GREY+Pink

di Sif
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oh-ho ***
Capitolo 2: *** Che scoperta, Charlie Brown! ***
Capitolo 3: *** Sai tenere un segreto? ***
Capitolo 4: *** A pretty pink dress ***
Capitolo 5: *** Il Trio Delta ***
Capitolo 6: *** In assenza di Gargamella, subentra Lenticchia ***
Capitolo 7: *** La ragazza-merendina ***
Capitolo 8: *** The Autumnal Wedding (part one) ***
Capitolo 9: *** The Autumnal Wedding (part two) ***
Capitolo 10: *** The Autumnal Wedding (part three) ***
Capitolo 11: *** The Autumnal Wedding (final part) ***



Capitolo 1
*** Oh-ho ***


Nuova pagina 1

GREY+Pink

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Oh-ho

 

«Ste’, sei proprio sicura di voler riempire la chiesa di girasoli, rami di bacche rosse e zucche giganti? Che dirà il parroco?»

«Tranquilla. Il mio don è un moderno. Vedrai che gli piaceranno.»

«Ma non puoi fare come le donne normali e far preparare delle composizioni di roselline bianche e rosa?»

«Tu le faresti preparare?»

«Assolutamente no. Non sono mica una donna normale, io.»

«E allora per quale motivo dovrei farlo io, che sono ancora meno normale di te?»

Il motivo era semplice: Daria era nervosa. In tutta la sua vita non le era mai capitato di rivestire ruoli ufficialmente importanti. Questa era la prima volta per lei. Una vera sfida con se stessa, un esame delle sue abilità organizzative, una prova di forza per testare il suo autocontrollo messo sotto pressione, una gravosa responsabilità, la presa di posizione del maggior ruolo di potere nell’arco di un’intera giornata, un’autentica impresa.

Daria era la testimone della sposa. E non di una sposa qualsiasi, ma della sua migliore amica.

Di conseguenza, tutto doveva filare liscio come l’olio. Daria non avrebbe permesso a niente e a nessuno di rovinare i suoi piani di perfezione. Purtroppo per lei, però, le idee ed i gusti di Stella non le facilitavano il compito. E non solo quelli, a dire il vero.

«E va bene, allora!» concesse Daria. «In questo caso, oggi pomeriggio andrò a chiedere conferma direttamente al prete!»

«Thanks, oh my darling» rispose placidamente Stella. «Senti, io e Daniel abbiamo pensato di usare delle zucche anche per i centrotavola del ristorante, magari con degli adorabili...»

Daria trattenne il respiro.

«Peperoncini rossi da fissare in cima! Sai, come segno di buon augurio per... beh, hai capito, no?» concluse Stella strizzandole l’occhio con fare complice. «Che ne pensi?»

Daria non parlò. Se lo avesse fatto, le sarebbe uscito di bocca un piccolo consiglio su come Stella e Daniel avrebbero potuto utilizzare i loro adorabili peperoncini rossi e, decisamente, non era il caso di indispettire la sposa a sei settimane dal lieto evento.

«A proposito del ristorante!» continuò Stella, imperterrita. «Studiando l’assegnazione dei posti a sedere degli invitati, mi sono accorta che il tavolo degli amici è troppo lontano da quello degli sposi. Quindi ho pensato di metterti a sedere fra i parenti, che sono più vicini al posto d’onore.»

«Va bene, tanto conosco quasi tutti i tuoi parenti, ormai» assentì distrattamente Daria frugando nella borsetta in cerca del numero di telefono dell’ufficio del parroco.

«Ecco, appunto. Il problema è proprio questo» disse Stella. «Purtroppo non ci sono posti disponibili fra i miei parenti. Non sono riuscita a ricavarti uno spazietto in nessun tavolo.»

«Oh» disse Daria con un pizzico di delusione. «Ste’, non fa niente, dai. Tanto stai pur certa che non me ne starò seduta al mio posto per più di cinque minuti. Sarò sempre in giro a chiacchierare con qualcuno e, soprattutto, dovrò stare un po’ dietro ai camerieri per assicurarmi che non sgarrino su qualche cosa.»

«Io, invece, stavo pensando di metterti al tavolo dei cugini di Daniel» propose Stella. «E’ proprio di fianco al nostro, che ne pensi?»

«Ottimo» rispose Daria, riprendendo la sua ricerca col morale decisamente risollevato. «I cugini di Daniel hanno più o meno la nostra età, vero?»

«Mm, fammi pensare...» disse Stella sporgendo le labbra in fuori e rivolgendo lo sguardo al soffitto. «Più o meno. L’unico che ha l’esatta età di Daniel, però, è il cugino Fabrizio, che è anche il suo testimone. Magari puoi sederti di fianco a lui».

«Affare fatto!» esclamò Daria sventolando, trionfante, il biglietto col numero di telefono del don.

«Daria?» chiamò Stella, osservando l’amica rituffare la mano nella borsetta in cerca del cellulare.

«Dimmi.»

«Sei sicura che non ti dispiaccia che Tony non ti accompagni al matrimonio?» chiese Stella, un po’ titubante.

Daria interruppe la sua ricerca e alzò lo sguardo per incontrare gli occhi scuri e ansiosi dell’amica. “Ci risiamo”, pensò, “ancora con questa storia”.

«Ste’, Tony non è Ricky.»

«Questo lo so. E non sto dicendo nulla del genere!» si difese Stella. «Io mi stavo solo chiedendo se a te... va bene così, ecco.»

Daria guardò la sua amica con tenerezza. Una tenerezza che, entrambe sapevano, Daria riservava a lei e a lei soltanto.

«Se tu non te ne fossi accorta, cara la mia piccola Regina dell’Ansia, il giorno del tuo matrimonio avrò molto a cui pensare. E di certo non starò qui a piangere perché non dovrò aggiungere alla lista la voce “prendersi cura del fidanzato, ascoltandone tutte le tipicamente maschili lagne e tenendosi pronte a praticargli la manovra di Heilmich nel caso gli vada di traverso un pezzetto di torta”» disse Daria con tono volutamente strascicato ed assumendo un’espressione scocciata.

Stella scoppiò a ridere.

«Pensiamo a cose serie, piuttosto» continuò Daria. «Quanti minuti sono passati?»

«Giusto!» esclamò Stella dando uno sguardo all’orologio da polso. «Siamo già quasi a tre minuti!»

«Non ho parole» sbuffò Daria, di colpo esasperata.

«Okay, allora» disse Stella ignorando gli sbuffi contrariati dell’amica e prendendo dal ripiano del lavandino lo stick per il test di gravidanza. «Guardi tu o guardo io?»

«Da’ qua!» abbaiò Daria strappandole lo stick di mano e piazzandoselo febbrilmente a due centimetri dalle lenti degli occhiali.

«Allora?» chiese Stella iniziando ad essere un po’ agitata.

Fino a quel momento aveva mantenuto una calma innaturale. Forse perché, già dalla sera prima, quando si era accorta del ritardo durante un calcolo dei giorni per vedere se le sarebbe toccata la scocciatura di essere indisposta il giorno del proprio matrimonio, aveva subito attribuito lo sfasamento allo stress per i preparativi. Se fosse stato per lei, non avrebbe neanche fatto il test.

Daria, ovviamente, non era stata dello stesso parere. Appena saputo del ritardo, quella mattina, si era subito fiondata nella prima farmacia aperta per acquistare il test di gravidanza; poi era corsa a casa di Stella e, senza neanche posare la borsetta o dire “ciao”, l’aveva trascinata in bagno obbligandola a fare pipì sulla punta dello stick rivelatore.

Neanche l’attesa era stata snervante, per Stella. La possibilità di essere incinta le sembrava lontana e vagamente assurda.

Adesso che l’amica teneva in mano il suo destino con occhi quasi fuori dalle orbite, però, una punta di paura mista a qualcos’altro – che lì per lì non riuscì ad identificare – le si insinuò nel petto.

«Allora?» ripeté un po’ più ad alta voce.

«Oh-ho» rispose Daria.

«Oh-ho? Oh-ho cosa? Oh-ho, che spreco di soldi è stato acquistare questo test? Oh-ho, mi sono bagnata le dita con la tua schifosissima pipì? Cosa...?»

«Oh-ho, mi sa che non ci sarà bisogno di quei peperoncini per i tuoi centrotavola.»

«...»

«Già.»

°°°*°°°

Spazietto autrice:

Ma ciao a tutte!!! Allora, come va? Spero bene! Come avevo annunciato nell’ultimo capitolo di “Happy New Year!”, eccomi qui con una nuova storia. Dunque, vi do qualche spiegazione: il capitolo 1, che avete appena letto, si colloca più o meno due/tre anni dopo la fine di “HNY!” (ho deciso di non essere troppo fiscale coi tempi... spero, così, di lasciare più libertà alla vostra fantasia). La one-shot “Disperate cronache di un giorno non comune” si inserisce, invece, proprio nel mezzo di “GREY+Pink”. Quindi, prima viene “Happy New Year!”, poi la prima parte (chiamiamola così) di “GREY+Pink”, poi “Disperate cronache di un giorno non comune” e, per finire, la seconda parte dei “G+P”. Quindi, fra qualche capitolo aspettatevi l’arrivo del piccolo Leonardo.

Ed ora, carissime, i ringraziamenti:

Ultimo capitolo di “HNY!”:

annarita18 (spero anch’io che tu riesca a trovarlo prestissimo); khika liz (il tuo amore verso una delle mie storie mi lusinga parecchio); TheRedWriter (grazie di tutto, carissima; aspetto con ansia l’aggiornamento della tua storia); MimiMiaotwilight4e (sarò felicissima di trovarti spesso, Mimi cara!); lady snow (SuperDaniel! ah ah ah XD!!!); YamiHime (ciao carissima, eccoti il seguito, spero ti piacerà!); romina75 (ci hai azzeccato su tutti i fronti! brava!!!); Maharet (un’oca e un pollo! sei un mito!!); BimbaDolce (penso sia uno dei complimenti più belli ed allo stesso tempo più concentrati che mi siano mai stati rivolti, ti ringrazio tantissimo!); Marcie (un milione di grazie, carissima!); Anthy (la tua recensione mi lusinga, ma ancora di più il fatto che tu abbia letto! grazie!); neviens (grazie mille! concordo anch’io, ovviamente!); x__Koizumi (e tu, invece, sei una grande! un milione di grazie!); Mgt88 (grazie per tutti i tuoi bellissimi complimenti! spero ti piacerà anche il seguito!).

One-shot “Disperate cronache di un giorno non comune”:

Anthy (allora, carissima? sei a bordo?); neviens (spero di essere riuscita a chiarirti un po’ le idee... comunque, sì. Le “cronache” della one-shot sono appunto ispirate al “mio” parto, anche se la storia che ruota intorno a Daria e Fabrizio, ovviamente, è totalmente di fantasia); Morgana (cara, sono contenta che ti sia piaciuta anche la one-shot); Marcie (spero che ti piacerà anche questa storia, carissima!); x__Koizumi (oddio, questo è davvero troppo per me! adesso mi monterò la testa XD!!! grazie, tesorino!); MimiMiaotwilight4e (grazie Mimi! sei gentilissima!); Maharet (ah ah ah XD!!! mi sa che hai molto in comune con Daria, allora! ciao, Cla carissima).

Grazie a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

 

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Capitolo 2
*** Che scoperta, Charlie Brown! ***


Nuova pagina 1

GREY+Pink

- 2 -

Che scoperta, Charlie Brown!

 

«Eccomi qua. Ho appena finito di parlare con la segretaria della tua ginecologa. Ti ho preso appuntamento per la prossima settimana e mi sono fatta dettare l’elenco degli esami del sangue che devi fare; a proposito, ti ho preso l’orario per l’accesso all’ambulatorio per il prelievo. Torno ora dalla farmacia, ho comprato qualche bicchierino per gli esami delle urine e un paio di confezioni di acido folico per prevenire la spina bifida. Mi raccomando, queste le devi prendere tutti i giorni fino alla dodicesima settimana. Non te ne dimenticare! Oh, e ti ho anche cercato qualche negozio pre-maman per quando ti serviranno dei vestiti adatti a contenerti la pancia e le tette, eccoti gli indirizzi. Bene. Tu hai chiamato Daniel?»

«Daria, non sono passati neanche venti minuti da quando abbiamo fatto il test. Come diavolo hai fatto a fare tutta ‘sta roba? E come hai fatto ad avere il numero della mia ginecologa?»

«Ho chiamato tua madre. Allora, l’hai chiamato Daniel?»

«Oh mio Dio! Non le hai detto niente, vero? Vero

«Calmati, certo che non le ho detto niente! Le ho chiesto il numero facendo finta che servisse a me, okay? Ma l’hai chiamato Daniel, sì o no?»

«Uffa, no! Non l’ho ancora chiamato, va bene? Mi serve un po’ di concentrazione!»

«Cerca di concentrarti in fretta, allora. Intanto si può avere un po’ di caffè?»

«Che succede?», chiese una terza voce proveniente dalla porta che dava sul salotto.

«Niente!», risposero in coro le due amiche.

«Cos’hai in mano?», insistette Marlon, indicando il test di gravidanza ancora fra le mani della sorella.

«Una penna», azzardò Daria, correndo in aiuto dell’amica che fissava lo stick come se si stesse chiedendo come le era finita in mano una cosa del genere.

«Una penna? Non sembrerebbe».

Daria, con la pazienza al limite, si chiese il perché di quell’attacco logorroico da parte del fratello di Stella quando, solitamente, era già tanto che facesse cenni di saluto con la testa ogni qualvolta incontrava una faccia conosciuta.

«Okay, è un test di gravidanza, va bene?», sbottò improvvisamente Stella in tono esasperato.

Marlon non rispose. Era palesemente troppo sconvolto per parlare. Il fumetto degli X-Men che stava leggendo fino a qualche minuto prima sfuggì alla presa della sua manona andando a cadere sul pavimento della cucina e i suoi occhi scuri, come poté notare Daria, erano diventati stranamente vitrei.

«Marl? Tutto a posto, tesoro?», gli chiese timidamente Stella con lo sguardo colpevole.

«Di chi è?», riuscì a chiedere il ragazzo in un sussurro.

«Di chi è il test o di chi è il bambino?», gli chiese Daria, malignamente. Stella la guardò con sguardo di rimprovero.

«Il test. Insomma, chi è che...?». Marlon era sempre più sconvolto.

Daria, divertendosi come una matta a stuzzicarlo, stava per rispondere con un’altra provocazione, ma Stella la batté sul tempo.

