Forever and Always

di TooLateForU
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Che schifo di giornata. ***
Capitolo 2: *** Hi, ass. ***
Capitolo 3: *** Autobus 602. ***
Capitolo 4: *** Ristorante greco. ***
Capitolo 5: *** Give me another chance. ***
Capitolo 6: *** Ciao Superstar. ***
Capitolo 7: *** Duplo e cereali. ***



Capitolo 1
*** Che schifo di giornata. ***


“Vado a realizzare il mio sogno.”
Sì, vaffanculo. Tra un sogno e l’altro magari avresti potuto chiamarmi, non credi?
“Prometto che ci terremo in contatto. Sempre.
Certo, come no! Infatti ormai un giornale scandalistico di turno sa molto più della tua vita di quanto ne sappia io.
Tra parentesi, il tuo colore preferito non è viola, è verde. Idiota!
“Resterai per sempre la mia migliore amica.”
Raccontalo a qualcun’altra, Bieber.
Eri il mio migliore amico, eri il mio kidrahul, ora sei solo l’ennesimo sogno sfumato.
Ed è per questo che se anche ora bussassi alla mia porta con un mazzo di rose rosse in mano, io non ti aprirei.

Va bene, sono una bugiarda. Non solo ti aprirei, ti salterei anche addosso. Però poi ti mollerei uno schiaffo, questo è certo.
Ma quando mai le cose vanno come io le programmo?
 
 
 
“Georgia, alzati! E’ TARDI!”
Vai mamma, supera la barriera del suono, tanto io non stavo dormendo. Stavo solo aspettando che tu e le tue urla isteriche mi perforaste i timpani.
Mugugnai qualcosa di sconnesso, mentre cacciavo le coperte con un calcio. Posai i piedi sul freddo pavimento in marmo, e finalmente riuscii ad alzarmi. Era stato davvero difficile.
Mi stropicciai gli occhi con una mano, e gettai uno sguardo disinteressato alla finestra. Indovina indovinello, diluviava! Ma che cosa strana eh? Qui a Stratford, poi, città famosa per il suo clima favorevole di cinque gradi centigradi tutto l’anno. Ma a volte, ad Agosto, si raggiungevano persino i dodici gradi. E allora sì che era festa!
Camminai ad occhi semichiusi fino all’armadio. A malapena vidi cosa indossai, ma tanto non faceva differenza. Brutta ero brutta, che indossassi Armani o dei jeans sdruciti. E dato che ero anche una mezza morta di fame, di Armani in casa mia c’era solo la borsa finta di mia madre.
Scesi lentamente le scale, un gradino alla volta. Sapevo che appena entrata in cucina sarebbe ricominciato Il Delirio, noto anche come la mia famiglia.
“Georgia, mi dai una mano? Tua sorella fa i capricci, le puoi dare tu da mangiare?” cominciò subito mia madre, posando la mini forchetta con cui stava tentando di imboccare quella sottospecie di essere umano di mia sorella.
“Mica sono io sua madre!” risposi, sgarbata. Che cavolo, non glielo aveva certo ordinato il dottore, due anni fa, di sfornare un altro figlio.
Nel frattempo Maddie batteva le mani sul seggiolone, ridendo. Quando tra dieci anni il tuo migliore amico se ne andrà per diventare una superstar non riderai più così, cara poppante.
Ma sto divagando.
“Ma ti pare il modo di rispondere, signorina?!” strillò l’Aquila (alias mia madre) gesticolando, e muovendo la testa così bruscamente che i capelli biondi le svolazzarono ovunque.
Capelli biondi che Miss Sfigata Duemila (io) non aveva ereditato. Mentre la poppante sì.
Non risposi, continuando a far girare i cereali nel latte. Facevano davvero schifo, credo fossero scaduti, o qualcosa del genere. Allontanai la tazza con una mano, e mi alzai.
“Io vado, madre. Occupati di mia sorella, e soprattutto non dimenticare di stirare la mia roba.” Mi congedai neanche troppo ironicamente, prendendo in spalla lo zaino lasciato accanto al tavolo.
Lei non si prese la briga neanche di rispondermi, troppo occupata a pulire la bocca di Maddie, la quale gorgogliò qualcosa di indistinto verso di me che mi allontanavo.
“Ciao Maddie, prenditi cura di mamma, sai mi servono i soldi per andare al cinema questo venerdì..”
“GEORGIA, SPARISCI!” sbraitò l’Aquila, lanciandomi uno sguardo di fuoco.
Uscii da quella gabbia di matti, nota come casa mia, e mi incamminai verso la Sweet Stratford High School (nome patetico, vero?).
Appena svoltai l’angolo mi scontrai con un misterioso uomo che poi scoprii essere Orlando Bloom, che guardandomi dritto negli occhi mi disse.. No, magari. Appena svoltai l’angolo riprese a diluviare, e io non avevo neanche un fottuto ombrello dietro.
“Cazzo..” borbottai, mettendomi a correre. Tu guarda se tutte le sfighe del mondo dovevo attirarle io! Adesso mi si sarebbero bagnati tutti capelli, e poi avrebbero preso la forma di un pallone aerostatico. Perfetto. Fantastico.
Le Converse nere e rovinate facevano splash splash sull’asfalto bagnato, mentre sentivo i jeans stringere di più attorno alle gambe a causa dell’acqua.
Che schifo di giornata che si prospetta. Ho imparato che se qualcosa inizia male, può solo finire peggio.
Finalmente arrivai nel cortile del liceo, completamente fradicia, però almeno ero arrivata. Individuai Sallie farmi cenni improbabili da sotto un enorme ombrello fucsia a pois azzurri. Alzai gli occhi al cielo: il suo cattivo gusto era una cosa con lui lottavo quotidianamente.
“Oddio, sei zuppa come una mollica nel brodo di tortellini!” commentò con la sua voce acuta, accogliendomi sotto al suo ombrello.
“Sallie, ti prego, questi paragoni..Tieniteli per te, okay?” replicai. Lei alzò gli enormi occhi azzurri al cielo, e piegò in una smorfia le labbra lucide di lipgloss rosa.
Vorrei essere un decimo bella come lei. Che palle.
“Comunque.” Continuò, sventolandomi davanti agli occhi una rivista. “Ho letto un articolo, qua dentro, che dice..”
“Se si tratta del piatto preferito, della marca di cravatte preferita o del numero di scarpe da bowling di Robert Pattinson sappi che non mi interessa.” La interruppi. Sallie aveva una malsana cotta per questo Pattinson. Più che cotta era una ossessione, in realtà.
“Sushi, Roberto Cavalli e 45, se proprio ci tieni a saperlo.” Replicò, guardandomi con aria di sfida. “Ma non si trattava di questo! L’articolo che ho letto diceva che..”
“Sanders, come va la vita?” Mark Johnson, capitano della squadra di Football, si era avvicinato al nostro ombrello, e aveva lanciato il classico sorriso stile Mentadent White a Sallie.
Chiaramente, io ero diventata della stessa materia dell’aria.
“Mark!” cinguettò lei, mentre le sue guance si tingevano di un delicato..rosso fuoco tendente al vermiglio.
Persino le pozzanghere qui per terra sapevano che Mark aveva puntato Sallie da un paio di settimane, e che lei ovviamente era cotta di lui da secoli.
“Senti, che ne dici di vederci venerdì sera?” propose Mister Sono uno Strafigo alla mia migliore amica.
Venerdì?! No, venerdì lei doveva uscire con me. Peccato, Johnson, prenderai il primo bidone della tua vit..
“Certo, perché no?” rispose Sallie, senza smettere di sorridere. Io strabuzzai gli occhi, guardandola come se venisse da Marte.
“Che?! Ma venerdì è..” mi intromisi indignata, dandole un colpo alla spalla.
“..Perfetto! Venerdì è perfetto!” concluse lei, lanciandomi un’occhiataccia. Strinsi le labbra, infuriata, e la piantai lì con quel coglione di Mark Johnson.
Perfetto, ci mancava solo che la mia migliore amica cominciasse a mollarmi per quel cretino, e avevo fatto bingo.
Cosa poteva esserci di peggio?
“Ehi, Justin Bieber ha appena finito il tour mondiale e torna qui a Stratford! AH!” urlò eccitata una ragazzina rossa all’amica accanto a lei.
Mi paralizzai nel mezzo del cortile.
Ecco cosa poteva esserci di peggio.
 
