But if you never try you'll never know

di JoyBrand
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Rock 'n' roll star. ***
Capitolo 3: *** We been dancing ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Prefazione

 

 

“And tears come streaming down your face
When you lose something you can’t replace
When you love someone but it goes to waste
Could it be worse?”
 

L’unico rumore percepibile nella stanza era il basso ronzio di musica proveniente dall’esterno. Non parlavamo da diversi minuti, l’attesa stava diventando snervante.
“Dannazione” pensavo tra me e me “dì qualcosa ti prego, qualsiasi cosa!”
“Come siamo arrivati a questo?” mi costrinsi a dire, rompendo quel silenzio così carico di tensione. Mi accorsi con sorpresa che la mia voce non usciva nel modo corretto. Lacrime sgorgavano sulle mie guance. Chissà quando avevo iniziato a piangere.
Rimase in silenzio per qualche secondo, immobile sulla sedia. Mani giunte, capo chino.
“Non lo so” sussurrò infine.
In quel momento avrei dovuto odiarlo, odiarlo con tutta me stessa, ma non ci riuscivo. Riuscivo solo a provare rammarico per il dolore che esprimeva la sua espressione. Ce l’avevo irrimediabilmente con me stessa, mentre una parte di me era consapevole che quell’espressione era apparsa sul mio volto molte più volte, e per colpa dell’uomo che in quel momento si rifiutava persino di guardarmi.
“Matt. . .” piagnucolai implorante, sperando di smuoverlo dallo stato catatonico nel quale era entrato.
Ottenni l’effetto desiderato. Alzò la testa e mi fissò con quei suoi occhi azzurri, che tanto volte mi avevano tolto il respiro.
“Cosa vuoi che ti dica?” mi guardò con astio.
Avvertii un doloroso colpo allo stomaco. Ma non solo. Un profondo senso di ingiustizia per l’odio che mi stava dimostrando prese il sopravvento.
“Non trattarmi come se la colpa fosse esclusivamente mia!”
“Ma sì” si alzò con violenza dalla sedia “sediamoci a tavola e decidiamo quant’è grande la colpa di ciascuno in questa faccenda!”
“Non era questo che intendevo, lo sai.”
Mi guardò per qualche secondo, con un’espressione indecifrabile sul volto, i pugno chiusi.
“Non va bene” si stropicciò gli occhi con una mano, nervoso. “Non ce la faccio”.
Uscii a grandi passi dalla stanza. No, non poteva scappare, non così.
“Matt!” Mi alzai a mia volta per tentare di fermarlo.
Spalancai la porta. Un vendo freddo mi accolse all’esterno. Lo cercai disperatamente, ma si era già confuso tra la folla.

 

“I promise you I will learn from my mistakes “

[Fix you – Coldplay]

 

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Capitolo 2
*** Rock 'n' roll star. ***


Capitolo 1

“Tonight, I’m a rock ‘n’ roll star!” 
[Oasis – Rock ‘n’ roll star]



