fatto patire le pene dell’inferno per il vestito -
La ragazza sorrise, bevendo un sorso di cioccolata - No, abbiamo risolto tutto molto in fretta -
- Cos’avete comprato? -
Lei sorrise maliziosa - Sorpresa -
- Avanti...-
Angelica scrollò la testa - A proposito di vestiti...voi maschietti cosa vi mettete? -
- Ehm...jeans e camicia? -
La mora alzò un sopracciglio - Non sapevo che gli angeli avessero i jeans -
Sbuffò - Allora mi vesto da Cupido, così vado in giro senza vestiti con un arco -  
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Angelica scoppiò a ridere - Con il freddo che c’è vai in giro conciato in quel modo? -
Sorrise a sua volta - Assolutamente no, altrimenti dovrei trasferirmi in un’altra città -
La ragazza sorrise ancora, bevendo nuovamente dalla sua tazza.
- Tu cosa consigli? -
- Non sono molto brava in queste cose...comunque...sei un angelo e dovresti vestirti di...bianco? -
- E io che volevo vestirmi di verde per sembrare un elfo -
Angelica scoppiò ancora a ridere, senza riuscire a trattenere le lacrime - Oddio Matteo, ti ho immaginato basso, con le orecchie a punta a suonare il flauto! -
Scoppiò a ridere - Anche tu ci staresti bene! -
- Oh, ma smettila - disse lei scherzando, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano - Mi ci vedi saltellare in giro per le foreste a mangiare bacche e radici? -
Alzò le spalle - A saltellare si...ma a mangiare radici proprio no! -
Scoppiarono ancora una volta a ridere; Angelica cercava inutilmente di bloccare le lacrime per le troppe risate.
- Tornando a noi - sussurrò lei, prendendo un respiro profondo - Davvero non hai niente di bianco da metterti? Non so...qualcosa di elegante -
Scosse la testa - Solo nero -
Angelica si appoggiò allo schienale della sedia, sorridendo maliziosamente - Se vuoi chiamo Elisabeth -
- No, no! Piuttosto ci vado vestito da Cupido! -
- Forse Sergio deve comprarsi l’abito... - disse la ragazza, finendo la cioccolata - ...e la stessa cosa per gli altri -
- E? -
- Puoi chiedergli di andare tutti insieme, così vi sostenete a vicenda -
- Non sarebbe una cattiva idea -
***
Sentendo il cellulare vibrare nella tasca, lo afferrò e rispose alla chiamata di Elisabeth.
- Pronto? -
- ANGELICA! Ti sei fumata il dentifricio? -
Allontanò il cellulare dall’orecchio in modo da non diventare sorda - Perché? - domandò.
- Perché dovevi ricordarmi che ti vesti da vampira!! -
Aggrottò la fronte - Forse sei tu quella che ha fumato qualcosa di pesante. Hai fumato prezzemolo avvolto da carta igienica? -
- No idiota! Dobbiamo comprare i canini e le lenti a contatto -
- Oh figurati -
- OH FIGURATI UN CORNO!!! -
Allontanò ancora una volta il cellulare, guardò Matteo, sospirando - Ok ok...facciamo lunedì -
Elisabeth, dall’altra parte del telefono, tirò un sospiro di sollievo. Lei invece, guardò Matteo, con il solito sorriso bastardo stampato in faccia - Senti Elisabeth...Matteo avrebbe bisogno dell’abito per la festa... -
Il ragazzo spalancò gli occhi - No! No! -  
- Oh, anche Sergio ora che mi ci fai pensare... -
- Portiamo anche loro lunedì? - domandò, cercando di ignorare Matteo, che si era alzato in piedi e cercava di zittirla.  
- Ok, da che si veste? -
Si alzò di scatto, girando attorno alla tavola, inseguita dal moro - Da angelo! -
- Perché hai il fiatone? -
- Matteo mi sta inseguendo perché non vuole fare shopping con noi! - disse girando ancora attorno alla tavola.
- Ma sei a casa sua? -
- Sì...-
- An vedi la nostra Angelica...non pensavo che fossi così furba -
Si bloccò all’improvviso e Matteo fece lo stesso - Eh? -
- Hai capito benissimo... -
“ Si è fumata davvero qualcosa di pesante” pensò - Sì, hai ragione - sussurrò, dandogliela vinta - A domani -
- Ciao -
Riattaccò e si voltò verso il moro, sorridendo - Sei spacciato -
- Se ti prendo... -
Ripresero a correre intorno alla tavola, finché non notò la signora Dall’Angelo, ferma sulla porta, che sorrideva. Arrossì di botto, quando Matteo le bloccò le mani dietro la schiena. Probabilmente non si era accorto della madre.
- Eh...un nuovo amore...-
 Il ragazzo alzò lo sguardo e la lasciò andare. Entrambi erano rossi come due pomodori.
- Che c’è? - chiese la donna - Anch’io giocavo a guardia e ladri con i miei fidanzati! -
Aprì bocca senza riuscire a dire una parola, mentre Matteo si era dato una sberla in fronte.
- Che carini... - sussurrò ancora una volta la signora Dall’Angelo, uscendo.
- Ribadisco che tua madre...è proprio uguale alla mia - disse osservando la porta - Le tue fidanzate saranno scappate a gambe levate alla prima cena in famiglia -
- Le ha fatte scappare prima -
Sorrise, voltandosi verso di lui, cercando di non perdersi nei suoi occhi - Meglio che vada -
Matteo l’accompagnò all’ingresso, le porse la giacca e le aprì la porta - A domani -
- Ricordati che dobbiamo andare da Alice -
- Per le sette e mezza a casa tua? -
- Perfetto...ciao -
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Si buttò sul divano in cucina, togliendosi la giacca, lanciandola su una sedia, e le scarpe. Si mise supina ad osservare il soffitto, cercando di rallentare il cuore che batteva ancora all'impazzata per l'imbarazzo provato poco prima con la madre di Matteo.
" Matteo" pensò, ripetendo più volte il suo nome " Cosa mi hai fatto?"
Si mise a sedere, osservando l'orologio appeso al muro, che segnava le sette e mezza. Non aveva molta fame, ma soprattutto non aveva voglia di cucinare qualcosa che, passando per le sue mani, potrebbe diventare un rischio biologico per Verona.
Si alzò ed uscì dalla cucina; salì le scale lentamente fermandosi poi in bagno. Una doccia e poi un libro le avrebbero fatto solo che bene.
Si spogliò con calma, diede le spalle allo specchio e girò appena la testa, osservando la ferita alla spalla, quasi completamente rimarginata grazie alla crema che Marco le aveva spalmato ancora l'altro giorno; poi lo sguardo passò al fianco, dove la candida pelle era rovinata da un luogo taglio poco profondo, ancora sanguinante in qualche punto. Trattenne una smorfia quando lo sfiorò con le dita.
Entrò nella doccia ed aprì il getto d'acqua, che le colpì immediatamente il viso, bagnandole i capelli subito dopo. Respirò lentamente cercando di rilassarsi un po', beandosi del profumo del bagnoschiuma alla pesca.

Uscì dopo un po' avvolgendosi nell'asciugamano appeso da una parte. Benché fosse ancora fradicia, indossò una maglia nera a maniche corte, il doppio della sua taglia, e i pantaloni del pigiama rosa. Se Elisabeth l'avesse vista in quello stato le avrebbe strappato di dosso quell'orrenda maglia e gettata nel fuoco.
Accese il computer, sedendosi alla scrivania; ricontrollò le e-mail nel caso in cui Beatrice avesse trovato altre informazioni sulla filastrocca, ma non c'era nessun nuovo messaggio. Spense il computer, andò in bagno e si asciugò i capelli con il phon, ritornando di nuovo in camera benché fossero ancora un po' umidi. Lanciò un'occhiata al cellulare per controllare l'ora: 20.10
Sospirò sonoramente pensando se leggere un libro o se restare semplicemente sotto le coperte, con le cuffie dell'mp3 nelle orecchie, ascoltando canzoni con il pianoforte finché non si fosse addormentata.
Optò per la seconda. Si ficcò sotto le coperte e chiuse gli occhi, cullata dalle dolci note di “The sacrifice” di Michael Nyman.
***
Dopo una piccola cena, sua madre si era alzata di scatto, era andata in salotto e, dopo aver trafficato un paio di minuti con lo stereo, aveva acceso a tutto volume la canzone Aserejé e tentava di cantarla.
- Oddio - borbottò Sonia appoggiando la fronte sulla tavola - Mamma ha preso una botta in testa -
Alzò lo sguardo dal gelato che stava mangiando, ed annuì - Una bella botta -
La donna si fermò, spegnendo la musica - Che figli noiosi -
Annuì distrattamente; finì il gelato e salì nella sua stanza, seguito a ruota dalla sorellina, che si sedette sul letto.
- Com’è andata la cioccolata? -
Le lanciò un’occhiataccia mentre si sedeva alla scrivania, accendendo il computer.
- Andiamo...perchè non mi racconti mai niente? -
- Perché non è successo niente, cosa ti dovrei raccontare? - domandò, entrando in msn con la sua e-mail, inserendo poi la password.  Elisabeth, che era online, lo aveva salutato immediatamente.
- Uffa, sai essere davvero noioso a volte...chi è Elisabeth? -
- Una mia compagna di classe -
Sonia si accigliò appena - Non starai tradendo Angelica con quella - disse la bambina osservando la foto della rossa impostata come avatar.
- Non essere sciocca -
- ALLORA VUOL DIRE CHE ANGELICA TI PIACE!!! -
Sbuffò, rispondendo al saluto della rossa, con la sorellina, che leggeva, curiosa.
    Elisabeth scrive: Preparati per domani xD
    Matteo scrive: Mi devo preoccupare?
    Elisabeth scrive: Moltisssimissimissimissimissimissimissimissimissimissimo
Sonia scoppiò a ridere - Mi piace questa tizia! -
Sorrise, battendo velocemente le mani sulla tastiera.
    Matteo scrive: Allora sto a casa!
    Elisabeth scrive: Eh no! Altrimenti non puoi stare con Angelica xD
Si diede una sberla in fronte, mentre sua sorella era nuovamente scoppiata a ridere.
- Fammi parlare con lei!! Fammi parlare con lei!! Fammi parlare con lei!! Fammi parlare con lei!! -
La fece sedere sulle sue ginocchia, e la bambina prese a scrivere.
    Matteo scrive: CIAO!
    Elisabeth scrive: O.o Matteo...ci siamo salutati due minuti fa
    Matteo scrive: Non sono Matteo! Sono sua sorella Sonia!
    Elisabeth scrive: Ciao! Io mi chiamo Elisabeth...ma puoi chiamarmi Eli come fanno tutti.
Deglutì nel leggere quello che Sonia stava scrivendo, e cercò di fermarla, ma la bambina aveva inviato la domanda con un sorriso stampato sulle labbra.
    Matteo scrive: Anche tu sai che a mio piace Angelica?
Elisabeth non scrisse niente per un paio di secondi, ma poi rispose.
     Elisabeth scrive: Lo sospettavo :D
Prese la sorella e la lanciò letteralmente sul letto, ma si rialzò subito dopo - EHI! -    
    Matteo scrive: Scusa mia sorella, a volte ha una fervida immaginazione
    Elisabeth scrive: Sì sì...come no...comunque sto per andare da lei, vuoi venire anche tu?
Sonia iniziò a saltare sul letto - SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI! SI!!!!!! -
    Matteo scrive: Mi dispiace ma devo finire di risistemare
- Ma dai Matteo!!!!!!!! -
    Elisabeth scrive: Ah...ok...ci vediamo domani a scuola! :)
    Matteo scrive: Certo, ciao
- MATTEO!!!!!!!!!!!!!!!! -
***
Si svegliò di soprassalto quando il campanello suonò una decina di volte in pochissimi secondi.
- Elisabeth - sussurrò, immaginando l’unica persona che suonava il campanello in quel modo assurdo.
Infatti, quando aprì la porta, l’amica, oltre il cancelletto, saltava come un’idiota, sventolando in aria il suo zaino.
- STASERA DORMO CON TE!!!! - urlò la ragazza.
Le aprì il cancelletto senza aprire bocca, e fece entrare la pazza amica, che si stiracchiò all’ingresso.
- Perché vuoi dormire qui? - domandò con voce assonnata.
- Perché non avevo niente da fare e sono venuta qui...che è quella roba?? - domandò Elisabeth, guardando la maglia extralarge che indossava.
- Una maglia - sussurrò iniziando a salire le scale.
- MA GUARDA COME TI VESTI!!!!!! SEMBRI UNA BARBONA!!!! -
Si voltò, fulminando la rossa con lo sguardo - Per dormire mi vesto come voglio -
- Ma stavi dormendo? -
Annuì, ormai in cima alle scale - Vai pure nella stanza degli ospiti...sai dov’è...- sussurrò, cercando di cavarsela il più presto possibile e ritornare nel suo letto.
- Dove credi di andare bella? -
- A dormire...-
- Eh no, adesso si gioca a Devil may cry!! -
Si voltò ancora una volta - Sai come si accende...fai come se fossi a casa tua -
- Dai idiota! -
- Buona notte...-
- VIENI QUI!! - urlò Elisabeth, salendo di corsa le scale, strattonandola poi in soggiorno.
Si sedette sul divano, abbandonando le braccia lungo i fianchi - mmm...Eli...lasciami dormire - mugolò.
Osservò la rossa, che accendeva la tv e console, ma non riuscì a vedere altro. Si addormentò ignorando le imprecazioni di Elisabeth.
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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Venerdì, 13 febbraio 2009 ***


Venerdì, 13 febbraio 2009

Si svegliò di soprassalto, scattando in piedi. Era ancora in salotto, completamente buio, e di Elisabeth non c’era nemmeno l’ombra.
Stiracchiò le braccia, e fece il giro del piccolo tavolino di vetro, al centro del tappeto, accerchiato a sua volta da tre divani. Imprecò non appena inciampò nel cavo del joystick, abbandonato a terra dall’amica.
Sbuffò rialzandosi in piedi, dirigendosi all’ingresso. Salì lentamente le scale, bloccandosi poi a metà, al suono di una voce, appena fuori dalla porta.
- Chi è? -
Un sussurro. Il suo nome sussurrato da una voce femminile, facilmente riconoscibile. Imprecò a denti stretti, correndo su per le scale fino alla sua stanza. Infilò la mano nel piccolo spazio tra il muro e l’armadio ed afferrò la katana.
- Angelica... -
Rabbrividì ancora una volta. Il demone stava facendo il giro della casa.
Corse giù dalle scale e poi fuori, in giardino, ignorando il freddo pungente della notte.
- Allora? - disse, camminando piano sull’erba, a piedi nudi - Mi chiamavi no? -
Una risata e si voltò di scatto, guardando negli occhi la donna dai capelli rossi.
- Mi sembra di aver lasciato qualcosa in sospeso con te -
Sguainò la spada senza fare il minimo rumore - Vieni allora...sono qui - sussurrò, provocandola.
Il demone non si mosse.
- Allora? Hai paura per caso? Oggi non sei avvantaggiata come l’altra notte...-
La donna sorrise malignamente - Buffo, come gli umani siano così temerari quando vogliono proteggere qualcuno a loro caro -  
- Sono cose che un essere come te non può capire -
La donna iniziò a ridere, mentre lei si mise in posizione di difesa, pronta a tutto. Elisabeth era in casa e sperò che non fosse scesa in cucina per bere un bicchiere d’acqua, accorgendosi della sua assenza.
- Simpatica...la tua amica. Sarai triste se...finisse come Manuel -
Scattò all’improvviso, fendendo l’aria con la katana, che però sibilò nel vuoto. Si raddrizzò, voltandosi di nuovo verso il demone, a testa alta - Non osare avvicinarti a lei, e non ci riuscirai mai -
- Chi te lo dice? -
- Io - sibilò, attaccando all’improvviso, colpendo il demone al fianco. La donna indietreggiò, ringhiandole contro.
- Non sei poi così invincibile dopotutto - sussurrò, ghignando alla vista del sangue che fuoriusciva dal fianco del demone.
- Sono 200 anni che nessuno mi feriva - disse lei, tranquilla, come se niente fosse - Devi avere davvero qualcosa di speciale, se mi hanno ordinato di ucciderti -
- Chi è? - domandò, riprendendo posizione.
La donna sorrise - Pensi che sia così stupida? - domandò, svanendo nel nulla.
Tirò un sospiro di sollievo, abbassando la guardia. Si rese conto del suo grave errore quando un fruscio dietro di lei attirò la sua attenzione. Rabbrividì sentendo le mani fredde del demone afferrarle le braccia, facendo cadere la katana. Trattenne il fiato quando la donna si avvicinò al suo orecchio - Li posso uccidere tutti...uno alla volta...senza che tu possa fare niente -
Detto questo, il demone la scaraventò contro il muro della casa. Si accasciò a terra, tossendo sangue.
- Au revoir - sussurrò la donna, sparendo nel nulla.
Si rialzò a fatica, muovendo qualche passo verso la katana e il fodero, entrambe abbandonate a terra; le raccolse e ritornò in casa.
Tutto era tranquillo e forse Elisabeth non aveva visto niente.
Rinfoderò la spada e l’appoggiò da una parte, in un angolo buio, poi andò in cucina, bevette un sorso d’acqua e si sdraiò poi sul divano.
“ Vaffanculo, adesso non mi addormento più” pensò guardando l’ora. 5.27
- Che ci fai qui? -
Alzò lo sguardo verso la porta, dove Elisabeth si stiracchiava, sbadigliando - Non riesco a dormire -
- Ci credo, ti sei addormentata sul divano come un’idiota alle nove e qualcosa - sussurrò la rossa prendendo il suo bicchiere e finendo l’acqua all’interno - Perché sei sporca di erba? -
Sorrise - Me la sono fumata-
- Oh, affari tuoi -
- Elisabeth, sono uscita fuori in giardino perché sentivo dei miagolii -
L’amica ghignò - Oh...che carina la piccola Catwoman -
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Sospirò non appena il cellulare prese a suonare. Era ritornata a letto, ma aveva fissato intensamente il soffitto della sua stanza, completamente buia. Scese in cucina e si versò un bicchiere di succo alla pesca, ignorando Elisabeth che frugava nella credenza in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
- Ma possibile che non hai mai un cavolo da mangiare? -
Sbuffò - Oggi vado a fare la spesa -
- Ma che diavolo hai mangiato ieri sera? - domandò la rossa, chiudendo l’anta della credenza con un tonfo - Aria? -
Annuì stancamente - Ero stanca e me ne sono andata a letto. Solo che qualcuno di mia conoscenza è arrivato a chissà quale ora per giocare alla playstation -
- E per fortuna che sono arrivata, guarda come ti eri conciata! -
Guardò la grossa maglietta nera che indossava e sbuffò ancora una volta - Ma non dovevi fare colazione con Sergio?? -
L’amica si bloccò, come se qualcuno le avesse lanciato un Petrificus Totalus, ma, fortunatamente, si riprese subito.
- OH PORCA TROIA! -
Elisabeth uscì di corsa dalla cucina, agitando le mani in aria ed urlando in preda a qualche sclerata mattutina; lei invece, finì il suo succo di frutta e raggiunse subito dopo la camera degli ospiti, dove l’amica si affannava ad infilare i jeans.
- Grazie Angi che mi ricordi le cose - sussurrò appoggiandosi allo stipite della porta.
- GRAZIE GIOIA!!! - urlò Elisabeth, cercando disperatamente le sue cose - Oh Cristo, devo andare a casa, truccarmi, vestirmi bene, lavarmi i denti, pettinarmi decentemente e...-
- Calma - disse interrompendola - Suvvia Elisabeth, è solo una colazione...non ti devi mettere un completo intimo tigrato! -
La rossa si bloccò un attimo, pensando forse che stava perdendo gli ultimi neuroni.
- E poi sono solo le sette -
“ Oh...non dovevo dirlo” pensò, osservando la migliore amica che sembrava il tizio dell’urlo di Munch con i capelli rossi.
- LE SETTEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!! - urlò Elisabeth mettendosi lo zaino in spalla, correndo poi fuori dalla stanza - Ci vediamo dopo! -
Nemmeno il tempo di salutarla che l’amica era già sparita.
Sospirò, mettendosi una mano nei capelli - Ah, l’amore -
***
Scese le scale di corsa, cercando di non inciampare nei lacci delle scarpe.
Entrò in cucina dove la madre beveva tranquillamente il suo caffè, seduta su una sedia che guardava il telegiornale.
- Abbiamo scelto il momento giusto per trasferirci qui a Verona - iniziò lei - C’è una killer pazza che va in giro a squartare, sbudellare, sgozzare, pugnalare, sparare, impiccare, impalare e falciare la gente -
Prese una mela verde dal portafrutta al centro della tavola in legno, e l’addentò - Non esagerare -
- Beh ne ha già uccisi due, e forse quella ragazza sul ponte -
- La prenderanno - sussurrò addentando ancora una volta la mela.
- Tu non devi andare a scuola? -
Si voltò a guardare l’ora - Mi sembra troppo presto per partire adesso - disse mordendo la mela.
- Ah, dimenticavo...la tua macchina ha poca benzina -
Alzò un sopracciglio, e guardò la madre a malo modo.
- Beh io vado! - urlò la madre, alzandosi dalla sedia, dandogli un bacio sulla guancia e sparendo oltre la porta. 
“ Vuoi vedere che ha finito la benzina ” pensò finendo la mela verde in un paio di morsi.
Salì nuovamente le scale in legno che cigolarono appena sotto il suo peso, poi bussò alla porta della camera di Sonia.
- Sonia muoviti che fai tardi -
- Ma tanto il tizio del pulmino mi aspetta sempre! -
Sospirò andando nella sua stanza, aprì l’armadio in legno di noce e ne estrasse un maglione beige con il collo alto, lo infilò, scompigliandosi ancora di più i capelli castani. Finì di prepararsi ed infilò poi i libri nello zaino, che si mise in spalla subito dopo.
Sonia era nell’ingresso, lo zaino abbandonato a terra mentre infilava la giacca, i capelli castani perfettamente pettinati, tutto il contrario dei suoi; scese piano le scale e la raggiunse, porgendole poi lo zaino - Fai la brava e non prendere a schiaffi nessuno -
La bambina sbuffò, tirando la cerniera della giacca - Promesso. Tu invece... -
- Non ti sento! Devo andare! - urlò uscendo di corsa, evitando per un soffio un discorsetto sul fatto di invitare Angelica
“ Che però non sarebbe una cattiva idea” pensò, salendo sulla macchina.
Si ricordò le parole della madre di poco prima, ed osservò la lancetta rossa della benzina
“ Morale della storia: niente macchina, niente scuola e...niente Angelica!” pensò, iniziando a battere le mani sul volante.
***
Fermò la macchina appena fuori dal garage, osservando un'Opel Corsa grigia, con dentro un ragazzo, incavolato nero, che batteva i pugni sul volante.
Scese dalla sua auto e si avvicinò a quella di Matteo, bussando al finestrino dalla parte del guidatore, facendo sussultare il ragazzo.
- Angelica! - urlò lui, abbassando il finestrino.
- Se stai cercando di far scoppiare l’airbag prendendo a pugni il volante non credo ci riuscirai - sussurrò - Piuttosto...per caso ti serve un passaggio? - aggiunse, osservando la lancetta rossa che indicava il serbatoio della benzina vuoto.
- Sei la mia salvezza - sussurrò lui, scendendo dalla macchina - Così sono ancora in debito con te -
Sorrise, mentre entrambi raggiunsero la sua auto - Non penso, e sapessi come guido, non avresti accettato -
Salirono sulla Ferrari ed allacciarono le cinture di sicurezza ed accese il motore con un rombo.
- Mi devo preoccupare di una ragazza che guida una Ferrari? -
- Se fossi in te lo farei -
Partì a tutta velocità, superando diverse macchine che le rallentavano la corsa. Matteo, schiacciato contro il sedile, era teso come le corde di un violino, e stringeva i pugni, facendo sbiancare le nocche.
- Te l’ho detto - sussurrò sorridendo - Sono una ragazza spericolata -
Il moro sorrise forzatamente - Eh...un po’ troppo -
- Andrei più lentamente se non fosse per l’orario -
Matteo abbassò lo sguardo sul cellulare, guardando l’ora - Oh, beh...cosa vuoi che sia un ritardo. Spolverare la biblioteca con un little Swiffer? Pulire la palestra con lo spazzolino da denti? -
Scoppiò a ridere, continuando a superare macchine, una dietro l’altra - Spero proprio di no! Altrimenti resteremmo là tre ore! - disse rallentando un po’. Non c’era poi questa gran fretta, sarebbero arrivati in orario.
 - In più tu hai anche la punizione -
Sospirò - Cavolo è vero, spero che all’insegnante di diritto non venga in mente di farmi fare cose assurde -
- Sbaglio o ce l’ha un po’ con te? - domandò lui.
- Solo un po’? Se ne avesse la possibilità mi vestirebbe da pagliaccio e mi metterebbe a testa in giù su una vasca di squali -
- Che cosa carina. E tutto questo per...? -
Alzò le spalle, fermandosi davanti al cancello della scuola - Magari lei ha avuto una brutta infanzia -
- Mm...per me dovrebbe prendere un Valium e darsi una calmata -
Si passò una mano nei capelli, prendendo lo zaino nel piccolo spazio dietro al sedile - Dovrebbe prenderne un camion -
***
Scese dall'auto di Angelica, mettendosi immediatamente lo zaino in spalla; poi si guardò intorno osservando un gruppo di ragazzine, del terzo anno forse, che gli lanciavano languide occhiate.
- Sembra che tu abbia fatto colpo - sussurrò Angelica, scendendo dalla Ferrari.
- Già... - sussurrò lanciando un'occhiata alla mora, giunta al suo fianco. Si rivoltò verso il cancello e le ragazze, con le facce scoraggiate non appena la ragazza accanto a lui, si voltarono e s'incamminarono verso l'entrata della scuola; al loro posto si radunarono dei ragazzi che lanciavano le stesse occhiate ad Angelica.
- Oh Dio - sussurrò la mora, inserendo l'allarme alla macchina con un elegante gesto del braccio.
- Anche tu però, a quanto vedo, sei molto...apprezzata -
- Apprezzata? Quelli vogliono solo uscire con me per poi vantarsi - disse lei - Non mi avranno mai, si dovrebbero rassegnare -
- Non credo che lo faranno -
S'incamminarono entrambi verso l'entrata e, a mano a mano che si avvicinavano, il gruppo di ragazzi si spostavano, lasciandoli passare.
- Ehi Angelica...-
- Buongiorno dolcezza! -
- Sei uno splendore -
La ragazza sospirò, passandosi una mano nei capelli corvini, mentre altri presero a salutarla e pochi coraggiosi, che ci provavano spudoratamente. Strinse i denti, fulminando tutti i ragazzi, uno ad uno, con per dire 'Ehi state alla larga'.
Entrarono nell'ingresso e notarono immediatamente Alice, Federico, Davide e Vittoria, seduti sulle scale; i primi due si scambiavano lievi carezze, gli altri due, come al solito, si baciavano con passione.
- Ma cosa prende a tutti? - domandò la bella mora, portandosi una mano davanti alla bocca, cominciando a tossire.
***
- Stai bene? - domandò il ragazzo.
Tossì un altro paio di volte, ignorando il sapore metallico del sangue che le pungeva la gola; poi si sedettero sulle scale, accanto agli altri.
- Oh ciao Angi! Ciao Matteo! - li salutò Alice, accorgendosi finalmente della loro presenza.
Tossì ancora, alzando appena la mano come segno di saluto.
- Ti senti bene? - domandò la mora, battendole una mano sulla schiena. Represse un lamento e tossì ancora, tenendo sempre la mano davanti alla bocca; poi, fortunatamente, la tosse si calmò.
Guardò Alice, pallida come uno straccio, che la fissava scandalizzata - Che c'é? - domandò.
- Sangue...- sussurrò lei, portandosi una mano alle labbra.
Si pulì velocemente l'angolo della bocca. Alice non riusciva a sopportare la vista del sangue.
- Non é niente Alice - sussurrò, cercando di rassicurarla - Non é niente -
- Ehi ragazzi! -
Alzò lo sguardo e sorrise alla vista di Elisabeth, sulla porta, i capelli spettinati e la camicia stropicciata, mezza infilata nella gonna. Al suo fianco c'era Sergio con i capelli scompigliati che cadevano sulla fronte, la felpa stropicciata e le labbra sporche di rossetto rosa, simile a quello che aveva la migliore amica.
- Ma da dove diavolo saltate fuori voi due?- domandò, sorridendo in modo malizioso.
- Dal...bar...dietro l'angolo - sussurrò la rossa, avvicinandosi a loro, lisciandosi la camicia.
- Già..dal bar - confermò il biondo, avvicinandosi a sua volta.
Sorrise, voltandosi poi verso Sergio, portandosi poi una mano alle labbra - Sei sporco di...ehm...rossetto - sussurrò, sorridendo non appena il biondo si affannò per pulirsi.
- O era forse marmellata? - domandò Alice che, probabilmente, aveva capito al volo.
Elisabeth e Sergio arrossirono, prendendosi poi per mano.
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La prime due ore di informatica erano praticamente volate. Lei ed Elisabeth si erano sistemate nel computer in fondo all’aula e avevano giocato a Crash Bandicoot per la maggior parte del tempo, poi erano passate a modificare le foto della classe, aggiungendo un paio di baffoni verdi ad Alice, una lunga barba rosa ad Elisabeth, a Vittoria gli occhi a forma di cuoricino, mentre a lei avevano fatto i capelli mezzi neri e mezzi bianchi in stile Crudelia Demon.
- Che palleeee - sussurrò Elisabeth, al suo fianco non appena la campanella, che annunciava l’inizio della seconda ora, prese a suonare - Indovina, indovinello...perchè adesso mi accoltello?? - domandò la rossa, fingendo di pugnalarsi allo stomaco.
- Perché  c’è matematica - rispose spegnendo il computer, ed alzandosi poi in piedi, seguita dall’amica.
- Esattamente -
In silenzio, ritornarono in classe, dove l’insegnante di matematica era seduta alla cattedra, che controllava il registro con la fronte corrugata, ma rialzò lo sguardo non appena entrarono in classe, sedendosi al loro posto, sussurrando un saluto.
- Se inizia a spiegare mi sparo - sussurrò la rossa, frugando nello zaino, in cerca di qualcosa.
Non appena tutta la classe aveva preso posto, l’insegnante si alzò in piedi - Qualcuno vuole farsi interrogare? -
Silenzio di tomba, nessuno mosse un muscolo.  
- Tu che non ti ho mai visto - disse l’insegnante facendo un cenno a Matteo, seduto al suo fianco - Lei è...-
- Dall’Angelo -
La professoressa, con un gesto teatrale, prese il gesso dalla cattedra e lo porse al ragazzo - Prego -
Il moro si alzò, facendo una smorfia; poi si avvicinò alla lavagna ed aspettò che l’insegnante dettasse il testo dell’esercizio. Non distolse lo sguardo nemmeno un secondo, osservava la mano di Matteo, che aveva iniziato a scrivere numeri, segni e lettere.
Si sistemò meglio sulla sedia, accavallando le gambe, voltandosi poi verso l’amica, che rideva sotto i baffi.
- Che ti prende? - domandò incrociando le braccia al petto.
Elisabeth le si avvicinò - Che hai fatto ieri che ti sei addormentata come un ghiro? - le sussurrò lei all'orecchio.
Sorrise - Assolutamente niente -
- C'entra per caso con...M, A, T, T, E, O? -
- Dovrei essere io a fare domande, signorina Elisabeth-rossetto-rosa-sbrilluccicoso-Hall -
- Dai Angi! Che hai fatto? -
Sospirò - Ma niente, ci siamo trovati per caso per strada e siamo andati in biblioteca...poi...-
- Poi? Andiamo bella addormentata! Parla! -
- Mi ha invitato a casa sua per una cioccolata -
- Oh...la cioccolata...lo sai che stimola...-
- No, ma lascia perdere le tue lezioni sui pensierini da quattro soldi sulla cioccolata vietati ai minori -
- Vabbè, e poi? -
- Poi me ne sono andata -
Elisabeth scattò in piedi, mettendosi le mani nei capelli - TE NE SEI ANDATA?!?! - urlò attirando l'attenzione di tutti.
- Signorina Hall - la richiamò l'insegnante, puntando poi lo sguardo verso la sua direzione - Signorina Vetra, lei c'entra qualcosa con il comportamento della sua compagna? -
" Perché mi ritengono sempre colpevole?" - No! Il prezzemolo se l'é fumato a casa! Sono innocente! - disse alzando le mani come una bambina sorpresa a mangiare biscotti prima di cena; poi afferrò l'amica facendola sedere di nuovo - Sei impazzita? -
- Te ne sei tornata a casa!! É la seconda volta! -
- Che altro potevo fare? No, non rispondere - sussurrò, fermando l'amica che stava già per parlare.
- Sei un'idiota Angelica -
- Grazie - sussurrò tossendo, lanciando poi uno sguardo malizioso alla rossa al suo fianco, che fissava un punto fuori dalla finestra - E tu non mi devi raccontare niente? -
Elisabeth si voltò, arrossendo - Chi...io? -
Annuì - Com'é andata la "colazione"?-
L'amica si fece ancora più rossa - Beh ecco, siamo entrati nel bar, abbiamo ordinato due caffè e abbiamo iniziato a parlare -
- Non credo che sia finita così - sussurrò in tono malizioso, tenendo lo sguardo fisso sulla lavagna, fingendo di scrivere l'esercizio.
- Poi...beh...ci siamo baciati e... -
- E avete continuato a baciarvi mentre il caffè si raffreddava - disse sorridendo, voltandosi verso l'amica.
- Beh? E anche se fosse?-
- Non ci sei andata leggera, vi siete pure...ehm...stropicciati i vestiti -
La rossa sorrise e le fece l'occhiolino - Sai che sono una ragazza focosa -
Si portò una mano alla bocca, cercando di trattenere le risate per lo stupido ghigno che Elisabeth aveva in faccia.
- Cambiando discorso, lunedì andiamo in centro? Sergio e Matteo i devono comperare i vestiti -
- Perché devo venire anch'io? - domandò, scarabocchiando sul block notes.
- Ehi bella, ti devi compare le lenti a contatto colorate e i canini finti -
Sospirò, lanciandole un'occhiata - Devo proprio? -
La rossa annuì con vigore - Ovvio -


Rimasero entrambe in silenzio finchè Matteo, finito i diversi esercizi alla lavagna, si sedette di nuovo al suo posto; Elisabeth, incantata a guardare fuori dalla finestra, scrollò la testa e si voltò verso di lei, sorridendo - Allora, c’è un tizio che va dal dottore, e gli fa: “ Dottore, ho i denti gialli, che cosa posso mettere?” e il dottore risponde: “ Beh, provi con una cravatta marrone” -
Si voltò lentamente verso l’amica - Pessima -
- Sicuramente meglio di quella della Beeeeeeck’s -
Rise in modo ironico, incrociando le braccia al petto.
- Non fare la bambina brontolona - disse la rossa - Guarda che mi metto a cantare la canzone delle Vibrazioni -
- No ti prego, è odiosa -
- Canzone delle Vibrazioni? - domandò Alice voltando leggermente il viso - Che canzone? -
- Angelica ogni oggetto prende anima ed ogni suono sembra musica se ci sei tu con la tua immagineeee...Angelicaaaaaa - iniziò Elisabeth, cantando piano e stonando appena.
Si mise le mani sulle orecchie - Cristo Santo, Elisabeth smettila -
- Ok ok, allora passiamo a... -
Alice si voltò completamente, ghignando in modo maligno - Che ne dici di...lady marmaladeeeeeee -
- No! Altrimenti va avanti tutto il giorno! -
Non si era accorta di aver usato un trono troppo alto, ed ora tutti i compagni, compresa l’insegnante, la guardavano confusi.
- Intendevo dire che...- iniziò pensando ad una scusa.
- Taci Angelica, non hai i lampi di genio come i miei - sussurrò la migliore amica, dandole una gomitata.
- Ehm...scusate! - urlò agitando le mani.
- Figura di merda, figura di merda...inaspettata, ma meritata - canticchiò piano la rossa.
Le lanciò uno sguardo di fuoco - Zitta, è solo colpa tua -
- Eh, cosa faresti senza di me? - domandò Elisabeth, scattando in piedi al trillo acuto della campanella che annunciava l’inizio della ricreazione - Chi vuole un caffè? -
Come risposta, Alice e Vittoria alzarono la mano, seguite da Sergio e Federico, che si erano avvicinati a loro, assieme a Davide.
- Niente caffè Angi? - le domandò la rossa.
Scrollò la testa come risposta, tirando fuori un pacchetto di cracker dallo zaino - No grazie -
Tutti uscirono dalla classe, ascoltando Elisabeth che aveva ricominciato con le barzellette, tutti, eccetto Matteo che si era alzato in piedi, ed era appoggiato accanto alla finestra, con in mano una mela verde.
- Mela verde oggi? - domandò sorridendo.
Lui annuì dandole un morso - Mia madre deve averla infilata apposta nel mio zaino -
“ Non pensare di essere quella mela Angelica” pensò “ Non sei ridotta così male da immedesimarti in quella mela verde solo perché Matteo ci sta appoggiando le labbra...così...belle. AHHHHHHHHHHHHHHHH SVEGLIATI IDIOTAAAAAA!!!!!!!” - Ah - sussurrò, mangiando un pezzo di cracker “ Complimenti, una risposta degna della tua mente in preda ad una crisi ”.
- C’è qualcosa che non va? - domandò il ragazzo, osservandola attentamente.
- Eh...è buona? - domandò “Angelica sei un’idiota”.
- Molto - 
Deglutì piano, per poi mandare giù un altro pezzo di cracker - Mi fa piacere -  
- Angi!!!! -
Nemmeno il tempo di voltarsi a vedere cosa diamine aveva da urlare Elisabeth, che la migliore amica aveva cominciato a scrollarla con vigore.
- Eli...mi...gira la testa -
- Non c'é quella di economia! Abbiamo due fantastiche ore buche!!!! Ed é la prof di musica a farci supplenza -
Cercò di fermare l'amica che non aveva smesso un secondo di scuoterla, senza però riuscirci - E allora che si fa? -
- Quel cazzo che si vuole - disse la rossa bloccandosi all'improvviso, osservando poi fuori dalla finestra in cerca di una ispirazione.
- Sicuramente quella di musica ha già in mente qualcosa - sussurrò, sistemandosi i capelli più spettinati che mai - Basta che non sia Romeo e Giulietta, Amleto, Un sogno di una notte di mezza estate o quant’altro -
- Oh Giulietta, alla fine hai lasciato il primo Romeo con uno spettacolare schiaffo in faccia, mentre il secondo...- iniziò Alice, lanciando un’occhiata a Matteo, che sorrideva.
- Alice! -
- Ma scusa, magari Matteo si aspettava qualcosa -
Tutti si voltarono verso il moro, lei con le mani sui fianchi mentre Alice ed Elisabeth, alle sue spalle, lo incitavano a reggere il gioco.
- Idiote, vedo il vostro riflesso dai vetri della finestra! -
- Avanti Matteo! Com’è stata Giulietta? -
Il ragazzo morse la mela ancora una volta - Mi aspettavo un bacio alla francese - disse lui non appena mandò giù il boccone.
Ghignò - Mi dispiace ma io bacio solo all’Angelica -
- Ed è un bacio stupendo - sussurrò una voce maschile alle sue spalle. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che il proprietario di quella voce era Luca.
- Quali parole di “Luca lasciami in pace” non ti sono chiare? - domandò osservando il riflesso nel vetro della finestra del ragazzo dai capelli corvini.
- Le tue parole, cara Angelica, sono cristalline, ma purtroppo non posso accettare quella condizione -
- Dovresti -
Luca sorrise - Inizio a pensare che ti piaccia stuzzicarmi -
- Peccato che mi sto trattenendo dal prenderti a calci -
- Ehi calmatevi - s’intromise Sergio - Angelica, lascialo perdere -
- Come può lasciarmi perdere -
Strinse i pugni con forza, senza staccare lo sguardo dalla finestra - Te lo ripeto Luca, lasciami in pace, noi non stiamo più insieme -
- Tornerai comunque da me, strisciando e implorandomi di perdonarti -
- Non sei al centro dell’universo, posso fare a meno di un ragazzo stupido ed egoista come te -
Il ragazzo scansò Sergio a malo modo, arrivando a lei. La prese per un braccio e la fece voltare, portando il viso ad un soffio dal suo - Ripetilo se hai coraggio -
- Cosa? Che sei un ragazzo stupido ed egoista? -
Il ragazzo, fortunatamente, non fece in tempo a risponderle a tono, dato che l’insegnante era appena entrata in classe.
- Ragazzi...- iniziò la donna sedendosi alla cattedra - ...fate quel cavolo che volete -
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Tutti erano seduti ai loro posti.
Laura e il suo gruppetto di oche erano radunate attorno ad un unico banco, e sussurravano chissà cosa sparlando di qualcuno. Elisabeth, al suo fianco, era alle prese con il libro di Dan Brown che avevano preso lunedì in biblioteca, Alice e Vittoria parlavano sottovoce, ridacchiando di tanto in tanto, lasciando Federico e Davide, seduti lì accanto a loro, completamente confusi sui argomenti delle discussioni. Sergio si era avvicinato con una sedia al banco di Matteo, ed anche loro avevano cominciato a parlare del più e del meno.
Lei, accanto ad Elisabeth, disegnava a casaccio sul suo block notes cercando di ignorare le occhiate di Luca, seduto in fondo alla stanza assieme ad Andrea e a Nicola.
- È odioso quando fa così - sussurrò, distraendo l’amica dalla sua lettura.
- Si dovrà abituare all'idea che non tornerai da lui - sussurrò la rossa, voltando lentamente la pagina del libro.
Smise di disegnare ed abbassò il block notes - Io non riesco a concentrarmi qui, vieni in biblioteca? -
- Perché non lo chiedi a Tu-Sai-Chi? Sono sicura che ti dirà di sì - rispose Elisabeth con un sorrisino malizioso sulle labbra.
Sospirò, lanciando un'occhiata a Matteo, che parlava animatamente con Sergio su chissà cosa - Meglio di no, chiedo se posso andare da sola -
Levò un braccio in aria, attirando l’attenzione dell’insegnante, che le fece un piccolo cenno.
- Posso andare in biblioteca? -
- Basta che non ammazzi qualcuno con i libri - disse la professoressa, tornado a sfogliare il registro.
Si alzò in piedi senza fare nemmeno rumore ed uscì dalla classe, fermandosi però sulla porta alla vista di un’ombra passare oltre le finestre. Non ci fece caso ed uscì.


Girò la maniglia della porta in legno della biblioteca e la spinse lentamente. Dentro non c’era nessuno fortunatamente. Si avvicinò silenziosa alle mensole colme di polverosi libri, ne prese uno a caso, e si sedette ad uno dei tavoli, osservando la copertina.
- Le notti di Salem - sussurrò, aprendo il libro.
Iniziò a leggere la prima riga, ma si fermò, sbuffando. Non riusciva a togliersi dalla mente le parole del demone.
“Simpatica...la tua amica. Sarai triste se...finisse come Manuel”
Batté il pugno sul tavolo - Schifosa bastarda - sussurrò, calmandosi poi al pensiero di Manuel.
Sorrise, tra se e se. Ricordava ancora quel giorno di quattro anni fa: il primo allenamento all’Agenzia.
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Io e Manuel entriamo nell’Agenzia guidati da un uomo vestito di nero. Oggi ci devono allenare, allenare veramente, e vedere se siamo degni di rimanere con loro.
- Chissà cosa ci faranno fare - sussurra lui, continuando a camminare al mio fianco.
- Ci vorranno mettere alla prova immagino - rispondo. 
Ci hanno fatto allenare un mese nelle normali palestre pubbliche, insegnandoci a maneggiare qualsiasi tipo di arma; ed alla fine ci regalarono una katana e una Beretta, che abbiamo usato contro la prima missione assegnataci.
Scrollo la testa non appena l’agente davanti a noi si ferma davanti ad una porta - Prego -
Entriamo, ma ci fermiamo all’entrata, osservando due figure, al centro della grande palestra.
- Io sono l’Agente 2 - dice uno dei due. É un uomo alto e robusto, senza un capello in testa e mi guarda con una strana espressione sul volto, divertita forse; l'altro invece é molto più giovane, magro e alto, con la testa piena di riccioli scuri che gli cadono sugli occhi azzurri.
- Io sono Alberto - dice avvicinandosi - Lieto di conoscerti, Angelica - mi dice ancora, afferrandomi la mano destra e baciarla subito dopo. Manuel, al mio fianco, sospira piano, cercando di non farsi sentire da Alberto.
L'uomo pelato si avvicina, silenzioso, e tende una mano prima a Manuel e poi a me - Io sono l'agente 2, oggi saremo noi ad allenarci e giudicarvi - dice, e dopo avergli stretto la mano entrambi, lancia uno sguardo al collega - Tu occupati del ragazzo, ci penso io a lei -
Alberto sbuffa, lanciandomi una languida occhiata - Un vero peccato...un vero peccato -
L'uomo pelato mi afferra per un braccio e mi trascina in un angolo della palestra, mentre l'altro agente faceva lo stesso con Manuel.
- Bene, vediamo che sa fare la ragazza che vede i fantasmi -
Rimasi immobile - Cosa...cosa dovrei fare? -
- Difenderti -
Mi misi in posizione, ma crollo a terra dopo il primo colpo dell'uomo, diritto allo stomaco. Boccheggio mettendomi in ginocchio.
" É un armadio a muro, ma é veloce"
Un calcio, poi un'altro e crollo di nuovo a terra, tossendo. Volto appena lo ritardo e, poco più in là, Manuel si difende in modo eccellente da Alberto, schivando colpi ed attaccando subito dopo.
- Avanti, alzati ragazzina - dice l'Agente 2, voltandomi a pancia in su con un calcio, facendomi poi pressione sul petto con il pesante stivale che indossa.
Urlo per il dolore cercando di spostare il piede dell'uomo che mi blocca il respiro.
- Allora ragazzina? É tutto qui quello che sai fare? -
Giro ancora una volta la testa verso Manuel, immobile, come Alberto, che mi osservano, incantati. Il biondo muove le labbra, tenta forse di dirmi qualcosa, ma riesco solamente a cogliere il mio nome.
- Forza ragazzina, se continui così non arriverai mai da nessuna parte -
Forse se colpisco il nervo giusto della gamba posso farlo cadere.
Mi muovo appena sotto la pressione dello stivale - Non...chiamarmi mai più...ragazzina -
Con un calcio alle gambe dell'uomo riesco a farlo cadere in ginocchio; cerca di colpirmi, ma riesco ad essere più veloce di lui ed a spostarmi alle sue spalle.
Porto il mio ginocchio destro al centro della sua schiena e premo con forza afferrandogli poi il collo, torcendolo di poco all'indietro.
L'agente 2 non oppone resistenza, sospira solamente; sa che ha perso, perché da quella posizione, al suo primo movimento, posso rompergli l'osso del collo con facilità. Più in là, Alberto mi batte le mani - Magnifique! Magnifique! -
Libero l'uomo pelato dalla mia morsa e mi lascio cadere all'indietro con un lamento. Manuel corre subito al mio fianco, mi solleva appena la testa da terra e mi accarezza una guancia - Sei stata fantastica -
Sorrido, portando una mano alle costole - Non molto -
- Ti fa male? -
- No, é tutto a posto - sussurro.
- Forse é meglio che la porti in infermeria - disse l'agente 2, di nuovo in piedi che si massaggia la gamba colpita.
Manuel mi prende in braccio e corre fuori dalla palestra.
- Ci é andato giù pesante quello stronzo -
Sorrido - Un po' -
- Un po'? Un po’!? É un miracolo che non ti abbia rotto tutte le costole! -
- Manuel, porca miseria, stai tranquillo -

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Sospirò lievemente e ricominciò il libro dall'inizio, dato che non ricordava nemmeno quello che aveva letto qualche minuto fa.
- Che ci fai tu qui? -
Alzò lo sguardo, sorridendo poi al ragazzo biondo sulla porta - Ora buca, e tu Al? -
- Mi hanno cacciato fuori dalla classe - disse lui, sedendosi di fronte a lei.
Inarcò un sopracciglio - Che hai combinato? -
- Assolutamente niente, sono stato incastrato -
Sorrise - Non ti credo -
Al scoppiò a ridere, incrociando le braccia al petto e sistemandosi gli occhiali sul naso - Comunque, tu devi ancora uscire con me -
- Oh, quel caffè che ti avevo promesso vero? -
Il biondo annuì.
- Lunedì ti va bene? -
Il volto di Al si illuminò - Magnifico, cara amica Angelica -
- Lo sai che se la tua insegnante ti chiede di rientrare in classe e tu non sei fuori dalla porta ti porta dalla direttrice? -
Al scattò in piedi - Porca miseria, allora lunedì? -
- Al bar dietro l’angolo, alle sette e un quarto -
- Fantastico - disse il ragazzo raggiungendo la porta con qualche grande passo.
- Ah, ti prego Al...solo amici -
- Ovvio, e poi a te piace il moretto -
Sussultò sulla sedia - Cosa?! -
- Dai...quello nuovo - disse Al, ghignando - Gli lanci delle occhiate così sexy -
- Oh sparisci! Prima che ti prenda a calci! -
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L’ultima ora di informatica era passata velocemente.
Tutti si stavano preparando per tornarsene a casa, mentre lei era rimasta seduta al suo posto a finire la partita a carte in tutta tranquillità. Matteo, che stava per uscire dal laboratorio, si voltò verso di lei - Mi lasci a piedi? - 
- Purtroppo devo rimanere a fare qualche stupido compito, ma Elisabeth si è proposta di accompagnarti a casa, ed infatti è in fondo al corridoio che ti sta tirando dietro qualche parolaccia in perfetto dialetto veronese - rispose con un sorriso, alzando un braccio per salutare la migliore amica, che la mandò a quel paese con un gesto.
- Forse è meglio che vada - sussurrò il ragazzo, che aveva assistito alla scena - Altrimenti potrebbe uccidermi - 
- Allora ciao - sussurrò.
Il ragazzo le diede le spalle, ma si rivoltò ancora una volta - Angelica io... -
Rialzò lo sguardo, osservandolo arrossire di botto - Si? -
- In bocca al lupo per la punizione - disse infine lui, voltandosi definitivamente, lasciando il posto alla figura dell’insegnante di diritto che si avvicinava velocemente, provocando continui ticchettii con i suoi tacchi da troia.
- Bene, vedo che non te ne sei andata -
- Io non scappo mai, professoressa - disse in tono arrogante, spegnendo il computer ed alzandosi in piedi.
- Allora puoi cominciare a sistemare tutte le aule di questo piano. Tra un'ora le voglio pulite e in ordine -
***
“ In bocca al lupo per la punizione...in bocca al lupo per la punizione?? Sono un completo idiota!”
- E Matteo scrocca i passaggi agli altri -
Sospirò - Sei tu che ti sei offerta -
Elisabeth sorrise - É vero...hai ragione -
La ragazza svoltò nella via dove abitava, e si fermò esattamente davanti a casa sua.
- Salutami Sonia e...ah, quasi dimenticavo, lunedì pomeriggio andiamo a prendere il tuo vestito e quello di Sergio -
" Nooooooooooo" - Ehm, ok - disse scendendo dalla macchina ed avvicinandosi al cancelletto.
Alzò la mano in segno di saluto, ed Elisabeth fece lo stesso, prima di fare dietro front ed imboccare la strada di casa.
Aprì il cancelletto e poi la porta d'entrata con le chiavi, ed immediatamente, intravide una piccola testolina castana, che correva avanti e indietro per la casa.
- Ma cosa stai combinando? - domandò, attirando l'attenzione di Sonia, che si bloccò all'improvviso, per poi saltargli al collo.
- Matteo! -
- Come mai siamo così agitate? - domandò, riappoggiando a terra la bambina.
- Perché é suonato il telefono e sono andata a rispondere ma hanno messo giù non appena ho detto pronto, poi un'altra volta la stessa cosa, e poi altre due volte...così mi sono messa a correre per casa così spaventavo i fantasmi che mi fanno gli scherzi telefonici -
Si mise le mani sui fianchi - Sonia, non esistono i fantasmi -
- Ma mi hanno chiamata! -
- Sarà qualcuno che ha sbagliato numero -
- Per quattro volte? -
- Magari é un tuo amico ce vuole dirti qualcosa ma é troppo timido -
- A proposito di timido... - iniziò la bambina assumendo una strana espressione - Angelica? -
Fece un luogo sospiro, superò la sorella e iniziò a salire le scale, fingendo di sbadigliare - Che stanchezza...me ne vado a letto -
- Nooooo!!!! Dove credi di andare?!?! -
Si rifugiò in camera sua e si buttò sul letto, tenendo gli occhi chiusi, cercando di dormire.
***
- Vaffanculo, tu e i tuoi cazzo di banchi - sussurrò strofinando la superficie di un banco dell'ultima aula che rimaneva da sistemare. Fortuna che ce n'erano solo cinque.
Non appena sentì il cellulare vibrare nella tasca, smise di strofinare la superficie del banco, prese il telefono ed osservò pochi secondi il nome di Beatrice che lampeggiava sul display.
- Pronto? -
- Regina dei ghiacci - iniziò la collega dall'altra parte dell'apparecchio - Ti ricordo che domani hai l'addestramento dei novellini -
" Oh Cristo" pensò passandosi una mano sulla fronte, senza rispondere all'amica.
- Oh no, non passarti le mani sulla fronte -
- Quanti sono? -
- Tredici - sussurrò l'altra - Tutti uomini, e tutti tuoi -
- Diventeranno pazzi con me - disse riprendendo a strofinare il banco.
- Agli altri piace lo spettacolino che fai...che ci posso fare? -
- Ti vesti in modo provocante così guardano te e non le figure che faccio fare ai novellini -
- Non sarebbe inopportuno vestirsi da infermiera sexy, e le tue scollature fanno rallegrare tutti -
- Ehi ehi, io non mi metto le maglie scollate -
- Ok ok! Agente-33-maglia-scollata-Vetra, ci sentiamo domani -
- Avverti i novellini, non sarò clemente - sussurrò.
- Oh, a loro piace! Quando ho detto loro che eri tu ad allenarli domani...beh...-
- Le solite reazioni maschili -
- Le solite reazioni maschili - confermò Beatrice - Ciao -
- Ciao - sussurrò chiudendo la chiamata.
Riprese a pulire lo stesso banco, fermandosi immediatamente al suono di un'odiosa voce femminile.
- Vetra -
Si voltò, guardando l'insegnante di diritto sulla porta - Professoressa -
- Puoi andare -
Si alzò lentamente, prese lo zaino e la superò senza dire altro.
***
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Qualcuno sta cercando di svegliarmi, dandomi delle leggere ed affettuose pacche sul braccio. Probabilmente é Sonia che vuole fare domande su Angelica, la ignoro e fingo ancora di dormire.
- Matteo, ti vogliono -
Apro leggermente un occhio ed osservo la bambina, accanto al mio letto, che mi porge il telefono portatile di casa. Lo afferro e lo porto all'orecchio con lentezza - Pronto?-
- Matteo, finalmente hai risposto -
- Angelica che cosa...?-
- Ti devo parlare - risponde la ragazza dall'altra parte del telefono - Puoi venire da me? -
- Ehm, ok - sussurro, leggermente confuso per quella richiesta - Un secondo e arrivo -
Detto questo, riattacco e mi alzo in piedi, infilando subito le scarpe, poi scendo le scale di corsa e, senza infilare il giubbotto, mi precipito fuori. Mi fermo davanti al cancelletto, allungo una mano per suonare il campanello, ma il cancelletto si apre con uno schiocco secco, ancor prima di annunciare il mio arrivo.
Alzo lo sguardo verso la porta d'entrata, leggermente socchiusa;attraverso poi il giardino ed entro nel bellissimo ingresso della casa. Di Angelica nessuna traccia.
- Angelica? - la chiamo senza però ricevere risposta - Angelica? -
La porta alle mie spalle si chiude con un tonfo, facendomi sussultare e voltare di scatto.
- Matteo - sussurra una voce cristallina alle mie spalle. Mi volto una seconda volta, e non posso fare a meno di arrossire alla vista di Angelica, in cima alle scale, con indosso una leggera vestaglia bianca semi trasparente che lasciava intravedere l'intimo che indossa sotto; i lunghi capelli neri che si muovono con lei mentre scende le scale, attorcigliando l'indice attorno ad un ricciolo corvino.
- Ciao - sussurra lei arrivando davanti a me, sorridendo.
Deglutisco a fatica - Di cosa...volevi...parlarmi? - domando senza lasciare i suoi occhi smeraldini.
Mi afferra le mani e se le porta al petto, sospirando - Matteo, Matteo, credo sia ora di finirla con questa inutile farsa -
Ma di che parla? - Angelica, non so cosa intendi -
Lei mi sorride in modo malizioso, e si fa più avanti - Io ti voglio, e so che anche tu mi vuoi - dice, lasciandomi le mani per poi sfilarsi lentamente la vestaglia senza smettere di guardarmi negli occhi - Devi solo dirlo -
Deglutisco. Non riesco nemmeno a pensare alla vista di lei con indosso solo biancheria intima.
- Dillo Matteo, dì che mi vuoi - mi incita Angelica avvicinandosi ancora di più. Ormai sussurra sulle mie labbra, soffiando dolcemente.
- Angelica...-
- Dillo - insiste ancora lei, sfiorandomi le labbra con le sue.
- Io...-

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- Matteo farai tardi! - urlò qualcuno, svegliandolo di soprassalto.
Si mise lentamente a sedere sul letto, guardando la sorella, in piedi sul ciglio della porta.
- Che? -
- Sono le sette, non devi andare via? -
Scattò in piedi - Porca... -
- ...Trota -
***
Era ritornata a casa in fretta e furia, era ripartita subito dopo ed aveva fatto la spesa in qualche modo, comprando un sacco di roba completamente inutile, tra cui l’inseparabile Nutella e i biscotti che voleva Elisabeth, che le avrebbe scassato le scatole per settimane se non li aveva in casa.
Era ritornata a casa, aveva stirato gli abiti puliti, senza bruciare niente fortunatamente, aveva sistemato un po’ la casa: lavato per terra e passato l’aspirapolvere un po’ ovunque, lasciando la propria camera un vero disastro; aveva fatto i compiti per lunedì ed infine si era decisa ad andare a fare una doccia.
Uscì dopo un quarto d’ora, indossando immediatamente il candido accappatoio e ritornando in camera. Si passò una mano nei capelli cambiando la canzone del cd, optando per Say it right.
Si vestì in fretta, indossando un completo intimo, che le aveva regalato Alice per Natale, e un paio di jeans; ritornò nel bagno, appoggiando il cellulare da una parte, iniziando poi ad asciugarsi i capelli, sperando che nessun fantasma guardone sbucasse dallo specchio.
Lo sguardo cadde sul display del telefono che si illuminava a scatti con la scritta: N. privato. Rispose, ma dall’altra parte sembrava non esserci nessuno. Riattaccò, riprendendo ad asciugarsi distrattamente i capelli.
Un’altra chiamata, ancora un numero privato.
- Pronto? -
- Parlo con Angelica? - disse una voce maschile, leggermente roca.
Inarcò le sopracciglia - Sì, con chi parlo? -
Nessuna risposta.
- Pronto? -
Guardò il display, che segnalava che la chiamata era terminata.
“ Quell’idiota mi ha riattaccato in faccia” pensò, riappoggiando il cellulare sulla mensola sotto lo specchio.
Un’altra chiamata e rispose immediatamente.
- PRONTO!!!!!! -
- Cavolo tesoro, prendi dei calmanti -
Era sua madre. Si diede una sberla in fronte - Scusami mamma, ho ricevuto due chiamate da uno strano tizio che mi ha riattaccato in faccia -
- Chi diavolo era? Qualcuno dell’agenzia? -
- Non credo -
- Comunque, come va lì tesoro? Tutta intera la cucina? -
- Mai stata più intera di così - sussurrò, passandosi una mano nei capelli, ancora leggermente umidi.
- mmm...hai fatto la spesa? Hai pulito? Hai lavato le tue cose? -
- Sì, sì e ancora sì...tranquilla mamma, non sono una ragazzina - disse - Ora scusami mamma, mi devo preparare, salutami il papà -
- Ti prepari? Per andare dove? -
- Vado a casa di Alice e Ma...ehm...e devo portare anche il figlio della signora Dall’Angelo -
Sua madre, dall’altra parte del telefono, scoppiò a ridere, urlando al marito - Nostra figlia finalmente ha un fidanzato! E non penso che vadano a casa di Alice! -
- Mamma! Mamma! - urlò attirando l’attenzione della madre - È la verità -
- Ricordati quello che ti ho detto riguardo...tu sai cosa -
- Cosa? -
- Il sesso tesoro!!! Il sesso!!! Ormai sei abbastanza grande per capire certe cose -
Arrossì - Io non faccio niente con nessuno -
- Però Matteo è un gran bel ragazzo -
- MAMMA! -
- Ma hai visto tesoro? Ha un corpo perfetto, dovrebbe tenerti occupata per un bel pezzo di serata -
- MAMMA SMETTILA! -
- Ok ok, finisci di prepararti e, per carità Angelica, non metterti il tuo pigiama rosa -
- Mamma, secondo te vado da Alice in pigiama? -
- Su tesoro, ti abbiamo beccata, è inutile che reggi la bugia di Alice -
Fece un lungo sospiro. L’unica soluzione era quella di dargliela vinta - Ok, ok mamma, non ti preoccupare, mi metto qualcosa che si toglie facilmente e stai tranquilla che non mi trovi incinta quando ritorni -
- Oh, così si parla tesoro, senza peli sulla lingua - sussurrò la madre - Buona serata! -
Si diede una sberla in fronte - Ciao mamma -
Terminò la chiamata e riappoggiò il cellulare sulla mensola. Nemmeno il tempo di accendere il phon che il campanello suonò, facendola sussultare. Osservò l’ora, lasciandosi sfuggire un’imprecazione.
“ LE SETTE E MEZZA!! SONO UNA TARDONA!!” pensò, correndo in camera, con i capelli ancora mezzi bagnati, infilandosi al volo una maglietta senza maniche presa a caso dall’armadio. Si precipitò all'ingresso, cercando di non cadere dalle scale ed aprì la porta.
Matteo, oltre il cancelletto, alzò la mano in segno di saluto, e gli aprì.
- Ciao - lo salutò, non appena fu entrato nell’ingresso, cercando anche di non arrossire per com'era vestita - Un secondo e...arrivo -
Il ragazzo la guardò un istante ed annuì, sorridendo.
- Che c’è? -
- Davvero...carina...la maglia, è un invito? -
Abbassò lo sguardo, arrossendo subito dopo alla vista del disegno sulla sua maglietta: due belle impronte di mani sui seni con scritto touch me.
Rise in modo da attenuare l’imbarazzante scena - Eh...un regalo di Elisabeth -  
- Ti sarai vendicata immagino - disse Matteo, che ancora sorrideva.
Sorrise a sua volta - Sì, quella volta sono stata davvero cattiva con lei. Vado a cambiarmi questa roba, e devo... -
- Asciugarti i capelli. Non preoccuparti, fai con calma -
- Grazie, fai come se fossi a casa tua -
- Aspetterò qui -
“ Se vuoi ti faccio vedere camera mia e...oddio cosa penso!”
Scrollò la testa cacciando i cattivi pensieri - Due minuti -
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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Scese giù dopo qualche minuto, con indosso un paio di jeans e una camicia bianca sotto un maglione nero con la scollatura a V. Si avvicinò all’attaccapanni e infilò la giacca, guardando Matteo, che le sorrideva - Andiamo? - chiese sorridendogli a sua volta, aprendo il cancelletto con l’interruttore in parte al citofono.
- Certo -
Uscirono, percorsero il giardino e salirono sulla Ferrari.
- Non guidare come in GTA - disse il ragazzo, sorridendo.
Ghignò appena - Tranquillo, guiderò come una brava cittadina, senza contare il fatto che siamo in ritardo - disse mettendo in moto, facendo ruggire il motore, partendo a tutta velocità.


Dopo una decina di minuti, arrivarono davanti ad una grande casa, sperduta in una via che non era nemmeno illuminata, con attorno solo ed esclusivamente campi. Parcheggiò la Ferrari accanto alla Peugeot 206 bianca di Federico e alla Lancia Y di Elisabeth.
Scese dall’auto e si mise al fianco di Matteo - Vai prima tu così si scaraventano su di te per il ritardo -  
- Ehi, non ti puoi approfittare di me solo perché sono nuovo -
Sorrise, voltando poi lo sguardo verso la porta d’entrata della casa, che si era aperta lasciando vedere solo una silhouette
- Oh Angelica sei arrivata! - disse la voce di un ragazzo, che riconobbe immediatamente.
- Sergio non cominciare -
- Chi è arrivato? - chiese Matteo, guardandosi intorno.
- Sono arrivati quasi tutti. Dentro c’è Elisabeth, Alice e Fede. Vittoria e Davide dovrebbero arrivare da un momento all’altro -
Entrarono in casa. La porta si aprì in un grande soggiorno; arredato con diversi mobili in legno colmi di foto ed altri ricordi, un caminetto in un angolo della stanza, che faceva scoppiettare il legno formando mille scintille scarlatte. Una televisione al plasma appoggiato su una mensola non molto alta, dove c’erano appoggiati uno stereo e un lettore dvd; in parte c’era un altro mobile in legno, dove vi erano appoggiati diversi portafoto e un po’ di cd in disordine.
Al centro un tavolino in legno di noce, di colore bruno con alcune venature scure di qua e di là, sul quale poggiava un piccolo centrotavola in cristallo, colmo di petali secchi che profumavano l’aria. Attorno al piccolo tavolino, c’erano tre lunghi divani, dove gli altri li aspettavano ansiosi abbracciando dei cuscini bordeaux.
- Finalmente! Pensavamo vi foste persi! - disse Elisabeth seduta accanto ad Alice e a Federico su un unico divano.
- Ehi guardate che non siamo gli ultimi - disse togliendosi la giacca, ed appendendola all’attaccapanni dietro la porta - E di sicuro tu sarai arrivata due minuti fa - aggiunse appendendo anche la giacca di Matteo.
- Ah ah...spiritosa - disse la rossa in tono ironico la rossa mentre le lanciava un cuscino, che, grazie ai suoi riflessi, afferrò al volo.    
Lei e Matteo si sedettero sul divano di fronte agli altri, mentre Sergio si sdraiò sull’unico rimasto vuoto.
- Fai come se fossi a casa tua eh - disse Alice guardando il biondo che cercava il telecomando.
- Ovviamente...-
Suonarono al campanello un paio di volte, e Federico si alzò e andò ad aprire, facendo entrare i due ritardatari.
 - Ehi ragazzi scusate il ritardo! - disse Vittoria togliendosi la giacca - Manca qualcuno o siamo gli ultimi? - chiese ancora facendo entrare anche Davide.
- Stavamo aspettando voi, ditemi che pizza volete che la ordiniamo - disse Sergio mettendosi a sedere sul divano e afferrando un piccolo block notes e una penna abbandonati sul tavolino.
- Io una prosciutto - disse la bionda, e avvicinandosi agli altri seduti in soggiorno, tenendo sottobraccio Davide e sedendosi sul divano libero.
- Ok...Angelica? -
- Vegetariana -
- Due vegetariane! - urlò Alice, mentre cercava di soffocare amichevolmente Elisabeth con il cuscino.
- Due vegetariane, per me una con la salsiccia piccante...-
- Anche a me! - disse Davide alzando il braccio.
- Due con la salsiccia piccante...Fede? Tu che vuoi? -
- Fanne tre di salsiccia piccante - disse il ragazzo risedendosi accanto ad Alice.
- Ok...Matteo? -
- Prosciutto e funghi - disse il moro seduto accanto a lei.
- Due! - urlò Elisabeth soffocata dal cuscino.
- Allora una prosciutto, tre con la salsiccia piccante, due vegetariane e due prosciutto funghi giusto? -
- Si - confermarono tutti.
- Bene, chiama Angelica - disse il ragazzo lanciandole il telefono. Digitò il numero di telefono che oramai, sapeva a memoria con tutte quelle serate che facevano; e mise il vivavoce.
- Buonasera Pizzeria Napoli - rispose una ragazza.
- Salve vorrei ordinare delle pizze - disse passandosi una mano nei capelli, ignorando Sergio che le faceva il verso.
- Ma certo mi dica -
- Allora una prosciutto, due vegetariane, tre con la salsiccia piccante e due prosciutto funghi -
- Saranno pronte tra quindici minuti. Venite a ritirarle voi o vi mandiamo il fattorino? -
- Veniamo noi, grazie mille -
- Il suo nome prego? -
- Angelica -
- D’accordo, arrivederci -
Riattaccò e rilanciò il telefono a Sergio - Chi va a prenderle? -
- Tu ovviamente - rispose ancora il biondo.
- Ci vado io...pago e poi mi date la vostra parte - disse Elisabeth liberandosi da Alice - Matteo? Mi accompagni tu? -
- Certo, ma sono venuto con Angelica e non ho la macchina...-
- Non preoccuparti...andiamo con la mia macchinetta - disse la rossa con un gran sorriso.
- Bene, prepariamo la tavola - disse Alice alzandosi.
Il ragazzo dai capelli rossi si alzò e si precipitò in cucina, seguito da lei, Sergio e Vittoria; mentre gli altri restarono seduti in soggiorno, osservandoli trafficare con cassetti e credenze.
- Dove diamine è la Coca Cola?!? Non posso vivere senza! - chiese Federico curiosando tra le mensole.
- Ah spostati - disse Alice, aprendo l’anta di una piccola credenza, ed estraendo otto lattine di coca cola.
- Eh potevi dirmelo che erano lì! -
- Ah zitto, non le avresti trovate nemmeno se erano sotto il tuo naso -
Sorrise sistemando la tovaglia - Sembrate due bambini -
Il ragazzo biondo si avvicinò, sorridendo, alla tavola, con diversi bicchieri in mano, mettendoli poi in ordine  - I bambini hanno più stile dato che alla fine fanno sempre a botte -
- Non dirlo che altrimenti cominciano a picchiarsi - sussurrò andando a prendere i piatti.
- Ehi ma...quando abbiamo finito di mangiare...che si fa? - chiese Vittoria sistemando forchette e coltelli.
- Se noleggiassimo un film? - chiese Davide che trafficava con lo stereo tentando di farlo partire.
- Io ho un bel po’ di film a casa; se mi dite il genere vi dico i titoli - disse Sergio andando a sedersi sul divano.
- Thriller o Horror ovviamente - disse Alice, mentre appoggiava le lattine di coca cola sul tavolo.
- E se io volessi vedere un film romantico? - disse Federico giusto per farla arrabbiare.
- A maggioranza si deciderà il genere e il film che si guarderà - disse Matteo.
- Lui si che pensa, non come voi ragazzini - disse Elisabeth facendo l’occhiolino al ragazzo.
- Allora horror - disse Vittoria.
- Horror -
- Horror -
- Horror -
- Horror -
- Romantico - disse il rosso, sotto lo sguardo di fuoco di Alice - Ok horror -
- Per me è lo stesso - disse ritornando in salotto, e accendendo lo stereo che Davide stava cercando di accendere da cinque minuti.
- Allora horror, vi dico i miei preferiti - disse Sergio - Resident Evil Apocalypse, The messengers, Underworld Evolution, Boogeyman,  Van Helsing, beh...non poteva mancare Il mistero di Sleepy Hollow, So cosa hai fatto e Incubo finale -
- Underworld Evolution - propose alzando la mano.
Tutti alzarono la mano per confermare.
- E Underworld Evolution sia...chi mi accompagna? -
- Io e Matteo andiamo a prendere la pizza - disse la rossa alzandosi in piedi.
- Ti accompagno io - disse afferrando la giacca e prendendo le chiavi della macchina.
- Davvero? Angi sei un tesoro - disse il biondo.
- Muoviti prima che cambi idea -
- Guidi tu? -
- Si -
- Ok...ragazzi? Addio, queste sono le mie ultime parole - disse il biondo indossando la giacca.
- Avanti scemo - disse afferrandolo per un braccio e trascinandolo fuori.
***
Erano saliti sulla Lancia Y di Elisabeth da qualche minuto, ed osservava il paesaggio fuori dal finestrino, ormai avvolto dall’oscurità.
- Hey boy, don't you know, I got something going on…allora Matteo. Come ti trovi qui? -
- Benissimo -
- Ti mancano i tuoi vecchi compagni? -
- Ci teniamo in contatto, ma non ne sento la mancanza, e poi ci siete voi che avete preso il loro posto -
Ad un incrocio completamente vuoto, Elisabeth tirò diritto, premendo un po' di più l'acceleratore.
- Allora ti piace Angelica - sussurrò lei senza staccare gli occhi dalla strada.
Cercò di trattenere il rossore che, piano piano, andava alle guance.
- Avanti Matteo, basta fingere, si vede dal modo in cui la guardi che ti piace -
Spostò lo sguardo fuori dal finestrino, osservando i campi e le piccole casette nella zona - Non posso dire che non mi abbia colpito -
La rossa ghignò, svoltando ad una curva - Dovresti chiederle di uscire, sono sicura che ti dirà di sì -
- Come posso essere così sfacciato? Ci conosciamo da meno di una settimana -
- Potresti iniziare a chiederle di andare in centro a...che ne so...prendere dei libri? -
Scrollò la testa, guardandosi le ginocchia.
- Suvvia Matteo, se non ci provi...- disse lei, bloccandosi subito dopo, frenando di colpo ed osservando un punto nel vuoto oltre il parabrezza dell’auto, terrorizzata.
- Elisabeth? - sussurrò avvicinandosi, appoggiandole poi una mano sulla spalla - Che c’è? -
- L’hai visto? -
- Cosa? -
- Quella roba...rossa che...ha attraversato la strada in...in un secondo con...gli occhi... -
Guardò davanti a sé, ma non c’era assolutamente niente di rosso - Magari era un gatto -
- Era troppo grosso per...essere un gatto -
- Elisabeth, non c’è niente lì fuori. Ok? -
La rossa si passò una mano sul viso - Sì, non c’è niente - ripeté lei, tentando di convincersi - Magari è stato solo un gatto...un gatto che attraversava semplicemente una strada... -
Annuì - Solo un gatto che attraversava la strada -
La ragazza rimise in moto la macchina e ripartì, sussurrando a bassa voce che fuori non c’era.
***
Guidò lentamente, sperando che Sergio, che trafficava con la radio, smettesse di supplicarla.
- Sto andando ai sessanta all’ora, la finisci di frignare? - domandò senza staccare gli occhi dalla strada.
- Ma con l’accelerata che hai fatto prima volevi farmi fare un infarto -
- Ma se casa tua è in mezzo ai campi e la strada è completamente deserta ogni dannata volta -
- Non è un buon motivo per andare ai centoventi all’ora -
Sospirò, rallentando non appena raggiunse i pressi della casa di campagna della famiglia Martinelli. Intorno a loro solo campi, tutto era completamente buio, eccetto per le luci all’entrata della vecchia casa grigia a due piani, e quella proveniente dalla cucina dove, probabilmente, i genitori Sergio stavano cenando tranquillamente. Fermò la macchina e scesero.
- Muoviti, ti aspetto qui fuori - sussurrò osservando il cielo stellato.
- Hai paura dei fantasmi? - chiese lui, facendole ricordare le vecchie storie su quella casa di campagna.
Sorrise - Io non ho paura di niente Sergio -
- Non entrare urlando in casa allora - disse lui con un ghigno, attraversando di corsa il giardino - Arrivo subito! -
Si appoggiò stancamente al fianco della macchina, incrociando le braccia al petto restando in allerta per quella strana sensazione che si sentiva dentro.
“ Uno alla volta a partire dalla tua amica” sussurrò una voce familiare.
Deglutì. Era davvero nei guai adesso. Doveva dire ad Elisabeth che vedeva i fantasmi e dava la caccia ai demoni? Che era al servizio di un’agenzia super segreta? Che doveva andarsene lontana da Verona?
“ No” pensò dandosi risposta da sola “ Devo proteggere tutti rimanendo nell’ombra”
La porta della casa si aprì una seconda volta, e Sergio ritornò di corsa alla macchina, reggendo la cover di un dvd con un titolo scritto in penna sopra: Underworld Evolution.
- Fatto? - domandò.
Sergio, con il fiatone, annuì - Torniamo da Alice -


Scese dalla macchina e si avvicinò alla porta d’entrata.
- Ehi Angi? -
- Si? -
- Sai cosa si ottiene incrociando una mucca con una mummia? -
Abbassò la maniglia ma non aprì la porta - Cosa? -
- Una muuuuuuuuuuuuuummia -
Si portò una mano alla fronte, entrando in casa. Tutti gli altri, radunati in cucina, alzarono lo sguardo, osservandola.
- Toglietemelo dai piedi altrimenti lo ammazzo - sussurrò indicando Sergio alle sue spalle che chiudeva la porta.
Davide, già seduto a tavola, si alzò in piedi - Non le avrai raccontato quella roba della mucca e della mummia? -
Inarcò un sopracciglio, togliendosi la giacca ed appendendola all’appendiabiti lì accanto. Sergio, sospirò, avvicinandosi immediatamente alla tv - Non avevo niente da dire - si giustificò poi il ragazzo. Davide alzò le spalle e si avvicinò a Vittoria, in piedi, in un angolo della cucina, abbracciandola subito dopo, sussurrandole qualcosa all’orecchio. La reazione della bionda fu quella di arrossire come un pomodoro. Si avvicinò piano, fermandosi sulla soglia della porta, appoggiandosi allo stipite con le braccia incrociate - Ma cosa diavolo vi prende? -
Vittoria scrollò la testa - Eh sai...domani è San Valentino -
Buttò la testa all’indietro - Cristo Santo ecco perché oggi eravate così...sdolcinati -
Alice, seduta in braccio a Federico, le sorrise in modo malizioso - Vedrai quando trovi tu un ragazzo...avremmo un’Angelica con gli occhi a cuoricino -
Ghignò maligna - Io non avrò mai gli occhi a cuoricino -
- Stanno già prendendo forma a quanto vedo - ribatté la mora, ghignando a sua volta.
- Perché questa dannata tv non si accende?!?! - urlò Sergio pestando i piedi a terra. Si voltò, guardando il ragazzo che la guardava con l’espressione da dolce ed indifeso cerbiatto - Angi?-
- mmm? -
- Dai un’occhiata? -
Si avvicinò alla mensola della tv e si piegò appena, osservando i cavi dietro l’apparecchio - Io non vedo niente di strano... -
- Anch’io devo mettere delle mensole basse a casa mia...- sussurrò il biondo, dietro di lei, in tono quasi sognante.
Voltò appena lo sguardo e divenne rossa come un pomodoro non appena si accorse della strana posizione in cui era messa.
- PORCO!!! SCHIFOSO PORCO!!! -
- In compenso ho guardato un gran bello spettacolo -
- AHHHHHH!!! MANIACO!!!!!! - urlò saltando addosso a Sergio, facendolo cadere per terra.
- Non è colpa mia se i 90° ti si addicono! -
- SERGIO!!!!!!!! -
- Ehi bambini...- disse qualcuno sulla porta - ...smettetela di litigare che ci sono le pizze -
Si alzò in piedi, osservando Elisabeth che teneva la porta aperta a Matteo, che reggeva le otto pizze.
- Grazie a Dio Elisabeth mi ha salvato - sussurrò Sergio, ancora per terra, con le mani giunte.
- Solo per questa volta -
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Si sedettero tutti a tavola, ed Elisabeth consegnò la pizza a ciascuno.
- Buon appetito! - urlò poi la rossa, sedendosi al suo posto, cominciando a mangiare.
- Angi? - la chiamò quasi immediatamente la rossa, che le indirizzava delle occhiate da Bambi.
- mmm? - mugolò mordendo un pezzo di pizza.
- Me ne dai una fetta? -
- Solo se me ne dai un pezzo della tua - disse tagliando uno spicchio di pizza e porgendola all'amica, che lo mangiò immediatamente, dandole subito dopo un pezzo della sua.
- Angi? - la chiamò Sergio.
- mmm? - mugolò ancora una volta mangiando una seconda fetta.
- Vai a sistemare la tv? -
- MUORI SERGIO!! -
Tutti scoppiarono a ridere, riprendendo a mangiare la pizza in santa pace, finchè Elisabeth non scattò in piedi all’inizio di una nuova canzone che proveniva dallo stereo in salotto - Bella sta canzone!! -
Tutti si bloccarono - E allora? - chiesero in coro.
- Allora si balla! - esclamò Elisabeth, facendo il giro della tavola ed afferrandola per un braccio, facendola alzare in piedi.
- Eli...- sussurrò mandando giù un altro pezzo di pizza - Vuoi uccidermi? -
- Forza Angi...balliamo! -
- Io non so ballare - sussurrò tentando di risedersi, ma fu trattenuta nuovamente dalla rossa.
- Basta che ti metti così - sussurrò l’amica divaricando appena le gambe - E poi muovi i fianchi di qua e di là -    
Deglutì - Non so farlo -
- Oh si invece! Me l’hai insegnato tu quella volta che eri ubriaca e ti sei scatenata in mezzo alla pista -
Si voltò verso gli altri, seduti a tavola, rimasti a bocca aperta - Ehm...forse era un clone -
- Uff...quanto sei noiosa - sospirò Elisabeth ritornando a sedersi - Comunque ho le foto di quella sera! E il video di quando hai ballato! -
Sgranò gli occhi, rimanendo lì in piedi - Co...cosa? -
- Hai capito benissimo Angelica-guardami-muovo-il-mio-sedere-perfetto-facendo-sbavare-tutti-Vetra -
- Oddio cancellalo subito!!! -
- No no! - disse tranquillamente la rossa - Mi vendico per la maglietta che mi hai regalato -
Si diede una piccola sberla in fronte - Però era carina la maglietta -
Sergio scoppiò a ridere - Oddio! È quella con scritto “sono vergine” cancellato con un segno rosso e la scritta sotto “scusate è la maglietta vecchia”? -
Elisabeth mangiò un pezzo della sua pizza, annuendo.
- Dio Angelica, quanto sei bastarda! -


Finita la pizza si erano sistemati tutti in salotto ed avevano iniziato a guardare il film. Dopo qualche minuto Vittoria e Davide, seduti su un divano, presero a baciarsi e scambiarsi abbracci e carezze, Alice e Federico, seduti a terra, parlavano sottovoce tenendosi per mano, Elisabeth era accoccolata tra le braccia di Sergio, seduti su un altro divano, con gli occhi chiusi, mentre il ragazzo le sussurrava qualcosa all'orecchio.
Solo lei e Matteo seguivano il film, seduti sul divano a qualche centimetro di distanza, lui a braccia incrociate e le lanciava qualche occhiata di tanto intanto; lei, abbracciata ad un cuscino e teneva gli occhi puntati sulla televisione.
- Ti rendi conto che nessuno sta guardando il film? - disse Matteo, senza muovere nemmeno un muscolo.
- Già, davvero irritante - sussurrò a sua volta osservando Vittoria e Davide che continuavano a baciarsi.
Si alzò in piedi - Alice mi prendo la Nutella - sussurrò, mentre la mora non l'ascoltava minimamente.
Andò in cucina ed afferrò il vasetto di Nutella dalla mensola più alta, poi, in una credenza più in basso, prese un pacchetto di grissini e ritornò in salotto, sedendosi accanto a Matteo.
Aprì il barattolo di cioccolata e il pacchetto dei grissini e voltò poi lo sguardo verso il ragazzo - Vuoi? -
Il bel moro annuì, prendendone uno ed immergendolo nella cioccolata, mangiandolo subito dopo. Sorrise facendo la stessa cosa, ritornando a fissare la televisione.
***
Lanciò uno sguardo alla ragazza seduta al suo fianco sul divano, con il vasetto di Nutella su un ginocchio e il pacchetto di grissini stretto nella mano sinistra. Angelica ne prese uno, lo immerse nella cioccolata e poi lo addentò.
Deglutì senza motivo.
- Guarda la scroccona che non offre la Nutella! - sbraitò Elisabeth, alzandosi di scatto ed avventandosi sulla mora, cercando di rubarle un grissino.
- Suvvia Elisabeth, ti fanno male queste cose -
- E perché tu le mangi?! -
- Perché sono in astinenza di dolcezza - disse Angelica, scoppiando poi a ridere, insieme all'amica, che finalmente, riuscì a prendere un grissino e ad immergerlo nella Nutella.
- Tieni pure, sono a posto - sussurrò lei porgendo il barattolo e il pacchetto di grissini mezzo vuoto. Elisabeth alzò le spalle, prese tutto e tornò da Sergio.
***
Prese il cellulare dalla tasca e guardò l’ora sul display: 21.41
- A che ora devi tornare a casa? - domandò a Matteo senza alzare gli occhi.
- Quando voglio - sussurrò lui - Ma se sei stanca possiamo andare quando vuoi -
Sorrise, alzando lo sguardo, perdendosi per qualche secondo negli occhi blu di lui, illuminati dalla luce del televisore - Non sono stanca, tranquillo -
Matteo le sorrise e ritornò ad osservare la tv. Sospirò piano ed appoggiò la testa sul divano tornando a guardare il film, cercando di ignorare le tempie che pulsavano dolorosamente, ed una vocina infantile che, probabilmente, solo lei sentiva. Chiuse gli occhi, cercando di cacciarla.
“ Elisabeth sarà la prima...”
Mugolò appena, abbracciando ancor più forte il cuscino “ Non posso permetterlo”
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Socchiuse appena gli occhi. Nel buio salotto nessuno si muoveva o parlava, la televisione era ancora accesa dove scorrevano i titoli di coda del film. Mugolò appena girandosi di lato, raggomitolandosi quasi come se fosse un gatto e strinse qualcosa tra le braccia, qualcosa di caldo, tutto il contrario delle sue gelide mani.
- Sei sveglia? -
Aprì del tutto gli occhi e ritornò a sedersi composta, osservando Matteo, al suo fianco, illuminato appena dalla luce del televisore, che le sorrideva - Ti sei addormentata -
“ Oddio Angelica sei proprio un’idiota” pensò “Ti sei stretta a lui come se fosse un peluche” - Eh...io...scusami -
- Sicura di stare bene? - le chiese il ragazzo, preoccupato.
Annuì - Sì, perché? -
Matteo si mosse appena, e le afferrò le mani, stringendole appena - Sei fredda -
Sospirò lievemente e ringraziò il cielo che il salotto fosse immerso nel buio, altrimenti il ragazzo avrebbe visto le sue guance imporporarsi - Oh, beh...sono sempre fredde -
Distolse lo sguardo e si guardò intorno.
Elisabeth era accoccolata tra le braccia di Sergio, entrambi addormentati e la stessa cosa valeva per Vittoria e Davide, mentre Alice e Federico erano sdraiati per terra, abbracciati l’uno all’altra, anche loro profondamente addormentati.
- Il film ci ha fatto addormentare tutti - disse in un sussurro.
- La prossima volta dovremmo guardare una stupida commedia - disse Matteo, che ancora stringeva le sue mani.
Sorrise lievemente - Già, eppure non avevo nemmeno sonno -
- Però mi sei crollata addosso -
Sussultò - Non è vero -
- Oh sì invece - sussurrò il ragazzo sorridendo - Hai mugolato qualche parola senza senso e poi hai appoggiato la testa al mio braccio -
Arrossì ancora di più “ Oh porca...” - Ah...potevi darmi uno spintone -
- Figurati, non si svegliano le dolci fanciulle addormentate -
Sorrise appena, distogliendo lo sguardo in modo da non rimanere incantata dai suoi occhi blu come l'oceano, cercando di non pensare alle sue calde mani che stringevano dolcemente le sue, fredde e bianche, nel tentativo di scaldarle, e cercando di ignorare il suo profumo, fresco, pungente, sensuale e, doveva ammetterlo, eccitante.
Ritrasse le mani, incrociandole al petto - Forse dovrei svegliare gli altri - suggerì.
Matteo, con ancora le mani tese, sospirò appena ed annuì, incrociando a sua volta le braccia al petto.
Si alzò in piedi e si avvicinò ad Elisabeth e le appoggiò una mano sulla spalla, scrollandola dolcemente. La rossa però si lamentò solamente, girandosi dall'altra parte ed abbracciando Sergio.
- Elisabeth dannazione, svegliati -
Niente da fare. La ragazza non diede alcun segno di voler svegliarsi - Sergio? -
- mmm -
- Svegliati, vi siete addormentati come degli idioti -
- mmm 5 minuti mamma -
Si alzò in piedi, scocciata, si avvicinò agli interruttori della luce e premette il primo, illuminando i salotto. A quel gesto, solo Vittoria e Davide stavano socchiudendo e strizzando gli occhi per la troppa luce. Matteo, sul divano, sorrideva divertito.- SVEGLIATEVI IMMEDIATAMENTE O VI LANCIO UNA SECCHIATA D'ACQUA GELIDA!!!! -
- Ma cosa diavolo hai da urlare? - domandò Elisabeth, con gli occhi socchiusi, che, probabilmente, la mandava mentalmente a quel paese.
- Vi siete addormentati come dei vecchi - sussurrò tornando a sedersi accanto al moro - Dovevo pur svegliarvi in qualche maniera -
Vittoria si alzò in piedi, stiracchiandosi - Beh, tesoro? - domandò a Davide - Forza, andiamo a casa e a letto -
Il biondo, con gli occhi ancora socchiusi, sbadigliò, portandosi una mano davanti alla bocca - Ma amore, sono solo le 11.20 -
La ragazza si voltò verso di lui, mettendosi le mani sui fianchi - Ma non voglio andare a letto per dormire... -
- Ok andiamo! - rispose Davide scattando in piedi più sveglio che mai, prendendo per mano la fidanzata - A lunedì ragazzi -
Si salutarono ed uscirono di corsa dalla casa, senza nemmeno indossare i giubbotti. Tossicchiò appena cercando di attirare l’attenzione di Alice e Federico, che si scambiavano piccoli baci, senza però riuscirci.
- Beh forse è meglio se andiamo via - sussurrò piano guardando Matteo, che annuì come risposta.
- Meglio se ce ne andiamo anche noi - sussurrò Elisabeth, alzandosi in piedi ed afferrando Sergio per un braccio.
- Vuoi andare a letto anche tu? -
- Sì, ma stasera nel mio letto ci voglio solo dormire -
Il biondo sbuffò - Peccato, un vero peccato -
Tutti e quattro si avvicinarono alla porta d’entrata, allungò la mano per prendere la sua giacca, ma Matteo fu più veloce, e, da gentiluomo, l’aiutò ad infilarla. Come risposta riuscì solamente a balbettare un grazie.
Salutarono Alice e Federico che, ovviamente, non li degnarono di uno sguardo, ed uscirono nel cortile.
- Elisabeth? - la chiamò facendola avvicinare con un gesto della mano.
- Che c’è? -
Si allontanò dai due ragazzi di qualche passo, in modo che non potessero sentire - Senti Elisabeth, ti sembrerò pazza...-
- È una vita che sei pazza, ormai mi ci sono abituata -  
Sospirò - Elisabeth, ti sembrerà una domanda stupida ma sei da sola a casa questa sera? -
- Eh...no, ci sono mia madre e mio padre che è appena tornato da Torino, perché? -
- Mi prometti che se sarai da sola una sera chiamerai me, o anche Sergio? -
- Eh...ok, ma perché? -
- Non rimanere a casa da sola dopo il tramonto -
- Mi stai spaventando - sussurrò lievemente la rossa.
- Ti prego Elisabeth, fidati di me -
- D’accordo... -
- Grazie -
L’amica incrociò le braccia al petto - Ma non mi hai spiegato ancora il perché -  
- Lo saprai Elisabeth, ti giuro che un giorno saprai tutto -
***
Angelica si riavvicinò a lui, passandosi una mano nei capelli corvini, tenendo lo sguardo fisso nel vuoto - Hai da fare? - sussurrò lei appena, schiudendo lievemente le labbra.
- No - rispose senza riuscire a distogliere lo sguardo.
- Hai voglia di venire in un posto con me? - domandò ancora la ragazza, puntando ora lo sguardo color smeraldo su di lui.
“ Ovunque se ci sei tu” pensò - Certo -
Angelica sorrise, mettendo la mano destra della tasca della giacca, estraendola subito dopo con le chiavi della Ferrari strette in pugno, premette un piccolo pulsante e l’auto emise due lievi beep - Allora andiamo -
Salirono in macchina ed entrambi allacciarono le cinture di sicurezza, mentre la ragazza, lanciandogli una fugace occhiata, inserì la chiave e fece ruggire il motore.
- Tranquillo - sussurrò lei aprendosi leggermente la cerniera della giacca con un ghigno sul volto - Non ti porto in un night club -
Sorrise - Lo spero bene -
Angelica fece retromarcia e poi ingranò la prima, uscendo dal vialetto e tornando sulla strada - Beh, spero che tu ti sia un po' divertito stasera...hai visto il nostro lato pazzo -
Scoppiò a ridere, contagiando anche lei - Non siete poi tanto pazzi -
- Ah no? -
- No, siete nella norma -
La ragazza sorrise ancora una volta e, con un elegante gesto della mano, accese la radio tenendo il volume basso. La guardò per un istante, ma poi voltò lo sguardo verso il finestrino alla sua destra, osservando il paesaggio intorno a loro.
Rimase immobile per qualche minuto, ma si voltò immediatamente quando lei tossì piano, facendo poi un profondo respiro.
- Io...devo fermarmi un attimo - sussurrò Angelica, rallentando e svoltando per una piccola e quasi invisibile vietta, nascosta da un paio di grossi alberi spogli.
Lei fermò la macchina e si slacciò le cinture - Stai pure qui se vuoi -
- Non ti lascio fuori da sola - disse slacciandosi a sua volta le cinture. Angelica annuì, ed entrambi scesero dalla macchina.
Davanti a loro si presento un piccolo parchetto, presero a camminare lungo il sentiero formato da una moltitudine di piccoli sassolini bianchi con delle verdi siepi ai lati, superarono una vecchia altalena, che cigolava in modo sinistro, mossa appena dal vento gelido. Lei camminava senza fare nemmeno rumore, con una mano tesa verso la siepe sfiorando le piccole foglie, gli occhi socchiusi e le labbra schiuse.  
- Pochi vengono qui - sussurrò la ragazza, aprendo gli occhi - Forse per il fatto che è sperduto in mezzo al nulla -
- In effetti - disse piano - Un po’ sperduto lo è -
Angelica sorrise, si fermò in prossimità di un piccolo laghetto, sicuramente artificiale, e si appoggiò alla staccionata che lo circondava, e prese da osservare l’acqua plumbea che rifletteva la luna calante e le stelle disseminate per tutto il cielo, alcune coperte da cupe nuvole scure.
- Mi dispiace averti portato qui - sussurrò la mora senza distogliere il suo sguardo dalle piccole increspature del laghetto - Ogni volta che passo devo fermarmi qualche minuto, per...- sussurrò lei senza però concludere la frase.
- Non ti preoccupare - sussurrò piano, rattristandosi alla vista dei suoi occhi lucidi e di una lacrima, illuminata dalla luna, che le rigava la guancia - Abbiamo tutto il tempo che vuoi -
Angelica sorrise, asciugandosi la guancia con il dorso della mano - Grazie -
- Se hai bisogno di qualcos'altro non esitare a chiedermelo. Non mi piace veder piangere le belle ragazze, specialmente se quella bella ragazza sei tu -
La mora sorrise nuovamente - Mi stai dando per caso della bella ragazza? -
Annuì " Non ho mai visto una ragazza che sia più bella di te" pensò.
- Potrei pensare che tu ci stia provando con me -
Alzò le spalle - Dipende -
- Da cosa? -
- Accetteresti? -
La ragazza sorrise ed aspettò qualche secondo prima di rispondere - Sì, cederei alle tue avance -
- Ed accetteresti di uscire con me domani sera? -
- Dipende - lo imitò lei con un sorriso.
- Da cosa? - sussurrò facendosi ancora più vicino.
- Dove mi porti? -
Ghignò - Sorpresa -
Angelica sorrise, avvicinandosi. Ora erano a pochi centimetri di distanza, poteva vedere i suoi occhi verdi riflettere le stelle.
- Adoro le sospese - sussurrò la mora passandosi in modo sensuale la lingua sulle labbra, inumidendole.
- Accetti? - sussurrò avvicinandosi ancor di più al suo viso.
- Sì -
***
Socchiuse gli occhi, agitata. Pochi centimetri dividevano le loro labbra.
- Posto perfetto per il primo bacio - disse una voce.
Si staccò, imbarazzata come non mai, e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, voltandosi verso la fonte della voce.
- Che ci fai qui Luca? -
Il ragazzo si avvicinò piano, le mani in tasca e un’espressione strafottente stampata sul volto.
- Non si saluta più come si deve, amore? -
- Non chiamarmi così - sibilò.
- Oh, ciao novellino - disse il moro rivolto al ragazzo al suo fianco.
Matteo non si mosse di un millimetro, ma lo sentiva respirare forte.
- Cosa ci fai qui? - ripeté trattenendo la rabbia.
- Passavo...ho visto la tua auto e...pensavo di poter fare quattro chiacchiere -
- Mai - sussurrò - E comunque ce ne stavamo andando...-
- Oh no tesoro mio, tu non vai da nessuna parte...vero ragazzi? - domandò Luca, voltando appena la testa, e subito, alle sue spalle, sbucarono tre ragazzi, con il buio non riusciva a distinguere i tratti del viso, ma erano alti e ciascuno impugnava qualcosa.
Matteo le prese dolcemente la mano e la spostò dietro di se - State lontano da Angelica o ve ne pentirete -
Il ragazzo dai capelli corvini rise in modo accattivante, guardando uno a uno i suoi scagnozzi, che risero forzatamente assieme a lui - Sentito ragazzi? Al novellino non hanno insegnato a rispettare...i superiori -
Strinse i pugni e tornò davanti a Matteo - Ah e tu saresti il superiore? -
- Ma certo amore - sussurrò lui, con la lieve luce della luna si poteva vedere il suo stupido sorriso da bullo - Ed ora vieni con me -  
- Nemmeno morta - sibilò mentre Matteo la mise di nuovo al riparo.
- Ragazzi, allontanate il guastafeste e dategli una bella lezione -
I tre risero lievemente e si avvicinarono agitando le spranghe. Matteo diede un pugno a quello che riconobbe come Alberto, un compagno di calcio di Luca, che cadde a terra, rialzandosi subito dopo.  
- Lasciatelo stare! -
Gli altri due riuscirono a non farsi colpire e ad allontanare il ragazzo da lei. Il cuore sembrò fermarsi quando sentì Matteo gemere dal dolore e al rumore delle mazze che lo colpivano.
- Basta! BASTA! - urlò scaraventandosi contro uno dei ragazzi, afferrandogli i capelli e prendendolo a pugni sulla schiena. Avrebbe continuato se Alberto non l’avesse presa per le spalle e lanciata all’indietro.
- Lasciatelo stare! - urlò ancora, sdraiata sull’erba verde, leggermente umida, guardando poi Luca, in piedi, giunto subito al suo fianco.
Il ragazzo si mise sopra di lei e le bloccò le braccia con una mano, mentre l’altra andava subito alla cerniera del giubbotto - Rilassati tesoro, questione di poco tempo -
Si lasciò sfuggire un singhiozzo - Alla faccia che volevi di nuovo la mia amicizia...-  
- Già, ma sai...Angelica...mi sono stufato di aspettare i tuoi comodi - disse lui aprendole completamente il giubbotto, passando poi ai jeans.
Iniziò a divincolarsi come una furia, cercando di liberarsi - Matteo! Matteo! -
Sentì dei gemiti, il rumore delle nocche che incontrano la carne e qualcuno che cadeva a terra con altri lamenti. Luca si impossessò delle sue labbra e cercò immediatamente di staccarsi, scrollando la testa a destra e sinistra ed agitando le gambe.
Il ragazzo si staccò, sorridendo - Hai paura adesso? -
Non lo sentì nemmeno.
Osservava un altro ragazzo lì accanto, che ciondolava appena per i colpi che aveva ricevuto - MATTEO! -
Matteo afferrò Luca per il colletto della giacca e lo alzò da lei, gli diede un paio di pugni nello stomaco e uno in viso.
Luca gemette per il dolore portandosi le mani al naso che, probabilmente, aveva preso a sanguinare.
Si mise in ginocchio senza staccare gli occhi da Matteo, con il viso sporco di sangue, che lasciò andare il ragazzo dai capelli corvini dopo avergli dato un altro pugno nello stomaco.
- Ragazzi - disse Luca indietreggiando sui talloni, per poi alzarsi in piedi non appena fu a qualche metro di distanza da Matteo, fulminandolo con il suo sguardo di ghiaccio - Andiamo via -
Gli altri ragazzi si alzarono da terra e fuggirono di corsa con il loro capo, sparendo nel nulla.
- Angelica... - sussurrò Matteo avvicinandosi appena.
- Oh Dio Matteo - sussurrò piano alzandosi da terra, prendendogli subito il viso tra le mani - Stai bene? -
- Meglio di quei quattro idioti - rispose sorridendo.
Sorrise a sua volta, spostandogli i capelli castani dal viso sporco di sangue - Grazie -
- Tu stai bene? -
- Sì, sto bene...grazie a te - disse passandogli poi un braccio intorno alla vita - Ce la fai a camminare? -
- Penso di si -
Camminarono lentamente verso la macchina, e più di una volta rischiarono di cadere a terra. Le lacrime minacciavano di uscire come un fiume in piena ogni volta che Matteo gemeva piano per il dolore.
Giunti alla macchina, aprì la portiera del passeggero ed aiutò il ragazzo a sedersi, poi fece il giro e si mise al volante, fece retromarcia e poi ripartì verso casa agli ottanta all’ora, stringendo forte il volante - È tutta colpa mia - sussurrò - Solo mia -
- Non è colpa tua -
- Sì invece, avrei dovuto cedere...andare da lui, così non ti avrebbe picchiato -
- Mi avrebbero picchiato comunque...è da lunedì che mi fulmina con lo sguardo -
- Ok, adesso ti porto a casa mia...perchè...se ti riporto a casa tua in questo stato tua madre mi fucila -
- Non è niente Angelica, lasciami pure a casa mia -
- Matteo sei...coperto di sangue - sussurrò respirando affannosamente, svoltando nella via dove abitavano.
- ¾ del quale non è mio -
- Non me ne frega niente! - urlò fermando la macchina appena fuori dal cancelletto - Adesso tu vieni dentro -


Aprì la porta d'entrata con una mano, spingendola con tutta la forza che aveva, cercando di sorreggere anche Matteo.
- Ok ci siamo...resisti - sussurrò entrando nell'ingresso, sommerso nel buio, richiudendo la porta con un calcio.
Il ragazzo si accasciò su di lei, che, lentamente, dovette farlo sedere a terra.
Gli prese la mano e la strinse appena - Matteo...dobbiamo salire in camera mia - sussurrò dolcemente togliendogli i capelli dalla fronte. Lui annuì e si rialzò in piedi con orgoglio, come se fosse un principe ferito in un duello.
Tenendogli sempre un braccio intorno alla vita, salirono lentamente la grande scalinata, gradino per gradino, con Matteo afferrato saldamente alla balaustra; poi, finalmente, raggiunsero la sua stanza con il respiro affannato.
Fece sedere il ragazzo sul letto e rimase in piedi davanti a lui - Ok, devi togliere la giacca e...la maglia -
Il moro obbedì immediatamente, togliendosi lentamente sia la giacca sia la maglia; lei le prese e le buttò in un angolo.
- Forse hai...un paio di costole rotte - sussurrò guardandogli il petto scolpito, le braccia forti segnate qua e là da qualche taglio e un paio di lividi scuri, gli addominali perfetti, segnati da un taglio superficiale, ed infine i fianchi.
Allungò una mano sfiorando un livido rosso su due costole e il ragazzo strinse i denti tenendo i muscoli tesi.
- Sono solo incrinate per fortuna - annunciò ritraendo la mano - Vado a prenderti una benda...torno subito -
Uscì dalla stanza e scese di corsa le scale, iniziando poi a frugare nella mensola della cucina, estraendo un paio di lunghe bende arrotolate su se stesse a formare un piccolo fagotto.
Ritornò in camera, inciampando nei gradini della scalinata per la fretta, e si sedette accanto al ragazzo, che respirava forte.
- Farà un po' male - disse sinceramente - Ma non si può fare altro -
Matteo annuì - Stringi forte -
Prese la prima benda ed iniziò a fasciargli il busto, stringendo abbastanza forte per far tornare le costole come prima. Finita la prima, fece la stessa cosa con la seconda benda, fissandola infine con un piccolo nodo - Ecco, adesso puoi stenderti -
- Angelica...devo tornare a casa -
Scosse velocemente la testa, spingendolo contro il materasso - Non ti lascio in questo stato...già ho i sensi di colpa per... -
- Sto bene -
- Non dovresti nemmeno muoverti, altrimenti peggiorerai la situazione! E adesso togliti le scarpe e sdraiati! -
Matteo sorrise cercando di sdrammatizzare la situazione, si tolse le scarpe e si sdraiò poi sul letto.
- Aspetta un attimo - sussurrò passandogli una mano sulla guancia.
Uscì nuovamente dalla camera, attraversò in fretta il corridoio ed aprì la porta del bagno spingendola con la mano. Aprì il rubinetto dell'acqua calda, prese un piccolo asciugamano e lo bagnò leggermente. Chiuse poi il rubinetto e ritornò in camera, inginocchiandosi accanto al ragazzo, iniziando a togliere il sangue che gli sporcava il viso, passando poi ai taglietti sulle braccia e quello sul ventre. Arrossì per quel contatto.
- Beh, puoi...dormire qui se vuoi -
- Allora ti lascio il letto...-
- Scordatelo, vado a dormire nella camera degli ospiti - sussurrò finendo di togliere il sangue, sedendosi poi sul letto, accanto al moro - Credo sia il minimo che io possa fare dopo...quello che hai fatto per me -  
- Angelica, dovresti smetterla di commiserarti. Mi avrebbero picchiato comunque - sottolineò il ragazzo prendendole la mano - Tu non centri niente -
Sospirò, alzandosi in piedi - Meglio che ti riposi e che chiami tua madre...non so...dille che sei rimasto a dormire da un amico -
Fece per uscire dalla camera, ma Matteo le prese la mano, trattenendola - Resta, per favore -
Sorrise e si sedette di nuovo sul letto, si sporse appena verso di lui e lo abbracciò subito dopo. Sentì il ragazzo irrigidirsi, ma poi sembrò sciogliersi e ricambiare l’abbraccio - Mi dispiace...- sussurrò ancora - Mi dispiace -
- Non hai niente di cui dispiacerti - le rispose lui, accarezzandole piano la testa.
Arrossì ancora di più quando sentì il ragazzo che la faceva stendere al suo fianco, ma non oppose resistenza.
- Tranquilla, non ti mangio -
Sorrise - Lo spero bene - sussurrò slacciando le scarpe e lasciandole in parte al letto, e poi coprì entrambi con la coperta. Arrossì ancora di più pensando che pochi centimetri li dividevano. Si voltò dall’altra parte “ Non puoi lasciare che succeda ancora” disse la vocina dentro di lei “ Non ricordi quello che è successo a Manuel? Quello che ha fatto perché ti amava?”
Prese un profondo respiro e chiuse gli occhi.
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Sabato 14 maggio 2005
Manuel, seduto sul marciapiede in parte al cancelletto, si alza non appena esco dall'auto. Ringrazio l'autista che ripartì non appena chiudo la portiera della lussuosa Mercedes.
- Che ci fai qui? - chiedo tenendo una mano al fianco. Manuel non deve vedere che sono ferita, altrimenti farà un sacco di storie.
- Ti aspettavo -
Sorrido - L'avevo notato, dato che sei seduto davanti a casa mia - sussurro sorridendo, mentre mi avvicino al cancelletto cercando le chiavi nelle tasche - Vuoi entrare? -
Il biondo annuisce ed entriamo in casa.
Appoggio la katana da una parte e, tenendomi ancora la mano sul fianco, andiamo in cucina, accomodandoci a tavola.
- Che c'é Manuel? -
Il biondo sorride ancora una volta, facendomi sciogliere il cuore - Volevo parlare con te di una cos...Angelica, sei ferita -
Stringo ancora di più il fianco, facendomi male - Non é niente, continua pure -
- Angelica, fammi dare un'occhiata, non studio medicina per niente - disse lui, alzandosi in piedi e tendendo una mano verso di me, sfoggiando un supersorriso - Forza, stenditi -
Accetto l'aiuto, mi alzo in piedi ed andiamo in camera mia, dove mi fa stendere sul letto - Sai che sono una sedicenne spericolata -
- Alza un po' la maglia -
Ubbidisco mentre lui esce dalla stanza, forse per andare in bagno in cerca di qualche crema, ed infatti, ritorna nella stanza con un paio di tubetti e una benda.
- Brucerà un po' - sussurra lui, iniziando a spalmarmi una crema sul fianco. Arrossisco per quel contatto e mi sento stupida per questa reazione.


- Ecco fatto - sussurra Manuel sfiorandomi il fianco fasciato - Così non dovrebbe fare infezione, ma dovresti farti controllare comunque da Marco -
Lui sposta appena la mano, mi accarezza la pelle non fasciata, ed apro gli occhi, osservando il ragazzo che sembra incantato.
- Manuel? Cosa... -
Nemmeno il tempo di concludere la frase, che il biondo appoggia le labbra sulle mie, cercando di farmele schiudere per approfondire il bacio.
Rimango un attimo stupita, ma poi cedo e ricambio, sentendo subito la sua lingua che gioca con la mia.
Il ragazzo si stende sopra i me senza smettere di baciarmi e mi toglie la maglia, seguita dalle scarpe, calze e pantaloni.
So quello che vuole fare, ho paura, ma non voglio fermarlo.
Gli tolgo la maglietta con mani inesperte, poi lui, impaziente si toglie tutto il resto.
- Manuel - sussurro tra un bacio e l'altro al ragazzo che sta per togliermi il reggiseno - Io non...-
- Non preoccuparti - sussurra baciandomi ancora, togliendo l'indumento - Sei bellissima -
Deglutisco non appena le sue mani scendono all'ultimo indumento, che quasi mi strappò di dosso.
- Sei sicura? -
Annuisco, prendendogli le spalle.
- Farà un po' male - dice lui.
Poi il dolore e un uragano di emozioni accompagnate da due parole sussurrate di tanto in tanto da Manuel: Ti amo.

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Si svegliò come sempre all'improvviso per quei ricordi che non la lasciavano mai in pace.
Fece per alzarsi, ma un braccio attorno alla sua vita glielo impedì. Si rigirò allora nel letto, ritornando ad un soffio dal ragazzo, che dormiva tranquillamente tenendola stretta a se come se fosse un peluche. Sorrise appena, ed allungò la mano verso il suo viso, sfiorando il taglio sullo zigomo. Matteo aprì gli occhi e lei sussultò, ritraendo la mano.
- Ehi - sussurrò lui togliendo il braccio al suo fianco.
- Scusami, ti ho svegliato -
- Non importa -
Scivolò fuori dal letto e rimase in piedi accanto al letto, sorridendo al ragazzo - Vado nella stanza qui accanto...se hai bisogno puoi chiamarmi senza farti riguardo -
Matteo, con espressione un po' delusa, annuì.
- Buona notte - sussurrò uscendo.
- Cos’è che ti fa soffrire Angelica? -
Si bloccò sulla soglia della porta, colpita dalle parole di lui - Niente - sussurrò voltandosi verso il ragazzo.
Il moro si tolse le coperte di dosso con una smorfia di dolore sul volto, e si mise a sedere sul bordo del letto - Mi sono bastati un paio di giorni per capire quando menti Angelica -
- Matteo, ti prego...-
Lui sospirò, alzandosi in piedi - Hai ragione scusami, io non so proprio niente di te...in fondo, ci conosciamo da soli cinque giorni -
- Non è questo il punto -
Il ragazzo, con una smorfia sul volto, raccolse le sue cose da terra, infilandosi subito, e con difficoltà, la maglia, leggermente sporca di sangue.
- Matteo -
- Forse è meglio che vada - disse ancora il moro trattenendo un lamento quando tentò di infilarsi la giacca.
Si avvicinò a lui, prendendogli dolcemente la mano, portando il viso ad un soffio dal suo - Ti prego, non andare -
Matteo la guardò per un lungo istante negli occhi, poi sembrò cedere e si risedette sul letto, togliendosi nuovamente la giacca.
- Mi prometti che non te ne andrai di soppiatto? -
Lui sorrise - Promesso -
Si avvicinò lentamente e gli diede un bacio sulla guancia - Buona notte -
- Buona notte Angelica -
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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Sabato, 14 febbraio 2009 ***


Sabato, 14 febbraio 2009

Aveva dormito poco niente quella sera, tre o quattro ore, non di più, per il resto era rimasta sotto le coperte del letto nella stanza degli ospiti, che sua madre chiamava tranquillamente “Camera di Elisabeth", fissando il bianco soffitto.
Guardò l'ora sula sveglia posta sul comodino lì accanto che segnava le 6.30
Sospirò e scese dal letto, stiracchiandosi le braccia, poi si spogliò degli abiti che indossava l'altra sera e prese una grossa maglia di suo padre dall'armadio, che le arrivava fin sopra al ginocchio, e la infilò.
Uscì dalla stanza e, in punta di piedi, attraversò il corridoio fermandosi sulle scale per lanciare un’occhiata alla sua stanza, dove Matteo dormiva ancora.  
Scese in cucina svogliatamente, trascinando i piedi, e si abbandonò subito su una sedia osservando il cielo scuro fuori dalla finestra, gli uccelli che cinguettavano piano volando dal ramo di una pianta ad un altro, scossi dal gelido vento della mattina. Sbadigliò alzandosi di nuovo in piedi, prendendo una bottiglia di succo di frutta all’arancia dal frigorifero e ne bevette un paio di bicchieri.
Si sdraiò sul divano, incrociò le braccia e prese ad osservare il soffitto. Sbadigliò strofinando la testa contro il soffice cuscino del divano.
“ Ma sì...mi riposo gli occhi per cinque dannati minuti” pensò.
***
Socchiuse gli occhi, mettendo a fuoco il soffitto della stanza di Angelica, e si mise a sedere subito dopo.
Cercò di ricordare il motivo per cui era lì, e subito riaffiorarono i ricordi dell’altra sera. Si tolse le coperte di dosso e si toccò piano le costole, che facevano ancora un male cane.
Guardò il cellulare nella tasca dei jeans, che segnava le 8.07
Si mise le scarpe, prese la giacca ed uscì dalla stanza, camminando piano per il corridoio. Lanciò uno sguardo nella stanza accanto, sperando di trovare la ragazza, che però non c’era. 
“ Probabilmente è in cucina” pensò iniziando a scendere piano le scale, stiracchiando le braccia.
Finita l’enorme rampa di scale, spinse appena la porta della cucina, leggermente socchiusa e sorrise, alla vista di lei, sdraiata sul divano, con gli occhi chiusi, le braccia incrociate sul petto, che indossava solamente una maglietta a maniche corte, il doppio della sua taglia e che le arrivava fino alle ginocchia.
Arrossì, schiarendosi piano la voce - Angelica? -
Angelica aprì gli occhi e puntò lo sguardo su di lui, sorridendo subito dopo - Ehi -
Sorrise a sua volta, rimanendo sulla porta della cucina - Ciao -
- Stai meglio? - domandò lei mettendosi a sedere.
- Sì, grazie -
- Ehm...- balbettò lei cercando di allungare la maglia ancor di più - Vuoi...qualcosa? -
Cercò di non pensare male a quella richiesta - Eh...no grazie -
- Ah, ok -
- Credo sia meglio che vada a casa -
La ragazza annuì, alzandosi in piedi - Ci...vediamo lunedì -
- A lunedì - disse sorridendole ancora, tornando poi nell’ingresso - Sperando che Elisabeth si dimentichi del giro in centro città -
La mora sorrise e si avvicinò silenziosamente - Credo sia impossibile, ma spero che le mie cadute sui roller ti tirino un po’ su il morale -
Ghignò appena - È vero...- sussurrò - ...lunedì c’è la lezione con i roller -
Angelica annuì, premendo un bottone vicino al citofono.
- Non vedo l’ora - disse aprendo la porta - Ciao - 
***
Chiuse la porta e tornò in cucina. Schioccò il collo accendendo la tv su un canale a caso e si sdraiò nuovamente sul divano.
Sul canale 8 trasmettevano un telegiornale locale, che parlava della donna che aveva ucciso i due turisti inglesi, ai quali si è aggiunta una terza vittima, un barbone, ritrovato sgozzato sulla panchina di piazza Indipendenza, un piccolo parco nei pressi di Ponte Nuovo del Popolo. Socchiuse gli occhi mentre il conduttore continuava a parlare di altre notizie, fino ad arrivare alle “stranezze del giorno”.
- Un giovane, giovedì scorso, trovatosi nei pressi del ponte, ha filmato con il suo cellulare uno strano essere che si aggirava nel buio - disse il presentatore, e subito dopo partì un video, dove, nell’oscurità, si  poteva notare facilmente un essere grosso essere dalle braccia esageratamente lunghe. Il video tremò non appena quella cosa puntò gli occhi verso l’obbiettivo, ed infine il video si interruppe dopo il rombo del motore di una macchina - Il ragazzo dice di essere fuggito a gambe levate alla vista di quella cosa, ora è ricoverato nell’ospedale di Borgo Roma in stato di shock. Sarà un alieno? Un altro ragazzo che andava a spaventare un po’ di gente? Un demone sbucato dall’inferno? Chi lo sa...ed ora passiamo allo sport...-
Spense la tv e si mise a sedere, scandalizzata - Hanno filmato il demone che ho ucciso giovedì mattina -   
Corse in camera, inciampando persino nelle scale, prese il telefono e compose il numero di Beatrice.
- Ehi Angi -
- Beatrice...sul telegiornale...-
- Video del demone che hai ammazzato giovedì -
Annuì senza rispondere alla bionda dall’altro capo del telefono - Che succede lì? -
- Oh beh...hanno sborsato un po’ di soldi ed hanno già fatto sparire il video -
- Il ragazzo che l’ha visto? -
- L’hanno fatto secco -
- BEATRICE!!! - urlò stringendo i pugni. 
- Cristo Santo Angelica, cosa diavolo urli? Hanno pagato un medico che ha drogato il ragazzo e gli racconteranno una balla -
Sospirò - Merda, adesso si creeranno quei cazzo di forum su quella creatura e gruppi di fanatici che andranno in giro con telecamera e vari aggeggi per riprenderne un’altra -
- Già, beh...probabilmente chi creerà il forum si troverà un paio di virus che cancellino tutto, e per quanto riguarda i fanatici alla ricerca di demoni e fantasmi...beh...spero che incontrino te e che ti facciano un’intervista -
Sbuffò sonoramente - D’accordo, ci vediamo più tardi per l’allenamento dei novellini -
- Ah, ecco perché c’è gente che va avanti e indietro con i popcorn -
- Non avranno nessun spettacolino oggi - disse mettendosi le mani sui fianchi - Devo solo mettere alla prova le matricole -
- Glielo riferirò, ciao -
- Ciao -
***
Aprì la porta di casa e fece quasi un infarto alla vista di Sonia, con in braccio un gatto dal pelo nero come la pece che nascondeva la testa appoggiata al collo della bambina.
- E quello?- domandò chiudendosi la porta alle spalle.
- Quella vorrai dire - disse la sorella prendendo la gatta e porgendogliela - L'ha portata a casa la mamma -
La palla di pelo nera lo guardava a malo modo con quegli strani occhietti verdi, leggermente socchiusi.
- Che c'é da guardare? - domandò appendendo la giacca all'attaccapanni, riprendendola subito dopo ricordando che era sporca di sangue.
La gatta, per tutta risposta, emise un dolce miagolio, allungando le zampe verso di lui, estraendo appena gli artigli.
- Come l'hai chiamata? -
- Artemide! -
Si diede una sberla in fronte, andando in cucina - Perché hai dato a quella palla di pelo il nome di una dea greca?-
- Embé? Che c'é di male? Il gatto é mio e lo chiamo come voglio...volevi per caso un nome come Mrs Pur? Battuffolina? - domandò la bambina mettendo a terra Artemide - E poi le piace, se la chiamo si gira! Guarda...Artemide! -
La gatta si voltò verso la bambina, sedendosi a terra e muovendo la coda a destra e a sinistra
- Visto? Che hai fatto alla faccia? - domandò la bambina, notando i piccoli tagli che aveva sul viso - E dove sei stato ieri notte? Questa mattina non eri nel tuo letto -
Sospirò, alzandosi in piedi - Ho dormito a casa di un amico e per la faccia sono solo...caduto -
- Ah - sospirò a sua volta la bambina - Chiamo la mamma? -
- No Sonia, non é niente...- disse alzandosi dalla sedia - Adesso vado in camera a dormire un altro po' -
- Perché? Non hai dormito a sufficienza dal tuo amico? - chiese Sonia - O questo tuo amico é una ragazza -
- Non ho dormito a casa di una ragazza, ma di un mio amico - mentì - E poi sono stanco, vado a stendermi e leggere un libro -
- Ok - sussurrò la bambina - Tanto io e mamma andiamo fuori -
Annuì ed uscì dalla cucina, salendo lentamente le scale, giungendo nella sua grande camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Il letto matrimoniale in legno, al centro della stanza, era in perfetto ordine, le bianche lenzuola profumavano di lavanda, sua madre adorava quel profumo, e ai lati aveva due piccoli comodini; di fronte ad esso, l’armadio in legno scuro che aveva un’anta leggermente aperta, poi alcune mensole appese al muro cariche di libri e, sotto la finestra, la scrivania, dove il computer portatile era sommerso da un mucchio di libri aperti.  
Si mise a letto, rimanendo fermo come una mummia per via delle costole, ancora doloranti.
- Tesoro, noi andiamo - urlò sua madre, che probabilmente era all'ingresso.
- Sì...- sussurrò appena girandosi nel letto, osservando la porta chiusa.
- Lasciamo Artemide girare per la casa, ogni tanto dalle un’occhiata...Oh, sta venendo su! Ciao! - urlò la bambina. Ed infine si udì la porta all’ingresso chiudersi con un tonfo, e nella casa regnò il silenzio.
La porta della camera si socchiuse con un cigolio e, con la coda dell'occhio, vide Artemide sulla porta, che lo guardava con la testa leggermente piegata.
- Ehi, fuori palla di pelo, vai a giocare da un’altra parte -
La gattina non si mosse di un millimetro, emise solo un luogo miagolio, tentando forse di dissuaderlo.
- No... -
Altro dolce miagolio.
- Uffa, entra...dai un'occhiata in giro e poi fuori, ok palla di pelo? -
Artemide miagolò ancora ed entrò nella camera, sedendosi sulla porta, osservando quello che la circondava con quegli strani occhi verdi; poi si rialzò e raggiunse il suo letto con passo felpato e ci saltò su, sedendosi ancora una volta.
Socchiuse gli occhi - So cosa vuoi fare, ma no -
La gattina miagolò, avvicinandosi a lui, facendo le fusa, e strofinò la sua testa sul suo petto.
Sorrise - Ok ok...palla di pelo -
Artemide si sdraiò vicino a lui, appallottolandosi, formando una vera e propria palla di pelo. Le accarezzò la testa, chiudendo gli occhi. 
***
Varcò l’entrata dell’Agenzia.
Un mucchio di persone andavano avanti e indietro per i corridoi, altri erano fermi nella zona relax a prendersi del caffè dai distributori automatici, e tutti la salutarono esclamando “ Ehi 33” o “ Ci aspettiamo un po’ di sangue oggi”.
- Cristo Santo - sussurrò entrando nell’infermeria, dove Marco e Beatrice alzarono gli occhi su di lei - Ma che cazzo succede? -  
- Agitazione per l’addestramento - sussurrò il Lumpa Lumpa, chino su un demone artificiale steso sul lettino, morto, con un lungo braccio che penzolava nel vuoto. 
- Giuro che mi licenzio se mi fanno mettere alla prova altri novellini in futuro. Tra quanto devo andare? -
- Oh...- sussurrò la bionda, pulendosi le mani sporche di sangue sul camice - Ti chiamo io, non ti preoccupare -
- Ok, vado a prendermi un caffè - disse uscendo, facendo un piccolo gesto della mano come segno di saluto.
Camminò per un piccolo tratto di corridoio, ma si bloccò alla vista di un giovane che sbucava dall’altro corridoio. Gli diede le spalle, sperando che il ragazzo dai riccioli scuri e gli occhi azzurri non l’abbia notata.
- Oh! Mon chéri! Mon amour! - 
“ Cristo...mi ha visto” pensò voltandosi verso il ragazzo - Ciao Alberto -
- Volevi scappare da me, n'est-ce pas? -
- Oh oui, mi hai beccata - sussurrò mettendosi le mani in tasca - Ora scusami, ma ho un sacco di cose da fare, quindi... - aggiunse cercando di svignarsela, ma Alberto la prese dolcemente per un braccio.
- Oh no mon amour - disse lui facendola voltare - Adesso andiamo a prenderci un caffè insieme -
Sorrise - Tra un po' ho l'addestramento dei novellini -
- Ti rubo solo cinque minuti non ti preoccupare - rispose il moro facendole l'occhiolino.
Sospirò in segno di resa - D'accordo, solo cinque minuti -


Si sedette sul tavolo della cucina, mentre Alberto prendeva il secondo bicchiere di caffè appena preparato dalla macchinetta, porgendoglielo subito dopo.
- Ho sentito del demone di giovedì - iniziò il ragazzo sedendosi accanto a lei - É quella che ha ucciso l'agente 34? -
Sospirò, soffiando lievemente per far raffreddare il caffè - Sì, proprio lei -
Lui bevette un sorso del suo caffè e mosse appena la testa - Te la sei cavata con un bagno -
- Un po' troppo freddo per i miei gusti - rispose con un lieve sorriso - Comunque, a te com'é andata questa settimana? -
- Horrible - rispose in francese il moro riavviandosi all'indietro i capelli con nonchalance - Gli inglesi sono così stupidi, pensano che un po' di aglio tenga lontano la marea di demoni che ci sono nei paraggi di Londra...tse, i loro stupidi libri sul vampirismo -
- Non ci finanziano più? - domandò sorpresa finendo il caffè - Eppure il Regno Unito é lo stato che ha sempre investito denaro nella nostra organizzazione perché loro...-
- ...hanno il maggior numero di vittime dovuti ad attacchi dei demoni, sì, sì...solo che vogliono fondare un'Azienda tutta loro, dicono che i nostri metodi sono...très violent -
Ghignò - Ritorneranno a finanziarci non appena vedono che i paletti di legno non funzionano con tutti -
Alberto ghignò allo stesso modo - Non arriveranno mai al nostro livello -
- Come possono? La nostra azienda va avanti da quasi trecento anni - disse buttando il bicchiere vuoto nel cestino in parte al distributore - Meglio che vada a cambiarmi, l'allenamento dovrebbe cominciare tra poco, e Beatrice mi starà cercando -
Alberto accavallò le gambe - Falli fuori tigre -
Inarcò un sopracciglio, mettendosi le mani sui fianchi - Alberto...devo solo metterli alla prova -
Lui sorrise - Fai in modo non rovinarti quel bel faccino, altrimenti sarò molto, molto triste -
Gli diede le spalle, mandandolo a quel paese con un gesto - Ma sta zitto una buona volta -
Imboccò corridoi su corridoi, incrociando di tanto in tanto qualche agente.
“ Chissà come sta Matteo” pensò, spaventandosi a morte non appena qualcuno urlò il suo nome.
- Ehi Angelica! Ti ho cercata per tutta l’azienda! -
Si voltò verso la voce alle sue spalle e sorrise immediatamente a Beatrice, che le correva incontro.
- Ehi...- sussurrò lei con il fiatone non appena la raggiunse - I novellini ti stanno aspettando in palestra, dovresti andare a cambiarti i vestiti...nello spogliatoio troverai la divisa degli allenamenti -
- D'accordo - sussurrò voltandosi dall'altra parte - Grazie Beatrice -
***
Socchiuse gli occhi non appena sentì Artemide strofinare la testa contro la sua. Si mise a sedere, allontanando appena il gatto che emise un piccolo miagolio. Si voltò a guardare i suoi verdi occhi felini, che gli ricordavano quelli di Angelica.
- Aspetta, ieri sera le avevo chiesto davvero di uscire - disse, ricevendo come risposta un altro miagolio - E lei aveva accettato -
Artemide si appallottolò su se stessa, ritornando a dormire.
- Dovrei ricordarglielo? -
Altro piccolo e dolce miagolio.
- Hai ragione -
Prese il cellulare e cercò il numero di Angelica nella rubrica.
***
Lo spogliatoio era vuoto.
Entrò nella piccola stanza quadrata, piena di armadietti in metallo con sopra un numero, al centro c’erano alcune semplici panche in legno. Si mise davanti all’armadietto numero 33 e lo aprì con un cigolio.
All'interno, come le aveva detto Beatrice, c'era la divisa degli allenamenti, che consisteva in una maglia senza maniche nera e un paio di pantaloncini dello stesso colore, era pulita ed appesa ad un piccolo gancetto; mentre in fondo, in un angolo c'erano un paio di scarpe da ginnastica. Afferrò tutto e richiuse l'armadietto subito dopo, cercando di non guardare una foto di lei e Manuel appesa all'interno. Si tolse la giacca e l’appoggiò sulla panca, e fece lo stesso con il cellulare.
Si sfilò la felpa dalla testa, la piegò per bene e, riaprendo nuovamente l’armadietto, la sistemò all’interno dell’armadietto, facendo lo stesso con i jeans, richiudendo immediatamente la piccola anta di ferro.
Voltò lo sguardo verso il cellulare, che prese a vibrare sulla panca, lo afferrò e sorrise alla vista della persona che la stava chiamando - Pronto? -
- Ehi, ciao Angelica -
- Ciao Matteo -
- Sbaglio o avevi accettato di uscire con me questa sera? -
Sorrise, attorcigliandosi un piccolo boccolo ribelle attorno all'indice - Non sbagli, a che ora vuoi uscire? -
- Alle otto sarò sotto casa tua, d’accordo? -
- Ottimo, solo una cosa...devo vestirmi in modo elegante? -
- Puoi metterti qualsiasi cosa tu voglia -
Sorrise - Ok, alle otto -
- Alle otto -
Riattaccò, sorridendo come un’idiota “ Oh Dio Angelica, stai partendo per il Paese delle Meraviglie” pensò, mettendo il cellulare nell’armadietto. Si vestì velocemente, ed uscì dallo spogliatoio, sperando di non incontrare nessuno che le facesse apprezzamenti sconci. Entrò nella palestra priva di attrezzatura, attirando l'attenzione dei tredici uomini, in piedi, al centro della stanza, che si erano voltati di scatto, sorridendo sotto i baffi. Dodici matricole superavano i venticinque anni, ed erano grandi, grossi e muscolosi, soltanto uno era un giovane ragazzo, che teneva la testa bassa, visibilmente imbarazzato, probabilmente della sua stessa età, alto quasi quanto gli altri, ma non muscoloso quanto loro.  
- Bene - iniziò mettendosi velocemente davanti a loro, con le mani sui fianchi - Iniziate con il riscaldamento: trenta giri di corsa -
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Fermò la combriccola dei tredici uomini, che ritornarono davanti a lei, formando una fila.
Nella palestra ora si era radunata un po’ di gente: alcuni agenti erano in piedi in un angolo della palestra, o seduti per terra, che la guardavano, nell’attesa che cominciasse a combattere; ed infine, i tre reclutatori.
- Bene - sussurrò camminando avanti e indietro davanti ai novellini, con le mani dietro la schiena - Allora, vi sembrerà stupido dato che voi siete degli armadi a muro e io una ragazzina la metà di voi...anzi, la metà della metà; ma il test consiste nel riuscire a bloccarmi o mettermi al tappeto, d’accordo? -
Tutti esclamarono un sì in coro.
- Chi é il primo? - domandò puntando poi lo sguardo su un uomo grande e grosso, che si schioccò le dita dopo aver fatto un passo avanti. Sorrise lievemente " La cosa si fa interessante"
L'uomo, con un paio di passi, si era sistemato davanti a lei, a qualche passo di distanza; poi, senza nessun preavviso, le si scaraventò contro, con le grosse braccia tese in avanti. Con le mani in tasca, lo schivò senza problemi con un ghigno.
- Sei talmente lento che anche mia nonna riuscirebbe a superarti -
Gli spettatori e gli altri novellini risero, eccetto il ragazzo.
L’uomo attaccò ancora, stringendo i denti. Lo schivò ancora, facendolo cadere faccia a terra con un calcio nel sedere.
- Fuori di qui - sussurrò, facendo segno ad un altro di avvicinarsi.
L’uomo grande e grosso, con aria offesa, uscì dalla palestra. Le altre matricole si guardarono, ma solo uno si fece avanti: il ragazzo.
- Bene, vieni - sussurrò facendolo avvicinare con un gesto della mano - Pronto? -
Il ragazzo si riavviò i capelli biondi, quasi bianchi, all’indietro, guardandola con quegli strani occhi azzurro ghiaccio.
Il novellino attaccò con velocità sorprendente e lei schivò per un soffio il suo pugno, indietreggiando appena.
“ Ma chi è questo ragazzo?” si domandò tra se e se, schivando i colpi del biondo ogni volta come maggior difficoltà.
Trattenne un lamento non appena fu colpita allo stomaco, piegandosi appena, e nella palestra calò un silenzio di tomba. Si raddrizzò di nuovo, sorridendo “ Ora ci divertiamo”
Stavolta fu lei ad attaccare, costringendo il ragazzo ad indietreggiare, schivando ogni suo colpo. Un guizzo rosso negli occhi del ragazzo le alzare la guardia “ Questo ragazzo non è normale”
Il biondo, con uno scatto fulmineo, la prese per il collo, alzandola da terra.
Con la coda dell’occhio vide degli agenti, seduti nell’angolo della palestra, alzarsi ed avvicinarsi. Fece loro un gesto con la mano, bloccandoli - Non interferite - disse con voce soffocata. Gli agenti tornarono a sedersi con gli altri.
Boccheggiò appena e fece lasciare la presa al ragazzo con un calcio nello stomaco, facendolo cadere all’indietro. Il biondo si rialzò di scatto, pronto ad attaccare, ma lei abbandonò la posizione di difesa e gli fece un lieve inchino - Congratulazioni, Agente 137. Ora può tornare a casa -
Il nuovo agente le sorrise, ed uscì dalla palestra.
Con un gesto fece avvicinare un reclutatore - Cos’ha quel ragazzo? -
- È un mezzo demone, 33 -
Sorrise - Dovevo immaginarlo - disse, congedando subito dopo il reclutatore, facendo avvicinare un'altra matricola.
“ Spero di finire il più presto possibile” pensò, schivando un attacco.


Era ritornata a casa nel primo pomeriggio e aveva tentato di cucinare un piatto di penne, che inaspettatamente, erano venute fuori abbastanza bene. Si era poi buttata sul suo letto, immergendosi nella lettura del grosso libro che aveva iniziato qualche giorno fa, sperando di passare il tempo.
Guardò il display del cellulare: 19.04
“ Forse è meglio che cominci a prepararmi” pensò, mettendo il segnalibro alla pagina dove si era fermata.
Si alzò dal letto, stiracchiandosi le braccia, togliendosi poi i vestiti non appena fu in bagno.
“ Chissà dove vuole portarmi” pensò entrando nella doccia, girando la maniglia, e rimanendo sotto il caldo getto d’acqua “Ristorante? No, troppo romantico. Cinema? Mmm...forse. Night club?” si diede una sberla in fronte “ Camera sua? Magari...” pensò ancora, dandosi una seconda sberla sulla fronte “ Elisabeth mi sta contagiando con i pensieri sconci”
Il cellulare, sul lavandino, prese a suonare. Riconobbe subito la suoneria assegnata al numero di Elisabeth, allungò il braccio fuori dalla doccia, prese il telefono e rispose - Ehi Elisabeth -
- Angi!!! -
- Eli, senti...sono sotto la doccia -
Dall’altra parte silenzio assoluto.
- Eli? -
- Con qualcuno? -
- Cosa? -
- Sei con qualcuno sotto la doccia? -
- Che domande fai Elisabeth Hall!! È ovvio che sono da sola!!! -
Ancora silenzio.
- Ehi? -
- Ah...strano -
Sospirò - Perché strano? -
- Pensavo fossi con Matteo -
Arrossì, appoggiando una mano al muro - Cosa?! -
- Ieri sera eravate piuttosto...affiatati -
- ELISABETH! -
- Porca miseria, ma cosa urli? -
- Urlo finchè non la smetti di fare questi pensieri da ninfomane! -
- Ok, ok...scherzavo. Volevo fare quattro chiacchiere, ma visto che sei in doccia ti chiamo più tardi -
- Ehm...più tardi...esco -
- Esci? Con chi? -
- Con il mio amante! -
- AHHHHHHHHH!!!! E poi dici a me di non fare pensieri sconci!!! Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è??? -
- Sorpresa -
- Dai Angi! -
Ghignò - Ciao Eli...ci sentiamo domani -
- Dimmi chi è!!!!!!! -
- Un ragazzo -
- Fin lì ci ero arrivata dato che non sei lesbica. Tesoro...voglio il nome -
- Sto congelando...vado sotto l’acqua calda -
- NUOOOOOOOO!!! -
- Ciao - sussurrò riattaccando.
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Smise di canticchiare non appena udì il suono del campanello, che non era mai stato più bello.
A piedi nudi scese le scale di corsa finendo di abbottonarsi la camicia bianca, lasciando aperti i primi due, aprì la porta d’entrata e sorrise alla vista di Matteo, fuori dal cancelletto.
Premette il pulsante in parte al citofono e fece entrare il ragazzo, che la raggiunse in quattro e quattr’otto con un sorriso stampato sulle labbra. Indossava una camicia nera e un paio di jeans scuri, i capelli, spettinati come sempre, davano l’impressione di essere morbidi come seta, e i suoi occhi blu sembravano brillare come due zaffiri.
- Buonasera signorina Vetra -
Sorrise, facendolo entrare in casa - Buonasera signor Dall’Angelo - disse imitandolo. 
- Oh no, questa sera per voi sarò solo Matteo - disse lui, cercando di rimanere serio, senza successo.
Scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca - Dio mio Matteo, mi farai morire dal ridere prima o poi -
- Sei pronta? -
Abbassò lo sguardo sulla camicia bianca e sulla gonna nera che le arrivava appena sopra il ginocchio - Ehm...mi metto un maglione, le scarpe e sono subito da te -
Lui fece un lieve inchino - Ha tutto il tempo che vuole -   
Sorrise ancora una volta e corse su per la grande rampa di scale ed, arrivata nella sua stanza prese un maglione nero con la solita scollatura a V e lo infilò.
“ Beatrice ha ragione” pensò abbassando lo sguardo sul maglione “ Devo smetterla di comprare queste maglie!!”
Sospirò, guardando nel piccolo spazio dove nascondeva la sua katana, prendendo una scatola da scarpe.
- Chi se ne frega se non ci stanno con la gonna - disse aprendo la scatola e guardando un paio di scarpe Tiger, nere a strisce bianche. Le infilò, prese la giacca e scese di corsa, ritornando da Matteo, ancora in piedi all’ingresso.
- Andiamo? -
Sorrise quando lui le aprì la porta - Grazie - sussurrò
- Di niente -
Uscirono e raggiunsero l’Opel Corsa di Matteo, che partì subito dopo.
- Ho scordato di chiederti come vanno le costole -
- Stanno splendidamente -
“ Stai mentendo vero?” pensò “ Con tutte le volte che le ho avute io” - Mi fa piacere -
Calò il silenzio più assoluto, rotto soltanto dal rumore del motore della macchina.
- Quasi dimenticavo... - iniziò lui lanciandole uno sguardo - Non dirmi che hai già mangiato - 
Inarcò un sopracciglio - Vuoi portarmi fuori a cena? -
- Beh, ti sto portando in una specie di ristorante dove fanno anche qualcosa da mangiare, quindi se non avevi mangiato...-
- Potevi dirmelo, mi portavo un po’ di soldi -
- Pago io non ti preoccupare -
Sospirò - Così mi sento in debito -
- Figurati -
***
Milano - ore 20.30
Un uomo vestito di nero, con un cappello in testa, seduto al bancone di un bar del centro quasi completamente vuoto, si rigirava tra le mani il suo bicchiere di whisky, in attesa. La porta di legno si aprì con un cigolio, non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che era la persona che stava aspettando. L’uomo dai capelli biondo cenere si sedette accanto a lui, stringendosi nel suo impermeabile marrone.
- È in ritardo - disse l’uomo in nero bevendo il whisky tutto d’un fiato.
- Arrivo quando mi pare e piace - rispose l’altro, facendo un gesto al barista di portargli un bicchiere della stessa cosa che aveva ordinato il suo cliente - Allora? -
- Verona - sussurrò lui, porgendogli una busta di carta - Accetta? -
- Allora sono a Verona, la bella Verona... -
- Prima si deve occupare della mia palla al piede -
L’uomo dai capelli biondi aprì la busta, osservando la foto di una ragazza dai capelli mossi, neri come l’ebano e dai penetranti occhi verdi - È questa la vostra palla al piede? Una ragazzina? -
L’uomo in nero non rispose, appoggiò una banconota da dieci euro sul bancone e si strinse la giacca intorno al corpo - Se verrà chiamato saprà cosa fare -
Il biondo annuì, prendendo il bicchiere che il barista gli aveva appena preparato - Tutto per soldi - disse, osservando il cliente uscire dal locale. Rimise la fotografia nella busta e guardò una scheda, compilata con i dati della ragazza. Pagò il barista, e infilò la busta di carta nella tasca interna dell’impermeabile.
Uscì dal locale, sotto la pioggia, sorridendo in modo folle - A presto...Angelica -
***
Matteo parcheggiò la macchina davanti ad un piccolo edificio, dalle grosse vetrate si poteva vedere la sala, piena di tavoli, con alcune persone sedute.
- Entriamo? - domandò lui. Annuì prendendolo per mano.
All’entrata c’era un lungo bancone di legno, dove un barista serviva dei giovani, seduti sui piccoli sgabelli posizionati lì attorno. Furono subito raggiunti da una cameriera, i cui occhi si illuminarono alla vista di Matteo.
“ Brutta...sgualdrina, giù le zampe!”
- Un tavolo per due - disse il moro, in tono gentile.
La cameriera fece un elegante gesto della mano - Prego, seguitemi -
Li portò in un tavolo, in un angolo della sala, vicino ad una scala a chiocciola che scendeva al piano di sotto. Matteo, da bravo gentiluomo, l’aiutò a sedersi. Arrossì come un peperone.
La cameriera lasciò sul tavolo due menù - Cosa vi porto da bere? -
- Acqua naturale, grazie - rispose.
- Anche per lei? - chiese la ragazza a Matteo, che annuì - Arrivano subito -
La cameriera fece si allontanò dal loro tavolo, sparendo oltre una porta che, probabilmente, era la cucina.
Abbassò lo sguardo sulla lista di piatti del menù, leggendoli uno per uno.
- Ieri mi hai fatto ricordare che ci sono cose che ancora non so - iniziò lui.
Sorrise, alzando il viso - Anch’io non so molto su di te - disse, zittendosi subito dopo, dato che la cameriera era ritornata per portare una bottiglia d’acqua naturale.
- Cosa ordinate? -
- Ravioli ai funghi? - domandò guardando Matteo.
- Due ravioli ai funghi - confermò lui.
La cameriera prese nota e ritornò in cucina.
- Mmm...vediamo, sono nata il 21 marzo -
- L’equinozio di primavera? -
Annuì - Ho preso il giorno giusto -
- Non c’era giorno più adatto - disse il moro con un sorriso, e lei fece lo stesso.
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Avevano mangiato in tutta tranquillità, con delle lente canzoni in sottofondo che rendevano ancora più romantica la scena, ed avevano continuato a parlare di loro. Ed infine, benché fosse ancora metà febbraio, entrambi ordinarono una coppa di gelato; lei all’amarena e lui al cioccolato.
- Beh ora sai tutto - sussurrò mangiando una ciliegia. 
Calò il silenzio.
Guardava intensamente la coppa di gelato, leggermente imbarazzata alla sensazione degli occhi di lui che la fissavano.
“ Oh Angelica, è stato così carino a chiederti di uscire” disse la vocina buona nella sua testa.
“ Lascia perdere quella stupida coppa di gelato e saltagli addosso” disse invece quella cattiva.
- È buono? - domandò Matteo, riportandola alla realtà.
- Cosa? -
Lui sorrise - Il gelato -
- Oh...si, davvero buono - disse finendo la coppa, mangiando l’ultima ciliegia.
- Qualcosa non va? -
- No, assolutamente niente...è tutto perfetto -
Il ragazzo si guardò intorno - Sai che ti dico? -
- Cosa? -
Matteo lasciò cinquanta euro sul tavolino, poi si alzò, porgendole la mano - Vieni -
- Dove? -
- Fidati -
Prese la sua mano e si alzò dal tavolino, mentre il moro la guidava verso la scala a chiocciola.
- Ma non sai nemmeno dove porta -
- Certo che so dove porta - rispose lui con un sorriso, continuando a scendere le scale - Adesso cantiamo un po’ -
“ Cosa?”
Il ragazzo spinse una porta con una piccola targhetta appesa, con scritto: stanza karaoke.
- Oddio Matteo no! -
Lui scoppiò a ridere, e lei non riuscì a trattenersi dal fare lo stesso.
La stanza del karaoke era completamente vuota. Non appena entrarono le luci si accesero immediatamente, mostrando un lungo divano rosso appoggiato contro la parete, una televisione a schermo piatto appesa al muro come se fosse un quadro e su una piccola mensola, una piccola console per il karaoke, con un microfono appoggiato sopra.
- Oh no...- sussurrò facendo dietrofront, ma Matteo la prese dolcemente per un braccio e la fece voltare ancora una volta - Ma che ti ho fatto di male? - domandò mentre si sedevano sul divano.
Il moro sorrise - La tua voce mi ha incantato -
“ Oh...com’è dolce” pensò sorridendo.
- E adesso canta -
Si avvicinò alla console, e con i tasti cercò una canzone, ma Matteo la fermò indicandole un titolo.
- Quella? -
Lui annuì, facendo gli occhi da Bambi - Per me la batti Celine Dion -
Sorrise, prendendo il microfono - Non è che magari vuoi andare da qualche altra parte? -
- Forza Angelica, canta -
Si schiarì la voce - Sono una ragazza timida, sei sicuro di non voler cominciare tu? -
Il moro fece di no con la testa.
- Ah...ok -
Premette play e subito si udì il dolce suono di un pianoforte. Tenette gli occhi incollati allo schermo, benché sapesse a memoria quella canzone.
- Have you ever been in love. You could touch the moonlight. When your heart is shooting stars. You're holding heaven in your arms. Have you ever been in love? -

Sei mai stato innamorato
Da poter toccare il chiarore della luna
Quando il tuo cuore è una stella cadente
Tu stringi il paradiso tra le tue braccia
Sei mai stato innamorato?

 - Have you ever walked on air. Ever felt like you were dreamin'. When you never thought it could but it really feels that good. Have you ever been in love? -
 
Hai mai camminato sull'aria
Ti sei mai sentito come se stessi sognando
Quando pensavi che non sarebbe mai potuto accadere
Ma sembra davvero così bello
Sei mai stato innamorato?

Lanciò uno sguardo a Matteo, incantato.
“ Dio mio” pensò continuando a cantare “ Perché con lui mi sento così al sicuro? Perché il mio cuore batte all’impazzata quando si avvicina, quando mi sorride? Perché non ho provato le stesse emozioni con Manuel?”
Rimasero in quella stanza per un bel po’ di tempo, dandosi il cambio per cantare. Quando cantava Matteo, lei rideva e finiva con il cantare insieme a lui, ma invece, quando cantava lei, il ragazzo se ne stava seduto sul divano, incantato.
- Si è fatto tardi - disse Matteo ad un tratto - È quasi mezzanotte -
- Mi riporti a casa? -
- Volevo fare una passeggiata...ti va? -
Annuì - Sarebbe magnifico -


Uscirono dal locale ed iniziarono a camminare lungo un viale alberato, mano nella mano.
- Tu sei pazzo per aver fatto tutto questo - sussurrò tenendo lo sguardo fisso davanti a lei - E ti ringrazio, mi sono divertita tanto -
Lui rise piano - Anch’io mi sono divertito -
Tra loro ritornò il silenzio, e continuavano a camminare, finchè non raggiunsero una piccola piazzola con qualche panchina sistemata attorno. Non c’era anima viva.
- Vuoi sederti? - le chiese gentilmente il ragazzo. Annuì come risposta, avvicinandosi assieme a lui, tenendolo sempre per mano.
- Matteo? - lo chiamò sedendosi sulla panchina, accavallando le gambe.
- Si? - domandò il moro sedendosi accanto a lei.
Si perse nei suoi occhi per qualche secondo, cercando di farsi coraggio e continuare il discorso.
- Angelica? -
- Perché? - chiese avvicinandosi a lui - Perché hai fatto tutto questo per me? - 
Matteo si avvicinò a sua volta, prendendole il viso tra le mani - L’avrei fatto comunque - 
- Io...- sussurrò, perdendosi nuovamente nei suoi occhi - Io credo di essermi innamorata di te -
Il moro le sorrise, ed avvicinò il viso al suo. Le sembrò di toccare il cielo con un dito quando le labbra di lui premettero dolcemente contro le sue. Il cuore accelerò i suoi battiti, quasi volesse uscirle dal petto.
- Anch’io - sussurrò lui senza staccarsi.
Schiuse le labbra mentre portò le mani al collo del ragazzo, sfiorandogli i capelli.
“ Anche sentire solo il suo profumo mi fa impazzire” pensò rispondendo con passione al suo bacio.
Sentì le mani di Matteo sui fianchi, che la alzarono di peso, sistemandola a cavalcioni su di lui, ma si staccò non appena sentì il ragazzo lamentarsi di dolore. Gli passò una mano nei capelli, afferrandogli poi le spalle - Dicevi che non ti facevano più male -
- Piccola bugia - rispose Matteo, baciandola di nuovo.
Si staccò per riprendere fiato - Forse dovremmo andare, sto congelando -
Il ragazzo le passò le braccia intorno alla vita, stringendola poi al suo petto scolpito - Non sei molto vestita -
Chiuse gli occhi ed annuì, iniziando a muovere le mani su e giù per la sua schiena, fermandosi subito dopo e staccandosi appena da lui e, dalla posizione comoda, ma sconcia, in cui era messa, prese a guardarsi intorno “ Che cos’era?”
- Che c'é? -
- Niente -
Matteo, prendendole le mani, l'aiutò a rimettersi in una normale e decente posizione - Andiamo, ti riporto a casa - disse lui, alzandosi poi in piedi.
Osservò il ragazzo, che le tendeva la mano per aiutarla ad alzarsi, l’afferrò e si alzò, cingendogli la vita con le braccia - E adesso? -
- Adesso ti riporto a casa - rispose lui, mentre, lentamente, ripercorsero a ritroso la strada. 
- Non intendevo questo - sussurrò lanciandogli uno sguardo - Intendevo...noi -
- Non vuoi stare con me? -
- Ma certo che voglio stare con te -
- Allora dov’è il problema? -
- Io...mi sento...confusa - sussurrò - Mi sento così stupida a volte -
Matteo scoppiò a ridere, mettendole un braccio attorno alle spalle - Sei adorabile quando fai così -
Arrossì - Eh...-
- Forse riesco a fare qualcosa che tolga la tua confusione -
- Ossia? -
Il ragazzo si fermò, si mise davanti a lei e le prese la mano - Signorina Vetra -
- Sì? -
- Vuole essere la mia fidanzata? -
Distolse lo sguardo, imbarazzata come non mai, poi sorrise in modo maligno - Posso pensarci? -
Lui la guardò imbronciato, ma poi scoppiò a ridere, saltandogli al collo, posando le labbra sulle per un piccolo e dolce bacio sfuggente - Certo che sì -
Matteo le sorrise posandole le mani sui fianchi ed alzandola da terra senza sforzo - Mi hai fatto prendere un colpo -
Ripresero a camminare, in silenzio, fino a raggiungere l’auto di Matteo. Il ragazzo l’aiutò a salire e poi, facendo il giro dell’auto, si mise al posto di guida, mettendo in moto l’Opel Corsa.
- Ti farò un’offerta, ma tu non prenderla come proposta sconcia - sussurra lui, partendo in quarta.
- Ok - rispose facendo un piccolo cenno con la testa.
- Hai voglia di venire a casa mia? -
Sorrise - Non posso fare a meno di pensare male, ma accetto comunque -
- Solo un film -
- Solo un film - ripeté, portandosi una mano allo stomaco, dove quel ragazzo mezzo demone l’aveva colpita - Elisabeth mi ucciderà di domande - sussurrò voltando lo sguardo fuori dal finestrino, osservando le case che sfrecciavano assieme al paesaggio che le circondava.
- Beh, potresti aspettare dal dirle tutto -
- Esatto, dovrei prepararla per la notizia - rispose con un sorriso, che il ragazzo però non poté vedere - Ma purtroppo sa che sono uscita con qualcuno -
- È tua amica, capirà se le dici che le dirai tutto a tempo debito -
Annuì - Forse è meglio - “ In più sta aspettando anche per la faccenda dei demoni e quant’altro”
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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Domenica, 15 febbraio 2009 ***


Domenica, 15 febbraio 2009

Entrarono nella grossa casa in punta di piedi.
- Se abbiamo fortuna mia madre si sarà addormentata - sussurrò Matteo prendendole la mano, chiudendo piano la porta all'ingresso.
- Se era sveglia mi mandava via? -
- Ti avrebbe uccisa di domande imbarazzanti - disse lui con un sorriso, guidandola verso il salotto, facendola accomodare sul divano - Mettiti pure comoda -
- Ehm, ok - sussurrò mentre il ragazzo accese la tv, avvicinandosi poi ad una piccola mensola lì accanto, piena di dvd. Rimase seduta composta, la schiena diritta, come se fosse davanti alla commissione e agli insegnanti durante un esame, battendosi la mano sul ginocchio. Osservò il ragazzo chino sulla mensola dei dvd, che sfogliava i titoli uno a uno.
" Certo che ha proprio un bel sedere" pensò, scrollando la testa subito dopo.
- C’è questo stupido film di mia madre - disse Matteo, voltandosi per mostrarle un dvd dal titolo “ Heartbreakers - Vizio di famiglia”; dopodiché il ragazzo iniziò a leggere la trama scritta sul retro - Accoppiata di madre e figlia in cerca di vittime. La madre seduce uomini ricchi per sposarli, dopodiché la figlia, Page, li seduce e fa in modo che tradiscano la madre. A questo punto le pratiche del divorzio garantiscono una cospicua somma per la coppia -
Sorrise - Beh, perché no? -
- Magari è divertente - sussurrò lui inserendo il dvd nel lettore e sedendosi accanto a lei.
Il ragazzo accese la tv, si sistemò meglio sul divano, dopodiché la fece sdraiare, coprendo entrambi con una candida coperta con degli strani motivi del colore dell'erba. Arrossì sentendo le braccia di lui stringerle dolcemente la vita sotto la trapunta. Il film iniziò, ma non vi badò molto all’inizio, era troppo occupata ad accarezzare le mani del moro con delicatezza, e lui le baciava di tanto in tanto il collo, ma poi cercò di concentrarsi sulla vicenda del film, ridendo con Matteo durante le liti tra madre e figlia.
- Forse...dovrei andare - sussurrò, cercando di tenere gli occhi aperti.
- Non ti preoccupare...resta pure qui -
Socchiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un sorriso - Tutti e due sul divano? -
- Se vuoi ti porto in camera mia -
Si rigirò sul divano, trovandosi faccia a faccia con lui - Tua madre mi ucciderebbe se mi portassi nel tuo letto -
Matteo, la strinse ancora di più, facendola avvicinare ancora - Non ti preoccupare -
Gli diede un dolce bacio sulle labbra, prima di sprofondare nel sonno.
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Sono in una chiesa, probabilmente abbandonata, e completamente al buio, eccetto per quella poca luce che filtra dalla finestra dietro al crocefisso, che, se possibile, rende tutto ancor più tenebroso.
Cammino piano tra la fila di banchi, sporchi e pieni di ragnatele, avvicinandomi all’altare, anch’esso coperto da una fitta rete di ragnatele.
- C’è nessuno? -
Un fruscio attira la mia attenzione, facendomi voltare, e una fredda risata riecheggia nella chiesa, facendomi accapponare la pelle.
- Chi c’è? -
Mi guardo intorno, in cerca di qualsiasi cosa da usare come arma di difesa, ma non c’è niente. Altre risate e mi giro verso la grande porta in legno all’entrata, immersa nel buio, eccetto per due puntini di un rosso brillante. Sembrano occhi.
- Oh Angelica... -
Indietreggio, appoggiando la schiena all’altare di pietra, non appena vedo la figura che ha appena parlato. I capelli rossi come il fuoco, gli occhi come braci ardenti, la pelle bianca come quella delle statue greche, l’abito nero che fluttua intorno al suo corpo facendo risaltare la pelle diafana. Un secondo e il demone è al mio fianco, con un sorriso diabolico stampato sulle labbra. Non ho nemmeno il tempo di spostarmi: mi afferra per la gola e mi alza senza il minimo sforzo.
- Carino...il tuo nuovo amico - dice la donna mostrando i denti - Ti dispiace se me lo prendo dopo che ti avrò uccisa? -
Non riesco ad urlare. Non riesco a muovere un solo muscolo.
Il demone sorride in modo maligno, ed avvicina la bocca alla morbido muscolo tra la spalla e il collo. Trattengo il fiato non appena i lunghi denti affondano nella carne, facendo uscire un fiotto sangue, e poi urlo, afferrandole la mano con cui mi tiene sollevata, cercando di farle perdere la presa.
- Non ti agitare, altrimenti sentirai più dolore - sussurra lei staccandosi, per poi mordermi nuovamente.
Non ho più fiato per urlare, e rimango immobile, intontita dal veleno che entrava in circolazione e dal dolore del morso che mi faceva pulsare persino i timpani.
La donna smette di succhiarmi via il sangue, sorride, e mi lascia accasciare sull’altare. La guardo con odio mentre si pulisce il mento sporco di un rosso carminio.
- Oh non guardarmi con quella faccia, sei così...dolce -
- Lascia stare Matteo... -
- Oh, Matteo, è questo il suo nome? -
Provo a mettermi a sedere, ma riesco solamente a sollevarmi appena dall’altare pieno di ragnatele e ricaderci sopra con un lamento soffocato.
- Povera piccola, non riesci nemmeno ad alzarti... - sussurra la rossa con il solito sorriso stampato in faccia - Meglio finirla qui -
Detto questo, la donna mi mostra un coltello dall’impugnatura d’oro, si avvicina, alzandolo sopra la testa, pronta a colpirmi.
Chiudo gli occhi, stringendoli con forza.
- Addio -

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Spalancò gli occhi di scatto, respirando affannosamente, e strinse forte le calde mani che le avvolgevano la vita.
Matteo, ancora addormentato, mugolò nel sonno e stringe la presa su di lei, che cercava di calmare il cuore che batteva impazzito, gonfiandole il petto a scatti veloci.
" Finiranno mai questi sogni?" pensò, riuscendo finalmente a regolare il suo respiro, che ritornò ad essere affannoso non appena i gradini della rampa di scale all'ingresso presero a cigolare lievemente.
Chiuse gli occhi, fingendo di dormire non appena udì dei passi avvicinarsi al divano dov'erano abbracciati. Sentiva il respiro di qualcuno accanto a lei, che, subito dopo, sospirò. Deglutì piano, socchiudendo appena gli occhi per osservare la madre di Matteo, china su di lei che le sorrideva - Ah, lo sapevo che eri sveglia -
Aprì piano gli occhi - Signora Dall'Angelo io...non era mia intenzione restare qui con...- balbettò con voce ancora assonnata, ignorando il lieve dolore allo stomaco.
- Non preoccuparti cara, piuttosto voi una tazza di caffè? -
- Ehm, sì grazie, molto volentieri - sussurrò mettendosi a sedere lentamente, sentendo le braccia di Matteo che la lasciavano e dei lievi giramenti di testa.
- Angelica cara, stai bene? Non mi sembri molto...attiva - chiese la donna raddrizzandosi.
Come risposta, annuì distrattamente - Sì, almeno credo -
Matteo, ancora addormentato, si mosse con un mugolio, abbracciandola di nuovo - ...Angelica... -
La signora Dall'Angelo si schiarì la voce - Vado a preparare il caffè...vi aspetto in cucina - disse lei, uscendo dal salotto subito dopo.
- ...Angelica... -
Si voltò verso il ragazzo, gli prese il viso tra le mani ed appoggiò le labbra sulle sue, staccandosi solamente quando Matteo si svegliò del tutto, sorridendole raggiante.
- Buongiorno - disse restando a qualche centimetro dal suo viso.
- Averli sempre dei buongiorno così -
Sorrise - Tutte le volte che vuoi, ma prima...- iniziò alzandosi in piedi, sistemandosi la camicia - ...tua madre ci aspetta in cucina per un caffè -
***
- Cosa? -
- Tua madre ci aspetta in cucina per un caffè -
- É una trappola - sussurrò mettendosi a sedere.
Angelica sorrise - Probabile -
Sospirò alzandosi in piedi, strofinandosi poi gli occhi ancora semichiusi per il sonno. Voltò lo sguardo verso un mobile in legno pieno di foto di lui da piccolo, sua madre e Sonia, ed osservò un piccolo orologio, simile ad una sveglia, e trattenne un'imprecazione per l'ora.
- Uffa, é ancora presto...sono solo le 8 -
La fidanzata gli sorrise, prendendolo per mano - Su forza, ormai ti sei svegliato -
Sospirò ancora una volta, prendendo poi Angelica e stringendola dolcemente tra le braccia - E se andiamo in camera mia e continuiamo a dormire? -
Lei sorrise, accarezzandogli una guancia - Sarebbe magnifico, ma se tua madre non ci vede in cucina credo che venga a cercarci e forse ci sveglierà battendo due padelle l’una contro l’altra -
Lasciò la presa e le sorrise - D'accordo, andiamo a fare colazione -
Entrarono in cucina dove sua madre era seduta a tavola, i capelli castani un po' scompigliati, indossava un pigiama lilla, e, tra le mani, stringeva una fumante tazza di caffè. Davanti al suo posto, c'erano altre due tazze di caffè, due cucchiaini e il barattolo dello zucchero.
- Ciao - sussurrò sedendosi davanti alla madre, prese un cucchiaino e aggiunse lo zucchero al caffè, cominciando poi a mescolare.
***
Dopo il saluto di Matteo, la donna puntò gli occhi su di lei - Angelica -
Deglutì - Buongiorno signora Dall'Angelo - disse rimanendo in piedi sulla porta della cucina.
- Oh tesoro, mi sento vecchia se mi chiami così - disse la donna sorridendo - Prego, siediti pure -
Obbedì sedendosi a tavola, tenendo le mani strette sulle ginocchia.
- Andiamo, non ti mangio mica...serviti pure -
- Eh...ok - sussurrò, prendendo il cucchiaino ed aggiungendo poi lo zucchero al caffè. Matteo continuava a mescolare il suo.
- Perché ho l'impressione che farai molte colazioni qui -
Arrossì, senza rispondere, sorseggiando il caffè.
- Dove siete andati ieri sera? - chiese la signora Dall'Angelo al figlio, che ancora mescolava il caffè.
- In un piccolo ristorante e poi siamo tornati per guardare un film -
- Oh, che carini...e non avete fatto più niente vero? -
Arrossì come un pomodoro, cercando di nascondere il viso dietro la tazza di caffè che stava sorseggiando.
- Ci siamo semplicemente addormentati -
La donna puntò di nuovo gli occhi nei suoi - É vero? -
- Sì, ci siamo solo addormentati -
La madre di Matteo tirò un lungo sospiro e si abbandonò sulla sedia - Per fortuna! Ho temuto di diventare nonna così giovane! -
Arrossì oltre i limiti del possibile, mentre Matteo si stava soffocando con il caffè - Mamma! -
- Quanto sei acido figliolo! Ogni tanto ci vuole una sclerata -
Un miagolio attirò l’attenzione di tutti, mandò giù l’ultimo sorso di caffè e si voltò verso la porta, osservando una gattina dal pelo nero come la notte, e gli occhi verdi puntati su di lei.
- E questa? - domandò alzando un sopracciglio, voltandosi appena verso Matteo.
- Una nuova arrivata: Artemide - disse il fidanzato passandosi una mano nei capelli - Ti assomiglia -
- Eh? -
- Beh insomma...lei ha il pelo nero, tu i capelli neri...lei gli occhi verdi e tu gli occhi verdi -
Incrociò le braccia al petto, fingendo un’espressione imbronciata - Mi stai paragonando ad un gatto? -
- Sì -
Sbuffò - Grazie mille -
Vide Matteo sorridere maligno ed avvicinare il viso al suo - Tu sei la mia gattina -
Arrossì di colpo, lanciando uno sguardo alla donna seduta dall’altra parte del tavolo, che chiuse gli occhi - Io non vedo, non sento e non parlo - disse lei bevendo il caffè, mentre Matteo le si avvicinava, baciandola sulle labbra.
- Oh mio Dio - sussurrò qualcuno, facendoli staccare. Entrambi si voltarono verso Sonia, sulla porta, con un sorriso stampato sulle labbra e il gatto tra le braccia - Che carini!!! -
Le sorrise - Ciao Sonia -
- Come siete dolci!! Ma cos’è successo mentre dormivo? -
Un silenzio imbarazzante calò sulla cucina.
- Oh mio Dio - iniziò la bambina, riappoggiando la gattina per terra - Divento zia! -
Lei e Matteo scoppiarono a ridere, mentre la signora Dall’Angelo tentava di non soffocarsi con il caffè.
- No Sonia, non diventi zia - rispose Matteo.
- Ma state insieme! -
Sorrise, sporgendosi appena verso Artemide ed accarezzandole la testa e la micia, per tutta risposta, iniziò a fare le fusa, saltandole poi in grembo - Sì Sonia, io e tuo fratello stiamo insieme -
- E vi amate! -
Si voltò verso di lui, che le sorrise, raggiante - Sì, io la amo molto -
Rispose timidamente al sorriso, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi - Anch’io...moltissimo -
- Oh, che carini che siete! - esclamò nuovamente la bambina, battendo le mani - Ma se vi baciate troppo non vi scambiate i germi? -
Il ragazzo scoppiò a ridere, mentre lei arrossì, accarezzando Artemide, raggomitolata sulle sue ginocchia.
- Embé?? -
- Non ci scambiamo i germi se non stiamo nemmeno male - rispose il moro, alzandosi in piedi e prendendo la sorella in braccio.
- Ah...dimenticavo che dovete sposarvi per fare un bambino. Quindi vi sposate? -
- Ehm...no - sussurrò lievemente, alzando lo sguardo sulla bambina.
- Come no? -
- Sonia, è troppo presto per loro - si intromise la madre di Matteo, alzandosi in piedi - Vuoi mangiare qui Angelica? -
- Eh...forse è meglio che vada a casa -
- Insisto tesoro -
“ Tesoro?” - Ma prima io...devo sistemare la casa - disse in un sussurro, tenendo lo sguardo basso “Ma dov’è andata a finire l’Angelica orgogliosa di sempre?” pensò “È partita per le Hawaii”
- Ma non c’è tua madre? -
- No, lei e mio padre sono partiti lunedì per Roma, ed io devo arrangiarmi - rispose timidamente.
- Che brava ragazza. Matteo? -
- Eh? -
- SPOSATELA!!! -
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Era ritornata a casa dopo la strana conversazione con la madre e la sorellina di Matteo, aveva fatto il bucato e stirato canticchiando come un’idiota benché avesse bruciato un asciugamano, lasciandoci una bella impronta bruciacchiata di un ferro da stiro.
Doveva essere a casa di Matteo a mezzogiorno e la signora Dall’Angelo l’aveva pregata, letteralmente in ginocchio, di non portare assolutamente niente per ringraziarli; ora erano solo le undici e mezza, minuto più minuto meno.
Non aveva più niente da fare: aveva fatto una lunga doccia, tenendo sempre uno strano sorriso stampato sulle labbra, aveva asciugato i capelli tentando di domarli, ma niente da fare, rimanevano sempre mossi e spettinati. Tornata nella sua camera da letto, aveva indossato una camicetta bianca sotto un maglione rosso scuro e un paio di comodi jeans.
Ora se ne stava sdraiata sul divano, telecomando in mano, che faceva un rapido zapping dei canali, senza nemmeno guardare cosa trasmettessero. Guardava sognante un punto nel vuoto pensando a quello che era accaduto con Matteo.
“ Io e Matteo” pensò con un sorriso - Ancora non ci credo - disse.
Inoltre, quel giorno la fortuna girava un po’ dalla sua parte: nemmeno una chiamata dell’Agenzia. Strano. Di solito le rompevano le scatole un paio di volte al giorno.
Scattò a sedere non appena il campanello suonò, e si precipitò alla porta, sorridendo ad un Matteo altrettanto contento, che indossava solamente una maglietta a maniche corte.
Non appena premette l’interruttore che apriva il cancelletto, il fidanzato le corse incontro e, non appena fu davanti a lei, la prese in braccio, appoggiando le labbra sulle sue.
- Matteo...- sussurrò con un mugolio, staccandosi dalle sue labbra - Che stai facendo? -
- Ti bacio -
- Questo lo vedo -
- Oh Angelica, è da questa mattina quando te ne sei andata che avevo voglia di farlo...-
Sorrise nuovamente, prendendogli il viso tra le mani - Allora non posso rifiutare -
Lui la baciò di nuovo, più a lungo, e si staccarono boccheggiando.
- Spero che tu abbia fame - disse il ragazzo, rimettendola a terra e chiudendo la grande e pesante porta d’entrata - Mia madre ha cucinato per un esercito -
- Ah, bene...ho una fame - disse prendendo il ragazzo per mano e lo portò in cucina, si sdraiò nuovamente sul divano, tirandolo sopra di sé.
- Che vuoi fare con quel sorriso diabolico? - chiese lui, tenendosi un po’ sollevato, in modo da non farle male.
- Io? Niente - sussurrò con un ghigno diabolico sul volto, baciandolo poi sulle labbra. Matteo rispose al bacio, appoggiandole le mani sui fianchi; lei, senza destare sospetto e senza smettere di baciarlo, lo portò sotto di lei ed iniziò a fargli il solletico. Il ragazzo prese a dimenarsi, senza smettere di ridere - No! No! Pietà! Pietà! -
- Scusa? Che hai detto? Non riesco a sentirti se continui a ridere - disse senza smettere di fargli il solletico.
- Oddio Angelica fermati! - urlò Matteo in preda alle risate, prendendola per i fianchi e mettendola subito dopo sotto di lui.
Ghignò appena e, con un piccolo gesto dell'indice, lo fece avvicinare piano al suo viso.
- Più vicino...- sussurrò e, quando lui fu ad un paio di centimetri, appoggiò le labbra sulle sue, staccandosi dopo qualche secondo.
- L'hai fatto solo perché così non mi vendico vero? -
Sorrise ed annuì, prendendogli il viso tra le mani - Potremmo fare qualcos'altro - iniziò, sussurrando all'orecchio del ragazzo - Ma purtroppo abbiamo un pranzo a casa tua, e se lo saltiamo tua madre farà mangiare tutto a Sonia -
Lui sembrò non ascoltarla: aveva cominciato a baciarle il collo e le sue mani erano sotto il maglione e la camicia, accarezzandole dolcemente i fianchi. Non appena le labbra di lui furono subito sulle sue, ricambiò il bacio con passione, schiudendo le labbra e, velocemente gli sfilò la maglietta.
Matteo le tolse il maglione e iniziò a sbottonarle la camicia, bottone per bottone.
- Matteo - sussurrò cercando di avere un po' di contegno - Non possiamo...- sussurrò nuovamente con il respiro affannato.
Il fidanzato si staccò da lei, e si alzò in piedi - Scusami -
- É stata colpa mia - farfugliò riabbottonandosi la camicia e rimettendosi il maglione, mentre Matteo, a torso nudo, cercava di raddrizzare la maglia. Si sistemò meglio che poté, e si rialzò in piedi, osservando il ragazzo che si rivestiva - Andiamo? -
Lui si infilò la maglietta, le prese la mano ed annuì, uscendo subito dopo.


La signora Dall’Angelo, in piedi sulla porta della cucina, li osservò ad occhi socchiusi - Ci avete messo...un po’ troppo -
Arrossì - Ehm, è colpa mia - mentì - Dovevo finire di asciugarmi i capelli -
- Oh tesoro, sono sempre così spettinati? - le chiese la donna.
Annuì - Ehm...no - rispose.
- Comunque, tra due minuti è pronto in tavola, perché voi non vi accomodate? -
Annuì nuovamente - La ringrazio ancora per avermi invitata -
- Nessun ringraziamento Angelica, puoi venire quando vuoi - le rispose la donna con un sorriso.
Entrarono in cucina dove Sonia giocava con Artemide, che si rotolava a terra agitando le piccole zampette; Matteo, da bravo gentiluomo, la fece accomodare, poi si sedette al suo fianco - Più tardi vuoi fare qualcosa? - le chiese lui, con un lieve sussurro.
Sorrise - Non per fare la secchiona, ma dovresti studiare -
- Oh Angelica -
- Ti ricordo che devi metterti alla pari con noi -
Il ragazzo si avvicinò piano, arrivando ad un soffio dalle sue labbra - Ho già studiato mia bella so-tutto-io -
Sgranò gli occhi - Tutto? -
Matteo annuì, sorridendo, avvicinandosi ancora di più - Sorpresa? -
- Devo ammettere di sì, studiare quello che ti mancava solamente in qualche giorno è impossibile, impensabile più che altro -
- Sono Matteo Dall’Angelo, per me l’impossibile non esiste -
- Dovresti credergli - disse la donna girata verso i fornelli - Ha fatto sparire tutti gli scatoloni da casa in un solo giorno -
- Ma certo che gli credo, è un ragazzo intelligente - sussurrò allontanandosi un po’ da Matteo - E una decina di capitoli non saranno stati molto difficili -  
- Matteo? - chiamò Sonia, lasciando perdere Artemide, che, offesa, era salita sulle sue ginocchia, acciambellandosi con un miagolio - Andiamo a prendere un gelato? -
- Sonia, siamo a febbraio - ribatté lui.
- E allora? C’è una bella giornata fuori, un gelato ci starebbe -
- Poi ti ghiacci il cervellino -
- Non mi ghiaccio proprio niente -
- Ragazzi c’è pronto - disse la madre di Matteo, voltandosi verso la tavola reggendo una pentola piena di tagliatelle al ragù - Sonia, vai a lavarti le mani, ci andiamo oggi pomeriggio a prendere il gelato -  
- Iuppi - esclamò la bambina uscendo di corsa dalla cucina.
Si alzò, pronta a dare una mano alla donna, che scosse la testa con un sorriso - No Angelica, faccio io. Sei un’ospite -
Si risedette senza aggiungere niente.
- Mentre tu dovresti vergognarti - disse lei al figlio.
- Io? Perché? -
- Angelica si offre di aiutare e tu? Stai lì seduto come un marsupiale a pancia piena -
“ Marsupiale a pancia piena?” pensò guardando prima la donna e poi il moro al suo fianco.
- Hai detto che fai tutto tu - ribatté il ragazzo, incrociando le braccia - E poi sono un uomo -
- Va bene, va bene - sussurrò la mora, riempiendole il piatto di tagliatelle fumanti con un bel po’ di ragù sopra, facendo la stessa cosa con il ragazzo.
Sonia ritornò di corsa, sedendosi davanti a lei, impugnando immediatamente forchetta e coltello - Fame, fame, fame, fame, fame -
La donna scoppiò a ridere, servendo anche la figlia - Momento, momento, momento, momento, momento, momento -
- Mamma? - la chiamò Matteo - Dovresti smetterla di guardare i Griffin -
- Mai -
- Basta che non mi fai scappare la fidanzata -
Arrossì, abbassando la testa non appena sentì la mano del ragazzo stringere la sua.
- Oh Angelica mi sembra una tosta, non scapperà come quelle altre che mi hai presentato -
La madre di Matteo si riempì il piatto, appoggiò la pentola da una parte e si sedette a tavola - Bon appétit -
- Grazie -
Iniziarono a mangiare, subito in silenzio, ma poi la padrona di casa aveva iniziato a parlare, rivolgendole di tanto in tanto alcune domande e lei rispondeva educatamente, lanciando di tanto in tanto un’occhiata al fidanzato, che la guardava come se fosse l’unica cosa in quella cucina.
Lei e Matteo finirono il loro piatto di tagliatelle in pochi minuti. Il ragazzo sollevò il suo, chiedendo il bis e la madre lo servì una seconda volta - Tu Angelica? Ne vuoi ancora? -
Arrossì - Ehm...se ce ne sono ancora - disse. Era una settimana che non mangiava così bene.
- Caspita Angelica, non ti facevo così di buona forchetta, eppure sei magra - disse la signora Dall'Angelo riempiendo il suo piatto una seconda volta.
Arrossì - Per quanto possa mangiare non prendo nemmeno un chilo, e poi lei cucina in modo eccellente -
La donna scioccata, riappoggiò la pentola da una parte - Ti ringrazio per il complimento ma...non prendi nemmeno un chiletto? -
- No -
- Matteo? -
- mmm? - mugolò il ragazzo che aveva già ricominciato a mangiare.
- Ti ho già detto di sposarla? -
Il moro annuì.
- Beh te lo ripeto - disse la mora, ritornando poi a guardarla - Ma davvero non ingrassi? -
Annuì - Sì, non ingrasso nemmeno un po’ -
- Fai qualche sport? -
" La caccia ai demoni é uno sport?" - No, nessuno sport. Sono solo...una ragazza movimentata -
- Ragazzo mio...- iniziò la donna, dando una leggera pacca sulla spalla del figlio.
- Sposala. Sì, ho capito mamma -
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Matteo le prese la mano e la strinse dolcemente, avvicinando il viso al suo orecchio - Vieni? -
Schiuse le labbra - E dove? -
Il ragazzo si alzò, aiutandola a fare lo stesso - In camera mia, che domande -
Arrossì, lanciando un'occhiata alla donna che dava le spalle ad entrambi e che lavava i piatti, canticchiando.
- Matteo... - l'ammonì.
- Non é niente di malizioso, credimi -
Sorrise ed annuì, stringendo a sua volta la mano del fidanzato.
- Mamma andiamo a prendere il gelato? -
La donna che lavava i piatti voltò appena la testa, osservando la figlia, ancora seduta a tavola con Artemide in grembo - Due minuti e andiamo -
Entrambi rimasero sulla soglia della porta che dava sull'ingresso - Noi andiamo di sopra - annunciò Matteo.
- Ok - sussurrò la signora Dall'Angelo senza nemmeno voltarsi verso di loro - Non c'é bisogno che vi dica di fare i bravi, vero? -
- No - rispose il ragazzo per tutti e due, ed accelerò il passo. Salirono la rampa di scale e, nel piccolo corridoio al piano di sopra, lui girò a destra ed appoggiò la mano sulla maniglia dell'ultima porta.
- Camera mia - annunciò il bel moretto abbassando la maniglia e spingendo la porta.
***
Sempre per mano, entrarono nella sua camera e, subito dopo aver chiuso la porta, fece sedere Angelica sul grande letto matrimoniale - Non é un gran che - sussurrò sedendosi accanto a lei, stringendole sempre le mani.
- É stupenda - sussurrò la mora con un sorriso - É la mia che é un ripostiglio in confronto a questa -
- Non é vero, la tua stanza é bellissima -
Sussultarono entrambi quando sentirono la porta d'ingresso chiudersi con un tonfo sordo, ma poi sorrise, facendola sdraiare sul morbido materasso, appoggiando dolcemente le labbra sulle sue. Si sdraiò poi al suo fianco, staccandosi dopo qualche minuto per ridare l'aria ai polmoni, ormai in fiamme.
Si mise sopra Angelica, e fece per accarezzarle la guancia, ma si fermò non appena la vide stringere gli occhi, come se si stesse preparando per ricevere uno schiaffo.
- Angelica -
Lei riaprì gli occhi, sfiorandogli dolcemente il dorso della mano con una lieve carezza - Scusami -
- Hai paura che ti faccia del male? - domandò, spostandosi, rimanendo però sdraiato accanto alla fidanzata.
- No Matteo, non é così - sussurrò la mora rimettendosi a sedere - Solo che quando...-
Si rimise a sua volta a sedere e strinse poi le mani fredde della ragazza tra le sue - Dimmi, ti ascolto -
- Quando ero con Luca, lui...non era molto dolce e...spesso alzava le mani -
" Schifoso bastardo, spero di averti rotto il naso l'altra sera" - E perché sei rimasta con lui? -
- Avevo bisogno di dimenticare - rispose la ragazza, puntando lo sguardo sulle ginocchia.
- Non ti farei mai del male -
La mora sorrise, avvicinando il viso al suo - Lo so Matteo e scusami ancora...é solo una stupida abitudine che passerà presto -
Appoggiò di nuovo le labbra sulle sue, prendendola per i fianchi e facendola sdraiare ancora. Angelica ricambiò il bacio con passione, mettendogli le mani nei capelli. Sorrise non appena la sentì mugolare.
Preso dalla passione le sfilò il maglione, gettandolo dall'altra parte del grande letto, e si sistemò meglio sopra di lei, tenendosi un po' sollevato in modo da non farle male. La fidanzata riappoggiò le labbra sulle sue e, con le mani, aveva sollevato appena la sua t-shirt ed ora gli accarezzava gli addominali.
- É impossibile che tu abbia un fisico del genere e...non fai nessuno sport - sussurrò la ragazza con il respiro affannato.
- Andavo in palestra quando ero a Milano -
- Adesso si spiega tutto - sussurrò ancora Angelica, baciandolo dolcemente, mentre lui iniziava a sbottonarle lentamente la camicia.
" No" pensò all'improvviso, fermando le mani " Non voglio che sia così con lei, voglio che sia tutto perfetto...con lei deve essere speciale e non solo sesso" pensò ancora.
- Matteo? -
- mmm? -
- Forse stiamo...correndo troppo - disse Angelica con il respiro affannato.
- Lo stavo pensando anch'io, forse dovremmo staccarci -
***
Ritornarono entrambi a sedersi, con il fiatone, cercando di sistemarsi gli abiti che indossavano. Gli lanciò una piccola occhiata prima di recuperare il suo maglione, abbandonato dall'altra parte del letto ed infilandolo.
Matteo, assorto nei suoi pensieri, sedeva immobile accanto a lei.
- Matteo? - lo chiamò avvicinandosi ancor di più a lui, prendendogli il viso tra le mani - Che cosa c'é che non va? -
- Niente -
- É colpa mia? -
Il ragazzo le strinse le braccia intorno alla vita, facendola avvicinare a lui - Non pensarlo nemmeno -
Sorrise, sfiorandogli dolcemente il piccolo taglio che aveva sopra il sopracciglio - Come vanno i tagli?-
Lui ghignò in modo maligno - Meglio del naso di Luca -
Sorrise " Adoro le disgrazie altrui! Specialmente se é di Luca che parliamo" pensò - Le costole? -
- Abbastanza bene - sussurrò lui, togliendo le mani dalla sua vita. Abbassò lo sguardo sull'avambraccio del fidanzato, percorso dalla cicatrice che aveva notato giovedì e rabbrividì senza motivo.
- É stato mio padre - sussurrò lui che, probabilmente, aveva notato il suo sguardo - Avevo dodici anni ed ero appena tornato da scuola. Loro erano in cucina e mio padre picchiava mia madre...mi sono messo in mezzo e...lui ha preso un coltello... -
- Mi dispiace -
- Era un taglio superficiale, non profondo quanto quello che ti ha lasciato quella cicatrice -
Sussultò, trattenendo il respiro, lasciandogli il viso - Come?-
Matteo avvicinò lentamente una mano al colletto della camicia e lo spostò appena, rivelando la cicatrice che aveva appena sotto la clavicola - Questa -
Abbassò lo sguardo - É...stato un incidente con...la macchina - mentì, lasciandosi sfuggire una lacrima.
- Angelica...scusami - sussurrò il ragazzo baciandola sulle labbra - Non volevo...scusami -
- Non é niente - sussurrò staccandosi per un attimo, per poi ritornare sulle sue labbra, ricambiando il bacio con passione.
- Ragazzi? C'é il gelato! - urlò una voce, facendoli staccare e sussultare.
- Scendiamo? - chiese il moro dandole un altro piccolo e dolce bacio sulle labbra - Sono a posto? - domandò ancora lui, alzandosi in piedi - C'é qualche dettaglio che mia madre potrebbe cogliere?-
Sorrise, alzandosi in piedi a sua volta - Ti ho un po' spettinato -
- Oh fa lo stesso, che se ne accorga pure -
- Non é che poi vuole uccidermi?-
- No, le sei piaciuta a pranzo, non credo che ti ucciderà...magari farà il ragù all'Angelica -
Un attimo di silenzio e poi scoppiarono a ridere.
- Ragù all'Angelica? - chiese tra le risate.
- Già! Meglio andare o...il gelato si raffredda! -
Scoppiò ancora a ridere - Oddio Matteo, tu mi ucciderai prima o poi! -
Uscirono dalla stanza di lui senza riuscire a smettere di ridere.
Percorsero il corridoio, ma si bloccò sulle scale, portandosi una mano alla tasca dei jeans, dove il suo cellulare aveva cominciato a vibrare. “ No, l’Agenzia...perchè proprio adesso?”
- Angelica? -
Scosse la testa, ritornando alla realtà, e rispose al telefono - Pronto? -
- 33, abbiamo un Elementale -
- Dove? -
- In un bosco non lontano da lì, un Agente verrà a prenderla ed attenderà nella zona di sosta nella strada accanto a casa sua -
Sospirò - D’accordo - sussurrò riattaccando, alzando poi lo sguardo per osservare il ragazzo, un paio di gradini più in basso di lei, con sguardo assente - Io...-
- Angelica -
- Devo andare ho avuto...un contrattempo -
Matteo le sorrise, ritornò al suo fianco - Vieni, ti accompagno fuori -
Scesero le scale e lanciò uno sguardo alla cucina, dove Sonia e la signora Dall’Angelo stavano mangiando il gelato.
Il fidanzato le aprì la porta, baciandola sulle labbra - A stasera? -
Annuì, accarezzandogli una guancia - A casa mia. Ti mando un messaggio quando torno a casa... -
- D’accordo -
***
Osservò la schiena della ragazza che si allontanava, e che spariva oltre la porta della casa dall’altra parte della strada. Sospirò chiudendo la porta con un piccolo tonfo, fece poi dietrofront e si fermò sulla soglia della cucina.
Sua madre alzò lo sguardo, inclinando la testa - Dov’è Angelica? -
- Ha avuto un contrattempo e se n’è andata - disse entrando nella stanza e sedendosi accanto alla sorellina, che si abbuffava di gelato al cioccolato.
- Un contrattempo? Che sfortuna. Non è che l’hai molestata ed è scappata? -
Inarcò un sopracciglio, avvicinando a se la vaschetta piena di palline di gelato di diversi gusti - Ma figurati se l’ho molestata -
- mmm - mugolò la donna mettendo in bocca il cucchiaino.
- Artemide? Vuoi il gelato? - chiese Sonia alla palla di pelo nera, seduta sulla sedia accanto alla sua, che per tutta risposta emise un breve e dolce miagolio.
La sorella si mise un po’ di gelato sul dito e lo avvicinò all’umido naso della gattina, che, subito dopo, iniziò a leccarlo.
- Oh Sonia la farai diventare il gatto più grasso del mondo se le dai il gelato -
- Un po’ di gelato non può di certo farle male -
- Signore e signori! - esclamò sua madre all’improvviso, alzandosi in piedi, rischiando di far cadere all’indietro la sedia, tenendo il cucchiaino come se fosse un microfono - Abbiamo un nuovo guinness world record! Il gatto più grasso del mondo! Artemide! -
Un silenzio tombale calò sulla cucina.
- Che c’è? - chiese la donna che, come risposta, ricevette soltanto un piccolo miagolio.
***
Due minuti ed era già uscita di casa. Si era tolta i vestiti che indossava e si era messa una vecchia felpa e un paio di jeans rotti sulle ginocchia. Uscì dalla via e, facendo la stessa strada per andare alla fermata dell’autobus, si fermò nella piccola zona di sosta dove c’era solamente una Mercedes classe C nera con i finestrini oscurati.
Si avvicinò piano ed osservò il ragazzo che scendeva dalla macchina aziendale, fermandosi poi davanti a lei. Era il mezzo demone.
- Agente 33 -
Sorrise, tenendo lo sguardo alto - 137, non ho avuto l’occasione di presentarmi come si deve - disse porgendogli la mano - Angelica Vetra, tanto piacere -
- Francesco - rispose lui stringendole la mano - Il piacere è tutto mio. Ho sentito parlare delle sue missioni e sono davvero onorato di essere il suo aiutante in questa missione -    
- Il mio...aiutante? -
- Sì, l’Agente 2 ha insistito molto sul fatto che fosse lei a...istruirmi -
Si sistemò la katana dietro la schiena - Perfetto, portami dal demone -
Salirono in macchina, e il mezzo demone partì a tutta velocità, zigzagando tra le altre macchine.
- Ti hanno già informato della situazione? -
- L’Elementale della terra - sussurrò lui, senza distogliere lo sguardo dalla strada - Non so dirvi altro -
- Molto strano che ti abbiano mandato in una missione così difficile -
- Forse per il fatto che sono un mezzo demone - disse ancora il ragazzo - Si aspetteranno qualcosa di più da...uno come me -
Guardò l’orologio della macchina, che segnava quasi l’una.
- Quanto ci vorrà per raggiungere il posto? -
- Più di un’ora -
Sospirò, giocando con la cintura di sicurezza - Uffa. Ti da fastidio se accendo la radio? -
- No, affatto -
Smanettò con la radio per un po’, cercando una stazione decente e, quando la trovò, si sistemò meglio sul sedile, ed osservò il paesaggio fuori dal finestrino, che cambiava in continuazione.


