Di delitti imperfetti e funerali in giardino

di wari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** parte prima ***
Capitolo 2: *** parte seconda ***



Capitolo 1
*** parte prima ***


Sono stata tentata di sostituire molte frasi di questa cosa con delle sonore pernacchie, perché tanto avrebbero avuto più o meno lo stesso senso logico, ma beh, alla fine eccoci qua. Utopico Allegro Mondo Perfetto condito di demenziale a profusione, paragrafi irrilevanti e il solito Naruto Due (che è il gatto, non vi sbagliate). Ciò detto, buona fortuna.




Di delitti imperfetti e funerali in giardino
(parte prima)



Nel vecchio quartiere del ventaglio ci sono così tanti problemi che, alle volte, verrebbe voglia di andare a chiedere a Pain perché diavolo non abbia concluso il lavoro e si sia preso la briga di buttarlo giù del tutto.
Sono attimi fugaci di insofferenza per i quali, poi, Sasuke prova un senso di colpa opprimente e mortale e si ravvede trascorrendo le giornate a cercare di far funzionare il quadro elettrico, riparare il tetto e convincere le ante dei mobili a lottare contro la gravità per qualche altro giorno.
È una cosa abbastanza maniacale, ma Naruto passa, saluta e non dice niente; oppure passa, saluta e fa «vuoi una mano?», e se anche Sasuke non risponde, troppo impegnato a scrostare lerciume da sotto il lavello e a capire perché diavolo di ogni cosa che aggiusta avanzi sempre un pezzo, gli si piazza accanto, porge arnesi, regge pezzi e tiene la torcia.
Più spesso, invece,
la casa sembra così enorme che Sasuke perde forze solo a cercare di capire da cosa sarebbe meglio iniziare per convincerla a restare in piedi; e la questione peggiora quando ci si mette anche l'estate, con temperature del tipo che salire due gradini è facilmente paragonabile all'assunzione di una doppia dose di valium a stomaco vuoto.
Per sopravvivere, il ninja medio deve necessariamente mettere in atto una serie d'espedienti e strategie volte ad impedirsi di stramazzare sul tatami ad ogni passo: e quindi Sasuke ha abilmente superato una nottata di caldo torrido dormendo in posizione seduta fuori, sull'engawa, avendo cura di scacciare il gatto ogni volta che minacciava di saltargli in grembo per ammorbarlo col suo spasmodico bisogno d'affetto ed il suo pelo caldo; si è fatto tre bagni in un lasso di tempo drammaticamente breve; ha fatto colazione coi ghiaccioli comprati da quel jinchuuriki idiota che riempie frigo e credenza di dolciumi e, al millesimo miagolio insofferente, si è fatto un quarto bagno portando il gatto con sé.
Ed è stato lì che è successo il fattaccio.
Sasuke di gatti se ne intende: gli piacciono, tutto sommato, più di molti altri animali. Ne ha visti abbastanza nella sua vita, che fossero gatti comuni o gatti ninja, e li ha sempre trovati delle creature sorprendentemente interessanti: pigri, sufficientemente spocchiosi, spesso intrattabili senza alcun motivo apparente, maliziosi e sempre con quell'aria di superiorità impressa nell'angolazione delle code erette o nei profili da statue troppo prese a contemplare l'universo per preoccuparsi di inezie terrene, almeno fino all'ora di pranzo.
Tutte queste considerazioni, più che altro inconsce – non è che si sia messo a studiare i gatti per hobby: non ne ha mai avuto il tempo –, l'hanno fatto giungere alla conclusione che, semplicemente, Naruto Due non è un gatto.
Non lo è. È troppo,
troppo idiota.
Un gatto, un gatto vero, non ti segue come un ombra dondolante mentre deambuli in giro per la casa cercando di costringerti a non espellere troppi liquidi corporei; un gatto vero non ha quella faccia da scemo contento di vivere, quando entra a contatto con tre metri cubi d'acqua; un gatto vero non ti intralcia continuamente il cammino e non lascia pozzanghere scivolose sulla traiettoria del tuo piede sinistro proprio mentre ti issi fuori dalla vasca e, soprattutto, un gatto vero non sgrana gli occhi con espressione colpevole identica sputata a quella di Uzumaki Naruto – arancione, baffi e tutto – quando il tuo tallone slitta sull'acqua e, con un movimento impacciato che è quanto di più lontano possa esserci dalla natura di un ninja, il tuo corpo si sbilancia all'indietro e la tua testa va a sbattere dritta contro il rubinetto, smontandolo. Non lo fa, punto.
«
Io ti odio» scandisce Sasuke, sepolcrale, il sedere dolorante, lo spruzzo d'acqua ormai fuori controllo che gli fischia appena accanto all'orecchio ed un piede a bordo vasca.
Naruto Due, degnandosi di prendere finalmente la prima decisione intelligente della giornata, abbassa le orecchie contrito e schizza via, la coda tra le gambe.


Sasuke non è un idraulico e la sua pazienza era esaurita ben prima che il sole sorgesse sul monte degli Hokage, quella mattina. A dire il vero, lo era anche ben prima che Naruto avesse la stupida idea di convertirlo alla pace e all'amore, un infausto giorno di tre anni fa, ma quella è un'altra faccenda. Adesso, adesso ora, il problema è che Sasuke non ha pazienza, ha un bernoccolo grosso come un melone sulla nuca, un gatto da ammazzare ed un bagno allagato.
«
Bene» sibila, scrutando torvo lo stato di sfacelo in cui versa la stanza. Avanza di qualche passo brandendo con sicurezza chiave a stella e saldatrice: non ha bene idea di cosa dovrebbe farci di preciso, ma tanto non c'è nessun essere inutile imbustato in qualche tuta arancione che possa prenderlo per i fondelli al riguardo, quindi procede, sicuro di sé. Aggira lo spruzzo, che ha da tempo centrato in pieno l'armadietto dei medicinali causando l'agonizzare in terra di boccette e quant'altro, dribbla il cumulo d'asciugamani che lui stesso ha messo a terra nel vano tentativo d'assorbire un po' d'acqua e si prepara all'attacco.
C'è la parte divelta di rubinetto che annaspa sul fondo della vasca strapiena, deformato dagli strati d'acqua sovrastanti.
Sasuke emette un impercettibile sbuffo, il pensiero tutto rivolto alla catartica vendetta che riverserà su quell'imbecille del gatto – da consumare prima che torni Naruto a ricordargli con la sua voce petulante che vendicarsi contro animali e oggetti inanimati è un chiaro sintomo delle sue notevoli nevrosi, e che quindi sarebbe il caso di ricominciare a prendere gli psicofarmaci – e immerge il braccio fino al gomito. Le sue dita incontrano il metallo e lo tirano su, ma anche se avere un utile pezzo in mano dovrebbe portare automaticamente avanti l'ardito progetto di riparazione che Sasuke aveva in mente, la faccenda non sembra funzionare granché: c'è il getto violento che crea un po' di problemi, quando si cerca di tapparlo col rubinetto, e mettersi ad avvitare pezzi di metallo mentre l'acqua ti si ficca in ogni orifizio della faccia non è esattamente agevole, soprattutto se la tua pazienza era finita già dal mattino, e da tre anni, e poi se l'è mangiata il gatto.
«Dannazione» mastica Sasuke, e gli ultimi residui di pazienza vengono espulsi tra gli incisivi serrati.
Sta per imprecare, o usare il chidori – sì, in un bagno allagato, giusto per ribadire la sua già nota propensione all'errare congenito – quando di colpo, proprio mentre lui sta facendo forza contro la pressione dell'acqua col palmo della mano, la spinta del getto si smorza di colpo, facendolo quasi cozzare con la testa contro le piastrelle.
«Eh?» articola, mentre l'acqua si riduce rapidamente ad un unico rivolo annaspante e sparisce del tutto, giù nel tubo.
Sasuke resta così, con le sopracciglia ad un millimetro dalla parete, il pezzo di rubinetto stretto in mano e le ginocchia in acqua.
«
Eh?» ribadisce con più impegno, quando nessun segno celeste si degna di spiegare l'accaduto.
Circospetto, la frangia zuppa appiccicata alla fronte aggrottata, si avvicina a quel che resta del rubinetto e spia con un occhio nel buco.
Niente.
Neanche la soddisfazione di essere vittima d'una scenetta comica di bassa lega, con spruzzo ad alta pressione in modalità accecamento. No: Sasuke Uchiha resterà una persona seriosa che vive in una grande casa buona per la demolizione, a far fronte all'ennesima emergenza idrica. Col caldo che fa, l'acqua gli è già evaporata da dosso e quella che si spande in pozze fuori dalla vasca, tra asciugamani zuppi e chincaglierie varie – delle mutande arancioni navigano solinghe in direzione del water – si sarà già riscaldata.
Costernato, Sasuke resta ad osservare l'acqua che attorno a lui si ritira nello scarico, vorticando in mulinelli discreti mentre il livello scende sempre più giù, sotto la vita, poi a mezza coscia, fino a rimanere un filo sotto le ginocchia e lasciare l'ex nukenin immobile nel mezzo d'una vasca vuota, le gambe pesanti sotto il peso dei pantaloni zuppi.


