Moonrise | Sparks Of Lite

di CandyFawn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Viaggio ***
Capitolo 2: *** Incontri ***



Capitolo 1
*** Viaggio ***


La sirena si allontanava lentamente da lei, la sua coda argentea aveva formato uno zig zag nella distesa d’acqua, delimitata da migliaia di bollicine, in pochi minuti la figura mitologica era sparita nelle profonde acque del fiume Tahquamenon…Amanda aveva bisogno di riprendere fiato e tornare in superficie per riposarsi qualche minuto, quella nuotata l’aveva stancata molto. Cominciò a muovere sia le braccia che le gambe verso l’alto, imitando lo stile “rana”…Non si era ancora accorta di quanto fosse scesa in profondità…Un movimento dopo l’altro, pensò, cominciava a preoccuparsi, era certa che l’aria le sarebbe presto finita, “coraggio un ultimo sforzo” si continuava a ripetere mentalmente quella frase, vide la sirena, sperava che stesse venendo a soccorrerla, aveva bisogno di aiuto, ma poi…buio completo, si sentì cadere, perdere, affondare. Amanda si svegliò di scatto, sul materassino da campeggio che per quella notte era stato il suo letto. E’ stato un sogno, solo un brutto sogno, pensò la ragazza quando vide sopra di lei il soffitto della sua camera e intorno al suo corpo aria, aria che poteva finalmente respirare; il sogno le aveva dato una sensazione di soffocamento molto reale…e la prima cosa che fece appena sveglia fu inspirare profondamente due volte. Pensò che fosse l’ora di alzarsi, stava per mettere le gambe giù dal letto, ma poi pensò che sotto di lei non ci fosse un morbido materasso, ma un sottile materassino. Si alzò definitivamente, indossò la sua vestaglia e scese giù per le scale. Le scatole erano quasi tutte pronte... la casa era vuota, non un mobile o un quadro, solo il nulla. Amanda scese lentamente e si ritrovò in una stanza a lei sconosciuta, che una volta era il suo soggiorno, era come se lo vedesse per la prima volta, con occhi nuovi, che non erano i suoi. Ormai era fatta, pensò, non poteva tornare indietro, quelle erano le ultime ore che trascorreva nella sua piccola cittadina natale, Shellwood, nel Michigan, stava per abbandonare tutto: gli amici, la scuola, le foreste, il fresco profumo di erba che le dava il buongiorno al mattino. Arrivata nel salotto, cercò qualcosa dove mettersi a sedere, ma non c'era nulla, una volta quella stanza, risuonava di allegria ma ora si era spento tutto... era triste. I suoi pensieri furono interrotti da uno strano rumore proveniente dal suo stomaco, era ora di fare colazione, così si diresse con passo svelto e deciso verso un’altra stanza vuota, una volta sarebbe entrata in cucina. Aprì una delle scatole in plastica, prese una confezione di cereali e la versò in una ciotola di coccio, poi vi versò dentro anche un po’ di latte. Mangiò in fretta, i suoi genitori non avrebbero aspettato i suoi comodi per partire. Un boccone dopo l’altro e in dieci minuti Amanda aveva finito tutta la tazza. Ora che il suo stomaco era sazio, pensò che fosse meglio andare a vestirsi con qualcosa di più adeguato. Salì nuovamente le scale, questa volta con molta energia, superò la camera dei genitori ed entrò nel bagno riservato a lei. Si lavò il volto con un sapone apposta, per evitare che la sua pelle si sciupasse: poi prese il suo spazzolino, vi spalmò sopra un po’ di pasta dentifricia e cominciò a passarlo sui denti, con un movimento continuo. Appena finito, appoggiò lo spazzolino sopra il ripiano corretto e raccolse nelle sue mani un po’ di fresca acqua, con la quale si sciacquò la bocca. Uscì dal bagno velocemente, voleva cambiarsi, non ce la faceva veramente più a stare in pigiama…in più cominciava a sentire freddo. Entrò in camera, con il sole le pareti color pesca sembrava ancora più luminose e la stanza più accogliente. Si diresse verso una borsa contenente i vestiti per il viaggio. La sera passata aveva scelto attentamente cosa mettersi, e gli altri vestiti gli aveva riposti in una delle tante valigie. Si sfilò delicatamente il pigiama color crema e indossò la biancheria intima; poi prese i suoi jeans blu scuro, lunghi fino alla caviglia e la sua camicetta senza maniche, dello stesso colore dei pantaloni. Ai piedi aveva opzionato per un paio di décolleté lucide di colore bianco con il tacco di circa 6 cm, intonate con la sua pochette. Amanda non era una ragazza ossessionata dal proprio look, ma le piaceva vestirsi per bene ed essere sempre a posto. Subito dopo aver finito di vestirsi, prese dallo zaino una spazzola e andò verso l’unico oggetto ancora nella stanza, il suo specchio. Iniziò a pettinare i capelli biondi, che le arrivavano sotto le spalle, solitamente raccolti in tanti boccoli, ma dato la scarsità del tempo e del materiale, oggi doveva accontentarsi di un acconciatura mossa e semplice. Finì di eliminare tutti i nodi e ripose la spazzola nello zainetto. Decise di andare ad aiutare i suoi genitori a caricare lo scatolame nella macchina, così prese il cappotto bianco candido, lo indossò e scese di corsa le scale. Arrivata a pian terreno, aprì velocemente la porta e uscì, lasciandola accostata dietro di se. Nel vialetto di casa, incontrò sua madre, Susanne, stava per dirle qualcosa, ma si limitò a darle un abbraccio. «Va sul retro del giardino cara, c'è qualcuno che vuole parlarti» il tono della donna era dolce, probabilmente percepiva la sofferenza della figlia, nel doversi trasferire, dopotutto aveva solo 16 anni. Amanda si limitò ad annuire e con la sua camminata lenta seguì il vialetto ghiaioso che conduceva fino al gazebo in legno d'abete bianco, coperto da un telo bianco che cadeva lateralmente. Arrivata, salì sulla pedana rialzata e vide una figura alta e slanciata dai capelli castani e lisci che le cadevano dolci