Mi guardai intorno tra la moltitudine di persone che avanzavano in tutte le direzioni, munite di bagagli. Non era mai stato bravo con la puntualità, questo tratto l’avevo ereditato da lui, ma mezz’ora di ritardo mi sembrava troppo persino per mio padre. Cominciai a preoccuparmi che avesse capito male la data o l’orario. Ma proprio mentre stavo per chiamarlo, ecco che vidi la sua figura farsi largo verso di me. Abbandonai bagaglio e zaino per andargli incontro.
“Papa” gli buttai le braccia al collo “Tu m’as manqué”
“Anche tu tesoro” disse dopo avermi baciato la fronte “ma parliamo in questa lingua. Il mio italiano è già abbastanza arrugginito!”
Papà, o come era meglio conosciuto, il dottor Gustave Fontaine, era un affascinante uomo di quarantasette anni. Una volta, così testimoniano vecchie fotografie, aveva avuto i miei stessi capelli, castano chiaro con sfumature mielate, che ora lasciavano il posto ad una chioma brizzolata. Con lineamenti severi addolciti da uno sguardo gentile, compensava la bellezza sfiorita negli anni con un fascino orgoglioso.
“Com’è stato il viaggio?” mi domandò una volta in auto. Dall’aeroporto di Parigi eravamo in viaggio verso Orléans, città natale di mio padre.
“Mh” feci una smorfia al ricordo della scoperta avuta poche ore fa “poteva sembrarmi meno lungo. Giada ha di nuovo inserito le sue canzoni sul mio ipod. Ero davvero scocciata!”
Rise “A proposito, mi sembra strano che quest’anno non sia venuta anche lei. Come mai?”
Giada,mia migliore amica da tutta la vita, mi aveva sempre tenuto compagnia durante i miei soggiorni in Francia. Quel mostriciattolo formato da un metro e cinquantacinque di dinamite adorava battibeccare con mio padre con la sua parlantina tagliente a proposito della ricca borghesia, di cui aveva un’opinione tutt’altro che buona, e mio padre si divertiva a tenerle testa, apprezzando il forte carattere della giovane sfrontata.
Sospirai “Sarà chissà dove tutta l’estate. A quanto pare la roba della band sta diventando una cosa seria”.
“Ma dai” disse mio padre sorpreso “C’è sempre quel tipo, come si chiamava?”
“Dario, papà” gli feci presente un tantino irritata.
Dario, altro mio migliore amico, invece non era mai andato a genio a mio padre. Pur avendolo incontrato poche volte durante una delle sue rare visite in Italia, non aveva mai visto di buon grado la sua amicizia intima con la sua unica figliola, ritenendo sconveniente un rapporto così stretto tra amici di sesso opposto. Poco importava per lui che in realtà formassimo un trio con Giada. Inutile dire che non mi era permesso di invitarlo per le vacanze.
“Célie è su di giri per il tuo arrivo” mi informò mio padre, con l’intenzione di farsi perdonare “ci starà preparando una cena che non dimenticheremo facilmente!”
La profezia di mio madre si avverò e, dopo cena, gonfia come un tacchino, mi gettai sull’amaca in giardino, beandomi della brezza serale. Mio padre mi raggiunse poco dopo.
“Ah, che cena, devi proprio venire a trovarmi più spesso”
“E’ la tua cuoca papà” gli ricordai divertita “non devi aspettare il mio arrivo per farti preparare ciò che vuoi”
“Ma sappiamo entrambi che Célie ha un debole per te, e ti preparerebbe qualunque cosa con più cura di quel che farebbe anche se la pagassi il doppio. Dopo tutto, come biasimarla, sei adorabile” mi diede un buffetto affettuoso sulla testa.
“Mi chiedo se lo penseranno anche i miei pazienti dopo che li aprirò in due”
“A proposito di questo, volevo parlarti dei tuoi progetti futuri”
“Credevo fossero già decisi” osservai sorpresa.
“E’ sempre bene avere alternative. Le università in Francia sono ottime, ed ho buone conoscenze a Parigi. Con la tua preparazione entreresti senza problemi”
E come non potrei, mi preparavo a diventare un chirurgo da quando pesavo tre chili.
