this is Mars

di ikuccia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1- il mio nuovo soggetto ***
Capitolo 2: *** Cap 2 – un uomo come tanti. ***
Capitolo 3: *** Cap3 – si ritorna alla tana ***
Capitolo 4: *** Cap 4- i miei glyphics ***
Capitolo 5: *** Cap 5 – un breve sonno di perché . ***
Capitolo 6: *** Cap 6 – La triade ***
Capitolo 7: *** cap 7 - ti sto aspettando ***
Capitolo 8: *** cap 8- di tutto solo noi due ***
Capitolo 9: *** cap 9 - quando è amore, fa male! ***
Capitolo 10: *** Cap 10 – smalto nero. ***
Capitolo 11: *** Cap 11- questo è Marte. ***



Capitolo 1
*** Cap 1- il mio nuovo soggetto ***


Il cielo era un lenzuolo di pioggia che rendeva tutto grigio e spento. Quella mattina era particolarmente fredda, ma di quel freddo che pungeva sulla pelle e rendeva il viso rosso, e quella pioggerellina scendeva fitta come una cascata di aghi. La metropolitana era affollata, come sempre, e le storie di mille persone si incrociavano per pochi secondi ,il tempo di condividere distrattamente un viaggio e poi perdersi, inseguendo la quotidianità. Infilai le cuffiette del mio i-pod e abbassai il cappellino li lana fino a coprire totalmente le orecchie ed a pesarmi sulle ciglia; selezionai la mia band preferita, i 30 Seconds to Mars, ed infilai frettolosamente le mani in tasca prima che diventassero gelide e iniziassero a fare male. Finalmente ero arrivata alla rivista… Ogni mattina fissavo il grattacielo degli uffici e mi illuminavo dietro un sorriso soddisfatto. Per me era blasfemo chiamare quello “lavoro”… Era un sogno; il mio sogno che si realizzava…. Ogni giorno potevo godere di quell’esperienza, di quel traguardo e non mi importava degli orari assurdi e del mio capo che era un tipo cosi eccentrico da minare il mio equilibrio… Io lavoravo lì e questo mi basta. Spalancai il portone di vetro e fui presto investita dal calore di quel rumoroso ed indaffarato atrio, che sbrinava via di dosso il gelo della città. Mostrai il cartellino e sali verso il mio settore. Eccolo li il mio capo, già agitato a quest’ora e con un tazza di caffè in mano: sarà stata la prima o già eravamo alla 3 colata di caffeina della mattinata?? “Buong”… Neanche finì di pronunciare il mio saluto che quell’uomo, agitato ed impettito dentro la sua giacca grigia dal taglio sportivo, mi afferrò x un braccio e mi trascino nel suo ufficio. Posò la tazza sulla scrivania e passeggiando nervosamente, avanti ed indietro, iniziò a mormorare prima qualcosa, quasi stesse preparando un discorso o un promemoria x sé , poi si rivolse a me quasi urlando: “ voi due dovete lavorare, velocemente e bene”… Fece una lunga pausa, respirando nel vano tentativo di frenare la pulsione dei suoi nervi… “ Lui non può perdere tempo e tu devi fare un buon lavoro perché andiamo in stampa a breve”. Voi due?? Oddio ma nel caffè che c’era, ha le allucinazioni??? Era l’unica mia preoccupazione, non riuscendo a capire quella tensione che lo animava, come se il filo delle sue fibre nervose fosse tirato più del solito. Io con quel nervosismo ci dovevo convivere e non era cosa facile, soprattutto quando in quella stanza c’eravamo solo io e lui, e nessuno voi. Guardai il mio capo con faccia sconcertata e notai che sorrideva a qualcosa o qualcuno alla sua destra. Mi girai di scatto e vidi un ragazzo, nell’angolo profondo di quella stanza, che trafficava silenziosamente con le bozze della rivista. “Salve, lei è il “voi” del lavoro, bene. Piacere Cris”. Sorridevo e lo guardavo in attesa di un segno, ma nulla… L’imbarazzo si disegnava sulle mie guance ed iniziai a giocare con i miei capelli lunghi e biondi: intrecciavo le ciocche tra le dita anche se il mio cervello mi ripeteva di smetterla perché cosi avrei dimostrato poca professionalità… L’imbarazzo era troppo e quella situazione cosi surreale mi schiacciava. E’ maleducato? Non capisce la mia lingua? Non ci sente? Oddio perché non risponde?? Ma soprattutto chi è? Cercavo di stare calma ,di darmi un aria seria e matura ma quel ragazzo mi dava agitazione . Era li, vicino alla finestra che faceva girare quei fogli tra le sue mani e non si degnava neanche di rispondere al saluto. “Eccoti qui, Cristyn Rent…molto bello questo scatto…splendida luce…sei brava ” disse alzando un foglio all’altezza degli occhi. “ Si, molto brava…bene, vediamo che saprai fare con me”. Lo guardavo stranita. A quale scatto si riferiva?? E chi cavolo era?? Non riuscivo a riconoscerlo nascosto dietro a quegli occhialoni scuri troppo grandi x il suo viso e con quel cappuccio felpato in testa che gli nascondeva il resto era impossibile capirne l’identità… Però quella voce, quelle mani….Io le conoscevo quelle mani ,le avevo già viste. “Sai la tu voce mi ricorda quella di un cantante, non so se lo conosci, Jared Leto dei 30 Seconds to Mars…hai anche le stesse mani; oddio le sue mani le ho viste solo in foto ma sono uguali” gli dissi continuando a fissargliele. Stranamente il mio imbarazzo era scomparso, spazzato via dalla sensazione di conoscere quello strano individuo. “Wow! Nessuno mai mi aveva riconosciuto dalle mani, mi lusinga questa cosa e mi stranisce. Hai un buon occhio” rispose abbassandosi il cappuccio e sfilandosi lentamente gli occhiali quasi a volermi premiare per aver indovinato la sua identità. I suoi occhi cosi azzurri, cosi irreali…mi si fermò il respiro…non potevo crederci …era Jared Leto! Lì, di fronte a me… e mi parlava. I suoi occhi… sembrava quasi che potessero leggere ogni mio pensiero, che potessero vedere ogni mia molecola. Era paura quella che provavo o gioia??’ “Bene hai qualche idea x il servizio? Mi affido a te e, non so se ti sono arrivate voci su di me, ma non ho intenzione di mettermi a dirigere questa volta, lo prometto, anche se… Vabbè ho promesso ad Emma che non combinavo casini” mi disse fissandomi ancora x un po’ prima di tornare a giocare con le bozze. “Ok…caffè?” domandai stupidamente, ma a lui sembrava piacere il mio invito visto che mi sorrise e fece un cenno positivo con la testa. Mentre ci recavamo in sala relax mi chiesi a dove cavolo era finita la “terribile “ Emma, cercando di individuarla nei corridoi. Il mio cervello non riuscì a fermare in tempo le mie labbra che subito formularono la domanda. Dannata impulsività!!! “Emma?? È a Los Angeles, non si sentiva bene allora ho pensato di venire da solo tanto era tutto organizzato, potevo farcela” mi rispose come se la domanda non lo avesse infastidito . Lo guardai attentamente porgendogli la tazza fumante: non era come lo descrivevano; non era la diva che voleva far credere durante le interviste; non sembrava neanche quello che avevo visto qualche anno prima su un palco. Era un ragazzo esile, bellissimo, con degli occhi profondi. Sembrava pensieroso, o forse triste. Non era compito mio penetrare nei suoi pensieri, io dovevo catturare solo la sua immagine. “Allora io avevo pensato di fotografare la tua versione quotidiana, niente pose da diva, o costruite…avevo pensato…” feci una pausa fissandolo negli occhi x vedere cosa ne pensasse, per carpire un segnale di gradimento o di rifiuto per quell’idea improvviata, per entrare in contatto con lui visto che, stranamente da come compariva in alcune interviste che circolavano in rete, quella mattina non era tanto eloquente. Mi fissava attento; guardava le mie mani che si muovevano nell’aria quasi a voler dare materia alle mie parole, poi spostò l’attenzione sui miei occhi: ”di che colore sono?” “Scusa non capisco, di che colore cosa ?”gli chiesi stranita e cercando di guardarmi in giro per indovinare quale fosse stato l’oggetto del suo interesse. “I tuoi occhi, non riesco a capire.Ma sono viola??”mi chiese inclinando la testa leggermente a sinistra quasi volesse esserne sicuro. “Si ! Cioè no! Sono lentine colorate” risposi con un tono da bimba. “Perché nascondi i tuoi occhi? E i tuoi capelli sono biondo naturale no li tingi ?” domandò ancora, interrompendosi x sorseggiare un po’ di caffè. Lo fissai x qualche secondo. Non sapevo se rispondere; a dire il vero non capivo neanche la domanda. Inizia nervosamente ad arricciare una ciocca di capelli tra le dita mentre lui mi fissava in attesa di una risposta; spostando, ora, la sua attenzione su quella ciocca torturata da quel tic nervoso. “Si ,i capelli sono naturali, e metto le lentine perché mi va… non c’è un motivo serio, uso il viola perché non è un colore consueto x gli occhi umani” gli risposi con tono convinto. Volevo convincere lui o dovevo convincere me???. Ero scocciata perché io parlavo di lavoro e lui mi chiedeva cose frivole e senza alcun collegamento con quello che dovevamo fare. “Hai gli occhi di un gatto, forse anche lo spirito perciò sei cosi” disse Jared fissandomi con quei suoi occhioni spalancati al punto tale da sentirmi venire meno il respiro. Quegli occhi ti penetravano dentro e non sapevi come fermarli. Quel blu era impossibile da evitare. Perché quella domanda? Perché quell’osservazione. A cosa stava pensando??? “Scusa ma io con te ci devo lavorare, mica fare conversazione a pranzo” puntualizzai arrabbiata e girandomi per evitare quello sguardo che aveva un cosi strano effetto su di me. “Ok, allora vieni a pranzo fuori con me” e non sembrava una proposta ma dal tono poteva essere quasi un ordine. Mi girai nuovamente verso lui e con un sorriso da furbetta aggiunsi: “ oh no Leto! Ho visto abbastanza video su di te e conosco molte di quelle che ti hanno intervistato… Io non ci casco….SCORDATELO!” “Non vorrai mica far irritare Jared Leto? Poi che racconti al tuo capo se non vai in stampa??” “Mi stai minacciando? Ma sei proprio uno stronzo!” “Grazie! Molti lo pensano ma pochissimi hanno avuto le palle di dirmelo in faccia. Hai coraggio gattina!” mi rispose ridendo. Ero nervosa, arrabbiata, stringevo i pugni e pensavo: se lo fai incazzare è la fine; sopportalo, è sempre una ‘diva’. “Senti io devo lavorare, quindi inizio a scattare da ora, non posso perdere tempo, lo hai sentito il capo” gli brorbottai mentre preparavo la mia fedele macchina fotografica. Mi fissava con aria confusa, forse nessuno era mai stato cosi duro con lui, ma io ero cosi: vomitavo via tutte le sensazioni e i pensieri che mi animavano e non facevo cerimonie con nessuno. Gli scattai una foto di sorpresa, mentre lui era ancora intento a guardarmi. La luce del flash lo riportò alla realtà e subito mi fece notare che non era pronto. “Meglio cosi, odio le espressioni false” gli risposi. “Bene ,allora cosa devo fare?” chiese quasi scocciato che non gli lasciavo spazio x decidere come posare e come recitare la sua parte. “Metti la giacca e copriti bene che fuori si gela…andiamo al parco” gli comandai sorridendo orgogliosa e con aria trionfante perché avevo appena avuto l’illuminazione x il servizio. Volevo mostrare al mondo un Jared Leto autentico: non il divo, non la maschera che tutti si aspettano ma l’uomo che ogni giorno si sveglia e fa una vita normale. Una vita normalmente artistica ed incredibile. Mentre il mio modello diligentemente adempieva al mio comando, con attenzione preparai la mia Canon ; indossai il mio cappottino nero, infilando in tasca qualche memorycards di scorta e calzai il mio cappellino di calda lana fuxia, in perfetto coordinato con le mie converse: ero pronta per affrontare il freddo della città. Ma ero ugualmente pronta per affrontare Jared Leto e gestire il lavoro con lui??? “Che carina che sei cosi. Ma quanto anni hai? 16? Ma puoi lavorare in questo posto? Non dovresti essere a scuola ora?” mi chiese con un tono quasi preoccupato. “ Ma che 16 anni! Ma come cavolo ti viene? Ma sei scemo o cosa? Ne ho 24 di anni. non le sai riconoscere le donne quando le vedi? O forse le riconosci solo se svestite e troie?” sbraitai agitandomi tutta nell’intimità della mia postazione; ma appena la rabbia sbolli , portai di scatto le mani alla bocca, sgranando gli occhi, e con mezza voce gli chiesi scusa. Sentivo il fuoco sulle guance e la terra tremare sotto alle mie converse .Volevo morire! Io, un echelon, che urlava come una pazza contro il suo Dio? Ero diventata pazza e non me ne ero accorta!!! Questo è l’effetto che fa Marte quando entri nella sua orbita? “Scusami… oddio…Voglio morire… Mi dispiace da morire”. Sentivo i miei occhi riempirsi di lacrime e iniziai a tremare tutta. Che cavolo mi era preso? Non era la prima volta che qualcuno mi dava 16 anni ma detto da lui faceva un brutto effetto: sembrava come se mi stesse dando della bambina; come se non fossi abbastanza donna per lui o, peggio, come se non fossi abbastanza professionale per prendermi cura della sua immagine. “Ei, ei, su non fare cosi, mi dispiace gattina. Anke a me non indovinano mai l’età, ma non è un male” mi disse Jared asciugandomi un lacrimone che scorreva sul mio viso. “Grazie che ti fa piacere, sei vecchio, hai 40 anni!!” risposi riprendendomi subito da quell’attacco di ira e pianto. “Non sono vecchio… e ne ho ancora 37…Sono un uomo…Come tu sei una donna…Siamo due vampiri che restano sempre giovani” puntualizzò sorridendomi dolcemente. “Dai fotografa…Hai detto parco?ok andiamo! Fammi strada…Comunque non ti preoccupare, io esaspero le persone, quindi non fa nulla se mi urli contro”.