sulle spalle. Non realizzò subito chi fosse, ma bastò un attimo che riconobbe la sagoma, era Katerina, la sua migliore amica. Corse subito ad abbracciarla, fu un abbraccio d'addio, entrambe lo sapevano, ma non importava, volevano godersi quegli ultimi momenti con felicità. «Che ci fai qui?» Amanda aveva gli occhi pieni di lacrime, sia di felicità che di tristezza «Credevi che non sarei venuta a salutarti?» disse Katerina e finita la frase sfoderò uno dei suoi bellissimi sorrisi, pieni di amicizia e di fiducia. « E' che non ti aspettavo, credevo che andarmene senza salutare sarebbe stato meno doloroso, qui c'è tutta la mia vita, non sono mai andata fuori dalla contea, non ho mai lasciato la città per più di un paio di settimane, e ora tutto d'un tratto mi ritrovo ad andare a vivere nel North Carolina, a centinaia di chilometri da qui, non credo che riuscirò ad abituarmi» Era nervosa...in quel momento avrebbe potuto dire cose orribili alla persona a cui teneva di più. «Ce la farai, sarà solo questione di tempo, e poi non sai come è la vita là, magari scopri che non è così male come pensi e simile alla nostra, poi a Natale puoi sempre venire a trovarmi no?» disse con voce sicura. «A Natale verrò sicuramente, non ti libererai di me tanto facilmente mia cara Kat!» le diede un colpetto con la spalla e entrambe scoppiarono in una fragorosa risata. « Amy vieni, è ora» La madre la chiamò con energia e le ragazze furono costrette a sciogliere l'abbraccio. «Arriviamo» Rispose alla donna, Katerina si alzò per prima e porse la mano all'amica... «Vieni, andiamo» Amanda appoggiò il palmo della mano su quello della ragazza e si alzò. «Andiamo!» Ribadì sorridendo, ed entrambe corsero per l'ultima volta su quel prato verde chiaro che pareva finto. Arrivate alla macchina, Amy diede un bacio sulla guancia all'amica; «Allora ciao...» «Ci vediamo a Natale» Kat aveva un' energia innaturale, poteva cadere il mondo, lei non perdeva mai la speranza...ed era un bene. «Tesoro sali in macchina dai» Il padre, John, non vedeva l'ora di arrivare nella nuova casa e di affrontare il suo nuovo impiego. La ragazza diede un ultimo sguardo a quella che per 16 anni era stata la sua casa, il suo nido, ma ora era arrivato il momento di spiccare il volo. Salì in macchina si mise la cintura di sicurezza, finalmente era pronta a partire. «Allora si parte!» disse John entusiasta, aveva un sorriso che andava da un orecchio all'altro stampato sul suo volto. La macchina partì, si inserì nella carreggiata, la quindicenne mise il volto fuori dal finestrino, con il braccio salutò l’amica, rimasta sul marciapiede della via e con gli occhi blu come lapislazzuli e profondi come l’oceano vide l’allontanarsi della sua abitazione e delle altre villette del viale. Chissà come sarà il North Carolina…pensava…sicuramente diversa, molto diversa. «Vedrai scricciolo, la nuova casa ti piacerà, è in stile ottocentesco, apparteneva a uno zio di tuo padre che ha deciso di tornarsene in Italia, al momento giusto direi.» Susanne cercava di consolare un po’ la sua piccola…con pochi risultati però. «Ah…ah…certo…» Fu l’unica risposta di Amanda, che intanto iniziava a immaginarsi la sua nuova vita. Non sapeva molto sul nuovo paese, a parte la posizione geografica, La ragazza si addormentò nei suoi pensieri in breve tempo. La madre intanto lanciò un’occhiataccia al marito, non era assolutamente convinta che questo cambiamento non avrebbe influenzato la figlia, anzi, credeva tutto il contrario. «John, sei sicuro che questa sia la scelta giusta? Non solo per te, ma per tutta la famiglia, soprattutto per Amanda» Susanne aveva un tono preoccupato e dolce…e aspettava con ansia una risposta. «Senti, quando le abbiamo dato la notizia, sapevamo che non sarebbe stato facile per nessuno, soprattutto per lei, è molto giovane e per lei è importante avere un posto fisso dove abitare, dove avere dei veri amici…ma questa potrebbe essere un’occasione d’oro per tutta la nostra famiglia». «E’ vero, ma se lei si dovesse trovare male? Insomma, non è mai uscita dalla contea del Michigan e tutto d’un tratto si ritrova a dover cambiare stato.» John aveva notato il cambio d’umore della moglie. «Ascoltami, le farà bene cambiare un po’ aria, è vero non è abituata a quei posti e a quei climi…ma è l’ora che anche lei conosca qualcosa di più della Contea di Luce». «Adorava le Tahquamenon Falls, erano il suo posto preferito…» disse la madre di Melinda. «Ci tornerà… e anche a Enchanted Falls ci sono le cascate, in più quando sarà grande potrà fare quello che vuole, ma per ora viene nel North Carolina con noi». E con quelle parole, John zittì la moglie, che rimase in silenzio per il resto del viaggio. Il tragitto in macchina non durò molto, dopo poche ore, presero il traghetto che gli avrebbe portati fino all’altra sponda del Michigan. «Spero non ti venga il mal di mare tesoro, appena il traghetto sarà partito potremo andare a fare un giro nei negozi, magari troviamo qualcosa di carino, adatto al nuovo clima» Sue cercava di addolcire la figlia, ma serviva molto di più di qualche nuovo vestito e un paio di shorts. «Si d’accordo, potremmo andare a fare un giro…»non le andava assolutamente di affrontare una discussione con i suoi genitori. Sue e Amanda passarono l’intera traversata tra beauty farm e negozi, affascinate dai migliaia di profumi e essenze. John nel frattempo stava studiando attentamente il percorso da seguire per arrivare all’aeroporto di Detroit, il viaggio non era complicato, ma molto lungo. Decise di chiamare la moglie per dirle che tra poco sarebbero sbarcati e per aggiornarla sulle mete del viaggio. «Sue ho fatto un veloce calcolo, dallo sbarco alla città saranno circa 3 o 4 ore, poi dovremmo trovare l’aeroporto; abbiamo