 
Ma buon pomeriggio, bonazze (?)
Questo è l’inizio di una nuova FF che avevo in mente da un po’..Fatemi sapere se vale la pena continuarla!
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Hi, ass. ***


La mia vita stava per fare la stessa fine della matita che tenevo tra le mani: andava in pezzi.
Che voleva dire ‘Ha finito il tour mondiale e torna a Stratford’?! Ma non dovrebbe avere i milioni, questo stronzetto? Perché non si compra una bella casetta, che so.. in Papuasia, invece di tornare qui a rovinare la mia vita (ancora una volta)?
Dio, Bieber è un disastro. È come una fottuta mina vagante, o il ciclo. Quando pensi di essertene liberata, eccolo che torna pronto all’attacco.
“A che pensi?” mi domandò Sallie, sedendosi accanto a me.
“Che Bieber è come il ciclo.”
“Rosso e appiccicoso?”
“No, però ti fa girare le ovaie.”
Mi girai per controllare la sua reazione, e la vidi intenta a fissare un punto imprecisato davanti a sé. Ma che cavolo, oggi non mi ascolta nessuno! La mia vita sta per sprofondare (e per arrivare più in basso di quanto già sia ce ne vuole) e non gliene frega nulla a nessuno!
“Sallie, mi stai ascoltando?” le chiesi irritata, spintonandola per farla tornare sulla Terra. Lei finalmente si girò, rivolgendomi un sorrisetto di scuse.
“Scusa, mi ero imbambolata.” Si giustificò, mettendo a posto una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. Lanciai un’occhiata ai banchi più avanti, e notai Mark seduto insieme ai suoi amichetti a ridacchiare da idioti quali erano.
“Io non capisco proprio come faccia a piacerti Johnson! Ho conosciuto porcellini d’India più intelligenti!” esclamai, guardandola in modo eloquente.
Lei fece spallucce, sempre senza distogliere lo sguardo da Mark “E allora? A te piace Bieber da quarant’anni.”
Aprii la bocca in una ‘O’ muta, veramente sconvolta. Nessuna delle due aveva mai apertamente accennato a.. questo! Ed inoltre non era vero, cazzo!
E poi come si permette? Dio, la detestavo quando faceva così! Che vada al quel paese, lei e la sua stupida frangetta bionda che non fa altro che toccarsi ogni sei secondi. Frangettona del cazzo.
Non feci in tempo a darle una risposta abbastanza acida, perché il prof. di Storia entrò in classe.
Dannazione.
 
