Baci al cianuro

di alicehorrorpanic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tensione evolutiva. ***
Capitolo 2: *** Gli occhi pieni di te. ***
Capitolo 3: *** La notte dei desideri. ***
Capitolo 4: *** Sei di mattina. ***
Capitolo 5: *** Come la notte col sole. ***
Capitolo 6: *** Cercando te. ***
Capitolo 7: *** Tre fori nel cuore. ***
Capitolo 8: *** Quanto tempo. ***
Capitolo 9: *** Dietro l'invisibile. ***
Capitolo 10: *** Senza paracadute. ***
Capitolo 11: *** — ***
Capitolo 12: *** — ***
Capitolo 13: *** — ***
Capitolo 14: *** — ***
Capitolo 15: *** — ***
Capitolo 16: *** — ***
Capitolo 17: *** — ***
Capitolo 18: *** — ***
Capitolo 19: *** — ***



Capitolo 1
*** Tensione evolutiva. ***


1

 TENSIONE EVOLUTIVA





Sudavo freddo ed ero agitata, non male come inizio giornata.

Ero nel panico più totale, non riuscivo a stare ferma, mi tormentavo nervosamente le mani per cercare di alleggerire la tensione, ma nulla sembrava funzionare quella mattina. 

Tutto stava andando nel verso sbagliato, dal rovesciarmi addosso la tazza di caffè bollente che mi aveva fatto imprecare in aramaico al fatto di non trovare la mia maglietta preferita da indossare il primo giorno di scuola. 

In un'ora mi ero trasformata in un patetico disastro che urlava per casa come una pazza, svegliando tutti quelli del palazzo che alle sette e mezza di mattina stavano ancora comodi sotto le coperte, mentre io buttavo giù tutti i santi. 

Forse sarei dovuta stare a casa a dormire, guardare la tv e leggere riviste di gossip, questo mi avrebbe calmato meglio di una camomilla. 

Ma purtroppo non avevo avuto scelta, mia madre mi aveva trascinato - mancava poco che mi avrebbe caricato di peso - davanti a scuola: istituto Manzoni, liceo classico. 

Titubante mi avviai con un diavolo per capello verso l'entrata di quell'edificio che sarebbe stata la mia casa - sarebbe meglio dire prigione - per cinque anni. 

Avevo appena mosso un passo dentro al corridoio principale stipato di studenti urlanti e depressi, che già non vedevo l'ora di aver finito il liceo.

Ero sempre stata brava nelle materie umanistiche, per questo i miei amati professori delle scuole medie mi avevano consigliato di iniziare questo percorso -abbastanza tortuoso oserei dire.

Mi incamminai alla ricerca della mia classe, stando attenta a non essere ammazzata e trucidata dalla massa impazzita e cercando di leggere le targhette affisse su ogni porta. 

Alla fine del corridoio finalmente trovai la mia aula, 1C, diedi uno sguardo dentro e vidi che tutti i banchi erano già stati occupati - la solita fortuna che non mi abbandona - l'unico libero era uno in fondo vicino alla finestra, dove era già seduto un ragazzo.

Sotto gli sguardi indagatori di tutti mi avviai verso quell'unico posto libero, nessuno mi fermò, neanche il ragazzo di fianco a me fece qualcosa - calma piatta.

Mi sedetti e cacciai fuori un sospiro di sollievo, il primo passo l'avevo superato, ma l'agitazione non voleva saperne di andarsene, mi tormentava ancora lo stomaco. 

Mi guardai intorno e notai che si erano già formati piccoli gruppetti di ragazze con la puzza sotto il naso e ragazzi che facevano i finti duri e spacconi, mi sentivo fuori luogo con tutta quella gente strana ma sperai che qualcuno venisse a presentarsi per fare amicizia con me, ma evidentemente non ero il loro tipo. 

Quando suonò la campanella - che quasi mi fece saltare sulla sedia - tutti si posizionarono al loro posto e un omone sulla cinquantina varcò la soglia con due libri in mano e l'aria di chi vorrebbe essere da tutt'altra parte - come dargli torto. 

Nessuno fiatò, il professor Chiaino, insegnante di latino e greco – chi l'avrebbe mai detto – prese il registro e iniziò a fare l'appello, sentii una valanga di nomi e nessuno mi entrò in testa, tranne quello del mio vicino di banco: Lorenzo Perri.

Quello fu l'unico momento in cui alzò la testa dal banco, così potei notare i suoi profondi occhi verdi circondati da una chioma biondo cenere. 

Ovviamente – la solita fortuna – il mio nome non compariva sulla lista, sembrava quasi uno strano presagio. 

Così, alzai la mano per farmi notare, e tutti si girarono dalla mia parte, giusto per farmi sentire ancora di più a mio agio. 

Sbuffai infastidita e mi passai una mano tra i capelli, e mi parve di vedere con la coda dell'occhio il mio compagno misterioso lanciarmi un'occhiataccia.

«Mi scusi, il mio nome non compare nel registro.» 
Dissi tutto d'un fiato, e sentii qualcuno ridere della mia voce tremante. 

Alzai gli occhi al cielo e finalmente quell'omone si decise a calcolarmi, distogliendo gli occhi da quel masso di libro e squadrandomi da sopra i suoi occhiali troppo piccoli.

«Oh, quindi lei è la signorina?» 
«Rebecca Maggi.»
 Dissi e lui iniziò a scrivere il mio nome sul registro, sicuramente in una calligrafia illeggibile.
«Bene, ora c'è.» 

Posò la penna e iniziò a blaterare circa il programma che avremmo affrontato durante l'anno di latino e greco, riassumendo, faremo una miriade di traduzioni e qualche autore, niente di estremamente impegnativo secondo il suo punto di vista – grazie tante lui sa già tutto. 

La giornata passò così, tra appelli e programmi da svolgere di italiano e inglese.

Per fortuna come primo giorno le lezioni finirono alle undici, e appena suonò quell'odiosa campanella il mio compagno di banco, Lorenzo, scattò come una molla fuori dall'aula, cosa che avrei fatto anche io se non avessi preso appunti come una forsennata.

Lui se n'era stato tutta la mattina concentrato sul suo telefono a messaggiare con chissà chi e su chissà cosa. 

Mi diedi della stupida da sola perché stavo pensando a cosa avesse fatto tutto il giorno lui senza accorgermi di essere rimasta ferma con l'astuccio in aria – ennesima figuraccia accompagnata da risolini inutili.


In corridoio mi imbattei ancora nella massa di studenti che spingevano per arrivare all'uscita, non mi sarei mai abituata a questa baraonda infernale. 

Appena messo fuori il piede dopo un'estenuante lotta, il mio sguardo fu catturato da una chioma biondo cenere e una bionda platino – la fantasia ragazzi – avvinghiati l'un l'altro accanto a un motorino in una precaria posizione. 

Sbuffai abbattuta, era ovvio che un tipo come lui avesse la ragazza, non passava certo inosservato tra la gente.


***


Quando tornai a casa fui assalita dall'uragano chiamato mamma che iniziò a riempirmi di domande.

«Allora, come è andato il primo giorno?»
Chiese tutta euforica mentre io mi ero appena seduta – sarebbe meglio dire spaparanzata – sul divano in salotto. 

«Bene mamma, hanno solo detto il programma che faremo.»
Dissi annoiata e sbuffai più volte alla ricerca di un canale decente da guardare alla tv.

«E i compagni come sono? Simpatici?»
Disse saltellando da un piede all'altro e battendo le mani.

«Non ho parlato con nessuno, ho solo un compagno di banco strano.»

«Ah si? È un maschio?» 
Disse facendomi l'occhiolino.

«Si, si chiama Lorenzo.»
«Oh, è carino?»
«MAMMA!»
«Che ho detto?»
 Fece lei con faccia innocente.

Sbuffai di nuovo infastidita e mi fermai sul canale che trasmetteva la replica del cartone manga “Rossana”, mentre mia madre si arrese e andò in cucina a preparare il pranzo. 








Spazio autrice
saalve gente, eccomi qua con il capitolo corretto e modificato!
come avrete notato ho cambiato anche i nomi e il titolo della storia, ma la trama rimarrà uguale ovviamente!
vorrei sapere cosa ne pensate, a me sembra sia uscito mezzo comico ahah ç.ç
spero vi piaccia comunque
lots of love
xoxo

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Capitolo 2
*** Gli occhi pieni di te. ***


2

 GLI OCCHI PIENI DI TE





Dopo pranzo andai a rifugiarmi in camera, onde evitare un altro terzo grado di mia madre che non aveva smesso di lanciarmi occhiatine - potevo sentire il rumore dei suoi neuroni in movimento che organizzavano già il matrimonio. 

Mi sedetti sul letto e appoggiai il pc sulle gambe per stare più comoda, mentre mi annoiavo a fare zapping tra home e profilo. 

Presi una pausa e ripensai alla mattinata appena trascorsa, alla fine non era stata così traumatica come avevo temuto e i compagni erano normali, niente che non avessi già visto. 

Un nome, o meglio, degli occhi verdi e dei capelli biondo cenere mi balenarono in testa, attraversarono l'anticamera del cervello e finirono per dare comando alle mie dita di scrivere sulla barra di ricerca: Lorenzo Perri. 

Trattenni il fiato, in preda all'agitazione per non so quale strano motivo, ed uscirono una miriade di risultati, ma il primo contatto era decisamente lui. 

Spalancai gli occhi solo a guardare l'immagine del profilo, c'era solo lui senza la sanguisuga della sua ragazza ed era magnifico: la foto lo ritraeva al mare, a dorso nudo, con un cappello in testa con la visiera dietro e un sorriso mozzafiato. 

Credevo di svenire, i miei ormoni stavano giocandomi un brutto scherzo, sembrava che stessero ballando il tango, porca miseria. 

Chiusi gli occhi e pigiai sul tasto "Richiesta di amicizia", quel ragazzo doveva essere illegale, per poco non ci rimanevo secca. 

Appoggiai il pc sul comodino e presi a sfogliare una rivista di gossip, giusto per passare un paio d'ore.


***

Dopo essermi depressa altamente per invidiare la moglie di Brad Pitt decisi di  ritornare a dare un'occhiata su facebook, in caso ci fosse qualche novità scottante.

Vidi apparire una notifica e il mio cuore iniziò a tamburellarmi nel petto impazzito, mentre con mano tremante pigiavo sull'icona:
Lorenzo Perri ha accettato la tua richiesta d'amicizia.

Per poco non mi misi a saltare sul letto e a urlare come una pazza, salvo poi avere un altro infarto sullo schermo del computer.

“Ciao, ci conosciamo?”

Porca merda, mi ha scritto, a me.
Va bene, calma e sangue freddo.

Storsi il naso in un momento di lucidità, sarà pure un bel ragazzo ma soffre di alzaimer precoce, cazzo, come fa a non avermi riconosciuta?
Ero stata così invisibile?
Eppure mi aveva guardata, per pochi secondi, ma l'aveva fatto.

Decisi che era inutile stare a rimuginare e a scagliargli contro insulti, quindi iniziai a digitare la risposta.

“Ehi, si in realtà sono la tua compagna di banco a scuola.”

Presi un respiro e inviai.
Attesi la risposta ammirando e svenendo a tratti per le sue foto e sbuffando quando compariva la sanguisuga biondo platino.
Se qualcuno mi avesse vista in quel momento avrebbe scorto dei cuoricini che rimbalzavo fuori dalle orbite al posto degli occhi.
Era bastata solo qualche ora per perdere la testa per lui, ma che dico, anche i polmoni, la milza, il fegato, si era tutto il pacchetto intero.

“Ah, scusa non ti avevo riconosciuta dalla foto.”

E le sue risposte arrivano sempre quando sto peggio.

Che poi, ero io nella foto, non era neanche scura e non sfoggiavo nessuna posa strana e imbalsamata.
Anche orbo era, andiamo bene.

“Tranquillo, ci vediamo domani.”

Meglio finirla subito prima di strozzarmi con la saliva, ero arrivata a un'immagine che lo ritraeva in piscina, bagnato, con le gocce d'acqua che gli rigavano il petto muscoloso.
Quella sarebbe stata la mia fine.

“Va bene, e scusa per stamattina, non connetto bene, non ti ho neanche salutata.”

