But if you never try you'll never know di JoyBrand (/viewuser.php?uid=73449)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Rock 'n' roll star. ***
Capitolo 3: *** We been dancing ***
Capitolo 1 *** Prefazione ***
Prefazione
“And tears come streaming down your
face
When you lose something
you can’t
replace
When you love someone
but it goes to
waste
Could it be
worse?”
L’unico
rumore percepibile nella stanza era il basso ronzio di musica
proveniente
dall’esterno. Non parlavamo da diversi minuti,
l’attesa stava diventando
snervante.
“Dannazione”
pensavo tra me e me “dì qualcosa ti prego,
qualsiasi cosa!”
“Come siamo
arrivati a questo?” mi costrinsi a dire, rompendo quel
silenzio così carico di
tensione. Mi accorsi con sorpresa che la mia voce non usciva nel modo
corretto.
Lacrime sgorgavano sulle mie guance. Chissà quando avevo
iniziato a piangere.
Rimase in
silenzio per qualche secondo, immobile sulla sedia. Mani giunte, capo
chino.
“Non lo so”
sussurrò infine.
In quel
momento avrei dovuto odiarlo, odiarlo con tutta me stessa, ma non ci
riuscivo.
Riuscivo solo a provare rammarico per il dolore che esprimeva la sua
espressione. Ce l’avevo irrimediabilmente con me stessa,
mentre una parte di me
era consapevole che quell’espressione era apparsa sul mio
volto molte più
volte, e per colpa dell’uomo che in quel momento si rifiutava
persino di
guardarmi.
“Matt. . .”
piagnucolai implorante, sperando di smuoverlo dallo stato catatonico
nel quale
era entrato.
Ottenni
l’effetto desiderato. Alzò la testa e mi
fissò con quei suoi occhi azzurri, che
tanto volte mi avevano tolto il respiro.
“Cosa vuoi
che ti dica?” mi guardò con astio.
Avvertii un
doloroso colpo allo stomaco. Ma non solo. Un profondo senso di
ingiustizia per
l’odio che mi stava dimostrando prese il sopravvento.
“Non
trattarmi come se la colpa fosse esclusivamente mia!”
“Ma sì” si
alzò con violenza dalla sedia “sediamoci a tavola
e decidiamo quant’è grande la
colpa di ciascuno in questa faccenda!”
“Non era
questo che intendevo, lo sai.”
Mi guardò
per qualche secondo, con un’espressione indecifrabile sul
volto, i pugno
chiusi.
“Non va
bene” si stropicciò gli occhi con una mano,
nervoso. “Non ce la faccio”.
Uscii a
grandi passi dalla stanza. No, non poteva scappare, non così.
“Matt!” Mi
alzai a mia volta per tentare di fermarlo.
Spalancai la
porta. Un vendo freddo mi accolse all’esterno. Lo cercai
disperatamente, ma si
era già confuso tra la folla.
“I promise
you I will learn from my mistakes “
[Fix you –
Coldplay]
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Capitolo 2 *** Rock 'n' roll star. ***
Capitolo 1
“Tonight,
I’m
a rock ‘n’ roll star!”
[Oasis –
Rock ‘n’ roll star]
Mi guardai intorno tra la moltitudine di persone che
avanzavano in tutte le direzioni, munite di bagagli. Non era mai stato
bravo
con la puntualità, questo tratto l’avevo ereditato
da lui, ma mezz’ora di
ritardo mi sembrava troppo persino per mio padre. Cominciai a
preoccuparmi che
avesse capito male la data o l’orario. Ma proprio mentre
stavo per chiamarlo,
ecco che vidi la sua figura farsi largo verso di me. Abbandonai
bagaglio e
zaino per andargli incontro.
“Papa” gli buttai le braccia al collo “Tu
m’as manqué”
“Anche tu tesoro” disse dopo avermi baciato la
fronte “ma
parliamo in questa lingua. Il mio italiano è già
abbastanza arrugginito!”