Mancavano pochi minuti alle tre.
Erano giunti nei pressi di un piccolo bosco e Francesco rallentò non appena imboccarono un piccolo sentiero ghiaioso, fino a raggiungere un grande cancello di ferro, simile a quello delle vecchie case nei film dell’orrore. Due uomini, vestiti di nero, muniti di auricolare facevano da guardia all’entrata, e non appena la Mercedes si avvicinò al cancello, questi si avvicinarono, la mano destra infilata sotto la giacca la quale, sicuramente, stringeva una pistola.
Abbassò il finestrino e, con un ghigno, guardò l’agente, che indietreggiò appena - Mi scusi 33, non l’avevamo vista - disse l’uomo, facendo un piccolo gesto al compagno, che si avvicinò al cancello e lo spalancò, lasciando libero il passaggio.
Francesco ripartì lentamente e, dopo una decina di metri, raggiunsero altre Mercedes parcheggiate al confine del bosco che, probabilmente, era proprietà privata.
- Si comincia - sussurrò eccitata - Sei pronto a prendere a calci in culo un Elementale? -
- Non vedo l’ora -
Tirò la maniglia e spalancò la portiera, che richiuse immediatamente con un tonfo sordo. Schioccò le dita e il collo, incamminandosi verso altri Agenti che aspettavano in parte alle auto. Al suo passaggio, tutti chinarono appena la testa borbottando dei saluti formali.
- Situazione? -
A risponderle fu un uomo, alto e tarchiato, dal collo taurino e dalle braccia muscolose; aveva pochi capelli bianchi, ma aveva una folta ed ispida barba - I rilevatori non mostrano la presenza del demone, probabilmente ha abbassato il suo potere per non farsi localizzare -
- È ancora nel bosco? -
- Una ventina di agenti hanno circondato la zona, e non hanno segnalato nessuna fuga da parte del demone -
- Perfetto, lasciate fare a noi - sussurrò, voltandosi poi verso il mezzo demone - Andiamo? -
- 33 - disse l’Agente di prima bloccandola - Non esiti a chiamare rinforzi -
Non rispose e si avvicinò ad un albero, sfiorando la ruvida corteccia, prima di addentrarsi nel bosco, seguita dal biondo.
Pochi minuti di silenzio, poi sospirò, mettendosi le mani in tasca - Francesco? -
- Sì? -
- Hai mai ucciso un demone? -
- Due -
- Categoria? -
- C e B -
- Sei stato ferito? -
- Sì - rispose il biondo - Solo un graffio al braccio -
- Sarò schietta con te. Parecchie volte ho rischiato la vita in missioni come questa e ti chiedo: vuoi restare con me e combattere contro un Elementale che probabilmente ci ferirà in modo abbastanza serio o vuoi tornare indietro? Non ti biasimo se vorrai andartene, avevo una fifa tremenda al mio primo Elementale -
Il ragazzo deglutì - Co...cos’è successo? -
- La paura è fatale. Mi sono distratta un secondo e il demone mi ha scaraventato fuori da una finestra del terzo piano -
- Costole rotte? -
- Un bel po’ - sussurrò - Allora? -
- Io...vorrei restare -
Sorrise - Non farti prendere dalla paura. Immagina come se fossi contro un misero demone di categoria D -
Francesco annuì - Non lo colpirò nemmeno una volta -
- Tu provaci, al limite ci penso io a tirarti fuori dai guai -
Il biondo sorrise - E pensare che tu sei una ragazza più giovane di me -
- Già, spero di non ferire il tuo orgoglio maschile -
- Preferisco essere ferito nell’orgoglio piuttosto che rimanere ucciso -
Calò nuovamente il silenzio più assoluto, rotto soltanto da dei corvi neri che gracchiavano di tanto in tanto, guardandoli dai rami degli alberi.
- Com’è? - chiese ad un tratto - Com’è essere mezzo demone? -
- Orribile - sussurrò lui - A volte si perde il controllo, e finiamo con fare del male alle persone vicino a noi -
- Tu hai strani poteri? -
- Che io sappia no. Sono ancora troppo giovane per praticare quell’arte -
- Capisco, e...ti è mai capitato di perdere il controllo quando ti allenavi all’Agenzia? -
- No - rispose il biondo - Hai paura di me? -
Si fermò, voltandosi verso di lui, a testa alta, guardandolo con sguardo imperturbabile - Ascoltami bene 137: Io non ho paura di niente - sussurrò, scandendo parola per parola - Di niente - ripeté con enfasi.
Francesco, se possibile, era diventato bianco come uno straccio - Scusami, non volevo mancarti di rispetto -
Gli diede le spalle e ripresero a camminare - Scusami tu, a volte sono...un po’ troppo orgogliosa -    
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Erano più di due ore ormai che camminavano tra gli alberi. Erano quasi le sei.
Si guardava intorno: le mani in tasca, senza curarsi del fatto che l’Elementale della terra potrebbe saltare fuori in una frazione di secondo e sgozzarla senza problemi. Sospirò - Non pensavo di dover giocare a nascondino -
Francesco, visibilmente teso, camminava al suo fianco - L’attesa mi sta uccidendo -
Si voltò verso di lui e sorrise. Fece per iniziare una breve ed inutile conversazione, ma un lieve fruscio attirò la sua attenzione.
Si fermò e girò piano su se stessa, osservando ogni minimo dettaglio che la circondava. Il suo sguardo si posò su una figura, nell’ombra, immobile. Si alzò le maniche della felpa.
- Francesco - sussurrò togliendo le mani dalle tasche, arretrando verso il compagno - Dammi la pistola -
Lui gliela passò, ma lei non la puntò immediatamente verso l’ombra - Al mio via corri dietro l’ombra che scappa -
- Quale ombra? -
Puntò la pistola e sparò verso la figura, che prima barcollò, poi prese a correre nel fitto della foresta - QUELLA!!!! - urlò ridandogli la pistola - FORZA!!! CORRI NOVELLINO!!! - urlò ancora iniziando a correre, seguita a ruota dall’aiutante.
Estrasse la katana dal fodero senza il minimo rumore, ed aumentò la velocità, senza accertarsi che il ragazzo riuscisse a tenere il suo passo. Continuava a correre, saltando con agilità i tronchi degli alberi caduti e i cespugli di rovi che le graffiavano le braccia seguendo l’ombra che si muoveva veloce davanti a lei, muovendosi sinuosa tra gli alberi come se conoscesse a memoria dove erano collocati.
Si bloccò non appena qualcosa di sferico e luminoso viaggiava a gran velocità nell’aria, sibilando, diretta verso il suo viso. Ne deviò la traiettoria con la mano, facendo schiantare la sfera d’energia verso un albero. Riprese immediatamente a correre, ma l’ombra non si vedeva più. Rallentò non appena notò che Francesco non era dietro di lei, ed infine si arrestò del tutto.
- 33! -
Si voltò ed attese che il ragazzo la raggiungesse.
Il mezzo demone, dopo meno di mezzo minuto, sbucò dal nulla e si fermò accanto a lei - L’hai preso? -
- No - sussurrò con una smorfia sul viso.
- Sei ferita -
- Eh? -
- La tua mano - disse il ragazzo con lo sguardo basso - Sanguina -
Si osservò la mano sinistra, con la quale aveva deviato la traiettoria della sfera, e la pulì dal sangue, strofinando il dorso sulla felpa che indossava - Non è niente, andiamo - disse rinfoderando la katana - Meglio correre, ce la fai a starmi dietro? -
Il ragazzo annuì - Sì, altrimenti all’Agenzia mi prenderanno tutti per il culo -
Sorrise ed iniziarono di nuovo a correre, addentrandosi ancor di più nel bosco: la katana in pugno e Francesco dietro di lei, che stringeva la sua pistola, con l’indice appoggiato sul grilletto.
Mentre correva si guardava a destra e a sinistra, ascoltando ogni lieve rumore che giungeva alle sue orecchie.
Gli alberi spogli allungavano i loro rami verso il cielo, oramai rosso per il sole che tramontava all'orizzonte, mille ombre si allungavano sulla terra e i piccoli sassolini tremavano non appena passavano di corsa.
Lo schiocco di un rametto secco e un lieve movimento tra i cespugli alla sua sinistra la mise in allerta e, senza smettere di correre, lanciò un'occhiata al mezzo demone dietro di lei, che sembrava aver sentito la stessa cosa.
Deviò tutto d’un tratto, passando in mezzo ai cespugli e schivava piccoli alberelli spogli, i cui rami le frustavano il viso, tagliandole appena la pelle, ma non le importava. L’ombra era davanti a lei. Solo qualche metro e l’avrebbe raggiunta.
- Muoviti novellino! - urlò tagliando un ramo sulla sua strada.
Sbucò in una radura. Tutt’intorno c’erano solo grandi alberi, che sembravano formare una gabbia naturale, e i loro lunghi rami nodosi si estendevano verso il cielo, talmente fitti che lasciavano filtrare solo pochi raggi del sole, oramai sulla lontana linea dell’orizzonte, che colpivano il suolo, illuminandolo di diverse tonalità di arancione e di rosso. Sembrava quasi magico.
- Non aspettavo visite -
Alzò lo sguardo su un grosso pino dall'altra parte della radura, dove la figura che aveva appena parlato, se ne stava seduta su un ramo a circa cinque metri da terra, nascosta nell’ombra, si vedeva solamente delle bianche gambe accavallate.  
- Non hai diritto di stare qui, demone - disse con tono autoritario - La terra dei vivi non é il tuo posto -
Il demone si spostò su un ramo più basso, ed ora poteva vederla bene. Aveva le sembianze di una giovane donna, la pelle chiara come la luna, i lunghi capelli sciolti erano del colore della terra, gli occhi, di un verde brillante, la scrutavano con una punta di superiorità.
La donna scese dal ramo con un agile balzo, facendo frusciare le vesti dello stesso colore delle foglie degli alberi a primavera.
- Ho sentito parlare molto di te, ragazza - sussurrò lievemente il demone, avvicinandosi con passo felpato - L'angelo dagli occhi verdi che uccide quelli della mia razza. Una demons hunter! - esclamò sottolineando le ultime due parole.
Un fruscio alle sue spalle. Voltò appena la testa per vedere Francesco, scandalizzato o ammaliato alla vista di quella donna.
- Vattene di qui e non tornare mai più, altrimenti saremo costretti a mettere mano alle armi -
La donna, ad un metro da lei, cominciò a girarle attorno, mentre il mezzo demone indietreggiava, tenendo la pistola pronta.
- Ho più di mille anni, mia cara fanciulla. Ho preso parte a guerre, scontri e rivolte per puro piacere di...come dire...vedere il sangue che gocciola dalle mie dita, ed ora ti aspetti che me ne vada senza opporre resistenza? -
- In tal caso siamo pronti - disse guardando sempre diritto avanti a lei.
La giovane donna scoppiò a ridere, fermandosi ad un soffio dal suo viso - E l'angelo si trasformò in demone -
Rimase immobile, tenendo alto lo sguardo - So essere molto più cattiva di un demone -
Il demone sparì in una nuvola di fumo e ricomparve sullo stesso ramo su cui prima era seduta.
- Bene, vediamo cosa sapete fare - disse la mora con un elegante gesto della mano, che fece tremare appena la terra sotto di loro.
Un leggero fruscio e qualcosa di scuro si mosse veloce contro di lei.
Sorrise. Finalmente l’attesa era conclusa.
Strinse forte l’impugnatura della katana e colpì in una frazione di secondo il ramo, che il demone le aveva scagliato contro, e che ora giaceva a terra, scuotendosi come se fosse un viscido serpente al quale hanno mozzato la testa di netto.
Francesco, ad un paio di metri da lei, aveva tentato di fare lo stesso con un secondo ramo, che era arrivato alle sue spalle, ma essendo poco pratico di quel nuovo lavoro, non era riuscito a fermarlo in tempo e l'aveva colpito alla schiena, scaraventandolo in avanti per diversi metri. Dopo essere rotolato a terra un paio di volte, il ragazzo si rialzò, puntando la pistola di qua e di là.
Mosse lentamente le mani, imitando le mosse del karate, che le erano state insegnate in un corso che aveva praticato a nove anni, e fece un piccolo gesto della mano, incitando il demone ad attaccare.
- Vieni qui che ti spacco il culo con la mossa dell’Angelica incazzata -
La donna sibilò furiosa facendo un rapido movimento della mano, dal basso verso l’alto, facendo tremare nuovamente la terra sotto i suoi piedi, dove delle grosse radici sbucarono dal suolo, ed iniziarono ad attorcigliarsi intorno alle sue caviglie.
- Tutto qui quello che sai fare? - domandò, sradicandole con facilità - Dovrai impegnarti un po’ di più -
Un altro ramo scattò verso di lei, afferrandole il braccio. Le piccole spine che coprivano il ramo non furono un problema, visto che non riuscirono nemmeno a perforare la felpa, e tagliò anche quello con la spada. Fece un piccolo passo avanti, rinfoderando la katana ed incrociò le braccia al petto con strafottenza - Non sono venuta per fare la giardiniera -   
- Oh, un comportamento insolente da parte tua - sussurrò la donna, sedendosi di nuovo sul ramo.
Strinse i denti e corse verso il pino dov’era seduta, arrampicandosi come un gatto su per il tronco e, giunta all'altezza del ramo, si diede una spinta verso la donna, fendendo solo l'aria con un colpo di spada.
Si guardò intorno e strinse i denti per la frustrazione non appena vide la donna, seduta comodamente sul ramo di un altro albero. Infilò la katana nel fodero dietro la schiena e si lasciò precipitare al suolo, atterrando in piedi.
- Non ti facevo così agile, fanciulla. I miei complimenti -
- 33 -
Si voltò. Francesco era in ginocchio e tentava di strapparsi di dosso alcuni di quei rami, le cui spine si erano conficcate nelle braccia e nelle gambe - Non riesco più a muovermi -
Si avvicinò a lui, calma, e lo liberò, pungendosi lievemente i palmi. Una strana sensazione di formicolio partì dalla piccola ferita fino a salire verso il gomito, come se fosse una lieve scarica elettrica.  
- Quelle non sono normali spine - sussurrò il demone, scendendo dal suo ramo, appoggiandosi poi al tronco dell’albero con le braccia incrociate - Immobilizzano i miei avversari, in modo da far cadere ogni loro difesa -
Ghignò - Brutta stronza, non hai il coraggio di affrontarci lealmente? Devi usare questo trucchetto di merda? -
L’Elementale ringhiò e si lanciò contro di lei, con le mani tese in avanti. Il fiato le si mozzò in gola quando la donna l’afferrò per il collo, scagliandola poi contro il tronco di un pino alle sue spalle.
Scivolò a terra, lasciandosi sfuggire un lamento.
- Vediamo se fai ancora la spiritosa, cacciatrice di demoni -
Sentì qualcosa strisciarle accanto. Scrollò la testa di qua e di là, cercando di allontanare qualsiasi cosa fosse. Tutto inutile. I rami si attorcigliarono intorno ai suoi polsi e alle spalle, ed uno più grosso degli altri le circondò la vita. Trattenne un lamento quando la miriade di spine le si conficcarono nella pelle, facendole provare un immediato intorpidimento agli arti superiori.
La donna si avvicinò, inginocchiandosi accanto a lei, appoggiandole una mano fredda sul viso.
- Sarebbe un peccato rovinare un viso così bello - sussurrò il demone passandole poi una mano nei capelli. Cercò di scansarsi, ma un altro ramo le avvolse il collo come se fosse un pitone. Lanciò uno sguardo oltre il demone: Francesco tentava di raggiungere la sua pistola, abbandonata a terra, con mani tremanti.
- Potrei prendere il tuo corpo e lasciare questo -
- Hai preso il corpo di quella ragazza solo per nascondere la faccia da culo che hai in realtà? -
I rami strinsero la loro presa, ed ora poteva sentire il sangue che scivolava lungo le braccia, oramai insensibili.
- Oh, sarebbe un’ottima idea prendere te... -
- Devi solo provarci bastarda e ti giuro che ti troverai la katana piantata in quel tuo cuore rinsecchito o da un’altra parte che sarebbe meglio non citare - sibilò, tentando di darle un calcio.
Altri rami si attorcigliarono intorno alle caviglie, ma le spine non riuscirono, fortunatamente, a superare il tessuto dei jeans.
Il demone sorrise, appoggiò la mano sull’impugnatura della katana, riposta nel suo fodero, e la estrasse con un lungo e sinistro sfrigolio, che le fece accapponare la pelle.
Lei si alzò, ed appoggiò la punta della spada alla sua guancia, facendole un piccolo taglietto.
- Brutta stronza, mi rovini la lama - sussurrò “Avanti Francesco...fatti forza e sparale” pensò guardando il novellino, che non riusciva nemmeno a tenere in mano la pistola.
Vide la lama della sua spada brillare di rosso per gli ultimi bagliori del sole e colpirle di striscio il braccio destro. Non emise nemmeno un suono.
- Non parli più? -
- No, ma se vuoi ho una vasta conoscenza delle parolacce in diverse lingue, hija de puta -
Altro taglio. Altro sangue che scivolava lungo il braccio, gocciolando a terra a ritmo costante.
Il demone allungò la mano destra verso di lei, completamente aperta, e, man mano che le dita si chiudevano, le radici aumentavano la loro morsa. Urlò benché il polmoni chiedevano aria.
- Ne hai per molto ragazzina? - chiese la mora, con il pugno completamente chiuso.
Ghignò maligna, guardandola negli occhi - Vai all’inferno -    
Un altro taglio.
- Così mi rovini la felpa -
Un altro ancora.
- Schifosa bastarda che non sei altro tra due minuti ti ritrovi il culo quadrato -
Il demone ridusse la stretta delle radici e si piegò verso di lei - Come puoi farlo? Sei legata come un salame -
- Paragonarmi ad un salame non è stata una bella mossa - sussurrò - E poi...è lui che ti fa il culo -
L’Elementale non ebbe nemmeno il tempo per voltarsi. Francesco dietro la donna, era riuscito ad impugnare l’arma ed a sparare, benché le mani fossero immobilizzate.
Non appena il demone cadde in ginocchio, ferita, le radici persero la loro forza. Se le tolse di dosso con rapidità, ignorando i formicolii, strappò la katana dalle mani dell’avversaria, le afferrò i capelli e con un gesto le fece scoprire il collo, appoggiandoci la lama sporca di sangue - Ultime parole? -
- Lei aveva ragione...sei una tosta -
Un colpo secco, e la testa del demone rotolò a terra, inzuppandola di sangue, rendendola viscido pantano.
Rinfoderò la spada e si avvicinò al ragazzo, ancora in ginocchio - Complimenti, sei stato davvero bravo -  
Francesco si guardò le mani, che tremavano - Come fai? -
- Cosa? -
- Con tutte quelle punture dovresti avere tutto il corpo immobilizzato -
Si lasciò sfuggire un sorriso - È così, non sento più niente -
- Io non riesco nemmeno ad alzarmi -
Lo alzò con fatica, cingendogli la vita con un braccio - Ci vorranno pochi minuti, resisti. Gli altri Agenti ti accompagneranno all’Agenzia e ti lasceranno in infermeria -
- E tu? -
- Oh, io sto benone -
- Ma è impossibile -
- Ci sono solamente abituata -
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Si chiuse la porta d’entrata alle spalle e barcollò fino alla cucina, dove si lasciò cadere sul divano con un lamento soffocato.  
Cercò di calmare il respiro che usciva ansante dalla gola e, con movimenti lenti, si tolse la felpa, oramai inutilizzabile, ed osservò le spine conficcate nel fianco, poi quelle sui polsi e sulle spalle.
Si spostò in modo rabbioso dei ciuffi di capelli corvini che le cadevano davanti agli occhi, poi portò la mano desta alla spalla sinistra, ed estrasse una grossa spina, gettandola a terra.
Fece lo stesso con le altre gettandole sul pavimento, sporcandolo di sangue, trattenendo le imprecazioni. Impiegò diversi minuti per estrarle tutte e altrettanto tempo per fasciarsi in modo decente visto che le mani erano ancora intorpidite.
Guardò l’ora: 21.16
“ Merda, dovevo chiamare Matteo” pensò cercando il cellulare dove l’aveva lasciato l’ultima volta: tra i cuscini del divano; ma esitò a comporre il numero “ Ma cosa posso dirgli? Ehi Matteo, scusami ma sono andata a caccia di un demone e ho impiegato otto ore ed è meglio che tu non vieni perché dei rami indemoniati mi hanno quasi completamente immobilizzata?”
Compose il numero, portandosi l’apparecchio all’orecchio “Mi toccherà improvvisare”
- Angelica -
- Ehi, scusami se non ti ho chiamato, ma mi ero addormentata - sussurrò, trattenendo un lamento per un improvviso dolore al fianco.
- Sicura di stare bene? -
- Sì, non ho niente. Hai voglia di venire qui? -
- Tutto quello che vuoi -
Sorrise - Vieni allora -
Chiuse la telefonata e si alzò piano in piedi, lasciando nuovamente il cellulare tra i cuscini del divano. Prese uno straccio e pulì il sangue da terra, buttandolo poi nella spazzatura, assieme alla felpa. S’incamminò verso la sua stanza ed infilò una maglia a maniche lunghe e scese di nuovo, sedendosi sulla balaustra della scala, scivolando velocemente verso l’ingresso.  
“ Speriamo che non se ne accorga” pensò, sorridendo non appena il campanello suonò, ed aprì immediatamente il cancelletto e la porta dell’ingresso, lasciano entrare un sorridente Matteo.
Il ragazzo le corse incontro e, non appena superò la superò la soglia dell'entrata, gli gettò le braccia al collo, sfiorandolo le labbra con le sue.
- mmm mi sei mancato tanto -
Lui, senza sottrarsi dal contatto, chiuse la porta d'ingresso e le portò l'indice al mento, facendole alzare la testa.
- Tu di più - sussurrò il moro appoggiando le labbra sulle sue. Il dolore sembrò sparire come per magia, ma solo per pochi attimi.
Fece un piccolo saltello e allacciò le gambe intorno alla vita del fidanzato, che si irrigidì.
- Angelica... - sussurrò lui rimettendola a terra, appoggiando una mano sulla sua guancia, solcata da un paio di lievi taglio - Che ti é successo? -
- É una cosa assai buffa da raccontare...ero da mia zia e dovevo curare il giardino. Stavo potando la siepe quando il suo odioso cane Pedro inizia a corrermi dietro come un pazzo e non si é arreso finché non sono finita lunga distesa nella siepe - mentì spudoratamente tutto d’un fiato " Mi dispiace Matteo, non devi sapere..."
- Pedro? - chiese il moro alzando un sopracciglio.
- Un pitbull e bello grosso -
- E sei finita...-
- ...dentro la siepe -
- Non ti sei fatta male, vero? -
- Qualche graffio - sussurrò ignorando il formicolio alle braccia.
- Sei stanca? Vuoi guardare la tv? -
Sorrise in modo malizioso - E io che volevo fare qualcosa di più...movimentato -
Lui le prese le mani, rispondendo al sorriso - Angelica, siamo insieme da nemmeno un giorno, e poi voglio che con te...insomma...sia speciale -
Lo guidò in salotto, senza staccare gli occhi dai suoi - Davvero vuoi che sia speciale? - domandò, facendolo sedere sul lungo divano, per poi fare lo stesso.
- Ma certo - rispose lui con un sussurro, facendola sdraiare ed appoggiare la testa sulle gambe, accarezzandole distrattamente i capelli.
Mugolò come una gatta, abbracciandogli la vita - Resti qui stanotte? -
- E dove dormiamo? -
- Nel mio letto ovviamente - sussurrò lievemente, strofinando la testa contro gli addominali del ragazzo.
- Angelica...-
- Perché devi sempre pensare male? - chiese tirando indietro la testa e guardandolo dritto negli occhi - Probabilmente mi addormenterò come una bambina, quindi non posso tentarti in alcun modo -  
- D’accordo. Subito? -
- Immediatamente - disse tirandosi su, baciandolo sulle labbra.
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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Lunedì, 16 febbraio 2009 ***


Lunedì, 16 febbraio 2009

Socchiuse appena gli occhi, allungando la mano il cerca del cellulare, che non voleva saperne di smetterla di suonare. Si mise lentamente a sedere, stiracchiandosi le braccia sopra la testa, mugolando appena. Delle braccia le strinsero dolcemente la vita, costringendola a sdraiarsi nuovamente.
- mmm...torniamo a dormire -
Si rigirò nel letto, abbracciando il ragazzo, sentendo la calda pelle di lui a contatto con la sua - Dobbiamo andare a scuola -
- mmm -
Si rimise a sedere - Vado a fare colazione, vuoi qualcosa? -
- mmm letto... -
- Eh? -
- mmm...letto...io e te -
- Oh Matteo, pigrone che non sei altro - sussurrò alzandosi stancamente in piedi - Ti aspetto giù -
Con indosso solo una maglietta a maniche corte, due volte la sua taglia normale che le arrivava fin sopra le ginocchia, scese con lentezza la grande rampa di scale, facendo uno scalino alla volta in modo da non rompersi l’osso del collo di prima mattina, con una mano appoggiata alla balaustra.
Entrò in cucina ed aprì immediatamente il frigorifero, in cerca di un succo di frutta. Sorrise, fingendo di non sentire qualcuno che scendeva lentamente le scale e che, molto probabilmente, voleva coglierla di sorpresa per spaventarla.
- Se credi che non ti abbia sentito, Matteo Dall’Angelo, ti sbagli di grosso - disse aprendo la bottiglietta di succo di frutta, versandola poi in un bicchiere di vetro.
Sentì il ragazzo sospirare e, subito dopo delle forti braccia le cinsero la vita, facendola voltare, in modo da poter guardare negli occhi il fidanzato, a torso nudo, che indossava i jeans della scorsa notte - Finalmente ti sei alzato - sussurrò, accarezzandogli la guancia.
Lui la baciò dolcemente sulle labbra, staccandosi subito dopo - Vado a casa a cambiarmi e poi andiamo a scuola in macchina, ok? -
- È ancora presto - sussurrò voltandosi di nuovo bevendo il succo di frutta tutto d’un sorso - Vuoi fare colazione mentre vado a fare la doccia? -   
- Forse è meglio che torni a casa, volevo farmi anch’io una doccia -
- D’accordo - sussurrò dandogli un altro bacio - Tra mezz’ora qui fuori -
- Non vedo l’ora - rispose lui sorridendo - Prendo le mie cose e poi vado -
Il fidanzato la baciò nuovamente e uscì dalla cucina, sbucando di nuovo nell’ingresso, perfettamente vestito - A dopo -
Lo salutò con la mano, riabbassandola solo quando fu lui uscito di casa.
Prese il cellulare, appoggiato lì accanto: doveva annullare il caffè con Al.
Scrisse velocemente un sms inviandolo all’amico, dicendo che era in ritardo e che avrebbero preso il caffè un altro giorno. Ricevette un messaggio poco dopo: “ Non ti preoccupare Angi ;) quando vuoi...e poi oggi avevo voglia di marinare la scuola xD”


Dopo aver fatto una lunga doccia, si era rivestita in fretta e furia, infilando poi i libri delle materie di quella giornata, che, probabilmente, sarebbe stata davvero lunga, dovendo poi andare in centro con Elisabeth e Sergio, con Matteo ovviamente.
Infilò le chiavi di casa nella piccola tasca dello zaino ed uscì: un’Opel Corsa grigia attendeva immobile davanti a casa sua. Percorse il giardino di corsa, uscì sulla strada e fece il giro dell’automobile, aprendo la portiera dalla parte del passeggero, salendoci poi sopra.   
- Finalmente - sussurrò lui con un sorriso - Stavo per mettere le radici -
“ Ti prego non parlarmi di radici...” pensò facendo un sorriso forzato - Scusami, sono rimasta sotto la doccia più del dovuto -
Matteo accese la macchina, ingranando la prima - Nessun problema - disse accendendo la radio che cominciò a gracchiare.
- Tua madre si è accorta che...insomma...non sei tornato a casa? -
- Immagino di sì, era in cucina quando sono entrato - disse il moro, uscendo dalla via ed imboccando la strada principale, aumentando sempre di più la velocità - Non ha detto niente -
- Ah...avrà sicuramente pensato che...insomma -
- Probabile. Ma in fin dei conti ho diciannove anni, sarebbe una cosa normale -
Fece per controbattere, ma fu attirata dal telegiornale radio che trasmettevano sulla stazione su cui erano sintonizzati. Ancora aggressioni, altri morti.
“ È lei” pensò automaticamente “ Devo fermarla prima che faccia una strage o...che succeda qualcosa ad Elisabeth”
- Ma come fanno a farsi continuamente scappare questa donna killer? -
- Sarà molto astuta a non farsi beccare ed a nascondere le sue tracce -
- Hai sentito del video di quel ragazzo? Quello che ha filmato il mostro? -
Sbuffò - Stupidaggini. Non esistono i mostri - mentì.
- Magari quella donna è un mostro con le sembianze umane -
S’irrigidì sul sedile per un secondo - Ma dai Matteo -  
Ritornò il silenzio. Nell’auto solo la radio emetteva rumore, trasmettendo “Hot n cold” di Katy Perry e altre canzoni, finchè, giunti all’entrata della scuola.
Lanciò un’occhiata fuori dal finestrino: Elisabeth e Sergio erano al cancello, ed osservavano l’auto di Matteo.
- Dobbiamo comportarci come una settimana fa? - chiese lui
- Già, speriamo che Elisabeth non si accorga di niente - sussurrò, anche se in realtà non era quella la cosa peggiore. Se tutti venissero a sapere di lei e Matteo, probabilmente, anche la donna demone dai capelli rossi sarebbe venuto a scoprirlo e non avrebbe esitato a fare del male al ragazzo per colpire lei - Forza, scendiamo -
Scese dall’auto, mettendosi lo zaino in spalla, ignorando le solite occhiate, chiuse la portiera e, assieme a Matteo, s’incamminò verso il cancello, dove l’amica aveva appoggiato lo zaino a terra ed ora le stava correndo incontro.
“ Cominciamo bene” pensò lanciando un’occhiata a Matteo, che l’aveva superata, dirigendosi verso Sergio.
Elisabeth le si scaraventò contro, saltandole in braccio e prendendole il viso tra le mani - Parla zoccola! -
Parecchi ragazzini verso il cancello si voltarono verso loro due.
- Eli, potresti evitare certe scenate di prima mattina? - chiese rimettendola a terra.
- Che hai fatto alla faccia? -
- Oh niente, mi sono graffiata con dei rametti della siepe -
- Comunque adesso parli ok? Parla, parla, parla, parla, parla, parla, parla, parla, parla, parla, parla, parla, parla, PARLA!!! -
- Ti stai riferendo al mio appuntamento dell’altra sera? -
- Si! -
Ghignò maligna - Oh, niente di speciale - sussurrò incamminandosi verso il cancello, oltrepassandolo dopo aver salutato il biondo con un gesto.
- E com'é? -
- Un figo pazzesco, per non parlare del suo corpo così...insomma hai capito -
- Ha la nostra età? -
- Sì -
- Ha i baffi? -
- No -
- La barba? -
- No -
- É Steve? -
- Chi? -
- Indovina chi! -
Entrò nella scuola e girò a sinistra, imboccando il corridoio che portava alla biblioteca. Elisabeth le volteggiava accanto.
- L'hai baciato? -
- Sì e...ah, bacia talmente bene che vorresti trascinarlo sul letto e... -
- Davvero!?! -
- No, ti sto prendendo in giro, ma bacia davvero bene - rispose con un sorriso.
- E...lui ti ha chiesto di mettervi insieme? -
- È stato così dolce con me. Ha organizzato una serata semplice ma stupenda e poi ho detto di sì perché mi sono innamorata di lui -
L'amica le bloccò la strada, fermandosi davanti a lei, a braccia aperte, cercando di bloccarle il passo, con uno strano luccichio negli occhi - Hai fatto sesso con lui? -
Spalancò la bocca, scandalizzata per la delicatezza della migliore amica - NO! - urlò, attirando l’attenzione di tutti i ragazzini
- Ecco brava, perché se vai subito a letto con lui, questo ti molla perché sei diventata il giocattolino vecchio -
- Non lo farebbe mai, é così dolce -
- Tu aspetta, anche se questo figone ha un corpo da paura che ti fa girare la testa ogni volta che lo vedi -
- Non c'é bisogno che lo dici, lui vuole che sia speciale e non solo sesso -
- Comunque lui si chiama...? -
- Ci hai provato, non lo saprai mai! -
- Eddai -
- No -
- Dimmi il suo nome Hermione Granger! -
- Eh? -
- Il nome! -
- Ma sta un po' zitta Ginny -
- Comunque mi devi spiegare il fatto di oggi -
- Che fatto? -
- Che sei arrivata con Matteo. Con la sua auto -
- Oh, beh...ha ricambiato il passaggio di venerdì -
- Ah...-
Entrarono nella biblioteca della scuola, dove solo un paio di ragazzine sedevano tutte intorno ad un tavolo, ripassando, probabilmente, per una verifica imminente. Lei ed Elisabeth si sedettero il più lontano possibile da loro, al tavolo accanto alle mensole dei libri.
- Ma non ti piaceva Matteo? - chiese ad un tratto la rossa.
S’irrigidì, alzandosi poi di scatto, dando le spalle all’amica per fingere di leggere i titoli dei libri sulle mensole polverose - Beh è carino - sussurrò tentando di reprimere il sangue che saliva alle guance, imporporandole.  
- Angelica, non vedi come ti guarda? È cotto perso di te -
“ Anch’io sono innamorata persa di lui” pensò, prendendo poi un profondo respiro - Elisabeth, vedi... -
S’interruppe, voltandosi verso la rossa. Non riusciva a sopportare l’idea di mentire ancora di più all’amica; la questione dell’Agenzia era un conto, ma questa? Elisabeth sarebbe stata contenta per lei.
Stava per dirle tutto, quando qualcuno spalancò la porta della biblioteca, guardando all’interno: le braccia incrociate con aria di superiorità, i capelli biondi che le cadevano sulle spalle, gli occhi socchiusi, puntati verso di lei, con aria di sfida - E la secchiona si rintana nel suo buco di libri -
- Laura -
- Non vedo l’ora di vederti con il culo per terra in palestra -
Ghignò - Ti auguro con tutto il cuore di cadere di faccia - “ Eh! eh! Brutta stronza! E adesso cosa rispondi?”
La bionda ghignò a sua volta, dandole le spalle - Vedremo chi cadrà per prima, sfregiata -
- Devo prenderla come minaccia? - chiese in tono arrogante.
- Ovvio, no? - ripose Laura, sparendo dalla sua vista.
Si risedette davanti ad Elisabeth, che rideva sotto i baffi, tenendo lo sguardo puntato sulla superficie del tavolo e una mano davanti alla bocca per camuffare le sue piccole risatine.
- Che c’è? -
Nessuna risposta.
- Elisabeth? -
L’amica scoppiò a ridere senza contegno - AHAHAH!! Sfregiata!! Questa mi mancava! -
Nemmeno lei non riuscì a trattenere un sorriso - Sei una traditrice -
- Mi aspettavo un “Ehi secchiona ti sei scandalizzata per un misero inutile nove in economia?” -
- Ma da che parte stai? - chiese con un sorriso.
L’amica represse le risate - Beh, dicevi? -
Deglutì “Ok, o la va o la spacca...al massimo mi farà mille domande” pensò - Ecco, vedi Eli, il ragazzo con cui mi vedo e...insomma, forse ti sorprenderai, o forse no...chi lo sa, comunque...-
- Dai! Dimmi il nome! -
- Eh ti devo raccontare tutto però, e sta per suonare la campanella -
- Oh tesoro! Abbiamo l’ora di economia, di italiano e di matematica -
- D’accordo, solo...promettimi di non metterti ad urlare, ok? -
- Perché? Lui è un vampiro come Edward Cullen? -
Inarcò un sopracciglio - Eh...no -
- Ah, per fortuna -
Al suono della campanella, si alzarono e si misero lo zaino in spalla. Uscirono in corridoio, dove un centinaio di ragazzini correvano da tutte le parti, stringendo al petto i libri di scuola, affannandosi per raggiungere le classi.
- Ma perché hanno tanta voglia di andare in classe? -
- Magari hanno un compito -
- Un motivo in più per starsene a casa. Ehi! C’è Alice e...forse anche Vittoria sommersa dalla folla di marmocchi - disse Elisabeth sbracciandosi per farsi vedere dalle due, che le raggiunsero facendosi largo tra la folla.
- Ciao - salutarono in coro la mora e la bionda.
- Indovinate un po’? La nostra Angi si è fidanzata -
Alice, rimasta in un primo momento a bocca aperta, aveva iniziato a saltellare - Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è?!?! -
Vittoria, invece, aveva sorriso - Congratulazioni Angi, non ci speravo più -
- Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è? Chi è?!?! - urlarono in coro Alice ed Elisabeth, saltellando insieme.
- Scommetto che è Matteo - sussurrò la bionda, incrociando le braccia al petto, con un ghigno sul volto.
La rossa e la mora smisero di saltare, spalancarono la bocca e sgranarono gli occhi - Matteo?!?!?! -
Arrossì come non mai, e questo non sfuggì alle tre amiche.
- OH MIO DIO! - esclamarono le tre in coro - MATTEO!! -
“ Ormai è finita. Addio mondo crudele” pensò annuendo con un sorriso sulle labbra - Sì, sono fidanzata con Matteo. Ma ora saliamo che arriviamo in ritardo, e non ho voglia di stare due ore in punizione da sola con voi -
Percorsero il corridoio e salirono le scale in fretta e furia.
Nella classe quinta, tutti avevano preso posto, e loro fecero lo stesso. Luca non c’era.
Accanto a lei, Matteo sorrideva sotto i baffi.
- Mi hanno fregata - sussurrò.
Lui annuì, scoppiando a ridere - Volevi farla alle Charlie’s Angels -
Elisabeth, accanto a lei, la prese per un braccio - E adesso devi prepararti per l’interrogatorio -
- Secondo me state bene insieme - sussurrò Vittoria, dietro di loro, con la testa appoggiata sul banco.
Alice, davanti a lei, si voltò di scatto - Vogliamo la prova cara -
- Che prova? - chiese.
- Baciatevi -
Sorrise, lanciando uno sguardo al ragazzo - Niente di più facile -
Matteo le si avvicinò ed appoggiò le labbra sulle sue, forzandole appena. Rispose al bacio con passione, mettendogli le mani nei capelli.
- Ehm...ora potete staccarvi - sussurrò una voce, ma non vi badò.
- Ehm...Angelica? Puoi riprendere fiato ora -
Si staccò appena, accarezzò la guancia al fidanzato con un sorriso, e poi si voltò di nuovo verso le amiche, a bocca aperta.
- Contente? -
Alice fu la prima a riprendersi, incrociò le braccia e fece correre lo sguardo tra lei e il ragazzo - Avete fatto qualcosa di più? -
- Alice - l’ammonì.
- Ok, ok...-
L’insegnante di economia fece il suo ingresso nella classe, si sedette alla cattedra, appoggiandovi sopra dei grossi libri di economia e prese il registro - Fissiamo un compito ragazzi? - domandò la donna senza alzare gli occhi dal registro che stava firmando. Dalla classe si levò un coro di no, ma poi, l’insegnante fissò il compito per il venerdì di quella settimana.
- Allora, devi raccontarmi qualcosa, no? - le chiese Elisabeth, non appena la professoressa aveva iniziato a spiegare.
- Devo cominciare da venerdì sera, dopo che ce ne siamo andati -
Iniziò a raccontarle tutto, nei minimi particolari, parlandole di quello che era accaduto nel parco.
I tre scagnozzi di Luca che avevano picchiato Matteo, che l’aveva difesa sia da loro, sia dal suo ex, che aveva tentato di abusare di lei. L’aveva portato a casa sua, avevano dormito insieme, ma poi se n’era andata nella camera degli ospiti.
Alla seconda ora aveva cominciato il racconto di sabato sera: dell’invito, della cena, del karaoke, della passeggiata e del bacio.
Elisabeth, incantata dalle sue parole, non riusciva più a chiudere la bocca.
- E poi le ho chiesto di essere la mia fidanzata - concluse Matteo, entrando nella conversazione.
- Oh, che carini - sussurrò la rossa - Vi è bastata solo una settimana per innamorarvi -
- Già - sussurrò, lanciando una dolce occhiata al ragazzo.
- E Luca la pagherà cara, molto cara - disse piano la rossa - Oltre al naso si troverà qualcos’altro di rotto -


La giornata era passata in fretta.
Nell’ora di musica, come sempre, si era seduta al pianoforte, aveva ancora le mani un po’ intorpidite per via delle punture di quelle strane radici del giorno prima, ma era riuscita comunque a suonare per un po’, ma poi aveva dovuto interrompersi.
L’ora successiva: quella di informatica, come al solito, lei ed Alice si erano messe a giocare a Crash Bandicoot, dopo aver concluso un piccolo programma con Visual Basic, mentre Elisabeth, ogni tanto, le faceva qualche domanda.
Ed infine era giunta l’ultima ora: ginnastica.
Non appena la campanella aveva suonato era sussultata sulla sedia ed aveva lanciato uno sguardo di supplica ad Elisabeth, come per dire “Invece di andare in palestra perché non fingiamo di stare male?”; ma l’amica, leggendole nel pensiero, aveva reclinato la sua offerta, ed ora erano nello spogliatoio. Al loro arrivo i rollerblade erano appoggiati accanto alle panche di legno.  
Aveva indossato la divisa da ginnastica ed ora toccava l’attrezzatura infernale.
Infilò le ginocchiere, poi fu la volta dei proteggi polsi ed infine, gli aggeggi terribili con quattro rotelle in fila l'una dietro l'altra.
Accanto a lei, Elisabeth era già pronta, in piedi, in perfetto equilibrio, con le mani sui fianchi, che la fissava - Dai Angi! -
- Eli, io non riesco a stare in piedi con questi affari - disse rassegnata, guardando i rollerblade.
L'amica le porse una mano e la alzò dalla panchina. Subito agitò le braccia per non cadere, ma poi si afferrò alla rossa, che ghignava divertita - Oddio, sei proprio negata -
- Tu non lasciarmi -
- Ma adesso dobbiamo andare in palestra -
- Ci andiamo così - sussurrò, cercando di tirarsi un po' su.
Elisabeth si avviò lentamente verso la porta, mentre lei in pochissimi secondi aveva rischiato di finire a gambe all'aria una decina di volte.
- Pronta per pattinare, secchiona? -
Guardò la bionda in corridoio, che ghignava, restando però in perfetto equilibrio sui suoi roller.
- Mi divertirò un sacco... - sibilò lei maligna, pattinando all’indietro.
- Ignorala, vedrai che andrai alla grande - la rassicurò Elisabeth, stringendole il braccio.
Percorsero piano il corridoio ed arrivarono in palestra, dove tutti guardavano l’istruttore: i capelli bianchi e radi, la faccia piena di rughe, era vestito con una semplice tuta sportiva blu e al collo portava un fischietto; l’insegnate di ginnastica se ne stava in disparte, seduta alla cattedra, che scriveva sul registro.
Lei ed Elisabeth si avvicinarono e furono immediatamente raggiunte da Matteo, in perfetto equilibrio.
Mollò la presa dal braccio dell’amica, cercando di stare in equilibrio da sola, riuscendoci fortunatamente.
“ Ok, un piccolo passo avanti l’abbiamo fatto Angelica” pensò.
- Bene...- iniziò l'istruttore avvicinandosi a loro -...chi é già capace, vada in coppia con uno meno bravo e fate qualche giro di prova -
Matteo, al suo fianco, ghignò divertito e fece per allontanarsi, ma lei gli afferrò prontamente il braccio.
- Tu non ti muovi da qui - sussurrò muovendo piano le labbra.
- Ma guardati...stai in piedi da sola -
- É sicuramente un miracolo - disse muovendosi piano, nel tentativo di andare avanti.
Il ragazzo rise e le afferrò una mano, mettendosi poi davanti a lei - Un passo alla volta -
Rimase imbambolata per qualche secondo, ma poi annuì convinta.
" Se ce la fa Laura, posso farcela anch'io" pensò facendo qualche piccolo passetto, acquistando un po' di fiducia.
- Visto che non sei tanto maldestra - le sussurrò Matteo, afferrandole anche l'altra mano.
- Sei tu che sei un bravo maestro - disse sorridendogli.
- Proviamo ad andare un po' più forte? -
Annuì debolmente - Non lasciarmi -
Il ragazzo sorrise ed aumentò la velocità.
Rischiò di cadere e si aggrappò forte al braccio del fidanzato, stringendolo con vigore - Cristo santo! -
- Dai prova ad andare da sola - la incitò il ragazzo.
- Non so nemmeno stare in piedi da sola e vuoi che provi a pattinare per un pezzo?! -
- Esatto -
- Tu sei pazzo - disse incrociando le braccia al petto.
- Avanti Angelica - sussurrò lui, spostandosi alle sue spalle, dandole una leggera spinta.
- MATTEO! -
Il fidanzato si mise di nuovo davanti a lei - Forza...vieni -
Sospirò e si diede una piccola spinta. Riuscì a stare in piedi “Beh, non è poi così difficile...ma ora...come faccio a frenare?” si domandò, trovando immediatamente la soluzione: andare addosso a Matteo sperando che la sorregga. Infatti, il ragazzo la prese per i fianchi, fermandola.
- Per frenare...-
- ...ti vengo addosso - disse con un sorriso.
- No, ti devi piegare appena il piede...così - disse lui, inclinando appena il pattino destro, appoggiando a terra la gommina per frenare - Vedrai che ti fermi -
Matteo la lasciò andare e non si mosse di un millimetro, mentre lui si allontanava di un metro da lei - Forza, prova ancora -
- Quello di prima è stato un colpo di fortuna, sai? -
- Oh andiamo, se cadi ti prendo al volo -
Si diede una seconda spinta, più forte della precedente, forse un po’ troppo forte in effetti, visto che finì con il perdere l’equilibrio, agitare le braccia, e cadere di schiena a terra.
Il moro, che non era riuscito ad afferrarle il braccio, era al suo fianco, che la guardava con espressione preoccupata - Stai bene? -
- Eh......no -
Lui l'aiutò ad alzarsi e le strinse forte la mano, cercando di non farla cadere nuovamente.
- Hai sbattuto la testa? -
- No...- sussurrò massaggiandosi il gomito, sbuffando non appena notò dei piccoli taglietti - Sono negata per questa roba -
- Ti ci vuole solo un po' di pratica - disse il ragazzo facendola poi avvicinare per sussurrarle all'orecchio, in modo da evitare che orecchie indiscrete ascoltassero - Ho una voglia matta di baciarti... -
Sorrise, cercando di non arrossire - Non qui...insomma...in fondo siamo in classe -
Il resto dell’ora passò in tutta tranquillità.
Aveva acquisito un altro po’ di fiducia ed ora riusciva a pattinare, non proprio come Matteo, ma riusciva ad andare avanti e frenare, anche se aveva ancora qualche difficoltà a girare, ma per quello c’era Matteo che la aiutava.
La campanella suonò con cinque minuti di anticipo, come sempre in effetti, giusto per lasciare agli alunni il tempo di cambiarsi e di uscire in orario.
- DAI ANGI!!! - urlò Elisabeth passandole accanto a tutta velocità - Muoviti che si va in città! -
Percorse un tratto di corridoio con Matteo, ma dovette lasciarlo dopo un po’, visto che lo spogliatoio dei maschi è prima di quello delle femmine.
- Vuoi che ti accompagni? - chiese il ragazzo, sulla porta dello spogliatoio.
Il suo orgoglio la fece rifiutare - Tranquillo, ce la faccio -
Un paio di piccole spinte con i piedi ed era già alla porta dello spogliatoio, seguita da una familiare testa bionda. Laura le si affiancò e oltrepassò la porta prima di lei, dandole una spallata che la fece sbattere contro lo stipite della porta. Perse l’equilibrio e finì a terra, tenendosi il braccio che aveva colpito il legno della porta.
- Vuoi guardare dove vai? - chiese la ragazza con arroganza.
- Sei tu che mi sei finita addosso -
- La finite vuoi due? Siete come il cane e il gatto - s’intromise Elisabeth, aiutandola ad alzarsi.
Laura diede le spalle ad entrambe dopo averle lanciato uno sguardo di fuoco.
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Avevano lasciato le auto davanti a scuola, ed avevano preso l’autobus urbano numero 41, pieno, come sempre. Fortuna che Matteo teneva alla larga la gente, facendole un po’ più di spazio in modo che nessuno potesse spingerla o, inavvertitamente, darle delle gomitate. Elisabeth e Sergio, accanto a loro, li guardavano con un sorriso sulle labbra.
- Ma come diavolo hai fatto? - domandò Sergio al moro - Tutti i ragazzi della scuola ci provavano con lei e tu, tranquillo, arrivi a Verona, una settimana e siete già insieme -
- È tutto merito del mio fascino da latin lover -  
Gli diede un buffetto sul petto, scoppiando subito a ridere.
- Che c’è? - chiese il fidanzato - Non mi trovi affascinante? -
Si avvicinò piano - Tu sei stupendo -
Stavano per baciarsi, ma Elisabeth li interruppe con dei finti colpi di tosse.
- Non starai mica diventando la Umbridge? - chiese guardando l’amica.
- No, ma se fate come oggi...quando vi staccate saremo arrivati al capolinea da un pezzo -
Sorrise - Esagerata -
Dopo il breve tragitto, come al solito, scesero dall’autobus a Castelvecchio, illuminato in modo sinistro dai timidi raggi del sole che facevano capolino dalle nubi grigio chiaro che solcavano il cielo. Elisabeth saltellò un po' più avanti, arrivando in testa al gruppo, bloccandogli la strada - Sergio, tu vai con Angelica -
- Cosa?! Perché? - chiesero entrambi in coro.
- Perché di sì. Matteo...tu vieni con me. Ci troviamo sui gradini della Gran Guardia alle tre. Ah Angi, ricordati che Sergio deve prendersi anche lui il vestito...accompagnalo! - annunciò la rossa, prendendo Matteo sottobraccio, trascinandolo via con se a tutta velocità.
Lei e Sergio, rimasero lì, immobili, mentre la gente li superava, lanciandogli delle strane occhiate.
- Eh...cosa facciamo per due ore? -
- Ci scateniamo con la Playstation 3 alla Fnac e poi andiamo a prendere il tuo cavolo di vestito? - propose, alzando le spalle.
- Tu sì che sei una gran donna -
***
Senza nemmeno rendersene conto, lui ed Elisabeth avevano attraversato via Roma e piazza Bra in pochissimo tempo e, subito dopo, la rossa lo trascinò nel primo negozio di abiti maschili in via Mazzini, completamente affollata benché fosse solo lunedì pomeriggio. La rossa era andata talmente veloce che non era nemmeno riuscito a vedere con calma le vetrine degli altri negozi. Aveva visto solo un mimo, vestito da pinocchio, che imitava la gente che passava o faceva della facce strambe.
La ragazza girò per il negozio, caricandolo di abiti bianchi, camicie, cravatte e qualsiasi altro tipo di accessori.
- Questa camicia la devi assolutamente provare - disse lei buttandogli una camicia tra le braccia - L vero? -
- Eh...sì -
- Questi pantaloni qui - proseguì Elisabeth, lanciandogli tra le braccia un paio di pantaloni bianchi - Poi...dei jeans eh? -
Un paio di jeans gli finirono in testa.
Li scostò appena - Elisabeth, non credi sia troppo? Insomma...una camicia e un paio di pantaloni dovrebbero bastare -
- No, devi essere al meglio a quella festa...magari passi una notte movimentata con Angelica. Quindi zitto e soffri - disse la rossa, trascinandolo verso i camerini dall'altra parte del negozio, gli tolse i vestiti dalle mani, appoggiandoli su un divanetto di pelle lì accanto, e lo spinse dentro ad un camerino vuoto, passandogli subito un paio di pantaloni e una camicia - Vai con il primo giro -  
Chiuse la tendina e si cambiò velocemente, uscendo subito dopo.
La rossa, seduta sul divanetto lo guardò - La camicia mi fa schifo - sussurrò prendendone un’altra, porgendogliela - Prova con questa -
Ritornò in camerino, si tolse la camicia, l’attaccò al gancetto lì appeso ed indossò poi l’altra, sempre bianca.
Uscì di nuovo ed Elisabeth scattò in piedi - La camicia la prendiamo, ti sta da Dio...ma i pantaloni non vanno -
Alzò gli occhi al cielo, mettendosi le mani sui fianchi - Perché no? -
- Perché di no - concluse l’amica, porgendogli un secondo paio - Torna dentro e provati i jeans -
Sospirò “La giornata si rivelerà un vero inferno...spero che Angelica se la cavi” pensò infilandosi i pantaloni.
***
Nel negozio di videogame, lei e Sergio avevano preso possesso della Playstation 3, messa in mostra con un videogame sul calcio, ed avevano iniziato a giocare. Morale: aveva segnato un paio di gol e saltellava intorno al biondo, deridendolo.
- E siamo a due! - esclamò schioccandosi le dita, riafferrando il joystick.   
- Ok, forse è meglio se andiamo via...- sussurrò il ragazzo, guardandosi attorno.
- Poverino, ti vergogni per aver perso alla play con una donna? -
- Assolutamente no, e se dirai in giro di questa cosa io...-
- Cosa? Mi sfidi ai videogame una seconda volta? - chiese scoppiando a ridere, lasciando il joystick a dei ragazzini che aspettavano il loro turno.
- No, dico ad Elisabeth che avevi una voglia matta di fare shopping -
Si zittì immediatamente - Andiamo a prendere il tuo cavolo di abito che è meglio -

Palazzo della Gran Guardia - ore 15.00
Lei e Sergio erano seduti sui gradini della Gran Guardia. Il ragazzo, al suo fianco, aveva una grande borsa di plastica, che conteneva l’abito bianco che aveva comprato. Per fortuna erano entrati ed in cinque minuti se l’erano cavata: Sergio aveva scelto un paio di cose a caso, le aveva pagate, ed era usciti in fretta e furia. Avevano osservato le vetrine dei negozi in via Mazzini, lei si era comprata delle lenti a contatto rosse usa e getta all’ottica Solaris Italia, avevano poi attraversato piazza Bra con calma ed infine, si erano fermati nel posto prefissato.
- Che palle - sussurrò Sergio - Ma quanto ci mettono? -
- Abbi un po’ di pazienza -
- Uffa -
- Mio Dio Sergio, quanto ti costa aspettare due minuti? -
- Mi annoio -
- Vuoi giocare alla play? - chiese con un ghigno malefico sul volto.
- Ok sto zitto -
- Bravo - sussurrò alzando lo sguardo al cielo.
Le nuvole, che prima erano di un grigio chiaro, ora erano più scure e sinistre. Si poteva sentire l’umidità nell’aria e l’odore della pioggia che, probabilmente, sarebbe arrivata da lì a poco più di un’ora. Riabbassò lo sguardo su piazza Bra, triste e spoglia in una giornata di febbraio, ma sempre piena di turisti, venuti da qualsiasi parte del mondo per vedere la bella Verona.
- Non so cosa ci trovino i cinesi in questa città -    
Sorrise - Verona è famosa nel mondo per essere nello stesso tempo una città romana ed una romanica, una gotica ed una rinascimentale, una comunale ed una scaligera, e, grazie a Shakespeare, la città di Romeo e Giulietta. Ce ne sono di cose da vedere qui, come le arche scaligere del quattordicesimo secolo, il teatro romano del primo secolo avanti Cristo, l’Arena, la tomba di Giulietta, la torre dei Lamberti del dodicesimo secolo che si può vedere benissimo da piazza Erbe, Castel San Pietro sopra il teatro romano che...non mi ricordo se è del diciottesimo o del diciannovesimo secolo - disse portandosi una mano al mento - Credo diciannovesimo -
- Potevi evitare di farmi il tema, professoressa -
Arrossì - Oh, mai visti i Giardini Giusti? Quelli dove c’è il labirinto? -
- Sì ci sono stato - rispose il biondo alzandosi in piedi, agitando le braccia sopra la testa - Finalmente sono arrivati -
Puntò lo sguardo in avanti. Elisabeth camminava a passo spedito accanto a Matteo, anche lui, come Sergio, con una borsa di carta, contenente l’abito che aveva comprato. Doveva ammetterlo: moriva dalla voglia di vederlo vestito di bianco.
L’amica saltò immediatamente in braccio al ragazzo dai capelli biondi, baciandolo appena sulle labbra, mentre lei fece la stessa cosa con Matteo, rendendo però il baciò un po’ più passionale.
- Com’è andata? - chiese.
- Un supplizio...e ho una fame - sussurrò il ragazzo sulle sue labbra.
- Andiamo a...mangiare i panzerotti e poi un bel gelato? -
- Anche tu con il gelato? Ma hai visto che tempo? -
- Andiamo...- sussurrò baciandogli il collo - Solo un gelato -
- Ah, d’accordo. Voi venite? - chiese Matteo, rivolto ad Elisabeth e Sergio.
- Ma sì...ce n’è di tempo -
S’impossessò di nuovo delle labbra del fidanzato - Andiamo nel posto dell’ultima volta quando se ne vanno? -
- Ma certo - disse lui, rimettendola a terra, avvicinandosi piano all’orecchio - Hai da fare stasera gattina mia? -
Mugolò appena - Cos’hai in mente? -
- Andiamo a prendere la pizza? -
- Casa tua o casa mia? -
- A casa mia ci sono mia madre e mia sorella -
- Allora a casa mia - sussurrò, staccandosi - Allora? Cos’hai preso? -
- Non farle vedere niente! - urlò Elisabeth, raggiungendoli con un paio di volteggi - È una sorpresa -
Sorrise - Nemmeno una sbirciatina? -
- No Angi! È una sorpresa - disse l’amica, mettendosi le mani sui fianchi, con un’espressione di supplica sul volto - Prometti che non vedrai l’abito di Matteo prima della festa -
Si riavviò i capelli corvini all’indietro, cercando di ignorare gli occhi azzurri da Bambi di Elisabeth - Uffa, lo prometto -


Seduti su una panchina in piazza Bra, gustavano il loro gelato in silenzio. Lei, seduta in braccio al fidanzato, mangiava un cono gelato all'amarena senza staccargli gli occhi di dosso, e lui faceva lo stesso, mangiando il gelato al fiordilatte.
- Eli, sono stanco morto - sussurrò Sergio, che teneva in braccio la rossa - Perché non ce ne andiamo e lasciamo questi due? -
- D’accordo - rispose Elisabeth - Ragazzi? Voi cosa fate? -
- Restiamo un altro po’ - sussurrò Matteo stringendole un po’ di più il braccio intorno alla vita.
- Ok - sussurrò l’amica alzandosi in piedi, prendendo il biondo per mano - Ci vediamo domani a scuola -
- Ciao - sussurrarono lei e il moro all’unisono, osservando poi i due compagni che si allontanavano, dirigendosi nuovamente verso via Roma. La testa le girò per qualche secondo, ma poi, dopo un respiro profondo, si fermò.
- Riusciamo ad andare al nostro posto segreto? - chiese Matteo, finendo il suo cono gelato.
Sorrise - Ovviamente -
***
Vicolo Basso Acquar - ore 18.10   
Il sole stava tramontando, tingendo il cielo d’arancio, e le nuvole diventavano sempre più scure.
Un uomo vestito di nero, con un cappello in testa, attendeva in piedi accanto alla sua automobile, nel vicolo completamente deserto, battendo il piede per terra a ritmo costante, come se volesse contare i secondi che trascorrevano e fissava intensamente l’asfalto della piccola stradina a senso unico.
- Scusi il mio ritardo - sussurrò la voce di una donna.
L’uomo alzò lo sguardo, osservando la figura femminile che si avvicinava. I capelli rossi danzavano nell’aria per il lieve vento.
- Sai che odio aspettare -  
- Lo so ma...- iniziò la rossa avvicinandosi ancor di più a lui con un luccichio negli occhi dello stesso colore dei capelli, solo più brillanti. Indossava una veste nera che faceva risaltare il candore della sua pelle - Ma ho giocato un po’ con la cena -
- Non mi interessano le tue attività, demone - sibilò l’uomo con disprezzo - Il tuo compito? -
- Pazienza -
- Non venire a parlarmi di pazienza. Sto aspettando che tu la uccida da...quanti anni? Quasi quattro anni, maledizione! - urlò l’uomo in nero, stringendo i pugni.
Il demone sorrise - Un mese. Voglio divertirmi con la ragazza -
- Non voglio che quella ragazza uccida altri demoni. Non deve intralciarmi più, o i miei piani andranno in fumo -
- Certamente, non si deve preoccupare -
L’uomo ghignò - Dopo che l’hai uccisa...porta il corpo davanti all’Agenzia, così vedranno la fine della loro...paladina - sussurrò, sottolineando accuratamente l’ultima parola.
- E sia - sussurrò la rossa, facendo un lieve gesto con la mano - Poi avrò quello che ho chiesto? -
- Io mantengo sempre le mie promesse, demone. Non sono uno di voi -
La donna dai capelli rossi svanì in una nuvola di fumo, sorridendo in modo maligno.
L’uomo risalì in macchina e rise piano, togliendosi il cappello - Per te è la fine...Agente 33 -
***
Erano rimasti seduti sul solito muretto bianco pieno di scritte, che circondava entrambi i lati dell’Adige, per quasi un’ora, ed osservavano la strada dall’altra parte del fiume. Matteo la stringeva dolcemente tra le sue forti braccia, nel tentativo di non farle sentire freddo.
Si portò una mano alla fronte, stranamente calda, anche se aveva freddo. Socchiuse appena gli occhi per le palpebre che si chiudevano lentamente da sole e strinse dolcemente la mano del fidanzato.
- Matteo...andiamo? -
Lui la guardò, accarezzandole una guancia - Stai bene? -
- Io...sì, sto bene -
Il ragazzo le appoggiò le labbra sulla fronte, staccandosi subito dopo - Angelica, tu scotti -
- Non è niente -
- Andiamo a prendere l’autobus e torniamo a casa - sussurrò il fidanzato scendendo dal muretto bianco, facendola scendere a sua volta, cincendole la vita con un braccio, mentre con l’altra mano teneva la borsa bianca, che celava il suo abito.
- Matteo, ce la faccio - sussurrò, riaprendo gli occhi e tornando a testa alta - Ho solo un po’ di febbre -
Lui la liberò dalla sua amorevole stretta, ma solo per prenderle la mano - Facciamo in fretta, altrimenti rischi di ammalarti di più -
Sorrise - Ma rimani comunque stasera con me? -
Matteo rispose al suo sorriso, mentre si incamminavano velocemente - Ma certo gattina -
- Inizio ad odiare questo soprannome -
- Dovrai abituarti -
Percorsero velocemente via Mazzini, piazza Bra, via Roma e, in una decina di minuti, giunsero nuovamente a Castelvecchio.
- Spero che Elisabeth non si gasi troppo per la festa - disse mentre attendevano l’autobus.
- Temo, purtroppo, che l’abbia già fatto -
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Quaranta minuti ed erano arrivati al cancelletto di ferro battuto di casa sua. Con mani tremanti cercò le chiavi nella tasca dello zaino, ignorando le tempie che pulsavano. Le trovò immediatamente e, facendole tintinnare l’una con l’altra, ne infilò una nella serratura del cancelletto, spalancandolo. Matteo le tolse di mano le chiavi e la prese in braccio.
- Ce la faccio - disse in un sussurro, portandosi le mani alle tempie e socchiudendo gli occhi.
- Ritira gli artigli gattina, che tanto non ti metto giù -
Chiuse completamente gli occhi, abbandonandosi tra le braccia di lui.
Sentì la porta d’entrata di casa sua aprirsi con un cigolio e riaprì gli occhi, stringendosi forte alla maglietta del fidanzato, che saliva piano le scale, e, non appena fu entrato nella sua stanza, la stese sul letto, sedendosi subito dopo accanto a lei.
- Chiudi gli occhi e prova a rilassarti - sussurrò dolcemente il ragazzo, accarezzandole la fronte con una mano, fresca a contatto con la sua pelle rovente per la febbre.
Sorrise, mettendosi piano a sedere - Sto bene -
- Angelica - sussurrò ancora lui stringendola tra le braccia - Gattina mia, vuoi qualcosa? -
Fece un lungo sospiro, accoccolandosi contro il petto scolpito ed accogliente del ragazzo, per lasciarsi cullare dalle sue forti braccia. Si sentiva così bene lì.
Matteo prese ad accarezzarla dolcemente; prima i capelli, poi la spalla, poi la guancia. Mugolò qualcosa, sollevando una mano e poggiandola poi sul petto del ragazzo, dove poteva sentire il cuore che batteva come un tamburo. Inspirò profondamente il suo profumo così buono, così sensuale. Sembrava muschio bianco.
Mugolò come una gatta che fa le fusa - Il tuo profumo mi fa impazzire -
Matteo rise piano, mentre le sue carezze si facevano sempre più intime e scottanti, ma per niente fastidiose. Anzi, provò una sensazione stupenda quando il moro fece scorrere una mano delicata lungo la sua vita, insinuandosi sotto la felpa, accarezzandole la schiena rovente.
Lo abbracciò dolcemente, chiudendo gli occhi ed appoggiando la testa nell’incavo del collo di lui - Dormi qui stanotte? -
- Dovresti mangiare qualcosa prima -
- Non ho fame, davvero...ho la nausea -
Passarono dei lunghi minuti prima che il suono del suo cellulare li fece allontanare di colpo, senza motivo. Prese il telefono dalla tasca e rispose, portandolo all’orecchio - Pronto? -
- Ehi tesoro, tutto bene lì? -
Era sua madre. Si schiarì la voce, cercando di sembrare più tranquilla - Ciao mamma. Qui tutto bene, non ho ancora bruciato niente non ti preoccupare -
- Oh, ma non mi riferivo a questo! Cara, piccola ed ingenua Angelica -
Aggrottò la fronte - E di che stai parlando? -
- Di Matteo ovviamente! -
Arrossì - Mamma...-
- È lì vicino a te vero? Ecco perché hai il respiro affannato...avete appena fatto...-
- MAMMA! Cristo Santo no! Smettila! -
- Dai passamelo! -
Lanciò un’occhiata al fidanzato - Eh no -
- Allora ammetti che è lì!! -
Sbuffò - Ti metto in vivavoce - disse staccando il cellulare dall’orecchio e premendo un tasto - Ok -
- Matteo Dall’Angelo - iniziò sua madre. Sembrava che stesse per scoppiare a ridere.
- Sì, signora Vetra, sono io -
- AH!!!! Ho indovinato! Vi ho beccato!!! Piccioncini!!! -
Il fidanzato le sorrise, mentre lei si diede una sberla in fronte “Febbre, ti prego...SALI!!! UCCIDIMI!!!”
- Matteo? Mia figlia ti sta molestando? -
- Eh...no -
- Avete fatto qualcosa che...insomma...-
- No -
- Meno male. Avevo già specificato ad Angelica che non la voglio incinta quando ritorniamo da Roma -
“ UCCIDETEMI ADESSO!!!” pensò, sdraiandosi di nuovo sul letto, passandosi una mano sul viso.
- Mi dovete raccontare tutto! - urlò sua madre - Nei minimi particolari -
- Mamma, non sarebbe meglio discuterne di persona? - chiese, alzando appena la testa.
Dall’altra parte del telefono ci fu un po’ di brusio in sottofondo. Sentì una voce maschile: suo padre.
- Amore stai parlando con nostra figlia? - - Sì! Indovina! Ha un fidanzato! - - Nuooooo passamela! Tesoro!!!! -
- Ciao papà -
- Oh, mio piccolo cucciolo, hai trovato il ragazzo! -
Sorrise - Sì e lo state spaventando a morte -
- Oh figurati, se resiste a te - disse sua madre.
- MAMMA! -
- Cucciolo mio, avete già...insomma...fatto sesso? - chiese suo padre in tono basso, quasi imbarazzato.
- NO! -
- Dio mio, calmati tesoro! Hai il ciclo? - chiese nuovamente sua madre.
Lanciò un’occhiata a Matteo, che tratteneva a stento le risate - Giuro Matteo che ti soffoco con il cuscino -
- Soffocalo di baci piuttosto -
- Smettila mamma! -
- Matteo caro, devi capire che un paio di giorni al mese le donne sono un po’ acide -
- Non sono acida! -
- Tesoro se continui ad urlare così mi sorgono alcuni dubbi in proposito -
Fece un profondo respiro - Ora che sapete tutto, lasciate in pace me e Matteo? -
- Oh sicuro - disse suo padre - Ciao cucciolo! E mi raccomando: fate attenzione che non voglio diventare nonno così giovane -  
Inspirò ed espirò profondamente, cercando di mantenere il controllo - Ok -
- Ciao tesoro! -
- Ciao mamma -
- Ciao Matteo -
- Arrivederci signora Vetra -
- Oh, com’è gentile...ma dove diavolo l’hai trovato uno così Angelica? -
- Ciao - disse riattaccando, puntando poi lo sguardo verso Matteo, che ghignava sotto i baffi - Mi dispiace -
- Tua madre è...-
- Una possibile pazza, squilibrata e psicopatica suocera? -
- Un po’ -
Sorrise, abbracciandolo di nuovo - Ma adesso lo sanno -
Il fidanzato le accarezzò i capelli, baciandole poi la fronte - Prova a dormire un po’ -
Socchiuse gli occhi, cullata dalle braccia di lui, che le stringevano dolcemente la vita - Ti amo - sussurrò.
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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


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I giorni trascorsero velocemente e tutti erano elettrizzati per la festa in arrivo. Elisabeth più di tutti.
Aveva già predisposto tutto nei minimi dettagli come un’organizzatrice. Matteo e Sergio sarebbero andati a casa della sua compagna, che aveva giurato di riuscire a sistemarli come si deve. Sistemare soprattutto Matteo, in modo da fargli passare una serata movimentata.
Dopo tutto ciò, Elisabeth avrebbe sistemato lei, truccandola come si deve in modo da sembrare una vera vampira, aiutandola ad indossare l’abito comprato appositamente per la festa e, soprattutto, di pettinarle i capelli.
“Non ci riuscirai mai” le aveva detto, tentando di scoraggiare l’amica, che aveva sorriso in modo diabolico rispondendo con un “vedremo” sussurrato in modo quasi diabolico.
Elisabeth. La sua migliore amica. Non aveva ancora avuto il coraggio di raccontarle del suo strano lavoro. Doveva trovare il momento giusto per dirle che era una cacciatrice di demoni, anche se tutte le volte che l’amica cercava di chiederle qualcosa a riguardo, distoglieva lo sguardo dai suoi occhi azzurri, dicendo che non era pronta.


Tra lei e Matteo tutto andava per il meglio.
Certo, non avevano fatto quel “grande passo”. Molte volte cominciavano a baciarsi sul divano, finendo poi per terra, togliendosi con passione solo alcuni indumenti, ma il ragazzo si fermava, interrompendo il momento. Era ancora dell’idea che doveva essere tutto perfetto, e lei lo assecondava. Cosa le costava aspettare?
Non aveva parlato nemmeno a lui del suo lavoro. Era dell’idea che meno sapeva e più sarebbe stato al sicuro; soprattutto con quel demone donna nei paraggi. Già, la donna dai capelli rossi e gli occhi di fuoco. Da quando l’aveva minacciata di attaccare Elisabeth non si era più fatta vedere, anche se erano morti altri due turisti tedeschi nel giro di quasi due settimane.


All’Agenzia?
Tutto normale: demoni artificiali morti nel laboratorio di Marco, oramai in preda a delle crisi di panico per il poco posto a disposizione nell’infermeria; Beatrice, che le correva dietro dicendo che voleva studiarla perché la riteneva uno scherzo della natura dopo l’episodio del demone Elementale, del quale gli agenti continuavano a fermarla per i corridoi, congratulandosi per la buona riuscita della missione; ed infine la Direttrice, che ogni santo giorno girava per i corridoi dell’Agenzia, sulla sua sedia a rotelle con espressione pensierosa. Si era chiesta un paio di volte di cosa passasse per la mente della donna, ma dopo un po’ se n’era disinteressata. Dopo la missione dell’Elementale della terra, accompagnata da Francesco, il mezzo demone, aveva ucciso altri demoni, che non l’avevano colpita neanche una volta.


Arrivò il giorno della festa. A scuola nessuno era stato attento alle lezioni, eccetto lei e Matteo, calmissimi.
Elisabeth, invece, sprizzava energia da tutti i pori.
“ Sarà fantastico vedrete! Una serata da non dimenticare” aveva urlato, saltellando di qua e di là.
Sperò con tutto il cuore che l’amica non l’avesse riempita di trucco o l’avesse sistemata in modo da sembrare una troia.
“ Dio mio” aveva pensato preparando le sue cose, a pochi minuti alle otto, pronta per andare a casa della rossa “ Abbi pietà di me”
 
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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Sabato, 28 febbraio 2009 ***


Sabato, 28 febbraio 2009 - ore 20.00
Casa di Elisabeth


Le si mozzò il respiro in gola quando Elisabeth strinse i lacci del bustino dell'abito da vampira.
- E...Eli non...respiro -
L'amica allentò di poco i lacci - Oh Angelica, ma ti mettevano in risalto le tette -
Guardò l'immagine della rossa riflessa dallo specchio, vestita di rosso: un bustino quasi come il suo con i lacci su entrambi i fianchi, una gonna di un rosso più scuro, che le arrivava fino alle ginocchia, era perfettamente truccata e, anziché avere i soliti capelli diritti e lisci, li aveva acconciati in modo che prendessero la forma di ricci perfetti - In risalto cosa?! -
- Aspetta, aspetta. Cosa ti sei messa sotto? -
Elisabeth la fece sedere sulla sedia, scostandole appena la camicia bianca che indossava sotto il bustino di pelle nera, cercando il reggiseno - Eh...bianco -
La ragazza si spostò, mettendosi davanti a lei, con le mani sui fianchi. La sua coda da diavolo ondeggiava come se fosse un ramo scosso dal vento - BIANCO?! -
- Eh...sì, perché la camicia é bianca e...se lo mettevo nero...insomma... -
- Forse hai ragione, ma magari ai vampiri piace essere provocanti - disse la migliore amica, facendole reclinare indietro la testa - Ed ora il trucco. La carnagione da morta ce l'hai già, le labbra direi...rosse come il sangue -
Vide la rossa frugare in un cassetto del mobile dov'era appoggiata tutto il necessario, e ne estrasse un rossetto. Glielo passò sulle labbra, marcandole bene - Guardati -
Alzò la testa, osservando la sua immagine riflessa dallo specchio che faceva parte del mobile: i capelli erano tali e quali a prima, benché l'amica avesse cercato inutilmente di sistemarli, la solita, candida pelle, le labbra di un rosso scarlatto.
- Angi sei bellissima - disse l'amica con un sorriso, che diventò poi un ghigno - E indovina un po' cosa ti ho preso -
Le lanciò un'occhiata, mentre la ragazza prendeva una matita per gli occhi - Non lo so, cosa? -
Elisabeth le passò la matita sugli occhi, poi, con qualcos'altro che non riuscì ad identificare, le marcò ancor di più le occhiaie.
- Ti ho preso i canini finti -
Rialzò la testa - Ma dai -
- Oh sì - disse Elisabeth con uno sospiro, allontanandosi da lei, ma avvicinandosi subito dopo aver preso da un cassetto una piccola scatolina - Sarò una grande? Eh? -
Prese la scatolina che la rossa le stava porgendo, e l'aprì, osservando i due lunghi canini finti - Elisabeth, grazie. Non dovevi disturbarti -
- Dai provali, vediamo come ti stanno -
Si sistemò i canini e si voltò verso l'amica, sorridendo in modo accattivante - Come sono? -
- Mi fai venire la pelle d'oca - rispose Elisabeth, aprendo poi le ante dell'armadio in legno lì vicino - Mettiti le lenti a contatto che intanto cerco gli stivali -
Si alzò dalla sedia e cercò la scatolina delle lenti a contatto rosse sulla scrivania della grande stanza dell'amica, posta vicino alla finestra; dopo averla trovata, si risedette sulla sedia cercando di mettersi le lenti a contatto.
- Tu hai il mio stesso numero...mmm - disse Elisabeth, mugolando tra se e se, nascosta dalle ante dell’armadio, mentre lei metteva la prima lente a contatto rossa - Questi forse dovrebbero andare -
- Fa vedere - disse mettendosi anche l'altra e voltandosi verso l'amica, che la fissata con un paio di stivali in pelle nera in mano, alti appena sotto il ginocchio.
- Orca troia sei...un mostro -
- No, sono una vampira -
- Fai davvero senso con quegli occhi rossi -
- Perfetto allora - disse con un sorriso maligno.
- Provati questi Meredith - disse Elisabeth porgendole gli stivali.
Fece un luogo sospiro: non le piaceva quando l'amica la chiamava con il nome di personaggi dei libri che avevano letto - Zitta Bonnie! Chiamami ancora con un altro nome e ti chiamerò Ginny per tutta la vita! -
- Meredith! -
- Bonnie! -
- Hermione! -
- Ginny! -
- Arya! -
- Angela! -
- Islanzadi! -
- La vuoi piantare?! -
- Cosa? La pianta di prezzemolo? -
- Elisabeth!!!! - urlò scattando in piedi.
- Ok, ok. Mamma mia come siamo nervose - sussurrò lei, sedendosi sul grande letto in ferro battuto, infilandosi un paio di stivali rosso fuoco - Infila quei dannati stivali che andiamo -
Li infilò velocemente, tirando su la cerniera ai lati. Si alzò in piedi, mettendosi le mani sui fianchi - Il mantello non lo metto -
- Cosa? Perché no? -
- Mi da fastidio -
- Oh, fa quel diavolo che vuoi - disse la ragazza mettendosi le finte corna in testa - Ehi, ehi! Ferma lì! -
Inarcò un sopracciglio - Che c'é? -
Elisabeth le si avvicinò e sbottonò un altro bottone della sua candida camicia, aumentando la scollatura - Eh cavolo, hai una terza per niente -
Fece un luogo sospiro - Andiamo - disse mettendosi la giacca in pelle, tastando poi le tasche in cerca del cellulare, che trovò immediatamente. Estrasse il telefono dalla tasca e guardò il display: 1 nuovo messaggio da: Matteo.
Sorrise mentre leggeva l'sms inviato dal fidanzato:
“Ho una voglia matta di baciarti, gattina mia. Non vedo l'ora di vederti alla festa"
- Meredith? Sveglia! -
- ELISABETH!!!! -


Dopo nemmeno un paio di minuti passati in macchina di Elisabeth, giunsero ad un grande cancello in ferro battuto, completamente spalancato, posto all'inizio di una piccola stradina, non asfaltata, circondata da medi e grossi alberi.
- Are you ready? Let's rock! - esclamò la rossa, imboccando lentamente la piccola via, verso un edificio a due piani probabilmente, ma non riusciva a distinguerlo nettamente dagli alberi che intralciavano la sua visuale.
Una manciata di secondi e furono fuori dal giardino di quell'edificio. All'entrata principale c'era un piccolo piazzale, circondato da panchine in legno, e, al centro, una piccola fontana spenta, che raffigurava una donna con a fianco due leoni. Il locale, come aveva visto prima, era a due piani e la facciata era quasi completamente coperta di edera, che girava intorno alle finestre formando strani ghirigori sul muro in mattoni grigi. L'amica girò attorno alla fontana e poi fermò la macchina, voltandosi verso di lei.
- Forza - sussurrò Elisabeth mettendo il cambio in folle - Scendi -
- Perché prima io? Scendi tu! -
- Cristo Angelica! É una festa con tema angeli e demoni! E tu sei vestita da demone -
- Ma scommetto che nessuna é conciata come una troia -
- Cristo Santo! - sbraitò la rossa battendo i palmi delle mani sul volante - Adesso la smetti di fare l'idiota, scendi dalla macchina e io vado a cercare parcheggio -
- Vengo con te! -
- No -
- Sì -
- No -
- Sì -
- No -
- Sì -
- No -
- Sì! - urlò incrociando le braccia al petto.
- Ora basta! - urlò a sua volta la rossa, scendendo dalla macchina, facendo poi il giro ed aprendo la portiera del passeggero - SCENDI!! - disse lei prendendole il braccio. Oppose resistenza, ma dopo un po', Elisabeth, con un'espressione di vittoria sul volto, la fece uscire con la forza.
- Adesso mi aspetti qui, intesi? E se arrivano gli altri fermali ed aspettatemi -
Sbuffò ed annuì, osservando l'amica che, salita di nuovo sulla Lancia, partì alla ricerca di un posto libero nel parcheggio.
Osservò la Lancia sparire in un'altra stradina nascosta dagli alberi, poi concentrò la sua attenzione sulle persone che entravano nel locale, il cui interno, come si poteva notare dalle finestre al primo piano, era illuminato da luci rosse e bianche, che si alternavano in qualche manciata di secondi.
Passò un gruppetto di ragazzi, che si diedero delle leggere gomitate quando la notarono, fece finta di niente.
Sentì i sassolini che sfrigolavano appena sotto i passi di due ragazzi del gruppetto che le si avvicinarono con aria strafottente: uno moro vestito di bianco e l'altro vestito di nero, con delle corna del medesimo colore che spuntavano dalla chioma bionda.
- Non bisognerebbe venire ad una festa da soli - disse l'angelo, girando attorno alla panchina.
- Non sono sola - sussurrò senza degnarlo di uno sguardo.
- Che begli amici...lasciarti qui da sola con la brutta gente che c’è da queste parti - s'intromise il biondo - Perché non vieni con noi? -
- Mi dispiace, ma sono costretta a rifiutare - disse alzandosi in piedi con un sorriso, mostrando i canini senza volerlo - E se non ve ne andate immediatamente, vi giuro che ve ne andrete urlando con il mio tacco nel culo -
I due, ora, erano scandalizzati.
“Troppo diretta per caso?? Naaaa” pensò - Afferrato il concetto? - domandò, ma i due ritornarono dai loro compagni, borbottando.
- A volte mi sorprendo - disse una voce alle sue spalle.
Voltò appena lo sguardo, osservando un ragazzo: indossava una camicia bianca, con due bottoni aperti, mostrando la pelle rosea del petto; sopra di essa una giacca elegante bianca e portava un paio di jeans chiari - Sai essere davvero cattiva a volte -
- Bisogna esserlo, signor Dall'Angelo - disse in un sussurro, mentre Matteo si avvicinò, fermandosi davanti a lei, baciandola sulle labbra.
- Bel vestito - si complimentò non appena lui si staccò - Vedi che fare shopping con Elisabeth non é poi così male? -
- Hai ragione, ma non lo farò mai più -
Rise di gusto, mettendosi le mani sui fianchi - Ma sei così sexy -
- Ma tu di più...- disse Matteo con un sussurro, appoggiando poi le labbra sulle sue.
- Ehi Angi, non rovinare la mia opera...aspetta la fine della festa - domandò Elisabeth, sbucata dal nulla alle sue spalle.
Si staccò e guardò il fidanzato con un sorriso - Non intendevo farlo, aspetterò la fine -
- Sai dove sono Davide e Federico? - domandò la rossa all’angelo, che alzò le spalle come risposta.
- Magari sono già dentro con Alice e Vittoria - azzardò puntando lo sguardo all'entrata del locale.
- Sergio sta arrivando - disse poi Matteo - É andato a parcheggiare la mia macchina -
- Sì, l’ho incrociato per strada - confermò Elisabeth, voltandosi poi verso la stradina nascosta che portava al parcheggio, dove, subito dopo, comparve un’altra figura vestita completamente di bianco, con i capelli biondi un po’ spettinati.
Non appena li raggiunse, Elisabeth gli diede una piccola sberla sul braccio.
- AHIA! -
- Perché di sei spettinato i capelli!? -
- Perché mi davano fastidio come me li hai sistemati - disse Sergio, incrociando le braccia al petto.
- Grrrr! SERGIO! -
- Oh, calmati tesoro, chi va a guardarmi i capelli? -
- IO! -
- Tu avrai ben altro a cui pensare - disse il biondo, baciando con passione la ragazza vestita da diavolo, che si abbandonò tra le sue braccia. Tossicchiò appena, attirando l’attenzione dei due, che si staccarono: Elisabeth leggermente arrossata e Sergio con un sorriso vittorioso sulle labbra.
- Entriamo? -
S’incamminarono verso l’entrata, ma Matteo la superò e, da bravo gentleman, le aprì la porta, facendola passare per prima.
Sorrise avvicinandosi lentamente al suo orecchio, soffiando con fare sensuale, sussurrandogli un ringraziamento.
L’interno era illuminato di bianco e si poteva sentire distintamente la canzone “Just dance” di Lady Gaga. L’ingresso era una piccola stanzetta, dove, dietro un bancone di legno, tre donne vestite di bianco accoglievano i clienti, ritirando probabilmente le loro giacche o altre cose. Infatti, una delle tre, una ragazza bionda, fece il giro del bancone con un sorriso a trentadue denti stampato sul viso, mettendosi poi davanti a loro.
- Volete lasciarmi le giacche? -
Lei ed Elisabeth si tolsero le proprie e le porsero alla ragazza, che continuava a sorridere.
- Il vostro nome? -
- Elisabeth Hall - disse la rossa, tornando a braccetto con Sergio.  
- Angelica Vetra -
La bionda tornò nuovamente dietro al bancone - Godetevi la festa - disse lei, indicando con un gesto della mano, delle scale il legno alla loro destra. Fecero qualche passo per allontanarsi dalle tre ragazze, poi si avvicinò a Matteo, avvicinandosi appena al suo orecchio.
- Facciamo ancora in tempo ad andarcene a casa tua -
- E mi hai fatto soffrire con lo shopping per niente? -
Sorrise in modo maligno, salendo i primi gradini in modo da arrivare alla stessa altezza del ragazzo, una decina di centimetri più alto di lei - Soffrire è una parola grossa -
- Un paio d’ore - iniziò lui prendendola in braccio - E poi facciamo quello che vuoi -
Sfiorò lievemente le labbra del ragazzo con le sue - D’accordo -
Raggiunsero Elisabeth e Sergio, già in cima alle scale, che guardavano il vero e proprio locale: le luci, come aveva notato da fuori, si alternavano in una manciata di secondi, fumando dal rosso al bianco. La musica, che ora era cambiata, rimbombava tra le pareti della grande stanza, diffondendo quel tunz tunz che lei odiava.
Al centro della sala c’erano dei ragazzi e delle ragazze, tutti vestiti da angeli o da diavoli, che ballavano a casaccio, saltellando sul posto, con le braccia in alto e, nel caso delle ragazze, muovere i fianchi “strusciandosi” contro i ragazzi carini che adocchiavano. Intorno alla pista vi erano sistemati una ventina di tavoli, quasi tutti occupati da altri giovani, che ridevano e parlavano tracannando birre e quant’altro, servito da altre ragazze, vestite però di rosso, che giravano tra i tavoli con i vassoi tra le mani; mentre, oltre la folla che ballava, c’era un piccolo soppalco, dove un deejay vestito di nero, grazie ai suoi vari attrezzi e a due grosse casse ai lati del palco, diffondeva nel locale la sua musica.
Il bancone, alla loro sinistra, era occupato solo da un paio di persone.
- Oh Dio - sussurrò - Mi serve da bere -
- Ti vuoi già ubriacare? - domandò la rossa, abbracciata a Sergio.
- Sì, sì e assolutamente sì! Odio tutto questo tunz tunz -
- Ti accompagno - sussurrò Matteo, ed entrambi si avvicinarono al bancone, pieno di lucine rosse e bianche attaccate al bordo, sedendosi su degli sgabelli rossi.
Il barista, vestito da diavolo con gli occhi rossi come tizzoni ardenti, si avvicinò subito - Cosa vi porto? -
- Un Jack Daniel's -
- Una Coca cola -
Il barista annuì e si voltò preparando da bere. Si voltò verso il ragazzo, alzando un sopracciglio - Devi guidare? -
Lui annuì - Già, sennò come vai a casa? -
- Ah, ti sembro una che crolla per un Jack Daniel’s? -
Il fidanzato le sorrise e si girò verso il barista che gli porgeva un bicchiere di coca cola e uno più piccolo, contenente un liquido molto più chiaro, con dentro due cubetti di ghiaccio. Matteo era già pronto a pagare tutto.
Una mano sbucata dal nulla alle sue spalle, prese il bicchiere di whiskey.
- Ehi - disse voltandosi verso Elisabeth, che aveva bevuto quasi tutto il bicchiere - Elisabeth tu non lo reggi l’alcol -
- Oh, zitta Angi. Non fare la secchiona...lo reggo l’alcol -
- Vuoi finire come l’ultima volta? - chiese, ricordandosi dell’ultima volta che l’amica si era ubriacata, afferrando qualsiasi ragazzo che le capitava a tiro, baciandolo con passione sulle labbra per diversi secondi. La rossa le sorrise e, senza darle risposta, trascinò Sergio al centro della pista. Lanciò un sospiro, bevendo il Jack Daniel’s.
- Tu sei sicura di poterlo reggere? - le chiese l’angelo al suo fianco.
Rise piano, appoggiando il bicchiere vuoto sulla superficie in legno del bancone - Cosa vuoi che sia un bicchierino? - sussurrò, guardando poi il barista - Me ne dia un altro -
Matteo aveva sospirato e aveva preso di nuovo il portafogli.
- No, scordatelo -
- Angelica, non fare l’orgogliosa -
- Me lo pago, non ti preoccupare - disse cercando le tasche, che però non c’erano.
- E con cosa? -
Abbassò lo sguardo sul suo abito. In effetti non c’erano tasche e il portafogli era rimasto nella tasca della giacca. Sbuffò, prendendo il bicchiere che il barista le aveva preparato una seconda volta - Solo un prestito - disse guardando l’orologio appeso tra le mensole colme di bottiglie di alcolici, che segnava le 21.03.
Bevette il bicchiere tutto d’un fiato, lanciando un lungo sospiro prima di voltarsi verso la gente che ballava - Matteo? -
- So  cos’hai in mente -
- Ci stai? -
Il fidanzato, che aveva finito la Coca cola, si era alzato in piedi, mettendosi davanti a lei e porgendole la mano - Mi concede questo ballo? -
Sorrise - Ovviamente signor Dall’Angelo -
Si avvicinarono al gruppo di ragazzi che ballavano al centro del locale, e si sistemarono proprio in mezzo, dove la musica faceva pulsare i timpani ancora di più.
- Pronto? - chiese.
- Ma certo gattina -
Sorrise ed iniziò a muoversi a tempo con la musica benché non fosse il suo genere, facendo ondeggiare sensualmente i fianchi, sfiorando il corpo di un Matteo sbalordito. Rise mentre gli metteva le braccia la collo, affondando le dita nei suoi capelli, giocando con quelli più corti sulla nuca, e sfiorava il bacino con il suo. L’angelo la fece voltare all’improvviso, cingendole l’esile vita con le braccia, appoggiando le labbra calde sul suo collo, baciandolo con lentezza.
- Voi maschi vi eccitate per cose da niente - gli sussurrò all’orecchio, reclinando all’indietro la testa, appoggiandola alla sua spalla. Poteva sentire i suoi muscoli tesi più che mai.
Altre canzoni ancora, una dietro l’altra annunciate dal deejay. Sembravano passati pochi minuti quando la musica rallentò, lasciando posto ad una canzone più lenta e romantica.
- Questa è per tutti gli innamorati sulla pista - annunciò il dj.
Matteo le prese dolcemente entrambe le mani e la strinse a se, facendo aderire perfettamente i loro corpi, e avevano iniziato a muoversi lentamente. Appoggiò la testa sul suo petto, tentando forse di assaporare appieno le sensazioni di quel momento.
- Metti paura con quegli occhi -
- Fanno parte del costume - sussurrò, sorridendo contro il suo petto.
- E i canini...-
Si alzò in punta di piedi, appoggiando le labbra sulle sue, schiudendole.
- In effetti sono leggermente scomodi - sussurrò quando si fu staccata dal bacio passionale.
Si spaventò a morte quando qualcuno le batté una mano sulla spalla e voltò lo sguardo verso una coppia accanto a loro: riconobbe immediatamente Alice e Federico, entrambi vestiti di nero.
- Guarda la zoccola come si è conciata - sussurrò la mora con un sorriso.
- Alice - la salutò rispondendo al sorriso - Dove siete state? -
- Noi due siamo appena arrivati e abbiamo incrociato Vittoria e Davide ad un tavolo -
- Elisabeth? -
- Da qualche parte -
- Non dirmi che pensa di resistere agli alcolici? -
Matteo le fece fare una giravolta e, dopo aver riportato lo sguardo sull’amica, annuì - Si è bevuta mezzo bicchiere di Jack Daniel’s -
- Bisogna fermarla -
- Ma lascia che si diverta! - esclamò il rosso, prendendo in braccio Alice - Tanto poi sai come va a finire -
- Ah già...sicuramente lei e Angelica...- iniziò la mora, interrompendosi.
- Lei e Angelica cosa? - chiese.
- Finirete con il ballare lady marmalade sui tavoli -
- Alice! -
- Quella volta con “dimmi come” però...è e rimarrà per sempre insuperabile -
- Ero ubriaca! -
- Dopo aver fatto a gara con Elisabeth -
L’angelo le fece fare un’altra giravolta, cingendole la vita con un braccio - A gara? -
- Bere uno dietro l’altro dei bicchierini di vodka menta - sussurrò.
- E hai vinto ovviamente! - s’intromise nuovamente la mora.
- Alice! -
- Traballavi un pochino quando siamo uscite dal locale e...-
- Basta! Lo so quello che è successo dopo! -
- Ma io no gattina - sussurrò il moro con un sorriso.
- Oddio Matteo! Dovevi esserci! Era talmente ubriaca che si è buttata in una fontana bella grande -
Sbuffò e, senza smettere di ballare, si allontanarono dalla coppia che ghignava sotto i baffi.
La canzone finì dopo pochi minuti e tutti si staccarono per ballare un’altra canzone movimentata. Alice l’afferrò per un braccio e la trascinò fuori dalla folla, finendo vicino ad un tavolo dov’erano seduti Vittoria e Davide, vestito di nero. Matteo e Federico li raggiunsero subito, parlottando tra loro.
- Angi - la salutò la bionda con un piccolo cenno del capo.
Salutò i due con un sorriso, mentre Alice e Federico si sedevano sulle uniche due sedie vuote.  
- Per quanto restate? - chiese mentre il fidanzato le cinse la vita con un braccio.
- Non saprei, finchè non ci stufiamo e finchè non accade qualcosa che ci costringe ad andare via per non ridere troppo - sussurrò la bionda, sorseggiando il suo bicchiere di quella che sospettò fosse Coca cola.
- Elisabeth si inventerà sicuramente qualcosa - sussurrò qualcuno alle sue spalle: Sergio.
- Brutto scemo, dov’è Elisabeth? -
- Bella domanda - sussurrò il biondo massaggiandosi una guancia, leggermente arrossata - È ubriaca marcia. Mi ha tirato uno schiaffo dicendo che la stavo molestando -
Fece un profondo respiro - Trovala e fermala prima che faccia una cazzata -
L’angelo dai capelli biondi annuì, scomparendo tra la folla che inghiottì la sua figura. Si voltò verso il tavolo, dove Alice e Vittoria sorridevano come due ebeti - Che diavolo avete? -
- La cosa si fa interessante - iniziò la mora.
- Elisabeth ubriaca - continuò la bionda, lanciando uno sguardo all’amica vestita di nero.
- Farà sicuramente qualcosa di stupido - concluse Alice.
- Che sicuramente riguarderà anche me - disse, prendendo Matteo per mano, voltandosi verso di lui - Andiamo al bancone del bar? Così ci sediamo un po’? -
Il ragazzo annuì.
- Ci vediamo più tardi - sussurrò all’indirizzo dei quattro seduti al tavolo, che li salutarono a loro volta.
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Si fecero largo tra la folla di ragazzi e ragazzi, che ballavano senza sosta, alcuni erano talmente pieni che rischiavano di perdere l’equilibrio ogni volta che tentavano un passo di quella scatenata danza.
Si sedettero di nuovo al bancone del bar ed ordinarono nuovamente da bere: lei, ovviamente, un Jack Daniel’s, mentre Matteo un’altra Coca cola. Bevette mezzo bicchiere di Jack Daniel's - Musica di... -
- Davvero ti sei buttata in una fontana? -
- No, hanno esagerato - sussurrò - Mi sono solo bagnata un po’ -
- Un po’? -
- Ok completamente. Ma non ricordo nulla, davvero -
Il deejay, all'improvviso, si schiarì la voce, abbassando il volume della musica, cercando di calmare la folla che voleva ballare.
- Qui c'é una ragazza che sta cercando l'amica per convincerla a cantare sul palco -
" Devono fare santa l'amica di quella pazza" pensò svuotando un altro po’ il bicchiere.
- Stiamo cercando una vampira di nome Angelica! -
" COSA?!? WHAT?!?" Tossì forte non appena il Jack Daniel's rimasto le andò di traverso - Non é...possibile... -
Matteo le diede un paio di piccole ed affettuose pacche sulla schiena - Hai capito bene -
" Magari se resto girata non mi riconosceranno mai" pensò poco prima che una luce bianca le si puntò sulla schiena.
- Forza Angelica...non fare la vampira timida -
" Nooooooooooooooooooooo!!!!"
Si voltò appena, ed arrossì quando vide la folla di gente che la chiamava, incitandola a salire sul palco, dove Elisabeth si stava bevendo un boccale di birra tutto d'un fiato.
" Alla faccia che reggeva l’alcol"
- Forza Angelica! Sali sul palco! -
Scrollò la testa - No, scordatelo -
- Avanti! - urlò il deejay. Non riuscì nemmeno a controbattere che alcuni ragazzi l'avevano afferrata per le braccia, spingendola verso il palco. Salì senza fare altre storie, prendendo il microfono che Elisabeth, leggermente brilla, le porgeva.
- Le parole appariranno sullo schermo...pronti ragazzi? -
La gente esultò, ubriachi ancor più di prima.
- Niente tunz tunz - disse al deejay.
- Canzone a tua scelta - le rispose lui facendole l’occhiolino.
- Christina Aguilera! - urlò Elisabeth saltellando, finendo la bottiglia di birra.
Si passò una mano nei capelli. Ora non poteva più tirarsi indietro - D’accordo...allora “Ain’t no other man” - disse scrollando la testa. I bicchieri di Jack Daniel’s che si era bevuta, stavano iniziando ad avere un leggero effetto.
Il deejay trafficò con la sua attrezzatura, ed immediatamente la canzone partì, un po’ più veloce del solito.
“ Ok, stai calma...sono tutti girati dall’altra parte...non ti ascolteranno minimamente” pensò, mentre la rossa la prendeva a braccetto. Evidentemente, anche lei voleva cantare.
“ E se fingo di svenire?” pensò, guardando verso il bancone, dove Matteo la guardava intensamente.
Arrossì di colpo senza motivo.
“ Ma chi se ne frega. Volete una figura di merda? E figura di merda sia!”
Elisabeth aveva già cominciato con l’urlo all’inizio. Ubriaca cantava meglio che da sobria. La folla si era voltata incuriosita.
“ Ottimo!” pensò, ironica “Che sfiga!”
- I could feel it from the start, couldn't stand to be apart. Something about you caught my eye, something moved me deep inside! -
- Don't know what you did boy but you had it and I've been hooked ever since! - urlò ancora la rossa e, continuando a cantare, la tirò giù dal palco, incitandola a ballare insieme a lei in mezzo alla folla, che batteva a tempo le mani. Afferrò un paio di bicchieri dal vassoio di una cameriera e li bevete uno dietro l’altro.
- Ain't no other man, can stand up next to you. Ain't no other man on the planet does what you do -
- What you do - sussurrò lievemente Elisabeth, che si muoveva sensualmente attorno ad uno sconosciuto vestito da diavolo.
Le afferrò il braccio e la trascinò via - You're the kinda guy, a girl finds in a blue moon. You got soul, you got class. You got style with your bad ass oh yeah! –
“ Oh Cristo! Quand’è che l’alcol fa effetto?? Non voglio avere ricordi di nessun genere!!”
- Ain't no other man its true, all right. Ain't no other man but you -
- Vediamo se siete preparate ragazze! - urlò il deejay al microfono, facendo sfumare la canzone di Christina Aguilera per lasciar spazio al ritornello di un’altra canzone molto più movimentata: disturbia.
Elisabeth aveva cominciato a saltare come una matta e lei l’aveva seguita, cantando a squarciagola con l’amica, ripetendo più e più volte quel pezzo di canzone.
- Your Minds in Disturbia! It’s like the darkness is the light! Disturbia! Am I scaring you tonight! Disturbia! Ain’t used to what you like! Disturbia! Disturbia! -
Erano andate. Completamente andate.
- Bum bum be-dum bum bum be-dum bum! - urlò saltando tra la folla, che le dava qualche affettuosa pacca sulla schiena.
“ Oddio Angelica! Ripigliati!” pensò, scrollando la testa, per poi smettere di saltare e cantare.
- Bum bum be-dum bum bum be-dum bum! Bum bum be-dum bum bum be-dum bum! - urlava la folla, guidata dalla vocina stridula di Elisabeth.
Traballando tra la folla, cercò l’amica, trovandola avvinghiata a Sergio. Tirò un sospiro di sollievo e fece dietro front, pronta per tornare al bancone, che sapeva, era da qualche parte lì attorno.
S’imbatté in una figura che le bloccava la strada: era un ragazzo biondo, che, dopo aver sorriso, prese a girarle intorno.
- Che bel pezzo di vampira - le soffiò lui nell'orecchio.
- Che demone sbruffone -
- Bevi qualcosa? -
- No grazie - sussurrò avvicinandosi al suo orecchio - Sono a posto -
- Aspetta - disse il biondo afferrandole il braccio, facendola voltare - Che ne dici se ti offro da bere e...-
- E...?-
- E poi usciamo di qui?- le sussurrò il demone con un ghigno malizioso sulle labbra.
- Mi dispiace tesoro, non mi sono mai piaciuti i demoni - “Di solito li ammazzo” - E poi sono fidanzata...-
Gli batté una mano sulla spalla, e si avvicinò al bancone dove c'era Elisabeth, seduta su uno sgabello; le si sedette accanto con un sospiro.
- Angelica! Amica mia! Sei ubriaca! -
Scoppiò a ridere - Ubriaca come Spongebob -
- Eh? -
- Oh, lasciami perdere Eli, sto sparando solo cazzate -
- Hai già trovato gli ammiratori? - le chiese la rossa con un ghigno.
- Ah, sta zitta - rispose, mentre il cameriere le porse un bicchiere, con un liquido scuro al suo interno.
- Questo glielo offre il ragazzo laggiù -
Voltò lo sguardo verso un ragazzo, completamente vestito di nero, e un paio di corna rosse che spuntavano dai capelli corvini. Il ragazzo alzò il bicchiere verso di lei che fece lo stesso, svuotandone il contenuto subito dopo.
- Ma perché l’alcol non ha ancora fatto effetto? - domandò al nulla, sbuffando “Probabilmente ha fatto effetto visto che sto facendo discorsi da demente” pensò.
Si voltò verso la sala, osservando i ragazzi e le ragazze che si scatenavano sulla pista, illuminati di tanto in tanto, dai raggi laser rossi e bianchi controllati dal dj. Fece per voltarsi nuovamente, ma restò incantata ad osservare la porta finestra che conduceva al balcone esterno, dove un angelo se ne stava in disparte.
“ Matteo” pensò immediatamente, riconoscendo il ragazzo benché le desse le spalle - Eli, vado fuori -
- mmm...ok, non cadere dal balcone -
Si alzò dallo sgabello, che cigolò appena, attraversò la folla che si scatenava in una danza improvvisata al ritmo di una canzone house, alcuni cercavano di trattenerla, per farla ballare con loro, ma tirò diritto, arrivando alla porta finestra.
Nella penombra del balcone che dava sui giardini, la figura del ragazzo se ne stava immobile, in piedi, osservando pensierosa le fronde degli alberi mossi da una leggera brezza, con un bicchiere in mano. Si avvicinò lentamente a lui, lo abbracciò da dietro, appoggiando la testa alla sua schiena - Cosa fai qui fuori da solo Matteo? - domandò in un sussurro.
- Cerco un po’ di calma -
Sorrise - Vuoi che andiamo a casa? -
Lo sentì ghignare - Non sarebbe una cattiva idea -
- Peccato che sono un po’ brilla - “Solo un po’? Avanti Angelica, sei piena come una spugna” pensò, ridendo tra se e se.
- Un vero peccato -
Lasciò andare Matteo, e si sedette sulla balaustra del balcone, osservando la festa all’interno del locale, ma poi si voltò con un sospiro, voltando lo sguardo sul giardino, mentre lui le prese la mano.
- Sei bellissima stasera, gattina mia -
Sorrise - Anche tu sei stupendo...micione -
Lui ricambiò il sorriso, ed entrambi tornarono a guardare il giardino. Ogni tanto gli lanciava delle veloci occhiate soffermandosi sui suoi occhi, la sua bocca leggermente umida dopo aver svuotato il suo bicchiere, e i suoi capelli.
- Hai...pettinato i capelli? -
- Tutta colpa di Elisabeth - disse lui con un sorriso - Meglio di prima? -
- Li preferivo un po’ spettinati, perché eri più...mmm...sbarazzino - disse.
Il ragazzo si raddrizzò, la fece scendere dalla balaustra ed appoggiò le labbra sulle sue. Chiuse gli occhi, ricambiando il bacio, ed allungò la mano per giocare con le ciocche dei suoi capelli, morbidi come seta.
Si staccarono per riprendere fiato, e sorrise - A cosa devo questo bacio? -
- Al fatto che sei la ragazza più bella su cui abbia posato gli occhi -  
Arrossì. La vista iniziava ad essere un po’ sfuocata.
“ Chi diavolo è questo tizio?”
- Vorrei baciarti ogni minuto -
Sorrise - Magari... -
Matteo svuotò il bicchiere con un ultimo sorso, e lo appoggiò sulla balaustra, sorridendole - Torniamo dentro? -
Traballò appena, afferrandosi al suo braccio.
***
- Angelica? - chiamò la ragazza, che si teneva in piedi per miracolo.
- mmm -
- Ma quanta roba hai bevuto?-
- Poca...non sono nemmeno ubriaca -
- Ah no? Pensavo il contrario -
- Mi ricordi chi sei? -
- Angelica...sono Matteo, il tuo fidanzato - sussurrò.
- Oh, la tua fidanzata? E...siamo stati a letto insieme? -
Rise senza motivo - Eh, no... -
- Come faccio ad essere fidanzata con un ragazzo così bello e sexy, che magari é bravo a letto senza mai aver fatto sesso? -
Arrossì, lanciando uno sguardo al biondo, che stava ridendo - Oddio Matteo, è completamente in tuo possesso -
- Oh, sta zitto Sergio -
- Giusto, zitto biondino...che sembri un pulcino spelacchiato con quei capelli - sussurrò Angelica, puntando il ragazzo con un dito.
Il biondo smise di ridere all’istante.
- Forse é meglio se usciamo a prendere una boccata d'aria - disse aiutando la fidanzata, sorreggendola fino all’uscita.
- Perché mai? Qui c’è da bere -
- No Angelica, hai bevuto abbastanza stasera -
- Oh...Matteo -
- Ci vediamo Sergio - disse al biondo - Hai tu le mie chiavi? -
Il compagno frugò nelle tasche dei suoi pantaloni e, una volta trovate le chiavi della sua Opel Corsa, gliele porse.
- Ci vediamo lunedì - rispose lui
- Ciao - rispose prendendo le chiavi e mettendole in tasca.
- Ciao Angi -
- Ciao pulcino spelacchiato -
Prese per mano la fidanzata e si fece largo tra la folla che ballava.
Scesero le scale all’ingresso, ritornando alla piccola stanza dove le solite tre ragazze vestite di bianco, stavano dietro al bancone, parlando tra loro. Si avvicinò e disse il nome della fidanzata ad una delle tre, che annuì, sparendo dietro la porta del guardaroba, tornando subito dopo con la giacca di Angelica tra le mani.
- Grazie - disse alla ragazza, prendendo la giacca e porgendola alla mora ubriaca al suo fianco.
- Rossana dai pensaci un po’ tu...perchè così non se ne può più... - sussurrò la vampira, avviandosi verso la porta con una camminata un po’ traballante, ignorando l’indumento che le porgeva.
Le prese una mano ed uscirono sulla piccola corte con al centro la piccola fontana spenta, che raffigurava una donna con due leoni al suo fianco.
- Angelica, dovresti mettere la giacca - sussurrò, porgendogliela nuovamente. Lei si voltò, sorrise prendendo la giacca ed indossandola con qualche difficoltà.
Le cinse nuovamente la vita con un braccio quando la vide ciondolare a destra e a sinistra - Forza, camminiamo un po’ - le sussurrò, incamminandosi verso la stradina che portava al parcheggio del locale, ma che, ad un tratto, deviava per snodarsi tra gli alberi del giardino.
- Matteo, chi è quello là davanti che mi fissa? -
Si bloccò. Guardò prima Angelica, poi il punto che la ragazza indicava con mano tremante, ma non vide nessuno.
- Non c’è nessuno davanti a noi -
- Avanti Matteo, non sono ubriaca! Non lo vedi il tipo? È lì davanti, ci sta venendo incontro -
Guardò nuovamente, ma non si vedeva niente. Sospirò, incamminandosi nuovamente, tenendo la mora stretta a se.
- Matteo è pieno di sangue -
- Non dovresti più bere così tanto -
- Non ti sto mentendo, è lì lo abbiamo appena superato - disse la fidanzata, guardando alle sue spalle.
- Forse è meglio andare a casa -
- Perché non mi credi? -
La prese in braccio - Sei ubriaca Angelica -
- Ah, forse è per quello - sussurrò lei, gettandogli le braccia al collo ed appoggiando la fronte al suo collo.
Fece dietro front e svoltò per il parcheggio, iniziando a cercare il posto dove Sergio aveva parcheggiato la macchina.
- Matteo? -
- Sì, gattina?
- No niente -
Trovò la macchina dopo pochi minuti, mise la fidanzata con i piedi per terra e disattivò l’allarme. Aprì la portiera del passeggero ad Angelica, leggermente traballante, che cercava di reggersi al suo braccio.
- Forza, sali - sussurrò facendola avvicinare, ma la ragazza non si sedette.
- Dove vuoi portarmi?-
- Ti porto a mai casa perché sei ubriaca -
- E se io non volessi? -
- Angelica, sei ubriaca...-
- E se mi vuoi violentare? -
- Sono il tuo fidanzato, come posso violentarti? Io ti amo -
Lei sorrise maligna - Ah, allora vuoi avere solo concludere la serata con il botto finale -
- Eh no...ma ora sali -
La fidanzata sbuffò sonoramente, sedendosi finalmente sul sedile del passeggero della sua auto.
Fece il giro e si sedette al volante - Ti senti bene? - chiese guardando la ragazza che giocherellava con i capelli.
- Benissimo -
Sospirò e partì.
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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Domenica, 1 marzo 2009 ***


Domenica, 1 marzo 2010

Aprì la porta di casa, sorreggendo Angelica, profondamente addormentata. La prese in braccio e salì poi le scale.
Entrò in camera sua e l'appoggiò sul letto matrimoniale; la ragazza mugolò appena. Le sfilò la giacca e l’appoggiò da una parte.
Le prese una gamba, abbassò la cerniera dello stivale e glielo sfilò, gettandolo a terra; poi fece lo stesso con l'altro, e sussultò non appena notò Angelica, che lo stava guardando curiosa.
- Furbacchione...potevi dirmelo che volevi questo da me -
- Ti ho solo tolto la giacca e gli stivali. Non voglio fare proprio niente - disse.
Lei si avvicinò lentamente - Lo sai che tu puoi togliermi tutti i vestiti che vuoi - disse, baciandolo sulle labbra.
Sgranò gli occhi e si staccò - Angelica... - l'ammonì.
La fidanzata sorrise, come se niente fosse, cercando di slacciare il bustino - Mi aiuti? - chiese la mora dopo diversi tentativi.
Si sistemò dietro di lei ed iniziò a slacciare i lacci del bustino - Come ti senti?-
- Mai stata meglio - sussurrò lei gettando la testa all'indietro, appoggiandola sulla sua spalla - E tu? -
Le tolse il bustino, mettendolo da una parte - Non finirai mai di sorprendermi -
La ragazza piegò leggermente la testa, appoggiando la fronte al suo collo.
- Perché? - chiese lei.
- Non pensavo che potessi ubriacarti, gattina -
La mora sorrise - A volte mi lascio andare. Non te l’ho mai detto quando ero sobria? -
- Eh...mi avevi accennato qualcosa, ma non molto -
- Oh, che cattiva fidanzata che sono...dovresti mettermi in punizione -
- Ora è meglio che dormi -
Angelica si raddrizzò velocemente, mettendosi a cavalcioni su di lui - Dormi con me? - chiese la ragazza, sbottonandosi un altro bottone della candida camicia. Scrollò la testa, prendendola per i fianchi e buttandola da una parte - Meglio di... -
S'interruppe guardando la ragazza, profondamente addormentata - ...no - concluse con un sorriso.
La coprì con le coperte e fece per andarsene quando sentì la voce di lei sussurrare il suo nome. Si riavvicinò, cercando di cogliere il senso delle altre parole che Angelica sussurrava lievemente.
La ragazza lo abbracciò all'improvviso, facendolo sdraiare sul letto. Sorrise togliendole un ricciolo di capelli dalla fronte.
- ...ti amo... - sussurrò lei, addormentata.
Sorrise - Anch’io ti amo - disse, alzandosi lentamente, sospirando non appena la guardò un'altra volta, pensando che era stupenda anche quando dormiva. Sembrava un angelo.
Avrebbe tanto voluto...
Scrollò la testa, dirigendosi verso il bagno " Qui ci vuole una doccia fredda".


Uscì dal bagno con un asciugamano stretto intorno alla vita e rientrò nella sua stanza. Rimase sulla soglia ad osservare la ragazza addormentata nel suo letto, avvolta dalle lenzuola candide quanto la sua pelle, poggiata di fianco e con le braccia che abbracciavano il cuscino dove era appoggiata anche la testa, i lunghi capelli corvini erano sparsi sul candido cuscino con alcune ciocche che le ricadevano sulla fronte.
Arrossì notando la candida camicia della ragazza abbandonata per terra e la stessa cosa valeva per la gonna che indossava alla festa. Si girò di scatto verso l’armadio “Pensa a qualcosa di stupido Matteo, pensa a qualcosa di stupido, estremamente brutto ed inguardabile”
Fece un respiro profondo ed indossò una maglia bianca, dei boxer e un paio di pantaloni di una vecchia tuta; poi si voltò di nuovo verso il letto, dove Angelica si rigirò tra le lenzuola, mugolando appena come se fosse una gatta che fa le fusa al padrone.
Sorrise, avvicinandosi silenzioso al letto, e si sdraiò sopra le lenzuola, stringendo la ragazza tra le braccia. Le baciò sulla fronte coprendola bene con il lenzuolo, e poi chiuse gli occhi, sperando di addormentarsi.
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Riaprì lentamente gli occhi e sospirò osservando il soffitto della sua stanza, lanciando poi uno sguardo alla sveglia sul comodino accanto al letto, che segnava le undici.
Angelica si mosse piano tra le sue braccia, mugolando qualche parola, presa forse da un sogno. La strinse a se ispirando il suo dolce profumo alla vaniglia. La ragazza, ancora addormentata, si voltò verso di lui, e strofinò la testa sul suo petto, come fanno i gatti quando vogliono essere coccolati. Sorrise, accarezzandole piano la testa.
Un altro mugolio e le baciò la fronte - Dormi gattina mia, è ancora presto -
Sentì le piccole ed affusolate dita della ragazza che stringevano con forza la sua maglia, e dei piccoli lamenti che uscivano dalle sue labbra socchiuse.
- Angelica -
La fidanzata si mosse inquieta sotto le lenzuola, sussurrando alcune parole che non riuscì a cogliere.
- Non é niente Angelica - sussurrò piano baciandole la fronte.
- No... - sussurrò la ragazza stringendo gli occhi - ...non deve...succedere...ancora... -
" Succedere ancora?" pensò.
Si spaventò a morte non appena Angelica si sedette di scatto sul letto, respirando affannosamente.
***
Si portò una mano al petto, cercando di calmare il battito del cuore, impazzito per il sogno appena concluso.
- Angelica -
Si voltò verso Matteo, al suo fianco - Ehi, buongiorno -
- Stai bene gattina mia? - chiese lui, con le guance un po’ arrossate.
Sorrise - Sì, era solo un brutto sogno - disse - Ma...che ci faccio a casa tua? - domandò abbassando lo sguardo sul materasso e sul suo corpo coperto solo dalla lingerie che indossava. Si coprì immediatamente tirando a sé il lenzuolo, arrossendo come non mai.
- Ti sei ubriacata -
- Cos’ho fatto?! -
- Ti sei ubriacata -
Si portò le mani al viso, sdraiandosi nuovamente al fianco del ragazzo - Dimmi che non ho fatto niente di stupido -
- No tranquilla, hai parlato quasi sempre con me -
- Non dirmi che ti ho detto qualcosa di...-
- Malizioso? - disse lui - Qualcosa sì -
- Cosa ti ho detto? -
- Facevi allusioni a quanto fossi estremamente bello e sexy - disse lui, scoppiando a ridere.
Sorrise, facendolo avvicinare con un piccolo gesto e, quando fu a qualche centimetro da lei, gli gettò le braccia al collo.
- Ma tu sei estremamente bello e sexy -
- Poi mi hai chiesto di metterti in punizione perché eri una cattiva fidanzata - disse lui, trattenendo le risate.
Si mise a sedere con un’espressione imbronciata sul viso, prese il morbido cuscino e lo lanciò in faccia al ragazzo - Fai il serio! -
- Ma è la verità - disse lui togliendosi il cuscino dalla faccia, mettendolo da una parte - Mi hai chiesto se volevo dormire con te -
- E potresti spiegarmi come mai indosso solo la biancheria intima? -
- Ti sei tolta i vestiti da sola... -
- Oh - sussurrò con uno sbadiglio, sdraiandosi nuovamente.
- Vuoi dormire un altro po’? -
Mugolò appena, voltandosi verso il fidanzato ed abbracciandolo - Non ho sonno, voglio solo stare abbracciata al mio peluche personale -
- Ehi non sono un peluche -
Si staccò appena e sorrise - Oh certo che lo sei -
- Come, come? Ti faccio vedere io il peluche personale -
Matteo si mise sopra di lei in un secondo: le immobilizzò le braccia con una mano, portandogliele sopra la testa, mentre con l'altra mano iniziò a farle il solletico. Delle lacrime iniziarono a rigarle le guance, scivolando verso il mento, mentre rideva.
- No no! Ti prego Matteo - urlò tra le risate - Farò tutto quello che vuoi...ahah! No!! Fermati!!! Ahahah!!-
Lui si fermò un attimo, lasciandole prendere fiato - Mi tratterai come un peluche? -
Annuì, ricominciando a ridere quando lui riprese a farle il solletico.
Si divincolò come una furia quando non riuscì più a sopportare quella dolce tortura, si liberò dalla presa del ragazzo, invertì le posizioni, sedendosi a cavalcioni su di lui e bloccandogli le braccia con un sorriso - Hai abbassato la guardia -
- La gattina ha tirato fuori gli artigli - disse il ragazzo, avvicinando il viso al suo, sfiorandole appena le labbra.
Si staccò con un ghigno maligno stampato sul volto - Lo sai che mi devo vendicare, vero? - disse, cominciando a fargli il solletico.
Il fidanzato prese ad agitarsi, con le lacrime che presero ad uscirgli dagli occhi, ed era davvero difficile trattenerlo dato che era sicuramente più forte di lei. Dopo poco, infatti, il moro si liberò in quattro e quattr'otto, invertendo ancora le posizioni.
- Adesso siamo pari - sussurrò, sperando che il ragazzo non si vendicasse ugualmente - Risparmiami -
- Hai ragione - rispose lui alzandosi in piedi, con il viso arrossato per le troppe risate.
Si alzò a sua volta, coprendosi con il lenzuolo, arrossendo più che mai.
- Sai, dovresti togliere quelle lenti a contatto - disse Matteo.
Scrollò la testa, che faceva ancora un po’ male - Ho ancora le lenti? -
- Sì, e fanno veramente senso - rispose lui, avvicinandosi all’armadio, aprendo entrambe le ante per cercare qualcosa. Subito dopo, il fidanzato le porse una maglia a maniche corte - Probabilmente ti va larga -
Prese la t-shirt rossa e, con un po’ di vergogna, si alzò in piedi, infilandola immediatamente.
- Vuoi del tè? -
Si passò una mano sulla fronte - Eh, sì grazie - disse facendo un passo verso di lui, che però la bloccò con un gesto.
- Non ti preoccupare, ti porto la tazza a letto -
Sorrise - Grazie -
- Vai pure in bagno se devi toglierti quegli affari rossi - disse Matteo uscendo dalla stanza.
Sentiva la testa pesante, ma andò comunque in bagno in punta di piedi, ciondolando di qua e di là, tenendo una mano appoggiata al muro come sostegno, e guardò la sua immagine riflessa dallo specchio: come sempre era spettinata e pallida, ma gli occhi erano ancora di un rosso cupo. Dei canini finti non c’era traccia.
“ Li avrò persi al locale” pensò alzando le spalle, togliendosi anche le lenti a contatto, facendo tornare gli occhi del solito colore.
Buttò le lenti a contatto nel piccolo cestino sotto al lavandino e si voltò verso la porta, portandosi una mano alla fronte, ignorando la voce nella sua testa.
“ Questi non sono i soliti sintomi del post-sbornia” pensò appoggiando la schiena contro il muro, ansimando e scivolando a terra.
Fece dei profondi respiri e si rialzò in piedi. Sussultò alla vista di Matteo, sulla porta del bagno, che la osservava con preoccupazione, tenendo tra le mani una tazza in porcellana bianca - Ti senti bene? -
Sorrise camminando verso il moro - Sì, tranquillo -
Tornarono entrambi nella stanza del ragazzo; si sedette sul letto mentre lui rimase in piedi, al suo fianco, porgendole la tazza.
Prese la tazza di tè con entrambe le mani, attirandola poi verso di sé - Grazie - disse, bevendone un lungo sorso.
Passò qualche minuto in silenzio facendo dei lunghi respiri tra un sorso e l’altro.
La voce della donna demone dai capelli rossi si era affievolita, fino a scomparire del tutto.
- Matteo, ma tua madre e tua sorella? -
Lui le si sedette accanto, scostando le ciocche ribelli che le cadevano sulla fronte - Mia madre é partita questa mattina presto per Torino e tornerà domani pomeriggio e ha portato Sonia é a casa di una compagna di scuola, dove resterà fino a domani -
Bevette un altro sorso di tè, finendolo - Hai in mente qualcosa vero? -
- Già - rispose il ragazzo prendendole la tazza - Hai fame? Vuoi che facciamo qualcosa da mangiare? -
- Onestamente, vorrei andare a casa e vestirmi decentemente e poi non ho molta fame -
Il fidanzato le sorrise - D’accordo, ci vediamo oggi pomeriggio se ti va, ok? -
- Casa mia? -
- D’accordo, a che ora? -
Sorrise in modo malizioso - Ti chiamo io, gattone -
Un lungo miagolio sulla porta attirò la loro attenzione. Guardarono in quella direzione ed osservarono Artemide, seduta all’entrata della stanza, che agitava la coda corvina di qua e di là.
Fischiettò lievemente, battendo la mano sul materasso - Vieni -
La gattina non se lo fece ripetere due volte, e con passo felpato, si avvicinò al letto e saltò sul materasso, accoccolandosi tra le sue gambe incrociate.
- Artemide...devo andare - disse accarezzando il morbido pelo dell’animale.
La palla pelo nera emise dei lievi suoni, rotolandosi da tutte le parti per attirare l’attenzione, arruffando il pelo scuro ancor di più, e poi la guardò, piegando la testa da un lato.
- D’accordo cinque minuti poi vado -
Un piccolo e dolce miagolio accompagnò la sua decisione.
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Casa Vetra - ore 19.30
Matteo, davanti a lei, nascondeva dietro la schiena una borsa di carta bianca.
- Che c'é lì dentro? - chiese avvicinandosi piano a lui e cercando di sbirciare il contenuto della borsa.
Il fidanzato le sorrise - Vieni a cena a casa mia più tardi? -
Inarcò un sopracciglio - Cos'hai in mente? -
- Sorpresa - sussurrò il ragazzo, mostrandole poi la borsa, tenendola però chiusa - Prometti che la apri solo quando hai finito di fare la doccia e di asciugarti i capelli? -
- Ehm...é una bomba? - chiese con un sorriso, cercando si sbirciare il contenuto della borsa.
- Certo che no Angelica - rispose Matteo - Prometti? -
- Ok lo prometto -
Il ragazzo le baciò il collo, mordendolo appena - Ti lascio tutto sul letto e vado a casa a prepararmi - disse il moro, andando subito in camera sua, appoggiando la borsa sul letto e ritornando da lei con un sorriso a trentadue denti - A dopo -
Lo baciò sulle labbra, staccandosi immediatamente - A dopo -
Matteo, senza distogliere gli occhi da lei, scese la grande scalinata e si fermò sulla porta - Ah, Angelica? -
- Sì? -
- Ti ho già detto che sei stupenda? -
Sorrise - Sì -
- Non mi stancherei mai di dirtelo -


Nella sua stanza una sola cosa attirava davvero la sua attenzione: la borsa di carta bianca, che Matteo le aveva portato e le aveva chiesto di vedere il suo contenuto finché non fosse uscita dalla doccia ed aver completamente asciugato i capelli.
Avvicinandosi al letto dove la borsa era appoggiata, fece un piccolo e diabolico sorriso, dato che, finalmente poteva vedere quello che celava. Infilò dentro la mano e tastò l'oggetto di morbido tessuto al suo interno, prima di tirarlo fuori dalla borsa di carta.
Fece un lungo sospiro, seguito da un sorriso - Oh Matteo, come diavolo ti é venuta in mente un'idea simile? - domandò al nulla, osservando il vestito semplice, di colore nero, che teneva dalle fine spalline.
Si fermò ad osservare la scollatura dell'abito, non molto esagerata, poi lo avvicinò al corpo, guardando l'orlo che arrivava ad una decina di centimetri sopra il ginocchio.
- Chissà dove vuole portarmi stasera con questa cosa - sussurrò sfilandosi la grossa t-shirt rossa, abbandonandola sul letto ed infilando velocemente l'abito. Le calzava a pennello.
"Matteo, mi stupisci ogni giorno di più"
***
Aveva fatto la doccia in quattro e quattr'otto, aveva indossato un completo elegante, composto da un paio di pantaloni neri, una camicia bianca, una giacca nera e, per concludere una cravatta dello stesso colore; ed ora era seduto sul letto, ad osservare l'ora.
" Sono le otto, deve aver visto l'abito" pensò prendendo il cellulare, componendo il numero della fidanzata.
Dopo qualche squillo Angelica rispose.
- Sei pronta ad andare a cena, gattina mia? -
La sentì ridere dall'altro capo dell'apparecchio - Sì, ho quasi finito, due minuti -
- Allora vengo lì, d'accordo? -
- Certo -
Chiuse la telefonata e infilò il cellulare in tasca. Si alzò in piedi e guardò la sua stanza perfettamente in ordine, come il resto della casa. Scese di corsa le scale, giungendo all'ingresso e prese il mazzo di rose rosse, poste sul mobile coperto dalle foto.
Prese un profondo respiro, agitato come un ragazzino al suo primo appuntamento, ed uscì, mettendo in tasca le chiavi dell'auto di sua madre, che era partita per Torino con la sua Opel Corsa, e le chiavi di casa.
Andò in garage dove l'Audi A5 nera di sua madre sembrava guardarlo. Salì in macchina, mise in moto e partì, fermandosi davanti al cancelletto di casa Vetra.
Non c’era nemmeno bisogno di suonare il campanello: il cancelletto era aperto e, quando giunse dinnanzi alla porta d’entrata, si accorse che anche quella era aperta. Entrò in casa con il mazzo di rose, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo, che rimbombò tra le pareti dell’ingresso.
- Un secondo e ho finito - disse la fidanzata, la cui voce proveniva da una delle stanze in cima alle scale.
- Non ti preoccupare, fai con...- disse, senza nemmeno finire la frase quando Angelica apparve in cima alle scale - calma -
Dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà per cercare di resistere alla tentazione di saltarle addosso. La ragazza, ovviamente, indossava l'abito che le aveva comprato giorni prima, di nascosto, con l'aiuto di Elisabeth, i capelli neri erano in ordine, non più spettinati come al solito, i riccioli corvini sembravano brillare come i suoi occhi, verdi come le foglie degli alberi a primavera, la candida pelle era messa in risalto dall'abito scuro, ed infine le labbra solo un po' rosee.
- Angelica...sei bellissima -
Lei sorrise, iniziando a scendere le scale scendendo le scale e, non appena fu al suo fianco, sorrise ancor di più quando le porse il mazzo di rose rosse.
- Grazie - disse la ragazza prendendo il mazzo ed avvicinò il viso ad una delle rose per sentirne il profumo - Non dovevi disturbarti tanto - concluse lei, baciandolo dolcemente.
- E questo non è niente -
Lei alzò lo sguardo, inarcando un sopracciglio e mettendo il mazzo di rose su un mobile lì accanto - Devo preoccuparmi? -
- Assolutamente no - disse prendendole la mano - Andiamo o faremo tardi -
***
Uscirono di casa e, non appena furono sulla strada, si bloccò ad osservare l’Audi A5 parcheggiata lì davanti.
- E questa? -
- È di mia madre - rispose lui, accompagnandola alla portiera del passeggero - Pensavo fosse più adatta -
- Matteo, non devi fare queste cose per me -
Il ragazzo le sorrise, aprendole la portiera - Angelica, smettila di lamentarti e sali -
Si sedette sul morbido sedile in pelle dell’auto - Non mi sto lamentando - disse quando anche il fidanzato fu salito - Non pensi sia esagerato? L’Opel andava comunque bene - 
Matteo le si avvicinò e la zittì con un bacio, staccandosi subito dopo per mettere in moto l’auto.
- Ok sto zitta -
L’Audi A5 partì silenziosa verso un luogo a lei sconosciuto.
Voltò lo sguardo verso Matteo e sorrise - Fammi indovinare: ristorante? -
Anche lui sorrise - Ovviamente -
Puntò lo sguardo fuori dal finestrino, osservando il paesaggio che cambiava di tanto in tanto.
- Mercoledì si va in gita vero? -
Voltò lo sguardo verso di lui - Sì, sarà fantastico -
- Lo spero - disse lui.


Pochi minuti e Matteo fermò la macchina davanti al ristorante.
Un piccolo sentiero di ghiaia, costeggiato da una piccola siepe verde, conduceva all’ingresso: il vetro della porta era di diversi colori, e mostravano i camerieri all’interno che servivano i clienti; sopra di essa c’era la testa di pietra di quello che, a parer suo, sembrava un demone; ai lati, invece, c’erano delle rose rosse rampicanti che formavano sul muro di mattoni dei strani ghirigori.
Non appena furono sulla porta, Matteo la precedette, aprendogliela. Si lasciò sfuggire un sorriso, accompagnato da un ringraziamento.
- Hai freddo? - chiese lui con tono premuroso.
- No, sto bene grazie -
Si avvicinarono al bancone proprio davanti all’ingresso, dove un uomo, vestito elegantemente, restava in piedi dietro la cassa ed un computer ad attendere nuovi clienti, o servire degli aperitivi, a giudicare dai bancali di vetro alle sue spalle, colmi di bottiglie di alcolici.
- Posso esservi utili? -
- Buona sera, io avrei prenotato il tavolo - disse il fidanzato.
- Il suo nome prego -
- Dall’Angelo -
L’uomo, dopo aver controllato sul computer la prenotazione, rialzò lo sguardo, sorridendo. Una cameriera, si avvicinò in tutta fretta - Prego seguitemi -
La ragazza li accompagnò al tavolo al centro della sala era tutto per loro: apparecchiato in modo impeccabile, sopra vi era posato un secondo mazzo di rose rosse e una candela bianche che, probabilmente, era appena stata accesa da uno dei camerieri.
- Matteo...- iniziò con un sospiro - Non dovevi -
Il moro le sorrise semplicemente, accompagnandola al tavolo, facendola accomodare per prima. Arrossì in modo fin troppo vistoso: non si era aspettata una cosa così romantica. Il ragazzo si accomodò di fronte a lei con un sorriso sulle labbra.
- Matteo, avrai speso una fortuna -
- Mai abbastanza per te -
La cameriera, ancora al loro fianco, grembiule estrasse un piccolo block notes e una penna dalla tasca sul grembiule che teneva legato alla vita - Volete ordinare da bere? -
Sorrise - Acqua naturale grazie -
- Anch’io -
La cameriera sorrise, mettendo via il block notes - Arrivano subito, intanto... - iniziò lei facendo un piccolo cenno ai menù posti sul tavolo - Potete decidere cosa ordinare -
- Grazie - ringraziò la cameriera, che si era allontanata subito dopo, prendendo un menù e sfogliando lentamente le pagine.
- Angelica? -
Alzò lo sguardo e sorrise - Dimmi -
- Ho un regalo per te -
Chiuse il menù - Matteo...-
- Lo so, ma non ho potuto resistere dal comprarlo -
Inarcò un sopracciglio - Quel giorno di shopping con Elisabeth deve averti fatto davvero male -
Il moro, passandosi una mano nei capelli per togliere quelli che gli cadevano sulla fronte, sorrise - Credo di sì, ora posso darti il mio regalo? -
- Certo -
Lui si alzò in piedi - Chiudi gli occhi -
Inarcò ancora una volta un sopracciglio, ma poi chiuse gli occhi, in attesa. Sentì Matteo avvicinarsi e poi fermarsi di nuovo dietro di lei, scostandole i capelli dal collo ed appoggiandole qualcosa di freddo al collo.
- Apri -
Obbedì, portandosi subito le mani al collo, toccando quel sottile filo che le sfiorava la pelle diafana del collo.
Era una sottile collanina d'argento, molto semplice, da cui pendeva un ciondolo, dello stesso materiale, a forma di cuore.
- Ti piace? -
- È bellissima - sussurrò sfiorandola di nuovo.
Si alzò in piedi, voltandosi verso di lui per concedergli un dolce bacio - Grazie - gli sussurrò sulle labbra.
Tornarono a sedersi, ritrovando un po’ di contegno.
- Sei bellissima -
Sorrise - Per via della collana -
- No, è la persona che dona grazia e bellezza a ciò che indossa - disse lui, appoggiando un braccio sul tavolo, tendendo una mano verso di lei. L’afferrò e la strinse dolcemente, concedendogli un altro sorriso.
***
Via Carlo Cattaneo - ore 21.17

Il demone donna dai capelli rossi sedeva comodamente su un alto muro di mattoni grigi: le gambe accavallate e lo sguardo di fuoco puntato verso di lui.
- Ti ho dato un mese, certo - sussurrò l’uomo vestito di nero - Ma in queste settimane non hai fatto proprio niente -
- Devi avere pazienza -
- Mi sono stancato! - urlò lui furioso. 
- Vuoi una data precisa? Bene... - iniziò il demone, riavviando all’indietro i capelli come le fiamme - Il 7 marzo Angelica morirà, e troverete il suo corpo nel parcheggio dell’Agenzia - 
L’uomo in nero diede le spalle alla rossa - Spera per te che sarà così, o morirai tu il 7 marzo -
***
Dopo un bel piatto di tagliatelle con il salmone, erano passati direttamente al dolce, saltando i secondi piatti, ed ora, mentre mangiava una detta di torta al limone, osservava la sinuosa fiamma della candela ormai mezza consumata. Matteo, seduto davanti a lei, aveva finito la sua porzione di torta ai frutti di bosco, ed ora la osservava in silenzio.
- Sei stanco? - chiese senza distogliere lo sguardo dalla fiamma.
- No, anzi -
Sospirò finendo la fetta di torta, pulendosi la bocca con il tovagliolo - Non mentire -
- Non sto mentendo, Angelica - disse lui, sorridendo - Mi piace osservarti quando mangi il dolce. Fai una strana espressione quando finisci -
Puntò gli occhi nei suoi e sorrise - Che espressione? Non me ne sono mai resa conto -
Matteo rise piano ed avvicinò la mano alla sua, facendo sfiorare le loro dita. Un brivido le percorse la schiena.
- Sembri una bambina che vuole il bis -
Abbassò lo sguardo, arrossendo - Ebbene lo ammetto: sono una golosona -
- Se non vuoi altro, andiamo a casa? Sono quasi le dieci -
Annuì - D'accordo, andiamo -
Il fidanzato si alzò in piedi e l'affiancò immediatamente, aiutandola ad alzarsi.
- Che galantuomo - disse prendendo il secondo mazzo di rose rosse.
- Ormai dovresti conoscermi -
Andarono alla cassa e Matteo pagò il conto. Si sentì un po' a disagio: lei aveva un sacco di soldi da spendere grazie all'Agenzia, che, ogni volta che uccideva un demone, i soldi sul suo conto corrente aumentavano in base alla categoria del nemico. Non sapendo più come spenderli, iniziò a fare donazioni anonime ad ospedali, centri di ricerca, chiese ed altro ancora.
Avrebbe dovuto pagare lei il conto, ma sapeva che Matteo non glielo avrebbe mai permesso.
Uscirono dal ristorante e salirono sull'Audi A5 della signora Dall'Angelo. Il ragazzo, al posto di guida, voltò lo sguardo verso di lei, sorridendo.
Non poté fare a meno di sorridere a sua volta - Che c'é? -
- Niente - sussurrò lui - Sei splendida -
Arrossì - Che ti prende oggi Matteo? Sei così...-
- Strano? -
- Già -
Il moro mise in moto la macchina - Beh, meglio tornare a casa -
Sorrise - D'accordo -
- Guardiamo un film? - chiese lui, prendendo la strada di casa.
- Ormai li abbiamo guardati quasi tutti -
- Riguardiamone uno, no? -
- Sì ma...quale? -
- mmm...Troy? -
Inarcò un sopracciglio - Oh, stasera andiamo per i poemi epici -
- Anche Helen of Troy é carino -
- Quante volte ce lo siamo guardato? - chiese.
- Un paio -
- E se guardiamo The Messengers? -
- Ancora con i fantasmi? -
- Parla quello che guarda Ghost Whisperer -
- Ehi, ehi. Cos'ha Ghost Whisperer che non va? -
- Oh niente! Solo che tutte le volte che guardi un episodio sei occupato a guardare Melinda! -
- Cos'ha Melinda? -
Voltò lo sguardo verso il paesaggio fuori dal finestrino - Oh niente, ha solo delle tette enormi -
Matteo quasi sbandò mentre scoppiava a ridere per la sua affermazione.
- E vede i fantasmi - azzardò - Come la prenderesti se io vedessi i fantasmi? -
Lui mugolò appena - Beh, forse proverei a...boh non lo so, ma ovviamente manterrei il segreto -
- Ah - disse lievemente con un sospiro "E per i demoni come la mettiamo?"
Matteo sospirò - Guardiamoci Helen of Troy -
Annuì - Sì, d'accordo -
______________________________________________________

Non appena Matteo girò la chiave nella serratura della porta d'entrata di casa, Artemide sembrò apparire dal nulla, iniziando a strusciare la testa contro le sue gambe nude, cercando di attirare la sua attenzione.
- Stupida palla di pelo - sussurrò Matteo aprendo la porta con una lieve spinta - Sparisci e torna domani -
- Matteo - lo ammonì, chinandosi per prendere in braccio la gattina per accarezzarle la testa e dietro le orecchie - Poverina, potrebbe offendersi. Sai come sono orgogliosi i gatti -
Il moro, con un gesto della mano, la invitò ad entrare e lei obbedì, tenendo sempre Artemide tra le braccia.
- Vieni, andiamo in salotto -
Andarono in salotto e si accomodò sul divano senza smettere di accarezzare Artemide, osservandosi in giro.
- Allora Helen of Troy - sussurrò Matteo, che guardava la mensola dei dvd con le mani sui fianchi.
- Qualsiasi altro film per me va bene -
- È lo stesso Angelica - rispose lui, prendendo una custodia, chinandosi poi verso il lettore dvd, inserendo il film, che partì immediatamente.
Il ragazzo si accomodò accanto a lei, prese Artemide tra le sue braccia e l’appoggiò a terra. La gattina, per tutta risposta, gli soffiò contro, offesa.
- Matteo -
- Artemide se ne va in cucina - ordinò lui - Sai cosa fa quando guardiamo i film -
Alzò gli occhi al cielo - Oh, non sarai mica geloso di un gatto? Vuole solo che le faccia le coccole...-
- Io sono molto geloso e le coccole dovresti farle a me -
Detto questo, il fidanzato la fece sdraiare sul lungo divano, sistemandosi allo stesso modo subito dopo, stringendole la vita con un braccio. Mugolò appena, voltandosi verso di lui, restando ad un soffio dal suo viso.
Ghignò appena - Ti senti poco amato? Povero micione...-
Lui sbuffò appena, mettendo il broncio.
Lo baciò sulle labbra, staccandosi solamente quando l’aria iniziò a mancare.
- Sai che ti dico? -
Sorrise - Cosa? -
Il ragazzo si alzò di scatto, spegnendo il film, appena cominciato, e la televisione, riavvicinandosi subito dopo a lei, facendola alzare.
- Che vuoi fare? - chiese, senza ricevere nemmeno una risposta.
Il moro le prese una mano e l'attirò verso di se, facendo aderire i loro corpi.
Si lasciò sfuggire un sospiro mente gli saltava in braccio, allacciandogli le gambe intorno alla vita.
Lui la baciò dolcemente, tenendole le mani sui fianchi per non farla cadere.
Sorrise sulle sue labbra, mentre il ragazzo le faceva appoggiare la schiena contro il muro. Si staccò appena per riprendere fiato ed iniziò a slacciargli la cravatta, con lentezza - Cos'hai in mente? -
Il fidanzato si tolse la giacca - Ho una voglia matta di fare l'amore con te, Angelica -
Tolse completamente la cravatta al moro, gettandola a terra, lasciandolo in camicia.
- Oh Matteo - sussurrò, mentre lui la prese in braccio e la baciò con passione.
Matteo salì piano le scale senza staccare le labbra dalle sue e percorse il corridoio, rimettendola a terra non appena arrivò alla porta della sua stanza. Gemette appena quando il moro, preso dalla passione, le fece sbattere la schiena contro la porta, ma non vi badò, e continuò a baciare il ragazzo.
Lui aprì la porta della stanza, staccandosi da lei e, tenendole le mani, la fece indietreggiare piano finché non raggiunsero il letto. Non si sedette, ma prese il ragazzo per le spalle, avvicinò il viso al suo, e lo baciò dolcemente, iniziando a sbottonargli la candida camicia.
- Vuoi davvero? - chiese il ragazzo mentre lei gli toglieva completamente l'indumento, gettandolo a terra.
Sorrise, prendendogli le mani ed intrecciando le dita con le sue - Sì, voglio essere tua...completamente tua -
Lui sorrise raggiante e le abbassò le spalline del vestito, che scivolò a terra con un solo e lieve fruscio lasciandola in biancheria intima. Il moro la fece sdraiare sul letto, mettendosi immediatamente sopra di lei.
***
La baciò dolcemente sulle labbra - Sicura? Non voglio forzarti - chiese staccandosi appena.
Angelica sorrise ancora una volta, mettendogli le braccia al collo, giocando poi con una ciocca dei suoi capelli castani dietro la nuca - Sì, sono sicura, perché ti amo come non mai amato nessun altro -
Solo ora si concesse il lusso di osservare il suo corpo perfetto, rovinato da alcune cicatrici, quasi invisibili, e la pelle bianca la faceva assomigliare alle statue delle dee greche poste nei musei. Angelica arrossì, puntando lo sguardo da un'altra parte.
- Che c'é? - chiese dolcemente, avvicinandosi al suo collo, baciandolo e lasciandole un piccolo succhiotto.
- Io ecco...nessuno mi aveva mai...guardata così prima d'ora -
- Allora dovrebbero andare tutti da un bravo oculista, perché sei bellissima - disse con un sorriso, ricominciando a baciarle il collo, mordendo la candida pelle di tanto in tanto. Ritornò a baciarle le labbra con passione, sussurrando piano il suo nome, accompagnato da dei brevi sospiri.
***
- Adesso tocca a me - sussurrò sulle sue labbra e, con un lieve scatto di reni, si mise sopra di lui.
Gli appoggiò una mano sul petto, che scese sempre di più, accarezzandogli gli addominali e giocando con il bottone dei jeans. Nemmeno il tempo di sbottonarlo che Matteo si mise di nuovo sopra di lei, liberandosi velocemente dei pantaloni.
- Sei un'impaziente - sussurrò mettendo un finto broncio, che però si trasformò in un sorriso quando il fidanzato appoggiò le labbra sul suo collo e una mano che le tastava la schiena, in cerca del gancetto del reggiseno nero, che sganciò subito dopo, gettandolo a terra.
Gli sorrise, affondandogli le mani nei sui capelli castani, morbidi come seta che profumavano di miele.
- Dio, Angelica...sei bellissima - sussurrò il ragazzo, facendo scendere le mani luogo i fianchi, sfiorando il pizzo nero degli slip.
- Dopo non riuscirò più a fermarmi, vuoi davvero che continui?-
- Matteo - sussurrò, afferrandogli dolcemente le spalle - Ti ringrazio per le tue premure, ma ti prego, io voglio...-
Non riuscì a terminare la frase perché il ragazzo appoggiò le labbra sulle sue, sfilando ad entrambi gli ultimi indumenti che li dividevano.
Matteo si sistemò meglio tra le sue gambe bianche, con le braccia tese in parte ai lati della sua testa, in modo da tenersi appena sollevato per non farle male con il peso del suo corpo.
- Angelica -
Chiuse gli occhi ed abbandonò le mani luogo i fianchi, stringendo forte il lenzuolo.
- Angelica... - sussurrò ancora lui - Guardami -
Socchiuse appena gli occhi, puntandoli in quelli blu del ragazzo che sembravano brillare di luce propria.
- Ti amo. Non voglio farti del male - disse Matteo.
" Oh, che dolce" pensò, sorridendogli ed accarezzandogli una guancia - Non me ne farai, tranquillo. Sei perfetto -
Il fidanzato appoggiò le labbra sulle sue per un dolce bacio.
- Ti amo - sussurrò lui, un momento prima di farla sua.
- Anch'io...ti amo - riuscì a dire lasciandosi sfuggire un gemito, afferrandogli le sue spalle possenti, che sembravano fatte a posta per farsi stringere dalle sue piccole e fredde mani. Il moro, al suo lamento, si fermò.
Gli piantò ancor di più le unghie nella carne, lasciando dei piccoli segni rossi - Non mi farai del male -
I loro corpi  sembravano essere stati creati apposta per stare insieme, i brividi le percorrevano la schiena per le emozioni che stavano provando, i capelli del ragazzo che le sfioravano la fronte imperlata di sudore, le dita di Matteo che si intrecciarono con le sue, il profumo della sua pelle e quella sensazione di calore che dava al suo corpo freddo. Affondò il viso tra il collo e la spalla del fidanzato e represse un lamento, ma continuò a sussurrare il suo nome con dolcezza, e lui faceva lo stesso, ripetendole quanto l'amava. 
Entrambi uniti nel loro amore, quella notte, toccarono il cielo con un dito.
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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Lunedì 2 marzo 2009 ***


Lunedì, 2 marzo 2009

Socchiuse appena gli occhi, cercando di mettere a fuoco la stanza di Matteo.
Voltò appena lo sguardo verso il comodino, osservando le lancette della sveglia che vi era appoggiata sopra: 4.23
Appoggiò nuovamente la testa al petto caldo del ragazzo, che si abbassava e si alzava a ritmo costante.
Sorrise accarezzandogli dolcemente gli addominali, lasciati scoperti dal lenzuolo che lo copriva dalla vita in giù, mentre lei era coperta fin sopra al seno.
Arrossì al pensiero della serata appena trascorsa con Matteo.
Avevano fatto l'amore per tutta la notte, sussurrandosi a vicenda delle dolci e romantiche parole, e, alla fine, lui si era accasciato su di lei, entrambi esausti. L'aveva coccolato finché non si era addormentato tra le sue braccia, con la testa appoggiata sul suo petto, che non ne voleva sapere di calmarsi; ma poi, alla fine, si era addormentata anche lei, senza i soliti incubi che la tormentavano.  
Fece per alzarsi, ma un paio di forti braccia glielo impedirono, e voltò appena lo sguardo verso Matteo, che sorrideva, ancora con gli occhi chiusi.
- Non fingere di dormire - sussurrò voltandosi verso di lui, abbracciandogli la vita, strofinando la testa sul suo petto, ma Matteo non si mosse.
- Allora dormi davvero - sussurrò lievemente, ghignando tra sé e sé - Peccato, e io che volevo il bis -
Il ragazzo spalancò gli occhi e si mise immediatamente sopra di lei, iniziando a baciarle il collo.
- Non stavi dormendo? - chiese prendendogli una mano ed intrecciando le dita con le sue.
- Sono sempre al servizio della mia gattina se ne ha bisogno -
Sorrise - La gattina si sente poco amata... -
- Poco amata? - chiese lui staccandosi e guardandola negli occhi - Ma se ti ho amato per tutta la notte, mia dolce gattina -
Con la mano libera lo attirò a se, poi alzò appena la testa, portandosi ad un soffio dall'orecchio del ragazzo - Voglio che mi ami per sempre -
Lui sospirò e le sorrise, ricominciando di nuovo a baciarle il collo.
- Matteo - sussurrò in un mugolio - Mi hai sfiancata ieri sera...non so se ci riesco -
- D'accordo amore mio, facciamo un'altra volta -
Sgranò gli occhi - Cosa? -
- Recuperiamo un'altra volta -
- Non quello...mi hai chiamata...-
- Amore mio - concluse lui con un sorriso che le fece sciogliere il cuore - Amore mio, perché ti amo talmente tanto che non riesco a fare a meno di chiamarti così -
- Oh Matteo - sussurrò baciandolo con passione, ma poi si staccò appena - Niente gattina?-
- Solo quando...-
Non lo fece finire, perché imitò le fusa di una gatta.
- Ma oltre che fare le fusa, mia bella gattina...graffi come una tigre -
- Oh, ma smettila che sono tre graffietti -
- Tre graffietti eh? - chiese lui mostrandole la spalla destra quasi completamente coperta da dei piccoli segni rossi.
- Oddio, scusami. Io non...me ne sono resa conto -
- Tranquilla, non é niente - disse il ragazzo ritornando al suo fianco, coprendosi nuovamente con le coperte - Meglio dormire -
- ‘Notte -
- Buona notte -
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Non aveva più chiuso occhio: era rimasta sotto le coperte a fissare il soffitto della stanza.
Si spaventò a morte quando il suo cellulare, da qualche parte in casa, prese a suonare e si alzò, indossando la prima cosa che le capitò a tiro, ovvero la camicia di Matteo, che le arrivava ad una ventina di centimetri sopra il ginocchio.
“ E adesso cosa vorranno a quest’ora della notte?” pensò precipitandosi giù dalle scale in punta di piedi, notando immediatamente il telefono, appoggiato vicino al mazzo di rose rosse, con il display che si illuminava a scatti. Rispose e lo portò all’orecchio.
- Pronto? -
- 33, c’è una riunione speciale dove lei deve essere presente -
- Chi vuole la mia presenza a questa riunione? -
- La Direttrice -
Sospirò, passandosi una mano nei capelli - A proposito di cosa? -
- Mi è concesso dirle solo che deve sedurre uno dei creatori dei demoni artificiali -
- Co...cosa? Sedurre? -
- Non posso dirle altro, solo che è una questione della massima importanza -
Prese un profondo respiro - D’accordo, arrivo tra mezz’ora -
- Sono le 5 signorina Vetra, può prendersela pure con comodo -
Sbuffò e riattaccò.
Si guardò intorno, respirando forte, e batté un piede a terra, imprecando a denti stretti.
Risalì le scale in punta di piedi, tornando nella camera di Matteo, e dalla scrivania prese un foglio dal block notes ed iniziò a scrivere. Non appena ebbe finito, piegò il foglio e lo mise sul comodino vicino alla sveglia, in modo che il ragazzo la leggesse subito.
Si rimise il vestito in un batter d’occhio, poi si avvicinò al letto, sedendosi accanto al fidanzato che dormiva beato.
Gli passò una mano nei capelli e poi appoggiò le labbra sulle sue.
- Ti amo - sussurrò, staccandosi subito dopo, ed uscendo dalla stanza.
***
Si mise di scatto a sedere non appena la sveglia prese a suonare.
Si guardò subito intorno, non vedendo la fidanzata a letto.
- Angelica? - chiamò ad alta voce, strofinandosi gli occhi - Angelica dove sei? -
Nessuno rispose. Dopo notò il piccolo foglio di carta piegato accuratamente ed appoggiato alla sveglia.
Allungò il braccio e lo prese, aprendolo velocemente e leggendo la scrittura minuta della ragazza.

Matteo. Ho avuto un imprevisto.
Non posso venire a scuola oggi, ma possiamo vederci stasera, ok?

Angelica


“Imprevisto?” pensò, ripiegando il foglietto “Che tipo di imprevisto potrebbe convincere Angelica a rimanere a casa da scuola?”
***
Agenzia - ore 7.30
Con un semplice gesto spalancò la porta della sala riunioni, senza nemmeno bussare per farsi ricevere.
- Adesso mi spiegate cosa diavolo è questa storia? -
Attorno alla tavola circolare di vetro al centro della sala c’erano le quattro persone più importanti dell’Agenzia: la Direttrice, sempre vestita in modo impeccabile, l’Agente 2, l’Agente 10, che regolava i rapporti con le Agenzie delle altre città italiane, ed infine J., il ragazzo esperto di informatica, è solo grazie a lui che l’Agenzia può contare sulle tecnologie di ultima generazione.
L’Agente 2 si alzò in piedi, facendole un cenno con la testa. Dall’ultima volta che l’aveva visto non era cambiato per niente: pelato, alto, robusto, l’espressione severa e la freddezza dei suoi occhi neri.
- Si sieda Agente, e si calmi -
Prese un profondo respiro, facendo un passo avanti e chiudendo la porta della sala - Non mi calmo finchè non mi spiegate ogni singola puttanata che vi siete inventati! -
- Angelica - sussurrò dolcemente la Direttrice - È una cosa di grande importanza, non è una...puttanata -
- La nota “sedurre qualcuno per estorcergli delle informazioni” non c’era sul contratto che ho firmato! -  
- Lo so 33, ma dobbiamo sapere cosa stanno tramando - disse ancora la donna, sollevando poi una mano per indicare una delle tante sedie vuote - Accomodati, ti spiegheremo ogni cosa -
Prese un altro profondo respiro, tentando di calmarsi, e si sedette.
- Abbiamo studiato ogni particolare del piano, 33. Lei è l’unica donna che, oltre ad essere estremamente attraente, è uno dei migliori Agenti di Verona - iniziò l’Agente 10. Era un uomo sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e un piccolo accenno di barba, sul naso portava un paio di occhiali da vista che coprivano gli occhi marroni che guizzavano di tanto in tanto verso i fogli sparsi sul tavolo di vetro - Il numero di attacchi da parte dei demoni artificiali è aumentata in questi ultimi mesi, abbiamo perso molti Agenti e numerosi civili sono stati coinvolti -  
Fu la volta dell’Agente 2, che si alzò in piedi e, con un piccolo telecomando, fece partire un proiettore nascosto chissà dove, che mostrò la foto di un uomo dai capelli biondi, gli occhi chiari e un paio di occhiali da vista sul naso.  
- Lucas Leferve, 25 anni. Nel 2006, dalla Francia, giunge in Italia in cerca di un lavoro come ricercatore, ma viene ingaggiato da quella diavolo di agenzia che crea dei mostri per poi venderli come armi agli eserciti dei paesi stranieri. Da fonti certe, sappiamo che ha contribuito alla creazione e al miglioramento di questi demoni artificiali con altri due scienziati, gli unici ad aver accesso ai laboratori -    
- E cosa centra il fatto di sedurlo? -
- C’è una festa alla villa di Leferve questa sera - s’intromise nuovamente l’Agente 10 - Lei dovrà sedurlo e farsi portare al laboratorio, recuperare più informazioni possibili e distruggere gli eventuali demoni in creazione -
- Perché vi interessano le informazioni sui demoni artificiali? -
Silenzio.
- Allora? -
- È stata una mia idea 33. Ho pensato che sarebbe un bene avere dei demoni che seguono i nostri ordini per uccidere altri demoni -   
- Non approvo -
- Lo so Angelica, ma così sarebbe tutto molto più facile. Gli Agenti non rischieranno più la vita -
Sospirò - D’accordo, accetto l’incarico -
La Direttrice le sorrise - J. ti mostrerà l’attrezzatura -
***
Davanti al cancello c’era solamente Elisabeth: appoggiata al muro con le braccia incrociate. Si avvicinò e la salutò, ma lei non rispose, ghignava solamente sotto i baffi.
- Che c’è? -
La rossa tentò di ritornare seria - Passato una...buona nottata? -
Inarcò un sopracciglio - Cosa? Perché me lo chiedi? -
- Perché credo che tu abbia una strana macchia sul collo che assomiglia tanto ad un...- iniziò l’amica, avvicinandosi al suo orecchio per sussurrargli la parola mancante: succhiotto.
Si portò una mano al collo - Oh -
- Tranquillo, non si vede tanto. Angelica è stata buona - disse la ragazza - A proposito, dov’è? -
- Ha avuto una specie di imprevisto e non è potuta venire -
Elisabeth inarcò un sopracciglio, facendosi seria all’improvviso - Imprevisto... -
- Sì - rispose in modo quasi impercettibile, iniziando a guardarsi intorno: non lontano da loro, vicino al parcheggio riservato ai motorini, c’era il solito gruppo di ragazzi che, da quando lo avevano visto mano nella mano con la ragazza più popolare della scuola, avevano iniziato a lanciargli occhiate torve, ma se ne stavano sempre a debita distanza, osservandolo, con la sigaretta che pendeva dalle loro labbra.
Ritornò a guardare Elisabeth, con il cellulare all’orecchio e l’espressione imbronciata - Dai, rispondi... -
Attese qualche secondo. Sapeva che la rossa stava chiamando Angelica e sapeva che non le avrebbe risposto: tutte le volte che aveva provato a chiamare la fidanzata, dopo un po’, scattava sempre la segreteria.
La compagna si rimise in tasca il cellulare, incrociando le braccia al petto.
- Non risponde -
Sospirò - Gli altri? -
- Eh, sono andati tutti in biblioteca per ripassare italiano -
- Raggiungiamoli, no? Cosa facciamo qui impalati? -
- Sì, forse è meglio, anche perché sta per suonare - rispose lei in tono serio.
- Elisabeth, c’è qualcosa che non va? -
- Non te lo voglio nascondere Matteo, ma sono davvero in pensiero per Angelica -
- Sono sicuro che ha un buon motivo per sparire così -
- Matteo, non ti sembra strano che tutte le volte che succede ritorna con delle ferite? -
Si sistemò la cartella sulle spalle - Elisabeth, devi calmarti. Conosci bene Angelica e sai che non farebbe mai qualcosa di stupido -
La ragazza si passò una mano nei capelli - Sono sicura, invece, che adesso sta facendo qualcosa di stupido -
- Calmati, domani ne parleremo con lei, ok? - domandò, mettendole una mano sulla spalla, cercando di tranquillizzarla.
La rossa si voltò - Forza andiamo -
Pochi passi e subito si bloccarono, voltandosi di colpo verso un’auto, che aveva appena frenato davanti al cancello, ed ora era ferma, con il motore acceso. Il finestrino si abbassò con un lieve sfrigolio, mostrando il guidatore: una donna, vestita in modo elegante e rigorosamente in nero, i capelli rossi come le fiamme, il viso pallido, che sembrava fosse stato scolpito nel freddo marmo, e un paio di occhiali da sole neri.
- Tu devi essere Elisabeth - disse la donna.
- Sì, sono io - rispose la compagna al suo fianco - E lei chi è? -
- Il mio nome non è importante -
- E come sa il mio? -
La donna nell’auto sorrise in modo accattivante, puntando lo sguardo verso di lui - E tu devi essere Matteo -
Non rispose, si limitò solamente a fissare con intensità le lenti scure degli occhiali.
- Posso sapere lei chi diavolo è? -
La strana donna sorrise ancor di più, mentre il viso scompariva dietro il finestrino che si alzava nuovamente, poi partì a tutta velocità, sgommando.
***
Erano le nove passate ormai.
Era ancora seduta nella sala riunioni, solo che i due Agenti e J. erano usciti una decina di minuti prima, ed ora era sola con la Direttrice.
- Angelica -  
Incrociò le braccia, guardando un punto nella stanza che non fossero gli occhi grigi della donna, con aria un po’ indignata.
- Mi dispiace averle assegnato questo incarico, ma è davvero necessario -
- Non si scusi, è il mio lavoro -
- Invece devo farlo, Angelica, è una questione di orgoglio personale - rispose la donna, appoggiando i palmi delle mani sulle ruote della sedia a rotelle - Credo sia l’unica che possa riuscire a fare una cosa del genere -
Si schiarì la voce - Direttrice, se la missione non dovesse andare come previsto, ossia farsi portare ai laboratori, posso comunque far rivelare la posizione? -
- Sì, certo. Sono due possibili obbiettivi -
Abbassò lo sguardo, osservandosi le ginocchia, coperte dai jeans - Direttrice, vorrei chiederle un favore -
La donna le si avvicinò, prendendole la mano in modo quasi materno - Certo Angelica, qualsiasi cosa -
Prese un respiro profondo - Se dovesse succedermi qualcosa, se dovessi morire in una missione, vorrei che informasse due persone su quello che faccio...-
La Direttrice piegò appena la testa con aria dubbiosa - A chi? -
- Matteo Dall’Angelo ed Elisabeth Hall -
- Perché vuoi questo? -
- Non sono ancora pronta per dire che vedo i fantasmi e uccido demoni, la prenderebbero davvero male -
- Perché hai pensato ad una cosa del genere? -
- Come sa il demone dai capelli rossi che ha ucciso l’Agente 32 è tornato, ed io ho intenzione di ucciderla e se dovessi fallire...-
La donna sospirò, battendole una mano sulla spalla - D’accordo Angelica, hai la mia parola -
Fece un cenno con la testa - Grazie -
- Ora vai, l’Agente 2 ti sta aspettando qui fuori -
Si alzò in piedi, facendo un piccolo cenno con la testa alla donna, in segno di rispetto - Arrivederci - sussurrò, prima di uscire e trovarsi ad un soffio dall’Agente 2, in piedi accanto alla porta.
Si incamminarono per i corridoi dell’Agenzia e per diversi minuti rimasero in silenzio, poi sbuffò.
- Cosa c’è Angelica? -
- Ma si può sapere perché diamine mi avete fatta venire così presto? -
L’Agente 2, al suo fianco, la guardò di sottecchi, lasciandosi sfuggire una roca risata.
- Allora? -
- Devi studiare la pianta della casa di Leferve -
- Ma ho sempre J. in contatto con l’auricolare -
- E se l’auricolare si rompe? -
Sbuffò - Ok, mi studio quella cazzo di piantina -
Si fermarono davanti ad una grande porta blindata, senza maniglie ovviamente, con solo un piccolo schermo touch screen dove doveva essere inserita la password che sapevano solo J. e la Direttrice.  
- J. dovrebbe arrivare tra un paio di minuti - la informò l’uomo.
- D’accordo -
- In bocca al demone 33 -
- Crepi il demone - rispose, sorridendo.
Non appena l’Agente 2 scomparve dietro un angolo, prese il cellulare dalla tasca: da quando era entrata nella sala riunioni non aveva smesso di suonare. Probabilmente erano Matteo ed Elisabeth, ed infatti le chiamate perse erano del fidanzato e dell’amica.
Fece il numero di Elisabeth che, anche se era a scuola, avrebbe risposto comunque.
- Cristo santo dove diavolo sei? Matteo fai finta di parlare con me - disse l’amica, in un sussurro.
- Elisabeth, scusami, non posso spiegarti, ma ti assicuro che va tutto bene -
- Ok ok, ma quando torni ti becchi l’interrogatorio. Non riesco più a capirti Angelica...oh cazzo la prof mi ha vista... -
“ Merda” pensò - Elisabeth! Devi dire a Matteo che...-
- ...un attimo prof, non vede che sto parlando? -
- ...che stasera non ci  sono, ok? -
- Ok, ora per colpa tua ho anche una punizione -
- Grazie -
- Ciao! Ok, ok prof, le do il cellulare, un attimo -
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Ormai era più di un’ora che attendeva l’arrivo di J., appoggiata al muro accanto alla porta dell’ufficio del ragazzo dei computer.
- Eccomi qui -
Alzò lo sguardo: il ragazzo dai capelli rossi aveva uno strano ghigno sul viso; non appena inarcò un sopracciglio con fare interrogativo, lui rispose con un semplice sorriso.
- 33, l’attrezzatura è pronta - disse avvicinandosi alla porta, mettendosi sottobraccio il fagotto che teneva in mano, e digitò velocemente la password sullo schermo touch screen, che fece scattare la porta blindata con un sibilo acuto.
Con un altro strano rumore la porta si aprì lentamente, lasciando libero l’accesso al laboratorio di J.; chiamato da tutti “il paese delle meraviglie”. Il ragazzo entrò senza complimenti, mentre lei rimase sull’uscio, in silenzio, osservando il laboratorio immerso quasi completamente nell’oscurità.
- Beh? Che fai lì impalata sulla porta? - chiese lui - Per caso devo invitarti ad entrare come i vampiri? -
Sbuffò ed entrò nella stanza: davanti a lei diversi monitor erano attaccati alle pareti e, sotto di essi, una lunga scrivania di metallo, stracolma di strani oggetti di ultima tecnologia.
J., fermo al centro della stanza, dietro ad un grosso tavolo di vetro, simile a quello della sala riunioni, la guardava con il ghigno di prima stampato nuovamente sulle labbra.
- Mi dici cos’è che ti fa tanto ridere? - chiese, mettendosi le mani sui fianchi.
Il rosso aprì il fagotto che teneva sottobraccio, appoggiando tutto il suo interno sul tavolo di vetro - Questa è tutta roba tua -
Guardò l’attrezzatura e, quasi immediatamente, la sua attenzione fu attirata da un abito da sera di un rosso scuro. Lanciò un’occhiataccia al ragazzo e si voltò, uscendo dal laboratorio.
- Angelica! -
- Scordatelo, io non mi metto una cosa del genere - disse incamminandosi per il corridoio. J. fu subito dietro di lei, che a stento riusciva a stare al suo passo.
- Oh andiamo! Lo devi sedurre! -
Si bloccò di colpo - Dammi una buona ragione per mettere quel coso -
- Sarai bellissima e nessun uomo potrà resisterti -
Sospirò “ E pensare che ieri ho indossato una cosa simile per Matteo”
- Fai un piccolo sforzo. Prima finisci e prima lo togli -
Fece dietrofront, ritornando al laboratorio con J. - Armi? -
- Due pugnali, una pistola darebbe nell’occhio sotto...un vestito così stretto -
Prese la sedia accanto alla scrivania, la portò vicino al tavolo di vetro e si sedette, accavallando le gambe - Finiscila -
- Ok, poi hai un’auricolare e un piccolo microfono, così sarai sempre in contatto con il sottoscritto che, essendo collegato al sistema di telecamere della villa di Leferve, posso dirti tutto di tutti -
- Altro? -
- Oh beh, hai degli occhi stupendi -
- Smettila idiota! - urlò scattando in piedi, battendo i pugni sul tavolo, facendo sussultare il ragazzo.
- Ok scusa. Io ho finito, ora dovresti studiarti la piantina della villa -
- Sono nell’archivio? -
- No, ce l’ho io - rispose lui, avvicinandosi alla scrivania, aprendo uno dei due cassetti ed estraendo un fascicolo, porgendoglielo subito dopo.
- Perché ce l’hai tu? -
- Io e la Direttrice abbiamo ovvi motivi -
Si risedette, incrociando le braccia al petto - Volete tenere segreta la missione? -
- Esatto, ragioni di sicurezza -
Prese il fascicolo che J. le porgeva, aprendolo per dargli una veloce occhiata.
- A proposito: dov’è la villa di Leferve? -
Il rosso si accigliò - Fuori Verona -
- Dove esattamente? -
Il ragazzo balbettò un nome tra i colpi di tosse, facendola irritare ancora di più - J.!!! -
- Oh, non molto lontano tesoro; ad un’ora di viaggio al massimo -
Si appoggiò allo schienale della sedia, cominciando a dondolarsi - Tra quanto devo partire? -
- Sono le dieci e dieci adesso - rispose lui osservando l’orologio stretto intorno al polso - Potresti partire per le 16; tanto nella villa ci saranno già un sacco di invitati, visto che era previsto anche un pranzo con un sacco di dottori e gente così -
- Ok, ho capito - sussurrò alzandosi in piedi, tenendo il fascicolo contenente la piantina della villa di Leferve sottobraccio, arrotolando poi il fagotto con l’attrezzatura e l’abito all’interno.
Diede le spalle al rosso, salutandolo con un piccolo gesto della mano.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Dopo quaranta minuti era giunta a Bagnolo san Vito.
- Svoltare a destra per via Argine Po -
Lanciò un’occhiataccia al navigatore che, da quando era partita, non aveva fatto altro che parlare, impedendole di ascoltare la musica alla radio. Più volte aveva tentato di spegnerlo, ma probabilmente, J. ci aveva messo le mani.
“ Questa me la paghi J., giuro che me la pagherai cara” pensò svoltando a destra, per un viale alberato.
- Duecento metri ed arriverete a destinazione -
Sospirò, sistemandosi l’auricolare nell’orecchio, che aveva cominciato a gracchiare.  
-- Il computer mi informa che sei arrivata 33 --
Emise una specie di ringhio - J. ti odio per il navigatore -
-- Oh, lo so tesoro -- rispose lui -- Allora...come avrai notato sul sedile c’è un pass. Quello è il lasciapassare per la festa baby --
- Se non la smetti di sparare puttanate, giuro che mi stacco l’auricolare e faccio tutto di testa mia -
-- Non vorrai irrompere nella sala armata di due miseri pugnali? --
- Potrei - rispose, vedendo in lontananza un’enorme villa a due piani, dove tutte le finestre erano illuminate.
-- Comunque: c’è una telecamera in ogni stanza della villa, ed io ho provveduto ad entrare nel loro sistema ed occultare quella della camera da letto di monsieur Leferve, inviando delle registrazioni di giorni fa. Attiralo lì ed il gioco è fatto --
- D’accordo - sussurrò arrivando proprio davanti alla villa. Rallentò e fece il giro di una stupenda fontana, che era quasi l’identica riproduzione della fontana del Nettuno a Bologna, fermando la macchina all’ingresso, dove, ad accoglierla, c’era un lungo tappeto rosso e un vecchio in divisa.
Abbassò il finestrino - Scusi, dov’è il parcheggio? - chiese in tono dolce.
- Buonasera signorina - rispose il vecchio autista - Il parcheggio è da quella parte - rispose segnandole un piccolo viale proprio davanti a lei - Ma se vuole posso parcheggiarla io -
Sorrise - Non si preoccupi, ho voglia di fare quattro passi - disse, rialzando il finestrino.
Ripartì, imboccando lo stretto viale sassoso costeggiato da grossi pini, le cui quote erano piegate dalla leggera brezza che si era alzata. Nemmeno un minuto ed aveva raggiunto un piccolo spiazzo dove diverse automobili erano parcheggiate in modo impeccabile. Parcheggiò la macchina in modo da poter scappare velocemente se necessario.
Si tolse la sia giacca di pelle, lanciandola sui sedili posteriori, e si stiracchiò le braccia - Ed ora facciamo il filo al signor Leferve -
-- Quanto vorrei essere al suo posto --
Inarcò un sopracciglio - Vediamo quando avrò finito con lui se vorresti ancora essere al suo posto -
-- Eh già --
Prese il pass e infilò le chiavi nella cinghia di cuoio stretta intorno alla coscia. Scese dall’Alfa, riavviandosi i capelli all’indietro.
Percorse il sentiero a ritroso, facendo dei profondi respiri.
“ Allora questa è villa Leferve” pensò quando fu di nuovo davanti alla villa.
-- Iniziamo 33 -- disse J. -- Ciak azione --
Percorse il tappeto rosso, fino a raggiungere la grande porta d’entrata di legno, dove due agenti facevano da guardia, affiancati da due grossi leoni di pietra.
Mostrò il pass ad uno dei due, che annuì subito, facendole cenno di entrare.
La saletta all'ingresso era semplice: una grande scala di marmo proprio di fronte a lei, dove il tappeto rosso saliva per i bianchi gradini fino al corridoio del piano di sopra. Dei vecchi mobili in legno di mogano erano sistemati lungo il muro alla sua sinistra, sovrastati da degli enormi quadri: La creazione di Adamo, San Giorgio e il drago, la zattera della Medusa ed ovviamente non poteva mancare la Gioconda, con il suo sorriso enigmatico; tutte erano perfette rappresentazioni degli originali, alcune un po' più grandi.
Nascosta da due enormi acquari, alti almeno due metri e mezzo, c'era una porta che, probabilmente, portava ad un'altra stanza o a dei piani inferiori come una cantina o persino ai laboratori personali di Leferve.
-- A destra c'é la Sala Grande --
Guardò i due maggiordomi fermi sull'enorme porta, anch'essa di legno e con diversi intagli scolpiti per formare strani ghirigori, e si avvicinò lentamente.
Senza nemmeno aprir bocca per farsi aprire, i due afferrarono i due grossi pomelli d'oro, spingendo la porta per farla entrare.
- Grazie - sussurrò in tono dolce, mentre sorpassava i due, poi alzò un sopracciglio, sorpresa.
La “Sala Grande", come l'aveva chiamata J., era enorme, anzi, era riduttivo dire che era enorme: tutto brillava come se tutta la sala fosse l'oro e diamanti, le sembrava di essere in un vecchio film ambientato nel rinascimento. La parete dietro di lei, e quella dalla parte opposta, erano completamente coperte da un enorme specchio, che riflettevano la stanza all'infinito, facendola sembrare ancor più grande di quello che era.
" Ho visto una cosa del genere a Monaco nella villa di Ludwig, che tentò di creare una piccola Versailles" pensò "Immagino che Leferve abbia pensato alla stessa cosa"
Sulla parete a sinistra, in alternanza, c'erano dei ritratti e altri specchi, che riflettevano la lunga fila di finestre dall'altro lato, adornate con grandissime tende rosse.
In mezzo alla sala, gruppetti di persone se ne stavano in piedi, borbottando chissà cosa su chissà quale argomento, altri, più in là, ballavano assieme alle mogli o compagne al ritmo della musica che l'orchestra, in fondo alla ala, suonava; altri invece, se ne stavano seduti a dei lunghi tavoli in legno, bevendo drink e parlando.
-- Ricordati che la maggior parte di questi signorotti sono medici di fama internazionale -- la informò J. all'auricolare -- Alcuni sono venuti persino dagli Stati Uniti --
Si riavviò all'indietro i capelli, ignorando diverse persone che, al suo ingresso, si erano voltate, interrompendo qualsiasi cosa stessero facendo.
-- Direi che hai attirato l'attenzione -- le disse il collega -- Vai a sederti e ordina qualcosa --
Si avvicinò ad uno dei tavoli, sedendosi in fondo.
Al bancone, accanto alla porta dov'era entrata, il barista, che probabilmente era un altro maggiordomo, incitò un cameriere, facendo un cenno verso di lei.
Il cameriere, un giovane ragazzo dai capelli castani, si avvicinò in tutta fretta, reggendo un vassoio con dei flûte pieni fino a metà - Champagne mademoiselle?-
Sorrise - Oui, merci -
Il ragazzo le porse uno dei bicchieri, facendo un cenno prima di darle le spalle.
- Un moment s'il vous plaît -
Il cameriere si volto, sorridendo - Oui mademoiselle? -   
- Excusez-moi, monsieur Leferve est ici ce soir, n'est-ce pas? -
- Siete italiana, signorina? - chiese il moro con il solito, strano accento francese.
- Sì -
- Il signor Leferve sta intrattenendo i suoi ospiti - rispose lui - Probabilmente é in mezzo a quella folla -
Portò il bicchiere alle labbra - Merci -
- Complimenti per il suo francese -
- Grazie -
Non appena il cameriere se ne fu andato, iniziò a guardarsi attorno, cercando di individuare l'uomo di casa, ma la marea di persone non le consentiva una visuale completa.
-- Non riesco a vedere Leferve -- le disse J. -- Dovrai fare qualcosa di stupido per farti notare --
- Mademoiselle? -
Sussultò, voltandosi a guardare un uomo, sui venticinque anni o giù di lì, proprio accanto a lei, vestito in giacca e cravatta con una rosa rossa nel taschino, che le porgeva la mano - Sì? -
- Posso chiederle di ballare? - le domandò lui in tono gentile - É un vero peccato lasciare una ragazza bella come ei in un angolo -
Si alzò in piedi, lasciando il bicchiere sul tavolo, poi prese la mano dell'uomo, sorridendo.
- É da sola? -
- Sì - rispose mentre si infiltravano tra la folla - Non avevo intenzione di trattenermi molto. Speravo solo di riuscire a scambiare quattro chiacchiere con il signor Leferve -
L'uomo si riavviò all'indietro i capelli scuri, sorridendo tra se e se - Starà sicuramente girando per provarci con qualche splendida ragazza -
- Dice? -
- Conosco Lucas - rispose il moro - Ogni festa é buona per rimorchiare -
Arrivati davanti all'orchestra iniziarono a ballare lentamente, cercando di non andare addosso agli altri invitati che ballavano.
- Lei conosce il signor Leferve? -
- Sono solo un vecchio amico - rispose lui - Abbiamo fatto diversi viaggi insieme, a scopo scientifico naturalmente -
Annuì, continuando a ballare e a lanciare occhiate veloci agli invitati.
- Posso sapere il vostro nome? -
Alzò un sopracciglio - Perché lo volete sapere? -
Lui rise, continuando a ballare - Mi sembra scortese on presentarsi dopo tutto -
- Francesca - sussurrò - E il vostro nome? -
- Christian - rispose lui - Ti prego, dammi pure del tu -
- D'accordo -  
Continuò a guardarsi intorno, poi, all'improvviso, incrociò lo sguardo con quello di una conosciuta testa bionda. Sorrise.
"Finalmente sei saltato fuori Leferve " pensò, continuando a ballare con Christian finché l'orchestra non finì la canzone.
- Vuoi qualcosa da bere? - le chiese lui, staccandosi.
- Volentieri grazie -
Ancora una volta si fecero largo tra la folla, ritornando alla fine di una delle due grosse tavole.
Lei si sedette, mentre Christian rimase in piedi, attendendo l’arrivo di un cameriere che aveva appena chiamato con un elegante gesto della mano. Non appena una giovane ragazza si avvicinò a loro con un vassoio, il moro prese i due flûte pieni di Champagne, e gliene porse uno.
- Hai voglia di fare quattro passi in giardino? - le chiese lui, svuotando il bicchiere per metà - Ti assicuro che é stupendo -
-- E questo ci prova spudoratamente... -- disse J., probabilmente a bocca piena.
Sorrise - Ne sono certa, ma non ho intenzione di rimanere per molto. Giusto il tempo per scambiare quattro parole -
- D'accordo - disse lui, un po' deluso, con un breve sospiro, svuotando il suo flûte - É stato un piacere -
- Il piacere é stato mio, Christian -
Lo osservò sparire nuovamente nella folla, poi puntò lo sguardo a terra.
“ Chissà cosa starà facendo Matteo...”
-- Scemo in arrivo --
Alzò lo sguardo e puntò gli occhi verso una figura conosciuta: Lucas Leferve.
- Buona sera -
Sorrise, accavallando le gambe lentamente, molto lentamente - Bonsoir monsieur Leferve -
Lui si sorprese - Vedo che mi conoscete già -
- E chi non vi conosce? Non vi ho mai incontrato di persona, ma ho sentito molta parlare di lei, signor Leferve, ed ora posso dire che è anche un bell’uomo -
- La ringrazio, e vede che oltre ad essere estremamente giovane ed attraente, lei è anche molto informata, signorina...-
-- Inventati un nome --
- Ilaria, Ilaria De Fontaine - sparò il primo nome che le passò per la testa e porse la mano a Leferve.
- Ilaria De Fontaine. Ti dispiace se ti do del tu? -
-- L’hai appena fatto, idiota! --
- Certo che no -
- Sei molto giovane Ilaria, cosa fai qui, tra i vecchi medici? -
Sorrise - Oltre che a studiare medicina sto lavorando alla creazione di un antibiotico contro un nuovo tipo di virus, estremamente letale. Sono venuta qui nella speranza di poter incontrare un medico che finanziasse i progetti del mio gruppo di ricerca -
-- Stasera spari cazzate a raffica 33! --
- Sei una ragazza molto...dotata - disse il biondo, e lo vide lanciare uno sguardo alla sua scollatura, ma non vi badò ed accavallò le gambe nuovamente, alzando appena l’orlo del vestito.
- E non solo in quello, monsieur Leferve -
Lo scienziato deglutì mentre, dall’altra parte dell’auricolare, si sentì una specie di tonfo e dei colpi di tosse.
-- Mio Dio Angelica, così lo fai secco! --
“ Più o meno è quello che devo fare, no?” pensò, sorridendo a Leferve - E lei, monsieur Leferve...-
- Chiamami pure Lucas -
- Lucas - sussurrò con un sorriso - Cosa ci fai tra un gruppo di vecchi medici che non saranno mai alla tua altezza, benché tu abbia solo venticinque anni? -
- Ho ancora molto da imparare -
- Ne dubito -
- Oh no, è la verità Ilaria, tutti abbiamo molto da imparare -
Sospirò, riavviandosi all’indietro i capelli.
- Se non sono indiscreto, posso sapere quanti anni hai, Ilaria? -
- Ventuno - sparò a caso.
- Sembri molto più giovane -
- Me lo dicono tutti -
- Ed immagino che avrai un sacco di spasimanti -
- È capitato anche a te? - chiese con aria innocente, fingendo una risata - Non ho nemmeno un attimo di pace, anche se sanno che non sceglierò nessuno di loro -
- E perché mai? -
- Pensano ancora come dei ragazzini, e a me serve un uomo - disse sottolineando con un po’ di malizia l’ultima parola, accavallando ancora le gambe - Un uomo intelligente e spiritoso - disse ancora, portandosi il bicchiere di Champagne alle labbra, bevendone un sorso - ...e forte -
-- Ahahahahahah!! Mi mancano i pop corn e la coca cola --
- Potrei fare qualche strano pensiero - disse Lucas, sorridendole e sedendosi accanto a lei.
Sorrise, bevendo l’ultimo sorso di vino nel bicchiere - Faccia pure -
Lo vide deglutire, ammirandola nuovamente dall’alto in basso.
-- Ti sta praticamente mangiando con gli occhi --
- Ilaria? -
- Sì? -
- Vieni, ti mostro la casa - sussurrò Lucas con uno strano sorriso sul volto - Magari troviamo un posto tranquillo -
-- Bingo 33, sei a cavallo --
Sorrise a sua volta - Certo -
***
Il responsabile della sicurezza, in piedi sull’enorme porta all’ingresso, sussultò sentendo il cellulare vibrare nella tasca interna della giacca. Lo strinse tra le mani osservando la scritta “N. privato” che lampeggiava sul display.
Rispose.
- Ho delle informazioni per voi - disse immediatamente una voce maschile dall’altra parte della linea - Un agente dell’Agenzia si è infiltrato alla festa per estorcere al signor Leferve le informazioni sui demoni artificiali in creazione nei vostri laboratori -
- Chi è? - chiese portando una mano al walkie talkie appeso alla sua cintura.
- Agente 33. È una ragazza bianca, un metro e settanta, diciotto anni,  i capelli lunghi neri, gli occhi verdi. Non so dirvi altro - disse lo sconosciuto, riattaccando subito dopo.
L’agente portò il walkie talkie vicino alla bocca, premendo un pulsante laterale - A tutti gli agenti: intrusa nella villa. Rintracciare una ragazza bianca, 1.70 di altezza, 18 anni, capelli neri e occhi verdi, probabilmente è con il signor Leferve. Va fermata immediatamente, probabilmente è armata e pericolosa -     
Lasciò il pulsante e sentì l’apparecchio gracchiare, con la voce di un collega in sottofondo.
- Ho appena visto il signor Leferve in compagnia di una ragazza che corrisponde alla descrizione. Attendo istruzioni -
- Informa Leferve, non farti sentire dall’Agente. Voglio che la catturiate e la voglio nei sotterranei. VIVA -
***

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


- E questa...- annunciò il biondo aprendo la porta dove si erano fermati - È la mia camera da letto -
Guardò il suo interno: c’era un grande letto a baldacchino con dei raffinati dettagli incisi sulla testata di legno, dalla parte opposta un grosso armadio, anch’esso in legno scuro con l’incisione di una pianta d’edera che si arrampicava sulle ante. Davanti a lei, invece, c’erano tre enormi portefinestre, che portavano ad un balcone esterno, ed erano seminascoste da delle raffinate tende di un rosso scuro.
Fece qualche passo avanti, fingendosi senza parole, e si guardò intorno, studiando un po’ il posto.
- Ti piace? -
- Molto - disse in un sussurro - È questo il posto tranquillo che intendevi? - chiese con finta aria sognante.
Si voltò e, vedendo Leferve parlare con un addetto alla sorveglianza, l’allarme di pericolo nella sua testa scattò.
Rimase immobile, sudando freddo e si rilassò solamente quando Lucas congedò da guardia, annuendo.
- Ilaria - disse l’uomo con un sorriso sulle labbra, dopo che si fu voltato nuovamente verso di lei - Scusami, problemi con la festa -
- Viene richiesta la tua presenza? -
- Possono farne a meno - disse lo scienziato, entrando e chiudendo a chiave la porta.
Si avvicinò piano a lui, girandogli attorno - Comunque, non sarà più un posto tranquillo se faccio quello che ho in mente - sussurrò con un ghigno sul volto, giocando con la sua cravatta.
- Perché? Cos’hai in mente bella fanciulla? -
Sorrise - Non capita tutti i giorni di finire nel letto di una persona della tua importanza -
-- Ahahahahahah oddio --
- Speravo che dicessi così - disse lui, ghignando ed avvicinandosi per stringerle le braccia intorno alla vita, facendola indietreggiare finchè la sua schiena non toccò l’armadio.
Finse un gemito.
“Dio mio, che sto facendo?” penso, quando l’immagine di Matteo le apparve di nuovo davanti agli occhi.
Leferve, appoggiandole le labbra sul collo, la fece tornare alla realtà.
-- Basta giocare 33, fatti dare le informazioni -- disse J.
Con un piccolo scatto di reni allontanò il francese, staccando la schiena dall’armadio “Bene, perché non ne posso più di farmi baciare da questo lurido verme” pensò.
Lo spinse sul letto con forza, sedendosi a cavalcioni su di lui, mettendogli le mani tra i capelli e mordendogli il collo.
-- Mio Dio 33, a letto sei una belva --
Si staccò e gli tolse la giacca e la camicia, gettandole a terra, mentre lui le toccava le gambe, salendo sempre più su.
Lo fece sdraiare e si mise sopra di lui, facendo aderire i loro corpi, e gli si avvicinò all’orecchio, soffiando sensualmente.
- Dì che mi vuoi... -
Lucas s’impossessò delle sue labbra. Chiuse di scatto gli occhi cercando di non pensare a quello che stava facendo, e li riaprì quando lui si staccò.
- Ti voglio -
Sorrise in modo maligno, allungando la mano per afferrare uno dei pugnali nella fodera legata alla gamba destra.
- Peccato che tu sia un Agente -
-- Oh cazzo --
Sgranò gli occhi, immobilizzandosi “Merda, questa non ci voleva”
- Come lo so? Facile, una soffiata -
-- Una soffiata? Da chi? --
Il biondo ribaltò le posizioni, mettendola sotto di lui e schiacciandola contro il materasso.
Si divincolò più forte che poté, liberando il braccio destro dalla presa dell’uomo, dandogli un pugno in pieno viso.
Leferve si allontanò portandosi le mani al naso che, nonostante il colpo, non stava sanguinando.
Si alzò dal letto, mettendosi davanti allo scienziato, dando le spalle alle tre portefinestre.
- I miei uomini sanno chi sei -
- E perché non mi hanno fermata subito? - chiese con arroganza.
- L’ho ordinato io - rispose lui - Potrei premere l’allarme in qualsiasi momento - aggiunse ancora il biondo, lanciando un’occhiata al comodino in parte al letto.
“Forse c’è un pulsante nascosto” pensò.
Lo guardò ghignando, anche quando Leferve estrasse una pistola, probabilmente nascosta nella cintura dei pantaloni.
- O potrei ucciderti subito -
- Perché non lo fai allora? -
- Non faccio male alle mademoiselle -
Abbandonò le braccia lungo i fianchi, tastandosi la gamba con le dita, alla ricerca della lama dei due pugnali - Non le farò del male signor Leferve. Se mi darà le informazioni che voglio ovviamente -
Il biondo tolse la sicura, stringendo la pistola con mani tremanti - Vediamo -
Ghignò - Non hai il coraggio di sparare -
- No, non ce l’ho - rispose lui - Ma ho altri che possono farlo al posto mio -
Iniziò a camminare verso di lui, tenendo sempre le mani lungo i fianchi.
- Allora perché non li chiami? - domandò, sperando di provocarlo e di fargli fare una mossa azzardata.
- Senti ragazzina - iniziò lui, stringendo la presa sulla pistola, tentando di non tremare - Non tentare di provocarmi, altrimenti ti faccio un buco in pancia -
Sorrise in modo maligno - Non hai il coraggio - sussurrò facendo un altro passo.
- Fermati o ti sparo -
- Non hai le palle per farlo -
- Dimmi perché sei qui -
- Mi dispiace tesoro - rispose fermandosi ad un paio di metri da Leferve - Top secret -
- In questo caso...-
Il biondo strinse forte la pistola, chiuse gli occhi e premette il grilletto.
Ferma in mezzo alla stanza, sorrise in modo maligno “Lo sapevo” pensò “Questo deficiente non ha caricato bene la pistola”
Una frazione di secondo e gli era già addosso con il pugnale alla mano, premendolo lievemente sulla giugulare - Adesso mi darai le informazioni che voglio -
Il francese presa a divincolarsi, ma lei non mollava la presa alle sue braccia, che teneva strette dietro la schiena, tenendo sempre il pugnale puntato alla gola dell’uomo.
- Sarò anche una ragazzina, ma prima di tutto sono un Agente. Non ti libererai tanto facilmente -
- Sei una puttana, ecco cosa sei - sibilò lui, smettendo di divincolarsi.
- Siamo in vena di complimenti eh? - chiese con un ghigno - Non voglio farti del male. Dammi la pistola e parliamo in modo civile -
Lucas Leferve, dopo qualche secondo di silenzio, gettò lontano la pistola, guardandola poi con la fronte aggrottata - Ecco -
Lo liberò dalla sua morsa e fece qualche passo verso la pistola, dandole un calcio per lanciarla dall’altra parte della camera - Mi dica dove sono i laboratori -
- Non lo so -
Sospirò - Non dica sciocchezze -
- Non sto mentendo - rispose lui sedendosi sul letto - Quelli ci bendano finchè non siamo dentro -
Si girò il pugnale tra le mani - Non costringermi ad usare le maniere forti -
Leferve si sdraiò, guardano le tende del letto a baldacchino - Se sanno che ho parlato mi uccideranno -
- Se ci dici tutto l’Azienda ti proteggerà -
- Però...-
Fece un passo verso di lui, impugnando meglio il pugnale - Però cosa? -
- Però loro non mi pagano -
Nemmeno il tempo di comprendere appieno la frase, che Leferve scattò come un serpente verso il comodino, facendo scattare l’allarme. Lo afferrò per la gamba e gli diede un pugno sul viso.
-- Angelica, Cristo Santo, vattene via da lì! --
Si avventò di nuovo su Leferve, sdraiato sul letto, con una mano al naso, dove usciva un fiotto di sangue e gli premette il pugnale alla gola. Digrignò i denti, emettendo una specie di ringhio cupo - Dov’è il laboratorio? -
L’uomo non parlò, così premette la lama contro la carne, facendo fuoriuscire una goccia di sangue.
- Dov’è il laboratorio?! O ti giuro che prima di morire ti trascinerò all’inferno con me! -
-- Non parlerà mai! Vattene! --
- DIMMELO! - urlò, premendo ancor di più il coltello contro il collo del biondo.
- Il laboratorio è alla sede centrale in via Manzoni, non riuscirai mai ad entrare -
Sorrise - Questo è tutto da vedere -
Gli diede un altro pugno e corse verso la finestra.
Si lanciò fuori pochi secondi prima che la porta si spalancasse, lasciando entrare alcune delle guardie di Leferve.
Atterrò in ginocchio e si mise immediatamente a correre, cercando di non farsi colpire dalle guardie che avevano aperto il fuoco, e si nascose dietro un grosso albero, raggiunta subito dai proiettili che si conficcarono nel tronco del pino o le passavano accanto alla testa, sibilando.
-- Cristo 33, salta sulla macchina e scappa --
Guardò la finestra della camera di Leferve, dove tre uomini puntavano nella sua direzione, con in mano dei fucili, pronti a fare fuoco non appena avrebbe lasciato l’albero.
Lanciò uno sguardo all’entrata della villa: gli invitati avevano lasciato la Sala Grande, radunandosi attorno alla fontana, presi dal panico per l’allarme. Alcune guardie tentavano di tranquillizzarli.
“ Ok, ora devo correre” pensò togliendosi le scarpe con i tacchi, abbandonandole in un angolo, ed alzandosi l’orlo del vestito. Uno dei due pugnali l’aveva perso durante il salto dalla finestra.
Prese un profondo respiro e lasciò il suo riparo, sfrecciando a destra e a sinistra.
“ Non mi spareranno in mezzo alla gente” pensò, fermandosi di colpo non appena due guardie, a pochi metri dalla folla, la notarono, impugnando le pistole.
- Merda - imprecò a denti stretti, cambiando direzione. Ora la sua unica speranza era la macchina, più o mento a cinquecento metri da dov’era.
Imboccò il viale, trattenendo le imprecazioni per i sassolini che le ferivano i piedi.
- Vaffanculo J.! Tu e il tuo cazzo di abito -
-- Era per non dare nell’occhio --
- Non avrei avuto problemi ad intrufolarmi dalla finestra con la solita cazzo di tuta aderente da puttana! -
-- Calmati gioia, pensa a correre --
Si fermò, lasciandosi sfuggire un lamento. Il piccolo fastidio alla schiena la fece voltare, ed osservò una guardia addetta alla sicurezza con uno strano arnese simile ad una pistola stretto in pugno, solo che quella non sparava proiettili, bensì quelle specie di dardi pieni di sonniferi o tranquillanti che davano agli animali selvatici per metterli in cattività nelle gabbie.
Piegò appena la testa, guardando un dardo giallo, la cui punta era conficcata nella morbida carne della schiena, oltrepassando il tessuto rosso del vestito. Con uno strattone, si strappò il dardo di dosso, gettandolo a terra con rabbia.
- Non muoverti - ordinò l'agente della sicurezza.
Scosse la testa cercando di allontanare la strana nebbia davanti agli occhi - Cosa...? -
- É un sonnifero molto potente, non riusciresti mai a scappare -
Crollò in ginocchio trattenendo un lamento - No... -
L'uomo si avvicinò cauto e le immobilizzò le mani dietro la schiena - Non muoverti -
-- 33! Ci sei 33? --
- Perché l'Agenzia vuole informazioni sui nostri demoni? - chiese la guardia, tenendole la testa abbassata.
Non rispose. Non vedeva più niente ed anche i suoni erano ovattati.
- RISPONDI!! - urlò l'uomo, appoggiandole la canna di una pistola alla nuca, facendo scattare la sicura.
- No - rispose con un sospiro.
***
La ragazza in ginocchio davanti a lui era più testarda di un mulo, e anche con una pistola puntata alla testa non avrebbe parlato.
" Di solito le donne sono quelle che cedono per prime" pensò "Ma questa ragazza..."
L'Agente emise un lieve sospiro: pochi secondi e sarebbe crollata, per quanto forte o strana potesse essere.
- Lo sai quanti tuoi colleghi sono morti per aver tentato di entrare nei laboratori? - chiese afferrandole i capelli neri come la pece, reclinandole la testa all'indietro, in modo che potesse vedere il cielo - Forse trenta, o anche di più -
***
Osservò la luna, stupenda, come sempre, e si ritrovò a sorridere.
- Mi hai sentito? -
- Devi capire...- iniziò con un ghigno sul volto - ...che io non sono come gli altri -
Un colpo alla nuca e tutto si fece buio.
______________________________________________________

Socchiuse appena gli occhi, cercando di ignorare la testa che pulsava per il dolore.
Era appesa al muro da qualcosa, corde molto probabilmente, che sembravano segarle i polsi ad ogni minimo movimento, e i piedi che toccavano il freddo pavimento di pietra.
- Finalmente la nostra ospite si è svegliata -
Alzò la testa, tenendo gli occhi socchiusi, scoprendo finalmente dove l’avevano portata: era una sottospecie di cella, i muri di pietre le davano un aspetto lugubre ed umido. Davanti a lei c’era Leferve con altri due uomini armati.
- Allora 33, dicci perché la tua cara Agenzia vuole i nostri demoni artificiali -
Scrollò la testa e fece un respiro profondo, scattando in avanti per un misero tentativo di afferrare lo scienziato per il collo e strozzarlo con le proprie mani, ma le sue dita strinsero solo il vuoto.
- Oh, oh, la pantera tira fuori le unghie - disse il biondo con un ghigno, facendo un passo avanti, arrivando a pochi centimetri dalle sue mani - Non puoi fare niente -
Ritornò contro il muro, appoggiando la schiena con un tonfo.
- Allora? -
- Non vi dirò niente -
Una delle due guardie, armata con un fucile, si avvicinò con passo deciso, colpendola con forza allo stomaco con il calcio dell’arma. Le gambe cedettero e si accasciò di lato, sorretta solamente dalle corde un po’ allentate.
- Figlio di... - disse boccheggiando all’agente, che indietreggiò nuovamente.
- Perché volete i nostri demoni? -
Ghignò solamente.
- Allora? -
- Scordatelo faccia da culo, va all’inferno -
L'agente si fece avanti ancora una volta, colpendola con più forza di prima, e trattenne a stento un gemito, osservando poi Leferve con espressione furiosa.
- Se risponderai alle mie domande ti libereremo -
- Neanche sotto tortura, schifosi bastardi - disse con rabbia.
Lucas Leferve sorrise, voltandosi verso l'agente con il fucile - Fatti dare delle risposte, altrimenti uccidila -
L'uomo annuì, attendendo che il biondo e il collega uscissero dalla cella, poi le si avvicinò, afferrandole con forza i capelli, facendole reclinare la testa all'indietro - Rispondi puttana - sibilò lui, con un accento russo.
Rimase zitta, stringendo gli occhi ogni volta che l'uomo le colpiva lo stomaco con un pugno.
- Sto cominciando a stufarmi ragazzina - sussurrò lui ad un tratto, accarezzandole una gamba nuda - Credo sia davvero ora di trattarti come una puttana -
La mano dell'uomo, dal ginocchio, salì sempre più in su, fermandosi non appena trovò la lama affilata dell'unico pugnale che le era rimasto. L'agente lo afferrò dal manico, estraendolo dalla cinghia stretta intorno alla sua coscia - E questo giocattolino? -
Lo guardò con rabbia, poi gli sputò in faccia, dandogli una ginocchiata all'inguine.
L'uomo indietreggiò, appoggiando la schiena contro il muro, portandosi le mani tra le gambe, imprecando in russo.
Sorrise, osservando la sua espressione di dolore, ma subito ritornò seria quando l'agente si riprese, riavvicinandosi a lei, premendole il pugnale contro il fianco. Gemette quando sentì la punta affilata penetrarle la carne, ritirandosi subito dopo.
- Il mio capo vuole delle risposte - disse lui - Ti concedo un'ultima possibilità -
Ringhiò contro l'uomo, iniziando a strattonare le corde, che la tenevano legata, sempre più allentate.
- É inutile che ti agiti -
" E tu impara a fare dei nodi più stretti" pensò, liberando definitivamente il braccio destro.
Veloce come un cobra, prese la guardia per i capelli, facendole abbassare la testa in modo da riuscire a dagli una poderosa ginocchiata in viso.
Sorrise in modo maligno vedendolo accasciarsi al suolo, urlando e tenendosi una mano premuta sul naso sanguinante.
Più in fretta che poté, slegò l'altro nodo, liberandosi completamente.
Si avventò sull'uomo a terra, che tentava di rialzarsi, imprecando sia in russo sia in italiano e gli prese la testa con entrambe le mani, girandola di scatto. L'agente si accasciò a terra con il collo spezzato.
Si abbassò per riprendere il pugnale, ignorando gli occhi vitrei dell'uomo che aveva appena ucciso, e lo rimise nel fodero.
Guardò prima la porta della cella, poi il soffitto, lasciandosi sfuggire una lieve risata alla vista della grata in un angolo, che portava al condotto di ventilazione.
-- 33...rispondi... --
Si portò una mano all'orecchio, dove l'auricolare gracchiava parole sconnesse - J.? Mi senti? -
-- 33!...stai...? --
- J. il segnale é disturbato. Ascoltami bene - iniziò parlando lentamente - Sto bene. Mi infilo nel condotto di ventilazione e me ne vado -
-- Ok... --
Prese il fucile alla guardia, si avvicinò all'angolo, posizionandosi sotto la grata per poi spostarla. Prese la rincorsa, fece due passi sul muro ed afferrò il bordo del condotto, issandosi con fatica, fino a ritrovarsi in posizione supina nel condotto di ventilazione. Si sistemò il fucile a tracolla, iniziando a strisciare nel condotto.


I minuti erano interminabili e l’aria sembrava mancare.
Vedendo finalmente uno spiraglio di luce, spostò la grata e scivolò fuori dal condotto di ventilazione, cadendo in ginocchio al centro del bagno, che sapeva, era accanto alle cucine. Si strinse il fianco, tornando in piedi, nascose il fucile dietro la schiena ed uscì dalla porta.
Al suo ingresso nelle cucine diversi maggiordomi, camerieri e cuoche si voltarono verso di lei.
" Cazzo" pensò - Eh...salve -
- E lei chi diavolo é? - chiese una donna grande e grossa ai fornelli.
- Temo di...aver sbagliato bagno -
Un maggiordomo le si avvicinò, sorridendo - Non si preoccupi signorina -
- Io...dovrei and... - sussurrò, bloccandosi non appena due guardie di Leferve, che le puntarono immediatamente la pistola contro.
Si abbassò di scatto, trascinando anche il vecchio maggiordomo, evitando le pallottole per un soffio.
Puntò il fucile a pompa e premette il grilletto.
“ Schifoso verme...era scarico” pensò tra se e se, quando il fucile non fece fuoco, osservando le due guardie che, in una frazione di secondo, si erano abbassate per mettersi al riparo.
Lanciò il fucile, sperando di colpirli, e si abbassò, nascondendosi dietro al bancone della cucina.
" Cazzo" imprecò a mente, aprendo i cassetti accanto a lei, cercando qualsiasi cosa da utilizzare come arma.
Lanciò un mestolo in testa alla prima guardia, colpendola poi al petto con un piccolo coltello.
Il vecchio accanto a lei tremava come una foglia, e si fece ancora più indietro, non appena lo guardò.
- Non uccidermi -
- Non voglio fare del male a nessuno -
Uscì appena con la testa, nascondendosi subito dopo non appena l’unica guardia rimasta iniziò a spararle contro.
Si spostò veloce, cercando di rimanere sempre al riparo dall'energumeno sulla porta, che sparava ogni volta che la vedeva, fermandosi a qualche metro dall’uomo.
Non appena lo sentì che stava ricaricando l’arma, saltò fuori, trascinandolo a terra. Uno sparo. Strinse i denti e gli tolse la pistola dalle mani, puntandogliela contro.
- Ora me ne vado - sussurrò, arretrando fino alla porta che dava sul giardino.
Uscì veloce, tenendo alzata la gamba ferita dal colpo che era appena stato sparato. Si accasciò a terra, guardando il foro appena sopra al ginocchio: la pallottola era entrata e uscita. Si strappò il vestito, rimediando una specie di benda, stringendola forte, rialzandosi subito dopo.
- Francesca -
Si voltò - Christian -
Il moro la squadrò dall’alto in basso, scandalizzato - Tu...tu...è a te che stanno dando la caccia -
Gli diede le spalle, incamminandosi verso il parcheggio. Doveva muoversi: le guardie sarebbero tornate da un momento all’altro.
- Francesca -
Si voltò, puntando la pistola contro l’uomo - Vattene -
Un attimo di silenzio e poi, sentendo delle vochi roche, entrambi voltarono lo sguardo in direzione del suono.
- Merda...- sussurrò appoggiandosi nuovamente contro il muro. Nascosta nell’ombra, poté vedere una guardia avvicinarsi a Christian.
- Hai visto una ragazza con i capelli neri, sui 18 anni alta più o meno un metro e settanta? -
Il moro scoppiò a ridere, mettendosi le mani sui fianchi - Magari -  
La guardia gli puntò la pistola alla testa - Non scherzare Christian -
- L’ho vista mentre saliva al piano di sopra, forse andava nella camera di Lucas... -
La guardia corse via, prendendo il walkie talkie, parlando velocemente.
- Forse è meglio che vai - disse lui senza guardarla negli occhi.
Si rialzò, dandogli le spalle - Grazie - sussurrò, prima di sparire nell’oscurità.