«Il test è di Daria! Ma, purtroppo, non è risultato positivo», affermò Stella con tono grave e, poi, gettandosi ad abbracciare l’amica disse: «Mi dispiace così tanto! So quanto ci tenevi.»

“Stronza malefica”, pensò Daria guardando l’amica con gli occhi ridotti a due fessure.

«Così impari», le sussurrò Stella in un orecchio.

«Beh, sì. E’ stato un trauma, ma cercherò di superarlo», disse Daria a voce alta ed incolore all’indirizzo di Marlon dovendo, suo malgrado, dare corda a Stella.

Dal canto suo, il ragazzo non aveva variato di molto l’espressione; appariva, anzi, ancora più pallido di prima. Talmente pallido da aver assunto quasi lo stesso colore della faccia di Snoopy sulla sua maglietta: bianco.

«Vado di là», disse, dopo un po’, raccogliendo il fumetto dal pavimento e voltandosi con movenze quasi meccaniche.

«Mm... Interessante», disse Stella guardando, pensierosa, il fratello chiudersi lentamente la porta alle spalle.

«Cosa?», chiese bruscamente Daria, sospettando già qualcosa riguardo ai malsani pensieri di Stella.

«Mio fratello ti viene dietro», affermò Stella girandosi nella direzione di Daria e aprendosi in un ghigno diabolico.

«Ste’, non dire cacchiate».

«Hai visto anche tu la faccia che ha fatto quando gli ho detto che il test era tuo, no?», insistette Stella, sempre più divertita. «Era meno sconvolto dalla possibilità che fossi io quella incinta!»

«Cos’è? Gli ormoni della gravidanza iniziano a darti le allucinazioni?»

«Temevo quasi di sentire lo scricchiolio del suo cuore infranto quando ha avuto la conferma che non sei più vergine!»

«Donna, tu blateri! Non so di cosa stai parlando!»

«A-Marlon-piace-Da-ria... A-Marlon-piace-Da-ria...», la canzonò Stella, sempre più ilare.

«Hai finito?», chiese Daria iniziando a scartare le confezioni della farmacia in tutta calma. «Te ne potrei far pentire».

«Marlon-ama-Da-ria... Marlon-ama-Da-ria...», continuò l’altra, imperterrita.

«Come vuoi. Hai mai sentito parlare di “tamponi rettali”?», le chiese Daria con occhi brillanti di vendetta.

«Perché? Minacci di farmene uno?», le chiese Stella ridendo e guardandola con scetticismo.

«No», disse Daria con tono neutro, aprendo la confezione dell’acido folico per esaminarne il contenuto. «Te lo farà il medico lunedì prossimo. Auguri, tesoro».

°°°*°°°

Spazietto autrice:

Carissime, i ringraziamenti:

Marcie - Eccoti il continuo, carissima! Spero sia di tuo gradimento! Un bacione anche a te!

YamiHime - Addirittura la recensione dal cellulare! Siamo all'avanguardia, eh! Un bacione, tesoro!

x__Koizumi - Ah ah ah XD!!! Recensione breve ma intensa, direi! Grazie e alla prossima!

MimiMiaotwilight4e - Ciao Mimi! Grazie per i complimenti e grazie perché adori Daria! A presto!

Anthy - Ma ciao, carissima! Lieta, anzi lietissima di trovarti qui! Spero continuerai a divertirti ;) Un bacione anche a te!

Bene, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, da ricordare, ecc. e chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (temerari!).

Grazie, ovviamente, a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

 

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Capitolo 3
*** Sai tenere un segreto? ***


Nuova pagina 1

GREY+Pink

- 3 -

Sai tenere un segreto?

 

«Come ha reagito Daniel?»

Era passato un giorno intero dalla scoperta dello stato interessante di Stella. Ventiquattro lunghissime ore nelle quali la testimone di nozze aveva dovuto riesaminare tutto il suo piano operativo. Una sposa incinta non era cosa da poco, specialmente se si trovava nel primo trimestre della gravidanza. Nausee, svenimenti e ritenzione idrica avrebbero potuto complicare le cose.

Tuttavia, in quella luminosa mattina di settembre, il problema principale, per Daria, era la reazione del “colpevole”. Uno sposo sotto shock sarebbe stata davvero una gatta da pelare esageratamente enorme.

«E’ arrivato giusto dieci minuti dopo che te ne sei andata via», cominciò Stella, voltando lentamente una pagina della rivista che teneva in grembo. «Era un po’ agitato perché gli avevo detto di venire immediatamente».

«Come glielo hai detto?», le chiese Daria la quale, seduta sul divano, accanto alla futura sposa, era intenta a buttare giù uno schizzo del tableau sul suo taccuino. Quest’ultimo sfoggiava in copertina una bella etichetta ovale, sulla quale l’inconfondibile calligrafia di Stella formava le parole: “lasciate ogni speranza, voi che entrate”.

«Più che dirglielo, gliel’ho fatto vedere. Prima che arrivasse ho legato un fiocchetto rosso intorno al test di gravidanza e, quando poi è arrivato, gliel’ho messo tra le mani senza dire una parola».

«E cos’ha detto?», chiese l’indaffarata testimone senza togliere il naso dal suo lavoro di precisione.

«Niente», rispose tranquillamente Stella.

La testa di Daria scattò in su come una molla. «Niente? Che cavolo vuol dire “niente”?», chiese nel medesimo istante in cui rivolgeva un minaccioso sguardo indagatore all’indirizzo dell’amica.

Stella, come di consuetudine, non badò alla sua reazione. Anzi, esibendosi in un mezzo sorriso sghembo – gesto che, entrambe sapevano, Daria avrebbe felicemente usato come movente per assassinare l’amica in uno scoppio d’isteria – fece capire che, al solo pensare alla scena in questione, il suo divertimento saliva alle stelle: «Beh, lui... Lui si è steso sul divano».

«E poi?», cercò di estorcerle Daria con il tono più autoritario del suo ricco repertorio.

«E’ rimasto lì, con gli occhi sbarrati che fissavano il soffitto e il test stretto nel pugno».

«Ma avrà pur detto qualcosa quando si è ripreso, no?»

«A dire la verità, si è tirato su che era ormai buio e mi ha chiesto come stavo. Io gli ho risposto che stavo bene, che avevo già fissato appuntamento con la ginecologa e tutto», disse Stella facendo un orecchio alla pagina della rivista che ritraeva l’immagine di un bello chignon decorato con verdi foglioline d’edera.

«E lui?», chiese Daria con estrema impazienza, il taccuino degli orrori ormai abbandonato a se stesso.

«Si è steso di nuovo ed è rimasto lì fin quando non è arrivata mia madre. Poi, per non destare sospetti, si è alzato, si è infilato il test nella tasca dei jeans, ha salutato mia madre, mi ha dato un bacio sulla guancia e se n’è andato», spiegò Stella tutto d’un fiato.

«Come sarebbe a dire che se n’è andato?!», esplose Daria più contrariata che mai. «Ma io lo...»

«E’ tornato dopo mezz’ora», la interruppe Stella con un tenero sorriso che le danzava sulle labbra e lo sguardo perso nel vuoto a rievocare l’immagine di Daniel. «Ha suonato al citofono chiedendomi di scendere da lui, per non parlare davanti ai miei. Quando l’ho raggiunto mi ha abbracciata e baciata...»

«Bleah... Saltala questa parte, per cortesia».

«Poi ha tirato fuori da una delle sacche della Ducati una confezione gigante dei miei biscotti preferiti ed un peluche a forma di scimmietta e, mentre io mi nutrivo per il bene del bambino...»

«Certo, come no...»

«Abbiamo deciso come comportarci», concluse Stella ignorando la sarcastica interruzione.

«Cioè?», chiese Daria riprendendo in mano il suo lavoro, sensibilmente rincuorata dalla positiva reazione di Daniel.

«Non diremo niente a nessuno fino al giorno del matrimonio».

«Cosa?!», sbottò Daria, mandando nuovamente all'aria il taccuino. «Per caso vi siete fumati qualcosa di strano mentre vi riempivate di biscotti?»

«Che impressione! Ti si vedono le vene del collo!»

«Ti decidi a fare la persona seria?», le chiese Daria totalmente esasperata.

«Sono serissima. Nessuno saprà niente fino al matrimonio», affermò Stella con studiata calma. Sembrava quasi credibile. Quasi.

«Ma come farai a tenerlo nascosto a tua madre?», piagnucolò Daria.

«Oh, dai! C’è gente che partorisce nel bagno di casa senza dire niente a nessuno! Non li leggi i giornali?»

Daria, con la bocca spalancata dall’incredulità, rimase una decina di secondi a fissare Stella come se quest’ultima fosse stata la reincarnazione di Medusa. Infine, si riprese abbastanza per riuscire a chiederle: «Ma che razza di stupido esempio è?»

«Se dicessi a mia madre una cosa del genere, sono sicura che cercherebbe di rimandare il matrimonio per evitarmi lo stress della giornata!», si difese Stella.

«E non avrebbe tutti i torti, cacchio!»

«E dai, Daria», tentò Stella con lo sguardo da cerbiatto ferito travolto da un missile vagante. «Lo sai che non potrò mai farcela se non mi appoggi».

«Cerca, almeno, di evitare qualsiasi sforzo», si arrese, infine.

«Te lo prometto! Non preoccuparti»

«E.. Ste’?»

«Sì?»

«Niente giri in moto».

«Okay».

«Niente superalcolici».

«Nessun problema».

«Niente caffè».

«Signorsì».

«Niente sesso».

«Naturalment... Cosa?!»

«Eh eh eh... Vendetta. Tremenda vendetta».

 

°°°*°°°

Spazietto autrice:

I meritatissimi ringraziamenti, tesorucce:

YamiHime - Ciao adorabilissima! E così sei riccia, eh? Beh, io no! Ma avrei tanto voluto esserlo, per questo Stella lo è! Per le età e tutto il resto, dovrei riuscire a soddisfare la tua curiosità nel corso della storia. Marlon, comunque, è un po' più grande di Stella! Un bacio anche a te, tesoro! Alla prossima!

Eky_87 - Ciao Eky! Grazie per la fiducia :D!! Speriamo di non deludere le tue aspettative!! Alla prossima!

Marcie - Ok, hai ragione, ho messo un po' di casino in mezzo! Però non avermene XD!!! Giuro che, alla fine, metterò tutto in ordine ;) Un bacione, carissima! Grazie!

MimiMiaotwilight4e - Ciao Mimi! Sì, come avrai capito è particolarità di Stella non farsi mai prendere dal panico XD!! Ammetto, però, che anche in questo c'è qualche nota autobiografica... Alla prossima, carissima! E grazie!

romina75 - Ahahah XD!!! Un incrocio tra Jerry Calà e Panariello!!! Sì, è vero! E' azzeccatissima! Sono contenta che Marlon ti piaccia! Un bacione e a presto Romy! Grazie per tutte le recensioni!

x__Koizumi - Ma tesoro!! Guarda che mi commuovo T___T Che dire? Se fossi qui davanti a me ti abbraccerei di sicuro! Purtroppo, però, mi devo accontentare di poterti dire GRAZIE! Un bacio grande!!

Bene, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, da ricordare, ecc. e chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (temerari!).

Grazie, ovviamente, a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

P.S. Per chi volesse contattarmi su facebook, può cercare "Cristina Sif" (ditemi solo il vostro nick EFP così capisco chi siete).

 

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Capitolo 4
*** A pretty pink dress ***


Nuova pagina 1

GREY+Pink

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A pretty pink dress

 

«Che te ne pare?»

Daria era in smoking. Uno smoking da donna in seta beige, giacca e pantaloni.

«Ti sta benissimo, signorina», rispose prontamente l’anziana commessa cicciottella che non aveva smesso di ronzarle intorno da quando aveva sentito le parole “abito da cerimonia”.

Daria, che intimamente pensava che le avrebbe detto la stessa cosa anche con indosso un sacco nero dell’immondizia, fece finta di non sentire e, continuando a fissare in modo eloquente Stella, chiese nuovamente: «Che te ne pare, Ste’?»

«Ti sta benissimo, signorina», le rispose Stella mordendosi il labbro inferiore per non scoppiarle a ridere in faccia.

“Adesso l’ammazzo”, pensò cupamente Daria marciando risoluta verso il camerino per levarsi di dosso l’ennesimo abito.

A questo punto, la commessa era davvero offesa. Con Daria, perché non accettava il suoi pregiatissimi consigli, e con Stella, perché la sfotteva in continuazione – cosa credeva, che non la vedesse attraverso lo specchio fare boccacce alle sue spalle?

Daria, dall’interno del camerino, si spogliò e cercò un attimo di riprendere fiato.

Ma come cavolo aveva fatto Stella a scegliere il suo vestito con tanta sicurezza? Un vestito da sposa, poi! Ricordava quando l’aveva vista provarsi il lungo abito bianco con lo strascico. Stella si era guardata due secondi allo specchio, aveva sorriso e aveva detto: «E’ questo!», e non aveva più voluto saperne di provarne altri.

E lei, invece, per quanto avesse vagato per innumerevoli negozi, non era riuscita a trovare nulla che la convincesse davvero. Possibile che fosse così difficile trovare l’abito giusto?

Si studiò allo specchio del camerino. Pur possedendo curve femminili ben proporzionate, il suo fisico era piuttosto magrolino, con la vita sottilissima e le spalle piccole; inutile, quindi, continuare a provare completi con la giacca che la facevano quasi sparire fra gli strati di stoffa. Un caschetto alla francesina di lucidi capelli neri le incorniciava il viso delicato dai grandi occhi scurissimi e, sebbene il taglio di capelli le desse un’aria sbarazzina, gli occhiali davano al suo aspetto un certo alone di serietà; basta, quindi, con tutti quei colori smorti che la facevano sembrare una donnina severa, ci voleva qualcosa di vivace. Aveva appena ventitre anni, santo Cielo!

«Pst, Daria!», si sentì chiamare dalla voce sussurrata di Stella dall’altra parte della tendina del camerino. «Prova questo!»

«Sì, ma perché bisbigli?», volle sapere Daria, prendendo ciò che l’amica le stava porgendo.

«La commessa, ormai, mi odia!», rispose Stella ridacchiando. «Sono convinta che, se sapesse che te l’ho scelto io il vestito, per la prima volta in tutta la sua carriera direbbe ad una potenziale cliente che l’abito non le sta per niente bene!»

«Hai ragione», concluse Daria con un sorriso. «Dammi un minuto».

La prima cosa che Daria notò fu il colore: rosa antico, perfetto con il nero intenso dei suoi capelli. La seconda cosa fu la stoffa: un sofisticatissimo chanto di seta. La terza, invece...

