God's Games

di lames76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 – Un dio crudele ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 – Un nome ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 – Selezione innaturale ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 – Il dio del mare ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 – Un nuovo popolo ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 – Un altro dio ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 – Non più solo ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 – La dea de piacere + Interludio 1 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 – Geria + Interludio 2 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 – Il dio degli elfi ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 – Un dio crudele ***


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Capitolo 1 – Un dio crudele



Guardò in basso, quasi distrattamente, osservando l’isola.
Da quanto tempo non lo faceva?
Il villaggio si era espanso anche sul versante orientale, le capanne riempivano ogni parte priva di alberi. Al centro l’enorme totem spiccava sopra tutte le costruzioni, alto e magnifico. Dietro di esso la “Sala del potere” si ergeva anche più alta ed imponente, scintillante sotto i raggi del sole. Era la sola costruzione fatta di pietra ed era costata moltissima fatica e lavoro per edificarla.
Molti erano morti per costruirla ma ne era valsa la pena.
Quella era la sua casa.
La Sala del Potere era il luogo che lui prediligeva.
Tornò a guardarsi attorno quasi distrattamente. A giudicare da come si era espanso il villaggio era da un po’ che non lo osservava da vicino. Guardò meglio la sua parte orientale. A quanto pareva l’attuale capo si era fatto edificare un’imponente dimora di legno, alta e contorta. Abbastanza alta da giungere a metà rispetto alla Sala del Potere.
Borioso, arrogante, insulso insetto, solo perché lui si era momentaneamente distratto credeva di poter fare ciò che voleva?
Forse era giunto il momento di dimostrare nuovamente la propria esistenza.

ChikanKon sedeva sullo scranno osservando il suo villaggio.
Il popolo delle isole di Kon era prosperato sotto la sua guida.
Era certo che senza di lui niente sarebbe stato così perfetto, altro che quello che diceva quel pazzo di ZolonKon. Solo perché era il sacerdote credeva di poter fare tutto ciò che voleva.
Secondo lui le Antiche Storie dicevano che, moltissimo tempo prima, erano solo uno dei tanti piccoli villaggi delle isole. Poi il loro dio si era manifestato dicendo loro che se l’avessero adorato lui li avrebbe resi grandi. Inizialmente erano stati dubbiosi, avevano preso per pazzo il latore del messaggio ma poi avevano assistito ai miracoli. Avevano iniziato a pregare ed ora dominavano l’arcipelago.
I sacerdoti, uno dopo l’altro, avevano continuato a tramandare la storia, avevano fatto erigere la Sala del Potere a costo di sangue e sudore del popolo e dicevano a tutti che se le cose andavano bene era per il volere del dio.
Generazione dopo generazione.
ChikanKon sospirò tornando a guardare il suo villaggio.
Non importava cosa diceva il sacerdote, quello era il SUO villaggio, non il villaggio di una fantomatica entità che lui non aveva mai nemmeno visto.
Per quello aveva deciso che il suo palazzo sarebbe stato imponente. Certo, sull’isola non c’era più pietra per poterne costruire uno di quella materia e si era dovuto accontentare di farlo di legno, come le altre capanne. Per un certo periodo aveva anche pensato di chiedere alla sua gente di smantellare la Sala del Potere per costruirlo ma i tempi non erano ancora maturi. Però, prima o poi, l’avrebbe fatto e tutte le isole avrebbero saputo che era lui il vero dominatore dell’arcipelago.
Un tuono rimbombò in cielo mentre un banco di nubi scure si era portato sopra l’isola.
Si scrollò le spalle, i temporali non erano rari in quella stagione.
Nella sala principale entrò, arrancando appoggiato al bastone, ZolonKon.
ChikanKon odiava quel vecchio. Lo odiava perché era riverito e servito da tutti, senza aver fatto nulla per meritarlo. Lo odiava perché offuscava la sua magnificenza. Ma forse lo odiava perché il vecchio non era per nulla un arrogante, sembrava una persona tranquilla.
«Il dio è adirato», esordì con voce forte e decisa.
Lui finse di non averlo sentito e continuò a guardare fuori della grande finestra che aveva fatto costruire alla destra del suo trono per poter dominare il villaggio.
«Ho letto i segni e devi supplicare», continuò l’anziano con veemenza, «Altrimenti la sua collera si abbatterà su di te!»
ChikanKon si voltò a guardarlo, aveva aggrottato la fronte, «Devo supplicare?»
Era chiaro il piano di quel maledetto vecchio, aveva deciso di sfruttare il temporale per mettere in discussione la sua autorità. Forte del temporale, a cui poteva attribuire una genesi divina, voleva impressionarlo. E voleva farlo di fronte a parte del popolo, per dimostrare che era lui a comandare. Infatti, anche gli altri presenti nella grande sala si fermarono dalle loro attività ed osservarono i due.
«Si, devi supplicare il dio così che fermi la sua ira!», il sacerdote sembrava un po’ troppo insistente. Per un brevissimo istante ChikanKon si chiese perché, visto che solitamente era una persona così tranquilla, ma scacciò dalla sua mente quel pensiero e si alzò in piedi.
«Sentimi bene», si rivolse a tutti i presenti, «Anzi sentitemi bene tutti!», aveva alzato il tono della sua voce, «Sono io che comando in questo villaggio e nessuna stupida tempesta mi farà inginocchiare e men che meno supplicare il totem!»
Il sacerdote era sbiancato in volto, «Tu... tu non puoi dire sul serio... il dio sarà molto adirato...»
I tuoni aumentarono di potenza, stranamente, nonostante le nuvole nere fossero sopra di loro da un po’ non aveva ancora iniziato a piovere.
«E lascialo adirarsi!», urlò ChikanTon.
Il sacerdote puntò un braccio verso di lui e fece per parlare ma lo abbassò e dopo essersi voltato si avviò verso l’uscita della grande sala. Si fermò sull’uscio per guardare il capo villaggio e coloro che erano all’interno.
«ChikanKon tu sei condannato», la sua voce era forte ma preda di una grande tristezza, «E chi resterà qui dentro quando ne sarò uscito perirà con te»
Detto questo si voltò ed uscì dalla sala.
Dei presenti, tre si affrettarono a seguirlo, mentre gli altri rimasero a guardare il capo.
Che andassero pure quei tre, pensò ChikanKon tornando ad accomodarsi sul trono.
Dedicò uno sguardo tranquillo a quelli che erano restati con lui.
Quindici contro tre, vinceva lui nettamente.
Certo quella era solo l’infinitesima parte degli abitanti dell’arcipelago ma quel campione era attendibile.
A ripensarci forse i tempi erano maturi per smantellare quella costruzione.
Fu in quel momento che la folgore colpì la grande capanna.

Perché mi ostino ad essere misericordioso? Avrei dovuto eliminarlo subito.
Però facendo le cose per bene, avvisando tramite quello stupido rito delle ossa il sacerdote e facendolo andare a parlare con lui, ho dato una bella dimostrazione agli abitanti.
Ma è giunto il momento di agire.
ZolonKon si era appena allontanato, seguito da tre altri indigeni.
Lui puntò un dito sopra la capanna del capo villaggio ed un fulmine la colpì in pieno, dando fuoco al legno ed alla paglia che formavano il tetto.
Sentì, molto soffocate visto quanto erano piccole, le urla delle persone all’interno. Come tante formiche impazzite i presenti si lanciarono verso l’uscita. Distrattamente appoggiò la mano davanti ad essa sogghignando sadicamente.

Ecco ci mancava un fulmine, pensò ChikanKon quando il tetto iniziò a bruciare, ora penseranno che sia opera di quel vecchio pazzo.
Il panico dilagò nella sala ma lui si alzò in piedi e parlò con voce forte e decisa, «Popolo calma!», la gente incredibilmente si fermò a guardarlo, era sempre stato bravo a farsi obbedire, «Usciamo da qui, tra poco la pioggia spegnerà il fuoco»
Detto questo scese dallo scranno e si avviò con passo deciso, ma non troppo affrettato, all’uscita. Sentì gli sguardi pieni di ammirazione che gli altri gli rivolgevano. Stava mantenendo la calma davanti ad una cosa che li aveva fatti andare nel panico. Con quel gesto stava guadagnando potere.
Giunse davanti all’uscita e procedette con passo sicuro ed andò a sbattere contro qualcosa.
Si fermò confuso.
Di fronte a sé non c’era nulla, poteva vedere il resto del villaggio all’esterno dell’apertura ma era sicuro di essere andato a sbattere contro qualcosa.
Riprovò ad uscire ma, ancora, scontrò qualcosa che glielo impedì.
Sentì gli sguardi degli altri premere contro la sua schiena, qualcuno aveva anche iniziato a bisbigliare. Allungò le braccia di fronte a se e vide che c’era come una sorta di parete invisibile davanti all’uscita.
La paura iniziò a serpeggiare dentro di lui.
Intanto le fiamme avevano attecchito e non c’era alcuna pioggia a placarle.
ChikanKon si voltò verso la persona più vicina a lui e tuonò, «Tu! Esci dalla finestra!»
L’altro non se lo fece dire due volte, corse verso la grande finestra posta alla destra del suo trono e vi saltò attraverso. Non ebbe neanche il tempo di atterrare perché un fulmine lo colpì in pieno incenerendolo.
Il panico esplose come una bomba.
Tutti i presenti iniziarono a correre a destra ed a sinistra cercando di uscire. Alcuni scontrarono la parete invisibile di fronte all’uscita ed iniziarono a battere i pugni contro di essa urlando e piangendo.
Altri due tentarono di saltare fuori dalla finestra ma furono anch’essi inceneriti.
Intanto il fuoco si era espanso sempre di più, alcune travi iniziarono a crollare sopra di loro schiacciandoli, mentre il fumo bruciava i loro polmoni.
ChikanKon crollò in ginocchio inerme.

