Good Boys

di memi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preface and Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***
Capitolo 5: *** Chapter Five ***
Capitolo 6: *** Chapter Six ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven ***
Capitolo 8: *** Chapter Eight ***
Capitolo 9: *** Chapter Nine ***
Capitolo 10: *** Chapter Ten ***
Capitolo 11: *** Chapter Eleven ***
Capitolo 12: *** Chapter Twelve ***
Capitolo 13: *** Chapter Thirteen ***
Capitolo 14: *** Chapter Fourteen ***
Capitolo 15: *** Chapter Fifteen ***
Capitolo 16: *** Chapter Sixteen ***
Capitolo 17: *** Chapter Seventeen ***



Capitolo 1
*** Preface and Chapter One ***


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Good Boys

Preface

 

Normalmente sono solita lasciare questo genere di cose alla fine di una fanfiction, ma stavolta ho dovuto fare un’eccezione. Nessun motivo in particolare, solo volevo fornire un paio di chiarimenti prima di passare in maniera definitiva alla storia.

Per prima cosa, ci tenevo a scusarmi con quanti di voi ho lasciato col fiato in sospeso per via di un’altra fanfic sempre focalizzata sui Digimon. Nessun problema, se non quella maledetta ispirazione. E dico “maledetta” per il semplice fatto che mai come ultimamente non fa altro che andare e venire in un andirivieni decisamente insopportabile! Per cui, cogliendo sfacciatamente l’occasione, mi appello a quanti di voi attendono il seguito chiedendovi sinceramente perdono. Scusatemi ancora per questa mancanza, ma come vi dicevo sto solo aspettando il “momento propizio” per impugnarla nuovamente.

A questo punto parte spontanea una considerazione. O, meglio, un piccolo appunto su questa mia nuova fanfic. Ebbene, questa storia è nata quasi per caso, in un attimo d’improvvisa ispirazione avuto qualche tempo addietro. Precisamente è nato tutto l’estate scorsa. Ascoltavo distrattamente la canzone “Rotolando verso sud” dei Negrita, una famosa band italiana, e intanto vagavo per la rete. Ad un tratto sono incappata in alcune immagini del manga “Parfait Tic” (proprietà dell’autrice e della rispettiva casa editrice) e…puf! Ecco nascere lo spunto alla storia. In verità non ho mai letto il manga sopra citato, se non qualche scena. Diciamo solo che in un certo senso mi ha dato una vaga ispirazione – ossia l’idea base del trasferimento di Taichi e Yamato nella palazzina di Sora – che io ho poi ampliato e fatto mia, per così dire. Per cui, nel caso si verifichino delle analogie con il manga, sappiate che si tratterà di coincidenze belle e buone, nulla di più davvero!

A differenza delle altre mie fanfic su questo anime, questa è una storia “fresca”, con una trama molto versatile. È, in altre parole, una storia che tenta di narrare le vicissitudini del mitico trio durante la loro adolescenza, senza tuttavia tener conto dell’anime. D’altro canto non poteva essere diversamente considerando il fatto che è un’Alternative Universe!

Ma adesso passiamo ai tanto odiati, quanto necessari disclaimer.

Tutti i personaggi di Digimon 01 e Digimon 02 non mi appartengono, ma sono proprietà dell’autore e della rispettiva casa editrice. Gli altri personaggi, che invece non appaiono nell’anime, mi appartengono di diritto in quanto sono il frutto della mia fervida immaginazione. Inoltre tutti i personaggi e la stessa fanfiction non sono utilizzati assolutamente da me medesima a scopo di lucro.

Fatto l’utile, passiamo al dilettevole. Volevo semplicemente ringraziare in anticipo quanti di voi leggeranno e nel caso commenteranno la storia. Adesso non voglio nel modo più assoluto annoiarvi con la solfa di quanto siano importanti i commenti per chi scrive, ma ci tengo a farvi sapere che io apprezzo tantissimo qualunque critica, positiva o negativa che sia. Per cui, ancora un grazie in anticipo! ^^

Okay, adesso vi lascio – finalmente! – e vi auguro una buona lettura!

Memi J


 
Attenzione: come da suggerimento dell’amministratrice di EFP, ho unito la Preface con il Chapter One. Le recensioni legate a quest’ultimo, peraltro, sempre come da suggerimento sono state copiate e inserite nel nuovo capitolo come anonime. Si vuole tuttavia ringraziare skiblue, HikariKanna, Keiko Sayuri, Heather, memole, CERA91 e Neko chan che adesso ritroveranno le loro più che gradite recensioni in formato anonimo.

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Good Boys

Chapter One


“Mamma, sono tornata!”, la voce allegra di Sora Takenouchi si diffuse in tutta la casa, fino a giungere nella zona soggiorno dove c’era la madre intenta ad annaffiare una piantina.

“Togliti le scarpe, tesoro, e va ad indossare qualcosa di comodo. Poi quando avrai finito, per favore raggiungimi qui. Ho una notizia da darti!!”

“Va bene!”

Sora si sfilò le scarpe marroni e indossò velocemente le ciabatte bianche, morbide, messe lì a disposizione per lei. Entrò nella sua camera e lasciò distrattamente la cartella con i libri sulla sua scrivania di legno, che avrebbe ripreso solo dopo il fine settimana appena cominciato, piombandosi poi sull’armadio. Mentre si sfilava la divisa verde predisposta dalla sua scuola, l’Odaiba High School, per indossare un jeans e una maglietta di un particolare rosa acceso da sopra, i suoi pensieri erano rivolti completamente alle parole che le aveva poco prima rivolto la madre. ‘Chissà quale sarà questa novità!’, si chiese incuriosita la giovane, ravvivandosi i lucenti capelli ramati che le sfioravano appena la curva delle spalle ed uscendo finalmente dalla sua stanza. Arrivata in salone, trovò la madre ancora intenta a sistemare i suoi adorati fiori in un vaso.

“Oh, Sora! Hai fatto presto!”, esclamò stupita Suzuki Takenouchi non appena vide la figlia.

I capelli castani erano raccolti in uno stretto chignon, in cima al capo, e gli occhi scuri addolcivano spiccatamente i tratti severi del volto.

“Già! Allora: cosa volevi dirmi?”, s’interessò immediatamente la fanciulla, andando dritta al punto.

“Due cose a dir la verità”, si corresse la donna, sistemando i fiori in un vaso. “La prima è che ha chiamato Mimi stamattina. Si era dimenticata del fuso orario e che quindi tu eri a scuola in quel momento”

Sora annuì, facendo così intendere di aver capito. Le faceva immensamente piacere sapere che la sua migliore amica l’aveva telefonata. Purtroppo non potevano sentirsi spesso perché mentre lei abitava a Tokyo, Mimi si era trasferita a New York, dall’altra parte del mondo in pratica. Così un po’ per il fuso orario e un po’ per le bollette salate che arrivavano ogni volta, risultava un po’ difficile chiamarsi.

“La chiamerò appena possibile!”, assicurò, sinceramente contenta, pensando a quale sarebbe stato l’orario migliore per poterla rintracciare.

“Bene. Ma adesso veniamo all’altra notizia”

Le parole di Suzuki incuriosirono subitamente la figlia che, messi da parte i propri pensieri, la ascoltò attentamente.

“Hai presente l’appartamento sopra di noi?”

“Sì, e allora?”

“I proprietari si erano dovuti trasferire e così è rimasto vuoto”

“Sono due anni che è vuoto, mamma. Scusami, ma non riesco a capire quello che vuoi dirmi”, Sora pareva frastornata, non riuscendo a trovare una scusa che giustificava quel discorso in apparenza vuoto sull’appartamento che si ergeva sopra di loro.

“Ecco, stamattina ho parlato con la signora Tamaki, quella dell’ultimo piano e…a quanto pare, finalmente l’appartamento è stato affittato! I nuovi inquilini dovrebbero arrivare oggi”

“Davvero?”, la fanciulla dai capelli ramati parve piuttosto stupita della cosa, ma non molto interessata.

‘Sarà l’ennesima famigliola felice!’, si disse tra sé e sé, pensosa.

“Perché non vai fuori ad aspettarli, tesoro? Sarebbe carino dare loro il benvenuto, non trovi?”, ruppe il fluire dei suoi pensieri la signora Takenouchi.

“Uhm…okay”, mormorò distrattamente Sora, per nulla entusiasmata all’idea.



Sora chiuse la porta di casa alle sue spalle e trasse un grosso respiro, che sembrò riempirle i polmoni. Lentamente si allontanò dall’uscio e si avvicinò al parapetto bianco del balcone. Affianco, le scale predisposte all'aperto mettevano in comunicazione i vari appartamenti.

Mentre appoggiava distrattamente i gomiti alla balaustra, i suoi pensieri volarono nel mondo magico della fantasia, che le fece immaginare le mille e più possibilità di persone che i nuovi inquilini della sua palazzina sarebbero potuti essere. Sora si era immaginata una famiglia composta da quattro, cinque persone, con magari un bebè a carico. Il capostipite sarebbe stato un tipo alla mano, mingherlino e dal sorriso affabile, mentre la moglie che lei aveva immaginato era il classico tipo legato alla famiglia. Poi c’erano i due figli: uno di dodici, tredici anni, e l’altro di dieci. Presumibilmente il primo sarebbe stato una femmina. Stava giusto pensando a quanto casino avrebbero potuto combinare i due ragazzini, quando un camion bianco che posteggiò proprio davanti alla palazzina attirò la sua attenzione.

‘Vediamo se ho indovinato!’, si disse, a metà tra il divertito e l’incuriosito, la fanciulla, intuendo al volo che si trattava del camion dei traslochi dei nuovi inquilini. Non appena vide lo sportello del passeggero aprirsi, Sora aguzzò la vista sicura di vedervi uscire una donna da lì. Le sue convinzioni, però, iniziarono a vacillare non appena distinse un piede rinchiuso in una scarpa scura, troppo grande e maschile per essere indossata da una madre di famiglia. Infine crollarono miseramente non appena la figura uscì completamente dal camion, rivelandosi in tutta la sua bellezza e in tutto il suo essere un ragazzo. Uno splendido ragazzo.

Sora spalancò senza quasi accorgersene la bocca, rapita da quella visione celestiale.

Capelli dorati come il sole più vivo, fisico a dir poco perfetto e postura elegante. Le sembrava di star rimirando una divinità più che un ragazzo. Il giubbotto nero che indossava s’intonava perfettamente all’aria misteriosa che aveva lo sconosciuto. Un’aria che a tratti appariva persino indisponente, ma sempre tremendamente attraente.

‘Quel ragazzo è…è bellissimo!!’, non poté fare a meno di pensare Sora senza riuscire a distogliere lo sguardo da lui. Eppure ne aveva visti di ragazzi carini, vivendo in una megalopoli come Tokyo. Ma quel ragazzo…quello era veramente stupendo.

Il cuore di Sora, però, toccò il culmine quando i suoi occhi nocciola videro l’elegante figura iniziare a salire proprio i gradini del suo palazzo…! ‘Che…che sia lui il nuovo inquilino?’, si domandò per la prima volta, spossata e in fermento allo stesso tempo.

Stava ancora pensando a questo, quando si ritrovò due meravigliosi occhi di un blu terso fissarla intensamente, quasi volessero carpire la sua parte più recondita e segreta. Infatti il ragazzo che così prepotentemente aveva attirato le sue attenzioni le era ormai di fronte, avendo, senza che lei se ne fosse accorta, superata con passo elegante la prima rampa di scale del condominio. E forse fu proprio per questo che Sora arrossì violentemente, mentre il suo cuore batteva come impazzito.

“Ehi tu”, la voce ferma ma decisa del ragazzo la riportò bruscamente alla realtà, facendola palpitare.

“I…io?!”

“Vedi qualcun altro in giro?!”

La risposta che le diede il ragazzo la fece rimanere alquanto perplessa.

“N…no”, la giovane Takenouchi lo guardò palesemente frastornata.

“È questo il palazzo 619?”

“S…sì”

Sora lo vide sospirare, probabilmente di sollievo, e il suo cuore ebbe un balzo. ‘Oddio! Possibile che sia veramente lui il nuovo inquilino?!’, si chiese speranzosa.

“Sai dirmi qual è l’appartamento B?”, le chiese ancora il biondo, senza mai smettere di fissarla negli occhi.

“C…certamente. È…è quello sopra”, balbettò impacciata Sora, pregando che il ragazzo non notasse il rossore sul suo volto.

“Uhm…”, disse per risposta lui, prima di voltarsi e fare per avviarsi al piano di sopra, rimanendo la povera Takenouchi completamente allibita.

‘Ma come…se ne va così senza dire nulla?!’, si chiese allibita e leggermente irritata per essere stata così volutamente ignorata.

“Ah, a proposito!”

Sora sorrise felice quando lo vide ritornare sui suoi passi. ‘Ecco, lo sapevo che non se ne sarebbe mai andato così!’, si ripeté tutta felice.

“Fammi un favore, ragazzina. Vai a dire a quell’uomo accanto al camion che deve scaricare al secondo appartamento, okay?”, si raccomandò, prima di salire l’ultima rampa di scale che lo divideva dal suo nuovo appartamento.

Rimasta sola Sora si ritrovò suo malgrado a boccheggiare un paio di volte, completamente allibita dalle parole del ragazzo. Ma poi un senso di rivalsa s’impossessò di lei, che s’inalberò all’istante.

“Ma come si permette quel…quello stupido?! Per chi mi ha presa: per la sua schiavetta?!”

Avrebbe continuato ad inveire contro quel bellissimo quanto sfrontato ed insolente ragazzo, se una risata palesemente divertita non avesse attirato la sua attenzione.

Sora si voltò incuriosita verso le scale e notò, fermo sul penultimo gradino della rampa di scale, un giovane ragazzo dall’aria affabile che si stava letteralmente sganasciando dalle risate.

Arrossì di botto, imbarazzata come non mai per la figuraccia appena fatta con un ragazzo davvero niente male. Certo, non appariscente come quell’altro, ma in ogni caso davvero niente male con quel fisico atletico messo in risalto dal jeans e dalla maglia sportiva, blu, che aveva indossato. I capelli castani, folti e fluenti, apparivano scomposti sul capo, quasi trasandati, e riuscivano a conferire al ragazzo un’aria allegra. Il volto dai lineamenti morbidi era caratterizzato dalla presenza di due vivaci e briosi occhi marroni, capaci di dargli un’aria affabile e cordiale, totalmente diversa dall’aria che invece aleggiava attorno al biondino di poco prima.

“Scusa il mio amico”, fece ad un certo punto il brunetto, salendo anche gli ultimi due gradini. “A volte è un po’…come dire…indisponente, ecco. Ma ti assicuro che non è male in fondo”

Il sorriso che le rivolse fece sciogliere, come neve al sole, il cuore già fortemente prostrato di Sora, la quale tuttavia non poté fare a meno di sorridergli grata. Doveva ammettere che quel ragazzo era davvero molto disponibile e alla mano.

“A proposito: io sono Taichi Yagami!”, si presentò, con la sua solita allegria, il ragazzo, porgendole educatamente la mano.

“Sora… Io mi chiamo Sora Takenouchi”, dopo un’iniziale esitazione, anche la fanciulla si lasciò andare e strinse la mano che quello le protendeva.

“Sora… Tu vivi qui?”, s’informò allora Taichi, mentre si guardava incuriosito attorno.

“Sì. Proprio qui”, indicò l’appartamento A in cui lei viveva con la madre.

“Ah…capisco. Beh, questo vorrà dire che d’ora in poi saremo coinquilini, poiché da oggi abito all’appartamento B!”, fece tutto allegro il brunetto, ritornando a posare lo sguardo in quelle calde pozze nocciola.

A quelle parole Sora strabuzzò gli occhi. ‘Cosa?? All’appartamento B?! Insieme a quel ragazzo?’, si chiese chiaramente frastornata.

“Io e il mio amico, che a proposito si chiama Yamato Ishida, ci siamo appena trasferiti qui”, quasi ebbe udito le sue mute domande, Taichi si affrettò a spiegarle.

A quella spiegazione, Sora non poté fare a meno di sorridergli, sinceramente riconoscente. ‘Questo ragazzo…Taichi… È davvero simpatico e socievole!’, si disse tra sé e sé, contenta di quell’incontro, ‘e poi…non è davvero niente male!’.

“Come mai sei arrossita?”

“Eh?”, la voce di Taichi la riportò dolcemente alla realtà.

“Sei tutta rossa”, le fece allora notare lui, estremamente divertito.

“Beh, io…ecco…veramente…”

Notandola così impacciata, al giovane Yagami sorse spontanea una risata, che ebbe l’effetto di far sorridere anche Sora.

“Ehi, Taichi! Si può sapere che stai facendo?”, ad interrompere l’allegra risata dei due ci pensò una voce seria che Sora ormai aveva imparato a conoscere.

La fanciulla si voltò verso la prima delle due rampe di scale che dava al piano superiore e immediatamente sul suo volto comparve un’espressione sdegnata quando scorse la figura del biondino di poco prima.

“Yamato!”, lo accolse calorosamente Yagami.

Il biondo scese anche gli ultimi gradini, fino a ritrovarsi di fianco all’amico. Una volta qui i suoi occhi blu si concentrarono nuovamente sull’unica ragazza presente. Ma stavolta questa sostenne il suo sguardo, visibilmente irritata con lui per come era stata trattata in precedenza.

“Hai già conosciuto Sora, non è vero?”, continuò Taichi. “Lei abita proprio all’appartamento sotto di noi”

Yamato annuì, senza tuttavia distogliere lo sguardo da lei.

“A proposito: hai fatto quello che ti avevo chiesto, ragazzina?”, fu l’unica cosa che disse, rivolto a Sora, che arrossì indignata.

“Guarda che io ho quindici anni!”, lo apostrofò, gettandogli uno sguardo inceneritore che però non sembrò scalfire minimamente l’aria imperturbabile del giovane.

“Stai scherzando, vero?”

Le parole di lui la rimasero per un istante spiazzata.

“Ma…tu…come…”, balbettò, allibita.

Sora stava per aggiungere qualcosa, ma le sue parole furono interrotte dal tempestivo arrivo della signora Takenouchi.

“Sora?”, Suzuki si affacciò sul pianerottolo, per poi sorridere quando vide i due giovani ragazzi con la figlia. “Voi due dovete essere i nuovi inquilini”

La donna si avvicinò al piccolo trio, sfoderando un sorriso cortese.

“Infatti!”, le rispose immediatamente il brunetto, sorridendo affabile. “Sono Taichi Yagami e lui è Yamato Ishida. Lei invece deve essere la madre di Sora, suppongo”

“Esattamente. Mi chiamo Suzuki Takenouchi, è un piacere conoscervi”

“Il piacere è tutto nostro!”, ribatté prontamente Taichi, sfoderando un sorriso radioso che la donna sembrò apprezzare molto.

“Non ci sono i vostri genitori?”, s’informò subito dopo Suzuki.

“No. Io e Yamato abbiamo deciso di venire a vivere qui da soli”, spiegò sempre il giovane Yagami.

“Ah…capisco”, mormorò allora la donna, anche se appariva chiaramente perplessa. “Beh, spero che vi troverete bene qui”

“Ne siamo convinti!”, esclamò sicuro Taichi.

“Se avete bisogno di una mano per qualsiasi cosa, non esitate a chiamare, intesi?”

“Grazie, signora Takenouchi. Lei è davvero molto gentile”, mormorò solo il brunetto, prima di rivolgersi all’amico. “Dai, andiamo a vedere questa casa!”

Yamato annuì e, dopo aver salutato educatamente la madre di Sora, si avviò al piano di sopra. Taichi lo imitò immediatamente, ma prima di scomparire dalla vista della ragazza appena conosciuta si voltò verso di lei e le ammiccò.

“Ci vediamo presto, Sora!”, le sorrise, affabile come sempre.

La giovane Takenouchi annuì, contenta. Poi, senza dire nulla, ritornò in casa come già aveva fatto poco prima la madre.

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Capitolo 2
*** Chapter Two ***


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Good Boys

Chapter Two

 

Sora prese un paio di profondi respiri, chiedendosi per l’ennesima volta come aveva fatto la madre a convincerla. Si sentiva tremendamente stupida in quel momento. ‘Cosa gli dico?!’, si chiese sempre più imbarazzata, ‘che la mamma mi ha praticamente costretta a chiedere loro se vogliono che li guida per la città?! Non ce la farò mai!’.

La giovane Takenouchi era sul punto di andarsene, troppo impacciata per anche solo bussare alla porta dell’appartamento B, ma per sua sfortuna proprio in quel momento quella si aprì.

“Sora?!”, la voce di Taichi, appena uscito, appariva chiaramente stupita e ciò fece arrossire ancor di più la poverina.

“C…ciao Taichi”, balbettò molto impacciata la giovane.

“Come mai sei qui? Volevi qualcosa?”

“Oh, beh, io…”, a quella domanda il volto di Sora si colorò di un delizioso ma inequivocabile rossore che suscitò l’immediata curiosità del brunetto. “Il fatto è che la mamma…sì, lei pensa che forse…se volete, s’intende!…beh, io potrei mostrarvi il quartiere e…”

“Sai, è strano”, la interruppe ad un tratto Taichi, attirando le sue attenzioni.

La giovane alzò lo sguardo, incuriosita, e solo allora si accorse dell’espressione divertita sul volto del ragazzo.

“Io e Yamato stavamo giusto uscendo per fare un giro nel nuovo quartiere…tanto per sapere com’è, ecco! E in effetti, adesso che mi ci fai pensare, avremo proprio bisogno di qualcuno esperto del posto che ci indichi la strada!”, Yagami le sorrise cordiale come sempre.

“Allora…io…”, mormorò impacciata Sora, ma il meraviglioso sorriso del giovane la azzittì.

“Ti andrebbe farci da guida, Sora?”, le chiese con la sua solita nonchalance Taichi.

Takenouchi arrossì lievemente sotto quelle pozze marroni, ma non poté fare a meno di ringraziarlo in cuor suo per essere così disponibile con lei.

“Sì… Ne sarei felice”, gli rispose, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.

“Bene!”

Come il giorno precedente, anche stavolta la scena fu interrotta dall’arrivo di Yamato dall’interno dell’appartamento. Il biondo non si curò di nascondere il proprio stupore nel momento in cui i suoi occhi blu incrociarono la figura di Sora, che arrossì involontariamente al suo cospetto.

“Yamato, ho una bella notizia da darti!”, fece immediatamente il brunetto rivolto all’amico. “Sora si è appena offerta di accompagnarci nella nostra visita! Non è fantastico?”

Mentre il volto di Taichi era palesemente allegro, quello di Yamato lasciava intendere una nota di meraviglia. Ma subito si riscosse, ritornando al suo cipiglio imperturbabile di sempre.

“Se lo dici tu…!”, fece solo, prima di superare l’amico e uscire di casa, avviandosi per primo verso le scale.

