Di delitti imperfetti e funerali in giardino di wari (/viewuser.php?uid=83330)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** parte prima ***
Capitolo 2: *** parte seconda ***
Capitolo 1 *** parte prima ***
Sono
stata tentata di sostituire molte frasi di questa cosa con delle
sonore pernacchie, perché tanto avrebbero avuto più o meno lo
stesso senso logico, ma beh, alla fine eccoci qua. Utopico Allegro
Mondo Perfetto condito di demenziale a profusione, paragrafi
irrilevanti e il solito Naruto Due (che è il gatto, non vi
sbagliate). Ciò detto, buona fortuna.
Di
delitti imperfetti e funerali in giardino
(parte prima)
Nel
vecchio quartiere del ventaglio ci sono così tanti problemi che,
alle volte, verrebbe voglia di andare a chiedere a Pain perché
diavolo non abbia concluso il lavoro e si sia preso la briga di
buttarlo giù del tutto.
Sono
attimi fugaci di insofferenza per i quali, poi, Sasuke prova un senso
di colpa opprimente e mortale e si ravvede trascorrendo le giornate a
cercare di far funzionare il quadro elettrico, riparare il tetto e
convincere le ante dei mobili a lottare contro la gravità per
qualche altro giorno.
È
una cosa abbastanza maniacale, ma Naruto passa, saluta e non dice
niente; oppure passa, saluta e fa «vuoi una mano?», e se anche
Sasuke non risponde, troppo impegnato a scrostare lerciume da sotto
il lavello e a capire perché diavolo di ogni cosa che aggiusta
avanzi sempre un pezzo, gli si piazza accanto, porge arnesi, regge
pezzi e tiene la torcia.
Più
spesso, invece,
la casa sembra così enorme che Sasuke perde forze solo a cercare di
capire da cosa sarebbe meglio iniziare per convincerla a restare in
piedi; e la questione peggiora quando ci si mette anche l'estate, con
temperature del tipo che salire due gradini è facilmente
paragonabile all'assunzione di una doppia dose di valium a stomaco
vuoto.
Per
sopravvivere, il ninja medio deve necessariamente mettere in atto una
serie d'espedienti e strategie volte ad impedirsi di stramazzare sul
tatami ad ogni passo: e quindi Sasuke ha abilmente superato una
nottata di caldo torrido dormendo in posizione seduta fuori,
sull'engawa, avendo cura di scacciare il gatto ogni volta che
minacciava di saltargli in grembo per ammorbarlo col suo spasmodico
bisogno d'affetto ed il suo pelo caldo; si è fatto tre bagni in un
lasso di tempo drammaticamente breve; ha fatto colazione coi
ghiaccioli comprati da quel jinchuuriki idiota che riempie frigo e
credenza di dolciumi e, al millesimo miagolio insofferente, si è
fatto un quarto bagno portando il gatto con sé.
Ed
è stato lì che è successo il fattaccio.
Sasuke
di gatti se ne intende: gli piacciono, tutto sommato, più di molti
altri animali. Ne ha visti abbastanza nella sua vita, che fossero
gatti comuni o gatti ninja, e li ha sempre trovati delle creature
sorprendentemente interessanti: pigri, sufficientemente spocchiosi,
spesso intrattabili senza alcun motivo apparente, maliziosi e sempre
con quell'aria di superiorità impressa nell'angolazione delle code
erette o nei profili da statue troppo prese a contemplare l'universo
per preoccuparsi di inezie terrene, almeno fino all'ora di pranzo.
Tutte
queste considerazioni, più che altro inconsce – non è che si sia
messo a studiare i gatti per hobby: non ne ha mai avuto il tempo –,
l'hanno fatto giungere alla conclusione che, semplicemente, Naruto
Due non è un gatto.
Non
lo è. È troppo, troppo
idiota.
Un
gatto, un gatto vero, non ti segue come un ombra dondolante mentre
deambuli in giro per la casa cercando di costringerti a non espellere
troppi liquidi corporei; un gatto vero non ha quella faccia da scemo
contento di vivere, quando entra a contatto con tre metri cubi
d'acqua; un gatto vero non ti intralcia continuamente il cammino e
non lascia pozzanghere scivolose sulla traiettoria del tuo piede
sinistro proprio mentre ti issi fuori dalla vasca e, soprattutto, un
gatto vero non sgrana gli occhi con espressione colpevole identica
sputata a quella di Uzumaki Naruto – arancione, baffi e tutto –
quando il tuo tallone slitta sull'acqua e, con un movimento
impacciato che è quanto di più lontano possa esserci dalla natura
di un ninja, il tuo corpo si sbilancia all'indietro e la tua testa va
a sbattere dritta contro il rubinetto, smontandolo. Non lo fa, punto.
«Io
ti odio»
scandisce Sasuke, sepolcrale, il sedere dolorante, lo spruzzo d'acqua
ormai fuori controllo che gli fischia appena accanto all'orecchio ed
un piede a bordo vasca.
Naruto
Due, degnandosi di prendere finalmente la prima decisione
intelligente della giornata, abbassa le orecchie contrito e schizza
via, la coda tra le gambe.
Sasuke
non è un idraulico e la sua pazienza era esaurita ben prima che il
sole sorgesse sul monte degli Hokage, quella mattina. A dire il vero,
lo era anche ben prima che Naruto avesse la stupida idea di
convertirlo alla pace e all'amore, un infausto giorno di tre anni fa,
ma quella è un'altra faccenda. Adesso, adesso ora,
il problema è che Sasuke non ha pazienza, ha un bernoccolo grosso
come un melone sulla nuca, un gatto da ammazzare ed un bagno
allagato.
«Bene»
sibila, scrutando torvo lo stato di sfacelo in cui versa la stanza.
Avanza di qualche passo brandendo con sicurezza chiave a stella e
saldatrice: non ha bene idea di cosa dovrebbe farci di preciso, ma
tanto non c'è nessun essere inutile imbustato in qualche tuta
arancione che possa prenderlo per i fondelli al riguardo, quindi
procede, sicuro di sé. Aggira lo spruzzo, che ha da tempo centrato
in pieno l'armadietto dei medicinali causando l'agonizzare in terra
di boccette e quant'altro, dribbla il cumulo d'asciugamani che lui
stesso ha messo a terra nel vano tentativo d'assorbire un po' d'acqua
e si prepara all'attacco.
C'è
la parte divelta di rubinetto che annaspa sul fondo della vasca
strapiena, deformato dagli strati d'acqua sovrastanti.
Sasuke
emette un impercettibile sbuffo, il pensiero tutto rivolto alla
catartica vendetta che riverserà su quell'imbecille del gatto – da
consumare prima che torni Naruto a ricordargli con la sua voce
petulante che vendicarsi contro animali e oggetti inanimati è un
chiaro sintomo delle sue notevoli nevrosi, e che quindi sarebbe il
caso di ricominciare a prendere gli psicofarmaci – e immerge il
braccio fino al gomito. Le sue dita incontrano il metallo e lo tirano
su, ma anche se avere un utile pezzo in mano dovrebbe portare
automaticamente avanti l'ardito progetto di riparazione che Sasuke
aveva in mente, la faccenda non sembra funzionare granché: c'è il
getto violento che crea un po' di problemi, quando si cerca di
tapparlo col rubinetto, e mettersi ad avvitare pezzi di metallo
mentre l'acqua ti si ficca in ogni orifizio della faccia non è
esattamente agevole, soprattutto se la tua pazienza era finita già
dal mattino, e da tre anni, e poi se l'è mangiata il gatto.
«Dannazione»
mastica Sasuke, e gli ultimi residui di pazienza vengono espulsi tra
gli incisivi serrati.
Sta
per imprecare, o usare il chidori – sì, in un bagno allagato,
giusto per ribadire la sua già nota propensione all'errare congenito
– quando di colpo, proprio mentre lui sta facendo forza contro la
pressione dell'acqua col palmo della mano, la spinta del getto si
smorza di colpo, facendolo quasi cozzare con la testa contro le
piastrelle.
«Eh?»
articola, mentre l'acqua si riduce rapidamente ad un unico rivolo
annaspante e sparisce del tutto, giù nel tubo.
Sasuke
resta così, con le sopracciglia ad un millimetro dalla parete, il
pezzo di rubinetto stretto in mano e le ginocchia in acqua.
«Eh?»
ribadisce con più impegno, quando nessun segno celeste si degna di
spiegare l'accaduto.
Circospetto,
la frangia zuppa appiccicata alla fronte aggrottata, si avvicina a
quel che resta del rubinetto e spia con un occhio nel buco.
Niente.
Neanche
la soddisfazione di essere vittima d'una scenetta comica di bassa
lega, con spruzzo ad alta pressione in modalità accecamento. No:
Sasuke Uchiha resterà una persona seriosa che vive in una grande
casa buona per la demolizione, a far fronte all'ennesima emergenza
idrica. Col caldo che fa, l'acqua gli è già evaporata da dosso e
quella che si spande in pozze fuori dalla vasca, tra asciugamani
zuppi e chincaglierie varie – delle mutande arancioni navigano
solinghe in direzione del water – si sarà già riscaldata.
Costernato,
Sasuke resta ad osservare l'acqua che attorno a lui si ritira nello
scarico, vorticando in mulinelli discreti mentre il livello scende
sempre più giù, sotto la vita, poi a mezza coscia, fino a rimanere
un filo sotto le ginocchia e lasciare l'ex nukenin immobile nel
mezzo d'una vasca vuota, le gambe pesanti sotto il peso dei pantaloni
zuppi.
Fa
caldo. Fa davvero troppo caldo, è inconcepibile.
I
pantaloni gli si sono asciugati addosso e adesso gli graffiano le
gambe con la loro rigidità un po' feltrosa, ogni volta che fa un
passo. Sasuke sbuffa, fiacco, e scarta l'ultimo ghiacciolo al limone:
è comunque troppo
dolce, ma sicuramente più appetibile di quelli alla fragola che
sanno di zucchero e sciroppo per la tosse. Ed è un dramma,
considerato che quello è rimasto l'unico alimento commestibile in
casa, a parte gli onnipresenti cumuli di ramen e due pomodori
agonizzanti.
Praticamente
sciolto sull'engawa, nell'unico angolo d'ombra in cui comunque tirano
quaranta gradi di solido caldo, il cervello assopito di Sasuke è
ancora molto concentrato sul male che dovrà fare al gatto – gatto
che se l'è chiaramente filata mollandolo da solo, cosa che dopotutto
fa pensare che la bestiaccia conservi quantomeno un po' di spirito di
sopravvivenza –, ma un quarto d'emisfero si sta ingegnando per
capire come sopravvivere all'emergenza idrica.