Sorrideva compiaciuto.
Scagliò un altro fulmine colpendo l’ennesimo indigeno che stava cercando di saltare fuori dalla capanna incenerendolo sul posto.
Era sempre stato bravo col tiro al bersaglio.
Sogghignò vedendo il capo cadere in ginocchio distrutto.
Ma morire bruciato non era quello che aveva in mente per lui.
Quando la capanna fu sul punto di collassare abbassò la mano ed afferrò ChikanKon sollevandolo in aria.
Lasciò gli altri a perire all’interno.

ZolonKon era inginocchiato di fronte al grande totem a pregare.
Sapeva che il suo dio non era misericordioso, le Antiche Storie parlavano chiaro, ma aveva dato la possibilità a ChikanKon di salvarsi.
Eppure lui l’aveva rifiutata.
Quando la capanna del capo prese fuoco per il fulmine decine di persone uscirono dalle loro dimore per vedere cosa capitava. Alcuni iniziarono ad organizzarsi per spegnere l’incendio.
Poi videro il capo villaggio davanti all’apertura della sua capanna. Sembrava volesse uscire ma non ci riusciva. Era un segno che il loro dio era contro di lui.
Videro ZolonKon inginocchiato a pregare e dopo pochi istanti si unirono a lui, pregando di essere salvati.
In pochi minuti quasi tutto il villaggio era radunato prostrato di fronte al totem.
Anche i più scettici si erano convinti dopo aver visto alcuni tentare di fuggire dalla capanna del capo attraverso la finestra solo per essere inceneriti dai fulmini.
Le urla aumentarono mentre il fuoco sterminava i miscredenti.
Poi, quando la capanna collassò su se stessa videro ChikanKon volare. Era sollevato in aria da una forza invisibile, lui urlava e scalciava ma non sembrava potersi muovere liberamente.
Venne spostato sopra i presenti poi sollevato in aria, sempre più in alto.
Ci fu un ulteriore fortissimo tuono e poi udirono un urlo raccapricciante.
Una pioggia cremisi cadde sugli abitanti più vicini al totem.
In cima, sventrato dalla sua cuspide, stava impalato il corpo di ChikanTon.

Sorrise ancora, facendo sparire con un gesto della mano le nubi e beandosi della vista dell’ormai ex capo villaggio morto.
Ora tutta la gente del villaggio stava pregando e lui si sentiva sempre più forte.
Inviò un leggero impulso al sacerdote e questi, dopo un istante afferrò la sacca delle ossa sacre e la rovesciò a terra di fronte a sé.
Lui le spostò per indicargli quello che voleva dire.

ZolonKon osservò il responso e lesse il messaggio del suo dio.
Raccolse le ossicine rimettendole con sacralità dentro la sacca, poi si sollevò in piedi, cercando di non pensare che era zuppo del sangue di ChikanKon. Si voltò verso la folla sollevando le braccia al cielo.
«Il dio mi ha mandato un messaggio», immediatamente tutti tacquero e rivolsero i loro sguardi al vecchio, sguardi che erano un misto di timore e reverenza, «Sopra le rovine della capanna del capo sarà edificato un altro totem per ricordare a tutti che il nostro dio è potente», le persone annuirono, «Inoltre il nostro possente dio mi ha comunicato che da oggi sarà più vicino a noi, non permetterà più che il dubbio si insinui nei nostri cuori»

Bene ristabilito l’ordine.
Stava per accomodarsi di nuovo sulla sua poltrona quando notò qualcosa vicino alla scogliera occidentale.
Era la parte dell’isola principale che era inaccessibile alla sua gente. Aveva voluto lui così quando aveva plasmato l’isola molto tempo prima. L’aveva fatto quando aveva scoperto che il suo popolo aveva una predilezione per le uova delle tartarughe marine, oltre che per le tartarughe stesse, e questo le stava portando all’estinzione. Visto che non voleva impedire ai suoi di mangiarle aveva dato un posto sicuro alle creature dove fare il nido.
Osservò meglio e vide che si trattava del corpo di un uomo.
Ma era completamente diverso da quelli che conosceva.
Questo aveva l’epidermide bianca, capelli biondi e barba sul viso anch’essa chiara. Sembrava indossare abiti strani, colorati in modo sgargiante e portava armi in metallo ai fianchi. Era decisamente morto ed il suo corpo era stato probabilmente sbattuto sulla spiaggia dalle onde. Diversi pezzi di legno erano vicino a lui, forse i resti della sua imbarcazione.
Uomini dalla pelle bianca!
Fino a quel momento non aveva neppure pensato che potessero esistere, erano qualcosa di incredibile. Fino a quel momento per lui l’uomo era magro, atletico, dotato di pelle scura come la pece e capelli spesso ricci e neri.
Anche lui, quando si era mischiato tra la folla del suo popolo, aveva assunto quell’aspetto. Anche quando decideva di assumere una forma fisica prediligeva quell’aspetto.
Ma questa scoperta cambiava tutto.
Questa pelle chiara era così aliena ma anche così incredibilmente affascinante. Anche la barba chiara e chissà che colore avevano gli occhi prima. Quell’uomo era morto da troppo tempo per poterlo riportare in vita purtroppo, altrimenti avrebbe avuto molte domande da porgli.
Si allontanò dalla zona sovrastando l’isola, spostandosi sempre più in alto fino a che non divenne solo un puntino. Fino a che il suo intero arcipelago, il suo regno, non divenne che una piccola macchia.
Non l’aveva mai fatto. Troppo occupato dall’istruire i suoi, troppo occupato nei suoi affari, non si era mai chiesto se esistessero altre genti.
Vide altri continenti e terre.
Non era ancora abbastanza potente da poterle raggiungere e poter interagire con esse.
Ora però aveva un obiettivo.
E per arrivarci aveva bisogno di più potere.



Note: Eccoci giunti alla fine del primo, corposo capitolo. Spero che abbiate compreso qualcosa di questo dio (ancora senza nome). Spero anche di non avervi shockato troppo :-p A lunedì prossimo!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 – Un nome ***


Capitolo 2 – Un nome


Per iniziare aveva bisogno di due cose.
La prima era un nome.
Non ci aveva mai pensato.
Finché credeva esistesse solo la razza che era il suo popolo, essere considerato “il dio” era bastato. Ma se i suoi uomini e le sue donne dovevano fare proseliti con altri popoli aveva bisogno di un nome.
Inizialmente pensò che avrebbe lasciato scegliere il suo nome al suo sacerdote.
ZolonKon era vecchio e saggio e ne avrebbe trovato uno appropriato.
Ma poi si bloccò, se ne avesse scelto uno che a lui non piaceva?
Ci rimuginò su un po’ di tempo mentre vedeva la sua gente edificare il secondo totem dopo aver sgombrato i resti della capanna dell’ex capo villaggio.
Voleva un nome potente.
Che indicasse il suo potere.
Alla fine optò per Aidios.
Ricordava che avesse un significato in un’altra lingua. Non ricordava dove l’aveva imparato e da chi ma era certo della cosa.
Doveva significare qualcosa di simile ad eterno.
Naturalmente il suo popolo vi avrebbe aggiunto in coda il suffisso Kon, il nome delle loro isole e del loro “mondo”.
AidiosKon.
Si gli piaceva.
Mandò un impulso al suo sacerdote, che nel frattempo non era più il vecchio ZolonKon, morto di vecchiaia e non era neppure il suo discepolo, visto che era passato molto tempo.
Quando questi lanciò a terra le ossa sacre lui le dispose ad indicare il messaggio.
Dedicò un po’ di tempo a far prosperare i suoi, bagnando i raccolti, favorendo la caccia e la pesca e curando le malattie, tanto per accrescere il suo potere.
Poi si sedette sulla sua poltrona e pensò al secondo punto.
Un sacerdote non sarebbe più bastato, aveva bisogno di un’intera setta di sacerdoti e qualcuno per guidarli.
Aveva bisogno di un avatar, qualcuno che lo rappresentasse e che, occasionalmente, potesse anche contenerlo. Quindi non un essere umano: quegli insetti prima di tutto si facevano facilmente prendere da deliri di onnipotenza e poi i loro corpi erano troppo deboli per accoglierlo a lungo.
Certo per brevi periodi era possibile e lui si era trastullato in quel gioco visto che trovava la parte dell’accoppiamento veramente molto interessante e piacevole.
Anzi ora che ci pensava era da un po’ che non...
Scacciò quel pensiero, prima doveva imbastire il suo piano, poi avrebbe potuto trastullarsi come meglio credeva.

Erano passati decenni dalla morte di ChikanKon ma il popolo la ricordava ancora.
MassunaKon, il sacerdote uscì con passo impettito dalla sua capanna e si fermò a guardare il villaggio. Alle sue spalle stava la Sala del Potere, sempre splendida e magnifica, come se le intemperie e lo scorrere inesorabile del tempo non potessero scalfirla; davanti a lui il nuovo totem, creato con fatica, sudore e sangue dal popolo di Kon usando i coralli che si trovavano nel mare. Era un’opera magnifica che ricordava loro la magnificenza, ma anche la ferocia, del loro dio.
Giunse al centro del villaggio, nella piazza principale e si fermò. Non dovette richiamare nessuno perché non appena lo videro gli abitanti si affrettarono a chiamare a raccolta tutti con il passaparola. Ben presto erano in ginocchio trepidanti di conoscere la volontà del loro protettore.
«Il nostro dio mi ha parlato», esordì il sacerdote con voce forte, «Notando quanto gli siamo devoti ha deciso di dirci il suo nome. Ebbene il nostro dio si chiama Aidios e noi lo venereremo con il nome di AidiosKon, il nostro dio», il silenzio continuava a regnare nello spiazzo, «E’ un grande onore quello che ci ha fatto ed il segno che ci ama»
Effettivamente, ultimamente la caccia era andata molto bene così come la pesca. Anche diverse malattie erano guarite miracolosamente ed i raccolti non erano mai stati così rigogliosi.
Senza bisogno di essere guidati, i popolani iniziarono a cantare una canzone per il loro dio.
I loro canti si alzarono verso il cielo sempre più forti.