Sora rimase piuttosto delusa di quel comportamento. Aveva sperato di poter ricominciare con Yamato dopo l’incontro-scontro del giorno precedente, ma a quanto pareva si era proprio sbagliata. Quel ragazzo aveva proprio un caratteraccio!!

Taichi notò il suo sguardo pensieroso e subito un sorriso gli sorse spontaneo. Senza perdere il buonumore, il ragazzo chiuse la porta dell’appartamento B e fece per avviarsi a sua volta verso le scale, salvo bloccarsi quando notò che Sora non si decideva a muoversi.

“Non vieni?”, la guardò incuriosito.

“Sì, io…”, la fanciulla scosse il capo, mentre arrossiva nuovamente. “Eccomi!”

Riscuotendosi completamente dai suoi pensieri, Sora si avvicinò a Taichi e, dopo avergli regalato un dolce sorriso, si apprestò a scendere le scale.

 

 

Sebbene all’inizio si fosse dimostrata un po’ esitante, alla fine Sora dovette ammettere che la madre aveva avuto davvero una buona idea a farla offrire da guida ai due nuovi inquilini. Un caldo sole li aveva accompagnati per tutta la mattina e continuava a spadroneggiare nel nitido cielo di settembre. Ma non erano solo le condizioni atmosferiche a renderla così allegra quel giorno. Il fatto era che si trovava veramente a suo agio con quei due ragazzi, specie con Taichi. Il brunetto dall’aria spigliata, infatti, era una compagnia più che valida, spiritoso e brioso com’era. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e sapeva infondere il buonumore anche solo a guardarlo.

Meno esuberante era invece Yamato, che tuttavia sembrava aver messo per un istante da parte l’impertinenza mostrata fino ad ora per rivelare il suo lato più disponibile. Forse era la presenza dell’amico a mutarlo così. Ma infondo che importanza poteva mai avere saperlo? Quello che contava veramente era che si stavano divertendo. Tutti e tre, di questo Sora ne era sicura sebbene Yamato si dimostrasse piuttosto restio a lasciar trapelare i suoi sentimenti.

“Poiché vi ho già mostrato il quartiere di Odaiba, direi di passare ad altro. Che ne dite di andare sulla Torre di Tokyo?”, proruppe ad un tratto proprio la fanciulla dai capelli ramati, raggiante per l’idea appena avuta. “Da lì si vede tutta la città e poi è bellissima, ve lo assicuro! Poi potremo andare direttamente al quartiere di Shibuya, così vi mostro anche quello. Che ne dite?”

I due amici a quella proposta si gettarono una strana occhiata che Sora non riuscì ad identificare. Ma poi, brioso come sempre, Taichi si affrettò a risponderle.

“Perché no? Sarà divertente!”, esclamò interessato.

“Ottimo!”, raggiante, Sora batté le mani come una bambina a cui era stata appena concessa l’autorizzazione ad avere una bambola nuova.

“Però vedi di non perderti, okay?”, si affrettò ad aggiungere sarcasticamente Yamato, per poi sghignazzare divertito quando vide il volto della fanciulla avvampare dalla rabbia.

Irritata, Sora si voltò verso di lui e gli fece la linguaccia, che però sortì l’unico effetto di far ridere ancora di più il ragazzo e Taichi, che si era aggiunto a lui. Imbufalita come non mai, la giovane Takenouchi allora s’incamminò con passo spedito, senza curarsi di attendere i due amici che subito, dopo essersi gettati un’occhiata complice, la raggiunsero. La collera di Sora scemò completamente nel momento stesso in cui sentì i due ragazzi prenderla a braccetto, chi da una parte e chi dall’altra, e si tramutò repentinamente in stupore. Ma quando gettò un’occhiata interrogativa ai due amici e quelli le sorrisero, non poté fare a meno di arricciare a sua volta le labbra in su. Felice, la giovane strinse un po’ di più la presa attorno alle braccia dei due ragazzi, intanto che li conduceva allegramente alla volta della Torre di Tokyo.

 

 

“Sorridete…”

Mentre la donna dietro l’obiettivo della macchinetta fotografica digitale tentava di mettere a fuoco l’immagine, Sora arricciò le labbra in un sorriso allegro. Più raggiante e appariscente era però Taichi che, sfoderando una fila di denti bianchissimi, faceva il segno di vittoria con una mano. Infine c’era Yamato, il più composto dei tre, che se ne stava alla sinistra di Sora e sfoderava un sorriso appena percepibile, ma forse per questo ancor più affascinante.

“Ci siamo”, mormorò solo la donna, prima che il flash illuminasse per un istante la zona. “Ecco fatto!”

“Grazie mille, signora!”, Taichi fu il primo a riprendersi e ad avvicinarsi alla donna che gli porgeva la sua macchina fotografica.

Nel frattempo Yamato sembrava completamente assorto nei suoi pensieri e l’unica cosa che lo legava ancora alla realtà erano i suoi profondi occhi blu che scrutavano Sora minuziosamente. Probabilmente era il grazioso rossore salito sulle sue gote ad attirare così la sua attenzione. O forse era l’espressione leggermente sperduta nei suoi occhi nocciola… Che poi, non poté fare a meno di chiedersi il biondo perplesso, che motivo aveva di arrossire?

“Non venite?”, fu la voce di Taichi a riportare entrambi alla realtà.

Ma mentre Yamato subito si riscosse e, con poche falcate lo raggiunse, Sora rimase ancora leggermente indietro immersa nei suoi pensieri. ‘Ma perché mi sento così imbarazzata?!’, si domandò sempre più confusa, ‘per una foto, poi! Solo che…’. La ragazza quasi non si accorse di essere avvampata paurosamente, se non fosse stato per le occhiate curiose dei passanti che la convinsero a mettere da parte i propri pensieri per raggiungere i due amici poco più avanti.

“Ho fame”, disse all'improvviso Yamato, fermandosi e gettando un’occhiata ai suoi due compagni in una chiara richiesta di trattenersi in qualche posto per mangiare qualcosa.

“In effetti anch’io!”, si aggiunse immediatamente anche Taichi, mentre il suo stomaco iniziava a farsi sentire. “Che ne dite di fermarci a mangiare qualcosa?”

“C’è un locale molto delizioso proprio accanto alla Torre”, s’intromise a quel punto Sora, dopo un istante di silenzio. “Potremo andare lì, se a voi va bene”

“Tutto pur di mangiare!!”, annuì immediatamente, raggiante, il brunetto.

“Okay”, fece poco dopo anche Yamato, stranamente pensieroso.

Sora sorrise radiosa, contenta che la sua proposta fosse stata così subitamente accettata. Poi, tutti e tre insieme, si diressero verso il famoso locale che si rivelò essere davvero delizioso come Sora lo aveva descritto. Non era molto grande, ma ben arredato e dall’aria confortevole. Non appena vi ebbero messo piede, una cameriera gentile e dall’espressione giocosa si avvicinò a loro e li guidò all’interno del posto, fino a farli accomodare ad un piccolo tavolo predisposto in un angolo. Quindi, dopo aver estratto dalla tasca un blocnotes e una penna, prese le ordinazioni ed infine si accomiatò con la promessa di ritornare in breve.

“Davvero carino questo posto…”, l’iniziale silenzio venne come al solito fugato da Taichi, che si guardava incuriosito attorno.

 “Mio padre mi portava sempre qui quando ero un po’ più piccola, e anche adesso quando ritorna dai suoi viaggi mi ci porta ogni tanto”, spiegò con un sorriso quasi nostalgico Sora.

Quasi spinto da quella frase, Taichi si drizzò sulla sedia.

“Viaggi?!”, ripeté stordito.

Sora sorrise. “Beh, lui è un ricercatore e per questo è costretto a spostarsi spesso. Adesso è a Kyoto con la sua equipe e dice che non c’è città migliore per un ricercatore”

“Quindi tuo padre è spesso fuori casa”, osservò pensoso Taichi, mentre accanto a lui Yamato pareva estremamente interessato al panorama che s’intravedeva dalla finestra.

La fanciulla annuì. “Sì, in effetti è così. Ha girato praticamente mezzo Paese, ma è sempre presente ad ogni festa e appena può ne approfitta per venire qui da noi. Qualche volta sono andata anche io in alcuni dei suoi viaggi, ma non posso mai stare tanto a lungo fuori per via della scuola”

Forse colpito da quelle parole, Yamato si voltò finalmente dalla loro parte e la fissò, senza tuttavia dire nulla. Sora ne fu molto sorpresa, perché, vedendolo così preso dai propri pensieri, non si era quasi accorta che lui in realtà la stesse ascoltando.

“Beh, deve essere forte poter vedere il Giappone in ogni sua località alla ricerca di un qualche fenomeno!”, Taichi sorrise con convinzione, e subito ricevette un cenno d’assenso da parte di Sora.

Ad interrompere sulla scena ci pensò l’arrivo della cameriera di poco prima.

“Ecco a voi, ragazzi!”, con un meraviglioso sorriso e riprendendosi il vassoio con cui aveva portato le ordinazioni varie, la donna li lasciò nuovamente soli.

“Uhm… Ottimo questo gelato!”

Mentre Taichi si tuffava nell’enorme coppa che aveva di fronte, il biondo suo amico continuava imperterrito ad osservare Sora seduta di fronte a loro. I suoi meravigliosi occhi blu non avevano scostato per un solo istante la presa dal volto leggermente imbarazzato della fanciulla, che non aveva potuto fare a meno di arrossire sotto quello sguardo penetrante.

“Ehi, Yamato, non lo mangi quello?”, in soccorso di Sora venne, senza nemmeno accorgersene, proprio il giovane Yagami.

Il brunetto, approfittando della distrazione dell’amico, fece per infilare il proprio cucchiaio nella coppa di quello, ma Yamato la spostò appena l’attimo prima che il piano potesse definirsi riuscito.

“Spiacente, amico”, mormorò solo con un ghigno vittorioso, mentre affondava la posata da dessert nel gelato.

“Umpf! Che ti costa darmene un pochino? Solo per assaggiarlo!”

“No”

“Dai…!”

“Ho detto di no”

“Ti prego!!”, lo implorò ancora Taichi.

“No e ancora no”, ripeté lapidario Yamato, spostandosi poco più in là per impedire al ragazzo di papparsi anche il suo di gelato.

Mentre i due amici si contendevano il gelato, Sora non poté fare a meno di sorridere, sinceramente divertita da tutta quella a dir poco bizzarra scena che le aveva fatto dimenticare ogni pensiero triste.

Notandola sghignazzare, subito sia Taichi che Yamato posero fine al diverbio e la osservarono incuriositi. Ma l’espressione raggiante sul volto della bella Takenouchi bastò a far sorridere anche loro.

 

 

Illuminata dalla luce arancia del sole al tramonto, Tokyo sembrava più una città legata ad un qualche incantesimo che la megalopoli caotica di sempre.

“Beh, io sono arrivata”

“Il tuo appartamento!”, sorrise Taichi accennando alla porta marrone a pochi passi da loro.

“Già…”, annuì anche Sora, non sapendo di preciso che dire e trovandosi per questo nell’impaccio.

Tra i tre calò un istante di silenzio durante il quale ognuno sembrò perdersi nei propri pensieri. Sora teneva il volto basso e aveva le guance leggermente arrossate; Yamato, invece, puntava dritto il cielo con i suoi intensi occhi blu; infine c’era Taichi, che osservava senza curarsene la ragazza davanti a lui.

“Grazie per averci accompagnati, Sora”, fu proprio il brunetto, alla fine, a porre fine a quel silenzio.

Takenouchi alzò lo sguardo, lievemente stupita, e subito si ritrovò di fronte due sorridenti occhi marroni.

“Mi sono divertito davvero molto!”, continuò Yagami. “E poi tu sei davvero un’ottima guida!!”

L’occhiolino che le rivolse la fece arrossire appena, ma allo stesso tempo anche sorridere.

“È stato un piacere, Taichi! E poi…mi sono divertita molto anch’io!”, non nascose la fanciulla.

“Sono contento!”, le sorrise allora lui, prima di avviarsi verso le scale. “Allora ciao, Sora!”

“Sì! Ciao Taichi!”

Sora lo seguì con lo sguardo mentre saliva le scale, per poi scomparire al piano di sopra. Udì la serratura dell’appartamento B scattare e appena poco dopo la porta d’ingresso richiudersi, segno che Taichi era ormai entrato in casa. Allora fece per imitarlo ed entrare nella sua di casa, ma si bloccò quando si accorse che Yamato era ancora fermo nel punto di poco prima, intento ad osservare il maestoso firmamento sopra di loro.

“Tokyo…”

La voce seria e profondamente immersa di Yamato la fece sobbalzare.

‘Eh?! Tokyo?!’, si chiese tra sé e sé, frastornata.

“Tokyo è stupenda vista di notte”, continuò d’improvviso il biondino, senza mai smettere di osservare la volta celeste volgersi sempre più verso l’imbrunire.

‘Yamato…!’, Sora lo guardò, palesemente stupita di sentire quelle parole proprio da lui. Era strano, perché in fondo le uniche volte che lui le aveva rivolto la parola era per punzecchiarla, tanto da finire per farsi rifuggire da lei. Eppure…possibile che sotto quella scorsa da duro e indisponente ci fosse un ragazzo dall’animo sensibile?!

“Ehi, ragazzina?!”

“Eh?!”

Immersa com’era stata nei suoi pensieri, Sora non si era minimamente accorta che nel frattempo Yamato le si era avvicinato fino ad esserle in sostanza di fronte. Ma ora che lo notava, non poté fare a meno di arrossire imbarazzata come non mai.

Si guardarono per un tempo che le parve infinito, fino a quando non lo sorprese a fare una cosa che la fece divenire paonazza. Yamato, infatti, si stava avvicinando man mano sempre di più con il volto a quello di lei. Sora poté respirare per un istante la dolce freschezza della pelle del ragazzo, che le fece battere sempre di più il suo già impazzito cuore. ‘Che mi succede?’, si domandò completamente in balia degli eventi, con il volto in fiamme e le gambe molli. Non riusciva a capire… Sembrava quasi che il biondino volesse baciarla. ‘Credevo che lui non mi sopportasse…’, si ripeté nei suoi pensieri, spaesata.

Yamato si fece sempre più vicino, tanto da esserle distante solo di pochi centimetri ormai. I suoi occhi blu erano seri come sempre, ma anche magnetici e profondi, talmente tanto dolci da far venire i brividi.

Sora ormai non capiva più nulla… Non percepiva più niente se non il battito frenetico del suo cuore e l’ardente desiderio di assaporare quelle labbra tanto invitanti. Quasi non si accorse di chiudere gli occhi e di perdersi in quell’attimo. Le sembrava di stare vivendo in un sogno in quel momento, con il cielo dagli sfocati colori del pesco a fare da sfondo alla sua magica storia. ‘Ecco…il mio primo vero bacio…’

“Lo sai che sei buffa?”

Le parole palesemente divertite di Yamato la riportarono alla realtà in un brusco risveglio.

Sora riaprì gli occhi, rossissima in volto e imbarazzata ancor di più, e subito si ritrovò davanti un volto stranamente sorridente.

“Che hai da sorridere?”, sbottò irritata per la figuraccia che il ragazzo le aveva appena fatto fare.

“Sei tu”, le rispose in tutta franchezza lui, non curandosi di trattenere una piccola risata.

Arrabbiata e umiliata come non mai, Sora dovette stringere le mani a pugno e richiamare a sé tutto l’autocontrollo di cui era capace per non prenderlo a schiaffi. ‘Ma chi si crede di essere quello zoticone?! Sensibile lui…? Tsk! Figuriamoci!’, fremette dalla rabbia. Insomma…farle credere di starla per…e poi prendersi così gioco di lei?!

Imbufalita, Sora si voltò verso di lui e gli lanciò una delle sue più terribili occhiatacce, che però non scalfì minimamente l’espressione divertita sul volto del biondino. Allora, seccata, gli fece la linguaccia.

Yamato sorrise di fronte a quella piccola rivendicazione infantile, intenerito da tanta ingenuità, per poi ritornare serio appena poco dopo.

“Beh, ci vediamo, Takenouchi”, fece ad un tratto Ishida, voltandosi verso le scale ed affondando le mani nelle tasche del jeans.

“Eh?! Ma…”, tentò di dire lei, completamente stordita dallo strano comportamento del giovane e ormai non più arrabbiata.

Però non fece in tempo a dire altro che il biondo era già scomparso al piano superiore.

Sora sospirò, spossata da quel ragazzo che si rivelava ogni minuto di più sempre diverso. Ma poi, nonostante tutto, uno splendido sorriso le increspò le labbra scarlatte e l’accompagnò anche mentre entrava in casa sua.

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Capitolo 3
*** Chapter Three ***


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Good Boys

Chapter Three

 

“Sora, tesoro, muoviti! Non è buona educazione far aspettare così gli ospiti!”

“Sì, solo un minuto, mamma! Arrivo!”, rispose la giovane dalla sua camera, mentre tentava di infilare i libri nello zaino.

In genere non era una persona ritardataria, al contrario. Ma quel giorno la sveglia aveva congiurato contro di lei, dimenticandosi di suonare!

Sora stava ancora pensando a questo quando, come un flash, le ritornarono alla mente le parole della madre. ‘Ospiti?! Di quali ospiti stava parlando??’, si domandò perplessa e basita allo stesso tempo. Ma poi fu come una rivelazione, che la fece precipitare immediatamente nel soggiorno dove, finalmente, poté verificarla. E proprio come si era immaginata, comodamente seduti sul salotto di casa sua, immersi in un’amichevole conversazione con la madre c’erano proprio Taichi e Yamato. In verità era la signora Takenouchi, perlopiù, a tenere in piedi la conversazione, visto che Taichi sembrava ancora nel mondo dei sogni e considerando il carattere fortemente introverso di Yamato.

“Ma…voi…?!”

“Oh, Sora! Vedo con piacere che sei pronta!”, la accolse calorosamente Suzuki non appena la vide, prima di voltarsi di nuovo verso i suoi aitanti ospiti. “Dovete scusare mia figlia. Di solito è molto puntuale, ma oggi…”

“Non si preoccupi signora Takenouchi!”, la tranquillizzò immediatamente Taichi, mettendo da parte per un istante il sonno e sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.

“Ma…io non capisco… Cosa ci fanno loro qui, mamma?”, domandò alla fine, senza troppi giri di parole, Sora, gettando nel contempo un’occhiataccia ben poco amichevole a Yamato sperando che lui capisse così che non aveva ancora dimenticato quello che era successo la sera precedente.

Il biondo, però, non sembrò farci molto caso e ciò aumentò ancor di più l’irritazione della già provata Sora.

“Credevo ti facesse piacere!”, ribatté prontamente Suzuki, guardando la figlia spaesata.

“Io… È solo che non mi aspettavo di…voglio dire, non pensavo che…”, balbettò allora impacciata la fanciulla dai capelli ramati, arrossendo lievemente nel sentire gli occhi di tutti puntati su di sé.

“Sono stata io a dire loro di aspettarti, in modo da potergli mostrare la strada per andare a scuola. In fondo, anche se hai mostrato loro tutto il quartiere, non sono mai andati prima d’ora all’Odaiba High School e ho pensato sarebbe stato carino fare la stessa strada tutti e tre insieme, giacché abitate così vicino, no?”

“Ma, io… Ecco… A dir la verità, non so se…”, tentò di obiettare Sora, non del tutto convinta.

“Coraggio, adesso andate, o rischiate seriamente di arrivare in ritardo!”, l’interruppe però la madre, alzatasi educatamente in piedi.

“Arrivederci signora Takenouchi”, la salutarono gentilmente i due ragazzi, alzatisi a loro volta e avvicinatisi all’ingresso.

“Buona giornata, ragazzi!”, li salutò con un sorriso la donna, sinceramente contenta di vedere la figlia frequentare due ragazzi tanto in gamba.

“Ciao, mamma”, la salutò, seppur ancora frastornata, Sora, prima di uscire definitivamente da casa accompagnata dalla voce della donna che la salutava dall’interno.

 

 

“Sora!!”

La ragazza dai capelli ramati si voltò verso la moretta che l’aveva appena chiamata e che adesso si faceva faticosamente largo tra i banchi della classe 3 - A per tentare di raggiungerla.

“Reika!”

“Sora, devi assolutamente dirmi chi erano quei due ragazzi che sono venuti con te!!”, andò dritta al punto la moretta, ignorando una ciocca dei capelli corvini, articolati in un taglio cortissimo ma sbarazzino, che si era sporta dinanzi agli occhi. “Non li ho mai visti prima d’ora e…”

“Calmati, Reika! Non ti farà bene tutta quest’agitazione!”, ad interrompere il fiume in piena di parole della moretta ci pensò Hitomo, una biondina solita portare i propri capelli legati in cima al capo, che nel frattempo aveva raggiunto le due compagne di classe.

“Non dirmi che non sei curiosa anche tu di sapere chi sono quei due ragazzi!”, la rimbeccò l’altra squadrandola dalla testa ai piedi con fare saccente.

“Io… Ecco…”, arrossì violentemente la biondina, colpita in pieno. “D’accordo, mi arrendo! Hai vinto tu, Reika! Contenta?”

La moretta la guardò con un’espressione vittoriosa, prima di ritornare a concentrare le sue attenzioni su Sora.

“Allora, ritornando a noi… Chi erano quei due bellissimi ragazzi con te, stamattina?”

“Loro…”, Sora arrossì violentemente nel sentire gli occhi delle sue due amiche addosso, ma poi non poté fare a meno di sorridere. “Loro sono i miei nuovi vicini di casa!”

“Cosa?!? Ma perché queste fortune non capitano mai a me??”, si lamentò immediatamente Reika, con aria melodrammatica.

“Davvero sono i tuoi nuovi vicini?”, domandò invece Hitomo, incuriosita.

Sora annuì. “Si sono trasferiti da qualche giorno qui ad Odaiba e da oggi frequenteranno quest’istituto, per questo erano con me stamattina!”

“Ah… Beh, adesso è tutto chiaro!”, sorrise la biondina, allegra come sempre. “Hai sentito Reika? Da oggi frequenteranno il nostro stesso istituto!!”

“Sul serio?!”, gli occhi della moretta in quel momento erano a forma di cuoricino e la cosa non poté che far sorridere Sora. “Ma quanti anni hanno?”

“Ecco, loro…”

Solo in quel momento, di fronte a quella domanda, la giovane Takenouchi si rese conto di…non sapere che età avessero!

“Io non lo so, mi dispiace”, mormorò, mortificandosi all’istante e inspiegabilmente.

Come?! Come fai a non saperlo?! Ma non sono i tuoi vicini di casa??”

“Sì, però… Io non gliel’ho chiesto”

“Ma…”

“Dai, Reika. Smettila di insistere!”, ad irrompere sulla scena ci pensò il tempestivo intervento di Hitomo. “Se non lo sa, non lo sa! In ogni caso non mi preoccuperei tanto, perché è una cosa facilmente scopribile, no?”