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Capitolo 2
*** Cap 2 – un uomo come tanti. ***


Per tutto il tragitto in metro ripensai alle sue parole che mi giravano in testa senza fine. Mi accorsi giusto in tempo che quella era la nostra fermata e lo afferrai al volo x una mano trascinandolo fuori dal vagone. Potevamo prendere l’autista della rivista ma io non avevo intenzione di attirare curiosi sull’oggetto del mio lavoro e Jared sembrava desideroso di passare inosservato, di essere un “normale” per una volta. L’aria era gelida, violenta si scagliava contro la pelle nuda del volto. Il cielo grigio dava ancora più spazio al rossore delle foglie di fine autunno ed il parco era deserto, quasi la gente avesse avuto paura di sfidare quel tempo. Jared era sollevato da quel deserto di anime e si sfilo gli occhiali consapevole che nessuno lo avrebbe riconosciuto e tantomeno fermato. New York era sempre stata una città abituata alle celebrità, tanto che la gente non ci faceva caso alla loro presenza, ma quello era un periodo particolare per i 30 Seconds To Mars: avevano annunciato l’uscita del nuovo album, dopo 4 anni di pausa e l’addio di Matt, ed avevano programmato un tour che avrebbe superato tutti i record. Erano sotto i riflettori e quella luce pareva non spegnersi mai. Mi stringevo nel cappotto mentre passeggiavo a passo svelto vincendo quel vento gelido che spazzava i vialetti alberati. La pioggia ci aveva rinunciato a bagnare questa città, abbandonando questo cielo asciutto ma che aveva ancora i segni del suo pianto. Jared mi seguiva stringendosi nelle spalle per il troppo freddo. Lo guardai e mi sentì subito in colpa: mi accorsi che tremava ,ma neanche un lamento o una battuta acida per criticare quella mia infelice scelta. Era li, in silenzio, che mi seguiva per assecondare la mai idea. Mi fermai ad un chioschetto e presi una cioccolata calda d’asporto. Presto mi affiancai a lui porgendogli il bicchiere piacevolmente caldo che afferrò con la mano destra. Gli presi la sua sinistra e glie la avvicinai al bicchiere di cartone; “cosi ti riscaldi un pochino… Mi dispiace che assecondi questa mia idea assurda, ma il risultato ti piacerà. io già lo posso vedere nella mia mente”. Mi sorrise e strinse il bicchiere chiedendomi cm mai io non avessi il mio; gli risposi semplicemente che non ne avevo bisogno e sorrisi. Io ero nata con il freddo e quel clima cosi newyorkese mi piaceva. Sorseggiò la bevanda calda con un gesto cosi rilassato ,quasi avesse lasciato scivolare via il suo nome e quello che rappresentava. Era cosi normale, naturale. Afferrai la Canon e scattai a ripetizione. Quella era l’immagine che volevo catturare: Jared Leto senza matita nera, con i capelli leggermente spettinati dal vento, mentre sorseggia una cioccolata perso nel fiammeggiare del parco autunnale. “Prendi è x te” disse Jared mentre mi allungava il bicchiere “ lo dividiamo, mi sembra giusto cosi” aggiunse sorridendo. Afferrai il contenitore ancora piacevolmente caldo e lo ringrazia con un sorriso. Continuammo il nostro giro –servizio fotografico nel parco. Volevo che tutto doveva essere spontaneo. luce naturale ,espressioni quotidiane. Il giorno dopo ci sarebbe stato il classico servizio da studio, ma questo doveva essere puro, e sembrava che Jared lo avesse capito. I lunghi viali di mattoni che si allungavano come vene in quella macchia di natura che fuoriusciva dal cemento della città erano cosi diversi dal solito: sembrava che quel freddo gelido avesse voluto allontanare tutti per permettere a quel ragazzo di passare inosservato. Jared passeggiava davanti a me ed osservava tutto con molta attenzione. Ogni tanto si arrestava, e io dovevo fermarmi di colpo per non cadergli addosso; afferrava il suo Blackberry e scattava qualche foto. “ Se vuoi puoi usare la mia macchina, basta chiedermelo” gli dissi sorridendo; “oggi sono solo i primi scatti, per vedere meglio le linee, quindi se vuoi divertirti non è un problema”. Si girò a guardarmi sorridente, infilando il suo cellulare in tasca. “Ok passamela”. Glie la porsi con piacere e approfittai delle mani libere per tirare via la mia chioma dal collo del cappotto. Non mi ero resa conto che mi aveva scelto come soggetto per uno scatto, sentì solo il rumore dell’otturatore. “Ma che fai??? Non sono io il soggetto” gli dissi mentre sentivo il fuoco divampare sulle mie guance. “Perché no, scusa. Tutto merita di essere fotografato e poi, finalmente, ti stai rilassando.Non volevo perdermi questo momento” mi disse con voce lieve. Era vero: finalmente mi stavo abituando alla sua presenza. Come fa un uomo cosi esile ad occupare tanto spazio, a soffocare tutto ed imporsi in ogni modo. Non cercava di farsi notare però ci riusciva. Si era imposto senza fare nulla. “Forse è meglio che entriamo in qualche caffè, non vorrei che la tua voce ne risentisse di questo freddo. Seguimi, conosco un posto carino qui vicino” gli dissi preoccupata da quel tono lieve e sussurrato che aveva usato. In quelle attenzioni usciva fuori la echelon che era in me e che cercavo di nascondere per non far sentire il mio “cliente” a disagio o sotto pressione. Non mi interessava il Leto cantante e attore, quello lo lasciavo alle altre copertine; io cercavo la persona. Uscimmo dal parco e attraversammo la strada per entrare nel mio caffè preferito. Ci passavo il mio tempo libero in quel posto e ne godevo, felice, della tranquillità che emanava quel bancone di legno massiccio, cosi scuro e forte che raccontava tutti gli anni, le ombre e le luci di quella metropoli. Salutai calorosamente il barman e mi recai al mio solito tavolino nel fondo del locale, vicino alla parete dove c’erano incorniciati vecchi articoli ingialliti e foto ingrigite dalla polvere del tempo. “Mi piace questo posto ,è carino. Mi sembra di respirare…” “Aria di casa” lo interruppi. “Già, sto bene qui. Sembra di stare fuori dal mondo, come lo hai scoperto? Io ci sto da una vita a New York ma non lo avevo mai visto” mi chiese mentre si sfilava quel suo borchiato e pesante giubbo di pelle da perfetto rocker. “Per caso. Era un giorno freddo come questo e volevo starmene per conto mio ed il parco, come oggi, era proibitivo. Sto bene qui. Allora prendiamo qualcosa di caldo??da mangiare cosa ti piace??” gli chiesi sorridendo porgendogli il menu. Era cosi normale; faceva quasi tenerezza mentre leggeva il menu decidendo cosa ordinare. Ad un certo punto alzò quegli occhioni azzurri e sorridendo maliziosamente mi disse con un tono trionfale: “Vedi, alla fine sei venuta a pranzo con me”.

