Love Would Be Our Last Emotion

di virgily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Love Would Be Our Last Emotion ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Love Would Be Our Last Emotion ***


LOVE WOULD BE OUR LAST EMOTION

 

Con il capo steso sul liscio bancone in legno, Caris rimaneva con lo sguardo sperso sul profilo della bottiglia che aveva affianco: Rum. Non ne era rimasto neanche un sorso, e il pensiero che fosse ancora in grado di formulare pensieri logici, fece salire ulteriormente la profonda depressione in cui era caduta non appena erano venuti a “prendere” la sua amata gemella. Era la prima volta che Mr. Reynolds vedeva una giovane ragazza tutta sola al suo pub, e sopratutto la prima volta che ne vedeva una che beveva tali portate, ma dopotutto lui ignorava ciò che affliggeva la povera Foster. Avvicinandosi lentamente giunse innanzi alla donna che sollevando il capo lascio’ che la frangia castana le coprisse gli occhi, celando le sue iridi verdi ancora velate dalle lacrime...

-P-Potete portarmi un’altra bottiglia per favore?- domandó gentilmente moderando la voce, trattenendo a stento i singhiozzi

-Dubito che con un’altra vi reggerete in piedi signorina...- rispose portando via nel frattempo la bottiglia vuota

-É quello che mi auguro...- rispose freddamente sbattendo violentemente la mano contro il bancone, lasciandogli una banconota da cinquanta dollari. L’uomo dai folti baffi scuri sollevó lo sguardo al cielo e sbuffando si precipitó a prendere una bottiglia nuova di rum. La osservó poi ricominciare a bere il primo bicchiere tutto d’un fiato, facendosi rigare una guancia da una lacrima galeotta che era riuscita a sfuggire dal suo auto controllo, e non riuscí a non provare pena per lei.

Proprio in quell’istante l’ingresso del modesto pub si aprí violentemente accogliendo cinque ragazzi che per quella notte pensavano a tutto tranne che alla tristezza. Appena tornati dal tour, i Black Veil Brides, per la prima sera di “vacanza” dagli impegni lavorativi avevano deciso di riunirsi nel loro pub di fiducia, quello dove erano cresciuti. Distogliendo lo sguardo dalla ragazza, il barista osservó compiaciuto quei cinque pazzi che amava chiamare “i suoi ragazzi”. Era parecchio tempo che non li sentiva sghignazzare e cazzeggiare nel suo locale, e sebbene non gli dispiacesse che per una volta tanto qualcuno non avesse rotto i bicchieri o vomitato nel bagno, quei folli gli erano mancati parecchio

-Qual buon vento vi porta da me giovani!- esultó uscendo da dietro il bancone andandoli ad abbracciare uno per uno

-Nonno baffo! Cazzo non sei cambiato per niente!- ridacchió  Jinxx dandogli due pacche sulle spalle

-Sbaglio o quel nomignolo di merda me lo affidi soltanto quando sei giá ubriaco?- rispose beffardo ricambiando la premura

-Lascialo perdere Ray probabilmente é solo troppo felice della nostra riuscita...- rispose Andy riuscendo a sgusciare da dietro Ashley e Christian che come due ebeti si erano impalati davanti a lui con gli occhi che luccicavano e parevano voler dire “allora quando si beve?”

-Andy! Che bello rivederti figliolo...- era strano, ma quell’uomo aveva sempre avuto in simpatia il giovane vocalist, lo vedeva come una sorta di figlioccio. Lo abbracció dolcemente come un padre che rivede il proprio figlio dopo tanto tempo, con l’orgoglio che sgorgava negli occhi, e se c’era una cosa che proprio Andy amava di lui era proprio quell’orgoglio.

-Hey Reynolds, ma quella?- domandó improvvisamente Jake mantenendo un tono sottovoce, indicandogli direttamente la ragazza al bancone che silenziosamente aveva giá raggiunto la metá della bottiglia che gli era stata appena servita. L’uomo rispose alla domando con un cenno del capo, invitandoli a sedersi al solito tavolo all’angolo della sala. Senza fiatare allora i ragazzi lo seguirono sedendosi sul divanetto in pelle marrone che tanto amavano, scorgendo appena il profilo della schiena della tipa dai lunghi capelli color cioccolato. Approfittandosi del fatto che il locale fosse quasi vuoto e che i camerieri erano ancora in servizio, il barista prese una sedia e si mise al tavolo assieme al gruppo, e avvicinandosi appena sussurró

-Non l’ho mai vista da queste parti. Eppure sembra una ragazza a modo. Tuttavia é da un’ora che non fa altro che bere e fissare il vuoto...- e voltandosi appena si mise ad osservarla mentre nuovamente si era presa del tempo per guardare chissá dove... Per pensare a chissá cosa. E sentí un nodo allo stomaco, doveva avere l’eta di sua figlia, e sapeva bene che il suo istinto paterno avrebbe raggiunto livelli inimmaginabili, tanto da spingerlo perfino a chiedere:

-Ragazzi, so che probabilmente sono un peso, ma potreste riaccompagnarla, tra un pochino, a casa?-

Silenzio. Per circa tre minuti tutti quanti rimasero completamente zitti, in un misto tra l’essere stupito e il divertito

-Di un po... Ma non é che ti affezioni a tutti quelli che entrano qui dentro eh nonno?- domandó beffardo Jinxx poggiando il mento sul pungo chiuso, sollevando verso l’alto l’angolo sinistro delle labbra

-NO JEREMY. É solo che quella tra un po arriverá a sboccare anche l’anima, e non mi fido mandarla da sola. Sai come diventano le strade dopo una certa ora...-

-Ma quanto sei sentimentale nonnino- e con una vocetta zuccherosamente coccolosa il bassista del gruppo sollevó le mani a mó di cuore, facendo sbuffare scocciatamene il barista, che sollevandosi ripose la sedia al suo precedente posto

-Basta, non vi posso chiedere neanche un favore! Allora che vi porto? Il solito?-

-Ovvio!- esultarono in coro. Tutti tranne Andy, che di soppiatto guardava la misteriosa ragazza accasciarsi al bancone come se avesse perso sensi. Sbarrando gli occhi venne quasi d’impulso al cantante scattare in piedi e raggiungerla, senza neanche degnare gli altri di un minimo accenno

-E adesso dove cazzo vai? Andy? Andy?!- sbraitó il primo chitarrista, ma di una risposta neanche l’ombra. Giunse al suo fianco in un batter d’occhio e poggiandole le mani sulle spalle gli diede un piccolo scossone, quel tanto che bastava per farle sollevare il capo di scatto

-Hey tutto bene?- domandó cercando il suo sguardo sfiorandole involontariamente il viso. A quel tocco leggero e vellutato sulla guancia Caris tornó per un attimo con i piedi per terra, e osservó il ragazzo davanti a lei, e di primo impatto una vicinanza cosí evidente, dopo la buona dose di alcol che aveva in circolo, le parve spaventosamente pericolosa:

-Ma che cazzo vuoi?!- domandó spingendolo appena mettendogli una mano sul petto

-Credevo fossi collassata. Sei ubriaca persa- rispose in sua difesa

-Lasciami in pace!- rispose digrignando i denti spingendolo ancora lontano da lei, mettendoci piú forza, finendo per scivolare dallo sgabello su cui era seduta. Per evitare di farle fare uno spiacevole scivolone per terra allora Andy scattó in avanti, prendendola al volo per i fianchi, gesto che fece infuriare ancora di piu’ la ragazza

-NON MI TOCCARE- e tendendo la mano fece combaciare il suo palmo con la guancia pallida del cantante, che dopo pochi secondi cominció a colorarsi di rosso

-Porca troia che schiaffo!- affermó “CC” sorseggiando la sua birra. Sembrava infatti che mentre il vocalist stesse cercando di parlare alla ragazza, gli altri quattro si erano messi ad osservare la scenetta con tanto di birra e stuzzichini, neanche fossero al cinema... Anzi, vedere il loro Andy schiaffeggiato spudoratamente da una donna era decisamente piú divertente. Tenendo il viso chinato verso sinistra Andy si portó una mano sulla guancia lesa, e sollevando appena lo sguardo penetró con esso la giovane in pochi secondi, che inchiodata da quegli occhi apparentemente spietati, sentí un fremito percuoterle la spina dorsale

-Senti, volevo soltanto darti una mano perché dubito che arriverai a domani mattina ridotta cosí...-

-N-Non ho bisogno di te...- rispose poggiandosi al bancone, reggendosi il piú possibile per evitare di barcollare, le girava la testa a mille

-Signorina forse é il caso che si faccia portare a casa...- le consiglió il signor Raynolds porgendole un bicchiere d’acqua che puntualmente rifiutó

-Non posso tornare a casa- rispose secca tornando a sedere sullo sgabello in stoffa imbottita. Alla sua affermazione fredda i due si scambiarono uno sguardo d’intesa, il barista da una parte con il suo sesto senso paterno, dall’altra Andy e i sensi di colpa; perché sapeva bene cosa sarebbe successo e sapeva bene che lo avrebbe rimpianto per molto, molto tempo

-Possiamo fare qualcosa per lei?- domandó successivamente cominciando a pulire con una pezza inumidita il bancone, cercando di apparire tranquillo sebbene il fatto che “non potesse tornare a casa” non gli piaceva affatto

-Sapete far tornare in vita i morti? Ahah dubito che possiate aiutarmi...-

-Senti signorina io non posso sapere cosa ti é successo, ma devi farti aiutare...-

-N-Non voglio l’aiuto di nessuno!-

-E dove pensi di andare se non puoi tornare a casa?!-

-Non mi interessa...-

-Andy...- ma non riuscì’ neanche a formulare la domanda che il ragazzo in questione fece roteare i suoi occhioni chiari al cielo e sbuffando afferró sgraziatamente il polso della ragazza

-Ma che cazzo! Dove mi stai portando?! Lasciami!- ringhió cercando di dimenarsi alla buona ritrovandosi peró di nuovo in balia di quello sguardo cattivo, mentre prendendola per le spalle il giovane la costringeva a rimanere ferma, perfettamente immobile

- Casa mia é qui vicino. Almeno potrai passare la notte senza che qualche barbone arrapato ti violenti-

-Ma quanto sei cattivo Andy- ridacchiarono in coro i due chitarristi, zittendosi di colpo quando dalla ragazza le sue iridi gelide e irate si puntarono proprio su di loro

-Voi tappatevi quella fottuta fogna di una bocca...- rispose in cagnesco

-Tranquillo la useremo per bere alla tua salute- affermó ironicamente Ashley

-E fate bene stronzi- disse infine trascinandola via, senza lasciarle neanche il tempo di controbbattere.

“Che serata di merda” pensó mentre camminava a passo svelto trascinando la povera ubriaca che a malapena riusciva a reggersi in piedi. Per una sera che il povero Andy poteva passare una piacevole serata a bere, cazzeggiare e ancora bere con i suoi amici, ecco infine come si era ridotto: a fare il baby-sitter. Da quando avevano lasciato il locale tra i due non era volata la minima parola; uno troppo incazzato per interloquire e l’altra troppo sbronza e nauseata per aprire bocca. Pochi metri e finalmente giunsero a destinazione. Quasi galantemente fece entrare per prima la ragazza, che decise di prendersi qualche minuto giusto per guardarsi intorno: il salotto abbastanza grande, la cucina minuscola e un lungo corridoio che portava a due porte in legno scuro; non era enorme ma era vivibile, sopratutto per uno come Andy che stava sempre fuori

-Guarda, il frigorifero é vuoto perció non aspettarti qualcosa da mangiare...- affermó sfilandosi la giacca di pelle, posandola sullo schienale del divano in pelle scuro

-Al momento posso chiederti soltanto una cosa...- biascicò l’altra appoggiandosi al muro piú vicino, il giramento di testa e la nausea post sbronza avevano cominciato a crearle veramente dei problemi

-Dov’é il bagno?- si auto domandó il ragazzo non stupendosi del fatto che la tipa annuí subito dopo

-in fondo al corridoio. La porta a destra-

-grazie...- sussurró barcollando fino ad esso, chiudendosi la porta alle spalle.

Immaginando che la povera mal capitata stesse sbrattando di tutto, il ragazzo si appostó per circa dieci minuti sul divano, tempo che spese per chiudere gli occhi e rilassarsi, pensando a bei momenti passati con i suoi compagni. Certo che questo inconveniente non ci voleva, ci aveva pure rimediato uno schiaffo. Sollevó lo sguardo e constatando che fossero passati quindici minuti buoni, decise che forse era il caso di andare a vedere se la sconosciuta fosse ancora tutta intera. A passo lento e decisamente svogliato si avvió dinnanzi alla porta e bussó appena

-Tutto bene la dentro?-

Silenzio

-Hey?...-

Silenzio

-Oh cazzo...- e senza esitazione il ragazzo entró nel bagno arrestandosi di colpo: seduta a terra, con le gambe rannicchiate al petto e la guancia poggiata sulla tavoletta del water. Trattenendo a stento una risata sollevó beffardo un sopracciglio vedendola letteralmente addormentata in quella posizione

-Bella addormentata?- ridacchió inginocchiandosi al suo fianco poggiandole una mano sulla spalla. A quel contatto Caris immediatamente sollevó il capo spaesata; era molto pallida e sebbene le palpebre cercassero di chiudersi pesantemente Andy riuscí a scorgerne due iridi verde chiaro

-Cazzo, mi sono addormentata...- sussurró tra uno sbadiglio e l’altro grattandosi il capo, arricciando buona parte dei capelli

-Eh giá... Ti senti meglio?-

-Si, insomma... Potrei stare meglio onestamente- ridacchió appena poggiandosi contro il muro, assumendo una posizione decisamente piú comoda di quella precedente

-Vuoi un bicchiere d’acqua?- le domandó fiancheggiandola, osservando appena il suo profilo destro, intenta a guardare nel vuoto, ancora

-No grazie. Adesso tutto quello che voglio é chiudere gli occhi e farmi una bella dormita prima che cominci l’emicrania... Comunque grazie, hem... Cazzo neanche so come ti chiami- ridacchió in uno stato di quasi delirio coprendosi timidamente il viso, non sapeva neanche lei il perché ma quando si era messa a guardarlo negli occhi per ringraziarlo era arrossita violentemente; probabilmente effetto di quel poco di alcol che ancora gli era rimasto in corpo

-Andy- rispose sorridendole porgendole la mano

-Caris- e sorridendogli a sua volta si strinsero la mano. E per la prima volta la ragazza lo guardó bene in viso, e non si limitó a tuffarsi nel suo sguardo: aveva dei lineamenti cosí delicati, delle labbra ben disegnate sulla pelle con tanto di piercing, una guancia arrossata... “oh! La guancia!” pensó in un attimo ricordandosi che poco prima lo aveva spudoratamente schiaffeggiato davanti a tutti

-S-Scusa...- sussurró abbassando appena lo sguardo, sentendo le sue di guance cominciare ad ardere per l’imbarazzo

-Per cosa?-

-Ti ho dato uno schiaffo prima. Non era mia intenzione ma nelle mie condizioni precedenti... É stato piu’ forte di me- ammise portandosi le ginocchia al petto, poggiandoci sopra il mento, fissando le mattonelle candide del pavimento

-Nah, non é un problema...- passandosi una mano sulla guancia che aveva smesso di pulsare giá da un bel po, Andy osservó per l’ultima volta la ragazza al suo fianco, nascosta sotto la felpa scura. Sembrava perennemente velata da uno strato molto spesso di tristezza, glielo leggeva negli occhi, e forse Raynolds aveva fatto bene a preoccuparsi; per quanto le sue iridi fossero chiare e luminose, da esse trapelava il vuoto, la rassegnazione

-Senti, ti porto a letto okay?- e annuendo la ragazza si sollevó dal suo posto, seguendolo fino alla stanza accanto. Questa era abbastanza spaziosa,  con una bella finestra ampia e un’armadio al suo fianco; e proprio al centro vi era un bel letto matrimoniale rigorosamente disfatto. Non aveva l’aria di essere una camera molto vissuta, ma dopo la giornata che aveva passato per Caris anche la branda di un carcere era accogliente. Sfilandosi i tacchetti rossi e lasciandoli a terra la ragazza giunse in poco tempo sul materasso rigido e comodo, affondando il viso nel cuscino posto al lato destro

-Se ti serve qualcosa sono sul divano- ridacchió alla visione dei capelli buffamente ingrifati della giovane che alla sua affermazione si sollevó di scatto fissandolo impallidita

-T-Te ne vai?- e incrociando le gambe Caris osservó di sottecchi il volto di Andy che assumeva un risolino beffardo

-La bella addormentata ha paura del buio?- non le piaceva per niente quel tono spavaldo e audace. Non gli piaceva neanche quella faccia da stronzo che aveva rimpiazzato in due secondi quella serena e per certi versi “tenera” di qualche minuto prima

-N-No, é che non voglio rimanere sola. Tutto qui...- sussurró abbassando violentemente nascondendo una lacrima sotto la frangia castana. Per quanto fosse stata brava a mascherare le sue lacrime, non lo fu abbastanza per trattenere i singhiozzi, che striduli e fastidiosi giunsero all’orecchio del vocalist.

“Oh dio. E adesso perché cazzo sta piangendo?!” pensó avvicinandosi lentamente al suo giaciglio, sfilandosi la bandana nera dalla cinta dei pantaloni. Ebbene dentro casa Andy mancava di fazzoletti.

-Non ho la piú pallida idea di quello che ti sia successo peró una cosa é certa...- cominció sollevandole il viso per il mento, tenendolo con il pollice e l’indice. Inizió a tamponarle dolcemente la stoffa sulle guance e sotto l’occhio, asciugandole le lacrime

-Non mi piace vederti piangere- sospiró infine fissandola intensamente dritta negli occhi, mentre il suo viso cominciava a farsi maledettamente paonazzo. Dal canto suo Caris, a parte il bollore alle guance, sentí un nodo allo stomaco. Era freddo, e molto distaccato; eppure sembrava cosí... Dolce

-Sei decisamente piú carino cosí- affermó schietta neanche rendendosi conto di aver parlato, spiazzandolo come nessuna aveva mai fatto

-Cosí come?- domandó incuriosito e divertito allo stesso tempo asciugandole l’angolo esterno degli occhi

-Quando sei gentile, e non quando hai la faccia da stronzo-

-Io non ho la faccia da stronzo- ribatté allontanandosi appena imbronciandosi

-Oh si che ce l’hai!- ridacchió  timidamente coprendosi le labbra con la mano. Andy sospiró rumorosamente e trattenendo l’impulso del riso si stese al lato opposto a quello della sua ospite sbuffando

-Caris, tu sei veramente una tipa strana- e affondando la testa nel guanciale attese che la ragazza dicesse qualcosa

-Quindi rimani qui...-

-Bhe, mi sembra che fossi tu quella che non voleva restare sola. Perció eccoti servita. Ma non aspettarti coccole, ninna nanne e stronzate varie- biascicó sollevandosi appena dal cuscino. Alla sua affermazione del tutto seriosa e rude la ragazza scoppio a ridere per pochi secondi. Poi lo osservo’ totalmente spalmato sul materasso completamente vestito e il viso rivolto verso la finestra, gli occhi chiusi

-Andy?- lo chiamo’ dolcemente, quasi sussurrandolo piano

-Che c’é?- rispose burbero senza neanche

-Grazie... Di tutto- rimasto sulle sue il ragazzo non rispose per qualche istante. Aveva spalancato di botto le palpebre e fissava la finestra con una strana sensazione dentro. Era felice? Per un grazie? O per il modo in cui glielo aveva detto? A dire il vero non lo sapeva neanche lui, e sospirando silenziosamente spense la luce

-Buona notte- fu tutto quello che uscí dalle sue labbra

-Buona notte Andy- sorrise nell’oscuritá... E stendendosi al suo fianco si addormentó. 

*Angolino di Virgy*

Dunque, dunque... Grazie per aver letto fino a questo punto!

Questa é la mia prima Fic su di loro, e spero vi piaccia :)

Conoscevo gia' da tempo i BVB ma li avevo sottovalutati alla grande. Poco tempo fa riascoltandoli mi sono accorta che non erano niente male, tutt'altro!

Lasciatemi un commento se volete. Leggere che cosa ne pensate mi sará molto di aiuto :)

Un bacio

-V-

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


“Anche quella mattina il sole splendeva alto e maestoso sul cielo della caotica L.A: la temperatura era ottima, e intorno a lei Caris non scorgeva altro che facce felici di gente che passeggiava per le strade; chi con il cellulare all’orecchio a discutere di lavoro, chi a portare a spasso il proprio cane, mamme con bimbi a seguito; tutti con uno splendido aspetto raggiante. Ed era felice, chissá forse era proprio per questo che vedeva il mondo attorno a lei come un fiabesco panorama incantato. Camminava sul largo marciapiede in lastre grigio scuro facendo risuonare i taccheti delle sue nuove scarpe lucide rosse, azzardate ma dopotutto amava vestirsi in modo stravagante. Tra le mani teneva un pacco regalo con un enorme fiocco viola e lo portava come se stesse proteggendo un qualcosa di prezioso. Ed era proprio cosí: quella scatolina argentata, infatti, era il regalo di compleanno per il suo piccolo angelo, la sua amata gemella. Conosceva bene Lilith e poiché era certa che non si sarebbe svegliata prima delle 12:30, ne aveva approfittato per correre in gioielleria e acquistare un braccialetto in argento con tre ciondoli del medesimo materiale decorati da piccole gemme colorate: una chiave di violino, a simboleggiare la loro passione per la musica; una “L”, l’iniziale del suo nome e infine una scarpetta da danza classica, perche’ la sua sorellina era una ballerina formidabile. Caris giá s’immaginava la faccia pallida e struccata alla buona della ragazza che riprendeva colore non appena i suoi occhi si sarebbero poggiati sul regalo. Al solo pensiero sul suo viso si dipinse un sontuoso sorriso a trentadue denti. Osservó con nonchalanche l’ora sul suo cellulare, sfilandolo frettolosamente dalla tasca dei jeans stretti, e si stupí del fatto di averci messo soltanto un’ora. Sollevó lo sguardo oramai troppo tardi che era andata a sbattere contro qualcuno. Non riuscí a scorgerne il viso, poiché questo era celato dal cappuccio della felpa scura. Caris fece per scusarsi ma questo neanche si degnó di rispondere e corse via, come se stesse andando di fretta, e probabilmente era proprio cosí

-Ma guarda tu che stronzo!- pensó ad alta voce tra se e se prima di abbassare lo sguardo tra le sue mani; grazie a dio il pacchetto era ancora intero, ma sentiva qualcosa di caldo e appicicosiccio tra le dita della mano destra, quella con cui aveva sfiorato il passante “fottutamente maleducato” di qualche secondo prima: macchie color rosso... Rosso sangue. Rimase allibita per pochi attimi, giusto il tempo di riprendere fiato, e con esso un bel fazzolettino per ripulirsi

“Magari si era tagliato e non me ne sono accorta” questo pensava mentre apriva il portone del suo palazzo, cominciando a salire frettolosamente le scale; dopo tutto la sua piccola mente ingenua non poteva pensare altrimenti. Dopo aver zompettato allegramente per tre piani di scale finalmente la maggiore delle gemelle Foster era giunta dinnanzi la porta del loro modesto appartamento. Afferró agilmente la chiave allungata della blindata, ma non appena questa varcó la serratura, la giovane Caris notó con un certo stupore che questa era giá aperta. Corrucció la fronte e estraendo la chiave giró la maniglia, aprendo con estrema facilitá l’ingresso. Chiudendosi la porta alle spalle la signorina Foster rimase ad osservare la grande baraonda incui era sommersa casa sua: mobili precipitati al suolo, vetri  rotti e svariati fogli sparsi per tutto il pavimento dell’intero salotto; come se qualcuno fosse entrato in casa sua per prendere qualcosa. Balenó in un attimo il pensiero che sua sorella era sola, e nessuno in quell’istante poteva minimamente immaginare quello che Caris Foster stesse provando

-Lilith?! Lil...AHHHHHHHHH- Straziato ed agonizzante un grido s’arrampicó sulla sua gola fino ad esplodere tra le sue labbra. Aveva raggiunto ad ampie falcate la camera da letto della minore, e tutto quel che vide fu soltanto un perfetto scenario in stile “C.S.I” che amava vedere in televisione: adagiata sul letto impregnato del suo stesso sangue, il suo angelo, la sua ragione di vita, osservava il vuoto con gli occhi spenti, e le iridi vuote. Non voleva crederci, non ci riusciva. Avanzó lentamente trattenendo il fiato, rifiutandosi apertamente di inalare l’odore del sangue di sua sorella; pregando dio che tutto questo fosse solo un sogno e che molto presto la sua amata Lilith si rialzasse gridando “Scherzetto!”. Ma ció, come giá sapeva, non avvenne: la pelle bianca, le goti gelide. Le tremavano le mani al solo sfiorarla. Cominciava a vedere tutto sfocato, le lacrime annebbiavano la visione di quel trucido spettaccolo, e i singhiozzi esasperati della giovane cominciaro a riecheggiare per l’intero ambiente, mentre con coraggio si arrendeva ai sentimenti e si abbandonava al fianco del corpo di sua sorella

-Lilith... Sorellina. I-io volevo solo farti il regalo perfetto... Sorellina, non dovevo lasciarti sola. Sorellina perdonami... Ti prego Lilith- coccolava con dolcezza il suo viso, e guardava con tristezza il blu intenso delle sue iridi che era degenerato in un pozzo nero e profondo. Tremavano spaventosamente agitate le sue labbra mentre fissava disgustata lo squarcio profondo sulla gola della ragazza; su quel bellissimo collo candido che tanto le invidiava. Per il momento non poteva far altro che attendere la polizia e piangere, affogando la sua disperazione in lacrime amare e piene di rimpianto.”

Per quanto fosse strano, Andy aveva dormito bene... E probabilmente tutto ció era dovuto soltanto al fatto che, la sera prima, non aveva bevuto neanche un sorsetto di birra. Filtrando dalla finestra uno spiraglio di luce andó proprio a solleticargli il viso, coccolandogli le guance, solleticandogli le palpebre. Lentamente sollevó il capo, poggiando il mento sul cuscino, osservando con occhi stanchi e assonnati l’orologio posto sul suo comodino: le 10:00... Poteva considerarla l’alba. Constatando dunque che fosse ancora troppo presto per tirarsi giu’ dal letto, il vocalist decise che un’altra oretta di sonno non gliel’avrebbe negata nessuno

-L-Lilith...- soffusa e rotta una vocina tremante giunse fino al suo orecchio, cogliendo la sua attenzione. Si voltó lentamente osservando la ragazza stesa al suo fianco: rannicchiata in posizione fetale, con i capelli che le coprivano il viso, i vestiti sgualciti e una lacrima a rigarle la guancia. Sbuffando appena il ragazzo si passó una mano sul viso, stropicciandosi appena gli occhi; si era totalmente scordato che Caris avesse dormito da lui

-Lilith...- dinuovo quel nome, seguito a ruota da una serie di brevi singhiozzi. Probabilmente stava facendo un incubo, e doveva essere proprio brutto perche’ la ragazza aveva cominciato a tremare, aumentando la frequenza delle lacrime. Rimasto totalmente spiazzato, Andy non aveva la piu’ pallida idea di quello che doveva fare: aspettare che si svegliasse da sola? Svegliarla lui?

Dopo averci pensato su decise che sarebbe stato meglio se fosse stato lui a svegliarla.

“non mi piace vederti piangere” ripensó alla frase che gli aveva detto la sera prima. E si stupí del fatto che lo pensava davvero, e che non fosse una delle solite frasette da rimorchio. Scivoló piú vicino e con delicatezza poggió la mano sulla spalla della ragazza

-Caris?- la chiamó con dolcezza, con un tono pacato e vellutato che neanche lui in quel momento riusciva a spiegarsi. Un mugugno prolungato accompagnó i movimenti secchi e agitati della ragazza. Passando freneticamente in posizione supina la castana fece vorticare i capelli in aria prima di lasciarli adagiare brusamente sul cuscino. Aveva perfino scalciato, ma Andy era stato bravo ad evitare il colpo. Mentre una delle sue mani continuava a sostare sulla sua spalla, con quella libera il vocalist accarezzó le sue guance con la punta delle dita, cogliendole una lacrima appena sgusciata dagli occhi. Quasi spontaneamente un sorriso si sollevó sulle sue labbra, concentrandosi sulla piccola goccia umidiccia e salata che cominciava a colargli lungo l’indice; non accorgendosi della ragazza che aveva spalancato le palpebre di colpo.

Forse aveva urlato, un grido piccolo ma terrorizzato, mentre con il cuore in gola Caris si ritrovó a sbattere la testa sulla testiera del letto, nel tentativo d’ indetreggiare. Non era stato lui a spaventarla, ma dopo un ricordo del genere rendersi conto di non essere sola non era stato il migliore dei risvegli. Anche Andy era indietreggiato vedendola saltare, e il tonfo della sua testa contro il ferro battuto lo aveva indotto ad una risata sadica e divertita

-Certo che sei proprio scema...- affermó con voce roca e ancora addormentata. Dal canto suo, Caris non rispose, si limitó soltanto ad abbassare lo sguardo portandosi le ginocchia al petto. Non si massaggió neanche la testa sebbene era certa che gli sarebbe venuto un bernoccolo; tutto quello che in quel momento le passavano per la testa erano ancora quelle immagini: documenti, sangue e sua sorella morta. Poggió il mento sulle gambe e osservó il vuoto dinnanzi a lei con occhi contornati da lacrime pensanti e amare. Il ghigno sul visetto del ragazzo mutó all’istante in un’espressione seria. Cera un spesso strato di mistero attorno a quella ragazza; e non sapeva se ció gli importasse davvero tuttavia si avvicinó appena, scrutandola in silenzio. Probabilmente un’altra persona l’avrebbe consolata, o come minimo coccolata per darle anche un briciolo di conforto, ma questo non era consuetudine di Andy. No, lui si fidava poco delle persone... E soltanto una cerchia molto ristretta di persone sapevano chi Andrew Biersack era veramente. Aveva un’inguaribile istinto animale; piú precisamente si comportava come un lupo: prima osservava da lontano, cercando di capire veramente chi gli si trova davanti, e solo alla fine cominciava ad avvicinarsi. E questo Caris lo aveva intuito anche fin troppo bene, sentiva il peso di quelle iridi gelide e profonde puntante su di lei, e il silenzio angosciante premere come un’incudine sulla sua testa. Tremava, e Andy sapeva che non era per il freddo, anche perché l’inverno non era ancora arrivato, e come una bambina la castana tirava su il naso asciugandosi le sue ultime lacrime sgraziatamente con le mani. Il vocalist sospiró rumorosamente, molto incerto sul dafarsi. Si osservó intorno e ritrovó la bandana scura con cui la sera prima le aveva asciugato le lacrime

“IO gli ho asciugato le lacrime?!” pensó poi dando un lieve scossone alla testa, afferrando il lembo di stoffa tra le mani, progendoglielo dolcemente. Caris osservó la sua mano tesa contro di lei, e con timidezza lo accettó

-Gr-Grazie- sussurró tamponandosi le palpebre con il fazzoletto, distogliendo lo sguardo da lui

-Ti serve qualcosa? Che ne so... Un caffe’? Un the’?.. Un abbraccio? Non sono pratico di queste cose...- confessó grattandosi impacciatamente la testa, sollevando l’angolo destro delle labbra. A quelle domande la ragazza sollevó di scatto lo sguardo, fissandolo meravigliata e sollevata allo stesso tempo. Si stava preoccupando per lei... E sembrava essere tornato dinuovo “dolce”

-Avevi detto che non mi dovevo aspettare carinerie e roba simile...- rispose arrossendo appena quando, alla sua affermazione, il ragazzo la fissó dritta negli occhi

-Me lo ricordo che ho detto! É solo che... Ah fanculo!- dopo una breve pausa Andy sbuffó spalancando le braccia, osservando il soffito poiché non riusciva a immaginarsi, piú che altro non voleva immaginarsi, la sua espressione a quel buffo tentativo di invogliarla a farsi stringere.  Effettivamente la donna rimase incuriosita... Cosa doveva fare?