“Ben detto!”, si rianimò repentinamente la moretta, raggiante. “A proposito… Come mai sei tanto interessata, tu? Non eri fidanzata??”

Lo sguardo che Reika rivolse alla biondina la fece arrossire furiosamente, e allo stesso tempo causò le risa di Sora.

“Sì, che…che c’entra! Sono solo curiosa!”, si difese Hitomo.

“Mah…sarà! In ogni modo il mio preferito è il biondino!! È semplicemente meraviglioso con quell’aria misteriosa che si ritrova!!”, riprese a dire poco dopo Reika, emozionandosi al ricordo del giovane.

A quelle parole il cuore di Sora sobbalzò e senza che lei nemmeno se n’accorse si ritrovò a ripensare a quando, quel sabato sera, si era ritrovata a vivere quello strano ma intenso momento con Yamato. Momento che però era sfociato in una delle solite battutine di lui…

“Io invece preferisco l’altro, il brunetto”, confessò invece Hitomo, riportando la giovane Takenouchi alla realtà. “È così dolce con quegli occhioni allegri…! E poi ha un’aria da bambino, non trovate anche voi?”

“Tu che ne pensi Sora?”, si voltò verso di lei all'improvviso Reika, curiosa di sapere anche il suo parere. “Chi ti piace di più: il misterioso biondino o l’allegro brunetto?”

“Io… Sinceramente…”, Takenouchi arrossì violentemente a quella domanda, quasi fosse stata colpita al cuore.

A toglierla da tutto quell’impaccio, però, ci pensò il fortuito arrivo del professor Yutaka, un uomo sulla cinquantina dall’espressione severa ma dal cuore d’oro.

“Buongiorno”

“Buongiorno, professore”, ripresero immediatamente i loro posti tutti gli altri, comprese Reika e Hitomo.

‘Salva per un soffio!’, sospirò sollevata Sora, che davvero non avrebbe saputo che dire alla domanda della moretta sua amica.

“Ho una novità per voi, ragazzi”, la voce allegra del professore la riportò alla realtà.

“Di che starà parlando secondo voi?”, Reika, seduta davanti a Sora e alla sinistra di Hitomo, non riuscì a trattenersi dal fare la domanda alle sue due amiche.

“Mah”, alzò le spalle la biondina, pensierosa.

Anche Sora fece per dire qualcosa, ma di nuovo fu interrotta dal professore.

“Ho il piacere di annunciarvi che da oggi abbiamo un nuovo studente nel corso A”, l’uomo cercò tra le scartoffie, mentre il cuore di una delle sue studentesse palpitava come impazzito. “Ecco… Dunque, si tratta di…”

“È permesso?”, il professor Yutaka venne però interrotto da una voce allegra al di fuori della porta.

“Avanti, entra pure!”, fece cordiale l’uomo, intuendo al volo di chi si trattava.

Anche Sora, che ne aveva riconosciuto la voce, era ormai certa dell’identità del nuovo studente. ‘Non posso crederci…!’, sussurrò tra sé e sé incredula.

“Sora, stai bene?”

“Eh?”

La voce apprensiva di Hitomo la risvegliò dai suoi pensieri.

“Sei sicura di stare bene?”, insistette la biondina.

“S…sì…”, farfugliò con un mezzo sorriso la giovane Takenouchi, prima di voltarsi nuovamente verso la porta.

“Ehi! Ma quello non è il tuo vicino di casa??”, Reika additò senza mezzi termini il brunetto appena entrato e che adesso sorrideva cordiale alla classe, mentre si passava impacciato una mano nei folti capelli.

“Oh mio Dio!”, Hitomo spalancò la bocca, sgomenta.

Anche Sora era impallidita, troppo attonita anche solo per formulare una frase di senso compiuto.

“Come stavo dicendo, Taichi Yagami sarà il vostro nuovo compagno di classe”

“Ciao a tutti!”, fece cordiale il brunetto, ricevendo subito qualche risposta.

“Dunque… Ti sei appena trasferito qui ad Odaiba da…Ikebukuro (quartiere realmente esistente di Tokyo, ma che nella vera versione di Digimon ha ben poco a che fare con i digiprescelti! D’altronde…questa è un’Alternative Universe, no? NdA), se non sbaglio”

“Sì, infatti!”, annuì subito Taichi, mentre con lo sguardo ammiccava a Sora, che adesso era diventata completamente paonazza.

‘Che figura… Non posso crederci! Io pensavo che venissero da un’altra città, mentre invece… Taichi viene in pratica solo da un altro quartiere!!’, la ragazza desiderò di poter sprofondare seimila metri sotto terra per la vergogna, ‘e pensare che io li ho portati in giro per mezza Tokyo, credendo che… Voglio scomparire!!’

“Scegli pure il posto che meglio credi, Taichi”, mormorò solo Yutaka, prima di sprofondare nelle sue carte.

Il brunetto annuì e, con un meraviglioso sorriso stampato in volto, andò a sedersi nella fila alla destra di Sora, due banchi dietro a Hitomo.

“Ehilà! Ciao Sora!!”, la salutò il giovane Yagami passandole accanto.

Imbarazzata come mai in vita sua e come ormai le capitava solo da quando erano entrati quei due aitanti giovani nella sua vita, Sora accennò ad un piccolo sorriso, prima di fingersi immersa nella lettura del libro di fronte a lei. Ma mentre Taichi si perdeva in una fitta conversazione con l’allegro ed esuberante ragazzo alla sua sinistra, Aki, la giovane Takenouchi desiderò ardentemente di poter tornare a casa il prima possibile in modo da chiudersi nella sua camera e uscirne tra ventimila anni, quando i due amici avrebbero dimenticato la figuraccia che aveva fatto con loro appena due giorni prima.

 

 

“Ah…! Non vedo l’ora di farmi una bella dormita! Sono stanchissimo!”

Mentre camminavano per la via che li avrebbe ricondotti a casa, Taichi Yagami si stiracchiò stancamente le ossa.

“Perché? Che hai fatto di tanto stancante?”, lo guardò di sottecchi Yamato.

“Beh…che c’entra?! È risaputo che il primo giorno di scuola stanca!! E poi devo tenermi in forma per domani, visto che si terrà il mio primo allenamento di calcio qui all’Odaiba High School!!”, esclamò tutto eccitato il brunetto, arricciando le labbra in un sorriso smagliante che ben si addiceva al suo stato d’animo.

“Ti sei iscritto a calcio anche qui?”, gli domandò vagamente incuriosito l’altro.

“Esatto! Sarebbe un peccato impedire al mio talento di giocare, non ti pare?”, Taichi gli fece l’occhiolino, divertito, ricevendo per questo un’espressione sconsolata da parte dell’amico. “Piuttosto… In che classe sei finito?”

“In 3 – D”, rispose senza tanto interesse Yamato.

“E dove si trova?”, domandò incuriosito Taichi.

“È la classe dirimpetto alla vostra. Si vede, se ti affacci dalla finestra”

“Sul serio? Fantastico!!”, esultò il giovane Yagami, prima di voltarsi verso l’unica ragazza presente. “Come mai sei così silenziosa oggi, Sora?”

La giovane interpellata, sentendosi chiamare, arrossì di botto quasi era stata colta in flagrante a compiere un peccato criminoso.

“Io… Ecco, io…”, farfugliò nel più completo impaccio.

“Hai scoperto che veniamo da Ikebukuro e non da un’altra città?”, fece due più due Yamato, con voce atona.

Sora gli gettò una rapida occhiata, rossa come non mai perché punta sul vivo. Il biondo, però, continuava a fissare distrattamente la strada davanti a sé, con espressione indecifrabile.

“Veramente… Il fatto è che…”, balbettò impacciata, prima di lasciarsi andare a qualche sospiro. “Potevate anche dirmi che eravate di Ikebukuro, ecco”

“Tu non ce lo hai chiesto”, le fece allora notare Ishida, alzando le spalle come per dire che il motivo era tutto lì.

A quelle parole e di fronte a quell’espressione imperturbabile, la giovane Takenouchi boccheggiò un paio di volte, non sapendo di preciso che dire, prima di lasciar cadere il discorso con un sospiro carico di desolazione.

“Comunque non è grave!”, s’intromise Taichi, tentando di risollevare il morale della ragazza. “E poi è stato divertente, no?”

“Sì, hai ragione”, ne convenne poco dopo anche Sora, accennando ad un delizioso sorriso ricolmo di gratitudine verso il brunetto.

Almeno lui, al contrario del giovane Ishida che non aveva perso occasione di punzecchiarla, aveva cercato di metterla a proprio agio dopo la figuraccia, comprensibile tra l’altro visto che lei non poteva minimamente sapere che erano di Tokyo!

Più stava con loro, più si rendeva conto di quanto fossero diversi. Taichi era allegro, estroverso, solare e anche molto simpatico! Al contrario Yamato era un tipo più riservato, a volte persino scontroso, con una velata ironia che sembrava voler utilizzare solo con lei!

“A proposito: tu sei iscritta a qualche club, Sora?”, s’informò poco dopo proprio Yagami, riportando la conversazione ad un livello decisamente piacevole.

“Sì. Alle medie facevo parte della squadra di calcio, ma adesso sono nel club di tennis”

“Davvero? E come mai hai cambiato?”, s’incuriosì il brunetto.

“Non lo so. Forse mi piaceva di più il tennis, anche se giocare a calcio è sempre un piacere per me!”

“Un vero maschiaccio…”

“Come hai detto, Yamato? Puoi ripetere??”, lo fulminò con lo sguardo, furente, Sora.

“Nulla, Takenouchi”, accennò ad un sorriso divertito il biondino, mentre le poggiava dolcemente una mano nei capelli ramati per arruffarglieli affettuosamente come si fa con i bambini. “Proprio nulla!”

“Umpf!”, sbuffò per risposta lei, incrociando le braccia al petto lievemente seccata per essere trattata alla stregua di un bimbetto e arrossendo allo stesso tempo per quel gesto.

“Uhm… Sta arrivando l’autunno”, li distrasse la voce stranamente laconica di Taichi.

“Già…”, asserì anche Sora, soffermandosi per un istante con lo sguardo ad osservare le foglie degli alberi di ciliegio che costeggiavano il marciapiede tingersi di un delizioso marroncino.

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Capitolo 4
*** Chapter Four ***


Nuova pagina 1

Good Boys

Chapter Four

 

Sora: Ciao! ^^ Sono Sora, la protagonista femminile di questa storia, e sono qui per riassumervi brevemente questi primi capitoli!

Yamato: E allora sbrigati, Takenouchi, altrimenti la gente se ne va!

Sora: Ehi! Che modi! è__é Potresti essere anche un po’ più gentile, non credi?

[Yamato ha indossato le cuffie del walkman e non la sta ascoltando più]

Sora: Insomma! Che modi sono? Sgrunt!

Taichi: Su, non arrabbiarti, Sora… ^__^’’

Sora: Sì, hai ragione! Piuttosto, come dicevo, sono qui per riassumervi la storia fino ad ora. Allora io abito con mia madre ad Odaiba, un quartiere di Tokyo, quando un giorno si trasferiscono nella mia stessa palazzina, proprio all’appartamento sopra il mio, due ragazzi: Taichi Yagami e Yamato Ishida!

[Taichi, tutto sorridente, afferra Yamato e lo costringe a guardare l’obiettivo]

Sora: Il fatto è che non hanno solo fatto irruzione nella mia vita e nella mia stessa palazzina, ma anche nella mia classe, considerato il caso di Taichi!! E poi… //.//

Taichi: Eh…eh… ^__^

Yamato: Pfui!

Cosa succederà adesso? Come se la caverà Sora ora che nella sua vita sono entrati Taichi e Yamato? Per saperlo non vi resta che leggere il quarto capitolo di “Good Boys”!!

 

***

 

“Che noia… Non ne posso più!”

Taichi si stiracchiò stancamente gli arti delle braccia e delle gambe, abbandonando a loro stessi penna e quaderni.

“È tutto il giorno che studiamo!”, si lamentò, chiedendosi nel contempo come facevano Yamato e Sora a non annoiarsi.

“Ma domani c’è l’esame di metà quadrimestre (in Giappone ogni anno gli studenti devono supportare almeno cinque esami! È una crudeltà, non trovate? NdA)!”, gli ricordò allora la giovane Takenouchi, anche se in realtà lei stessa era piuttosto stufa di studiare.

Erano chini sui libri praticamente da ore, senza mai aver fatto nemmeno una pausa, e adesso cominciava a sentirne a sua volta la stanchezza, proprio come Taichi.

D’istinto gettò un’occhiata al ragazzo alla sua sinistra, l’unico che non sembrava accusare minimamente la fatica dello studio. Yamato, infatti, era ancora totalmente assorto nella lettura del libro che aveva dinanzi e non sembrava per nulla essersi accorto delle chiacchiere di loro due. ‘Ma come fa ad isolarsi così?’, non poté fare a meno di chiedersi Sora, fissandolo quasi fosse stata attratta da una calamita invisibile. Lei non era mai riuscita ad alienarsi così, a concentrarsi a tal punto. Certo, non era come Taichi che, al contrario di Yamato, si distraeva anche per la più piccola sciocchezza. Però…

“Chi sarà mai a quest’ora?”

La voce palesemente stupita di Yagami la fece trasalire e ricondurre alla realtà. Sora stava per chiedere spiegazioni, ma lo squillo del campanello all’ingresso le fece capire a cosa il ragazzo si stesse riferendo.

“Non lo so”, stava nel frattempo dicendo Yamato, alzatosi per andare a vedere chi era.

“Beh, io intanto prendo qualcosa da mangiare!”, si mise a sua volta in piedi Taichi, che non aspettava altro per allontanarsi dai libri.

Prima ancora che potesse accorgersene, Sora si ritrovò da sola nell’ampio soggiorno dell’appartamento B.

Non era la prima volta che vi entrava, visto che sempre più spesso si ritrovava a dover dare ripetizioni a Taichi, eppure ogni volta si sorprendeva ad osservarlo con rinnovata attenzione. Probabilmente ciò era dovuto allo stile che i due amici avevano impresso lì dentro, dove ogni cosa lasciava emergere la loro persona. Non vi erano grandi mobili, giusto quelli essenziali ad una casa, eppure non dava l’aria di un posto freddo. Sembrava più una di quelle case vissute, il che era sorprendente per un posto che era ritornato a vivere da sole due settimane. Gran parte di questo merito era da attribuire indubbiamente a Taichi, che di certo non esitava a lasciare un po’ ovunque quello che prendeva. Un paio di volte il brunetto aveva fatto entrare Sora persino nella sua camera per prendere una cosa o un’altra e lei era rimasta allibita per il disordine colossale che vi aveva trovato. Panni, libri, cd…era tutto sparso per la stanza in un modo tale che risultava un’ardua impresa trovarvi qualcosa.

Al contrario, Yamato sembrava possedere quel senso dell’ordine che invece mancava quasi completamente all’amico. Anche se Sora non era mai entrata nella sua camera, aveva avuto guisa di notarlo nel modo in cui Yamato tendeva a riposare ciò che utilizzava, o da come teneva in ordine le sue cose nel soggiorno.

“Yamato non è ancora tornato?”

Di nuovo fu la voce, stavolta appena vagamente stupita, di Taichi a riportarla alla realtà.

“No, non ancora”, scosse il capo Sora, mentre il ragazzo si riappropriava del suo posto.

“Beh, gli converrà muoversi se vuole trovare ancora qualcosa da mangiare!”, esclamò allora Yagami, prima di iniziare a divorare un biscotto.

Ne prese ancora un altro paio con la stessa velocità che utilizzava per mangiarli, prima di accorgersi che Sora non ne aveva ancora toccato uno.

“Non mangi?”, le chiese allora, visibilmente perplesso.

“Eh?”

“I biscotti! Non hai fame?”

A quella domanda la giovane Takenouchi annuì, sentendo dentro di sé un leggero languore. Quindi, dopo aver preso uno dei fragranti biscotti che il ragazzo le porgeva, iniziò a mangiucchiare a sua volta. Mentre lo gustava, però, le venne ad un tratto alla mente una domanda che già da diverso tempo le girava per la testa.

“Taichi?”

“Sì?”

“Tu e Yamato…lo so che non sono affari miei, però mi domandavo come…beh, da quanto tempo vi conoscete voi due? Vi vedo molto uniti, senza contare che avete preso quest’appartamento insieme… Però non sei obbligato a rispondere se non…”

“Da quando avevamo undici anni”, la interruppe a quel punto Taichi, sorridendole dolcemente per farle capire che non doveva preoccuparsi di sembrare un’impicciona, che a lui faceva piacere risponderle. “Conobbi Yamato alle elementari, ma all’epoca non andavamo molto d’accordo. Anzi, direi che ci siamo odiati da subito!”

Mentre il brunetto sorrideva ai ricordi, Sora lo ascoltava rapita.

“Io ero una testa matta, mi piaceva stare sempre al centro dell’universo e non ci pensavo due volte a buttarmi in mezzo se era necessario. Yamato, invece, era un tipo scontroso, schivo, sempre sulle sue… Beh, in effetti non siamo cambiati poi molto da allora! Anche se devo ammettere che stare insieme ci ha migliorati”

Per un istante Taichi si fece molto pensoso, ma subito si riscosse e ritornò al racconto.

“Beh, ritornando a noi, puoi capire che essendo così diversi ci trovavamo spesso ad avere pareri discordanti. Per questo anche più di una volta siamo finiti alle mani! E il bello era che il più delle volte era per una sciocchezza…! Io ero così impetuoso e lui così indisponente…mi faceva infuriare come nessun altro!”

“E poi cos’è cambiato tra di voi da farvi diventare amici?”, non resistette più dal chiedere Sora, particolarmente interessata.

“Mah… Una volta ce le stavamo dando di santa ragione, quando ad un certo punto Yamato mi chiese perché lo stavamo facendo. Non seppi che rispondergli! In men che non si dica ci ritrovammo a ridere come due stupidi…! È stato più o meno da allora che è nata la nostra amicizia”, terminò di dire con un sorriso il brunetto, prima di mangiare un altro biscotto.

La fanciulla lo guardò per un lungo istante in silenzio, mentre rimuginava su quanto le avesse appena detto il giovane Yagami. Poteva quasi immaginarli mentre se le davano per una sciocchezza…! In fondo era comprensibile una cosa del genere per due tipi così straordinariamente diversi.

“Ehi, Yamato!”, fece all'improvviso Taichi, portando le attenzioni sull’amico. “Si può sapere chi cavolo era alla porta?”

“Umpf”, sbuffò per risposta il biondo, sedendosi al suo posto. “Era una certa Harumi”

“Harumi?!”, ripeté Taichi senza capire.

“Ha detto di frequentare il 2 – F dell’Odaiba High School”, spiegò allora, con scorso interesse, Yamato.

“Ah… E che voleva?”, chiese ancora il brunetto, mentre Sora li ascoltava interessata.

“Mi ha dato questo”, rispose vago Ishida, poggiando nel contempo un pezzo di carta sul tavolo.

Taichi lo prese e allibì immediatamente per lo stupore quando capì di che si trattava.

“Ma è un invito per l’apertura di un luna park!”

“Già… Ha detto che potevo portare qualche amico”

“Ah! Ho capito adesso!!”, disse ad un certo punto Taichi, tutto allegro. “Questa Harumi…non è quella ragazza che l’altro giorno ci ha fermati per conoscerti?”

“È lei”, confermò per nulla entusiasta Yamato, addentando un biscotto.

“A quanto pare hai trovato un’altra fan…!! Non sei contento?”

“Pfui!”

Mentre Taichi scherniva Yamato per le numerose ammiratrici che si ritrovava, il cuore di Sora aveva preso stranamente a fremere. ‘Una delle sue tante fan…’, si ripeté spossata. In fondo non c’era da che meravigliarsi, visto quanto fosse bello Yamato. Però…perché si sentiva in quel modo che lei stessa non riusciva ad identificare?!

“Comunque, visto che i biglietti ce li hai, sarebbe divertente andare al luna park, no? Una sorta di ricompensa dopo l’esame di domani!”, proruppe entusiasta Taichi. “Tu che ne dici, Sora?”

“Io?!”, si ritrovò ad un tratto nel discorso la ragazza.

“Ci divertiremo, non credi anche tu Sora?”

“Beh… S…sì”, farfugliò lievemente impacciata lei, che in verità non aveva capito poi molto di quello che stavano dicendo, presa com’era stata dai suoi pensieri.

“Perfetto! Allora ci andiamo! Vero, Yamato?”

“Io non ho detto di sì”, gli ricordò allora il biondo.

“Ma non hai detto neanche di no!”, ribatté subito Taichi, incrociando le braccia e annuendo con fare saccente.

“No”

“No…cosa?!”

“Ora ho detto di no”, spiegò sbuffando il giovane Ishida.

“Ma…non puoi…tu…”, biascicò basito l’altro. “Dai, Yamato!! Che ti costa?!”

“Non mi va”

“Ti prego!! Vedrai che non te ne pentirai!”

“No”

“Ma sei il mio miglior amico!! Non puoi rifiutarmi un piacere!!”, lo supplicò, con le lacrime agli occhi, il brunetto.

“Dici?”, lo sfidò l’altro.

“Ti prego, ti prego, ti prego!! Fallo per me!!”

“Umpf!”, sbuffò a quel punto Yamato, stufo di quel battibecco. “E va bene, verrò. Ma solo perché non ho più voglia di sentirti piagnucolare!”

“Ehi, io non piagnucolo!”, si lamentò immediatamente Taichi.

“Allora?”

“Okay, okay… Grazie, sei l’amico migliore al mondo!!”, lo abbracciò di slancio il giovane Yagami, raggiante.

“Lasciami”, tentò di divincolarsi dalla stretta Yamato, che era arrossito seppur impercettibilmente.

Vedendoli così, Sora non riuscì a trattenere un sorriso divertito. In fin dei conti, era davvero contenta di averli conosciuti!

 

 

Il sole dominava incontrastato nel cielo terso, rispecchiandosi avidamente nelle gocce d’acqua che stentatamente uscivano dal rubinetto dei lavandini disposti all’aperto, a disposizione degli studenti. Sembrava una normalissima giornata estiva…se solo era estate! Ma ormai la calda stagione aveva ceduto il posto al più mite autunno, che già colorava con le sue tinte dorate le foglie sui rami degli alberi.

‘Che caldo…’, meditò imperlato d’acqua Taichi, chino sul lavandino già da diversi istanti. Non aveva saputo proprio resistere, appena ne aveva avuta la possibilità, dal gettarsi un po’ d’acqua fresca sul volto, mitigando così tutto il calore ingigantito dagli estenuanti allenamenti di calcio.

“Ah-ha! Ecco dov’eri finito!!”, il suono acuto di una voce squillante lo prese in contropiede, facendolo sobbalzare all’indietro con rapido scatto.