due opzioni, andare là subito dopo aver rimesso i piedi per terra, e passare aspettare domani in aeroporto, o dormire in un motel e percorrere una parte del viaggio. Quale preferisci?» Lasciò la scelta tutta nelle mani della moglie. «Beh, direi che la seconda è più ragionevole, e poi forse così eviteremo di annoiarci»rispose lei, senza pensarci molto. «Perfetto, la tua scelta mi piace. Tra poco sbarcheremo, voi uscite pure dall’uscita dei passeggieri e io uscirò con la macchina, troviamoci al posteggio». «A dopo» rispose lei e riattaccò. Guardò la figlia sperando che almeno quella scelta le andasse bene. «Amy tra poco sbarchiamo, credo sia meglio dirigersi verso l’uscita» Fece un profondo respiro aspettando con ansia la reazione della figlia. «Si, andiamo» E iniziò a camminare verso l’uscita, qualche passo avanti alla madre e con passo svelto, prestando attenzione alle indicazioni poste alle pareti del traghetto, che indicavano le varie direzioni e i vari luoghi. Passò qualche minuto, durante il quale il traghetto attraccò nel porto e i passeggeri scesero, la famiglia Taylor si riunì come previsto per continuare a viaggiare verso l’aeroporto di Detroit. Più il tempo passava e più Amanda era agitata, per il trasferimento e annoiata per il lungo viaggio; Durante le ore in macchina, la ragazza dormì, pensò e giocò addirittura con il Nintendo DS, un videogioco che quasi mai aveva usato. Una buona parte del tragitto lo passò a osservare la seconda “faccia” del suo paese, l’altra sponda del Michigan. Ad un certo punto, prese il suo Samsung e scrisse un messaggio all’amica “ E’ da un po’ che siamo sbarcati, ora siamo in qualche punto sconosciuto del Michigan, comunque tra poco ci fermiamo a dormire in un Motel e domani mattina arriveremo all’aeroporto, il volo parte alle 14.00. Ci sentiamo poi, un bacio C”. Rilesse una volta il testo per essere sicura di non aver fatto errori e premette il touch screen per inviarlo. «Guardate, qui c’è un Motel, che dite? Ci fermiamo a questo?» A parlare fu John, sicuramente stanco di guidare. «Direi di sì, dovremmo essere nei pressi di Midland, a circa metà strada e non sappiamo tra quanto ne incontreremo un altro…poi dobbiamo vedere se hanno posto, ci basterebbe una camera doppia, potremmo unire i letti singoli, oppure tu dormi in un letto e Amy ed io nell’altro…» Rispose Marie. «Intanto posteggiamo» disse a quel punto il marito. La macchina fu posteggiata davanti all’entrata e i tre scesero velocemente e varcarono la soglia del Motel infreddoliti. La Hall era semplice, la Reception era formata da un banco blu oltremare con le rifiniture in ottone laccato d’oro e dietro il bancone, una giovane ragazza mora con gli occhi verdi come quelli di un gatto. La famiglia si avvicinò al bancone. «Buonasera, posso esservi utile» disse dolcemente la giovane. A prendere le redini del discorso fu John.” Certo, volevamo sapere se era possibile avere una stanza, possibilmente da tre persone». «Certamente, ne ho una libera al primo piano, mi dovrebbe compilare questo modulo, se non le dispiace» La ragazza, che da quanto riportava una targhetta portata al collo, si chiamava Lucy, appoggiò un foglio sul banco. “ e potete pagare benissimo domani mattina quando ripartirete». John scrisse tutti i dati richiesti sul modulo e lo rese alla segretaria. «Perfetto» disse lei «vi auguro un buon riposo, questa è la chiave». E dopo quell’ultima frase si udirono vari «Ciao” e “Buona Notte”. La famiglia salì silenziosamente le scale, per non svegliare gli altri viaggiatori, arrivati nel corridoio, cercarono la stanza numero 7 e vi entrarono. La camera era molto accogliente e spaziosa, alle pareti vi era la carta da apparati color crema e i letti erano in ottone, con lenzuola bianche come la neve. Davanti al letto c’era una piccola porta e al suo interno un bagno. John appoggiò le valigie, e senza nemmeno mettersi il pigiama infilò sotto le coperte. Anche la moglie e Amy lo seguirono. Il sonno fu tranquillo, nei pensieri di Amanda c’era solo la Contea di Luce, ricordi di quando era piccola e sognava di rimanere lì per sempre. Era un desiderio ormai svanito con due semplici parole: North Carolina. Al mattino seguente, dopo essersi preparati e aver fatto colazione con un croissant e succo di frutta, portarono in macchina le valigie e John andò a pagare. Per l’ottimo servizio che gli avevano riservato, secondo lui era un prezzo stracciato quello, ma non disse nulla all’uomo che ora occupava il ruolo di Lucy. «Arrivederci e grazie, siamo stati benissimo» sorrise e usci dall’edificio, senza dare il tempo di rispondere al segretario. «Pronte a ripartire?» sempre eccitato all’idea della nuova città «North Carolina stiamo arrivando!» E salì in macchina. Casomai “aeroporto stiamo arrivando” pensò Amy, sempre meno contraria all’idea del trasferimento, più passavano le ore e più diventava apprensiva nei rispetti della famiglia. John si reinserì nella carreggiata. Amanda prese il suo Netbook azzurro della Samsung e attraverso la chiavetta internet riuscì a entrare nel web. Digitò il link di Google maps e cercò il tragitto che dovevano fare, il più breve segnava due ore all’incirca, quindi se tutto procedeva liscio, verso le 9 sarebbero stati in aeroporto. «Papà dovremmo arrivare fra circa due ore a Detroit, l’aereo parte alle 12.00 quindi ce la faremo sicuramente». «Grazie Amy, sei meglio di un navigatore» e scoppiò in una fragorosa risata, alla quale si unirono anche Sue e la figlia. Il viaggio fino all’aeroporto non fu noioso come il precedente, forse perché aveva passato la maggior parte del tempo a cercare informazioni sul North Carolina o semplicemente perché si era convinta del fatto che ormai non serviva più a nulla lamentarsi, ed era meglio