«Stai scherzando?», sbottò Daria verso la tendina.

«Provatelo e basta!», le intimò Stella dall’altra parte del tessuto. Daria pensò che l’amica aveva preventivato una reazione del genere e che si fosse piazzata appena fuori dal camerino per costringerla in tutti i modi a provarsi il vestito.

«Accidenti a te!», si arrese Daria iniziando a vestirsi. «Ringrazia che sei incinta!»

«Forza, niente storie!»

Dopo aver tirato su la zip sul fianco dell’abito, Daria si guardò nuovamente allo specchio.

La sua sottile figura era fasciata, ora, da un lungo vestito “a sirena”, stretto fino al ginocchio dove, poi, si allargava per aprirsi in un piccolo accenno di strascico. Due sottili bretelline le risalivano le spalle per andarsi ad incrociare all’altezza delle scapole, lasciando scoperta gran parte – tutta, maledizione! – della schiena. L’abito era talmente aderente da mettere fortemente in evidenza tutte le sue curve, soprattutto il seno dove un profondo – abissale! – scollo rotondo lasciava molto poco spazio alla fantasia.

Osservando il brillio prodotto dai faretti su quel bellissimo tessuto, Daria pensò che la stoffa la faceva realmente somigliare ad una sirena.

«Allora, come va?», le chiese la voce di Stella.

«Ste’, è troppo scollato, porca miseria!»

«Fa’ vedere».

Quando Daria uscì riluttante dal camerino, tutte le teste presenti si voltarono a guardarla. Daria ringraziò mentalmente che il negozio trattasse solo una clientela femminile.

«Stai una favola», sospirò Stella con un sorriso.

«E’ troppo aderente!»

«Ma dai! Te lo puoi permettere! Se mi mettessi io una roba del genere, le tette sembrerebbero due palloni pronti a scoppiare e la gente mi indicherebbe con il dito dicendo: “Guarda, è arrivata la culona!”»

«Lo stai dicendo solo per convincermi», osservò Daria.

«E sta funzionando?»

«Direi di sì», sospirò Daria sorridendo, suo malgrado, al proprio riflesso prodotto dallo specchio. «Però mi si vede tutto. Non posso certo entrare in chiesa mezza nuda!», protestò.

Stella la guardò impassibile e poi si rivolse alla commessa cicciottella con tono gentile: «Scusi, può aiutarci, per favore?»

La commessa, riluttante – si vede che era ancora offesa per la storia delle linguacce rivolte alla sua persona –, scomparve sotto al bancone per poi riemergerne dopo pochi secondi con una stola di seta dello stesso colore rosa antico dell’abito. Si avvicinò a Daria e, con mano esperta, gliela assicurò sulle spalle facendole poi un bel fiocco vaporoso alla base della schiena. Così, vista frontalmente, Daria sembrava indossasse un piccolo bolerino di seta senza maniche e, dietro, seppur ancora molto in vista per via del tessuto trasparente, le spalle e la schiena erano fondamentalmente coperte.

«Se metti un bel tacco alto, non ci sarà neanche bisogno di accorciarlo, signorina», concesse la commessa che, probabilmente perché le era stata data la possibilità di dimostrare tutto il suo valore sulla categoria, era tornata disponibile e di buon umore.

Daria annuì senza staccare gli occhi dalla propria immagine riflessa, così elegante, così diversa. Poi, da dietro la sua spalla vide far capolino la riccioluta testa di Stella, con il viso tutto sorridente e lentigginoso.

«Allora, oh my darling?»

«E’ questo», rispose Daria. «Ma per pagarlo dovrò fare un leasing».

 

°°°*°°°

Spazietto autrice:

Dedico questo capitolo a Mirya per due ragioni: 1) come augurio per una pronta "saldatura" delle ossa; 2) per farmi perdonare di non averla "adeguatamente" ragguagliata in merito alla pubblicazione di questa storia (rompiballe che sei...).

SONDAGGIO: Come avrete notato, è stata aggiunta la funzione "rispondi" per quanto riguarda le recensioni. Okay, la domanda è: preferite che usi codesta funzione, rispondendo subito alle recensioni man mano che le leggo, oppure volete che continui a lasciarvi le risposte alla fine dei capitoli?

Nel dubbio, ancora per oggi, userò il vecchio metodo:

romina75 - A mio parere, bisognerebbe scrivere un’enciclopedia intera sulla questione “test di gravidanza”, con modalità (da sole, in compagnia, a casa, a lavoro, nel bagno del bar), tipo di test (segno +, segno -, faccine sorridenti, il nuovissimo sistema digitale) e reazione del futuro papà (trauma, pietrificazione, sincope). Io, in realtà, ho fatto il test insieme a mio marito, a casa, giusto qualche minuto prima di vestirmi per andare a lavoro. Nello scorso capitolo ho, comunque, riportato l’esatta reazione del maritino; quest’ultimo, infatti, è rimasto ben quattro ore a letto, immobile, fissando il soffitto mentre io andavo a lavoro saltellando al ritmo di “trallallero trallallà”. Un bacio, Romy!

_MimiMiao_ - Ciao carissima! Hai cambiato il nick? Mi fa piacere che il capitolo ti sia piaciuto :D Alla prossima e grazie per tutto l'appoggio che mi dai! Un bacione!

YamiHime - Ti ringrazio tantissimo, tesoro... Tuttavia, paragonarmi a Mirya è un tantinello (enormemente...) eccessivo. Fra me e la Prof., infatti, ci sono un’infinità di gradini a separarci (con lei in cima, ovviamente), gradini che rappresentano un elevato numero di autrici di EFP che non hanno proprio nulla da invidiare a chi scrive per mestiere ;)  Non posso comunque nascondere di essere lusingata e, ebbene sì, anche un po’ compiaciuta dai tuoi sempre meravigliosi complimenti. Per fb, ho provato a mandarti dei messaggi privati. Ti sono arrivati?

Marcie - Ahahahah XD!!! Sadicona! Geniale l'idea dei pannolini! Me la segno da qualche parte (non si sa mai...). Eh... Daria&Fabrizio o Daria&Marlon? That is the questions! Grazie di tutto, carissima! Alla prossima e un bacione!

x__Koizumi - Cara, ti adoro anch'io! Spero di non deluderti mai!!! Un bacione e alla prossima!

Maharet - Ancora con queste storie delle recensioni e bla bla... Ma non importaaa!!! L'importante è che ti sia divertita almeno un po' a leggere! Un bacione, tesoro!

Mirya - Ciao Miss Ossorotto!! Eeeh... Però tu mi fai proprio l'esigente, eh? E va be'! Vorrà dire che, alla prossima storia (speriamo, insomma...), ti rintraccio in tutti i luoghi possibili! Ehi, mica me la stai buttando, vero? Mm... Nel dubbio, cercherò di tenermi alla larga dai piedini del mio Michele (che, d'altra parte, sono talmente grossi da sembrare due pinne da sub). Un bacione! P.S. A scanso di equivoci, l'hai letta la mia one-shot "Disperate cronache di un giorno non comune"?

xmas - Ciao, carissima! Addirittura "adorato" questo Marlon?? Non pensavo che avrebbe riscosso tanto successo dal pubblico, sinceramente! Bene, bene... Grazie di tutto! A presto!

Bene, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, da ricordare, ecc. e chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (temerari!).

Grazie, ovviamente, a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

P.S. Per chi volesse contattarmi su facebook, può cercare "Cristina Sif" (ditemi solo il vostro nick EFP, così capisco chi siete).

 

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Capitolo 5
*** Il Trio Delta ***


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GREY+Pink

- 5 -

Il Trio Delta

 

Daria conosceva solo altre due persone bizzarre come e più di Marlon: gli amici di Marlon, appunto.

Lei e Stella, varcata l’uscita del negozio dove era appena stato acquistato il bellissimo abito rosa, erano in procinto di buttarsi nella mischia del sabato pomeriggio quando, improvvisamente, sentirono un vocione gioviale sovrastare il brusio della folla che, pacifica, passeggiava nel centro cittadino.

«Ma guarda chi si vede! La Miss e la Lady!», tuonò una voce a loro ben conosciuta.

Voltatesi, le ragazze assistettero alla consueta scena dell’arrivo del Trio Delta: teste che si giravano, borbottii, gente che si divideva in due ali laterali in pieno stile “Mosè che apre le acque del Mar Rosso”.

Marlon, riconoscibile dalla ricciuta testa leggermente china e dalle mani inabissate nelle tasche dei calzoni, faceva da spartiacque. Un passo dietro di lui, uno alla sua destra ed uno alla sua sinistra, i due compari.

Carlo, detto Carletto, era fatto a forma di armadio a doppia anta, di quelli in legno massiccio. Di qualche centimetro più basso di Marlon, superava di gran lunga la larghezza dell’amico. Il suo viso, quasi sempre sorridente, era reso luminoso da un paio di magnifici occhi color pervinca, un perfetto connubio con i boccoli biondi lunghi fino alle spalle possenti.

Stella lo chiamava “il bebè gigante”.

Daria lo chiamava “il grottesco biondo”.

Il carattere aperto e solare di Carletto contrastava in tutto e per tutto con quello di Pietro. Quest’ultimo, altissimo e allampanato, era incredibilmente timido; bastava lo sguardo di una ragazza per fargli assumere un’allarmante tonalità bordeaux. Anche i suoi colori erano opposti a quelli di Carletto. Pietro, infatti, aveva capelli neri e lisci tagliati corti, che lasciavano scoperto il viso magro dalla carnagione olivastra. Gli spessi occhiali dalla montatura rettangolare coprivano gli occhi scuri e le sopracciglia cespugliose.

Sebbene i tre ragazzi fossero completamente diversi l’uno dall’altro per aspetto fisico e carattere, c’era una cosa che li accomunava e che, di conseguenza, li teneva uniti: gli interessi. Marlon, Carletto e Pietro erano assuefatti da tutto ciò che riguardava i fumetti, i cartoni animati, i videogiochi ed il mondo fantascientifico in generale.

Giusto per fare un esempio, in quel preciso istante Marlon indossava un semplice paio di jeans neri e una T-shirt grigia di Paperino, Pietro dava il meglio di sé con un logoro paio di pantaloni di felpa abbinati ad una decisamente sbiadita maglietta blu col logo rosso di Superman stampato sul petto e Carletto sfoggiava con orgoglio uno striminzito – striminzito perché indosso a lui, s’intende – coordinato calzoncini/maglietta bianco con strisce blu laterali e la lettera “N” gialla e verde che, come notò Daria – non senza orrore –, richiamava la divisa dei personaggi di quel vecchio cartone animato giapponese che parlava di calcio.

«Ciao!», rispose gaiamente Stella all’altrettanto gaio saluto di Carletto. «Che bello! Hai la divisa di Capitan Tsubasa!»

“Eccola lì, l’altra fissata”, pensò Daria volgendo teatralmente gli occhi al cielo.

«Che fate di bello?», si informò Carletto rivolgendo un sorrisone ad entrambe.

«Facciamo compere! E voi?», rispose Stella più entusiasta che mai.

Mentre lo scambio di convenevoli fra i due ragazzi andava avanti, Daria concluse che, almeno sotto il profilo caratteriale, Stella e Carletto avrebbero potuto essere tranquillamente la parte femminile e maschile dello stesso individuo. L’unica differenza stava nel fatto che Stella, all’occorrenza – e, soprattutto, se si impegnava molto – sapeva anche fare la persona seria.

Quasi senza accorgersene, si mise a fissare intensamente Marlon.

“Come fanno ad essere fratello e sorella?”, si chiese Daria. “Sì, i loro visi sono molto simili, hanno gli stessi capelli e gli stessi occhi. Anche se, fra i due, solo Marlon ha ereditato la mole fisica della famiglia paterna, chiunque si accorgerebbe che sono parenti stretti. Ma sembra quasi che la loro madre si sia trattenuta dal trasmettere un carattere estroverso al suo primogenito, per poi riversarlo interamente nella figlia”.

Persa in queste considerazioni, Daria non fece subito caso all’improvviso silenzio che avvolse l’intero gruppo, ma notò che le guance di Marlon avevano assunto una tinta più accesa del solito.

Accortasi della gaffe, distolse subito lo sguardo dal ragazzo per scambiarne uno veloce con Stella, la quale ricambiò con un’occhiata penetrante.

Il primo a rompere quell’imbarazzante bolla di silenzio fu Carletto.

«Allora, ragazze! Che ne dite se vi offriamo qualcosa da bere?», chiese loro battendo le spesse manone.

«Ci spiace, ma dobbiamo proprio andare», rispose subito Stella. «Grazie lo stesso». E, così dicendo, fece il giro del Trio Delta dando baci sulle guance a Carletto e Pietro – che arrossì istantaneamente – e abbracciando Marlon che, silenzioso come sempre, ricambiò la stretta sollevando Stella da terra per qualche secondo.

Daria salutò i tre ragazzi con un “ciao” generico proprio mentre Stella, afferratole un gomito, se la trascinava dietro in tutta fretta.

«Di’ un po’. Hai intenzione di farmi diventare figlia unica?», le chiese Stella una volta che furono lontano da orecchie indiscrete.

«Perché? Che ho fatto?», disse Daria sulla difensiva, continuando a camminare tranquillamente.

«Che hai fatto?», disse a sua volta Stella, accostandosi all’amica. «Se avessi fissato mio fratello ancora un po’, probabilmente gli avresti consumato la faccia!»

«Non l’ho fatto apposta. Ero semplicemente sovrappensiero», assicurò Daria in tono innocente.

Stella la fissò per un po’ con sguardo scettico e, infine, le chiese: «Ti piace?»

Daria quasi si strozzò con la sua stessa saliva.

«Cosa?!», articolò fra un colpo di tosse e l’altro.

«Hai capito benissimo», disse Stella battendole la mano sulla schiena.

«Ma certo che non mi piace!», affermò Daria riprendendo il controllo del suo respiro. «Prima di tutto, sempre che tu non te ne sia dimenticata, io sto già insieme a qualcuno! Te lo ricordi Tony? T-O-N-Y! Il mio ragazzo!»

«Ah, sì...», ammise Stella guardandosi pigramente le unghie. «Mr. BMW».

«Ti ho già detto mille volte di non chiamarlo così», disse Daria cercando in tutti i modi di non perdere il suo tono autoritario scoppiando a ridere.

Lo sapevano tutti: a Stella non piaceva Tony, non le era mai piaciuto e non le sarebbe piaciuto mai.