Ma il lieve trasalimento che si era impossessato di lui scemò completamente quando notò la persona che adesso sorrideva energicamente davanti a lui. Capelli nocciola, occhi nerissimi, fisico asciutto…

“Aki!!”, lo additò. “Che diavolo ci fai qui?”

Aki era un brioso ragazzo che Taichi aveva avuto modo di conoscere mediante il club stesso di calcio, dove entrambe militavano. Aveva la sua stessa età, frequentava la sua stessa classe e con lui era stato un intendersi a prima vista.

“Come che ci faccio?!”, ripeté allibito quello, senza mai smettere di fissarlo. “Ovvio, sono venuto a chiamarti!”

“A chiamarmi?”, non capì, in un primo momento, Taichi.

“Certo, per gli allenamenti!”

“Allena…”, al giovane Yagami si accese la lampadina. “Accidenti, non dirmi che il quarto d’ora di riposo è già finito?!”

“Bingo!!!”, esultò Aki, mostrando il segno di vittoria con le dita.

“Oh no! Il mister sarà furioso!”, si lamentò invece Taichi, tremando al pensiero di cosa avrebbe potuto fargli l’allenatore se non si fosse presentato sul campo di gioco al più presto.

L’idea comica che quel ciccione gli saltellava addosso gli faceva venire letteralmente la pelle d’oca!

“Che cavolo fai?”, si rivolse allarmato verso Aki, che adesso lo fissava attonito. “Ti vuoi muovere prima che il mister ci rimbalzi addosso??”

“Rimbalzare? Addosso?”, ripeté stralunato quello.

Ma Taichi, senza aggiungere altro e senza soffermarsi in spiegazioni, afferrò il giovane dai capelli dello stesso colore dell’avana per il braccio e lo trascinò senza mezzi termini verso il campo da calcio.

 

 

“Bene così! Facciamo una pausa, okay?”

L’allenatrice Shizuka sorrise dolce come sempre ai suoi allievi, concedendo finalmente loro qualche minuto di riposo.

‘Sono davvero stanca, oggi’, Sora si lasciò cadere su una delle tante panchine predisposte lungo il bordo del campo di tennis, abbandonando per qualche istante la racchetta lì accanto.

“Sora, io vado al distributore per prendere qualcosa di fresco da bere”, la voce di Reika, che frequentava il suo stesso club, la riportò nuovamente alla realtà. “Tu vuoi qualcosa?”

“No, ho l’acqua”, denegò gentilmente la fanciulla dai capelli ramati, prima che l’amica andasse via.

Rimasta sola, Sora alzò lo sguardo verso il cielo quasi d’istinto e per un lungo istante si perse ad osservare quell’immensità azzurra tempestata a tratti dal candore di tante piccole nuvole.

Era stata una giornata faticosa quella. Aveva dovuto sostenere l’esame di metà quadrimestre solo nella mattinata e adesso era impegnata con i consueti allenamenti di tennis. Sembrava una di quelle giornate destinate a non finire mai…!

“Ma quello non è Yamato Ishida della 3 – D?”

Ad un certo punto una voce tra le tante le arrivò alle orecchie, distraendola dai suoi pensieri e dalla sua lenta contemplazione.

Sora alzò lo sguardo e si osservò attorno alla ricerca del volto del ragazzo che, a quanto pareva, doveva trovarsi lì.

“Allora è così che ti alleni?”

Il cuore della ragazza sobbalzò per lo spavento, prima di palpitare quando gli occhi nocciola di lei incontrarono proprio la figura che stava cercando.

“Ya…Yamato!”

“Posso sedermi?”, chiese in una domanda retorica, visto che si adagiò sulla panchina accanto a lei senza aspettare risposta.

“Co…come mai sei qui?”, dopo un silenzio che le parve interminabile, finalmente Sora, sguardo basso e mani strette a pugno, riuscì a porgergli la sua curiosità.

“Uhm… Non mi andava di tornare a casa”, spiegò vago Yamato, alzando gli occhi verso il cielo per fissare anche lui il maestoso firmamento.

“Ah…”, mormorò solo lei, tentando di trovare un argomento di conversazione. “Non…non ti ho ancora chiesto com’è andato l’esame stamattina”

“Bene”, rispose distrattamente lui, quasi la cosa non lo riguardava minimamente.

Sora sospirò, lasciando perdere ogni possibilità di iniziare una chiacchierata con lui. Era chiaro che Yamato non avesse molta voglia di parlare. Lui non era come Taichi, sempre pronto ad attaccare bottone. Lui era un tipo più…silenzioso.

Per questo motivo la fanciulla decise di rimanere in silenzio, anche se avrebbe tanto voluto sapere il motivo per cui, tra tanti posti, Yamato aveva deciso di andare proprio lì, al campo da tennis.

La quiete venutasi a creare, venne però ben presto fugata dall’arrivo di una delle iscritte al club di tennis.

“C…ciao. Scusa se ti disturbo ma… Ishida, potrei parlarti un istante?”, mentre lo diceva, la fanciulla era arrossita violentemente.

Anche Sora era diventata paonazza a quella richiesta, sentendosi estremamente d’impaccio e non sapendo di preciso che fare. L’unico che sembrava a perfetto agio era Yamato, il cui volto era una perfetta maschera d’imperturbabilità.

“No”

La risposta secca del ragazzo fece vacillare entrambe le ragazze. Sora lo fissava allibita, scioccata da quel rifiuto. L’altra, invece, sembrava sull’orlo di scoppiare a piangere. Per questo scappò via, senza dire nient’altro.

Takenouchi rimase per un istante in silenzio, interdetta, prima di rivolgere una delle sue occhiate più spaventose verso il ragazzo accanto a lei, che se ne stava tranquillamente sulla panchina come se nulla fosse successo.

“Tu!”, gli puntò un dito contro, con aria minacciosa, Sora.

“Stai cercando di spaventarmi?”, alzò un sopracciglio il biondino, per nulla impressionato.

“Stai zitto!!”, lo ammutolì bruscamente lei. “Ti sei accorto di quello che hai appena fatto??”

“Ho solo detto di no”, alzò le spalle con fare frivolo lui.

“Solo?! Ma ti rendi conto che con il tuo no hai fatto piangere una ragazza?!”, s’inalberò allora la ragazza, scattando in piedi come una molla. “Sei un insensibile e…”

“Sapevo già cosa volesse dirmi”, stavolta fu il turno di Yamato di interromperla.

“Eh?”, lo fissò sconcertata Sora.

Ma il biondo, anziché spiegarle, si alzò in piedi.

“Ehi! Dove stai andando, adesso??”, lo fermò basita dal suo comportamento lei.

A quella domanda, Yamato si voltò di nuovo verso di lei fino a fronteggiarla. Solo in quel momento Sora si rese conto di quanto fosse piccola in confronto a lui, con quel suo misero metro e cinquantasei. Lui la superava di almeno una ventina di centimetri, se non qualcosa di più.

“Se una ragazza vuole stare con me solo per il mio aspetto fisico, allora…”, lo sguardo si fece estremamente serio e il tono della voce ancor più profondo, tanto da provocare involontari brividi in lei. “Non m’interessa”

Le parole del giovane riecheggiarono nella mente di Sora ancora e ancora. ‘Yamato, tu…tu non sei il ragazzo frivolo che vuoi far credere’, si disse tra sé e sé trasognata, mentre lo fissava allontanarsi da lei con quel passo calmo ma deciso.

“Ehi, ma quello non era Yamato?!”, a riscuoterla dai suoi pensieri sopraggiunse la voce di Reika, di ritorno dal distributore di bibite. “Non posso crederci, io vado via e lui arriva!!!”

Reika sospirò con tono melodrammatico, da risultare talmente comica che Sora, incapace di trattenersi, scoppiò in una risata divertita.

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Capitolo 5
*** Chapter Five ***


Nuova pagina 1

Good Boys

Chapter Five

 

Sora: Ah… L’esame di metà quadrimestre mi ha distrutta!

Taichi: A chi lo dici… -__-’’ Ma almeno a voi due è andato bene!!

Sora: Non dire così! Sono sicura che è andato bene anche a te!

Taichi: Dici sul serio? *.*

Sora: Certo! Abbiamo studiato insieme, no? ^^

Taichi: Giusto!!

Yamato: Quando avete finito con queste sciocchezze, che ne dite di passare alla storia?

Sora: Non sono sciocchezze!! è__é

Yamato: Tsk!

Taichi: Ehm…eh, eh!! ^__^’’

Ora che l’esame di metà quadrimestre è finito, finalmente Sora, Taichi e Yamato potranno svagarsi al luna park!! Come andrà la giornata? Cosa accadrà stavolta? E chi è questa fantomatica Harumi?

 

***

 

“È fantastico, non trovi anche tu, Yamato?”

“Umpf!”, alla domanda di Taichi, il biondino non poté fare a meno di sbuffare, chiedendosi per l’ennesima volta come avesse fatto a lasciarsi convincere.

“Così ristrutturato questo posto è come rinato!”, stava nel frattempo dicendo Sora, riuscendo in breve a conquistare gli sguardi di tutti su di sé.

“Allora direi di cominciare subito con i giochi!”, proruppe tutto raggiante il giovane Yagami. “Che ne dite di quello?”

“La casa delle streghe?”, lo guardò scettico Yamato.

“Perché no?”, gli fece l’occhiolino l’altro. “Per te va bene, Sora?”

L’interpellata, che fino a quel momento non aveva fatto altro che fissare con un certo terrore la casa stregata, sbiancò immediatamente notando che gli altri due avevano optato proprio per quella.

“Beh…io…”

“Hai paura?”, le domandò allora Ishida, fissandola seriamente con i suoi profondi occhi blu.

Sora sentì il proprio cuore balzarle nel petto sotto quello sguardo magnetico, ma subito si riscosse.

“No, certo che non ho paura!”, rispose con voce decisa, anche se i suoi occhi sembravano esprimere il contrario.

A quella risposta Yamato la guardò per un lungo istante, ma fu Taichi alla fine a parlare.

“Allora è deciso: si va alla casa delle streghe!!”

Alla prospettiva, Sora rabbrividì ma, cercando di non darlo a vedere, seguì i due amici verso l’attrazione.

La fila che vi trovarono non fu molto pesante, lenita soprattutto grazie a Taichi e alle sue chiacchiere allegre, che riuscirono a mettere di buon umore anche Sora. Ma quando finalmente fu il loro turno, di nuovo un vago senso di terrore la avvinse. ‘È…è solo un gioco’, si ripeté mentre seguiva le indicazioni dell’addetto, ‘cosa vuoi che succeda?!’.

“Si sieda qui”, la voce vagamente lugubre dell’addetto fece sobbalzare la giovane, che tuttavia obbedì.

Il sedile di pelle scura era incastonato in una piccola carrozza rigorosamente nera, che emanava da sola un’aria cupa e a tratti quasi terrificante.

Cercando di non badare al tumulto del suo cuore, Sora si sistemò meglio al suo posto e si aggrappò con forza alla spranga di ferro davanti a lei.

“Adesso ammetti che hai paura?”

Una voce profonda, che le parve di riconoscere, attirò le sue attenzioni alla sua sinistra.

“Ya…Yamato!”

Mentre la sua bocca pronunciava il suo nome, le gote si erano colorate di un acceso cremisi.

“No…ti sbagli. Io non ho pa…paura!”, ribatté immediatamente la fanciulla, presa da uno strano senso di rivalsa.

“Mah, se lo dici tu…!”, fece scettico il biondino, voltando leggermente il capo da un’altra parte.

Sora si lasciò sfuggire un sorriso vittorioso, che morì appena subito dopo quando si accorse di essere entrati nella lugubre galleria davanti a loro. Istintivamente, prima ancora che lei stessa potesse rendersi conto di quello che stava facendo, si ritrovò a stringere convulsamente la camicia a quadri verdognola, che lasciava vedere perfettamente la maglietta a maniche lunghe scura da sotto, di Yamato.

Il biondo sgranò gli occhi a quel gesto, ma Sora non se ne accorse, spaventata come era per l’apparizione di un mostro dall’espressione poco raccomandabile.

“Ah!!”

Prima ancora che Yamato riuscisse a capire quale fosse il motivo di tanto chiasso, si ritrovò una terrorizzata Sora scalpitare tra le sue braccia. Da parte sua la ragazza c’impiegò un paio d’istanti buoni per capire cosa aveva appena fatto, e quando finalmente ci riuscì non poté fare a meno di arrossire violentemente, separandosi di scatto da lui. ‘Ma che mi è saltato in mente?’, si rimproverò mentre tentava di darsi un contegno.

“Sei proprio buffa!”, divertito dall’espressione apparsa sul volto di Sora, Yamato si lasciò sfuggire un dolce quanto inusuale sorriso e le scompigliò affettuosamente i capelli. “Se avevi paura, bastava che lo dicessi”

Il cuore di Sora fremette nel petto a quel piccolo gesto e di fronte ad un così bello ma raro sorriso. Era strano sentirlo così…apprensivo. Per lei.

La cosa la metteva in un certo imbarazzo, ma allo stesso tempo si sentiva anche molto felice.

“Dai, andiamo adesso, Takenouchi”

Sora quasi non si accorse che la carrozza aveva fatto il suo giro e che dovevano scendere, se Yamato non glielo avesse fatto notare.

“Yamato! Sora!”, una volta scesi i due vennero accolti dalla voce allegra di Taichi, che era salito sulla carrozza prima. “Avete visto che effetti?! Sembrava di essere in una vera casa stregata!! Mi sono proprio divertito! E a voi com’è andata?”

A quella domanda il volto di Sora virò in tutte le tonalità di rosso fino a raggiungere un acceso bordeaux, che ricevette per questo un’occhiata interrogativa da parte di Yagami.

“Bene”, a rispondergli fu tuttavia Yamato. “Adesso andiamo, però”

“Sì!”

Mentre i due amici iniziavano ad incamminarsi, la fanciulla li fissava trasognata. Il suo sguardo ricadeva in particolare sul biondino, sul cui volto era ritornata l’espressione indecifrabile di sempre. ‘Yamato…’, Sora quasi non si accorse di aver invocato il suo nome. Il fatto era che il suo comportamento l’aveva spiazzata completamente. Lei si era aspettata che lui la prendesse in giro per come aveva urlato nella casa delle streghe, mentre invece Ishida non ne aveva fatto parola neppure con Taichi! E poi…il tocco gentile che aveva usato poco prima nello scompigliarle i capelli…e le parole che aveva detto… Sembrava completamente diverso dal ragazzo freddo e distaccato che aveva conosciuto all’inizio.

Sora non riusciva a capire, però…le aveva fatto piacere.

“Aspettatemi!”, riscuotendosi dai suoi pensieri, la ragazza raggiunse i due amici con una breve corsetta e un meraviglioso sorriso in volto.

 

 

“Guarda Sora: sono bruttissimo!”, Taichi fece la linguaccia all’immagine che dava lo specchio di sé e che appariva con proporzioni inverosimili.

Takenouchi sghignazzò divertita, prima di passare con lo stesso entusiasmo al “magico” specchio successivo.

“Vieni a vedere questo, Taichi!”

Il brunetto annuì e subito le si avvicinò, per scoppiare a ridere quando notò che lo specchio rifletteva un’immagine della ragazza quasi gigantesca.

“Sei impressionante!!”, la prese allegramente in giro il giovane Yagami.

“E tu allora?”, rise a sua volta fino alle lacrime lei, notando che il ragazzo era proprio davanti allo specchio che forniva riflessi dalle proporzioni molto sottili.

“Siamo fantastici insieme, non trovi? Potrebbero scritturarci come l’uomo grissino e la donna cannone!!”, si piegò letteralmente in due per il gran ridere lui.

“Sì, hai proprio ragione!”, ne convenne anche Sora tra le risa.

Erano entrati lì più che altro per semplice curiosità, ma alla fine la loro si era rivelata un’ottima decisione a giudicare dalla dose di divertimento che l’attrazione offriva.

“Yamato non sa che si è perso”, osservò quando si fu calmato Taichi, mentre si avviava con la ragazza verso l’uscita.

“Già”, annuì concorde lei, pensosa.

Quando aveva proposto di entrare nella casa degli specchi, Taichi si era dimostrato subito entusiasta della cosa. Al contrario Yamato aveva fatto una smorfia incomprensibile e aveva detto che li avrebbe attesi fuori, perché a lui non andava di venire.

“Dai, usciamo di qui adesso, Sora!”, la incitò poco dopo il giovane Yagami, accennando al labirinto di specchi dinanzi a loro.

C’impiegarono diverso tempo per trovare l’uscita, ma fu piuttosto divertente passare attraverso una strada costeggiata da tutti quegli specchi che riflettevano la loro immagine. Oltretutto ognuno dei due trovava molto piacevole la compagnia dell’altro, tanto che quando erano insieme dimenticavano spesso la cognizione del tempo stesso.

A riportarli al presente, però, ci pensarono i miti raggi del sole che li avvertivano nel contempo di aver trovato l’uscita della casa degli specchi.

“Ecco Yamato!”, Taichi lo vide subito, dato che non si era mosso dal punto in cui lo avevano lasciato. “Ma quella…”

Sora lo vide farsi perplesso e d’istinto seguì il suo sguardo. Fu allora che la vide. Si trattava di una ragazza non molto appariscente ma sicuramente carina. Aveva un’aria briosa e spigliata, grazie soprattutto alla presenza di quei lucenti capelli rossicci che le incorniciavano il viso in un caschetto corto ma vaporoso.

“Andiamo da loro, Sora!”, senza lasciarle nemmeno il tempo di replicare, Taichi la afferrò per un braccio e la condusse verso i due ragazzi. “Ehi, Yamato!”

Sentendosi chiamare, il biondo voltò il capo incuriosito, ma non fu molto sorpreso di scoprire di chi si trattava.

“Siete usciti finalmente”, li canzonò il giovane mentre la ragazza di fronte a lui si voltava a fissare i due appena giunti.

“Scusaci, ci siamo fatti prendere dalle risa!”, si giustificò goffamente Yagami, passandosi nel contempo una mano nei folti capelli castani.

Nel frattempo la fanciulla in compagnia di Yamato aveva preso ad osservare con particolare attenzione Sora, già virata in tutte le tonalità di rosso. Era rimasta piuttosto spossata di vedere il giovane Ishida parlottare con una ragazza. Il suo cuore aveva preso stranamente e incontrollabile a palpitare, mentre qualcosa d’indefinito l’aveva fatta fremere dentro. In più ad aggiungersi a tutto questo c’era il fatto di tenere ancora la sua mano tra quella di Taichi. Prima lui gliela aveva presa spontaneamente, forse senza nemmeno accorgersene, e per questo non aveva di certo notato lo strano turbamento che quel piccolo contatto provocava in lei.

“Ciao, Taichi, è bello rivederti!”, si riscosse di scatto la rossiccia, rivolgendo un sorriso smagliante al ragazzo. “Ti ricordi di me, vero?”

“Ma certo! Tu sei Harumi!”

“Esatto!”, confermò la giovane tutta contenta, prima di spostare lo sguardo sulla ragazza accanto a lui. “Lei è la tua ragazza?”, chiese ingenuamente.

A quella domanda sia Taichi che Sora arrossirono paurosamente, mentre al contrario Yamato li fissava in silenzio e con una strana espressione in volto.

“No, certo che no!”, si affrettarono a dire i due, lasciandosi le mani di scatto.

“Lei è Sora. Sora Takenouchi”, la presentò per lei Taichi.

Harumi annuì, ma non sembrò ancora soddisfatta della spiegazione.

“Abito all’appartamento sotto al loro”, spiegò allora Sora. “E siamo in classe insieme, al 3 – A dell’Odaiba High School”

“Ah… Beh, io sono Harumi, piacere di conoscerti!”, le sorrise cordiale la giovane. “Mio zio ha rilevato e rinnovato questo luna park, così io mi sono offerta di aiutarlo almeno oggi che c’è l’apertura. Ma se avessi saputo che eravate venuti vi avrei guidati personalmente qui dentro!”

“Non preoccuparti Harumi. Ci siamo divertiti lo stesso!”, la tranquillizzò immediatamente Taichi.

“Sono contenta! Però adesso ci penserò io, sei d’accordo Yamato?”, con estrema audacia, Harumi si aggrappò al braccio del bel biondino, il quale tuttavia non si scompose minimamente.

“Per me…!”, rispose con disinteresse il giovane Ishida, guadando distrattamente da un’altra parte.

“Perfetto!”, sentenziò allora Harumi raggiante, prima di farsi strada tra la folla di persone accorsa per la grande e tanto attesa apertura.

 

 

“Inizio ad avere fame”, la voce di Yamato si fece largo tra i tre, che si voltarono incuriositi verso lui.

“Ti accompagno a comprare qualcosa!”, si offrì immediatamente Harumi.

Quindi, senza concedergli nemmeno il tempo di replicare, lo trascinò letteralmente via di lì verso il primo punto di ristoro.

“Che strana ragazza…!”, non poté fare a meno di osservare Taichi, mentre li osservava allontanarsi. “Mah, poco male! Vorrà dire che ci divertiremo noi due, giusto Sora?”

La fanciulla, che per un istante si era persa ad osservare il biondino allontanarsi con Harumi, si riscosse dai suoi pensieri alla voce del ragazzo.

“Sì!”, gli sorrise, felice come sempre di poter passare un po’ di tempo con lui.

Le piaceva stare in compagnia del brunetto perché era un tipo spigliato e alla mano.

“Che ne dici di fare la fila per Giocopoli?”, il giovane Yagami indicò sorridendo l’attrazione tutta colorata che si ergeva dinanzi a loro.

“D’accordo!”, annuì subito, entusiasta, Sora, attirata da quello sfavillio di colori quasi bambineschi.

Senza aggiungere altro, i due ragazzi iniziarono a fare la fila che di lì a breve li avrebbe fatti entrare nel mondo di Giocopoli.

Sora si ritrovò a sorridere inevitabilmente al pensiero. Era strano come con Taichi fuoriusciva la sua parte più infantile! D’altronde…lui era così! Forse per questo lei si trovava tanto bene con lui. Era strano come le sembrava di conoscerlo da sempre. Ma probabilmente lo doveva a quel suo carattere così notevolmente disponibile ed estroso, capace di contagiare tutto e tutti. E anche in quel momento, con quel sorriso ingenuo e perennemente allegro sul volto, lasciava trapelare quel suo carattere tanto estroverso e vivace.

“Sai, Taichi”, la giovane Takenouchi quasi non si accorse di aver mosso le labbra per parlare se il ragazzo non si fosse voltato incuriosito verso di lei. “Quando sono con te, io sto bene”

A quelle parole il brunetto non riuscì a nascondere un moto di stupore, che gli fece sgranare i suoi enormi occhioni marroni. Ma poi la meraviglia dell’attimo scomparve e al suo posto si soppiantò un sentimento di estrema dolcezza che lo fece sorridere quasi involontariamente.