-Dai?-

-Dai cosa?- domandó corrugando la fronte

-Vieni?!- rispose l’altro agitando le braccia. Caris si strinse appena, intimidita dalla sua richiesta, e solo il pensiero le faceva ardere le guance

-D-Davvero?-

-Se non muovi il culo l’offerta scade- rispose scocciato avvicinandosi a sua volta alla ragazza, che estremamente timida, si lasció letteralemente andare tra le braccia del vocalist. Rannicchiata in se stessa, la castana cominció ad apprezzare quel piacevole calore che cominciava a sentire sulle spalle e la schiena. Aveva un buon odore, e sebbene anche il ragazzo fosse “rigido” nel tenerla stretta al suo petto, quella sensazione di “protezione” era maledettamente sdolcinata. Sciogliendosi appena in quel calduccio avvolgente, Caris poggió la testa sulla clavicola del ragazzo, e spontaneamente lasció scivolare le mani sul suo corpo; prima sul petto per poi salire e legarsi attono al collo e alle spalle. A quel contatto un brivido del tutto nuovo e inusuale percorse la colonna vertebrale di Andy, che “ammorbidendosi” a sua volta, fece scorrere le dita tra le pieghe della sua maglietta, stringendola un pelino piú forte. Rimasero in quella posizione, in silenzio, per svariati minuti. Caris aveva ripreso a piangere, ma non gli diede fastidio, anzi le lacrime che gli gocciolavano sul collo gli facevano addirittura il solletico. Il respiro caldo sulla sua pelle pareva sensualmente dolce, ma sapeva bene che quello non era decisamente il momento per pensare alla sua voluttá. Caris socchiuse gli occhi, lasciando scorrere un’ultima lacrima sul suo collo pallido, accarezzandolo con la punta del naso nel timido tentativo di astacolarne il corso

-Anche lei mi stringeva cosí...- sussurró tra se e se disegnando un sorriso malinconicamente rassegnato che Andy non ebbe il coraggio di guardare

-Lilith?- domandó ripetendo quel nome che cominciava a rappresentare un vero mistero. Un brivido freddo fece fremere la piccola Caris in pochi secondi, mentre le sue mani avevano cominciato a fare pressione sul petto asciutto del ragazzo, allontanandolo cosí che potesse guardarlo negli occhi

-C-Che cosa hai detto?- balbettó impallidendo di colpo. A quello sguardo intimorito ma audace allo stesso tempo il moretto rimase letteralmente spiazzato. Si morse appena un labbro, e sorridendo appena rispose

-Parli molto mentre dormi lo sai?- e rassicurandola le scosse appena la folta chioma, mentre scendeva alla buona dal letto e si dirigeva ad ampie e sbilenche falcate verso l’armadio alla ricerca di vestiti puliti. Afferrati un paio di jeans e una maglietta scura e striminzita, il vocalist si voltó ad osservare la ragazza seduta a gambe incrociate nel letto con i capelli arruffati e le iridi lucide. Aveva il naso arrossato che spiccava tra le sue goti pallide, e le labbra secche e disidratate che non faceva altro che torturarsi con i denti, come se fosse intimidita a parlargli, e non era difficile per Andy accorgersene oramai

-Senti io mi vado a fare una doccia. Poi vado a prendere i caffé al bar perché, come ben sai, casa mia é vuota. Se vuoi rimanere ancora a letto fai pure- bofocchió tra uno sbadiglio e l’altro avviandosi verso la porta della stanza

-A-Andy?- lo chiamó senza neanche avere il tempo di rispondergli

-Ci metto poco. Te lo prometto- affermó schietto zittendola in pochi istanti, uscendo velocemente dalla camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle.

Caris rimase immobile, seduta sul suo letto per svariati minuti. Poi si lasció andare pesantemente sul giaciglio, poggiadosi sul cuscino dove il vocalist aveva dormito la sera prima. riuscí a percepirne, dinuovo, il suo odore. Socchiuse gli occhi, aspirando profondamente, come se la puzza di fumo mescolata ad un’altra fragranza al momento irriconoscibile riuscisse a sollevarla. Passó una decina di minuti immobile, con la testa immersa nel guanciale, trattenendo l’odore nelle narici. La porta d’ingresso si aprí per poi chiudersi rumorosamente subito dopo... Andy era ufficialmente uscito di casa. Osservó stropicciandosi gli occhi l’ora segnata sull’orologio: 10:45 a.m. era ufficialmente ora di andarsi a lavare. Prese coraggio, e con pigrizia si sollevó dal comodo giaciglio e avanzó verso il bagno. Non era abitudine della giovane Foster impiegare ore e ore sotto la doccia; cinque minuti bastavano e avanzavano, sopratutto a casa d’altri. Rimessa al mondo dal potente getto d’acqua calda, la castana usci’ dalla doccia completamente nuda, gocciando in ogni dove alla ricerca di un asciugamano con cui coprirsi. Lo trovó poco dopo, poggiato sullo sgabello accanto al lavello, e dopo essersi avvolta con esso, zompettó scalza dinuovo in camera da letto. Proprio in quello stesso, medesimo, maledetto istante un pensiero balenó per la sua testa:

“NON HO VESTITI PULITI DA METTERE”

Imprecó svariate volte infilandosi scocciatamente gli stessi pantaloni che portava giá dal giorno prima, e proprio un secondo prima di infilarsi la maglietta, il suo sguardo cadde sull’armadio il legno scuro che Andy aveva lasciato semi aperto. Certo, non era da lei appropriarsi di vestiti di un ragazzo che non fosse il suo fidanzato; ma dopotutto lei non aveva un ragazzo, e per un decimo di secondo Caris fu sicura che a Andy la faccenda non sarebbe pesata minimamente. Spalancó entrambe le ante del grande guardaroba e lo spunció spudoratamente affondo: jeans, pantaloni di pelle, borchie, un gilet di pelle, altre borchie, magliette nere, altri indumenti di pelle e infine lei: una sobria maglietta grigia con lo stemma di batman. Con delicatezza l’afferró tra le mani, e tutto quello che Caris riuscí a pensare il quel momento fu soltanto: “Oh si!”

Se la infiló senza pensarci troppo, non badando al fatto che la stesse bagnando con i capelli ancora bagnati, oppure che le stesse attillata e delineava anche troppo marcatamente le sue forme. Dinuovo quell’odore: fumo e quel qualcos’altro che rendeva quell’aroma particolarmente irresistibile. Tornó poi a stendersi sul letto che avevano condiviso, osservando il soffitto con un sorrisetto stampato sulle labbra.

“Se non muovi il culo l’offerta scade” solo al ricordo la castana scoppió a ridere. Era stato “carino”... Anche troppo. Eppure aveva quel gignetto beffardo su quel’affascinante “faccia da stronzo” che non riusciva a togliersi dalla testa, come se in realtá non voleva toglierselo dalla testa. Passó le dita tra le pieghe delle lenzuola ancora disfatte, un brivido percosse la sua spina dorsale facendola fremere

-Tutto ció é veramente assurdo! Ma tu guarda a cosa vado a pensare!- affermó ad alta voce sollevandosi di scatto dal materasso: aveva pensato dinuovo a lui, alle sue mani che scivolavano sinuose sulla sua schiena stringendola forte, quando invece quel Andy doveva essere soltanto l’ultimo dei suoi pensieri. Abbassó il capo fissandosi le punte dei piedi, sospirando mentre l’ennesima lacrima amara rigava la sua guancia:

“Ci metto poco. Te lo prometto”

Non solo la promessa di Andy di venti minuti prima, ma anche le ultime parole che aveva sussurrato a sua sorella prima di lasciarla sola. Una promessa che Caris non era stata in grado di mantenere, e questo gli era costato molto caro.

Singhiozzó rumorosamente rannicchiandosi in se stessa, accogliendo le gambe al petto. La sua sorellina, l’altra metá di se stessa adesso giaceva sopra una lamina d’acciaio fredda e sterile dell’obitorio. E si sentiva smarrita, terrorizzata dal fatto che adesso era sola. Prima era forte, sprezzante e temeraria... Ma senza la sua gemellina il mondo aveva cominciato a metterle paura.

Lo squillare del suo cellulare fece si che finalmente riuscisse a tornare con i piedi per terra, e stropicciandosi gli occhi. Lo afferró tra le mani, rabbrividendo di colpo quando posó lo sguardo sul nome che appariva sullo schermo: Lilith. Il cuore le giunse in gola, cominciando a battere freneticamente mentre tremante piggiava il bottoncino verde sulla sinistra del telefono

-P-Pronto?- domandó pregando che fosse qualcuno della polizia, qualcuno che era in grado di spiegarle cosa diavolo stava succedendo alla sua vita

-Ciao piccola Caris...- ma quella voce che parló non sembrava esserle familiare, e tantomeno la voce di una persona innoqua: era fredda, sadica e beffarda

-C-Chi sei? Perché hai il telefono di mia sorella?!- domandó cercando di moderare la voce, sebbene fosse rotta dalle lacrime

-Sai, stavo guardando le tue foto... Sei molto bella giovane Foster. Molto piú della tua sorellina. Oh a proposito, condoglianze...- ridacchió malevolo facendo salire un vomito di parole che non riuscí a trattenere

-Ho detto chi cazzo sei?! Perché hai ucciso mia sorella figlio di puttana! Cosa ti ha fatto?! Cosa?!- aveva letteralmente cominciato a sbraitare, facendo risuonare la sua voce per l’intero appartamento; mentre spudorato l’uomo dall’altro capo non esitava a ridere, ridere di gusto nei confronti della povera ragazza

-Oh, avevo sentito parlare della tua irritabilitá. Scommetto che diventi ancora piú eccitante quando sei arrabbiata- affermó sfociando nella malizia. Caris riprese fiato, e trattenenedo le ultime lacrime si fece seria, e strinse fortissimo i denti

-Ascoltami pazzo di un maniaco, non so tu chi sia... Non so per quale motivo ti diverte la mia disperazione. Ma una cosa é certa: tu hai ammazzato mia sorella senza motivo, e io ammazzeró te- ringhió sentendo l’adrenalina pulsare freneticamente nelle vene

-Dai tempo al tempo piccola. Tua sorella é morta perché é stata stupida. Per il resto chiedi a tuo padre. Lui ha tutte le risposte- e con questa frase l’uomo agganció, lasciandola immersa in una marea di domande che cominciavano a toglierle il fiato. Presa dall’impulsivitá e dalla voglia convulsa di ricevere delle risposte concrete, Caris infiló velocemente le scarpe e prese la felpa per coprirsi le spalle, lasciando la maglietta della sera prima spieguzzata sul letto. Superó ad ampie falcate il corridoio, afferrando con forza il pomello ottonato della porta. Qualcosa peró la fece arrestare di colpo. Caris si voltó e osservó il salotto deserto e apparentemente in ordine. Si soffermó a guardare un fazzoletto poggiato sul tavolino posto tra i due divani di pelle; al suo fianco giaceva una penna. Non le piaceva scappare via come una ladra, ma quella mattina sembrava essere strettamente necessario. Tuttavia decise di spendere almeno due minuti per lasciare un messaggio proprio su quel fazzolettino in salotto; poche righe chiare e semplici. E quando firmó l’omonimo messaggio la giovane Foster si guardó intorno e si rese conto che non aveva voglia di andarsene; voleva aspettare Andy...

Ma c’era qualcosa percui non poteva aspettare, dubbi che dovevano essere risolti e per cui Andy doveva esserene messo da parte. Cosí spalancó il portone, e proprio come una ladra, se ne andó.

*Angolo di Virgy*

Perdonatemi! Ci ho messo un bel po, ma spero tanto che vi piaccia!

Un bacio

-V-

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Con andazzo veloce, un taxi attraversava un viale alberato che portava ad una villetta a due piani con un grande tetto rosso. La ragazza al suo interno osservava malinconica il vasto giardino verde che la circondava, quello su cui soleva giocare da piccola con la sua amata sorella. Stava per scoppiare nuovamente in lacrime, ma Caris trovo’ la forza di resistere. Pagando l’autista la ragazza scese dalla vettura, passando attraverso a due volanti della polizia parcheggiate proprio davanti al portone. C’era anche una motocicletta nera posteggiata non molto distante dal vialetto, Caris ne riconobbe le striature argentate e quasi sorrise. Cammino’ lentamente fino all’ingresso, e dopo aver bussato tre volte finalmente qualcuno le venne ad aprire: era molto piu’ alto di lei, gli occhi scuri si erano puntanti come fari contro di lei, guardandola dolcemente. Le sue labbra carnose sorrisero quasi automaticamente vedendola, e spalancando le sue maestose braccia il ragazzo la strinse a se. Accolta nel suo ampio petto la giovane Foster diede sfogo di tutto il suo dolore, mentre il giovane al sio fianco le baciava ripetutamente la testa e i capelli, assaporandone appena il piacevole odore di lavanda mescolata al fumo
-Piccolina...- sussurrò appena asciugandole con i pollici le lacrime che continuavano a colarle dai suoi grandi occhioni verdi, così tristi e disorientati che avrebbero fatto tenerezza anche al cuore più duro
-R-Ron, d-dov’è papà? Devo parlare con lui...- rispose singhiozzando appena, finendo di asciugarsi il viso sgraziatamente con le mani, lasciando delle striature di trucco nero lungo tutto il dorso
- Zio Joh è in salotto con gli agenti. Ti stavamo aspettando...- rispose cingendole i fianchi con un braccio, stringendola appena più forte mentre attraversavano assieme lo stretto corridoio color crema, lo stesso che molti anni prima percorreva saltellando dentro ballerine nere e un vestitino con fiocchi rosa. Alle pareti, cornici di legno scuro incorniciavano brevi attimi della sua vita che sembravano aver perso tutto il loro significato: c’era la foto del battesimo delle gemelle; quella del loro ballo di fine anno e quella del diploma. Sempre insieme, come una cosa sola. Caris strinse forte di denti trattenendo appena il fiato mentre passava l’arcata in legno che immetteva direttamente nel salotto. Qui, un uomo dai folti baffi scuri sostava seduto con le mani alla testa, i suoi occhi, verdi e profondi, fissavano perennemente il suoto. Tre agenti rimanevano immobili al loro posto, in piedi a semi cerchio attorno ad un’altro uomo che non indossava la divisa, ma ben sì un completo più formale, con tanto di cravattino. Quest’ultimo trasferì il suo sguardo attento e curioso dal padre alla figlia, e quegli occhi glaciali quasi fecero rabbrividire la giovane che per un istante non riuscì nemmeno a parlare, inchiodata dallo sguardo di quell’uomo dai lineamenti marcati e forti e dall’espressione austera
-Arrivate giusto in tempo signorina Foster... Vostro padre ci ha appena spiegato la vera situazione in cui, sfortunatamente, siete coinvolta...- affermò congiungendo le mani, facendo dondolare i polpastrelli della mano destra con quelli della mano sinistra, fulminando con lo sguardo il suo genitore, l’unico uomo di cui aveva piena fiducia da sempre, l’uomo che secondo l’assassino di sua sorella aveva tutte le risposte...
-Quale situazione?- domandò staccandosi appena dalla presa rassicurante di suo cugino Ronald.
Silenzio. Si propagò per l’intero salotto mentre gli occhi accusatori e severi del detective, o almeno così lo aveva definito Caris, si posavano sulla figura rannicchiata in se stessa sul divano beje. Non sembrava avere la forza di parlare, come se il segreto che si portava dentro fosse così spaventoso da mangiargli le membra
-Allora signor Foster? Vuole dirglielo di persona o preferisce che glielo dica io?-
-Cosa devo sapere? Qual’è questa situazione?! Papà??- domandò la giovane sporgendosi un poco sul divanetto alla ricerca dello sguardo spento e fioco di suo padre. Non lo aveva mai visto così abbattuto, segnato dalla debolezza. Quello non poteva essere l’uomo che tanto amava e venerava, pieno di vigore, con la battuta pronta e un dolce sorriso sulle labbra. No, quello non era suo padre. E aveva paura, non aveva mai semsso di averne da quando quella persona le aveva parlato al telefono, da quando il carnefice con tono schietto e divertito le assicurava che era suo padre l’unico a sapere la verità. Con quegli stessi occhi da cui tanto aveva ripreso, il suo genitore la guardò finalmente in viso, e una lacrima cominciò a colargli lungo il perimetro arrotondato e grinzoso della guancia, contribuendo all’aumento d’ansia da parte della giovane Foster
-É tutta colpa mia...- fu tutto quello che riuscí a dire prima di affogare le parole nel pianto, tornando a tenersi il capo tra le grandi mani callose. Immediatamente il cuore della ragazza mancó un battito. Si sentiva tutto un tremito, e sebbene l’istinto le dicesse di sostenere suo padre e stargli a fianco, il suo corpo rifiutava di muoversi... Non finché non avesse saputo quale era questa vertiá
-Gli dovevo dei soldi. Ho giurato che glieli avrei procurati il prima possibile, ma loro non mi hanno creduto. Volevano una garanzia, e volevano ció che di piú caro avevo al mondo...-
-O mio dio...- Caris sussurró con la voce strozzata, soffocata dal battito cardiaco del suo cuore che era arrivato all’esasperazione
-T-Tu ci hai vendute?- velocissime le lacrime caddero in piacchiata rigando le sue guance.  Voltandosi di scatto suo padre trovó il coraggio di guardarla in viso. Era ferito dalle sue parole, cosí aspre e dure. Ma come poteva biasimarla?
-Caris, bambina mia...-con la mano ancora tremante l’uomo tentó di prendere quella pallida della ragazza, che tutta via la respinse con stizza
-N-Non toccarmi...- biascicó indietreggiando appena, andando a sbattere le spalle contro il petto di suo cugino, che istintivamente posó ambo i palmi sui suoi fianchi, tentando di rassicurarla
-Signorina Forster comprendo la sua rabbia. Ma adesso abbiamo altro a cui pensare...- intervenne il detective, guadagnandosi una occhiataccia quasi brutale dalla bruna, che irrigidendosi di colpo sembrava aver storpiato il suo viso con una espressione tutt’altro che cordiale
-Dovete trovarvi una nuova sistemazione. Qualcuno che non sia rintracciabile. Purtroppo il nostro uomo conosce bene la sua famiglia...-
-Chi é?- domandó prendendolo in contropiede
-Come le stavo dicendo, signorina dovremmo anche...- sembrava volesse ignorlarla, e questo le fece letteralmente ribollire il sangue dall’ira
-Senta, mia sorella é stata uccisa e lei mi sta facendo un fottuto discorso sul come devo nascondermi. Credo di avere almeno il cazzo di diritto di sapere da chi sto scappando- rispose schiettamente lasciando che un vomito di parole le fuoriuscisse di getto dalle labbra. L’uomo seduto nell’altro capo del salottino sembrava essere restio a confidarle quella informazione, ma vedeva dal modo incui le sue iridi ardevano che non si sarebbe arresa facilmente
-Si tratta di Aaron Hughes e suo figlio Jason. La FBI sono anni che gli da la caccia. Sono francesi e quando sono venuti qui si occupavano principalmente di spaccio di droga. Poi via via con gli anni si sono allargati anche sul campo del commercio d’armi e sul giro della prostituzione. Contenta adesso?- domandó con un ghigno acido che alla piccola Caris non piacque affatto. La brunetta prese un respiro profondo, asciugandosi sgraziatamente le palpebre. Era decisamente arrivata l’ora di mettersi a dove andare a sbattere la testa, a chi chiedere ospitalitá e protezione. Se era vero che conoscevano bene tutta la sua famiglia, l’appoggio di Ronnie era completamente inutile, e non avrebbe lasciato che anche suo cugino rischiasse la vita per lei. Un posto che solo lei conosceva esisteva. Un brivido percorse la sua intera colonna vertebrale quando il ricordo di due occhi profondi e limpidi penetró la sua mente. Sentiva la mano tremarle, proprio come la voce
-Per quanto tempo dovró stare via?-
-Per il momento un mese dovrebbe bastare. Ma con persone del genere probabilmente ci daranno parecchio filo da torcere- rispose il detective  passandosi una mano tra i folti capelli scuri
-E come faccio con il lavoro? Io sono una sarta e campo con quel poco che guadagno...-
-Provvederemo noi a mantenerti. Finché non sei fuori pericolo...- sollevandosi dalla poltrona, l’uomo si avvicinó alla ragazza armeggiando con qualcosa. Soltando quando fu abbastanza vicino, Caris riuscí a distinguere un pacchetto di sigarette
-Tuttavia... Sei sicura di riuscire a trovare una sistemazione entro stasera?- spaesata e confusa la giovane ebbe qualche istante di esitazione. Al momento conosceva una ed un’unica soluzione: Andy. Ma si sforzava di non pensarci. No, era uscita da casa sua con lo scopo preciso di non farlo entrare nella sua vita, ma sembrava proprio che il destino avesse deciso al posto suo
-S-Si...- balbettó stringendosi appena le mani al petto, carezzando quella T-shirt “presa in prestito” che era ancora impregnata del suo odore di fumo. Cercando di autoconvincersi che tutto sarebbe finito per il meglio, scosse la testa e annuí piú volte
-Prima peró devo fare una cosa...- rispose voltandosi di scatto, fissando dritto negli occhi suo cugino, che intuendo quali fossero le sue intenzioni, le prese la mano, sorridendole dolcemente.

***
Quella sera, Andy teneva tra le mani affusolate e gelide il bicchierino di vetro ancora mezzo pieno di wisky. Lo roteava appena tra le sue dita, osservando l’oscillante andazzo del liquore ambrato. Circondato dai suoi amici il giovane vocalist sembrava assente, e questo lo si notava dal colore spento e pallido delle sue iridi. Andy si sentiva strano, doveva ammetterlo, e il fatto di non essere capace a nasconderlo quasi gli dava ai nervi. Perché di fronte ai suoi compagni odiava mostrarsi cosí... Debole?
-Che brutta cera che hai figliolo- constató il signor Raynolds, mentre sfregava un panno umido sul suo bancone, ripulendolo dagli aloni lasciati dai bicchieri e dai fondi di bottiglia. Tuttavia non ricevette alcuna risposta, eh no... Sembrava che il ragazzo si trovasse letteralmente su un altro pianeta
-Ah L’amour! L’amour!- ridacchió Jinxx portanto una mano con estremo pathos alla fronte, inclinando appena il mento verso l’alto per rendere ancora piú melodrammatico il suo momento
-Piantala coglione!- rispose Jake ridendo sotto i baffi, dandogli una leggera gomitata al fianco
-Ma gli é successo qualcosa?- domandó il barista sporgendosi appena verso Ash, che giá da qualche ora, rimaneva in silenzio a studiare il suo vocalist
-Beh, da quello che so...- cominció facendo il vago, cercando di assicurarsi che Andy non lo avesse sentito, dopo tutto lui era l’unico a sapere che cosa avesse
-La ragazza. Quella di ieri sera. Questa mettina l’aveva lasciata a dormire a casa. E quando é rientrato con la colazione lei non c’era piú. PUFF, sparita nel nulla!-
-Si magari rapita dagli alieni!- affermó Christian conquistandosi un’occhiataccia da parte del suo cantante, che tornando a bere tutto d’un fiato, rispose
-Se ne é andata lasciandomi un biglietto se lo volevate tanto sapere...- e sollevandosi dal suo seggio, il moro s’infiló una mano nella tasca dei jeans aderenti. Sfiló una banconota da venti e la sbatté sul bancone prima di girare i tacchi e dirigersi verso l’uscita
-Oh ma andiamo Andy! É ridicolo tutto questo!- lo ammonirono i suoi compagni
-Tsk...- e sollevando appena l’angolo delle labbra il vocalist uscí, chiudendosi la porta alle spalle. La brezza della sera lo travolse non appena fu fuori dal pub, e stringendosi le spalle cominció a camminare verso il suo appartamento. Teneva lo sguardo fisso a terra, guardando i suoi piedi sussueguirsi uno dopo l’altro.

“Mi dispiace ma devo andare. Baci. Caris”

Poche parole messe in fila su un fazzoletto. Eppure c’era qualcosa che non riusciva a concincerlo. Per quale motivo avrebbe dovuto andarsene, se fino a qualche ora prima sembra disorientata e spaventata?
“A-Andy?” quanta fragilitá ispiravano i suoi occhi, lucidati dalle lacrime versate. Faticava a crederci ma non aveva fatto altro che pensare a quelle iridi grandi e verdi; docili ma allo stesso tempo combattive, ardenti. Si diede dello stupido, mentre lentamente cominciava a salire le scale del condominio. Ovviamente l’ascensore era rotto, gli toccavano la bellezza di quattro piani a piedi, e tutta quella miriade di pensieri certo nongli avrebbe favorito la scalata. Tastandosi la giaccha di pelle che rivestiva il suo petto asciutto, andó alla ricerca delle chiavi, senza badare all’ombra che sostava seduta proprio accanto all’ingresso di casa sua. Era piuttosto buio, e tutto quello che i suoi occhi videro in quell’istante fu una figurina esile agraziatamente posata contro la sua porta, e le ginocchia al petto e contornata da cinque scatoloni di cartone. Doveva essere una ragazza, lo deduceva dagli stivaletti con i tacchi che indossava. Soltando quando fu abbastanza vicino da notare la sua lunga chioma bruna si rese conto di chi fosse
-Caris?- domandó cucciandosi appena, posandole una mano sulla spalla rivestita della sua stessa maglietta, quella di batman che amava tanto. Percependo quel lieve contatto la ragazza sollevó di scatto lo sguardo, andandosi a scontrare contro quello freddo ma pur sempre basito del vocalist...
-A-Andy!- sussurró stropicciandosi appena gli occhi, dopotutto erano le due di notte, e c’era d’aspettarselo che si sarebbe addormentata lí. Tuttavia quando finalmente la rivide il moro non poté che rimanere ancora piú provato e confuso di quanto non lo fosse giá
-Che ci fai qui?- domandó schiarendosi la voce, cercando di apparire serio e distaccato, proprio come sempre. La piccola Foster inizialmente abbassó lo sguardo, tremante in preda alla vergogna: con quale coraggio gli avrebbe chiesto protezione? Lei, che lo aveva lasciato con un messaggino su un fazzoletto!
-Sei venuta a restituirmi la maglietta?... Allora?... Heylá?- domandó canzonandola con un ghignetto divertito. Dopo tutto era piú forte di lui, e prenderla un po in giro era cosí divertente. Poi peró vide una lacrima solcare il viso della ragazza, e a quella gemma i suoi muscoli s’irrigidirono di colpo, e la sua espressione tornó seria
-H-Ho bisogno di aiuto Andy...- sussurró portandosi le mani al viso. Queste fine e diafane tremavano come una foglia al vento, e tutto quel tremore non gli piacque per niente. Cosa le era successo? Perché era ridotta in quello stato?
-Hey...- fu tutto quello che il moretto riuscí a dire mentre s’inginocchiava al suo fianco, scoprendole il viso madido e arrossato
-Che succede?- domandó incrociando nuovamente il suo sguardo. Era preoccupato, per lei. Il modo in cui finalmente la guardava la sollevó, e asciugandosi le lacrime la bruna cominció ad armeggiare con la sua borsa, estraendone una bottiglia di vodka, quasi offrendogliela
-N-Ne parliamo dentro. T-Ti va?- i due si fissarono intensamente ancora una volta. A quell’invito Andy certo non si sarebbe rifiutato, e uno risolino andó a sollevaro ambo gli angoli delle sue labbra
-Vieni qui...- sussurró stringendola a se, proprio come quella mattina, nel suo letto. Facendo aderire bene le dita con le pieghe della sua maglietta, portandola al petto. Caris, colta di sorpresa rimase passivamente succube di quell’abbraccio, ricambiandolo solo in un secondo momento, poco prima che i loro corpi si separassero per tornare a guardarsi fissi negli occhi
-Dai...- disse Andy in un primo momento, sollevandosi dallo scalino, tendendole la mano
-Entriamo in casa- concluse la frase invitandola a seguirlo. Da quella posizione la ragazza finalmente vide un sorriso. Un disegno sinuoso che rendeva angelicamente perfetta la sua bocca. Lo guardó ancora per qualche secondo, poi allungando la mano afferró quella del ragazzo, che prontamente l’accolse, intrecciando le dita con le sue. La giovane Foster riusciva a sentire un piccolo tepore scaturirsi da quell’unione di pelli. Un calore, che in men che non si dica arrivó dritto al petto, scaldandole il cuore.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***