Papà, o come era meglio conosciuto, il dottor Gustave
Fontaine, era un affascinante uomo di quarantasette anni. Una volta,
così
testimoniano vecchie fotografie, aveva avuto i miei stessi capelli,
castano
chiaro con sfumature mielate, che ora lasciavano il posto ad una chioma
brizzolata. Con lineamenti severi addolciti da uno sguardo gentile,
compensava
la bellezza sfiorita negli anni con un fascino orgoglioso.
“Com’è stato il viaggio?” mi
domandò una volta in auto.
Dall’aeroporto di Parigi eravamo in viaggio verso
Orléans, città natale di mio
padre.
“Mh” feci una smorfia al ricordo della scoperta
avuta poche
ore fa “poteva sembrarmi meno lungo. Giada ha di nuovo
inserito le sue canzoni
sul mio ipod. Ero davvero scocciata!”
Rise “A proposito, mi sembra strano che quest’anno
non sia
venuta anche lei. Come mai?”
Giada,mia migliore amica da tutta la vita, mi aveva sempre
tenuto compagnia durante i miei soggiorni in Francia. Quel
mostriciattolo
formato da un metro e cinquantacinque di dinamite adorava battibeccare
con mio
padre con la sua parlantina tagliente a proposito della ricca
borghesia, di cui
aveva un’opinione tutt’altro che buona, e mio padre
si divertiva a tenerle
testa, apprezzando il forte carattere della giovane sfrontata.
Sospirai “Sarà chissà dove tutta
l’estate. A quanto pare la
roba della band sta diventando una cosa seria”.
“Ma dai” disse mio padre sorpreso
“C’è sempre quel tipo,
come si chiamava?”
“Dario, papà” gli feci presente un
tantino irritata.
Dario, altro mio migliore amico, invece non era mai andato a
genio a mio padre. Pur avendolo incontrato poche volte durante una
delle sue
rare visite in Italia, non aveva mai visto di buon grado la sua
amicizia intima
con la sua unica figliola, ritenendo sconveniente un rapporto
così stretto tra
amici di sesso opposto. Poco importava per lui che in realtà
formassimo un trio
con Giada. Inutile dire che non mi era permesso di invitarlo per le
vacanze.
“Célie è su di giri per il tuo
arrivo” mi informò mio padre,
con l’intenzione di farsi perdonare “ci
starà preparando una cena che non
dimenticheremo facilmente!”
La profezia di mio madre si avverò e, dopo cena, gonfia come
un tacchino, mi gettai sull’amaca in giardino, beandomi della
brezza serale.
Mio padre mi raggiunse poco dopo.
“Ah, che cena, devi proprio venire a trovarmi più
spesso”
“E’ la tua cuoca papà” gli
ricordai divertita “non devi
aspettare il mio arrivo per farti preparare ciò che
vuoi”
“Ma sappiamo entrambi che Célie ha un debole per
te, e ti
preparerebbe qualunque cosa con più cura di quel che farebbe
anche se la
pagassi il doppio. Dopo tutto, come biasimarla, sei
adorabile” mi diede un
buffetto affettuoso sulla testa.
“Mi chiedo se lo penseranno anche i miei pazienti dopo che
li aprirò in due”
“A proposito di questo, volevo parlarti dei tuoi progetti
futuri”
“Credevo fossero già decisi” osservai
sorpresa.
“E’ sempre bene avere alternative. Le
università in Francia
sono ottime, ed ho buone conoscenze a Parigi. Con la tua preparazione
entreresti senza problemi”
E come non potrei, mi preparavo a diventare un chirurgo da
quando pesavo tre chili.
Ero confusa e in difficoltà. Mio padre mi guardava
speranzoso. Il suo sguardo si riempiva di orgoglio quando si posava su
di me e
questa era una delle mie più grandi soddisfazioni, avrei
preferito tagliarmi un
braccio piuttosto che dargli una delusione. Ponderai bene la mia
risposta
“Ci penserò” dissi infine.
Non sembrò contrariato ed ebbe abbastanza buonsenso da non
insistere e lasciar cadere il discorso su argomenti più
leggeri.