“Anch’io sto bene con te, Sora”

Taichi allungò istintivamente una mano verso di lei, fino a raggiungere il suo capo. Poi, con un semplice gesto, la spinse dolcemente all’ingiù, in un atto che voleva essere affettuoso. Sora, spiazzata da quel piccolo ma espressivo gesto, non riuscì a fare a meno di arrossire violentemente; tuttavia, nonostante la sua proverbiale timidezza, non poté reprime un meraviglioso sorriso che andò ad arricciarle le labbra lampone. ‘Taichi…’, alzò lo sguardo e lo fissò in quei briosi occhi marroni, sentendo subito come una dolce sensazione avvolgerla. Sora non capì di che si trattava, però quando lui le sorrise, lei non esitò a ricambiare al gesto.

 

 

Una lieve brezza, che aveva preso già da un po’ di tempo a soffiare per le vie dell’estremamente estesa capitale giapponese, giocherellava distrattamente con le foglie marroncine cadute dagli alberi di ciliegio, in una delicata girandola che s’impregnava del colore del pesco tipico del crepuscolo. In alto, a fare da sceneggiatura a quel meraviglioso quanto intenso momento della giornata, si stagliava un cielo appena lievemente modellato da qualche nuvola e un sole che si apprestava ad inabissarsi dietro le alture che si scorgevano lungo l’orizzonte.

In un simile spettacolo naturale, tre sagome, tallonate fedelmente dalla luce solare, si apprestavano a fare ritorno verso l’appartamento 619 (ma secondo voi i palazzi hanno davvero un numero per essere riconosciuti?! Mah…! NdA) di Odaiba.

“Sono distrutto!”, Taichi si sgranchì goffamente gli arti superiori, tentando genuinamente di ritrovare così un po’ di quella grinta che mai lo aveva abbandonato in quella giornata.

“Già! Oggi è stata proprio una giornata stancante!”, ne convenne accanto a lui anche Sora, accennando ad un sorriso.

“Però in fondo ci siamo divertiti, no?”, valutò subito il brunetto, sfoderando uno dei suoi allegri sorrisi.

“Sì, hai ragione!”

“Tu non ti sei divertito, Yamato?”, continuò allora il giovane Yagami, soddisfatto della risposta della ragazza.

“Mm…”, scosse solo le spalle il biondino, in un gesto vago che svelava tutto e nulla.

“Fortuna che domani è domenica!”, riprese parola Taichi, pensieroso. “Almeno potrò dormire!! Altrimenti chi ce la faceva ad andare a scuola!!”

Divertita da quelle parole, Sora si lasciò sfuggire un sogghigno, che però morì lentamente quando i suoi occhi nocciola, alzando lo sguardo, incrociarono una sagoma dai tratti chiaramente femminili che sembrava stare aspettando giusto loro appena a pochi passi da lì.

Si fermò, imitata subito dai due amici.

“Si può sapere perché ti sei fermata, Sora?”, non esitò a domandarle, incuriosito, il brunetto.

Ma, seguendo lo sguardo della fanciulla, non ebbe più bisogno di una sua risposta.

Davanti a loro, ferma proprio sotto la palazzina 619, una graziosa ragazza li fissava con un enorme sorriso stampato sulle labbra lampone. Non era molto grande, anzi sembrava quasi una bambina sebbene le forme del corpo leggermente accentuate dimostrassero il contrario, eppure era veramente graziosa. Non sarebbe stato sbagliato paragonarla ad una fatina dalle movenze delicate ma allo stesso tempo decise, che si leggeva specie in quelle dolci ma sicure iridi marroni. E poi c’erano i capelli…una conforme massa setosa di un fulgido castano che si conteneva dietro le orecchie e attraverso una mollettina dal colore rosa acceso, ma che non riusciva a sfiorare nemmeno l’incurvatura delle spalle (a questo punto credo che abbiate capito di chi si tratta, no? ^_- NdA).

‘Questa ragazza…chi è?’, si domandò tra sé e sé Sora, incuriosita e stranamente attratta da quella figura a lei sconosciuta. Le venne quasi istintivo voltarsi verso i due ragazzi che la accompagnavano, in cerca forse di una risposta nella loro reazione. Ma l’espressione sui loro volti se da un lato andava a confermare la sua ipotesi che già la conoscessero, dall’altro la confondevano ancora di più circa l’identità di quella sconosciuta.

Yamato, che normalmente non s’impressionava per nulla, adesso non celava un delizioso sorriso che gli arricciava le labbra perfettamente disegnate, mentre un velo di meraviglia si affacciava appena negli occhi blu. Taichi, invece, che era certamente il più spontaneo tra i due, non si curava di nascondere il proprio stupore di fronte a quella visione, il quale si leggeva chiaramente su tutto il suo volto e in quelle sue schiette pozze marroni.

“Hi…Hikari!!”, alla fine, dopo un tempo fatto di occhiate che a Sora parve interminabile, fu proprio il brunetto il primo a fugare quello strano silenzio creatosi.

‘Allora…la conosce davvero!’, fu il primo pensiero che la giovane Takenouchi riuscì a formulare, mentre i suoi occhi nocciola non si staccavano per un solo istante dalla figura davanti a lei. Ma poi, il lieve fruscio alla sua sinistra, la fece voltare quasi automaticamente. Era stato Taichi, muovendosi, a provocare quello strofinio e ad attirare così le attenzioni di una già terribilmente confusa Sora.

“Taichi…”, finalmente anche la giovane sconosciuta parlò, rivelando nella propria voce un’emozione già perfettamente visibile in viso. “Taichi!!”

Fu questione di pochi istanti. La ragazza dai capelli castani era corsa, palesemente emozionata, verso il ragazzo e lo aveva abbracciato di slancio, mossa da un sentimento che tuttavia Sora non riusciva ben ad identificare. Ma la cosa che più sorprese Takenouchi fu il modo quasi possessivo con cui Taichi ricambiò alla stretta della giovane. I suoi occhi marroni brillavano in quel momento e un sorriso smagliante gli illuminava il volto in un modo sorprendente. Si vedeva chiaramente che ci teneva molto a quella ragazza e per questo Sora non poteva fare a meno di chiedersene la ragione. Insomma: chi era quella graziosa fanciulla apparsa quasi d’incanto proprio sotto casa loro?

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Capitolo 6
*** Chapter Six ***


Nuova pagina 1

Good Boys

Chapter Six

 

NOTA DELL’AUTRICE (ovvero, ringraziamenti più che necessari):

Mi sono concessa questo piccolo spazio per poter ringraziare quanti di voi nonostante tutto continuano a leggere le mie storie. Mi dispiace molto se non aggiorno più con tanta celerità, ma mi sono resa conto in modo sconvolgente di non avere praticamente più tempo per niente! Tuttavia, siccome ho promesso alla mia carissima amica Sae che avrei aggiornato presto, ho preso al volo questa mattinata di “libertà” per adempire ai miei doveri verso di voi. Per cui…ecco i nuovi capitoli!

Inoltre approfitto di questo ritaglio per ringraziare, appunto, la mia amica Sae, Sora89, HikariKanna, Heather, Pollins (abbi fede, siamo solo all’inizio!), Memole, Neko chan, Cera91, Beamarkecope, Burgos, Keiko Sayuri, Skiblue e (sperando di non aver dimenticato nessuno!!) tutti quelli che ancora mi sostengono! Grazie mille, davvero.

 

RIASSUNTO (facciamo il punto della situazione):

Sora ha quindici anni e vive con la madre ad Odaiba, un quartiere di Tokyo. Un giorno nella sua palazzina si trasferiscono due aitanti, quanto bizzarri ragazzi. Yamato è un ragazzo taciturno, introverso e a volte persino scontroso. Al contrario Taichi è un tipo più alla mano, disponibile e pieno di brio. Ognuno completamente diverso dall’altro, ma grandi e inseparabili amici. Così, mentre con il primo Sora troverà degli ostacoli dettati dal carattere estremamente difficile di lui, non avrà alcuna difficoltà a legarsi con il secondo, oltretutto in classe con lei. Le cose però sembrano prendere una piega inaspettata dopo una divertente giornata trascorsa al luna park, al termine della quale una misteriosa figura li attende sotto casa. Chi sarà mai questa nuova ragazza? E cosa ha a che fare con la vita di Taichi e Yamato?

 

***

 

Lo stridio del campanello d’ingresso si autodefinì come la brusca connessione che avrebbe riportato Sora dall’utopistico mondo dei sogni a quello veritiero della vita reale.

La ragazza dai capelli ramati esitò ancora un paio d’istanti sotto le calde coperte che la riparavano dal freddo autunnale, prima di alzarsi definitivamente per porre lei stessa una parola fine a tutto quel fracasso immondo proveniente dal soggiorno. Eppure, non poté fare a meno di notare mentre si apprestava ad andare ad aprire, era strano che la madre non lo avesse già fatto. Stava ancora valutando le possibili attenuanti, quando si accorse di essere ormai di fronte alla porta d’ingresso.

Incurante dell’aspetto che doveva avere in quel momento, sveglia da pochissimo, Sora aprì stancamente la porta senza nemmeno chiedere o chiedersi chi poteva mai essere a quell’ora del mattino. Il torpore del risveglio si faceva sentire ancora troppo pesantemente in lei per anche solo farla riflettere su queste cose. Eppure esso scomparve come sabbia al vento quando, aprendo, si ritrovò davanti due allegri occhi di un azzurro simile al cielo più terso.

Sora strabuzzò un paio di volte gli occhi, credendo per un istante di trovarsi ancora tra le braccia di Morfeo in uno dei suoi chimerici sogni. Ma ogni volta che li riapriva, puntualmente, la figura adesso palesemente stupita di quel ragazzo le compariva davanti.

“Scusami, ma… Questo non è il palazzo 619?”, chiese ad un tratto il giovane, che stava fissando la sua interpellata con sguardo interrogativo.

“Beh, sì”, rispose con una nota di frastornazione lei, senza mai smettere di osservarlo.

C’era qualcosa in quel ragazzo che le sembrava di riconoscere, ma che purtroppo non riusciva ad identificare. Di certo se lo avesse visto prima avrebbe ricordato un tipo tanto carino. Sebbene dimostrasse appena una dodicina d’anni, era piuttosto alto. Sora ipotizzò che doveva toccare il metro e settanta circa, o forse persino qualcosa di più. Aveva un fisico atletico, ma estremamente smilzo, modellato probabilmente dall’attiva partecipazione a qualche club che poteva benissimo essere quello di calcio o, meglio ancora, quello di basket. Infine c’erano quei lucenti capelli dorati, che gli incorniciavano l’ovale perfetto del viso i cui tratti non nascondevano una dolcezza a lui innata (anche stavolta non credo ci siano problemi ad identificarlo, non è forse così? ^^ NdA).

“Allora non capisco”, stava dicendo proprio il ragazzo. “Se questo è il palazzo… Dov’è mio fratello?”

Il biondino lo chiese rivolto verso Sora, anche se sembrava più una di quelle domande destinate a se stessi.

“Io non saprei… Forse se mi dici chi è tuo fratello posso darti una mano”, tentò Sora, sfoderando un sorriso affabile che il ragazzo sembrò apprezzare particolarmente.

“Mio fratello si chiama Yamato”, le rispose allegramente lui, senza sapere che a quel nome il cuore della ragazza era sobbalzato involontariamente. “Yamato Ishida”

Nell’udire il nome per intero, Sora sbatté le palpebre un paio di volte come per accertarsi che quella era davvero la realtà. Eppure non sembrava uno scherzo. Quel ragazzo era terribilmente simile a Yamato!

‘Ecco chi mi ricordava!’, si disse tra sé e sé la ragazza, ancora visibilmente spossata dalla notizia appena appresa.

Sforzandosi di mettere da parte tutto lo stupore legato alla scoperta, Sora si richiamò ad uno dei suoi migliori sorrisi.

“Conosco tuo fratello e…non hai sbagliato palazzo, non preoccuparti”

“Oh, dici davvero?”, il biondino sembrò entusiasmarsi alla notizia. “Meno male! Vedendo te, ho seriamente temuto di aver sbagliato a prendere l’indirizzo di casa di mio fratello. Ma per fortuna…!”

“Già…”, annuì anche lei, frastornata. “Ma ti prego, entra!”

“D’accordo!”, obbedì immediatamente lui, sorridendole per l’invito. “A proposito: io sono Takeru”

“Sora. Io mi chiamo Sora Takenouchi!”, si presentò a sua volta anche la fanciulla dai capelli ramati, mentre richiudeva la porta d’ingresso dietro di lei.

La ragazza aveva completamente dimenticato di essere ancora in pigiama, se a ricordarglielo non ci aveva pensato lo specchio che spadroneggiava lungo il breve corridoio che separava l’ingresso dal soggiorno. Infatti mentre vi passava accanto, gettandovi casualmente un’occhiata, fu imbarazzatissima di scoprire che era andata alla porta con ancora l’enorme pigiamone addosso e i capelli arruffati.

“Ti…ti dispiace sederti qui per un istante mentre vado di là ad indossare qualcosa?”, gli chiese allora, con un certo impaccio, una volta in soggiorno.

“No, certo. Fa pure con comodo!”, la tranquillizzò immediatamente il biondino, rivolgendole un sorriso dolcissimo che la fece rimanere interdetta.

‘Lui…Takeru ha detto di essere il fratello di Yamato. Eppure loro due…a parte l’aspetto fisico, non si somigliano molto’, non poté fare a meno di considerare la giovane mentre si chiudeva nella sua camera per cambiarsi, ‘Takeru è gentile e sembra anche molto simpatico. Mentre invece Yamato è un ragazzo così…scontroso! Possibile che siano davvero fratelli?!’.

 

 

Takeru si guardò distrattamente attorno nell’attesa che Sora si preparava. L’appartamento in cui si trovava non era molto grande, eppure era stato arredato con mobili di buon gusto che gli conferivano un’aria confortevole. Di certo quello non era il genere di mobilio che lui si era aspettato di trovare. Se conosceva bene il fratello e Taichi, avrebbe infatti dovuto trovare davanti ad un appartamento scarno di mobili inutili, pieno di luce e…di disordine!

‘Devo davvero aver sbagliato qualcosa nel prendere l’indirizzo…’, si disse pensieroso il giovane, ripensando alla scena consumatasi poco prima.

In un primo momento era rimasto piuttosto sorpreso di scorgere una ragazza, che lui non aveva mai visto prima di allora, aprire alla porta che lui credeva essere quella di casa del fratello. Eppure doveva ammettere d’averla trovata sin da subito una brava ragazza, gentile e disponibile. Inoltre era anche molto carina, il che non guastava mai!

‘Ops… Se mi sentisse Hikari…!’, sghignazzò divertito tra sé e sé il biondino, prima che un rumore di passi attirasse la sua attenzione.

“Scusa… Ti ho fatto aspettare?”

Takeru alzò lo sguardo e incrociò due allegri occhi nocciola che lo fissavano cordiali.

“No, non preoccuparti”, la tranquillizzò immediatamente, accompagnando le parole con un gesto di dissenso col capo.

“Beh… Vorrai andare da tuo fratello”, ipotizzò allora Sora, lievemente impacciata per la bizzarra situazione.

Per tutta risposta, il biondino accennò ad un sorriso carico di significato.

“Okay. Allora andiamo?”, gli sorrise a sua volta anche lei, avvicinandosi all’ingresso.

Takeru annuì e la seguì senza tante storie. Erano passate un paio di settimane da quando non vedeva Yamato, e adesso sentiva una gran voglia di rivederlo. Il fluire dei suoi pensieri venne però interrotto da Sora, che si era fermata all’improvviso davanti al piccolo mobiletto di legno d’acero posto lungo il corridoio che portava alla porta d’ingresso.

“È tutto a posto?”, s’informò subito, leggermente preoccupato da quello scatto repentino lui.

“Eh? Oh, sì! Mi ero solo fermata per…ho visto questo biglietto, della mamma, e così…!”, farfugliò Sora, mentre tentava di rassicurarlo con un sorriso.

Si era fermata perché attratta dal foglietto bianco posto sopra al mobiletto, il quale era stato lasciato lì dalla madre che la informava di essere uscita un istante, e lui si era subito impensierito per quell’improvviso atto.

“Ah… Capisco!”, ricambiò immediatamente al sorriso Takeru, contagiato da lei.

La giovane Takenouchi lo ringraziò in cuor suo per tanta premurosità, chiedendosi per la centesima volta se quel ragazzo così gentile potesse realmente essere il fratello di Yamato. Si era preoccupato per lei, anche se la conosceva da soli pochi minuti…! Takeru era un ragazzo davvero carino, non c’era che dire.

Mentre uscivano di casa, Sora si affrettò a spiegare al giovane ogni cosa.

“Vedi, tuo fratello e Taichi abitano sì a questo palazzo, ma al piano di sopra. Nell’appartamento B”

“Ecco perché tu…! Oh, scusami tanto Sora se ti ho svegliata e…”

“No, non devi scusarti”, lo confortò, interrompendolo, la ragazza dai capelli ramati.

“Il fatto è che ho preso l’appunto dell’indirizzo di fretta e così devo aver sbagliato a…”

“Va tutto bene!”, gli sorrise rasserenante Sora.

Takeru fece per dire qualcosa, ma l’espressione dolce sul volto della ragazza lo fece desistere e capire che davvero non doveva preoccuparsi.

Le sorrise.

“Grazie”

Quella semplice parola bastò a farla arrossire, anche se solo lievemente. Ma poi, dopo un’ultima occhiata, si affrettò a condurlo davanti all’appartamento B dove abitava il fratello. Fu proprio lei, una volta qui, a suonare alla porta attraverso il campanello. L’uscio si aprì appena pochi istanti dopo e subito un volto sorridente ma chiaramente femminile ne fece capolino, sbalordendo all’istante la povera Sora che per un momento aveva completamente dimenticato la presenza di quella giovane a casa dei due amici.

“Takeru!!”, la ragazzina sembrò riconoscere al volo il biondino, che abbracciò di slancio davanti ad una frastornata Sora. “Finalmente sei arrivato!”

“Scusa… Scusami Hikari”, ricambiò alla stretta, altrettanto felice, lui. “Il fatto è che…beh, ho sbagliato a capire l’appartamento e così sono finito in quello di Sora!”

A quella spiegazione la brunetta sorrise divertita, poi, dopo essersi sciolta dall’abbraccio, si voltò proprio verso la ragazza al suo fianco.

“Sono contenta di rivederti, Sora!”, le sorrise cordiale.

Takenouchi, anche se palesemente stordita, non poté fare a meno di ricambiarle, arricciando a sua volta le labbra verso su. All’inizio, quando la sera prima l’aveva vista ferma davanti al palazzo, era rimasta piuttosto spossata. Anche se, ad essere sincera, l’aveva presa sin da subito in simpatia. Aveva qualcosa, quella ragazza, che le ispirava protezione, affetto. Solo più tardi aveva scoperto che quella fanciulla si chiamava Hikari Yagami, e non era altro che la sorellina minore di Taichi.

“Coraggio, entrate adesso! Yamato e il fratellone sono in cucina a fare colazione!”

Mentre faceva strada, Hikari sembrava gestirsi egregiamente in una casa che aveva conosciuto appena la sera precedente.

“Takeru!!!”

Una volta giunti in cucina, fu la voce entusiasta di Taichi ad accoglierli.

“Da quanto tempo non ci vediamo!”, continuò il giovane, prendendo il biondino sotto braccio e arruffandogli scherzosamente i capelli, incurante delle proteste di quello.

Lo lasciò solo quando, sotto lo stupore generale, vide Yamato avvicinarsi a loro.

“Takeru…”, mormorò solo, allungando una mano verso il fratellino e posandola affettuosamente sui suoi capelli.

Durò solo pochi istanti, ma sufficienti per far chiarire il vero significato di quel gesto.

Yamato era contento di rivederlo. Lo aveva dimostrato chiaramente, anche se a modo suo. Un modo che ormai tutti i presenti avevano imparato a conoscere.

Takeru sorrise, senza tuttavia dire nulla. Poi, ben presto, Taichi si riprese e ricominciò ad arruffare i capelli del ragazzino, osservati da una divertita Hikari. L’unica che non aveva smesso per un solo istante di fissare, con un certo stupore, Yamato era Sora. La ragazza era rimasta piuttosto stupita dal suo gesto. Certo, non aveva fatto feste come invece non si era mantenuto dal fare Taichi la sera prima nel rivedere la sua sorellina, però…quello che aveva fatto…il suo gesto era stato più espressivo che mille parole. Specie per un ragazzo dal carattere estremamente introverso come lui. ‘Yamato…’

“Come mai quella faccia?”

Sora sobbalzò spaventata, per poi arrossire violentemente quando si accorse della breve vicinanza che la legava proprio a Yamato. Non si era accorta minimamente che il ragazzo si fosse mosso e le si fosse avvicinato, presa com’era stata dai suoi pensieri.

“Ah, ecco io… Veramente…”, balbettò imbarazzatissima, tentando di formulare una frase di senso compiuto. “Non sapevo che tu e Taichi aveste dei fratelli”

A quelle parole il biondino scrollò con negligenza le spalle.

“Tu non ce lo hai mai chiesto”

“Oh, beh…”, rimase per un istante senza parole Sora. “Avreste potuto anche menzionarlo”

“Uhm…”, mormorò solo Yamato, scuotendo appena il capo in un gesto vago.

“Mi è venuta un’idea!!”, esclamò ad un tratto Taichi, lasciando finalmente il povero Takeru e balzando in piedi con espressione infervorata. “Che ne dite di un picnic?”

“Un picnic?”, lo guardarono straniti gli altri.

“Ma sì, dai!! Sarà divertente! Noi cinque tutti insieme!”

“Beh, perché no?”, la prima a trovarsi d’accordo fu Hikari, che non nascose la propria gioia battendo allegramente le mani.

“Okay!”, annuì anche Takeru, mentre tentava di darsi una sistemata ai capelli.

“Aspetta, ti aiuto io”, si offrì gentilmente Hikari, sorridendogli e aiutandolo nell’impresa.

Sora li fissò e non poté fare a meno di sorridere, intenerita.

“E per voi?”, a riportarla alla realtà ci pensò ancora una volta Taichi.

“Beh, per me non ci sono problemi!”, si unì a loro la giovane Takenouchi.

“Ottimo!”, le sorrise allora il brunetto, prima di gettare un’occhiata interrogativa all’unico che ancora non aveva dato una risposta.

“Umpf…va bene”, capitolò infine anche Yamato, scostando lo sguardo da un’altra parte con fare indifferente.

“Dovremo preparare qualcosa da mangiare per portarci, però”, intervenne a quel punto Hikari, che aveva appena terminato di sistemare i capelli di Takeru.

Sora si fece per un istante pensierosa, prima che un’idea le balenasse in testa.