Appollagliati sul bancone che divideva la cucina dal salotto, i due ragazzi cominciarono a bere con un certo silenzio che discretamente caló su di loro trasportando un velo di pesantezza su entrambi. Da una parte, Andy osservava la ragazza tracannare tutto d’un fiato un bicchierino di quell’invitante vodka che gli aveva offerto poco prima. Sulle sue goti due todi rosseggianti tinteggiarono la sua pelle con la stessa delicatezza con cui un artigiano rifinisce una bambola di porcellana
-Hey, vacci piano con quella roba. Devo rammentarti la scenetta nel mio bagno di ieri?- ridacció sfilandole la bottiglia di mano proprio quando sembrava aver tutta la voglia di farsi un altro bicchiere
-Sto solo cercando di rilassarmi...- sbuffó la bruna abbassando violentemente lo sguardo. Cominció a sfiorare con l’indice tutto il perimetro di quel piccolo e fragile contenitore di vetro ormai vuoto. Respirava profondamente, cercando di farsi coraggio il piú possibile. Aveva paura, e come poteva non averne? Che sarebbe successo se Andy gli avesse negato il sostegno di cui aveva bisogno? Certo, non poteva biasimarlo, dopo tutto non si conoscevano affatto. Tutto a un tratto l’ansia cominció a mangiarla dentro, mentre un groppone otturava la sua gola, impedendo alle parole di prendere forma nella sua bocca. a portarla con i piedi per terra poi, la mano del vocalist sembrava essere giunta per rassicurarla, sfiorandole le dita prima di afferrarla con determinata delicatezza
-Non devi avere paura. La paura non serve a nulla- si fissarono per qualche decimo di secondo, arco di tempo che mandó letteralmente in tilt tutto il sistema nervoso della piccola Caris
-Pare che mio padre si sia indebitato con dei tizzi loschi che hanno a che fare con droga, armi e prostitute...- cominció abbassando nuovamente lo sguardo, sfilando abilmente la sua mano dalla presa del ragazzo
-E cosa c’entra questo con te? Ti hanno fatto qualcosa?- sebbene la sua espressione sembrasse serena, in veritá Andy cominciava a preoccuparsi sul serio. Da quel poco che sapeva di lei, sembrava una ragazza a modo. Ma lui stesso dovette ammettere di non sapere veramente nulla sul suo conto
-Ha-Hanno ucciso mia sorella gemella. L’altra mattina, il giorno del nostro compleanno- i singhiozzi erano tornati a soffocarla. Mentre con la mano sinistra teneva il bicchierino di ventro, con quella destra aveva cominciato a giocare con un braccialetto che il vocalist notó immediatamente: completamente in argento con tre ciondoli; una chiave di violino, una “L” e una scarpetta da danza classica. A quella affermazione il suo sangue si era raggelato nelle vene. Soltanto adesso trovava risposta alle sue mille domande. Ora sapeva perché la sera prima aveva affogato la tristezza con tre bottiglie di rum, adesso si rendeva conto il dolore che provava versando tutte quelle lacrime e la sua incapacitá di potergli spiegare tutto prima. Stava per dire qualcosa, onestamente neanche lui sapeva cosa ma sentiva il necessario bisogno di dare fiato alle sue labbra. Eppure, una volta aperta la bocca, non fu in grado di dire neanche una parola
-Adesso sembra che stiano cercando anche me. E finché mio padre non avrá sanato il suo debito loro mi daranno la caccia. Ho bisogno di un posto dove stare, lontano dalla mia famiglia cosí che non possano rintracciarmi. Non posso uscire se non per casi di estrema necessitá...- Caris sembrava aver buttato giú un vomito di parole che le costituiva un grosso peso. Ma adesso la paura incombeva su di lei, recandole profondi brividi sotto pelle
-So perfettamente che non ci conosciamo. Quindi se preferisci restarne fuori... Posso capirti-sussurró senza azzardarsi minimamente a guardarlo in faccia. C’erano momento in cui Caris fativa a a guardarlo, perché non era in grado di riuscire a sostenere quelle iridi glaciali su di lei. Ora sí che Andy era rimasto letteralmente spiazzato. Cosa doveva fare? Il suo buon senso ci mise poco a rispondere con un secco rifiuto, eppure si sentiva cosí indeciso sul da farsi. Certo, non poteva rischiare la sua incolumitá... Ma allora, se lui non voleva farla restare, perché rimaneva in silenzio, a guardarla piangere timidamente sotto la folta barriera della sua frangetta? Perché non riusciva a prendere una decisione? Era confuso, doveva ammetterlo. Era lei a metterlo in confusione
-Per quanto?- domandó improvvisamente cogliendola alla sprovvista, facendola quasi sobbalzare sullo sgabbello sui cui era seduta
-C-Cosa?- gli chiese lei sistemandosi i capelli che cominciavano a darle fastidio innanzi il volto
-Per quanto tempo ti serve una sistemazione?- riformuló la domanda
-Il detective mi ha detto per circa un mese. Ma non sa con certezza entro quali tempi riusciranno a prenderli...- Andy la fissó nuovamente, quasi impietosito. Perché diamine non riusciva a lasciarla andare? Fosse stato qualcun’altro non ci avrebbe sprecato neanche mezzo secondo. Andy non si fidava mai di nessuno. Eppure Caris suscitava un certo fascino su di lui, ma non volle ammetterlo. Sollevó lo sguardo al cielo, sbuffando. Si sarebbe messo nei guai, ne era certo
-Okay... Ci sto- rispose scrollandosi le spalle, versandosi ancora della vodka nel bicchiere. Sorseggió come niente fosse tenendo gli occhi appena serrati, e non appena li riaprí si ritrovó le iridi verdi e raggianti della brunetta che quasi esplodevano di colore e di luce, contornati dalle lacrime che parevano delle piccole gemme ornamentali sulle sue ciglia
-A-Andy...- lo chiamó con estrema dolcezza
-Che c’é?- domandó sollevando un sopracciglio. Sembrava sostenuto, distaccato come suo solito fare. Sollvandosi dal suo seggio la ragazza si avventó su di lui buttandogli le braccia al collo. Scoppiando nuovamente in lacrime. Sebbene si trattasse di un painto di gioia, il vocalist scoppió ugualmente a ridere, afferrandola per le spalle per staccarla dal suo corpo
-Frena frena! Cazzo te l’ho detto che non amo queste smancerie- affermó scompigliandole appena i capelli
-Hai ragione. Scusa- e lasciando le sue guance ardere dalla vergogna, Caris abbassó violentemente lo sguardo. Dandole una pacca sulla spalla, Andy la superó cominciando ad avviarsi per il corridoio
-Dai bella addormentata sul cesso! É ora di andare a dormire! Domani mattina il sottoscritto ha una intervista, e onestamente vorrei dormire almeno un paio di ore...- ridacchió avviandosi all’interno della sua camera da letto, che ovviamente non si era minimamente degnato a rassettare. No, l’aveva lasciata cosí com’era; con le lenzuola disfatte, e ancora impregnate del loro odore: fiori e fumo; coppia bizzarra ma pur sempre ben azzeccata
-Di un po non avrai intenzione di chiamarmi “bella addormentata sul cesso” per tutta la mia permanenza!- rispose a tono la ragazza entrando poco dopo di lui con le braccia conserte, lasciando penzolare della stoffa beje dal suo avanbraccio serrato al petto
-Beh é carino! E poi devi ammettere che rispecchia la realtá. O sbaglio?- con tono di sfida il ragazzo si stravaccó ancora tutto vestito sopra il suo giaciglio, osservandola accigliato
-Spiritoso!- rispose la castana facendogli una linguaccia
-Che hai li?- domandó indicancogli appena quel brandello di stoffa che teneva in mano
-Il mio pigiama perché?-
-Ti metti il pigiama?-
-Beh... Le persone normali solitamente indossano un pigiama sai?- ridacchió dandogli le spalle, sgattagliolando nel bagno per cambiarsi. Ora che ci pensava Andy non aveva un vero pigiama, a meno che i boxer e una maglietta significasse tenere un pigiama. Approfittando dell’assenza della ragazza allora il moro si sollevó dal letto con grande fatica. Quasi a tempo di record si caló i pantaloni gettandoli dall’altro capo della camera; avvicinandosi all’armadio si cambió maglietta, indossandone una a tinta unita scura di cotone leggero a maniche corte. Infine, tornando al suo amato letto, si coprí appena fino all’inguine con le lenzuola. Rimase qualche minuto a fissare il soffitto, ascoltando il rumore dell’acqua che scorreva nel bagno adiacente alla sua camera. Andy non la sentí entrare, poiché i suoi piedi nudi sul pavimento sembravano il passo leggiadro di una fatina dei boschi. Era rimasta impalata sulla porta a guardarlo completamente immerso nei suoi pensieri, con lo sguardo celestiale rivolto perennemente contro il soffitto, e un’espressione serena sul viso candido. Soltanto quando si sentí osservato il vocalist si rese conto della sua presenza: il famoso “pigiama” altro non era che una maglietta di grandi dimensioni che andava a scoprire una spalla, riversandosi sul suo corpo sinuoso per terminare sulle cosce, lasciando le gambe completamente nude. Caris teneva i capelli legati sebbene le punte della sua frangia fossero umide. Tra le mani aveva i suoi vestiti, che con delicatezza posó ai piedi del letto, infilandosi delicatamente sotto le coperte assieme a lui. Stentava a crederci ma un velo di imbarazzo aveva intaccato il suo viso, che a stento riusciva a rivolgergli
-Beh allora. Buona notte- rispose il cantante affondando la testa nel cuscino, allungando una mano sull’interruttore della luce
-Notte- rispose lei imitandolo. Rimase in posizione subita a guardare il buio per un po. Pur sentendosi stanca morta, Caris non riusciva a prendere sonno. Cominció a girarsi e riggirarsi nel suo letto, senza trovare pace, rendendo il sonno difficile anche al povero ragazzo che senza riuscire a sollevare le palpebre per la stanchezza sussurró
-Tutto bene?-
-Si si...- rispose vagamente rannicchiandosi in se stessa, cercando di restare ferma per non dargli ulteriore fastidio. Attese ancora, gustandosi il silenzio, e il sottile suono dei respiri di Andy, che nel frattempo, cadeva in balia di un sonno profondo. Strusciando appena allora, Caris si avvicinó a lui. trattenenva il respiro, cercando di non fare ne rumore ne movimenti troppo bruschi. Certo, non voleva stargli appiccicata, peró voleva stargli vicino. Si sentiva sola, questa era la veritá. Andy gli dava le spalle, e con discrezzione la giovane si appostó proprio rivolta contro la sua schiena, sentenso il calore che emanava il suo corpo intiepidirle le guance. Fu soltanto grazie a quel tepore, che alla fine anche Caris ritrovó la voglia di dormire.

***
Alle nove del mattino il sole s’infiltrava dalla grande finestra andandosi a puntare come un riflettore sul grande letto matrimoniale. Tutta quella luce cosí all’improvviso andó ad infastidire gli occhi delicati e ancora assonnati di Caris, che sbadigliando appena strofinó il viso sulla morbida stoffa su cui era poggiata. Era stordita, e sentiva un leggero mal di testa trapanarle le meningi. Non ne era sicura ma aveva come l’impressione che qualcuno le stesse accarezzando la mano. Sentiva polpastrelli tiepidi e vellutati scorrere sulla sua pelle giocherellando con il braccialetto in argento di sua sorella che portava al polso. Spalancando appena i suoi occhi in due piccole fessure verdognole, constato che una mano effettivamente la stava accarezzando. Carne pallida e dita affusolate. Una mano che sicuramente aveva giá visto. Sentiva la sua testa come se dondolasse, ma le bastarono soltanto qualche secondo buono per capire che non era lei a dondolare ma bensí il suo cuscino, o quello che lei pensava fosse il suo cuscino, sollevarsi piano, andando a ritmo con quello che riconobbe come un battito cardiaco. Sfilando lentamente la mano dalla presa dell’altra, si stropicció gli occhi mugugnando appena mentre sentiva la presenza di una seconda mano. Era sempre sostata sulla sua spalla seminuda, ma soltanto adesso che si stava spostando lungo la sua pelle si era accorta di lei. Sentí i capelli vorticare appena per mano di quelle dita, mentre una risatina cominciava a giungere al suo orecchio
-Buon giorno eh? No no con calma bella addormentata sul cesso- disse eronicamente quel ragazzo che la sera prima faticava a guardare negli occhi. Tornando lucida, Caris si sollevó di scatto, posando lo sguardo sul vocalist, che steso sotto di lei la osservava ridendo beffardo
-M-Ma che...?- cominció la frase incrudula senza trovare altro da dire, mentre le sue guance cominciavano a tinteggiarsi di rosso
-É piú o meno dalle sei di questo mattino che si sei appropriata del mio corpo usandolo come cuscino. Ti sei pure presa tutte le coperte, e questa me la paghi te lo posso asicurare- affermó il ragazzo cercando di trattenere i segni del riso agli angoli della sua bocca
-M-Ma no. Oddio scusami. Di solito non mi nuovo nel sonno. O almeno non me lo ricordo. Oddio!- biascicó paonazza e in preda alla vergogna
-Che stupida che sei- rispose il ragazzo sollevandosi appena, dandole un boffetto sulla testa. Alzando appena lo sguardo le iridi verdi della ragazza si tuffarono in quelle glaciali del vocalist, che quel mattino sembravano meno fredde del solito. Un sorrisetto timido si scolpí sulle labbra fine della fanciulla, mentre Andy si sedeva poggiando la schiena contro la testiera nel letto
-Almeno dammi la soddisfazione di sentirmi dire che sono comodo! No?- domandó facendola immediatamente scoppiare in una fragorosa risata
-Megalomane!- disse la bruna dandogli un pugnetto sul petto, gesto a cui il giovane rispose con una spintarella. E come per gioco i due cominciarono a farsi i dispetti, proprio come due bamnini: cuscinate, schiaffetti e tanto solletico. Senza farlo apposta, Andy la prese a se, tenendola stretta per i polsi, immobilizzandola sul suo grembo. Avevano continuato a ridere finquando non si resero conto della posizione equivoca che avevano assunto. Petto contro petto, e i loro visi arrossati e accaldati ad una vicinanza piuttosto pericolosa. Avevano il fiatone per il troppo scalmanarsi, e adesso i loro respiri si accarezzavano a vicenda, andandosi a scagliare contro le guance l’uno dell’altra
-Credo che sia ora che mi faccia una doccia...- affermó il ragazzo facendo il vago, lasciandola scendere dal suo corpo con delicatezza. E restando impalata sul materasso, Caris osservó Andy sfrecciare fuori della camera, chidendosi nel bagno lasciando vorticare la sua folta chioma corvina. Aveva un necessario bisogno di una doccia fredda. Qualche instante che la ragazza sentí con chiarezza le ante della doccia chiudersi, e l’acqua cominciare a scorrere. Fu proprio in quel momento che il campanello trilló alto cogliendo la ragazza di sorpresa. Scivolando giú dal letto, la piccola Foster cominció a camminare in punta di piedi sul pavimento freddo, avviandosi con ampie falcate alla porta d’ingresso, spalancandolo appena. Quattro ragazzi sostavano dietro quella piccola parete lignea con la presunzione di ritrovarsi il loro vocalist con le occhiaie e il viso ancora addormentato e la voce impastata dal sonno. Fortunatamente per loro, invece, i quattro rimasero letteralmente imbambolati innanzi alla curiosa e affasciante figura femminile che li aveva accolti alla porta: con i capelli scompigliati e una maglietta beje che a malapena la copriva
-Ciao!- affermó la ragazza sorridendo dolcemente, cercando di trattenere un risolino divertito alle espressioni anomale dei suoi ospiti
-Hem... Buon giorno noi eravamo venuti per Andy...- rispose con insolito garbo Jake, facendosi largo tra un Chris e un Ash con la lungua ancora a penzoloni
-Si stá facendo la doccia. Ma prego entrate pure. Stavo per preparare il caffé. Volete?- chiese la bruna invitandoli ad entrare
-Ma veramente noi lo avremmo giá ahhh!- Pitts stava per terminare la frase quando, con un pizzicotto micidiale al fianco il suo bassista lo aveva costretto al silenzio
-Ce lo prendiamo volentieri! Vero ragazzi?- li convinse cominciando ad entrare nell’appartamento, mentre i suoi ragazzi lo seguivano a ruota. Canticchiando appena Caris accese la macchinetta del caffé, e sporgendosi appena sul bancone della cucina, osservó i ragazzi che nel frattempo si erano accomodati sul divano, cercando un pretesto per cominciare una conversazione
-Andy mi ha detto che aveva un intervista oggi. Ma siete un gruppo?-
-Si, suoniamo insieme giá da un bel po oramai- ridacchió Jeremy stravaccandosi per bene sul divano di pelle
-Che fico- esultó la ragazza chinandosi appena, poggiando il mento sui pugni chiusi. Aveva gli occhi sognanti. “Andy in un gruppo! Wow! Chissá che strumento suona!”
-E tu saresti...?- chiese improvvisamente Christian riportandola con i piedi per terra, cogliendola di sorpresa
-N-Non mi sono presentata?- domandó sbiancando mentre i quattro accennavano un “no” con il viso
-Oh dio ma quanto sono scema! Scusatemi! Comunque piacere mio, io sono Caris- ridachió grattandosi appena la testa, volteggiando per la cucina alla ricerca delle tazze per il caffé. Sebbene sapesse ben destreggiarsi in quel luogo, la ricerca sembrava piú defficile del previsto. Eppure la cucina di Andy non era famosa per essere “ricca” di utensili e alimenti. Corrucció appena le labbra, tornando a grattarsi la testa, irritata. Cosí a giungere in suo aiuto Ashley fu piú che contento di mostrargli la gredenza dove Andy aveva riposo un paio di tazze ancora nuove
-Grazie mille. Non ce l’avrei mai fatta- rispose timidamente passando i bicchieri sotto il getto d’acqua per pulirli dopo anni, se non secoli, che erano rimasti chiusi li dentro
-Figurati. Ah, io sono Ashley...- e porgendole la mano il bassista fece la sua mossa
-Piacere mio...- rispose la ragazza stringendo la sua mano, restando per qualche secondo intrappolata nello sguardo carico e ammaliante del giovane
-M-Mi potresti aiutare con le tazze?- domandó timidamente cominciando a versarci dentro il caffé scuro e fragrante
-Volentieri...- rispose con un occhiolino cominciando a servire ai suoi compagni.
E mentre si rivestiva Andrew sentiva svariate voci provenire dal suo salone, seguito da un invitante profumo di caffé, che in quel momento sarebbe stato come un elisir di lunga vita. Con i capelli ancora umidi il vocalist si avvió nel soggiorno, rimanendo un poco sulle sue nel vedere i suoi compagni che sorseggiavano caffé in compagnia di Caris, ridendo e scherzando che se si conoscessero da sempre. Nessuno sembrava essersi accorto di lui. tranne lei, che immediatamente aveva posato i suoi occhi sui suoi
-Andy!- esultó la giovane sollevandosi dal bracciolo del divano, prendendo una tazza di porcellana bianca dal bordo blu colma di caffé ancora bello caldo
-Tieni. Ti ho lasciato una bella tazza...- disse porgendogliela gentilmente
-Grazie...- rispose basito e confuso a tutte quelle premure nei suoi confronti. Dopo tutto non ci era mai stato abituato, e tutta questa dolcezza nei suoi riguardi quasi lo stomacava
-É molto simpatica la tua amica Andy...- ridacchió Purdy mentre “CC” gli dava una gomitata sul fianco per farlo tacere
-Ah ah che fate cambiate argomento eh? Che cazzo ci fate qua? Non dovevamo vederci tra mezz’ora allo studio?- domandó burberamente fulminando uno per uno i suoi amici, sorseggiando appena il suo caffé
-Eh lo sappiamo noi il perché! Dai cazzone muovi il culo cosí andiamo!- disse Jeremy sollevandosi dal suo poggio, sistemandosi i pantaloni prima di avvicinarsi alla porta. E mentre anche gli altri lo seguivano a ruota Andy posó sul tavolino del salottino la tazza oramai quasi vuota, rivolgendo uno sguardo alla bruna, che silenziosamente faceva la vaga, salutando cortesemente i ragazzi
-Ci dobbiamo vedere piú spesso!- ridacchió Ash sorridendole malizioso
-Tanto io sto qui!- rispose la ragazza ridendo appena, coprendosi le labbra con la mano, mascherando con le dita il suono soffice del suo riso
-Ciao bella- la salutó il bassista con due baci sulle guance, cogliendo l’attenzione tanto di Caris quando di Andy, che fiancheggiandola diede una pacca sulla spalla al suo amico
-Su su muovi il culo!- affermó osservando il suo compagno uscire ridendo bello beato. Come suo solito Purdy faceva il coglione. Non che gli dispiacesse, era divertente vederlo alle prese con il suo corteggiamento di solito. Ma con Caris. No, non lo convinceva. Non dopo quella doccia fredda che si era fatto e quella fottuta “debolezza” nei suoi confronti
-Non sarai mica geloso?- domandó sollevando beffarda un sopracciglio, guardandolo di sottecchi
-Ma sentitela! E menomale che sono io il megalomane!- Colto di sprovvista il moro inzialmente sembrava essere impallidito. Lui geloso? Neanche per sogno! Lui, che di donne poteva averne a bizzeffe, geloso di lei? No! No e poi no! O almeno questo é quello che Biersack voleva credere
- Pensa a rassettare casa. Come vedi, ne ha bisogno. Io torno stasera ciao!- affermó tutto d’un fiato cominciando ad avviarsi veloce per le scale con un sorrisetto malefico sulle labbra, poiché sapeva cosa sarebbe successo in quel preciso momento. Come aveva previsto infatti, Caris, rossa dalla rabbia uscí appena dalla porta gridandogli appresso
-Mi hai presa per la tua cameriera?! Sei un coglione Andy!- ma sebbene volesse parere un tono rabbioso, verso il finale il ringhio si trasformó in una risatina tenera. Perché infondo Caris non riusciva ad avercela con lui.  

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Quando Caris si richiuse la porta alle spalle, il suo sorriso si spense di colpo. Come se adesso che si ritrovava da sola, una pensate sensazione di vuoto si era abbattuta su di lei, sconfortandola. Cosa avrebbe fatto tutto il giorno, sola, barricata in quell’appartamento? Forse Andy non aveva tutti i torti, forse davvero deveva mettersi a fare le faccende di casa, almeno avrebbe passato un po di tempo impegnata a non pensare. Decise che come prima cosa sarebbe stato meglio cambiarsi e mettersi dei vestiti puliti; cosí una volta in camera da letto cominció a spulciare in uno dei grandi scatoloni da imballaggio marroni che si era portata dietro. Erano cinque, e per lei fu difficile credere che tutta la sua vita fosse entrata in sole cinque scatole. Beh, dopo la morte di Lilith erano tante le cose che la piccola Foster non riusciva a credere. Un jeans e una maglietta viola. Niente tacchi, niente trucco, soltanto lei in tutta la sua semplicitá, dopotutto non doveva andare da nessuna parte, perció perché complicarsi la vita?
Saltellando a piedi nudi per la casa, la brunetta cominció a rassettare tutto ció che doveva essere messo in ordne, a partire da letto, piegando per bene le lensuola e stendendo la trapunta scura senza lasciare sgradevoli grinze. Poi passó al bagno e infine al salotto e alla cucina, ripulendo le tazze con le quali Andy e i suoi amici avevano bevuto il caffé. L’angolo destro delle sue labbra fine e pallide si sollevó verso l’alto, era stato bello passare qualche minuto con loro. Si era sentita serena. Per la prima volta felice di passare un po di tempo in compagnia. Riposti anche i bicchieri nel loro repanto della gredenza, Caris si rese conto di aver finito, e di dover trovare qualcosa da fare alla svelta, prima che il suo cervello prendesse qualche assurda e malinconica iniziativa. Rintornó nella loro camera da letto, spulciando nei suo scatoloni. Chissá magari sperava di trovare qualcosa di interessante. E in quella degli strumenti di lavoro, la ragazza vi trovó un manichino dal busto imbottito e rivestito di stoffa grezza grigia assieme a tessuti, aghi, fili e forbici di varie misure. Era questo quello di cui aveva veramente bisogno: lavorare. Niente di meglio per passare piú ore di fila senza pensare ad altro che a tagliare e riassemblare pezzi di stoffa per creare qualcosa. Portó dunque tutto il materiale nel salottino, posizionando la pensante macchina da cucire sul tavolo su cui, la sera prima, confidava la sua scombussolata faccenda al giovane proprietario dell’appartamento. Si rese conto solo piú tardi di non avere la benché minima idea del capo che andava a confezionare. Imprecando sonoramente ritornó dai suoi fidi scatoloni alla ricerca del quaderno sul quale teneva tutti i suoi bozzetti. Odiava fare avanti e indietro, e odiava il fatto di essere cosí maldestramente distratta. Magari era la noia a renderla cosí disorientata e smemorata, o forse era soltanto l’ansia di una vita bloccata dentro un appartamento a sconfotarla, ad opprimerla al punto tale da renderla vuota e spenta. Ed eccolo lí, infondo allo scatolone, con la copertina in finta pelle marrone, le pagine ingiallite e spieguzzate. Sedendosi con le gambe incrociate sul pavimento, Caris si portó il quaderno al grembo, sfogliandolo lentamente. Lí c’erano tutti i suoi lavori: abiti da sera, da Cocktail, Tailleur da lavoro. Ogni singolo pezzo caratterizzato da linee accattivanti, colori incisivi e stampe. Il tutto sempre curato in ogni minimo dettaglio, dopo tutto era per le donne di Los Angeles che disegnava vestiti. Sbuffando sommessamente, la ragazza diede un possente scossone alla testa, voltando nuovamente la pagina nella speranza di tornare ancora ai suoi ricordi piú felici, ma quello che vide non le piacque affatto: era il disegno di un semplicissimo abitino in tinta unita. Doveva essere aderente, con uno scollo profondo sulla schiena. Nulla di spettacolare, nulla di raffinato. Solo un vestito nero. Eppure quel disegno tanto semplice quanto dozzinale era riuscito a farla trasalire. Perché non era stata lei l’autrice, ma bensí sua sorella. Riusciva ancora a leggere la sua firma sottile ed elegante sul fondo del foglio nell’angolo destro. Mascheró le labbra che tremavano dietro la mano pallida che si era posata automaticamente sul suo viso, mentre la sua testa si tuffava nel ricordo di qualche settimana prima, quando ancora aveva la sua vita:
“-Ti piace?- le aveva chiesto la gemella sventolandogli il taquino sotto il naso con una foga talmente infantile da divertirla e infastidirla al tempo stesso
-Da qua! Fammi vedere... non male. Ma é cosí semplice. Non ci vorresti, che ne so... Un paio di perline?- rispose Caris cercando lo sguardo della sorella, che immediatamente espose il suo disappunto
-No. Deve essere cosí. Devo farci il saggio e voglio che sia sensuale e non pacchiano!-
La maggiore delle gemelle Foster non ne era convinta, e a Lilith le ci vollero giorni prima di convincere la sorella a pronunciare la fatiliche parole:
-Va bene. Te lo faccio io. E verrá splendido. Te lo prometto”
Lo aveva fatto. Ancora una volta Caris aveva fatto una promessa a Lilith e non l’aveva mantenuta, e ora era troppo tardi. Colta dalla tristezza una lacrima rigó il suo viso, mentre i singhiozzi crebbero fino a strozzarla. Respiró profondamente,  cercando di darsi una calmata. Socchiuse il quaderno, tenendolo tra le mani mentre tornava in salotto. Sedendosi sul divano cominció a guardare il soffitto, ascoltando il silenzio attorno a lei. Odiava il fastidioso rumore del nulla che la avvolgeva cosí forte da toglierle il respiro, e doveva farci l’abitudine. Roteó le sue iridi verdognole in lungo e in largo, osservando il mobilio che cominciava a riconoscere come quello della sua nuova dimora. C’era un pacchetto di sigarette, lasciato pericolosamente incustodito sul basso tavolino in legno scuro innanzi a lei. Inutile dirlo, la giovane non si fece troppi scrupoli e lo afferró tra le mani, sollevando il coperchietto di cartone bianco: diciannove sigarette. Ne mancava una, forse consumata tra le labbra rosse del suo coinquilino. Dopo averne estratta una, la incastró nella sua bocca accendendola con un piccolo accendino che teneva sempre nelle tasche dei suoi jeans. Trattenne la prima boccata tra le sue labbra, quasi assaporando quel sapore amarognolo scendere nei suoi polmoni per poi sputarlo lentamente, creando una nuvola opaca che andó a disperdersi nell’ambiente circostante. Si stravaccó per altri cinque minuti sul sofá, osservando quella stecca tra le sue labbra diminuire sensibilmente la sua lunghezza. Alternava tiri lenti e profondi ad altri piú brevi e leggeri a seconda della sua situazione emotiva pericolosamente instabile. I suoi occhioni rossi e gonfi si puntarono contro tutta quell’attrezzatura che aveva tirato fuori e ancora non aveva usato. Vide cosí tante stoffe che quasi si era dimenticata di possederli di tutte quelle tonalitá. Un famelico rosso, un pacifico indaco; un verde accesso e cosí allegro che la stoffa stessa pareva sorriderle. Poi vide un sobrio drappo scuro fare capolino tra le stampe sgargianti che aveva raccolto in una scatolina di morbito velluto. Un tessuto corvino, ardente come pece bollente. Un risolino si scolpí sul suo ovale candido. E afferrando nuovamente il suo quaderno con le bozze, si sollevó dal suo poggio, continuando a fumare.

***

Il pesante portone in vetro e acciaio si chiuse rumorosamente alle sue spalle. Un’ombra scura si proiettava sulla scalinata, illuminata appena dalla calda tonalitá del tramonto che tinteggiava quella calda serata. Un ghigno sembrava aver storpiato quel genuino riso che aveva sul suo viso qualche ora prima. Non voleva crederci, ma Andy aveva dimenticato le sue sigarette a casa. Odiava non averle a presso, sempre con se incassate nella tasca posteriore dei jeans. Era tutto il giorno infatti che pensava ansiosamente che gli mancasse qualcosa, ed erano proprio le sue “amiche” a mancare all’appello. Per sei ore il vocalist era stato costretto a elemosinare dai suoi compagni, e lui odiava dover chiedere le sigarette agli altri, perché pur fumandosele volentieri, era piú che consapevole che non lo avrebbero mai appagato a pieno quanto le sue sigarette! Tastandosi piú volte le tasche dei pantaloni, afferró il mazzo di chiavi e infiló quella della porta nella sua piccola serratura. In quel preciso istante l’immagine di Caris balenó nella sua testa, quasi carezzandogli la mente. Fino ad allora non ne aveva preso atto, ma anche lei in un certo qual senso... Gli era mancata. Dopotutto l’aveva lasciata sola nel suo appartamento sprovvisto di viveri, immersa nel caos piú totale. Respiró profondamente prima di aprire la porta, ritrovandosi dentro quello che ormai sembrava essere diventato un laboratorio sartoriale: una grande macchina da cucire color panna sostava pesantemente posata sul tavolo della cucina, mentre sul divano si rilasciavano fluidamente metri e metri di stoffa nera ancora immacolata. Un manichino spoglio invece, restava immobile al centro del piccolo salottino, accato al televisore. Andy era sicuro di aver scrutato bene l’ingresso di casa sua, e proprio come aveva constatato, della sua inquilina non vi era la benché minima traccia. Non si scompose, non piú di tanto, e silensiosamente cominció a curiosare in giro: nei pressi del tavolo vedeva tante piccole scatoline di palstica trasparente con aghi sottili e spilli appuntiti. I suoi occhi limpidi osservarono attentamente quel tavolo da lavoro, e proprio quando le sue iridi si posarono dietro la cucitrice, ecco que questi s’illuminarono di un barlume di eccentrica euforia; eccole lí... Le sue sigarette. Con aviditá afferró il pacchetto tra le mani, cullandolo appena, come se avesse trovato un tesoro inestimabile. Poi, dopo averne sollevato il coperchio, cominció a contarle. Un sorriso beffardo si dipinse sulla sua bocca, ancora macchiata di nero. Ne mancavano tre. Sentí una porticina aprirsi e chiudersi di colpo, probabilmente quella della camera da letto, e ovviamente il giovane aveva piú che una vaga idea di chi si trattasse
-Ucci ucci sento odor di ladra di sigar...- era pronto, aveva una battutina canzonatoria pronta da servirle su un piatto d’argento. E quando si era voltato, con gli angoli delle labbra tirati verso l’alto e uno sguardo divertito, ecco che Andy si era bloccato di colpo. La giovane Foster sostava immobile davanti a lui, e sembrava essersi subito irrigidita vedendolo. Gli occhi di Biersack immediatamente riconobbero il colore sobrio ma elegante della stoffa corvina che adesso avvolgeva il corpo nudo e asciutto della ragazza, delineandone le forme sottili e dolci; i capelli scendevano morbidi sulle sue spalle, incorniciandole il viso che pareva essere sbiancato all’improvviso. Andy trattenne appena il respiro, guardandola da testa a piedi, scendendo lentamente dal suo volto al suo collo, poi al seno lievemente accentuato, successivamente ai fianchi stretti e alle gambe scoperte
-Ma che cazzo ti sei messa?!- domandó fingendosi forte innanzi a quella visione piú che succulenta
-E tu che cazzo hai in faccia?- rispose a sua volta con una domanda, alludendo allo spesso strato di trucco che aleggiava pesantemente sul suo viso. Avvicinandosi di qualche passo, la ragazza gli studió con una cura quasi maniacale quei curiosi segni disegnati sul pallido ovale del vocalist, ad esempio i finti punti di sutura tracciati dall’angolo sinistro delle sue labbra lungo tutta la guancia, oppure la linea sottile tracciata cone una scura cicatrice orizzontalmente sul suo naso, per non parlare dei chili di eye-liner steso con una artistica precisione. “Bizzarro” eppure cosí intrigante, tanto da risaltare quel colore spietato e avvolgente delle sue iridi
-Peró... Fico!- ridacchió la bruna voltandosi di scatto, mostrandogli la schiena nuda mentre andava a raccogliere tutte le sue cose sparse in giro per la casa. Nel frattempo Andy non faceva altro che seguirla con lo sguardo, ammirandola da lontano, immobile nella sua postazione, mentre lei girovagava con addosso nient’altro che quel abitino nero tanto semplice quanto provocante
-E dimmi, ti conci sempre cosí durante le interviste?- chiese improvvisamente la ragazza, sorridendogli mentre si era fermata per un attimo dal piegare le sue stoffe ordinatamente
-Beh, diciamo di si. Questo é il trucco standard- esordí il moretto grattandosi appena il capo mentre lei riprendeva a fare quello che stava giá facendo. Era agitato, lo sentiva nel petto, con il cuore pulsare a duemila. Sfiló rapidamente una sigaretta, accendendola a tempo di record. Rimase per qualche istante inebriato dal sapore suadente della sua sigaretta, la compagna che gli era mancata cosí tanto in quelle ore, e giá si sentiva meglio: piú sicuro... Piú forte
-E tu? Fai sempre le faccende di casa con abitini succinti?- domandó con un risolino beffando, cogliendola di sorpresa. Caris si fermó, sollevando malinconicamente un angolo della sua bocca fina e rosea, scivolando lentamente sul divano di pelle del salotto
-No. Questo vestito lo aveva disegnato mia sorella Lilith...- sussurró appena perdendo il suo sguardo nel vuoto. Proprio in quel frangente, Andy voleva sotterrarsi. Certo, lui non poteva sapere... Ma grazie a un’altra delle sue frecciatine ora la sua coinquilina sembrava essersi dinuovo gettata a capofitto nella tristezza. Quasi se ne era scordato della sua espressione torva e smorta. Per qualche ora non aveva fatto altro che pensare al suono dei docile della sua risata e al colore dei suoi sorrisi. Spense la sigaretta ormai consumata nel posacenere, e a grandi falcate la raggiunse sul divano, sedendosi al suo fianco mentre la ragazza si stringeva le gambe al petto
-Sei stata brava... Intendo, a cucirlo. É bello-
-Grazie...- si limitó a rispondere, sorridendogli appena. Caris avrebbe voluto piangere, ma non ci riusciva. Era come bloccata in un estenuante stato di pre pianto
-Senti...- il vocalist fece una piccola pausa, respirando sonoramente
-Non volevo... insomma...- ma non ebbe neanche il tempo di finire di scusarsi che la bruna lo aveva impalato con lo sguardo, con i suoi occhi grandi e lucidi, tristi tanto quanto belli e docili
-Non devi scusarti di nulla Andy. Lo sai- rispose tutto d’un fiato la giovane Foster, stringendosi appena piú forte, lasciando andare il capo all’indietro, cosí che i suoi folti capelli potessero colare sulle sue spalle senza recarle piú fastidio al volto, cosí da non nasconderla agli occhi del ragazzo, che senza fiatare si limitó a guardarla, ancora una volta. Stava sorridendo, un sorriso amaro che Caris non riuscí a vedere, un disegno sottile sulla sua bocca che Andy aveva fatto suo e suo soltato
-É andata bene l’intervista?- voltandosi appena Caris si appostava seduta a tre quarti sul quel divano in ecopelle, parendo tutto a un tratto serena davanti a lui. Ora che era in compagnia, specialmente in sua compagnia, la ragazza non doveva sforzarsi di sembrare tranquilla e spensierata. Se non fosse stato per Andrew non avrebbe mai trovato un posto sicuro dove restare, e rendere piacevole la sua permanenza era soltanto il minimo che potesse fare
-É andata bene. Tutto sommato non sono molto divertenti le interviste. Alla fine ti ritrovi a rispondere sempre alle stesse domande- rispose stravaccando a sua volta sul sofá, afferrando un’altra sigaretta
-Oh, a proposito ti ho rubato delle sigarette...-
-Tre sigarette... Le ho contate...- specificó il moro osservandola di sottecchi, riducendo le sue palpebre a due piccole fessure, come se la stesse guardando fintamente in cagnesco
-Come siamo fiscali!- ridacchió la donna avvicinandosi un poco a lui, allungando la mano per chiedergli un tiro. Andy scrutó quella mano affusolata e candida, la stessa mano morbida e vellutata che aveva accarezzato per tutto il mattino.No, doveva smetterla di pensare, si stava rammollendo, e tutto ció gli faceva male
-Oh!- affermó la brunetta posandogli una mano sulla spalla, scuotendolo appena per farlo riemergere dal suo breve trip mentale
-Che vuoi?- domandó burbero, penetrandola con quegli occhi glaciali e distaccati che per un lungo attimo la fecero trasalire. “Perché sono cosí freddi i suoi sguardi?” Caris se lo era domandato spesso da quando lo aveva conosciuto 
-Ti sto chiedendo un tiro, se non si fosse capito- gli rispose porgendogli nuovamente la mano, questa volta con piú garbo
-E dimmi, bella addormentata sul cesso, cosa ti fa pensare che dopo che ti sei fumata tre delle mie sigarette io ti lasci anche un tiro della mia?- sollevó il sopracciglio sinistro verso l’alto, mentre la folgorava con una occhiataccia befferda che preannunciava una sorta di sfida, eccola lí “La faccia da Stronzo”
-E dai...-
-No- rispose il vocalist, esponendo un sorriso talmente tirato e fastidioso che per la giovane Foster fu difficile resistere dalla tenzasione di prenderlo a schiaffi
-Ti prego...- portando il labbro inferiore all’infuori Caris, dal canto suo, sfoderó un bel paio di occhioni dolci che immediatamente fecero scoppiare a ridere il ragazzo
-Spiacente ma io non faccio fumare le ragazzine-
-Te la faccio vedere io la ragazzina!- affermó a denti stretti, guardandolo in cagnesco. Se c’era una cosa che Caris Foster odiava era proprio essere chiamata: “ragazzina”
-Uhh sto tremando! Aiuto!- sollevando le mani al cielo, Andy cominció a passarsi la sigaretta da una mano all’altra, poiché la giovane, essendosi allungata quasi violentemente su di lui, aveva proteso le braccia al fine di rubargliela, e compiaciuto di questo suo improvviso comportamento infantile, ne approfittó per infierire dispettosamente su di lei. La spinse via piú e piú volte, ma la ragazza sembrava non darsi affatto per vinta, anzi tornava ripetutamente alla carica. Dovettero rendersi conto peró che nel loro bisticcio, la sigaretta, oltre che al premio, rappresentava un pretesto per continuare quel divertente gioco. Constatando che la sua compagna si stava pericolosamente avvicinando alla meta, Andy pensó bene di riportarsela alle labbra e aspirare il piú posibile, trattenendo il fumo nella bocca. Poi, lanciando via la cicca ormai consumata, osservó con derisione la piccola Caris. Tuttavia il moro non aveva previsto che la piccola Foster, prendendolo in inganno, si cucciasse sul suo viso, posando le labbra su quelle screpolate e tinte di nero del giovane vocalist. E spacciandolo per un bacio a stampo, la brunetta aspiró tutto quel fumo che Andy stava per lasciar fuoriuscire dalla sua bocca, ingogliando con desiderio. Restando letteralmente paralizzato da quel gesto sfrontato e inaspettato, il ragazzo la osservó con gli occhi sbarrati mentre Caris, dopo essersi sollevata dal suo viso, sputó una nuvola bianchiccia e accattivante dritta dritta sulla faccia di Andy. Il fumo carezzava le sue guance pallide e macchiate, quasi provocando i suoi istinti piú bassi e brutali. Ora era lei a toreggiare su di lui, a cavaccioni sul suo ventre e china sul suo viso che lo guardava con occhi altezzosi e beffardi, studiando al dettaglio quell’ovale cosí vicino al suo: gli occhi profondi come le viscere degli abissi, la carnagione pallida segnata dal trucco, le labbra preziose, come disegnate a mano da un artista, rosee e spaccate dal freddo, forate da un piercing. Caris non se ne era resa conto, ma con la punta delle dita lei gli stava sfiorando una guancia, coccolandolo mentre lei era rimasta semplicemente vittima del suo sguardo
-Non ti facevo cosí...- affermó il giovane spezzando quel sottile silenzio che era calato su di loro
-Cosí come?- domandó diventita alla sua espressione turbata, come se perdere il controllo della situazione avesse scosso perfino Adrew Biersack
-Audace- rispose con un sorriso sghembo, sollevandosi appena per poggiare il capo sul bracciolo del divano, posando le mani sui suoi fianchi, cosí da non sbilanciarla dal suo corpo e tenerla saldamente stretta a se
-E ti piace?- percorrendo disegni invisibili sul petto del giovane sotto di lui, Caris lo esservó fugacemente, abbassando di colpo lo sguardo, lasciando colorare le sue goti vistosamente. Era strano, non si era mai intimidita davanti a un bel ragazzo, ma a ripensarci bene la giovane Foster non aveva mai previsto di flirtare con Andy. Lui non era come i ragazzi che era solita frequentare; bamboloni prevedibili e sciatti. No, lui era come un vecchio diario dalla copertina in pelle scura con lucchetto, impossibile da aprire senza la giusta chiave
-Che fai, ora arrossisci eh?- prendendole il viso per il mento, il giovane portó il visetto della ragazza al suo, fissandola intensamente. Limpide e angeliche, eppure cosí spietate e aride parevano le sue iridi, che rudi la trapassavano da parte a parte. Caris sentí il cuore mancare qualche battito, erano cosí pericolosamente vicini che riusciva a sentire il suono e il sapore dei suoi respiri
-N-Non farti strane idee- sussurró la ragazza degludendo rumorosamente, mentre sentiva perfino le labbra tremare. Non le piaceva il modo con cui Andy la stava guardando. Si sentiva docile, disarmata. E lui sembrava saperlo anche troppo bene
-Non dovrei?- soffió sulle sue labbra accorciando le distanze tra loro, lasciando combaciare la sua fronte con quella di Caris, sfiorandole il naso con il suo
-Sei tu che hai cominciato...- Andy terminó la frase rizzandosi di scatto, lasciando vorticare per qualche secondo i suoi capelli corvini per aria, mentre portava nuovamente una mano al viso della sua coinquilina. Quasi automaticamente, Caris poggió ambo le mani sul petto del vocalist, aggrappandosi alla sua maglia grigia, quasi graffiandolo al di sopra della stoffa. Sentí i polpastrelli tiepidi del giovane sfiorare la sua pelle, insinuandosi tra i suoi capelli, scostandole una ciocca bruna dal viso. Reciprocamente avvicinarono i loro visi, guidati dai loro sguardi intensi immersi l’uno nell’altra. E il loro bacio era lí, ad un pugno di mosche che stava per arrivare, e nelle membra dei due sembrava che stava per scatenarsi una tempesta. Cosa stava succedendo? Cos’erano quei prolungati sospiri tra le loro labbra? Come se la parte piú bella fosse proprio quella: gustare il respiro dell’altro entrare in bocca, sfamare il proprio appetito con un semplice soffio. Erano cosí vicini, mancavano solo pochissimi millimetri; brevi, passeggeri... Ma lunghissimi, estenuanti.