Raggiunta finalmente la macchina, saltò su, ignorando il dolore alla gamba, mise in moto e partì a tutta velocità.
Accese la radiotrasmittente - J. mi senti? J.? -
La radio, dopo diversi secondi con un sottofondo di strani suoni, iniziò a gracchiare con la voce del collega, agitato come non mai.
-- 33! Sei salva finalmente! Devi seminarli! --
Inarcò un sopracciglio - Seminare chi? -
-- Dalla villa sono appena partiti sette demoni artificiali --
Era uscita a tutta velocità dal vialetto ed aveva imboccato la strada che aveva percorso all’arrivo. Lanciò uno sguardo allo specchietto retrovisore, notando immediatamente sei figure che correvano dietro all’Alfa. Alti quasi due metri, la pelle scura ricoperta da ispidi peli neri, le lunghe braccia che gli arrivavano fino alle ginocchia e gli occhietti gialli puntati nella sua direzione.
- E dov’è il settimo? -
L’auto subì un piccolo contraccolpo, come se fosse passata sopra a qualcosa di grosso.
Guardò di nuovo lo specchietto - Ah, ecco dove si era nascosto -
-- Mando i tre Agenti --
Fece per controbattere, ma un tonfo sordo e la cappotta della macchina che si piegò sopra di lei, attirarono la sua attenzione. Quattro lunghi artigli scuri fecero capolino dalla lamiera, tagliandola come se fosse burro, per poi ritrarsi nuovamente.
"Perfetto" pensò stringendo con forza il voltante "Loro sono in sei ed io ho una pistola e un pugnale, sono ferita ed incazzata nera! Questa me la pagano"
Gli artigli  fecero nuovamente capolino dalla lamiera della cappotta, sempre più vicini alla sua spalla destra, accompagnati da un ringhio cupo.
Iniziò a sparare, puntando la pistola alla cappotta della macchina, finchè non sentì un tonfo sordo dietro l’Alfa.
Una frazione di secondi dopo, i finestrini andarono in frantumi, lasciando il via libera a due demoni che cercavano di afferrarla.
Sparò l’ultimo proiettile in faccia al demone alla sua sinistra, lanciando poi la pistola fuori dal finestrino.
- Si può sapere perché non mi avete messo una mitraglietta nella macchina? -
-- E chi diavolo sapeva che finiva così --  
- Metterla comunque per sicurezza? – chiese chinandosi leggermente in avanti quando un altro demone si affiancò al finestrino dalla parte del guidatore, ed afferrò il pugnale, ancora riposto nel suo fodero legato alla gamba ferita, strinse forte l'impugnatura e si raddrizzò, guardando il demone in quei diabolici occhietti gialli.
- Muori bastardo - sussurrò prima di piantagli la lama nel cranio, estraendolo immediatamente e piantandolo nella gola dell'altro.
- E siamo a cinque - sussurrò mentre divelse la sua unica arma dal demone, che cadde all'indietro, rotolando lungo la strada.
Un altro tonfo sopra di le e il sesto demone fu sopra la macchina e, come l’altro, affondò gli artigli, perforando la lamiera e colpendole la spalla in profondità.
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola e, stringendo ancora più forte il voltante, premette il freno all'improvviso, e il demone artificiale venne scaraventato in avanti, rotolando sull'asfalto per diversi metri, rimanendo a caproni per rialzare solo lo sguardo ed emettendo un cupo ringhio nella sua direzione.
-- 33? Angelica tutto bene? --
Guardò il sangue che dalla spalla scivolata luogo il braccio, gocciolando sul sedile di pelle.
- Demoni del cazzo - sussurrò premendo l'acceleratore - Mi hanno rovinato talmente tanti vestiti che ho dovuto comprarmi un intero guardaroba -
L’Alfa scattò in avanti, con il motore che sembrava ruggire, ed investì il demone, che emise dei cupi lamenti non appena le ruote gli passarono sopra, spaccandogli le ossa.
-- Angelica? --
- Solo un graffio J. non ti preoccupare...mi farò vedere appena torno -
Continuò la sua corsa, lanciando di tanto in tanto delle occhiate allo specchietto retrovisore.
La testa le ciondolava di qua e di la, per via del sangue che usciva a fiotti dalla spalla, e le faceva vedere tutto sfuocato.
" La Direttrice mi ammazzerà per la macchina..." pensò.
Scrollò la testa, cercando di rimanere lucida e di non sbandare su quella strada, costeggiata da una parte da un fiumiciattolo e dall'altra da campi, dove, nell'oscurità, ancora una figura le correva dietro. Vedendo un paio di occhietti gialli brillare in modo maligno, capì immediatamente di chi si trattava.
La vista offuscata non le faceva nemmeno distinguere la strada e, notando un paio di fanali davanti a lei, riuscì a scansarsi all'ultimo secondo per non farsi travolgere da una Mercedes nera, che fece una brusca inversione dopo averla incrociata.
" Finalmente" pensò guardando la macchina dietro di lei. Si abbandonò contro il sedile, chiudendo gli occhi.
***
Quando vide l'auto davanti a lui sbandare, accelerò ancora di più per raggiungere Angelica.
- J., Angelica risponde? -
-- No Francesco, deve essere successo qualcosa. Forse é priva di sensi --
Guardò l’Alfa correre via, sbandando a destra e a sinistra. Gli salì un nodo alla gola quando l’auto, dopo un'altra sbandata, uscì di strada, finendo in acqua.
Frenò di colpo, scendendo dall'auto, pronto a tuffarsi, ma un ringhio alle sue spalle lo fecero voltare.
Un demone artificiale era fermo a qualche metro da lui: la schiena piegata leggermente in avanti, piccoli occhi gialli, le labbra arricciate mostravano la sfilza di denti acuminati, i muscoli nascosti dai peli scuri che coprivano tutto il corpo e le braccia che arrivavano quasi a terra.
- Che faccia da culo - disse, prendendo il fucile a pompa a tracolla, lo caricò e lo puntò verso il demone e fece fuoco.
La testa della creatura esplose, seminando a terra frammenti di carne ed ossa, impastati di sangue nero, mentre il corpo dopo pochi secondi, cadde a terra, spargendo sull’asfalto altro sangue, che usciva da quella che poco tempo prima era la testa.
Si voltò, osservando il punto dove l’Alfa aveva sbandato ed iniziò a correre. Oltre il ciglio della strada, il piccolo fiumiciattolo era percorso da mille increspature, provocate dall’auto che, ormai, era affondata del tutto.
Si tuffò e si avvicinò alla portiera del guidatore: Angelica era svenuta e l'interno della macchina era già completamente sommerso, per via dei buchi nella cappotta e dei finestrini rotti.
Allungò le braccia e l’afferrò, tentando di tirarla fuori dal finestrino senza successo: Angelica era intrappolata dalle cinture di sicurezza.
Diede qualche calcio alla portiera della macchina, nel tentativo di forzarla, ma non successe nulla poiché l'acqua attutiva l'impatto.
" Non puoi lasciarla lì" pensò guardando le ultime bollicine che uscivano dalle labbra socchiuse della ragazza.
Sentì la rabbia ribollire dentro di lui, come se il fuoco scorresse nelle sue vene.
Senza nemmeno sapere quello che stava facendo portò una mano alla maniglia della portiera, che staccò completamente dal resto dell'auto senza il minimo sforzo. La stessa cosa per le cinture di sicurezza, che strappò senza difficoltà.
Afferrò la mora per un braccio e la portò in superficie, tenendole alta la testa.
- Angelica - chiamò disperato vedendo che la ragazza non respirava - Angelica non morire -
La trascinò fino a riva, mettendosi subito sopra di lei, tappandole il naso ed appoggiando le labbra sulle sue per soffiare nei polmoni, poi si staccò e le praticò il massaggio cardiaco. Scosse la testa nel tentativo di ignorare il profumo del suo sangue, che, dalla spalla, scivolava lungo il candido braccio.  Era tentato di assaggiarlo: quello scatto di rabbia aveva lasciato libera la sua parte demoniaca, che ora richiedeva un premio.
- Forza Angelica - sussurrò prima di appoggiare ancora le labbra sulle sue.
***
Si mosse appena quando sentì l'acqua che, dai polmoni, saliva alla bocca. Scansò la persona sopra di lei e sputò l'acqua, tossendo forte.
- Porca...- sussurrò tra i colpi di tosse, mettendosi su un fianco, nel tentativo di respirare meglio.
- 33 -
Delle forti braccia le cinsero la vita e la fecero avvicinare al corpo caldo del suo salvatore.
Socchiuse lentamente gli occhi - Francesco...-
- Angelica, ti senti bene? -
Sospirò, passandosi una mano nei capelli - Eh...sì - sussurrò, voltando poi lo sguardo verso il punto dove l’Alfa era affondata - Oh cazzo, la mia giacca -
- La Direttrice ti ucciderà per la macchina e tu ti preoccupi per la tua giacca? - domandò lui, con il respiro affannato.
Inarcò un sopracciglio, cercando di tirarsi in po’ su usando i gomiti - Ti senti bene? -
Qualcosa non andava. Lo sguardo di Francesco continuava a soffermarsi sulla spalla, ed ogni volta le sembrava di vedere una strana scintilla in quelle iridi ghiacciate.
- Francesco? - lo chiamò, tirandosi un po’ su - Ti senti bene? -
- Sì -
Fece un profondo respiro - Dove sono finiti gli altri due? -
- Stanno arrivando - chiese lui senza staccare gli occhi dalla spalla ferita - Io ero quello più vicino e... -
Annuì - Grazie, per avermi salvata -
Il biondo sembrò non sentirla: si avvicinava sempre di più al suo viso.
Arretrò appena trascinando la gamba ferita - Ma che ti prende? -
Il collega alzò gli occhi, puntandoli nei suoi.
Trattenne il fiato: rossi. Le sue iridi, di solito azzurre, ora erano rosse come il sangue. Una frazione di secondo e capì, tentando subito di tirarsi indietro, ma fu schiacciata subito a terra.
Sentì l'alito caldo di Francesco sul collo e le sue mani che le scostavano i capelli bagnati. Lui si avvicinò sempre di più, finché non appoggiò le labbra sulla sua ferita alla spalla. Gemette appena, tentando di liberarsi.
- Il tuo sangue...- sussurrò il biondo afferrandole le braccia e portandogliele sopra la testa -...deve essere buonissimo -
- Francesco -
Il ragazzo si sistemò meglio sopra di lei, bloccandola del tutto.
L’Agente avvicinò le labbra al collo, leccandolo lentamente. Strinse i denti quando i due canini affondarono nella carne e si lasciò sfuggire un piccolo grido, subito soffocato dalla mano del ragazzo che le tappò la bocca.
Chiuse gli occhi e, ormai priva di forze, si abbandonò completamente a terra, lasciando che il ragazzo sopra di lei si nutrisse del suo sangue.
Prima di perdere i sensi completamente, vide un paio di fari brillare nell’oscurità.
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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - Martedì 3 marzo 2009 ***


Martedì, 3 marzo 2009 - ore 13.18
Agenzia  


Socchiuse appena gli occhi cercando di riconoscere le due figure accanto a lei. Cercò di abituarsi alla luce dei neon poti sul soffitto e, quando ci riuscì, riconobbe Beatrice e Marco.
- Finalmente ti sei svegliata - esclamò l'uomo con un tono di voce che le fece pulsare le tempie per il dolore.
- Io...che é successo? -
- É tutta colpa mia - sussurrò lievemente qualcuno fuori dal suo campo visivo - Ti ho morsa e non sono riuscito a fermarmi -
- Francesco, non é colpa tua - disse Beatrice, concentrata a sistemare qualcosa che le pungeva il braccio - Angelica non devi muoverti. Hai perso parecchio sangue e te ne abbiamo messo una sacca -
- Ok - sussurrò tranquilla - Tra quanto posso andare a casa? -
- Dovresti riposare - le suggerì Marco con le braccia sui fianchi.
- Oh Marco, posso farlo anche a casa -
- Oh no tesoro, tu non ti muovi da qui per un paio d'ore -
Si tirò su - Allora potreste farmi parlare con Matteo? -
- Chi diavolo é Matteo? -
Tentò di alzarsi del tutto per scendere da quel dannato letto e raggiungere il fidanzato al più presto, ma quattro mani glielo impedirono, schiacciandola di nuovo contro il materasso.
- Stai ferma altrimenti ti devo legare - disse il Lumpa-lumpa.
- Oh andiamo dannazione! Sto bene! - disse ancora - Se volete farmi rimanere qui, fatemi parlare con Matteo -
- D'accordo - sussurrò la bionda prendendo il cellulare dalla tasca - Dimmi il numero -
Dettò lentamente il numero alla ragazza, che le porse subito il cellulare, poi lo portò all’orecchio, attendendo che gli squilli smettessero.
- Pronto? - rispose il fidanzato con tono un po' preoccupato.
- Amore, sono io -
A quella parola Marco aveva sgranato gli occhi, mentre Beatrice le sorrideva in modo malizioso.
- Angelica! Angelica ti ho cercata tutto il giorno! Mi hai fatto preoccupare -
- Matteo calmati -
- Sei a casa? -
- Ehm, no...sono dal medico -
- Cos'hai amore mio? -
- Ehm...solo un po’ di nausea -
- Vuoi che venga a farti compagnia più tardi? -
Sorrise - D’accordo -
- Vengo non appena porto Sonia da un’amica -
- Ok amore -
- A dopo gattina - disse lui, riattaccando.
Beatrice riprese il suo cellulare e lo mise nuovamente nella tasca dei jeans, sorridendo come non mai.
- Che c'é? -
- Oh gattina non mi avevi detto che hai un fidanzato! Ecco chi ti ha lasciato il succhiotto!-
“ Come diavolo ha fatto a sentire?”
- Oh tesoro! Il volume era talmente alto! -
Sorrise - Beatrice...-
- Oh che carini - sussurrò ancora lei in tono sognante - E scommetto che ti chiama gattina perché quando fate sesso gli graffi la schiena, vero? -
- Beatrice! -
Marco sospirò allontanandosi dal letto - Vado a tagliarmi le vene perché adesso non la smetterà più di parlare -
- Che simpatico Marco, davvero simpatico - sbuffò la bionda - Comunque, adesso mi dici com'é il tuo micione -
- Scordatelo -
- Ci sa fare vero? -
Sgranò gli occhi e spalancò la bocca - Io...io...tu...non sono affari che ti riguardano! -
- Scommetto di sì. Ti ha sfiancata vero? -
- Oh Dio ti rendi conto di quello che stai dicendo? -
- Sto solo chiedendo inutili particolari sulla tua vita sessuale! -
- Beatrice! -
- Allora? Com’è? É alto o basso? Moro o biondo? Sportivo o secchione? - chiese l'amica prendendo una sedia e portandola accanto al suo letto, sedendosi subito dopo, appoggiando un braccio sul materasso che le reggeva la testa.
- Non dovevo riposare? -
- Cazzo Angelica, hai dormito come un ghiro! Avrai pochi minuti per raccontarmi tutto! -


- C'é altro? - chiese Beatrice dopo una decina di minuti di interrogatorio di quarto grado.
- É tutto vostro onore -
- Lui lo sa? -
Scosse la testa - Voglio aspettare a dirglielo - rispose - Ora sentite: io sto bene, non posso andarmene a casa? - chiese, mettendosi a sedere sul lettino.
Beatrice si alzò in piedi, incrociando le braccia al petto - Testona che non sei altro -
- Ti consiglio di aspettare un attimo - s’intromise Marco.
- Perché mai? -
- Il veleno di Francesco sta circolando nel tuo corpo. Per questo le tue ferite si sono completamente rimarginate e tra qualche ora sentirai sicuramente la forte tentazione di mordere il collo a qualcuno -
Sgranò gli occhi - Quindi, in pratica, sarei temporaneamente una specie di demone? -
- Fortuna che Francesco é un mezzo demone -
- Non posso trattenermi dal bere sangue? -
- Sì, ma non servirebbe a niente - s'intromise Marco - Il tuo organismo ha bisogno di sangue ora -
- Allora cosa posso fare? -
- Boh, vai all'Avis - disse la bionda.
- BEATRICE!!!! -
- Tieni questi - disse Marco, porgendole due sacche di sangue - Quando senti il bisogno del sangue, le apri e bevi -
Prese le sacche tra le braccia e ne esaminò una, girandosela tra le mani - Devo...berlo...-
- Tra qualche ora inizierai a vomitare: quello è solo l’inizio. Da quel momento il tuo corpo vorrà il sangue -
- Rassicurante -
- E verso sera l’effetto del veleno sparirà completamente -
- Quindi qualche ora e tornerò normale? -
Si alzò in piedi, notando che qualcuno le aveva tolto l’abito che indossava la sera prima e le aveva messo una maglietta a maniche corte e un paio di pantaloni di una tuta.
- Chi diavolo...-
- Tranquilla pazzoide squilibrata, ti ho cambiata io - rispose Beatrice - Nessuno ti ha violentata -
Si avvicinò alla porta, appoggiando una mano sulla maniglia, mentre con l’altra teneva le due sacche di sangue - Ci vediamo tra qualche giorno ragazzi, domani sono in gita -
- Quindi niente caccia ai demoni - sussurrò Marco.
- Già, Angelica farà tre giorni di sesso e rock n’roll - disse la bionda.
Le lanciò un’occhiataccia - Certo, sicuramente. Piuttosto eccitante con le insegnanti a qualche stanza accanto - rispose - Ciao -
Uscì dall’infermeria, camminando silenziosa per i corridoi vuoti. Fece per entrare negli spogliatoi, quando qualcuno le appoggiò una mano sulla spalla. Si voltò, guardando negli occhi l’Agente 2.
- Signore -
- 33 - salutò lui - Ho sentito di ieri sera.  J. ha già informato la Direttrice -
Annuì - Ce qualcuno che gioca a fare la spia tra di noi, e credo che ce l’abbia a morte con me -
L’uomo aggrottò la fronte - Perché mai? -
- Credo sia la stessa persona che ha ingaggiato il demone dai capelli rossi -
- Ah, il demone non classificato - disse il collega con un sospiro - Hai qualche sospetto? -
- Al momento solo io, J., la Direttrice e i tre Agenti sappiamo dov’è la villa di Leferve -
- Pensi sia stato uno di loro? -
- Non lo so - sussurrò - Ma sono certa che i dati erano conservati su qualche computer. Un bravo hacker sarebbe stato capace di trovare tutto quello che serviva -
L’Agente si mise una mano sulla testa pelata - Fortuna che te la sei cavata -
- Già -
- Stammi bene, 33 - disse l’uomo, congedandosi - E non fare puttanate in gita -
Sorrise - Sì, signore -
Osservò il superiore allontanarsi, per scomparire poi dietro l’angolo, ed entrò negli spogliatoi.
Aprì il suo armadietto, prendendo subito la collana che Matteo le aveva regalato.
“ Fortuna che l’ho lasciata qui” pensò, rimettendola al collo.
- 33? -
Si voltò, sentendo una voce maschile.
Sospirò - Francesco, ti rendi conto che questo è lo spogliatoio delle donne? -
Il ragazzo sulla porta arrossì - Sì, ma volevo scusarmi -
Inclinò la testa - Perché mai? Mi hai salvato la vita, sono io che ti devo ringraziare -
- Volevo scusarmi per il morso - spiegò lui - Io...quando mi sono tuffato non riuscivo a liberarti. L'idea che se non avrei fatto qualcosa saresti morta lì dentro mi ha fatto perdere il controllo e...ho lasciato che la mia parte demoniaca prendesse il sopravvento, e...non sono riuscito a trattenermi... -
Sorrise - Non preoccupati, é tutto a posto. Comunque, sembra che tu abbia la testa da qualche altra parte -
Il ragazzo arrossì, distogliendo lo sguardo - No, certo che no -
- Una ragazza forse? -
Francesco distolse lo sguardo da lei, osservando lo spogliatoio - Non credo che mi voglia -
- Le hai chiesto di uscire? -
- No, temo che rifiuti -
Incrociò le braccia al petto - Oh Francesco, che te ne frega? Provaci -
- Ma ho fatto solo degli allenamenti con lei -
Inarcò un sopracciglio - Allora è un Agente -
Il ragazzo annuì.
- Ha un caratteraccio vero? -
- Come lo sai? -
Ghignò - Non lo so, ma qualcosa mi dice che è Mancini -
Il novellino arrossì ancora di più - No...-
- Oh, certo che no - disse, prendendo le chiavi della sua Ferrari - Io penso che sia una stronza. Ma fa quello che vuoi...- concluse, superandolo.
Percorse un piccolo tratto di corridoio, quando il biondo le si affiancò.
- Ma...la conosci? -
- Siamo nella stessa classe -
- Non è che potresti...-
- Oh no, scordatelo - rispose, prevedendo la sua richiesta - Non le chiedo il numero al posto tuo, e poi ci odiamo a morte -
- Ah, d’accordo. Farò da solo -
- Bravo - sussurrò sulla porta d’entrata dell’Agenzia - Ci vediamo -
___________________________________________

ikuto_shin: grazie per la recensione, e grazie anche agli altri che hanno letto la mia storia. Dunque...non mi sono particolarmente concentrata sul rapporto tra Angelica e Laura, ma non sarebbero state buone amiche anche prima della morte di Manuel, avendo un brutto carattere si sarebbe creato sicuramente un vespaio tra di loro... Grazie per aver commentato =) spero che continuerai a seguire la mia storia...

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Era tornata a casa in una decina di minuti, si era cambiata in fretta, mettendosi più comoda con un paio di pantaloncini corti e una canotta, dopodiché si era buttata sul divano. Inoltre aveva mandato un messaggio a Matteo dove aveva scritto che avrebbe dormito per un po’.
Accese la televisione, cambiando velocemente i canali nel vano tentativo di trovare qualcosa di interessante.
Si bloccò su un telegiornale regionale che riassumeva le notizie del giorno, una di queste in particolare: “Identikit della killer di Verona”.
Aggrottò la fronte “ Quel demone è così imbecille da farsi vedere? Deve averlo fatto sicuramente di proposito”
-- Un testimone sfuggito all’aggressione fornisce uno strano identikit alla polizia: lunghi capelli rossi, vestita con una vestaglia nera. Ma non è questa la parte più strana. Il turista cinese continua a ripetere che la donna in questione aveva gli occhi rossi, completamente rossi --
- Wow, hanno fatto strabilianti passi avanti - disse giocherellando con il telecomando.
-- Il turista dice che la donna lo ha risparmiato per consegnare un messaggio ad una persona che chiama 33 --
Subito dopo, sullo schermo, apparve il viso del turista cinese, spaventato a morte che tremava come una foglia - Una settimana, 33. Una settimana e andrà dalla tua amica e ucciderà prima lei e poi te -
-- Chi è questa 33? Il killer ha detto solamente che si tratta di una ragazza. Sarà la sua prossima vittima? --
Scoppiò a ridere - Puttanate - sussurrò cambiando canale - Oh, i Simpson -
***
Aprì la porta, strizzando gli occhi alla vista di Elisabeth, ferma al cancelletto.
Le aprì e la compagna fu subito al suo fianco - Allora? -
- Allora cosa? -
- Sai qualcosa di Angelica? -
- Ah - sussurrò facendola entrare e chiudendosi la porta alle spalle - Mi ha chiamato un po’ di tempo fa, mi ha detto che era dal medico perché non si sentiva molto bene, e mi ha mandato un messaggio con scritto che è a casa e che dormirà per un po’ -
La faccia della rossa si fece ad un tratto pensierosa - Ah...-
- Cosa? -
- Niente, trovo strani questi comportamenti, tutto qui -
- Ha detto che stava male -
- Matteo, non per sminuirti ma conosco Angelica sin da quando eravamo bambine. Ho cominciato a preoccuparmi per lei da quando aveva 15 anni. Da quando sono iniziati questi strani comportamenti - raccontò lei - E ogni volta ho paura. Ho paura che le succeda qualcosa...plausibile, visto che mi nasconde la verità da quasi quattro anni -
- Elisabeth, capisco pensare che ci sia qualcosa che non va, ma pensare che Angelica non...-
- Lo so, lo so - rispose la rossa, interrompendolo - Ma rifletti: perché Angelica ha tutte quelle cicatrici? Perché altre volte dice di aver fatto un incidente per mascherare delle ferite? -
Aggrottò la fronte - Non lo so -
- Infatti. Ed io ho intenzione di scoprire la verità a tutti i costi -
- Sono certo che non è nulla di importante -
- Voglio saperlo comunque - disse ancora Elisabeth - Poi ci sono altri comportamenti che non mi spiego -
- Quali? -
- Ricordi quel venerdì? A casa di Alice? - chiese la rossa - Quando stavamo per andare via Angelica mi ha tirata da una parte, dicendomi che non dovevo rimanere a casa da sola e che non dovevo uscire dopo il tramonto -
- Sarà preoccupata per la storia della donna killer a Verona -
- Non hai sentito i telegiornali? Hanno trovato un turista che ha visto questa donna e...ricordi quella di ieri nella macchina nera? I capelli rossi, il vestito nero. Non capisci Matteo? Era la killer...certo, aveva gli occhiali da sole per non far vedere i...-
Sospirò, facendo accomodare l’amica in cucina - Stai fantasticando troppo per conto mio. Qualcosa da bere? -
- Un tè grazie. Ma Matteo, era lei ti dico. Ho questa sensazione...-
- Secondo me ti stai facendo un sacco di storie per niente - rispose porgendo alla ragazza un bicchiere di tè freddo.
- Quella donna vuole me Matteo. E Angelica lo sa. Secondo me lei è 33 -
- Elisabeth - iniziò sedendosi di fronte alla compagna - Sono sicuro che Angelica non è a conoscenza di questa cosa, e ti avrà detto di stare attenta perché è preoccupata -
- Cazzate, per me c’è qualcosa sotto -
***
Era passata qualche ora forse.
Si era buttata sul letto, colta da continui capogiri, dov’era rimasta, immobile e si era attorcigliata la collanina d’argento, che portava al collo, intorno all’indice più e più volte.
Quando il campanello suonò, si portò una mano alle orecchie - Ah, arrivo...-
Si alzò a fatica dal letto, tenendosi una mano sulla fronte bollente, trattenendo un gemito per le tempie che pulsavano.
Si portò entrambe le mani alle orecchie non appena il campanello suonò un'altra volta, poi si alzò, scendendo piano le scale ed aprendo la porta all'ingresso: Matteo era al cancelletto e lo vide irrigidirsi.
Lo fece entrare e lo attese all'ingresso, chiudendo poi la porta blindata con un tonfo sordo che le fece pulsare nuovamente le tempie.
- Angelica stai bene?- chiese lui, prendendole il viso tra le mani.
Annuì, non avendo la forza di parlare. Sentiva gli occhi bruciare come non mai.
- Che cos'hanno i tuoi occhi?-
Distolse lo sguardo, facendo qualche passo verso la scalinata, appoggiandosi alla balaustra e distogliendo lo sguardo dal ragazzo.
" La voglia del sangue si fa sempre più forte" pensò, passandosi una mano sul volto.
- Angelica, rispondimi -
Sospirò - Allergia credo -
Sentì il ragazzo avvicinarsi e cingerle la vita con le braccia, appoggiandole le labbra sul collo - Mi sei manata - sussurrò lui iniziando a baciarla.
- Matteo...fermati -
Il fidanzato si bloccò e la fece voltare, stringendola contro il suo petto.
***
Più la guardava e più si convinceva che Angelica stava ancora male.
Aveva le occhiaie scure sotto gli occhi, la bocca socchiusa, il respiro affannato e i capillari degli occhi erano rossi. Sembrava una vampira.
- Ti prego Angelica, dimmi cos'hai -
La ragazza non rispose: era troppo occupata ad osservargli il collo.
- Matteo, é meglio se te ne vai -
- Perché? -
La ragazza chiuse gli occhi qualche secondo, poi aprì la bocca per rispondere, ma si portò immediatamente una mano alle labbra, correndo su per le scale per poi chiudersi la porta del bagno alle spalle.
- Angelica! - urlò correndo di sopra, fermandosi davanti alla porta chiusa del bagno.
***
- Oh Dio - sussurrò, sentendo le lacrime che le rigavano le guance.
Un altro conato e vomitò altro sangue.
- Angelica? -
- Matteo non entrare - disse prima di vomitare ancora una volta.
- Stai bene? -
Riuscì ad alzarsi in piedi, traballando fino al lavandino per pulirsi la bocca sporca di sangue - Sì, tranquillo - sussurrò.
Uscì dal bagno, osservando il fidanzato, leggermente preoccupato.
- Cristo Angelica, sei andata dal medico? -
- Sì - mentì - Ha detto che é solo un po' di nausea e che passera in giornata -
- Meno male - disse lui, tirando un sospiro di sollievo.
Scosse forte la testa a destra e a sinistra, spettinandosi ancora di più - Aspettami in camera ok? Devo bere una roba schifosa...-
- Certo -
Scese piano le scale e, prima di entrare in cucina, lanciò un’ultima occhiata verso il corridoio, sperando che Matteo non la seguisse per farle uno scherzo, e la beccasse con in mano un bicchiere pieno di sangue.
Aprì il frigorifero, quasi vuoto, eccetto per le due sacche di sangue che Marco le aveva dato per le situazioni d’emergenza.
“ Questa è decisamente una situazione d’emergenza” pensò prendendo una delle due sacche di sangue “ Altrimenti mi trovo attaccata al collo di Matteo...e non per baciarlo!”
Versò il sangue in un bicchiere di vetro, riempiendolo fino all'orlo, e lo bevette tutto in un solo sorso.
Il sapore metallico del sangue in bocca le sembrava qualcosa di afrodisiaco.
" Adesso sì che mi sento meglio" pensò, stiracchiando le braccia verso l'alto emettendo uno strano mugolio simile alle fusa di un gatto.
" Il mio corpo si è abituato al sangue" pensò "Se quello che ha detto Marco é giusto, ancora qualche ora e dovrei tornare a mangiare la roba schifosa che cucino"
Gettò la sacca vuota nel cestino, risciacquò il bicchiere e lo appoggiò nel lavello.
Sospirò e corse in bagno, lavandosi i denti, e poi andò in camera, sorridendo alla vista del fidanzato, seduto sul letto, che giocherellava con un orsacchiotto di peluche con un fiocco rosso al collo.
- Ehi, lascia andare Teddy e nessuno ti farà del male - disse puntando le dita a pistola contro di lui - Non fare il furbo, lascia andare l’ostaggio -
Il moro la guardò con un sopracciglio alzato, appoggiando poi l’orsacchiotto da una parte - Mai fregare una Charlie’s Angels -
Sorrise, sedendosi accanto a lui - Esatto -
Il ragazzo le si avvicinò, passandole una mano nei capelli - Come ti senti? -
- Divinamente -
- Bene - ribatté lui, avvicinando le labbra alle sue.
Era già pronta per baciarlo, quando lui, all’improvviso, si spostò, alzandosi in piedi.
Sorrise in modo diabolico “ Piccolo demonietto...”
- Ti aiuto a preparare la borsa? - domandò il moro, mettendosi le mani sui fianchi.
- Eh? Ah già, per la gita...-
- Tu non muoverti, dimmi dov'é il borsone e preparo tutto io -
Si sistemò meglio sul letto, portando le ginocchia al petto, stringendo le gambe con le braccia - É nel'armadio nella camera degli ospiti, quello verde scuro -
Matteo uscì dalla stanza, ritornando qualche secondo dopo con il borsone tra le braccia, appoggiandolo sul letto accanto a lei.
- Bene - iniziò lui, aprendo la borsa - Cosa ti serve? -
Sorrise con malizia - La lingerie...-
Il ragazzo la guardò, inarcando un sopracciglio - E quale preferisci? -
Sbuffò sonoramente, sdraiandosi sul letto - Matteo posso sempre prepararla questa sera -
- Assolutamente no -
- E perché no? -
- Perché vieni a dormire da me -
Questa volta fu lei ad inarcare un sopracciglio, stupita - Ma ci sono tua madre e tua sorella -
- Angelica, amore, solo per dormire... -
Fece un sospiro di sollievo, passandosi una mano nei capelli - Grazie al cielo, temevo che tu volessi... -
- Angelica - sussurrò il fidanzato - Sei troppo maliziosa -
***
L’uomo vestito di nero scese da una Mercedes, anch’essa nera.
- Strano posto per un incontro Kyra - sussurrò, osservandosi intorno: erano in un parcheggio sotterraneo, probabilmente quello del centro commerciale che era ovviamente chiuso.
- Perché hai avvisato le guardie alla villa di Leferve? - chiese la donna dai capelli rossi, appoggiata ad un pilastro di pietra con le braccia incrociate.
- Sembrava una buona occasione per ucciderla -
Il demone puntò gli occhi rossi verso di lui - Mi hai ingaggiato per ucciderla no? Non mettermi i bastoni tra le ruote -
Il ghigno dell’uomo divenne un sorriso diabolico - Finchè tu resti con le mani in mano io non posso mettere in atto i miei piani -
- Se vuoi ucciderla tu, accomodati pure - ribatté la rossa, muovendo le mani in modo quasi teatrale - Ma non penso che tu voglia rischiare di farti scoprire -
L’uomo vestito di nero le diede le spalle - Mantieni la promessa Kyra -
La rossa sorrise - Il 7 marzo Angelica morirà -
La spia sorrise - E fai in modo che soffra -
- Morirà lentamente e in modo atroce, guardando la sua amica morire davanti ai suoi occhi -
***
- Andiamo? - chiese lui, chiudendo il borsone, pronto per il giorno seguente.
- Prima vorrei fare un bagno - sussurrò, alzandosi in piedi.
- D'accordo, ti aspetto... - disse il ragazzo, sedendosi sul letto.
Sorrise, mettendosi a cavalcioni su di lui - E ci ha detto che devi aspettare? -
- Mi stai per caso chiedendo di... -
Si alzò in piedi, sorridendo in modo malizioso - Vado a riempire la vasca... - disse, uscendo dalla camera e raggiungendo il bagno accanto alla stanza dei suoi genitori.
Chiuse la porta, avvicinandosi poi alla vasca per sedersi sul bordo ed aprire il rubinetto. Non appena la vasca si fu riempita con qualche centimetro d’acqua, aggiunse parecchio bagnoschiuma, che ben presto divenne una soffice schiuma bianca.
Passò ancora qualche minuto, e la vasca non era ancora piena quando Matteo fece il suo ingresso, prendendola in braccio per metterla seduta sul lavandino ed iniziando a baciarla.
- Oh, lo sapevo che saresti venuto, mio piccolo micione - sussurrò staccandosi appena dalle sue labbra per sfilargli la maglietta e gettarla a terra.
- La gattina é diventata un po' maliziosa -
Sorrise avvicinandosi alle sue labbra, sfiorandole appena, giusto per provocare un po' il moro, facendo uno strano verso.
Lo vide alzare un sopracciglio, sfiorandole dolcemente i fianchi - Erano fusa quelle che ho sentito? -
Emise un altro mugolio - Spero proprio di no - sussurrò prima di mordergli piano il collo.
Si tolsero gli ultimi vestiti senza smettere di baciarsi.
Il fidanzato la sistemò nella vasca da bagno e, subito dopo, entrò anche lui, iniziando ad accarezzarle la schiena con lentezza.
- Non dirmi che tua madre ci sta aspettando...-
- No - rispose subito lui.
Allacciò le gambe intorno alla sua vita, attirandolo verso di se finché il petto di lui non toccò il suo.
- Allora abbiamo un bel po' di tempo -


Dopo mezz'ora Matteo l'aveva tirata fuori dalla vasca da bagno e, senza smettere di baciarsi, erano tornati nella sua stanza, buttandosi a peso morto sul letto, continuando quello che avevano interrotto.
La magia crollò quando il cordless di casa prese a suonare. Il fidanzato si staccò appena, guardandola con gli occhi da Bambi, nella speranza che lasciasse perdere il telefono e che restasse a letto.
- Mi dispiace, devo rispondere - sussurrò, appoggiandogli le mani sul petto per allontanarlo appena e sì alzò, infilò una maglia tre volte la sua taglia trovata a caso nell’armadio e scese all'ingresso, afferrando il cordless appoggiato su un mobiletto.
- Pronto? -
- Ciao tesoro sono la mamy -
Si diede una sberla in fronte " Potevo rimanere a letto" - Ciao mamma -
- Tesoro, stai meglio adesso? - chiese sua madre. Qualche ora prima l’aveva informata della situazione.
- Sì, l'effetto del veleno sta sparendo -
- E il sangue che c'é in frigo l'hai bevuto tutto?-
- Quasi, tra un po' dovrei tornare a mangiare le solite cose -
- Pesce che sa di plastica, ragù di Didò -
- Oh mamma finiscila -
- Ok, mia piccola protagonista di cotto e mangiato -
- Mamma dovrei andare...-
- C'é Matteo che ti aspetta? -
- Ah, sì -
- Allora vai, altrimenti si arrabbia e non farà più niente -
Sorrise - Ciao mamma, stammi bene e salutami papà -
- Oh, quello scemo di tuo padre sta sbavando dietro ogni opera d'arte -
- Ma dove siete? -
- Ai musei non so cosa... -
- I musei vaticani mamma -
- Beh é lo stesso, ciao tesoro -
Riattaccò, spaventandosi a morte non appena sentì delle braccia stringersi intorno alla sua vita e delle labbra calde che si appoggiavano sul suo collo.
Gettò indietro la testa mentre il moro iniziata a riempirle il collo di piccoli baci, in modo estremamente lento, quasi volesse torturarla per aver interrotto il loro momento magico e aver risposto al telefono.
- Chi era? - chiese Matteo, staccandosi appena per soffiarle dolcemente nell'orecchio.
- Mia madre - rispose, afferrandogli le braccia per stringerle con un po' decisione.
Le mani del fidanzato lasciarono i suoi fianchi per insinuarsi sotto la t-shirt ed iniziare una lenta esplorazione.
La pelle sembrava prendere fuoco dopo il passaggio della mano del ragazzo. Si lasciò sfuggire un sospiro, voltandosi verso di lui e gettandogli le braccia al collo.
I suoi occhi blu sembravano brillare con una punta di malizia quando le sue mani presero a sfiorarle dolcemente la curva del seno.
Sorrise, giocando con le ciocche castane dietro la nuca, ancora bagnate - Non dirmi che sei ancora insoddisfatto -
Il fidanzato le regalò un sorriso mozzafiato, fermando la lenta tortura che le sue mani stavano eseguendo, per poi abbracciarla - Più che soddisfatto direi, ma credo sia ora di andare -
Sfiorò le labbra di lui con le sue, mordendolo dolcemente - Forse hai ragione -
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Cenarono in tutta tranquillità con una bella bistecca al sangue, una strana salsa piccante (un'invenzione segreta della signora Dall'Angelo) e, esclusivamente per Sonia, le patatine fritte fatte da lei e Matteo; poi, quando tutti ebbero finito di mangiare, Sonia li trascinò in salotto, dove giocarono ad "Uno" e, successivamente, si aggiunse anche la signora Dall'Angelo, che faceva ridere tutti tentando di imbrogliare.
Le lancette dell'orologio segnavano che le undici erano passate da qualche minuto.
Erano seduti sul divano a guardare un film su Italia1: Sonia, profondamente addormentata, teneva la testa appoggiata alle sue gambe, stringendo Artemide tra le braccia.
- Forse é meglio metterla a letto - suggerì sottovoce, passando una mano nei capelli della bambina.
Matteo, con un sorriso di stanchezza, si alzò in piedi e fece per prendere in braccio la sorellina, ma la palla di pelo nera gli soffiò contro.
Spostò delicatamente le braccia della bambina, prendendo poi la gattina, che non oppose alcuna resistenza, e se la sistemò in grembo.
- Quella cosa vuole più bene a te che a me - ribatté il moro, prendendo in braccio la bambina - A volte mi fa quasi paura -
Sorrise, facendogli segno di abbassare la voce, indicando poi la donna dai capelli castani, anch'essa profondamente addormentata sulla poltrona.
- Vado e torno - sussurrò il ragazzo, uscendo dal salotto.
Accarezzò dolcemente Artemide, che prese a fare le fusa, affondandole di poco gli artigli nel maglione che indossava.
- Angelica? -
Sussultò, osservando la signora Dall'Angelo, che aveva appena parlato, e che ora era in piedi, ancora addormentata.
- Sì? -
- Sei incinta? -
Sgranò gli occhi - Ehm, no -
- Grazie a Dio - mugugnò la donna, voltandosi verso l’ingresso - Vado a dormire -
La osservò allontanarsi e salire le scale, continuando a parlare nel sonno.
Matteo ritornò dopo qualche minuto, sedendosi di nuovo al suo fianco.
- Tua madre é...-
- Sonnambula - rispose subito lui - L'ho incrociata per il corridoio chiedendomi se per Natale le compravo il cubo di Rubik -
- Ah - sospirò, accarezzando la gattina, appallottolata sulle sue ginocchia.
- Perché non coccoli un po' me? - domandò il fidanzato, prendendole le mani, allontanandole da Artemide, ed appoggiando le labbra sulle sue.
In sottofondo, la palla di pelo nera sembrava ringhiare come una tigre.
Arricciò le labbra, staccandosi appena - Penso che Artemide sia contraria -
- Chi se ne frega della palla di pelo spelacchiata...AHIA! -
Il ragazzo, aggredito dalla gattina, si alzò in piedi, tenendosi il braccio, percorso da piccoli graffi rossi, dai quali cominciava ad uscire del sangue.
" Fortuna che l'effetto del veleno é sparito" pensò.
- Brutta...- iniziò il moro, avvicinandosi alla micia, per farla scendere al divano.
Strinse la palla di pelo tra le braccia, proteggendola dalla furia “gatticida” del fidanzato - Lasciala stare, non voleva -
Un piccolo e dolce miagolio.
- Le faccio vedere io "non voleva" -
Artemide soffiò rabbiosa contro Matteo, che allontanò il braccio ancora una volta, nel timore di venire graffiato.
- Shh, Artemide! - l'ammonì, appoggiandola sul divano - Non devi graffiare Matteo -
La gattina, seduta, agitò la coda corvina, squadrandola con quei strani occhi verdi, poi lanciò un altro dolce miagolio.
- Brava - sussurrò, alzandosi ed avvicinandosi a Matteo, prendendogli il braccio pieno di graffi - Meglio se li disinfetti -
- E se andiamo a letto? -
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli - Come vuoi -
Spensero la tv e salirono le scale, seguiti dal passo felpato di Artemide.
- Scordatelo pulce -
La gattina miagolò in modo dolce, tentando di addolcire il ragazzo.
- Matteo...-
- Non ci viene a letto con noi -
- Perché no? -
Il ragazzo sospirò - Se mi si avvicina le do un calcio nel... -
Si voltò verso la palla di pelo, seduta su uno degli ultimi gradini - Forza, vieni -
Con altri miagolii, entrarono nella camera da letto.
Si buttò a peso morto sul morbido materasso, seguita da Artemide, che ci acciambellò sulla sua pancia.
- Domani ci aspetterà una giornataccia - disse con un sospiro, chiudendo gli occhi.
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Capitolo 24
*** Capitolo 24 - Mercoledì, 4 marzo 2009 ***


Mercoledì, 4 marzo 2009
Presa da un incubo, si rigirò nel letto più e più volte, arrotolandosi ancora di più nelle lenzuola, fermandosi solamente quando andò a sbattere contro qualcuno.
Socchiuse appena un occhio, osservando il viso di Matteo, profondamente addormentato, a qualche centimetro dal suo; poi aprì anche l’altro occhio, alzando appena la testa per guardarlo meglio. Gli accarezzò piano una guancia, sfiorandola appena, iniziando poi a giocherellare con i capelli.
Matteo mugolò appena il suo nome e smise immediatamente di accarezzarlo - Matteo? Sei sveglio? -
- mmm...Angelica -
- Sono qui -
- Dopo dobbiamo...andare a scuola...-
- Dormi, non ti preoccupare -
- E tu? - chiese lui, strofinandosi gli occhi.
- Non riesco a dormire -
- Qualcosa non va? -
- No, va tutto bene, tranquillo - sussurrò, avvicinandosi a lui ed abbracciandogli la vita, appoggiando la testa sul suo petto, che si alzava e si abbassava a ritmo regolare.
- E perché non riesci a dormire, gattina mia? - chiese Matteo, accarezzandole dolcemente i capelli, nel vano tentativo di farla addormentare.
- Incubi -
- Angelica sono solo... -
- Lo so, ma non posso farci niente -
Il ragazzo l'abbracciò e la strinse dolcemente a se - Ci sono io con te, dormi -
Socchiuse gli occhi, ma ancora una volta, nella sua mente, riapparvero le immagini della donna demone dai capelli rossi, che sorrideva in modo folle e con la bocca sporca di sangue.
Riaprì gli occhi - Non ci riesco, vado a bere un bicchiere d’acqua -
Matteo la liberò dall'affettuosa morsa - Vado a prendertelo... -
- No - sussurrò mettendosi a sedere - Torna a dormire -
Il fidanzato lanciò un lungo sospiro e si rigirò nelle coperte. Si alzò e si girò verso il letto - Ah, carino il tuo pigiama -
Il ragazzo si voltò verso di lei, ad occhi socchiusi - Anche il tuo non è male -
Abbassò lo sguardo sulla maglia che indossava: probabilmente il fidanzato l’aveva cambiata quando si era addormentata, poi lo rialzò, facendogli la linguaccia.
Scese piano le scale, passandosi una mano nei capelli per sistemarli un po', ed entrò in cucina, alle sue spalle ci fu subito un miagolio. Si voltò ed abbassò lo sguardo, guardando Artemide, seduta sulla porta della cucina con la testa alta, che la guardava a sua volta.
Prese un bicchiere dalla mensola e lo riempì con l'acqua del rubinetto, svuotandolo con un lungo sorso; poi si avvicinò alla micia, che la stava ancora guardando; la prese in braccio e le accarezzò la testa.
Uscì dalla cucina e salì le scale, tornando nella camera del fidanzato, di nuovo addormentato.
Appoggiò Artemide in fondo al letto e lei si mise piano sotto le coperte, chiamandola subito dopo. La gattina si alzò, stiracchiandosi le zampe, e poi, con passo felpato si avvicinò a lei, sistemandosi sulla sua pancia.
Sorrise e prese ad accarezzarla, chiudendo gli occhi.  
 

La sveglia prese a suonare all'improvviso, svegliandola, e persino Artemide alzò la testa, soffiando contro l'aggeggio rumoroso.
Premette un tasto e il fastidioso suono cessò.
- Buongiorno amore -
Alzò lo sguardo verso la porta della stanza e sorrise alla vista di Matteo, già vestito, con in mano un piccolo vassoio con sopra un bicchiere di succo di frutta, qualche fetta biscottata già imburrata con la marmellata spalmata sopra e una rosa rossa.
- Matteo... - sussurrò mettendosi a sedere -...non dovevi -
- Figurati - disse lui, avvicinandosi al letto ed appoggiando il vassoio sul comodino - Mangia che io vado a mettere le borse in macchina -
Sospirò - Non vuoi una mano? -
- Non preoccuparti, mangia, vestiti e fai quello che devi -
Prese una fetta biscottata e l’addentò - Non portarmi via lo zaino in fondo al letto che dentro ho i vestiti da mettere -
Il moro si chinò per raccogliere i due borsoni, appoggiati la sera prima in fondo al letto e poi uscì dalla stanza.
Mangiò in fretta e poi si alzò dal letto, stiracchiandosi le braccia.
Andò in bagno, si lavò la faccia, i denti, tentò inutilmente di sistemare i capelli corvini, perennemente in disordine, poi tornò in camera, indossando la felpa e un paio di jeans che aveva preparato nel suo zaino.
Pronta a partire, scese le scale, con il vassoio della colazione in mano, dirigendosi subito in cucina dove sentiva Matteo e la madre parlare. Si fermò sulla soglia della cucina.
- Angelica, cara, vi ho preparato dei panini - disse la signora Dall’Angelo, avvicinandosi, prendendole il vassoio ed appoggiandolo da una parte per prenderla sottobraccio.
- Ehm, grazie. Non doveva disturbarsi -
La donna le tolse lo zaino dalle spalle, iniziando ad infilare in un sacchetto di carta alcuni panini avvolti in candidi tovaglioli, anch’essi di carta; mettendo poi il sacchetto nel suo zaino.
- Mamma ci metteremo quasi due ore per arrivare - replicò Matteo mentre chiudeva il suo zainetto.
- Il pranzo del primo giorno è al sacco, tesoro. Non hai letto l’avviso? - chiese la mora, infilando anche delle bottigliette d’acqua nel suo zaino - Oh Angelica, cosa te ne fai di un block notes? -
- Ehm, prendo appunti -
- Bah, contenta tu - sussurrò la signora Dall’Angelo, chiudendole lo zaino - Buona gita ragazzi, e fate i bravi -
- Certo - rispose infilandosi lo zaino in spalla.
- Dobbiamo andare - sussurrò il ragazzo.
Uscirono fuori, percorsero il giardino e raggiunsero l’Opel Corsa parcheggiata fuori dal cancelletto. Matteo le aprì la portiera, facendola accomodare, poi prese posto al volante e partì dopo aver appoggiato lo zaino sui sedili posteriori.
Prese ad osservare il solito paesaggio che vedeva ogni altra mattina, pensando a quello che era successo alla villa di Leferve e della spia che aveva avvertito le guardie, avvisandole della sua presenza.
La spia era davvero una delle cinque persone che sospettava? La Direttrice? Impossibile, ci teneva a quelle informazioni e poi, ci teneva a lei, non l’avrebbe voluta morta. J.? No. Uno dei tre Agenti? Forse.
“ J. non ha mostrato a nessuno il fascicolo della villa” pensò “E per sicurezza non ha salvato nemmeno i file su un computer”
Batté un paio di volte l’indice sul finestrino, tentando di ricordare tutto nei minimi dettagli “Il fascicolo...il fascicolo che ho letto nell’archivio...”
Sbiancò ancor di più: si era fregata da sola.
“ Il fascicolo contenente tutte le informazioni sulla villa di Leferve, che ho letto nell’archivio e che...ho lasciato in bella vista sul tavolo” pensò, passandosi una mano nei capelli “Merda, potrebbe essere stato chiunque”
- Ieri è venuta Elisabeth - disse Matteo ad un tratto, interrompendo il filo dei suoi pensieri.
Distolse lo sguardo dal paesaggio fuori dal finestrino - Cosa voleva? -
- Era preoccupata per te e poi si è messa a parlare di 33 -
Sgranò gli occhi - E perché mai si interessa di queste cose? -
- Pensa...anzi, è sicura che tu sia 33 e che il killer voglia lei -
- Cosa le fa credere che io sia 34? -
- 33 -
- È lo stesso -
- Beh, l’altro giorno, quando eravamo a scuola, si è fermata un’auto davanti al cancello, con dentro una donna dai capelli rossi e un paio di occhiali da sole scuri. Elisabeth pensa che lei sia il killer -
Sbuffò - Sta fantasticando troppo -
- Faresti meglio a parlarle -
- Lo farò -  disse “Prima che scopra veramente chi sono”
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L’Opel Corsa grigia di Matteo, si fermò proprio accanto al gruppetto composto da Elisabeth, Vittoria e Davide, che, al loro arrivo, alzarono le braccia al cielo.
- Cercavate noi? - chiese abbassando il finestrino.
- Parli del diavolo...- iniziò la rossa - e spuntano le corna -
- Sono così cattiva da essere paragonata al diavolo? -
- Ehi siete arrivati finalmente! - disse Vittoria sistemando i capelli in una coda bionda, salutando poi lei e Matteo che, intanto, scendevano dalla macchina - Alla buon’ora -
- Forza saliamo -
Il fidanzato le diede una piccola spintarella - Vai avanti, io sistemo le borse -
Annuì e seguì gli altri sull’autobus, quasi completamente vuoto, dato che soltanto la loro classe andava in gita. Matteo li raggiunse subito.
- Dove ci sediamo? - chiese.
- Ehi company! Qua in fondo! - urlò una voce dagli ultimi posti.
Si avvicinarono e notarono Alice, con dei pantaloncini corti e una t-shirt degli AC/DC, sdraiata sugli ultimi sedili e li salutava con una mano, sventolando un cappello da baseball, bianco, con il simbolo della squadra di New York - Vi ho tenuto il posto ragazze -
- Alice sei un tesoro - disse passando il suo zaino a Matteo, che lo sistemava nel piccolo ripiano sopra le loro teste, e poi si sedette si vicino al finestrino. Accanto a lei, Matteo, poi Elisabeth dalla parte opposta; Vittoria e Davide invece, erano seduti nei posti davanti a lei. Alice era in piedi, troppo agitata per stare seduta - Non vedo l’ora di arrivare! -  
Sorrise - Alice, calmati. È solo una gita -
- No, non è una gita: è la nostra ultima gita da compagni di classe. Però potevano portarci a Parigi... -
- Ci siamo andate l’anno scorso - ribatté Elisabeth - E non ci andrò mai più per quei bastardi francesi che se sbagli la pronuncia fingono di non capire -
- Già - concordò Vittoria, mettendosi in ginocchio sul suo sedile, e guardando la rossa - Fortuna che Angelica aveva fatto un corso di francese, altrimenti col cavolo che mangiavamo -
- Ma Angelica è una svitata - iniziò la mora, salutando Federico, appena arrivato, con un bacio - Quanti corsi ha fatto fuori da scuola? -
- Boh. Sa il francese, l’inglese, lo spagnolo e il tedesco. In più mi ha trascinato a quel cavolo di corso sul greco antico e sul latino - rispose Elisabeth.
Arrossì - Sembrava interessante -
- Hai fatto greco antico? - chiese Matteo, stupito.
Sorrise timidamente - Era estate, non avevo niente da fare -
- Poi il corso di pittura. Ti ricordi Angi? All’ultima lezione è capitato il tipo mezzo nudo? -
- Elisabeth, non credo che raccontare in giro queste cose... -
- Però devi ammettere che il mio disegno era perfetto -
Sorrise, passandosi una mano nei capelli - Talmente perfetto che l’insegnante si è scandalizzata ed è uscita -
- Ma che hai fatto? - chiese Davide, incuriosito.
- Non riuscivo a fare la faccia di questo tipo. Ho preso il giallo e ho fatto un bel cerchio dove doveva esserci la faccia e con il nero ho disegnato uno smile -
Tutti scoppiarono a ridere.
- Che avete? Guardate che è arte moderna -
- Sicuro - disse con un sorriso.
- Ehi, ciao a tutti - disse un’inconfondibile testa bionda, che si avvicinava a loro con grandi passi - Posso sedermi vero? - chiese sedendosi accanto ad Elisabeth.
- Ma certo che...no - disse mettendosi le cuffie dell’mp3.
- Ah ah - rise il biondo in modo ironico salutando la rossa con un casto bacio.
Si abbandonò contro il sedile lasciandosi sfuggire un sospiro mentre la voce di Kelly Clarkson risuonava nelle sue orecchie con la canzone “Because of you”.
Matteo le sfiorò la mano e le sorrise. Rispose a sua volta con un sorriso, levandosi una cuffietta dall’orecchio.
- Ti senti bene? - chiese lui preoccupato.
- Sono solo un po’ stanca - rispose stringendogli la mano ed accarezzandogli dolcemente il dorso.
- Vedrai che dopo una bella camminata dormirai come un angioletto -
Rise piano, avvicinandosi al suo viso per sfiorare appena le labbra di lui con le sue - E se io non volessi dormire stanotte? -
Il moro inarcò un sopracciglio - Penserei che tu volessi...-
Gli chiuse la bocca con bacio e, lanciando un’occhiata intorno, notò che tutti li guardavano. Si staccò e sorrise, rimettendosi la cuffietta nell’orecchio.
***
La partenza era prefissata per le otto ma, ovviamente, per i soliti ritardatari, si attesero altri dieci minuti.
Dopo che Nicola ed Andrea furono saliti sull’autobus, l’insegnante di musica si alzò in piedi, rimanendo al centro del piccolo corridoio del mezzo, e fece un veloce appello prima che l’autista mettesse in moto.
Angelica, al suo fianco, fissava rapita il paesaggio che sfrecciava fuori dal finestrino pensando a chissà cosa, ascoltando la musica del suo mp3.
Sergio si spostò di un posto, avvicinandosi ancora di più, e gli diede una leggere gomitata. Lo guardò con la fronte corrugata - Che c’è? -
- Hai avuto un culo pazzesco a finire con Angelica -
Annuì, distogliendo lo sguardo.
- Senti Matteo. Tu...cos’hai fatto quando tu e lei...insomma... -
Lo guardò male - Perchè ti interessa? Dovrebbe essere una cosa privata - rispose in un sussurro.
- Ehi amico, hai frainteso - rispose subito il biondo, alzando le mani come un criminale che si arrende - Intendevo se l’hai invitata a cena o quant’altro -
- Perché ti interessa? -
- Perché...- iniziò il biondo, lanciando un’occhiata alla rossa, addormentata - Perché io ed Elisabeth...insomma non...lei...- continuò lui a bassa voce, in modo che quelle cose restassero tra loro - Volevo fare qualcosa di speciale -
Era leggermente confuso - Eh? -
- Vai con calma Sergio -
Entrambi si voltarono verso Angelica, ancora intenta a fissare il paesaggio, attorcigliandosi il filo dell’auricolare intorno all’indice.
- Dici? -
- Sì, fidati. La conosco meglio di chiunque altro -
- Certo, siete sorelle - scherzò lui.
La mora si voltò e sorrise.
- Allora aspetterò - confermò Sergio, ritornando vicino ad Elisabeth - Grazie -
Voltò lo sguardo verso la fidanzata, che gli sorrise - Che c’è? -
- Niente -
- Sei preoccupato -
Abbassò lo sguardo, rialzandolo subito dopo - Si vede così tanto? -
- Lo vedo dai tuoi occhi - sussurrò lei - Ti prego, dimmi cosa c’è -
Si passò una mano nei capelli - Angelica...-
- Sì? -
- C’è qualcosa che vuoi dirmi? -
La mora attesa qualche secondo - No, niente -
- Eh...ragazzi...- iniziò Alice, voltandosi per guardare tutta la combriccola - Inizio ad avere un po’ freddo -
- DEFICIENTE! SEI IN PANTALONCINI!! -
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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Novezzina - ore 9.00

Nemmeno un’ora di autobus ed erano già arrivati a destinazione.
Scese dall’autobus, seguito da Angelica, si stiracchiò le braccia mentre tutti gli altri, con le facce assonnate, scendevano dal mezzo, mettendosi immediatamente gli zaini sulle spalle. Davanti a loro l’insegnante di musica e quella di ginnastica confabulavano in gran segreto.
La donna dai capelli biondi, legati come sempre in un’ordinata coda, lasciò la collega, facendo un passo avanti, fronteggiando il gruppo di studenti - Formate immediatamente le coppie prefissate -
Non si spostò. Era già pronto con Angelica al suo fianco.
Elisabeth, accanto alla mora, abbassò la testa, rassegnata - Vado -
- Se ti da fastidio chiamaci -
La rossa annuì, avvicinandosi a Luca, appoggiato all’autobus con le braccia incrociate.
- Adesso ci sarà una specie di orienteering. La prima coppia che arriverà alla baita non solo si prenderà la seconda stanza migliore, ma non farà i compiti per...ehm, quattro giorni -   
Tutti si guardarono, ghignando.
L’insegnante di musica, dal suo zaino, estrasse una bussola per ogni gruppo e, successivamente, una piantina del luogo.
Angelica ringraziò l’insegnante, dando un’occhiata alla piantina in scala, mentre lui giocherellò con la bussola.   
Le due professoresse si affiancarono, sorridendo.
- Noi vi aspettiamo al rifugio -
- Ed ovviamente noi prenderemo la stanza migliore - aggiunse quella di musica.
- Andate e non perdetevi -
Poi salirono sull’autobus e se ne andarono.
***
Lanciò un’occhiata a Vittoria che consultava la piantina, in compagnia di Laura, che invece giocherellava con la bussola; ad Elisabeth, che tentava di arrangiarsi mentre Luca la guardava; ad Alice e Federico che si rincorrevano per l’enorme prato dove l’autobus li aveva lasciati.
Intorno c’erano solo prati e alberi, tingendo il paesaggio di varie tonalità di verde, che si mescolavano al cielo di marzo: azzurro con alcune candide nuvole che assomigliavano a pecorelle; poi la cima del monte Baldo, ancora innevata, e altre piccole alture verde scuro.
- C'é un sentiero non lontano da qui - disse senza distogliere lo sguardo dal cielo.
- Dici? -
Guardò il ragazzo, indicandogli una fila di grossi pini - Dovrebbe essere là - disse ripiegando la cartina, infilandola nella tasca dei jeans, per incamminarsi subito dopo, affiancata dal ragazzo.


Arrivarono su un piccolo sentiero che si insinuava tra degli alti pini. Un passero, appollaiato su un finissimo ramo, al loro passaggio, volò via con un cinguettio.
- Magnifico - sussurrò appena guardandosi in giro, con qualche giravolta.
- Speriamo di prendere una camera decente -
Smise di fare piroette e lo guardò, inarcando un sopracciglio - Ti preoccupi per quello? -
- Più che altro spero di trovare una stanza decente e, possibilmente, lontana da quella delle prof -
Sorrise con malizia, guardandolo di sottecchi - Furbacchione -
Il moro, dopo averle lanciato un sorriso come risposta, la prese in braccio, riprendendo poi a camminare.
- Ehi! Mettimi giù! -
- Non ci penso nemmeno -
Uno schiocco seccò attirò la sua attenzione e smise all’istante l’amichevole litigata con il fidanzato.
Si guardò intorno, allarmata per quel suono, ma non riusciva a vedere oltre i rami degli alberi, intrecciati tra loro come se volessero formare una specie di gabbia.
- Matteo - disse seria - Mettimi giù -
Il ragazzo, con espressione confusa, le fece rimettere i piedi per terra - Qualcosa non va? -
- Io...che ne dici di una corsa? - chiese “Demone dei boschi, in genere non attacca di giorno, ma sarebbe meglio non rischiare” pensò.
- Una...corsa? -
- Non dovrebbe mancare molto alla baita - si giustificò, senza sapere minimamente la locazione della baita.
- Ma, non saprei, forse dovremmo...PRONTI, VIA!! - urlò il ragazzo mettendosi a correre.
Rimase bloccata dov'era - Ehi!!!! - “Merda Matteo, è come se stessi sventolando un prosciutto davanti al naso di un lupo addormentato”
Prese a rincorrere Matteo, lo raggiunse in quattro e quattr'otto, e lo superò dopo avergli fatto la linguaccia.
- Sfacciata! Adesso ti prendo e...-
Un altro schiocco secco. Sembrava così vicino...
Si bloccò di colpo, non potendo più proseguire: davanti a loro il sentiero si interrompeva, lasciando il posto ad un ammasso di rocce e tronchi, che formavano una ripida salita per qualche metro.
- Forse la piantina non era aggiornata - sussurrò il ragazzo - Meglio tornare indietro -
Il rumore di grossi passi felini si allontanava. Tirò un sospiro di sollievo.
- Io direi di arrampicarci - propose, avvicinandosi alle rocce, tenendo le mani sui fianchi - Non è difficile -
- Non è difficile per uno scoiattolo -
- Ma tu sei uno scoiattolo -
- Angelica... -
Voltò appena lo sguardo, sorridendogli - Forza Matteo -
Appoggiò le mani sulla fredda pietra, iniziando ad arrampicarsi velocemente, arrivando in cima in pochi secondi. Si affacciò allo strapiombo di quattro o cinque metri, osservando il moro, ancora immobile.
- Eh, senti Catwoman, io faccio il giro ok? -
- Andiamo amore, non è difficile -
Il ragazzo si avvicinò alla roccia, iniziando ad arrampicarsi lentamente, afferrando saldamente ogni sporgenza ed assicurandosi di aver sistemato i piedi nel posto giusto. Sbuffò di noia, sdraiandosi a terra, guardando sempre Matteo che saliva lentamente.
- Una lumaca è più veloce -
- Se cado e mi spacco la testa giusto che ti perseguiterò sotto forma di fantasma -
Le andò di traverso la saliva, ed iniziò a tossire, rotolandosi sull’erba e portando le mani alla gola.
- Angelica? -
Chiuse gli occhi, continuando a tossire, e cercò di calmare un po’ la tosse, nel tentativo di respirare.
Quando riaprì gli occhi, Matteo era sopra di lei, che la guardava preoccupato. Prese un profondo respiro e si mise a sedere, colpendo la spalla del ragazzo con un piccolo pugno - Mi vuoi uccidere? -
- Non è colpa mia se ti soffochi da sola -
Si rimisero entrambi in piedi, osservando un edificio in lontananza.
- Guarda un po’ - sussurrò - E tu che volevi fare il giro - lo prese in giro, incamminandosi verso la baita.
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Finalmente raggiunsero la baita. Oltrepassarono uno steccato di legno arrivando nel cortile esterno.
Le due insegnanti, sedute ad un tavolino di plastica, sistemato nel cortile, alzarono lo sguardo non appena i sassolini di ghiaia smossi, annunciarono il loro arrivo.
- Oh, ecco la seconda coppia - sussurrò la professoressa di musica, alzandosi in piedi - I bagagli sono all’ingresso e questa è la vostra stanza -
Con espressione confusa guardarono le due insegnanti.
- Che avete? - chiese quella di musica.
“ Noi ci siamo fatti una scarpinata mentre loro se ne stavano sedute comode a chiacchierare?” pensò - Niente -
Alzarono le spalle ed entrarono nella baita. Ad accoglierli una saletta d’ingresso tutta in legno.
Da una parte c’erano quindici borsoni abbandonati sul pavimento, dall’altra una sala da pranzo con dei piccoli tavoli di legno chiaro, con quattro sedie sistemate attorno di ciascuno di loro e, in fondo alla sala, c’era un’altra porta con una targhetta che portava la scritta “Cucina”.
Matteo, prendendo le loro porse si avvicinò alla scala di legno proprio davanti a loro, che portava al piano di sopra.
Giunti di sopra si bloccarono: la baita, essendo a forma di “L”, si divideva in due corridoi; uno davanti a loro e uno alla loro destra.
- Stanza 10 - sussurrò, osservando il numero inciso sul portachiavi.
- Di là - disse Matteo, facendo un cenno con la testa verso il corridoio di destra.
- Come fai a dirlo? -
- C’è il cartello -
Alzò lo sguardo verso il muro vicino alle scale dove, appeso ad un chiodo, c’era un cartellino rettangolare blu, con una freccia bianca, che puntava il corridoio che il ragazzo le aveva indicato, e la scritta “ 10-19”, anch’essa in bianco.
- Ah -
- Grazie mio dolce fidanzato che hai la vista di un falco? -
Sbuffò - Cammina mio dolce fidanzato, prima che ti dia un calcio -
S’incamminarono, percorrendo tutto il corridoio fino alla fine, fino alla stanza numero 10. Inserì la chiava nel buco della serratura, girandola ed aprendo la porta.
Entrò per prima, osservando subito la stanza: come l’ingresso, tutto era in legno; c’erano due letti, distanziati l’uno dall’altro di qualche metro, un grosso armadio, proprio accanto alla porta, poi soltanto una porta che, probabilmente, portava al bagno e una porta finestra, che dava sul balcone in comune con tutte le stanze di quell’ala della baita.
Appoggiò lo zaino a terra e si accomodò sul primo letto, passando una mano sulla pesante coperta di lana grigia, piegata e sistemata in fondo al letto.
- Meglio di niente - disse Matteo con un sospiro, sistemando i loro borsoni davanti all’armadio, chiudendo poi la porta a chiave per sedersi subito dopo accanto a lei.  
- Chissà chi è arrivato prima di noi - si chiese curiosa.
- Chissà se possiamo avere un po’ di tranquillità per dieci minuti -
Lo guardò con espressione confusa. Solo una cosa riuscì a dire - Eh? -
Il moro la fece sdraiare, iniziando a baciarla e ad accarezzarle la pelle sotto la felpa. Mugugnò qualcosa di insensato, lasciandosi sfuggire un sospiro quando gli strinse forte le spalle.
Un secondo e la magia finì quando un continuo bussare alla porta li fece staccare.
- Ignoriamoli - sussurrò lievemente il ragazzo.  
Annuì - Sono assolutamente d’accordo - disse, riprendendo a baciarlo.
- Ragazzi, so che siete qui dentro! Vi ho visti entrare! -
Si staccarono, rimanendo ad un paio di centimetri di distanza.
- Elisabeth - dissero all’unisono, riconoscendo la voce fuori dalla stanza.
- Esatto, e se non mi aprite sfondo la porta -
Si alzò ed aprì la porta all’amica - Eli...- la salutò.
- Ti rode eh? Il fatto che sono arrivata prima di te? - chiese la rossa con un ghigno sul volto, entrando nella stanza numero 10.
- Certo che no - rispose richiudendo la porta - In che stanza sei? -
- La 17 -
Matteo, ancora sdraiato sul letto, si rimise a sedere - Luca ti ha dato fastidio? -
- Vi sembrerà strano - iniziò la ragazza - Ma si è comportato bene, abbiamo fatto persino quattro risate -
“ Aspetta, aspetta, aspetta...EH?” - Quattro risate con Luca? - chiese.
- Te lo posso giurare - rispose la migliore amica - Mi è sembrato persino simpatico -
-  A me sembra il solito bastardo - ribatté il ragazzo.
- Cambiando discorso - disse Elisabeth sedendosi accanto a Matteo - Stasera mi hanno detto che c’è una specie di incontro con un tizio che guarda le stelle -
- In teoria si chiama astrologo -
- Astrologo, tizio, vecchio matusa...sono la stessa cosa sapientona -
Sospirò, incrociando le braccia al petto - Elisabeth, era ovvio che organizzavano una sera dedicata all’osservazione delle stelle o dei pianeti. Probabilmente ci massacrerà le scatole per un’ora parlando dei pianeti e robe varie -
- Per te sarà stato anche ovvio, ma per me no - rispose la rossa, prendendo il cuscino e lanciandoglielo contro. Lo prese al volo senza problemi.
- Ma scommetto che non sai cos’ha organizzato quella di musica per il post-incontro con il vecchio matusa -
Le rilanciò il cuscino, colpendola in viso - No, non lo so. Perché non me lo dici tu? So-tutto-io-Elisabeth-dal-rossetto-sbrilluccicoso-Hall? -
- Senti Meredith, la smettiamo di prendere per il culo? -
- Io non sto prendendo per il culo nessuno, Ginny! -
La rossa si alzò in piedi, afferrandola per la felpa e trascinandola sul letto, cominciando a farle il solletico. Matteo si era spostato, rimanendo neutro in caso di rissa.
- Smettila di sparare cazzate Hermione! -
Si divincolava con tutte le forze, cercando di liberarsi dall’amica. Non riusciva più a riprendere fiato a forza di ridere.
- Ah ah ah ah!! Smettila! Smettila! - urlò con le lacrime agli occhi - Non è giusto! -
- Oh sì che è giusto -
- Ma tu non soffri il solletico!! AH AH!! -
- La vendetta è un piatto che va servito freddo -
Elisabeth, dopo un po', quando non riuscì più a respirare a forza di ridere per le sue disgrazie, smise di farle il solletico, alzandosi in piedi per prendere la giusta distanza di sicurezza in caso di ribellione.
Prese un profondo respiro, mettendosi di nuovo a sedere - Volevi uccidermi per caso? - chiese sorridendo, ma ritornò subito seria quando vide l'espressione pensierosa dell'amica.
- Angelica, vorrei parlarti -
Lanciò uno sguardo a Matteo, che capì al volto quello che stava per dirgli.
- Vado fuori a vedere se arrivano gli altri - disse lui, appoggiando lo zainetto a terra prima di uscire dalla stanza.
- Dimmi Elisabeth -
- Tu sei 33, vero? - domandò la rossa, seria come non mai - Rispondi solo a questo -
Sospirò - La storia é un po' lunga da raccontare -
- Rispondimi -
Aveva due possibilità: la prima era la più veloce e facile, ossia raccontarle una bugia; la seconda invece era dirle la verità, che avrebbe sollevato altre domande nella mente dell'amica, facendola preoccupare per la donna demone.
Decise subito cosa fare.
- Sì, Elisabeth. Sono io 33 -
La faccia dell'amica sbiancò - Che cosa significa? -
- 33 é il mio numero di matricola per il lavoro che faccio -
- Che lavoro? -
Incrociò le braccia al petto - Te lo dirò in un altro momento -
- Ti rendi conto che io sono in pericolo a causa tua? -
- Non sei in pericolo Elisabeth -
- Ah no? E perché quella donna vuole me? -
- Lei vuole me -
- Perché te? Come fa a conoscerti? -
Sospirò - Elisabeth, siediti -
- Non finché non mi dici che cazzo succede -
Alzò le mani, colpevole - D'accordo - sussurrò - Quella donna vuole uccidere me, e tenterà di farti del male per...divertirsi a farmi soffrire, come ha già fatto in passato -
- Vuole...u...ucciderti? -
- Esatto, e io voglio fare lo stesso con lei -
***
Le gambe tremarono quando l'amica pronunciò quelle parole.
Era tentata di uscire dalla stanza, correre per il corridoio urlando a squarciagola, ma gli occhi verdi di Angelica sembravano immobilizzarla.
- Che cosa sei? - domandò con voce tremante - Un'assassina? -
La mora le sorrise e si alzò in piedi  - Quasi esattamente Elisabeth, il mio lavoro é uccidere in effetti -
- Hai ucciso...delle persone? -
L'amica abbassò lo sguardo - Era gente malvagia, Elisabeth -
- Ma erano...persone Angelica - disse con le lacrime che le pungevano gli occhi per quello che l'amica aveva fatto - Sei un'assassina -
- Io non uccido le persone, Elisabeth. Il mio lavoro é uccidere altre...cose -
- Cosa? -
- Se solo tu vedessi quello che é sotto gli occhi di tutti... -
- Vedessi cosa? -
L'amica le sorrise - Un'altra volta, Eli. Sei sconvolta soltanto per aver sentito la parte meno brutta -
- Che cosa sei? - ripeté. In quel momento Angelica le sembrava una minaccia. Un demone sbucato dall'inferno.
- Sono l'Angelica di sempre -
- Hai ucciso delle persone... -
- Mi avrebbero uccisa. Sarei già morta se non l'avessi fatto -
- Quand'é stata l'ultima volta? - chiese.
- Lunedì - rispose tranquillamente Angelica.
Fece qualche passo indietro, appoggiando la schiena alla porta.
- Elisabeth... -
- Mi devo fidare? - chiese portandosi le mani l tipo - Posso fidarmi di te, Angelica? -
Sentì la mano fredda dell'amica appoggiarsi sulla sua spalla - Certo che ti puoi fidare. Sei la mia migliore amica...non potrei mai farti del male -
- E quella donna? -
- Ti giuro che non ti succederà niente, e ti proteggerò anche a costo della mia stessa vita -
Non riuscì più a trattenere le lacrime e scoppiò a piangere, abbracciando forte la mora - Promettimi che mi dirai tutto il resto -
- Lo prometto - rispose lei - Ma ora é meglio se ti calmi un attimo, eh? -
***
Elisabeth si staccò ed annuì, togliendosi le ultime lacrime che le rigavano le guance rosse.
- E tu devi giurare, Elisabeth. Giura di non dire mai niente a nessuno -
- Lo giuro - disse la rossa - Altrimenti dovresti uccidermi -
Sorrise - Non esagerare, non sono in servizio oggi -
Scoppiarono a ridere come se nulla fosse successo.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Dopo che tutti furono arrivati alla baita ed ebbero sistemato le proprie borse nelle rispettive stanze, le insegnanti erano passate di porta in porta, ordinando alla classe di riunirsi nel cortile esterno per cominciare un primo giro di perlustrazione e, verso l’ora di cena, una visita all’orto botanico della baita, qualche metro più in basso del cortile.
Seguendo una cartina fornita dal responsabile della baita: un piccolo ometto grassoccio con un bel paio di grossi baffi grigi, e tutti s’incamminarono per sentieri nascosti dagli alberi, calpestando nel pantano, sporcando scarpe e pantaloni.
Laura e le sue amiche oche, chiudevano il gruppo, mentre lei, Matteo, Elisabeth, Vittoria ed Alice erano in testa, precedute dall’insegnante di ginnastica che, ogni venti minuti, si accorgeva di aver sbagliato strada.


Sporchi, stanchi ed affamati, si fermarono in un grande prato dove alcune rocce coperte di muschio sbucavano dal terreno, e dei gruppi di piccoli alberi creavano piccole zone d’ombra. Si sistemarono per terra, mangiarono e si riposarono per un’oretta, ammirando il paesaggio nascosto da altri alberi.
Elisabeth, dopo aver mangiato due grossi panini con la mortadella, aveva iniziato a correre a perdifiato, inseguita da Sergio che arrancava con fatica dietro di lei. Non sembrava preoccupata per la discussione di quella mattina, anzi, la rossa, per tutta la passeggiata, aveva riso e scherzato insieme a loro come se nulla fosse successo. Le aveva persino detto che quella sera era previsto un incontro nella stanza numero 10.
L’aveva pregata per rivelarle un indizio su cosa si trattasse l’incontro segreto, ma Elisabeth si era limitata a sorridere e a saltellare in giro.


Verso pomeriggio, dopo aver perso la strada, dopo averla ritrovata e dopo averla persa di nuovo, si presero un’altra pausa nel bel mezzo di un piccolo bosco. L’insegnante di ginnastica fece i salti mortali nel vano tentativo di farli alzare.
Persino Elisabeth ed Alice, che avevano corso per tutto il tempo senza mai stancarsi, erano sfinite, sedute su un grosso sasso coperto di muschio e piccoli fiorellini bianchi. L’insegnante di musica accese qualche canzone salvata sul cellulare, iniziando a saltellare di la e di qua.
Finalmente, dopo cinque o sei canzoni antenate, la professoressa di ginnastica ritrovò nuovamente la strada e, verso le sei e qualcosa, giunsero alla baita.


Dopo una veloce visita al giardino botanico della baita, tutti ritornarono nelle proprie stanze per una doccia veloce, e poi a mangiare.
Matteo e Sergio presero tre tavoli e li unirono, in modo che potessero mangiare tutti insieme come una delle loro “riunioni pizza-film” del venerdì sera. I ragazzi mangiarono come dei cannibali, finendo tutto in quattro e quattr’otto, ignorando le buone maniere, mentre lei e le ragazze mangiarono piano parlando di cose stupide ed insensate (come facevano di solito).
Alla fine, dopo una buona fetta di crostata all’albicocca, l’insegnante di ginnastica attirò l’attenzione battendo la parte non affilata di un coltello contro un bicchiere di vetro.
- Tra quindici minuti comincia l’incontro sull’universo e le altre robe - disse la donna - Avete dieci minuti per rilassarvi -


Entrarono nella stanza numero 10, Matteo per primo, poi lei chiuse la porta con un tonfo sordo.
- Dieci minuti? Dieci minuti!? - sbraitò buttandosi sul letto - Abbiamo camminato per tutto il pomeriggio -
Il fidanzato, con la faccia premuta sul cuscino sul suo letto, mugugnò qualcosa che non riuscì a capire.
- E stasera vengono gli altri -
- mmm? -
- Non sono riuscita a farmi dire da Elisabeth di cosa si tratta - disse con un sospiro - E dobbiamo attaccare i letti -
- Dobbiamo? -
- Ah, giusto. Devi attaccare i letti - si corresse, lanciandogli un’occhiata.
Il ragazzo alzò la testa dal cuscino, guardandola con un sopracciglio alzato.
- Che c’è? - domandò - Non vuoi dormire con me? -
- Potremmo dormire anche così: io nel mio letto e tu nel tuo -
Sorrise tra se e se: il fidanzato, evidentemente, non aveva voglia di spostare i letti. Sapeva benissimo cosa doveva fare.
- D’accordo - disse - Io nel mio letto e tu nel tuo per tutte e due le notti senza fare assolutamente niente di niente -
Qualche minuto dopo, Matteo unì i due letti, buttandosi al suo fianco stanco morto - Sei cattiva...-
Si girò verso di lui, accarezzandogli i capelli - Lo so, e sono fiera di esserlo - rispose - E i dieci minuti sono passati. Dobbiamo andare -
Si diedero una sistemata e scesero nell’ingresso, dove le due professoresse stavano ferme davanti ad una porta accanto a quella d’entrata, che non avevano mai notato, ed attesero l’arrivo di tutti per un altro paio di minuti ed entrarono.
Nell'altra ala della baita c'era una lunga stanza, usata probabilmente per conferenze o altre cose simili; lungo la parete destra erano sistemate delle porte finestra, al centro, c'erano sette file composte da cinque sedie che guardavano verso un piccolo soppalco, rialzato di una ventina di centimetri dal pavimento, con sopra una lunga scrivania, probabilmente di metallo, con cinque sedie. Su una di queste, al centro del tavolo, vi era seduto un vecchio signore: i pochi capelli radi erano bianchi come la neve e gli lasciavano gran parte della testa scoperta, e aveva una costa e ispida barba bianca. Il tipo era piuttosto grassoccio e tondeggiante, un paio di occhiali da vista rotondi, appoggiati sul naso, coprivano appena i suoi occhi scuri, abbassati su delle carte sparse sulla scrivania.
La classe, stranamente in silenzio, e le due insegnanti, presero posto, occupando completamente le prime tre file e parte della quarta, dove, ovviamente, sedevano Sergio, Elisabeth, lei e Matteo; mentre, esattamente nei posti davanti a loro c'era il resto della combriccola: Federico, Alice, Vittoria e Davide.
Il vecchio signore si schiarì la voce, alzando lo sguardo verso di loro - Siete in anticipo - constatò il vecchio, alzandosi in piedi per sistemarsi il maglioncino grigio che indossava.
L'insegnante di ginnastica, seduta in prima fila con la collega, si alzò a sua volta, avvicinandosi all'uomo per stringergli la mano, poi si voltò verso la classe - Ragazzi, lui é il signor Lucchini, e stasera ci parlerà dell'universo e altre cose - annunciò la donna bionda, accomodandosi subito dopo per lasciar spazio al signor Lucchini.
Il vecchio sorrise a tutti, mettendosi le mani nelle tasche dei suoi pantaloni di tela - Chiamatemi pure Pietro, perché "signor Lucchini" mi fa sentire ancora più vecchio di quello che sono - disse lui sorridendo - Posso farvi alcune domande? Vi garantisco che sono facilissime -
La classe borbottò dei "sì".
- Bene, qualcuno sa dirmi chi formulò le tre leggi del moto dei pianeti? -
Nessuna mano alata eccetto la sua.
- Sì? -

- Friedrich Johannes Kepler, conosciuto anche come Giovanni Keplero - rispose - L'astronomo polacco che formulò tre leggi che interpretano e stabiliscono il moto dei pianeti; sono leggi dette “empiriche” perché descrivono soltanto le caratteristiche del movimento di tali corpi senza chiarirne le cause, cosa che sarà fatta da Newton, circa 70 anni più tardi, con la legge della gravitazione universale. La prima legge dice che tutti i pianeti, girano attorno al Sole, descrivendo orbite ellittiche ed il Sole occupa uno dei due fuochi. L’ellisse è una figura geometrica costituita da tutti i punti per i quali è costante la somma delle distanze da due punti fissi detti fuochi. In base a tale affermazione, dal punto di vista geometrico, la distanza tra il Sole e il pianeta non è costante ma varia continuamente, ed è massima in un punto detto afelio mentre è minima dalla parte opposta, in corrispondenza del perielio. La seconda legge dice che il raggio vettore che unisce il centro del Sole al centro del pianeta descrive aree uguali in tempi uguali; ossia che la velocità orbitale non è costante, ma varia lungo l'orbita. In prossimità del perielio, dove il raggio vettore è più corto che all'afelio, l'arco di ellisse è corrispondentemente più lungo; ne segue quindi che la velocità orbitale è massima al perielio e minima all'afelio. Infine, la terza legge dice che il quadrato del tempo di rivoluzione di un pianeta è proporzionale al cubo della sua distanza media dal Sole. Un pianeta è, infatti, sottoposto a due forze con direzione diversa; quella diretta verso l’esterno che lo allontana dal Sole è abbastanza costante e dipende dalla massa del pianeta stesso, mentre l’altra, che lo attrae, dipende dalla distanza che intercorre tra il Sole e il pianeta; la velocità con cui si muove sull’orbita pertanto è data dalla risultante tra le due forze. Ne consegue che i pianeti più lontani si muovono più lentamente dei pianeti vicini -
Il signor Lucchini sembrò stupito della sua risposta - Vedo che a qualcuno piace l'argomento. Può dirmi il suo nome signorina? -
- Angelica, signore. Angelica Vetra -
- Bene Angelica, posso farti un'altra domanda? -
- Sì, certo -
- É semplicissima, non ti preoccupare - disse il vecchio, passandosi una mano sul mento - Sai dirmi in quale campo ha contribuito Keplero? -
- Nel campo dell’ottica. Nella Dioptrice del 1611 espose i fondamenti di una teoria della visione capace di legittimare il cannocchiale di Galilei -
Pietro Lucchini si sfregò energicamente le mani - Professoresse, non mi avevate detto che portavate un'esperta in materia -
Si mise una mano davanti al viso, mentre Elisabeth la prendeva in giro sottovoce.
- Bene, ora iniziamo - annunciò il vecchio, lanciandole un'ultima occhiata prima d cominciare il suo discorso.


Finito il suo discorso sulle stelle, galassie e quant'altro, il signor Lucchini li aveva portati fuori, facendogli osservare Venere e Marte con un telescopio e poi se n'era andato.
L'insegnate di ginnastica, subito dopo, aveva chiesto ai ragazzi di spostare tutte le sedie per far posto al centro della sala conferenze, mentre la professoressa di musica attaccava uno stereo ad una delle tante prese della corrente, attaccandoci poi due grosse casse.
Dopo pochi minuti la musica partì a tutto volume, facendo vibrare persino l'aria. Fortuna che avevano ottenuto il permesso dal proprietario della baita.
Tutti formarono un cerchio, muovendosi al ritmo di musica mentre, chi voleva, poteva fare qualche mossa di qualsiasi tipo di ballo al centro del cerchio, restando però in tema con le canzoni.
Sergio e Federico furono i primi, vaneggiandosi con le loro mosse di break dance, poi Nicola ed Andrea, con una strana musica tribale in sottofondo, ballavano la Capoeira, una danza brasiliana che sembra una vera e propria lotta.
Altre canzoni ed Alice e Vittoria si scatenarono con il Jerk, saltellando di qua e di là come se fossero dei fauni.
Quando la musica cambiò ancora, riconobbe subito il genere latino e guardò Elisabeth, che aveva uno strano luccichio in quegli occhi azzurri.
L'amica la guardò con un ghigno. Era la fine.
- Scordatelo - disse, prima di venire trascinata al centro del cerchio.
La rossa prese a ballare, incitandola a fare lo stesso, ma lei si coprì il viso con una mano.
"Il Reggaeton" pensò iniziando a ballare a sua volta " Un ballo più normale no eh?"
Il Reggaeton è una forma di musica Reggae nata a Porto Rico e a Panamá verso la fine degli anni ottanta e diventata popolare tra i giovani latino-americani all'inizio degli anni novanta. Il Reggaeton miscela musica giamaicana con influenze del reggae e del dancehall, con ritmi dell'America Latina come la bomba e la plena, ed ha sonorità tipiche della musica hip hop. La musica è combinata inoltre con il rapping in lingua spagnola.
Si balla solo con movimenti del corpo, fianchi e braccia, che se esagerati possono sembrare anche volgari. Movenze di rumba mescolate e filtrate attraverso la moderna hip-hop dance con cui la musica Reggaeton sembra si sposi bene. I ballerini si muovono l’uno accanto all’altro, da soli, o uno dietro l’altro a seconda della situazione, ruotando i fianchi scuotendo le spalle e muovendo le braccia con movimenti molto energici ma al contempo sensuali.
I ragazzi le guardavano a bocca aperta, imbambolati. Elisabeth trascinò Sergio vicino a sé, senza smettere di ballare, mentre lei ritornò da Matteo, leggermente sorpreso.
- Che c'é? -
- Non sapevo che avessi sangue latino nelle vene -
- Nemmeno io -
Il ragazzo l'attirò a sé, togliendole i capelli corvini dalla fronte - Me gusta -
Sfiorò le labbra con le sue, staccandosi subito dopo per puntare lo sguardo verso una grossa ombra acquattata fuori dalla baita a qualche metro dalle porte finestra della sala.
- Che succede? -
Voltò lo sguardo verso i compagni: solo Laura guardava la figura con gli occhi grigi sgranati. Le fece un cenno, e lei capì al volo.
- Esco un momento, ok? Devo prendere un po' d'aria -
- Vuoi che ti accompagni? -
- No, tranquillo - rispose uscendo dalla sala conferenze, seguita a ruota dalla bionda.
Entrambe uscirono fuori, ma l'ombra si era dileguata senza lasciare traccia.
- Demone ombra? - chiese la compagna.
- No, era troppo grosso. É un demone dei boschi - disse - L'avevo sentito anche questa mattina quando ci siamo divisi -
Laura si mise le mani nei capelli, sospirando - Che pensi di fare, Vetra? Benché sia un Categoria C é sicuramente più forte di noi e non siamo nemmeno armate -
La ignorò benché avesse pienamente ragione e quando vide l’ombra partire di corsa, non esitò a correrle dietro.
- Dove diavolo vai? - chiese Laura, iniziando a correre a sua volta.
- Se non lo raggiungiamo - iniziò quando la ragazza fu al suo fianco - Non lo prenderemo mai -
- Non siamo armate, Vetra! -
Si bloccò in mezzo ad un sentiero dove c’erano solo alberi e cespugli, illuminati appena dal chiarore della luna.
- Un demone dei boschi cazzo. Come diavolo pensi di batterlo a mani nude? -
I demoni dei boschi avevano le sembianze di grossi lupi. I più piccoli o, solitamente, i meno esperti, avevano il pelo grigio o rare volte bianco ed erano innocui quanto i lupi normali; quelli più cattivi avevano il pelo scuro: marrone o nero a seconda del luogo, ed erano grossi quasi quanto una mucca. A giudicare dai passi pesanti che giravano intorno a lei e a Laura, capì subito che si trattava di un esemplare adulto.
- Senza armi non abbiamo possibilità - disse.
- E io cosa cavolo ho detto fino adesso? -
La guardò male, frugando nella tasca dei jeans e stringendo tra le dita il portachiavi della stanza numero 10 - Sali nella mia stanza e fruga nel borsone verde ai piedi del letto. Ci sono due Beretta calibro 9 con il silenziatore - aggiunse porgendo le chiavi alla bionda.
- Ma sei una pazza a venire in gita con due pistole? -
- Vuoi dirmi che tu non hai niente? -
- Scusami se sono appena arrivata all’Agenzia - ribatté acida la bionda - Sicura di potertela cavare mentre sono via? -
- Oh certo - rispose - Al mio segnale parti di corsa, ok? -
La nemica si schioccò le dita - E quale sarebbe il segnale? Abbai? -
Le avrebbe risposto di andare all’inferno, ma i suoi occhi si erano bloccati a guardare l’enorme lupo che sbucava dall’oscurità: i peli marroni erano ritti sulla schiena e, dopo averle osservate, l’animale mostrò una fila di denti bianchi, che davano l’impressione di essere affilati quanto la sua katana, nascosta sotto al letto di camera sua.
Prese un bastone da terra, agitandolo - Ehi bel cagnone, vuoi giocare? Eh? Vuoi giocare bel cucciolone? - domandò, ricevendo come risposta un altro ringhio.
- Vetra, proprio non ci sai fare con i cani -
- Mi dispiace dirlo - iniziò - Ma preferisco i gatti -
Il demone ringhiò ferocemente, facendo un passo avanti.
- Non ti muovere...-
- E chi si muove -
La guardò male - Volevo solo avvertirti - disse - Mi sto preoccupando per quello che potrebbero farmi le insegnanti se ti riporto alla baita morta -
Laura ghignò, indicando il lupo - Vetra, dovresti prima preoccuparti di quello -
Guardò l’animale, che si era avvicinato ancora di più, guardandole a malo modo con la testa un po’ storta.
- In teoria può capirci -
- Ma non stiamo abbaiando -
Il lupo ringhiò, come se si fosse offeso.
Alzò gli occhi al cielo “Ti prego, non farmi avere missioni con Laura” pensò.
- Al mio tre corri verso la baita -
- Dovevamo prenderle prima le pistole -
- TRE! - urlò, lanciando il bastone in testa al lupo per poi mettersi a correre dalla parto opposta di quella di Laura.
Il demone, ovviamente incazzato per il bastone, le corse dietro.
Zigzagò tra gli alberi e i cespugli, evitando le zanne del demone e i suoi artigli, poi, veloce come un fulmine, si arrampicò su un pino silvestre, sedendosi sul ramo più basso (a circa tre metri da terra) in modo che il lupo non rinunciasse a prenderla ed iniziasse a correre dietro a Laura.
- Mi dispiace cagnone, ho già detto che preferisco i gatti - disse lanciando delle piccole pigne ovali appese ai rami dell’albero, continuando a colpire l’animale in testa.
Il lupo continuava a ringhiare, graffiando il tronco dell’albero, strappando via grossi pezzi di corteccia ad ogni zampata.
Strinse forte le gambe intorno al ramo su cui sedeva, in modo da non perdere l’equilibrio: ad ogni zampata del demone faceva tremare l’albero.
- Vetra! -
Alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere Laura lanciarle una delle due calibro 9 mm e notare il lupo voltare lo sguardo verso la compagna e scattare nella sua direzione.
Un paio di colpi, il cui suono era smorzato dal silenziatore, ed il demone fu sulla nemica, ringhiando forte.
“ Odio le acrobazie alla Lara Croft” pensò, lanciandosi dall’albero e sparando all’animale, colpendolo alla schiena ed alle zampe: non poteva mirare alla testa, avrebbe potuto colpire Laura.
Atterrò in piedi, osservando il lupo, girato verso di lei, con i denti scoperti, il respiro ansante ed un cupo ringhio che gli usciva dalla gola. Con un gesto della mano lo invitò ad attaccare. L’animale non se lo fece ripetere due volte: scattò verso di lei, ancora immobile nel punto in cui era atterrata, ringhiando ancora più forte.
Si buttò di lato all’ultimo minuto, colpendo il lupo alla testa, che cadde al suolo con un guaito, rimanendo immobile.
Si alzò in piedi, togliendosi dalla felpa degli aghi e della terra, avvicinandosi poi a Laura, ancora a terra.
- Ah cazzo la felpa - borbottò la bionda, mettendosi a sedere, tenendosi la spalla, probabilmente ferita.
- Tutto ok? -
- So da cane, cazzo. Cane bagnato -
Sorrise, aiutandola ad alzarsi in piedi - Vieni, ho delle bende - disse incamminandosi.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, Vetra -
Si voltò - È un ordine -
La ragazza abbassò lo sguardo e la seguì.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Terminò la fasciatura alla spalla di Laura con un piccolo nodo, stringendo forte.
- Un paio di giorni e sarà guarita - disse staccandosi - Ora è meglio se torniamo dagli altri -
La bionda la guardò male, alzandosi dal letto ed uscendo dalla stanza, sussurrando un lieve ringraziamento.
Uscì a sua volta, chiudendo a chiave la porta, per poi correre di sotto, dove tutti stavano ancora ballando a caso.
Si riavvicinò a Matteo, seduto in un angolo con Elisabeth e Sergio - Che mi sono persa? -
- Nicola ed Andrea si sono dati una testata - disse la rossa, seduta a terra tra i due ragazzi.
- Stai bene? - le chiese Matteo, facendola sedere al suo fianco.
- Oh, sì...sono uscita e ho fatto un giretto per prendere aria -
- E perché sei sporca di terra? - domandò lui.
- Sono...inciampata - si giustificò.
Elisabeth scattò in piedi non appena la canzone “Hot stuff”, di Donna Summer, partì a tutto volume - Forte questa canzone! Andiamo Angi! -
Nemmeno il tempo per controbattere, che l’amica l’aveva afferrata e l’aveva trascinata in mezzo alla classe che saltava.
- Sittin' here eatin' my heart out waitin', waitin' for some lover to call - urlò la migliore amica, saltando.
- Elisabeth datti una calmata! -
L’insegnante di musica si mise in mezzo, iniziando a saltare con loro - Dialed about a thousand numbers lately, almost rang the phone off the wall! -


Lookin' for some hot stuff baby this evenin'
I need some hot stuff baby tonight
I want some hot stuff baby this evenin'
Gotta have some hot stuff
Gotta have some love tonight
I need hot stuff
I want some hot stuff
I need some hot stuff

“ Oddio!! Vi prego!! Mandatemi un altro demone!! Anche un fantasmino piccolo, piccolo!!” pensò “Prima che Elisabeth improvvisi uno spogliarello!”
Qualcuno, evidentemente, esaudì la sua richiesta di fermare la musica: l’insegnante di ginnastica si era avvicinata allo stereo ed aveva staccato la spina.
- Sono le dieci e un quarto, tutti a letto - ordinò - Domani avete la giornata libera, ma alle otto vi voglio vedere tutti a colazione -
Un coro di disapprovazione si alzò dalla classe, persino l’insegnante di musica ribatté a quella decisione.  
- Niente scuse. Alle otto in punto -
La classe, rassegnata per il fatto di andare a letto presto, salì piano le scale e tutti andarono nelle loro stanze. A chiudere la fila le due insegnanti, per controllare che nessuno scappi dalla propria camera per raggiungere i compagni in un’altra.
Lei e Matteo entrarono nella stanza numero 10, chiusero a chiave e si sdraiarono sul letto. Si girò più e più volte, strofinando la testa sul materasso.
- Stanca? -
Annuì, mugugnando flebilmente, attirando a se il cuscino.
- Tra quanto arrivano gli altri? -
- Un quarto d’ora - rispose con la testa affondata nel cuscino, rialzandola subito dopo - Speriamo che non vogliano fare qualcosa di stupido - aggiunse. Ma, conoscendo Elisabeth, sapeva che era una speranza vana.


Alle 22.30 in punto ci fu il segnale, che consisteva nel bussare quattro volte alla porta.
In pigiama, si alzò dal letto ed aprì la porta, facendo entrare Elisabeth, con in mano otto bicchieri di plastica di Bugs Bunny, Vittoria, con una bottiglietta di plastica vuota, Alice, con un paio di piccole casse da collegare all’Ipod che teneva in bocca, Sergio, con in mano due bottiglie di Aperol, ed infine Davide e Federico. Tutti avevano il pigiama, eccetto Matteo, che indossava dei pantaloncini corti e una canotta nera.
Guardò Sergio appoggiare le due bottiglie per terra - Come diavolo avete fatto a portare quella roba? -
- Nel borsone, tesoro - rispose la rossa, chiudendo la porta della camera, distribuendo un bicchiere di plastica a ciascuno.
Vittoria, seduta a terra, si girò la bottiglietta vuota tra le mani - Speriamo che non ci scoprano -
- Ma cosa diavolo volete fare? - chiese.
- Il gioco della bottiglia, Angi - rispose Alice, intenta a trafficare con l’Ipod attaccato alle casse, accendendo poi la musica a basso volume.
“ Il gioco di...cosa?!?” pensò scandalizzata.
- Ok ci siamo tutti? Possiamo cominciare? - chiese Elisabeth guardando i compagni presenti - Angelica, Matteo, io, Sergio, Federico, Alice, Vittoria e Davide -
- Ci siamo tutti - annunciò dopo l’appello dell’amica.
I ragazzi spostarono i due letti contro il muro, facendo più spazio possibile, poi si sedettero in cerchio.
- Chi parte? - chiese Vittoria tirando fuori una bottiglietta di plastica vuota, e mettendola al centro del cerchio. La bionda fece girare la bottiglia che puntò contro Alice - Bene, parti tu -
- Ottimo...- disse la mora facendola girare a sua volta. Dopo diversi giri, la bottiglia puntò verso di lei.
“ Ma che palle”
- Bene Angelica...obbligo o verità? - chiese lei con un ghigno beffardo sul volto.
- Obbligo -
- Fai la verticale e rimani in equilibrio per trenta secondi -
Tutti si voltarono a fissarla.
- Cosa?! - chiese scandalizzata
- Verticale tesoro -
Si alzò in piedi, mentre gli altri si spostavano per lasciarle posto, poi appoggiò le mani a terra e sollevò le gambe - Alice ti odio -
- Ehm, amore...il pigiama sta mostrando un po’ troppo -
In effetti, sentiva la maglia del pigiama che scivolava, lasciandole la pancia scoperta - Grazie dell’informazione -
- Carino il reggiseno - disse Vittoria.
Si rimise in piedi, sistemandosi il pigiama e poi tutti si risistemarono in cerchio.
Girò la bottiglia che indicò Sergio - Obbligo o verità? -
- Verità -
- Il film più stupido in cui ti sei messo a piangere? -
Sergio portò le mani al viso - Ho pianto per Bambi! Ho pianto come un disperato quando è morta sua madre! -
Ovviamente, Matteo, Davide e Federico scrollarono la testa.
- Siete dei maschi insensibili, almeno Sergio su questo punto si salva - disse Elisabeth.
- Ma dai, era uno stupido cervo! - disse Davide allargando le braccia.
- Davide, sei uno schifoso insensibile. Non so davvero come Vittoria...- iniziò Alice.
- Chi? Cosa? -
Vittoria ovviamente non aveva seguito tutto il discorso.
- Vittoria! Come fai a stare insieme a quest’uomo? Lui non ha pianto per Bambi! - continuò la mora.
- Oh beh… nemmeno io! -
- AAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH! -
“ Ma che gli prende a tutti stasera?” pensò bevendo un po’ di Aperol.
- Adesso giro - disse il biondo girando la bottiglia, che si fermò su Elisabeth - Obbligo o verità? -
- Obbligo -
- Ti tengo in sospeso per la fine...ho un’idea galattica -
La rossa alzò le spalle e girò poi la bottiglia che, dopo diversi giri, che indicò Vittoria.
- Obbligo o verità? -
- Verità -
- Il posto più strano dove l’hai fatto? -
- Perché mi fate queste cavolo di domande? - chiese lei con un sospiro - Vasca da bagno -
Vittoria girò ancora la bottiglia, che puntò Federico - Obbligo o verità? -
- Obbligo -
- Devo fare la bastarda? - chiese la bionda guardando Alice, che annuì - Allora, dai un bacio a Davide -
- COSA?!?!?!? -
- Sarò clemente. Un bacio sulla guancia -
I due, sbuffando, si diedero un bacio sulla guancia, pulendosi la bocca subito dopo. Federico fece girare la bottiglia, e ghignò quando puntò su Alice, che alzò gli occhi al cielo.
- Verità - disse la mora.
- Hai mai baciato un’altra ragazza per una scommessa? -
- COSA?!?! No! -
- Vorresti farlo? -
- FEDERICO!! -


Andarono avanti così, per un’ora intera, trattenendo le risate nei momenti salienti del gioco, soprattutto quando Matteo, su suo ordine, dovette correre per il corridoio in boxer o
quando fu costretta da Elisabeth a fare venti flessioni, oppure quando Alice fu costretta a bussare a tutte le stanze della baita, escludendo quella delle insegnanti e quando Vittoria dovette bere mezza bottiglia di Aperol tutta da sola.
Sergio, sbadigliando, prese la bottiglia e la fece girare - Ragazzi questo è l’ultimo giro e poi si va a letto -
La bottiglietta si bloccò tremolando, puntando verso di lei.
- Obbligo o verità Angelica? -
“ Ho paura persino a dirlo” pensò - Obbligo -
- Bene, concludiamo in bellezza. Visto che ho tenuto Elisabeth in sospeso...tu e lei dovete fare uno spogliarello -
“ Aspetta...aspetta...ha detto proprio...” pensò - COSA?! -
- Dai amore...- sussurrò Matteo dandole un piccolo bacio sul collo.
- Dai Angi! - sbraitò Elisabeth, un po’ brilla - Ci sarà da ridere -
“ Oddio...” - Uffa, d’accordo -
- Aspettate! Aspettate! - esclamò Alice, mandando giù l’ennesimo bicchiere, per avvicinarsi subito dopo all’Ipod attaccato alle casse - Ho la canzone giusta per questo momento -
Subito partì la canzone “ You can leave your hat on” di Joe Cocker.
Elisabeth si mise in piedi davanti a Sergio, mentre lei fece lo stesso, mettendosi però davanti a Matteo.


Baby, take off your coat...real slow
Baby, take off your shoes...here, I'll take your shoes
Baby, take off your dress
Yes, yes, yes
You can leave you hat on

Lentamente, si tolsero la maglia del pigiama, lanciandola da qualche parte, senza smettere di muoversi a ritmo.
Lei ed Elisabeth si capirono con un solo sguardo, ed entrambe si sedettero a cavalcioni sui rispettivi fidanzati, mettendogli le mani nei capelli.
Sorrise, sentendo le mani del ragazzo che le tastavano la schiena.

Go on over there and turn on the light...no, all the lights
Now come back here and stand on this chair...that's right
Raise your arms up in to the air...shake 'em
You give me a reason to live

Entrambe si rialzarono, abbassandosi i pantaloni del pigiama, spingendo poi i ragazzi a terra e sedendosi sopra di loro.   
“ Adesso col cavolo che vado avanti!” pensò, giocherellando con i capelli castani del fidanzato, appoggiando poi le labbra sulle sue.
- Ehm...ragazzi? - chiamò qualcuno - Ora potete staccarvi -
Si voltò: Elisabeth era già vestita e li guardava sorridendo.
- Eh...scusate - disse spostandosi, mettendosi a sedere e coprendosi con la maglia del pigiama.
- Meglio andare - disse Vittoria, anche lei un po’ brilla.
Prima di andare, i ragazzi risistemarono i letti, portando via le due bottiglie di Aperol vuote, i bicchieri di plastica di Bugs Bunny ed Alice si portò via le casse e l’Ipod.
- Ciao ragazzi, buona notte - li salutò Elisabeth, l’ultima ad uscire, chiudendosi la porta alle spalle.
Seduta sul letto si infilò di nuovo la maglia del pigiama.
- Cosa stai facendo? -
- Non lo vedi? Mi rivesto - rispose infilando anche i pantaloni, ma Matteo glielo impedì, schiacciandola contro il materasso.
- Ma così dovrò spogliarti di nuovo -
Sgranò gli occhi - Tu...vuoi...-
Il ragazzo annuì e lei sospirò - Ma la stanza accanto...-
- Nessuno della nostra classe ha la stanza numero 11 -
- Ah davvero? -
Per la seconda volta, il moro annuì.
- Allora cosa stai aspettando? -
Il fidanzato si alzò, spense le luci e ritornò da lei, togliendole la maglia - You can leave your hat on -
- Ma se non ce l’ho il cappello... -
- Infatti...-

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 - Giovedì, 5 marzo 2009 ***


Ho dimenticato di ringraziare chiunque stia leggendo questa storia. Grazie a tutti, fatemi sapere qualsiasi vostra opinione o qualsiasi suggerimento per migliorare la storia.

***


Giovedì, 5 marzo 2009
Si svegliò di soprassalto, mettendosi a sedere sul letto, coprendosi con la coperta.
Finalmente l’incubo era terminato, ma tremava ancora. Osservò intorno, cercando di calmarsi, e guardò Matteo dormire tranquillo accanto a lei, avvolto come un salame nella coperta di lana, con la bocca leggermente aperta, e russava piano. Si alzò, infilando velocemente il pigiama, e si avvicinò alla portafinestra che dava sul balcone in comune, l’aprì silenziosamente, e se la richiuse alle spalle, in modo che il compagno non si svegliasse.
Si sedette a terra, con la schiena appoggiata al muro esterno della baita; era ancora notte fonda, ma tutto è già ben visibile sotto la fioca luce della luna. Poco più il là, l’orto botanico e, subito dopo, una distesa infinita di prati verdi; e la punta innevata del monte Baldo, alla sua destra, era ben visibile, benché ci fosse il tetto della baita che copriva parte della sua visuale.
Chiuse gli occhi ascoltando il canto degli uccellini, che si fermavano sulla ringhiera del balcone, non molto distanti da lei, e il profumo dei fiori, arrivava fino a lì, trasportati da una leggera brezza fredda.
Sussultò quando la portafinestra di fianco a lei si aprì, facendo volare via i fringuelli appollaiati sulla ringhiera; Matteo, con addosso solo i boxer, uscì fuori e la osservò con gli occhi socchiusi - Che cosa fai qui fuori? -
- Niente -
Lui le si sedette accanto, e restò un attimo in silenzio - Non riesci a dormire? -
Annuì, osservandolo incrociare le braccia al petto - Non hai freddo? -
- Un po’ -
Si alzò in piedi e gli sorrise - Torniamo dentro -
Fece alzare il ragazzo e ritornarono nella stanza, buttandosi sul letto ed avvolgendosi nella coperta di lana. Si avvicinò piano a lui abbracciandolo e facendogli appoggiare la testa sul suo petto.
Chiuse gli occhi, provando ad addormentarsi di nuovo.


Si svegliò ancora una volta di soprassalto, cercando di non urlare. Matteo, sveglio, sotto le coperte accanto a lei, la guardava con aria preoccupata. Agitò la mano, cercando di rassicurarlo - Tutto ok -
Lui la fece stendere nuovamente, abbracciandola subito dopo - Oggi abbiamo la giornata libera -
- Passeggiata con gli altri? - chiese strofinando la testa contro il suo petto.
- Stare a letto? -
- Non credo sia un'opzione valida -
- Sveglia! Sveglia! -
Mugolò appena, coprendosi fino alle orecchie con la coperta, ignorando la voce squillante dell'amica, appena entrata nella sua stanza senza nemmeno bussare, iniziando a far casino.
“ Perché non ho chiuso a chiave?”
- Forza! Oggi é la giornata libera! Andiamo fuori! -
- Elisabeth...sono le 7...mi sono addormentata tre ore fa - sussurrò abbracciando ancor più forte Matteo.
Sentì Elisabeth avvicinarsi al letto e, con un rapido movimento, strattonò via la coperta che avvolgeva lei e Matteo, senza scomporsi minimamente del fatto che lui indossava solamente i boxer e lei la maglia del pigiama - E ditemi porcellini: cos'avete fatto fino a quell'ora? -
- Non abbiamo fatto niente! -
- Bugia! Bugia! - disse la rossa aprendo la sua borsa, estraendo un paio di jeans e una maglia - Avanti alzati, anche tu Matteo! -
- mmm -
- Niente mmm - sbraitò Elisabeth, facendo avanti e indietro accanto al loro letto.
- Elisabeth...- sussurrò il ragazzo tirando nuovamente la coperta sopra la sua testa, coprendo anche lei, ancora abbracciata a lui.
- Cristo Santo! Anche tu sei peggio di un ghiro...ah, quasi dimenticavo...foto! Foto! Foto! Foto! Foto e foto! - urlò Elisabeth incitando Matteo a darle la macchina fotografica.
- Elisabeth...ti prego - ripeté il moro, scivolando sempre più sotto le coperte, abbracciandola.
- Matteo...dalle quella macchina fotografica così se ne va - disse con un mugolio.
- Nello zaino - si lamentò lui, facendo sbucare un braccio fuori dalle coperte, forse per indicare il suo zaino.
Sospirò sentendo il dolce profumo di Matteo, e risalì verso il suo viso, sfiorandogli l’orecchio con le labbra.
Elisabeth, prese la macchina fotografica e si diresse verso l'uscita - Vi aspettiamo giù - urlò poi uscendo - Non iniziate a fare sesso adesso che non c’è tempo -
Scattò a sedere - Elisabeth! Hai la delicatezza di un elefante! -
- Muoviti Meredith! - urlò la rossa fuori dalla porta.
Non appena il rumore dei passi dell’amica si affievolì si sdraiò nuovamente sul letto, strofinando la testa contro il cuscino.
- Devi fare la doccia? - le chiese il ragazzo accanto a lei.
Annuì - Sì, ma se devi andare vai prima tu -
Il fidanzato si alzò dal letto e si chiuse in bagno, mentre lei si girava più e più volte nella coperta di lana, cercando di ignorare il rumore del getto d’acqua della doccia.
Pochi minuti per stufarsi di arrotolarsi come un salame, finalmente, si alzò, entrando poi in bagno dove il fidanzato era già uscito dalla doccia ed aveva soltanto un asciugamano stretto intorno alla vita. Sorrise in modo malizioso, ma lui fece finta di niente.
- Matteo? - lo chiamò, avvicinandosi al ragazzo ed abbracciandolo da dietro.
- No -
- Ma è ancora presto - ribatté, liberandolo dall’abbraccio ed incrociando le braccia al petto come una bambina che voleva fare i capricci.
- Faremo tardi - si giustificò il moro.
- D’accordo allora - disse raccogliendo i capelli in una coda, sfilandosi poi la maglia del pigiama ed entrando subito nella doccia, visto che sotto non indossava nulla.
Matteo non fiatò e, tranquillamente, uscì dal bagno.
Aprì il getto dell’acqua - Questa me la paghi! - urlò, in modo che il ragazzo potesse sentirla.
- Anch’io ti amo amore! -


Dopo una decina di minuti uscì dalla doccia, ritornando in camera e trovando il fidanzato già pronto.
- Possibile che voi ragazze ci mettiate una vita per prepararvi? - domandò il ragazzo, chiudendo il suo zaino.
- Perché noi siamo donne - rispose avvicinandosi a lui con passo felpato - Dobbiamo sempre far aspettare il nostro uomo -
- Mi sembra inutile -
Sorrise in modo diabolico “Adesso me la paghi” pensò, lasciando cadere a terra l’asciugamano - Dici? -
Matteo, con la bocca leggermente aperta, la guardò dall’alto in basso - Ehm...sì -
Lo prese per il colletto della maglia, trascinandolo verso il letto, lasciandogli piccoli baci sul collo.
- Ma credo che valga la pena aspettare - rispose lui.
- Giusto - sussurrò, facendolo sdraiare sul materasso per poi sdraiarsi sopra di lui, togliendogli la felpa e lasciandola cadere a terra.
Il ragazzo invertì le posizioni, appoggiandole le labbra sul collo.
- Vedo che ti piace la mia vendetta -
Lui annuì, staccandosi dal suo collo per portare il viso ad un soffio dal suo - Oh, certo che sì, ma la mia è ancora più tremenda -
“ Ah...aspetta...cosa?” pensò confusa, tirando indietro la testa - Che mi hai fatto? -
- Meglio se ti vesti, altrimenti faremo tardi -
- Che mi hai fatto, Matteo? -
Il moro si staccò, mettendosi a sedere sul letto.
Si alzò di scatto, coprendosi nuovamente con l’asciugamano ed andò in bagno, mettendosi davanti allo specchio, dove notò una macchia rossa, quasi viola, sul collo. Ritornò in camera, furiosa.
- Matteo! -
- Oh amore, sei così sexy quando sei arrabbiata -
Raccolse la felpa nera del fidanzato e gliela lanciò contro - Stupido! - urlò, iniziando a vestirsi.
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Pronti ad uscire, lei e Matteo, percorsero il corridoio a passo svelto, scendendo le scale e raggiungendo la sala da pranzo, dove Elisabeth, Sergio, Vittoria e Davide sedevano al solito posto, ai soliti tre tavolini uniti per tenere insieme tutta la combriccola.
Si avvicinarono ed Elisabeth le scattò subito una foto con Matteo. Era troppo stanca per dirle qualche parolaccia.
- Buongiorno, teneri amanti della stanza numero 10 - sussurrò piano la rossa, bevendo il suo caffè da una tazza di ceramica bianca.
- Come? - domandò prendendo una fetta di toast, imburrandola per poi metterci sopra la marmellata di ciliegie.
- Hai uno strano segno sul collo che, stranamente, è molto simile ad un succhiotto - rispose Vittoria in un sussurro, sorridendo sotto i baffi con Elisabeth.
Lanciò un’occhiataccia a Matteo - Lo so...-
Il ragazzo si versò un po’ di spremuta d’arancia nel proprio bicchiere, fingendo dei colpi di tosse - Alice e Federico? -
- Arrivato tra un paio di minuti - rispose Sergio - Si stavano vestendo -
- Sai che ore sono, piccolo demonio? - domandò rivolta a Matteo.
Lui sorrise - Certo mia dolce strega, manca un quarto alle otto -
- Oh, come sono dolci Herm e Ron-Ron! - esclamò Elisabeth, puntando la macchina fotografica verso di loro - Fatevi fare una foto -
Si misero vicini e rimasero in posa, finchè il flash non si accese e poi si spense.
- Buongiorno a tutti - salutò qualcuno alle loro spalle.
Si voltarono per vedere Alice e Federico accomodarsi a tavola.
- Ci siamo persi niente? - domandò la mora, sedendosi accanto a lei.
- Solo Hermione che litiga con Ron-Ron - disse Elisabeth, scattando una foto anche a lei e a Federico.
- Dai che sono venuta a bocca aperta! - esclamò Alice, con in bocca una brioche.
- Questa fa su Facebook! - annunciò la rossa, facendo vedere a tutti la foto appena scattata, dove Alice aveva la bocca aperta pronta per mordere la brioche.
Dopo quindici minuti, le due insegnanti si alzarono in piedi, ma fu solo quella di ginnastica a parlare.
- Bene ragazzi, oggi potete andare dove volete con chi volete. Ma mi raccomando, nessuno deve stare da solo, intesi? - disse la donna dai capelli biondi - A mezzogiorno tutti qui per il pranzo -
Tutti si alzarono, mettendosi in spalla i propri zaini, ed uscirono.
- Hai in mente qualcosa da fare? - le chiese Elisabeth, subito al suo fianco.
Scosse la testa, varcando la porta d’entrata della baita - Seguiremo qualche sentiero indicato sulla piantina -
- Così? A caso? -
- Sì esatto -
La rossa annuì senza motivo - E stasera? -
- Stasera? -
- Dovremmo pur fare qualcosa, no? -
Si lasciò sfuggire un sorriso - Sei tu l’anima della festa, inventati qualcosa -
- Peccato che la roba da bere sia finita - sussurrò Vittoria, dietro di loro, con una mano sulla fronte.
- Non dovevi bere così tanto - l’ammonì il fidanzato, che le teneva un braccio stretto intorno alla vita.
- E se ci raccontassimo delle storie dell’orrore? -
La guardò con espressione dubbiosa - Oh, sicuro...-
- Ma tu non ti spaventi neanche se ti pagano -
- Ti verrà in mente qualcosa - disse lanciandole un sorriso - Ma ora pensiamo a dove andare -


Avevano camminato per un’ora, allontanandosi dal resto della classe che si divideva in due gruppi: quello di Laura, composto da lei e dalle altre oche, e il gruppo di Luca, Andrea e Nicola, che seguivano il moro benché lui volesse rimanere da solo a fumare da qualche parte.
Chiuse gli occhi, respirando profondamente l’aria fresca di montagna.
Lei e Matteo erano in testa al gruppo, seguiti da Vittoria, Alice, Davide e Federico, mentre Elisabeth e Sergio, che sprizzavano energia da tutti i pori, si rincorrevano da quando avevano lasciato il cortile esterno della baita.
Tra un po’ vomito - sussurrò piano Vittoria, facendola sorridere.
- A chi lo dici - disse Alice in pantaloncini corti con il solito cappello della squadra dei New York Yankees.
- Smettetela voi due - iniziò Federico - Così imparate a sgolarvi una bottiglia di Aperol in due -
- Ma io dovevo fare la penitenza - si lamentò la bionda.
Si voltò verso di loro, camminando all’indietro - Vedrai che tra un po’ passa - disse tentando di consolare l’amica, che annuì, rassegnata.
- Non sarebbe meglio fermarsi un attimo? - domandò Alice - Abbiamo tutto il giorno per camminare -
- Sì, forse è una buona idea - disse.
- Forse è un’ottima idea - la corresse Vittoria.
- Ci fermiamo a quell’albero laggiù, ok? - domandò puntando il dito verso un grande albero più avanti rispetto al piccolo boschetto che cominciava qualche metro dopo.
Lo raggiunsero in una manciata di minuti ed Alice e Vittoria si sedettero su una grossa radiche che spuntava dal terreno, togliendosi poi gli zaini ed appoggiandoli a terra.
- Finalmente - disse Alice con un sospiro di sollievo.
- Mi gira la testa - si lamentò la bionda, portandosi le mani alla fronte.
Sospirò, sedendosi accanto a lei e togliendosi lo zaino dalle spalle, iniziando a frugare nella tasca interna, prendendo una bottiglietta d’acqua e un’aspirina.
- Prendi questa - le disse porgendole l’aspirina - Ha un gusto orribile, ma è piuttosto efficace - aggiunse porgendole anche l’acqua.
Vittoria prese la piccola pastiglia e la bottiglietta - Sicura? -
- Non ti fidi di me? -
- Certo che mi fido - rispose la bionda, togliendo l’involucro di plastica all’aspirina, girandosela poi tra le mani - Da cosa sa? -
- Non saprei come descriverlo - ammise onestamente - Ma fa veramente schifo -
Vittoria, un po’ titubante, mandò giù la pastiglia e un bel sorso d’acqua, cominciando poi a tossire - Dio ma...che roba è? -
- Te l’avevo detto che faceva schifo -
- Oddio...mi sembra di aver messo in bocca della terra -
Tappò la bottiglietta dell’acqua e la rimise nello zaino - Ne vuoi una anche tu, Alice? -
La mora agitò le mani - No, no. Per carità...mi tengo il mal di testa. Non voglio bere i tuoi intrugli di strega -
- Non sono intrugli - ribatté chiudendo lo zaino e sistemandolo accanto al tronco dell’albero - E non sono nemmeno una strega -
- Ma certo che lo sei, Hermione! - esclamò Elisabeth, che finalmente, si era stancata di correre e si era seduta a qualche metro da loro.
- Elisabeth! -
- Oh, lo sai che scherzo, Meredith -
- Smettila! - sbraitò alzandosi in piedi e scaraventandosi sulla povera amica, iniziando a farle il solletico.
- Ehi genio! Non lo soffro io il solletico - disse tranquillamente la rossa.
Strinse gli occhi - Sei un demonio -
Elisabeth sorrise - Grazie Angi, lo sai che ci tengo al mio titolo - rispose lei, iniziando a farle il solletico.
Si liberò immediatamente, alzandosi subito in piedi - Non è leale -
La migliore amica si alzò a sua volta da terra, sorridendo in modo maligno - Oh, sì invece! -
Presero a rincorrersi, mentre gli altri, seduti accanto all’albero, che le seguivano con lo sguardo, ridendo quando Elisabeth inciampava e rischiava ogni volta di cadere.
- SMETTILA DI SEGUIRMI! -
- E TU SMETTILA DI SCAPPARE! -
Si avvicinò di corsa all’albero e si arrampicò su, come un gatto che vuole scappare da un cane, sedendosi su un grosso ramo più o meno a metà, guardando Elisabeth, rimasta con i piedi per terra.
- Ehi scimmia, aiutami a salire - disse Elisabeth, saltando in alto ed afferrando il ramo più basso, rimanendoci appesa.
- Non mi farai niente? - domandò - Se mi fai il solletico rischio di cadere e rompermi la testa -
- Dai! -
- Giuralo sul tuo orsacchiotto! -
- Ok, ok...giuro su Pompon che non ti faccio niente se non mi provochi -
Scese con facilità, arrivando subito al ramo dove l’amica era aggrappata, la prese per le braccia e la fece sedere al suo fianco.
- Un grazie sarebbe gradito -
- Oh, grazie piccola Angi! - esclamò la rossa, tenendosi aggrappata al ramo per sicurezza - E scusa se non sono agile ed atletica come te, signorina Angelica-guardate-il-mio-corpo-perfetto-Vetra -
Inarcò un sopracciglio - Prego, e scuse accettate -
- Oh, ma vaffanculo Angelica - rispose a tono Elisabeth sorridendo, dandole un piccolo spintone affettuoso.
- Guarda che mi fai cadere -
- Ma figurati - sussurrò l’altra, punzecchiandola.
“Vediamo come la prendi allora” pensò, stringendo forte le gambe intorno al ramo, in modo da rimanere appesa, e si lasciò cadere all’indietro.
Elisabeth aveva lanciato un urlo, mentre lei, appesa a testa in giù, rideva, tenendosi le mani sulla pancia.
- ANGELICA VETRA! - urlò l’amica - Non farlo mai più! -
- Avresti dovuto vedere la tua faccia! -
- STUPIDA! - urlò la rossa, appoggiandole le mani sulle gambe per cercare di farle perdere la presa sul ramo.
- Fermati che così cado veramente! -
- È quella la mia idea infatti! -
Fortunatamente, i piani dell’amica non si avverarono, poiché Matteo, da bravo cavaliere, l’aveva presa tra le braccia, impedendole di finire a terra come un sacco di patate.
Lasciò la presa per trovarsi tra le braccia del fidanzato, che sorrideva.
Rispose al suo sorriso mentre lui la faceva sedere per terra - Stai cercando di farti perdonare per il succhiotto? - chiese.
- No, perché tu mi perdoni sempre -
Seduta a terra, incrociò le braccia al petto, assumendo un’espressione imbronciata - E chi lo dice? -
Il ragazzo si avvicinò, baciandole le labbra - Io -
Gli gettò le braccia al collo, sdraiandosi a terra e tirando il fidanzato sopra di se - Già, hai perfettamente ragione -
Lui lanciò un’occhiata agli altri, seduti a terra, che li guardavano - Dov’è Sergio? -
- Sta giocando a nascondino con me - rispose Elisabeth scendendo dal ramo dov’era rimasta seduta - Solo che mi sono dimenticata di andare a cercarlo -
Si mise a sedere, spostando Matteo - Come te ne sei dimenticata?! -
- E che cavolo non è mica la fine del mondo -
- Meglio se andiamo a cercarlo - rispose alzandosi in piedi “ Se ci sono altri demoni dei boschi non oso immaginare cosa potrebbe accadere”
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Avevano deciso di dividersi: lei e le ragazze, controvoglia, erano rimaste sotto l’albero, mentre Matteo, Davide e Federico avevano insistito a tornare indietro per cercare Sergio.
Alice e Vittoria erano ancora sedute sulla grossa radica, con aria preoccupata, Elisabeth camminava avanti e indietro, alzando lo sguardo di tanto in tanto; lei, invece, se ne stava seduta su un ramo a metà altezza, guardandosi intorno come un falco che cerca la povera preda.
Era appena passata mezz’ora quando la rossa si sedette a terra - Perché Sergio è un deficiente? -
Guardò in basso, dondolando le gambe - Vedrai che lo troveranno. Non può essersi nascosto in mezzo al bosco -
- Forse era meglio evitare di giocare a nascondino -
- Già, forse era... -
Si bloccò all’improvviso non appena sentì uno schiocco secco.
“ Merda” pensò. Scendendo velocemente dall’albero, facendo qualche passo verso la fonte del rumore: qualcosa nel bosco a qualche metro da loro.
- Avete sentito? - domandò Alice, che guardava nella sua stessa direzione.
Annuì - Vado a controllare - disse correndo verso il limitare del bosco.
Non c’era nient’altro che alberi e cespugli, nessuna traccia di demoni o qualsiasi cosa; eppure qualcuno aveva calpestato e rotto qualcosa con un sonoro schiocco. Non l’aveva immaginato, dato che l’aveva sentito anche Alice.
Si addentrò nel bosco, zigzagando tra gli alberi ed osservando attentamente ogni piccolo movimento, ascoltando ogni fruscio; ma lì non c’era assolutamente niente.
Sbuffò, ritornando di corsa verso il confine del bosco, e guardò verso l’albero, dove tutte e tre le amiche si erano alzate in piedi, con lo sguardo puntato nella direzione da dov’erano arrivati. Seguì il loro sguardo, sorridendo alla vista di quattro ragazzi che si avvicinavano.
Raggiunse le amiche e subito Elisabeth si voltò verso di lei - Che cos’era? -
Scosse la testa.
I ragazzi le raggiunsero: Sergio, quando fu davanti alla rossa, incrociò le braccia al petto.
- Che c’è? -
- Potevi dirmelo che non ti andava di giocare a nascondino -
Elisabeth gli saltò al collo, baciandolo sulle labbra - Lo so, scusami -
- Come hai potuto dimenticarti di venire a cercarmi? -
- Avevo la testa tra le nuvole - rispose la ragazza, baciandolo nuovamente - Scusami cucciolo -
- Ti dovrai impegnare di più per avere il mio perdono -
Vide Elisabeth sorridere in modo diabolico - Quando torniamo a casa ti faccio le crêpes che ti piacciono tanto -
Il biondo abbracciò la ragazza, segno che la stava già perdonando - Con la Nutella? -
- Con la Nutella - confermò lei.
- Perdonata -
Si portò una mano alla fronte, mentre gli altri risero per la loro scenata.
Matteo, al suo fianco, le prese la mano, tirandola un po’ in disparte, ossia a diversi metri dall’albero.
Sorrise - Che c’è? -
- No niente, volevo stare un po’ da solo con te - rispose lui - Solo qualche minuto -
Annuì.
- Ho notato che non porti la collana che ti ho regalato -
Lo abbracciò forte - Avevo paura di perderla, così l’ho lasciata a casa - rispose sorridendo - È troppo importante -
Anche il ragazzo sorrise, appoggiando le labbra sulle sue per un dolce bacio.
- Se vuoi che la porti sempre al collo basta dirlo, non c’è nessun problema -
- No, tranquilla. Puoi farne quello che vuoi -
- Non volevo perderla, tutto qui -
Si sedettero a terra, stretti in un abbraccio mozzafiato ad osservare le nuvole.
- Dov’era Sergio quando lo avete trovato? -
- È stato lui a trovare noi - rispose il fidanzato - È saltato fuori facendo Bubu settete -
Trattenne a stento le risate - Bubu...settete? -
Matteo si portò entrambe le mani sugli occhi - Bubu...- iniziò, per poi togliere le mani - Settete! -
Scoppiò a ridere, sdraiandosi a terra, tenendosi la pancia - Oddio mi si è rotto il fidanzato! -
- Non è vero -
Lo fece sdraiare al suo fianco, per poi mettersi sopra di lui, accarezzandogli i capelli - Sei stato davvero cattivo questa mattina -
Il moro le strinse le mani intorno alla vita, facendo aderire i loro corpi - Scusami Angelica, ma non c’era tempo -
Appoggiò le labbra sul suo collo, mordendo appena - Forse hai ragione -
- Forse? -
Si staccò appena, avvicinando le labbra alle sue - Già...forse -
- Perché non vuoi ammetterlo? - domandò lui.
Sfiorò appena le sue labbra, provocandolo - Che avevi ragione? -
- Esatto -
- Non lo farò mai - rispose sorridendo, dandogli un bacio sulla fronte, per poi alzarsi in piedi - Andiamo, dobbiamo continuare -


Le nove e mezza erano passate di qualche minuto quando Elisabeth prese il controllo del gruppo, rimanendo davanti a loro con la piantina in mano, cercando qualche sentiero che conducesse in strani posti.
- Elisabeth? è normale vedere solo erba e sassi? - domandò Sergio in tono ironico, che camminava accanto a Matteo, che le teneva la mano.
- E gli alberi, Sergio - suggerì - Ti sei dimenticato degli alberi -
- Ah, giusto - disse il biondo, come se fosse stato illuminato per la sua osservazione - Gli alberi -
- Sentite - esclamò la rossa, voltandosi verso il resto del gruppo, piegando velocemente, e in modo sbagliato, la piantina - Non c’è altro da vedere qui -
Sospirò - Potremmo seguire un sentiero che conduca a delle trincee - propose - Ce ne sono un sacco segnate sulla piantina -
L’amica alzò un sopracciglio, riaprendo la cartina - Oh, hai ragione Watson. Ci sono delle trincee proprio...ehm...qui - iniziò lei puntando il dito sulla cartina - qui, qui e qui -
Sorrise - Sono segnate con un puntino viola, Sherlock -
- Ah sì - rispose la rossa, ricambiando il sorriso - Erano quello che avevo indicato -
- Elementare Sherlock -
S’incamminarono nuovamente, seguendo un piccolo sentiero in mezzo ad un enorme prato verde. Prese un profondo respiro, respirando l’aria fresca. Passò un’altra buona mezz’ora e seguivano Elisabeth, che consultava la cartina di tanto in tanto.
- Non ne vedo io di trincee - disse Alice, sistemandosi il cappello dei New York Yankee sulla testa.
- Abbiate pazienza porca miseria -
- Qualcuno non può parlare inutilmente di qualcosa? - domandò Sergio, che giocherellava con un lungo bastone.
Prese un respiro profondo - Più di cento chilometri di trincee della prima guerra mondiale sono stati individuati nel territorio di Ferrara di Monte Baldo. Lo sapevate? – domandò, sapendo già la risposta - Alcuni tratti sono perfettamente conservati e riportano chiare tracce dei lavori fatti dai soldati italiani per renderle stabili. Altri sono nascosti in mezzo ai boschi e alle faggete, con tunnel stretti dove sono state realizzate feritoie e finestrelle per posizionare i mortai e la vista è sulla vallata da controllare -
- Sergio, è tutta colpa tua – iniziò Elisabeth - Adesso continua -
- È per la vostra istruzione – rispose con un sorriso – Posso sempre fermarmi -
- No, no...continua! -
Si portò una mano alla, sentendo una lieve voce.
“ Prega per la tua sorte, prega, perché per te arriverà la morte”
“ Ti prego...non ora” pensò alzando lo sguardo, osservando una piccola figura nera qualche metro davanti a lei: ora lo vedeva bene, non come la prima volta.
Era un bambino. Sugli otto anni forse. I capelli neri erano in disordine e gli occhi rossi spiccavano sul suo volto pallido e magro.
Indossava una vestaglia nera, lacerata e sporca di sangue.
Tentò di ignorarlo, ma il bambino sorrise in modo maligno, battendo le mani “ Negli incubi peggiori ti verrò a trovare, a tutti i costi mi voglio vendicare”
La testa prese a girarle e si fermò di colpo, stringendo forte la mano del fidanzato, che si era fermato a sua volta.
- Che succede? -
Gemette appena – Chi sei? – domandò in un sussurrò.
Il bambino si materializzò davanti a lei, ad un soffio dal suo volto. I suoi occhi, da rossi, stavano diventando normali, diventando blu scuro.
“ Non tentare di scappare...devi solo pregare”
Angelica? - la chiamò il fidanzato.
Si portò la mano libera alla fronte - Mi gira la testa - sussurrò, abbandonandosi contro Matteo quando le gambe non ressero più.
- angelica! Angelica stai bene? - domandò Elisabeth, arrivata subito al suo fianco.
Il ragazzo la fece sedere a terra, facendole appoggiare la schiena al suo petto, accarezzandole dolcemente i capelli - Amore stai bene? -
- Sì - rispose, chiudendo gli occhi - Ho avuto un capogiro e...- iniziò portandosi la mano alle labbra.
“ Ti fermerò, Angelica” le disse il bambino nella mente, iniziando a battere le mani, sparendo subito dopo.
- E...? - domandò Elisabeth.
“Non andrà come previsto” disse la voce del piccolo demone nella sua testa.
- Niente - disse, tentando di tirarsi un po’ su - Posso avere un goccio d’acqua, per favore? -
L’amica si tolse subito lo zaino, estraendo una bottiglietta d’acqua, porgendogliela subito dopo averla aperta.
Ne bevette un lungo sorso, sperando che quell’attacco di nausea fosse passeggero; ed infatti non sentì più alcun bisogno di vomitare da qualche parte.
Si mise a sedere, mentre Matteo le toglieva lo zaino dalle spalle - Sicura di poter continuare? Posso sempre riportarti alla baita in braccio -
- Ce la faccio - rispose tranquillizzando tutti i compagni, ed alzandosi in piedi - Sto bene -
- Ma che ti è preso? - le domandò Elisabeth, prendendola a braccetto per incamminarsi nuovamente.
- L’ho detto: solo un capogiro...tutto qui -
- Sei sbiancata ancora di più - rispose la rossa, mentre si allontanavano un po’ dagli altri - Avevi persino le labbra bianche -
Voltò indietro lo sguardo sorridendo, osservando Matteo, un paio di metri dietro di loro.
- Non è che forse...-
Guardò l’amica - Cosa? -
Elisabeth, con la mano libera, mimò una grossa pancia - Che tu magari...-
Si sentì morire - Non dirlo neanche per scherzo - disse subito - Non era niente -
- Sicura? - domandò lei - Al 100%? -
- Sì - rispose tranquillamente “ Chi diavolo era?” si domandò a mente, osservandosi in giro “ Di sicuro era un demone potente. E vuole fermarmi”
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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Dopo l’incontro con il piccolo demone non aveva più rischiato di svenire o peggio.
Elisabeth, finalmente, li aveva portati a delle trincee, poi, dopo averle osservate per nemmeno un minuto, avevano fatto dietrofront.
Erano le undici e mezza quando raggiunsero la baita, e le due insegnante gli avevano dato il permesso di andare in camera per riposarsi per una buona mezz’ora. Non appena entrarono furono assalita da un buonissimo odore di quello che sembrava “risotto al tastasal”, tipica ricetta veronese, e tutta la combriccola rimase all’ingresso, con l’acquolina in bocca e lo stomaco che protestava per la fame. L’insegnante di musica li mandò nelle loro stanze, spingendoli su per le scale.
Non appena la porta della stanza numero 10 si aprì, per la seconda volta in due giorni, si buttò sul letto, sfinita. Matteo, dopo aver chiuso a chiave la porta, si stese accanto a lei, accarezzandole i capelli.
Mugugnò qualcosa senza senso, che nemmeno lei riuscì a capire, per poi accoccolarsi vicino al fidanzato, strofinando la testa sul suo petto.
- Stai bene? - domandò lui, ancora preoccupato per l’evento di quella mattina.
Annuì - Sì, non ti preoccupare -
Lui le accarezzò la schiena, insinuando poi la mano sotto la maglia. Rabbrividì quando Matteo, con gesti lenti, le sfiorava la spina dorsale.
La risata del ragazzo le fece staccare la testa dal suo petto, per poterlo guardare con un sopracciglio alzato - Che c’è? -
- Niente -
Sorrise - Ah, ho capito - sussurrò - Furbacchione, questa mattina no e adesso sì, vero? -
- E se anche fosse? -
Ridusse gli occhi a due fessure - Se fosse così, per prima cosa mi alzerei in piedi - disse alzandosi in piedi di malavoglia - Poi ti prenderei e comincerei a spogliarti - continuò sfilandogli la felpa e sbottonandogli i jeans, facendoli cadere  a terra - Poi ti porterei in bagno - sussurrò prendendolo per mano e portandolo in bagno.
- E poi? - domandò Matteo, ansioso.
Lo spinse nella doccia, aprendo il getto d’acqua fredda benché indossasse ancora i boxer.
Il ragazzo trattenne delle imprecazioni, girando la maniglia in modo che l’acqua diventasse calda - Piccola strega... -
Sorrise e fece per uscire dal bagno, ma lui la trattenne per un braccio - Nemmeno un bacio? -
Cedette, riavvicinandosi a lui ed appoggiando le labbra sulle sue.
Si staccò, ma lui la trattenne ancora, sfilandole la felpa in qualche modo.
- Cos’hai intenzione di fare? -
Il moro non rispose, ma le sbottonò i jeans, lasciandoli scivolare a terra, poi l’alzò di peso tirandola nella doccia insieme a lui.
Strinse i denti - Matteo...piccolo demonio - sussurrò, ormai completamente fradicia - Sono caduta nella tua trappola -
Il fidanzato la baciò - Come un sacco di patate amore, come un sacco di patate -
- Lo sai che potrebbero sentirci, vero? -
Matteo, come se non avesse detto nulla, le appoggiò le labbra sul collo, tastandole la schiena in cerca del gancetto del reggiseno.
Ansimò, stringendogli forte le spalle - Rischiamo di romperci la testa qui dentro -
Ancora una volta, lui sembrò non ascoltarla e le sfilò l’indumento, completamente fradicio, lanciandolo fuori dalla doccia.
- Matteo - iniziò tentando di farlo desistere, mentre il moro le stringeva i fianchi e le sue labbra non lasciavano mai il suo collo.
Stava quasi per cedere quando qualcuno iniziò a bussare insistentemente alla porta.
Il moro alzò la testa, guardandola negli occhi - Lascia perdere -
Toc. Toc. Toc. Toc.
Lo allontanò con un sorriso, uscendo dalla doccia, avvolgendosi un asciugamano intorno al corpo. Uscì dal bagno mentre la porta tremava sotto i colpi dello sconosciuto dietro alla porta.
- Un attimo, arrivo - disse riavviandosi i capelli corvini all’indietro, facendo scattare la serratura ed aprendo poi la porta.
Si sentì morire alla vista del bambino di quella mattina, con gli occhi blu puntati su di lei.
Il demone fece un passo in avanti, mentre lei indietreggiava con le gambe che tremavano, finchè non toccarono il letto. Si sedette guardando il bambino dai capelli corvini.
- Cosa vuoi da me? -
I lineamenti del bambino sembrarono addolcirsi, e le regalò un sorriso - Voglio la tua vita -
- Perché? - chiese in un sussurro.
- Perché se tu muori adesso - iniziò lui salendo sopra di lei, facendola sdraiare - Io non soffrirò per quello che deve accadere -
Il muscoli non le rispondevano. Era immobilizzata dalla forza che quel demone emanava.
Prese un profondo respiro, tentando di trovare le parole, mentre il demone le accarezzava la guancia - Cosa deve accadere? -
- Tu ed io moriremo -
Qualcosa si strinse intorno alla sua gola, rendendole impossibile respirare.
- Se tu muori adesso io non esisterò - continuò il bambino - E non rimarrò in questo stato -
Provò ad urlare, a chiamare Matteo, ancora in bagno. Si divincolò con tutte le forze tentando di allontanare quella forza invisibile che le attanagliava la gola e le immobilizzava il corpo.
“ Se tu muori adesso io non esisterò” pensò, mentre le lacrime presero a rigarle le guance “ Lui è...”
- Ti immaginavo diversa - iniziò il bambino, accarezzandole il volto - Forse assomiglio di più a papà -
- Angelica? - la chiamò il fidanzato dal bagno - Angelica chi c’è? -
- Tranquilla, non può sentirmi - sussurrò il bambino, baciandole la guancia.
Gemette appena - Tu sei...-
Il piccolo demone sorrise, tornando in piedi accanto al letto - Esatto, mamma -
- Angelica? -
Gemette, abbandonandosi sul materasso quando la vista prese ad oscurarsi, tentando inutilmente di far entrare aria nei polmoni.
Una porta si spalancò di scatto e la forza invisibile scomparve del tutto. Prese dei respiri profondi, trovandosi poi Matteo sopra di lei.
- Angelica -
Chiuse gli occhi “ Oddio” pensò “Quello è mio figlio”
***
Prese la mora tra le braccia, senza smettere di chiamarla, ma lei sembrava svenuta.
- Angelica? -
La ragazza mugugnò qualcosa, spostando lentamente la mano per stringere la sua.
La sistemò meglio sul letto, mettendole due cuscini sotto la testa. Sembrò riprendersi quasi subito.
Le prese la mano, baciandola - Angelica, stai bene? -
Lei non rispose, si limitò solamente ad annuire, mentre delle lacrime le rigavano le guance pallide. Si avvicinò ancora di più, asciugandole le guance con un piccolo gesto. Era la prima volta che la vedeva piangere.
- Se piangi mi fai preoccupare -
Angelica sorrise lievemente - Sto bene -
- Che cos’è successo? -
La mora prese un profondo respiro, mettendosi a sedere e portando una mano alla fronte - Niente, un capogiro -
- Chi c’era alla porta? -
La ragazza sbiancò ancora di più - Nessuno -
Adesso era veramente confuso - Ma ti ho sentita parlare -
Lei scosse la testa - Forse deliravo -
- In ogni caso non stai bene - disse - Dopo chiederò alla prof se possiamo rimanere qui -
Angelica, probabilmente di controvoglia, annuì - Forse è meglio se mi vesto -
Si alzò, riavviandosi i capelli all’indietro, tenendo l’asciugamano stretto intorno alla vita con la mano libera - Scusami, non dovevo tirarti nella doccia -  
La mora si alzò in piedi, traballando un po’, abbracciandolo dolcemente ed appoggiandogli la testa sul petto - Non è colpa tua -
Sospirò, deliziato dalla sensazione delle goccioline d’acqua che, dai capelli corvini della ragazza, gocciolavano lungo il ventre.
- Non dovevo comunque - sussurrò baciandole i capelli.
- Ragazzi? Che succede? -
Entrambi voltarono lo sguardo verso la porta, ancora aperta, dove Elisabeth li osservava con le mani sui fianchi.
- Niente - rispose Angelica, stringendo a se l’asciugamano che le avvolgeva il corpo.
- Non avrete mica...-
Sputò subito il rospo - Angelica si è sentita di nuovo male -
La rossa guardò prima lui, poi lei e poi ancora lui, come se non credesse alle sue parole; dopodiché, entrò nella stanza chiudendo la porta alle sue spalle, ed avvicinandosi subito all’amica, stringendole le mani - Davvero? -
La mora, dopo aver osservato il pavimento per qualche secondo, annuì.
- Ti senti meglio? -
La fidanzata puntò gli occhi verdi nei suoi, tornando poi ad osservare per terra - Sì, non è niente. Ma ora è meglio se mi vesto -
Elisabeth la liberò dalla sua stretta affettuosa - Ti aspettiamo giù, vedrai che dopo una bella mangiata ti sentirai meglio -
Angelica le sorrise - Certo -


Dopo essersi vestito velocemente, aveva aiutato anche Angelica, ancora un po’ frastornata; poi erano scesi nella sala da pranzo, sedendosi al loro tavolo, stranamente silenzioso. Mentre mangiavano, lanciava delle occhiate ad Angelica, che non aveva toccato il proprio piatto; le aveva chiesto se qualcosa non andava, ma lei scuoteva solamente la testa, rispondendogli che era tutto a posto. Alla fine, la fidanzata aveva mangiato un po’ di risotto, ma era ancora pallida.
- Vetra? -
Tutti si voltarono, mentre Angelica non si mosse di un millimetro.
- Dimmi Laura -
- Vorrei parlarti - domandò la bionda, dietro di lei, con le mani sui fianchi - In privato -
Elisabeth si alzò in piedi di scatto - Non è il momento Laura -
- So che stai male - continuò la ragazza, ignorando completamente la rossa - Un paio di minuti -
La mora annuì, alzandosi in piedi - D’accordo -
Guardò le due allontanarsi: Angelica, un po’ traballante, e Laura, che la sorreggeva tenendole un braccio.
***
Laura la fece sedere sulle scale che portavano al piano di sopra. Si portò entrambe le mani alla testa - Che c’è? -
- L’hai visto anche tu, vero? -
Sapeva a cosa si stava riferendo, ed annuì.
- Sai cosa vuole? -
Annuì ancora una volta.
- Cosa? - domandò la bionda, impaziente.
- Me - rispose alzando lo sguardo - Mi vuole morta così lui non soffrirà -
Laura sembrava confusa.
- Mi vuole morta così lui non esisterebbe -
- Stai dicendo che...quel mostriciattolo è...-
Annuì - Mio figlio -
- Non è una cosa normale -
Strinse i denti ignorando le tempie che pulsavano - Ti sembra normale? Ti sembra normale che mio figlio, sotto forma di demone, venuto da un fottutissimo futuro, voglia uccidermi in modo che lui non possa mai esistere e diventare demone? -
- No, non è decisamente una cosa normale - rispose Laura - Ma di solito i bambini diventano demoni se la madre decide di...-
- Abortire -
- Ma lui non è piccolo - disse la bionda - Ha otto anni forse -
- Una volta demoni possono avere una crescita accelerata - rispose - Che viene bloccata quando raggiungono gli otto o nove anni -
- Quindi tu, avrai questo bambino e poi abortirai -
Sospirò - Ha detto che se non muoio adesso moriremo entrambi -
- Ottimo - sussurrò Laura in tono ironico - E si può sapere perché, quando tuo figlio mi ha vista, ha iniziato a sbraitare? -
La guardò confusa - Sbraitare? -
La ragazza imitò una voce infantile, simile a quella del demone - Lurida ragazza! Sarà tutta colpa tua! - disse lei - Poi è sparito -
- Non saprei, magari sei tu che mi uccidi -
- Non sparare cazzate, Vetra - rispose Laura sorridendo, mentre i suoi occhi grigi sembravano brillare di una strana luce - Certo, mi viene una voglia di spararti in fronte ogni volta che ti vedo ma...non lo farei mai -
Ghignò - Non ti starai mica addolcendo, vero Mancini? -
Lei sorrise in modo diabolico - Io? Stai scherzando? Ci tengo alla mia reputazione -
Si riavviò i capelli all’indietro - Ho capito, basta -
- Quindi? Cosa si fa? -
- Aspetto la mia morte -
La bionda incrociò le braccia al petto - Non morirai, Vetra -
- No - rispose - Per ora no -
- Dovresti mettere qualche sigillo a casa tua - suggerì la bionda - Oppure a qualche oggetto da tenere sempre con te, in modo che non possa farti del male -
Sorrise, pensando subito all’oggetto su cui applicare il sigillo - Hai dannatamente ragione, Mancini -
- Lo so, sono la migliore -
- Non tirartela troppo, Annabeth - disse con un ghigno.
La bionda ghignò a sua volta - Non osare darmi nomi di personaggi letterali, Arya -
Alzò un sopracciglio - Piccola...-
- ...bastarda - concluse lei.
Strano ma vero. Entrambe scoppiarono a ridere.
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Per pura fortuna, Matteo era riuscito a convincere le due insegnanti a lasciarla alla baita in compagnia di Alice, che finse di aver ancora mal di testa per tenerla d’occhio.
Quando gli altri, guidati dalle due professoresse, partirono per un’altra passeggiata, lei e l’amica si chiusero nella sua stanza, giocando a scacchi con la piccola scacchiera portatile della mora.
- Sai cos’ha intenzione di fare Elisabeth questa sera? - domandò dopo un po’, spostando avanti la sua torre nera.
Alice scosse la testa, spostando il cavallo - Nessuno può saperlo. Elisabeth è un genio del crimine -
Spostò l’alfiere - Scacco matto -
La mora guardò la scacchiera, grattandosi la tempia con l’indice - Miseriaccia -
- Uno a zero -
- Vedo che ti senti meglio, piccola secchiona - sussurrò l’amica, riordinando le pedine.
- Decisamente - rispose alzandosi in piedi - Ce ne dici se andiamo fuori a giocare a scacchi? - domandò poi - È una bella giornata, sarebbe un peccato rimanere chiuse qui dentro -
- No problem - rispose la mora - Te la senti di camminare? -
Annuì - Sì tranquilla, è passato -
- Magari riusciamo a prendere qualcosa da mangiare -
Alzò un sopracciglio, chiudendo la scacchiera con le pedine all’interno - Non cambierai mai -
- E che cavolo, ho fame -


Rimasero sedute fuori per tutto il pomeriggio, giocando a scacchi o a carte, e si alzarono solamente quando il resto della classe tornò dalla passeggiata (più o meno verso le sei). Matteo le era corso incontro, preoccupato, e le aveva chiesto come stava. L’aveva tranquillizzato dicendo che era tutto a posto. Le insegnanti diedero un’ora per fare la doccia e cambiarsi, per poi ritrovarsi nella sala da pranzo per la cena.
La cena fu pronta verso le sette, mangiarono e poi uscirono tutti nel cortile esterno: alcuni giocavano a pallavolo con il pallone che avevano preso in prestito dalla palestra della scuola, le due professoresse giocavano a carte, sedute sull’unico tavolo; mentre lei e la combriccola di pazzi fecero un altro giro dell’orto botanico.
Alle dieci le due insegnanti li richiamarono e mandarono tutti nelle loro stanze.
Solo in quel momento iniziò il vero e proprio divertimento.


Come la sera prima: alle 22.30 qualcuno bussò quattro volte alla porta.
Si avvicinò lentamente, appoggiando poi un orecchio alla porta - Parola d’ordine? - domandò.
- Sorbetto al limone -
Sorrise ed aprì la porta ad Elisabeth, con un mazzo di carte in mano, mentre giocherellava con la carta dell’asso di cuori con l’altra - Pronta per una serata di fuoco, Angi? -
- Non vorrai mica giocare a poker, vero? - domandò facendola entrare e chiudendo la porta.
- Perché no? Have you look my pokerface? -
- Di solito ghigni se fai scala reale, scala di colore, poker o full, mentre strizzi l’occhio come se avessi un tic se hai colore, scala, tris, doppia coppia o coppia -
La rossa la guardò male - Puttanate -
- Mentre se non hai niente muovi il piede contando ogni secondo -
La migliore amica si sedette sul letto, afflitta - Stasera si gioca a briscola -
Sorrise - Gli altri? -
- Dovrebbero arrivare -
Ed infatti, dopo qualche minuto arrivò Davide, Sergio, con in mano un paio di bottiglie di Bacardi, Federico ed Alice.
- Dove diavolo è Vittoria? - domandò la rossa.
Bussarono alla porta ed andò ad aprire, rimanendo sorpresa alla vista di Vittoria e Laura.
- Mancini - la salutò.
- Vetra - rispose la bionda ricambiando il saluto - Ti dispiace se mi autoinvito? Vorrei tenere d’occhio Vittoria visto che ieri è tornata ubriaca in camera e non mi ha lasciata dormire in santa pace -
Sorrise - Se dicessi di no? -
La nemica di sempre ghignò in modo diabolico - Entrerei lo stesso -
Scrollò la testa - Entra -
- Ragazze! - esclamò Elisabeth, scattando in piedi - Che ne dite dello strip poker? -
- Hall, hai i ragni nel cervello? - domandò la bionda.
- Almeno io ho qualcosa -
- Ah, se in questo momento mangiassi un moscerino avresti più cervello nello stomaco che in testa -
- Volete darvi una calmata? - s’intromise Alice, con già una bottiglietta di Bacardi in mano - Giochiamo sì o no? -
- Rise piano, chiudendo a chiave la porta - Non avrai mica paura, vero Mancini? -
La ragazza dai capelli biondi alzò lo sguardo - E tu Vetra? -
- Zitte voi due - ordinò Elisabeth mescolando le carte - Rimarrete tutti in mutande -
Dopo aver spostato i letti come la sera prima, si sedettero tutti in cerchio ed iniziarono a giocare. La regola era semplice: chi perdeva doveva togliersi qualcosa.
La prima a ritirarsi fu Vittoria, che non sapeva nemmeno giocare, poi Matteo e Davide, rimasti in boxer e, subito dopo, anche Elisabeth si ritirò, rimasta in reggiseno e in mutande.
Rimanevano solo lei, completamente vestita, Sergio e Federico, con i pantaloni del pigiama, Alice, con addosso sola la maglietta dei Guns n’Roses, e Laura, anche lei completamente vestita.
Andarono avanti ed i primi ad uscire furono Alice e Sergio. Federico aveva ancora i pantaloni, lei indossava solo la maglia del pigiama con i gattini e Laura con addosso solo i pantaloncini corti che, probabilmente, usava come pigiama.
- Sentite, io mi sono stufata - disse ad un certo punto, quando dovette togliersi la maglia e rimanere in biancheria intima.
- Paura Vetra? - domandò Laura, nella sua stessa situazione.
- È inutile che litigate belle fanciulle - disse Federico con ancora i pantaloni, ricevendo un pugno in testa da Alice - Ho vinto io. Non potete togliervi altro -
Entrambe in lingerie, annuirono, ammettendo la sconfitta.
- Ed ora? - domandò rivestendosi - Sono solo le undici e mezza -
Elisabeth scosse la testa - Non ne ho la più pallida idea -
- Come non ne hai idea? - domandò - Sei tu l’anima degli incontri notturni -
- Vi ricordo che abbiamo ancora cinque bottiglie di Bacardi - ricordò Sergio, indicando le bottiglie appoggiate a terra.
- Che ne dite dei quattro assi? -
Tutti si voltarono verso Laura, che aveva appena parlato, ed esclamarono in coro - Eh? -
- I quattro assi - disse la bionda prendendo le carte cercando quattro assi e cinque figure - È un gioco stupido. Bisogna essere minimo in otto. Le carte, una per ognuno, devono contenere i quattro assi e poi figure. Chi riceve l’asso di picche deve ordinare a qualche figura di bere, mentre l’asso di fiori può impedire a qualcuno di bere, ma di soli non fa mai niente per non guastare il divertimento -
- Lo immagino - sussurrò Sergio.
- E gli altri due assi? - domandò.
- Chi riceve l’asso di cuori deve subire l’ordine che l’asso di quadri impone, e non può sottrarsi -
Sorrise - Io ci sto -
La bionda sorrise - Ottimo, e voi? -
Gli altri annuirono e si risistemarono tutti in cerchio.
- Vi prego - sussurrò Vittoria - Non fatemi bere -
Laura distribuì le carte e cominciarono.
L'asso di quadri capitò per tre volte consecutive nelle mani di Elisabeth. Per il calcolo delle probabilità, quella era una cosa quasi impossibile, ma come si suol dire, nelle carte niente lo è.
Elisabeth, la prima volta, ordinò a Sergio di spogliarsi e di correre per il corridoio dicendo di essere stupido; la seconda volta, ordinò a Laura di cantare “I kissed a girl” di Katy Perry, poi ordinò a Matteo di mettersi il rossetto rosso e il mascara.
Laura, per una volta, impedì a Vittoria di bere, mentre lei dovette buttar giù due bicchieri di Bacardi.
Elisabeth, buttando giù un bicchiere, ridacchiò - Questa cosa dobbiamo ricordarcela! -
- Una volta ho dovuto pulire la macchina di un mio compagno con i tacchi, gli autoreggenti, in costume e una dannata parrucca - sussurrò Laura, rimescolando le carte.
- Quando è stato? - le domandò Alice.
- A gennaio - rispose la bionda - E c’era un freddo cane -
Tutti scoppiarono a ridere, eccetto Laura, che distribuiva le carte.
Lanciò un’imprecazione quando guardò la sua carta: l’asso di cuori.
- Dov’è la mia vittima? - domandò Federico, mostrando l’asso di quadri.
Mostrò la carta - Io -
- Visto che l’altra sera voi ragazze vi siete divertite a farmi baciare Davide, stasera sarò ancora più cattivo - annunciò il rosso - Bacia Elisabeth sulla bocca per dieci secondi -
- Cosa?! - esclamarono insieme - Sono state le altre due! Noi non abbiamo fatto niente! -
- Mi spiace -
Si portò una mano al viso - Bastardo - sussurrò avvicinandosi ad Elisabeth ed appoggiando le labbra sulle sue.  
Si staccarono dopo dieci secondi, prendendo subito un bicchiere di Bacardi e bevendolo in un sorso. I ragazzi ridevano di gusto.
- Angi baci proprio da culo - sussurrò la rossa.
- Elisabeth! Se fossi stata un uomo avrei fatto di meglio! -
- Ehi - esclamò Matteo, togliendosi le lacrime dagli occhi per il troppo ridere.
Si avvicinò subito al ragazzo, baciandolo con passione. Staccandosi dopo un po’ - Bacio male? -
Lui sorrise - Certo che no -


Continuarono per un altro po’, poi, quando fu quasi mezzanotte, tutti si ritirarono nelle proprie camere, non prima di aver sistemato la stanza numero 10.
Lei e Matteo si buttarono subito sul letto, osservando il soffitto.
- Laura si comporta in modo strano - iniziò lui.
- No - rispose - L’ho solo giudicata male -
Il ragazzo si girò dall’altra parte, iniziando a russare.
Lo guardò male - Non è normale addormentarsi così sai? -
Matteo non rispose, sprofondato tra le braccia di Morfeo. Sospirò: non aveva proprio voglia di dormire.
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Capitolo 30
*** Capitolo 30 - Venerdì, 6 marzo 2009 ***


Venerdì, 6 marzo 2009

Con un gesto prese il suo cellulare, abbandonato a terra accanto al letto, e fece illuminare il display per controllare l’ora.
Sbuffò: era soltanto l’una.
Mentre Matteo dormiva beato al suo fianco, lei non riusciva proprio a prendere sonno. Un po’ d’aria forse le avrebbe fatto bene.
Con indosso solo il pigiama uscì sul balcone e chiuse gli occhi, ascoltando i suoi della natura che la circondava, prendendo profondi respiri.
- Incubi, Vetra? - domandò qualcuno, ma sapeva benissimo di chi si trattava, e non ebbe bisogno di aprire gli occhi.
- No - rispose - Non ho sonno e volevo solo prendere un po’ d’aria -
Laura non disse niente.
- Tu invece? Sei uscita solo per fumare? - domandò, sentendo l’odore acre del fumo.
- Esatto -
- Il fumo uccide -
- Morirò per altre cose - rispose la bionda - E poi è solo una sigaretta -
Aprì gli occhi, osservando la bionda con la sigaretta in bocca - Anche una sola può...-
- Mi rilassa - disse lei, interrompendola.
Ritornò a fissare gli alberi - Fai quello che vuoi -
Per un paio di minuti regnò il silenzio, interrotto dai piccoli sbuffi che Laura emetteva per far uscire il fumo dai polmoni.
- L’hai rivisto? - chiese lei ad un tratto.
- No, non si è fatto più vedere per il resto della giornata -
- Forse il suo potere aumenta quando tu e Dall’Angelo...-
- Improbabile - rispose - Ma forse riesce a percepirlo e tenta di impedirlo in qualche modo -
- Ti basta solo evitare di scoparti il tuo fidanzato -
La guardò - Sempre delicata, Mancini -
- Sono i fatti Vetra - rispose Laura, aspirando ancora dalla sigaretta - Evita di fare sesso con lui e il marmocchio è contento -
- Temo che accadrà comunque - sussurrò - Che io lo voglia o no, accadrà -
La ragazza spense la sigarette premendo il mozzicone sulla ringhiera e rimase in silenzio per un po’ - Ma se tu non fai niente con Matteo non rimarrai incinta, a meno che tu non sappia procreare da sola -
Si passò una mano nei capelli - Non lascerò Matteo per uno stupido demone -
- Allora morirai Angelica - sussurrò la bionda dagli occhi grigi - Morirai come ha detto quel marmocchio -
- Non ho intenzione di cedere così facilmente -
Laura sorrise - Ci sarà da divertirsi allora -
Rimase in silenzio, osservando il cielo notturno pieno di stelle.
- Vado a dormire, grazie per la serata - sussurrò lei aprendo la porta finestra .
Si voltò verso la compagna - Non ringraziarmi - sussurrò - Inoltre ti devo delle scuse. Ti ho trattata ingiustamente - sussurrò sedendosi a terra.
La ragazza, rimasta ferma sulla porta finestra della stanza numero 13, in silenzio, poi, invece di entrare, la richiuse e le si avvicinò silenziosa - Ti dispiace se mi siedo? -
- No - rispose, osservando la bionda sedersi accanto a lei, riavviandosi i capelli biondi all’indietro.
- Forse c’è una cosa che non sai -
- Cosa? -
- Non sono andata a letto con Luca -
La guardò, sorpresa - Davvero? -
Lei annuì - È andato a raccontare in giro un mucchio di puttanate perché era stufo di far sesso con la stessa persona -  
- Perché non hai smentito tutto? -
- Ero ancora furiosa con te, Angelica - disse lei, con il volto rivolto verso il cielo - Per mio fratello -
Abbassò lo sguardo, prendendo un respiro profondo - Tuo fratello mi ha salvata, ed io sarò per sempre in debito con te -
Laura annuì - Mi dispiace, so che lo amavi -
- Sì - rispose - Molto -
Sul balcone calò di nuovo il silenzio.
Respirò profondamente “Una conversazione civile con Laura. Chi l’avrebbe mai detto?” pensò - Come sei entrata all’Agenzia? - domandò.
- Non vedo i fantasmi - iniziò lei sorridendo - Ma l’Agenzia mi ha accolta a braccia aperte, dato che la mia famiglia uccide demoni da più di trecento anni -
Annuì - Avevo sentito parlare della tua famiglia, si diceva che cacciassero le streghe, ma invece...-
- Era una copertura - spiegò la bionda - Bruciavano demoni dalle sembianze umane ormai in fin di vita per guadagnarsi il rispetto della gente -
- Ma uno dei tuoi antenati era un mezzo demone - sussurrò, ricordando vari libri sulle più antiche famiglie che cacciavano i demoni - Metà vampiro se non sbaglio -
- Esatto - rispose Laura - Ma il gene è quasi scomparso del tutto. Io non ho nessuna abilità da vampiro. L’ultimo è stato mio nonno - concluse lei - E tu come fai a vedere i fantasmi? -
Scrollò la testa - Non ne ho idea, ma in famiglia sono solo io con questa...particolarità -
- Per me hai sbattuto la testa troppo forte - ipotizzò la compagna - Oppure ti si è fuso il cervello per il troppo studio -
Rise piano - Forse, ma penso di avere questa cosa dalla nascita -
- Come sono? - domandò Laura - Come sono i fantasmi? -
- Come se fossero persone normali, niente figure con un lenzuolo e le catene -
- Ce ne sono qui? Adesso? -
Si guardò intorno, notando una figura che passeggiava nel giardino botanico - Una - rispose - Una signora -
- Dove? -
- Sta passeggiando nell’orto botanico -
- Cavoli - sussurrò la bionda, guardando oltre il balcone, nel vano tentativo di vedere qualcosa - Sei un fenomeno da baraccone, Vetra -
Rise piano - Sì, forse lo sono -
- Ora è meglio che rientri - disse Laura, alzandosi in piedi - Toglimi una curiosità...- iniziò lei, fermandosi davanti alla porta finestra della sua stanza - È vero almeno? Quello che racconta Luca? -
- Cosa? -
- Che stavate per rompere il letto? -
Sorrise in modo diabolico - Nemmeno se fosse durato più dei soliti cinque minuti -
Laura scoppiò a ridere, portandosi le mani davanti alla bocca per non fare troppo rumore e svegliare qualcuno - Cinque minuti? -
- Già - sussurrò sorridendo - Minuto più, minuto meno -
- Povero, piccolo, patetico bastardo - disse la bionda aprendo la portafinestra con un ghigno - Buonanotte, Arya -
Alzò un sopracciglio - Anche a te, Annabeth -


Rimase seduta sul balcone per un altro paio di minuti, poi ritornò nella stanza, insinuandosi sotto le morbide coperte accanto a Matteo, che mugugnò qualcosa seguito dal suo nome.
- Shhh, dormi - sussurrò dolcemente, abbracciandolo in qualche maniera - Sono qui -
Il ragazzo riprese a russare piano, mentre lei ripensava a tutto quello che era accaduto: suo figlio sottoforma di demone che tentava di ucciderla per evitare di essere creato; al fatto che, se non fosse morta ora, sarebbe morta con il bambino in grembo.
Ma una cosa era certa: se rimanesse davvero incinta non abortirebbe mai, e tenterebbe di evitare qualsiasi cosa che possa ucciderla (cosa praticamente impossibile visto che rischiava la vita un giorno sì e l’altro pure).
Poi la cosa che la confondeva di più era la questione di Laura, che, in qualche modo, centrava con la sua futura morte; ma il punto era “come centrava”? Laura l’avrebbe uccisa? Un incidente?
Scrollò la testa.
Non ne aveva la più pallida idea.
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Sentì Matteo toccarle dolcemente la spalla e mugugnò qualcosa senza senso, sperando che il ragazzo la lasciasse dormire ancora un po’.
- Angelica - insistette lui, spostandole i capelli dalla fronte - Dobbiamo prepararci. Lo sai che alle otto dobbiamo fare l’escursione -
- Che ore sono adesso? - chiese strofinandosi gli occhi.
- Sono esattamente le 7.50 e dobbiamo essere giù fra dieci minuti -
Spalancò gli occhi e scese dal letto come una furia, guardandosi intorno - LE 7.50!!! COME LE 7.50!?!?!?! -
- La lancetta lunga è sul dieci, mentre quella corta è sul sette -
Gli lanciò un’occhiataccia, ma Matteo sorrise.
- Perché non mi hai svegliata? - domandò, cercando una felpa pulita e un paio di jeans nel suo borsone.
- Sarebbe stato un peccato svegliarti - rispose lui, seduto tranquillamente sul letto.
- Maledizione, e tu sei già vestito! - esclamò, osservando il fidanzato, che indossava una t-shirt e un paio di jeans.
- Avanti. Sbrigati, io preparo gli zaini -
- Bravo, ricordati la macchina fotografica - si raccomandò, togliendosi la maglia del pigiama, sentendo subito gli occhi del ragazzo su di se.
Si voltò verso di lui - No, non c’è tempo adesso -
Il moro sospirò, chiudendo gli zaini dopo aver controllato che ci fosse tutto - Hai ragione, vestiti altrimenti ti salto addosso -
Arrossì, abbassando subito lo sguardo e prendendo la felpa per poi indossarla - Non abbiamo tempo... - sussurrò.
Il ragazzo rise, mettendosi in spalla i due zaini - È la verità amore mio -    
- Tu vai pure giù a fare colazione, arrivo tra un minuto -
***
Annuì ed uscì dalla stanza, lanciando un breve sospiro.
Sistemandosi meglio gli zaini sulle spalle, percorse il corridoio e scese le scale, entrando poi nella sala da pranzo, avvicinandosi al solito tavolo, dove tutta la combriccola aspettava lui ed Angelica.
- Dov’è Meredith? - chiese la rossa, scrutandolo ad occhi socchiusi, tendendo la mano verso di lui.
Sapeva cosa voleva: prese la macchina fotografica dalla tasca e gliela porse - Si è appena svegliata - sussurrò, prendendo una fetta biscottata dal cestino al centro del tavolo, dandole subito un morso.
- Serata interessante? -
Quasi soffocò alla domanda di Sergio. Si diede un paio di colpetti sullo sterno e balbettò un no.
- Sergio! Cos’hai detto?! - urlò una voce familiare.
Tutti si voltarono verso la porta, dove Angelica, spettinata più che mai, teneva le mani sui fianchi, guardando con rabbia il ragazzo dai capelli biondi seduto al tavolo.
- Angi! Io...non ho detto niente! Ti sarai sbagliata -
La ragazza dai capelli neri, si avvicinò al tavolo con passo felpato, e si sedette facendo un tremendo baccano - Oggi sono un tantino di cattivo umore, quindi zitto! -
- Niente serata focosa? - domandò Elisabeth, scattando una foto all’amica, ancora addormentata.
- Elisabeth, smettila di fare foto -
Un’altra foto.
- Smettila! -
- Anche questa va su Facebook - disse la rossa, ridandogli la macchina fotografica.
Angelica bevette un bicchiere di succo di frutta, mangiando una brioche in quattro e quattr’otto.
L’insegnante di ginnastica, dopo qualche minuto, si alzò in piedi, attirando l’attenzione di tutti - Bene, oggi è l’ultimo giorno. La mattinata e parte del pomeriggio saranno dedicati alla raccolta di ehm...diciamo informazioni, per sviluppare la vostra relazione sulla gita. Il pranzo sarà al sacco, e tra un attimo porteranno delle bottigliette d’acqua e tre panini per ciascuno -
- Non fate i furbi! Solo tre - disse l’insegnante di musica sottolineando il numero - Anche perché quelli che avanzano ce li mangeremo noi -
- Ben detto - disse la donna bionda, facendo un cenno alla collega - Ci ritroviamo qui alle 17 in punto. Formate le coppie e buona scarpinata ragazzi! -


Dopo aver preso tre panini a testa dalla gentile signora della cucina e delle bottigliette d’acqua uscirono, si divisero.
Lui ed Angelica,  camminarono in una stradina abbastanza larga, non asfaltata, costeggiata a destra e a sinistra da grandi distese di verde.
Seguendo ancora la stradina, si inoltrarono in un piccolo boschetto, e si trovarono a precorrere un sentiero roccioso, bagnato da un rivoletto d’acqua arrivato da chissà dove.
La mora, che camminava al suo fianco, sbadigliava di tanto in tanto, strofinandosi gli occhi.
- Dormito male? - domandò.
Lei scosse la testa - Non riuscivo a prendere sonno -
- Troppi pensieri? -
- No - rispose lei, prendendogli la macchina fotografica nella tasca dei jeans, puntandolo con l’obbiettivo subito una foto.
Si ritrasse appena, uscendo dall’inquadratura - No -
- Eddai Matteo -
- Vengo male nelle foto - ribatté.
- Oh Matteo, sei peggio delle ragazze - sussurrò la ragazza, infilandogli la fotocamera nella tasca dello zaino.
Voltò lo sguardo verso la ragazza al suo fianco: aveva gli occhi chiusi, come se volesse concentrarsi per cogliere qualche sensazione, teneva le mani nelle tasche e le labbra socchiuse che si muovevano lentamente, come se stesse cantando una canzone.
- Cosa stai cantando? -  
La mora aprì gli occhi - Niente, una vecchia canzone di Zucchero -
- Quale? -
La ragazza s’inumidì le labbra - Mi vergogno a cantartela -
- Dai - la incitò - Non farti pregare -
Lei sorrise - E mi fa piangere, sospirare...così celeste. She's my baby. E mi fa ridere, bestemmiare e brucia il fuoco...she's my baby -
Sorrise, prendendole la mano - Zucchero in confronto a te sembra stonato -
Angelica rise, abbassando lo sguardo. Era così bella quando rideva.
- Non dire sciocchezze - sussurrò la fidanzata - Lui è molto più... -
Sentì le sue unghie affondare nella carne, e si fermò quando lei si bloccò all’improvviso in mezzo al sentiero.
- Angelica? - la chiamò avvicinandosi: era bianca, troppo bianca; e teneva gli occhi puntati avanti, fissando nel vuoto - Angelica? -
Un gemito e la mora chiuse gli occhi. Se non l’avesse afferrata e stretta tra le braccia, sarebbe caduta a terra.
- Angelica? -
Un altro gemito fuoriuscì dalle sue labbra, mentre il petto si alzava e abbassava velocemente; la fece sedere a terra, prendendole il viso tra le mani, senza mai smettere di chiamarla.
I due minuti in cui la ragazza, svenuta, respirava affannosamente gli sembrarono un’eternità; ma alla fine tirò un lungo sospiro di sollievo quando Angelica riaprì gli occhi, tentando di calmarsi.
- Matteo...scusami...-
- Non scusarti - sussurrò prendendola in braccio - Adesso usciamo da questo bosco e ti riposi per un po’ -
- No - sussurrò piano la fidanzata - Sto bene -
- Non stai bene - rispose in tono che non ammetteva repliche - Ti riposi per un po’ - concluse riprendendo il cammino.


Arrivati alla fine del bosco, il sentiero che stavano seguendo continuava tra due prati, un po’ in collina. Si fermarono su uno dei tanti piccoli colli: lui si sdraiò sull’erba, con le mani dietro la testa, osservando il cielo, dove le nuvole correvano veloci nel limpido cielo; mentre Angelica era seduta al suo fianco: le gambe piegate in modo che le ginocchia toccassero il petto, e la testa appoggiata su di esse.
- So leggere le carte - disse lei all’improvviso - Ti va? -
La guardò, mettendosi a sedere - Abbiamo solo le carte da briscola -
La mora annuì, tendendo la mano verso di lui. Gliele porse e la ragazza prese a mescolare, poi sistemò sull’erba tre file composte da altrettante carte. Angelica le guardò, accigliata.
- Che significa? -
- Queste sono il passato - disse lei, indicando le carte della prima colonna - Queste il tuo presente - continuò, indicando la seconda colonna, e successivamente la terza - E queste il tuo futuro -
Guardò le prime tre carte: sei di spade, fante di bastoni e il cinque di denari.
- Il sei indica un dolore passato, sia fisico che mentale, e tutte le lacrime che hai versato. Il fante di bastoni indica una donna dai capelli scuri, buona, affidabile, mentre il cinque indica l’amore -
Ci pensò un attimo - Chissà chi è la donna dai capelli scuri -
Angelica sorrise, passando alla colonna del presente, aggrottando la fronte - Il cavallo di spade indica brutte notizie imminenti, il due di coppe lo studio e il cinque di coppe indica che nulla può andare male -
Poi toccò alla terza colonna: l’asso di spade, di bastoni e il quattro di spade. Angelica era sbiancò ancora di più, ed ebbe paura che stesse per svenire nuovamente.
- Sono brutte? - domandò.
Lei lo guardò - Non se prese singolarmente -
- Bene, mi fa piacere...-
- L’asso di spade indica che tutto si sistemerà, quello di bastoni prevede un legame d’amore molto forte e stabile, il quattro di spade indica un blocco, momentaneo per fortuna - disse la mora, sfiorando l’asso di spade - Però la coppia asso di spade e asso di bastoni indicano una gravidanza, tutte e tre insieme indicano la fine di una storia d’amore e infine...l’asso di spade e il quattro di spade indicano...-
- Cosa indicano? -
La fidanzata rialzò lo sguardo: i suoi occhi verdi erano stranamente più scuri - La morte di qualcuno che ami -
Rabbrividì, raccogliendo le carte - Mi hai fatto davvero paura -
Angelica, con lo sguardo fisso sulle sue mani, non proferì parola.
***
Scrollò la testa, alzandosi in piedi - Che ne dici di continuare? - domandò, ripensando alle carte del futuro di Matteo.
Lui, ancora seduto che metteva via il mazzo di carte, alzò lo sguardo verso di lei - Sei sicura? -
Sorrise - Certo -
Il moro si alzò in piedi, e ripartirono non appena si fu sistemato lo zaino in spalla.


Camminarono per almeno un’ora, ma il tempo sembrava passare velocemente mentre si raccontavano delle barzellette o giocavano a rincorrersi come due bambini; e si fermarono solamente quando raggiunsero un piccola radura, quasi completamente nascosta dagli alti alberi che vi crescevano intorno. Tutto era coperto da foglie marroni o rossicce, e qua e la delle chiazze di verde intenso, dove l’erba nasceva dopo il freddo intenso dell’inverno appena passato. Non c’erano solo foglie, ma là, al centro della radura, c’era una piccola fonte, dove l’acqua scrosciava tra delle rocce coperte di muschi e da alcuni fiori bianchi come la neve.
- Aspetta, non muoverti - disse in un sussurro, afferrando il moro per la manica della t-shirt - Tira fuori la macchina fotografica senza fare movimenti bruschi - aggiunse sempre a bassa voce.
- Perché? Che succede? -
- C’è un cerbiatto nascosto là in mezzo - disse facendo un sorriso smagliante, che lui ricambiò mentre si sfilava lentamente lo zaino dalle spalle appoggiandolo poi a terra, frugando nella tasca anteriore, estraendo poi una Canon digitale grigia.
- Non si vede un tubo, proviamo ad avvicinarci - disse appoggiando lo zaino per terra.
S’incamminarono lentamente verso la radura, entrambi accucciati; lei, silenziosa come un gatto, mentre lui, ogni tanto, faceva scricchiolare le foglie sotto i suoi passi. Si voltò fulminandolo con lo sguardo.
- Scusa! Non so come fai a non fare rumore! - sussurrò Matteo.
- Vieni - sussurrò tendendogli la mano - Da qui si vede, con lo zoom dovresti riuscire ad inquadrarlo meglio -
Matteo le si avvicinò, poi si sdraiarono a pancia in giù sull’erba. Da lì si vedeva perfettamente il cerbiatto che si abbeverava alla fonte, tenendo le orecchie alzate, ascoltando qualsiasi rumore che lo circondava, restando allerta e pronto a scattare in caso di pericolo.
***
Accese la fotocamera, inquadrò il piccolo cerbiatto e lo fotografò un paio di volte, poi diede un colpetto ad Angelica e si riallontanarono in silenzio.
- Hai fatto la foto? - chiese la ragazza in un sussurro.
- Certo. Ma come facevi a sapere che Bambi era lì? -
- L’avevo intravisto tra gli alberi -
- Ah... -
Salirono su una piccola collinetta verde, piena di piccoli fiori gialli e azzurri, e si sdraiarono a terra.
- Ehi, io non ho ancora visto le foto di ieri - sussurrò la ragazza, con la testa appoggiata al suo petto.
Le lanciò un’occhiata e poi le passò la macchina fotografica. Angelica prese ad osservare tutte le foto, comprese quelle del giorno prima, con Elisabeth, Sergio e gli altri. Sospirò appena quando sulla fotocamera apparve la foto di lui e la fidanzata.
- Sei bellissima - disse piano.
Lei sorrise - Mi sta viziando con queste attenzioni, signor Dall’Angelo -
- Tu ti meriti tutte le attenzioni del mondo -
Angelica si avvicinò al suo orecchio, soffiando dolcemente - Sai...ho in mente qualcosa per quando torniamo -
Deglutì - Ah sì? -
- Già, ma ora direi di fare una foto dall’alto -
La osservò spalancando gli occhi - Cosa? E come vuoi fare una foto dall’alto? -
- Mi arrampico su quell’albero e faccio un po’ di foto - disse lei, scattando in piedi, tirandosi su le maniche della felpa ed indicando il grande albero lì vicino.
- Non è un po’ troppo alto? Non posso lasciarti andare - disse mettendosi a sedere.
- Eddai, non sono una bambina -
- Intanto, il fotografo sono io, e due...ehi! - esclamò quando la ragazza cominciò a correre verso l’albero. Si alzò in piedi e le corse dietro, ma non riuscì a fermarla: aveva già cominciato ad arrampicarsi sull’albero ed era a qualche metro d’altezza - Stai attenta! -
- Sì, non ti preoccupare amore. Scatto un paio di foto e scendo. Caspita, c’è una vista magnifica da quassù - disse la fidanzata fermandosi su un ramo massiccio, in piedi, in perfetto equilibrio.
Gli venne immediatamente un attacco di panico - Cristo Angelica!! Ti vuoi tenere a qualcosa?! -
- Scusa! - urlò la ragazza sedendosi, accavallando le gambe - Non si sta male quassù, potrei anche restarci! -
- Beh, allora buttami giù la macchina fotografica altrimenti Elisabeth mi ucciderà per tutte le foto che ha fatto ieri. Ma tu stai pure lì...magari arrivano Cip e Ciop e ti nutrono con le ghiande -
- No! No! Vengo giù, non voglio cibarmi di ghiande per il resto della mia vita - disse Angelica cominciando a scendere, aggrappandosi da un ramo all’altro, con agilità.
- Ma dove hai imparato ad arrampicarti così? -
- Da piccola mi piaceva -
- Non giocavi con la Barbie come fanno tutte le bambine? -
- Ah ah...no!! - rise lei in modo ironico mentre scivolava lungo il tronco dell’albero.
La ragazza ritornò al suo fianco, porgendogli la macchina fotografica con un sorriso sulle labbra.
- Dobbiamo continuare - suggerì, ed entrambi, ripresero a camminare.
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Erano un paio d’ore che camminavano, parlando di tutto e di più, lasciando comunque, alcuni momenti di silenzio.
Dopo aver percorso una serie di sentieri, completamente nascosti dagli alberi, e salite non molto ripide, giunsero ai piedi di una piccola collina, completamente verde, con alcuni alberi disseminati di qua e di là.
Voltò lo sguardo verso Angelica, che lo guardava con uno strano sorriso sulle labbra - Chi arriva prima? -
- Ma...non saprei, forse è meglio...VIA!! -
Partì di corsa, lasciandola indietro.
- MATTEO!!! - urlò la ragazza, che lo raggiunse in pochissimo tempo.
Alla fine, Angelica arrivò prima di lui, che si buttò a terra, respirando forte, non appena arrivò in cima.
- Oh andiamo, non pensavo fossi così fiacco tesoro! - disse lei senza nemmeno un segno di stanchezza.
- Beh, è quasi mezzogiorno, è da questa mattina che camminiamo e...tu sei una furia scatenata -
- Dai alzati, guarda che panorama -
Si alzò in piedi e guardò il paesaggio che toglieva letteralmente il fiato.
Le colline ricoperte di alberi, dove, dai rami, spuntavano i primi germogli nascosti dalle foglie verdi e più in là una superficie d’acqua.
- Stupendo -
- Già, direi che è da foto - disse prendendo la macchina fotografica e scattando diverse foto di qua e di là - E guarda che bella discesa che c’è qui...- aggiunse guardando la discesa della collina, completamente ricoperta da uno strato d’erba verde brillante.  
- Ah no. So cos’hai in mente! Non provarci nemmeno! No! Matteo! Dai Matteo mettimi giù! - urlò lei, quando la prese in braccio
- Pronta? -
- No! No Matteo no...dai mettimi giù -
- Accontentata - disse lasciandola andare.
- Matteo ti...ODIO! - urlò Angelica mentre rotolava giù dalla collina.
- Arrivo! - urlò rotolando a sua volta.
- Matteo...te la...faccio...pagare...-
***
Sentì le braccia di Matteo serrarsi intorno alla vita e voltarla, e stringerla al suo petto, come se la stesse abbracciando, mentre continuavano a rotolare giù per la collina; mentre lei si perdeva negli occhi di lui. Dopo poco più di un minuto, la discesa finì, ma loro continuarono a rotolare per qualche metro; finchè lui, non bloccò entrambi piantando un braccio a terra.
Era leggermente schiacciata sotto il corpo del ragazzo, che le teneva un braccio attorno ai fianchi, e la guardava con una strana luce negli occhi.
Avvicinò il viso al suo, sfiorandogli appena le labbra, chiudendo gli occhi - Cosa vuoi fare? -
Il ragazzo le strinse più forte la vita. Adesso poteva sentire il cuore di lui che batteva all’impazzata all’unisono con il suo, sentiva ancora più forte il suo profumo e il corpo di lui che combaciava perfettamente con il suo.
Matteo posò le labbra sulle sue, forzandole senza troppa delicatezza e costringendola a schiuderle per approfondire il contatto.
Sorrise e rispose al bacio con passione, mettendogli le mani nei capelli.
Lui si staccò per riprendere fiato, fissandola poi negli occhi in silenzio.
- A cosa devo questo bacio? - chiese con un sorriso.
- Al fatto che ti amo -
Sorrise ancor di più - Anch’io ti amo Matteo -
Il brontolio dei loro stomaci li riscosse, facendoli tornare alla realtà.
- Forse sarebbe meglio mangiare qualcosa - suggerì, togliendosi i fili d’erba dalla felpa.
- E ci dobbiamo rifare la salita -
- Basta che non mi butti di nuovo giù -
Lui si alzò in piedi, porgendole poi la mano, per aiutarla ad alzarsi. Accettò l’aiuto di Matteo e si alzò anche lei, ignorando un improvviso dolore alla caviglia, che divenne insopportabile non appena cominciò a risalire la collina, cercando di stare al passo con Matteo, al suo fianco.
- Stai bene? - chiese d’un tratto, notando forse che stava zoppicando appena.
- Sì, è tutto a posto - mentì ignorando il dolore.
Raggiunsero i loro zaini abbandonati sulla cima della collina, e cominciarono a mangiare in silenzio.
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Non appena ebbe finito di mangiare due dei tre panini, iniziò a giocare da sola a carte, mentre Matteo era sdraiato accanto a lei, con le mani dietro la testa e gli occhi chiusi.
Alzò gli occhi dalle carte, non appena una grossa nuvola grigia coprì il sole. L’odore di pioggia permeava l’aria ed osservò il monte Baldo, con la sua cima innevata oscurata appena. Raccolse le carte, rimettendole nello zaino di Matteo, e si alzò di scatto, spaventando il fidanzato, che sussultò.
- Dobbiamo andare, credo che stia per piovere - disse mettendosi lo zaino in spalle, osservando il paesaggio per l’ultima volta.
- È solo una nuvola Angelica, non è detto che piova -
- Non senti l’odore di pioggia che il vento porta con se? - chiese sistemandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio - Matteo, è meglio se ci incamminiamo -
- L’odore della pioggia proprio non lo sento -
- E poi se non ci muoviamo non avremmo niente per la relazione -
- Su questo ti do ragione - disse lui alzandosi in piedi, mettendosi lo zaino in spalla.
Ripresero il cammino in silenzio.


- Sai che ore sono? - chiese lui d’un tratto mentre fotografava l’ennesimo fiore.
- No -
Calò di nuovo il silenzio, e il loro cammino veniva accompagnato solo dal rumore dei sassolini smossi ad ogni passo del ragazzo, mentre lei, come sempre, non faceva il minimo rumore, eccetto per quelle volte che trascinava appena il piede.
- Come mai così silenziosa? -
- Oh niente, pensavo... - mentì evitando di zoppicare.
- A cosa? -
- Al fatto che perderemo un’ora se non di più per ripararci dalla pioggia -
- Ma dai, ma se il cielo è...- lui si interruppe guardando su, dove delle nuvole grigie oscuravano velocemente il cielo che, fino a pochi minuti prima, era di un limpido azzurro - Ah, ma questa è sfiga - aggiunse - Ma potrebbe andare peggio...-
Sentì una goccia finirle sul naso e la tolse con l’indice - Piove -
Dei grossi goccioloni di pioggia cominciarono a cadere sulla testa dei due.
- Questa è proprio sf...ortuna -
Sorrise, si mise il cappuccio della felpa, che le nascose quasi completamente il volto, come un’assassina avvolta nel suo mantello; e cominciò ad osservare in giro con occhiate veloci.
- Ci dovrebbe essere una specie di osservatorio astronomico. Potremmo ripararci lì, ma dovremmo correre sotto la pioggia per...- cominciò estraendo la cartina e osservando il sentiero che stavano percorrendo - ...dieci minuti o un quarto d'ora. Oppure...- disse guardandosi intorno, osservando una piccola trincea mezza distrutta, ma in parte coperta da delle rocce che formavano una sottospecie di tetto - Potremmo restare lì sotto -
- Meglio non restare sotto la pioggia per un quarto d'ora o ti ammali di nuovo. Aspettiamo che passi l'acquazzone-
Rimise la cartina nello zaino, e si avviarono verso la trincea semidistrutta.
- Ahi - sussurrò appena cercando di non farsi sentire.
- Che c'é?-
- Niente - mentì entrando nella trincea, sedendosi su un sasso al riparo dalla pioggia, massaggiandosi la caviglia destra, trattenendo delle smorfie di dolore.
- Andiamo Angelica, non mentirmi - disse Matteo sedendosi per terra davanti a lei - Ti fa male la caviglia? -
- Non è niente, sto bene... -
- Sei troppo testarda ed orgogliosa per dire che ti fa male -
Un lungo silenzio, e nessuna risposta. Il ragazzo si avvicinò appena e le prese la gamba, osservandole la caviglia - È un po’ gonfia in effetti - sussurrò lui, stringendola appena.
- Ahi -
- Scusami - sussurrò lui, togliendole la scarpa, facendo poi muovere lentamente il piede.
Fece una smorfia - Forse é stato quando mi sono fatta la discesa della collina rotolando, per colpa di qualcuno di mia conoscenza...- disse poi sorridendo - Passerà non é niente -
- Angelica, penso che sia una distorsione - disse il fidanzato, lasciandole il piede per frugare nel suo zaino - Non ho il ghiaccio, ma l’acqua fredda dovrebbe fare effetto comunque -
Matteo estrasse una bottiglietta d’acqua e una delle bende che avevano portato, la bagnò con un bel po’ d’acqua e, dopo averle alzato appena i jeans, l’appoggiò sulla caviglia facendo una fasciatura improvvisata.
- Grazie - sussurrò, trattenendo una smorfia non appena il ragazzo fece un bel nodo.
- Meglio se non appoggi il piede a terra -
Lo attirò verso di se, gettandogli le braccia al collo - Grazie dottore - sussurrò baciandolo subito dopo.
Non appena lo lasciò andare, il moro si sedette al suo fianco, ed osservarono la pioggia che cadeva silenziosa.
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Come aveva ipotizzato, passò quasi un’ora da quando aveva iniziato a piovere e poi tutto finì in un baleno; le grosse nuvole grigie si stavano diradando velocemente, e il sole splendenti di quella mattina fece di nuovo capolino nel cielo.
Erano usciti dalla trincea semidistrutta e avevano preso a camminare lentamente, dato che il dolore alla caviglia non era ancora passato del tutto.
Si fermò un secondo, osservando un bellissimo fiore giallo, dove vi era appoggiata una farfalla, che apriva e chiudeva le ali rosse, macchiate di bianco e di nero. Non appena avvicinò la mano la farfalla prese il volo, atterrando silenziosa sul suo indice. Si voltò subito verso Matteo, che si era fermato a sua volta, e gli sorrise, alzando lentamente la mano. Il moro sembrò leggerle nella mente: prese la macchina fotografica e si avvicinò piano; non appena il ragazzo ebbe scattato la foto, alzò la mano di scatto, facendo volare via la farfalla.
- Continuiamo? - domandò, osservando il ragazzo che si apprestava a mettere via la macchina fotografica.
- Certo -
Ripresero il cammino e prese Matteo sottobraccio quando la caviglia prese a fare più male.
Guardò l’ora: erano solo le tre e mezza. Avrebbero impiegato un’altra ora per ritornare alla baita, ed avevano soltanto mezz’ora per passeggiare in giro a caso.
Si fermò - Matteo? - lo chiamò, benché lui fosse al suo fianco - Possiamo fermarci un attimo? Non ce la faccio più con questa dannata caviglia - domandò, lasciando il braccio del ragazzo per sedersi a terra.
Lui, senza dire niente, le si avvicinò piano, passandole un braccio sotto le ginocchia e dietro la schiena.
- No...Matteo...che stai facendo? -
- Ti prendo in braccio - rispose il moro tranquillamente, alzandola senza fatica - Ieri pomeriggio siamo passati da qui, e più avanti c’è una radura. Credo sia meglio fermarsi lì -
- D’accordo ma...amore, non devi portarmi in braccio -
- Tranquilla - le sussurrò il fidanzato con un sorriso.
Sospirò, appoggiandogli la testa sul petto, ascoltando i battiti del suo cuore - Immagino di dover ricambiare il favore. Diciamo...questa sera? -
Lui rise piano - Non sei obbligata -
Sorrise in modo malizioso - Sicuro? -
- Sì, sicuro -
Sghignazzò - D’accordo allora -


Pochi minuti le sembrarono una manciata di secondi. Sarebbe rimasta ore intere tra le braccia del fidanzato, ma purtroppo, il ragazzo aveva raggiunto la radura, circondata da esili alberi, ricoperta di foglie, eccetto al centro dove c’erano un mucchio di grossi sassi coperti di muschio.
Si sedettero sui massi, restando in silenzio, come se volessero cogliere tutti i suoni che li circondavano.
Si sfiorò appena la caviglia, lasciandosi sfuggire una piccola smorfia, ma per fortuna si era sgonfiata. Ritornò a guardare il cielo, giocherellando con una ciocca di capelli.
Lanciò un’occhiata a Matteo, che, in silenzio, la guardava con interesse.
- Che c’è? - domandò, arrossendo per una cosa così stupida.
- Quando sei contenta lo fai sempre - disse lui, avvicinandosi appena.
- Cosa? -
- Giocare con i capelli - rispose il moro avvicinandosi ancora di più.
- Ah, non me n’ero mai accorta - sussurrò, e poi calò il silenzio, silenzio rotto soltanto dal canto dei passeri e il rumore dei rami mossi dal vento.
- Ci vorrò un’altra ora per ritornare - sussurrò Matteo, accarezzando una guancia.
- L’avevo sospettato - sussurrò - Tra quanto dobbiamo rimetterci in marcia? -
Il fidanzato guardò l’ora sul suo cellulare - Dieci minuti - rispose - Ma se sei stanca posso prenderti in braccio e partire subito per la baita -
Sorrise, baciandolo dolcemente sulle labbra - Non ti preoccupare - sussurrò - Riesco a camminare -
- Sei sicura? -
- Al 100% - rispose, regalandogli un altro bacio.
A malincuore dovettero lasciare quella radura e ripresero il cammino.


Raggiunsero la baita in meno tempo del previsto, quando le due insegnanti li mandarono a preparare le loro cose mancavano quindici minuti alle cinque.
Non appena aprì la porta della stanza, per la terza volta, si gettò sul letto, dove non mosse più un muscolo.
- Se vuoi fare la doccia per primo vai pure - disse.
Matteo, dopo aver chiuso a chiave la porta, salì sul letto, mettendosi sopra di lei.
- Non ti va di farla con me? -
Sorrise, gettandogli le braccia al collo - Potrebbero sentirci -
- La prof ha detto che siamo i primi -
Mugugnò appena - D’accordo - sussurrò in tono malizioso.
Il ragazzo si spogliò in quattro e quattr’otto, aiutandola subito dopo; poi entrarono nella doccia, aprendo il getto d’acqua calda.
La parete della doccia dietro e Matteo davanti: non esisteva posto migliore in tutto l’universo.
Le sue mani forti, energiche e sicure le cingevano i fianchi, tenendola stretta contro il suo petto nudo, bagnato e caldo.
Le labbra appoggiate sulle sue, ed ogni volta lui riusciva a farle venire i brividi alle braccia.
Alzò il viso quando il fidanzato iniziò a baciarle il collo, mettendogli le mani nei capelli bagnati.
- Una cosa del genere dovremmo farla più spesso - sussurrò lui, staccandosi per un secondo, tornando poi a baciare ogni goccia d’acqua che scivolava lungo il suo collo.
Sospirò, afferrandogli le spalle e piantandogli le unghie nella pelle - Sicuramente - sussurrò, cercando di non ansimare in modo troppo vistoso, riabbassando il volto per guardarlo. Il ragazzo si staccò e le regalò un sorriso mozzafiato.
- E se continui con questi giochetti io...-
- Tu? - chiese lui con un ghigno, tentando di provocarla.
Si avvicinò al suo collo, mordendolo appena - Non so se riuscirò a...-
- Rilassati Angelica - rispose il moro - Lasciati andare -
Si ritrasse un attimo, quando una fitta le percorse la gamba. Sollevò appena la gamba destra, stringendo la presa sulle spalle del ragazzo per non cadere.
- Ti fa ancora male? -
Abbassò lo sguardo sulla caviglia - Un po’ -
Il ragazzo la prese in braccio, facendole allacciare le gambe intorno ai fianchi - Meglio? -
- Sì - sussurrò debolmente, baciandogli il collo mentre il moro le faceva appoggiare la schiena contro il muro - Molto -
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Ore 17.15
Era sdraiata sul letto: i capelli erano ancora bagnati, ed indossava solamente l’accappatoio del fidanzato, chiuso in bagno.
Sbuffò, cominciando a sentire un po’ freddo.
- Dici che resto chiusa in bagno un’infinità di tempo, ma anche tu non scherzi -
Il fidanzato uscì dal bagno con i capelli in disordine, ma asciutti, e un asciugamano stretto intorno alla vita - Non è vero gattina -
- Sei rimasto chiuso dentro per dieci minuti -
- Tu rimani chiusa in bagno il triplo dei mio tempo -
- Oh, non dire sciocchezze - disse alzandosi in piedi, riavviandosi all’indietro i capelli corvini - Fortuna che sono ancora bagnati, altrimenti non avrei potuto sistemarli...-
- Io sistemo i letti e comincio a mettere via le nostre cose - mormorò lui, terminando il discorso su chi restava più tempo in bagno.
Si avvicinò al moro, passandogli una mano sulle spalle nude, emettendo uno strano mugolio malizioso - E hai intenzione di farlo conciato così? - domandò.
Lui sorrise - Credo sia meglio che tu vada ad asciugarti i capelli, perche se cominciamo finiremo quando l’autobus è già partito -
Ghignò in modo diabolico, mettendosi davanti a lui ed allentando la cintura che teneva chiuso l’accappatoio - Davvero? -
Matteo, che guardava ogni singola parte che l’accappatoio le lasciava scoperta, deglutì, scuotendo poi la testa - Non c’è tempo -
Sbuffò, coprendosi di nuovo - Hai ragione - disse.