Tenevo saldo tra le mani il vassoio pieno di cose disgustose che la mensa voleva spacciare per ‘cibo’.  Bah, che schifezze.
 Mi guardai intorno, e notai Sallie seduta insieme a due altre ragazze del nostro corso, qualche tavolo più in là. Ma non mi andava di sedermi vicino a lei, non dopo quella frase durante l’ora di Storia. Lo so, era una reazione stupida ed infantile, ma lei non avrebbe dovuto nominarlo. Nessuno doveva nominarlo, in mia presenza, tantomeno lei che neanche lo conosceva!
Mollai il vassoio su un tavolo vuoto accanto a me e diedi un’occhiata in giro, per controllare se nei paraggi ci fosse qualche prof., ma non vidi altro che un’orda di studenti rumorosi e affamati.
Perfetto, potevo uscire da quel manicomio e tornare solo per la fine della pausa pranzo, giusto in tempo per l’inizio delle lezioni pomeridiane. Non lo facevo da un sacco di tempo, in verità. Avevo smesso di farlo quando.. lui se ne era andato. Non era divertente trasgredire le regole da sola, o andare da McDonald’s da sola, e Sallie era troppo santarellina per farlo.
Mi infilai furtivamente nell’uscita secondaria della mensa, uscii dall’edificio, mi nascosi dietro una macchina per non essere vista dal bidello e correndo uscii dal cancello, fino a trovarmi sul marciapiede opposto alla scuola.
Alzai lo sguardo verso il cielo, che ora era coperto da pesanti nuvole nere, e vidi un aereo sbucare fuori da tutta quella coltre di nubi. Mi domandai se ci fosse Justin sopra..
Sospirai, e scossi la testa, come a scacciare tutti quei pensieri fastidiosi. Cosa me ne importava di Justin? Lui era il passato, McDonald’s tra due isolati, invece, era il mio presente.
Il familiare rombo di un autobus in arrivo mi fece voltare, e notai che ero proprio davanti alla fermata. Le porte si aprirono davanti al mio naso, e senza pensarci due volte saltai su. Alle brutte mi sarei persa e non sarei più potuta tornare in quel buco di cittadina che era Stratford. Tanto di guadagnato!
Non c’era nessuno sul bus, a parte un ragazzo seduto nel fondo, con tanto di capello con visiera e degli enormi occhiali da sole.
Occhiali da sole? A Stratford? A Settembre inoltrato? E chi era questo demente? Allungai un po’ il collo per osservarlo meglio, e strizzai gli occhi. Indossava una felpa molto larga grigia, e dei jeans strappati ad arte. Aveva la testa rivolta verso il finestrino, e non sembrava essersi accorto che io fossi salita.
Era curioso, quel ragazzo. Perché mettersi all’ultimo posto a sedere di un autobus vuoto? Sembrava quasi si stesse nascondendo. E aveva un non so che di familiare..
Improvvisamente si girò verso di me, e mi sentii arrossire. Che razza di figura, si sarà accorto che lo stavo fissando! Cretina. Volsi lo sguardo fuori dal finestrino, velocemente.
Lo sentii alzarsi, e camminare verso di me. Oddio, e ora che cavolo stava facendo? Il cuore prese a battermi all’impazzata, come il tamburo di una batteria.
E se fosse stato un pazzo? Un criminale? Uno stupratore adolescente? O Santo Cielo!
“Georgia? Oddio, ma sei tu?”
Fu strano quello che accadde in quell’attimo. Fu come se sentissi qualcosa spezzarsi, incrinarsi, emettere un sonoro crack  al centro esatto del mio petto. Come se si fosse scheggiata una perfetta lastra di ghiaccio, creando milioni e milioni di piccole crepe.
Puntai lo sguardo sul ragazzo davanti a me, e mi scontrai con i suoi occhi color nocciola fuso.
“Ciao, stronzo.”

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Capitolo 3
*** Autobus 602. ***


Avere autocontrollo nella vita è necessario, perché si verranno sempre a creare situazioni difficili in cui l’autocontrollo sarà l’unica cosa a cui potrai aggrapparti.
Uno di quei momenti è questo.
È grazie al mio autocontrollo che riesco a non scoppiare in lacrime di fronte al ragazzo che non vedo da due anni e mezzo.
È grazie al mio autocontrollo che riesco a non farmi imbambolare da quegli occhi meravigliosi, in cui riesco a vedere il mondo.
È grazie al mio autocontrollo che stringo forte i pugni e non mi alzo per prenderlo a ceffoni.
“Che?” esclama, incredulo, aggrappandosi alla barra rossa là accanto per non cadere all’ennesima curva presa molto male dal bus.
“Che cosa?”
“Eh?”