Ma voleva farmi morire proprio?
Alla mia tenera età di neanche quindici anni?
Che bambino cattivo.

Perfetto, il mio cervello aveva cessato di funzionare, dovevo ripigliarmi il prima possibile.


“Non ti preoccupare, c'è tempo per recuperare.”


E quella frase da dove mi era uscita?
Arrossii involontariamente, grazie al cielo non poteva vedermi o sarei stramazzata al suolo.
Non avevo proprio più speranze.


“Certo, a domani. Ciao Reb.”


Reb.
Reb.
Non mi era mai piaciuto quel soprannome, ma detto da lui mi faceva uno strano effetto, quasi piacevole.
Ero ormai partita per la tangente amorosa senza recupero.

“Buona serata. A domani Lore.”

Se lo scriveva lui potevo farlo tranquillamente anche io.
Sospirai su un'ennesima foto strappa cuore e mi scollegai.

Non sarei più tornata in me, addio alla brava ragazza studiosa con la testa sulle spalle.
Domani sarebbe stato un altro giorno, ma non vedevo l'ora di rivederlo.
Mi ritrovai a provare una forte e dura invidia per la sua ragazza. 




ANGOLO AUTRICE
eccomi di nuovo tra voi con questo secondo capitolo modificato, anche se un po' corto ç.ç
spero vi piaccia 

baci e abbracci 





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Capitolo 3
*** La notte dei desideri. ***


3
 
LA NOTTE DEI DESIDERI




La mattina dopo mi svegliai di soprassalto per le grida di mia madre che mi urlava direttamente nel timpano, giusto per aumentare ancora di più il mio nervosismo cronico – e farmi bestemmiare in aramaico.

Sbuffando peggio di un toro mi diressi a passo di zombie in cucina, dove i miei occhi focalizzarono solo i biscotti pan di stelle e i cereali al cacao innaffiati nello yogurt.

Avevo gli occhi a cuoricino e lo stomaco iniziò a brontolare, esigendo quel cibo prelibato e assolutamente necessario. 

Mi fiondai come un'assatanata su quel nettare da cui dipendeva strettamente la mia sopravvivenza quella mattina, dovevo essere in forma ottimale per non svenire davanti –o sopra – al mio compagno di banco. 

Non avrei fatto una bella figura, proprio per niente, quindi meglio prevenire ogni possibile controversia. 

Gustai quasi allegra tutte quelle calorie finendo quasi per strozzarmi quando mia madre decise di interrompere quel meraviglioso momento.

«Allora, contenta di andare a scuola? Ti vedo felice, sarà mica per quel ragazzino?» disse in tono civettuolo e facendomi l'occhiolino, ignorando beatamente che io stessi per soffocare davanti ai suoi occhi. 

Tossii come un turco imbottito di fumo e risposi seccata alla sua domanda, rinunciando per qualche secondo al biscotto che avevo tra le mani.
«Ma che cavolo, no mamma. Tra cinque minuti sarò schizzata come ogni giorno, è questa colazione che mi mette di buon umore» 

E anche il fatto che avrei rivisto quegli occhi, ma questo lo tenni per me, mancava solo che iniziasse di nuovo il suo terzo grado e non sarei più uscita di casa.

«Puoi dirmi quello che vuoi, ma una madre capisce tutto» ribattè convinta e si alzò dalla sedia, lasciandomi di marmo.
Ma capire cosa? 
Si credeva per caso maga Magò?

Sbuffai e mi diressi in camera per prepararmi e imprecare in arabo come al mio solito.

Avevo bisogno urgente di una giornata di shopping, i vestiti da bambina dovevano andare direttamente nella spazzatura. 

Dopo un'intensa lotta con l'armadio mi misi lo zaino su una spalla e scesi di corsa le scale per arrivare alla macchina che mi avrebbe portato dritta all'inferno. 

«Sei tutta rossa» constatò mia madre guardandomi e mettendo in moto.

«Per forza, ho corso e ora ho caldo» sbuffai e tirai giù il finestrino per avere più ossigeno da respirare.
L'aria fresca mi colpì in pieno volto e mi sentii subito meglio.

«Mh, farò finta di crederti» riprovò, tornando all'attacco. 

Alzai gli occhi al cielo ma per fortuna in seguito il tragitto fu piacevolmente silenzioso.

Mi accorsi con riluttanza che eravamo quasi davanti a scuola, ma ero quasi felice di non dover riprendere quella scomoda e insensata conversazione. 

«Non mi dai un bacio?» chiese mia madre sporgendosi verso di me.

Storsi la bocca e gli rifilai un secco «no», sorridendo poi malefica e chiudendole la portiera in faccia. 


Percorsi per la seconda volta quel corridoio chiassoso e strapieno di ragazzini e filai dritta e decisa verso la porta della mia classe, quasi correndo nervosa. 

Varcai la porta col cuore a mille e le vampate da menopausa, respirai a fondo e lo vidi seduto sul banco in ultima fila. 

Deglutii per il suo aspetto impeccabile e da essere innaturale e mi diressi verso il mio posto, di nuovo sotto lo sguardo indagatore – aggiungerei anche invidioso – degli altri miei compagni.

All'istante lui alzò la testa e il suo sorriso mi travolse in pieno, facendomi vacillare sul posto e riuscendo a mostrare solo un mezzo sorriso teso. 
Maledetta ansia.


«Buongiorno Reb» disse lui sorprendendomi.

Si poteva morire sentendo il suono della sua voce?
Probabilmente no, ma io stavo andando letteralmente a fuoco dappertutto.

«Ciao» risposta da vera asociale cronica.
Migliore figura non potevo fare, ero il panico in persona e gli sguardi che avevamo addosso non mi tranquillizzavano per niente. 

«Allora, come ti sembra questa scuola?» chiese di nuovo, non si era arreso alla mia risposta per niente socievole.

«Mh, penso che potrei sopravvivere» dissi sorridendo nervosa e guardando ovunque tranne che lui, il banco era diventato improvvisamente interessante. 

Rise e annuì distratto, passandosi una mano fra i capelli spettinati.
«Sembri una ragazza studiosa e precisa quindi presumo che sopravviverai. Non sei certo come me che ho perso un anno prendendo tutto alla leggera» scrollò le spalle e alzò lo sguardo.

«Oh, mi dispiace» dissi spiazzata e trovandomi i suoi occhi addosso.

Quindi aveva un anno in più e aveva deciso di riniziare l'anno ancora nella stessa scuola, programmandosi di essere più diligente nello studio.

Dentro di me si stava organizzando una festa di addio alla mia sanità mentale e al mio cuore che aveva deciso di uscirmi dal petto. 

Sorrisi quasi senza accorgermene ma lui fortunatamente non lo notò perché il suono della campanella svegliò tutti quanti dal dormiveglia in cui erano sprofondati. 


Le lezioni iniziarono col botto – se così si può definire – perché il professorone di latino decise bene di inaugurare il secondo giorno partendo a razzo a spiegare la prima declinazione di latino.

D'ora in avanti avrei odiato ed evitato come la morte le rose, anche se erano il mio fiore preferito e incarnavano il romanticismo per eccellenza. 

Per fortuna o pietà, gli altri insegnanti non spiegarono mezzo programma scolastico in un'ora ma parlarono a grandi linee di cosa avremmo affrontato e di ciò che si aspettavano da noi.

L'intervallo giunse come una luce nella mia testa, potei finalmente prendere un respiro e poggiare la biro almeno per dieci minuti e riposare la mia povera mano che mi stava andando in cancrena per lo scrivere ininterrotto.

Con la coda dell'occhio notai Lorenzo alzarsi e dirigersi quasi correndo verso il corridoio, dove potei assistere a una scena che mi ricordò il film Via col vento.

Sbuffai amareggiata, insomma, mica era un bacio d'addio perchè lui stava per partire per il fronte, non riuscivano a stare lontani neanche qualche ora?

Volsi lo sguardo verso di loro ed erano ancora avvinghiati come due drogati che non potevano fare a meno l'uno dell'altra.

Eppure lui non mi sembrava un tipo così eccessivamente romantico, mancava solo che la portasse in braccio al castello reale e sarebbe stato il principe azzurro perfetto. 

Distolsi gli occhi perché mi ero incantata e mi presi la testa fra le mani, per fortuna in classe non era rimasto nessuno altrimenti avrei fatto un'altra figura del cavolo. 

Respirai a fondo e una domanda – provocata dall'invidia e dalla gelosia – mi sorse un testa, togliendomi il respiro: avrei trovato anche io un ragazzo così bello e premuroso che mi avesse amato in quel modo? 

Il suono della campanella mi riportò sul pianeta terra e mi fece sobbalzare sulla sedia come un canguro.

Ero stata dieci minuti a fissare i due piccioncini senza battere ciglio e soprattutto avevo ancora la mia merendina, ormai frantumata in mille pezzi, tra le mani.

Ero una cretina e avevo fame, così decisi di sfamarmi prima di sottopormi a un lavaggio del cervello.

Iniziai ad ingurgitare come un criceto il mio kinder delice come una drogata, salvo poi ingozzarmi come una bambina quando qualcuno al mio fianco parlò.

«Sei affamata eh?» Lorenzo mi stava guardando con un sorriso divertito e la mano davanti al viso per non scoppiare a ridermi in faccia.

Annuii soltanto e continuai a gustarmi tutto quel cioccolato con più calma ed educazione.

Quando finii lui mi stava fissando ancora con un sorrisetto sghembo, ricambiai lo sguardo e inarcai le sopracciglia interrogativa: «che c'è?» la voce mi uscì quasi brusca senza volerlo. 

Mi avevano sempre dato fastidio le persone che prendevamo a fissarmi senza un motivo, mi facevano sentire a disagio e in soggezione, soprattutto se maschi.

«Niente, è che sei sporca di cioccolato» rispose abbassando lo sguardo sulla mia bocca.

Porco cazzo, mi stava fissando le labbra?
«Ah» riuscii solo a dire, come imbambolata dai suoi occhi.

E istintivamente passai la lingua sulla bocca per pulirmi, una cosa normale se non fosse che lui seguì quel gesto con aria seria e corrucciata.

«Sono a posto ora?» chiesi, e tutto il mio corpo tremava.

Lui si riprese e sorrise divertito «no, aspetta»

Senza che potessi fermarlo lui allungò un pollice che si posò sull'angolo della mia bocca, tracciando il contorno del mio labbro inferiore.

Deglutii col cuore che batteva a diecimila e abbassai lo sguardo imbarazzata: di sicuro tutti i miei compagni avevano visto quella scena perchè in classe era sceso un silenzio tombale.

«Ora sei pulita» ridacchiò, per niente a disagio.

Sorrisi rigida e spostai lo sguardo sul mio banco, giocando nervosamente con la zip della mia felpa.

Dovevano inventare un nuovo programma sul Realtime Figure di merda cercasi, io sarei la stata la vincitrice indiscussa.

Sbuffai appena vidi la professoressa di arte varcare la soglia con la sua solita borsa a tracolla rossa e vestita come un'indiana, gonna lunga fino ai piedi di diversi colori e una maglia nera abbinata.

Si posizionò sulla cattedra e iniziò a spiegare l'arte del Paleolitico fino all'architettura di Stonhenge.

Presi appunti come una forsennata, scrivendo quasi quattro pagine di quaderno e alla fine dell'ora contemplai soddisfatta il mio lavoro.

«Ti accontenti di poco eh?» mi stava osservando, di nuovo.

Alzai le spalle «mi piace l'arte».

Le ultime due ore passarono tra numeri e operazioni, matematica tanto odiata e temuta, e a me aveva fatto venire ancora più fame.

Appena suonata la campanella Lore saltò su come una molla, mi salutò lasciandomi un bacio leggero sulla guancia e uscì dall'aula, inconsapevole di avermi appena fatto venire un infarto.

Dopo cinque minuti ero ancora seduta sul banco pietrificata ma lo schiamazzo degli altri studenti mi risvegliò in un lampo e mi affrettai a sistemare le mie cose.

Corsi fuori come un'atleta professionista per vedermi sfrecciare davanti l'autobus che mi avrebbe portato a casa. 