“Potrei preparare qualcosa io!”, propose con un sorriso raggiante, contenta di potersi rendere utile.

“Tu?!”, la smontò però immediatamente Yamato, guardandola scettico.

Per tutta risposta Sora gli lanciò un’occhiataccia, che tuttavia il ragazzo non colse, e si voltò verso gli altri quattro.

“Se sei d’accordo, io potrei aiutarti!”, si offrì subito Hikari, guardandola speranzosa.

“Va bene!”, le sorrise allora l’altra, ricevendo per questo un’occhiata ricolma di gratitudine.

“Allora appena avete fatto, andiamo, okay?”, si mise d’accordo Taichi.

“Okay!”, risposero in coro le due ragazze.

“Vieni, Hikari!”, fece poi Sora rivolta alla ragazzina, che annuendo la seguì nell’appartamento A.

 

 

“Sì. Ciao mamma!”

Sora riappese la cornetta e raggiunse Hikari in cucina, dove quella si stava dilettando nella preparazione di muchi (premetto che non sono un’esperta di gastronomia, però a mio avviso i muchi dovrebbero essere delle piccole e rotonde torte di riso NdA).

“Sora! È tutto okay?”, s’informò immediatamente la giovane Yagami non appena la vide.

“Sì!”, confermò l’altra. “La mamma ha detto che ne avrebbe approfittato per fermarsi a mangiare dalla nonna (ovviamente io non possiedo alcune notizie sulla nonna di Sora! Concedetemelo come licenza poetica, okay? ^^NdA), visto che si trovava nei paraggi”

Hikari annuì, dimostrando così di aver capito, prima di ritornare a concentrarsi in quello che stava facendo. Sora intuì che voleva chiederle qualcosa, ma proprio perché non lo fece, ritenendola probabilmente una cosa personale, la ringraziò in cuor suo.

“Aspetta, ti aiuto con il baran (allora, stando alle mie rudimentali conoscenze culinarie, il baran è un’erba di sushi di plastica usata come decorazione per l’aspetto della pietanza e per dividere i diversi pezzi di sushi NdA)”, si mise immediatamente all’opera anche la ragazza dai capelli ramati.

Tra le due calò un istante di silenzio, prima che proprio Sora lo fugasse via con le sue parole.

“Hikari, posso farti una domanda?”

“Sì, certo”, acconsentì curiosa la brunetta.

“Io mi chiedevo…beh, quanti anni avessi”

“Ne ho dodici. Sono al settimo ed ultimo anno delle scuole elementari (non dimentichiamoci che in Giappone la scuola ha un ordinamento diverso rispetto a noi, per questo le scuole elementari si estendono nella fascia d’età che va dai sei anni ai dodici NdA)!”

‘Come immaginavo!’, si disse tra sé e sé Sora.

“Anche Takeru ha dodici anni”, la voce di Hikari attirò nuovamente le sue attenzioni. “Siamo in classe insieme e con noi viene anche un nostro amico, Daisuke!”

“Tu e Takeru…è da molto che vi conoscete?”

La brunetta annuì. “Avevamo otto anni. Fu involontariamente grazie a Taichi e Yamato che ci conoscemmo! Ci portarono, senza saperlo, a giocare nel parco di Ikebukuro lo stesso giorno. È così che ci siamo conosciuti!”

Mentre Hikari si perdeva nei meandri dei propri ricordi, Sora la ascoltava molto interessata.

“Però io e Takeru siamo andati immediatamente d’accordo, al contrario di mio fratello e di Yamato!”, sorrise divertita Yagami. “E adesso io e lui…siamo ufficialmente una coppia!”

Mentre lo diceva la fanciulla era arrossita lievemente, ma il meraviglioso sorriso che le allungava le labbra era una tangibile testimonianza della sua felicità.

“Sul serio?”, s’incuriosì anche Sora.

“Sì. Da ben tre mesi!! Quel giorno stavamo ritornando a casa insieme. Takeru mi accompagnò, ma sotto casa mi diede questo piccolo fermaglio”, Hikari indicò la mollettina rosa che le reggeva la frangetta. “Io mi ero appena tagliata i capelli, ma la frangetta era troppo corta e mi dava fastidio. Takeru fu davvero molto carino a farmi questo regalo, non trovi anche tu?”

“Sì!”, annuì con lo stesso entusiasmo anche l’altra.

“E poi… Lui mi chiese di diventare la sua ragazza”, arrossì lievemente la brunetta. “Ovviamente io accettai subito! Era da tempo che non aspettavo altro! Mi sono innamorata di lui sin da subito, ma non avevo mai avuto il coraggio di confessarglielo. Fui felice che lui ci riuscì!”

“La vostra è davvero una bella storia”, non poté fare a meno di commentare Sora al termine del racconto.

“Già!”, ne convenne anche Hikari con sguardo sognante. “Ma ora dimmi di te! Taichi mi ha detto che ti hanno conosciuta il giorno stesso del trasferimento”

“Infatti”, confermò l’altra. “E poi, senza volerlo, siamo capitati nella stessa classe!”

“Sai, sono contenta che tu sia qui”

Le parole della giovane Yagami la spiazzarono completamente.

“Taichi e Yamato hanno bisogno di una ragazza come te accanto a loro”, le sorrise dolcemente Hikari. “Una ragazza che si prendesse cura di loro come fai tu, Sora”

Takenouchi rimase piuttosto colpita da quelle parole, piacevolmente.

“Tu vuoi molto bene a tuo fratello e a Yamato, non è vero?”

Hikari annuì. “Taichi…beh, lui è il mio fratellone! Mi è stato sempre vicino, si è preso cura di me… Quando ha deciso di venire a vivere qui con Yamato, ci sono rimasta un po’ male. Ma adesso capisco che è stata la scelta migliore, che lo aiuterà a crescere… Io sono felice di questo. Per quanto riguarda Yamato…beh, io gli voglio bene come ad un fratello! A volte è un ragazzo difficile, ma in fondo è comprensibile con tutto quello che ha passato. E poi…lui vuole molto bene a Takeru! Si è sempre preso cura di lui, sin da quando erano piccoli. Certo, è un po’ restio a dimostrare i suoi sentimenti, ma Takeru sa che Yamato ci tiene tanto a lui. E lo stesso vale per lui, ovviamente”

Sora la ascoltò come rapita da quel racconto. Si vedeva che Hikari era molto legata ai due, così come Takeru. E di certo Taichi e Yamato volevano altrettanto bene ai loro due fratellini. Però…la cosa che più l’aveva colpita erano state le parole della ragazza riguardo a Yamato.

Stava giusto per chiederle a cosa si stava riferendo, quando lo stridio del campanello d’ingresso attirò la sua attenzione.

“Vado ad aprire!”, esclamò subito Hikari tutta contenta, ben sapendo chi sarebbe stato.

Rimasta sola, Sora si perse ancora per un istante nei suoi pensieri, ma poi sentendo la voce dei ragazzi dall’ingresso prese i cestini contenenti il pranzo e li raggiunse.

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Capitolo 7
*** Chapter Seven ***


Nuova pagina 1

Good Boys

Chapter Seven

 

Hikari: Che bella la nuova casa di Taichi e Yamato, non trovi anche tu Takeru?

Takeru: Sì! ^^

Hikari: Sono proprio contenta di essere venuta a trovarli!! Anche perché se non era per noi, loro due chissà quando si sarebbero fatti vivi!! è__è

Takeru: Eh…eh… ^__^

Hikari: Però è bello stare tutti insieme!

Takeru: Sì, è molto bello! E poi adesso c’è anche Sora con noi!

Hikari: Giusto! E ne sono veramente felice! ^^

Takeru: Sì, anch’io…

[Sora, che li sta ascoltando involontariamente da poco lontano, arrossisce imbarazzata ma felice]

Yamato: Lo sai che non si ascoltano le conversazioni altrui?

Sora: Ma…io…non intendevo… //.//

Taichi: Dai, venite che si mangia!! *.*

Sora: Sì!!

Yamato: Sempre il solito… -__-’’

Finalmente ecco fare il loro ingresso in scena i due fratellini di Taichi e Yamato! Ma cosa voleva dire realmente Hikari? Ovviamente per scoprirlo non vi resta che continuare a seguire la storia!! Nonostante il terribile ritardo nell’aggiornamento che, spero, mi perdonerete.

 

***

 

“Accidenti, questa pioggia non ci voleva proprio!”, mormorò dispiaciuta Hikari, ricevendo subito cenni concordanti anche dagli altri.

“Umpf! Siamo i soliti sfortunati”, mise il broncio Taichi, a cui non era proprio andato giù vedersi mandare a monte un magnifico picnic per colpa di qualche goccia d’acqua.

“È colpa di Takenouchi”, mormorò incolore Yamato, attirando in un batter di ciglia la totale attenzione.

Sora lo fissò male. Come poteva essere lei la causa di quella pioggia?! Non aveva certo il potere di controllare il tempo, accidenti! Quel ragazzo l’avrebbe mandata al manicomio, lo sentiva. Ma allora perché, vedendolo ritto con un piede appoggiato al muro dietro di lui, non riusciva a fare a meno di sentirsi…turbata? Una lotta interiore in cui il cervello le gridava di odiarlo e il cuore, al contrario, batteva come impazzito. D’altro canto non era nemmeno una novità per lei quella contrastante sensazione ad invaderle la bocca dello stomaco, giacché Yamato era tutto questo.

“Che vuoi dire?”, stava nel frattempo dicendo Takeru, incuriosito dalla velata accusa.

“Tsk! Se non avesse deciso di mettersi a cucinare…”, disse solo lui, scrollando le spalle con noncuranza quasi la cosa non lo toccasse affatto.

“Ma dai!”, si rifiutò di credere Taichi, mentre Hikari cercava lo sguardo complice di Takeru e Sora mostrava la linguaccia ad un indifferente Yamato.

La pioggia intanto continuava a scendere dal cielo, costringendoli a stringersi sempre di più sotto il tendone di una vecchia e chiusa gelateria.

 “A proposito Taichi”, disse, dopo un istante di silenzio, Hikari rivolta al fratello maggiore. “La mamma è arrabbiata con te”

“Eh?”, la guardò stranito il brunetto, non riuscendo proprio a capire il motivo di quello sdegno.

“Dice che da quando ti sei trasferito ti fai sentire poco e niente”

“Cosa?!”, stavolta Taichi era palesemente scioccato. “Ma se la chiamo almeno due volte al giorno!!”

“Sì, ma le tue telefonate durano al massimo due minuti!”, gli rammentò la sorella, brandendo il suo cestino con fare ammonitore.

Il brunetto fece per dire qualcosa, ma alla fine riuscì solo a boccheggiare un paio di volte, prima di spirare un sospiro.

“Okay, okay…hai vinto tu. Vorrà dire che la prossima volta mi incollerò al telefono, va bene?”, le fece l’occhiolino, al quale Hikari rispose con un meraviglioso sorriso. “Argh! Mi sono stufato di rimanere qui!”

“E che proponi di fare allora?”, alzò un sopracciglio Yamato, con fare interrogativo.

“Tanto vale tornarcene a casa, a questo punto! Ormai il picnic è saltato”, replicò Taichi con espressione tanto saccente quanto buffa.

“Che peccato però…”, obiettò Sora, gettando un’occhiata triste all’inutile lavoro suo e di Hikari.

“Se non ricordo male l’entrata della metro dovrebbe trovarsi oltre quel palazzo”, disse invece Takeru, accennando con lo sguardo all’imponente struttura metallica che sovrastava in altezza quelle vicine.

“Andiamo, allora! Quattro schizzetti non ci fermeranno, vero ragazzi?”, esordì a quel punto il più grande dei due Yagami, prima di buttarsi a capofitto sotto la scrosciante pioggia.

“Che matto…”, ridacchiò nell’osservarlo Hikari, divertita dall’esuberanza del fratello.

“Ci buttiamo anche noi?”, le chiese Takeru, di fianco a lei, prendendole la mano dolcemente quando poi la ragazza annuì.

“Va bene”

Pochi istanti dopo anche i due fidanzatini si stavano cimentando in un’improbabile corsa sotto le intemperie naturali del tempo. Rimasta a fissarli, Sora quasi non si accorse della presenza di Yamato al suo fianco se solo lui non si fosse mosso nella sua direzione fino ad esserle praticamente di fianco. Talmente tanto che poteva sentire il braccio ossuto di lui sfiorarle il suo a discapito di tanti piccoli brividi pronti a scuoterla come una foglia al vento. Che poi, si domandò esasperata, che motivo aveva di sentirsi così? Lui era forse la persona più insopportabile che avesse mai incontrato. Tuttavia…non poteva proprio dire che la cosa poteva classificarsi come un dispiacere vero e proprio.

“Hai intenzione di rimanertene lì impalata ancora a lungo, Takenouchi?”, le domandò ad un tratto lui, risvegliandola dal flusso invadente di pensieri.

Sora s’infiammò. Era la seconda volta che lui la riprendeva. Cominciava ad averne sinceramente abbastanza.

“Senti, tu…”, fece per dire, pronta a fronteggiare la sua insolenza, ma Yamato non le diede il tempo che già si era buttato a sua volta nel fitto del pioggia.

La ragazza spalancò la bocca. Non l’aveva neppure aspettata! ‘Ma chi si crede di essere?!’, domandò a se stessa infuriata mentre, lottando per tentare di minimizzare i danni che la pioggia avrebbero causati al cestino ricolmo di cibo, raggiungeva il resto del gruppo verso la stazione metropolitana più vicina.

 

 

La metropolitana arrivò, come sempre, puntuale nella sua corsa. Taichi fu ovviamente il primo a salire nel vano tentativo di trovare qualche posto a sedere. Alla fine, però, decise di stroncare le ricerche e posizionarsi invece accanto ad una delle uscite dove subito lo affiancò la sorella. Anche Yamato, spinto più che altro dal richiamo di Hikari, li raggiunse e lo stesso stava per fare Sora se solo una stretta attorno al suo polso non glielo avesse impedito. Si girò giusto in tempo per scorgere sul volto di Takeru un meraviglioso sorriso rivolto solo ed esclusivamente a lei.

“Posso parlarti un attimo?”, domandò con la sua voce dal timbro caldo e gentile.

Sora annuì, pensando nel contempo che nemmeno un pazzo avrebbe saputo dire di no a quel ragazzo.

“Ma certo!”

Takeru alla risposta sospirò, rilassando i muscoli tenuti fino a quel momento in tensione.

“Niente, io… Non ti ho ancora ringraziata per stamattina. Sai, per avermi accompagnato a casa di Yamato”

“Non devi ringraziarmi, Takeru. Davvero!”, gli sorrise immediatamente Sora, rassicurante come sempre, felice di sapere che non c’era in effetti nulla di cui preoccuparsi.

Si sentiva onorata, a ben pensarci, di quella piccola attenzione ricevuta dal fratello di Yamato. Gli piaceva Takeru, era un bravo ragazzo, di quelli gentili e zelanti.

Il biondino, allora, le rivolse uno dei suoi più dolci sorrisi che le lasciò il pensiero che il ragazzo sorrideva molto più spesso rispetto al fratello e che forse Yamato avrebbe dovuto prendere esempio da lui sotto quel particolare punto di vista. La riflessione venne tuttavia scartata quando lo vide volgere lo sguardo verso gli altri tre.

“Sono contento di essere venuto qua”, confessò ad un tratto Takeru, attirando le attenzioni della ragazza. “Era da un po’ che non vedevo mio fratello e…beh, devo ammettere che mi è mancato molto”

Sora rimase piuttosto colpita da quelle parole. Si vedeva quanto il dodicenne teneva a Yamato, ma in fondo era più che comprensibile una cosa del genere. ‘Devono essere davvero molto uniti!’, non poté fare a meno di notare, sorridendo involontariamente.

“Prima che lui e Taichi si trasferissero, io e Yamato ci vedevamo molte più volte”, stava nel frattempo dicendo il biondino, mentre un sorriso a tratti quasi nostalgico spuntava sul suo volto. “Anche se non sempre era possibile”

“Per via degli orari?”, ipotizzò Sora.

“Eh?”, fece lui, non riuscendo a capire a cosa lei si stava riferendo.

“Beh, se non potevate vedervi spesso era per via degli orari differenti che avevate, no? È per questo che, anche se vivevate sotto lo stesso tetto, a volte capitava di non incontrarsi, giusto? Spesso capita anche a me con mia madre!”

Il sorriso sul suo volto scomparve però nel giro di pochi istanti accorgendosi che Takeru la fissava frastornato e chiaramente basito.

“Ma io…pensavo tu lo sapessi. Possibile che mio fratello o anche Taichi non ti abbiano detto niente?!”, chiese quasi a se stesso il biondino, colpendo in pieno con la sua domanda la ragazza.

Sora lo fissò a bocca aperta, boccheggiando un paio di volte. ‘A cosa si sta riferendo?’, si domandò con una punta d’apprensione. Cosa doveva sapere?!

Stava per chiedere dei chiarimenti, quando una voce allegra proruppe tra loro.

“Avanti, ragazzi!! Venite anche voi!”, senza nemmeno immaginare di aver potuto interrompere qualcosa, Taichi allungò il collo verso di loro e incurante dei presenti li richiamò a sé ponendo involontariamente fine ad una conversazione che si faceva sempre più importante.

 

 

‘Non mi hanno detto nulla…’, Sora puntò lo sguardo vacuo verso un punto indefinito davanti a sé.

Era da quando Takeru e Hikari se n’erano andati, la sera prima, con il primo bus che portava ad Ikebukuro, che stava in quel mondo ovattato fatto solo di pensieri. E, la causa, era da ricercare unicamente nelle parole che i due dodicenni le avevano rivolto, in primis quelle del fratellino di Yamato.

Purtroppo, sebbene avesse tentato riparlargli più volte dopo essere stati stroncati così bruscamente sulla metro, non era mai riuscita nel suo intento. E adesso che Takeru era partito, non poteva più sperare di risolvere quel dilemma che le gravava prepotente sul cuore e nei suoi pensieri. O, perlomeno, non così brevemente come avrebbe voluto.

“Sora, stai bene?”, la voce dolce e apprensiva dell’amica Hitomo la ridestò dai suoi pensieri, riconducendola alla realtà.

Era l’ora d’educazione fisica e, come d’abitudine, dopo aver indossato la tuta nera che forniva la scuola, la 3 – A era scesa il cortile. Normalmente Sora si sarebbe data parecchio da fare in quell’ora, perché le piaceva moltissimo fare attività sportive. Ma quel giorno un’insolita e pesante stanchezza le impediva quasi di muoversi.

“S…sì, certo!”, tentò di apparire convincente Sora.

“Allora…Yamato non c’entra niente?”, insistette la biondina con sguardo scettico.

Takenouchi avvampò all’istante a quell’insinuazione, accorgendosi solo in quel momento di avere lo sguardo fisso sul campetto da basket dove si tenevano in allenamento i ragazzi e, in particolare, di averlo puntato già da diverso tempo proprio sul giovane. Infatti, sebbene fossero in classi differenti, quella d’educazione fisica era l’unica ora che i terzi del corso A e del corso D avevano in comune.

“No, lui…cioè, io…”, tentò di giustificarsi imbarazzatissima la ragazza, ma tutto ciò che riuscì a dire furono parole senza alcun nesso logico.

Yamato!!!”, in suo accorso sopraggiunse un inaspettato quanto entusiastico grido che si diffuse in breve lungo tutto il cortile, attirando in men che non si dica le attenzioni soprattutto delle ragazze, poiché i ragazzi erano completamente presi dalla loro partita di basket.

Sora si voltò e strabuzzò un paio di volte gli occhi quando notò la figura che correva come una forsennata nella loro direzione. I capelli rossi, lo sguardo gioioso e la voce squittante non lasciavano spazio al dubbio: era Harumi. Al suo seguito, cercando faticosamente di stare al suo passo, c’erano altre due ragazze che Sora ricordava di aver già incrociato qualche volta lungo i corridoi.

“E quella chi sarebbe?!”, domandò con un certo astio Reika, fissando la fanciulla avvicinarsi con espressione contrariata e per nulla rassicurante.

Yamato! Yamatuccio!!”, stava nel frattempo gridando Harumi, che ormai era a pochi metri di distanza dal campo da basket dove qualcuno dei ragazzi sembrava averla finalmente notata.

“Reika, che cosa stai pensando di fare?”, mormorò Hitomo, ma la bruna già non la sentiva più, partita in quarta alla volta di Harumi.

Tu!!”, Reika si piazzò di fronte a Harumi e alle altre due ragazze, che si fermarono stupite, e alzò un dito contro la rossa. “Smettila immediatamente di gridare come un’ossessa il nome di Yamato!”

Harumi, così come le sue due amiche, sgranò gli occhi a quella frase, per poi riprendersi appena poco dopo. Intanto erano sopraggiunte sulla scena anche Sora e Hitomo, apprensive per ciò che sarebbe potuto accadere.

“E tu chi diavolo saresti per ordinarmi di stare zitta??”, non si attenne di certo Harumi, seccata per essere stata così bruscamente ostacolata dal raggiungere Yamato.

“No, chi sei tu ad irrompere nel cortile come una pazza gridando furiosamente il nome di uno dei ragazzi che stanno giocando!!”, s’inalberò all’istante Reika, impulsiva come sempre.

“Reika, ti prego…”, tentò di farla ragionare Hitomo, ma quella era irremovibile e continuava a guardare in cagnesco la rossa davanti a lei.

“Innanzitutto il cortile è di tutti, perciò posso gridare quanto mi pare. In secondo luogo, non mi pare che questi siano affari che ti riguardano. Quindi, se permetti, lasciami andare dal mio Yamatuccio!”, le fece notare con un sorriso vittorioso Harumi, mentre dietro di lei le due ragazze sghignazzavano divertite.

“No che non permetto! Stai distraendo la mia classe, nel caso non lo avessi notato. E poi smettila di chiamarlo in quel modo, non credo che a Yamato farà piacere sapere come hai distrutto il suo nome!”, ribatté immediatamente Reika, piccata nell’orgoglio.

Accanto a lei Hitomo non sapeva più cosa fare per placare gli animi, per questo gettò un’occhiata implorante a Sora, che, sospirando, si decise ad intervenire nonostante lo strano torpore che le indolenziva le ossa.

“Ragazze, vi prego smettetela di litigare, non è il caso di…”

“Hai visto anche tu, Sora, che è stata lei a cominciare!”, proruppe Harumi, mettendo su il broncio come una bambina e incrociando le braccia al petto.

“Cosa?! Tu conosci questa qui??”, Reika però non sembrò dar retta alle parole della rossa, quanto piuttosto al fatto di venire a sapere che le due ragazze si conoscevano già.

“Ehi!!”, si lamentò subitamente Harumi, che di certo non aveva gradito l’epiteto.

Ma Reika non vi fece caso, al contrario non staccò lo sguardo inquisitore da Sora, che adesso si morsicava nervosamente un labbro mentre tentava di mettere a fuoco l’immagine dell’amica dinanzi a lei.

