Prati Incolti

di Solieh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Carta Straccia ***
Capitolo 2: *** 2. Gelo Invernale ***
Capitolo 3: *** 3. Cessare ***
Capitolo 4: *** 4. La stretta di mano ***
Capitolo 5: *** 5. L'ultimo sorriso ***
Capitolo 6: *** 6. Mare d'inverno ***
Capitolo 7: *** 7. L'inverno dei miei venticinque anni ***
Capitolo 8: *** 8. Aoko - chan ***
Capitolo 9: *** 9. La luna è l'amore ***
Capitolo 10: *** 10. Quella persona ***



Capitolo 1
*** 1. Carta Straccia ***


“I tuoi occhi sono ancora azzurri. Proprio come l’ultima volta che li ho visti. È passato così tanto tempo che stento a credere che qui di fronte a me ci sia proprio tu”sospira stanco socchiudendo gli occhi.
“Tutto qui quello che hai da dirmi vero??”la bocca mi si piega tristemente e io abbasso la testa.
“No”alzo la testa per guardarlo dritto negli occhi “I tuoi occhi sono rimasti gli stessi,ma alla fine tu sei cambiata”.
 
 
“Kaito” correvo al massimo delle mie capacità per raggiungerlo il più in fretta possibile. Kaito, in un modo o nell’altro se ne stava sempre qualche passo più avanti di me. E io restavo indietro, tranquilla. Come fosse quello il mio posto. Già allora lo amavo come lo amo oggi, già allora lo desideravo con tutta me stessa. Ma la mia anima offuscava tutto il resto, persino un sentimento forte come l’amore. Era proprio come avere una lunga treccia per le mani, dove amore e anima si fondono. Qual è il filo più lungo? Io non l’ho mai capito.
“Potevi fare un altro po’ più tardi. Cerca di regolarti stupida”mi tirò una pacca poco delicata sulla schiena, mi fece anche abbastanza male.
Non badai al dolore “Senti,ho pensato per sabato prossimo di andare alla festa di compleanno di Akako insieme” arrossii. Non era certo la prima volta che uscivamo assieme, eppure quando ero io a chiederlo, sentivo sempre la testa che girava.
“Insieme io e te?” inarcò un sopracciglio scettico e pensante. Io annuii timidamente.
“Allora?”
Mi squadrò dalla testa ai piedi “Va bene” fece spallucce come era solito fare.
Da quando l’avevo conosciuto Kaito era rimasto immutato. Aveva un’aria dannata e misteriosa proprio come qualcuno aveva detto a me. Anche se, se qualcuno mi chiedesse “perché sei così?” io non saprei rispondere. Cosa sono in fondo? Cos’ero? Aoko è sempre Aoko. Mi pare di averlo già detto da qualche altra parte.
 In quell’ultimo periodo, sarà la neve che ti fa stringere il cuore, ci eravamo stretti anche noi in un unico abbraccio.  Ma nessuno aveva mai detto all’altro “ti amo”, forse perché ci bastava saperlo, forse perché eravamo incuranti di quello che la vita comporta. Nonostante il nostro essere, avevamo pur sempre diciassette anni.
“Kaito è successo qualcosa?” strinsi forte la manica sinistra della sua camicia. Di solito Kaito rideva, e rideva e rideva. Eravamo una coppietta triste. Qualcuno ci aveva definiti così. Ma Kaito rideva. Di continuo.
“Insomma Aoko smetti di essere così appiccicosa”alzò un po’ la voce e tutti i passanti si girarono a guardarci.
“Ma che ti prende?”un Kaito che non rideva per nulla era troppo strano.
“Niente. Ti chiedo solo di piantarla” sbuffò.
“Ma la settimana scorsa hai detto che ero sempre assorta nei miei pensieri e che non tenevo conto di te e ora sentiti” misi il broncio come una bambina piccola e per un po’ non gli parlai. Pensai che non andava. Volevo che mi sorridesse, con lui io volevo soltanto sorridere. Bastava il resto a farmi intristire.
D’un tratto si fermò e mi guardò serio. Più mi fissava più le guance s’arrossavano e il cuore incalzava.
“C-che c’è adesso?” balbettai insicura.
“La … la tua storia. Stai continuando a scriverla?” corrugò le sopracciglia infastidito.
“La risposta non ti piacerà” mi intristii anch’io. Quella storia … continuavo a non capire cosa ci fosse di tanto strano. Era una storia qualunque.
“Allora non aggiungere altro per un po’ “girò la faccia dall’altra parte.
Quello era il tasto dolente,almeno da un po’. Cominciai a piangere senza singhiozzare, evitando di attirare la sua attenzione. Non riuscivo a capire. Gli dava fastidio che io cercassi rifugio in qualcosa?
“Non mi piace quella storia. E poi è infantile scrivere una storia così” mi guardò negli occhi incurante delle lacrime.
“Sei il ragazzo più infantile che io abbia mai conosciuto” mi doleva lo stomaco.
“Sei tu che sei infantile,quell’incantesimo che tempo fa ti ha fatto Akako non è servito proprio a niente lo sai? A quanto pare quel sortilegio è utile quanto la tua storia”.
“Bastardo” dissi fredda “Chiunque al giorno d’oggi abbia un minimo di buon senso e un animo profondo e gentile, si mette lì e butta giù due versi di una poesia o due righi di una storia”.
“Non copiarmi le frasi Aoko” sbuffò.
“Proprio perché questa è una cosa che hai detto tu dovresti capirla, proprio perché anche tu sei come me dovresti capire” urlai quando eravamo oramai nel cortile della scuola. Ma nessuno ci sentì, nessuno ci vide,  nessuno poteva poiché la campanella d’entrata era già suonata e nessuno avrebbe potuto vederci, né  sentirci.
“Io non ho detto che è stupido scrivere, ho solo detto che è stupido scrivere una storia come la tua. Non mi piace, è una bugia. E tu hai diciassette anni”.
“È per questo che hai pianto? Perché non può ricordarti  te stesso?”il mio sguardo era vuoto e freddo come la prima neve invernale. Fissavo il nulla mentre i conati di vomito diventavano più fitti.
Aspettò un po’ prima di rispondere,come se fosse alla ricerca di parole adeguate “No. È che non credevo che invece tu potessi essere così codarda nei confronti della vita”.
“Che cosa?”
“Tu piangi sempre e ti lamenti per ogni cosa sei una diversa dagli altri, un po’ più sensibile. Lo hai scritto anche nella tua storia no? Che ci sono anime prescelte, anime elette  all’insoddisfazione, anime che con chiunque siano e in qualunque luogo siano non possono sentirsi adeguate al mondo che le circonda” stavo zitta “E allora perché t’inventi dei personaggi che sanno trovare la loro felicità?” Kaito era arrabbiato,molto arrabbiato.
“Nulla,è perché io voglio …”
“Cos’è che vuoi Aoko? Essere come loro? Trovare la tua felicità? Sai bene che non puoi farlo. È una bambinata”.
“Non lo so … io non lo so” i singhiozzi spezzarono le mie parole. Sapere che non si può essere diversi da quelli che si è, è stancante. Sapere che si è distanti dagli altri anni luce. E lui stava sempre lì a dirmelo “Aoko,sei diversa”. Faceva un po’ male. Come il freddo pungente che senti prima che la neve cada.
“Fai una cosa,vattene a casa per oggi, infilati sotto le coperte e fatti una bella dormita. E soprattutto non continuare a scrivere quella storia, bruciala così non potrai più leggerla, tantomeno farla leggere a me”.
“Kaito, è solo una storia. Dove le persone non colgono tutte le sfumature della sofferenza e vivono sommariamente felici” singhiozzai.
“No” era così triste “Non si può”. Era come un divieto, una sosta vietata, un divieto d’accesso … “non si può”. È inutile continuare a provarci, è un muro che non crollerà mai. Mi guardò più triste “Te ne rendi conto? Stai scrivendo una storia sciocca. È la cosa che più mi fa rabbia è che sai scrivere benissimo. Quindi quella storia diventa incantevole. Capisci? Scrivi così bene, e  i sentimenti della gente sono così limpidi, che quasi ti viene da sperarci, che in qualche modo qualcuno si potrà salvare” la sua voce era così calma. Le parole scorrevano lisce come un fiumiciattolo in primavera. Pareva quasi una ninna nanna. “Vai a casa Aoko ti prego,eh?” accennò un flebile sorriso.
“ Si” non avevo il coraggio di aggiungere altro. Ricordo che faceva freddo, un freddo che gelava anche il sangue nelle vene, e che mi veniva da vomitare. Ricordo ancora la sua divisa scolastica che si confondeva col nero dei suoi capelli man mano che si allontanava per raggiungere l’entrata a scuola. Quella figura così bella. Chissà se io da allora, l’ho perso o l’ho fatto mio.
 
 
Chiedo scusa se l'ho già postata altre due volte e poi l'ho cancellata. Ho semplicemente notato che la mia sbadataggine supera sempre i limiti che credo(traducendo:avevo dimenticato che le virgolette basse cacellano il parlato,su efp -.- perdono). Mi spiace se parto subito con le cose tristi... in ogni cosa sappiate che questo capitolo è anche allegro ^^'' Continuate a seguirmi se vi fa piacere,questa storia a suo modo, può sembrare bella!