Imprecai in aramaico e mi sedetti per aspettare il prossimo autobus con le braccia incrociate al petto e l'aria imbronciata.

Alzai lo sguardo e vidi un ragazzo in sella a una moto salutarmi mentre si immetteva nel traffico: Lore e la sua ragazza con i capelli di Rapunzel.

Sbuffai amareggiata e dopo un'attesa che mi sembrò un'eternità l'autobus decise di fare la sua comparsa e caricarmi per portarmi al mio castello.

********

«Hai perso l'autobus tesoro?» 
«Si mamma» sbuffai, non avevo neanche messo piede in casa che si era già messa a farmi il terzo grado.

«Com'è andata oggi?»
«Benee» appoggiai lo zaino sul divano e mi ci spaparanzai sopra come al solito, accendendo la tv.
«E c'era il tuo amichetto?» chiese in tono civettuolo.
«Si c'era» il cuore riprese a battermi all'impazzata quando pensai a come si era comportato.

Notai con fastidio che mia madre mi stava fissando sorridendo sornione.
«Che hai?» chiesi seccata.
«Ti piace eh?»
Deglutii e avvampai «no mamma, non lo conosco neanche»
Lei alzò gli occhi al cielo e brontolò un «si certo, come no» e tornò a dedicarsi ai fornelli.

*******

Dopo pranzo e il troppo mini episodio di Beautiful mi sdraiai sul letto e appoggiai sulle ginocchia il mio pc, accendendolo.

Mi mancò il respiro quando vidi un messaggio di Lorenzo su Facebook.

Scusa per prima, ma non potevo accompagnarti a casa perché avevo la mia ragazza dietro, altrimenti ti avrei portato io.

Iniziai a sentire caldo, troppo caldo, così mi sventolai una mano davanti alla faccia per farmi aria, ma inutilmente. 

Quando ripresi a respirare in modo normale mi calmai e digitai con mano tremante una risposta.

Non ti preoccupare, tranquillo, il mio autobus è arrivato poco dopo. Grazie per il pensiero comunque.

Rilessi e inviai.
Chiusi gli occhi e cercai di stare calma, voleva fare solo il vicino di banco gentile.

Figurati, volevo farmi perdonare per come mi ero comportato all'intervallo.

Ohsantissiminumi.
Mi voleva morta quell'uomo, più cercavo di dimenticare e più lui metteva il dito nella piaga.

Non importa.

Non sapevo cosa rispondere, insomma, alla fine non era successo niente.
Ripensai al suo gesto di quella mattina e mi venne la pelle d'oca.

Non avrei dovuto farlo, ti ho messo in imbarazzo, si vedeva. Mi dispiace.

Sbuffai per essere così sensibile a gesti normali fatti per cortesia.

Sei perdonato.

Scrissi, e chiusi il pc.
Mi abbandonai sul cuscino e mi addormentai.


Ero seduta sul mio banco in classe e avevo appena finito di ingozzarmi con la mia merendina di metà mattina. 

Lorenzo mi stava guardando trattenendosi dal ridere e indicando con il dito la mia bocca.

Corrugai la fronte per cercare di capire il significato di quel gesto.
«Ti sei sporcata» e senza preoccuparsi di chi ci stava guardando avvicinò il pollice alla mia bocca e ne tracciò il contorno.

Ero come imbambolata dai suoi occhi e dalla luce maliziosa che emanavano che non mi accorsi neanche che lui si fosse avvicinato, superando la distanza di sicurezza.

Deglutii e cercai di allontanarmi ma lui mi prese saldamente per le spalle per non farmi muovere.

In un attimo la sua bocca era sulla mia e ci stavamo baciando in mezzo alla classe.

Non riuscivo a staccarmi ma anche se avessi potuto non lo avrei fatto per nulla al mondo.

Lorenzo Perri mi stava baciando, poteva venirmi un infarto solo per quello. 

Presa da una follia senza precedenti, gli allacciai le braccia al collo e lo attirai di più a me, sentendo il suo corpo a contatto con il mio.

«Rebecca» sentii una voce femminile conosciuta ma non ci badai, volevo ancora baciare il mio vicino di banco.

«Rebeccaaaaa»
Eccheccazzo, che cavolo voleva da me?

Mi sentii strattonare e tornai alla realtà, stesa sul mio letto, agitata e accaldata.

Merda, avevo sognato Lore che mi baciava. 
Mi passai istintivamente una mano sulla bocca e deglutii.

«Oh bene, hai deciso di tornare sul pianeta terra, pensavo dovessi chiamare un'ambulanza per svegliarti» la guardai male mentre mia madre incrociava le braccia con aria divertita «comunque è ora di cena, ti aspetto di là» 

Spalancai la bocca e sgranai gli occhi: avevo dormito così tanto?

«Si tesoro, hai ronfato tutto il pomeriggio, sai che noia non sentire la tua dolce voce» mi canzonò e uscì dalla mia stanza a passo svelto.

Avevo ancora il computer sulle ginocchia accesso, quindi decisi di spegnerlo e andare a sfamarmi come un orso.

Mi bloccai appena vidi lo schermo e mi portai una mano al cuore, per evitare che mi uscisse dal petto.

Grazie♡


 

Spazio autrice
eccomi qui di nuovo con il terzo capitolo modificato!
che ve ne pare?
ho cercato di aggiungere più dettagli anche se non è il mio forte, visto che il capitolo originale era abbastanza breve e striminzito ahah.
che dire, alla prossima
bacioni


 

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Capitolo 4
*** Sei di mattina. ***




4

SEI DI MATTINA






«Rebeccaa» sentii una voce in lontananza, femminile, assordante e fastidiosa ma la ignorai.

Ero abbracciata a Lore, strettissima a lui, e i nostri visi quasi si sfioravano, qualche millimetro e lo avrei baciato, coronando il mio sogno che ormai mi perseguitava da svariate e interminabili ore.

«Beeccaaaa» sempre quella voce urlata ma ad essa si aggiunsero due braccia a scuotermi violentemente.

Aprii gli occhi di scatto e sbiancai.

Mi ritrovai un viso a due centimetri, occhi grandi, bocca grande, viso grande, praticamente pensavo di aver davanti il lupo travestito da nonna di cappuccetto rosso.

«Mamma» borbottai seccata e mi girai dall'altro lato del letto, verso il muro, tirandomi dietro il lenzuolo e attorcigliandomi come un salame.

«Non ti ho svegliato per farti ritornare a dormire» sbuffò e mi rigirò di nuovo verso di lei «devo andare a lavoro presto oggi, quindi non ti posso accompagnare a scuola»

Le mie antenne di drizzarono all'istante e mi scattò l'allarme antincendio in tutto il corpo «e me lo dici ora?» sbraitai, mettendomi seduta dritta.

Lei alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia «e quando altrimenti?»

Cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
In preda al panico spostai lo sguardo sull'orologio da parete e sbiancai ancora di più «mamma ma sono le sette» urlai e lei alzò un sopracciglio interrogativa, dirigendosi poi verso la porta, chiudendosela alle spalle «a stasera»

Feci tre respiri più lenti di una lumaca e mi alzai di scatto, iniziando a correre come una maratoneta professionista per la casa.

In poco più di un quarto d'ora ero riuscita a lavarmi, vestirmi e truccarmi, superando il mio record di resistenza.

Dopo aver ingerito per osmosi una Redbull volai con zaino e giubbottino in cucina, piazzandomi davanti ai miei pan di stelle e cappuccino.

I miei occhi si trasformarono in due cuoricini e iniziai a mangiare come un'assatanata, dimenticandomi di ogni cosa, della scuola, dell'autobus che avrei dovuto prendere, del tempo che scorreva malefico.

Quando decisi, in un secondo di lucidità mentale, di alzare lo sguardo impallidii e mi strozzai con il biscotto che avevo in bocca.

Mi pulii come una bambina di tre anni, passandomi il polso sulla parte incriminata, indossai il giubbotto e misi lo zaino su una spalla.

Quasi mi dimenticai di chiudere a chiave la porta per la fretta, ma dopo aver ripreso il mio cervello in fuga, scesi le scale rischiando di rompermi una gamba e sfracellarmi a terra rotolando per gli scalini.

Appena varcai il portone di ingresso respirai a pieni polmoni, notando con piacere e sollievo che c'era qualche ragazzo alla fermata, probabilmente il mio autobus non era ancora passato.

Sollevata mi avviai con calma verso l'altro lato della strada, ma guardandomi intorno per non essere stirata da un tir abbozzai una smorfia seccata e stizzita alla vista del posteriore del mio autobus, il quattro sbarrato che mi avrebbe portata esattamente davanti alla Manzoni.

«Grandioso» borbottai alzando gli occhi al cielo e sbuffando come un toro, sedendomi infastidita sulla panca per aspettare la prossima carrozza.


*************

Alle otto e un quarto ero esattamente davanti alla porta della mia classe, indecisa se entrare o aspettare la seconda ora.

Mi torturai le mani e mi morsi le labbra per almeno dieci minuti, finché non vidi passare un bidello, il Giampi, che mi guardò malissimo e incrociò le braccia sospettoso.

Per non essere importunata oltre bussai alla porta ed entrai, nel bel mezzo della lezione di storia, tutti gli occhi era sguizzati verso di me, compreso quello del professore che ghignò malefico «ci degni della tua presenza Maggi, qual'è la scusa, non hai sentito la sveglia?» mi canzonò.

Intimidita e a disagio abbassai lo sguardo sulle mie scarpe rosa, sentendo qualche lieve risata dei miei compagni e poi uno sbuffo «vada a sedersi e segua la lezione»

Non me lo feci ripetere due volte, mi diressi frettolosa verso il mio banco in fondo all'aula ricevendo come premio Nobel il sorriso più bello del mondo.

Mentre mi sistemavo e cercavo di capire in qualche modo l'argomento della lezione sentii una voce sussurrata e divertita «dormito troppo?»

Ridacchiai silenziosa e per tutta l'ora mi stampai un sorriso idiota sulla faccia, rendendomi perfettamente conto di star facendo la figura della pazzoide.

Alla fine dell'ora cercai di riprendere possesso della mia sanità mentale, strizzandomi le guance e dandomi qualche schiaffetto per svegliarmi.

«Ei dormigliona» rise lui, girando la sedia verso di me.
«Ho perso l'autobus in realtà» precisai non nascondendo l'aria divertita.

Lore ridacchiò e non smise di fissarmi, era quasi inquietante avere quegli occhi verdi puntati addosso e fissi, irremovibili.

Tossii in imbarazzo e girai lo sguardo intorno, in attesa dell'ora successiva.


*************


Per fortuna al ritorno riuscii a prendere l'autobus regolarmente, senza correre e senza fare nessuna maratona fuori sede.

Mi azzuffai mangiando cotoletta e patatine fritte, una botta di calorie per la linea insomma.

Mi riposai stendendomi sul divano e accesi la televisione senza vederla realmente, in mente avevo ancora il bacio da favola tra Lore e la sua ragazza, a cui avevo sfortunatamente assistito, poichè Rapunzel si era catapultata sopra di lui, in classe durante l'intervallo, a meno di un metro da me.

Dire che ero stata traumatizzata e sull'orlo di prendere a sprangate quella ragazza era solo una piccola parte di ciò che il mio cervello impazzito aveva macchinato.

Al che, per evitare inutili spargimenti di sangue, mi alzai di scatto e mi rifugiai in bagno, standoci dieci minuti buoni.

Mi riscossi dai miei pensieri e dopo mezz'ora decisi di arrancare nella mia stanza, trascinandomi dietro le duecento calorie, e presi il portatile poggiandomelo sulle ginocchia.

Aprii Facebook e guardai annoiata la home fino a quando i miei occhi si ipnotizzarono e il mio cuore iniziò a battere a duecento mila.


Dormi
Che sono pazzo di te
E non è strano che ti voglio ad ogni costo



[altro capitolo modificato, spero vi piaccia kidz]

 

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Capitolo 5
*** Come la notte col sole. ***


5

COME LA NOTTE COL SOLE


 


Ero imbambolata davanti allo schermo del pc da almeno venti minuti, non respiravo e avevo bisogno urgente di una secchiata gelata in testa.