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Capitolo 3
*** Cap3 – si ritorna alla tana ***


La luce dei lampioni si faceva strada in un cielo che ormai si stava spegnendo, piano piano, cedendo alla notte . Nonostante le insegne luminose dei locali si imponevano come fari nella notte per guidare la voglia di divertimento di questa città, qualche stella ancora si accendeva per ricordarci che eravamo piccoli dinnanzi all’immensità del cielo. Io e Jared passeggiavamo come se fossimo stati amici di lunga data. Lui restava nascosto dietro a quelle lenti scure che erano cosi fuori luogo all’imbrunire, ma capivo il desiderio di normalità, di non essere scoperto, di avere un giorno solo per lui… “Perché ti nascondi??? Eppure ami gli echelon” gli chiesi con aria interrogativa. Ricordavo tutte le sue apparizioni, i suoi ringraziamenti a noi echelon… e poi quegli occhiali. Forse non volevo neanche udirla quella risposta; mi spaventava sapere .Eravamo la sua famiglia? Od eravamo solo fan? Per lui eravamo veramente importanti ? Che stava succedendo allo Jared Leto che conoscevo? “Che carina ti sei documentata e non li hai chiamati fans . Grazie, lo apprezzo molto” mi disse guardandomi e sorridendo. Già mi ero documentata… Come potevo dirgli che ero un echelon e non perdere quella atmosfera di normalità? Per fortuna il mio tatuaggio era ben nascosto dal maglioncino. Sapevo che se rivelavo quello che ero tutto sarebbe cambiato. Lui voleva essere solo Jared Leto e non ero certo io ad impedirglielo. Poi come potevo dirglielo solo ora? Era come se lo avessi mentito e lui, nel nostro pomeriggio al caffè, si stava aprendo e mi aveva spiegato i suoi timori e le aspettative di questo nuovo progetto iniziato con Tomo e Shannon; mi aveva spiegato quegli occhiali e la voglia di scappare dai riflettori che sembravano accecarlo dopo anni di ritiro creativo. La star che era in lui faceva fatica ad uscire alla ribalta e lui ne soffriva; c’era qualcosa che lo frenava, che non gli permetteva di essere sé stesso. Aveva bisogno di tempo per digerire una grande sconfitta che aveva caratterizzato la creazione di questo album. Quante cose si possono dire davanti ad un caffè caldo, in un bar di New York. “Non mi hai risposto. Se non vuoi farlo capisco, non devono essere fatti miei” gli dissi abbassando lo sguardo e seguendo le punte delle mie scarpe che calpestavano il marciapiede. “Io lo so di essere bello e famoso e ringrazio Dio ogni giorno perché mi permette di realizzare i miei sogni ,di esprimere la mia arte…arte che piace ma…ma a volte vorrei ricordarmi chi sono…ho bisogno di concentrarmi su me stesso x poter dare al mondo i miei pensieri, il mio essere….per questo, quando creo una nuova canzone, preferisco scomparire….io amo gli echelon ! E’ grazie a loro che io sono qui… sono la mia famiglia, ma…ma a volte devi metabolizzare il dolore, l’abbandono, devi convivere con la solitudine”. Pronunciava quelle parole lentamente, scandiva ogni singola parola e si prendeva lunghe pause occupate da respiri profondi, quasi stesse cercando in sé le parole. Era un momento strano. Mi sentivo in colpa per aver preteso quella risposta e triste, perché , da echelon, volevo lui ,la sua musica ,la sua arte, ma da ragazza mi rendevo conto che aveva bisogno di ritrovare se stesso… All’improvviso, la mia mente fu squarciata dal flash del suo sguardo di quella mattina che mi aveva trasmesso una tristezza repressa. Le sue parole mi giravano in testa: devi convivere con la solitudine…dolore…abbandono…solitudine…abbandono…dolore…dolore…abbandono… La testa mi girava forte; il respiro diventava pesante, schiacciato da quella colpa che non era mia ma che sentivo tale. Mi fermai improvvisamente e portai le mani alla testa. Avevo gli occhi chiusi ma lo vidi avvicinarsi dal rumore dei suoi passi; sentii le sue mani poggiarsi sulle mie e chiedermi preoccupato se stessi bene. Non rispondevo…Non riuscivo a rispondere…Non sapevo cosa rispondere…Non potevo spiegargli quella sensazione…Non la capivo neanche io. Mi chiese ancora una volta come mi sentissi. Il suo tono era diventato vibrante, quasi preoccupato. Finalmente riuscii a rispondere: “si sto bene, mi scoppiava la testa ;forse ho preso troppo freddo”. Non era il freddo il problema. Volevo capire cosa lo aveva trasformato cosi, perché non scherzava? Perché non divineggiava ? Eppure glie lo avevo chiesto io di essere sé stesso….e mi stava regalando il vero Jared Leto. Mentre i miei pensieri mi tormentavano mi sentii le sue mani che afferrarono la mia testa e premevano forte sulla fronte e sulla nuca. Cercai di allontanarmi da quella strana presa e lui mi tranquillizzo dicendomi che cosi mi riscaldava la testa ed il dolore sarebbe passato subito. Fu cosi: i pensieri si fermarono e mi spogliai di quel pesante tormento. “Ma cosa sei, uno shamano ?” gli chiesi accennando un sorriso x rassicurarlo. “no, anche se ho un cappello di piume da perfetto capo indiano”. Lo guardai con aria stranita e subito mi vennero in mente gli scatti di Terry, che giravano in rete, e scoppiai a ridere divertita e stranamente rilassata. “ Wow, allora sai ridere anche tu…Mi stavo scocciando di vederti sempre cosi seria e misurata…Sembra che mi vuoi nascondere qualcosa…Comunque gattina, devi tornare a casa perché la tua testa ha bisogno di calore”. Alzò un braccio e fermò un taxi di passaggio, facendomi cenno di salire. “Vai tu, io sono arrivata”. Ruppi quel suo sguardo interrogatorio indicandogli il portone che distava pochi metri da noi: “Casa mia… La finestra con i fiori rossi”. “Ok, allora corri, non prendere altro freddo, e chiuditi bene dentro che è pericoloso questo mondo” mi disse sorridendo e facendomi un cenno di saluto con la mano” ci vediamo domani gattina”. “La vuoi smettere di chiamarmi cosi?” gli urlai mentre la macchina gialla si allontanava x quella fredda strada lasciando una nuvola di bianco fumo.

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Capitolo 4
*** Cap 4- i miei glyphics ***


Il mio appartamento era cosi caldo, piacevolmente caldo. Vi feci ritorno con immenso piacere anche perché, varcata la porta, tutti i turbamenti ,che quell’uomo mi aveva suscitato, si spensero. Ero nel mio piccolo cosmo, nel mio angolo di Marte. Posai le chiavi sul tavolinetto all’ingresso e salutai il mio gatto, Marte, nome dedicato chissà a chi. Collegai il mio i-pod alle casse e start… the kill …cantavo a squarciagola sotto la bollente acqua della doccia che lavava via quella lunga giornata. Ora che avevo conosciuto quel lato del cantante anche le sue canzoni sembravano diverse: dietro ogni frase c’era nascosto un profondo che non potevi comprendere senza aver incontrato quello sguardo; non erano canzoni ma racconti di sé, di un turbamento e della voglia di reagire. Cosa cavolo significavano quelle parole? Quale abbandono? Quale solitudine? Basta!!! Ora dovevo solo rilassarmi… Spensi la musica ed accesi la tv: non c’è migliore anestetico, quando non si vuole pensare, di un bel film. La mia scelta cadde su una vecchia pellicola in bianco e nero: storie di altri tempi dove tutto sembrava più semplice. Sprofondai sul mio divano, consumando la mia cena last minute. “però sono proprio una cuoca provetta: pasta al formaggio… freezer, microonde , un tasto e via” commentavo mentre ridacchiavo del mio talento culinario. Il mio gattone grigio venne ad accoccolarsi accanto a me ed iniziò a fare le fusa. Ora esistevo solo io ed il mio mondo… Il citofono iniziò a suonare svegliandomi . ” Cosa?? Ma che ore sono?” L’orologio indicava le 2 ed il film era terminato già da parecchio ma io non me ne ero accorta. Il citofonò suonò ancora… Mi alzai e mi recai alla finestra che affacciava sul portone…Non poteva essere, stavo sognando o cosa? Ancora il citofono, questa volta il suono era prolungato. Corsi a rispondere. “Si??” “Posso salire?” mi chiese una voce maschile che stentavo a riconoscere, complice anche il brusco risveglio. “Ma chi sei??” “ Sono io, Jared, dai qui fa freddo e se non te ne sei accorta, diluvia”. Aprì il portone anche se non ero tanto convinta di quel mio gesto: stavo facendo entrare un estraneo nella mia casa. Vabbè c’era Marte con me; lo guardai per rassicurarmi nella speranza che lui mi avesse capito. Lo sentì arrivare ed apri la porta; me lo trovai davanti, zuppo con i capelli appiccicati sulla fronte e tremante. “Entra pazzo!”. “Carina casa tua… accomodante… me la mostri?” mi chiese mentre il suo corpo godeva del calore di quell’ambiente. ” Mostrartela? Ok?! Questo è il soggiorno; qui c’è l’angolo cottura; questo qui e il mio pc; quello è inutile che te lo dica è il mio letto e qui c’è il bagno con la cabina armadio…Tutto in una stanza cosi non mi posso perdere. E lui è Marte, il mio amore paffutello e pelosone” aggiunsi indicando il mio gattone che, sdraiato sullo schienale del divano, fissava quel ragazzo con aria incuriosita, rizzando le sue orecchie a punta. “Ok, formalismi a parte, cosa ci fai qui??” gli chiesi seguendolo con lo sguardo mentre si avvicinava a Marte per fare conoscenza e dispensare qualche carezza che fu ben gradita. “lo sai che sei molto carina con i capelli portati su, e adoro i tuoi calzini”. In quel momento mi resi conto che ero impresentabile: avevo i capelli raccolti in una specie di coda molto lenta, ed alcune ciocche che erano scese; indossavo una canotta bianca e dei pantaloncini rosa ed ai piedi portavo lunghi calzini a righe colorate. Diventai rossa . Cercai di vincere l’imbarazzo correndo in bagno a prendere delle asciugamani che porsi a Jared per farlo liberare dalla pioggia. “Ti ringrazio, fuori diluvia. Ci hai messo molto ad aprirmi”. “scusami, ma sai, a quest’ora non sono solita ricevere gente a casa. Ma che cavolo ci fai qui?? Non dovresti stare in dolce compagnia in qualche locale o in albergo?” gli chiesi un po’ irritata, guardandolo mentre si asciugava i capelli strofinandoli con il telo e portandoli tutti indietro. “Dammi la felpa e la giacca, li metto vicino al termosifone per farli asciugare. Thè va bene??” “Perfetto, grazie” rispose educatamente ponendomi gli indumenti zuppi. “Scusa, accomodati…Stavo vedendo un film prima di addormentarmi…Ma cosa ci fai qui??” dissi mettendo l’acqua sul fuoco . “Me lo hai già chiesto” “ Cosa?” “Cosa ci facessi qui… non riuscivo a dormire…non avevo il tuo numero e la rivista era chiusa per rintracciarlo…mio fratello non rispondeva…avevo bisogno di parlare con qualcuno” Gli porsi la tazza fumante e gli chiesi, come se fosse la cosa più semplice da chiedere ad una persona che conosci si e no dalla mattina: “Cosa ti turba?” “Come hai…bene…c’è una canzone nell’album, si chiama alibi…dice che sono caduto ma mi sono rialzato…solo che io sono ancora a terra….mi sento in gabbia…con l’etichetta le cose non vanno alla grande e….e… e da uomo mi sento solo” si interruppe per prendere un respiro profondo e fissando il liquido dorato nella tazza, aggiunse: “sai, a volte invidio Tomo che ha la sua fidanzata storica…e mio fratello che ne ha tante di fidanzate perché lui ama tante donne, ma solo per una notte o massimo per una settimana…e io…io chi sono? un amante o un fidanzato? Io chi sono? Cosa devo essere? Tu cosa vuoi che io sia?” Mi guardava dritto in faccia ,quasi volesse pretendere da me la risposta. Lo fissavo immobile e lui fissava me. I suoi occhi ora erano color ghiaccio e si incontravano e sfidavano i miei nocciola. Jared si avvicinava piano piano al mio viso, lentamente. Io ero lì, immobile, con il cuore che ora perdeva un battito ed ora voleva scappare dal mio petto. Era cosi vicino da sentire il suo respiro sulla pelle, trattenni il mio, a lungo, e cercavo di resistere a quei brividi che mi stavano scuotendo l’anima. Cosa mi stava succedendo? Jared era sempre più vicino al mio volto, potevamo quasi sfiorarci. “Nocciola…sono bellissimi i tuoi occhi…hanno un fuoco che rapisce…non nasconderli mai più dietro a quelle lentine viola…non devi mai sacrificare una cosa cosi bella e che mostra chi veramente sei, promettimelo!!” “Te lo prometto!” Stavo promettendo a Jared Leto di non camuffare mai più i miei occhi. Perché glie lo promettevo? Perché quello sguardo aveva un cosi strano effetto su di me… e chissà su quante altre persone? All’improvviso sgranò gli occhi: “sono i glyphics quelli ? fammi vedere” mi ordinò mentre mi abbassava la spallina della canottiera e mi spingeva a sé per osservare bene il tatuaggio che avevo sull’incavo della spalla, mentre con un dito vi passava sopra quasi a cercare una spiegazione. “mi dispiace” riusi solo a pronunciare abbassando lo sguardo. Sapevo di averlo deluso; di avergli nascosto qualcosa di importante e che questo avrebbe cambiato tutto: Jared si sarebbe richiuso a riccio, non sarei più riuscita a mostrare il suo essere, spogliandolo dell’immagine dell’artista. Si era aperto con me, mi aveva raccontato di sé e io gli avevo mentito nascondendogli una cosa cosi importante x noi due. Jared mi sistemò la spallina e mi guardava fisso. Non riuscivo più a reggere quello sguardo. Per me era difficile primeggiare in quel gioco di occhi, ma adesso era peggio: mi sentivo sporca, bugiarda e questo mi faceva male. “Ei piccola Cris, non importa, io capisco perché lo hai fatto e lo apprezzo tanto…ora so che tutto quello che ti ho raccontato tu lo hai ascoltato con il cuore e mi hai capito…stiamo sullo stesso pianeta…mi dispiace, non dovevo violare il tuo tatuaggio, mi puoi perdonare?” Mi stava chiedendo scusa? Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Forse era quello essere a contatto con un marziano: capirsi senza parlare…Respirare la stessa aria aliena…Lo abbracciai forte e a lungo. Non so se lui riusciva a capire quel mio gesto ,ma ricambiò.