Quando infine ci scambiammo la buonanotte, mi recai in
camera mia, ritrovando con piacere il mio lettone. Un paradiso rispetto
all’angusta
cameretta a cui ero abituata in Italia. Mia madre era una donna troppo
orgogliosa per accettare soldi da mio padre, così ci siamo
sempre arrangiate
col suo stipendio da segretaria, ed ero ormai abituata a un tenore di
vita ben
diverso rispetto ai miei soggiorni ad Orléans. Mi sdrai
ancora completamente
vestita, pensando alle parole di mio padre. Vivere con lui sarebbe
stato un
sogno.Lo adoravo, e amavo quel
paese;
volevo bene a mia madre, ma avevamo caratteri troppo diversi per
costruire un
solido rapporto madre-figlia. I miei pensieri corsero però
immediatamente a
Giada e Dario, non potevo immaginare la mia vita senza di loro, erano
tutto per
me. Ma d’altronde, se il loro progetto sarebbe andato in
porto, sarebbero stati
ben poco a casa. Ma un’ultima riflessione mi tolse ogni
dubbio sulla decisione
da prendere. Mio padre era un chirurgo ben famoso nella zona, non
volevo far
carriera nella sua ombra.
Stavo giusto pensando alle parole da usare con mio padre
l’indomani per informarlo della decisione appena presa,
quando vibrò il mio
cellulare.
“Giada, finalmente!” risposi eccitata. Morivo dalla
voglia
di sentire loro notizie.
“Jules, non hai idea di cos’è
successo!” parlava in modo
molto veloce, come faceva sempre nei momenti di agitazione.
“Dimmi tutto!”
“Abbiamo un contratto! Abbiamo un contratto!”
“COSA? Giada ma è fantastico!”
“Lo so, lo so! Il nostro ep è piaciuto ad
un’etichetta
inglese! E sai qual è la cosa più
figa?”
“Ti ascolto”
“Prima di incidere il primo cd apriremo dei concerti, dei
concerti veri!”
“O mio dio, Giada, c’è un aggettivo
migliore di
fantastico?!”
“Non lo so, non lo so! Sta succedendo tutto così
in fretta!
Ma aspetta, ti passo Dario, continua a strattonarmi il
braccio!”
“Hey Jules, hai sentito?!” anche lui sembrava
parecchio su
di giri.
“Sono fiera di voi, ragazzi”
“Ma tu devi venirci assolutamente a vedere, non puoi
perderti la nostra prima, grande esibizione!”
“No che non posso, sono la nostra fan numero uno!”
“Dai piccola, se vieni subito potrai essere la nostra prima
groupie”
“Che onore!” risi
“quand’è il primo spettacolo?”
“Sabato prossimo. Pensi di farcela?”
“Sicuro!”
“Devo andare, alcuni membri dell’etichetta ci
portano a cena
fuori”
“Divertitevi!” lo salutai.
Pazzesco. Ero davvero felice ed orgogliosa di loro,
finalmente ce l’avevano fatta. Sognavano questo momento dalle
scuole medie, ed
io avevo seguito tutto dall’inizio. Mi rattristai
inevitabilmente però, al
pensiero di aver per sempre detto addio ad una fase della mia vita.
Niente sarebbe
più stato come prima. Non li avrei più visti
tutti I giorni e sentito
continuamente. Tornare a casa e vivere senza di loro era una
prospettiva
dolorosa, forse avrei dovuto riconsiderare la proposta di mio padre.
Dopo
l’entusiasmo iniziale, non potevo far a meno di sentirmi sola
e abbandonata.
Sarebbero stati sempre insieme, loro due.
La domenica successiva, come promesso, presi l’aereo per
Londra. Trovai Dario che mi attendeva, puntuale, un gran sorriso
stampato in
faccia.
“C’è un taxi che ci aspetta
fuori” mi informò dopo esserci
salutati con un abbraccio.
“A proposito, dov’è che
state?”
Sorrise. “Ci
hanno sistemato in un hotel. Tutto pagato! E che hotel! Ti
piacerà!”