Il motivo? Nessuno lo sapeva. Tranne Stella, ovviamente.

«Va bene, va bene», tagliò corto quest’ultima. «Possiamo andare a casa, adesso? Ho un’improvvisa nausea».

«Ste’!», la rimproverò Daria. «Sei più dispettosa di una scimmia!»

«Cos’hai capito? Ti ricordo che sono incinta!», disse Stella ostentando incredulità ed innocenza.

«E guarda caso, il tuo primo sintomo di nausea da gravidanza arriva proprio quando stiamo parlando di Tony!»

«Che posso farci? Si vede che è un tipo che certe cose le stimola!», disse Stella ridendo apertamente.

A questo punto, Daria non resistette più e scoppiò a ridere a sua volta.

«Andiamo, scimmietta», le disse, infine, prendendo l’amica a braccetto. «Ti offro un pacchetto di cracker».

 

°°°*°°°

Spazietto autrice:

AVVISO: Nello scorso capitolo vi ho chiesto se avreste preferito che usassi la funzione “rispondi” per le recensioni in luogo del solito sistema a fine capitolo. Avendo ricevuto solo due risposte in merito e avendo notato che, almeno per me, il nuovo sistema è effettivamente molto comodo e pratico, ho deciso che questa sarà l’ultima volta che rispondo alle recensioni col vecchio metodo. Quindi, a partire dalle eventuali recensioni che riceverò per il corrente capitolo, userò il nuovo sistema. Spero che chi avrebbe preferito continuare con il vecchio procedimento non me ne voglia! In particolare, _MimiMiao_, xmas: scusatemi, mi auguro che la mia scelta vi vada bene lo stesso!romina75 – Ciao Romy! Sei una grande! Sei riuscita a descrivere in maniera pressoché chirurgica la mia visione della commessa cicciottella! Grazie per il tuo costante appoggio! Un bacio anche a te!

_MimiMiao_ - Ok, ammetto che il tuo vecchio nick mi creava non pochi problemi ogni volta che lo dovevo riportare qui per le risposte alle recensioni! XD Hai, quindi, tutta la mia comprensione per averlo cambiato! Come ho già scritto sopra, spero che mi scuserai per la storia dell’opzione “rispondi”! Un bacio e grazie di tutto!

YamiHime – Ma ciao, Elena carissima! Ok, a questo punto mi arrendo e non contesto i tuoi gusti letterari! XD Ti ringrazio comunque immensamente per tutto quello che mi dai! Un bacione grande, mia piccola tesora. Ci sentiamo presto!

xmas – Ehilà, carissima! Allora? Ti è piaciuto questo capitolo? Mm... Mi sa che a te Marlon piace proprio... Hai apprezzato il suo vestiario? A presto e grazie di tutto! Un bacio!

Marcie – Ciao, cara! Eh già! Chi dei due sarà il prescelto? Tu che ne pensi? Un bacione e, come sempre, grazie per il tuo sostegno!

x__Koizumi – Tesoro, le tue recensioni continuano a lusingarmi! Sei troppo buona! Non posso fare altro che sperare che il capitolo ti sia piaciuto e ringraziarti (tanto, tanto, tantissimo!) per tutto il sostegno entusiasta che mi dai! Un bacione!

Mirya – In via del tutto eccezionale, doppia risposta per te (ma giusto perché il capitolo ti era dedicato). Quindi, prego per questa storia, prego per la dedica, prego per tutto. Domandina: che ne pensi realmente di questa storia? Troppo flaccida? Troppo lenta? Troppo veloce? Troppo noiosa? Troppo rompicoglioni che non sono altro?

Bene, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, da ricordare, ecc. e chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (temerari!).

Grazie, ovviamente, a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

P.S. Per chi volesse contattarmi su facebook, può cercare "Cristina Sif" (ditemi solo il vostro nick EFP, così capisco chi siete).

 

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Capitolo 6
*** In assenza di Gargamella, subentra Lenticchia ***


Nuova pagina 1

GREY+Pink

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In assenza di Gargamella, subentra Lenticchia

 

Ogni mattina, a partire dal traumatico trillo della sveglia, c’era un’unica, singola parola che galleggiava sonnacchiosa nella testa di Daria: “caffè”.

Il rito mattutino era il seguente: alle sei e trenta in punto giù dalla branda, tre minuti esatti di doccia tiepida rigorosamente ad occhi chiusi, vestizione (che include la litigata di rito con i collant smagliati e/o con la camicetta macchiata di inchiostro), trucco e parrucco, passeggiata veloce fino al bar, scontrino al volo, caffè d’ordinanza con croissant integrale al miele e poi dritta in libreria.

Niente di più semplice. Nulla di più efficace.

Ma, evidentemente, lo sventurato che le stava passando davanti proprio mentre era in procinto di dare la solita ordinazione alla ragazza dietro al registratore di cassa, non sapeva quanto fosse importante e fondamentale non interferire minimamente con quella studiata routine.

Dopo aver, quindi, continuato a guardare in cagnesco le spalle di quel povero sciagurato per tutto il tempo da quest’ultimo impiegato per prendere la propria ordinazione, alla fine Daria sbottò con tutto il risentimento di cui era capace di prima mattina: «Grazie per essermi passato davanti!»

A quella esclamazione, l’accusato si voltò nella sua direzione.

Al primo impatto, Daria pensò – per quanto la sua mente in astinenza da caffeina potesse pensare – che costui avesse un’aria familiare.

“Occhi verdi”, registrò Daria. “Occhi verdi e capelli biondo cenere scolpiti nel gel. Brillantinato, oltre che maleducato!”

Dimostrava al massimo due o tre anni più di Daria; indossava un paio di vecchi jeans schizzati di vernice, una semplice maglietta bianca a mezze maniche e degli scarponcini da lavoro.

“Un imbianchino?”, si chiese distrattamente continuando a fissare ferocemente il ragazzo che, tra l’altro, ricambiava lo sguardo con aria sorpresa e vagamente divertita, come se si fosse appena imbattuto in una piccola e buffa creatura lanosa.

«Non mi sembra di essere passato davanti a qualcuno», rispose lui con la massima calma riponendo il proprio portafogli nella tasca posteriore dei jeans. «Sei sicura di non aver preso un abbaglio, puffetta?»

“Puf... Puf... Puffetta?!” Daria era talmente sconvolta da fare fatica pure a ripeterlo nella sua mente.

«Un caffè e un croissant integrale, vero?». Il proprietario del bar, accortosi del principio di discussione che da un momento all’altro rischiava di scoppiare in qualcosa di molto peggio, tentò di salvare la situazione mettendo in tutta fretta sul bancone la colazione che la ragazza ordinava ogni mattina.

Daria, pur continuando a sentire il forte impulso di spaccare la faccia da schiaffi che quel brillantino (“brillantinato” più “imbianchino”) si ritrovava, ma volendo tuttavia evitare di dare ulteriore spettacolo, diede le spalle a quest’ultimo con un movimento secco e si allontanò ancheggiando meglio che poteva in segno di spregio verso quel gravissimo ed imperdonabile affronto che le era stato rivolto.

Una volta arrivata al bancone – dopo esser inciampata nei propri piedi per ben due volte – Daria sentì finalmente la voce di quel bellimbusto salutare la cassiera e togliere il disturbo ma, contrariamente a quanto si sarebbe aspettata, la cosa le gettò addosso una spiacevole sensazione di disagio.

Solitudine.

 “Ma che cavolo vado a pensare, accidenti a me! L’astinenza gioca davvero brutti scherzi!”, si rimproverò con l’umore sempre più nero.

«Grazie», disse in tono sostenuto prima di afferrare la tazzina e vuotarne il contenuto come se, invece di caffè espresso, si fosse trattato di tequila boom boom.

Dopo aver praticamente ingoiato il suo croissant – è cosa risaputa che il nervoso fa venire un grande appetito – si diresse verso la cassa ma, proprio mentre stava per tirare fuori il suo portamonete dalla borsetta, la ragazza la fermò con un gesto della mano dicendo: «E’ già pagato».

Daria pensò subito ad un disguido.

«No, a dire il vero non avevo ancora fatto lo scontrino quando ho preso il caffè», tentò di spiegarsi.

«Lo so», disse la ragazza con uno strano luccichio divertito negli occhi. «Voglio dire che la colazione è già stata pagata da qualcun altro».

«Ma...»

«Dal ragazzo con cui stavi... parlando poco fa».

-.-  -.-  -.-

«Ti rendi conto? Puffetta! A me!»

«Sì, è molto strano, stangona».

«E come accidenti si è permesso di passarmi davanti? Cafone che non è altro!»

«Diabolico, oserei dire».

«E per quale cavolo di motivo ha dovuto pagarmi la colazione? Pensava di farmi un dispetto? Di darmi uno smacco?»

«Offrirti un caffè al bar? Che gran maleducato».

«Hai finito di prendermi per il culo?»

Dopo una passeggiata – una corsa – all’insegna del rimugino, Daria era finalmente riuscita ad arrivare in libreria, dove Stella la stava già aspettando per iniziare la giornata di lavoro.

Purtroppo, però, Daria non aveva trovato nell’amica l’approvazione di cui, in quel momento, il suo orgoglioso ego ferito necessitava.

«Più che prenderti per il culo, tesoro, sto cercando di capire il motivo di tutta questa incazzatura», disse Stella iniziando a mettere in ordine alfabetico i libri nella cesta degli articoli in offerta.

Daria era basita. «Il motivo? E’ stato maleducato!»

«Quando sei arrivata, lui era già lì nel bar?», chiese Stella. «Pensaci bene», aggiunse bloccando sul nascere il precipitoso assenso dell’amica.

Daria, non prima di aver sbuffato rumorosamente, ci pensò un po’ su. Effettivamente le sembrava di ricordare qualcuno con indosso una maglietta bianca davanti la vetrina dei panini, quando era entrata.

“Accidenti!”, pensò arrossendo lievemente.

«Può darsi», disse cercando di tenere un tono dignitoso. «Ma cosa c’entra? Io mi sono messa in fila prima di lui!»

«Probabilmente lui era già in fila da prima che tu entrassi e si è allontanato solo per scegliersi la brioche o il panino. Ha mangiato lì o ha portato via l’ordinazione?»

“Stra-accidenti!”. Il rosso sulle sue guance era sempre più acceso.

«E va bene! Diciamo pure che, forse, non mi è passato davanti!», concesse a malincuore. «Ma quell’insulto che ha rivolto alla mia persona?»

«E, secondo te, puffetta può essere definito un insulto?», chiese Stella guardandola in modo eloquente. «A me sembra piuttosto carino, invece».

«Carino un corno!», esplose Daria battendo un pugno sul bancone del negozio mandando all’aria il bicchiere delle matite colorate in vendita. «Vorrei vedere se lo avessero...»

«Detto a me?», concluse Stella per lei. «Daniel mi rivolge continuamente nomignoli simili. Ti sei forse dimenticata di quando mi chiama “Dorothy” o “Principessa Zucchina”? E ti posso assicurare che è tutt’altro che offensivo. Anzi, è molto affettuoso».

Daria stava seriamente tendendo al violaceo, ma dato che non era certo il caso di farsi beccare da qualche cliente mentre stramazzava al suolo in piena crisi isterica, prese un lungo respiro nel disperato tentativo di darsi una calmata.

«Immagino che tu abbia una risposta anche per la questione della colazione offerta», sibilò più contrariata che mai.

«Non c’è bisogno che ti dica che è stato un gesto molto gentile da parte sua».

“Ci avrei giurato”, pensò Daria con tutto il veleno possibile. «Quindi, ricapitolando», iniziò con voce pericolosamente bassa, «secondo te, io l’ho accusato ingiustamente di essere un cafone, ho travisato il suo affettuoso modo di esprimersi nei miei confronti e, dulcis in fundo, ho peccato di crudeltà non dimostrandomi commossa fino alle lacrime per il suo cavalleresco omaggio».

«Lo sai che è così», disse tranquillamente Stella scrivendo qualcosa su un rettangolo di cartoncino rosso attaccato al bordo della cesta.

Daria non replicò, pensando che fosse meglio evitare di dire parolacce prima delle dieci di mattina. «Sai una cosa? La gravidanza ti rende diabolicamente saccente», disse iniziando a raccogliere le matite che aveva fatto saltare in aria poco prima.

«A conti fatti, quindi, tu sei in stato interessante perenne. Ora capisco molte cose», le disse Stella con un sorriso.

Se, in quel momento, lo sguardo di Daria fosse stato munito di laser, Stella avrebbe avuto la testa decapitata di netto. Poi, però, il suddetto sguardo si soffermò sul particolare brillio degli occhi dell’amica, sulla lentigginosa pelle del viso resa splendente dai primi mesi della gravidanza, su quelle labbra sorridenti che presto avrebbero riempito di baci e pernacchie sul pancino quel cosino che ancora non riusciva bene a visualizzare. E la rabbia sfumò.

Daria distolse lo sguardo ed iniziò a fare mente locale sul lavoro che avrebbe dovuto svolgere entro l’ora di pranzo. «Ti perdono solo perché porti in grembo mio nipote, Lenticchia dispettosa».

 

°°°*°°°

Spazietto autrice:

Dedico questo capitolo alla mitica Jane Austen, in quanto oggi ricorre il 235° anniversario della sua nascita. A proposito, su fb ho messo in bacheca il link più romantico dell'Universo (ve lo consiglio vivamente).

Bene, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, da ricordare, ecc. e chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (temerari!).

Grazie, ovviamente, a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

P.S. Per chi volesse contattarmi su facebook, può cercare "Cristina Sif" (ditemi solo il vostro nick EFP, così capisco chi siete).

 

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Capitolo 7
*** La ragazza-merendina ***


Nuova pagina 1

GREY+Pink

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La ragazza-merendina

 

Camilla era carina, dolce e rossa come l’omonima merendina alle carote.

Pur avendo la stessa età di Stella – ventiquattro suonatissimi anni –, dimostrava a malapena la maggiore età. Il suo viso, tanto candido da sembrare quello di una bambola di porcellana, contrastava fortemente con la bruna profondità dei bellissimi occhi; le labbra piene e dalla linea squisita erano sempre atteggiate in una sorta di piccolo e sereno sorrisino, come se dal giorno della loro creazione avessero sempre evitato di farsi intristire da qualsiasi brutto pensiero; i suoi capelli, rossi come il fuoco – o, meglio, come le carote – aleggiavano sempre soffici e profumati attorno al viso, ricadendo sulle spalle e sulla schiena come un luminoso fiume incendiato dai raggi del sole al tramonto.