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Capitolo 2
*** 2. Gelo Invernale ***


Ultimamente c’era un sentimento che più del solito faceva capolino tra gli altri. E avevo mal di stomaco per questo.
“Che hai?” era tornato a sorridere. Si dondolava su un piede della sedia, accanto alla finestra.
Arrossii “Guarda che così prima o poi cadi a terra” sorrisi.
“Allora?” non era nel suo stile arrendersi subito “Che hai?”.
“Nulla,non c’è nulla” arrossivo con maggiore intensità se mi si fissava. E ultimamente lo faceva spesso. Ultimamente succedevano un sacco di cose. Prima si arrabbiava e non parlava, poi rideva di nuovo. E anche io. Prima piangevo, poi avevo smesso di scrivere.
“Però un attimo fa eri pallida e ora sei viola. Sei strana da un po’ di tempo”. Da un po’ di tempo, avrei voluto dirgli quello che provavo per lui.
Quell’inverno faceva particolarmente freddo. O forse mi sembra che sia così. Forse sono convinta che quell’inverno sia stato il più freddo di tutti gli inverni passati fin ora, perché quello è stato il più speciale.
Allora avevo diciassette anni e il costante desiderio di dichiarare il mio amore a Kaito. Peccato che quanto più diventava forte il desiderio, tanto più scarseggiava il coraggio. Ci avevo provato tantissime volte, ma non era nel mio stile affrontare le cose con sicurezza, quindi rinunciavo facilmente.
“Allora alla festa di Akako da cosa ci travestiamo?” cercai di cambiare discorso.
“Eh?Ma è il suo compleanno mica una festa in maschera?”
“Pensavo a uno stile vintage anni sessanta,che te ne pare?” risi.
“Che schifo,scordatelo” mi scombinò i capelli e mi alzò la gonna della divisa.
“Maniaco” strillai.
“Quando siamo a casa mia non mi sembra che ti disturbi se ti alzo la gonna”sbuffò deluso.
Gli tirai uno schiaffo in pieno viso “Allora da cosa vogliamo travestirci?” inarcai un sopracciglio divertita.
Anche lui sorrise “A te la scelta, basta che non si tratti di un periodo storico ti prego” si alzò dalla sedia per abbracciarmi. Le aule vuote di pomeriggio, mi piacevano. Il sole si tingeva di rosso e tutto sembrava più triste. Stare con Kaito in quei momenti, era ancora più bello. Continuavo a pensare “così sono salva, non andrò alla deriva”.
“Kaito” lo chiamai , così,senza un motivo. Non rispose. Rimanemmo a guardare il tramonto per pochi secondi, prima che decidesse di tornare a casa.
All’uscita da scuola non riuscivo a vedere Kaito, l’avevo perso di vista così m’avviai a casa temendo di fare troppo tardi per i gusti di mio padre, al quale non avevo detto nulla di me e di Kaito. L’ispettore Nakamori era un uomo troppo scorbutico a volte.
Dopo cena, quando mio padre se ne fu andato a lavoro, entrando in camera mia notai un particolare strano:il monocolo di Kaito Kid sulla mia scrivania e dietro le mie spalle, il ladro in carne ed ossa. Avrei riconosciuto quel monocolo tra mille. Passavo ore e ore ad esaminarlo nelle foto e in televisione.
Quando passarono cinque minuti in silenzio lui si tolse il cilindro e si mise a piangere, cadde in ginocchio chiedendomi scusa. Non credo di aver fatto nulla di sbagliato, se dopo averlo stretto in un abbraccio soffocante, l’abbia cacciato di casa. Sono una donna fatalista, una stupida. E Kaito era come me. Per le tre settimane seguenti non gli parlai.
Quando lui si era tolto il cilindro e mi aveva guardato negli occhi, io avevo sorriso e avevo sentito più freddo. Forse è davvero per quello che ricordo quell’inverno come il più gelido della mia vita, e non era solo freddo. Era anche secco e prosciugante come lo era Kaito. La verità è che quasi tutte le sensazioni che provavo erano tutte dovute e riferite a lui.
“Aoko” un giorno mi mise con le spalle al muro, durante la ronda di pulizia quando la scuola era pressoché vuota.
Io non lo guardavo in viso “Che vuoi?” tenevo la voce bassa.
“Perché fai così?” la sua voce tremava come una foglia al vento, e io avevo voglia di piangere come una bambina a cui è caduto un gelato a terra. Una parte di me l’aveva perso e nella speranza di ritrovarlo si era messa a correre dietro di lui. Un’altra parte di me si era persa in se stessa e non riuscivo più a trovarla. Mi sentivo così terribilmente vuota.
“Come fai ad essere Kaito Kid?” a me importava di lui, prima che della sua bugia.
“Mio padre lo era, lo hanno ucciso e io sto tentando di rivendicarlo” disse a voce sommessa.
“Oh ma non mi dire” strinsi le labbra.
“Non mi credi?” nei suoi occhi si leggeva perdizione.
“E cosa farai quando li avrai trovati? Ammazzerai tutti?” nei suoi occhi blu scuro, al suono delle mie parole, si potette leggere paura, tristezza e cattiveria “Mettiti il cuore in pace e vivi la tua vita come un normale essere umano” facevo ridere. Forse era per quello che lui rideva sempre. Accanto a sé, teneva un bel pagliaccio. Non credo di essere stata mai ipocrita come in quel momento. Proprio io anima distrutta e sleale davo dei consigli ad un animo distrutto e corrotto almeno quanto il mio.
Scosse la testa “La storia l’hai bruciata?”
“No”
“Questo è l’ultimo atto, allora” mi guardò con disprezzo.
“Mi stai lasciando?” il cuore mi batteva così forte da arrivarmi in gola. Per una storia e per colpa di Kaito Kid, lui mi stava lasciando.
“No” nel corridoio non si sentiva nulla “Noi non siamo mai stati insieme”. Per la mia incapacità e la mia eterna perdizione, per la sua eterna perdizione ed incapacità. Per il nostro amore e per altre mille cose che nessuno mi ha mai spiegato. Era per quello che Kaito mi lasciò. Dopo un attimo di vuoto totale pensai che non andava bene il fatto che io, ogni volta che lo guardavo allontanarsi in corsa, pensavo a quando sarei riuscita a dichiarargli il mio amore. Fare l’amore con lui quasi tutti i giorni andava bene, anche se non stavamo insieme? L’amore va bene anche se non lo dici?
Quel giorno, mentre guardavo la sua figura che si allontanava nella neve, pensai che il mio cuore si era spaccato. Che una crepa era partita dal centro e si era diramata in tutto il cuore. Le contavo le volte che facevamo l’amore, perché riuscissi a rendermi conto il prima possibile dell’amore che c’era. Contavo i suoi sorrisi e i battiti del mio cuore, anche se poi non avevano un numero. L’amore … avevo ragione. “Lascialo andare” mi ero detta e non ci ero riuscita. Continuavo a chiedermi quanto ci somigliassimo e a come avrei potuto lasciare andare via una persona che riusciva a comprendermi e a toccarmi fin nel profondo. Ma quando lui mi disse che non eravamo mai stati insieme capii quello che prima di allora non avevo mai compreso:io da quel giorno d’inverno non l’avevo né perso, né fatto mio. Solamente l’avevo fatto uguale a me, lasciando che lui prendesse la mia vita in mano e la scagliasse con violenza nella neve fredda.  
 
Anche se ora la storia sembr aferma a un punto morto, nei prossimi capitoli comincerà a correre veloce, e soprattutto comincerannoa  emergere in maniera più limpida i caratteri di ogni personaggio ;)

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Capitolo 3
*** 3. Cessare ***


“Ciao Aoko,ne è passato di tempo” sorride “Quanti? Sei?”
“Otto” accompagno il suo sorriso con il mio.
“Allora tanti auguri Aoko,per i tuoi venticinque anni” sorride ancora più forte e più triste “La bambina che porti per mano chi è? Una figlia di conoscenti?” la guarda preoccupato.
“Prova un po’ ad indovinare?” il mio sguardo si è spento di nuovo.
 