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Capitolo 5
*** Cap 5 – un breve sonno di perché . ***


Jared si era addormentato sul divano, con il mio gattone accucciato sul suo petto e che faceva le fusa. Presi la coperta di lana che avevo piegata al bordo del letto e lo copri facendo attenzione a non svegliarlo. La tentazione di prendere la mia macchina fotografia ed immortalarlo era troppa ma non volevo violare quel suo riposo. Presi il mio portatile e mi sedetti al centro del letto a visionare gli scatti della giornata: guardavo le linee del suo viso, quegli sguardi, quei sorrisi e le smorfie che faceva. Chi sei Jared Leto? Cosa c’è dentro il tuo universo? Alzai lo sguardo e lui era lì, davanti a me che dormiva beato sul mio divano rosso, in questo buco 4x4 che io chiamavo casa. Aveva scelto quel divano invece di un lussuoso king size di qualche albergo da star. Tutto quello che credevo di conoscere di quell’artista veniva messo in discussione dalla sua naturalezza, dalla sua spontaneità. chi sei Mr Leto? Pensavo alle risposte assurde che dava ai giornalisti in risposta ai loro interrogativi per comprendere la sua vita; alle frasi pronunciate che diventavano preghiere da condividere per noi belivers, i suoi echelon. Chi era Jared Leto? Quanto di quello che raccontava di sé era vero, e quanto solo un gioco per alzare un polverone di dubbio e mistero da gettare negli occhi dei curiosi? Il sonno mi stava vincendo. Prima di abbandonarmi a Morfeo, diedi un ultimo sguardo a quel bellissimo ragazzo che era disteso sul mio divano e che mormorava chissà cosa tirando a sé la coperta.

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Capitolo 6
*** Cap 6 – La triade ***


La sveglia iniziò a suonare ed il sole inondava il mio appartamento annunciando un nuovo giorno. C’era la musica e odore di caffè. Respiravo la stessa atmosfera del natale, quando tornavo a casa dai miei, in un paesino poco lontano dalla Grande Mela. Una voce mi chiamò: “Chris è mattina, su pigrona” Quella voce mi chiamo altre due vote. “Si ,mamma, ora vengo”. ”mamma? mi hai chiamato mamma?” Jared si avvicinò al mio letto porgendomi una tazza di caffè fumante e ridendo divertito per quella mia risposta. “latte, io nel caffè ci metto il latte” dissi strofinandomi gli occhi .”Ok…Scusa, ho usufruito delle tue asciugamani” mi disse allontanandosi per prendermi il latte. Non capivo, ma poi guardai quell’uomo avvicinarsi al frigorifero e mi accorsi che era coperto solo di un telo avvolto intorno alla vita. Diventai rossa e corsi in bagno imbarazzatissima, sbattendo forte la porta. Apri il rubinetto e lanciai dell’acqua fredda sul mio viso. Mi guardavo fissa nello specchio mentre le gocce scendevano sulla mia pelle e sui miei capelli spettinati. Cosa era successo la notte prima? Lui era venuto da me, in piena notte, e si era addormentato sul mio divano…E questa mattina cosa mi ero perso??Jared si spostava nel mio appartamento come se lo conoscesse alla perfezione, come se tutto fosse normale, mi aveva portato la colazione a letto. Cosa mi ero persa? Mi mancava un pezzo, non riuscivo a capire quel risveglio così assurdo. Sentì bussare alla porta. “oi, mi sono rivestito, piccola Cris, puoi uscire”. Spalancai la porta con aria da spavalda; volevo nascondere quell’imbarazzo e mostrarmi sfacciata. Inutile dire che quel mio tentativo di fare la donna di mondo fu infranto dal mio urlo di dolore per aver sbattuto il piede contro il tavolino del salotto. Jared scoppio nuovamente a ridere, indicandomi con un dito. Quella scena tragicomica fu interrotta dallo squillo di un cellulare: “Brò, ci vediamo alla rivista, portami una maglia di ricambio ,poi ti racconto …”. “Era tuo fratello??ma viene anche lui al servizio?” chiesi mentre muovevo in aria il mio piede ancora dolorante. “si , sarà dei nostri. A nostra disposizione quindi, se vuoi, hai due Leto al prezzo di uno” mi disse mentre indossava le scarpe. Corsi nuovamente in bagno a preparami…Il tempo è tiranno e io sono donna: geneticamente predisposta a perdere tempo davanti ad uno specchio Dopo un ‘oretta eravamo già in una sterile stanza dove si sarebbe svolto il nostro servizio fotografico. Mentre tiravo su i capelli per poter iniziare a lavorare ,senza quelle fastidiose ciocche che mi coprivano la visuale, Shannon fece il suo ingresso fragoroso. In quell’istante capì perché lo avevano ribattezzato shanimal: era possente ,muscoloso e grossolano in ogni movimento che faceva, come se il rumore facesse parte di lui. “Cris vieni qui” mi ordinò Jared mentre indossava la maglia che gli aveva portato il fratello. Rimasi di spalle e gli risposi che non ero la sua bambolina. Non so che faccia fece Jared a seguito della mia risposta, ma Shannon scoppiò a ridere e aggiunse: “Però la ragazzina ti sa tener testa…chissà questa notte che avete combinato voi due, visto che mi hai lasciato solo”. Mi girai di scatto, infastidita da quelle battutine tra fratelli. Posai la mia macchina a terra e mi avvicinai a quei due. Respirai forte e strinsi i pugni, scandendo bene le parole e cercando di mantenere un tono molto basso perché non eravamo soli : “ allora sentimi bene, tuo fratello è venuto da me, in piena notte, perché è pazzo e tu non c’eri… no, non abbiamo fatto sesso e mai lo faremo… io devo solo lavorarci con lui….e poi sai ,tuo fratello è molto più di semplice sesso, può offrire altro.” Shannon mi guardò fissa, sgranando gli occhi come se mai nessuna ragazza gli avesse parlato cosi, è forse era vero: nessuno parlava cosi ai Leto; nessuno negava il loro sesso, anzi molte lo inventavano per attimi di notorietà…ma era diverso, il nostro rapporto era solo professionale e Jared aveva scelto me confidarsi; aveva affidato il suo io più profondo ad un estranea quasi mosso dal desiderio e dalla necessità di vomitarlo fuori…e quell’estranea ero io. Girai le spalle alle due star e tornai a giocare con le luci. C’era molto da fare, da organizzare, e sapevo che il loro tempo non poteva essere sprecato; il mio capo me lo ricordava guardandomi severamente e picchiettando con un dito sul quadrante dell’orologio che aveva al polso. Il servizio procedeva bene, quei due erano un ottimo soggetto perché ben istruiti ed abituati a stare sotto gli obiettivi. Era giunta la pausa pranzo e quella stanza, che poco prima era un insieme di mormori ed adoperarsi di uno staff attento e devoto, si stava svuotando. ”Ei non vieni?” mi chiese un collega ma rifiutai il suo invito; volevo visionare gli scatti prima che smontassero il set, cosi da poter migliorare la riuscita ove non ne fossi convinta della resa. Mi accoccolai a terra e guardavo attentamente le pose sulla mia macchina quando sentii qualcuno fermarsi alle mie spalle. Vedevo la sua ombra esile allungarsi davanti a me. “Jared cosa vuoi? sto lavorando, vai in pausa”. “Ei, prima…sai Shan è cosi…mica te la sei presa??” Scossi la testa per dirgli che andava tutto ok; non mi andava di affrontare quel discorso e volevo solo visionare il mio lavoro. Jared si spostò e si venne ad accoccolare davanti a me; con una mano mi prese il mento costringendomi a guardarlo in faccia. Ancora quegli occhi azzurri, cosi grandi e profondi. Sapevo di non poter evitare quello sguardo e l’effetto che mi faceva, e anche lui ne era consapevole. Aveva attirato la mia attenzione, o meglio l’aveva rapita. Si tolse una collanina dal collo e me la fece indossare: era un cordoncino celeste al quale pendeva un triangolo barrato. Cos’era quel ciondolo? Cosa rappresentava? Mi ricordava un simbolo antico, profondo, misterioso. Lo presi in mano e lo guardai chiedendomi cosa potesse mai rappresentare, perché lo indossava e perché me lo stava donato. “E’ la triade, il nostro simbolo, la nostra fede, quello che rappresentiamo…ogni echelon lo avrà, sarà il nostro modo per riconoscerci e sentirci parte di questo esercito, di questa famiglia” mi spiegò. I suoi occhi brillavano; si vedeva che stavano guardando lontano come se sapessero cosa il futuro gli riservasse. Lui sapeva che quel simbolo avrebbe illuminato la notte più buia, sarebbe diventato un faro di speranza, un qualcosa in cui credere…a 30 secondi da Marte.