Camilla era, da sempre, la vicina di casa di Stella, nonché sua compagna di scuola alle elementari. Le due ragazze erano molto amiche, sebbene avessero, soprattutto dal punto di vista caratteriale, pochissimi argomenti in comune; di conseguenza, non era raro, per Daria, incontrare Camilla quando si recava a casa di Stella. A Daria non dispiaceva per nulla frequentarla; anzi, le stava molto simpatica, poiché possedeva quelle qualità a lei tanto care: l’indole mite, la capacità di ragionare e – migliore fra tutte – l’essenzialità della parlantina.

In quel tiepido pomeriggio di inizio autunno, le tre giovani donne si trovavano chiuse nel bagno della madre di Stella impegnate a far la ceretta a Daria.

Mancava solo una settimana al matrimonio.

«Okay, sei pronta?», chiese Stella afferrando con decisione un lembo della striscia depilatoria crudelmente appiccicata alla gamba dell’occhialuta amica.

«Se dicessi di no, cambierebbe qualcosa?», rispose astiosamente Daria la quale, in precario equilibrio su di uno sgabello di legno, artigliava senza pietà le candide manine che Camilla le teneva sulle spalle cercando di tranquillizzarla.

«Al mio tre, allora», disse Stella, imperterrita. «Uno...»

Strappp!

«Argh!», urlò Daria strizzando gli occhi lacrimanti. «Che fine hanno fatto il due e il tre, disgraziata?!»

«Meglio l’effetto sorpresa», rispose Stella in tutta calma. «Così non hai il tempo di pensarci troppo su».

«Ma io ti amm...!»

«Ste’, non sarebbe più comodo per entrambe andare in camera tua?», chiese tranquillamente Camilla come se non avesse appena interrotto una minaccia di morte. «Così Daria potrebbe sdraiarsi sul letto e tu avresti più facilità di manovra».

Dopo aver lanciato una rapida occhiata a Daria – la quale non si sognò minimamente di ricambiare –, Stella arrossì, si schiarì la gola e balbettò: «Hai ragione, tesoro. Il fatto è che... che ci sono Marlon, Carletto e Pietro in casa! E sai come sono apprensivi gli uomini, no? Se sentissero le urla di Daria, entrerebbero subito in camera mia per vedere che succede e.. beh... E, dato che lì non c’è la chiave alla porta, ho pensato che sarebbe stato meglio chiudersi in bagno perché qui, invece, la chiave c’è!», terminò in uno strano verso asmatico a metà fra un risolino ed un colpo di tosse.

Daria, coprendosi gli occhi con una mano in un teatrale gesto di esasperazione, pensò che l’amica, in quanto a sparare balle credibili, non era per niente abile.

La verità era che Daria non voleva vedere Marlon. Ovviamente non aveva nulla contro di lui ma, dopo l’imbarazzante episodio consumato qualche giorno prima, preferiva evitare altre situazioni compromettenti. Stella era stata perentoria su questo punto: «Se da parte tua non c’è interesse, cerca di non illuderlo con altri comportamenti ambigui!». E Daria era ampiamente d’accordo con lei. In più, entrambe erano decise a tenere la questione assolutamente segreta e, di conseguenza, nessuno doveva avere il ben che minimo sospetto dell’infatuazione di Marlon.

Pregando silenziosamente che Camilla non scoppiasse a ridere in faccia a Stella, Daria alzò la testa in direzione della rossa per poter osservare l’espressione del suo viso.

Incredibilmente, nonostante la pietosa performance, la ragazza parve credere al delirio di Stella, poiché abbassò gli occhi verso le piastrelle del pavimento e le sue guance si imporporarono lievemente, segno che considerava scandalosa anche solo l’idea che dei ragazzi irrompessero con forza mascolina in una stanza sorprendendo Daria sdraiata su un letto con addosso nient’altro che una striminzita canottiera macchiata di caffè ed un paio di mutande blu a pallini rossi.

“Se l’è bevuta!”, esultò mentalmente Daria, sorprendendosi per il fatto che una ragazza così intelligente e sveglia potesse, al contempo, avere reazioni tanto pudiche. Purtroppo, Daria si accorse troppo tardi che Stella, approfittando della sua distrazione, aveva appiccicato un’altra striscia depilatoria sulla sua povera gamba ed era già pronta a strappargliela via con tutta la brutalità possibile.

«No, aspett...!»

Strappp!

«Aaargh!», urlò nuovamente Daria, facendo tremare il vetro della finestra. «Sadica del cazz...!»

Questa volta, gli insulti di Daria non furono interrotti da Camilla.

«State scuoiando vivo qualcuno là dentro?», chiese la profonda voce di Marlon.

Daria e Stella si scambiarono uno sguardo allarmato, pensando entrambe alla stessa cosa: “La bugia ha portato iella!”

Camilla, dal canto suo, dovette pensare che il suo peggior incubo – la virtù di una ragazza innocente violata per sempre dallo sguardo spudorato di un uomo – si stava per avverare, perché arrossì ancora di più ed iniziò a fissare la porta come se le potesse esplodere in faccia da un momento all’altro.

Non ricevendo risposta alcuna, Marlon – con sommo disappunto di Daria – insistette: «Siete ancora vive?»

Alla nuova domanda, Daria e Camilla guardarono Stella, ovviamente ognuna a proprio modo: la prima la fulminò con un penetrante sguardo significativo che voleva suggerirle “pensaci tu, il fratello è tuo!”; la seconda posò i dolci e terrorizzati occhi da cerbiatta ferita sulla sua persona, quasi volesse supplicarla con un “aiuto, sto per svenire”.

Intimidita e, al contempo, intenerita dalle amiche, Stella si decise a parlare: «Tutto a posto! Stiamo... Ci stiamo facendo belle!», glissò onde evitare che, dicendo la piena verità, Daria la strangolasse alla prima occasione utile.

Silenzio. Dall’altra parte della porta non si sentiva tirare un fiato.

«E’ svenuto?», sussurrò Daria fra lo stupore e la speranza.

«Magari è andato via perché si è ricordato che sta per iniziare la puntata di Beavis and Butthead», ipotizzò Stella accostando l’orecchio alla porta.

Camilla era più pallida che mai.

E poi, improvvisamente, la suoneria di “Always” dei Bon Jovi esplose nel bagno rimbalzando, acuta, sulle piastrelle di ceramica.

«Mi hai quasi uccisa», ammise Camilla tenendosi una mano premuta sul cuore.

«Coscienza sporca?», scherzò Stella continuando a tenere premuto l’orecchio alla porta in cerca di un cenno di vita da parte del fratello.

Camilla arrossì ancora di più.

«E’ Tony», annunciò Daria premendo il tasto di ricezione sulla tastiera del suo rumoroso cellulare proprio mentre sentiva Stella borbottare: «E figurati se non era lui. “Always”... Always a rompere i cogl...»

«Ciao! Dimmi!», quasi urlò Daria al suo fidanzato per poi chiudersi in un misterioso dialogo fatto di “ah-ha” e “mh-mh” e, ancora, di “certo-certo” e “okay-okay”.

Attaccate alla porta del bagno, intanto, Stella e Camilla (che, dalla chiamata di Tony, aveva raggiunto l’amica per lasciare un po’ di privacy a Daria) sondavano ogni minimo rumore cercando la presenza di Marlon.

Nulla.

Tutto a un tratto, sentirono un breve e sussurrato scambio di battute dall’altra parte della porta seguito da un piccolo “toc-toc”.

Le due ragazze si scambiarono un’occhiata interrogativa e Stella, sentendosi un po’ stupida, chiese piano: «Chi è?»

Di nuovo niente.

Dopo qualche decina di secondi, di nuovo il piccolo “toc-toc”.

«Marlon, ti avverto! Non è divertente!»

Silenzio, solo l’ormai familiare “toc-toc”.

«Adesso basta!», esplose Stella girando la chiave nella toppa a spalancando la porta pronta a tirare le orecchie al dispettoso fratello maggiore.

Purtroppo per lei, però, non c’era Marlon ad aspettarla. O, meglio, non c’era solo Marlon.

«Dite cheese!», disse Carletto da dietro la macchina fotografica digitale.

Fu un secondo e, in un colpo di flash, Carletto immortalò per sempre l’immagine di Stella con le mani alzate nell’atto di stringergliele attorno al collo, di Camilla – un tutt’uno di rossore faccia-capelli – con gli occhi fissi su una grossa figura fuori dall’obiettivo e, sul fondo, in tutto il suo splendore, di Daria seduta sullo sgabello in mutande imbarazzanti, canottiera macchiata e pinza per capelli in testa che con una mano regge il cellulare e con l’altra fa un gestaccio osceno all’indirizzo del fotoreporter.

«Belle mutande, Miss!», si complimentò Carletto mentre schivava agilmente lo strangolamento da parte di Stella. «Questa finisce dritta dritta sul mio desktop».

Marlon, la faccia completamente paonazza, si stava quasi strozzando a furia di ridere. Pietro, ovviamente, stava seminascosto dietro le larghe spalle di Carletto per evitare il contatto visivo con le tre ragazze.

«Questa me la pagate, scimmioni!», sbraitò Stella rientrando in bagno e sbattendo la porta alle sue spalle. «Si divertono con poco, i bambocci».

Nessuna delle due amiche rispose. Camilla stava ancora fissando la porta come ipnotizzata mentre Daria guardava Camilla come se avesse finalmente capito qualcosa di molto importante.

 

 

°°°*°°°

Spazietto autrice:

Auguri a tutte le befanone (me per prima)!!!

Come sempre, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, da ricordare, ecc. e chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (temerari!).

Grazie, ovviamente, a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

P.S. Per chi volesse contattarmi su facebook, può cercare "Cristina Sif" (ditemi solo il vostro nick EFP, così capisco chi siete).

 

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Capitolo 8
*** The Autumnal Wedding (part one) ***


Nuova pagina 1

GREY+Pink

- 8 -

The Autumnal Wedding (part one)

 

Daria era nella cameretta di Stella. Ed era agitata.

Mancavano ancora diverse ore al trillo della sveglia, ma la sua mente si rifiutava categoricamente di andare in standby privandola della possibilità di riposarsi ancora un po’. Di conseguenza, i suoi occhi stanchi e sveglissimi fissavano ostinatamente il soffitto dedicando, di tanto in tanto, un fuggevole sguardo all’esercito di peluche che abitava la stanza.

Ma Daria non era la sola persona sveglia quella notte. Da dietro la porta, infatti, sentiva il leggero scalpiccio dei piedini della madre di Stella fare su e giù per il corridoio e, dall’altra parte della parete, il tonfo sordo dei piedoni nudi di Marlon sul pavimento della sua stanza.

Daria pensò che, senza ombra di dubbio, l’unica persona che quella notte ronfava tranquilla ed indisturbata era Stella. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco.

Dopo un’altra mezz’ora passata a fissare il soffitto, si decise finalmente ad abbandonare la stanzetta buia per andare a rifugiarsi in cucina. Quando aprì la porta trovò il corridoio deserto e silenzioso. Anche Marlon non si sentiva più.

“Forse, alla fine, sono riusciti a prendere sonno”, pensò. Tuttavia, quando passò davanti la camera da letto della padrona di casa e vi gettò un’occhiata veloce, vide che il letto matrimoniale era occupato solo da Stella che, con le lenzuola tirate fin sopra le orecchie, dormiva della grossa senza una sola preoccupazione al mondo.

“Guardala lì”, pensò Daria con invidia. “Si sposa fra meno di dieci ore e riesce a dormire come se fosse in letargo”.

Quando, poco dopo, raggiunse la cucina, capì dov’era finito il resto della famiglia.

«Ciao, gioia! Prendi una sedia!», la accolse la madre di Stella come se la stesse già aspettando. Lei e Marlon erano seduti al piccolo tavolo rotondo posto al centro della cucina, la madre con una bella tazza di camomilla fumante tra le mani, il figlio con una vaschetta di gelato – di quelle da mezzo chilo, notò Daria – nella quale continuava a conficcare senza pietà un grosso cucchiaio per poi traghettarselo in bocca.

«Anche voi non riuscite a dormire?», chiese Daria prendendo posto attorno al tavolo.

«Siamo un po’ nervosi», rispose la mamma.

Marlon, invece, prima grugnì e poi si riempì nuovamente la bocca di gelato.

«Mi chiedo come cavolo faccia Stella a dormire così tranquilla!», si lamentò Daria.

«Oh, lei non si agita per queste cose», disse la mamma sorridendo e muovendo una manina come per scacciare una mosca. «Non è preoccupata perché è sicura di quello che sta per fare. Ieri mi ha detto che questo matrimonio è una conseguenza assolutamente naturale delle sue scelte di vita».

«Una conseguenza naturale», ripeté Daria, scettica. «Tipico ragionamento “stelliano”».

«Già», confermò Marlon senza togliere la minima attenzione alle sue delicate manovre di trivellazione della vaschetta. «Cioè da pazza incosciente».

Daria lo guardò per qualche secondo. Erano settimane, ormai, che lo evitava, ma lui non sembrava essere per nulla cambiato nei suoi atteggiamenti. E non sembrava provare alcun imbarazzo nonostante lui se la fosse ritrovata improvvisamente davanti, in piena notte e con indosso solo un paio di calzoncini ed una canottiera. Insomma, era sempre il solito, vecchio Marlon.

“Possibile che abbiamo preso un abbaglio così colossale, io e Stella?”

-.-  -.-  -.-

«Ste’, svegliati! Sono già le sette», bisbigliò Daria all’orecchio dell’amica.

«Mm... Ancora cinque minuti», biascicò Stella in risposta.

“Roba da matti”, pensò Daria lottando contro l’impulso di andare a prendere un bel secchio pieno di acqua fredda.

«La parrucchiera arriva fra mezz’ora! E tu devi ancora lavarti e infilarti dentro quella trappola che chiami guepiere», spiegò abbandonando il tono sussurrato per passare direttamente agli strilli isterici.

«Uffa», sbuffò Stella mettendosi seduta.

«Pure!», la sgridò Daria. «Avanti, muoviti! E fa’ attenzione a non bagnare i capelli!»

«See... see...», disse la sposa prendendo dall’armadio la biancheria da indossare sotto l’abito.

«Cosa. Diavolo. Sono. Quelle?», sibilò la testimone di nozze notando un particolare che – indubbiamente – non aveva previsto sulla sua rigida tabella di marcia.

«Collant. Non lo vedi?», rispose Stella, ovvia.

«Lo so benissimo cosa sono! Quello che intendo dire è: che fine hai fatto fare alle costosissime ed adattissime calze autoreggenti che abbiamo comprato un paio di settimane fa?», chiese Daria iniziando a perdere la pazienza.