“Bieber, ma che cazzo stai dicendo?!” alzai la voce, irritata. Dio, sembrava una conversazione tra psicopatici!
“Sì Georgia, anche io sono davvero contento di vederti dopo due anni e mezzo!” ribattè sarcastico, guardandomi infastidito.
“Che ti aspettavi? Che fossi pronta con gli striscioni di bentornato? Guarda, forse siamo ancora in tempo a comprare i palloncini eh.. Magari poi ci posso scrivere sopra ‘Vaffanculo’” ribattei, curvando le labbra in un sorrisetto beffardo.
Strinse le labbra, socchiudendo gli occhi. Faceva sempre così quando tentava di analizzare una situazione. Analizza come sto per prenderti a calci, Bieber.
No. No. Autocontrollo, Georgia.
“Senti..” iniziò, alzando un braccio nella mia direzione. Prese un bel respiro, poi continuò: “Mi dispiace. Mi dispiace per essere sparito all’improvviso, mi dispiace per non averti più contattata, mi dispiace di non aver risposto ai messaggi, e alle chiamate..”
“A me non dispiace.” Lo interruppi, brusca.
Bugiarda, bugiarda, bugiarda, bugiarda..
“Dai Gee, non fare co..”
“Come mi hai chiamata?” urlai, lanciandogli uno sguardo furioso. Lui strabuzzò gli occhi, e mi sembrò quasi davvero spaventato.
Mi alzai velocemente, e mi avvicinai a lui. Sentivo montare la rabbia, e fanculo l’autocontrollo.
“Tu..” iniziai, puntandogli un dito sul petto “Tu non puoi più chiamarmi con quello stupido nomignolo, chiaro? Non sei più il mio migliore amico, Justin. Mettitelo in testa!” gridai. Ebbi l’impressione che l’autista avesse abbassato la radio, per ascoltare il nostro spettacolino.
“Ma perché? Ti ho detto che mi dispiace, Georgia, che altro devo fare? Mettermi in ginocchio?” gridò a sua volta, gesticolando.
“Sarebbe un buon inizio!”
Sbuffò pesantemente, passandosi una mano tra i capelli biondastri, poi puntò fermamente gli occhi su di me. Il mio povero cuore mancò una dozzina di battiti, sicuro.
“Georgia, mi-dispiace. Non so come altro dirtelo. Te lo ripeterei fino a perdere la voce, ma sai, ci lavoro con quella, quindi non sarebbe un’idea geniale.. Scusa.”
Rimanemmo in silenzio, solo il rumore dell’autobus che sfrecciava per le strade in sottofondo. Lo guardai, e nei suoi occhi vidi quello che avevo cercato in ogni ragazzo per gli ultimi due anni. Ma solo lui possedeva quella scintilla, quel brillio..
Ma io non potevo perdonarlo.
“Allora, amici come prima?” mi fece un sorriso brillante, un Bieber-sorriso, che illuminò tutto il bus, tutta la città e tutta me stessa.
Ma non cambiava nulla.
Scossi la testa, lentamente. “No, Justin. Non posso.”
Il sorriso gli morì velocemente sulle labbra.
“Perché ci sarà sempre un altro sogno.” Continuai “O un altro tour, o un altro CD, un altro trasferimento..O un’altra cosa da..superstar che ti terrà lontano da me. E per essere amici bisogna essere in due.” Finii, distogliendo lo sguardo.
“Gee, per me sei importante, davvero! Sei ancora la mia migliore amica!” insistè, e stavo per ribattere se l’autobus non avesse frenato bruscamente, e non gli fossi letteralmente finita addosso.
Mi aggrappai alla sua felpa per non cadere, involontariamente, mentre con una mano lui mi teneva per un fianco.
Odorava di cannella, cornetto alla crema e … Armani Code? Oddio, non aveva bisogno di quegli stupidi profumi per odorare di buono!
Cazzo, stavo veramente annusando Justin Bieber?
“Lo vedi che non riesci a starmi lontana?” scherzò lui, dandomi un buffetto sul fianco sinistro. Io lo allontanai con una mano, mentre l’autobus apriva le porte.
“Scommettiamo?” replicai, lanciandogli un ultimo sguardo prima di correre velocemente giù dal bus, un secondo prima che le porte si richiudessero.
Non fu abbastanza veloce da scendere con me, e diede una testata al vetro delle porte. Lo vidi dire qualcosa, molto probabilmente una parolaccia, mentre si massaggiava la testa con una mano e il bus ripartiva.
Sarebbe stata un’immagine molto suggestiva.. Io che guardo il mio ex - migliore amico allontanarsi su un banale autobus rosso canadese, il numero seicentodue, a voler essere precisi..
Dicevo, sarebbe stata un’immagine molto suggestiva, se non fosse stato che dopo neanche quattro metri l’autobus si fermò nuovamente, Bieber scese e correndo si avviò verso di me.
Qualcosa mi diceva che non avrei potuto archiviare la faccenda ‘Justin Bieber’ per ancora molto tempo..
 