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Capitolo 7
*** cap 7 - ti sto aspettando ***


Quella notte dovevo lavorare: avevo stampato tutte le foto di quei due giorni su Marte e le stavo attentamente visionando. Era tardi e ,dalla finestra che illuminava il mio letto, potevo vedere la New York che non sa riposare, che vuole vivere ogni attimo, che non è mai stanca. Era un continuo traffico di esistenze che lasciavano segni in questo universo. Esistenze che si incontravano per poi abbandonarsi, senza rimpianti. Attorno a me c’era solo il buio interrotto da quel neon che avevo rivolto su gli scatti. Li osservavo nel dettaglio, ne studiavo ogni millimetro. Mi era stato dato ordine che, finita la stampa , gli scatti dovevano essere consegnati a Mr Leto che li avrebbe visonati e scelti personalmente. Un capriccio da star o il timore di mostrarsi umano? Quell’ordine non mi andava proprio giù. Mi sentivo derubata del mio lavoro; dichiarata incapace di decidere. Perché doveva essere lui a decidere? Perché doveva prendere il controllo su tutto? Perché doveva imporsi su di me? Sbruffai... Continuavo a visionare i volti e le espressioni di quel ragazzo. Uno strano senso di colpa mi iniziò a pesare sul cuore pensando che anche io stavo violentato la sua immagine: l’avevo denudata, intrappolata su carta e ben presto sbattuta in prima pagina. Era solo il mio lavoro...Respirai profondamente, chiudendo gli occhi nella speranza di chiudere anche il mio cervello… Perché quella strana sensazione, quel vuoto che mi prendeva allo stomaco? Che quegli occhi incredibili esercitassero il loro effetto anche fotografati? Erano così grandi, di quel blu che ti intrappolava e ti faceva affogare nella sua profondità. Cosa mi stava succedendo? Perché quegli occhi stavano scardinando le barriere che avevo stratificato per proteggermi dal mondo? Cosa mi stavi facendo, Jared? Mentre questo turbinio di pensieri spingeva il mio cuore giù nello stomaco, sullo schermo del mio cellulare si illuminò una bustina : ‘ STO ASPETTANDO…HOTEL PALACE, CHIEDI DI ME’. Che cavolo era quello strano sms? Aspettava cosa? Ero troppo stanca per affliggermi con altri pensieri, quindi premetti il tasto invio e feci partire la chiamata. “Letto il messaggio? Ti sto aspettando da un po’ ”. “ Ma chi sei? Hai sbagliato numero” risposi con aria stanca, credendo che fosse il classico pasticcione che invertiva le cifre. “Cris, non dirmi che stai dormendo?…Ho preso il tuo numero in rivista…ti sto aspettando da ore! Ma diamine non mi riconosci, sono Jared!”. Jared Leto aveva il mio numero di cellulare. Jared Leto mi aveva mandato un messaggio. Jared Leto stava al telefono con me. Forse ogni ragazza innamorata di lui sognava di ricevere una sua telefonata ma… Io non sapevo neanche cosa provavo per lui? Ammirazione, enfasi, tormento, timore, gioia. Stare accanto a lui mi esponeva, inevitabilmente, ad un uragano di emozioni contrastanti che non riuscivo a controllare. Poi quando mi guardava con quei suoi occhi era decisamente la fine: in quell’istante non credevo neanche di essere sulla Terra. Un nuovo sms : ‘ MUOVITI !!!!!! ‘. Ne seguirono altri 6 con lo stesso testo, e squilli…timoroso che non notassi gli sms li anticipava e precedeva da squilli… Il mio cellulare mi stava facendo impazzire; Jared Leto mi stava facendo impazzire. Oddio, era un incubo e quell’uomo aveva sviluppato una dipendenza da quel dannato cellulare. Anche durante il servizio era quasi impossibile privarlo di quell’oggetto. Legai i miei capelli in una treccia, infilai gli stivali e mi coprì… Raccolsi le foto che avevo sparpagliato attorno a me, sul letto, le ordinai e come rare reliquie le misi in una busta gialla imbottita. Destinazione Hotel Palace. Nel taxi cercai tra le foto quella che mi aveva scattato al parco; trovandola, la estrassi e chiusi in borsa senza neanche guardarla. Odiavo farmi fotografare perché uscivo sempre male; pensavo che solo chi sa sentire le persone può intrappolare la loro immagine con la giusta bellezza… E sentirmi era difficile. Eccomi arrivata. Quel palazzo era enorme: sfidava il cielo e la città nella sua immensità. Quelle tende rosse all’ingresso; la scritta sanguigna che svettava in cima; quella schiera di finestre illuminate e il portiere impettito in elegante velluto blu. Quello era un posto da star ed io mi sentivo cosi piccola e sbagliata. Perché ero lì? Perché assecondavo quell’uomo? Entrai e mi recai alla reception. Prima ancora di suonare il campanello per attirare l’attenzione di qualcuno, mi sentì chiamare da una voce profonda: “ ei, fotografa ciao”. Mi girai e vidi Shannon seduto ad un tavolino del bar, in dolce compagnia di 2 ragazze brille e molto accaldate. Feci un cenno con la mano per salutarlo e lui mi invitò ad unirmi alla compagnia. Lo raggiunsi anche se quella situazione andava ad accrescere quella mia sensazione di malessere: quelle due ragazze erano cosi sicure, in quei minidress e con quei tacchi vertiginosi; io mi sentivo cosi poco femminile accanto a loro, anzi, non mi sentivo neanche donna. “ciao Shan. Salve fidanzate di Shan”. Il batterista mi guardò divertito e si abbandonò ad una risata travolgente. Sorrisi divertita. Non so se avesse afferrato l’ironia del mio saluto rivolto a quelle due donne, troppo ubriache per rispondere o, semplicemente, per accorgersi che c’ero anche io. “ Piccola sei incredibile, non ti tiene testa nessuno…Immagino che mio fratello ti abbia stressato. Quante volte ti ha chiamato? Quanti messaggi? Scusalo e che lui e il suo Blackberry… Lo hai visto anche te, è una malattia…Poi è impaziente di natura. Comunque ti aspetta su, camera 1664. Vuoi prima riscaldarti con qualcosa da bere? cameriere?”. Rifiutai l’invito di Shannon: forse un po’ di coraggio liquido poteva aiutarmi a reggere quell’ambiente ma, guardando quelle due truccatissime ragazze, il mio disagio iniziò a scalciare e volevo solo consegnare le foto ed andare via. Ringraziai il più grande dei Leto e mi recai verso gli ascensori. Eccomi davanti la sua porta. Bussai stringendomi nelle spalle cercando di diventare piccola. Jared mi accolse con un sorriso. Indossava una canotta nera, semplice, ed un jeans scuro tutto strappato; aveva ai piedi dei calzini a quadri scozzesi, l’unico segno della sua vera età. “ Entra!” mi disse afferrandomi per la mano e trascinandomi dentro. Feci resistenza ,quasi timorosa che ci fosse qualcuno in camera con lui, magari qualche fidanzata di Shan che gli stava tenendo compagnia. “Sono solo, tranquilla. Dai entra.” Non so se cosi fossero le stanze delle rockstar, ma quella mi ricordava più la stanza di un adolescente: sul divanetto c’erano ammassati vestiti; a terra sparpagliate scarpe; c’era una chitarra appoggiata su una poltrona e fogliettini scritti e scarabocchiati ovunque; come ovunque c’erano buste di patatine cominciate e bottiglie di birra vuote. “Ma non te la puliscono la stanza? ” gli chiesi facendo un giro su me stessa guardando quel caos. “ tutti i giorni perché?” mi chiese Jared sgranocchiando delle patatine afferrate da una busta appoggiata sul divano. “Hai fatto questo casino in una giornata? O mio Dio! Come ci sei riuscito? Hai tenuto una specie di rave in camera?” “ma che dici? Mica è tanto incasinata, e poi mi piace cosi…quando suono e compongo devo fare quello che voglio e non devo preoccuparmi di nulla.” Mi rispose, incrociando le braccia e porgendomi il profilo risentito per aver notato quel suo disordine. “Le foto” mi chiese, pulendosi le mani con una salvietta per non ungerle, con l’olio delle patatine, la busta gialla che le conteneva. Si sdraio sul letto e mi fece segno di raggiungerlo. Ero intimorita a stare vicino ad un letto con quella persona dalla fama di gran scopatore. Tirai un respiro profondo, cercando di stare calma e di reprimere la bambina che viveva in me, e mi sedetti sul bordo del letto. Con un gesto rapido, Jared mi strinse un braccio intorno alla vita e mi tirò a sé.” Sdraiati accanto a me, cosi vediamo meglio il tuo lavoro.” Era imbarazzante assecondarlo: stavo sdraiata accanto a lui, che mi teneva la testa sul suo petto spingendola dolcemente con la mano, mentre lentamente portava ogni singola foto all’altezza del viso. Sapeva di vaniglia; aveva un buonissimo odore di vaniglia. Il suo petto si muoveva ritmicamente sotto la spinta dei polmoni. Sentivo il suo battito costante, lento; quel battito sussurrava ai miei nervi di abbandonare la presa, di lasciare il mio corpo così da potermi rilassare in quell’abbraccio surreale. Jared mi guardava, dopo ogni foto, quasi a chiedermi conferma se quello che avevo percepito in quello scatto era la stessa cosa che sentiva lui. Mi sorrideva teneramente mentre mi teneva in quella presa. Il mio disagio presto scomparve. Jared voleva solo sentirsi un essere umano e sentire un altro essere umano che andava oltre alla sua fama, oltre alla sua incredibile bellezza, oltre il desiderio di una notte da raccontare per attimi di notorietà. Lui voleva sentire ed essere sentito. Voleva condividere quel suo mondo, lavarsi di dosso la solitudine di una rockstar, sbattuta tra il lusso di camere d’albergo e urla adoranti che lo placavano ad ogni passo. Guardavo quel ragazzo e non vedevo più l’eccentrico artista : il cantante, l’attore, il grafico, il regista Leto erano spariti…dissolti. Di tutto restava solo l’uomo; restava quell’eterno adolescente che non aveva perso la voglia di ascoltare il mondo e di seguire i suoi sogni… Di tutto restava il fascino di Marte. “Manca una foto” mi fece notare Jared. “Impossibile, te le ho portate tutte! Che me ne faccio di una tua foto; ho quella che ci siamo fatti ad un vostro concerto, mi basta” gli risposi alzandomi dal suo petto e guardandolo dritto in faccia con un aria di sfida, pronta a riprendere in mano lo scudo ed alzarlo come una barriera. “Che carina che sei, hai una foto di noi due ad un concerto, e perché non me l’hai fatta vedere l’altra notte? Allora doveva essere destino che io e te ci dovevamo incontrare di nuovo”. Mi guardò sorridendomi dolcemente ed iniziando a canticchiare una canzoncina che non conoscevo: “No I'm not saying I'm sorry. One day, maybe we'll meet again… No,No,No,No….. No I'm not saying I'm sorry. One day, maybe we'll meet again”. Non riuscivo a smettere di fissarlo. Quella canzone, o meglio quel ritornello che stava canticchiando mi trasmetteva una carica incredibile; adrenalina allo stato puro. Ero estasiata. La sua voce mi era mancata, mi era mancata tanto. Era cosi limpida, calda, unica. Avevo voglia di ascoltarla all’infinito e desideravo un concerto, una loro apparizione, poter godere di loro ancora una volta. “ E’ una canzone del nuovo album”. “ E’ stupenda” gli dissi con un espressione adorante che lo fece sorridere divertito. “ Sei una echelon molto fortunata, hai avuto un’anteprima esclusiva. Dovrei ucciderti per questo.” Improvvisamente fece una faccia da schizzato, da pazzoide omicida e scoppiai a ridere fino alle lacrime. “ Allora la mia foto?” “ Ma quale? Sono tutte lì” gli risposi asciugandomi le lacrime. “ Quella che ti ho scattato al parco, la pretendo, è di mia proprietà” aggiunse allungandomi la mano in un gesto di pretesa. “E’ nella mia borsa”. Mi era bastato guardarlo negli occhi ed ero in suo potere. Cosa aveva quello sguardo che muoveva le maree dentro di me, come fa la luna con gli oceani? Gli diedi la foto e soddisfatto la osservava, sorridente, come un bimbo che ammirava la sua bicicletta nuova, oggetto di un desiderio esaudito. “Questa è mia, cosi mi ricorderò di quella pazza che mi ha portato a prendere freddo al parco. Che giornata magnifica… Come sei bella”. Lo guardai sgranando gli occhi, quasi scioccata per quella sua affermazione. Io bella? Mi prendeva in giro? All’improvviso mi comparvero, in mente, quelle due ragazze, forse due modelle, che stavano intrattenendo Shannon: loro si che erano belle, io mi limitavo ad essere… ad essere io… “Non guardarmi cosi, è vero! Guardati perché mi sa che non ti sei mai vista” disse girando la foto verso di me. Non riuscivo a riconoscermi, eppure ero io. Era la prima foto dove non sembravo un mostro. Cosa era successo? Jared è cosi perfetto da riuscire a rendere bello tutto quello fa? E se mi avesse ascoltata? Se avesse visto oltre le apparenze, oltre le mie difese, come io avevo fatto con lui? Smisi di pensare. Per una volta volevo spegnere il cervello. Tornai ad accoccolarmi accanto a lui. Mi guardò dolcemente ed un sorriso luminoso mi avvolse, sfiorandomi l’anima. “film? Scelgo io il genere però” mi disse accendendo la tv. Era bello essere lì, accanto a lui e poter assaporare quei sorrisi e quelle espressioni. Era quella l’immagine di Jared che volevo ricordare e portare sempre con me. Perché lui, anche nella sua normalità, restava speciale. Quella era una parte di sé che lo portava a brillare. Era destinato a brillare…