Dario aveva ragione, l’hotel era magnifico. Non sapevo quasi
nulla di quell’ambiente, ma intuì che quella casa
discografica doveva essere
davvero molto importante. Dopo aver salutato anche quella piccola furia
di
Giada, ci rintanammo in camera di Dario insieme ad Emanuele, il
batterista.
Erano davvero eccitati per il concerto del giorno dopo.
“La location è enorme, capisci?! Non ci siamo mai
esibiti
davanti a tante persone!”. Giada sembrava preoccupata.
“Andrete alla grande, come sempre” la rassicurai.
“Non capisco proprio di cosa ti preoccupi, Giada. Saranno
tutti così presi dalla bellezza del chitarrista che ti
noteranno a pena”
scherzò Dario. Per tutta risposta Giada gli tirò
un cuscino dritto in faccia.
Ben presto la cosa degenerò in una lotta di cuscini in piena
regola. Sembrava
fossimo tornati ai primi anni delle superiori.
Passammo la serata insieme, divertendoci
come solo noi tre insieme
sapevamo fare.
Il giorno seguente fu ben diverso. I ragazzi, impegnati,
stettero via tutto il giorno, dispiaciuti di lasciarmi da sola per
così tanto
tempo. Li rassicurai e passai il tempo facendo un giro in
città. Non impazzivo
per Londra, troppo umida e nuvolosa, ma mi affascinavano i suoi palazzi
eleganti e i suoi
negozi tradizionali.
Quando fu arrivato il pomeriggio, andai in camera di Giada
per chiederle se avesse bisogno di una mano per prepararsi. Non rispose
e diede
un’occhiata ai miei vestiti. Portavo un jeans sobrio, con una
camicetta bianca
e un cardigan marroncino. Non
ci vedevo nulla di male.
“Che c’è?”
“Hai intenzione di venir vestita così?”
“Cos’ho che non va?” cominciavo a
sentirmi offesa.
“Vedrai” disse sistemandosi la minigonna scozzese.
Lasciammo
cadere il discorso abbigliamento e la aiutai con i capelli.
“Allora ragazze, come sto?!” chiese Dario entrando
nella
stanza. I capelli rossicci erano sparati in alto col gel.
“Sei uno schianto” commentai io, mentre Giada
fischiò.
Alle sei una limousine ci accompagnò alla location dove
avrebbero dovuto aprire il famoso concerto. Lì ci separammo
e mi diedero un
pass per permettermi di assistere al concerto da dietro le quinte. Ero
emozionata almeno quanto loro. Nervosa, non facevo che camminare avanti
e
indietro. Sentivo le urla della folla, già su di giri ancor
prima che iniziasse
il concerto. C’erano molte persone indaffarate con
amplificatori, chitarre e
roba simile. Non avrei mai immaginato che per allestire un concerto
servissero
così tante persone. Continuavo a camminare, agitata. E se
fosse successo
qualcosa? Se Dario fosse caduto o Giada. . . andai a sbattere contro
qualcosa,
o qualcuno.
“E stai attenta!”. Riconobbi il proprietario di
quella voce
arrabbiata in un ragazzo che avevo inavvertitamente buttato a terra. Mi chinai a tendergli una mano,
mortificata.
“Scusa, mi
dispiace. Non ti avevo visto” gli risposi in
inglese. Ignorò la mia mano
e si alzo da solo con un po’ di difficoltà,
poiché reggeva una chitarra. La
studiò per alcuni istanti, probabilmente cercando eventuali
graffi. Era un tipo
strano. Era un uomo minuto, poco più alto del mio metro e
sessantotto. Lineamenti
appunti, pallidissimo - da buon inglese-, capelli scuri acconciati in
un taglio
anonimo e un filo di barba. Ero vestito in modo alquanto appariscente.
Notai il
cartellino uguale al mio, doveva trattarsi di un tecnico. Speravo di
non aver rotto
qualche chitarra di Dario.
“La chitarra è a posto?” gli domandai
preoccupata. Mi
incenerì con lo sguardo. Se non fossi stata tanto offesa dal
suo comportamento
tutt’altro che garbato, avrei trovato i suoi occhi belli. La
forma era alquanto
anonima, ma erano di un colore straordinariamente azzurro.