Ero confusa e in difficoltà. Mio padre mi guardava speranzoso. Il suo sguardo si riempiva di orgoglio quando si posava su di me e questa era una delle mie più grandi soddisfazioni, avrei preferito tagliarmi un braccio piuttosto che dargli una delusione. Ponderai bene la mia risposta
“Ci penserò” dissi infine.
Non sembrò contrariato ed ebbe abbastanza buonsenso da non insistere e lasciar cadere il discorso su argomenti più leggeri.
Quando infine ci scambiammo la buonanotte, mi recai in camera mia, ritrovando con piacere il mio lettone. Un paradiso rispetto all’angusta cameretta a cui ero abituata in Italia. Mia madre era una donna troppo orgogliosa per accettare soldi da mio padre, così ci siamo sempre arrangiate col suo stipendio da segretaria, ed ero ormai abituata a un tenore di vita ben diverso rispetto ai miei soggiorni ad Orléans. Mi sdrai ancora completamente vestita, pensando alle parole di mio padre. Vivere con lui sarebbe stato un sogno.Lo adoravo, e amavo  quel paese; volevo bene a mia madre, ma avevamo caratteri troppo diversi per costruire un solido rapporto madre-figlia. I miei pensieri corsero però immediatamente a Giada e Dario, non potevo immaginare la mia vita senza di loro, erano tutto per me. Ma d’altronde, se il loro progetto sarebbe andato in porto, sarebbero stati ben poco a casa. Ma un’ultima riflessione mi tolse ogni dubbio sulla decisione da prendere. Mio padre era un chirurgo ben famoso nella zona, non volevo far carriera nella sua ombra.
Stavo giusto pensando alle parole da usare con mio padre l’indomani per informarlo della decisione appena presa, quando vibrò il mio cellulare.
“Giada, finalmente!” risposi eccitata. Morivo dalla voglia di sentire loro notizie.
“Jules, non hai idea di cos’è successo!” parlava in modo molto veloce, come faceva sempre nei momenti di agitazione.
“Dimmi tutto!”
“Abbiamo un contratto! Abbiamo un contratto!”
“COSA? Giada ma è fantastico!”
“Lo so, lo so! Il nostro ep è piaciuto ad un’etichetta inglese! E sai qual è la cosa più figa?”
“Ti ascolto”
“Prima di incidere il primo cd apriremo dei concerti, dei concerti veri!”
“O mio dio, Giada, c’è un aggettivo migliore di fantastico?!”
“Non lo so, non lo so! Sta succedendo tutto così in fretta! Ma aspetta, ti passo Dario, continua a strattonarmi il braccio!”
“Hey Jules, hai sentito?!” anche lui sembrava parecchio su di giri.
“Sono fiera di voi, ragazzi”
“Ma tu devi venirci assolutamente a vedere, non puoi perderti la nostra prima, grande esibizione!”
“No che non posso, sono la nostra fan numero uno!”
“Dai piccola, se vieni subito potrai essere la nostra prima groupie”
“Che onore!” risi “quand’è il primo spettacolo?”
“Sabato prossimo. Pensi di farcela?”
“Sicuro!”
“Devo andare, alcuni membri dell’etichetta ci portano a cena fuori”
“Divertitevi!” lo salutai.
Pazzesco. Ero davvero felice ed orgogliosa di loro, finalmente ce l’avevano fatta. Sognavano questo momento dalle scuole medie, ed io avevo seguito tutto dall’inizio. Mi rattristai inevitabilmente però, al pensiero di aver per sempre detto addio ad una fase della mia vita. Niente sarebbe più stato come prima. Non li avrei più visti tutti I giorni e sentito continuamente. Tornare a casa e vivere senza di loro era una prospettiva dolorosa, forse avrei dovuto riconsiderare la proposta di mio padre. Dopo l’entusiasmo iniziale, non potevo far a meno di sentirmi sola e abbandonata. Sarebbero stati sempre insieme, loro due.  
La domenica successiva, come promesso, presi l’aereo per Londra. Trovai Dario che mi attendeva, puntuale, un gran sorriso stampato in faccia.
“C’è un taxi che ci aspetta fuori” mi informò dopo esserci salutati con un abbraccio.
“A proposito, dov’è che state?”
Sorrise. “Ci hanno sistemato in un hotel. Tutto pagato! E che hotel! Ti piacerà!”