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Capitolo 8
*** cap 8- di tutto solo noi due ***


Aprì gli occhi e mi resi conto di essere in un letto non mio. Lo schermo illuminato del televisore al plasma bombardava immagini che un comando aveva reso mute. Cercai di sfruttare quella poca luce per scrutare l’ambiente. Ero ancora nella camera di Jared; dovevo essermi addormentata lì durante la visione del film. Che film era? Non ricordo, ma era qualcosa di complesso, forse troppo pesante a cui la mia attenzione aveva rinunciato cedendo alla stanchezza. Mi girai lentamente verso Jared, timorosa che qualche mio movimento potesse svegliarlo. Era accanto a me, i nostri corpi si sfioravano, si scambiavano calore, forse persino i nostri sogni, quella notte, si erano incontrati. Lo guardai addormentato: era bellissimo. Il suo profilo sul cuscino suscitava una strana dolcezza in me, mentre il suo respiro lento faceva oscillare il suo petto. Aveva la bocca socchiusa ed una mano gli sfiorava il mento . Le sue ciglia erano lunghe; non ci avevo mai fatto caso, ma con quei due fari azzurri che finalmente erano spenti, il viso poteva mostrare la sua luce. Era un viso dolce, dalle linee morbide. Nonostante non fosse più paffutello come ai tempi di the Kill, quel viso conservava la stessa dolcezza e morbidezza. Rimasi a fissarlo per un po’, non riuscivo a smettere, eppure non c’erano quegli occhi azzurri a trattenermi, a spingermi verso di lui. Era Jared a trattenermi, a legarmi a sé. Perché Jared mi fai questo effetto? Perché sei entrato nella mia vita? Sei riuscito a stravolgermi, a portarmi nella tua esistenza, nel tuo mondo alieno, senza fare grandi imprese; ti è bastato solo esserci e hai fatto esplodere le mie convinzioni, le mie paure, le mie certezze…tutto era andato in pezzi…un milione di piccoli pezzi. Era tardi ma non mi rendevo conto di che ora fosse…dovevo solo andarmene dolcemente, senza svegliare Jared. Mi allontanai piano, silenziosamente , cercando di raccogliere tutta la delicatezza che il mio corpo poteva contenere, ma il mio tentativo di fuga da quel letto fu presto arrestato. Sentì una calda mano che si poggiava sulla mia e la stringeva quasi ad impedirmi di andare… Quella pressione era cosi lieve, ma nonostante la sua delicatezza riuscì ad arrestare il mio corpo. Mi girai lentamente verso di lui sussurrando un timido “mi dispiace, non volevo svegliarti”.” Non andare, è tardi, resta con me” mi chiese con la voce assonnata. Sul suo viso si leggeva il desiderio di continuare a condividere quel sonno che avevo interrotto. Restai, ma questa volta non erano stati i suoi occhi azzurri a costringermi. Ero stata io a non voler più andare via. Stavo sbagliando… stavo rischiando di perderci il cuore, e forse anche la testa, ma non potevo sottrarmi da quel baratro…volevo precipitare…forse volevo provare a schiantarmi, dopo anni passati ad ovattare ogni spigolo, a vivere in una armatura per non essere ferita. Il mio cuore voleva soffrire e non potevo, non volevo evitarlo. Ritornai a stendermi accanto a lui, usando il suo petto come cuscino. Mi sentì stringere forte, quasi per impedirmi di andare via anche solo con il pensiero. Mi sentì persa in quella stretta ed u brivido mi scosse. Jared si accorse di quella scarica che smosse le mie membra ed iniziò ad accarezzarmi il braccio quasi a volermi sussurrare che andava tutto bene, che con lui ero al sicuro. Ma si è mai al sicuro dal proprio cuore? Lo guardai intensamente, forse troppo perché il tocco del mio sguardo lo risvegliò. Mi fissò a lungo. Mi sentivo impotente davanti alla sua bellezza. Lo guardavo ed il mio cervello non riusciva a smettere di pensare: le domande si accavallavano, il battito del cuore diventava un acuto tonfo che rimbombava nelle mie orecchie. Stavo impazzendo e non potevo evitarlo, e questo mi terrorizzava. Jared si spostò finendo sopra di me. Sentivo il peso del suo cuore bussare contro il mio petto. Mi accarezzò lentamente, come se fossi fragile e preziosa. Mi guardava con i suoi immensi occhi, fino a penetrarmi nelle membra e a percepire il mio tumulto. “Cris non avere paura, è solo il tuo cuore…Lo sento anche io, ma ho imparato che non puoi lottare contro di lui”, poi si avvicinò lentamente al mio volto e poggiò le sue labbra calde sulle mie regalandomi un bacio casto. Si allontanò quasi subito, con la medesima dolcezza, fissandomi timoroso e cercando di scrutare le mie sensazioni. Riaprì gli occhi dolcemente e strinsi le labbra per intrappolare quella pressione. Quelle labbra erano cosi caldee gustose, non avevo mai assaggiato un bacio cosi profondo da scuotermi l’anima. Mi spostò una piccola ciocca dal viso e mi sorrise a lungo, poi mi regalò un altro colpo al cuore: le nostre labbra si incontrarono di nuovo, ma questa volta la passione ballava sulla punta delle nostre lingue fondendole in un abbraccio nascosto, intimo e voglioso. Il mio cuore stava impazzendo…Il mio cervello mi urlava di fermarmi perché mi sarei fatta male…Ora desideravo solo quel dolce dolore. Jared si sfilò la maglietta e portò via anche la mia; la sua pelle candida, interrotta dal nero e dal rosso dei suoi tatuaggi, si strofinava sulla mia. Accarezzava dolcemente i miei segni marziani incisi sulla mia spalla, a volermi ricordare che io ero come lui: eravamo due anime aliene intrappolate in corpi terreni; solo noi potevamo comprenderci e sentire lo stesso battito del cuore che fermava l’universo intorno… eravamo due superstiti che si ritrovavano nella dolcezza di un gesto intimo…C’eravamo solo noi; per una volta la fama, il lavoro, il mondo ne restavano fuori… I nostri corpi nudi si sfioravano lentamente per poter prolungare i brividi di passione e desiderio. Jared , allora ,mi strinse forte entrando dolcemente in me e facendomi sua .Ballava dolcemente sul mio corpo facendo vibrare la mia anima come una corda di chitarra delicatamente pizzicata. Quella era la nostra sinfonia, eravamo noi: incastrati nel nostro piacere. Il suo movimento era profondo e lento e ogni volta, ogni spinta, il mio cuore esplodeva. Strinsi forte le sue mani mentre mi abbandonai al piacere, aspettando che lui mi raggiungesse; non tardò a regalarmi il frutto della sua libidine. C’ eravamo fusi e le nostre anime si erano incontrate e confidandosi il desiderio di essere comprese. C’eravamo spogliati delle nostre solitudini divenendo un'unica essenza, scossa dal respiro affannato e dal desiderio che avevamo appena consumato. Quella notte io e Jared facemmo l’amore. Eravamo due ragazzi nudi che si erano scambiati la volontà di appartenersi, di fondersi l’uno con l’altro. Eravamo Cris e Jared: lui non era una rockstar quella notte ed io non avevo più paura di assecondare i cuore. “non mi lasciare mai, promettimelo! Tu sei come me e non voglio perderti” mi sussurro Jared all’orecchio. “te lo prometto”.

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Capitolo 9
*** cap 9 - quando è amore, fa male! ***