«Aaah... quelle!», cercò di fare la finta tonta. «Sono scomode! Preferisco queste! Sono bianche, no?»

«Ma queste sono calze a rete! Non puoi andare all’altare con indosso delle calze a rete, Ste’!», sbraitò Daria continuando a guardare la calze incriminate come se si fosse trattato di un vibratore fucsia.

«Le indosserò sotto il vestito, Daria. Nessuno le noterà! A parte Daniel, ovviamente...», spiegò con un piccolo ghigno.

«Ma... Ma...»

«Non hai detto che è tardi? Vado a lavarmi», disse Stella rifugiandosi in bagno prima che l’amica si potesse riprendere dallo shock.

Fortunatamente, Stella riuscì a lavarsi e ad indossare la biancheria – per miracolo, dato che la gravidanza stava iniziando a gonfiarle il seno – giusto in tempo per l’arrivo della parrucchiera.

Così, mentre la madre di Stella non faceva che piangere continuando a snocciolare parole sconclusionate sulla sua troppo bella e troppo giovane bambina che si stava per sposare abbandonandola per sempre, la futura sposa veniva adeguatamente pettinata e truccata. Per ultimo, la parrucchiera l’aiutò ad indossare l’abito e le assicurò il lungo velo tra i capelli.

«Ti sei unita al circo?», commentò allegramente Marlon passando, senza fermarsi, davanti la porta della stanza.

«Sei solo invidioso perché io posso truccarmi liberamente e tu, invece, puoi farlo solo di nascosto!», gli urlò dietro Stella senza scomporsi troppo. «Voi siete pronte?»

«Io sì», rispose Daria indossando le scarpe.

«Io no», rispose la mamma mentre la parrucchiera cercava di arginare i danni che le lacrime stavano provocando al trucco.

«Ma', smettila di frignare», la consolò la figlia. «Io e Daniel andremo ad abitare a soli dieci minuti di auto da qui. E poi c’è Marlon!»

«Sì, ma tuo fratello non è capace di farmi la manicure».

«Non lo escluderei», ridacchiò Stella guardando con la coda dell’occhio una figura grossa e scura acquattata nel corridoio.

Ma, prima che Marlon potesse replicare, Daria puntò un dito smaltato di rosa contro di lui e sbraitò: «Che cos’hai addosso?»

Marlon parve un po’ spiazzato, poi abbassò lo sguardo e si analizzò cercando di capire cos’avesse di sbagliato il suo abbigliamento. Indossava un bel vestito grigio gessato, una semplice camicia bianca e una... una...

«Fila subito a toglierti quella roba!», urlò Daria senza ritegno.

«Perché?», chiese Marlon senza comprendere ancora la ragione di tutta quell’agitazione.

«Marlon,» iniziò la ragazza in tono perentorio, «potessi schiattare oggi, ti giuro che non accompagnerai tua sorella all’altare con addosso la cravatta di Homer Simpson in mutande!»

«Ah», capì finalmente il ragazzo. «Mi era sembrata un’idea carina».

Daria gli voltò le spalle senza neanche rispondere.

La madre di Stella, troppo occupata a ridere della scena, aveva finalmente smesso di piangere.

-.-  -.-  -.-

«Okay, ci siamo tutti? Marlon, chiudi tu la porta a chiave? Ste’, tieniti bene al corrimano mentre scendi le scale! Carletto, piantala di ingozzarti di salatini e inizia a scendere di sotto! Oddio, dove ho messo gli anelli? Ah, eccoli! Possiamo andare».

Dopo un apocalittico servizio fotografico, dove tutti volevano fare foto insieme alla sposa mentre quest’ultima continuava a chiedere ai fotografi com’era vestito lo sposo – essendo passati prima da lui – l’ora della verità era finalmente giunta.

La sposa, la mamma, la testimone ed il fratello si recarono rumorosamente in chiesa con l’auto di quest’ultimo. Appena arrivati a destinazione, Daria schizzò fuori dall’abitacolo, dribblò gli amici ed i parenti in attesa sul sagrato della chiesa e corse dentro per controllare che tutto fosse pronto e che lo sposo fosse già arrivato e posizionato davanti all’altare con il bouquet della sposa fra le mani.

“Giuro che se l’ha dimenticato nel frigorifero è la volta buona che lo strangolo”. Purtroppo per lei, però, entrata in chiesa dovette far fronte ad un problema ben più grosso.

«Dov’è Daniel?», chiese con un filo di voce a nessuno in particolare fissando la chiesa – deserta, ad accezione del parroco e delle grosse zucche decorative – con sguardo vacuo ed incredulo.

Un grande applauso proveniente dall’esterno la fece riprendere dalla sorpresa. Cercando di non slogarsi una caviglia, si girò bruscamente e uscì nuovamente alla luce del tiepido sole di ottobre.

Lo sposo ed il di lui testimone di nozze si presentarono a bordo della Ducati (adeguatamente infiocchettata).

Daria, tirando un sospiro di sollievo, gli corse incontro sperando che a Daniel non venisse la malsana idea di cercare un contatto – visivo e non – con Stella prima che quest’ultima uscisse dall’auto di Marlon. Fortunatamente, riuscì a raggiungerlo ancora prima che avesse il tempo di togliersi il casco. "Con il Jolly Roger! Al proprio matrimonio!".

«Sei in ritardo!», lo aggredì con voce affannata.

«Oh, ciao Daria! Come sei carina!», le disse lui togliendosi il casco e sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.

«Non usare queste tecniche di abbindolamento con me, signorino!», disse Daria facendo finta di non aver ceduto davanti a quegli occhioni tranquilli e felici. “A quanto pare, pure lui è uno stelliano”. «Piuttosto, dov’è il bouquet? Se te lo sei dimenticato a casa ti...»

«E’ al sicuro con mia madre, non preoccuparti. Guarda», le indicò con un cenno una signora elegantemente vestita con in mano il prezioso mazzo di fiori.

«Bene. Dentro, allora. Veloce», disse Daria segretamente rincuorata.

In tutta quella discussione, Daria non aveva fatto caso al testimone dello sposo. Il cugino Fabrizio, appunto. Troppo occupata a far scendere dall’auto Stella senza che si rovinasse il vestito, continuò a non farci caso. Arrivata, poi, di gran carriera davanti all’altare per adempiere ai suoi doveri di testimone della sposa, fu troppo distratta da quest’ultima che attraversava con aria sognante la navata della chiesa al braccio di Marlon – con una cravatta degna di questo nome attorno al collo, finalmente – per girarsi in direzione dello sposo e di Fabrizio.

Fu solo quando Stella arrivò dinanzi a Daniel che Daria ebbe occasione di girarsi in quella direzione.

Fabrizio la stava osservando già da un po’ e, di conseguenza, quando Daria incrociò i suoi occhi, lui fu lesto a muovere le labbra formando un muto saluto.

Ciao, puffetta”.

 

°°°*°°°

Spazietto autrice:

Avendo astutamente azzeccato l'identità del brillantino, questo capitolo è dedicato a Chiara Fallsofarc con l’augurio di ricevere presto una “Daria” per gli eventi di settembre.

Come sempre, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, da ricordare, ecc. e chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (temerari!).

Grazie, ovviamente, a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

P.S. Per chi volesse contattarmi su facebook, può cercare "Cristina Sif" (ditemi solo il vostro nick EFP, così capisco chi siete).

 

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Capitolo 9
*** The Autumnal Wedding (part two) ***


Nuova pagina 1

GREY+Pink

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The Autumnal Wedding (part two)

 

«Daniel e Stella sono sposi nel Signore!»

All’annuncio del parroco, un applauso scrosciante si levò nella luminosa chiesa e Daria poté finalmente tirare un sospiro di sollievo.

Un’altra fase della giornata era filata liscia come l’olio. Infatti, nonostante i sorrisini compiaciuti che la sposa continuava ad esibire in luogo delle ben più consone lacrimucce commosse d’ordinanza e nonostante lo sposo non la smettesse di fare il buffone con il proprio testimone scambiandosi ripetute espressioni da “che vuoi farci? ormai è troppo tardi per tornare indietro”, la cerimonia si era conclusa senza intoppi.

Doveva ammettere, però, che la celebrazione era volata via in fretta, per lei. Soprattutto perché aveva passato tutto il tempo a pensare a quell’insolente ragazzo dagli occhi verde-cupo (come accidenti aveva fatto a non notare che erano solo di qualche sfumatura più chiari di quelli di Daniel? ecco perché aveva un’aria tanto familiare quando l’aveva incontrato al bar!) e a quanto, a volte, il Mondo fosse realmente piccolo come molti sostengono.

Solo dopo la benedizione finale del don, Daria si accorse che non aveva sentito una singola parola di tutta la predica e che, troppo presa dai propri pensieri, si era anche dimenticata di assumere un’espressione abbastanza commossa (sempre d’ordinanza) al momento dello scambio delle promesse di matrimonio.

“Questo qui mi fa un effetto troppo negativo, per i miei gusti”, pensò cupamente guardando di soppiatto in direzione del colpevole che, giusto in quel momento, si stava recando al tavolino posto a lato del pulpito per mettere la propria firma accanto a quella degli sposi.

-.-  -.-  -.-

Dopo circa un centinaio di scatti, il fotografo diede finalmente il suo consenso per lasciare la chiesa. Ma, come tutte le cose, era troppo bello per essere vero.

«Aspettate! Ho dimenticato quella con i testimoni!», decretò il fotografo con spietatezza. «Perfetto così! Adesso un’altra senza che la sposa faccia le corna al testimone. Okay, gli sposi possono andare. Ora il testimone dia un bel bacio alla testimone e poi siamo a posto».

Daria si pietrificò sul posto. Fabrizio scoppiò a ridere e, con orrore della ragazza, disse: «Okay» e l’abbracciò.

«Che diavolo credi di fare?», si riscosse Daria all’ultimo momento.

«Ti bacio, mi sembra ovvio», rispose lui senza abbandonare quell’espressione così odiosamente divertita.

Fortunatamente, il fotografo aveva assistito – anche con un certo interesse, il pettegolo – allo scambio di battute dei due ragazzi. «Scusate!», disse alzando una mano, «pensavo foste fidanzati! Rimanete abbracciati, comunque». Il sollievo di Daria era, evidentemente, destinato a durare poco.

Fabrizio, continuando a ridacchiare come un bambino, le tolse allora un braccio di dosso e ne portò la mano nella tasca dei calzoni. L’altro braccio rimase invece attorno alla vita della ragazza.

Daria iniziò a pregare (il luogo glielo concedeva) che quel momento imbarazzante finisse il prima possibile e, sempre pregando, cercò di scacciare dalla mente l’idea che quell’abbraccio fosse tutt’altro che spiacevole.

Finalmente il fotografo si decise a premere il dito sul dannato bottone della macchina fotografica e Daria fu libera di correre fuori dalla chiesa urlando agli invitati di non mirare assolutamente alla faccia degli sposi e di astenersi a lanciare loro il riso “a pioggia”.

-.-  -.-  -.-

Incredibile. Si erano tutti dimenticati di lei! Della testimone della sposa!

Una volta terminato di fare le foto con parenti e amici davanti la chiesa, tutti erano filati ai rispettivi mezzi di trasporto ansiosi di poter finalmente placare l’appetito. E Daria era stata troppo impegnata a “caricare” Stella in macchina impedendole di rovinarsi il vestito per poter accorgersi di quell’importante fenomeno.

Solo quando l’auto partì – con Marlon alla guida, la madre al suo fianco e gli sposi sui sedili posteriori – Daria realizzò che anche tutte le altre vetture non c’erano più.

E lei, come una cretina, non aveva pensato di prendere accordi preventivi con qualcuno per avere un passaggio fino al ristorante!

“Che imbecille!”, pensò frugando febbrilmente nella borsetta in cerca del cellulare. “Ho perso tempo a pensare ad una miriade di cose inutili e poi mi perdo per una scemenza del genere”.

«Serve un passaggio?»

“Oh, no! Oh, Dio Ti prego! Non farmi questo! Davanti ad un luogo di preghiera, poi!»

Lentamente – sperando, forse, si trattasse di un’allucinazione dovuta alla fatica per tutti quei preparativi che se ne sarebbe andata appena fosse passato quel momento di stress – Daria si voltò.

Fabrizio – il brillantino – se ne stava in piedi, leggermente poggiato alla Ducati, con le gambe incrociate e due caschi fra le mani. La stava guardando con quei vispi occhi verde-cupo e sembrava stesse aspettando proprio lei.

«Grazie, ma non penso che...», tentò Daria decidendo che quel piccolo tuffo al cuore era dovuto al fatto che lui, parlando all’improvviso, l’avesse un po’ spaventata.

«Non mi sembra, comunque, che tu abbia molta scelta», disse Fabrizio abbracciando con lo sguardo lo spazio vuoto attorno a loro.

«Non posso salire su una moto con questo vestito».

Daria non aveva neanche finito di pronunciare la parola “vestito” che lui iniziò a scrutarla, sondandola con attenzione a partire dalla punta delle scarpe col tacco fino alle spalle velate di seta. Sembrava, in effetti, che lui non aspettasse altro.

“Una scusa per guardarmi”, considerò Daria per poi pentirsi immediatamente di quel pensiero fuori luogo.

«Basta tirare un po’ su il vestito», concluse il ragazzo alla fine del suo accurato esame.

«Che cosa?!», sbottò Daria strabuzzando gli occhi ed iniziando ad arrossire.

A quella reazione, lui sorrise e disse: «Non ti ho mica detto di spogliarti, pudica pulzella. Devi solo tirare un po’ su tutta quella stoffa che ti porti dietro e metterti a cavalcioni qua sopra».

Daria era sempre più scandalizzata.

Tirare un po’ su? A cavalcioni qua sopra?

Era maliziosa lei, oppure era lui che faceva il furbo?

«Se non ti decidi in fretta, raggiungeremo gli altri giusto in tempo per il taglio della torta», le fece notare lui dando un’occhiata all’orologio che portava al polso destro.

Era vero, purtroppo. Si stava facendo tardi e lei sarebbe dovuta arrivare prima di tutti per assicurarsi che ogni cosa fosse pronta per l’arrivo degli invitati. Non aveva scelta.

«Porca miseria», sbuffò infilando con stizza la borsetta in una delle sacche della moto, «non ho neanche una giacca da mettere».

«Sì che ce l’hai», disse Fabrizio, ovvio, porgendole la propria giacca grigia.