*DRIIIIIIIIINNNN*

Trillando fastidiosamente, il suono del campanello si propagó per l’intero appartamento, facendo trasalire per lo spavento i due giovani che, purtroppo, non erano riusciti a culminare quell’attimo diabolicamente perfetto. Con forza, Andy era sgusciato dal corpo di Caris, raggiungendo ad ampie falcate la porta d’ingresso, imprecando sonoramente sotto lo sguardo timidamente divertito della giovane, che non riuscí a far sgattaiolare un risolino dalle sue labbra fine
-Ma che cazz...- non ebbe il tempo di finire la frase che, quando spalancó la porta il suo giovane compagno, Ash, aveva fatto il suo ingresso brandendo due casse di lattine di birra chiara
-É arrivata la pizza signori! E abbiamo anche la birra!- esultó raggiungendo il salone, mentre mano a mano anche il resto dei Black Veil Brides, prendeva possesso dell’appartamento di Andy, con altri litri di birra e scatole della pizza fumanti
-Momento, momento... Chi cazzo vi ha invitato?!- ringhió il vocalist fissandoli in cagnesco mentre i ragazzi prendevano posto sul divano, salutando a giro la giovane ragazza dell’abitino scuro
-Ci siamo invitati da soli! Come sempre- ridacchió sotto i baffi Jinxx mentre si stravaccava comodamente sul divano al fianco di Purdy, che nel frattempo osservava dalla testa ai piedi “l’inquilina sexy” del suo cantante
-Non abbiamo interrotto niente vero?- domando maliziosamente il bassista sollevando un sopracciglio verso l’alto, osservando di sottecchi la ragazza sorridere dolcemente
-Figuratevi! Bene, io vado a cambiarmi- rispose la bruna sollevandosi dal sofá, cedendo il posto a Chris e a Jake, camminando lentamente a piedi nudi verso la camera da letto. Mostrava la profonda scollatura del vestitino sulla schiena, e Ashley sembrava incapace difronte ai suoi ormoni scombussolati. Dal canto suo Caris attraversó il salotto, camminando al fianco di Andy che era ancora rimasto incredulo innanzi alla porta. I due si fissarono intensamente, e un sorrisetto genuino si era scolpito sulle labbra della bruna, quella bocca che il vocalist avrebbe voluto tanto saggiare, se non fosse stato per quei deficenti dei suoi amici. Andy rimase immobile, ricambió il sorriso e la guardó chiudersi la porta della sua camera da letto alle spalle. Sbuffó sommessamente, arrancando verso il tavolino dove i ragazzi avevano posato le birre. Ne afferró una, solevando la linguetta di alluminio. Sorseggió appena, gustando il sapore amaro del liquido biondo scendergli freddo nella gola, raffreddando appena i suoi bollenti spiriti. Si portó una mano al viso, pulendosi le labbra con il dorso della mano sinistra. Osservó fugacemente i suoi amici, intenti a ridere e cazzeggiare come loro solito. Per un secondo Andy avrebbe voluto strozzarli uno per uno con le sue mani
-Che bell’idea del cazzo che avete avuto- bofocchió burberamente, facendo scoppiare in una fragorosa risata tutti i suoi invitati straordinari. 

*Angolino di Virgy*
Okay, chi pensava che fossi morta?! XD penso piú o meno tutti. Ebbene, dopo secoli e secoli, eccolo qui, il nuovo capitolo!
Chiedo venia per la mia lunghissima assenza, ma come al solito mi sono lasciata prendere da altre storie e ho ficcato questa nel dimenticatoio T_T.
Mi ci é voluto un po ma spero che vi piaccia!
Un bacio
-V- 

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***



Avevano cominciato a mangiare non appena Caris tornó in salotto indossando un paio di jeans e la maglietta viola che portava prima di provare il vestito da lei confezzionato in quel pomeriggio. Jake, Chris e Purdy mangiavano stavaccati sul sofá con la birra tra le cosce, Jinxx era comodamente seduto sul tavolino in legno proprio davanti a loro mentre Caris stava poggiata al bracciolo del divano, mangiando e ridendo a crepapelle per le cazzate che fuoriuscivano dalle loro bocche. Andy, invece, affacciato alla cucina, li osservava sornione senza toccare cibo con uno sguardo che trapelava gelo e rabbia. Ancora non riusciva a credere che il suo “momento” era stato rovinato dai suoi compagni. Ce l’aveva in pugno, e per quei quattro dementi aveva perso la sua occasione. Ma non voleva pensarci, insisteva ancora sul fatto di essere forte, che l’attrazione non esistesse. “Volevo solo cogliere l’attimo” giustificava a se stesso, ricordando quella spaventosa vicinanza tra le loro labbra, rendendosi amaramente conto che piú tentava di negarlo e piú sentiva un brivido dentro di lui arrampicarsi sulla sua spina dorsale, un miscuglio di sensazioni eterogenee e prive di senso nel suo petto, e il suo sguardo attirato da lei come un ape dal suo bel fiore. E di certo i suoi occhi non apprezzavano vederla ridere alle frecciatine di Ash, anzi tutto ció non faceva altro che alterare quell’innato istinto primordiale animale che da sempre lo aveva accompagnato: era furioso. Perché rideva? Perché lo guardava?! Per un istante arrivó a pensare di saltare alla gola del suo migliore amico pur di toglierlo dalle sue attenzioni. Si morse con forza il labbro inferiore, autoinsultandosi. Possibile che stava diventando geloso di lei? Che talmente assuefatto dal suo essere cosí fastidiosamente se stessa stesse cominciando a perdere il lume della ragione?
-Che facciamo?- domandó improvvisamente Pitts riemergendo dal divano per posare la birra ormai vuota sul tavolino, cogliendo immediatamente l’attenzione di tutti
-Ho portato un film!- ridacchió CC sollevandosi dal sofá per avviarsi all’appendiabiti nella ricerca della sua giacca
-Wowo! Che film?!- voltandosi di scatto per ricercare la figura asciutta del suo batterista, Ashley domandó il genere del film con occhi euforici... Troppo euforici
-No Purdy. Non é un porno!- sospiró Jinxx bevendo avidamente il liquido biondo che sgorgava dalla gelida lattina che teneva tra le mani, infrangendo cosí i sogni del povero bassista, che imbronciandosi come un bimbo innocente abbassó teatralmente lo sguardo
-Cattivoni- bofocchió quest’ultimo piagnucolando mentre incrociava le braccia al petto
-Oh, poverino lui che non gli fanno vedere le donnine nude!- con audace trasporto la brunetta s’intromise nella buffonesca scenetta carezzando la folta chioma scura del ragazzo, attirando maggiormente la sua famelica attenzione. Gli occhi scuri ed eloquenti di Purdy s’immersero nel verde candore delle iridi della ragazza, facendo scivolare la sua mano grande e tatuata sulla sua gamba slanciata, carezzandole “ingenuamente” una coscia al disopra dello spesso strato del jeans. Gli occhi glaciali del vocalist immediatamente arsero
-Caris non lo istigare- aveva pronunciato velocemente, quasi stesse sentenziando un ordine. Era stato freddo e serio, a tal punto da far increspare la pelle della sua coinquilina, che fissandolo rimase basita per qualche secondo.
“Perché sono cosí freddi i suoi sguardi?”
Inevitabilmente Caris lo pensó ancora una volta. Il silenzio sembrava essere calato per l’intero ambiente, e per rendere la situazione meno pensante del previsto, Andy sbuffó sonoramente cambiando traiettoria di sguardi dalla ragazza al suo batterista
-Allora che film hai?- domandó sollevando appena l’angolo sinistro delle labbra
-Un horror- e mentre tutti esultavano per la buona notizia, Caris sembrava essere impallidita di colpo
-Tutto bene?- le domandó Jake, osservandola incuriosito dal suo anomalo pallore. Inutile dirlo: Caris odiava i film horror. Ma aveva paura a confessarlo, temeva di essere presa in giro, dopo tutto si parlava di finzione, ma non era mai stata in buoni rapporti con schizzi di sangue, teste mozzate e mostri mangia cervelli
-Hem... Si si- mentí spudoratamente mascherando in malo modo il suo timore
-Non sarai fifona...- bofocchió Jeremy sollevando un sopracciglio verso l’alto, osservandola beffardo mentre la ragazza abbassava intimidita lo sguardo
-Non sono fifona. É che i film di questo genere ultimamento non mi mettono molto a mio agio- dopo tutto quello che aveva passato sicuramente altro sangue, seppur finto, non le avrebbe giovato affatto. Andy questo lo aveva intuito, ma rimase in silenzio, forse per prendersi una misera vendetta personale. Dopotutto lui amava metterla in difficoltá
-In questo caso mi offro da scudo umano per le scene splatter. Stai tranquilla Caris, con me non correrai alcun rischio- ridacchió il bassista rivolgendosi con occhi tutt’altro che docili e casti alla giovane, che di rimando espose un sorrisetto sghembo e furbo
-Immagino...- affermó con sarcasmo, lasciando ridere da solo il povero Ash mentre i suoi occhi si posavano sul suo coinquilino, che con le spalle posate al muro della cucina la guardava  da lantano, con le braccia conserte, un ghigno tutt’altro che felice sul viso. Senza dire nulla Caris si sollevó dal suo poggio, lasciando i ragazzi ai loro discorsi privi di fondamento, mentre Chris smanettava con il lettore dvd. Camminó lentamente, e sebbene fosse scalza il ragazzo riusciva a sentire chiaramente i suoi passi piccoli e lenti farsi sempre piú vicini. La guardava, e vi trovava un fascino disgustoso. Una dolcezza talmente smielata da provare disprezzo
-Tutto bene?- domandó la ragazza sorridendogli
-Mai stato meglio- rispose tutto d’un fiato, svogliatamente. Era alterato, e questo per la giovane Foster non era stato difficile da capire, ma tutto quello che le sfuggiva era il perché. Si tuffó nel pericoloso baratro blu dei suoi occhi, tentando di studiarli, ricercando anche un misero barlume della risposta. Dovette rassegnarsi dopo poco, tutto quello che vedeva in lui in quel preciso istante era un perenne e gelido stato di allerta. E non aveva mai abbassato la guardia da quando lei era entrata nella sua vita, neanche quando i loro corpi erano cosí vicini da potercisi scambiare calore vicendevolmente, e le loro labbra a un millimetro da fondersi assieme. Andy sbuffó scocciato, odiava essere fissato. Odiava che lei lo scrutasse senza pronunciare una parola. Dal canto suo Caris abbassó lo sguardo, sconfortata. La lattina che teneva fra le mani piccole e pallide le aveva congelato la pelle, e portandola alle labbra sorseggió della birra. Uscito vincitore dalla sua inpresa, CC chiamó tutti a raccolta poiché il film stava per cominciare.
Era scomoda, incassata nel divano tra Purdy e il bracciolo. Andy si era seduto a terra appena sotto di lei, affiancato da Jinxx che sbadigliava sonoramente innanzi a quello spettacolo tetro e piuttosto scadente. Jake e Christian sussurravano sottovoce acide critiche sulla scenografia e gli effetti poco curati. Quando sentiva era era arrivata l’ora di un omicidio, Caris chiudeva gli occhi, stringendo fortissimo le palpebre. Carezzava freneticamente la morbida pelle che rivestiva il poggia braccio, tamburellandoci le dita. Ashley aveva una maledetta voglia di poggiarle il braccio sulle spalle, avvicinarla al suo corpo. Ma per la prima volta esitava; dopotutto aveva notato le occhiatacce lanciate da Biersack, e dopo aver fatto quanche calcolo era giunto alla conclusione che il suo vocalist pareva essere piuttosto interessato alla brunetta al suo fianco. Era stato difficile per lui da digerire la visione del suo Andy accovacciato sul bancone del bar per dimenticare una sconosciuta sparita nel nulla e poi “miracolosamente” riapparsa. Il cellulare di Caris cominció a vibrarle in tasca, e per un microsencondo il cuore della ragazza si fermó. Lo afferró e osservó titubante lo schermo che le illuminava il viso contrito e serio. “Numero sconosciuto”. Respiró profondamente, incerta se rispondere o lasciarlo squillare. Magari era suo padre in un disperato tentativo di sapere sue notizie, magari era la polizia con qualche aggiornamento sulla faccenda. Magari era “lui”, l’assassino di sua sorella. Lentamente si sollevó dal divano, sentiva le gambe tremare ma riuscí a tirarsi in piedi senza inciampare e cadere. Immediatamente Andy cominció a fissarla senza dire una parola, ma aveva letto subito lo sconforto della ragazza sul suo viso spento
-Sc-Scusate...- sussurró congedandosi velocemente, arrancando fino alla camera da letto. Soltanto dopo essersi assicurata di essere lontana abbastaza da non farsi sentire, Caris accettó la telefonata portandosi l’apparecchio alla testa
-P-Pronto?- domandó con un fil di voce, intimorita ma curiosa allo stesso tempo
-Signorina Foster sono dil detective Jones. Ricorda?- un sospiro di sollievo gonfió le sue labbra
-Oh, si. Si ricordo. La prego mi dica é successo qualcosa? Li avete presi?- lentamente si avvicinó al letto, sedendosi appena. Sentiva il cuore battere forte e per l’agitazione aveva cominciato ad accarezzare ansiosamente la coperta scura sotto di lei
-No, purtroppo siamo ancora sulle loro tracce. Non é per questo che vi ho contattata- rispose serio, sebbene la giovane avesse colto anche una leggera sfumatura di amarezza nel suo tono apparentemente pacato
-E per cosa?-
-Riguarda il funerale di vostra sorella- in quel preciso momento, Caris sentí un groppone in gola soffocarla, e il cuore smettere del tutto di battere. La pelle si era increspata anche sotto i vestiti, e brividi freddi torturavano la sua povera schiena.
Nel frattempo i ragazzi stavano continuando a vedere il film. Tuttavia sia Andy che il suo bassista sembravano essere interessati a tutt’altro. Mentre il vocalist osserva di sottecchi la porta socchiusa della sua camera da letto, ove la sua coinquilina si era rintanata, Ash osservava sia il suo amico, completamente spaesato, sia quel piccolo spiriaglio di luce che s’inoltrava da quella porticina semi aperta. Cosí, con una mossa assai astuta quanto banale, Purdy fece la sua prima mossa
-Usufruisco del tuo bagno, dovrei cambare l’acqua alle olive sai com’é...- ridacchió rivolgendosi al padrone di casa, che con un sorriso sgembo rispose
-Vai-
E cosí, con nonchalance tipica di lui, Ashely si chiuse in bagno, usando la sua scusa per guardarsi allo specchio e origliare quello che stava succedendo nella camera accanto. Riusciva a sentirla. Percepiva dei singhiozzi trattenuti a forza, e la sua voce tremare
-V-Voi non avete alcun diritto d-di farmi questo...- sussurrava con voce strozzata dal pianto
-Calmarmi? C-Come posso calmarmi?! COME?!- era ufficialmente scoppiata a piangere, sentiva i suoi versi straziati penetrargli l’udito e sconfortarlo fin dentro le membra. Cosa stava succedendo? Il giovane bassista se lo chiese molte volte in quel breve lasso di tempo che lo vide impegnato nel uscire dal bagno ed entrare in camera sperando di non farsi vedere dal suo amico. Caris sostava con il viso coperto dalle mani e dalla coltre di capelli rannicchiata sul ciglio del letto. Piangeva cercando di soffocare quei gridolini agonizzanti nel fondo della sua gola
-Hey?- domandó con tono rassicurante il ragazzo, cogliendo alla sprovvista la sua attenzione. La piccola Foster aveva sollevato il scatto lo sguardo, osservando Purdy con occhi gonfi e rossi come il resto del suo viso. Si stava avvicinando a lei, ed era rimasta priva di parole
-Tutto bene? É successo qualcosa di grave?- sedendosi al suo fianco portó una mano al suo viso cogliendole una lacrima. Ma la ragazza rimase in silenzio, mordendosi appena le labbra. Era cosí bella con gli occhi lucidi e le gote rossastre, fragile come una bambola di porcellana. Sospiró sommessamente sorridendole mentre le legava le braccia attorno al corpicino asciutto e tremante, stringendola al petto. Era rassicurante il suo abbraccio, ma non le piaceva. Non sentiva alcun calore, nessun senso di protezione tra le sue braccia. Caris non riusciva a sentire proprio niente
-Se non te la senti di parlare non importa. Ti capisco. Ma devi stare tranquilla, okay?- affermó carezzandole i capelli mentre la giovane sollevava il viso dal suo petto. Guardandolo per qualche istante dritto negli occhi scuri e profondi. Era stato gentile infondo
-Hem hem...- schiarendosi la voce con l’intento di farsi sentire, Andy toreggiava sullo stipite della porta osservando quasi in cagnesco quella scenetta pateticamente melodrammatica. Oltre che distaccati, Caris riusciva a leggerci uno spesso strato di rabbia che aveva letteralmente infiammato il suo sguardo. Immediatamente Purdy si sollevó di scatto sciogliendo quel dolce abbraccio, grattandosi agitatamente il capo
-I ragazzi stanno andando via... Tu che intenzioni hai?- domandó freddo e serio
-Vado anche io. Stammi bene Caris- affermó salutandola appena con un cenno della mano
-Buona notte Ash- rispose appena sorridendogli, aumentando quel pesante senso di nausea che affliggeva il povero cantante. Continuando il suo mutismo, Andy accompagnó i suoi compagni alla porta, congedandoli con freddezza
-Stalle vicino. Non credo che stia bene...- gli consiglió il suo amico, voltandosi di scatto dopo aver varcato la soglia di casa
-Sono sicuro che tu sia stato piú che bravo a consolarla- rispose acido esponendo un ghigno malevolo
-Andy non fare il coglione...- rispose serio Ash, conquistandosi una bella porta sbattuta in faccia.
Sbuffando sonoramente, Andy camminava lungo il corridoio in direzione del bagno. Caris sostava di fronte alla camera da letto, aveva ancora gli occhi lucidi e una espressione interrogativa sul volto
-Sicuro che vada tutto bene?- domandó cercando il suo sguardo, ma il vocalist non aveva la minima intenzione di farsi trovare. Cosí la sorpassó velocemente cercando di aggirare la domanda
-Andy?- lo chiamó obbligandolo inevitabilmente a parlarle
-Mi sembra di averti giá risposto prima...- rispose senza neanche voltarsi, esponendogli le spalle mentre rimaneva immobile innanzi al bagno, con una mano posata sul pomello ottonato
-Hai sbattuto la porta...- gli ricordó la brunetta. Era arrabbiato, e sebbene una parte di lui stesse ancora cercando di controllarsi, la sua mano aveva giá cominciato a stritolare la maniglia con forza
-Fino a prova contraria é casa mia. E se voglio sbatto le porte- disse a denti stretti, trattenendo l’impulso di urlare
-Ho fatto qualcosa che non va?- eccola lí, la goccia che fece traboccare il vaso. Voltandosi lentamente Andrew Biersack espose lo sguardo piú cattivo e spietato che potesse conoscere, e la piccola Foster cominció ad averne paura
-Hmm fammi pensare. Oh beh oltre al fatto che hai civettato con il mio amico per tutta la sera sono sicuro che non abbia fatto nulla...- affermó con sarcasmo mentre si avvicinava lentamente a lei, sorridendo con un ghigno maligno scolpito sul viso. Inchiodandola con le spalle contro alla porta il vocalist era riuscito a metterla alle strette, e divertito la osservava con lo sguardo spento rivolto verso terra e le labbra tremanti
-Lasciami capire. Se non ottieni quello che vuoi da un ragazzo passi subito alla prossima vittima?- sussurró in cagnesco cucciandosi appena su di lei, scostandole una ciocca di capelli dal viso per poter gustare la sua espressone livida dalla rabbia e dalla vergogna
-i-io non ci stavo provando con Ash. E tu sei geloso...- sibiló appena, continuando a fissare il pavimento. La risatina fastidiosamente impostata del ragazzo colpí immediatamente il suo udito come una stilettata
-Oh, ti prego ripeti cosa hai detto. Ma questa volta guardami negli occhi sei ne hai il coraggio- afferrandole il viso per mento, Andy l’aveva portata al suo, costringendola a subire quello sguardo che mai sarebbe riuscita a sostenere cosí a lungo. Odiava questo suo dover essere continuamente uno stronzo nei suoi riguardi. Le veniva da piangere ma non riusciva ad avercela con lui. Sapeva quale era la causa di tutto questo, e non si sarebbe fatta troppi scrupoli a svelarlo
-Ho detto che non ci stavo provando con Ash. Ma tu sei talmente geloso che vedi quello che non esiste-
-Geloso? Io?!-
-Non vedo nessun altro in questa casa apparte te!-
-E allora chi stava abbracciando Ashley in camera mia? Oh non di certo tu! Perché io ho le visioni vero?!- alzandole ulteriormente la voce contro, Andy posó ambo le mani sulle sue spalle piccole e esili, scuotendola appena
-Stava solo cercando di darmi una mano- rispose Caris dopo averlo spinto via con forza
-Oh e io non ti sto dando una mano vero? Non servo a un cazzo nella tua vita allor...?- l’aveva afferrata per un braccio, e quasi automaticamente la piccola Caris aveva reagito con un poderoso schiaffo che andó ad arrossare la guancia pallida del vocalist. Immediatamente ritiró la mano riprendendo fiato, cucciandosi appena posando una mano sulla bocca dello stomaco intorpidita . I singhiozzi avevano ricominciato a sofforcarla, e piegata in due dal dolore si portava la mano libera alle labbra, tentando di mascherarei quei sgraziati gridolini sordi che andarono ad attaccare i suoi sensi di colpa. Non voleva colpirlo, e riestando immobile lo osservó massaggiarsi la gote lesa.Forse aveva esagerato, e parecchio stavolta. Il moro si morse il labbro inferiore, sbuffando sonoramente e assumendo una espressione totalmente priva di emozione, con dei lineamenti tanto distaccati e assenti che Caris ne ebbe paura, timore di avergli procurato una ferita profonda
-A-Andy...- lo chiamó piano, ingogliando faticosamente l’amara saliva. Non le rispose, tantomeno le volse uno sguardo. Era amareggiato, non tanto con lei, ma con se stesso. Forse Caris aveva ragione, magari era davvero la gelosia ad aver guidato le sue parole, ma non sarebbe mai riuscito ad ammetterlo, non voleva ammetterlo. Faceva male il punto dove l’aveva colpito, ma mai quanto la consapevolezza che era lui nel torto, e aveva dovuto arrivare a farsi schiaffeggiare per rendersi conto di quanto stesse diventando “pazzo”... Di quanto lei lo stava rendendo pazzo. Giró i tacchi e camminó lentamente verso il bagno, il posto dove avrebbe fatto meglio a dirigersi fin dall’inizio senza dare sfogo a tutta la sua rabbia
-Andy! Aspetta!- passi brevi e rapidi, la sua voce piú decisa sebbene ancora colma di singhiozzi. Delicata ma ben salda era la presa delle sue mani piccole, che avvolgendosi attorno al suo corpo riuscirono a frenarlo. Caris aveva il viso sprofondato nella schiena del ragazzo, e piangeva sottovoce mentre lo stringeva forte a se. Semplicemente interdetto Andy restava immobile
-T-Tu stai facendo tantissimo per me- bofocchió mentre l’angolo sinistro delle labbra del giovane si sollevavano verso l’alto, e le sue mani scendevano per accarezzare quelle vellutate della ragazza che cosí dolcemente lo abbracciava
-Caris...- pareva molto piú cordiale ora il suo tono, ma non riuscí a parlare che tutto d’un fiato la brunetta disse:
-Mi ha chiamato il detective. Mi ha proibito di partecipare ai funerali di mia sorella...- gli occhi di Andy si sbarrarono di colpo. Si distaccó da lei, voltandosi affinché potesse guardarla in faccia: le guance arrossate, gli occhi lucidi e sciupati, come se le sue lacrime, per il momento, si fossero prosciugate
-Perché non me lo hai detto?- domandó il giovane sfiorandole una guancia, cercando il suo sguardo che puntualmente teneva fisso verso il basso
-Beh, non é che tu mi abbia dato modo di farlo...- rispose amaramente, sollevvando le spalle. Il silenzio cadde nuovamente su di loro, ma questa volta era proprio Andrew a logorarsi i nervi. Strinse fortissimo le mani, riducendoli in pugni. Si era lasciato soggiogare dalla sua debolezza a tal punto da oscurare il suo obbiettivo principale: prendersi cura di lei
-Caris, io... Mi dispiace- confessó facendo roteare i suoi occhi in lungo e in largo. Non sapeva cosa dire, non sapeva come parlare. Disarmato, Andy non sapeva proprio nulla in quel momento. Un sorriso quasi rassicurante si andó a disegnare sulle labbra della giovane, che sollevandosi sulle punte dei piedini scalzi lasció l’impronta di un casto bacio sulla guancia da lei colpita qualche minuto prima
-Stai tranquillo. Dai, vai a levarti quella robaccia dalla faccia. Io intanto vado a letto- sussurró appena voltandosi di scatto, dirigendosi con passi piccoli e graziosi in camera da letto. Lasciandolo imbambolato ma sereno. Non gli sembrava poi cosí male essere “pazzo”.