Fa caldo. Fa davvero troppo caldo, è inconcepibile.
I pantaloni gli si sono asciugati addosso e adesso gli graffiano le gambe con la loro rigidità un po' feltrosa, ogni volta che fa un passo. Sasuke sbuffa, fiacco, e scarta l'ultimo ghiacciolo al limone: è comunque
troppo dolce, ma sicuramente più appetibile di quelli alla fragola che sanno di zucchero e sciroppo per la tosse. Ed è un dramma, considerato che quello è rimasto l'unico alimento commestibile in casa, a parte gli onnipresenti cumuli di ramen e due pomodori agonizzanti.
Praticamente sciolto sull'engawa, nell'unico angolo d'ombra in cui comunque tirano quaranta gradi di solido caldo, il cervello assopito di Sasuke è ancora molto concentrato sul male che dovrà fare al gatto – gatto che se l'è chiaramente filata mollandolo da solo, cosa che dopotutto fa pensare che la bestiaccia conservi quantomeno un po' di spirito di sopravvivenza –, ma un quarto d'emisfero si sta ingegnando per capire come sopravvivere all'emergenza idrica.
E no, non funziona.
«Troppo caldo» delibera non molto brillantemente, seguendo quella linea di pensieri sciolti e bofonchiando in direzione di Ukki, la pianta preferita di Naruto.
La pianta preferita di Naruto, quella che lui tratta come una figlia, quella che, quando i due abitanti del quartiere sono via in missione, viene scarrozzata assieme al gatto nelle affidabili mani di Santo Iruka, in compagnia di qualche altro vasetto congruamente iscritto all'anagrafe immaginaria cui Uzumaki Naruto fa partecipare ogni essere vivente che lo circondi.
Ukki è stata la prima vera prova dei seri disturbi sociali del jinchuuriki, la prima reale conferma di una scomoda verità sempre taciuta nella cerchia di amici e colleghi, in nome dell'affetto che tutti provano per lui: Naruto è disturbato.
Certo, in molti danno semplicemente la colpa a Sasuke: la loro stessa relazione potrebbe essere facilmente inserita in un composito quadro di disturbi comportamentali dell'una e dell'altra parte, ma è chiaro che Sasuke non sia la sola causa di tutte le assurdità uzumakiane. È stato più che altro un fattore scatenante, un allergene che ha dato vita ad una serie di reazioni concatenate di violenza tale da sfuggire al controllo di loro stessi in tempo record.
Sasuke ha un sacco di colpe – centinaia di colpe, una più pesante dell'altra e nessuna completamente riparabile – ma se c'è una cosa per cui proprio non può essere accusato, è la faccenda delle piante.
Non che sia qualcosa di particolarmente inquietante, perché un bambino che cresce da solo in un monolocale avrà effettivamente bisogno di sfogarsi in qualche modo, ma Sasuke trova comunque ancora vagamente preoccupante il modo che Naruto ha di accarezzare le foglie chiare e brillanti di Ukki, mentre le somministra del fertilizzante preparato in casa con ingredienti oscuri – si sospetta anche
feci di Naruto Due – raccontandole allegro della sua giornata.
Certo, Sasuke non ha mai espresso questo insano desiderio a voce alta, ma si dà il caso che sarebbe ben più normale se fosse
lui, l'interlocutore di quelle lunghe chiacchierate: tanto Naruto non necessita di risposta, dato che può anche rivolgersi ad una pianta, no?
No, a quanto sembra. E non ci si può lamentare d'una cosa del genere, non quando solo un paio d'anni fa eri
tu quello che parlava da solo con la gente morta e credeva di vedere cose che stavano solo nella sua testa. Insomma, probabilmente chiacchierare con le piante è molto meno grave, se si è costretti a stabilire una scala di valori; ma comunque non completamente rassicurante della sanità mentale di un individuo, ecco.
Ma non c'è nulla da fare: quando si cerca di farglielo notare, o si minaccia distrattamente una possibile dipartita del tutto accidentale della simpatica pianta, Naruto elargisce sguardi offesi e sussurra col naso tuffato tra le foglie, materno: «lascia perdere il brutto nukenin mangiabambini, Ukki chan. Ci penso io a tenertelo lontano».
Ukki non è una pianta: Ukki è
la pianta, un essere vivente cui Naruto ha dedicato molte ore della sua vita, un essere vivente sensibile e delicato su cui il jinchuuriki ha riversato tutto il suo affetto inespresso di bambino solo: Ukki è viva.
Cioè, lo era.


Nell'unico angolo ombroso dell'engawa inondato di sole che corre attorno a casa Uchiha, si sono susseguite una serie di azioni inutili nella praticità, ma assolutamente necessarie perché Sasuke riacquistasse completa padronanza di sé: l'ex nukenin ha sgranato gli occhi, si è soffocato con l'aria nel più totale silenzio, ha emesso un flebile rantolo di costernazione e poi s'è alzato di scatto, imprecando sia perché la pressione sotto le scarpe gli ha regalato qualche secondo di visuale fuori fuoco, sia perché – cosa ben più grave – ha finalmente inquadrato per intero la gravità della situazione.
Ukki,
Ukki chan, giace esanime nel vaso, la chioma smorta e floscia che penzola immobile oltre il brodo, il colorito pallido e marroncino: sembra una verza cotta, ha la stessa puzza di una verza cotta e se ne sta lì, le foglie sottili e pesanti, svenute.
E non è tanto questa la cosa grave, quanto piuttosto l'innegabile, incontrovertibile realtà dei fatti: Ukki era sotto la sua diretta responsabilità.
Quando Naruto è in missione, solo due cose sono richieste espressamente a Sasuke: non uccidere il gatto e innaffiare le piante. Sono in fondo due richieste non troppo impegnative, qualcosa di semplice che chiunque potrebbe fare anche senza delle direttive precise, e invece Naruto spende comunque quei dodici secondi della sua esistenza per ricordarglielo. Non è in ansia, ma lo fa comunque perché ci tiene, perché crede che sia suo dovere occuparsi di gatto e piante e che quindi, quando lui non può per cause di forza maggiore, sia comunque suo dovere far in modo che gli altri abbiano invece la possibilità di farlo in maniera il più possibile agevole.
Sasuke ce l'aveva, la possibilità di farlo. Ce l'aveva, ma se n'è scordato.
«Merda» impreca, chinandosi a guardare il vaso. Niente: anche a girarlo in tutte le direzioni, la pianta non si alza.
«Merda» ribadisce, mordendosi il labbro.
Si tira in piedi e va in cucina, svelto; nel frigo sono rimasti degli avanzi di sugo, dei pomodori agonizzanti, una confezione di latte e due bottiglie d'acqua: ne tira fuori una e quasi si scartavetra una mano cercando d'aprirla.
«
Merda» ripete, con una nota d'esasperazione: non è possibile che non riesca ad aprire una bottiglia, è senza senso. O forse ha le mani troppo sudate.
Fa un respiro profondo, afferra un lembo della sua stessa maglietta e ci avvolge il collo della bottiglia, per svitare il tappo senza farselo scivolare sotto le dita; poi scatta in direzione della finestra.
Ukki è ancora lì, e sembra più morta ogni minuto che passa.
Sasuke afferra il vaso con decisione, si accascia in ginocchio e ci svuota dentro mezza bottiglia d'acqua in un colpo solo; poi aspetta che le radici facciano il loro lavoro.
Aspetta.
Aspetta.
Versa il resto dell'acqua, che inizia a colare sia da sotto che dai bordi.
Aspetta ancora.
«
Merda» sibila, le labbra sempre più contratte. L'acqua non scende, sta lì a fare melma. Qualche fogliolina morta si stacca e naviga giù, colando sull'engawa sotto lo sguardo costernato di Sasuke.
Non si spreca neanche più a imprecare, l'ex nukenin, e l'unica cosa che gli viene in mente di fare è un collegamento completamente illogico: pianta in fin di vita – no,
non può essere morta – va portata da qualcuno che possa rianimarla. E dato che non c'è Orochimaru a portata di vista, e neanche Kabuto – forse perché tecnicamente sono entrambi alquanto morti – dovrà arrangiarsi con quel che offre Konoha.
Afferra il vaso con due mani e si alza in piedi, provocandosi la contrattura di un paio di vertebre e facendosi colare la fanghiglia addosso. Non ci fa praticamente caso, fa dietrofront e attraversa il soggiorno in un frusciare di foglie smorte, per aprire la porta di ingresso con la schiena, intimamente soddisfatto d'averla lasciata aperta come al solito – come Naruto detesta che faccia.
Si accorge di aver dimenticato i sandali quando ormai ha già attraversato quel che resta del vecchio ingresso del ghetto, e sinceramente non riesce neppure a restarne troppo turbato, anche se sotto le piante dei piedi il suolo scotta abbastanza.
Si schiaffa la pianta sotto un braccio e corre, neanche dovesse seminare una squadra di genin mandata ad impedirgli di tradire il Villaggio.