“Beh, l’ho conosciuta al luna park. Lei…lei è la nipote del nuovo gestore e ci siamo incontrate lì”, spiegò sommariamente, omettendo volutamente la parte in cui era stata la stessa Harumi a regalare i biglietti d’ingresso a Yamato per non scatenare un ulteriore putiferio.

“Capisco…”, fece Reika pensosa. “In ogni caso ciò non toglie che sia tu ad aver infastidito per prima me e la mia classe!”, aggiunse poi, rivolgendosi nuovamente a Harumi.

“Cosa?! Io non ho fatto nulla, volevo solo salutare Yamatuccio!!”

“Smettila di chiamarlo così!!”

“Che c’è, ti da fastidio se dico Yamatuccio??”

“Sì! Finiscila!”

“Altrimenti che mi fai?”

“Non provocarmi!”

“Non mi fai paura!”

“Nemmeno tu!”

Le due si erano ormai lanciate in un insolito battibecco, seguite ormai dall’intero 3 – A e D che si era voltato a fissarle incuriosito, compreso alcuni dei ragazzi dal campo di basket. Ma man mano che le due si gridavano contro le cose più assurde, Sora si rendeva conto di avere un mal di testa sempre più spiccato e di sentirsi quasi accaldata, in totale contraddizione con i brividi di freddo che di tanto in tanto le percorrevano la schiena.

“Sora? Tutto okay?”, anche la voce apprensiva di Hitomo le giunse come ovattata, mentre davanti a lei le immagini si facevano sempre più sfocate e confuse.

Takenouchi si portò istintivamente una mano alla testa, che aveva preso a pesare più del normale, come sbattuta.

Sora!!

Il gridolino che Hitomo lanciò fu l’ultima cosa che sentì, prima di sprofondare nell’oblio.

 

 

“Adesso la vostra compagna sta riposando, ma non dovete preoccuparvi. Ha solo un po’ d’influenza, basterà che starà per qualche giorno nel letto”

Una voce cordiale la ridestò lentamente dallo strano torpore in cui era caduta, invitandola ad aprire gli occhi e a tornare alla realtà. L’ultima cosa che ricordava era la voce di Hitomo, giù in cortile, mentre gridava il suo nome, per questo rimase piuttosto sorpresa di trovarsi in una camera spoglia ma accogliente, stesa in un letto e con un separé che oscurava le immagini delle tre figure dall’altra parte.

‘Dove sono?’, si chiese Sora mentre tentava di mettersi a sedere. Si sentiva piuttosto accaldata e aveva un forte mal di testa, ma questo non le impedì di alzarsi dal letto. Poggiò i piedi a terra, ma l’equilibrio le venne per un istante a mancare tanto che dovette aggrapparsi al mobiletto di legno lì accanto per non cadere. Ci mise un paio di secondi per ritrovare l’equilibrio e quando finalmente ci riuscì, si spostò lentamente verso l’uscita del separé. Rimase piuttosto stupita di vedere Taichi e Yamato parlare con l’infermiera della scuola.

“Sora!”, il primo a notarla fu proprio Taichi che, prontamente, la afferrò sottobraccio prima che lei cadesse a terra, avvinta dalla stanchezza. “Che ci fai in piedi?! Hai l’influenza, devi stare a letto!”

“Io…non riuscivo a capire dove mi trovavo”, spiegò con una voce che lei per prima faticava a riconoscere propria, mentre il brunetto l’aiutava a sedersi sul letto. “Cosa è successo?”, chiese poi, una volta che Taichi si fu allontanato di qualche passo.

“Sei svenuta, mia cara”, le rispose gentilmente l’infermiera. “Hai preso una brutta influenza”

Evidentemente, si disse pensierosa, la pioggia del giorno precedente stava dando i suoi frutti.

“Oh…beh, io ricordo che ero in cortile con Reika, Hitomo, Harumi e due…oh no!”

“Che c’è?”, chiese apprensivo Taichi, notandola farsi sempre più rossa.

“Niente è che…”, Sora abbassò il capo, incapace di continuare.

Si sentiva già piuttosto imbarazzata, perché indubbiamente doveva essere svenuta in cortile davanti a tutti facendo così la figura della scema, senza dover necessariamente far rivivere la scena.

“Dovresti tornare a casa, Sora”, intervenne nuovamente la giovane infermiera della scuola. “C’è nessuno che può venire a prenderti?”

Sora ci pensò su per qualche istante, prima di scuotere il capo. Sua madre, infatti, stava lavorando in quel momento e non le sembrava il caso di chiamarla per venire a prenderla a scuola.

“No, ma non è un problema. Posso tornare a casa anche da sola, senza che nessuno…”

“Non se ne parla, mia cara”, denegò subito l’infermiera, mettendola gentilmente a tacere. “Non ti lascio andar via da sola in queste condizioni, è troppo pericoloso”

Quindi si rivolse a Taichi e Yamato, che erano rimasti in silenzio fino a quel momento.

“Uno di voi due sarebbe così gentile da accompagnare Sora a casa, per favore?”, domandò cortese come sempre, ma non per questo Sora si sentì meno imbarazzata.

I due giovani si gettarono un’occhiata veloce poi Taichi, senza che Sora lo notasse troppo impegnata com’era a rimuginare sulla figuraccia che aveva fatto, annuì.

“Non c’è problema!”, rispose infine il brunetto, mentre l’altro si avvicinava alla ragazza. “Io purtroppo ho…sì, ho da fare, ecco, ma Yamato può benissimo riaccompagnare Sora a casa, non è vero?”

Il biondo si limitò a fare un cenno d’assenso col capo, mentre si chinava, dando la schiena, di fronte a Sora.

“Coraggio, salta su”, la incitò.

La ragazza avvampò seduta stante al pensiero di dover essere portata in braccio da Yamato e stava per opporre una fiera resistenza, se non avesse sentito le forze venirle meno e lo sguardo dell’infermiera inflessibile a tal proposito. Con un sospiro, e ringraziando in cuor suo di avere la febbre cosicché non doveva stare a giustificare l’acceso rossore che le dipingeva le gote, si chinò verso il ragazzo e si abbarbicò alla sua schiena. Quindi Yamato si alzò con facilità, quasi non sentisse affatto il dolce peso della ragazza, sostenendola saldamente alle gambe.

“Andate pure, ci penseremo noi con il preside”, li rassicurò l’infermiera mentre Taichi, senza essere notato da Sora, sorrideva sibillino all’amico, che in un istante si ritrovò ad arrossire e ad abbassare lo sguardo piccato.

Uscirono dall’infermeria in silenzio e in men che non si dica erano fuori scuola. Yamato la reggeva saldamente e Sora, nonostante l’imbarazzo che sentiva di provare misto al torpore da febbre, dovette ammettere di sentirsi stranamente protetta così, tra le sue braccia. Forse per questo, vincendo la sua proverbiale timidezza, si strinse un po’ di più alla sua magliettina sportiva bianca e appoggiò il capo caldo sulla spalla di lui, che tuttavia non disse nulla. Anzi, per un istante Sora poté giurare che Yamato aveva rinforzato ancor di più la presa attorno alle sue ginocchia, ma poi la stanchezza la avvinse e si abbandonò a essa.

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Capitolo 8
*** Chapter Eight ***


Good Boys
Chapter Eight
 
Nota dell’Autrice:
Ciao a tutti, sono Memi, l’autrice di questa fanfic. Prometto di non rubarvi molto tempo con questa nota, solo volevo fare dei ringraziamenti alquanto doverosi. Il primo di tutti va ovviamente a tutti quelli che hanno letto e continuano a leggere questa mia storia. Volevo creare un qualcosa d’originale, diverso dal solito e con una trama briosa, perciò…beh, potete osservare il risultato! Poi, mi sembrava opportuno rivolgere un ringraziamento particolare alle mie carissime amiche Sae, Sora89, Heather, Yuki, e alla simpaticissima Bea! Grazie davvero di cuore ragazze per il vostro sostegno!!
Bene, detto ciò, passo alla storia e all’ottavo capitolo. Ma mi raccomando di farmi sapere cosa ne pensate!!
Bacioni a tutti! J
 
***
 
‘Okay, posso farcela. Non è così difficile!’, Sora prese fiato un paio di volte, costringendosi ad essere normale. Ma era alquanto difficile fingere di non sentire il tumulto che le aleggiava nel cuore, o quel frenetico battito, o quella violenta sensazione d’imbarazzo. ‘No, così non va!’, si disse mentre per l’ennesima volta spostava il dito dal campanello, ‘se continuo ad indugiare non suonerò mai a questa maledetta porta!!’. Facendosi definitivamente coraggio, e dopo un lungo respiro, Sora allungò per l’ennesima volta il dito verso il campanello dell’appartamento B e, obbligandosi a non pensarci, suonò. Nello stesso istante in cui il campanello trillava, il suo cuore aumentò il proprio battito come impazzito e le sue guance si colorarono all’istante di un accesissimo bordeaux.
“Sì?”, la porta si aprì e Sora quasi non svenne quando notò…
“Taichi!!”, il suono del nome del brunetto arrivò quasi come un sospiro di sollievo.
“Beh, chi ti aspettavi?!”, alzò un sopracciglio il giovane Yagami, prima che un sorriso sibillino per nulla rassicurante gli increspasse le labbra. “Per caso…Yamato??”
Sora avvampò seduta stante a quella domanda, tanto che ormai il suo volto non si distingueva più dal vivace pullover rosso che aveva indossato; e Taichi non poté, proprio per questo motivo, che scoppiare a ridere vistosamente, mentre le sue teorie prendevano sempre più concretezza.
“Dai, entra!”, la incitò quindi, spostandosi dall’ingresso per permetterle di entrare.
Nonostante l’enorme imbarazzo che sentiva di provare, Sora annuì ed entrò all’interno dell’appartamento. Sembrava più incasinato del solito, fu la prima cosa che notò mentre attraversava il soggiorno, quasi vi fosse appena passato un uragano. Evidentemente Taichi e Yamato ne avevano approfittato durante la sua convalescenza, ne dedusse immediatamente.
“Piuttosto, come ti senti adesso?”, le domandò il brunetto, quasi non era andato a trovarla appena il giorno prima.
Ma Sora apprezzò moltissimo l’interesse tanto che, per la prima volta da quando aveva deciso di andare lì, le sorse spontaneo sorridere grata all’amico.
“Decisamente meglio, non c’è che dire!”
“Sono contento”, fece un cenno compiaciuto Taichi, mentre prendeva posto al tavolino di legno del soggiorno per portare avanti quel maledettissimo compito di matematica.
Quindi il brunetto sprofondò nuovamente nei compiti, concentrandosi a tal punto che per un istante sembrò quasi dimenticarsi della giovane. Dal canto suo Sora rimase per un istante immobile a chiedersi se fosse o no il caso di dargli una mano, quando proprio la voce del giovane Yagami scartò ogni suo dilemma.
“A proposito”, fece talmente all’improvviso che la ragazza si ritrovò a sobbalzare spaventata. “Se cerchi Yamato, lo trovi in camera sua”
Takenouchi, a quella affermazione, virò in tutte le tonalità del rosso e, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, si colorò di un acceso cremisi. Ma ciò nonostante non poté che annuire e, seppur ancora alquanto imbarazzata, si avvicinò alla porta che dava nella camera del biondo. Il cuore le balzò forte nel petto mentre bussava timidamente all’uscio, ma non ottenne nessuna risposta dall’interno. Allora gettò un’occhiata fugace a Taichi, come a voler chiedere aiuto, e il ragazzo le fece cenno di entrare ugualmente. Ubbidì.
Sora non era mai entrata nella camera di Yamato e forse per questo si sentiva ancor più agitata del normale. Fu come entrare in un altro mondo, rispetto al caos che regnava in soggiorno. Il letto, che spiccava per via di quel copriletto di uno sgargiante blu, non era disfatto come quello di Taichi, né sopra vi erano buttati alla cieca i vestiti. E la scrivania era ben visibile, a differenza di quella della camera del brunetto dove vi erano riposte sopra le più svariate delle cose. I libri trovavano tutti perfettamente posto nella libreria sistemata in un angolo e una pila di panni tutti diligentemente piegati erano poggiati su una sedia accanto al letto. E allora Sora si rese conto che davvero Taichi e Yamato erano di quanto più diverso potesse esserci.
Riscuotendosi dai suoi pensieri, e appurando l’assenza del biondo dalla stanza, la giovane Takenouchi si voltò per ritornare in soggiorno se, spostando lo sguardo, qualcosa poggiato sul comodino di fianco al letto non avesse attirato la sua attenzione. Si trattava del modellino in scala di un razzo, alto più o meno una quindicina di centimetri in tutto, di un lucente bianco. Esso sembrava quasi spiccare all’interno della stanza, perché, in effetti, era l’unico oggetto che non aveva nulla a che vedere con il resto dell’arredamento. Un pugno in un occhio, o forse un particolare pregevole, ma di certo si trattava di un oggetto capace di attirare. E forse per questo Sora, abbandonando per un istante l’idea di ritornare in soggiorno, vi si avvicinò e lo prese cautamente tra le mani. Osservandolo così da vicino poté notare la cura dei dettagli, la precisione dei particolari e il modo sublime con cui era stato mantenuto, tanto da sembrare nuovissimo.
“Che diavolo stai facendo?”
Fu come essere stati scoperti a rubare qualcosa. Sora sobbalzò talmente tanto per lo spavento di quella voce così incredibilmente burbera che il prezioso oggetto le cadde inavvertitamente da mano, infrangendosi contro il freddo pavimento quasi fosse stato un fragile cristallo. ‘Waaa…! L’ho rotto!!’, si portò immediatamente ambo le mani sulla bocca la fanciulla, spostando repentinamente lo sguardo da Yamato, duro e inflessibile accanto alla porta, al razzo ora in pezzi sul pavimento. Il cuore le batteva a mille e uno strano magone le bloccava lo stomaco, mentre sperava con tutta se stessa che il tempo tornasse indietro e che le ridesse così quel modellino di razzo ancora intatto. Ma, a suo malincuore, le lancette dell’orologio continuarono il loro calmo e irrefrenabile ticchettio, nonostante la terribile sensazione di gelo che era calata irresistibilmente nella stanza. A pezzi e maledettamente in colpa, Sora gettò un’occhiata fugace al biondo e solo in quel momento si accorse che quello nel frattempo si era spostato, seppur con movimenti estremamente lenti, dalla porta fino ad esserle praticamente accanto. E, come succedeva sempre ogni volta che Yamato era così vicino a lei, il suo cuore prese a battere più forte, ma stavolta era agitato come non mai per via dell’espressione dura e inflessibile apparsa sul volto di lui. Era serio, terribilmente serio. Anche più del solito. E certamente quella che si leggeva nei suoi occhi cerulei era durezza, una spietata fermezza che la faceva star male oltre ogni altra cosa.
“Io…mi dispiace, non volevo… Ero venuta per ringraziarti e… Non pensavo che…”, biascicò mortificata lei, rompendo finalmente il silenzio ma non il gelo. “Te lo aggiusto io, oppure te lo ricompro nuovo se…”
Ma Yamato, d’improvviso, si calò e, senza nemmeno degnarla di uno sguardo, iniziò a raccogliere i frammenti del razzo da terra. Fu peggio che ricevere una pugnalata. Quasi sperò che lui la sgridasse, perché quel silenzio ostinato e quella freddezza agghiacciante erano peggio di qualsiasi grido.
“Yamato…”, quasi lo supplicò Sora, mentre sentiva le lacrime farsi sempre più insistenti lungo gli spigoli dei suoi occhi cioccolato.
Il biondo, però, non disse nulla, quasi non l’avesse nemmeno udita. E forse fu proprio per questo, oltre che per quel violento senso di colpa che le stringeva saldamente lo stomaco, che Sora non riuscì più a resistere. Le lacrime vennero giù come un fiume in piena, mentre faceva qualche passo incerto indietro che l’avrebbe allontanata sempre più da lì, da lui, da quell’aria glaciale e da quella sensazione di disagio che sentiva di provare.
“Mi dispiace…”, mormorò solo tra le lacrime, trattenendo a stento un singulto.
Quindi si voltò e corse via, cercando frettolosamente di scivolare da tutta quell’insostenibile situazione. Imboccò l’ingresso mancando di scontrare per poco Taichi che, nel frattempo, si era avvicinato alla camera di Yamato per appurare cosa fosse accaduto.
“Sora…!”, la richiamò stordito il brunetto, seguendola con lo sguardo fino a quando non fu costretto a scontrarsi con la porta d’ingresso malamente richiusa.
Fu allora che, senza nemmeno rendersene conto, scattò. Una breve corsetta, la porta che si riapriva per poi tornare a sbattere sui cardini e la ferma stretta al braccio di lei. Sora si voltò meccanicamente, palesemente stupita di essere stata ostacolata da qualcuno.
“Tai…Taichi”, balbettò cercando disperatamente di trattenersi da un nuovo attacco di pianto.
“Sora, ma cosa…?”, fece stralunato lui, fissandola con quei grandi occhi scuri e chiedendosi cosa mai potesse essere successo per farla piangere in quel modo.
L’aveva vista entrare nella stanza di Yamato sotto sua indicazione, salvo poi accorgersi che il biondino non era affatto lì, e quando anche questo era entrato nella sua camera aveva sentito un rumore di cocci infranti. Colpito, Taichi era andato a verificare l’accaduto, ma quando era ormai sulla soglia della camera di Yamato, si era scontrato con una Sora in lacrime che aveva immediatamente seguito.
“Oh, Taichi!”, scoppiò infine in lacrime la ragazza, affondando d’istinto il capo sul petto aitante di Taichi che, seppur ancora frastornato, la strinse dolcemente a sé.
D’improvviso fu come se il forte turbamento di poco prima si fosse almeno in parte sedato. Sora si sentiva rassicurata, come cullata da braccia amiche, quasi…fraterne. Il pensiero la colpì, ma allo stesso tempo non poté che farle sorgere un sorriso dolcissimo sulle labbra. Taichi se ne accorse e la guardò stupito, ma per risposta non ricevette altro che uno sguardo ricolmo di gratitudine e d’affetto. Il peso al cuore nell’averla vista così disperata si allentò come d’incanto, mentre amabilmente allungava una mano verso le gote rosate fino ad accogliere sul proprio indice una di quelle piccole lacrime che ancora v’indugiavano.
“Ma che…”
Taichi e Sora si voltarono di scatto, sussultando quasi per lo spavento. Non si erano accorti di Yamato, in piedi sull’uscio con uno sguardo inaspettatamente frastornato. Il biondo li fissava ostinatamente e Sora si accorse di come quegli occhi oltremare ricadessero in particolar modo sulla mano di Taichi, che ancora le sfiorava il viso. Avvampò all’istante, abbassando timidamente lo sguardo per non dover incontrare quello sguardo indagatore, mentre nel contempo Taichi abbassava la mano.
“Non è come pensi, Yamato”, disse subito il brunetto, senza mai smettere di fissare l’amico che adesso lo guardava in una specie di assorto silenzio.
A quelle parole Sora arrossì ancora di più, se possibile, ma non si avventurò ad alzare lo sguardo. Il cuore le batteva fortissimo in petto, talmente tanto che si ritrovò a pregare di non essere udita. Adesso oltre che in colpa, si sentiva tremendamente in imbarazzo, e maledettamente stupida per via di quell’insensata voglia che aveva di spiegarsi, di far capire a Yamato che non era davvero come poteva pensare. Ma il fluire dei suoi pensieri ebbe vita breve, interrotto subitamente da una leggera folata di vento che la costrinse ad alzare lo sguardo.
Yamato aveva imboccato le scale a passo veloce e, con mani ben nascoste nelle tasche dei jeans, si avviava verso una meta sconosciuta persino a lui.
 
 
Taichi sapeva perfettamente dove andare a cercarlo. Lo sapeva perché era il posto in cui lui amava rifugiarsi, cullandosi nei suoi malinconici ricordi cadenzati dal cigolio ritmico dell’altalena.
Il parco era semivuoto, il che era più che legittimo considerata l’ora tarda. Le dieci meno un quarto o quasi.
Yamato era ovviamente seduto sulla sua preziosa altalena, con le gambe ben salde a terra per dondolarsi lentamente ora avanti ora indietro.
Senza una parola e senza attendere cenno alcuno, il brunetto si auto-invitò a sedersi sull’altalena di fianco, rimanendo poi per un istante in silenzio ad ascoltare il suono ridonante dei cardini arrugginiti del dondolo su cui era seduto il suo amico. Lui, invece, rimase ostinatamente fermo a vagliare tutte le possibilità per iniziare quel nuovo e difficile discorso. Alla fine però decise di non crogiolarsi troppo in simili pensieri e di andare direttamente al punto della questione.
“Sora era preoccupata per te”, dichiarò lacerando il silenzio quasi irreale del luogo.
A quelle parole Yamato diede finalmente segno di averlo notato e, smettendo di dondolarsi, si voltò addirittura a fissarlo. Adesso erano occhi negli occhi, blu nel marrone.
“Quindi?”, chiese infine duro, come se la cosa gli scivolasse sulle spalle senza nemmeno toccarlo.
In realtà le parole di Taichi lo avevano scosso molto più di quello, o altrimenti non avrebbe trascorso nemmeno un minuto, figurarsi un pomeriggio intero, da solo in giro alla deriva per le strade di un’affollatissima Tokyo soltanto per tentare di non pensare.
“Smettila di fare l’idiota!”, lo apostrofò in risposta Taichi, incapace di contenere oltre il suo furore.
Lui non era come Yamato, ciò che provava proprio non riusciva a celarlo come invece era perfettamente in grado di fare il biondo sotto lo spesso muro azzurro che erano i suoi occhi.
“Non ti riguarda”, ribatté con voce aspra proprio il giovane Ispida, nascondendo tuttavia l’ondata d’irritazione che andava sempre più salendo e aumentando in lui.
“Invece sì, perché Sora è una mia amica e non mi va che debba piangere per colpa di un insensibile come te!”, si alzò di scatto in piedi l’altro, pronto ad avventarsi sulla prima cosa che gli capitava a tiro.
Ormai ci vedeva rosso, era sul punto di scoppiare. Era inutile, la profonda indifferenza che l’amico si ostinava a mostrare proprio non gli andava giù. Come quando erano bambini e litigavano per un nonnulla. Yamato era sempre così freddo, e lui sempre così arrabbiato per quel suo distacco invidiabile.
“Tanto ci sarai sempre tu a consolarla, no?”, anche il biondo si era alzato, pronto a fronteggiarlo con la sue espressione di ghiaccio macchiata soltanto da una velata ironia.
“Non è come pensi”, lo fissò serio Taichi, stringendo le mani a pugno per lottare contro la tentazione di prendere a pugni quella faccia di bronzo.
“Io invece credo proprio di sì”, lo sfidò ciò nonostante Yamato, quasi cercando invece il confronto che sapeva sarebbe scaturito continuansi su quella linea.
Si conoscevano da così tanto tempo che ormai avevano imparato i punti deboli l’uno dell’altro e li utilizzavano, senza remore, come arma nel momento del bisogno.
“Sei libero di credere quello che vuoi, allora!”
“Infatti”, scoccò la lingua sotto al palato il biondo, ben sapendo che quel gesto l’avrebbe mandato su tutte le furie.
Taichi, infatti, non ci vide più e, come un toro che carica per poi avventarsi sul torero, si buttò addosso al ragazzo colpendolo con uno dei suoi allenati pugni. Il colpo andò a segno, provocando immediate fitte di dolore che andavano dallo zigomo colpito a tutto il corpo quasi vibrante sotto l’incontenibile furore che l’aveva travolto. Il giovane Yagami era l’unico che riusciva a fargli perdere la testa e il solito selfcontrol a quel modo. L’unico che l’aveva mai visto arrabbiato, o triste, o in lacrime. L’unico a cui Yamato mostrava la sua debolezza. Come in quel momento in cui la maschera dell’indifferenza era crollata per lasciare il posto ad una rabbia accecante che lo portò a restituire il colpo subito. Il pugno arrivò dritto e poderoso al volto di Taichi, spaccandogli il labbro inferiore in un brivido di dolore.
Per tutta risposta il brunetto alzò lo sguardo per fissarlo in quello dell’avversario e studiare la sua eventuale prossima mossa. Ma adesso erano pari, Yamato non lo avrebbe attaccato di nuovo se prima non lo avesse fatto lui e Taichi non ne aveva la benché minima intenzione. Ormai si erano sfogati, era inutile continuare a darsele di santa ragione.
Quasi in contemporanea, i due rilassarono i muscoli tenuti in tensione e si fissarono di nuovo in silenzio per un tempo tanto infinito quanto in realtà breve, prima che un sorriso complice andasse ad increspare le loro labbra.
“Ti hanno mai detto che sei uno stupido, Ishida?”, lo schernì Taichi mentre con un polso si asciugava il sangue rattrappitosi sul labbro.
“E a te hanno mai detto che sei un idiota, Yagami?”, ribatté sulla stessa linea Yamato, tuffando nel contempo le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Più o meno tutte le volte che lo hanno detto a te”, scrollò le spalle l’altro con nonchalance, prima di avvicinarsi e buttargli un braccio attorno alle spalle. “Coraggio, amico, torniamo a casa”
Quindi, senza il bisogno di dover dire altro, i due ragazzi si avviarono a braccetto verso l’appartamento che condividevano.
 