“Sembra di
sì.” Rispose secco. Si giro e fece
per andarsene, ma dopo qualche passò
si volto ancora verso di me “Ti conviene spostarti, se non
hai niente di utile
da fare, prima di combinare qualche guaio” e senza aspettar
risposta questa
volta se ne andò sul serio.
“Ci mancava solo il tecnico coi complessi da
rockstar”
pensai. Ma non mi lasciai demoralizzare da quel piccolo incidente,
emozionata
com’ero dall’esibizione dei miei amici.
La band salì. Luca, il cantante, presentò
velocemente la
band prima di attaccare con la prima canzone. Erano nervosi, questo era
palese,
ma andarono alla grande. Dopo un’iniziale titubanza, Giada si
sciolse e iniziò
a correre per il palco col suo basso com’era solita fare.
Dario, notevolmente
più timido, si limitava a scoccare qualche occhiata
impaurita a quel pubblico
mostruosamente grande. Suonarono per un’oretta. Erano ancora
sconosciuti e il
pubblico era stato statico per tutta l’esibizione,
ricompensandoli con un
applauso poco entusiastico alla fine. C’era da aspettarselo.
Mi raggiunsero nel
backstage, sudati fradici.
“Come siamo andati?” chiese Dario nervoso.
“Siete
stati fantastici!”
“Hai visto il pubblico come ci ha accolti?” fece
Giada su di
giri.
“Sì” mentii “vi hanno
adorato.” Mi congratulai col resto dei
componenti, prima che un boato pazzesco ci stordisse tutti. La band
principale
era appena salita sul palco e la folla era in delirio.
“A proposito, non mi avete detto per chi aprivate!”
mi
accorsi in quel momento.
“Non lo sapevi?” disse Luca, sorpreso
“comunque sono i Muse.”
I Muse. . . sì, conoscevo un paio di loro canzoni. Guardai il palco: il
cantante si era
avvicinato al microfono e parlava col pubblico. Un momento. . . mi
venne un
colpo quando mi accorsi di chi fosse. Era il tizio che avevo schiantato
a terra
poco prima. Dario sbagliò ad interpretare la mia
espressione.
“E’ pazzesco che abbiamo aperto per LORO,
vero?”
“Già” risposi io, rossa di vergogna.
I ragazzi vollero fermarmi a vedere l’esibizione dei Muse,
commentando
di tanto in tanto.
“Andiamo?” dissi a concerto finito.
“Scherzi?” fece Giada “adesso voglio come
minimo
presentarmi!”
Mi agitai, nervosa, mentre i tre musicisti arrivarono dietro
il palco, dove ci trovavamo. Giada fu la prima a farsi avanti, sicura
di sé come
al solito.
“Siete
stati fantastici. I miei complimenti!” disse
con fare adulatorio. Non si
smentiva mai. Ma i tre sembrarono apprezzare, e la ringraziarono
cortesemente.
Giada fece segno agli altri di avvicinarsi. Me la sarei data a gambe
all’aria
se Dario non mi avesse preso per mano e sorriso con fare incoraggiante,
scambiando il mio nervosismo per timidezza.
Giada ci presentò uno ad uno. Il ragazzo con
gli occhi azzurri, che
scoprii chiamarsi Matt, assunse un cipiglio sorpreso quando mi
riconobbe. Feci
finta di nulla.
“Stiamo andando a farci qualche birra, venite?”
domandò il
batterista, un tipo magrolino ma con un gran sorriso, rivolto a Giada.
Dal modo
in cui la guardava era sottinteso che l’invito era
soprattutto per lei. Ma gli
altri non si sarebbero mai lasciati scappare l’occasione di
andare a bere con
una famosa rock band.