Poco dopo la pausa pranzo, è il momento che Sakura preferisce: solitamente i pazienti sono sonnacchiosi, specie con questo caldo, e l'ospedale sembra entrare in una bolla di tranquilla staticità, enormemente rilassante rispetto alla consueta frenesia.
Sakura finisce di ripulire il suo bento con calma, un po' annoiata per l'assenza di Ino, che ha la giornata libera e sta in negozio, e dà un'occhiata all'orologio. Sono le tre meno un quarto: ha ancora una decina di minuti di sosta.
Fa per recuperare la sua borsa ed estrarne un libro dall'aspetto malconcio, quando una serie di passi affrettati lungo il corridoio ed un paio di richiami concitati la sorprendono così, col libro in mano e il collo teso in direzione della porta.
«Sakura!» fa una voce bassa ma imperiosa.
Sakura sgrana gli occhi ed è seriamente tentata dal mettersi sull'attenti, prima di ricordare che no, non ha dodici anni, Uchiha Sasuke è un imbecille – il suo imbecille, come lo è Naruto. E nessuno s'azzardi a dirlo di fronte a lei – e non c'è alcun bisogno di farsi prendere da qualche sciocco batticuore, tanto più che, se Sasuke arriva in ospedale alle tre del pomeriggio e la chiama con una certa urgenza, la situazione può essere tutto fuorché piacevole.
Ed è infatti con notevole apprensione che Sakura molla il suo libro e si affaccia, in fretta, solo per inquadrare la figura lunga e accaldata di lui, nascosta dietro ad una sorta di ingombrante ciotola piena d'erbacce che cola fango tutt'intorno, tra gli insulti di un inserviente che si è già messo a pulire il corridoio blaterando di malasanità e presunta sterilità dell'ambiente ospedaliero.
«Sasuke?» domanda, seriamente preoccupata.
Ecco, è uscito di nuovo di brocca, stavolta definitivamente: è pure scalzo. Adesso le verrà a raccontare che nella bacinella di fango c'era la testa di Madara che cercava di circuirlo con voce suadente.
«Devi aiutarmi» ribatte il pazzo, arrivandole davanti, serissimo e chiaramente in difficoltà. E Sakura sbianca, perché se Uchiha Sasuke, serissimo, ti chiede d'aiutarlo, significa proprio che la situazione è disperata.
Nella mente della kunoichi si aprono una serie di scenari terrificanti, con nuove minacce al Villaggio, al Paese, al mondo intero.
«Io... entra» conclude, cercando di calmarsi. Sasuke annuisce e la precede nello stanzino ingombro di scartoffie, mentre lei si scusa frettolosa con l'inserviente e chiude la porta.
Fa scattare la maniglia e segue con lo sguardo le impronte polverose e le gocce di fango che conducono ai piedi scalzi di Sasuke; lui ha appena poggiato la bacinella sul tavolo di metallo che sta accostato alla parete e se ne sta lì, coi capelli neri a ricadergli davanti al viso, la linea delle labbra tesa e i pugni serrati.
E nessuna di queste cose è un buon segno.
Si volta e la guarda, senza riuscire ad articolare verbo.
Sakura ricambia lo sguardo con decisione e si avvicina per esaminare la bacinella, che non è una bacinella: è un vaso.
«Sasuke» respira, ritrovandosi per un attimo senza forze. «
Questo è Ukki».
Lui non risponde, le pupille incollate alle foglie flosce che praticamente galleggiano nel terriccio misto ad una quantità spropositata d'acqua e ricadono pendule da ogni lato, come alghe bagnate.
«Ah, è maschio?» borbotta l'ex nukenin, a disagio.
Sakura alza gli occhi al cielo e trae un profondo respiro.
«Non è questo il punto» mastica, trattenendosi dall'urlare – è Sasuke, ci vuole pazienza:
è Sasuke – e cercando piuttosto d'assumere un tono tranquillizzante. «Come hai fatto a ridurlo così? Non puoi innaffiarlo così tanto, ci sono... le piante non vanno innaffiate così tanto!»
«Lo so, cosa credi? Non l'ho... ho dimenticato di... invece di decidere di chi è colpa, perché non fai qualcosa?» risolve, con una nota d'isteria incastrata in gola e tradita dal gesticolare nervoso delle mani – solo quelle, tenute giù oltre la cintola.
Sakura lo guarda e respira. Poi respira di nuovo, ricordando che spiegare a Sasuke il concetto di responsabilità personale – non c'è bisogno d'aprire un caso giuridico: è
ovvio che sia colpa sua, se Ukki è in quelle condizioni – è un'assoluta perdita di tempo, e può avere solo conseguenze distruttive sulla sua già disagiata psiche. Perciò ignora semplicemente l'intera questione e si concentra sull'assurda richiesta.
«Sasuke, io sono un medico» dice, guardandolo dritto negli occhi. E quando lui aggrotta le sopracciglia e fa per ribattere aggiunge «un medico, un dottore per persone. Converrai con me che c'è una certa differenza tra un uomo ed una pianta».
Sasuke stringe le labbra e borbotta «però il capitano Yamato lo curi», sostenuto.
Sakura si trattiene dallo strabuzzare gli occhi e preferisce poggiargli cautamente una mano sull'avambraccio.
«In ogni caso, credo ci sia poco da fare, ormai» suggerisce, con voce comprensiva ma in tono definitivo, come avesse appena diagnosticato una malattia mortale ad un paziente e lo stesse comunicando ai familiari.
Sasuke le rivolge un'occhiata seriamente preoccupante, esattamente come il familiare di qualcuno cui sia appena stata diagnosticata una malattia mortale, appunto; Sakura deglutisce.
«Ma è Ukki» riprende l'ex nukenin, distante. «Se fosse morta quell'altra lì, quella specie di cactus che ha comprato due mesi fa, sarebbe stato tragico, ma non devastante. Questa...
questo è Ukki. Io non posso avergli ucciso Ukki» conclude, costernato, parlando più tra sé e sé che con Sakura.
«D'accordo. Stiamo calmi» fa lei, aggrottando le sopracciglia. La pianta ha macchiato diversi dei fogli che erano sul tavolo e acqua sporca continua a filtrare dai buchi sul fondo del vaso. «Forse potresti portarla da Ino» propone, mordendosi l'interno della guancia, mentre con un indice dubbioso cerca di tirare su qualcuna delle lunghe foglie.«Ma l'hai lasciata a friggere con questo caldo?» si lascia sfuggire, in un mugolio.
Sasuke soprassiede, facendo finta di non sentirla.
«Yamanaka potrà servire a qualcosa per una volta nella vita?» mastica, aspro, meritandosi un'occhiataccia di rimprovero.
«Non se non cerchi almeno di essere gentile» lo ammonisce Sakura, severa. «Ino è in gamba, e se c'è qualcuno che si intende di piante quella è lei. Va' e comportati come si deve» delibera, decisa, ma senza incrociare il suo sguardo. Fortunatamente, lui è ancora troppo preso dalla pianta e non si accorge né della nota tremante nella voce di Sakura, né del rossore che le è salito in viso: è sempre così, tanto è facile cazziare Naruto anche per le cose più sceme, tanto è difficile contraddire Sasuke o, peggio, cercare di rimproverarlo quando lui fa cose completamente ai limiti della legalità o del buon senso. E succede almeno una volta al mese, quando va bene.
«Da Yamanaka» ripete l'ex nukenin, traendo un respiro un po' più profondo. Poi si sistema di nuovo il vaso tra le braccia, aiutato da Sakura, che gli sposta un po' di fogliame da davanti al viso, premurosa.
«Ma non ci sperare troppo» aggiunge, materna.
Sasuke mette su una mezza smorfia, ma non dice niente. L'istante dopo è già in corridoio a farsi urlare dietro dall'inserviente.
Sakura resta in piedi davanti alle cartelle imbrattate di fango e sospira, prima di rinfilarsi il camice e cominciare il turno con quasi cinque minuti di ritardo.


Konoha è un posto stupido pieno di gente stupida e, se c'è una cosa che Sasuke detesta, è andare in giro per il villaggio e scoprire di non ricordare minimamente dove dovrebbero essere certi edifici una volta noti. Grazie a Pain, ovviamente, e anche a quel capitano Yamato che sarà pure abile a tirar su case dal niente, ma in quanto a fantasia non si è sprecato più di tanto, e molti edifici si somigliano lasciando ai passeggiatori non abituali la sensazione di star camminando sempre nello stesso posto.
Quando finalmente avvista l'insegna del negozio di fiori Yamanaka, Sasuke si è già fatto un buon pezzo di strada più del dovuto, scottandosi i piedi, sudando e attirandosi le occhiate tra il perplesso e l'inorridito di una buona metà dei passanti, quelli che non si sono semplicemente limitati a distogliere lo sguardo dalla sua pericolosa nonché riprovevole persona come di consueto.
Sasuke si pianta davanti alla porta a vetri, incorniciata tra due arbusti rigogliosi ed altre piante grasse generiche poste all'esterno, e bussa, facendo tremolare vetro e cartellino “chiuso” appeso all'interno.
Bussa un'altra volta, più forte, e finalmente dei passi annunciano che qualcuno dentro c'è; fingeva solo di non sentire.
«Non sa leggere?» esordisce la voce di Ino, da oltre la porta. Uno dei pannelli scorre a mostrarne la faccia tra il seccato e il perplesso «Siamo chiu-oh. Sasuke kun?» fa, l'occhio visibile sgranato.
Lui le offre un'espressione chiaramente spazientita, prima di annunciare senza troppi preamboli: «
puoi fare qualcosa?», mettendole Ukki sotto il naso.
Ino il naso lo storce, tirando un po' indietro il collo per esaminare più agevolmente lo stato pietoso in cui versa la pianta.
«Che diavolo dovrei farci, con quest'ammasso di foglie morte?» fa, guardando Sasuke come se lo trovasse completamente suonato.
Lui si trattiene dal mandarla al diavolo, mentre una vocina paurosamente simile a quella di Sakura gli ripete
sii gentile, sii gentile nell'orecchio, o forse nella zona più malata del suo cervello, la stessa che lo sta contemporaneamente incitando alla violenza selvaggia contro quel covo di ipocriti teste di cazzo che è il villaggio della Foglia.
«
È di Naruto» comunica, e lo sa che gli è sfuggito un tono sottilmente supplice. Lo sa, perché Ino sgrana gli occhi ancora di più e lui si maledice. La kunoichi alza le pupille al cielo e fa «entra» scostandosi per permettergli di passare.
Nel negozio la luce filtra prepotente, ma mitigata da tutto quel fogliame verde equamente distribuito tra pavimento e soffitto, dal quale pendono complicati intrichi di piante in vaso, in un soffocante miscuglio di pollini e
puzze.
Ino gli fa cenno di posare Ukki sul bancone e poi lo aggira, per sistemarsi dall'altro lato, di fronte alla pianta.
«Un esemplare di
chlorophytum comosum. Volgarmente detta pianta ragno» commenta, dopo una breve ispezione delle foglie. «Chi è il cretino che si è dimenticato di innaffiarla?»
Sasuke non fa neanche lo sforzo di schiarire la voce o mostrare qualche segno di imbarazzo: diventa semplicemente un blocco di marmo. Un blocco di marmo sudato con le labbra strette.
«Puoi fare qualcosa?» chiede ancora, stavolta senza neanche nascondere la vena di panico.
Ino sospira forte, le sopracciglia aggrottate e le mani che frugano tra le foglie.
«Beh, se non era morta prima, l'ha stroncata la colata d'acqua, direi: come offrire un banchetto in dieci portate ad un sopravvissuto nel deserto. Dubito di poter fare qualcos... Sasuke kun, ti senti bene?» domanda, quando nota chiaramente un accenno di tic nervoso nell'occhio destro dell'ex nukenin.
Lui espira un po' d'aria dal naso, la mano che teneva sul bancone stretta fino allo spasmo e lo sguardo fisso sull'esanime Ukki.
«Sì,
benissimo» sibila, minaccioso. «Ho appena ucciso qualcosa come il parente più prossimo di Uzumaki Naruto, ma sì, va tutto a meraviglia».
«Vuoi un bicchier d'acqua?» propone Ino, conciliante; ma si vede che ce la sta mettendo tutta per trattenere
le risatine.
«Non c'è niente da ridere» l'ammonisce Sasuke, appena prima che lei scoppi davvero in una risata, nascosta dietro la mano e le fronde morte –
morte, morte, morte – di Ukki.
«Sì, sì» ansima la kunoichi, cercando di trattenersi senza successo. Fa un profondo respiro, per darsi un contegno di fronte al viso immobile e serio di Sasuke.
Sospira e scivola via dal bancone, diretta verso le piante in vaso sul lato sinistro del negozio.
Ammonticchiati su uno sgabello, prosperano dei rigogliosi sosia di Ukki.
«Che ne pensi?» propone Ino, prendendo un esemplare bello grande.
Sasuke si concede una lunga occhiata che va dalla kunoichi alla pianta ragno e vice versa.
«
Non sostituirò la pianta...» comincia, combattuto, senza riuscire a staccare gli occhi dal bel colore verde chiaro che spunta a ciuffi morbidi dal vaso.
Ino carezza le foglie con studiata noncuranza.
«Ti farei un prezzo modico» continua, ammaliatrice.
«Io non sostituirò la pianta!» ribatte Sasuke, deciso e un po' brutale.
«Come vuoi, come vuoi» sbuffa lei, roteando gli occhi. «Naruto sarà addolorato... Sakura dice che sia molto affezionato alle sue piante» commenta, sospirando mesta.
Sasuke stringe le labbra, mentre un macigno di rovente senso di colpa gli frigge le viscere.
Sposta gli occhi dalle spoglie mosce di Ukki, ancora immobile sul bancone, alla bella pianta viva che Ino non ha ancora riposto sullo sgabello.
«Dammi quella maledetta pianta» mastica, furioso.
Ino rilassa le sopracciglia, sorridendo vittoriosa.
«È un piacere fare affari con te, Sasuke kun».