# scusate se aggiorno a singhiozzi,ma lo studio mi massacra.spero ke vi piaccia# Il sole timidamente invadeva quella immensa stanza che la sera prima aveva consacrato il nostro segreto. Avevo passato un tempo immane ad osservare Jared dormire serenamente. Con le dita disegnavo la sua sagoma nell’aria, seguendo le linee del suo corpo, stando attenta a restare a qualche centimetro di distanza per non sfiorarlo causando la fine di quel sonno. Nella mia testa comparivano, per poi spegnersi in una lenta agonia ad intermittenza, le immagini di quella nostra unione ed il mio cuore batteva forte tanto da fare male sbattendo nella carne. Solo quell’insensato gesto riusciva a rilassarmi. Con il sole ormai alto tutto sembrava più brutale: io non ero adatta per quell’uomo ed ero stata solo un’ avventura. Me lo ripetevo di continuo, fino a farmi salire la nausea. Perché mi stavo facendo così male? Perché volevo soffocare il mio cuore? Cosa non volevo ammettere a me stessa? Chiusi la porta dolcemente, accompagnandola per non far rumore. In quella camera stavo lasciando la possibilità di amare sotto forma di un gelido bigliettino su cuoi avevo scritto ‘ non mi cercare…mi dispiace e che sei…’. Non ero riuscita neanche a firmarmi perché la mia mano si rifiutava di assecondare quella follia. Tremavo tutta e i miei occhi scaricavano la delusione che stavo provando per il mio gesto. Aspettavo l’ascensore per scappare via di lì e lasciarmi tutto alle spalle… Non stavo scappando da Jared, non avrei mai potuto; scappavo dalla felicità che avevo condiviso con lui. Lui era una rockstar destinata al mondo, io, invece, restavo una fotografa che credeva che il mondo fosse New York. Si aprì l’ascensore e comparve Shannon. Si era accorto che stavo piangendo, nonostante i miei capelli sciolti riuscivano a coprirmi il viso. Aveva intuito che quella notte era successo qualcosa che mi aveva turbato. “ Ti ha fatta del male? Ti ha offesa? Dimmelo Cris!” “ no Shan… Jared non potrebbe mai farmi del male…ma so che io ne sto facendo tanto a lui… ti prego, lasciami andare…stagli vicino, ti chiedo solo questo”. Shannon mi osservava confuso mentre le porte dell’ascensore ci divisero. Quel giorno non andai a lavorare: avevo bisogno della solitudine del mio appartamento. New York era troppo viva per me che desideravo solo logorarmi per quella sofferenza. Stavo sbagliando ancora, stavo scappando dalla felicità un’altra volta… e perché? Era stato uno sbaglio! Per lui non significava nulla quella notte, mentre io non riuscivo a togliermela di dosso; ne sentivo ancora l’odore… Verso mezzogiorno il mio cellulare iniziò a squillare. Sullo schermo compariva ripetutamente il nome di Jared. Sembrava cosi doloroso e faticoso rispondere. Cosa potevo dirgli? Perché continuava a chiamarmi e non la smetteva di tormentarmi. Nella mia mente comparvero i suoi occhi azzurri. Feci cadere a terra il bicchiere che stringevo tra le mani. “ Basta! Dannato Leto!” urlai maledicendo quel sentimento che provavo per lui. “ Sei il re dei pazzi e mi hai portata a sperdermi nel tuo regno” continuavo a pronunciare mentre, tra le lacrime, raccoglievo dal pavimento i pezzi di vetro. Suonò nuovamente il cellulare; sapevo che era lui… In quell’istante mi tagliai con un grosso resto di bicchiere. Non riuscivo a provare dolore, nonostante tutta la mia mano si iniziò a tingere di rosso. Il mio cuore aveva assorbito tutto il male che una persona può provare. Andai in bagno a medicarmi, nonostante le lacrime rendevano tutto più difficile. Ero caduta a pezzi, in un milione di piccoli pezzi, proprio come quel bicchiere. All’improvviso sentì battere forte contro la mia porta. Era un rumore tonfo, continuo, disperato. Cosa stava succedendo? Chi c’era dall’altra parte? Asciugai le lacrime e, portando la mano ferita al petto, andrai ad aprire. Girai la chiave e la porta mi si spalanco davanti. Ero confusa e gli occhi umidi mi fecero perdere qualche scena. Mi ritrovai Jared che mi teneva il volto tra le mani e mi supplicava di dirgli perché ero scappata, che cosa mi avesse fatto. Continuava ad urlarmi quelle domande; la sua voce tremava come tutto il suo corpo. Riuscivo a percepire la sua disperazione ma non potevo, non riuscivo a rispondere… Posai le mie mani sulle sue, cercando di liberarmi da quella presa. Jared vide la benda che stringeva la mia mano e mi chiese cosa avessi fatto, se era stato lui. Riuscì solo a dire un soffocato no, poi tornai nel mio mutismo. Vidi i suoi enormi occhi azzurri riempirsi di lacrime: erano ancora più luminosi e tremendamente profondi; riuscivo a percepirne la disperazione. Lo guardavo in silenzio. Per me era solo Jared Leto, l’artista. Dove era finito l’uomo che avevo conosciuto? Perché la mai testa rifiutava quell’immagine di lui? Perché volevo considerarmi solo una delle tante quando quella disperazione mi urlava che non era cosi. Non si piange per il sesso di una notte e lui stava piangendo davanti a me; lo stavo vedendo. “smettila” riuscì a sibilare, svegliandomi da quell’apatia che mi aveva invaso. “ No Cris, perché mi stai facendo questo? Cosa ti ho fatto per farti scappare? Perché sei andata via in quel modo”. Stava piangendo… Jared piangeva per colpa mia e io non facevo nulla…non riuscivo a provare nulla… All’improvviso sentì una fitta al petto: il mio cuore si faceva sentire e scalciava forte, si dimenava, si imponeva sulla mia pazza ragione. Lo sentivo e faceva male. “Perché mi sono innamorata di te” gli urlai contro con rabbia. Ero disperata perché non volevo ammetterlo e lui me lo aveva fatto uscire fuori. Non potevo più ignorare il mio cuore, adesso si era imposto. Lo guardai scoppiando a piangere violentemente mentre sentivo le energie scivolare via con quelle lacrime. Jared mi strinse forte a sé, reggendomi. Il suo abbraccio era forte , quasi a volersi fondere con il mio essere per impedirmi di scivolare via. Sentivo le sue lacrime confondersi con le mie e non capivo quel pianto. “me lo avevi promesso Cris, mi avevi promesso che non mi lasciavi. Non farlo mai più.” Mi ripeteva mentre mi stringeva ancora di più. “Jared, io ho paura” gli dissi sottovoce, lasciandomi consolare da quel suo calore. “ Lo so piccola Cris, anche io, ma noi ce la faremo, te lo prometto”. Adesso era lui a farmi una promessa. La sua voce era cosi solenne mentre la pronunciava, sembrava una preghiera…Era impossibile metterla in discussione: su Marte le promesse sono reali e si mantengono. Io e Jared eravamo in milioni di piccoli pezzi, ma decidemmo di risorgere dalle nostre ceneri come una gloriosa mythra. Quella sera io e Jared facemmo l’amore. Quella volta tutto sembrava più profondo, più magico, più grande… Eravamo solo noi due e la paura era rimasta fuori da quell’universo.

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Capitolo 10
*** Cap 10 – smalto nero. ***


“Come ci riesci?” chiesi a Jared fissandolo mentre pizzicava le corde della chitarra. “ come ci riesco a fare cosa, Cris, a suonare? È il mio mestiere…Se vuoi ti posso insegnare…” mi rispose continuando a fissare lo strumento ed a riprodurre una canzone lenta che non conoscevo. “No Jared, come riesci ad essere cosi diverso con me e con gli altri”. Si arrestò e posò la chitarra, avvicinandosi lentamente al letto dove ero seduta con le gambe incrociate. “Come ci riesci Cris?” mi domandò dolcemente, guardandomi fissa cercando di penetrare, con quell’azzurro, i miei pensieri. “come ci riesco a fare cosa?” gli risposi prontamente. Doveva essere diventato il nostro gioco preferito perché ogni volta che gli ponevo una domanda, lui me la rimbalzava. “A fare cosa, Jay?” continuai a chiedergli. Mi sorrise dolcemente e si sdraiò accanto a me fissando il soffitto bianco. “ E’ facile, nessuno sa chi sono veramente, quindi posso essere chi voglio…Shan e Tomo…ed adesso anche te…voi sapete chi è Jared Leto…gli altri si accontentano di quello che io gli faccio credere, della mia immagine. Mi chiamano diva!”, mi spiegò dando ristoro alla mia curiosità. “Lo so, ma non sembri una diva quando stai con me…forse fingi? Ti trattieni? …no aspetta, sei pazzo e soffri di personalità multiple” scoppiai a ridere. Mi afferro ed iniziò a farmi il solletico. Non potevo resistergli e non riuscivo a smettere dal ridere…” Basta diva, mi sento male” invocai soffocata dalle risate e dalle lacrime. Saranno state le sue foto strambe, le acconciature assurde, le borchie sulle giacche e quelle storie che circolavano su di lui ad avermi corrotto, ma dovevo ricredermi! Era accanto a me e potevo vederlo: era un uomo bellissimo che non faceva nulla per esaltare o per nascondere quello che era; uno spirito libero che portava in sé la voglia di scappare e la nostalgia del viaggio. Non potevo non notare la sua stravaganza, ma aveva tutto stranamente un senso… Lui era un illusionista: mostrava la realtà che gli altri volevano vedere e conservava per pochi eletti la sua vera natura. Jared ritornò alla chitarra ed iniziò a suonare qualche nota… “No warning sign. No Alibi. We're fading faster than the speed of light. Took our chance. Crashed and burned. No we'll never ever learn. I fell apart . But got back up again and then. I fell apart But got back up again yeah”… “ E’ bellissima…è cosi triste ma sta accendendo una grande forza in me” riuscì a singhiozzare tra le lacrime… Quella canzone mi aveva scosso e rassicurato allo stesso tempo. Avevo percepito il peso che custodiva nel suo cuore e, allo stesso tempo, sentivo il suo fuoco, la sua voglia di reagire, di sorridere ancora… Quel ragazzo era un esplosione che investiva il mio essere… e non potevo salvarmi da quella denotazione, non volevo evitarla! “Ei, ma la smetti di piangere, gattina” mi sorrideva teneramente mentre , tenendomi il volto tra le sue mani calde e forti, con i pollici mi asciugava i lacrimoni che sgorgavano dai mie occhi nocciola.“ Ti preferisco quando ridi perché ti si illumina il volto” sussurrò mentre si avvicinava lento per assaporare la mia bocca. Ancora incollata a quelle labbra di cui non ero mai sazia, con una mano cercavo la mia macchina fotografia. Trovandola, intrappolai quel bacio per sempre. Jared mi sorrise con aria fiera. Era la mia nuova fissazione fotografarlo e fotografarci. Intrappolavo ogni suo gesto, ogni secondo…ero ossessionata da lui e quello era il mio modo di concedermi a quella follia che albergava in me. “Sei ossessionata da queste foto, ma cosa te ne fai?” chiese sorridendo. Mi alzai in piedi sul letto ed iniziando a saltellare, stringendo tra le braccia la mai Canon come se fosse un bambino indifeso, inizia a ridacchiare mentre gli spiegavo il mio progetto : volevo tappezzare ogni millimetro di quelle mura con la sua immagine. Jared mi guardò con gli occhi sgranati; doveva sembrargli un’ idea folle ed io dovevo avere proprio le sembianze di una malata di mente però la mai idea lo colpì piacevolmente: ” ma è stupenda come cosa… oh mio dio? Ma come ti è venuta?” Smisi di saltellare e lo guardai fisso, spalancando i miei grandi occhi. Stava scherzando od era veramente una diva narcisista? Scoppiò a ridere, quasi avesse letto il mio turbamento; “sto scherzando! Però è bello ispirare i tuoi sogni… è bello che tu creda nei tuoi sogni e fai di tutto per realizzarli”. “ Me lo hai insegnato tu: credete sempre nei vostri sogni!” ribadì con aria da professorina. In quel momento mi sentivo cosi fiera del mio essere. Ero un echelon e nulla mi rispecchiava di più che quella semplice parola… E Jared era lì, davanti a me; lui aveva ispirato ogni mio sogno, mi aveva dato la forza per realizzarlo e c’era sempre, con la sua voce, a festeggiare ogni vittoria. Saltai giù dal letto e mi lancia tra le sue braccia, baciandolo con passione. Lo stupore si colorò sul suo viso... Ero riuscita a far imbarazzare Jared Leto? Scoppia a ridere divertita mentre lui mi rispondeva imbronciando il muso; “ come sei dolce, sembri un bimbo…un bimbo vecchio, ma pur sempre un bimbo” continuai ridendo ed accarezzandogli i capelli. Non so come ci riusciva ma mi faceva sentire eccentrica, vivace, viva… mi sentivo su Marte! “Voglio farti un regalo, aspettami qui”; infilò la sua giacca di pelle e si chiuse la porta alle spalle. Avevo stampato già un elevato numero di foto di Jared; Jared con me; Jared con il mio gatto Marte; Jared e Shan…praticamente i miei scatti erano monotematici ma ne ero fiera. Le presi e le iniziai ad incollare sulla parete libera, cercando di dare a quel corpo di immagini e di volti la forma dei glyphics. In quel momento rientrò Jared con in mano un pacchetto. “Ma…ma…cosa stai combinando…è favoloso!!! Le tue foto, la disposizione…oh, piccola Cris questo è il regalo più bello che potessi farmi” disse guardando estasiato il muro adornato dai miei scatti. Si leggeva lo stupore e la contentezza in quegli occhi sgranati. Mi strinse forte alla vita mentre continuava ad ammirare la mia opera incompiuta. “Avevo preso questo per te, per ispirarti, ma tu non hai bisogno di ispirazione…sei fantastica!”; mi porse il pacchetto che aprì con avidità, guidata da una curiosità fanciullesca che non conosceva etichette né controllo. Era uno smalto nero!!! Guardavo quell’oggetto stupita e non riuscivo a trattenere la contentezza che disegnò un largo sorriso raggiante sul mio volto. “Smalto nero, io lo uso quando mi sento ispirato…Dal nero può uscire ogni colore, ogni forma perché contiene tutto e nasconde tutto… siamo noi a decidere cosa vederci nel nero” mi spiegò stringendomi le mani che contenevano quel regalo, per me , preziosissimo. Lo abbracciai forte. Dalla foga del mio gesto ci ritrovammo tutti e due a terra, stretti per non dividerci. C’eravamo promessi che non ci saremmo mai lasciati, anche se il mondo di Jared lo reclamava, e quando Marte ti chiama tu non puoi fare altro che obbedire. Non volevo pensare a quel momento, anche se sapevo che, prima o poi, sarebbe arrivato. E lo sapeva anche lui. Lo guardai dolcemente, cercando appositamente i suoi occhi e quel senso di perdizione e smarrimento che mi causavano; gli sorrisi. Mi avvicinai al suo orecchio e gli sussurrai lentamente, per incidere le mie parole nella sua anima: “ sei tu il mio nero…sei la mia ispirazione…il mio mondo ed il mio tutto”. Jared mi fissò. I suoi occhi si illuminarono ingigantendo la loro profondità che mi inghiottì. “Vieni per il mondo con me, piccola Cris… mi seguirai ovunque la musica ci porterà e renderai eterni quei momenti con la tua arte…io e te, su Marte, con Marte…vieni con me”. Jared Leto mi aveva appena chiesto di seguirlo nel suo mondo. Il mio cuore esplose ed il rumore di quel battito lo aveva sentito anche lui. Annuì con al testa e lo baciai come non avevo mai fatto prima: in quel bacio esprimevo tutta la paura e la voglia di perdermi al suo fianco, di esserci e di fondermi con quel suo mondo senza regole, né confini… Era un passo enorme, ma al richiamo di Marte non si può resistere!