***

Ripulitosi di tutto il trucco che aveva completamente mascherato il suo viso pallido dai lineamenti rigidi e affilati, Andy ora sembrava essere pronto per andare a dormire. Sfoggiando una maglia tinta unita e i suoi boxer, il ragazzó entró nella camera lasciando che la ragazza, giá sotto le coperte, potesse scrutarlo silenziosamente. Infilatosi sotto le lenzuola al suo fianco, i due si guardarono, sorridendosi vicendevolmente
-Beh, allora... Buona notte?- chiese la ragazza ridacchiando impacciata, suscitanto un risolino sotto i baffi al vocalist, che voltandosi appena spense la luce.
Per qualche minuto inderfinito e lunghissimo, i due rimase in silenzio, i loro corpi erano distanti, separati da una barriera invisibile che piú li separava e piú li invogliava ad avvicinarsi, ad annullare quel distacco marcato, a riempire quel vuoto profondo, crudele
-Andy?- lo chiamó senza voltarsi, restando in posizione fetale con lo sguardo sperso nel nulla della notte, cosí breve e allo stesso tempo interminata. Una fedele amica, ma anche una rivale agguerrita che di certo non gli avrebbe reso il sonno facilmente
-Si?- dal canto suo invece, il moro si era voltato subito, osservando nella penombra pe sue spalle piccole e esili, incorniciate dalla morbida coperta. Avrebbe voluto guardarla in viso, o anche solo pensare di riuscire a scorgere un barlume dai suoi occhi, anche il minimo spiraglio luminoso, quella sera, gli avrebbe concesso di sare sogni tranquilli
-Posso chiederti un favore?- domandó intimidita
-Ossia?- rispose a sua volta divertito dalla sua insolita richiesta
-So che non ti piacciono queste cose, ma... Potresti abbracciarmi, solo per questa notte, finché non mi addormento...- era ufficiale, Caris voleva seppellirsi, le sarebbe bastato anche solo interrare la sua testa nel suolo. Ma come le era venuta in mente una richiesta simile?! Sopratutto con quel tono da mocciosa che sapeva che gli avrebbe dato fastidio. Giá sentiva nella sua testa una risatina stridula e canzonatora, giá immaginava parole amare e beffarde come “ Eh eh la mia bella addormentata sul cesso ha paura del buio?!” proprio come la loro prima sera. Gentili e tiepide, invece, le mani di Andy erano giunte sui suoi fianchi. Si fece piú vicino, lasciando che la superficie del suo petto andasse a spalmarsi letteramente sulla schiena della piccola Foster, che lasciandosi pervadere interamente da un brivido freddo, lasció sgusciare un sussulto dalle sue labbra fine
-Meglio ora?- sussurró sfiorandole il lobo denstro con le labbra, mentre sentiva il suo fiato carezzarle la pelle e insinuarsi nel suo udito, aumentando notevolmente i suoi battiti cardiaci
-S-Si...- mormoró trattenendo appena il fiato nel vano tentativo di calmare il suo cuore andato in tilt precocemente. Non se lo era aspettato da lui, che lei stesse riuscendo ad addomesticare il lupo?
-Mi é dispiaciuto... sai, per oggi...- confessó dopo qualche istante che era rimasta in silenzio, a sorridere nel buio, gustandosi quel piacevole formicolio che le riscaldava la schiena e le spalle
-per cosa?- intontino e incuriosito, il ragazzo posó il mento sulla sua spalla
-Si, insomma. Per il... Il bacio- bofocchió velocissima mangiandosi la maggiorparte delle parole, ma non era stato difficile per il cantante riconoscere le sue parole. Dopo tutto quel bacio era nell’interesse comune, e sicuramente non avrebbe lasciato nel dimenticatoio un istante cosí intenso
-Ohh. Beh...- cominció fingendosi vago, mentre lasciando che la sua mano cominciasse a salire lungo i suoi fianchi, fece lentamente scivolare i polpastrelli sul braccio della giovane, continuando la sua salita sino alla spalla, scoprendola appena dalla stoffa del suo pigiama e dalla coltre di capelli scuri. Era vellutata, morbida, emanava perfino un odore gradevole, talmente invitante che gli faceva venire voglia di assaggiarla
-Potremmo sempre riprendere da dove avevamo lasciato...- propose cucciandosi sulla sua splendida preda dalle belle membra, posando le labbra nell’incavo del collo, lasciandola fremere al suo fianco. Di tante cose in quel momento Caris ebbe il timore:
1) Di innamorarsi di lui
2) Che lui si stesse innamorando di lei
3) Che la sua vita totalmente disastrata potesse causargli dei problemi
4) Che la sua gelosia e/o ego gli impedisse di condurre una relazione normale
5) Di avere una relazione
Cosí confusa, eppure cosí presa da quelle iridi talmente belle da sembrare parte della sfera celeste; occhi talmente audaci e tentatori da viziarla e toglierle il fiato come il piú famelico dei diavoli. E mentre lasciava che il suo cervello lasciasse scorrere fiumi di pensieri scollegati eppure unificati da una medesima condizione di esistenza, ovvero Andrew Biersack, quest’ultimo era riuscito a prendere possesso di lei, toreggiando sul suo corpo mentre lasciava scorrere le sue labbra dal suo collo all’incavo della clavicola, quasi succhiandole via l’anima
-A-Andy...- boccheggiava alla ricerca di aria mentre il moro si faceva sempre piú pericolosamente vicino al suo viso. Sentiva il suo timore sgorgare da ogni poro, e non solo dalla sua voce. Era lí, ad un passo da strapparle via quel bacio tanto bramato, e niente gli avrebbe impedito di portare a termine il suo desiderio. Solo un bacio, non voleva altro, non pregustava altro
-Di cosa hai paura, Caris?- domandó serio, lasciando strusciare la punta del suo naso contro quella della ragazza, lasciandola sussultare
-Di tutto...- intravide incertezza nei suoi occhi, cosí languidi e enigmatici. Quelle iridi malinconiche e ammalianti che tanto lo facevano crucciare. Ora capiva che forse ancora non era il momento, che non era certo il tempo per correre e affrettare i tempi. Era amareggiato, proprio come un bimbo che voleva subito il suo giocattolo, ma sapeva che forse era piú divertente conquistarselo. Gli angoli delle sue labbra si sollevarono pesantemente verso l’alto, e baciandole la fronte il cantante si accasció nuovamente al suo fianco, tornando a stringerla come lei gli aveva chiesto. Caris lo osservó per qualche attimo, interdetta mentre si sentiva trascinare verso di lui, stretta in un abbraccio decisamente piú intenso di quello sperato
-Buona notte, mia bella addormentata sul cesso- ridacchió appena allentando quella forte tensione tra di loro
-Tzé, notte... Idiota- affermó di rimando trattenendo a stento un risolino felice. Le piaceva, era palese... Le piaceva a tal punto da diventare “pazza”.

*Angolino di Virgy*
Eccomi qui! Nuovamente alla riscossa!
Okay, chi vuole uccidermi perché non li ho fatti baciare?! Via con la gara di insulti! XD
A parte gli scherzi, spero vi piaccia!
Un bacio
-V-

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***




Doveva essere mattina presto, ma il cielo era scuro. Niente raggi di sole a illuminare la loro camera quel giorno, ma lampi e tuoni. Caris, perfettamente sveglia, osservava un punto indefinito del muro, ascoltando la pioggia battere contro il vetro della finestra. Per tutta la notte la sua posizione era rimasta immutata; immobile, rannicchiata in posizione fetale, avvolta fra le sue braccia. Andy dormiva beato, posando il mento sulla sua spalla, lasciando riversare la sua folta chioma corvina sul capo di lei, facendoli mescolare ai suoi lunghi boccoli bruni. La ragazza sentiva il suo tenue respiro carezzargli il collo, nascondendosi nell’incavo della clavicola, proprio dove la sera prima la bocca del giovane aveva tentato la sua carne con avidi baci, solleticandole la pelle. Pensava a quanto si stesse sentendo bene in quel momento; a quanto sarebbe stato difficile lasciarlo. Sí perché in veritá Caris Foster aveva elaborato un architettato piano durante la notte: uscire di nascosto, andare alla veglia di sua sorella e tornare a casa. Ma metterlo in atto sembrava essere piú difficile del previsto per due semplici ragioni:

1) Una parte di lei sarebbe rimasta volentieri in quel caldo letto per tutta la giornata, accoccolata a quel corpo asciutto e accogliente.

2) Se Andy si fosse accorto della sua “fuga” l’avrebbe sicuramente odiata. Respiró profondamente lasciando scivolare la sua mano su quella del cantante, sollevandola appena dal suo corpo cosí da facilitarsi i movimenti. Sgusció con i piedi a terra, portandosi a sedere sul ciglio del letto. Quando si voltó di tre quarti, i suoi occhi osservarono con tenerezza quel bel giovane steso accanto a lei. Le palpebre serrate, le labbra dischiuse, le spalle strette e le braccia allungate verso di lei. L’aveva stretta forte, per tutta la notte. Come se non volesse lasciarla andare, ma ternela sempre con lui. Caris appuró che il suo Andy doveva sentirsi molto solo, forse per autodifesa ma pur sempre un’arma a doppio taglio. Guardandosi intorno la brunetta andó alla ricerca di un orologio. Lo trovó proprio posato sul comodino, segnando le ore 07:00. Aveva tutto il tempo per prepararsi e uscire senza che lui se ne accorgesse... Ma non solo. Gattonando lentamenta verso di lui, la ragazza si chinó appena su di lui, lasciando sulla pelle del giovane l’impronta di un bacio sulla guancia. Mugugnó appena il bello addormentato, senza tuttavia svegliarsi da quello che doveva essere un bel sogno, poiché l’ombra di un sorriso si andava a disegnare sulle sue belle labbra rosee. A sua volta Caris sorrise, scostandogli una ciocca corvina dal viso con amorevole dolcezza. Non voleva andarsene in veritá. Voleva rimanere lí, a guardarlo dormire; ad ammirare quello splendidore nella sua piú totale vulnerabilitá, lui... Che dentro aveva un fuoco ardente. Sospiró appena, sollevandosi dal suo comodo giaciglio, vestendosi alla svelta con un poncho nero sopra un paio di leggins. Teneva le scarpe in mano mentre camminava in punta di piedi verso l’uscita della camera, lasciando Andrew Biersack al suo meritato risposo. Chiuse la porticina alle sue spalle, e dopo essersi infilata le scarpe afferró il suo telefono cellulare componendo un numero che la ragazza conosceva molto bene:
-Hey piccola! Come stai? Sono giorni che non ti fai sentire!- pareva molto contento della sua chiamata il ragazzo che le aveva risposto. Immediatamente l’angolo destro delle labbra della giovane si sollevó verso l’alto
-Ron ho bisogno che tu mi dica dove seppelliranno Lilith...- rispose per la prima volta senza lasciarsi soffocare dai singhiozzi e dai pianti. Suo cugino, dall’altro capo, sbuffó rumorosamente, non sembrava essere molto entusiasta della sua affermazione
-Caris. Sai che é meglio che tu non venga-
-Era mia sorella Ronnie...- rispose a denti stretti, bloccando appena in tempo quel groppone in gola che avrebbe sicuramente mandato a farsi benedire quel poco di autocontrollo che aveva pian piano ricostruito
-Lo so, e le volevo bene. Ma voglio bene anche a te, e non voglio che ti facciano del male. Non capisci che il cimitero é il primo luogo dove ti verranno a cercare?-
-R-Ron... Ti prego. É il mio ultimo saluto...- lo scongiuró abbassando notevolmente il tono di voce, susurrando appena. Il giovane sbuffó una seconda volta, questa volta in una sorta di rassegnazione
-Prendi carta e penna, scrivi l’indirizzo che ti sto per dettare...- cosí, afferrando alla buona una penna e un cartoncino solitario, Caris Foster cominció a scrivere con la mano ancora tremante. Fin ora il piano stava andando bene, ma non doveva perdere la concentrazione, tantomeno la calma
-Grazie mille Ron-
-Non ringraziarmi. Ci vediamo lí dove ti ho detto. Sarai sempre con me e cercheremo di far in modo che nessuno possa riconoscerti. Sono stato chiaro?-
-Si, a dopo- attaccó di tutta fretta, leggendo e rileggendo quel foglietto che aveva posato sul tavolino del salotto. Non era difficile arrivarci, certo sarebbe stato meglio avere una macchina con tutta quella pioggia, ma dopotutto cosa poteva prentendere? Si sollevó dal sofá, e spalancando la porta d’ingresso e uscí mordendosi le labbra. Ora tutto quello che le restava da fare era continuare a sperare che tutto andasse per il meglio.
 
Giusto un ora piú tardi, quando i tuoni sembravano aver ricominciato a graffiare il cielo appanato da grige nuvole ricolme di pioggia, Andrew Biersack si risveglió con una strana sensazione di vuoto che gli attanagliava il petto. Socchiuse le palpebre, ancora pesanti e assonnate, sbattendole piú e piú volte... E proprio come pensava c’era qualcosa che gli mancava: lei. Si sollevó di scatto, osservando con inquietudine quella pensante solitudine che lo circondava. Scanzó via le coperte, scendendo dal letto con la stessa grazzia di un bisonte, e arrancó fino alla porta della sua camera. Giunse in salotto e si accorse amaramente che quel silenzio era dato dalla sua improvvisa scomparsa. Si sentí stringere da una ansiosa sensazione di angoscia che quasi andó a togliergli completamente il fiato. Cominció allora a correre per ogni meandro dell’appartamento, cercandola, implorando Dio e qualche supereroe di voltarsi e trovare i suoi occhi grandi e malinconici, quel viso pallido e dolce, quella fragilitá tanto audace da farlo sciogliere. Ma l’adrenalina non faceva altro che corrodergli le vene, ed esausto dalla faticosa ricerca si lasció andare sul suo divano con il viso nascosto tra le mani. Dov’era? Perché se ne era andata di nuovo? Perché era sparita senza dire nulla?! Andy era confuso, e piú restava disorientato piú andava alla ricerca di una qualche risposta. Poi, eccola lí... La risposta. Era sempre stata sotto il suo naso. proprio come la prima volta, Caris aveva lasciato un indizio. Un indirizzo... Il cimitero. Ora capiva tutto, e l’angoscia si andó a mescolare con la rabbia, formando un connubio di veemente ardore che sembrava aver avvelenato la sua intera anima. Si rivestí molto alla buona, afferrando le chiavi della macchina prima di uscire di fretta e furia da casa, sbattendo rumorosamente la porta. Questa volta non sarebbe rimasto in un angolo ad aspettarla. Questa volta sarebbe stato lui ad andarla a prendere.

***

Continuava a piovere a dirotto, e il vento, discretamente freddo, andava quasi a congelare le lacrime che scivolavano sul suo volto. C’erano i suoi parenti, lí accanto alla
lapide appena interrata. Ma lei era rimasta in disparte, condividendo un ombrello stretta tra le braccia di suo cugino, che per sicurezza le aveva fatto indossare degli occhiali a lenti scure e un basco affinché potesse raccogliere i suoi lunghi capelli. Era tutta un tremito, e Ron lo sentiva anche al di sopra dei suoi vestiti mentre piano piano vedeva quel piccolo gruppo di gente allontanarsi da quel luogo di “riposo eterno”. Riconobbe molte persone mentre le osservava passeggiare lentamente accanto a loro, tra questi anche suo padre. Erano giorni che non si rivolgevano la parola; erano giorni che aveva smesso di considerarlo il suo eroe. Lui, il suo papá. Lui, che aveva firmato la condanna a morte di sua sorella e la sua latitanza forzata
-Sicura di non volerlo neanche salutare? É pur sempre tuo padre...- sussurró appena facendo il vago per non attirare l’attenzione di quell’uomo, che piegato dal dolore camminava accanto a loro con lo sguardo basso, smorto. Caris lo esservó appena, e piú cercava il modo di perdonarlo piú non riusciva a togliersi dalla testa che per dei stramaledetti soldi lui le aveva vendute al miglior offerente
-Mai stata piú sicura- rispose seria, abbassando di colpo lo sguardo. Suo cugino la strinse forte in un caldo abbraccio, annusando appena il suo profumo dolciastro, mescolato a quello estraneo e amaro del fumo
-Vogliamo andare?- propose il ragazzó osservandola appena nei suoi occhi grandi e lucidi. Annuendo la brunetta fece per voltarsi, ma quello che vide all’orizzonte non era panorama piacevole. Zuppo dalla testa ai piedi, con i vestiti diventati oramai una seconda pelle per il suo fisico piatto, Andy avanzava verso di lei ad ampie falcate, ignorando quelle fastidiose gocce di pioggia che solcavano il suo viso pizzicandogli gli occhi. Non le piaceva lo sguardo freddo che esponevano i suoi occhi chiari, non le piacevano i lineamenti duri sul suo viso affilato e spietato. Come aveva previsto, lui l’aveva scoperta, e adesso gliel’avrebbe fatta pagare, ne era certa. Giunse innanzi a loro in men che non si dica, e sebbene fosse protetta dagli spessi occhiali da sole, le iridi di Biersack erano talmente penetranti da essere riuscite e sfondare le lenti e colpirla come una pugnalata al petto
-A-Andy- balbettó il suo nome venendo immediatamente zittita da quest’ultimo che con tono imperioso disse:
-Con me. ADESSO- ordinandole di seguirlo, il corvino fece per dargli le spalle, ma venne subito bloccato dal cugino della Foster, il quale aveva mal digerito quel tono con il quale aveva parlato alla sua piccola Caris
-Ma chi cazzo ti credi di essere per parlarle cosí- ringhió a denti stretti. Il vocalist si voltó di scatto, esponendo un sorrisetto beffardo
-Sono lo stronzo che cerca di non farla ammazzare- rispose argutamente, facendo aumentare lo sconforto in entrambi i cugini
-Tu, figlio di...- fece uno scatto in avanti, ma quasi come uno scudo Caris si posó nel mezzo tra i due, tentando di rassicurare il cugino, rosso dalla rabbia
-Ron, Ron va tutto bene. Ora devo andare- affermó la ragazza abbracciandolo appena prima di cominciare a seguire il suo Andy, che tenendosi a cinque passi di distanza da lei, camminava con passi svelti e decisi. In veritá Caris non era del tutto sicura che sarebbe andato tutto bene. Anzi, era quasi certa che qualcosa di orribile stava per accadere. Giunsero innanzi una vettura, e prontamente il moro tiró fuori un mazzo di chiavi
-Sali in macchina- affermó montando al posto del guidatore mentre la ragazza, restando in silenzio si limitó ad imitarlo, allacciandosi la cintura di sicurezza per poi sfilarsi gli occhiali da sole, che oramai non servivano piú a nulla
-S-Stiamo tornando a casa?- domandó mentre il cantante metteva in moto. Questo senza neanche voltarsi per guardarla in faccia rispose con un –NO- secco e deciso, spaventandola decisamente
-D-Dove mi stai...-
-Stai zitta- le ordinó continuando a ignorare i suoi sguardi. Guardando fisso la strada. Guidando ad una velocitá discretamente moderata sebbene Caris temette che potesse avere qualche scatto da matto e accellerare all’improvviso. Dove la stava portando? Perché ce la stava portando? Il cuore della giovane cominció a battere forte, e la paura venne a sgorgare dai suoi occhi sotto forma di lacrime. Non riusciva a capire con chiarezza dove la stesse portando; vedeva le insegne dei negozzi scivolare uno dopo l’altra a grande velocitá, e pian piano degli alberi dalle folte chiome scure andavano a prendere il loro posto. Sembrava proprio che la stesse portando lontano, in un parco abbandonato a causa del mal tempo. Accostó accanto al marciapiede che incorniciava l’ingresso e spengendo il motore aprí lo sportello affermando:
-Scendi- e dopo essere sceso lo chiuse lasciando la piccola Foster da sola per qualche attimo all’interno della sua vettura. Era piuttosto incerta sul da farsi. Perché l’aveva portata in quel luogo deserto? Perché era cosí arrabbiato? Oh beh, a questo poteva benissimamente rispondere. Era scappata, ancora una volta. Comprendeva la sua rabbia e la temeva allo stesso tempo. Degludí rumorosamente, afferrando la maniglia dello sportello. Una volta scesa si strinse le braccia al petto. La pioggia, sebbene si fosse fatta meno fitta, pareva una morbida carezza, umidiccia e gelida che inevitabilmente le fece venire la pelle d’oca. Andrew era proprio lí, davanti a lei. Si era acceso una sigaretta, fumandosela con ingordigia, come se stesse cercando di rilassarsi, di mantenere i nervi saldi e la calma perfettamente intatta. Ma era disperato, doveva ammetterlo. Confuso, spaesato. “Pazzo”. Non poté far a meno di ripensare agli effetti collaterali che Caris gli faceva patire con tanta angoscia
-A-Andy...?- lo chiamó dolcemente. Era preoccupata per lui, e per quanto zuccherosamente fastidiosa potesse sembrargli la sua voce, lui era contento che fosse in pensiero per lui. Ma la odiava. Non riusciva a farne a meno. La odiava dal piú profondo del cuore, e la lista delle motivazioni poteva sfiorare l’infinito. Strinse i pugni, digrignando i denti non appena sfiló la sigaretta dalle labbra
-Cosa cazzo devo fare con te?!- le domandó a denti stretti, quasi in cagnesco mentre prendeva ancora un’altra boccata dalla sigaretta, aspirandola profondamente mentre si avvicinava a lei. Quasi meccanicamente, ad ogni suo passo in avanti Caris indietreggiava. Onestamente non ci teneva molto a rimanere una seconda volta con le spalle contro il muro, braccata dai suoi occhi tanto belli quanto cattivi. Ma la sua schiena andó a posarsi contro quella stessa auto che li aveva portati fin lí, e la scena della notte passata le si ripropose davanti gli occhi. Intrappolata tra la macchina e il suo corpo, Caris era rimasta vittima di quello sguardo fisso su di lei, di quelle iridi fameliche. Tutto il fumo che aveva trattenuto tra le labbra adesso Andy glielo stava sputando dritto in faccia, mentre aspettava ancora che la brunetta trovasse una risposta da dargli. Ma la ragazza non aveva intenzione di parlare. Era come bloccata, soffocata. Non sapeva cosa dire. E questo suo lungo silenzio non fece altro che alimentare quello strazio che lo stava divorando senza pietá
-Porca puttana Caris! Perché non ti fidi di me?! Per quale cazzo di motivo?!- aveva cominciato a sbraitare, tirando un pugno contro l’auto. Era stato cosí veloce che  la giovane sentí le sue nocche quasi sfiorarla appena, prima di schiantarsi contro la vettura rimbombando sonoramente. Con occhi sbarrati, le iridi verdognole della ragazza studiarono il suo viso contrito: le gote bianche, le labbra screpolate; i capelli bagnati che incorniciavano quel pallido ovale. I suoi occhi avvelenati. E una goccia cristallina solcó la guancia del giovane vocalist, ma non era pioggia. Era una lacrima. Rimase stupita, non avrebbe mai pensato che Andrew Biersack fosse veramente in grado di piangere. Lui, cosí forte e sprezzante. Era frustrato, lo vedeva dal tremore della sua mano con la quale si riportava la sigaretta alle labbra. Lo chiamó, ancora una volta con dolcezza, allungando la sua mano piccola e tiepida sul suo viso, cogliendo quell’unica gemma solitaria che aveva avuto il coraggio di sfuggire al ferreo autocontrollo del ragazzo. Con un gesto affrettato e ansioso, Andy gettó la cicca ormai consumata a terra, stropicciandosi sgraziatamente gli occhi. Ora le sue iridi cristalline e arrabbiate sembravano pervase da un vistoso rossore, velate da un soffice strato di luciditá. I suoi occhi non la guardavano piú, ma fissi contro il terreno il giovane tentava di nascondere quela debolezza di cui provava tanta vergogna e disprezzo. Caris trattenne appena il fiato, facendo un passo in avanti verso di lui, scostandogli una ciocca corvina dal viso, attirando cosí la sua attenzione. Il quel preciso istante Andy stava maledicendo se stesso. Perché era cosí maledettamente vulnerabile?
-Io mi fido di te. Sei l’unica persona di cui possa farlo- rispose finalmente la ragazza, esponendo quel mezzo sorriso pieno di paure... Quei timori che pian piano il ragazzo stava imparando a sentire come suoi
-E allora perché se scappata? Perché non mi hai detto nulla?- carezzandole il viso, Andy immerse le mani nella sua coltre di capelli bruni, afferrandole delicatamente il viso portandolo al suo. E gli occhi di Caris si tuffarono in quel mare in tempesta, lasciandosi affogare dalle lusinghe di quelle iridi magnetiche. La rabbia sembrava essersi assopita, ma c’era pur sempre il velo del dubbio a macchiare quel colore cristallino e metallico. Sentiva il cuore batterle forte nel petto, ma arrivata a questo punto della storia, Caris pareva essersi finalmente decisa a non tenersi piú tutto dentro, aspettando invano che l’inquietudine svanisse magicamente
-Volevo proteggerti dalla mia vita- silenzio. Ma lo aveva ammesso, aveva confessato. Era stata dura, ma adesso entrambi sembravano sentirsi piú leggeri... Liberi. Un sospiro gonfió le labbra del vocalist, facendole stendere in un sorriso beffardo che Caris si stava abituando ad apprezzare
-Spiacente. Oramai sono dentro la tua vita con tutte le scarpe. Rassegnati- soffió sulla sua bocca mentre lasciava combaciare la sua fronte con quella della piú piccola. La giovane Foster lo osservó a quella vicinanza spaventosa che non faceva poi cosí tanta paura, e stringendosi a sua volta immerse il viso nei suoi pettorali, rivestiti da un maglione bluastro assaporando il suo profumo, sentendolo perfino palpabile alla lingua, appagante come una sigaretta, struggente e allucinante come una droga. Era lui la sua droga. Sbagliato... Ma cosí piacevole
-Grazie...- sussurró sfiorando quella morbida stoffa con le labbra. Era sincero, genuino; carico di un qualche sentimento piú grande e potente del loro stesso volere. Andrew sentiva il suo cuore battere contro il suo petto, una melodia affasciante e infinita che gli entró in testa, annullando ogni suo altro pensiero. Tornó a cogliere quel suo bel viso tra le mani, e senza perdere altro tempo annulló in un battito di ciglia le distanze fra loro. Cucciandosi appena di qualche centimetro aveva posato le sue labbra secche e spaccate dal vento su quelle delicate di lei, fondendole in un bacio morbido e vellutato; una danza lenta ed appasionata a ritmo di un silenzio amichevole, lasciando increspare le loro pelli sotto le loro vesti. Sapeva di buono, la sua bocca rosea. E sarebbero rimasti lí, immobili sotto la pioggia; vivendo l’emozione, riscaldandosi con i loro abbracci, nutrendosi di baci. Ma certo non era saggio rimanere al freddo e al gelo, e sebbene fosse a malincuore, Andy sciolse quella magica unione, sfiorando il naso della giovane con la punta del suo
-Torniamo a casa...- e annuendo Caris gli saltó con le braccia al collo. In punta di piedi gli aveva rubato un secondo bacio. Breve, ma talmente intenso da aver annullato una seconda volta ogni qualsiasi rumore attorno a loro. Perfino il suono del vento che carezza le foglie degli alberi, in quel breve attimo, era stato cancellato
-E questo?- domandó divertito con un risolino sprezzante non appena quel contatto venne terminato, osservando accigliato il ghigno biricchino impresso su quel visetto da bambola di porcellana
-Mi andava... Problemi?- rispose semplicemente facendogli la linguaccia. Abbracciandola un’ ultima  volta, Andy sollevó il suo sguardo al cielo sospirando
-Tu, mia bella addormentata sul cesso, se tutta strana- rise baciandole una tempia
-E tu sei pazzo di me- rispose audaciamente, prendendolo in contropiede
-Tzé... Non ci sperare- affermó sbuffando burberamente. Eh no, non gli avrebbe mai dato questa soddisfazione. Dopotutto era pur sempre Andrew Biersack, non il ragazzo della porta accanto
-Bugiardo!- e corrucciandosi lo osservó con un sopracciglio sollevato verso l’alto. Era cosí tenera e buffa la piccola Caris ai suoi occhi. Si, magari stava diventando pazzo. Ma non gli dispiaceva affatto. 

*Angolino di Virgy*
Nuovo capitolo coccoloso! *w* Wow... Sembra piacervi la mia storia e questo mi rende felicissima!
Ma passiamo alle "quasi brutte notizie". Sí perché questo pomeriggio mi stabilisco per il resto di agosto presso la mia casa al mare e lí non ho la connessione internet. No! No vi prego non armatevi di torce e forconi! Ho un piano! Prenderó una di quelle "favolose" pennine cosí che possa avere almeno quel minimo di connessione per postare i nuovi capitoli! Spero dunque di aggiornare presto, e che il capitolo vi piaccia! ;P
Un bacio
-V- 

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***





Caló uno straziante silenzio per tutto il loro viaggio di ritorno. Dovevano ammettere che era difficile guardarsi senza arrossire o sogghignare. Ma erano sereni, felici. Caris provava il senso dolce della gratitudine attanagliargli il petto. Andy l’aveva letteralmente salvata, non solo dal funerale di sua sorella, ma dalla situazione in se tragica nella quale si era sfortunatamente trovata coinvolta. Un angelo piombato in un pub di Los Angeles per impedirle di affogare i suoi dolori nell’alcool. Si voltó appena, osservando di sottecchi la linea sottile del suo profilo. Eccolo lí, il suo salvatore. Al posto di guida della sua macchina, intento a parcheggiare con estrema nonchalance, come se non si sentisse minimamente spiato. Gli doveva tutto, eppure non glielo faceva minimamente pesare. Spense il motore, e quasi automaticamente il ragazzo posó i suoi occhi cristallini su di lei; la vide sussultare, socchiudendo appena le sue piccole labbra. I capelli fradici e le vesti zuppe, cosí bella, cosí fragile; bisognosa di protezione, di calore. Ed erano eloquenti i suoi grandi occhi verdi. Parlavano.
“Ho bisogno di te” bisbigliavano sottovoce. E forse anche lui, sotto sotto, aveva bisogno di lei. Lasció il cambio, sfiorandole la mano per carezzarle le dita affusolate e tremanti. Un rosa tenue tinse le sue tonde gote, facendole abbassare lo sguardo in preda alla vergogna. Ancora non si era abituata ai suoi occhi sempre puntanti su di lei, che non la scrutavano piú con quella crudele diffidenza che sapeva diventare spietata. No, anche i suoi occhi blu sapevano parlare.
“Io ci saró” stavano dicendo in quel momento, e le parve un sussurro tiepido che le coccolava il viso. Il suo fragile cuore bussó contro il suo petto, facendole mancare il fiato
-D-Dovremmo rientrare a casa tua. Cosí ridotti ci ammaleremo di sicuro- rispose cercando di ignorare le urla imprigionate nella sua cassa toracica. Il moro annuí, e dopo essere smontati dall’auto, si avviarono l’uno accanto all’altra verso l’ingresso
-Caris?- si arrestó davanti al portone, e la chiamó piano, cogliendola alla sprovvista
-Sí?- sollevó lo sguardo, tuffandosi in quel mare piatto come una tavola, ma impetuoso come una tempesta al tempo stesso
-Casa nostra- si limitó a rispondere, sollevando un sorriso divertito per l’espressione totalmente confusa della giovane
-Cosa?- domandó aggrottando la fronte. Andrew sospiró, portandole le mani ai fianchi stretti la portó a se, inchiodandola con lo sguardo
-Questa. É casa nostra ora- soffió sulle sue labbra, sfiorandole appena, tentandola come il piú spietato dei demoni. Sulla sua bocca rosea, l’ombra di un sorriso fece capolino lentamente. Poi, si lasció cedere a quella provocazione tanto suadente quanto affettuosa, allungandosi sulle punte dei piedi, baciandogli le labbra a fior di pelle, gustandosi il loro sapore dolce e al contempo amaro
-Non riusciró mai a ringraziarti a bastanza per quello che stai facendo per me- gli disse facendo salire le mani piccole e affusolate al suo petto, carezzandolo al disopra della maglia umida
-Comincia pure con il pagarmi l’affitto allora- rispose beffardo, spezzando quella zuccherosa situazione romantica che cominciava a dargli il volta stomaco. Caris, portando lo sguardo al cielo esasperata, sospiró cercando di mantenere i nervi ben saldi, sebbene avesse la stramaledetta voglia di strozzarlo con le sue mani
-Ecco, sapevo che avresti rovinato l’atmosfera- bofocchió imbronciandosi fanciullescamente
-Vedo che cominci a conoscermi bene- ridacchió il vocalist sfilando la chiave del portone dalla tasca posteriore dei jeans scuri dai quali pendeva una catenella fina
-Giá. Ma non mi arrendo facilmente. Troveró il tenerone che c’é in te. Prima o poi...- piú che una promessa, sembrava una minaccia, ma una risata di gusto gonfió le labbra del giovane, che affermando un –Continua a sognare bambola- varcó la soglia d’ingresso.
 