Si spostò nell’arcipelago fino a raggiungere l’isola più remota.
Un altro suo svago passato.
Quell’isola l’aveva dedicata alla fauna ed aveva fatto in modo che fosse considerata tabù dal suo popolo, i Kon, così sarebbe potuta evolvere in autonomia. L’ultima volta che ci era stato diverse interessanti creature si muovevano sopra di essa.
Quando la osservò vide che molto era cambiato.
Non conosceva nessuna delle creature che vide così passò un po’ di tempo per imparare.
Immediatamente capì quale avrebbe potuto usare come avatar.
Era un essere che pareva in cima alla catena alimentare.
Il suo aspetto era quello di un rettile bipede, dotato di una coda serpentiforme, bassa cresta ossea dietro la schiena, zampe a quattro dita nelle gambe ed a tre più pollice opponibile nelle braccia. Squame verdi, muso con bocca irta di zanne corte ma affilate.
Pareva piuttosto intelligente come razza, certo non intelligente come un uomo ma ci andava vicino. Non aveva ancora scoperto come accendere il fuoco e per cacciare usava ancora le sue armi naturali: artigli e zanne. Ma usavano un accenno di linguaggio sibilante per comunicare e strumenti per trattare le carni delle prede.
Ma la cosa che colpì favorevolmente AidiosKon fu la capacità di mutare aspetto.
Quelle creature potevano, in pochissimo tempo, mutare fisicamente la struttura del proprio corpo per imitare quella di un altro essere delle stesse dimensioni. Era una capacità incredibile che lo affascinò molto.
Decise che voleva l’esponente più forte ed intelligente come suo avatar.
Escogitò diverse prove, sia di potenza che di astuzia ed ad uno ad uno prese ogni esponente maschio della specie e lo testò.
Scelse solo i maschi perché lui si era sempre identificato con quel sesso... per quanto a volte avesse occupato un corpo femminile per le sue pratiche sessuali, ma mai accoppiandosi con un altro maschio.
La selezione durò a lungo, durante quel tempo tornò al suo popolo, dicendo al suo sacerdote, di nuovo uno nuovo, di creare un ordine di guerrieri/templari per espandere il suo credo e di organizzare la costruzione di navi.
Grandi navi per una migrazione.
Per motivarli dichiarò che un grande disastro naturale sarebbe avvenuto entro 100 anni e se le navi non fossero state create per portare tutto il popolo lontano sarebbero periti.
Niente di meglio che una catastrofe imminente per far lavorare la gente.



Note: Bene ora il nostro protagonista ha un nome per il quale ringrazio Lady Catherine :-) Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 – Selezione innaturale ***


Capitolo 3 – Selezione innaturale



Tornò all’isola delle lucertole e si sorprese.
Quei trogloditi avevano iniziato a temerlo e venerarlo dedicandogli uno spartano culto in cui gli sacrificavano parte della cacciagione.
Era compiaciuto.
Vide anche che i candidati si erano ridotti solo a tre.
Con il potere derivatogli dalle preghiere del suo popolo e da quello delle lucertole fece emergere una piccola isoletta vulcanica, la appiattì e vi mise sopra qualche arma del popolo dei Kon.
Poi afferrò i tre candidati e li pose sopra di essa.
Inviò nei loro crani primitivi l’informazione che solo uno di loro sarebbe tornato e sarebbe diventato capo di tutti gli altri e di molte altre creature.
Bastò quello per farli iniziare a combattere.
Fu una lotta molto affascinante che gli permise di riposarsi e ricaricare le energie.
Alla fine rimase solo una lucertola, che era la più forte e la più intelligente.
C’era solo più una cosa da fare, ma sarebbe stata la parte più difficile.
Fece qualche miracolo sulle isole di Kon e su quella delle lucertole poi raccolse ogni singola oncia di potere che aveva, ogni singola preghiera e supplica a lui dedicata.
Quando capì di non avere più nulla da accumulare, scaricò tutto sulla lucertola che aveva scelto.
Riplasmò le parti che gli interessavano: il fisico, rendendola immortale e molto più forte, il cervello, rendendola molto più intelligente e completamente devota a lui. Ma soprattutto rendendola capace di poterlo contenere senza problemi.
Le ultime forze le usò per trasportare il suo avatar sulla principale isola di Kon dicendo al suo sacerdote che quello sarebbe stato la loro guida ed il suo rappresentante e di eseguire tutti i suoi ordini.
Quando terminò crollò esausto sulla sua poltrona.

Sentì le forze tornargli ben prima di quanto si sarebbe aspettato.
Diede uno sguardo in basso e vide che il suo avatar aveva agito bene.
Con il pugno di ferro ma in modo giusto aveva fatto terminare la costruzione delle navi. L’ammiraglia, la più grande, aveva come albero maestro un totem e questo gli avrebbe permesso di seguirli.
Aveva inquadrato la casta dei sacerdoti in un corpo di guerrieri formidabili. Aveva preparato la migrazione rendendola molto più simile ad una forza di invasione.
Aveva anche scelto un nome: AgathosKon.
Aveva anche creato per sé un harem.
A quanto pare aveva detto che il volere del dio AidiosKon era quello di avere sempre a disposizione le fanciulle più belle per lui. Abbuonò la cosa passandoci sopra anche se era incuriosito. Quella lucertola trovava affascinanti le femmine umane? Probabilmente era un effetto secondario della riplasmazione del suo cervello, qualcosa di lui stesso era colata nell’avatar. Restò a guardarlo e scoprì che quando si accoppiava con le femmine prendeva forma umana.
Controllò il tempo e si accorse che erano trascorsi 90 anni dall’ultima volta che aveva guardato, mancavano ancora 10 anni al presunto cataclisma.
Decise che era giunto il momento di testare la possibilità di impossessarsi della sua creazione per agire sul piano materiale. Avvisò AgathosKon dell’imminente possessione e poi si lasciò fluire dentro di lui. Era piacevole non dover ricorrere al rituale delle ossicine per comunicare, questo modo era molto più diretto ed efficace e non dava adito a fraintendimenti.
Inizialmente fu sconcertante, visto che era abituato a possedere corpi umani, ma lo trovò piacevole. Aveva scelto bene il suo avatar, sentiva che avrebbe potuto usarlo per un tempo indefinito. Passò qualche istante a saggiare l’uso delle gambe, delle braccia e della coda poi uscì all’aperto.
Sentì il piacevole calore del sole sulle squame ed osservò con i suoi occhi di rettile il villaggio. Due sacerdoti che erano di guardia alla porta scattarono sull’attenti.
Li osservò piegando il capo: indossavano i soliti abiti succinti che il calore della zona imponeva, ma avevano anche delle placche formate da gusci di cocchi come piastre protettive per le braccia, gambe e torace. Indossavano anche delle maschere che ricordavano il muso di un rettile.
Avanzò tra di loro portandosi al centro del villaggio e ben presto una folla si accalcò vicino a lui. Probabilmente non era usuale che lui passeggiasse così.
«Popolo», si accorse che la voce appariva forte ma leggermente sibilante seppur comprensibile ai Kon, altro buon lavoro da lui fatto durante la rimodellizzazione delle corde vocali, «Il dio AidiosKon mi ha parlato», quasi in un istante tutti si gettarono ai suoi piedi prostrati, «Mi ha detto che il cataclisma annunciato ci sarà e quindi dovremo partire, ma un gruppo di voi dovrà restare e sarà protetto da ogni male. Scegliete venti di voi, dieci maschi e dieci femmine che formeranno il nuovo villaggio che sorgerà dalle ceneri del primo»
Si voltò e tornò all’interno della Sala del Potere.
Quei venti sarebbero stati la sua salvezza se il viaggio in mare fosse fallito. Loro gli avrebbero permesso di restare potente.
Attivò il potere di mutare aspetto del suo avatar e si trasformò in un giovane uomo poi, sorridendo, entrò nell’harem.



Note:Capitolo un pò più corto.
Ed ecco l'avatar del dio, un bel rettilone umanoide (quando l'ho immaginato vi confesso che ho pensato a Godzilla... no non quello americano ma quello originale giapponese Gojira!). Uhm... ora non è che vi immaignate un uomo infilato dentro una tuta da dinosauro vero? Perderebbe tutto il suo fascino! :-p

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 – Il dio del mare ***


Capitolo 4 – Il dio del mare



Tuoni, fulmini, terremoti ed eruzioni vulcaniche.
Non risparmiò niente al campionario da “dio adirato” mentre le navi partivano.
I venti rimasti erano stati trasferiti in un’isoletta secondaria che era l’unica non colpita dal cataclisma.
Tra l’altro non dovette neanche spendere molto del suo potere per quel macello. Quelle isole erano sempre state di origine vulcanica e lui aveva dovuto tenere a freno le forze della natura in tutto quel periodo. Ora semplicemente le aveva lasciate sfogarsi, lui ci aveva aggiunto solo i tuoni e lampi tanto per fare un’ulteriore coreografia.
Le navi apparivano solide e sicure.
AidiosKon era affascinato dal modo in cui erano state costruite e dall’ingegno umano in generale.
Quando aveva annunciato il disastro i Kon conoscevano la navigazione a vela, ma il massimo di imbarcazione che avevano mai costruito era lunga pochi metri e progettata per viaggiare solo sotto costa.
Queste imbarcazioni invece erano grandi, fatte per portare tutto il popolo più diversi animali e piante oltre al cibo. Ed erano fatte bene, dotate di diversi alberi e velatura.
Certo erano ancora molto primitive ma era uno spettacolo vederle solcare le onde.
Decise di restare concentrato sulle imbarcazioni per tutto il tempo anche se era una cosa estenuante. Per sua stessa natura non era mai riuscito a restare a guardare gli uomini per periodi troppo lunghi, la cosa lo annoiava e lui aveva molti interessi.
Però questa volta si costrinse a restare concentrato su di essi.
C’era troppo in ballo.
Le prime settimane mantenne un vento sostenuto e clima bello, così che il viaggio fosse interessante per il suo popolo. Poi fece apparire una coltre di nubi sopra le navi in modo da non martoriare con i cocenti raggi di sole la sua gente. Infine, ogni volta che le riserve d’acqua scarseggiavano lui mandava una pioggia ristoratrice.
Fu tremendo e stancante ma vide e sentì che le preghiere e le suppliche fatte al suo nome erano enormemente aumentate e questo lo esaltava oltre a dargli molto potere.
Iniziò a sfruttare questo potere per allontanarsi dal suo popolo ed osservare lontano ma le coste dell’altro continente erano ancora troppo distanti.
Inviò l’informazione mentalmente a AgathosKon poi si concesse un po’ di tempo per se stesso.
Il suo generale fece disporre le navi più grandi e potenti tutto attorno a quelle dove erano ospitati la maggior parte dei civili. Doveva ammettere che la scelta che aveva fatto usandolo come avatar era stata una delle migliori di sempre.