accettare la scelta della famiglia con il sorriso sul volto. Erano appena entrati in città, quando si accorse che aveva aperto una pagina web che a colpo d’occhio sembrava interessante, cominciò a leggere mentalmente: La North Carolina era uno dei tredici stati originari degli Stati Uniti e si trova fra l’Oceano Atlantico e i Monti Appalachi. Confina a nord con la Virginia, a sud con il South Carolina e la Georgia e a ovest con il Tennesee.. Il Paese fu esplorato nel 1524 da Giovanni da Verrazzano e successivamente colonizzato da Walter Raleigh dal quale prese il nome la capitale. Divenne quindi una colonia inglese, governata inizialmente da otto signori proprietari terrieri e in seguito da governatori del re. Il 29 maggio 1789, combatté alleato delle altre colonie per l’indipendenza ed entrò come 12° stato nell’unione degli Stati Uniti d’America. In seguito, nel 1861, la Carolina lasciò gli Stati Uniti ed entrò a far parte della Confederazione, con la proseguì la guerra. Successiamente,nel1784, con la cessione di alcuni territori, divenne stato indipendente, ma non fu mai riconosciuto dal Congresso americano e nel 1788 fu sciolto, e le contee tornarono a far parte del North Carolina. L’economia del paese si basava sull’agricoltura e l’allevamento; sono presenti anche fabbriche di alluminio, metallurgiche e tessili. Non fece a tempo a leggere della politica dello stato che stavano entrando all’aeroporto di Detroit, il tempo era passato davvero velocemente. «Siamo arrivate ragazze, vi scendo qui, io vado a portare questo gioiellino all’auto noleggio» giusto, pensò Amanda, doveva anche dire addio alla sua macchina, infatti in Carolina ce ne era già una ad aspettarli. Le due donne scesero velocemente, lasciando i bagagli a bordo del mezzo. «A dopo» disse Sue, e la macchina partì. «Bene Tesoro» disse Susanne rivolgendosi alla figlia “facciamo un giro». John intanto stava cercando disperato l’auto noleggio, era davvero grande quel posto. Quando vide un cartello che gli indicava la meta, lo seguì senza farsi tanti problemi. Parcheggiò l’auto nel posto più vicino al piccolo edificio, ed entrò. «Buon giorno, ho chiamato qualche giorno fa per sapere se potevo lasciarvi la mia auto, dato che la verrà a prendere un impiegato di un negozio di auto usate» John non era sicurissimo di quello che stava facendo…ma tentar non nuoce no. «Certo, mi ricordo perfettamente, la può lasciare li fuori, mi consegni pure le chiavi» il ragazzo aveva un’aria fidata, e John gli diede le chiavi. «Guardi, il ragazzo che la deve venire a prendere si chiama Logan Smith, la consegni solo a lui, e per qualsiasi problema questo è il mio numero» li consegnò il suo biglietto da visita. “Oh, mi sono scordato le valigie, mi potrebbe rendere le chiavi un secondo?» «Ma certo, ecco a lei, le lasci pure sul banco dopo, arrivederci e buon volo» disse l’impiegato, che sparì all’interno di una porta dietro la scrivania. John mise le valigie su un carrello apposito, erano molto pesanti, per fortuna, la maggior parte dei bagagli erano già arrivati a destinazione, e un suo socio si era preso l’impegno di sistemarli nella casa. Appena finito, andò a mettere le chiavi sul bancone e si diresse verso l’entrata dell’aeroporto, spingendo con forza il carrello. Arrivato all’interno dell’aeroporto, chiamò la moglie e decisero di trovarsi davanti al bar del piano terra. Pochi minuti dopo la famiglia fu di nuovo riunita. Andarono tutti a fare il check-in, ma fu Susanne a parlare con l’addetta. In seguito andarono ai metal detector per il controllo generale che passarono tutti con successo, erano circa le 11.05 quando si misero a sedere nella sala d’attesa, in corrispondenza del loro gate, il numero 9. Susanne cominciò a sfogliare una rivista di gossip, una di quelle che le piacevano tanto; Amy invece aggiornava il suo profilo Twitter e John leggeva un libro sulla storia americana. Il tempo passò velocemente e alle 11.45 il volo della famiglia Taylor fu annunciato. «Andiamo ragazze» John, nonostante il lungo viaggio, non riusciva nemmeno a fingere un po’ di stanchezza. «il North Carolina ci attende, mi raccomando, fate vedere bene il biglietto e poi conservatelo» e sulla sua faccia si aprì uno di quei sorrisi eccitati. Una dopo l’altra le persone in fila scorrevano ed entravano nel “tubo” che gli portava dritti all’interno dell’aereo. Susanne e Amanda avevano i posti vicini e John davanti a loro. Dato che non potevano parlarsi, Jonathan inviò un messaggio a entrambi i cellulari delle donne con scritto: «Si Vola”. Amanda sbuffò e poi affondò nei suoi pensieri, che la portarono in un sonno profondo, così come il resto della famiglia. Il volo non durò molto forse un ora o due. I passeggeri furono svegliati dall’annuncio del pilota, che comunicava l’atterraggio all’aeroporto di Charlotte; così tutti si riallacciarono le cinture e si prepararono per lo sbarco. Tutto procedeva bene e appena tutta la famiglia si riunì e recuperò i bagagli, si recò all’auto noleggio, dove era stata portata la nuova auto. Erano quasi le 15.00 quando partirono per Enchanted Falls. Ad Amanda batteva forte il cuore, ormai mancavano solo 3 ore e sarebbe arrivata nella sua nuova città. Improvvisamente fu assalita da mille preoccupazioni. Come faceva a fare amicizia una volta arrivata? E ambientarsi? E se avesse trovato una di quelle ragazze che si credono superiori solo perché il padre possiede un club? O mio dio era un disastro!!! Durante questa quarta parte del viaggio, Amy fu impegnata a cercare una risposta a tutte le sue domande, e non si accorse nemmeno che erano arrivati in paese. Poi giunse a una conclusione, non importa chi era o da dove veniva, lì nessuno la conosceva e poteva ricominciare da zero, senza preoccupazioni.