***
 
I vestiti di Caris giacevano a terra, mal disposti sul pavimento del bagno che lentamente scompariva dietro nuvole opache provenienti dalla doccia. Avvolta in una nube di schiuma, lasciava che il forte getto d’acqua le scivolasse addosso come una calda carezza sensuale. Un brivido tiepido le increspó la pelle: Andy era in camera da letto, si era lavato prima di lei e adesso la stava aspettando. Piú che una doccia rilassante, si stava rivelando un pretesto per incendiare i suoi bollenti spiriti. Ancora non riusciva a crederci, si erano baciati, e il suo stomaco si era riggirato mentre il cuore aveva smesso di battere. In fondo le era mancato tutto questo: la mancanza di respiro, il senso di vuoto. Tutto. Anche la paura, la compagna di ogni avventura del cuore. Grondante dalla testa ai piedi, uscí accompagnata dalla condensa che impediva ad occhi indiscredi di intravedere le sue nuditá mentre andava alla ricerda di un asciugamano in cui avvolgersi. Gocciolava in ogni dove, saltellando quá e lá per la toilette con il primo panno trovato in giro stretto al petto. Piccoli cristalli colavano  dai suoi capelli scuri, rigandole le spalle e l’incavo delle clavicole. Se li tamponó appena, non era solita asciugarli: primo perché non sopportava il caldo del phon e secondo perché le piacevano i boccoli sconvolti che alla fine si ritrovava al posto della solita zazzera incolta. Cominció a rivestirsi lentamente, scrutando l’ora dal suo telefono cellulare poggiato sulla mensola del bagno: 14:00. Non avevano neanche pranzato, peró non sentiva i morsi della fame corroderle lo stomaco. Tutto quello che riusciva a sentire era solamente l’ansia di ritrovarlo in camera da letto, e la paura di non riuscire a dire nulla. Si sentiva impacciata, timida. Debole. Troppo debole. Infilandosi il jeans vagó a piedi nudi ricercando la maglietta che si era portata dalla camera, e fu proprio mentre finiva di rivestirsi alla buona che sentí il suo cellulare cominciare a squillare. Voltandosi di scatto, osservó lo schermo illuminarsi a intemittenza mettendo in evidenza un nome: Papá. Un brivido freddo, violento come una scossa elettrica, la fece fremere. Cosa doveva fare? Erano giorni che non riuscivano a parlarsi, o meglio lei non voleva nemmeno rivolgergli la parola. Ma dopo quella mattina, dopo averlo visto piegato dal dolore per Lilith, qualcosa era scattato dentro di lei. Gli mancava. Era pur sempre suo padre dopo tutto. Allungó la mano tremante verso l’apparecchio, portandolo all’orecchio
-Cosa vuoi?!- domandó fredda, spietata. Ma per lo meno si era decisa a rispondergli
-C-Caris...- aveva la voce tremante, rotta dal pianto. Le spezzava il cuore sentirlo cosí, ma in fondo non riusciva a perdonarlo, non lo avrebbe mai fatto
-Senti non ho molto tempo perció...- tentó di tagliare corto, ma cogliendola alla sorpresa suo padre parló cosí veloce che in un primo momento la brunetta non aveva capito le sue parole:
-Hanno sparato a Ronnie- le scandiva bene in testa, analizzandole lettera per lettera. Paura, sconforto, rabbia cominciarono ad aggredirla facendole gonfiare gli occhi di lacrime amare
-C-Che cosa?!- purtroppo un singhiozzo le tappó la gola impedendole di chiedere altro. Quasi non riusciva a respirare, e l’adrenalina cominció a sgorgare a fiotti nelle sue vene
-I medici dicono che non é grave, sono riusciti a togliergli la pallottola e a fermare l’emmoraggia appena in tempo. Peró ancora non si é svegliato. Ho b-bisogno di te Caris. Abbiamo bisogno di te, qui. Ora.- sapere che suo cugino non era in pericolo di vita certo le sollevava il cuore. Ma non riusciva proprio a darsi pace. Sapeva benissimo chi era stato. Sapeva anche perché lo avevano fatto
-Dove siete?- domandó cercando di moderare la voce, mantenendo a stento la calma e la voglia di urlare
-Siamo al Good Samaritan Hospital...-
-A-Arrivo- rispose attaccando senza neanche lasciargli il tempo di fiatare. Lo sconforto l’ammantó completamente. Non doveva andare al funerale di Lilith. Sicuramente l’avranno vista assieme a lui, per questo gli avranno sparato. Era colpa sua. Solo colpa sua. Si morse le labbra fortissimo al tal punto da farsi male. Spalancó la porta del bagno, lasciandola sbattere contro la parete mentre lei correva in camera da letto, cogliendo il bel vocalist ancora a torso nudo che stava per infilarsi una camicia scura. Aveva il fiatone, e tutto quello che riuscí a notare di lui in quel momento furono i suoi occhi. Curiosi e preoccupati che la trapassavano da parte a parte
-Cos’hai?- domandó lasciando la camicia sul letto. Senza neanche rispondergli la piccola Foster gli si catapultó addosso stringendolo forte a se. Un abbraccio caldo, avvolgente quanto disperato. Sentiva il suo timore fuori uscire da ogni poro della sua pelle ancora attraversata dai brividi. Con il viso nascosto nel suo petto nudo e tatuato, le sue lacrime cominciarono a colargli lungo i pettorali, solleticandolo appena. Le bació la testa con dolcezza, carezzandole il viso per incrociare il suo sguardo bagnato e triste
-É tutta colpa mia...- sussurró in preda a una crisi di panico, faticando a respirare nel modo corretto, lasciandosi pervadere da un vistoso rossore sulle gote
-Di cosa? Caris calmati. Respira e dimmi cosa é successo...- cercó di rassicurarla il moro, predendole le mani nelle sue. Mai vista ridotta in quello stato. Era diverso dalle altre volte. Questa volta la disperazione aveva totalmente ofuscato la sua mente fragile. La fece sedere sul letto, e fiancheggiandola scrutó il suo viso: lo sguardo sperso nel vuoto, le labbra dischiuse e screpolate. Era bella anche in quella condizione, ma non voleva pensarci. Ora era soltanto lei a contare, non il suo egoistico senso estetico
-Hanno fatto del male a Ronnie... D-Devo andare da lui- sembrava che stesse vaneggiando. Tentó di alzarsi ma bloccandola prontamente per i fianchi, Andrew riuscí a fermarla
-Tu non vai da nessuna parte. Non prima di esserti calmata- rispose serio prendole il viso con le mani, fissandola con il gelo negli occhi. Non avrebbe rischiato ancora. La ragazza annuí e si lasció andare completamente su di lui, posando la fronte sulla sua spalla, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia. Era buono il suo odore, inebriante e rilassante. Sentí il suo cuore cominciare a rallentare la sua folle corsa, e le mani del ragazzo fare avanti e indietro lungo le sue braccia. Andy lasció aderire la superficie della sua guancia sul capo della piú piccola; erano umidi i suoi capelli, e profumavano di mela verde. Sentiva il suo fiato carezzargli la clavicola, e intuendo che si stesse tranquillizzando chiese:
-É grave?-
-Gli hanno sparato, ma sembra che se la caverá. Mio padre mi ha detto che i medici lo hanno salvato appena in tempo- rispose osservando un punto indefinito al di lá delle pallide spalle del suo compagno. Dalle labbra del moro, un sospiro fuoriuscí lentamente. Stava per porgerle una seconda domanda, ma onestamente stentava a parlare. Non voleva turbarla, ma voleva sapere
-Sono stati loro?- un sussurro. Un quesito prevedibile
-E chi altri?- un sorriso amaro si scolpí sulle sue soffici labbra –Vorrei smettere di esistere...- forse lo stava solo pensando, ma fatto sta che diede ugualmente fiato alla sua bocca. Una frase breve, con voce flebile e tremante. Una frase forte, pungente come una stilettata. In quel preciso attimo Andrew Biersack si sentí spiazzato. Il suo cuore mancó un battito, forse anche due. Si strinsero in sgraziati pugni le sue mani, s’irrigidí tutto il suo corpo
-Non te lo permetto...- bofocchió, con i denti stretti
-Cosa?- alla sua domanda il giovane la prese per le spalle, stringendola piuttosto rudemente mentre la staccava dal suo corpo, penetrandola con il suo sguardo austero e glaciale, fulminandola a tal punto da farla fremere. Ebbe un sussulto. Era rabbioso, ma nei suoi occhi c’era un barlume. Era preoccupato. Per lei
-Non ti permetto di dire una cosa del genere. Ti vieto anche solo di pensare una cosa cosí stupida! Tu non puoi voler smettere di esistere Caris, cazzo!- con gli occhi sbarrati la ragazza lo fisso intensamente ringhiarle contro. Era impietrita, e non capiva se stava provando paura o era affascinanta dalla sua sfuriata. Forse era presa da entrambi, ma sentí con certezza il nodo nel suo stomaco sciogliersi appena. L’angolo piú remoto e malizioso del suo cervello era arrivato anche a pensare che fosse straordinariamente sensuale mentre interpretava quella parte da duro, spietato e senza cuore. La veritá era semplicemente che aveva perso la testa per lui, tanto che si era abituata al suo essere feroce e aggressivo; e anzi, cominciava ad apprezzarlo. Sebbene lo stesse fissando con gli occhi sbarrati, nei suoi profondi stagni verdi Andy riusciva a vedere un certo vuoto. Come se in veritá la giovane Foster si era smarrita in chissá quale parte remota della sua mente
-Fanculo mi stai ascoltando oppur...?- borbottó prima che le labbra della giovane gli tappassero la bocca stampandogli un bacio. Era stato piú forte di lei, ma non se ne pentiva affatto, anzi restava totalmente divertita e estasiata dall’esspressione basita che si disegnó sul volto affilato del ragazzo
-Scusami... Hai ragione...- rispose sorridendogli appena prima di abbassare lo sguardo, puntandolo contro i suoi piedi. Il vocalist si chiese se stava cominciando a prendere assuefazione da tutti quei baci rubati, ma di certo sapeva che non gli davano alcun dispiacere. Con l’indice e il pollice della mano destra il moro afferró il viso della giovane per il mento
-Non puoi permetterti di essere debole, Caris. Non nella tua situazione. Devi essere forte. Per te. Per Lilith- un sussulto socchiuse le sue labbra rosee. Possibile che Andrew Biersack fosse davvero in grado di capirla? Lui, uno sconosciuto entrato fortuitamente nella sua vita. Una persona di cui, paradossalmente non conosceva nulla. Possibile che fosse davvero un "Angelo"? Caduto, per lei? Si diede della pazza, mentre lo osservava rivestirsi con quella camicia nera che aveva lasciato perdere da un bel po
-Andrew?- il moro si voltó di scatto osservandola di sottecchi. Non lo aveva mai chiamato “Andrew”. Anzi, gli faceva strano sentirlo uscire dalla sua bocca
-Promettimi che dopo mi parlerai un po di te...- ecco, questa era un’altra affermazione che non si sarebbe mai aspettato. Aggrottó la fronte, chinando appena il capo, incuriosito dalla sua bizzarra richiesta
-Perché all’improvviso mi chiedi questo?- domandó di rimando sollevando appena l’angolo destro della bocca, esponendo un ghignetto divertito e beffardo al medesimo tempo
-Perché onestamente io non so nulla su di te. Mentre tu sai tutto di me- il suo discorso non faceva una piega. Dopo tutto non si era mai mostrato interessato a raccontarle i fatti suoi, quindi era pur sempre lecito cominciare a fare qualche domanda. E forse era arrivato il momento per lui di cominciare a risponderle. Magari era finalmente giunto l’attimo per cui valesse la pena fidarsi di una persona. Tornó a sedersi sul ciglio del letto, prendendole la mano nella sua, stringendola appena, carezzandole le dita. Osservó con accortezza quelle due mani intrecciate, e sorrise a quel piacevole calore che la loro unione sprigionava. Andy sospiró appena, e portandosi la mano della piú piccola vicino al viso, lasció sul suo dorso candido l’invisibile impronta di un casto bacio
-Lo prometto- era stato semplicemente elegante il gesto. A tal punto che Caris dovette chiedersi se quello che aveva davanti era veramente il suo Andy. “Suo”. Cosí lo aveva definito. Al solo pensiero le sue guance arsero violentemente
-Ma che fai arrossisci?!- ridacchió il ragazzo canzonandola, scompigliandole la folta chioma scura
-Scemo! Piuttosto prendi le chiavi della macchina. Mio padre ci aspetta al Good Samaritan- rispose impacciatamente, sollevandosi di scatto dal giaciglio. Per un attimo si era distratta, ma ora che ricordava dove dovesse andare e perché... Il suo viso si era rabbuiato. Il vocalist prese la giacca di pelle riposta nel suo armadio, e avvicinandosi di soppiatto alla brunetta gliela posó sulle spalle
-Fuori ancora piove e fa freddo. E l’unico indumento pesante che avevvi é bagnato...- si giustificó il moretto, porgendole la mano. Caris ebbe un breve attimo di stordimento. Titubava, non di lui, ma di voler vedere suo padre, di visitare suo cugino ridotto in quelle condizioni. Le probabilitá che il suo cuore avrebbe retto un simile stress erano assai scarse
-Caris...- la chiamó piano. Dolcemente. Non era stato difficile per lui leggere lo sconforto impresso nel suo ovale. Le prese una mano, e cucciandosi appena le bació una tempia sussurrandole
-Andrá tutto bene. Ma tu devi essere forte- erano confortanti le sue parole. Onestamente, qualsiasi parola che fuori uscisse dalla sua bocca pareva oro colato. Anche la piú banale, anche la prima imprecazione o un “bella addormentata sul cesso”. Caris finalmente gli sorrise, rassicurata. Avviandosi verso l’uscita, i due si presero per mano. E si fissarono un ultima volta, con i loro occhi talmente eloquenti che parevano comunicare telepaticamente:
“Ho bisogno di te”
“Io ci saró”. 


*Angolino di Virgy*
Eccomi qui! finalmente! chiedo perdono, avevo promesso che avrei postato durante la vacanza ma non l'ho fatto a causa di parecchi problemi che mi hanno tenuta impossibilitata ad usare il pc. Comunque, spero di essermi fatta perdonare con il capitolo nuovo anche se so che é un po cortino rispetto a quelli precedenti. Wow, inutile dirlo, ma sono contenta delle vostre recensioni! Sapere che la storia vi piace per me é una gioia infinita!
Dunque fatevi sotto, non vedo l'ora di sentire cosa ne pensate!
Un bacio.
-V-

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Capitolo 9
*** capitolo 9 ***



Trovato posto nel parcheggio dell’ospedale, i due si avviarono verso l’ingresso, facendo slalom tra le volanti della polizia, e per Caris non fu difficile capire per quale motivo la polizia si trovasse lí. Varcarono la soglia d’ingresso, precipitantosi al bancone delle informazioni, dove un’infermiera dai morbidi capelli bianchi li accolse con un rassicurante sorriso
-Benvenuti al Good Samaritan. Posso esservi utile ragazzi?- domandó scrutando i due giovani innanzi ai suoi occhi: coetanei e inesperti... e a constatare dal pallore dei loro visi dovevano aver combinato qualcosa
-Sa dirmi dove posso trovare Ronald Foster?- domandó la ragazza dai capelli bruni e mossi, osservandola con lo sguardo lucido e spento
-Oh, il ragazzo a cui hanno sparato. Anche la polizia é venuta per lui. Lo trovate nella camera 43b- rispose la donna controllando un’ultima volta la tabella dei pazienti
-Grazie mille!- rispose la brunetta facendo cenno al ragazzo alle sue spalle di seguirlo. L’infermiera li osservó allontanarsi verso i fitti corridoi del reparto. Non si erano presi per mano, ma dall’alto della sua lunga esperienza, la donna riusciva a vedere cosa si celava nello sguardo vigile del ragazzo puntanto su di lei. Vi lesse protezione, calore.
Capirono immediatamente di essere arrivati quando, innanzi alla bianca porta con l’insegna 43b, due uomini piazzati lí davanti sembravano parlare tra loro, mentre due agenti in divisa dovevano fargli da scorta. Immediatamente gli occhi della giovane Foster si spalancarono di colpo: da una parte l’uomo dagli occhi verdi e profondi, folti baffi scuri e i segni della disperazione marcati nelle rughe profonde del viso; dall’altra invece, un giovane uomo dagli occhi glaciali e seri. Da una parte suo padre... dall’altra il detective Jones. Si era irrigidita di colpo, mentre i brividi increspavano la sua pelle. Il peso di una mano gentile si poggió sulla sua spalla, e voltando appena il capo, si scontró contro quegli occhi grandi e limpidi. Impetuosi, forti. Si fece coraggio, e respirando profondamente si avvicinó con passi piccoli e lenti, attirando la loro attenzione. I due si girarono in direzione dei due giovani che si erano fatti avanti. Il signor Foster onestamente dubitava che alla fine si sarebbe presentata, e come poteva biasimarla... Era solo colpa sua se aveva rovinato la vita delle sue bambine. Il detective, al contrario, l’accolse con un ghigno divertito e beffardo. Era testarda e capricciosa, quella Caris Foster. Sapeva quale rischio stava correndo a farsi vedere in giro, eppure nei suoi occhi verdi ed enigmatici vide un coraggio straordinario. Chissá, magari la brunetta si sentiva davvero coraggiosa, ed era solo merito di Andy, il suo salvatore
-C-Caris- suo padre sussurró il suo nome quasi in preda ad una visione miracolosa. La sua piccola era lí, ad un pugno di mosche. Sussultó appena, mentre sentiva le braccia del suo genitore stringerla forte al suo petto. Era rigida. Impacciata. Cosa doveva fare? Era piacevole, quel tepore cosí morbido e soffice che sembrava carezzarle il cuore. Nascose il viso, si lasció andare tra le sue braccia, cercando di trattenere i singhiozzi. Per quanto potesse cercare di autoconvincersi, era pur sempre suo padre. E gli voleva bene
-Papá...- sussurró ascoltando i gravosi respiri dell’uomo, che dopo averle lascianto un bacio sulla tempia, si asciugó gli occhi. Andy era rimasto in disparte in quel momento, osservando quella riunione talmente tenera e affettuosa che quasi gli venne un coccolone. Era contento, dopotutto. C’era un sorriso dipinto sulle labbra della ragazza. Era il sorriso piú bello e spontaneo che le avesse mai visto fare
-Come te la cavi? Intendo... Stai bene?- le domandó guardandola per bene: il viso candido, i capelli pressoché sconvolti, il fisico snello e una giacca di pelle che non le aveva mai visto in dosso. Dal canto suo, la figlia gli annuí, scostandosi appena per lasciargli vedere una seconda figura dietro di lei. Era un ragazzo, anche lui mai visto prima: lunghi capelli corvini, alto e decisamente magro. Era pallido, e faticava a stare tranquillo, penetrando i suoi occhi grandi e metallici. Si chiese da quale Album dei Mötley Crüe fosse uscito, e sopratutto come avesse fatto quell’angioletto di sua figlia ad ever conosciuto quel... “Capellone”. La fanciulla si avvicinó al fianco del vocalist, prendendolo per mano. In quel preciso istante, quando gli occhi del padre della sua compagna si puntarono su di lui, Andrew Biersack ebbe paura. Non aveva mai conosciuto i genitori delle ragazze che frequentava, e onestamente avrebbe preferito farne a meno. Era diventato di pietra, e Caris lo stava letteralmente trascinando verso il suo incubo peggiore. “Non lo sta facendo davvero” pensó mentre osservava le sue labbra piccole e rosee muoversi piano, scandendo bene le precise parole:
-Papá, lui é Andrew Biersack. É lui che ha accettato di darmi una mano. Gli devo molto- era ufficiale: Caris lo aveva presentato a suo padre, e il ragazzo sentí mancarsi un battito nel petto. il signor Foster fece un’ultima e breve radiografia a quel “tipo”, soffermandosi per qualche secondo buono sulle loro dita intrecciate. Era la prima volta che la sua adorata pargoletta gli presentava un ragazzo. Non era pronto psicologicamente. E sapere per giunta che vivevano sotto lo stesso tetto certo non gli facilitava di comprendere. A dirla tutta, non era il genere di ragazzo che sperava di vedere al suo fianco, ma poi si diede dell’egoista. Era la prima volta che vedeva la sua bambina sorridere dopo tutto quello che era successo. Era questo quello che contava. Nient’altro
-Piacere...- fece il primo passo, lasciando il giovane piuttosto basito, mentre impacciatamente ricambiava la stretta di mano. forte e virile. Si fissarono negli occhi. Guardó quelle iridi fredde, velate da uno spesso strato di mistero. Era strano, non riusciva a non pensarlo
-Dunque sei il ragazzo di mia figlia...- affermó serio senza lasciare andare la mano del vocalist, osservandola appena, intravedendo dei tatuaggi sbucare da sotto la manica della camicia. Non ci volle pensare. Era pur sempre un uomo all’antica, lui. Alla sua affermazione, Caris arrossí violentemente mentre il moro ebbe l’impulsiva voglia di strozzare quella stupida e magnifica bamboccia dalla lingua lunga. Caló un sottile silenzio scandito dal disagio dei presenti, prima che ambedue i giovani risposero all’unisono
-No! No! Siamo solo amici!- erano imbarazzati, proprio come due ragazzini, e il padre di Caris faticó a trattenere un risolino divertito. Poi, scrollandosi appena le spalle, posó lo sguardo su sua figlia dicendogli
-Vai. Ronnie ha chiesto di te...- la brunetta annuí, e prima di varcare la porta della camera, guardó per un istante gli uomini dietro di se. Era una mossa azzardata lasciare Andy da solo con suo padre e il detective Jones, che stranamente era rimasto in silenzio, e sapeva benissimo che questa Biersack gliel’avrebbe fatta pagare cara.
Caris si chiuse la porta alle spalle, e dio solo sa quante volte Andy la maledí in quel momento. Lo aveva lasciato solo, con suo padre dopo che aveva pensato che fossero fidanzati! “Maledetta! Aspetta che torniamo a casa!” pensó cercando di mantenere i nervi saldi. Era agitato e faticava a nasconderlo. “Siamo solo amici”. Non riusciva a togliersi questa frase dalla testa. Ma lo pensava davvero? Era questo a dargli fastidio. Lo aveva detto, ma non ne era sicuro. E questa insicurezza lo faceva impazzire. “Se fossimo stati solo amici non ci saremmo baciati”. Ma allora perché lo aveva detto? E perché Caris non lo aveva contraddetto?! Che fosse questa la sua vera paura? Non riuscire ad ammettere al suo genitore di provare qualcosa l’uno per l’altra, piuttosto che la presentazione in sé?
-Andrew...- la voce del signor Foster giunse al suo udito, svegliandolo da quel soliloquio interiore che lo stava letteramente facendo andare fuori di matto
-Si?- domandó volgendogli lo sguardo. Era serio. Molto serio. E austero. Dubitó seriamente di avergli fatto una bella impressione
-Non so chi tu sia, ne da dove sei saltato fuori...- “Ma se ti azzardi a sfiorare mia figlia anche solo con un dito ti squarto con il mio machete” pensó il giovane vocalist terminando la frase mentre l’uomo faceva una breve pausa. Aveva sbuffato, e il ragazzo si era preparato al peggio. Degludí rumorosamente, prima che con uno scatto improvviso, l’uomo gli prese la mano destra nelle sue grandi e ruvide, stringendogliela cordialmente. Un cadaverico pallore aveva sbiancato il volto del moro, lasciandolo basito, con gli occhi sbarrati
-Ma devo ringraziarti per quello che stai facendo per mia figlia- era riconoscente, e lo intuiva dal calore che sprigionavano le sue mani sulla sua
-Davvero?- probabilmente aveva assunto un’espressione sghemba, ma in quel preciso istante non riusciva proprio a capire piú nulla
-Beh, hai avuto un bel coraggio a darle aiuto. Sopratutto nella sua situazione...- constató il detective, inoltrandosi nella conversazione
-Ha ragione. E per questo vorrei chiederti un favore...- affermó l’uomo dai folti baffi, penetrandolo da parte a parte con quegli stessi occhi verdi che gli facevano perdere il senno
-Prenditi cura di lei. Ti prego- come un fulmine a ciel sereno, una precisa immagine sorvoló nella mente del giovane: rivide Raynolds, nel suo pub, pervaso da un istinto paterno che gli chiedeva aiuto. Era quella sera. La prima volta che l’aveva incontrata. Quando si era ubriacata al bancone di nonno baffo. Lí aveva avuto inizio la loro avventura. Lí non aveva esitato ad occuparsi di lei. Era svogliato, se lo ricordava bene, eppure non l’aveva abbandonata. Andrew respiró profondamente, e posando la mano su quelle dell’uomo, lo trapassó con quello sguardo fiero e impetuoso che travolse totalmente l’attenzione del signor Foster
-Non ho alcuna intenzione di lasciare che le venga fatto del male. E questa é una promessa-

***
Pareti bianche, anonime. Il suono di un elettrocardiogramma acceso. Un letto sterile e arido. Ronnie era lí. Disteso sotto delle candide lenzuola. Con il torso fasciato e la faccia livida. I suoi occhi color nocciola la cercarono in lungo e in largo. Ed eccola lí. Piccola piccola. Esile come un fruscello. Tremava, e stava sul punto di scoppiare a piangere, con le mani strette al petto
-C-Caris...- sussurró sorridendole appena, mentre questa si precipitava al suo fianco, singhiozzando rumorosamente
-Perdonami. Ti scongiuro, perdonami. É tutta colpa mia- bofocchió tra un sospiro e l’altro, lasciando che le lacrime le rigassero il bell’ovale candido. Il moro steso sul letto sollevó appena la mano, posandogliela sul capo, carezzandogli i capelli setosi e scuri
-Non é colpa tua piccola. Sto bene...- cercó invano di rassicurarla, sollevando un angolo delle labbra
-P-Potevi morire. Dovevo restarmene in casa, non dovevo venire al funerale...-
-Sai che Lilith non te lo avrebbe perdonato...- rispose cogliendola alla sprovvista. Si quietó all’istante, cercando di ricomporsi. Sua sorella era solare, spensierata. E se davvero la stava guardando dal cielo, si sarebbe arrabbiata se non si fosse presentata per il suo ultimo saluto. Cercó di non pensarci, e trattenendo le lacrime tornó a carezzargli la mano
-Come é successo? Ci hanno visti insieme non é vero?-
-No...- una risposta che non si aspettava, facendole raggelare il sangue
-C-Cosa?- domandó quasi strozzandosi
-Non ci hanno visti. Ma hanno visto me mentre entravo nel tuo appartamento- la ragazza, sconcertata, lo guardó di sottecchi, cercando di capire
-Perché sei andato nel mio appartamento? La polizia non vuole nessuno vada lí...-
-Dovevo prendere una cosa. Per te- le rispose abbassando lo sguardo. Carezzandogli il viso con la punta delle dita, la brunetta tentó di attirare la sua attenzione con tutta la dolcezza che aveva a disposizione. In veritá non riusciva a capire. E dopotutto é difficile comprendere quando una persona cara rischia la propria vita per una “cosa”
-Che dovevi prendere di cosí importante?- domandó a denti stretti, stringendo appena i pugni
-Guarda lí. Sulla sedia- il ragazzo le indicó con lo sguardo uno sgabello posto accanto alla finestra, il quale sorreggeva una scatola da scarpe malandata e polverosa. Con passi lenti e incerti, Caris si sollevó dal suo poggio per afferrare quella vecchia custodia. La prese con delicatezza, lí dentro c’era la ragione del suo dolore, la ragione per cui suo cugino si era preso una pallottola, e una curiositá immensa le mangió l’anima. Con le mani ancora tremanti sollevó il coperchio di secco cartone. Rimase immobile ad osservare con occhi sbarrati quel contenuto
-R-Ronnie- sussurró appena il suo nome in preda al pianto, lasciando che una lacrima solitaria le solcasse il viso mentre tornava a sedere accanto al giovane, strinendogli fortissimo la mano
-Sei un incosciente! Hai corso un pericolo cosí grande... Per me? Per questo?!-
-Questo é quello che sei sempre stata, Caris. Non dimenticarlo, mai-
I due si abbracciarono forte, e i singhiozzi vennero mascherati dai dolci respiri di suo cugino e dalle sue parole confortanti. Quando Caris uscí dalla stanza numero 43b, tra le mani reggeva quel vecchio contenitore mal ridotto, e sulle sue labbra un riso malinconico. Verdi come l’erba bagnata al primo mattino erano i suoi occhi, e tutto qello che vide furono soltanto Andy e suo padre. Ma stavano... Ridendo?