Stavano viaggiando senza problemi da un po’ oramai. Il loro dio li stava guidando in quell’esodo senza far loro patire troppo la mancanza di terra sotto i piedi. Era già passata un’intera generazione da quando erano partiti ma loro restavano fiduciosi. La terra promessa dall’avatar del loro dio sarebbe apparsa all’orizzonte prima o poi ed avrebbe portato gloria, onore e felicità al popolo di Kon.
La vedetta richiamò l’attenzione dei marinai che erano in basso.
AgathosKon capì dai gesti che c’era qualcosa a poppa, che seguiva la flotta di navi. Indicò al capitano del loro vascello di rallentare ammainando alcune vele e ben presto la loro nave, l’ammiraglia, si staccò dal resto della formazione rimanendo indietro.
L’uomo/sauro si appoggiò con le braccia al parapetto posteriore ed aguzzò la vista. Molto in lontananza c’era qualcosa che li stava seguendo. Era mezzo sommerso e non riusciva a distinguerlo.
Forse era meglio riavvicinarsi alla flotta prima che anche gli altri lo vedessero.
Un tremendo ruggito rimbombò sopra il mare.
Ora, sicuramente, anche il resto del popolo era a conoscenza di quel pericolo.

Fu richiamato da una insistente richiesta di aiuto.
Era collegato al suo popolo, che lo supplicava e pregava per lui e più di una volta gli era successo di ricevere richieste di aiuto così potenti, soprattutto quando una calamità minacciava l’intera comunità.
Tornò a guardare la sua flotta e vide il pericolo.
In mare c’era un’enorme creatura che stava seguendo le navi.
Controllò meglio e vide che appariva come un’enorme balena, ma decine di volte più grande di quelle che aveva visto avvicinarsi all’arcipelago di Kon. Anzi, pareva un capodoglio, con i suoi denti acuminati e la testa squadrata, anche se la colorazione richiamava quella delle orche.
Era un esemplare decisamente impressionante, le sue dimensioni ciclopiche erano incredibili e sembrava che avesse deciso che la flotta fosse un buon spuntino.
Bene, un’altra occasione per dimostrare il proprio potere.
Addensò le nubi nel cielo sopra la creatura e scagliò due folgori contro di essa.
Rimase a bocca aperta.
L’essere marino venne colpito in pieno ma non rallentò.
AidiosKon scese più vicino ad esso, forse l’aveva sottovalutato.
Quando riuscì ad osservarlo meglio capì.
Quell’essere era protetto da una sorta di scudo di fede!
Quindi, da qualche parte, una popolazione adorava quella creatura come sua divinità.
Fece qualche rapido passaggio vicino alla bestia (ed incredibilmente si rese conto che lei lo percepiva, per quanto non potesse realmente vederlo) e comprese che le sue difese erano superiori a qualsiasi essere normale ma ampiamente alla sua portata. Quella creatura non era un dio come lui ma semplicemente qualcosa che veniva adorato come tale.
Tornò in alto, radunò nuovamente le nubi e scagliò un singolo fulmine.
Ma questa volta non una normale folgore, vi impresse un po’ del suo potere divino.
La creatura accusò la botta immergendosi in profondità e guaendo di dolore.
AidiosKon la osservò per un po’ controllando che se ne andasse veramente poi avvisò della cosa il suo avatar.
Sentì la forza della fede dei suoi uomini aumentare alla notizia e ridargli pienamente forza.
Si sedette sulla sua poltrona pensieroso.
Non si era mai posto la domanda se esistessero altri come lui, ma quella creatura gli faceva pensare di si.
Forse i popoli dalla pelle bianca al di là del mare avevano anche loro un dio a proteggerli.
Era una cosa a cui non aveva pensato ma che lo incuriosiva.
Non aveva mai visto nessuno come lui.
Forse la fatidica prima volta stava per arrivare.
Molto all’interno del suo essere era anche leggermente inquieto per la cosa.



Note: L'idea della creature con poteri divini perchè venerata come tale mi piace molto. Che ne dite?

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 – Un nuovo popolo ***


Capitolo 5 – Un nuovo popolo



Decise di seguire la creatura. Era talmente grande che non impiegò molto a ritrovarla nonostante si trovasse a grande profondità. Sentiva che la sua aura divina era ancora forte attorno ad essa. Era normale, visto che la popolazione che la venerava non aveva assistito alla sua sconfitta, la fiducia in essa riposta non era diminuita.
La creatura rigenerò le sue ferite velocemente, sempre grazie al potere della fede dei suoi devoti e poi iniziò a riemergere. Intanto il suo vagare l’aveva allontanata di molto dalla flotta della gente di Kon.
Lui non se ne curò. Poteva vagare anche molto lontano da essa però non aveva praticamente potere così distante dai suoi devoti. O per lo meno, esercitare i suoi poteri era molto più faticoso e costoso.
Vide la creatura riemergere al di fuori dell’acqua con un balzo colossale.
C’erano delle piccole imbarcazioni che la aspettavano e furono sballottate a destra ed a sinistra dalle ondate. L’essere ciclopico rimase immobile di fronte ad esse come in attesa.
AidiosKon restò sollevato in cielo ad osservare.
Le persone sulle piroghe avevano la pelle scura ma meno di quella dei Kon, erano più marroni che neri. La capigliatura e l’abbigliamento erano però similari ed in effetti il clima di quella zona sembrava tropicale come per l’arcipelago.
Una delle piroghe, riempita con dei fiori ed al cui interno stava sdraiata una giovane ragazza nuda fu sospinta verso la creatura. Tutti gli altri presenti sulle barchette iniziarono ad intonare una canzone, supportata dal suono di tamburi.
La piccola canoa avanzò ancora verso la divinità e quando fu abbastanza vicina la bestia aprì le enormi fauci.
Sacrifici umani!
Ora comprendeva perché era così potente nonostante fosse solo un animale.
Decise di agire.
Accumulò un bel po’ del suo potere e si abbassò repentinamente afferrando la giovane e spostandola in salvo sull’isola, proprio un momento prima che l’enorme capodoglio la divorasse.
Ci furono grida di stupore quando successe che, poco dopo, si trasformarono in urla di terrore.
Come si aspettava AidiosKon, la creatura non aveva compreso la sua interferenza e non aveva gradito il mancato sacrificio.
Si inabissò.
Gli indigeni restarono come paralizzati ed incapaci di reagire.
La bestia esplose da sotto i flutti seminando morte e distruzione tra le barche.
Quando tutte furono distrutte, lui addensò delle nubi e colpì la balena con qualche fulmine, niente che potesse ucciderla, anche perché non credeva di poterlo fare così distante dal suo popolo, ma abbastanza da scacciarla. Oramai era indebolita visto che i principali sacerdoti del suo culto erano morti e quindi si affrettò ad inabissarsi ed allontanarsi.
Gli altri esponenti del villaggio, che si erano visti piombare la giovane sana e salva e che avevano visto i fulmini scacciare il loro ex dio, caddero in ginocchio.
AidiosKon sorrise soddisfatto e tornò dalle sue navi, inviò una nuova informazione al suo avatar: far rotta verso quelle isole e portare la sua parola tra gli abitanti.
Poi si sedette sulla sua poltrona a riposare, ne aveva veramente bisogno.

Il nuovo popolo fornì nuovo sangue alla sua gente.
Gli permise di confrontarsi con una cultura diversa ed imparare nuove conoscenze.
Gli incroci crearono persone nuove, la cui pelle era scura ma non così scura ed i cui lineamenti erano diversi. AidiosKon fece si che si fermassero solo pochi anni con loro, poi li fece proseguire nel viaggio. Naturalmente fece proseguire anche il novanta per cento degli abitanti della nuova isola, dopo aver fatto loro costruire altre navi.
Ora la sua flotta era imponente, poteva scorgerla da molto in alto.
Ed anche le prime coste del continente suo obiettivo erano oramai vicine.
Adesso doveva essere cauto e doveva agire molto lentamente.
Fece una rapida perlustrazione e capì che la cosa migliore sarebbe stata quella di creare una testa di ponte per il suo popolo, un posto in cui si sarebbe potuto ambientare senza essere disturbato.
Scelse un piccolo arcipelago di isole poco lontane dalla costa del continente. Erano abbastanza a nord e sembrava che le imbarcazioni degli altri popoli, quelli dalla pelle chiara, si tenessero lontane da esse. Forse per il clima poco favorevole o forse per le insidiose scogliere che le circondavano.
Ma i Kon erano abituati a navigare tra le scogliere, quindi tornò da loro ed indicò la via al suo avatar.