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Capitolo 2
*** Incontri ***


La macchina aveva rallentato appena superato il cartello di benvenuto di Enchanted Falls. Il viale principale aveva due corsie e ai lati dei marciapiedi vi erano delle grandi querce e dietro di loro una serie di ville a schiera, ma non erano di costruzione recente, bensì ottocentesche o addirittura precedenti. La villa appartenuta allo zio, sarebbe andata in eredità a lei in ogni caso, infatti lei faceva parte di una delle sette famiglie che fin da sempre avevano vissuto lì, e che avevano fondato la città nel 1600 circa, purtroppo però, non sapeva niente altro della piccola cittadina. Il viale finiva in una piazza, e al centro di essa un monumento alle famiglie originarie. Il paese era delizioso, piccolo e l’aria che si sentiva era quella di fiducia, amicizia e sincerità, erano queste le basi su cui si fondava. «Guardate, questa è la casa dello zio Ferdinando». Amanda si voltò, e vide un giardino bellissimo, e al suo interno la famosa villa. «è ottocentesca e mantenuta in perfetto stato, ha un immenso giardino, quando ha saputo che venivamo lo zio ha deciso di costruire una grande piscina sul retro». La casa aveva tre piani ed era nettamente più grande di quella nel Michigan; un piccolo giardino con un sentierino in ghiaia e alla fine la spaziosa veranda, tutto rigorosamente dell’ottocento. Il piano terra aveva una porta principale al centro della veranda e poi una serie di portefinestre e vetrate. Era bellissima da fuori, Amy non riusciva nemmeno a immaginarsi l’interno. John posteggiò la machina proprio davanti all’entrata. «Coraggio entriamo e sistemiamoci» E scese di macchina. «Ma papà, non abbiamo le chiavi…» disse Amanda. John si chino e mise una mano dentro una delle piante sulla veranda, razzolò per qualche secondo e quando la tirò fuori sventolò un piccolo portachiavi. «Eccole, lo zio Ferdy mi ha detto dove trovarle, così come io ho fatto con Gerry, il mio socio, per far sistemare la mobilia». Amy e sua madre erano a bocca aperta, in quel posto le chiavi le avrebbero trovate tutti. Il signor. Taylor infilò le chiavi nella serratura e diede tre forti mandate, la porta si aprì. La famiglia entrò in un immenso salone, già arredato, sia con mobili moderni che con pezzi di antiquariato. «Benvenute a casa» disse John con aria soddisfatta. «Questa-è-casa-nostra?» Amanda scandì bene le parole, era incredula che tutto quello era suo e della sua famiglia. «Tecnicamente ancora è dello zio Ferdy, ma dato che fra una settimana firmerò il foglio della proprietà, direi di si, è nostro. In più, siamo una delle famiglie fondatrici, i nostri avi sono stati i primi ad abitare su questo territorio, è ovvio he abbiamo una casa così. «Ok, io vado a prendere la mia stanza» Amy salì velocemente le scale, che i suoi genitori non la videro nemmeno. Le scale erano doppie, proprio in stile ottocentesco. Il piano superiore era bello come il primo, aveva un balconcino che si affacciava sul salone principale e poi vi erano le varie stanze. Tre camere e ognuna di esse aveva un bagno annesso. Entrò nella prima stanza aperta, una camera semplice, ma allo stesso tempo regale, di cui si innamorò subito. La carta da apparati era d’orata, la mochette color crema; il letto a baldacchino era grandissimo e antico, in quel momento aveva una coperta bianca e le tende che lo contornavano erano in velluto rosso con rifiniture d’oro. Davanti a esso un enorme armadio in legno di faggio. E tra le due porte finestre un tavolino, dello stesso materiale dell’armadio e, alla parete uno specchio con una cornice dorata. Sul tavolo vi erano decine di profumi e una lettera. Amy la prese, ed esaminandola notò che vi era il suo nome, così la aprì velocemente e la lesse. Cara Amanda, non abbiamo mai avuto l’onore di presentarci, e ne sono terribilmente dispiaciuto, sono sicuro che sceglierai questa stanza, era la mia preferita, e questo è un piccolo regalino per te, così sono sicuro che almeno una volta ci vedremo di persona, per ricambiarci i ringraziamenti. Spero che apprezzerai ogni lato della stanza, anche i più oscuri. Con affetto. Zio Ferdinando P.S Se ti capita di venire nei dintorni di Firenze, cercheremo di incontrarci. Come faceva a sapere che gli adoro? Quella era una domanda a cui non sapeva rispondere. Lasciò la lettera sul tavolino e si avvicinò a una delle finestre quando notò una terrazza, non resisté e aprì le vetrate. Con una camminata lenta, si avvicinò al parapetto e davanti a lei il retro del giardino, la piscina che lo zio aveva fatto costruire per il suo arrivo e un immenso bosco. Era bellissimo quel posto, forse si sarebbe abituata prima di quel che credeva. Quando si accorse che era già passata un’ora dal suo arrivo, decise di scendere per aiutare i genitori. «Avete bisogno di qualcosa?» Domandò. «No, per ora ce la facciamo, perché non dai un’occhiata qui in giro» Rispose sua madre. «certo, se vi serve aiuto chiamatemi» e scappò via nuovamente. E ora che si fa? Pensò, mentre girovagava fra le stanze. Adesso si doveva trovare nel soggiorno, da un lato vie era un enorme pianoforte a coda in legno, dipinto di nero; Al centro della stanza due divanetti bianchi in pelle, con al centro un piccolo tavolino di vetro. Dalle enormi vetrate entrava abbastanza luce da illuminare tutta la stanza, nonostante fossero già le 7.00 di sera. Era arredata perfettamente, in modo “omogeneo”, né troppo esagerato né troppo semplice. In terra vi era un parquet chiaro, senza nemmeno un graffio. Uscendo dalla stanza, davanti a lei, lo spazioso corridoio che portava alla cucina, ma sinceramente non le andava di vederla, dopotutto quello era il regno di sua madre. Salì nuovamente le scale, ma non per tornare in camera sua, bensì per esplorare le altre stanze. Cominciò dal corridoio di destra. La prima era una piccola porta, appoggiò delicatamente la mano sulla maniglia laccata d’oro, la spinse verso il basso e la porta si aprì, vi entrò lentamente, come se nessuno lo dovesse sapere. Cercò l’interruttore della luce alla sua destra e accese le lampade. Era una camera, non molto grande in realtà, ma perfettamente arredata come la sua. Il letto era molto più piccolo del suo e attaccato alla parete. Un piccolo comodino in legno chiaro era alla sua destra e sopra d’esso una lampada