È sempre stato alquanto complicato per me portare le cose fino in fondo. Correre per un giro intero, dormire tutta la notte, stare ferma per tutto il tempo che mi veniva chiesto di farlo. Studiare un intero capitolo. Non era nel mio stile rimboccarmi le maniche e stringermi una fascia intorno alla fronte gridando che il domani sarebbe stato migliore di oggi. Non era nel mio stile credere nel domani, credere nella vita, credere in me. Non riuscivo a studiare per un intero anno scolastico, non riuscivo a sorridere per un intero giorno, non riuscivo a dormire per un’intera notte. Mai. Era per quel motivo che avevo cominciato a scrivere una storia, per quanto ridicola e inverosimile fosse, che aveva per protagonisti ragazzi capaci di credere in loro stessi, nel domani e nella vita. Io avevo paura di tutto, piangevo spesso e parlavo con voce sommessa seppur graziosa. Inoltre le cose non andavano mai come io avevo previsto. Il che non faceva altro se non alimentare la mia insoddisfazione. Avevo così tanto dolore nell’anima che se fossi stata un personaggio di un racconto fantascientifico, con un raggio energetico avrei raso al suolo la terra. Tanto era l’odio che covavo nel corpo, che avrei distrutto tutto.
“Non sei andata a scuola neppure oggi” mio padre parlava a voce bassa quando fumava.
“No,sto male” sorrisi.
“E che hai?”
“Mal di stomaco, mi gira la testa e mi fa male la schiena”.
Mi aveva guardata poco soddisfatto e quando io avevo fatto per andarmene di sopra in camera mia lui aveva ripreso parola “Di nuovo non vai più a scuola, la primavera ti fa male”.
“Ma papà, se siamo ancora a Febbraio?”
“Errato. Primo Marzo, proprio oggi”. Che poi comunque non era primavera.
Qualche anno più tardi mi son chiesta perché per me quell’inverno sia stato il più speciale se neppure mi accorsi della sua fine. La risposta è un qualcosa al quale non sono arrivata subito, bisogna soffrire prima di farlo. E quando ci sono arrivata ho sofferto ancora di più. Dunque non ha senso, me ne rendo conto.
“Aoko” mi girai verso mio padre “Kaito, che fine ha fatto?” mi guardava pensieroso “Sta venendo a scuola?”.
“Si” più che un’affermazione il mio era un sussurro. Sorrisi a denti stretti.
“Perché mi dici bugie?” aveva tossito burbero.
“Scusa”
“Non so quello che ti ha detto ma … si è trasferito” le pupille, alle parole di mio padre, si restrinsero e il cuore mi fece così male che d’impulso mi infilai le scarpe e corsi verso la residenza Kuroba.
Le luci erano spente e il cancello chiuso col lucchetto, mi accasciai in terra nella neve fredda. Più volte ho pensato che è più facile morire per colpa della vita piuttosto che per colpa della morte stessa. Più volte sono morta, quella non fu certo la prima. Eppure sembrava un dolore nuovo. Senza Kaito ero persa. Ero conscia di odiarlo per certi versi, ma sapevo che l’amore che provavo per lui era in grado di azzerare quell’odio all’istante. Kaito era sempre stato sorridente dalla prima volta che l’avevo visto. Anche se suo padre era morto, anche se sua madre era troppo dolce perché lui potesse esserle grato come si meritava, anche se pensava che la sua vita non avesse un senso, lui sorrideva perché aveva una missione. Probabilmente il senso della sua vita gliel’avevo strappato io. Perciò pensavo che non dovevo starmene con le mani in mano a pensare che senza di lui non potevo vivere. Due lacrime rigarono le mie guance e andarono a morire nella neve. Quando sarei tornata a casa mi sarei tolta la vita. Ci pensai seriamente e voltai le spalle alla casa di Kaito per andarmene da questo mondo il più in fretta possibile. Piangevo perché ero consapevole che una volta arrivata a casa non avrei fatto niente. Pensavo cose come “se decidi di morire fallo immediatamente, basta un attimo di ripensamento e non lo fai più” e io mentre sarei corsa verso casa, ci avrei ripensato sicuramente. Mi sedetti di nuovo nella neve. Non piangevo neanche più. Non sapevo neppure cosa pensare.
“Aoko,allora sei venuta?” la voce di Kaito mi raggiunse dall’altra parte del cancello, all’improvviso. Come se all’improvviso la sua voce avesse spazzato via tutta la neve e il freddo. Le mie guance presero colore e d’impulso balzai in piedi guardandolo negli occhi spaventata.
“Kaito” ero sorpresa sempre più mentre lui apriva il cancello per farmi entrare “che ci fai tu qui?” lo guardavo incredula. Avevo un espressione truce, avrei voluto piangere ancora, anche se avevo diciassette anni e mi sembravano troppi per farlo. Avrei dovuto farlo.
“Non è vero che mi sono trasferito, non ancora almeno. Ho chiesto a tuo padre di reggermi il gioco per farti venire qui” sorrise facendomi entrare in casa.
La casa era calda e il rosso delle mie guance saliva sempre di più.
“Che vuol dire “non ancora”?” mi tolsi il giacchetto posandolo su una poltrona del salotto. Kaito sedette di fronte a me così io tenevo lo sguardo rivolto a sinistra, per non incontrare i suoi ingannevoli occhi.
“Aoko-ch..”
“Non stiamo insieme quindi vedi di prendere le distanze, per favore. Non chiamarmi Aoko-chan” ero così poco convinta che spinsi lo sguardo ancora più lontano.
“Ti chiamo così da quando abbiamo cinque anni”
“Affar tuo. Nakamori-san, così devi chiamarmi” la parte destra del labbro superiore mi si tirava su, come fanno i felini quando ringhiano. Digrignavo i denti in segno di nervosismo.
“Nakamori-san” ripeté lui dispiaciuto. Prese fiato “Non sono bravo a parole…”
“Ma non mi dire. E pensare che il famoso ladro Kid inganna un sacco di belle ragazze con le parole” ero più cinica che mai all’apparenza, ma il mio sguardo era sempre più lontano. Le gambe mi tremavano perché il cuore pregava il cervello di non dar loro l’impulso di alzarsi e correre via. Cos’è che stavo aspettando?
Cos’è che aspettavo?
“Aoko … io ti amo” aspettavo già allora che Kaito mi desse una buona ragione perché le gambe smettessero di tremare.
“Si, lo so. Però sono stanca di seguire i tuoi improvvisi sbalzi d’umore” arrossii guardandolo finalmente negli occhi.
“Vuoi dire che non t’importa il perché, vero? Non ti importa di sapere quello che provo quando impersono Kid?” era apatico e un velo appannava lo scintillio solito dei suoi occhi.
“Certo che m’importa, cosa credi che sia stupida? Smettila di essere Kid, Kaito! Ti rendi conto dei rischi che corri e non a livello fisico sciocco, io parlo di come ti senti dentro” lo guardavo arrabbiata e impietosita. Lui mi guardava mantenendo un sorriso sghembo e sfacciato sulle labbra. Come se non credesse neppure a una parola.
“Guarda che è la stessa cosa che stai facendo tu” aveva distolto lo sguardo “Quella stupida storia, ti avevo chiesto di bruciarla e non l’hai fatto” era arrabbiato davvero.
“Ti ha sconvolto così tanto?” mi ero alzata in piedi guardandolo con disprezzo e sconforto.
Lui era rimato sul divano di fronte a me “Se tu bruci quella storia io smetterò di essere Kid” aveva chiuso gli occhi nel dirlo.
“Io continuerò a scrivere” avevo abbassato la testa. Continuai a ripetere a me stessa che non l’avrei più visto. Aveva pronunciato un “non ancora” di troppo.
“Io continuerò a volare” a quelle parole ero corsa verso la porta, avevo infilato le scarpe ed ero scappata via. Con forza e ridicolezza avevo aperto il cancello per mettermi a correre nella neve. D’improvviso una luce accecante di un auto si piazzò dritta davanti a me, tanto che riuscivo a percepirla anche con gli occhi chiusi. Forse, di tutte le volte che ho chiuso gli occhi per le troppe lacrime, quella è stata la più sfortunata. Non ricordo granché di quel momento. Ricordo la voce di Kaito che si apriva in un urlo, il cuore che andava all’impazzata. Poi la testa che impazzisce di dolore perché ha violentemente sbattuto contro un muro. Ricordo solo l’auto che ripartiva a gran velocità e le mani di Kaito intorno al mio viso e alla mia testa e il suo corpo sopra il mio, nell’intento di proteggermi. Riaprii gli occhi che mi facevano male.
“Non ti sei fatta niente, hai solo dato una capocciata al muro perché ti ci ho spinta con poca delicatezza” pareva ancora arrabbiato. Dopo pochi minuti di silenzio mi era anche passato abbastanza il mal di testa.
“Ti prego smettila di fare Kaito Kid” avevo detto piangendo ancora quando lui aveva fatto per tornarsene a casa “Kaito – chan facciamo pace, facciamo pace”. Lui se n’era andato senza che me accorgessi lasciandomi col suo solito sorriso sghembo e superiore. Quel sorriso che io conoscevo troppo bene, perché era lo stesso sorriso che spesso avevo io. E così capivo anche perché lui sorrideva in quel modo. Si sentiva forte perché la superiorità, l’intoccabilità, l’orgoglio erano una sensazione così piacevole da macchiare anche il suo vestito bianco.
 

Spero di aver scritto bene anche questo capitolo. Spero vi piacerà <3

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Capitolo 4
*** 4. La stretta di mano ***


Quando la prima neve cade sulla città la tristezza mi invade e torno a leggere quella storia che tengo chiusa nell’armadio di camera mia. Alla fine non l’ho più bruciata. Anche se sono passati quasi dieci anni.
“Senti, mi trovo anche piuttosto in imbarazzo a starmene qui in casa tua, non è che potrei andare?”.
Sbatto le palpebre in un espressione che denota il vuoto che ho dentro “Come preferisci, vedi prima cosa vuol fare Kiara” poi torno a fissare il paesaggio fuori la finestra.
“Senti Aoko, ma allora Kiara è proprio tua figlia?”curva la testa verso destra. Io annuisco con occhi lucidi.
 
Che la vita fosse la prova più difficile che ci si potesse parare dinanzi, lo avevo capito già allora. Il problema stava nell’accettazione. Io non riuscivo a dire “è così, facciamocene una ragione”. Io ero insoddisfatta sempre e comunque e della mia insoddisfazione ne facevo un’arte.   
Ricordo con triste affetto, la prima volta che lessi a Kaito, la storia che lui ha tanto odiato.
“Continua …” aveva sussurrato.
Annuii sorridente “… chiuse gli occhi lentamente e con fare leggero, le sembrava di aver toccato una stella con un dito tanto la felicità la spingeva in alto. Lui l’abbracciò di nuovo e le mostrò la casa che da quel momento in poi sarebbe stata loro. Era una casa enorme, con un giardino all’inglese ancora più grande. Un giardino curato. Lei chiuse ancora gli occhi, poi pianse e capì di essere felice” chiusi il libro soddisfatta di me stessa. “Allora? Che te ne pare, signor Kuroba?” il mio sorriso era scintillante.
Lui tentennò alla ricerca di parole appropriate, parole che non seppe trovare “Scrivi bene” mise il broncio “A quando il secondo capitolo?” sorrise.
“La prossima settimana” gli ero balzata indosso e lo avevo baciato senza badare troppo alla porta di camera mia, che era rimasta aperta. La primavera era appena finita e l’aria cominciava a farsi carica della pesantezza tipica dell’estate. L’afa seccava la gola e il sudore dava noia sotto il collo. Io avevo continuamente sete e mentre baciavo Kaito sentivo ancora più caldo e felicità. Solo quando non parlavamo, solo quando non parlavo con nessuno, solo allora io potevo essere felice. Tutto il resto continuava solo a dirmi “stai vivendo nel non senso, tutti camminiamo verso la stessa cosa, tutti percorriamo in silenzio la stessa strada e tutti in un punto o in un altro ci perdiamo o restiamo fermi, immobili, impassibili. Non ci teniamo neppure per mano”.
Kaito era quello che tra la folla mi avrebbe teso la mano, facendo un sacco di casino. Era quello che avrebbe chiuso i suoi occhi e avrebbe riposato solo accanto a me, parlando anche nel sonno pur di tenermi compagnia. Kaito era quello che poteva salvarmi. Però le cose che possono salvarti, chissà perché, se ne vanno sempre in fretta.
 