Mi ero così fusa che potevo scorgere il mio riflesso sul monitor e la mia faccia faceva abbastanza paura, sembravo spaventata, con quegli occhi scuri e così spalancati, stessa sorte era toccata alla mia bocca, ci sarebbero potuti passare almeno quattro treni in corsa.

Cercai di ricompormi un minimo, mi tastai i capelli lunghi e lisci per assicurarmi che non mi avessero abbandonata al mio destino crudele e chiusi gli occhi.

Contai mentalmente fino a dieci e li riaprii: il suo stato su Facebook esisteva ancora, l'aveva scritto circa cinque ore prima a scuola, ed era tutto vero.

Copiai il testo e lo incollai su google, per curiosità, per autoconvincermi che fossero solo parole scritte a caso, senza riferimento a niente e nessuno.

Deglutii rumorosamente e gli occhi mi si appannarono dall'agitazione, l'ansia che saliva senza un avviso, una chiamata d'emergenza.

Quei modi di fare 
A nobilitare
Ogni tuo comportamento
Che sono le sei di mattina
Ma è di mattina che soffia il vento
Io sono qui a scrivere ancora
A ridere ancora di me, mentre
Un raggio di sole ti sfiora 
Con le lenzuola poggiate sul ventre

Le sei di mattina 
E lei di mattina
Metti che mi sta a fianco
Non sono lo scemo di prima
E verso la china su un foglio bianco
Non faccio questioni di stato
Zero emissioni di fiato, mentre
Quelle altre che m'hanno lasciato
Pregano il fato che muoia per sempre
Vorrei sapere a cosa stai pensando
Ora che hai gli occhi chiusi
E abusi del fatto che sbando
E quel sorriso messo come scudo
Bocca dipinta
Prendo e rifiuto
Scossa di quinta magnitudo

Dormi
E non pensarci più
Che non è facile restare in questo posto
Dormi 
Che sono pazzo di te
E non è strano che ti voglio ad ogni costo
Dormi
E non pensarci più
Che non è facile restare in questo posto
Dormi
Che sono pazzo di te
E non mi posso più fermare
Un limite non c'è

Il profumo che indossi
La pelle di seta
I capelli mossi
È un misto di come tu sei
O come, più o meno, vorrei che tu fossi
Tra i miei paradossi
T'invito nei miei desideri nascosti
Ti vedo nel buio nuda
In infradito
Ho gli infrarossi
E cerco te nel letto
E quando non ci sei
I miei problemi che fanno effetto
(Resta con me)
Se te ne vai t'aspetto
Ma non tornerai 
Prima che non te l'abbiano detto
(Resta con me)
Che tutto questo adesso parla di te
In questa stanza preso male
Dove Dio non c'è
E tutto questo adesso parla di te
Puoi darmi un attimo di più, di più, di più

 

Rilessi almeno cinquanta volte, per assicurarmi di aver letto ogni singola parola, di aver colto ogni minima sfumatura, ogni emozione di sillaba.

Restai di sasso, perché quella canzone era stupenda, racchiudeva l'amore, di quel tipo che si tiene sotto pelle, e lui aveva scritto una frase del ritornello.

Era strano, perché non riuscivo a togliermi dalla testa che fosse un casuale riferimento al mio ritardo di quella stessa mattina.

Era strano, perché probabilmente mi facevo così tanti film mentali da sottovalutare che fosse in realtà riferito alla sua Rapunzel.

Storsi in naso e sbuffai, non potevo competere con lei, neanche lontanamente, per prima cosa non ero bionda e questo era a mio svantaggio, e poi gli occhi, scuri come la notte senza stelle, non ci si poteva specchiare nè perdere, erano un pozzo di oscurità e basta.

Niente trasparenza, niente limpidezza, il buio totale.

Chiusi il pc e mi coricai sul letto stanca, stanca di farmi illusioni senza alcun senso e fondamento.

Quando riaprii gli occhi era ormai quasi sera e mia madre sarebbe tornata a momenti.

Strizzai gli occhi per farli abituare alla luce artificiale e accesi il computer, sperando di non avere altri infarti.

Dormigliona, domani arriva in orario miraccomando. Buona serata

Boccheggiai e avvampai, anche se non potevo vedermi sentivo il rossore e il caldo salirmi in viso.

Sorrisi quando tornai in me e risposi.

Sarà fatto. Buona serata anche a te.

Spensi tutto ancora con la felicità stampata in faccia e proprio in quel momento mia madre comparì sulla porta della mia stanza.

Mi guardò interrogativa un attimo e poi scosse la testa divertita «dopo mi dirai perché stai sorridendo come quando hai il vasetto di Nutella davanti agli occhi» sospirò e riprese «ho prenotato due pizze per stasera e ti devo dare una buona notizia»

Mi misi sull'attenti e la guardai speranzosa ed entusiasta, sperando che fosse la notizia che tanto aspettavamo.

«Papà torna a casa per il weekend» affermò eccitata, e io andai ad abbracciarla forte.

Non lo vedevo ormai da settimane, il suo lavoro lo teneva impegnato e lontano da casa, ma nonostante questo si faceva sentire per telefono, anche se per poco, e cartoline dei luoghi magnifichi in cui attraccava.

Ero al settimo cielo, non vedevo l'ora che fosse sabato così da poterlo stringere a me e raccontargli tutto della mia nuova scuola, ma ovviamente avrei omesso la parentesi Lorenzo ancora per un po', lui sarebbe andato a prenderlo a casa direttamente e non ero ancora pronta a certe figure.

Pensare a lui mi faceva sorridere e deprimere allo stesso tempo, un po' perché sembrava che lui ci tenesse a me e un po' perché immaginavo cose senza senso e impossibili.

Mi persi ancora immaginando il suo sorriso, i suoi occhi, la sua voce, la sua risata, e capii che ormai avevo perso la testa e il cuore per lui, e anche i polmoni ogni volta che mi guardava come solo lui riusciva a fare e che mi faceva sentire una bambina di cinque anni.
 

Per la prima volta nella mia vita mi alzai felice, sprizzavo allegria da tutti i pori, e ciò si poteva notare anche con quanto entusiasmo mangiavo le mie gocciole di prima mattina.

«Non esagerare» mi rimproverò mia madre, sempre attenta e sempre pronta a mandarmi il morale sottoterra.

Alzai le spalle e feci una smorfia «sono felice, fammi mangiare» risposi, accompagnando le parole azzuffando un altro biscotto dal sacchetto.

«Rebecca, vuoi diventare una palla?» battè una mano sul tavolo della cucina facendomi tremare sulla sedia «oggi pomeriggio vai a correre poi» sentenziò, alzandosi poi dalla sedia e sparendo nel corridoio.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, con le lacrime agli occhi, chiusi a chiave le gocciole prima di finire l'intera confezione.

Mi diressi in camera per vestirmi, agguantai un pantalone della tuta e una felpa, sembrava proprio che volessi nascondere la ciccia immaginaria che mi sarebbe cresciuta tra qualche ora.

Misi lo zaino sulle spalle e mi diressi alla porta, dove la madre superiora già mi attendeva con le braccia incrociate e imbronciata «mi viene voglia di farti fare la strada a piedi, correndo»

La guardai boccheggiando e assottigliai gli occhi «ma quanto la fai lunga per due biscotti in più» sbuffai seccata e guardando altrove «vado a correre oggi così smaltisco, contenta?»

Lei sorrise vittoriosa e compiaciuta prima di darmi una pacca sulle spalle «brava bambina»

Il tragitto fu silenzioso, il mio cervello macchinava in continuazione brutte parole da rivolgere a mia madre che aveva fatto una storia assurda per una cosa da niente.

Il risveglio era partito benissimo ma ora il mio umore era nero, grigio scuro, e neanche il sole mi aveva fatto cambiare pensieri.

«Sei arrivata» constatò «buona giornata»

«Meglio di così» bofonchiai e uscii dall'auto, accennando solo un saluto con la mano.

Nel corridoio mi imbattei nella solita folla di ragazzini impazziti che urlavano come dei pazzi criminali già alle otto di mattina, cercai di non farmi abbattere e varcai la soglia della classe.

Se pochi secondi prima il mio umore era grigio scuro ora era di un bel giallo canarino, con tanto di occhi verdi e sorriso mozzafiato.

Mi ero incantata, ne ero consapevole, ma le mie gambe si rifiutavano di camminare e io non potevo certo biasimarle.

Una forte risata acuta e antipatica mi riportó sulla terra ferma e scrollai la testa per far uscire i neuroni impazziti.

Andai a sedermi al mio posto e sorrisi al mio compagno di banco, in confronto potevo sembrare la rana dalla bocca larga, per fortuna non avevo l'apparecchio ai denti o mi sarei incollata le labbra.

«Sei in orario» ridacchiò lui, facendomi l'occhiolino e sistemandosi più comodo sulla sedia, che equivaleva a dire poggiare le scarpe sul banco.

Ero persa di nuovo nei miei pensieri e sulla mia nuvoletta rosa che non mi accorsi di una presenza inquietante, o meglio, stile gatta morta alla ribalta.

«Ehi, tu sei il fidanzato di Vanessa, quella della 5B vero?» civettò una ragazza con caschetto moro e occhi a panda, io ero così imbranata coi trucchi che mi sarei vergognata perfino di uscire di casa conciata in quel modo.

«Si e tu sei?» chiese Lore alzando un angolo della bocca, sembrava ci stesse provando e esercitando il suo fascino su quella povera illusa.

«Laura» squittì lei, già con gli occhi a cuoricino «sono in questa classe, strano che tu non mi abbia notato» si voltò frettolosa verso di me e fece una smorfia con il naso.

E con quel gesto che voleva dire quella arpia?
Che non ero meritevole di sedermi a fianco di sua maestà il principe?

«Non mi guardo molto in giro» ribattè lui, per nulla turbato dalla frecciatina rivolta probabilmente a me.

Per fortuna quella insensata conversazione fu interrotta dal suono della campanella che mi portò davanti a una realtà ancora più dura.

Alla sesta ora ero stremata, sudata peggio di un maiale, annoiata e demoralizzata.

Maledetto greco, riuscirò mai ad impararti come Zeus comanda?
No, decisamente no, ci vorrebbe un miracolo.

All'ultima campana della giornata ringraziai gli dei di questa salvezza e imprecai in aramaico contro i greci.

«Problemi?» mi voltai e notai Lore con le braccia incrociate e lo sguardo divertito osservarmi impassibile.

Sbuffai come un toro, abbattuta «i greci mi vogliono male» ironizzai, solo per non scoppiare a piangere.

«Immaginavo, anche io ci capivo meno di zero» rispose schioccando la lingua «se vuoi ti posso dare una mano per superare il problema greci» sorrise e persi almeno dieci battiti in un secondo.

«Uhm» balbettai, sicuramente ero più rossa di un peperone, dannazione «va bene» sputai fuori infine in un sospiro, sembrava che avessi appena corso una maratona.

Lore si morse un labbro divertito dalla mia espressione buffa e poi si poggiò lo zaino su una spalla «facciamo oggi alle tre al parco, fa troppo caldo per stare chiusi tra quattro mura»

Annuii incapace di rispondere in modo sensato, lui ridacchiò di nuovo e mi stampò un bacio sulla guancia facendomi sciogliere sulla sedia.

Non poteva uscirsene con una frase del genere senza pensare alla mia povera sanità mentale in esaurimento.

Sistemai quaderno e astuccio nello zaino come un'automa, non ero veramente consapevole di ciò che stavo facendo.

Ero su di giri ed emozionata per il pomeriggio, che poi avevo un appuntamento solo con i greci, e il ragazzo biondo passava di sicuro in secondo piano rispetto allo studio.

Risi di gusto mentalmente, mi sentivo vidi scema quella mattina, forse era davvero colpa delle due gocciole in più mangiate a colazione.

Misi lo zaino di tre tonnellate sulle spalle e mi avviai come una povera vecchia nel corridoio, per fortuna mezzo vuoto, visto che erano già passato dieci minuti dal suo della campanella.

Ero abbastanza lenta ma il colpevole era proprio quello che stava abbracciando e baciando la sua ragazza sulla sella della moto.