Ci sono stati attimi di panico, ma non a caso Uchiha Sasuke è un ex ricercato di livello S, mica uno scemo qualsiasi. E comunque le missioni le ha sempre svolte in maniera efficiente.
Purtroppo, non riesce a pensare alla pianta come
Ukki: gli viene una sorta di bruciore alla bocca dello stomaco. Potrebbe anche essere perché non ha pranzato, ma non ha alcuna voglia di scoprirlo.
Quindi resta fermo, accasciato sull'engawa coi piedi doloranti, a fissare il vaso ricolmo che si è sistemato accanto: l'ha accomodato su un vecchio sgabello che consenta alle propaggini filamentose di penzolare indisturbate e ora le foglie della pianta frusciano serenamente al lieve spostamento d'aria causato dal fiato di Sasuke stesso, che sta seduto vicino come dovesse assicurarsi che non capiti nulla.
È sudato come una spugna e per lavarsi almeno in parte ha dovuto usare l'ultima bottiglia d'acqua rimasta, perché il quartiere è ancora in piena emergenza idrica e la questione gli è tornata in mente solo quando finalmente ha messo giù la pianta. Rassegnato alla situazione, s
i è sistemato accanto al vaso e da lì non si è più mosso, troppo stanco e seccato con se stesso, l'universo e specialmente Ino, che ha accettato che lui si portasse via a credito il chlorycoso cosum – era uscito senza sandali, figurarsi se aveva pensato a portarsi dietro dei soldi – ma a prezzo maggiorato, per via di non si sa quale politica del negozio che Sasuke non aveva voluto sapere.
«Azzardati a morire e me la pagherai» sibila l'ex nukenin alla nuova pianta, con lo stesso tono ammonitore che è solito rifilare al gatto.
Ecco, ha pure perso il gatto, nel frattempo. Probabilmente si è sciolto da qualche parte in giro per il quartiere ed è morto, perché non c'è una cosa che vada giusta, in quel posto, mai. Non c'è una cosa che vada giusta nell'universo, in realtà. La vita non ha senso, il mondo è stupidamente storto e tutto quel che succede succede senza alcuna ragione, in un continuo agitarsi senza scopo di sciocchi, patetici tentativi di dare un proprio ordine al caos.
Gli è venuta la nausea.
«Ah, ci sei!»
La voce squillante di Naruto lo fa letteralmente saltare; Sasuke sbatte un gomito contro lo stipite dello shouji e per poco non ficca l'altra mano dentro il vaso del nuovo Ukki.
«Ti ho chiamato almeno due volte. La pianti di lasciare la porta aperta?» aggiunge, brontolante. Però ride, contento per non si sa cosa, dato che ha un aspetto lercio, polveroso e anche un po' insanguinato – sangue d'altri, si spera – e gli si lascia cadere accanto, liberandosi della giubba con un certo impaccio e facendola atterrare poi sul tatami. «Si sta più freschi, qua?» domanda poi, forse cercando un perché all'aver trovato Sasuke accasciato tra finestra ed engawa, stretto tra lo shouji e una pianta in vaso.
Sasuke lo studia, guardingo e immobile, sulla difensiva.
«Stai bene?» chiede subito il jinchuuriki, perplesso; lui, che pare sopravvissuto ad un tornado, piuttosto che ad una missione.
«Certo» ribatte Sasuke, dandosi un contegno più composto e cercando di smetterla di fare pensieri assurdi su come, voltando di poco il collo, Naruto noterà che la tonalità di verde di Ukki è un po' troppo scura, e che le strisce giallo–biancastre e marcate che attraversano longitudinalmente tutte le foglie sono un po' troppo chiare e che il vaso non è esattamente delle stesse identiche dimensioni di quello di Ukki, e forse neppure della stessa sfumatura di argilla terrosa.
Naruto annuisce tranquillo, e gli dà un pugno leggero sulla spalla, prima di alzarsi e annunciare «vado a farmi un bagno», coronando il tutto con una scricchiolante stiracchiata di colonna vertebrale.
Sasuke annuisce e ne segue distrattamente il fondoschiena con lo sguardo, prima di uscire dalla trance.
«Non puoi fare il bagno» afferma, basso.
Naruto interrompe la falcata a metà e si volta; il tatami scricchiola sotto il suo peso.
«Il bagno. Non puoi, non c'è l'acqua» spiega Sasuke, neutro.
Il jinchuuriki rantola, scoraggiato.
«Di nuovo?! Non è possibile! L'altro giorno c'era...» sospira e sbuffa, maledicendo il dannato caldo e lamentandosi delle mutande che gli si sono appiccicate addosso; non contento, si gratta le chiappe con un'espressione scocciata, per sottolineare il concetto. «Vabbè, mi arrangio con quel che c'è...» brontola, prima di dirigersi in cucina con una stretta delle spalle.
Sasuke stringe i denti.
«È finita anche quella» annuncia, con la maggiore naturalezza possibile.
Sente chiaramente Naruto che apre la porta del frigo e poi fruga sotto il lavello, per accertarsene.
«Ma che cazz...» impreca, scontento. «E perché non l'hai comprata?» gli urla, dalla cucina.
Sasuke rifila un'occhiata assassina alla stupida pianta ragno, prima di mugugnare con palese fastidio.
«
Andiamo ai bagni pubblici?»
La testa bionda di Naruto sporge incredula dall'ingresso del soggiorno.
«Il luogo
in cui gli immondi abitanti di Konoha credono di poter lavare via la loro... com'era? Condotta immorale?»
«
Le loro sudicie coscienze, usuratonkachi» rettifica Sasuke, sostenuto. Poi si schiarisce la voce. «Lo penso ancora. Ma per una volta può andare».
Naruto scoppia a ridere, gaio.
«Sei uno stronzo senza possibilità di redenzione» commenta, giulivo. «Vado a prendere la roba!» aggiunge, facendo i gradini a due a due in un concerto di scricchiolii, evidentemente dimentico d'essere stanco morto.
Sasuke sospira e lancia l'ennesima brutta occhiata alla pianta. Finirà per ammazzarla a furia d'ammonimenti gratuiti.
Cerca semplicemente di pretendere che nulla sia successo, e riesce quasi a inalare finalmente un sufficiente quantitativo d'ossigeno per rischiararsi il cervello, quando la voce di Naruto lo fa sobbalzare di nuovo, arrivando alta e inquisitoria dal piano superiore della casa.
«Sasuke! Che cazzo hai fatto in bagno?!»
Ah, già
. Il bagno.
Sasuke si preme le dita in mezzo agli occhi, stremato.



Nda
Continua causa logorrea.
L'engawa è quella sorta di veranda che corre attorno alle vecchie case giapponesi, separata dall'interno dagli shouji, i pannelli scorrevoli con l'intelaiatura coperta da carta di riso. I fusuma sono più o meno la stessa cosa, ma di legno, e di solito si usano all'interno, per separare gli ambienti.
Per chi si fosse chiesto come abbia fatto Uchiha Sasuke a distruggere un rubinetto con una testata, la risposta ovviamente è: “Sasuke ha la testa più dura del mondo”. Compris?

Ma è narusasu o sasunaru? Come vi pare, per me è ininfluente.


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Capitolo 2
*** parte seconda ***


Seconda Seconda parte della stupidata. Di nuovo, buona fortuna.




Di delitti imperfetti e funerali in giardino

(parte seconda)