E
no, non funziona.
«Troppo
caldo» delibera non molto brillantemente, seguendo quella linea di
pensieri sciolti e bofonchiando in direzione di Ukki, la pianta
preferita di Naruto.
La
pianta preferita di Naruto, quella che lui tratta come una figlia,
quella che, quando i due abitanti del quartiere sono via in missione,
viene scarrozzata assieme al gatto nelle affidabili mani di Santo
Iruka, in compagnia di qualche altro vasetto congruamente iscritto
all'anagrafe immaginaria cui Uzumaki Naruto fa partecipare ogni
essere vivente che lo circondi.
Ukki
è stata la prima vera prova dei seri disturbi sociali del
jinchuuriki, la prima reale conferma di una scomoda verità sempre
taciuta nella cerchia di amici e colleghi, in nome dell'affetto che
tutti provano per lui: Naruto è disturbato.
Certo,
in molti danno semplicemente la colpa a Sasuke: la loro stessa
relazione potrebbe essere facilmente inserita in un composito quadro
di disturbi comportamentali dell'una e dell'altra parte, ma è chiaro
che Sasuke non sia la sola causa di tutte le assurdità uzumakiane. È
stato più che altro un fattore scatenante, un allergene che ha dato
vita ad una serie di reazioni concatenate di violenza tale da
sfuggire al controllo di loro stessi in tempo record.
Sasuke
ha un sacco di colpe – centinaia di colpe, una più pesante
dell'altra e nessuna completamente riparabile – ma se c'è una
cosa per cui proprio non può essere accusato, è la faccenda delle
piante.
Non
che sia qualcosa di particolarmente inquietante, perché un bambino
che cresce da solo in un monolocale avrà effettivamente bisogno di
sfogarsi in qualche modo, ma Sasuke trova comunque ancora vagamente
preoccupante il modo che Naruto ha di accarezzare le foglie chiare e
brillanti di Ukki, mentre le somministra del fertilizzante preparato
in casa con ingredienti oscuri – si sospetta anche feci
di Naruto Due – raccontandole allegro della sua giornata.
Certo,
Sasuke non ha mai espresso questo insano desiderio a voce alta, ma si
dà il caso che sarebbe ben più normale se fosse lui,
l'interlocutore di quelle lunghe chiacchierate: tanto Naruto non
necessita di risposta, dato che può anche rivolgersi ad una pianta,
no?
No,
a quanto sembra. E non ci si può lamentare d'una cosa del genere,
non quando solo un paio d'anni fa eri tu
quello che parlava da solo con la gente morta e credeva di vedere
cose che stavano solo nella sua testa. Insomma, probabilmente
chiacchierare con le piante è molto meno grave, se si è costretti a
stabilire una scala di valori; ma comunque non completamente
rassicurante della sanità mentale di un individuo, ecco.
Ma
non c'è nulla da fare: quando si cerca di farglielo notare, o si
minaccia distrattamente una possibile dipartita del tutto accidentale
della simpatica pianta, Naruto elargisce sguardi offesi e sussurra
col naso tuffato tra le foglie, materno: «lascia perdere il brutto
nukenin mangiabambini, Ukki chan. Ci penso io a tenertelo lontano».
Ukki
non è una pianta: Ukki è la
pianta, un essere vivente cui Naruto ha dedicato molte ore della sua
vita, un essere vivente sensibile e delicato su cui il jinchuuriki ha
riversato tutto il suo affetto inespresso di bambino solo: Ukki è
viva.
Cioè,
lo era.
Nell'unico
angolo ombroso dell'engawa inondato di sole che corre attorno a casa
Uchiha, si sono susseguite una serie di azioni inutili nella
praticità, ma assolutamente necessarie perché Sasuke riacquistasse
completa padronanza di sé: l'ex nukenin ha sgranato gli occhi, si è
soffocato con l'aria nel più totale silenzio, ha emesso un flebile
rantolo di costernazione e poi s'è alzato di scatto, imprecando sia
perché la pressione sotto le scarpe gli ha regalato qualche secondo
di visuale fuori fuoco, sia perché – cosa ben più grave – ha
finalmente inquadrato per intero la gravità della situazione.
Ukki,
Ukki
chan,
giace esanime nel vaso, la chioma smorta e floscia che penzola
immobile oltre il brodo, il colorito pallido e marroncino: sembra una
verza cotta, ha la stessa puzza di una verza cotta e se ne sta lì,
le foglie sottili e pesanti, svenute.
E
non è tanto questa la cosa grave, quanto piuttosto l'innegabile,
incontrovertibile realtà dei fatti: Ukki era sotto la sua diretta
responsabilità.
Quando
Naruto è in missione, solo due cose sono richieste espressamente a
Sasuke: non uccidere il gatto e innaffiare le piante. Sono in fondo
due richieste non troppo impegnative, qualcosa di semplice che
chiunque potrebbe fare anche senza delle direttive precise, e invece
Naruto spende comunque quei dodici secondi della sua esistenza per
ricordarglielo. Non è in ansia, ma lo fa comunque perché ci tiene,
perché crede che sia suo dovere occuparsi di gatto e piante e che
quindi, quando lui non può per cause di forza maggiore, sia comunque
suo dovere far in modo che gli altri abbiano invece la possibilità
di farlo in maniera il più possibile agevole.
Sasuke
ce l'aveva, la possibilità di farlo. Ce l'aveva, ma se n'è
scordato.
«Merda»
impreca, chinandosi a guardare il vaso. Niente: anche a girarlo in
tutte le direzioni, la pianta non si alza.
«Merda»
ribadisce, mordendosi il labbro.
Si
tira in piedi e va in cucina, svelto; nel frigo sono rimasti degli
avanzi di sugo, dei pomodori agonizzanti, una confezione di latte e
due bottiglie d'acqua: ne tira fuori una e quasi si scartavetra una
mano cercando d'aprirla.
«Merda»
ripete, con una nota d'esasperazione: non è possibile che non riesca
ad aprire una bottiglia, è senza senso. O forse ha le mani troppo
sudate.
Fa
un respiro profondo, afferra un lembo della sua stessa maglietta e ci
avvolge il collo della bottiglia, per svitare il tappo senza farselo
scivolare sotto le dita; poi scatta in direzione della finestra.
Ukki
è ancora lì, e sembra più morta ogni minuto che passa.
Sasuke
afferra il vaso con decisione, si accascia in ginocchio e ci svuota
dentro mezza bottiglia d'acqua in un colpo solo; poi aspetta che le
radici facciano il loro lavoro.
Aspetta.
Aspetta.
Versa
il resto dell'acqua, che inizia a colare sia da sotto che dai bordi.
Aspetta
ancora.
«Merda»
sibila, le labbra sempre più contratte. L'acqua non scende, sta lì
a fare melma. Qualche fogliolina morta si stacca e naviga giù,
colando sull'engawa sotto lo sguardo costernato di Sasuke.
Non
si spreca neanche più a imprecare, l'ex nukenin, e l'unica cosa che
gli viene in mente di fare è un collegamento completamente illogico:
pianta in fin di vita – no, non
può
essere morta – va portata da qualcuno che possa rianimarla. E dato
che non c'è Orochimaru a portata di vista, e neanche Kabuto –
forse perché tecnicamente sono entrambi alquanto morti – dovrà
arrangiarsi con quel che offre Konoha.
Afferra
il vaso con due mani e si alza in piedi, provocandosi la contrattura
di un paio di vertebre e facendosi colare la fanghiglia addosso. Non
ci fa praticamente caso, fa dietrofront e attraversa il soggiorno in
un frusciare di foglie smorte, per aprire la porta di ingresso con la
schiena, intimamente soddisfatto d'averla lasciata aperta come al
solito – come Naruto detesta che faccia.
Si
accorge di aver dimenticato i sandali quando ormai ha già
attraversato quel che resta del vecchio ingresso del ghetto, e
sinceramente non riesce neppure a restarne troppo turbato, anche se
sotto le piante dei piedi il suolo scotta abbastanza.
Si
schiaffa la pianta sotto un braccio e corre, neanche dovesse seminare
una squadra di genin mandata ad impedirgli di tradire il Villaggio.
Poco
dopo la pausa pranzo, è il momento che Sakura preferisce:
solitamente i pazienti sono sonnacchiosi, specie con questo caldo, e
l'ospedale sembra entrare in una bolla di tranquilla staticità,
enormemente rilassante rispetto alla consueta frenesia.
Sakura
finisce di ripulire il suo bento con calma, un po' annoiata per
l'assenza di Ino, che ha la giornata libera e sta in negozio, e dà
un'occhiata all'orologio. Sono le tre meno un quarto: ha ancora una
decina di minuti di sosta.
Fa
per recuperare la sua borsa ed estrarne un libro dall'aspetto
malconcio, quando una serie di passi affrettati lungo il corridoio ed
un paio di richiami concitati la sorprendono così, col libro in mano
e il collo teso in direzione della porta.
«Sakura!»
fa una voce bassa ma imperiosa.
Sakura
sgrana gli occhi ed è seriamente tentata dal mettersi sull'attenti,
prima di ricordare che no, non ha dodici anni, Uchiha Sasuke è un
imbecille – il suo imbecille, come lo è Naruto. E nessuno
s'azzardi a dirlo di fronte a lei – e non c'è alcun bisogno di
farsi prendere da qualche sciocco batticuore, tanto più che, se
Sasuke arriva in ospedale alle tre del pomeriggio e la chiama con una
certa urgenza, la situazione può essere tutto fuorché piacevole.
Ed
è infatti con notevole apprensione che Sakura molla il suo libro e
si affaccia, in fretta, solo per inquadrare la figura lunga e
accaldata di lui, nascosta dietro ad una sorta di ingombrante ciotola
piena d'erbacce che cola fango tutt'intorno, tra gli insulti di un
inserviente che si è già messo a pulire il corridoio blaterando di
malasanità e presunta sterilità dell'ambiente ospedaliero.
«Sasuke?»
domanda, seriamente preoccupata.
Ecco,
è uscito di nuovo di brocca, stavolta definitivamente: è pure
scalzo. Adesso le verrà a raccontare che nella bacinella di fango
c'era la testa di Madara che cercava di circuirlo con voce suadente.
«Devi
aiutarmi» ribatte il pazzo, arrivandole davanti, serissimo e
chiaramente in difficoltà. E Sakura sbianca, perché se Uchiha
Sasuke, serissimo, ti chiede d'aiutarlo, significa proprio che la
situazione è disperata.
Nella
mente della kunoichi si aprono una serie di scenari terrificanti, con
nuove minacce al Villaggio, al Paese, al mondo intero.