Note:Capitolo più corto del solito, perchè di assestamento prima della "corsa" al nuovo mondo.
Ed ecco che i seguaci del nostro protagonista aumentano, "rubandoli" alle altre divinità o presunte tali.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 – Un altro dio ***


Capitolo 6 – Un altro dio

I primi anni furono difficili.
I Kon e l’altro popolo unitosi a loro, i Lanon, non erano abituati al freddo. Inizialmente si salvarono grazie alle pellicce che gli vennero dalla grande quantità di selvaggina che abitava quelle isole. Poi si industriarono ed impararono a tessere abiti pesanti.
Nonostante potesse risparmiar loro il gelo decise di non farlo, era bene che si abituassero al nuovo clima. Naturalmente, quando il suo popolo lo supplicava lui rispondeva subito elargendo qualche piccolo miracolo. Per esempio, quando inizialmente attenuò la forza delle onde che si infrangeva sugli scogli in modo da dare il tempo di scaricare e smantellare le navi ed edificare il villaggio o quando curò una malattia mortale sconosciuta che si era sparsa tra la sua gente.
In meno di cinque anni erano pronti.
Lasciò nella nuova base poche genti e fece si che il resto proseguisse.
Fu così che sbarcarono finalmente sul continente vero e proprio, dove costruirono un altro grande villaggio ed organizzarono il suo culto.
Incontrarono anche, per la prima volta, degli uomini dalla pelle bianca ma dai capelli scuri.
Uomini che erano soggiogati dal potere di un dio malvagio.

Se AidiosKon fosse stato in forma umana la sua mascella sarebbe crollata al suolo.
Il primo dio che incontrava era un idiota.
Sollevò lo sguardo al cielo sbuffando sonoramente.
Peccato.
Quel dio aveva a disposizione un popolo forte e molto superstizioso, il meglio per insediarsi con un culto, ma lui aveva optato per creare dei vampiri ed usarli come suoi sacerdoti.
Che cosa idiota.
Oppure poteva esserci un motivo se l’aveva fatto.
Cercò di analizzare i pro della scelta: i vampiri sono più forti, dotati di poteri mentali, in grado di cambiare aspetto. Che altro? Ah si, se si cibano di sangue umano diventano pressoché immortali.
Tutte cose molto positive ma i contro erano troppo penalizzanti: niente contatto con il sole o bruciare, vulnerabilità alla vera fede, necessità di dormire durante il giorno.
No, non comprendeva la scelta.
Inviò le informazioni sui vampiri al suo Avatar dicendo di mandare i suoi sacerdoti migliori a sterminarli. Durante il giorno naturalmente.
Mentre questi agiva decise di andare a parlare con il suo avversario.

Erano cinque e si muovevano come fantasmi. Per loro era strano dover agire durante il giorno ma dopo un primo momento di smarrimento continuarono il loro lavoro senza problemi.
Erano le Ombre, un corpo scelto tra i sacerdoti di AidiosKon, silenziosi e letali. Due procedevano di avanguardia controllando che tutto fosse tranquillo mentre i tre che li seguivano portavano sulle schiene dei barilotti che li impacciavano leggermente ed il cui contenuto sciabordava lievemente ad ogni movimento.
Giunsero vicino ai bastioni del castello e rimasero in attesa, acquattati all’ombra delle piante sottostanti, così le guardie passarono sopra di loro senza vederli. Lanciarono i rampini e velocemente scalarono le mura giungendo in cima senza un rumore. Impiegarono pochi secondi a capire dove dovevano dirigersi.
Le Ombre erano state il primo corpo scelto ideato da AgathosKon quando si era insediato al potere ed aveva deciso di riplasmare il culto del loro dio in modo più efficiente. Loro erano quelli che agivano di soppiatto, ammantati e nascosti senza farsi sentire. Era un grande onore essere scelti per diventarne parte.
FaranLanon era doppiamente onorato visto che era stato il primo esponente del suo popolo a diventare un’Ombra. Ed era anche il comandante di quel drappello.
Quando il suo popolo, i Lanon, aveva incontrato quello dei Kon dopo che il loro dio-balena era scomparso, li avevano accolti con timore. Ma poi la fede verso AidiosKon era stata una rivelazione così come il fatto che fosse stato lui a liberarli dal terribile mostro, ora non lo ritenevano più un dio, che esigeva sacrifici umani in suo onore per essere calmato.
Intanto erano giunti nelle segrete senza farsi scorgere da nessuno.
I servitori umani erano devoti ed abili ma non quanto loro.
Nessuno lo era.
Si accorse all’ultimo di una trappola piazzata sull’ultimo scalino della scala di pietra che stavano scendendo e velocemente e silenziosamente la indicò ai suoi compagni.
Giunsero davanti alla cripta e vi entrarono senza paura.
Efficientemente svuotarono i contenuti dei barilotti sulle bare e poi vi diedero fuoco.
I vampiri sbucarono urlanti dai loro giacigli incendiati entro pochi momenti.
Le Ombre agirono con risolutezza e precisione, tagliando di netto le teste di quei mostri quando questi uscivano.
Pochi minuti dopo il castello era stato bonificato da ogni succhiasangue.

Sembrava di trovarsi nella sala del trono di un tetro castello. L’altro dio era in forma umana ed era abbigliato con indumenti sfarzosi neri, bianchi e rossi. Era adagiato su di un enorme trono ornato da ossa e teschi. AidiosKon decise di adeguarsi alla scena e prese una rappresentazione umana, il solito muscoloso uomo di colore vestito solo di perizoma che adoperava quando scendeva sul piano materiale e non aveva ancora un avatar. Non aveva né voglia, né tempo per immaginare qualcosa di diverso.
L’altro dio gli fece segno di avvicinarsi non riuscendo a nascondere la sorpresa/disgusto alla sua vista. Probabilmente neanche AidiosKon vi riuscì.
«Salve...», come doveva appellarsi a lui? Non ci aveva pensato.
«Collega», lo aiutò l’altro dio con indifferenza, «Tra noi ci chiamiamo così»
«Sei qui per porgere i tuoi omaggi a me, Vanarash, il dio dei vampiri?», chiese con fare snob.
Lui aggrottò la fronte, «A dire la verità ero qui per farti una domanda»
L’altro spostò una gamba, che prima aveva mollemente adagiata sopra uno dei braccioli del trono e si mise in una posizione più composta, dopodiché appoggiò il mento sul pugno chiuso.
«Perché vampiri?», AidiosKon non riuscì a non far risuonare la sua voce di un tono di scherno. Anzi non ci provò neppure.
L’altro sembrava troppo stupito per rispondere, come se il suo interlocutore gli avesse chiesto qualcosa di idiota.
«Va bene, te ne faccio un’altra più semplice», magari prendendola alla lontana sarebbe andata meglio, «Usi sempre questa rappresentazione per il luogo dove esisti?»
«Si mi piace molto», finalmente si degnò di rispondere l’altro.
«Ma cosa ti serve tutta questa... questa cosa?», sollevò le braccia indicando i muri, gli arazzi, tutta la sala.
«E’ bella!», il dio dei vampiri sembrava scocciato, «Perché com’è il luogo in cui esisti?»
«Ho una poltrona», rispose semplicemente AidiosKon.
Vanarash sollevò gli occhi al cielo con fare annoiato.
«Perché vampiri?», gli chiese lui a tradimento.
«Perché sono esseri affascinanti!», rispose finalmente l’altro con veemenza, «E poi la gente adora i vampiri...»
Effettivamente era vero, anche se lui si era sempre chiesto il perché.
«Ma sono pieni di difetti!», lo incalzò insoddisfatto.
«Anche gli umani, eppure tu li usi», ancora la risposta non lo soddisfece.
«Va bene riformulo: ma sono pieni di limitazioni!», era anche pronto ad elencarle se fosse stato necessario.
«Le limitazioni servono per far si che non diventino troppo potenti», la voce di Vanarash era insofferente, come se non capisse le domande dell’altro, «Per esempio, fai finta che invece di bruciare i vampiri al sole... che so... brillassero...», ghignò al pensiero, «A parte che perderebbero tutto il loro fascino spettrale ma poi come faremmo a tenerli a bada? Inventando qualche storia romantica con cui incantarli?»
«Vuoi dire che sei tu che hai deciso che i vampiri bruciano al sole e non brillano?», lo interruppe AidiosKon stupefatto. Forse era più potente di quanto avesse immaginato.
L’altro sbuffò sempre più stufo, «No, i vampiri sono così punto e basta, così come il sole è caldo e l’acqua è bagna...»
Stava per fare un’altra domanda ma si rese conto che sarebbe stata inutile.
Anche perché il suo interlocutore non avrebbe avuto modo di rispondere.
Mentre parlavano, infatti, la sala del trono aveva perso consistenza e stava svanendo a poco a poco. Anche il trono stava lentamente sparendo. Vanarash balzò in piedi un istante prima che scomparisse.
Si guardò attorno con fare impaurito.
«Come dicevo», intervenne AidiosKon, «I vampiri sono molto sopravvalutati e molto vulnerabili»
L’altra divinità iniziò a rimpicciolirsi.
Sembrava troppo sconvolta e spaventata per dire o fare nulla.
Come se non avesse mai preso in considerazione la cosa.
Chissà come ci si sentiva a perdere e morire.
Lui lo osservò con indifferenza finché non divenne grande come un granello di sabbia e poi ancora più piccolo.
Finché non smise di esistere.
La prima divinità che incontrava era un idiota e lui l’aveva vista morire.
Anzi.
La prima divinità che incontrava era un idiota e lui l’aveva eliminata.
Suonava decisamente meglio.

Tornò nel suo luogo, alla sua poltrona, ed osservò la sua gente.
Mentre discuteva con l’idiota si era insediata, aveva costruito case e villaggi ed il suo avatar aveva guidato lo sterminio dei vampiri. La popolazione che li adorava e che di riflesso adorava Vanarash, si era felicemente convertita man mano che i loro ex padroni venivano massacrati.
Sentì che AgathosKon chiedeva udienza, era successo poche volte prima e per questo rispose immediatamente.
Scese nella sua mente e sentì che cosa voleva riferirgli.
Aveva risparmiato una nidiata di vampiri, cinque, ancora giovani e che non conoscevano ancora l’altro dio.
Menti vergini da plasmare.
Ancora un ottimo lavoro da parte del suo prescelto.
Però si poneva il problema di come inserirli nella sua società, anzi, nella sua religione.
L’idea gli balenò in mente mentre ci pensava.
Avrebbe preso, come dicevano gli umani, due piccioni con una fava.
Disse al suo avatar di portare cinque donne tra le più belle, che non fossero Kon, alla cripta e poi ci avrebbe pensato lui.
Si staccò dalla sua mente ed attese accumulando potere.