I bagni pubblici sono un luogo odioso, davvero.
E non perché ci si ritrova a fare il bagno con degli sconosciuti, solitamente tutti appartenenti alla massa di viscidume ipocrita che è Konoha. No, i bagni pubblici sono un luogo odioso perché il bagno finisci a farlo coi conoscenti.
«Mia madre ha detto che le sporcavo la vasca. Mi ha praticamente cacciato a calci!» sta spiegando Inuzuka Kiba, mentre si insapona festante un'ascella, col cane che gli lecca la schiena in un qualche perverso tentativo d'aiutarlo nelle abluzioni.
«Ma non dovrebbero restar fuori, i cani?» mastica Sasuke, senza che si capisca se ce l'abbia con Kiba
 o con Akamaru, dato che è voltato di schiena e si sta insaponando i capelli da mezz'ora, per riempirsi le orecchie di schiuma e non dover più sentire le ciarle imbecilli che Naruto sta scambiando con quell'idiota di Inuzuka. E per fortuna che non è ancora comparso Sai, o avrebbe dovuto far fronte ad una sequela di assurdità sulle dimensioni dei peni, e non è proprio dell'umore adatto: sarebbe diventato volgare.
«Sasuke, passami lo shampoo» gli fa Naruto, tendendo il braccio alla cieca, ancora tutto preso dalle ciarle con Kiba, cui sta raccontando dettagliatamente lo stato pietoso in cui versava il rubinetto e in generale l'intero ambiente della stanza da bagno di casa Uchiha.
Sasuke alza le pupille al cielo, rimanendo però sapientemente rivolto verso la parete.
Un rivolo di schiuma gli cola sulla fronte e va a finire nell'occhio. Alla cieca, raccoglie il flacone dal pavimento e lo mette nella mano aperta dell'idiota, che dimentica di ringraziare, o forse è che in tutto quel parlottio, quel caldo, quell'odore di sapone e umanità che riempie le narici come cotone, semplicemente, è come avere la testa imbottita di schiuma e non c'è verso che si riesca a sentire un tubo.
Sasuke li odia da morire, i bagni pubblici.
Se lo ripete mentre sciacqua la testa e l'occhio brucia furioso – per un attimo, del tutto irrazionale, lo coglie il timore che non appena lo riaprirà si attiverà qualche diavoleria come Amaterasu – e poi, con uno sbuffo, si defila nell'acqua calda senza proferire verbo, ansioso di mettere qualche metro tra sé, Inuzuka e possibilmente l'intero mondo circostante.
Viene subito deluso, perché Naruto gli scivola appresso in
 fretta, beccandosi le occhiatacce di mezza clientela del bagno, dato che ha qualche rimasuglio di schiuma sulla spalla. Comunque, nessuno fa in tempo a fermare l'irruento eroe di Konoha che lui è già dentro, seduto a gambe incrociate sul fondo, un sorriso morbido e soddisfatto in viso e le ginocchia a cozzare non troppo involontariamente con quelle di Sasuke; con tutto che l'ex nukenin si era assicurato di stare nell'angolo più discosto della vasca, perché, a parte la fobia sociale, starsene nudo come un verme senza il ventaglio a ricordare a tutti che se sono vivi è solo per un suo capriccio, e coi capelli troppo bagnati per potercisi nascondere dietro senza sembrare particolarmente idiota, Sasuke si sente decisamente inerme.
Naruto mantiene quel sorriso stupido e tranquillizzante per un altro po', solo per lui, e poi fa cenno a Kiba di darsi una mossa, voltandosi di nuovo verso il bordo e appigliandovisi col braccio.
«Fate posto!» si annuncia Inuzuka con un'aria da spaccone che non c'entra nulla, visto che di posto ce n'è a sufficienza per una mandria di Akamaru.
E infatti, mentre il padrone si pianta nell'acqua calda con un uggiolio soddisfatto e già smania per rompere le scatole, ingaggiando una lotta di schizzi con Naruto – 
sfida accettata!, ovviamente –, Akamaru prende la rincorsa per partecipare attivamente alla festa. Prima che riesca davvero a tuffarsi nella vasca, un anziano indignato raglia «ma insomma!», qualcuno urla «il cane nella vasca no!» e Kiba fa giusto in tempo a lanciare un ammonimento ringhioso che gela Akamaru sul posto.
Il cane resta sul bordo, a mugolare imbronciato, ma ubbidisce; rincula e muove il testone per assistere alla stupida battaglia di schizzi tra il suo padrone e l'idiota biondo.
Sasuke osserva costernato la scena mentre il suo sedere scivola sempre più giù, fino a fargli immergere il naso nell'acqua. Sbuffa, generando una manciata di bolle.
«Toh, guarda un po' chi si vede» esordisce una voce, dall'alto.
Kiba interrompe il suo tentativo di annegare Naruto e lui tossisce «ciao Shikamaru!» facendo girare mezzo bagno.
Sasuke no, inorridisce ma resta al suo posto, degnandosi solo di spostare le pupille per inquadrare due gambe e una cintola coperta da un asciugamano, e il cane enormemente bianco che sta cercando di slegarlo e portarselo via.
«Akamaru...» bofonchia il nuovo arrivato, strappandoglielo dalle fauci solo per essere slinguazzato in ogni punto raggiungibile dalla bestia; Kiba si scompiscia, mollando la presa su Naruto.
«Ciao Naruto, 
Kiba...» saluta Shikamaru , sedendosi sul bordo e lanciando un'occhiata tra il divertito e l'esasperato ad Inuzuka. «Sasuke» aggiunge poi, con un cenno del capo.
«Nara» fa lui, con immotivato astio che viene però prontamente ignorato dal genio.
«Come mai da queste parti?» domanda quello, mentre acciuffa un bagnoschiuma dall'odore fortemente muschiato che sembra esattamente il genere di cose che potrebbe comprare sua mamma. Si accomoda su uno sgabello e lascia che Akamaru gli gironzoli attorno festoso, beccandosi manciate di sapone sul muso.
«La mamma era convinta che io e Akamaru avremmo sporcato la vasca» sbuffa Kiba, scuotendo la testa incredulo, mentre si avvicina al bordo.
Shikamaru annuisce, con l'aria però di star dando ragione alla signora Inuzuka. Ma rinuncia alla polemica e comincia piuttosto ad insaponarsi un braccio con fare stanco.
«Stesso motivo» spiega pigramente. «Quando deve venire la nonna mia madre diventa ossessionata dalle pulizie... le suocere sono il genere femminile più intollerabile che esista, appena dopo le madri».
Akamaru gli poggia la testa sulle gambe, sbavandogli addosso e facendo le bolle di sapone col naso.
«E voi? È strano vedervi qui» domanda Shikamaru, fingendo di non accorgersi del cane.
Naruto se la ride, i gomiti sul bordo, e Sasuke si ritira di nuovo col naso sotto il pelo dell'acqua, cercando di svicolare con la maggiore dose di dignità possibile.
«Questo psicopatico ha demolito il bagno. E poi mancava l'acqua» spiega il jinchuuriki col pollice alle spalle, a indicare Sasuke. Poi, senza preavviso, trasale e si volta di scatto verso di lui.
«E le piante?!» fa, nel panico.
Sasuke inspira l'acqua della vasca e mezzo affoga tra le risate di Kiba.
«
Cretino» ingiunge, oltraggiato, mentre tossisce e torna a Naruto, che lo guarda con gli occhi d'una madre che non sappia che fine abbiano fatto i suoi cuccioli. Qualcosa nello stomaco di Sasuke, all'altezza del diaframma, tenta di suicidarsi.
L'ex nukenin si riprende, tossendo altra acqua.
«Le piante stanno benissimo, usuratonkachi. E smettila di essere ossessivo» 
soffia, stizzito.
Naruto lo ignora, ben consapevole dell'opinione dell'altro riguardo il suo attaccamento per gli esseri verdi.
«Anche Ukki? Con cosa le hai innaffiate? Non c'era un goccio d'acqua» domanda, un po' più tranquillo, mentre Shikamaru finisce di sciacquarsi con cura e entra anche lui nella vasca, lasciando il povero Akamaru ad uggiolare invidioso sul bordo.
Al nome della beneamata, defunta pianta, la cosa nello stomaco di Sasuke si impicca con l'intestino, o almeno questa è la sensazione che ha lui. Dall'esterno, si nota solo un lievissimo tremolio della palpebra sinistra, che passa tranquillamente inosservato sotto la salvifica cortina dei capelli ed un'espressione il più possibile altera e seccata.
«Con l'acqua in bottiglia, 
idiota. Smettila di smaniare» ribatte, sperando che si volti per unirsi a Kiba nella sua opera di tormento ai danni di Shikamaru, dato che Inuzuka sembra divertirsi un mondo mentre prova a ribaltarlo dalla sua flaccida posizione seduta, tirandolo per un piede e godendo nel vedere la testa del genio scivolare sempre più, spalmata contro il bordo vasca.
«Giusto...» fa invece Naruto, senza avvedersi di nulla. E quando Sasuke sta già per rilassarsi, aggiunge, aggrottando le sopracciglia: «ma perché era lì?».
C'è silenzio per un attimo, rotto solo dalla risata trionfale di Kiba, che è riuscito a stendere Shikamaru tutto sul fondo; dal viso deformato del genio, sotto il mezzo metro d'acqua, si alzano grosse bolle sbuffanti che increspano la superficie.
Sasuke opta per una tattica di temporeggiamento.
«
Cosa» chiede, adottando il tono più infastidito del suo repertorio.
«Lo sai, teme. Ukki, dico. Ci stavi seduto vicino, di solito non sta lì...» fa Naruto, vago, la mente come tesa a focalizzare qualcosa: non è in tensione, anzi, sta solo conversando, ma Sasuke sente il pericolo vibrare nell'aria allo sfiorare dell'argomento e si irrigidisce.
«No?» ribatte, ostentando disinteresse. Apre la bocca per proporre di tornare a casa, ché gli si stanno raggrinzendo i polpastrelli – e lui 
odia che gli si raggrinziscano i polpastrelli – ma Naruto ha l'aria pensosa di quando le cose non gli tornano, quella insopportabile da eroe risolvi-tutto. Sasuke inizia a progettare rapidamente di inscenare uno svenimento; non necessariamente suo: andrebbe bene anche stordire Inuzuka, così riuscirebbe ad ottenere un po' di sano silenzio, in aggiunta.
«Si sarà spostata» aggiunge l'ex nukenin, quando vede che Naruto lo sta ancora guardando con espressione interrogativa.
«Da sola» fa quello, scettico.
«Sarà stato il gatto! Qual è il problema?» si ritrova presto ad alzare la voce Sasuke, frustrato.
Mezzo bagno si volta – 
checcazzo, se Inuzuka urla oscenità però nessuno si gira, eh. Gli abitanti di Konoha hanno la discriminazione nel sangue – e lui decide che, invece di provare fastidio e imbarazzo, li spedirà tutti in un genjutsu. Fa per voltarsi, pronto a concepire qualcosa che sia il più sanguinoso possibile, quando Kiba interviene, curioso e divertito.
«Il gatto ha fatto 
cosa?» domanda, mentre strangola un flaccido Shikamaru con l'avambraccio.
Sasuke riversa per un istante tutta la sua ira in un'unica occhiata nella sua direzione, sventando il massacro.
Poi si alza in uno scroscio d'acqua, recupera il suo asciugamano e si allontana a passo marziale. L'unico verso che si degna di emettere, ignorando del tutto il richiamo di Naruto e l'aria perplessa ma non troppo di Kiba e Shikamaru – non è che gliene freghi poi molto a loro, delle turbe psicotiche di Uchiha Sasuke – è un mugugno breve e secco in direzione d'Akamaru, che gli lancia un abbaio indisposto.
Due secondi dopo, Sasuke se l'è squagliata via e Naruto sta salutando frettolosamente gli altri e recuperando la sua roba, per raggiungerlo.