«Io...
entra» conclude, cercando di calmarsi. Sasuke annuisce e la precede
nello stanzino ingombro di scartoffie, mentre lei si scusa frettolosa
con l'inserviente e chiude la porta.
Fa
scattare la maniglia e segue con lo sguardo le impronte polverose e
le gocce di fango che conducono ai piedi scalzi di Sasuke; lui ha
appena poggiato la bacinella sul tavolo di metallo che sta accostato
alla parete e se ne sta lì, coi capelli neri a ricadergli davanti al
viso, la linea delle labbra tesa e i pugni serrati.
E
nessuna di queste cose è un buon segno.
Si
volta e la guarda, senza riuscire ad articolare verbo.
Sakura
ricambia lo sguardo con decisione e si avvicina per esaminare la
bacinella, che non è una bacinella: è un vaso.
«Sasuke»
respira, ritrovandosi per un attimo senza forze. «Questo
è Ukki».
Lui
non risponde, le pupille incollate alle foglie flosce che
praticamente galleggiano nel terriccio misto ad una quantità
spropositata d'acqua e ricadono pendule da ogni lato, come alghe
bagnate.
«Ah,
è maschio?» borbotta l'ex nukenin, a disagio.
Sakura
alza gli occhi al cielo e trae un profondo respiro.
«Non
è questo il punto» mastica, trattenendosi dall'urlare – è
Sasuke, ci vuole pazienza:
è Sasuke
– e cercando piuttosto d'assumere un tono tranquillizzante. «Come
hai fatto a ridurlo così? Non puoi innaffiarlo così tanto, ci
sono... le piante non vanno innaffiate così tanto!»
«Lo
so, cosa credi? Non l'ho... ho dimenticato di... invece di decidere
di chi è colpa, perché non fai qualcosa?» risolve, con una nota
d'isteria incastrata in gola e tradita dal gesticolare nervoso delle
mani – solo quelle, tenute giù oltre la cintola.
Sakura
lo guarda e respira. Poi respira di nuovo, ricordando che spiegare a
Sasuke il concetto di responsabilità personale – non c'è bisogno
d'aprire un caso giuridico: è ovvio
che sia colpa sua, se Ukki è in quelle condizioni – è un'assoluta
perdita di tempo, e può avere solo conseguenze distruttive sulla sua
già disagiata psiche. Perciò ignora semplicemente l'intera
questione e si concentra sull'assurda richiesta.
«Sasuke,
io sono un medico» dice, guardandolo dritto negli occhi. E quando
lui aggrotta le sopracciglia e fa per ribattere aggiunge «un medico,
un dottore per persone. Converrai con me che c'è una certa
differenza tra un uomo ed una pianta».
Sasuke
stringe le labbra e borbotta «però il capitano Yamato lo curi»,
sostenuto.
Sakura
si trattiene dallo strabuzzare gli occhi e preferisce poggiargli
cautamente una mano sull'avambraccio.
«In
ogni caso, credo ci sia poco da fare, ormai» suggerisce, con voce
comprensiva ma in tono definitivo, come avesse appena diagnosticato
una malattia mortale ad un paziente e lo stesse comunicando ai
familiari.
Sasuke
le rivolge un'occhiata seriamente preoccupante, esattamente come il
familiare di qualcuno cui sia appena stata diagnosticata una malattia
mortale, appunto; Sakura deglutisce.
«Ma
è Ukki» riprende l'ex nukenin, distante. «Se fosse morta
quell'altra lì, quella specie di cactus che ha comprato due mesi fa,
sarebbe stato tragico, ma non devastante. Questa... questo
è Ukki. Io
non posso avergli ucciso Ukki»
conclude, costernato, parlando più tra sé e sé che con Sakura.
«D'accordo.
Stiamo calmi» fa lei, aggrottando le sopracciglia. La pianta ha
macchiato diversi dei fogli che erano sul tavolo e acqua sporca
continua a filtrare dai buchi sul fondo del vaso. «Forse potresti
portarla da Ino» propone, mordendosi l'interno della guancia, mentre
con un indice dubbioso cerca di tirare su qualcuna delle lunghe
foglie.«Ma l'hai lasciata a friggere con questo caldo?» si lascia
sfuggire, in un mugolio.
Sasuke
soprassiede, facendo finta di non sentirla.
«Yamanaka
potrà servire a qualcosa per una volta nella vita?» mastica, aspro,
meritandosi un'occhiataccia di rimprovero.
«Non
se non cerchi almeno di essere gentile» lo ammonisce Sakura, severa.
«Ino è in gamba, e se c'è qualcuno che si intende di piante quella
è lei. Va' e comportati come si deve» delibera, decisa, ma senza
incrociare il suo sguardo. Fortunatamente, lui è ancora troppo preso
dalla pianta e non si accorge né della nota tremante nella voce di
Sakura, né del rossore che le è salito in viso: è sempre così,
tanto è facile cazziare Naruto anche per le cose più sceme, tanto è
difficile contraddire Sasuke o, peggio, cercare di rimproverarlo
quando lui fa cose completamente ai limiti della legalità o del buon
senso. E succede almeno una volta al mese, quando va bene.
«Da
Yamanaka» ripete l'ex nukenin, traendo un respiro un po' più
profondo. Poi si sistema di nuovo il vaso tra le braccia, aiutato da
Sakura, che gli sposta un po' di fogliame da davanti al viso,
premurosa.
«Ma
non ci sperare troppo» aggiunge, materna.
Sasuke
mette su una mezza smorfia, ma non dice niente. L'istante dopo è già
in corridoio a farsi urlare dietro dall'inserviente.
Sakura
resta in piedi davanti alle cartelle imbrattate di fango e sospira,
prima di rinfilarsi il camice e cominciare il turno con quasi cinque
minuti di ritardo.
Konoha
è un posto stupido pieno di gente stupida e, se c'è una cosa che
Sasuke detesta, è andare in giro per il villaggio e scoprire di non
ricordare minimamente dove dovrebbero essere certi edifici una volta
noti. Grazie a Pain, ovviamente, e anche a quel capitano Yamato che
sarà pure abile a tirar su case dal niente, ma in quanto a fantasia
non si è sprecato più di tanto, e molti edifici si somigliano
lasciando ai passeggiatori non abituali la sensazione di star
camminando sempre nello stesso posto.
Quando
finalmente avvista l'insegna del negozio di fiori Yamanaka, Sasuke si
è già fatto un buon pezzo di strada più del dovuto, scottandosi i
piedi, sudando e attirandosi le occhiate tra il perplesso e
l'inorridito di una buona metà dei passanti, quelli che non si sono
semplicemente limitati a distogliere lo sguardo dalla sua pericolosa
nonché riprovevole persona come di consueto.
Sasuke
si pianta davanti alla porta a vetri, incorniciata tra due arbusti
rigogliosi ed altre piante grasse generiche poste all'esterno, e
bussa, facendo tremolare vetro e cartellino “chiuso” appeso
all'interno.
Bussa
un'altra volta, più forte, e finalmente dei passi annunciano che
qualcuno dentro c'è; fingeva solo di non sentire.
«Non
sa leggere?» esordisce la voce di Ino, da oltre la porta. Uno dei
pannelli scorre a mostrarne la faccia tra il seccato e il perplesso
«Siamo chiu-oh. Sasuke kun?» fa, l'occhio visibile sgranato.
Lui
le offre un'espressione chiaramente spazientita, prima di annunciare
senza troppi preamboli: «puoi
fare qualcosa?», mettendole Ukki sotto il naso.
Ino
il naso lo storce, tirando un po' indietro il collo per esaminare più
agevolmente lo stato pietoso in cui versa la pianta.
«Che
diavolo dovrei farci, con quest'ammasso di foglie morte?» fa,
guardando Sasuke come se lo trovasse completamente suonato.
Lui
si trattiene dal mandarla al diavolo, mentre una vocina paurosamente
simile a quella di Sakura gli ripete sii
gentile, sii gentile nell'orecchio,
o forse nella zona più malata del suo cervello, la stessa che lo sta
contemporaneamente incitando alla violenza selvaggia contro quel covo
di ipocriti teste di cazzo che è il villaggio della Foglia.
«È
di Naruto»
comunica, e lo sa che gli è sfuggito un tono sottilmente supplice.
Lo sa, perché Ino sgrana gli occhi ancora di più e lui si maledice.
La kunoichi alza le pupille al cielo e fa «entra» scostandosi per
permettergli di passare.
Nel
negozio la luce filtra prepotente, ma mitigata da tutto quel fogliame
verde equamente distribuito tra pavimento e soffitto, dal quale
pendono complicati intrichi di piante in vaso, in un soffocante
miscuglio di pollini e puzze.
Ino
gli fa cenno di posare Ukki sul bancone e poi lo aggira, per
sistemarsi dall'altro lato, di fronte alla pianta.
«Un
esemplare di chlorophytum
comosum.
Volgarmente detta pianta ragno» commenta, dopo una breve ispezione
delle foglie. «Chi è il cretino che si è dimenticato di
innaffiarla?»
Sasuke
non fa neanche lo sforzo di schiarire la voce o mostrare qualche
segno di imbarazzo: diventa semplicemente un blocco di marmo. Un
blocco di marmo sudato con le labbra strette.
«Puoi
fare qualcosa?» chiede ancora, stavolta senza neanche nascondere
la vena di panico.
Ino
sospira forte, le sopracciglia aggrottate e le mani che frugano tra
le foglie.
«Beh,
se non era morta prima, l'ha stroncata la colata d'acqua, direi: come
offrire un banchetto in dieci portate ad un sopravvissuto nel
deserto. Dubito di poter fare qualcos... Sasuke kun, ti senti bene?»
domanda, quando nota chiaramente un accenno di tic nervoso
nell'occhio destro dell'ex nukenin.
Lui
espira un po' d'aria dal naso, la mano che teneva sul bancone stretta
fino allo spasmo e lo sguardo fisso sull'esanime Ukki.
«Sì,
benissimo»
sibila, minaccioso. «Ho appena ucciso qualcosa come il parente più
prossimo di Uzumaki Naruto, ma sì, va
tutto a meraviglia».
«Vuoi
un bicchier d'acqua?» propone Ino, conciliante; ma si vede che ce la
sta mettendo tutta per trattenere
le risatine.
«Non
c'è niente da ridere» l'ammonisce Sasuke, appena prima che lei
scoppi davvero in una risata, nascosta dietro la mano e le fronde
morte – morte,
morte, morte
– di Ukki.