Dopo aver asciugato i capelli si vestì in fretta, aiutando poi il fidanzato a preparare le borse, che misero fuori dalla porta della stanza numero 10. Fermi in mezzo alla stanza, ricontrollarono nuovamente in modo che nulla fosse in disordine e che avessero preso tutte le loro cose.
Quando furono certi che non avevano dimenticato nulla, prese un respiro profondo: era ora di ritornare a casa e alla caccia ai demoni.
Matteo chiuse la porta a chiave non appena furono usciti in corridoio, poi, portando entrambi i borsoni, la seguì fino al giardino esterno dove le due professoresse, sedute all’unico tavolino nel cortile, giocavano a carte con i propri borsoni accanto alle sedie.
L’insegnante di ginnastica alò lo sguardo verso di loro, indicando il cancello della baita - Se volete andare sull’autobus è proprio lì fuori, caricate le borse e non andare in giro a bighellonare Vetra -
Le porse le chiavi della stanza - Io non vado in giro a bighellonare - replicò con un sorriso.
- A scuola lo fai sempre -
Rise - Non è vero -
- Bugiarda! Multa! - urlò l’insegnante di musica, dopo aver sbirciato le carte della collega.
Sorrise e lei e Matteo andarono sull’autobus, sedendosi agli ultimi posti.
- La partenza è prevista per le sei - disse lui - Manca un quarto d’ora -
Frugò nella tasca del suo zaino, in cerca dell’mp3, ed annuì - Sì, ma ovviamente ci saranno i soliti ritardatari -
- Comunque torneremo per l’ora di cena -
Lo guardò, mettendosi una delle due cuffiette - Cos’hai in mente? -
- Niente, solo una pizza. Ti va? -
Sorrise - Certo, ma poi? -
- Poi cosa? -
Lasciò perdere l’mp3 e si sedette a cavalcioni sopra di lui - Non vuoi fare altro dopo la pizza? -
Il sorriso del ragazzo si allargò ancora di più, avvicinando poi il viso al suo - C’è una cosa...-
Si passò la lingua sulle labbra - Ah sì? -
- Sì - sussurrò il moro, appoggiando le labbra sulle sue.
- Ecco dove vi eravate cacciati voi due! -
Si staccarono al suono della voce squillante di Alice, appena salita sull’autobus, seguita da Federico. Ritornò a sedersi in modo normale, rimettendosi le cuffiette nelle orecchie.
La mora, seduta nel posto davanti al suo, si voltò verso di lei - Piccola sporcacciona, anche sull’autobus adesso? -
Arrossì - Non stavamo facendo niente -
- HELLO GIRLS! -
Voltarono entrambe lo sguardo verso l’inizio del corridoio dell’autobus, che Elisabeth stava percorrendo. Dietro di lei c’era Luca, che si sedette ai primi posti. La rossa si sedette accanto a Matteo e si stiracchiò le braccia, facendo un gridolino, simile al suono che fa un’aragosta messa in una pentola d’acqua bollente. Accese la musica, guardando il profilo della baita dal finestrino.
- Vi siete divertiti ragazzi? - domandò la migliore amica.
- Una meraviglia - rispose in coro con Matteo. Si guardarono con sorriso complice, e si strinsero dolcemente la mano.
- Avete da fare stasera? - le domandò Elisabeth.
- Io e Matteo mangiamo una pizza e...-
- Allora niente - rispose la rossa con un sorriso - Sarà per il prossimo pazzo venerdì sera -
Annuì, ritornando a guardare la baita.
- Dimenticavo di dirvi che sabato prossimo c’è una festa -
- Ancora in maschera? - domandò la mora, sistemandosi sulla testa il cappello dei New York Yankee.
Elisabeth annuì - Il tema è...rullo di tamburi -
Alice iniziò a battere le mani sul poggiatesta del suo sedile. Si voltò a guardare la migliore amica - Tema? -
- Antica Grecia signore mie! -
Si portò una mano alla fronte - Fantastico, chi è l’idiota che si inventa queste feste? -
- Io prendo Ade ragazze - disse qualcuno, facilmente riconoscibile.
- Amore, solo tu potevi fare Ade - disse la rossa - Ed io Persefone, ovviamente -
- Ci si può vestire da Medusa? - domandò Alice, entusiasta.
- E dove la troviamo una parrucca di serpenti? -
Cambiò canzone - Su internet -
A quella risposta la rossa si illuminò - Sì! Lei si che sa pensare con la testa! -
La guardò, confusa - Eh? -
- Tu sarai Atena! Dea della saggezza e degli aspetti più nobili della guerra -
Sospirò - E questa da dove l’hai tirata fuori? -
- Da Wikipedia -
Prese un profondo respiro, almeno non avrebbe fatto Echidna, che era un mostro il cui corpo di donna terminava con una coda di serpente al posto delle gambe; ma dubitava che Elisabeth conoscesse quel personaggio.
- E tu Matteo! Tu sarai Poseidone! -
- Io voglio vestirmi da Medusa, cavolo! - esclamò di nuovo Alice.
- Se tu fossi Medusa ed io Atena, dovresti odiarmi a morte - sussurrò, cambiando canzone.
- Perché? -
- Secondo la leggenda, Poseidone si era innamorato di Medusa quando era ancora una bellissima fanciulla. Una notte Poseidone la fece sua nel tempio di Atena che, profondamente irritata per quell’affronto, fece in modo che nessun altro uomo desiderasse Medusa, trasformandola in un orribile mostro: le mani erano pezzi di bronzo, il corpo era ricoperto di scaglie, delle ali d’oro, i denti simili alle zanne di un cinghiale, i capelli erano stati trasformati in serpenti, poi, come tutti sapete, le fu data la capacità di trasformare in pietra chiunque la guardasse negli occhi -
Momento di silenzio che quasi sempre seguiva i suoi discorsi da so-tutto-io-altro-che-Wikipedia e poi Alice si alzò di scatto, rimanendo in piedi in mezzo al corridoio - Figo! -
Sorrise - Non molto -
- Ah sì, scusami...non ti voglio fregare il fidanzato -
Lanciò un’occhiata a Matteo - Non fa niente. Atena era in competizione con Poseidone per diventare la divinità protettrice della città, che non aveva ancora nome. Entrambi si accordarono che ciascuno avrebbe fatto un dono agli Ateniesi e questi avrebbero scelto quale fosse il migliore. Poseidone piantò al suolo il suo tridente e dal foro ne scaturì una sorgente, che avrebbe dato loro sia nuove opportunità di commercio che una fonte d’acqua, che però era salmastra e quindi non molto buona da bere. Atena, invece, offrì loro il primo albero d’ulivo, adatto ad essere coltivato. Gli Ateniesi scelsero l'ulivo e quindi Atena come patrona della città -
Matteo aggrottò la fronte - Posso cambiare personaggio? -
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Finalmente arrivarono le sei e mezza, e sull’autobus c’erano praticamente tutti.
Non appena le due insegnanti salirono, l’autista dell’autobus chiuse le porte del mezzo e mise in moto.
L’insegnante di musica, invece di sedersi come la collega, rimase accanto all’autista, prendendo il microfono, battendoci sopra con le dita prima di cominciare a parlare.
- Uno, due, tre, prova...Disturbia? Bene funziona - constatò la donna mora, schiarendosi la voce - Facciamo un veloce appello ignorando i cognomi: Alice e Federico? -
La mora e il rosso, seduti nei posti davanti a lei, alzarono la mano e la prof proseguì - Angelica e Matteo? -
Alzò stancamente la mano, sbucando appena da dietro il sedile e lo stesso fece il fidanzato al suo fianco.
Riabbassò la mano, sistemandosi meglio: piegando le gambe ed appoggiando le ginocchia al sedile davanti; alzò un po’ di più il volume della musica, cercando di ignorare la voce dell’insegnante che continuava l’appello.
- Ottimo - constatò la professoressa - Arriveremo tra un’oretta ragazzi - disse ancora lei, rimettendo a posto il microfono per poi sedersi accanto alla collega.
L’autista partì per fare ritorno a Verona.
Appoggiò la testa al finestrino, chiudendo gli occhi, senza smettere di stringere la mano di Matteo.
***
Angelica, al suo fianco, dormiva da quasi un quarto d’ora; ed ogni tanto gli stringeva la mano, presa forse da un sogno.
- Non ci credo - sussurrò Elisabeth, alla sua sinistra, che guardava la mora con curiosità - Angelica che dorme in una posizione sconcia. Mi serve la macchina fotografica -
Le indicò il suo zaino, prima che la rossa si mettesse ad urlare, e lei prese la sua Canon, scattando delle foto alla mora addormentata.
Angelica mugugnò appena: sembrava una gattina che faceva le fusa.
Guardandola con più attenzione, notò una lacrima rigarle la guancia, è guardò Elisabeth, che scosse la testa.
- Gli incubi non la lasciano in pace da quel giorno -
- Come mai? -
- Non te l’ha detto? - domandò la ragazza - Ha gli incubi da quando, in un incidente d’auto, morì un suo amico -
S’intristì - Ne aveva accennato vagamente un paio di volte -
- Era con lui quando morì -
- Quand’è successo? -
- Quasi quattro anni fa - rispose Elisabeth, abbandonandosi sul sedile - Non parlava più con nessuno, non rispondeva nemmeno alle domande delle insegnanti. Ogni giorno andavo a casa con lei sperando di strapparle una parola, a volte ritornavo a casa, ma a volte restavo a dormire da lei...quante notti che ho passato in bianco sentendola piangere -
La ragazza si passò una mano sul viso, sospirando in ricordo di quei tempi.
- É stata la prima volta che l'ho vista piangere veramente...Dio, é stato terribile - confessò lei, facendo una pausa - Poi, dopo mesi ha ricominciato a parlare, ma gli incubi non la lasciavano in pace -
- Sarà stato terribile - sussurrò sfiorando la guancia ad Angelica, togliendole la lacrima dal viso.
- É stata fortunata...lui é morto mentre lei se l'é cavata con un semplice taglio...una decina di punti e di nuovo a casa, nient'altro; né costole incrinate, né ossa rotte, né lividi, solo quel taglio sotto la clavicola -
- È un bene, no? É stata fortunata, insomma...mi dispiace per il suo amico ovviamente, ma lei si è salvata... -
- Già -
***
Socchiuse appena gli occhi quando si svegliò, e guardò il ragazzo al suo fianco, che le teneva dolcemente la mano.
- Ciao -
Matteo si voltò verso di lei, e poi sorrise, avvicinandosi appena ed accarezzandole una guancia - Finalmente ti sei svegliata -
Si passò la mano libera nei capelli - Quanto manca? -
- Pochi minuti - rispose lui.
Sbadigliò - Come diavolo ho fatto ad addormentarmi? -
- Ah, non ne ho idea; ma Elisabeth ha immortalato il tuo sonnellino -
Si sporse appena in avanti, guardando la migliore amica, che agitava la macchina fotografica di Matteo con un sorriso diabolico stampato in faccia.
- Sei una bastarda -
- Poi con Photoshop aggiungo la bava e una nuvoletta che dice: “Ciambelle ahhh!” -
Sgranò gli occhi - Non oseresti -
- Poi la carico su Facebook -
- No... -
- E ti taggo! -
Si abbandonò contro il sedile: era la fine.
- E il nome della foto sarà “La bella addormentata sull’autobus” -
Ghignò, ricordandosi un vecchio video nella cartella del suo portatile. Ora poteva ricattarla.
- Oh, non penso che tu lo faccia...-
- Dici? -
- Sì, dico. Perché io ho ancora il video di capodanno dove sei vestita da zoccola con una parrucca bionda, simile ai capelli della Carrà, che canti “My name is potato” di Rita Pavone -
Elisabeth, non appena ebbe nominato il nome della canzone, sbiancò di colpo.
- Tu sei la patata...oggi rinomata...- iniziò cantando.
- Oh cazzo...- sussurrò Elisabeth - Dai Angi ero ubriaca...-
- My name is potato! Potato! Potato! Potato! -
- Ahhhhhhhhh basta! Bastarda!!! - urlò Elisabeth - D’accordo, niente bava...-
- Tuuuuuuuuuuuuuuuuu...tu sei la patata -
- Ok, ok...cancello la foto -
Sorrise, sistemandosi meglio sul sedile con un ghigno - Brava -
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Un’ora di viaggio ed erano già tornati a Verona, davanti alla scuola.
Tutti scesero, recuperando zaini e borse, poi le due insegnanti li salutarono e se ne andarono. Lei e Matteo, dopo aver salutato il resto del gruppo, caricarono i borsoni nel baule dell’Opel Corsa del ragazzo, poi salirono e il fidanzato mise in moto.
Prese il suo cellulare dalla tasca dei jeans, aprendo la rubrica in cerca del numero di telefono della pizzeria poco distante da casa sua - Che pizza vuoi? -
- Prosciutto funghi - rispose il moro, attento alla strada.
Chiamò il numero in attesa di una risposta, che arrivò subito dopo - Pizzeria Tropical, buonasera. Mi dica? -
Riconobbe subito la voce della ragazza che rispose - Ciao Alessio, sono Angelica -
- Ehi, ciao Angi! Vuoi ordinare delle pizze? -
- Sì, allora una prosciutto funghi e un’Angelica con l’aggiunta di un bel po’ di salamino piccante -
La ragazza dall’altra parte del telefono scoppiò a ridere - Solo tu potevi ordinare quella pizza -
- Ci sarà un motivo perché l’avete chiamata così, no? -
- Hai pienamente ragione - rispose Alessia - Tra quanto devono essere pronte? -
- Dieci minuti e sono lì -
- D’accordo, ciao -
- Ciao -
Matteo, al volate, rideva sotto i baffi.
- Che c’è? - domandò con un sorriso, intuendo il motivo per cui stava ridendo.
- Hanno dato il tuo nome ad una pizza? -
- Sì - rispose tranquillamente.
- E, per curiosità...- iniziò il ragazzo, fermandosi ad un semaforo - Cosa c’è dentro? -
Ci pensò un attimo, portandosi una mano al mento - Se non ricordo male c’è prosciutto, wurstel, salsiccia dolce e patatine fritte -
- Devi avere una fame da lupi... -
Alzò le spalle - Mi è soltanto venuta voglia - sussurrò, osservando fuori dal finestrino.
- Voglia? -
Si voltò a guardarlo, alzando un sopracciglio - Non pensare male, Matteo Dall’Angelo -


Dopo essersi fermati alla Pizzeria Tropical per ritirare le pizze, erano ritornati a casa.
Il fidanzato parcheggiò la macchina fuori da casa sua e, mentre lei teneva le pizze, lui prese i due borsoni nel baule e i due zaini.
Senza far cadere niente a terra, riuscì ad aprire il cancelletto e la porta blindata all’ingresso.
Prese un profondo respiro, osservando l’ingresso completamente al buio: casa dolce casa, silenziosa e soprattutto vuota.
- Lascia pure qui i borsoni - sussurrò a Matteo, fermo al suo fianco - Ci penseremo domani - aggiunse andando in cucina ed accendendo la luce, appoggiando poi i cartoni con le pizze sulla tavola.
Il ragazzo, dopo aver appoggiato i borsoni da una parte, chiuse la porta con un tonfo - Domani? - domandò lui, fermandosi sulla porta della cucina, osservandola.
Dopo aver preso un coltello da uno dei cassetti dietro di lei, iniziò a tagliare entrambe le pizze a spicchi, iniziando dalla sua - Sei già stanco di dormire con me? -
- No, certo che no -
Alzò lo sguardo, sorridendogli, per poi concentrarsi nuovamente sulla pizza.
- Io la voglio tagliata in...-
- Tagliata in quattro parti, lo so - concluse per lui.
- Ti stai divertendo a fare la mogliettina? -
Rialzò lo sguardo, piantando il coltello nella pizza di Matteo come un killer che pugnala la sua vittima con il colpo di grazia - Cosa stai insinuando? -
Il moro la guardava con occhi sgranati - Assolutamente niente, mia dolce e tenera gattina -
Divelse il coltello dalla pizza con un sorriso - Le mangiamo in salotto davanti ad un film? -
Il fidanzato le sorrise, prendendo le due pizze; poi entrambi andarono in salotto, accomodandosi sul divano, guardando Scary Movie 3. Mangiarono in tutta tranquillità le loro pizze, bevendo Coca-Cola, anche se rischiò diverse volte di soffocarsi per le scene del film; poi, quando finì, rimasero sul divano, abbracciati, guardando uno stupido documentario sugli ornitorinchi.
Guardò l’ora sul cellulare, abbandonato sul tavolino in salotto: 23.16. Si alzò in piedi, stiracchiandosi.   
- Dove vorresti dormire? - domandò il ragazzo, aiutandola poi a portare in cucina i cartoni vuoti delle pizze, i due bicchieri e una lattina vuota di Coca-Cola.
- Ho un’idea, ma forse staremo un po’ scomodi - rispose.
Si precipitò in salotto, spostando il tavolino, e stese una coperta rossa sul tappeto, poi andò a prendere tutti i cuscini presenti in casa, buttandoli a loro volta sulla coperta, a casaccio. Matteo, la osservava, in piedi sulla porta del salotto con le mani sui fianchi, fermo ed in silenzio per tutto il tempo.
- TA DAN! - esclamò.
Il moro si avvicinò piano, osservando il giaciglio improvvisato - Vuoi dormire qui? -
Annuì, come una bambina che cercava di convincere il padre a comprarle un giocattolo. Lui rimase immobile per un po’, poi la prese in braccio, facendola sdraiare poi a terra - Non è un granché -
Si tolse la maglia che indossava - Non ci puoi fare più niente - sussurrò con un sorriso.
- E perché ti stai spogliando? -
- Non vorrai che dorma con i jeans, vero? -
- Hai ragione -
Entrambi si spogliarono: lei rimase in biancheria intima e lui con solo i boxer; poi s’infilarono sotto la coperta, circondati da morbidi cuscini.
Abbracciò il fidanzato, appoggiandogli la testa sulla spalla, e lanciò un lungo sospiro.
- Che c’è? -
- Mi mancava questo silenzio - ammise, osservando il soffitto. Chiuse gli occhi, un po’ stanchi, sbadigliando.
- Hai sonno, gattina? -
Annuì, strofinando la testa sulla sua spalla - Un po’ -
Il moro le baciò i capelli - Allora dormi -
Sorrise, abbandonandosi alla sensazione di calore che Matteo le infondeva - ‘Notte allora -
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Capitolo 31
*** Capitolo 31 - Sabato, 7 marzo 2009 ***


Sabato, 7 marzo 2009
Si era svegliata si soprassalto, come tutte le volte che sognava Manuel che moriva tra le sue braccia. Si mise a sedere, portandosi le mani al viso, tentando di svegliarsi completamente, poi osservò l’ora sul display del suo cellulare, abbandonato da una parte. Sbuffò vedendo che erano soltanto le tre passate da qualche minuto.
Guardò Matteo, addormentato al suo fianco, arrotolato nella coperta rossa che aveva steso a terra qualche ora prima.
Sorrise, avvicinando la mano con lentezza, appoggiandola sulla fronte del fidanzato, che mugugnò non appena sentì il contatto con la sua pelle. Si ritrasse subito per paura di svegliarlo.
Si sdraiò di nuovo, abbracciando un cuscino e pensò un attimo alla questione della donna dai capelli rossi: il demone, martedì scorso, tramite un turista cinese, aveva detto che l’avrebbe uccisa insieme ad Elisabeth tra una settimana.
Sorrise “Quelli del film The Ring dovrebbero chiederle i diritti” pensò, ma poi si preoccupò seriamente della situazione: i giorni scarseggiavano e al demone rimanevano solo un paio di giorni. Per una volta, sperò che niente e nessuno rovinasse la quiete che si era creata in quei giorni. Certo, avrebbe dovuto raccontare tutta la faccenda dei demoni ad Elisabeth, e la cosa non la entusiasmava molto. Come avrebbe fatto a dirglielo? “Ehi Eli, io uccido i demoni e vedo la gente morta” pensò, scartando subito quell’opzione: l’amica si sarebbe infuriata credendolo uno scherzo di cattivo gusto.
“Forse non è necessario dirglielo” penò nuovamente, scartando anche quella opzione “No, le devo delle spiegazioni”
Poi ripensò al demone, lanciando un sospiro.
- Una settimana...- sussurrò lievemente, chiudendo gli occhi per tentare di riaddormentarsi “Contava i giorni festivi?”


Socchiuse appena gli occhi, emettendo uno strano verso, simile alle fusa di un gatto.
Allungò la mano in cerca del fidanzato, ma trovò soltanto la coperta. Si mise a sedere - Matteo? -
Si guardò intorno, ma del moro non c’era alcuna traccia.
“Non può essere ritornato a casa” pensò guardando al suo fianco, dove la t-shirt e i jeans del ragazzo erano abbandonati in disordine in un angolo.
Nemmeno il tempo di chiamarlo una seconda volta, che Matteo sbucò sulla porta, con solo i boxer addosso.
- Buongiorno dormigliona - sussurrò lui dolcemente, entrando in salotto con un bicchiere di succo di frutta in mano, e le si avvicinò, fermandosi non appena fu arrivato al tavolino, appoggiandosi sopra il bicchiere.
- Ehi - sussurrò a sua volta, facendolo avvicinare con un piccolo gesto della mano e, quando fu abbastanza vicino, gli gettò le braccia al collo, tirandolo sopra di se, sdraiandosi nuovamente a terra - Buongiorno a te -
Il moro sorrise, baciandola sulle labbra - Avevi in mente qualcosa per il pomeriggio? -
- No - rispose - Tu hai in mente qualcosa? -
- Devo accompagnare Sonia in piscina, e dovrei rimanere là per controllarla. Ti va di farmi compagnia? -
Annuì - Certo ma...noi rimaniamo fuori dall’acqua, vero? -
- Eh, di solito Sonia mi convince sempre ad entrare in piscina con i suoi occhietti da Bambi -
Si lasciò sfuggire un sospiro - Allora metterò il costume sotto -
- Già, meglio essere prudenti quando si parla di Sonia, potrebbe farti entrare in biancheria intima - disse lui - E adesso che ci penso non ti ho mai vista in costume -   
Liberò il fidanzato dalla sua stretta - Pervertito -
Entrambi si alzarono in piedi, ridendo; lui bevette il succo di frutta, mentre lei ripiegava la coperta che la sera prima aveva steso a terra.
- Cosa vuoi mangiare a pranzo? - domandò Matteo.
- Non saprei - rispose, buttando la coperta sul divano - Mi va bene qualsiasi cosa -
Il ragazzo ci penò un attimo - Ok, andiamo a mangiare a casa mia -


Dopo aver pranzato a casa Dall’Angelo, dove la madre di Matteo chiedeva gli aneddoti più divertenti della loro gita e Sonia, che la convinse a giocare a Twister.
Nel pomeriggio, dopo essere tornata a casa ed aver indossato un costume rosso sotto ai vestiti, lei, Matteo e Sonia andarono alle piscine. Era già stata in quel centro sportivo, quando faceva palestra ed, oltre a quella, nella struttura c’erano due piscine: una interna, ed una esterna. Ovviamente, scelsero quella al coperto.
Dopo aver nuotato per un po’, Sonia, con i suoi occhioni blu, identici a quelli del fratello, la convinse ad entrare in piscina, mentre Matteo riuscì a resistere allo sguardo della bambina.
Sonia, benché non riuscisse a fare bene lo stile libero, la sfidò a chi faceva più velocemente due vasche. Ovviamente, l’aveva lasciata vincere, fingendo di annegare. Poi riuscirono a convincere Matteo ad entrare, e Sonia li incitò a gareggiare. Questa volta dovevano fare quattro vasche ed, ovviamente: lo aveva stracciato.


Usciti dalla piscina si erano fermati a prendere un gelato, convinti dall’espressione dolce di Sonia, che aveva preso un bel gelato con due palline al cioccolato.
Quando rientrarono a casa Dall’Angelo erano le sei passate. Matteo e sua madre tentarono di convincerla a rimanere a cena, ma lei rifiutò cortesemente, dicendo che era stanca e che avrebbe preferito tornare a casa, farsi una doccia, mangiare un panino al volo per poi buttarsi sul divano con un sacchetto di patatine.
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Ore 21.13
Dopo aver mangiato un panino con una quantità esagerata di schifezze come olive, prosciutto, maionese, ketchup ed altre cose, aveva fatto una lunga doccia calda.
Ritornò in camera, con un asciugamano stretto intorno al corpo, ed accese il computer, eseguendo l’accesso ad msn.
Si asciugò i capelli a malo modo: non c’era bisogno di pettinarli, tanto tornavano sempre come prima. Mossi e spettinati. Si vestì velocemente e si buttò sul letto, osservando il soffitto.
“ Ed anche oggi nessun demone” pensò. Ma purtroppo, si sbagliava.   
Si alzò dal letto al suono di un nuovo messaggio istantaneo inviato per Messenger, si sedette sulla sedia davanti alla scrivania ed osservò il display del computer, dove si era aperta una nuova comunicazione con Elisabeth.
    Elisabeth scrive: Ehi Angi? Ci sei?
    Angelica scrive: Si Eli, dimmi tutto...
    Elisabeth scrive: Ti ricordi quella faccenda del killer di Verona, vero?
Le salì un groppo alla gola.
    Angelica scrive: Elisabeth, cosa succede? Sei da sola in casa?
    Elisabeth scrive: Sì, sono sola e...fuori ci sono strani rumori e mi sto veramente spaventando Angelica...
Prese il cellulare dalla tasca e digitò velocemente il numero dell'amica e scattò in piedi non appena rispose - Due minuti e sono lì Eli, chiuditi in camera e non aprire se bussano alla porta ok? Nemmeno se c'é qualcuno che ti chiama per nome - disse infilandosi la giacca.
- Angelica...ho davvero paura...se é uno scherzo... -
Prese l'auricolare e l'attaccò al cellulare, mettendosi poi l’auricolare nell'orecchio - Non é uno scherzo. Fai quello che ti ho detto, mi hai capita?! - urlò prendendo la katana ed allacciandola dietro la schiena, uscendo di casa, correndo in garage - Continua a parlarmi Elisabeth, non ascoltare quello che succede fuori - disse ancora infilandosi il casco e mettendo il moto, attendendo che il cancello si aprisse.
- Eh ok - sussurrò appena la ragazza con la voce rotta dai singhiozzi - Mi vuole uccidere vero? -
Partì a tutta velocità, zigzagando tra le altre auto, i cui autisti le suonavano ripetutamente il clacson - Ti giuro sulla mia vita Elisabeth che non ti farà niente -
- Angelica...qualunque cosa sia mi sta...chiamando -
“Merda, la sta confondendo con il suo potere...” pensò - Non andare da lei Elisabeth! Sono quasi arrivata, non uscire fuori! Resta in camera -
- Ma ha la tua voce... - sussurrò l'amica con la voce di chi é stato incantato.
- No Eli, io sono qui...ti sto parlando al telefono, non sono in giardino -
Nessuna risposta. Elisabeth aveva riattaccato.
- Merda! - urlò svoltando nella via dove abitava la migliore amica.
Scese dalla moto, buttandola sul marciapiede come se fosse un giocattolo, seguita dal casco e scavalcò la cancellata, sguainando immediatamente la spada senza emettere alcun suono - Elisabeth? -
Nessuna risposta.
Corse velocemente per il giardino senza fare rumore, fermandosi di colpo non appena fu giunta sul retro, dove tutto era illuminato lievemente dalla luce proveniente dalla finestra della camera di Elisabeth e dalla luna piena sopra la sua testa. Non c'erano alberi, solo un vecchio capanno degli attrezzi e molti ceppi di legno ammassati l'uno sull'altro appoggiati contro la parete sinistra.
C'erano solo due figure oltre a lei: Il demone donna dagli occhi più rossi che mai ed Elisabeth immobilizzata dall'intrusa.
- Lasciala andare, puttana - disse calma facendo un paio di passi avanti.
- Oh Angelica...finalmente sei arrivata, temevo che ti saresti persa lo spettacolo - rispose garbatamente la donna, torcendo il braccio destro alla ragazza, che urlò dal dolore - Forse è il caso di presentarsi, visto che siamo alla resa dei conti. Il mio nome è Kyra - disse ancora la donna con un sorriso, torcendo ancora di più il braccio ad Elisabeth.
- Lasciala subito! - urlò partendo di corsa verso il demone, colpendola con un pugno in pieno viso.
Kyra, che non si era nemmeno mossa, sorrise, scaraventandola indietro con una semplice manata, lanciandole Elisabeth addosso. La prese tra le braccia, lasciando la katana da una parte - Eli...? -
- Angi...quella è...? - domandò l'amica con voce tremante, massaggiandosi il braccio - I suoi occhi...e tu che ci fai con una spada? -
Si alzò in piedi e raccolse la spada - Torna in casa...chiudi tutto a chiave. Non uscire per nessun motivo -
La rossa annuì, alzandosi a sua volta, allontanandosi di qualche passo.
- Non così facilmente - sussurrò il demone, formando una piccola sfera d'energia che fluttuava sul suo palmo.
Voltò lo sguardo verso Elisabeth, che aveva sgranato gli occhi alla vista di quello strano fenomeno - Corri! -
Il demone sorrise alla vista della preda immobilizzata dalla paura e, con un elegante gesto della mano, le scagliò contro la sfera d'energia che fece persino vibrare l'aria con delle piccole scosse viola.
- Elisabeth! - urlò, correndo verso di lei ed allungando il braccio sinistro per evitare che la sfera colpisse l'amica; poi tutto sembrò visto al rallentatore: la sfera che le colpiva la spalla, bruciando la giacca e la maglia che indossava sotto, fino a raggiungere la pelle.
Guardò la ferita e il demone con un’espressione infuriata - Questo non dovevi farlo. La giacca era nuova... -
- Angelica...- sussurrò Elisabeth avvicinandosi a lei - Angelica -
- Angelica, Angelica...ti prego salvami - le fece il verso Kyra, ghignando in modo diabolico.
- Torna in casa e restaci - disse senza voltarsi, rimanendo tra l’amica e il demone - Ti raggiungo subito -
- Credo che tu mi stia sottovalutando -
Una frazione di secondo e la donna, arrivata ad un soffio da lei, l’alzò per il collo.  
- Lasciala andare, è una questione tra me e te - disse senza fatica: la stretta non era poi così forte.
- Mi dispiace, ma l’umana ha visto troppo - disse la donna con un sorriso, diventato poi una smorfia di dolore quando venne colpita di striscio dalla sua katana, segnandole un lungo taglio sotto la clavicola, lacerando la veste nera. Kyra la lasciò subito andare, indietreggiando con un balzo per allontanarsi da lei, in posizione di attacco.
Schioccò le dita e il collo - Adesso siamo pari -
La rossa si scagliò contro di lei, emettendo un ringhio, tentando di colpirla, ma ogni volta schivava le sue mani, evitando le lunghe unghie del demone, che si erano improvvisamente allungate di una decina di centimetri. schivando un altro attacco, si abbassò, colpendole lo stomaco con una gomitata, alzandosi poi di scatto per darle un pugno alla mandibola.
Kyra si allontanò nuovamente, sistemandosi la mandibola, con uno schiocco secco.
- Non ne uscirai viva questa volta - sussurrò, facendo roteare la katana, puntandola poi verso la sua avversaria.
Il demone ringhiò ancora, attaccandola di nuovo, riuscendo solo a segnarle una guancia, allontanandosi subito dopo.
- Ora capisco - sussurrò la donna, abbandonando la posizione di attacco, e guardando il sangue sull’unghia del suo indice - Forse tu potresti... -
Lanciò un’occhiata ad Elisabeth, tornando poi a guardare la sua avversaria - Di cosa stai parlando? -
Non se ne rese nemmeno conto: il demone le si materializzò davanti, affondando dita e unghie della mano destra nella ferita alla spalla, togliendole la katana di mano con l’altra.
Si lasciò sfuggire un’imprecazione, abbassando gli occhi a terra.
- Tu non puoi nemmeno immaginare... - iniziò Kyra, affondando ancora di più le unghie nella carne - Cosa potresti fare...-
- Angelica! - urlò Elisabeth, ancora in piedi, immobile, a qualche metro da loro, che si teneva il braccio destro - Lasciala stare! -
- Zitta umana! - urlò la donna ringhiando con ferocia, lasciandola andare per scaraventarsi sulla rossa, afferrandola per un braccio, lanciandola dall’altra parte del giardino, dove sbatté la testa contro il capanno degli attrezzi. Elisabeth rimase a terra, immobile.
- NO! - urlò afferrando la katana, colpendo la donna al braccio.
Con un urlo di dolore il demone osservò il proprio braccio cadere a terra, diventando scuro pian piano, fino a diventare cenere.
- Lurida umana! Come hai osato! - urlò, prima di sparire sotto i suoi occhi.
- Forza, vieni fuori. È la resa dei conti no? -
- Presto morirai...- sussurrò la voce di lei alle sue spalle, che le fece accapponare la pelle.
Scattò in avanti immediatamente, puntando di nuovo la spada contro il demone, che le sorrideva, stringendosi quel poco che le rimaneva del braccio sinistro.
- Hai la stessa espressione di terrore di quella sera...quando ho ucciso Manuel -
Indietreggiò, lanciando un'occhiata ad Elisabeth, che cercava di rimettersi a sedere tenendo la schiena appoggiata al capanno, lasciandosi sfuggire dei lamenti di tanto in tanto.
Kyra prese a camminare avanti e indietro, con aria pensierosa, sfiorandosi il mento con le lunghe e candide dita affusolate, le unghie si erano ritirate - Doveva ucciderti sai? Manuel...il tuo “primo amore” -
S'irrigidì, benché quella donna stesse sicuramente raccontando una menzogna - Non ti credo, puoi smetterla di raccontare fesserie che non interessano a nessuno -
- Non mi credi? Non ricordi quella mattina? Dopo che tu e lui...beh, sai cosa intendo...- iniziò la donna con un luccichio in quei suoi occhi rossi.
- Cosa dovrei ricordare? E tu come fai a sapere questo? - domandò, abbassando appena la spada. C’era qualcosa che non quadrava. Come faceva a saperlo?
- Lui doveva ucciderti quella sera, quando l'hai trovato sotto casa tua -
Indietreggiò, abbassando katana, come se fosse stata schiaffeggiata da quelle parole - No... -
- Oh sì invece...e quando ti sei svegliata lui parlava al telefono vero? -
------
Socchiudo appena gli occhi, ed osservo Manuel, in piedi, che parla al cellulare.
- Non posso farlo...non ci riesco, non posso ucciderla -
Mi misi a sedere, stringendo le coperte intorno al corpo. Con chi sta parlando?
- No, mi dispiace, trovati un altro che faccia i tuoi sporchi lavori...io ho chiuso -
- Manuel? -
Lui si gira di scatto, riattaccando il cellulare - Ehi -
- Con chi parlavi? -
- Io...nessuno, non preoccuparti -
Si siede accanto a me e mi accarezza i capelli - Stai bene? -
- Sì, credo - sussurro stringendomi il fianco.
- Ieri sera ero venuto per dirti quello che provo per te e... -
- É quello che hai fatto - rispondo lievemente - E credo che sia la stessa cosa che provo io -
Il suo volto si illumina di gioia, mi prende il viso tra le mani e si avvicina alle mie labbra - Oh Angelica -

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- Ti sei ricordata adesso? -
- ...no -
- Come faccio a saperlo? Perché chiamava il mio capo dicendo che non riusciva ad ucciderti perché ti amava! -
" Oh Dio, non posso crederci" - BUGIARDA! - urlò attaccandola, ma il demone scomparve un'altra volta.
- Stupidi umani, vi bloccate per una cosa come l'amore - disse ancora il demone, nascosta chissà dove - Due giorni dopo mi avete trovata in quel parco, aspettavo proprio voi...ed ho attaccato te, sapendo che lui ti avrebbe fatto da scudo -
S'inginocchiò a terra lasciando che le lacrime le rigassero le guance - No... -
- Sarebbe ancora vivo se solo quella sera l'avessi respinto...- sussurrò la donna apparsa davanti a lei - Sarebbe ancora vivo se tu fossi morta al primo demone che ti abbiamo sguinzagliato dietro! -
Nemmeno il tempo di reagire che il demone evocò un’altra sfera, colpendola alla spalla. Cadde in ginocchio: sembrava immobilizzata da una forza invisibile.
- Ma ora é tutto finito, no? "Chi se ne frega" come dite voi giovani umani. Addio Agente 33 - disse la donna alzandola senza sforzo per il collo. Le sorrise, scostando i capelli corvini, soffiando appena. Le fece venire i brividi.
- Non sentirai niente - la rassicurò la donna.
Si lasciò sfuggire una lacrima - Lascia andare Elisabeth... -
La donna sorrise avvicinandosi alla sua spalla, leccando il sangue che usciva copioso dalla ferita appena inferta - Non pensavo che il tuo sangue fosse così dolce. Chissà come sarà quello della tua amica... -
- Lasciala andare - ripeté.
Lei ghignò, avvicinando la bocca alla gola; sentiva già i lunghi canini pungerle la pelle.
Voltò lo sguardo verso l’amica: ancora seduta a terra, gli occhi sgranati e i vestiti sporchi di terra ed erba.
- Vattene via...- sussurrò, chiudendo gli occhi e stringendo i denti non appena le zanne di Kyra affondarono nella morbida carne del collo.
- No! Angelica! - urlò l’amica - Lasciala andare! -
- Va via Elisabeth...- sussurrò lievemente, mentre le forze abbandonavano il suo corpo.
Ci fu un suono sordo, lo stesso rumore che fa un melone che si spappola per terra; la presa sul collo si affievolì e i denti del demone si ritrassero, eccetto uno, che forse si era spezzato, rimanendo conficcato nel suo collo.
Cadde a terra e un ringhio le fece aprire gli occhi: Elisabeth era in piedi, a pochi metri dalla donna, la quale si teneva una mano premuta sulla nuca, a terra un grosso pezzo di legno. Sorrise cercando di riprendere la mobilità agli arti.
La ragazza raccolse qualcosa da terra, qualcosa la cui lama rifletteva minacciosa la luce proveniente dalla finestra.
- Non so cosa sei, ma nessuno la passa liscia dopo aver fatto del male alla mia migliore amica! -
- Stupida umana! - ringhiò il demone, scaraventandosi su di lei.
Entrò nel panico quando Elisabeth cadde a terra, sovrastata subito dalla donna, che le strappò di mano la spada, lanciandola lontano, a pochi passi da lei.
Si mise a pancia in giù, ancora bloccata dalla sfera che, probabilmente, aveva un effetto paralizzante, poi prese un profondo respiro ed allungò il braccio, nel tentativo di afferrare il manico della katana, e quando ci riuscì, si mise in ginocchio a fatica e poi si alzò del tutto.
Schioccò le dita, ghignando: evidentemente, l’effetto durava solo qualche minuto.
- Sono io la tua avversaria! - urlò correndo verso la donna, levando la spada, pronta a trafiggerla.
Il demone si voltò, mostrandole i denti come fanno e belve feroci, e scattò verso di lei con le mani tese in avanti, pronte ad afferrarla.
Si abbassò all'ultimo secondo, rotolando a terra su un fianco, e si rialzò immediatamente colpendo la schiena di Kyra, lacerandole la veste nera e disegnandole una linea rosso carminio dalla scapola al fianco.
- Schifosa ragazzina! - ringhiò la rossa, attaccandola subito dopo, nel tentativo di prenderla nuovamente per la gola.
L'allontanò colpendole lo stomaco con il manico della spada - Dovevi sgozzarmi quando ne avevi la possibilità -
Impugnò ancor più saldamente la katana, la cui lama, sporca di sangue, brillò minacciosa.  
Il demone sorrise, togliendosi il sangue che colava da un angolo della bocca, puntando lo sguardo oltre la sua spalla, su Elisabeth, seduta a terra che seguiva ogni loro mossa; poi attaccò nuovamente, sparendo nel nulla, apparendo di nuovo ad un soffio da lei.
Affondò la lama non appena sentì le dita della rossa sprofondare nel fianco sinistro fino alle nocche. Si lasciò sfuggire un lamento quando le unghie si allungarono. Kyra, invece, abbassò lo sguardo sul suo petto, trafitto dalla spada, ed emise un rantolo di dolore.
- É finita - sussurrò affondando ancor di più la spada nel cuore del demone - Va al diavolo, e dì che ti manda Angelica -
Divelse l'arma con uno strattone, sporcando l'erba di sangue. Sentì Elisabeth, dietro di lei, sedersi a terra, probabilmente sconcertata per quella visione. Il demone estrasse le dita dal suo fianco, ed indietreggiò guardando la sua bianchissima pelle diventare sempre più scura, e poi puntò lo sguardo verso di lei, guardandola con odio, ghignando - No, non è finita...Angelica, questo è solo l’inizio - disse lei, ed infine lanciò un urlo agghiacciante, scomparendo in una nuvola di polvere, che, stranamente, corse verso di lei, sparendo solo a qualche centimetro dalla sua pelle.
Sospirò e si lasciò cadere a terra, a gambe incrociate.
- Angelica? -
- Eh? -
- Dio mio Angelica...- disse Elisabeth raggiungendola a gattoni - Tutto questo...sangue -
- É tutto finito - sussurrò sorridendo - É tutto finito Elisabeth...é morta, non ti farà più del male -
L'amica, dopo essersi alzata in piedi, l’aiutò ad alzarsi a sua volta. Si tolse l’erba dai pantaloni, rimettendo la katana nel suo fodero, legato dietro la sua schiena - Meglio se torniamo in casa  -
La rossa scoppiò in lacrime e le gettò le braccia al collo - Grazie Angi -
- Di niente -
- Ora potresti dirmi...- iniziò Elisabeth, con le lacrime agli occhi - Che cos'era quella donna? -
- Ti racconterò tutto Eli, non preoccuparti. Possiamo andare in casa? Credo di avere un po’ d’erba nei pantaloni -
Elisabeth scoppiò a ridere mentre le lacrime presero a rigarle le guance, e l’abbracciò. Rientrarono lentamente in casa, e l'amica la fece sedere su una sedia in cucina.
- Hai male da qualche parte? - domandò alla rossa.
- Un po’ al braccio - sussurrò l'amica, sedendosi accanto a lei e togliendosi le ultime lacrime che le rigavano il viso arrossato - Io...ti devo portare in ospedale... -
Sorrise, sdrammatizzando la situazione - Non ti preoccupare, solo qualche benda e se hai anche del disinfettante sarebbe il massimo -
Elisabeth si alzò dalla sedia, si avvicinò ad una delle alte credenze e cominciò a rovistare al suo interno.
Si tolse lentamente la katana, appoggiandola da una parte, la giacca, appendendola alla sedia dov'era seduta, e fece la stessa identica cosa con la maglia, ormai inutilizzabile. Osservò i buchi nel fianco sinistro, e gemette non appena li sfiorò con un dito.
L'amica tornò a sedersi davanti a lei, porgendole tre garze, arrotolate su sé stesse, una piccola bottiglietta verde chiaro di disinfettante e un batuffolo di cotone.
- Grazie - sussurrò prendendo il disinfettante e bagnando appena il cotone. Gemette ancora una volta tamponandosi la ferita al fianco.
- Cristo Santo Angelica... - sussurrò l'amica facendosi più vicina - Fa male? -
Con una smorfia di dolore sul volto, annuì, aggiungendo altro disinfettante.
- Dovresti andare in ospedale -
- No, niente ospedali -
- Senti, non è colpa mia se soffri di quella fobia degli ospedali...-
- Si dice nosocomefobia e io non ho paura degli ospedali. Non voglio andarci... -
- Sei proprio infantile quando fai così -
- Elisabeth, non é niente...andrò a farmi controllare domani all'Agenzia da Marco -
- Ora potresti spiegarmi, per favore? -
Sospirò. Adesso doveva raccontarle tutto e non c'erano più scuse - Vedi Elisabeth, probabilmente ti sarai accorta che quella cosa non...-
- Non é normale. Cazzo Angelica se non era normale! Ha fatto quella cosa con la mano! Da dov’è sbucata? Da Dragonball? -
- Quella era un demone, Elisabeth - disse tutto d'un fiato. La ragazza si immobilizzò, come se qualcuno le avesse lanciato un Pietrificus Totalus - Io faccio parte di un'Agenzia nata più di trecento anni fa che combatte queste creature, non uccido persone...uccido demoni -
L'amica spalancò la bocca - Ma...perché proprio tu? -
- Ti ricordi quel giorno? Avevamo quindici anni ed eravamo appena tornate dalla città dove ho fatto cadere quasi completamente una mensola di libri alla biblioteca? -
Lei annuì.
- Quando sono ritornata a casa, tre persone hanno suonato alla mia porta: una donna, la direttrice dell'Agenzia e due uomini, uno vivo mentre l'altro era un fantasma -
Elisabeth spalancò la bocca - F...fantasma? -
- Volevano farmi entrare all'Agenzia perché ero uno scherzo della natura...sono uno scherzo della natura - si corresse.
- Ma che dici Angelica? Tu non sei affatto uno scherzo della natura -
- Elisabeth, io vedo i fantasmi -
La migliore amica si appoggiò allo schienale della sedia - In che senso...riesci a vederli? -
- Hai presente il sesto senso? Io riesco a vedere distintamente la gente morta come ora vedo te -
- Oh...e...sul serio? -
Annuì.
- E ce n'é qualcuno qui? Adesso? -
Si voltò sulla sedia, guardando l'ingresso dove solo Lucifero correva avanti e indietro giocando con la sua pallina come se niente fosse successo - No, nessuno -
- Comunque...poi, tu sei entrata in questa Agenzia e...? -
- Lì mi hanno insegnato come maneggiare armi di svariato genere: dalla pistola alla spada, spranghe, bastoni, fucili, pugnali...mi hanno trasformata in un'assassina -
- Non sei un'assassina Angelica, se non fosse stato per te sarei morta -
- Quel demone ti ha presa di mira perché voleva uccidere e, anni fa ha ucciso Manuel perché...mi ha fatto da scudo e...- disse, cercando di continuare anche se le lacrime le rigavano il viso - Era una bugia la storia dell'incidente in macchina. Sei intelligente, Elisabeth, ti sarai fatta qualche domanda... -
- Sì, non riuscivo a spiegarmi perché, in un incidente, lui era morto e tu solo lievemente ferita, senza lividi o costole incrinate -
Sorrise - Già, sembrava strano a tutti, ma nessuno indagò oltre - disse iniziando a fasciarsi il fianco - E qualcuno ha anche ingaggiato quel demone per uccidermi e, come ha detto lei prima, aveva ingaggiato anche Manuel -
- Il fratello di Laura doveva...ucciderti? -
Annuì, finendo la fasciatura - Hai sentito quello che ha detto il demone, no? Due sere prima della sua morte, mi sono trovata Manuel sotto casa. Io ero appena tornata da una missione complicata ed ero ferita. L'ho invitato ad entrare e, non appena ha scoperto le mie condizioni, si é proposto di aiutarmi visto che studiava medicina - disse appoggiando il batuffolo di cotone sul collo - Poi mi ha baciata e...abbiamo fatto l'amore -
Elisabeth appoggiò un gomito sulla tavola, appoggiandoci poi la testa - Oh, quella era la... -
- La mia prima volta, sì. Lui mi amava, come poteva uccidermi? Ed infatti il demone mi ha ricordato la telefonata di Manuel a qualcuno la mattina dopo, al quale diceva che non poteva riuscirci e...per questo é morto e...il mio mondo é crollato. Sono stata una stupida per non averci pensato prima e non ho mai avuto il coraggio di ringraziarti come si deve quando mi sei stata accanto -
L'amica l'abbracciò con forza, facendola persino gemere dal dolore - Ahi...Eli la...spalla -
- Oh, scusa - sussurrò la rossa, staccandosi e ritornando alla posizione di prima.
- E poi non ho altro da raccontarti -
- Quindi tu sei un Agente specializzata nell'ammazzare demoni -
Annuì.
- Ma sei l'unica donna? Non ti trattano come uno zerbino? -
Sorrise - Sono una degli Agenti più rispettati, nessuno oserebbe trattarmi come uno zerbino e poi ci sono anche altre donne -
- E...perché tu ai una spada? -
- Sono più brava a maneggiare la katana e preferisco usare quella -
- E uccidi demoni -
- All'Agenzia li classifichiamo in categorie in base alla loro pericolosità, con le lettere A, B, C, D ed E, io mi occupo della categoria A e dei demoni non classificati -
- Ma una persona normale non...riuscirebbe a sconfiggere queste cose senza ferirsi o morire -
- Veniamo allenati per questo - disse, cominciando a disinfettarsi la spalla.
- Angi, sei davvero pallida, vuoi stenderti? -
- No, sto bene, stai tranquilla -
- Sei sicura? -
Fece un sorriso tirato, sperando di rassicurare l'amica senza dire altro.
- Stasera rimani qui, d’accordo? - domandò l'amica, iniziando a fasciarle bene la spalla - Non ti lascio andare a casa in questo stato, potresti svenire per strada... -
- Non ti preoccupare, non svengo - sussurrò, scrollando la testa, quando la vista si offuscò per qualche secondo.
- Non mi convinci sai? -
- Elisabeth, sono solo dei graffi -
- Angelica, Cristo Santo, il fianco non smette di sanguinare e...il collo... -
Abbassò lo sguardo sul fianco, dove la benda stava già cominciando a diventare rossa dove il demone aveva affondato le dita, poi si portò il cotone al collo - Probabilmente questo è solo sporco. Rimarranno solo due buchi -
- Vieni, ti porto a letto...- sussurrò l’amica, aiutandola ad alzarsi in piedi.
La testa prese a girarle non appena fu in piedi. Sentì l’amica chiamarla, ma poi non sentì più niente.
Solo buio.
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Capitolo 32
*** Capitolo 32 - Domenica, 8 marzo 2009 ***


Domenica, 8 marzo 2009

Aprì lentamente gli occhi, cercando di capire o ricordare dove fosse, nonostante le tempie che pulsavano per il dolore.
- Angi? -
Si portò una mano alla testa, riconoscendo quella voce.
- Elisabeth...- sussurrò, vedendo la sagoma sfuocata dell’amica dai capelli rossi.
- Ti senti bene? -
Non riusciva a capire se era sul divano o sul letto. Poco le importava. Si rigirò, abbracciando un cuscino - Certo che sto bene - mugugnò - Perché me lo chiedi? -
- È che...ieri sera sei svenuta e ti sei comportata in modo strano -
Si voltò verso Elisabeth. Ora riusciva a vederla distintamente - In modo strano? -
L’amica, preoccupata, si sedette accanto a lei sul divano della cucina - Sei svenuta e sei crollata a terra. Ti ho alzata e ti ho messa sul divano poi...dopo mezz’ora forse...beh, ti sei svegliata - raccontò lei - Ti sei guardata le mani, mi hai guardata e hai sorriso -
Socchiuse gli occhi. Non si ricordava niente - Ti ho detto qualcosa? -
- Poi ti sei tolta il dente dal collo ed è svanito quando l’hai buttato per terra, poi sei andata a prenderti un cuscino da camera mia, sei ritornata e ti sei addormentata -
Ora riusciva a vedere perfettamente la cucina, forse anche meglio di prima.
Si mise a sedere, guardando Elisabeth - Io non mi ricordo -
- E non è questa la cosa strana -
- Che altro c’è? -
La rossa deglutì, stringendosi le ginocchia con le mani - Guardati le ferite di ieri...-
Subito non capì cosa volesse dire l’amica, poi si guardò la spalla, rimanendo di sasso: non c’era niente, nessuna ferita. Guardò il fianco ed anche lì niente.
- Sei guarita da sola - sussurrò l’amica - È un bene, vero? -
- Beh, Elisabeth...- sussurrò a sua volta, con lo sguardo perso nel vuoto, ripensando a quello che era accaduto la sera prima - Non mi sembra una cosa normale guarire da soli. Deve avermi fatto qualcosa...- aggiunse.
- Il morso? -
Si guardò le mani, aprendo e chiudendo le dita - Probabile. È successa la stessa cosa lunedì scorso. Sono stata morsa da un mezzo demone e le mie ferite sono guarite da sole, ma...- si bloccò. Forse era meglio evitare di raccontare ad Elisabeth che aveva bevuto sangue.
- Ma? -
Scosse la testa - L’effetto del veleno scompare se il demone che ti ha morso muore -
- Quindi non può essere stato il morso -
Chiuse gli occhi - Sicura che non ho detto niente? Quando mi sono comportata in modo strano? -
- Hai sussurrato delle parole strane, adesso che ci penso, ma non ci ho fatto caso - rispose Elisabeth - Non ho capito quello che dicevi ma non era né italiano né inglese o altre lingue, e sussurravi così piano...mi hai fatto venire i brividi -
Si passò una mano nei capelli, confusa - Eli, forse è meglio che torni a casa. Ho un brutto presentimento - sussurrò, alzandosi in piedi, osservandosi la t-shirt strappata e sporca di sangue.
- Presentimento? -
Annuì, prendendo la giacca abbandonata su una delle sedie sistemate intorno alla tavola e mettendosi poi la katana a tracolla - Faccio un salto all’Agenzia. Io ho paura che...- bisbigliò nuovamente, fermandosi subito dopo. Non c’era motivo di far preoccupare Elisabeth - Ci vediamo domani a scuola -
L’amica si alzò in piedi, afferrandole un braccio per trattenerla - Angi, cos’è che ti preoccupa? -
Scosse la testa, liberandosi dalla debole presa dell’amica - A domani - sussurrò avviandosi verso l’ingresso, dove Lucifero se ne stava sdraiato davanti alla porta, rotolandosi su un tappeto rosso.
- Angelica? -
Dopo aver appoggiato la mano sulla maniglia, si voltò vero Elisabeth - Sì? -
La rossa abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo - Grazie -
Sorrise, aprendo la porta di casa Hall - Di niente -


Stesa sul lettino nell’infermeria dell’Agenzia, osservava la luce al neon appesa al soffitto. Dopo aver raccontato tutta la storia a Marco e Beatrice, si erano guardati in modo strano. Anche loro avevano pensato che tutto fosse opera del morso del demone dai capelli rossi.
Beatrice le strinse un laccio emostatico intorno al braccio - Un po’ di sangue e vediamo se quella ti ha iniettato abbastanza veleno per trasformarti - disse la bionda disinfettandole la pelle per poi cercarle la vena nel braccio. Non fu difficile trovarla: la vena color verde pallido, spiccava sulla sua candida pelle.
- Adoro quando vedo bene le vene - sussurrò Beatrice, infilandole l’ago nel braccio, iniziando a toglierle un po’ di sangue, mentre lei osservava come se niente fosse.
Dopo aver estratto l’ago, la bionda le diede un batuffolo di cotone, appoggiandoglielo sul piccolo foro - Tienilo premuto per qualche minuto - aggiunse l’amica, togliendole il laccio emostatico, mentre lei, gettò via il batuffolo di cotone.
- Quanto devo aspettare? -
- Un paio d’ore - sussurrò Marco, ricevendo la fiala con il suo sangue da Beatrice, osservandolo poi controluce - Puoi tornare a casa, ti chiamiamo noi quando abbiamo i risultati; ma prima Beatrice ti prende un campione di dna -
Si mise a sedere, guardando la bionda avvicinarsi con un piccolo bastoncino.
- Fai a bella bambina...arriva l’aeroplanino -
- Beatrice...-
- Cavolo Angelica, sciogliti un pochino. Persino un pezzo di ghiaccio è più caldo di te -
Aprì la bocca, lasciando che la bionda prendesse un campione della sua saliva, poi si alzò in piedi - Posso andare? -
Beatrice annuì, facendole l’occhiolino - Ti chiamiamo noi -
- D’accordo - sussurrò lievemente, uscendo dall’infermeria, sperando con tutto il cuore di non avere niente.
______________________________________________________

Si chiuse la porta d’ingresso alle spalle, lanciando un sospiro. Il suo sguardo si soffermò subito sul telefono di casa, dove una spia rossa lampeggiava, segnalando delle chiamate perse. Si avvicinò e guardò il numero sul display del cordless: sua madre aveva chiamato cinque volte, due la sera prima e tre questa mattina. La richiamò. Di sicuro era preoccupata per lei dato che non aveva risposto a tutte quelle chiamate.
- Pronto? -
- Mamma, sono io - sussurrò, passandosi una mano nei capelli.
- Tesoro, finalmente! Ero preoccupata da morire -
- Lo sospettavo - rispose seria - Ieri sera ho ucciso il demone che aveva attaccato me e Manuel...quel giorno -
- Oh Angelica, stai bene? -
- Sì mamma, stai tranquilla - sussurrò - Ma adesso è meglio se mangio qualcosa -
- Il papà ti saluta - disse sua madre.
- Ciao - salutò, riagganciando.
Salì lentamente la rampa di scale, non aveva alcuna intenzione di farsi da mangiare, visto che non aveva fame; si sentiva soltanto stanca.
Si sdraiò sul letto dopo essersi tolta le scarpe ed aver abbandonato la katana nel solito angolino. Chiuse gli occhi, ripensando ancora una volta a quello che era successo la sera prima.
“Questo è solo l’inizio” pensò, ricordando le ultime parole del demone “Cosa voleva dire? Che ne manderanno altri al suo posto?”
Si mise a sedere, correndo subito in bagno, colta da un improvviso attacco di nausea. Non vomitò nulla, ma i conati continuavano comunque.
Si abbandonò contro il muro del bagno, sentendo qualcosa premere contro la cassa toracica, togliendole il fiato. Urlò, benché i polmoni chiedessero ossigeno. Si accasciò a terra, supina, portandosi le mani al petto: quel qualcosa sembrava premere dall’interno, facendole annebbiare la vista. Si mise a pancia in giù, appoggiando la guancia sul freddo pavimento del bagno, mentre il suo corpo sembrava andare a fuoco.
“Ti avevo detto...” sussurrò una voce familiare nella sua testa “...che quello era solo l’inizio, Angelica”
Urlò ancora più forte, prima di perdere completamente i sensi, ritrovandosi ancora una volta nel buio.
***
Lanciò un sospiro di sollievo osservando i risultati delle analisi sul sangue e sul dna di Angelica.
Si tolse i capelli biondi dalla fronte, prendendo il cellulare dalla tasca del camice che indossava, e compose il numero dell’amica, che oramai sapeva a memoria. Il cellulare squillò a vuoto per un po’, ma poi la ragazza rispose - Pronto? -
- Angi, sono Beatrice - sussurrò, trovando starno il tono freddo di 33 - Ho i risultati e non c’è niente - aggiunse - Ma credo sia meglio rifarli tra qualche giorno, magari i sintomi si manifestano dopo giorni -
- D’accordo - rispose Angelica in tono freddo - Ciao -
Nemmeno il tempo di salutarla che l’amica le aveva riattaccato il telefono in faccia. Sospirò, rimettendo il cellulare in tasca.
- Che ha detto? - domandò Marco, chino su dei campioni di sangue di demoni artificiali.
Aggrottò la fronte - Niente -
- Come “niente”? -
Scosse la testa, passandosi una mano nei capelli.
***
Riaprì gli occhi, mettendosi a sedere di scatto per osservarsi intorno.
L’ultima cosa che ricordava era il pavimento del bagno, poi più niente. Si passò una mano nei capelli. Forse si era sognata tutto.
Si alzò in piedi, stiracchiandosi. Si sentiva bene, piena di energie, per nulla stanca né affamata. Prese il cellulare, il cui display aveva iniziato a lampeggiare, mostrando il numero dell’Agenzia. Sorrise, premendo il tasto di risposta: un demone era proprio quello che ci voleva.
- Pronto? -
- 33. Abbiamo un categoria A in via della Vittoria. I pochi civili sono stati allontanati -
- D’accordo - rispose, riagganciando ed osservando l’ora: 22.13.
Non pensava di aver dormito per tutte quelle ore; quando era ritornata a casa era soltanto mezzogiorno. Non ci fece caso. Una vocina nella sua testa le diceva che andava tutto bene.
Prese la katana, lasciata nel solito angolino per nasconderla da occhi indiscreti, sguainandola subito dopo - Let’s rock -


Scese dalla moto, abbandonando il casco sulla sella, guardandosi intorno. Via della Vittoria era una piccola stradina sperduta in mezzo ai campi dove c’erano sì e no tre casette. La strada non era illuminata, ma lei riusciva a vederci senza difficoltà, sorridendo alla vista di una figura nera che arrancava nella sua direzione, respirando affannosamente, emettendo dei piccoli ringhi.
Si portò le mani sui fianchi, per nulla spaventata - Vieni cucciolo - sussurrò, provocandolo - Vieni a giocare con me -
Il demone era alto più di due metri, assomigliava molto al Minotauro dell’antica Grecia: era praticamente un toro sulle zampe posteriori. Tutti i muscoli erano gonfi e pronti per il combattimento imminente, tutto il corpo era ricoperto da ispidi peli marroni. La testa era simile a quella di un toro, solo che al posto delle due solite corna ce n’erano un paio simili a quelle delle arieti: lunghe, nere e ben appuntite.
In una mano pelosa, impugnava una grossa ascia, mentre con l’altra una frusta. Sulla schiena, inoltre, aveva una moltitudine di aculei che spuntavano dalla schiena. Sorrise. Le sembrava un riccio.   
- Cavolo - sussurrò incrociando le bracca al petto - Era parecchio tempo che non vedevo un Guerriero -
Dalle narici del demone uscirono delle nuvolette bianche, poi fece schioccare la frusta nella sua direzione.
- Giusto...non siete di molte parole -
Il Guerriero emise uno strano ringhio prima di agitare nuovamente la frusta, nel tentativo di colpirla. All’ultimo secondo, afferrò la spessa corda che la sfiorò di poco e strinse forte.
- Ti ho presa - disse il demone con voce roca, alzando il braccio con l’ascia, proto a tirare la frusta per farla avvicinare.
Sorrise - Sicuro? - domandò, sguainando la katana.
Il Guerriero tirò la frusta con forza, catapultandola in avanti, ma prima che la creatura potesse colpirla le affondò la spada nel braccio che reggeva l’ascia. La brutta copia del Minotauro indietreggiò, guardandosi il sangue che usciva copioso dalla ferita.
Non gli diede nemmeno il tempo di difendersi: tagliò la frusta, rendendola inutilizzabili, mozzandogli poi la mano che stringeva il manico di legno dell’ascia. L’arma cadde a terra con diversi tintinnii, sparendo poi con la mano mozzata in una nuvola rossastra. Il demone ruggì di dolore.
Si allontanò di qualche metro, rinfoderando la katana - Devi avermi sottovalutata -
Il Guerriero alzò lo sguardo verso di lei: le pupille erano dilatate per la rabbia, mentre le iridi gialle oramai non si vedevano più. Piegò la testa in avanti, puntandola con le corna, con l’intenzione di caricarla, mentre batteva uno zoccolo a terra.
Incrociò le braccia al petto, sorridendo, piacevolmente divertita per la situazione.
Il demone scattò in avanti a velocità sorprendente benché fosse grande e grosso, di circa due tonnellate; lo schivò senza problemi, esclamando un “olè”. Il Guerriero la caricò un altro paio di volte, ma non riusciva mai a colpirla.
Dopo averlo schivato un’altra volta, veloce come un fulmine, estrasse la katana, mozzandogli il braccio destro. Ridendo in modo folle.
Il demone, muggì di dolore, allontanandosi un po’ da lei, stringendosi in moncherino. Attaccò ancora una volta, tagliandogli i legamenti della gamba sinistra, facendolo cadere a terra.
Ghignò in modo diabolico, osservando la creatura con divertimento. Rinfoderò la spada, incrociando le braccia al petto.
Il Guerriero, indietreggiò appena, agitando la gamba buona per spostarsi, senza mai smettere di ringhiarle contro per la ferita che gli aveva appena inferto - Sudicia umana -
Sguainò la katana, facendo brillare la lama, e scattò ancora una volta verso il demone, fendendo l’aria con un colpo: subito dopo, l’unico braccio rimasto all’avversario cadde a terra, macchiando l’asfalto di sangue scuro, sparendo poi in una nuvola rossastra. Altri ringhi, mentre lei rideva in modo quasi folle.
Si mise le mani sui fianchi, guardando il Guerriero alzarsi a fatica - Non ci sono più i demoni di una volta -
- Che cosa sei? - chiese il demone in tono cupo, puntando gli occhi gialli verso di lei. Le pupille erano ridotte a due fessure.
- Il tuo peggior incubo - rispose prima di attaccare di nuovo.
Il rumore della sua katana che tagliava la carne e spaccava le ossa del collo del demone le sembrò un suono angelico. Sorrise.
Con un ultimo lamento il demone cadde a terra, in ginocchio, poi la testa ruzzolò di lato, rotolando lentamente fino ad arrivare accanto a lei. Ci appoggiò il piede sopra, rinfoderando la spada.
“Semplicemente splendido” pensò, premendo con forza il piede finche non sprofondò nel cranio del demone, rompendo persino le due corna da ariete. Riprese a ridere quando sentì degli schizzi di sangue finirle in faccia. Ne leccò via una goccia che scivolava proprio accanto alle sue labbra; poi fece dietrofront, allontanandosi con le mani in tasca.
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Si sedette sul letto, annoiata. Il Guerriero non le aveva dato molto divertimento.
Si tolse la katana, tenuta a tracolla, appoggiandola sul letto, poi si cambiò i vestiti sporchi di sangue scuro, lasciandoli in un angolo, indossando una camicetta pulita e una gonna, che le arrivava a metà coscia.
Non aveva per niente sonno e decise di fare un giretto al bar, giusto per bere qualcosa e passare un po’ il tempo.
Prese le chiavi della Ferrari, lasciate sulla scrivania ed uscì.
***
Dopo aver pulito l’ennesimo bicchiere, alzò lo sguardo sull’orologio appeso all’entrata del bar che segnava le undici e mezza. Sbuffò di noia: un’altra mezz’ora di lavoro e poi sarebbe andata finalmente a casa.
- Mancini - la salutò una voce familiare.
Si voltò, guardando Angelica, seduta al bancone, che tamburellava le dita sulla superficie di legno - Vetra - la salutò in tono freddo, appoggiando il bicchiere pulito assieme agli altri.
- Che ci fai qui?-
- Ci lavoro - rispose - Cosa vuoi? -
La mora si passò una mano nei capelli corvini - Un Jack Daniel’s -
La servì, passandole un bicchiere colmo di liquido scuro - E tu che ci fai qui? -
Angelica bevette tutto in un solo sorso - Un giro per ammazzare il tempo - sussurrò lei, facendole segno di voler ancora da bere.
Aggrottò la fronte, riempiendole di nuovo il bicchiere.
- Ho ucciso il demone dai capelli rossi - sussurrò la mora, svuotando nuovamente il bicchiere - Quella che ha ucciso tuo fratello -
Si stupì - Davvero? Come...hai fatto? -
La ragazza sorrise, senza rispondere.
Abbassò lo sguardo - Grazie, sono in debito con te Angelica -
La mora si alzò in piedi, lasciando una banconota da venti euro sul bancone - Tieni il resto, Mancini -
- A domani, Vetra - sussurrò, ma la ragazza era già sparita.
***
Appena uscita dal bar prese a camminare a caso.
Il suo cellulare iniziò a vibrare nella sua tasca, lo prese e sorrise alla vista del nome sul display. Rispose.
- Ciao Matteo -
- Angelica, stai bene? - domandò il ragazzo dall’altra parte.
- Mai sentita meglio, perché?-
- È tutto il giorno che non ti sei fatta sentire -
Sorrise - Lo so, scusami. Domani rimedio, promesso - sussurrò con malizia - ‘Notte -
- Angelica, aspetta...- iniziò lui, ma aveva già riattaccato.
Prese un profondo respiro, facendo dietro front e ritornando alla macchina. Aveva dimenticato che il giorno dopo doveva andare a scuola “Che palle” pensò.
Si sedette al volante, osservando la sua immagine nello specchietto retrovisore. Nei suoi occhi verdi guizzò una scintilla rossa.
Sorrise - Ti avevo detto che era solo l’inizio, Angelica - sussurrò - Moriranno tutti, uno alla volta. È solo questione di giorni -
Mise in moto e partì verso casa.
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Capitolo 33
*** Capitolo 33 - Lunedì, 9 marzo 2009 ***


Lunedì, 9 marzo 2009
La sveglia, come ogni altro giorno, prese a suonare alle sei in punto. La spense subito, visto che era rimasta sdraiata sul letto a fissare il soffitto per tutta la notte. Non aveva bisogno né di dormire né di mangiare o di altri bisogni umani.
Si alzò in piedi, stiracchiandosi le braccia e schioccando il collo “Prepariamoci per trascorrere un’inutile tipica mattinata umana” pensò, ma prima doveva avvertire il capo.
Prese un aggeggio che gli umani chiamavano cellulare e compose il numero del capo che, a quell’ora, era sicuramente all’Agenzia. Dopo qualche squillo, il capo rispose - Pronto? -
- Ho buone notizie per voi -  sussurrò - Non sono riuscita ad uccidere 33, ma, in compenso, ho preso il suo corpo -
- Ottimo - rispose il capo, dall’altra parte del telefono - Ora posso cominciare a...-
- Signore - lo interruppe, sedendosi sulla sedia della scrivania - Trova saggio farlo sotto il naso dell’Agenzia? -
- Non intrometterti Kyra, so quello che faccio -
Si passò una mano nei capelli - Come vuole. Il mio compito è finito, chiedo quello che mi spetta -
- Ti verrà consegnato mercoledì - la bloccò l’uomo - Per ora devi comportarti come l’Agente 33 -
- Niente di più facile -
- Kyra, evita di fare le puttanate di ieri sera - l’ammonì il capo con voce fredda e tagliente - Hanno visto quello che hai fatto al demone -
- Quindi? -
- 33 non si comporta in quel modo, inoltre, se ti vuoi divertire, assicurati che nessuno veda e che il corpo sparisca -
- L’hanno trovato? -
- Poco prima che si trasformasse in polvere - rispose l’altro - Comportati come Angelica, altrimenti potrebbero sospettare qualcosa. Fai in modo che la ragazza non riprenda il controllo del suo corpo, altrimenti l’accordo salta -
Sorrise - Per mandarmi via dal suo corpo dovrebbero fare un esorcismo con i fiocchi - disse - A mercoledì -
- A mezzanotte -
Riattaccò, lasciandosi sfuggire una risata, guardando il suo riflesso nel vetro della finestra. Si portò una mano al petto, sentendo qualcosa agitarsi.
Sorrise - Piccola Angelica, sei arrabbiata vero? -
Quel qualcosa si agitò ancora di più.
- Non puoi farci niente - disse - Se non mi scoprono entro mercoledì rimarrai intrappolata per l’eternità. Se mi scoprono...beh, devono prendermi e fare un esorcismo -
L’agitazione nel petto si fermò di colpo. Sorrise. Ormai aveva vinto.
***
Ore 7.20
Voltò lo sguardo non appena sentì il rombo familiare di una moto altrettanto familiare.
Alzò la mano per salutare la migliore amica, che stava scendendo dalla sua Yamaha. Angelica le sorrise dopo essersi tolta il casco e le si avvicinò.
I ragazzi fuori dal cancello non avevano occhi che per lei.  
Non appena la mora fu abbastanza vicina, l’abbracciò con vigore - Angi...-
- Elisabeth - la salutò lei con tono freddo.
Si staccò, tirando su con il naso - Allora? -
Angelica la guardò, confusa - Allora cosa? -
- Cosa ti hanno detto? -
La ragazza sembrò non capire.
Sospirò - Su..ieri mattina - sussurrò, tentando di farle capire - I tuoi tagli che...-
- Ah - esclamò piano l’amica - Niente, è tutto ok -
Era indecisa se cominciare a correre urlando come un’ossessa oppure rimanere immobile a bocca aperta.
Optò per la seconda - Come ok? -
- Tutto ok -
- Ma...ma...-
- Senti... - iniziò la mora, prendendola per le spalle - Smettila di fare domande. Ho detto che è tutto ok, punto, fine. Chiaro? -
Inarcò un sopracciglio, confusa per lo strano comportamento dell’amica - Ehm...ok -
Angelica la lasciò andare e si appoggiò al muro, a braccia incrociate.
- Almeno stai bene? -
- Sì -
Calò il silenzio, interrotto dai soliti ragazzini che, passando accanto a loro, salutavano la mora, agitando timidamente una mano e sussurrando un “ciao Angelica”. La ragazza, stranamente, non li degnava di uno sguardo.
“Strano” pensò abbassando lo sguardo “Di solito li saluta per essere gentile”
Rialzò il viso e si pietrificò vedendo le iridi smeraldine dell’amica puntante su di lei, e sembravano fredde come il ghiaccio. Rabbrividì senza motivo.
- Che c’è? -
- Oggi sei...un po’ strana - ammise - Sicura di stare bene? -
- Te l’ho già detto - rispose la mora - Mai stata meglio -
- E potresti spiegarmi perché non hai lo zaino? -
Angelica inarcò un sopracciglio - Cosa? -
- Lo zaino -
La ragazza piegò appena la testa, osservando poi il suo zaino, appoggiato a terra - Lo zaino - sussurrò lei, passandosi una mano nei capelli - L’ho dimenticato -
Sgranò gli occhi “Come diavolo si fa a venire a scuola senza zaino?” pensò “Oggi Angelica vive su un altro pianeta”
***
Alzò lo sguardo, sospirando.
- Posso prestarti il mio block notes, non ti preoccupare - sussurrò Elisabeth, guardando poi oltre la sua spalla, alzando la mano destra per salutare qualcuno - È arrivato il tuo principe azzurro su un cavallo bianco -
Si voltò, guardando un ragazzo dai capelli castani che si avvicinava con un sorriso stampato in faccia. Ghignò. Non appena fu abbastanza vicino, lo agguantò, baciandolo con passione. Matteo si staccò dopo un po’ con espressione stupita - Wow -
- Ciao - sussurrò con malizia, appoggiandogli l’indice sulle labbra.
- A cosa devo tutta questa...passione? -
Si avvicinò piano al suo orecchio, mordendolo appena - Devo farmi perdonare, no? -
Lo sentì deglutire - Ah, davvero? -
Si staccò, sorridendo - Se vuoi possiamo andarcene e...- iniziò con lo stesso tono malizioso di prima - ...continuare da un’altra parte. Su un letto magari -
Matteo scoppiò a ridere, abbracciandola - Non possiamo saltare la scuola, gattina. Cosa ti prende oggi? -
Si avvicinò nuovamente al suo orecchio, soffiando appena - Sei tu...è colpa tua - sussurrò - Non riesco a resisterti, sei così sexy -
Elisabeth, tagliata fuori da tutto, tossicchio in stile Dolores Umbridge - Oggi Angelica ha la testa tra le nuvole -
Sorrise - Forse dovresti darmi un’occhiata, dottore -
La rossa si diede una sberla in fronte - E tira fuori il gioco del dottore...-
Mugugnò, ignorando le parole dell’amica - Dovremmo andare a casa -
- Angelica, che dici? Il lunedì è il giorno che ti piace di più - sussurrò il moro, mettendo fine alla discussione.
Si staccò, sospirando ed incrociando le braccia al petto “Che palle” pensò, puntando lo sguardo verso una ragazza dai capelli biondi che passò accanto a loro, bisbigliando un “Ciao secchiona”.
La guardò sparire oltre in cancello e percorrere il cortile all’interno.
“Quella ragazza ha qualcosa che...” pensò, sorridendo “Posso usarla come Angelica, per...precauzione”
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La giornata era trascorsa in modo incredibilmente lento. Le giornate umane erano davvero noiose, la scuola poi.
Prima economia, poi italiano e matematica. Ringraziò il cielo (o l’inferno) per avere la fortuna di poter “consultare” tutto quello che Angelica sapeva.
Rimase seduta per tutta la durata di quella che la petulante ragazzina dai capelli rossi aveva chiamato “ricreazione”. Aveva trattenuto a stento le imprecazioni, vedendo quei marmocchi così contenti. Si disse di resistere fino a mercoledì, poi se ne sarebbe andata. Poi ancora geografia e musica, dove si trovò costretta a premere dei pulsanti bianchi e neri di uno strano aggeggio che faceva musica.
Infine, finalmente, l’ultima ora: ginnastica.
Tutta la “mandria” di marmocchi e lei si erano diretti verso la palestra ed Elisabeth la trascinò immediatamente nello spogliatoio delle ragazze. Si sedette su una panca di legno, a braccia incrociate.
- La povera Angi non può fare ginnastica - sussurrò una ragazza mora al suo fianco, che avrebbe voluto uccidere. Dai ricordi di Angelica quella risultava essere Alice.
- Se si è dimenticata tutto a casa - rispose gentile un’altra ragazza, Vittoria, che si stava infilando i pantaloncini bianchi della divisa - Non può fare ginnastica con i jeans -
A mano a mano che si furono vestite, le ragazze uscirono dallo spogliatoio e rimasero solo lei, la petulante marmocchia dai capelli rossi, e Laura.
Si alzò in piedi, pronta a seguire Elisabeth in palestra, ma si bloccò, sentendo la voce della bionda alle sue spalle.
- Vetra? -
Si voltò, osservando Laura, ferma in mezzo allo spogliatoio con indosso la divisa da ginnastica.
- Io...- sussurrò timidamente Elisabeth - Ti aspetto in palestra -
Annuì, voltandosi verso la bionda - Dimmi Laura -
La bionda incrociò le braccia al petto - Mi spieghi cos’hai? -
Piegò la testa di lato - Come prego? -
- So del Guerriero di ieri sera, Vetra. Cosa ti prende? - domandò la ragazza avvicinandosi - Ti sei sfogata sul suo cadavere Vetra, non è una cosa normale -
- Era solo un demone, dovevo eliminarlo in qualche modo -
Osservò la bionda, scandalizzata, che indietreggiò di qualche passo - Gli hai fracassato il cranio con un piede. Tu non sei normale -
Rise piano, sorridendo in modo diabolico, allargando le braccia - No, infatti. Io sono molto di più -
Le si avvicinò, veloce come un filmine, facendola indietreggiare ulteriormente, afferrandola poi per il collo e sollevandola senza difficoltà, facendole appoggiare la schiena al muro dello spogliatoio.
- Cazzo, Vetra... - bisbigliò lei, tentando di farle perdere la presa - Mettimi giù non...respiro -
Sorrise, mostrandole i denti: sentì i canini allungarsi da soli. Alla vista di quello strano fenomeno, l’espressione di Laura era di puro terrore.
- Forse...- sussurrò stringendo ulteriormente la presa - Mi hai scambiata per un’altra persona -
- Cosa...sei? -
- Oh Laura, assomigli così tanto a tuo fratello Manuel - disse avvicinando il viso al suo orecchio - L’ho ucciso io, sai? È morto ai miei piedi, strisciando come un verme e mi implorava di risparmiarlo, piangendo come un marmocchio -
L’umana sgranò gli occhi, spalancando la bocca, pronta ad urlare imprecazioni, ma le premette una mano sulla bocca prima che potesse cominciare. Sorrise vedendo le lacrime uscirle dagli occhi, con delle piccole grida soffocate dal palmo della sua mano.
- Sai, forse potresti servirmi - sussurrò - Il capo non mi darà mai ciò che voglio, poco ma sicuro, ma se io...- disse, bloccandosi per scoppiare a ridere in modo folle, fermandosi dopo un po’ - Potrei dividere la povera anima dannata certo. Se mi uccide mentre sono nel corpo della tua amichetta io tornerei a vivere nel tuo... -
Laura, se possibile, sgranò gli occhi ancora di più, agitandosi come una furia.
- Stai ferma stupida umana! - esclamò, togliendole la mano dalla bocca ed appoggiandola sulle costole e premendo poi con forza, rompendogliene un paio. La bionda strinse forte gli occhi, trattenendo dei gemiti.
- Schifosa...puttana -
- Se provi ad urlare ucciderò tutti - la minacciò - Non credere che non lo faccia. È tutta mattina che vorrei uccidere la petulante mocciosa dai capelli rossi -
L’Agente prese dei respiri profondi - Che ne hai fatto di...Angelica? -
- Non tornerà - rispose - E tu la raggiungerai presto se dovessero uccidermi -
Soffiò appena e dalle sue labbra uscì della polvere di un rosso scarlatto, che svanì poco prima di toccare la ragazza che teneva per il collo, che perse subito i sensi. La lasciò, facendola crollare a terra. Sperò di aver fatto la scelta giusta: ora non poteva più dividere la sua anima, il massimo era due volte. Tutti morivano se tentavano di fare lo stesso procedimento una terza volta.
S’inginocchiò accanto alla bionda, che si sarebbe risvegliata a breve senza ricordare nulla di quello che era appena accaduto.
Laura si mosse, mugugnando qualcosa.
- Laura? Stai bene? - domandò, sfiorandole una spalla.
La ragazza socchiuse gli occhi, portandosi una mano alla testa - Vetra? Cosa diavolo è successo? -
- Sei svenuta e credo che tu abbia...-
- Sbattuto la testa - concluse lei - Lo sento, cazzo, fa un male cane -
- Vuoi che ti accompagni in infermeria? -
***
Alzò lo sguardo verso Angelica, inginocchiata davanti a lei un mano appoggiata sulla sua spalla.
“Svenuta? Io?” pensò, osservando poi Elisabeth, l’amica della secchiona sulla porta, che le guardava con espressione preoccupata.
- Tutto bene? -
La mora si alzò in piedi, voltandosi verso la ragazza ed annuì - Laura si è sentita male ed è meglio che l’accompagni in infermeria -
La rossa la guardò, ritornando poi a fissare l’amichetta del cuore - D’accordo, avviso la prof -
Si appoggiò anche l’altra mano alla testa, sentendola pulsare ancora più forte.
“Perché non mi ricordo niente?” pensò.
Angelica l’aiutò ad alzarsi, mentre Elisabeth sparì di corsa per ritornare in palestra. Non appena fece il primo passo trattenne un conato di vomito.
- Non stai per niente bene, Laura -
Si passò una mano nei capelli biondi - Perché diavolo mi chiami Laura? -
- Solidarietà femminile? -
- Solidarietà femminile un cazzo, Vetra - sussurrò, mentre uscirono dallo spogliatoio e poi dalla palestra, rientrando nell’edificio scolastico.


Seduta su un lettino dell’infermeria, guardò la mora seduta sul letto accanto, leggermente preoccupata.
- Sicura di stare bene? - domandò lei, incrociando le braccia al petto.
- Io sono una roccia, Vetra -
- Però sei svenuta comunque -
Sbuffò - Sarà stato un colpo di sole -
- A marzo? -
La fulminò con un’occhiataccia che l’avrebbe sicuramente uccisa se non fosse Angelica Vetra - Ho la pelle delicata -
Lei, ignorando la sua occhiataccia, sospirò - A chi lo dici -
Si portò una mano alla fronte, mentre nell’infermeria calò un silenzio di tomba; riusciva a sentire il battito lento del suo cuore, ma Angelica non emetteva alcun suono: sembrava che non respirasse nemmeno.
- Credo che...ci sia una cosa che dovevo dirti...- sussurrò, abbassando lo sguardo sul pavimento di mattonelle bianche.
- Probabile, ma...sei svenuta prima di chiedermi qualcosa -
Prese un respiro profondo - Non mi ricordo... -
***
Sorrise - Non ti preoccupare - sussurrò - Se era importante ti tornerà in mente - aggiunse, sapendo però che Laura avrebbe ricordato gran poco: la metà della sua anima aveva parzialmente cancellato i suoi ricordi. Si alzò in piedi, sospirando - Se tu stai bene allora posso andare -
- Sì, vai Vetra, che mi rovini la reputazione stando qui -
Ghignò - Sì, certo - disse in tono ironico, uscendo dall’infermeria senza aggiungere altro.
Ripercorse il corridoio ed uscì, ritornando in palestra, fermandosi sulla porta ed appoggiandosi allo stipite a braccia incrociate, osservando quel gruppetto di marmocchi che giocavano a chissà cosa: il marmocchio che aveva il pallone in mano doveva colpirne un altro, e se si veniva colpiti, ci si sedeva da una parte.
Dopo diversi minuti a guardare quegli umani che si divertivano con un misero pallone, la campanella prese a suonare, terminando dopo pochi secondi. Un attimo di sollievo prima che la petulante ragazzina dai capelli rossi la trascinasse nuovamente nello spogliatoio.
Si sedette sulla panca, accavallando le gambe - Domani non vengo a scuola -
Elisabeth, dopo essersi sfilata la maglia, la guardò male - Perché? -
- Ho da fare - disse - E poi parto mercoledì sera -
La rossa spalancò la bocca - E quando avevi intenzione di dirmelo? -
Le lanciò un’occhiataccia - Non avevo intenzione di dirtelo -
L’umana sembrò non capire le sue parole, si limitava a fissarla con gli occhi pieni di lacrime, mentre Alice e Vittoria, che non avevano sentito niente, guardavano preoccupate sia lei sia la rossa piagnucolona.
- Perché? -
Si alzò in piedi, prendendo il suo casco, passandole poi accanto - Ti aspetto fuori -
Uscì dallo spogliatoio, incrociando Matteo, che si fermò, aspettandola. Sorrise sentendo qualcosa agitarsi nello stomaco.
- Vuoi fare qualcosa oggi? - domandò quando gli fu accanto.
Il moro le sorrise - Devo portare Sonia in piscina visto che mia madre non c’è, però stasera posso venire da te -
Sorrise - Ottimo -
Si avviarono verso l’uscita della palestra e, quando furono fuori, lei si fermò e lui subito dopo. Gli fece segno di andare - Devo parlare con Elisabeth -
Matteo annuì, la salutò e proseguì. Dopo pochi minuti tutti uscirono e la piattola rossa per ultima.
- Angi - sussurrò piano la ragazza - Dimmi che è uno scherzo -
Scosse la testa - No, Elisabeth. Devo partire -
- Perché me l’hai detto solo adesso? -
Iniziò a spremersi le meningi, cercando una risposta da umana, senza però trovarla.
- Angelica? -
- Non voglio mettervi in pericolo - mentì - C’è qualcuno che mi vuole morta -
- Dove andrai? -
Sospirò - Non posso dirtelo, ti metterei a rischio -
Elisabeth abbassò lo sguardo non appena delle lacrime presero a rigarle le guance - E...non tornerai più? -
- No, non tornerò più a Verona -
La ragazza tirò sul con il naso - Posso...venire da te domani? Per salutarci come si deve? -
Fece un sorriso tirato - Certo -
- Così cantiamo Candyman un’ultima volta -
Aggrottò la fronte - Cantiamo cosa? -
Elisabeth parve confusa - Candyman -
- Non so cosa sia -
- La canzone, Angi. La canzone di Christina Aguilera -
- Non so chi sia questa Christina Aguilera - disse incamminandosi, lasciando Elisabeth ferma sulla porta della palestra - Ciao -  
***
Dopo essere uscita dall’infermeria si diresse verso la palestra per recuperare lo zaino e tornare finalmente a casa. Aveva incrociato Angelica ed uno strano flashback le annebbiò la mente, mostrandole l’immagine della mora che la prendeva per il collo. Non ci aveva fatto caso ed aveva recuperato le sue cose ed era tornata a casa in fretta e furia, buttandosi subito sul letto. Più tardi doveva andare all’Agenzia ad allenarsi un po’, ma prima una bella dormita le avrebbe fatto solo che bene.
Tentò di addormentarsi più e più volte, ma degli strani flash le mostravano delle immagini che non ricordava di aver vissuto: Angelica che l’afferrava per il collo, Beatrice che le parlava tenendo gli occhi bassi, ma non riusciva a sentire nessuna parola o suono; poi ancora Angelica con una strana scintilla rossa negli occhi.
Era rimasta sul letto per un paio d’ore, poi si era alzata, stufa e confusa da quelle immagini senza senso, e disturbata dalla continua vibrazione del suo Iphone.
Rispose in tono scontroso.
- Laura, allora? - domandò Beatrice.
- Allora cosa? -
- Le hai parlato? -
- A chi? -
- Ad Angelica, cazzo - imprecò la collega dall’altra parte - Il suo sangue ha qualcosa che non va. Ha subito degli strani cambiamenti qualche ora fa -
Si portò una mano alla fronte - Quando me l’hai detto? -
- Questa mattina - rispose lei - Laura, che ti prende? -
- Non lo so -
- In più dovevi parlarle di quello che è successo ieri -
Ora era veramente confusa - Che è successo ieri? -
- Il Guerriero, Laura! -
- Quale Guerriero? -
- Ma porta puttana, mi stai prendendo per il culo? -
- No, davvero. Non mi ricordo...-
- Il Guerriero che ha affrontato Angelica ieri sera - spiegò Beatrice - Laura, gli ha sfondato il cranio con un piede dopo che l’aveva ucciso -
Aggrottò la fronte - Davvero? -
- Laura...ne parla mezza Agenzia -
- Senti, più tardi vengo lì e mi spieghi meglio, ok? - domandò e, senza attendere risposta, riattaccò.
Sospirò, passandosi una mano nei capelli biondi “Cosa diavolo combini, Vetra?”
***
Ore 18.42
Era seduta sul letto, giocherellando con la collana che portava al collo.
Qualcosa si agitò più che mai in lei.
- Lo so che sei arrabbiata, Angelica - disse - Ma non puoi farci niente, quanto volte devo dirtelo? -
Tutto si calmò nuovamente e sorrise non appena il campanello suonò. Corse ad aprire a Matteo, che la raggiunse con un sorriso.
Lo baciò sulle labbra, tirandolo nell’ingresso e chiudendo la porta con un tonfo.
- Siamo in vena di coccole oggi, eh? - domandò lui, staccandosi appena. Gli tappò la bocca con un altro bacio ancor più passionale, abbassandogli la cerniera della giacca. Lo trascinò poi verso le scale, togliendogli completamente la giacca e lasciandola cadere a terra, giocherellando poi con l’orlo della t-shirt.
- Angelica...- sussurrò lui. Lo zittì appoggiando le labbra sulle sue, mordendogli il labbro inferiore.
- Shhh, zitto - sussurrò lei staccandosi appena - Facciamo sesso -
Inarcò un sopracciglio, sorpreso - Ehm...ok -
Lo baciò ancora, attirandolo in camera e lo fece sdraiare sul letto, togliendogli la maglietta e i pantaloni. Lui fece lo stesso, senza smettere di baciarla. Sorrise non appena quel qualcosa prese ad agitarsi nel suo stomaco.
“Senti cosa posso fare al tuo adorato Matteo” pensò, mentre l’anima di Angelica prese ad agitarsi ancor di più.
Si tolsero gli ultimi vestiti e si guardarono. Fece un falso sorriso al ragazzo, passandogli una mano nei capelli - Baciami - sussurrò.
Lui obbedì e l’anima di Angelica smise di agitarsi.
***
Si mise le cuffiette nelle orecchie, mettendo poi l’Ipod nella tasca dei pantaloncini subito dopo averlo acceso. Nelle sue orecchie rimbombò a tutto volume la canzone Highway to hell degli AC/DC, e subito si sentì piena di energie. Incredibile come una canzone potesse darle una carica simile.
Schioccò le dita, puntando poi lo sguardo verso un ragazzo, noto come 137, dall’altra parte della palestra, che si allenava con un collega della sua età, con delle aste di legno.
“ Magari posso allenarmi con loro” pensò, stiracchiandosi le braccia.
Dopo dieci minuti di stretching e qualche giro di corsa avanti e indietro per la palestra, si avvicinò ai due a passo svelto, togliendo le cuffiette dalle orecchie e spegnendo l’Ipod. 137 fu il primo a smettere di allenarsi per salutarla.
- Vi dispiace se mi unisco a voi? -
Il biondo scosse la testa, mentre il compagno, un ragazzo dai capelli castano chiaro un po’ sparati in tutte le direzioni e gli occhi marroni, ghignò - Sicura di non farti male, bambolina? -
“ OH!!BAMBOLINA A CHI?!?!” pensò, afferrando l’asta di 137 e colpendo il moro alle gambe, facendolo cadere a terra.
Gli si sedette sul petto, puntandogli contro l’indice - Per prima cosa, pivellino truzzo che non sei altro, io ti stendo quando voglio senza farmi un graffio, intesi? E seconda cosa: non chiamarmi bambolina, perché la prossima volta ti faccio il culo a strisce, chiaro? -
Il ragazzo annuì, e lei si rialzò in piedi, ridando l’asta al proprietario. Il moro, ferito nell’orgoglio, si rialzò in piedi, togliendosi la polvere dai vestiti e raccogliendo poi la sua asta per cederla al biondo - Allenati tu con questa pazza, Francesco. Io me ne vado a casa - disse lui, allontanandosi, salutando 137 con un gesto della mano.
Lei e il biondo rimasero lì per un attimo, in silenzio, poi il ragazzo le porse la mano - Piacere, io mi chiamo Francesco - si presentò lui.
Gli strinse la mano - Piacere io sono...-
- Laura - rispose lui con un sorriso - Eravamo matricole insieme -
Sorrise a sua volta - Ecco dove ti ho già visto -
Il biondo, doveva ammetterlo, era davvero carino. Distolse lo sguardo dai suoi occhi azzurro ghiaccio. Lui le diede una delle due aste - Cominciamo? Perché non posso restare per molto -
Annuì, impugnando meglio il bastone - Certo -
Presero a girarsi intorno, studiandosi a vicenda.
Attaccò subito, tentando di disarmarlo per mettere immediatamente fine allo scontro amichevole, ma Francesco colpì l’asta con la sua, deviandone la traiettoria. Fece tornare indietro il bastone, ma il ragazzo la evitò ancora, facendo un saltello indietro, caricandola subito dopo.
 Riuscì a schivarlo saltando all’ultimo secondo, ma il bastone le sfiorò comunque la guancia destra.
Si abbassò di scatto, cercando di colpirlo alle gambe per fargli perdere l’equilibrio, ma, ancora una volta, il biondo evitò la sua asta, saltando per colpirle con forza la spalla destra. Strinse i denti e chiuse gli occhi, ma quando li riaprì era distesa a terra, supina, con l’asta dell’avversario puntata al petto, che si alzava ed abbassava velocemente.
Prese un respiro profondo - Ti seri risparmiato, vero? Perché sono una ragazza -
- Purtroppo  non posso fare a meno di fare il gentiluomo - disse Francesco, togliendo il bastone e porgendole la mano.
Accettò l’aiuto e si rialzò, trovandosi ad un soffio da lui.
- Ti sei fatta male? -
Distolse lo sguardo dalle sue iridi ghiacciate - No, ci sei andato leggero, non preoccuparti - sussurrò, massaggiandosi la spalla - Hai tempo per riprovare? -
Francesco si passò una mano nei capelli - Purtroppo devo tornare a casa -
Annuì - Certo, scusami se ti ho trattenuto troppo -
- No, figurati. Non ti devi nemmeno scusare, mi sono divertito -
- Mi concederai la rivincita un giorno? -
Lui sorrise - Certo -
- Allora...ciao - sussurrò “Laura! Si può sapere perché ti impaperi sempre con un ragazzo carino?!”
- Ciao -
***
Erano distesi sul letto: Matteo era sfinito, mentre lei, per niente affaticata, giocherellava con le lenzuola.
Vide il ragazzo guardarla in modo serio. Gli sorrise con malizia - Che c’è amore? Vuoi farlo un’altra volta? -
Il moro abbandonò la testa sul cuscino - No, grazie -
- Non pensavo che ti stancassi così velocemente, micione -
- Sei tu che hai qualcosa di strano - ribatté l’umano.
Mugugnò qualcosa e si tolse di dosso il lenzuolo, sedendosi a cavalcioni su di lui - Io sarei strana? -
- Sì - rispose il moro - Se non avessi smesso il letto si sarebbe sicuramente sfondato -
Sorrise in modo quasi diabolico - E questo non è niente -
Fece per baciarlo un’altra volta, ma fu interrotta dal suono del suo cellulare. Si alzò e rispose - Pronto? -
- 33, abbiamo un categoria A -
Sbuffò - D’accordo - disse riattaccando. Iniziando a vestirsi.
- Dove vai? -
- Devo andare - rispose - Questione di un’oretta, non ti preoccupare. Stai pure qui... - aggiunse infilando una t-shirt e un paio di jeans, sopra la biancheria ovviamente. Si avvicinò al ragazzo e lo baciò - Torno subito -
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Era arrivata nella zona della segnalazione del demone di categoria A: era in un grande parcheggio, un po’ fuori Verona, ma c’erano comunque molte macchine parcheggiate in modo ordinato sulla terra, visto che il parcheggio non era asfaltato.
Uno strano verso attirò la sua attenzione, si abbassò e raccolse un sasso da terra e lo lanciò verso il suono.  
Un demone prese subito il volo, voltandosi verso di lei, rimanendo sospesa in aria, battendo a ritmo costante le sue ali. Il demone, dopo averla osservata per qualche secondo, emise un verso stridulo, spalancando la bocca due volte più del normale, mostrandole una sfilza di denti acuminati. Sorrise, finalmente le capitava qualcosa di divertente: una Furia.
Le Furie erano demoni dal corpo di donna con la pelle grigiastra o color sabbia, potevano spostarsi a grande velocità da un luogo all’altro senza difficoltà, grazie alle loro ali, simili a quelle di un pipistrello, che sbucavano dalla schiena: erano piccole e scheletriche, rivestite da una membrana grigia quasi trasparente, che metteva in risalto i capillari neri. Erano anche il loro punto debole: le ali garantivano l’equilibrio alle Furie.  
Il demone in questione, ancora sospesa in aria, aveva la pelle grigiastra, il corpo era esile e magro e non indossava praticamente nulla. Il volto era umano, eccetto per la colorazione della pelle ovviamente, i lineamenti erano affilati, le labbra sottili ed aveva i capelli biondi, che le toccavano le spalle. Il suo sguardo si soffermò sulle mani del demone: avevano tre dita ciascuna, e le unghie erano lunghe una decina di centimetri e ricurve come quelle delle aquile. I racconti narrano che le Furie si divertano a strappare il cuore alle loro vittime per poi mangiarlo; probabilmente, le unghie avevano quello scopo.
La Furia atterrò sulla cappotta di una Volkswagen Golf blu, piegando la lamiera che componeva la carrozzeria, e poi vi affondò le unghie, strappando via qualche pezzo con diversi cigolii metallici. Dopo uno strano verso stridulo, la creatura puntò gli occhi completamente neri verso di lei - Una cacciatrice - sibilò il demone, con voce roca, quasi da vecchia - Era anni che non vedevo una cacciatrice donna -
Sorrise in modo diabolico, portando la mano all’elsa della katana che, fortunatamente, era riuscita a prendere senza che Matteo la vedesse - E sarò l’ultima cosa che vedrai -
La Furia conficcò ancora di più le unghie nella carrozzeria della Volkswagen, aprendo la bocca ed emettendo uno strillo acuto, nel tentativo di intimidirla. Non si mosse di un millimetro.
- Se credi di farmi paura ti sbagli di grosso - sussurrò sguainando la spada, puntandola verso l’avversaria - Dovrai fare molto di più -
Il demone estrasse le unghie dalla cappotta dell’auto, saltando poi su un’altra macchina, piegando la lamiera e facendo esplodere tutti i finestrini. Dopo aver emesso un altro urlo, spalancò le ali e, battendole una volta sola, prese il volo, fermandosi a diversi metri d’altezza.
Sorrise, schioccando il collo “Si comincia”
La Furia piombò in picchiata, allungando le mani verso di lei, come un’aquila che tenta di afferrare un povero topolino indifeso. Le sue unghie sembravano brillare alla luce dei lampioni del parcheggio.
Si spostò all’ultimo secondo, balzando su una BMW accanto a lei, aspettando il momento giusto. Il mostro, dopo essere ritornata in aria, ripiombò su di lei, urlando. Sorrise, spostandosi all’ultimo secondo, tranciandole di netto l’ala destra, che cadde a terra, dimenandosi ancora. La Furia, invece, perso l’equilibrio per l’ala mancante, finì a terra, alzando una nuvola di polvere per poi rialzarsi quasi immediatamente, traballando un pochino, tentando di stringersi il moncherino dell’ala tagliata, situato più o meno sopra le scapole. Dopo aver rinunciato al tentativo di stringere la ferita appena inferta, la Furia puntò gli occhi verso di lei, mostrandole i denti - Me la pagherai cara! -
Rimase immobile quando la Furia corse verso di lei a grande velocità, barcollando, ma graffiandole appena una guancia.
Si voltò verso il demone, sorridendo, mentre sentiva che la pelle si rimarginava da sola in un secondo - È la tua fine - disse rinfoderando la spada.
La Furia, ansimante, non si accorse di niente: una frazione di secondo ed era arrivata davanti al demone, affondandole una mano nel petto senza il minimo sforzo. Il mostro urlò di dolore, tentando di allontanarla, dimenandosi inutilmente mentre un fiotto di sangue le usciva dalla bocca.
Strinse appena sentendo il cuore della Furia nella sua mano che batteva all’impazzata - Adesso capisco come vi sentite voi Furie a strappare il cuore alla gente - disse chiudendo appena le dita, sentendo i battiti del cuore ancora più forte - È una sensazione magnifica... -
- Ti prego - disse la creatura, guardandola con terrore - Risparmiami -
Sorrise - Perché mai? -
- Ti prego - sussurrò l’avversaria.
Ritornò seria, chiudendo le dita ancor di più - Tutto inutile - rispose - Voi Furie siete così patetiche, tentate di salvarvi quando ormai sapete che è finita -
- Abbi pietà...-
Rise in modo folle, alzando lo sguardo al cielo - Io...- iniziò, riabbassando lo sguardo - Non provo pietà -
Con uno scatto fulmineo le strappò il cuore dal petto, facendoglielo penzolare davanti agli occhi sgranati per il terrore.
- Mangiati questo - sussurrò, infilandole il suo stesso cuore nella bocca pochi secondi prima che la Furia cadesse a terra, priva di vita.
Si guardò il braccio destro, sporco di sangue nero, sorridendo in modo folle; poi girò i tacchi e se ne andò, lasciandosi sfuggire una risata, mentre dal cielo iniziarono a cadere grossi goccioloni di pioggia.
***
Dopo una veloce doccia negli spogliatoi dell’Agenzia, si era cambiata e si era diretta verso l’infermeria.
Beatrice era seduta su una seggiola pieghevole, tenendosi la testa tra le mani con i capelli che le coprivano il volto, mentre Marco era chino su un microscopio.
- Allora? - domandò, facendo alzare di scatto la testa a Beatrice, che, evidentemente, non l’aveva sentita entrare.
- Allora siamo nella merda...- rispose Marco senza rialzare lo sguardo - Il dna di Angelica si è...in qualche modo legato con quello demoniaco -
Si appoggiò allo stipite della porta, incrociando le braccia al petto - Tradotto per i comuni mortali? -
- In qualche modo...- iniziò la bionda - Un demone ha...preso possesso del corpo di Angelica -
Si passò una mano nei capelli - Quindi? Cosa facciamo? -
Beatrice si alzò in piedi, e fece un sorriso forzato - La Direttrice sa tutto, dobbiamo trovare Angelica e portarla qui -
- E una volta qui? Cosa vuoi farle? -
- Ne parlerò di nuovo con la Direttrice...- sussurrò la collega, superandola - Potresti tenerla d’occhio? -
Annuì, incamminandosi verso l’uscita dell’Agenzia.
Non appena fu sull’uscio della vecchia casa, che fungeva da copertura, vide Francesco, seduto per terra, che osservava il parcheggio, pieno di pozzanghere qua e là.
- Che tempo - sussurrò, vedendo la pioggia che cadeva sulle poche macchine parcheggiate fuori.
Il biondo si girò subito, alzandosi in piedi - Già -
- Fortuna che sono in macchina - disse cercando le chiavi della sua Peugeot 206, ovviamente nera.
- Beata te - rispose lui - Io sono a piedi -
- Vuoi un passaggio? -
Francesco le si avvicinò - Non vorrei darti disturbo -
- Non ti preoccupare - replicò - Vorrà dire che un giorno mi pagherai qualcosa da bere - disse, rendendosi conto solo dopo pochi secondi di silenzio della puttanata che aveva appena detto “Laura sei una buona a nulla! Si fa così a rimorchiare qualcuno secondo te?!” disse la vocina cattiva nella sua testa, dato che quella buona, oramai, non parlava da anni.
Francesco alzò le spalle, sorridendole - D’accordo, grazie -
- Non c’è di che -
***
Bussò alla porta dell’ufficio della Direttrice, e subito la donna sussurrò un febbrile “avanti”. Aprì piano la porta e la chiuse subito dopo, voltandosi verso la Direttrice, tenendo la testa bassa.
- Siediti Beatrice - disse cortesemente la donna, e lei obbedì - Novità? -
- No, nessuna, signora - rispose rialzando lo sguardo - Sa già tutto. Angelica deve essere trovata il prima possibile -
La Direttrice si mise le mani nei capelli scuri, quasi neri - È un casino. È un gran casino -
- Angelica potrebbe diventare un pericolo - disse - Se la cosa peggiora dovremmo...-
- Ucciderla - terminò la donna al posto suo, rialzando gli occhi grigi - Ma prima proveremo di tutto. Non ho intenzione di perdere 33 -
Sospirò - Dobbiamo chiamare l’esorcista? -
La Direttrice annuì - Il più bravo, Beatrice, il migliore. E raduna una squadra di sette uomini. Catturatela e portatela qui -
Si alzò in piedi. Poche volte era uscita dall’Agenzia per una missione ed ogni volta era più agitata che mai.
- Domani la porteremo qui -
La mora sospirò - Fai attenzione Beatrice. Tu devi solo immobilizzarla con i sigilli, li ho già fatti preparare - disse lei, aprendo uno dei cassetti della scrivania, estraendo un sacchetto di cuoio, pieno di spilli d’argento di media dimensione, dove delle strane lettere sembravano brillare di una strana luce dorata. Li prese, ringraziando la Direttrice, uscendo poi dall’ufficio.
Si appoggiò al muro del corridoio, mettendosi una mano nei capelli: ora doveva trovare sette uomini che potrebbero tenere testa sia ad Angelica sia ad un demone di categoria A. Quella sera aveva qualcosa da fare.
***
Non appena fu arrivata a casa, nascose la katana, lavandosi immediatamente il braccio sporco di sangue, ormai secco, prima che Matteo potesse vedere qualcosa. L’ultima cosa che voleva era un adolescente umano impazzito che faceva domande sul suo braccio sporco di sangue e sul perché teneva una katana in casa. Ritornò nella camera da letto e vide il ragazzo addormentato. Sorrise: avrebbe potuto ucciderlo con un semplice gesto, ma non voleva farlo, c’era un’altra persona che voleva morta prima di andarsene da Verona. La piattola dai capelli rossi l’avrebbe pagata cara per quel pezzo di legno che qualche sera fa le aveva tirato in testa, distraendola da Angelica.
Si sedette accanto al ragazzo, appoggiandogli una mano sulla guancia, accarezzandola con lievi gesti - Matteo? - lo chiamò piano, e lui socchiuse subito gli occhi - È meglio se torni a casa -
Il ragazzo si mise a sedere, guardandola con gli occhi ancora socchiusi - Qualcosa non va? -
Sorrise, mentre cercava di inventarsi una scusa - Ho bisogno di stare un po’ da sola -
- Va tutto bene? - domandò il ragazzo, prendendola la mano e stringerla dolcemente.
Annuì - Sì, tranquillo - sussurrò - Ora vai -
Il moro si alzò e, in silenzio, si rivestì velocemente, uscendo dalla camera subito dopo averle dato un bacio sulle labbra. Sorrise sentendo qualcosa agitarsi dentro di lei quando il ragazzo sussurrò due parole che, solitamente, si scambiavano gli innamorati umani. Ghignò non appena sentì la porta chiudersi con un tonfo.
Si sdraiò sul letto, osservando il soffitto, tentando di pianificare in modo semplicemente perfetto la morte della piattola rossa. Scosse la testa. No, quella non era roba per lei, l’avrebbe semplicemente sgozzata per poi osservarla morire lentamente, accasciata sul pavimento.
Lo squillo del cellulare la riscosse dai suoi sanguinosi pensieri, si alzò, imprecando, e rispose.
- Ti hanno scoperta, brutta idiota -
Era il capo. Sorrise - Lo immaginavo -
- Lo immaginavi, Kyra? All’Agenzia stanno preparando una squadra per venire a prenderti il più presto possibile e riprendersi 33 -
Scoppiò a ridere - Ti stai preoccupando per me? -
- No, voglio che il mio piano fili liscio - rispose l’uomo in tono freddo.
Si fece nuovamente seria - Lei si assicuri di mantenere la sua parola -
- Mercoledì, a mezzanotte. Se non ti avranno presa -
Ghignò e riattaccò, sdraiandosi nuovamente sul letto “Non ci riusciranno” pensò.
***
Era a letto, sotto le coperte, che osservava intensamente il soffitto.
Ancora sconvolta per la notizia che Angelica le aveva dato quella mattina, prese il cellulare: nessun messaggio.
In più una cosa non le tornava: perché l’amica aveva la testa sulle nuvole? Perché non ricordava il titolo una canzone di Christina Aguilera, quando l’avevano cantata mille e mille volte? Perché non si ricordava nemmeno chi fosse Christina Aguilera, quando ascoltava le sue canzoni tutti i giorni?
Si mise a sedere, passandosi una mano nei capelli. Non riusciva proprio a prendere sonno.
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Capitolo 34
*** Capitolo 34 - Martedì, 10 marzo 2009 ***


Martedì, 10 marzo 2009
Seduta al suo posto, osservava il banco vuoto accanto al suo, tenendo la testa sul banco. Vide Matteo entrare in classe e sorprendersi alla vista del banco vuoto della mora.
Prima che il moro potesse parlare, appoggiò la testa sul banco, osservando da un’altra parte - Ieri aveva detto che oggi non veniva -
Sentì Matteo sedersi al posto della fidanzata, per tenerle un po’ di compagnia - Pensavo che scherzasse -
Sospirò - Anch’io. Speravo con tutto il cuore che scherzasse -
- Ti ha detto qualcosa? -
Si portò una mano alla fronte, voltando la testa verso il ragazzo, tenendola sempre appoggiata al banco - No - mentì - Niente -
***
 Guardò Elisabeth, seduta qualche banco più in là, che teneva la testa sul banco con aria afflitta.
Si alzò, avvicinandosi silenziosa alla rossa - Hall -
La ragazza non alzò gli occhi - Mancini -
- Ti posso parlare? -
Elisabeth alzò la testa, scrutandola con occhi socchiusi - Di che si tratta? -
- In privato, Hall - disse, voltandosi e dirigendosi verso la porta, seguita dalla compagna.
Si fermarono nel corridoio fuori dalla classe, abbastanza lontane dalla porta per non essere ascoltate.
- Te l’ha detto, vero? - domandò.
Elisabeth, dapprima confusa, capì poco dopo di cosa stava parlando, ed annuì.
- È successo sabato? -
- Sì -
- Chi era? -
- Angelica mi ha raccontato la storia era...- iniziò la rossa, tenendo gli occhi bassi - ...era il demone che ha ucciso tuo fratello -
Il tempo sembrò essersi fermato a quelle parole.
“Il demone dai capelli rossi” pensò, mentre un flash le annebbiava la mente...
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Angelica mi si avvicina, veloce come un filmine. Indietreggio, cercando di evitarla, ma mi afferra per il collo, sollevandomi come se fossi una bambola di pezza, facendomi poi appoggiare la testa al muro dello spogliatoio.
- Cazzo, Vetra... - bisbiglio, tentando di farle perdere la presa piantandole le unghie nella carne.
Lei sembra non sentire niente - Mettimi giù non...respiro -
Angelica sorrise, mostrandomi i denti. I canini si allungarono da soli. Tremo, temendo il peggio non appena vedo una scintilla scarlatta nei suoi occhi verdi.
- Forse...- sussurra la ragazza stringendo ulteriormente la presa - Mi hai scambiata per un’altra persona -
- Cosa...sei? -
- Oh Laura, assomigli così tanto a tuo fratello Manuel - dice Angelica avvicinando il viso al mio orecchio - L’ho ucciso io, sai? È morto ai miei piedi, strisciando come un verme e mi implorava di risparmiarlo, piangendo come un marmocchio -
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Si portò una mano alla fronte, appoggiando la schiena al muro e stringendo gli occhi con forza.
- Laura? -
Scivolò a terra, tenendo la testa tra le mani, che sembrava voler scoppiare.
“Come diavolo è potuto accadere, Vetra?” pensò, prendendo dei respiri profondi, tentando di calmare il cuore nel petto che sembrava voler scoppiare “Se è così devo avvertire Beatrice. Altrimenti moriranno tutti”
- Laura? Ti senti bene? - domandò la rossa, inginocchiata al suo fianco.
- Ti ha detto altro? -
- Ha detto che...mercoledì doveva andarsene da Verona...-
La guardò - Elisabeth, devi farmi un favore -
La compagna, confusa, annuì.
- Non andare da Angelica -
- Perché? -
Si alzò in piedi - È pericoloso -
- Che è successo? -
Non le rispose. Tornò in classe e prese lo zaino, ignorando Veronica che parlava a vanvera, chiedendole perché stava prendendo lo zaino.
Uscì dalla classe e poi dal cancello d’entrata della scuola. Doveva raggiungere l’Agenzia al più presto. Non c’era tempo da perdere. Salì in macchina, partendo a tutta velocità. Non si accorse della ragazza dei capelli rossi che l’aveva seguita, salendo poi su una Lancia Y.
***
Ore 8.16
Non appena il campanello suonò, andò ad aprire la porta, lasciandosi sfuggire un sospiro quando vide la piattola dai capelli rossi appoggiata al cancelletto. Le aprì: forse poteva chiudere in quel momento la sua permanenza a Verona.
- Ciao Eli - la salutò, facendo un falso sorriso.
Elisabeth, a testa bassa, entrò nell’ingresso - Ciao Angelica -
Dal tono di voce dell’umana dedusse che c’era qualcosa che non andava - Come mai non sei a scuola? È successo qualcosa? -
- Angi - iniziò la ragazza, senza mai alzare lo sguardo - Mi dici che sta succedendo? Perché te ne devi andare così? -
- Non sta succedendo niente - sussurrò, schioccando le dita, pregustando il momento dell’imminente morte dell’umana.
***
Spalancò la porta dell’infermeria, dove Marco si voltò di scatto, spaventato.
- Dove cazzo è Beatrice? -
Il nano inarcò un sopracciglio - In armeria credo -
- Ho guardato, non c’è -
- Allora è in palestra con i sette Agenti -
Non perse un secondo di più: corse per i corridoi dell’Agenzia, ignorando gli Agenti che la salutavano o che la guardavano male. Entrò in palestra dove c’era una fila di sette uomini, in riga, come soldati, e Beatrice, davanti a loro, parlava di quello che avrebbero dovuto fare.
- Beatrice! -
Tutti si voltarono, ma solo la bionda le si avvicinò - Che c’è Laura? -
- Siamo...- iniziò, con il fiatone - ...nella merda -
***
Si sedette sul divano, mentre Angelica rimase in piedi, appoggiata alla tavola con le braccia incrociate, osservando il pavimento con intensità, pensando a chissà cosa.
- E invece sei cambiata, Angelica - ribatté - Sei cambiata da sabato -
L’amica alzò gli occhi verdi, puntandoli nei suoi: giurò di vedere una scintilla di rosso.
- Non sono cambiata proprio per niente -
- Angelica - iniziò - Ti prego, dimmi che succede. Mi sto spaventando. Laura oggi mi ha chiesto cose su di te e...-
La mora sgranò appena gli occhi, come se fosse sorpresa per quello che aveva appena detto - Laura? -
- Mi ha detto di non venire da te, perché è pericoloso e...- iniziò, abbassando lo sguardo - Poi è corsa fuori da scuola. Io ho fatto lo stesso e sono venuta qui -
- Hai visto dove andava? -
Tentò di ricordarsi - Lei si è fermata in un parcheggio, non lontano da qui dove c’è quella vecchia casa - disse - Poi ho tirato dritto -
Il volto di Angelica sembrava essersi trasformato in una maschera di marmo - Schifosa ragazzina... - sibilò lei.
- Come? -
La mora sorrise - Verranno qui immagino. È andata all’Agenzia per avvertirli...quell’umana si è ricordata -
Non capiva niente. Umana? - Angi, che stai dicendo? -
L’amica sembrò non sentirla, continuava a parlare da sola.
- Mi basterà aspettare...-
- Chi? - domandò, sentendo subito le dita fredde di Angelica stringersi intorno al suo collo, sollevandola poi senza difficoltà.
- Grazie per avermi avvisata, ragazzina - disse la mora, sorridendo - Hai fatto male a venire qui sai? -
- Angi, ma cosa...-
Sentì subito l’aria mancarle e spalancò la bocca, annaspando.
- Stupida umana, dovevi dar retta alle parole della tua amica Laura -
- Chi...- sussurrò lievemente, con le lacrime agli occhi - ...sei?-
- Non lo vedi? Sono la tua cara amica Angelica -
Le lacrime iniziarono a rigarle le guance, finendo sulle mani della mora che la teneva per il collo - Ti prego...non respiro...-
La ragazza si passò la lingua sui denti - Oh, non respiri? -
- Chi...sei? - domandò ancora.
La migliore amica avvicinò il viso al suo orecchio - Io sono Angelica, Elisabeth -
- No... - rispose sentendo altre lacrime che le rigavano le guance - L’Angelica che conosco io è...buona e gentile...non farebbe mai del male ai...suoi amici...e... - disse, lasciandosi sfuggire un lamento, non riuscendo più a parlare - ...tu...sei un...mostro...-
Sentì la stretta di Angelica affievolirsi, liberandola poi del tutto. Si sedette a terra, portandosi una mano al collo, tossendo non appena sentì il sapore metallico del sangue in bocca.
- Sì, sono un mostro - sussurrò la mora con una mano davanti al viso.
- Forse...all’Agenzia possono fare...qualcosa - disse, massaggiandosi il collo.
La mora voltò lo sguardo verso di lei: i suoi occhi erano rossi come il sangue; poi sorrise in modo diabolico, mostrando i canini allungati come i vampiri nei film - Oh, nemmeno per sogno. Lei mi ha uccisa e io adesso ho il suo corpo -
Panico assoluto. Si ritrovò sdraiata a terra, con la migliore amica seduta a cavalcioni sopra di lei, che le bloccava le braccia sopra la testa.
- E vi ucciderò tutti: dal primo all’ultimo. Cominciando da te e poi da quelli che verranno qui per uccidermi... -
- Angi...- sussurrò, mentre altre lacrime presero a rigarle nuovamente il volto.
- Hai paura ora, stupida umana? - chiese lei, avvicinandosi al suo collo - Non ne avevi quando mi hai tirato in testa quel pezzo di legno, sabato sera -
- Angelica... - sussurrò ancora, prima di urlare con tutte le forze per i denti che affondavano nella carne.
Si sentì sempre più debole e la vista divenne offuscata. Dopo qualche minuto vide l’amica alzarsi, con un rivolo di sangue che le usciva dalle labbra, scivolando lungo il mento. Gemette: quello era il suo sangue.
- Di questo passo - iniziò la ragazza - Morirai entro qualche ora -
Riuscì a chiamarla per l’ultima volta, poi tutto intorno a lei divenne buio, e regnò il silenzio.
***
Quattro Mercedes nere si fermarono davanti alla casa dell’Agente 33. Quattordici Agenti, vestiti di nero, e armati con pugnali e pistole entrarono nel giardino e si misero in riga, impugnando le armi. Lei e Laura si misero in testa.
Si guardò intorno: tutto era così silenzioso...
- C’è Elisabeth in casa - disse Laura, seria come non mai.
- Cosa? -
- La Lancia Y è di Elisabeth - disse ancora la bionda.
Fece segno a tre Agenti di andare - Sfondate la finestra -
Fortuna che altri Agenti avevano fatto evacuare i civili nelle case vicine, in modo che non potessero vedere una ragazza che, forse, potrebbe sembrare indemoniata.
I tre sfondarono la finestra della cucina e poi entrarono velocemente, facendo subito fuoco, ma pochi secondi dopo, uno fu lanciato fuori da quella stessa finestra, seguito subito da un altro, mentre il terzo, dopo un urlo, non parlò più.
I due, lanciati fuori, si rialzarono, indietreggiando.
- Andate! -
Entrarono cinque uomini nella cucina di casa Vetra e si udirono subito dei suoni di lotta: vetri che si rompevano, gemiti strozzati ed altre cose che si rompevano con sonori schiocchi.
Ancora una volta ritornò il silenzio, interrotto da una risata. Estrasse subito la pistola alla vista di Angelica, saltata sulla finestra, che rideva, mostrando la bocca sporca di sangue e i canini tre volte più lunghi del normale.
- Angelica - disse in tono fermo - Rimani immobile, così possiamo portarti all’Agenzia -
La mora, dopo essere saltata dalla finestra, si mise le mani sui fianchi - Non ci penso proprio a venire via con voi -
- Anglica, ti prego, ti vogliamo aiutare - disse - Ti prego -
- Ci verrò solo da morta! - urlò lei, attaccandola.
Riuscì a schivarla solo all’ultimo secondo, ma fu comunque ferita alla spalla. Cadde sull’erba, stringendosi la ferita e sparando qualche colpo, che andò a segno ma non ebbe alcun effetto. Angelica sorrise, mentre lanciava gli Agenti rimasti dall’altra parte del giardino, o in strada, facendoli atterrare sulle auto. Anche Laura, che aveva attaccato la mora, era a terra, con solo un labbro spaccato.
Pochi erano ancora vivi, e tentavano di alzarsi.
- Angelica, so che sei lì dentro - disse - Non farla vincere -
Il demone con l’aspetto di Angelica le si avvicinò. Gli occhi erano più rossi che mai - Non può sentirti -
Si mise una mano in tasca, cercando uno di quegli spilli con il sigillo che le aveva dato la Direttrice. Ne trovò uno e lo strinse forte - Sì che può sentirmi - rispose - È può fermarti -
Angelica scomparve in un secondo, mentre otto dei quattordici Agenti erano ritornati in piedi, doloranti ma pronti a combattere. Il demone riapparve, stendendone un paio con dei calci ed uccidendone uno, torcendogli il collo.
Approfittò di un attimo di distrazione della ragazza, le si avventò contro, piantandole uno degli spilli nella schiena. Angelica la lanciò lontano, con un semplice gesto, senza nemmeno toccarla, tentando poi di togliersi lo spillo piantano nella schiena, dov’erano apparsi strani simboli dorati.
La mora, infuriata come non mai, le si avvicinò, afferrandola per il collo ed alzandola senza fatica, mostrandole i denti - Lurida umana -
Sentì l’aria mancarle ma riuscì a sussurrare il nome dell’amica.
Fu un attimo: vide qualcosa luccicare, per piantarsi nel braccio di Angelica, che mollò immediatamente la presa, voltandosi verso la ragazza che l’aveva ferita. Laura era in piedi ed impugnava la katana della mora.
***
Guardò Angelica, stranamente sorpresa, e fece roteare la lama della spada.
- Vetra, ti devo dare ragione - sussurrò, sperando che la vera Angelica potesse sentirla - Combattere con questa dev’essere davvero divertente -
Il demone sorrise, togliendosi il pugnale dal braccio, rigirandoselo in mano - Non ti conviene metterti contro di me -
- Tu non sai da quanto tempo ho desiderato questo momento - disse, attaccandola, ferendola lievemente al fianco. Angelica, come se niente fosse, si voltò verso di lei.
- Non hai speranza - disse il demone, attaccandola a sua volta. Era pronta a parare, quando la mora si fermò all’ultimo secondo, con il pugnale a qualche centimetro dal suo fianco. Guardò sorpresa Angelica e sorrise: gli occhi della ragazza da rossi, tornarono verdi, come quelli di sempre; poi mollò il pugnale, indietreggiando per poi inginocchiarsi a terra, gemendo.
- Angelica? -
- Colpiscimi...-
La guardò, stringendo l’elsa della katana - Cosa? -
La mora alzò lo sguardo e capì: era riuscita a riprendere il controllo per qualche secondo - Ti prego...-
Le puntò la spada contro e attaccò, trapassandole lo stomaco da parte a parte. Prima che gli occhi tornassero rossi, Angelica riuscì a sussurrare un “grazie”. Beatrice, rimasta a terra, approfittò della situazione, piantando altri spilli sul corpo della ragazza, con lo scopo di immobilizzarla. L’urlo del demone fece accapponare la pelle a tutti.
- Me la pagherete cara! - urlò Angelica, oramai incapace di muoversi.
Guardò i sette Agenti a disposizione - Portatela via, e anche i vostri compagni...io penso alla civile - disse.
Entrò in casa, avvicinandosi subito ad Elisabeth, stesa a terra, malconcia ma viva, tra altri Agenti, alcuni morti, ma altri vivi, subito soccorsi da Beatrice.
- Hall? - la chiamò, lasciando la katana sul divano, ed alzando la compagna dal pavimento, sporco di sangue - Elisabeth? -
- Laura...dove...- disse lei, con gli occhi chiusi, un po’ confusa - ...dov’è Angelica? -
- È tutto finito - rispose.
- Angelica...dov’è? -
- La stanno portando all’Agenzia - rispose ancora, prendendola in braccio. Doveva portarla all’Agenzia, aveva perso parecchio sangue.
- Laura...-
- Non ti preoccupare -
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Appoggiò Elisabeth sul lettino dell’infermeria dell’Azienda e Marco si prese immediatamente cura di lei, poi, mediante una piccola scala a chiocciola, scese al piano inferiore dove, principalmente, c’erano delle celle dove tenevano i demoni per fargli sputare il rospo su qualsiasi informazione. Trovò Beatrice in una di queste celle (più stanze che celle) a prova di demone, e due Agenti grandi e grossi, che incatenarono Angelica al muro con una spessa catena di ferro, percorsa da simboli strani, simili a quelli che erano apparsi sulla schiena della mora quando era stato piantato il primo spillo. Si affiancò alla bionda, che osservava Angelica.
- Grazie Laura, non ce l’avremmo mai fatta senza il tuo aiuto. Ci avrebbe ucciso tutti -
Annuì, abbassando lo sguardo, incapace di reggere quello di Angelica, che la osservava con furia con quelle iridi scarlatte - Posso andare a casa, vero? - domandò.
Beatrice sospirò - Se non sei ferita puoi andare -
Uscì dalla porta, appoggiandosi poi al muro. Adesso dovevano esorcizzarla, ed era la cosa più brutta a cui si potesse assistere. L’esorcismo consisteva in tre semplici passaggi che aveva letto su un vecchio libro: il primo, in cui l’esorcista doveva semplicemente leggere antiche preghiere egizie, tradotte dalla Chiesa in latino, il secondo, consisteva nel ferire il posseduto con un antico pugnale d’argento (furono fatte diverse copie di questo pugnale e quattro di esse erano all’Agenzia, conservate in modo minuzioso nella cassaforte nell’ufficio della Direttrice). Ed infine l’ultima fase, la peggiore: l’esorcista doveva pugnalare la povera vittima al petto. Questo era uno dei motivi per cui morivano molte persone durante un esorcismo.
Si riscosse dai suoi pensieri, osservando un omino che entrò nella stanza dove Angelica era rinchiusa, teneva un vecchio libro, dalla copertina nera come la pece, sottobraccio e un pugnale d’argento appeso alla cintura. Nient’altro.
Alcuni usavano l’acqua santa o il crocefisso, ma purtroppo non funzionavano con i demoni con i quali avevano a che fare, potevano funzionare su persone possedute da Satana, ma sapevano che era tutta una messa in scena gli esorcismi con persone possedute dal demonio. Principalmente erano demoni di categoria A.
Si passò una mano nei capelli, allontanandosi. Sperò con tutto il cuore di rivedere la secchione di una volta.
Si bloccò vedendo una testa rossa che sbucò improvvisamente dalla scala a chiocciola, rischiando di finirle addosso. L’afferrò per un braccio, fermandola - Dove credi di andare? -
Elisabeth, piuttosto pallida, si portò una mano al collo, dove una candida fasciatura nascondeva il morso infertogli da Angelica, liberandosi dalla sua stretta per appoggiarsi al muro, per sostenersi - Dov’è? -
- Non ti conviene andare, devono esorcizzarla -
- Dimmi dove cazzo è -
Sospirò - Terza porta a sinistra. Tanto ti mandano fuori a calci in culo -
***
Entrò nella stanza di corsa, fermandosi appena dietro ad una ragazza dai capelli biondi, affiancata da un omino basso. Angelica era legata al muro della stanza con delle grosse catene, e si divincolava come una furia, nel vano tentativo di liberarsi, mentre due grossi uomini la guardavano, sconcertati per tale furia.
- Cosa volete farle? - domandò.
La bionda si voltò e le sorrise, porgendole la mano - Piacere Elisabeth, io sono Beatrice -
Per educazione le strinse la mano - Cosa volete farle? -
- La esorcizziamo - rispose Beatrice seria, mettendosi le mani sui fianchi - E se non funziona...-
- E se non funziona...cosa? -
- Dovremmo ucciderla -
Sentiva le lacrime che già le pungevano gli occhi - No... -
- Ti conviene andare nell’altra stanza: è meglio che tu non veda...-  
- Io voglio restare -
- No Elisabeth, vai fuori - disse la ragazza, schioccando le dita, attirando l’attenzione dei due armadi a muro vestiti di nero - O ti portano fuori loro con la forza -
- Provateci -
I due armadi si avvicinarono, la presero per le braccia e la trascinarono fuori.
***
Dopo che Elisabeth fu fatta allontanare con la forza, si avvicinò ad Angelica, con i polsi legati con delle catene fissate al muro e protette da un sigillo. La ragazza alzò lo sguardo e sorrise.
- Non hai motivo di essere felice -
- Oh, sì invece - rispose Angelica, con gli occhi più rossi che mai - E tu non puoi nemmeno immaginare perché -
Si voltò, facendo un cenno a più bravo esorcista dell’Agenzia; lui annuì, aprendo il vecchio libro che teneva sottobraccio, avvicinandosi alla posseduta sussurrando delle parole in latino ed Angelica reclinò subito la testa all’indietro, lanciando delle imprecazioni. L’esorcista prese a camminare avanti e indietro, ferendo di tanto in tanto la ragazza con un pugnale d’argento, senza mai smettere di sussurrare parole in latino. Abbassò gli occhi appena 33 prese ad agitarsi ferocemente, ferendosi i polsi con le catene e il sangue iniziava a sporcare il pavimento.
Per dieci minuti seguirono urla, gemiti, urla e ancora urla di un’Angelica portata al limite, che si agitava talmente forte da poter rompersi qualcosa, un braccio probabilmente, o entrambe. Chiuse gli occhi per qualche istante. Adesso veniva la parte più difficile: l’esorcista doveva pugnalarla al petto in modo che l’anima del demone lasciasse definitivamente il corpo di Angelica.
Non osò guardare la scena, ma sbirciò appena l’omino concluse litania, pugnalando poi la mora al cuore, che smise immediatamente di dimenarsi e di urlare.
Non appena il pugnale d’argento fu estratto, dalla ferita ne uscì della polvere scarlatta, che si accumulò a terra, assieme al sangue di Angelica, e sembrava quasi che stesse gridando. Non riuscì a distogliere lo sguardo da quella scena così raccapricciante. Dopo altre parole, la polvere scomparve.
L’esorcista le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla - Il mio dovere l’ho fatto ora tocca a 33 -
- Grazie - sussurrò, prima che l’uomo uscisse dalla stanza.
Deglutì, guardando la mora, priva di sensi, sostenuta dalle catene “Ora tocca a te, Beatrice” pensò, tirandosi su le maniche “Non puoi nasconderti ancora per molto”
***
Non appena parcheggiò la macchina davanti a casa, dovette aprire in fretta le porte ed andare in bagno, colta da un improvviso attacco di vomito. Non appena finì di sciacquarsi perfettamente la bocca, si sedette sul letto della sua stanza, tenendosi le mani allo stomaco. Più i minuti passavano e più la nausea aumentava. Si stese, sperando che passasse.
- Laura? Che ci fai a casa? - domandò sua madre, sulla porta.
Si alzò in piedi, traballando, ma prima di giustificarsi, sentì le gambe cedere sotto il suo peso e tutto il mondo farsi nero.
***
Grida, ringhi e ancora grida, accompagnati dalla voce dell’esorcista che parlava in latino: queste erano le uniche cose che sentiva seduta per terra, fuori dalla porta della stanza dove Angelica era tenuta incatenata. Sussultava per ogni urlo dell’amica, temendo il peggio.
Scattò in piedi non appena la porta si aprì, facendo uscire l’omino, che si allontanò a passo svelto. Entrò, ignorando i due armadi a muro che avevano tentato di afferrarla per bloccarla.
Gli occhi iniziarono a pungere per le lacrime che volevano uscire: Angelica era accasciata a terra, sostenuta solo dalle catene strette intorno ai polsi, aveva i capelli corvini in disordine, gli occhi chiusi, del sangue scivolava dai polsi lungo le braccia e una grossa macchia si espandeva a terra. Si precipitò al suo fianco non appena la sentì lamentarsi. Le passò le braccia attorno alla vita, tentando di sostenerla, ma a peso morto, pesava troppo per lei.
- Angelica - sussurrò, togliendole i capelli corvini dal viso pallido e madido di sudore.
- Eli...- gemette l’amica, stringendo gli occhi - Eli... -
- Angelica... - sussurrò tra le lacrime - Ti prego non morire -
La mora perse nuovamente i sensi, abbandonandosi tra le sue braccia.
- Angelica? -
- Elisabeth - la chiamò Beatrice, alle sue spalle - Allontanati -
Le lanciò un’occhiataccia ritornando poi a fissare la migliore amica. Le appoggiò una mano sul petto, tentando di sistemarla, senza successo. Notò subito dopo che la sua mano era completamente rossa, per il sangue di Angelica, e poi la ferita al petto - Oddio...Angelica...Beatrice, ti prego -
- Elisabeth -
- Beatrice ti prego! Fai qualcosa! - urlò disperata.
La bionda fece qualche passo avanti - Spostati, Elisabeth -
- Non respira...ti prego...- sussurrò, mentre le lacrime iniziarono a rigarle le guance.
- SPOSTATI! - urlò Beatrice, prendendola per il braccio destro e trascinandola con forza verso la parte opposta della stanza.
- Beatrice...- sussurrò tra i singhiozzi, appoggiando la schiena al muro - Salvala -
***
Appoggiò entrambe le mani sulle spalle di Angelica. Sussurrò appena qualche parola, muovendo lievemente le labbra, ed immediatamente, sulle sue braccia, apparvero dei simboli simili a quelli del sigillo sulle catene, con la solita colorazione dorata, che partivano dal dorso delle mani, salendo a spirale fino al gomito. Ebbe quasi paura a pronunciare le ultime parole in lingue demoniaca, ma doveva farlo, o Angelica sarebbe morta, e questo non poteva succedere.
Pronunciate le fatidiche parole, sentì una specie di flusso d’energia che, da Angelica, andava direttamente a lei. Questa era l’unica cosa che riusciva a fare benché fosse un mezzo demone. Non era forte, veloce o brava a combattere, ma poteva guarire le persone, incanalando il loro dolore nel suo corpo, facendo scomparire le ferite, che passavano a lei.
In Angelica c’era talmente tanto dolore che era tentata di staccare le mani ed allontanarsi, ma non poteva, non ora che era a metà strada, visto che la ferita sul petto della mora stava lentamente scomparendo, passando a lei. Sentì la maglia che indossava zuppa di sangue.
Tremò appena, stringendo i denti: non si era mai spinta fino a quel punto. Poi, finalmente, Angelica sgranò gli occhi di colpo, lanciando un urlo agghiacciante. Si staccò, sedendosi a terra, ansimando.
- Beatrice...cosa...- sussurrò Angelica, tremante, mentre gli occhi le si chiudevano da soli..
Sorrise - Ti spiego dopo - riuscì a rispondere, prima che la mora perdesse nuovamente i sensi. Si sdraiò a terra, portandosi una mano al petto, osservando il suo sangue che, dal palmo, scivolava lungo il braccio, fino al gomito, gocciolando poi sul pavimento di piastrelle bianche.
Si sdraiò a terra, a pancia in su, lanciando un sospiro di sollievo: ce l’aveva fatta.
***
Dopo aver osservato la scena in silenzio e con le lacrime agli occhi, si alzò in piedi non appena Beatrice si sdraiò a terra, correndo poi verso Angelica, scuotendola con forza.
- Angelica! Angelica svegliati! - urlò, ma la ragazza era svenuta di nuovo.
Si alzò e si avvicinò alla bionda stesa a terra - Devi liberarla -
Beatrice sospirò - Chiama gli Agenti qui fuori -
Obbedì, andando ad aprire la porta, alzando lo sguardo per osservare i due omoni fuori dalla porta - Aiutateci -
I due uomini, vestiti di nero, ed entrambi pelati, entrarono nella stanza: uno prese in braccio Beatrice senza difficoltà, mentre l’altro fece lo stesso con Angelica dopo averle tolto le catene. Li seguì, su per la scala a chiocciola e poi all’infermeria, dove si era risvegliata poco prima.
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Ore 15.48
Quando aprì gli occhi era ancora più confusa di prima. Mosse appena la testa a destra e a sinistra, tentando di riprendere lucidità. Era sdraiata su un letto: un morbido cuscino sotto la testa e delle lenzuola le coprivano il corpo.
- Angelica? -
Alzò lo sguardo sulla figura seduta accanto a lei: Elisabeth.
- Come ti senti? - chiese la rossa.
- Eh...confusa - rispose in un sussurro.
- È normale - rispose un’altra voce familiare.
- Beatrice? Cosa...? -
- Sei confusa e non ricordi niente perché sei stata posseduta -
Si lasciò sfuggire un lamento - Posseduta? -
- Il demone dai capelli rossi - spiegò Beatrice - Il giorno che l’hai uccisa è entrata nel tuo corpo, dopo un paio di giorni hai cominciato a comportarti in modo strano -
Chiuse gli occhi - Ho fatto del male a qualcuno vero? -
Nessuno rispose.
- Beatrice...-
- Hai ucciso degli Agenti, Angelica - disse la bionda a bassa voce - Hai spaccato il cranio di un Guerriero con un piede, hai ucciso una Furia e... -
Si voltò verso le due amiche, e la rossa distolse lo sguardo, portandosi una mano al collo nel tentativo di coprire una fasciatura.
- Ti...ho morsa -
- Non ti preoccupare, non è niente -
Si mise le mani nei capelli - Dio mio, cos’ho fatto...-
- Angelica, non eri in te -
- Non mi perdonerò mai per quello che ho fatto -
- Smettila di dire puttanate - s’intromise la bionda - Eri posseduta, non avevi alcun controllo sul tuo corpo -
- E Matteo? -
- Non sa niente, ma ha notato che ti comportavi in modo strano -
- Non gli ho fatto del male vero? -
- No -
Lanciò un sospiro di sollievo, poi puntò lo sguardo verso Beatrice. Non ricordava tutto quello che era successo prima, ma sapeva che Beatrice aveva fatto qualcosa di strano, fuori dal normale.
La bionda sembrò capire al volo, e distolse lo sguardo - Sono un mezzo demone. Io posso curare le ferite di una persona -
Socchiuse gli occhi, osservando una macchia di quello che sembrava sangue sulla maglia nera - Che però passano a te -
Beatrice annuì come risposta.
- Non dovevi - sussurrò, tentando di tirarsi su, ma Elisabeth la fece stendere di nuovo - Beatrice, non dovevi -
- Non potevo lasciarti morire, e non ti preoccupare, non mi fa male - disse lei - Tu come ti senti? Oltre al fatto di essere confusa? -
Si passò una mano sulla fronte - Io sto bene -
- Ottimo, visto che eri quasi morta -
Sorrise appena - Grazie -
- Dovresti ringraziare Laura, non me. Se non fosse stato per lei ci avresti ucciso tutti -
Annuì, guardando poi Elisabeth, e la candida fasciatura stretta intorno al collo - Bea...non è che potresti curare anche Elisabeth? -
La bionda scosse la testa - No, mi dispiace. Posso usare questo potere solo alcune volte e poi ci vuole un po’ di tempo per riutilizzarlo -
- Angi, io sto bene... -
Stavolta si mise a sedere, lanciando un sospiro. Ringraziò il cielo di avere Beatrice come amica.
- Eli, vieni - sussurrò alzandosi in piedi - Ti riporto a casa -
- Angelica ma...-
La guardò, sorridendo - Sto bene, tranquilla. E probabilmente a te gira un po’ la testa, vero? -
L’amica, ancora seduta sulla sedia, abbassò lo sguardo, come se si stesse vergognando. L’aiutò ad alzarsi e si diressero verso la porta, lasciando Beatrice in piedi, accanto al letto.
- Grazie ancora Beatrice. Sono in debito - sussurrò, uscendo.
Percorsero diversi corridoi, raggiungendo l’ufficio di J., dove bussò con forza alla porta, che si aprì con dei sibili, mostrando il ragazzo, con una pistola in mano, puntandogliela alla testa. Elisabeth, al suo fianco, sussultò per lo spavento.
- Non c’è bisogno di spararmi - disse, scansando la pistola.
- Cazzo, Angelica. Pensavo fossi ancora indemoniata - si giustificò lui - Che ti serve? -
- Mi serve una macchina -
Il rosso guardò in un cassetto della sua scrivania, estraendo un paio di chiavi - Sicura che non sei ancora posseduta? -
- Se me lo chiedi un’altra volta, giuro che ti taglio la lingua -
Il ragazzo la guardò un attimo - Ok sei ritornata normale. Tratta bene la macchina -
Si passò una mano nei capelli, allontanandosi assieme ad Elisabeth - Stanne certo -
- Non fare come hai fatto con l’Alfa Romeo per favore -
L’amica la guardò - L’Alfa? -
- Sta riposando sul letto di un canale - rispose con un sorriso - E la mia vecchia giacca è ancora dentro -


Non appena entrò in casa sua, fece qualche passo indietro, vedendo tutto quel sangue sul pavimento ed alcuni schizzi sui muri. Fece dietrofront e portò Elisabeth nella sua stanza, facendola sedere sul letto.
L’amica la guardò, capendo, probabilmente, quello che stava pensando - Angi...non è stata colpa tua -
Annuì, passandosi una mano nei capelli e sedendosi accanto alla rossa - Lo so - sussurrò, lanciando un’occhiata alla fasciatura al collo dell’amica - Ti fa male? -
La rossa si portò una mano al collo, stringendo gli occhi - Un po’ -
Sospirò - Meglio se rimani qui, d’accordo? Almeno tua madre non vede cosa ti ho fatto -
- Mia madre non c’è - rispose la rossa - Torna domani sera -
- Rimani qui lo stesso - disse, alzandosi in piedi - Ora è meglio se vado a sistemare la cucina -
- Posso darti una mano - si offrì l’amica, alzandosi in piedi - Sto bene e in due finiremo prima... -
Scosse la testa, ma dopo varie insistenze da parte dell’amica, acconsentì.
Iniziarono subito dopo essersi cambiate.
Spostò il divano nell'ingresso, togliendo i cuscini, macchiati di sangue, gettandoli da una parte, poi iniziò a lavare il pavimento, anch'esso sporco un po' ovunque, mentre Elisabeth, dopo averle dato un barattolo con la pittura bianca, aveva iniziato a coprire gli schizzi sul muro, passandoci sopra un bel po' di volte.
Finito di lavare il pavimento aveva preso il posto dell'amica, finendo di imbiancare la parete, un po' a macchie (in alcuni punti il bianco era più brillante, mentre in altri sembrava più spento) però se ne fregò altamente: un giorno avrebbe chiamato degli imbianchini, ma era meglio che si chiedessero "ehi, come mai questi idioti hanno il muro di due bianchi diversi?" invece che "Come mai questi hanno il muro sporco di sangue?"
Arrivò la sera e, mentre lei risistemava tutto, Elisabeth aveva ordinato delle pizze e poi si era seduta su una sedia, guardandola trascinare nuovamente il divano al posto di prima.
Mangiarono intorno alle dieci, in salotto, guardando uno stupido film comico, ma nessuna delle due rideva: si scambiavano solamente poche parole. Lei, d'altro canto, continuava a pensare al fatto che aveva ucciso degli Agenti. Non se lo sarebbe mai perdonato.
- Angi - sussurrò l'amica, non appena il film finì.
Alzò lo sguardo - Sì? Dimmi Eli -
La rossa abbassò lo sguardo, incapace forse di reggere il suo, o per nascondere delle lacrime che si apprestavano ad uscirle dagli occhi - Non è stata colpa tua - disse lei, come se le stesse leggendo la mente - Eri posseduta -
Sospirò - Lo so, ma ho fatto del male a quelle persone -
- Non eri in te, Angelica. Non potevi controllare quel demone che aveva preso possesso del tuo corpo -
Si passò una mano nei capelli: forse Elisabeth aveva ragione.
- Probabilmente stai pensando che FORSE io ho ragione - disse la rossa alzandosi in piedi, sottolineando la parola "forse" - Angelica, io HO ragione -
Si alzò a sua volta, abbracciandola forte - Grazie, Eli -
- Le amiche servono anche a questo -
Sorrise, accarezzandole la testa - Già -
- Meglio se andiamo a dormire -
Salirono entrambe le scale poi, giunte nel corridoio di sopra, si separarono: lei andò nella sua stanza, mentre Elisabeth in quella degli ospiti.
Il suo sguardo cadde sulla scrivania, dove la spia del cellulare s’illuminava ad intervalli regolari, segnando un nuovo messaggio o una chiamata persa. Lo prese in mano e si diede una sberla in fronte, vedendo tutte quelle chiamate di Matteo.
- Matteo...- sussurrò pensierosa. Solo ora sentiva quanto gli mancava.
- Vai da lui - disse Elisabeth sulla porta della sua camera - Io vado a dormire e, tranquilla, non ti aspetto sveglia -
Sorrise - Grazie -
- Ora vai e ricorda...- iniziò l'amica con un sorriso - Niente marmocchi -
Rise piano, superandola - D'accordo e, dimenticavo, domani meglio se non andiamo a scuola. Mi devi raccontare un po' di cose -
- Perchè tu non ci vai? -
- Non penso di aver studiato in questi giorni - disse con un sorriso, scendendo le scale di corsa - A domani - urlò prima di chiudere la porta d’entrata con un tonfo.
Percorse il piccolo giardino di corsa, scavalcò la cancellata ed attraversò la strada di corsa, fiondandosi al cancelletto di casa Dall'Angelo, sperando che Matteo venisse ad aprirle e di non aver svegliato né Sonia né la signora Dall'Angelo. Attese solo qualche secondo poi la porta dell'ingresso si aprì, mostrandole l'immagine del fidanzato, leggermente confuso, che le aprì immediatamente.
Dopo aver chiuso il cancelletto gli corse incontro, saltandogli in braccio per baciarlo come se non l'avesse visto da mesi. Rise piano, sfiorandogli il volto con le dita, assaporando appieno ogni sensazione, sfiorandogli le labbra con le sue di tanto in tanto.
- Matteo - sussurrò - Matteo, mi sei mancato da morire -
Il ragazzo era leggermente confuso e, restando zitto, le fece rimettere i piedi a terra e chiuse la porta dell'ingresso con un piccolo tonfo.
Respirò profondamente: doveva darsi una calmata.
- Ho svegliato qualcuno? - domandò, temendo di aver fatto casino a quell'ora.
- No, non credo - rispose lui.
Sorrise. Era così contenta di poterlo stringere a sè - Mi sei mancato -
- Amore, ci siamo visti ieri -
Senza pensarci due volte lo baciò con passione, spingendolo contro il muro con un po' di forza. Il moro sembrò un tantino sorpreso per quel suo atteggiamento.
- Non starai passando al lato oscuro, vero? - domandò Matteo, staccandosi appena per sussurrare sulle sue labbra.
Sorrise - Certo che no -
- Peccato, perchè ti fa più sexy -
Rise piano, ma fu interrotta dal fidanzato che le chiuse la bocca con un bacio, alzandole appena l'orlo della t-shirt per accarezzarle la pelle del fianco, tracciando linee immaginarie. Si staccò, avvicinandosi al suo orecchio - Matteo...- sussurrò con tono sensuale - Fai l'amore con me -
- Angelica, anche ieri noi...-
Lo zittì, appoggiandogli l'indice sulle labbra - Non importa -
Matteo, sorridente come non mai, la prese in braccio, avviandosi poi verso una porta che conduceva, probabilmente ad una taverna.
Scese le scale e poi entrò in una piccola stanzetta buia, che aveva solamente una piccola finestrella posta più in alto del normale, ovviamente al livello del terreno. All'interno della stanza c'erano diversi scatoloni ammassati un po' ovunque e un divano color beige.
Matteo, dopo averla fatta tornare a terra, entrò per primo nella stanza, iniziando a spostare le scatole per ammassarle contro la parete e, quando ebbe fatto posto a sufficienza, si avvicinò al divano, trasformandolo in pochi secondi in un letto ad una piazza e mezza, con delle lenzuola già sistemate sopra, un po' spiegazzate certo, ma meglio di niente.
- Non è un granché - iniziò il moro, voltandosi verso di lei - Ma almeno non ci sentirà nessuno -
Sorrise e gli si avvicinò in tutta fretta, saltandogli al collo, levandogli subito la canotta nera che indossava. Nemmeno il tempo di buttarla a terra che il ragazzo la spinse sul letto, bloccandola sotto il suo corpo. Ribaltò la situazione ritornando sopra, sedendosi a cavalcioni sul suo bacino. Matteo le tolse la t-shirt prima di tornare a baciarla con passione, cambiando nuovamente le posizioni. Gli prese il viso tra le mani, osservando con attenzione i suoi occhi.
- Angelica perchè ieri...-
Lo zittì, appoggiandogli l'indice sulle labbra - Non dire niente, ho solo bisogno del tuo amore stanotte, nient'altro. Al resto ci pensiamo domani, ok? -
Lui annuì, ritornando a baciarla, mentre si giravano e rigiravano nel letto, togliendosi tutti i vestiti.
Lo strinse a se, mentre i loro corpi s'intrecciavano come in una danza dolce e sensuale. Avvicinò il viso al suo orecchio, sussurrandogli due parole prima di cedere alla passione.
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Capitolo 35
*** Capitolo 35 - Mercoledì, 11 marzo 2009 ***


Mercoledì, 11 marzo 2009
Sospirò, pensando a quanto fosse bello quel momento: abbracciata a Matteo, che la stringeva a sua volta, senza vestiti, nascosti solamente dalle lenzuola che lasciavano scoperte solo poche zone, come la sua gamba e il fianco.
Guardò Matteo, ancora sveglio, che osservava il soffitto.
- Ehi - sussurrò - Non riesci a dormire? -
Il moro la guardò - Già, non riesco a dormire -
Lo strinse a sé ancora di più - Qualcosa ti turba? -
- Assolutamente no - rispose il fidanzato, baciandole la fronte - È tutto così perfetto -
Si mise sopra di lui, sdraiandosi - E allora a cosa pensi? -
- A quanto sono fortunato ad averti -
Sorrise, baciandolo dolcemente - Io sarò per sempre tua - disse, ritornando al suo fianco, appoggiando la testa al suo petto, sentendo il cuore di lui battere all’unisono con il suo. Sorrise per la notte appena trascorsa e sperò di non aver svegliato la signora Dall’Angelo con i suoi gemiti.
- Angelica? -
Guardò il moro con un sorriso - Dimmi -
- Sicura di stare bene? L’altro giorno ti sei comportata in modo un po’ strano -
Annuì - Sì, tranquillo. Scusami se ho fatto qualcosa che non andava -
Matteo la strinse forte, mettendola subito dopo sotto di lui. Sorrise, tracciandogli delle linee immaginarie sul petto - Che hai intenzione di fare? -
- Non si vede? -
Scosse la testa, sorridendo - No -
Il moro, accarezzandole il ventre con una mano, prese a baciarle il collo, scendendo lentamente. Sospirò il suo nome, inarcando la schiena quando lui arrivò all’ombelico, e lo riportò su, baciandolo sulle labbra con passione.
Si staccò appena, ansimando sulle sue labbra - Ti amo - sussurrò.
- Anch’io ti amo, gattina mia -
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Ore 6.30
Mugugnò appena, disturbata da qualcuno che le sfiorava dolcemente il viso con delle lievi carezze, e la chiamava piano, sussurrando appena il suo nome con dolcezza, intimandola di alzarsi. Si arrese e socchiuse gli occhi, lanciando un sospiro - Matteo? -
Nel buio della stanzetta notava soltanto una figura accanto a lei, inginocchiata sul letto che le sfiorava il viso con una mano.
- Amore, sono le sei e mezza. Credo sia meglio che tu vada a casa a prepararti per la scuola -
Respirando profondamente, si mise lentamente, passandosi le mani sul volto, nel tentativo di riprendere lucidità, mentre il fidanzato si rivestiva velocemente.
- Io...- iniziò, stringendosi le coperte al petto, ricordandosi di essere senza vestiti - Io non vengo a scuola oggi - disse piano.
Il moro si fermò, voltandosi verso di lei mentre raddrizzava la t-shirt - Perché? -
- Eh, io...non mi sentivo molto bene lunedì e...forse è meglio che stia a casa un altro giorno -
- Stai ancora male? -
Scosse la testa - No, tranquillo. Ma forse è meglio che stia a casa -
Il ragazzo, non del tutto convinto, annuì, terminando di vestirsi - Angelica, ascolta...-
Si sdraiò un'altra volta: aveva un freddo cane, ma forse era perché non indossava nulla. Si tirò le coperte fino al mento - Sì? -
- Vuoi venire a cena questa sera? -
Sorrise, benché lui non la potesse vedere bene - Non vorrei disturbare...-
- Oh Angelica, lo sai che a mia madre fa molto piacere averti a cena -
- Ma magari... -
- No, non disturbi - la interruppe lui, ormai completamente vestito, mettendosi sopra di lei. Avvicinò il viso al suo, inarcando la schiena, sfiorandogli appena le labbra con le sue - Sicuro? -
- Ma certo...-
Si abbandonò nuovamente sul materasso - Ma se ci ha sentiti ieri sera? Mi farà il culo a...-
- Non ti ha sentita, tranquilla -
- E come fai tu a saperlo? - domandò, incrociando le braccia al petto, mettendo il broncio.
Matteo, per tutta risposta, la prese per i polsi, sciogliendole le braccia per poi bloccargliele ai lati della testa, dopodiché, la baciò con passione, staccandosi solamente quando i polmoni chiedevano un disperato bisogno d’aria.
Inarcò un sopracciglio - Questa non è una risposta -
- Non ti ha sentita, stai tranquilla -
Ancora bloccata dalla presa ferrea del ragazzo, voltò il viso di lato, offesa.
- Che c’è? - domandò lui.
- Non ti parlo più -
- Perché? -
- Perché non mi dici perché pensi che tua madre non mi abbia sentita -
Matteo, si lasciò sfuggire una breve risata, poi avvicinò le labbra al suo orecchio - Mia piccola gattina, sussurravi così piano che mi ami che quasi faticavo a sentirti -
Si lasciò sfuggire un sospiro, e non era di sollievo.
- E poi...- iniziò lui dandole leggeri baci sul collo - Al piano di sopra è difficile sentire quello che accade qui sotto, in più...se si dorme...-
Non l’aveva ascoltato: era troppo occupata a sospirare.
- Forse...- disse il fidanzato - È meglio che vai, altrimenti io...-
Lo guardò negli occhi: blu cobalto, identici a quelli del piccolo demone che diceva di essere suo figlio. Scacciò immediatamente quel pensiero - “Altrimenti tu” cosa? -
- Beh, potrei perdere il controllo e...- iniziò il moro, baciandole la fronte e liberandole i polsi per sfiorarle il viso - Continuare quello che abbiamo interrotto ieri sera -
Si mise a sedere, mentre il ragazzo ritornò in piedi, piegò appena la testa di lato e lo guardò - Ehm...allora è meglio che vada - sussurrò, cominciando a vestirsi.


Rientrò in casa, andando in punta di piedi nella stanza degli ospiti, dove probabilmente, Elisabeth stava ancora dormendo. Superata la soglia, notò una figura avvolta completamente avvolta nelle coperte. Si avvicinò lentamente, afferrando l’orlo delle coperte e tirando con forza, scoprendo solo un paio di cuscini.
- Cercavi...me? - domandò una voce familiare. Non appena si fu girata di scatto, ricevette una fortissima cuscinata in pieno viso, che la fece cadere sul letto a pancia in su.
Si tolse il cuscino dal viso, mettendosi a sedere - ELISABETH! - urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
L’amica, con un ghigno diabolico stampato in faccia, le si avvicinò con le mani sui fianchi - Volevi svegliarmi con un urlo, vero? -
- Sei diventata deficiente? -
Elisabeth le saltò addossò, facendola sdraiare di nuovo - Cosa volevi farmi? Brutta zoccola che non sei altro...-
- Niente, cazzo. Ti volevo solo svegliare -
- Come? -
Aggrottò la fronte - Io...ecco...diciamo che volevo farti prendere un po’ di paura...-
- BECCATAAAAAAAAAAAAAAAA!!! -
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Si sedettero sul divano in salotto a gambe incrociate, in modo da poter stare l’una di fronte all’altra, guardandosi negli occhi. Elisabeth, non riuscendo a reggere il suo sguardo, di tanto in tanto lanciava delle occhiate ai quadri appesi al muro, come se li avesse visti solo in quel preciso istante.
- Tranquilla Eli - disse con un sorriso, attirando l’attenzione dell’amica - Devi solo raccontarmi quello che hai visto, a grandi linee va bene, ma se aggiungi dei dettagli mi farebbe davvero comodo -
La rossa, sistemando il pigiama verde con i ranocchi, si schiarì la voce - Da domenica... -
Annuì, benché quella non fosse una domanda - Da domenica, quando ho lasciato casa tua -
- Beh, non ti ho più vista né sentita per tutto il giorno, è stato lunedì che ho cominciato a notare il tuo strano comportamento - disse l’amica - Ti sei presentata a scuola senza zaino e, probabilmente, non sapevi nemmeno cosa fosse uno zaino...-
Piegò la testa di lato - Davvero? -
- Sì - rispose semplicemente Elisabeth - Poi non hai fatto niente per tutto il giorno e, all’ultima ora, hai parlato con Laura nello spogliatoio -
- Hai sentito cosa abbiamo detto? -
- No, sono uscita -
Rimase in silenzio, pensando. Aveva il presentimento che il demone dai capelli rossi avesse diviso la sua anima e posta nel corpo di qualcun altro, in modo da continuare a vivere nel caso in cui fosse stata esorcizzata. Un brivido le percorse la schiena a quel pensiero. Chissà cos’aveva fatto con il suo corpo.
Un piccolo rumore attirò la sua attenzione, ma si rilassò subito dopo, non sentendo più niente.
- Tra un po’ dovrei andare a casa - disse Elisabeth - Devo sistemare la tesina e studiare italiano che mi interroga di sicuro...-
Non la stava ascoltando. Continuava a lanciare incessanti occhiate alla porta chiusa del salotto. Aveva un brutto presentimento: nella sua testa sentiva una vocina che le sussurrava lievemente di alzarsi, prendere Elisabeth e scappare dalla finestra il più in fretta possibile.
- Qualcosa non va? -
Senza distogliere lo sguardo dalla porta, deglutì, annuendo - Eli...-
- Angelica? Angelica che diavolo ti prende? - domandò spaventata l’amica, guardando nella sua stessa direzione.
Scattò in piedi quando la porta si aprì di colpo, mostrando qualcuno di familiare. Elisabeth, ora spaventata a morte, era scattata in piedi a sua volta, respirando affannosamente - Dimmi che è stato il vento...-
Fece un passo indietro, senza distogliere lo sguardo dal bambino dai capelli corvini e gli occhi blu - Elisabeth, resta dietro di me...-
La rossa non se lo fece ripetere due volte ed obbedì - Non è stato il vento, vero? -
Indietreggiò ancora, facondo arretrare a sua volta anche l’amica, quando il demone prese a camminare verso di loro, con le mani tese in avanti, come se volesse stringere l’aria. Si maledì mentalmente: solo ora aveva ricordato il suggerimento di Laura di mettere un sigillo ad un oggetto che portava sempre con se.
- Vattene - sussurrò, rivolta al bambino - Non puoi cambiare nulla, è inutile che ci provi. Succederà comunque -
- Sì invece. Cambierà - rispose il demone, fermandosi a qualche metro da lei, abbassando le braccia - Non voglio soffrire in questo modo -
- Angi, che stai dicendo? Con chi stai parlando? -
Fece indietreggiare l’amica, spingendola con una mano, senza mai distogliere lo sguardo da suo figlio - Dovrai abituarti - sussurrò - Perché non morirò tanto facilmente -
Il bambino, dopo aver sorriso in modo diabolico, scomparve, sussurrando un lieve “vedremo”.
Pochi secondi e la vista si offuscò all’improvviso. Doveva immaginarlo che avrebbe provato con uno dei suoi trucchi per farle del male in qualche modo. S’inginocchiò a terra, portandosi le mani al ventre, dove i muscoli si contraevano in modo anomalo, facendole terribilmente male. Non rispose alle domande di un’amica preoccupata come non mai e sul punto di piangere: ogni contrazione le mozzava il respiro, impedendole di fare qualsiasi cosa.
Sentì l’Elisabeth tentare di alzarla, per metterla forse sul divano. Strinse le dita, appoggiate sul ventre, mentre chiuse gli occhi per il dolore.
- Angelica? -
- Eli...- sussurrò senza forze - Un attimo...non preoccuparti -
Dopo diversi minuti di strane contrazioni, fece dei lunghi respiri per recuperare il fiato. Si mise lentamente a sedere, mentre Elisabeth, in piedi, accanto a lei, la guardava con un’espressione mista tra paura e curiosità.
- È una lunga storia - sussurrò prima che l’amica potesse cominciare a farle domande a raffica - L’ho scoperto quando eravamo in gita, quella volta che mi sono sentita male, ricordi? -
La rossa annuì - Ma questo cosa c’entra? -
- Quello che era entrato nel salotto quando la porta si è spalancata era un demone, ma è come una specie di fantasma, dato che non esiste...ancora - iniziò, passandosi una mano nei capelli - Mi ha detto che se muoio ora, lui non esisterà e non diventerà un demone -
- Ma cosa vuole da te? -
- Elisabeth...- sussurrò, pensando un modo per dirle tutto senza traumatizzarla ulteriormente - Lui è...-
- È...? -
- Mio figlio - rispose tutto d’un fiato - Insomma, il mio...futuro figlio che avrò con...ehm...Matteo -
La migliore amica, ancora in piedi, sembrò trattenere il fiato, come se fosse arrivata alla scena clou di un film dove si sta per rivelare l’identità del killer - Che? No aspetta, aspetta...tuo FIGLIO?? -
- Hai capito bene -
- Mi stai dicendo che sei incinta? - domandò lei, con occhi sgranati.
- No, non credo - rispose - Ma in teoria deve succedere -
- Perché dovrebbe succedere? -
Si alzò di scatto, stringendo i pugni con forza, conficcandosi le unghie nei palmi, facendo dei profondi respiri per calmarsi - Non lo so il perché, Elisabeth! - urlò.
L’amica rimase in silenzio, abbassando lo sguardo, mentre lei, colta da un capogiro, si risedette sul divano, portandosi la mano destra alla fronte - Scusami, non dovevo alzare la voce - disse in un sussurro - Non sei abituata a sentire queste cose...-
Elisabeth non rispose e le si sedette accanto - Quindi tu sai che succederà -
Si mise le mani nei capelli, disperata - Sì, ho imparato a non sottovalutare quello che i demoni dicono -
- E non c’è nessun modo per evitare tutto quello che deve succedere? -
Sospirò - Non dovrei più...vedere Matteo...per un bel po’ di tempo...- disse - Ma forse sto solo rimandando quello che è già scritto -
- Il destino ce lo creiamo da soli, Angelica. Ricordalo sempre - le disse l’amica, lanciandole un’occhiata sfuggente, per paura che si arrabbiasse di nuovo.
Sorrise tristemente - Non io, Elisabeth - rispose - Il mio destino rimarrà per sempre tale e quale, a meno che non trovi un modo per disfarmi della mia...disgrazia -
- Angi, il fatto di vedere e...sentire i fantasmi ti rende unica, ti rende speciale - disse seria Elisabeth - Sono i piccoli difetti che ci rendono unici -
- Il mio non è un piccolo difetto, Elisabeth. È una condanna. Io sono condannata a vita a vedere queste persone che...io proprio non... - disse, senza però riuscire ad esprimere tutte le emozioni che le giravano per la mente. Si strofinò gli occhi che bruciavano leggermente.
Dopo un lungo ed interminabile silenzio, la rossa emise un sospiro - Come possono i bambini diventare demoni? -
Prese un profondo respiro - Sono i bambini che vengono abortiti o muoiono per cause violente nella pancia della madre - rispose schietta - Ad alcuni però non accade -
- Ma se quello era tuo figlio, ed era un demone, vuol dire che tu...insomma...vorrai...-
- No - rispose immediatamente, interrompendola - È pur sempre mio figlio e se capiterà...beh, farò di tutto per...- iniziò, non trovando più le parole per continuare.
- Quindi tu non vuoi abortire nel caso in cui...-
- Esatto - disse - Non lo farò -
- Allora rimane solo una sola possibilità -
Annuì - Il bambino muore per cause violente, ed io muoio con lui -
- Non sai altro? Qualcosa che possa aiutarti in qualche modo per evitare tutto? -
Sospirò profondamente, chiudendo gli occhi, come se volesse cercare un po’ di pace - Non so altro, a parte il fatto che Laura è coinvolta in qualche modo in questa storia -  
- Laura? -
- Probabilmente sarà a causa sua che...morirò -
- Angelica, tu non morirai. Come fai a dire cose del genere? -
Si mise la mano destra sul viso, coprendolo appena - È quello che potrebbe succedere -
- NO! - esclamò la rossa, scattando in piedi, con le mani strette a pugno che tremavano appena - Non devi dire queste puttanate! -
La guardò e sorrise, dopo essersi tolta la mano dal viso - Eli, ascolta, io...-
- Tu un cazzo, Angelica! - urlò ancora l’amica, chiudendo gli occhi con forza - Tu non puoi...morire...-
- Elisabeth, calmati -
- NO! No che non mi calmo!! - urlò ancora Elisabeth, andando a passo deciso verso la porta del salotto - Me ne vado...-
- Elisabeth - sussurrò alzandosi in piedi.
- Ciao - la salutò lei, uscendo dalla porta d’entrata, e chiudendola con un forte tonfo sordo.
Prese un profondo respiro “Cosa devo fare con lei?” domandò, guardando in su, sperando che le arrivasse una risposta, che però non arrivò.
Corse fuori, scavalcando la cancellata senza difficoltà, e salendo sul cofano della Lancia Y dell’amica, che si mise in moto subito dopo. Si sedette tranquillamente, tenendosi ai tergicristalli - Ti vuoi dare una calmata? -
Elisabeth, seduta al posto di guida, fece inversione, in modo da uscire dalla via.
- ELISABETH HALL! NON OSARE METTERE LA PRIMA! - urlò, battendo sul parabrezza con il pugno - FERMA LA MACCHINA E SCENDI IMMEDIATAMENTE! -
L’amica azionò i tergicristalli, e lei lanciò un’imprecazione quando si schiacciò il mignolo.
- Porca miseria la vuoi smettere!? -
All’interno della Lancia, la rossa scosse la testa e mise la prima.
Ridusse gli occhi a due fessure - Non osare...-
L’automobile partì lentamente, pronta ad uscire dalla piccola via.
- D’accordo, l’hai voluta tu! - esclamò, salendo sulla cappotta della macchina e, reggendosi in qualche modo, ruppe il finestrino dalla parte del passeggero con un paio di pugni. Ignorò le schegge di vetro che si conficcavano nella carne, graffiandole anche le nocche. Prima che la macchina potesse accelerare entrò dal finestrino, costringendo l’amica a fermare la macchina, poi tolse le chiavi.   
- Ma sei deficiente?! Mi hai rotto il finestrino! -
- Te lo ripago il tuo schifoso finestrino! - urlò - Ora datti una calmata! -
- Ma cosa cazzo ti è saltato in mente?? -
- Cosa cazzo è saltato in mente a te! Volevi partire a tutta velocità con me sopra al cofano?! -
- Sì! -
- Ah, che amica che sei! -
Si calmarono e rimasero in silenzio per qualche minuto, poi guardo il finestrino in frantumi - Scusa, non dovevo. Ho esagerato -
Elisabeth lanciò un lungo sospiro - No, scusami tu, non dovevo partire con te seduta sul cofano -
- Elisabeth, io volevo dire solo che non mi farò mettere i piedi in testa da un demone - disse con un sospiro - Con tutti quelli che ho affrontato non ho certo intenzione di farmi uccidere da un marmocchio...- aggiunse - E non ho intenzione di morire così giovane -
L’amica, dopo aver sospirato, le diede una pacca sulla schiena, facendola in qualche modo sorridere - Esatto, non morire altrimenti Matty-Mat sarà molto triste senza di te... -
Le lanciò un’occhiata - Chi scusa? -
- Matty-Mat -
Sorrise - Oh, certo -
- Dovevo pur dargli un soprannome -
- Chiamarlo Matteo, no eh? -
- Perché? È così carino il nomignolo Matty-Mat -
- mm...sì, come no -
- Zitta Angelica-spacco-i-finestrini-delle-amiche-con-un-pugno-Vetra -
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Ore 18.46
In piedi davanti alla finestra della camera di Matteo, fissava il cielo che diventava sempre più cupo per le nubi scure che iniziavano a coprirlo, dandogli un’aria un po’ temporalesca. Nella stanza c’erano lei e il fidanzato, intento a prepararsi per la cena oramai imminente.
Sospirò, senza smettere di guardare il cielo. Quel pomeriggio, dopo la piccola litigata con Elisabeth, e dopo averle rotto il finestrino della macchina per entrare prima che l’amica potesse partire ai sessanta all’ora, l’aveva un po’ tranquillizzata, anche se, molto probabilmente, Elisabeth era rimasta un po’, anzi, molto scandalizzata per la questione del piccolo demone. Si riscosse dai suoi pensieri quando due braccia l'avvolsero, cingendole la vita, mentre delle labbra le sfiorarono dolcemente il collo.
- Mi sembri pensierosa -
- Non più del solito - disse in un mugolio.
Lui rise e la fece voltare, baciandola con foga. Si staccò immediatamente - Matteo! Tua madre è di sotto! -
- La cena dovrebbe essere pronta tra un po’ - sussurrò lui, accarezzandole i capelli - Forse abbiamo un po’ di tempo...-
Inarcò un sopracciglio, staccandosi appena - Tempo per fare cosa? - domandò, dandosi immediatamente della stupida non appena lui le baciò nuovamente il collo. Reclinò la testa all’indietro, sospirando - Mascalzone che non sei altro. Vai a pensare a queste cose anche quando c’è tua madre e tua sorella al piano di sotto? -
Il ragazzo, molto probabilmente, non la stava ascoltando, le prese le mani e la trascinò verso il letto, dove entrambi si lasciarono cadere sul materasso con un sospiro. Dopo essersi sollevata appena, lui la strinse nuovamente a se, baciandola.
Si staccò poco dopo, ansimando - Matteo Dall’Angelo! Non sto scherzando! Tua madre potrebbe...- disse, non riuscendo a terminare la frese, dato che il moro, dopo un secondo ed intenso bacio, le tolse la maglia.
Una scossa le percorse la schiena e ricambiò un altro bacio con ancor più passione, iniziando a sbottonargli la camicia, facendo saltare bottone dopo bottone. Si lasciò sfuggire un sospiro quando sentì la pelle calda sotto le sue dita e i muscoli che si tendevano al passaggio della sua fredda mano. Non riuscì a far saltare l’ultimo bottone che qualcuno bussò alla porta, entrando subito dopo nella camera di Matteo.
Entrambi voltarono lo sguardo verso la porta dove la signora Dall’Angelo si era fermata di colpo.
Si spostò subito di lato, cadendo persino dal letto, arrossendo fino alla punta dei capelli e ringraziando il cielo che non li avesse beccati mezzi nudi o peggio. La donna si lasciò sfuggire una lieve risata, mentre lei, sdraiata a terra, si lasciò sfuggire un sommesso “ahi” per aver battuto la schiena sul parquet.
- Oh, scusate se vi ho interrotto -
Matteo si mise a sedere, riabbottonandosi la camicia - Si chiede il permesso di entrare dopo aver bussato, mamma - disse il ragazzo.
- Non pensavo vi foste già messi all'opera... - rispose sinceramente la madre del ragazzo, appoggiandosi allo stipite della porta - Stai tranquilla Angelica...-
Si mise a sedere, coprendosi - Ehm...-
- Ho visto di peggio -
“Ha visto di peggio?? Ha visto di peggio?!?! ODDIO HA VISTO DI PEGGIO!!! Che potrebbe aver visto? Matteo con una delle sue ex che magari stavano...ODDIO!!!!”
- Comunque...- iniziò la donna, interrompendo i filo dei suoi stupidi ed infondati pensieri - Tra venti minuti é pronta la cena, se volete darvi una sistemata e scendere bisognerebbe preparare la tavola...ah, posso darvi un consiglio? La prossima volta chiudete la porta a chiave - aggiunse la donna con malizia, uscendo dalla stanza e richiudendo la porta.
Si sdraiò di nuovo per terra, dando una testata al parquet, sperando di farsi male o almeno un piccolo trauma cranico - Oddio!! Voglio morire!! Uccidetemi!! - disse, mentre Matteo iniziò a ridere - Non riuscirò mai più a guardare in faccia tua madre! -
- Dai Angelica. Scendiamo che le diamo una mano... -
- Dille che non stavo bene e che sono tornata a casa -
Lui le si avvicinò silenzioso, l'afferrò per i fianchi e la alzò senza problemi.
- È una sciocchezza, ci stavamo solo baciando -
- Sì...peccato che ti stavo sopra e che ti stavo togliendo la camicia -
- È stata giovane anche lei, capirà i nostri...ehm...bisogni -
- mmm...no, uccidimi! -
- No, nessuno qui uccide nessuno, e adesso rimettiti la maglia e scendiamo - sussurrò il fidanzato facendola alzare con la forza.
- Non é che magari hai un sacchetto di carta, che faccio due buchi e me lo metto il testa?-
- Avanti...- disse Matteo, passandole la maglia.
Con un sospiro, la infilò ed allargò le braccia - Come sto? -
- Una meraviglia -
Chiuse gli occhi e sospirò - Non in quel senso - disse - Sono spettinata? -
- Sinceramente, non sto guardando i capelli -
Abbassò le braccia quando lui si fece ancora più vicino e fece qualche piccolo passo indietro, appoggiando la schiena al bordo della scrivania - Non avvicinarti...- sussurrò lievemente.
- Perché mai? - replicò il ragazzo, ora ad un soffio da lei.
Sorrise - Mi farai cadere di nuovo in tentazione -
Il moro la baciò dolcemente, prendendola poi per mano - Forza andiamo -
Deglutì ed uscirono dalla stanza, precipitandosi in cucina, dove la signora Dall'Angelo stendeva una grande la tovaglia bianca con dei quadretti rossi sulla tavola, passando poi una mano per togliere tutte le pieghe - Avete fatto presto -
Tossì, sentendo il viso in fiamme. Non l’avesse mai fatto.
La donna dai capelli castani alzò gli occhi verso di lei, sorridendole - Oh tranquilla Angelica, come ben ricordi un giorno ho detto “non vedo, non sento e non parlo” quindi...-
“Grazie a Dio!” pensò, esultando.
- E poi io facevo cose ben peggiori alla tua età...insomma...-
Matteo si mise tra lei e la donna - Mamma non aggiungere altro!!!!! -
- Vediamo...il posto più strano dove avete fatto...insomma...perché credo che voi...-
- MAMMA! -
Arrossì, portandosi la mano destra alla guancia, bollente  "Certo che gli argomenti si fanno sempre più scottanti"
- ...insomma...beh...vediamo...io direi quella volta in America sul campo da golf... - disse la signora Dall'Angelo mentre posava dei tovaglioli in tinta con la tovaglia.
“ CHE...COSA?? IL CAMPO DA GOLF??” pensò, e probabilmente arrossì ancor di più, avvicinandosi alla credenza, prendendo quattro piatti e cominciando a sistemarli a tavola. Matteo, invece, perse le speranze di far tacere la madre, stava sistemando forchette e coltelli.
- Meglio lasciar stare eh...- sussurrò la donna, tornando ai fornelli e trafficando con le pentole - Chiami Sonia per favore? -
Il moro, uscì dalla cucina, lasciandole sole per salire le scale e raggiungere la camera della sorella.
Il telefono squillò e la signora Dall’Angelo lasciò perdere le pentole e prese il cordless riposto sul piano della cucina accanto ai fornelli, e rispose dopo aver premuto un tasto. Si bloccò all’improvviso, dopo aver sistemato una bottiglia d’acqua naturale sulla tavola, quando vide la donna impallidire all’improvviso.
- Non so come hai fatto ad avere il mio numero, ma non azzardarti a richiamare. Non voglio più avere niente a che fare con te - disse la donna, quasi in un sussurro, riattaccando subito dopo. La signora Dall’Angelo, visibilmente turbata, le sorrise, riprendendo poi a trafficare con le pentole.
Matteo, ritornò in cucina, seguito a ruota da Sonia - Chi era? - domandò il ragazzo, guardando la madre.
Lei sorrise - Nessuno, tesoro. Avevano sbagliato numero -
Aggrottò la fronte mentre mille domande le affollavano la mente: chi aveva chiamato la signora Dall’Angelo? Perché non vuole più avere a che fare con questa misteriosa persona che l’aveva chiamata? Perché aveva avuto quella strana reazione? E perché aveva mentito a Matteo dicendo che era qualcuno che aveva sbagliato numero? Cos’è che stava nascondendo?
Smise di pensare a tutte queste cose, e cedette alle richieste di Sonia per fare una partita a briscola.


Tutti erano seduti a tavola, mangiando di gusto l’arrosto che la signora Dall’Angelo aveva cucinato per quella sera, con un po’ di verdure. La padrona di casa, non appena vedeva che qualcuno aveva finito la propria fetta di arrosto, lo serviva ancora una volta.
Non appena finì la settima fetta di arrosto, ormai piena, lanciò un’occhiata alla signora Dall’Angelo, già pronta per riempirle nuovamente il piatto. Scosse energicamente la testa quando la donna si alzò - No, grazie sono a posto -
- Sicura, sicura? - domandò lei, riappoggiando il piatto sulla tavola.
Annuì - Sì, signora Dall’Angelo, era tutto buonissimo - sussurrò bevendo un sorso d’acqua, sussultando poi quando il telefono squillò.
La donna, in una frazione di secondo, era scattata in piedi, prendendo il cordless e riattaccando senza nemmeno rispondere.
Dopo essersi seduta nuovamente calò un silenzio di tomba, rotto soltanto dagli stridii della forchetta di Sonia che graffiavano il piatto. Guardò Matteo, che mandò giù l’ultimo pezzo di arrosto. Ormai aveva perso il conto di quante fette gli aveva rifilato la madre, ma il ragazzo era un pozzo senza fondo. Il ragazzo, dopo aver bevuto un lungo sorso dal bicchiere colmo d’acqua fino all’orlo, si pulì la bocca con il tovagliolo e si voltò verso di lei, sorridendole. Ricambiò il sorriso, prendendogli la mano e stringerla dolcemente, nascosta dalla tovaglia.
A rompere il silenzio fu Sonia che, dopo aver finito di mangiare le sue verdure, si stiracchiò le braccia - C’è il dolce? -
La donna di casa lanciò un sospiro - No -
- Come no?! -
Si portò una mano alla tempia sentendo la voce squillante della bambina, e strinse gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro.
- Ti senti bene? - domandò Matteo, preoccupato.
Fece scorrere la mano dalla tempia alla fronte, bollente - Io...sì- sussurrò debolmente - Ho solo bisogno di una buona dormita -
- Angelica, vuoi un’aspirina? - domandò la signora Dall’Angelo, a sua volta preoccupata.
Tolse la mano e sorrise - No, non ho niente - mentì, sentendo un lieve dolore al ventre, ma non ci fece caso, dato che sparì immediatamente.
- Meno male - disse il moro, lasciandole la mano per alzarsi in piedi - Se non c’è il dolce, noi andiamo -
Lo guardò, inarcando un sopracciglio - Dove? -
- A casa tua, ricordi? -
Sbatté le palpebre un paio di volte, confusa - Ehm...no -
Matteo, senza farsi vedere dalla madre e dalla sorella, le fece l’occhiolino - Dovevamo guardare Wanted -
- Ah, Wanted...giusto - disse alzandosi in piedi, rivolgendosi poi verso la madre del fidanzato - Era tutto buonissimo signora Dall’Angelo, grazie infinite per avermi invitata. Solo, posso aiutarla a sistemare? Mi sembra il minimo che possa fare -
La mora si alzò a sua volta - Oh, non ti preoccupare, andate a...guardare Wanted... - disse lei, sussurrando con malizia le parole “guardare Wanted”, sottolineandole per bene con la giusta intonazione, seguita da un occhiolino.
Arrossì, ma prima di risponderle, Matteo le prese la mano e la trascinò fuori.


Una volta entrati in salotto, si sedette sul divano, lasciandosi sfuggire un sospiro - Cos’hai in mente? - domandò. Accavallando le gambe, lisciando le piccole pieghe dei jeans per poi spiegazzarle nuovamente, in attesa di una risposta.
Matteo, rimanendo in rigoroso silenzio, le si avvicinò, le prese le mani e la fece alzare, stringendola a se. Alzò gli occhi per puntarli in quelli di lui e sorrise, senza nemmeno sapere il perché. Gli portò le braccia al collo, giocando con le ciocche di capelli castani dietro alla nuca, mentre lui le strinse i fianchi, facendola, se possibile, avvicinare ancora di più.
- Non volevi guardare il film? - domandò in tono innocente ma allo stesso tempo malizioso - Film che, ovviamente, non ho -
- Non era nei miei piani guardare un film -
- Ah no? - domandò ancora, inarcando un sopracciglio - E come vorresti passare il tempo stasera? -
Il moro non le rispose. Non con le parole almeno. Si dice che un bacio valga molto più di mille parole e, a giudicare dal bacio, Matteo si era espresso in modo semplicemente magnifico.
Rispose al bacio con altrettanto entusiasmo, mentre le sue mani si insinuarono sotto la camicia del ragazzo, dove la pelle era calda, a contrario delle sue mani.
- Hai le mani congelate - disse il ragazzo staccandosi appena, insinuando le mani sotto la maglia, accarezzandole i fianchi con delicatezza - E non solo le mani -
Si avvicinò al suo orecchio - Scaldami allora - sussurrò con malizia, facendo saltare ogni bottone della candida camicia del fidanzato.
- È un invito? -
Si inumidì le labbra e lo attirò verso il divano, sfilandogli definitivamente la camicia e gettandola a terra, oramai priva di qualsiasi utilità, seguita dalla sua maglia. Un brivido freddo le percorse la schiena, il che stava ad indicare guai in arrivo. Guai seri.
“ No” pensò guardando la piccola figura in piedi accanto al divano dov’erano sdraiati lei e Matteo “Non ora, ti prego”
Puntò gli occhi in quelli blu del bambino dai capelli corvini per poi stringerli con forza, tentando di ignorare un dolore al ventre. Trattenne a stento un gemito che non sfuggì al moro che, infatti, si staccò, preoccupato - Qualcosa non va? -
- Io...Matteo...non credo sia il caso - sussurrò.
- Non eri di questa opinione qualche secondo fa -
- Lo so - rispose - Ma...davvero amore, non credo sia il caso oggi - aggiunse, appoggiandogli le mani sulle spalle, stringendole appena, per poi affondargli le unghie nella carne quando fu colta da un altro dolore. Strinse gli occhi con forza.
- Angelica? - la chiamò lui preoccupato - Cos’hai? -
Attese qualche secondo, che sembravano durare ore intere, poi, cessato il dolore e scomparso il piccolo demone, respirò profondamente - Ti prego - sussurrò - Non oggi -
Matteo, un po’ deluso, si rialzò, raccogliendo la camicia e, contemporaneamente, massaggiandosi la spalla - Mi hai fatto male -
Sospirò, rimanendo sdraiata - Scusami -
- E adesso? - chiese il moro infilando la camicia e riabbottonando tutti i bottoni - Cosa facciamo? -
Si mise a sedere, alzando le spalle - Documentario sugli ornitorinchi? -
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Ore 23.15
Non si videro documentari sugli ornitorinchi per tutta la sera, e Matteo dovette subirsi il film “Twilight”, mentre lei continuava a chiedersi come mai i vampiri di quei film erano così strani. La domanda che le sorse alla fine fu: ma dove diavolo è Buffy quando serve?
Non appena Matteo se ne fu andato, decise di chiamare Beatrice che, sicuramente, era ancora all’Agenzia. Prese il suo cellulare, abbandonato sulla scrivania di camera sua, cercò il numero nella rubrica e chiamò la collega, che rispose subito - Che tempismo, ti stavo per chiamare -
- Beatrice - iniziò - Devo chiederti un favore... -
- Che genere di favore? - domandò la collega dall’altro lato - Niente di complicato spero -
- Mi serve un sigillo -
Dopo qualche secondo di silenzio la bionda sospirò - Ah...un sigillo... -
- Immagino che tu sia all’Agenzia. Posso venire anche subito se hai un po’ di tempo -
- Sì, d’accordo. Nessun problema -
- Tu perché volevi chiamarmi? -
- Eh...ah, allora, praticamente il programma delle chiamate si è guastato: ha cancellato tutti i numeri di telefono degli Agenti e J. li sta salvando di nuovo, e per stasera mi sono offerta di chiamare gli Agenti in caso di necessità, ma ho il numero solo di alcuni. Ti credo che il programma si è guastato, sai che palle avere memorizzati nella rubrica: Agente 1, Agente 2, Agente 3 , Agente 4, Agente 5, Agente 6, Agente 7, Agente 8, Agente 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16...-
- È un po’ più complicato di quello che pensi, Beatrice. Il programma sceglie l’Agente in base alla zona, al livello e in base alla pericolosità del demone, per poi cercarne degli altri nel caso in cui l’Agente selezionato non risponda o è nell’indisponibilità di eseguire la missione -
- Beh, è lo stesso. Comunque...ecco...allora, ho due C.A. sullo schermo, segnati con due puntini rossi. Secondo te cosa vuol dire? -
- Categoria A, Beatrice. Dove vengono segnalati? -
- Eh...allora, credo che sia via Alessandro Manzoni...- disse lei, zittendosi subito dopo - Ma guarda...ha il nome della tua stessa via -
Si mise una mano nei capelli, incamminandosi tranquillamente verso la sua stanza per recuperare la katana - Beatrice, quella è la mia via -
- Ah, davvero? Oh, che culo -
Sguainò la katana mentre scendeva con calma i gradini della scalinata, tenendo sempre il cellulare appoggiato all’orecchio, poi uscì in giardino, ma non riuscì ad individuare nulla che si celasse nell’oscurità della notte. Sospirò, quando notò due ombre che attraversarono velocemente la via, scomparendo poi nel nulla con una lieve risata femminile.
Abbassò l’arma e rincasò - Sono fuggite -
- Ecco perché le lucette rosse si sono spente... -
Appoggiò la spada lì accanto e si stiracchio -Problema risolto. Dieci minuti e sono lì -
- Ricordati l’oggetto su cui devo fare il sigillo - disse Beatrice - Devi sempre portarlo con te, quindi non scegliere qualcosa di stupido -
Sorrise - Non preoccuparti - rispose - Arrivo tra dieci minuti -


Seduta su uno dei lettini nell’infermeria dell’Agenzia, aspettava da dieci minuti l’arrivo di Beatrice. Non c’era nessuno in quella stanza, dato che Marco, probabilmente, era ritornato a casa.
Ritornò in piedi quando l’amica entrò nell’infermeria. Aveva l’aria stanca e annoiata e, ad incorniciare il tutto, un paio di occhiaie sotto agli occhi e i capelli scarmigliati.
- Finalmente - disse, mettendosi le mani sui fianchi.
- Lo so, scusa. J. ha avuto un piccolo problema e ha ritardato un po’...adesso sta rimettendo tutto a posto -
- Sì, sì - disse, togliendosi la collana che Matteo le aveva regalato - Tieni - aggiunse porgendola alla collega - Fai il sigillo su questa -
Beatrice prese la collana tra le mani e la studiò - Ottimo, però mi serve un po’ di tempo -
- Posso aspettare -
La bionda si sedette al tavolo di lavoro liberandolo dai vari arnesi che lei e Marco usavano per studiare i demoni artificiali - Dimenticavo, l’Agente 2 ti stava cercando -
Inarcò un sopracciglio - Ti ha detto cosa vuole? -
Beatrice scosse la testa - No, ha detto semplicemente “Chiamare 33 è come cercare di mettersi in contatto con il papa” - disse lei, imitando la voce del loro collega alla perfezione.
Si lasciò sfuggire una risata, alzandosi in piedi - Se è così è meglio che vada a cercarlo. Quanto ti ci vuole per il sigillo? -
- Un’ora al massimo -
Annuì - Grazie Beatrice -
La collega alzò gli occhi dalla collana e le sorrise - Di niente, è il mio lavoro -
Le sorrise ed uscì dall’infermeria, iniziando a girovagare per i corridoi. Dopo quasi quindici minuti, e dopo aver girato i corridoi di mezza Agenzia, la voce roca dell’Agente 2 attirò la sua attenzione. Si voltò e sorrise al superiore - Buonasera, signore -
L’armadio a muro, vestito di nero, le si avvicinò a passo di marcia - Per la miseria 33, è mezz’ora che ti cerco! - esclamò lui.
Si mise una mano nei capelli - Eh, lo so, infatti la stavo cercando anch’io -
L’Agente due, giunto davanti a lei, si mise le mani sui fianchi, sorridendo. Nessuno lo vedeva mai sorridere, ma con lei lo faceva sempre, la trattava come una figlia - Trovare un ago in un pagliaio sarebbe molto più facile! -
Rise piano, ritornando subito seria - Signore, perché voleva vedermi? -
L’uomo le passò un braccio sulle spalle, ed entrambi si incamminarono - Indovina un po’ dove ti sto portando...-
- Non ho fatto casini, vero? -
- No -
- È per l’esorcismo? Se volete posso pagare io...-
- Nemmeno questo - le disse il collega, passandosi una mano sulla testa pelata - Ricordi la missione alla villa di Leferve? -
Sgranò gli occhi - Se volete mettermi un altro vestito giuro che mi dimetto -
- No, niente vestiti -
Sospirò - Immagino che stiamo andando dalla Direttrice -
- Bingo, 33 -
A passo svelto, raggiunsero la porta della sala riunioni ed entrarono. Nella stanza c’era solo la Direttrice, seduta sulla sua carrozzina, vicino al tavolo di vetro, che consultava alcuni documenti, mentre molti altri fogli erano sparsi sulla superficie di vetro. La donna alzò gli occhi dal foglio che teneva tra le mani e la guardò con serietà - 33, finalmente l’Agente 2 ti ha trovata - disse la mora, portandosi dietro l’orecchio una ciocca ribelle di capelli.
- Direttrice, secondo me sarebbe una bella idea piantarle un microchip nell’orecchio. Così la troviamo prima -
La donna sorrise - Oh Agente, 33 non è mica un gatto -
L’uomo pelato fece il giro del tavolo di vetro e si sedette alla destra della Direttrice - Ho detto solo che sarebbe una buona idea -
Sorrise, tenendo la testa bassa, in attesa che la Direttrice le dicesse di sedersi.
- 33, quello che verrà detto in questa stanza deve rimanere segreto, nessuno deve saperlo -
Annuì - Sì, Direttrice -
- Prego, siediti -
Si accomodò dall’altra parte della tavola, esattamente di fronte alla mora e al pelato.
- Grazie alle informazioni che Leferve ci ha...gentilmente concesso, ora sappiamo dove si trovano i laboratori. Ci serve qualcuno di fiducia che entri nei laboratori e rubi le informazioni presenti nel server ed inviarle all’Agenzia. 33, se la sente di svolgere questa missione? -  
- Per quando è prevista? -
- Non è stata fissata una data - rispose l’Agente 2, incrociando le braccia al petto - Ti lasciamo il tempo per prepararti per la missione. Studiare ogni dettaglio che altri Agenti sono riusciti a raccogliere -
Annuì - D’accordo. Accetto -
L’uomo si alzò e la raggiunse, dandole una pacca sulla spalla - Ottimo 33, ora devo andare. J. ti raggiungerà tra un po’, ti fornirà l’attrezzatura e quant’altro. Ora devo tornarmene a casa, ma per qualsiasi problema, puoi chiamarmi a tutte le ore, d’accordo Angelica? -
Annuì - Certo, buona serata -
L’Agente uscì dalla sala riunioni, richiudendo la porta: ora c’erano soltanto lei e la Direttrice, che la osservava intensamente, assorta da qualche pensiero. Rimase in silenzio, finchè la donna non si riscosse.
- Angelica, sei sicura? -
- Sì Direttrice, non è una missione così complicata - rispose.
- Scusami se ti coinvolgo spesso in queste missioni, Angelica, ma tu sei la persona in cui, beh, ripongo la maggior parte della mia fiducia e non vorrei che tu ti senta obbligata a svolgere ogni missione. Sei un membro prezioso e non ho intenzione di perderti -
Respirò profondamente - Direttrice, non si preoccupi -
La donna abbassò lo sguardo sulla sua mano, stretta a pugno. La osservò a sua volta, notando soltanto una catenella d’oro.
La mora, dopo aver lanciato un sospiro, appoggiò quello che stringeva nella mano sulle ginocchia, appoggiando poi i palmi delle mani sulle ruote della carrozzina, spostandosi verso la porta d’entrata della sala. Si alzò a sua volta in piedi.
- J. verrà direttamente qui - disse la donna, aprendo la porta, ma nel farlo, per sbaglio, fece cadere la catenina a terra. Si avvicinò e la raccolse, guardando di sfuggita la foto nel ciondolo: era una ragazza, che le assomigliava moltissimo, aveva i capelli neri, il viso pallido eccetto per le guance rosee e gli occhi erano identici a quelli della Direttrice.  
Le porse la collana, in silenzio, e la mora, dopo averla ringraziata, osservò in silenzio la foto. Non aprì bocca per alcuni secondi che, però, sembravano lunghi ed interminabili minuti.
- Mia figlia Elisa - sussurrò la Direttrice - Avrebbe avuto la tua stessa età -
- Mi dispiace -
La mora, con un rapido gesto, si tolse una lacrima con il dorso della mano prima che potesse scivolarle lungo la guancia - Le assomigli così tanto...-
Dopo altri secondi di silenzio, la Direttrice uscì dalla sala, senza emettere parola. Si sedette di nuovo al tavolo di vetro, in attesa. Sperò di poter tornare presto a casa.
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Capitolo 36
*** Capitolo 36 - Giovedì, 12 marzo 2009 ***


Giovedì, 12 marzo 2009
J. entrò nella sala riunioni: i capelli rossicci spettinati come non mai, vestito in modo informale, con una felpa e un paio di jeans, mentre teneva un borsone a tracolla. Si voltò nella sua direzione - Ti prego - disse - Dammi una buona notizia -
- Non potrai portare la tua katana, né delle pistole e quant’altro -
Inarcò un sopracciglio, osservando il ragazzo che si sedeva dall’altra parte del tavolo - Ti sembrano buone notizie? -
- No - rispose lui, appoggiando il borsone a terra - Ma forse ho qualcosa che ti piacerà -
- Niente abito rosso -
- Oh no, stonerebbe con la situazione - rispose lui, portandosi la mano destra al cuore, tenendo la sinistra alzata, come un testimone che giura in tribunale - Lo giuro sul mio onore, piccola -
Lo fulminò con lo sguardo - Muoviti che voglio tornarmene a casa -
- Giusto, l’incredibile ed invincibile 33 domani mattina deve andare a scuola - sussurrò il rosso, chinandosi per estrarre qualcosa dal borsone, appoggiando poi una tuta sulla tavola di vetro. Lanciò un’imprecazione: era una tuta molto aderente, sembrava fatta di pelle di colore nero ovviamente, ed era un unico pezzo che si chiudeva con una cerniera posta sul davanti - Oh, merda -
- Tesoro, l’altra volta dicevi che volevi la tutina da puttana -
- Ok, ho capito, ma non voglio assomigliare a Catwoman o...la gatta nera dei fumetti Marvel! -
- Io la volevo rossa, ma probabilmente sembreresti Elektra -
Si diede una sberla in fronte.
- Vedrai che ti piacerà - disse il ragazzo, porgendogliela - Vai a metterla e poi torna qui -
Con un sospiro, prese la tuta, uscendo dalla stanza per entrare negli spogliatoi femminili, poco più in là. Si spogliò, rimanendo in biancheria intima, osservando la tuta con indecisione.
“Sono ancora in tempo per ritirarmi?” pensò, lanciando un sospiro ed infilò la tuta con qualche difficoltà: la tuta nera era talmente aderente che sembrava farle da seconda pelle. Le maniche furono un problema: sembrava esserci qualcosa di rigido. Tirò su la cerniera e ritornò da J. nella sala riunioni, mettendosi le mani sui fianchi - Allora? Dov’è questa cosa che mi piacerà?? Perché...IO NON LA VEDO!!! -
- Beh tesoro, sei uno spettacolo -
Si passò una mano nei capelli - Ti do tre secondi e poi ti prendo a calci - disse - Tre -
- In più ti mette in risalto le tette -
- Due...-
- Per non parlare del sedere, 33 -
Divenne rossa di rabbia - Uno...-
- Ok, ok - disse lui prendendole le braccia - Qui sui polsi ci sono due dispositivi che se entrano in contatto fanno fuoriuscire due lame -
Inarcò un sopracciglio, osservando i polsi - Tipo Assassin’s creed? -
- Esatto - rispose J., ritornando a sedersi - Per attivarle devi solo far entrare in contatto i due sensori, e le lame scatteranno -
Avvicinò i polsi e, non appena si toccarono, dalla tuta uscirono due lame lunghe almeno trenta centimetri. Sorrise - Hai ragione: mi piace un sacco -
- Allora, ricapitolando ed aggiungendo dei dettagli, devi entrare nei laboratori dove creano quelle cose schifose, rubare tutti i file necessari per poi piazzare una bomba nel laboratorio per distruggere un po’ di cose...giusto per fargli un po’ di dispetti -
- Telecamere? -
- A quelle ci penso io -
- Non fare come l’altra volta, che me la sono vista davvero brutta - disse risedendosi, dondolandosi un po’ sulla sedia, osservando assorta le due lame.
- Don’t worry, be happy 33 - disse J. sorridendo, estraendo dallo zaino un piccolo fascicolo, appoggiandolo poi sul tavolo di vetro, lanciandolo nella sua direzione.
- Cosa devo fare per disattivare queste cose? -
- La stessa cosa che hai fatto per attivarle -
Fece nuovamente entrare in contatto i due dispositivi e le lame scomparvero, come se fossero state risucchiate dalla tuta, poi prese il fascicolo, e lo aprì, osservando la piantina del laboratorio.
- Accanto ai laboratori c’è un vicolo, in fondo c’è una grata: ti basterà spostarla per entrare nel condotto di ventilazione -
- I laboratori sono sottoterra? - disse, senza distogliere lo sguardo dalla piantina.
- Sì, ma non sarà una cosa complicata -
- E la bomba? -
- Una volta piazzata sarò io ad attivare la detonazione -
Chiuse il fascicolo e si alzò in piedi - Posso andare? -
- Certo tesoro -
Gli lanciò un’occhiataccia prima di uscire dalla sala riunioni per ritornare nello spogliatoio, togliendosi la tuta e rimettendosi gli altri abiti.
Alzò lo sguardo verso l’orologio appeso sopra la porta: 00.41
S’incamminò velocemente, percorrendo a passo svelto i corridoi ed arrivando in infermeria, sorridendo: Beatrice, seduta al tavolo di lavoro, aveva la testa appoggiata alla superficie di metallo e dormiva beatamente. Si avvicinò e prese la collana. Avrebbe ringraziato l’amica il giorno seguente e poi, se l’avesse svegliata, non sarebbe uscita viva dall’infermeria.
Uscì in punta di piedi: finalmente poteva ritornare a casa.
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Ore 7.30
Come tutte le mattine, lanciò il telefono dall’altra parte della stanza e, stranamente, smise immediatamente di suonare. Si mise immediatamente a sedere, sorpresa da quello strano avvenimento, accese la luce ed osservò il cellulare, a terra, con il display e la cover in frantumi. Alzò le braccia al cielo - Evvai! -
Scese in cucina e fece colazione in quattro e quattr’otto, preparandosi in ancor meno tempo. Dopo aver indossato una t-shirt a maniche corte e un paio di jeans, infilò il giubbotto di pelle e si mise lo zaino in spalla, prendendo le chiavi della Ferrari.
Qualche ora prima, non appena fu arrivata a casa, nascose il fascicolo che le aveva dato J. nel primo posto nella sua stanza che le venne in mente: il cassetto delle calze. Chi va a cercare un fascicolo nel cassetto delle calze? Poi aveva messo la collana con il sigillo anti demone: sperò con tutto il cuore che funzionasse.  
Uscì di casa e salì in macchina, partendo a tutta velocità, in direzione della scuola. Con l’elevata velocità con cui andava le bastarono quindici minuti per arrivare alla scuola e, dopo aver imboccato la strada, si fermò esattamente davanti al cancello della scuola, dove Elisabeth parlava animatamente con Alice e Vittoria. Parcheggiò e scese dall’auto, salutando le amiche con un gesto della mano.
- Sembra che Angelica sia tornata quella di prima! - esclamò Vittoria - Probabilmente lo studio ti ha fritto il cervello -
Giunta davanti alle amiche, sorrise alla bionda - Hai assolutamente ragione, Vittoria -
Elisabeth sbadigliò, stiracchiandosi le braccia - Ho sonno...e ho fame -
- Sentite Charlie’s Angels - iniziò - Avete voglia di un giro in città oggi pomeriggio? -
- Oh, Charlie’s Angels a chi? - esclamò Alice, mettendosi le mani sui fianchi e fingendo un’espressione imbronciata - Non voglio fare Alex -
- Aspetta, aspetta...la bionda come si chiama? - domandò Vittoria.
- Natalie - rispose Elisabeth - E io sarei Dylan solo perché ha i capelli rossi? -
Si mise le mani sui fianchi - Esatto -
- Oh, allora tu sei la cattiva! - esclamò Alice - Come cazzo si chiamava...dai! Quella che fa Demi Moore -
- Madison - disse con un sospiro. 
- Beh, la Ferrari ce l’hai, ti basta cambiare il colore -
- Allora venite in città sì o no? - domandò, impaziente.
- Ok, io vengo - sussurrò Elisabeth con uno sbadiglio - E voi ragazze? -
- Io non posso, mi dispiace. Devo studiare economia che domani mi interroga sicuramente - rispose Alice, sbuffando.
- Nemmeno io posso, ragazze, devo sistemare la tesina e poi avevo un impegno con Davide -
Annuì - Non fa niente, non ti preoccupare. Ci andremo tutte insieme un’altra volta -
- Ora è meglio se andiamo, quella di italiano ci frigge con gli occhi se entriamo quando la campanella è già suonata -
Elisabeth, ovviamente, aveva ragione. In più, voleva scambiare quattro chiacchiere con Laura, per chiarire delle questioni.
Entrarono a scuola e salirono la solita rampa di scale che le aspettava ogni dannatissima mattina. Si sedette al suo posto, incrociando le braccia al petto, osservando i compagni entrare dalla porta, in attesa dell’acerrima nemica. Laura, poco dopo, fece il suo ingresso, seguita da Jennifer e Veronica, che ridacchiavano tra loro, chiacchierando su qualcosa di altamente stupido o sui ragazzi.
Si alzò di scatto, facendo spaventare Elisabeth, che, copiava all’ultimo minuto gli esercizi di economia di Vittoria sul bilancio, e si avvicinò al banco della bionda, che stava appoggiando a terra la cartella. Da quando era entrata in classe non aveva aperto bocca.
- Mancini - la salutò con freddezza - Posso parlarti?-
Al posto di Laura rispose Veronica, portandosi le mani sui fianchi e squadrandola dall’alto in basso - Laura non ha tempo da perdere. Ha di meglio da fare che parlare con te, secchiona -
Le mani formicolarono: avrebbe voluto prenderla per il collo e attaccarla al muro - Non stavo parlando con te - rispose lanciandole un’occhiataccia che, se possibile, l’avrebbe uccisa all’istante. Laura, interrompendo le varie occhiate di disprezzo, si schiarì la voce - Che vuoi Vetra? -
Non si scompose al tono freddo della bionda. Oramai ci era abituata - Devo parlarti -
- Adesso? -
Annuì, portandosi poi le mani sui fianchi - Hai altre domande o possiamo uscire? -
La ragazza arricciò le labbra, irritata, ma poi la seguì fuori dalla classe, appoggiando la schiena contro il muro del corridoio - Che vuoi? -
- Sai che ero posseduta dal demone - iniziò - Volevo chiederti se hai notato qualcosa di strano -
Laura, dopo averla osservata intensamente con i suoi occhi grigi, si passò una mano nei capelli - No, non ho notato nulla di strano. Perché me lo chiedi? -
Prese un respiro profondo - Temevo il peggio -
- Ossia? -
Era indecisa se parlarle o meno della sua teoria a Laura, ma poi si convinse che non c’era nulla di male - Temevo che il demone avesse diviso la sua anima per vivere nel corpo di qualcun altro nel caso in cui la parte che era nel mio corpo fosse andata distrutta -
La compagna, dopo essere impallidita, inarcò un sopracciglio - Se fosse così me ne sarei accorta -
Annuì - Dimenticavo. Come hai fatto a sapere che il demone nel mio corpo era quella che ha ucciso...-
- Elisabeth - rispose immediatamente la bionda prima che potesse terminare la frase con un nome - Mi ha raccontato di sabato. Ho fatto due più due -
- Capisco - sussurrò - E ricordi quello che ti ho detto lunedì nello spogliatoio? -
Laura distolse lo sguardo - Mi hai chiesto se stavo bene, poi mi hai accompagnata in infermeria perché sono svenuta e ho battuto la testa per terra. Non ho notato niente di strano. Forse il demone era troppo debole per divedersi l’anima dopo essersi “trasferita” nel tuo corpo -
- Non credo - sussurrò, incamminandosi verso la porta della classe.


Come tutti i giovedì, le prime due ore dovettero sopportare la petulante insegnante d’italiano, che ripassò le poesie di Pascoli che avevano studiato qualche mese prima e un altro veloce ripasso in generale; poi, sorpresa delle sorprese, l’insegnante di matematica era entrata tutta contenta in classe, annunciando di staccare i banchi per un compito a sorpresa: per tutta l’ora aveva aiutato Elisabeth nei passaggi che non ricordava. Furono le prime a terminare e, in attesa della ricreazione, erano uscite in corridoio a giocare a calcio con una pallina di carta.  
Le due ore successive ci fu l’assemblea di classe che aveva chiesto ancora a fine febbraio, con l’insegnante di diritto come unico ostacolo, dato che non voleva perdere la sua ora, che poi si è arresa dopo che la Direttrice aveva acconsentito al posto suo. Essendo rappresentate di classe assieme ad Alice, entrambe erano rimaste sedute sulla cattedra, chiedendo se c’era qualche problema con gli insegnanti e via dicendo, mentre il resto della classe parlavano, giocavano a carte o, nel caso di Sergio e Federico, giocavano a calcio con una grossa pallina di carta.
L’ultima ora di economia fu l’ora più pesante in assoluto: l’insegnate aveva dato un esercizio da svolgere in un’ora; cosa praticamente impossibile dato che per un bilancio occorrono almeno due ore al secchione per eccellenza. Suonata la campanella, aveva la prof aveva dato il compito di terminare a casa.
Non appena lei ed Elisabeth uscirono dal cancello, stiracchiò le braccia, mentre l’amica, con un luccichio negli occhi, osservava il cielo con un sorriso. Chiuse gli occhi, sospirando - Che c’è? -
- Inizia a pregare, Angi. Oggi ti sfondo -
Le lanciò un’occhiata, prendendo le chiavi della macchina nella tasca della giacca - Devo proprio? -
- Oh sì, questo è solo l’inizio -
Sospirò un’ultima volta. Elisabeth aveva ragione: quel pomeriggio sarebbe stato un vero inferno con l’amica che, sicuramente, l’avrebbe trascinata in ogni negozio.