Uchiha Sasuke è un imbecille con le turbe psichiche.
Questo Naruto lo sa, e se lo fa anche andare bene, perché altrimenti il loro rapporto non avrebbe ragione d'esistere. Ma resta il fatto che Sasuke è uno stronzo, senza contare che è pure matto come un cavallo, e anche se nel corso d'un paio d'anni è riuscito davvero a migliorare parecchio sotto molti punti di vista – ogni tanto ha quasi un barlume di senso dell'umorismo, sebbene sempre tendente alla drammatizzazione esasperata e con un certo gusto per l'orrido che Naruto non può fare a meno di attribuire alla prolungata permanenza ad Oto –, ma se c'è una cosa che non è migliorata è la sua comunicabilità. Anzi, con quella faccia immobile che si ritrova, e rilassa un po' giusto in casa, quand'è d'umore passabile, capire cosa gli gira per la testa è dieci volte più complicato di quand'erano bambini.
E dire che prima, a dodici anni, Naruto credeva che Sasuke fosse una specie di monolito: adesso rimpiange enormemente quell'incredibile gamma d'emozioni che gli si poteva leggere in viso in ogni momento e che lui non aveva la maturità adatta a notare.
Soffia, stanco, e si versa del latte presumibilmente rancido nella tazza.
«
Bleah» fa, annusando. Sbadiglia al rettangolo di luce polverosa che filtra dalla finestra, sopra il lavello, e poi abbassa lo sguardo per degnare il rubinetto di un'occhiata depressa e un po' scoraggiata: l'acqua non c'è e fa un caldo da svenire, appiccicoso e senza un alito di vento.
«Ehi, non sul tavolo» ammonisce in direzione del gatto, mentre si accomoda con la sua tazza di latte rancido e dei biscotti: troppo, troppo caldo per il ramen. La situazione è veramente critica.
Naruto Due non gli dà retta – non gli dà 
mai retta, quel maledetto sta a sentire solo i sibili minacciosi di Sasuke – e si sistema pigramente proprio accanto ai biscotti, gli occhi chiusi e tutta l'aria di star soffrendo anche lui la temperatura proibitiva.
Naruto sospira e gli rifila una grattatina dietro le orecchie sbadigliando ancora, il gomito sul tavolo già coperto di pelame arancio.
Con la testa inclinata, inquadra uno sprazzo di soggiorno: sul divano basso, la faccia mezza affondata nell'imbottitura, sta Sasuke, o almeno alcune parti visibili del suo corpo, quali ciuffi neri di capelli e, giù, un piede e mezza caviglia.
«Ma quanto è imbecille quello lì, mh?» commenta Naruto, il viso accanto a quello del gatto, che approva strusciandoglisi contro.
Quando la coda gli finisce sotto al naso, facendolo starnutire, Naruto finalmente si alza da tavola, abbandonando i biscotti a se stessi e il latte rancido al gatto, la cui ciotola, nota in quel momento, è tragicamente vuota.
Il jinchuuriki sbuffa, annotando a mente l'ennesima cosa che dovrà rimproverare a quell'idiota di Sasuke quando si deciderà a tornare vagamente trattabile.
Nei bagni pubblici non ce lo porterà più, questo è certo, perché è evidente che lo innervosiscano, anche se l'eroe di Konoha è quasi sicuro che a rendere così scorbutico il suo sfiancante compagno sia in buona parte anche il caldo.
«Stupido caldo» commenta a voce alta, aprendo un'altra volta inutilmente il frigo, in cerca di liquidi che non ci sono.
D'accordo che evitare il sesso post missione sicuramente consente di recuperare le energie più in fretta, e dormire in un letto non matrimoniale per una volta senza che Sasuke mugugni o lo prenda a cazzotti e pedate mentre si rivolta come un gambero fritto durante la fase REM sia certamente riposante, ma se non il suo corpo – e comunque l'assenza della persona di Sasuke, che sia a tremila chilometri o al piano di sotto, gli provoca comunque una sorta di sottile malessere fisico, come un doloretto lieve ma persistente alla bocca dello stomaco –, il suo umore ne risente enormemente.
E non è mica la prima volta che Sasuke semplicemente decide di passare la notte in giro per casa per poi essere rinvenuto negli angoli più disparati, dalla cucina all'engawa, di solito con la faccia spalmata su una rivista di sudoku e il gatto a russargli addosso; ma non succede la notte subito dopo che uno dei due è tornato da una missione di più giorni: è una specie di accordo tacito, come la questione del 
se tu cucini io sparecchio o il ramen da Teuchi minimo due volte la settimana.
La porta del frigorifero sbatte rumorosamente, ma dal soggiorno non arriva alcun suono.
«E ha pure il sonno pesante, lo stronzo» brontola Naruto, curandosi di fare un altro po' di rumore coi mobili, mentre apre ante degli armadietti così, senza uno scopo preciso.
Arriva al lavello e spalanca il mobiletto sottostante, sbuffando alla vista dello stato sempre pietoso in cui versano i tubi: perché no, Sasuke può fare tutto da solo, a lui mica serve l'idraulico. Adesso si verrà a sapere che a Oto Orochimaru gli insegnava economia domestica.
«Questa roba va cambiata» commenta Naruto, a voce più alta di prima. A dargli retta c'è solo il gatto.
Il jinchuuriki mugugna d'insofferenza, scompigliandosi i capelli con una certa furia, e poi fa per chiudere lo sportello e andare finalmente a svegliare il bastardo, perché comincia decisamente ad annoiarsi e annoiarsi è contro la sua politica, nei giorni liberi. Proprio mentre la sua testa bacata è regredita ad un'età inferiore agli undici anni per concepire qualche scherzo macchinoso che causi la caduta di Sasuke dal divano, con la mano ancora poggiata sull'anta aperta, nota qualcosa che per un attimo cancella tutto e gli fa illuminare lo sguardo: c'è una bottiglia di vetro piena d'acqua limpida che il giorno prima non aveva proprio notato, stretta tra un pacco di buste per la spazzatura formato cadavere e il detersivo per piatti.
«Ah 
ah!» esclama, deliziato, come avesse sgamato il colpevole di un libro giallo a pagina cinque. «L'acqua è finita, usuratonkachi, piantala di cercarla come un'anima in pena» fa il verso a Sasuke, citando dalla sera precedente, con una voce saccente al massimo grado d'insopportabilità.
Il gatto lo guarda come fosse suonato e salta giù dal tavolo, per zampettare in soggiorno e andare a tormentare l'altro inquilino.
Naruto non lo ferma perché ha deciso che lo stronzo se lo merita, e invece preleva la bottiglia con espressione soddisfatta e fa per stapparla.
Si blocca a metà dell'atto di buttare giù un sorso, realizzando in quell'istante che una bottiglia sopravvissuta a una settimana di caldo torrido come quella corrente dovrà essere quantomeno disgustosa. Fa per posarla in frigo, ma mentre aggira il tavolo per raggiungerlo, intravede un guizzo verde oltre il divano, nell'altra stanza.
Guarda prima il verde, poi l'acqua, poi di nuovo il verde, poi di nuovo l'acqua e finalmente il suo cervello rallentato dalla temperatura tropicale fornisce il giusto input e conduce i suoi piedi prima in corridoio e poi in soggiorno.
Sasuke dorme della grossa sprofondato prono nel divano, i piedi che sporgono dal fondo e un braccio rilassato e molle giù, a toccare il pavimento con le dita. E dorme proprio profondamente, perché Naruto Due gli sta mordicchiando le falangi con un certo impegno e lui non ha ancora battuto ciglio.
Naruto si ferma a guardare la scena imbambolato per qualche momento e nel suo cervello inceppato formula solo due pensieri sconnessi: che a stare così a Sasuke sicuro verrà mal di schiena e che ha una voglia esagerata di buttarsi sopra di lui a peso morto, per svegliarlo e vedere poi cosa succede. Magari dopo lo fa, sì. Anzi, farà esattamente così, subito dopo aver innaffiato le piante.
Distoglie lo sguardo a fatica e inquadra di nuovo il verde: il fogliame di Ukki cresce rigoglioso; un un po' floscio per via del caldo, ma il colore delle foglie resta brillante. La striscia giallastra nel mezzo, a seguire la venatura, sembra persino un po' più chiara del solito.
«Sete, Ukki chan?» cinguetta l'idiota, contento. Agita la bottiglia d'acqua come fosse un biberon, mentre soppesa amorevolmente qualche propaggine un poco smorta, e decide che un'innaffiata a pioggia è proprio quel che ci vuole.
Poi rovescia la bottiglia.