classica. Le finestre erano grandi e si poteva osservare lo stesso spettacolo che dalle sue; al muro opposto del letto vi era un piccolo armadio in legno chiaro. Notò che alla fine del letto vi era una porta, nascosta dalla carta da apparati, non la aprì, sapendo che molto probabilmente collegava quella stanza con la sua. Uscì dalla camera, senza entrare nel bagno e passò alla terza stanza, quella dei suoi genitori. Era estremamente più grande, un grande letto matrimoniale classico, con tanti cuscini sopra e le lenzuola che scendevano fino a terra. L’armadio era enorme, vi potevano entrare tantissime più cose di quante ne avessero. Non passò molto tempo lì, dato che ci sarebbe stata molte volte. Diede un’ultima occhiata in giro e uscì. « Amandaaaaa» appena chiuso la porta la madre la chiamò« va bene la pizza salamino piccante e bufala per cena?» «Certo mamma, perfetta» La pizza con il salamino piccante era la sua preferita e poi mangiava esclusivamente la mozzarella di bufala, come suo zio, da quello che sapeva, se ne faceva spedire ogni mese un po’ dalla Campania, in Italia. L’ultima stanza che visitò fu il vecchio studio appartenuto allo zio. Era ancora arredato con le sue cose: una vecchia scrivania, un camino infestato dalla polvere e vari oggetti d’epoca, come strumenti musicali. Amanda si avvicinò cautamente allo scrittoio, sul quale era posta una testa di cavallo di cristallo, molto ben fatta. Vi appoggiò una mano per accarezzarlo. Era liscio come l’olio, nemmeno un graffio. D’un tratto un raggio di luna lo colpì e automaticamente la ragazza tolse la mano. La figura emanava mille colori e brillava, come per magia. Tutto era perfetto, calmo, fino a quando un orologio non ritoccò le 21.00 e qualcosa dietro la scrivania si aprì. Amy si stava avvicinando, per vedere cosa stesse accadendo. Il suo cuore batteva all’impazzata. Le sue emozioni si erano unificate : paura, curiosità, adrenalina. Era quasi arrivata, tra poco avrebbe capito cosa fosse quel cunicolo. «Amanda» la voce del padre che la chiamava per la cena la bloccò di scatto, non sapeva che fare, le opzioni erano solo due: lasciar perdere e far finta di niente o entrare ignorando i genitori, sapendo che al suo ritorno le sarebbe spettata una ramanzina. «Coraggio sbrigati, la pizza si raffredda» il padre la continuava a chiamare, e lei era a metà fra la porta di uscita e l’apertura nel legno. Il cunicolo sarà lì anche dopo, pensò, e non mi conviene farli arrabbiare dopo poche ore che siamo arrivati. Uscì dalla porta, scese velocemente le scale ed entrò per la prima volta nella sala da pranzo. Era grandissima e il tavolo era rettangolare e lunghissimo, un po’ come quelli che si vede nei film. Loro ne occupavano una parte minima, se chiedeva a cosa servisse un tavolo così grande. Si sedette davanti alla madre e il padre era a capo tavola. «S-scusate» disse lei con voce tremolante «ma…ma a che cosa ci serve una tavola così lunga?» «Beh» rispose John « siamo una delle famiglie più importanti del paese, e saremo tenuti a dare delle feste in cui parteciperanno le altre famiglie “originarie”» disse lui calmo, e mangiò il primo pezzo di pizza. «Ci manca solo la sala da ballo» borbottò lei, credendo che nessuno l’avesse sentita, ma suo padre aveva un udito eccezionale. «Oh, ma c’è proprio accanto a questa stanza, hai presente quelle due enormi porte di legno chiuse?» lei annuì, come non notarle «ecco, domani le apriremo per sistemare le cose anche lì.» Continuava a mangiare, come se non si rendesse conto che quella non era una casa, ma una reggia! Durante il resto della cena, nessuno parlò più, intenti a mangiare e andare a letto, finalmente in un letto vero e in una casa loro. Appena finito di mangiare, buttarono via i cartoni della pizza, i tovaglioli, le posate di carta e le lattine delle bibite. Sue mise nella lavastoviglie i bicchieri, e diede una veloce pulita al tavolo. «Mamma, papà» disse Amy fingendosi stanca «io vado a letto, ho molto sonno, buonanotte» «Si, adesso andiamo anche noi, buonanotte» rispose la madre e il padre sussurrò un «’notte » la ragazza fece un finto sbadiglio e si trascinò fuori dalla stanza. Camminò lentamente fino al piano di sopra e entrò in camera. Avrebbe aspettato che i genitori si addormentassero, e sarebbe tornata nello studio. Intanto si mise il pigiama e si preparò per andare a letto. Quando sentì salire qualcuno entrò velocemente nel letto, nel caso uno dei genitori entrasse in camera per controllare, ma l’unico rumore che si udì fu quello di una porta che si chiudeva. Qualche minuto dopo, si sentì russare qualcuno, probabilmente il padre, quel gesto, segnalava che non c’era più pericolo, perché con il rumore, nessuno l’avrebbe sentita. Scese lentamente del letto, finché era in camera, non c’era pericolo che la sentissero camminare, grazie alla moquette. Si diresse alla porta e la aprì. Uscì, stando attenta a non fare rumore, sorpassò le due camere in punta di piedi e allungò il passo superata la stanza dei genitori. Arrivata davanti alla vecchia porticina, poggiò una mano sulla maniglia, si guardò intorno, stando attenta a non essere vista ed entrò senza pensarci due volte. Richiuse la porta alle sue spalle, prestando molta attenzione, e si avvicinò allo scrittoio con il cavallo. Cercò la porta dietro la scrivania, ma non c’era niente. Era come se fosse sparita nel nulla. Si avvicinò alla parete in legno, ma il cunicolo non c’era più. Cominciò a spingere la parete, quasi disperata, com’era possibile che quella porta si fosse richiusa così, senza un segno, come se si fosse riunita del tutto alle pareti. Si arrese, quando notò che non serviva a nulla, e tornò nella sua camera. Forse, pensò, non c’era mai stata nessuna porta, nessun cunicolo nel muro, ed era stata tutta immaginazione. Entrò in camera e si mise a letto, sotto un piumone di piume, il cuscino era morbidissimo, anch’esso dello stesso materiale della pesante coperta. Prima di addormentarsi ripensò attentamente a quello che era successo, cercando di non scordarsi nulla. Per prima cosa era entrata nella stanza e aveva acceso la luce. Poi si era avvicinata a una scrivania, con sopra un busto di cavallo realizzato con il cristallo e lo aveva toccato…in seguito, un raggio era entrato nella stanza, e aveva illuminato la scultura, facendo partire da essa tanti