Dario aveva ragione, l’hotel era magnifico. Non sapevo quasi nulla di quell’ambiente, ma intuì che quella casa discografica doveva essere davvero molto importante. Dopo aver salutato anche quella piccola furia di Giada, ci rintanammo in camera di Dario insieme ad Emanuele, il batterista. Erano davvero eccitati per il concerto del giorno dopo.
“La location è enorme, capisci?! Non ci siamo mai esibiti davanti a tante persone!”. Giada sembrava preoccupata.
“Andrete alla grande, come sempre” la rassicurai.
“Non capisco proprio di cosa ti preoccupi, Giada. Saranno tutti così presi dalla bellezza del chitarrista che ti noteranno a pena” scherzò Dario. Per tutta risposta Giada gli tirò un cuscino dritto in faccia. Ben presto la cosa degenerò in una lotta di cuscini in piena regola. Sembrava fossimo tornati ai primi anni delle superiori.  Passammo la serata insieme,  divertendoci come solo noi tre insieme sapevamo fare.
Il giorno seguente fu ben diverso. I ragazzi, impegnati, stettero via tutto il giorno, dispiaciuti di lasciarmi da sola per così tanto tempo. Li rassicurai e passai il tempo facendo un giro in città. Non impazzivo per Londra, troppo umida e nuvolosa, ma mi affascinavano i suoi palazzi eleganti  e i suoi negozi tradizionali.
Quando fu arrivato il pomeriggio, andai in camera di Giada per chiederle se avesse bisogno di una mano per prepararsi. Non rispose e diede un’occhiata ai miei vestiti. Portavo un jeans sobrio, con una camicetta bianca e un cardigan marroncino. Non ci vedevo nulla di male.
“Che c’è?”
“Hai intenzione di venir vestita così?”
“Cos’ho che non va?” cominciavo a sentirmi offesa.
“Vedrai” disse sistemandosi la minigonna scozzese. Lasciammo cadere il discorso abbigliamento e la aiutai con i capelli.
“Allora ragazze, come sto?!” chiese Dario entrando nella stanza. I capelli rossicci erano sparati in alto col gel.
“Sei uno schianto” commentai io, mentre Giada fischiò.
Alle sei una limousine ci accompagnò alla location dove avrebbero dovuto aprire il famoso concerto. Lì ci separammo e mi diedero un pass per permettermi di assistere al concerto da dietro le quinte. Ero emozionata almeno quanto loro. Nervosa, non facevo che camminare avanti e indietro. Sentivo le urla della folla, già su di giri ancor prima che iniziasse il concerto. C’erano molte persone indaffarate con amplificatori, chitarre e roba simile. Non avrei mai immaginato che per allestire un concerto servissero così tante persone. Continuavo a camminare, agitata. E se fosse successo qualcosa? Se Dario fosse caduto o Giada. . . andai a sbattere contro qualcosa, o qualcuno.
“E stai attenta!”. Riconobbi il proprietario di quella voce arrabbiata in un ragazzo che avevo inavvertitamente buttato a terra. Mi chinai a tendergli una mano, mortificata.
“Scusa, mi dispiace. Non ti avevo visto” gli risposi in inglese. Ignorò la mia mano e si alzo da solo con un po’ di difficoltà, poiché reggeva una chitarra. La studiò per alcuni istanti, probabilmente cercando eventuali graffi. Era un tipo strano. Era un uomo minuto, poco più alto del mio metro e sessantotto. Lineamenti appunti, pallidissimo - da buon inglese-, capelli scuri acconciati in un taglio anonimo e un filo di barba. Ero vestito in modo alquanto appariscente. Notai il cartellino uguale al mio, doveva trattarsi di un tecnico. Speravo di non aver rotto qualche chitarra di Dario.
“La chitarra è a posto?” gli domandai preoccupata. Mi incenerì con lo sguardo. Se non fossi stata tanto offesa dal suo comportamento tutt’altro che garbato, avrei trovato i suoi occhi belli. La forma era alquanto anonima, ma erano di un colore straordinariamente azzurro.
“Sembra di sì.” Rispose secco. Si giro e fece per andarsene, ma dopo qualche passò si volto ancora verso di me “Ti conviene spostarti, se non hai niente di utile da fare, prima di combinare qualche guaio” e senza aspettar risposta questa volta se ne andò sul serio.  
“Ci mancava solo il tecnico coi complessi da rockstar” pensai. Ma non mi lasciai demoralizzare da quel piccolo incidente, emozionata com’ero dall’esibizione dei miei amici.