***
La porta d’ingresso al loro appartamento si chiuse alle loro spalle, portandosi dietro la scia di un silenzio che durava di circa trenta minuti. Senza dire nulla, la ragazza si avvió in camera da letto, custodendo gelosamente quella misteriosa scatola che aveva tanto attirato l’attenzione del giovane vocalist. La seguí, osservandola di sottecchi mentre attraversava la camera per sedersi sul letto, posando il pacchetto ai suoi piedi
-Sei strana...- decise di rompere quella quiete troppo tranquilla e malsana per i suoi guisti. La ragazza sollevó il capo, fissandolo intensamente. Non era triste, ma c’era un sottile velo di malinconia, di nostalgia che mascherava le sue iridi roventi
-Lo so. Me lo dici spesso...- rispose abbozzando un sorriso, tamburellando la mano sul letto, incitandolo discretamente a sedersi accanto a lei. E lo fece, senza alcun indugio Andrew si posó al suo fianco, osservandola con occhiate brevi e fugaci. Passando lo sguardo dalla scatola al suo viso, il giovane non riuscí a trattenere l’impulso di parlare
-Cosa c’é lí dentro?- domandó impulsivamente, osservandola sospirare sommessamente
-C’é una parte di me che ho nascosto tempo fa- sussurró appena, lasciando vibrare le sue tenere labbra. Andy in quel momento si diede dell’idiota
-Scusami...- rispose prendendole la mano, e Caris ricambió la stretta, cercando i suoi occhi per potercisi tuffare a capofitto, senza il timore di annegare. Perché affogare nei suoi occhi era pericolosamente sensuale quanto dolce
-Scusami tu- rispose lasciandosi cadere sul materasso, senza sciogliere le sue dita dalle sue. Stesa al suo fianco, con i capelli sparpagliati sulle lenzuola come morbidi raggi, e i suoi occhi fissi su di lui. Decise di imitarla, giacendo accanto a lei. Le loro iridi si mescolarono in un soffice connubio di emozioni a cui non riuscivano a dare nome... Ma era piacevole
-Allora...- cominció il moro, vagheggiando
-Ti avevo promesso che ti avrei parlato di me. Quindi... Cosa vorresti sapere?-
-Tutto quello che c’é da sapere...- rispose prendendolo in contropiede
-Ah...- era difficile per lui raccontarsi, non era il tipo che cosí, di punto in bianco, cominciava a parlare di se. Certo, durante le interviste era diverso, dopotutto erano le solite domande ripetute piú volte e poste in maniera diversa. Ma trattandosi di Caris Foster, non si sarebbe limitato a dare sempre le classiche risposte da front man dei Black Veil Brides. No, qui doveva parlare di Andy. Andrew Dennis Biersack
-Dunque... Mi chiamo Andrew, sono nato il ventisei diciembre del mil-
-Andy non sei agli alcolisti anonimi- ridacchió la giovane coprendosi appena le labbra con la mano libera. Era cosí buffo, e intuiva perfettamente che non doveva sentirsi a proprio agio. Cosí decise che forse era meglio che fosse lei a porgergli qualche domanda. Era giá tanto che avesse accettato a parlare di se, tanto valeva non rendergli le cose ancora piú difficili
-Che facevi a scuola?- a quella domanda il sopracciglio del ragazzo s’incurvó verso l’alto
-Cazzeggiavo. Ovviamente- rispose altezzoso e beffardo. Con quella “faccia da stronzo” che la fece scoppiare a ridere. Era abituato a vederla andare in escandescenze quando assumeva quell’espressione, e invece rideva. Ed era cosí bello quel suono. Cosí genuino. Si fece serio, e con un mezzo sorriso disse
-Ero nella squadra di Hockey su ghiaccio- affermó lasciandola stupita. Ecco una cosa che non si sarebbe mai aspettata
-Sul serio?! Non sembra!- alla sua reazione il ragazzo si sollevó appena, osservandola di sottecchi
-E con questo cosa vorresti insinuare?-
-No é che... Sei cosí... Mingherlino...-
-Ah. Dunque la bella addormentata sul cesso mi trova mingherlino eh?- aveva un sorrisetto sadico e quasi malato dipinto sul viso, e per qualche istante non riuscí a capire se aveva paura oppure stava per mettersi a ridere. Poi, quando questo fu sopra di lei capí che era arrivata l’ora di avere paura
-Che intenzioni hai?!- tremante sotto di lui, lo fissava toreggiare su di lei. Questo, senza rispondere, cominció a solleticarle dispettosamente la pelle, facendola scalciare e dimenare come un animale selvatico. Sentiva le sue dita pizzicarle la pelle, e piú tentava di liberarsi, piú si sentiva soffocata in quella morsa letale. Stretta al suo petto, le mani del ragazzo che s’inoltravano sotto la sua maglietta, sfiorandole la schiena. Ebbe un sussulto, e con essa le sue risa perirono. L’uno sull’altra si persero nei loro stessi sguardi. Caris sentiva il respiro del ragazzo entrarle in bocca, e quella vicinanza spaventosa gli faceva venire un certo appetito. Voleva baciarle, morderle piano, mangiarle e assaporare il loro sapore amaro. Ma al tempo stesso non voleva. Sapeva benissimo che se si fosse abbandonata alla tentazione, alla fine si sarebbero dilungati in coccole sublimi e suadenti, piuttosto che alla loro “conoscenza”. Andy si piegó su di lei, ma la brunetta parló cosí veloce da distrarlo dal suo intento
-Com’é stato il tuo primo bacio?- interdetto e stordito sopra di lei, Biersack si sollevó di scatto, sbuffando
-Non ti sei arresa?!-
-Hmm. No!- rispose con un ghignetto divertito, mentre portando gli occhi al cielo con un gesto di totale esasperazione, scendeva dal suo corpicino per tornare alla sua posizione originaria. Fece una lunga pausa, osservando il soffitto. Stava cercando di ricordare. Poi, un barlume gli illuminó lo sguardo, e voltando il capo, fissó la giovane
-Bello. Ma brutto...- rispose sorridendo sghembo
-Sei consapevole del fatto che ti stai contraddicendo da solo?-
-Beh. Sai, il primo bacio é bello proprio perché é il primo. Peró lei...- si bloccó di colpo, come se stesse cercando le parole adatte. La ragazza aggrottó appena le sopracciglia, cercando di leggergli l’espressione contrita e buffa dipinta sul suo viso
-Non era carina?- domandó cercando di tirare a indovinare
-No. Era molto carina... Ma mi stava mangiando!- rispose infine, ridendo alla faccia stranita della sua compagna
-In che senso?!-
-Ma si, mi stava cosí appiccicata che mi toglieva il fiato, e pareva che mi stesse succhiando via l’anima... Mamma mia!- si era messo perfino ad imitarla, e mentre lo osservava, Caris si fermó a riflettere. Si chiese se gli piacessero i suoi baci. Se fosse anche lei fastidiosa come quella ragazza. Poi la voce del giovane la fece uscire dai suoi pensieri, facendola tornare con i piedi per terra
-E il tuo?-
-Orribile- non ci aveva neanche dovuto pensare. Se lo ricordava bene, e anzi preferiva non pensarci
-Come mai?- posandosi con  il gomito sul letto, il giovane si mise in una posizione piú comoda e adatta per ascoltarla meglio. Onestamente non gli dispiaceva sentirla parlare, e questa storia del “bacio orribile” lo intrigava al quanto
-Il gioco della bottiglia. E lui aveva appena mangiato un Kebab- una risata piena di gusto rimbombó per l’intera stanza. Andy era arrivato persino a piegarsi in due, sorreggendosi la pancia per il troppo sforzo. La giovane, dal canto suo, lo fisso in cagnesco quasi fulminandolo, facendogli intendere che era arrivata l’ora di smetterla
-Sei proprio uno stronzo...- affermó a denti stretti incrociando le braccia, imbronciandosi come una bimba. Il moro si avvicinó a lei, tentando di tenere a freno l’istinto di continuare a sogghignare
-Hai ragione. Potevo avere un po piú di tatto...-
-Tu non sai neanche cosa significa la parola “tatto”- bofocchió con un sopracciglio inarcato verso l’alto. Il ragazzo s’indispettí, e per vendetta, o piú per piacere personale, le afferró il viso per il mento, rubandole un bacio. Di primo impatto la bruna era rigida, quasi svogliata. Ma sapeva che quello non era altro che un modo non convenzionale per chiederle scusa. E sebbene cominciasse a sciogliersi come burro al sole nella sua bocca, questo non le impedí, una volta separatisi, di dargli un pugnetto sul petto
-Idiota...- sussurró appena
-Dai fammi un’altra domanda...- incalzó ignorandola totalmente. Ora sí che il suo Andy sembrava preso dalla conversazione. Probabilmente la stavano rendendo piú divertente del previsto. O forse si erano soltanto lasciati andare. Effettivamente c’era una domanda che gli premeva da un po... Ma stentava a parlare
-Ecco...- cominció torturandosi le labbra con i denti, ancora indecisa sul da farsi
-Si?- chiese il moro cercando il suo sguardo, che puntato contro un punto indefinito della stanza faticava perfino a tenergli testa
-Cosa ti ha detto mio padre. Intendo... Quando io sono andata da Ronnie. Sentivo una certa aria di tensione quando vi ho lasciati. Poi vi ho ritrovati ridere... Insomma... É strano! Pensavo mi avresti uccisa!- un sottilissimo silenzio caló su di loro. Era imbarazzato. Si, effettivamente avrebbe voluto tirargli collo come a una gallina, ma sapeva benissimo che non ne sarebbe mai stato in grando. Per quanto fosse forte, Andy Biersack fremeva soltanto a sfiorarla. Le prese la mano, stringendola forte, osservando quasi a rallentatore la grazia con cui le loro dita si avvolgevano l’un l’altra, diventanto un tuttuno
-Mi ha chiesto di prendermi cura di te...- affermó serio, abbassando di qualche tono la voce. Posó lo sguardo su di lei, osservandola sussultare. Le era mancato un battito, lo aveva sentito chiaramente. Per chiedergli una cosa del genere, suo padre doveva fidarsi molto di lui. Che avesse visto anche lui quella sua ferocia angelica nei suoi occhi? Che avesse compreso che era soltanto merito suo se lei si sentiva bene, al sicuro?
Andy la stava fissando con occhi languidi, felini. Talmente belli da mozzarle il fiato. Si strinse a lui, carezzandogli la mano, sfiorandogli il palmo, disegnandogli invisibili circonferenze
-E-E tu? Cosa gli hai risposto- dal canto suo anche il vocalist si fece piú vicino. Con la mano libera scostó una ciocca ribelle dal suo viso, mettendolo bene in mostra in tutto il suo ovale candore. La inchiodó con gli occhi alla testiera del letto, per la prima volta quella sua espressione docile gli stava scatenando un fuoco che gli ardeva prorompente nel petto
-Gli ho promesso che non avrei permesso a nessuno di farti del male. Ed é quello che ho intenzione di fare...- era serio, e se non fosse per quel furore nelle sue iridi, lo avrebbe descritto perfino glaciale. Ma non le congelava il cuore, non le intorpidiva la pelle. Quello nei suoi occhi e nelle sue parole era un ghiaccio fondente, un tepore talmente vivido e intenso da annebbiare ogni sua cognizione sensoriale. Una gemma coló a picco lungo la sua guancia, e furono proprio le labbra di Biersack a raccoglierla, saggiandola con la punta della lingua. Avido e voluttoso fu il bacio che ne conseguí. Due bocche che si fronteggiavano in un duello dove la posta in gioco era elevata. Una sfida fatta di lingue intrecciate che danzavano a ritmo di un impulsivo battito cardiaco. Istintivamente, priva di ogni malizia ma colma di voglia di esplorare, le mani piccole della ragazza salirono sul petto del giovane. Bottone dopo bottone scopriva quel torso asciutto, decorato da tatuaggi che proseguivano lungo e le braccia. Accarezzó i suoi pettorali nudi, salendo per le clavicole, intrufolandosi nella morbida stoffa scura, sfilandogliela dalle spalle. Colto da uno scatto improvviso, Andy lanció quell’inutile indumento per terra, tornando a mordere con bramosia di possesso quelle labbra ben disegnate che mano a mano cominciavano a tingersi di rosso. Scendendo lungo la sua guancia, il moro lasció una scia di baci che pervase la gola della ragazza, fin quando, giunto sul bordo della sua maglietta fina, gliela tolse con facilitá, quasi meccanicamente. I boccoli scuri della ragazza vorticarono in aria prima di adagiarsi nuovamente sul cuscino. E le labbra del vocalist erano tornate a torturare la sua pelle, lasciandole improte di baci ovunque. Faceva su e giú per il suo collo, lasciando calare lentamente le spalline di raso del suo reggiseno in pizzo.
Una scia di vestiti serpenteggiava lungo la pavimentazione della camera da letto. Due corpi si muovevano in simbiosi l’uno sull’altra, protetti da quelle lenzuola candide che mascheravano le loro nuditá. Con un braccio avvolto attorno al suo collo, e una mano immersa nei suoi capelli nero pece, Caris teneva gli occhi serrati, lasciandosi guidare da un movimento lento e dolce, facendosi corrodere da un piacere che le stava mangiando dentro. Il rumore della pioggia che scorreva lungo le lucide pareti delle finestre era soltanto un ricordo, un vago sottofondo. Sospiri, lunghi gemiti appassionati ora tappavano le loro orecchie. E boccheggiava la piccola Foster, cercando aria fresca che potesse darle ristoro a tutto quel calore che le scottava la pelle. La sua cassa toracica si sollevava velocemente, strusciandosi contro il petto caldo e accogliente di lui, che tenendola stretta a se non la lasciava andare neanche un attimo. Egoista, non voleva renderle la libertá, non voleva privarsi del suo tepore, dei suoi sguardi lucidi, delle sue labbra morbide. Giunti al culmine delle loro forze, quando la libidine diventava sempre piú ardente, la bruna gli agguantó la schiena, conficcandogli le unghie nella carne mentre un sospiro quasi le soffocava le labbra. Dal canto suo il ragazzó inarcó la schiena, ascoltanto le pulsazioni di quei graffi sulla sua pelle. Poi, accasciandosi sul suo corpo nudo, si lasció avvolgere in un caldo abbraccio, lasciando che il suono del loro battiti accellerati e lo schiocco dei loro ultimi baci perisse con la venuta del sonno. Ed eccoli lí, addormentati l’uno accanto all’altra, stretti da una morbida coperta. Le braccia tatuate del giovane avvolgevano le sue pallide membra, e i loro capelli parevano essersi mescolati assieme. Dormivano beati, come se non esistesse alcuna preoccupazione a tormentarli. Come se adesso non esistesse nient’altro che loro.
Ma proprio in quel momento, mentre loro erano cullati nelle braccia di Morfeo, un cellulare vibró sopra quel comodino adiacente al loro giaciglio. Un messaggino. Un solo e agghiacciante mittente: “Lilith”.  


*Angolino di Virgy*

Tornata alla riscossa con un nuovo capitolo! Sono stata brava a postare presto eh?! XD
Dunque... Scatola misteriosa... Messaggino sospetto... Ne prevedo delle belle! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Questa volta mi sono concentrata eh beh... Questo é il risultato della mia povera mente malata!
Un bacio!
-V-

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Capitolo 10
*** capitolo 10 ***




“Quado riprese conoscenza fuori aveva già smesso di piovere, era notte e tirava forte il vento. Il letto era freddo, vuoto. Il cellullare squillava al suo fianco. Sollevandosi appena, Caris si guardò intorno ancora spaesata, chiedendosi che fine avesse fatto quel bel ragazzo dagli occhi blu che cominciavano a dargli assuefazione. Confusa, con il suono martellante del suo telefono che le trapanava la testa si stropicciò impacciatamente gli occhi, arrossandoli vistosamente. Scostando con noncuranza le lenzuola, lasciò le gambe a penzoloni sul ciglio del letto, afferrando l’apparecchio tra le sue mani per portarselo all’orecchio:
-Pronto?- aveva la voce ancora impastata dal sonno, la gola secca. Caris non si era neanche degnata di leggere il nome del mittente.
-Ciao piccola Foster…- tono pacatamente velenoso. Sadico. Come una pugnalata allo sterno sentì il fiato mozzarsi nella sua gola. Inarcò la schiena, preda di una violenta scarica di brividi.
-Tu…- rispose secca, con i denti stretti per la rabbia. Immediatamente si sentì nuovamente lucida. Era giovane l’uomo dall’altro capo del telefono, lo aveva percepito dal timbro languido e meschino della voce.
-Allora, hai seguito le mie indicazioni? Hai parlato con un tuo paparino?- le domandò sogghignando. Un conato di vomito salì per il suo esofago corrodendole la gola. Il solo ricordo di quella conversazione con suo padre e il detective le deteriorava non solo il corpo ma anche la mente. Tuttavia, prendendolo come atto di coraggio, la bruna inspirò profondamente, raffreddando i bollenti spiriti, cercando di mantenere la calma e non sbilanciarsi troppo verso l’estremo aggressivo e primordiale del suo carattere.
-Si, so che siete dei bastardi che marciranno in prigione- rispose sicura di se, ringhiandogli in cagnesco. Per cercando di mantenere i nervi saldi, sentiva le mano tremare, i battiti cardiaci accelerati, era agitata… era la rabbia, che le lacerava le membra, a farlo
-Sai anche che tu sei mia, vero?- la sua voce viscida scatenò brividi lunghissimi lungo la sua candida pelle, increspandola. Restò in silenzio per qualche attimo fuggente. Consapevole che in un certo qual senso era vero: lei era l’unica garanzia che restava a suo padre per saldare il suo debito. Strinse forte i pugni, prendendo coraggio. Non doveva avere paura… Non serviva a nulla avere paura
-Io non sarò mai tua…- un sussurro, un soffio. Eppure, per qualche istante, pareva essere riuscita a zittirlo. Mentre la tensione si poteva tagliare con un coltello, la risata malefica e divertita allo stesso tempo dell’uomo dall’altro capo del telefono annullò quell’asfissiante silenzio
-Ne sei sicura?-
-Sì-
-Credo che il tuo amichetto la pensi proprio come me, invece- interdetta, pietrificata. Caris, intendendo chiaramente a chi si stesse rivolgendo, si sentì quasi mancare
-Che intendi dire?- domandò con un filo di voce. Nella sua testa una miriade di immagini confuse. Poi, due occhi magnetici… Elettrici.
-Buon proseguimento di serata, mia cara- sadico, perfido. Aveva lasciato un velo di mistero che riusciva a lacerarle il petto, asportandole il cuore. Ebbe un’ansiosa tachicardia che le fece girare la testa non appena tentò di sollevarsi dal letto. Aveva la gola secca, sentiva il suo stesso fiato graffiarle la gola. Si rivestì alla buona con i primi abiti che le capitarono a tiro e si avviò verso l’uscio della camera da letto, spalancando la porta con forza prima di lanciarsi in una folle corsa lungo il breve corridoio.
-Andy? Andy?!-  i suoi passi nudi risuonarono per l’intero ambiente mentre lo chiamava ad alta voce, con la bocca intasata di un respiro pesante, stremato. Giunse in salotto, una sottile penombra avvolgeva l’intera stanza. La televisione era accesa, muta, mostrando una serie convulsa di immagini prive di una connessione logica. Andrew era lì, poggiato sul sofà. Le dava le spalle, riversando la sua chioma corvina lungo il divano.
Per un secondo Caris prese un sospiro di sollievo. Il suo salvatore era lì, a pochi metri da lei. Sorrise, e fece un passo in avanti nella sua direzione. Impetrò. Un odore acre, amaro… Asfissiante.
Fu tutto così veloce che attorno a lei sembrava aver cominciato a girare.
-Andy…- giunse al suo fianco. Era immobile, teneva il braccio allungato e rigido sul bracciolo. Aveva gli occhi sbarrati, bellissimi… Eppure vuoti. Una lacrima solcò il viso candido della ragazza. Una cascata di melma purpurea macchiava il torso del giovane, la cui sorgente nasceva proprio dalla giugulare.
-A-Andy?!- soffocata dal suo stesso respiro, frenetico e agitato, la giovane si chinò su quel magnifico corpo senza di vita. Con gli occhi annebbiati da uno spesso strato di lacrime, sfiorò con estrema dolcezza quelle gote pallide, vellutate… Fredde. Il suo cuore aveva smesso di battere già da un po’, e lei non si era resa conto di nulla. Forse avrebbe potuto fare qualcosa, forse quell’angelo innocente si sarebbe salvato se solo si fosse svegliata. Barcollò, cadendo a terra pesantemente, osservandolo in quella statuaria bellezza che il rigor mortis gli conferiva. Ebbe i conati di vomito che le perseguitarono la gola, e le urla che venivano soffocate per i molteplici singhiozzi. Si strinse le ginocchia al petto, dondolandosi. Voleva  morire. Adesso, in quel esatto momento, voleva sparire, annullarsi, cancellarsi dalla faccia della terra. Il suo Andy non c’era più… Ed era tutta colpa sua.”


Si spalancarono di colpo gli occhi grandi di Caris, proprio come le sue labbra, dalle quali fuoriuscì un sospiro profondo ed irrequieto. Sudava a freddo ed era tutta un tremito. Si morse con forza le labbra secche e screpolate, voltandosi di scatto: rannicchiato in posizione fetale, con i capelli volti all’indietro quasi a lasciargli una perfetta visuale di quel bellissimo viso, la giovane scongiurò quel diabolico sogno, gustandosi quella splendida creatura stesa e nuda accanto a lei. Si accostò appena, ascoltando con attenzione il soffice sussurro dei suoi respiri assonnati. Automaticamente il suo giovane cuore smise di vibrare. In quel brevissimo lasso di tempo infatti, da quando le sue iridi verdi si erano schiuse così brutalmente, il fatto che fosse stato il soffitto biancastro la prima cosa che vide, e non Andy, le aveva necessariamente fatto temere il peggio. Ormai era notte fonda, e dalla finestra ancora tempestata dalle gemme residue della pioggia, Caris riusciva a ad intravedere la notte stellata. Si lasciò così quello sciagurato sogno alle spalle, e affondando nelle lenzuola, avvolse tra le sue braccia con sottile abilità il ragazzo ancora dormiente, lasciando che posasse la sua fronte sul suo petto. La sua pelle era compatta, e le scaturiva un soffice tepore che le riscaldava il cuore. Fu proprio in quell’abbraccio amorevole, che gli occhi di Biersack si aprirono lentamente riducendosi a due piccole fessure. Era frastornato, come ci era finito tra le sue braccia? Non che gli importasse veramente, il solo fatto di essere cullato da lei, infatti,  quasi lo istigava a sopirsi nuovamente. Per la prima volta, Andy si sentì protetto, e non come una madre rassicura il proprio figlio, ma come un’amante devota che fa scudo con il proprio corpo, avvolgendo l’oggetto del suo amore in una barriera impenetrabile e sensuale. Andy respirò profondamente, lasciandosi pervadere dal suo odore ancora intenso. Si mosse appena, sfiorandole l’incavo della clavicola con la punta del naso, tuffandosi poi tra i suoi fitti capelli scuri. Riacquistata la sensibilità alle mani, le sue dita percorsero ogni centimetro dei sui fianchi, stringendola a sua volta contro di lui. Un sussurro soffocato giunse al suo udito, destandolo definitivamente dal suo idilliaco stato di dormiveglia.
-Caris…- la chiamò piano, con dolcezza, lasciandole una scia di baci che partirono dall’orecchio per poi giungere sino all’angolo destro delle labbra, che gustò lentamente, assaporandone la dolcezza e loro morbido spessore. Sollevandosi qualche centimetro dal suo viso, il ragazzo osservò attentamente la giovane sotto di lui: le guance arrossate, gli occhi lucidi, e sebbene fosse quasi impercettibile, riuscì perfino a notare il movimento delle sue labbra tremanti
-Che hai?- le domandò portandole una mano al viso, carezzandole la curvatura delle gote , scostandole i capelli.
-N-Nulla- rispose bofonchiando. Mentiva. Lo aveva capito dal modo in cui abbassava lo sguardo, stringendosi le spalle. Andrew sbuffò, facendo roteare le metalliche iridi, lanciando uno sguardo esasperato al soffitto.
-Sai che non ti credo, vero?- la fissò guardingo con il sopracciglio inarcato verso l’alto. Cominciava a conoscerla bene, e sapeva che c’era qualcosa che la stava turbando. La ragazza esitò a parlare, così il moro, piazzandosi a peso morto su di lei, pizzicò dispettosamente i suoi fianchi, solleticandola senza pietà. La voce di Caris si propagò per l’intero appartamento sotto forma di risa e richieste di aiuto, mentre in balìa di quel ragazzo con la faccia da stronzo si contorceva e si dimenava. I suoi folti capelli bruni vorticavano a destra e a manca, e delle piccole gemme, dovute al troppo ridere, cominciarono a fare capolino sull’angolo esterno degli occhi. Intuendo che non c’era più molto da fare, Caris riuscì a liberarsi una mano dalla morsa letale di Biersack, e con questa si sfilò il cuscino da sotto la testa per scaraventarglielo dritto in faccia. Colto alla sprovvista, il vocalist crollò dal lato opposto del letto con il guanciale ancora pressato sul viso. Imbronciatosi, lanciò via il cuscino. Fece per dire qualcosa con tono burbero e fintamente offeso, ma prendendolo di sorpresa per una seconda volta, la piccola Foster scavalcò il suo corpo, accovacciandosi abilmente sul suo basso ventre, inchiodandolo al materasso con due occhi verdi e ammalianti. Immediatamente, roventi bollori cominciarono a farsi sentire dalle membra del povero malcapitato. Caris torreggiava sopra di lui: i capelli, sciolti e selvaggi, colavano a picco sulle sue spalle, fluendo tre le clavicole, coprendole appena il morbido seno scoperto; le mani, piccole e pallide, erano ambedue posate sul suo petto e si teneva composta. Aveva uno sguardo folgorante.
-Così però non vale…-  affermò malizioso, facendole sorgere lo stimolo del riso all’angolo della bocca fina. Piegandosi contro il suo giovane amante allora, la ragazza gli lasciò l’impronta di un bacio a fior di labbra.
-È successo qualcosa?- chiese il giovane appena fu libero. Caris scosse la testa.
-Nulla- disse con tono serio –Era solo un brutto sogno…- smontò dal corpo del vocalist, portandosi al ciglio del grande letto matrimoniale, osservandosi i piedi lasciati a ciondoloni. Questa volta sembrava che non stesse mentendo. Andrew si sollevò pesantemente dal materasso, fiancheggiandola, posando il mento sulla sua spalla, guardandola di sottecchi mentre fissava il vuoto.
-Me lo vuoi raccontare?- Caris si morse le labbra e mentì
-Non me lo ricordo molto bene…- sbuffò –So solo che non è stata un’esperienza piacevole- disse tirandosi in piedi, cominciando a raccogliere i suoi vestiti ancora sparsi a terra. Andy abbozzò un sorriso e rimase in silenzio sul letto, guardandola.
-Vado a farmi una doccia. Un’altra volta- ridacchiò voltandosi appena, constatando che il suo bel moretto era fin troppo silenzioso per i suoi gusti. Era preoccupato. Le venne un colpo al cuore, e avvicinandosi a lui, la ragazza lo strinse forte, baciandogli la tempia. Andy volse il capo, e i loro sguardi s’incontrarono, diventando un tutt’uno.
-Non ti struggere troppo. Sto bene- lo rassicurò aggiustandogli una ciocca color pece dietro l’orecchio. Sorrise, e osservandola infine dargli le spalle e avviarsi per il bagno, Andrew si rigettò tra le coperte. Portandosi le lenzuola all’inguine, il ragazzo si stese lungo il fianco sinistro, immergendo il capo sull’unico cuscino rimasto. Respirò profondamente, socchiudendo gli occhi. Il loro profumo aveva impregnato l’intero giaciglio. Sbadigliò appena, dischiudendo le palpebre lentamente, abbracciandosi quel morbido guanciale. Distrattamente, posò lo sguardo sul comodino ove restava immobile e intoccato il cellulare della ragazza. Lo schermo lucido emetteva una piccola lucina, come una spia che avvertiva il suo proprietario di aver ricevuto un messaggio, o una chiamata persa. Il suono del getto d’acqua che scorreva nella doccia del bagno accanto giunse al suo udito, e mosso da un’irrefrenabile curiosità, Andy afferrò l’apparecchio tra le mani. Sbloccò la tastiera e come aveva previsto, Caris aveva ricevuto un nuovo messaggio. Ma quando lesse il mittente, gli occhi grandi e metallici del vocalist si spalancarono di colpo, facendolo raggelare. “Lilith”
“Ma non è possibile” si disse sconfortato andando immediatamente a leggerne il contenuto.
Silenzio. E con uno scatto frenetico ed irrequieto lasciò andare il cellulare, lasciandolo cadere a terra. Aveva il battito cardiaco accelerato.
“Beccata. Ora so dove sei. Sarai mia.” E in allegato, un’agghiacciante fotografia: erano loro, ritratti appena qualche ora prima quando uscivano dall’ospedale. Li avevano seguiti. L’avevano trovata.
Una scossa elettrica percosse il povero giovane fin nelle membra. Cosa doveva fare? Sebbene la sua ragione gli dicesse di prendere la strada più ovvia e giusta; ovvero parlargliene e chiamare il detective, Andy rimase bloccato. Sapeva che la polizia l’avrebbe costretta a lasciarlo, a trovare una nuova sistemazione. E lui non voleva. Dunque rimase per secondi interminabili e asfissianti a lottare contro se stesso: da una parte la logia e la ragione, che proponevano la via più saggia per tenere al sicuro Caris, e l’egoismo con i suoi sentimenti dall’altra. Scosse il capo, scacciando via tutti i suoi pensieri contraddittori, e chinandosi raccolse il telefonino dal suolo, osservandolo con stizza e timore. Per la prima volta Andrew ebbe veramente paura. Prese un respiro profondo, e colto da un raptus di follia, cancellò il messaggio e ripose il cellulare al suo posto. Come se nulla fosse accaduto. Si rimise a letto, giusto in tempo prima che Caris, con la maglietta che usava come pigiama in dosso, rientrasse in camera. Quando varco la piccola soglia, lo trovò rannicchiato su se stesso con lo sguardo vuoto, spento. Si mise a sedere al suo fianco, afferrandogli una mano per portarla al viso, sfiorandogli il dorso con la punta del naso, baciandola amorevolmente.
-Ora sei tu quello che sembra avere qualcosa che non va…- constatò la ragazza osservandolo languidamente. Voltandosi appena, mettendosi supino sotto di lei, Andy la fissò con occhi talmente belli e teneri che la fecero sussultare. Non l’aveva mai guardata in quel modo così intimo e profondo.
-Credo…- cominciò il moro, sentendosi le parole morirgli in gola. Si sentiva così debole, impotente. E vedendolo in difficoltà, Caris scese in suo soccorso, rassicurandolo con un vellutata carezza.
-Cosa?- domandò perdendosi in quello sguardo dolce e velenoso al tempo stesso. Cupo, misterioso.
-Credo di essermi innamorato di te, Caris- stordita, con il cuore in gola, la brunetta rimase senza fiato. Era impallidita di colpo, e cominciava a tremare. Non se lo aspettava, mai lo avrebbe fatto. Sorrise timidamente, stringendosi a lui, accovacciandosi sul suo petto ampio e accogliente, ascoltando i battiti del suo cuore accelerato. Era agitato, lo percepiva dalle vibrazioni della sua voce.
-Davvero?- domandò poi, quando riuscì a calmarsi dal colpo incassato.
-Sì- cominciò il moro –Sento che farei qualsiasi pazzia per te…- disse baciandole la testa, assaporando l’odore dei suoi capelli sulle labbra. In verità, Andy aveva appena compiuto la pazzia più folle della sua vita. Forse, la più letale.  

*Angolino di Virgy*
Ho paura. So che mi lincerete. E FATE PURE BENE!
Sono sparita nel nulla, e mi dispiace tantissimo. Tra scuola e nuovi progetti, ho trascurato la mia fan fiction preferita!
Spero tuttavia con tutto il mio cuore di non avervi deluso con il nuovo capitolo ;)
Sto già lavorando per il prossimo, che spero di pubblicare presto. Ho promesso che avrei messo la parola fine a questa storia, e lo farò.
Un bacio.
-V-

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***




Era trascorsa appena mezz’ora da quando Andy aveva lasciato il suo appartamento. Era agitato, e si vedeva. Pallido, disorientato… Distratto. Christian quasi non lo riconosceva più. Certo, con una ragazza carina come Caris Foster dentro casa, anche lui ci avrebbe fatto qualche pensierino prima di decidersi ad uscire. Eppure c’era qualcosa di strano in lui. Una sorta di preoccupazione incessante che perfino il batterista riuscì a sentire a pelle. Infatti, pur essendosi preso le giuste precauzioni, Andy non poteva far a meno di pensare al fatto che lei era da sola e “loro” sapevano dove si trovava. Più camminava assieme al suo amico per i corridoi dello studio discografico, più si rendeva conto, maledicendosi, che doveva rimanere a casa. Quasi pateticamente, controllava ogni cinque minuti il suo cellulare, sperando di non trovare messaggini minatori o chissà quale chiamata persa.
“Per qualsiasi cosa, per l’amor di dio Caris, chiamami…” le aveva detto. E lei gli aveva sorriso, e probabilmente non aveva capito il perché delle sue premure. Era così dolce, e ingenua. Non poteva sapere che stando al suo fianco in realtà, piuttosto che al sicuro, era in pericolo.
-Sicuro che tutto vada bene?- dandogli una pacca sulla spalla, CC lo fece tornare con i piedi per terra. Lo scrutò appena in viso, poi diede un leggero scossone al capo, scacciando via tutti quei brutti pensieri che da una notte a quella parte non riusciva a far a meno di immaginare.
-Si, si tutto bene- rispose entrando nell’ufficio del loro produttore dove tutti si erano dati appuntamento. Jake e Jinxx seduti sulla poltrona di pelle, stavano conversando tra loro, sfottendo sottovoce il loro bassista, che in completa solitudine, leggeva. Oh si, teneva un vero libro tra le mani, e non una rivista di Play boy. Il giovane vocalist e il suo batterista esterrefatti da quella surreale figura, rimasero in silenzio senza dire una parola. Impietriti, sconvolti. Immediatamente, i due chitarristi scoppiarono a ridere per quel loro espressioni seriamente contrite
-Allora non siamo gli unici a pensare che sia grave!- ridacchiò Jinxx lanciando un ultimo sguardo a Purdy, che sbuffando sollevò lo sguardo dalla sua profonda lettura
-Mi dite, brutti stronzi, qual è il vostro problema? Adesso non posso neanche mettermi a leggere un libro in santa pace?- ghignò guardandoli uno ad uno in cagnesco
-Ma è proprio questo il punto Ash!- disse CC –Io neanche sapevo che fossi in grado di leggere!-
-Ah-Ah. Spiritoso- bofonchiò Purdy facendogli una smorfia prima di gettarsi nuovamente a capofitto tra le pagine del suo amato libro
-Dicci almeno di che cosa parla no?- domandò Jeremy, facendo posto sul divano anche ai due componenti appena arrivati, che nel frattempo, erano rimasti in piedi. Sbuffando nuovamente, il bassista neanche si degnò di guardarli
-È un thriller- disse scocciato senza distogliere lo sguardo –C’è un serial killer tipo Jack lo squartatore-
-Ma è figo almeno?- ridacchiò Pitts
-Molto figo. Considera che per entrare nelle case delle sue vittime organizza i travestimenti più impensabili…-
-Del tipo?-
-Chiunque. Per esempio, fa scattare la corrente e si finge l’elettricista. Poi la strangola con i cavi…- sogghignò malevolo il giovane bassista. Fu in quel momento che Andrew, che era rimasto in silenzio a fissare il vuoto, tornò sulla terra con un brivido lancinante che gli tormentò la colonna vertebrale. Sollevò di scatto lo sguardo, impietrito. Fissò intensamente Ash, che solo in un secondo momento si rese conto di essere osservato. E infatti, gli occhi grandi e magnetici del suo vocalist lo stavano scrutando agitati e smorti. Trasudavano ansia ad ogni suo battito di ciglia
-Che cosa hai detto?- domandò netto e deciso, prendendolo in contro piede. Ashley rimase disorientato
-Cosa?-
-L’assassino, nel libro… cosa hai detto che fa?-  si spiegò spazientito. Aveva perfino cominciato a torturarsi le mani con carezze che tentavano di dargli conforto. Mai aveva visto Biersack ridotto in quello stato:
-Ho detto che dopo aver fatto scattare la corrente, si è infilato nell’appartamento della vittima fingendosi l’elettricista. Ma che hai fatto? Sembra che tu abbia quasi visto un fantasma-
Andrew prese un respiro profondo, sentendosi tutto un fremito. Poi, si morse con forza il labbro inferiore. Scattò in piedi, guadagnandosi le occhiate torve e incuriosite del suo compagni. Ma non gli diede peso, aveva la mente offuscata da altri pensieri, e senza dire una parola, se ne andò. Inizialmente, con passi svelti, ampie falcate. E mano a mano la sua andatura divenne un crescendo sempre più nervoso, trasformandosi quasi in una folle corsa.
-Andy! Andy cazzo fermati!- era Ash. Lo stava rincorrendo. Aveva i lineamenti del viso contriti. E come biasimarlo? Il suo amico era strano, e stava letteralmente scappando senza motivo. Era arrabbiato, confuso, e più lo seguiva e lo chiamava ad alta voce, più il moro sembrava non voler smettere di correre. Aumentò il passo, divincolandosi abilmente dalle persone che caoticamente si spostavano da un ufficio all’altro, e soltanto quando finalmente giunse all’uscita dello studio, Purdy ebbe finalmente l’occasione perfetta per raggiungerlo. Lo prese saldamente per un braccio, bloccandolo. E si stava dimenando, come un animale selvatico appena catturato. Aveva il fiatone, parlava velocissimo e sembrava vaneggiare. Spazientito allora, il bassista lo prese per le spalle, scrollandolo con forza, ringhiandogli quasi contro
-Calmati cazzo!- e finalmente Andy si zittì. –Mi dici cosa diavolo ti è preso? Non puoi andartene così!- continuò riprendendo lentamente la calma
-Non capisci Ash. Devo andare…- non riusciva a parlare, era frenato. Qualcosa lo bloccava. Qualcosa di grave.
-Dove? Andy, calmati!- i due si fissarono intensamente negli occhi -non ti mando da nessuna parte in questo stato-
-Caris…- un sussurro quasi impercettibile che scosse i pensieri del bassista
-Che ha fatto?-
-Non c’è tempo. Vieni con me- ringhiò il moro prendendolo per un braccio, trascinando il suo compagno via con sé. Non aveva tempo. Ne aveva già perso troppo, e non poteva rischiare ancora. Ash si decise a seguirlo, lasciandosi trainare nella sua follia, confuso più che mai
-Non riesco a capirti…- affermò montando a tempo record in macchina con il suo vocalist, il quale infilando convulsamente la chiave nel cruscotto, mise in moto quasi sgommando
-Caris. È in pericolo. Che idiota! Sono un coglione!- imprecando ad alta voce, quasi meccanicamente il piede gli scivolò con forza sul pedale dell’acceleratore. Incassato nel sedile del passeggero, Purdy osservò con occhi sbarrati il conta chilometri che aveva appena superato la velocità massima consentita per quella zona. Preferì non parlare, a constatare dai suoi respiri pesanti e dallo sguardo omicida che gli incendiava le iridi pensò bene di non metterlo ulteriormente sotto pressione. Tuttavia, non riuscì a togliersi dalla testa la sua affermazione: “Caris. È in pericolo”
Certo, aveva sempre trovato quella ragazza piuttosto strana; avvolta da un’aria di mistero quasi inquietante. E Andrew doveva sapere cose che non poteva neanche immaginare. Parcheggiando alla buona, i due scesero di tutta fretta dalla vettura, e camminando a passo svelto verso il portone d’ingresso al condominio, finalmente Andy trovò il coraggio di parlare:
-C’era un tipo sospetto qui davanti questa mattina…-
Facendo sbattere il possente portale di metallo contro il muro d’ingresso, Ash si limitò a seguire il suo amico che aveva già cominciato ad avviarsi per gli scalini del primo piano. Svoltando l’angolo, gli occhi chiari del vocalist si puntarono contro la piccola porticina in legno del suo appartamento. E fermandosi appena, giusto il tempo di riprendere fiato, notò con allarmante sconforto che questa era socchiusa. Immediatamente, il cuore gli andò in gola, soffocandolo.
-Caris! Caris!!!- senza pensarci spalancò con impeto la porta, osservando con occhi sbarrati l’inconsueto caos che aleggiava per il suo appartamento: i mobili rovesciati a terra, lo specchio appeso nel corridoio spaccato in piccoli frammenti. Non era stata solo un’impressione allora.
-Oh cristo…- la voce di Purdy giunse altrettanto preoccupata alle sue spalle. Era come nel suo libro. Mancava soltanto un… Corpo. Con la tachicardia che gli faceva esplodere il cuore nel petto, i due cominciarono ad entrare in quel vero e proprio inferno. Ash si diresse verso la camera da letto, trovandola disfatta; con le lenzuola sfilate e riversate sul pavimento dove una modesta chiazza di sangue si distendeva quasi a macchia d’olio
-Dio mio. I-Io chiamo la polizia!- balbettò afferrando tremante il cellulare dalla tasca dei jeans stretti. Respirando profondamente invece, Andy entrò in cucina, facendosi letteralmente prendere dal panico.