“Senti Aoko, tu quando l’hai avuta quella bambina?”
“Un po’ di tempo fa, con quello che poi è diventato mio marito” continuiamo a camminare per la casa seguendo Kiara.
“Sono felice di vedere che hai seguito i miei consigli” sorride, ma ha un sorriso strano.
Lo guardo negli occhi apatica “Io non ho seguito i tuoi consigli, ho fatto tutto di mia spontanea volontà. Eri un moccioso che non sapeva prendersi le proprie responsabilità, figurarsi se avrei seguito i consigli di uno come te” lui non mi guarda e Kiara si ferma guardandoci preoccupata. Poi si avvicina.
“Kaito – san, io e la mamma adesso abbiamo da fare” guarda triste verso Kaito, come le dispiacesse dire quello che ha appena detto “Ciao ciao Kaito – ojisan” gli tiene strette le mani.
“Non far piangere la mamma per favore” lui le accarezza i capelli e il mio stomaco si contorce.
Kiara annuisce e sorride flebilmente. “Ci rivedremo, vero?” spalanca gli occhi in attesa della risposta.
“Sicuramente” fa lui avviandosi alla porta.
“Tra altri otto anni?” sono curiosa anche io. Lui sorride “No. Ci vediamo a Shibuya, sono tornato a casa” apre la porta.
“Ah, aspetta” mi guarda “Come sta la tua mamma?” si intristisce “Volevo chiamarla ma mi ricordava …”poi scorgo il viso curioso di Kiara e allora mi fermo “Salutamela”.
Annuisce e chiude la porta dietro sé.
Mi sono sempre detta che starsene fermi con le mani in mano cercando di trovare un senso a tutto è qualcosa da non fare, perché troppo triste. Ti toglie tempo e alla fine arrivi a capire che di fondo, niente e nessuno ha un senso, e questo fa male. L’amore è l’unica cosa che ti permette di andare avanti, se è un amore vivibile, se è un amore che cambia ogni giorno.
 La verità è che per quanto un uomo possa amarne un altro, siamo creature destinate ad isolarci le une dalle altre. Posso solo stringere più forte la mano di Kiara, fino a farle male, un’altra volta.
 
 
 

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Capitolo 5
*** 5. L'ultimo sorriso ***


Io non ho mai creduto che l’amore possa andare oltre le distanze. In un modo o nell’altro due persone che non riescono a vedersi per tanto tempo, finiscono col rifarsi una vita propria, indipendentemente dalla strada che l’altro ha scelto. Anche se quelle due persone continuano a pensarsi.
Spesso, una volta che due si sono persi di vista, anche se continuano a volersi bene non si rincontrano più.

 
“Kaito-chan” sorrideva.
“Mmm,Aoko piantala di chiamarmi così a scuola” arrossii.
“Uffa!”rideva di gusto “Sei proprio antipatico”.
“Piantala scema” arrossii ancora più forte.
Aveva l’aria di chi non se ne frega nulla di nessuno “Sai qual è una tua curiosa caratteristica?” si era spostata i capelli in maniera rude ma sensuale “Che in realtà sei molto più scemo di quello che si possa credere” poi se n’era andata via lasciando che il vento le alzasse la gonna.
“Kuroba” la voce sensuale di Akako mi chiamava dal banco di dietro “Allora è vero che ti piace Nakamori” sorrise.
Sbuffai  “Piantala di guardare sempre me e Aoko. Piuttosto datti da fare con quello stupido detective”.
“Chi? Hakuba?”era arrossita.
“Conosci altri detective?” feci spallucce.
“Di quelli che danno la caccia a te, si” sorrise maliziosa.
“Piantala” .
“Lo hai detto a Nakamori?” assunse l’aria di chi sa già tutto.
“Detto cosa?” ero stranito.
“So che devi dirle due cose. Una sarà sicuramente svelarle che tu sei Kaito Kid, ma l’altra?”.
“L’altra lasciala perdere, che è meglio” abbandonai in un attimo la classe e scesi in cortile dove trovai seduta Aoko.
“Aoko, che ci fai qui? Non eri andata via da un pezzo?>>.
“Ti aspettavo” sorrise.
“E come mai?” di solito quando non uscivamo insieme, nessuno dei due aspettava l’altro per tornare a casa.
“Perché oggi tutti e due siamo di buon umore” mi prese per mano.
Quella era la primavera dei miei diciassette anni. Dentro di me albergava un senso di vuoto che non mi permetteva di capire dove fossi. Correvo così forte da non ricordarmi le insegne dei negozi davanti ai quali passavo, non ricordavo i visi dei commessi che lavoravano al forno sotto casa mia, né quali fossero i nomi delle strade. Sentivo il bisogno di correre, di scappare via lontano. In realtà quello che faceva male era tutto dentro me. Anche se le persone attorno a me fossero state diverse, anche se si fossero comportate come io avrei voluto, la rabbia che covavo dentro non si sarebbe placata. La morte di mio padre, il dolore di mia madre che non era più riuscita a riprendersi, la sensibilità di Aoko, la spensieratezza che non avevo mai avuto, nessuno sarebbe mai stato in grado di alleviare le pene che io infliggevo a me stesso. Nessuno, tranne Aoko, e la vita mi ha portato via proprio lei.
Mentre correvo verso casa, nel bivio che separava la strada per arrivare a casa mia da quella per arrivare a casa di Aoko, mi voltai per guardarla. Il ruggente vento di primavera le scompigliava gli abiti e i capelli già ribelli, il suono del vento metteva i brividi. Chiamai il nome di Aoko, lei si voltò, disse qualche parola, poi sorrise e andò via.
“Kaito” la dolce voce della mamma, in quel periodo la odiavo. Sorrisi “mamma, sei già in casa?”.
Il suo viso stanco emise un sorriso, e mi si strinse il cuore per aver pensato di odiare quella voce “Lo hai detto ad Aoko?” quando pronunciò quelle parole capì che anche se faceva male, odiavo la sua voce.
“Non ancora, non è facile dirle che sono il ladro che lei odia perché affatica suo padre” abbassai gli occhi oramai vuoti “Andrò a dirglielo domani o dopodomani”.
“Dovresti dirle anche un’altra cosa, che è ben più grave per voi” abbassò gli occhi anche lei. Chissà quanto vuoto gravava sulle sue giovani e già stanche spalle.
“Fingerò di essere arrabbiato, fingerò di essere triste, fingerò di odiarla, fingerò di non sopportarla più e glielo dirò” non piangevano, i miei occhi terrorizzati erano asciutti come la sabbia del deserto.
“Fingerai di essere arrabbiato e triste? Non lo sei? Non mi odi forse per questo?” siccome non ebbi il coraggio di fornirle risposta abbassò gli occhi e riprese ad imballare le stoviglie negli scatoloni. Il camion dei traslochi sarebbe venuto a prenderli l’indomani.
Quel giorno mentre tornavo a casa, nel bivio che separava la mia strada da quella di Aoko mi voltai per guardarla, il vento di primavera le scompigliava i capelli. Chiamai il suo nome con voce rotta e quando si voltò mi sembrò più bella.
“Ti voglio bene” mi disse, poi tornò a darmi le spalle per correre verso casa sua. Quella …
“ Kaito” una voce morbida mi chiama. Una voce nostalgica e triste. Mi volto verso di lei, tiene per mano una bambina identica a lei.
Quella fu l’ultima volta che vidi Aoko sorridermi.
Però oggi la vita mi ha insegnato qualcosa a cui non avrei mai creduto. Due persone che continuano a volersi bene si rincontrano. Anche se fingono di odiarsi.


Dal prossimo capitolo,si abbandonerà un pochino pochino la prevalenza della storia e cominceranno a prevalere i caratteri e i sentimenti dei vari personaggi. Ho cercato di scrivere in modo che riuscisse a trapelare il carattere di ognuno. Vorrei farvi capire chi è Aoko,chi è Kaito e chi sono gli altri che ancora devono apparire. Spero di riuscire nel mio intento...è un lavoro un po' complicato,e mi piacerebbe riuscire proprio per questo. Le recensioni,sono sempre gradite ;)

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Capitolo 6
*** 6. Mare d'inverno ***


A quel tempo non sapevo quale fosse la strada migliore da percorrere e non avevo idea di quello che avrei potuto trovare alla fine di qualunque strada io avessi scelto. Provavo paura, rabbia e perdizione, questa era sicuramente quella che mi faceva gelare il sangue. Avevo appena diciannove anni, una figlia di già due anni, una marito che adoravo e tanto vuoto negli occhi.
Quell’inverno nevicava forte, le temperature a Tokyo erano scese paurosamente sotto lo zero, credevo che la capitale si fosse spostata in Russia piuttosto che restare in Giappone. Ciononostante continuavo a sentire meno freddo rispetto all’inverno di due anni prima. La mia quotidianità era composta dalla sveglia alle nove di mattina, colazione e lavoro. Lavoravo in questura, o in alcuni condomini facendo le pulizie. Cosa poteva pretendere una che non aveva terminato le scuole superiori per gravidanza e che i primi tempi era stata additata come una donnaccia? Era già tanto se nel mio quartiere nessuno mi guardava più con aria truce. Rincasavo verso le sette di sera e trovavo  spesso la tavola imbandita, mia figlia che scorazzava allegra per casa e mio marito ai fornelli. E ogni volta era una faticaccia trattenere le lacrime.
“Mamma” mia figlia mi chiamava a gran voce.
“La mamma ti è mancata?” l’avevo abbracciata sotto lo sguardo dolce di mio marito. Lei aveva annuito affondando il viso nei miei capelli.
Dopo cena misi a letto Kiara e tornai in cucina per fare i piatti. Mio marito era appoggiato al tavolo per scrivere. Aveva una lunga pila di cartacce. Le prendeva una ad una, le firmava e le riponeva su un’altra fila.
“Ma non ti stanchi mai?” il rumore delle stoviglie lo distrasse, e fece cadere a terra tutti i fogli.
“Ah, scusa, avrò svegliato Kiara?”.
“No, tranquillo” sorrisi “Com’è andata oggi a lavoro?”.
“Brillantemente come al solito, ho risolto altri due casi di furto, un tentato furto e un apparente caso di suicidio, in realtà si trattava omicidio preterintenzionale”.
“Il tuo preferito, no?”.
“Da risolvere naturalmente, Aoko” scosse la testa “Come l’hai detto sembra quasi che mi piaccia stare a guardare la gente che si uccide”.
“In effetti non so come tu faccia ad andare avanti con così tanto odio che ti gira attorno”.
“Tranquilla, quando torno a casa c’è così tanto amore” sorrise.
“Lo sai? Ti si sono schiariti i capelli. Che cosa strana, d’inverno”.
“Ah, si, mi capita spesso. Anche se a pensarci bene negli ultimi anni non è successo. Deve dipendere dal fatto che ultimamente in ufficio tengo sempre le finestre aperte se non nevica, così entra un po’ di sole”.
“Beato te” sbuffai “Io di sole ne vedo poco durante le ore di lavoro” cacciai il broncio come una bambina.
“Ahaha, così sembri Kiara”. Sbuffai di nuovo.
“Piantala stupido, e andiamo a letto che siamo stanchi tutti e due. Domani è il nostro giorno libero, dove ce ne andiamo?” mi portò in braccio fino al bagno.  Aprii l’acqua della vasca.
“Ti fai il bagno?” stava per entrare nel box doccia.
“Vuoi farlo con me?”.
“No, entro in doccia” sorrise “Comunque senti, preleviamo Kiara da scuola e ce ne andiamo a mare, che te ne pare?”.
“Con la neve?” rimasi incantata dall’idea di vedere il mare mentre scende la neve, pensai che dovesse trattarsi di un paesaggio unico.
“Esatto”.
“Sono d’accordissimo” uscii dalla vasca e di scatto entrai in doccia con lui. Quella notte ci addormentammo molto tardi.
A quel tempo, pur essendo quella la mia quotidianità, ancora non riuscivo a credere di avere diciannove anni, di essere già sposata e di avere anche una figlia. Facevo tutte le cose che una brava moglie e una brava mamma dovrebbero fare, mio marito era affabile e avevo la più educata e tenera delle figlie. Spesso forzavo me stessa di essere felice. Mi dicevo “sei felice” o “stai tranquilla che la tua vita va bene così” ma ogni volta, dopo un breve periodo di tempo cercavo il dolore. E quello di certo non tardava ad arrivare. Ogni piccola cosa era motivo di un grande dolore, ma nei miei sogni il dolore aveva sempre il volto di Kaito. Spesso sognavo  che correva nella neve dandomi le spalle, in quell’inverno di due anni prima che mi aveva lasciata priva di ogni speranza di salvezza.
“Ah, quanti inverni erano che non nevicava?” guarda in alto con gli occhi coperti dei ciuffi, Kiara gli tira addosso delle palle di neve ridendo.
“Credo tre, o quattro” mi aggiusto la sciarpa.
“Davvero? Proprio quest’anno che sono ritornato ha cominciato a nevicare, che bello” sembra un bambino più di quanto non lo sembri Kiara.
“Kaito-ojiisan? Hai mai visto la neve prima d’ora?”
Kaito annuisce, poi la prende in braccio e la fa roteare nella neve.  Kiara si stringe attorno al suo viso.
“Ma perché devi essere così dannatamente affettuosa con tutti tu?” le aggiusto il cappello e lei mi porge la mano per andare via.
“Mamma perché non invitiamo anche Kaito alla festa di Natale?” Kaito mi guarda e io guardo altrove, già cosciente dell’espressione del mio amico d’infanzia “Ci sarà anche papà, no? Così si conosceranno”.
“Tranquilla piccola, io il tuo papà lo conosco già” le accarezza la testa “Bye Bye Aoko-chan”.
Di nuovo “bye bye” quel saluto che non ha mai rivolto a me, neppure quando avrebbe dovuto “Aspetta” lo richiamo “Ci saranno anche Akako e Meiko perché non vieni?”sorrido convinta.  Mi guarda sbalordito, poi gira le spalle e comincia a correre.
Mi sono sempre chiesta perché Kaito debba portare sempre maglie di colore scuro. La prima volta che lo vidi correre  per le strade innevate con una maglia scura, frequentavo appena la sesta elementare. E quella figura mi parve così bella e malinconica. Oggi io di anni ne ho venticinque.