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Capitolo 11
*** Cap 11- questo è Marte. ***


Conoscevo ogni singola nota del nuovo cd; avevo imparato ogni testo, ogni pausa ed ogni coro… Non facevo altro che ascoltare quel cd all’infinito. Credevo che la mia vicina si fosse, ormai, rassegnata a quella mia fissazione. Lei non poteva capire; per me quella musica era ossigeno! Ero stata in apnea per anni aspettando quel loro ritorno, ed ora eccolo li: quel corpo lucente racchiudeva la mia linfa vitale; tutto quello di cui avevo bisogno per andare avanti. Ogni giorno, quando tornavo dal lavoro, trovavo Jared accoccolato sul mio divano rosso che mi accoglieva con la sua chitarra. Mi fermavo in silenzio, sul pianerottolo, ed accostavo l’orecchi alla porta per poterlo ascoltare indisturbata, chiudendo gli occhi e sentendo il fuoco che si riaccendeva in me. Dovevo sembrare una pazza ma non c’era nulla di più travolgente che entrare nell’orbita di quell’uomo e abbandonarsi a quella attrazione. Ogni volta, dopo aver origliato le voci di casa mia, aprivo la porta e mi ritrovavo Jared li che mi aspettava e non chiedevo altro che essere investita dal suo continuo parlare. Mi aveva raccontato tutto del tour: le date, il messaggio di fondo, gli spostamenti, le varie pause che si sarebbero presi per girare nuovi video e per riposarsi…conoscevo tutto, anche le sue aspettative…Doveva essere un grande ritorno trionfale: i signori di Marte stavano tornando sulla Terra e lo facevano a loro modo. Sarebbe stata una rivoluzione guidata dalla luce della Triade; una guerra pacifica verso un nuovo mondo…Con lui riuscivo a vedere tutto questo ed era grandioso…Mi sentivo rinata! “Cris, e tu ci sarai in tutto questo, sarai al mio fianco…sarà la nostra rivoluzione” mi disse Jared quel pomeriggio. “io? Jared come? Io non so fare nulla…come posso esserci…” Jared mi appoggiò un dito sulle labbra per arrestare le mie parole e mi prese le mani stringendole forte; “domani mattina vieni in albergo da me e capirai tutto…Cris ce lo siamo promessi, sempre insieme, comunque vada, io e te”. Quelle parole suonavano surreali. Sembrava un sogno ma non lo era; la stretta delle sue dita intrecciate alle mie, i rumori della città che impazziva lì fuori, mi ricordavano che ero sveglia e stavo vivendo veramente tutto quello. Quella notte non chiusi occhio. Ripensavo alle parole di Jared e cercavo di immaginare cosa l’indomani mi portava. Mi tormentavo nel letto, rigirandomi ed incastrandomi nelle lenzuola. Quell’essere inquieta era frutto del nervosismo? Forse mi mancava il non essermi addormentata tra le braccia di Jared, che quella notte non era lì con me, cullata dai suoi discorsi sul mondo e sull’universo che ci circondava? Mi sentivo il cuore in gola e nel mio stomaco c’era un nido di calabroni. Desideravo che quell’ascensore si bloccasse con me dentro. Cosa mi aspettava nella stanza di Jared? Cosa sarebbe successo alla mia vita? Dovevo prepararmi a soffrire? Il mio cuore avrebbe retto? Le domande mi stavano uccidendo.... Si aprirono le porte e il mio cervello si gelò: dalla stanza 1664 fuoriuscivano delle voci che non riconoscevo. Poi sentì Jared ed il mio cuore iniziò a battere forte: il sangue scorreva impetuoso nelle vene e travolgeva quella paura fino a spingerla fuori dalle mie membra. Respirai forte e bussai. Davanti a me comparve Shannon che mi fece un sorriso buffo; sembrava mi volesse dire qualcosa ed infatti pronunciò una frase enigmatica: “ lo hai domato piccolina, adesso sei pronta per Marte”. Lo seguivo mentre mi scortava ai divanetti; non riuscivo a vedere oltre la sua schiena larga e muscolosa nascosta dietro ad una canotta aperta sui fianchi. Shan era appena più basso di me, ma era possente ed ingombrante come un leone. “E’ arrivata” disse con al sua voce roca, mentre faceva un passo di alto per mostrarmi a tutti. Jared era in piedi tra la poltrona vuota, che prima ospitava il fratello, e quella su cui era comodamente seduto Tomo. Fissai il croato a lungo e gli sorrisi; era la prima volta che lo vedevo dal vivo e trasmetteva lo stesso sentore di tranquillità che percepivo guardando le loro interviste. Sui divani c’erano signori impettiti in costosi vestiti e c’era Emma. Era proprio come me la immaginavo: bionda, esile e fottutamente rigida… Mi guardò a lungo e sentì il sangue congelarsi ed arrestarsi nelle vene, poi mi sorrise dicendomi :“benvenuta, ora ci siamo tutti…organizziamo questo tour signori; tra 3 giorni si parte”. Mi girai di scatto verso Jared e gli chiesi, con lo sguardo, di spiegarmi cosa stesse succedendo. Perché mi trovavo li, visto che era una riunione di lavoro? “vorrei dirglielo io…Cris, parti con me e…” “Parte con noi, Jared, con tutti noi” lo interruppe Tomo, girandosi verso di me e sorridendomi dietro al sua barba folta. Sgranai gli occhi e feci involontariamente un passo indietro. Shannon mi afferrò per la vita e mi disse, quasi sussurrato: “sei la nostra fotografa ufficiale! In genere le foto le facevo io, ma Jared mi ha spiegato…mi ha fatto vedere i tuoi scatti e sono felice di cederti il mio posto… cosi posso pensare solo alla mia batteria”. “Brò ti stai allargando troppo, non me la toccare…stai a debita distanza” disse Jared gelando il fratello con uno sguardo assassino. La risata di Shannon esplose riempiendo la stanza e risvegliandomi da quello shock. Sentì l’abbraccio di Jared: lo riconobbi dal fuoco e dal buon profumo che lo caratterizzava; “ te lo avevo promesso, saremmo andati su Marte insieme, piccola Cris…solo io e te…ricordi?” mi sussurrò dolcemente, proteggendo quelle parole dalle orecchie dei presenti. Facevo parte dello staff dei 30 Seconds to Mars… Non potevo crederci, Jared me lo aveva promesso che eravamo destinati a camminare l’uno al fianco dell’altro…Quella era una promessa di Marte! “piccola Cris preparati…prendi una valigia enorme e buttaci dentro tutto quello che può servirti per un anno…stiamo per tornare “ disse entusiasta Shannon mentre tormentava quel povero Tomo. Ero dietro le quinte con i ragazzi…C’era un grosso telo nero che copriva il palco e tutti gli strumenti pronti. Jared si era alzato un enorme cresta sulla testa; era ancora più punk e cosi vicino al mio spirito e al mio cuore che potevo respirare la sua essenza. La batteria di Shan era lucente e possente come una bellissima donna che chiede solo di essere sedotta dalla potenza di quelle bacchette. Tomo aveva la testa china ed abbracciava la sua chitarra come se fosse immerso in una preghiera, in un discorso intimo che si scambiava con quell’oggetto. Io ero li e potevo immortalare tutto questo. Il mio cuore stava esplodendo mentre sentivo l’energia penetrare dalle fibre di quel telone. Sentivo le urla, la gioia, l’energia degli echelon… Li percepivo mentre entravano in me… Era una scarica elettrica che sbatteva contro il mio cuore…Non puoi resistere a quella energia: ha una magia unica ed aliena! “Venite tutti qui…Cris anche tu” disse Jared spalancando le braccia…mi ritrovai incastrata in quell’abbraccio e, rivolgendo la macchina fotografica verso l’alto, lo impressi per sempre. Tomo e Shannon presero posto. Jared mi afferrò la mano e, trascinandomi sul palco, mi disse “ quando andrà giù il telo vedrai Marte… Questo è quello che posso offrirti, è quello che io sono…che noi siamo e saremo, io e te, Cris!”. Prese il microfono ed iniziò il nostro percorso verso il pianeta rosso. Shan sbatteva forte facendo vibrare quei piatti… Tomo saltava mentre le sue dita creavano energia… Jared guardò il fratello e l’amico; l’ultimo sguardo, il più lungo, lo destino a me… poi iniziò: “Time to escape . The clutches of a name . No this is not a game (It's just a) I don't believe in faith . But the bottom line . It's time to pay . You know you've got it “. Le luci si accendevano e si spegnavano… la folla urlava eccitata ed intonava quella canzone che conoscevo bene; mi aggiunsi al loro coro e sentivo l’energia crescere… Il telo nero venne giù… Il flash della mia Canon si accese per assorbire quello spettacolo: era una massa informe di volti e sogni che si stavano fondendo insieme, e la colla era l’energia dei ragazzi…La potevi respirare… ti entrava nelle cellule e ti rapiva… Eravamo lanciati nell’universo…Oh si, quel posto non poteva essere la Terra, non c’è nulla di così magico lì giù… Questo era Marte… Eravamo noi: piccole particelle che creavano un nuovo pianeta, un nuovo cosmo un nuovo inizio! Ero su Marte, e non l’avrei abbandonato per tutta la mia vita! The end

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