«Sì,
sì» ansima la kunoichi, cercando di trattenersi senza successo. Fa
un profondo respiro, per darsi un contegno di fronte al viso immobile
e serio di Sasuke.
Sospira
e scivola via dal bancone, diretta verso le piante in vaso sul lato
sinistro del negozio.
Ammonticchiati
su uno sgabello, prosperano dei rigogliosi sosia di Ukki.
«Che
ne pensi?» propone Ino, prendendo un esemplare bello grande.
Sasuke
si concede una lunga occhiata che va dalla kunoichi alla pianta ragno
e vice versa.
«Non
sostituirò la pianta...» comincia, combattuto, senza riuscire a
staccare gli occhi dal bel colore verde chiaro che spunta a ciuffi
morbidi dal vaso.
Ino
carezza le foglie con studiata noncuranza.
«Ti
farei un prezzo modico» continua, ammaliatrice.
«Io
non sostituirò la pianta!» ribatte Sasuke, deciso e un po' brutale.
«Come
vuoi, come vuoi» sbuffa lei, roteando gli occhi. «Naruto sarà
addolorato... Sakura dice che sia molto affezionato alle sue piante»
commenta, sospirando mesta.
Sasuke
stringe le labbra, mentre un macigno di rovente senso di colpa gli
frigge le viscere.
Sposta
gli occhi dalle spoglie mosce di Ukki, ancora immobile sul bancone,
alla bella pianta viva che Ino non ha ancora riposto sullo sgabello.
«Dammi
quella maledetta pianta» mastica, furioso.
Ino
rilassa le sopracciglia, sorridendo vittoriosa.
«È
un piacere fare affari con te, Sasuke kun».
Ci
sono stati attimi di panico, ma non a caso Uchiha Sasuke è un ex
ricercato di livello S, mica uno scemo qualsiasi. E comunque le
missioni le ha sempre svolte in maniera efficiente.
Purtroppo,
non riesce a pensare alla pianta come Ukki:
gli viene una sorta di bruciore alla bocca dello stomaco. Potrebbe
anche essere perché non ha pranzato, ma non ha alcuna voglia di
scoprirlo.
Quindi
resta fermo, accasciato sull'engawa coi piedi doloranti, a fissare il
vaso ricolmo che si è sistemato accanto: l'ha accomodato su un
vecchio sgabello che consenta alle propaggini filamentose di
penzolare indisturbate e ora le foglie della pianta frusciano
serenamente al lieve spostamento d'aria causato dal fiato di Sasuke
stesso, che sta seduto vicino come dovesse assicurarsi che non capiti
nulla.
È
sudato come una spugna e per lavarsi almeno in parte ha dovuto usare
l'ultima bottiglia d'acqua rimasta, perché il quartiere è ancora in
piena emergenza idrica e la questione gli è tornata in mente solo
quando finalmente ha messo giù la pianta. Rassegnato alla
situazione, si
è sistemato accanto al vaso e da lì non si è più mosso, troppo
stanco e seccato con se stesso, l'universo e specialmente Ino, che ha
accettato che lui si portasse via a credito il chlorycoso
cosum
– era uscito senza sandali, figurarsi se aveva pensato a portarsi
dietro dei soldi – ma a prezzo maggiorato, per via di non si sa
quale politica del negozio che Sasuke non aveva voluto sapere.
«Azzardati
a morire e me la pagherai» sibila l'ex nukenin alla nuova pianta,
con lo stesso tono ammonitore che è solito rifilare al gatto.
Ecco,
ha pure perso il gatto, nel frattempo. Probabilmente si è sciolto da
qualche parte in giro per il quartiere ed è morto, perché non c'è
una cosa che vada giusta, in quel posto, mai. Non c'è una cosa che
vada giusta nell'universo, in realtà. La vita non ha senso, il mondo
è stupidamente storto e tutto quel che succede succede senza alcuna
ragione, in un continuo agitarsi senza scopo di sciocchi, patetici
tentativi di dare un proprio ordine al caos.
Gli
è venuta la nausea.
«Ah,
ci sei!»
La
voce squillante di Naruto lo fa letteralmente saltare; Sasuke sbatte
un gomito contro lo stipite dello shouji e per poco non ficca l'altra
mano dentro il vaso del nuovo Ukki.
«Ti
ho chiamato almeno due volte. La pianti di lasciare la porta aperta?»
aggiunge, brontolante. Però ride, contento per non si sa cosa, dato
che ha un aspetto lercio, polveroso e anche un po' insanguinato –
sangue d'altri, si spera – e gli si lascia cadere accanto,
liberandosi della giubba con un certo impaccio e facendola atterrare
poi sul tatami. «Si sta più freschi, qua?» domanda poi, forse
cercando un perché all'aver trovato Sasuke accasciato tra finestra
ed engawa, stretto tra lo shouji e una pianta in vaso.
Sasuke
lo studia, guardingo e immobile, sulla difensiva.
«Stai
bene?» chiede subito il jinchuuriki, perplesso; lui, che pare
sopravvissuto ad un tornado, piuttosto che ad una missione.
«Certo»
ribatte Sasuke, dandosi un contegno più composto e cercando di
smetterla di fare pensieri assurdi su come, voltando di poco il
collo, Naruto noterà che la tonalità di verde di Ukki è un po'
troppo scura, e che le strisce giallo–biancastre e marcate che
attraversano longitudinalmente tutte le foglie sono un po' troppo
chiare e che il vaso non è esattamente delle stesse identiche
dimensioni di quello di Ukki, e forse neppure della stessa sfumatura
di argilla terrosa.
Naruto
annuisce tranquillo, e gli dà un pugno leggero sulla spalla, prima
di alzarsi e annunciare «vado a farmi un bagno», coronando il tutto
con una scricchiolante stiracchiata di colonna vertebrale.
Sasuke
annuisce e ne segue distrattamente il fondoschiena con lo sguardo,
prima di uscire dalla trance.
«Non
puoi fare il bagno» afferma, basso.
Naruto
interrompe la falcata a metà e si volta; il tatami scricchiola sotto
il suo peso.
«Il
bagno. Non puoi, non c'è l'acqua» spiega Sasuke, neutro.
Il
jinchuuriki rantola, scoraggiato.
«Di
nuovo?! Non è possibile! L'altro giorno c'era...» sospira e sbuffa,
maledicendo il dannato caldo e lamentandosi delle mutande che gli si
sono appiccicate addosso; non contento, si gratta le chiappe con
un'espressione scocciata, per sottolineare il concetto. «Vabbè, mi
arrangio con quel che c'è...» brontola, prima di dirigersi in
cucina con una stretta delle spalle.
Sasuke
stringe i denti.
«È
finita anche quella» annuncia, con la maggiore naturalezza
possibile.
Sente
chiaramente Naruto che apre la porta del frigo e poi fruga sotto il
lavello, per accertarsene.
«Ma
che cazz...» impreca, scontento. «E perché non l'hai comprata?»
gli urla, dalla cucina.
Sasuke
rifila un'occhiata assassina alla stupida pianta ragno, prima di
mugugnare con palese fastidio.
«Andiamo
ai bagni pubblici?»
La
testa bionda di Naruto sporge incredula dall'ingresso del soggiorno.
«Il
luogo
in cui gli immondi abitanti di Konoha credono di poter
lavare
via
la
loro...
com'era? Condotta immorale?»
«Le
loro sudicie coscienze,
usuratonkachi» rettifica Sasuke, sostenuto. Poi si schiarisce la
voce. «Lo penso ancora. Ma per una volta può andare».
Naruto
scoppia a ridere, gaio.
«Sei
uno stronzo senza possibilità di redenzione» commenta, giulivo.
«Vado a prendere la roba!» aggiunge, facendo i gradini a due a due
in un concerto di scricchiolii, evidentemente dimentico d'essere
stanco morto.
Sasuke
sospira e lancia l'ennesima brutta occhiata alla pianta. Finirà per
ammazzarla a furia d'ammonimenti gratuiti.
Cerca
semplicemente di pretendere che nulla sia successo, e riesce quasi a
inalare finalmente un sufficiente quantitativo d'ossigeno per
rischiararsi il cervello, quando la voce di Naruto lo fa sobbalzare
di nuovo, arrivando alta e inquisitoria dal piano superiore della
casa.
«Sasuke!
Che cazzo hai fatto in bagno?!»
Ah,
già.
Il
bagno.
Sasuke
si preme le dita in mezzo agli occhi, stremato.
Nda
Continua causa logorrea.
L'engawa
è quella sorta di veranda che corre attorno alle vecchie case
giapponesi, separata dall'interno dagli shouji, i pannelli scorrevoli
con l'intelaiatura coperta da carta di riso. I fusuma sono più o
meno la stessa cosa, ma di legno, e di solito si usano all'interno,
per separare gli ambienti.
Per
chi si fosse chiesto come abbia fatto Uchiha Sasuke a distruggere un
rubinetto con una testata, la risposta ovviamente è: “Sasuke ha la
testa più dura del mondo”. Compris?
Ma è
narusasu o sasunaru? Come vi pare, per me è ininfluente.
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Capitolo 2 *** parte seconda ***
Seconda
Seconda parte della stupidata. Di nuovo, buona fortuna.
Di
delitti imperfetti e funerali in giardino
(parte
seconda)
I
bagni pubblici sono un luogo odioso, davvero.
E non perché ci si
ritrova a fare il bagno con degli sconosciuti, solitamente tutti
appartenenti alla massa di viscidume ipocrita che è Konoha. No, i
bagni pubblici sono un luogo odioso perché il bagno finisci a farlo
coi conoscenti.
«Mia madre ha detto che le sporcavo la vasca. Mi
ha praticamente cacciato a calci!» sta spiegando Inuzuka Kiba,
mentre si insapona festante un'ascella, col cane che gli lecca la
schiena in un qualche perverso tentativo d'aiutarlo nelle
abluzioni.
«Ma non dovrebbero restar fuori, i cani?» mastica
Sasuke, senza che si capisca se ce l'abbia con Kiba o
con Akamaru,
dato che è voltato di schiena e si sta insaponando i capelli da
mezz'ora, per riempirsi le orecchie di schiuma e non dover più
sentire le ciarle imbecilli che Naruto sta scambiando con
quell'idiota di Inuzuka. E per fortuna che non è ancora comparso
Sai, o avrebbe dovuto far fronte ad una sequela di assurdità sulle
dimensioni dei peni, e non è proprio dell'umore adatto: sarebbe
diventato volgare.
«Sasuke, passami lo shampoo» gli fa Naruto,
tendendo il braccio alla cieca, ancora tutto preso dalle ciarle con
Kiba, cui sta raccontando dettagliatamente lo stato pietoso in cui
versava il rubinetto e in generale l'intero ambiente della stanza da
bagno di casa Uchiha.