bagliori colorati…e poi…poi l’orologio aveva suonato, segnava le 7.00 e subito dopo si era aperto il cunicolo. Ripensandoci, non sembravano eventi casualmente accaduti, ma ben studiati, come se qualcuno volesse nascondere qualcosa all’interno del muro e per evitare intrusi, aprirlo una sola volta al giorno, e per pochi istanti. Si convinse che l’indomani, alle 7.00 di sera, si sarebbe recata nuovamente nello studio, e sarebbe entrata all’interno della stanza e avrebbe scoperto il segreto del cunicolo…la parte più brutta e rischiosa, era che doveva trovare una scusa con i suoi genitori. Si addormentò in fretta, pensando a varie “bugie” plausibili che avrebbe potuto raccontare. Durante la notte dormì tranquilla, serena, senza pensieri e al mattino si svegliò rilassata, lì per lì senza problemi e pensieri, fino a quando non si ricordò della missione giornaliera. Appena aprì gli occhi, guardò l’orologio, che segnava le 8.30 e decise che sarebbe andata a fare una passeggiata, ma prima si doveva alzare. Per primo, scese dal letto, s’infilò le ciabatte e la vestaglia ed entrò in bagno. Si lavò e si pettinò accuratamente i capelli, per prepararli alla messa in piega, che avrebbe realizzato dopo essersi vestita. Subito dopo, corse verso l’armadio, decisa a mettersi qualcosa di carino. Non sapendo però che temperatura faceva, si avvicinò alla finestra e la aprì. Era una giornata stranamente calda, con il sole che ancora non risplendeva pieno nel cielo azzurro e pulito. Tornò all’armadio, frugando fra i mille abiti. «Questo è troppo leggero…questo è troppo pesante…questo non s’intona con la borsa» ci volle un po’ per scegliere cosa mettersi «Eccolo, mi metterò questo…con…questo…» scelse un abitino senza spalline color azzurro, che si stringeva sotto il seno e subito dopo scendeva leggero fino a metà coscia. Per evitare di prendere un raffreddore, prese anche il giacchetto in pelle finta bianca. Gli indossò velocemente e tornò in bagno ad accendere il ferro per capelli. Impiegò circa mezz’ora per realizzare una pettinatura degna dell’armonia del suo viso, acconciando i capelli a boccoli. Decise di darsi anche un leggero trucco, un po’ di Blush sulle guance, un ombretto leggerissimo sugli occhi, un po’ di mascara e un lucidalabbra. Quando ebbe finito, notò come le stesse bene quel vestito, le faceva risaltare gli occhi, che erano azzurri come gli zaffiri. Appena ebbe finito indossò le sue decolté bianche e prese la pochette intonata. Si guardò un ultima volta allo specchio e si mise un po’ di Coco Mademoiselle regalatole dallo zio. Ora era pronta. Scese lentamente le scale, per evitare una storta, e si recò in cucina. «Buongiorno!» salutò i genitori.«io andrei in esplorazione del paese oggi» «Buongiorno anche a te» risposero entrambi. «d’accordo, avvisami se torni per pranzo» disse Sue. «Certo mamma» sorrise e prese un biscotto «io vado, a dopo» e uscì. Uscire dal giardino non fu difficile, ma lungo, per fortuna appena superati i cancelli vi era subito la strada del paese che conduceva alla piazza. Camminò fino ad arrivare nel centro della cittadina, e poi non seppe più dove andare. Il giorno prima, quando era arrivata, aveva visto un enorme giardino, ma ora non lo sapeva ritrovare. Continuava a camminare, cercando di ricordarsi dove fosse quel parco, quando si scontrò con qualcosa. «O mio dio» disse frastornata «perdonami» non aveva ancora alzato gli occhi, per vedere a chi fosse andata addosso, e quando lo fece, vide due profondi occhi blu che la fissavano. «Ciao, tutto bene?» il ragazzo era tranquillo e amichevole, dato il fatto che lei fosse una perfetta sconosciuta. «Si…si…tutto okay» era rimasta ammaliata dal ragazzo che le stava davanti. Praticamente non riusciva nemmeno ad aprire bocca. «Io sono Alexander Davies» gli prese la mano destra e la baciò con delicatezza «è un piacere conoscerti» Lei, per stare al gioco, sfoderò uno dei suoi sorrisi angelici e fece un piccolo inchino, proprio come veniva descritto in “Orgoglio e Pregiudizio”, uno dei suoi libri preferiti. « Amanda Taylor, anche per me è un piacere» ritirò la mano e la riappoggiò sulla borsa. «Taylor? Come il vecchio Ferdinando?» a quanto pare conosceva bene i cittadini del paese. «Sì, mio padre è il nipote, ci siamo trasferiti qui dal Michigan» rispose lei, che si era sbloccata e riusciva a parlare senza far tremare la voce. «Infatti mi sembrava un volto nuovo il tuo, se lo avessi già incontrato non me ne sarei di certo scordato» sorrise, quasi imbarazzato. Quella frase l’aveva messa nuovamente in difficoltà, ma cercò di restare il più calma possibile. «Beh…io stavo cercando il parco, sembra strano, ma mi sono persa in una cittadina come questa» fece una piccola risatina, aspettando una risposta. «Per il parco?» lei annuì «allora devi proseguire fino in fondo a questa strada e svoltare a sinistra, continuando per la via troverai l’entrata del giardino» sorrise. «Ti ringrazio» pronunciò le parole, sempre con un filo di imbarazzo. «Io devo andare, ci vediamo in giro» Alexander aspettò ancora qualche secondo. «Ciao allora» Amy rimase in mobile, mentre lo guardava allontanarsi, quando era ancora ferma, lui si girò, le sorrise e continuò per la sua strada. Lei sospirò, nonostante la sua età Amanda Taylor non aveva mai avuto un ragazzo e quella era stata la conversazione più lunga della sua vita con un perfetto sconosciuto. Seguì attentamente le indicazioni di Alexander e arrivò sana e salva al parco. Era bellissimo, grande e verde. Davanti a lei un enorme viale alberato e ai suoi lati il prato che pareva finto. Vi entrò e cominciò a camminare, inizialmente sul viale e poi spostandosi all’interno. Ripensò al suo primo incontro, quel ragazzo era veramente bello, occhi azzurri, capelli biondo scuro, alto, sicuramente un giocatore di football, ma soprattutto gentile, a lei non importava della bellezza, anche se era un fattore importante, non era determinante, ma l’animo di una persona era fondamentale, e lui, aveva uno spirito sicuramente pulito. Arrivò ad un laghetto, che risplendeva con il sole mattutino, era bellissimo quel posto, e non rimpiangeva più di aver lasciato il Michigan. «Ciao, tu sei nuova?»disse una voce che piano piano si faceva sempre più vicina. Quando Amanda si girò, vide una ragazza dalla pelle olivastra, i capelli castano scuro e gli