Daria si prese un attimo di tempo. Prima di tutto, doveva assolutamente togliersi dalla testa l’idea che quell’arrogante stesse incredibilmente bene con indosso quella camicia nera. E poi doveva decidere se rifiutare o meno quell’offerta. Se la giacca l’avesse presa lei, lui sarebbe congelato con solo una camicia addosso a coprirlo. Non che la cosa le importasse – ovviamente – ma non aveva intenzione di avercelo sulla coscienza nel caso si fosse buscato qualche raffreddore.

Fabrizio, con le braccia ancora tese, iniziò ad assumere un’espressione leggermente spazientita, cosicché Daria decise di agire d’istinto ed infilarsi la giacca.

Era profumata, accidenti. Di un profumo talmente buono che dovette trattenersi dal tirare su il bavero ed affondare il naso in quella delizia.

“Rassicurante”.

Ecco che ricominciava coi pensieri deleteri. La sua mente doveva finirla di giocarle ripetutamente quei brutti scherzi.

Fabrizio, intanto, si era messo il casco di Daniel sull’elaborato ciuffo biondo scolpito nel gel ed era balzato in sella alla Ducati infiocchettata.

Più contrariata che mai – da che cosa, neanche lei lo sapeva con esattezza – Daria infilò con ferocia un paio di bottoni nelle rispettive asole (“ci manca solo che gliela perdo per strada”), si calcò il casco sulla testa (“meno male che, almeno, non mi ha dato quello col Jolly Roger”) e, maledicendo il vestito e chi glielo aveva scelto, iniziò a raccogliere la gonna scoprendo a mano a mano le gambe. L’abito era davvero molto attillato, tanto da doverlo arrotolare ben oltre le ginocchia per riuscire a salire su quello stramaledettissimo sellino. La giacca, ormai, le copriva le cosce molto più di quanto non facesse il vestito.

Fortunatamente, non c’era nessuno nei paraggi. Beh... nessuno all’infuori, ovviamente, di...

«Una tartaruga zoppa ci avrebbe messo la metà del tempo», osservò amabilmente Fabrizio porgendole una mano per aiutarla a salire.

“Ma quanto sei stronzo, tu?”, pensò Daria dicendo: «Grazie». Poi afferrò la mano che lui le porgeva.

Era grande, callosa ed incredibilmente calda. Un’autentica mano da lavoratore.

“Rassicurante”.

«Tieniti bene. Non ho voglia di fermarmi alla prima svolta per raccattarti da terra».

«Simpatico», rispose Daria con un tono che diceva tutt’altro. «Piuttosto, conosci la strada per arrivare a destinazione?»

«Sì, non preoccuparti», rispose mettendo finalmente in modo.

“Rassicurante”.

Prima di partire, però, lui portò indietro le mani afferrando quelle della ragazza (che lei, per tenersi, aveva arpionato alla sua camicia, all’altezza dei fianchi), le tirò lentamente in avanti in modo da far aderire Daria alla sua schiena – calda, calda, caldissima! – e, poi, se le incrociò sull’addome. Infine, partì.

“Rassicurante”.

Ma che cosa le stava succedendo?

 

°°°*°°°

Spazietto autrice:

Scusate il ritardo! Avevo (ho) la testa un po' altrove.

Come sempre, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, da ricordare, ecc. e chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (temerari!).

Grazie, ovviamente, a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

P.S. Per chi volesse contattarmi su facebook, può cercare "Cristina Sif" (ditemi solo il vostro nick EFP, così capisco chi siete).

 

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Capitolo 10
*** The Autumnal Wedding (part three) ***


Nuova pagina 1

GREY+Pink

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The Autumnal Wedding (part three)

 

«Puoi aprire gli occhi, adesso, piccola Cuor di Leone».

Daria ubbidì. Prima aprì un occhio e, poi, accertatasi che non c’era più il pericolo di sfracellarsi sull’asfalto, aprì anche l’altro.

“Grazie al Cielo!”, pensò facendo scorrere lo sguardo sul basso edificio giallo circondato dal verde. “Siamo arrivati! Sono ancora viva!”

In realtà, Fabrizio non aveva guidato a velocità elevata, ma per Daria era stata comunque un’esperienza a dir poco traumatica. Tuttavia, si sarebbe tagliata la lingua piuttosto che confessare – a lui, poi! – le sue paure ed ammettere che era stata la sua “prima volta” a bordo di un veicolo a due ruote.

«Vuoi che ti porti dentro in braccio?», le chiese lui alludendo, beffardo, al fatto che la ragazza lo stesse ancora stritolando a sé. «Però, poi, non ti potrai lamentare se i camerieri ci accoglieranno battendo le mani e augurandoci di avere figli maschi».

A quell’affermazione, Daria si ritrasse subito come scottata e, atteggiando il viso all’espressione più risentita che riuscì a racimolare, scese rapidamente dalla Ducati – non senza aggrapparsi nuovamente al suo co-testimone per evitare di finire ruzzoloni sul prato –, si coprì le gambe e si tolse il casco restituendolo al legittimo proprietario.

Fabrizio tolse a propria volta il casco col Jolly Roger, stupendo Daria per il fatto che i suoi biondi capelli imbrillantinati non avessero subito il ben che minimo danno.

Improvvisamente, il pensiero le corse ai suoi di capelli, già temendo il peggio per colpa di quello stupido casco che era stata costretta ad indossare. Si lanciò, quindi, sulla sacca della moto e vi frugò dentro in cerca della borsetta. Una volta trovata, la aprì con un gesto secco e ne trasse un grazioso specchietto rotondo dalla cornice blu elettrico.

Per fortuna, i suoi capelli erano abbastanza corti da non aver avuto bisogno di essere acconciati e, di conseguenza, bastò riavviarli brevemente con una mano per farli tornare quasi del tutto a posto.

«Stai bene, non c’è bisogno di toccarli ancora», le disse Fabrizio sporgendosi leggermente dalla moto su cui era rimasto seduto ed allungando una mano per riavviarle gentilmente una piccola ciocca di capelli lisci e corvini dietro l’orecchio.

Daria non ebbe neanche il tempo di arrossire – di indignazione, per carità! – per quel fuggevole contatto, poiché lui ritrasse subito la mano e, sceso agilmente dalla Ducati, prese ad infilare i caschi nella sacca, come se niente fosse. In compenso, però, ebbe modo di saltare in aria dallo spavento, dal momento che la piccola e sovraccarica Mini di Carletto aveva appena fatto la sua trionfale e rumorosa entrata in scena a suon di clacson e sgommate.

«Ehilà, Miss!», le urlò sporgendo il testone biondo ed il braccio gigante già privo della giacca fuori dal minuscolo finestrino. «Siamo i primi? Allora, a che ora si mangia? C’ho una fame boia!»

Daria, per tutta risposta, gli lanciò uno sguardo talmente carico di rimprovero che Pietro, seduto accanto a Carletto sul sedile del passeggero, perse un po’ del suo naturale colorito olivastro e fissò il cruscotto davanti a sé in modo da essere sicuro di non incrociare le scure e severe iridi della ragazza neanche per sbaglio. Dal canto suo, invece, il ragazzone biondo, assolutamente impermeabile agli sguardi assassini dell’amica, la guardò con quei begli occhi color pervinca (resi ancor più luminosi dalla bella giornata) e, al top dell’innocenza, disse: «Hai freddo?»

In un primo momento, lei non capì. Poi le arrivò alle orecchie un’irritante risatina soffocata e, come attraversata da una scossa elettrica, fece scattare improvvisamente le mani e si tolse la giacca grigia di Fabrizio il più in fretta possibile. Non perse neanche tempo a restituirgliela: la poggiò di traverso sul sellino della moto e fuggì via, verso i suoi improrogabili impegni organizzativi, il più lontano possibile da quel sommesso risolino.

-.-  -.-  -.-

Tutto stava procedendo nel migliore dei modi.

Si era assicurata che la disposizione dei tavoli fosse esatta, aveva personalmente accolto gli ospiti man mano che gli stessi arrivavano all’agriturismo, aveva minacciato per bene i camerieri in modo che tutti i commensali avessero sempre il bicchiere ben pieno e, con immensa soddisfazione, aveva dispensato occhiate malvagie a tutti coloro che non avevano accolto con convincente enfasi l’arrivo degli sposi.

Sì, tutto stava procedendo nel migliore dei modi. Ad eccezione di un piccolo ma fondamentale punto, un minuscolo tassello nero in un mare di perfetto e luccicante biancore, un pensiero fisso che la portava ad un’inadeguata predisposizione d’animo: era distratta.

Il fatto era che quella stupida camicia nera, in coordinato con la cravatta anch’essa nera ed ancora più stupida, faceva un contrasto a dir poco pericoloso con il biondo-scuro di quell’impertinente bellimbusto. Specialmente perché il bellimbusto in questione aveva avuto la malsana idea di restare senza giacca e di rimboccarsi le maniche della camicia in modo da rimanere ad avambracci scoperti. E, porca loca, che avambracci!

“Tony!”, si ripeteva Daria come un mantra. “Pensa a Tony! Pensa al tuo fighissimo fidanzato!”

Tutto inutile.

Se si sforzava di pensare ai folti capelli scuri di Tony, le parevano quasi insulsi al confronto di quelli biondo-scuro con riflessi dorati di Fabrizio. Se imponeva alla sua mente di richiamare le immagini della robusta ed imponente figura del proprio uomo, una snella eppur solida corporatura a cavallo di una Ducati le risvegliava sensazioni totalmente fuori luogo. E che dire degli occhi? Si sentì quasi ridicola mentre cercava di auto-convincersi del fatto che gli occhi scuri del suo fidanzato fossero più belli ed espressivi di quelli del cugino di Daniel.

Fabrizio le era indubbiamente antipatico, non lo sopportava minimamente. Però, nonostante tutto l’acredine, Daria non poteva certo negare che fosse un ragazzo molto carino.

“See... Carino! Evviva gli eufemismi!”

Ma, in fin dei conti, non era tutta colpa di Daria. Anzi, nonostante i loro posti fossero proprio uno accanto all’altro, lei non era rimasta seduta al tavolo se non per pochissimi minuti all’inizio del pranzo, girovagando continuamente fra amici e parenti con la scusa di scambiare quattro chiacchiere.

No, lei non aveva certo alcuna colpa.

Era lui – lui! – che non faceva altro che richiamare la sua attenzione. Si sentiva sempre osservata, non appena gli voltava le spalle. Un paio di volte l’aveva addirittura beccato in flagranza di reato.

«Daria, gioia, non hai ancora mangiato nulla! Perché non ti siedi qualche minuto a riprendere fiato?»

Eccola lì la domanda da un milione di dollari. E chi, se non la genitrice di Stella, avrebbe potuto formulargliela con tono così alto ed apprensivo da risultare ben udibile fin dentro la stalla dei pony situata a cinquanta metri dalla porta d’ingresso?

Non appena finito di pronunciare l’ultima parola, infatti, un silenzio di tomba cadde su tutta la sala (camerieri compresi) e Daria, più rossa di una fragola matura a causa delle decine e decine di paia di occhi puntati sulla sua persona, non ebbe altra scelta che raggiungere il più in fretta possibile il suo tavolo e sedersi con rassegnazione sulla sedia accanto a quella del Brillantino. Ciliegina sulla torta, il tavolo era stato abbandonato da tutti i cugini di Daniel, desiderosi di sgranchirsi le gambe raggiungendo i propri parenti. Tutti i cugini ad eccezione, ovviamente, di...

«Sì, gioia, mangia qualcosa, su! Non vorrai svenire qui davanti a tutti?», si sentì sussurrare ad un orecchio.

Tuttavia, nonostante i mille brividi che la scossero da capo a piede – di rabbia, ovviamente! –, riuscì ad usare una voce mielosa e misuratamente strascicata mentre, girandosi a guardarlo dritto negli occhi, rispondeva: «Oh, caro. Al mondo esistono moltissime cause di svenimento, oltre alla fame, sai? Vuoi provarne qualcuna?»

Fabrizio, sul momento, si dimostrò sufficientemente stupito da quella pronta risposta da zittirsi qualche secondo, continuando a scrutarle il viso come in cerca di qualche altra sorpresa non ancora venuta allo scoperto. Ma, passato il momento di contemplativo silenzio, il ragazzo riguadagnò quel suo sorrisetto impertinente e, atteggiando il viso ad un’espressione maliziosa, le sussurrò: «Oh, sì, gioia. Ci sono proprio tanti e tanti modi per procurare uno svenimento. Ed altrettanti per procurare grida, se è per questo».

Daria arrossì. Senza se e senza ma. Arrossì dall’attaccatura dei capelli alla dolce curva del decolleté. E sentì caldo. Molto, moltissimo caldo. Talmente caldo da dimenticarsi persino di giustificare a se stessa quei sintomi con le solite false ed ipocrite puntualizzazioni.

E quel che è peggio fu che non cercò minimamente di nasconderlo, come se si fosse già rassegnata all’idea che lui sapesse esattamente quale reazione le avrebbe scatenato quella banale frase dalle sfumatura sconce.

Come se lui sapesse in qualche modo controllarla.

E poi lui continuava a guardarla con quegli occhi verdi resi ancor più brillanti dalle sue stesse affermazioni, punzecchiandola con lo sguardo sfacciato e con le labbra divertite, invitandola tacitamente a proseguire quel giochino che la metteva tanto in imbarazzo.

«Ehilà, ragazzi!»

Daria saltò letteralmente in aria. Fra la sedia ed il suo sedere ci furono, come minimo, quattro dita di distanza mentre Stella le poggiava la mano sulla spalla. Ma, nonostante il principio di sincope, non mancò di notare che il suo interlocutore la superò nettamente, staccandosi dalla propria sedia di almeno quindici centimetri.

“Quindi non eri poi così sicuro di te come, invece, hai voluto farmi intendere”, pensò Daria, trionfante.

Daniel, sopraggiunto insieme alla neo-moglie, spostò lo sguardo dalla faccia di Daria a quella di Fabrizio e viceversa per un paio di volte; infine, disse: «Fabri, vecchio filibustiere, non starai per caso importunando una ragazza già impegnata, vero?»

A quella frase, Daria poté assistere ad un nuovo mutamento di espressione del Brillantino. Gli occhi del ragazzo, infatti, si posarono nuovamente su di lei, ma questa volta non avevano nessuna luce divertita o maliziosa: erano semplicemente sorpresi.

«Che c’è?», lo attaccò Daria, infastidita da quella reazione. «Ti stupisce tanto il fatto che io abbia un ragazzo?»