 Terzo capitolo! E ora che succederà? Ah, non chiedetelo a me, perchè non lo so proprio! :p ByeBye
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Ristorante greco. ***


“No! Voglio andare da McDonald’s!” ripetei incazzata nera, sbattendo un piede a terra e fermandomi in mezzo alla strada
“E invece andiamo al ristorante greco.” Replicò Justin, imperturbabile, mentre controllava l’ora sul nuovissimo, fighissimo e costosissimo iPhone. Dio, stavo per prenderlo a calci. Lui, non l’iPhone.
Feci un respiro profondo, per calmarmi. “Okay, facciamo una bella cosa: tu vai al ristorante libanese..”
“Greco, ristorante greco!” mi corresse, spazientito.
“E’ uguale!” ribattei, facendo un gesto seccato con la mano“Dicevo, tu vai al ristorante greco ed io, DA SOLA, me ne vado al McDonald’s. Geniale non trovi? Bene, ciao.” Girai i tacchi e feci per andarmene quando lui mi tirò, non molto delicatamente, per un braccio e prese a trascinarmi per il verso opposto della strada.
“Justin! Molla la mia felpa!” strillai, dandogli uno schiaffo sulla spalla. Avrei avuto più successo prendendo a schiaffi un muro.
Mi lanciò uno sguardo di sbieco, piegando le labbra in un sorrisetto furbo che riuscì a distrarmi per un attimo. “Non ci penso neanche.” Cinguettò (sì, cinguettò..) allegramente.
Feci un verso simile al ringhio di una tigre scazzata, mentre continuavo ad essere trascinata come una bambina. “Se non mi molli mi metto ad urlare.” Lo minacciai, a denti stretti.
“Non lo faresti.”
“Ah sì? E che ne sai?”
“Forse perché ti conosco da quando neanche sapevi scrivere il tuo nome?” rispose retorico, esibendo l’ennesimo sorrisetto impertinente. Dio, ero indecisa tra il prenderlo a pugni e il baciarlo.
Feci un altro lungo respiro, e mi schiarii la voce. Ero pronta.
“AIUTO! AIUTO! MI STA MOLESTANDO!” presi ad urlare, con tutto il fiato che avevo. Justin si voltò repentinamente verso di me, sconvolto, mollando la presa sulla felpa come se si fosse scottato.
“Georgia, che cazzo ti urli?!”
“QUALCUNO MI AIUTI! E’ PAZZO, PAZZO!!” continuai indicandolo, mentre notavo una coppia di anziana dall’altro lato del marciapiede voltarsi verso di noi.
Stavo per lanciare un altro urlo stile aquila, se non fosse che Justin mi saltò letteralmente addosso, coprendomi la bocca con una mano e spingendomi verso il retro di un negozio più avanti. Io gli diedi un pugno sul petto, ma neanche lo sentì, credo.
“Ragazzo, che diavolo stai facendo?” una voce sconosciuta giunse alle nostre orecchie.
Ora, provate ad immaginare cosa questo povero disgraziato possa aver visto.
Un diciassettenne che tappa la bocca e tenta di spingere verso un angolo una ragazza che prova a prenderlo a pugni, dopo essersi sgolata urlando che un certo tizio la stava molestando.
Cazzo.
Sia io che Justin eravamo pietrificati, tanto che lui non mi aveva ancora tolto la mano dalla bocca.
L’uomo del mistero si avvicinò, e puntò un dito contro Justin “Mollala immediatamente, ragazzino!” tuonò. Lui si allontanò da me, portando entrambe le mani davanti il viso.
“No, aspetti, non è come sembra..”
“Davvero? E allora cosa volevi fare, idiota?!” continuò lo sconosciuto, avvicinandosi in modo non molto amichevole a Jus. Oddio, oddio, è tutta colpa mia!
“E’ mia amica! Glielo giuro, la conosco da una vita! Non volevo farle nie..”
“Bene, lo spiegherai in questura!” lo interruppe lo sconosciuto muscoloso e tatuato, mentre prendeva Justin per un braccio.
Cogliona, fai qualcosa!
Mi risvegliai dallo stato comatoso in cui ero caduta, e mi avvicinai di corsa verso i due.
“No! No, è solo un equivoco signore! Stavamo giocando, davvero!” presi ad urlare, gesticolando. Quello mi guardò scuotendo la testa “Bimba, non devi difenderlo, adesso lo portiamo in questura e vedrai che non ti infastidirà più..”
“Ma io non ho fatto niente! Sono Justin Bieber, non vede?! NON HO FATTO NIENTE!” strillò Jus, cercando di divincolarsi dalla presa dell’uomo, che lo teneva stretto.
“E chissene frega? Meglio se taci, ragazzino.”
“La prego, mi ascolti, è mio amico! Era solo uno scherzo, un gioco, mi creda!” continuai, agitata. Dio mio, quanto ero stata cretina! Era solo colpa mia!
L’uomo mi guardò socchiudendo gli occhi “Sei sicura?” chiese, poco convinto.
“Sì! Sicurissima!” asserii, annuendo velocemente con la testa. Lui alternò lo sguardo un paio di volte da me a Justin, che tentava sempre di scogliere la presa del tizio dal suo braccio, e finalmente parve decidere che dicevamo la verità.
“Va bene, vi credo.” Sibilò, mollando bruscamente il braccio di Justin “Ma la prossima volta non fate più stronzate come questa, chiaro? Bene.” Senza neanche aspettare una nostra risposta si voltò e tornò sulla strada da dove era venuto.
Mi voltai verso Justin, che si stava bruscamente aggiustando la felpa.
“Jus?” lo chiamai, a bassa voce, quasi mi vergognassi. Alzò lo sguardo verso di me, fissandomi gelido.
“Che altro vuoi? Metterti di nuovo ad un urlare in modo che mi sbattano direttamente in galera?” urlò, furioso. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, io sarei già nell’oltretomba.
“Mi dispiace, davvero. È stata una cosa stupida..”
“Sì, molto.” Mi interruppe velocemente, prima di superarmi e darmi le spalle. Lo seguii, cercando di stare al suo passo.
“Scusa, scusa, scusa! Davvero, mi dispiace da morire!” esclamai, tentando invano di farlo girare verso di me.
Non rispose, ovviamente. Continuava a camminare velocemente, tanto che stavo quasi correndo per tenergli il passo.
“Justin, girati un attimo!” gli misi una mano sulla spalla, ma si scansò. Poi, senza preavviso, si fermò e io sbattei il naso sulla sua spalla.
“Ahi..” borbottai, massaggiandomi la punta del naso. Nel frattempo lui mi guardava, in un iroso silenzio, a braccia incrociate.
Era il momento delle Scuse Ufficiali.
“Senti, mi dispiace tanto. Non volevo, è stata una cazzata e ti prometto che non lo farò più. Mi perdoni?” senza neanche sapere come, mi ritrovavo ad implorare il perdono di una delle persone che più odiavo al mondo. Era pazzesco. Ma non potevo sopportare l’idea che fosse arrabbiato con me.
Non sono affatto contraddittoria, vero?
Fece una smorfia, continuando a squadrarmi da capo a piedi. Era incredibile, ma era  più alto di me, e non è che fosse esattamente un giocatore di basket.
In poche parole, era un nanetto, ma comunque più alto di me.
“Ti perdono solo se vieni con me al ristorante greco.” Replicò, lanciandomi uno sguardo di sfida. Dio mio, quanto era sexy quando assumeva quello sguardo..
Ma che cazzo vado a pensare?! Sembro una ragazzina alle prese di qualche squilibrio ormonale..
..Bè, in effetti lo sono.
 “E va bene, andiamo a questo stupido ristorante greco!” acconsentii, allargando le braccia per poi farle ricadere sui fianchi, sconfitta.
Lui fece un sorriso brillante, superando di gran lunga la luce proveniente il cielo ancora un po’ nuvoloso, e mi prese per mano.
E poi le sentii. Sì, loro, quelle bastarde farfalle che..sfarfallavano dentro il mio stomaco. Maledette.
E maledetto lui, la sua mano intrecciata alla mia e il suo fottuto sorriso brillante.
 