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Capitolo 6
*** Cercando te. ***


6

CERCANDO TE

 




Tornai a casa come un fulmine, mangiai in un nanosecondo e mia madre continuava a guardarmi spaesata, senza proferir parola, anzi, stava sogghignando sotto i baffi.

«Devi prendere un treno?» domandò a bruciapelo, proprio nel momento in cui feci uno scatto felino per andare un camera.

Mi bloccai di colpo, prima di andarmi a spiaccicare contro la porta di legno con rifiniture di vetro «no» grugnii «devo andare a scuola per un rientro» tergiversai, mentendo spudoratamente, ma per mia fortuna non avevo la maledizione di Pinocchio.

Lei mi guardò con un sopracciglio alzato così mi portai d'istinto le mani sul naso, per verificare che fosse ancora della sua misura e non più lungo di me.

Tirai un sospiro quando constatai che fosse tutto al proprio posto.

«Un rientro il quarto giorno di scuola?» chiese ancora, inarrestabile.

Incrociò le braccia e mi guardò severa, come se la sua espressione mi facesse sentire in colpa.

«E che ne so, sono loro i pazzi» asserii alzando le spalle e cercando di essere il più convincente e naturale possibile.

Prima che potesse continuare il terzo grado per l'FBI corsi di buon grado in camera, dove mi chiusi a chiave per sicurezza, sarebbe stata in grado di fare un'intrusione coi fiocchi.

Guardai l'orologio appeso alla parete e tirai un sospiro di sollievo misto ad ansia, paura, e ancora ansia.

Avevo ancora un'ora per uscire, che tradotto significava mezz'ora per calmarmi e respirare, e dieci minuti per riuscire ad acchiappare l'autobus al volo.

**

Alle tre spaccate ero davanti al maestoso cancello del parco, immersa nel verde della natura.

Nonostante l'apparente tranquillità in viso ero paonazza e facevo un salto da canguro ogni volta che sentivo dei passi avvicinarsi: una volta era il vecchietto col chiwawa, l'altra la nipotina con i nonni e l'altra ero io, che iniziavo a fare avanti e indietro per quel mezzo metro.

«Ehi» sentii una voce maschile familiare e alzai gli occhi, incantandomi di riflesso: era vestito normale, maglietta e jeans, eppure sembrava un modello, forse per quei pantaloni stretti che gli fasciavano le gambe così divinamente.

«Rebecca, sei sulla terra?» ridacchiò lui, vedendo la mia faccia da pesce lesso.
Perché con lui finiva sempre che facevo figure del cavolo?

Scossi la testa e annuii rinvigorita «si ci sono, dove ci mettiamo?» iniziai, giusto per chiare argomento e sorvolare sulla mia impacciataggine.

«Laggiù ci sono dei tavoli da picnic» indicò e lo seguii a ruota, attraversando l'area con altalena e scivolo.

«Se vuoi dopo puoi farci un giro» rise, senza dubbio aveva notato il mio sguardo intenso verso quei giochi che amavo tanto.

«No tranquillo, prima devo affrontare una guerra greca» ironizzai, per entrare il più possibile nell'ottica dell'aprire il mattone e studiare.

«Dai, allora» cominciò, posizionandosi sulla panca e sfogliando il libro.

«L'alfabeto» lo interruppi subito «lo odio, ci sono delle lettere che sembrano geroglifici» continuai scocciata, guardando esasperata la tabella con tutti i simboli.

«Hai ragione» ridacchiò, iniziando ad osservare quella nefasta pagina piena di cose arcaiche «scommetto che hai sbattuto la testa per questa» continuò, indicando la lettere xi.

Annuii e sbuffai «sembra uno stupido scarabocchio»
«In realtà è solo una m rovesciata, vedi, con qualche ghirigoro all'inizio e alla fine»

«Ah» risposi, incantata dalla sua spiegazione e dal suo modo di tenere la biro per fare quello strano movimento.

«Visto? Non era difficile»
«Così mi fai sentire scema»

Rise e scosse la testa divertito «ti devi solo abituare a questi pazzi»
«Cioè mai» risposi, sbuffando nuovamente senza impegnarmi a nascondere le mie smorfie.

«E poi scommetto la zeta»
«Sembra una ballerina» bofonchiai, cercando di fissare quel simbolo rompicapo affinché si rivelasse al mio cervello bacato.

«Esattamente» esultò euforico «immagina che questa sia la testa, poi fa questo movimento di fianchi e giù, come la coda di una sirena» spiegò gasato e ogni sua parola era accompagnato da un gesto fluido della sua mano.

«Sei un genio» dissi estasiata e completamente persa a guardarlo ammirata.
«Non esagerare Reb»
Ancora quel nomignolo, ancora un battito perso.

«Vuoi andare sull'altalena come premio?» scherzò, guardandomi di traverso.
«Non ancora» scossi la testa come una bambina, facendo svolazzare da una parte all'altra i miei capelli scuri, imitando alla lontana la pubblicità dei capelli lucenti e liscissimi.

Dopo poco più di un'ora a contatto con i greci e il loro alfabeto da ricovero, decidemmo di fare una pausa, così mi catapultai sull'altalena come una bambinetta.

Lore mi seguì con le mani in tasca da finto duro e lo sguardo divertito e imbarazzato dai miei urletti di gioia.

«Sei una epsilon» strillai seria, indicandolo con la mano.
«Stai vaneggiando» si coprì il viso con le mani e scosse la testa «i greci ti hanno rapita»

«Ripeto, sei una epsilon»
«Sei noiosa» esclamò sbuffando e subito dopo tirò fuori il cellulare dalla tasca, iniziando a digitare parole sconosciute.

Mi isolai dal mondo godendomi quel su e giù, quella natura verdeggiante e il verso degli uccellini, nettamente diverso da quello del pulcino pio.

«Credo arriverà la mia ragazza tra poco»
«Tranquillo» risposi, sentendomi un grosso masso in gola che non aveva nessuna intenzione di scendere.

Sorrise a disagio e dopo pochi secondi comparì Rapunzel, con i suoi capelli biondi super perfetti.

Storsi il naso pensando alla mia condizione da poveraccia: chioma disordinata e spettinata, maglietta rossa e jeans slavati.

Lei invece portava profumo e una luminosità accecante.

«Piacere sono Vanessa, la sua fidanzata» marcò le ultime parole con assoluta importanza come se dovesse marcare il territorio, anche se a me pareva una minaccia buttata apposta per farmi tremare.

«Rebecca, piacere» risposi pacata e mettendo da una parte i miei istinti omicidi verso quella velina.

Dopo di che si attaccò come una colla a Lore, riempiendolo di baci, tanto che lui fece fatica a girarsi verso di me e proferire qualche sillaba «Reb, mi dispiace, vuoi stare con noi o hai da fare?»

«No, vado a correre» risposi, senza mettere in evidenza la mia scocciatura.

Mancava solo che diventassi la terza incomoda e potevo sprofondare nella mia solitudine.

Si allontanarono felici e contenti verso il loro nido d'amore, mano nella mano, sotto il mio sguardo inceneritore «due diavoletti rossi»

**

Con lo zaino in spalla e i nanetti greci al seguito ritornai a casa più frastornata e abbattuta di prima.

Era stato abbastanza traumatico vedere Lore e Rapunzel allontanarsi insieme, senza più degnarmi di striscio, come se io non fossi dietro di loro.

«Già finito?» mi domandò mia madre appena mi vide varcare la soglia di casa, senza lasciarmi il tempo di respirare.
Che ansia.

«Sì, ha fatto veloce» risposi indifferente, lasciando in sospeso il soggetto della questione.

«Vai a correre ora, vero?» chiese di nuovo, seguendomi come una cane nella mia camera.

«Sì» esclamai sbuffando e iniziando a cercare dei vestiti adatti alla corsa e all' inevitabile stramazzamento al suolo.

Lei se ne uscì tutta contenta e saltellando come una cavalletta.

Roteai gli occhi e tirai fuori un top viola e dei pantaloncini neri, mi legai i capelli in una coda alta e presi il telefono.

Buttai i libri mattoni sul letto e ritornai in cucina, dove mia madre mi guardava applaudendo con le mani euforica «corri per più di cinque minuti, miraccomando»

Storsi il naso scocciata e la salutai svogliatamente con un gesto della mano.

Iniziai a correre piano senza un preciso itinerario e avviai la musica sul cellulare, per far sembrare meno doloroso il movimento delle mie gambe da würstel.

Abbassa i finestrini voglio il vento in faccia
alza il volume della traccia
torneremo a casa solo quando il sole sorge
questa vita ti sconvolge

senza sapere quando
andata senza ritorno
ti seguirei fino in capo al mondo
all'ultimo secondo
volerei da te, da Milano
fino a Hong Kong
passando per Londra, da Roma e fino a Bangkok
cercando te

Anche i muri di questa città mi parlano di te
le parole restano a metà e più aumenta la distanza tra me e te
giuro questa volta ti vengo a prendere
senza sapere quando

Volerei da te, da Milano
fino a Hong Kong
passando per Londra, da Roma e fino a Bangkok
cercando te

«Cercando te»

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Capitolo 7
*** Tre fori nel cuore. ***


7

TRE FORI NEL CUORE


 


 

Mattina grigia, di quelle che non cambieranno colore durante la giornata.

Tanto che mia madre mi fissava sbalordita perché a malapena avevo mangiato due biscotti invece che mezzo pacchetto come mio solito «Rebbi, stai bene?»

Annuii con lo sguardo abbassato e mi alzai dalla sedia «vado a sistemarmi e ci sono» con la voce da zombie.

«Sei pallida, hai la febbre?» chiese preoccupata e appoggiando una mano alla mia fronte, guardandomi storta due secondi dopo.

«Mamma sto bene, sono solo stanca» le rifilai, prima di correre letteralmente in camera.

Dopo tutto era vero, non avevo chiuso occhio per tutta la notte, e il motivo dovevo ancora trovarlo.

Ero io che mi facevo film su Lore che era invece felicemente fidanzato con quella biondina ossigenata, Vanessa qualcosa.

Mi guardai allo specchio e ricercai il correttore nel cassetto dove tenevo i trucchi indispensabili, e ne applicai almeno tre tonnellate per nascondere quell'ombra scura sotto l'occhio.

Sbuffai e mi posizionai lo zaino in spalla, come se andassi al patibolo.

Mia madre era già in posizione, cintura allacciata, auto accesa e mani sul volante pronta a ingranare la marcia.

L'unica teppistella ero io, vestita peggio di una barbona, con una magliettina tra le più sobrie che avevo trovato nell'armadio ma anche tra le più brutte: era di un blu elettrico sbiadito, una schifezza insomma, per fortuna avevo indossato dei pantaloni della tuta perfettamente grigi e non i soliti jeans larghi e usurati.

«Un giorno di questi andiamo a fare shopping, sembri una scappata di casa» asserì lei, dopo avermi squadrata con una piccola smorfia della bocca, le lanciai un'occhiataccia e ne approfittai per osservarla: era vestita in modo impeccabile per il lavoro, gonnella scura e camicietta bianca.

Avevo bisogno urgente di un corso accelerato di moda, tipo quelli di Enzo e Carla.

Feci una smorfia appena vidi il portone del liceo che era pronto ad accogliermi a braccia aperte per cinque ore.

Sbuffai e scesi dalla macchina stile ippopotamo, sbattendo la portiera così forte che temetti una strillata di mia madre.

«Rebecca, si può sapere che ti prende?» domandò, affacciandosi dal finestrino e guardandomi attenta e pronta a scorgere ciò che solo le madri potevano capire.

«Niente, poi mi passa» alzai le spalle e mostrai un sorriso più tirato di un ritocco estetico e le diedi le spalle, iniziando a camminare e guardando a terra.

Tutto quello intorno non esisteva, ero circondata dal silenzio.

«Ehi Reb» una voce maschile che equivaleva alla mia perdita della vita ma era anche la causa del mio stato depresso.

Alzai lo sguardo e lo vidi correre verso di me, con il casco infilato in un braccio, strano non ci fosse Rapunzel con lui che gli scorrazzava attorno.

«Lore, ciao» salutai, incarnavo la felicità in persona e capii dalla sua espressione che l'aveva notato.

Lui alzò un sopracciglio stupito della mia reazione triste e mi studiò a lungo, in cerca di non sapevo cosa «c'è qualcosa che non va?»