Fabrizio non rispose, ma continuò a guardarla ancora per qualche istante facendo sì che un silenzio imbarazzato piombasse su tutto il quartetto.

Fu Stella a prendere in mano la situazione. A modo suo, ovviamente.

La sposa, infatti, prese una grande boccata d'aria e, approfittando di un momento di relativa tranquillità dalle chiacchiere degli invitati, urlò a tutta la sala: «Abbiamo una bella notizia da darvi! Io e Daniel siamo incinti!»

Tra la fine dell'annuncio di Stella ed il "tonf" che fece la testona di Marlon sbattendo sul tavolo non passarono che un paio di secondi.

 

 

°°°*°°°

Spazietto autrice:

CHIEDO UMILMENTE SCUSA PER IL RITARDO MOSTRUOSO!!! (lo scrivo anche maiuscolo, così imparo)

Come sempre, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, da ricordare, ecc. e chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (temerari!).

Grazie, ovviamente, a tutti quelli che hanno letto!

A presto!

- Sif -

P.S. Per chi volesse contattarmi su facebook, può cercare "Cristina Sif" (ditemi solo il vostro nick EFP, così capisco chi siete).

 

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Capitolo 11
*** The Autumnal Wedding (final part) ***


Nuova pagina 1

Capitolo dedicato alla neo sposina più zuccherofilatosa che ci sia. Con tanti auguri, tesora adorata. E che il potere del dispensatore sia con te.

 

GREY+Pink

- 11 -

The Autumnal Wedding (final part)

 

«Bella festa, eh?»

Dopo la rivelazione di Stella, era scoppiato il finimondo.

Tutti gli amici degli sposi e i parenti di Daniel – eccezion fatta per Camilla, troppo presa a far vento a Marlon con un tovagliolo, e per Fabrizio, troppo pensieroso per esultare – erano esplosi in urla di giubilo ed in applausi scroscianti iniziando a proporre un brindisi dietro l’altro; i parenti di Stella erano rimasti tutti a bocca aperta, sgolandosi a furia di urletti di gioia ed eccitazione.

La mamma di Stella, invece, era corsa a gettarsi tra le braccia della figlia.

«Perché non me lo hai detto? Stronza!», l’avevano sentita squittire mentre inzuppava di lacrime il vestito bianco. «Non hai un po’ di riguardo per la tua povera vecchia madre, figlia degenere?!»

E Marlon... Beh, Marlon era stato accompagnato – trascinato, per essere precisi – fuori dal locale da Carletto e Pietro per fargli prendere una boccata d’aria. Era talmente pallido da sembrare una medusa con la parrucca e, dal modo in cui era accasciato, inerme, addosso ai due compari, sembrava avesse anche perso i sensi, ma Daria era pronta a giurare di averlo sentito borbottare un “dopo facciamo i conti” all’indirizzo di Daniel, quando erano passati accanto al loro gruppetto.

Quando, poi, la fiera della follia era scemata, tutti gli invitati si erano buttati in pista a ritmo di musica, con gli sposi che ballavano appolipati al centro della mischia.

Daria se l’era squagliata non appena le prime tre note della prima canzone erano state suonate. Non aveva voglia di essere invitata da uno dei cugini minorenni di Stella, né tantomeno da uno degli zii ultrasessantenni di Daniel. Sperare di cavarsi dall’impiccio degli inviti ballando con un componente del Trio Delta, d’altronde, era fuori discussione; Pietro avrebbe rischiato un ictus cerebrale se gli fosse stato proposto di ballare con una ragazza, Carletto stava già ballando – pogando sarebbe il termine appropriato – in solitaria (manco si fosse trovato ad un concerto dei Sex Pistols) e Marlon giaceva su una sedia in stato d’abbandono, riavendosi solo a tratti per elargire sguardi assassini a Daniel e occhiate apprensive a Stella. Anche aggregarsi a Camilla era impossibile; la ragazza, infatti, fasciata in un delizioso vestitino di seta rosa pallido che le lasciava scoperte le braccia e buona parte delle belle gambe, era perennemente seguita a distanza da un manipolo di allupati con la bava alla bocca che facevano a turno per ballare con lei.

E poi Daria non sapeva ballare. In vita sua aveva avuto ben poche occasioni per provarci e, ogni volta, era stato un imbarazzante disastro. Si era quindi decisa a rifugiarsi ad un tavolino appartato, senza altra compagnia di un bel bicchiere di moscato fresco e la soddisfazione per come si era svolta la giornata.

Purtroppo, in questo idillio di tranquillità, non aveva fatto i conti con gli eventuali intrusi.

Fabrizio l’aveva raggiunta poco dopo, occupando una delle sedie vuote accanto a lei e voltandosi a guardare a propria volta gli invitati che facevano festa.

«Sì», aveva risposto Daria continuando a sorseggiare il liquido ambrato, «talmente bella da chiedermi il perché non sei lì a ballare insieme ad una delle cugine di Stella da bei boccoli bruni invece di stare qui» “a rompere le balle”, terminò mentalmente.

A quelle parole, Fabrizio posò lo sguardo su un gruppetto di graziose ragazze che ballavano tutte insieme su un lato della sala. Erano talmente ricciolute, carine e bassine da sembrare giovani ragazze Hobbit alla festa di compleanno di Bilbo Baggins.

«Che poetessa!», disse, poco dopo, girandosi a guardarla.

«Insomma, che vuoi?». Il tono di Daria non sembrava arrabbiato né spazientito, ma il leggero tremito della mano che stringeva il bicchiere tradiva un certo nervosismo.

«Perché non balli?», le chiese Fabrizio continuando a guardarla, al massimo della tranquillità.

«Perché non sono capace», rispose altrettanto tranquillamente Daria senza distogliere lo sguardo dalla mischia degli invitati.

«Davvero?», insistette lui sorridendo appena.

“Che infame! Mi sta prendendo in giro!”, considerò in silenzio, accorgendosi troppo tardi degli spostamenti di lui. Quando alzò lo sguardo, Fabrizio le si era già parato davanti con la mano tesa.

«Allora, vieni?»

«Venire dove?»

«A ballare, ovviamente».

«Stai scherzando?», gli chiese abbandonando il suo bicchiere sul tavolino ed abbozzando un sorrisetto.

«No», le rispose lui, serissimo.

«Non ci penso neanche», concluse Daria incrociando cocciutamente le braccia al petto.

Lui la guardò qualche istante, probabilmente pensando al da farsi. E, poi, evidentemente, dovette prendere una decisione.

«Dai, forza!», le disse afferrandole una mano e strattonandola leggermente, ma con decisione, per farla alzare.

«Ma come cavolo ti permetti!», protestò Daria cercando di puntare i piedi come fanno gli asini. «Ti ho detto che non so ballare! E poi, brutto presuntuoso, cosa ti fa pensare che, anche sapendolo fare, ballerei con te?»

Lui non diede neanche segno di averla sentita.

«Andiamo, poche storie», disse continuando a tirarsela dietro, approfittando bellamente della sua superiore forza fisica.

Daria non protestò oltre. Non aveva voglia di dare spettacolo davanti a tutta quella gente. Ma giurò al suo orgoglio che, presto o tardi, quel brillantino da strapazzo avrebbe pagato cara tutta la sua prepotenza.

E così, suo malgrado, si fece trascinare via dalla sua piccola oasi di silenzio e tranquillità per essere catapultata in mezzo al micidiale casino della musica ed ai fumi dell’alcol consumato.

Ma, proprio mentre pensava che Fabrizio l’avrebbe portata al centro della pista per esporla al pubblico imbarazzo, Daria si ritrovò a scendere le scale che portavano al giardino del locale.

L’aria fresca della sera ottobrina le investì piacevolmente il viso, dopo aver passato tutto il pomeriggio al chiuso. Il piccolo parco era completamente deserto e solo le luci delle finestre dell’agriturismo lo rischiaravano quel tanto da poter vedere dove mettere i piedi. La musica suonata all’interno arrivava dolce e ovattata alle sue orecchie.

«Hai freddo?», si sentì chiedere all’improvviso.

«No», rispose, titubante, «ma che ci facciamo qui?»

«Te l’ho detto. Balliamo», rispose ovvio.

Daria non sapeva che pensare. Possibile che lei gli piacesse? Ma perché quell’insistenza? Lui la prendeva in giro ad ogni occasione! Certo, anche lei non si lasciava mai sfuggire l’occasione di battibeccare con lui, eppure doveva ammettere che, pur detestandolo, in un certo senso l’affascinava. Però lei gli aveva detto che era fidanzata! Che cavolo di assurda e confusa situazione!

«Sì, ma... Perché?», si lasciò sfuggire non senza una sfumatura di confusione nella voce.

Lui non rispose, ma le afferrò entrambe le mani portandosele, con esasperante lentezza, sulle spalle e, poi, le poggiò le proprie – calde, calde, sempre dannatamente caldissime! – sulla vita.

Sapeva di buono, Fabrizio. Di sapone, di abiti puliti e di una leggera nota di profumo da uomo, dopobarba forse. Una mistura davvero troppo pericolosa per i sensi di Daria che, fra le altre cose, era particolarmente sensibile alla questione dell’igiene personale maschile.

«Io non so ballare», si ritrovò a ripetere con voce e sguardo che rasentavano la supplica. «Non farmi fare la figura della scema».

Lui fece un piccolo sorriso, un piccolo sorriso sghembo che lo fece assomigliare ancor più al cugino.

“Maledetto”, pensò rabbiosamente Daria, notando quanto gli brillassero gli occhi nonostante si trovassero nella penombra, “Sfacciato! Se pensi di affascinarmi in questo modo subdolo, ti sbagli di grosso!”

«Stai andando benissimo. E poi, non preoccuparti! Anche se dovessi ballare come una bertuccia ubriaca, io non ci farei caso perché sarei troppo concentrato a guardati dentro la scollatura del vestito», disse, pur non avendo mai staccato i propri occhi da quelli di lei.

«Che simpatica idiozia...».

E fu così che, fra un insulto verbale ed uno mentale, Daria ballò. O, meglio, si fece goffamente oscillare sperando di non inciampare nella stoffa del proprio abito o di pestare i piedi a Fabrizio.

Se la cavò piuttosto bene, ad essere sinceri. Il problema, tuttavia, sorse dopo che la concentrazione di fare i passi giusti al momento giusto si attenuò.

Più si rilassava, infatti, più le venivano in mente diverse scene del film “Dirty Dancing”, specialmente quelle dove Patrick Swayze – figo da far paura – dimena i fianchi contro Jennifer Grey facendola arrapare di brutto.

“Sono idiota anch’io”, pensò, non resistendo alla tentazione di sorridere.

«Perché ridi?», le chiese Fabrizio, insospettito.

«Stavo solo pensando ad una cosa», gli rispose sorridendo sempre di più.

«So già che farò la figura del pazzo con le manie di persecuzione, ma... Stavi pensando a qualcosa che mi riguarda?»

Adesso Daria rideva apertamente, non potendo resistere all’espressione curiosa ed un po’ insicura di Fabrizio.

«Donna crudele, tu mi stai prendendo in giro!», sbottò ad un tratto lui ostentando una faccia oltraggiata.

«Forse», sghignazzò Daria. «Comunque, non lo saprai mai!»

Poi lui riprese a sorridere di nuovo.

«Sai che non ti avevo mai vista ridere?»

E Daria smise di farlo.

Era vero. Non ci aveva pensato. Aveva abbassato la guardia e si era fatta vedere... vedere... in quelle condizioni!

«Che ti prende?», le chiese Fabrizio, sentendola irrigidirsi sotto le sue mani.

«Niente. Sarà meglio rientrare, adesso» gli rispose, cercando di staccarsi da lui.

Ma Fabrizio glielo impedì afferrandola saldamente per le spalle.

“Da film”, pensò cinicamente lei.

«Aspetta! Non puoi piantarmi così!», protestò, stupito. «Se ho detto qualcosa che non va...»

«Allora è vero che sei un pazzo con le manie di persecuzione!», lo interruppe cercando di sviare il discorso buttandola sul ridere, ben sapendo che la figura della pazza se la stava interamente beccando lei.

Lui, comunque, non ci cascò.

«Cos’ho detto di sbagliato?»

«Assolutamente nulla», rispose lei tentando di rimediare alla figura da psicopatica che aveva appena fatto. «Però, adesso, devo proprio rientrare. Scommetto che Carletto, a quest’ora, avrà già buttato giù come birilli almeno metà degli invitati».

Lui continuò a non cascarci e le scrutò il viso, le mani sempre sulle fragili spalle velate di seta.

Passò qualche attimo di studiato silenzio, dove Daria pensò seriamente che, se lui avesse continuato a guardarla e toccarla in quel modo – con quella stramaledettissima camicia nera addosso, poi! –, presto sarebbe vergognosamente arrossita come una quattordicenne al suo primo appuntamento. E arrossire in presenza di Fabrizio non era decisamente una cosa intelligente da fare. Soprattutto perché lui era stato capace di farle abbassare la guardia in quel modo indecente e nel giro di pochissimi minuti.

«Davvero sei già fidanzata?»

Questa volta, la domanda la agitò sul serio. E, suo malgrado, le sue gote arrossirono un po’.

«Sì», rispose, sincera, sentendosi le gambe infiacchire.

“Non fare la stupida, dannazione!”, si ammonì.

Ancora sguardi e ancora silenzi, al termine dei quali Fabrizio fece la mossa più stupida, avventata e suicida che avrebbe potuto attuare in un momento come quello: la baciò.

O, meglio, cercò di farlo.

Ebbene sì! Totalmente a tradimento, e assolutamente sprezzante del pericolo, lui fece una leggera pressione sulle spalle della ragazza tirandosela indecentemente vicino. Ma, purtroppo per lui, i suoi piani diabolici fecero miseramente cilecca dal momento che, a pochi centimetri dalla meta – ovvero le labbra di lei –, una lancinante fitta di dolore lo colse ad altezza inguine, proprio dove Daria gli aveva appena dato una leggerissima ginocchiata. E, badate bene, leggerissima giusto perché l’abito che indossava si rivelò troppo stretto per poter caricare un colpo appena più potente.

«Porca tr...», boccheggiò lo sventurato Fabrizio prima di cadere in ginocchio ai piedi di Daria con le mani in mezzo alle gambe.

«Sei un po’ pallido», disse lei, spietata, in tono glacialmente calmo e strascicato. «Fossi in te, mi riguarderei di più, in futuro».

E poi rientrò, piantandolo lì, sul prato, preda della sua stessa passione.

Già. Quel giorno era andato tutto decisamente per il meglio.

-.- -.- -.-

 

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