 

Credo che ormai si sia capito, ma comunque è meglio ribadirlo..
In questa storia SELENA GOMEZ NON ESISTE! *stappa bottiglia di champagne e balla per la stanza*
No, seriamente, credo proprio non apparirà..Comunque potrei anche cambiare idea! Ma tanto non le farei fare una bella fine.
Non arrabbiatevi con me per questo, io non la odio perché sta con Justin, mi è sempre stata sulle palle, dai tempi dei Maghi di Waverly, e mi starebbe sul cavolo anche se non stesse con lui.
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Give me another chance. ***


“Un insalata con feta e pomodori e..” Justin spostò lo sguardo dalla cameriera (che credevo stesse per avere un mancamento) a me, interrogativamente.
“Pane.” Fu la mia risposta secca, mentre chiudevo bruscamente quello stupido menù.
La cameriera-tonno sembrò risvegliarsi, ed accorgersi che c’ero anche io a quel tavolo. Sorpresa!!
Mi lanciò uno sguardo infastidito “Non è nel menù.” Ribattè, squadrandomi.
“Questo vuol dire che qui non servite del pane?”
“Non capisco cosa intendi.”
“Dovresti darmi del Lei, sono una cliente.” Continuai, sempre più irritata. Ma tu guarda se devo sopportare l’isteria di una folle Belieber, nonché stupido esemplare di cameriera.
“Prende la mia stessa cosa.” Si intromise velocemente Justin, facendo un sorriso alla deficiente, che parve subito dimenticarsi della nostra discussione. Prese il menù dalle sue mani quasi al rallentatore e fece di tutto perché le loro mani si sfiorassero, ma all’ultimo Justin la ritrasse per tornare a guardarmi.
La faccia della deficiente fu impagabile. Se ne andò tutta impettita, ed entrò nella cucina sbattendo la porta. Alla faccia sua!
“A me fa schifo l’insalata!” sibilai, nella direzione di Bieber.
“Almeno ti mantieni in forma.” Mi fece l’occhiolino, prima di sorridere impertinente. Io gli lanciai un tovagliolo, che gli finì dritto in testa, a mo’ di cappello. Fece una smorfia, e lo rilanciò sul tavolo.
“Io sono perfettamente in forma.” Replicai, sistemandomi meglio sulla sedia.
“Lo vedo.” Rispose, prima di squadrarmi senza ritegno. Avevo per caso un cartello appiccicato in fronte con scritto ‘Prego, fissatemi tutti quanti. No flash’?
“Hai finito, o vuoi anche le lastre?”
“Ho mangiato yogurt acidi più dolci di te.”
“Tu mangi gli yogurt acidi?”
Ruotò gli occhi al cielo, come se avesse a che fare con una bambina dura di comprendonio. “Era per dire! Una volta non era così acida..” finì, guardandomi dritta negli occhi.
Puntai lo sguardo sulla tovaglia, prendendo a disegnarci piccoli cerchi con le dita. “Una volta avevo un migliore amico che non spariva per anni, diventando una superstar.” Risposi.
Lo sentii sospirare pesantemente. Pensava sarebbe bastato questo a mettere le cose apposto? Un sospiro, delle scuse a mezza bocca e uno stupido ristorante greco? No.
“Per quanto ancora me lo rinfaccerai?” chiese, retorico.
“Per quanto basta, Justin.”
“Non è stata colp..”
“Non osare!” esclamai con voce strozzata, alzando finalmente lo sguardo e puntando i miei occhi nei suoi “Non osare dire che non è stata colpa tua, o giuro che esco da quella porta e tu non mi vedi più.”
“E allora dimmi cosa devo dirti. Avanti, dimmelo, perché sembra che dica solo le cose sbagliate!” Ribattè, alzando la voce.
“Non so Justin, tu cosa vorresti sentirti dire se fossi in me? ‘Scusa, amici come prima’? Ti basterebbe questo?”
Spostò lo sguardo da me, indurendo la mascella. Dio, come era cresciuto in questi due anni.. Non era più il mio amichetto Jus, era un ragazzo fatto e finito.
Era una superstar.
E non aveva più tempo per me.
Ma cosa ci facevo qui? Perché avevo accettato di andare a pranzo con lui? Era stato uno sbaglio. E inoltre dovevo tornare a scuola..
Non aveva senso passare del tempo con qualcuno a cui io non interessavo da tempo, ormai.
Mi alzai, e lui si voltò velocemente verso di me. “Devo andare.” Borbottai ad occhi bassi, prendendo lo zaino lì a terra.
Sentii una sedia strusciare rumorosamente sul pavimento, e un secondo dopo la mano di Justin si stringeva attorno al mio polso, trattenendomi.
“Ti prego Georgia, non andartene.” Soffiò, a pochi centimetri dal mio viso. Dio, eravamo vicinissimi, e lui era così dannatamente bello, era così dannatamente…Justin.
“Io..io devo..”
“Non devi fare niente Gee, devi solo darmi un’altra opportunità.” Mormorò al mio orecchio, ed io sentii mille e più brividi attraversarmi da capo a piedi.
In poche parole, era molto figo. Punto.
Mi scostai, e lo guardai facendo una smorfia “Da quando sei diventato così bravo con le ragazze, Bieber?” domandai.
Alzò un sopracciglio, e si passò teatralmente una mano tra i capelli. “Lo sono sempre stato, baby..”
“Si, certo Justin. Infatti al tuo primo appuntamento hai quasi azzoppato la povera ragazza di turno..” gli ricordai.
“Non è stata colpa mia! Andiamo, come si fa a non accorgersi che c’è un marciapiede?!”
“Insalata greca!” una voce nasale e squillante ci distrasse, e trovammo la mentecatta di prima accanto al nostro tavolo, con un’insalata in mano e una paresi facciale dal troppo sorridere.
Guardai l’orologio, ed urlai: “Ma che peccato! Ora devo proprio tornare a scuola. Jus tesorino, mi accompagni tu vero??” mi aggrappai al braccio di Justin, e gli feci l’occhiolino. Lui trattenne un sorriso, e mi cinse le spalle con un braccio.
“Ma certo, piccola! Scusa, noi andiamo.” Lanciò un ultimo disinteressato sguardo alla cameriera, che immagino avrebbero dovuto ricoverare da un momento all’altro, e senza togliere il braccio dalle mie spalle mi guidò fuori dal locale.
Appena fuori dal locale scoppiammo a ridere, lui che si teneva la pancia per le troppe risate ed io che lacrimavo.
Avrei voluto scattarci una foto, perché per un momento eravamo tornati il vecchio Justin e la vecchia Georgia.
Per un momento eravamo tornati migliori amici.
Può un momento durare per sempre?
 

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Capitolo 6
*** Ciao Superstar. ***


Vorrei ringraziare tutte quelle sante ragazze che recensiscono, o che solo leggono in silenzio. Vi adoro <3
 