Come previsto, gran parte del pomeriggio lo passò per i negozi di via Mazzini con Elisabeth. L’amica le faceva provare qualsiasi cosa che poi, ovviamente, non comprava, mentre la rossa comprava un po’ di tutto. Ovviamente ogni vestito che l’amica comprava veniva pagato con la sua carta di credito.
Erano quasi le sei ed Elisabeth teneva un sacchetto di carta con un sacco di roba dentro, mentre lei, con le mani nelle tasche, lanciava delle occhiate annoiate alle vetrine
- Però a me serve un cellulare - disse ad un tratto lanciandole un’occhiata - Quello che ho si è rotto -
- Scommetto che l’hai lanciato contro il muro, anzi, più precisamente, il muro di camera tua - disse la rossa, che faticava a stare al suo passo - Beh, andiamo alla Fnac e ti compri il primo telefono che capita -
Percorsero via Cappello fino ad arrivare alla Fnac, entrarono e si avvicinarono al bancone del reparto cellulari, dove una commessa si avvicinò immediatamente, con un sorriso smagliate stampato in faccia - Posso esservi utile? - 
- Ehm...cercavo un cellulare - disse, ricevendo una gomitata dall’amica, che si schiarì la voce.
- Avete l’IPhone 3G da 16 giga? -
“Un che?” pensò, guardando prima la commessa poi Elisabeth.
- Sì, certo -
- Ok lo prende -
La commessa la guardò un attimo, perplessa, poi le porse una scatola che prese da uno dei tanti cassetti sotto le vetrine, dove mostravano i cellulari in vendita, contenente il nuovo cellulare e i vari accessori. La prese e ringraziò la commessa, dopodiché, lei ed Elisabeth tornarono alla cassa per pagare.
- Che cellulare mi hai fatto prendere? - domandò, porgendo la scatola al ragazzo alla cassa.
- Hai la tessera? - domandò lui.
- No -
- Vuoi farla? -
- No -
- Sono 569 euro -
Lanciò un’occhiataccia ad Elisabeth, prendendo la carta di credito - Il primo telefono che capita eh? -
- Questo è per avermi rotto il finestrino con un pugno -
Pagò ed uscirono, ripercorrendo via Cappello e via Mazzini, ancora piena di gente, a passo svelto: il cielo stava diventando scuro e delle nubi temporalesche non miglioravano di certo la cosa.
- Posso mangiare a casa tua? -
Guardò l’amica che osservava la scatola dell’Iphone, mentre lei teneva la borsa colma di vestiti - Sì, certo, nessun problema -
- Prendiamo la pizza però, genio. Altrimenti fai un’altra volta i ravioli con la salvia, il burro e la panna da dolci -
Guardò la scatola del telefono - Te l’ho già ripagato il finestrino, in più ho pagato anche tutta questa roba da vestire -
- Beh, 570 euro non fanno differenza...ti basta, ehm...prendere un tu sai chi e fargli tu sai cosa -
- A volte non è semplice sai? -
- Cosa? Fare tu sai cosa a tu sai chi? -
- No. Capirti, Elisabeth. Capirti -
- Beh, non deve essere difficile fare tu sai cosa a tu sai chi -
Inarcò un sopracciglio - Allora la prossima volta ti porto con me -
- Ahhh...ma anche no -
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Ore 20.35

Seduta sul divano in salotto, faceva di tutto per addormentarsi: Elisabeth, non contenta della sua vendetta durata praticamente tutto il pomeriggio, non appena erano tornate a casa con due pizze fumanti, aveva acceso uno stupido film, noto ai media come “Scusa ma ti chiamo amore”. Si alzò in piedi dopo neanche 10 minuti di film e staccò la spina del televisore dalla presa della corrente.
- Ehi! Lo stavo guardando! -
- Non ho intenzione di subirmi questa...cosa...per un’ora e quarantacinque minuti - disse, sottolineando i minuti di durata del film - Piuttosto giro in pigiama per il paese -
-Per carità! - esclamò l’amica, mordendo uno spicchio di pizza - Il tuo pigiama fa schifo. Risparmia a quei poveri abitanti il supplizio di vederlo anche solo per una volta -
Ritornò a sedersi, rubando un pezzo di pizza all’amica - Allora cosa diamine facciamo? -
Sorrise - Un’idea ce l’avrei -
Elisabeth incrociò le braccia al petto - Sarebbe? -
Strinse forte il cuscino accanto a lei - Beh...direi...- iniziò, lanciando addosso all’amica il cuscino, colpendola in pieno viso - Lotta dei cuscini! -


Dopo un’accesa lotta dei cuscini e dopo diverse partite alla playstation, si erano fatte le undici e qualcosa. Salirono sulla sua auto e mise in moto.
Svoltò a destra in una piccola stradina in mezzo ai campi, completamente deserta ed illuminata soltanto dai farri della sua Ferrari: una piccola scorciatoia per arrivare a casa dell’amica.
Elisabeth, seduta accanto a lei, continuava a cambiare stazione radio, scontenta di ogni canzone che trasmettevano.
- Non è possibile che non ci sia nemmeno una canzone decente! - esclamò l’amica ad un tratto, mentre prendeva un porta cd riposto sotto al sedile, cercandone uno che le piacesse.
- Basta che accendi qualche canzone - disse, socchiudendo appena gli occhi: un’auto, dietro di loro, aveva gli abbaglianti accesi, e la loro forte luce veniva riflessa sul suo viso dallo specchietto retrovisore, infastidendola.
- Fanno tutti schifo - le rispose Elisabeth, scegliendo infine il cd Stripped di Christina Aguilera, ma lei non la stava nemmeno ascoltando la canzone: la macchina si faceva sempre più vicina, ora, forse, era a circa mezzo metro dal paraurti posteriore della sua auto.
- Ma chi è questo imbecille? .- domandò la rossa, guardando dietro per qualche secondo, per poi concentrarsi nuovamente sulla radio per cercare la canzone giusta nel cd appena inserito. Lei temette il peggio. C’era qualcosa che puzzava, e oramai aveva un sesto senso per individuare un possibile pericolo.
- Hai la cintura allacciata? - domandò, senza distogliere lo sguardo dallo specchietto retrovisore, tenendo d’occhio l’altra macchina, che era talmente vicina che l’interno della sua auto sembrava essere illuminato a giorno.
- È ovvio che ho la cintura allacciata -
- Bene - sussurrò, premendo l’acceleratore, e il motore della Ferrari ringhiò come una tigre, salendo di giri, facendo scattare l’auto in avanti. Come aveva, purtroppo, previsto, l’auto dietro di loro, una BMW, accelerò a sua volta, spegnendo gli abbaglianti. 
Elisabeth, al suo fianco, strinse i pugni - Ma sei impazzita? Che ti è saltato in quella zucca?!-
Accelerò ancora di più, osservando la figura di un uomo che usciva dal finestrino, dalla parte del passeggero, della BMW. Sospirò vedendo cosa stava impugnando l’uomo.
- Eli, tieni giù la testa e...- iniziò calma, ma non riuscì a terminare dato che l’amica lanciò un urlo dopo che il vetro posteriore della Ferrari andò in frantumi per un colpo di pistola.
- Ma chi cazzo sono?! -
- STAI GIÙ MALEDIZIONE!! - esclamò, piegandosi in avanti per tentare di recuperare la pistola, che teneva sempre riposta sotto al sedile del guidatore.
Senza mai rallentare, e senza mai distogliere lo sguardo dalla stradina, abbassò un po’ il finestrino e puntò a casaccio la calibro 40 contro la BMW, sparando diversi colpi, ma riuscì solamente a rompere il parabrezza dell’auto dietro di loro, che si sbriciolò in mille schegge di vetro.
Elisabeth urlò ancora, quando lo specchietto laterale dalla parte del passeggero, esplose a sua volta, penzolando con il vetro rotto.
- Eli, prendi il volante! - urlò sopra gli spari.
- Sei impazzita?! -
- MUOVITI! -
L’amica, titubante, afferrò con mani tremanti il voltante.
- Ora vieni di qui e appoggia un piede sull'acceleratore - disse facendosi un po’ da parte.
La rossa, con un po' di difficoltà riuscì a portare una gamba dalla sua parte ed appoggiare il piede sull'acceleratore, mentre lei si sedette sulla portiera dopo aver abbassato il finestrino del tutto. Mezza dentro e mezza fuori dall'auto, iniziò a sparare, tenendosi al poggiatesta del sedile, pregando di non perdere la presa. Elisabeth, che si era sistemata al posto di guida, tremando come una foglia, manteneva una velocità costante, tenendo la testa bassa mentre le pallottole perforavano la carrozzeria della Ferrari.
Prese bene la mira e, benché fosse buio, riuscì a colpire la spalla dell'uomo, facendogli perdere la pistola.
- Bingo - urlò, ma la sua allegria si spense subito dopo, alla vista dello stesso uomo, uscire ancora una volta dal finestrino con un'altra arma.
- Spostati Eli! -
Elisabeth s'irrigidì - Cosa? -
- Spostati! - ordinò all’amica che, singhiozzando, ritornò sul sedile del passeggero, tenendosi la testa fra le mani. Accelerò ancora di più, ma l’auto dietro di loro non dava cenni di resa.
Si concentrò sulla strada, pensando a cosa fare; poi ci fu un forte botto e per qualche secondo perse il controllo della Ferrari. Guardò lo specchietto laterale alla sua sinistra ed imprecò a denti stretti: lo pneumatico posteriore era a terra. Con una gomma fuori uso l’auto aveva perso velocità, ed ormai la BMW si era affiancata alla Ferrari. Lanciò un’occhiata al finestrino abbassato dell’altra auto e ai due uomini all’interno del veicolo. Frenò di colpo quando vide l’uomo, seduto sul sedile del passeggero, puntare la pistola contro di lei.
Fece retromarcia, lanciando una veloce occhiata ad Elisabeth, terrorizzata. Sì maledì mentalmente: anche quella volta l’amica era in pericolo per colpa sua. Fermò la macchina, lasciando la retromarcia inserita, ed osservò la BMW fare inversione, per posizionarsi proprio davanti alla Ferrari, prima di accelerare. Caricò velocemente la pistola e la puntò verso la macchina che si avvicinava a gran velocità, sparando poi due colpi, per poi far scattare la Ferrari all’indietro, mentre la BMW sbandava in mezzo alla stradina per via delle due gomme a terra.
Fece inversione e si allontanò, lanciando uno sguardo dietro di lei, dove l’auto giaceva per metà nel canale adiacente alla strada.
Si voltò verso Elisabeth, ancora scossa - Stai bene? - domandò, lasciando cadere la pistola dietro al sedile.
- Chi...erano quelli? - sussurrò l’amica, osservando nel vuoto davanti a lei.
- Non lo so - rispose - Forse dovresti dormire a casa mia, stanotte -
La rossa non le rispose, ma si limitò ad annuire.
- Mi dispiace - sussurrò, riavviandosi all’indietro i capelli, ignorando un freddo venticello che entrava nell’auto, per via del parabrezza rotto - Io...non pensavo che succedesse questo...-
- Non potevi saperlo -
- Se dovesse succederti qualcosa per colpa mia, io... - disse, stringendo con forza il volante - Dio mio -
- Non starai pensando di andartene? -
Sospirò - In un primo momento, l’ho pensato - disse, poi, il resto del tragitto fu silenzioso, eccetto il rumore della ruota che grattava sull’asfalto.


Parcheggiò in garage e scese dall’auto, osservando i danni: la Ferrari era piena di fori di proiettile, la ruota dove lo pneumatico era esploso era da risistemare completamente, per non parlare dei finestrini. Fece il giro e guardò Elisabeth, seduta a terra, tremante. L’aiutò ad alzarsi e chiuse con forza la portiera, facendo cadere lo specchietto laterale rotto.
“ La prossima volta...” pensò “...la compro antiproiettile, e altro che Ferrari, mi compro una Golf!”
Aiutò l’amica, che faticava a reggersi in piedi, a salire le scale e poi, una volta entrate, la fece sedere sul divano in cucina, poi iniziò a preparare una camomilla - Dovresti calmarti un attimo -
- Calmarmi? - domandò Elisabeth, bianca come uno straccio - Calmarmi?! -
- Lo so, non è cosa di tutti i giorni rimanere coinvolti in...cose del genere - disse, mettendo l’acqua a bollire nel microonde - Però non riesco a capire se stai bene -
La ragazza lanciò un sospiro, calmandosi - Sto bene, non preoccuparti -
- Sicura, sicura? -
- Sì, non ho niente -
Passarono lunghi minuti e nessuna delle due aprì bocca: lei preparò in silenzio la camomilla, mentre Elisabeth stringeva i pugni sulle ginocchia. Le porse la tazza e le si sedette accanto, in attesa che l’amica finisse.
“ Questa me la pagheranno cara” pensò, respirando profondamente per tentare di calmarsi.
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Capitolo 37
*** Capitolo 37 - Venerdì, 13 marzo 2009 ***


Venerdì, 13 marzo 2009
Elisabeth, dopo aver infilato una maglia che le aveva prestato per dormire, si infilò sotto le coperte, incrociando le braccia al petto, mentre sul viso, ancora pallido per la vicenda appena terminata, apparve una smorfia imbronciata., e ciò significava che avrebbe iniziato a farle un sacco di domande benché fosse ancora sconvolta.
- Allora? Hai intenzione di rimanere qui tutta la notte? - domandò l’amica subito dopo, mentre lei, con un sospiro, si sedette in fondo al letto ed annuì semplicemente, appoggiando la katana a terra.
- Chi erano? -
- Non lo so -
- Come non lo sai? -
- Non lo so, ma ho il sospetto che fossero stati mandati dall’uomo che mi vuole morta - disse “Ma dai Angelica, sei un genio!” pensò tra se e se, ironicamente.
- Volevano anche me? -
Chiuse gli occhi e si passò una mano nei capelli - Non credo, ma non voglio rischiare. Inoltre, se fossero degli Agenti, ti avrebbero fatto del male molto prima, dato che sanno dove abiti -
- Come fanno a saperlo? -
- Ogni Agente ha una sua scheda, dove sono elencate le persone che frequenta e quali di queste sanno il lavoro che svolge -
Elisabeth si accigliò - Quindi, ancora una volta, sono in pericolo per colpa tua -
Le lanciò un’occhiataccia, mentre stropicciava la t-shirt bianca che usava come pigiama - Non sei in pericolo, Elisabeth. Vogliono uccidere me. Probabilmente non sapevano che eri in macchina... -
- Ma non ne sei sicura -
- Quello che mi vuole morta ha mandato il demone dai capelli rossi come regalo?! E la soffiata che ha fatto su una mia missione? - esclamò, calmandosi subito dopo - Elisabeth, stai tranquilla, non sei in pericolo -
Dopo lunghi ed interminabili minuti di silenzio, l’amica lanciò un lungo sospiro, rompendo la quiete presente nella stanza - E per il bambino? Hai pensato a qualcosa? -
Scosse la testa, abbassando lo sguardo - Ho chiesto a Beatrice se poteva farmi un sigillo in modo che il potere di mio...del demone, non possa farmi niente -
- E dov’è questo incredibile sigillo? Non vedo un’aura viola intorno a te che ti protegge...- disse la ragazza ironicamente, mentre lei le mostrò la collana che portava al collo - Ha posto il sigillo su questa collana, ma questo non può impedire che io...beh... -
- E se succedesse? E se rimanessi incinta? -
- Il bambino ha detto soltanto che moriremo entrambi e...-
- Non voglio sapere cos’ha detto quel marmocchio, Angelica. Voglio sapere cosa pensi tu -
Rimase un attimo in silenzio - Io...terrò il bambino e farò di tutto perché non succeda nulla -
- E Matteo? -
- Devo dirgli tutto ma...è ancora presto -
Elisabeth piegò la testa di lato - E pensare che ci hai messo quattro anni per dirlo a me -
Si portò una mano alla fronte - Già - disse alzandosi in piedi e raccogliendo la katana.
- In tutto questo tempo non ho mai visto quella cosa in giro per la casa - disse la migliore amica, osservando incantata la spada.
- Non è una cosa - la corresse.
- Quella spada -
- È una katana -
- È stupenda. Perché la tieni nascosta? - domandò Elisabeth.
- Non è per bellezza, Eli. Mi ha salvata molte volte - disse sguainandola senza emettere alcun rumore - E poi...- iniziò con un sorriso - Sai che sono gelosa delle mie cose -
- Perché non mi racconti qualcosa? - domandò la rossa, mettendosi a sedere, facendo gli occhi da Bambi - Dai...-
Rimise la katana nel fodero e si risedette - Cosa dovrei raccontarti? -
- Una delle tue missioni -
- Una delle tante? -
L’amica annuì - Una carina -
Ci pensò un attimo - D’accordo -
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Domenica, 10 aprile 2005
Ore 23.00

Scendo dalla Mercedes guidata da un Agente, che non ha aperto bocca per tutto il resto del viaggio, e mi osservo intorno.
La zona è praticamente deserta ed illuminata solamente dalla pallida luce della luna sopra la mia testa e, davanti a me c’è un edificio abbandonato e pericolante alto sei o sette piani: il luogo della missione. Della mia prima missione.
Dopo neanche un minuto, proprio dietro di me, si ferma una seconda Mercedes. Sento la portiera aprirsi e richiudersi con un tonfo e dei passi che si avvicinano sempre di più. Lancio un’occhiata a Manuel, al mio fianco, che osserva a sua volta l’edificio abbandonato - Finalmente - dice - Il nostro primo demone -
Sorrido - Forse c’è un errore - dico, alzando lo sguardo su una figura, seduta sul bordo del tetto - Quello è il MIO primo demone -
Il biondo ghigna estraendo la pistola riposta nel fodero, nascosto sotto la giacca di pelle - Staremo a vedere -
L’auricolare prese a gracchiare, poi sento la voce dell’Agente 2 che comunica un’unica informazione: Categoria C.
Mi avvio verso l’entrata dell’edificio, ignorando i cartelli di pericolo appesi un po’ ovunque ed entro in quello che sembra essere una hall di un hotel. Manuel è subito dietro di me, la pistola alla mano, pronto a fare fuoco, mentre io non ho ancora toccato la katana appesa a tracolla.
Non appena noto le scale, nascoste dall’oscurità, parto di corsa, facendo i gradini a due a due, piano dopo piano, fino ad arrivare al tetto a terrazza, vuoto. Sguaino la katana non appena vedo un’ombra spostarsi a gran velocità e sorrido.
Manuel mi raggiunge proprio nel momento in cui il demone ci appare proprio davanti, ringhiando: era simile ad un cane, senza peli né altro, e si ergeva su due zampe, munite di lunghi artigli ricurvi, neri come la pece.
Il biondo sparò un colpo, ma il demone si scansò, attaccandomi. Schivo per un soffio i suoi artigli, lunghi e ricurvi, pronti a serrarsi intorno alla mia gola. Con un rapido gesto riesco a ferire il demone, che indietreggia immediatamente, squadrandomi con un paio di diabolici occhi rossi, resi ancor più minacciosi dal chiarore della luna.
Il demone attacca nuovamente, ma questa volta punta Manuel. In una frazione di secondo sento un lamento strozzato e lo vedo a terra, assieme al mostro, che lottavano. Mi avvicino di corsa, tentando di far allontanare il demone, e, con un veloce fendente, gli stacco il braccio sinistro, che cadde a terra, dove rimase, immobile. Il demone, infuriato, mi scaraventa lontano, la katana mi sfugge di mano e finisco sull’orlo del terrazzo, con la testa che penzola all’ingiù, nel vuoto. Sento i suoi artigli affondare nel petto e lancio un grido. Il mostro, ringhiando come un cane, tentò di spingermi di sotto, ma in tutti i modi tentavo di opporre resistenza.
- Scordatelo, stronzo! - esclamo, tirandogli un pugno sul muso, facendolo indietreggiare.
Mi rialzo e recupero la katana, attaccando immediatamente, affondandogli la lama nel petto. Estraggo la spada e lascio accasciare il demone a terra, che scomparve dopo qualche secondo, trasformandosi in polvere grigia, che venne portata via dal vento.
Mi volto verso Manuel, seduto a terra, con un graffio sulla guancia e una spalla ferita, che mi guarda, leggermente sorpreso.
Alzo le spalle - Che c’è? -
- Sei...- inizia lui - ...una cosa incredibile -
Sorrido - È ovvio. Io sono una donna -
- Letale quanto bella -
Socchiudo gli occhi. Che ha detto? Devo arrabbiarmi o prenderlo come un complimento?
Lo ignoro e mi avvicino - Stai bene? -
- Una meraviglia -
- Secondo me, hai preso una botta in testa -
- Oh no, sai che sono sempre così -
Rido piano, sfiorandogli il taglio sulla guancia - Però sono un po’ di giorni che ti comporti in modo strano - dico - Non sarai mica innamorato? -
- Penso di sì - ammette lui.
- Ma dai! E lei chi è? -
- Non te lo dico -
- Andiamo - sussurro in tono suadente - Chi è la fortunata? -
- Lei non sa che sono innamorato di lei - sussurra Manuel, alzando gli occhi al cielo.
- Chiedile di uscire - gli suggerisco, mentre controllo la ferita alla spalla.
- Ho paura di rovinare la nostra amicizia -
- Baciala e vedi cosa fa - sparo lì sul momento, non sapendo più che suggerimenti dare al biondino.
- Sei impazzita? Così mi becco una sberla! -
- Perché? Secondo me funziona -
- Mi stai dicendo che dovrei baciarla improvvisamente durante una conversazione? -
Annuisco - Sì -
Manuel, all’improvviso, mi afferra per le spalle e...
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Un rumore proveniente dal salotto attiro la sua attenzione, e si fermò, facendo segno ad Elisabeth di fare silenzio.
- Che c’è? Che succede? - sussurrò l’amica, spaventata.
- Hai sentito? - domandò per avere conferma o, semplicemente, per sperare di essersi sbagliata.
- Il rumore? - domandò ancora Elisabeth, lanciando delle frenetiche occhiate alla porta, aspettando, forse, di vedere un demone entrare di corsa.
Si appoggiò l’indice sulle labbra - Resta qui, intesi? - ordinò, chinandosi per afferrare la katana, abbandonata a terra, per poi alzarsi in piedi ed avvicinarsi alla porta della camera. Un altro rumore al piano di sotto, ma non riusciva a capire se la fonte di quel suono era provocata da qualcosa di umano o no. Si voltò verso la rossa - Chiuditi dentro e non aprire la porta per nessun motivo finché non te lo dico io, ok? - domandò, ricevendo un febbrile “sì” come risposta.
Chiuse piano la porta della stanza degli ospiti e subito dopo sentì la serratura scattare; poi percorse piano il corridoio, lanciando un’occhiata all’ingresso buio e vuoto. In sottofondo le sembrava di sentire dei lunghi e leggeri sospiri, quasi impercettibili, provenire da un angolo dell’ingresso, dove però non c’era anima viva. Accese la luce e sguainò la katana, guardano in ogni direzione. I rumori cessarono, ma i sospiri sembravano farsi sempre più vicini. Sembrava quasi che qualcuno fosse al suo fianco.
Si accorse troppo tardi del pericolo: qualcosa di invisibile la spinse con forza giù dalle scale e lei ruzzolò fino in fondo, terminando la folle rotolata in mezzo all’ingresso. Si mise a pancia in su, stringendosi la spalla e trattenendo un lamento, rialzandosi subito dopo, osservandosi intorno.
“Ci mancava solo un demone invisibile” pensò, imprecando a mente. Non ne aveva mai affrontato uno, ma sapeva come sconfiggerlo: i demoni invisibili non riescono a vedere al buio e girano alla cieca nel tentativo di orientarsi, andando addosso a mobili e persino alle pareti. Ecco spiegati gli strani rumori.
Sorrise, lasciando cadere a terra la katana - Vuoi giocare? - domandò, schioccandosi le dita - Bene, vediamo chi vede al buio -
Scattò verso l’altro interruttore posto proprio accanto alla porta della cucina e lo spense, facendo calare l’ingresso nel buio.
Non vedeva un granché, ma riusciva facilmente a capire dov’era il demone, guidata dai lamenti del demone quando si scontrava con qualcosa. Non appena sentì un lieve movimento accanto a lei, tentò di afferrare il demone che si lamentava. Riuscì a bloccarlo dopo un paio di tentativi andati a vuoto e, a tastoni, cercò la testa, pronta a girargliela con una torsione per spezzargli il collo. Individuò la testa non appena sentì una fila di denti affondare nella carne della spalla, l’afferrò con entrambe le mani per poi torcergli il collo.
Lasciò che il demone si accasciasse al suolo e riaccese la luce. Solo alla morte i demoni invisibili si mostravano per ciò che erano. Guardò l’essere riverso a terra: era molto simile ad un uomo, solo che la pelle, ricoperta da sottili squame, era di un colore verde muschio, più scuro in alcuni punti, gli occhi gialli erano spalancati e fissavano vuoti il soffitto, mentre la bocca, sporca di sangue, al suo interno celava una fila di denti aguzzi come quelli degli squali.
Distolse lo sguardo mentre la creatura si dissolse in una nuvola di polvere, e salì le scale, bussando alla porta della camera degli ospiti - Eli, sono io. Non c’è niente di cui preoccuparsi - disse - Puoi aprire ora - aggiunse, sedendosi a terra e stringendosi la spalla ferita.
La serratura scattò e la porta si aprì leggermente, mentre Elisabeth sbirciava nel corridoio, aprendola del tutto non appena la vide seduta a terra - Cos’è successo? -
- Un demone - rispose semplicemente - Non ti preoccupare, l’ho ucciso -
- Angi - sussurrò la rossa inginocchiandosi al suo fianco, osservandole la spalla - Sanguini -
Sorrise - Non è niente. Un cerotto e sono come nuova -
- Avanti alzati - disse la rossa, prendendola per il braccio e la fece alzare, guidandola all’interno della camera per poi farla sedere sul letto.
- Elisabeth non è niente - disse con un sorriso - Davvero -
- Ma...il sangue...- sussurrò lei, osservando la macchia rossa sulla sua t-shirt bianca.
***
- Adesso vado in cucina e mi metto un cerotto - disse la mora, alzandosi in piedi, per niente affaticata per lo scontro con il demone - Tu torna a letto, per favore -
Abbassò lo sguardo ed annuì, dandole le spalle per infilarsi sotto le coperte.
Angelica, ancora ferma sulla porta, spense la luce, sussurrandole la buona notte prima di chiudere la porta.
Chiuse gli occhi, anche se quella notte non avrebbe di certo dormito per tutti gli avvenimenti successi in così poco tempo: prima la sparatoria ed ora il demone.
“Perché ce l’hanno così tanto con Angelica?” si domandò, mentre la sua mente fu affollata da vecchi ricordi di quando lei ed Angelica erano piccole e ne combinavano di tutti i colori.
Ricordava quel giorno in cui si erano conosciute, una fresca mattinata di settembre di quasi dieci anni fa: il primo giorno di scuola. Lei e la sua famiglia si erano appena trasferiti in quella zona e lei non conosceva nessuno, non sarebbe stata di certo una bella esperienza, ma il giorno stesso, durante la ricreazione, aveva notato una bambina dai capelli neri, che se ne stava da sola, in disparte. L’aveva osservata per qualche giorno, poi, vincendo la timidezza, le si era avvicinata e da lì ebbe inizio la loro grande amicizia. Gli anni passarono e, dopo le elementari, frequentarono insieme le medie e successivamente le superiori, dove avevano incontrato gli amici di oggi: Alice, la ragazza del rock n’ roll e dell’heavy metal con una fobia per il sangue, Vittoria, la dolce ragazzina dai capelli biondi, pronta a fare qualsiasi cosa, poi Davide e Federico, i due amanti del calcio, entrambi juventini, e poi ancora Sergio, di cui si era follemente innamorata ancora al primo anno di scuola, ed infine, Matteo, Matteo Dall’Angelo, l’ultimo arrivato che aveva rubato il cuore ad Angelica.
Senza nemmeno rendersene conto, si addormentò con un sorriso sulle labbra, al ricordo di quei momenti passati.
***
Seduta sul divano in cucina, si era incantata a guardare nel vuoto proprio davanti a lei, con un sorriso sulle labbra, ripensando alla storia che stava raccontando ad Elisabeth: si era interrotta proprio sul più bello.   
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...mi scuote con vigore.
- Satana! Esci dal corpo di questa povera quindicenne! - esclama il biondo con un sorriso.
Mi libero e mi alzo in piedi, aiutando Manuel a fare lo stesso.
- Prova a dirle quello che provi - gli suggerisco ancora - Provaci almeno, o te ne pentirai per tutta la vita -
Lui mi osserva mentre, lentamente, scendiamo le scale - Forse hai ragione -
- No - sussurro - Io HO ragione -
- Ok, ok, lo farò -
Gli sorrido e, per un attimo, provo una leggera invidia per la ragazza di cui si è innamorato Manuel.
Spero che sia una brava persona.
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- Già - disse piano, guardando in alto - Una brava persona - sussurrò lasciandosi sfuggire una lacrima - Saresti ancora vivo se solo...-
- Era destino - sussurrò una voce familiare, e il suo proprietario, se ne stava immobile sulla porta della cucina.
Sospirò - Non ho voglia di parlare con te in questo momento, quindi se non vuoi uccidermi è meglio se te ne vai, perché non è proprio giornata -
Il bambino dai capelli corvini entrò nella cucina, mettendosi davanti a lei, guardandola in modo curioso - Non sono venuto per farti del male -
- Forse perché ho un fottutissimo sigillo del...- disse, interrompendosi e facendo un profondo respiro per calmarsi - Sappi che i tuoi trucchi non funzioneranno stavolta -
- Volevo solo farti una domanda - disse il demone - È vero? -
- Cosa? -
- Quello che hai detto ad Elisabeth? -
Gli lanciò un’occhiata sfuggente - Ho detto molte cose ad Elisabeth -
- Cose che riguardano me -
Ci pensò un attimo, poi le venne subito in mente - Sì, è vero. Farei qualsiasi cosa per impedire quello che dovrebbe succedere e...non perderti -
Ci furono lunghi minuti di silenzio, nei quali non parlò nessuno dei due, poi prese un respiro profondo e si tolse la collana di Matteo, dov’era applicato il sigillo, sperando che il bambino non tentasse di ucciderla comunque. Non appena lo appoggiò sul divano, non sentì alcun cambiamento: il demone non le aveva mentito.
- Ti prego - sussurrò - Dimmi quello che accadrà in modo che io possa evitarlo -
- Non posso -
- Perché no? -
Il demone non rispose.
- Dimmi qualsiasi cosa. Mi basta una data, un luogo...ti prego -
Suo figlio le si avvicinò senza emettere alcun suono, avvicinando poi il viso al suo - Scusami mamma, non ti disturberò più - disse lui, dandole un bacio sulla guancia.
Si lasciò sfuggire una lacrima - Ti prego -
Il bambino, prima di scomparire, le sorrise - A presto -
Rimase sul divano, immobile, per quelle che sembrarono ore. Guardò l’orologio appeso al muro che segnava l’una e un quarto.
La serata era ancora lunga.
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Ore 5.47
Lanciò l’ennesima occhiata all’orologio e sospirò.
Tra una decina di minuti Elisabeth si sarebbe alzata, e poi sarebbero andate a scuola insieme, benché lei non avesse chiuso occhio per tutta la notte. Era rimasta seduta sul divano della cucina con le gambe incrociate e gli occhi chiusi, con la sua katana sempre a portata di mano, in costatante allerta.
- Giorno - sussurrò, non appena vide l’amica varcare la soglia della cucina con aria assonnata.
- Buongiorno - rispose lei, iniziando a cercare qualcosa da mangiare.
- Hai dormito? - domandò.
- Un po’ - rispose lei con uno sbadiglio, iniziando a preparare il caffè - Tu? -
- No -
Elisabeth si voltò verso di lei, lanciandole un’occhiata - È successo qualcosa? -
Si sdraiò sul divano, sospirando - No, tutto tranquillo - disse, alzandosi subito in piedi non appena il telefono di casa iniziò a squillare.
“Chi può essere a quest’ora?” si domandò, portandosi il cordless all’orecchio dopo aver premuto il tasto di risposta - Pronto? -
- Hai ricevuto i nostri due regali, 33? - domandò una voce che non aveva mai sentito, forse una volta al massimo.
- Chi sei? -
- Questo non ha importanza, ma sappi che adesso le cose non si metteranno bene per te - disse l’uomo, riagganciando.
Rimise il telefono al suo posto e ritornò in cucina, guardando Elisabeth che beveva il suo caffè - Se vuoi ti posso accompagnare a scuola -
Elisabeth alzò lo sguardo verso di lei, inarcando un sopracciglio - E tu? Non vieni? -
Sorrise - Ho delle cose da fare -
***
Milano
Dopo aver terminato la breve telefonata con 33, uscì dalla cabina telefonica, salendo sull’automobile parcheggiata lì accanto. Inserì la chiave, la girò e la Toyota si mise subito in moto.
Guardò l’ora dell’orologio che portava al polso ed attese le sei in punto e, non appena scattarono, partì, osservando la figura del duomo nello specchietto retrovisore, che si allontanava a mano a mano che percorreva via San Raffaele.  
Accese la radio, alzando il volume in modo da non sentire la petulante voce del navigatore satellitare con la destinazione già impostata per Verona. Sorrise, aspettando con ansia di vedere due persone che non vedeva da tempo: osservò la foto del ragazzo e della donna che sbucava dal fascicolo che l’uomo vestito di nero gli aveva consegnato quella sera al bar, e, insieme a loro, una bambina.
Aumentò la velocità, sperando di arrivare a Verona il più presto possibile.
***
Verona - ore 7.47
Fermò la moto proprio davanti a scuola e metà delle persone fuori dal cancello si voltarono, riconoscendo quel familiare rombo. Elisabeth le diede una piccola pacca sulla spalle per poi scendere dalla Yamaha e togliersi il caso.
L’amica la guardò per qualche secondo con aria dubbiosa - Cosa devo dire a Matteo? Sul fatto che oggi non vieni a scuola -
- Digli quello che vuoi -
- Angelica, mi dici cosa c’è che non va? -
- Niente, va tutto bene. Ora, ti prego Elisabeth, vai in classe -
- Chi ti ha chiamata questa mattina? - domandò la rossa, sistemandosi il casco sottobraccio - È per quello che devi andare? -
Annuì - Devo capire chi è e cosa diavolo vuole da me -
- Allora vogliono te, non me -
Annuì per la seconda volta, alzando la visiere dal suo casco - Se non ne fossi sicura ti avrei tenuta d’occhio per un altro po’ di giorni -
Elisabeth, con aria pensierosa, alzò lo sguardo, osservando il cielo coperto da grossi nuvoloni grigi - Secondo te cosa vogliono? -
Sospirò - Non lo so, ma se la persona che mi ha chiamata sta venendo qui, risolverò la faccenda una volta per tutte -
L’amica l’abbracciò in modo un po’ goffo, mentre lei non ricambiò, visto che doveva tenere su la moto.
- Stai attenta, mi raccomando. Non farti uccidere - sussurrò Elisabeth, staccandosi.
Sorrise - Forse non hai ancora capito che io...- iniziò - ..sono la migliore -
- Ok, finiscila con queste manie di grandezza - rispose ridendo la migliore amica, dandole le spalle dopo averla salutata.
Lanciò un’occhiata al cancello, dove riconobbe Laura, appoggiata al muro, che la osservava. Le fece un piccolo cenno di saluto, ma lei girò i tacchi dopo averle lanciato uno sguardo di fuoco, e seguì Elisabeth all’interno dell’edificio. Si rimise a posto la visiera e partì.


Arrivata a casa, prese il cordless e compose il numero di cellulare del padre. Si sedette sulle scale all’ingresso, in attesa di una risposta, che arrivò poco dopo.
- Ciao tesoro, tutto bene lì? -
Sorrise - Sì papà, qui tutto bene e da voi? -
- Io e mamma ci siamo stufati, avevamo intenzione di tornare la settimana prossima -
Sospirò - Sì, ok. Volevo chiederti se la Ferrari aveva l’assicurazione...-
- Angelica - l’ammonì il padre - Che è successo alla tua macchina? -
- Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda - disse, rimproverandolo - Allora? -
- Sì, è ovvio che ha l’assicurazione -
- Vale anche per una sparatoria? -
- Beh penso di...COSA?! Angelica ma in che guaio ti sei andata a cacciare? -
Sospirò nuovamente - Nessun guaio, comunque è distrutta -
Dall’altra parte ci fu solo silenzio, interrotto da alcuni strani rumori, come se suo padre stesse tirando su con il naso.
- Papà? -
- Tesoro, sei un disastro. Una Ferrari non si usa per le sparatorie -
Inarcò un sopracciglio - Ok, quando torni te ne occupi tu -
- Tu stai bene vero? -
- Sì, non ho niente. Salutami la mamma -
- Oh, vuoi sapere una barzelletta? -
- No -
- Allora un fungo dice ad una funga “funghiamo??” e la funga dice “porcino!!!!” -
Tossì - Sì, papà, molto...divertente -
- Aspetta, aspetta, senti questa. Allora, Un Romano ad un altro: “Ao, te piace er pesce surgelato?” e l'altro: “A me sur gelato me piace a panna, a ciliegina, ma er pesce no!!!” -
- Ciao papà -
- Dai tesoro questa faceva ridere -
- No -
- Che figlia seria che ho - sbuffò suo padre - A presto cucciolo -
Riattaccò all’instante dopo aver salutato nuovamente il padre, poi uscì di nuovo da casa: doveva andare all’Agenzia, doveva scoprire qualsiasi cosa.
***
Ore 11.17
Lanciò un'occhiata all'orologio, comprato da Alice a “Tutto a 99 centesimi”, appeso al muro. Non si sentiva alcun rumore nella classe, eccetto per il grattare delle penne sui quaderni di economia e l'incessante ticchettio dell'orologio.
Riabbassò lo sguardo sul suo bilancio con gli importi scarabocchiati a casaccio sopra ad altri numeri cancellati con un segno. Il suo block notes per la brutta copia era un vero e proprio disastro, se non un grande caos. A contrario di Angelica, lei e l'ordine non andavano d'accordo, ma l'unica cosa che la rendeva quasi fiera dei suoi appunti era la scrittura chiara, tondeggiante ed a tratti un po' infantile con dei pallini vuoti al posto del puntino sulla i; mentre, quella di Angelica, un po' più complicata per i vari ghirigori che le davano un'aria aristocratica, era un po' più complicata da leggere. Si riscosse dai suoi pensieri e diede una gomitata a Matteo, seduto accanto a lei, intento a premere i tasti della sua calcolatrice - Secondo te quando finirà di darci queste inutili cose? -
Il ragazzo s'interruppe, tenendo il segno su un importo scarabocchiato sul banco - Mai -
- Eli? - la chiamò Vittoria, dietro di lei - Hai finito? -
Si voltò appena, lanciandole un'occhiataccia - Magari, sono ancora ai crediti -
- Dov'è Angelica quando serve? -
Sospirò - Questo silenzio mi sta uccidendo - disse, nel tentativo di cambiare discorso, poi punzecchiò Alice, davanti a lei, con la matita che teneva in mano - Alice, avanti, fai una cazzata -
La mora si alzò in piedi, facendo un rumore assordante quando tirò indietro la sedia, chiamando l’insegnante con un tono di voce molto alto. Iniziò a ghignare sotto i baffi: Alice aveva qualcosa in mente.
- PROF!! - urlò la mora - Posso andare in bagno? Devo aprire la camera dei segreti! -
Tutta la classe scoppiò a ridere, eccetto Laura.
L’insegnante di economia, per quanto seria, si lasciò sfuggire un sorriso - Per carità Alice, vai -
Si alzò in piedi a sua volta - Posso andare ad aiutarla? -
- No, signorina Hall -
- Ma professoressa! Alice non parla il serpentese! -
***
Alzò lo sguardo dal monitor, inarcando subito un sopracciglio alla vista di Beatrice, ferma sulla porta, piegata in due con il fiato corto. Spense subito il computer, sistemandosi sulla sedia, incrociando le braccia ed attendendo che la collega riprendesse fiato.
La bionda si portò una mano al petto, alzando lo sguardo per puntare gli occhi nei suoi - Categoria A...- sussurrò lei ancora affannata per la corsa che l’aveva portata nell’archivio - Un’Evocatrice -
Scattò in piedi non appena sentì quel nome: le Evocatrici non erano demoni particolarmente abili nel combattimento corpo a corpo, ma sapevano evocare dei demoni che le proteggevano, e questi potevano essere molto potenti se l’Evocatrice era di alta Categoria.
Pochi erano riusciti ad uccidere Assistenti, come li chiamavano all’Agenzia, ed Evocatrice di Categoria non classificata, talmente pochi che si potevano contare con le dita di una mano.
- Che devo fare? - domandò.
- Vai dalla...Direttrice - sussurrò la bionda, con ancora il fiatone - Presto...-
Senza farselo ripetere due volte, partì di corsa, zigzagando tra gli Agenti che camminavano tranquilli per i corridoi. Non appena raggiunse la porta dell’ufficio della Direttrice, l’aprì senza nemmeno bussare o annunciarsi: non c’era tempo per quelle formalità.
La donna, dall’altra parte della scrivania, era più calma che mai e per questo la invidiò un po’.
“Certo che è calma” pensò “Lei è una delle poche che hanno ucciso un’Evocatrice non classificata” - Direttrice... - iniziò, ma fu immediatamente interrotta da un semplice gesto della donna.
- Angelica - disse la Direttrice, guardandola negli occhi - Ti sto chiedendo molto -
Scosse la testa - Non importa - rispose - Sono da sola? -
- Stiamo contattando i migliori, ma ci occorre qualcuno che la trattenga. Non dobbiamo farcela sfuggire -
- Direttrice, non ho la mia katana -
La mora, seduta sulla sedia a rotelle, si chinò, raccogliendo qualcosa da terra, mostrandole subito dopo una katana, riposta nella sua saya nera come la pece, l’impugnatura di legno di magnolia, era ricoperta dai vari intrecci di pelle di un rosso scuro, poi, elemento immancabile, il menuki che prendeva la forma di dragone d’argento. Nella sua katana, abbandonata nell’angolo nascosto della sua stanza, ricordava una tigre d’oro sotto l’intreccio di pelle nera. La Direttrice gliela porse con mani tremanti, senza mai togliere lo sguardo da quella spada - Prendi questa, la proprietaria non ha più modo di usarla... -
Guardò quella stupenda spada per qualche secondo, poi la prese, sguainandola per poi stupirsi, alla vista della lama, perfettamente affilata e nera.
Le venne in mente la spada di Nihal, delle Cronache del Mondo Emerso, fatta di cristallo nero.  Rinfoderò la katana, cercando di trattenere le domande che le giravano per la testa, ma quello non era di certo il momento per un’intervista - Gliela riporterò - disse, lanciando un’occhiata alla katana.
La Direttrice rimase impassibile - Ora vai Angelica. Stai attenta -
Sorrise - Direttrice, ricorda? Sono o non sono la migliore di tutta l’Agenzia? - disse, cercando di far sorridere la donna.
La mora rise piano, distogliendo lo sguardo, puntandolo su una foto sulla scrivania - Sei come mia...- sussurrò lei, lasciando la frase in sospeso, tornando immediatamente seria - Vai, 33 -
Annuì ed uscì di corsa dall’ufficio.

Fermò la moto proprio davanti al vicolo dove avevano individuato il demone e scese, stringendo la katana che la Direttrice le aveva prestato, addentrandosi poi nel vicolo, illuminato dalla luce del sole.
Era largo quattro o cinque metri, abbastanza per ingaggiare un combattimento, ed era un vicolo cieco. Proprio in fondo c’era una donna estremamente bella: i lunghi capelli erano bianchi come la neve e le arrivavano fino alla vita, era alta quasi quanto lei, la lunga tunica nera lasciava intravedere il suo fisico snello, sensuale ed accattivante allo stesso tempo. I suoi occhi erano di un innaturale viola talmente chiaro da sembrare una lastra di ghiaccio. Le sue labbra rosse come il sangue si mossero appena, sussurrando delle parole, antiche parole nella lingua dei demoni. Il suo sguardo si soffermò sulla pietra che, sapeva, era incastonata nella sua pelle, appena sotto il seno. Era quella strana pietra color zaffiro che le dava potere, senza quella, sarebbe stata un misero demone di Categoria E.
Tenne alto lo sguardo e si avvicinò all’Evocatrice con calma, senza mai distogliere gli occhi dai suoi. Il demone sorrise, mostrando i canini più lunghi del normale ed agitò le mani in modo quasi teatrale - Finalmente! - esclamò lei, battendo le mani - Credevo che fossi scappata di paura, cara, piccola Angelica -
Sguainò la katana, gettando a terra la saya, e la puntò contro il demone - Come sai il mio nome? -
L’Evocatrice fece una piroetta, muovendosi a ritmo di una musica inesistente - Chi non ti conosce? Sei diventata molto famosa tra i demoni dopo che hai ucciso Kyra. Alcuni non ne sono molto contenti... -
- E tu farai la sua stessa fine - sussurrò, attaccandola all’improvviso, ma quando colpì, la lama si bloccò a qualche centimetro dalla candida pelle del demone, come se ci fosse una barriera invisibile.
“Se la barriera è alzata vuol dire che ha già evocato gli Assistenti” pensò, scansandosi subito dopo, non appena qualcuno, o qualcosa, tentò di colpirla. Si allontanò con dei balzi, osservando i due nuovi demoni, completamente identici: erano un po’ più bassi di lei, non avevano neanche un capello in testa ed indossavano delle vesti logore e sporche di terra e sangue secco, per il resto, avevano le sembianze umane, eccetto per la carnagione del volto, di una strana tonalità di grigio chiaro, una fila di denti acuminati e gli occhi di un nero profondo, come se nelle orbite non ci fosse niente. Entrambi impugnavano due pugnali a testa, la cui lama ricurva le ricordava un serpente, e nient’altro, né protezioni né altre armi.
Gli Assistenti sibilarono irrequieti, passandosi la lunga lingua sulle labbra secche, in attesa che la padrona desse l’ordine di attaccare.
- Oh, piccola Angelica, non essere così avventata - sussurrò l’Evocatrice, avvolta da un’aura violetta che, se possibile, faceva vibrare appena l’aria intorno a loro, schioccando poi le dita.
Si mise immediatamente sulla difensiva quando i due Assistenti attaccarono all’unisono, perfettamente coordinati nei movimenti. Parò diversi velocissimi attacchi, ma non riuscì mai a contrattaccare. I due demoni si allontanarono con un balzo, attaccando subito dopo e lei colse l’occasione al volo, riuscendo a tranciare di netto una mano ad uno dei due.
Entrambi gli Assistenti, ritornarono al fianco dell’Evocatrice, piacevolmente sorpresa.
Abbassò lo sguardo sul pugnale a terra, coperto da cenere, lo raccolse e lo soppesò con la mano sinistra, ghignando - Tutto qui quello che sai fare? Mandi avanti i tuoi due stupidi tirapiedi? -
- Non mi abbasso a fare il lavoro sporco -
Sorrise, e lanciò il pugnale verso uno dei due Assistenti, che crollò a terra, con la lama ricurva conficcata in fronte, svanendo in una nuvola di polvere.
- Ottimo, davvero brava - si complimentò la donna, schioccando ancora una volta le dita.
In un battito di ciglia si trovò un altro Assistente addosso, che la fece cadere a terra, supina, e, prima di tentare di colpirla, le strappò la katana di mano, lanciandola a qualche metro di distanza. Spostò il braccio del demone, pronto a piantarle il pugnale nella pancia, che la ferì ugualmente al fianco, lacerando la felpa e disegnando un profondo taglio che divenne subito di un rosso carminio. Parò un altro affondo, strappando il pugnale di mano all’Assistente, per poi piantarglielo nella gola. Il demone, con un lungo e sinistro sibilo, si dissolse in una nuvola di polvere.
Raccolse i due pugnali e si mise in ginocchio: la ferita al fianco bruciava come non mai, come se qualcuno le stesse appoggiando un ferro rovente sulla pelle lacerata dalla lama ricurva del pugnale.
Un applauso riecheggiò nel vicolo, ed alzò lo sguardo, portandosi una mano al fianco ferito, osservando l’Evocatrice, che applaudiva, volteggiando - Complimenti, complimenti davvero -
Strinse i denti e lanciò un pugnale, che però fu deviato con un semplice gesto della mano dell’avversaria. La donna dai lunghi capelli bianchi arrivò al suo fianco, afferrandola per il collo, piantandole le unghie nella carne, facendo uscire diversi rivoli di sangue, e la sollevò senza sforzo. Tentò di opporsi, ma il corpo, dalla vita in giù sembrava non rispondere ai suoi comandi, mentre le braccia erano percorse da dei fremiti e, a mano a mano che i secondi passavano, sembravano perdere ogni sensibilità.
- Non riesci a muovere le gambe, vero? - le domandò la donna, sorridendo - Oh, povera piccola umana - aggiunse lei, sfiorandole il collo con l’indice della mano libera, sporcandolo di sangue prima di portarlo alle labbra.
Sorrise, sentendo delle macchine frenare all’improvviso a diversi metri dietro di lei, all’inizio del vicolo - Non ho bisogno di quelle per ucciderti -
L’Evocatrice spalancò la bocca, pronta a morderla, e lei colse l’occasione al volo, piantandole il pugnale nel palato, conficcandolo il più a fondo possibile.
Il demone lasciò la presa sul suo collo per tentare di togliersi il pugnale. Dopo essere crollata a terra, osservò l’Evocatrice, con la bocca piena di sangue nero, che le colava lungo il mento e lungo il collo, mentre estraeva il pugnale conficcato nel palato. Sentì gli Agenti scendere dalle Mercedes e correre verso di loro. Si rialzò in piedi dopo aver raccolto la katana da terra “Questo è il mio momento di gloria” pensò, scattando in avanti prima che un altro Agente desse il colpo di grazia all’Evocatrice e prendersi tutto il merito, e conficcò la lama nera al centro della pietra color zaffiro, che trapassò senza difficoltà.
L’Evocatrice urlò, alzando lo sguardo al cielo, scaraventandola lontano con una manata: sentì le unghie del demone strapparle la felpa e disegnarle altre linee rosse sul petto. Si mise in ginocchio, soccorsa da due Agenti. Riconobbe immediatamente l’Agente 30, un giovane uomo, di venticinque anni, dai capelli castani tenuti corti e perennemente spettinati, che iniziò a farle dei complimenti sulla missione. Non lo stava ascoltando: teneva gli occhi puntati in quelli viola del demone, la quale scomparve nel nulla. La katana cadde a terra assieme alla pietra blu, che si frantumò in mille pezzi non appena toccò terra, ed ogni frammento diventò nero come il carbone.
Si lasciò sorreggere dagli Agenti, tenendosi una mano premuta sul fianco, mentre la portavano ad una delle macchine. L’Agente 30 le consegnò la katana, riposta nel suo fodero - Non ti preoccupare, hai fatto un ottimo lavoro. Adesso ti portiamo all’Agenzia -
Annuì - La mia moto? -
- La porta 23 -
Sul volto le si disegnò una smorfia, ricordandosi dell’Agente 23: non c’era missione in cui distruggeva un veicolo - Basta che me la riporti tutta intera... -
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Seduta sul lettino dell’infermeria, guardava Beatrice disinfettarle la ferita al fianco sinistro, canticchiando una canzone a lei sconosciuta.
- Non posso fare altro - disse la bionda, mettendole sul taglio un grosso cerotto - Ti farà un po’ male per alcuni giorni e sentirai il corpo un po’ indolenzito -
Annuì, risistemandosi la felpa rotta - Posso andare? -
- Certo - rispose lei, dandole una pacca sulla spalla - Complimenti per l’Evocatrice. Da dieci minuti l’Agenzia non parla d’altro -
Accennò un sorriso, alzandosi in piedi, prendendo la katana che giaceva al suo fianco - Ciao Beatrice -
- Ciao Angi -
Camminò lentamente per i corridoi dell’Agenzia, fermata di tanto in tanto da degli Agenti che le davano alcune pacche sulle, complimentandosi per la missione, e lei rispondeva solo con dei lievi cenni.
Arrivò davanti alla porta dell’ufficio della Direttrice e bussò, entrando solo quando sentì una voce dall’altra parte. La Direttrice, non appena la vide varcare la soglia, si radrizzò sulla sedia a rotelle, sorridendole - 33 -
Fece un piccolo cenno di saluto e le porse la katana - Sono venuta a riportarle questa -
La donna scosse la testa - Tienila tu -
- Ma Direttrice -
- È un ordine -
Abbassò la testa ed annuì - Posso almeno sapere di chi era? - domandò, tenendo lo sguardo basso.
- Era di mia figlia -
Rialzò lo sguardo e scosse la testa con vigore - Non posso accettarla -
- Sì che puoi -
- Direttrice, questa appartiene a lei, insomma...è un ricordo di sua figlia -
- Ed io la sto donando a te - disse la mora, sorridendole - Con me prenderebbe solo la polvere, e sono certa che tu la userai bene -
Abbassò nuovamente lo sguardo, rimanendo in piedi, davanti alla scrivania - Direttrice, se...se non sono indiscreta, posso chiederle cosa...cosa le è successo? -
Dopo quasi un interminabile minuto di silenzio, la donna sospirò - Siediti -
Obbedì, accomodandosi sulla sedia.
- È successo tutto per colpa mia - iniziò lei - Mia figlia era un Agente a Firenze, all’inizio non volevo che seguisse le mie orme. Per amor di Dio, aveva solo quindici anni. Però, Elisa era testarda come un mulo e pur di fare l’Agente era scappata di casa mentre io ero qui...a tenere d’occhio una strana ragazza che aveva la capacità di vedere i fantasmi - disse lei, guardandola con quei freddi occhi grigi. Trattenne il respiro, in attesa che la donna continuasse.
- Poi arrivò quel giorno, quel terribile giorno, mi hanno chiamata. “Elisa è morta” mi dissero, durante una missione contro un demone molto potente ma che i computer avevano rilevato di Categoria B. Ero furiosa e il giorno stesso andai a Firenze a cercare quel demone -
Lanciò un’occhiata alla foto sulla scrivania della Direttrice, che ritraeva la stessa ragazza che aveva visto nel ciondolo - Cos’è successo al demone? -
- È morta sabato scorso - rispose la Direttrice - Quando la trovai a Firenze...beh, mi ha quasi uccisa, ma per fortuna me la sono cavata ed ora devo rimanere a vita su questa - disse ancora lei, battendo le mani sulle ruote della sedia a rotelle dov’era seduta da quasi quattro anni.  
Rimase a bocca aperta - Il demone che ha ucciso sua figlia era...- sussurrò, incredula.
- Il demone dai capelli rossi che hai ucciso - concluse la mora - Tu sei riuscita in una cosa in cui io ho fallito miseramente. Hai un gran talento, Angelica, e sono sicura che arriverai in alto -
Abbassò lo sguardo - Non penso, Direttrice - disse lanciandole un’occhiata.
La donna inarcò un sopracciglio - Perché lo pensi? -
Era tentata di raccontarle tutto riguardo alla storia di suo figlio, ma non voleva farla preoccupare - Niente, nulla di importante -
- Angelica, c’è qualcosa che vuoi dirmi? -
Scosse la testa - No, niente Direttrice, non si preoccupi, e...- iniziò, portandosi una mano al fianco - ...non è stata colpa sua -
- Avrei dovuto impedirle di andare...-
Stava per risponderle nuovamente, ma il telefono nella sua tasca prese a suonare. Arrossì di colpo, guardando la Direttrice che sorrideva, facendole cenno di rispondere. Prese il cellulare che Elisabeth aveva scelto al posto suo e rispose - Matteo -
- Ehi, Angelica...ciao -
Sorrise come un’ebete sentendo la voce del fidanzato - Ciao -
- Hai da fare oggi? -
- No, perché? Hai in mente qualcosa? -
- Volevo passare un po’ di tempo con te - rispose lui - Adesso porto Elisabeth a casa e, beh, sai com’è fatta, mi ha costretto a mangiare da lei, poi vengo subito da te -
- Ok, fra quanto? -
- Un’ora va bene? -
- Perfetto - disse - Ci vediamo dopo -
- A dopo, gattina -
Arrossì e riattaccò, guardando poi la Direttrice che la guardava a sua volta, con un sopracciglio inarcato e un’espressione che diceva “dimmi tutto”. Sorrise - Ehm, mi scusi -
- Fidanzato? -
Annuì.
- Matteo Dall’Angelo, vero? -
Annuì ancora, arrossendo.
- Carino il nomignolo “gattina” -
Se possibile arrossì ancora di più - Io...lui...mi chiama così perché...beh, vede...a me piacciono i gatti -
La Direttrice rise, portandosi le mani alla pancia - Sì, sì...e io sono Angelina Jolie -
Finse dei colpi di tosse - Ma è la verità... -
La donna ritornò seria - Sei proprio come mia figlia, anche lei tentava di giustificarsi in tutti i modi possibili -
Sorrise, puntando lo sguardo sulla katana - È sicura che posso tenerla? -
- Al 100%, sono scura che è in buone mani -
Annuì e si alzò in piedi, stringendo la spada tra le mani - Mi scusi Direttrice, ma devo andare a casa...-
La mora capì al volo e la congedò - Certo, vai dal tuo cavaliere dalla splendente armatura e, non ti preoccupare, non verrai disturbata per nessun demone -
Sorrise - Grazie -
- Di niente Angelica -
Le sorrise e fece per uscire, fermandosi però sulla porta: c’era una domanda che avrebbe tanto voluto farle, e forse quello era il momento giusto. Si voltò nuovamente, richiudendo la porta - Direttrice, posso...chiederle un’ultima cosa? - domandò piano.
La donna annuì - Certo -
- Quel giorno - iniziò - Quando si è presentata a casa mia con un Agente e...un fantasma -
La Direttrice annuì - Sì, ricordo molto bene quel giorno -
- Lei...- iniziò, confusa - Come faceva a sapere che lì c’era un fantasma? -
- Sapevo che un giorno me l’avresti chiesto - disse la mora, abbandonandosi sulla sedia a rotelle come se fosse stanca - Diciamo che tu sei l’unica, forse, a poterli vedere nitidamente come se fossero ancora vivi e ascoltare le loro parole, molti riescono a percepire che c’è qualcosa accanto a loro, e pochi sono quelli che vedono delle semplici figure sfuocate, come nel mio caso -
Rimase a bocca aperta, osservando la donna con incredulità - Lei...vede i fantasmi? Insomma...vede delle figure sfuocate? -
- Sì - rispose lei - Ho iniziato a vederli da quando sono entrata in coma per alcune settimane, da giovane, ma più il tempo passa e più li vedo sfuocati. Ora non vedo quasi più nulla -
- Secondo lei, a me potrebbe essere successa una cosa simile anche se non ricordo nulla? -
La Direttrice sorrise - Angelica, ho personalmente parlato con tua madre: tu non ti sei mai avvicinata alla morte. Hai questo dono dalla nascita e questo ti rende unica -
- E c’è un modo per...non essere più unica? -
La Direttrice appoggiò i gomiti sulla scrivania tenendosi la testa - Non lo so ancora -
Annuì, uscendo - Arrivederci, Direttrice. Buona giornata -
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Ore 15.09
Dopo aver fatto una lunga doccia aveva mangiato un po’ di tutto, sentendo la pancia che brontolava in modo assurdo.
Seduta su una delle sedie in cucina, alzò la t-shirt per mettersi un nuovo cerotto sul fianco, dato che quello che le aveva messo Beatrice si era staccato quando aveva fatto la doccia. Sfiorò appena il taglio, che sembrò bruciarle.
Si alzò dalla sedia dov’era seduta, avvicinandosi alla porta d’entrata al suono del campanello. Aprì la porta, portando la mano destra al fianco sinistro, sorridendo a Matteo, fuori dal cancelletto, con un bellissimo sorriso sulle labbra. Premette l’interruttore per aprire al ragazzo che, con tutta tranquillità, la raggiunse, salutandola con un bacio sulle labbra.  
- Ehi, come stai? -
Sorrise, facendolo entrare - Sto bene, grazie - rispose, ma il ragazzo, probabilmente, non la stava ascoltando, dato che era troppo impegnato ad osservarle le ferite sul collo.
- Che ti è successo? -
Scosse la testa - Niente -
- Angelica - l’ammonì lui, chiudendo la porta d’ingresso con un sonoro tonfo - Non possono essere apparsi da soli -
Lo baciò, zittendolo, staccandosi subito dopo - Tranquillo, sono solo dei graffietti, è stato solo un...incidente con la macchina -
Il moro la trascinò in cucina, facendola sedere immediatamente - Perché non me l’hai detto prima? Come stai? Sei andata in ospedale a farti controllare? -
Gli sorrise, prendendogli il viso tra le mani - Sto bene, tranquillo. Il medico li ha semplicemente disinfettati - rispose, baciandolo nuovamente. Matteo non protestò e la sollevò senza difficoltà, portandola in camera da letto, facendola stendere sul morbido materasso con le lenzuola ancora in disordine.
“Perdonami, Matteo” pensò baciandolo ancora “Presto saprai tutto”
Trattenne un gemito quando la mano del ragazzo si insinuò sotto la t-shirt nera, sfiorando il cerotto sul fianco. Gliela bloccò immediatamente senza smettere di baciarlo.
- Ehi, che succede? - domandò lui, staccandosi.
Riprese fiato, ignorando la ferita che bruciava come non mai - Non credo sia il caso -
Il moro, confuso, stava per rifilarle un sacco di domande, ma fu interrotto dal classico tono di chiamata di un Nokia. Matteo, sbuffando, si alzò di malavoglia dal letto, prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans e rispondendo in tono un po’ brusco, ma la sua espressione cambiò non appena sentì la voce della persona dall’altra parte della linea.
- Dov’è? Se le hai fatto del male giuro su Dio che...-
Iniziò a preoccuparsi: chi aveva fatto del male a chi? E cosa c’entrava Matteo in questa storia?
Il fidanzato, bianco come uno straccio, riattaccò, uscendo dalla stanza senza dire niente.
- Matteo! - esclamò, alzandosi in piedi e raggiungendolo all’ingresso, bloccandolo per un braccio - Che è successo? -
- Rimani qui, non ti preoccupare - le ordinò lui - Devo andare a casa -
Sentendo le parole “non ti preoccupare” si agitò ancora di più: c’era decisamente qualcosa che non andava - Vengo con te - disse.
- No - replicò lui, avvicinandosi verso il cancelletto e lei, benché fosse in maniche corte, lo seguì.
Uscirono dal cancelletto in ferro battuto di casa sua ed entrarono in casa Dall’Angelo.
Quando Matteo aprì la porta rimase a bocca aperta: nell’ingresso c’era un mobile rovesciato a terra tra i pezzi di vetro delle cornici, che giacevano anch’esse sul pavimento. Il suo sguardo cadde sulle foto di famiglia, strappate in più pezzi, lasciate a terra come grossi coriandoli.
- Mamma? - chiamò il ragazzo, quando sentirono un singhiozzo soffocato. Seguirono il suono nella cucina, che non era messa meglio dell’ingresso: a terra c’erano pentole e pezzi di piatti e bicchieri. Tutte le sedie erano rovesciate a terra, eccetto una, su cui stava seduta la signora Dall’Angelo a testa bassa, con un pezzo di scotch sulla bocca e delle grosse corde che la tenevano bloccate alla sedia.
Si avvicinò subito alla donna, togliendole il nastro adesivo ed iniziando a slegarla.
- Mamma? Che é successo? Dov'é Sonia?-
- È venuto qui, e l'ha portata via - rispose la donna, alzando il volto rigato dalle lacrime, con un labbro gonfio e sanguinante e un piccolo graffio sulla fronte. Matteo, ancora sulla porta, si irrigidì, appoggiando una mano sullo stipite della porta - Ti ha detto dov'é?-
La donna iniziò nuovamente a piangere, stringendosi i polsi quando la liberò definitivamente.
- DOV’È?! DOVE HA PORTATO SONIA?! -
- Matteo, smettila - disse, alzando il viso alla donna per vedere i danni causati da una probabile lite con qualcuno.
- Rispondimi! - urlò ancora lui, fuori di se dalla rabbia.
La donna si portò le mani al viso, nascondendolo - Ha parlato della vecchia casa appena fuori paese...ha detto che è rimasto lì perché la credevano abbandonata...- sussurrò ancora la mora, mentre lei le prendeva dei cubetti di ghiaccio dal freezer, avvolgendoli in un fazzoletto di stoffa, per poi premere l’impacco sulla fronte della donna - Matteo, non andare...chiama la polizia...-
- Se non vado le farà del male. Le farà del male come ne ha fatto a me - disse il ragazzo, correndo fuori dalla cucina, salendo veloce le scale.
Lo guardò scomparire dietro l’angolo, ma poi si riscosse quando la mano della signora Dall’Angelo strinse forte la sua, che teneva il ghiaccio premuto sulla ferita - Ti prego Angelica, fermalo - la scongiurò lei - Non lasciare che vada da lui... -
Aggrottò la fronte - Da lui chi? -
- Suo padre, Angelica -
- Suo...padre? - domandò ancor più confusa di prima - Ma lui non...-
- Era in prigione - concluse la donna per lei - Qualcuno lo ha fatto uscire prima del previsto e...ha saputo che eravamo qui -
Si mise una mano nei capelli, disperata - Vuole fare del male a Sonia? -
La donna riprese a piangere - È possibile. Lui mi ha...parlato di un lavoro...doveva fare del male a qualcuno per molti soldi e ha detto che le serviva Sonia per attirarla là...e...ha detto che se avrei chiamato la polizia avrebbe fatto del male alla mia bambina... -  
Prese dei profondi respiri, tentando di calmarsi - Le ha detto chi era? Le ha detto chi cercava? -
- Lui ha detto solo...33 -
Strinse gli occhi ed indietreggiò, finché la schiena non toccò il mobile della cucina, mettendosi le mani nei capelli - No, non è possibile...-
Non poteva crederci. Tutto quello che stava succedendo era per colpa sua, soltanto sua. Era evidente che chiunque la volesse morta aveva ingaggiato apposta il padre di Matteo. Era una trappola perfetta, non si sarebbe mai rifiutata di andare a salvare la sorella del fidanzato.
- Angelica? Sai chi è 33? -
- Signora Dall’Angelo...- iniziò lasciando il cellulare sul tavolo - Chiami la polizia, le spiegherò tutto quando questa storia sarà finita -
Prima che la donna potesse aggiungere altro, era già sulle scale, bloccandosi quando Matteo le si presentò davanti.
- L’ha portata via...- disse solamente il ragazzo - Devo andare da lui -
- Matteo, aspetta...-
Il fidanzato la scostò e scese le scale in fretta e furia, uscendo di casa.
- Matteo aspetta! -
Lui non, ancora una volta, non l’ascoltò e salì sulla sua auto.
- È sua figlia non le farà del male -
- Con me lo faceva, e la cicatrice sul braccio ne è una prova -
Rabbrividì appena, ricordando la sua mano, che si soffermava su quello sfregio sull’avambraccio.
- Fammi venire con te almeno! - disse tra le lacrime.
- È troppo pericoloso, mio padre é un pazzo, non riesco a credere che lo abbiano lasciato andare - detto questo, Matteo ingranò la prima e partì, lasciandola lì, al cancello di casa Dall'Angelo. Imprecò tra se e se, e attraversò la via in fretta e furia, scavalcando, il cancelletto in ferro battuto di casa sua, per poi precipitarsi in garage.
Infilò il casco e aprì il cancello con il telecomando, accendendo con un rombo assordante la moto.
- Merda - sussurrò, partendo a tutta velocità, raggiungendo l’Opel Corsa grigia, che zigzagava tra le macchine, suonando il clacson ininterrottamente.
Seguì l’auto per alcuni minuti, arrivando fuori paese, in mezzo ad un campo vuoto. Si fermò accanto alla macchina del fidanzato, ferma davanti ad una vecchia casa in legno, mezza diroccata, i vetri delle finestre erano in frantumi e le schegge giacevano a terra, tra i ciuffi d'erba ingialliti. La porta d'entrata era in legno chiaro, completamente marcio, era socchiusa e sbatteva ad ogni soffio di vento. Sembrava una di quelle vecchie case infestate.
Abbandonò il casco sulla sella della moto e si avvicinò a grandi passi alla porta d’ingresso, che sbatté ancora una volta, ma fu immediatamente bloccata per un braccio da Matteo.
- Lasciami - sibilò irritata.
- Tu non c’entri niente - disse lui, strattonandola indietro in modo brusco.
- Sono coinvolta più di tutti in questa storia -
Il moro le lanciò un’occhiata - Aspettami qui -
- Neanche per sogno -
- Ti ho detto di aspettarmi qui! - urlò il fidanzato, furioso.
- E io ti ho detto di togliertelo dalla testa! -
- È pericoloso! -
- Non è così che mi farai cambiare idea! - urlò a sua volta, liberandosi dalla presa del ragazzo, avviandosi ancora di più verso la porta, seguita da Matteo, rassegnato.
Scostò la porta ed osservò l’interno della vecchia casa: non c’era nessuna mobilia, eccetto per un tavolo marcio, attorniato da quattro sedie, in quella che dovrebbe essere stata la cucina, e un grosso baule dall’aria pesante. Davanti a loro c’era solo una rampa di scale che portavano al piano superiore.
Iniziarono a salire e i gradini in legno gemevano sotto i loro passi a mano a mano che salivano, e giunsero in un corridoio immerso nell’oscurità, dato che non c’erano delle finestre, ma solo quattro porte. Si avvicinò alla prima porta, facendo attenzione ad alcune assi del pavimento che erano marce o spezzate in diversi punti.
- Io guardo in queste stanze - sussurrò indicando la porta che aveva davanti e quella accanto - Tu controlla quelle -
Matteo annuì e le diede le spalle.
Controllò la prima stanza dove, al suo interno, c’era solo un piccolo letto in ferro battuto senza nemmeno il materasso. Richiuse la porta e appoggiò la maniglia sulla porta della seconda stanza, fece un respiro profondo e l’aprì. Guardò dentro e non vide nessuno, ma dovette ricredersi, quando sentì un colpo alla nuca.
Crollò a terra, a pancia in giù, portandosi le mani alla testa, mentre le orecchie presero a fischiare talmente forte da farle male.
- Finalmente - sussurrò una voce, seguita dallo scatto della serratura e da dei colpi che tempestavano la porta della stanza.
Qualcuno la girò con un calcio ed ora poteva vedere la figura sfuocata del suo aggressore. Il padre di Matteo aveva i capelli di un biondo cenere, tagliati un po’ rozzamente, la pelle abbronzata, gli occhi come quelli del fidanzato, accesi però di una luce folle. Era alto e con il fisico atletico, indossava un paio di jeans roti sulle ginocchia e una camicia rossa a quadri. In mano teneva una spranga di ferro, con la quale l’aveva colpita qualche secondo prima.
- Signor...Dall’Angelo - sussurrò, indietreggiando sui talloni, bloccata immediatamente a terra da una mano che si serrò intorno al suo collo.
- E tu sei Angelica, Angelica Vetra -
- La prego - sussurrò senza fiato - Lasci andare Sonia -
- Angelica! Angelica ti prego aprimi! - urlò Matteo, chiuso fuori dalla stanza, ma il suo cuore perse un battito non appena sentì un'altra lieve e spaventata voce che sussurrò il suo nome. Era la voce di Sonia, impossibile sbagliarsi. Torse il collo in cerca della bambina - Sonia? -
Si alzò di scatto non appena l’aggressore la lasciò andare, distratto da Matteo, che era entrato nella stanza dopo aver sfondato la porta, e raggiunse Sonia, rannicchiata in un angolo e teneva la testa bassa. Si portò una mano alla nuca, pulendola poi dal sangue sui jeans - Sonia stai bene?-
- Sì...-
- Cosa ti ha fatto?-
- Niente, mi faceva delle domande...su Matteo e su di te...e dice di essere il mio papà -
- Sonia, devi andare via...-
- Lasciala subito - sbraitò il signor Dall'Angelo contro di lei.
- Scordatelo bastardo. Se le hai tolto anche un solo capello la pagherai cara - sibilò contro l'uomo.
- E che vorresti farmi? -
- La polizia arriverà a momenti, e tu marcirai in prigione per un po’ di tempo, con l’accusa di sequestro di persona -
- In prigione? Ah, la gente che ammazza é libera dopo un po’ di anni, e poi...se non trovano i vostri corpi... -
Indietreggiò appena, lanciando un'occhiata a Matteo “Perché non ho mai una pistola quando serve?” pensò, tenendo Sonia dietro di sé.
- Magari la bambina muore annegata in un pozzo -
Sonia singhiozzò forte, stringendo i suoi jeans.
- Sì, nessuno sospetterebbe un omicidio...magari con te - disse l'uomo puntandola con l'indice - Posso divertirmi un po’ di più prima di concludere l’incarico che mi è stato assegnato -
- Che incarico? - domandò Matteo, confuso.
Il signor Dall’Angelo la guardò, sorpreso - Lui non sa niente? Non gli hai detto cosa sei? -
Lo guardò con furia, mentre Matteo la guardava sorpreso.
- Oh, figliolo, hai trovato la ragazza più bugiarda della terra! -
- Angelica...cosa? -
Prese un respiro profondo - Ti spiegherò tutto, te lo giuro - disse.
L’uomo strinse forte la spranga di ferro che teneva tra le mani, lanciandole uno sguardo di fuoco quando si avvicinò ulteriormente alla porta della stanza - Non provare ad uscire da quella porta - disse lui, facendo un passo avanti.
- Non provi ad avvicinarsi - sibilò - Non serve a niente quello che sta facendo. La polizia verrà a prenderla -
Il signor Dall’Angelo lanciò un’occhiata al figlio, poi di nuovo a lei - Tu dici? Io ho in mente qualcosa di meglio...-
Sentì l’adrenalina scorrerle nelle vene quando l’uomo atterrò Matteo con un colpo, avventandosi su lei e Sonia. Si mise in ginocchio, dando le spalle al biondo ed abbracciando la bambina, proteggendola con il suo corpo.
Si preparò al colpo che stava per arrivare, e strinse gli occhi con forza. Il colpo arrivò violento sulla schiena e le mozzò il respiro, poi un'altro ed un altro ancora; si morse la lingua cercando di non urlare quando fu colpita al fianco, crollando sulla bambina con un gemito di dolore, mentre questa, sotto di lei, singhiozzava sempre più forte. I colpi poi non arrivarono più.
Girò la testa per vedere Matteo, che tratteneva la spranga di ferro impugnata dal padre, che tentava in tutti i modi di liberarsi del figlio.
- Angi?- la chiamò Sonia con voce preoccupata - Stai bene?-
Prese un respiro profondo e poi annuì, tentando di rimettersi in piedi, aiutata poi da Sonia. Si portò una mano al fianco, poi si concentrò sulla bambina con gli occhi lucidi per le lacrime che volevano uscire a tutti i costi - Vai via, Sonia...esci di qui -
- Ma...- protestò la bambina, interrotta da un tonfo sordo: il signor Dall’Angelo aveva spinto Matteo contro il muro di legno della stanza, tentando di farlo desistere. Non perse tempo e prese la bambina per un braccio, trascinandola fuori dalla stanza, fino all’ingresso.
Spinse Sonia fuori dalla casa - Aspettami qui -
- Ma mio fratello...-
- Ci penso io a lui. Ora vai a chiuderti in macchina - le ordinò, salendo nuovamente le scale di corsa, fermandosi a metà strada al suono di uno sparo. Temette il peggio e ritornò nella stanza: Matteo era seduto a terra con la spalla sanguinante per la pallottola che lo aveva fortunatamente sfiorato. Si avventò sull’uomo che le dava le spalle, tentando di bloccarlo in qualche maniera, ma i suoi movimenti erano troppo lenti in confronto a quelli del biondo: forse per il veleno su pugnale dell’Assistente, entrato in circolo attraverso la ferita al fianco. Il signor Dall’Angelo se la tolse di dosso senza difficoltà, puntandole contro la pistola.
- È me che vuole - disse, respirando forte. Il fianco le doleva da impazzire - Lo lasci andare - aggiunse, lanciando un’occhiata a Matteo, bianco come uno straccio, che tentò di rialzarsi in piedi in tutti i modi.
L’uomo si distrasse un secondo per guardare il figlio e ne approfittò, facendolo cadere a terra e sbattere la testa sulle assi del pavimento. Prima che il signor Dall’Angelo, intontito, si rialzasse, andò a soccorrere Matteo, facendolo alzare con qualche sforzo, sostenendolo fino alla porta.
- Forza Matteo, prima che si riprenda -
- Troppo tardi -
Represse un lamento quando qualcosa di freddo ed acuminato le si conficcò nella gamba destra, facendola cadere a terra, trascinando con se anche Matteo, ed entrambi rotolarono già dalle scale in legno fino all’ingresso della casa.
Si portò una mano alla gamba dove c’era ancora qualcosa conficcato nella carne, mentre la figura del signor Dall’Angelo arrivò al suo fianco. Urlò di dolore quando l’uomo divelse dalla sua gamba quello che sembrava uno stiletto.
- Non dovevi farlo - disse lui, dandole un calcio al fianco, prima di allontanarsi da lei per avvicinarsi a Matteo, tempestandolo a sua volta di calci finché non smise di muoversi e di lamentarsi.
- Matteo...- sussurrò, trascinandosi verso il ragazzo, immobile, mentre l’uomo ritornò da lei, afferrandola per i capelli e facendola alzare in piedi.
- Questo - iniziò il biondo, avvicinandola al muro in parte alle scale - ...è per il colpo di prima -  
Le fece sbattere la testa contro il muro un paio di volte, poi la spinse a terra, bloccandole le braccia. Iniziò a dimenarsi dalla presa dell'uomo, cominciando a calciare nel vuoto, urlando di rabbia.
- Sta ferma! - urlò l’uomo, appoggiandole il piccolo stiletto alla gola. Si bloccò, trattenendo il respiro quando sentì il suo sangue scivolarle lungo il collo. Voltò lo sguardo verso Matteo, ancora a terra, che si muoveva lentamente. Trattenne il respiro quando la lama dello stiletto affondò nel fianco, facendole spalancare gli occhi e urlare piano. Guardò ancora Matteo che la stava osservando a sua volta, che la chiamava.
L’uomo la trascinò nuovamente su per le scale, riportandola nella stanza di prima, e senza tanti complimenti, la spinse a terra, risistemando in qualche modo la porta di legno che giaceva a terra, chiudendola poi con un tonfo.
Sdraiata sul polveroso pavimento di legno, scosse la testa un paio di volte: le testate contro il muro le avevano fatto offuscare la vista.
- In ginocchio - ordinò l’uomo, pestandole la gamba ferita, facendola urlare di dolore.
Si strinse forte la gamba, mettendosi supina a terra.
- Forza, in ginocchio -
Con qualche difficoltà obbedì, alzando il viso verso di lui - Signor Dall’Angelo, non lo faccia - sussurrò piano, vedendo la figura dell’uomo che le puntava contro la pistola, recuperata da terra.
- Mi stai implorando di risparmiarti? - domandò lui - Lo chiedi benché mi diano un sacco di soldi se ti uccido? -
- Non la sto implorando, Signor Dall’Angelo - disse - Faccia la scelta giusta per una volta. I suoi figli ne sarebbero...-
- Zitta! - urlò il biondo, sparando un colpo di pistola, che la colpì.
Si ritrovò di nuovo a terra, stringendosi la spalla che la pallottola aveva passato da parte a parte. Gemendo, indietreggiò, agitando la gamba buona per spostarsi di poco.
- Non osare parlare dei miei figli! -
- È la verità - sussurrò piano - I suoi figli sarebbero orgogliosi di lei, sapendo che...- aggiunse, prima di urlare nuovamente, quando l’uomo le pestò con forza la gamba ferita.
- I miei figli mi odiano -
- Matteo forse la odia - disse con il fiatone - Ma sua figlia no. Sua figlia Sonia non ha mai sentito parlare di lei e la immagina un uomo buono e...-
Urlò ancora per un altro calcio e si sdraiò completamente a terra - Signor Dall’Angelo...non peggiori le cose -
L’uomo entrò nel suo campo visivo, con ancora la pistola in mano - Ti ho detto - iniziò lui, appoggiandole il piede sulla spalla ferita, facendola urlare nuovamente - ...di... - continuò, pestandole più e più volte la spalla - ...stare zitta -
Non appena il suo aguzzino smise di tormentarla cercò di tirarsi un po’ su, ma un altro calcio la fece ritornare a terra.
- La prego... - sussurrò ancora, chiudendo gli occhi, sentendo diverse macchine frenare davanti alla casa. Il signor Dall’Angelo la lasciò perdere, voltandosi verso la porta sentendo delle persone salire le scale.
Prima che la porta cadesse per la seconda volta a terra, lasciando entrare dei carabinieri armati, si sentì sollevare da terra.
***
Si alzò in piedi, ignorando un carabiniere che insisteva a farlo rimanere seduto, e salì le scale, entrando nella stanza. Suo padre aveva un braccio intorno al collo di Angelica, appoggiando la lama dello stiletto al suo candido collo sporco di sangue. La ragazza lo guardò, sussurrando il suo nome.
Sentì la rabbia salire al cervello quando vide la ferita alla spalla della ragazza.
- Gettate la pistola o la uccido -
Tutti rimasero immobili per diversi secondi.
- Si arrendi, non ha scampo - disse uno dei carabinieri con voce ferma, senza mai abbassare l’arma.
Guardò Angelica, che respirava forte - Lasciala - ordinò al padre - Prendi me -
- Vedi Matteo, io non posso lasciarla andare - disse l’uomo, stringendo la presa sul collo della ragazza - Mi hanno pagato per ucciderla, e molto anche -
“Pagato per ucciderla?” si domandò, guardando Angelica.
- Vero, 33? -
“33?” pensò.
- E io che pensavo fossi un osso duro, per i duecentomila euro che mi hanno promesso -
***
“Chi pagherebbe una cifra simile per avermi fuori dai piedi?” si domandò, trovando subito la risposta “La spia nell’Agenzia”
- Non ti preoccupare, vedrai che non sentirai niente - iniziò l'uomo, mettendo via lo stiletto per prendere la pistola che teneva nella tasca posteriore dei jeans. Prese un respiro profondo “Ora o mai più” si disse.
Approfittò di quella piccola distrazione e, ignorando il dolore, si liberò dalla stretta dell’uomo, colpendolo in mezzo alle gambe con una ginocchiata, facendolo poi cadere a terra con un calcio. Si mise a cavalcioni sopra di lui, nel tentativo di strappargli la pistola di mano. Partì un colpo, ma poi fu aiutata dai carabinieri che immobilizzarono l’uomo, ammanettandolo.
Si lasciò cadere a terra con un gemito. Al suo fianco, in ginocchio, arrivò Matteo, che le prese la mano - Angelica...-
Sorrise - Ehi...-
- Stai bene? - domandò lui, impallidendo subito dopo, osservando qualcosa sul pavimento - Oh Dio...-
Gemette appena. Sapeva che il pavimento si stava sporcando di sangue, il suo sangue - Matteo...-
- Non muoverti...vedrai che te la caverai -
Gli mise una mano dietro la nuca, facendo avvicinare il viso al suo, appoggiando le labbra sulle sue. Si staccò dopo un po’, quando due carabinieri li allontanarono l’uno dall’altra. Uno dei due la prese in braccio, scendendo le scale ed uscendo da quella casa infernale, dove, ad attenderli c’era un’ambulanza.
- Angelica! - si sentì chiamare mentre un infermiere la fissava alla barella, sistemandola poi nell’ambulanza.
- Matteo...- sussurrò, prima di perdere i sensi e lasciare che il buio la avvolgesse.
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Era stanca, tanto stanca, ma questo non le impedì di socchiudere gli occhi, lanciando delle veloci occhiate intorno.
Non sapeva dove si trovava, ma quell’inconfondibile odore di pulito e disinfettato al cento per cento le fece scattare qualcosa nella sua testa: ospedale.
Iniziò a respirare forte, tentando di vincere la fobia che la accompagna da tanto tempo. Si guardò le braccia, abbandonate sul materasso, dove, infilati nelle vene, c’erano degli aghi a farfalla collegati a vari tubicini; tentò inutilmente di strapparseli di dosso con la mano destra, ma non ci riuscì, dato che qualcuno le bloccò la mano prima che potesse fare una stupidaggine.
Voltò lo sguardo ed osservò la figura sfuocata di suo padre, seduto accanto al letto con aria preoccupata.
- Papà...- sussurrò lievemente.
- Ehi tesoro - rispose lui, sorridendole ed accarezzandole la fronte.
- Che cosa...è successo? - domandò ancora, con un filo di voce - Dovevi essere a...-
- Angelica, calmati - la interruppe il padre - Io e la mamma siamo tornati non appena ci hanno detto cos’è successo -
Strinse gli occhi quando la vista ritornò normale e si osservò intorno: era decisamente in una stanza d’ospedale, bloccata su un lettino e coperta da delle lenzuola leggere, davanti a lei c’era un altro letto, dove qualcuno vi era rimasto sdraiato fino a poco tempo prima, dato le coperte in disordine.
- Matteo...- sussurrò, ricordandosi tutto all’improvviso - Dov’è? -
- Lo hanno portato via poco fa per una visita -
Tentò di mettersi a sedere, ma le girò la testa non appena l’alzò dal cuscino, e dovette sdraiarsi nuovamente, mentre la spalla sinistra bruciava - Per quanto...sono rimasta...qui? -
- Beh, sono le dieci di sera - rispose l’uomo, guardando l’orologio da polso prima di passarsi una mano nei capelli castano scuro.
Richiuse gli occhi, annuendo.
- Tranquilla, riposati tesoro, hai avuto una gran brutta giornata - disse ancora suo padre, ma lei non lo stava ascoltando, era già sprofondata nello stesso buio che l’aveva accolta qualche ora prima.
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Capitolo 38
*** Capitolo 38 - Sabato, 14 marzo 2009 ***


Sabato, 14 marzo 2009
Socchiuse gli occhi, osservando la figura sfuocata accanto al suo letto, che le teneva dolcemente la mano, accarezzandole il dorso.
- Chi...sei? - domandò, stringendo gli occhi per tentare di mettere a fuoco e riconoscere quella figura.  
- Angelica, tesoro. Sono la mamma -
Il suo cervello, dopo alcuni minuti, riuscì a mettere a fuoco la figura di sua madre, con il viso pallido e segnato dalla stanchezza, con i capelli corvini spettinati e gli occhi rossi e gonfi.
- Mamma...- sussurrò, prima di essere abbracciata con vigore dalla donna, che scoppiò in lacrime.
- Cristo Santo, mi hai fatto prendere un colpo! - esclamò lei, continuando ad abbracciarla, staccandosi solamente quando gemette di dolore.
Abbassò lo sguardo, osservando la vestaglia bianca che indossava, e che lasciava scoperta la spalla sinistra ferita, avvolta da delle bende ancora pulite. Si tolse poi le lenzuola di dosso, osservando la gamba destra lasciata scoperta dalla vestaglia, dove un’altra benda, sporca di sangue, l’avvolgeva dal ginocchio in giù.
- Dov’è? - domandò portandosi le mani al ventre - Dov’è...Matteo? -
- Gli stanno controllando i punti alla spalla - rispose la donna mora - A te li hanno già guardati stamattina -
Strinse gli occhi - Che ore...sono? -
- Le quattro e mezza - disse sua madre, mentre la porta della stanza fu aperta da un’infermiera, lasciando entrare tre persone - Sei sicura di stare bene? Vuoi che chiami il medico? -
Non la stava ascoltando, era troppo occupata a fissare il ragazzo appena entrato nella stanza, accompagnato dalla madre e dalla sorellina - Matteo...-
Il moro, non appena incrociò il suo sguardo le si avvicinò di corsa, prendendole dolcemente la mano destra.
- Stai bene? - domandò con un sorriso, preoccupata per il fidanzato.
- Angelica - sussurrò lui - Io sto bene e tu? Mi hai fatto preoccupare -
- Perdonami - bisbigliò debolmente - Non volevo...-
- ANGELICA! - urlò la bambina, saltando subito sul letto ed abbracciandola forte. Trattenne un lamento e ricambiò l’abbraccio di Sonia in qualche modo, dato che poteva muovere solo la mano destra.
- Angi, come stai? -
Le sorrise - Starei meglio se mi lasciassi respirare -
La bambina le diede un bacio sulla guancia e scese dal letto, già con gli occhi lucidi.
Qualcun altro si schiarì la voce e tutti si voltarono verso la signora Dall’Angelo, in piedi in fondo al letto, con un piccolo cerotto sulla fronte e il labbro ancora un po’ gonfio. La donna si mise la mano in tasca, estraendo alcune monete e dandole alla figlia - Perché non vai a prenderti qualcosa da bere? -
- Mamma, non so dove sono i distributori. Non possiamo andarci dopo? -
Sua madre si alzò dalla sedia, intuendo che la donna dai capelli castani volesse restare sola con lei e Matteo - Se vuoi ti accompagno io - disse lei, tendendo una mano alla bambina. Sonia le sorrise e la prese per mano, ed entrambe uscirono dalla stanza subito dopo, lasciandoli soli.
- Angelica, ti devo ringraziare e...- iniziò la donna, sedendosi sulla sedia accanto al letto, vicino al figlio, portandosi poi una mano al cerotto sulla fronte.
Scosse la testa - Non deve - disse interrompendola - Tutto questo è accaduto...solo per...colpa mia -
- Angelica, tu non hai nessuna colpa -
- Sì, invece - sussurrò, abbassando lo sguardo - Forse c’è una cosa che...che dovete sapere, visto che vi mette in pericolo. Solo...vi garantisco che non sono né pazza né malata di mente e non ho nemmeno preso botte in testa - disse tutto d’un fiato - Vi chiedo solo di non raccontare a nessuno quello che...sto per dirvi -
Madre e figlio restarono in silenzio, in attesa.
Prese un respiro profondo - Io sono un Agente, l’Agente 33 per la precisione, e faccio parte di un’Agenzia segreta che si occupa di uccidere...strane entità -
La signora Dall’Angelo era confusa, mentre Matteo era sbiancato di colpo e dava l’impressione di svenire da un momento all’altro.
- Che genere di entità? -
Prese un altro respiro profondo - Demoni - disse in un sussurro.
- Ma questo cosa c’entra con la faccenda di ieri? - domandò la donna, ancora più confusa.
- So che qualcuno all’Agenzia mi vuole morta, ed ha ingaggiato suo marito per farlo e non è stato il primo. È per questo che ha preso Sonia -
- Non è stato il primo? -
Annuì, lanciando uno sguardo a Matteo - Ricordi? - domandò - Il killer di Verona? -
Il ragazzo, ancora bianco come uno straccio annuì.
- Hanno ordinato anche a lei di uccidermi, soltanto che lei era...un demone -
Nella stanza regnò il silenzio per alcuni interminabili minuti.
- Ed ora vi sto mettendo in pericolo - sussurrò - Quindi non vi biasimo se ora uscirete da quella porta senza farvi più sentire -
- È tutto? - domandò la mora.
Scosse piano la testa: ora veniva il colpo di grazia - Vedo anche i fantasmi - disse, e il silenzio segui la sua frase era ancora più tremendo di quello di prima - È tutto - concluse.
- Angelica...mi stai dicendo che tu...uccidi demoni e vedi i fantasmi? - domandò la donna.
Annuì, puntando lo sguardo verso Matteo - Perdonami per non avertelo detto prima...- sussurrò, con le lacrime che le pungevano gli occhi.
Il moro, senza dire una parola, le lasciò la mano e si alzò dalla sedia, lasciando la stanza per poi chiudere la porta con forza. Sentì una lacrima rigarle la guancia e l’asciugò immediatamente con il dorso della mano che, fino a qualche secondo prima il fidanzato le teneva.
- Angelica - iniziò la signora Dall’Angelo - C’è un modo in cui puoi dimostrarmi che tutto questo è vero? -
Lanciò un’occhiata alle spalle della donna e, ignorando una nuova presenza nella stanza, scosse la testa.
- Proprio nessuno? -
Respirò profondamente - C’è un fantasma che la segue - disse - Ma non riesco a capire se è suo padre o suo nonno -
La signora Dall’Angelo sbiancò - Com’è? -
- Io...potrei parlargli...solo...-
- Tranquilla Angelica, non ti sto giudicando e non penso che tu sia pazza -
Si voltò verso il vecchio signore in piedi in un angolo della stanza: i pochi capelli che aveva in testa erano bianchi, il volto sorridente e pieno di rughe, e gli occhi marroni esprimevano gioia ed allegria, proprio come quelli della donna seduta al suo fianco.
- Mi scusi, posso...sapere il suo nome? -
- Lo sapevo che mi vedevi, ragazza! - esclamò il vecchio, puntandola con l’indice e scoppiando a ridere - Mi ignoravi quando andavi a casa di mia figlia -
Annuì appena - In effetti e...non c’è bisogno di urlare, la sento benissimo -
La signora Dall’Angelo si guardò intorno, confusa, tentando di distinguere qualcosa seguendo il suo sguardo - Ehm...vabbè -
- Io sono il padre di Angela, Ettore Corsi -
Si schiarì la voce, puntando gli occhi in quelli della donna, che si era voltata - Non sapevo che si chiamasse Angela, signora Dall’Angelo - disse con un sorriso - Il fantasma è suo padre, Ettore Corsi -
A quel nome, grosse lacrime iniziarono a rigarle il viso - Papà...-
- Dille che le voglio tanto bene e che mi dispiace di non essere stato presente -
“Alla faccia di Ghost Whisperer” pensò “Melinda Gordon mi fa un baffo” - Ha detto che le vuole bene e che gli dispiace di non esserle stato accanto -
- Angelica, se questo è uno scherzo...-
- No - disse subito, mettendosi a sedere benché le facesse male dappertutto - Mi chieda qualcosa che solo lui può sapere -
La donna, dopo essersi asciugata le lacrime che le rigavano le guance, ci pensò un attimo - Quanti punti mi hanno dato quando sono caduta dalla pianta in giardino? Era il mio ottavo compleanno -
Il vecchio guardò la figlia inarcando un folto sopracciglio grigio - Ma cosa diavolo sta dicendo? Non ti hanno dato nessun punto e non sei caduta dall’albero, sei caduta dal tetto perché la tua testolina quadra ti ha ordinato di andare a recuperare la palla e ti sei rotta il braccio destro -
Deglutì - Lei non è caduta dall’albero - disse - Si è rotta il braccio destro cadendo dal tetto per recuperare il pallone. Non le hanno dato nessun punto -
Dopo aver detto quelle parole, la signora Dall’Angelo non ebbe più dubbi - Non ti preoccupare, papà. Ti ho già perdonato - sussurrò lei.
Il vecchio scomparve subito dopo quelle parole pronunciate dalla figlia. Le sorrise, prendendole la mano.
- Dov’è andato? -
- Beh, diciamo che...- iniziò, portandosi una mano al ventre - È andato nella luce, in cielo. Può chiamarlo come vuole  -
La donna si alzò dalla sedia e l’abbracciò con vigore, ringraziandola.
- Ahia -
- Oh, scusami cara -
- Non fa niente - sussurrò, distogliendo lo sguardo dalla donna per osservare intensamente la porta, sperando che Matteo rientrasse da un momento all’altro.
- Vedrai che tornerà - disse la mora, osservando nella sua stessa direzione.
- Lo spero - sussurrò - Lo spero tanto, ma non credo che lo farà...dopo tutte le bugie che gli ho detto -
Calò nuovamente il silenzio, ma lo interruppe subito schiarendosi la voce - Signora Dall’Angelo, posso chiederle un favore? -
- Certo Angelica, tutto quello che vuoi -
- Può dire a suo figlio che...- iniziò, arrossendo - ...che lo amo e che mi dispiace? Non volevo che...ecco...mi credesse pazza e...volevo proteggerlo -
- Lo ami tanto, vero? -
Annuì - Lui è come l’aria che respiro...io...io non riuscirei più a vivere senza suo figlio, signora Dall’Angelo -
La donna le sorrise - Per lui è lo stesso, Angelica. Vedrai che tornerà prima di quanto pensi. Ma gli riferirò comunque quello che mi hai appena detto -
- Grazie - sussurrò, sdraiandosi di nuovo, voltando immediatamente lo sguardo quando la porta della stanza si aprì. Sperò che fosse Matteo, ma erano sua madre e Sonia, con in mano due bottigliette di tè.
La signora Dall’Angelo la ringraziò ancora, muovendo appena le labbra, per poi rivolgersi alla figlia - Andiamo? -
- E Matteo? -
Chiuse gli occhi, ignorando lo sguardo della bambina.
- Veniamo a prenderlo dopo - disse lei, facendo poi un cenno a sua madre, seduta di nuovo accanto al letto - Grazie Nadia -
Sua madre le sorrise - Di niente Angela -
Non appena la bambina e la donna se ne andarono, sua madre bevette un lungo sorso di tè dalla bottiglietta - Gliel’hai detto -
Arricciò le labbra - Dovevano sapere -
- Ed Elisabeth? -
Le lanciò un’occhiataccia - Come fai a sapere di lei? -
- Me l’ha detto per telefono -
Si mise a sedere, restando a bocca aperta - No...-
- Oh sì, sta venendo qui e, dal tono di voce che aveva prima, era parecchio incazzata -
Si portò la mano destra alla testa, lasciandosi cadere sul materasso - Oh Dio, sono morta -
- Morta stecchita tesoro, inoltre questa mattina è passata Beatrice -
- E lei cosa ti ha detto? -
- Che le servivi sveglia -
Prese la bottiglietta di tè dalle mani della madre - Chissà cos’ha in mente - disse, bevendone un lungo sorso.
- C’era anche la Direttrice -
Mandò giù il tè prima di sputarlo sul letto - Chi? -
- La Direttrice - ripeté la donna dai capelli corvini - Hanno detto che ripassavano più tardi -
- Bene - sussurrò ironicamente “Me ne diranno di tutti i colori”


Era sola. Lasciata da sola in quella dannata stanza in preda alla sua fobia degli ospedali che l’accompagnava da anni, mentre sua madre era andata a prendersi qualcosa da mangiare. Tentò di rilassarsi, evitando di cedere alla vocina nella sua testa che le diceva di scappare da quel posto saltando dalla finestra.
“Pessima idea” si disse “Sono al terzo piano”
La porta della stanza si spalancò d’un tratto, mostrando la figura infuriata di Elisabeth Hall sulla soglia, che la fissava intensamente con i suoi occhi azzurri, che sembravano volerla pugnalare al cuore con un semplice sguardo. Indossava un paio di jeans e una t-shirt di una taglia più grande e teneva una borsa a tracolla.
- Oh, cavolo - sussurrò - Ciao -
- ANGELICA VETRA! - urlò la rossa, entrando nella stanza a grandi passi, arrivando accanto al letto per poi abbracciarla e scoppiare in lacrime - Perché sei così stupida!? -
Sorpresa, ricambiò l’abbraccio, benché la spalla le facesse ancora male - Elisabeth, ho dovuto...-
- Che cos’è successo? - domandò lei, staccandosi - Tua madre mi ha chiamata e mi ha detto che eri qui e...-
- Calmati - disse, invitandola a sedersi sul bordo del letto.
Le raccontò del padre di Matteo, che aveva rapito Sonia per attirarla in una casa fuori paese, e brevemente le raccontò lo scontro, tralasciando il fatto che l’uomo le aveva sparato due volte e piantato uno stiletto nella gamba.
- E Matteo? Sta bene, vero?-
Distolse lo sguardo - Non lo so - ammise - Se n’è andato quando ha saputo del mio...lavoro -
- Gliel’hai detto? -
- Che altro potevo fare? Il signor Dall’Angelo ha detto che ero 33, non c’era più motivo di tenerlo ancora segreto -
- E non ti ha detto niente? -
Scosse la testa - No - rispose - È uscito dalla stanza senza dirmi niente -
L’amica si fece più vicina, avvicinandosi al suo orecchio - Non ti preoccupare per Matteo - disse lei - È qui fuori, mi ha fatto promettere di non dirtelo -
Sgranò gli occhi - Ti prego - la scongiurò - Convincilo ad entrare -
Elisabeth annuì, accarezzandole la testa - Piccola pazza Angelica, quando ti deciderai a fare attenzione? -
- Non sai quante volte che gliel’ho detto - disse una voce, ed entrambe si voltarono verso la porta, dove una donna sulla sedia a rotelle le guardava.
- Direttrice - sussurrò.
- In persona - scherzò la mora, chiudendo la porta, per poi avvicinarsi al letto con la carrozzina - Tu devi essere Elisabeth, giusto? - domandò lei, guardando verso la rossa, che annuì.
- Direttrice, non c’era bisogno di venire di persona -
- Volevo vedere come stavi - ammise la Direttrice, lanciando un sospiro - Non possiamo andare avanti così, Angelica. Dobbiamo trovare la spia ed ucciderla -
Annuì - Non sappiamo nemmeno da dove cominciare -
- Sappiamo che è un Agente, e questo basta per far mettere tutti sotto controllo - disse lei, come se Elisabeth non ci fosse - Ha tentato di far saltare il nostro piano con Leferve, ha tentato più volte di ucciderti mandando demoni e quant’altro, e penso che abbia qualcosa a che fare con La Rosa -
Annuì. La Rosa era l’agenzia che creava demoni artificiali, uno più forte dell’altro - Lo pensavo anch’io -
- Da oggi ci saranno due Agenti che ti controlleranno 24 ore su 24 e... -
- No - la interruppe - Non occorre, so cavarmela da sola. Penso sia opportuno concentrare tutti gli Agenti sulla faccenda della spia -
La mora sospirò, passandosi una mano nei capelli - D’accordo, 33. Ora devo andare, ho delle faccende da sbrigare - disse lei, appoggiando le mani sulle ruote della sedia a rotelle, facendo dietrofront ed avvicinandosi alla porta - Stammi bene, Angelica. Ciao, Elisabeth. Più tardi dovrebbe passare anche Beatrice -
Detto questo, la Direttrice si aprì la porta e scomparve oltre la soglia. Lei ed Elisabeth si guardarono, confuse.
- Lei era la Direttrice? -
Annuì.
- Mi sembra che ti voglia bene. Non penso che si disturbi per visitare ogni Agente che si ferisce -
- Già - sussurrò.
- Mi dispiace ma devo andare anch’io - disse l’amica, alzandosi in piedi e frugando nella borsa, estraendone un cubo di Rubik, porgendoglielo.
Si rigirò tra le mani l’enigmatico oggetto, già mescolato - Cosa devo farci? -   
L’amica si avviò verso la porta, agitando la mano per salutarla - Che ne so, sono tre anni che continuo a mescolarlo -
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Prima di riaprire del tutto gli occhi sperò con tutto il cuore che quello che era accaduto, in realtà, non era mai successo, e si sarebbe svegliata nel suo letto, accanto a Matteo. Socchiuse appena gli occhi e le sue speranze crollarono come un castello di carte, riportandola alla realtà: era ancora su quel dannato lettino in quella dannata stanza d’ospedale di Borgo Trento.
Dopo la visita di Elisabeth non aveva visto nessuno, esclusi i suoi genitori: suo padre era rimasto con lei tutto il pomeriggio, mentre sua madre era ritornata alla sera, verso le sette, ed era ancora lì, seduta sulla sedia con la testa appoggiata sul materasso del letto e dormiva profondamente.
Guardò l’ora sul display del cellulare che sua madre le aveva portato, e che segnava le 22.25. Rispose ad un messaggio preoccupato di Vittoria e tornò a guardare la stanza, sommersa nel buio.
Si mise a sedere, cercando di non svegliare sua madre, e guardò la porta, lanciando un sospiro malinconico: Matteo non si era ancora fatto vivo.
“Dev’essere confuso” pensò “Molto confuso. Forse dovrei dargli del tempo per abituarsi”
La maniglia della porta scattò e la porta si socchiuse. Per un attimo pensò che fosse il ragazzo, ma dovette ricredersi dato che, quando quel qualcuno entrò nella stanza, riuscì a distinguere dei familiari capelli biondi raccolti in un’altrettanto familiare coda di cavallo, illuminati appena dalla luce delle lampade al neon del corridoio.
- Angi? - domandò la figura che era appena entrata - Sei sveglia? -
Riconobbe immediatamente la voce di Beatrice - Sì - sussurrò, portandosi l’indice alle labbra per far capire alla collega che sua madre stava dormendo.
Beatrice si avvicinò al letto, fermandosi al lato del letto - Come stai? -
- Io bene ma...- iniziò, ricontrollando l’ora - Ti hanno fatta entrare anche a quest’ora? -
La ragazza si sfregò la testa - In effetti, non volevano farmi entrare, quindi ho dovuto uccidere tutti -
Aggrottò la fronte - Beatrice -
- Ok. Sono sgattaiolata su per le scale senza che nessuno mi vedesse -
Sorrise, passandosi una mano nei capelli, sistemando il cellulare sotto il cuscino - E dimmi, come mai sei venuta a quest’ora? -
- Ti devo aiutare - rispose semplicemente lei, fredda.
Inarcò un sopracciglio, osservando l’espressione dell’amica. Aveva paura, lo poteva sentire. Strinse i denti, capendo quello che Beatrice voleva fare - No -
- Angelica... -
- Non posso lasciartelo fare - disse, puntandole contro l’indice - Piuttosto mi faccio mordere da Francesco -
- La prima volta ti è andata bene, la seconda volta il veleno potrebbe ucciderti -
- Non voglio che tu mi guarisca. Non voglio che tu soffra per il mio dolore -
- Non riuscirei a fare molto - disse la bionda, distogliendo lo sguardo, guardando fuori dalla finestra, dove il cielo nero era tempestato di piccole e brillanti stelle - Ti ho già curata la settimana scorsa, mi servirebbe più tempo per guarirti completamente -
- Non voglio -
- Angelica, ragiona. Accelero solamente la guarigione, non sentirò niente -
- No! -
La bionda batté il piede a terra - Sei tale e quale alla Direttrice! Testarde come due muli! -
- Si può sapere...- iniziò una voce, ed entrambe si voltarono verso sua madre, che le guardava con la faccia assonnata - ...cos’è tutto questo casino? -
- Salve signora Vetra - la salutò la ragazza - Sono venuta a mettere a posto sua figlia, mi concederebbe un paio di minuti da sola con Angelica? -
La donna dai capelli corvini si raddrizzò, stiracchiandosi, per poi alzarsi definitivamente in piedi - Anche dieci minuti se le sistemi quella testolina che si ritrova - disse sua madre, uscendo dalla stanza.
Incrociò le braccia al petto, protestando - Non te lo lascerò fare -
Beatrice incrociò le braccia al petto - Angelica, per favore, riuscirò a malapena a rimarginarla, cosa vuoi che mi faccia? -
Sbuffò, guardandola - Ne sei sicura? -
Lei annuì, tirandosi su le maniche della felpa che indossava - Allora, cosa faccio? -
Ci pensò - La spalla - rispose, sperando che non facesse troppo male all’amica, dopo che l’avrebbe curata.
Beatrice, dopo un cenno, prese un profondo respiro, appoggiandole delicatamente la mano sulla spalla ferita. Dalle sue labbra uscì una malinconica litania in lingua demoniaca, mentre sui suoi avambracci comparvero strani simboli dorati, che sembravano brillare di luce propria. Subito si sentì meglio, ma dopo neanche un minuto, la ragazza si staccò, con il respiro affannato, e dovette sedersi immediatamente, portandosi le mani alla spalla.
Si riscosse da quello strano torpore e tornò alla realtà, voltandosi verso Beatrice - Stai bene? -
La collega annuì - Tranquilla, domani non avrò più niente -
Rimasero lì a parlare per dieci o quindici minuti, quando sua madre rientrò nella stanza dopo aver bussato, reggendo in mano una tazza di tè fumante - Tesoro, vuoi un tè? -
Le sorrise - Sì, grazie mamma. Però voglio che tu vada a casa a dormire -
La donna le porse il bicchierino di plastica, frugando poi nella borsa appesa alla sedia - Forse è meglio, domani mattina volevo fare un salto al negozio -
Sbuffò - Perché non lo vendi? - disse, riferendosi al vecchio negozio in Borgo Roma dove la madre vendeva vecchi oggetti, da dei vecchi servizi di tazze da tè ad oggetti più strani.
- Mi diverto un sacco con quel negozio -
Beatrice si rialzò in piedi, salutandola - Meglio se vado anch’io, Marco mi starà cercando e sono sicura che la Direttrice me ne dirà di tutti i colori -
Rise piano - Molto probabile -
- Ciao Angi -
Salutò sua madre e Beatrice, che uscirono dalla stanza, lasciandola sola.
Si sdraiò di nuovo dopo aver bevuto tutto d’un sorso il tè, ed osservò intensamente il soffitto, sospirando. Chissà quando l’avrebbero lasciata andare.
- Matteo...- sussurrò, guardando fuori dalla finestra - Ti prego perdonami -
Una leggera vibrazione la riscosse dai suoi malinconici pensieri, prese il telefono e lesse il messaggio di Elisabeth.

Domani pomeriggio vengo a trovarti. Matteo si è fatto vivo?

Scrisse lentamente, sfiorando appena lo schermo del telefono.

Ok, tanto non vado da nessuna parte e Matteo non l’ho ancora visto.

La risposta arrivò subito dopo.

Non preoccuparti, ieri gli ho parlato, gli ho detto che sapevo anch’io di questa tua strana...cosa...e che se ti ama veramente ti accetterebbe per come sei veramente.

Sorrise.

Speriamo Elisabeth, speriamo bene.

***
Dopo una facile missione era tornata all’Agenzia. Tutti erano in agitazione e dovette sbattere un novellino contro il muro per farsi spiegare tutto: 33 era all’ospedale, ferita da un uomo che la spia aveva mandato per ucciderla. Dopo essersi cambiata negli spogliatoi, andò in palestra per allenarsi e sfogarsi un po’ iniziando a fare un po’ di stretching.
“Angelica, Angelica” pensò scuotendo la testa “Ma cosa diamine combini?” pensò.
Negli ultimi tempi si era un po’ affezionata a lei e pensò che una visita il giorno dopo non le avrebbe fatto male.
Si ritrovò a pensare della spia, a cosa volesse e se la sarebbe presa con altri Agenti.
Alzò lo sguardo quando sentì una presenza vicino a lei, e sorrise, vedendo Francesco proprio al suo fianco, che ricambiava il sorriso - Ciao - lo salutò - Che ci fai qui a quest’ora? - domandò, alzandosi in piedi.
- Volevo sapere se avevi finito di allenarti...- rispose timidamente il biondo, incrociando le braccia al petto.
Si mise le mani sui fianchi - Perché? Ti serve la palestra tutta per te? - domandò, sempre sorridendo - Non sei un po’ troppo elegante per allenarti? - gli chiese ancora,  osservandolo dall’alto in basso: il biondo indossava un paio di jeans scuri e una camicia nera che si intravedeva appena sotto la giacca di pelle.
- In realtà... - iniziò Francesco - Volevo offrirti da bere per saldare il mio debito -
Tornò seria all’improvviso, aprendo la bocca nell’inutile tentativo di dire qualcosa - Io...davvero? -  domandò, e lui annuì come risposta - Dovrei andare a fare una doccia... -
- Tranquilla Laura - la tranquillizzò lui - Ti aspetto -
Sorrise - D’accordo - sussurrò superandolo.
***
Si svegliò di soprassalto, portandosi le mani al ventre.
- Oh, Dio - sussurrò - Ti prego, Manuel...lasciami in pace -
Ancora una volta quel sogno. Ancora una volta la scena della morte di Manuel le si era presentata davanti agli occhi.
Si mise a sedere sul bordo del letto e prese la bottiglietta d’acqua naturale sul comodino, bevendone un lungo sorso, osservando poi la finestra, con la tapparella abbassata, che lasciava intravedere il buio al di fuori dell’ospedale.
Prese un respiro profondo ed appoggiò il piede sinistro a terra, affondando le dita nelle lenzuola per tenersi nel caso perdesse l’equilibrio nell’appoggiare la gamba ferita. Spostò appena la gamba destra, tenendola sollevata, in modo che la pianta del piede sfiorasse il freddo pavimento.
Con rabbia si strappò tutti i tubicini di dosso, lanciandoli da una parte. Una piccola spia rossa sul monitor prese a lampeggiare. Sperò che non arrivasse qualche infermiera che la costringesse a tornare a letto.
Prese un altro profondo respiro ed avanzò piano, tenendo una mano appoggiata al muro, avvicinandosi sempre di più alla finestra. Il fiato le si mozzò in gola quando una fitta le partì dal ventre, salendo lungo la schiena.
Dovette sedersi a terra, ansimante.
Come purtroppo aveva previsto, un giovane infermiere entrò nella stanza, aiutandola a tornare a letto.
- Le conviene rimanere qui, signorina Vetra - disse lui.
Sbuffò, mentre l’infermiere uscì dalla stanza, dopo averle riattaccato tutti i tubicini al braccio.
Guardò il cielo fuori dalla finestra e sospirò, richiudendo gli occhi.
***
Scesero dall’auto del ragazzo e s’incamminarono verso un locale non lontano. Rabbrividì per il freddo e si maledì per aver dimenticato la giacca sulla propria auto, abbandonata nel parcheggio dell’Agenzia e per non aver indossato qualcosa di più pesante, ma nell’armadietto le era rimasta una maglia leggera e un paio di jeans. Sentì Francesco appoggiarle la sua giacca sulle spalle e lo guardò, ringraziandolo con un sorriso.
Entrarono nel locale: L’insolito. L’interno era abbastanza grande e l’arredamento semplice: le pareti bianche, alcuni tavoli sparsi in giro e il solito bancone che nei locali e nei bar non mancava mai. Solo un tavolo era occupato da un gruppetto di ragazzi, già ubriachi.
Si sedettero ad un tavolo isolato, l’uno di fronte all’altra e si tolse la giacca di Francesco, sorridendo non appena, con la coda dell’occhio, notò che il biondo la stava osservando. Incrociò le braccia al petto, appoggiandosi completamente allo schienale della poltroncina - Quindi adesso siamo pari. Hai saldato il tuo debito -
- A quanto pare - rispose lui - Anche se un po’ mi dispiace -
- E perché dovrebbe dispiacerti? - domandò, accavallando le gambe.
- Perché non ho più scuse per invitare una bella ragazza come te a bere qualcosa con me -
Non riuscì a fare a né dire niente, perché una giovane cameriera si fermò al loro tavolo, chiedendo l’ordinazione.
- Per me una Coca - disse il biondo, senza distogliere gli occhi dai suoi - E per la ragazza...-
- Un Cuba libre - disse, distogliendo lo sguardo dalle sue iridi ghiacciate.
La cameriera si allontanò, portando dopo un paio di minuti di silenzio, quello che avevano ordinato. Osservò la fetta di limone incastrata per bene sul bordo del bicchiere - Hai saputo di 33? -
- Sì - rispose lui - Un vero casino. Se non prendono in fretta quel fottuto bastardo ci farà la pelle a tutti -
Bevette un lungo sorso ed osservò il mezzo demone - Dici? -
- Chiunque sia ha qualcosa in mente, qualcosa di più grosso -
- Io dico che ha a che fare con La Rosa -
- Molto probabile - sussurrò Francesco, bevendo la sua Coca cola - Ma cambiamo argomento, non ti ho invitata per parlare di cose che riguardano il lavoro -
Piegò la testa di lato - E di cosa vorresti parlare? -
- Non saprei...parlami un po’ di te -
Rise - D’accordo - disse, raccontandogli poi un po’ di tutto. Dalla scuola al suo lavoro in un bar, i suoi interessi, quello che le piaceva fare, i suoi genitori, il suo cane, una femmina di pastore tedesco dal pelo nero, che sua madre aveva chiamato Buffy.
- Non c’è molto - ammise - Non sono una persona particolarmente interessante. A volte esco da sola, ma poco con Veronica. Mi segue come se fossi la regina... -
- Ti da fastidio? -
- Un po’ - disse, finendo il suo Cuba libre - E poi a me piace stare da sola. Ho imparato ad abituarmi non avendo molti amici -
- Non fa bene restare sempre da soli - disse Francesco, prendendole la mano - Si finisce con chiudersi in sé stessi -
Alzò le spalle, mettendo fine al contatto tra loro - Ci ho fatto l’abitudine - sussurrò,sorridendogli - Stasera ho parlato più del solito, forse sei tu che mi influenzi in modo positivo -
Il ragazzo le sorrise e si alzò in piedi, lasciando sul tavolo una banconota da dieci euro e una da cinque - Andiamo? -
Annuì, osservando l’ora sul display del suo cellulare, infilò la giacca del biondo ed entrambi uscirono, raggiungendo l’auto in quattro e quattr’otto. Si sedette sul sedile del passeggero ed allacciò le cinture - Hai altri progetti per stasera? -
Francesco mise in moto e partì - Non saprei - ammise lui - Se vuoi possiamo prendere un film horror e guardarlo a casa mia. Se ti va ovviamente... -
Inarcò un sopracciglio - Sicuro che non disturbo? -
- Io vivo da solo, non dai alcun disturbo -
Gli sorrise - D’accordo. Però il film lo scelgo io -
- Oh no, scordatelo biondina. Lo scelgo io -
- Decideremo insieme allora - disse, rossa in viso per come l’aveva appena chiamata il ragazzo.
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Capitolo 39
*** Capitolo 39 - Domenica, 15 marzo 2009 ***


Domenica, 15 marzo 2009
L’appartamento di Francesco era grande ed accogliente: non appena il ragazzo aveva aperto la porta, un bel salotto le si presentò davanti, dove un lungo divano era posto davanti alla televisione; proprio accanto c’era la cucina, perfettamente in ordine, poi notò un corridoio, dove c’erano sicuramente il bagno e la camera da letto.
Si sedettero l’uno accanto all’altra sul divano e guardarono il film “Non aprite quella porta”. Le loro dita si sfioravano di tanto in tanto per un breve contatto che durava qualche secondo. Lei ritraeva sempre la mano, rossa come un pomodoro.
Non appena il film finì, mostrando i titoli di coda, si stiracchiarono, ed osservò l’orologio, appeso al muro, che segnava l’1.14.
- Laura? -
 Distolse lo sguardo dall’orologio e guardò il biondo, che sembrava un po’ imbarazzato - Sì? - domandò, facendosi più vicina.
- Io...ecco...volevo dirti che...beh, insomma...sono stato bene questa sera e...tu mi piaci molto -
Sorrise, finalmente contenta che il ragazzo avesse sputato il rospo, gli mise le mani nei capelli ed appoggiò le labbra sulle sue. Francesco, dopo un momento di indecisione, ricambiò, stringendole i fianchi ed accarezzandoli timidamente sotto la maglia, sperando di non fare una mossa sbagliata.
- Anche tu mi piaci - sussurrò, staccandosi appena, avvicinandosi al suo orecchio - Mi sei piaciuto sin dall’inizio, ma ho lasciato perdere perché pensavo che fossi interessato a... -
- Fammi indovinare - disse lui, interrompendola - 33 -
Annuì - Già -
- Per quanto possa essere bella Angelica, tu lo sei ancora di più, e lo penso dalla prima volta che ti ho vista -
Sorrise e lo baciò ancora, con ancor più passione, sdraiandosi sul divano e tirandolo il ragazzo sopra di se, sbottonandogli la camicia, facendo saltare bottone per bottone.
“Non bisognerebbe fare una cosa del genere al primo appuntamento, ma...” pensò, togliendogli definitivamente la camicia, che giacque poi a terra “Non m’importa”
Anche lui, dopo un po’, iniziò a spogliarla lentamente, poi, quando ormai entrambi avevano poco da togliere, il biondo l’alzò senza difficoltà portandola in camera da letto. Il cuore le batteva all’impazzata e sussurrava piano il nome del ragazzo, che copriva entrambi con le coperte, prima di tornare a baciarla.
***
Ore 9.16
La bella addormentata rinchiusa nella torre più alta di un castello a trascorrere gli anni immersa in un sogno da cui verrà risvegliata con un bacio, non sarebbe stata più bella di Angelica, sdraiata su un letto d’ospedale, dove dormiva serenamente. Accarezzati dalla tenue luce del sole, che entrava da una fessura nella tapparella, la sua candida pelle appariva luminosa, come sa la luce ne penetrasse la superficie e ne illuminasse il volto dall’interno. Dalle sue labbra socchiuse uscì un lieve lamento, seguito dal suo nome, sussurrato appena.
Le prese la mano, stringendola dolcemente, in attesa che si svegliasse. Era un’ora che attendeva accanto al suo letto. Non aveva dormito per due notti, ripensando a come si era comportato con lei.
- Matteo...- sussurrò la ragazza, stringendo gli occhi e piegando la testa di lato, presa forse da un sogno.
- Angelica? - la chiamò, nel tentativo di svegliarla - Angelica, amore. Svegliati -
Non appena vide le iridi verdi fare comparire sotto le ciglia scure, dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà per non stringerla tra le braccia e baciarla. La ragazza, dopo aver stretto nuovamente gli occhi, li aprì del tutto, stringendogli lievemente la mano come per accertarsi che non stesse sognando tutto - Matteo...- sussurrò la mora con un sorriso sulle labbra - Se questo è un sogno non voglio più svegliarmi -
Si avvicinò al suo viso, portando le labbra ad un soffio dalle sue - Sei già sveglia, gattina - le rispose, baciandola subito dopo con dolcezza, per staccarsi subito dopo.
Angelica sorrise - Sei tornato...-
- Non me ne sono mai andato - rispose.
- Perdonami - disse lei, mettendosi a sedere - Perdonami per non avertelo detto prima, ma...avevo paura di perderti se solo avessi saputo...quello che sono in realtà -
- Non hai niente di cui scusarti - sussurrò - Sono io che mi sono comportato in modo stupido. Dovevo lasciarti spiegare senza uscire dalla porta e non farmi sentire per un giorno -
***
Lo attirò a se, appoggiando le labbra sulle sue, staccandosi dopo un po’ per stringerlo tra le braccia - Non ha più importanza - disse - Adesso sei qui, ed è questo che conta -
Si staccarono dopo un lungo momento e Matteo si accomodò meglio sulla sedia - Come stai? -
- Bene - rispose - La gamba fa un po’ male, ma il dolore passerà presto -
- Mi dispiace per mio padre - disse lui, stringendole dolcemente la mano - Non dovevi venire -
- Ci saresti tu al mio posto se non fossi venuta -
- Sarebbe stato meglio -
- No - sussurrò - Tuo padre era stato mandato da qualcuno che mi vuole uccidere. Sarei finita qui in ogni caso, oppure sarebbe finita in modo peggiore -
Matteo, dopo un breve silenzio, puntò gli occhi nei suoi - Hai idea di chi possa essere? -
Scosse la testa - La Direttrice ha detto che farà il possibile per trovarlo - disse - Sarebbe disposta a coinvolgere mezza Agenzia per finirla una volta per tutte -
- Può essere un...demone? - domandò il fidanzato, sussurrando quasi con timore l’ultima parola.
- Non credo - rispose - Altrimenti mi ucciderebbe da solo, senza mandare altri demoni o umani, come ha fatto fino adesso -
- Hai detto che è stato lui a mandarti il demone...il killer di Verona -
Annuì - Aveva già tentato di uccidermi in passato, ma le è andata male per via di...Manuel -
- Non era il tuo amico che è...-
- Morto in un incidente d’auto - concluse al posto suo - Sì, proprio lui. Ma non è morto in un incidente d’auto - disse - È morto per proteggermi dal demone -
Gli raccontò tutta la storia: quando era entrata all’Agenzia, quando aveva incontrato Manuel durante il primo allenamento, i vari demoni che avevano ucciso insieme, i momenti che passavano a scherzare come buoni amici ed erano finiti con l’innamorarsi l’uno dell’altra.
- Due giorni dopo, durante una missione, è apparsa la donna dai capelli rossi, Kyra. Manuel mi si parò davanti, salvando la mia vita in cambio della sua - disse, spostando appena la vestaglia per mostrare la cicatrice sopra clavicola al fidanzato - Questo è tutto ciò che mi rimane di quel giorno -
Ci fu silenzio assoluto per diversi minuti e temette un attacco di gelosia da parte del moro, che però, fortunatamente, non avvenne.
- E Kyra? -
Sospirò - L’ho uccisa la settimana scorsa. Non appena lo feci, prese possesso del mio corpo. Ecco perché mi sono comportata in modo strano lunedì e martedì: ero posseduta da quel demone -
Matteo parve un po’ confuso - Vuoi dire che quando noi due...quel giorno che abbiamo...ehm...- disse lui, balbettando - ...tu...non eri tu...insomma...era il demone dai capelli rossi -
Annuì - Hai praticamente fatto l’amore con un demone che avrebbe potuto staccarti la testa -
Il moro si mise le mani nei capelli - Oh, Dio...mi faccio schifo -
Si portò la mano al ventre e si mise a sedere - Non hai nessuna colpa, non lo sapevi -
- Mi faccio schifo lo stesso -
- Come posso farti cambiare idea? - domandò, facendolo avvicinare per sussurrargli nell’orecchio - Lo sai che farei l’amore qui, adesso, per farti smettere di pensare a quelle cose - disse in tono malizioso - Se solo potessi...-
- Angelica - l’ammonì lui - Siamo in un ospedale. Non dovresti nemmeno pensare di fare certe cose in questo momento -
- Perché? - domandò innocentemente - Chiudiamo la porta a chiave e...-
- Quando starai meglio -
Sorrise, sdraiandosi di nuovo - Promettimi che non ci penserai più, d’accordo? -
- Promesso - disse lui - Puoi togliermi una curiosità? -
- Certo -
- Quali sono i demoni più brutti che ti sono capitati? -
Sorrise - Ce ne sono alcuni che sono...terribili - disse - Sono piccoli, verdi, con un paio di corna rosse, la bocca piena di denti e sbavano. Ho dovuto buttare un sacco di maglioni per quei mostriciattoli che tentavano di strapparmi il cuore -
- E per farci cosa? -
- Boh, per mangiarselo forse -
Matteo inarcò un sopracciglio - Mi stai prendendo in giro vero? -
Sorrise - Assolutamente sì! -
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Un’ora più tardi, la stanza si era riempita di gente: sua madre e suo padre erano stati i primi ad arrivare, la donna con il solito sorriso stampato in faccia, si era seduta sulla sedia accanto al letto, e non si era più alzata; suo padre aveva uno zainetto, che appoggiò a terra, sedendosi poi sul letto davanti al suo. La signora Dall’Angelo e Sonia arrivarono poco dopo: la donna si mise a parlare con sua madre, mentre la bambina saltò sul letto e, dopo averla abbracciata con forza, aveva iniziato a farle dei giochi di magia con le carte da briscola.
- È questa! - disse Sonia mostrandole la carta del cavallo di bastoni.
Le sorrise - Penso che tu abbia sbagliato qualcosa...-
- Non è questa? -
- Era l’asso di spade...-
La bambina guardò la carta, con un sopracciglio alzato - Uffa, mancava un passaggio...-
Tese la mano verso Sonia - Posso? - domandò, e Sonia le diede il mazzo di carte.
Si mise a sedere, facendo un po’ di posto per il solito gioco delle tre carte. Prese L’asso di spade, il due di spade e il tre di spade.
Mostrò l’asso a Sonia, facendole vedere che era sopra le due carte e lo voltò, dopodiché posizionò le tre carte sul letto, mescolandole lentamente.
- Dov’è l’asso? -
La bambina, che non si era fatta sfuggire una mossa indicò la carta in mezzo. La voltò, ma in realtà era il due di spade.
- Mi hai fregata! Fallo di nuovo, dai! -
Qualcuno aprì d’un tratto la porta della stanza, richiudendosela immediatamente alle spalle e far scattare la serratura. Tutti si voltarono verso Alice, ferma davanti all’entrata con l’orecchio destro appoggiato alla porta.
- Alice? -
- Shh! - la zittì la mora, portandosi l’indice alle labbra e lanciandole uno sguardo di fuoco - Non volevano farci entrare e sono scappata con Vittoria da una vecchia infermiera... -
- E dov’è Vittoria? -
Alice scosse il capo - L’abbiamo persa -
- BRUTTA SCEMA! TE LO DO IO “L’ABBIAMO PERSA!” - urlò una voce dall’altra parte della porta. La mora aprì, facendo entrare Vittoria; con i capelli spettinati e il respiro affannato - Ho dovuto dire che sono la sorella per farmi portare qui! -
Inarcò un sopracciglio - Mia sorella? Bionda? -
- Ho detto che mi sono fatta la tinta -
Lanciò un lungo sospiro - Quando la smetterete voi due di cacciarvi nei guai? -
La mora e la bionda si guardarono, puntando poi lo sguardo su di lei - Mai! - esclamarono all'unisono, avvicinandosi poi al suo letto per abbracciarla. Sonia scese subito dal letto, avvicinandosi ad Elisabeth.
- Come stai? - domandò Vittoria, spettinandole i capelli.
- Sto bene, davvero - rispose.
- Quando ti mandano a casa? - domandò la mora.
- Presto...sicuramente oggi -
- Tu e la tua fobia per gli ospedali - sussurrò Elisabeth, salutando le amiche ed iniziando una partita a carte con Sonia e suo padre, tutti seduti sul letto di fronte al suo.
Incrociò le braccia al petto, guardando Alice e Vittoria - Non c’era bisogno di venire fino a qui. Potevate aspettare quando...-
- E rinunciare a romperti le scatole? - disse Alice, mettendosi le mani sui fianchi - Comunque più tardi volevamo fare un salto in biblioteca, quindi non ci cambiava niente allungare la strada -
- Alice, hai il tatto di un elefante - l’ammonì la bionda, prendendole le mani - Sei sicura di stare bene? -
Annuì come risposta - Non preoccuparti Vittoria, tra un po’ me ne torno a casa -
- Elisabeth ci ha raccontato cos’è successo - disse Alice, e tutti si zittirono, guardando le due nuove arrivate.
Lanciò un’occhiata alla rossa, poi ritornò a guardare la mora - Esattamente, cos’è che vi ha detto Elisabeth? -
- Che un tipo aveva rapito la sorella di Matteo e siete andati a cercarlo - le sussurrò la bionda all’orecchio.
- Ah - disse - Beh sì, è successo questo in poche parole -
- Perché devi sempre cacciarti nei guai? -
Le fece la linguaccia - Adoro il brivido dell’avventura -
- Non ti piacerà più quando ti troverai con l’osso del collo rotto - l’ammonì la mora.
- Alice dobbiamo andare - disse Vittoria, dandole un bacio sulla guancia - Verremo a trovarti anche domani -
Le sorrise - Ci conto ragazze -
- Almeno a casa tua non ci sono infermiere acide - replicò Alice, dandole una pacca sulla spalla. L’amica, come lei, non amava le aperte manifestazioni d’affetto.
Sorrise - Ciao -  
Le due la salutarono ed uscirono dalla stanza, lasciando entrare un vecchio medico. Tutti i presenti alzarono lo sguardo ed interruppero quello che stavano facendo.
- Signorina Vetra - iniziò lui - Le sue condizioni sono migliorate e può tornare a casa, ma...-
- Niente ma - lo interruppe in tono freddo - Voglio andarmene di qui -
- ...ma sarebbe il caso che rimanesse un altro giorno -
- No -
- Angelica - l’ammonì sua madre, seduta accanto a lei - Non essere scortese -
- Io non ci voglio restare un minuto di più in questa stanza - disse - Voglio andarmene -
Il medico alzò le spalle, sistemandosi gli occhiali sul naso - Potete andare quando volete, basta che la signorina Vetra firmi le carte in portineria. La sedia a rotelle è in prestito e dovrà essere restituita entro due mesi - disse lui, dando le spalle a tutti, uscendo poi dalla stanza.
Matteo, entusiasta, la tirò su, facendola sedere sul bordo del letto, osservando la vestaglia che indossava - Dovresti cambiarti...-
- Ho portato il cambio - disse sua madre, alzandosi dalla sedia, recuperando lo zaino che il marito aveva lasciato accanto al letto, e mettendosi puoi davanti a lei.
- Grazie mamma...se non ci fossi tu -
- Ehi! - esclamò suo padre, che aveva ripreso a giocare a carte con Elisabeth e Sonia - L’ho portato io lo zaino -
Sospirò - Grazie anche a te, papà -
- Ti ho portato quella bruttissima felpa che ti va larga e un paio di pantaloni di una tuta da ginnastica - disse la donna dai capelli corvini, porgendole un fagotto di vestiti.
Prese il pantaloni e, in qualche modo, riuscì ad infilare la prima gamba poi, quando fu la volta della gamba fasciata, fece tutto con più calma, riuscendo infine ad infilare del tutto i pantaloni sotto la vestaglia bianca.
- Non vedevo l’ora di togliermi questa roba - ammise, togliendosi la vestaglia, ignorando lo sguardo di Matteo, che avrebbe voluto saltarle addosso e lo sguardo preoccupato di sua madre; Elisabeth, Sonia e suo padre non avevano tolto gli occhi dalle carte, mentre la signora Dall’Angelo si era voltata.
- La smettiamo di spogliarci? - l’ammonì scherzosamente Elisabeth, lanciandole un’occhiata.
Infilò subito la felpa - Che c’è? Non mi sto spogliando davanti a degli sconosciuti -
- Beh, tesoro...- iniziò la madre di Matteo - ...un po’ di riguardo dovresti farlo -
- Avete ragione - disse, allungando le mani verso di lui, che le afferrò, aiutandola ad alzarsi in piedi. Dovette riappoggiarsi al letto non appena una scossa le percorse la gamba ferita. Gemette piano e Matteo la sollevò immediatamente, facendola accomodare sulla sedia a rotelle.
- Tutto ok? -
Annuì, stringendosi la gamba - Ho sopportato di peggio - disse - Possiamo andare? - domandò poi, guardando tutti gli altri che la fissavano a loro volta.
Suo padre si alzò in piedi, abbandonando le carte sul letto - Perché non andate avanti? Vai a firmare le carte e poi andate...ci troviamo a casa -
Guardò Elisabeth, che si stava alzando a sua volta, lasciando le carte a Sonia - Io vado a casa, vengo a trovarti domani con le due pazze per parlare della festa -
Piegò appena la testa - Quale festa? -
Elisabeth la superò, dandole un pugnetto in testa - Il tuo compleanno, genio -
Si portò le mani al viso: l’amica aveva ragione, sabato avrebbe compiuto diciannove anni. Come volava il tempo.
***
Socchiuse appena gli occhi, infastidita dalla luce che entrava dalla finestra, ad un metro dal letto, e si girò dall’altra parte, sperando di poter dormire ancora un po’.
- Laura? Sei sveglia? - domandò una voce, ed aprì del tutto gli occhi, guardando Francesco, accanto a lei, che la osservava a sua volta, coperto con il lenzuolo dalla vita in giù, con la testa appena sollevata dal morbido cuscino e i capelli biondi in disordine.
Strinse a se le lenzuola, socchiudendo gli occhi - Ciao -
- Hai dormito bene? -
Si stiracchiò, allungando le braccia sopra la testa - Divinamente -
- Vuoi qualcosa da mangiare? Sono già le dieci e mezza -
Sorrise e si mise sopra di lui, appoggiando il mento al suo petto - E se rimanessimo a letto? -
- A dormire? - domandò il biondo divertito, stringendole le braccia intorno ai fianchi - Non ti facevo così dormigliona -
Ghignò - Chi ha detto...- iniziò in tono malizioso - ...che voglio dormire? -
Francesco inarcò un sopracciglio - Hai capito la biondina -
Si avvicinò al suo viso, restando ad un soffio dalle sue labbra - Non chiamarmi biondina, biondino -
Lo baciò dolcemente, ma si staccò subito non appena il suo cellulare iniziò a suonare, dapprima piano per poi aumentare sempre di più il volume. Infilò velocemente la biancheria e corse in salotto, rovistando fra i vestiti in cerca dei suoi jeans, dove, nella tasca, c’era il cellulare che non la smetteva di suonare.
Non appena lo trovò rispose immediatamente - Pronto? -
- Agente, abbiamo un demone per lei. Categoria D. Nel parcheggio alla fine di via Firenze -
- D’accordo - disse riattaccando, iniziando a vestirsi velocemente - Francesco? -
Nessuna risposta.
- FRANCESCO! - urlò con tutto il fiato che aveva in gola infilando la sua t-shirt. Il biondo apparve dalla porta che dava sul corridoio, con un asciugamano stretto intorno alla vita - Hai una pistola? - domandò.
- Demone? -
Annuì.
- Nel primo cassetto - rispose subito lui, indicando il mobile vicino alla porta d’entrata - Ci sono anche le chiavi dell’auto -
Prese la Revolver e le chiavi dell’auto del ragazzo, voltandosi poi verso di lui - Grazie -
- Ritorna presto -
Sorrise - Non ti preoccupare...e vai a vestirti, pervertito -
- In teoria questa è casa mia, posso girare come voglio -
Aprì la porta dell’appartamento ed uscì, salutandolo con un sorriso.
***
Avevano aspettato una decina di minuti alla portineria prima che l’infermiera li chiamasse, firmò in fretta un paio di carte, senza nemmeno leggere quello che c’era scritto sopra, riconsegnò le carte e poi, finalmente, fu fuori dall’ospedale.
Stiracchiò le braccia verso l’alto facendo un respiro profondo quando sentì un lieve venticello accarezzarle il viso - Finalmente libera - sussurrò.
- Adesso andiamo a casa tua e ti metti a letto - disse il ragazzo, che spingeva la carrozzina.
Voltò lo sguardo e gli lanciò un’occhiataccia - È una battuta, vero? -
- No - rispose il ragazzo, con un ghigno sotto i baffi.
Inarcò un sopracciglio - Cosa c’è da ghignare? Non vorrai mica...-
- Angelica -
- Ok, ok - sussurrò, puntando avanti lo sguardo - Prendiamo un gelato? -
- Adesso? -
- Ci fermiamo quando torniamo - disse guardandolo ancora, facendo gli occhioni dolci - Dai... -
- Non dovresti mangiare il gelato - rispose lui, guadando a destra e a sinistra quando furono sulla strada, attraversandola subito dopo, avvicinandosi all’Audi di sua madre.
- Andiamo Matteo! - esclamò, gettandogli le braccia al collo quando il fidanzato la prese in braccio, per chiudere la sedia a rotelle e sistemarla sui sedili posteriori - È da ieri che ho una voglia matta di gelato. E di solito prima si fa sedere il paziente poi si mette via la sedia a rotelle -  
- Dopo ci fermiamo a prendere il gelato - disse infine lui cedendo, aprendo la portiera del passeggero e sistemandola sul sedile. Fece per allacciarsi da sola le cinture, ma lui la precedette.
Incrociò le braccia al petto - Riesco ancora ad allacciare le cinture di sicurezza, sai? -
Il moro chiuse la portiera e fece il giro della macchina, sedendosi poi al posto di guida - Beh, non ti devi sforzare -
Alzò gli occhi al cielo, lanciando un lungo sospiro - Dio mio, non sono mica incinta - disse - E anche se fosse mi allaccerei da sola le cinture...- aggiunse - Anzi, non le allaccerei perché non dovrei allacciarle se fossi incinta...-
Matteo mise in moto e partì, facendo il giro della piazzola - Dove lo prendiamo il gelato? -
Puntò il dito davanti a sé, indicando una gelateria proprio sull’angolo della strada - Lì -
- Di già? Non avevi detto che lo prendevamo quando stavamo tornando a casa? -
- Beh, stiamo tornando a casa, no? -
Il ragazzo, lanciò un sospiro e parcheggiò accanto alla gelateria - Che gelato vuoi? -
- Cioccolato, no. Vaniglia...anzi no, nocciola oppure...amarena. Non lo so. Tutti e quattro? -
Matteo sollevò appena il sedere dal sedile e prese il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans - D’accordo, tutti e quattro - disse lui, scendendo poi dall’auto.
Tirò giù il finestrino chiamando il fidanzato prima che entrasse nella gelateria - Metti anche la stracciatella! E non dimenticarti un cucchiaino! -


Dopo più di mezz’ora, Matteo parcheggiò l’Audi davanti casa Vetra.
Alzò gli occhi dalla vaschetta che, inizialmente, conteneva cinque palline di gelato, ma ora ne conteneva solo tre. Si mise il cucchiaino di plastica in bocca e guardò il fidanzato fare il giro della macchina, prendere la carrozzina dai sedili posteriori e sistemarla accanto alla macchina, aprendo poi la portiera del passeggero, osservandola.
Si guardò a destra e sinistra, togliendosi il cucchiaino dalla bocca - Che c’è? -
Il moro scosse la testa, mettendo la vaschetta dei gelati sul cruscotto - Mi hai mangiato il cioccolato...- disse lui, prendendola in braccio e facendola sedere sulla sedia a rotelle, ridandole poi il gelato.
- Mi attirava di più - si giustificò, assaggiando anche la stracciatella - Ma...una domanda...come facciamo ad entrare? Io non ho le chiavi -
Matteo si fermò davanti al cancelletto, estraendo un paio di chiavi dalla tasca dei jeans - Con le chiavi che mi ha dato tua madre -
Il fidanzato, dopo aver aperto il cancelletto ed averla spinta fino attraverso il giardino, sballottandola un po’ per i gradini, aprì infine la porta d’entrata, chiudendosela alle spalle quando furono entrati. Lanciò un lungo sospiro e provò ad alzarsi, ma il moro la fece risedere immediatamente.
- Dove credi di andare? -
Alzò lo sguardo, osservando il fidanzato - In camera mia -
- Ti porto io -
- Volevo provare da sola - sussurrò, osservando poi la scala - Ok, forse è meglio che mi porti tu -
Matteo rise piano prendendola poi in braccio senza difficoltà, portandola nella sua stanza e facendola sedere sul letto. Il ragazzo le si sedette subito accanto, guardandola preoccupato, mentre lei finiva la stracciatella.
- Stai bene? -
Annuì, chiudendo la vaschetta di gelato - Sto bene, stai tranquillo -
- Vuoi qualcosa di caldo? -
Ci pensò un attimo - Vediamo, ieri sera ho mangiato quella schifosa minestra annacquata, quella cosa che non ho ancora identificato e che penso di vomitarla fra qualche minuto e quella verdura al vapore. Ho proprio voglia di una pizza -
Il fidanzato parve confuso - Sono quasi le undici, sei sicura di volere una pizza? -
- Beh? È come se fosse il mio pranzo -
- Ti scandalizza così tanto l’ospedale -
Annuì - Non sai quanto. La ordiniamo alla pizzeria Tropical? -
Il ragazzo si passò una mano nei capelli - Sì, fammi indovinare. Tu prendi un’Angelica con aggiunta di salsiccia piccante? -
Piegò la testa di lato, sorridendo - Come hai fatto ad indovinare? -
Matteo le diede un bacio sulla fronte - Solo tu ordini quella pizza -
- Hai ragione - disse, prendendo il cellulare che aveva tenuto fino a quel momento nella tasca della felpa - Non ti preoccupare, chiamo io. Tu vuoi una prosciutto funghi? - domandò, ricevendo un sì dal moro. Digitò velocemente il numero della pizzeria, attendendo una risposta.  
- Pizzeria Tropical -
- Ciao Giacomo sono Angelica, posso ordinare delle pizze? - domandò, mettendo in vivavoce.
- Ciao Angelica. Come mai la pizza a queste ore? Non dirmi che sei incinta e hai voglia di una pizza con le acciughe! -
Arricciò le labbra - No, allora...c’è il fattorino vero? -  
- Ovvio -
- Allora un’Angelica e una prosciutto funghi -
- Arrivano tra dieci minuti -
- Grazie Giacomo, alla prossima -
- Alla prossima pizza Vetra -
Riattaccò ed osservò il fidanzato, lanciando un lungo sospiro - Ho fame -
- Dobbiamo aspettare dieci minuti - disse lui.
- Sono un’eternità - disse con un altro sospiro - Che fame... -
***
Puntò la pistola verso l’essere a terra, che indietreggiava a mano a mano che lei avanzava. Il demone, quando era in piedi, le arrivava fino alla vita, la sua pelle aveva un colorito verdognolo ed era completamente ricoperta da sottili squame, dalla sua bocca colma di piccoli denti, alcuni appuntiti mentre altri erano persino rotti, scendeva un rivolo di sangue nero per il calcio che gli aveva dato. I suoi diabolici occhietti, di un verde brillante, erano spalancati per il terrore.
Lo raggiunse in un secondo, appoggiandogli il piede sul petto per bloccarlo a terra, puntando poi la pistola.
Dalla bocca del demone uscì un rivolo di sangue e, con le manine ossute, tentò in tutti i modi di liberarsi - Ti prego...- sibilò lui.
Sentì uno strano calore diffondersi lungo il braccio, mentre una voce nella sua testa la incitava a mettere fine alla vita di quell’ignobile creatura e di lasciarsi andare. La mano che stringeva la Revolver sembrò agire da sola: sparò diversi colpi e le pallottole trapassarono il cranio del demone, mentre una pozza di sangue nero iniziò ad allargarsi sotto il corpo senza vita della creatura.
Gli diede le spalle e sorrise - Finalmente - sussurrò - Alla fine hai ceduto, Mancini -
Si sedette al posto di guida, guardando la sua immagine nello specchietto retrovisore: le sue iridi grigie a poco a poco diventarono di un rosso acceso.
Sorrise - Vediamo se te la caverai questa volta, Angelica -   
***
Dopo dieci minuti, come aveva detto Giacomo, arrivò il fattorino della pizzeria Tropical con le loro pizze, Matteo l’aveva pagato e, dopo aver tagliato entrambe le pizze in quattro spicchi ciascuna, le portò in camera sua, ancora nel cartone. Divorò la sua in men che non si dica, rubando al fidanzato un morso della sua pizza.
Finalmente sazia, ancora seduta sul letto, appoggiò la schiena contro il muro e fissò intensamente l’armadio davanti a lei. Doveva rimettersi al più presto, doveva scoprire chi era quella dannata spia.
- E questa da dove salta fuori? - domandò il ragazzo, distraendola dai suoi pensieri. Si voltò verso di lui, che reggeva tra le mani la sua katana, riposta ovviamente nel suo fodero.
- È una katana - disse - Uso quella per...i demoni -
- Cavolo - sussurrò il moro osservando attentamente l’intreccio sul manico di pelle nera, per poi appoggiarvi sopra la mano - Posso? -
Annuì e il fidanzato, lentamente, sguainò la spada, grattando la lama contro il fodero, facendola stridere, per poi osservarla nuovamente.
- Bella, vero? - disse, avvicinandosi al bordo del letto, per poi tastare con la mano la parquet sotto al letto, finché non trovò l’altra katana. La tirò fuori e la mostrò a Matteo - Questa me l’ha data la Direttrice il giorno che...- disse, bloccandosi immediatamente - Beh...l’altro ieri - concluse per non risvegliare brutti ricordi nella mente del ragazzo, sguainò la katana, rimanendo ammaliata, come la prima volta, dalla lama nera.
- Come riesci ad usarle? -
- Per ora ne ho usata solo una alla volta. Non ho mai provato con due - disse, pensando alla frase che aveva detto - Spade...non ho mai provato con due spade... -
- Ma devi praticamente fare un corpo a corpo, no? Insomma...ti devi avvicinare parecchio ai demoni che devi uccidere -
Annuì - Con alcuni le pistole non funzionano, ma dopo avergli piantato questa nel cuore dubito che qualunque demone possa rialzarsi - disse, risistemando la katana nella propria saya e Matteo fece altrettanto, sedendosi poi al suo fianco.
- Quante volte hai rischiato la vita? -
Abbassò lo sguardo: non c’erano più scuse per mentire a Matteo - Molte. Troppe volte -
- Te la senti di raccontarmi qualcosa di più? -
Gli lanciò un’occhiata dubbiosa - E tu te la senti di voler sentire? -
Il moro annuì - Devo solamente farci l’abitudine. Non mi è mai capitata una ragazza che parla con i fantasmi e fa parte di un’Agenzia segreta che da la caccia ai demoni -
Abbassò gli occhi - Lo so - sussurrò - E tu e tua madre dovrete mantenere il segreto -
- Stai tranquilla - la rassicurò il fidanzato, prendendole la mano - Parlami di quello che fai. Raccontami -
Prese un respiro profondo ed iniziò a raccontargli tutto, dall’inizio, dalla sua assunzione all’Agenzia.
Gli parlò dei demoni che aveva affrontato, delle vittorie e delle sconfitte, quelle volte che aveva rischiato la vita e altre in cui era stata costretta a toglierla a uomini che volevano ucciderla. La storia di ogni sua cicatrice, dalla più piccola e quasi invisibile a quelle che si notavano parecchio, ancora più chiare della sua pelle, ogni dannata volta che era stata portata in infermeria, a volte per dei lievi graffi, altre per ferite ben più gravi.
Gli parlò dei suoi frequenti pianti nel pieno della notte che l’avevano accompagnata fino a poco tempo fa, gli incubi orribili che era costretta a sopportare ogni giorno, le sue paure più profonde e i demoni nella sua mente.
Passò parecchio tempo prima che terminasse il racconto: i suoi genitori erano tornati a casa quando aveva appena cominciato a raccontare tutto a Matteo. Appoggiò la schiena contro il muro e lanciò un sospiro di sollievo, come se si fosse liberata di un enorme peso, troppo grande da portare da sola - È tutto - concluse - Ed ora un pazzo mi vuole uccidere scagliandomi contro un demone dopo l’altro -
- Vedrai che lo troveranno - la rassicurò Matteo, stringendole dolcemente la mano - Vedrai che finirà presto e...-
- Angelica? -
Entrambi si voltarono ed osservarono sua madre, ferma sulla porta della sua stanza - Sì? -
- Hai una visita - disse sua madre, andandosene e lasciando entrare Laura Mancini.
Le fece un lieve cenno - Ciao Laura -
- Ciao Vetra - rispose lei, fredda come sempre - Sono venuta a vedere come stavi -
- Sto bene, grazie. Tu come stai? -
- Potrei stare meglio - ammise la bionda, passandosi una mano nei lunghi capelli d’oro, appoggiandosi poi alla porta - Ho appena visto un...aspetta, lui lo sa? - domandò ancora lei, indicando Matteo.
Annuì - Sì, non ti preoccupare. Puoi parlare liberamente -
- Beh era un Categoria D. Era...bleah, schifoso. Hai presente quella puntata dei Simpson che hanno preso come spunto Harry Potter e Bart trasforma un rospo in una roba orribile, schifosa che continua a vomitare e...-
Arricciò le labbra - Sì, ho presente...molto creativa come descrizione -
- Era inguardabile -
- Ci si può aspettare solo questo da un Categoria D -
- Grazie a Dio è morto in fretta, poi ho riportato la macchina a Francesco che mi ha gentilmente accompagnata all’Agenzia, dove avevo lasciato la mia auto ieri sera, prima che Francesco mi invitasse fuori a bere qualcosa e sono venuta qui - disse Laura, tutto d’un fiato.
Riuscì a capire solo una cosa nella sua frase - Sei uscita con Francesco? -
La bionda annuì - Ti scandalizza così tanto che io abbia una vita privata? -
- Ma...ma...hai detto che hai lasciato la macchina all’Agenzia e quindi hai dormito fuori casa e...- disse, inarcando un sopracciglio, un po’ incredula - Questo vuol dire che hai dormito da lui -
- Vetra, non mi piacciono queste conversazioni da amichette del cuore ciccì e cicciò -
- Sei andata a letto con lui? -
- Se anche fosse? Sarebbero affari miei, no? - disse laura, incrociando le braccia al petto - Mi sembra di non essere venuta a chiederti se fai sesso selvaggio con Dall’Angelo e se lo fa bene -
Aggrottò la fronte - Beh, hai ragione -
- Io ho sempre ragione, Vetra -
Si passò una mano nei capelli, chiudendo gli occhi - Se lo dici tu - sussurrò, mentre una familiare voce riecheggiava nella sua testa, facendole persino pulsare le tempie “Non fidarti di lei...non fidarti di lei...”
Appoggiò la schiena contro il muro e lanciò un lungo sospiro, portandosi una mano alla fronte nel vano tentativo di fermare la sua testa, che aveva iniziato a girare vorticosamente, dandole persino la nausea.
- Angelica? Ti senti bene? - domandò Matteo, preoccupato, facendola sdraiare sul letto ed appoggiandole dolcemente la testa sul morbido cuscino.
- Mi gira un po’ la testa - ammise, socchiudendo appena gli occhi, quando la voce nella sua testa si fece sempre più lieve, sino a diventare un sussurro.
- Forse è meglio che vada - disse Laura, che si era avvicinata al letto, mettendosi in ginocchio sulla parquet - Non fare scemenze, Vetra. Riposati e vedrai che tornerai come nuova -
Annuì - Lo spero. Grazie per la visita Laura -
La bionda si alzò in piedi - Di niente, Angelica -
Detto questo Laura Mancini uscì dalla sua stanza, e con lei scomparve la voce nella sua testa. Aprì li occhi e guardò il ragazzo accanto a lei, prendendogli la mano e stringerla dolcemente.
- Che ti è successo? -
Gli lanciò un fugace sorriso - Niente, mi girava solo la testa - disse, ma ritenne giusto non parlare a Matteo del demone che l’aveva tormentata in gita, su quel poco che sapeva e sul fatto che era il loro futuro figlio.
- Forse è meglio se dormi - suggerì il ragazzo, alzandosi in piedi per abbassare la tapparella, facendo calare l’oscurità nella stanza.
Lui fece per andarsene ma lo bloccò appena in tempo, prendendogli la mano - Ti prego - sussurrò, attirandolo verso di sé - Resta con me -
Il moro non se lo fece ripetere due volte: si tolse le scarpe e si sistemò sul letto, accanto a lei, coprendo entrambi con le coperte. Lo strinse a sé, dandogli un leggero bacio sulle labbra - Grazie. Per tutto -
***
Giunto davanti alla porta dell’ufficio del Capo, bussò una volta, abbassando la maniglia solo una voce dall’altra parte gli concesse di entrare.
Si schiarì la voce, mentre la gola era diventata improvvisamente secca. Sapeva cosa voleva il Capo da lui, ma sperò di sbagliarsi.
Di tutti i demoni che aveva ingaggiato per uccidere 33 non ne era rimasto vivo nemmeno uno, mentre il suo contatto di Milano era di nuovo in prigione. Certo, era quasi riuscito a compiere il suo incarico, ma 33 era ancora viva, ferita ma viva, e al Capo non andava giù.
- Signore -
Il Capo era seduto su una poltrona, dietro alla scrivania, e gli dava le spalle. Non riusciva a vedere niente dell’uomo, dato che lo schienale della poltrona lo copriva completamente, lasciando scoperto solo il braccio, appoggiato stancamente al bracciolo della poltrona.
- Lo sai cosa voglio - disse il Capo lanciando un sospiro - Uccidila -
Abbassò la testa - Sì, signore -
- Non deludermi -
***
Si svegliò di soprassalto, portandosi una mano al ventre, dove la ferita aveva ripreso a farle male. Si guardò intorno, ma tutto era immerso nell’oscurità.
“Dev’essere tardi” pensò, cercando il suo cellulare, trovandolo nella tasca della sua felpa, guardando poi l’ora: 23.08.
Si mise a sedere, stanca di restare sdraiata su quel letto, seppur con Matteo al suo fianco, ed appoggiò i piedi a terra. Prese un respiro profondo prima di mettersi in piedi, tenendo una mano appoggiata al muro, tentando qualche passo. Strinse i denti non appena il dolore alla gamba si fece più forte, per quel piccolo sforzo che stava compiendo.
- Forza Angelica - si disse, facendo altri piccoli passi, uscendo dalla camera e trovarsi in cima alla scalinata all’ingresso.
Alzò appena la gamba ferita, in modo che il piede non toccasse terra, ed iniziò a saltellare, scendendo la scalinata gradino per gradino, reggendosi sempre al corrimano della scala. Inciampò ad un paio di gradini dall’ingresso e cadde a terra, rotolando fino all’entrata.
Si mise a pancia in su, osservando il soffitto e tenendosi una mano dietro la nuca - Fantastico - sussurrò, restando lì, immobile.
“Questa volta me la sono cercata” pensò, chiudendo gli occhi.
***
Un tonfo sordo gli fece socchiudere gli occhi.
Si girò nel letto, sussurrando il nome della fidanzata, ma non appena si accorse che lei non era accanto a lui, si mise immediatamente a sedere, guardandosi intorno nel vano tentativo di individuarla nell’oscurità.
- Angelica? Angelica dove sei? -
Si alzò definitivamente in piedi ed accese la luce: non c’era traccia di Angelica nella stanza e questo lo preoccupò ancora di più. Uscì dalla camera e si bloccò sulla cima delle scale, guardando il corpo steso a terra all’ingresso.
- Angelica! - esclamò, raggiungendola subito, tenendole sollevata la testa - Angelica maledizione... -
- Che cosa diavolo...-
Alzò lo sguardo, guardando la signora Vetra in cima alla rampa di scale con addosso una vestaglia bianca, che osservava la figlia a terra. Prima che potesse aprire bocca, la donna era già in ginocchio accanto a loro, accarezzando la fronte della figlia - Riportala a letto -
Annuì e si alzò, reggendo Angelica tra le braccia, svenuta, con una bella botta sulla fronte. Era tutta colpa sua, doveva tenerla d’occhio, invece si era addormentato come un marmocchio. Questa non se la sarebbe perdonata. L’adagiò dolcemente sul letto della sua stanza, appoggiandole piano la testa sul cuscino. La sentì lamentarsi appena, stringendogli la mano.
La signora Vetra arrivò subito dopo, con dei cubetti di ghiaccio avvolti in un candido fazzoletto, appoggiando poi il piccolo fagotto sulla fronte di Angelica - Quando imparerai a darti una calmata tesoro? - domandò la donna, sfiorando con il palmo della mano la guancia della ragazza - Testona che non sei altro -
La mora socchiuse appena gli occhi - Mamma...cosa...?-
- Sei caduta dalle scale e hai battuto la testa - disse la donna - Hai la nausea? -
Angelica scosse appena la testa - Perché? -
- Lo sai che se cominci a vomitare ti dobbiamo riportare al pronto soccorso, vero? -
- Non ho un trauma cranico - ribatté la ragazza, sbuffando, prendendo il ghiaccio dalle mani della madre e portandoselo dietro la testa.
- Cosa diavolo volevi fare? Saltare tutta la rampa di scale? -
- No...- sussurrò la fidanzata - Volevo solo...andare in cucina...-
- Nelle tue condizioni! -
***
Si portò il ghiaccio dietro la nuca, sospirando - Sono inciampata -
Sua madre si alzò in piedi, sbuffando - Ritorno a dormire. Matteo, ci pensi tu? -
Il ragazzo annuì lievemente - Sì, certo -
- Se vuole scendere dal letto, ti autorizzo a trattenerla con qualunque mezzo - aggiunse la donna dai capelli corvini, uscendo dalla stanza e chiudendo la porta.
Il moro puntò lo sguardo verso di lei e sorrise appena - Ciao -
- Angelica Vetra -
- Sì è il mio nome - sussurrò, mettendosi a sedere, tenendo il ghiaccio premuto dietro la nuca.
- Se volevi qualcosa perché non mi hai svegliato? -
Lasciò perdere il ghiaccio e si avvicinò a lui - Oh, tesoro. Avevi un’espressione dolcissima mentre dormivi e non ho avuto il coraggio di svegliarti -
Matteo inarcò un sopracciglio - Angelica...-
Sorrise, sfiorando appena le sue labbra - Quindi mia madre di ha detto di tenermi qui in qualsiasi modo -
- Esatto - rispose lui, facendola sdraiare di nuovo - Adesso tu stai qui e dormi -
Sbuffò, incrociando le braccia al petto, chiudendo gli occhi - Va bene così? -
- No. Devi dormire -
Prese il ragazzo per il colletto e lo fece sdraiare, spegnendo poi la luce - Così va molto meglio -
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Capitolo 40
*** Capitolo 40 - Lunedì, 16 marzo 2009 ***


Lunedì, 16 marzo 2009
Si mise di scatto a sedere quando sentì sua madre urlare il suo nome.
- Mamma! Cristo santo, ma lo sai che ore sono?! - urlò, con tutto il fiato che aveva in gola, mentre sua madre, sulla porta della sua stanza, non mosse un muscolo, e rimase a braccia incrociate.
- È quasi mezzogiorno -
Guardò l’ora sul telefono, che segnava le undici. Maledì sua madre con uno sguardo di fuoco - Sono le undici -
- È comunque tardi -
Si sdraiò di nuovo, buttando dall’altra parte il fazzoletto di stoffa bagnato, che diverse ore prima, racchiudeva i cubetti di ghiaccio che aveva tenuto sulla botta dietro la nuca.
Gli occhi verdi della madre la studiarono dall’alto in basso - Stai bene? -
Annuì, coprendosi ancor di più con le coperte e chiudendo gli occhi - Sì -
La donna, senza il minimo rumore, si sedette sul bordo del letto, accarezzandole la spalla, coperta dalle lenzuola - Matteo è andato a scuola -
Voltò la testa - Quindi? -
- Non voleva lasciarti qui, ma poi l’ho convinto - sussurrò sua madre, alzandosi subito in piedi - Ah, è passato Marco e mi ha dato questa - disse lei, prendendo una boccetta appoggiata alla scrivania, contenente un liquido dorato, con un’etichetta.
Si mise a sedere, prendendo la boccetta che la madre le porgeva, sull’etichetta la scritta in rosso risaltava sul bianco.
- Bevimi - sussurrò, leggendo la scritta - D’accordo, al massimo farò come Alice nel paese delle meraviglie - aggiunse, stappando la boccetta e bevendo il liquido dorato tutto d’un sorso, cercando di ignorare l’orribile sapore che le lasciava in bocca.
Porse la boccetta vuota alla madre, attendendo chissà cosa.
- Quindi? - domandò la donna, osservandola preoccupata.
- Io non sento niente - ammise - O Marco sta giocando a fare pozioni oppure gli effetti si vedranno tra qualche giorno -
***
Guardò l’orologio appeso al muro della palestra che segnava le dodici e mezza, e sospirò. Elisabeth, seduta accanto a lui, gli diede una leggera gomitata al braccio e distolse lo sguardo dai suoi compagni che giocavano a pallavolo, puntandolo negli occhi azzurri della ragazza.
- Il tempo sembra rallentare quando osservi solo e soltanto l’orologio. Matteo, devi distrarti un po’, non mi piace vederti così - disse lei, alzandosi in piedi, prendendo uno dei palloni a terra - Forza, andiamo a palleggiare un po’, magari divento improvvisamente brava -
Sorrise. Elisabeth aveva ragione: il tempo non andava più in fretta se si guardava l’orologio, anzi, sembrava non passare mai.
Si alzò in piedi ed entrambi si sistemarono in un angolo della palestra, in modo da non dare fastidio ai compagni in campo. Di solito, Elisabeth, benché non fosse molto brava a giocare, era sempre in campo quando uno dei due capitani era Angelica, che la sceglieva apposta per farla imparare. La prima volta che le aveva viste bisticciare per la pallavolo, la rossa aveva lanciato un pallone in faccia ad Angelica, che aveva iniziato a rincorrerla per tutta la palestra con il sangue che le usciva dal naso.
Elisabeth fece il primo palleggio, ma il pallone non lo raggiunse nemmeno e dovette avvicinarsi e recuperarlo, passandoglielo di nuovo con un palleggio. Ogni volta che Elisabeth cercava di fare un passaggio come si deve, la palla non lo raggiungeva mai.
Ad un tratto la ragazza s’infuriò, colpendo con in calcio la palla, che purtroppo, lo raggiunse, colpendogli fortunatamente la pancia.
- Oh, Matteo! Scusami! -
Agitò la mano, rassicurandola - Tranquilla, non mi hai fatto niente -
- Oh Dio, se ti prendevo un po’ più in basso Angelica mi avrebbe uccisa! -
Prima che potesse dire qualcosa o scoppiare a ridere, la professoressa di ginnastica soffiò con forza nel fischietto, mettendo fine alla partita di pallavolo. La squadra con Laura come capitano, aveva vinto 25 a 17 contro l’altra, con a capo Luca.
Elisabeth si avvicinò, prendendogli la palla dalle mani - Sai, Laura si sta comportando in modo un po’ strano -
- A me non sembra -
- Non ha parlato per tutto il giorno. Non ha mai detto una parola e ha scelto i componenti della squadra chiamandoli “tu” -
- Sarà di cattivo umore - disse, mentre lui e la rossa raggiunsero gli altri, che avevano appena terminato di giocare.
- Eli, cosa dici se dopo la scuola andassimo da Angelica? - domandò Alice, sedendosi a terra, accanto a Federico.
La ragazza gli lanciò un’occhiata - Possiamo? -
Annuì - Credo di sì -
- Dopo la chiamerò per vedere se ne ha voglia - concluse Elisabeth.
- Matteo? -
Si voltò, stupendosi che Laura lo avesse appena chiamato per nome - Laura...-
- Devo parlarti - tagliò corto lei, afferrandogli il braccio e trascinandolo nel piccolo corridoio che conduceva agli spogliatoi.
- Parlarmi di cosa? -
- Ieri quando me ne sono andata ho visto qualcuno che si nascondeva. Nella via dove abitate tu ed Angelica. Ho provato a prenderlo di sorpresa ma quando l’ho raggiunto è riuscito a scappare in fretta e furia -
- Mi stai dicendo che probabilmente c’è qualcuno che spia Angelica? -
La bionda lo afferrò per il colletto e lo sbatté contro il muro - Ti sto dicendo che ora che Angelica è ferita e debole la spia manderà qualcuno ad ucciderla una volta per tutte! -
- Come posso difenderla se non sono stato nemmeno in grado di proteggerla da mio padre? -
Laura lanciò un lungo sospiro, mollando la presa e passandosi una mano nei capelli - Hai ragione, scusami -
- Quindi? Cosa posso fare? -
- Non puoi chiamare l’Agenzia. 33...Angelica non approverebbe e tirerà giù qualche santo - disse la ragazza - Non volevo arrivare a questo ma...forse è il caso che tenga d’occhio la situazione...di persona -
- Ma tu...riusciresti a tener testa ad un assassino? -
Laura lo fulminò con lo sguardo - Mi hai presa per buona a nulla, Dall’Angelo? -
- No, certo che no -
- Allora, verrò a casa di Angelica, stasera, per spiegarle...-
- Secondo me farà un po’ di storie - disse.
- Riuscirò a convincerla - sussurrò lei - Vedrai -
***
Seduta sul letto nella sua stanza, prese un respiro profondo e si alzò in piedi, sorridendo quando la ferita alla gamba non le fece alcun male.
“Grazie Marco” pensò, facendo avanti e indietro nel corridoio.
Elisabeth l’aveva chiamata qualche minuto fa, chiedendo se lei, Alice e Vittoria, dopo la scuola potevano fare un salto a casa sua. Aveva accettato di buon grado e aveva chiesto a sua madre se poteva preparare qualcosa da mangiare per loro e per Matteo prima di andare al negozio. Adesso erano ormai le due e le sue compagne sarebbero arrivate tra una decina di minuti al massimo.
Da quando la madre l’aveva svegliata, aveva fatto un lungo bagno caldo nella vasca, colma di schiuma, e riuscì poi a vestirsi da sola, restando seduta sul letto, si era asciugata i capelli a casaccio ed ora era in piedi, in cima alla rampa di scale.
- Mamma! Vieni a darmi una mano, per favore? - domandò, appoggiando una mano sul corrimano della scalinata. Sebbene la ferita alla gamba non le facesse male, preferì non rischiare.
Sua madre sbucò subito dalla porta della cucina, rimanendo sorpresa nel vederla in piedi - Ma cosa diavolo ti ha dato da bere Marco? Ambrosia? La pozione rivitalizzante? -
Alzò le spalle - Potrebbe essere qualsiasi cosa ma...fa miracoli -
La donna la raggiunse in cima alle scale e l’aiutò a scendere in cucina. Annusò l’aria, affamata: era parecchio tempo che non sentiva un buon odore nella cucina; da quando i suoi erano partiti per Roma aleggiava solo uno strano odore di bruciato.
- Cosa stai facendo? - domandò, sedendosi sul divano.
- Spaghetti con il pomodoro -
- Tra quanto c’è pronto? -
- Due minuti - rispose sua madre - Hai fame, tesoro? -
- Non sai quanta - disse ridendo, scattando in piedi quando il campanello suonò diverse volte. Andò ad aprire alle amiche che le corsero subito incontro, abbracciandola tutte insieme. Matteo era dietro di loro e, non appena le Charlie’s Angels si staccarono, andò ad abbracciarlo con forza, baciandolo con passione.
- Vedo che stai meglio oggi - li interruppe Alice.
- Decisamente - rispose, facendo gesto alle amiche di accomodarsi in cucina.
Pranzarono tutte e quattro assieme, con Matteo ovviamente, parlando di com’era andata la giornata e cos’avevano fatto a scuola.
- Beh, io ho tirato una pallonata a Matteo - raccontò ad un tratto Elisabeth - Se lo colpivo un po’ più in basso non poteva più darti un figlio -
Arrossì di colpo: fortuna che sua madre era andata via quando avevano iniziato a mangiare. Alice era scoppiata a ridere, Vittoria aveva scrollato la testa e Matteo stava per soffocarsi.
Non appena ebbero finito di mangiare, sparecchiarono velocemente e si sistemarono in salotto.
- Allora Angi - iniziò Alice, imitando il signor Burns dei Simpson - Cosa facciamo al tuo compleanno? -
- Eh...niente? -
- MA COME NIENTE!!! - esclamarono in coro le tre.
- È il tuo diciannovesimo compleanno - sussurrò appena Vittoria - Perché non vuoi fare niente? -
- Non è che non voglio fare niente - disse - È che...insomma...voi esagerate sempre con le feste! - esclamò, riparandosi poi dai tra cuscini che le furono lanciati contro.
- Noi non esageriamo - disse Elisabeth - Allora, ti rifaccio la domanda: cosa facciamo al tuo compleanno? -
Si arrese - Una festa? -
La rossa e la mora applaudirono.
- Qualcosa di semplice, in un locale. Lo affitto per una sera, poi qualcosa da bere e da mangiare e...-
- LA MUSICA!!!!! - esclamò la rossa.
Sospirò - E la musica -
- Guarda caso...- iniziò Elisabeth - Ho un amico che è il proprietario di un locale a Ca’ di David. Posso chiamarlo per affittare il posto per sabato...aveva una cotta per me, chissà se mi fa lo sconto - concluse lei, alzandosi in piedi ed allontanandosi per chiamare il ragazzo del locale.
- Per la musica - s’intromise Vittoria - Mio fratello è bravo ad usare quella roba, posso chiedere a lui -
Le sorrise - Sarebbe fantastico -
La bionda ricambiò il sorriso, e si alzò a sua volta per chiamare il fratello, Alex.
- Angi, mi presti il portatile? - domandò Alice.
Inarcò un sopracciglio - Per fare cosa? -
- Per giocare a solitario. Andiamo Angelica! È per gli invitati! -
- Ah...è in camera mia - disse, e la ragazza partì di corsa, ritornando poi in salotto, sistemandosi a terra ed accendendo il computer.
Si mise accanto a lei, osservandola fare una specie di volantino per la sua festa. Elisabeth tornò subito dopo, con un sorriso smagliante.
- Fatto? - domandò, guardando la rossa, che annuì.
- Il locale è tutto nostro e il mio amico penserà ad allestirlo, alla roba da bere e alla roba da mangiare per 600 euro -
- Wow, non vuole una mazza! - esclamò Alice, che smanettava al computer.
- Già, so essere molto persuasiva a volte... -
- Quando vuole i soldi? - domandò.
- Se vuoi posso portarglieli io, tanto dopo mi basta allungare un po’ la strada prima di andare tornare a casa -
- Eli, quanta gente ci sta in questo locale? - domandò Alice, sul sito della loro scuola.
- Non saprei, piccola hacker...parecchie -
- Bene, perché parecchie persone verranno a sapere della vesta e lo riempiranno. Angi posso mandarmi il volantino con la tua mail? -
Annuì - Cosa vuoi fare? -
- Molti studenti danno delle occhiate al sito della scuola - iniziò la mora, riaprendo la pagina web - Mi basta intrufolarmi e piazzare il tuo volantino come se fosse una pubblicità e non si aprirà una sola volta ma...beh...dieci dovrebbe bastare, così quasi tutti leggeranno della tua festa. Inoltre, quando torno a casa, stamperò diverse copie del volantino che io, Elisabeth e Vittoria attaccheremo per tutta la scuola. Ho specificato che l’età minima deve essere sedici anni -
Spettinò la mora - Alice sei incredibile -
La mora si sistemò i capelli - Certo, vengo dal paese delle meraviglie -
- Ok, ok moretta, adesso basta - s’intromise Elisabeth - Ora arriva la parte più difficile -
Le tre amiche si guardarono tra di loro, puntando poi lo sguardo verso di lei, sorridendo in modo quasi diabolico.
“Ok, loro mi fanno più paura dei demoni” pensò, sedendosi sul divano accanto a Matteo - C’entro io per caso? -
Le tre annuirono. Elisabeth le si avvicinò, prendendole entrambe le mani e facendola alzare dal divano, osservandola dall’alto in basso, senza mai lasciarle le mani - Stavolta niente nero -
- Cosa? - domandò, confusa.
- Il vestito, cara! - esclamò Alice, scattando in piedi dopo aver chiuso il portatile ed averlo appoggiato sul tavolino.
Mise il broncio - Perché no nero? -
- Perché non siamo mica ad un funerale -
Sbuffò - D’accordo, tutto ma non colori troppo sgargianti -
Elisabeth le fece fare una giravolta - Oh tesoro, un bel vestito rosso ci starebbe proprio bene - disse lei, avvicinandosi a Matteo - Vero che sarebbe sexy con un bel vestito rosso? Rosso come l’amore, la passione....-
Il moro la guardò - Lei è sempre sexy -
Alice e vittoria sussurrarono all’unisono un “oh, che carino!”, mentre Elisabeth scrollò con forza il ragazzo - Matteo! Trattieni i tuoi istinti sessuali per cinque minuti e prova a pensare come una ragazza - disse la rossa - Ignora la felpa e i jeans...d’oh, no, non farlo. Immagina Angelica con un bel vestito rosso alla Jessica Rabbit -
- È stupenda comunque - le rispose nuovamente il ragazzo. Arrossì appena.
- Eli, lascia perdere il rosso - disse Alice - Cosa dici del bianco? -
- Sì, così alla festa avremmo la sposa cadavere - ironizzò Vittoria - Io, beh, non sono brava come voi due con i vestiti ma...credo che per Angelica possa andare bene un vestito verde scuro...-
La rossa e la mora si voltarono verso Vittoria, pronta a ripararsi nel caso in cui le due amiche avessero voluto ucciderla, con delle cuscinate, per quello che aveva appena detto.
- Vicky...sei un genio - sussurrò Elisabeth.
La bionda sgranò gli occhi - Davvero? -
- Sì! Domani andiamo in città a guardare, tanto Alice ha la stessa taglia di Angelica e compriamo i vestiti! -
Lanciò un sospiro di sollievo: grazie a Dio non doveva subire quella tremenda tortura.


Dopo un paio d’ore di chiacchiere sulla festa e quant’altro, le tre ragazze salutarono lei e Matteo e se ne andarono, lasciandoli seduti sul divano.
Guardò l’ora sul display del cellulare, che segnava le cinque appena passate, poi si voltò verso Matteo e sorrise, avvicinandosi al suo viso per baciarlo - Finalmente soli -
Il moro si staccò appena, contrario - Non penso che sia il caso -
Lo baciò di nuovo - Perché no? -
- Sei ancora...debole -
Rise piano, alzandosi in piedi - Sto bene - sussurrò, prendendogli le mani per farlo alzare a sua volta in piedi.
- Angelica, suvvia. Non è il caso, se magari viene qualcuno? -
- Chi dovrebbe venire, scusa? -
- Mah, non saprei...tua madre, tuo padre...un’amica...-
- Matteo, cosa diamine stai dicendo? -
Il ragazzo rimase zitto per qualche secondo, ma quando aprì bocca per giustificarsi in qualche modo, qualcuno suonò il campanello. Andò ad aprire, trovando Laura Mancini dall’altra parte del cancelletto.
Le aprì, lanciando un’occhiataccia al fidanzato - Questa me la spieghi più tardi -
Fece entrare Laura nell’ingresso, salutandola con un piccolo cenno del capo.
- Vedo che ti senti meglio - sussurrò la bionda, ricambiando il cenno.
- Tutto merito di Marco - ammise - Comunque, ho la netta sensazione che tu abbia qualcosa da dirmi, non è vero? -
Laura annuì - Vetra, ieri ho visto qualcuno che spiava casa tua...-
- Avrai sicuramente pensato che la spia abbia mandato qualcuno a darmi il colpo di grazia - la interruppe - Taglia corto, Mancini -
- Voglio darti una mano -
- Ossia? -
- Volevo restare in zona per tenerti d’occhio. So che hai rifiutato l’aiuto della Direttrice, ma per favore, pensaci -
Incrociò le braccia al petto, facendo profondi respiri per evitare di urlarle in faccia che era in grado di cavarsela da sola e che lei poteva andare al diavolo con queste nuove strane manifestazioni di solidarietà - Non ne ho bisogno -
- Tutti hanno bisogno di una mano, Angelica. Persino tu -
- No -
La bionda fece schioccare la lingua, irritata - Si può sapere perché sei così testarda? -
- Non voglio che qualcuno si faccia male - disse, appoggiandosi l’indice sul petto - Questo è un mio problema -
- Non sarà più tuo quando quel pazzo ti avrà ammazzata e ucciderà chiunque gli sia d’intralcio! - esclamò Laura, battendo il piede a terra - C’è qualcosa di grosso sotto, Vetra. E io ti terrò d’occhio comunque, volente o nolente  -  
Detto questo, Laura Mancini fece dietrofront, aprì la porta d’ingresso ed uscì. Fece un profondo respiro: perché si sentiva in colpa per aver rifiutato il suo aiuto?
- Perché lo fai? - domandò, quasi urlando, raggiungendo la bionda che oramai era al cancelletto.
Laura si bloccò, ma non si voltò verso di lei - Non lo so Vetra - ammise la ragazza in un sussurro - Questa storia mi convince sempre meno, e poi, voglio vedere lo stronzo che ha mandato quel demone che ha ucciso Manuel -
Lanciò un lungo sospiro, facendo la sua scelta - D’accordo Laura, grazie per il tuo aiuto -
Laura Mancini non le rispose nemmeno, né si voltò, aprì soltanto il cancelletto che emise diversi cigolii, risalendo sulla sua auto. Lanciò un’ultima occhiata all’auto che si allontanava, poi ritornò all’ingresso, dove Matteo era rimasto immobile per tutto il tempo. Gli si avvicinò, baciandolo dolcemente - Deve arrivare qualcun altro? -
Il ragazzo scosse la testa e lei sorrise, trascinandolo in camera da letto.
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Si strinse le coperte intorno al corpo ed osservò il soffitto, mentre Matteo, al suo fianco, faceva lo stesso. Fece un profondo respiro - Cavolo - sussurrò, voltandosi verso il fidanzato - Sai che ore sono? -
Il moro piegò appena il braccio, raccogliendo il cellulare che aveva appoggiato a terra, e guardò l’ora - Le sette -
- Forse è meglio se ci vestiamo. Mia madre potrebbe...- sussurrò, interrotta dalla porta all’ingresso che si chiudeva con un tonfo, seguita dalla voce di sua madre.
- Angelica, sono a casa -
Guardò Matteo, sgranando gli occhi - Mamma! - esclamò, riducendo poi la voce ad un sussurro, alzandosi in piedi e cominciando a vestirsi velocemente - Cavolo Matteo, vestiti in fretta -
Il moro iniziò a fare lo stesso e si vestirono in fretta e furia.
- Tesoro, sei in camera? -
- Sì mamma, perché non  cominci a preparare la cena? Ho una fame...-
- Matteo, resti a cena? - domandò sua madre, arrivata silenziosamente sulla porta di camera sua.
- Signora Vetra, non vorrei disturbare -
- Oh figurati, se vuoi chiedo anche a tua madre. Oggi il papà torna prima che facciamo un po’ di bistecche ai ferri -
Diede una piccola gomitata al ragazzo - Resta -
- Sì, perché la tua futura moglie potrebbe appiccare un incendio -
- Mamma! -
- Tesoro, è la verità! Chi l’ha fatta quella bruciatura sul tavolo in taverna? -
Socchiuse gli occhi, fulminando la madre - Non mi riferivo a quello -
Sua madre si avvicinò a Matteo, prendendolo a braccetto e facendolo uscire - A volte è un po’ acida, ma forse si calma dopo il matrimonio -
- MAMMA! -
- Mi raccomando, voglio una bella bambina -
- OH DIO! MAMMA!! Ti sembra il momento di parlare di queste cose?! -
La donna, che teneva ancora Matteo, ancora sulla porta si voltò verso di lei - Perché? Meglio prevenire che curare! -
- Cosa c’entra?!?! -
Sua madre guardò ancora il ragazzo - Meglio un maschietto, caro. Magari non prende da lei...-
- MAMMA!! -
***
Michele Silvestri, 36 anni, uscì per l’ultima volta dal lavoro, aveva timbrato il cartellino, dove il suo nome era già stato cancellato ed uscì dalla fabbrica, senza che nessuno lo salutasse per l’ultima volta. Era il quarto lavoro che perdeva.
S’incamminò verso casa, che distava ad una buona mezz’ora dal suo ex posto di lavoro, e si strinse nella giacca, lasciandosi sfuggire un lungo sospiro. Come tutte le mattine, la moglie lo aveva accompagnato al lavoro, visto che a lui avevano tolto la patente per guida in stato di ebbrezza, e come ogni altra sera lui tornava a casa, dove ad attenderlo c’era solamente l’insopportabile carlino della moglie, acciambellato sul tappeto in salotto. Sua moglie non tornava mai per la cena, se ne andava in giro per tutto il giorno a spendere soldi e a fargli le corna con il Personal Trainer della palestra dov’era iscritta, storia che ormai durava anni; ma a lui andava bene: se avesse divorziato dalla moglie avrebbe dovuto mantenerla e questo richiedeva soldi che lui, non aveva, ed avrebbe sicuramente tentato il suicidio una seconda volta.
Si spaventò a morte quando una Mercedes lo superò, passandogli accanto ed uscendo di strada, fermandosi davanti a lui, come se volesse bloccarlo. Si fermò, ad un paio di metri dalla macchina, osservando l’uomo oltre il finestrino, seduto sui sedili posteriori.
- Michele Silvestri? - domandò lui.
Si avvicinò, confuso e sorpreso allo stesso tempo - Chi siete? Come fate a sapere il mio nome? -
- Ti propongo un affare - disse l’uomo - Se verrai con me la tua vita cambierà, altrimenti resterai il solito fallito, disoccupato, alcolizzato che tenta il suicidio per farla finita una volta per tutte -
Si offese, ma pensò alla proposta dell’uomo. La sua vita era uno schifo: lo avevano appena licenziato, la moglie lo tradiva, era un alcolizzato e probabilmente si sarebbe ubriacato appena arrivato a casa, senza patente, senza amici, senza nessuno. Ripensò a quella volta che aveva tentato di suicidarsi ingoiando diverse pillole, ma aveva fallito,
“Come può andare peggio?” si domandò, salendo in macchina, accanto al misterioso uomo, e subito dopo la Mercedes ripartì.
Purtroppo per lui, si sbagliava. Si sbagliava di grosso.
***
Fin troppo sazi, tutti erano ancora seduti a tavola, spiluccando un po’ d’uva posta in una terrina al centro della tavola, o un mandarancio.
A capotavola c’era suo padre, che giocherellava con la buccia del mandarancio che aveva appena mangiato, lei era seduta alla sinistra dell’uomo, mentre sua madre era alla destra del marito, ed era seduta proprio di fronte a lei. La signora Dall’Angelo era accanto a sua madre, Matteo, come sempre, al suo fianco, mentre Sonia era seduta all’altro capotavola, che studiava un piccolo grappolo d’uva, come se cercasse di capire se fosse buona o meno.
Sussultò appena quando sentì la mano del fidanzato sfiorare la sua, abbandonata sulle gambe e nascosta dalla tovaglia a fiori. Gli lanciò un fugace sorriso, stringendogli la mano: sapeva che il fidanzato moriva dalla voglia di rimanere un po’ solo con lei.
- Sabato hanno portato via la tua macchina - disse ad un tratto suo padre, bevendo un lungo sorso d’acqua - Era proprio ridotta male... -
Guardò l’uomo dai capelli scuri, inarcando un sopracciglio - Quindi? -
- Beh, sarebbe stata una follia ripararla - rispose lui, lanciandole un piccolo pezzo di buccia del mandarancio - Quindi te ne ho preso un’altra. Con i tuoi soldi ovviamente -
Rise - Perché? L’altra l’avevi pagata con i tuoi? -
L’uomo le lanciò un altro pezzo di buccia, mettendo il broncio - Beccato -
- Che macchina le hai comprato? - domandò curiosa la madre.
- Una BMW X6 -
Ringraziò il cielo: per fortuna suo padre non aveva esagerato.
Voltò lo sguardo verso Matteo e sorrise di nuovo - Andiamo in salotto? -
- Certo -
- Posso venire anch’io? - domandò Sonia, mandando giù un chicco d’uva.
Le sorrise, alzandosi in piedi, senza mai smettere di stringere la mano del fidanzato - D’accordo, così mi fai vedere quanto sei in gamba con i videogiochi - disse, e la bambina si alzò a sua volta in piedi, sfregandosi le mani dopo averle pulite nel tovagliolo.
Si congedò con un piccolo cenno e tutti e tre andarono in salotto, sommerso nell’oscurità. Dopo aver acceso la luce, accese la Playstation per la sorella del fidanzato, inserendo un gioco innocuo, a contrario di Devil May Cry o Grand Theft Auto, con cui giocava Elisabeth, o addirittura Resident Evil, con cui giocava soltanto lei di tanto in tanto. Sonia si sedette a terra, davanti alla televisione appena accesa, ed impugnò il joystick, pronta ad iniziare il gioco; lei e Matteo, al contrario, si sedettero sul divano, osservando la bambina.
- Mercoledì volevo tornare a scuola - iniziò, lanciandogli un'occhiata per vedere la reazione del ragazzo - Mi sento molto meglio, e non vedo il motivo di rimanere ancora a casa -
- Dovresti riposare - ribatté lui, ovviamente contrario alla sua decisione di tornare a scuola così presto.
- Non c’è motivo di preoccuparsi - rispose, prendendogli la mano e stringendola appena - Quella roba che ho preso è stata semplicemente miracolosa. Non sento male da nessuna parte -
- Ma il taglio è rimasto comunque, come ho potuto notare oggi pomeriggio -
Arrossì - Beh, sì...ma non dovrebbe essere un grosso problema -
- E cosa mi dici dei...- iniziò il moro, lanciando un’occhiata alla sorellina, immersa nel videogame, per poi avvicinarsi al suo orecchio per terminare la frase con la parola “demoni” sussurrata appena.
- Non saranno un problema, la Direttrice sa delle mie condizioni e avrà bloccato le chiamate al mio numero - sussurrò a sua volta.
- E per sabato? -
Sorrise, sdraiandosi sul divano con la testa appoggiata sulle gambe del fidanzato - Non vorrai deludere le Charlie’s Angels, vero? -
- No, certo che no -
- Allora, direi che sabato...- iniziò, lasciando la frase in sospeso, rimettendosi di scatto a sedere, osservando la finestra che dava sul giardino. Non riuscì ad individuare la fonte del rumore, ma era sicura al cento per cento, che proveniva proprio da lì.
- Che succede? - domandò Matteo, preoccupato per la sua improvvisa reazione.
Lo tranquillizzò immediatamente, appoggiandogli una mano sulla spalla, portandosi l’indice alle labbra - Resta qui con Sonia - scandì piano.
Il moro, dopo aver annuito e sussurrato di fare attenzione, si alzò dal divano, sedendosi a terra, accanto alla sorellina.  
Gli lanciò una veloce occhiata prima di andare di corsa in camera, prendendo un pugnale nascosto nel cassetto della biancheria intima e ritornò di sotto, in cucina, guardando i suoi genitori e la madre di Matteo, ancora seduti a tavola che si zittirono non appena ebbe varcato la soglia con un pugnale in mano.
Fece segno di non fiatare - C’è qualcuno -
Suo padre, dopo essere sbiancato, si alzò in piedi, pronto ad uscire per prendere a calci nel culo chiunque si fosse intrufolato nella sua proprietà per fare del male al suo “cucciolo”. Lo afferrò per un braccio, bloccandolo - Ci penso io, non preoccuparti - disse - Voi non vi muovete, chiaro? -
Sia madre, bianca come un fantasma, annuì - Stai attenta, tesoro -
Fece un piccolo cenno e uscì dalla cucina, socchiudendo poi la porta d’ingresso, per vedere se c’era effettivamente qualcuno e, come tutte le volte che sentiva degli strani rumori, pregò di essersi sbagliata.
Purtroppo, anche quella volta, non c’era nessuno ad ascoltare le sue preghiere, e corse fuori non appena vide una figura attraversare di corsa il giardino. L’atterrò con facilità, sedendosi sopra l’intruso, puntandogli il pugnale al collo, ma lo ritrasse immediatamente non appena riconobbe la figura dai lunghi capelli biondi, stesa a terra a pancia in su: Laura Mancini.
- Ma che cazzo fai, Vetra?! -
- Cosa diavolo fai tu! - rispose - Nel mio giardino di sera, Mancini! -
La ragazza la spinse via, liberandosi - Brutta stronza, non sono l’unica nel tuo giardino! -
Si rimise in piedi, guardandosi intorno - Hai visto dov’è andato? -
- Lo stavo quasi prendendo se non avessi avuto la brillante idea di saltarmi addosso! - rispose Laura, alzandosi a sua volta, togliendosi dei fili d’erba dai vestiti.
- Ok, scusa - sussurrò, passandosi una mano nei capelli - Ti chiedo scusa. È colpa mia -
- Certo che è colpa tua - ribatté fredda la bionda, guardandosi intorno, sperando di ritrovare il vero intruso - Ormai è andato via, quel figlio di… -
- Ti ho fatto male? - domandò.
- No - rispose Laura, superandola e scavalcando la cancellata senza aggiungere altro.
Alzò le spalle e ritornò in cucina: i suoi genitori e la signora Dall’Angelo sussultarono non appena la videro sulla porta.
- Allora? - domandò sua madre.
- Tutto a posto - rispose con un sorriso - È scappato, Laura l’ha inseguito -  
- Laura? - domandò suo padre, ancora in piedi - Laura Mancini -
- Si era volontariamente proposta per aiutarmi nel caso avessero mandato qualcuno ad uccidermi - disse, dando le spalle a tutti per uscire dalla cucina senza aggiungere altro. Ritornò in salotto dopo aver nuovamente nascosto il pugnale nel cassetto della biancheria intima, rimanendo sulla soglia. Matteo si voltò, lanciando un sospiro di sollievo, e si alzò in piedi. Gli sorrise e lo raggiunse, facendolo sedere sul divano, accanto a lei.
- Tutto a posto - disse, ancor prima che il fidanzato aprisse bocca per chiederle cosa fosse successo.
- Ho sentito che urlavi contro qualcuno...ho dovuto alzare il volume della tv - disse lui - Stai bene? -
- Sì, era solo Laura -
- Laura? Ma aveva detto che ti avrebbe... -
- Era quello che stava facendo, infatti, prima che la bloccassi a terra puntandole un pugnale alla gola -
- Quindi c’era qualcun altro -
Annuì - Non hanno perso tempo a mandare qualcuno per concludere l’opera. Immagino che tornerà all’attacco molto presto -
- Stasera? -
- Non credo. Si è preso un bello spavento -
Gli occhi blu del moro si accesero di una strana luce che sembrava volerla ipnotizzare - Quindi, hai qualcosa in contrario se andassimo a casa mia? -
Distolse gli occhi dai suoi per non incantarsi - A casa tua? A fare cosa? - domandò, capendo immediatamente a cosa si riferiva il ragazzo e lanciò un sospiro - Ancora? -
- Perché? -
Si avvicinò al suo orecchio, mordendolo - Abbiamo giocato anche oggi...- rispose in un sussurro.
- Angelica, così non mi smuovi proprio per niente...anzi...-
Sorrise in modo malizioso - E chi ha detto di volerti smuovere? -


Si mise a sedere, stringendosi le lenzuola al petto. Dopo quella conversazione nel suo salotto erano andati a casa di Matteo e si erano sistemati nella stanza al piano di sotto.
Voltò lo sguardo verso il ragazzo, che le sfiorava la schiena lasciata scoperta dalle candide lenzuola, tutte spiegazzate e mezze sul pavimento, passando lievemente l’indice sulla spina dorsale.
- Che c’è? - domandò lui, con un sorriso.
Rise piano, sdraiandosi di nuovo sul materasso - Niente - rispose, mentre il ragazzo le toglieva di dosso le coperte, per sfiorarle il taglio arrossato sul ventre. Strinse i denti quando sentì una piccola scossa percorrerle il corpo.
Matteo la guardò - Ti ho fatto male? -
- No, tranquillo - rispose con un sorriso.
Dopo aver baciato la ferita sul ventre, il moro si sdraiò di nuovo, portandola sopra di sé. Gli bloccò le braccia, avvicinandosi al suo viso per rubargli un fugace bacio, aumentando la stretta alle braccia del ragazzo quando tentò di liberarsi.
Rise in modo quasi diabolico - Oh no, tesoro - sussurrò, avvicinandosi al suo orecchio - Adesso sei mio -
Il fidanzato le baciò il collo, dolcemente, appoggiando poi le labbra sulle sue. Non poté fare a meno di liberarlo per rispondere al bacio con passione, portandogli le mani ai capelli castani.
Si ritrovò subito sotto di lui, con un sorriso stampato sulle labbra - Credo che tu abbia sbagliato qualcosa -
Sorrise, gettandogli le braccia al collo ed avvicinandosi alle sue labbra - Ah sì? -
- Sì - rispose Matteo - Io sono sempre stato tuo. Sin dal primo giorno -
Si staccò, per poterlo guardare meglio - Davvero? -
- I tuoi occhi mi hanno incantato da quel giorno in biblioteca -
Gli diede un bacio - Nessuno mi ha mai detto una cosa così carina...-
- Carina e basta? - domandò il moro, facendo una smorfia - Allora mi devo impegnare di più -
- Avrai tempo per pensarci, ma adesso... - iniziò, ribaltando nuovamente le posizioni, ritornando a cavalcioni sopra di lui ed avvicinandosi al suo orecchio - ...fai l’amore con me - concluse, mentre il ragazzo la baciò di nuovo.
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Capitolo 41
*** Capitolo 41 - Sabato, 21 marzo 2009 ***


Martedì passò molto più lentamente di quanto si aspettasse, la mattina almeno.
Fu svegliata alle sette in punto da Matteo, già vestito e pronto per andare a scuola; si era alzata di malavoglia, rivestendosi e ritornando poi a casa. Era rimasta nella sua stanza per tutta la mattinata, fino alle quattro, quando Matteo era tornato da delle commissioni per la madre. Erano andati al cinema ed erano tornati a casa per l’ora di cena, con due pizze ordinate dalla solita pizzeria.
Finito di cenare, come la sera prima, erano ritornati nella solita stanza.

Mercoledì, come aveva detto a Matteo, era ritornata a scuola, accolta con abbracci e baci sulle guance da parte delle sue amiche, mentre Sergio e gli altri erano curiosi di sentire quello che era successo. Aveva ripetuto la storia cinque o sei volte, prima che tutto tornasse come prima di quel maledetto venerdì 13.