occhi ambrati. «Ciao, si sono arrivata da poco» Amy rimaneva sempre più sconcertata dalla gentilezza e dalla voglia di conoscersi delle persone del luogo. «Bene, benvenuta a Enchanted Falls, dove tutto è incantato e dove tutti sono strani»rise«io sono Samantha Gresham e…tu…sei?» «Ah, Oh si, io sono Amanda Taylor, piacere» «Spero diventeremo amiche Amanda, perchè qualcosa mi ha spinto a venirti a parlare e mi sono fidata del mio istinto, che di solito non fallisce mai» rise «posso invitarti a pranzo nel fast food locale?» Non si era mai fidata così tanto di una persona «certo, andiamo» ma lì era sola e voleva farsi delle nuove amicizie. Uscirono dal parco, parlando del più e del meno e si recarono nel fast food a pochi metri di distanza. «Va bene questo tavolo?» chiese Samantha. «Si, perfetto» Si sedette in uno dei due posti e l’amica fece lo stesso. «Allora dimmi» chiese la ragazza dalla pelle olivastra, in attesa di prendere le ordinazioni «come ti trovi nel North Carolina?» era entusiasta di aver conosciuto Amanda. «Beh, non sembra molto diverso dal Michigan, è un luogo verde, fresco, un piccolo paesino in cui tutti sanno gli affari di tutti…è carino»concluse. «Buongiorno, avete scelto cosa ordinare?»un cameriere moro e di piccola corporatura si era avvicinato al tavolo delle ragazze. «Si» disse Amanda «io prendo dei bocconcini di pollo e patatine fritte con ketchup e una Coca-Cola, mi porterebbe anche un po’ di pane per favore». «Per me invece» ora era il turno di Samantha «un Hamburger con patatine fritte e maionese e da bere prendo…una birra analcolica grazie». «Arrivano subito» concluse con aria distaccata il cameriere, che si allontanò subito. «Tu abiti qui da sempre?»ora era il turno di Amanda a fare domande. «Sì, beh…la mia famiglia non è di qui, originariamente era britannica, ma qualcuno ha avuto la brillante idea di trasferirsi…e eccoci qui» sorrise amichevolmente. Qualche secondo dopo arrivò il cameriere che aveva preso l’ordinazione, in mano aveva i piati delle ragazze. Li posò sul tavolo e andò a prendere le bibite che erano state versate in due grandi bicchieri di vetro. Appena aveva finito il suo lavoro, si diresse verso un altro tavolo. Le due cominciarono subito a mangiare. «John» disse Sue, dopo aver finito di mettere a posto la cucina «ti ha chiamato Amy? Doveva dirmi se tornava per pranzo» «No, aspetta prendo il telefono così glielo chiedi» disse lui. «E’ qui in cucina, non preoccuparti!»urlò lei. Compose il numero della figlia e aspetto che gli rispondesse. «Mamma? O giusto, dovevo chiamarti, scusa» «Si, non importa, ma torni o no?» Susanne non era assolutamente preoccupata. «No, ho incontrato una ragazza e mi ha invitato a pranzo, siamo al fast food vicino al parco». «Si, divertiti» e riattaccò. «Allora John, siamo solo io e te, ha incontrato un’amica e è rimasta a pranzo con lei…almeno ha fatto amicizia con qualcuno». Il marito annuì e tornò ai lavori di giardinaggio. Intanto lei, si gettò a capo fitto nell’arte culinaria. «Era mia madre, voleva sapere se tornavo per pranzo» Spiegò ad Samantha il motivo della chiamata. «Certo, anche mia zia è così, ma col tempo ha imparato a lasciarmi i miei spazi» mangiò un altro boccone di Hamburger. Amanda sperò che anche per lei sarebbe stato lo stesso, avvolte i genitori erano un po’ angoscianti. «Hai altre amiche qui, a cui sei particolarmente legata?» chiese lei, non voleva assolutamente mettersi in mezzo a un amicizia secolare. «Si, c’è Rachelle, è la mia migliore amica, ci conosciamo da tantissimo tempo, ma non preoccuparti, sono sicura che ti troverà simpatica» si fermò per vedere la reazione di Amanda, ma lei era stranamente a suo agio. «E poi è lei che mi ha lasciato qui durante le vacanze estive per andare sulla costa» Rise e continuò a mangiare. Amanda aveva quasi finito di mangiare, quel posto faceva davvero un ottimo pranzo. Era tranquilla, fino a quando non vide gli occhi dell’amica alzarsi al cielo, come se qualcosa la stesse disturbando. «Ti spiace se ci prendiamo un gelato in un altro posto? Non mi va più di stare qui». Disse Samantha che intanto aveva preso la borsa. Amy annuì e si preparò per uscire. «Roger» chiamò Samantha «Metti sul mio conto, passo a pagare più tardi». In lontananza si udì un «siii». Quando Amanda si girò per recarsi all’uscita, scontrò ancora contro qualcosa, proprio come prima. «Sembra che l’unico modo per incontrarci sia questo». Una voce a lei familiare, si allontanò leggermente e quando alzò gli occhi, vide davanti a se due occhi blu che la fissavano. «Già…l’unico modo» Automaticamente sul suo volto comparve un sorriso. Quando scostò leggermente lo sguardo, notò che dietro al ragazzo c’era una comitiva di ben cinque coetanei. «Io dovrei…» con la mano, Alexander, indicò gli amici che lo seguivano. «Ciao» disse allora lei, e lo liberò dal suo sguardo. «ciao» si allontanò con il gruppo. «Amanda, andiamo» la chiamò Samantha e si precipitò d lei. Uscirono dal locale e Samantha non resistette dal farle una domanda. «Ti ho vista parlare con Alexander Davies…»
«Si, l’ho urtato stamattina mentre cercavo il parco, lo conosci?» chiese Amanda incuriosita. «Hai un po’ di tempo? Così ti spiego tutto per bene». Stava per rispondere di sì, quando si ricordò che per le 19.00 doveva essere a casa. «Io dovrei fare una cosa» cercava di essere vaga, ma poi rifletté e decise che se non fosse stata sola sarebbe stato meglio «ti va un pigiama party da me stasera? Ti darò uno dei miei pigiami » sfoderò uno dei suoi sorrisi che avrebbero fatto dire di sì a tutti «devi solo avvisare tua zia». «Ok, le scrivo un messaggio». Prese il telefono e cominciò a cliccare velocemente sui tasti. Amanda era contenta, aveva già in mente il programma della serata. Scrisse velocemente un sms alla madre per avvisarla : Samantha dorme da noi stasera, se a voi va bene potremmo ordinare cinese. Baci Amy . Lo inviò, sicura che ai genitori sarebbe andato bene. Notò ancora l’orologio, era davvero ora di andare, così le due si incamminarono verso la Black Forest, una grande macchia nera vicino al cimitero e poi proseguirono fino allo Sparkling Bridge, fiume che sfociava in un grande lago attraverso una serie di cascate, lo attraversarono e continuarono fino a casa, assorte ognuna nei propri pensieri.

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