Sasuke alza le pupille al cielo, rimanendo
però sapientemente rivolto verso la parete.
Un rivolo di schiuma
gli cola sulla fronte e va a finire nell'occhio. Alla cieca,
raccoglie il flacone dal pavimento e lo mette nella mano aperta
dell'idiota, che dimentica di ringraziare, o forse è che in tutto
quel parlottio, quel caldo, quell'odore di sapone e umanità che
riempie le narici come cotone, semplicemente, è come avere la testa
imbottita di schiuma e non c'è verso che si riesca a sentire un
tubo.
Sasuke li odia da morire, i bagni pubblici.
Se lo ripete
mentre sciacqua la testa e l'occhio brucia furioso – per un attimo,
del tutto irrazionale, lo coglie il timore che non appena lo riaprirà
si attiverà qualche diavoleria come Amaterasu – e poi, con uno
sbuffo, si defila nell'acqua calda senza proferire verbo, ansioso di
mettere qualche metro tra sé, Inuzuka e possibilmente l'intero mondo
circostante.
Viene subito deluso, perché Naruto gli scivola
appresso in fretta,
beccandosi le occhiatacce di mezza clientela del bagno, dato che
ha qualche
rimasuglio di schiuma sulla spalla. Comunque, nessuno fa in tempo a
fermare l'irruento eroe di Konoha che lui è già dentro, seduto a
gambe incrociate sul fondo, un sorriso morbido e soddisfatto in viso
e le ginocchia a cozzare non troppo involontariamente con quelle di
Sasuke; con tutto che l'ex nukenin si era assicurato di stare
nell'angolo più discosto della vasca, perché, a parte la fobia
sociale, starsene nudo come un verme senza il ventaglio a ricordare a
tutti che se sono vivi è solo per un suo capriccio, e coi capelli
troppo bagnati per potercisi nascondere dietro senza sembrare
particolarmente idiota, Sasuke si sente decisamente inerme.
Naruto
mantiene quel sorriso stupido e tranquillizzante per un altro po',
solo per lui, e poi fa cenno a Kiba di darsi una mossa, voltandosi di
nuovo verso il bordo e appigliandovisi col braccio.
«Fate posto!»
si annuncia Inuzuka con un'aria da spaccone che non c'entra nulla,
visto che di posto ce n'è a sufficienza per una mandria di
Akamaru.
E infatti, mentre il padrone si pianta nell'acqua calda
con un uggiolio soddisfatto e già smania per rompere le scatole,
ingaggiando una lotta di schizzi con Naruto – sfida
accettata!,
ovviamente –, Akamaru prende la rincorsa per partecipare
attivamente alla festa. Prima che riesca davvero a tuffarsi nella
vasca, un anziano indignato raglia
«ma insomma!», qualcuno urla «il cane nella vasca no!» e Kiba fa
giusto in tempo a lanciare un ammonimento ringhioso che gela Akamaru
sul posto.
Il cane resta sul bordo, a mugolare imbronciato, ma
ubbidisce; rincula e muove il testone per assistere alla stupida
battaglia di schizzi tra il suo padrone e l'idiota biondo.
Sasuke
osserva costernato la scena mentre il suo sedere scivola sempre più
giù, fino a fargli immergere il naso nell'acqua. Sbuffa, generando
una manciata di bolle.
«Toh, guarda un po' chi si vede»
esordisce una voce, dall'alto.
Kiba interrompe il suo tentativo di
annegare Naruto e lui tossisce «ciao Shikamaru!» facendo girare
mezzo bagno.
Sasuke no, inorridisce ma resta al suo posto,
degnandosi solo di spostare le pupille per inquadrare due gambe e una
cintola coperta da un asciugamano, e il cane enormemente bianco che
sta cercando di slegarlo e portarselo via.
«Akamaru...»
bofonchia il nuovo arrivato, strappandoglielo dalle fauci solo per
essere slinguazzato in ogni punto raggiungibile dalla bestia; Kiba si
scompiscia, mollando la presa su Naruto.
«Ciao Naruto, Kiba...»
saluta Shikamaru , sedendosi sul bordo e lanciando un'occhiata tra il
divertito e l'esasperato ad Inuzuka. «Sasuke» aggiunge poi, con un
cenno del capo.
«Nara» fa lui, con immotivato astio che viene
però prontamente ignorato dal genio.
«Come mai da queste parti?»
domanda quello, mentre acciuffa un bagnoschiuma dall'odore fortemente
muschiato che sembra esattamente il genere di cose che potrebbe
comprare sua mamma. Si accomoda su uno sgabello e lascia che Akamaru
gli gironzoli attorno festoso, beccandosi manciate di sapone sul
muso.
«La mamma era convinta che io e Akamaru avremmo sporcato la
vasca» sbuffa Kiba, scuotendo la testa incredulo, mentre si avvicina
al bordo.
Shikamaru annuisce, con l'aria però di star dando
ragione alla signora Inuzuka. Ma rinuncia alla polemica e comincia
piuttosto ad insaponarsi un braccio con fare stanco.
«Stesso
motivo» spiega pigramente. «Quando deve venire la nonna mia madre
diventa ossessionata dalle pulizie... le suocere sono il genere
femminile più intollerabile che esista, appena dopo le
madri».
Akamaru gli poggia la testa sulle gambe, sbavandogli
addosso e facendo le bolle di sapone col naso.
«E voi? È strano
vedervi qui» domanda Shikamaru, fingendo di non accorgersi del
cane.
Naruto se la ride, i gomiti sul bordo, e Sasuke si ritira di
nuovo col naso sotto il pelo dell'acqua, cercando di svicolare con la
maggiore dose di dignità possibile.
«Questo psicopatico ha
demolito il bagno. E poi mancava l'acqua» spiega il jinchuuriki col
pollice alle spalle, a indicare Sasuke. Poi, senza preavviso, trasale
e si volta di scatto verso di lui.
«E le piante?!» fa, nel
panico.
Sasuke inspira l'acqua della vasca e mezzo affoga tra le
risate di Kiba.
«Cretino»
ingiunge, oltraggiato, mentre tossisce e torna a Naruto, che lo
guarda con gli occhi d'una madre che non sappia che fine abbiano
fatto i suoi cuccioli. Qualcosa nello stomaco di Sasuke, all'altezza
del diaframma, tenta di suicidarsi.
L'ex nukenin si riprende,
tossendo altra acqua.
«Le piante stanno benissimo, usuratonkachi.
E smettila di essere ossessivo» soffia, stizzito.
Naruto
lo ignora, ben consapevole dell'opinione dell'altro riguardo il suo
attaccamento per gli esseri verdi.
«Anche Ukki? Con cosa le hai
innaffiate? Non c'era un goccio d'acqua» domanda, un po' più
tranquillo, mentre Shikamaru finisce di sciacquarsi con cura e entra
anche lui nella vasca, lasciando il povero Akamaru ad uggiolare
invidioso sul bordo.
Al nome della beneamata, defunta pianta, la
cosa nello stomaco di Sasuke si impicca con l'intestino, o almeno
questa è la sensazione che ha lui. Dall'esterno, si nota solo un
lievissimo tremolio della palpebra sinistra, che passa
tranquillamente inosservato sotto la salvifica cortina dei capelli ed
un'espressione il più possibile altera e seccata.
«Con l'acqua
in bottiglia, idiota.
Smettila di smaniare» ribatte, sperando che si volti per unirsi a
Kiba nella sua opera di tormento ai danni di Shikamaru, dato che
Inuzuka sembra divertirsi un mondo mentre prova a ribaltarlo dalla
sua flaccida posizione seduta, tirandolo per un piede e godendo nel
vedere la testa del genio scivolare sempre più, spalmata contro il
bordo vasca.
«Giusto...» fa invece Naruto, senza avvedersi di
nulla. E quando Sasuke sta già per rilassarsi, aggiunge, aggrottando
le sopracciglia: «ma perché era lì?».
C'è silenzio per un
attimo, rotto solo dalla risata trionfale di Kiba, che è riuscito a
stendere Shikamaru tutto sul fondo; dal viso deformato del genio,
sotto il mezzo metro d'acqua, si alzano grosse bolle sbuffanti che
increspano la superficie.
Sasuke opta per una tattica di
temporeggiamento.
«Cosa»
chiede, adottando il tono più infastidito del suo repertorio.
«Lo
sai, teme. Ukki, dico. Ci stavi seduto vicino, di solito non sta
lì...» fa Naruto, vago, la mente come tesa a focalizzare qualcosa:
non è in tensione, anzi, sta solo conversando, ma Sasuke sente il
pericolo vibrare nell'aria allo sfiorare dell'argomento e si
irrigidisce.
«No?» ribatte, ostentando disinteresse. Apre la
bocca per proporre di tornare a casa, ché gli si stanno raggrinzendo
i polpastrelli – e lui odia che
gli si raggrinziscano i polpastrelli – ma
Naruto ha l'aria pensosa di quando le cose non gli tornano, quella
insopportabile da eroe risolvi-tutto.
Sasuke inizia a progettare rapidamente di inscenare uno svenimento;
non necessariamente suo: andrebbe bene anche stordire Inuzuka, così
riuscirebbe ad ottenere un po' di sano silenzio, in aggiunta.
«Si
sarà spostata» aggiunge l'ex nukenin, quando vede che Naruto lo sta
ancora guardando con espressione interrogativa.
«Da sola» fa
quello, scettico.
«Sarà stato il gatto! Qual è il problema?»
si ritrova presto ad alzare la voce Sasuke, frustrato.
Mezzo bagno
si volta – checcazzo,
se Inuzuka urla oscenità però nessuno si gira, eh. Gli abitanti di
Konoha hanno la discriminazione nel sangue – e lui decide che,
invece di provare fastidio e imbarazzo, li spedirà tutti in un
genjutsu. Fa per voltarsi, pronto a concepire qualcosa che sia il più
sanguinoso possibile, quando Kiba interviene, curioso e
divertito.
«Il gatto ha fatto cosa?»
domanda, mentre strangola un flaccido Shikamaru con
l'avambraccio.
Sasuke riversa per un istante tutta la sua ira in
un'unica occhiata nella sua direzione, sventando il massacro.
Poi
si alza in uno scroscio d'acqua, recupera il suo asciugamano e si
allontana a passo marziale. L'unico verso che si degna di emettere,
ignorando del tutto il richiamo di Naruto e l'aria perplessa ma non
troppo di Kiba e Shikamaru – non è che gliene freghi poi molto a
loro, delle turbe psicotiche di Uchiha Sasuke – è un mugugno breve
e secco in direzione d'Akamaru, che gli lancia un abbaio
indisposto.