Gli altri giorni passarono molto in fretta e più i giorni passavano e più la festa si avvicinava.  
Alla fine il giorno X arrivò: aveva una paura tremenda di Elisabeth. Sperò che non avesse esagerato...
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Sabato, 21 marzo 2009 - ore 18.37
Casa Vetra

Si alzò dal divano ed andò a vedere chi aveva appena suonato il campanello e si mise una mano nei capelli, più spettinati del solito, non appena vide le tre amiche pazze oltre il cancelletto in ferro battuto, con delle grosse borse di plastica che tenevano gelosamente fra le braccia, come se quelle borse custodivano qualcosa di estremamente prezioso e di vitale importanza. Vitale importanza per loro, dato che intuì quasi immediatamente che quelle borse contenessero i loro vestiti per quella sera e varie “attrezzature” da donne che lei, ovviamente, non aveva in casa, come trucchi, piastre o robe del genere.
- Non voglio niente - disse, richiudendo la porta, sentendo subito Elisabeth urlare forte il suo nome, premendo una decina di volte il campanello. Dovette aprire alle tre ragazze per non impazzire in caso di una seconda “scampanellata” dell’amica.
Vittoria entrò per prima, saltellando allegramente, e non appena varcò la soglia, abbandonò l’unica borsa che reggeva a terra, e l’abbracciò con vigore, dandole dei baci sulle guance ed augurandole un buon compleanno; Alice, con due borse, l’abbracciò non appena la bionda si fu staccata.
- Buon non compleanno! - esclamò la mora.   
- A me? - domandò, puntandosi l’indice al petto.
- A chi? -
- A me? -
- O a te? - domandò ancora la mora, abbracciandola di nuovo - Buon compleanno -
- Alice e Stregatta, la finiamo? - domandò Elisabeth, entrata per ultima nell’ingresso, chiudendo la porta blindata. Quando Alice si staccò, guardò la rossa, anche lei con due grosse borse di plastica, che, a contrario delle altre due, non appoggiò a terra.
- Niente auguri? - domandò, sapendo già la risposta.
- Te li faccio dopo. Non posso abbandonare le borse a terra, visto quello che c’è dentro... -
- È una bomba? -
- È il tuo vestito! - esclamò eccitata l’amica - E poi tu non eri ancora nata a quest’ora... -
Sorrise: Elisabeth aveva ragione, come sempre. Era nata alle sette e venti e, da quando lei e l’amica si erano conosciute, lei le aveva sempre fatto gli auguri alle sette e venti in punto. Ogni anno.
- Allora, andiamo in camera mia - disse - Così potete staccarvi da quelle borse -
Salirono tutte e quattro nella sua stanza ed abbandonarono le borse in parte al letto, poi Vittoria ed Alice si sedettero sul materasso, lei si accomodò sulla sedia davanti alla scrivania, mentre Elisabeth, che misurava la piccola stanza a grandi passi, rimase poi in piedi, fermandosi al centro della stanza.
- Allora... - iniziò la rossa, dopo che Vittoria ebbe chiuso la porta - Mangiamo alle sette e mezza e poi si comincia. Non aggiungo nient’altro -
Alzò la mano, come una bambina alle elementari che chiede il permesso alla maestra cattiva di parlare, e guardò Elisabeth, in mezzo alla stanza con le mani sui fianchi.
- Tu. Parla -
- Si comincia...cosa esattamente? - domandò piano, temendo uno scoppio d’ira dell’amica. Sgranò gli occhi quando gli occhi azzurri della rossa si accesero di una strana luce che, purtroppo per lei, si accendeva ogni volta che c’era una festa. Ogni volta qualcosa di estremamente diabolico si accendeva dentro Elisabeth.
- Che domande, Angelica: ti prepariamo, ti trucchiamo, ti sistemiamo quei tuoi dannati capelli...cose da donne! -
Scattò in piedi - TUTTO MA NON LA PIASTRA!! - esclamò, puntando l’indice contro l’amica.
- Chi ha detto questo? - chiese Elisabeth in tono innocente, avvicinandosi a lei e facendola sedere nuovamente, appoggiandole le mani sulla testa e spettinandole i capelli - Te li sistemo in qualche modo così non sembrano...come al solito -
Vittoria si alzò dal letto, la prese per un braccio, liberandola dalle grinfie della rossa, per farla sedere tra lei ed Alice - Avanti Angi, il compleanno è una volta all’anno -
Alzò gli occhi al cielo - Perché non sono nata il 29 febbraio? -
- ANGELICA VETRA! - esclamarono le tre pazze, facendola persino sussultare.
- Scherzavo ragazze! - tentò di giustificarsi, decidendo poi di cambiare discorso - E voi quando vi preparate? -
- Con te! - disse Vittoria, alzandosi in piedi.
- Siamo o no le amiche della sposa?! - esclamò a sua volta Alice, scattando in piedi.
- AMICHE DI CHI?!?!?! -
- FESTEGGIATA!! - si corresse la mora - Volevo dire festeggiata!! -
Lanciò un sospiro di sollievo - D’accordo - sussurrò - Quindi vuol dire che mangiate qui stasera -
- Se non ti dispiace - disse Elisabeth, incrociando le braccia al peto, osservandola con il suo solito sorrisino sul viso.
- Come potrebbe dispiacermi? - domandò - È un bel po’ di tempo che non mangiamo tutte e quattro assieme -  
- Per fortuna - sussurrò Vittoria, risedendosi al suo fianco, togliendosi le scarpe e portandosi le ginocchia al petto, abbracciandosi le gambe - Alice riesce sempre a fare i discorsi più stupidi -
- Guarda che ci sento - sbuffò la mora, fingendosi offesa - E poi i miei non sono discorsi stupidi -
Scosse appena la testa - No - disse in tono ironico - Erano solo un po’ osé -
- Discutere delle esperienze delle amiche sulla ginnastica a letto non è una cosa osé! -  
- Dici? - domandò la bionda - E poi ridevamo come delle deficienti per Angelica -
Socchiuse gli occhi ed osservò prima la bionda e poi Alice - Sì, mi ricordo...brutte bastarde. Mi prendevate in giro perché non ero fidanzata -
- Dobbiamo pur ridere delle disgrazie altrui! - esclamò Elisabeth, prendendo Alice per una manica ed avvicinandola a loro, per poi abbracciarle tutte insieme - Soprattutto le tue, piccola Angi! -
- Sto...soffocando...- sussurrò, tenendo di liberarsi da quell’improvvisa manifestazione d’affetto, ma rinunciando quando le altre ricambiarono l’abbraccio della rossa con altrettanto entusiasmo.
Sorrise, lanciando un sospiro, ed abbracciandole a sua volta. Voleva un bene del mondo a tutte loro: Alice, la svitata con il rock n’ roll nelle vene e Vittoria, la più timida del gruppo che non si vergognava a ripetere quanto volesse bene a lei, Alice ed Elisabeth.
“Già” pensò “Dici Elisabeth ed hai detto tutto”
Pregò che non capitasse mai niente a loro e ai ragazzi, e sperò che qualcuno stesse ascoltando quella preghiera.
Si staccarono dall’abbraccio e si sorrisero a vicenda, scoppiando poi a ridere.
- Dimenticavo di chiedervi...- iniziò, passandosi una mano nei capelli - I ragazzi? -
- Ci raggiungono alle nove - le rispose Elisabeth, prendendo il suo cellulare dalla tasca dei jeans - Ed ora...che pizza volete? -
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Ore 20.04
Dopo aver mangiato la pizza, Elisabeth, che le aveva fatto gli auguri alle sette e venti in punto, l’aveva trascinata con la forza in bagno ed ora era ancora sotto la doccia.
- ANGELICA VETRA! - urlò l’amica, oltre la porta del bagno - Sono tua amica e ti concedo i tuoi spazi, ma ora mi costringi a venire a prenderti con la forza! -
Sbuffò, uscendo dalla doccia, coprendosi con un asciugamano azzurro, ed aprendo la porta del bagno - Ho finito! -
Elisabeth, con il pugno alto, pronta a bussare alla porta per l’ennesima volta, sorrise in modo diabolico, afferrandole un braccio e trascinandola in camera, lasciando il bagno libero a Vittoria, pronta a fare la doccia.
- Sicure che non finite l’acqua calda? - domandò.
- In caso Alice la fa fredda - sussurrò Elisabeth, facendola sedere sul letto, attaccando il phon alla presa della corrente più vicina.
Guardò la mora, che alzò le spalle - La faccio sempre fredda -
- Allora, prima cosa...- iniziò la rossa, accendendo lo stereo facendo partire la canzone “Lady marmalade” - ...la musica - concluse poi la rossa, ritornando accanto a lei, accendendo il phon ed iniziando ad asciugare i suoi capelli, già mossi.
Sospirò, incrociando le braccia al petto: ora era una bambolina in mano ad Elisabeth.
- ALZA LA MUSICA!!! - urlò Vittoria - NON SENTO!!! -
- ZITTA E MUOVITI!!! -


Dopo quasi mezz’ora, Elisabeth era riuscita solamente a sistemarle i capelli, riuscendo a sistemarli per bene; poi la rossa aveva fatto la doccia il più in fretta possibile e dopo di lei fu il turno della povera Alice, rimasta con l’acqua fredda.
- Allora - iniziò la rossa, frugando una delle borse che avevano portato, lanciandole un’occhiata - Questo è il nostro regalo di compleanno -
Piegò la testa di lato osservando il vestito blu scuro, semplice, leggermente scollato per i suoi gusti, e che, probabilmente, le arrivava alle ginocchia.
- Come mai il blu stavolta? -
- Il rosso fa tanto troia -
- ELISABETH! -
L’amica scoppiò a ridere, appoggiando il vestito sul letto - Ce ne siamo innamorate appena lo abbiamo visto e abbiamo detto: “questo è stato fatto a posta per te” -
L’abbracciò - Grazie -
- Ok, ora basta. Dammi la tua gamba! -
- La mia cosa?! -
- GAMBA!! -
- Perché? - domandò, cauta.
Elisabeth prese del fondotinta dalla sua borsa, avvicinandosi nuovamente a lei - Vogliamo coprirla quella tua cicatrice? -
Guardò il segno sulla sua gamba, un po’ arrossato ed annuì - Non mettermi tanto “fondocoso” che altrimenti divento arancione -
- È del tuo colore, stupida -
- Rosa pallido? -
- No, BIANCO!!! -
***
Ore 20.55
Si sistemò meglio il colletto della camicia per l’ennesima volta: Davide e Federico erano seduti sul divano e, come lui, aspettavano Sergio, che sarebbe arrivato di lì a poco. Infatti, quando sentì il campanello suonare, andò immediatamente ad aprire e il compagno dai capelli biondi, oltre il cancelletto, lo salutò con un semplice gesto della mano. Quando Sergio varò la soglia della porta d’ingresso, gli altri due lo salutarono, dopodiché si sedettero a loro volta sul divano.
- Allora? - domandò eccitato - Andiamo? -
- Calmati Matteo - disse Davide, ridendo - È ancora presto -
Sergio si sistemò i polsini della camicia bianca sotto alla giacca di pelle nera, prima di alzarsi in piedi per camminare avanti e indietro - E poi, sai come sono le ragazze: si devono pettinare, truccare, vestire; e tutto questo lo fanno con estrema calma e lentezza -
- Il tuo amico ha ragione - disse una voce femminile, alle loro spalle, e tutti si voltarono verso sua madre, ferma sulla porta del salotto - Noi ci mettiamo un’eternità a prepararci, ma sarebbe una cosa molto galante da parte dell’uomo arrivare comunque all’ora prefissata -
Si alzò in piedi, mentre i suoi compagni di classe salutarono sua madre. Li presentò velocemente e sua madre strinse a tutti la mano quando raggiunse il divano.
- Volevo venire a fare gli auguri ad Angelica...- disse la donna - ...e scattarvi qualche foto -
Annuì, guardando l’orologio - Credo sia meglio andare allora - suggerì e tutti si alzarono in piedi ed uscirono, con sua madre dietro, che reggeva la macchina fotografica che, fino a qualche momento prima, aveva tenuto nella tasca della felpa che indossava. Attraversarono semplicemente la strada e suonò al campanello di casa Vetra, e subito la madre di Angelica li fece entrare, con il suo solito sorriso sulle labbra che, come la polverina di Pollon, dava allegria a tutti.
Sergio, Federico e Davide salutarono la donna, che ormai conoscevano da anni, e si fermarono all’ingresso; lui fece altrettanto, mentre sua madre prese a parlare con Nadia.
- Oh ragazzi! Siete arrivati puntuali! -
Tutti si voltarono, puntando lo sguardo in cima alla scalinata dove Alice e Vittoria li osservavano. Le due ragazze furono le prime a scendere la scalinata: la bionda con un semplice vestito nero sembrava quasi un’altra persona, mentre Alice non cambiava mai, benché indossasse un vestito grigio chiaro, leggermente scollato e stretto in vita da una cintura nera, rimaneva sempre un maschiaccio. Le due, dopo aver sceso tutti i gradini, facendo attenzione a non cadere per via delle loro scarpe con il tacco, si affiancarono ai rispettivi ragazzi, salutandoli con un bacio e, nel caso di Alice, una pacca sulla schiena.
Alzò nuovamente lo sguardo quando sentì qualcuno schiarirsi la voce. Sperò che fosse Angelica, ma era Elisabeth, ferma in cima alle scale, con le mani sui fianchi, che li osservava con un sopracciglio inarcato. Lei, a contrario delle amiche appena scese, indossava un abito rosso scuro, senza spalline, stretto sul seno in modo da mettere in risalto le sue piccole curve, e l’orlo della gonna le arrivava fino a metà coscia.
Elisabeth puntò lo sguardo verso la camera di Angelica, sospirando - Allora? Ti dai una mossa? - domandò lei, rivolta probabilmente alla mora, che non si era ancora fatta vedere. Sergio, accanto a lui, fremeva dalla voglia di avere Elisabeth tra le braccia, e batteva ogni secondo con il piede.
- Mi vergogno! - esclamò Angelica, ancora nascosta.
- MUOVITI!! -
Angelica, finalmente, decise di mostrarsi e, nel vederla, si sentì la bocca asciutta: la sua ragazza era più bella che mai.
I capelli corvini non erano più spettinati come al solito, ma erano sistemati con cura, come se Elisabeth avesse ordinato con minuziosità boccolo per boccolo, il leggero trucco sugli occhi rendeva le sui iridi verdi ancor più brillanti, rendendoli quasi ipnotici; mentre le labbra rosse erano aperte in un sorriso smagliante. Il vestito toglieva il fiato: il blu notte, in contrasto con la sua pelle bianca, risaltava in modo incredibile. Retto solo da due sottili spalline, l’abito scendeva morbido lungo i fianchi, abbastanza stretto per mostrare il fisico snello della ragazza che lo portava, arrivando fino a metà coscia. La scollatura non era molto esagerata, ma il vestito le lasciava completamente scoperta la schiena.
Angelica voltò lo sguardo verso di lui e sorrise. Non sapeva cosa dire: quando la vedeva così andava completamente nel pallone. La ragazza, assieme all’amica, scese le scale, facendo a sua volta attenzione, poiché, come le amiche, portava i tacchi. Quando arrivò al suo fianco, non riuscendo ancora a trovare qualcosa da dire, si limitò a rimanere a bocca aperta. La mora gli prese la mano, stringendola appena, senza smettere di sorridere.
Abbassò lo sguardo sulla collana che la fidanzata portava al collo: la collana che gli aveva regalato.
- Ehi, Matteo? -
Scosse la testa e ritornò a guardarla negli occhi - Sei...bellissima -
- Ti credo che è bellissima - s’intromise Elisabeth - L’ho preparata io! -
- Sempre modesta, vero Eli? - domandò Alice, lanciando un’occhiata alla rossa, per poi puntare lo sguardo verso di lui - Non ti preoccupare...il rossetto non lascia segni -
Detto questo, appoggiò le mani sui fianchi della mora, attirandola verso di sé per baciarla dolcemente, avvicinandosi poi al suo orecchio per sussurrarle i suoi auguri.
- Dovresti farmeli stasera...- sussurrò Angelica, sorridendo.
***
- Oh Angelica sei stupenda! - esclamò la madre di Matteo, scattandole una foto ed accecandola con il flash, trovandosi poi bloccata in un forte abbraccio della signora Dall’Angelo, corsa a darle un bacio sulla guancia seguito dagli auguri. La donna, quando la liberò, la fece avvicinare di nuovo a Matteo, allontanandosi appena per scattare una foto.
- Forza piccioncini! Fate un bel sorriso! -
Il fidanzato le strinse dolcemente la vita, attirandola verso di lui, e, dopo il flash della macchina fotografica, rimasero comunque in quella posizione, osservando poi gli altri che, a loro volta, si mettevano in posa per la signora Dall’Angelo: prima Elisabeth e Sergio, elegante come sempre, che indossava una camicia bianca sotto il giubbotto di pelle, tenuto un po’ aperto, e un paio di semplici jeans; poi fu la volta di Vittoria e Davide, che indossava anche lui i jeans, con una maglietta nera, probabilmente a maniche corte, sotto un’elegante giacca delle stesso colore.
Fu la volta di Alice e Federico, che si fecero praticamente implorare di fare la foto.
- Forza ragazze, tutte insieme sulle scale - disse sua madre, accanto ad Angela.
Si misero in posa sulle scale: lei fra Vittoria ed Elisabeth, mentre Alice era accanto alla bionda. Dopo che la foto fu scattata, toccò ai ragazzi, sistemati a loro volta in fila, con le mani sulle spalle del compagno accanto.
- Tutti insieme e poi non rompo più le scatole, lo prometto - disse la signora Dall’Angelo, mentre loro si sistemarono sulla scalinata, accanto al proprio compagno.
Quando l’ennesima foto fu scattata, guardò gli altri - Ragazzi, si comincia... -


Non appena furono usciti da casa sua, ogni coppia salì su una macchina e partirono. Dato che Sergio conosceva la strada,  Matteo rimase sempre dietro di lui finché non arrivarono al locale, nascosto in una via non asfaltata che si snodava fra i campi lì vicino. Nel piccolo spiazzo usato come parcheggio, proprio accanto all’edificio, erano già parecchie automobili parcheggiate, segno che gli invitati erano già entrati benché fosse ancora presto.
Matteo parcheggiò accanto a Sergio e, prima che lei potesse scendere, fece velocemente il giro dell’Audi, aprendole la portiera ed aiutandola gentilmente a scendere.
- Grazie - sussurrò, rabbrividendo quando sentì l’aria della sera sfiorarle il viso, ma non vi fece molto caso, e prese il fidanzato per mano e, seguiti dai compagni, raggiunsero l’entrata, fermandosi per leggere l’insegna al neon rossa e bianca.
Inarcò un sopracciglio - Moulin Rouge? - domandò, rileggendo più volte l’insegna - È uno scherzo? -
- No - rispose Elisabeth, superando tutti per avvicinarsi alla porta d’entrata, appoggiando una mano sulla maniglia - Ladies and Gentlemen, welcome to the Moulin Rouge -
Guardò nuovamente l’insegna che sbucava da un groviglio d’edera, che formava una miriade di ghirigori sulla facciata di pietra dell’edificio, e rise piano, scuotendo la testa - C’era da aspettarselo - disse, avviandosi verso la porta, ora tenuta aperta dalla rossa, ed entrò nel locale, seguita subito dagli altri. Non appena vide l’intero si stupì per quanto fosse grande.
All’entrata c’era un bancone di legno scuro, quasi rossiccio, lungo all’incirca un paio di metri. Dietro di esso se ne stava un giovane barista, che indossava solamente un gilet nero, senza nulla sotto, un paio di jeans scuri e in testa aveva una bombetta nera, simile a quella che Charlie Chaplin aveva nei suoi film. Il barista preparava dei cocktail ad una coppia, seduta sugli sgabelli sistemati vicino al bancone, servendosi della miriade di bottiglie di alcolici poste sugli scaffali  appese al muro alle sue spalle, tappezzato di poster sul vero Moulin Rouge o raffigurazioni di Parigi, impresse anche nelle enormi fotografie in bianco e nero, poste in semplici cornici ed appese nel resto del locale. Dietro al bancone c’era anche una cameriera, mentre un’altra era in giro per i tavoli a portare da bere, entrambe indossavano un bustino nero sopra ad una camicia bianca ed una gonna cortissima.
La sala era praticamente divisa in tre parti: in metà sala, al centro, erano sistemati diversi semplici tavolini di metallo con quattro sedie tutte intorno, mentre i tavoli accanto al muro erano di legno, più bassi e più lunghi, con dei piccoli divanetti dove sedersi; un terzo della sala era stato lasciato sgombero per, probabilmente, chi avesse voluto ballare o scatenarsi in qualche maniera, e infine, nello spazio restante, c’era un piccolo palchetto, rialzato da terra di mezzo metro circa, occupato in parte dall’attrezzatura di Alex, il fratello di Vittoria, nonché dj, vestito anche lui come il barista. Non appena la vide, Alex puntò le luci rosse e bianche su di loro, in modo che tutti li notassero e puntassero gli occhi su di lei.
- Signore e signori, finalmente la festeggiata ha deciso di deliziarci con la sua magnifica presenza! -
Alzò la mano e salutò la ventina di persone presenti, sedute ai tavoli che la guardavano. Non conosceva quasi la metà degli invitati, ma evidentemente, conoscevano lei. Riconobbe Laura e Francesco, che aveva personalmente invitato, Al e la sua nuova fidanzata, Beatrice e Alberto, direttamente dall’Agenzia. Quasi tutti si avventarono su di lei, per prima Beatrice, che le saltò persino in braccio, poi gli altri le fecero semplicemente gli auguri, stringendole la mano o dandole dei baci sulle guance.
Quando la ventina di persone ritornò ai tavoli, puntò lo sguardo verso Laura, ancora seduta, che le fece un lieve cenno, mentre Francesco la salutò con la mano, sorridendole.
- Allora Alex? - domandò a voce talmente alta da far voltare tutti - È questo il benvenuto al Moulin Rouge o c’è altro? -
- Speravo che me lo chiedessi festeggiata! - esclamò al microfono il dj, facendo partire subito dopo la canzone “Lady marmalade”. Gli fece l’occhiolino, poi concentrò la sua attenzione sul cameriere, che li condusse ad uno dei tavoli accanto al muro, il più vicino possibile al palco.

Where's all mah soul sistas
Lemme hear ya'll flow sistas
Hey sista, go sista, soul sista, flow sista
Hey sista, go sista, soul sista, go sista

- Posso portarvi qualcosa? - domandò il cameriere, non appena si sedettero sul divanetto rosso sangue.
- Per me un Margarita - disse Elisabeth.
- Anche per noi due - dissero all’unisono Alice e Vittoria, dopo essersi consultate.
- Quattro Coca Cola per i ragazzi e...- aggiunse nuovamente la rossa, guardando poi lei - ...per la festeggiata? -
Sorrise - Un Bacardi -
- UN COSA?! - esclamarono le amiche insieme, mentre Alice prese a scuoterla leggermente - È il tuo compleanno e tu bevi un...BACARDI?!?! -  
- Ehm, sì -
- Portale un Mojito - disse Elisabeth al cameriere, confuso, voltandosi poi verso di lei - Oppure preferisci un White Russian? -
Sorrise - Senza ghiaccio, senza vodka, senza kahlua -
Gli altri sembravano non capire, ma l’amica sorrise - Portale un Mojito, altro che latte liscio. Stasera ci si diverte Catwoman -

Voulez vous coucher avec moi ce soir ?
Voulez vous coucher avec moi ?

Matteo, seduto accanto a lei, le prese la mano, stringendola appena, proprio come quella sera a cena a casa sua. Lo guardò e sorrise, spostandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio - Che c’è? -
- Non vedo l’ora di andare via da qui -
Rise piano, mentre gli altri iniziarono a parlare, e si avvicinò al suo orecchio - Siamo appena arrivati, è così importante quello che devi fare più tardi? - domandò e il moro, come risposta, annuì, ricevendo un piccolo pugnetto sul braccio - Matteo Dall’Angelo -
- Porterò pazienza -
- Sono solo le nove, potremmo restare qui per molto tempo - sussurrò, senza aggiungere altro.
La cameriera che, fino a un minuto prima era rimasta dietro al bancone a girarsi i pollici, portò quello che avevano ordinato, andandosene subito dopo senza aggiungere altro. Bevette un piccolo sorso dal suo bicchiere, sentendo subito il sapore deciso del rhum.   
 - Possiamo restare qui quanto vuoi - disse il fidanzato, osservando intensamente il suo bicchiere, pieno di Coca Cola.

Touch of her skin feeling silky smooth
color of cafe au lait alright
Made the savage beast inside roar until he cried,
More, more, more
Now he's back home doin' 9 to 5
Sleepin' the grey flannel life
But when he turns off to sleep memories creep,
More, more, more

Nel giro di pochi minuti, tutti i tavoli si riempirono e, parecchia gente rimase in piedi accanto al bancone o in mezzo allo spazio lasciato sgombero dai tavoli.
Ricevette un sacco di auguri da gente che non conosceva nemmeno, anzi Elisabeth e Alice le sussurravano i nomi nell’orecchio. Le sembrava di essere Miranda Priestly con le due segretarie nel film “Il diavolo veste Prada”.
Sorrise a tutti, salutandoli e chiedendo come stavano; le diedero baci sulle guance, strette di mano, un ragazzino, già ubriaco, aveva tentato di baciarla in modo più profondo, ma Matteo e Sergio lo trascinarono fuori dal Moulin Rouge.   
Con un ultimo sorso finì il Mojito “Questo è solo l’inizio” pensò “Elisabeth ha sicuramente in mente qualcos’altro”
- Dopo c’è il dolce - sussurrò Elisabeth, osservando nel vuoto - Ne ho ordinate un paio -
- Un paio? -
- Beh, guarda quanta gente c’è! -
Sospirò - Sono semplici torte, vero? -
- Mi sembra ovvio, perché me lo chiedi? -
- Non è che è una finta torta di cartone dove sbuca uno spogliarellista? -
- Angelica Vetra! Non ti facevo così perversa! Potevi dirmelo che volevi uno spogliarellista!! -
Rise piano, lanciandole un’occhiata - Per carità, niente spogliarellisti -
- Peccato, sapevo già cosa fare per l’anno prossimo...-
Sentì il fiato caldo di Matteo sul collo e si concentrò su di lui, che le baciava dolcemente la pelle.  
- Cos’è questa storia dello spogliarellista? - le sussurrò il moro nell’orecchio.
Sorrise - Pensavo a quello che Elisabeth ha in serbo per stasera -
- Capisco -
- Qualche problema con gli spogliarellisti? -
- Assolutamente no, visto che più tardi tu...-
Il fidanzato non terminò la frase, perché Elisabeth la stava costringendo a bere un bicchierino di vodka. Sospirò e mandò giù tutto d’un sorso.
La notte era ancora lunga.

Creole Lady Marmalade

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Ore 23.43
Ora notte fonda ormai, e tutti sembravano gradire la festa organizzata da Elisabeth. Loro erano ancora seduti al solito tavolino, comodi comodi sulle poltroncine rosso sangue, ridendo e scherzando su qualunque argomento. Elisabeth, all’improvviso, si alzò in piedi sul divanetto, facendo segno ad Alex di interrompere la musica e di portarle immediatamente il microfono.
- Allora, prima del dolce - iniziò l'amica alzando la bottiglia di spumante che la cameriera le aveva prontamente portato, come se avessero organizzato tutto giorni prima - Un brindisi ad Angelica, che diventa sempre più vecchia ogni giorno che passa -
Sorrise, alzandosi in piedi, prendendole dalle mani la bottiglia di spumante - Sempre più vecchia ogni giorno che passa - ripeté, aprendo la bottiglia e facendo partire il tappo. Tutti si avvicinarono muniti di bicchiere, porgendoglielo. Ne riempì uno alla volta aprendo altri due spumanti ed avanzandone metà nell’ultima bottiglia.
Elisabeth, attirò l’attenzione di tutti e alzò il proprio bicchiere.
- Alla nostra cara vecchia Angi -
Tutti gli invitati la imitarono - Ad Angi! -
Subito dopo aver bevuto lo spumante in un solo sorso, il dj parlò al microfono.
- Mi é stato riferito che alla nostra cara Angelica piacciono le canzoni di una certa cantante...-
Lo spumante quasi le andò di traverso, ma lo mandò giù - Che? -
- Oh, forza Angelica! Ti vogliamo qui sopra a cantare e poi c’è il dolce -
Appoggiò il bicchiere sul tavolo - Devo proprio, Alex? -
- Assolutamente sì - rispose il dj, mentre gli invitati la incitavano a salire sul palco, soprattutto Elisabeth, che la stava praticamente trascinando con la forza. Non appena lei e l’amica salirono sul palco, strinse il braccio alla rossa, costringendola a rimanere al suo fianco.
- Ehi mollami -
- Tu rimani qui -
- Scordatelo! -
- Sì invece! -
Alice salì sul palco, rincorsa da Vittoria - Fra le due litiganti la terza gode! -
- E la quarta è coinvolta in una cosa che non sa fare - sussurrò la bionda.
- Adesso canti anche tu! - esclamò la mora, prendendo a braccetto prima Vittoria e poi Alice.
La canzone partì e tutte e quattro si sorrisero - Dirrty!! - esclamarono in coro.

Ladies move
Gentlemen move
Somebody ring the alarm
A fire on the roof

Vittoria scese dal palco, lasciandole da sole sul palco. Alex le fece un fischio e le lanciò il microfono, lo afferrò al volo e guardò gli invitati.
“Ok calma, le parole le sai Angelica devi solo…lasciarti andare”
Elisabeth la scosse appena, offrendole un bicchiere di qualcosa che sembrava tanto Jack Daniel’s, lo bevette in un solo sorso e prese un profondo respiro.

Oh, I'm overdue
Give me some room
I'm comin through
Paid my dues
In the mood
Me and the girls gonna shake the room
DJ's spinning, show your hands
Let's get dirty, that's my jam
I need that Uh, to get me off
Sweat until my clothes come off

Elisabeth la spinse giù dal palco e rischiò seriamente di rompersi l’osso del collo o di finire faccia a terra per via dei tacchi.

It's explosive, speakers are pumping (oh)
Still jumping, six in the morning
Table dancing, glasses are mashing (oh)
No question, time for some action
Temperature's up (can you feel it)
About to erupt
Gonna get my girls
Get your boys
Gonna make some noise

Wanna get rowdy
Gonna get a little unruly
Get it fired up in a hurry
Wanna get dirrty
It's about time that I came to start the party
Sweat dripping over my body
Dancing getting just a little naughty
Wanna get dirrty
It's about time for my arrival

- No, no, Angelica. Noi volevamo solo te -
Sospirò e sorrise - Se hai un pianoforte lo faccio da sola -
- Non ho un pianoforte, ma se vuoi ho una tastiera...-
Alzò gli occhi al cielo “Perché faccio promesse che non voglio fare?” pensò, salendo sul palco, mettendosi al posto di Alex, che le offrì subito la sedia. Il dj, dopo aver sistemato la tastiera e microfono da tavolo, le lasciò un bicchiere di Coca Cola e se ne andò, lasciandola sola sul palco.
- Beh - iniziò passandosi una mano nei capelli - Innanzi tutto vi ringrazio per essere qui stasera, Elisabeth mi avrebbe uccisa se non fosse venuto nessuno -
Delle risate la interruppero e lei ne approfittò per bere un sorso dal bicchiere.
- Questa canzone, probabilmente non vi piacerà, ma mi hanno costretta a cantare e dovete portare pazienza -
- Sei stupenda! - urlò qualcuno tra la folla.
Si guardò intorno, sorridendo appena - Grazie ammiratore nascosto nel buio, ma se il mio fidanzato ti scopre ti ammazza -
Altre risate.
- Signore e signori. Beautiful - sussurrò, iniziando a premere i tasti bianchi e neri. Non si ricordava bene le note, ma di certo la gente non se ne sarebbe accorta.
Prese un profondo respiro e lanciò un’occhiata a Matteo, in attesa di sentire la sua voce, che sembrava farlo impazzire ogni volta. Chiuse gli occhi e fece finta di essere da sola, nell’aula di musica a scuola o sotto la doccia.

Everyday is so wonderful
Then suddenly
It's hard to breathe
Now and then I get insecure
From all the pain
I'm so ashamed

Si spaventò quando sentì qualcuno darle una piccolo pacca sulla spalla, si voltò e guardò Elisabeth, sorridente come non mai. Le sorrise a sua volta e le fece posto sulla sedia e cantarono insieme. Almeno, se avrebbero fatto una brutta figura, l’avrebbero fatta insieme ed avrebbero riso fino alla morte.

No matter what we do
No matter what we say
The sun will shine your way
'Cause you are beautiful today

Elisabeth la bloccò, togliendole le mani dalla tastiera - Che ne dici di cambiare musica? - domandò lei, prendendo l’altro microfono e richiamando Alex sul palco, lei si alzò, lasciando che il dj si sistemasse alla sua postazione e guardò l’amica: cosa diavolo aveva in mente?
Dopo pochi istanti, riconobbe l’inconfondibile inizio di una canzone degli AC/DC e si passò una mano sulla fronte - Oh Dio...- sussurrò, vedendo Alice che saltava come una matta tra la folla con Federico, mentre Beatrice non era da meno, aveva iniziato ad urlare benché Alberto tentasse di farla stare zitta.

I saw him dancing there by the record machine
I knew he must have been about 17
The beat was going strong, playin my favorite song
I could tell it wouldn't be long 'till he was with me

Raggiunse Alice con il microfono ed urlarono insieme -Yeah me -
- I could tell it wouldn't be long 'till he was with me -
A loro due si unirono anche Beatrice e Vittoria - Yeah me -
Elisabeth la raggiunse, staccandola dalle tre matte - Singing...-
- I love rock and roll, so put another dime in the jukebox baby - urlò, mentre la folla cantava in coro, saltando con le braccia verso il soffitto.

I love rock and roll
So come and take the time and dance with me

- Ehi Alex! - esclamò Elisabeth al microfono - Next song, please -
Il dj le fece ok con il pollice e, mentre lei se la svignava, tornandosene al tavolo, partì l’unica canzone che non poteva mancare: disturbia.
Si sedette sul divanetto, accanto a Matteo, lanciando un lungo sospiro - Non ce la facevo più -
- Immagino -
Gli lanciò un’occhiata - Metti in dubbio le mie parole? -
- Assolutamente no - rispose lui, dandole un bacio - Sei stata fantastica -
- Mi sento così stupida -
- Perché mai? -
Prima che potesse rispondere, Elisabeth li raggiunse, saltando, ballando e volteggiando, li prese per le braccia e li trascinò in mezzo alla folla.
“La prossima volta vado ad una festa con un demone!” pensò “Magari è più calmo di lei!”

Put on your green lights
We're in the city of wonder
Ain't gonna play nice
Watch out, you might just go under
Better think twice
Your train of thought will be altered
So if you must faulter be wise
Your mind is in disturbia
It's like the darkness is the light
Disturbia
Am I scaring you tonight
Your mind is in disturbia
Ain't used to what you like
Disturbia
Disturbia

Finita la canzone, tornò a sedersi, facendo profondi respiri per riprendere fiato. Matteo, accanto a lei, la guardava preoccupato.
- Stai bene? -
Respirò profondamente - Matteo...-
- Sì? -
- Ricordami di...-
- Cosa? -
- Non far più organizzare feste ad Elisabeth...mai più -
Il moro le sorrise e la baciò, staccandosi immediatamente quando qualcuno in mezzo alla folla, Alice probabilmente, iniziò ad urlare.
- Bacio bacio bacio bacio bacio bacio!!! -
Tutti la imitarono, voltandosi verso di loro, battendo le mani a tempo. Si alzò in piedi - Che dici? Li accontentiamo e poi ce ne andiamo?-
- Mi va più che bene - rispose Matteo, alzandosi a sua volta.
- Aspetta aspetta!! - urlò Alice, ancora tra la folla.
Distolse lo sguardo dal ragazzo, e lo puntò sulla mora, che si faceva largo tra la gente con una piccola torta in mano.
- Angelica! Soffia le candeline! - disse Alice quando fu al suo fianco.
Guardò la piccola e semplice torta di panna, ed alzò un sopracciglio - Ma Alice, qui non hai messo le candeline -
- Ah beh...allora -
Non riuscì nemmeno a vedere lo scatto fulmineo dell'amica che si ritrovò la torta sulla bocca, con la panna che le scivolava luogo il collo. Iniziò a ridere, dopo Alice naturalmente, rimasta in piedi lì accanto con un piccolo pezzo di torta sul vassoio rimasto integro.
Si voltò verso Matteo, guardando prima lui, poi il vestito sporco di panna e poi ancora lui.
- Me lo dai un abbraccio?- chiese maliziosa.
- No - rispose lui - Se vuoi ti do un bacio -
Nemmeno il tempo di aggiungere altro, che si ritrovò le labbra del ragazzo sulle sue, sporche di panna.
- È buona almeno? - chiese cercando di afferrare il resto della torta dal vassoio che l’amica reggeva ancora.
- Molto -
- Perché non la fai assaggiare anche a me?- chiese spalmando in faccia a Matteo la panna.
Tutti risero, compreso il fidanzato, che la baciò ancora, lasciandola senza fiato. Il dj riaccese la musica, e tutti tornarono a ballare, mentre Matteo la spingeva dolcemente contro in tavolo, facendola accomodare sopra.
- Ce ne andiamo?- domandò, baciandogli il collo.
- D’accordo -
Si staccarono e, per quanto possibile si pulirono il viso, togliendo la panna; poi alzò la mano verso Alex e lo salutò, facendogli segno che se ne andava.
- Salutiamo Angelica che ha qualcosa di meglio da fare stasera - disse il dj, facendole l’occhiolino - Buona serata festeggiata! -
Sorrise, rossa come un pomodoro e, insieme al fidanzato, si fece largo tra la folla, uscendo finalmente dal Moulin Rouge.
Rabbrividì, incrociando le braccia per scaldarsi, ma non ce ne fu bisogno, visto che Matteo le appoggiò la sua giacca sulle spalle. Lo ringraziò e, mano nella mano, andarono al parcheggio.
 - Adesso andiamo a casa mia e...- iniziò il ragazzo, aprendo la macchina, che emise due sonori beep.
- Non vorrai mica...-
- Dove ti darò il tuo regalo di compleanno - concluse lui ed aprendole la portiera dell'auto.
Aspettò che il ragazzo salisse a sua volta per continuare il discorso - Non sarà mica una cosa sconcia?-
Lui la guardò, mentre girava le chiavi, mettendo in moto l’Audi - Quando mai ho fatto cose sconce?-
- Allora che cos'è?-
- Devi aspettare -
- Avanti dimmelo -
- No -
- Eddai -
- No no -
- Ok, allora non dirmelo -
- 5 minuti e lo saprai -
Sorrise - D’accordo amore -
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Capitolo 42
*** Capitolo 42 - Domenica, 22 marzo 2009 ***


Domenica, 22 marzo 2009
Matteo richiuse aprì la porta d'entrata di casa sua e, subito dopo averla fatta entrare, la richiuse piano, in modo che nessuno si svegliasse.
Scesero piano le scale, andando nella solita stanza al piano inferiore della casa. Si buttò sul letto esausta - Ricordami di non far più organizzare una festa ad Elisabeth -
Matteo rimase in piedi sulla porta, osservandola in silenzio. Piegò la testa di lato, mettendosi a sedere - Cosa fai lì impalato? La porta non cade se ti sposti, sai? -
Lui sorrise e si avvicinò, sedendosi accanto a lei, facendo cigolare le molle del materasso - Il tuo regalo lo vuoi adesso o...dopo?-
- Dopo cosa?- domandò.
- Lo sai bene...- sussurrò il ragazzo, afferrandole le spalle per farla sdraiare sul letto.
- No, sono una ragazzina innocente - sussurrò sorridendo, afferrandolo per la camicia ed attirarlo verso di sé.
Il fidanzato le diede un lieve bacio sulle labbra - Allora, lo vuoi il regalo? -
- Sei tu il mio regalo? -
- No - rispose lui, mettendosi a sedere, frugando nella tasca dei jeans scuri e poi, dopo aver trovato quello che stava cercando, tese il pugno chiuso verso di lei - Lo terrai sempre con te? Lo terrai anche se noi due dovessimo lasciarci?-
Si mise a sedere e fece una smorfia - Come siamo ottimisti -
- Non si sa mai nella vita - rispose il moro, prendendole la mano - Non te l'ho chiesto come si deve e allora...-
Il ragazzo aprì la mano che fino a quel momento era rimasta chiusa, e le mostrò un piccolo anello d'argento, semplice, come una fede, con una data incisa all'interno: 9 febbraio 2009.
Guardò Matteo e gli sorrise - Il giorno che si siamo incontrati in biblioteca -
- Dove ti sei presa un libro in testa -
Rise piano - È stupendo - sussurrò, mentre il fidanzato le infilava l’anello all’anulare della mano sinistra  - Grazie - aggiunse, ringraziandolo con un bacio.
- Però non hai ancora promesso - sussurrò lui.
- D’accordo. Prometto di non toglierlo mai, mai e poi mai - disse - Però ho anch’io una sorpresa per te -
Matteo la guardò, un po’ sorpreso - Davvero? Per cosa? -
- Niente - disse, alzandosi dal letto per prendere il regalo che aveva nascosto il giorno prima nella stanza, in una piccola rientranza tra i cuscini del divano letto. Prese l’anello e lo mostrò al ragazzo, tenendolo tra il pollice e l’indice - Abbiamo avuto la stessa idea - sussurrò, prendendo a sua volta la mano del ragazzo, appoggiandogli l’anello sul palmo.
Il ragazzo cercò l’incisione all’interno, ma non trovò niente - Non c’è scritto niente -
- Deve per forza esserci qualcosa? - domandò, sorridendogli - E poi, quello che avrei voluto scrivere preferisco dirtelo di persona -
Anche lui sorrise e lo infilò subito al dito - E sarebbe? -
Si avvicinò, gettandogli le braccia al collo ed avvicinando le labbra al suo orecchio - Je t’aime -
- Il Moulin Rouge ti ha fatto male - rispose il ragazzo, stringendole le braccia intorno ai fianchi.
- Forse - rispose, ridendo - E tu non capisci una parola di francese -
- Ah sì? - domandò Matteo, alzandosi in piedi, tenendola in braccio - E se ti chiedo: voulez vous coucher avec moi ce soir?-
Ritornò con i piedi per terra, sbottonando la camicia di lui - Oh sì, signor Dall'Angelo, non desidero altro - sussurrò in francese.
- Non ho capito niente di quello che hai appena detto -
- Un giorno forse...- iniziò, ancora in francese, sfilandogli la camicia - Te lo dirò in italiano -
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Ore 7.35

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Mi guardo intorno, ma non conosco il posto dove mi trovo: sono in mezzo ad una radura, circondata da diversi alberi che sembrano volermi imprigionare lì dentro.
Provo ad alzarmi ma sono senza forze, e rimango seduta a terra, tra le foglie secche e l’erba umida, guardandomi intorno - C’è nessuno? - chiamo, nella speranza che qualcuno mi trovi e mi riporti a casa.
- Non serve urlare -
Mi volto di scatto e trattengo il fiato non appena vedo la figura che ha appena parlato, ad un soffio da me. Indietreggio, ed osservo i capelli rossi della donna svolazzare per il vento: Kyra mi sorrise in modo diabolico, camminando lentamente verso di me, che continuo ad indietreggiare.
- Sorpresa di vedermi, Angelica? -
Smetto di indietreggiare solo quando sbatto la schiena contro uno degli alberi che circondano la piccola radura - Sì, lo ammetto -
La donna ride, passandosi una mano nei capelli - È la prima volta che te lo sento dire in quasi cinque anni -
- Perché sei ancora qui? Ti hanno esorcizzata...-
- L’anima è una cosa difficile da dividere - sussurra lei, ormai ad un soffio dal mio viso - Non sei così intelligente come credevo -
Sono confusa, non capisco - Io...non... l’anima?-
- Te lo sei chiesta, vero? - mi chiede il demone, afferrandomi per la maglietta ed alzandomi senza difficoltà.
- In un primo momento sì - rispondo.
Kyra abbassa lo sguardo, osservandomi il ventre - Presto... -
Approfitto di quel momento di distrazione e colpisco il polso del demone, rompendoglielo. Non appena lei mollò la presa, facendomi cadere a terra, mi rialzo di scatto e, prima che Kyra si riprenda, tento di scappare. 
Il ventre si contorce improvvisamente in modo strano, togliendomi il fiato, fino a farmi inginocchiare a terra. Porto le mani alla pancia e mi lascio cadere di schiena a terra, gemendo di dolore. Sembra che qualcosa si muova al suo interno.
Il demone dai capelli rossi mi raggiunge quasi immediatamente, sistemandosi la mano, piegata in modo innaturale, e poi, dal nulla, fa apparire una lancia, appoggiando la punta acuminata sul mio ventre.
- Due con un colpo solo - disse Kyra, mentre la sua figura prese a tremolare, come se mi avessero messo un telo di nylon sopra agli occhi, offuscandomi la vista.
- Chi sei tu? - domando, con ancora le mani appoggiate sulla pancia, che sembra contorcersi ancora di più.
Ora Kyra è praticamente scomparsa, lasciando il posto a Laura Mancini, con un diabolico sorriso sulle labbra - Salutami Manuel - disse, stringendo forte il manico della lancia, piantandomela nel ventre.
Posso solamente urlare, mentre il buio mi avvolge.
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Si mise di scatto a sedere, quando sentì una mano stringersi lentamente attorno al poslo, e guardò la signora Dall’Angelo, inginocchiata accanto al letto, con gli occhi sgranati. Si coprì subito con il lenzuolo - Signora...Dall’Angelo...-
- C’è un problema -
La guardò con un sopracciglio inarcato: non sapeva se essere sorpresa, per il fatto che non le avesse urlato dietro per averla trovata a letto con suo figlio, oppure preoccuparsi per il problema della donna. Scelse la seconda.
- È successo qualcosa? - domandò, ricevendo come risposta un piccolo cenno dalla mora, che sembrava confusa e spaventata allo stesso tempo - Signora Dall’Angelo, potrebbe...-
- In cucina - la interruppe la donna - Ci sono delle cose che...fluttuano - aggiunse poi lei, sussurrando appena l’ultima parola, mimando tutto con le mani.
Scosse la testa per tentare di svegliarsi completamente - Fluttuano? Vuole dire che...-
- Come se qualcuno avesse lanciato un Wingardium Leviosa sulle posate -
- Eh, ok. Mi...metto qualcosa e...vado - disse imbarazzata, mentre Angela, dopo aver annuito, si alzò da terra ed attese fuori dalla porta, dandole le spalle.
Puntò lo sguardo sul suo vestito a terra e scosse la testa, recuperando la sua biancheria: non poteva rimetterlo. Come avrebbe fatto se quello in cucina fosse un demone?
Afferrò la camicia di Matteo, abbandonata anch’essa a terra, la infilò e chiuse qualche bottone, alzandosi poi dal letto, raggiungendo la donna - Resti dietro di me - disse incamminandosi verso le scale, con la donna alle spalle, che la seguiva senza emettere il minimo rumore, trattenendo forse il respiro per lunghi attimi.
Raggiunse la cucina e sbirciò dentro: in effetti, la signora Dall’Angelo poteva vedere solo le posate che fluttuavano, ma lei poteva vedere qualcosa di più. Due fantasmi, due bambini, che si divertivano a lanciarsi contro le posate per colpirsi, ma queste li trapassavano, sbattendo contro il muro e cadendo a terra.
- Ehi! - esclamò, entrando in cucina e mettendosi le mani sui fianchi, osservando i due bambini - Vi sembra questo il modo di giocare? -
Il primo, un bambino biondo che le dava le spalle, sui cinque anni, si voltò nella sua direzione, guardandola a malo modo; il secondo, identico all’altro, solo di qualche anno più grande, le lanciò contro un coltello. Lo afferrò al volo e lo gettò a terra - Allora? -
I due fantasmi non le risposero, si limitarono solamente a guardarla male.
- Andate nella luce o fuori da questa casa, sono stata chiara? - disse in tono un po’ brusco, dispiacendosi per aver alzato la voce con due bambini, benché fossero dei fantasmi.
I due scomparvero nel nulla e le posate che riuscivano a tenere sospese in aria con la sola forza del pensiero caddero a terra con diversi tintinnii. Guardò la signora Dall’Angelo, ancora confusa, ed alzò le spalle - Bambini -
- Se ne sono andati? -
Annuì, iniziando a raccogliere le posate - Mi dispiace, signora Dall’Angelo, io...-
- Non ne hai nessuna colpa, Angelica. Non scusarti per cose dove non c’entri niente - le disse la donna, aiutandola a raccogliere le posate per poi lasciarle nel lavello - Vuoi un caffè o un succo di frutta? -
Sorrise - Succo di frutta, grazie -
- Vai a svegliare anche il ghiro, che preparo la colazione anche per lui -
Si lasciò sfuggire una lieve risata ed uscì dalla cucina, fermandosi sulla porta quando la donna la chiamò ancora.
- Se vuoi puoi andare a prendere delle magliette di Matteo, altrimenti ti tocca girare per casa con quel bel vestito di ieri sera che...è rimasto a terra per tutta la notte...-
Arrossì ed uscì dalla cucina, salendo le scale con il viso in fiamme, e raggiunse la porta della stanza di Matteo, bloccandosi quando qualcuno la chiamò, e si voltò di scatto verso Sonia, spettinata come non mai con addosso un pigiama rosso con le pecorelle.
- Ciao Sonia - disse con un sorriso.
- Angi, cosa ci fai qui? -
- Io...ehm...ho dormito qui -
- E perché sei vestita così? Con la camicia di mio fratello? -
- Ehm...avevo caldo -
- Ah, d’accordo - disse la bambina,  superandole e scendendo le scale, lasciandola da sola nel corridoio.
Andò nella stanza di Matteo, prese una tuta e una t-shirt per lei e una felpa e un paio di jeans per il fidanzato che, probabilmente, stava ancora dormendo; poi scese nuovamente le due rampe di scale in punta di piedi e si ritrovò di nuovo nella piccola stanzetta dove aveva dormito fino a qualche minuto prima.
Si sedette sul materasso, appoggiando i vestiti da una parte, accarezzando poi il viso del fidanzato, profondamente addormentato. Matteo, dopo pochi secondi, riconoscendo il suo tocco, socchiuse gli occhi, sorridendole - Buongiorno -
- Buongiorno -
- Già sveglia? -
Annuì - Mi ha svegliata tua madre per...un piccolo problema in cucina -
- Demone? -
- Fantasmi - lo corresse, sbottonandosi la camicia per infilare la t-shirt e i pantaloni della tuta del ragazzo, che le andavano larghi, ma erano meglio di niente.
- Che cosa stai facendo? - domandò lui, mettendosi a sedere, coperto appena dal candido lenzuolo, osservandola stringere i pantaloni della tuta con il laccio.
- Mi vesto - rispose, alzandosi in piedi - E dovresti farlo anche tu, visto che tua madre ci aspetta per la colazione -
Matteo si alzò in piedi, superandola e si fermò sulla soglia - MAMMA! -
- EH?! - rispose Angela dal piano di sopra - CHE C’È?! -
- FACCIAMO COLAZIONE PIÙ TARDI!! -
- OK!! -
Rimase immobile, ai piedi del letto, osservando il fidanzato che ritornò sotto le coperte, aspettando che la raggiungesse - Beh? Non vieni a dormire? -
Sorrise, togliendosi pantaloni e t-shirt - E me lo chiedi? -


Si mise a pancia in su, coprendosi con le lenzuola e lanciando un lungo sospiro, voltando poi lo sguardo verso Matteo, sdraiato accanto a lei - Tu mi vuoi uccidere - sussurrò, affannata.
- Certo che no -
- Non era una domanda, era un dato di fatto - disse, attorcigliando l’estremità del lenzuolo intorno all’indice - Mi stanco molto meno ad uccidere i demoni -
Il ragazzo si avvicinò, restando su un fianco con la testa sollevata dal cuscino - Ma scommetto che questo ti piace di più -
Rise piano, osservando l’anello che portava al dito - Lo ammetto - ammise, mettendosi subito a sedere quando sentì il suo cellulare suonare. Si alzò dal letto, tirandosi dietro le lenzuola, cercando il suo telefono che, probabilmente, era nella tasca dei jeans del fidanzato, che l’aveva gentilmente custodito la sera prima, dato che il suo abito non aveva alcun tipo di tasca. Quando lo trovò, rispose immediatamente, notando il numero dell’Agenzia sul display - Pronto? -
- Agente 33, Categoria B in viale Dante Alighieri - disse la strana voce del nuovo software dell’Agenzia, appena installato da J. e dai suoi collaboratori, in grado di rispondere ad ogni domanda come una vera e propria segretaria. 
- Dove più precisamente? -
- Secondo vicolo sulla destra, prosegui dritto fino al canale -
- D’accordo - disse - Sono lì in un lampo -
- Parola non riconosciuta -
Aggrottò la fronte - Parola non riconosciuta? -
- Non presente nel dizionario installato -
- Ma vaffanculo -
- Parola non riconosciuta -
Riattaccò prima di scaricare una serie di parolacce su un software che sarebbe sicuramente andato in tilt. Si voltò verso Matteo, facendo un piccolo sorriso.
- Devi andare -
- Sì - rispose, benché quella non fosse una domanda, iniziando a rivestirsi, indossando di nuovo la tuta del fidanzato - Ti chiamo quando torno, ok? -
- Ok - rispose lui, guardandola rivestirsi.
Raccolse il suo vestito e le scarpe - Ti riporto la tuta più tardi - disse, pronta ad uscire.
- Non mi saluti nemmeno? -
Si voltò verso il moro, salutandolo con la mano - Ciao, ciao -
- Ehi, dammi un bacio -
Si avvicinò al letto, baciandogli la fronte - Così va bene? -
Lui scosse la testa, prendendole il viso tra le mani e dandole un bacio sulle labbra - Adesso sì -
Lo spettinò - A dopo - disse, uscendo dalla stanza e salendo in punta di piedi le scale. Passò davanti alla cucina tentando di non attirare l’attenzione, ma la signora Dall’Angelo la notò immediatamente.
- Angelica -
Si bloccò sulla porta, salutando la donna e Sonia, che guardava i cartoni animati in televisione.
- Non resti per la colazione? -
Sorrise - Purtroppo ho un...imprevisto -
La mora afferrò al volo, facendole segno di andare - Vai e fai attenzione, ma per la cena di stasera non voglio scuse -
Annuì - A stasera allora -
- Ti piace il cibo giapponese? - domandò ancora la signora Dall’Angelo.
- Sì, certo - rispose in fretta - Ora scusi, ma devo proprio andare -
Angela la salutò con la mano - Sì scusami. Vai e colpisci -
Le fece un piccolo cenno e poi uscì da casa Dall’Angelo, attraversando la strada per poi scavalcare la cancellata di casa sua, entrando dalla porta della cucina, dove sua madre stava facendo le parole crociate. La superò, salutandola, andando direttamente in camera per cambiarsi velocemente, indossando una t-shirt e un paio di jeans. Prese entrambe le katane dal piccolo spazio tra il muro e l’armadio, prese poi anche la sua Revolver, già carica. Ritornò poi in casa, prendendo le chiavi della BMW lasciate sulla tavola.
- Demone, eh - sussurrò sua madre, senza staccare gli occhi dalla Settimana Enigmistica - Stai attenta -
- Sì - rispose prima di uscire e precipitarsi in garage.
Si sedette al posto di guida, appoggiando le katane e la Revolver sul sedile del passeggero, mise in moto l’auto e partì a tutta velocità non appena il cancello si aprì completamente.
“Viale Dante Alighieri non è lontano” pensò, superando diverse macchine che suonarono il clacson. Ci avrebbe impiegato qualche minuto.
***
Nella stanza accanto, visibile attraverso uno spesso vetro resistente a pallottole e attacchi di demone, Michele Silvestri, dopo cinque giorni, si accascia a terra, privo di vita.
Si passò una maso sul viso: il siero non aveva funzionato. Si voltò verso la porta ed appoggiò la mano sulla maniglia della porta - Mi aspettavo di meglio -
- Signore, è già un buon inizio - disse uno dei scienziati presenti nella piccola stanza di osservazione - La cavia numero 1 ha reagito bene al siero per quattro giorni, ma...-
- Il quinto giorno è ritornato praticamente umano, Dottore - disse - Poi è morto -
- Nessun umano riuscirebbe a resistere al sangue del demone - rispose un altro scienziato - È una follia farlo durare per anni -
Fulminò il secondo scienziato - Voglio che duri per tutta la vita - disse - E ora al lavoro -
***
Scese dall’auto dopo aver imboccato il secondo vicolo ed aver parcheggiato a diversi metri di distanza dal canale. Allacciò le katane dietro la schiena, sguainando subito la sua, quella dalla lama bianca, poi sistemò la Revolver nella cintura dei jeans.
Si avvicinò ad una strana figura che sbucava dal canale: a primo impatto sembrava proprio il Kraken nel film “I pirati dei Caraibi 2”, solo che questo era un po’ più piccolo, anzi, molto più piccolo.
Il demone era un grosso polipo, rosa come la carne, era praticamente alto quanto lei, ed era munito soltanto di dieci tentacoli. La creatura aprì la bocca, mostrando diverse file di denti sottili e taglienti, agitando i aria due tentacoli non appena la vide, avanzando poi lentamente verso di lei. Rabbrividì per lo schifoso suono che producevano i suoi viscidi tentacoli a contatto con l’asfalto. 
Schioccò il collo, osservando la creatura che avanzava piano, agitando i tentacoli che si muovevano in modo sinuoso come serpenti, poi distolse lo sguardo, trattenendo la nausea: quella cosa puzzava in modo osceno, come se fosse qualcosa di morto.
Si lanciò all’attacco, ignorando l’odoraccio del polipo troppo cresciuto, poi scartò di lato quando il demone tentò di colpirla con un tentacolo e mirò all’occhio sinistro, segnando sulla viscida pelle della creature un taglio carminio, mentre l’occhio penzolava all’infuori. 
Rabbrividì, allontanandosi - Dio, che schifo! - sbraitò, saltellando sul posto, ignorando la pelle d’oca sulle braccia, poi lanciò una parolaccia non appena sentì diverse punture sul braccio, ed abbassò lo sguardo sullo strano tentacolo del demone, attorcigliato intorno al suo avambraccio sinistro, conficcandole nella carne una miriade di pungiglioni. Se lo strappò di dosso con furia, sperando che non fosse troppo tardi.
Si guardò nuovamente il braccio, lanciando un’imprecazione vedendo che i pungiglioni erano conficcati nella carne. Era una specialità di quel tipo di demone: prima avvolge la preda con uno dei suoi tentacoli o la colpisce, piantando diversi pungiglioni che rilasciavano una particolare tossina che paralizzava temporaneamente la parte colpita.
“Perché mi sono inventata di mettere la t-shirt?” si domandò, lasciando subito perdere, vedendo il demone attaccare di nuovo con lo stesso tentacolo, dove i pungiglioni erano già ricresciuti.
Sguainò la katana e lo tranciò di netto: il tentacolo cadde a terra, dibattendosi ancora come la coda di una lucertola appena separata dal resto del corpo. La creatura spalancò le fauci, ruggendo di dolore, sputando diversa bava che, se non si fosse spostata, l’avrebbe presa in pieno.
“La saliva non è velenosa” pensò, ricordandosi quello che aveva studiato tempo prima “Però fa comunque schifo!”
Fece per afferrare l’impugnatura dell’altra katana, ma il braccio non si mosse, o meglio, tremava in modo incontrollabile. Si distrasse per un secondo, e quel secondo fu più che sufficiente al demone per tentare di attaccarla di nuovo con un tentacolo, tentando di afferrarle le caviglie per tirarla verso la sua bocca irta di denti affilati.
Saltò, evitando il tentacolo, per poi pestarlo con forza, trapassandolo da parte a parte con la katana. Il demone emise un verso per il dolore e ritrasse in fretta il tentacolo, facendola cadere a terra. Subito un tentacolo l’afferrò per la gamba ma, benché l’avesse tranciato di netto quasi subito, le spine erano riuscite a trapassare i jeans ed a conficcarsi nella carne.
Indietreggiò sui talloni, agitando appena la gamba ferita che aveva già iniziato ad intorpidirsi. Si alzò con difficoltà ed impugnò la Revolver, puntandola contro il demone, che agitava in aria i restanti quattro tentacoli - Vai all’inferno - sussurrò, svuotando il caricatore sulla creatura, che sembrò afflosciarsi su se stessa, come i budini che tentava di preparare.
Gli diede le spalle, prendendo il cellulare dalla tasca - Cadavere del polipo - disse a J. - Venite a prendervelo -
- Grazie 33, stasera si mangia insalata di mare -
Riattaccò, voltando subito dopo lo sguardo indietro, sentendo qualcosa di viscido sfiorarla, fa fu subito scaraventata in avanti, colpita alla schiena dal demone che aveva tentato nuovamente di ucciderla benché, oramai, per lui non c’era più niente da fare.
Si mise in ginocchio, guadandolo esalare l’ultimo respiro, alzandosi poi in piedi, con fatica, dato che la tossina appena iniettata, aveva già iniziato ad entrare in circolo nel corpo. Si allontanò piano, raggiungendo la macchina e mettendo in moto: doveva tornare a casa e togliere quei maledetti pungiglioni.
***
Dopo aver attraversato la strada di corsa, si bloccò davanti al cancelletto di casa Vetra, facendo un profondo respiro per calmarsi. Premette il campanello, sperando che qualcuno gli aprisse, cercando di non pensare al fatto che Angelica, che gli aveva promesso di chiamarlo non appena fosse tornata a casa, dopo un’ora e mezza non si era ancora fatta sentire. 
Lanciò un sospiro quando la signora Vetra, con un sorriso sulle labbra, sbucò dalla porta blindata all’ingresso, salutandolo con la mano ed aprendogli immediatamente il cancelletto. Percorse a grandi passi il giardino, entrando poi nell’ingresso della casa - Signora Vetra - salutò - Angelica è in casa? -
Nadia, vestita con una comoda tuta da ginnastica, non fece in tempo a parlare, dato che qualcuno attirò la sua attenzione schiarendosi semplicemente la voce - Lo so, ho dimenticato di chiamarti. Scusami -
Guardò la ragazza in cima alle scale, zuppa dalla testa ai piedi e coperta da un asciugamano azzurro. Notò dei strani segni sulla gamba e sul braccio, e sperò che non fossero ferite gravi - Angelica... -
- Matteo, non è un buon momento - disse la mora, scendendo le scale, tenendo una mano all’asciugamano - È meglio se torni a casa -
Seguì con lo sguardo la fidanzata, che entrò in cucina, seguita dalla madre: la curiosità era troppo forte ed entrò a sua volta nella cucina, dove Angelica si sedette su una sedia, scoprendo la schiena, mentre la signora Vetra si sedeva dietro di lei, tastandole poi la pelle bianca.
Trattenne il fiato: solo ora poteva vedere un segno roseo, simile ad una ustione, che partiva dalla spalla destra della mora fino ad arrivare al fianco sinistro, e lungo tutto questo sfregio c’erano delle specie di spine nere piantate nella carne.
- Ma cos’è successo? - domandò, osservando la donna estrarre il primo pungiglione dalla schiena della ragazza con una piccola pinzetta, lasciando un solco nella carne che si riempì immediatamente di sangue, scorrendo poi lungo tutta la schiena.
- Pensavo fosse morto - sussurrò lei, stringendo i denti quando la madre tolse un altro pungiglione - Ho sbagliato a dargli le spalle -
Fece il giro, prendendo una sedia e mettendosi davanti alla fidanzata, afferrandole la mano - Fa male? -
Lei alzò lo sguardo e gli sorrise - Non molto -
Rimasero così, senza aggiungere altro, mentre la signora Vetra estraeva uno alla volta i pungiglioni, appoggiandoli su uno straccio, disteso sulla tavola. Quando una ventina di pungiglioni furono tolti, la donna tamponò la schiena della figlia con un altro straccio, un po’ umido, togliendo tutto il sangue che usciva dai solchi lasciati dalle punture.
- Tesoro, il sangue continua ad uscire -
Angelica voltò appena la testa verso la madre - Hai ancora quella crema che ci aveva dato Marco tempo fa? -
- Sì -
- Usa quella e metti qualche cerotto - disse lei, tornando a guardare nel vuoto.
Provò a cambiare discorso - Mia madre vuole andare a mangiare Giapponese stasera -
- Lo so, mi ha...invitata a venire, anche se, ad essere sincera mi è passata la voglia di mangiare Giapponese -
Piegò appena la testa - Perché? -
La mora lanciò un lungo sospiro - Dopo aver affrontato uno schifoso polipo alto uno e ottanta...-
- Oh dai, vieni -
Angelica si passò una mano nei capelli corvini - D’accordo, ma non voglio sentire parlare di polipi per qualche mese -
- Tesoro, se vuoi ti ho lasciato un po’ di insalata di mare! Con il polipo -
- MAMMA!!! -
***
Ore 20.15
Ferma davanti allo specchio appeso in bagno, osservava il suo riflesso: era pronta per la cena al ristorante giapponese in città; aveva semplicemente indossato un paio di jeans e una camicia nera, ma non era preoccupata per quello, era preoccupata per a sua espressione.
Lo specchio rifletteva l’immagine di un’Angelica stanca e per niente in forma, con la pelle che sembrava ancor più bianca del solito.
Lanciò un sospiro quando il riflesso di Matteo comparve nello specchio, e si sforzò di sorridere, tentando di sembrare la solita strana ragazza, ma Matteo si accorse subito che qualcosa non andava.
- Tutto bene? -
Annuì - Sì - mentì.
- Non è vero - sussurrò lui, facendola voltare - Cosa c’è, Angelica? -
Scosse la testa: si era dimenticata che ormai il ragazzo la conosceva così bene da capire quando mentiva - È solo che...ultimamente mi sento così stanca e debole - 
- Magari ti stai semplicemente ammalando - disse il fidanzato, tastandole la fronte - È normale sai? Fra i comuni mortali -
Sorrise - Molto probabile -
- Se non te la senti di uscire possiamo rimanere a casa -
- No, è tutto ok - rispose, prendendo il ragazzo per mano e trascinarlo nella sua stanza.
- Devi confidarmi altro? Mia bella e misteriosa fidanzata dai capelli neri e gli occhi verdi? -
Rise piano - No, ma...-
- Ma? -
Prese un respiro profondo - Ho una strana sensazione addosso - ammise - Io...sento che succederà qualcosa, succede sempre qualcosa e di solito...- disse ancora, interrompendosi per sedersi sul letto quando la testa prese a girarle. Iniziò a respirare profondamente, tenendo lo sguardo fisso a terra.
- Tutto a posto? -
Annuì piano - E di solito non è una bella cosa - concluse, passandosi una mano nei capelli - Matteo, io...ho paura, ho tanta paura -
Il fidanzato le si sedette accanto, prendendole le mani e stringendole dolcemente - Non devi avere paura, io sono sempre vicino a te -
Prese degli altri profondi respiri, annuendo.
- Te lo prometto, Angelica -
Alzò lo sguardo e puntò gli occhi nei suoi, facendo un lieve sorriso - Grazie -
Il ragazzo le diede un bacio sulla fronte, accarezzandole poi la guancia - Te la senti di uscire? -
Annuì, distogliendo lo sguardo, puntandolo verso il suo cellulare abbandonato sulla scrivania, che vibrava, segno che qualcuno la stava chiamando. Si alzò e guardò il display, voltandosi subito dopo verso Matteo - Puoi scusarmi un momento? -
- L’Agenzia? - domandò il ragazzo, mentre lei, come risposta, annuì solamente. Il moro si alzò ed uscì - Niente demoni - 
Rispose - Ciao J. -
- Ciao 33 -
- Fammi indovinare - disse con un sospiro - Il tempo è scaduto -
- Indovinato. La Direttrice pensa che sia meglio rubare le informazioni prima che La Rosa o la spia sappiano di questa missione -
- D’accordo, domani parlerò con la Direttrice -
- Mi ha chiesto di dirti di fare attenzione, perché ultimamente le cose stanno prendendo una brutta piega -
Piegò la testa - Brutta piega? -
- Gli Agenti 30 e 31 -
Trattenne il respiro - Cos’è successo? -
- Sono praticamente scomparsi -
Batté il pugno sulla scrivania - Com’è possibile? -
- Non si trovano da nessuna parte. Abbiamo provato a rintracciarli ma niente, però sappiamo che sono vivi -
- Pensi che c’entri qualcosa La Rosa? -
- La Direttrice pensa di sì -
Vide sua madre farle segno dalla porta di chiudere la telefonata ed annuì - D’accordo J., scusami ma devo andare -
- Certo, a domani 33 -
Riattaccò, ripensando all’Agente 30 e 31: erano persone in gamba, se era stata La Rosa a rapirli per delle informazioni sull’Agenzia non li avrebbero mai fatti parlare. 
Scese le scale, gradino per gradino, tenendo una mano appoggiata alla balaustra, ripensando anche alla questione della spia.
“La domanda da porsi non è chi è stato o perché l’ha fatto” si disse “La domanda è: gli Agenti 30 e 31 sono stati rapiti o hanno finto la loro scomparsa per unirsi a qualche complotto segreto?”  
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Capitolo 43
*** Capitolo 43 - Giovedì, 9 aprile 2009 ***


Giovedì, 9 aprile 2009 - ore 20.46
Agenzia

Respirò profondamente, allungando le braccia verso l’alto per fare un po’ di stretching, poi toccò alle gambe, ma più di tanto non riusciva a piegarsi: persino l’insegnante di ginnastica le diceva che era rigida come un manico di scopa. Si sedette a terra, chiudendo gli occhi, tentando di concentrarsi e di restare fuori dal mondo per qualche minuto. Tra qualche ora sarebbe entrata all’agenzia La Rosa per rubare le informazioni nel server principale. Sperò che tutto filasse liscio.
In quelle due settimane non era praticamente successo nulla: era rimasta a casa da scuola un paio di giorni, per via della febbre, ma poi era ritornata come prima. I suoi genitori erano ritornati a Roma, dato che l’hotel dove alloggiavano e tutto il resto era già stati pagati.
Degli Agenti 30 e 31 non si sapeva ancora nulla e, come se non bastasse, erano scomparsi altri Agenti; mentre lei si sentiva ancora addosso quella strana sensazione.
- Vetra? -
Socchiuse un occhio, lanciando un’occhiata a Laura Mancini, in piedi davanti a lei, salutandola con un piccolo cenno.
- Sei venuta ad allenarti? -
Annuì, alzandosi in piedi: ormai aveva perso completamente la concentrazione - E tu che ci fai qui? -
- Sono qui per il tuo stesso motivo - rispose la bionda, mettendosi le mani sui fianchi - Ti va di allenarti con me? -
Inarcò un sopracciglio - Perché? -
La ragazza, in pantaloncini e t-shirt, alzò le spalle - Per passare il tempo -
- D’accordo - disse, passandosi una mano nei capelli - A mani nude? -
- Sì, perché? Hai paura di farti male? -
Ghignò - Sarai tu a farti male, Mancini -
- Staremo a vedere, Vetra -
Si misero in posizione, al centro della palestra: solo un paio di metri la dividevano da Laura, che aveva iniziato a girarle intorno, con le mani abbandonate lungo i fianchi, mentre lei, in posizione di difesa, girava lentamente su se stessa per non dare le spalle all’avversaria.
Socchiuse gli occhi, puntandoli nelle iridi d’argento della bionda, che non dava segni di voler attaccare per prima. Prese un profondo respiro e si lanciò verso di lei, tentando di colpirla con un pugno, ma la bionda, con un sorriso, la evitò senza problemi. Sorrise a sua volta, abbassandosi di colpo per evitare un pugno e fece una piroetta, facendo lo sgambetto alla bionda, che cadde a terra con un tonfo. 
Prima che potesse colpirla nuovamente, Laura rotolò di fianco, allontanandosi e prendendo nuovamente le distanze da lei. Ritornarono a studiarsi, fissando ogni piccolo movimento con attenzione.
- Sei migliorata, Mancini -
- Grazie, anche tu te la cavi -
Questa volta fu Laura ad attaccare: veloce come un fulmine, l’aveva raggiunta in un battito di ciglia, afferrandole il braccio e piegandolo dietro la schiena. Cadde a terra, in ginocchio, mentre sentiva il braccio scricchiolare sotto la presa dell’avversaria.
- Arrenditi o ti rompo il braccio -
Sorrise, reclinando la testa all’indietro per osservarla negli occhi - Ci vuole ben altro per farmi arrendere - disse, afferrandole la gamba con il braccio libero, facendola cadere a terra.
Per non sbattere con forza per terra, la bionda lasciò la presa sul suo braccio, liberandola, allontanandosi alla svelta per non essere colpita. Attaccò immediatamente, colpendola piano allo stomaco.
Laura si allontanò ancora - Questa me la paghi -
Le fece segno di avvicinarsi - Vieni allora - rispose, provocandola.
Dopo un fugace sorriso, l’avversaria partì all’attacco, tentando di colpirla con pugni e calci, ma lei, prontamente, bloccava o deviava ogni attacco. Mancò solamente un ultimo colpo, che la colpì alla spalla. Fece qualche salto mortale all’indietro per allontanarsi velocemente e per fare un po’ di scena. Laura l’attaccò subito, facendola cadere a terra con un tonfo sordo. Chiuse gli occhi e le diede un lieve calcio, nel vano tentativo di allontanarla, ma la bionda le bloccò le braccia sopra la testa, sedendosi a cavalcioni sopra di lei.
Guardò l’avversaria negli occhi e per un momento immaginò di vedere una scintilla scarlatta nelle iridi d’argento: le ritornò alla mente il sogno che aveva fatto tempo prima su Kyra e Laura. Scosse la testa, togliendosi dalla mente quei pensieri.
- Allora, Vetra? - domandò la ragazza, ansimando.
Sorrise e riuscì facilmente ad invertire la posizione, bloccando l’avversaria sotto di lei - Mi dispiace, ma ho vinto io -
Laura, dopo aver tentato inutilmente di liberarsi, voltò lo sguardo da una parte - Ok mi arrendo -
- 33? -
Voltò lo sguardo verso J., fermo all’entrata della palestra con le mani sui fianchi. Si alzò ed aiutò Laura a fare lo stesso, salutandola prima di raggiungere il collega.
- Vieni con me -
Obbedì senza dire nulla e seguì J. per i corridoi, fino ad arrivare agli spogliatoi femminili, non lontani dalla palestra. Il collega le fece segno di entrare, seguendola subito dopo, chiudendo a chiave la porta.
- È ora? -
Lui annuì - Ho perfezionato la tua tuta, per far scattare le lame adesso ti basta muovere il braccio -
Piegò la testa - Quindi ogni volta che muovo le braccia le lame scattano? - domandò - Non mi sembra una buona idea -
- Scatta secondo un certo tipo di movimento - rispose lui, aprendo il suo armadietto, tirando fuori la tuta in questione, lanciandogliela - Forza, mettila -
Si alzò in piedi - Esci -
J., dopo aver sospirato, uscì dallo spogliatoio, lasciandola sola, con quella tuta in mano che sembrava quasi pelle. Si spogliò e la indossò in fretta, provò a far scattare le lame ma ci riuscì solo al terzo tentativo; dopodiché, fece rientrare il collega - Ho già imparato, non ti preoccupare -
- Sembri tanto Sheila di Occhi di gatto - disse lui, chiudendo nuovamente la porta a chiave.
Lanciò un lungo sospiro, senza nemmeno rispondere, e diede le spalle al collega, iniziando a piegare i suoi vestiti, mettendoli poi nel suo armadietto.
- Dimenticavo - disse J. ad un tratto, frugando nelle tasche dei jeans - Le chiavi della macchina...- concluse lui, porgendole una chiave.
Si avvicinò e la prese, notando immediatamente la marca dell’auto che avrebbe guidato - L’auricolare? - domandò.
- L’ho lasciata in ufficio -
- E mi spieghi come faccio a scaricare tutti i file? - domandò nuovamente, irritata - Non posso mettermi a giocare al computer con le guardie che girano per il laboratorio -
- A quello ci penso io, tu devi solo inserire questa - le rispose J. porgendole quella che sembrava una normalissima chiavetta USB.
La prese, girandosela fra le mani - Tutto qui? -
- Beh, mentre io scarico tu dovresti assicurarti che nessuno la scolleghi, altrimenti va tutto a puttane -
- Quello non è un problema - disse, incrociando le braccia - Se vai a prendermi l’auricolare parto per il laboratorio -
Il ragazzo dai capelli rossi le fece ok con il pollice - Vado e torno, non scappare splendore! -
Sbuffò - Quando la smetterai di scassarmi le scatole? -
- Mai! - rispose il collega, uscendo dallo spogliatoio femminile e lasciando entrare Laura che, probabilmente, era rimasta fuori in corridoio per via della porta chiusa a chiave.
- Cosa ci faceva quello qui dentro? - domandò lei.
Alzò le spalle - Starà passando all’altra sponda -
Laura inarcò un sopracciglio, avvicinandosi al suo armadietto senza fare altre domande. Si sedette sulla panca di legno, attendendo il ritorno del ragazzo: era un po’ spaventata per quella missione e tentò inutilmente di non pensarci.
- La prossima volta voglio la rivincita, Vetra -
Guardò la bionda, che le dava ancora le spalle - D’accordo -
Detto quello, Laura si voltò, guardandola in modo strano - Come mai così pensierosa? -
Scosse la testa - Niente - rispose, puntando poi lo sguardo sulla porta quando J. fece nuovamente il suo egresso, lanciandole l’auricolare. Lo afferrò al volo e se lo sistemò nell’orecchio, alzandosi in piedi - Ci sentiamo dopo J. -
- Vai e colpisci 33 -
Lo ignorò e percorse i corridoio dell’Agenzia: tutti si voltavano al suo passaggio eccetto gli Agenti di secondo livello, ovvero gli Agenti dal numero 20 al numero 29, considerati i migliori e che entravano in azione solo con demoni molto potenti o in momenti di grande pericolo. In poche parole: non facevano un tubo.
Uscì dall’Agenzia e salì sulla Mercedes che le avevano assegnato per la missione, prese un profondo respiro e mise in moto.
-- Pronta per un’altra avventura 33? --
Arricciò le labbra, facendo inversione - Sto saltando di gioia - rispose in tono freddo.
-- Oh, andiamo! Un po’ di animo! --
Si tolse l’auricolare, lanciandolo sul sedile del passeggero, in modo da non sentire altre chiacchiere e concentrarsi.


Impiegò una ventina di minuti per arrivare al luogo che Leferve, tempo prima, aveva indicato come i laboratori. Dall’esterno sembrava un comunissimo edificio, come quelli che lo circondavano, ma gli scuri chiusi ed alcuni vetri rotti facevano intuire che era abbandonato.
Parcheggiò l’auto in parte alla strada e scese, incamminandosi lentamente verso il piccolo vicolo che separava l’edificio dalla casa accanto, osservando a terra in cerca di una grata a livello del terreno.
La trovò dopo aver spostato un bidone dell’immondizia e si inginocchiò a terra, spostando la grata con un semplice gesto, appoggiandola a terra da una parte.
- Io entro J. - annunciò al collega e si infilò nel condotto, iniziando a strisciare al suo interno usando i gomiti per trascinarsi in avanti. Il condotto sarebbe stato di certo impraticabile per un qualsiasi altro Agente di sesso maschile, ma lei era abbastanza piccola da infilasi in quel piccolo spazio senza rimanere poi incastrata.
- J. mi ricevi? -
-- Forte e chiaro, Sheila --
- Smettila cretino! E dimmi quanto manca -
-- Ancora una decina di metri --
Si bloccò in tempo: il condotto di ventilazione scendeva in verticale per diversi metri. Sospirò - J. in che direzione mancano una decina di metri? - domandò, conoscendo già la risposta.
-- Beh 33, sei esattamente nove metri sopra al laboratorio --
- Grazie per avermelo detto in tempo - sussurrò, iniziando a scendere, facendo attenzione a non scivolare o ferirsi con la lastra metallica che costituiva il condotto. Finita la discesa, si trovò davanti ad un bivio. Scelse il condotto di destra, ricordandosi le piantine che aveva guardato, e proseguì, fermandosi alla prima grata che incontrò, intravedendo oltre di essa un piccolo sgabuzzino, completamente al buio. Spostò la grata e uscì dal condotto, studiando lo sgabuzzino dov’era finita, individuando la porta grazie ad un piccolo spiraglio di luce.
Si avvicinò, abbassando piano la maniglia, ma la porta non si aprì. Imprecò sottovoce, facendo scattare la lama destra, insinuando la punta nella serratura nel tentativo di aprirla. Quando sentì uno schiocco secco, abbassò la maniglia e socchiuse la porta, osservando il corridoio: La Rosa sembrava la brutta copia dell’Agenzia.
- J. le telecamere? -
-- A posto, ho mandato delle registrazioni dell’altro giorno --
- Sicuro che non succeda come alla villa Leferve? -
-- Non mi faccio fregare due volte con lo stesso trucchetto --
- Dammi il via libera J. -
-- Non c’è nessuno --
Aprì la porta ed uscì dallo sgabuzzino, percorrendo silenziosamente il corridoio che, oltre a ricordarle l’Agenzia, le ricordava l’ospedale, dove in ogni angolo si poteva sentire l’odore di disinfettante. Proseguì, seguendo le varie indicazioni di J., fino ad arrivare alla porta del laboratorio, ovviamente chiusa con un sistema elettronico: solo chi possedeva un tesserino poteva entrare.
-- Guardia armata in arrivo e indovina un po’? Ha un bel tesserino appeso alla tasca della giacca --
Alzò lo sguardo, osservando le varie luci al neon che penzolavano dal soffitto, poi saltò, issandosi con fatica e nascondendosi sopra di esse. La guardia, un uomo sulla quarantina, dai capelli brizzolati e vestito come le guardie della sicurezza alla villa di Lucas Leferve, impugnava una pistola, la superò senza accorgersi di nulla.
Ritornò con i piedi per terra, raggiungendo silenziosamente l’uomo, girandogli un braccio intorno al collo ed appoggiandogli la mano sulla bocca, impedendogli di gridare e chiamare aiuto, con l’altro braccio invece, dopo avergli strappato la pistola di mano, fece scattare la lama, appoggiandola sul collo della guardia.
- Adesso vieni con me - sussurrò, trascinando indietro l’uomo, fino ad arrivare alla porta del laboratorio - Prendi lentamente il tesserino ed apri la porta -
La guardia obbedì, appoggiando il tesserino sul sistema elettronico appeso al muro accanto alla porta che dopo un sonoro beep, mostrò una spia verde ed immediatamente la porta del laboratorio si aprì con un sibilo. Trascinò l’uomo all’interno e gli diede un forte colpo alla nuca, facendolo svenire ed accasciare al suolo. Ritrasse la lama e richiuse la porta, accendendo la luce.
-- Alice ha raggiunto la tana del Bianconiglio --
- Smettila o finisci come la bella addormentata nel bosco - ribatté, osservando il laboratorio: era piuttosto grande, davanti a lei c’erano una fila di semplici scrivanie, ognuna con due computer e tre monitor. Dalla spia che lampeggiava intuì che i computer erano in standby. Da un altro lato c’era una fila di enormi teche di vetro ed ognuna di esse conteneva un demone artificiale, sommerso in uno strano liquido giallognolo; poi c’erano diverse mensole colme di fascicoli, libri e fogli.  
- Va bene un qualsiasi computer J.? -
-- Più che bene --
Si sedette al computer più vicino, premette il pulsante che lampeggiava, interrompendo così lo stato di standby, poi si bloccò quando il sistema operativo visualizzò il messaggio di inserire la password.
- J. io non conosco la password -
-- Tu inserisci la chiavetta, al resto ci penso io --
Obbedì, inserendo la chiavetta nell’entrata USB, abbandonandosi sulla sedia ed attendendo che J. facesse il suo lavoro.
-- Che sfigato, la password era Rosa --
- Muoviti invece di continuare a dar aria alla bocca - disse, incrociando le braccia ed osservando lo schermo del computer effettuare l’accesso e cominciare a scaricare tutti i documenti.
- Come fai a distruggerli tutti? -
-- Tutti i computer sono connessi ad un server, ho un bel giocattolino che cancellerà tutto --
- Un virus - sussurrò.
-- È di mia invenzione, l’ho chiamato come te! --
- Perché l’hai chiamato come me? -
-- Tra qualche secondo vedrai -- disse il collega -- Sono al 97% --
Ghignò: la missione era quasi conclusa. Era stato facile.
-- Ok guarda lo schermo --
Obbedì. Lo sfondo scomparve ed al suo posto comparve lei, sotto forma di cartone animato, con la katana in pugno e gli occhi rossi come un demone. A mano a mano che il virus avanzava tagliuzzava in mille pezzi dei demoni artificiali, facendo schizzare il sangue ovunque. Finito lo sterminio la sua caricatura si voltò verso di lei, mostrandole il dito medio. 
Inarcò un sopracciglio mentre tutti i computer si spensero - Carino -
-- Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Adesso torna indietro ed esci prima che se ne accorgano --
Si alzò in piedi e dopo aver riaperto la porta con il tesserino, percorse di corsa i corridoi, raggiungendo nuovamente lo sgabuzzino ed infilandosi nel condotto, ripercorrendolo a ritroso.
Raggiunse l’uscita in quasi quindici minuti: aveva trovato difficoltà quando il condotto saliva in verticale. Lanciò un sospiro di sollievo, contenta che nulla fosse andato storto e che nessuno avesse tentato di ucciderla.
Uscì dal vicolo, raggiungendo l’auto con calma, ma si bloccò. Una figura davanti a lei avanzava lentamente: aveva le sembianze umane, ma sapeva che quella cosa non aveva nient’altro di umano. Fece scattare entrambe le lame da polso quando la creatura si bloccò sotto la luce di un lampione.
- Un Alter ego - sussurrò, osservando attentamente quello che, di lì a poco, sarebbe stato il suo avversario.
L’Alter ego assomigliava ad un uomo in tutto e per tutto, a parte il fatto che la creatura non aveva la pelle ed i muscoli erano scoperti e ben visibili.
Scappare sarebbe stato inutile: nessun umano era in grado di battere un Alter ego sulla velocità.
Il demone la attaccò immediatamente, veloce come un fulmine, ma riuscì a spostarsi all’ultimo momento, colpendolo di striscio al fianco. L’Alter ego si allontanò con un balzo sovrumano, mentre la pelle stava cominciando a crescere sui muscoli, assumendo via via delle sembianze completamente umane.
Si guardò la spalla: sotto la tuta lacerata poté intravedere tre graffi; imprecò fra i denti, tornando a guardare l’Alter ego che, grazie al dna che aveva prelevato con quel graffio, stava diventando la sua esatta copia, ricostruendo inoltre la tuta che indossava in quel momento.
Indietreggiò di qualche passo mentre l’Alter ego avanzava piano, sicuro di sé, con un sorriso disegnato sulle labbra.  
- Non voglio combattere contro di te - disse, ritraendo le lame - Non ne ho motivo -
Il demone si bloccò, osservandola, portandosi poi una mano al fianco appena ferito - Mi hai ferita ugualmente - disse poi la sua copia.
- Sei stata tu ad attaccare per prima, io mi sono soltanto difesa -
L’Alter ego sembrò non ascoltarla, benché la stesse guardando senza battere ciglio - Mi hai ferita -
“Ok, è fatta” pensò, preparandosi per il combattimento: l’Alter ego era una creatura orgogliosa e difficilmente l’avrebbe lasciata andare senza combattere.
Fece scattare nuovamente le lame quando il demone partì all’attacco, correndole incontro. Era pronta a schivare e colpire, ma l’Alter ego scomparve in un secondo e capì troppo tardi che era alle sue spalle: sentì la sua mano sulla spalla e le unghie trapassarle la tuta e sprofondare nella carne. Dopo un calcio si ritrovò in ginocchio, ma si liberò quasi subito, dandole una gomitata al fianco ferito. Ritrasse le lame ed afferrò l’Alter ego per il collo, sbattendolo a terra con forza, dandogli dei pugni sul viso. Il demone si liberò, prendendo nuovamente le distanze e pulendosi un rivolo di sangue che scendeva dalla bocca - Ho capito chi sei...come ho fatto a non accorgermene prima? -
Si strinse forte la spalla, stringendo i denti - Adesso che hai capito vattene prima che ti uccida -
L’Angelica davanti a lei, con una mano sul fianco sorrise - Non penso proprio - disse, partendo nuovamente all’attacco, ma purtroppo per l’Alter ego, l’Angelica originale era stata più veloce, afferrandola per il collo dopo aver fatto scattare le lame. Il demone, con la gola trapassata dalla sua lama, la fissò per qualche secondo, poi chiuse gli occhi, mentre dalla bocca uscì un rivolo di sangue. Lasciò la presa ed osservò la creatura crollare a terra con la giugulare recisa ed una pozza di sangue che si allargava sempre di più sull’asfalto.
Le diede le spalle: era piuttosto inquietante vedersi morti a terra. Salì sulla Mercedes, mettendo in moto - Missione compiuta J. - 
-- Ottimo 33, sei ferita? --
- Nulla di grave, solo tre graffi -
-- D’accordo, torna a casa --
- Notte J. - disse, togliendosi poi l’auricolare e gettandolo sul sedile del passeggero.
Lanciò un ultimo sguardo all’Alter ego, che stava riprendendo le normali sembianze, poi partì: non vedeva l’ora di tornare da Matteo.
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Capitolo 44
*** Capitolo 44 - Venerdì, 10 aprile 2009 ***


Venerdì, 10 aprile 2009
Benché fossero le tre di notte, quando aprì la porta d’entrata la luce della cucina si accese immediatamente e Matteo fece subito capolino dalla porta, con addosso una canottiera e i boxer, entrambi neri - Finalmente - disse lui - Non ce la facevo più ad aspettare -
Sorrise, prendendolo per mano - Andiamo a dormire -
- Stai bene? -
Si portò una mano alla spalla - Sì, non è niente -
Il fidanzato la esaminò attentamente con lo sguardo, per poi trascinarla in cucina e farla sedere sulla tavola.
- Che stai facendo? - domandò, confusa.
- Adesso giochiamo al dottore -
Scoppiò a ridere - Noi cosa?! -
- Ah ah, spiritosa - rispose lui, abbassandole la cerniera della tuta quel tanto che bastava per scoprire la spalla destra, coperta di sangue. Fatto questo, Matteo prese disinfettante e cotone, tamponando delicatamente la ferita - È stato un demone a farti questo? -
Annuì, socchiudendo gli occhi per il lieve bruciore provocato dal disinfettante, poi lanciò un sospiro di sollievo quando il ragazzo mise una pomata sulla spalla, massaggiandola dolcemente.   
- Grazie - sussurrò quando, alla fine, mise un cerotto sulla spalla e uno sul braccio.
- Di niente - rispose il moro, dandole un bacio - Questo e altro per la mia bellissima fidanzata che indossa una tutina molto sexy -
Sorrise, gettandogli le braccia al collo - Peccato per le lame -
Il ragazzo si staccò - Lame? -
Con un semplice gesto fece scattare le due lame, ancora insanguinate per lo scontro con l’Alter ego - Lame -
- Queste fanno ancora più sexy -
- Matteo Dall’Angelo! - esclamò, ritraendo le lame.
Lui la prese in braccio, spense la luce in cucina, e la portò in camera da letto, facendola sdraiare sotto di lui. Gli gettò le braccia al collo, giocando con dei ciuffi di capelli castani dietro la nuca, attirandolo verso di sé per posargli un bacio sulle labbra.
Matteo, senza smettere di baciarla, portò una mano alla cerniera della tua, abbassandola del tutto, fino all’ombelico, per poi sfiorarle lievemente la pelle ed accarezzarle i fianchi. Si staccò da lui per riprendere il fiato che quel bacio aveva tolto ad entrambi e gli sfilò la canottiera, gettandola a terra. Il fidanzato la liberò dalla tuta con difficoltà, ma alla fine finì a sua volta sulla parquet, assieme a tutto il resto.
S’infilarono sotto le coperte e Matteo, sistematosi meglio sopra di lei, le prese la mano, stringendola dolcemente - Sicura di non essere troppo stanca? -
Per tutta risposta lo baciò, afferrandogli la spalla con la mano libera per farlo avvicinare ancora di più: ora poteva sentire il suo petto a contatto con quello di lui e i battiti dei loro cuori quasi in sincronia.
- Ti amo - sussurrò.
***
A quelle parole sorrise a sua volta e si sollevò appena per non farle male e per guardarla: i lunghi capelli neri come l’ebano così morbidi, la pelle candida, le ciglia scure che celavano quei stupendi occhi verdi, quegli occhi verdi che si spalancavano ogni volta che facevano l’amore e poi la sua bocca rosea, che gridava il suo nome.
Angelica piegò appena la testa, fissandolo negli occhi e facendolo tornare alla realtà.
- Sei bellissima -
Lei sorrise - Anche tu non sei niente male -
Sorrise a sua volta - Ah sì? -
La mora scoppiò a ridere e rimase a fissarla, incantato: quando rideva era ancora più bella. Si riscosse subito dai suoi pensieri quando Angelica lo attirò verso di sé, baciandolo con passione.


Non appena aprì gli occhi, avvertì immediatamente il corpo caldo e liscio di Angelica accanto al suo. Si girò verso di lei, osservandola, come la notte prima, con il candido lenzuolo tirato su, fino a coprirle il seno. Le diede un bacio sulla spalla, accanto al cerotto che copriva la ferita inferta dal demone la sera prima, poi rimase lì a fissarla, benché nella stanza ci fosse quasi completamente buio, studiando ogni dettaglio ed accarezzando con lo sguardo le morbide labbra schiuse.
Si riscosse e, senza svegliare la fidanzata, cercò il cellulare, abbandonato a terra per vedere l’ora. Sospirò: era veramente tardi.
Poco dopo, dei movimenti leggeri gli segnalarono che Angelica si stava per svegliare. La ragazza, dopo essersi voltata verso di lui socchiuse gli occhi, facendogli un sorriso assonnato.
- Buongiorno -
La mora si avvicinò, appoggiando la testa sulla sua spalla - Buongiorno a te. Come mai sei già sveglio? -
Alzò le spalle, accarezzandole il braccio.
- Capisco - sussurrò lei, stiracchiandosi le braccia emettendo mugolii simili alle fusa di un gatto - Dobbiamo andare...scuola -
Sorrise - Non ce n’è bisogno -
Angelica lo guardò con un sopracciglio alzato - Perché? -
- È tardi -
La mora si mise di scatto a sedere, tenendosi il lenzuolo stretto al petto - Oh merda! -
- Non ti preoccupare -
- Non ti preoccupare? NON TI PREOCCUPARE!? Matteo, che ore sono? -
- È tardi - ripeté.
- Quanto tardi? - domandò lei, nella speranza di essere ancora in tempo.
- Molto tardi - rispose, facendola sdraiare di nuovo - È mezzogiorno e mezzo -
La fidanzata sospirò, passandosi una mano nei capelli - Beh, non importa - disse lei - Hai fame? -
- Un po’ - rispose - Ma prima preferirei fare una doccia -
Angelica alzò in piedi, stringendo sempre tra le mani il lenzuolo a coprire il suo corpo nudo, prese la sua maglietta e la infilò - Beh, se vuoi andare io preparo qualcosa da mangiare -
- Tu? -
- Perché? - domandò lei, mettendosi le mani sui fianchi e fingendo un’espressione offesa - Qualche problema? -
Scosse la testa: da quando i genitori della ragazza erano partiti, strano ma vero, Angelica aveva preso più confidenza con la cucina - Assolutamente no, mia piccola cuoca -
La mora sorrise, avvicinandosi alla finestra per alzare la tapparella, facendo entrare nella stanza una luce accecante. Si portò una mano davanti agli occhi, voltando la testa dall’altra parte - Oh Dio, chiudi -
- Chi è la piccola cuoca? -
- Beh tesoro, da quando hai imparato hai messo su un po’ di pancetta...- sussurrò appena, lanciandole un’occhiata, nascondendosi subito sotto le coperte quando Angelica saltò sul letto.
- Chi ha la pancetta?! - esclamò lei, infilandosi sotto le coperte, torturandolo con il solletico.
- Ah ah, oddio! Pietà! Pietà! - urlò tra le risate.
- MATTEO DALL’ANGELO!! Chi ha la pancetta?!?! -
- Nessuno!! Nessuno!! Amore, stavo scherzando!! -
***
Lo liberò e si alzò in piedi, rimanendo accanto al letto - Vai a fare la doccia che poi la faccio anch’io -
- Perché non la facciamo insieme? -
Gli lanciò un sorriso - Perché non finiremo mai -
- E quindi? -
Lanciò un sospiro, lasciandolo solo nella stanza - Vai a fare la doccia -
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Attenta ai fornelli, non si accorse della persona che arrivò di soppiatto e in punta di piedi alle sue spalle, portandole entrambe le mani alla pancia ed appoggiando il mento sulla sua spalla, baciandole subito la guancia.
- Amore, neghi l’evidenza - le sussurrò Matteo all’orecchio.
Sospirò - Ok, d’accordo. Ho un po’ di pancia e allora? - domandò, assaggiando uno spaghetto per verificare la cottura e spense il fuoco.
Il ragazzo l’aiuto, scolando gli spaghetti - Niente - rispose lui - Come mai ne hai fatti così pochi? -
Scaldò il sugo al pomodoro in un pentolino - Non ho molta fame, anzi...per niente - rispose, versando il sugo sugli spaghetti, già nel piatto, che portò sotto il naso di Matteo, già seduto a tavola, che iniziò subito a mangiare, affamato.
- Vado a fare la doccia - disse uscendo dalla cucina: l’odore del pomodoro le stava facendo venire la nausea - Lascia tutto lì, i piatti li lavo dopo -
Raggiunto il bagno si tolse la canottiera del fidanzato ed entrò nella doccia, girando subito la maniglia ed aprendo il getto dell’acqua calda. Lanciò un respiro di sollievo sentendo le gocce scivolarle lungo la schiena, poi si tolse i vari cerotti, ormai del tutto staccati per via dell’acqua, scoprendo le ferite dello scontro con l’Alter ego.
Quando la testa prese a girarle, dovette appoggiare la schiena contro la parete della doccia, scivolando piano fino a sedersi a terra, portandosi le mani nei capelli e respirando profondamente. Tutto si calmò dopo qualche minuto e si rialzò piano, finendo la doccia il più in fretta possibile. Erano quasi due settimane che andava avanti così.
Quando uscì dal bagno con un asciugamano stretto intorno al corpo tornò nella sua stanza a piccoli passi, sedendosi sul letto ed asciugandosi i capelli a casaccio in un paio di minuti.
- Angelica, va tutto bene? -
Alzò lo sguardo, osservando Matteo, davanti a lei, preoccupato. Sorrise - Sì, non preoccuparti -
Il fidanzato le si sedette subito accanto, portandole una mano alla fronte - Non hai la febbre -
- Non ho detto di averla -
- Allora cosa senti? -
Sospirò, alzandosi in piedi e vestendosi sotto gli occhi del ragazzo - Niente Matteo, stai tranquillo -
- Angelica hai la faccia distrutta, come faccio a stare tranquillo? -
- Sono solo stanca - si giustificò, sedendosi sul letto dopo aver infilato il suo orribile pigiama rosa ed infilandosi poi sotto le coperte.
- Vuoi qualcosa da bere? Un tè, acqua, camomilla? -
- No, grazie - rispose - Sono solo stanca - ripeté.
- Da quanto tempo ti senti stanca? -
- Un po’ -
- Non pensi sia il caso di farsi controllare dal medico? Magari hai ancora un po’ di influenza -
- Se domani mattina sto ancora male vado dal dottore, promesso - disse, coprendosi il viso con le coperte - Puoi abbassare la tapparella? - domandò e subito dopo nella stanza calò l’oscurità - Grazie -
- Cerca di riposare, ok? -
Si rigirò nelle coperte, mugugnando e chiudendo gli occhi - Sì -


Quando si svegliò cercò subito Matteo, sperando che fosse al suo fianco, ma non c’era. Lo chiamò più volte, sperando almeno che fosse in casa, ma nessuno rispose.
Si mise a sedere, passandosi una mano nei capelli, notando immediatamente un foglietto bianco appeso all’armadio con un pezzo di nastro adesivo. Si alzò e lo lesse a mente.

Angelica,
Mi dispiace ma sono dovuto uscire per portare Sonia in piscina.
Torno il prima possibile.
Matteo

Ps. In frigorifero c’è una sorpresa, una buona sorpresa.


Sorrise tra sé e sé, grattandosi la testa - Sorpresa? - si domandò ad alta voce, cambiandosi in fretta ed indossando un paio di jeans e una maglietta nera a maniche lunghe.
Uscì dalla sua camera e scese le scale, fiondandosi in cucina, curiosa come non mai, mettendosi davanti al frigorifero. Quando lo aprì sorrise ancora di più nel vedere un vassoio colmo di pasticcini al cioccolato, crema pasticcera e quelli alla frutta che le piacevano da morire. Ne prese uno alla crema, mandandolo giù dopo due morsi, gustandosi il dolce sapore che le metteva voglia di mangiarne ancora e ancora.   
- Dici che ho la pancia e poi mi porti questi? - domandò al nulla - Così mi tieni per la gola, signor Dall’Angelo -
Ne mangiò un altro paio, poi dovette staccarsi dal frigorifero, altrimenti non ci avrebbe messo molto a finirli e non sarebbe stato carino da parte sua lasciarne un paio al fidanzato.
Si fermò e si guardò intorno, prendendo un respiro profondo: Matteo sarebbe tornato tra un’ora e la cucina era un vero disastro. Si tirò su le maniche della maglia fino al gomito e si mise all’opera.
In una buona mezz’ora pulì i piatti e le pentole sporche lasciate nel lavello, sistemò la sua stanza, riordinando i suoi vestiti e quelli di Matteo, buttando quelli sporchi in lavatrice e, ancora una volta, il fantasma della signora dall’accento spagnolo, l’ammonì per aver usato troppo ammorbidente. Avrebbe dovuto ascoltarla d’ora in avanti, visto che, giorni prima, aveva fatto diventare rosa una maglietta bianca di Matteo.
Quando sentì la porta d’entrata aprirsi e richiudersi con un tonfo, non poté fare a meno di sussultare, riscossa improvvisamente dai suoi pensieri. Voltò lo sguardo verso il corridoio, chiudendo le ante dell’armadio nella sua stanza, dopo aver sistemato i vestiti appena stirati - Matteo? Sei tu? -
- Sì, sono tornato -
Prese il cellulare dalla tasca e guardò l’ora: 18.41 - Hai fatto un po’ tardi -
- Lo so, scusami. Sonia voleva andare a prendere un gelato -
Si guardò intorno: la camera era a posto e le restava solamente il letto. Pochi secondi ed anche il letto fu a posto, poi uscì dalla sua stanza, scendendo le scale - Sei stato molto carino a comprare i dolci, non me lo sarei mai aspettata - disse, entrando in cucina, ma lui non c’era. Piegò appena la testa di lato - Matteo? -
- Mi dispiace ma il tuo ragazzo non può sentirti -
Sgranò gli occhi, sussultando nel sentire la canna di una pistola premere sulla sua schiena. Non ebbe il tempo di reagire in nessuna maniera, dato che cadde in ginocchio quando l’intruso le diede un colpo alla nuca.
Si sedette a terra, indietreggiando sui talloni e guardò l’uomo che l’aveva appena colpita. Ricordò di averlo visto diverse volte in Agenzia: era giovane, probabilmente sui trent’anni, capelli ed occhi scuri, vestito in giacca e cravatta, come tutti gli Agenti. Non si fermò ad osservarlo molto, dato che il suo sguardo cadde su una seconda figura, a terra, oltre la porta del salotto, con un rivolo di sangue che dalla testa, scendeva fino all’orecchio.
- Matteo...-
- Non preoccuparti per lui, 33. Dovresti preoccuparti di te stessa -
Si alzò in piedi, furiosa - Bastardo -
- Ultime parole? -
- Fottiti, brutto pezzo di merda -
L’Agente sparò un colpo, ma si spostò immediatamente, nascondendosi dietro al tavolo. Un altro colpo le passò vicino alla testa quando tentò di raggiungere uno dei cassetti, ma ritornò subito al sicuro dopo aver afferrato due coltelli, tagliandosi persino il palmo della mano.
“L’ha mandato la spia, ne sono certa” pensò, scattando all’improvviso e nascondendosi dietro al divano, evitando un’altra pallottola per un soffio “Non devo ucciderlo”
Quando sentì l’Agente estrarre il caricatore vuoto, uscì allo scoperto, lanciando uno dei tre coltelli che aveva preso, ma dovette riabbassarsi subito: l’uomo aveva finto di estrarre il caricatore ed aveva sparato non appena era uscita allo scoperto, colpendola di striscio alla spalla.
Stringendosi la ferita, sorrise, sentendo l’uomo lanciare un urlo di dolore. Uscì allo scoperto quando sentì la pistola cadere a terra, già pronta a lanciare i coltelli rimasti, ma si bloccò alla vista di Laura Mancini, che teneva premuta la sua pistola sulla testa dell’uomo, costretto ormai alla resa, tenendosi la mano ferita, trapassata da parte a parte dal coltello che aveva lanciato.
- Mancini -
La bionda le lanciò un’occhiata - Stai bene? -
Si strinse la spalla e le si avvicinò - Sì, grazie -
La ragazza dopo un lieve sorriso, fece crollare l’uomo a terra con un forte colpo alla nuca - Non volevi ucciderlo, vero? - domandò lei, osservando il coltello piantato nel palmo della mano dell’Agente.
- No - rispose - Lo porto in Agenzia per fare quattro chiacchiere tra colleghi -
Laura annuì - La spia sta portando degli Agenti dalla sua parte, non si mette bene -
- Lo so -
La ragazza fece cenno verso l’uomo - Legalo, io penso a Dall’Angelo -
- Matteo -
- È lo stesso -
Scosse la testa e cercò una corda o qualsiasi cosa per legare l’Agente, rovistando in tutti i cassetti della cucina. Su una mensola trovò un grosso rotolo di nastro adesivo, tornò dall’Agente, riverso a terra, e gli legò le mani e, già che c’era, gliene attaccò un pezzo sulla bocca.
Si voltò verso Laura e non poté fare a meno di sentire una fitta di gelosia nel vederla accarezzare dolcemente la fronte di Matteo, sussurrandogli qualcosa.
“Non fidarti di lei” si sentì dire e la testa prese a girarle, accompagnata da un’improvvisa nausea. Si sedette a terra, guardandosi la mano, sporca di sangue.
- Vetra? Ti senti bene? -
Si alzò di scatto e corse in bagno, inginocchiandosi a terra, vomitando subito dopo.
***
Socchiuse gli occhi, vedendo una figura scura su di lui che le teneva una mano sulla fronte, accarezzandola.
Le prese la mano e la strinse - Angelica...-
- Calmati Matteo, hai preso una bella botta -
Riconobbe immediatamente che la voce non era della fidanzata - L...Laura? -
- Per fortuna non ti sei rincoglionito -
Non appena riuscì a vedere distintamente ogni figura, si portò una mano alla fronte, osservandosi poi il palmo sporco di sangue.
Era entrato in casa e un tizio gli era praticamente apparso davanti, colpendolo con qualcosa. Smise immediatamente di pensare a quello che era successo e iniziò a guardarsi intorno, preoccupato - Dov’è Angelica? -
- È corsa in bagno credo - rispose lei - Non aveva una bella faccia -
Si agitò ancora di più, tentando di levarsi di torno Laura ed andare dalla fidanzata, ma la bionda gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi. Notò una scintilla scarlatta nei suoi occhi ma non ci fece molto caso, sembrava che gli occhi d’argento della ragazza lo stessero ipnotizzando.
- Presto verrai da me, Matteo Dall’Angelo -
Non mosse un muscolo quando Laura appoggiò le labbra sulle sue, senza smettere di fissarlo, poi, quando si staccò, gli soffiò nell’orecchio - Dimentica tutto, d’accordo? -
Annuì, poi perse i sensi.
***
Scese lentamente le scale, reggendosi alla balaustra e tenendosi una mano nei capelli. Lanciò un’occhiata a Matteo, ancora a terra privo di sensi, e a Laura, inginocchiata accanto al ragazzo, che alzò lo sguardo non appena la vide avvicinarsi.
La raggiunse e si inginocchiò accanto al fidanzato, accarezzandogli dolcemente i capelli - Matteo...ti prego -
- Sta bene - s’intromise la bionda - Prima ha socchiuso gli occhi -
- Non me ne vado finché non sarò sicura che stia bene - ribatté fredda, facendo poi un cenno all’Agente ancora steso a terra - Quello non va da nessuna parte -
Matteo strinse gli occhi, segno che stava riprendendo conoscenza, e gli alzò appena la testa, senza smettere di accarezzargli i capelli. Il ragazzo sussurrò il suo nome, spezzato da un lieve gemito e lo chiamò a sua volta, nel tentativo di svegliarlo completamente. Quando lui riaprì gli occhi, sorrise benché avesse le lacrime agli occhi.
- Angelica -
- Come ti senti? - domandò preoccupata.
- La testa fa male - rispose Matteo, afferrandole la mano e stringendola appena - Tu stai bene? Ricordo che un tipo mi è sbucato davanti all’improvviso e non... -
Lanciò un’occhiata alla spalla, ancora sanguinante ed annuì - È solo un graffio -
Il moro, dopo aver lasciato la sua mano, si mise seduto - Grazie a Dio -
- Non dovresti preoccuparti per lei, Dall’Angelo, ormai la conosci - disse Laura, dirigendosi in cucina e ritornando poco dopo con del cotone, la bottiglia di disinfettante e un piccolo cerotto, dando inoltre un calcio nello stomaco all’Agente a terra che, evidentemente, si stava riprendendo. Non appena la bionda le passò tutto in necessario, tolse il sangue dal viso del fidanzato, mettendogli poi il cerotto sul piccolo taglio.
- Devo andare in Agenzia, mi prometti che farai il bravo? - domandò, dandogli un bacio sulla fronte.
- D’accordo, farò il bravo -
Gli diede un altro bacio e gli spettinò i capelli castani - Bravo -
Non appena fece stendere Matteo sul divano in salotto, lei e Laura afferrarono l’Agente per le braccia e lo trascinarono fuori, gettandolo con noncuranza sui sedili posteriori dell’auto della bionda, poi si sedette sul sedile del passeggero e Laura al posto di guida.
- Ti senti meglio adesso? - domandò la ragazza, partendo a tutta velocità.
Annuì - Sì, molto -
- È quello che penso io? -
- Temo di sì -
- E Matteo lo sa? -
- No, non ne sono sicura nemmeno io - rispose.
- Capisco -


Arrivate all’Agenzia presero nuovamente l’uomo per le braccia, trascinandolo per i corridoi, dove diversi Agenti, ammassandosi contro le pareti, le guardavano, bisbigliando. Arrivate in fondo ad un corridoio, scesero le scale a chiocciola, per raggiungere le stanze anti-demone. Lo scaraventarono dentro l’unica stanza che aveva due sedie e lo fecero sedere su una di esse, mentre lei si sedette sull’altra.
Laura uscì dalla stanza, ritornando con un rotolo di nastro adesivo, legando le mani dell’Agente ai braccioli della sedia e persino le gambe.
Con un gesto brusco, la bionda tolse il nastro adesivo dalla bocca dell’uomo, svegliandolo del tutto con un paio di sberle. L’Agente, dopo aver scosso la testa per riprendersi, la fissò negli occhi.
- Sai già cosa voglio sapere, quindi parla - disse.
L’uomo scoppiò a ridere - Va a farti fottere, puttana -
Laura si tirò su la manica della maglia e gli tirò un poderoso pugno sul naso. L’uomo gettò indietro la testa, mentre dal naso uscì un rivolo di sangue: la ragazza ci era andata leggera.
- Te ne darà ancora se non ci dici quello che sai - disse seria, passandosi una mano nei capelli - Se hai paura che questa persona ti possa fare del male, noi potremmo...-
- Non voglio il tuo aiuto, scherzo della natura -
Rise piano, facendo un piccolo gesto alla compagna - Laura, procedi pure. Mettici un po’ più di forza stavolta - disse, mentre la bionda diede un paio di pugni nello stomaco all’uomo, che si piegò in avanti, tentando di riprendere fiato.
- Non so chi sia, mi ha solo detto dov’eri -
Rise, in tono freddo - Laura…-
La bionda diede un altro pugno all’uomo, afferrandolo poi per i capelli e tenendogli la testa all’indietro - Descrivilo -
- Laura, sii più gentile - l’ammonì, alzandosi in piedi e raggiungendola, dando un pugno nello stomaco all’uomo - Si chiede per favore -
- Giusto - disse Laura, dandogli un altro pugno - Per favore -
- Non l’ho visto in faccia -
Prese un profondo respiro: aveva perso la pazienza - Fatti da parte Laura, mi sono stancata -
- Lo giuro! -
- Non giurare il falso - disse tirandogli un altro pugno - L’hai visto entrando qui? -
Il moro distolse lo sguardo, poi la guardò di nuovo - No -
- Bugiardo - sibilò la bionda, tirandogli ancor di più la testa all’indietro - Chi era? -
L’uomo sorrise, senza distogliere gli occhi da lei - Sei finita, 33. Lui ti vuole morta e presto lo sarai -
“Ora basta” pensò - Laura spostati - disse, prendendo la sedia, dov’era rimasta seduta fino a poco prima, impugnandola come se fosse una mazza da baseball ed avvicinandosi di nuovo verso l’uomo legato, che sorrideva.
- Sei troppo buona per fare del male ad un umano - disse lui - Tu sei…-
Non lo lasciò finire: lo colpì con forza con la sedia, facendogli perdere i sensi. Gettò la sedia a terra, sporca di sangue, e si sistemò la maglietta, voltandosi poi verso la bionda, che la guardava con un sopracciglio alzato - Che c’è? - domandò.
- Non ti facevo così violenta -
- Andiamo - disse, ed uscirono dalla porta, chiudendola a chiave. Uscirono poi dall’Agenzia e tornarono in macchina.
- Sei sicura che parlerà? -
- Non lo so, come noi è stato addestrato a non parlare di cose...private - disse - Ma non è questo che mi preoccupa -
- La spia sta raccogliendo seguaci -
- Già - sussurrò, osservando fuori dal finestrino.
- Potrebbe essere la Direttrice -
- Non credo -
- Pensaci Vetra, ha il controllo su tutto e sapeva di tutte le missioni che facevi -
- E perché vorrebbe uccidermi? -
- Forse ha paura di te, ha paura che prenderai il suo posto -
“Laura potrebbe avere ragione” pensò, scacciando subito quel pensiero, ricordando di quanto le era affezionata la Direttrice per via della sua somiglianza con la figlia morta. La spia non era la Direttrice, ne era sicura - Magari sei tu la spia -
- Se io fossi la spia, Vetra, in questo momento prenderei il pugnale sotto il sedile e ti taglierei la gola di persona - rispose Laura - Purtroppo non voglio sporcare la macchina -
- E poi non ti sentiresti in colpa ad uccidere una che forse è incinta? -
- Beh, all’inizio sì, ma poi penserei di aver fatto la cosa giusta, altrimenti avrei avuto un piccolo clone della mia nemica mortale -
Scoppiò a ridere - Piccolo clone? -
- Una marmocchia dai capelli neri e gli occhi blu, che magari vede i fantasmi -
Smise improvvisamente di ridere, pensando a quel problema: non voleva trasmettere la sua maledizione a suo figlio. Non se lo sarebbe mai perdonato.
- Vetra, ti senti bene? -
Annuì, riscuotendosi dai suoi pensieri e scendendo dall’auto della bionda, ferma davanti a casa sua - Grazie Laura e...vorrei chiederti un favore -
- So già cosa vuoi chiedermi, e non dirò niente a nessuno, lo giuro -
Le fece cenno di ringraziamento e ritornò in casa, andando immediatamente a salutare Matteo, ancora sul divano, che guardava un documentario sui cobra.
- Amore, come stai? - domandò, accarezzandogli la fronte.
- Molto meglio adesso -
- Hai fame? Vuoi che prepari qualcosa? -
- Resta qui vicino a me - rispose lui con un sorriso.
- Ma io ho fame - si giustificò.
- Ordiniamo una pizza? -
- D’accordo, ma ci pensi tu -
Il fidanzato si alzò in piedi ed uscì dal salotto.
Si sedette meglio sul divano, portandosi le mani al ventre: aveva paura, tanta paura per quello che sarebbe successo se fosse incinta. Si domandò se Matteo l’avrebbe voluta ancora, se si fosse preso la responsabilità di crescere il bambino con lei.
Quando Matteo rientrò nel salotto, tolse immediatamente le mani dal ventre, sorridendogli.
- Arrivano in un lampo -
Annuì - Bene, ho una fame. Per me hai preso un’Angelica? -
- Mi sembra ovvio - rispose lui, sedendosi al suo fianco - Anch’io vorrei un’Angelica in questo momento -
Sorrise - Ah sì? -
Matteo annuì, appoggiando le labbra sulle sue, facendola sdraiare.
Ritornò a sedere dopo un po’ e prese un respiro profondo - Matteo, ti devo parlare -
Lui si sedette a sua volta - Dimmi pure -
Sospirò - Io...ecco...c’è una cosa di cui...vorrei parlarti -
- È qualcosa di grave? -
- Sì...no...beh, dipende...-
- Dipende? -
- Questione di punti di vista -
- Punti di vista - ripeté il ragazzo - D’accordo, spara -
- Beh, ecco...vedi...sai che sono un paio di giorni che...penso - iniziò, fissando un punto davanti a sé - Insomma, Matteo...è quasi un mese che non...-
S’interruppe immediatamente al suono del campanello, e imprecò a mente, mentre Matteo andava a ritirare le pizze appena consegnate dal fattorino, riportandole subito in salotto - Beh, dicevi? -
Aveva perso il coraggio di dire tutto - Dovremmo cominciare a preparare la tesina per gli esami -
- Oh, giusto. Ci stavo pensando anch’io -
Addentò uno spicchio di pizza “Proverò a dirglielo domani” pensò.
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Capitolo 45
*** Capitolo 45 - Lunedì, 13 aprile 2009 ***


Lunedì, 13 aprile 2009
Ancor prima che la sveglia suonasse la disattivò dato che, ormai, era completamente inutile, visto che era rimasta sveglia per la maggior parte del tempo. Matteo si mosse sotto le lenzuola e voltò il viso per guardarlo: aveva la bocca aperta e russava piano, con i capelli castani spettinati ed infagottato come un salame, rubandole anche la sua parte di coperte. Sospirò e si mise a sedere sul bordo del letto, passandosi una mano sulla fronte, maledicendosi per non riuscire a trovare il coraggio di parlare al ragazzo.
Si alzò in piedi ed uscì dalla stanza, scendendo piano le scale e raggiungendo la cucina, completamente in ordine, sedendosi sul divano.
- Perché ho così paura di dirglielo? - si domandò, lanciando un’occhiata all’orologio, che segnava le sei e mezza.
Rimase lì seduta, ascoltando uno strano grattare alla porta e, quando non riuscì più a resistere alla sua curiosità di scoprire la fonte del rumore, si alzò in piedi, andando ad aprire la porta all’ingresso, spostandosi immediatamente quando, con un miagolio, una palla di pelo nera le passò tra le gambe, entrando in casa. Chiuse la porta ed accese la luce, mettendosi le mani sui fianchi osservando Artemide seduta sul primo gradino della scalinata, che muoveva la coda di qua e di là, guardandola a sua volta con la testa piegata.
- Sei venuta a cercare Matteo, vero? -
Artemide non si mosse, si limitò solamente a guardarsi intorno, studiando l’ingresso.
- È di sopra - disse - Vai a svegliarlo -
La gattina miagolò e si fiondò su per le scale, inciampando diverse volte, ma poi scomparve oltre il corridoio. La seguì, giungendo in camera, trovando Artemide seduta sulla pancia di Matteo, che gli piantava appena le unghie, facendo le fusa. Si appoggiò alla porta, osservando la scena.
Il ragazzo, dopo aver sbadigliato e chiamato Angelica la gattina, socchiuse gli occhi, mettendosi di scatto a sedere, spaventando Artemide, che scese dal letto, soffiando.
- Come hai fatto a trovarmi brutta palla di pelo? - domandò lui.
La palla di pelo miagolò, avvicinandosi a lei per sfregarsi contro le sue gambe. La prese in braccio e le accarezzò la testa - Non dovresti parlarle così -
- Ma è una brutta palla di pelo -
Artemide miagolò ancora, offesa.
- Sentiva la tua mancanza - sussurrò, sedendosi sul letto ed appoggiando la micia sul materasso - Quando mi ha sentita scendere le scale ha cominciato a graffiare la porta per farsi aprire -
- Che ore sono? -
- È ancora presto, ma io devo riportare la Mercedes in Agenzia e recuperare la mia - disse, alzandosi in piedi ed aprendo l’armadio, afferrando un paio di jeans e una maglietta a maniche corte.
Matteo sbadigliò, sdraiandosi di nuovo - Quindi arrivi in ritardo -
- Non necessariamente - rispose, togliendosi il pigiama e vestendosi in fretta - Vado e torno -
- Arriverai in ritardo -
- Se non ci sono problemi no -
- Non possiamo andare insieme? -
Si voltò verso il moro e sorrise - Non è permesso rivelare la posizione dell’Agenzia a qualsiasi persona che non sia un’Agente. Salvo casi particolari -
- Oh andiamo -
- Mi dispiace - rispose, sedendosi accanto a lui, accarezzandogli la fronte - Non posso proprio -
- Quindi ci vediamo a scuola? -
- D’accordo - rispose ancora, prendendo le chiavi della macchina.
- Ti aspetto in biblioteca -
- D’accordo - ripeté, uscendo dalla stanza e scendendo le scale.


Parcheggiò la Mercedes davanti alla vecchia casa che nascondeva l’entrata dell’Agenzia e scese, varcando la porta sgangherata e marcia, per poi oltrepassare la porta blindata, che si aprì con un sibilo dopo aver riconosciuto la parola d’ordine. Scese le scale, arrivando alla seconda porta, ed alzò lo sguardo verso la telecamera, facendo poi ciondolare le chiavi dell’auto in prestito davanti all’obbiettivo - Ti ho riportato la Mercedes -
La seconda porta si aprì ed entrò, percorrendo velocemente il corridoio per raggiungere l’ufficio di J., non molto lontano dall’entrata.
- Angelica! -
Si voltò di scatto, osservando Beatrice che le correva incontro, con addosso il suo solito camice bianco, macchiato di sangue. Sospirò: era successo qualcosa. Era decisamente successo qualcosa.
- Angelica...è successo un casino - iniziò la bionda dopo averla raggiunta, mentre la porta dell’ufficio di J. si apriva, lasciando uscire il ragazzo dai capelli rossi. Gli diede le chiavi e lo spinse di nuovo nel suo “paese delle meraviglie”, tornando poi a guardare la ragazza.
- È successo questa notte non...non ha sentito nessuno -
- Cos’è successo, Beatrice? - domandò, tentando di calmarla.
- Gli hanno sparato. Qualcuno lo ha ucciso -
- Chi hanno ucciso? -
- L’Agente che ti aveva aggredita -
Il pavimento sembrò mancarle da sotto i piedi per qualche secondo - Portami da lui -
Beatrice le fece strada fino all’infermeria, dove un corpo, coperto da un telo bianco, giaceva su un lettino. Si avvicinò e scostò il telo, guardando la faccia pallida dell’uomo, che lei e Laura avevano portato lì venerdì sera, con un foro di proiettile in mezzo alla fronte. La nausea le salì alla gola e ricoprì il cadavere, allontanandosi dal lettino ed appoggiando la schiena contro il muro, lasciandosi scivolare a terra, portandosi le mani nei capelli.
- Maledizione - sussurrò - Maledizione, maledizione -
Beatrice s’inginocchiò al suo fianco, appoggiandole una mano sulla spalla - Angelica, per favore, cerca di calmarti -
- Come faccio a calmarmi?! - urlò, scattando in piedi - Come diavolo faccio a calmarmi pensando che ci mancava così poco per scoprire chi è quella cazzo di spia! -
La bionda si alzò in piedi a sua volta - Ti prego, non ti fa bene agitarti così nelle...tue condizioni -
Respirò profondamente, guardando la collega - Nelle mie condizioni? - domandò confusa - Come fai a...-
- Lo sento - rispose la bionda - Sono una mezzo demone, ricordi? -
- Non pensavo che foste in grado di percepire una...-
- Donna incinta? Beh, alcuni ci riescono -
Annuì, soprappensiero - Quindi sono veramente incinta -
- Perché? Non lo sapevi? -
- Non ho ancora fatto il test - ammise - Volevo parlarne prima con Matteo -
La ragazza fece un sorriso smagliante, abbracciandola - Congratulazioni -
- Grazie - rispose fredda, ricambiando l’abbraccio.
- E adesso cosa farai? -
- Non lo so - ammise - Non lo so -
- Senti, dovresti informare la Direttrice, così non ti daranno missioni pericolose -
- Potresti farlo tu? - domandò - Devo andare a scuola o farò tardi -
- Ok, certo - disse lei, facendola uscire dall’infermeria - Buona scuola, mamma -
Scosse la testa con un sorriso - Ciao Beatrice - la salutò, percorrendo a grandi passi i corridoi immacolati, ripensando all’Agente morto.
“Evidentemente la spia lo ha ucciso per non farlo parlare” pensò, tenendo di rimanere calma.
Uscì dall’Agenzia e salì sulla sua auto, mettendo in moto e partendo a tutta velocità.
***
Entrò nella biblioteca della scuola, completamente vuota, e si sedette ad un tavolo, guardando fuori dalla finestra, sperando che Angelica arrivasse in fretta. Erano un paio di giorni che si comportava in modo un po’ strano. Da venerdì sera, dopo essere tornata dall’Agenzia, doveva parlargli di una cosa, ma poi la ragazza aveva lasciato perdere.
La porta si aprì, riscuotendolo dai suoi pensieri, e voltò subito lo sguardo verso Laura Mancini.
- E tu che ci fai qui? -
- Sto aspettando Angelica - rispose, senza lasciare i suoi occhi d’argento, che sembravano volessero ipnotizzarlo. Non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bella.
- Posso farti compagnia? - domandò lei, ancora sulla porta.
- Certo -
La ragazza, dopo avergli sorriso, si avvicinò a lui, sedendosi sulla sedia più vicina - Come mai non è venuta con te? - domandò lei, riferendosi ad Angelica.
- È andata all’Agenzia per riportare la macchina -
- Capisco - sussurrò la bionda - Tu stai bene? -
- Sì, perché? -
Laura alzò le spalle - Mi stavo semplicemente informando sul tuo stato di salute -
- Ah, e tu? Come stai? -
- Bene - rispose lei, guardandolo intensamente negli occhi. Una scintilla scarlatta guizzò negli occhi della binda, che si sporse verso di lui, accarezzandogli la guancia - Vieni da me Matteo, non pensare ad Angelica -
***
Dopo aver pronunciato quelle parole il ragazzo annuì, completamente in suo possesso. Si alzò e si mise a cavalcioni sopra di lui, avvicinando il viso al suo e baciandolo con passione. Il moro le portò le mani ai fianchi, ricambiando il bacio.
La porta si aprì in quel preciso istante e sorrise sotto i baffi, senza smettere di baciare il ragazzo.
Matteo però, si fermò, sentendo la voce della ragazza ferma sulla porta, che aveva sussurrato appena il suo nome, e si voltò verso di lei - Angelica -
***
Fece un passo indietro, non credendo ai suoi occhi, scosse la testa, abbassando lo sguardo, e corse via. Salì le scale il più in fretta che poté, sentendo il fidanzato seguirla e chiamarla.
- Non avvicinarti - sibilò, fulminando con lo sguardo quando arrivò in cima alle scale - Non osare avvicinarti -
- Ti prego Angelica, non so cosa mi sia preso. Se solo mi lasciassi spiegare -
- Non c’è niente da spiegare - disse con le lacrime agli occhi, rifugiandosi in bagno e chiudendo la porta a chiave.
Matteo batté i pugni sulla porta ed abbassò la maniglia diverse volte, forse nella speranza di rompere la serratura - Non è come pensi -
- Ah no? - domandò, infuriata come non mai - Non eri tu quello che baciava Laura quando sono entrata in biblioteca? -
- Angelica per favore...-
- RISPONDIMI! - urlò contro la porta.
- Ero io ma...Laura ha qualcosa di strano -
- SMETTILA DI DIRE STRONZATE!! -
- Mi vuoi ascoltare?! -
S’infuriò ancora di più, aprì la porta di scatto - NO! VATTENE!! Non voglio più vederti!! Non rivolgermi mai più la parola! Mai più! -
Dopo avergli urlato dietro gli diede un forte schiaffo sul viso. Matteo indietreggiò, appoggiandosi una mano sulla guancia, già rossa.
- Vattene - sussurrò, lasciando libere le lacrime, che rotolarono lungo le guance, seguendo la linea del mento e cadendo poi a terra - Pensavo che fossi diverso, evidentemente mi sbagliavo. Sei come Luca anzi, sei persino peggio -
La campanella suonò e lo superò in fretta, andando in classe, trovando già Elisabeth, Sergio e Vittoria, che alzarono lo sguardo, guardandola preoccupati. Si sedette al posto di Elisabeth, e l’amica le si sedette accanto, accarezzandole il braccio - Ehi? Che succede? -
Scosse la testa, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano - Niente -
- Angelica, non mentire -
Scosse la testa - Ti prego Elisabeth, non insistere -
Non voltò lo sguardo quando Matteo entrò in classe, sedendosi al suo posto accanto alla rossa, che si alzò in piedi, pronta a cederle il posto per farla sedere accanto al ragazzo. L’afferrò per un braccio e la fece riaccomodare bruscamente - Resta lì -
L’amica la guardò confusa - Ma Angelica -
- Resta lì -
- Angelica, mi vuoi ascoltare? -
Non si degnò nemmeno di rispondergli. Prese libro e block notes, pronta per la lezione. Elisabeth prese immediatamente un foglio bianco dal blocco, scarabocchiando una frase sopra.

Mi spieghi cosa diavolo succede?

Accartocciò il foglietto a malo modo, lanciando poi un’occhiataccia a Laura Mancini, che varcò la soglia con un ghigno stampato sulle labbra.
“Me la pagheranno cara” pensò infuriata come non mai “Tutti e due”
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Le ore sembrarono non passare mai: aveva guardato gli insegnanti con sguardo vacuo, assente, e non aveva nemmeno parlato ad Elisabeth, Alice o Vittoria, che cercavano ormai da cinque ore di farla parlare, invano.
Era finalmente giunta l’ultima ora, la seconda delle due ore di ginnastica, che aveva passato seduta da una parte, osservando intensamente il pavimento. Lanciò un’occhiata ad Elisabeth, che si era seduta accanto a lei.
- Perché non fai ginnastica? -
- Non sto molto bene -
L’amica sospirò - L’avevo intuito, ma cos’hai di preciso? -
Non rispose.
- È tutto il giorno che non parli con Matteo -
Strinse i pugni, affondando le unghie nei palmi, tentando inutilmente di cancellare quello che aveva visto quella mattina in biblioteca.
- Cos’è successo, Angelica? -
Si alzò di scatto in piedi, lasciando l’amica lì seduta a terra per raggiungere lo spogliatoio femminile. Chiuse la porta con un tonfo e si sedette a terra, singhiozzando piano. Si sentiva così stupida a piangere come una bambina, ma non riusciva a farne a meno: ogni volta che l’immagine di Matteo che baciava Laura le tornava alla mente, sentiva gli occhi bruciare e le lacrime minacciare di uscire.
Si alzò in piedi, dando un pugno al muro, sbucciandosi le nocche, poi fece un passo indietro, stringendosi la mano ed imprecando a denti stretti, andando in bagno e mettendo la mano sotto l’acqua fredda.
Sentì la porta aprirsi e chiudersi piano e sospirò - Vattene Elisabeth, sto bene -
Nessuno rispose, ma sentì solo un rumore di passi, che si arrestarono sulla porta del bagno. Alzò lo sguardo, trovandosi davanti Laura Mancini. La sua rabbia si fece ancora più forte: ora che erano lì da sole, faccia a faccia, non riuscì a trattenersi.
Scattò verso di lei, afferrandola per il collo e sbattendola con forza contro il muro. Strinse i denti per la rabbia - Con che coraggio ti presenti davanti a me dopo quello che hai fatto!? -
La bionda sorrise - Io non ho fatto niente, Vetra. Ha fatto tutto Matteo -
Le fece sbattere nuovamente la testa contro il muro - Pensavo che fossi cambiata -
- Il lupo perde il pelo ma non il vizio - sussurrò lei, senza abbandonare il sorriso che aveva stampato in faccia - E hai perso, Vetra -
- Zitta! - urlò ancora, lasciando la presa nel sentire dei passi in corridoio.
- Non vuoi ammettere che preferisca me a...una come te? - domandò Laura - Chi vorrebbe essere il fidanzato di una che vede i fantasmi? Uno scherzo della natura? Ti ha solo usata come giocattolo e tu lo sai -
- Smettila! -
- Che succede qui? - domandò la professoressa di ginnastica, entrando nello spogliatoio, attratta forse dalle sue urla. Nel corridoio, alle spalle dell’insegnante, c’era praticamente tutta la classe, curiosa di sapere cosa stesse succedendo.
- Niente professoressa - rispose la bionda, tranquilla - La signorina Vetra aveva solo bisogno di sfogarsi un po’ -
- Zitta troia - sussurrò tra i denti.
- Signorina Vetra! Mi meraviglio di lei! -
Abbassò lo sguardo - Mi scusi professoressa -
- Per questa volta non ti metto in punizione - disse la donna dai capelli biondi, legati in una coda come al solito, rivolgendosi poi a tutti - Ormai sta per suonare. Cambiatevi e andate -
Le ragazze fecero il loro ingresso nello spogliatoio quando la professoressa uscì, mentre i ragazzi fecero dietro front, dirigendosi nel loro spogliatoio.
Elisabeth le si avvicinò, prendendole la mano, dove usciva del sangue dalle nocche, dove la pelle si era quasi completamente tolta - Che ti sei fatta? -
Non rispose e ritrasse bruscamente la mano, recuperò il suo zaino ed uscì dallo spogliatoio, dopo aver lanciato uno sguardo di fuoco alla bionda. Doveva ammetterlo: Laura aveva ragione. Aveva perso.
Si bloccò in mezzo al corridoio ed alzò gli occhi al cielo alla vista di Matteo. Sapeva che non l’avrebbe fatta passare se non l’avesse ascoltato. Proseguì a testa bassa, fermandosi quando il ragazzo le bloccò il passaggio.
- Fammi passare -
- Prima mi devi ascoltare -
- Ti ho detto di farmi passare -
- Prima mi devi ascoltare - ripeté il moro.
Lo afferrò per la maglia e gli fece sbattere la schiena contro il muro, spostandolo e proseguendo il suo cammino, uscendo dalla palestra. Matteo continuò a seguirla, ripetendo di ascoltarlo.
- Vattene - disse, senza nemmeno voltarsi.
- Angelica, per favore...- disse il ragazzo.
- Non avvicinarti! - disse bloccandosi in mezzo alla stradina che conduceva all’uscita di scuola - Vattene, non voglio parlarti. Non voglio mai più sentirti -
- Angelica, io ti amo. Non potrei mai... - disse lui ad un tratto.
La rabbia prese nuovamente possesso del suo cervello, comandandola a piacere. Si voltò - Come osi dire che mi ami quando sei ore fa stavi baciando Laura!?- urlò, stringendo i pugni.
- É stato un malinteso!-
- Zitto! Stai zitto! Non rivolgermi mai più la parola! - disse, voltandosi nuovamente. Lo sentì urlare il suo nome, ma non si voltò. Lo sentì supplicarla, ma non si voltò. Percorse velocemente la stradina ed uscì da scuola, salendo sulla sua auto.
Prima di mettere in moto osservò la figura di Matteo, fermo davanti al cancello, che la guardava. Si lasciò sfuggire una lacrima e partì.


Tornata a casa aveva radunato tutti i vestiti di Matteo e li aveva gettati nel giardino di casa Dall’Angelo, poi si era buttata sul letto, ancora vestita, lasciando libere le lacrime, che inzupparono il cuscino. Rimase così, per un paio d'ore, ignorando il cellulare che continuava a suonare. Quando finalmente tacque, osservò le chiamate non risposte.
Matteo. Matteo. Matteo. Matteo. Matteo. 23 chiamate erano sue e un paio erano di Elisabeth, di Alice e di Vittoria.
Il telefono prese a suonare ancora una volta, con la scritta “Elisabeth” e la foto sorridente dell'amica che lampeggiavano sul display. Si schiarì la voce e rispose - Pronto -
- Angelica! Ti prego...mi vuoi dire cos'é successo? -
Altre lacrime iniziarono a rigarle il viso - Non ne voglio parlare, ora scusa devo studiare -
- Angelica non puoi fare così. Cos'é successo? É tutta mattina che parli a monosillabi. Non hai praticamente parlato oggi, né a me né ad Alice né a Vittoria e nemmeno a Matteo -
Al suo nome trattenne a stento un singhiozzo.
- Angelica...stai piangendo -
- Sì sto piangendo! Hai qualche problema?-
- Il mio problema é che non riesco a capire cosa diavolo sia successo! -
Prese un respiro profondo - Questa mattina sono andata in biblioteca, e là c'erano Matteo e Laura che...si...-
- Oh Angelica -
- Ha vinto lei Elisabeth...me l'ha portato via -
- Avanti Angelica! Devi reagire! Non puoi piangerti addosso. Ci saranno un centinaio di ragazzi che vorrebbero uscire con te. Dimenticalo...vai avanti -
- Io non ci riesco...non ci riesco... - sussurrò - Puoi venire a casa mia, quando hai tempo? Devo parlarti -
- Non puoi dirmelo per telefono? -
- No. Devo parlartene di persona -
- Arrivo, dammi due minuti -
- Grazie Eli - sussurrò, riagganciando. Spense del tutto il cellulare e si rigirò nel letto. Perché tutto questo succedeva a lei?
Ripensò alle parole di Laura: “Chi vorrebbe essere il fidanzato di una che vede i fantasmi? Uno scherzo della natura?”
Pianse ancora, ferita da quelle parole che, solitamente, le scivolavano addosso. Desiderò di essere normale, di essere come tutte le altre e fare una vita normale.
“Per favore mamma, calmati”
Si riscosse dai suoi pensieri, sentendo la solita voce nella sua testa. Si portò una mano al ventre - Tu lo sapevi, vero? Lo sapevi e non mi hai detto niente -
“Non potevo dirtelo”
Si passò una mano nei capelli e si alzò in piedi, aprendo uno dei cassetti della scrivania, prendendo il test di gravidanza che aveva comprato giorni fa. Sentì il campanello suonare e lo infilò nella tasca posteriore dei jeans, andando subito ad aprire ad Elisabeth, che aveva percorso la strada in appena due minuti.
- Eccomi - disse la rossa - Di cosa volevi parlarmi? -
Chiuse la porta - Allora, ho comprato una cosa e mi serve un po’ di sostegno morale per non piangermi addosso ancora di più -
Elisabeth annuì, confusa dalle sue parole - Ehm...ok. Cos’hai comprato? -
Tirò fuori il test di gravidanza, portandoglielo davanti agli occhi - Questo -
La rossa, dopo averlo osservato attentamente, si diede una sberla in fronte - Oh cazzo. Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo e ancora cazzo -
- Non mi fai sentire meglio -
- Come diavolo hai fatto?! No! Non dirmelo! Lo so già! Gesù Cristo... - sbraitò la migliore amica, iniziando a camminare avanti e indietro - Da quanto tempo non ti viene? -
- Cosa? -
- Il ciclo, Angelica! Il ciclo! Quella cosa che quando viene ringrazi i santi ma allo stesso tempo sei cattiva come un cane che non ha mangiato da mesi! -
Si grattò la testa: Elisabeth era agitata - Un mese -
- Oh merda -
Si corresse: Elisabeth era decisamente agitata - In teoria so già la risposta di questo test -
- Ma dai!? Non l’avrei mai pensato sai!? Penso anch’io di saperla visto che su quel coso appariranno due belle +!! -
- Volevo semplicemente avere la conferma e... - iniziò, abbassando lo sguardo - ...sentire il consiglio di un’amica -
- Non vuoi dirglielo, vero? -
Scosse la testa - No -
Elisabeth sospirò, mettendosi le mani sui fianchi - Vai a fare quel benedetto test, ti aspetto in camera -
Annuì - Grazie Eli -
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Ritornò nella sua stanza, seria come non mai, con lo sguardo fisso sulla parquet nel tentativo di non incrociare gli occhi azzurri dell’amica, in piedi, appoggiata all’armadio, con le braccia incrociate in attesa del suo ritorno. Prese un respiro profondo e alzò lo sguardo, fissando Elisabeth negli occhi, in silenzio.
- Allora? -
Chiuse gli occhi e lanciò un sospiro - Positivo -
La rossa, per quanto preparata alla notizia, dovette sedersi sul letto, passandosi una mano nei capelli; mentre lei si sedette a terra, con la schiena appoggiata all’armadio, tenendo lo sguardo fisso nel vuoto davanti a lei: sapeva di essere incinta ma vedere quelle due + sul test di gravidanza l’avevano depressa ancora di più.
- E adesso? -
- Adesso basta - disse - Non posso fare altro -
- Ma...Matteo deve sapere... - disse Elisabeth, con gli occhi lucidi - Non può finire così! -
- La vita non è una favola, Elisabeth. Non ci sarà un lieto fine nella mia storia -
- Angelica, non capisci. È il figlio di Matteo -
Piegò appena la testa - Ma dai? Non lo sapevo -
- Lui lo deve sapere -
Scattò in piedi - E dopo? Pensi che si sistemerà tutto? Pensi che dimentichi il fatto che ha baciato Laura? -
- Lui ti ama, Angelica. Gli hai dato la possibilità di spiegare? -
- No -
- Lo vedi come sei testarda? -
- Me la pagherà - sussurrò, alzandosi in piedi.
- Ti prego, lascia perdere. Se vuoi dimenticarlo, non fare cose che rimpiangerai tutta la vita -
Guardò Elisabeth, che tentava in tutti i modi di farla ragionare. Prese un respiro profondo - D’accordo. Ma tu giurami che non gli dirai niente -
- D’accordo -
- Dillo -
La rossa le lanciò un’occhiata, poi riabbassò lo sguardo - Te lo giuro. Non dirò a Matteo che sei incinta -
Respirò profondamente - Grazie -
La migliore amica si alzò, mettendole una mano sulla spalla - Cos’hai intenzione di fare? -
- Con il bambino? Lo tengo, naturalmente - rispose, portandosi le mani alla pancia - È pur sempre mio figlio -
- Grazie al cielo - sospirò la ragazza, sorridendo - Allora dobbiamo comprarti vestiti premaman -
Sorrise - Già, ma penso di dover nascondere la pancia fino alla fine della scuola -
- Alla maturità sarai a 4 mesi -
Annuì.
- Riusciremo a nasconderla, non preoccuparti - disse Elisabeth - Scusa ma...devo tornare a casa -
- Certo -
- E...Alice e Vittoria? -
Scosse la testa - Nessuno lo deve sapere -
L’amica annuì, dandole le spalle - D’accordo. Ci vediamo domani -
***
“L'utente da lei chiamato potrebbe essere spento o non raggiungibile, la preghiamo di riprovare più tardi”
- Maledizione - imprecò sentendo la voce registrata della Vodafone. Scagliò il cellulare dall'altra parte della stanza. Era seduto alla scrivania, la testa tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto fuori dalla finestra.
- Matteo? Che succede?-
Si voltò lentamente, sorridendo a Sonia, ferma sull'entrata con un libro sottobraccio.
- Niente, sono solo arrabbiato -
- Con me?- chiese la bambina.
- No, sono arrabbiato con me stesso -
- Perché?-
- Perché ho perso una persona importante - rispose.
- Hai litigato con Angelica?-
Lui annui, nascondendo il viso tra le mani - Uno stupido malinteso -
Sonia fece dietro front andando verso la sua stanza; mentre lui si voltò, incuriosito, ma la bloccò non appena la vide passare per il corridoio indossando la giacca - Ehi dove vai?-
- A casa di Angelica-
- No Sonia, non andare, é una faccenda che non ti riguarda - disse.
- E io ci vado lo stesso -
***
Non appena sentì il campanello suonare, scattò subito a sedere. Si alzò dal letto e scese l'enorme rampa di scale stiracchiandosi le braccia; poi afferrò il citofono e lo portò all'orecchio - Chi é?-
- Ciao Angelica! Sono Sonia! Mi lasci entrare?-
- Questo non é un buon momento per ricevere visite -
- Bene, allora continuerò a suonare finché non mi apri -
La bambina prese a suonare il campanello. Un trillo dietro l'altro, che la stordivano. Si passò una mano nei capelli, sospirando, e riprese il citofono - Ok, ti apro - disse aprendo alla bambina il cancelletto, e la porta d'entrata.
- Ciao! - urlò la bambina saltellando fino all'ingresso.
- Ciao Sonia -
- Come va? -
- Bene -
- Bugiarda -
Sospirò - Cosa sei venuta a fare? -
- A parlare -
- Ti ha mandata tuo fratello? - chiese incrociando le braccia al petto.
- No, lui voleva fermarmi - disse Sonia portandosi le mai sui fianchi - Perché avete litigato? -
- Non sono cose per bambini -
- E tu me lo dici lo stesso -
Nessuna risposta.
- Che ha fatto?-
Non rispose nemmeno a questa domanda.
- Lui dice che é stato un malinteso -
- Non é stato un malinteso. L'ho visto mentre era con un altra -
La bambina spalancò gli occhi - Che si...insomma...baciavano?- disse la bambina sottolineando l'ultima parola con disgusto.
Lei non aveva la forza di rispondere, abbassò lo sguardo ed annuì appena.
- Mio fratello non farebbe mai una cosa del genere -
- Invece l'ha fatto. Non ho più niente da dire, é ora che tu torni a casa -
Sonia abbassò lo sguardo - Ti posso fare compagnia? -
Si ritrovò a sorridere, vedendo gli occhi da Bambi che la bambina le faceva e non se la sentì di mandarla via - Certo che puoi -
- Sì!! - esultò Sonia - Ti sfido alla playstation! -
Finse di essere felice, portandosi le mani sui fianchi - Non pensare di vincere! Comunque ti lascio decidere il gioco -
- Il giochetto del calcio! -
- Oh no...non é giusto! Lo sai che non sono brava con quello! -
Si diressero in salotto, Sonia si accomodò sul tappeto davanti alla tv, mentre lei accese la tv e la console, infilando dentro il gioco.
- Io mi prendo il Milan ovviamente!- disse la bambina, mentre le sorgeva il joystick.
- E io...il Real Madrid! -
- Il Real Madrid? Ma sei fuori?-
- Perché?-
- Fa schifo -
- Beh lo vedremo, magari ti batto -


Passarono buona parte del pomeriggio a giocare al videogame la bambina rideva e scherzava, mentre lei cercava in tutti i modi di non pensare a lui. Morale della favola: Sonia 6, Angelica 1. Se non fosse stato per l'autogol intenzionale della bambina, sarebbe rimasta a zero.
Continuarono, facendo partite una dietro l'altra, Sonia continuava a vincere, con risultati esorbitanti, e lei si dimenticò del suo dolore per qualche ora.
- È meglio che tu vada, tua madre si starà chiedendo dove sei finita - sussurrò spegnendo la console e la tv.
- Si, forse hai ragione - disse Sonia alzandosi in piedi.
L'accompagnò alla porta, e le aprì il cancelletto con l'interruttore accanto al citofono
- Angelica?-
- Si?-
- Un altro giorno ti concederò la rivincita -
Sonia uscì sorridendo, e lei, con un piccolo sorriso, chiuse la pesante porta all'entrata.
Salì di corsa le scale e si buttò sul letto. Accese il cellulare e dopo poco più di un minuto, sul display lampeggiava la scritta: numero privato.
“Probabilmente é lui” pensò. Prese un respiro profondo e rispose - Ciao Matteo -
- Angelica non riattaccare -
- Dammi un solo motivo. Uno solo -
- Voglio spiegarti -
- Risposta sbagliata - disse, e riattaccò.
Il telefono squillò un'altra volta. Rispose tranquillamente, restando in silenzio.
- Mi vuoi ascoltare?-
- Cosa dovrei sentire? Oh é stata lei, io non ho fatto niente. Cazzate, tutte cazzate...-
- È così che la pensi?-
- Si, è così che la penso -
- Bene -
- Dimenticavo: è finita. Addio Matteo -
***
- Dimenticavo: è finita. Addio Matteo -
Quelle parole l'avevano distrutto. Si mise le mani nei capelli, respirando profondamente, cercando di trattenersi dal rompere la sedia su cui era seduto. La porta di camera sua si spalancò, e Sonia entrò saltellando. Non le rivolse nemmeno uno sguardo.
- Sonia va in camera tua -
La bambina si bloccò - Ma io... -
- Niente ma Sonia -
La sorella abbassò la testa ed uscì.
Si abbandonò sulla sedia, con le mani sugli occhi, cercando di levarsela dalla testa, levarsi la sua immagine, i suoi occhi verdi, il suo sorriso. Picchiò forte il pugno sulla scrivania in legno, conficcandosi delle schegge nel palmo.
Doveva chiarire con lei, a tutti i costi, il problema era: come farle ascoltare le sue parole?
***
Si buttò sul letto con un singhiozzo. Non avrebbe voluto dirgli addio, ma non riusciva a perdonarlo per quello che aveva fatto. Baciare Laura poi, per cosa? Magari era un bel po’ che le faceva le corna con quella. Ma era Matteo, non pensava che sarebbe stato capace di tradirla, é sempre stato buono, gentile, affettuoso.
Scosse la testa, tentando inutilmente di zittire la voce buona e quella cattiva nella sua testa. Strinse a sé il cuscino e ricominciò a piangere. Sfinita, si addormentò poco dopo.
Ora il suo viaggio era praticamente tutto in salita.
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Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


Aprile
Questo mese è praticamente volato.
Io ed Elisabeth ci stiamo dando da fare per preparare le tesine e studiare per la maturità, ormai imminente. Ma non solo...
La pancia cresce a vista d’occhio e cerchiamo in tutti i modi di nasconderla: se non fosse stato per Elisabeth, Alice e Vittoria avrebbero notato immediatamente la pancia. Non importa se loro lo vengono a sapere, l’importante è che Matteo non lo venga a sapere.
Dio, quanto mi manca, non so come ho fatto a resistere senza di lui per tutto questo tempo, ma come posso tornare da lui? Elisabeth un giorno mi ha detto “So che lo ami ancora, non vedo cosa ci sia di sbagliato nel lasciare che ti spieghi tutto. Magari lo perdoni” Sì, come no. Come posso perdonarlo quando ho visto con i miei occhi che baciava Laura?

Già, Laura Mancini. Pensavo che fosse cambiata e mi pento di averci creduto, mi pento di essere stata così stupida da considerarla quasi un’amica. Forse ce l’ha ancora con me per via di Manuel, ma non riesco a capire perché insista così tanto a vendicarsi se sa benissimo come sono andate le cose. Sa benissimo che era stata Kyra ad ucciderlo.
Oltre a questo ho notato che ultimamente si comporta in modo strano: a scuola sembra assente, mi fissa in continuazione con un sorriso stampato sul volto, come se avesse progetti per me e come se non bastasse, ogni volta che mi passa accanto inizia a girarmi la testa ed immagino che non sia un buon segno. O c’è qualcosa che non va in me, o c’è qualcosa che non va in lei.

Sono giorni che continuo a fare lo stesso sogno: Kyra che si trasforma in Laura. Che ci sia qualcosa di vero in questo sogno? Forse è mio figlio che sta cercando di dirmi qualcosa, ma oltre ai sogni e a scalciare non fa altro.
Sto tornando ai miei timori iniziali e sospetto che Laura sia posseduta, probabilmente da Kyra. Quel demone mi sta ancora dando filo da torcere e non ne vuole sapere di morire definitivamente.
Comunque, temo che abbia usato Laura per “pararsi il culo”, ne sono più che sicura: una volta nel mio corpo ha notato Laura e sicuramente non le sarà sfuggito il fatto che ha qualche gene da vampiro, ed ha diviso la sua anima. Quando la parte nel mio corpo è stata esorcizzata è passata al secondo burattino.

Non c’è solo questo a preoccuparmi. All’Agenzia continuano a sparire Agenti, alcuni scompaiono nel nulla, altri vengono trovati morti, mentre altri si ritirano, forse per evitare di essere i prossimi ad essere uccisi o per unirsi volontariamente al gruppo della spia.
Mi sento praticamente inutile nel mio stato: la Direttrice mi proibisce qualsiasi cosa e adesso mi chiamano solo per sistemare fantasmi o demoni di Categoria E, praticamente innocui come un gattino addormentato.

Ultimamente il telegiornale locale continua a dare notizie di persone scomparse, una ogni settimana. Non è una cosa normale, ma la cosa che mi preoccupa è il fatto che queste sparizioni sono opera di persone, non demoni, altrimenti l’Agenzia avrebbe rilevato qualcosa, ma niente. Che La Rosa sia tornata all’attacco?

Per ora, ancora nessuno ha attentato alla mia vita. Speriamo solo che maggio passi in fretta.

P.S.
Sento già il bambino muoversi. È una sensazione incredibile.
Elisabeth tenta in tutti i modi di sentirlo, ma finora ha messo sempre il broncio perché non sente niente. Vuole farmi bere la Coca cola per farlo muovere!



Maggio
Anche maggio è passato in fretta, quasi più velocemente di aprile. Forse perché ho avuto molto su cui pensare, soprattutto su Laura.
Ho paura di aver ragione. Ho paura sapendo che i miei timori erano fondati. Ne ho avuto conferma durante un allenamento con lei.
Abbiamo usato dei coltelli e per sbaglio (non sto scherzando è stato veramente uno sbaglio!) l’ho ferita al braccio. Le ho preso il braccio per controllare la ferita e, strano ma vero, non c’era nessun taglio. Cosa veramente strana perché ero sicura al 100% di averla ferita, in più c’era anche il suo sangue sul mio pugnale. O sta sviluppando potenzialità da vampiro ereditati dalla sua famiglia o è posseduta. La seconda è quella più ovvia, visto che i poteri non sbucano da un momento all’altro, in più mi aveva raccontato di persona che era consapevole di non avere nessuna abilità da vampiro e che suo nonno era stato l’ultimo.
Devo fare qualcosa prima che sia lei a fare la sua mossa.

Ho informato Francesco: anche lui si era accorto dello strano comportamento di Laura, ed ha accettato di aiutarmi; poi ho chiesto anche il pugnale per gli esorcismi a Beatrice, che me l’ha procurato in un paio di giorni, ed ora è nascosto nel cassetto delle calze.
Ora mi serve solo un piano, anche se ho già qualcosa in mente, ma credo sia meglio aspettare dopo la maturità.

Ho scambiato quattro parole con Matteo. Non ha provato a giustificarsi per quello che era successo un mese fa, mi ha semplicemente chiesto come stavo visto che non mi vedeva particolarmente attiva.
Forse per il fatto che sono incinta e il bambino, oltre che a farmi sentire stanca morta, mi mette un’incredibile voglia di gelato e yogurt alla banana?
Non so se andare a scusarmi con lui oppure no.
Ho capito troppo tardi quello che era realmente successo quel giorno in biblioteca, quando ho visto Matteo baciare Laura. Kyra lo ha sicuramente incantato e lo ha baciato per farmi allontanare da lui, per farmi sentire sola.
Devo ammettere che ci è riuscita: sono due mesi che mi sento veramente sola e se non fosse per Elisabeth che riesce a tirarmi su ogni giorno, cadrei in depressione.
Ora che so che è stato un malinteso potrei tornare da lui e tentare di farmi perdonare. No, non mi perdonerebbe mai, non lo farebbe pensando al fatto che non gli ho dato nemmeno un po’ di fiducia e nemmeno la possibilità di spiegarsi. Non tornerebbe da me sapendo che aspetto un figlio, il che comporta un sacco di responsabilità.
Ogni volta che mi fissa da lontano, mi sento le guance in fiamme perché ho paura che possa notare la pancia, anche se è ancora piuttosto piccola (fortuna che le mie vecchie t-shirt sformate la nascondono bene).

Ho fatto la prima ecografia, a proposito. Il bambino è sano ed è tutto normale. Certo, lui sta bene mentre io vomito tutte le mattine e mi sento da schifo per tutto il giorno e mi sfogo sul cibo.

I miei sono tornati finalmente da Roma. Gli ho detto del bambino la sera stessa in cui sono tornati. Papà è rimasto in silenzio, mentre mamma ha cominciato a fare domande su Matteo. Le ho raccontato quello che era successo e non ha più parlato di lui, mi ha solo chiesto cosa faccio con il bambino.
Il primo passo era comprare casa, infatti ne ho già viste un paio con Elisabeth, non lontane da casa mia, ma l’idea di andare a vivere da sola con un bambino mi terrorizza. Elisabeth continua ad insistere sul fatto di voler venire ad abitare con me, ma sono ancora indecisa.

Riguardo la spia, ancora nessuna novità. I civili continuano a sparire e la Direttrice, come me, sospetta che La Rosa stia escogitando qualcosa, qualcosa di grosso.
Ormai siamo rimasti in pochi.

Ah, dimenticavo: nessuno ha tentato di uccidermi.
Mi correggo: ho appena ucciso un demone artificiale nel mio giardino che voleva entrare dalla finestra ma che continuava a sbattere contro il muro perché era troppo grosso.

Giugno lo passerò sicuramente a studiare visto che la maturità si avvicina.

Spero che tutto si sistemi in fretta.

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Capitolo 47
*** Capitolo 47 - Sabato, 11 luglio 2009 ***


Sabato, 11 luglio 2009
Lei era seduta sul letto di camera sua, accarezzandosi distrattamente la pancia. Rialzò lo sguardo non appena l’amica dai capelli rossi riapparve sulla porta con una vaschetta di gelato al cioccolato, con due cucchiaini da caffè.
- Finalmente è finita! Dobbiamo festeggiare! -
Sorrise. Avevano appena saputo l’esito dell’esame di maturità: lei era passata con 98 mentre Elisabeth con 72. L’amica le si sedette accanto, dandole un cucchiaino ed aprendo la vaschetta di gelato.
Ci piantò dentro il cucchiaino - Allora mangiamo a noi! -
Elisabeth fece lo steso - A noi! Sopravvissute! -
Mandò giù un boccone di gelato, rinfrescandosi la gola - È una cosa...-
- Divina - concluse la rossa, assaporando il gelato - Dimenticavo, ti ho mangiato l’ultimo yogurt alla banana -
Respirò profondamente - Tu cosa? -
- Oh stai zitta che ne hai mangiato a vagonate! Hai persino mangiato una banana con lo yogurt alla banana!!! -
- Quindi?! Io ho la priorità -
- Priorità un cazzo. Zitta e mangiati il gelato -
Mandò giù un altro boccone e sentì subito il bambino muoversi, portandosi subito la mano libera alla pancia - Lo so che ti piace di più la nocciola ma la zia Eli ha comprato il cioccolato e ti devi accontentare -
- La smettete voi due? -
- E ha finito lo yogurt -
- Allora? Tu zitta e tu marmocchio - disse Elisabeth, puntando con l’indice la sua pancia - Smettila di lamentarti e di scalciare e mangiati sto benedetto gelato al cioccolato -
- Ma ha tanta voglia di yogurt -
- È finito lo yogurt -
- Te lo sei mangiata tutto -
Rimasero in silenzio per un po’ e finirono la vaschetta di gelato. Quando si sdraiarono entrambe sul letto, guardando il soffitto, lanciò un sospiro - Elisabeth, devo dirti una cosa -
Si sentì subito addosso gli occhi azzurri dell’amica, segno che aveva tutta la sua attenzione.
- Devo fare una cosa, oggi -
- Riguarda quello che mi avevi detto il mese scorso su B.? -
Annuì: B. era il nome in codice di Laura.
- Angelica è pericoloso -
- Devo fare scacco matto prima che lei lo faccia a me. Ti ricordi quello che mi aveva detto mio figlio? -
Elisabeth annuì - Che ti uccideva -
- Esatto -
- Può finire male -
- No se si segue il mio piano -
L’amica si mise a sedere, passandosi una mano nei capelli color rame - Se devi - sussurrò lei - Non posso impedirtelo -
Si mise a sua volta a sedere - Vedrai che andrà tutto bene -
- Mi sembra tanto la tipica frase dei film horror -
Inarcò un sopracciglio - Cosa intendi dire? -
- Beh, hai presente i soliti film horror, no? Che c’è la solita bionda che non fa niente per tutto il tempo e ha il 98% di possibilità di sopravvivere solo perché è bionda e ha due grosse... -
Si diede una sberla in fronte - Elisabeth -
- Comunque, di solito dice che andrà tutto bene, ma nel restante 2% viene tagliata a fettine e il killer ci fa un frullato -
- Oh grazie, mi stai augurando di morire frullata -
- Ma tu non sei bionda, quindi la percentuale... -
- Aumenta, io sono più furba delle bionde nei film horror -
- Diminuisce -
Le lanciò un’occhiataccia - È perché scusa? -
- Perché le altre tipe sono le prime a morire -
- Che film hai guardato ultimamente, Elisabeth? -
La rossa alzò le spalle - Leggenda mortale -
- Elisabeth, in quel film muoiono quasi tutti -
- Però hai visto che figo quando il killer uccide la rockettara?? -
- Beh non è un granché come morte -
Elisabeth scattò in piedi, puntandola con l’indice - Ma intanto la bionda è rimasta viva fino alla fine! E la mora è morta -
- Eli, giuro che se non la smetti la percentuale di sopravvivenza delle rosse in questa stanza arriverà allo 0% - sussurrò, portandosi le mani alla pancia - E che cavolo, mi farai diventare il figlio un maniaco omicida -
- Parla quella che si era vestita da Freddy Krueger -
- Ho ancora il guanto - ammise, accarezzandosi la pancia - Cosa c’è che non va? -
- Continua a muoversi? - domandò l’amica, già con gli occhi da Bambi. Aveva già capito cosa voleva fare.
Le prese la mano e se la portò alla pancia e, a giudicare dalle lacrime che iniziarono a rigarle le guance, l’amica l’aveva sentito forte e chiaro.
- Angi, oddio. Piango per niente -
Sorrise - A chi lo dici -
- Ma tu hai gli squilibri ormonali -
- Quindi? -
- Ti sei messa a piangere guardando ET l’altra sera in televisione -
- Ma poverino! - esclamò - Stava morendo! -
- Ma poi ti sei messa a ridere perché era bianco -
Ricordando la scena, scoppiò a ridere - È vero, hai ragione -
- Ma perché si agita così tanto? - domandò la rossa, con ancora la mano appoggiata al suo ventre.
- Hai la mano fredda -
- Oh, scusa -
Si alzò in piedi, sentendo il cellulare suonare - Non fa niente -
Osservò il nome di Beatrice sul display e rispose.
- È qui - si limitò a dire la collega - Sei pronta? -
- Sono nata pronta -
- Tipica frase della ragazza che morirà - sussurrò Elisabeth.
Si voltò verso di lei - Tu! Non entrare in depressione e tu Beatrice! -
- Eh? Cavolo mamma, datti una calmata - rispose l’amica, dall’altro capo del telefono.
- Arrivo subito - disse - Francesco? -
- È qui vicino a me, aspettiamo solo te per i botti -
Sorrise e riattaccò, aprendo il cassetto dei calzini, estraendo il pugnale d’argento, riposto nel suo fodero. Se lo infilò alla cintura dei jeans, nascondendolo poi con la grossa t-shirt che indossava.
Si voltò verso Elisabeth, ed allargò le braccia - Si nota qualcosa? -
- Si nota una grossa pancia -
- Oltre a quella? -
- Nient’altro -
- Perfetto allora - disse - Mi aspetti qui? -
- Sì - rispose l’amica, chiamandola quando le diede le spalle - Angelica, non hai cambiato idea, vero? Non vuoi proprio dirglielo? -
Si voltò, facendo un sorriso forzato - No -
- Non è bello sentirti piangere di notte, chiamandolo -
Respirò profondamente - Ci vediamo dopo - disse, voltandosi ancora.
- Stai attenta -
Scese le scale ed uscì di casa: ora doveva sistemare Kyra una volta per tutte.


Tutto era pronto: Francesco era in posizione, mentre Beatrice attendeva negli spogliatoi femminili, nel caso ci fossero state delle complicanze.
Aumentò il passo e, quando incrociò Laura per il corridoio, l’afferrò per un braccio, bloccandola - Devo parlarti -
La bionda la squadrò dall’alto in basso - Pensavo che mi odiassi a morte -
- Ti odio a morte, ma devo parlarti -
- Qui? -
- No - rispose, dandole le spalle - Vieni -
- E se non volessi? -
Si voltò, fulminandola con lo sguardo - Osi disubbidire ad un superiore? -
La ragazza, dopo aver abbassato lo sguardo, lanciò un lieve sospiro annoiato - Fammi strada -
Si voltò e, a passo veloce, guidò Laura fino alla palestra, completamente vuota ed entrarono in una piccola stanza adiacente, che, anni prima, veniva usata come armeria, ma quando questa fu spostata al piano inferiore, una volta ultimato, la stanza rimase vuota per un po’, ma successivamente fu riempita da vari attrezzi per la palestra.
Lanciò un’occhiata ai materassini ammucchiati in un angolo, poi passò all’altro, sondando la stanza: Francesco era nascosto lì da qualche parte e si assicurò che Laura non notasse qualcosa di strano.
- Allora, Vetra. Di cosa mi vuoi parlare? -
Lanciò un sospiro e chiuse la porta blindata con il chiavistello, puntò poi gli occhi in quelli d’argento della ragazza e si mise le mani sui fianchi - Finiamola qui, una volta per tutte -
- Come? -
- Non fare la finta tonta -
Laura sorrise - Sei impazzita per il dolore, per caso? -
Ghignò - No, certo che no -
L’espressione della ragazza si fece improvvisamente seria - Allora cosa vuoi? -
- Smettila di fingere Kyra - disse in tono freddo - So che sei tu -
Laura scoppiò a ridere, passandosi una mano nei capelli d’oro - Mi chiedevo quanto ci avresti messo a capirlo - iniziò lei, cominciando a girarle intorno - Sorpresa di vedermi di nuovo qui? Con sembianze diverse, ovvio -
Si mise al centro della stanza, girando lentamente su se stessa per non dare le spalle all’avversaria - No, non sono sorpresa - ammise, tenendo alto lo sguardo - All’inizio avevo sospettato i tuoi piani, ma il comportamento che hai tenuto nei miei confronti mi ha...diciamo, lanciato fumo negli occhi. Ma non mi sarei mai aspettata che avresti scelto Laura -
La bionda apparve ad un soffio da lei ed indietreggiò alla svelta, appoggiando la schiena contro il muro - Lei è molto più potente di te e questo tu lo sai - sussurrò lei avvicinandosi - Lei discende da una famiglia di vampiri, non è una comune umana come può sembrare -
- Lo so - rispose, quando ormai Laura era ad un soffio da lei - Ma non ha alcun potere - sibilò tra i denti - Avrà una sola goccia di sangue che la lega ai vampiri -
- Ma quella piccola e misera goccia la rende diversa da te - le confidò il demone - La rende migliore, ed ora che sono nel suo corpo posso, come dire? Ampliare i suoi poteri -
- Con o senza poteri, ti ho uccisa una volta e posso farlo ancora -
- Tu dici? -
Prese un profondo respiro: il pugnale nella cintura dei pantaloni sembrava pesare il doppio - Sì, brutta stronza -
In un secondo la ragazza le strinse una mano intorno al collo, stringendolo con forza, facendole mancare il fiato quando la spinse con forza contro il muro. Tentò inutilmente di farle perdere la presa, ma non riuscì a concludere nulla.
Laura la sollevò da terra, senza fatica, sorridendo. I suoi occhi grigi si tinsero completamente di rosso, un rosso che ricordava fin troppo bene.
- Non credo che tu sia nella condizione adatta per combattere contro di me - disse lei, scoppiando a ridere in modo quasi folle, aumentando la presa sul collo e sollevandola ancora di più da terra - Non sei in grado di reggere -
Spalancò la bocca, tentando di far entrare aria, mentre Laura smise di ridere, sussurrando poi alcune parole nella lingua dei demoni. Sentì l’energia del demone crescere talmente tanto da far ronzare l’aria intorno a loro.
Strinse i denti e le diede una forte gomitata al braccio con il quale la teneva sollevata, rompendoglielo, e, non appena Laura lasciò la presa, si accasciò a terra, portandosi le mani alla gola e tossendo forte.
- Stupida ragazzina -  sibilò la bionda puntando gli occhi rossi nei suoi, guardandola con rabbia, risistemandosi il braccio rotto con un sonoro crack - Non puoi vincere stavolta -
Stavolta fu lei a ridere piano, sfiorando l’elsa del pugnale d’argento senza mai lasciare i suoi occhi scarlatti - Ti sbagli -
- Dici? -
Si alzò di scatto, estraendo il pugnale e conficcandoglielo nel cuore. Laura non riuscì a fare niente: si limitò ad osservare il pugnale conficcato nel suo petto, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
- Riconosci questo pugnale vero? - domandò, piantandoglielo più a fondo - Serve per gli esorcismi -
La bionda sembrava immobilizzata dalla paura, sussurrando qualche parola.
- Hai sbagliato a sottovalutarmi, Kyra. Anche se sono incinta -
Il demone lanciò un grido acuto, poi le afferrò la mano che stringeva l’elsa del pugnale e la torse in modo innaturale. Gemette appena sentendo diversi scricchiolii, poi fu scaraventata dall’altra parte della stanza, come se fosse una bambola di pezza, e sbatté con forza contro il muro. Strinse gli occhi, guardando la bionda, che la stava per attaccare ma, fortunatamente, Francesco la bloccò a terra, tenendole ferme le braccia.
Laura non la smetteva di gridare e dimenarsi, mentre sul pavimento si allargava una macchia di sangue.
- Aspetta... - sussurrò, sollevandosi lentamente da terra, tenendo una mano appoggiata al muro per sostenersi - Devi essere sicuro che il demone sia uscito...-
Il biondo annuì, ritornando a guardare Laura.
Si avvicinò alla porta, togliendo il chiavistello e battendo il pugno, lasciandosi poi cadere a terra. Beatrice entrò immediatamente, mettendola a sedere, controllando la mano fratturata. Gemette non appena l’amica la risistemò con un crack, pronta poi per guarirla con i suoi poteri. Scosse la testa - Il bambino...- sussurrò - Pensa a lui -
- Ma Angelica... -
- Fallo -
Beatrice le appoggiò una mano sul ventre, chiudendo gli occhi e concentrandosi - Non ha niente -
Lanciò un sospiro di sollievo, chiudendo gli occhi - Grazie a Dio -
***
Socchiuse appena gli occhi, guardando confusa Francesco, sopra di lei, con la bocca sporca di sangue. Capì immediatamente che il sangue era suo.
- Francesco... - sussurrò - Cosa...-
Il ragazzo la zittì, accarezzandole la fronte - È tutto finito -
- Cos’è...successo? -
- Eri posseduta -
Chiuse gli occhi - Non ricordo...-
- Come ti senti? -
- Stanca -
- Non senti male? -
- No...- sussurrò, socchiudendo gli occhi, scrutando il biondo - Dovrei? -
Sentì le mani del ragazzo spostare il colletto della maglia, tastando delicatamente la pelle - No, è tutto a posto -
- Mi avete...esorcizzata? - domandò, chiudendo di nuovo gli occhi.
- Ti spiegherò dopo. Ora riposa -
- Grazie -
- Non devi ringraziare me, dovresti ringraziare Angelica - disse Francesco - È lei che si è accorta di tutto -
Riaprì gli occhi e voltò appena lo sguardo, notando la ragazza, seduta a terra, che respirava affannosamente con una mano sul ventre. Beatrice, al suo fianco, le curava l’altra mano, probabilmente ferita.
Fece un lieve sorriso e richiuse gli occhi.
***
Quando riaprì gli occhi era sdraiata su un lettino dell’infermeria e subito Beatrice fu al suo fianco, tempestandola di domande. Si portò una mano alla fronte, riavviandosi all’indietro i capelli - Laura? -
- Sto bene -
Voltò lo sguardo verso la voce ed osservò Laura Mancini, seduta su una sedia, con Francesco in piedi accanto a lei - Come stai? - domandò.
- Io bene - rispose lei, mostrandole poi un bicchiere di plastica pieno di sangue - È stata tua l’idea di farmi mordere da Francesco? -
Annuì - Il tuo sangue non è completamente umano e il tuo corpo avrebbe retto al veleno di Francesco. Inoltre la guarigione è più veloce -
La bionda bevette un lungo sorso dal bicchiere, pulendosi poi l’angolo della bocca, sporco di sangue, con il dorso della mano - E adesso devo bere sangue -
- Ringrazia il cielo che puoi bere ancora - ribatté Beatrice.
Si mise a sedere, portandosi una mano al ventre e sorrise, sentendo il bambino muoversi. Quello che suo figlio le aveva predetto non si era avverato: non erano morti per mano di Laura. Ma possibile che era stato così semplice da impedire?
- Ah, Angi? - la chiamò Beatrice, dandole subito due baci sulle guance - È un maschietto - le sussurrò poi la ragazza nell’orecchio.
Sorrise - Lo sapevo già -
- Chi è un maschietto? -
Voltò lo sguardo verso Laura - Non ti ricordi? -
Lei scosse la testa - Cosa? -
- Angelica è incinta - s’intromise Francesco.
La ragazza sgranò gli occhi, restando a bocca aperta - Tu? -
Annuì, accarezzandosi la pancia e mettendosi in piedi.
- E tu hai combattuto contro Kyra, che era nel mio corpo, quando sei incinta?! -
- Sì -
- Sei pazza? -
- Perché? -
- Hai rischiato grosso, Vetra -
Scosse la testa e si avvicinò alla porta dell’infermeria - Ero in debito con te - disse - Non potevo lasciare Kyra nel tuo corpo -
Laura non la degnò di uno sguardo - Grazie -
- Di niente - disse, uscendo.


Entrò in casa, richiudendo la porta d’entrata alle sue spalle.
- Elisabeth? Elisabeth sono tornata -
Nessuno le rispose e la cercò in giro per la casa: in cucina, in salotto; ma poi la trovò profondamente addormentata sul suo letto, a pancia in giù, con una mano che penzolava dal materasso, mentre l’altra stringeva il cuscino.
Sorrise, facendo dietro front ed uscendo dalla stanza, andando in quella degli ospiti e sedendosi sul letto. Si portò una mano al ventre, sentendo il bambino scalciare come un matto, ma si calmò subito, come se riconoscesse il suo tocco.
- Visto? È tutto finito. Laura non ti farà niente adesso - sussurrò, senza smettere di accarezzarsi la pancia.
Si sdraiò sul letto, mettendosi su un fianco, e rimase lì, a pensare. A pensare su quello che le aveva detto Elisabeth quel pomeriggio e ogni singolo giorno, da quando aveva visto Matteo baciare Laura in biblioteca. Era indecisa se andare da lui e dirgli tutto quanto, ma aveva paura che lui non volesse il bambino e che l’avrebbe lasciata per sempre.
“Ma deve saperlo” pensò, passandosi una mano nei capelli “È pur sempre il padre del bambino”
Si mise a sedere con difficoltà, alzandosi poi in piedi e guardando l’ora sul cellulare: erano le 22.03, Matteo era sicuramente sveglio. Doveva dirglielo adesso, altrimenti non se lo sarebbe mai perdonata.
Si alzò in piedi e scese velocemente le scale, uscendo poi di casa ed attraversando la strada. Suonò al campanello di casa Dall’Angelo e la madre di Matteo rispose al citofono.
- Sono Angelica - disse semplicemente, mentre la signora Dall’Angelo le aprì il cancelletto e la porta d’ingresso.
- Angelica, cosa fai qui? Pensavo che...-
- Devo parlare con Matteo - rispose, raggiungendola all’entrata.
La signora Dall’Angelo, dopo averla guardata attentamente, le indicò le scale - È in camera sua -
La ringraziò e salì lentamente le scale, ansimando quando arrivò in cima, poi si mise davanti alla porta della stanza di Matteo, prese un profondo respiro e bussò.
- Avanti -
Appoggiò la mano sulla maniglia ed aprì la porta: Matteo era sdraiato sul letto, che leggeva un libro, con addosso solo un paio di boxer. Arrossì, rimanendo in silenzio, poi si fece coraggio - Matteo -
Il ragazzo, al suono della sua voce, girò solo lo sguardo, osservandola stupito - Angelica -
- Io...ti devo...dire una cosa -
Il moro si alzò in piedi, la fece entrare e chiuse la porta - Ti prego, fai parlare prima me -
Sorrise ed abbassò lo sguardo - Non serve -
- Angelica, ti giuro che io non ho fatto niente con Laura -
- Lo so - rispose - Laura era posseduta e...quel giorno ti ha baciato per farmi allontanare da te -
- Era posseduta? -
Annuì - Ti racconterò tutto se avrai ancora voglia di vedermi -
- Perché non vorrei vederti? Sono due mesi che penso soltanto a te -
- Per questo - disse, prendendogli la mano e portandosela al ventre, sotto la t-shirt sformata. Chiuse gli occhi per non vedere il volto del ragazzo ed abbassò anche il viso - Sono incinta e il bambino è tuo -
Nessuno parlò più per un po’, ma poi sentì la mano di Matteo ritrarsi.
Lanciò un sospiro - Volevo solo dirti che ho intenzione di tenerlo -
- Guardami, Angelica -
Obbedì ed alzò lo sguardo, osservando il volto del ragazzo, rigato dalle lacrime. Matteo le accarezzò il viso e le si avvicinò, posando le labbra sulle sue. Si sentì rinascere più forte che mai, come una fenice che risorge dalle proprie ceneri. Ricambiò il bacio, contenta di risentirlo vicino.
Lui si staccò subito e le prese la mano - Vieni -
Lo seguì giù per le due rampe di scale, fino alla solita stanza, ora priva di scatoloni, poi le tolse i vestiti e la fece sdraiare sul letto, sotto di lui. Arrossì appena quando il moro le guardò la pancia, sfiorandola con le dita.
- A quanto sei? -
- Sono all’inizio del quarto mese -
- Perché non me l’hai detto prima? -
- Avevo paura, Matteo. Paura che mi costringessi a fare una cosa orribile o che ti sentissi obbligato a tornare da me -
Il ragazzo la guardò confuso, sistemandosi meglio sopra di lei e tenendosi sollevato per non appoggiarsi sulla sua pancia e fare del male al bambino - Come potrei costringerti ad abortire? Come potrei chiederti di distruggere una cosa così bella? -
Sorrise e lo baciò, ma lui si staccò subito, scendendo con il viso per baciarle la pancia ed accarezzarla, sussurrando delle parole. Sentì il bambino agitarsi, contento forse di sentire quel tocco, benché poco familiare.
Matteo risalì, portandosi ad un soffio dal suo viso - I tuoi lo sanno? -
Annuì - Vuoi dirlo anche a tua madre? -
- Immagino che sia giusto informarla - disse il moro - Cos’avevi intenzione di fare? -
- Ho cercato un po’ di case con Elisabeth, ma non abbiamo trovato nulla di decente -
- Capisco - sussurrò Matteo, prendendole la mano ed osservando l’anello che portava al dito - Ce l’hai ancora -
- Non l’ho mai tolto - rispose - Anche tu, a quanto vedo -
Il ragazzo sorrise, giocherellando con la collana che gli aveva regalato tempo prima - Lo porto perché non smetterò mai di amarti -
***
Angelica sorrise e gli accarezzò i capelli, senza mai smettere di guardarlo negli occhi. Non aveva dimenticato il colore dei suoi occhi, quegli occhi così belli che non volevano lasciare la sua testa, quegli stessi occhi che si erano riempiti di lacrime parecchie volte e che guardavano soltanto lui. Sfiorò con un dito le sue labbra rosee, così morbide, così sensuali; poi le accarezzò le guance, le spalle, le braccia, i fianchi e poi ancora la pancia.
Angelica piegò appena la testa - Cos’hai in mente? -
Sorrise, baciandola con passione - Dopo due mesi che mi parli a monosillabi, tu mi chiedi...cos’ho in mente? -
Lei alzò le spalle e sorrise - Parlare? -
- Lasciamo le parole a dopo -
La mora gli gettò le braccia al collo e lo baciò - Ti amo -
***
Lanciò un sospiro e voltò lo sguardo verso Matteo, sdraiato accanto a lei, con il fiatone, la fronte imperlata di sudore e un po’ di sangue che gli usciva dal naso.
- Dio, sei stata...fantastica - sussurrò lui, pulendosi il sangue con il dorso della mano - Mi hai dato un pugno -
- Scusa - sussurrò, accarezzandogli la guancia - Non l’ho fatto apposta -
Il ragazzo le prese la mano, la baciò e poi la strinse dolcemente - Quanto mi sei mancata -
Sorrise, ma ritornò subito seria - Matteo, ti devo parlare-
- Riguarda il bambino? -
annuì, pronta a raccontargli quello che era veramente successo a Novezzina, in gita, ma il ragazzo la bloccò con un gesto.
- Mi sono dimenticato di chiederti se hai trovato un nome per il bambino -
Scosse la testa - No, a dire il vero. Non ho pensato ad un nome -
- Lo pensiamo insieme più tardi? -
Annuì - Certo, ora posso cominciare? -
Matteo le fece gesto di proseguire. Gli raccontò del secondo giorno in gita, quando si era sentita male alla vista del piccolo demone che sembrava volerla perseguitare e uccidere; la scoperta dello stesso giorno che quello era suo figlio e che aveva predetto la morte di entrambi, per colpa di Laura. Aveva tentato di ucciderla, provando a soffocarla con i suoi poteri, in modo tale da non essere mai concepito, ma fortunatamente non ci era riuscito. Seguirono altre apparizioni, ma dopo aver sentito una discussione tra lei ed Elisabeth, dove diceva che avrebbe fatto di tutto per impedire la morte di entrambi, il piccolo demone l’aveva lasciata in pace. Era rimasta incinta, avevano litigato e non si erano parlati per due mesi; inoltre c’era la questione di Laura, posseduta da Kyra, e lei, Francesco e Beatrice si erano messi d’accordo per esorcizzarla. Aveva avuto tanta paura pensando che, se la predizione di suo figlio era giusta, sarebbe morta per mano di Laura, cosa che però non era successa. 
Lanciò un’occhiata al ragazzo - Devo preoccuparmi ancora, secondo te? -
- Non lo so - disse Matteo, accarezzandole la pancia - Ma credo che dovresti fare comunque attenzione -
Annuì.
Il moro guardò la pancia, aggrottando la fronte - Non ascoltare la mamma che è paranoica -
Inarcò un sopracciglio - Come scusa? -
- Shh...sto parlando con Christian -
- Christian? -
- Vero che la mamma è paranoica? Vero? -
- Matteo, per favore - sussurrò portandosi le mani al ventre - Ha iniziato a muoversi -
- Perché mi da ragione -
Lanciò un sospiro, girandosi su un fianco e dando la schiena al fidanzato - Brutto scemo... - sussurrò con un filo di voce.
- Ti ho sentita -
Piegò appena la testa e gli lanciò un’occhiataccia, poi si mise a sedere e infilò la sua enorme maglietta sformata.
- Dove vai? -
- A casa -
- Perché? -
- Perché sei un deficiente - disse con un sorriso - Vado a prendermi un bicchiere d’acqua -
Matteo l’afferrò subito per un braccio e la fece risedere sul letto - Vado io -
- Sai, riesco ancora a camminare come le persone normali -
Il fidanzato infilò i boxer e si alzò in piedi - Devi stare ferma e riposare - disse lui, uscendo poi dalla stanza
Annuì, puntando lo sguardo a terra, sui suoi pantaloni, dai quali proveniva un suono soffocato. Si avvicinò e prese il cellulare: Elisabeth la stava chiamando. Rispose.
- Angelica Vetra! -
Staccò il telefono dall’orecchio per non diventare sorda, poi lo riavvicinò - Ciao -
- Ciao un cazzo! Dove sei? -
- Sono...- iniziò, schiarendosi la voce - ...a casa di Matteo -
- Torna immediatamente a casa prima che ti venga a...aspetta dove sei? -
- A casa di Matteo -
- Quale Matteo -
- Matteo Dall’Angelo -
- Matty-Mat? -
Lanciò un sospiro - Sì - rispose, staccando di nuovo il telefono dall’orecchio quando l’amica prese ad urlare.
- Oddio! Ti sei decisa!! Gli hai detto che sei incinta? -
Si risistemò una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio, lanciando un’occhiata a Matteo, tornato con un bicchiere pieno d’acqua - Sì, gli ho detto tutto -
- Detto cosa? - domandò lui, porgendole il bicchiere.
- Che sono incinta - gli rispose.
- Mettimi in vivavoce scema -
Obbedì, appoggiando il telefono sul cuscino.
- MATTEO DALL’ANGELO!! -
- Sì Elisabeth, quello è il mio nome -
L’amica urlò ancora - Lo sapevo che avreste fatto pace!! Com’è stato il sesso riparatore?? -
Arrossì - Ehm...-
- Molto bello -
Gli diede una piccola sberla, ammonendolo.
- Immagino. Di solito le donne incinte sono continuamente a...-
- ELISABETH!!!! -
- Ok, ok la smetto - disse lei - Ora vi lascio dormire, buona notte. Ah, Angi, io vado a casa mia -
- D’accordo, notte Eli -
Chiuse la chiamata e bevette un lungo sorso d’acqua dal bicchiere, rimettendosi poi sotto il lenzuolo, abbracciata a Matteo - Sarà veramente difficile -
- Lo so -
- Resterai con me? - domandò.
Il ragazzo le regalò un sorriso, accarezzandole la pancia. Aveva intuito la risposta e lo baciò - Grazie -
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Capitolo 48
*** Capitolo 48 - Venerdì, 17 luglio 2009 ***


Venerdì, 17 luglio 2009 - ore 22.41
Seduta sul suo letto, si mise le mani sui fianchi ed alzò gli occhi al cielo, ascoltando tutte le scemenze che il fidanzato stava raccontando al bambino, ancora senza nome, dato che Matteo lo chiamava con un nome diverso ogni giorno.
- Si muove? -
Guardò il moro e sospirò - Si sarà stufato di sentirsi chiamare con nomi diversi -
- Ma tesoro, io continuo a cambiare nome per vedere se si muove. Se si muove gli piace, altrimenti gli fa schifo -
Alzò nuovamente gli occhi al cielo - Oh Dio -
- Vero Michele? -
- Niente -
- Gabriele -
- Questo non piace né a me né a lui -
- Francesco -
- No -
- Roberto -
- No -
- Davide -
Scosse ancora la testa - Secondo me si è strozzato -
- Daniele? -
Si portò le mani al ventre, accarezzandolo appena, sentendo il bambino muoversi.
- Si è mosso? -
Annuì - Quindi secondo la tua teoria il nome sarebbe Daniele -
- Esatto -
Non gli rispose, si limitò ad alzarsi in piedi e a prendere il cellulare, abbandonato sulla sua scrivania, che aveva iniziato a suonare.
Guardò il numero sul display che lampeggiava e rispose immediatamente: era il numero interno della Direttrice.
- Angelica, scusa il disturbo -
- Non fa niente, Direttrice. C’è qualcosa che non va? -
- Abbiamo un categoria C, pensi di farcela? Sono a corto di personale stasera -
- Sì, certo -
- Sei sicura? Posso mandare Laura Mancini, non è lontana dal posto, ma le hanno appena assegnato un Categoria A -
- Non sarà rischioso per lei? Non è ancora abituata alla Categoria A -
- Ormai è partita, comunque ha detto che non è un problema -
Sospirò - Dove devo andare? -
- Via Monte Santa Viola a quanto mi hanno detto. Il primo vicolo -
- Piuttosto distante, comunque adesso vado -
- Fai attenzione -
Lanciò uno sguardo a Matteo, che già la guardava con una strana espressione - Non si preoccupi - sussurrò, riattaccando.
- Fammi indovinare: devi andare - disse il ragazzo.
- Scusa - disse afferrando la sua katana - Ci metterò un po’. È meglio se torni a casa -
- Stai attenta - sussurrò il ragazzo, alzandosi in piedi - Chiamami quando torni, altrimenti starò in pensiero tutta la notte -
Gli diede un bacio sulle labbra per salutarlo - Certo -
Matteo la baciò ancora - Ti amo -
Sorrise - Anch’io ti amo. Non preoccuparti, d’accordo? -
- Come faccio a non preoccuparmi per te? -
Gli diede un bacio ed uscì dalla camera, affiancata dal fidanzato; quando varcarono il cancelletto, lei salì in macchina, salutando il ragazzo che attraversava la strada. Mise in moto, portandosi subito una mano alla pancia - Che succede? -
Quando il bambino smise di muoversi partì a tutta velocità.


Infilò la katana nel suo fodero, tenuto a tracolla e lanciò un’occhiata al demone, riverso a terra in una pozza di sangue nero. Era un piccolo demone del sangue che girava alla cieca in cerca di qualunque cosa da mangiare: assomigliava ad un grosso cane marrone, con il muso che ricordava quello delle lucertole, mentre sul dorso e sul collo risaltavano degli strani simboli scarlatti che sembravano brillare di luce propria. Sapeva che quei demoni erano completamente ciechi, ma riuscivano ad orientarsi perfettamente con il loro ottimo udito; inoltre riuscivano ad individuare la preda sentendo l’odore del sangue.
Quando il demone la inquadrò agitò le tre code, come un cane che scodinzola alla vista del padrone appena tornato a casa. Le era corso incontro, pronta a sbranarla, ma l’aveva evitato facilmente, afferrandogli il muso e tagliandogli la gola.
- Tutta questa strada per una sciocchezza - sussurrò, dirigendosi verso la macchina.
Si bloccò sentendo uno sparo, seguito da un urlo, e si voltò di scatto, riconoscendo la voce - Laura - sussurrò appena, partendo di corsa. Passò il secondo vicolo, completamente vuoto, eccetto per i ratti che passavano squittendo da un bidone dell’immondizia ad un altro, poi raggiunse l’ultimo vicolo e si bloccò allo scenario che le si presentò davanti: Laura, con una semplice pistola calibro 9 e una profonda ferita alla gamba; a farle compagnia c’era una donna, bellissima, dai capelli castani che le arrivavano più o meno a metà schiena, il viso pallido dai lineamenti affilati, gli occhi d’oro avevano qualcosa di magnetico, il corpo magro e snello era coperto da una veste bianca, simile alle vesti delle dee greche.
- Laura...- sussurrò chiamando la bionda, che non distoglieva i suoi occhi grigi dal demone - Laura, lascia perdere. Non sei in grado di batterla - disse ancora, appoggiando la mano sull’elsa della katana.
- Posso sistemarla benissimo da sola -
- Non puoi - rispose - Per favore, lascia fare a me -
Il demone puntò il suo sguardo d’oro verso di lei, sorridendo, facendo un piccolo gesto della mano e, come per magia, nella sua mano apparve una spada d’oro, larga più o meno quattro dita, con uno smeraldo incastonato nell’elsa. Ci fu un colpo di pistola, ma il proiettile sparato dalla calibro 9 di Laura trapassò la testa della donna come se fosse fatta d’aria.
- Le armi moderne non funzionano con lei - sussurrò sguainando la katana - Può morire solo con uno scontro corpo a corpo, con spade o pugnali -
La donna sorrise, guardando Laura - Io ascolterei la tua amica se fossi in te -
Sorrise a sua volta, nonostante la situazione - Dov’è l’altra? Di solito voi girate sempre in due, altrimenti non vi chiamereste “Le Gemelle” - domandò, sentendo un fruscio alle sue spalle.
Veloce come un fulmine, schivò un’altra spada d’oro, bloccando il braccio della seconda bellissima donna, identica in tutto e per tutto all’altra. Fece una giravolta, afferrando il secondo demone per un braccio, spingendola poi verso la copia sputata.
Lanciò un’occhiata a Laura, che era indietreggiata, ma non aveva rinunciato a combattere, dato che aveva messo via la calibro 9 ed ora stava impugnando un pugnale.
Ritornò a guardare le due ed ora poteva notare un differenza: gli occhi. La prima li aveva d’oro mentre l’altra li aveva neri, neri come la pece. Neri come la loro anima.
- È un vero peccato - sussurrò quella dagli occhi dorati - Uccidere delle così belle ragazze -
- Hai ragione sorella - rispose l’altra, facendo apparire una seconda spada, nera come i suoi occhi, che fu impugnata dalla mano libera - Ma loro sono cacciatrici -
- Lo so, lo so - rispose la donna con calma, mentre la osservava con interesse - Credo che la più pericolosa sia lei, anche se è incinta -
- Avete finito di chiacchierare voi due? - disse puntando la katana verso quella dagli occhi neri - O avete intenzione di combattere? -
Il demone verso cui puntava la katana fece roteare insieme le due spade - Se insisti, mia cara ragazza -
Rimase immobile, in attesa, con i nervi a fior di pelle e i muscoli tesi. Sorrise non appena la donna dalle due spade scomparve in un battito di ciglia, mentre l’altra puntò lo sguardo d’oro verso Laura.
Un fruscio alle sue spalle la fece scattare in avanti, voltandosi di colpo e puntando la katana verso il demone dagli occhi neri. L’attaccò immediatamente, senza tanti complimenti, eseguendo veloci attacchi che però non andavano mai a segno: la lama della sua spada trovava sempre quella d’oro o quella nera della sua avversaria.
Si abbassò, schivando per un soffio le due lame che, probabilmente, le avrebbero mozzato la testa senza difficoltà, poi fece una giravolta cercando di colpire con un calcio le gambe dell’avversaria, che però saltò, evitando il suo tentativo di farle perdere l’equilibrio. Ritornò subito in piedi, impugnando la katana con entrambe le mani. Sentì un gemito soffocato alle sue spalle e un’imprecazione: evidentemente Laura era stata colpita.
Quella distrazione di appena un secondo permise alla donna di coglierla di sorpresa, ma, purtroppo per lei, non fu abbastanza veloce. Schivò la lama d’oro, bloccandola sottobraccio e, prima che il demone potesse colpirla con la lama nera come l’ebano, fece un mezzo giro, strappando di mano la spada dorata, che venne lanciata in aria dalla donna.
Era pronta per prenderla al volo, ma quando la sua mano strinse l’elsa la lasciò subito andare, facendola cadere a terra con dei tintinnii: il metallo di cui la spada demoniaca era fatta bruciava come un tizzone ardente. Si osservò la mano sinistra, arrossata, trattenendo delle imprecazioni.
- Solo noi possiamo impugnare le nostre armi - le spiego la Gemella dagli occhi neri, puntandole contro la spada che le era rimasta in mano - Voi umani non potete maneggiarle -
Sotto i suoi occhi, la spada d’oro scomparve in una nuvoletta di polvere dorata e ricomparve nella mano della padrona.
Attaccò di nuovo, scattando verso il demone, rimasta immobile. Alzò la spada, pronta a colpirla, mentre la donna era pronta a parare: proprio quello che voleva.
All’ultimo secondo si spostò, ferendole la gamba e mettendola in ginocchio. L’avversaria ringhiò come un animale selvaggio, imprecando in una lingua a lei sconosciuta. Schivò per un soffio una seconda lama dorata.
- Come hai osato? - urlò l’altra Gemella, pronta a colpirla una seconda volta - Lurida umana -
“Se il nemico è incazzato” pensò schivando un paio di fendenti “Abbassa la guardia ed è più facile da colpire”   
Un secondo ed affondò la lama della katana nel petto della donna, che urlò di dolore.
Fece appena in tempo ad estrarre la spada che l’altra tentò di decapitarla con la lama nera. Si allontanò, raggiungendo Laura, in ginocchio con la spalla sinistra sanguinante - Stai bene? -
- Sì, è solo un graffio -
Puntò lo sguardo vero le due donne: quella dagli occhi neri era inginocchiata a terra, tenendo la sorella morente tra le braccia, che le sussurrava delle parole. Pochi secondi e il demone dagli occhi d’oro scomparve, diventando polvere dello stesso colore dei suoi occhi che il vento portò via con sé.
La Gemella rimasta si alzò, facendo riapparire le due spade, stavolta entrambe d’oro, e si voltò verso di lei. Impugnò la katana ancora più forte e partì all’attacco, ma ogni affondo veniva fermato prontamente da una delle due lame d’oro.
“Quando si uccide una Gemella” pensò, ricordando il libri nell’archivio che aveva letto “L’altra diventa più forte, se possibile aumenta persino di Categoria”
Il demone parò un altro affondo, poi, all’improvviso fece scomparire le spade, afferrandole il braccio destro con una mano, mentre con l’altra lo piegò in una strana ed innaturale angolazione dopo uno schiocco secco.
Si lasciò sfuggire un urlo e lasciò cadere a terra la katana, facendo poi un balzo indietro, dopo essersi liberata, evitando le due spade d’oro, riapparse dal nulla e pronte a colpirla.
Si strinse il braccio rotto con un altro gemito, inginocchiandosi a terra.
- Morirai lentamente e in modo atroce - sussurrò la donna dagli occhi neri, facendo roteare insieme le due spade.
- Dovrai vedertela con me - sussurrò Laura, al suo fianco con in mano il pugnale lungo una trentina di centimetri.
- Laura non...-
- Zitta Vetra - rispose la bionda - Non vorrai sminuirmi davanti al nemico -
Sorrise - No, certo che no -
- Allora lasciami fare -
- Tu non sei una minaccia - disse il demone, indietreggiando, facendo scomparire una delle due spade.
Lanciò un’occhiata alla sua katana, a qualche metro da dov’era inginocchiata. Forse riusciva a raggiungerla.
Si alzò di scatto e la raccolse con la mano sinistra, benché bruciasse ancora, e la puntò verso il demone, che teneva gli occhi fissi su Laura.
“Merda” pensò subito, guardando la scena come se qualcuno avesse messo il rallentatore: il demone partì alla carica, puntando la bionda, distratta dalla sua mossa per recuperare la spada. Non esitò a correre verso di lei, mettendosi tra la ragazza e il demone.
La lama della sua katana penetrò nel petto della Gemella dagli occhi neri, mentre la sua lama dorata si conficcava nel suo ventre. Gemette, sgranando gli occhi: era successo. Alla fine quello che suo figlio le aveva predetto era successo.
Lanciò un urlo quando sentì la lama ritrarsi, poi vide il demone scomparire, diventando polvere nera, raggiungendo la sorella.
- Angelica? -
Le gambe iniziarono a tremare sotto il peso del suo corpo, la presa sulla spada si affievolì e scivolò a terra con diversi tintinnii. Si portò una mano al ventre e crollò in ginocchio, accasciandosi poi sull’asfalto.
Laura lì accanto, che aveva assistito alla scena immobile, le si inginocchiò accanto, rimanendo ferma e in silenzio, non sapendo cosa fare. Tentò inutilmente di regolare il respiro, cercando di non fare caso al sangue che le inzuppava la maglietta. Spalancò la bocca e urlò.
- Oddio...che faccio?- chiese piano la bionda.
- Chiama un’ambulanza... - disse stringendo forte le mani sulla ferita, cercando di non far uscire troppo sangue. Si morse la lingua per non urlare ancora.
La bionda prese il cellulare dalla tasca e si portò l’apparecchio al telefono, iniziando a parlare; ma non riusciva a capire una parola di quello che stava dicendo. Tutti i suoni giungevano ovattati alle sue orecchie, come se avesse un paio di tappi.
- Perché lo hai fatto? - chiese Laura, di nuovo inginocchiata al suo fianco - Perché ti sei messa in mezzo? -
- Sono in debito...no? - rispose facendo un piccolo sorriso.
- Come ti senti? - chiese ancora lei, bianca come uno straccio, alla vista del sangue.
Socchiuse appena gli occhi, senza smettere di stringere la ferita al ventre - Non sento niente - rispose poi sospirando e chiudendo del tutto gli occhi.
- Angelica resta sveglia...- sussurrò la compagna - ...non succederà niente...-
***
Angelica riaprì gli occhi e le sorrise. Le alzò appena la testa, togliendole i capelli corvini dalla fronte - Resisti - sussurrò, sentendo le lacrime scivolarle lungo le guance, alla vista della luce nei suoi occhi verdi, che sembrava svanire sempre di più, inesorabilmente.
- Perché ti sei messa davanti?! - urlò, chiudendo gli occhi, ricacciando indietro le lacrime.
La mora si lasciò sfuggire una lieve risata, mentre dalla bocca le uscì un rivolo di sangue scarlatto - Te l’ho detto...-
- Non dovevi farlo -
Angelica piegò la testa di lato e chiuse gli occhi, senza risponderle. Sapeva già la risposta: si sentiva ancora in colpa per Manuel. Si maledì mentalmente per avergli fatto pesare la morte del fratello per tutti quegli anni.
***
In lontananza il suono della sirena dell’ambulanza, che si avvicinava sempre di più, mentre i suoi respiri si facevano sempre più lenti e faticosi.
- Angelica, resta sveglia -
- Io...non sento niente...- sussurrò appena, sentendosi priva di forze - Chiama...Elisabeth - sussurrò poi.
Dopo aver sentito l’ambulanza frenare lì accanto, si aggiunsero altre voci, ma non riusciva a capire quello che dicevano. Sentiva solo alcune parole, come se stesse ascoltando una registrazione rovinata. Sentì delle mani sul suo corpo, qualcuno le mise qualcosa sulla bocca, poi la spostarono e la sollevarono subito dopo.
Spalancò la bocca, in cerca di aria, ma si sentiva comunque soffocare. Sentì qualcuno stringerle la mano, ma poi non sentì più niente.
***
Era notte fonda.
Il suono acuto del suo cellulare lo svegliò di soprassalto; lesse il nome di Elisabeth sul display, e sperò che la ragazza avesse una buona ragione per svegliarlo alle tre di notte.
- Pronto? - rispose in tono brusco.
- Matteo, scusa l’ora...ma...-
Elisabeth, dall’altro capo dell’apparecchio, singhiozzava. Temette il peggio.
- Che è successo? - domandò preoccupato.
- Angelica...è in...ospedale -
- Cosa? -
- ...è grave...-
Sembrò che il mondo gli fosse crollato addosso con quelle due parole - In che ospedale? -
- Borgo Roma...sto...andando... -
- Ti raggiungo subito - disse riattaccando, alzandosi di scatto in piedi, vestendosi velocemente.
- Non puoi spegnerlo quel benedetto cellulare? Io vorrei...- iniziò sua madre, entrando nella stanza, bloccandosi subito dopo, vedendolo vestirsi - Ma dove stai andando a quest’ora della notte? -
- Angelica è in ospedale - disse agitato - Vado da lei -
Superò la madre, che si era portata una mano alla bocca, sconcertata per la notizia. Uscì di casa e saltò in macchina, partendo a tutta velocità, fregandosene dei cartelli con il limite dei cinquanta chilometri orari.

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Capitolo 49
*** Capitolo 49 - Sabato, 18 luglio 2009 ***


Sabato, 18 luglio 2009
Corse per diversi corridoi dell’ospedale e si fermò solamente quando giunse di fronte alla sala operatoria. Nella sala d’attesa c’erano Laura, in piedi appoggiata al muro più lontano dalla porta, con la katana di Angelica a tracolla, ed Elisabeth, che camminava frenetica avanti e indietro, con le lacrime agli occhi e le mani nei capelli.
- Elisabeth - sussurrò avvicinandosi lentamente - Angelica? -
La rossa si voltò verso di lui, pallida con gli occhi lucidi. Stava per rispondergli, ma si bloccò, in ascolto a quello che stava succedendo nell’altra stanza. Sentì gli occhi pungere al suono di un lungo beep.
Elisabeth scoppiò a piangere, gli corse incontro e lo abbracciò; Laura, invece, si era semplicemente avvicinata e poté notare le sue pallide guance rigate da delle lacrime. Il lungo beep continuava ed ora potevano sentire le parole dei medici, che tentavano in tutti i modi di salvare Angelica.
- Di nuovo...- disse un medico che, probabilmente, stava usando il defibrillatore sulla ragazza.
Elisabeth pianse ancora più forte stringendogli la maglia, ma poi e si staccò per andare a picchiare il muro con forza fino a sbucciarsi le nocche.
- Dottore...non si può fare altro...-
La rossa batté i pugni sul muro ancora più forte.
- Un’ultima volta...-
Pochi secondi dopo, i beep si accendevano e si spegnevano regolarmente; e a quel suono i volti dei tre ragazzi si illuminarono.
- Sta bene - sussurrò.
Elisabeth si sedette esausta su una poltroncina, tenendosi la testa tra le mani, cercando di calmare i singhiozzi.
- È tutta colpa mia - sussurrò Laura al suo fianco.
Si voltò ad osservarla, alzando un sopracciglio, confuso.
- Si è messa tra me e un demone...ci sarei io lì, al suo posto - 
Non disse una parola, si sedette accanto ad Elisabeth, cingendole le spalle, cercando di farle forza - Calmati, va tutto bene -
La rossa non disse niente e, in lacrime, teneva lo sguardo fisso nel vuoto.
- Che ore sono? - chiese Laura in un sussurro quasi impercettibile.
- Quasi le tre - rispose osservando l’orologio dall’altra parte del corridoio - Se volete andare...resto io qui. Vi farò sapere...-
- Io non mi muovo - disse Elisabeth continuando ad osservare nel vuoto; la bionda, invece, non rispose.
Le porte della sala di aprirono e scattarono in piedi alla vista dei medici che tiravano la barella lungo il corridoio, con Angelica stesa sopra, coperta di sangue, pallida e con gli occhi chiusi. Nessuno li degnò di uno sguardo, ma li bloccarono non appena si avvicinarono di qualche passo. Nessuno li degnò di spiegare la situazione.
Ritornarono al loro posto, aspettando, in silenzio.