“Certo! Dove
si va?” disse Luca con entusiasmo, scordandosi che in
Inghilterra non aveva l’età
per bere. Il batterista scrisse un indirizzo su un pezzo di carta che
consegnò
a Giada, e ci diedero appuntamento lì. L’autista
che ci aveva accompagnato quel
pomeriggio sembrava essersi dissolto nel nulla, quindi chiamammo un
taxi. Il
locale, almeno dall’esterno, sembrava molto alla moda. A
conferma di ciò, un
gruppo di ragazzi vestiti di tutto punto stavano proprio in quel
momento per
entrare. Ci guardammo, a disagio. La band indossava ancora gli abiti
con cui si
erano esibiti, più adatti a un ghetto punk che ad un locale
chic. Mi trattenni
dal rinfacciare la cosa a Giada, non volendo rovinarle
l’umore in quel giorno
tanto importante.
“Qualche regola non scritta non impone che durante i primi
anni dobbiamo sbronzarsi in qualche pub malfamato dopo gli
show?” fece Emanuele.
Gli altri annuirono, d’accordo con l’amico.
“Andiamo
ragazzi! Non vorrete restare qui tutta la
sera?” disse Giada, aprendo la
porta del locale. Dario allacciò di nuovo la sua mano nella
mia e la seguimmo.
Spazio
del Blablabla
Ringrazio theresistance
e CheccaWeasley per
aver commentato il prologo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Ringrazio anche tutte le persone che hanno letto ed aggiunto questa
storia tra le seguite.
Al prossimo capitolo! ;)
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Capitolo 3 *** We been dancing ***
Capitolo
2
We've
been dancin' with Mr. Brownstone
He's
been knockin', he won't leave me alone, no, no, no
Won't
leave me alone
[Guns and roses - Mr. Browstone]
"E'
stato assurdo! Credevamo che non potessimo mai trovare quello giusto ma
alla fine, proprio l'ultimo giorno dei provini, arriva questo tizio
che..."
Con un ultimo sorso svuotai il mio drink, maledicendomi. Dovevo proprio
attaccare bottone con questa donna?
"Ma davvero? E poi?" le chiesi in maniera educata. Forse se avessi
trovato un modo non troppo sfacciato per fissarle le tette, avrei dato
un senso a quella conversazione. In effetti, poteva anche avere seri
problemi di logorrea e un fastidioso accento americano, ma il suo
chirurgo plastico ci sapeva fare.
"Matt!" Chris, grazie al cielo. Ma il mio salvatore non era
venuto da solo. Dietro di lui c'era la band di apertura delle date
inglesi che aveva ingaggiato il nostro manager. Si trattava di tra
ragazzi, uno dai capelli rossi, un tipo magrolino dai capelli ricci e
un tizio bassino con problemi di cute, insieme alla ragazzina
adocchiata da Chris e alla loro amichetta scontrata nel backstage.
Fantastico, lui vuole rimorchiare e io devo fare il babysitter.
"Ricordi gli Hurricanes?".
"Ma certo". Gettai un'occhiata alla band, per poi passare alla ragazza
che qualche ora prima stava per rompermi l'osso del collo. Quella,
imbarazzata, abbassò subito lo sguardo.
"Io e Giada abbiamo voglia di ballare, te li affido Matt!" e si
dileguò trascinandosi dietro la nuova conquista prima che
potessi proferir parola. Dannato Chris.
"Prego, sedetevi!" li invitai indicando un divanetto libero dinanzi al
mio. "Vi presento Cloeh. Cloeh, una delle band più
promettenti degli ultimi anni" I volti dei ragazzi si illuminarono a
quest'ultima affermazione. "Se sapessero che non ho neanche idea di che
genere suonino" pensai divertito tra me. Cloeh ne fu entusiasta, e
iniziò subito una discussione animata con i ragazzi. Quando
si dice due piccioni con una fava.
"Vado a prendere da bere" feci ad un certo punto alzandomi.
"Visto che ci sei, prendi qualche bicchiere anche per noi?" chiese uno
degli Hyrricanes, il ragazzo dai folti capelli ricci.
"D'accordo". Nient'affatto sicuro di star facendo una cosa legale, mi
diressi verso il bancone.