Sbuffai di nuovo «va tutto a meraviglia tranquillo» risposi scocciata e lo mollai in mezzo al cortile, con gli occhi puntati su di me.

Mi allontanai in fretta da lui e mi rifugiai in classe, dove appoggiai la testa sul banco, rinchiusa in me stessa.

Non volevo vederlo eppure era impossibile evitarlo.

Lore rientrò solo al suono della campanella e quindi non ebbe  il tempo materiale di ritornare al suo interrogatorio da poliziotto in borghese, poiché il professore entrò in aula e il suo vocione ci zittì tutti all'istante.

Le lezioni sembravano non finire mai e dopo essere scappata dai suoi occhi indagatori anche all'intervallo, dopo aver forzato un sorriso davanti a quello soddisfatto di Rapunzel che si appolipava a lui, non potei evitarlo all'ultima ora: educazione fisica, l'unico sfogo per gli studenti ammattiti del classico.

«Si può sapere che hai?» mi afferrò un polso appena uscita dallo spogliatoio femminile, attirando così l'attenzione su di noi.

Fantastico, davvero.

Mi strattonai e mi liberai dalla sua presa ferrea «niente Lore» mi guardai intorno e notai gli occhi delle due oche per eccellenza fissi su di me, intente a carpire ogni singola parola del nostro discorso «sto bene, sono solo stanca»

«A me sembra che ce l'hai con me per non so quale motivo invece»

Lo guardai storta cercando di trattenermi dal rivelargli le vere ragioni che avrebbero creato solo ancora più scompiglio «perché dovrei avercela con te?»

Lui roteò gli occhi e tornò a guardarmi serio «oh non lo so, questo dovresti dirmelo tu»

«Non c'è niente che non va, non preoccuparti per nulla» risposi scocciata e mi allontanai, ma subito dopo fui circondata dalle due pettegole e ochette della classe: Laura e Camilla.

«Allora» iniziò una «ci stai provando con lui vero?»

«Guarda che é fidanzato, non hai speranze» ribattè l'altra, iniziando ad attorcigliarsi una ciocca di capelli e guardando il diretto interessato intento a parlare con gli altri ragazzi.

Che cosa vomitevole.

«Là, non essere stronza» la rimproverò l'amica, prima di inviarmi un sorriso da vipera.

«Uno: non ci sto provando con lui» iniziai, liberandomi dalla loro presa e guardandole seccata «due: lo so» continuai «e tre: mi piace un altro» urlai, tanto che tutta la classe di girò verso di noi, e tra tutti quegli sguardi incrociai proprio quei due occhi verdi smeraldo.

Tempismo perfetto.

La mia vita non poteva filare più liscia di così, seriamente.

Perché avevo scelto quella scuola?

Avrei dovuto fare prima un giro di ispezione che mi avrebbe dato l'opportunità di non incontrare mai più gli occhi di Lorenzo, così belli e così chiari da poterci nuotare all'infinito.

Andavo per la mia strada, non guardando in faccia nessuno e brontolando per la sauna che mi sarebbe spettata sull'autobus strapieno.

Digrignai i denti e chiusi gli occhi per qualche secondo, mossa azzeccatissima visto e considerato che stavo camminando a passo veloce nel corridoio infestato da una folla impazzita.

E infatti successe quello che non sarebbe dovuto succedere, andai a sbattere, o meglio, investii con il mio dolce peso e la mia magliettina scolorita una colonna di marmo, con delle mani a tentacoli che mi rinchiusero dentro a sè.

Mi immobilizzai e ebbi il coraggio di alzare lo sguardo per incontrare quello di un ragazzo divertito che probabilmente stava cercando di inquadrarmi.

«Scusami, ero distratta» aprii bocca dopo una buona mezz'ora passata ad osservarlo dall'alto al basso, in ogni particolare: occhi scurissimi, ricci ribelli, adidas, jeans chiari e maglietta dei Green Day.

L'uomo perfetto dei miei sogni, se non fosse che mi stava ridendo praticamente in faccia.

Feci scomparire all'istante il mio sorriso ebete e alzai un sopracciglio interrogativa.

«Sei buffa, scusa, mi chiamo Edoardo» ridacchiò e aspettò una mia risposta che arrivò dopo mezzo secolo.

«Ah» brontolai prima di riprendermi definitivamente «Rebecca, piacere»

Sorrise e mi porse la mano, una stretta bella forte, wow.

«Sei al primo anno?»

«Si, tu?» domandai curiosa mentre continuavamo ad avanzare per quel corridoio che sperai essere infinito.

«Sono al terzo» scrollò le spalle e guardò davanti a sè, salutando e ammiccando a ogni ragazza che probabilmente conosceva.

Ah, un don Giovanni, di male in peggio.

«Ora devo andare, ci si vede eh» scherzò appena varcato il portone e mi stritolò una guancia, non prima di avermi riso in faccia per la mia espressione scioccata.

Ero diventata un pesce lesso, occhi sbarrati e bocca socchiusa, espressione che non mutai neanche quando incontrai un altro viso che poteva essere la mia esatta fotocopia.

Mi ripresi dopo cinque minuti buoni e mi guardai intorno, ormai il cortile era mezzo deserto e io dovevo correre la maratona per prendere l'autobus e arrivare a casa.

Ovviamente avrei dovuto aspettare almeno dieci minuti, visto che per colpa di Edoardo prima e Lore dopo, avevo perso trenta corse.

Sbuffai, sedendomi come un elefante sulla panchina e nell'attesa presi il telefono per girovagare un po' su facebook, notando uno strano stato di Lore, appena qualche minuto prima.

io come sto che non mi vedi ?
tre fori nel cuore
comunque in piedi
scrivo gronda il sangue dalle pareti

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Capitolo 8
*** Quanto tempo. ***


8

QUANTO TEMPO



 

Arrivare a sabato e sentirsi come essere stata travolta da un carro armato, solo una settimana di scuola e mi sentivo già più che stanca, chissà in che stato sarei arrivata a giugno.

Scossi la testa e da perfetta lunatica trotterellai in cucina con un sorrisetto a trentadue denti e questo aveva solo un motivo: l'arrivo di papà nel pomeriggio.

Mi mancava parlare con lui, le sue coccole, le sue parole dolci, i vizi che mi dava, la sicurezza che mi trasmetteva la sua voce e i suoi occhi limpidissimi.

Notai non con tanta sorpresa che anche mia madre era allegra più del solito, tanto da non rimproverarmi minimamente per il mio solito assalto ai biscotti, come non approfittarne allora.

Sommersa da tanta allegria indossai una magliettina giallo canarino infilata nei soliti jeans chiari, il mio senso per la moda poteva aspettare ancora un po'.

Armeggiai col cellulare che non voleva saperne di accendersi e farmi leggere l'unico solitario messaggio della Vodafone che mi comunicava di aver esaurito il traffico dati.

Feci una smorfia e sbuffai, prima di raccattare dal pavimento lo zaino nero borchiato, unico capo trend del mio armadio.

In macchina, sotto lo sguardo attento sulla strada di mia madre e nessun occhio puntato addosso potei leggere gli altri due messaggi, uno era di mio padre che mi trasmetteva la sua gioia di vedermi con l'ormai celebre frase «non vedo l'ora di strapazzarti, a presto» che mi faceva andare ogni volta in brodo di giuggiole.

L'altro invece era di una mia vecchia amica, l'unica superstite della compagnia delle medie, l'unica con cui avessi legato veramente: «Reb, non vedo l'ora di fare una delle nostre chiacchierate. Mi manchi

Sorrisi e alzai lo sguardo dal telefono per accorgermi che ero già arrivata a destinazione.

«Perché stai sorridendo?» domandò mi madre, squadrandomi con un sopracciglio alzato.

«Perché è sabato e vedo papà» risposi «e poi mi ha scritto Sara, penso proprio di vederla in questi giorni»

«È una brava ragazza» annuì e mi rivolse un ultimo sorriso raggiante prima di ripartire e lasciarmi al mio destino crudele.

Appena varcato il portone il mio umore fu riscattato da una coppietta felice e appiccicata al muro, troppo romanticismo nell'aria e troppi capelli biondi intrecciati.

Deglutii e voltai lo sguardo, fissando gli occhi a terra e senza alzarli per nessun motivo, a parte uno.

«Sei tu vero?Rebecca?» un tono di voce incerto mi si parò davanti e non potei che ricollegarlo ad un'unica persona: Edoardo, tesi confermata quando notai i suoi ricci ribelli.

«Sì, esattamente» confermai e mi guardai in giro imbarazzata, scorgendo che i due piccioncini non erano più così appiccicati, o almeno, solo una sembrava volersi staccare.

«Sai, ho guardato l'elenco di tutte le prime per trovarti, sei troppo carina per non conoscerti» lui continuò a parlare e a quelle parole non potei fare altro che arrossire.

«Oh, beh, grazie» balbettai in preda a sensazioni strane e lui ridacchiò «scusa, non volevo imbarazzarti»

Accennai un sorriso cercando di mascherare il rossore delle mie guance, coprendomi con le mani «tranquillo» biascicai, mentre il suo sguardo era ancora fisso su di me «comunque volevo chiederti se sabato prossimo ci sarai alla festa per l'inizio della scuola»

«Uhm, non sapevo che fosse una festa la scuola» commentai, aggrottando la fronte scettica.

«In effetti, ma la nostra scuola organizza una specie di buffet e sala ballo improvvisata nel salone» scrollò le spalle e mi sorrise di nuovo, mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni.

«Mh, ci penserò» gli rifilai vaga, non volevo prendere una decisione subito, prima di fare qualunque cosa dovevo pensarci per giorni.

«Spero sia un si» ridacchiò e mi stampò un bacio sulla guancia, in perfetta sintonia col suono della campanella, così che nessuno poté sentire il mio cuore esplodere.

E mentre lui si allontanava tranquillo e allegro, io avevo di nuovo quell'espressione da pesce lesso stampata in volto.

«Ehi, bella addormentata, devi svegliarti ora» sentii un grugnito e subito dopo un qualcosa pizzicarmi il fianco.

Mi risvegliai dalla mia figuraccia e mi trovai davanti due occhi verdi che mi guardavano intensamente, ma con una punta di fastidio.

«Non stavo dormendo» puntualizzai e inclinai la testa, perdendomi nel suo sguardo scettico «come vuoi» scrollò le spalle e afferrandomi per le braccia mi trascinò in classe, attraendo tutti gli occhi verso di noi.

Sentii dei bisbigli, delle risatine e delle occhiate invidiose.

Sbuffai a disagio e mi sbarazzai delle sue mani sul mio corpo per correre al mio banco.

Non mi sarei fatta rovinare l'umore solo per Lore, non oggi, e neanche domani.

Lui era fidanzato con Vanessa e io potevo iniziare a conoscere Edoardo, senza alcun rimpianto.

***

Non avrei mai pensato di dovermi sorbire due ore di italiano il sabato mattina, andava contro ogni legge morale e psichica, il mio cervello sarebbe impazzito, come se non fosse già su di giri per conto suo.

Stava combattendo contro il cuore una guerra già persa in partenza, che avrebbe portato tante ferite e deliri.

Non facevo parte certo di quell'amore genuino tra Renzo e Lucia, contrastato fino all'inverosimile, ma niente li aveva mai separati sentimentalmente.

Avrei voluto trovare qualcuno così, che combattesse per me fino a non farcela più, ma non così tanto da essere costretto a rinunciare.

Forse ero egoista, ma l'amore è egoista, amare una sola persona e volerla sempre al proprio fianco senza nessuna riserva, senza nessuno di intoppo, è egoista.

L'ora dopo invece, ci venne annunciato che la professoressa di inglese era assente, comunicazione che fu accolta con urla di giubilo da tutti e da una piccola smorfia da me, amavo il modo di fare e di rapportarsi di quella donna.

«Sei sorda o cosa?» la domanda di Lore mi volse impreparata, non avevo pensato più a lui e al suo strano comportamento.

«No, ho sentito ma mi dispiace»

«Sei strana» commentò, sedendosi comodo sulla sedia e appoggiando le scarpe sul banco.

«Chi era quello con cui stavi parlando prima?» chiese, con tono apparentemente piatto e iniziando a smanettare col cellulare.