La band salì. Luca, il cantante, presentò velocemente la band prima di attaccare con la prima canzone. Erano nervosi, questo era palese, ma andarono alla grande. Dopo un’iniziale titubanza, Giada si sciolse e iniziò a correre per il palco col suo basso com’era solita fare. Dario, notevolmente più timido, si limitava a scoccare qualche occhiata impaurita a quel pubblico mostruosamente grande. Suonarono per un’oretta. Erano ancora sconosciuti e il pubblico era stato statico per tutta l’esibizione, ricompensandoli con un applauso poco entusiastico alla fine. C’era da aspettarselo. Mi raggiunsero nel backstage, sudati fradici.
“Come siamo andati?” chiese Dario nervoso.
“Siete stati fantastici!”
“Hai visto il pubblico come ci ha accolti?” fece Giada su di giri.
“Sì” mentii “vi hanno adorato.” Mi congratulai col resto dei componenti, prima che un boato pazzesco ci stordisse tutti. La band principale era appena salita sul palco e la folla era in delirio.
“A proposito, non mi avete detto per chi aprivate!” mi accorsi in quel momento.
“Non lo sapevi?” disse Luca, sorpreso “comunque sono i Muse.” I Muse. . . sì, conoscevo un paio di loro canzoni.  Guardai il palco: il cantante si era avvicinato al microfono e parlava col pubblico. Un momento. . . mi venne un colpo quando mi accorsi di chi fosse. Era il tizio che avevo schiantato a terra poco prima. Dario sbagliò ad interpretare la mia espressione.
“E’ pazzesco che abbiamo aperto per LORO, vero?”
“Già” risposi io, rossa di vergogna.  
I ragazzi vollero fermarmi a vedere l’esibizione dei Muse, commentando di tanto in tanto.
“Andiamo?” dissi a concerto finito.
“Scherzi?” fece Giada “adesso voglio come minimo presentarmi!”
Mi agitai, nervosa, mentre i tre musicisti arrivarono dietro il palco, dove ci trovavamo. Giada fu la prima a farsi avanti, sicura di sé come al solito.
“Siete stati fantastici. I miei complimenti!” disse con fare adulatorio. Non si smentiva mai. Ma i tre sembrarono apprezzare, e la ringraziarono cortesemente. Giada fece segno agli altri di avvicinarsi. Me la sarei data a gambe all’aria se Dario non mi avesse preso per mano e sorriso con fare incoraggiante, scambiando il mio nervosismo per timidezza.  Giada ci presentò uno ad uno. Il ragazzo con gli occhi azzurri, che scoprii chiamarsi Matt, assunse un cipiglio sorpreso quando mi riconobbe. Feci finta di nulla.
“Stiamo andando a farci qualche birra, venite?” domandò il batterista, un tipo magrolino ma con un gran sorriso, rivolto a Giada. Dal modo in cui la guardava era sottinteso che l’invito era soprattutto per lei. Ma gli altri non si sarebbero mai lasciati scappare l’occasione di andare a bere con una famosa rock band.
“Certo! Dove si va?” disse Luca con entusiasmo, scordandosi che in Inghilterra non aveva l’età per bere. Il batterista scrisse un indirizzo su un pezzo di carta che consegnò a Giada, e ci diedero appuntamento lì. L’autista che ci aveva accompagnato quel pomeriggio sembrava essersi dissolto nel nulla, quindi chiamammo un taxi. Il locale, almeno dall’esterno, sembrava molto alla moda. A conferma di ciò, un gruppo di ragazzi vestiti di tutto punto stavano proprio in quel momento per entrare. Ci guardammo, a disagio. La band indossava ancora gli abiti con cui si erano esibiti, più adatti a un ghetto punk che ad un locale chic. Mi trattenni dal rinfacciare la cosa a Giada, non volendo rovinarle l’umore in quel giorno tanto importante.
“Qualche regola non scritta non impone che durante i primi anni dobbiamo sbronzarsi in qualche pub malfamato dopo gli show?” fece Emanuele. Gli altri annuirono, d’accordo con l’amico.
“Andiamo ragazzi! Non vorrete restare qui tutta la sera?” disse Giada, aprendo la porta del locale. Dario allacciò di nuovo la sua mano nella mia e la seguimmo.



