I Ratti Fuori

di ConradMoricand
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apologia Della Morte Incinta ***
Capitolo 2: *** Frisco ***



Capitolo 1
*** Apologia Della Morte Incinta ***


Apology for the Death Pregnant. Avevo detto, in una conferenza, che amavo viaggiare in metropolitana, perchè i personaggi che si incontrano lì, sulle soglie della notte, o nel buio artificiale del neon, no si incontrano in nessun altro luogo.  Nelle conferenze dicevo così tante cose che a volte me ne dimenticavo. Negli ultimi tempi però, da quando avevo iniziato a sentirmi pedinato (chissà, per cattiva coscienza o perchè nel sottobosco di Frisco tutti andavano pazzi per le mie poesie deliranti) odiava le persone. Sentiva che lo strisciante desiderio di guardare nel cuore altrui presente in ogni uomo li obbligava a voltarsi verso quell' uomo vesitio di colori sgargianti, che poi ero io.  Non mi fissavano sfacciatamente, certo, ma con quelle occhiate così brevi da tradire i pregiudizi nascosti dietro la cornea.  lo scossone della luce al neon mi riportò alla realtà.  Si sentiva, in lontananza, il rumore delle scintille che sfrogolavano contro i cavi d'acciaio del vecchio vagone, che faceva più scintille di un'autmobilina del' autoscontro.  Di colpo, andò via la luce.  Io, come gli altri passeggeri, caddi nel buio. Sentivo il barbone accanto a me fremere per l'agitazione e il nervosismo.  Il treno rallentò e poi si fermò, sospeso nel sottosuolo cementificato, come una tomba. Si sentivano le persone litigare, le colluttazioni accendersi, i bambini piangere. Io vagavo in quel buio, per nulla intimidito da quelle urla agghiaccianti, con la faccia premuta sul vetro, un contatto certo, assaporavo l'odore di paura che assumeva piano piano il vagone e il mio respiro. Se pure la morte potesse passare accanto a ciascuno di noi, seppure accadde, cosa di cui tuttora non sono certo,  io non la sentii. Ero un bambino nella sua stanza, alieno da tutto il mondo prima, dopo e fuori. Non fu un incubo dormire a occhi aperti nel buio, ma quando la luce tornò, sentii un urlo di donna raggelante, dietro la mia nuca. Non volevo girarmi, sapevo che non dovevo, che mi avrebbe fatto male. Ma forse non lo sapevo ancora quando il cervello ordinò al collo di voltarsi e agli occhi di guardare la scritta che campeggiava sul vetro opposto, scritta rossosangue.

ALLEN GINZBERG ARCHIPENSATORE

mi hanno trovato, mormorai.
Allen ero io.