Due secondi dopo, Sasuke se l'è squagliata via e
Naruto sta salutando frettolosamente gli altri e recuperando la sua
roba, per raggiungerlo.
Uchiha
Sasuke è un imbecille con le turbe psichiche.
Questo Naruto lo
sa, e se lo fa anche andare bene, perché altrimenti il loro rapporto
non avrebbe ragione d'esistere. Ma resta il fatto che Sasuke è uno
stronzo, senza contare che è pure matto come un cavallo, e anche se
nel corso d'un paio d'anni è riuscito davvero a migliorare parecchio
sotto molti punti di vista – ogni tanto ha quasi un barlume di
senso dell'umorismo, sebbene sempre tendente alla drammatizzazione
esasperata e con un certo gusto per l'orrido che Naruto non può fare
a meno di attribuire alla prolungata permanenza ad Oto –, ma se c'è
una cosa che non è migliorata è la sua comunicabilità. Anzi, con
quella faccia immobile che si ritrova, e rilassa un po' giusto in
casa, quand'è d'umore passabile, capire cosa gli gira per la testa è
dieci volte più complicato di quand'erano bambini.
E dire che
prima, a dodici anni, Naruto credeva che Sasuke fosse una specie di
monolito: adesso rimpiange enormemente quell'incredibile gamma
d'emozioni che gli si poteva leggere in viso in ogni momento e che
lui non aveva la maturità adatta a notare.
Soffia, stanco, e si
versa del latte presumibilmente rancido nella tazza.
«Bleah»
fa, annusando. Sbadiglia al rettangolo di luce polverosa che filtra
dalla finestra, sopra il lavello, e poi abbassa lo sguardo per
degnare il rubinetto di un'occhiata depressa e un po' scoraggiata:
l'acqua non c'è e fa un caldo da svenire, appiccicoso e senza un
alito di vento.
«Ehi, non sul tavolo» ammonisce in direzione del
gatto, mentre si accomoda con la sua tazza di latte rancido e dei
biscotti: troppo, troppo caldo per il ramen. La situazione è
veramente critica.
Naruto Due non gli dà retta – non gli
dà mai retta,
quel maledetto sta a sentire solo i sibili minacciosi di Sasuke – e
si sistema pigramente proprio accanto ai biscotti, gli occhi chiusi e
tutta l'aria di star soffrendo anche lui la temperatura
proibitiva.
Naruto sospira e gli rifila una grattatina dietro le
orecchie sbadigliando ancora, il gomito sul tavolo già coperto di
pelame arancio.
Con la testa inclinata, inquadra uno sprazzo di
soggiorno: sul divano basso, la faccia mezza affondata
nell'imbottitura, sta Sasuke, o almeno alcune parti visibili del suo
corpo, quali ciuffi neri di capelli e, giù, un piede e mezza
caviglia.
«Ma quanto è imbecille quello lì, mh?» commenta
Naruto, il viso accanto a quello del gatto, che approva
strusciandoglisi contro.
Quando la coda gli finisce sotto al naso,
facendolo starnutire, Naruto finalmente si alza da tavola,
abbandonando i biscotti a se stessi e il latte rancido al gatto, la
cui ciotola, nota in quel momento, è tragicamente vuota.
Il
jinchuuriki sbuffa, annotando a mente l'ennesima cosa che dovrà
rimproverare a quell'idiota di Sasuke quando si deciderà a tornare
vagamente trattabile.
Nei bagni pubblici non ce lo porterà più,
questo è certo, perché è evidente che lo innervosiscano, anche se
l'eroe di Konoha è quasi sicuro che a rendere così scorbutico il
suo sfiancante compagno sia in buona parte anche il caldo.
«Stupido
caldo» commenta a voce alta, aprendo un'altra volta inutilmente il
frigo, in cerca di liquidi che non ci sono.
D'accordo che evitare
il sesso post missione sicuramente consente di recuperare le energie
più in fretta, e dormire in un letto non matrimoniale per una volta
senza che Sasuke mugugni o lo prenda a cazzotti e pedate mentre si
rivolta come un gambero fritto durante la fase REM sia certamente
riposante, ma se non il suo corpo – e comunque l'assenza della
persona di Sasuke, che sia a tremila chilometri o al piano di sotto,
gli provoca comunque una sorta di sottile malessere fisico, come un
doloretto lieve ma persistente alla bocca dello stomaco –, il suo
umore ne risente enormemente.
E non è mica la prima volta che
Sasuke semplicemente decide di passare la notte in giro per casa per
poi essere rinvenuto negli angoli più disparati, dalla cucina
all'engawa, di solito con la faccia spalmata su una rivista di sudoku
e il gatto a russargli addosso; ma non succede la notte subito dopo
che uno dei due è tornato da una missione di più giorni: è una
specie di accordo tacito, come la questione del se
tu cucini io sparecchio o
il ramen da Teuchi minimo due volte la settimana.
La porta del
frigorifero sbatte rumorosamente, ma dal soggiorno non arriva alcun
suono.
«E ha pure il sonno pesante, lo stronzo» brontola Naruto,
curandosi di fare un altro po' di rumore coi mobili, mentre apre ante
degli armadietti così, senza uno scopo preciso.
Arriva al lavello
e spalanca il mobiletto sottostante, sbuffando alla vista dello stato
sempre pietoso in cui versano i tubi: perché no, Sasuke può fare
tutto da solo, a lui mica serve l'idraulico. Adesso si verrà a
sapere che a Oto Orochimaru gli insegnava economia domestica.
«Questa
roba va cambiata» commenta Naruto, a voce più alta di prima. A
dargli retta c'è solo il gatto.
Il jinchuuriki mugugna
d'insofferenza, scompigliandosi i capelli con una certa furia, e poi
fa per chiudere lo sportello e andare finalmente a svegliare il
bastardo, perché comincia decisamente ad annoiarsi e annoiarsi è
contro la sua politica, nei giorni liberi. Proprio mentre la sua
testa bacata è regredita ad un'età inferiore agli undici anni per
concepire qualche scherzo macchinoso che causi la caduta di Sasuke
dal divano, con la mano ancora poggiata sull'anta aperta, nota
qualcosa che per un attimo cancella tutto e gli fa illuminare lo
sguardo: c'è una bottiglia di vetro piena d'acqua limpida che il
giorno prima non aveva proprio notato, stretta tra un pacco di buste
per la spazzatura formato cadavere e il detersivo per
piatti.
«Ah ah!»
esclama, deliziato, come avesse sgamato il colpevole di un libro
giallo a pagina cinque. «L'acqua
è finita, usuratonkachi, piantala di cercarla come un'anima in pena»
fa il verso a Sasuke, citando dalla sera precedente, con una voce
saccente al massimo grado d'insopportabilità.
Il gatto lo guarda
come fosse suonato e salta giù dal tavolo, per zampettare in
soggiorno e andare a tormentare l'altro inquilino.
Naruto non lo
ferma perché ha deciso che lo stronzo se lo merita, e invece preleva
la bottiglia con espressione soddisfatta e fa per stapparla.
Si
blocca a metà dell'atto di buttare giù un sorso, realizzando in
quell'istante che una bottiglia sopravvissuta a una settimana di
caldo torrido come quella corrente dovrà essere quantomeno
disgustosa. Fa per posarla in frigo, ma mentre aggira il tavolo per
raggiungerlo, intravede un guizzo verde oltre il divano, nell'altra
stanza.
Guarda prima il verde, poi l'acqua, poi di nuovo il verde,
poi di nuovo l'acqua e finalmente il suo cervello rallentato dalla
temperatura tropicale fornisce il giusto input e conduce i suoi piedi
prima in corridoio e poi in soggiorno.
Sasuke dorme della grossa
sprofondato prono nel divano, i piedi che sporgono dal fondo e un
braccio rilassato e molle giù, a toccare il pavimento con le dita. E
dorme proprio profondamente, perché Naruto Due gli sta mordicchiando
le falangi con un certo impegno e lui non ha ancora battuto
ciglio.
Naruto si ferma a guardare la scena imbambolato per
qualche momento e nel suo cervello inceppato formula solo due
pensieri sconnessi: che a stare così a Sasuke sicuro verrà mal di
schiena e che ha una voglia esagerata di buttarsi sopra di lui a peso
morto, per svegliarlo e vedere poi cosa succede. Magari dopo lo fa,
sì. Anzi, farà esattamente così, subito dopo aver innaffiato le
piante.
Distoglie lo sguardo a fatica e inquadra di nuovo il
verde: il fogliame di Ukki cresce rigoglioso; un un po' floscio per
via del caldo, ma il colore delle foglie resta brillante. La striscia
giallastra nel mezzo, a seguire la venatura, sembra persino un po'
più chiara del solito.
«Sete, Ukki chan?» cinguetta l'idiota,
contento. Agita la bottiglia d'acqua come fosse un biberon, mentre
soppesa amorevolmente qualche propaggine un poco smorta, e decide che
un'innaffiata a pioggia è proprio quel che ci vuole.
Poi rovescia
la bottiglia.
Prima
c'è l'urlo, poi l'impatto.
Di solito, con l'intensa attività
onirica di cui è vittima, Sasuke è abituato a sognare di urlare e
accorgersi magari di star quantomeno mugugnando nella realtà; ma,
appunto, l'urlo si interrompe col sonno, mica il contrario.
Apre
gli occhi di colpo e non fa in tempo a capire che diavolo siano
quelle cose nere e filamentose su fondo blu che gli ricadono davanti
agli occhi, che è già bocconi sul pavimento assieme a tutta la
copertura – blu – del divano e i capelli non solo negli occhi, ma
pure nel naso e in bocca, e un gatto incastrato sotto
l'ascella.
Naruto continua a sbraitare.
Nel mezzo, Sasuke cerca
di alzare la testa, almeno per capire che diavolo stia succedendo, ma
vede solo il piedi nudi del compagno filare a razzo davanti ai suoi
occhi e sparire in cucina tra altri rumoreggi vari di talloni e
piante che assestano martellate sul tatami.
«Buongiorno»
sibila l'ex nukenin in direzione di Naruto Due, sarcastico; ricade di
lato e si mette seduto, schiena al divano.
Ah, sì: ci ha dormito
per via del caldo. E in minima, marginale parte per via dei sensi di
colpa dovuti alla vista di Naruto che dava un'amorevole buonanotte a
Ukki preoccupandosi del fatto che le foglie paressero meno vigorose
del solito.