Prima c'è l'urlo, poi l'impatto.
Di solito, con l'intensa attività onirica di cui è vittima, Sasuke è abituato a sognare di urlare e accorgersi magari di star quantomeno mugugnando nella realtà; ma, appunto, l'urlo si interrompe col sonno, mica il contrario.
Apre gli occhi di colpo e non fa in tempo a capire che diavolo siano quelle cose nere e filamentose su fondo blu che gli ricadono davanti agli occhi, che è già bocconi sul pavimento assieme a tutta la copertura – blu – del divano e i capelli non solo negli occhi, ma pure nel naso e in bocca, e un gatto incastrato sotto l'ascella.
Naruto continua a sbraitare.
Nel mezzo, Sasuke cerca di alzare la testa, almeno per capire che diavolo stia succedendo, ma vede solo il piedi nudi del compagno filare a razzo davanti ai suoi occhi e sparire in cucina tra altri rumoreggi vari di talloni e piante che assestano martellate sul tatami.
«
Buongiorno» sibila l'ex nukenin in direzione di Naruto Due, sarcastico; ricade di lato e si mette seduto, schiena al divano.
Ah, sì: ci ha dormito per via del caldo. E in minima, marginale parte per via dei sensi di colpa dovuti alla vista di Naruto che dava un'amorevole buonanotte a Ukki preoccupandosi del fatto che le foglie paressero meno vigorose del solito.
Completamente distrutto, Sasuke si alza esibendosi in un concerto di scricchiolii ossei che fanno voltare il gatto, e poi si guarda attorno, 
stanco. Oltre gli shouji spalancati, sull'engawa ancora ombroso nonostante il calore – deve essere un'ora non troppo tarda, quindi – lo sgabello su cui stava il vaso di Ukki è libero, un'unica linea circolare di terra a testimoniare che una volta lì c'era un vaso. Sotto giace una bottiglia di vetro vuota, immobile e muta.
Quel che non è muto, lì dentro, è Naruto, che guaisce in cucina come gli fosse appena stato tagliato un arto.
«Idiota?» domanda Sasuke, dubbioso, presagendo sciagure. Nel dubbio, resta fermo sulla porta della cucina: Naruto gli dà le spalle, chino sul lavandino a picchiare e insultare il rubinetto, l'acqua, Sasuke, la siccità e svariate altre cose del tutto randomiche.
«Sasuke!» sbraita non appena si avvede della sua presenza.
L'ex nukenin sussulta sul posto ma non ha la forza di rispondere; sgrana solo gli occhi quando la faccia sconsolata di Naruto accenna alla pianta in vaso che sta nel lavello, probabilmente in un ultimo disperato tentativo del jinchuuriki di salvarla da qualsiasi cosa l'abbia ridotta nello stato pietoso in cui versa.
Sasuke si avvicina, gli occhi sgranati: quella è la sostituta di Ukki. Quella che lo ha indebitato con Yamanaka di una cifra non indifferente e anche quella che meno di otto ore prima stava perfettamente in salute sullo sgabello, a coprire il suo sporco misfatto.
Naruto, sconvolto com'è, non ragiona e scambia la sua sorpresa per interesse.
«Non so che è successo!» rantola, agitato. «Lo stavo innaffiando e neanche cinque secondi dopo ha cominciato a fumare e 
sciogliersi, e... » boccheggia, davanti allo spettacolo della sua povera pianta ridotta ad una pappa molliccia e corrosa nel vaso. Le foglie attorno sono ancora verdi, ma il ceppo principale è andato completamente.
«Con che diavolo...» comincia l'ex nukenin, sconcertato.
«Con l'acqua! Gli ho dato l'acqua che stava là, sotto al lavello! E poi così, s'è sciolta!»
Sasuke assottiglia le palpebre e vaga con lo sguardo sullo stipetto chiuso ai loro piedi. Non c'è acqua, lì. Men che meno acqua in bottiglia. Lì ci sono i sacchi della spazzatura, il detersivo per piatti e l'acido solforico per sturare lo scarico costantemente intasato.
Oh.
«L'acido solforico è un liquido cristallino, incolore e inodore» gli esce, quasi Iruka avesse posto una domanda alla classe. «Altamente corrosivo» aggiunge poi, guardando il martoriato ex sosia di Ukki che emette gli ultimi fruscii agonizzanti di foglie grigie.
Poi ritorna a guardare Naruto, che tiene gli occhi fissi su di lui, sgranati.
Boccheggia qualche sillaba inudibile, la bocca appena schiusa, e poi cala le pupille a terra e si passa una mano sulla nuca.
«L'ho ammazzato. Ho annegato Ukki nell'acido» articola incredulo, nel silenzio della cucina.
Sasuke, senza parole, osserva per un po' il compagno che fissa vacuo il pavimento, finché semplicemente non lascia ricadere le mani ai fianchi e chiude la bocca. Infine, ammutolito, l'eroe di Konoha va a sedersi davanti al tavolo e intreccia le mani.
C'è più d'un momento statico durante il quale Sasuke tenta di capire cosa dovrebbe fare per un paio di volte, ma non c'è verso; si guarda attorno, andando dalla pianta morta alla testa scompigliata di Naruto, ma resta lì nel mezzo, in piedi.
«Beh, puoi anche cominciare, teme» fa di colpo il jinchuuriki, amaro. «Dimmi quanto sono idiota e patetico, a prendermela per la morte d'una stupida pianta».
Sasuke sgrana gli occhi e individua il broncio addolorato dell'altro sotto un fallace tentativo di durezza; deglutisce e fa per aprire bocca, indeciso su cosa teoricamente ci si aspetterebbe che dicesse.
«Lo so che è idiota, okay?» riprende però l'altro, senza dargli il tempo di fare niente. «Ma era... Ce l'avevo da sempre. Me l'ha regalata Iruka sensei. Era... mi aspettava quando tornavo dall'accademia. Ho imparato a prendermi cura di me quando ho dovuto cominciare a badare a lui, e lo so che tu pensi che le piante siano uguali ai tavoli e ai muri, ma io...»
«Quella roba non era Ukki».
C'è un attimo di silenzio sepolcrale, come se il quartiere fosse di nuovo vuoto dopo quasi tre anni di litigi, ramen e arancione.
Dura poco, finché Naruto non si schiarisce la voce.
«Se è un modo contorto per dire che l'anima vola via e quindi effettivamente quel cadavere non è Ukki...» comincia, incerto.
Sasuke, le labbra strette, scuote la testa, rigido.
«No» prende aria. «Quella pianta non era Ukki, quindi tu non l'hai uccisa» spiega, assicurandosi di scandire bene le parole. E precede la replica di Naruto a pugni stretti, chinando di mezzo grado la testa «Non l'hai uccisa perché si dà il caso che l'abbia fatto io. Ieri».
Guardare gli occhi di Naruto prima sgranarsi, poi strizzarsi, e contemporaneamente tutta la sua vivissima faccia seguire il discorso come fosse un'inconcepibile sequela di assurdità, ha lo strano effetto di fomentare Sasuke, piuttosto che frenarlo.
Quindi l'ex nukenin si siede, deciso, e riporta il resoconto degli avvenimenti che l'hanno costretto a farsi mezza Konoha scalzo con un vaso annacquato in mano.
 Quando finisce, è come se avesse appena vomitato: si sente leggero ma vagamente nauseato.
«Quindi tu avresti...» esala Naruto, vagando con lo sguardo in direzione del lavello, dove giace la pianta.
Sasuke annuisce.
«Sì, ho sostituito Ukki» conferma, sentendo forte la voglia di arrossire.
Naruto emette un versetto sordo di comprensione, muovendo lievemente il capo in assenso, troppo sconcertato per articolare qualcosa di più.
«I miei piani hanno questa cosa di sembrare sempre un po' più sensati 
mentre li elaboro, piuttosto che dopo» borbotta Sasuke, perso anche lui a guardare un punto indefinito della cucina, quasi stesse parlando con se stesso.
Naruto si riscuote di colpo, incredulo.
«Teme...» inizia, ammaliato; «
quella era autocritica?» e sembra quasi commosso.
Sasuke resta per un secondo con la bocca dischiusa, senza parole, prima di serrare bruscamente le labbra e voltarsi ovunque possa evitare di incrociare lo sguardo di Naruto.
«
Usuratonkachi» sibila, profondamente oltraggiato.


Non c'è stato alcuno spargimento di sangue.
Non c'è stato neanche alcun violento litigio sull'insensibilità di qualcuno e la stupidità di qualcun altro.
C'è stato qualche sospiro triste, qualche mugugno indefinibile che pretendeva d'essere consolatorio ed è finita con un bel po' di sesso pressoché immotivato; qualcosa di sudato in ogni senso, che è iniziato in corridoio – no, in cucina no: non davanti al cadavere di Ukki Due – per procedere a tappe un po' in ogni angolo del primo piano, dato che le scale sembravano faticosissime e accaldanti e Naruto aveva così fretta di spogliare Sasuke che stavano già inciampando da fermi, sul gatto.
«Pesi» ansima Sasuke, alla fine, il petto che sale e scende rapido e la testa di Naruto che non facilita il compito, pesantemente adagiata sullo stomaco, di traverso: sembra che abbiano fatto una rissa, più che altro, a giudicare dalle ammaccature – perché nel mezzo ci sono sempre fusuma, e stipiti, e mobili e muri e pavimenti. Ai soffitti non ci sono ancora arrivati, ma mai dire mai.
Il jinchuuriki non si sposta neanche morto, gli occhi chiusi.
«Vorrei...» comincia, sfiatato dal caldo, «vorrei seppellirlo».
Il mugugno fiacco e interrogativo di Sasuke gli fa decidere che forse la sua testa sta ostacolando respirazione e annesso apporto d'ossigeno al cervello, quindi si solleva con eccezionale fatica, rotolando sulla pancia per guardare il compagno in faccia.
«Ukki. E anche Ukki Due, magari» aggiunge, ammiccando un po' triste oltre il muro, in direzione della cucina. «Sai, seppellirli in giardino, dire qualcosa in loro ricordo...»
«In ricordo di una pianta che è stata qui una notte sola e che credevi fosse un'altra?» ribatte Sasuke, apertamente scettico.
Naruto avvampa e gli tira una manata sul fianco nudo.
Prima che possa aggiungere qualcosa – magari ricordargli 
di chi sia la colpa di tutto -, Sasuke capitola del tutto autonomamente.
«D'accordo» fa, in uno sbuffo annoiato. «Puoi seppellirla in giardino. Ma ormai Yamanaka si sarà sbarazzata di Ukki» aggiunge, cauto.
Naruto però la prende piuttosto bene, con un unico «già» rassegnato.
«Dici che l'avrà buttato nella spazzatura assieme ai gambi tagliati?» rantola poi, inorridito all'idea di Ukki gettato in una fossa comune coi gambi di orchidee e gerbere.
Sasuke ne osserva l'espressione angustiata e solleva gli occhi al cielo.
«Andiamo a chiederlo a lei» accorda, distrutto anche solo nel concepire una cosa simile.
Naruto salta su come un grillo e si mette a cercare i vestiti sparsi in giro, di nuovo attivo.
«Ah, poi si torna al bagno pubblico, eh. Cominci a puzzare anche tu» gli comunica, lanciandogli le mutande.
Sasuke serra gli occhi, senza forze.