Spazio del Blablabla
Ringrazio
theresistance CheccaWeasley per aver commentato il prologo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Ringrazio anche tutte le persone che hanno letto ed aggiunto questa storia tra le seguite.
Al prossimo capitolo! ;)
 

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Capitolo 3
*** We been dancing ***


Capitolo 2

We've been dancin' with Mr. Brownstone
He's been knockin', he won't leave me alone, no, no, no
Won't leave me alone
[Guns and roses - Mr. Browstone]


"E' stato assurdo! Credevamo che non potessimo mai trovare quello giusto ma alla fine, proprio l'ultimo giorno dei provini, arriva questo tizio che..."
Con un ultimo sorso svuotai il mio drink, maledicendomi. Dovevo proprio attaccare bottone con questa donna?
"Ma davvero? E poi?" le chiesi in maniera educata. Forse se avessi trovato un modo non troppo sfacciato per fissarle le tette, avrei dato un senso a quella conversazione. In effetti, poteva anche avere seri problemi di logorrea e un fastidioso accento americano, ma il suo chirurgo plastico ci sapeva fare.
"Matt!" Chris, grazie al cielo. Ma il mio salvatore  non era venuto da solo. Dietro di lui c'era la band di apertura delle date inglesi che aveva ingaggiato il nostro manager. Si trattava di tra ragazzi, uno dai capelli rossi, un tipo magrolino dai capelli ricci e un tizio bassino con problemi di cute, insieme alla ragazzina adocchiata da Chris e alla loro amichetta scontrata nel backstage. Fantastico, lui vuole rimorchiare e io devo fare il babysitter.
"Ricordi gli Hurricanes?".
"Ma certo". Gettai un'occhiata alla band, per poi passare alla ragazza che qualche ora prima stava per rompermi l'osso del collo. Quella, imbarazzata, abbassò subito lo sguardo.
"Io e Giada abbiamo voglia di ballare, te li affido Matt!" e si dileguò trascinandosi dietro la nuova conquista prima che potessi proferir parola. Dannato Chris.
"Prego, sedetevi!" li invitai indicando un divanetto libero dinanzi al mio. "Vi presento Cloeh. Cloeh, una delle band più promettenti degli ultimi anni" I volti dei ragazzi si illuminarono a quest'ultima affermazione. "Se sapessero che non ho neanche idea di che genere suonino" pensai divertito tra me. Cloeh ne fu entusiasta, e iniziò subito una discussione animata con i ragazzi. Quando si dice due piccioni con una fava.
"Vado a prendere da bere" feci ad un certo punto alzandomi.
"Visto che ci sei, prendi qualche bicchiere anche per noi?" chiese uno degli Hyrricanes, il ragazzo dai folti capelli ricci.
"D'accordo". Nient'affatto sicuro di star facendo una cosa legale, mi diressi verso il bancone.
"Una bottiglia di vodka e una di scotch al tavalo 4 per favore" dissi al barista, poggiando una banconota sul tavolo.
Ritornai ai divanetti, e notai che la conversaione era ancora in corso. O meglio, Cloeh parlava a sbaffo e i ragazzi la guardavano con aria ebete. Solo la ragazza continuava a guardarsi intorno con aria nervosa, evitando accuratamente di incrociare il mio sguardo.
Il cameriere arrivò portando le ordinazioni. I ragazzi sembravano confusi.