Completamente distrutto, Sasuke si alza esibendosi in
un concerto di scricchiolii ossei che fanno voltare il gatto, e poi
si guarda attorno, stanco.
Oltre gli
shouji spalancati, sull'engawa ancora ombroso nonostante il calore –
deve essere un'ora non troppo tarda, quindi – lo sgabello su cui
stava il vaso di Ukki è libero, un'unica linea circolare di terra a
testimoniare che una volta lì c'era un vaso. Sotto giace una
bottiglia di vetro vuota, immobile e muta.
Quel che non è muto,
lì dentro, è Naruto, che guaisce in cucina come gli fosse appena
stato tagliato un arto.
«Idiota?» domanda Sasuke, dubbioso,
presagendo sciagure. Nel dubbio, resta fermo sulla porta della
cucina: Naruto gli dà le spalle, chino sul lavandino a picchiare e
insultare il rubinetto, l'acqua, Sasuke, la siccità e svariate altre
cose del tutto randomiche.
«Sasuke!» sbraita non appena si
avvede della sua presenza.
L'ex nukenin sussulta sul posto ma non
ha la forza di rispondere; sgrana solo gli occhi quando la faccia
sconsolata di Naruto accenna alla pianta in vaso che sta nel lavello,
probabilmente in un ultimo disperato tentativo del jinchuuriki di
salvarla da qualsiasi cosa l'abbia ridotta nello stato pietoso in cui
versa.
Sasuke si avvicina, gli occhi sgranati: quella è la
sostituta di Ukki. Quella che lo ha indebitato con Yamanaka di una
cifra non indifferente e anche quella che meno di otto ore prima
stava perfettamente in salute sullo sgabello, a coprire il suo sporco
misfatto.
Naruto, sconvolto com'è, non ragiona e scambia la sua
sorpresa per interesse.
«Non so che è successo!» rantola,
agitato. «Lo stavo innaffiando e neanche cinque secondi dopo ha
cominciato a fumare e sciogliersi, e... »
boccheggia, davanti allo spettacolo della sua povera pianta ridotta
ad una pappa molliccia e corrosa nel vaso. Le foglie attorno sono
ancora verdi, ma il ceppo principale è andato completamente.
«Con
che diavolo...» comincia l'ex nukenin, sconcertato.
«Con
l'acqua! Gli ho dato l'acqua che stava là, sotto al lavello! E poi
così, s'è sciolta!»
Sasuke assottiglia le palpebre e vaga con
lo sguardo sullo stipetto chiuso ai loro piedi. Non c'è acqua, lì.
Men che meno acqua in bottiglia. Lì ci sono i sacchi della
spazzatura, il detersivo per piatti e l'acido solforico per sturare
lo scarico costantemente intasato.
Oh.
«L'acido
solforico è un liquido cristallino, incolore e inodore» gli esce,
quasi Iruka avesse posto una domanda alla classe. «Altamente
corrosivo» aggiunge poi, guardando il martoriato ex sosia di Ukki
che emette gli ultimi fruscii agonizzanti di foglie grigie.
Poi
ritorna a guardare Naruto, che tiene gli occhi fissi su di lui,
sgranati.
Boccheggia qualche sillaba inudibile, la bocca appena
schiusa, e poi cala le pupille a terra e si passa una mano sulla
nuca.
«L'ho ammazzato. Ho annegato Ukki nell'acido» articola
incredulo, nel silenzio della cucina.
Sasuke, senza parole,
osserva per un po' il compagno che fissa vacuo il pavimento, finché
semplicemente non lascia ricadere le mani ai fianchi e chiude la
bocca. Infine, ammutolito, l'eroe di Konoha va a sedersi davanti al
tavolo e intreccia le mani.
C'è più d'un momento statico durante
il quale Sasuke tenta di capire cosa dovrebbe fare per un paio di
volte, ma non c'è verso; si guarda attorno, andando dalla pianta
morta alla testa scompigliata di Naruto, ma resta lì nel mezzo, in
piedi.
«Beh, puoi anche cominciare, teme» fa di colpo il
jinchuuriki, amaro. «Dimmi quanto sono idiota e patetico, a
prendermela per la morte d'una stupida pianta».
Sasuke sgrana gli
occhi e individua il broncio addolorato dell'altro sotto un fallace
tentativo di durezza; deglutisce e fa per aprire bocca, indeciso su
cosa teoricamente ci si aspetterebbe che dicesse.
«Lo so che è
idiota, okay?» riprende però l'altro, senza dargli il tempo di fare
niente. «Ma era... Ce l'avevo da sempre. Me l'ha regalata Iruka
sensei. Era... mi aspettava quando tornavo dall'accademia. Ho
imparato a prendermi cura di me quando ho dovuto cominciare a badare
a lui, e lo so che tu pensi che le piante siano uguali ai tavoli e ai
muri, ma io...»
«Quella roba non era Ukki».
C'è un attimo
di silenzio sepolcrale, come se il quartiere fosse di nuovo vuoto
dopo quasi tre anni di litigi, ramen e arancione.
Dura poco,
finché Naruto non si schiarisce la voce.
«Se è un modo contorto
per dire che l'anima vola via e quindi effettivamente quel cadavere
non è Ukki...» comincia, incerto.
Sasuke, le labbra strette,
scuote la testa, rigido.
«No» prende aria. «Quella pianta non
era Ukki, quindi tu non l'hai uccisa» spiega, assicurandosi di
scandire bene le parole. E precede la replica di Naruto a pugni
stretti, chinando di mezzo grado la testa «Non l'hai uccisa perché
si dà il caso che l'abbia fatto io. Ieri».
Guardare gli occhi di
Naruto prima sgranarsi, poi strizzarsi, e contemporaneamente tutta la
sua vivissima faccia seguire il discorso come fosse un'inconcepibile
sequela di assurdità, ha lo strano effetto di fomentare Sasuke,
piuttosto che frenarlo.
Quindi l'ex nukenin si siede, deciso, e
riporta il resoconto degli avvenimenti che l'hanno costretto a farsi
mezza Konoha scalzo con un vaso annacquato in mano. Quando
finisce, è come se avesse appena vomitato: si sente leggero ma
vagamente nauseato.
«Quindi
tu avresti...» esala Naruto, vagando con lo sguardo in direzione del
lavello, dove giace la pianta.
Sasuke annuisce.
«Sì, ho
sostituito Ukki» conferma, sentendo forte la voglia di
arrossire.
Naruto emette un versetto sordo di comprensione,
muovendo lievemente il capo in assenso, troppo sconcertato per
articolare qualcosa di più.
«I miei piani hanno questa cosa di
sembrare sempre un po' più sensati mentre li
elaboro, piuttosto che dopo» borbotta Sasuke, perso anche lui a
guardare un punto indefinito della cucina, quasi stesse parlando con
se stesso.
Naruto si riscuote di colpo, incredulo.
«Teme...»
inizia, ammaliato; «quella
era autocritica?»
e sembra quasi commosso.
Sasuke resta per un secondo con la bocca
dischiusa, senza parole, prima di serrare bruscamente le labbra e
voltarsi ovunque possa evitare di incrociare lo sguardo di
Naruto.
«Usuratonkachi»
sibila, profondamente oltraggiato.
Non
c'è stato alcuno spargimento di sangue.
Non c'è stato neanche
alcun violento litigio sull'insensibilità di qualcuno e la stupidità
di qualcun altro.
C'è stato qualche sospiro triste, qualche
mugugno indefinibile che pretendeva d'essere consolatorio ed è
finita con un bel po' di sesso pressoché immotivato; qualcosa di
sudato in ogni senso, che è iniziato in corridoio – no, in cucina
no: non davanti al cadavere di Ukki Due – per procedere a tappe un
po' in ogni angolo del primo piano, dato che le scale sembravano
faticosissime e accaldanti e Naruto aveva così fretta di spogliare
Sasuke che stavano già inciampando da fermi, sul gatto.
«Pesi»
ansima Sasuke, alla fine, il petto che sale e scende rapido e la
testa di Naruto che non facilita il compito, pesantemente adagiata
sullo stomaco, di traverso: sembra che abbiano fatto una rissa, più
che altro, a giudicare dalle ammaccature – perché nel mezzo ci
sono sempre fusuma, e stipiti, e mobili e muri e pavimenti. Ai
soffitti non ci sono ancora arrivati, ma mai dire mai.
Il
jinchuuriki non si sposta neanche morto, gli occhi
chiusi.
«Vorrei...» comincia, sfiatato dal caldo, «vorrei
seppellirlo».
Il mugugno fiacco e interrogativo di Sasuke gli fa
decidere che forse la sua testa sta ostacolando respirazione e
annesso apporto d'ossigeno al cervello, quindi si solleva con
eccezionale fatica, rotolando sulla pancia per guardare il compagno
in faccia.
«Ukki. E anche Ukki Due, magari» aggiunge, ammiccando
un po' triste oltre il muro, in direzione della cucina. «Sai,
seppellirli in giardino, dire qualcosa in loro ricordo...»
«In
ricordo di una pianta che è stata qui una notte sola e che credevi
fosse un'altra?» ribatte Sasuke, apertamente scettico.
Naruto
avvampa e gli tira una manata sul fianco nudo.
Prima che possa
aggiungere qualcosa – magari ricordargli di
chi sia
la colpa di tutto -, Sasuke capitola del tutto
autonomamente.
«D'accordo» fa, in uno sbuffo annoiato. «Puoi
seppellirla in giardino. Ma ormai Yamanaka si sarà sbarazzata di
Ukki» aggiunge, cauto.
Naruto però la prende piuttosto bene, con
un unico «già» rassegnato.
«Dici che l'avrà buttato nella
spazzatura assieme ai gambi tagliati?» rantola poi, inorridito
all'idea di Ukki gettato in una fossa comune coi gambi di orchidee e
gerbere.
Sasuke ne osserva l'espressione angustiata e solleva gli
occhi al cielo.
«Andiamo a chiederlo a lei» accorda, distrutto
anche solo nel concepire una cosa simile.
Naruto salta su come un
grillo e si mette a cercare i vestiti sparsi in giro, di nuovo
attivo.
«Ah, poi si torna al bagno pubblico, eh. Cominci a
puzzare anche tu» gli comunica, lanciandogli le mutande.
Sasuke
serra gli occhi, senza forze.
Non
devono avere proprio un aspetto meraviglioso, Naruto e Sasuke, con
gli indumenti spiegazzati e i capelli scomposti, stipati tra azalee e
ficus dietro ad una vecchia che sta ordinando un bouquet da sposa
grosso come un lampadario.