Non devono avere proprio un aspetto meraviglioso, Naruto e Sasuke, con gli indumenti spiegazzati e i capelli scomposti, stipati tra azalee e ficus dietro ad una vecchia che sta ordinando un bouquet da sposa grosso come un lampadario.
Ino li ha visti entrare, ha fatto una faccia sorpresa e poi ha sorriso come se lei ne sapesse di più. Non si sa riguardo cosa, ma Ino ha spesso il sorriso 
io ne so di più, quello che Shikamaru chiama anche la faccia da femmina.
Sasuke non le ha prestato alcuna attenzione, mentre Naruto salutava contento, e ha continuato a bubbolare riguardo la stupidità della razza umana, le braccia conserte e il naso regalmente irritato da tutti quei profumi floreali.
«Buongiorno ragazzi» cinguetta finalmente Ino, quando la vecchia zampetta via, spuntando pensosa un'altra voce da una lunga lista scarabocchiata su un pezzo di carta. Ino la saluta, ma non riceve risposta.
«Come mai da queste parti 
di nuovo?» prosegue poi, rivolta chiaramente a Sasuke, mentre getta gambi recisi nella pattumiera sotto il bancone e ripone dei nastri di carta per farsi spazio.
Sasuke storce il naso e non dice niente.
«Noi... volevo sapere dove avevi buttato il cadavere di Ukki» interviene Naruto con un sorriso finto un po' stentato, molto alla Sai.
Ino gli punta gli occhi azzurri addosso e poi sposta le pupille su Sasuke, con aria di sufficienza.
«Non ha funzionato» commenta, con un sospiro rassegnato.
«
Come puoi vedere» ribatte lui, aspro.
Ino lascia sfuggire uno sbuffo e si stiracchia, rilassata.
«Beh, meglio» si stringe nelle spalle, guadagnandosi delle occhiate sorprese. «Stavo cercando una buona scusa per farvelo vedere, ma non mi era ancora venuto in mente nulla. Così è più facile».
Sorride, sfacciatamente allegra, e si volta per far scorrere la porta dietro al bancone, nel retrobottega.
«Su, venite! Questo è un negozio, abbiamo altri clienti, se non fosse chiaro» puntualizza, ma senza smettere di sembrare contenta.
Naruto guarda istintivamente Sasuke, che gli risponde con la stessa espressione stupita, anche se venata da un palese sentimento di assoluta sfiducia nonché sottovalutazione delle facoltà intellettive di Ino.
«Vi muovete, citrulli?» fa lei, già dentro.
Naruto scatta sul posto e aggira il bancone, schizzando svelto appresso alla coda bionda dell'amica.
«
Citrul...» rantola Sasuke, sfregiato; ma poi, con sommo sforzo di inumana volontà, raccoglie i pezzi del suo orgoglio e segue gli altri due, procedendo a passo marziale.
«Senti un po', Yamanaka...» comincia, sibilando altero in direzione della schiena di Ino, che è china su un tavolo da lavoro ingombro di piante, rametti e arnesi vari. Ammonticchiati in un angolo, ci sono sacchi di terriccio e taniche di fertilizzante.
Lei lo liquida con un gesto distratto della mano, completamente disinteressata alle sue rimostranze, e si rivolge a Naruto, senza smettere di rovistare tra mucchi di fogliame verdeggiante folto come una giungla.
«Esiste una cosa chiamata talea» spiega, lo sguardo concentrato nella ricerca. «In pratica, le piante hanno un potere di rigenerazione tanto forte che in alcuni casi è possibile ricavare altre piante da parti recise... beh, è un po' difficile da spiegare, così».
Caccia la mano nel verde fino al gomito e poi la tira su, contenta.
«Non l'avevo mai fatto prima... mi ha aiutata mia madre. A te, eroe. Omaggio della casa» conclude, piazzando un barattolo pieno d'acqua in mano a Naruto.
Lui continua per qualche secondo buono a fissare solo lei che sorride, poi cala finalmente le pupille sul barattolo.
Sasuke può vedere i suoi occhi sgranarsi increduli e la sua bocca cominciare a balbettare versi insensati, prima che il mento si risollevi per inquadrare di nuovo Ino, che ha cominciato proprio a ridere.
«Ma, quindi questo è...» prova ad articolare il jinchuuriki, stringendo il vaso al petto come fosse un neonato.
Poi si volta verso Sasuke e glielo piazza in mano, lasciandolo per un attimo fortemente sconvolto, prima di gettarsi ad abbracciare Ino, per stritolarle le costole e ringraziarla a profusione.


La talea è un metodo di riproduzione che consente a parti recise di pianta, inserite in acqua o nel terreno, di sfruttare le proprie capacità rigenerative e mettere radici.
Quel che nasce è definito anche clone, perché in tutto e per tutto identico alla pianta madre.
Avrebbe dovuto buttare il mucchio di foglie agonizzanti che Ukki era diventato, ha spiegato Ino, ma poi, sotto il fogliame smorto, un lungo fusto carnoso teneva ancora a penzolare un ciuffo di foglie dall'aspetto incredibilmente vitale, se comparato al resto della pianta.
Era stata una specie di operazione chirurgica, poi, recidere il sottile fusto e immergere la piantina direttamente in acqua; la madre di Ino l'aveva fatto con calma, spiegando il procedimento e dicendole, comunque, che con la pianta madre ridotta a quel modo c'erano ben poche speranze che la figlia avesse abbastanza energie da riuscire a mettere su radici.
«Ma Ukki era una pianta estremamente tenace» continua ad annuire Naruto, in direzione della buca aperta, un po' commosso. Tra le mani tiene il barattolo pieno: dentro sta un ciuffo di foglie ancora pallide ma su cui già si intravede la striscia biancastra caratteristica di Ukki; le radici piccole e tuberose galleggiano nell'acqua e aspettano – tra un paio di giorni, secondo le prescrizioni di Ino – di essere travasate in un vaso vero, per attecchire nel terriccio. «E anche suo figlio saprà cavarsela. Me ne prenderò cura io» conclude Naruto, come una solenne promessa.
Sasuke non sbuffa perché si è autoimposto di non farlo, ma non può impedirsi di sembrare almeno un po' insofferente, perché fare il funerale a una pianta sciolta con l'acido e ad un mucchio di foglie secche tirate fuori dalla pattumiera di un fioraio è una cosa da imbecilli disturbati. È la prova, definitiva, che Naruto è matto da legare, davvero, perché uno che tratta un moncone di pianta come fosse un orfano e insiste per dare i funerali della mamma – o papà? Non c'è più verso che si capisca di che sesso dovrebbe essere quell'affare – è sicuramente una persona disturbata.
«Penso che dovresti dire qualcosa anche tu, teme» fa la persona disturbata, voltandosi a guardare la figura rigida che gli sta accanto, in piedi.
Sasuke gli rivolge un'occhiata incredula.
«Okay, magari no» concede Naruto, arricciando il naso, prima di sospirare e tornare a rivolgersi alle buche. «Beh, addio Ukki, grazie di tutto, sei stata una buona pianta. E addio anche a te, Ukki Due. Non abbiamo avuto il tempo di conoscerci, ma credo saremmo andati d'accordo. Scusami ancora per l'acido» si rammarica, prima di ammutolire, triste.
Il sole sta calando dietro i tetti fatiscenti del ghetto e i due sassi posti alla base delle buche aperte tracciano ombre nette sulla terra smossa.
«Possiamo chiudere... ?» si azzarda finalmente a proporre Sasuke dopo qualche altro attimo di composto silenzio, accennando alle tombe.
Naruto lo guarda e annuisce, compreso.
«Sì, direi di sì» poi torna il vasetto che tiene tra le mani. «Puoi... puoi farlo tu? Io porto dentro Ukkichi, deve stare all'ombra».
Lui soffia un assenso mugugnante, seguendolo poi con lo sguardo mentre risale sull'engawa e cammina dentro un po' mogio, ma attentissimo a non sballottare troppo il prezioso barattolo.
Sasuke sospira e si gratta la nuca, una mano sul fianco. Gira di poco il viso per inquadrare le tombe aperte e si avvicina, finendo poi per inginocchiarcisi davanti e cominciare a spingerci su la montagnola di terra, per coprire gli intrichi di piante secche che stanno dentro.
«L'ha chiamato 
Ukkichi» brontola dopo un po' rivolto alla buca di sinistra, quella di Ukki, mentre comincia a seppellirla con manciate di terriccio secco. «Non poteva scegliere un nome più brutto, credo».
Resta in silenzio ad ascoltare il rumore delle zolle che cadono giù e, quando ha finito, compatta il terreno coi palmi delle mani, producendo tonfi lievi.
«
Ukkichi» ripete, storcendo il naso al suono del nome. «Adesso tutte le mattine darà il buongiorno a Ukkichi. Sembra un dannatissimo starnuto».
Il sasso sulla tomba ovviamente non gli risponde.
Sasuke sbuffa.
Ukkichi, si ripete. Niente: è davvero un nome sgradevole.
Ukki, invece, non era niente male.
«Forse un po' mi mancherai» mugugna sprezzante, alzandosi.
Si stiracchia e si volta, dando le spalle al sole.
Dall'interno della casa arrivano tramestio di pentolame, chiacchiere ad una pianta che non risponderà mai e odore forte di brodo concentrato.
A quanto pare, nonostante tutto, anche stasera ramen.





Nda
Che poi, a incrociarmi per strada, non si direbbe mica che sono 
così imbecille, eh.
Comunque:
I bagni pubblici non sono quelli di stazione Termini, sono i furoya, quelli in cui 
prima ci si lava e poi si fa il bagno. Quindi entrare nella vasca con la schiuma addosso è da incivili, sapevatelo.
Sfida accettata!” è una delle frasi topiche di Barney Stinson di How I met Your Mother e no, non c'entra nulla a parte il fatto che ormai ho i fusi orari sballati e confondo realtà, fyccyne e telefilm. Chiudiamo un occhio (ma pure due, così forse dormo).
Il 
chlorophytum comosum può effettivamente riprodursi in quella maniera bislacca lì, per talea, anche se sono quasi convinta che, quando la pianta si secca, le prime a morire siano le propaggini. Sì, tanta, tanta, tanta felice licenza poetica per giustificare pseudo-trame che manco i Teletubbies e Tonio Cartonio, tutto in nome degli Unicorni che mi hanno conferito il Magico Potere dell'Arcobaleno.
Ah, il suffisso -
ichi designa la primogenitura: quindi Ukkichi è un po' “primo figlio di Ukki” *muore*

Sì, la lagna è finita, andate in pace XD
Grazie per l'attenzione.


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