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Capitolo 2
*** Frisco ***


Se esiste una sola persona al mondo capace di non battere ciglio davanti alla psicopolizia, al solo nominare lo squadrone della morte che si impegnava a controllare che i principi dell’ amato Socing venissero rispettati, quello era  Neal Cassady.  Un genio, secondo le voci, un fallito, secondo Mary Anne, ovvero la sua ex moglie, ovvero la ragazza che me lo presentò. Non era capace di trattenere un lavoro tra le dita, scivolavano come cose troppo liquide per avere presa sui suoi solidi pensieri e sulle sue plastiche illuminazioni. Non si era mai considerato una delle menti di  questa depravata dittatura, ma diamine, è stato il primo che del socing aveva capito tutto. È stato il primo a nascondersi, quando la vecchia cara polizia iniziò a diventare l’incubo dei liberi pensatori. Non ha mai creduto al potere di chi faceva parte degli squadroni, di carpire alle menti delle persone i propri pensieri, potere usato ufficialmente per smascherare gli anarchici, ma girava voce che fosse usato come forma di condizionamento, e i più pessimisti parlavano anche di tortura. Neal a tutto questo, semplicemente non ci credeva. Ma non era uno sciocco, come quei rivoluzionari sbandieratamente nemici del popolo, che nel privato erano in combutta con il Grande Fratello stesso, <> aggiungeva Neal ogni volta che, con timore, veniva detto il suo nome.  Neal viveva in una elegante casa abbandonata a se stessa nel vecchio centro di Frisco, dove vivevano solo lui, il suo gregge, come chiamava la costellazione di gatti e vagabodi che si “appoggiava” al suo giardino. Nonostante la casa avesse visto sicuramente tempi migliori, aveva, se messa a confronto con i prefabbricati di casa mia, o i palazzoni di Jack, o Peter, un’aria da nobile decaduto che non gli si adattava.  Uscii dalla metropolitana, con il cuore a mille, e la testa diretta a casa di Neal, cercando di mantenere quella facciata di tristezza composta e sobrietà richiesta ai membri del Partito, cioè tutta la popolazione di Frisco.  Cercavo di tendere i nervi il più possivibile per rendere la mia faccia grigia, e non pallida di terrore, grigia e non  rossa di vergogna per la mia città, grigia e non vermiglia di rabbia verso il Partito che manipolava giorno per giorno il nostro passato, cancellando le tracce di chi osa parlare, di chi non viveva nascosto come Neal e che si azzardava ancora parlare acheolingua in pubblico. Bussai nervosamente, con la sensazione  ormai perenne di essere osservato, sensazione che solo chi ha sentito su di sé l’alito della psicopolizia può sentire come palpabile.  Neal aveva lasciato la chiave nella toppa, così spingo la porta ed entro. Mi faccio spazio tra i vecchi relitti della vecchia San Francisco, panchine, biciclette, statue greche in gesso, fontane con i pesciolini e tutto ciò che Dean era riuscito a portare via dalla Grande Fonderia Inc. L’odore di tabacco (quello vero, mica i surrogati che si spacciavano negli angoli del centro, dove le signorine bene si portano alla bocca lunghe e spesse sigarette riempite di erbe aromatiche triturate) mi guida verso il seminterrato, dove Neal giaceva a bocca aperta e a occhi chiusi. Se non fosse stato per il fumo che gli esce dalla bocca, lento e spesso, a forma di O, avrei detto che la psicoplizia era arrivata prima di me e l’aveva fatto fuori. Sotto le palpebre guizzarono le pupille, sapeva che ero  qui ma non che ero io, e non voleva darlo a vedere. Spostai il peso da una gamba all’altra. Tossicchiai. Strusciai i piedi a terra. Nulla. Esasperato, presi il posacenere e lo sbattei a terra. Come se venisse da un pianeta lontano, o da un trip da un altro universo, parlò lentamente:
-Cosa.
-…  
-Cosa vuoi.
-Neal, ho la psicopolizia alle costole. Devo andarmene da Frisco al più presto.
-Ti ho chiesto cosa vuoi da me, non se qualcuno vuole qualcosa da te.
-Neal, non hai capito. Devo andarmene, adesso! Devo scappare.
-I soldi sono sotto l’asse mobile del letto. Non hai mai notato che nei film che ci rifilano al cinema c’è sempre un’asse sotto il letto? A volte credo che certi film siano ambientati a casa mia, o che..
-I soldi non sono il mio problema. Devi darmi contatti. Gente da cui possa andare, persone fidate. Voglio i nomi, Cassady.
Lo chiamavo con il cognome solo nei momenti di urgenza massima, o quando avevo bisogno della sua attenzione. Secondo me gli ricordavo i tempi del liceo, quando lui ERA il suo cognome e sul giornale della scuola campeggiavano i suoi articoli polemici, firmati da quel solo, lapidario cognome. Sembrò riscuotersi e disse, sillabando l’indirizzo.
-          Cerca The bird, al Mexico City Blues, digli che ti manda Neal. Lui ti dirà come nasconderti per bene. Come vedi, io non ti posso ospitare, anche perché se hanno trovato te sono a un passo da
Un tonfo alla porta.  Per la prima volta da anni, vidi un filo di panico nei suoi occhi, per un attimo il terrore bestiale della vacca da macello si figura sul suo viso, ma è solo un attimo. Mentre i rumori dei pesanti anfibi si fa strada come mi ero fatto strada io pochi minuti prima,  mi indica la finestra del sotto scala, più una presa d’aria che una via di fuga.
-          Ti copro le spalle, bello. Hai ancora tanto da urlare. Ci si vede al Mexico City prima o poi, eh?
Ma io sono già a metà strada tra la finestra e il pavimento, sono già con gambe penzoloni, già con i gomiti issati, con il torace all’aria, le gambe che scalciano per venire alla luce. Infilai la testa nel buco, ansimante, guardavo Neal, ansioso
-          Amico, vai. Io ho ospiti da accogliere
Mentre fuggivo dal giardino, un urlo, l’Urlo
-          Per il Beat! Per Capo d’ angelo! Per Frisco Libera dalla Psicopolizia! 

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