Erano ancora là. Erano passate quasi due ore da quando i medici avevano portato Angelica in un’altra stanza, e lui cercava di non pensare a lei, stesa sulla barella, bianca come un fantasma e con gli occhi chiusi, che sembrava morta.
- Siete gli amici della signorina Vetra? -
Alzarono tutti e tre lo sguardo, guardando un vecchio medico, pallido nel suo camice bianco, sporco di sangue. Scattò in piedi avvicinandosi a lui.
- Dottore la prego, come sta Angelica? -
L’uomo si tolse gli occhiali, pulendoli sul camice - Lei se la caverà - disse lui, rimettendosi gli occhiali sul naso con un sospiro - Ma per il bambino non c’è stato nulla da fare -
Il modo gli cadde addosso una seconda volta a quella notizia e si portò una mano nei capelli, disperato.
- Possiamo vederla? - chiese Elisabeth, speranzosa.
- È priva di sensi, ma se volete starle accanto può entrare solo una persona alla volta -
- Vai Matteo, noi aspettiamo qui - disse Elisabeth riabbassando lo sguardo.
Annuì e seguì il medico per un corridoio con un’insegna appesa: Reparto rianimazione. Il vecchio si bloccò davanti all’ultima porta del corridoio e l’aprì facendogli un cenno - Se ci sono problemi non esiti a chiamare -
Entrò e si richiuse la porta alle spalle, scrollando subito la testa cercando di togliersi di torno l’odore di disinfettante che usavano solitamente negli ospedali, poi puntò gli occhi su Angelica, che giaceva immobile sul letto, mentre i costanti beep dell’elettrocardiogramma interrompevano il silenzio di tomba presente nella stanza. Rimase un attimo immobile, osservando intensamente la fidanzata, ridotta in condizioni a dir poco pietose: il braccio destro era ingessato dal gomito fino al polso, mentre la mano sinistra, sistemata sopra al candido lenzuolo, era semplicemente fasciata.
Una sacca di sangue era collegata alla ragazza mediante un tubicino, conficcato nel braccio destro, appena sopra il gesso, mentre altri cavi si insinuavano sotto la vestaglia, monitorando il lieve battito del suo cuore, e un altro le permetteva di respirare.
Si avvicinò lentamente, come se avesse paura di svegliarla, avvicinò una sedia e le si sedette accanto, stringendole appena la mano fasciata, osservandola intensamente.
Angelica aveva gli occhi chiusi che ogni tanto si stringevano lievemente, facendo tremare appena le ciglia scure, e il viso, più pallido del solito, era senza espressione. Appoggiò il mento sul bordo del materasso, affondando poi il viso tra le lenzuola. Cosa poteva dirle? Cosa poteva dire a qualcuno appena scampato alla morte ma ad un prezzo terribile? E poi, riusciva a stento a respirare, come poteva sentirlo?
Rialzò il viso, facendo un respiro profondo - Angelica, sono io...Matteo - cominciò, sentendo subito gli occhi pungere e la gola seccarsi - Ti prego, svegliati -
Attese alcuni minuti, in silenzio, nella speranza che la ragazza sentisse le sue parole, purtroppo aveva atteso invano: la mora era ancora immobile sul letto. Sospirò, rimanendo in silenzio ed aspettando ancora.
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Ore 7.33
Socchiuse appena gli occhi, osservando il viso di Angelica, ancora priva di sensi. Si raddrizzò di scatto, sentendo la porta aprirsi all’improvviso, lasciando entrare la madre della fidanzata, in lacrime, che si reggeva al braccio del marito.
Si alzò in piedi, facendo accomodare la donna, che sembrava stesse per svenire da un momento all’altro. Nadia Vetra si sedette, prendendo la mano della figlia e stringendola tra le sue, chiamandola con tono basso e disperato.
Si mise accanto al padre della ragazza, in piedi in fondo al letto, lanciando un sospiro.
- Cos’hanno detto i medici? -
Guardò l’uomo dai capelli scuri al suo fianco - Se la caverà -
- Il bambino? -
Scosse la testa, abbassando gli occhi, e l’uomo capì subito - Com’è successo? -
- Un demone. Angelica ha cercato di proteggere Laura, da quello che ho capito - spiegò.
- Capisco -
Tornò a guardare la signora Vetra, ancora in lacrime, mentre accarezzava la fronte della figlia, che strinse appena gli occhi, come infastidita da quel gesto. Trattenne il respiro, nella speranza che si svegliasse.
La mora schiuse le labbra, lasciandosi sfuggire un lamento soffocato, iniziando a respirare più velocemente - ...Matteo... - sussurrò appena lei, ritornando poi immobile.
- Angelica - la chiamò la madre, stringendole la mano - Angelica -
Il padre di Angelica si avvicinò alla moglie, appoggiandole le mani sulle spalle - Vieni, tesoro. Usciamo, così ti calmi un attimo -
La donna, con gli occhi gonfi per il lungo pianto, si asciugò le lacrime che le rigavano le guance con il dorso della mano ed annuì; alzandosi in piedi ed uscendo dopo aver dato un bacio sulla fronte della figlia.
Lanciò un sospiro e si risedette sulla sedia, stringendo la mano alla mora. Appoggiò la testa sul materasso, chiudendo gli occhi - Ti prego, svegliati -
Si addormentò dopo un po’, senza mai lasciarle la mano.


Si svegliò di soprassalto osservando la fidanzata: Angelica era ancora immobile sul letto.
Abbassò lo sguardo - Perché non ti svegli? - domandò - Se solo riuscissi a sentirmi...se solo riuscissi a sentire che ti amo da morire e che non riuscirei più a vivere senza di te -
La mano della ragazza strinse appena la sua e si raddrizzò, sperando di non esserselo immaginato; poi capì, dalla lacrima che rigava la guancia della ragazza, che aveva sentito quello che aveva detto.
- Ehi non piangere...-
- Matteo...- sussurrò lei lievemente, stringendogli nuovamente la mano - Matteo...-
Si alzò di scatto dalla sedia, portandosi ancora più vicino a lei - Angelica, sono qui, non preoccuparti -
La ragazza socchiuse gli occhi - Lo so -
- Grazie a Dio ti sei svegliata -
La fidanzata sorrise - Avevi qualche dubbio? -
***
Matteo si risedette sulla sedia, ridendo piano e tenendole sempre la mano, accarezzando il dorso fasciato con il pollice.
- Come ti senti? - chiese lui.
Aprì bocca, ma la richiuse subito dopo stringendo la mano, conficcando le unghie nel palmo del ragazzo.
- Angelica? - la chiamò Matteo.
- Sto bene...- sussurrò lievemente portandosi la mano sinistra allo stomaco.
- Vuoi che chiami qualcuno?- domandò il ragazzo pronto a suonare all'infermiera.
- No...- rispose respirando lentamente - Sto bene, anche se il braccio fa un po’ male... - aggiunse, guardando il braccio destro, ingessato, che teneva disteso sul materasso.
Il moro le passò una mano sulla fronte guardandola negli occhi. Restarono così per diversi minuti, finché lei non distolse lo sguardo, concentrandolo sulla porta della stanza.
- Elisabeth?- domandò con voce tremante.
- È ancora qui fuori -
- Da quanto tempo sono qui? -
Il ragazzo guardò il cellulare - Quasi dodici ore -
Lanciò un sospiro - Oh Dio, sarà incazzata nera -
- Si é presa un gran bello spavento -
- Anche tu vero? Non hai un...bell'aspetto, dovresti riposare -
- Ho dormito qualche ora. Potrò riposare dopo, quando sono sicuro che è tutto a posto -
- Io sto bene...vai a casa - disse con dolcezza accarezzandogli una guancia, benché quel gesto le costasse tanta fatica.
- Io devo stare qui, accanto a te -
- Fallo per me. Ti prego -
Lui sbuffò sonoramente - Qualche ora. Non di più -
- Mi sta bene -
- A dopo - disse il moro alzandosi, baciandola sulla guancia.
- Ah...Matteo? -
- Sì? -
Sorrise - Ho visto la luce -
- Ed è bella? -
- È stupenda...solo che... -
- Che? -
- Dovevo tornare da te -
Matteo le regalò un sorriso mozzafiato e, non appena uscì, notò subito la testa rossa di Elisabeth oltre la porta.
- Angelica!! -
L'amica corse nella stanza e le saltò al collo.
- Elisabeth...mi fai male... -
- Stupida! Stupida! Perché lo hai fatto?! Sei un'incosciente! Sei una stupida ragazzina boriosa! Tu e il tuo dannato orgoglio!!! -
- Elisabeth io...-
- No! "Elisabeth io" un corno!! Ma cosa ti é saltato in quella zucca?!? Ti credevo intelligente ma invece penso che tu abbia l'acqua al posto del cervello! No! Nemmeno quella!!!! Forse é evaporata con il tempo - urlò l’amica con le lacrime agli occhi.
“Devo chiamare la sicurezza?”
Restò zitta con lo sguardo basso, aspettando che si calmasse.
- Allora?!? É inutile che tieni la testa bassa come un cane bastonato aspettando che mi calmi! -
- Elisabeth, per favore... -
- Per favore cosa?!? Ma ti rendi conto di quello che è successo ieri sera? Ti rendi conto che hai rischiato di morire? -
Abbassò lo sguardo, lasciandosi sfuggire una lacrima - Sì, me ne rendo conto - sussurrò, portandosi una mano al ventre: sapeva che suo figlio non ce l’aveva fatta, ma finché qualcuno non gliel’avesse detto chiaro e tondo, non ci avrebbe creduto. Rialzò lo sguardo, osservando l’amica, arrabbiata come non mai, che abbassò subito lo sguardo con un singhiozzo.
La rabbia di Elisabeth svanì in un istante, lasciando il posto al solito affetto che le legava da sempre.
- Elisabeth...scusami - sussurrò ansimando.
- Scusami tu, non dovevo urlare così -
- No, avevi ragione. Dovevo fare...più attenzione...-
La rossa alzò lo sguardo e le sorrise, mettendosi a sedere in fondo al letto - Ti ho fatto male?-
Sorrise - Un po’ -
- Non l'ho fatto apposta -
- Lo so... - rispose.
- Quante dita sono? - chiese la migliore amica, mostrando la mano completamente aperta.
- Non sono qui per...una visita oculistica Elisabeth...comunque sono cinque -
- Mi hai fatto prendere un colpo. Laura mi ha svegliato all’una di notte dicendo che tu eri all’ospedale in condizioni gravi, e ho chiamato Matteo subito dopo - disse la rossa tutto d’un fiato - Senti, è meglio che vada a chiamare i miei. Avranno sicuramente tirato giù qualche santo quando sono uscita a quell’ora -
Sorrise - Certo... -
Elisabeth le fece ok con la mano, si alzò ed uscì dalla stanza, lasciando entrare Laura, con i capelli scarmigliati e gli occhi lucidi, che si avvicinava sempre di più con passo felpato.
- Laura...- la salutò con un cenno della testa.
- Angelica...- rispose la ragazza sedendosi sulla sedia accanto al letto - Come...come stai? -
- Bene - mentì.
Calò un lungo silenzio; la bionda abbassò lo sguardo, mentre lei tamburellava le dita sulla sbarra del letto a tempo dei continui beep dell’elettrocardiogramma.
- Io ti volevo ringraziare - riprese Laura alzando lo sguardo, puntando i suoi occhi grigi contro di lei - Ci sarei io lì se non fosse stato per te. Quindi...grazie -
Non rispose e tenne alto lo sguardo.
- Senti, non mi trattengo. Me ne torno a casa ora che...so che stai meglio - aggiunse la bionda, avviandosi verso la porta.
- Laura? -
- Si? -
- Non devi ringraziarmi - disse.
La bionda le sorrise - Sì invece, perché eravamo pari. Ora sono io quella in debito con te -


Socchiuse gli occhi, sbuffando alla vista della stanza d’ospedale, poi sbadigliò, guardandosi intorno - Matteo?- chiamò, sperando che il ragazzo fosse tornato, ma nella stanza non c’era nessuno.
Dopo qualche minuto, la porta si aprì lentamente, e il moro, entrò in punta di piedi con una bottiglietta d'acqua in mano.
- Ehi, ti sei svegliata -
Sorrise, mentre lui tornava al suo fianco - Che...che ore sono?- chiese strofinandosi gli occhi con il dorso della mano.
- Sono le due -
- Hai visto i miei fuori?-
- Sono entrati i tuoi mentre dormivi -
- Che cos'hanno detto? Sono arrabbiati?-
- No, non sono arrabbiati. Si sono solo spaventati...tua madre ha pianto un po' ma si é calmata -
Fece per alzarsi, ma Matteo le afferrò le spalle e la schiacciò di nuovo contro il materasso - Ahia Matteo -
- Dove vuoi andare? -
- Voglio vedere se sta bene - sussurrò cercando di alzarsi un'altra volta, ma il fidanzato la spinse nuovamente sul materasso.
- Non vai da nessuna parte -
- Voglio vedere mia madre -
- Tornerà più tardi, non preoccuparti -
- Matteo...se non la chiami ti giuro che mi metto ad urlare dicendo che mi stavi violentando -
Lui socchiuse gli occhi, incrociando le braccia al petto - Posso pensarci? -
Prese una grossa boccata d'aria, pronta per buttarla fuori con un urlo, ma il moro agitò le mani, fermandola - Ok, ok -
Il ragazzo uscì dalla stanza, chiamando sua madre, che entrò subito dopo. I capelli neri erano spettinati come non mai e gli occhi gonfi per le lacrime che, probabilmente, aveva versato fino a quel momento.
- Mamma -
La donna le corse incontro, abbracciandola con forza subito dopo - Oh Angelica, mi hai fatto prendere un infarto -
- Mamma, scusami tanto - sussurrò ricambiando la stretta affettuosa - Non volevo farti spaventare -
- Mi hai fatto perdere trent’anni di vita -
Sorrise - Dov’è papà? -
- È al bar che beve camomilla...era così agitato che... -
La donna fu interrotta da un medico, che entrò nella stanza dopo aver bussato alla porta: aveva i capelli bianchi e una corta barba bianca, un paio di occhiali sul naso e una bella panciona - Buongiorno, dormigliona -
Sorrise - Buongiorno, dottore -
- Dobbiamo fare delle visite - disse il dottore - Come ti senti? -
- Meglio -
- D’accordo, allora iniziamo il tour di visite -
Lanciò un’occhiata preoccupata a Matteo, inarcando un sopracciglio “Questo è matto!” pensò. Il fidanzato alzò le spalle ed annuì, come se le stesse leggendo nel pensiero.
Lanciò un sospiro ed alzò a sua volta le spalle - Urrà -
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Ore 18.38
Dopo diverse visite per controllare i punti e altro, sul tardo pomeriggio, finalmente, l’avevano lasciata in pace.
L’avevano riportata nella sua stanza dove, ad attenderla, c’erano Matteo, i suoi genitori ed Elisabeth. Nella stanza regnò il silenzio per diversi minuti, poi, consapevole di quello che stavano per dirle, prese un respiro profondo - So già cosa volete dirmi, se questo serve a facilitarvi le cose - disse.
Fece correre lo sguardo da Matteo, in piedi in parte al letto, ad Elisabeth, sulla porta della stanza, poi a sua madre, seduta sulla sedia accanto al letto, e a suo padre, accanto a Matteo. Puntò di nuovo gli occhi in quelli del fidanzato, che abbassò lo sguardo - Per il bambino...non c’è stato nulla da fare -
Le lacrime iniziarono a rigarle le guance e singhiozzò piano, stringendo forte le lenzuola, arrabbiata con sé stessa per non aver mantenuto la promessa, per essere stata così stupida.
Quando rialzò lo sguardo, Elisabeth, anche lei con le lacrime agli occhi, le corse incontro, abbracciandola con forza. Lasciò uscire tutte le lacrime, ricambiando l’abbraccio dell’amica, staccandosi dopo diversi minuti, ricordandosi che disperarsi ora era inutile.
Tolse le ultime lacrime dagli occhi, mentre Elisabeth non riusciva a smettere. Voltò lo sguardo verso sua madre e le fece cenno di accompagnare fuori l’amica e di farla calmare. La donna capì al volo: si avvicinò alla ragazza, la prese per le spalle ed entrambe, seguite da suo padre, uscirono dalla stanza. Ora nella stanza era rimasto solo Matteo, che si sedette sulla sedia, accanto al letto, prendendole la mano.
- Perdonami - sussurrò, facendo dei profondi respiri, mentre gli occhi bruciavano.
- Non importa, l’importante è che tu stia bene -
Lanciò un’occhiata al fidanzato - Scusa ma...non stavo parlando con te - disse, guardando poi suo figlio, in piedi in fondo al letto, che le sorrideva - Mi dispiace...tanto -
- Non fa niente, mamma. Il nostro destino è cambiato - rispose il bambino dai capelli corvini.
- Il nostro destino? -
- Io non sono diventato un demone e tu sei tornata da papà e sei ancora viva -
Era leggermente confusa: non le aveva detto nulla della parte che riguardante Matteo - Dal...tuo futuro io non...tornavo con papà? -
Il bambino scosse la testa - Quel giorno, quando sei andata a scusarti con papà, io ti ho un po’ influenzata. Volevo farti tornare felice -
Sentì le lacrime minacciare nuovamente di uscire a dirotto - Ma tu non ci sei più -
Suo figlio sorrise - Ma non sono diventato demone sapendo quanto mi amavi - disse lui, avvicinandosi a lei e sfiorandole appena la mano destra. La mano del bambino trapassò la sua.
- Ti prego - sussurrò, di nuovo in lacrime - Perdonami se puoi -
- L’ho già fatto - disse il bambino, alzando la manina per salutarla - Ciao, mamma -
Alzò la sua mano sinistra, senza smettere di piangere - Ciao - sussurrò appena, prima che suo figlio scomparisse nel nulla. Lasciò libere le lacrime, quando Matteo l’abbracciò, stringendola a sé.
- Scusami anche tu. Scusami...ti prego -
- Non preoccuparti, Angelica - rispose il moro, accarezzandole i capelli.
Strinse i denti sentendo un’improvvisa fitta al ventre, e si staccò subito dall’abbraccio - Tranquillo - sussurrò, prima che Matteo potesse chiederle se stava bene - È solo una fitta -
- Sei sicura? Non hai una bella cera -
- Non é niente, sto bene - sussurrò appoggiando la testa sul morbido cuscino e chiudendo gli occhi.
- Sei stanca?- chiese il ragazzo all'improvviso.
- Un po’ -
- Allora me ne vado, così puoi riposare - disse lui alzandosi.
- No... - sussurrò afferrando la mano del ragazzo, prima che si allontanasse, stringendola forte - Ti prego...resta - sussurrò, mentre Matteo tornava a sedersi al suo fianco, stringendole dolcemente la mano.
- Grazie - sussurrò guardandolo negli occhi.
- Non ti preoccupare, ora riposa -
Annuì leggermente, sentendo le palpebre farsi sempre più pesanti, ed infine, sprofondò nel sonno.
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Capitolo 50
*** Capitolo 50 - Martedì, 21 luglio 2009 ***


Martedì, 21 luglio 2009
Alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e puntò lo sguardo verso la porta sentendo qualcuno bussare - Avanti -
La maniglia si abbassò e la porta si aprì appena: Beatrice fece capolino dalla porta solo con la testa, sorridendo - Ciao -
Ricambiò il sorriso - Ciao Beatrice, entra pure -
- Non disturbo vero? -
- Certo che no - disse, chiudendo il libro ed appoggiandolo sul comodino accanto al letto.
La ragazza entrò, chiudendosi la porta alle spalle ed avvicinandosi poi al letto - Come stai? -
- Dopo le tue amorevoli cure, molto meglio - rispose. Qualche giorno prima Beatrice era venuta a trovarla e aveva alleviato il dolore al ventre con i suoi poteri.
La bionda fece un piccolo cenno del capo, mettendosi la borsa sulle ginocchia ed iniziando a frugare all'interno. Piegò appena la testa, guardandola con curiosità - Hai perso qualcosa? -
- Sono io o c'è profumo da camomilla? - domandò, estraendo dalla borsa un pacchetto di sigarette Winston blu morbide, ne prese una e se la mise in bocca - Oh beh, non importa -
Inarcò un sopracciglio - Non puoi fumare qui -
- E perché? Tu fumavi nell'infermeria dell'Agenzia -
Arricciò le labbra - É stato tempo fa, ed era una cosa di diversa -
Beatrice si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra, aprendola schioccando solamente le dita e si sedette, con le gambe che penzolavano fuori nel vuoto - Non ho mai capito perché hai smesso -
- Perché fa male -
- Solite scuse - disse l'amica, accendendosi la sigaretta con un altro schiocco di dita.
- Vedi di non cadere, siamo al settimo piano -
La bionda aspirò dalla sigaretta e soffiò fuori il fumo - Tanto cado in piedi -
Nel sentire l'odore del fumo le venne un po' di nostalgia. Lanciò un sospiro e si alzò dal letto, prendendo una sigaretta dal pacchetto della ragazza e si avvicinò a sua volta alla finestra, restando con la testa fuori in modo da non far scattare l'allarme antincendio - Fanculo la salute, me la accedi? -
Beatrice schioccò le dita e la sua sigaretta si accese. Lanciò un sospiro dopo aver soffiato fuori il fumo.
- Se ti becca qualcuno sono fottuta -
- Soprattutto se mi becca Elisabeth - disse, tirando dalla sigaretta un'altra volta - Com'é la situazione all'Agenzia?-
- Le cose non stanno andando bene, ma ce la stiamo cavando -
- É successo qualcosa? -
La bionda annuì, aspirando dalla sigaretta - Sono morti un paio di Agenti in missione non so dove -
- La Direttrice? -
- Si é spaventata a morte quando ha saputo delle Gemelle. Ah, complimenti comunque -
- Complimenti per essermi quasi fatta uccidere? -
- No, complimenti per aver ucciso le Gemelle -
Qualcuno bussò alla porta e si voltò immediatamente, passando la sigaretta a Beatrice e tornando sul letto - Avanti -
La porta si aprì una seconda volta ed entrò Elisabeth, salutando sia lei sia Beatrice. La rossa si soffermò a guardare la ragazza seduta sulla finestra - Perché hai due sigarette? -
Beatrice osservò prima le due sigarette in mano e poi di nuovo Elisabeth - Beh, ho pensato: ho due polmoni, perché non fumarsi due sigarette insieme? -
La migliore amica le lanciò un'occhiata - Non é che stavi fumando? -
Fece un'espressione innocente - Io? Certo che no, sono anni che non fumo più -
- Ah sì? -
Annuì, facendo un sorriso - Sì, sì. Il fumo uccide e danneggia te e chi ti sta intorno -
Elisabeth le si avvicinò, sorridendo in modo quasi diabolico - E perché puzzi di fumo? -
- Non sono io, é lei - tentò di difendersi, puntando il dito verso Beatrice, che fumava tranquillamente le due sigarette.
- Ammettilo -
- Non ho fumato niente! -
La rossa si sedette sul letto, lanciando un sospiro - La prossima volta che ti becco ti infilo la sigaretta in un posto dove non batte il sole -
Guardò Beatrice e lanciò un sospiro - Che ne dite se andiamo giù al bar? -
- No, perché ti devo tirare con la sedia a rotelle -
Fulminò Elisabeth con lo sguardo - RIESCO A CAMMINARE!! -
- Ma se l’altro giorno sei inciampata sui tuoi stessi piedi! - esclamò Beatrice, che quasi cadde dalla finestra a forza di ridere come un’idiota.
- IO TI DO FUOCO!! -
- Lo dici sempre -
- TROVATI UNA BUONA IMPRESA DI ONORANZE FUNEBRI BEATRICE CARRARO!! -
La bionda non riusciva a smettere di ridere e, dopo aver spento le sigarette, chiuse la finestra, iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza, imitando la caduta dell’altro giorno.
- BEATRICE! -
Elisabeth, in preda ad un attacco di ridarella, si alzò in piedi a fatica, inginocchiandosi poi a terra e tenendosi le mani sulla pancia; Beatrice, stesa a terra dopo aver finto un’altra caduta, prese dei profondi respiri per evitare di morire dal ridere. Incrociò le braccia al petto - Andate a fare in culo -
- Perché chi va con lo zoppo, arriva tardi! - esclamò la rossa, ridendo ancora più forte.
- Non sono zoppa -
- Mi raccomando, Angi. Fai attenzione a dove metti il piede destro - aggiunse Beatrice, trattenendo le risate.
Inarcò un sopracciglio - Perché il destro? -
- Perché il sinistro ce l’hai già nella fossa! -
Sbuffò - Avete intenzione di continuare per molto? -
- Sì!! - esclamarono le due ragazze in coro, continuando a ridere.
- Bene, allora: Cosa fanno dieci bionde in piedi, con l’orecchio appoggiato a quello della successiva? - domandò.
Beatrice le lanciò un’occhiataccia - Se rispondi ti prendo a calci -
Sorrise - Una galleria del vento -
- ANGELICA VETRA!! -
- TE LA SEI CERCATA!! -


Sedute ad un tavolino del bar dell'ospedale, Elisabeth e Beatrice bevevano un caffè, mentre lei osservava assorta il tè freddo nel suo bicchiere.
- Matteo? - domandò ad un tratto Elisabeth, attirando la sua attenzione.
- Non lo so, oggi non é venuto -
- Vedrai che arriverà, forse aveva solo qualcosa da fare -
Annuì, sperando che fosse così e bevette il suo tè tutto d'un sorso.
Beatrice, finito il suo caffè, si alzò in piedi, prendendo il portafogli dalla sua borsa - Voi tornate in camera, offro io oggi -
Si alzò in piedi - Vai all'Agenzia? -
La bionda annuì - Non si sa mai, magari succede qualcosa di interessante -
- Allora ciao -
- Ciao ragazze -
Dopo aver pagato, Beatrice s'incamminò verso l'uscita dell'ospedale, mentre loro andarono verso l'ascensore. Saltellò sul posto, agitata all'idea di prendere nuovamente quella scatola senza via di fuga.
- Paura? - le domandò Elisabeth con un'occhiata, quando le porte dell'ascensore si aprirono. Scosse la testa ed entrò.
Quando le porte si chiusero e l'ascensore prese a salire, iniziò a leggere una targhetta appesa ad una delle pareti, tentando di distrarsi, mentre la claustrofobia assaliva la sua mente. Al pensiero che era chiusa in un ascensore, che avrebbe potuto bloccarsi all'improvviso senza alcuna ragione, dentro ad un ospedale, pensò seriamente di mettersi ad urlare e scappare non appena quella scatola l'avrebbe lasciata andare.
- Allora, come va con Matty-Mat? - le domandò l’amica, tentando di distrarla
- Bene - rispose immediatamente, continuando a leggere la targhetta su quante persone poteva portare l'ascensore.
- Che ne dici se un giorno facciamo una grigliata a casa tua? -
- Va bene -
- Ti vuoi svegliare? L'ascensore non si blocca solo perché ci sei tu dentro -
Non la stava ascoltando: stava osservando intensamente il numero del piano. Mancava poco, erano ancora al 5° piano.
- Matteo mi ha mandato un messaggio -
- Che ti ha detto? -
- Se stasera sono libera per una notte di fuoco, perché ha la sua fidanzata idiota e masochista è in ospedale -
- ELISABETH! -
- Mi ha chiesto se sono con te, adesso gli rispondo -
Non appena le porte dell'ascensore si aprirono, scattò fuori, osservando l'amica che camminava tranquilla, rispondendo al messaggio di Matteo.
Raggiunsero con calma la sua stanza e, non appena arrivarono, Matteo rispose al messaggio della rossa.
- Cos'ha scritto?-
- Che passa più tardi perché deve aspettare sua madre che vuole venire anche lei -
- Capito - disse, sedendosi sulla finestra, mentre l'amica si sedette sul letto.
- Angelica, ascolta - iniziò Elisabeth, torturandosi le dita - Non ne hai ancora abbastanza con questa storia dei demoni? Cosa deve capitarti ancora per convincerti a lasciare quel posto? Hai già perso tanto, Angelica, per favore -
Voltò lo sguardo fuori dalla finestra - Non mi lasceranno mai in pace, Elisabeth. La spia continuerà a darmi la caccia e non smetterà finché non sarò morta o finché non lo uccido con le mie mani -
- Allora vai via da Verona! Vai a Torino, Londra, Oslo, Atene o New York! -
- Se lo facessi la spia inizierebbe a prendersela con voi -
- Allora? Sono stata attaccata dal demone più cazzuto di tutti -
- Kyra - la corresse.
- Lo stesso demone, nel tuo corpo ha cercato di uccidermi, sono rimasta coinvolta in una fottutissima sparatoria -
- Non é la stessa cosa Elisabeth! - esclamò - C'ero io a proteggerti da Kyra, c'era Laura che ti ha soccorsa mentre io ero posseduta, c'ero io a sparare contro gli uomini che ci seguivano in auto e che hanno cominciato a spararci addosso! -
L'amica abbassò lo sguardo, restando zitta.
Si calmò un attimo, facendo dei respiri profondi - Scusami Eli, ma non posso andarmene lasciandovi qui, sapendo che la spia non ci penserebbe due volte a catturarvi e minacciarmi -
- E se succedesse? Se prendesse i tuoi o Matteo o Sonia o me o Alice, cosa faresti?-
Chiuse gli occhi - Mi consegnerei a lui. Dopo avermi uccisa non avrebbe nulla contro di voi -
- E se forse c'è qualcos'altro sotto? E se ti volesse morta per un'altra ragione? - domandò l'amica.
Alzò le spalle - Non saprei proprio cosa pensare -
- Le possibilità sono tante. Hai detto che é sicuramente uno dell'Agenzia, giusto? -
Annuì - Però non so dove vuoi arrivare -
- Abbiamo capito che ti vuole uccidere, ma vuole farlo perché, uccidi troppi demoni oppure sei semplicemente sulla sua strada? -
- Sulla sua strada? -
- Rifletti: sei un elemento importante all'Agenzia, tutti ti adorano e ti ammirano, soprattutto la Direttrice -
Inarcò un sopracciglio - Sono veramente confusa -
- Svegliati Angi! Cos'hai davanti agli occhi? Delle fette di salame? Ti ricordi la regola delle tre S?-
Annuì - Il mondo gira attorno alla salute, i soldi e il sesso, ma non riesco ancora a capire cosa c'entra con il nostro discorso -
- I soldi, Angelica. Da quanto mi hai raccontato la Direttrice gestisce l'intero capitale dell'Agenzia, giusto?-
Annuì - Giusto -
- Quando la Direttrice morirà, lascerà un testamento ed immagino che indichi un suo successore, se invece non c'è nessun riferimento al successore immagino che si vada in ordine -
- Vuoi tagliare per favore?-
- E se la spia sapesse già quello che la Direttrice ha scritto sul testamento? Se ha indicato te come successore? -
- Questo spiegherebbe perché mi vuole morta: se mi uccide la Direttrice non può nominare un morto come successore -
Elisabeth le fece un applauso - Esatto e chi c'é dopo la Direttrice? -
Fissò nel vuoto per alcuni secondi - L'Agente 2 -
- Bingo -
- Ma perché vuole il posto della Direttrice? -
- I soldi, Angelica -
- E a cosa gli servono?-
- Questo non lo so, ma dopo fanno un'altra puntata di Gossip Girl -
- COSA C'ENTRA?! -
- Non voglio perdermela, c'è Serena che si é messa con Dan -
- Non me ne frega niente! -
Elisabeth si alzò, fingendosi offesa - Non te ne frega niente solo perché sei qui dentro senza tv -
Tornò seria e le sorrise - Grazie Eli -
- Di cosa? -
- Per avermi tolto le fette di salame davanti agli occhi -
- Oh, di niente -
- Ma come diavolo hai fatto a pensare a tutte queste cose? -
Elisabeth si avvicinò alla porta, appoggiando la mano sinistra sulla maniglia ed abbassandola - Si impara sempre dalla Signora in giallo - disse lei, uscendo dalla stanza canticchiando la sigla del telefilm. Si sedette sul letto, ridendo da sola, tornando poi seria ripensando al discorso appena concluso con l'amica.
Possibile che la spia era l'Agente 2?


Sobbalzò quando all'improvviso Matteo entrò senza nemmeno bussare, urlando il suo nome.
- Matteo - sussurrò, ancora con il cuore a mille per lo spavento - É successo qualcosa?-
- No ma...ho parlato con il dottore -
- E?-
- Torni a casa -
Rimase un po' sorpresa ed inarcò un sopracciglio - Davvero? Mi fanno andare via? -
Quando il ragazzo annuì, sorrise come non mai, alzandosi dal letto e correndo ad abbracciarlo. Gli diede un bacio sulle labbra e gli sorrise ancora, accarezzandogli i capelli dolcemente - Finalmente,non ne potevo più -
- Anche i dottori erano stanchi di dirti di non staccare gli aghi, ma ogni giorno li trovavano tutti per terra -
- Stavo bene, non mi servivano quelle cose -
- Stai bene grazie a Beatrice -
Annuì, osservandosi il braccio che, fino all'altro giorno era ingessato - Lo so, fortunatamente ha sviluppato un po' i suoi poteri e può curare più velocemente -
Matteo annuì e, dopo averla presa in braccio, la fece nuovamente sedere sul letto, accarezzandole poi la guancia. Non smise di guardarlo negli occhi finché lui non si avvicinò, baciandola ancora. Si staccarono immediatamente sentendo qualcuno bussare la porta.
- É tua madre, vero? -
Lui annuì. Si schiarì la voce - Avanti -
La porta si aprì una seconda volta ed entrò la signora Dall'Angelo, sorridente come sempre, con la piccola Sonia alle spalle, che superò la madre e le corse incontro, abbracciandola con entusiasmo.
- Angi!-
Abbracciò la bambina, ridendo - Ciao Sonia -
- Matteo mi ha detto che oggi torni a casa -
Annuì, accarezzandole i capelli in modo quasi materno.
- Sai che adesso la piscina é pronta? -
- Sonia, non credo che Angelica abbia voglia di giocare in piscina, é ancora un po' malata - s'intromise la donna, facendole l'occhiolino dopo aver chiuso la porta. Rispose con un lieve cenno: Sonia pensava che fosse all'ospedale per la febbre alta.
- Ma tra qualche giorno verrò a farti compagnia -
- Angelica, ho una cosa per te - iniziò la signora Dall'Angelo, porgendole una vaschetta di gelato.
Guardò le palline di gelato nella vaschetta, incantata - Oh...gelato... -
Angela le porse un cucchiaino di plastica verde, prendendone poi altri due, uno blu e uno rosa - É tutto per voi - disse la donna, porgendo quello blu a Matteo e quello rosa a Sonia.
Tutti e tre si avventarono sulla vaschetta, finendo quasi subito le sei palline di gelato.
- Non lasciate prove - disse la signora Dall'Angelo, prendendo la vaschetta e gettandola nel cestino - Se scoprono che ho portato un gelato alla paziente danno una mia foto alla reception e non mi fanno più entrare -
Voltò lo sguardo verso Matteo, che ghignava sotto i baffi - Ti hanno detto di preciso quando posso andarmene? -
- Anche subito - rispose lui - Ma prima togliti il gelato dalla faccia -
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Seduta sul bordo della piscina con le gambe immerse fino al ginocchio nell’acqua, osservava Sonia e Matteo giocare e ridere, mentre la signora Dall’Angelo, dopo aver tentato inutilmente di farla desistere dal restare sotto al sole, si era seduta sullo sdraio, sotto all’ombrellone, scribacchiando sul giornalino settimanale dei sudoku.
Si raccolse i capelli in una classica coda di cavallo e guardò la donna, che abbassò il giornalino per guardarla negli occhi, alzando poi un sopracciglio.
- Signora Dall’Angelo, è successo qualcosa mentre ero in ospedale? -
La donna piegò appena la testa, confusa - Cosa intendi? -
Si portò una ciocca ribelle dietro l’orecchio e scosse la testa - Niente, non si preoccupi - disse anche se pensava a tutt’altro: non appena era entrata in casa aveva sentito degli strani sussurri, poi dei continui ticchettii, come la lancetta di un orologio che segnava i secondi, anche in quel momento, se si concentrava attentamente, poteva sentirlo; ma evidentemente solo lei percepiva quel suono.
Matteo le si avvicinò, accarezzandole le gambe. Abbassò lo sguardo e gli sorrise, sistemandosi il costume per poi entrare a sua volta in acqua, sentendo immediatamente un brivido gelido percorrerle la schiena non appena si fu immersa del tutto. Gli gettò le braccia al collo, giocherellando con i suoi capelli bagnati.
- Come mai ti attacchi a me? Non sai nuotare? -
Gli si avvicinò all’orecchio, in modo che solo lui potesse sentire le sue parole - Ti sorprenderesti sapendo quello che riesco a fare in acqua -
- Potrei pensare male - sussurrò lui - Inoltre il tuo costume è così... -
- Non è il momento adatto - sussurrò con un sorriso, poi prese il moro per le spalle e lo trascinò fino al centro della piscina, nel punto più profondo. Sonia li guardava, agitando le braccia e le gambe per rimanere a galla.
- Cosa credi di fare Angelica?-    
- Io? Niente. Perché pensi che stia tramando qualcosa?-
- Perché hai uno strano sorriso -
Ghignò in modo diabolico e lo spinse sott'acqua, trattenendolo un attimo, per poi lasciarlo risalire.
- Te la faccio pagare - disse lui spingendola sott'acqua.
Si liberò dalla presa del ragazzo e nuotò fino a toccare il fondo, si sedette in qualche modo e rimase lì. Rialzò lo sguardo, osservando Matteo, con la testa immersa nell’acqua che la guardava. Gli si avvicinò velocemente e, prima che potesse scapparle, lo afferrò per la gamba e lo trascinò sott’acqua assieme a lei.
Sorrise vedendo Matteo che ormai, non riusciva più a resistere sott’acqua, e gli diede una spinta verso l’alto facendolo riemergere. Fece lo stesso e, una volta riaffiorata, osservò il ragazzo sputacchiare un po’ d’acqua dalla bocca.
Gli diede un bacio sulla fronte e gli sorrise - Non sfidarmi a chi dura di più sott’acqua -
- Perché vinceresti tu? - domandò lui, tossicchiando.
Sorrise - Sempre -
- Oh Angelica, dimenticavo - iniziò la signora Dall'Angelo guardandola dallo sdraio - Vuoi restare a cena? -
Si voltò verso la donna e sorrise - Con piacere, grazie per l'invito -
- Oh Matteo, ma dove l'hai trovata una ragazza così dolce, carina, intelligente e gentile?-
- Tutto grazie all'ombra dello scorpione - rispose il ragazzo, cingendole i fianchi sott'acqua.
La signora Dall'Angelo li guardò confusa, alzando poi le spalle e ritornando sui suoi sudoku. Si voltò di nuovo verso Matteo e sorrise - Angelica, tanto piacere -
- Il piacere é mio - sussurrò lui, baciandola sulle labbra, ignorando la madre e la sorella.
- Sonia, mi accompagni a fare la spesa al centro commerciale? Così ci compriamo qualcosa? -
La bambina batté le mani, schizzando acqua ovunque - Sì! E voi volete venire? -
Matteo la strinse a se, come un bambino che non vuole prestare il proprio giocattolo ad un altro - No, non siamo patiti per lo shopping come te -
- Sei proprio antipatico! - esclamò la bambina, facendogli la linguaccia.
- Lascia stare Sonia, vedrai che ci divertiremo un mondo -
- Anche noi - le sussurrò il moro all’orecchio.
Gli lanciò un’occhiata e si staccò da lui, avvicinandosi al bordo della piscina e, con uno scatto fulmineo, uscì dall’acqua, lasciando liberi i capelli e, dopo essersi messa un paio di Ray ban sul naso, si sedette nuovamente sul bordo della piscina, immergendo solo le gambe. 
- Ma si può sapere perché non volete venire? -
Matteo guardò la sorellina - Perché Angelica sta ancora un po’ male ed è meglio che resti a casa con lei -
Alzò gli occhi al cielo: fortunatamente Sonia non poteva vederlo a causa delle lenti a specchio che celavano i suoi occhi. Si passò una mano nei capelli, nel sentire nuovamente quel ticchettio e chiuse gli occhi, tentando di ignorarlo, cosa praticamente inutile dato aveva un po’ di mal di testa.
- Va bene! Restate a casa! - esclamò la bambina dai capelli castani, sistemandosi il pezzo sopra del costume.
- Perché ti metti il pezzo sopra? Per coprire quelle punture di zanzara? -
Sonia sbuffò - Perché sono una femmina! -
- E quindi? - domandò ancora il ragazzo, avvicinandosi al bordo della piscina, restando però in acqua.
- È come se chiedessi ad Angelica perché porta il pezzo sopra -
- Ma Angelica ha qualcosa da coprire, tu no! -
Diede una sberla in testa al ragazzo - Smettila -
- Beh io me lo metto lo stesso! -
La signora Dall'Angelo si alzò in piedi dopo aver smesso di ridere - Avanti Sonia, andiamo a prepararci o non faremo mai in tempo -
La bambina, dopo averla salutata e mandato una linguaccia al fratello, uscì dalla piscina ed entrò in casa con la madre, lasciandoli soli.
- Tutta la casa per noi -
- Se Beatrice non mi avesse completamente curato adesso non penseresti a queste cose - sussurrò, lanciando poi un urlo quando il fidanzato la trascinò di nuovo in acqua, slacciandole il pezzo sopra del costume.
Lo rimproverò con un’occhiata - Tua madre e tua sorella sono ancora in casa... -
- Ma io non le vedo qui - rispose lui, facendole penzolare davanti agli occhi il suo costume.
Incrociò le braccia al petto - Ridammelo -
- Convincimi -
Distolse lo sguardo e si portò una mano alla testa, gemendo.
- Angelica? Angelica cos’hai? -
Veloce come un fulmine si riprese il costume, rimettendoselo ed annodandolo con un bel fiocco - Fregato! -


Dopo un’ora di continui ticchettii ad un tratto, tacquero all’improvviso. Si osservò intorno, mettendosi a sedere e coprendosi con il lenzuolo.
- Va tutto bene?-
- Credo di sì - rispose. Aveva una strana sensazione e, sicuramente, non era una buona cosa.
- Perché credi? Cosa succede? -
- Sentivo degli strani suoni, come la lancetta di un orologio - ammise - È da quando sono entrata in casa che lo stento e non riesco a capire di cosa si tratti -
Matteo si mise a sua volta a sedere, massaggiandole le spalle - Tranquilla, sarai solo un po’ nervosa -
Abbassò lo sguardo - Probabile. Non riesco a togliermi la faccenda della spia dalla testa -
- Hai qualche nuovo sospetto? -
Gli raccontò il discorso che le aveva detto Elisabeth quella mattina sull’Agente 2 e sul suo probabile motivo per volerla morta: il controllo sull’Agenzia.
- E tu ti fidi di questo Agente 2? -
- È la persona che mi ha addestrata, tiene a me come se fossi sua figlia e mi fido di lui - disse - Ma quello che ha detto Elisabeth... -
- Magari è un altro Agente - ipotizzò il ragazzo - Sempre dei piani alti, altrimenti una mezza tacca non riuscirebbe a fare tutto questo casino per ucciderti -
Annuì - Già -
- C’è qualcuno che ti odia? -
- Non lo so - ammise, puntando subito lo sguardo verso la porta, sentendo un rumore al piano di sotto. Strinse gli occhi quando i ticchettii ricominciarono, ma stavolta sempre più forti e cominciarono ad assomigliare a dei fischi acuti.
- Hai sentito anche tu? -
Annuì, portandosi la mano alla fronte, mentre Matteo si alzò dal letto, infilando boxer e jeans in fretta e furia, avvicinandosi alla porta.
- Resta qui, vado a dare un’occhiata -
- No -  sussurrò lievemente, alzandosi dal letto e vestendosi a sua volta, tentando di ignorare quell’odioso suono nella sua testa - È un demone -
Come aveva fatto a non riconoscerlo prima? Era nei guai, guai grossi.
- Hai qualcosa da usare come arma qui dentro? - domandò e il ragazzo, dopo essersi osservato intorno scosse la testa. Imprecò a denti stretti, indicandogli la finestra - Esci e vai a casa mia -
- Non ti lascio qui -
- VAI! - urlò, puntando poi lo sguardo oltre la spalla del fidanzato, verso il demone proprio dietro di lui. Si avvicinò al ragazzo e lo prese per un braccio, spingendolo verso la finestra prima di indietreggiare ed osservare il demone che varcava la soglia della stanza, abbassando la testa per riuscire ad entrare: era alto più di due metri, grosso e muscoloso, i lineamenti umani del viso erano quasi del tutto ricoperti da una peluria scura che ricopriva il resto del corpo. Gli occhi rossi brillarono di cattiveria. 
Il demone sorrise, mostrando i denti - Trovata -
Indietreggiò ancora, lanciando un fugace sguardo a Matteo, immobile, che osservava la creatura - SCAPPA! - urlò, scaraventandosi contro il demone, facendolo rotolare giù per le scale dopo averlo spinto.
Ritornò nella stanza e lanciò un’imprecazione verso il moro, vedendolo ancora lì, immobile. Si avvicinò a lui, lo prese per un braccio e lo strattonò fino alla finestra, costringendolo ad afferrare la grondaia per arrivare sano e salvo nel giardino davanti a casa Dall’Angelo.
Il demone rientrò nella stanza, guardandola con divertimento - Una cacciatrice -
Indietreggiò appena, toccando il bordo della finestra con il sedere. Quel demone era un Cercatore: era un demone creato dalla Rosa per cercare i cacciatori di demoni ed ucciderli. Per individuarli emettevano uno strano suono, udibile solo dai Demons Hunters.
- Chi ti ha mandato, figlio di puttana? - domandò - È stato l’Agente 2? O l’Agente 7? -
- Non sono affari tuoi, cacciatrice - disse il demone con voce roca e profonda.
Prima che il Cercatore potesse fare una mossa, si buttò dalla finestra, atterrando in ginocchio in mezzo al giardino. Afferrò Matteo per un braccio e corsero verso il giardino sul retro.
***
Angelica si bloccò all’improvviso, portandosi le mani alle orecchie e lanciando un urlo agghiacciante, inginocchiandosi poi a terra.
- Ti prego! Basta! Fallo smettere! FALLO SMETTERE! -
Lanciò un’occhiata alle sue spalle, osservando per qualche secondo la creatura che avanzava con calma, poi tornò a guardare la ragazza, che urlava disperata, e la scosse, tentando di farla riprendere. 
- Angelica! Angelica! - la chiamò, mentre la mora si lasciò cadere di fianco sull’erba.
Ritornò a guardare il demone, con la bocca curvata in un diabolico e strano sorriso, prese una pietra e gliela lanciò, colpendolo ad un occhio. Angelica smise immediatamente di urlare e prese dei respiri profondi.
Il demone ringhiò e gli si avvicinò di corsa, afferrandolo per un braccio e scaraventandolo contro il muro della casa.
***
Si mise immediatamente in ginocchio e, prima che il demone potesse emettere altri suoni che l’avrebbero fatta crollare a terra e urlare in preda alla disperazione, gli diede un forte calcio alle gambe, facendolo crollare a terra. Gli bloccò immediatamente le braccia con le gambe, gli prese la testa e la girò con forza, rompendogli l’osso del collo. Dopo un latrato di dolore, il Cercatore scomparve in una nuvola di polvere.
Guardò Matteo, con la schiena appoggiata al muro esterno di casa Dall’Angelo, e gli si avvicinò immediatamente, prendendogli il viso tra le mani - Matteo? Mi senti? - domandò, sfiorandogli il piccolo taglietto sulla fonte.
- mmm -
- Matteo? -
- Infermiera, non mi sento tanto bene -
Sorrise, dandogli un bacio - Per fortuna stai bene -
- Quello era un...-
- Demone -
- Era veramente... -
- Brutto -
- Ma perché urlavi? -
- Il Cercatore emette un suono udibile solo da noi cacciatori - sussurrò, togliendogli una goccia di sangue dalla fronte - Un altro esperimento ben riuscito della Rosa -
- Ben riuscito? Ma lo hai visto bene?! -
- Lo so, non è un bello spettacolo -
- Gesù, grazie a Dio non c’era né mia madre né Sonia -
Si sedette a terra, lanciando un sospiro - È tutta colpa mia -
- Sarebbe successo comunque -
Abbassò lo sguardo - Se solo ci fosse un modo per mettere fine a tutto questo -
Matteo, dopo essersi grattato la testa, guardò la polvere nera che spiccava tra l’erba di un verde brillante - Quello era il mio primo demone -
Lo guardò e scoppiò a ridere - L’hai colpito? -
- Ovvio. Gli ho preso proprio l’occhio -
- Devi avergli fatto male -
- Ma tu gli hai fatto più male - disse lui - Gli hai rotto il collo senza sforzo -
- Te l’ho detto che sono stata addestrata per questo - disse, dandogli un bacio sulla fronte - Andiamo che ti metto un cerotto -
- Ho solo quelli rosa con i gattini di Sonia -
- Allora userò quelli -
- Ma neanche morto -
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Ore 18.04
Appoggiò il cerotto sulla ferita di Matteo e lo appiccicò per bene.
- Ecco fatto - disse, facendo un passo indietro per ammirare il cerottino rosa con il disegno di un gattino nero che si leccava la zampetta. Senza rendersene conto, scoppiò a ridere.
- Non è divertente -
- Dovresti vederti, sei così carino con quella cosa -
- Ah sì? - domandò lui - Ti faccio vedere io chi è carino -
Il moro la prese per un braccio e la trascinò verso di sé, facendola sdraiare sulla tavola prima di cominciare a farle il solletico. Iniziò a ridere e ad agitarsi, supplicando il fidanzato di liberarla da quella tremenda tortura.
- Allora? Chi è carino con il cerottino rosa? -
Si morse il labbro, pentendosi in anticipo per quello che avrebbe risposto - Tu! -
Matteo ricominciò a farle il solletico senza pietà e lei riprese a dimenarsi, poi, il ragazzo si fermò all’improvviso, ad un soffio dalle sue labbra. Riprese fiato e lo guardò negli occhi, restando in silenzio. Ritornarono immediatamente alla realtà quando sentirono qualcuno schiarirsi la voce.
Rossa come un pomodoro, si voltò verso la signora Dall’Angelo e scese immediatamente dal tavolo.
La donna dai capelli castani fece correre lo sguardo da lei a Matteo, poi di nuovo lei e poi ancora il figlio - Non avrete mica...-
Matteo le lanciò un’occhiata, poi entrambi si voltarono verso la donna, scuotendo la testa all’unisono.
- Ah, d’accordo - disse la donna - Matteo, cosa prepariamo per cena? -
- Non lo so, quello che vuoi -
- Ordino una pizza -


Finito la cena, aveva insistito per lavare i piatti e la signora Dall’Angelo, dopo aver tentato inutilmente di dissuaderla, cedette. Matteo e Sonia si erano messi in salotto a giocare a dama ed ora, nella cucina, c’erano solo lei e la madre del fidanzato.
Angela le si avvicinò, porgendole le posate sporche - Matteo mi ha detto quello che è successo mentre io e Sonia eravamo via -
Abbassò lo sguardo, risciacquando un bicchiere - Mi dispiace, signora. È solo colpa mia se vi succedono queste cose -
- Beh, non è successo niente, giusto? È questo che conta -
- Non accadrà più - disse - Parlerò con la Direttrice e la convincerò a mettere un paio di Agenti di guardia a casa vostra -
- Oh cara, non ce n’è bisogno! Abiti dall’altra parte della strada e, a quanto ho sentito, sei brava a rompere il collo ai demoni -
- Se vi succedesse qualcosa io...- iniziò, bloccandosi - Non succederebbe tutto questo casino se non fossi fidanzata con suo figlio -
La donna rise piano, lanciando un’occhiata ai due figli che giocavano in salotto - Non l’ho mai visto così -
Guardò la donna, appoggiando sullo scolapiatti l’ultimo bicchiere, sciacquandosi poi le mani dal detersivo - Così come? -
- Felice -
- Non riesco a capire -
Angela le diede una pacca sulla spalla - Quando è insieme a te sembra così felice, era intrattabile quando avete litigato - disse lei - Deve amarti molto -
Si voltò a sua volta verso il fidanzato e sorrise - Anch’io lo amo molto -
- E poi tu sarai stupenda in abito da sposa! -
Guardò la donna con gli occhi sgranati - Con...cosa? -
- L’abito da sposa, tesoro! - esclamò la donna alzando le braccia al cielo - L’ho visto nelle foglie di tè, nella sfera di cristallo e nelle carte da briscola! Vi sposerete ed avrete sette bambini! -
Spalancò la bocca - Sette? -
- Tra cui tre stupende bambine che saranno uguali alla mamma! -
- Signora Dall’Angelo, ha per caso guardato Harry Potter? -
- Ampliate la mente! -
- Lo prendo per un sì - sussurrò sorridendo, asciugandosi le mani.
- Oh, Grattastinchi si è degnato di venire a salutarci -
Si voltò ed osservò Artemide, seduta sulla soglia della porta, che piegò subito la testa, confusa, lanciando un miagolio.
- Raggiungi pure il principe azzurro, prendo i pop corn ed accendiamo un film -
Annuì, prese Artemide in braccio e si diresse in salotto, attirando subito l’attenzione di Matteo, che smise immediatamente di giocare a dama. Rimise a terra la palla di pelo e si sedette sul divano, accavallando le gambe.
- Mia madre? -
- È impazzita -
- Lo so, non è una novità - disse lui, sedendosi al suo fianco.
- Prende i pop corn e arriva -
- Che film guardiamo? - le domandò Sonia, mettendo via le pedine della dama e la scacchiera.
- Harry Potter! Che domande! -
Tutti si voltarono verso la donna, che, dopo aver spento le luci, si sedette immediatamente sulla poltrona, cedendole un sacchetto di pop corn.
- Ma l’hai guardato ieri sera - sbuffò Matteo.
- Era il tre, stasera si guarda il quattro -
- Uffa -
- Zitto e guarda il film -
Il fidanzato la strinse a sé, girandole un braccio intorno alla vita - E se io e te andassimo in un posto più tranquillo? - le sussurrò lui nell’orecchio.
- Non credo sia una buona idea -
- Perché? -
- Perché ho ancora fame e mi mangio i pop corn - disse, mettendone in bocca una manciata - Avevo proprio voglia -
Mise un attimo da parte il sacchetto nel sentire il cellulare che vibrava nella tasca dei suoi pantaloncini. Guardò il numero che lampeggiava sul display e lanciò un sospiro, alzandosi dal divano e dando un bacio sulla guancia a Matteo - Scusami, devo rispondere -
- L’Agenzia? -
- Beatrice - disse, uscendo dal salotto e rifugiandosi in cucina, chiudendo la porta e rispondendo - Pronto? -
- Angi, stai bene? -
- Sì, perché? -
- Vieni qui immediatamente -
Lanciò un sospiro - Devo proprio? -
- Sì -
- D’accordo -
Salutò l’amica e ritornò in salotto, dando un bacio sulle labbra a Matteo - Devo andare. Ti chiamo quando torno a casa, se vuoi venire -
- E me lo chiedi? I tuoi sono al mare -
Gli sorrise e si voltò, salutando la signora Dall’Angelo e Sonia, dicendo che doveva andare per una faccenda urgente. La donna capì al volo, mentre la bambina alzò le spalle.
Uscì da casa Dall’Angelo dopo aver salutato Matteo con un altro bacio, attraversò la strada e salì in macchina, partendo a tutta velocità.


Varcò la soglia dell'Agenzia e s'incamminò verso l’infermeria. Non poté fare a meno di notare il gran caos per i corridoi, dove diversi Agenti borbottavano tra loro ad alta voce, li superò, tentando di ascoltare la loro conversazione, ma quando passò loro accanto, smisero subito di parlare e la seguirono con lo sguardo.
Li ignorò completamente e continuò per la sua strada.
- 33, aspetta! -
Si voltò verso Alberto che le correva dietro, raggiungendola subito dopo - Che succede? -
Il collega la prese sottobraccio e ripresero a camminare, allontanandosi dalla folla - Mon chéri, grazie a Dio stai bene -
Lo guardò - Perché? É successo qualcosa? -
- Io e l'Agente 2 siamo stati attaccati da un Cercatore che voleva te -
- E mi ha trovata -
- L'hai ucciso? -
- Sì - rispose - Dov'é ora l'Agente 2? -
- In infermeria, non é grave -
Salutò Alberto con una pacca sulla spalla - Vado a vedere come sta visto che devo parlare anche con Beatrice. Ci vediamo -
- Au revoir -
Si affrettò a raggiungere l'infermeria, mentre alcuni pensieri le annebbiavano la mente: se il Cercatore aveva attaccato l'Agente 2 e Alberto vuol dire che non hanno niente a che fare con la spia, altrimenti, che motivo avrebbe avuto per attaccarli?
Aprì la porta dell'infermeria dopo aver bussato ed entrò, osservando Beatrice che controllava la ferita sulla spalla dell'Agente 2, che continuava a borbottare. L'uomo si voltò subito verso di lei e le sorrise - 33! -
- Salve signore, come sta? -
- Quel fottuto Cercatore mi ha distrutto la macchina -
- Tecnicamente era la macchina aziendale - lo corresse Beatrice, recuperando delle bende pulite.
- Beh ha distrutto la macchina -
- Ma perché vi ha attaccati? - domandò.
- Io e l'Agente 24 stavamo venendo da te. É sbucato in mezzo alla strada e ha fatto quel cazzo di suono: sono andato fuori strada e il Cercatore mi ha preso per la spalla - raccontò l'uomo indicando la sua spalla fasciata - E mi ha tirato fuori dalla macchina. Ha solo detto che noi saremo stati i prossimi perché il Capo ci vuole morti. Siamo rimasti entrambi privi di sensi, poi Alberto é riuscito a chiamare l'Agenzia -
- Stavate venendo da me? -
- Dovevo parlati di una missione - disse l'uomo - Lo so che sei appena uscita dall'ospedale, so quello che hai passato, ma penso che tu sia l'unica in grado di risolvere tutto -
Lanciò un’occhiata a Beatrice - È per questo che mi hai chiamata? -
La bionda annuì.
- Di cosa si tratta? -
L'Agente 2 si alzò - Seguimi -
L'uomo, dopo aver ringraziato Marco, la guidò per diversi corridoi, fino a raggiungere l'archivio. Entrarono e l'uomo chiuse la porta, assicurandosi poi che fossero soli.
- É una cosa così privata? -
- Non si sa mai, lo sai che non possiamo fidarci di nessuno -
Annuì - Allora? Di cosa si tratta? -
- Un Incubo -
Chiuse gli occhi e lanciò un sospiro - Continua -
- È in un paesino sperduto tra le montagne - iniziò l’uomo, lanciando un sospiro - Quasi tutta la popolazione è stata infettata -
- Immagino di dover uccidere solamente l'Incubo -
L’uomo pelato annuì - É l'unico modo per salvare quella povera gente -
- Dov’è questo posto? -
- Casera di Sivella, ti ci porterà Alberto -
- Quando? -
- Il prima possibile -
- Ovvero? -
- Domani mattina -
Diede le spalle al superiore, avvicinandosi alla porta ed appoggiando la mano sulla maniglia - D’accordo, ma lei deve promettermi una cosa -
- Certo Angelica, tutto quello che vuoi. Ti serve un aiuto in missione? L'Agente 28 é... -
- No, un aiuto mi sarebbe solo d'intralcio. Lo sa che lavoro meglio da sola - disse - Voglio che mandiate un paio di Agenti a sorvegliare casa Dall'Angelo. Il Cercatore é entrato senza difficoltà, non voglio che capiti di nuovo -
- D'accordo -
Aprì la porta, ma il collega la bloccò, appoggiandole una mano sulla spalla - Stai attenta. Sono già stati uccisi alcuni Agenti, 33 - disse lui - Torna sana e salva, non me lo perdonerei mai se dovesse succederti qualcosa -
Voltò appena lo sguardo, lanciandogli un'occhiata, stupendosi nel sentire quella frase - Certo - rispose - Voi restate sempre allerta, credo che la spia sia uno dei piani alti -
- Dici? -
- Non so più cosa pensare, ma un'amica mi ha aperto gli occhi. La spia vuole prendere il posto della Direttrice. Stia attento, questa persona non si farà scrupoli ad uccidere una persona in più -
- Lo farò - disse l'Agente, facendole un lieve cenno - Buona fortuna con l'Incubo -
- Grazie -
Non appena uscì dall’archivio, prese il cellulare e chiamò Matteo - Sto uscendo adesso, dammi quindici minuti -
- D’accordo -
Riattaccò, percorrendo in gran fretta i corridoi.


Entrambi erano seduti sul divano in salotto: lei seduta normalmente, con la testa del ragazzo, comodamente sdraiato, appoggiata sulle gambe; che guardavano uno stupido film su Italia1.
- Devo partire - sussurrò passando una mano nei capelli di Matteo - Mi è stata assegnata una missione -
Lui s’irrigidì appena, alzando poi la mano per afferrare la sua - Per quanto? -
- Finché non ho terminato il mio compito -
- Dove? -
Scosse la testa - Non posso dirtelo - disse con un filo di voce, distogliendo lo sguardo.
Lui si mise a sedere - Angelica -
- Non insistere, Matteo. Non posso dirtelo -
- Perché? - domandò Matteo in un sussurro, mentre lei si avvicinava per abbracciarlo con forza. Il ragazzo la fece sdraiare per terra, mettendosi sopra di lei - Angelica? -
Si sollevò appena, avvicinando il petto a quello del ragazzo, gettandogli le braccia al collo - Mi dispiace - sussurrò, perdendosi nei suoi occhi blu - Mi dispiace, ma non posso dirtelo -
Il ragazzo la baciò dolcemente, staccandosi subito dopo per rimanere ad un soffio dalle sue labbra - Non andare, Angelica. Non ti sei ancora ripresa del tutto - disse ancora lui, sfiorandole appena il ventre - Ti prego -
- Mi dispiace. É troppo tardi per tirarsi indietro -
- Angelica, ti prego...io ti amo -
- Anch'io ti amo, ma devi lasciarmi andare... -
Matteo, colto da un attacco di rabbia, batté il pugno sul pavimento - Ma potresti morire...- sussurrò lui - Io non voglio perderti -
- É il mio lavoro - rispose - Sapevo cosa andavo incontro firmando il contratto -
- Rinuncia. Non sei costretta a farlo -
Chiuse gli occhi - Matteo, prova ad immaginare un piccolo paesino, come il nostro. Immagina un demone che mordendo la gente li trasformi a loro volta in demoni, che girano per il paese uccidendo tutto quello che incontrano - iniziò - Cosa faresti se l'unico modo per salvare un centinaio di persone innocenti fosse uccidere il demone che ha iniziato tutto? Matteo, non posso abbandonare quelle poche persone che sono sopravvissute. Non posso sapendo che il demone potrebbe cambiare zona e crescere il suo esercito -
Sentì il ragazzo sospirare, segno che aveva ceduto - Mi prometti una cosa, Angelica? -
Riaprì gli occhi, puntandoli in quelli del fidanzato - Qualsiasi cosa, amore. Qualsiasi cosa -
- Torna da me sana e salva-
- Promesso - sussurrò, baciando poi il ragazzo.
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Capitolo 51
*** Capitolo 51 - Mercoledì, 22 luglio 2009 ***


Mercoledì, 22 luglio 2009
La sveglia suonò alle 5 precise, ma la spense prima che potesse svegliare Matteo. Ritornò ad osservare il soffitto, come aveva fatto per tutta la notte, ripensando alle parole del fidanzato: forse era ancora in tempo per ritirarsi, per vivere una vita tranquilla senza demoni e fantasmi, senza rischiare la vita un giorno sì e l'altro pure. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro "Non posso" pensò, mettendosi subito a sedere: un giorno forse avrebbe lasciato l'Agenzia ma non quel giorno, sapendo quante vite erano in pericolo.
Guardò di nuovo Matteo, che mugugnò nel sonno, e gli accarezzò lievemente la guancia, facendo attenzione a non svegliarlo. Si alzò in piedi, raccogliendo le sue cose, e si chiuse in bagno, andando subito sotto la doccia.
Alzò il viso quando l'acqua fredda la colpì e si mise le mani nei capelli, ripensando alla missione.
"Mezz'ora e Alberto verrà a prendermi" pensò, indecisa se svegliare Matteo per salutarlo un'ultima volta o lasciarlo dormire. Scelse la seconda, l'opzione più facile, sia per lei, sia per Matteo che, probabilmente, avrebbe tentato di dissuaderla dalla sua decisione.
Finì la doccia con calma, ripensando ancora e ancora, ci pensò quando infilò la tuta, che aveva usato nella missione nella sede della Rosa, e ci ripensò un'ultima volta quando il tempo era ormai agli sgoccioli e lei era inginocchiata accanto a Matteo, ancora addormentato.
Gli sfiorò la mano - Addio - sussurrò, sentendo una macchina fermarsi proprio davanti a casa sua, poi avvicinò il viso al suo, sfiorandogli appena le labbra, in modo da non svegliarlo - Ti amo -
Si alzò, voltandosi per dirigersi all'ingresso, ma si bloccò sulla porta, sentendo la sua voce, e si voltò, sorridendo al fidanzato, che si teneva sollevato da terra con i gomiti, osservandola con aria assonnata.
- Angelica, dove...-
- Devo andare...- rispose, prendendo le katane e il borsone - Addio -
Abbassò la maniglia della porta ed uscì, con gli occhi che bruciavano appena, raggiungendo la Mercedes parcheggiata proprio lì davanti.
Alberto, in attesa vicino alla portiera del guidatore, la salutò con un elegante gesto della mano, risalendo in macchina. Caricò velocemente il borsone e le katane sui sedili posteriori, poi si sedette sul sedile del passeggero - Parti - ordinò fredda, sentendo la porta di casa sua aprirsi.
Alberto si voltò verso l'entrata della casa, osservando un ragazzo, fermo sulla porta, con solo i jeans addosso - É successo qualcosa? -
- Parti - ripeté, lasciandosi sfuggire una lacrima, sentendo Matteo che la chiamava - Ti prego -
Alberto fece velocemente inversione, pronto ad uscire dalla via e partire per Casera di Sivella.
- Angelica! Angelica! -
Guardò lo specchietto laterale e, vedendo il fidanzato rincorrere l'automobile, sganciò le cinture di sicurezza, ordinando ad Alberto di fermarsi. Non poteva fare questo al fidanzato.
Scese dalla Mercedes e corse verso Matteo, gettandogli le braccia al collo e baciandolo con passione, lasciando che le lacrime le rigassero il volto.
Quando si staccarono, fissò il ragazzo negli occhi - Scusami, per essere andata via così... -
Lui le asciugò le lacrime che non la smettevano di scenderle dagli occhi e le sorrise - Ti perdono perché indossi questa tutina estremamente eccitante -
Sorrise a sua volta - Ah, solo per questa? - domandò scherzando.
Lui la baciò ancora, stringendola a sé. Si sciolse come un ghiacciolo lasciato al sole, e ricambiò il bacio, facendo attenzione a non far scattare le lame da polso per non ferirlo.
- Sei ancora in tempo, Angelica. Ti prego, pensaci bene -
Gli prese il viso tra le mani, puntando gli occhi nei suoi - Ci ho pensato per tutta la notte, Matteo, e la mia decisione non é cambiata -
- Non possono chiedere a qualcun altro? -
- Hanno già mandato degli Agenti e sono morti tutti - disse - Sono la loro speranza -
- Non potrebbero mandare Agenti più forti? Come l'Agente 3, 4, 8 - disse Matteo, sparando numeri a caso, senza sapere a chi appartenessero.
- Molti sono morti, altri sono misteriosamente spariti, altri si sono dimessi. La questione della spia sta facendo tremare l'Agenzia. Sono l'unica a cui affidare un po' di fiducia...e poi lo sai che sono la migliore -
Matteo guardò il cielo, respirando profondamente - D'accordo, Angelica, fai attenzione. Non riuscirei a sopportare il dolore se tu...-
- Non morirò - tentò di rassicurarlo - Tornerò il prima possibile, ma potrebbe passare una settimana o forse di più -
- Non puoi dirmi dove stai andando, vero? -
Sorrise - No - rispose - Ma se dovesse succedermi qualcosa, promettimi che andrai avanti senza di me -
- Angelica, come ti viene in mente di chiedermi questo? -
- Promettimelo -
- D’accordo, te lo prometto -
Gli diede un ultimo bacio ed indietreggiò verso la macchina, salutando il ragazzo con la mano - Ti amo - sussurrò.
Matteo rimase fermo in mezzo alla strada, guardandola salire in macchina ed allontanarsi.
- Che scena romantica -
- Zitto Alberto -
- Hai l'aria stanca, hai fatto sesso selvaggio con il fidanzato? -
Gli lanciò un'occhiataccia e reclinò un po' il sedile - Zitto che voglio dormire -
- Ai tuoi ordini, mon chéri -
- E piantala di chiamarmi mon chéri - disse - Ho un coltello nello stivale e ci metto tre secondi a conficcarlo nella tua testa -
- Ok, la smetto -


Scese dalla Mercedes, osservando subito il posto: Casera di Sivella assomigliava molto al classico paesino infestato dai fantasmi e completamente deserto. La vita sembrava aver lasciato quel posto. Gli alberi, disseminati un po' ovunque, erano spogli e sui rami neri che si tendevano verso il cielo, poteva notare persino una fitta rete di ragnatele. Le case, l'una accanto all'altra, erano in uno stato pietoso: quelle di legno erano le più distrutte, di alcune rimaneva soltanto una parete che sbucava dalle macerie.
Le case in pietra erano le uniche ad essere ancora intatte, o quasi, ma erano sicuramente abbandonate come le altre.
Si voltò verso Alberto, al posto di guida, e gli fece segno di abbassare il finestrino - Qui non c'è anima viva - disse.
- Da quello che so, tutti si sono rifugiati in una taverna in fondo al paese -
- Fammi indovinare - iniziò, incrociando le braccia al petto - Sei stato autorizzato a portarmi solamente qui e non oltre -
- Esatto -
Alzò la mano per salutarlo - Allora ciao -
- Ciao 33, non farti ammazzare -
- Non ti preoccupare - disse, dando le spalle all'auto, che si metteva in moto, lasciandola lì, in quel paesino sperduto e completamente deserto.
Si sistemò meglio le katane a tracolla ed aumentò il passo: i demoni che si aggiravano in quel posto agivano solo di notte, ma potevano benissimo vivere al sole.
Camminò ancora e ancora, ad ogni passo si guardava intorno, osservando la desolazione del posto, resti di cadaveri sotto alle macerie di altre case semidistrutte, topi che sgattaiolavano in giro, rosicchiando qualsiasi cosa trovassero.
Dopo quasi dieci minuti, vide quella che, probabilmente, era la locanda di cui le aveva parlato Alberto: alta due piani, era costruita con grosse pietre, come le vecchie case rustiche, e tutte le finestre del primo e secondo piano erano sprangate da grosse assi di legno. Si avvicinò alla porta, bussando un paio di volte, sentendo subito che i rumori provenienti dall'interno tacquero all'improvviso. Attese qualche secondo, poi notò lo spioncino aprirsi e due occhi scuri guardarla.
Non disse niente, attese che la persona dall'altra parte le chiedesse qualcosa o le aprisse.
- Chi sei? - domandò una grossa voce roca.
- Sono qui per risolvere i vostri problemi con i demoni -
A quelle parole, l'uomo fece scattare diverse serrature ed aprì la porta: era un grosso omone, vestito con un paio di pantaloni di lavoro sporchi e una maglietta, anch'essa sporca - Tu? Hanno mandato te ad uccidere quelle cose? -
Annuì "Certo, non é una bella cosa aspettare il salvatore del villaggio e trovarsi una ragazza di diciannove anni con due spade" pensò - Sì, hanno mandato me -
- Non é un posto per ragazzine, tornatene da dove sei venuta - le disse l'uomo, chiudendole la porta in faccia.
" Lo sapevo" pensò, appoggiando il borsone a terra e prendendo un po’ le distanze dalla porta. Le diede un paio di forti calci e riuscì a sfondarla con facilità.
L'ingresso era pieno di tavoli, dove diverse persone sedevano tranquille, mangiando il loro povero pranzo a base di pane e un po' di carne. I bambini, che giocavano nella zona lasciata sgombera dai tavoli, si fermarono, come tutti i presenti, guardandola con sospesa e curiosità. Si avvicinò all'uomo che le aveva aperto la porta, ora scardinata, gli lanciò un’occhiata e lo superò, ignorando gli sguardi degli uomini seduti ai tavoli lì intorno, e si avvicinò al bancone, dove un vecchio senza capelli con un logoro grembiule bianco si avvicinò lentamente. Si sedette, appoggiando a terra il borsone.
- Una cacciatrice di demoni -
Non rispose e passò una mano sul bancone di legno impolverato - Vorrei una stanza per qualche giorno -
Il vecchio si avvicinò ancora di più, appoggiando i gomiti sul bancone e portando la faccia ad un soffio dalla sua: poteva sentire la puzza di nicotina mescolata all’odore di alcol - Alcuni dicono che siete assassini -
- Ognuno la pensa come vuole - sussurrò, fulminandolo con lo sguardo, mentre le pupille del vecchio erano dilatate. Sentiva che era per paura, paura di lei.
- Solo ora vi decidete a venire qui? -
- Non sono la prima ad essere venuta qui -
- Ah giusto, mi ero dimenticato dei tuoi colleghi che abbiamo trovato morti nella stalla. Sventrati come maiali -
Non mosse un muscolo e continuò a guardarlo negli occhi. Quando notò uno strano luccichio si alzò in piedi, afferrando l’oste per il grembiule e, dopo aver fatto scattare la lama da polso della mano destra, gli appoggiò la fredda lama sulla gola.
- E loro sanno cosa sei? -
- Lascialo - disse l'uomo che le aveva "aperto" la porta - Lo sappiamo cos'é, ma non ci ha mai dato problemi -
Liberò l'oste e guardò l'uomo, ritraendo la lama, si alzò e gli si avvicinò, porgendogli la mano.
- Angelica Vetra -
Lui le strinse la mano - Antonio De Luca. Scusami per come ti ho accolta, qui non si usano più le buone maniere -
- E voi scusatemi per la porta - disse, facendo un cenno alla porta che due uomini stavano sistemando.
- Così tu sei una cacciatrice di demoni -
- Esatto -
- Come pensi di uccidere l'Incubo? -
- Troverò un modo -
Antonio schioccò le dita verso l’oste - Giovanni, dalle una stanza -
Il vecchio, sbuffando, prese una chiave in un cassetto sotto al bancone e gliela lanciò. L’afferrò al volo, osservando il portachiavi con inciso il numero 9.
- Primo piano, ultima stanza a sinistra - borbottò Giovanni, tornando a pulire un boccale di birra sbeccato.
Fece un piccolo cenno di ringraziamento all’oste e diede le spalle ai presenti, salendo le scale. Percorse piano il corridoio, guardandosi intorno, fermandosi poi davanti alla porta con inciso sopra il numero 9. Infilò la chiave nella serratura e la fece scattare, entrando nella camera. All’interno c’era solamente un letto in ferro battuto, rotto in diversi punti ma aggiustato in qualche maniera con dei pezzi di legno, un vecchio armadio senza un’anta e un comodino in perfetto stato posto accanto al letto. Non c’era il bagno, ma, evidentemente, era al piano di sotto, in modo che fosse comune a tutti.   
Appoggiò il borsone a terra, accanto al letto e si sedette sul materasso, uscì immediatamente una nuvola di polvere, che la fece tossire. Era appena arrivata e già non vedeva l’ora di andarsene. Quella sera sarebbe uscita in cerca dell’Incubo, in modo da finire in fretta e tornare presto a casa da Matteo.
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Aveva disfatto il borsone che aveva portato con sé, nascose le katane nell'armadio, mentre la Revolver e le pallottole nel cassetto del comodino, poi aveva buttato il borsone in un angolo e si era stesa sul letto. Era rimasta lì per qualche ora, cercando di trovare un piano per uccidere in fretta il demone, circondato dai cittadini del paese infettati. Sperò solo di tornare a casa tutta intera.
Si mise immediatamente a sedere sentendo delle lievi risate provenienti dall'esterno della casa. Si affacciò alla finestra sprangata da delle grosse assi di legno, sbirciando tra una fessura: dei bambini giocavano proprio davanti al rifugio.
Erano impazziti? Volevano attirare l'attenzione dei demoni?
Uscì dalla stanza, percorrendo poi il corridoio e scese le scale, raggiungendo l'ingresso, dove due uomini, seduti ad un tavolo, che borbottavano tra loro, si zittirono immediatamente, come le tre donne che sistemavano la stanza. Uscì, ignorando gli sguardi dei presenti, e si fermò sulla soglia, guardando prima i bambini e poi Antonio De Luca, a pochi metri dall'entrata, seduto su un vecchio sgabello di legno.
Si avvicinò all'uomo, salutandolo, ma non ricevette alcuna risposta.
- Siete sempre così cordiali? -
- No, solo con voi cacciatori -
- Fate di tutta l'erba un fascio. Come potete giudicarmi se sono appena arrivata? -
- Non possiamo, ma non possiamo nemmeno fidarci di una sconosciuta -
Sospirò - Touché - disse, guardando i bambini che giocavano - Pensavo fossero da soli -
L'uomo voltò appena lo sguardo e scosse la testa - C'è sempre qualcuno di guardia, anche se non attaccano mai di giorno -
- Mai? -
- No -
- É strano, eppure il sole non ha effetti su di loro -
- Attaccano ogni tanto, sempre di notte - rispose lui passandosi una mano sulla testa pelata - Alcune volte graffiano la porta, altre volte uccidono delle galline -
- Mi sembrano dei deboli tentativi di attaccarvi -
- Non fanno mai nulla, sembra che vogliano soltanto farsi notare -
Lanciò un respiro profondo - Probabilmente non vi attaccano perché siete sempre insieme. Anche se ora sono demoni sono comunque deboli, si stendono facilmente con un pugno -
- Allora come spieghi la morte dei tuoi colleghi? -
- Credo sia opera dell'Incubo - rispose - E poi sono sicura che ha sopraffatto gli Agenti con i suoi demoni -
Antonio non le rispose e continuò a guardare i bambini, che avevano smesso di giocare e la stavano guardando.
Li raggiunse e poi si abbassò, sorridendo ad una bambina che le ricordava tanto Sonia - A cosa state giocando? -
Gli altri bambini non le risposero, ma la bambina dai capelli castani e dalle guance rosee le si avvicinò di più - A guardie e ladri -
Un bambino dai capelli biondi si avvicinò di corsa - Di solito giochiamo a calcio, ma l'altro giorno il pallone é andato oltre quei cespugli - disse lui, indicando il limitare del bosco - Nessuno vuole andare a prenderlo perché ci sono i mostri -
- Oh, ma non é giusto - disse alzandosi in piedi - Adesso vado a prendervelo io - aggiunse, avviandosi verso il punto indicatogli dal bambino, mentre il gruppetto la seguiva con lo sguardo. Oltrepassò un cespuglio di rovi ed individuò immediatamente il vecchio e logoro pallone da calcio a qualche metro di distanza. Non appena si avvicinò ebbe la sensazione di essere osservata. Fece finta di niente e raccolse il pallone, ritornando indietro con calma.
- É per caso questo il vostro pallone? - domandò, avvicinandosi.
Il gruppetto di bambini lanciò un grido all'unisono, correndole incontro. Si trovò subito circondata dai bambini, che saltavano per rubarle il pallone di mano, lo lanciò subito dall'altra parte del cortile e i bambini gli corsero dietro, facendo a gara a chi lo prendeva per primo.
Li guardò per un attimo giocare con il pallone, poi tornò accanto ad Antonio, sedendosi a terra, fregandosene della polvere.
- C'era qualcuno, vero? - domandò lui, senza distogliere lo sguardo dai bambini.
- Sì -
- L'hai ucciso? -
- Mi é stato ordinato di uccidere solo l'Incubo. Gli altri torneranno normali subito dopo la morte di chi li ha morsi -
Antonio voltò lo sguardo verso di lei - Tutto tornerà come prima? -
Annuì - Le persone morse dimenticheranno tutto e tornerà tutto come prima - ripeté.
- I tuoi colleghi non ce l'hanno mai detto -
- No? -
- No - confermò l'uomo, portando di nuovo lo sguardo sui bambini - Qui hanno solo mangiato e dormito, non ci hanno mai parlato della cosa là fuori e non ci hanno mai detto che quelli morsi sarebbero tornati normali -
- Alcuni non sono molto aperti con i civili -
- E perché tu sì, cacciatrice? -
Lanciò un'occhiata ai bambini prima di voltarsi - Non lo so, spero di darvi un po' di speranza - disse, rientrando nel rifugio.
Si sedette al bancone dove l’oste non le rivolse nemmeno uno sguardo, e la cosa non la toccava, doveva trovare un modo per controllare la zona il più velocemente possibile. Difficile farlo in una notte contando solo sulle sue gambe: le serviva un mezzo, qualsiasi cosa potesse condurla avanti e indietro per Casera di Sivella nel minor tempo possibile.
Alzò lo sguardo - Giovanni? -
L’oste le guardò di sottecchi, osservando il bicchiere che stava asciugando.
- So che siamo partiti con il piede sbagliato, e mi scuso per come...-
- Mi hai afferrato e puntato una fottuta lama alla gola -
Lanciò un sospiro - Ehm, sì -
- Scuse accettate. Non pensavo fossi così in gamba da scoprire che sono un mezzo demone -
- Anni di esperienza -
- Da quanto tempo sei un Agente? -
- Quattro anni -
- Sono tanti -
- Mai abbastanza -
Il vecchio appoggiò il bicchiere, ormai asciutto da una parte, mettendole davanti un piccoli bicchierino, versandoci dentro quello che sembrava Whisky - Sento che hai qualcosa da chiedermi - le domandò poi l’oste, accendendosi una sigaretta.
- Mi serve un mezzo di trasporto -
Il mezzo demone inarcò un sopracciglio grigio, soffiando fuori il fumo della sigaretta - Mezzo di trasporto? -
- Non so, una vecchia moto, una bicicletta, un asino, una pecora che corre molto veloce...anche uno struzzo va bene -
- L’ultimo struzzo lo abbiamo ammazzato ieri. Lo abbiamo portato in cucina e ci abbiamo fatto dei panini -
Sorrise, mandando giù tutto d’un sorso il Whisky offertogli dall’oste - Mi serve qualsiasi cosa possa muoversi velocemente -
 - Abbiamo Jack -
- Jack? -
L'oste gettò la sigaretta a terra, pestandola con il piede, poi si tolse il grembiule e face il giro del bancone - Vieni, ma ti avverto: non é molto carino con gli sconosciuti -
Seguì il vecchio verso un'uscita sul retro, dalla quale poté notare per la prima volta una piccola stalla in vecchio stile. Percorsero la corte e l'oste aprì le porte di legno, rinforzate da alcuni pezzi di ferro, facendola entrare: tutto era in legno, il pavimento era coperto da del fieno, in un recinto una decina di galline scorrazzavano tranquille seguite da altrettanti pulcini mentre il gallo, appollaiato su una cassa di legno, li seguiva con lo sguardo. In un altro recinto c'erano due mucche che muggivano piano, poi c'era un altro recinto, proprio in fondo alla stalla, dove un stupendo cavallo nero batteva lo zoccolo a terra, scuotendo su e giù la testa.
Gli si avvicinarono e l'oste entrò nel recinto, mettendo subito le redini al cavallo, portandolo ad un soffio da lei.
- Lui deve essere Jack -
- Esatto - rispose l'oste - Ti avverto: non é molto carino con gli estranei -
Jack sbuffò, battendo lo zoccolo a terra, irrequieto.
Allungò la mano per accarezzargli il muso, ma il cavallo alzò la testa in modo da non farsi toccare. Inarcò un sopracciglio, mettendosi le mani sui fianchi.
- Te l'ho detto... -
- Ha una sella? -
- Certo -
- Può portarmela, per favore? -
Il vecchio le cedette le redini, uscì dal recinto per recuperare una sella, appoggiata in un angolo della stalla. Quando tornò mise la sella sul dorso di Jack, che non mosse un muscolo.
Ringraziò l'oste ed entrò nel recinto con il cavallo. Strinse forte le redini ed appoggiò un piede sulla staffa, ma il cavallo si spostò di lato, impedendole di salire.
- Io vado, ci metterai un sacco di tempo per cavalcarlo - disse il vecchio, facendo dietrofront ed uscendo dalla stalla.
Guardò il cavallo - Senti, mi sono stufata. O mi fai salire oppure devo farlo con le cattive maniere -
Jack sbuffò come risposta.
Tentò di salire nuovamente, e stavolta ci riuscì, ma cantò vittoria troppo presto: il cavallo la disarcionò subito, facendo qualche salto e scalciando come se fosse ad un rodeo. Sbatté la testa a terra, ma si rialzò subito, togliendosi il fieno di torno, mettendosi le mani sui fianchi - Bene, non mi lasci altra scelta - disse, afferrando le redini e portando il cavallo fuori dalla stalla. Jack non fece alcuna resistenza.
Non appena furono usciti riprovò ancora e ancora e poi ancora, finendo sempre con il sedere a terra.
Si alzò per l'ennesima volta - Sei proprio come un mulo! -
- Che stai facendo? -
Si voltò, osservando il bambino biondo con delle guanciotte rosee, che prima giocava con gli altri bambini - Sto cercando di far ragionare Jack -
- Non gli stai molto simpatica -
Inarcò un sopracciglio, osservando prima il bambino e poi Jack - Vuoi una mela? -
Il cavallo batté lo zoccolo a terra.
- Ti ha appena conosciuta, non ti farà salire -
- Dovrebbe farmi salire lo stesso -
- Ma a cosa ti serve? -
- Mi serve per setacciare meglio la zona -
- Per cercare i demoni?-
- Sì -
- Perché sei una cacciatrice -
- Esatto -
Gli occhi azzurri del bambino brillarono - Mi fai vedere le pistole? -
Abbassò la testa e sorrise - Sei troppo piccolo -
- Non é vero -
- Sì invece -
- Invece no -
Sospirò e si mise le mani sui fianchi - Come ti chiami? -
- Stefano -
- Stefano - iniziò - Non dovresti tornare in casa dai tuoi genitori? -
- No -
Ridusse gli occhi a due fessure.
- Posso restare qui con te? -
Sorrise ed annuì - Certo -
Rimasero lì per un paio d'ore: lei continuava a cadere dal dorso di Jack e Stefano dava un voto da uno a dieci alle sue cadute dalla sella.
Cadde a terra un'altra volta e si rialzò di nuovo, voltando lo sguardo verso Antonio De Luca che si avvicinava.
- Tra un po' é pronta la cena -
Stefano si alzò da terra e corse immediatamente nel rifugio, mentre lei, stanca morta, tentò un'ultima volta di salire in groppa a Jack, che stavolta non oppose resistenza.
- La cena é pronta anche per te, cacciatrice -
- Ho un nome. Solo i demoni mi chiamano cacciatrice -
- Scusami Angelica - disse l'uomo pelato.
- Comunque non ho fame e non voglio recarvi disturbo -
- Nessun disturbo -
Chiuse gli occhi, arrendendosi nel sentire la pancia che brontolava - Mi siederò in un angolo - disse, tirando le redini e facendo camminare Jack in circolo. Antonio alzò le spalle e si voltò, tornando nel rifugio.
- Mi sembra di aver visto un melo quando sono arrivata. Cosa dici se facciamo una corsa? -
Il cavallo nero s'impennò e partì di corsa quando scosse appena le redini.
Chiuse gli occhi godendosi la sensazione del vento che le sferzava il viso, riuscendo persino a sentire i muscoli dell'animale, che galoppava veloce. Strinse le redini, facendolo rallentare: il cavallo iniziò a trottare piano, sempre più piano.
Arrestò Jack vicino ad un melo: appese ai rami c'erano soltanto alcune mele gialle. Si alzò in piedi sulla sella, afferrando quattro mele.
- Non ti muovere - disse, tentando di tornare a sedere sulla sella senza far cadere nessuna mela. Jack, come per dispetto, fece qualche passo in avanti, facendo cadere a terra sia lei sia le quattro mele che aveva preso.
Con il sedere nuovamente a terra, alzò lo sguardo verso il cavallo, che si mangiò subito una mela - Lo hai fatto apposta -
Jack avvicinò il muso alla sua testa, dandole una leggera spinta. Si rialzò, raccolse le mele e si issò sulla sella, tenendo in qualche modo sia le tre mele sia le redini.
- Ora vai piano altrimenti non ti darò più neanche una mela -
Il cavallo sbuffò e s'incamminò verso il rifugio. Ora aveva un cavallo antipatico quasi quanto Laura e doveva solo aspettare la notte.


Dopo aver riportato Jack nel suo recinto all’interno della stalla, rientrò nella taverna dalla porta sul retro: le persone sedute ai diversi tavoli si zittirono all’improvviso e voltarono lo sguardo verso di lei. Rimase immobile per qualche secondo, poi si avvicinò al bancone di legno, sedendosi su una sedia e dando le spalle ai presenti, che la ignorarono a loro volta, tornando a borbottare tra di loro. Quando Giovanni le mise sotto il naso un piatto di pomodori e insalata rialzò subito lo sguardo, facendogli un sorriso - Grazie -
- Sei capitata il giorno della verdura a cena - spiegò lui, come se volesse scusarsi per il misero pasto.
Gli fece un piccolo cenno, ringraziandolo ancora - Ottimo, io adoro la verdura - disse, mettendosi subito a mangiare, tentando di ignorare la sensazione di essere squadrata dall’alto in basso.
Mangiò tutto quello che aveva nel piatto, bevendo un bicchiere d’acqua - Siete rimasti solo voi? - domandò.
- Ce ne sono altri trenta al piano di sotto - rispose l’oste, prendendole il piatto e mettendolo da parte.
- Come fate con il cibo? -
- Ci arrangiamo, in qualche modo. E poi abbiamo le scorte mandate dalla tua Agenzia -
- Capisco -
- Ma non dureranno per sempre -
Chiuse gli occhi e lanciò un sospiro - So cosa vuoi dirmi, Giovanni. Ti do la mia parola che farò del mio meglio per liberarmi in fretta dell’Incubo - disse - Stanotte farò un giro per il paese, sperando che qualche demone si faccia vedere e che mi conduca direttamente dal loro capo -
Il vecchio borbottò qualcosa a bassa voce, lasciandola lì da sola per andare a togliere dai tavoli nella sala i piatti sporchi. Sentì qualcuno sedersi al suo fianco e voltò lo sguardo verso il bambino dai capelli biondi di quel pomeriggio.
- Ancora tu -
- Allora, mi fai vedere le tue pistole? -
- No -
- Perché? -
- Perché sei troppo piccolo -
- Non è vero -
Lanciò un lungo sospiro - I tuoi genitori ti sgrideranno per aver parlato con me -
- Non credo - rispose il bambino - Mia mamma è nel bosco con loro -
Capì al volo: sua madre era stata morsa - E tuo padre? -
- Mio papà è andato in cielo quando ero ancora piccolo - rispose Stefano.
Si rattristò subito - Mi dispiace -
Il bambino scosse la testa - Ormai è passato -
- Sei solo qui? -
- Sono in stanza con i miei zii, ma loro sono vecchi - disse lui - E non pensano che tu sia cattiva -
Inarcò un sopracciglio - Ma io non sono cattiva -
- Beh, hanno ragione allora -
- Zitti! Zitti tutti! - urlò qualcuno, attirando l’attenzione dei presenti, che obbedirono. Si voltò, curiosa, osservando come tutti trattenevano il fiato osservando la porta d’entrata: qualcuno o qualcosa, dall’altra parte, aveva iniziato a grattare piano il legno.
Il suo istinto la fece scattare in piedi, rovesciando persino la sedia all’indietro. Tutti iniziarono a voltare lo sguardo verso di lei per guardarla avvicinarsi alla porta, togliere ogni chiavistello ed appoggiare la mano sulla maniglia.
- Mostrami la tua anima, cacciatrice -
Spalancò la porta, ma non c’era nessuno. Si guardò a destra e sinistra, uscendo nel cortile, e partì di corsa non appena notò una figura svoltare l’angolo del rifugio.
La seguì fino all’interno della stalla, completamente buia.
Si guardò intorno, tentando di individuare il demone benché non vedesse altro che buio e sentisse gli animali scalpitare e correre avanti e indietro nei recinti. Prese persino paura quando Jack nitrì.
Non appena si voltò fece un balzo indietro alla vista di un demone, ad un soffio da lei: era un omone grande e grosso con dei corti capelli bianchi e una folta barba ispida, anch’essa bianca. Il demone ringhiò e l’attaccò subito.
Schivò l’attacco, facendo cadere a terra l’armadio a muro: non era l’Incubo, quindi non doveva ucciderlo.
Il demone si alzò di nuovo e stavolta lui fu più veloce. Dopo averla bloccata in un abbraccio che di amichevole aveva ben poco, la sollevò da terra senza sforzo, aumentando la stretta. Tentò immediatamente di liberarsi, agitandosi, senza però ottenere nulla.
Provò nuovamente a divincolarsi e, prima di sentire le sue ossa scricchiolare, liberò un braccio, colpendo immediatamente il demone in pieno viso.
L’armadio a muro, con il naso sanguinante, non mollò la presa e le ringhiò contro.
- Brutto figlio di...- sussurrò dandogli un altro pugno e poi un altro ed un altro ancora, liberandosi definitivamente dalla morsa del demone e, veloce come un fulmine, gli diede una ginocchiata all’inguine, facendolo crollare in ginocchio.
Fece per colpirlo di nuovo, ma il demone la scaraventò contro la parete della stalla. Quando la schiena toccò le assi di legno, gettò indietro la testa, spalancando la bocca e chiudendo gli occhi nel tentativo di ignorare il dolore.
Non appena riaprì gli occhi il demone era scomparso.
Facendo una smorfia, staccò la schiena dalla parete di assi di legno della stalla, sentendo qualcosa di freddo ed acuminato sfilarsi dalla sua carne. Si alzò in piedi e si voltò verso il punto dove aveva sbattuto la schiena, puntando gli occhi su un grosso chiodo che sbucava da un’asse, dal quale gocciolava del sangue. Si maledì per essersi fatta scappare il demone.
A piccoli passi ritornò al rifugio, bussando alla porta d’entrata, che qualcuno aveva chiuso dopo la sua uscita - È andato via -
Le varie serrature scattarono e Antonio le aprì senza dire altro. Entrò evitando lo sguardo di tutti, ma dovette rialzarlo quando una donna, sulla quarantina, con i capelli color del rame e gli occhi nocciola, le barrò la strada. La fulminò con un’occhiataccia.
- L’hai ucciso? -
- No -
Un vecchio, accanto a lei, le diede una piccola pacca sulle con il bastone - Perché no? -
- Ho ricevuto l’ordine di uccidere solo l’Incubo -
- E chi diavolo è? - domandò un’altra donna, in mezzo ai presenti, tutti in piedi.
- Il demone che ha cominciato tutto -
- Perché solo lui? - domandò un uomo, mettendosi accanto alla donna davanti a lei.
Non rispose e tentò di superarli, ma la strada le fu bloccata di nuovo.
- Allora, assassina? -
- Non sono un’assassina -
- Ah no? - domandò qualcun altro, dalla folla.
- No -
- Io dico di sì -
Fulminò i presenti con un’occhiata - Pensate quello che volete, a me non importa -
- Allora vattene da qui! - esclamò un uomo, battendo il pugno su un tavolo.
- Smettetela! Tutti quanti! - esclamò Antonio, alle sue spalle, e tutti si voltarono verso di lui, eccetto lei - Le è stato ordinato di uccidere solo l’Incubo perché, una volta morto, tutti quelli infettati torneranno normali, torneranno ad essere le persone che avete avuto al vostro fianco fino a poco tempo fa -
Si portò una mano alla ferita, proprio tra le scapole, osservandosi poi le dita sporche di sangue. La donna che le bloccava la strada sgranò gli occhi ed impallidì - Sei ferita -
- Non è niente - sussurrò, facendosi largo tra di loro, salendo le scale e percorrendo il corridoio che conduceva alla sua stanza.
Una volta entrata si tolse la t-shirt, restando in pantaloncini corti, la piegò a malo modo e la gettò a terra, poi si sedette sul letto, prendendosi la testa tra le mani “Ti prego, fammi andare via di qui” pensò, rialzando immediatamente lo sguardo quando qualcuno bussò alla porta. Si alzò ed andò ad aprire, trovandosi davanti un ragazzo sui vent’anni, dai capelli biondi e gli occhi verdi. Rimase in silenzio e il giovane rimase a fissarla.
- Che c’è? -
Il ragazzo la guardò dall’alto in basso e deglutì - Io...sono un medico e ho visto che...ecco, volevo darti un occhiata...insomma...guardare la ferita che...ti sei procurata con il demone -
- Non ce né bisogno -
- Ti prego - disse - Solo per vedere se non c’è infezione -
Lanciò un sospiro - Ti mandano i cittadini più cordiali d’Italia? -
- No -
- Sei venuto di tua spontanea volontà? -
Il biondo annuì e lo fece entrare nella stanza - Quindi tu saresti un medico -
- Sì, beh...sono solo al secondo anno - rispose lui, porgendole la mano - Giacomo, piacere -
- Angelica -
Il ragazzo le indicò il letto - Puoi stenderti se vuoi -
Annuì e si sdraiò sul letto a pancia in giù, permettendo a Giacomo di guardare la ferita.
- Penso che sia a posto, ma sarebbe meglio disinfettare la ferita e mettere un cerotto. Spero che quel chiodo sia arrugginito -
- D’accordo. Lo farei io, ma non ci arrivo -
- Vado e torno - disse Giacomo, uscendo dalla stanza, tornando immediatamente.
- Hai fatto presto -
- Dormo nella stanza accanto - rispose lui, bagnando un candido fazzoletto con del disinfettante - Brucerà un po’ - aggiunse Giacomo, appoggiandole il fazzoletto sulla schiena.
Strinse con forza le lenzuola del letto, prendendo un respiro profondo - Ho notato -
- Vedo che sei fidanzata -
Si guardò l’anello che portava al dito e pensò subito a Matteo - Sì -
- Non deve essere facile avere come fidanzata una cacciatrice di demoni -
Chiuse gli occhi - No - sussurrò - Non è facile -
Il ragazzo le attaccò un cerotto sopra la ferita e fece un passo indietro - Ho finito -
Si alzò in piedi, ignorandolo ed aprendo l’armadio, infilando la prima t-shirt che le capitò in mano e la sua katana. Giacomo la osservò con gli occhi sgranati.
- Non so come ringraziarti - disse, avvicinandosi al comodino, recuperando la pistola per poi infilarla nella cintura dei pantaloncini.
- Un grazie è più che sufficiente -
Lo guardò e sorrise - Grazie -
- Di niente - rispose il biondino, avvicinandosi alla porta per poi voltarsi di nuovo verso di lei - Dove...stai andando? -
- Non si vede? - domandò, sguainando la katana - Vado fuori a giocare -
***
Non appena il campanello suonò, andò immediatamente ad aprire: al cancelletto, infuriata come un toro, c’era Elisabeth Hall.
La fece entrare sorridendo - Ciao -
- Ciao un cazzo -
Aggrottò la fronte “Fortuna che mia sorella è andata a letto” pensò - Anche a me fa piacere vederti -
- È qui Angelica? -
- Ehm...no -
La rossa incrociò le braccia al petto - No? -
- Non è qui -
- E dove diavolo è andata? -
Lanciò un sospiro - Beh, non so esattamente dov’è andata... -
- Come sarebbe a dire “non so esattamente dov’è andata”?-
Scosse la testa - È partita questa mattina per una missione -
- Ti ha detto dove? -
- No, ha solo detto che non poteva dirmelo -
Elisabeth abbassò lo sguardo - Che amica idiota che mi sono trovata -
- Anch’io vorrei sapere dov’è in questo momento e se sta bene, ma...-
La migliore amica della sua fidanzata sorrise in modo diabolico - Non ti preoccupare, lascia fare a me -
- Elisabeth non vorrai...-
- Trovare Angelica? Mi sembra ovvio -
- Nessuno sa dov’è andata -
- Tranne qualcuno all’Agenzia -
- Oh certo, e ovviamente tu sai dov’è la sede della più segreta agenzia che si occupa di cacciare i demoni -
- Sì -
Rimase un attimo di stucco: come faceva Elisabeth a saperlo?
- Storia lunga - rispose immediatamente la rossa, come se stesse leggendo nei suoi pensieri.
- Non ti faranno mai entrare -
- Conosco qualcuno all’interno - disse Elisabeth con un sorriso, dandogli poi le spalle e salutandolo con la mano - Ti farò sapere -
Guardò la ragazza salire sulla sua auto e partire. Quando non fu più nel suo campo visivo abbassò lo sguardo e scosse la testa: la signora in giallo era niente in confronto ad Elisabeth.
***
Aveva percorso l’unica stretta stradina che percorreva Carena di Sivella in groppa a Jack, che le era sembrato contento di uscire di nuovo dal suo recinto. Non c’era anima viva.
Ad un certo punto aveva bloccato il cavallo, che si era impennato, per osservare una strana recinzione fatta di filo spinato e paletti di legno che bloccava la strada, alta all’incirca tre metri. Non si ricordava di aver visto quello strano recinto quando era arrivata, forse per il semplice fatto che stava dormendo.
Scese da Jack, ma non osò avvicinarsi alla rete, raccolse un sasso da terra e lo scagliò con forza a qualche metro sopra il filo spinato, ma il sasso sembrò sbattere contro una parete invisibile e cadde a terra.
- Un sigillo - sussurrò, risalendo in groppa a Jack - Nessuno può entrare e nessuno può uscire -
Fece dietrofront e spronò il cavallo a correre più veloce, sperando di trovare qualche demone. Continuava però a pensare a quella recinzione: perché l’Agenzia non aveva fatto evacuare i civili? Perché li aveva lasciati lì assieme all’Incubo?
Lanciò un sospiro “Qualunque sia lo scopo di quel recinto, se l’Incubo aumenta la sua forza con il sangue umano può spezzarlo come se niente fosse”
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Capitolo 52
*** Capitolo 52 ***


Giovedì, 23 luglio 2009
Mugugnò piano, infastidita da un incessante bussare alla porta. Alzò la testa, intontita ed ancora mezza addormentata - Chi è?! -
- Sono io -
- Io chi? -
- Stefano -
Si abbandonò di nuovo sul materasso - Vattene -
- Antonio mi ha detto di svegliarti a tutti i costi -
Si mise a sedere e, come uno zombie, si avvicinò alla porta, aprendola e facendo entrare il bambino - Cosa c’è? -
- Ah non lo so, ti vuole Antonio - disse il bambino, guardandola con la fronte corrugata - Hai una faccia. A che ora sei andata a letto ieri sera? -
Si mise le mani sui fianchi. Dopo aver fatto diversi giri per il paese era tornata al rifugio alle quattro di notte, si era arrampicata ed era entrata dalla finestra della sua stanza, che aveva appositamente lasciato aperta; poi si era abbandonata sul letto, addormentandosi quasi immediatamente - Tardi -
- Quanto tardi? -
- Tanto tardi -
Lanciò un sospiro - Antonio mi cercava? -
- Sì -
- Dov’è adesso? -
- Fuori in cortile -
Raggiunse il bambino e, delle piccole spintarelle, lo fece uscire dalla stanza - Torna a giocare che io devo cambiarmi -
- Non ci fanno giocare -
- E perché? -
- Non lo so, non ci hanno fatto uscire oggi, e ci hanno vietato di farlo -
“ È successo qualcosa” pensò - Ok, torna dai tuoi amici -
Il bambino, dopo averle sorriso, se ne andò, percorrendo il corridoio di corsa. Si vestì velocemente e scese di corsa le scale, uscendo in fretta dal rifugio, ignorando le occhiate di un gruppo di vecchi seduti ad un tavolo in un angolo. Prima di uscire salutò con un live cenno del capo una donna, seduta ad un altro tavolo, che le sorrideva, accarezzandosi dolcemente la grossa pancia.
Raggiunse Antonio, appena fuori dalla porta d’entrata, assieme ad altri due uomini, che discutevano animatamente, e una donna, che osservava il muro esterno del rifugio con gli occhi sgranati ed entrambe le mani davanti alla bocca, probabilmente spalancata.
Si mise davanti a loro osservando a sua volta il muro e la frase scritta su di esso, con il sangue, rivolta sicuramente a lei: Vattene o ucciderò tutti uno alla volta.
Riverso a terra in una pozza di sangue, proprio sotto la scritta, giaceva il cadavere di un vecchio, vestito di stracci con una ferita che partiva dalla spalla destra e terminava sul fianco sinistro, profonda diversi centimetri.
Chiuse gli occhi dopo aver osservato l’espressione del vecchio, i suoi occhi vitrei e la sua bocca digrignata in una smorfia di dolore - Lo conoscete? - domandò.
- Sì - rispose Antonio per tutti.
- Era stato morso, vero? -
L’uomo pelato annuì ancora.
- È mai capitata una cosa simile prima del mio arrivo? -
- No, mai -
Lanciò un lungo sospiro - Mi dispiace -
- Non è colpa tua -
Rientrò nella taverna, salendo poi le scale per ritornare nella sua stanza. Prese la sua katana che la sera prima aveva rimesso nell’armadio, la fissò dietro la schiena e ritornò fuori, percorrendo a passo svelto il cortile per poi addentrarsi nella foresta.
Era lì da un giorno e un innocente era morto: doveva trovare l’Incubo il più presto possibile.
***
- Assolutamente no -
- Andiamo Beatrice! - esclamò, battendo il pugno sul tavolo del bar.
- Non posso dirti dov’è andata Angelica perché non lo so nemmeno io -
- Chiedi a qualcuno -
- Ti ricordi che c’è una spia nell’Agenzia che vuole Angelica morta? Nessuno può fidarsi più di nessuno ormai -
Sbuffò, sistemandosi una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio - Deve esserci un modo -
Beatrice non disse niente, si limitò soltanto a bere il suo caffè.
- Potresti chiedere ad Alberto - disse - Visto che è stato lui a portarla, a quanto mi hai detto -
La bionda, a quel nome, arrossì - Assolutamente no -
- Oh giusto, hai una cotta per lui e ti vergogni a morte a parlargli -
- Non sono cotta di lui! -
- Allora chiedigli dov’è Angelica! -
- Perché vuoi sapere a tutti i costi dov’è? -
- Perché voglio assicurarmi che stia bene -
- Elisabeth, starà sicuramente bene -
- Voglio sapere dove diavolo l’hanno mandata -
Beatrice, dopo aver finito il suo caffè, appoggiò la tazzina vuota sul tavolo e poi si portò entrambe le mani nei capelli biondi - Forse c’è un modo...- iniziò lei - Ma mi uccideranno se mi scoprono -
- Che modo? -
L’amica lanciò un lungo sospiro e la guardò - Lo farò solo e solo e mi darai una motivazione valida -
- Senti Beatrice - iniziò, facendosi più vicina in modo che nessuno, eccetto la bionda, potesse sentirla - Ho paura per Angelica, ho uno strano presentimento da quando mi hanno detto che è in missione. Ho paura che la spia sappia già dove si trova e se è così sarà ben presto in pericolo -
- Perché non chiedere a degli Agenti di raggiungerla? -
- Angelica mi ha detto che la spia controlla diverse persone all’Agenzia: vuoi mettere al corrente la spia che abbiamo capito i suoi piani? -
La bionda dopo aver abbassato lo sguardo lo rialzò - D’accordo -
- Mi aiuterai? -
Beatrice annuì - Non so quanto tempo ci metterò, forse un paio di giorni -
- Un paio di giorni? Cosa diavolo devi fare? Manomettere i supercomputer dell’Agenzia? -
- Quasi - rispose la ragazza - Ogni macchina aziendale ha una sorta di microchip che invia al computer centrale le sue coordinate ogni dieci minuti. Mi servirà un po’ di tempo per forzare le protezioni che J. ha installato di persona -
Sorrise - Che brava la mia amica hacker -  
***
Dopo aver corso per ore ed ore a vuoto nel bosco, si sedette a terra, con il fiatone. Per tutta la durata della sua “gita” nessun demone si era fatto vedere e questo l’aveva fatta infuriare ancora di più.
Quando riprese fiato si rialzò e s’incamminò verso il rifugio: ormai era inutile proseguire la ricerca. Lo scopo dell’Incubo era quello di provocarla, e doveva ammettere che ci era riuscito.
Impiegò quasi mezz’ora per tornare alla taverna, dove tutti stavano pranzando e discutendo animatamente, ma quando entrò dalla porta sul retro, nella stanza calò il silenzio per un attimo, ma poi tutti ritornarono a parlare. Si sedette al bancone, guardando Giovanni mangiare un piatto di riso con dei piccoli pezzi di pollo. L’oste alzò lo sguardo, smettendo per un attimo di mangiare, e le porse un altro piatto di riso che le aveva messo da parte.
- Grazie - sussurrò, cominciando a mangiare.
- Hai trovato qualcosa? -
Scosse la testa - Niente di niente - rispose - Eppure devono esserci -
- La cortina di ferro li tiene rinchiusi qui assieme a noi -
- La cortina di ferro? Non è quella...-
- Sì - le rispose immediatamente il vecchio - Abbiamo soprannominato così anche la nostra recinzione -
- Probabilmente il sigillo si annullerà quando qualcuno ucciderà l’Incubo -
- Oppure se qualcuno lo danneggia da fuori -
- Sei sicuro? -
Giovanni annuì - Basta rompere uno dei paletti di legno dall’esterno della cortina di ferro e tutto va a puttane -
- Ma l’Incubo può spezzarla dall’interno se diventa più forte -
Il vecchio rimase un attimo in silenzio - Beh, così hai un motivo in più per trovarlo ed ucciderlo il prima possibile.
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Domenica, 26 luglio 2009 - ore 2.37
Come ogni sera prima, era rimasta fuori tutta la notte, camminando avanti indietro per la stradina del piccolo paese, completamente deserta. Il vento soffiava dolce nell’aria, muovendole i capelli, e il silenzio era rotto soltanto dal rumore ritmico dei suoi passi.
Prese un respiro profondo, fermandosi “Andiamo” pensò “Sono qui”. Si era ferita alla mano in modo da attirare i demoni più deboli, ma non era arrivato ancora nessuno.
Riprese a camminare avanti e indietro per quella stradina a passo costante e, non appena un leggero fruscio attirò la sua attenzione, si lasciò sfuggire un ghigno. Si voltò di scatto: non c’era nessuno.
“ Avanti idiota, esci fuori”
Si rigirò per andarsene e si trovò davanti la figura di un uomo che la fissava: i suoi occhi erano dello stesso colore dell’ambra.
- Cosa ci fa una bella ragazza come te in giro a quest’ora di notte? -
L’uomo continuava a fissarla intensamente, iniziando ad avvicinarsi. Rimase immobile, attendendo il momento adatto per estrarre la pistola, infilata nella cintura dei pantaloncini.
Il demone cominciò a girarle intorno, fermandosi dietro di lei dopo diversi giri - Vedo che sei ferita -
Non disse niente, mordendosi la lingua quando l’uomo le spostò delle ciocche di capelli corvini in modo da lasciarle scoperta una parte del collo. Ghignò: ormai era fatta, anche se quello non era l’Incubo, poteva minacciarlo e farsi condurre da lui.
Lui avvicinò lentamente il viso al suo collo, come se la stesse annusando. Non appena sentì il fiato freddo dell’uomo sul collo, gli diede una gomitata nello stomaco, facendolo allontanare.
- Odio quando mi annusate il collo - sibilò.
Il demone indietreggiò, soffiandole come se fosse un gatto infuriato.
Si guardò intorno, notando solo ora la moltitudine di occhi gialli che brillavano nell’oscurità - Hai portato compagnia -
Lui ringhiò ed attaccò, correndo veloce verso di lei. Riuscì ad evitarlo e ad afferrarlo per il colletto della maglia, ribaltandolo all’indietro, sedendosi a cavalcioni sopra di lui e puntandogli la pistola in mezzo agli occhi - Ora sta fermo e ascoltami se non vuoi trovarti una pallottola nel cervello - disse, premendo ancora di più la canna dell’arma sulla fronte del demone - Voglio il tuo capo. Voglio l’Incubo. Digli di venire altrimenti verrò a cercarvi e vi ucciderò tutti, uno alla volta -
Il demone annuì, spaventato a morte.
Si alzò in piedi, osservando il demone alzarsi e correre verso gli altri, fuggendo nel bosco. Dopo essersi tolta la polvere dai vestiti, sbuffò sonoramente: l’attesa non faceva decisamente per lei.
***
Non riusciva proprio a chiudere occhio al ricordo di quello che era successo quel pomeriggio: diverse ore prima Beatrice si era presentata a casa sua con un foglietto di carta e una pistola, l’aveva praticamente pregata di non andare o di fare attenzione nel caso in cui fosse partita. Quando l’amica se n’era andata aveva aperto il foglietto di carta, leggendo più e più volte in nome del luogo della missione di Angelica.

Casera di Sivella

Aveva ripiegato il foglietto e l’aveva nascosto assieme alla pistola nel cassetto della scrivania nella sua stanza, ed ora era lì, sdraiata sul suo letto che non riusciva a pensare a pensare ad altro.
Aveva impostato la sveglia alle 8 in punto, così sarebbe andata da Matteo ad informarlo di tutto: se l’avrebbe accompagnata bene, altrimenti sarebbe andata da sola.
***
Erano passate un paio d'ore da quando i demoni erano fuggiti in gran carriera per cercare l’Incubo, il demone che aveva morso tutte quelle persone, diventate suoi fedeli servi.
Un fruscio attirò la sua attenzione e portò immediatamente la mano alla pistola, infilata nella cintura dei jeans.
"Falso allarme" pensò, osservando una candida civetta che aveva spiccato il volo nel cielo buio.
“Il sole sta per sorgere. Questa sera non otterrò nulla” pensò. S'incamminò lentamente verso il rifugio, completamente al buio con le finestre sprangate per difendersi da quelle creature.
- Domani - sussurrò una voce che apparteneva a qualcuno nascosto nell'ombra - Il mio padrone vi attende domani -
Ghignò - Se il tuo capo mancherà all'appuntamento...potrei offendermi molto -
- Ci sarà - sussurrò ancora il demone - Un'ora dopo il tramonto, ai confini del bosco -
Detto questo, il demone sparì oltre dei cespugli lì accanto, addentrandosi nella foresta.
Entrò nel rifugio, e il vecchio custode era già al bancone all'entrata; come varcò la soglia, il vecchio alzò lo sguardo con un luccichio negli occhi scuri - Li hai uccisi, ragazza? -
Sorrise in modo accattivante - Ho preso appuntamento per domani - disse salendo le scala di legno, che gemette sotto il suo lieve peso.
Percorse lo stretto corridoio in punta di piedi, cercando di non svegliare nessuno, ed infine arrivò alla sua stanza.
Sorrise, dopo aver aperto la porta, alla vista di Stefano, il bambino della stanza accanto, sdraiato di traverso sul letto che dormiva beatamente. Erano un paio di notti che si intrufolava nella sua stanza.
Gli si avvicinò e, senza cercare di svegliarlo, lo prese in braccio, rimettendolo sul letto in una posizione migliore ed infine lo coprì con una pesante coperta.
Si sedette ai piedi del letto, si tolse i vestiti ed indossò una comoda vecchia t-shirt e un paio di pantaloncini. Si alzò ed aprì il cassetto del comodino in legno, vi nascose dentro la pistola e lo richiuse.
- Sei stata via tutta la notte - disse una voce infantile - Anche oggi -
Si voltò e guardò Stefano, ancora sotto le coperte, ma con gli occhi azzurri aperti e vigili.
- Sono qui per questo. É il mio lavoro - sussurrò sedendosi sul letto accarezzando una guancia al bambino - A volte devo rimanere sveglia tutta la notte -
Stefano le fece posto, e con un gesto della mano la invitò a sdraiarsi. Sorrise infilandosi sotto le coperte.
Il bambino le abbracciò la vita, appoggiando la testa sul suo petto.
- Hai lo stesso profumo di mia madre - sussurrò lui, inspirando.
Gli accarezzò la testa, cercando da consolarlo.
- Mi manca tanto -
Si lasciò sfuggire una lacrima, che venne assorbita dal cuscino - Tornerà di nuovo da te, te lo prometto. Domani ucciderò il demone e tua madre ti abbraccerà ancora - disse, provando a consolarlo. Dopo un po' si addormentò, stringendo Stefano tra le braccia.
***
Ore 8.13
Suonò al campanello e dopo qualche secondo, la signora Dall’Angelo, un po’ spettinata, mise la testa fuori dalla porta per vedere chi avesse suonato.
- Elisabeth -
- Buongiorno, c’è Matteo? -
La donna le aprì il cancelletto e la raggiunse - Sì, ma sta ancora dormendo -
- Le dispiace se vado a svegliarlo? È una cosa importante -
- Si tratta di Angelica, vero? -
Annuì e la donna la fece entrare - Prego -
- Grazie - disse, salendo le scale e raggiungendo la camera di Matteo, socchiudendo appena la porta della stanza. Il ragazzo sdraiato sul letto russava piano con addosso un paio di boxer. Si avvicinò e gli diede un paio di piccole pacche sulla spalla, ma non servì a svegliarlo.
- Matteo? -
Niente. Il ragazzo continuava a dormire. Lo afferrò per un braccio e tentò di tirarlo giù dal letto, senza successo.
- Angelica smettila...è ancora presto -
- SVEGLIATI SCEMO!! - urlò con tutto il fiato che aveva in gola, facendo spaventare Matteo, che si mise immediatamente a sedere, con il fiatone.
- ELISABETH! -
- Alla mattina ti svegli con le cannonate? -
- Cosa diavolo sei venuta a fare? -
Sorrise - Sono venuta perché so dov'é. So dov’è Angelica - disse - Sei con me? -
- Cosa? -
- Voglio andare da lei -
- Ma sei impazzita? -
Aggrottò la fronte - Perché? -
- Angelica ci ucciderà... -
- Questo lo dici tu - disse, mettendosi le mani sui fianchi - Allora vieni sì o no? -
Matteo si passò una mano nei capelli - Quando partiamo? -
- Adesso -
- Ma devo vestirmi -
- Muoviti! -
Matteo si alzò in piedi - Prima devi spiegarmi un po’ di cose -
***
Socchiuse lentamente gli occhi, abituandosi alla luce che filtrava dagli spazi tra le assi che sbarravano la finestra. Si mise a sedere, guardandosi intorno alla ricerca del piccolo Stefano, che probabilmente si era già svegliato.
- Buongiorno! -
Si voltò e sorrise alla vista del bambino sulla soglia della stanza con in mano una mela verde e un bicchiere di latte - Buongiorno -
- Ti ho portato la colazione - disse lui, avvicinandosi piano per non rovesciare il latte - Che a quest'ora potrebbe benissimo chiamarsi pranzo -
- Grazie - sussurrò afferrando il bicchiere, appoggiandolo sul comodino, e la mela - Sei un amore -
Stefano arrossì e la sua faccia divenne rossa come un pomodoro. Sorrise ed addentò la mela - Tu hai mangiato? -
- Sì -
- Bravo -
- È successo qualcosa di interessante ieri? -
- Non molto -
- Beh, di solito mi dici sempre no -
- Non te l’avevo detto ieri notte? - domandò, dando un altro morso alla mela - Stasera andrò dall’Incubo e lo ucciderò -
Stefano, dopo aver annuito, la salutò e uscì saltellando dalla stanza. Finita la mela e bevuto il bicchiere di latte tutto d’un sorso si alzò in piedi, stiracchiandosi le braccia, ed uscì dalla sua stanza, entrando nel bagno in comune a tutti, proprio di fronte alla sua camera, trovandosi davanti Giacomo sotto la doccia. In questi giorni di permanenza a Casera di Sivella erano diventati amici. Il ragazzo si voltò immediatamente, dandole le spalle, mentre lei si lavò la faccia come se niente fosse.
- Angelica! -
- Cosa? -
- Sono nudo! -
- Lo so, scusa -
- Non potevi bussare? -
- E tu non potevi chiudere a chiave? - domandò - Gesù, non sono una ninfomane -
- Beh sono pur sempre nudo -
- Adesso esco - sussurrò, uscendo dal bagno e ritornando nella sua stanza. Si cambiò velocemente e scese le scale, fermandosi davanti al bancone di legno che Giovanni stava accuratamente pulendo.
- Dicevi sul serio ieri notte o mi prendevi per in giro? - domandò l’oste.
- Sono riuscita a convincere un demone a portare un messaggio all’Incubo - raccontò, sedendosi su una sedia accanto al bancone - E lui ha accettato la sfida -
- Non doveva essere un bel messaggio -
- O mi affrontava o avrei ucciso tutti i suoi servi -
Giovanni inarcò un sopracciglio - Ma è una balla -
- E lui come può saperlo? - gli chiese con un sorriso - Se tutto va bene, domandi mattina sarà tutto finito -
- Ricordati che ha già ammazzato due Agenti -
- Lo so - disse - L’Incubo non è facile da uccidere -
- Ma cos’è che lo rende così forte? -
- Non hai mai sentito parlare degli Incubi, vero? - domandò.
Il vecchio scosse la testa come risposta.
- L’unica cosa che posso dire è che l’Incubo riesce a vedere le persone che ami di più al mondo, e usa questo suo vantaggio contro di te assumendo le sembianze di una di quelle persone - disse - Ti ritrovi a combattere contro chi ami e a volte il corpo sembra non risponderti più. Quando mostri una minima esitazione lui ti uccide senza pensarci due volte -
Dopo diversi secondi di silenzio, Giovanni lanciò un sospiro - Pensi di farcela? -
- Lo spero - sussurrò, abbassando lo sguardo.
- E se assume le sembianze del tuo fidanzato? -
- Non sono una che si fa ingannare facilmente - rispose.
- Non ci si può aspettare niente di meno dalla cacciatrice che ha ucciso Kyra -
Alzò lo sguardo - Come fai a saperlo? -
- Sono pur sempre un mezzo demone, e le voci corrono -
- Capisco -
- Si può sapere come diavolo hai fatto? Kyra era uno dei demoni più potenti in circolazione -
- Non è stato semplice, né la prima né la seconda volta -
- Seconda volta? - domandò il vecchio, sistemando i bicchieri puliti da una parte - Come sarebbe a dire “la seconda volta”? -
Lanciò un sospiro, facendo segno all’oste di darle un bicchiere e qualcosa da bere - La storia è lunga e complicata, ma cominciamo dall’inizio...-
***
- Fra un chilometro prendete la seconda uscita -
- VAFFANCULO! TE E LA TUA SECONDA USCITA! - esclamò Elisabeth, seduta sul sedile del passeggero, con in mano un Big Mac comprato qualche minuto prima al McDonald’s di un autogrill.
Erano partiti da un’ora, o forse di più, ma il navigatore satellitare installato sull’auto di sua madre li aveva fatti andare in un altro paesino che non si chiamava nemmeno Casera di Sivella, ed ora erano ancora sulla A4, ed erano nei dintorni di Venezia.
Diede un altro morso al suo hamburger, cercando di non sporcarsi di ketchup - Calmati Eli - disse a bocca piena.
- Col cavolo che mi calmo! -
- È mezzogiorno, c’è ancora tempo -
- Se fosse stato per me saremo già arrivati -
- Se fosse stato per te col cavolo che avevamo i soldi per comprare da mangiare - disse - E col cavolo che facevamo benzina -
- Ok, ok -
- Lo so che sei preoccupata Elisabeth, ma ti prego: ho fame e non riesco a mangiare con una che mi urla di accelerare ogni dieci secondi - disse - Possiamo fermarci un attimo? Per favore -
La rossa, dopo averci pensato un attimo, si arrese, sbuffando - D’accordo -


Dopo una sosta ad un altro autogrill durata quasi due ore a causa della fila al ristorante self-service e al bagno delle donne, lui ed Elisabeth erano ripartiti con una scorta di bottigliette d’acqua nel baule e una bottiglia da un litro e mezzo di Coca cola ghiacciata.
- Secondo te quanto manca? - domandò.
- Il tuo navigatore sfigato dice più di tre ore -
- Non è sfigato, deve solo essere aggiornato -
- Calcolo del percorso in corso. Se possibile effettuare un’inversione ad U -
- Oh sì, buona idea...facciamo un’inversione ad U in autostrada - disse la rossa, incrociando le braccia al petto.
- Calcolo del percorso in corso -
- Ecco, bravo navigatore. Calcola il percorso così ci perdiamo ancora -
***
Seduta su un vecchio sgabello appena fuori dall’entrata della taverna, osservava i bambini giocare con la palla, correndo a destra e a sinistra. Non si voltò quando sentì Antonio fermarsi al suo fianco, si limitò semplicemente a salutarlo.
- Giovanni mi ha raccontato di ieri notte -
Fece un piccolo cenno - Spero che vada tutto bene, ho uno strano presentimento -
- Riguardo a tuo “appuntamento” con l’Incubo? - domandò l’uomo e lei, come risposta, annuì semplicemente.
- Spero che non sia niente - sussurrò - Ho sempre degli strani presentimenti -
- Temi che qualcosa vada storto? -
- No - disse - Mi chiedo se non abbia mandato apposta quel demone per attirarmi in una trappola -
- Stai attenta, non voglio un altro cacciatore morto nella stalla -
Gli lanciò un’occhiataccia - Grazie per l’incitamento -
- Andiamo Angelica, a quanto mi ha raccontato Giovanni la prima volta che ti ha vista, sei la miglior cacciatrice in circolazione -
Lanciò un sospiro - Spero solo di essere più brava del demone -
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Ore 21.37
Il sole era tramontato da più di mezz’ora, ora doveva aspettare ancora un po’.
Per la prima volta era agitata e non riusciva a togliersi quello strano presentimento che aveva occupato la sua mente per tutto il pomeriggio, benché cercasse di pensare ad altro.
Si sistemò la katana a tracolla ed uscì dalla sua stanza, percorrendo il corridoio per poi raggiungere l’ingresso, dove diverse persone se ne stavano sedute ai tavoli, bevendo alcolici o giocando a carte. Guardò Giovanni, dietro al bancone, che le fece segno di avvicinarsi.
Obbedì e si sedette su una sedia, rimanendo in silenzio mentre l’oste le serviva un bicchiere di Whisky, prendendone uno anche per lui. Il vecchio alzò il suo bicchiere, facendole l’occhiolino - Buona caccia -
Alzò il suo bicchiere - Sperando di non diventare la preda - disse, bevendo il Whisky tutto d’un sorso.
- Saresti una preda indigesta -
Si alzò in piedi, dando le spalle all’oste - Ci vediamo dopo -
- Fallo secco -
Fece un piccolo cenno ed uscì dal rifugio. Come varcò la soglia, la porta d’entrata si richiuse e qualcuno fece scattare nuovamente tutti i chiavistelli.  
S’incamminò tranquillamente verso il bosco: le sue preoccupazioni erano svanite all’improvviso e si concentrò sull’imminente scontro con l’Incubo.
***
- Allora? - domandò Elisabeth, seduta a terra.
Dopo tre ore trascorse in macchina erano quasi giunti a Casera di Sivella, ma erano rimasti bloccati per quattro lunghissime ed interminabili ore, a causa di una strana recinzione che circondava il paese (ne erano praticamente certi, dato che lui ed Elisabeth avevano percorso a piedi tutto il perimetro).
Quando erano arrivati era sceso dalla macchina per tentare di spostarlo, ma sembrava esserci una specie di barriera invisibile. Aveva tirato calci, lanciato sassi e dato pugni nel tentativo di buttarla giù, senza riuscirci.
- Penso che sia un sigillo - disse ad un tratto la rossa, che osservava pensierosa il cielo, mentre lui continuava a tirare calci alla barriera invisibile - Angelica me ne aveva parlato una volta, ma non mi ha mai detto come si fa a distruggerli -
- Se serve per tenere i demoni chiusi dentro dubito che una persona normale possa romperlo - ipotizzò.
La ragazza si alzò in piedi, seguendo il filo spinato e guardando paletto per paletto - Non è detto. Forse c’è un modo... - disse lei, toccando un paletto di legno - Se hanno portato Angelica lì dentro vuol dire che c’è un modo per entrare -
- Fai come vuoi, io provo in un altro modo - disse, risalendo in macchina ed accendendo il motore poi, facendo molta attenzione, avanzò lentamente, pronto ad appoggiare il muso dell’Audi contro la barriera creata dal sigillo, ma Elisabeth si mise in mezzo.
Spense l’auto e guardò la ragazza fargli segno di scendere. Obbedì, osservandola raggiungere un paletto ed estraendolo dalla terra, gettandolo poi da una parte - Elisabeth 1, Matteo 0 -
- Come diavolo hai fatto? -
- La terra era smossa, segno che qualcuno aveva tolto il paletto da terra -
Andò ad abbracciarla con forza - Elisabeth sei un genio -
- Lo so, grazie - disse la ragazza - Ora troviamo Angelica -
***
Era rimasta ferma nel luogo stabilito per una decina di minuti, poi un demone l’aveva attaccata ed era scappato subito dopo nel bosco. Lo aveva rincorso finché non raggiunse una piccola radura, circondata da alberi, con al centro un piccolo laghetto, largo una decina di metri. Il demone che l’aveva attaccata era rimasto fermo per alcuni secondi, come se volesse farsi vedere, poi corse via, nascondendosi dietro agli alberi.
- Dove sei, Incubo?! - urlò con tutto il fiato che aveva in gola, senza ricevere nessuna risposta - Cosa aspetti? -
Ancora nessuna risposta. Fece dei profondi respiri per mantenere la calma.
- ALLORA?! - urlò allargando le braccia - Forza! Vieni fuori! -
- Non c'é bisogno di urlare -
A parlare era stata una voce fredda, che le aveva fatto accapponare la pelle. Rimase in attesa, aspettando che il demone uscisse allo scoperto in modo da cominciare il combattimento. Portò una mano all'impugnatura della spada, tenendo i muscoli tesi, pronta a scattare in caso di attacco.
- Hai paura di farti vedere per caso? Hai paura di una ragazzina? -
- Tu sei più di una ragazzina - disse la voce, che le sembrava sempre più forte - Le voci corrono su di te, 33. Quelli che ti hanno sottovalutata sono morti. Come Kyra -
- Vieni fuori, Incubo. O sarò costretta a venire io da te -
Stavolta nessuno rispose. Iniziò a girarsi intorno, ascoltando i fruscii che provenivano dai cespugli che la circondavano.
Dall’oscurità emerse una figura umana: i capelli erano rosso scuro e gli occhi di un azzurro ghiaccio. Era vestito come un umano, ovvero con un paio di jeans strappati sulle ginocchia e una camicia nera con le maniche arrotolate fino ai gomiti. L’Incubo avanzò con calma, con uno strano sorriso stampato sul volto perfetto e dalla carnagione chiara. Rimase immobile, tenendo i muscoli tesi.
- Tu saresti Angelica? - domandò l’Incubo, indicandola con l’indice - La famosa 33? -
Non rispose e il demone scoppiò a ridere - Non pensavo fossi così bella - ammise lui - Pensavo che i racconti sopravvalutassero la tua bellezza, evidentemente mi sbagliavo -
- Hai finito di parlare a vanvera? - domandò.
- Oh, che brutto caratterino - sussurrò l’Incubo, fermandosi a qualche metro da lei - Sei impaziente di combattere contro di me? Non vorrei rovinare quel tuo bel viso -
- Pensa al tuo di viso, perché quando avrò finito con te nemmeno tua madre ti riconoscerà -
- E l’angelo si trasformò in demone - sussurrò lui senza staccare gli occhi dai suoi - Mostrami il tuo cuore, Angelica Vetra. Mostrami chi ami -
Rimase immobile, impassibile - Vai a farti fottere -
- Matteo Dall’Angelo, giusto? - domandò l’Incubo con un sorriso - Ma sono indeciso fra lui e...Manuel Mancini -
Non si mosse, benché il suo lato cattivo le dicesse di muoversi e tagliargli la gola.
- No, Manuel è un vecchio amore. Ma gli vuoi ancora bene benché sia morto da anni -
Prese dei respiri profondi, tentando di calmarsi, mentre il demone cambiava aspetto: i capelli rossi diventarono castani, i lineamenti del viso cambiarono, gli occhi di ghiaccio diventarono blu, lo stesso blu degli occhi che vedeva ogni giorno e che voleva vedere per il resto della sua vita. In pochi secondi, l'Incubo aveva assunto la forma di Matteo.
- I tuoi trucchi da quattro soldi non valgono niente -
- Vieni qui, Angelica. Vieni da me -
Sguainò la katana - Smettila. Matteo é a casa, al sicuro -
- Ne sei così certa? -
- Sì -
- In questo caso - iniziò lui, facendo apparire nella sua mano un pugnale, con la lama lunga circa trenta centimetri - Combatti per la tua vita, cacciatrice -
In un battito di ciglia si trovò il demone addosso, ma era riuscita a bloccare in tempo la lama del pugnale, che le graffiò appena la guancia. Fece forza sulle braccia cercando di far allontanare l’Incubo di qualche passo, ma non ottenne nulla, solo gli sfrigolii della sua katana contro il pugnale del demone.
Puntò gli occhi in quelli blu dell’Incubo, assottigliati per lo sforzo.
- Non sai fare di meglio? - domandò con un ghigno - Avanti, prova ad impegnarti - lo incitò
L’Incubo staccò la lama del pugnale dalla sua spada, ruotò su se stesso e vibrò un fendente, tentando di colpirla al fianco, ma riuscì prontamente a schivarlo, allontanandosi di qualche passo.
- Non sottovalutarmi -
Fece un sorriso di sfida - Bene -
Attorno a loro due il tempo sembrava essersi fermato: i demoni, nascosti dietro i cespugli, non emettevano alcun suono e li osservavano, pronti forse ad intervenire qualora il loro capo fosse stato in difficoltà.
L’Incubo attaccò nuovamente, scomparendo ed apparendo all’improvviso alle sue spalle: riuscì ad evitare la lama del pugnale una seconda volta, abbassandosi all’ultimo secondo, facendolo cadere in ginocchio dopo avergli colpito la gamba con l’elsa della spada.
Si allontanò immediatamente, osservandolo rialzarsi.
Si tolse una ciocca di capelli dal volto imperlato di sudore, parando l'ennesimo attacco repentino del demone, bloccando la lama del pugnale.
- Non ti facevo così brava -
- E questo é niente - disse, rispondendo al precedente attacco con una finta e subito disegnò una sottile linea rosso vivo sul braccio del demone, che non emise alcun suono.
Ricominciarono a combattere dopo quel breve scambio di parole, e presero a girare a semicerchio, fronteggiandosi sempre più agguerriti.
Incubo le si gettò nuovamente contro, il pugnale alzato verso di lei, con un ghigno diabolico sul viso della persona che amava di più al mondo. Respinse l'attacco e roteò su sé stessa, tentando di affondare la lama della spada nel fianco del moro, che schivò immediatamente, guardandola subito dopo con superbia e soddisfazione, senza mai abbandonare quel ghigno stampato sulle labbra.
- Non puoi salvarli, cacciatrice -
Sferrò un altro colpo e le due lame si incrociarono di nuovo, producendo degli insopportabili sfrigolii. Strinse le mani più saldamente sull'elsa della katana, tentando inutilmente di farlo allontanare.
Si staccarono nello stesso istante ed iniziò a parare dei veloci attacchi, talmente veloci da impedirle di contrattaccare. Il suo respiro si era fatto affannoso, mentre il demone non mostrava segni di stanchezza.
Non riuscì a parare in tempo un attacco e sentì immediatamente un dolore acuto alla spalla, avvertendo il sangue caldo scorrerle sulla pelle. Si portò istintivamente una mano alla spalla destra per proteggere la ferita, ma l'Incubo non aveva terminato: approfittò del suo gesto e l'attaccò di nuovo, pronto a trafiggerla.
Si spostò immediatamente di lato, schivando l'attacco, guardando poi il demone con l'aspetto di Matteo, che la fissò a sua volta.
Non fece in tempo a sollevare il braccio che reggeva la katana che il demone le diede un forte calcio alle gambe. Cadde in ginocchio, sentendo la spada scivolarle via dalle dita intorpidite, producendo un lieve rumore quando la katana cadde a terra, sull'erba.
- Ma cosa...-
- Veleno - disse immediatamente lui, giocando con il suo pugnale - Non preoccuparti, non é mortale, serve solo per rendere più deboli le mie vittime -
Respirò profondamente - Gioco scorretto -
- Non avevamo prefissato delle regole, sbaglio? - domandò l'Incubo, afferrandole i capelli e reclinandole all'indietro la testa - Il tuo profumo é così invitante -
Guardò la copia del ragazzo che amava, e che in quel momento la sovrastava. Gli occhi si tinsero per un attimo di rosso, ma poi tornarono blu. L'Incubo diede un calcio alla sua katana, allontanandola, in modo che non potesse attaccarlo all'improvviso.
- Abbiamo compagnia - disse lui, voltando lo sguardo e liberandola dalla sua presa - La tua amica Elisabeth e Matteo -
Si mise a gattoni, incapace di restare dritta e voltò lo sguardo, sentendo l'amica chiamarla.
L'Incubo si voltò verso di lei e sorrise, mentre il suo corpo robusto dimagriva, diventando più snello, i vestiti si strinsero imitando alla perfezione la tuta che indossava e mostrando curve che prima non c'erano, i capelli si allungarono fino a diventare dei morbidi boccoli corvini, gli occhi diventarono verdi e la pelle più pallida. Quando il demone terminò la trasformazione le sembrava di guardarsi allo specchio, proprio come quella volta che aveva combattuto contro l'Alterego fuori dalla sede della Rosa.
Il demone la allontanò con un forte calcio alle costole, poi si voltò verso la boscaglia dall'altra parte del laghetto. Pochi secondi dopo, proprio in quel punto, sbucarono Matteo ed Elisabeth, stupendosi di vedere due persone completamente uguali. L'Incubo raccolse la katana ed alzò il braccio - Sono qui, venite -
Tentò di alzarsi ma, dopo aver tossito e sputato sangue, si accasciò di nuovo a terra: evidentemente il calcio del demone le aveva rotto una costola.
***
Prese Elisabeth per un braccio ed iniziò a correre, facendo il giro del laghetto, fermandosi solo a qualche metro da Angelica, in piedi, con la katana in pugno.
- Non ascoltatela - disse puntando il dito verso l'altra Angelica - É il demone -
- No - sussurrò l'altra, alzando appena la testa, con un rivolo di sangue che usciva dalla bocca - É lei il demone, sta cercando di ingannarvi -
L'Angelica con la katana scosse la testa - É incredibile come voi demoni tentate in tutti i modi di salvarvi - disse lei, avvicinandosi a lui e ad Elisabeth - Perché siete venuti a cercarmi? -
- Temevo che ti fosse successo qualcosa - rispose.
Angelica lanciò un sospiro - Non devi preoccuparti per me, lo sai - disse la mora, voltandosi verso la sosia - Adesso devo finire il lavoro. Matteo? Vuoi farlo tu? -
Quando Angelica raggiunse il demone, lo afferrò per un braccio, trascinandolo verso di lui e gli porse il pugnale.
Guardò prima il pugnale, poi la fidanzata - Non penso di riuscirci -
- É facile - disse la ragazza alzando l'altra Angelica - Prendi bene la mira e gli pianti il pugnale nel cuore -
Si avvicinò, guardando il demone negli occhi piedi di lacrime. Possibile che un demone provasse dei sentimenti?
***
- Matteo - sussurrò appena - Perdonami -
Matteo rimase un attimo incantato, ignorando il demone che lo incitava ad ucciderla.
- Ricordati quello che ti ho detto prima di partire - disse ancora.
Chiuse gli occhi e attese.
Chiuse gli occhi e non ebbe nemmeno la forza di sperare che il ragazzo sbagliasse il colpo o che capisse all'improvviso che non era il demone.
Chiuse gli occhi e non provò alcun dolore. Le mani che la stringevano la liberarono all'improvviso, mentre qualcuno di più familiare la strinse dolcemente a sé, evitando di farla cadere a terra.
Passò qualche secondo e riaprì gli occhi e la prima cosa che incrociò furono nuovamente gli occhi di Matteo che la fissavano. Ma stavolta erano quelli veri.
- Angelica -
Sorrise - Grazie a Dio ti sei accorto che non ero il demone -
- Non mi avresti mai fatto uccidere un demone -
Sorrise, ma ritornò subito seria. Guardò l’altra Angelica, in piedi, a qualche metro da loro, che si tolse il pugnale dal braccio, rigirandoselo tra le mani con un diabolico sorriso sulle labbra. Si voltò di nuovo verso Matteo, staccandosi da lui quando fu sicura che le gambe ressero - Dovete andarvene, subito -
- Ma Angelica - s’intromise Elisabeth - Sei ferita -
- Mi rendete le cose ancora più difficili se restate - disse, notando la preoccupazione negli occhi azzurri dell’amica - Potrebbe catturarvi e minacciarvi, o trasformarvi in suoi servi -
Lanciò un’occhiata all’Incubo che, lentamente, riprese le sembianze di Matteo, poi tornò a guardare i due - Vi prego. Siete stati bravissimi a trovarmi e a non uccidermi, ma ora, vi prego, vi imploro, andate - sussurrò - Fidatevi di me -
- Io non mi muoverei se fossi in voi - s’intromise il demone che, con un semplice schiocco di dita, fece uscire allo scoperto gli altri demoni, che fino a quel momento erano rimasti nascosti tra gli alberi, e che ora circondarono la radura in quattro e quattr’otto.
Andò a raccogliere la sua katana, senza mai distogliere lo sguardo dall’Incubo - Lasciali fuori vigliacco, questa è una faccenda tra noi due -
- E chi l’ha detto? - chiese il demone con un sorriso.
Arretrò, tornando da Matteo e da Elisabeth, mentre gli abitanti di Casera di Sivella infettati avanzavano imperterriti verso di loro.
- Fate un altro passo e giuro che vi ammazzo -
- Sta mentendo - disse l’Incubo ai suoi servi, che si erano bloccati alle sue parole - Non vi farà del male, vuole farvi tornare umani. Non dovete permetterglielo, chiaro? -
Le persone infettate dal demone ripresero ad avanzare verso di loro, mostrando i canini e tendendo le braccia in avanti, pronti ad afferrarli. Il primo che li raggiunse lo mise ko con un colpo alla nuca, facendolo crollare a terra privo di sensi; gli altri, a quel gesto cominciarono a correrle incontro, ma furono prontamente fermati prima che potessero attaccare o mordere qualcuno.
- Merda - imprecò a denti stretti, tentando di allontanare altri demoni il più possibile da Matteo ed Elisabeth: non sarebbe riuscita a tenerli a bada e, contemporaneamente, uccidere l’Incubo.
- Matteo, sto per chiederti una cosa che non avrei mai voluto domandarti - disse - Devi tenerli impegnati -
- Impegnati? - domandò lui, con tono un po’ sorpreso - Devo per caso ucciderli? -
- No, non devi ucciderli. Devi solo tenerli lontani da te e da Elisabeth -
- E tu? -
- Se uccido l’Incubo torneranno tutti normali -
- D’accordo - rispose il fidanzato, sfiorandole le dita con le sue - Stai attenta -
- Dovresti preoccuparti della predica che ti farò quando tutto questo sarà finito -
Lo sentì deglutire - Sappi che è stata un’idea di Elisabeth -
- Ehi! -
Allontanò con un calcio un altro paio di demoni - Matteo, ascoltami. Non devi farti mordere. Chiaro? -
- Chiarissimo - disse il ragazzo, dando un pugno in pieno viso ad un demone.
- State attenti. Io cerco di fare il prima possibile - disse, partendo di corsa, zigzagando tra i demoni per raggiungere l’Incubo che si godeva la scena dietro ai suoi servi.
Non appena lo raggiunse alzò la katana, nel tentativo di colpirlo, ma l’Incubo deviò la lama della sua spada con quella del pugnale. Il demone non si fece attendere ed attaccò immediatamente, afferrandole il braccio, piegandolo in modo da farle scoprire il fianco, e le diede una forte ginocchiata nelle costole. Urlò di dolore, liberandosi immediatamente ed allontanandosi dal suo avversario.
L’incubo le lanciò il pugnale nel tentativo di ferirla, ma lo afferrò al volo, piantandolo nel terreno.
- Ti conviene sbrigarti, o i tuoi amici diventeranno ben presto miei servi -
- Se farai del male a Matteo o ad Elisabeth giuro su Dio, che mi implorerai di ucciderti -
- Non ne sarei così sicuro -
Scattò di nuovo verso di lui e stavolta riuscì a ferirlo al fianco, seppur di striscio.
L’Incubo appoggiò la mano libera sulla ferita, osservando poi il sangue che gli sporcava il palmo - Questa me la paghi - disse lui, deviando un secondo attacco e andando a recuperare il suo pugnale, dando le spalle al laghetto.
Lo caricò di nuovo, pronta a fingere un affondo con la katana, ma quando gli afferrò il braccio, pronta per gettarlo in acqua, l’Incubo si liberò, colpendole la nuca con l’elsa del pugnale e ferendole il fianco, lasciandole la lama conficcata nella carne. Intontita dal colpo, sentì il demone afferrarle il braccio e scaraventarla in acqua.
***
Guardò il demone lanciare Angelica nel laghetto e restando fermo, a fissare la superficie dell’acqua, attendendo che la ragazza riemergesse. Cosa che però non accadde.
La sua copia si voltò verso di lui e in un paio di secondi assunse nuovamente le sembianze della fidanzata - Non avete speranze contro di me, avete visto cos’ho fatto alla cacciatrice -
Non la ascoltò e si concentrò sui demoni che continuavano ad attaccarli, facendoli allontanare o facendoli cadere a terra privi di senso. Non ce la faceva più: le donne erano a terra, svenute, ma gli uomini continuavano ad alzarsi, attaccandoli ancora e ancora.
Non appena sentì Elisabeth urlare si voltò, staccandole di dosso il demone che le aveva afferrato il braccio, pronta a morderla. Un altro gli afferrò il braccio e un altro la testa, piegandola di lato per scoprire il collo.
Non appena il demone affondò i denti nel suo collo, sentì subito il fuoco scorrergli nelle vene. Gli sembrava di bruciare.
Crollò in ginocchio, poi a terra, mentre i demoni, quando l’Incubo schioccò le dita, si allontanarono, ritornando a nascondersi dietro gli alberi. La vista gli si oscurò in pochi secondi.
***
Non appena vide Matteo cadere a terra, s’inginocchiò subito al suo fianco: il ragazzo ansimava, aveva la fronte imperlata di sudore e tratteneva a stento dei lamenti, stringendosi i pugni e strappando l’erba da terra.
Alzò lo sguardo ed osservò la copia della sua migliore amica trasformarsi in Sergio e sorriderle - Lo sai che si trasformerà in un mio fedele servo fra qualche minuto? -
- Non se Angelica ti ammazza prima, figlio di puttana -
- E dimmi - iniziò Sergio, avvicinandosi, fermandosi ad un soffio dal suo viso - Dov’è ora la tua cacciatrice? -
- Alle tue spalle bastardo - sussurrò la vera Angelica, piantando la katana nella schiena del demone, trapassandolo da parte a parte.
Il demone urlò di dolore, voltandosi di scatto e scaraventando la mora lontano, facendola sbattere contro un albero.
***
Si rialzò, portansi una mano alla nuca ed osservandosi il palmo sporco di sangue, puntò poi lo sguardo sull’Incubo, che si estrasse la katana che lo trapassava, gettandola a terra; ma il suo sguardo fu catturato dalla figura di Matteo, steso a terra, che si lamentava per il dolore.
Non ci vide più dalla rabbia.
Si estrasse il pugnale ancora piantato nel fianco e si scagliò contro l’Incubo, spingendolo nel laghetto. Si tuffò in acqua, raggiungendo immediatamente l'Incubo, che scivolava sempre di più verso il fondo. Non appena lo afferrò per un braccio per farlo avvicinare ed ucciderlo, il demone sgranò gli occhi, iniziando a dimenarsi nel tentativo di morderla o piantarle il pugnale nello stomaco.
Gli piegò il braccio in un'angolazione innaturale e gli rubò il pugnale, tentando diversi affondi, riuscendo finalmente a colpirlo, affondando la lama sotto lo sterno.
Lo liberò dalla sua presa e salì in superficie, prendendo una boccata d'aria e nuotò verso la riva del laghetto, osservando Elisabeth che accarezzava la fronte di Matteo, chiamandolo. Lanciò un’occhiata ai demoni nascosti tra gli alberi: non avevano subito alcun cambiamento.
Cercò di issarsi fuori dall'acqua per andare ad aiutare il fidanzato, ma qualcosa le afferrò la gamba, trascinandola di nuovo sott'acqua. Si trovò a fissare gli occhi di ghiaccio dell'Incubo, che le bloccò subito le braccia, mordendole il collo. Spalancò la bocca quando i denti affondarono nella carne, e i polmoni iniziarono a riempirsi d'acqua.
Il demone aumentò la stretta, stringendole forte le costole fino a farle scricchiolare. Si liberò immediatamente dalla sua presa, dandogli una testata in pieno viso e tornò immediatamente in superficie, raggiungendo la riva e strisciando per un metro sull'erba, tossendo e sputando l'acqua di troppo, poi rimase supina, a terra. Il morso bruciava come se qualcuno le avesse appoggiato una brace incandescente sul collo.
L’Incubo la raggiunse subito dopo, rabbioso, osservandola con i suoi occhi di ghiaccio.
Lo guardò avvicinarsi lentamente e rimanere in piedi, accanto a lei - Ti resta poco tempo - iniziò lui, appoggiandole il piede sul fianco e pestando con forza - Ucciderò prima i tuoi amici, così potrai vedere come li squarterò come bestie -
Un altro pestone e piegò la testa di lato, sputando del sangue.
- Poi ucciderò te, cacciatrice. Cosa ne dici? - disse lui, pronto a darle un altro pestone, ma riuscì ad afferrargli la gamba destra, torcendola con forza fino a spezzarla. Gli diede un calcio all’altra gamba e lo fece cadere a terra.
Si sedette a cavalcioni su di lui, bloccandogli le braccia con le ginocchia - Dico, che se devi uccidere una persona ti conviene farlo invece di continuare a parlare - disse, ed afferrandogli la testa e girandola di scatto, rompendogli il collo.
Dopo averla guardata per un attimo con un po' di stupore negli occhi, l'Incubo riprese le sembianze originali, ma la pelle iniziò ad avvizzire, i capelli diventarono bianchi e gli occhi diventavano sempre più vitrei. Ora al suo posto giaceva un vecchio pelle e ossa, con le braccia allargate come se fosse in croce.
- Va all’inferno - sussurrò, alzando poi lo sguardo ed osservando i demoni, che circondavano la radura, ora riversi a terra, che si stringevano la testa con forza, urlando di dolore.
Si alzò con fatica, arrancando verso Matteo, che urlava di dolore come gli altri, lasciandosi poi cadere in ginocchio al suo fianco.
L'amica la guardò preoccupata - Stai bene? -
Annuì - Tu? -
- Sto bene - ammise lei con un sorriso, ritornando improvvisamente seria quando notò il morso sul suo collo - Ti ha morsa... -
- Lo so, non ti preoccupare. È tutto ok - disse, concentrandosi su Matteo, che non la smetteva di lamentarsi, e gli strinse forte la mano - Forza...tra un po' sarà tutto finito - sussurrò, mentre i gemiti degli altri demoni e quelli del moro si acquietarono sempre di più, finché nella radura non calò un silenzio di tomba.
Si alzò in piedi, sollevando il fidanzato con fatica, ma poi anche Elisabeth la aiutò, sorreggendo a sua volta il ragazzo.
- Dove avete lasciato la macchina? - domandò.
- Sulla strada...non so di preciso -
- D'accordo, andiamo -
- Sei sicura di farcela? Hai l'aria distrutta -
- Sì, tranquilla -
A piccoli passi, riuscirono ad uscire dal bosco e, dopo aver percorso un breve tratto di strada, individuarono la macchina della madre di Matteo, la raggiunsero e sistemarono il moro sul sedile del passeggero, reclinandolo un po' indietro.
Gli diede un bacio sulla fronte e poi guardò l'amica - Prima devo avvertire gli abitanti che é tutto a posto e devo prendere le mie cose -
Elisabeth le diede le chiavi dell'Audi ed annuì - D'accordo, basta che guidi tu -
Salirono in macchina e mise in moto, dopo aver ceduto la katana ad Elisabeth, che la sistemò sotto al sedile.
Percorse la strada a tutta velocità, fermandosi davanti al rifugio, poi scese dall'auto ed andò a bussare la porta: Antonio De Luca le aprì immediatamente, intrappolandola in un abbraccio.
- É tutto finito - disse, liberandosi dalla stretta dell'uomo - Il demone é morto e gli altri abitanti sono ritornati normali -
- Dove sono? - domandò l'uomo.
- Sono nella radura nel bosco, privi di sensi. Andate a recuperarli e vedrete che tornerà tutto come prima -
- Non so come ringraziarti, ragazzina -
Sorrise - É il mio lavoro - sussurrò - Posso andare a prendere le mie cose? -
- Non ce né bisogno - disse l’uomo, porgendole il suo borsone e la katana che aveva lasciato nascosta nell’armadio - Giovanni aveva già preparato tutto appena sei andata via -
- Oh, grazie. Stavate per buttare via tutto pensando che mi avesse uccisa? -
- No - rispose lui - Pensavamo che dopo aver ucciso l’Incubo saresti stata contenta di tornare a casa -
Prese il borsone, dandogli le spalle - Addio Antonio. Salutami Stefano e tutti quanti - disse, ritornando al posto di guida, mettendo prima le katane e il borsone nel baule. Fece subito inversione e partì verso casa: la strada sarebbe stata veramente lunga, ma almeno era fortunata che il navigatore satellitare installato sull'auto le indicava la strada di casa.
- Non fidarti di quella cosa che parla -
Guardò l’amica nello specchietto retrovisore - Perché? -
- Storia lunga -
- A proposito...- iniziò - Si può sapere come diavolo avete fatto a trovarmi? -
- Abbiamo visto dei demoni correre nel bosco, tutto qui. Puoi accendere la musica? -
Accese la radio ed accelerò ancora di più. Finalmente ritornava a casa sulle note di We will rock you.
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Capitolo 53
*** Capitolo 53 - Lunedì, 27 luglio 2009 ***


Lunedì, 27 luglio 2009
Erano le due passate e Matteo non si era ancora svegliato, mentre Elisabeth, sdraiata sui sedili posteriori, continuava a girarsi nel vano tentativo di prendere sonno. Anche lei avrebbe voluto dormire, ma cercava in tutti i modi di rimanere sveglia per arrivare a casa il prima possibile. Dopo mezz’ora, però, dovette rallentare e fermarsi in una piazzola di sosta per non schiantarsi contro il guard rail: oltre al sonno, tutto il sangue che aveva perso le faceva girare la testa
- Eli...devo fermarmi un attimo -
La rossa si mise immediatamente a sedere - Stai bene? -
Scosse la testa lentamente - No -
L’amica scese immediatamente dall’auto, aprendo la portiera del guidatore per farla scendere e sedere sui sedili posteriori; dopodiché Elisabeth si mise al volante - Cerca di riposare. Guido fino ad un autogrill e cerco una stanza -
Annuì - Grazie -
- Figurati. Devi stare proprio male se rispondi che non stai bene...di solito te ne freghi -
Sorrise, sdraiandosi in qualche modo e chiudendo gli occhi - Non è piacevole, in più mi gira anche la testa -
- Non ti rompo più, promesso. Chiudi gli occhietti e dormi -
- Svegliami quando sei arrivata, così ti aiuto con Matteo -
- Ok -
Lanciò un lungo sospiro, cercando di ignorare i vari dolori in tutto il corpo e cercando di dormire un po’.


- Angi? Angli svegliati, ho trovato una camera -
Socchiuse gli occhi, sperando di non essersi immaginata la voce di Elisabeth - Che? -
- Ho trovato un motel del cazzo -
Si mise a sedere, strofinandosi gli occhi - Ma quanto ho dormito? -
- Più di un’ora. Dai, aiutami a portare Matteo che non si è ancora svegliato -
Scese dall’auto e, in qualche modo, lei ed Elisabeth riuscirono a trascinare Matteo e il suo borsone nella stanza affittata per una notte: non c’era praticamente niente dentro, solo un letto matrimoniale, due comodini in legno con due lampade sistemate sopra, una vecchia poltrona marrone con dei pezzi di stoffa verdi, usati per rammendarla in qualche modo, e il bagno. Sistemarono Matteo sul letto e gli si sedette subito accanto, accarezzandogli la fronte.
- Senti, io dormo sulla poltrona non ti preoccupare -
Scosse appena la testa, senza distogliere gli occhi dal fidanzato - Dormiamo tutti insieme, ci stiamo nel letto - disse, alzandosi in piedi e dirigendosi verso il bagno - Dormi pure, io faccio un bagno e ti raggiungo -
- Ma...Matteo -
- Tranquilla, non morde - le disse, chiudendosi in bagno.
Si tolse di dosso la tuta rotta e sporca di sangue, lasciando che scivolasse a terra ed aprì il rubinetto della vasca da bagno, aspettando che si riempisse d’acqua tiepida per entrare e cercare di rilassarsi. Quel poco tempo che aveva dormito le aveva fatto bene: i giramenti di testa erano passati e non era più tanto stanca. Dopo essersi pulita da cima a fondo, togliendo il sangue secco che aveva addosso, uscì dal bagno, coprendosi con un orribile asciugamano recuperando la biancheria e una maglietta e vestendosi in quattro e quattr’otto. Osservò Elisabeth, raggomitolata da una parte del letto, restando il più possibile lontana da Matteo per lasciarle un po’ di spazio, e sorrise, sdraiandosi tra loro due. Impiegò poco tempo per tornare nel mondo dei sogni.
***
Ore 12.38
Socchiuse appena gli occhi, osservando la figura sdraiata accanto a lui.
- Elisabeth? - sussurrò piano, portandosi una mano alla testa.
- Devo pensare che mi tradisci con la mia migliore amica? -
A quella voce scosse la testa con vigore, sperando di non essersi immaginato tutto, poi osservò meglio la figura dai capelli neri come l’ebano, la pelle candida e un paio di occhi che avrebbe riconosciuto tra mille.
Si mise di scatto a sedere - Angelica! -
La mora, ancora sdraiata sul letto, sorrise, facendogli l’occhiolino - Finalmente ti sei svegliato -
Si mise sopra di lei, baciandola con passione - Grazie a Dio stai bene. L’ultima cosa che ricordo è il demone che ti colpiva e ti lanciava nel laghetto -
Angelica gli prese il viso tra le mani, dandogli un dolce bacio sulle labbra - Tranquillo, è tutto finito -
- Sei ferita? Stai bene? -
Lei sorrise - Sto bene -
L’abbracciò subito con vigore - Grazie al cielo - disse, sentendola gemere piano. Lasciò subito la presa, guardandola preoccupato.
- Ho detto che sto bene, non che sono ferita - sussurrò lei con una smorfia di dolore sul viso, alzandosi appena le maglia per mostrargli una fasciatura intorno ai fianchi.
Sfiorò appena la benda, facendola sussultare - Scusami -
- Non fa niente -
- Elisabeth? -
- È andata a prendere qualcosa da mangiare, dovrebbe tornare tra un po’ -
- Ottimo, ho una fame da lupi - disse, mettendosi a sedere, pronto ad alzarsi, ma Angelica lo afferrò per la maglia, facendolo sdraiare di nuovo, mettendosi poi a cavalcioni sopra di lui.
- Che c’è? -
- Non devi fare sforzi. Sei ancora debole -
- Angelica, sto benissimo -
La fidanzata si avvicinò al suo orecchio - Non vuoi restare qui con me? -
- Beh, se la metti così allora sto qui con te -
- Bravo -
- Per carità, piantatela qui -
Entrambi si voltarono verso Elisabeth, sulla porta, con in mano tre Big menù. Si mise subito a sedere e stavolta Angelica lo lasciò fare.
Elisabeth porse a ciascuno un menù e poi si sedette sulla poltrona - Finalmente ti sei svegliato, ero stufa di restare chiusa qui -
- Beh, allora mangiamo e partiamo -
- Dimenticavo...ha chiamato tua madre -
Gli andò di traverso un pezzo di hamburger - Cosa le hai detto? -
- Che stavi dormendo e poi le ho passato Angelica -
La mora annuì, finendo il panino in tempo record - Pensava che fosse successo qualcosa -
- E tu che le hai detto? -
- L’ho solo rassicurata. Stai bene in fondo e il morso è piuttosto leggero -
Annuì, dando un altro morso al suo panino, guardando la fidanzata, un po’ preoccupato. Lei lo guardò a sua volta, limitandosi a fargli un sorriso.
Elisabeth, seduta sulla poltrona, lanciò un sospiro dando un altro morso all’hamburger - Tra quanto andiamo? -
Finì l’ultimo boccone, mandandolo giù con un lungo sorso di Coca Cola - Quando hai finito -
- Posso mangiare anche in macchina - disse la rossa a bocca piena - Non ce la faccio più a stare in questo buco -
- Basta che non sporchi di ketchup - disse alzandosi in piedi, voltandosi poi verso Angelica - Ti senti bene, vero? -
***
Annuì, sorridendogli, e provò subito ad alzarsi, riuscendoci con un po’ di difficoltà, portandosi subito una mano al fianco - Credo che mi serva una mano -
Matteo la prese in braccio senza difficoltà - Ti porto io -
- Grazie -
- Di niente -
- Volete piantarla sì o no? -


Dopo quasi mezz’ora, riconobbe la strada che stavano percorrendo.
Si portò una mano al fianco, sotto la t-shirt, e strinse appena le dita, chiudendo gli occhi - Matteo, devi fermarti un po’ prima, temo -
Il fidanzato le lanciò un’occhiata - E dove? -
- All’Agenzia -
- Ti senti bene? -
Scosse la testa - È meglio se mi faccio dare un’occhiata da Marco o da Beatrice - ammise - Hai presente la vecchia casa infestata? Devi fermarti lì -
Matteo non disse niente ed accelerò ancora di più - Cinque minuti e ci sono -
Annuì appena - Però devi restare fuori. Non puoi accompagnarmi -
- Perché no? Potresti svenire da un momento all’altro -
- Non potete entrare - disse con un tono che non ammetteva repliche.
- Ma lei ci è entrata! - esclamò il ragazzo, indicando Elisabeth, seduta dietro.
- Non mi ha portata lei, genio. È stata Laura, e lo ha fatto solo perché la tua fidanzata pazzoide mi aveva azzannata al collo e stavo per morire dissanguata -
- Esatto - disse, voltandosi verso l’amica - E io non sono pazzoide, ero posseduta da Kyra -
- Sì, certo -
- È la verità! -  
- Quindi lei è entrata all’Agenzia solo perché stava morendo?! -
- Ah, SOLO perché stavo morendo?! Chiamala cosa da poco -
Puntò l’indice contro Elisabeth - Tu, zitta - disse, puntando poi il dito verso il fidanzato - Tu, rassegnati. I civili entrano solo se necessario -
- Ma io so dei demoni -
- Con questo? -
- So già della loro esistenza, quindi a cosa serve tenermi fuori? -
- Loro sanno che tu sai dei demoni, ma è contro le regole -
Matteo la guardò - Loro sanno che io so dei demoni? -
- Sì, loro sanno anche cosa mi hai regalato per il compleanno. Tengono tutti sotto controllo, specialmente me e chi mi sta vicino -
- Quindi loro sanno quante volte noi...-
- Matteo! Era solo un esempio per farti capire - disse, lanciando un sospiro - Comunque non entri, devi tenere d’occhio Elisabeth -
- Non sono una bambina di dieci anni! Non mi serve la babysitter -
- Invece sì! -
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Matteo fermò l’automobile proprio in mezzo al parcheggio, completamente vuoto ad eccezione di due Mercedes nere praticamente identiche. Lanciò un’occhiata al fidanzato - Aspettatemi qui...è una questione di pochi minuti - disse, uscendo dalla macchina prima di sentire nuovamente le lamentele del ragazzo.
Percorse lentamente il breve tratto che la separava dalla vecchia casa di copertura e, dopo essersi avvicinata all’entrata e pronunciato la parola d’ordine, scese le scale, superando la seconda porta, controllata 24 ore su 24 dalle telecamere. Nemmeno il tempo di raggiungere l’infermeria che Beatrice, con addosso il suo solito camice bianco, la raggiunse di corsa, abbracciandola con vigore, staccandosi immediatamente quando la sentì lamentarsi - Ti senti bene? - domandò lei preoccupata, appoggiandole una mano sulla spalla - Hai bisogno di qualcosa? -
- Ti sarei grata se mi controllassi un po’ tutto - ammise - Ma prima volevo chiederti se conosci chi ha dato informazioni riservate sulla mia missione ad Elisabeth Hall e a Matteo Dall’Angelo -
La bionda sgranò gli occhi per una frazione di secondo, poi scosse piano la testa - Non saprei...deve essere una in gamba -
- E come fai a sapere che è una donna? - domandò, inarcando un sopracciglio, pronta a rimproverarla.
- Ok, sono stata io - ammise Beatrice, prendendola a braccetto e guidandola verso l’infermeria - Elisabeth sa essere molto persuasiva -
- Capisco, ma avresti potuto rifiutare di aiutarla -
- Sei pazza? Mi ucciderebbe in modo lento e doloroso - disse l’amica, aprendole la porta dell’infermeria e facendola accomodare su una sedia. Marco era seduto alla scrivania che faceva le parole crociate e non alzò nemmeno gli occhi quando entrò nella stanza.
- Ciao Lumpa-lumpa -
- Ciao rompiscatole - rispose lui - Sono contento di vedere che non sei tornata in un sacco della spazzatura tagliata a fette -
- Anch’io sono contenta di vederti -
- Vai di fretta? - le domandò la collega, facendole gesto di togliersi la maglietta.
Obbedì, lasciando poi che Beatrice tolse le varie fasciature - In realtà sì, sono molto di fretta -
- Hai perso i sensi? -
- No. Mi sento solo molto stanca -
L’amica, sussurrando una litania nella lingua dei demoni, iniziò a curare la ferita al fianco - Vai a casa e riposati, probabilmente perderai i sensi per un po’, ma è normale, non preoccuparti -
- A causa del veleno? - domandò.
- Sì, anche se non sei diventata subito un demone quanto ti ha morsa, perderai coscienza - rispose lei, fasciandole di nuovo la spalla e le attaccò un cerotto sul collo - Non fare sforzi, intesi? Riposo assoluto -
- D’accordo -
- Se volevi fare qualcosa con il tuo fidanzato è meglio se eviti -
- Ho capito - sussurrò, rimettendosi la t-shirt - C’è altro? -
- Mangia tante carote e qualcosa di arancione -
- Perché? -
- Forse riusciamo a resuscitare la melanina nel tuo corpo -
Rise piano e la salutò con un abbraccio - Ci vediamo. Ciao Lumpa-lumpa -
- Vattene 33, prima che finisca il lavoro del demone che ti ha ridotta così -
***
Angelica tornò dopo più di quindici minuti, si sedette sul sedile del passeggero e lanciò un sospiro.
- Tutto ok? - domandò, mettendo in moto l’auto e facendo inversione, uscendo da quel desolato parcheggio.
- Tutto a posto -
- Cosa ti ha detto Beatrice? - domandò Elisabeth dal sedile posteriore.
- Non è nulla di grave, mi ha curato la ferita al fianco e ha fasciato le altre -
- Temevo qualcosa di peggio - ammise la rossa - Da quando siamo portiti non hai una bella cera -
- Sono solo stanca, tutto qui - ammise Angelica, appoggiando la testa al finestrino e chiudendo gli occhi. Abbassò immediatamente il volume della radio: sapeva che quando la fidanzata appoggiava la testa al finestrino si sarebbe addormentata in pochissimo tempo.
- Perché hai abbassato? -
- Shh! Abbassa la voce - sussurrò.
- Non dirmi che si è addormentata? - domandò la rossa, guardando l’amica, profondamente addormentata - Ok, si è addormentata -


Dopo aver accompagnata Elisabeth ritornò a casa, fermò la macchina e voltò lo sguardo verso Angelica, che dormiva profondamente e sorrise senza alcun motivo, togliendole una ciocca di capelli finiti davanti al viso.
- Angelica? Forza svegliati - sussurrò, appoggiandole la mano sulla spalla, senza però riuscire a svegliarla; così, scese dall’auto e fece il giro, aprendo la portiera della macchina: se non fosse stato per i suoi riflessi, la ragazza sarebbe caduta a terra. La prese in braccio, tentando nuovamente di svegliarla, ma solo ora capì che non stava dormendo, ma era priva di sensi.
Non ci pensò due volte a suonare una decina di volte il campanello di casa sua con il gomito, facendosi aprire da sua madre, che li guardò preoccupata - Matteo, cos’è successo? - domandò la donna, aprendogli il cancelletto e facendolo entrare in casa con Angelica in braccio.
L’appoggiò sul divano, prendendole il viso tra le mani - Angelica? Angelica mi senti? -  
- Cos’è successo? - domandò sua madre, subito al suo fianco, accarezzandolo la fronte ad Angelica - Cosa le è successo? -
- Non lo so, pensavo che dormisse, ma invece è svenuta -
- Da quanto tempo è così? -
- Nemmeno cinque minuti credo -
Sua madre, dopo aver annuito, diede un paio di schiaffi alla ragazza, nel tentativo di farle riprendere i sensi e, quando la ragazza, strinse gli occhi, lamentandosi, sentì il suo cuore tornare a battere.
- Angelica? Stai bene? -
La mora socchiuse gli occhi, guardando prima lui e poi sua madre - Eh? -
- Riesci a sentirmi? -
- Io...sì - sussurrò la ragazza - Cos’è successo? Perché avete quella faccia? -
- Sei svenuta -
Angelica lanciò un sospiro - È normale, Beatrice mi aveva avvertita che sarebbe successo -
- Matteo, per favore, portala a letto. Ha l’aria distrutta -
- Non serve - rispose la ragazza, tentando di mettersi a sedere - Vado a casa, non voglio darvi di disturbo -
- Testona che non sei altro, non dai nessun disturbo; e poi non ho intenzione di lasciarti a casa tua da sola -
- I miei genitori? -
- Tuo padre è al lavoro mentre tua madre mi ha detto che sarebbe stata in negozio tutto il pomeriggio -
- Capisco -
Prese in braccio la fidanzata, che non oppose resistenza - Adesso vai a dormire, d’accordo? -
Lei annuì, chiudendo gli occhi
***
Quando aprì gli occhi trovò immediatamente Matteo, sdraiato accanto a lei, che le stringeva dolcemente la mano. Gli sorrise, socchiudendo un po’ gli occhi, ancora mezza addormentata. Solo in quel momento capì di essere nella camera del fidanzato.
- Come ti senti? - le domandò il fidanzato, preoccupato.
- Bene - rispose - Anche se ho un po’ di fame -
- È quasi ora di cena - disse Matteo, alzandosi in piedi, facendo il giro del letto per aiutarla a mettersi a sedere.
Abbassò subito lo sguardo sulla maglietta che indossava, confusa.
- Ti ho cambiata io, non ti preoccupare -
Annuì e si alzò, reggendosi forte a Matteo aspettando che la testa smettesse di girarle. Sentì la nausea salirle alla gola e si portò una mano alle labbra.
- Sicura di stare bene? -
Quando tutto si calmò annuì - Forse è meglio se non mangio -
- Ti preparo un tè - le disse il moro, guidandola al piano di sotto, in cucina, dove la signora Dall’Angelo alzò gli occhi dai fornelli per guardarla con attenzione.
- Come ti senti, cara? -
- Meglio, grazie -
- Hai fame? -
- Sì, ma è meglio se non mangio niente -
La donna le si avvicinò, tastandole la fronte - Hai la nausea? -
- Un po’ -
Angela si staccò da lei pera andare a frugare in un cassetto, prendendo una scatola di farmaci. Matteo la fece sedere a tavola - Angelica, non hai una bella cera -
Sorrise - Quando mai l’ho avuta? -
La madre di Matteo le porse un bicchiere d’acqua e una piccola pillola bianca - Bevi, tesoro. Con questa la nausea ti passa al 100% -
Annuì, ingoiando la pillola e mandandola giù con un lungo sorso d’acqua, cercando di non soffocare quando la signora Dall’Angelo prese a cantare la canzone “Basta un poco di zucchero”.
- Matteo mi ha raccontato quello che è successo - iniziò la donna dopo aver ripetuto il ritornello un paio di volte, tornando ai fornelli in modo che non si bruciasse niente - È andato tutto bene, spero -
Annuì, bevendo quel poco d’acqua che le era rimasta nel bicchiere, ma appena appoggiò il bicchiere sulla superficie del tavolo, Matteo prese una bottiglia d’acqua dal frigorifero, riempiendole di nuovo il bicchiere - Sì, è andato tutto abbastanza bene -
- Spero che mio figlio non ti abbia rotto le scatole -
Lanciò un’occhiata al fidanzato e sorrise - Mi ha salvato la vita -
- Sul serio? -
- Pensavi che fossi d’intralcio, mamma? - domandò lui, facendola alzare - Meglio se ti stendi di nuovo -
Sbadigliò - Ok -
- Ma come fai a dormire così tanto? -
- Uffa, ho sonno...-
***
Ore 20.00
Vide il cellulare di Angelica illuminarsi e cominciare a vibrare. Lo prese in mano, osservando la scritta “numero privato” che lampeggiava assieme al display. Rispose.
- Tu non sei 33 - disse una strana voce maschile dall’altro capo del telefono, come se un programma stesse camuffando i suoni.
- Chi parla? -
- Voglio parlare con 33 -
- Ora non è possibile -
- Bene, allora lasciale un messaggio da parte mia -
- Chi è lei? -
- Dille di andarsene, dille di andarsene da Verona altrimenti farò del male a tutti quelli a cui vuole bene, a cominciare da te, Matteo Dall’Angelo -
Si pietrificò - Sei la spia -
- Riferisci il messaggio. Ha tempo fino a stasera alle nove, poi manderò qualcuno a salutarvi -
L’uomo riattaccò immediatamente. Ancora scosso, appoggiò il telefono da una parte, osservando Angelica dormire tranquillamente.
Sapeva che se le avrebbe riferito il messaggio, non ci avrebbe pensato due volte a lasciare Verona per proteggerlo, ed è proprio per questo motivo che non le avrebbe detto nulla.
“Ogni demone che ha mandato è stato ucciso” pensò, accarezzando la fronte della fidanzata “E faranno tutti la stessa fine”
***
Ore 20.57
Quando aprì gli occhi non trovò nessuno al suo fianco, e si mise subito a sedere, prendendo il telefono e controllando l’ora.
- Finalmente ti sei svegliata -
Alzò lo sguardo verso Matteo e sorrise - Scusami se ti ho fatto preoccupare -
- Non fa niente - sussurrò lui, sedendosi al suo fianco.
- È successo qualcosa? - domandò, dopo aver osservato l’espressione preoccupata del ragazzo - Brutte notizie? -
Matteo impallidì - No -
Inarcò un sopracciglio - Smettila di mentire. Non sai dire le bugie -
- Non è successo niente, ero solo preoccupato per te -
- Devo ripeterlo di nuovo? - domandò.
- Non ti sto mentendo, Angelica! -
- E perché stai urlando allora? - domandò calma, incrociando le braccia al petto - Ti prego, dimmi cosa succede -
- Angelica, sono preoccupato per te. Rischio di perderti un giorno sì e l’altro anche - rispose il ragazzo - Come faccio a non essere preoccupato? -
Lanciò un sospiro, decidendo di credere alle sue parole, ma sentiva comunque che le stava nascondendo qualcosa - Scusami, non volevo farti arrabbiare -
- Scuse accettate - disse lui, lanciando un’occhiata all’ora sul display del cellulare.
Piegò la testa di lato - Devi vederti con qualcuno? -
- Cosa? No -
- Ti sto facendo perdere tempo? -
- Certo che no - rispose lui, lanciando un’altra occhiata al telefono.
Guardò l’ora: erano le nove in punto. Il telefono squillò e sussultò per lo spavento, rispose immediatamente.
- Tempo scaduto, 33 -
- Chi è lei? -
- Il tuo fidanzato non ti ha dato il mio messaggio? -
Si voltò verso Matteo, fulminandolo con lo sguardo - No, non mi ha dato nessun messaggio -
- Un vero peccato, ma ormai ho già mandato un amico a fargli visita. E non potrai fare nulla -
- Se scopro chi sei, giuro che ti soffoco con le tue stesse budella - disse riattaccando ed alzandosi in piedi, furiosa - Qual’era il messaggio, Matteo? -
- Angelica io pensavo che...-
- QUAL’ERA IL MESSAGGIO, MATTEO DALL’ANGELO!? - urlò arrabbiata - DIMMELO! -
- Lasciare Verona entro le nove, oppure avrebbe mandato un demone a cercarmi -
- Perché non mi hai svegliata? Perché non mi hai detto niente?! -
- A cosa sarebbe servito? L’avresti ucciso comunque -
- Tu non capisci -
- Cos’è che dovrei capire? -
- Se ti accadesse qualcosa io... non potrei mai perdonarmelo -
- A cosa serve scappare se hai ucciso tutti i demoni che ti ha mandato contro? -
Prese un respiro profondo ed uscì dalla stanza, fermandosi sulla soglia - Non sono infallibile, Matteo. Sono umana. Hai visto quello che è successo con l’Incubo - disse, scendendo di corsa le scale, cercando la sua katana, trovandola nascosta dietro all’appendiabiti assieme al suo borsone. L’afferrò e la sguainò immediatamente, proprio la porta d’entrata si spalancò all’improvviso, senza che nessuno la spingesse.
- È troppo tardi, Angelica - si sentì sussurrare nell’orecchio - Adesso lui è mio -
Il panico s’impadronì di lei e si voltò verso le scale - Matteo? - chiamò forte, senza però ricevere alcuna risposta. Temette il peggio.
Gettò la katana a terra e corse su per le scale, trovando il ragazzo steso a terra, immobile. Si avvicinò a lui, mettendolo a pancia in su e dandogli qualche schiaffo per tentare di svegliarlo, ma non ottenne alcun risultato.
Iniziò a piangere, battendo i pugni a terra - Ti prego, svegliati - disse in preda alla rabbia, benché sapesse che Matteo non si sarebbe svegliato finché non avesse affrontato e sconfitto il demone nella sua mente.
Andò a prendere il cellulare, chiamando immediatamente Beatrice.
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Quando vide Matteo agitarsi gli prese la mano, stringendola dolcemente tra le sue, facendo dei respiri profondi per non piangere e non mostrarsi debole. Tutto questo era capitato a causa sua, solo perché era un ostacolo per un pazzo che aveva chissà quali piani in testa.
Sussultò quando Beatrice entrò nella stanza che avevano velocemente preparato per il ragazzo, e le si avvicinò, appoggiandole una mano sulla spalla e porgendole una bottiglietta d'acqua - Come stai? -
- L'attesa mi sta uccidendo - rispose sinceramente, prendendo la bottiglietta e ringraziando l'amica con un lieve cenno del capo, lasciando la mano immobile del fidanzato per bere un lungo sorso d’acqua.
- Il demone dei sogni é una creatura infame - disse la bionda, passandosi una mano nei capelli - Bisogna aspettare che Matteo si svegli da solo -
Chiuse gli occhi - Non lo si può aiutare in nessun modo? -
- Temo di no, purtroppo - rispose l'amica - Matteo deve rendersi conto che quello che sta vivendo é tutto nella sua mente. Deve superarlo -
Appoggiò la bottiglietta a terra, e tornò a stringere la mano del fidanzato, lanciando un respiro profondo per tentare di calmarsi “Ti prego Matteo, sono qui che ti aspetto”
***
Quando riaprì gli occhi riconobbe il soffitto della sua camera ed attese qualche secondo prima di mettersi a sedere, tentando prima di ricordare cosa ci faceva steso a terra. Si alzò, rinunciando a trovare una spiegazione sul fatto che si trovava lì, e con passi lenti uscì in corridoio, fermandosi in cima alle scale, osservando Angelica ad un paio di metri dalla porta d'ingresso spalancata.
- Angelica - la chiamò, scendendo le scale, fermandosi alla fine.
La ragazza, si voltò lentamente, guardandolo in modo serio - Chi sei tu?-
- Angelica, non fare la scema, sono io, Matteo -
La mora iniziò ad avvicinarsi e, quando fu ad un soffio da lui, gli appoggiò una mano sul collo. Era fredda come il ghiaccio - Hai paura, Matteo Dall’Angelo? -
- Ma che stai dicendo?-
Angelica si avvicinò al suo collo, mostrando due lunghi canini: sentiva il suo fiato freddo sul collo, e non riusciva a muoversi. Angelica si staccò da lui, con un ghigno, afferrandogli il viso - Hai paura di me? -
- Angelica, come posso avere paura di te? Io ti amo -
La ragazza sorrise malignamente, e gli graffiò una guancia: sentì immediatamente il sangue colargli fino al mento. Indietreggiò appena, ma la fidanzata lo bloccò, afferrandolo per un braccio - Hai paura?- chiese ancora lei avvicinandosi al suo viso.
- Adesso sì - rispose non appena la ragazza gli leccò la guancia rigata dal sangue.
***
Osservò il taglietto apparso sulla guancia del ragazzo e seguì con lo sguardo una goccia di sangue che rotolò fino al mento. Si alzò in piedi, guardando il piccolo bancone proprio alle sue spalle, sul quale erano appoggiate diverse scatole di bende, cerotti, fiale e altri farmaci, e si avvicinò, frugando nei cassetti, trovando un fazzoletto di stoffa bianco.
Ritornò accanto al letto, togliendo con il fazzoletto la linea di sangue sulla guancia del fidanzato.
Tornò a guardarlo, rimanendo in silenzio e stringendogli la mano.
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Capitolo 54
*** Capitolo 54 ***


Venerdì, 31 luglio 2009 - ore 22.25
Si svegliò di soprassalto, guardando il ragazzo steso sul letto. Erano quattro giorni che era in quello stato.
Da quando Matteo era entrato in un sonno profondo, non si era più alzata da quella dannata sedia tranne quelle volte che andava a fare una doccia veloce o a prendere una bottiglietta d’acqua e, se non fosse stato per Beatrice, sarebbe morta di fame: l’amica le portava della frutta o uno yogurt, facendole anche un po’ di compagnia.
Si avvicinò a Matteo, passandogli lievemente la mano sul graffio apparso lunedì sera sulla guancia: sapeva benissimo che se si veniva feriti in quella specie di “dimensione” si veniva feriti anche nella realtà e la stessa cosa valeva anche per la morte. L’ultima volta che era capitato a lei, l’aveva scampata per un soffio.
Il demone dei sogni prende la forma di quello di cui hai più paura: si era trovata a combattere contro i suoi amici, diventati demoni. Lo ricordava bene.
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Sono davanti a me, i vestiti strappati, gli occhi completamente rossi come tizzoni ardenti. Elisabeth é in testa al gruppo; subito dopo di lei, Vittoria, Alice, Davide, Federico e Sergio, poi, ancora più in là mia madre e mio padre, nelle stesse condizioni e poi c'é Manuel.
Sento la mia mano pesante e la guardo mentre si chiudeva intorno all'elsa della mia katana, la lama é talmente bianca, che posso vedere il riflesso della mia espressione di terrore.
- Vi prego, non avvicinatevi - dico indietreggiando, sentendo subito le lacrime rigarmi le guance.
Mi ignorano e si avvicinano sempre di più, mentre io non ho più la forza di muovermi: le gambe sono come bloccate da una forza invisibile, la stessa forza invisibile che sento salire sempre di più, bloccandomi tutto il corpo, eccetto il braccio che stringe ancora la spada.
Non voglio farlo. Non posso farlo.
Mi trascinano a terra e cominciano a graffiarmi e mordermi, mentre io ho solo la forza di piangere.
- Basta, vi prego...basta -
Vedo solo un miscuglio di corpi sopra al mio. Tutti hanno la bocca piena di sangue, il mio sangue, e continuano a ferirmi, mordermi; ed io, non ho nemmeno la forza di muovermi. Tutto sembra così reale, non riesco a fare del male ai miei amici, ma provo comunque ad allontanarli con il manico della spada.  
- È pazza...- sussurra una strana voce, mentre mi allontano, se pur di poco, da loro.
- Vede i fantasmi -
- È pazza -
- No! Non sono pazza! - urlo con tutto il fiato che ho in gola e mi alzo in piedi di scatto.
- Non sei umana..-
- Sei pazza -
Mi inginocchio a terra ed urlo ancora e ancora, mentre le lacrime cominciano a rigarmi il viso.
------
Si riscosse dai suoi pensieri e le lacrime cominciarono a rigarle il volto, non appena Matteo sussurrò lievemente il suo nome.
“Il demone ha preso la mia forma. Lui ha paura di me” pensò, stringendogli la mano fredda - Ti prego Matteo, svegliati. Quello che vedi non è reale...è nella tua mente -
***
Si ritrovò una pistola in mano e subito la puntò contro la creatura, che sapeva non essere Angelica.
- Ferma o ti ammazzo -  
- Matteo, perché non vieni con me? Hai detto che mi ami - chiese la ragazza facendo un passo avanti, appoggiando il petto alla canna della pistola.
- Tu non sei Angelica - sussurrò.
- Devi uccidermi se vuoi liberarti di me, lo sai?-
- L'avevo sospettato -
Gli occhi della ragazza diventarono rossi e sul suo viso si disegnò un diabolico sorriso - Allora cosa stai aspettando?-
Chiuse gli occhi e sparò. Dopo un piccolo tonfo, ebbe la forza di socchiudere soltanto un occhio ed osservò la ragazza stesa a terra, con la mano al petto. Rabbrividì sentendo la solita voce della fidanzata: era ritornata normale.
Senza pensarci due volte, lasciò cadere a terra la pistola e la raggiunse, inginocchiandosi al suo fianco, tentando di non guardare il sangue che usciva dalla ferita al centro del petto.
- Matteo - sussurrò lei, con gli occhi chiusi - Scusami...non volevo -
- No, é tutta colpa mia - disse, distogliendo lo sguardo dalla ragazza e guardandosi intorno, sentendo una voce familiare che sembrava provenire da lontano.
“Ti prego Matteo, svegliati”
- Chi sei? -
“Quello che vedi non è reale...è nella tua mente”
- Angelica? Sei tu? -
La ragazza sdraiata a terra emise un lamento soffocato e voltò il viso verso di lui, tenendo sempre gli occhi chiusi - Matteo...con chi parli? -
Continuò a guardarsi intorno - La voce...l’hai sentita? -
- No - rispose Angelica, afferrandogli il collo con uno scatto fulmineo, facendogli sbattere la schiena a terra. Lei si sedette sopra di lui, mostrandogli i canini - Io sento solo le tue grida -
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola quando la ragazza gli morse il collo, affondando i denti nella carne, e cercò immediatamente di staccarsela di dosso.
***
Sul collo di Matteo, apparve una profonda ferita, simile ad un morso. Si lasciò sfuggire un singhiozzo, afferrando il fazzoletto sulla ferita.
- Ti prego, reagisci -
- Angelica - sussurrò lievemente il ragazzo sul lettino. Scrollò appena la testa allontanando i ricordi e si avvicinò alle labbra di Matteo, sperando di sentire meglio - Lasciami...-
Si allontanò di scatto, come se fosse stata schiaffeggiata.
- Sono io che ti sto facendo questo, sono io che ti sto uccidendo, vero Matteo? -
Si riavvicinò, stringendogli forte la mano quando lo sentì lamentarsi e sussurrare nuovamente il suo nome.
- C’è un modo per finirla qui - disse, lasciandosi sfuggire una lacrima - Ma non ti piacerebbe. Se fossi qui mi diresti che è una cosa stupida e che forse c’è un’altra soluzione -
Si piegò in avanti, sfiorando l’elsa del pugnale allacciato alla sua gamba (non si fidava ad andare in giro disarmata e una katana avrebbe dato nell’occhio), lo estrasse, osservando intensamente la lama seghettata - Purtroppo non c’è un’altra soluzione - sussurrò - E se tu non riesci ad uccidere quella cosa nella tua testa, vorrà dire che dovrò farlo io -
Gli lasciò la mano, afferrando l’elsa con entrambe le mani ed appoggiando la punta del pugnale appena sotto lo sterno - Hai paura di me. Hai paura che possa trasformarmi in un mostro e il demone sta usando la tua paura a suo vantaggio - sussurrò - Se io muoio la tua paura non esisterebbe e il demone ti lascerebbe andare. Solo così posso aiutarti -
Si ritrovò a pensare a quel giorno. Quando si era risvegliata.
------
Chiudo gli occhi sperando di svegliarmi da quest'incubo, ma sento ancora i miei compagni che affondano i denti nella mia carne. Urlo sempre più forte, morirò tra pochi minuti, ne sono sicura.
Provo a difendermi senza fare del male a nessuno, ma loro continuano a mordermi e a graffiarmi.
Non riesco a trattenermi, sembra che ci sia qualcun'altro che comanda il mio corpo, non posso oppormi, e colpisco Elisabeth con la spada, tagliandole di netto un braccio. Inizio a piangere di nuovo, e affondo la lama nel cuore della mia migliore amica; estraggo poi la spada con un rapido scatto, ed Elisabeth crolla a terra sussurrando il mio nome.
Chiudo gli occhi ed urlo. Non riesco ad oppormi a quella cosa ferma nel mio petto e mi lancio contro gli altri, colpendoli uno ad uno e, alla fine, riesco a fermarmi solo quando tutti sono a terra, morti, in una pozza di sangue con gli occhi puntati verso di me.
- Sei un mostro - sussurra una voce - Assassina -
Le gambe cedono all'improvviso e crollo in ginocchio, trattenendo a stento i conati di vomito alla vista di quell'orribile scena. Un forte lampo, e mi ritrovo su un lettino, ancora in preda ai singhiozzi.
- Agente 33? Agente 33 si sente bene?-
Non ascolto l'infermiere al mio fianco, che osserva le ferite sul mio corpo, ed urlo, urlo sempre più forte.


Mi hanno tenuta in Agenzia per diverse settimane: le mie ferite erano gravissime, ed era un miracolo che fossi ancora viva. Alla fine, mi hanno riempita di calmanti e mi hanno riportata a casa.
Scendo dalla Mercedes e guardo mia madre, che mi aspetta all’ingresso, preoccupata come non mai. Le corro incontro, saltandole al collo e scoppio di nuovo a piangere.
- Non sono cattiva...non sono cattiva - sussurro mentre la stringo forte - Sono come tutti gli altri...-
Mia madre, confusa, ricambia l'abbraccio. Mi accompagna in camera, dove mi fa stendere sul letto e, dopo una tazza di tè caldo, mi tranquillizzo. Le racconto tutto e, alla fine della storia, mia madre mi abbraccia forte.
- È tutto a posto, tesoro - dice mia madre - Non sei un mostro, sei solo speciale. Il tuo dono ti rende unica -
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Abbassò lo sguardo e sorrise “Non sei un mostro, sei solo speciale. Il tuo dono ti rende unica” si disse a mente. Molte volte se lo ripeteva, ogni volta che si sentiva diversa o quando si chiedeva come sarebbe stata la sua vita senza quella maledizione.
Ora non aveva più importanza: tutto stava per finire.
***
Con un forte calcio alla gamba, fece inginocchiare Angelica a terra. La ragazza tentò immediatamente di alzarsi, ma le diede un altro calcio nello stomaco, puntandole poi la pistola alla testa.
La mora sorrise, mostrandogli i canini - Vuoi uccidermi? Vorresti uccidere la persona che ti ama di più al mondo? -
- Tu non sei Angelica -
- Dici? -
- Se tu fossi Angelica non tenteresti di uccidermi -
La mora non rispose e il suo sorriso si spense - Non uscirai vivo da qui - sussurrò lei, togliendosi il sangue che le sporcava il mento.
Chiuse gli occhi, cercando di sentire ancora la voce nella sua testa che prima gli aveva detto di attaccare il demone e che quello che stava vivendo era solo un sogno, ma non sentì nulla, solo dei singhiozzi soffocati.
Guardò di nuovo Angelica e strinse più forte la pistola - Tutto questo è nella mia mente, e sono io a comandare - disse, premendo il grilletto.
Ci fu subito un lampo.
***
Prese un respiro profondo, stringendo ancora più saldamente l’elsa del pugnale, lasciandosi sfuggire una lacrima. Guardò Matteo per l’ultima volta, poi richiuse gli occhi, stringendoli forte.
Caricò il colpo, ma si fermò, spaventata a morte da qualcuno che aveva urlato il suo nome. Scattò in piedi, osservando incredula il fidanzato, seduto sul lettino, con il fiatone, che la guardava - Angelica -
La presa sul pugnale si affievolì e lasciò che cadesse a terra - Matteo -
- Gesù, che brutto sogno -
Si riavvicinò al letto, abbracciando il ragazzo con forza, scoppiando a piangere e ridendo contemporaneamente, contenta che si fosse svegliato - Stai bene...ti sei svegliato - si disse.
Il fidanzato ricambiò la stretta - Ti sembrerà stupido ma...avevo un po’ di strizza -
- Lo immagino. Ci sono passata anch’io tempo fa - ammise.
- Cosa mi è successo? -
- Era un demone dei sogni. È...come in Matrix, hai presente? -
Il moro si portò una mano al collo, trovando il cerotto - Se morivo in quel posto...-
- Morivi anche nella realtà - concluse.
- Perché quella cosa aveva le tue sembianze? -
- Il demone dei sogni si impossessa delle tue paure e le usa a suo favore - spiegò - Quindi, evidentemente, tu hai paura di me -
- Io non ho paura di te - rispose lui - Io ho paura che diventi un demone e che possa perderti per sempre -
Sorrise, facendolo sdraiare - Ora è meglio se riposi - disse dandogli un bacio - Vado a chiamare tua madre, sono quattro giorni che è in pensiero per te -
- Quattro giorni? -
- Sì, oggi è venerdì -
- Il sogno sembrava più corto -
- Il tempo scorre in modo diverso -
Matteo si guardò un attimo intorno - Ma dove diavolo mi hai portato? -
- All’Agenzia -
- All’Agenzia? Figo -
- È stato solo un caso eccezionale - ammise, avvicinandosi alla porta, voltandosi di nuovo - Non ci tornerai più -
- Perché no? -
Sorrise - Riposati - sussurrò, uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Iniziò a camminare, lentamente, verso l’infermeria con la testa fra le nuvole: era contenta che Matteo si fosse svegliato ma c’era ancora qualcosa che la preoccupava.
Bussò un paio di volte alla porta dell’infermeria, stranamente chiusa a chiave, e sentì immediatamente dei movimenti all’interno della stanza, sentendo poi Beatrice schiarirsi la voce - Sì? -
- Sono io, aprimi -
- Ehm...perché? - domandò lei - Non dovresti essere nella stanza con Matteo? -
- Si è svegliato, e se potresti degnarti di aprire questa porta mi eviteresti la fatica di buttarla giù -
La ragazza, chiusa nell’infermeria, fece scattare la serratura, socchiudendo appena la porta - Beh, adesso arrivo. Potresti aspettarmi là? -
Socchiuse gli occhi - Cosa stai facendo chiusa nell’infermeria? -
- Io? Niente. Cosa dovrei fare? -
Si mise le mani sui fianchi - Quindi se non stai facendo niente non ti dispiace se entro, vero? -
- Beh, guarda...ho il cadavere di un demone artificiale e...non è un bello spettacolo, in più puzza da fare schifo -
- Sopravviverò -
- No, no...è veramente una cosa disgustosa -
Lanciò un sospiro - Alberto, lo so che sei lì dentro, esci immediatamente -
Sentì qualcun altro nella stanza sbuffare - Come diavolo hai fatto? -
- Intuito femminile - disse - Scusatemi per aver interrotto il vostro momento romantico, ma ho bisogno di Beatrice -
L’amica aprì la porta, facendo uscire Alberto, leggermente spettinato, che si allontanò immediatamente con la testa bassa. Si voltò verso la bionda, che osservava intensamente il soffitto - Cosa stavate facendo? -
- Chi? Noi? Niente - rispose Beatrice - Assolutamente niente -
- Ah sì? E io sono un Elementale -  
La collega sbuffò - Solo qualche bacio -
Sorrise e scosse la testa, rassegnata - Potresti andare a controllare Matteo? -
- Sbaglio o mi hai detto che si è svegliato? -
Annuì - Ed ha un brutto morso sul collo -
- Adesso vado - rispose la bionda, uscendo dall’infermeria e chiudendo la porta - Vieni? -
Ci pensò un attimo, poi scosse la testa - Devo fare una cosa -
- Cosa? -
- Niente di importante -
- Ok, vado. Ti aspetto là -
- D’accordo - farfugliò, aspettando che Beatrice percorresse il corridoio e sparisse dietro l’angolo, entrando poi nell’infermeria. Si avvicinò al tavolo da lavoro, aprendo i cassetti in cerca di un pezzo di carta, trovando un foglio A4 completamente bianco. Avvicinò una sedia al tavolo e prese una penna, cominciando a scrivere: aveva deciso cosa fare.
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Sabato, 1 agosto 2009
Dopo quasi un’ora tornò nella stanza dome Matteo dormiva tranquillamente sul letto dov’era rimasto immobile per quattro giorni. Non appena entrò, Beatrice uscì dalla stanza, dandole una pacca sulla spalla e dicendole che era tutto a posto.
Si sedette accanto al letto osservando la lettera che aveva appena finito di scrivere e la piegò due volte, guardando intensamente la carta, un po’ stropicciata.
- Non posso fare altro - sussurrò - Se non lo faccio farà del male a te oppure ad Elisabeth o ai miei genitori -
Gli appoggiò la lettera accanto alla mano abbandonata sul materasso e si alzò in piedi, dandogli un lieve bacio sulle labbra, attenta a non svegliarlo - Non ho più la forza di combattere - sussurrò, dandogli le spalle ed uscendo dalla porta senza fare rumore.
***
Ore 9.14
Socchiuse appena gli occhi, ma li richiuse immediatamente, infastidito dalle luci al neon appese al soffitto. Si mise a sedere, strofinandosi gli occhi per poi sgranchirsi le braccia, sbadigliando. Si guardò intorno, in cerca di Angelica, ma la stanza era vuota. Sentì qualcosa cadere dal letto ed abbassò lo sguardo sul foglio di carta piegato appena caduto sul pavimento. Si piegò e lo prese, aprendolo. Riconobbe immediatamente la scrittura della fidanzata ed iniziò a leggere.

Matteo,
Quando leggerai questa lettera, probabilmente, non sarò seduta accanto al tuo letto a stringerti la mano.
Devo partire. Lontana da Verona, lontana dalle persone molto vicine a me che rischiano la vita ogni giorno solo per colpa mia. Lontana da te in effetti.
Non odiarmi per questo, lo faccio solo per il tuo bene.
Da quando sei diventato importate per me e da quando sei venuto al corrente di quello che sono e quello che faccio, sei rimasto coinvolto quasi sempre, alcune volte ferito lievemente, mentre altre hai rischiato molto. Come in questi giorni.
E' così difficile dover dirti addio nonostante l'amore che provo. Sei tutta la mia vita e voglio che tu sia felice. Avrei voluto esserti sempre accanto per condividere la gioia e i dolori, condividere le emozioni, crescere e migliorare con te. E’ da te che avrei voluto avere un figlio. Già, sarebbe stato bello avere un bambino da te. Dio mio, scusami, sto divagando troppo.
Mi hai dato tanto, mi hai fatto sentire speciale e con i tuoi modi e la tua dolcezza sei entrato nel mio cuore senza neanche me ne accorgessi. Mi sei stato vicino nei momenti in cui ne avevo più bisogno e con le tue parole e il tuo affetto mi hai aiutata; pensare a te mi ha dato la forza di continuare a lottare anche quando pensavo fosse la fine.
Mi sarebbe piaciuto averti anche solo per un’ora e dirti tutto questo di persona ma...poi non avrei più avuto il coraggio di andar via e sarei rimasta lì per sempre. Ma non posso, è troppo pericoloso.
Ti prego, non venire a cercarmi.
Trova una ragazza che non vada ad ammazzare demoni e che ti ami come ti amo io.