Nell’inverno dei miei diciannove anni, mio marito tenendo Kiara in braccio la portò fino in riva. Il paesaggio era stupendo e bianchissimo. Pensai che mi sarebbe piaciuto guardare i capelli mossi di Kaito,confondersi col nero di un suo qualsiasi maglione e col nero del mare invernale.


Credo sia l'ultimo capitolo, insieme al prossimo, che si occupa più della storia che di altro. Dall'ottavo capitolo, ho caminciato(non so perchè) ad approfondire quello che i personaggi sono. Aoko è sicuramente quella che mi somiglia di più. Spero tanto di aver fatto un buon lavoro e di avervi incitato a continuare la lettura. Grazie ;)

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Capitolo 7
*** 7. L'inverno dei miei venticinque anni ***


“Mamma” la voce sottile di Kiara si propaga in tutta la casa.
“Cosa c’è? È arrivato Kaito?” strilla lei dall’altra parte della casa.
“Si” mi trascina allegramente in cucina, dove trovo Aoko tutta indaffarata a preparare la cena.
“Sera” abbozzo imbarazzato. Kiara aiuta a sfilarmi la giacca e poi corre in corridoio a poggiarla all’appendiabito.
“Tuo marito?” inarco un sopracciglio.
“Sta ancora lavorando ma tra poco sarà qui” è allegra mi sembra. Canticchia tagliuzzando le verdure per il curry.
“Vuoi che ti dia una mano? Hai già l’affanno” scherzo.
“Ma va’. Se non sbaglio sei un impiastro in cucina. E poi non c’è problema:tra poco arriverà Akako a darmi una mano>>sorride. I ricordi fanno male. Dire “ricordo di te che …” è come continuare a dire un tempo che non c’è più.
“Akako?” sono sorpreso “Quella vecchia snob è ancora in giro da queste parti?” alzo gli occhi al cielo sbuffando “Ma non aveva detto che dopo il diploma sarebbe andata in America, avrebbe sposato un uomo ricco di cui si sarebbe innamorata e avrebbe avuto tanti figli?”.
Aoko tiene gli occhi bassi “Lo sai meglio di me che la vita è sempre pronta a deluderti, figurati se ha risparmiato i colpi bassi a una come lei”.
“A quanto pare, storie facili non ne esistono, no?” senza rendermene conto in tempo, assumo un tono di superiorità.
“Abbassa i toni”.
“Scusa” non volevo.
“Ero una bambina”.
“Avevi diciassette anni e mezzo Aoko” le righe che ho letto di quella stupida storia mi passano davanti agli occhi e sento il sangue ribollirmi nelle vene. So benissimo quanto esagerate siano le mie reazioni a proposito di quella storia … dopotutto non aveva nulla di così allarmante. Eppure mi è bastata leggerla una sola volta perché al solo ricordo io senta male ancora oggi, dopo quasi dieci anni.
“Quello è essere adulti? Per quanto matura potessi essere allora è normale che anche  a me piacesse crogiolarmi in un desiderio di felicità” mi guarda dritta negli occhi.
“Io non l’ho mai fatto” alzo un poco la voce, lei ne risente.
“Guarda che anche io lo sapevo” continua a pulire le verdure, senza più guardarmi.
Kiara entra nella stanza “Mamma è arrivata la zia Akako con Mamo-chan” è tutta sorridente.
“Vieni tesoro, falli entrare” Aoko conserva ancora lo stesso triste e dolce sorriso di un tempo. Mi domando se il mio non sia cambiato da allora, se non sia diventato più duro.
Prima di rendermene conto mi arriva una pesante borsata in pieno viso.
“Kuroba … tu” la voce minacciosa di Akako mi spaventa, così balzo in piedi e indietreggio mentre lei avanza sempre più tenebrosa verso di me.
“Che ho fatto?” è bellissima, come era allora. Una sfilza di immagini della “signorina Akako” mi passano davanti agli occhi. L’immagine di lei splendida diciassettenne si alterna e sovrappone a quella che è ora:una donna con una bellezza molto più matura ed inondante di quanto potessi immaginare.
“Bentornato” smette di agitarsi tutto d’un tratto e sorride “Bentornato Kaito”. Io guardo altrove.
Poco dietro di lei scorgo un bambino bellissimo, con i capelli rossicci e gli occhi identici a quelli di Akako, rosso intenso.
“Questa scena l’ho già vista da qualche parte …” guardo Aoko di sottecchi che mi fa una linguaccia “Lascia che indovini, è tuo figlio?”.
Akako fa spallucce “Cosa vuoi? Aoko non è l’unica a rimanere incinta!” ridiamo tutti. L’atmosfera è più tesa del previsto.
Piano piano la stanza si svuota, Mamoru e Kiara vanno in camera di lei a giocare e Akako aiuta ai fornelli, così mi affaccio alla finestra e mi accendo una sigaretta.
Era la primavera dei miei diciotto anni. Ero il playboy del corso di scienze naturali, avevo tutte le ragazze che volevo, uscivo di continuo la sera, tornavo quando mi comodava e il mio pensiero volgeva al passato. Ero privo di sogni e di speranze, non credevo nel presente né tantomeno nel futuro, non dormivo mai ed ero sempre stanco.
“Kaito sei tornato?” la mamma era corsa all’entrata preoccupata “Potresti anche avvisarmi quando fai così tardi”.
La voce della mamma era rotta dalla rabbia, e quanto più la sua voce si faceva dura tanto più io la odiavo.
“Scusa” risposi così ma in realtà non mi sentì per nulla in colpa. La mamma si stirò la schiena con un espressione dolorante. La mia giovane mamma … la sua schiena doleva come quella di un’anziana. Avrei voluto poter fare qualcosa, invece riuscivo solo a provare per lei un sentimento d’odio che si alternava alla tenerezza e all’amore più bello e profondo.
Quello è stato il periodo nel quale ho parlato meno con mia madre. Tutto perché lei mi aveva detto troppo.
“Aoko era incinta” mi aveva detto un giorno.
“Quando?”.
“L’anno scorso sono tornata a Shibuya per delle commissioni e l’ho vista col pancione”
“E potrebbe essere mio?”
“Potrebbe.  Ma teneva sotto braccio un uomo, potrebbe essere anche suo”.
“Un uomo?” ricordo che mi assalì una rabbia tremenda, e l’espressione “vederci nero” si concretizzò. Per un attimo non fui in grado di vedere nulla. Non ho mai capito il perché, ma solo un nome da subito mi affollò la mente:Saguru Hakuba.
“Lasciami indovinare -dissi mogio- aveva i capelli di un bel castano spento, un po’ mossi” guardavo a terra mantenendomi il viso con la mano destra. Mia madre non rispondeva così alzai lo sguardo per guardare verso di lei. Piangeva. Non capii.
Si portò una mano alla bocca, si guardò attorno in preda al panico. Avrei tanto voluto sapere se quel suo modo di fare era dovuto alla mia espressione. Che espressione avrò mai avuto? Avrò mai avuto un espressione? A pensarci mi sembra impossibile. Dopo una cosa del genere, sarebbe meglio accetto il nulla.
“Mamma ma ora perché piangi?” le ero andato vicino sorprendendo me stesso.
“Mi dispiace Kaito, mi dispiace sul serio -i singhiozzi le spezzavano le parole- mi dispiace di non essere riuscita a convincere l’ispettore” . La strinsi a me senza piangere, volevo sostenerla almeno a quel modo. In quella casa sarei stato io, per sempre, a sostenere i pianti altrui. La mamma non doveva appesantire più il suo carico, nemmeno un po’.
“Mamma, l’ispettore è stato anche troppo accondiscendente. Da qualche parte nel suo cuore Aoko mi sente e lo sa che io non me ne sono andato che per colpa della vita. Tutto qui”. Ma la mamma non smise di piangere, disse solo che la colpa era sua, che avrebbe dovuto buttare giù quella stanza maledetta dopo la morte di papà. Il senso di colpa per aver distrutto me e Aoko solo per tenersi qualcosa di papà non l’avrebbe abbandonata mai, queste furono le sue ultime parole prima di addormentarsi esausta.
La misi a letto e poi scesi in cucina a prepararmi qualcosa.  Aoko con Hakuba, “avrei dovuto immaginare che sarebbe successo” pensai. Una donna sola che si sentiva abbandonata e un ragazzo che la amava da quando l’aveva conosciuta. È naturale che le cose vadano così. In strada si sentivano sempre meno rumori. Mi affacciai alla finestra e mi accesi una sigaretta. Osaka era una città identica a Tokyo, troppo caotica perché si potesse tremare al silenzio, troppo illuminata perché si potessero vedere le stelle. Chiusi gli occhi e poi li riaprii subito. Spensi il gas sotto la pentola e uscì di casa senza lasciare nessun biglietto a mia madre. Non le avrei detto nulla, neanche quella volta. La destinazione del mio viaggio era il paese dei miei dolori esterni, era il luogo dove nascevano tutte le catastrofi che venivano da fuori.
“Bonsoire!” la sua voce allegra e antipatica inonda la stanza ,Kiara le si butta al collo entusiasta.
“Papà,i regali!”strilla.  Mamoru le alza la gonna per attirare la sua attenzione. Aoko lo saluta con un bacio, io do un ultimo tiro alla mia sigaretta prima di spegnerla, Akako mi guarda spenta e il mio sguardo diventa il suo.  “Keiko, Akahiro ci siete anche voi, finalmente”Aoko esulta.
“Ah,si. Scusaci sono un impiastro, ho fatto tardi coi regali” Keiko e Aoko si abbracciano.
Guardo di nuovo fuori dalla finestra. “Stai pensando di farla finita?” Hakuba mi dà una pacca sulla spalla.
“Non ci pensare nemmeno” gli stringo la mano. “Bentornato Kuroba” gli si legge chiaramente in volto la gioia nel rivedere il suo unico vero amico dopo ben otto anni, ancora più visibile vi è la preoccupazione che questo suo unico vero amico, dopo ben otto anni, gli porti via la donna della sua vita. Non riesco a dire nulla, non credo possa esserci qualcosa che io possa dire in un momento come questo. Mi presentano il fidanzato di Keiko, poi io e lei ci abbracciamo, anche il suo solito odore di vaniglia mi riporta al passato. Noto che Keiko ha il pancione … allora è così una donna incinta.
Kiara strattona Hakuba e lo porta da me “Papà lo conoscevi Kaito-ojiisan?” ha le guance rosse come il fuoco e la pelle bianchissima come quella di Aoko, lei e Mamoru si tengono sempre la mano.
“Ehi Kiara, non ti avevo detto che lo conoscevo già il tuo papà?” sorrido.
“Si, lo avevi detto … volevo sapere era vero!” sorride furba.
“Ah … della serie:fidati” assottiglio gli occhi, poi Akako ci chiama per la cena.
Quando mi avvicino al tavolo Akako mi passa una mano lungo la schiena per farmi forza, io gliela stringo, lei chiude gli occhi. “Avanti idiota, in qualche modo ce la faremo” sorride.
L’estate dei miei diciassette anni, la primavera dei miei diciotto, l’inverno dei miei venticinque. La vita passa come un soffio di vento, implacabile. Anche se la senti non puoi tenerla stretta tra le mani neppure un attimo, se ne va via. Non ti dà il tempo di pensare ad una cosa, che già ne provi un’altra. E allo stesso tempo puoi morire ad ottant’anni sentendo le stesse cose che sentivi a diciassette anni. Solo che la vita più va avanti e più ti curva la schiena, fino a che un giorno ti ritrovi a mangiare la terra, e allora chiudi gli occhi e muori. E chissà dove vai a finire. Che poi pure quando sei vivo … chissà dove sei? Chissà da quel maledetto inverno dei miei diciassette anni io dove sono andato a finire.
 