 
“Muoviti! Sono in ritardo, cazzo!” urlai, girandomi solo un attimo verso Justin, che mi seguiva correndo.
Controllai velocemente l’orologio allacciato al polso sinistro, e senza trattenere un verso strozzato mi accorsi che ero in ritardo di quindici minuti. Mi avrebbero ucciso, maciullato e poi avrebbero buttato i miei resti nel bidone della mensa..Ma il peggio del peggio è che avrebbero anche chiamato mia madre, e quella sì che sarebbe stata una catastrofe.
“Gee, aspetta, fermati!” esclamò Justin, dietro di me. Io scossi velocemente la testa, mentre saettavo tra le macchine parcheggiate là sul marciapiede. Porca miseria, quanto cazzo era lontana quella scuola?!
“Fermati un attimo!” feci finta di non sentirlo. Quale parte di ‘Sono in ritardo, cazzo’ non gli era chiara?  
Ad un tratto sentii qualcosa trattenermi per la manica sinistra, e dovetti fermarmi, rischiando di cadere con il culo per terra.
Io lo ammazzo. Lo ammazzo con le mie mani.
“Justin, CHE VUOI?” mi girai furiosa verso di lui, sperando di incenerirlo con uno sguardo.
“So che ti è difficile fare qualcosa che non sia urlarmi contro, ma prova a ragionare..” iniziò, prendendo fiato dopo la folle corsa.
“Ah ah, divertente. “
“Se entri adesso tutti si accorgeranno che sei in ritardo e che sei stata fuori scuola a pranzo, mentre se non entri affatto potranno pensare che ti sei sentita male, o cose così.” continuò, guardandomi con l’aria di chi la sapeva lunga.
Ruotai gli occhi al cielo. Questo ragazzino aveva totalmente dimenticato cosa significare una persona anonima e normale, con dei doveri.
“Justin caro, questo non è il mondo delle Superstar, pieno di mini pony arcobaleno e soldoni, questo è il pianeta Terra.” arricciò il naso, incrociando le braccia al petto “Mi hanno vista tutti stamattina, a scuola, e stavo benissimo. Se torno ora posso dire che ero rimasta chiusa in bagno,o cazzate così..” finii, facendo un gesto vago con le mani.
“Bloccata nel cesso, questo sì che è un piano astuto! Neanche l’FBI riuscirebbe a smascherarti.” mi prese in giro, appoggiandosi alla portiera di una macchina là vicino. Una folata di vento mi investii in pieno, e una ciocca di capelli neri mi finii davanti gli occhi. La scacciai infastidita.
“Invece il tuo piano quale sarebbe? E ‘non tornare affatto’ non è un piano, è solo una gran stronzata.”
“E invece è un’idea grandiosa! Non c’è da stupirsi, comunque, dato che è venuta in mente a me..” si pavoneggiò, mettendosi anche in posa, quasi. Io gli mollai uno scappellotto, con grande delicatezza.
“Ahia!” urlò, massaggiandosi la nuca, e lanciandomi uno sguardo ostile. Io scoppiai a ridere, divertita.
“Sai, sei cresciuto un bel po’, ma non sei ancora abbastanza grande per non essere picchiato da me.” gli dissi, dandogli una spintarella con due dita.
“Purtroppo tu sei anche più ragazza di prima, quindi non posso picchiarti.” Ribattè, con una smorfia.
“Pensa cosa direbbero i giornali! ‘Popstar mondiale malmena povera ragazza indifesa.’ ”
“E tu saresti la povera ragazza indifesa?”
“No, io sono la popstar, la ragazza sei tu.”
A malapena riuscii a finire la frase, perché Justin mi sollevò da terra e in un puro sacco di patate style mi caricò sulla sua spalla.
Non ci credo! Questo ragazzo è pazzo!!
“JUSTIN! MOLLAMI!” strillai, cercando di trattenere le risate.  Lui in tutta risposta girò su se stesso,  ed il mio urlo e  la sua risata cristallina si sparsero nell’aria.
Questo mi fa cadere e mi ammazza, me lo sento! Mi spiaccicherò sul terreno, e quelli di C.S.I verranno a farmi la sagoma bianca intorno!
“Justin, o mi molli o ti uccido!” lo minacciai, dandogli uno schiaffo sulla schiena. Magari se avessi smesso di ridere sarei anche riuscita ad incutere timore.
Mi riprese per in fianchi e dopo qualche secondo i miei piedi toccarono nuovamente terra, ed ebbi la sua faccia davanti.
“Sono ancora io la ragazza?” mi domandò, senza mollare la presa dai miei fianchi. Aveva un sorrisetto stampato sulle labbra a cuore, e i raggi di un pallido sole che spuntava dalle nuvole gli illuminavano i capelli color miele
Dovetti sbattere un paio di volte le palpebre, per non rimanere imbambolata a guardarlo. Dannazione!
“Ehm, in realtà sì..” risposi, facendogli la linguaccia. Tentai di sgusciare via dalle sue braccia, ma mi bloccò nuovamente, stringendo le braccia attorno alla mia schiena.
Eravamo vicinissimi, sentivo il suo respiro, e lo fissavo negli occhi nocciola, contornati da lunghissime ciglia. Avanti Georgia, pensa a qualcosa di epico da dire..Dai, dai, dai!
“Sai che ogni numero periodico ha la propria frazione generatrice?”
Oddio, che cazzo avevo detto?!
Fece un faccia confusa, ed aggrottò le sopracciglia. “Cos’è un numero periodico?” chiese.
“Non sai cos’è un numero periodico?! Dio mio ragazzo, ma tu nuoti nell’ignoranza..”
“Scommetto che non lo sai neanche tu!”
“E invece si!”
“No.”
“Si.”
“No!”
“Si!”
“Si!
“NO! Cioè, SI!” esclamai, correggendomi. Lui scoppiò a ridere, e slacciò le braccia dalla mia schiena. Se non fossi stata troppo impegnata a fissarlo adorante mentre rideva, mi sarei infastidita.
“Sei più fuori di mio nonno Benjamin, Gee. E lui crede che sia ancora il 1928.” Disse, senza smettere di ridere.
“Grazie, anche io ti voglio tanto bene Justin!” Ribattei, sarcastica. Gli diedi le spalle e feci finta di andarmene..Sperai si sbrigasse a fermarmi, altrimenti sarei dovuta veramente andare via, e sarebbe stato davvero pietoso.
Fortunatamente sentii una pressione sul braccio sinistro, e quando mi rigirai Mr Superstar era lì.
“Dai, guarda che nonno Benji è simpatico!” continuò, tentando di rimanere serio.
“Sai cos’altro è simpatico? Io che ti prendo a ginocchiate.”
“Oh, che cattivona che sei!”
“Senti Mr Superstar, non mi provocare.” Lo avvertì, puntandogli un indice sul petto. Fece un sorriso dolce, e si mise velocemente a posto la frangia.
“Mr Superstar è carino.” Affermò, avvicinandosi un po’ di più a me. Sentivo il cuore accelerare sempre di più- bum bum, bum bum…
Lo sentiva anche lui?
“Tu sei carino.” Replicai, senza pensare. Solo un secondo dopo aver pronunciato quelle parole mi accorsi di cosa diavolo avevo detto.
Idiota idiota idiota!
“Io non..cioè, mm, intendevo carino..ma non carino in quel senso, cioè non che siano molti sensi in cui intendere la parola ‘carino’ ma..cioè..Nnngg!” iniziai a sparare cose senza senso, velocemente, cercando disperatamente di riparare al danno fatto.
“Ehi Gee, calma, anche tu sei carina. Più di me.” mi interruppe, facendomi l’occhiolino.
Scossi la testa, decisa “Mr Superstar, non scherziamo.”
Mi prese una mano, delicatamente, poi si avvicinò al mio orecchio e disse: ‘Se io sono Mr Superstar tu sei Miss Little Star.” Sussurrò, con la sua voce calda e bassa. Non feci in tempo a ribattere che mi schioccò un sonoro bacio sulla guancia, stordendomi del tutto.
Stavo pensando di articolare qualche suono, quando si allontanò e lasciò la mia mano.
“Ci vediamo Gee.” Mi fece un cenno con la mano, camminando all’indietro. Poi si voltò, alzò il cappuccio della felpa sopra la testa e piano piano vidi la sua sagoma rimpicciolirsi.
Io rimasi su quel marciapiede, un espressione ebete e la bocca aperta in una O muta, per non so quanto. Forse dieci minuti, forse una vita intera.
“Ciao Superstar.” Sussurrai, al vento.