Inarcai un sopracciglio «Edoardo, di terza»

«Mh, capito, non ha una buona reputazione» soffiò sprezzante.

«E quindi?»

«Niente, era per dire» scosse le spalle e si alzò di scatto, un sorriso ammiccante gli incorniciò il volto prima di biascicare un «vado in bagno» e scomparire dietro la porta.

Di sicuro stava andando dalla sua Rapunzel.

***********

«Scricciolo, fatti abbracciare»

Non lo feci neanche finire di parlare che gli saltai addosso come un koala, nonostante ormai la mia corporatura non lo permettesse da tempo.

Mi era mancato e sapevo quanto gli pesasse stare lontano da casa, dalla mamma e da me, ma era il suo lavoro e aveva faticato tanto per ottenerlo.

Era il suo sogno fin da bambino viaggiare e scoprire il mondo, per questo passava la maggior parte dei suoi giorni sulle navi da crociere, salpava e visitava la città, ogni vicoletto nascosto, ogni minimo particolare, lo imprimeva nella testa e lo fotografava, così che anche noi comuni mortali, costretti a una vita noiosa e monotona, potessimo vedere quelle meraviglie.

«Allora, mi devi raccontare la tua prima settimana di liceo» sorrise allegro e mi strinse un braccio intorno ai fianchi, e ridacchiò della mia espressione buffa «è stata drammatica, una faticaccia, il greco mi dà la caccia» bofonchiai, facendo scoppiare in una risata poco trattenuta i miei genitori, sembravo una bambina quando mi lamentavo, ma ero il mio modo di prendere tutto con leggerezza e spensieratezza.

«Dai, mangiamo e poi mi racconti tutto»

«C'è poco da raccontare» affermai, dopo aver trangugiato ogni cosa possibile e aver spazzato via qualsiasi cosa dalla tavola.

Altro che corsetta, avrei dovuto compiere la maratona di Boston per espellere tutte quelle calorie dal mio corpo.

«Non ci credo» mio padre mi raggiunse in salotto e si sedette al mio fianco sul divano «avrai conosciuto qualche nuovo compagno»

Arrossii pensando a Lore e a Edoardo, perchè diavolo non avevo fatto amicizia con una ragazza?

«Deduco di si dalla tua faccia imbarazzata, su chi hai fatto colpo?» lo disse in tono scherzoso ma non immaginava neanche quanto fosse vero.

«Uh, ehm, il mio compagno di banco si chiama Lorenzo, tipo strano ultimamente, ed è fidanzato» feci una smorfia senza neanche accorgermene e lui la intercettò subito «e questo non ti va giù eh»

«No, cioè sì, insomma è la sua vita» mi affrettai a rispondere prima di straparlare a vanvera «e poi ho conosciuto un certo Edoardo» scrollai le spalle, segno che avevo concluso di elencare le mie nuove conoscenze.

«Solo maschietti» sentenziò con tono apprensivo «devi andarci coi piedi di piombo, non sai mai cosa aspettarti da loro, potrebbero stupirti, sia nel  bene che nel male»

Annuii «lo so»

«Però mi sento un po' geloso»

Inarcai le sopracciglia e lo guardai con occhi perplessi «eh?»

«Non sono più l'unico uomo della tua vita ora» scoppiai a ridere per la sua espressione imbronciata e lo abbracciai «papà, tu sarai sempre l'uomo della mia vita»

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Capitolo 9
*** Dietro l'invisibile. ***


9

DIETRO L'INVISIBILE


 

Il weekend era passato in un soffio, neanche il tempo di rendermene conto ed era svanito, e tra fare i compiti alla velocità della luce e passare più tempo possibile con mio padre, il lunedì era già alla porta e bussava ininterrottamente sul mio cervello.

La voglia di abbandonare il mio letto era calata a meno zero gradi, ma contro ogni aspettativa l'inizio della seconda settimana fu meno traumatico, forse perché avevo imparato a inquadrare già i vari professori, quelli disponibili a darti una mano e quelli autoritari che ti abbandonavano sulla cima di una montagna pronta a sgretolarsi da un momento all'altro.

Anche i miei compagni di classe sembravano più rilassati e meno antipatici, imparai i loro nomi per bene e ogni tanto ci scambiavo qualche parola, così che non ero più la ragazza isolata nell'angolino di aula vicino a Lorenzo.

Ecco, un altro tema importante, Lore era sempre lo stesso, un po' strano e misterioso, a volte mi lanciava occhiate che secondo lui erano pregne di chissà quali significati, e nell'intervallo compariva sempre la sua fidanzata che si appolipava su di lui come se fossero stati da soli in una stanza e non in una classe piena di ragazzini.

E sempre grazie a un lavoro di gruppo, feci amicizia finalmente con una ragazza della classe, Ilaria, con una moltitudine di lentiggini spalmate sul viso che mi facevano impazzire.

Io le avevo sempre amate ma non avevo nessuna possibilità materiale di averle, che ingiustizia.

«Ma questo è arabo» commentò lei sgranando gli occhi su quelle poche righe scritte in greco.

Il professore, uno scansafatiche, quel giorno ci aveva consegnato delle fotocopie con stampato il proemio dell'Iliade e con il suo solito vocione ci aveva chiesto di imprimere nelle nostre menti quel passo scritto in lingua originale, così da iniziare a capire come districarci nel greco, ovviamente avevamo la traduzione a fianco ma la risoluzione era in ogni caso impossibile.

«Mi ammazzo» bofonchiai, ormai a furia di stare con gli occhi fissi su quel foglio non ci vedevo più e iniziavo a strizzarli come se avessi uno stupido tick nervoso.

«Non serve a un cazzo, semplicemente non ha voglia di fare niente oggi» la saggia frase proveniva niente meno che da Lorenzo, che era comodamente sistemato sulla sedia, in modo stravaccato.

Inarcai un sopracciglio «sarà, ma almeno non stiamo qui a far nulla»

«Sempre più secchiona tu eh» replicò, e potei sentire il gelo delle sue parole fin sulle mie ossa.

«Reb ha ragione» mi sostenne Ilaria, annuendo con la testa «ci sarebbe casino altrimenti»

«Io avrei preferito cazzeggiare» Riccardo, il compagno di banco  della castana, scrollò le spalle lanciandoci un'occhiata annoiata.

Sbuffai e guardai l'orologio appeso alla parete per constatare con grande felicità che la terza ora era praticamente conclusa.

Di lì a poco infatti il suono della campanella ci svegliò dal letargo in cui eravamo cascati e puntualmente Rapunzel fece la sua entrata trionfale, e nonostante ogni volta mi salutasse con un sorriso allegro non riuscivo a farmela stare simpatica.

Era una di quelle che a pelle mi seccavano, per il comportamento anche poco rispettoso nei confronti degli altri visto che piombava nella nostra classe per sbaciucchiarsi Lore come se fosse la sua aria.

«Vieni con me alle macchinette?» Ilaria mi prese per un polso senza neanche lasciarmi il tempo di rispondere ma gliene fui grata, non avevo intenzione di assistere a quello spettacolino.

Da qualche minuto stavamo camminando lentamente avanti e indietro nel corridoio, lei sgranocchiando i suoi cracker e io annuendo ai suoi discorsi sulla improponibilità dell'esistenza del greco.

«Ehi, Rebecca»
Alzai gli occhi di scatto e incontrai il sorriso di Edoardo ad accogliermi «come stai?»

Alzai le spalle e schioccai la lingua «me la cavo, tu?»

«Idem» ridacchiò, ma essendo che non si muoveva aveva sicuramente qualcosa da aggiungere «senti, prima di sabato ti va di uscire a pranzo?»

«Oh, ehm» una gomitata dritta nello stomaco mi fece vacillare e sputare un «okay» sussurrato ma che lui sentì, in quanto si dileguò tutto felice e contento.

Solo dopo mi accorsi del danno commesso, ma ormai non c'era tempo per rifiutare, che figura avrei fatto?

«Carino eh» bofonchiò la traditrice al mio fianco, che intanto aveva iniziato a sghignazzare in modo incontrollato.

«Per colpa tua, ho un quasi appuntamento con lui»

«Rebby, dovresti ringraziarmi»

«Perché non ci esci tu?» esclamai colpita da un fulmine mentre rientravamo in classe.

«Uscire con chi?»

Eravamo arrivati ai nostri banchi dove Lore ormai era stato abbandonato e nulla gli impediva di intrufolarsi negli affari altrui «con nessuno» mi affrettai a dire, ma mi uscì una voce acutissima che mi ingannò.

Lui alzò un sopracciglio scettico «bello»

«Non fare la timidona» Ilaria mi si affiancò e dandomi una spallata rispose al quesito numero uno «uscirà con un ragazzo molto molto carino»

*******

Mercoledì era arrivato come un fulmine a ciel sereno e io non ero pronta psicologicamente ed ero in perenne imbarazzo per come qualcuno mi aveva costretto a vestirmi.

Niente di scandaloso o provocante ma non ero abituata ad indossare dei pantaloni così stretti, bellissimi e aderentissimi, con uno spacco sulle ginocchia.

Dovevo seguire la moda, così mi aveva detto Ilaria che mi aveva praticamente obbligata a comprarli per vestirmi in modo più decente e meno trasandato.

Sapevo che prima o poi mi sarebbe capitato di trovarmi per caso in un negozio e dover fare razzia di ogni capo, ma non pensavo così presto e per uscir con Edoardo.

Ricorderò per sempre questo mio primo acquisto della prima liceo, Ilaria che mi trascinava per un braccio da un negozio all'altro e io che rifiutavo ogni cosa, fino ad arrivare allo sfinimento e comprare questi pantaloni neri.

Il tutto si era svolto esattamente il giorno prima, giusto per caricarmi ancora più ansia sulle spalle, ma alla fine ero abbastanza soddisfatta del risultato.

Guardandomi riflessa nello specchio sembravo un'altra persona senza quei pantaloni larghi e la faccia da vampiro super pallida.

Con le mie inseparabili Nike bianche e una maglietta bordeau potevo ritenermi più che soddisfatta, anche sotto l'aspetto dell'autostima poiché mia madre mi aveva sorriso con un cipiglio allegro e Lore, beh, mi aveva squadrato le gambe per mezz'ora, o forse era stata solo la mia impressione, molto più probabile.

Preferivo nascondere piuttosto che mostrare, ma se aveva quell'effetto era meglio osare qualche volta in più.

Chiaramente avevo detto una bugia a mia madre, riferendole che mangiavo fuori con una mia compagna, al che lei mi aveva guardata con un sopracciglio alzato e con lo sguardo scettico.

Purtroppo avevo sottovalutato il suo sesto senso ma mi ero dileguata in fretta ed ero uscita di casa alla velocità della luce, senza rispondere a quelle domande scomode, avevo perfino deciso di prendere l'autobus piuttosto che essere sottoposta al suo interrogatorio.

Avevo l'ansia in corpo, non sapevo cosa aspettarmi e per tutta la giornata ero stata nervosa e tesa come una corda di violino, in più Lore mi lanciava occhiate curiose a cui non volevo rispondere.

Non volevo litigare di nuovo con lui ora che la situazione si era ristabilita e parlavamo come due persone civili.

Certo, Ilaria non aveva tenuto la bocca chiusa quindi all'intervallo tutta la classe sapeva che sarei uscita con un certo Edoardo, ma nessuno sapeva della sua esistenza a parte il mio compagno di banco che non si era sbilanciato troppo poiché la sua fidanzata era appena arrivata e quindi si era limitato a gettarmi un'occhiata assassina.

Lo ignorai e restai incollata alla mia sedia, sorbendomi discorsi romantici e vomitevoli dei due piccioncini che non potevano lasciarsi ad effusioni come loro solito perché avevano di fianco due litiganti, me e Ilaria, la quale voleva farmi uscire dalla classe,

Al suono dell'ultima ora ero così terrorizzata che non riuscivo a muovermi, ma qualcosa si smosse dentro di me quando Lore sospirò sui miei capelli «andrà tutto bene» con una voce un po' scocciata ma rassicurante.