Quando le fanciulle furono al cospetto delle bare lui fece allontanare tutti.
Usò il suo potere per creare degli oggetti, delle collane; poi distrusse i vampiri e spostò la loro essenza fondendola nei medaglioni.
Fu spossante ma il risultato fu sublime.
Donò i pendenti alle donne, nominandole sue sacerdotesse del sangue.
Grazie al potere di quei monili, potevano temporaneamente usare i poteri dei vampiri.
Che idiota che era stato Vanarash, non aveva usato nessuna inventiva.
Ora lui possedeva cinque vampiri senza le limitazioni dei vampiri.
Cinque sacerdotesse molto potenti al suo servizio.
Cinque esseri che avrebbero potuto tenere compagnia del suo avatar, che con il passare dei decenni stava sentendosi sempre più solo.
La grandezza di un dio si misurava soprattutto dalla sua intelligenza e la sua inventiva.



Note: Qui mi sono proprio divertito a prendere in giro tutti i grandi fans dei vampiri ed anche quelli di Twilights. Se lo siete non restateci male :-p
Il fatto è che non sono mai riuscito a trovare affascinanti i vampiri, tutto qui, li ho sempre trovati molto "noiosi" alla lunga. Badate bene però che ho apprezzato molto Dracula di Bran Stocker ed Intervista col Vampiro, solo che non ho mai invidiato i succhiasangue, anzi tutt'altro!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 – Non più solo ***


Capitolo 7 – Non più solo


Tornò nel suo luogo e si sedette sul divano.
Vanarash aveva detto che “tra loro” si chiamavano colleghi.
Quindi significava che c’erano degli altri.
E se conoscevano Vanarash e non l’avevano ancora eliminato come aveva fatto lui, forse qualcuno avrebbe voluto vendetta.
Scacciò l’idea.
Non poteva pensare che qualcuno volesse vendicare un tale idiota.
Ma non si poteva mai dire.
Forse esistevano delle leggi che regolavano i comportamenti tra “colleghi”.
Tornò ad alzarsi, francamente non gli importava, lui era un dio e per questo al di sopra di ogni legge.
Però inviò la notizia che qualcuno avrebbe potuto attaccare al suo avatar ed alle sue cinque sacerdotesse del sangue.

Tutta la parte orientale del continente ora apparteneva a lui.
Il popolo dei Kon, dei Lanon e quello dei Kormy era unito e compatto come non mai. Lui era stato generoso ma non troppo, non voleva che le sue genti dipendessero troppo da lui ma non voleva neppure che lo dimenticassero.
Ma non accadeva.
AgathosKon e le cinque sacerdotesse governavano con fermezza ma con assoluta giustizia e questo portava la fede in lui a crescere sempre più.
Passò diverso tempo a conoscere le femmine delle due nuove culture. Era terribilmente interessante scoprire le differenze con quelle a cui era sempre stato abituato.
Passarono anni sul piano materiale ed un giorno fu convocato.
La convocazione gli giunse sottoforma di una lettera.
Semplicemente un giorno, quando andò per sedersi sulla sua poltrona era lì.
Naturalmente non era una vera lettera, semplicemente era una rappresentazione con tale forma: pergamena e sigillo di ceralacca rosso compresi.
Senza indugio la aprì, dentro erano vergate poche righe, una convocazione per lui presso un fantomatico “Consiglio degli Dei”.
Senza indugiò ci andò.

La rappresentazione che lo aspettava era abbastanza sobria.
Sembrava di essere sopra una nuvola, diverse sedie comode disposte a semicerchio ed una al centro.
Immediatamente comprese che quella centrale era destinata a lui.
Gli altri dei apparivano con sembianze umane così anche lui si adeguò.
Visto che “l’idiota” aveva assunto quella forma, AidiosKon aveva passato un po’ di tempo a pensare ad una propria rappresentazione umana diversa da quella solita, una rappresentazione meno anonima e più dettagliata. Così prese la forma di un umano dalla pelle color caffellatte, capelli neri, occhi verdi, vestito con abiti comodi coloro azzurro e blu.
Fece il suo ingresso camminando con passo deciso e dedicò qualche istante a studiare gli altri.
C’erano in tutto cinque sedie.
Sulla prima sedeva una bellissima donna dalla pelle candidamente rosea che portava i capelli biondo ramati sciolti sulle spalle e che indossava una tunica molto procace.
La seconda era vuota.
La terza era occupata da un omone enorme che indossava un’armatura metallica completa e portava una spada legata dietro la schiena.
La quarta era occupata da un vecchio dalla lunga barba bianca e dall’aria stranita che si appoggiava ad un nodoso bastone da passeggio.
L’ultimo era un uomo alto, slanciato, con orecchie a punta e che indossava abiti molto eleganti.
Lui si fermò in mezzo a loro.
«Buongiorno colleghi», esordì con voce sicura, «Mi chiamo AidiosKon»
«Sappiamo che sei il dio dei popoli dell’est», la voce dell’uomo alto con le orecchie a punta era musicale.
Lui annuì e si sedette sulla sedia centrale.
«Faccio gli onori di casa», proseguì lo spilungone, «Io sono Lallalar, dio degli elfi delle foreste dell’ovest»
“Elfi?”, pensò lui dubbioso, “Orecchie a punta, archi, natura, vita lunga, pochi figli, magia”, inviò quelle informazioni al suo avatar ed alle sacerdotesse.
«Sulla prima sedia è posta Elira, dea dell’amore e del piacere dei popoli centrali», la donna sorrise amabilmente.
“Dea del piacere? Voglio conoscerla meglio!”
«La terza sedia è di Wortok, dio della guerra dei popoli del nord»
“Pericoloso”
«La quarta è occupata da Geria, dio dei popoli del sud»
“Nessun appellativo altisonante, forse è il più pericoloso nonostante sembri un nonnetto artereosclerotico”
«La seconda sedia era per Vanarash... e proprio a proposito di lui che ti abbiamo convocato», terminò Lallalar tornando a sedersi.
Lui rimase in silenzio aspettando.
«Tra noi vigeva l’equilibrio», continuò il dio degli elfi con tono imperioso, «Ognuno regnava sul proprio popolo e ci incontravamo qui per chiarire le dispute e per parlare», fece una pausa ad effetto, sicuramente amava il suono della propria voce, «Ti abbiamo convocato perché vogliamo farti sapere che non tolleriamo la tua impudenza! Ci sono delle leggi precise che regolano le questioni tra dei e la più sacra è che non possiamo, né dobbiamo, batterci fra noi!»
AidiosKon si sollevò in piedi con calma.
«Colleghi», si schiarì la voce con un colpetto di tosse in un modo molto umano, «Non so se lo siate anche voi ma Vanarash era un completo idiota», Elira ridacchiò mentre Lallalar gli lanciò un’occhiata di fuoco, «Spero e credo che non sentirete la sua mancanza», ora stava guardando negli occhi la dea, «Anzi credo che voi siate in debito con me per avervi eliminato quella seccatura»
Il dio degli elfi balzò in piedi, «Come osi! Questo consiglio...»
«Oso quanto mi pare e piace, caro il mio orecchie-a-punta», lo interruppe lui spazientito, «Non sapevo neppure che esistessero altri come me prima di incontrare il vostro tanto rimpianto Vanarash», tornò a guardare la dea dedicandole un sorriso a cui lei rispose, «Ma, diciamocelo, dedicarsi solo ai vampiri e non curarsi di proteggerli... suvvia era un idiota e si è meritato di sparire...», spostò gli occhi su Lallalar, «...sarebbe un po’ come se uno si dedicasse solo agli elfi e.... ops...», si finse imbarazzato.
Prima che il dio spilungone potesse esplodere ed a giudicare dall’espressione vi era molto vicino, Geria si alzò in piedi intervenendo.
«Anche se il nostro ospite ha un modo molto irriverente e colorito di esprimersi non ha fatto altro che rimarcare le osservazioni che io ed Elira sostenevamo da tempo», la sua voce era tranquilla e leggermente incrinata dalla vecchiaia ma il luccichio dei suoi occhi fece capire ad AidiosKon che il suo interlocutore era molto arzillo.
«Ma ci sono delle regole!», esclamò Lallalar scandalizzato.
Anche la dea si alzò dal suo scranno, «Dai Lally...», dai lampi che passarono negli occhi dell’elfo non doveva piacergli molto essere chiamato così, «E’ uno straniero e non le conosceva»
«La legge non ammette ignoranza!», ora la sua voce suonava molto stridula.
«Gli dei sono al di sopra delle leggi», esclamò AidiosKon, «Ed ora scusatemi cari colleghi, il mio popolo mi reclama per il culto», fece un leggero inchino rivolto a Geria, dedicò un sorriso ad Elira poi fece dietro-front e se ne andò.

Quando apparve nel suo luogo si affrettò ad inviare informazioni al suo avatar. Doveva mandare subito le Ombre ad indagare nei territori del nord. Doveva anche mandare ambasciatori in quelli del sud e del centro, ambasciatori con ordine di cercare alleanze con quei popoli. Infine gli disse di spargere la voce secondo cui gli elfi esistevano ma erano soggiogati da un dio malvagio ed andavano liberati.
Dopodiché scrisse due missive, visto che a lui l’avevano contattato in quel modo forse era una consuetudine, una per Geria e l’altra per Elira chiedendo due incontri privati.