Ino li ha visti entrare, ha fatto una
faccia sorpresa e poi ha sorriso come se lei ne sapesse di più. Non
si sa riguardo cosa, ma Ino ha spesso il sorriso io
ne so di più,
quello che Shikamaru chiama anche la
faccia da femmina.
Sasuke
non le ha prestato alcuna attenzione, mentre Naruto salutava
contento, e ha continuato a bubbolare riguardo la stupidità della
razza umana, le braccia conserte e il naso regalmente irritato da
tutti quei profumi floreali.
«Buongiorno ragazzi» cinguetta
finalmente Ino, quando la vecchia zampetta via, spuntando pensosa
un'altra voce da una lunga lista scarabocchiata su un pezzo di carta.
Ino la saluta, ma non riceve risposta.
«Come mai da queste
parti di
nuovo?»
prosegue poi, rivolta chiaramente a Sasuke, mentre getta gambi recisi
nella pattumiera sotto il bancone e ripone dei nastri di carta per
farsi spazio.
Sasuke storce il naso e non dice niente.
«Noi...
volevo sapere dove avevi buttato il cadavere di Ukki» interviene
Naruto con un sorriso finto un po' stentato, molto alla Sai.
Ino
gli punta gli occhi azzurri addosso e poi sposta le pupille su
Sasuke, con aria di sufficienza.
«Non ha funzionato» commenta,
con un sospiro rassegnato.
«Come
puoi vedere»
ribatte lui, aspro.
Ino lascia sfuggire uno sbuffo e si
stiracchia, rilassata.
«Beh, meglio» si stringe nelle spalle,
guadagnandosi delle occhiate sorprese. «Stavo cercando una buona
scusa per farvelo vedere, ma non mi era ancora venuto in mente nulla.
Così è più facile».
Sorride, sfacciatamente allegra, e si
volta per far scorrere la porta dietro al bancone, nel
retrobottega.
«Su, venite! Questo è un negozio, abbiamo altri
clienti, se non fosse chiaro» puntualizza, ma senza smettere di
sembrare contenta.
Naruto guarda istintivamente Sasuke, che gli
risponde con la stessa espressione stupita, anche se venata da un
palese sentimento di assoluta sfiducia nonché sottovalutazione delle
facoltà intellettive di Ino.
«Vi muovete, citrulli?» fa lei,
già dentro.
Naruto scatta sul posto e aggira il bancone,
schizzando svelto appresso alla coda bionda dell'amica.
«Citrul...»
rantola Sasuke, sfregiato; ma poi, con sommo sforzo di inumana
volontà, raccoglie i pezzi del suo orgoglio e segue gli altri due,
procedendo a passo marziale.
«Senti un po', Yamanaka...»
comincia, sibilando altero in direzione della schiena di Ino, che è
china su un tavolo da lavoro ingombro di piante, rametti e arnesi
vari. Ammonticchiati in un angolo, ci sono sacchi di terriccio e
taniche di fertilizzante.
Lei lo liquida con un gesto distratto
della mano, completamente disinteressata alle sue rimostranze, e si
rivolge a Naruto, senza smettere di rovistare tra mucchi di fogliame
verdeggiante folto come una giungla.
«Esiste una cosa chiamata
talea» spiega, lo sguardo concentrato nella ricerca. «In pratica,
le piante hanno un potere di rigenerazione tanto forte che in alcuni
casi è possibile ricavare altre piante da parti recise... beh, è un
po' difficile da spiegare, così».
Caccia la mano nel verde fino
al gomito e poi la tira su, contenta.
«Non l'avevo mai fatto
prima... mi ha aiutata mia madre. A te, eroe. Omaggio della casa»
conclude, piazzando un barattolo pieno d'acqua in mano a Naruto.
Lui
continua per qualche secondo buono a fissare solo lei che sorride,
poi cala finalmente le pupille sul barattolo.
Sasuke può vedere i
suoi occhi sgranarsi increduli e la sua bocca cominciare a balbettare
versi insensati, prima che il mento si risollevi per inquadrare di
nuovo Ino, che ha cominciato proprio a ridere.
«Ma, quindi questo
è...» prova ad articolare il jinchuuriki, stringendo il vaso al
petto come fosse un neonato.
Poi si volta verso Sasuke e glielo
piazza in mano, lasciandolo per un attimo fortemente sconvolto, prima
di gettarsi ad abbracciare Ino, per stritolarle le costole e
ringraziarla a profusione.
La
talea è un metodo di riproduzione che consente a parti recise di
pianta, inserite in acqua o nel terreno, di sfruttare le proprie
capacità rigenerative e mettere radici.
Quel che nasce è
definito anche clone, perché in tutto e per tutto identico alla
pianta madre.
Avrebbe dovuto buttare il mucchio di foglie
agonizzanti che Ukki era diventato, ha spiegato Ino, ma poi, sotto il
fogliame smorto, un lungo fusto carnoso teneva ancora a penzolare un
ciuffo di foglie dall'aspetto incredibilmente vitale, se comparato al
resto della pianta.
Era stata una specie di operazione chirurgica,
poi, recidere il sottile fusto e immergere la piantina direttamente
in acqua; la madre di Ino l'aveva fatto con calma, spiegando il
procedimento e dicendole, comunque, che con la pianta madre ridotta a
quel modo c'erano ben poche speranze che la figlia avesse abbastanza
energie da riuscire a mettere su radici.
«Ma Ukki era una pianta
estremamente tenace» continua ad annuire Naruto, in direzione della
buca aperta, un po' commosso. Tra le mani tiene il barattolo pieno:
dentro sta un ciuffo di foglie ancora pallide ma su cui già si
intravede la striscia biancastra caratteristica di Ukki; le radici
piccole e tuberose galleggiano nell'acqua e aspettano – tra un paio
di giorni, secondo le prescrizioni di Ino – di essere travasate in
un vaso vero, per attecchire nel terriccio. «E anche suo figlio
saprà cavarsela. Me ne prenderò cura io» conclude Naruto, come una
solenne promessa.
Sasuke non sbuffa perché si è autoimposto di
non farlo, ma non può impedirsi di sembrare almeno un po'
insofferente, perché fare il funerale a una pianta sciolta con
l'acido e ad un mucchio di foglie secche tirate fuori dalla
pattumiera di un fioraio è una cosa da imbecilli disturbati. È la
prova, definitiva, che Naruto è matto da legare, davvero, perché
uno che tratta un moncone di pianta come fosse un orfano e insiste
per dare i funerali della mamma – o papà? Non c'è più verso che
si capisca di che sesso dovrebbe essere quell'affare – è
sicuramente una persona disturbata.
«Penso che dovresti dire
qualcosa anche tu, teme» fa la persona disturbata, voltandosi a
guardare la figura rigida che gli sta accanto, in piedi.
Sasuke
gli rivolge un'occhiata incredula.
«Okay, magari no» concede
Naruto, arricciando il naso, prima di sospirare e tornare a
rivolgersi alle buche. «Beh, addio Ukki, grazie di tutto, sei stata
una buona pianta. E addio anche a te, Ukki Due. Non abbiamo avuto il
tempo di conoscerci, ma credo saremmo andati d'accordo. Scusami
ancora per l'acido» si rammarica, prima di ammutolire, triste.
Il
sole sta calando dietro i tetti fatiscenti del ghetto e i due sassi
posti alla base delle buche aperte tracciano ombre nette sulla terra
smossa.
«Possiamo chiudere... ?» si azzarda finalmente a
proporre Sasuke dopo qualche altro attimo di composto silenzio,
accennando alle tombe.
Naruto lo guarda e annuisce, compreso.
«Sì,
direi di sì» poi torna il vasetto che tiene tra le mani. «Puoi...
puoi farlo tu? Io porto dentro Ukkichi, deve stare all'ombra».
Lui
soffia un assenso mugugnante, seguendolo poi con lo sguardo mentre
risale sull'engawa e cammina dentro un po' mogio, ma attentissimo a
non sballottare troppo il prezioso barattolo.
Sasuke sospira e si
gratta la nuca, una mano sul fianco. Gira di poco il viso per
inquadrare le tombe aperte e si avvicina, finendo poi per
inginocchiarcisi davanti e cominciare a spingerci su la montagnola di
terra, per coprire gli intrichi di piante secche che stanno
dentro.
«L'ha chiamato Ukkichi»
brontola dopo un po' rivolto alla buca di sinistra, quella di Ukki,
mentre comincia a seppellirla con manciate di terriccio secco. «Non
poteva scegliere un nome più brutto, credo».
Resta in silenzio
ad ascoltare il rumore delle zolle che cadono giù e, quando ha
finito, compatta il terreno coi palmi delle mani, producendo tonfi
lievi.
«Ukkichi»
ripete, storcendo il naso al suono del nome. «Adesso tutte le
mattine darà il buongiorno a Ukkichi.
Sembra un dannatissimo starnuto».
Il sasso sulla tomba ovviamente
non gli risponde.
Sasuke sbuffa.
Ukkichi,
si ripete. Niente: è davvero un nome sgradevole.
Ukki, invece,
non era niente male.
«Forse un po' mi mancherai» mugugna
sprezzante, alzandosi.
Si stiracchia e si volta, dando le spalle
al sole.
Dall'interno della casa arrivano tramestio di pentolame,
chiacchiere ad una pianta che non risponderà mai e odore forte di
brodo concentrato.
A quanto pare, nonostante tutto, anche stasera
ramen.
Nda
Che
poi, a incrociarmi per strada, non si direbbe mica che
sono così imbecille,
eh.
Comunque:
I bagni pubblici non sono quelli di stazione
Termini, sono i furoya, quelli in cui prima ci
si lava e poi si
fa il bagno. Quindi entrare nella vasca con la schiuma addosso è da
incivili, sapevatelo.
“Sfida
accettata!” è una
delle frasi topiche di Barney Stinson di How
I met Your Mother e
no, non c'entra nulla a parte il fatto che ormai ho i fusi orari
sballati e confondo realtà, fyccyne e
telefilm. Chiudiamo un occhio (ma pure due, così forse
dormo).
Il chlorophytum
comosum può
effettivamente riprodursi in quella maniera bislacca lì, per talea,
anche se sono quasi convinta che, quando la pianta si secca, le prime
a morire siano le propaggini. Sì, tanta, tanta, tanta felice
licenza poetica per giustificare pseudo-trame che manco i Teletubbies
e Tonio Cartonio, tutto in nome degli Unicorni che mi hanno conferito
il Magico Potere dell'Arcobaleno.
Ah, il suffisso -ichi designa
la primogenitura: quindi Ukkichi è un po' “primo figlio di Ukki”
*muore*
Sì,
la lagna è finita, andate in pace XD
Grazie per l'attenzione.
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