Questo capitolo è servito principalmente a far capire chi sia il arito di Aoko e ad introdurre Akako. Adesso la storia subirà una specie di stop e mi dedicherò al carattere dei personaggi. Vorrei fare una precisazione: la storia principale intreccerà i sentimenti di Aoko, Kaito, Akako e Saguru ma contemporaneamente seguiremo le vicende di Keiko, la migliore amica di Aoko con la quale cercherò di raccontarvi un approccio all'amore un po' particolare. Non vedo l'ora di avere un po' di tempo per postare l'ottavo capitolo, perchè ha avuto parecchio successo sul forum di DC. Grazie ;)

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Capitolo 8
*** 8. Aoko - chan ***


“Senti tu che stai lassù, io dove potrò mai andare? Perché mi hai messo al mondo? Quando lo hai fatto sapevi già che la mia vita sarebbe stata così? Non dirmi di si, altrimenti non ti perdono.
“Aoko-chan”entra nella stanza con la sigaretta accesa, il cuore comincia a battere forte più lui si avvicina.  Chiudo gli occhi e faccio dei respiri profondi. “Aoko-chan” la sua voce pare lontana anche se il tono è alto e preoccupato “Apri gli occhi Aoko-chan, apri gli occhi, guardami”.
“Ti vedo” sento gli occhi inumidirsi “ti vedo anche se rimango così” sorrido debolmente “Dimmi, che è successo in realtà? Che è successo? Dimmi che non è colpa mia ti prego”sussurro.
Piange e sorride anche lui “Si, Aoko-chan te lo giuro, te lo giuro, non è colpa tua”.
Tu che sei lassù … guardami. Le mie lacrime, non si fermeranno mai. Il mio passato, il mio presente e il mio futuro mi fanno piangere. E poi …
“Aoko-chan ti prego apri gli occhi, guardami! Puoi vedere quello che sono?”.
E poi … Aoko-chan ,è lei che più di tutti mi fa male”.

Aprii gli occhi. Era stato un sogno. Ma Aoko faceva male anche nella realtà.