Note: Addirittura un Pantheon! Eh si, che dite degli altri dei? Vi sembrano macchiette? La cosa è voluta...
Una curiosità, il dio degli elfi doveva chiamarsi "Arcofalc" e per farvi capire perchè devo raccontarvi un pezzo del mio passato.
Quando andavo alle superiori organizzamo, con tutta la classe (o quasi) una gita nella casa di campagna di uno di noi.
Fu una settimana divertentissima ed indimenticabile.
Uno dei passatempi, fu organizzare una sorta di "battaglia" simil gioco di ruolo dal vivo.
Beh il ragazzo che era master di Advanced Dungeons & Dragons aveva trovato un arco giocattolo con tanto di marca "ARCOFALC" impressa sopra.
Quando è apparso in gioco ha esordito con la frase: "Io sono il prode arciere elfico, con il mio arco benedetto col suo nome dal dio degli elfi Arcofalc!"
Io e gli alti amici, che non ci aspettavamo un'uscita del genere, siamo morti dalle risate.
Quindi avrei voluto usare quel nome ma non volevo fare pubblicità occulta... anche se ora mi rendo conto che la ditta credo sia chiusa da tempo.
Arco e frecce Arcofalc

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 – La dea de piacere + Interludio 1 ***


Capitolo 8 – La dea de piacere

Una risposta arrivò velocemente ed era quella della dea: lo invitava da lei per parlare e senza farselo dire due volte AidiosKon ci andò.
Il luogo scelto era sobrio, un vasto ambiente bianco con al centro un triclinio rosso fuoco sul quale era adagiata Elira. Ve n’era un altro di fronte e lui si accomodò guardando la sua interlocutrice.
«Sono contenta che tu sia arrivato», esordì la dea sorridendo in modo solare, «Prima della tua venuta era un tale mortorio qui...», lui aveva corrugato la fronte e la incitò a proseguire, «Tutti noi dei di queste terre eravamo, anzi siamo ancora, molto stereotipati. Tutti, io inclusa... tranne forse Geria... ma, comunque, tu sei diverso. Sai quello che vuoi, non ti limiti a recitare un ruolo»
«Ti confesso che prima non pensavo che esistessero altri come me», intervenne lui, «Non mi era neppure passato nella mente la cosa. Devo dire che sono un po’ deluso.... a parte alcune piacevoli... molto piacevoli... sorprese»
«E’ bello ricevere dei complimenti ogni tanto», sospirò la dea cambiando posizione ma restando sdraiata.
«Perché gli altri dei non te li fanno?», era sinceramente sorpreso dalla cosa.
«Le riunioni del consiglio sono noiose», sbuffò lei, «Lally è borioso, pieno di sé, sempre a dire che gli elfi sono il meglio e quanto è stato bravo a sceglierli come popolo...»
«Mi ero fatto questa idea », sorrise lui invitandola a proseguire.
«Wortok è sempre impettito, pensa solo alle battaglie, non credo neppure che crei qualcosa dentro quell’armatura, penso non abbia abbastanza fantasia per farlo», la sua voce era un po’ annoiata, «Geria è il più stimolante, gentile, buono ma molto astuto, peccato quel suo atteggiamento da vecchio saggio»
«E Vanarash?», non aveva resistito a chiedere.
«Lui non mi faceva complimenti allungava solo le mani. Come se fosse irresistibile quando, a mio parere, era solo ridicolo», si fermò ponendosi un dito sulle labbra come a pensare.
«Bene sono felice di averti fatto un favore eliminandolo», abbassò il capo come in un leggero inchino, «E non hai altri passatempi?»
«Ah quelli li ho!», gli occhi della dea si illuminarono, «Sono scesa spesso sul piano materiale usando le mie sacerdotesse ed ho sperimentato, credo, tutti i tipi di piacere possibile», sospirò nuovamente, «Ma alla lunga anche quelli mi vengono a noia»
«Anche io mi sono trastullato con le umane», intervenne lui tranquillamente, poi fissò i suoi occhi su quelli della dea, «Non ho mai fatto sesso con una dea però»
Lei arrossì e la sua reazione fu molto naturale il che fece pensare ad AidiosKon che non fosse studiata.
«Vuoi fare sesso con me?», cinguettò ritrovando il controllo e la malizia.
«Certamente», rispose in modo sincero lui, «Non posso lasciare una collega nei guai e praticamente mi hai detto poco fa che sei insoddisfatta»
«Oh, ho praticato ogni genere di autoerotismo celeste», sembrava farsi più audace vedendo che il suo interlocutore le dava corda.
«Però niente sesso con un altro dio giusto?», chiese lui e l’altra annuì, «Neppure io», si grattò il capo, «Mi chiedo come dobbiamo farlo, nel senso, possiamo accoppiarci in forma umana come quella che abbiamo ora, in tutti i modi che conosci e credo, in quanto dea del piacere, tu ne conosca molti più di me anche se, modestamente, mi sono dato parecchio da fare in quel senso, oppure...», fece una pausa pensando, «Ci sono altri modi?»
Lei si morsicò le labbra, «Credo che potremo provare tutto il provabile che ne dici? Io ho già qualche idea»
Lui le sfiorò la mano, «Va bene cara ma dopo», lei si accigliò ma lui non le diede il tempo di parlare, «Prima ho una piccola faccenda da sbrigare. Sai come dicono gli umani “prima il dovere e poi il piacere”»
Lei annuì, «L’attesa renderà solo più eccitante il pensiero del nostro futuro incontro»
AidiosKon si alzò in piedi, «Ah il mio popolo a quest’ora dovrebbe aver instaurato rapporti di amicizia con il tuo, se non ti spiace»
«Non mi spiace per niente, abbiamo un sacco di cose da insegnarvi », si umettò le labbra con la lingua, «Che cosa hai in mente?»
«Solo di fare un po’ di ordine», rispose lui congedandosi.

Interludio – Preparazione alla guerra

Nel suo luogo trovò una missiva di Geria che lo invitava ad incontrarlo.
Prima di andare decise di contattare il suo avatar e si fece fare un rapporto. Le Ombre erano tornate con informazioni interessanti. I popoli del nord erano in perenne battaglia gli uni contro gli altri. Tribù contro tribù, città contro città, uomo contro uomo.
I bambini erano addestrati alla guerra sin dall’età di sette anni e passavano tutta la vita sui campi di battaglia. Era concesso loro solo qualche momento per giacere con delle donne per poter procreare ed avere una generazione successiva che avrebbe continuato a combattere.
AgathosKon aveva capito subito come agire.
Come combattenti erano formidabili ma era bastato spargere qualche piccola voce tra le donne, voci di un posto dove esisteva il concetto di famiglia inteso come persone che vivevano insieme perché innamorate. Voci di un posto dove le donne non erano viste solo come animali da riproduzione. Un posto dove, addirittura, c’erano delle donne in posti di potere.
Erano bastate delle voci per far scoppiare le rivolte. Le donne si erano rifiutate di continuare quella vita ed erano emigrate in massa portando con loro le figlie ed, alcune, anche dei bambini maschi.
Gli uomini ci avevano messo un po’ a comprendere cosa era successo, visto che erano troppo impegnati ad uccidersi tra loro. Quando l’avevano fatto si erano riuniti in un grande esercito e si erano diretti ad est, seguendo le donne in fuga.
Ma gli eserciti di AidiosKon avevano preparato lungo il confine una serie di ostacoli. Buche piene di pali affilati, cavalli di frisia, filo spinato. Tutte cose che avevano mietuto parecchie vittime e li avevano rallentati.
Il tempo era dalla parte loro, visto che l’esercito del dio della guerra non poteva avere nuove reclute.
La guerra stava andando bene.
Comunque decise di scendere sul piano materiale.
Osservò dall’alto il campo dell’esercito del dio della guerra, ancora enorme e ben assortito. Si ricordò della malattia mortale che aveva colpito i Kon ed i Lanon quando erano giunti sulle isole al largo di quel continente e, distrattamente, contagiò qualcuno di quei guerrieri con lo stesso virus. Il suo popolo era immune ormai, così come anche i Kormy, visto che il loro sangue si era mischiato con quello degli altri due popoli. Le donne del nord erano lontane da quel luogo e se ci fosse stato bisogno i suoi sacerdoti sapevano come curarla.
Tornò sul piano celestiale e si diresse verso il luogo di Geria.



Note: Ah devo dire che nel gruppo di dei dell'Olimpo ho sempre trovato affascinante Afrodite (Venere). Perchè si fingeva sempre un'oca ma era molto astuta, anche più della tanto decantata Atena. Beh almeno secondo me!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 – Geria + Interludio 2 ***


Capitolo 9 – Geria

Una biblioteca.
Ecco il luogo che aveva scelto per il loro incontro.
Geria appariva ancora come un vecchio dalla lunga barba bianca che indossava una tunica chiara ed un paio di sandali. Teneva in mano un libro ma quando lui si presentò lo ripose su di uno scaffale.
«Buongiorno», salutò l’ospite cordiale con una voce un po’ esitante, «So che i vostri rappresentanti si sono presentati in pace ai miei»
«Mi piace avere degli amici», rispose AidiosKon circospetto, non sapeva assolutamente cosa aspettarsi.
«Ma anche dei nemici a quanto pare», continuò l’altro, un lampo astuto gli attraversò gli occhi.
Evidentemente la sua campagna contro il dio del nord non era passata inosservata.
«Mi piace tenermi impegnato e non sopporto un certo tipo di atteggiamento», era sincero, «Non mi fraintendere, non sono un dio troppo misericordioso con gli umani ma alcune cose non mi piacciono»
«Sai cosa mi ha colpito di te?», il vecchio si era voltato per un attimo indicando due sedie, poi si era accomodato. Vedendo che il suo interlocutore non rispondeva continuò, «Il fatto che non hai un appellativo»
AidiosKon sorrise accomodandosi a sua volta, «Perché limitarsi?»
«Ottima risposta! Io la penso esattamente come te», bofonchiò attorcigliandosi la punta della barba su un dito, «Ma a tua differenza io so essere molto misericordioso»
Nonostante la voce fosse sempre calma e tranquilla un brivido attraversò il dio dei Kon, «Ma scommetto che sai essere anche terribile se necessario»
Il vecchio annuì ridacchiando, «E’ capitato di rado, soprattutto molto tempo fa, ma se fosse nuovamente necessario... sai cosa dicono gli umani delle acque chete»
Una minaccia neppure troppo velata.
«Non lo sarà», ora AidiosKon era tranquillo, «Come ho detto non mi piace un certo tipo di atteggiamenti e non mi pare che tu sia il genere», fece una pausa, «Mi piace anche il confronto dialettico e devo dire che con te è piacevole discutere»
«Anche a me e condivido il piacere», sorrise cordialmente tornando al tono di voce da vecchietto, «Le riunioni del circolo saranno migliori da ora in poi», il sorriso divenne astuto, «Ed anche meno affollate credo»
«E’ un problema?», chiese incuriosito.
«Assolutamente no. Mi piace l’ordine e la pace ma non mi piacciono i pantheon troppo affollati», tornò ad alzarsi ed afferrò nuovamente il libro.
«Allora andremo d’accordo», con un inchino si congedò.