"Qualcuno poco fa non aveva parlato di qualche birretta?" domandò quello con i capelli rossi, scrutando con diffidenza l'elegante bicchiere di vetro dinanzi a se.
"Non credo ce l'abbiano". Sperai vivamente che Chris non facesse cilecca e rendesse inutili le noie di quella sera.
Due signore strette in abiti succinti si avvicinarono, interrompendo la discussione sui drink.
"Cloeh" dissa una di loro dai tratti asiatici "ci spostiamo all'Optimum, vieni?"
"Volete unirvi a noi?!" ammiccò Cloeh rivolta ai ragazzi.
"Certo!" Fece subito il riccio alzandosi.
"Vengo anch'io!" l'imitò l'amico. Scambiarono due parole -in italiano? spagnolo?- con il rosso e la ragazza, prima di andarsene su di giri con le signore.
La bottiglia di vodka non era neanche a metà quando perdemmo anche l'ultimo ragazzo.
"Un messaggio dal capo dell'etichetta, faccio una chiamata e torno subito!" si giustificò.
"Fa' presto!" si raccomandò la ragazza con sguardo implorante.
La ragazza si versò da bere, cercando evidentemente qualcosa con cui tenersi occupata. La osservai meglio, non era niente male. Aveva lunghi capelli ondulati, lasciati sciolti sulle spalle. Il colore sembrava marroncino, ma non potevo esserne sicuro con quella scarsa luce. Il viso aveva tratti delicati; gli zigomi poco pronunciati erano compensati da un'inusuale forma delle labbra.
Restai volutamente in silenzio, ridendo sotto i baffi del suo imbarazzo, e mi riempii anch'io il mio bicchiere. I minuti correvano, ed il rosso non tornava. Restavamo ostinatamente in silenzio, continuando a bere. Sembrava esser diventata una gara. Buffo. Già davvero molto divertente. Sarà per questo che eravamo scoppiati a ridere come due idioti? Ma che ci facevamo seduti lì?
"Vuoi ballare?" le domandai, asciugandomi con l'indice una lacrima dall'occhio.
"Perché no". Si alzo traballando dal tavolo, e la sorressi con un braccio. Era poco più bassa di me.
Ma c'era anche prima così tanta confusione del locale? Qualcuno aveva alzato la musica o era soltato una mia impressione? Arrancammo, spintonati qua e la, in un angolo della pista da ballo. Poggiò le spalle contro il muro, cercando un equilibro che in quel momento la sua mente annebbiata non poteva darle. Le misi le mani lungo i fianchi, e di rimando lei intrecciò le sue mani dietro il mio collo. Un attimo dopo la stavo baciando. Un attimo dopo le nostre mani esploravano il corpo dell'altro in maniera poco casta. Un attimo dopo eravamo in una limousine parcheggiata fuori il locale, senza vestiti.
Raccolsi la mia camicia e la poggiai su di lei, per coprirla. Si era addormentata. Sembrava davvero ubriaca, molto più di quanto lo fossi io.
"Spero almeno che sia maggiorenne" pensai subito prima di addormentarmi.



Finalmente riesco ad aggiornare! Lo so, questo capitolo è brevissimo, ed è anche di dubbia qualità. Non mi convince affatto, ma ho pensato di postarlo lo stesso data la lunga assenza.
Fatemi sapere che ne pensate.
Prometto che il prossimo capitolo sarà più lunga e ben fatto, per farmi perdonare ;)
Alla prossima!

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