Sarai sempre nel mio cuore. Addio.
Angelica

Rilesse la lettera più e più volte, incredulo che Angelica lo avesse lasciato così.
- No! - urlò battendo il pugno su letto - No! -
Entrò immediatamente Beatrice, rimanendo sulla porta della stanza - Che succede? Ti senti male? -
Fece no con la testa ma la ragazza gli si avvicinò, prendendogli la lettera che stringeva tra le mani, leggendola velocemente - Oh cazzo - sussurrò lei, sedendosi sulla sedia, scioccata.
- Beatrice... - sussurrò lui con tono supplichevole - Tu sai dov’è andata? -
Lei balbettò - Io...no, mi dispiace. Non avrei mai pensato che Angelica... -
- Riusciresti a trovarla? -
Beatrice rifletté per qualche secondo - Non lo so, è partita in fretta e furia - rispose lei, prendendo il cellulare dalla tasca e chiamando probabilmente Angelica, riattaccò immediatamente - Il telefono è spento -
- Si può sapere perché le è venuta in mente di fare una cosa del genere? -
- Matteo, Angelica è spaventata. Ha paura che possa succederti qualcosa - disse la bionda - Senti, adesso ti riporto a casa. Cercherò di farmi venire in mente qualcosa -
Annuì, rassegnandosi - Potresti chiamare Elisabeth? -
- Certo, cosa devo dirle? -
- Di andare a casa mia, immediatamente -
- Le racconterai tutto, immagino - disse la ragazza, portandosi il cellulare all’orecchio - Eli, sono Beatrice. Sì, è tutto a posto, si è svegliato ieri sera. Mi ha detto di dirti di andare a casa sua. Sì, lo accompagno io. Ok, ciao - concluse lei, riattaccando il telefono.
- Troveremo una soluzione - disse - Non serve a niente scappare, la spia la vuole morta no? Perché chiederle di andarsene da Verona? -
Beatrice alzò le spalle - Forse perché è da sola -
- E se è da sola...-
- ...penseranno che sia una preda più facile -


Non appena Beatrice fermò l’automobile davanti a casa sua notò immediatamente la Lancia Y di Elisabeth a qualche metro. La rossa scese dalla sua auto, togliendosi gli occhiali da solo ed infilandoli con noncuranza nella borsa, osservandoli intensamente, preoccupata e probabilmente anche confusa.
Scese dalla Peugeot della bionda, avvicinandosi all’amica - Ti devo parlare -
- È successo qualcosa? - domandò lei - Dov’è Angelica? -
- È proprio questo il problema - s’intromise Beatrice, scendendo dalla sua auto ed avvicinandosi a loro, porgendo la lettera scritta da Angelica alla ragazza - Non lo sappiamo -
- È meglio se entriamo - suggerì, suonando il campanello e facendosi aprire da sua madre.
Non appena varcarono la soglia d’entrata, sua madre lo abbracciò con vigore - Stai bene? -
- Sì, mamma. Non preoccuparti - rispose, staccandosi dall’abbraccio e facendo un cenno verso la ragazza dai capelli biondi - Lei è Beatrice -
La bionda fece un piccolo cenno - Salve -
- Cosa siete venuti a fare qui? E dov’è Angelica? -
- Puoi lasciarci da soli un attimo? Dobbiamo parlare di...faccende private -
La donna sembrò capire al volo, voltandosi verso la cucina - Non mi muoverò dalla cucina - disse lei, congedandosi e chiudendosi la porta della cucina alle spalle, mentre loro si diressero in salotto, sedendosi sul divano.
- Allora? Volete spiegarmi cos’è successo e perché Angelica ha scritto questa lettera? - domandò Elisabeth, sventolando davanti ai loro occhi il foglio spiegazzato.
Gli raccontò velocemente la chiamata della spia sul numero di Angelica e il “cordiale” invito a lasciare Verona entro le nove di lunedì sera, il demone che lo aveva imprigionato nel mondo dei sogni fino al giorno prima e la lettera della fidanzata.
- Siete sicuri che se ne sia andata veramente? - domandò la rossa, prendendo il suo cellulare e digitando un numero che, evidentemente, sapeva a memoria per tutte le volte che l’aveva chiamato, appoggiando poi l’apparecchio sul tavolino e mettendo il vivavoce. A rispondere fu la signora Vetra.
- Pronto? -
- Salve, sono Elisabeth. La disturbo? -
- Certo che no -
- Ha visto Angelica oggi? - domandò la ragazza, osservando intensamente il telefono.
- No, ho sentito che è rientrata ieri notte e poi è uscita di nuovo. Stamattina mi sono trovata una lettera che diceva di non cercarla, che si sarebbe fatta viva lei -
- Grazie mille -
- Sai dov’è andata? -
- No, ma la troveremo - disse la ragazza, riattaccando - Quindi è partita -
- Cosa si potrebbe fare per rintracciarla? - domandò, guardando prima Beatrice e poi Elisabeth.
***
Si voltò verso la bionda, sorridendo in modo diabolico - Beatrice -
- Lo sapevo -
- Lo sai vero che ti voglio tanto bene? -
- Non ne sono molto sicura -
- Devo pregarti in ginocchio? - domandò, alzandosi dal divano ed inginocchiandosi davanti alla bionda - Ti prego, ti supplico, mia cara amica hacker... -
- Non so nemmeno da dove cominciare - disse Beatrice - Potrebbe essere in qualsiasi posto -
- Sei la persona più in gamba che conosco - disse, tornando a sedersi sul divano - Potresti cominciare a controllare i movimenti della sua carta di credito -
- Angelica, non è così stupida. Se non vuole farsi trovare non riusciremo a scovarla nemmeno se avesse un microchip addosso -
- Beh, meglio tentare. Se dovessi scappare in fretta e furia non mi fermerei di certo in banca a fare un prelievo - disse - Oppure sì? Beh, bisognerebbe vedere la somma che ha prelevato -
- Forse potrei controllare nei server dell’aeroporto a Villafranca. Se è partita in gran fretta, come hai detto tu, non avrebbe avuto il tempo materiale di comprare dei documenti falsi e deve aver usato sicuramente i suoi -
- In più la sua auto è in garage - sussurrò, passandosi una mano nei capelli - Quindi ha preso un autobus. E dove finisce la corsa degli autobus? -
Matteo lanciò un sospiro - In stazione -
Si voltò verso la bionda - Riusciresti a controllare le registrazioni delle telecamere in stazione? Così, se la trovi nelle registrazioni, possiamo sapere se ha preso il treno o un altro autobus -
- Certo, ricordi che sono la tua cara amica hacker? -
- Se mi dici che riesci a fare tutto questo ti do un bacio in bocca -
- Certo che posso, ma mi servirà del tempo - rispose Beatrice - L’ultima volta ci ho messo un sacco di tempo per avere dei biglietti per i Caraibi gratis -
______________________________________________________

Ore 20.14
Rispose immediatamente al cellulare, illudendosi che potesse essere Beatrice con qualche novità - Pronto? -
- Matteo, sono io - sussurrò appena Elisabeth, in tono quasi spaventato - C’è qualcosa che non va -
- In che senso? -
- Dopo che sono stata a casa tua, una macchina ha cominciato a seguirmi ed ora è ferma davanti a casa -
- È una Mercedes? -
- Pensi che sia qualcuno dell’Agenzia? -
- Angelica mi aveva detto di chiedere a degli Agenti di proteggerci...magari stanno ancora eseguendo i suoi ordini -
- È perché restare nascosti? -
- Non lo so -
- C’è qualcosa che puzza, Matteo. E di sicuro non è la mia pizza nel forno - disse lei.
- Sai qualcosa di Beatrice? -
- Si è messa all’opera. Sta controllando le registrazioni alla stazione di Porta Nuova. Non so altro -
Lanciò un sospiro - D’accordo -
- Abbi pazienza. Dai tempo al tempo -
- Dille di dirmi immediatamente quando scopre qualcosa, intesi? -
- Ok, ciao -
- Ciao -


Si svegliò di soprassalto, osservando il cellulare che aveva preso a suonare e rispose, con voce assonnata - Pronto? -
- Matteo, sono Beatrice -
Si mise di scatto a sedere - Hai scoperto qualcosa? -
- Ho beccato Angelica scendere dall’autobus e prenderne un altro per Villafranca. Ha sicuramente preso un aereo -
Lanciò un sospiro - Tra quanto riesci a forzare il server dell’aeroporto? -
- Non lo so. La sicurezza è molto alta. Devo cercare la password e il metodo della forza bruta con il mio computer è un po’ lento... -
Non sapeva nemmeno di cosa stava parlando - Va bene, fammi sapere -
- D’accordo, ma tu stai attento -
- Perché? -
- C’è qualcosa che non mi quadra -
- Ti ha chiamata Elisabeth? -
- Sì, e non penso che quegli Agenti la vogliano proteggere -
- Ne hanno mandato alcuni anche da me? -
- Probabile, ma ne parliamo domani. D’accordo? -
- Ok. Grazie Beatrice, sono in debito con te -
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Capitolo 55
*** Capitolo 55 ***



Giovedì, 20 agosto 2009 - ore 18.55
Erano trascorsi venti giorni da quanto Angelica era scappata da Verona per nascondersi chissà dove per “proteggerli” dalla spia all’Agenzia. Da quel giorno, sia lui sia Elisabeth si sentivano osservati e ovunque andavano una Mercedes nera sembrava seguirli; la stessa cosa valeva per Beatrice, anche lei tenuta sotto controllo ventiquattrore su ventiquattro, che stava lavorando con il massimo impegno per trovare Angelica: sapevano solo che aveva preso un aereo, ma non sapevano dove fosse scesa.
Si mise a sedere sul letto, prendendo il cellulare che si era illuminato all’improvviso e lesse immediatamente il messaggio di Elisabeth.

Sono qui fuori. Scendi immediatamente.

Scese di corsa le scale ed aprì il cancelletto ad Elisabeth, che lo raggiunse immediatamente, abbracciandolo con forza - Promettimi che farai attenzione -
- Tornerò con Angelica il prima possibile -
La rossa fece scivolare qualcosa nella tasca posteriore dei suoi jeans - Stai attento, ci stanno tenendo d’occhio. Non fare niente di stupido...ho un piano - gli sussurrò l’amica all’orecchio.
Si staccarono dall’abbraccio e le sorrise - Grazie -
Elisabeth gli diede un bacio sulla guancia e si voltò, tornando nella sua Lancia Y e partendo a tutta velocità. Dietro di lei, un’altra auto uscì dalla via: una Mercedes nera.
Rientrò in casa ed estrasse il biglietto piegato in quattro dalla tasca dei jeans. Lo aprì e lesse a mente il biglietto.

Atlas City Hotel
Paul-Heyse-StraBe 18
Monaco, Germania


“Fantastico. Non so nemmeno il tedesco” pensò, prendendo il cellulare dalla tasca, sentendolo vibrare e lesse immediatamente il messaggio di Elisabeth: vai in camera.
Salì le scale ed aprì la porta della sua stanza, spaventandosi a morte quando vide Beatrice, seduta sul letto, che lo aspettava.
- So di non essere bella come Angelica, ma non pensavo di essere così brutta da far paura - disse la ragazza, ridendo.
- È solo che...come hai fatto ad entrare? -
- Dalla finestra del bagno - rispose lei.
- Cosa ci fai qui? -
- Sono riuscita a seminare gli Agenti che mi controllavano - raccontò la ragazza torturandosi le dita - Dobbiamo riuscire a farti prendere quel maledetto aereo in tempo. Elisabeth ha avuto un gran bel piano, ma non ti piacerà...credo -
- Cosa devo fare? -
Beatrice si alzò in piedi, mettendogli in mano un biglietto aereo per il Munich International Airport e diverse banconote da cento euro - Mi servono i tuoi vestiti -
- Perché? -
- Non fare domande e dammi tutte le magliette che hai -
Non discusse e prese una pila di t-shirt sistemate ordinatamente nell’armadio e le gettò sul letto con noncuranza.
- Allora, in pratica...io divento te. Siamo più o meno alti uguali, devo solo mettermi quattro o cinque magliette una sopra l’altra per sembrare grossa come te e mi metto un cappello in testa - disse lei, infilando una maglia sopra alla t-shirt che già indossava - Elisabeth si fermerà di nuovo davanti a casa tua fra 2 minuti. Io correrò fuori, facendo ben attenzione a farmi notare e ci dirigiamo verso l’autostrada. Tu, non appena vedi due Mercedes correre dietro a noi due, prendi la macchina e vai all’aeroporto. Non chiamarci, potrebbero rintracciare il numero e trovarti, torna a casa con Angelica il più presto possibile - disse la bionda, infilando la quinta maglietta e mettendosi un cappello in testa, nascondendo la folta chioma bionda.
- Non so davvero come ringraziarti -
- Nessun problema, non ce n’è bisogno. Mi sto gasando a buso con sta storia! -
- Ma come hai fatto a seminare gli Agneti che ti tenevano d’occhio? -
- Quegli imbecilli pensano che stia dormendo, invece ho messo dei cuscini sotto alle lenzuola e una bella parrucca bionda. Funziona sempre nei film - disse lei, sussultando nel sentire qualcuno suonare il clacson diverse volte. Beatrice gli diede una pacca sulla schina ed uscì di corsa dalla sua stanza, sentendola poi uscire dalla porta d’entrata. L’auto di Elisabeth partì sgommando.
Si affacciò alla finestra, attento a nascondersi dietro le tende e vide due Mercedes seguire la Lancia Y che era appena uscita a tutta velocità dalla via; dopodiché scese di corsa le scale, andando in garage e prendendo l’Audi di sua madre. Partì a tutta velocità: l’aereo sarebbe decollato tra trenta minuti.
***
Monaco di Baviera, Germania
Ore 21.13

Come ogni sera si fermò davanti alla statua di Giulietta accanto alla torre del vecchio municipio. La statua, con il braccio destro lungo i fianchi, teneva sollevato un lembo del vestito, la mano sinistra, chiusa a pungo, portata al petto e aveva delle rose incastrate tra il braccio e il busto. Il seno destro era stranamente più lucido rispetto a tutto il resto.
Sorrise, sperando un giorno di tornare a Verona, e prese un respiro profondo, riprendendo a camminare verso Marienplatz.
- Come mai questo cambio di zona? -
Si voltò, sentendo la voce di una donna, rivolta probabilmente a lei e osservò la sconosciuta: era una donna bellissima, con un abito da sera, blu notte, che le lasciava le spalle e la schiena scoperte, mostrando la pelle bianca come la neve. I lunghi capelli erano talmente chiari da sembrare quasi bianchi e gli occhi verdi, nascosti da lunghe ciglia scure, brillavano di una strana luce. La guardò con attenzione, stupendosi di sentire qualcuno parlare italiano - Chi è lei? -
- Non ha importanza - rispose la donna - Allora, Angelica? Perché sei andata via da Verona? -
Le diede le spalle - Non sono affari che ti riguardano, demone -
- Se permetti sono un Elementale. L’Elementale dell’acqua oltretutto -
- Non cambia molto - disse, fermandosi, lanciandole un’occhiata - Sei pur sempre un demone -
- Non faccio del male a nessuno - disse la donna, avvicinandosi a lei - Ti va una passeggiata? Non ti mangio, lo prometto -
Alzò le spalle, fidandosi dell’Elementale: era l’unica che non faceva del male agli uomini, anzi, conviveva tranquillamente con loro. Iniziarono a camminare lentamente, in silenzio e mentre passavano, la gente non faceva caso a quella donna bellissima al suo fianco.
- Mi dici cosa vuoi? - domandò, senza guardarla.
- Volevo solo sapere come mai sei qui a Monaco - disse il demone - Comunque ho un nome -
- Ah, sì? -
- Beh, tecnicamente non ho un nome ma tutti mi chiamano Jane -
- Nome insolito per un Elementale -
- Duemila anni senza un nome. Sai com’è...mi sono accontentata -
- E si può sapere perché mi parli in italiano? -
- Così i crucchi non capiscono - disse Jane - Sanno solo dire spaghetti, pizza, ciao e vaffanculo -
- Capisco -
- A proposito, tu sai cosa vuol dire? -
- Cosa? -
- Vaffanculo -
Si passò una mano nei capelli - Non è una bella parola -
- In che contesto viene usata? -
- Al giorno d’oggi...in qualunque contesto -
- Oh, vaffanculo! -
Un gruppetto di giovani tedeschi si voltarono verso di loro quando Jane urlò ai quattro venti. L’Elementale li salutò con una mano - Ciao, vaffanculo! -
- Non lo devi usare sempre -
- Ah no? -
- No, devi trovare il momento giusto -
- Ma vaffanculo -
Si lasciò sfuggire un sorriso - Ora puoi anche smettere -
- Perché? È una parola così...non lo so. V A F F A N C U L O...suona bene -
- Ora basta, hai rotto le scatole -
Jane si fermò, confusa, guardando a terra e intorno a lei.
- Che stai facendo? -
- Ma di che scatole stai parlando? Qui non c’è niente -
Si diede una sberla in fronte - Lascia perdere -
Ripresero a camminare, fermandosi davanti al Neues Rathaus in Marienplatz. Il nuovo municipio era talmente bello ed imponente da togliere il fiato.
- Non mi hai ancora dato una risposta -
Guardò il demone - Non sono affari tuoi -
- C’entra qualcuno che ami? -
Divenne improvvisamente seria - Come fai a saperlo? -
- Credo sia facile da capire - rispose sinceramente il demone - Hai l’aria così triste, malinconica. Sembra che ti manchi una parte di anima. E, dato che ogni sera ti fermi davanti alla statua di Giulietta, direi che l’altra parte è a Verona -
Abbassò lo sguardo, ricominciando a camminare, affiancata da Jane - Ti sei data la risposta da sola -
- Riesco a sentire i sentimenti che provi per questa persona -
- Ho dovuto lasciarlo ed andarmene per tenerlo al sicuro -
- Da cosa? -
- Da una persona che mi vuole morta -
- Un umano? -
Annuì - Un Agente, oltretutto -
- E lui? Come ha reagito? -
- Me ne sono andata prima che si svegliasse - disse - Gli ho lasciato una lettera -
- Che codarda -
- Non potevo fare altro. Non voglio che gli succeda qualcosa -
Jane si passò una mano nei capelli - Non è una buona scusa, Angelica. Pensi che la persona che ti voglia uccidere sia stupida? Se non ti trova userà lui come esca -
- No -
- Cosa te lo fa credere? -
- Mi aveva proposto di andarmene da Verona -
- Se stai parlando della spia all’Agenzia, pensi che ti lasci andare? A volte gli uomini possono essere peggiori dei demoni -
- Non ne sarei così sicura -
Jane le lanciò un’occhiataccia - Ho più di duemila anni. Ho vissuto in Russia, in Grecia, in Spagna, in Italia, in Messico, in Giamaica, in Alaska e in molti altri posti. Ho avuto il piacere di conoscere così tanti miei simili che convivono in armonia con voi uomini, ho vissuto le due guerre mondiali, sono andata ai concerti dei Beatles e...ok, lo ammetto, ho fumato erba - raccontò l’Elementale - Vuoi credere a me, che ho vissuto più cose di quante tu possa immaginare, o vuoi seguire il tuo istinto da Demons Hunter? -
- Il mio istinto ha fallito poche volte - ammise - Quasi mai -
- Il tuo istinto è ottimo per le faccende che riguardano i demoni, ma come la metti se il tuo nemico è un umano? Un imprevedibile umano che, oltretutto è un Agente, proprio come te -
Ci pensò un attimo - Perché uccidermi? Ho fatto quello che voleva -
- Conosco bene le persone come l’uomo che ti vuole uccidere - disse il demone - Ti ha fatto allontanare dalle persone che ami per renderti più vulnerabile -
- Tu dici? -
- È facile uccidere un cervo quando è zoppo -
Le lanciò un’occhiata, fermandosi - È meglio se torno all’hotel - disse, incamminandosi, mentre Jane rimase immobile, ferma in mezzo alla Kaufingerstraße.
- Ho una proposta da farti cacciatrice - disse l’Elementale.
Si bloccò, senza voltarsi per guardarla.
- Ci vedremo presto -


Pochi minuti ed era arrivata all’hotel dove alloggiava. Si fermò all’entrata, sentendosi una strana sensazione addosso, ma la ignorò, entrando nell’Atlas City Hotel, avvicinandosi al bancone in legno della reception dove una donna, dietro di esso, le rivolse un gran sorriso.
- Buonasera - le disse in tedesco, prendendo la chiave della stanza 307, porgendogliele - Passato una buona serata? -
Sorrise in modo forzato - Sì, grazie - rispose, voltandosi verso le scale e l’ascensore alla sua sinistra - Buonanotte -
- Buonanotte -
Lasciala reception e salì lentamente le scale, fino all’ultimo piano, poi svoltò a sinistra per un lungo corridoio, raggiungendo l’ultima stanza a destra. Infilò la chiave nella serratura ed entrò nella stanza, chiudendo a chiave la porta.
La camera non era un granché: era piccola, il letto matrimoniale ci stava appena lasciando il posto ad un piccolo armadio, poi c’era un’unica finestra, che dava sulla Paul- Heyse-Straße, appena sopra alle scale antincendio esterne. Una parete divisoria separava la camera dal bagno, altrettanto piccolo e senza alcuna finestra.
Lanciò la chiave sul letto ed entrò nel bagno, aprendo il getto d’acqua fredda della doccia, entrando subito dopo essersi spogliata. Sperò con tutto il cuore che l’acqua ghiacciata le togliesse dalla testa quei pensieri che l’Elementale le aveva messo in testa, ma sembrava non funzionare.
“E se Jane avesse ragione?”
***
Non appena aveva visto Angelica si era nascosto dietro un angolo, aspettando che la ragazza entrasse nell’hotel e che il suo cuore ricominciasse a battere.
Si era avvicinato all’entrata e, prima di entrare, aveva aspettato che la mora se ne andasse dalla reception. La donna mora dietro al bancone gli sorrise, dicendo qualcosa in tedesco, che non riuscì a capire.
“Io faccio schifo in tedesco!” pensò, iniziando a parlare in inglese - Buonasera, una mia amica alloggia qui, sapreste dirmi la sua camera? -
- Certo, qual è il nome della sua amica? -
- Angelica Vetra -
La donna gli sorrise di nuovo - La stanza è la numero 307. All’ultimo piano prenda il corridoio a sinistra, la camera è l’ultima a destra. Vuole che la avvisi del suo arrivo? -
- No, grazie - disse, salutando la donna con un lieve cenno del capo e salendo le scale di corsa, con il cuore che batteva all'impazzata all'idea di rivederla.
"E già che ci sono le dico quattro parolacce per aver combinato tutto questo casino" pensò, arrivando all'ultimo piano dell'hotel, svoltando a sinistra per un lungo corridoio tenendo lo sguardo fisso sull'ultima porta e, quando si fermò proprio davanti, lesse più e più volte il numero 307.
Bussò e restò in silenzio.
Qualcuno parlò in tedesco, ma riconobbe subito la voce, e restò in silenzio. La serratura scattò e la porta si aprì, mostrandogli la ragazza che desiderava stringere di nuovo tra le braccia, avvolta in un candido asciugamano. Angelica sgranò gli occhi ed impallidì ancora di più - Matteo...cosa...-
La spinse in camera ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle, voltandosi poi verso la ragazza - Angelica. Devi tornare immediatamente -
- Co…cosa ci fai qui? -
- Ti ho cercato da quanto te ne sei andata, cosa pensi che ci faccia qui? -
Lei fece dei profondi respiri - Devo chiederti di andartene -
- Dopo tutta la strada che ho fatto mi chiedi di andarmene? -
- Esatto -
- E se non lo faccio? Scappi di nuovo? -
- Ti butto fuori con la forza - rispose Angelica in tono freddo - Ora vattene -
- No -
- Non costringermi ad usare la forza -
- La forza? Non so se hai notato ma sono due volte più grosso di te, sono un uomo e tu una donna piccola e magrolina -
La mora non si scompose ed incrociò le braccia al petto - Io sono un Agente -
- Oh certo - disse in tono ironico - E scommetto che sotto l’asciugamano nascondi un fucile -
- Non ho bisogno del fucile per mandarti via -
Fece un passo avanti, fronteggiandola - Ah no? -
- Le mie mani fanno ancora più male -
- Non penso -
Angelica gli tirò un forte schiaffo, restando impassibile. Si portò una mano alla guancia colpita e guardò la ragazza, confuso.
- Vattene -
- Non ci penso proprio - rispose - Adesso torni a Verona con me di tua spontanea volontà oppure ti riporto a casa con la forza -
- Non hai il coraggio di farmi del male -
Era troppo. La spinse contro il muro, bloccandole le braccia, cercando però di non farle male - Adesso tu torni con me a Verona immediatamente -
- No -
- Sei testarda come un mulo! -
- E tu non dovevi cercarmi! -
- Sono venuto a cercarti perché sei una stupida! -
- E tu sei un asino! -
- Testona! -
- Brutto scemo! -
L’afferrò senza sforzo, facendole di nuovo battere la schiena contro il muro - Sto cominciando ad arrabbiarmi! -
- Non me ne frega niente! -
- Sono arrabbiato perché sei scappata, sono arrabbiato perché mi hai lasciato da solo, sono arrabbiato perché hai smesso di lottare! -
Angelica gli diede uno spintone, facendolo arretrare, afferrandogli il collo - Io non ho smesso di lottare! -
- Sì invece! - disse, liberandosi in fretta ed allontanando la fidanzata con uno spintone, facendole sbattere la schiena contro il muro - Hai assecondato i piani della spia -
- Volevo proteggervi! -
- Non ci hai protetto Angelica. Non hai fatto proprio niente! -
La ragazza partì all’attacco, tirandogli un altro schiaffo: sentì immediatamente il sapore del sangue sulle labbra. Angelica fece per colpirlo di nuovo, ma le afferrò entrambi i polsi, facendola prima inginocchiare e poi sdraiare a terra.
- La spia ha tenuto sotto controllo sia me, sia Elisabeth e anche Beatrice! - le urlò ad un soffio dal suo viso - Cosa volevano secondo te?! Usarci per attirarti di nuovo a Verona e per costringerti ad allearti con la spia! -
Angelica sembrò calmarsi un attimo, facendo dei respiri profondi per rilassarsi. Le liberò i polsi, ma non si fidò a liberarla: gli aveva fatto male con quello schiaffo!
La mora gli appoggiò la mano fredda sulla guancia, lanciando un sospiro - Scusami, non dovevo colpirti -
- Ti sei calmata adesso? - domandò, spostandosi ed aiutandola a mettersi a sedere.
Lei annuì, sistemandosi l’asciugamano - Hai ragione tu. Non dovevo... -
Non le diede nemmeno il tempo di concludere la frase: si avvicinò ed appoggiò le labbra sulle sue.
***
Rimase immobile per qualche secondo, ma poi si lasciò andare: gli strinse forte la maglia, facendolo avvicinare ancora di più. Proprio quando stava per cedere, il ragazzo si fermò, alzandosi in piedi ed aiutandola a fare lo stesso, ma solo per farla sedere di nuovo sul letto.
- Come hai fatto a trovarmi? - domandò, prevedendo già la risposta - Anzi, non dirmelo. Scommetto che dietro a tutto questo ci sono Elisabeth e Beatrice -
- Se non fosse stato per loro non sarei mai riuscito a seminare gli Agenti che ci pedinavano -
- Sai con esattezza perché vi seguivano? -
- No, ma di sicuro volevano scoprire dove sei - disse lui - Ma per fortuna sono arrivato all’aeroporto senza farmi scoprire -
- Elisabeth e Beatrice? Che fine hanno fatto? -
- Non lo so. Mi hanno detto di non chiamare -
Chiuse gli occhi, lanciando un sospiro - Speriamo che non sia successo niente -
- Se vuoi scoprirlo basta tornare a casa -
- Non so se c’è un aereo che va a Verona. Forse domani mattina - disse, senza ricevere risposta, lanciando un’occhiata a Matteo - Ti senti bene? -
Il ragazzo le mise una mano nei capelli ancora bagnati e l’attirò a sé, baciandola con disperazione, accarezzandole quel poco di schiena lasciata scoperta dall’asciugamano.
Si staccò appena, prendendo fiato - Non credo sia una buona idea -
- Cosa vuoi fare fino a domani mattina? -
- Dormire? Tu hai le borse sotto agli occhi -
- Ho fatto il pieno di zuccheri in aereo -
Scosse la testa sorridendo - Non ci credo, hai preso l’aereo anche se hai paura di volare? -
- Non ho paura di volare è che quel coso poteva cadere per...un guasto, un temporale, magari la vecchia seduta vicino a me era una terrorista, come fai a dirlo? -
Rise piano, portandosi le mani al viso - Matteo Dall’Angelo, non ti facevo così pessimista -
- Poteva staccarsi il motore da un momento all’altro -
- Se mi dici che hai visto un Gremlins... -
- Non ho visto nessun Gremlins -
- Sicuro? Perché a loro piace rosicchiare le parti dei motori degli aerei -
- Non sei spiritosa -
Scoppiò a ridere, sdraiandosi sul letto a pancia in su. Matteo non disse niente: restò con la sua solita espressione imbronciata finché non smise di ridere. Si mise di nuovo a sedere, togliendosi una lacrima che le rigava la guancia per il troppo ridere - Sai, stare da sola mi ha fatto pensare a come sarebbe la mia vita senza demoni, senza essere chiamata ogni giorno dall’Agenzia, senza correre pericoli. Dirò alla Direttrice che mi ritiro. Per sempre -
Il moro le sorrise, ma lei abbassò lo sguardo.
- Ti dispiace lasciare l'Agenzia?- 
Scrollò la testa - No, é solo che non mi lasceranno andare via tanto facilmente. Ma parlerò civilmente con la Direttrice, cercando di trovare un accordo -
Matteo si avvicinò al suo viso - Lo spero davvero, sarebbe bello non avere più demoni che non ti ronzano intorno pronti ad ucciderti -
Annuì - Sì, sarebbe bello - sussurrò, chiudendo gli occhi ed eliminando la distanza che li divideva, mentre lui alzò piano una mano, accarezzandole la nuca. Fremette a quel tocco così dolce e schiuse appena le labbra per approfondire il contatto, gettandogli poi le braccia al collo, con le mani perse in quei capelli castani che amava stringere tra le dita. Quando si staccarono, entrambi avevano il respiro affannato.
- Tornerai a Verona, allora? Non dovrò usare la forza per costringerti a prendere l’aereo, vero? -
Scosse la testa - Non serve usare la forza. Non posso lasciarti prendere l’aereo con la paura folle che ti ritrovi -
Il moro le sorrise, togliendole completamente l'asciugamano di dosso, facendola sdraiare sul letto - Quando la smetterai di prendermi in giro? - domandò lui, mettendosi sopra di lei.
- Mai -
- Beh, allora io dirò ospedale, ospedale, ospedale, luogo chiuso, luogo chiuso, luogo chiuso, ospedale, ospedale e ospedale -
Inarcò un sopracciglio, mettendo il broncio - Scemo -
Matteo rise, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio - Sei tremendamente eccitante quando fai quella faccia -
Aggrottò la fronte, non capendo - Io non faccio nessuna faccia -
Il fidanzato non le rispose, ma iniziò ad accarezzarle la schiena nuda, scossa da strani brividi, e a baciarla con disperazione, come se lei fosse acqua e lui un assetato nel bel mezzo del deserto.
***
Si staccò appena, osservando la ragazza e per un attimo si sentì male nel vedere una cicatrice sulla spalla destra, la stessa spalla dove l’Incubo l’aveva ferita settimane prima; ma poi le sorrise, accarezzandole i capelli bagnati - Mi sei mancata così tanto -
- Anche tu mi sei mancato -
- Promettimi che non te ne andrai più -
- Non scapperò più, te lo prometto. Solo ora mi sono resa conto dell’errore che ho commesso, ma adesso... - iniziò la ragazza, invertendo le posizioni e mettendosi a cavalcioni sopra di lui - Basta parlare -                                
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Venerdì, 21 agosto 2009 - ore 03.41
Quando socchiuse gli occhi osservò il posto vuoto sul letto accanto a lui e sperò di non aver sognato tutto.
Mise subito a fuoco la stanza dell'Atlas City Hotel immersa nell'oscurità e voltò immediatamente lo sguardo verso la finestra socchiusa, dove filtrava quel poco di luce che gli bastava per intravedere un'ombra fuori dalla finestra. Si alzò, sbadigliando, infilò boxer e pantaloncini ed aprì la finestra - Cosa fai qui fuori? -
Angelica gli lanciò un'occhiata fugace, aspirando dalla sigaretta che teneva tra le labbra - Fumo -
- Non dovresti farlo -
- Lo so, ma sono nervosa -
Scavalcò la finestra per sedersi accanto alla fidanzata sulla scala antincendio esterna - E perché sei nervosa? -
La ragazza soffiò fuori il fumo schiudendo appena le labbra rosee - Non lo so. Sento che c'è qualcosa che non va -
- Cosa dovrebbe esserci? Siamo solo io e te, a chilometri da Verona e nessuno sa che siamo qui. A parte Elisabeth e Beatrice, ovvio -
- Lo so, ma ho un brutto presentimento -
Si spaventò a morte sentendo uno schiocco secco e una voce vicino a loro. Angelica prese la sigaretta, ormai finita, tra le dita e la gettò sulla strada - Jane, cosa ti porta qui? -
- Volevo parlarti - rispose la voce a lui sconosciuta - É lui il tuo fidanzato da Verona? -
Si alzò in piedi e si voltò verso una donna, bellissima, con addosso un abito da sera, che saliva le scale antincendio per raggiungerli.
- Sì, lui é Matteo. Matteo ti presento Jane -
Rimase immobile, osservando la donna dai capelli talmente chiari da sembrare bianchi - Sei un demone -
- Sono un Elementale, se permetti - rispose Jane con un sorriso - Tranquillo, non voglio né ucciderti né squartati per usare le tue ossa come decorazioni nel mio giardino -
- Questo mi rassicura -
L'Elementale gli sorrise nuovamente, avvicinandosi ed appoggiandogli una mano sulla spalla - Dovrei parlare da sola con Angelica per qualche minuto, poi ti prometto che tornerà a letto sana come un pesce -
Guardò prima il demone, poi Angelica e poi di nuovo la donna - D'accordo - sussurrò, ritornando in camera e sdraiandosi sul letto, dove poteva sentire ogni parola.
Chissà cosa voleva quella donna da Angelica.
***
Prese un'altra sigaretta dal pacchetto che teneva accanto a lei, portandola poi alle labbra ed accendendola - Allora, cosa vuoi? - domandò, soffiando fuori il fumo.
- Sei una persona interessante, Angelica. Ti ho tenuta d’occhio da quando hai ucciso Kyra -
- Perché? -
- Volevo vedere se eri all’altezza di quello che sto per offrirti -
Lanciò un’occhiata a Jane, ancora in piedi, aspettando che parlasse, ma il demone rimase in silenzio per alcuni ed interminabili secondi, studiandola con lo sguardo.
- Sto cercando una sostituta - le spiegò l’Elementale - E penso che potresti essere tu -
Per un attimo non sapeva se restare seria o scoppiare a ridere. Aspirò dalla sigaretta voltando lo sguardo e ridendo piano - Non voglio diventare la cosa a cui ho dato la caccia per anni. Perché, invece di stare qui a parlare con me, non vai a cercarne qualcuno che voglia diventare il prossimo Elementale? -
- Perché io voglio te - rispose la donna - Sento che tu sei la persona giusta e che non useresti i miei poteri per fare del male -
- Ho detto che non li voglio -
- Non sei costretta a diventare un demone. Potrei trasmetterti soltanto la mia forza, il controllo sull’acqua, l’autoguarigione e l’immortalità -
- Non voglio essere immortale ed ora vattene prima che ti uccida -
- Potresti pensarci almeno? - le domandò l’Elementale - Posso evitare di trasmetterti l’immortalità -
- Ho detto no -
- Perché? -
Chiuse gli occhi, soffiando fuori il fumo della sigaretta - Sono 19 anni che convivo con il mio dono di vedere i fantasmi e sono stati gli anni più terribili della mia vita, una vita che forse non potrò mai vivere felice - disse - Non sono in grado di reggere un altro peso, soprattutto se si tratta dei poteri di un Elementale, mi dispiace -
Jane, dopo averla fissata intensamente per alcuni interminabili secondi, lanciò un sospiro, osservando la Paul-Heyse-Straße tre piani sotto di loro - D’accordo, se è questo ciò che vuoi, non te lo chiederò più -  
Le fece un piccolo cenno di ringraziamento - Grazie Jane -
- Vedrai che tutto si risolverà -
Sorrise appena, distogliendo lo sguardo dai magnetici occhi verdi del demone - Lo spero -
- No, Angelica. Tutto si risolverà. Io lo so -
- Come puoi saperlo? - domandò, lanciando il mozzicone di sigaretta oltre le scale antincendio.
- Un’anima forte risiede in un corpo forte e in una mente forte, Angelica. Sei più in gamba di quello che pensi -
Si alzò in piedi, aprendo la finestra e dando le spalle all’Elementale - Molti continuano a ripetermelo, ma ormai non ne sono più tanto sicura - disse, congedandosi, rientrando nella stanza 307 ed osservando Matteo, seduto sul letto, che la guardava a sua volta. Sapeva che aveva sentito tutto il discorso tra lei e Jane, ma non disse nulla, sdraiandosi sul letto e girandosi dall’altra parte, cercando di dormire.


La sveglia impostata sul suo cellulare prese a suonare, ma la spense subito. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte.
Si girò nel letto guardando il ragazzo ancora addormentato - Matteo? Matteo devi alzarti - sussurrò, ma lui si girò dall’altra parte, russando piano. Gli sfiorò la spalla, provando nuovamente a svegliarlo, ma ancora niente: Matteo borbottò qualcosa nel sonno e tornò a russare.
Lanciò un sospiro e, non avendo altra scelta, diede un lieve calcio al ragazzo che imprecò sottovoce, voltandosi verso di lei. Chiuse gli occhi, fingendo di dormire per sembrare innocente.
Lo sentì imprecare di nuovo per l’ora ed iniziò a chiamarla sottovoce. Socchiuse gli occhi - Che c’è? -
- Dobbiamo andare - rispose lui - Se non mi avessi colpito la gamba mentre dormivi, col cavolo che tornavamo a Verona -
Ghignò sotto i baffi - Ti ho colpito? Scusami...-
- Non fa niente - disse Matteo, alzandosi dal letto - Vado a fare una doccia -
- Sbrigati che devo farla anch’io - disse alzandosi a sua volta, iniziando a raccogliere le proprie cose e sistemarle nella valigia che si era portata appresso, poi prese il telefono e chiamò la reception, chiedendo cortesemente di far arrivare un taxi davanti all’hotel tra mezz’ora. Quando Matteo uscì dal bagno, fu il suo turno, facendo una doccia a tempo di record e quando uscì, trovò il fidanzato già vestito (con gli stessi abiti della sera prima, visto che non si era portato nulla) e seduto sul letto, in attesa che fosse pronta.
- Il taxi dovrebbe arrivare da un momento all’altro - disse, iniziando a vestirsi velocemente, mentre Matteo, dopo essersi alzato, osservò fuori dalla finestra.
- Ehm...Angelica? Abbiamo un problema -
- Che problema? - domandò, infilando un paio di pantaloncini.
- In realtà sono sei i problemi, e sono arrivati su tre Mercedes -
Infilò una t-shirt e si affacciò alla finestra, osservando i sei Agenti che entravano nell’hotel. Imprecò a denti stretti: come avevano fatto a trovarli?
Si voltò verso Matteo, preoccupata - Mi avevi detto che non ti aveva seguito nessuno -
- Infatti! Non riesco a capire come...-
- Ormai è fatta, saranno qui tra pochi secondi - disse, aprendo il comodino per impugnare l’ultima cosa che non aveva riposto in valigia: una Revolver già carica e pronta per l’uso.
Partì l’allarme antincendio e sentì le persone del suo stesso piano uscire dalle proprie stanze per raggiungere l’uscita. Afferrò il fidanzato per la maglia e lo nascose dietro al letto - Non muoverti - disse, puntando la pistola verso la porta della camera 307, che fu sfondata pochi secondi dopo.
Sperò che quegli Agenti fossero dalla sua parte, ma non fu così: i sei uomini iniziarono a spararle addosso e si nascose immediatamente dietro al letto, accanto a Matteo.
Non appena li sentì entrare, uscì allo scoperto, sparando ed uccidendone due, prima di tornare a ripararsi dietro al letto, sentendo una scarica di pallottole sibilare sopra la sua testa.
Sbirciò appena i quattro Agenti rimasti, nascosti nel corridoio, poi guardò Matteo, immobile - Vai fuori dalla finestra, ti copro io -
Lui annuì, ma la loro attenzione fu catturata da altri spari che, stranamente, non erano rivolti nella loro direzione. Uscì dal nascondiglio uccidendo un Agente che sparava a qualcuno nel corridoio, poi, un lampo accecante, gli spari cessarono.
Si avvicinò cauta all’entrata, curiosa di vedere a chi stavano sparando e non si sorprese di vedere Jane, sorridente come non mai, che teneva sollevato l’ultimo Agente per il collo come se fosse una bambola - Ho sentito gli spari -
Inarcò un sopracciglio - E come hai fatto a sentirli? -
- Ero sul tetto - rispose l’Elementale, formando nella mano libera una sfera d’energia, pronta a dare il colpo di grazie al sopravvissuto.
- No, fermati -
Il demone obbedì, facendo scomparire il globo stringendo semplicemente il pugno.
- Puoi incantarlo? -
- Mi sembra ovvio -
- Chiedigli come hanno fatto a trovarci -
L’Elementale annuì, puntando lo sguardo in quello dell’Agente: gli occhi del demone diventarono rossi e per la prima volta minacciosi - Rispondi, verme di un traditore -
- Abbiamo messo una microspia al ragazzo -
Si voltò verso Matteo, in piedi nella stanza, lanciandogli un’occhiata.
- Non ne sapevo niente -
- L’ho inserita personalmente quando si uscita dalla stanza del ragazzo per lasciare Verona -
- Dove? -
- Dietro l’orecchio -
- Perché tenere d’occhio i miei amici? -
- Il capo voleva rintracciarti -
Si voltò verso Jane - È costretto a rispondere, vero? - domandò e lei annuì. Prese un respiro profondo - Chi è il tuo capo? -
- Non lo so, non l’ho mai visto -
Imprecò a mente - Perché voleva rintracciarmi? -
- Non lo so -
- C’è altro? -
- No, 33. Non so nient’altro -
Si voltò verso il fidanzato, prima di vedere Jane spezzare il collo all’Agente, e lo fece sedere sul letto, piegandogli la testa e scostandogli i capelli per osservare una piccola cicatrice dietro l’orecchio destro - Devo togliertelo -
- Farà male? -
- Ti direi di no, ma ti direi una bugia - disse, alzandosi in piedi ed afferrando uno stiletto riposto nella cintura di uno degli Agenti morti, tornando poi da lui - Jane? Riusciresti a far sparire i corpi? -
- Ovvio -
Fece scattare lo stiletto, avvicinando la punta alla cicatrice - Resta immobile -
Matteo annuì e chiuse gli occhi, mentre lei recise appena la pelle, attenta a non fargli troppo male, tastandola con le dita nel tentativo di estrarre il microchip che, fortunatamente, era appena sottopelle.
Riuscì ad estrarlo e lo osservò nel suo palmo. La tentazione di stringere il pugno e di sbriciolare quell’oggetto era forte, ma una lampadina si accese sopra la sua testa e con essa un’idea nella sua mente - Jane? Tu poi spostarti velocemente da un posto all’altro, giusto? - domandò voltandosi, stupendosi di trovare la stanza in perfetto ordine, i cadaveri erano spariti e tutto sembra rimesso a nuovo: i fori di proiettile nel muro erano scomparsi proprio come le macchie di sangue per terra.
Il demone, sulla porta della stanza, sorrise - Che domande, sono un Elementale -
Si alzò in piedi, lanciandole il chip - Perché non lo porti in un bel posticino, tipo Berlino? -
Il demone, dopo aver afferrato al volo il chip, lo osservò per qualche istante, tornando poi a guardarla - Tu vuoi farmi correre fino a Berlino per fargli credere che non li hai scoperti ed attirarli a Berlino per tenerli impegnati? -
- Esatto -
- Ok, no problem -
Le fece un piccolo cenno di ringraziamento - Sono in debito con te, Jane -
- Quando ci rivedremo a Verona, mi offrirai un mojito -
Sorrise - D’accordo -
La donna le diede le spalle, camminando sinuosamente verso il corridoio - Vi conviene muovervi - disse lei, prima di sparire in un battito di ciglia.
Si voltò verso Matteo, ancora seduto sul letto, con la mano premuta contro il piccolo taglietto dietro l’orecchio - Andiamo. Si torna a Verona -
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Ore 10.34
Quando Matteo fermò l'automobile, si diede un pizzicotto, sperando di non sognare, ed osservò la sua casa, la stessa casa che temeva di non rivedere più. Lanciò un'occhiata al ragazzo, che sembrò cogliere immediatamente la voglia che aveva di riabbracciare i suoi genitori, le fece un cenno senza aggiungere altro.
- Torno presto - disse, dandogli un bacio sulla guancia e tirando la maniglia della portiera, scendendo a capofitto dall'Audi, correndo verso la cancellata che circondava una parte della proprietà di casa Vetra, la scavalcò con facilità e raggiunse la porta della cucina, tentando di entrare, ma dato qualcuno aveva chiuso a chiave, iniziò a tirare pugni al vetro della porta. Non appena vide sua madre fermarsi sulla porta, a cavallo della cucina e dell'ingresso, si fermò.
Sua madre corse verso la porta, fece scattare la serratura con uno schiocco secco ed aprì la porta, abbracciandola con vigore.
- Pensavo che non saresti più tornata - le sussurrò lei, accarezzandole i capelli.
Respirò l'intenso profumo di ammorbidente alla lavanda che la maglia della donna emanava e sorrise - Scusami se me ne sono andata così. Non dovevo -
- Non ti preoccupare, tesoro. Adesso é tutto a posto -
Annuì, staccandosi di malavoglia da quell'abbraccio così dolce che sembrava farla stare bene e farle dimenticare l'Agenzia, la spia, il fatto di essere un mostro, i demoni e i fantasmi. Per un attimo si sentì normale, ma fu sbalzata di nuovo alla realtà pensando a due nomi: Elisabeth e Beatrice.
- Mamma, ora devo fare una cosa, ma ti prometto che ti spiegherò tutto - disse, partendo di nuovo dopo averla salutata e raggiungendo Matteo, che la aspettava accanto all'auto - La mia katana? - domandò immediatamente.
- L'ho nascosta in camera mia, dietro l'armadio - le rispose il ragazzo, osservandola suonare il campanello di casa Dall'Angelo un paio di volte - Angelica, cos'hai intenzione di fare? -
- Se Elisabeth e Beatrice ti hanno aiutato a prendere quell'aereo per raggiungermi sono nei guai - disse, salutando con la mano la madre di Matteo, che la fece immediatamente entrare, rivolgendole subito diverse domande.
- Le spiegherò dopo - si limitò a dire, correndo su per la rampa di scale per raggiungere la stanza del fidanzato. Avvicinandosi all'armadio, tastò immediatamente nella piccola fessura tra il legno e il muro e, dopo essersi scorticata un po' le nocche e piantata delle schegge sulla mano, riuscì a recuperare la sua katana. Appoggiando la mano sull'intreccio di pelle nera attorno al manico di mogano e al menuki dorato della tigre, si sentì di nuovo viva e pronta a combattere con le unghie e con i denti.
Tornò di sotto, salutando la donna dai capelli castani, ancora sulla porta leggermente scossa per la sua improvvisa e veloce entrata, e raggiunse nuovamente Matteo - Guida come non hai mai guidato in vita tua. Portami all'Agenzia -
- Ci vorranno cinque minuti -
- Te ne concedo soltanto due - disse in tono freddo, saltando in macchina ed allacciandosi le cinture, seguita subito dal ragazzo - Prima arriviamo e più possibilità hanno Elisabeth e Beatrice di vivere -


Quando la pesante porta all’ingresso dell’Agenzia si aprì con diversi sibili, entrò a passo di marcia, con lo sguardo fisso davanti a lei, in attesa di incontrare un povero malcapitato, capitato accidentalmente sulla sua strada.
Non appena vide un Agente, estrasse la katana dal fodero allacciato dietro la schiena, lo raggiunse e, prima che potesse ribellarsi in qualche modo, lo afferrò per la gola, facendogli sbattere la schiena contro il muro immacolato del corridoio, puntandogli la spada in mezzo agli occhi. L’Agente sembrò pietrificarsi dopo averla osservata negli occhi.
- Dimmi dove hanno portato Beatrice o giuro che ti ammazzo all’istante -
Il ragazzo, un po’ più grande di lei, alto e mingherlino, deglutì - Ho visto che l’hanno portata di sotto con un’altra ragazza -
Gli mostrò i denti, appoggiando la punta della katana sulla pelle - In quale stanza? -
- 7 -
Lo lasciò andare e continuò la sua marcia verso la scala a chiocciola che conduceva al piano inferiore. Le persone che incontrava sul suo cammino si facevano da parte, osservandola increduli di vederla di nuovo lì tra loro.
Raggiunse la stanza numero 7 e spalancò la porta con un calcio: si sentì sollevata nel vedere le due amiche, sedute l’una accanto all’altra ad un tavolo di metallo, proprio davanti ad un Agente, un uomo dai capelli scuri sulla trentina, che si alzò immediatamente in piedi, portando una mano alla pistola riposta nella cintura dei pantaloni, pronto a spararle a sangue freddo. Sollevò la katana appoggiando la punta affilata nell’incavo del collo dell’uomo - Provaci e scopriremo chi di noi due è più veloce - disse, lanciando un’occhiata alle due amiche, facendo cenno di uscire.
Elisabeth e Beatrice si alzarono, uscendo dalla stanza, mentre lei indietreggiò piano, tenendo sempre sotto controllo l’Agente. Quando uscì, afferrò le due per un braccio ed iniziò a correre.
- Si può sapere dov’eri finita? - le domandò Elisabeth, faticando a starle dietro. Aveva un brutto taglio sulla fronte dal quale colava un rivolo di sangue.
- Dopo Elisabeth, ora dobbiamo andarcene -
Corsero fuori dall’Agenzia il più in fretta possibile e raggiunsero l’auto dove c’era Matteo, seduto al posto di guida, pronto a partire. Salirono sull’Audi e il ragazzo, dopo un’inversione a U nel parcheggio davanti alla casa stregata, partì a tutta velocità.
Seduta sul sedile del passeggero, voltò la testa verso le due ragazze, sedute dietro - Siete per caso impazzite voi due? -
Elisabeth e Beatrice si guardarono a vicenda, tornando poi a guardare lei - Avrebbero seguito Matteo - rispose la rossa - Dovevamo fare qualcosa -
- Farsi inseguire da degli Agenti non mi sembra una buona idea! - esclamò - E poi lo hanno trovato lo stesso -
- Cosa? Come hanno fatto? - domandò Beatrice, agitata, curando in pochi secondi la ferita alla fronte della rossa - Vi hanno trovato? -
- Avevano piantato un chip a Matteo quando me ne sono andata -
- Non me ne sono accorta -
- Come potevi? Non me ne sarei accorta nemmeno io l’Agente che ho interrogato non me l’avesse detto -
- E adesso? - domandò la rossa, leggermente spaventata per la situazione - Cos’hai intenzione di fare? -
- Ho intenzione di trovarlo e finirla una volta per tutte -
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Dopo aver accompagnato Beatrice al suo appartamento, lei, Matteo ed Elisabeth tornarono immediatamente a casa sua.
Alla vista di un’auto familiare, nascose immediatamente la katana sotto al sedile appena in tempo per vedere Alice e Vittoria ferme davanti al cancelletto di casa sua. Il ragazzo fermò la macchina e scesero.
- Angi! Che fine avevi fatto? - le domandò la mora entusiasta nel rivederla, correndole incontro e saltandole al collo, abbracciandola con vigore - Elisabeth ci aveva detto che eri in vacanza, ma perché non rispondevi al telefono? - 
Lanciò un sospiro, staccandosi dall’amica, abbracciando poi Vittoria - Beh, avevo molto da fare -
- Potevi rispondere alla sera -
- Lo so, scusatemi -
- Eravamo venute per chiedere una cosa a Matteo, ma non era in casa, e stavamo chiedendo a tua madre se poteva farci avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con te - disse Alice.
Si passò una mano nei capelli, confusa - Possiamo parlarne in casa? Sto morendo di caldo -
Dopo che sua madre aprì loro in cancelletto, entrarono tutti in casa dove, grazie al condizionatore si poteva ignorare la calura estiva all’esterno e, con qualche altro grado in meno, poteva vedere i pinguini che giravano per casa. Si sedettero a tavola, in cucina, davanti ad un bel bicchiere di tè freddo al limone. 
- Allora? - domandò, sorseggiando il suo tè - Cosa volevate chiedermi? -
- Beh, io ed Alice pensavamo...-
- Se domani avevi voglia di accogliere la combriccola a casa - disse la mora, arrivando diritta al punto - Così possiamo attaccarti con i gavettoni -
Lanciò un sospiro. Temeva l’attacco di qualche demone inviato dalla spia, ma non riuscì a dire di no alla vista degli occhioni dolci di Vittoria e di Alice - D’accordo -
- Io sono esclusa? - domandò Elisabeth, finendo il suo tè.
- Assolutamente no! Tu e la tua mente malata mi servite per gli agguati ad Angelica - sussurrò la mora, scoppiando a ridere da sola.
- Basta che non vi fate del male - s’intromise sua madre, seduta sul divano che leggeva una rivista - Io e tuo padre andiamo in montagna, volevo chiederti se venivi, ma ti saresti annoiata a morte - aggiunse la donna senza alzare lo sguardo, rivolta a lei.
- Così ordiniamo la pizza e ci guardiamo un bel film horror -
- Stavolta lo scelgo io - sussurrò, bevendo l’ultimo sorso di tè.
- E cosa vorresti guardare, Angelica-mi-piacciono-tanto-gli-horror-e-non-mi-spavento-mai-Vetra? -
- Un film di Wes Craven sicuramente, ma sono indecisa tra uno dei film di Nightmare e Scream 3 -
Alice ed Elisabeth si lanciarono un’occhiata, restando in silenzio.
- Che c’è? Non fanno paura -
- Scream mi fa urlare come una marmocchia solo perché l’assassino sbuca sempre all’improvviso - ammise la mora, incrociando le braccia al petto ed annuendo con la testa.
- È quello il bello -
- Ok, allora ci guardiamo Scary movie 3 - decise Elisabeth - Lo porto io -
Alice scoppiò nuovamente a ridere da sola - C’è una festa di mezzo, conti anche le feste? -
Lanciò un’occhiata a Matteo, alzando le spalle: a volte non capiva cosa prendeva ad Alice, ma Elisabeth sembrava seguirla a ruota.
- Beh, dipende. Che festa è? - domandò la rossa, trattenendosi dal scoppiare a ridere.
- Quella di Martin Luther King -
- Allora no -
- Perché no? In ufficio fanno tutti vacanza! -


Dopo cena, lei ed Elisabeth si rifugiarono nella stanza degli ospiti e si fece raccontare per filo e per segno quello che le era accaduto da quando era segretamente partita per Monaco. L’amica le disse che, dopo alcuni giorni, si era accorta della Mercedes perennemente appostata nell’ombra di fronte alla sua casa e che la seguiva ovunque andasse, le raccontò degli incontri con Beatrice nella speranza di sentire buone notizie su di lei e dei pomeriggi passati a casa di Matteo per tentare di calmarlo e rassicurarlo.
- Tu invece? - domandò la rossa alla fine del suo breve racconto - Cos’hai fatto a Monaco? -
- Praticamente nulla - ammise - Non c’erano né demoni da uccidere né persone che mi davano la caccia. Passavo i pomeriggi a camminare per il centro, ripensando più e più volte se avevo fatto la cosa giusta a lasciarvi qui -
- Davvero nessun demone? -
- No - rispose - Nessuno che volesse staccarmi la testa. Ho incontrato un Elementale, poco prima dell’arrivo di Matteo, e mi è sembrata una a posto, inoltre sono in debito con lei -
- Questa mattina mi avevi detto che vi hanno trovati con un chip, che cos’è successo? -
- Niente di che, degli Agenti hanno fatto irruzione nella mia camera e ci hanno sparato addosso -
- Stai bene, vero? -
- Sì, certo -
Elisabeth, dopo averla osservata negli occhi per diversi secondi, assicurandosi forse che non stesse mentendo, puntò lo sguardo davanti a lei, fissando nel vuoto, e si portò una mano al mento. Sapeva che l’amica stava riflettendo sugli avvenimenti appena accaduti, nella speranza di capire qualcosa di più in questa storia dove nemmeno lei ci capiva molto, e preferì non disturbarla.
- Non riesco a capire a che gioco sta giocando - sussurrò la ragazza senza smettere di fissare nel vuoto - Perché chiamarti e proporti di andartene per poi pedinare noi? -
- Forse pensa che, lontana dalle persone che mi aiutano, sia un bersaglio più facile -
- E se le persone che ci pedinavano non erano dalla parte della spia? -
- Ma vi hanno fatto del male. Tu avevi un taglio sulla fronte, l’ho visto con i miei occhi - le ricordò.
- Quella non è stata colpa loro, è stata colpa mia - rispose l’amica, lanciandole un’occhiata come se volesse scusarsi in anticipo - Gli sono andata addosso con la macchina -
Aggrottò la fronte, sperando di aver capito male - Tu cosa? -
- Mi avevano tagliato la strada dopo cinque minuti...dovevo pur farmi spazio -
- Elisabeth -
- Non potevo sapere se erano buoni o cattivi! Nemmeno tu riesci a capire chi è dalla tua parte -
Sospirò, dandole ragione. Non poteva praticamente fidarsi di nessuno, ma forse c’era una sola persona nell’Agenzia, oltre a Beatrice, che era certamente dalla sua parte: la Direttrice.
- Domani mattina chiamo la Direttrice per farle qualche domanda -
- Sarebbe meglio e poi, se quegli uomini erano con la spia, perché scomodarsi di tenerci d’occhio quando avevano impiantato quel chip a Matteo e potevano benissimo controllarlo da un GPS? -
- Già, non ci avevo pensato -
- Poi c’è un altro problema -
- Quale? -
- Domani -
Annuì - Ero un po’ diffidente dall’accettare ma...ho ceduto -
- Credi che la spia possa mandare dei demoni anche in presenza di civili che non sanno nemmeno della loro esistenza? -
- Probabile -
- Ed infine il terzo dilemma: non hai alcolici in casa -
Lanciò un lungo sospiro, scuotendo la testa. L’ultima cosa che voleva erano i suoi amici ubriachi fradici che le giravano per casa mentre delle entità a loro sconosciute potevano attaccare in qualsiasi momento - Compra dei Bacardi -
- Perché dei Bacardi? Con quelli non parti nemmeno se li correggi -
- Appunto. Li voglio lucidi per mandarli via il prima possibile -
- Che guastafeste - disse l’amica che, dopo aver sospirato, si alzò in piedi, stiracchiando le braccia verso l’alto - È meglio che vada, mi accompagni? Sai...non ho la macchina -
Annuì, alzandosi in piedi, senza guardarla negli occhi.
- Non preoccuparti, starò attenta - le disse Elisabeth, percependo la sua preoccupazione.
- Ti prometto che presto sarà finita -
- Lo spero, Angelica -
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Capitolo 56
*** Capitolo 56 - Lunedì, 24 agosto 2009 ***


Lunedì, 24 agosto 2009 - ore 19.53
Il giorno prima rimasta a letto assieme a Matteo per tutta la mattina, il pomeriggio e gran parte della sera, alzandosi soltanto per andare a mangiare. Matteo aveva tentato inutilmente di farla alzare, ma dopo qualche tentativo ci aveva rinunciato. Anche quel giorno l’aveva passato senza fare niente ed ora, che mancava poco con l’appuntamento con la Direttrice e all’incontro con la spia, si stava vestendo con calma, cercando di non pensare a niente. Matteo, sdraiato sul letto, la osservava in silenzio.
Infilò un paio di pantaloncini, poi una t-shirt e le sue inseparabili ed ormai distrutte Converse nere - Tra poco devo andare - sussurrò, passandosi una mano nei capelli.
- Sei sicura di voler andare da sola? -
Annuì, prendendo entrambe le katane nascoste nel solito posto e sistemandole a tracolla. Per la prima volta in vita sua, si sentiva agitata. Si voltò verso il fidanzato, sedendosi sul letto - Mi prometti che stavolta non farai niente di stupido? -
Il fidanzato dopo averla fissata pochi secondi negli occhi, annuì - Tu mi prometti di tornare tutta intera? -
- Lo sai che non posso farti promesse del genere -
- Se non mi chiami tra un’ora giuro che farò di tutto per entrare in quella dannata Agenzia -
Rise piano, avvicinandosi e dandogli un bacio sulle labbra - D’accordo - disse, prendendo il cellulare dal cassetto della scrivania e mettendolo in tasca. Era pronta per andare.
- Fai attenzione -
Si fermò sulla porta e gli sorrise, uscendo poi senza dire altro.


La porta blindata posta all’entrata dell’Agenzia si aprì con un sibilo, lasciandole libero accesso ai corridoi immacolati e completamente deserti. Si strofinò le braccia per l’aria condizionata e s’incamminò verso l’ufficio della Direttrice, incontrando alcuni Agenti di tanto in tanto, che la guardavano a malo modo, spostandosi per lasciarla passare. Sperò che non fosse successo qualcosa.
Svoltando per un altro corridoio, si bloccò proprio davanti alla porta della direzione, voltando lo sguardo nel sentire qualcuno che la chiamava. Vide l’Agente 2 avvicinarsi a passo di marcia, con il viso freddo ed impassibile, come sempre, con addosso dei lunghi pantaloni neri e una camicia bianca. La bassa temperatura del luogo rendeva sopportabile quell’abbigliamento che l’uomo era costretto a tenere.
- Ho sentito di sabato, 33. La Direttrice mi ha informato dell’accaduto poco fa, cos’è successo? -
Scosse la testa, passandosi una mano nei capelli - Niente di che, tre demoni del sangue -
- Capisco. Cosa sei venuta a fare qui? La Direttrice mi aveva detto che saresti venuta... -
- Dovevo parlarle riguardo una faccenda, nulla di importante, ma volevo comunicarle della chiamata che ho ricevuto dalla spia -
L’uomo pelato aggrottò la fronte, incrociando le braccia al petto - Cosa ti ha detto? -
- Che oggi mi avrebbe trovata all’Agenzia, ma non è ancora successo niente -
- Dici? -
Gli lanciò un’occhiata nel sentire il tono del suo superiore farsi, se possibile, ancora più freddo. Fece finta di niente ed appoggiò la mano sulla maniglia, abbassandola. Quando l’aprì del tutto si sentì mancare alla vista dell’ufficio, completamente sottosopra, e della Direttrice, accasciata priva di vita sulla sedia a rotelle, con gli occhi sgranati e vitrei, con un foro di proiettile proprio in mezzo alla fronte che, probabilmente, le aveva trapassato la testa da parte a parte. Si soffermò qualche secondo sulla cassaforte, nascosta dietro alcuni grossi e finti libri posti sulla libreria, completamente vuota.
- Non hai idea di quello che ho dovuto fare per farmi dire la combinazione - disse l’Agente al suo fianco con un sospiro.
I suoi occhi tornarono ad osservare il corpo senza vita della Direttrice, nella speranza di essere intrappolata in un brutto sogno e di risvegliarsi per sentirsi dire che era un’incosciente e che attirava qualunque tipo di guaio. Dopo alcuni secondi, però, la speranza si spense del tutto, lasciando il posto alla rabbia che ora provava nei confronti di un uomo che aveva considerato un amico e un alleato, ma che ora si rivelava per quello che era veramente: un nemico ancor più peggiore dei demoni che aveva affrontato fino a quel momento, proprio come le aveva detto Jane.
Si voltò verso l’Agente 2, squadrandolo dall’alto in basso - Sei stato tu fin dall’inizio -
L’uomo non rispose, ma non distolse gli occhi scuri dai suoi.
- Tu avevi ingaggiato Kyra, tu avevi informato le guardie di Leferve, tu hai mandato il padre di Matteo per uccidermi e tutti gli altri demoni che hanno tentato di togliermi di mezzo - disse, con voce fredda, priva di qualunque emozione - Tu sei la spia -
- Brillanti deduzioni, complimenti 33 -
- Perché? - domandò, facendo un passo indietro - Perché hai fatto tutto questo? Perché tutti questi morti? A quale scopo? -
- L’Agenzia ha bisogno di un nuovo capo, Angelica. Qualcuno che non ha paura di usare i demoni per la guerra -
- Non c’è nessuna guerra e tu sei soltanto un pazzo -
- Ci sarà presto, credimi - rispose l’uomo, incrociando le grosse braccia al petto - E sarà la guerra più terribile -
- Tu vuoi usare i demoni come soldati - sussurrò, facendo qualche altro passo indietro, per mettere la giusta distanza tra lei e quell’uomo.
- No, ho qualcosa di meglio - sussurrò lui - E ben resto lo proverai di persona -
Non ebbe nemmeno il tempo di capire appieno la frase che l’Agente le aveva appena detto che l’uomo, dopo un forte slancio, le corse incontro, tirandole un forte pugno nello stomaco. Si piegò in avanti, senza fiato, portando subito la mano all’elsa di una delle due katane, ma prima che potesse estrarla, l’Agente le afferrò il braccio, scaraventandola contro il muro con forza. Sentì l’uomo afferrare il manico della sua spada ed estrarla dal fodero con degli stridii.  
Si rialzò subito, indietreggiando ed estraendo la sua katana, mentre l’avversario impugnava quella regalatale dalla Direttrice. L’Agente 2 tentò subito un affondo, ma si scansò immediatamente, tentando a sua volta di colpirlo, ma la sua lama fu fermata da quella nera. Indietreggiò immediatamente quando l’avversario fece un passo avanti, facendo scorrere le lame fino all’elsa, e lo attaccò di nuovo. Ancora una volta la lama nera deviò il suo attacco, ma riuscì a disegnargli una linea scarlatta sul braccio, tagliando anche la stoffa della camicia. Gli attacchi si susseguirono l’uno dopo l’altro più veloci che mai, e per ogni affondo c’era una degna parata dell’avversario. Tutto sembrava una danza bellissima, ma allo stesso tempo pericolosa e letale.
Si allontanò nuovamente, lanciandosi uno sguardo alle spalle nel vedere sette Agenti correrle incontro: quattro si fermarono immediatamente, estraendo le pistole e tenendola sotto tiro, mentre gli altri tre, muniti di lunghi pugnali, la attaccarono. Dopo aver schivato un attacco mosse velocemente la katana da sotto in su, tagliando la gola a due avversari, mentre il terzo indietreggiava, intimidito.
Deviò ancora una volta la lama nera, che le passò ad un soffio dal fianco, ma ancor prima di voltarsi, la spia le afferrò il collo da dietro, facendole sbattere la testa contro il muro. Scosse subito la testa, evitando un altro attacco dell’avversario, pronto ad affondarle la katana nella schiena che, però, affondò nel muro, tra le piastrelle di ceramica bianche della parete. Fu subito attaccata dall’ultimo Agente armato di pugnale e, dopo averlo schivato, gli affondò la katana nel petto, rubandogli di mano il pugnale e lanciandolo contro uno dei quattro Agenti appostati più lontano, pronti a spararle, che crollò a terra con la lama seghettata conficcata in fronte.   
Divelse immediatamente la spada dal corpo privo di vita dell’Agente, pronta a tornare a scontrarsi con la spia, ma quando si voltò il suo avversario era ad un soffio da lei. L’Agente 2 l’afferrò per il collo, facendole toccare la schiena contro la parete del corridoio e togliendole la katana di mano.
- Non sai da quanto tempo ho desiderato fare questo con le mie mani -
Per tutta risposta gli sputò in faccia, ricevendo un pugno in pieno viso, sentendo subito il sapore metallico del sangue in bocca.
- Ma, come ti ho detto prima, ho in mente altro per te -
Dopo una forte ginocchiata nello stomaco, l’Agente 2 la scaraventò a terra. Leggermente frastornata ed ansimante, sentì qualcuno afferrarla e metterla di nuovo in piedi, bloccarla. Iniziò subito a divincolarsi come una furia, ma a quelle due mani se ne aggiunsero altre due e poi ancora due, immobilizzandola del tutto.
- Sei stata una valida avversaria, 33 - disse l’Agente 2 - Portatela nella stanza 1 -
Gli uomini la trascinarono via, percorrendo due corridoi e raggiungendo in meno di un minuto la stanza 1. Ricordava che la stanza 1 veniva usata da Marco e da Beatrice per studiare i primi demoni artificiali creati dalla Rosa.
Quando entrarono, riuscì soltanto a notare un tavolo da lavoro appoggiato alla parete accanto alla porta e un altro proprio di fronte, al centro della stanza c’era un lettino, probabilmente di acciaio, con delle spesse cinghie di cuoio che penzolavano ai lati, fissate accuratamente alla struttura in metallo del lettino.
- Spogliatela, controllate che non abbia altre armi -
I tre uomini accontentarono immediatamente il loro capo, strappandole la t-shirt di dosso e tagliando con un pugnale i pantaloncini, graffiandole persino la pelle. I suoi abiti finirono a terra, ridotti in stracci, ma almeno gli Agenti avevano avuto il buonsenso di lasciarla in biancheria.
- Non ha niente, signore - disse uno dei tre uomini, che non aveva mai visto in vita sua.
La spia indicò una camicia azzurrina appesa ad un gancio dietro la porta, che venne chiusa immediatamente - Vestila e legala al lettino -
Gli uomini riuscirono a farle infilare con difficoltà la camicia, che aveva le maniche talmente lunghe da nasconderle le mani e, fortunatamente, era abbastanza grande da arrivarle fino a metà coscia. Quando le chiusero i bottoni uno alla volta, l’alzarono senza sforzo, adagiandola sul lettino e, mentre due la bloccavano, il terzo le legò i polsi e le caviglie con le cinghie, stringendole il più possibile. Iniziò nuovamente a divincolarsi con tutta la forza che aveva, mentre l’Agente 2, con tutta calma, prese una sedia e si accomodò accanto al lettino - Lasciateci soli - ordinò il suo superiore agli altri colleghi, che ubbidirono, uscendo dalla stanza.
L’uomo iniziò subito iniziando a tirarle su la manica del braccio destro, stringendole un laccio emostatico al di sopra del gomito - Per me sei stata una palla al piede, sin dall'inizio. Eri sempre in mezzo ai piedi ad ammazzare demoni che avevano accettato di ubbidirmi... - le raccontò lui, prendendo dal tavolo da lavoro proprio dietro di lui una comunissima siringa, contenente del liquido di un rosso acceso - Poi la storia della Direttrice. Non avevo altra scelta, dovevo ucciderla per attuare il mio piano. Quella disgraziata nel suo testamento aveva scritto che lasciava a te il comando, a te! Una stupida ragazzina invece di me! Che ho lavorato qui da sempre! Ma ora non importa, adesso sono io il Direttore dell'Azienda, dato che il testamento è stato...casualmente distrutto. Adesso sono a capo degli uomini meglio addestrati e della Rosa, che su mio ordine ha scoperto un siero che mi renderà ancora più ricco e potente! -
- Allora sono opera tua anche le sparizioni dei civili degli ultimi mesi -
- Dovevamo sperimentare il siero su qualcuno, no? In questi mesi è stato migliorato ogni volta, per garantire un effetto di lunga durata e, guarda caso...- le disse l’Agente 2, portandole la siringa ad un soffio dal viso - ...mi serve proprio una cavia per vedere se stavolta funziona -  
- Sei un pazzo, gli altri Agenti ti fermeranno -
- Quelli che si sono ribellati a me sono stati chiusi nelle celle per i demoni, in attesa del siero vero e proprio. Quando tutti saranno stati contaminati da questa innovazione, obbediranno solo e soltanto a me - sussurrò l’uomo, afferrandole con forza il braccio, conficcando poi l'ago nella vena - Ed è quello che succederà a te. Se il siero funziona obbedirai al tuo nemico, altrimenti, morirai -
Urlò non appena la strana sostanza fu iniettata, iniziando a circolare nel suo sangue. Sentì subito un’insopportabile calore che partiva dal braccio e si espandeva lentamente in tutto il resto del corpo.
- Brucia vero? -
Strinse i pugni, urlando ancora con tutto il fiato che aveva, sentendo il cuore scoppiarle nel petto.
- E adesso vediamo se stavolta funziona - disse l'uomo estraendo l'ago, con un diabolico sorriso stampato sul volto - Diventerai la cosa a cui hai dato la caccia -
- Non la passerai liscia -
- L’ho già fatto, 33. E tu non puoi fare altro - rispose lui, uscendo dalla stanza, lasciandola sola, in preda ad un dolore atroce.
***
Ormai, l’ora che aveva concesso ad Angelica per chiamarlo era scaduta. Provò subito a chiamarla, ma il cellulare era spento.
Mentre aveva passato quegli interminabili sessanta minuti ad osservare l’orario sul display del suo cellulare, era riuscito a trovare la soluzione su come entrare all’Agenzia. Cosa c’era di meglio di chiedere ad un Agente di farlo entrare?
Il nome dell’Agente gli era balzato subito in testa e chiamò immediatamente Beatrice, ma non appena premette il tasto di chiamata partì subito il messaggio registrato della Vodafone, il quale annunciava che il numero chiamato non era al momento raggiungibile. Provò più e più volte, ma il risultato non cambiava.
Se Beatrice non rispondeva al cellulare era successo qualcosa, se lo sentiva da quando Angelica era uscita.
Si alzò dal letto ed iniziò a camminare avanti e indietro, pensando ad una soluzione.
"Chi altro conosco che lavora all'Agenzia?" si domandò, fermandosi all'improvviso, dandosi dello stupido per non aver pensato prima a lei. Cercò il numero nella rubrica del suo cellulare e la chiamò immediatamente. Lanciò un sospiro di sollievo quando Laura Mancini rispose con un'imprecazione.
- Dannazione Dall'Angelo, spero che tu abbia un buon motivo per avermi disturbata -
- Angelica é in pericolo -
- Smettila di fare il principe che salva la fanciulla in pericolo. Angelica sa cavarsela da sola -
- La spia l'ha chiamata, ha detto che oggi ci sarebbe stata la resa dei conti - le raccontò brevemente, nella speranza che Laura gli desse ascolto.
- Hai provato a chiamare Beatrice? - le domandò lei dopo aver sbuffato.
- Non risponde -
- Strano. Decisamente strano di solito...-
- ...risponde sempre al telefono - concluse per lei.
- Aspetta un attimo. Provo a chiamare Francesco, dovrebbe essere all'Agenzia adesso - disse la ragazza dall'altro capo del telefono, rimanendo in silenzio alcuni secondi - Non risponde -
- Sta succedendo qualcosa là dentro, Laura. Dobbiamo fare qualcosa -
- Tu non farai un bel niente, vado a dare un'occhiata. Da sola - gli disse Laura con un altro sospiro - Proprio quando ho la sera libero dal lavoro -
- Ti prego, portami con te -
- Mi saresti d'intralcio -
- So sparare -
- E io so fare una bomba artigianale. Resta a casa che é meglio -
- Non sai nemmeno cosa sta succedendo là dentro! - urlò al telefono - Uno in più ti fa sempre comodo -
Laura Mancini rimase un attimo in silenzio. Sapeva che era ancora più testarda di Angelica, ma sapeva che non avrebbe potuto dirgli di no.
- Hai la pistola di Angelica? -
- Sì -
- Arrivo tra due minuti - disse la ragazza con tono freddo, forse infastidita dal fatto che doveva trascinarsi dietro un civile per tutta l'Agenzia, invasa dai demoni o da qualsiasi altra cosa. Riattaccò subito, infilando i suoi pantaloncini corti, sistemati sulla sedia posta accanto alla scrivania, e la sua maglietta.
Aprì il cassetto della biancheria della fidanzata dove, due giorni prima, aveva preso la Revolver e tentato di uccidere uno dei demoni che li avevano attaccati. La pistola era ancora al suo posto e la impugnò con un po' di timore, senza sapere se era carica o meno e, dato che non sapeva nemmeno come fare per controllare, avrebbe chiesto gentilmente a Laura di caricarla se necessario.
Uscì di corsa da casa Vetra con la pistola nella cintura dei pantaloni, ed attese l'arrivo di Laura, che fermò la macchina proprio davanti a lui, con una sgommata.
- Muoviti! - urlò la bionda al volante e lui obbedì immediatamente.
Si allacciò subito la cintura di sicurezza quando la ragazza partì a tutta velocità, zigzagando tra le altre macchine, evitandole per un soffio, salendo persino sul marciapiede fortunatamente vuoto.
- Allora, Dall'Angelo - iniziò la ragazza, tranquillamente, senza mai staccare gli occhi dalla strada - Qualunque cosa sia successa là dentro, dovrai fare tutto quello che ti dirò. Non voglio storie. Se solo osi disubbidirmi ci metto due secondi a stenderti e a buttarti fuori, chiaro? -
- Sì, d'accordo - rispose piano - E volevo chiederti se potevi controllare la pistola di Angelica -
La bionda gli lanciò un'occhiata - Ok -
Dopo un paio di minuti, Laura parcheggiò proprio davanti alla vecchia casa infestata, avvolta nella sua solita spaventosa e lugubre atmosfera. Ogni volta che osservava quella struttura pericolante, che minacciava di crollare con la prossima folata di vento, gli faceva venire un brivido in tutto il corpo.
- É carica - disse Laura ad un tratto e si voltò verso di lei, osservandola sistemare una pallottola nel tamburo della Revolver di Angelica, che gli aveva preso senza che se ne accorgesse.
La bionda, con un rapido movimento, risistemò il tamburo e gli porse la pistola e qualche pallottola - Non sprecare i colpi, ho solo queste pallottole che vanno bene per questa pistola, d'accordo? -
- Non so nemmeno come caricarla -
- Devi solo fare così - disse la ragazza, facendo uscire il tamburo della pistola - Metti le pallottole e lo chiudi - concluse lei, risistemandolo, mettendogli poi in mano la Revolver e le pallottole in tasca.
- Ok, ho capito -
- Agitato Dall'Angelo? -
- Hai presente quando senti un nodo alla gola, il cuore smette di battere e cominci a sudare freddo al solo pensiero di fare qualcosa che non dovresti nemmeno lontanamente immaginare di fare? -
La bionda inarcò un sopracciglio, caricando le sue pistole semiautomatiche - Non potresti rispondere come tutte le persone normali? -
- Sì, sono agitato - ammise.
- Finalmente parliamo la stessa lingua - scherzò lei, sistemandosi un lungo pugnale nella cintura dei pantaloncini, prendendo poi un piccolo zainetto dai sedili posteriori e un fucile a pompa - Ora entriamo, e ricordati quello che ti ho detto -
Annuì, scendendo dalla macchina e seguendo la ragazza all'interno della casa stregata usata come copertura. Il cuore gli si fermò nel petto quando la porta che conduceva all'Agenzia si aprì.
***
Smise immediatamente di urlare quando sentì dei rumori provenire dal corridoio ed ascoltò meglio il rumore dei passi di due persone, che nella sua testa sembravano amplificati. Non appena sentì un tonfo sordo, voltò lo sguardo verso la porta del laboratorio, crollata a terra con un semplice calcio ben assestato di Laura Mancini.
- Oh, era aperta -
Dietro di lei c’era Matteo, immobile, che la fissava con gli occhi sgranati, soffermandosi sulle cinghie che le bloccavano le caviglie e i polsi.
Fece un respiro profondo, distogliendo gli occhi dai suoi - Andatevene - sussurrò ma, come al solito, Matteo non la stava ascoltando: si era avvicinato al lettino ed aveva cominciato a trafficare con i lacci di cuoio, tentando di liberarla.
- Hai capito quello che ho detto? Dovete andarvene! - esclamò, dimenandosi con forza nel tentativo di allontanare il ragazzo, che, ancora una volta, non le diede retta.
- Non dovresti liberarla - disse Laura, afferrando il polso al moro, allontanandolo da lei.
“Almeno lei capisce” pensò, lanciando uno sguardo alla ragazza, tentando di ignorare quello strano calore che le cresceva sempre di più nel petto - Dovete...liberare gli altri -
- Cos’è successo? - le domandò lei.
- La spia - raccontò in un sussurro - È l’Agente 2, ha rinchiuso gli Agenti che si sono ribellati a lui nelle celle al piano di sotto -
- A te cos’ha fatto? -
Chiuse gli occhi, tentando di ignorare il profumo della ragazza che ora sentiva così dolce ed invitante - Un siero. Diventerò un demone ai suoi ordini -
Matteo si riavvicinò nuovamente e non riuscì più a trattenere quello strano istinto: iniziò a dimenarsi, cercando di liberarsi e di uccidere. Uccidere per placare il suo desiderio di sangue.
***
Afferrò prontamente Matteo per un braccio, facendolo allontanare insieme a lei dal lettino, ed impugnò immediatamente la pistola, puntandola su Angelica, che si dimenava come una furia. I suoi occhi diventarono rossi come il fuoco e sapeva che ora non poteva fare altro che ucciderla.
Fu immediatamente fermata da Matteo, che le fece abbassare il braccio a malo modo - Non vorrai ucciderla? -
- Sì - sussurrò puntando di nuovo la pistola verso la mora e scansando il ragazzo.
Lui le si parò davanti, osservandola serio.
- Quella cosa non é più Angelica! - urlò, senza abbassare l’arma e senza mai distogliere lo sguardo dalla ragazza che continuava a dimenarsi, in preda ad una furia incontrollabile - Guardala. Ti sembra Angelica? - chiese, abbassando la Beretta e lanciando un sospiro - È diventata un mostro -
La mora, con un ultimo grido, si abbandonò sul lettino di metallo, respirando forte, e le lanciò uno sguardo di supplica mentre le lacrime le rigavano le guance - Vi prego, vi supplico - sussurrò la ragazza, soffocando un singhiozzo - Andate a liberare gli altri -
- Non ti lascio qui - disse Matteo, che si avvicinò nuovamente al lettino. Capì immediatamente le intenzioni del ragazzo di liberare Angelica e non poteva permetterlo.
Lo afferrò per un braccio e lo scaraventò in corridoio - Non osare liberarla -
- Dobbiamo aiutarla! -
Era pronta a dargli un pugno per farlo tornare in sé, ma si voltò verso Angelica, che sussurrò appena il suo nome, attirando la sua attenzione. Fece un passo avanti, affiancandosi al lettino - Che c’è? -
- Laura, se dovessi liberarmi ed attaccarvi... - iniziò la mora facendo un respiro profondo per calmarsi o forse per accettare quella strana situazione, parlando così piano che faticava persino a sentirla - ...giurami che mi fermerai in qualsiasi modo. Anche a costo di uccidermi -
- Deve esserci un modo per farti tornare come prima -
Angelica sorrise - No, almeno finché l’effetto non svanisce e, da quello che ho capito, nessuno finora è sopravvissuto -
Lanciò un sospiro, facendo un piccolo cenno - Te lo giuro - disse, voltandosi subito dopo ed uscendo in corridoio, sistemando la porta che aveva sfondato poco prima in qualche modo, e s’incamminò velocemente, trascinando Matteo per un braccio, che si ostinava a tornare indietro.
Sbuffò “Uomini” pensò, dandogli un leggero strattone per farlo camminare davanti a lei - Cammina -
- Cosa ti ha detto? -
- Niente che ti riguardi -
- Mi riguarda se centra la persona che amo -
Si bloccò, fulminandolo con lo sguardo - Mi ha chiesto di ucciderla se dovesse attaccarci -
- Non lo farebbe mai -
- Non è più Angelica! Lo vuoi capire?! -
- Ci deve essere un modo per salvarla! -
- No - sussurrò, riprendendo a camminare.
- Come fai a dirlo? -
- Perché me l’ha... - disse a bassa voce, sentendo un rumore che sembrava avvicinarsi - ...detto lei -
- La stai condannando a morte -
Si fermò, in allerta, concentrandosi sul rumore appena udito - Arriva qualcuno -
- Chi? -
Dovette trovare una soluzione alla svelta. Aprì la porta proprio accanto a loro, lanciò dentro Matteo e lo seguì immediatamente, socchiudendo subito la porta ed ascoltando i rumori che provenivano dal corridoio. A giudicare dal rumore dei passi, individuò sei o sette Agenti.
Si tolse lo zainetto dalle spalle e vi infilò dentro la mano, estraendo una granata stordente M84, un tubo esagonale di acciaio con fori lungo i lati che permettono la combustione delle miscele che provocano un lampo di luce e il botto.
Sorrise al pensiero di usarla dentro all’Agenzia.
Si voltò verso Matteo, leggermente spaventato nel vedere la cosa che teneva in mano - Quando la lancio copriti le orecchie e chiudi gli occhi - gli consigliò.
Una volta lanciata, la granata avrebbe prodotto una luce ed un botto assordante di circa 170-180 decibel e avrebbe reso incapaci gli Agenti in corridoio senza causare però alcuna ferita. A quello avrebbe rimediato lei prima dello scadere di cinque secondi: il lampo luminoso scaturito dall’esplosione, attivava momentaneamente tutte le cellule della retina, rendendo la visione impossibile solo per quel breve lasso di tempo.
- Vuoi lanciarla davvero? -
- Ho sempre sognato di farlo - sussurrò azionando la leva con un sorriso, lanciando la granata in fondo al corridoio, proprio vicino al gruppo di sei Agenti. Si mise subito le mani sulle orecchie e chiuse gli occhi, attendendo l’esplosione.
Quando sentì il botto scattò in piedi, con in pugno le sue semiautomatiche, ed uscì in corridoio. Pochi e precisi spari e gli Agenti giacevano morti a terra, tutti con un foro di proiettile proprio in mezzo alla fronte. Diede un pugno al muro, dando il via libera a Matteo - Forza -
Il ragazzo, a gattoni, uscì dalla porta - Ma dove l’hai presa una cosa del genere? -
- Ne ho rubate un paio dall’armeria -
- Tu sei fuori di testa -
Lo aiutò ad alzarsi e gli sorrise, dandogli il suo zaino - Grazie, significa molto per me -
***
Strinse gli occhi e respirò profondamente, piantandosi persino le unghie nei palmi, per tentare di mantenere il controllo e cercare di ignorare uno strano odore che sembrava volerla stregare. L’avrebbe riconosciuto fra mille quell’odore: era sangue.
Sentì il battito accelerare e un dolore atroce invaderle il corpo che le fece sgranare gli occhi ed urlare di dolore, iniziando a dimenarsi per liberarsi da quelle dannate cinghie che la tenevano incollata al lettino, tenendola lontana dalla fonte di quell’odore che ora le sembrava irresistibile.
Si liberò con facilità, strappando le cinghie come se fossero stelle filanti, e si mise in piedi, appoggiando la mano sulla maniglia della porta, afferrandola come se fosse fatta di polistirolo e scaraventandola alle sue spalle, oltre il lettino.
Uscì in corridoio seguendo quello strano istinto che si era svegliato in lei.
***
Nello svoltare per un altro corridoio, si bloccò, osservando due katane familiari: la prima, dall’intreccio di pelle nera sul manico, era abbandonata a terra, con la lama intrisa di sangue, mentre l’altra, dalla lama nera, era conficcata nel muro.
- Quelle sono di Angelica - disse Matteo, riconoscendole a sua volta.
Si avvicinò piano, raccogliendo quella a terra, osservando il suo riflesso nella lama splendente d’acciaio mentre un rivolo di sangue, ancora fresco, iniziò a scivolare lentamente lungo il filo tagliente della spada.
- Quella non ti appartiene - disse una voce che la fece persino rabbrividire.
Si voltò e rimase pietrificata all’istante: proprio qualche metro da lei c’era Angelica, la stessa Angelica che aveva visto pochi minuti prima legata ad un lettino in metallo e disperata, mentre ora sembrava essere un’altra persona, totalmente diversa. Lo sguardo freddo fisso verso di lei non emetteva alcuna emozione, nessun sentimento, e i suoi occhi, dello stesso colore del sangue, sembrano voler prendere fuoco. Strinse più forte l’elsa della katana.
- Angelica - la chiamò, sperando che si svegliasse da quella che sembrava un’ipnosi, ma rinunciò all’istante vedendola sorridere in modo diabolico e mostrarle i lunghi canini. Il demone, che una volta era la ragazza che odiava a morte e che ora considerava come un’amica, fece qualche passo verso di lei, senza alcuna fretta.
Lanciò un’occhiata a Matteo - Vai a liberare gli altri. C’è una scala a chiocciola...le celle sono lì - gli sussurrò piano senza perdere d’occhio la sua avversaria. Il ragazzo, senza distogliere gli occhi dalla sua fidanzata ridotta in quelle condizioni, indietreggiò, per poi voltarsi ed iniziare a correre, sparendo oltre il corridoio.
Il sangue le si gelò nelle vene vedendo Angelica, fermandosi a qualche metro da lei, sorridendole in modo diabolico. Strinse ancor di più la presa sulla katana - Non voglio combattere contro di te -
Angelica scattò veloce verso di lei, pronta ad ucciderla alla minima esitazione. Schivò le sue dita arcuate, pronte a graffiarla a morte, ed agitò la katana, pronta a colpirla, ma la ragazza afferrò la lama con la mano, bloccandola. Vide il sangue colare lungo il braccio ed imbrattare le lunghe maniche della camicia, ma l’espressione di Angelica non cambiava, sembrava quasi non provare alcun dolore.
Con un rapido movimento riuscì a liberare la lama e ad allontanare l’avversaria con un calcio allo stomaco.
- Non costringermi a farti del male -
Angelica sorrise e scompare dalla sua vista in un battito di ciglia. Si voltò immediatamente, ma non abbastanza in fretta, e un dolore lancinante alla spalla sinistra la fece urlare: il demone le aveva artigliato la spalla come un falco che cattura la sua preda. Afferrò il pugnale allacciato alla cintura dei pantaloncini con la mano libera, piantando la lama nella spalla destra dell’avversaria che si allontanò con un elegante balzo.
La ragazza divelse il pugnale dalla carne e glielo lanciò contro, ma riuscì a schivarlo per un soffio, commettendo il grave errore di concentrarsi totalmente sulla lama del pugnale: ancor prima di voltare lo sguardo, la mora la afferrò per il collo, sollevandola da terra senza il minimo sforzo, facendole sbattere la schiena contro il muro.
La katana le scivolò via per la forza dell’impatto contro la parete.
- Ti prego...torna in te -
- Risparmia il fiato - disse qualcuno fuori dal suo campo visivo, ma riconobbe immediatamente l’Agente 2 - Obbedisce solo a me -
Dopo uno schiocco di dita, la ragazza la liberò, indietreggiando, raggiungendo quello che ora era diventato il suo padrone. Si portò una mano alla spalla e si lasciò scivolare a terra, afferrando nuovamente la katana.
- Giurami fedeltà, Laura Mancini. Giurami fedeltà e non ti verrà fatto alcun male -
- Mai - sussurrò, rialzandosi in piedi, puntandogli contro la katana - Preferisco morire che servire uno schifoso bastardo -
L’Agente 2 rise in tono gelido, passandosi una mano sulla testa pelata che sembrava una palla da bowling - Uccidila - ordinò l’uomo ad Angelica, che avanzò con calma, sicura e decisa.
Quando si avvicinò troppo si allontanò, ferendola di striscio alla base del collo - Io so che puoi sentirmi, Angelica. So che sei ancora lì -
Il demone tentò di attaccarla, ma stavolta fu più veloce: fendette l’aria con la katana, riuscendo a sentire la pelle del viso della mora tagliarsi come burro.
Angelica indietreggiò, sfiorandosi il taglio e portandosi una mano all’occhio dove aveva tracciato con la spada un sottile segno scarlatto partiva dal sopracciglio e finiva sulla guancia. Approfittò di quel momento per scappare in fretta e furia, dirigendosi verso il piano inferiore, alle celle anti-demone. Non ce l’avrebbe mai fatta da sola ed era più saggio chiedere aiuto a qualcuno, ma il vero problema era: chi avrebbe combattuto al suo fianco contro un demone che poco tempo prima era l’Agente 33?
Scese le scale a chiocciola, rischiando quasi di rompersi l’osso del collo, trovando Matteo davanti alla cella numero 1, che tentava di liberare gli Agenti intrappolati dentro sparando al vetro antiproiettile e anti-demone. Lanciò un sospiro e si avvicinò, stringendosi la spalla ferita - Dall’Angelo, si può sapere cosa stai combinando? -
Il ragazzo si voltò verso di lei, abbassando la Revolver - Sto liberando gli altri -
- E io sto ballando il burlesque - sussurrò, prendendo il fucile a pompa che teneva a tracolla, osservando attraverso il vetro gli Agenti chiusi all’interno - Spostati -
Matteo obbedì e sparò diversi colpi alla serratura della cella, sfondando poi la porta con un calcio: era una vera fortuna che le porte fossero rinforzate solo dall’altra parte. Quando la porta cadde sul pavimento con un tonfo, gli Agenti uscirono tranquillamente.
- Ascoltate tutti! - urlò dopo aver ordinato a Matteo di aprire le altre celle nel suo stesso modo - Non dovete muovervi da qui, chiaro? -
Alla ventina di Agenti appena liberati se ne aggiunse un’altra ventina e un’altra e un’altra ancora. Dovette salire sui gradini della scala a chiocciola per farsi vedere da tutti e sperando di vedere una familiare testa bionda. Impugnò la sua semiautomatica e sparò un colpo al soffitto, facendo zittire tutti.
- Inutile dirvi dell’Agente 2 - iniziò - Dovete tutti raggiungere l’armeria, prendere tutto quello che potete e combattere. Dobbiamo attirarli fuori, nel parcheggio -
Tutti annuirono, un po’ timorosi di dover lottare contro dei loro colleghi, con le persone con cui si erano allenate, con cui avevano affrontato incarichi pericolosi, con cui avevano stretto amicizia. Fece un respiro profondo: ora doveva dire loro di 33.
- Noi siamo in vantaggio numerico. L’Agente 2 è riuscito a portare dalla sua parte solo pochi Agenti ben addestrati e molte matricole ma, purtroppo per noi, lui ha 33 -
Gli Agenti iniziarono a borbottare e dovette attirare l’attenzione con un altro sparo: inutile evitare di farsi trovare, era sicura che la spia sapeva che avrebbe liberato gli altri per ostacolarlo - Non esiterà ad uccidervi, non esiterà nemmeno un momento. L’Agente 2 le ha iniettato un siero che la trasforma in una specie di demone sotto il suo controllo. Attiratela fuori...a lei ci penso io - concluse, lasciando libera la scala a chiocciola per permettere ai suoi colleghi di salire al piano di sopra, facendosi largo tra la folla per raggiungere Matteo, abbracciato a Beatrice, in lacrime. Dietro di lui c’era Francesco, che la raggiunse di corsa, abbracciandola ed accarezzandole i capelli.
- Perché sei venuta? - le domandò il ragazzo.
Si passò una mano nei capelli - Storia lunga, te la spiegherò se ne avrò l’opportunità. Ora è meglio se vai con gli altri in armeria -
Francesco annuì e dopo averle dato un lungo ed appassionato bacio sulle labbra seguì gli ultimi Agenti. Guardò Matteo e Beatrice, lanciando un sospiro - Beatrice, tu resta qui. Potresti curare i feriti meno gravi -
La bionda annuì, staccandosi da Matteo, e le si avvicinò, appoggiandole una mano sulla ferita, guarendola dopo pochi secondi - È tutto vero? Lui ha Angelica? -
Annuì - Non mi ha nemmeno riconosciuta, si limitava a tentare di uccidermi - disse, afferrando Matteo per un braccio - Tu. Vai in armeria a prenderti qualcosa -
- Ne sei sicura? -
- Hai voluto venire qui? Adesso dai una mano - disse - E ridammi lo zaino -
Il moro, confuso, le consegnò lo zainetto e si allontanò, lasciando sole lei e l’infermiera dell’Agenzia. Si domandò se c’era un modo per fermare Angelica, o almeno distrarla.
- I demoni artificiali sopportano la luce? - domandò, mettendosi lo zaino sulle spalle, reggendo il fucile a pompa con una mano e la katana con l’altra.
Beatrice confusa, si portò una mano al mento - Più che altro ai rumori forti, perché? -
- Se la Rosa ha ideato il siero deve averlo fatto grazie alla creazione di quelle cose -
- Pensi che questo possa fermare Angelica? -
- Fermarla no, ma renderla vulnerabile sì - disse, dandole le spalle e salendo le scale a chiocciola. La scena che le si presentò davanti le fece accapponare la pelle: Angelica era ferma in mezzo al corridoio, con la camicia azzurrina sporca di sangue, in mezzo ad una decina di Agenti riversi a terra, uccisi dalla letale katana che la ragazza teneva in mano. Il demone si pulì un rivolo di sangue che le scendeva da un angolo della bocca e i suoi occhi sembrarono infuocarsi ancora di più nel vederla sbucare dalla scala a chiocciola.
Prese un profondo respiro e puntò il fucile contro il demone, facendo subito fuoco. Angelica si spostò velocemente, evitando di essere colpita, e sorride in modo diabolico mentre continua ad avvicinarsi, facendosi largo tra i corpi e camminando scalza sul sangue viscoso che ricopriva quasi tutto il pavimento.
Si sistemò il fucile a tracolla con tutta tranquillità, infilando una mano nello zaino nel tentativo di trovare un’altra granata stordente. Quando riuscì ad afferrarne una, estrasse la mano dalla tasca dello zaino, stringendo la granata nel pugno, mentre nella sua testa alcune voci le dicevano di uccidere Angelica e altre le suggerivano di catturarla e di sperare che sopravviva all’effetto del siero.
Azionò la leva e la lanciò contro il demone, che l’afferrò al volo, lanciandola alle sue spalle. Si voltò ed iniziò a correre, sentendo immediatamente il botto emanato dalla granata stordente e, subito dopo, un forte ringhio che la fece sorridere: Angelica non sopportava il rumore. Bene.
Corse a perdifiato per i vari corridoi che sembravano tutti uguali, ma fortunatamente era lì abbastanza tempo da riuscire a distinguerli e si trovò davanti alla porta blindata all’entrata dell’Agenzia. Premette un pulsante e dovette aspettare alcuni secondi prima che la porta si aprisse lentamente con dei sibili sinistri.
Si lanciò un’occhiata alle spalle e vide Angelica apparire alla fine del corridoio: non correva, camminava con lentezza, come un serial killer che tiene la sua vittima in pugno. Salì di corsa le scale e uscì dalla casa stregata, sperando che Angelica la seguisse.
Si soffermò un attimo su quel campo di battaglia illuminato da un piccolo spicchio di luna crescente e il vento soffiava leggero, trasportando le urla di rabbia degli Agenti che si affrontavano. Vide immediatamente Francesco lottare contro degli Agenti e lanciò un sospiro nel vederlo tutto intero e senza un graffio.  
Balzò in avanti sentendo una presenza alle sue spalle e si voltò: Angelica l’aveva raggiunta.
- Pensavo che ci fosse qualcosa dentro di te che si potesse salvare, Vetra. Ma non è così e manterrò la promessa che ti ho fatto - disse, stringendo più saldamente l’elsa della katana con una mano e il calcio della Beretta semiautomatica con l’altra - Non ci sarà risveglio per te. L’inferno ti attende -
Iniziò a battere la canna della pistola sulla lama della katana, producendo dei continui ed assillanti tintinnii, abbastanza acuti da dare fastidio alla sua avversaria, che lasciò cadere a terra la katana portandosi le mani alle orecchie, urlando.
Il demone si riprese immediatamente, anche se lei continuava a fare rumore, e raccolse tranquillamente la katana e guardandola in modo freddo. Il trucchetto del rumore sembrava non avere più effetto. Imprecò a mente, evitando per un soffio l’attacco di Angelica che tentò di trafiggerla con la katana, e si allontanò.
Sorrise in modo diabolico alla sua avversaria, che però le restituì uno sguardo di fuoco, e scattò in avanti con la lama alzata: doveva finirla qui. Adesso. Il demone fece lo stesso con la lama nera alzata, puntata verso di lei.
Quando le due lame si scontravano delle scintille cadevano sull’asfalto, scomparendo subito dopo, tentò diversi affondi, ma Angelica parava i suoi attacchi come se niente fosse, non teneva nemmeno lo sguardo sulla lama, si limitava a guardarla negli occhi.
I loro occhi si incrociarono per un istante e quegli occhi di fuoco sembrarono quasi volerla incantare. Dovette allontanarsi immediatamente quando sentì la lama avversaria ferirle profondamente il fianco e la pelle bruciare subito dopo. Strinse i denti ed attaccò ancora, ma quando le due lame si scontrarono, fu sbalzata indietro per l’intensità del colpo, cadendo a terra di schiena. Si rialzò immediatamente, osservando l’avversaria, che non sembrava minimamente stanca.
Lanciò un urlo ed entrambe corsero l’una verso l’altra, con entrambe le lame protese in avanti. Quando si scontrarono, strinse forte l’elsa ricoperta dall’intreccio di pelle nera ed affondò la lama. Il tempo sembra fermarsi e tutto tace, persino i rumori della battaglia intorno a loro.
Sgranò gli occhi quando un liquido vermiglio iniziò ad uscirle dalla bocca, colando lungo il collo ed imbrattando la t-shirt, ed incrociò lo sguardo con quello di Angelica: sul volto della ragazza era apparsa una smorfia di dolore.
Abbassò gli occhi sulla lama conficcata nella sua spalla che, probabilmente, la trapassava da parte a parte. Tornò a guardare l’avversaria e, ignorando il dolore, strinse più saldamente l’elsa della katana ed affondò ancor di più la lama nella carne del demone, che emise un lamento strozzato.
- Stavolta ti ho presa - sussurrò, osservando la spada conficcata nello stomaco della mora. Con un calcio allontanò l’avversaria ed estrasse la spada, stringendo forte i denti nel sentire la lama nera ritrarsi dalla sua spalla, e sorrise, vedendo Angelica indietreggiare appena, portandosi una mano allo stomaco.
- È finita -
Sentì un brivido lungo la schiena quando vide la ragazza rialzare lo sguardo, con un ghigno diabolico sul viso - Sarà finita quando lo dirò io, Mancini -
Non si accorse di niente: Angelica la attaccò talmente in fretta che riuscì soltanto a vedere una macchia sfuocata. Fu scaraventata contro il muro della casa stregata e si accasciò subito a terra, alzando lo sguardo verso l’avversaria, già davanti a lei, che la osservava intensamente con la katana alzata all’altezza del suo collo.
Il buio la avvolse in pochi secondi.
***
Aveva assistito a tutto il combattimento in disparte ed ora, vedendo Laura a terra ed Angelica in piedi di fronte a lei pronta a darle il colpo di grazia, la raggiunse di corsa. Sperò di poterla fermare.
- Angelica! Angelica ti prego, torna in te! - urlò a pochi metri dalla fidanzata, attirando la sua attenzione.
Angelica voltò lo sguardo verso di lui e lasciò perdere Laura, accasciata a terra ancora viva ma priva di sensi, e le si avvicinò, afferrandolo per la maglia ed alzandolo senza sforzo per tirargli un forte pugno nello stomaco. Sentì immediatamente il sapore metallico del sangue espandersi in bocca e dovette sputarlo fuori, crollando poi in ginocchio quando la mora lasciò la presa sulla maglietta.
- Angelica...-
- Non tornerà come prima -
Alzò lo sguardo: l’Agente 2, rimasto fermo a godersi lo spettacolo, era a pochi metri da lui. Quando raggiunse Angelica lo squadrò per bene, sorridendo - Uccidilo, 33 -
Voltò lo sguardo verso Angelica, guardandola negli occhi ed aspettando. Aspettando in silenzio.
La ragazza alzò la katana, pronta a colpirlo, ma lui non abbassò lo sguardo: se stava per morire voleva farlo guardandola negli occhi, quegli occhi verdi che lo avevano incantato, e che ora erano del colore del sangue.
Qualche pensiero scattò nella mente della ragazza davanti a lui: vide il suo viso addolcirsi e, dopo un lieve tremito della mano, abbassò appena la lama nera.
- Che stai facendo? - domandò l’Agente 2, sorpreso dalla reazione della ragazza - Mi hai sentito, 33? Uccidilo -
Angelica si voltò verso il suo padrone, abbassando del tutto la katana - No -
- Osi disubbidirmi? -
Lei ringhiò come una tigre - E tu osi darmi degli ordini? -
- Il siero ti fa obbedire solo e soltanto a me - le rispose l’uomo - Ed ora uccidilo -
- No -
- Bene - disse lui, estraendo una pistola - Vorrà dire che dovrò pensarci io -
***
Tutto avvenne in una frazione di secondo: il rumore di uno sparo sembrò squarciare l’aria. Si voltò lentamente sentendo un tonfo sordo, ed osservò il ragazzo riverso a terra, immobile. Dovette indietreggiare ed appoggiarsi al muro della casa stregata quando un intenso calore iniziò a propagarsi velocemente all'interno del suo corpo, facendole persino girare la testa.
- Matteo...- sussurrò cercando di reprimere la furia cieca che cercava di prendere il sopravvento - Matteo -
Le sue mani tremarono in modo incontrollato e prese a respirare forte e velocemente.
Si voltò verso l’uomo, infuriata come una bestia - Tu...- disse piano facendo qualche passo, non riuscendo più a trattenere il nuovo lato demonico presente in lei - Lo hai ucciso -
- La prossima volta eseguirai i miei ordini senza discutere -
- Non ci sarà una prossima volta, Agente - disse in un ringhio, alzando la katana.
L'Agente 2, dopo averla osservata per alcuni ed interminabili secondi, indietreggiò di qualche passo, intimidito dai cupi ringhi che emetteva - Devi obbedire a me. Io ti ho dato la forza che ora possiedi -
- La mia forza proviene da me ed è mia soltanto. Ed ora in avanti servirò solo me stessa -
L'Agente 2 non smise di indietreggiare, osservandola negli occhi con preoccupazione e un po' di paura, paura per quello che ora poteva fare, paura perché ora era imprevedibile e pericolosa. Oltre a questo il suo avversario si stava sicuramente chiedendo perché non obbediva più ai suoi ordini. Chi poteva saperlo? Nemmeno lei non capiva il perché di quelle emozioni così forti che aveva provato, perché aveva sentito così tanto dolore nel vedere quel ragazzo riverso al suolo che non riconosceva. Si era concentrata per alcuni secondi sul suo viso, subito dopo aver ricevuto l'ordine di ucciderlo, e lo aveva riconosciuto, aveva riconosciuto quel ragazzo che le aveva rubato il cuore, che l'aveva guardata come nessuno e che le diceva "ti amo" ogni giorno, in qualsiasi momento ed occasione. Era disposta a vendere l'anima al diavolo pur di sentirselo dire un'ultima volta da lui e di ripeterglielo a sua volta.
Strinse forte l'impugnatura della katana facendo sbiancare le nocche e raccolse l'altra, camminando lentamente verso la sua preda: non vedeva l'ora di stringere quella testa pelata tra le mani ed aprirla come se fosse una noce di cocco. L'uomo arrestò la sua ritirata e fece fuoco contro di lei, nella speranza di colpirla o almeno di farle perdere tempo per evitarle.
"Illuso" pensò, osservando uno ad uno i proiettili. I suoi sensi, ora sviluppati al massimo, le permettevano di vedere tutto a rallentatore e non fu difficile deviare i proiettili con le lame delle katane senza nemmeno fermarsi.
Continuò a seguirlo con calma, fin dentro l'Agenzia. Non sapeva se l'Agente 2 aveva un piano o se stava semplicemente scappando da lei. Forse aveva un piano per fermarla, oppure sapeva come fermarla, ma non le importava: doveva prenderlo e fargli patire le pene dell'inferno per quello che aveva fatto a Matteo.
***
- Laura, maledizione. Vuoi svegliarti? -
Socchiuse appena gli occhi - Come passatempo faccio il découpage...- bisbigliò, rispondendo al coniglio nel suo sogno. Quel bastardo voleva attirarla in una dannata tana tra le radici di un albero a giocare a poker con la giraffa equilibrista cieca e l'oca ninja.
- Svegliati Laura! -
Sgranò gli occhi: quell'urlo non era decisamente nel suo sogno. Mise subito a fuoco la figura di Francesco, davanti a lei, preoccupato come non mai. Si era forse persa qualcosa?
- Ehm...ciao -
- Ciao un corno, Laura Mancini! Ho perso vent'anni quando ti ho vista a terra -
"Mi sono decisamente persa qualcosa" si disse a mente, osservandosi intorno nel tentativo di ricordare qualcosa e, alla vista del parcheggio davanti alla casa stregata, un nome le balzò in testa: Angelica. Tentò subito di alzarsi, ma qualcuno glielo impedì. Solo ora vide Beatrice, accanto a lei, con la fronte aggrottata per concentrare i suoi poteri e curarle la spalla. Rimase buona un attimo, aspettando che la bionda finisse - Dov'é Angelica? Che fine ha fatto Dall'Angelo? -
- Angelica ha seguito l'Agente 2 dentro - le rispose Francesco - E non lo stava di certo aiutando -
- Cosa? -
- Hai capito bene -
- E Matteo? -
Francesco voltò il viso da una parte e lei seguì subito lo sguardo, vedendo Matteo, seduto a terra, con la schiena appoggiata al muro della casa stregata e la testa che ciondolava a destra e a sinistra. Si alzò ed andò subito a vedere se stava bene, appoggiandogli due dita sul collo, in cerca del battito e lanciò un sospiro di sollievo sentendo che il cuore che batteva ancora. Angelica l'avrebbe sicuramente uccisa se gli fosse successo qualcosa.
Controllò che stesse bene e che non avesse alcun tipo di ferita e i suoi occhi caddero su un foro di proiettile sulla maglietta, proprio al centro del petto, e vi appoggiò sopra la mano, ritraendola immediatamente.
"Ma cosa diavolo..." pensò, osservandosi la mano che non si era nemmeno sporcata di sangue. Gli alzò in fretta la t-shirt, sorridendo alla vista di un giubbotto antiproiettile dell'Agenzia - Matteo Dall'Angelo sei proprio una volpe -
Il ragazzo socchiuse gli occhi, sorridendo - Io non so schivare le pallottole come in Matrix e poi mi hai detto di prendere quello che volevo dall'armeria -
Si passò una mano nei capelli - Tutti avrebbero preso un bazooka e tu vai a prenderti un giubbotto antiproiettile -
- Beh è servito, no? -
- Hai avuto una fortuna sfacciata - sussurrò - Non saresti qui se ti avesse sparato in mezzo agli occhi -
- E tu non saresti qui se non avessi chiamato Angelica -
- Non tirartelo troppo, Dall’Angelo - disse, dandogli le spalle - Non muoverti da qui, intesi? -
Matteo non le rispose ma lei non ci fece nemmeno caso, si avvicinò a Francesco, prendendogli il pugnale riposto nella sua cintura - Io vado dentro - annunciò al ragazzo, che le afferrò subito il braccio, impedendole di proseguire.
- Non ti lascio andare da sola -
- Non è il momento di mettersi a litigare -
- Litigare non serve. Io vengo con te, punto -
Annuì - Stai attento -
- Anche tu -
***
Continuava a seguire l’Agente per diversi corridoi, avendo la strana sensazione di girare intorno e respirando affannosamente, sentendosi persino stanca. C'era qualcosa che non andava: non riusciva a spiegarsi perché la sua vista si faceva sempre meno nitida e perché le gambe faticassero a tenerla in piedi, per non parlare della ferita alla spalla e allo stomaco, che sembravano quasi bruciare.
A diversi metri davanti a lei, Agente 2 terminò la sua corsa, voltandosi verso di lei e puntandole contro la pistola: questa volta fece persino fatica e vedere i proiettili sparati dall'avversario. Ne schivò un paio, ma fu comunque colpita alla gamba, e dovette spostarsi di lato, scivolando a terra fino a sedersi sul candido ed immacolato pavimento con la schiena appoggiata al muro.
"Ma cosa mi sta succedendo?"
L’Agente 2 si lasciò sfuggire una lunga e fredda risata, mettendosi entrambe le mani sui fianchi - Pensi davvero di poter usare il siero contro di me? - domandò lui, avvicinandosi appena - Io conosco il punto debole del siero, non sono così stupido come credi -
Prese un respiro profondo e si alzò di scatto, attaccandolo. L’Agente schivò con facilità entrambe le lame delle sue katane, parando ogni attacco con un lungo pugnale che, per tutto il tempo aveva tenuto nascosto nella cintura dei pantaloni. Indietreggiò subito con un balzo, osservando le sue mani che avevano iniziato a tremare in modo incontrollato, facendole perdere la presa su entrambe le katane, che scivolarono a terra con diversi tintinnii acuti.
“Perché mi sta accadendo questo?” si domandò “Poco prima non sentivo né dolore, né stanchezza, ed ora fatico a tenermi in piedi e ad impugnare due katane”
Si riscosse immediatamente, schivando il pugnale lanciato dall’avversario, ma fu immediatamente messa in ginocchio, bloccata dall’uomo, che le torceva il braccio sinistro con forza. Tentò immediatamente di liberarsi, ma lanciò un grido sentendo l’osso spezzarsi.
L'Agente 2 l'afferrò per i capelli, facendole sbattere la testa contro il muro del corridoio più e più volte. Solo quando l'avversario smise di percuoterla vide il sangue sporcare la piastrelle di porcellana del muro e colare lentamente verso il pavimento. Si mise a sedere per terra, togliendosi con il dorso della mano il sangue che, dalla fronte, scivolava sempre più in giù. Ogni secondo che passava si sentiva sempre più stordita e persino debole. Fece dei respiri profondi e lanciò un'occhiataccia all'uomo al suo fianco, così sicuro di poterla battere così facilmente.
- Oh, non guardarmi così - disse lui in un sussurro, tenendo sempre quel ghigno sul viso - Piccola Angelica, perché continui a resistere? Unisciti a me, insieme comanderemo l'Agenzia -
Quella domanda la fece infuriare ancora di più: l'Agente, dopo aver sparato a Matteo, aveva la faccia tosta di chiederle di unirsi a lui. Si mise in ginocchio, lentamente, raddrizzandosi subito dopo ed tenendo una mano appoggiata al muro per evitare di crollare a terra - Tu lo hai ucciso -
- Non ti serviva a nulla, Angelica. Era solo d'intralcio alla nostra missione. Credimi, l'ho fatto per il tuo bene -
- Lo hai fatto per il bene della TUA missione, vecchio. Io non ho niente a che fare con te -
- Allora, se non sei dalla mia parte, é inutile dirti perché ti senti così debole. Oppure posso darti una possibilità di dimostrarmi il contrario - sussurrò l'uomo, guardando oltre la sua spalla con un ghigno malefico stampato sulle labbra arricciate in modo alquanto strano. Voltò lo sguardo a sua volta, osservando una ragazza e un ragazzo, entrambi biondi e della stessa altezza: lei impugnava un lungo coltello, mentre il ragazzo le puntava contro due pistole.
Sorrise ricordandosi di Laura, la sua peggiore nemica/amica, e Francesco, il ragazzo che l'aveva estratta dai rottami dell'Alfa durante la missione a villa Leferve, ma la sua allegria sparì immediatamente, lasciando il posto ad una bella lampadina tondeggiante che si accese nella sua testa: aveva un piano. Si mise in piedi, staccandosi dal muro, ed avanzò verso i due Agenti, visibilmente terrorizzati nel vederla ridurre la distanza che li separava, schivò le pallottole sparate dal ragazzo e lo attaccò.
***
Non riuscì a fermare Angelica in tempo: fu scaraventata da una parte e dovette osservare la ragazza colpire Francesco, lanciandolo a sua volta contro il muro. Quando gli si avvicinò le lanciò contro il pugnale: la mora si voltò all'ultimo istante per afferrarlo al volo e la guardò intensamente. Era uno sguardo diverso da quello che aveva visto mentre combattevano e si chiese se Angelica avesse trovato un po' di senno.
Il demone le rilanciò il pugnale, che si piantò nella parete dov'era appoggiata, a pochi centimetri dal suo orecchio, poi tornò sul ragazzo, afferrandolo per le spalle ed avvicinandosi al suo collo. Non riuscì a fare niente: Francesco sgranò gli occhi e li richiuse subito quando la ragazza lo fece appoggiare al muro.
Quando Angelica si voltò si lanciarono uno sguardo di fuoco, proprio come ai vecchi tempi, poi le sorrise, pulendosi il rivolo di sangue che le scendeva da un angolo della bocca. Non appena vide il morso sul collo del suo ragazzo, sentì una furia cieca annebbiarle la mente, divelse il pugnale dalla parete e si lanciò contro di lei. Sapeva di non avere speranze ma lo fece ugualmente.
Al primo affondo, Angelica le afferrò il polso destro e lo piegò in modo innaturale, costringendola a lasciare la presa sul pugnale e ad inginocchiarsi a terra. Poteva quasi sentire il suo polso scricchiolare sotto la presa della mora.
Chiuse gli occhi, pensando che non poteva lasciarla vincere, non poteva dopo quello che aveva fatto a Francesco, così strinse i denti: non le importava di morire, ma avrebbe trascinato Angelica con lei. Afferrò il pugnale con la mano sinistra e glielo piantò nella gamba, appena sopra il ginocchio. Angelica non lasciò la presa, ma si inginocchiò di fronte a lei, pronta a colpirla di nuovo diritta al cuore. Estrasse il pugnale dalla gamba dell'avversaria, ma la mora le bloccò subito la mano, avvicinandosi per morderla.
Si stupì di sentire la solita voce della ragazza e non il morso.
- Francesco sta bene, ma ho bisogno del tuo aiuto - le disse lei in un sussurrò - Allontanami con una testata e stai al gioco -
Sorrise, allontanandola con una forte testata, sperando di non averle fatto male, e la osservò allontanarsi come una ginnasta con dei salti mortali all'indietro per poi raccogliere la sua solita katana.
***
Si voltò subito verso la spia, facendo un piccolo cenno del capo - Mi perdoni, mio signore. Chieda qualunque cosa e sarà fatta -
L'Agente 2 le sorrise, facendo poi un cenno del capo per indicare Laura - Uccidila, poi penseremo ai sopravvissuti nel parcheggio -
- Come desidera - sussurrò, voltandosi verso Laura ed attaccandola subito. Con ogni attacco tentò di moderare la forza che il siero le aveva donato e che ora era ritornata. Intuì subito che doveva bere regolarmente sangue per preservare la sua forza. Continuò per un po' di fingere di combattere contro Laura, che parava con facilità ogni suo attacco, bloccando a lama bianca della katana con quella del pugnale; poi mosse appena le labbra, comunicando alla ragazza altre istruzioni.
La disarmò immediatamente, togliendole il pugnale di mano e puntandoglielo alla gola, terminando il combattimento.
- Cosa aspetti 33? Ti ordino di ucciderla -
Si voltò verso l'Agente, sperando che cadesse nella sua trappola - Mio signore, questa ragazza potrebbe tornare utile, ma se mi ordinate di ucciderla lo farò - disse ed alzò la katana, osservando Laura negli occhi.
- Cosa intendi per tornare utile? -
Si voltò di nuovo - Potrebbe usare il siero su di lei. Obbedirà ai suoi ordini seppur contraria -
L'Agente 2 si portò una mano al mento, valutando la proposta appena fatta, poi le fece gesto di farla avvicinare. Annuì, afferrando la ragazza per un braccio e, sperando di non farle troppo male, la lanciò verso l'uomo. Laura, in ginocchio di fronte a lui, alzò appena lo sguardo.
- Cosa ne pensi della proposta della tua amica, Mancini? -
- Ci sarà qualcun altro a fermarti al mio posto, bastardo traditore -
Si avvicinò alla ragazza a terra e le diede un forte calcio al fianco, facendola crollare a terra - Non osare rispondere, schifosa sgualdrina! -
- Non fa niente 33, non preoccuparti - la rassicurò lui, concentrando la sua attenzione su di lei - Ti sei comportata bene -
- Grazie, mio signore -
- Ma temo di non aver bisogno di lei - disse l'Agente, abbassando lo sguardo su Laura, ancora stesa a pancia in giù sul freddo pavimento - Uccidila -
Si tolse il rivolo di sangue che colava dalla ferita alla fronte ed annuì, gettando a terra il pugnale della bionda per afferrare la katana con entrambe le mani, per poi tenere la punta dell'arma rivolta verso il basso, verso Laura - Come desidera, mio signore - sussurrò, dando un altro calcio alla ragazza per farla voltare a pancia in su. Strine forte l'elsa della spada e l'abbassò velocemente, cambiando direzione all'ultimo secondo. Sentì la lama farsi largo tra la carne dell'Agente 2 e tingersi di rosso, rosso sangue, lo stesso sangue che scivolava fino alla guardia della katana per poi gocciolare a terra con dei sonori plik plik. Alzò lentamente gli occhi, puntandoli in quelli neri del suo vero avversario, sgranati per lo stupore e l'incredulità, e sorrise nell’estrarre la katana dallo stomaco dell'Agente 2 con uno strattone veloce, lasciando che l’uomo si sedesse a terra, indietreggiando lentamente sui talloni, portandosi la mano destra alla ferita appena inferta, osservando il sangue sporcargli il palmo - Com'é possibile? Tu non puoi fare questo... -
Sorrise, sentendo qualcosa di diabolico prendere per un momento il controllo sul suo corpo, ed avanzò senza alcuna fretta verso il suo vero nemico - Oh, io credo di sì -
Sul viso dell’uomo si dipinse un’espressione di terrore e i suoi occhi scuri guizzavano a destra e a sinistra in cerca di una via di fuga - Ragiona 33, non siamo poi tanto diversi...tu e io -
Sentì la rabbia montarle nel petto e piantò la katana nel pavimento, affondando la lama nel pavimento - Noi siamo totalmente diversi -
L'uomo indietreggiò ancora, come se fosse un enorme granchio, arrivando alla fine del corridoio, toccando appena la parete. Lo vide mettersi a sedere e trafficare con qualcosa che, probabilmente, teneva nascosto dietro la schiena - Ragiona ragazza, se ti unisci a me...vivrai nel lusso -
- L'hai ucciso...-
- Era solo un ragazzo -
Si avvicinò all’uomo, veloce come un fulmine, lo afferrò per il collo, riuscendo a sollevarlo benché fosse tre volte più grosso di lei e gli fece sbattere la schiena contro la parete del corridoio - Questo e per tutto quello che mi hai fatto passare - disse, dandogli un forte pugno proprio sulla ferita che gli aveva appena inferto, facendolo gemere di dolore - Questo è per Manuel - aggiunse con un altro pugno.
- Ti prego Vetra, possiamo controllare l'Agenzia! - urlò l'uomo, in preda al panico, mentre un rivolo di sangue gli usciva dalle labbra.
Finse di non sentire e gli diede un altro pugno - Questo é per la Direttrice e questo... - iniziò alzando la mano, pronta ad affondare le dita nel petto dell'uomo per strappargli il cuore, gettarlo a terra per sputarci sopra e calpestarlo - Questo è per Matteo, questo é per il ragazzo più buono che ho incontrato e che tu mi hai portato via -
Caricò il colpo, assaporando già la sua vendetta, ma si bloccò all’ultimo istante nel sentire la voce calma e fredda di Laura, che le urlò di fermarsi. Si voltò verso di lei, fulminandola con lo sguardo - Perché dovrei fermarmi? È quello che si merita -
- Non saresti migliore di lui - rispose lei, rimanendo a distanza.
- Non è una buona ragione per lasciarlo in vita -
- Angelica, sei accecata dalla rabbia. Lascia che me ne occupi io, marcirà in una cella fino alla fine dei suoi giorni -
- Ha ucciso Matteo! -
- Matteo non è morto, Angelica - disse Laura, rimanendo immobile - E sta più che bene -
Abbassò la mano che aveva preso a tremare lievemente in modo incontrollato e si lasciò sfuggire una lacrima - È vivo -
- Sì. Ora lascia quel bastardo, me ne occupo io -
Fece un respiro profondo e strinse i denti, voltandosi verso l’Agente 2, rimasto in silenzio per tutto il tempo - No -
- Vetra, non fare la stupida -
Strinse maggiormente la presa sul collo dell’uomo, osservandolo dimenarsi per tentare di liberasi, e fece dei respiri profondi - C’è una cura al tuo siero? -
Sul volto dell’Agente, ormai paonazzo, si disegnò un malefico sorriso. Quel gesto la fece irritare ancora di più e gli fece sbattere la nuca contro il muro, aumentando la presa - Rispondi! -  
L’uomo spalancò la bocca, annaspando, in cerca di ossigeno - Un mese...- riuscì a dire lui - L’effetto termina...dopo un mese -
Allentò un po’ la presa, leggermente frastornata per la notizia “E adesso?” si domandò, liberando l’avversario per lasciarlo sedere a terra, tossendo “Cosa posso fare?”
Scosse la testa con vigore: avrebbe pensato più tardi sulla soluzione a quel problema, ora c’erano domande più importanti a cui dare risposta.
- Perché mi indebolisco se non bevo sangue? -
L’Agente 2, seduto a terra, alzò lo sguardo - È nella natura dei demoni ed ora anche la tua. Se non bevi sangue umano diventerai sempre più debole e morirai -
Voltò appena il viso verso l’amica e le fece un piccolo cenno - Occupati di Francesco -
- Angelica non...-
- Non preoccuparti - sussurrò appena, tornando ad osservare il suo avversario seduto a terra, sentendo subito gli occhi bruciare - Gli amici che ha portato dalla sua parte sarebbero molto contenti di vedere il loro grande capo ridotto in questo stato. Si arrenderanno e tutto sarà finito -
Si avvicinò, lo afferrò per il bavero della camicia stropicciata e sporca di sangue, e lo fece alzare in piedi, pronta a trascinarlo fuori con le buone o con le cattive, ma rimase comunque allerta: lo conosceva bene ed era sicura che avrebbe fatto di tutto per liberarsi. L’Agente 2, infatti, approfittò subito di quella situazione e, dopo aver indietreggiato con la gamba sinistra, estrasse il piccolo stiletto che nascondeva poco prima, tentando di colpirla. Riuscì a piegare in tempo la testa per schivare la lama, che le disegnò un sottile taglio sullo zigomo, e gli afferrò il polso con la mano destra, facendogli perdere la presa sull’arma, mentre con la sinistra gli afferrò il braccio, all’altezza del gomito, spingendolo poi in avanti. Una volta a terra, gli piegò il braccio subito dopo avergli appoggiato il ginocchio sulla scapola, torcendolo finché non sentì l’uomo lanciare dei lamenti soffocati - Fallo ancora e giuro che ti rompo il braccio -
L’uomo riuscì in qualche modo a liberarsi dalla sua presa e la allontana con una spinta, facendole sbattere la schiena contro il muro. Vide l’Agente alzarsi in piedi e scagliarsi verso di lei, afferrandole la vita. Si lasciò sfuggire una risata, ripensando ai vecchi tempi quando l’Agente 2 la allenava - Sei troppo vecchio per fare queste cose - disse, afferrandogli il polso destro dell’avversario per tirargli il braccio verso il basso e, dopo un piccolo giro ed uno sgambetto, riuscì a scaraventarlo con violenza a terra.
- Ora tu verrai con me senza fare storie - sussurrò, dandogli un forte calcio al fianco per metterlo a pancia in su, appoggiandogli il piede sulla gola - Chiaro? -   
Raccolse lo stiletto e lo fece alzare, facendolo avanzare lentamente verso l’uscita, con la piccola lama puntata alla schiena e ripercorsero i vari corridoi per tornare all’uscita. Nel salire le scale sentiva degli strani pensieri girarle nella testa e diverse emozioni pervaderle il corpo: era furiosa con l’uomo che camminava davanti a lei per tutto quello che le aveva fatto, era contenta che quella storia finisse, sentiva che lasciare in vita quell’uomo era uno sbaglio ed era eccitata all’idea di poter vedere Matteo sano e salvo. Una volta giunti all’entrata della casa stregata buttò giù la porta di legno marcio, provocando un grande tonfo ed attirando l’attenzione di tutti. Portò lo stiletto alla gola dell’Agente 2 dopo averlo messo in ginocchio - Deponete le armi, immediatamente -  
Gli Agenti al servizio della spia, dopo un attimo di esitazione, obbedirono, mentre gli altri alzarono le mani al cielo per festeggiare la loro vittoria. Voltò appena lo sguardo e lanciò un sorriso a Matteo, vivo e vegeto, poi guardò Beatrice, che curava J. da un brutto taglio sul viso, ed infine Alberto, in mezzo alla folla.
Si riscosse dai suoi pensieri nel vedere l’Agente 2 piegarsi in avanti e tossire, sputando a terra degli schizzi di sangue, e per un attimo provò pietà per quell’uomo, quell’uomo così pazzo da credere nel suo folle piano che stava quasi per realizzare.
La spia l’afferrò per un braccio, per strapparle di mano lo stiletto, ma quando non ci riuscì si alzò in piedi e prese a correre, nel vano tentativo di fuggire. Veloce come un fulmine, in un battito di ciglia gli tagliò la strada, frenando immediatamente la sua fuga - Scappare è inutile, affronta la tua sconfitta con dignità -
- Verranno altri dopo di me, 33! - urlò l’uomo, ormai praticamente circondato dagli Agenti che aveva rinchiuso qualche ora prima nelle celle anti-demone - Non credere che nessuno ci riprovi! E tu non potrai fare niente per fermarli! Ti resta solo un mese ed andrai all’inferno ancor prima di me -  
Abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire una risata, una risata fredda che attirò lo sguardo di tutti i presenti, i quali, probabilmente, si chiedevano se era impazzita o se stava andando fuori di testa proprio in quel momento - E chi l’ha detto...- iniziò, tornando a guardare l’uomo negli occhi - Che ci andrò prima io all’inferno? -
Fu un secondo: l’Agente 2 spalancò la bocca, portandosi entrambe le mani alla gola, dove si poteva notare il manico dello stiletto che aveva appena lanciato, già coperto dagli schizzi di sangue. Dopo dei lamenti soffocati, l’uomo crollò a terra e dopo alcuni secondi di agonia, il corpo rimase immobile.  
Alzò lo sguardo, osservando Laura, all’entrata della casa stregata che aiutava Francesco a stare in piedi. Si fece largo tra la folla e raggiunse l’entrata dell’Agenzia, ma quando passò accanto alla ragazza, questa la bloccò, appoggiandole una mano sulla spalla - Ed ora? Cos’hai intenzione di fare? -
Lanciò un sospiro, abbassando lo sguardo - Chiudimi in una cella anti-demone e non farmi uscire prima di un mese -
- Hai sentito quello che ha detto - farfugliò lei, tenendo lo sguardo puntato sull’uomo riverso a terra in mezzo al parcheggio, in una pozza di sangue - Pochi sopravvivono -
- Allora non ci resta che sperare -
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Capitolo 57
*** Capitolo 57 ***


Martedì, 8 settembre 2009
Era ancora rinchiusa in quella orrenda stanza. Ogni volta che apriva gli occhi sperava di risvegliarsi nella sua camera, a casa sua, ma ogni volta si trovava davanti quella stanza anti-demone, senza alcuna finestra, senza alcun arredo, senza niente a parte il letto e uno specchio appeso al muro. Lanciò un sospiro, mentre le sue speranze di libertà crollavano come un castello di carte. Si mise a sedere, osservando lo specchio proprio di fronte al letto che rifletteva la sua immagine, l’immagine di una ragazza che mostrava al mondo una maschera e a pochi il suo cuore per paura di non essere amata. Distolse immediatamente lo sguardo quando guardò il suo riflesso negli occhi, del colore del sangue, ed osservò intensamente il pavimento di marmo bianco, chiudendo poi gli occhi ed immaginando un prato verde che si estendeva a perdita d’occhio, il cielo azzurro solcato da nuvole bianche, che le ricordavano la panna montata, e gli uccellini che cinguettavano allegri inseguendosi nel cielo.
Quando sentì la porta della cella aprirsi con un sibilo dovette riaprire gli occhi e si sentì quasi soffocare dalle quattro mura che la circondavano e che la tenevano prigioniera. Quando sentì la porta della cella aprirsi con un ronzio, alzò subito lo sguardo, osservando Matteo, fermo sulla soglia, e lo salutò con un debole sorriso.
Matteo era l’unica persona che riusciva a farle dimenticare quella sensazione di prigionia venendo a trovarla tutte le volte che poteva, restandole accanto anche quando quello strano lato oscuro, causato dal siero ancora in circolo nel suo corpo, prendeva il sopravvento, trasformandola in un mostro assetato di sangue e pronto ad uccidere chiunque si avvicini. Ma, stranamente, ogni volta che perdeva il controllo non gli faceva mai del male e Matteo sembrava sentirsi perfettamente a suo agio chiuso nella cella con un mostro.
- Come stai oggi? -
Lanciò un’occhiata al muro di fronte a lei, osservando i quattordici graffi sul muro che indicavano i giorni che aveva passato lì dentro, e lanciò un sospiro - Come ieri -
Matteo piegò la testa di lato, deluso dalla sua risposta e si sedette sul letto, accanto a lei - Sono passate due settimane, devi stringere i denti e lottare -
Scosse la testa, passandosi una mano nei capelli - Non serve a nulla lottare, Matteo. Devo solo starmene rinchiusa qui ed aspettare - disse in un sussurro - Sono poche le possibilità che io...-
- Devi smetterla di dire queste cose, ok? Non é da te fare discorsi del genere - disse il ragazzo, portandole due dita sotto al mento per farle rialzare lo sguardo - Ok? -
Annuì, tornando subito a fissare il pavimento - Ok -
Dopo la sua breve risposta nella cella calò un lungo silenzio, rotto soltanto dal fastidioso ronzio provocato dalle telecamere che controllavano la stanza. Solo dopo alcuni ed interminabili minuti Matteo si schiarì la voce - Marco mi ha detto che ti rifiuti di bere sangue. É la verità? -
Erano giorni che non beveva più sangue e tutto questo per poter attuare un folle piano rinchiuso nei meandri della sua mente - Sì -
- Angelica, non serve a niente comportarsi così -
Lanciò un sospiro: Matteo non poteva capire. Non capiva che stava andando fuori di testa e che parlava da sola, oppure fingeva un discorso con le persone al di là delle telecamere. Non poteva capire il motivo di tutte quelle volte che aveva pensato di uccidersi e di tutte volte che era ad un passo dal farlo.
- Vuoi spiegarmi perché ti comporti così? -
Scosse la testa, nel vano tentativo di ignorare quelle voci nella sua testa - É parecchio che penso a...-
- A cosa, Angelica? -
Scosse la testa, tentando di mantenere il controllo, fissando intensamente il vuoto davanti a lei - Niente, non preoccuparti - sussurrò. Decise in quell’istante di attuare il suo piano. Si alzò in piedi, facendo alzare anche Matteo e gli afferrò entrambe le mani, osservandolo intensamente, mentre sentiva aumentare un’energia nel suo corpo - Perdonami per quello che sto per fare - disse, concentrandosi sulle iridi blu del ragazzo - Uccidimi - gli ordinò fredda.
Matteo sgranò gli occhi - Cosa? -
Non smise di fissarlo, mantenendo il contatto visivo: sapeva che, anche con quelle poche energie, poteva controllarlo, come se fosse sotto ipnosi - Vai a prendere la mia katana e torna qui -
Matteo si staccò da lei e, come uno zombie, uscì dalla cella. Attese solo un paio di minuti prima che il fidanzato tornasse con in pugno la sua katana.
- Togli il fodero -
Il ragazzo obbedì, gettando la saya nera a terra e lei gli si avvicinò lentamente, gettandogli le braccia al collo e sorridendogli - Uccidimi...ti prego, non ce la faccio più a restare qui dentro -
Il braccio di Matteo si mosse lentamente e lei chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire una lacrima. Il dolore al ventre che avvertì poco dopo fu insopportabile e strinse subito i denti nel sentire la lama affilata come non mai farsi strada nella sua carne, trapassandola da parte a parte.
Sgranò gli occhi e lanciò un gemito roco, abbassando lo sguardo per abbassare subito dopo lo sguardo sul sangue rosso vivo che scivolava lungo la lama, gocciolando a terra. Chiuse gli occhi per pochi secondi e li riaprì subito dopo, rialzando lo sguardo per osservare Matteo, che sembrò svegliarsi dal suo controllo, guardandola con espressione confusa e spaventata - Angelica -
Sorrise nuovamente, ignorando un rivolo di sangue che colava da un angolo della bocca - Perdonami -
***
- Angelica cos'hai fatto? -
- Non ce la faccio più - ripeté lei - Scusami, ti prego -
La ragazza appoggiò la mano sulla sua, che stringeva ancora la katana, e gli fece estrarre la spada con un movimento rapido prima di crollare a terra, prossima alla fine. Lasciò cadere la katana a terra e si inginocchiò accanto alla ragazza, togliendole i capelli dal viso - No...- sussurrò piano, accarezzandole il viso - Non morire -
Angelica socchiuse appena gli occhi, verdi come quelli di sempre, e gli sorrise, afferrandogli la mano per stringerla lievemente - Ti prego, esci di qui -
- Non ti lascio qui -
- Potrei attaccarti e farti del male per...il tuo sangue -
“Il sangue” si disse a mente, impugnando la spada abbandonata a terra al suo fianco - Tu hai bisogno di sangue per guarire - sussurrò appena, avvicinando la lama già sporca di sangue alla sua mano disegnando un taglio carminio sul palmo. Avvicinò subito la mano alle labbra della ragazza, ancora più pallida, che però piegò la testa di lato, come un bambino che non voleva mangiare la verdura.
- Non fare la stupida, Angelica! -
Lei batté il pugno a terra, arrabbiata - Vattene! - urlò, lanciando poi un ringhio cupo che lo fece rabbrividire. Vide i canini della ragazza allungarsi e gli occhi diventare rossi.
Avvicinò ancora la mano e poi fu un attimo: Angelica lo aveva afferrato per la gola e si era messa a cavalcioni sopra di lui, bloccandogli ogni via di uscita. Sentì per un attimo il suo respiro freddo sul collo ma la mora si spostò di lato, sedendosi a terra e prendendosi la testa tra le mani, lanciando un grido.  
Le si avvicinò e le porse nuovamente la mano ferita - Mancano solo due settimane, non mollare proprio adesso -
Angelica scoppiò in lacrime - Io non ce la faccio. Non ho la forza di resistere -
- La forza non deriva dalle capacità fisiche, ma da una volontà indomita. E tu ne hai da vendere - disse avvicinando ancora di più la mano, dalla quale iniziava a gocciolare del sangue - Non mollare -
La ragazza, dopo alcuni ed interminabili secondi, gli afferrò delicatamente il braccio ed appoggiò le labbra sul suo palmo affondando appena i denti nella carne. Il morso non fu così doloroso come pensava, assomigliava allo stesso morso che ogni tanto Artemide gli dava al dito quando la infastidiva troppo.
Angelica continuò a bere lentamente per un minuto, o forse di più, ed ogni volta che la sentiva deglutire sentiva la testa farsi sempre più pesante. Sussurrò appena il suo nome, sperando che la fidanzata si fermasse e così accadde: Angelica si alzò di scatto in piedi e, con un elegante balzo, si allontanò il più possibile da lui - Io...scusami -
- Angelica, é tutto a posto - sussurrò stringendosi la mano, alzandosi in piedi per avvicinarsi alla ragazza, leggermente scossa e preoccupata.
- Stai lontano Matteo, ti prego - sussurrò lei, rifugiandosi in un angolo della cella - Dovresti uscire -
- Va tutto bene, stai tranquilla -
- No Matteo, non va tutto bene...ti prego, esci immediatamente da qui - disse la ragazza, stringendo con forza i pugni nel tentativo di calmare il tremore alle mani.
- Perché? - domandò, senza aggiungere altro, ascoltando il cupo ringhio che la ragazza emetteva, ed osservandola avanzare verso di lui. Quella scena gli ricordava quella sera, nel parcheggio davanti alla casa stregata, quando Angelica era praticamente fuori controllo e il suo sguardo freddo lo fece rabbrividire ed indietreggiare al tempo stesso “Forse uscire da lì non era una cattiva idea” pensò.
Dopo un altro ringhio Angelica gli fu addosso, afferrandolo per un braccio e scagliandolo contro il muro: si sedette immediatamente a terra, portandosi una mano alla nuca. Quando rialzò lo sguardo la mora era seduta sopra di lui, con la bocca curvata in un diabolico sorriso e i bianchi canini affilati che spiccavano sulle labbra rosee. Poco prima che la ragazza riuscisse a morderlo, un acuto e fastidioso suono riempì la cella: Angelica si allontanò immediatamente con un grido, portandosi le mani alle orecchie. Si voltò verso la porta d’entrata ed osservò J., con un piccolo telecomando in mano, che gli fece segno di uscire. Obbedì senza discutere e non appena la porta si chiuse il rosso premette il pulsante sul telecomando e il misterioso suono sparì.
- Stai bene? - gli domandò lui.
Annuì - Perché hai acceso quel suono? -
- Angelica non sopporta i rumori forti - gli rispose l’Agente - Dovresti tornare tra qualche ora, quando si sarà calmata. Intanto ti conviene andare in infermeria da Beatrice -
Fece un piccolo cenno e si allontanò dalla cella, un po’ preoccupato per Angelica.
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Martedì, 22 settembre 2009 - ore 19.43
Erano passate le fatidiche due settimane.
Angelica si era calmata dopo il suo stupido tentativo di suicidarsi e passava ogni altro giorno a giocare a Risiko con lui ed Elisabeth, ma molto spesso giocavano soltanto loro due, mentre lui le osservava dall’ufficio di J. pronto ad intervenire nel caso in cui Elisabeth avesse provato ad uccidere la mora facendole ingoiare i carri armati per averle tolto un territorio.
In quei giorni, benché Angelica sembrasse star bene, in realtà si faceva sempre più nervosa, ora dopo ora, in attesa della tempesta. Quando era arrivato degli Agenti gli avevano consigliato di non entrare e di lasciarla un po' sola e così, un po’ riluttante, era andato in infermeria, da Beatrice, in attesa di buone notizie.  
Seduta accanto a lei c'era Elisabeth, preoccupata come non mai, che si mangiava le unghie e chiedendo l'ora ogni cinque minuti, poi c'era anche Laura, appoggiata al muro con le braccia incrociate con fare da dura, mentre osservava intensamente le piastrelle immacolate del pavimento.
- Volete un caffè? - domandò Beatrice, tentando di ravvivare l'atmosfera nell'infermeria.
- Mi sembra un'ottima idea. Prendiamoci un caffè così facciamo avanti e indietro per ore - borbottò Elisabeth - Che idea grandiosa, Beatrice -
- Almeno io non mi mangio in modo psicotico le unghie fino a strapparmi la pelle dal dito -
- Smettetela voi due - ordinò Laura, senza distogliere lo sguardo dal pavimento - O vi faccio smettere io se non la piantate -
Lanciò un sospiro, grato che Laura avesse messo fine alla brevissima discussione tra Elisabeth e Beatrice. Lo avrebbe fatto lui, ma era troppo occupato ad osservare in modo assente lo screensaver del computer fatto di tubi colorati in 3D.
- Secondo voi quanto dovremmo aspettare rinchiusi qui? -
- Smettila di fare domande, Elisabeth - rispose stancamente.
- Non vorresti saperlo anche tu? -
Fece per rispondere, ma voltò immediatamente lo sguardo quando la porta dell’infermeria si aprì di colpo, battendo con forza contro il muro, mostrando la figura di J. con il fiatone e che tentava comunque di dire loro qualcosa. Capì solo l'ultima parola del suo lungo ed incomprensibile discorso pieno di sospiri e parole senza senso, e quando l'Agente fece il nome di Angelica scattò subito in piedi, correndo fuori, seguito a ruota da J., Beatrice, Elisabeth e da Laura.
Quando entrò nella cella rimase sconcertato alla vista della ragazza sul letto in preda ad un dolore atroce, che stringeva con forza le lenzuola e urlava come non mai. Non riuscì a fare nulla, solo a restare lì immobile.
Elisabeth, già con gli occhi colmi di lacrime, si avvicinò al letto, afferrando una mano all’amica per stringerla forte ed urlarle che era lì con lei e che sarebbero tornate a casa. Per tutta risposta, Angelica si portò una mano al petto come se volesse strapparsi il cuore ed urlò ancora più forte.
Tutto avvenne in così poco tempo che non riuscì nemmeno a capire cosa fosse successo: la ragazza, dopo un ultimo urlo, si abbandonò sul letto e voltò il viso madido di sudore verso di lui. Dopo aver mosso appena le labbra e sussurrato appena qualcosa, Angelica gli sorrise e chiuse gli occhi, lanciando un sospiro.
Sentì il pavimento mancargli da sotto i piedi e riuscì soltanto a guardare la ragazza sul letto senza riuscire a muoversi o piangere.
***
Dopo aver afferrato Angelica per le spalle e dopo averla scrollata un po', si voltò verso la porta, osservando Matteo, Laura, J. e Beatrice con le lacrime agli occhi - Vi prego...aiutatela -
Soltanto Beatrice si precipitò al fianco dell'amica, appoggiando due dita sulla carotide in cerca del battito, ma quando la vide tastare in diversi punti del collo ed iniziare a piangere si sentì morire.
- Beatrice, ti prego...-
La ragazza alzò appena lo sguardo, puntando gli occhi azzurri colmi di lacrime nei suoi - Non posso...- disse in un sussurro appena udibile - Non posso -
- Perché no? Tu puoi curarla, puoi salvarla! - urlò in preda alla rabbia, incapace di accettare la situazione.
- Non posso...é troppo tardi -
Sperò che Beatrice non avesse mai detto quelle ultime tre parole che continuarono a girarle per la testa e a ripetersi all'infinito. Scoppiò in lacrime, abbracciando un'ultima volta l'amica sdraiata sul letto, che sembrava quasi dormire, poi, quando le gambe non riuscirono più a reggere il suo peso, crollò a terra, abbracciando Matteo che era arrivato subito al suo fianco, cercando di consolarla e di consolarsi a sua volta.
- Non c'è più - farfugliò appena, stringendo con forza la maglia del ragazzo - Non c'è più -
Qualcuno si schiarì la voce e tutti si voltarono: proprio alle spalle di J. e Laura, una donna dai lunghi capelli bianchi in un elegante abito da sera blu - Forse io posso fare qualcosa -
***
Alla vista di Jane, Laura portò subito una mano alla pistola, mentre J. si allontanò da quella stupenda creatura sulla porta pensando che fosse malvagia. Si alzò in piedi e bloccò Laura - É un'amica, non preoccuparti -
L'Elementale fece un radioso sorriso a tutti i presenti, rassicurandoli.
- Jane, cosa fai qui? -
- Mio caro Matteo...so la parola d'ordine - rispose Jane con un sorriso, avvicinandosi al letto per osservare con attenzione il corpo senza vita di Angelica.
- Puoi fare qualcosa? - domandò speranzoso all'Elementale, che sorrise lievemente.
- Perché tutti mi sottovalutano? Sono o non sono l'Elementale dell'acqua? - domandò lei, sistemandosi una ciocca di capelli bianchi dietro l'orecchio, avvicinandosi subito dopo alle labbra di Angelica, appena socchiuse, come se volesse baciarla. A pochi millimetri da lei, il demone soffiò appena, allontanandosi subito dopo, sussurrando delle parole a lui ignote.
Jane accarezzò la fronte alla mora e sorrise - Torna a vivere, cacciatrice. Torna a vivere accanto alle persone che ami -
***
Tutto quello intorno a lei era di un bianco accecante. Non riusciva a distinguere il pavimento dal soffitto e nemmeno le pareti: sembrava levitare in aria ma camminava su una superficie solida.
Avanzò lentamente come se fosse completamente cieca ma dopo un po' si fermò, osservando l'unica figura, oltre a lei, che spiccava tra il bianco proprio perché vestita di nero.
Rimase di stucco nel vedere la Direttrice dell'Agenzia voltare la sedia a rotelle per guardarla negli occhi.
- Ciao Angelica -
Sospirò - Stavolta sono morta, vero? -
- Forse sì e forse no - rispose la donna, avvicinandosi.
- Dove siamo? -
- Nemmeno a questo so risponderti, ma assomiglia tanto alla scena di Harry Potter e i doni della morte, pagina 648 capitolo 35 -
Inarcò un sopracciglio, confusa - Sto sognando o sono impazzita -
- Non sei impazzita -
- Quindi sto sognando -
- Forse -
Sbuffò - Lo sa che queste risposte non mi sono mai piaciute, vero? -
- É solo per quello che le dico -
Scosse la testa e le sorrise - Lo sapevo -
- Ma adesso c'è una cosa più importante che devi fare -
- E quale sarebbe? -
- Svegliati -
Quando la Direttrice sussurrò quelle parole tutto quello intorno a lei prese a girare e in un attimo fu avvolta dal buio.
- Torna a vivere, cacciatrice. Torna a vivere accanto alle persone che ami -
Socchiuse appena gli occhi, tentando di mettere a fuoco le quattro figure che la sovrastavano: riconobbe immediatamente Matteo sentendolo chiamare il suo nome, ma non riuscì a capire chi fossero le altre tre figure.
- Ma sono una grande! Ha funzionato! -
- Tu non sapevi se avrebbe funzionato?! - esclamò Matteo.
- Beh, ha funzionato, no? -
Lanciò un sospiro, riconoscendo quella voce - Jane? -
- Ehi, bambolina. Mi devi due mojito -
- Che ci fai qui? - domandò confusa.
- Ho sistemato dei tuoi amichetti a Berlino, poi mi sono fermata ancora a Monaco e sono appena arrivata a Verona - le raccontò brevemente il demone - E baciati le manine che sono qui, altrimenti saresti veramente morta -
Si portò una mano alla fronte, ricordando l’accaduto del mese appena trascorso - Il siero? -
- L'effetto é finito. Ora sei salva -
Con fatica si mise a sedere, passandosi una mano nei capelli e respirò profondamente, ringraziando il cielo di essere ancora viva e guardò Matteo, al suo fianco, che rideva e, contemporaneamente, piangeva di gioia, proprio come Elisabeth, che l’abbracciò con forza, come un boa che stritola la preda, e che gridava talmente forte da poter rompere un bicchiere di cristallo. Soltanto ora riconobbe Beatrice, vicino al letto, e J. e Laura sulla porta. Nemmeno il tempo di dire qualcosa che altra gente entrò nella cella, intrappolandola in un abbraccio di gruppo.
Francesco le scompigliò i capelli, Marco le diede delle pacche sulla schiene, Alberto le diede dei baci sulle guance e, quando finalmente la liberarono dall’abbraccio, altri Agenti le strinsero la mano.
- Insomma, lasciatela respirare! - esclamò Marco, allontanando tutti eccetto Matteo. Il Lumpa-lumpa le diede una pacca sulla schiena - Complimenti 33, adesso sei tu la Direttrice -
Sorrise e scosse la testa - No, ti sbagli -
A quelle parole, alcuni dei presenti si zittirono, altri iniziarono a borbottare tra di loro.
- Se stai pensando al testamento distrutto - intervenne J. - Io ho una seconda copia. La Direttrice me l’aveva consegnata qualche giorno prima di morire -
- No, non mi riferivo a questo -
- Allora di cosa stai parlando? - domandò Beatrice.
Lanciò un sospiro - Non importa se c’è un’altra copia del testamento della Direttrice, perché io non voglio essere a capo dell’Agenzia - rispose, zittendo quei pochi Agenti che iniziarono ad esclamare qualcosa alzando semplicemente una mano - E il motivo è semplice: il motivo è che sono stanca di essere una cacciatrice, stanca di tutto il male che ho inferto e subìto, stanca di vedere le persone che amo morire davanti ai miei occhi o tra le mie braccia. Voglio finalmente vivere una vita normale, continuare gli studi, divertirmi con i miei amici - disse, lanciando un sorriso ad Elisabeth, puntando poi lo sguardo verso il fidanzato - Ed avere una famiglia -
Dopo alcuni attimi di silenzio ed un lungo “oh” lanciato da Elisabeth, J. guardò prima i presenti, poi lei - E chi prenderà il comando al tuo posto? -
- Dato che l’Agente 2 è nell’impossibilità di assumere il comando - disse, facendo ridere i presenti nella stanza - Cedo il mio posto all’Agente 3. So che è una persona in gamba e che guiderà l’Agenzia meglio di me -
Si alzò in piedi, prese Matteo per mano e, fregandosi di indossare solo una veste bianca, uscirono dalla cella, seguiti a ruota da Elisabeth.
Era questo quello che voleva: una vita senza demoni o cattivi da uccidere, una vita accanto alle persone che amava più di ogni altra cosa al mondo. Ora era Angelica, solo Angelica, e non più una Demons Hunter.
- E adesso? - le domandò Matteo.
- Adesso cosa? -
- Cosa facciamo? -
Scoppiò a ridere - Ma che domande mi fai? È ovvio, no? -
Il fidanzato le lanciò un’occhiata, pensando se quella reazione fosse dovuta ai possibili danni causati dalla brevissima morte - No -
- Prendiamo una pizza! Sto morendo di fame - disse portandosi le mani alla pancia che brontolava - Mangerei una mucca se potessi -
- No, no! Prendiamo una pizza e chiamiamo gli altri! - esclamò Elisabeth saltandole sulla schiena.
Sorrise, continuando a camminare portando l’amica senza difficoltà. Ora, finalmente, era libera di stare con i suoi amici e con Matteo.
La sua vita cominciava soltanto ora.
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Capitolo 58
*** Epilogo ***


Sabato, 13 agosto 2016
Non appena sento il campanello suonare un paio di volte come solo una persona sapeva fare, tento di alzarmi dal divano, una cosa semplicissima, peccato che sono più di otto mesi che mi porto dietro una pancia enorme che mi fa persino perdere l'equilibrio. Apro la porta d'entrata e, con un pulsante, anche il cancelletto, aprendo al temibile trio: Elisabeth, Alice e Vittoria. Quando mi raggiungono mi stritolano un in abbraccio, facendo attenzione al pancione.
- Allora, come stai? - mi domanda Vittoria, accarezzandomi la pancia.
- Ormai i nove mesi sono scattati, ma questi due proprio non vogliono saperne di uscire -
Eh sì, proprio così! Sono due. Presto avrò due paffutissimi e pacioccosi bambini da ricoprire di baci e di tantissime coccole. Ho 26 anni per niente. Mi sono rincitrullita diventando vecchia, si é notato? Comunque, ancora ricordo il primo appuntamento con la dottoressa Rossi. Quella era pazza forte...
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Dopo una bella stritolata di mano la dottoressa Rossi mi fa sedere su una comoda poltroncina e mi osserva. La dottoressa è molto più bassa di me, forse è alta un metro e cinquanta, ha i capelli castani tenuti abbastanza corti e sparati in tutte le direzioni, gli occhi dello stesso colore e, in quel momento, li teneva socchiusi per osservarmi dall’alto in basso.
- Lei è Angelica? -
Annuisco semplicemente.
- Beh, può dirmi i sintomi che accusa? -
- Sono diverse settimane che ho una nausea tremenda e...-
- E poi vomita -
Ma questa donna legge nella mente? - Sì e... -
- Subito dopo ha fame -
- Inoltre mi sento -
- Stanca - finisce la donna al posto mio, incrociando le braccia al petto - Angelica, hai considerato la possibilità di essere incinta? -
Cosa? No, non può essere...ok può essere - No, ad essere sincera -
- No? -
- Ho avuto molto da fare ultimamente e non ci ho dato molto peso - rispondo.
- Possiamo scoprirlo in neanche dieci minuti. Oppure può farlo comodamente a casa con suo marito -
Faccio un respiro profondo - Facciamolo -
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- Vedrai che nasceranno presto - mi rassicura Vittoria, riscuotendomi dai miei pensieri.
Solo ora mi rendo conto di essere ancora sulla porta d'entrata, che chiudo dopo aver fatto accomodare le tre amiche.
Elisabeth, dopo soli due anni di università, ha dovuto lasciar perdere e sposarsi in fretta e furia con Sergio alla scoperta di una gravidanza. Ora i due hanno una bellissima e terribile bambina identica in tutto e per tutto alla madre. Vittoria si era da poco sposata con il solito e premuroso Davide, con una cerimonia semplice, con pochi invitati. La cena non la ricordo perché ero leggermente stordita dalla sbronza presa la sera prima alla festa di addio al nubilato con degli spogliarellisti niente male. Alice, la pazza Alice, invece era ancora a piede libero e single: con Federico non aveva funzionato, ma erano rimasti in buoni rapporti, ed ora aspettava che il vero principe azzurro la trovasse.
- Il tuo adorato maritino? - mi domanda Elisabeth, accendendo la televisione e cambiando velocemente i canali.
- Dovrebbe tornare tra poco -
Ok, non ve l’ho detto: mi sono sposata con Matteo. Mi sembrava ovvio, non sono una che va in giro a fare figli con tutti.
È successo durante una vacanza a Parigi, dopo la mia laurea in economia e commercio...
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Venerdì, 18 luglio 2014 - Ore 21.36
Parigi - Hotel Chambiges Elysées
Dopo una cena al ristorante, abbiamo girovagato per le vie della città, che ormai, anche dopo due settimane, conoscevo a memoria, ed ora stiamo passeggiando lungo le Champs-Élysées, sotto un cielo stupendo cosparso di stelle, mano nella mano. Lancio un'occhiata a Matteo e gli sorrido - Matteo? -
- So cos'hai in mente -
Lo fermo e gli getto le braccia al collo, avvicinandomi alle sue labbra - Allora assecondami - sussurro in tono malizioso - Non lo senti anche tu questo desiderio sconvolgente? -
Matteo sospira ed alza gli occhi al cielo - No, ma...torniamo all'hotel -
- Avanti Matteo, siamo a Parigi! Cosa vuoi fare l'ultima sera di vacanza? -
- Non quello che hai in mente tu -
- Ti prego! Toglimi questa voglia! - esclamo con un sorriso - Fammi mangiare un bel gelato! -
Lui sospira nuovamente, rassegnato - Ok, hai vinto -
- Merci -
Dopo essere tornati all'hotel abbiamo raggiunto la nostra camera e abbiamo entrambi mangiato un bel gelato fresco, io al cioccolato e lui alla nocciola. Finito di mangiare ci sediamo sul divanetto piazzato di fronte ad un mobile in legno con un televisore appoggiato sopra. Matteo non smette mai di fissarmi e gli lancio un sorriso - Che c'è? So che non sono un granché i Griffin in francese ma é sempre meglio di niente -
- Non era a quello che pensavo - dice lui, ricambiando il mio sorriso - Stavo pensando ad un'altra cosa, ad una cosa da chiederti -
Chiedermi? Cosa potrebbe mai chiedermi? - E cosa vorresti chiedermi? -
Matteo si alza il piedi e mi porge la mano per aiutarmi a fare lo stesso, dopodiché, dopo aver spento il televisore, si inginocchia davanti a me tenendomi la mano con la sua, mentre con l'altra afferra un piccolo cofanetto blu - Angelica Vetra, c'è una cosa che avrei dovuto chiederti tanto tempo fa - iniziò aprendo il cofanetto per mostrarmi un semplice anello d'argento con un piccolo diamante incastonato sopra. Non riesco né a pensare né a fare qualcos'altro. Me lo sta chiedendo veramente?
- Angelica Vetra, vuoi sposarmi? -
Non ci penso due volte ed annuisco, con le lacrime agli occhi - Sì -
Matteo mi mette l'anello al dito e mi sorride - La futura signora Dall'Angelo - dice alzandosi di nuovo in piedi.
Gli salto al collo e lo bacio con passione - Ti amo -
- Anch'io ti amo, ma ho tanta paura...-
Lo guardo, inarcando un sopracciglio - Perché? -
- Chissà quanti soldi spenderai per il matrimonio -
Mi metto le mani sui fianchi - Ah, é solo per questo? -
Lui annuisce e mi avvicino al suo orecchio - Credo che ne valga la pena per la prima notte di nozze, no? -
Matteo, a quella frase, mi prende in braccio e mi butta sul letto - Allora é meglio fare delle prove -


Mi sveglio all'improvviso sperando che quello che era successo qualche ora prima non fosse soltanto un sogno, e mi giro, osservando Matteo che dorme come un bambino.
Guardo l'ora e mi alzo in piedi, indossando il minimo indispensabile per coprirmi ed esco sul balcone, appoggiandomi al muro con le braccia incrociate, ed osservo il cielo ancora scuro tingersi di un lieve chiarore. Osservo per un istante la Tour Eiffel spiccare sul paesaggio, poi abbasso lo sguardo per osservare le poche persone per strada, alcuni che facevano jogging e altri che portavano a spasso il proprio cane. Spero che nessuno riesca a vedermi con solo la biancheria addosso.
- Ehi? -
Mi giro e guardo Matteo che mi guarda a sua volta con un occhio chiuso e l'altro socchiuso - Parli con me? -
- Sì. Perché non vieni qui prima che la mia futura mogliettina torni e ci scopra insieme -
Non riesco a fare a meno di ridere e mi stendo di nuovo sul letto, accanto all'uomo - Tra qualche ora andiamo a fare l'ultima colazione e poi dobbiamo preparare le valigie -
- Ok -
- E sottolineo dobbiamo, perché l'ultima volta... -
Matteo riesce a zittirmi mettendosi sopra di me e baciandomi con passione.
Che stavo dicendo? Boh.
------
Morale della favola: dopo la colazione avevo preparato le valigie e lui, per ringraziarmi, mi ha tenuta occupata per un paio d'ore e abbiamo perso l'aereo.
Comunque, ci siamo sposati il 4 dicembre 2014. Col cavolo che mi sposavo d’estate! Che figura facevo se mi presentavo all’altare bianca come uno straccio in pieno luglio? Ma, fortunatamente, il giorno delle nozze ero decisamente più scura del vestito bianco!
Malvagio vestito bianco 0 Angelica 1. Tiè.
Tutto questo grazie alla mia cara amica Elisabeth, che mi ha fatto da testimone, che mi ha praticamente costretta a fare delle lampade.
Abbiamo comprato una casetta in mezzo al nulla più assoluto e dopo più di un anno di matrimonio, lo scorso febbraio, dopo la visita dalla dottoressa Rossi, puff: il miracolo della vita, la storia dell’ape e del fiore o della cicogna.
Non smetterò di dire queste puttanate finché i miei bambini non saranno abbastanza grandi per capire. Non ho intenzione di scandalizzarli. Matteo l’ha presa abbastanza bene a quanto ricordo...
------
Matteo mi apre la portiera dell'auto e mi fa accomodare, poi fece il giro e si mise al volante.
- Sai...ho una sorpresa - dico all'improvviso, guardando fuori dal finestrino. La prenderà bene?
- Per me?-
- No, per Afrodite - sbuffo voltando lo sguardo verso di lui.
- E che regalo puoi fare al gatto? Non sa nemmeno cos'é un regalo -
- Matteo...- sussurro - Certo che é per te, non é proprio un regalo, diciamo pure una notizia -
- Me la dici ora?- mi chiede il mio dolce maritino, con un sorriso sulle labbra.
- Tesoro siamo in tre adesso -
- Ma certo che siamo in tre - sussurra lui, mentre trafficava con la radio della macchina.
Eh? - Lo sai? Com’è possibile?-
- Se la matematica non é un'opinione...io, tu e Afrodite -
- Non sto parlando del nostro gatto -
- E allora a cosa ti riferisci? -
- Potresti rallentare che magari inchiodi in mezzo alla strada? -
- Ma dai Angelica...-
- Ok, così a bruciapelo...poi non ti lamentare...-
Silenzio.
- Allora?-
- SONO INCINTA! -
Matteo inchioda all'improvviso in mezzo alla strada proprio come avevo previsto. Mi giro verso di lui, un po’ preoccupata - Tesoro?- sussurro appena, vedendo il marito immobile come una statua e con il respiro affannato - Matteo? -
- Tu cosa? -
- Aspetto un bambino. Aspettiamo un bambino - sussurro dolcemente accarezzandogli la guancia.
- Ma é....fantastico!! -
Sorrido - Felice?-
- Non sono mai stato più felice di così! E quando l'hai scoperto?- mi chiede facendo ripartire la macchina.
- Questa mattina. Sono andata all'appuntamento con la dottoressa e...puff...incinta -
- Un bambino...ti rendi conto? -
Sorrido e torno a guardare fuori dal finestrino - Ti rendi conto che mi verrà una super pancia?-
- Oh ma tu sei bella lo stesso -
- Con una pancia che sembrerò una balena -
- Allora, quando avrai una super pancia, sarà il giorno in cui troverò sexy le balene -
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In quel momento pensavo che fosse soltanto un bambino, ma poi, alla prima ecografia con la dottoressa Rossi, ne sono saltati fuori due e il termine “super pancia” era decisamente appropriato per la situazione. Matteo, alla notizia, aveva rischiato di avere un infarto mentre io mi sono limitata a piangere come una deficiente.
- Hai uno stereo in camera tua? - mi domanda Elisabeth ad un tratto, facendomi tornare alla realtà.
- No, ma dovrei averne uno nel ripostiglio. Puoi prenderlo ed attaccarlo dove vuoi - dico - Ma a cosa ti serve? -
- Adesso lo scoprirai -
A quella risposta intuisco le intenzioni della rossa. Non dovevo dirle dello stereo.
Elisabeth spegne la televisione e si alza in piedi, osservandomi in modo diabolico. So già che quello che ha appena macchinato la sua testolina pacata è sicuramente qualcosa di altamente stupido ed imbarazzante, quasi quanto girare per strada e rompere i finestrini delle macchine parcheggiate cantando “Carglass ripara, Carglass sostituisce”. Ricambio il suo sguardo con un’occhiata di ammonimento e provo ad incrociare le braccia e, quando finalmente capisco che non riesco nemmeno a farlo, mi metto le mani sui fianchi - Elisabeth Hall, dimmi esattamente cosa sta sfornando la tua mente -
La rossa mi si avvicina lentamente, senza mai abbandonare il sorriso diabolico sulle labbra, e mi prende le mani per aiutarmi ad alzarmi in piedi - Adesso lo scoprirai -
Aiuto. SOS. Help. Che faccio adesso? Come posso sfuggirle stavolta?
Potrei mettermi ad urlare dicendo che mi si sono rotte le acque...non male come idea!
- Se stai pensando di metterti ad urlare sbraitando in tutte le lingue che ti si sono rotte le acque, abbandona subito ogni speranza perché non ci casco -
Come non detto. Devo ammettere che alcune volte Elisabeth mi fa veramente paura - Ti prego - inizio, facendo gli occhi dolci e portandomi entrambe le mani alla grossa pancia - Abbi pietà per una donna incinta -
- Stai tranquilla. Fidati di me -
Perché non ne sono tanto sicura? Perché penso che voglia truccarmi come una prostituta e farmi cantare solo per fare il video e metterlo su Youtube? Tanto non serve a niente pensare. Già, perché in questo preciso istante Elisabeth mi trascina su per le scale contro la mia volontà, mentre Alice e Vittoria ci seguono senza fiatare.
- Eli, la povera futura mamma non dovrebbe fare sforzi - interviene Vittoria e vorrei darle un bacio per aver tentato di fermare la furia rossa - Insomma, è pur sempre incinta. Non ha quella pancia per tutti i krapfen che ha mangiato ultimamente -
Ah, i krapfen...comunemente noti come “bomboloni”. Almeno credo. Da piccola li chiamavo sempre così, poi ho scoperto che si chiamano krapfen. Com’è strana la vita!
- Grazie, Vittoria - dico come se fossi un robot. Sono d’accordo con lei, ma non riesco a fare a meno di ringraziarla con questo tono freddo.
- Ehi sto cercando di salvarti la pelle! -
- Mi hai fatto venire voglia di krapfen -
Elisabeth, intanto, continua a trascinarmi e, dopo aver recuperato lo stereo dal “ripostiglio degli orrori” raggiunge la stanza che divido con il mio adorato marito (sperando che torni presto a casa per salvarmi da questo diavolo) e mi fa sedere sul letto, mettendosi alla ricerca di una presa della corrente per attaccare lo stereo.
Elisabeth, dopo aver esultato ed acceso lo stereo, estrae un cd, visibilmente taroccato, e lo mette nello stereo - Li legge gli mp3? -
Ma che cazzo di domande fai? Siamo nel 2016, vuoi che vendano uno stereo che non legge neanche gli mp3? - Non lo so -
- Sì, li legge -
- Ehi Angi! Non pensavo che avessi un colluttorio che si chiama “L’Angelica”! - esclama Alice, mentre mi si avvicina con due strani oggetti non identificati: un rossetto e qualcos’altro di cui non so nemmeno il nome, forse fard o ombretto. Boh. Riesco soltanto ad essere terrorizzata.
- Beh...è alla menta, chi se ne frega se io, Angelica, uso un colluttorio che si chiama “L’Angelica” -
- Devi ammettere che è strano forte! - urla ancora Alice, afferrandomi la faccia e mettendomi il rossetto alla caz...ehm...alla bell'e meglio.
La allontano immediatamente - Alice, sei una persona ricca di prospettive. Ma se ti allontani da me, posso ammirarti in una prospettiva migliore -
- Dai, lasciati truccare! -
- No! - esclamo mentre lei si riavvicina e cerco in tutti i modi di oppormi, ma combattere contro Alice voleva dire perdere sin dall’inizio.
Quando la mora finisce di truccarmi passa ad Elisabeth, facendole dei segni rossi sulle guance come se fosse una giocatrice di football. La rossa, per vendetta, trucca Alice come una Geisha che si è appena svegliata.
- Ragazze, non penso sia una buona idea - insiste Vittoria, facendosi piccola piccola sotto le occhiate delle due donne, che, dopo aver riso per niente come due deficienti, si tolgono le scarpe e iniziano a saltare sul letto, mentre dallo stereo esce la vecchia canzone di un vecchio film: Burlesque. In poche parole, il burlesque è l’arte di sedurre con un pizzico d’ironia. A parer mio basta solo vestirsi da infermiera o da poliziotta e mostrare un po’ le tette...mah.

It’s a cold and crazy world that’s ragin’ outside
Well baby me and all my girls are bringin’ on the fire
Show a little leg, gotta shimmy your chest
It’s a life, it’s a style, it’s a need, it’s Burlesque

EXPRESS, love, sex
Ladies no regrets
EXPRESS, love, sex
Ladies no regrets

Been holding down for quite some time and finally the moment’s right
I love to make the people stare
They know I got that certain savoir-faire

Fasten up
Can you imagine what would happen if I let you close enough to touch?
Step into the fantasy
You’ll never want to leave, baby let’s give it to you…Why?
 
It’s a passion, and emotion, it’s a fashion, Burlesque
It’ll move, goin’ through you, so do what I do, Burlesque
All ladies come put your grown up, boys throw it up if you want it
Can you feel me, can you feel it? It’s Burlesque.

- Ma cosa diavolo ci fate sul mio letto?!?- urla qualcuno all’improvviso, attirando l’attenzione di tutti.
Lancio un lungo sospiro alla vista di Matteo, sulla porta, con le mani sui fianchi, che guardava Elisabeth ed Alice saltare sul letto, truccate come delle transessuali, che cantavano la canzone successiva del cd. Matteo indossa una camicia bianca con sopra una cravatta e un paio di jeans lunghi e scuri benché sia agosto, ma deve andare così al lavoro e io non mi lamento. È così sexy con la camicia! Se non fossi incinta lo prenderei e saprei cosa fare nel ripostiglio degli orrori.
- My umbrella! Ella ella ella eh eh vuoi una mortadella ella ella ella eh eh no grazie preferisco la mozzarella ella ella ella eh eh con un pò di salamella ella ella ella eh eh Matteo come sta tua sorella ella ella ella eh eh ti regaliamo una padella ella ella ella eh eh una proprio bella ella ella ella eh eh - urlano le due donne all'unisono come se niente fosse.
Vittoria, ai piedi del letto, ancora in se e senza nemmeno un filo di trucco da prostituta, mi si avvicina e mi fa alzare dal letto, allontanandomi da quelle due psicopatiche - Io ho provato a fermarle ma...- dice lei all'uomo.
- Non ti preoccupare - risponde Matteo, dandomi un bacio per salutarmi quando sono al suo fianco - Come stai? -
- Voglio un gelato -
- Amore, tra un po’ esplodi a forza di mangiare gelati -
- Non me ne frega una mazza! -
Mio marito sospira e allenta il nodo alla cravatta - In cucina c’è un’altra vaschetta di gelato -
Lo bacio e gli sorrido - Vai. Ci penso io a queste due -
- Sei sicura? -
Annuisco - Una volta ero una cacciatrice di demoni, ricordi? -
- Ma adesso non riesci nemmeno a raccogliere le cose che ti cadono per terra -
-_-’’ Questa battuta dovevo immaginarmela - Vai a prepararmi il gelato sennò mi arrabbio - dico, dando una pacca sulla spalla a Vittoria - E tu vai a dargli una mano. Qui me ne occupo io -
I due dopo aver alzato le spalle, si girano e mi lasciano sola con le due psicopatiche - Voi due! - urlo con tutto il fiato che ho in gola, superando il volume dello stereo ed attirando l'attenzione di Alice ed Elisabeth, che smettono di saltare e mi guardano senza dire niente.
- Scendete immediatamente dal mio letto senza fare storie, andate a togliervi quella cosa dalla faccia e datevi una calmata! Sono stata chiara? -
Le due donne ghignano in modo diabolico e scoppiano poi a ridere. Solo ora ricordo di avere un quintale di rossetto e altra roba sulla faccia, e di certo sembro tutt’altro che seria. Vado in bagno, proprio di fronte alla mia camera, e provo a togliermi quella roba dalla faccia, nella speranza che sparisca completamente. Solo quando non vedo nessun altro segno ritorno in camera, seria come non mai, e punto l'indice contro le due donne - Scendete immediatamente, andate a lavarvi la faccia e andate di sotto -
Le due, dopo un sospiro, scendono dal letto - Ok, mamma -
Mi metto le mani sui fianchi e le lascio passare e, dopo aver aspettato che si pulissero il viso, le seguo al piano di sotto, in salotto, dove Vittoria aveva già sistemato due coppette di gelato sul tavolino di vetro.
Quando arrivo alla fine delle scale una delle due pesti nella mia pancia mi da un calcio fotonico sulle costole, e non posso fare altro che appoggiarmi al muro e portarmi le mani alla pancia - Ehi, datti una calmata - dico, mentre Elisabeth é già al mio fianco, accompagnandomi fino alla poltrona dove mi fa sedere.
- Che succede? - domanda Matteo, sbucando dalla cucina con le ultime coppette di gelato.
Gli lancio un'occhiata, senza mai smettere di accarezzarmi la pancia - Si muovono, niente di che -
L'uomo, dopo aver appoggiato le coppette sul tavolino, si inginocchia davanti a me e mi accarezza dolcemente la pancia - Lasciate stare la mamma -
Un altro calcio e lancio uno sguardo di fuoco a Matteo - Non funziona, me ne ha tirato uno ancora più forte -
- Vedrai che tra un attimo smettono - risponde lui, alzandosi in piedi - Devo finire una cosa per il lavoro, sono in camera se hai bisogno -
No, non andare! Queste due pazze faranno qualcos’altro di stupido! Ne sono sicura!
L'uomo mi si avvicina e mi bacia, lasciandomi in salotto con le amiche. Ho una brutta sensazione...ma proprio brutta.


É passata più di un'ora e, fortunatamente, Elisabeth ed Alice non hanno fatto niente di stupido. Abbiamo semplicemente mangiato il gelato, discusso sui vecchi tempi e parlato sulle solite cose a luci rosse che le amiche si raccontano sempre.
Ma ho sempre quella strana sensazione, anzi...non é più una sensazione, più che altro mi sento un po' strana.
Oh merda. Ok, Angelica, niente panico: o te la sei fatta addosso oppure si sono...no, no e no! Perché proprio adesso che volevo alzarmi per mangiare un altro po' di gelato?
- Beh, io ho sentito che Laura é incita - racconta Elisabeth alle altre due, sorprese per la notizia appena ricevuta.
- Ragazze? - le chiamo nel tentativo di interrompere la loro discussione - Ragazze? -
- Aspetta un secondo, Angi. E il padre del bambino é Francesco -
- Credo che sia una cosa più importante - insisto.
Elisabeth si gira verso di me, sbuffando - Che c'é? -
- Mi si sono rotte le acque -
Un attimo di silenzio segue le mie parole. Ma hanno capito quello che ho detto o vogliono farmi partorire in casa? Forse dovrei fare un disegnino.
- Tu cosa? -
- Acque...pluff - dico, imitando con un gesto la caduta dell'acqua - Vogliono venire fuori. Adesso -
- Proprio adesso?! -
A chi lo dici! Ho una fame tremenda e se mi portate all'ospedale mi daranno quella schifosa minestra annacquata. Io voglio la cioccolata! - Eh, sì. Proprio adesso...la natura li chiama -
Spero che quelle tre abbiano intenzione di smettere di guardarmi come se avessi tre teste e di fare qualcosa, qualunque cosa, perché io non avevo in programma di partorire sul tappeto, senza contare il fatto che sarebbe poco igienico.
Elisabeth si mette le mani nei capelli, Alice sembra pietrificata, ma grazie al cielo e a tutti quelli che ci sono là su, Vittoria mi fa sedere meglio sulla poltrona e mi prende la mano. Per fortuna che Vittoria c'è!
- Angi, tesoro, stai calma e respira lentamente - dice la bionda facendo a sua volta dei profondi per farmi vedere come si fa - Respira a cagnolino -
A cagnolino? E come cazzo si respira a cagnolino? Beh, é lo stesso, inizio a respirare piano. Sinceramente me la sto un po’ facendo sotto al pensiero che tra un po’ arriveranno quelle maledette contrazioni e poi dovrò soffrire come un cane. Forse in quel momento riuscirò istintivamente a respirare a cagnolino come mi dice Vittoria, ma...porca miseria! Ho tanta paura!
Mia madre non doveva farmi vedere quella maledetta cassetta del giorno in cui sono nata!!!
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Io e Matteo siamo seduti sul divano nel salotto della mia vecchia casa e, dopo aver alzato le spalle, osserviamo mia madre trafficare con il vecchio ed antenato lettore VHS. Cosa diavolo vuole farci vedere? Il mio sesto senso mi dice che é qualcosa legato alla mia "situazione".
Mia madre prende il telecomando e si mette proprio davanti a me e a mio marito, lanciando un sospiro - Beh, é ora che sappiate la verità - inizia lei, studiando il telecomando in cerca del tasto play anche se ha già il dito sopra - State diventando genitori ed é ora spiegarvi il miracolo della vita e come succede. Allora, tutto inizia quando un uomo e una donna si amano tanto, e dopo essersi sposati fanno una cosa chiamata ses... -
Ok, é partita. Mia madre é decisamente partita.
- Mamma, ho capito cosa stai per dire - sussurro - Quindi, ti prego: taglia -
- Non c'è bisogno di parlare, é più efficace farvi vedere - risponde, accendendo la videocassetta e spostandosi. Sulla televisione appare l'immagine di mia madre, su un lettino d'ospedale, che urla come una disperata stringendosi l'enorme pancione che si ritrovava in quel momento. Matteo sgrana gli occhi e poi si copre il viso con le mani - Non posso guardare! -
Aspetta, aspetta...la gravidanza mi rende un po' rincoglionita e non capisco cosa sta succedendo. Ma cosa cavolo...oh mio Dio. Ma quella...
- MAMMA! Spegni immediatamente quella cassetta! Non voglio guardare mentre partorisci! - urlo, stringendo gli occhi dopo aver visto in tv la testa di un esserino coperto di sangue. Nel video, mia madre urla ancora più forte.
- Angelica, devi guardare. Perché dovrai fare la stessa cosa tra un po' -
- No! Non lo voglio fare! Non voglio soffrire come un cane! -
- Questo é niente, Angelica. Le spalle sono le peggiori... -
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Oddio che dolore atroce!!!! Perché Vittoria è lì impalata che si guarda l’orologio? Sono qui che mi contorco e lei guarda l’ora?!
- Ok, non è un falso allarme. Ti si sono veramente rotte le acque -
- Ma dai? E io che pensavo di essermi fatta la...AAAAAAAAAAHHHHHHHHH!! -
- MATTEO!!! - urla Elisabeth ai piedi delle scale - Vieni ti prego! Angelica sta per avere i bambini! -
- COSA?! -
- MUOVITI!!!! -
- Non mi ricordo dove ho messo la borsa! -
NON SI RICORDA DOVE HA MESSO LA BORSA? NON SI RICORDA DOVE HA MESSO LA BORSA!?! Giuro che se ne esco viva lo strangolo! - NELL’ARMADIO!! - urlo, sperando di farmi sentire e devo ammettere che urlo ancora più forte di quando sono arrabbiata nera. Altra contrazione in arrivo...Dio che dolore! - AAAAAAHHHHHHHHHH!!! -
- Ok l’ho trovata - urla Matteo scendendo di corsa per le scale, raggiungendola - Mi hanno detto che ti si sono rotte le acque -
- MATTEO!! -
- Tranquilla, amore. Stavo scherzando! -
Vorrei vedere te scherzare con due marmocchi che ti vengono fuori da...ok lascio perdere.
Vittoria e Matteo mi fanno alzare, dietro di loro ci sono Alice, con la sua borsa che, grazie al cielo, avevano preparato la settimana prima, ed Elisabeth, occupata a chiamare chissà chi con il cellulare.
Ecco un’altra maledetta contrazione.
- AHHHHHHHHHHHHH! -
- Dai resisti, presto sarà tutto finito -
Usciamo da casa e, dopo aver percorso lentamente il giardino, Matteo mi fa sedere in macchina, sul sedile del passeggero, mentre lui si mise subito al volante, agitato come non mai.
Urlo in preda ad un'altra orribile contrazione ancora più forte della precedente, mentre mio marito non riesce nemmeno ad inserire la chiave per mettere in moto la macchina.
- Fai con calma, tanto l'ospedale é a venti minuti da qui - dico, respirando profondamente.
- Scusami - si giustifica lui, facendo finalmente partire la macchina e lanciarla a tutta velocità.
Butto indietro la testa dopo un'altra contrazione e mi porto entrambe le mani alla pancia, trattenendo a stento un urlo.
- Tieni duro, amore - mi rassicura Matteo, mentre passa un incrocio deserto con il semaforo rosso. Ho paura di non arrivare all'ospedale e chiudo gli occhi - Rallenta - dico, ma é come parlare con il muro: Matteo accelera ancora di più.
- Non preoccuparti, tesoro - dice lui - Di questo passo arriviamo in men che non si dica. Tu respira e basta -
Più facile a dirsi che a farsi. Ogni contrazione mi toglie il fiato ed ora sono sempre più frequenti, non riesco nemmeno a prendere fiato. Se starnutisco escono più in fretta?
Dopo pochi minuti, quando vedo l'ospedale chiudo gli occhi: non ho intenzione di farmi prendere dal panico.
Matteo parcheggia alla cavolo e mi porta all'interno della struttura, dove e, dopo avermi portata in una stanza e dopo avermi fatto indossare una vestaglia bianca, mi fanno stendere su una barella in mezzo al corridoio, dove altre donne erano sul punto di strapparsi i capelli per il dolore.
Dopo un'altra contrazione, lancio un piccolo grido e stringo la mano a Matteo - Ti prego - riesco a dire - Non lasciarmi da sola -
- Non preoccuparti, Angelica. Pensa solo a stare calma e a respirare profondamente -
Continuo a respirare lentamente, concentrando lo sguardo su Elisabeth, Alice e Vittoria, appena apparse da dietro l'angolo. La rossa, giunta al mio fianco, mi prende la mano e mi sorride - Come stai? -
- Potrebbe andare meglio -
- Dopo passerà tutto, vedrai -
Annuisco - Chi stavi chiamando prima? -
- I tuoi e la madre di Matteo. Stanno venendo qui. Come Sergio, Davide e Federico -
- Finalmente é il gran giorno, signora Dall'Angelo! Come sta? - domanda qualcuno e comincio a guardarmi intorno per cercare la madre di Matteo, ma poi mi rendo conto che la dottoressa Rossi sta parlando a me. Oddio, mi ha chiamata signora Dall'Angelo! - Io...sto bene, credo -
- Non lo sarà più tra poco -
Perché non mi sento meglio di prima? - Dottoressa, per quanto...- inizio a dire, e la piccola donna dai capelli sparati alza l'orlo dell'orribile vestaglia che mi hanno fatto indossare per guardare sotto. Mi chiedo se é normale restare lì impalati diversi secondi a guardarmi in mezzo alle gambe.
- Beh, Angelica, la tortura é appena iniziata. Saranno sì e no un paio di centimetri - risponde la dottoressa piegando un' po' la testa - O forse meno -
Non so...vuoi un righello per vedere se ci hai azzeccato? - E fino a quanto...insomma...- balbetto mentre Alice ed Elisabeth fanno dei gesti ambigui alle spalle della nana e io non so se riesco a trattenermi dal scoppiare a ridere.
- Deve raggiungere una dilatazione di dieci centimetri -
Aspetta...aspetta. Ho capito male, vero? - Dieci? -
- Me lo chiedono tutte - risponde lei alzando le spalle e sistemando la mia vestaglia.
- Altri otto! -
- Se la matematica non é un'opinione -
Ignoro la pessima battuta della dottoressa Rossi e lancio un grido. Perché mi state facendo soffrire? Vi ho tenuti in pancia per nove mesi, mi avete dato calci dalla mattina alla sera e a qualsiasi ora della notte, mi avete appiattito la vescica e per questo andavo in bagno ogni dieci minuti. Che vi ho fatto di male per meritarmi tutto questo?
Lancio un altro urlo con un'imprecazione. Ah beh, adesso la pacchia é finita cari miei! Sono indecisa su cosa farò ai vostri piccoli piedini quando uscite da lì! Ahahah!
- Angelica! Finalmente ti ho trovata - esclama qualcuno, riscuotendomi dai miei piani di vendetta. Volto lo sguardo e sorrido nel vedere la mia pazza suocera che si avvicina al lettino, seguita da Sonia, ormai quindicenne, bella quasi quanto la madre. Sorrido ad entrambe, anche se vorrei supplicarle di fare a cambio - Ehm...salve -
- Mi ha chiamata Elisabeth - mi spiega lei - Allora é arrivato il momento -
Annuisco e stringo la mano a Matteo, lanciandogli un'occhiata - Sì, finalmente mamma e papà -
- Divento zia! - esclama Sonia, avvicinandosi al lettino e mi prende entrambe le guance come se fosse una nonna che tortura le povere guanciotte della nipotina, anche se io ho undici anni in più di lei.
- Ho chiamato i tuoi genitori, sapevano già tutto grazie alla tua amica. Li avevo proprio dietro ma...sono passata con il rosso un paio di volte -
Non l’avrei mai detto: tale madre, tale figlio - Quindi stanno per arrivare - dico, lanciando subito un grido per un’altra maledettissima contrazione.
- Sì, lo so, tesoro. So che può essere scioccante avere qui mamma e papà ma non preoccuparti. Vedrai che sarà come passare l’aspirapolvere nel Sahara -
COSA?!?!
- Ora bisogna solo aspettare - concluse la donna, prendendo Sonia per sedersi sulle sedie poste su un lato del corridoio.
Matteo mi toglie i capelli dal viso sudato e gli lancio un’occhiata di supplica. Lui capisce al volo che non ce la faccio più, ma mi sorride - Vedrai che finirà presto -
Oh, certo. Altri otto centimetri, che vuoi che siano...aiutatemi, vi prego!!
- Tieni duro, Amore - mi dice Matteo, accarezzandomi la fronte sudata e io non riesco a fare a meno di annuire. Lo faccio avvicinare e lo bacio.
- Vi sembrano le scene da fare in un ospedale? -
Ci stacciamo e ci voltiamo verso l'inizio del corridoio. E indovinate un po' chi é appena arrivata? Non é Wonder woman, non é Elektra e non é Tempesta: é mia madre, che si avvicina a passo svelto, seguita da mio padre, e quando mi raggiunge mi prende la mano libera e mi guarda intensamente - A quanto sei? -
- Un paio di centimetri - rispondo con una smorfia, mentre mia madre, dopo un sorriso, mi lascia la mano - E questo é niente - dice, andando a sedersi accanto alla signora Dall'Angelo e cominciando a chiacchierare del più e del meno.
Lancio un'occhiata di supplica a Matteo e spero che tutto finisca al più presto.
Non so con esattezza quanto tempo é passato, forse un'ora o forse di più. Ma una cosa era certa: Alice ed Elisabeth avevano rotto le scatole con i loro discorsi su quale colore va di moda.
- Angelica, dobbiamo andare a fare shopping. Quest'anno é tornato il rosso - mi dice Elisabeth.
Lancio un sospiro - Lo sai che non mi metterò mai un vestito rosso -
- Potrebbe comprarsi il solito vestito nero con delle scarpe di Louboutin accompagnate - si intromette Vittoria, ormai lobotomizzata dalle due amiche.
- Non ho più intenzione di indossare un vestito. Ho chiuso -
- Perché? Credo che a Matteo faccia molto piacere quando indossi un vestito -
Trattengo un urlo per una contrazione e mi giro per guardare mio marito - É vero? -
- Beh, devo ammettere che con un vestito sei ancora più bella - risponde lui - L'ultima volta che hai messo un vestito é stata più di otto mesi fa -
- E guarda un po' dove mi trovo adesso - dico con un sorriso, ricordandomi quella sera.
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Finalmente la cena al ristorante con Elisabeth, Sergio e la loro figlia Alessia era finita. Quando apro la porta di casa mi lancio sul divano, mi tolgo questi dannati tacchi e, finalmente, posso rilassarmi. Mi sdraio sul divano e prendo il telecomando, cominciando a girare in fretta i canali. Quando capisco che non fanno niente di decente, spengo la tv e mi guardo intorno, in cerca di mio marito - Amore? Dove sei finito? -
Matteo si precipita giù dalle scale con addosso una t-shirt e i boxer. Gli faccio posto e si piede vicino a me, cingendomi la vita con le braccia.
- Oggi Alessia era decisamente stanca - dico, ricordandomi della figlia di Elisabeth che aveva continuato a sbadigliare per tutta la durata della cena - Alla fine le si chiudevano persino gli occhietti -
- Anche quando l'ho portata fuori ha voluto sedersi sull'altalena e restare lì seduta -
Annuisco - Ho visto, stavo sbirciando dalla finestra -
- Ah, allora mia moglie mi spia -
- Lo ammetto: ti stavo spiando. Non volevo che scappassi con una bella norvegese lasciandomi lì sola soletta -
Lui mi bacia il collo e ride - Non potrei mai farlo -
Sorrido anch'io - É solo che...eri così contento -
- Sai che mi piace stare con i bambini -
Mi giro e lo guardo negli occhi - Vorresti avere un bambino? -
Matteo rimane a bocca aperta - Cosa? -
Mi alzo dal divano e lo aiuto a fare lo stesso, poi guido le sue mani alla cerniera del vestito, posta sulla schiena. Una volta aperta la zip, il vestito nero cade subito a terra, poiché privo di spalline o di qualsiasi altro sostegno. Matteo sorride in modo strano.
Gli getto le braccia al collo e lo bacio - Facciamo un bambino -
- Angelica, ne sei sicura? -
Annuisco anche se ho paura di trasmettere a mio figlio il dono di vedere i fantasmi - Datti una mossa, perché i bambini non li porta la cicogna -
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Una contrazione interrompe i miei pensieri su quella notte trascorsa con Matteo e mi fa urlare di dolore.
- Allora, come andiamo qui? -
Volto lo sguardo verso la dottoressa Rossi, che mi raggiunge in quattro e quattr'otto, battendomi una mano sul ginocchio - Come ti senti, Angelica? -
Mi sento come se un demone mi avesse piantato un braccio nella pancia - Starò meglio quando sarà finita - riesco a dire, prima di stringere con forza la mano di Matteo e urlare per l'ennesima contrazione.
- Mi scusi, dottoressa. Ma quanto manca? - domanda Alice.
La dottoressa Rossi si gira e la osserva intensamente dall'alto in basso - Lei é della famiglia? -
Ma quanto é scema da 1 a 10?
- Io sono la seconda moglie del signor Dall'Angelo. Sono parte integrante della famiglia! -
Ahahahah!!!! Alice sei una cosa incredibile!
Cerco di far sparire immediatamente il sorrisino sul mio viso quando la dottoressa si gira di nuovo per guardarmi - E vivete sotto lo stesso tetto? -
Annuisco, cercando di rimanere seria - Oh, sì. Fa parte della famiglia, non saprei cosa fare senza di lei -
La dottoressa alzò le spalle e mi alza la veste per guardare sotto - Non manca tanto, tra un poco ti porteremo in sala parto -
Le contrazioni si fanno sempre più dolorose e frequenti e devo rinunciare a parlare con la dottoressa.
- Quanto poco con esattezza? - domanda Matteo al mio posto, visto che sono in preda al dolore.
- In questo preciso momento -
Stringo forte la mano a mio marito, ma non per la paura dell'imminente parto, ma per cercare di trattenermi dal bestemmiare in sanscrito contro la dottoressa scema - Adesso? - domando, sperando di aver capito male.
- Esatto - risponde lei dandomi un’altra pacca sul ginocchio - Pronti a diventare genitori? - domanda la donna facendo un gesto a delle infermiere, che si avvicinarono di corsa, spingendo il lettino verso la sala parto.
Non ti fanno fare un corso prima, brutta cretina che non sei altro!!
Una contrazione mi fa urlare talmente forte che un Nazgul sarebbe impallidito e guardo Matteo che cammina accanto al lettino, tenendomi sempre per mano, dicendomi di tenere duro e che tra poco sarebbe tutto finito.
- Angelica, adesso devi restare calma e respirare - mi suggerisce la dottoressa.
Stai zitta brutta scema!! Che hai aspettato l’ultimo momento per portarmi in sala parto!!
Provo a reprimere la voglia di spaccarle qualcosa in testa e cerco di darle ascolto: chiudo gli occhi e cerco di calmarmi. Già il fatto di essere in un ospedale, pronta per partorire due bambini uno dietro l’altro, non mi rende facile la cosa. Sento Matteo che mi lascia la mano e, subito dopo, sento che mi alzano per sistemarmi su un altro lettino. Apro gli occhi e mi trovo a gambe all'aria, ma non me ne importa un fico secco: le contrazioni si fanno sempre più dolorose e non vedo l'ora che sia tutto finito. La pacchia è finita bambini: o venite fuori da soli o vi tiro fuori io.
Mi giro, in cerca di Matteo, e lo vedo accanto al lettino con addosso uno stupido camice di carta e una ridicola cuffietta bianca in testa: se non fossi in queste condizioni gli farei una foto per ridere di lui in eterno. Gli afferro di nuovo la mano e lancio un forte grido, sperando di non fratturare la mano al mio povero maritino che si morde la lingua per trattenere una serie di parolacce.
La dottoressa Rossi sbuca da sotto la vestaglia e mi sorride - Il primo farà male, ma il secondo farà in fretta -
Ti sembrano discorsi da fare?!?!?! - AHHHHHH!! -
- Adesso devi spingere con tutte le tue forze, chiaro? - mi dice la dottoressa e, purtroppo, non posso fare altro che ascoltarla. Stringo i denti e comincio ad urlare e a spingere con tutte le mie forze, e poi ancora e ancora.
- Bravissima Angelica, vedo la testa, spingi ancora - mi dice ancora la donna, dandomi delle piccole pacche sul ginocchio.
Smettila di fare così!! Non sono una vacca che partorisce!! - AHHHHHHH!!!! -
- La testa é fuori, avanti Angelica -
- Amore, come stai? - mi domanda Matteo, togliendomi e io non riesco più a resistere ed esplodo.
- Come cazzo vuoi che mi senta?!?! Ho un marmocchio che sta uscendo da lì!! Fa un male della madonna!! E porca puttana, smettetela di chiedermi come sto!! - urlo contro di lui, stringendogli forte la mano - Vorrei vedere te al mio posto porca ev...AHHHHHHHHH!! -
- Bravissima Angelica, un’ultima spinta e il primo è fuori - mi dice la dottoressa dai capelli sparati.
STA ZITTA BRUTTA SCEMA!!!
Urlo di nuovo e spingo con tutte le mie forze. Lancio un lungo sospiro quando sento dei piccoli vagiti del mio bambino ma, purtroppo, non è ancora finita: ce n’è un altro che deve venire fuori da lì.
- Forza Angelica, ancora un piccolo sforzo e questi dolori saranno solo un brutto ricordo! -
STA ZITTA E FAI IL TUO LAVORO!! Io sto soffrendo già abbastanza senza una scema che continua a dar aria alla bocca.
Lancio un’occhiata a Matteo che si avvicina immediatamente, sussurrandomi qualcosa nell’orecchio. Sorrido: ha promesso di prepararmi una banana split con il gelato, il Nesquik, la panna montata, le ciliegine e qualsiasi altra cosa io desideri. Questo mi basta per sopportare il bis di dolore e urla.
Faccio un profondo respiro e comincio a spingere. Non vedo l’ora di gustarmi quella banana split e di ringraziare il mio maritino come non faccio da otto mesi.
Altre urla, altre parolacce e altre spinte, ma poi, finalmente anche il secondo esce e scoppia in un pianto. Ah, musica per le mie orecchie, ma sono sicura che tra un po’ cambierò sicuramente idea quando mi sveglieranno nel pieno della notte per mangiare.
- È...tutto...finito? - domando. Non riesco nemmeno a parlare e sono sudata da fare schifo.
- Sei stata bravissima, tesoro - mi risponde mio marito.
Finalmente crollo sul lettino, con il fiatone ma riesco a sorridere vedendo Matteo che si avvicina alla dottoressa Rossi che gli porge due fagotti - Un bellissimo bambino e una stupenda bambina -
Mi tiro su con fatica, contenta di abbandonare quella scomoda posizione anche perché non mi sento più il sedere e Matteo si gira subito verso di me, con gli occhi lucidi e un enorme sorriso stampato sul volto, e mi porge mia figlia, avvolta in un asciugamano rosa e nel guardarla mi sento bene.
- Ehi piccolina - sussurro, sfiorandole la testa.
La neonata sbadiglia e muove un po’ le manine, stringendomi il mignolo con entrambe, poi sbadiglia ancora. Sono sicura che ha preso tutto da me.
Primi di dire qualcosa, Matteo mi porge anche l’altro fagotto, e osservo il mio bambino, avvolto anche lui in un asciugamano di colore azzurro che piange come un disperato. Gli do un lieve bacio sulla testa e poi guardo entrambi. Sono bellissimi.  
- Dovremmo dare loro un nome. Non possiamo chiamarli numero 1 e numero 2 -
Sorrido e do un bacio sulla testa di mia figlia - Ciao Elena - sussurro, facendo poi la stessa cosa con mio figlio - E ciao anche a te, Daniele -
 

Perché in questo dannato ospedale non riesco mai a capire se il tempo passa?
Non so con esattezza da quanto tempo hanno portato via Elena e Daniele, ma se non me li riportano al più presto faccio una strage. Adesso sono tranquilla e riposata e quelle maledette contrazioni possono andare a fare...un giro.
Grazie al cielo c’è qualcuno lassù che mi vuole bene: proprio in quel momento entrano due infermiere e mi riportano i miei due stupendi bambini.
Sorrido quando vedo Daniele aprire gli occhietti, riconoscendo immediatamente il familiare colore dell’iride: blu, come gli occhi del papà. Elena invece, dormiva ancora.
Alzo lo sguardo verso Matteo pronta a parlare, ma qualcuno, dopo aver bussato alla porta, entra senza fare tanti complimenti e mi trovo davanti tutta la comitiva con mia madre e la signora Dall’Angelo in testa.
- Ehm...salve -
La mandria di bufali si avvicina pericolosamente al letto e mi baciano, mi abbracciano, mi danno dei pizzicotti, della pacche sulle spalle, mi accarezzano la testa, facendo attenzione a non toccare i bambini. Quando smettono di torturarmi, il gruppo inizia a guardare i due neonati.
- Ma come siete carini! - esclama mia madre prendendomi Elena, che si sveglia immediatamente, minacciando di scoppiare a piangere - Ciao piccolina. Ma quanto bella sei? Vero che sei bella come la nonna? -
Intanto sarà bella come la mamma, altro che nonna. Quanto sono diventata modesta!
Nemmeno il tempo di dire qualcos’altro e mi portano via anche Daniele. Ho tanta voglia di ringhiare come un cane contro tutti i presenti e magari mordere qualche mano. Ho una certa fame in effetti.
- Ciao bellissimo! Cucci, cucci. Sai che sei proprio carino? Prrr... - domanda Elisabeth a mio figlio.
- Che carino -
- È adorabile -
- Pigra come la mamma -
- Ciao piccolina. Sai dire mamma? - domanda Alice, toccando appena il nasino ad Elena, che muove piano le piccole manine.
- FERMI TUTTI! - esclamo ad un tratto - Mi state rincretinendo i figli. Quindi ridatemeli -
Mia madre mi porge Daniele, mentre Elisabeth mi porge Elena - Hai proprio una carina, ma scommetto che da grande sarà testarda come te -
Annuisco e poi prendo un enorme spavento quando Daniele scoppia in lacrime - Che c’è? - gli domando, osservandolo con gli occhietti chiusi.
- Credo che abbia fame - suggerisce la signora Dall’Angelo, lanciando un sospiro, rivolgendosi poi al gruppo - Tutti fuori -
Ha fame, eh? Bene. Ma la domanda è: come diavolo faccio?
Mia madre, sulla porta, mi lancia un’occhiataccia - Beh? Che aspetti Angelica?-
- Io...non so come fare -
- Oh, si invece - dice lei, uscendo dalla stanza, lasciandomi sola con Matteo e i miei figli.
Ehm, ok. Cosa vuoi che sia l’allattamento in confronto al parto?
Slaccio i bottoni della vestaglia, ma prima di fare qualsiasi altra cosa lancio un’occhiataccia a Matteo, che mi guardava a sua volta. Lo ignoro e prendo Daniele, che smise subito di piangere, e lo avvicino al seno. Adesso si arrangia lui, no?
Grazie al cielo a mio figlio questa cosa è venuta naturale, mentre io mi sento un po’ strana con una cosa attaccata a...
- Che strano - sussurra Matteo, interrompendo i miei pensieri sull’allattamento.
- Che c'é di strano?-
- Mi sembra impossibile che abbiamo due bambini così belli - sussurra lui, prendendo Elena in braccio, in modo che Daniele fosse più comodo.
Sorrido - Eppure sono qui - dico, lanciandogli un’occhiata - Tra quanto possiamo tornare a casa? -
- Angelica, aspetta almeno qualche ora - risponde mio marito, cullando la piccola - So che ti annoi a morte e...-
- E voglio la banana split che mi avevi promesso -
- Oh...mi hai sentito? -
- Certo che ti ho sentito, per chi mi hai presa? L’hai promesso e adesso la voglio! -
Matteo mi si avvicina appena e mi bacia sulle labbra - Tutto quello che vuoi, mamma -
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Martedì, 21 novembre 2023
La donna seduta sulla poltrona interruppe il racconto all’improvviso, abbassando lo sguardo.
- Mamma? Dai continua -
La donna dai capelli corvini osservò i due bambini seduti sul divano, entrambi con i capelli castani e la pelle morbida e rosea, ma la piccola Elena aveva i suoi stessi occhi verdi, mentre Daniele aveva gli occhi come il padre. I suoi figli la guardarono, in attesa che continuasse il racconto improvvisamente interrotto - Ragazzi, penso di dover finire la storia un’altra volta - ammise, facendo poi un piccolo cenno a suo figlio - Daniele, vai a chiamare papà, per favore -
Il bambino si alzò dal divano e salì di corsa le scale, mentre Elena la guardava con la testa piegata - Perché ti sei fermata? -
Lanciò un sospiro, portandosi le mani alla grossa pancia - Credo che stia per arrivare la sorellina -
Matteo e suo figlio scesero di corsa le scale - Amore, cosa c’è? -
- Mi si sono rotte le acque -
- CHE COSA?! -
Lancio un lungo sospiro e mi ritrovo a sorridere. Chi l’avrebbe detto che sarebbe finita così?

Fine

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