 
Erano trascorsi appena quattro mesi dalla partenza di Kaito. Piangevo di continuo, e il più del tempo che avrei dovuto usare per dormire, lo passavo sprofondando nei ricordi o dentro quello che avevo nell’anima. Ma potevo sentirmi fortunata, da qualche settimana mi ero sbarazzata del sacchetto per le crisi di respirazione. Oramai l’inverno era finito, e mi si gelavano appena le punte delle dita. I gridi della mia anima non si placavano in alcun modo e io avevo smesso di cercare un rimedio. Alla fine ero riuscita a capire almeno una cosa. Per quello che provavo non c’era rimedio. In alcun modo.
La mattina andavo a scuola da sola, saltuariamente, da quando avevano saputo della mia gravidanza, Akako e Saguru avevano cominciato ad accompagnarmi. Ma quella mattina ero da sola. Ripensandoci oggi, ripensando a quel tir, vorrei tornare indietro e morire in quel giorno.
 Avrei dovuto arrendermi. Avrei dovuto farla finita, avrei dovuto farlo per gli altri.
“Aoko-chan” la voce setosa di Akako mi richiamò non appena entrai in classe “Come va oggi?” era preoccupata “Presto ti crescerà il pancione” sorrise amorevolmente.
Sorrisi per tranquillizzarla “Va bene, Aka-chan, va tutto bene, però non urlare. Lo sapete solo tu e Saguru” posai la borsa e mi sedetti “E a te come vanno le cose?” lanciai un sguardo in direzione di Saguru per far capire ad Akako quello che intendevo. Lui guardava fuori la finestra, sembrava malinconico.
“Ehm … veramente è imbarazzante da dire, visto che tu …” arrossì.
“Visto che io cosa? Che amica sarei se non ti facessi parlare di cose belle solo perché le mie cose vanno male?” sorrisi convinta “racconta!”.
Era eccitata e stranamente rossa in viso. Akako, proprio lei che era chiamata la “principessa candida” per via della sua pelle bianca, era arrossita “L’abbiamo fatto” rimasi di stucco.
“L’ave-l’avete fatto?” guardai di nuovo in direzione di Saguru stranita “Scusami tanto, questa cosa avrebbe dovuto unirvi invece ti sta sempre lontano”. Lui continuava a guardare fuori la finestra.
“Ah no, non farci caso, è che si vergogna. E poi dice che non è proprio un tipo sdolcinato. Io lo capisco, sta’ tranquilla, è tutto okey” era davvero al settimo cielo.
 Io credo sia quella la felicità. È un solo attimo di pura euforia, che poi scompare senza che uno possa accorgersene. Anche durante le lezioni Akako guardava Saguru incantata, e anche lui ogni tanto le lanciava un bigliettino o le mandava un bacio.
Senti Dio, la cosa che mi faceva male allora e che tutt’oggi continua a divorarmi la carne, non stava e non sta tanto nel fatto che io abbia perso il mio unico grande amore. L’atrocità della partenza di Kaito stava nel fatto che nessuno, nessuno mi avrebbe più potuta salvare dagli abissi che mi si aprivano sotto i piedi e mi inghiottivano spietati.
Una volta Kaito mi disse “Vorrei poter prendere sulle mie spalle tutti i tuoi pesi” sorrideva, è un ricordo ancora nitido dopo ben otto anni. Poi scosse la testa “Ma non potrei. Il dolore che proviamo ci accomuna ma allo stesso tempo è diverso, perché tu non sei Kaito e io non sono Aoko”.
Senti Dio, Kaito era la persona che mi aveva salvato, e io, forse, ero la persona che aveva salvato lui. Allora dimmi, perché? Perché mi hai tolto proprio lui?
Mentre sprofondavo nei ricordi, suonò la triste campanella che segnava la fine delle lezioni. Corsi subito via verso l’uscita, incurante del professore di matematica e dei compagni, non volevo che nessuno mi seguisse. Quel giorno passò un enorme tir davanti al semaforo dove ero ferma, e per un attimo ebbi l’impulso di lanciarmici sotto. Spiegami, dove ho trovato la forza di non farlo?
Correvo veloce verso casa eppure continuavo a metterci più tempo del solito, mi sentivo affaticata e stanca come non mai. Presi una scorciatoia e quando sbucai dal vicolo che dava sul cortile che precede casa mia, trovai ad aspettarmi la fine di tutto.
 Una volta ho pensato “ oramai sono nata e devo stare qui, ecco perché non ce l’ho fatta a togliermi la vita quella volta”. Quindi Dio, torna e indietro e cancellami o uccidimi tu, che io non ho la forza di farlo oggi come allora.
“Aoko-chan” aveva qualcosa di strano Saguru Hakuba nella voce, quel pomeriggio. Che ci faceva nel cortile di casa mia, appena fuori dallo sbocco di un vicolo? Dopo la partenza di Kaito non ci eravamo più visti. Solo quando lui e Akako si erano messi insieme, nell’ultimo mese, avevamo ripreso a frequentarci. Ma oramai i rapporti tra me e lui erano tornati quelli dei primi tempi. Rispettosi e affettuosi, ma molto freddi. Perché allora era lì, con espressione truce?
“Sa – saguru” tossii per smorzare l’atmosfera “Che ci fai qui? Non dovresti essere con Akako?”.
Senza usare la forza, ma con una delicatezza quasi spaventosa mi bloccò al muro “Aoko-chan” cominciò a piangere “Io ti amo”.
Senti tu lassù, lo so, ti assillo sempre. Ancora oggi, anche se ho venticinque anni continuo a chiedermi e a chiederti un sacco di cose. Perché proprio Kaito è dovuto andare via? Senti, Akako lo amava davvero … perché invece Saguru si è innamorato proprio di me? E la mia dolce Keiko,perché …?
Sono davanti il forno, devo comprare un po’ di pane “Ehi, ci ritroviamo” sorride davanti le vetrine del negozio accanto “Ti va qualcosa di caldo? Oggi fa particolarmente freddo”.
“Si, andiamo a casa, non c’è nessuno” non ci penso su due volte e arrossisco per questo.
Dio, io volevo solo continuare ad andare avanti tenendomi la mano a Kaito. Non chiedevo altro. Dimmi, sono forse stata egoista in qualche modo?
Le tazze fumanti si sono svuotate in breve tempo. “Sei sempre la solita mangiona”dice.
“Senti chi parla” sbuffo. Ride di gusto. “Kaito-chan” arrossisce “Kiara è tua figlia, io sono un disastro e non ce la farò mai” guardo fuori la finestra.
Sorride triste “Aoko-chan, lo so. Lo so. Non ti devi sforzare, hai fatto anche troppo”.
“Kaito, dimmi che non è colpa mia ti prego, almeno questo. Dimmi che non è stata tutta colpa mia”non piango, proprio come nel sogno.
“Aoko, non hai colpa. Smettila di distruggere te stessa, ci sono io” mi abbraccia “Ci sono io”.
“Ma rimarrai per poco, e se anche rimanessi per sempre ormai è troppo tardi” le lacrime cominciano a dipingersi sul mio volto.
Tutta questa neve che ora, come allora, cade e si posa leggera su se stessa … che senso ha? Che senso ha che ora io stia qui a guardarla tenendo per mano Kaito?
Tu che sei lassù … guardami. Le mie lacrime, non si fermeranno mai. Il mio passato, il mio presente e il mio futuro mi fanno piangere. E poi …
“Aoko-chan ti prego apri gli occhi, tu non hai colpe e ora guarda la neve” sussurra “dammi la mano”.
E poi … Aoko-chan, è lei che più di tutti mi fa male.
 




Con questo capitolo si apre una specie di parentesi. Per tre o quattro capitoli cercherò di svelarvi al meglio i caratteri di ogni personaggio. Spero di essere riuscita a trasmettervi le emozioni di Aoko e quello che Aoko stessa è. ossia una persona molto fragile che soffre molto per se stessa. Spero di riuscire ad aggiornare presto :) Grazie

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Capitolo 9
*** 9. La luna è l'amore ***


Vi catapulterò in uno squarcio di vita di Kaito. I suoi ricordi prima di andar via da Aoko, la sua vita dopo averla lasciata andare, quel che sente dopo averla rivista. Vi presenterò un nuovo personaggio che probabilmente non apparirà più. Chiaki è un ricordo, una persona che ha capito e Kaito la ricorderà per sempre con un po' di rimpianto per averle fatto del male. Chiaki è un personaggio che amo, e non so spiegarmi il motivo. Dal prossimo capitolo vi lascerò scoprire chi è Saguru e qual'è il suo amore e il suo dolore. Spero di aver lavorato in maniera decente, grazie di tutto :)




Ho pensato una volta che sarei dovuto andare avanti. Non importava come, dovevo farlo. Perché un giorno avessi potuto rivederla e riabbracciarla. E ora che l’ho rivista sento che tutto questo non ha senso. Fa solo male. È come guardarla attraverso una teca di vetro, senza poterla afferrare. Senza doverla afferrare.

“Kaito”
Io avevo pregato perché quando fossi tornato a Shibuya non l’avessi mai incontrata.
“Aoko”
Tutta questa neve che ora, come allora,cade e si posa leggera su se stessa … che senso ha? Che senso ha starla a guardare tenendo per mano Aoko?
“Kaito”la voce forte e decisa di Saguru straccia i miei pensieri come fossero di carta.
“Saguru” mi tira una pacca sulla spalla “Non sei a lavoro?”.
“Potrei chiedere la stessa cosa a te. Che ci fai a quest’ora del mattino, con tanta neve in giro?”.
“Lavoro, io”sottolineo l’ultima parola. Mi guardo un po’ attorno, poco convinto. Stare a parlare con lui da soli fa tutto un altro effetto “Bar!”affermo.
Entriamo in un bar e naturalmente ordino una cioccolata calda. Mi guardo attorno perso nei ricordi. Saguru mi guarda e sorride triste.
Nell’angolo c’era Aoko che rideva e urlava perché non mi muovevo a portarle la cioccolata calda, e più in là Akako che guardava distratta fuori dal finestrone. Fuori dal finestrone, attaccato al vetro a fare facce strane, Saguru. Tutti noi eravamo qui insieme, con l’anima da un’altra parte.
“Senti, mi dispiace” comincio.
“E per cosa?”
“Non sarei dovuto venire a casa tua per Natale, c’era un’atmosfera da brivido” sorrido.
“Cosa pretendi? La mia ragazza storica, la tua ragazza storica, voi vi siete lasciati, noi ci siamo lasciati, tua figlia con mia moglie, io e il mio migliore amico …”
“Un film dell’orrore”scherzo.
“Già” si guarda intorno “Senti, Aoko non è mai stata con me come con te però … nel senso meno profondo della cosa, non me la portare via”.
“Saguru, Aoko è la luna per me, andrò via proprio per questo. E poi lei non lo farebbe mai perché anche per lei l’amore è come la luna” sbuffo.
“E di nuovo lei non saprà niente …”poggia la testa sul tavolo di legno.
“Amore significa una cosa che non posso dirti altrimenti ti rovinerei la vita”.
Alza la testa di scatto “Cosa?” i suoi occhi, profondi e grigi come il mare invernale, mi fissano.
“Lei lo ha capito, è stata lei a insegnarmelo. È per questo che adesso stiamo così” non risponde “Ciao”.
Anche quando i miei occhi vorranno chiudersi, colmi di lacrime e stanchezza. Anche quando mi sarà passata la voglia di sorridere. Anche quando avrò smesso di credere in coloro che mi circondano, io andrò avanti a sperare. Con o senza sorriso, io guarderò avanti. Anche se non credo in me. Perché un giorno io possa rivederla. O rivedere me stesso.
“Chiaki – chan, scusa, ho fatto tardissimo lo so!” portai una mano dietro la nuca.
“Sei il solito cretino” sbuffò arrossendo “è più di un’ora che ti aspetto, si congela. Se di me non te ne importa nulla possiamo anche piantarla” piangeva. Di nuovo.
“Chiaki – chan, non c’è bisogno di piangere. La colpa è mia non tua. A piangere dovrei essere io”.
Mi guardò con aria triste e arrendevole, abbassò la testa. I suoi lunghissimi e liscissimi capelli le coprirono il viso. Chiaki era strana. Non aveva una larga cerchia di amici. Nonostante io fossi appena arrivato ne avevo molti più di lei. Le piaceva la cioccolata calda come a me, le piaceva giocare a tennis e fare shopping. Cose normali come queste. Ma Chiaki non era normale come poteva sembrare da fuori. Chiaki mi capiva, c’era quindi qualcosa che non andava in lei.
Ci fermammo su una panchina, faceva freddo ma era meglio così. Continuavo a guardare l’orologio ogni minuto che passava, e dopo ben trentotto minuti, lei ancora non parlava.
“Chiaki” abbozzai.
“Alle volte vorrei sapere come si chiama …” non aveva più lacrime sul viso.
“Cosa?” non capivo.
Alzò il viso e mi guardò, aveva i capelli ramati e gli occhi grigi. Mi ricordavano quelli di Saguru. In quel momento pensai che avrei voluto rivederlo.
“La cosa che hai lasciato andare … la tua cosa importante” sorrise debolmente.
“Abbiamo diciotto anni, troppo pochi per esserci già lasciati qualcosa alle spalle” sorrisi sicuro di me.
“Dici?” credo che in quel momento Chiaki mi abbia odiato “Tu hai l’aria di chi se n’è già lasciate dietro parecchie” si alzò. “Addio, spero di esserti stata utile in qualche modo”.
“Sei la nona da quando sono arrivato che mi lascia così”.
“Spero che tu muoia prima di arrivare a cento. Stai bene. Addio” che abbia pianto oppure no, non l’ho capito. Non quella volta. Poi non l’ho vista più.
A cento io non ci sono ancora arrivato. Dunque ho qualche speranza.  A volte, egoisticamente, vorrei cercare Chiaki. Anche se sono passati sette anni e siamo stati insieme solo due mesi. E se la trovassi, e se la troverò vorrei ringraziarla per avermi capito. A quel tempo mi bastava anche solo quello. Mi bastava il gelo, la neve e qualcuno che mi capisse.
Dio, io me lo ricordo ancora. Come il giorno in cui ho lasciato Aoko, come il giorno in cui io e Saguru ci siamo pestati a sangue, come il giorno in cui Akako se n’è andata, come tutti quei giorni, anche quello in cui mi hanno estirpato da me stesso era un giorno freddo. E pure il giorno in cui come un’erbaccia sono stato falciato a forza dalla vita di Aoko, era un giorno freddo e tagliente. Eppure io il freddo lo amo.
Prima la voce della mamma “Ti hanno scoperto, scappa”    E dove?
Poi la voce del mio migliore amico “Di Aoko me ne occupo io. È già da tanto che lo faccio, anche se mi farò del male”    Perché?
Anche Akako “Saguru l’ha presa sotto la sua ala protettiva. Mi ha lasciata con una freddezza che non gli avevo mai letto negli occhi. Eppure sono certa che amasse davvero anche me”    Ma come?
“Kaito, smettila di fare Kaito Kid! E la tua anima? La tua anima?”    E Aoko?
E poi lui. Lui che non so dire se lo odio o cosa “Devi andare via Kaito, fallo per Aoko”   E io?
“Kaito – chan” la voce Akako mi raggiunge da dietro.
“Akako” sorrido “Che ci fai qui?”.
“Ho accompagnato Mamoru a scuola ed ero in giro a fare compere” poi mette il broncio “Avanti, sputa il rospo. Gli spiriti che sono attorno a te dicono che hai qualcosa da dire”.
“Già, e tu sei la persona adatta. A te, che la tua vita non esiste già più, posso dirlo”.
Sorride e si appoggia a me. “Akako … vuoi sapere cos’è l’amore?”
“Aoko, posso farti una domanda da film, da fumetto e da tutte quelle cose lì?” era tardissimo ed eravamo ancora nel letto, in pigiama a fare niente.
“Si, dopotutto in questo genere di cose si ispirano alla realtà” aveva la voce morbida a quel tempo. Guardava fuori dalla finestra. C’era la luna piena quella notte.
“Cos’è per te l’amore?”.
Oggi ho incontrato Saguru ma lui non lo amo, quindi posso vederlo. Ho incontrato Akako, ma lei non la amo quindi posso parlarle.
“Kaito”la voce di Aoko.
Mi volto verso di lei.  “Scusami” . Vado via. Senza neppure guardarla troppo. Perché non faccia troppo male e perché un giorno io possa rivederla.
“Cos’è l’amore?”. I suoi occhi erano tristi.
Guardò la luna ancora una volta “Ma prima che le nuvole la coprano per l’ultima volta tu va’ a dormire”.
 