 

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Capitolo 7
*** Duplo e cereali. ***


“E insomma lui ha finto di sbadigliare e poi ha poggiato un braccio intorno alle mie spalle!” squittì Sallie, sempre più eccitata. Aveva gli occhi spalancati, della stessa dimensione della testa di un Carlino, per intenderci.
In risposta sbadigliai per l’ennesima volta, e lasciai cadere la testa sul banco. Era lunedì mattina, ed era la quinta volta che Sallie mi raccontava del suo ‘magico’ appuntamento con Johnson, di cui non me ne fregava davvero niente.
Se sapesse che tipi di incontri ho fatto io! Quelli sì che erano magici!
“Georgia, mi stai ascoltando?!” esclamò, dandomi uno schiaffo su una coscia.
Sbuffai, ed alzai la testa. I capelli mi coprivano gran parte della visuale, ed era meglio così dato che sarei caduta in una depressione profonda nel vedere quanto fosse ben truccata e ben vestita Sallie rispetto a me.
“Senti, non me ne frega niente di Johnson e di come cerchi disperatamente di abbordare una ragazza. E’ lunedì, ed ho sonno. Lasciami dormire.” Borbottai, prima di rituffarmi sul banco.
“Grazie tante eh! Ti interessa di me solo quando devi lamentarti del fatto che Bieber si è dimenticato che esisti.” Ribattè, acida.
Sobbalzai, e mi girai a guardarla sconvolta, spostando i capelli che cadevano davanti gli occhi.
Come cazzo si permetteva? Cosa ne poteva sapere lei di me e Justin?! Stupida Barbie che non era altro!
E poi lui non si era dimenticato di me! Era tornato! Certo, non che fosse tornato per me, ma comunque mi aveva pregata di dargli una chance per riscattarsi!
“Lui non si è dimenticato di me!” urlai, indignata, dimenticandomi per un momento di essere in classe.
In un secondo venti paia d’occhi si volsero nella mia direzione, incuriositi. Oddio, avevo urlato così forte?
“Reed, vuole rendere partecipe tutta la classe della sua interessante conversazione con la signorina Sanders?” domandò irritato il prof. Larsson, lanciandomi un’occhiata gelida.
“Scusi prof.” mormorai, scocciata.
“Veda di fare silenzio allora.” concluse, prima di ricominciare a blaterare di atomi, molecole e tutte quelle altre cavolate che riguardavano la sua materia.
Guardai sprezzante Sallie per un attimo, che stava controllando la sua preziosa frangetta attraverso uno specchietto nell’astuccio, per poi girarmi verso il muro.
Questa ragazza sapeva essere davvero stupida a volte.
 
“Ma’, sono tornata!” Esclamai, chiudendomi la porta di casa alle spalle.
Nessuna risposta. Probabilmente era fuori al parco con la marmocchia. Bè, tanto meglio, sarei stata in pace per un po’.
Lanciai lo zaino da qualche parte, il giacchetto sulla sedia in legno rovinato in ingresso e mi avviai spedita verso il frigo, affamata.
Ovviamente l’Egoista, a cui piaceva definirsi mia madre, ogni tanto, non mi aveva preparato il pranzo quindi mi toccava farlo da me. E’ triste a volte essere un’adolescente abbandonata  a sé stessa, ma finchè ho la TV libera è okay.
Aprii il frigo, che fece il familiare rumore di un tir in procinto di rompersi,e scrutai dentro.
Tre fette di prosciutto, un Duplo, una scatola vuota di sottilette e.. una decina di omogeneizzati di manzo.
Dio, che schifo. Di questo passo, se nessuno si muove a fare la spesa, diventerò anoressica, e allora non troverò mai un ragazzo.
Presi il Duplo, poi aprii la credenza, tirai giù i cereali e li misi in una tazza. Stavo per versare il latte quando il mio cellulare squillò. Lo tirai con una mano fuori dalla tasca e senza controllare chi fosse risposi.
“Pronfto?” biascicai, mentre masticavo la merendina, appoggiavo il cellulare alla spalla e con la mano libera versavo il latte nella tazza.
Meglio di Wonder Woman.
“Gee, sei tu?”
Il cartone di latte mi scivolò dalle mani, finendo per spargere tutto il contenuto sul tavolo e per terra.
“Oddio!” urlai, sobbalzando.
“Sai che puoi chiamarmi solo Justin.”
Alzai gli occhi al cielo, e ripresi il cellulare in mano. “Originale. Ma come hai avuto il mio numero?”
“Conosco persone che conoscono persone che conoscono il tuo numero.” Replicò, tranquillamente.
“Va bene, non mi interessa. Perché mi hai chiamato?” continuai, dando un altro morso al Duplo.
“Mi andava di sentirti. Ti disturbo?”
“Stavo mangiando.”
“Che cosa?”
“STAVO MANGIANDO!” ripetei, a voce più alta. Ma era sordo?
“Ho capito, intendevo cosa stavi mangiando!” ribattè, ovvio.
“Uhm..un Duplo e cereali.”
“Mi prendi in giro?”
“Perché dovrei scherzare sul mio pranzo?”
La sua risata risuonò metallica e lontana, attraverso il telefono. “L’ultima volta che ho pranzato con i cereali è stata quando avevo undici anni, circa.”
“Questo perché tu puoi permetterti uno chef privato, mentre io sono rimasta la stessa squattrinata di sempre.” Gli feci notare, mettendomi in ginocchio a terra e cercando di asciugare con una pezza il lago di latte.
“Vuoi venire sul mio Bus che uso per andare in tour?” chiese, improvvisamente.
“Il Bus che usi per andare in tour?! E perché?”
“Perché è una figata.”
Stetti un attimo in silenzio, smettendo di pulire. Beh, non era male come idea. E poi mia madre sarebbe stata fuori ancora per delle ore, e a casa non c’era nulla da mangiare.
Ero assolutamente giustificata.
“C’è qualcosa da mangiare sul bus?” domandai, circospetta.
“Oh, eccome se c’è.” Potrei giurare di riuscire a vedere il suo sorrisetto impertinente da qui.
“Però devi venirmi a prendere..”
“Sto arrivando!” esclamò, prima di chiudere la telefonata.
Era rimasto il solito cafone di sempre.
 
Questo è un capitolo per lo più di passaggio, prometto che nel prossimo succederanno più cose :)
Ah, una precisazione, Georgia quando parla della sua famiglia è ovviamente di parte, quindi quando definisce la madre un’egoista cronica non dovete prenderla per una verità assoluta, è solo il pensiero di un’adolescente come un’altra :)
Alla prossima!

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