Interludio – Guerra

La guerra procedeva bene, anzi procedeva molto bene.
Però, nonostante le truppe del dio Wortok fossero state decimate dalla pestilenza erano ancora tremendamente pericolose.
Nelle tre uniche vere battaglie campali effettuate, erano uscite vittoriose grazie a tattiche molto astute ed ad una determinazione incredibile. Nonché grazie all’aiuto divino vero e proprio.
Wortok come dio non era affatto male: peccato però che fosse solo un dio della battaglia.
Man mano che la campagna continuava non si era curato di far guarire i feriti o di creare avamposti. Così ben presto il suo esercito si ritrovò circondato dalle truppe di AgathosKon.
Il suo avatar, dopo le tre sconfitte subite, aveva deciso di cambiare tattica ed usare la strategia della guerriglia. Colpiva e poi si ritirava, usando sempre pochi uomini causando qualche danno e rallentando l’avanzata dei nemici. Aveva colpito i vettovagliamenti, poi le macchine da assedio, poi i contingenti che avevano più feriti.
Alla fine, l’esercito nemico, stremato e sfiancato rimase composto solo da qualche migliaio di uomini e si ritrovò completamente circondato dalle truppe di AidiosKon.
Lui era in alto sopra il campo di battaglia e vide che l’altro dio, ora molto meno impressionante visto tutto il potere che aveva perso, stava sovrastando le sue truppe.
Incredibilmente non fece si che i suoi adepti chiedessero di essere risparmiati ma li incitò a combattere fino alla fine. Questi furono pervasi da una furia folle e terribile e si lanciarono contro i loro nemici mentre Wortok scagliava a sua volta una saetta.
Lui la deviò con facilità, ora era troppo più potente di lui per doversi preoccupare.
Poi decise che era giunto il momento di porre fine a tutto ciò.
Non che gli importasse più di tanto che alcuni dei suoi guerrieri potessero morire ma voleva dare una definitiva dimostrazione che il suo potere era superiore.
Con facilità, visto tutte le preghiere a lui rivolte nell’ultimo periodo, spalancò il terreno in una tremenda voragine ai piedi dei suoi nemici. Questi, inesorabilmente, vi precipitarono dentro e lui si affrettò a chiudere il varco stritolandoli tra le pareti di roccia.
La battaglia era finita.
Lui sollevò lo sguardo verso l’altro dio ma non lo vide.
Si corresse: la guerra era finita.
Sorrise tornando lentamente verso il suo luogo lasciando tutto nelle mani del suo avatar.
Un altro territorio conquistato ed un altro dio in meno nel pantheon.



Note: Quest'altro dio invece mi è piaciuto lasciarlo così misterioso. A rileggerlo mi pare quasi un padrino della mafia con quel suo modo di fare velato-ma-non-troppo. In realtà lo volevo rappresentare più come un "veramente buono ma che se si arrabbia sono guai"...
Ci avviciniamo al finale, ancora 1 capitolo e poi il breve epilogo.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 – Il dio degli elfi ***


Capitolo 10 – Il dio degli elfi

Era seduto comodamente sulla sua poltrona a pensare.
Era impaziente di raggiungere ed incontrare Elira ma prima voleva occuparsi di Lallalar e dei suoi elfi. Aveva sempre immaginato le femmine di quella razza come bellissime quindi diversi pensieri lasciavi gli balenarono in mente. Si, avrebbe eliminato il suo rivale così che potessero adorare lui in sua vece.
Come a risposta di questi suoi pensieri, una missiva apparve sul bracciolo del suo sedile e lui la prese. Era una convocazione presso il luogo del dio degli elfi.
Si sollevò e lo raggiunse.

Era una foresta.
Una splendida, verde e lussureggiante foresta.
Lallalar appariva come un esponente della razza che lo adorava dai lunghi capelli biondi lisci vestito con una elegante tunica color panna.
Lui gli si avvicinò senza timore guardandosi attorno.
«E’ un posto molto bello», mormorò senza salutarlo, «Dettagliato all’inverosimile», sollevò la foglia di un albero e controllò la parte inferiore notando che esisteva ed era anch’essa molto ben fatta, «Devi averci dedicato moltissimo tempo»
«Verrò subito al punto», esordì seccamente l’altro, «Non tollererò oltre il tuo comportamento», AidiosKon fece spallucce continuando a guardare le piante, «Se pensi di poter fare con me la stessa cosa che hai fatto con Varanash e Wortok ti sbagli di grosso»
«Senti parliamoci chiaro», finalmente lo guardò a sua volta, «Varanash era un idiota completo e si è meritato di sparire mentre Wortok era una macchietta e non era degno di esistere»
«Ed io cosa sarei?», la sua voce era ferma e determinata.
«Un borioso arrogante pieno di sé», aveva risposto in maniera tranquilla, quasi distrattamente ma non aveva tolto gli occhi di dosso dall’altro un solo istante.
«E quindi proverai ad eliminare anche me?», un leggero fremito percorse la sua voce ad indicare che lo temeva.
Lui non rispose, fece un lento giro attorno ad un grande albero e passò la mano sulla corteccia sentendone la ruvidezza sotto le dita poi, con tremenda lentezza, tornò a portare gli occhi sul suo interlocutore.
«Perché gli elfi?»
L’altro parve colpito dalla domanda, «Perché vivono molto a lungo»
AidiosKon si sorprese, non si aspettava quella risposta.
Lallalar continuò a parlare e sembrava imbarazzato, «I miei sacerdoti, quando scendo a parlare con loro o ad ascoltare le loro suppliche, sono sempre loro... non mi piace vederli cambiare...»
«Stai dicendo che li hai scelti perché ti affezioni ai tuoi credenti e non ti piace che muoiano presto?», per poco la sua mascella non crollò a terra.
L’altro assunse un’espressione dura ma annuì.
Era sincero.
AidiosKon si sarebbe aspettato qualsiasi cosa tranne quella.
Fece un profondo inchino.
«Mi ero completamente sbagliato su di te», tornò a sollevarsi e la sua voce era colma di stupore, «Sei un dio degno e ti porterò rispetto», non diede il tempo all’altro di parlare, «Farò mandare degli ambasciatori al tuo popolo per scambi pacifici come ho fatto con Elira e Geria»
Ora era il turno del dio degli elfi di essere stupefatto, «Perché questo cambiamento?», era ancora molto guardingo, «Sembravi sul punto di dichiararmi guerra e provare a distruggermi!»
Lui sorrise, in modo schietto e sincero, «Come ho detto a Geria, non sono un dio misericordioso ma non mi piace un certo tipo di comportamento e, a quanto pare, tu non sei quel genere»
Lallalar fece spallucce, «Ma non ti aspettare che tessa le lodi degli uomini, i miei elfi sono sempre migliori sotto tutti i punti di vista...», ecco tornare il tono arrogante.
«Credilo pure», rispose lui voltandosi ed avviandosi per andare via ma prima decise di canzonarlo un’ultima volta, «Ed assumi pure sempre la parte dell’arrogante borioso. Tanto ora lo so che sei un tenerone...»
Il dio degli elfi rimase da solo con un’espressione corrucciata poi, sospirò ed un sorriso sincero comparve sul suo volto.



Note: Sorpresi? Io lo sono stato quando ho scritto questo capitolo!
Davo già per scontato di dover descrivere la guerra contro gli elfi ed invece, quel lazzarone di Lallalar si rivela essere un tenerone... vatti a fidare dei propri personaggi!
La prossima settimana l'ultimo capitolo, corto e conclusivo di questo racconto.

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Epilogo

Le genti di Kon, Lanon, Kormy ed anche di Nortfols si unirono fortemente, mischiando le loro culture e cambiando nome in Aidiosnos, in onore del loro dio. Crearono una cultura fiorente e molto aperta, effettuando scambi commerciali e scientifici con le genti del centro e del sud nonché con le comunità degli elfi. Sapevano che non dovevano sgarrare in nulla, visto che il loro dio era duro, ma erano anche tranquilli perché se rigavano dritto era anche molto generoso.
AidiosKon iniziò a partecipare alle sedute del consiglio e cercò di animarle parlando sempre in modo schietto, alle volte brutale, ma cercando di imparare il più possibile dal modo di pensare degli altri. Non lesinò di battibeccare ogni volta che poteva con Lallalar ed anche il dio degli elfi sembrava oramai averci preso gusto a quegli scambi di battute.
Alla fine, dopo aver visto che tutto andava bene, decise di raggiungere il luogo di Elira.
Lei lo attendeva sempre sdraiata sul triclinio rosso ma quando lo vide arrivare si alzò in piedi e gli andò incontro.
«Pensavo ti fossi dimenticata di me», si finse corrucciata abbassando il capo a terra.
Lui lo sollevò delicatamente con due dita e la baciò.
«Oh non potrei mai», rispose sinceramente.
«Bene perché ho avuto tutto questo tempo per pensare a come dovevamo farlo», la malizia che covava nei suoi occhi pareva non potesse avere fine.
«Non chiedevo di meglio», rispose lui abbracciandola.

The End... per ora...

Note: Ed eccoci alla fine.
Spero di avervi allietato con questo racconto.
In teoria, se l'ispirazione mi aiuterà, ho intenzione di scrivere ancora di questo dio e di questo Pantheon ma per ora: "That's all folks"!
Grazie a tutti di avermi seguito!

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