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Capitolo 10
*** 10. Quella persona ***


Sono contenta di riuscire finalmente a far parlare Saguru. Lui è un personaggio che mi piace molto. In questo capitolo non viene fuori il lato sbruffone che è il suo solito, ma il lato un po' più tenue e maturo. Sarà che ha otto anni in più rispetto a quando lo abbiamo conosciuto? :D Ok, non so se si è capito del tutto ma io sto cercando di parlare della teoria del grande amore, di quella dei due amori, di quella dell'anima e di quella dell'amore con molta differenza di età ( che introdurrò con il personaggio di Keiko Momoi, la migliore amica di Aoko). Beh, spero di continuare a farvi venire voglia di seguirmi. Vi ringrazio di tutto, a presto <3






È come se mi più voci mi parlassero contemporaneamente.
“ Guardala, quella che credeva fosse la sua ancora di salvezza se n’è andata chissà dove. È sola ,si è  persa. Salvala ”.
Un’altra voce, più pesante, con timbro rotto dal male strillava altro. Era quella cosa che mi faceva piangere, quella frase, quella voce.
“ Guardala. Ti eri innamorato di lei e lei lo era di te. Non puoi lasciarla andare. Non abbandonarla, la trascinerai nel vuoto con te ”.
Chiunque avrebbe pensato a me come a una persona confusa. Sbagliato. Io sapevo chi amavo di più, sapevo chi tra le due volevo salvare. E ho scelto, senza mai pentirmene. Anche se faceva male. Anche se amavo anche Akako e avrei dovuto abbandonarla per un sentimento che neppure io riuscivo a spiegarmi con chiarezza. Anche se quello che Aoko era per me, Kaito era per Aoko. Io non ho mai pensato di poter essere qualcosa di più, e nei suoi occhi ho sempre letto la speranza che un giorno Kaito tornasse.
Corsi veloce verso l’entrata. Era la prima volta che tardavo ad entrare a scuola, per un attimo, prima di varcare la soglia dell’entrata, avevo pensato di marinare le lezioni. Ma volevo vederlo … il volto di Aoko, e sentire quello che mi avrebbe detto.
Entrai chiedendo scusa per il ritardo e mi accomodai velocemente al mio posto. Akako mi salutò sorridendo e io ricambiai senza porci troppa cura. Per fortuna ci avevano assegnato posti diversi dal solito, e io ero finito all’ultimo banco, accanto ad Aoko, mentre Akako era in prima fila. Aoko era accanto alla finestra, e pur di non guardarmi, questa era diventata un’ottima scusante. Il professore d’inglese la rimproverò più e più volte, senza che lei se ne curasse in alcun modo. All’ora di pranzo, come al solito, ci riunimmo io, Akako e Aoko. Lei non spiccicò parola con me, né mi guardò. Così per non metterla in difficoltà con Akako, finsi di essere io quello nervoso.
Aoko si allontanò e Akako mi venne vicino “ Tutto bene? “ sorrise.
“ Si, tranquilla. Ti dico la verità? ”pur di non dirgliela inventai una roba assurda “Stamane ho fumato, per questo sto così ”  sorrisi.
“ Saguru ”mi rimproverò “Non era una sigaretta dico bene? ” inarcò un sopracciglio.
Misi le mani avanti “ Pipa ... e – era la pipa … ” .
“Mmh … non farmi preoccupare per favore ” mi abbracciò “ Ti va di venire a casa mia? Ci prepariamo per il test di inglese di domani ”. Acconsentii senza pensarci troppo. Quando Akako chiese ad Aoko se volesse venire anche lei, lei scosse la testa e poi mi guardò. Fu un attimo, come un leggero soffio di vento, i suoi occhi blu mi trapassarono. Non c’era niente da fare, io amavo Akako molto più di quanto non riesca a dire, ma Aoko era sempre Aoko. In qualunque istante della mia vita io sarei stato crudele con Akako e con me stesso, se solo Aoko avesse sbattuto le ciglia. Ma non voleva, e oltre il preoccuparsi per se stessa, per me e per Akako c’era altro. Glielo si poteva leggere chiaro negli occhi. Era come un testo in aramaico, nessuno se non lei poteva sapere. Mi domandai se almeno lei, potesse essere in grado di capire se stessa. La brevità dello sguardo che mi rivolse mi suggerì che no, neppure lei poteva, e mi si strinse il cuore.
“ Akako, se tu dovessi scegliere tra due persone a cui vuoi bene, chi sceglieresti?” .  Apparentemente distratta a svolgere i quiz d’inglese, la voce che le uscì fuori fu stranamente pesante “ Mah ” sospirò come infastidita. Che avesse capito?  Va bene il non riuscire a tenersi tutto dentro ma chiedere una cosa del genere alla propria ragazza è proprio un’idiozia.
 “ Quella persona … ” aveva la matita in bocca, era bellissima, e anche la sua voce lo era. Aveva la voce di chi può capire. Che anche lei nel suo cuore serbasse due amori?
I miei occhi confusi e persi nel vuoto, cercavo solo di capire quello che avrei scoperto due anni più tardi. La mia voce emise un flebile “ Eh? ”.
D’improvviso alzò lo sguardo per fissarlo nei miei occhi “Io sceglierei quella persona” poi tornò con la testa sui libri.
“Ah … Akako ”cercai in qualche modo di rimediare.
“ E l’altra persona, la lascerei andare ” sorrise “ Lo faresti anche tu vero? ” .
Annuii sorridendo “ Sei proprio una persona generosa tu, eh? ”.
Arrossì e poi corse ad abbracciarmi, lasciando a se stessi i libri d’inglese.
A quel tempo, avrei voluto chiedere a chiunque “ Tra due persone tu chi sceglieresti? ” ma nessuno, nessuno avrebbe intuito la risposta esatta. Quella che io ho compreso solo otto anni dopo. Dopo esserci riuniti tutti insieme, dopo aver letto gli occhi di tutti e i miei. Dopo aver visto Kiara attorno al mio migliore amico che è il suo vero padre, dopo aver visto Aoko guardarli senza sguardo, dopo aver visto Akako mettere a dormire Mamoru, senza poterle essere d’aiuto neanche in questo. Dopo aver visto che Aoko e Kaito mi sorridono ancora. Dopo aver visto che anche Akako mi guarda dritta negli occhi e ride come allora. Solo dopo aver fatto tutto questo ho intuito la vera risposta.
“ Tu chi sceglieresti tra due persone? ”. Mi è dovuto servire Kaito per arrivarci, è proprio vero che è il mio migliore amico. Tra due persone non devi scegliere nessuna. Lasciale andare, entrambe.
Quando uscii dalla casa di Akako, su un viale poco frequentato incontrai Aoko che tornava a casa dopo essere stata da Keiko. Di nuovo per un attimo si voltò a guardarmi, spaventata, poi corse via, senza che io potessi fare nulla per fermarla. Come un soffio di vento innevato.
Alla fine non ho mai lasciato né una né l’altra. Aoko, ce l’ho accanto e Akako … l’ho trascinata nell’oblio con me. Come aveva detto quella voce, come avevo detto io. Vorrei correrle incontro, chiederle scusa.
Tutti quei tanzaku appesi con su scritto “ Fa’ che Akako non mi ami più ” non sono serviti a niente. Perché io li appendevo continuando ad amarla. Mentre la neve scendeva piano e lei non c’era, e tenevo per mano quella persona.

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