***

Di buon mattino, dopo essere riuscita finalmente a dormire, Caris si era svegliata nel grande letto vuoto. Uno strano odore aleggiava per l’intero appartamento, e infilandosi tra le sue narici, quasi di rimando il suo stomaco aveva risposto brontolando furiosamente. Dopotutto, si poteva ben dire che il giorno precedente avesse digiunato. Stropicciandosi gli occhi, la bruna scese dal giaciglio avviandosi con passi lenti e zombificati sino al salotto, ove poteva osservare con sua sorpresa che il suo Andy stava “cucinando”. Non voleva crederci, eppure stava armeggiando con una padella davanti i fornelli, con il petto nudo e lo sguardo concentrato per non bruciare quelle poche uova che era riuscito a trovare nel suo povero frigorifero.
-Oh mio Dio…- disse piano, con gli occhi sgranati da quella seducente visione. E voltandosi di scatto, il vocalist la guardò quasi sbavare. Probabilmente era la fame, o forse era per il fatto che le stesse preparando la colazione mezzo nudo. “Teoricamente, alle ragazze piace” si disse sorridendole sghembo.
-Beh? Mai visto un ragazzo preparare due uova?- e detto da Andrew Biersack, era un vero e proprio miracolo. La ragazza sogghignò, avvicinandosi a lui di soppiatto, dando una sbirciatina al contenuto dell’ampia padella. Doveva ammetterlo, avevano proprio un bell’aspetto.
-Wow…-
-Sappi che è tutto ciò che mi vedrai cucinare- affermò burbero il moro, impiattando
-Tranquillo. Mi accontento. Al resto ci penso io, piccolo ometto- sorrise la giovane abbracciandolo da dietro, lasciando l’impronta di un bacio invisibile tra le sue scapole. Un brivido caldo scosse la mente e il corpo del ragazzo, che voltandosi la strinse al suo petto, appropriandosi delle sue labbra.
Consumarono la loro prima colazione, in silenzio, fissandosi intensamente. Era strano. Come se si fossero appena sposati, impreparati alla vita di casa insieme, euforici di ogni minimo gesto, anche il più banale, dell’altro. Un silenzio sottile e disarmante li avvolse completamente.
-Hai da fare con i ragazzi oggi?- domandò improvvisamente la giovane, cominciando a sparecchiare
-Dovrei incontrarmi con gli altri allo studio discografico- disse Andy –Ma non ci vado…- affermò secco.
-Perché no?-
-Beh…- cosa doveva dire? Di sicuro non “mah, sai cosa? Gli assassini di tua sorella sanno che sei qui con me quindi non voglio correre rischi”. Così optò per un –Non voglio lasciarti sola- semplice, coinciso e , tecnicamente, era la verità. Un risolino divertito si dipinse sulle labbra di Caris, che abbracciandolo amorevolmente disse:
-Grazie- sogghignò sfiorandogli la punta del naso con il suo -Ma dubito che i ragazzi saranno d’accordo…- scompigliandogli la folta chioma corvina, Caris si lasciò avvolgere a sua volta dalle braccia tatuate del giovane. Non aveva tutti i torti. Doveva andare. Ma non voleva proprio. Non poteva. Sbuffò, scocciato. Alla fine il lavoro ebbe la meglio. Si vestì molto alla buona, svogliato. Poi, scrivendo una piccola sequenza di numeri accostati assieme, Andy affidò il suo piccolo foglietto tra le mani della ragazza.
-Non aprire a nessuno e questo è il mio numero. Per qualsiasi cosa, per l’amor di dio Caris, chiamami…- disse seriò, affogando nel suo sguardo verdognolo e limpido. La bruna sorrise, rubandogli un soffice bacio a fior di labbra
-Sai…- soffiò sulle sue labbra- Quando vuoi, sei il ragazzo più dolce che abbia mai conosciuto- Andrew sorrise, mordendole dispettosamente le labbra
-Scema- fece una pausa -Ti…- ma si bloccò di colpo. Lo stava dicendo davvero? Impetrò, e deglutì silenziosamente.
-T-Ti voglio bene…- abbassò violentemente lo sguardo, per la prima volta in preda ad una vergogna spietata. Caris ebbe un sussulto. Cosa stava per dirle? Non quelle “due parole famose” vero?
Ed era così tenero, con lo sguardo schivo, fuggente. Con le punta delle dita gli sollevò il volto per il mento, cercando il suo sguardo per perdervici al suo interno
-Ti voglio bene anche io- lo assecondò, mettendolo a suo agio. Andrew inarcò amareggiato l’angolo delle labbra e la salutò lasciandole un ultimo bacio sulle labbra.
Si chiuse la porta alle spalle, e cominciando a camminare verso la sua macchina costeggiata al fianco della strada, Andrew notò un uomo, non troppo giovane, con rughe marcate sul contorno occhi e i capelli brizzolati, che sostava non molto distante dal suo condominio. Indossava una salopette di jeans, con una maglietta giallastra con impresso lo stemma di una agenzia elettrica.
“Strano…”si disse “non mi sembra che ci siano stati problemi di corrente ultimamente”.

***

Ed eccolo lì, l’uomo misterioso che aveva visto quella stessa mattina. Giaceva a terra, privo di sensi. Seguì una piccola scia di sangue che portò il suo sguardo impaurito verso una grande padella ancora unta e sudicia. E proprio all’angolo della modesta cucina, accovacciata al suolo con il viso nascosto tra le ginocchia nude, riconobbe immediatamente la giovane tremante.
-Caris- con ampie falcate il ragazzo s’inginocchiò al suo fianco, dando un’ultima controllata all’uomo giacente non molto distante da lì. Pur avendola chiamata, la brunetta non osò sollevare lo sguardo. Andy ebbe allora maggior accortezza: l’ampia maglia marroncina che usava come pigiama era sfilacciata, macchiata di sangue; lungo le sue braccia e sulla schiena vi erano molteplici tagli che correvano lungo la sua candida pelle. Le prese una mano chiamandola piano, con dolcezza. Fremeva, debole come una foglia.
-Hey, piccola guardami… Sono io-  lentamente, timida e piena di vergogna, la giovane alzò il capo. Andrew rabbrividì: l’ovale pallido presentava dei segni lividi, un labbro spaccato e una  piccola ferita all’angolo della fronte. Era ridotta male, ma i suoi occhi, pur essendo vistosamente lucidi e arrossati, brillavano.
-V-Voleva portarmi via…- singhiozzò con voce strozzata –Ma non gliel’ho permesso…- ringhiò guardando fisso nel vuoto.  Con delicatezza, evitando di toccarle la dove potesse recarle dolore, Andrew l’abbracciò dolcemente.
-È tutto finito…- le sussurrò baciandole appena la tempia. Si maledì nuovamente. Nascose il viso nella sua folta chioma, sentendo gli acidi conati di vomito corrodergli l’esofago a causa di quell’odore acre e disgustoso che lo nauseava. Silente, una lacrima rigò il suo viso. E Inevitabilmente, Andy si sentì morire.   

*Angolino di Virgy*
Sono fiera di me! In primis perchè il capitolo precedente vi è piaciuto, e in secundis perchè ho pubblicato presto! Che soddisfazione!
Ho voluto provare questa "cosa" del FlashBack perchè nella mia testa donava una giusta atmosfera inquietante e ansiosa.
Spero che vi sia piaciuto. Al prossimo capitolo.
Un bacione
-V- 

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Capitolo 12
*** capitolo 12 ***



Nel giro di pochi minuti l’appartamento del giovane vocalist era pieno di agenti della polizia e medici. Il detective Jones si era personalmente occupato di provvedere che l’aggressore venisse scortato in centrale per l’interrogatorio. Nel frattempo, due infermieri si prendevano cura delle ferite che Caris riportava lungo in corpo, medicandola con fasciature varie. Pur volendolo non avrebbero potuto andare in ospedale per degli accertamenti; il detective lo aveva categoricamente vietato. Caris restava immobile, con le gambe che penzolavano dall’alto sgabello di legno chiaro, esponendo uno sguardo basso e sperso. Erano vuoti i suoi occhi. E proprio lì, non molto distante da lei, Andy la osservava di sottecchi con Purdy che lo sosteneva dandogli rassicuranti pacche sulle spalle. Avevano trovato il tempo di parlare, e ora che Ash sapeva tutta la verità, non avrebbe esitato a dare tutto il suo sostegno al suo amico. Osservò poi con una cura quasi maniacale, ogni singolo dettaglio del suo volto: i lineamenti contriti, gli occhi glaciali, roventi di rabbia. Andy aveva persino le mani che ancora gli tremavano. Ashley capì immediatamente che il suo vocalist aveva paura, non per lui… Ma per Caris. Teneva molto a lei, lo intuiva dal modo in cui la guardava, senza perderla di vista mai un momento; e oltretutto lo aveva capito dalla gelosia che lo aveva logorato anche quella sera, quando lui e gli altri si erano imbucati in casa loro, interrompendo chissà cosa.
-Andrà tutto bene…- sussurrò appena, stringendosi al suo amico, il quale immediatamente lo guardò. Andrew aveva gli occhi lucidi, stentava a crederci. Il moro sorrise appena, mettendo in bella vista il piercing che gli forava il labbro inferiore. Poi, improvvisamente, la porta d’ingresso all’appartamento si aprì di scatto, accogliendo il detective Jones appena di ritorno, seguito a ruota da un signor Foster furibondo e livido in viso. Udito l’impeto con cui fecero il loro ingresso, i due che sostavano ancora seduti sul divano si sollevarono immediatamente, voltandosi contro di loro. Fu in quel preciso istante che gli occhi verdi e inquieti del signor Foster penetrarono con violenza quelli di Biersack, che per la prima volta, in preda alla vergogna, si fissò i piedi, vittima di uno sguardo che non sarebbe riuscito a sopportare. Lo aveva deluso. Gli aveva promesso che si sarebbe preso cura di lei, e invece gli faceva assistere ad uno spettacolo orribile. Senza dire una parola, il padre si avvicinò alla figlia, muta e ancora tremolante. Il detective Jones, al contrario, si avvicinò ai due ragazzi invitandoli a sedersi. Era serio, e a giudicare dal modo in cui teneva fortemente serrata la mascella, non aveva buone notizie:
-Signor Biersack- cominciò con fare austero e formale –Siamo riusciti ad identificare l’aggressore. Si tratta di Aaron Hughes. Siamo sulle sue tracce già da prima del caso Foster…-
-E non è una buona notizia?- s’intromise quasi impulsivamente Purdy, visto che il moretto al suo fianco faticava a parlare. L’uomo innanzi a loro sbuffò, e tornando a rivolgersi al diretto interessato rispose:
-Tecnicamente, lo è. Tuttavia ci ha confessato che non era solo. Suo figlio Jason era con lui questa mattina, ed è ancora a piede libero…- fece una lunga, lunghissima pausa. E in quel breve scorrere di secondi infiniti, Andy voleva sotterrarsi. Soffriva, si sentiva in colpa, lo si poteva leggere bene in faccia. E per quanto volesse fregarsene, Il detective sapeva che oramai quel giovane era legato alla piccola Foster, e che probabilmente ciò che stava per dirgli lo avrebbe afflitto più di quanto non lo fosse già:
-Purtroppo questo posto non è più sicuro. Caris deve andarsene…-
Silenzio totale. In quel preciso istante tutto s’arrestò. Cose e persone restavano impietrite, senza fiato. Fu come una stilettata al cuore, e la lama bruciava dentro il petto del povero Andrew, che per la rabbia si morse un labbro. Riusciva a sentire il sapore acre del sangue disgustargli il palato, ma quello non era niente in confronto al dolore che provava interiormente. Caris era stretta fra le braccia del padre, cullata al suo petto, avvolta dal suo amore, ma aveva sentito tutto:
-No…- sussurrò piano azzerando quell’inquietante silenzio che li stava soffocando uno ad uno. La sua voce era flebile, ma era riuscita a sbigottire tutti. Andy volse appena il capo, scrutandola mentre riemergeva dall’abbraccio paterno. Gli occhi lucidi, gonfi di lacrime, il viso arrossato, il sangue cristallizzato sulla fronte e sull’angolo delle labbra fine e logore. Vederla in quello stato era come un dito nella piaga. Ma Biersack sapeva che doveva fare quello che era giusto, aveva già seguito il suo istinto, e ne poteva ammirare, amaramente, le conseguenze ancora livide sul corpicino asciutto e fasciato della sua Caris
-È per il tuo bene…-  affermò il giovane vocalist, abbassando lo sguardo accondiscendente. Non vi era sprezzo o furia nel suo sguardo. Era debole, e non era da lui. Fece per scendere dalla seggiola, voleva raggiungerlo, stringerlo forte a se e rassicurarlo, ma prontamente suo padre giunse posandole le mani sulle spalle piccole, impedendole ogni movimento
-Ha ragione. Se rimanessi con lui…- ma fissandolo in cagnesco la brunetta lo folgorò, zittendolo immediatamente
-Lasciami. Lui ha saputo proteggermi sicuramente meglio di te!- questo era crudele da parte sua, lo sapeva, ma non poteva rischiare di perdere l’unica persona per cui sentisse un affetto mai provato prima. Si scrollò le mani del padre di dosso, inginocchiandosi al fianco del ragazzo, posandogli i palmi delicati e affusolati sul viso, cercando il suo sguardo; quelle iridi bellissime e magnetiche che le facevano perdere la ragione. Era decisa, lei lo avrebbe fatto ragionare, avrebbe ravvivato quella fiamma che la corrodeva fin nelle profondità delle membra.
-Andy…- lo chiamò piano, scostandogli amorevolmente una ciocca corvina dal viso, scoprendogli l’ovale pallido e affilato. Erano lì, i suoi occhi grandi e limpidi, velati da un pesante grigiore. Faticava a guardarla in viso, non voleva vedere le sue ferite, quelle che le avrebbe risparmiato se solo fosse stato più attento…
-Andy ti prego…- lo scongiurò sottovoce, combaciando la fronte con la sua: -Guardami…-
Lasciarono fondere una volta ancora i loro occhi, fissandosi con intensa dolcezza. Fu disarmante per il giovane Biersack doversi tuffare in quel malinconico verde in cui poteva perdersi per ore. Era lì, ai suoi piedi, salva per miracolo. Ma chi gli assicurava che lo sarebbe stata ancora per molto? Non era adatto a proteggere le persone, non ne era mai stato in grado. Ecco perché spesso era schivo, impenetrabile, per evitare di sentirsi impotente. Rimase in silenzio, guardandola mentre lasciava scivolare le sue dita sottili dalle sue guance lungo le braccia tatuate, sino alle sue mani, intrecciandole assieme. Voleva rassicurarlo, ma dubitava seriamente che ci sarebbe riuscita.
-Ti ricordi quella volta, nel parco. Tu mi hai chiesto di fidarmi di te…-
-E guarda come ti sei ridotta per causa mia…- biascicò appena, stringendo più forte quella presa tra le loro mani, percependo quel lieve calore che lentamente si scaturiva dal loro soffice contatto
-Non è vero. Tu questa mattina mi avevi chiesto di non aprire a nessuno e io non l’ho fatto. Sono stata stupida e ne ho pagato le conseguenze…- affermò spavalda, esponendo quelle sue lacerazioni con fierezza. Era la prima volta che Caris si mostrava così sicura, coraggiosa. Era prima volta ad essere lei a infondergli coraggio. Pur essendone compiaciuto, Andrew tuttavia non sapeva cosa farsene della sua forza. Caris restava comunque in pericolo. Udito quell’inquietante silenzio che pareva logorarle il petto, la ragazza prese un respiro profondo, digrignando i denti per la rabbia. Non si sarebbe arresa.
-Lo vuoi capire che sei parte della mia vita adesso o no? Cazzo Andy!- lasciò la presa alle sue mani per tornare al volto del vocalist, sollevandogli il capo per il mento, costringendolo a guardarla.
-Fidati di me. Non abbandonarmi proprio ora. Possiamo farcela…- un brivido caldo percosse la spina dorsale del giovane, lasciandolo senza fiato. Sospirò piano, cucciandosi appena sulla ragazza, avvolgendole le braccia attorno alla vita. Nascose il viso tra i suoi capelli, assaporando il suo profumo tenue, seducente. Caris sentì il suo cuore battere contro il suo petto, e il suo fiato carezzarle la curvatura del collo e l’orecchio. Si lasciò cullare a sua volta da quell’abbraccio che aspettava da tempo, convincendosi che con Andrew Biersack, il suo salvatore, al suo fianco tutto sarebbe andato per il verso giusto, e non avrebbe più avuto paura di nulla. L’impronta di un casto bacio s’impresse sulla tempia della piccola Foster, quando scostandosi serio il vocalist disse:
-Perdonami. Ma non posso rischiare di perderti ancora…- paralizzata, Caris trattenne il fiato. Era doloroso, più di tutte le percosse che aveva ricevuto. Era un male diverso, che sprofondava nella sua intima ragione, nella sua sensibilità. Era uno spasmo al cuore.
-Fortunatamente ha più cervello di quanto pensassi, signor Biersack- s’intromise infine il detective, sbuffando
-Un mio collega sarà qui entro una, massimo due ore. Scorterà la signorina Foster in un posto più sicuro…- l’uomo tornò in piedi, congedandosi silenziosamente mentre tutto attorno in quel salotto era calata un’atmosfera pesante, insopportabile. Ancora con le ginocchia a terra e gli occhi sbarrati, Caris restava immobile, fissandolo impietrita, sconvolta. La sua pelle pareva essersi sbiancata di colpo, e il battito cardiaco si era arrestato. Dal canto suo, Andrew non ebbe più il coraggio di guardarla.
-Vieni tesoro…- con voce vellutata e apprensiva, il signor Foster si cucciò sul corpo della piccola, afferrandola per le spalle, invitandola a rialzarsi. Fece per dire qualcosa, ma appena il suo sguardo cadde nuovamente sul corvino, le parole le morirono in gola, e una lacrima silenziosa solcò il suo viso.
-Andiamo a preparare le tue cose…- suo padre dovette quasi sollevarla di peso, perché le sue gambe tremavano e a stento riusciva a restare in piedi. Era sconvolta ad un livello tale che poteva già considerarsi più vicina alla morte di quanto lo fosse realmente. E non era arrabbiata. Era comprensibile, dopotutto. Eppure, non riuscì a non vivere le sue parole fredde e spietate come un abbandono. Sostenendola sottobraccio, padre e figlia si dileguarono nella camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle. Andrew respirava piano, stringendo forte i pugni. Si sentiva ignobile, crudele. L’aveva ferita, forse più gravemente di tutte le lacerazioni  subite. Non se lo sarebbe perdonato. Si portò le mani al viso, nascondendosi per la vergogna. Una mano si posò pesante e premurosa sulle sue spalle. Era Ash. Non parlò, ma nel suo silenzio vi trovò un minimo di conforto.

***

L’agente in borghese che si presentò qualche ora più tardi si chiamava Todd. Era giovane, impacciato. Probabilmente era il primo vero incarico che gli fosse stato assegnato in tutta la sua carriera. Faceva su e giù per le scale del condominio trasportando gli scatoloni che Caris stessa si era trascinata quando aveva deciso di chiedere aiuto al suo salvatore. O meglio, a quello che era il suo salvatore. Tutti e quattro attendevano che il giovane tornasse dal suo ultimo viaggio, immobili davanti all’ingresso dell’appartamento:  Ash e il signor Foster restavano silenti, con lo sguardo basso per la vergogna. Non si respirava una buona aria, e preferirono non intromettersi. Andy fiancheggiava il suo compagno, le mani nelle tasche dei jeans, gli occhi puntanti al suolo, al contrario di quelli chiari, ma al contempo vuoti, della ragazza che lo fissava intensamente, cercando il suo sguardo; non con ardore, ma con disperazione, come se tuffarsi nei suoi grandi occhi blu avesse potuto alleviare il suo inesorabile dolore.
-Eccomi, signorina Foster è pronta?- Todd era tornato; aveva il fiatone, e la fronte madida di sudore. Spezzò, con la sua voce impastata, il silenzio che li stava accompagnando. Caris, annuì e avviciandosi al giovane bassista, si strinse a lui, abbracciandolo e lasciandosi avvolgere dalle sue labbra
-C-Ciao Ash.-
-Ciao piccolina. Fai attenzione. Stammi bene- la salutò con un casto bacio sulla tempia, lasciandola andare dal suo amico, che a fatica sollevò le iridi su di lei. Indossava gli stessi abiti che indossava la sera del loro primo incontro. Gli occhi belli di lei lo guardavano, dolci, tristi, malinconici. Volle sotterrarsi, come poteva lasciarla andare? Lei, quella bella addormentata sul cesso che era riuscita ad entrargli dentro, a toccare con mano una parte di lui che teneva segregata e nascosta al mondo.
-Caris…- lo disse piano, con quella dolcezza che affievoliva il suo tono di voce anche quando erano a letto, raccolti nel loro piccolo idillio, con quel timbro che sapeva farla sciogliere tra le sue braccia.
-Grazie di tutto. Andy…- rispose la giovane con le labbra tremanti. Aveva la voce rotta dai singhiozzi, ma non voleva piangere. Voleva essere forte, dimostrargli che era merito suo se era cresciuta, diventando più coraggiosa. Si abbracciarono un’ultima volta, ascoltando reciprocamente il suono del cuore dell’altro; percependo il loro profumo, il calore che si scaturiva tra le loro pelli ogni qual volta che si sfioravano. Ormai sapevano di che pasta erano fatti, e sapevano altrettanto bene che la separazione sarebbe equivalsa ad un limbo inquietante senza via di uscita per entrambi. Il blu e il verde delle loro iridi si mescolarono ancora, prima che voltando appena le spalle, la ragazza cominciò a seguire, assieme a suo padre, il giovane agente venuto a prelevarla. Caris sentì il peso di quegli occhi enigmatici e magnetici penetrarla da lontano mentre lentamente scendeva le scale, poi, la porta si chiuse alle sue spalle. Era finita. Con lo sguardo basso camminò per strada fissandosi i piedi, senza prestare al mondo che nel frattempo continuava a girare in tondo. Tutto, senza di lui, aveva come perso il senso di esistere. Pochi metri, e sotto il cielo violaceo del crepuscolo giunsero ad una macchina discreta e modesta parcheggiata all’angolo del viale.
-Appena arrivi chiamami okay tesoro?- si raccomandò suo padre
-Sì, tranquillo…- rispose appena, sollevando amaramente un angolo delle labbra
-Mi raccomando Todd. La affido a te-
-Certo signore, si fidi. È in buone mani ora- il ragazzo sorrise. Aveva la voce ovattata, ora che ci faceva caso. E guardandolo bene in viso, Caris poté osservare meglio la forma squadrata della sua mascella, la pelle olivastra, e gli occhi profondi e scuri come due buchi neri.
-Ti voglio bene bambina mia…- e baciandole ripetutamente le guance, il signor Foster l’aiutò a montare nella vettura, chiudendole lo sportello. Con un cenno della mano, la castana lo salutò appena mentre l’uomo al suo fianco metteva in moto. Un suono metallico la fece sobbalzare. Non aveva ben capito cosa fosse; poi, facendo maggiore attenzione, si rese conto che non era altro che il piolo della sicura che si era innescata. Sospirò sommessa, allacciandosi la cintura di sicurezza. Posò la tempia contro il finestrino, osservando le insegne luminose dei negozi scorrere veloci, confondendole lo sguardo sebbene nella testa avesse altri pensieri a turbarla:
-Sei pensierosa…- affermò il giovane alla guida. Ora con voce più decisa, più limpida
-Già…-
-Scommetto che tu non mi abbia riconosciuto…- voltando appena il capo, la ragazza lo osservò di sottecchi
-Scusami…-disse cortesemente –Quando ci saremmo conosciuti? Non mi ricordo proprio- rise goffamente, colta dall’imbarazzo. Non era molto brava con i nomi, tantomeno con le facce.
-Oh andiamo piccola Foster. Sicura di non ricordare nulla?- viscida, cinica… Spietata. Quella voce le fece raggelare il sangue nelle vene. Sbarrò di colpo lo sguardo, trattenendo il fiato. No, non poteva essere… Non voleva crederci
-T-Tu…- si strinse in se stessa, quasi incassandosi nel sedile, osservando sconcertata il sorrisino beffardo che cominciò a dipingersi sulla bocca del giovane, che senza togliere gli occhi dalla strada affermò
-È sconcertante la stupidità umana. Mi è bastato presentarmi a casa vostra con la voce camuffata e avete dato per scontato che fossi “Todd”. Troppo facile…- Avrebbe voluto urlare, piangere, aprire il finestrino e gettarsi dall’auto in corsa, ma appena le sue mani si erano portate sulla maniglia dello sportello, oltre ad accorgersi che era chiusa dalla sicura, si ritrovò con la canna di una pistola premuta contro la nuca
-No no no, bella mia. Non dirmi che hai già fretta di raggiungere tua sorella…- tremava, trattenendo a stento le lacrime mentre il cuore le galoppava senza sosta nel petto.
-Da brava, torna composta… Adesso ci facciamo un bel giretto. Sono un gentiluomo, dopotutto- rise, aspettando che la bruna eseguisse i suoi ordini. Tornando a nascondersi sul sedile, il giovane abbassò l’arma, continuando a guidare come se nulla fosse. Finalmente una lacrima coraggiosa sgusciò dal suo saldo autocontrollo, macchiandole il viso pallido. Era la fine.

***

-Sicuro che non vuoi che rimanga con te?-
-Sì Ash, davvero. Voglio restare solo…- rispose stravaccato sul divano con le mani in mano e lo sguardo sperso nel vuoto. Il bassista non ne era molto sicuro, ma gli sembrava che il suo amico avesse gli occhi lucidi
-Come vuoi tu…- accondiscendente, Purdy fece per uscire dall’appartamento, con sguardo torvo, impotente. Non poteva immaginare il dolore che stava provando il suo amico.
-Ash?- immediatamente si voltò chiedendo a sua volta: -Sì?-
-Non dire nulla ai ragazzi. Ora che è tutto finito non vale la pena farli preoccupare per me…-
-Certo. Riposati Andy. Ne hai bisogno…- si avvicinò poi all’uscio, afferrando prontamente la maniglia della piccola porticina lignea. La spalancò, e proprio quando fece per uscire il giovane bassista rimase impalato sul suo posto, bloccato dalla figura di un agente della polizia che a sua volta stava giusto per pigiare il dito sul campanello. I due si scrutarono per qualche secondo interminabile, suscitando la curiosità del vocalist, che immediatamente si sollevò dal suo poggio per raggiungere il suo amico
-Che succede?- domandò fiancheggiando il suo compagno. Cosa volevano ancora da lui? Perché non lo lasciavano in pace?
-Signor Biersack?- domandò il poliziotto squadrandolo dalla testa ai piedi
-Sì, sono io-
-Sono l’agente Simons. Mi ha mandato il detective Jones per prelevare la signorina Caris Foster e portarla nel luogo prestabilito per la sua tutela- immediatamente, i due amici si fissarono intensamente.
-Ma un agente in borghese è già venuto a prenderla dieci minuti fa?- spiegò Ashley mentre il corvino al suo fianco faticava ad aprir bocca, cominciando a sentire il sudore freddo corrergli lungo la schiena
-In borghese? Ma non è possibile! Il detective in persona mi ha affidato l’incarico, e mi ha specificamente ordinato di presentarmi in veste da ufficiale!- affermò l’uomo sconcertato. Sia Purdy che Biersack erano sbiancati di colpo, e ambedue avevano perso dei battiti. Andrew cominciò a respirare a fatica, sentendosi la testa girare per la confusione totale che aveva.  Tutto ciò non poteva essere vero? Sembrava piuttosto un incubo che lentamente stava diventando realtà, divorandogli le membra. Che fine aveva fatto Caris?

*Angolino di Virgy*
Olèè! Dopo secoli e secoli eccomi qui con un nuovo capitolo! questa volta nel vivo della storia. Sono pienamente cosciente del fatto che ora qualcuno mi lincerà, ma sapevamo tutti che prima o poi il momento della loro "separazione" sarebbe giunto! T_T
Spero che vi piaccia! (anche perchè l'ho scritto nella mia fase depressione post-annullamento del concerto dei BVB in italia quindi ero molto molto moooolto triste. Grazie a dio è stata rimandata la data di Roma, ma sto vagheggiando U.U)
Un bacione
-V-  
          

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