Annuii e mi alzai, scortata da Ilaria che mi abbandonò al mio cavaliere appena Edo ci raggiunse: era vestito normale, camicia e jeans, quindi mi tranquillizzai ma anche lui mi squadrò qualche secondo soffermandosi sui pantaloni.

Nessuno aveva mai visto una ragazza coi pantaloni aderenti oppure ero io ad averli sorpresi tutti con quel cambiamento radicale?

Bho, l'ottavo mistero irrisolto.

«Allora andiamo?» mi accompagnò fuori dal portone dopo la radiografia di controllo e non potei notare la sensazione di avere gli occhi di tutti addosso.

Annuii e cercai di scacciare ogni pensiero finchè la fame non si palesò davanti a un ristorante-pizzeria e mi trasformai nella bambina più felice della terra.

Mangiammo le pizze avvolti da secondi di silenzio e da argomenti semplici di routine, cosa mi piaceva, i miei hobby, le mie canzoni preferiti, i libri, i film, tutte quelle cose che si chiedono per conoscersi, finchè venne a galla l'argomento più fastidioso.

«Quindi tu sei in classe con Lorenzo Perri?»

Quasi mi ingozzai a quella domanda ma non lo diedi a vedere, mascherando tutto con un colpo di tosse «sì, esattamente»

Lui accennò un sorriso amaro e inclinò la testa pensieroso «e com'è?»

«Oh, beh, simpatico quando vuole e gentile» ripensai a quando mi aveva aiutato con il greco quel giorno al parco e sorrisi inconsapevolmente al solo ricordo.

«Ti piace?»

Se prima mi stavo per ingozzare ora rischiavo di soffocare con la Coca-Cola che stavo bevendo come un cammello professionista: inutile dire che avrei fatto una strage e una figura colossale se avessi aperto la bocca.

Dopo qualche secondo di respiri affannati riuscii a rispondere con un basso e poco convinto «no» che mi riportò davanti agli occhi il suo sorriso, il suo sguardo allegro, i suoi capelli lunghi biondi..

«Sei ancora in tempo per darmi il benservito» ridacchiò ma i suoi occhi erano tristi.

«Oh no, cioè, lui è fidanzato» annaspai l'unica risposta che poteva fargli tornare l'allegria e il sorriso, e in parte funzionò.

«Quindi è off-limits?»

«Direi proprio di si» scrollai le spalle e la conversazione cambiò tono e si rivolse a argomenti classici, come all'inizio.

L'agitazione era passata ormai da un secolo e dopo i primi momenti di imbarazzo stavo bene, mi sentivo abbastanza a mio agio e mi ero sciolta anche nei movimenti che appena arrivati, erano rigidi come il ghiaccio.

Come prima uscita non era andata male, ma non sapevo cosa aveva pensato lui e se voleva uscire di nuovo con me oppure finirla così, senza nè vinti nè vincitori.

Dopo aver pagato il conto, cioè lui mi aveva offerto il pranzo da bravo gentiluomo nonostante le mie insistenze, mi stava accompagnando a casa.

Non potevo rischiare di farmi beccare da mia madre in questo modo così scontato così salutai Edo in una vietta laterale per non complicarmi la vita.

«Sono stata bene, grazie» mormorai imbarazzata e lo ringraziai, e il suo largo sorriso mi fece arrossire fino alle punte dei capelli, il che pensandoci in modo stupido non sarebbe stata una cattiva idea modernizzare anche la mia chioma nero carbone.

«Grazie a te, allora ci vediamo Rebby»

Tremavo perché mi stava fissando intensamente negli occhi e per un secondo il suo sguardo si era spostato sulle mie labbra, ma quando azzerò la distanza mi stampò un semplice bacio tra la guancia e l'angolo della bocca.

Sospirai più rilassata e gli sorrisi di nuovo, salutandolo con la mano da perfetta imbranata cronica quale ero.

Feci almeno dieci respiri profondi restando immobile in quella stradina e solo dopo mi incamminai elettrizzata verso casa, saltellando allegra e trotterellando in camera sotto lo sguardo perplesso di mia madre che mi seguì con un'espressione buffa stampata in viso «allora, mi vuoi dire che è successo per renderti così felice?»

«Oh niente» arrestai la mia allegria non appena i miei occhi inquadrarono il libro di greco sulla scrivania e il dizionario al suo fianco.

«Lo sai che non ti credo ma ora riconosco il tuo broncio per dover studiare» scosse la testa quasi divertita dalle mie disgrazie «ti verrò a ripescare per cena, tranquilla» sorrise sorniona e uscì dalla mia stanza, lasciandomi da sola ad affrontare il greco che mi lanciava istinti suicidi e il sorriso di Edoardo che mi faceva viaggiare sulle nuvole.

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Capitolo 10
*** Senza paracadute. ***


10

SENZA PARACADUTE






Era arrivato sabato sera senza rendermene conto e la scuola organizzava questa specie di festicciola per l'inizio dell'anno, come se fosse qualcosa di cui rallegrarsi.

Ero stata in dubbio fino alla fine, da una parte non volevo lasciare a casa da sola mia madre ma dall'altra non volevo mancare, pensieri poco discordanti insomma.

Alla fine mia mamma mi aveva obbligata a partecipare e ora ero appena arrivata con Ilaria al mio fianco che mi sorrideva e perlustrava la sala che era addobbata a festa, con varie luci ad intermittenza colorate, tavoli enormi con infinite cose da mangiare e bere e sul palco suonava una sottospecie di band vestita completamente di nero.

L'atmosfera non era male, anche se si stava creando una confusione immensa da cui però non potei non riconoscere due occhi verdi e una chioma bionda, vestito più elegantemente del solito con una camicia bianca e dei pantaloni neri, che gli rendevano fin troppa giustizia, sembrava che fosse uscito da una cerimonia in cui lui era stato lo sposo.

Gli feci un cenno con la mano e lui ricambiò sorridendo e perdendosi ad osservarmi: forse avevo azzardato troppo, il vestito mi arrivava alle cosce e aveva una profonda scollatura verticale sulla schiena ma che si notava poco in quanto sembrava fosse un taglio sull'abito, di un blu intenso e profondo.

Abbassai la testa imbarazzata e Ilaria mi prese per le spalle «obiettivo individuato» affermò tutto d'un fiato, e con un dito mi indicò Edoardo, anche lui con un completo scuro.

Era perfettamente sulla mia traiettoria ma non ero ancora pronta ad affrontarlo, nonostante mercoledì fosse andato tutto a meraviglia.

Forse era questo che mi spaventava, forse lui desiderava altro che io non sapevo se dargli o meno.

Era un bel ragazzo, ben piazzato, occhi scuri intensi, simpatico, eppure non era abbastanza.

Probabilmente erano solo mie congetture inutili e lui non pensava minimamente a queste stupidaggini da bambina.

Prima che potessi nascondermi, forse sotto il mio sguardo fisso, si voltò dalla mia parte e con grandi falcate mi raggiunse in pochi secondi, nei quali Ilaria mi aveva fatto strane raccomandazioni e infine abbandonata.

Che infame traditrice.

«Ehi» lui mi salutò dandomi una pacca sulla spalla e sorridendo felice «alla fine sei venuta»

«Eh già» annuii, sentendo l'imbarazzo calare su di noi.

«Hai fame? Ci sono tante schifezze» scrollò la testa divertito notando la mia espressione e mi accompagnò, con una pressione leggera sulla schiena, al banchetto degli dei.

Probabilmente la scuola aveva svaligiato dieci supermercati per avere tutto quel cibo ammassato sui tavoli ma meglio così, mi sarei sfamata alla perfezione e nessuno mi avrebbe fermata.

Non saprei dire quante volte avevo riempito quel povero piatto di plastica ma forse cinque non erano abbastanza, avevo mangiato quasi ogni cosa, dalle pizzette, alle focacce, ai salatini, e varie torte e dolcetti che non potevo proprio non assaggiare.

Edo, che all'inizio mi aveva guardato un po' perplesso alla fine si era arreso e aveva occupato un tavolino e ogni volta che finivo qualcosa mi riempiva di nuovo il piatto, tutto questo con un divertimento assurdo sulle labbra.

Cosa c'era di divertente nell'avere fame e voler mangiare?

Quando lui scompariva mi sentivo osservata, così a scatti giravo la testa da una parte all'altra senza trovare nessuna spia che avesse gli occhi puntati su di me che diventavo a poco a poco sempre più obesa.

Per fortuna il mio corpo negli anni si era allenato ad immagazzinare così tanto cibo spazzatura e il tempo passato a fare danza mi aveva aiutato molto a rassodare e a modellarmi, senza ingrassare più di tanto.

Me ne fregavo delle diete, ora volevo pensare solo a mangiare, più in là nel tempo forse mi sarei pentita e avrei fatto dietro font, iniziando a mangiare più sano e dicendo addio ai miei amati dolci.

«Ti piace mangiare» non era domanda ma un'affermazione sicura.

Ridacchiai e annuii «come vedi»

«Eppure sei magra»
«Già, ho questa strana fortuna»

La musica di sottofondo era cambiata, ora la band stava suonando un pezzo molto rumoroso e movimentato, tanto che la sala divenne una piazza da ballo con ballerini scatenati.

Mi fermai troppo ad osservare, non perché mi interessasse ma piuttosto perché Lore stava seguendo di malavoglia la sua fidanzata, e lui aveva gli occhi puntati fissi su di me.

«Direi proprio che ti ci vuole un po' di movimento per smaltire» Edo mi afferrò per una mano e mi trascinò in pista senza ascoltare le mie proteste urlate.

Con totale imbarazzo iniziai a muovermi, prima come un robot e poi sempre più a mio agio, stranamente, e lui fece lo stesso, scatenandosi al mio fianco con mosse improvvisate.

Sembravo una pazza ma poco mi importava, tutti si stavano divertendo a modo proprio senza farsi troppi problemi inutili.

L'atmosfera cambiò radicalmente quando la band iniziò a suonare un classico, lento e romantico, così fui costretta a mettere le mani sulle  sue spalle e lui afferrò i miei fianchi e automaticamente ci ritrovammo fin troppo vicini, oltre la distanza di sicurezza.

La cosa mi metteva addosso un infinito disagio ma guardando le altre coppiette vidi che erano nella stessa nostra posizione, se non più appiccicati, come Lore e Rapunzel, che sembrava perfino più bella del solito.

Sorrisi imbarazzata al mio partner di ballo e con movimenti calcolati giravamo intorno alla sala, seguendo in circolo gli altri.

La vergogna un po' era sfumata, a poco a poco, ma tornò prepotentemente quando Edo si avvicinò al mio orecchio per sussurrarmi qualcosa che non ascoltai, perché ero concentrata su un'altra persona che mi stava guardando con occhi quasi infuocati.

Ero già una traditrice, stavo con un ragazzo e io ne vedevo un altro, perfetto.

Annuii non sapendo quale domanda mi avesse fatto Edoardo e sentii una sua mano passare dal fianco alla schiena, proprio dove c'era l'apertura del vestito.

Sentii dei brividi freddi salirmi per la spina dorsale e chiusi gli occhi, mentre le sue dita mi accarezzavano delicatamente.

Quando li riaprii il suo viso era a un palmo dal mio e il suo sguardo era concentrato sulla mia bocca dischiusa per la sorpresa e il terrore.

«Sei bellissima stasera» mormorò e sentii il suo respiro infrangersi sul mio viso «il vestito poi, ti fa ancora più bella»

Arrossii e abbassai la testa «lo pensi anche dopo avermi visto mangiare come un bue?»

Lo sentii ridacchiare e un suo dito mi prese il mento per ritrovarmi i suoi occhi scuri fissi nei miei «soprattutto» e la distanza tra noi fu colmata da un bacio.

Un primo bacio di terrore, perché non sapevo cosa fare e cosa aspettarmi, non l'avevo mai fatto prima ed ero abbastanza sicura che gli avrei cavato qualche dente per sbaglio.

Il terrore però svanì appena metabolizzai realmente che stavo baciando qualcuno per la prima volta e che volevo godermelo a pieno, fregandomene degli sguardi degli altri ragazzi e soprattutto di Lorenzo.

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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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Capitolo 14
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Capitolo 15
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Capitolo 16
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Capitolo 17
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Capitolo 18
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Capitolo 19
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