"Una bottiglia di vodka e una di scotch al tavalo 4 per favore" dissi
al barista, poggiando una banconota sul tavolo.
Ritornai ai divanetti, e notai che la conversaione era ancora in corso.
O meglio, Cloeh parlava a sbaffo e i ragazzi la guardavano con aria
ebete. Solo la ragazza continuava a guardarsi intorno con aria nervosa,
evitando accuratamente di incrociare il mio sguardo.
Il cameriere arrivò portando le ordinazioni. I ragazzi
sembravano confusi.
"Qualcuno poco fa non aveva parlato di qualche birretta?"
domandò quello con i capelli rossi, scrutando con diffidenza
l'elegante bicchiere di vetro dinanzi a se.
"Non credo ce l'abbiano". Sperai vivamente che Chris non facesse
cilecca e rendesse inutili le noie di quella sera.
Due signore strette in abiti succinti si avvicinarono, interrompendo la
discussione sui drink.
"Cloeh" dissa una di loro dai tratti asiatici "ci spostiamo
all'Optimum, vieni?"
"Volete unirvi a noi?!" ammiccò Cloeh rivolta ai ragazzi.
"Certo!" Fece subito il riccio alzandosi.
"Vengo anch'io!" l'imitò l'amico. Scambiarono due parole -in
italiano? spagnolo?- con il rosso e la ragazza, prima di andarsene su
di giri con le signore.
La bottiglia di vodka non era neanche a metà quando perdemmo
anche l'ultimo ragazzo.
"Un messaggio dal capo dell'etichetta, faccio una chiamata e torno
subito!" si giustificò.
"Fa' presto!" si raccomandò la ragazza con sguardo
implorante.
La ragazza si versò da bere, cercando evidentemente qualcosa
con cui tenersi occupata. La osservai meglio, non era niente male.
Aveva lunghi capelli ondulati, lasciati sciolti sulle spalle. Il colore
sembrava marroncino, ma non potevo esserne sicuro con quella scarsa
luce. Il viso aveva tratti delicati; gli zigomi poco pronunciati erano
compensati da un'inusuale forma delle labbra.
Restai volutamente in silenzio, ridendo sotto i baffi del suo
imbarazzo, e mi riempii anch'io il mio bicchiere. I minuti correvano,
ed il rosso non tornava. Restavamo ostinatamente in silenzio,
continuando a bere. Sembrava esser diventata una gara. Buffo.
Già davvero molto divertente. Sarà per questo che
eravamo scoppiati a ridere come due idioti? Ma che ci facevamo seduti
lì?
"Vuoi ballare?" le domandai, asciugandomi con l'indice una lacrima
dall'occhio.
"Perché no". Si alzo traballando dal tavolo, e la sorressi
con un braccio. Era poco più bassa di me.
Ma c'era anche prima così tanta confusione del locale?
Qualcuno aveva alzato la musica o era soltato una mia impressione?
Arrancammo, spintonati qua e la, in un angolo della pista da ballo.
Poggiò le spalle contro il muro, cercando un equilibro che
in quel momento la sua mente annebbiata non poteva darle. Le misi le
mani lungo i fianchi, e di rimando lei intrecciò le sue mani
dietro il mio collo. Un attimo dopo la stavo baciando. Un attimo dopo
le nostre mani esploravano il corpo dell'altro in maniera poco casta.
Un attimo dopo eravamo in una limousine parcheggiata fuori il locale,
senza vestiti.
Raccolsi la mia camicia e la poggiai su di lei, per coprirla. Si era
addormentata. Sembrava davvero ubriaca, molto più di quanto
lo fossi io.
"Spero almeno che sia maggiorenne" pensai subito prima di
addormentarmi.
Finalmente riesco ad
aggiornare! Lo so, questo capitolo è brevissimo, ed
è anche di dubbia qualità. Non mi convince
affatto, ma ho pensato di postarlo lo stesso data la lunga assenza.
Fatemi sapere che ne
pensate.
Prometto che il prossimo
capitolo sarà più lunga e ben fatto, per farmi
perdonare ;)
Alla prossima!
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