 
La porta d’ingresso si aprì dolcemente, per poi richiudersi appena qualche istante dopo. Un rumore di passi e finalmente sulla soglia dell’ingresso apparve la chioma nocciola della ragazza appena entrata.
“Mimi, tesoro, sei tornata”, la accolse calorosamente la donna dall’aria stravagante seduta sulla poltrona.
“Com’è andata a scuola?”, le chiese l’uomo affianco, sorridendo cordiale alla figlia.
“Uhm…al solito!”, rispose vagamente annoiata la giovane, prendendo posto nella poltroncina libera. “Voi invece cosa avete fatto?”
“Tuo padre è andato all’agenzia viaggi stamattina!”, l’affermazione della donna, Nanami Tachikawa, colpì la giovane Mimi.
“E…come mai?”, chiese infatti la ragazza, guardando i genitori con espressione perplessa.
“Vuoi dirglielo tu, caro?”, per tutta risposta la signora Tachikawa si voltò verso il marito, che annuì.
“Ricordi cosa ci hai chiesto qualche tempo fa?”, chiese, alla figlia, Akahito.
“Beh, sì. Vi chiesi se potevo andare da Sora a Tokyo per le feste di Natale”, rispose ancora confusa Mimi.
“E ricordi cosa ti rispondemmo?”, insistette il padre.
La ragazza annuì. “Che non sapevate se era possibile”
“Esatto…”, mormorò solo con un sorriso sibillino Akahito, lasciando che fosse la figlia ad intuire il resto.
Mimi ci pensò su per qualche istante, prima che gli occhi nocciola s’illuminassero a seguito di un raggiante sorriso apparso sul suo volto dalle fattezze aggraziate.
“Ma questo…questo vuol dire che…”, li fissò stralunata, troppo incredula per capire se fosse davvero la realtà.
Fu la signora Tachikawa alla fine a terminare la frase per lei.
“Io e tuo padre abbiamo deciso che puoi andarci, cara”
“E nel frattempo, noi abbiamo trascorreremo una piccola vacanza alle Hawaii!”
Mimi ardeva di gioia.
“Questo è… È fantastico!!”, esplose infine, alzandosi dalla poltroncina e tuffandosi letteralmente sui suoi genitori.
“Calma, calma figliola!”, sorrise orgoglioso il signor Akahito.
“Grazie, grazie, grazie!!”, fece per risposta Mimi. “Corro subito a dirlo a Sora!!”
Scattò in piedi e si diresse spedita verso il telefono, salvo poi fermarsi per accertarsi dell’ora.
“Oh no! Sora a quest’ora sta dormendo!!”, si lamentò, sbuffando poco aggraziatamente e rituffandosi nella poltrona (allora, se non ho fatto male i calcoli – e spero di no! – tra Tokyo e New York dovrebbe esserci un fuso orario di circa 12 ore. Per cui ammettendo che da Mimi sia tardo pomeriggio, da Sora dovrebbe essere mattina presto NdA).
 

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Capitolo 9
*** Chapter Nine ***


Good Boys
Chapter Nine
 
“Argh! Che sonno…”, Aki si stiracchiò svogliatamente sulla sedia, mentre il professore di matematica si affaccendava a cercare qualcosa sul suo vecchio libro.
Accanto a lui Taichi sembrava stranamente spento, quasi preoccupato. Da quando era entrato in classe il suo sguardo non faceva che spostarsi in continuazione verso la fila alla sua sinistra, due banchi più avanti, al posto che rimaneva ostinatamente vuoto. Qualche volta si ritrovò persino a chiedersi se per caso a Sora non fosse venuta una ricaduta, ma poi scartò il pensiero della febbre ricordandosi che quando quella mattina era passato come sempre a chiamarla – anche se stavolta c’era andato da solo perché ‘quello stupido di Yamato’ era andato via senza nemmeno salutarlo – sua madre gli aveva detto che era già uscita. Sì, ma allora dov’era? Possibile che avesse deciso di saltare le lezioni per…per cosa, poi?
“Ehi, Taichi”
Il brunetto, sentendosi chiamare, alzò lo sguardo per incrociare gli occhi vispi di Reika.
“Sì?”
“Sai dov’è Sora?”, gli chiese con una nota d’apprensione nella voce. “Non è da lei arrivare in ritardo”
Mentre la moretta parlava, Taichi notò che anche Hitomo si era voltata verso di lui per ascoltare la risposta. Ma, per loro sfortuna, nemmeno il giovane Yagami conosceva la soluzione all’enigma che li stava impensierendo.
“No, mi dispiace”, scosse il capo. “Quando sono passato a chiamarla, sua madre mi ha detto che era già uscita”
“Questo è strano”, mormorò soprappensiero Hitomo.
Affianco a lei Reika stava per dire qualcosa, se non fosse intervenuto il rumore scattante della porta scorrere seguito a ruota da una vocina spossata e ansimante.
“Mi scusi per il ritardo, professore”, ansò Sora Takenouchi, reggendosi con aria stanca alla porta.
L’uomo, seduto al suo posto dietro la cattedra, si voltò vagamente incuriosito verso di lei. Era forse la prima volta che Sora faceva ritardo a scuola e la cosa, come palesemente lasciava intendere, aveva stupito persino il professore. Ma l’attimo d’incredulità scomparve dal volto dell’uomo appena poco dopo, soppiantato da un accennato ma caldo sorriso.
“Non si preoccupi, Takenouchi. Piuttosto prenda posto che la lezione di matematica sta per iniziare”
Sora annuì e, ricambiando al sorriso, andò ad accomodarsi al suo posto dove fu immediatamente assalita dalle domande e dagli sguardi degli amici.
“Sora!”, esclamò stupita Hitomo.
“Si può sapere che fine avevi fatto??”, chiese invece, senza tanti giri di parola, Reika.
La ragazza stava per risponderle, ma la voce di Taichi che la richiamava da poco più dietro la costrinse a voltarsi.
“Ehi, Sora! Sono passato a chiamarti stamattina, ma non c’eri”, la informò.
“Oh, sì, scusami se non ti ho aspettato”, mormorò come risposta Sora, mentre un lieve rossore iniziava ad imporporarle le gote.
Nel secondo che ne seguì, la giovane si ritrovò a pregare ardentemente che il ragazzo non insistesse oltre su quella via perché davvero non avrebbe saputo cosa rispondergli altrimenti. Ma per sua fortuna e con suo enorme sollievo, Taichi non indagò oltre accettando quella semplice risposta. Allora Sora stava per chiedergli a sua volta qualcosa dopo aver notato il labbro rotto ostentato dal giovane, ma fu interrotta proprio nel momento in cui fece per aprir bocca.
“Piuttosto”, s’intromise nuovamente Reika. “Come mai sei arrivata tardi?”, la guardò inquisitoria.
“Ecco, io… A dire il vero…”, Sora era arrossita paurosamente a quella domanda.
Ancora una volta, nel giro di pochi istanti, si ritrovò a sperare che succedesse qualcosa per non rispondere a quella domanda. Non riusciva a rispondere senza sentirsi dannatamente in imbarazzo, era inutile. E questo non faceva che farla sentire ancora più stupida, perché…che motivo aveva di imbarazzarsi a quel modo? A meno che… Il suo cuore fremette mentre, senza quasi rendersene conto, si ritrovò a fissare dall’altra parte, dalla finestra, verso la classe dirimpetto alla loro e in particolare verso il biondino dall’aria molto seria seduto ad uno dei banchi nella fila proprio accanto alla vetrata. ‘Possibile che…?’, si chiese senza riuscire a distogliere lo sguardo e nonostante l’acceso rossore che adesso le bruciava le guance. Ma poi si costrinse a voltarsi e a scuotere il capo, perché un pensiero del genere era di quanto più assurdo potesse esserci. Sì, era notevolmente sciocco e impossibile ciò che aveva, anche solo per un istante, pensato.
“Ehi, Sora? Ci sei?”, la mano di Reika che sventolava davanti ai suoi occhi la riportò bruscamente alla realtà e alla sensazione di disagio di appena poco prima dettata appunto dalla domanda dell’amica.
“Sì, io…”
“Dai, Reika, smettila di insistere”, con suo sommo piacere, a venirle incontro ci pensò come sempre la calma e riflessiva Hitomo. “Se Sora ha fatto tardi avrà le sue buone ragioni. E poi è successo solo questa mattina, non è il caso di farne un dramma!”
Sebbene ancora vistosamente scettica, Reika si lasciò convincere dalla biondina e abbandonò finalmente ogni proposito di indagare sulla faccenda. Anche perché, come notò subito dopo, il professore si era finalmente deciso ad iniziare con la lezione.
 
 
Il suono acuto della campanella, che segnava l’inizio della pausa pranzo e la breve sospensione delle lezioni, fu accompagnato come sempre da un’orda affamata di studenti che si andavano ad accalcare soprattutto nel cortile.
“Taichi!”
Yagami sussultò dalla sedia nel sentire il proprio nome così energicamente pronunciato, ampliato dal tonante schiocco di una mano che sbatteva vivacemente sul banco.
“Sora, mi hai fatto spaventare!”, si lamentò, stupito dallo scatto improvviso della ragazza.
Ma la fanciulla quasi non gli diede peso, mentre continuava a guardarlo fisso negli occhi con un’insolita espressione grave. D’altro canto aveva atteso tutta la mattina per potergli parlare e adesso che poteva finalmente farlo, non si sarebbe tirata indietro.
“Taichi, per quale motivo hai il labbro rotto??”, chiese con tono che non ammetteva repliche.
Lo sguardo di Sora era un misto di furore, preoccupazione e imbarazzo allo stesso tempo, tanto che in un altro momento sarebbe risultato quasi comico. Ma non in quel frangente e non con tutta quella pesante sensazione d’esasperazione che gli gravava addosso come un macigno.
“Vuoi saperlo davvero?”, la reazione di Taichi si rivelò essere ancor più insolita del comportamento di Sora.
Il giovane Yagami osservava quelle pozze nocciola con sguardo terribilmente serio, del tutto dissimile rispetto all’aria briosa che normalmente gli rallegrava il volto. Sotto quegli occhi inquisitori, Sora vacillò per qualche istante prima di prendere nuovamente in mano la situazione e annuire.
“Sì… Sì, certo che voglio saperlo”
Voleva saperlo, eccome se voleva. Non era normale svegliarsi e trovarsi col labbro rotto, non dopo quello che era successo il giorno prima… A ripensarci si sentiva ancora tremendamente imbarazzata per l’assurdo modo in cui Yamato aveva visto lei e Taichi, ma non poteva credere che una sciocchezza del genere potesse essere la causa di quell’ematoma. ‘Che abbia litigato con Yamato?’, non poté fare a meno di chiedersi per la prima volta. Sì, si disse, probabilmente era davvero così, ma…perché? Che motivo avevano avuto di litigare? Era impensabile che Yamato si fosse arrabbiato per aver visto Taichi mentre la rassicurava…! Anche perché…che ragione ne avrebbe avuto Yamato di sentirsi offeso? ‘Beh, qualunque ne sia la ragione, so per certo che non sono io’, si disse tra sé e sé Sora, abbassando spontaneamente il capo e lasciandosi sfuggire un sospiro carico di un’amarezza che lei per prima faticava a spiegare. Era certa, infatti, che Yamato non la trovasse particolarmente simpatica, a giudicare da come lui non si stancava mai di prenderla in giro. Senza contare che gli aveva fatto a pezzi un oggetto per lui chiaramente importante. E se anche gli era simpatica, sicuramente non nutriva per lei un affetto tanto forte da litigare con probabilmente uno dei suoi più cari amici per lei. Anzi.
“Allora vieni!”, senza aggiungere altro e senza indugiare, Taichi si alzò dalla sedia e dopo averla agguantata per un braccio la trascinò letteralmente fuori dell’aula, lungo il corridoio. Non si fermò neanche al richiamo indistinto di Reika e Hitomo che per questo, e stimolate da una certa curiosità, li seguirono nel loro tragitto.
“Taichi, dove mi stai portando?”, domandò vagamente inquieta Sora, prima di rivolgere un’occhiata comprensiva alle due amiche che li seguivano di pari passo.
Tuttavia non ci fu bisogno che il brunetto le rispondesse. Con una mano, infatti, spalancò la porta verdognola e subito un’ondata di luce li investì. Solo quando i suoi occhi si furono abituati a quel cambio di luminosità improvviso e finalmente poté riaprirli, Sora si accorse che Taichi l’aveva portata sul tetto della scuola dove l’enorme solarium faceva ampiamente bella mostra di sé. ‘Ma… Che significa?’, si domandò attonita la giovane Takenouchi, non riuscendo proprio a capire il motivo per cui il ragazzo l’aveva portata sin lì. Ancora una volta tuttavia fu la realtà dei fatti a risponderle.
“Yamato?!”, domandò quasi a se stessa Sora, ma il suo mormorio venne udito non solo da lei.
Ishida si voltò di scatto, mostrando un’espressione vagamente stupita che mutò subitamente per lasciare il posto alla solita impenetrabilità.
“Coraggio, Sora”, a lacerare lo strano silenzio creatosi ci pensò Taichi. “Chiedigli quello che hai domandato a me”
Sora non ne capì il motivo dapprincipio, ma fece lo stesso quanto le era stato richiesto. Anche perché, adesso che ci faceva caso, poteva benissimo notare la macchia violacea sullo zigomo del giovane.
“Io volevo sapere il motivo per cui…”, alzò lo sguardo e lo puntò in quelle pozze cerulee di fronte a lei. “Perché avete quei lividi, oggi?”
La sua voce era ferma, in totale opposizione con la girandola d’emozioni che le vorticava nel cuore.
Dal canto suo Yamato fissava lei e Taichi con uno sguardo estremamente intenso e, in particolare, i suoi occhi puntavano alla salda presa del brunetto ancora sul braccio di lei. Taichi se ne accorse, ma non lasciò la presa. Questo bastò a Yamato per fargli capire le intenzioni dell’amico.
“Io e Taichi abbiamo litigato”, rispose infine il biondino, rivelando un invidiabile autocontrollo.
La prima reazione di Sora fu quella di una certa soddisfazione per aver saputo la risposta e per avervi indovinato. Poi però si rese conto di non sapere ancora una cosa fondamentale.
“Ma… Perché?”, chiese ingenuamente e con sguardo palesemente stupito.
Reika e Hitomo, che ascoltavano la conversazione da poco lontano, guardarono istintivamente verso l’aitante biondino, mentre una strana consapevolezza si faceva man mano largo in loro. Anche Taichi fissava l’amico in silenzio, senza demordere, convinto che solo mettendolo alle strette poteva potevano risolvere quella situazione.
“Per te”
La risposta di Yamato, che arrivò decisa e sincera, andò a confermare le teorie ormai già ripetutamente verificate del giovane Yagami. E, allo stesso tempo, andò ad ingarbugliare ancor di più il vortice d’emozioni nel cuore di Sora, che adesso fissava il biondo con occhi strabuzzati.
“Avanti Yamato, dille la verità”, lo incoraggiò Taichi, lasciando finalmente la presa attorno al braccio della ragazza.
Ishida fissò l’amico dritto negli occhi, quindi si voltò nuovamente verso la giovane che nel frattempo non poteva fare a meno di chiedersi di quale verità stavano parlando. La risposta alla sua muta domanda non tardò, tuttavia, ad arrivare.
“Tu mi piaci, Sora”
La frase del giovane Ishida colpì appieno i presenti, giungendo inaspettata e improvvisa come non mai. Reika e Hitomo erano rimaste senza parole e lo stesso Taichi, sebbene avesse compreso tutto da tempo, si ritrovò a stupirsi nel sentirlo dire così apertamente, per la prima volta, da Yamato.
Il cuore di Sora, a quelle parole, fece una capriola, e non solo perché quella era probabilmente la prima volta che Yamato la chiamava per nome. Lui…Yamato le aveva appena confessato di piacergli!
Ancora stordita per l’inattesa e per l’intensità della notizia, la fanciulla puntò gli occhi nuovamente in quelli del biondo, alla ricerca di una qualche motivazione che potesse giustificare quella sua affermazione. Ma per tutta risposta Yamato scrollò appena le spalle, come a voler dire che, sebbene non sapesse a sua volta come, era così, era successo, e non poteva farci niente.
“Visto che non è stato tanto difficile ammetterlo?!”, a fugare quell’imbarazzante silenzio creatosi ci pensò la voce, divenuta d’improvviso nuovamente cordiale, di Taichi. “Evidentemente il mio destro è stato efficace”
“Pfui! Figurati…”
“Adesso dici così, ma stanotte ti ho sentito mentre ti lamentavi per il dolore!”, lo schernì divertito il brunetto, ricevendo per questo un’occhiata interrogativa da parte dell’altro.
Mentre i due amici parlavano tra loro, Sora era diventata completamente paonazza. Non sapeva più che fare, che dire, come muoversi… Le sembrava tutto così dannatamente assurdo!! Come era possibile? E come doveva comportarsi ora? Non lo sapeva e forse Yamato se n’era accorto perché, dopo aver spostato per qualche istante lo sguardo ancora su di lei, ritornò a fissare il brunetto.
“Torniamo in classe, Taichi”, gli intimò con cadenza decisa ma allo stesso tempo quasi dolce, del tutto insolita per lui e forse per questo ancor più incisiva.
Ma Sora capì subito la complessità di parole che si celava dietro quella semplice frase. Yamato le stava dando del tempo per realizzare, per capire e, infine, per decidere.
“Sì!”, intuì al volo anche Yagami che, con un sorriso radioso, passò un braccio attorno alle spalle dell’amico e lo accompagnò via dal tetto, verso l’interno dell’istituto scolastico.
Sora si voltò solo l’istante prima che i due amici scomparissero nei meandri dell’edificio, ancora spossata e incredula. ‘Allora, dopotutto, non gli sono antipatica…’, fu il suo unico, sciocco pensiero mentre la chioma dorata di Yamato e quella castana di Taichi si sottraevano alla vista dei suoi occhi. Fu Hitomo, alla fine, a ridurre in frantumi il velo di silenzio sceso ancora una volta.
“Sora… Stai bene?”
Takenouchi si voltò quasi con difficoltà verso le due amiche, che adesso la fissavano apprensive.
“Sì, ma… Non capisco come… Io non so cosa fare per…adesso che…”, bofonchiò senza riuscire realmente ad esprimere quello che stava provando.
Fu solo grazie all’intervento di Reika che il tumulto del suo cuore riuscì in qualche modo a mitigarsi.
“Non preoccuparti, lo capirai presto”, la rassicurò, facendo qualche passo verso di lei e poggiandole dolcemente una mano su una spalla. “E poi hai noi, no?”
Reika le rivolse uno di quei sorrisi raggianti e confortanti che solo lei sapeva fare, al quale Sora non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Ma il buonumore le scomparve dal volto quando si ricordò di un particolare.
“Reika, ma tu… Tu non eri…”, farfugliò impacciata e ansiosa allo stesso tempo.
“Beh, ho sempre detto che mi piaceva Yamato, questo è vero”, intuì al volo la domanda dell’amica. “Ma non ho mai pensato seriamente a lui in quel senso. Voglio dire…se era così, ti pare che non mi sarei data subito da fare invece che farmelo scappare?”
La moretta le fece l’occhiolino in segno d’intesa e Sora capì che stava dicendo la verità. Sorrise.
“Grazie, ragazze”
Hitomo si fece avanti. “Non devi ringraziarci, Sora”
“Noi siamo amiche”, le ricordò Reika.
“Sì!”
 

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Capitolo 10
*** Chapter Ten ***


Good Boys
Chapter Ten
 
Sora sospirò. La scatolina appoggiata sulla sua scrivania e perfettamente incartata in un involucro di un indefinito azzurro, sembrava volesse quasi sfidarla. Eccola, la motivazione del suo ritardo di quella mattina. Giaceva lì, immobile, inanimata, eppure tremendamente partecipe, una presenza costante e che mai più di quel momento quasi fastidiosa. Perché…con che coraggio l’avrebbe data al suo legittimo destinatario? Con che faccia sarebbe andata, dopo quello che il ricevente le aveva appena poche ore prima detto?
Si sedette stancamente sul letto, sentendosi spossata quasi avesse giocato tre partite complete di tennis di fila. ‘Che devo fare?’, si domandò per l’ennesima volta, mentre le parole schiette ma incisive di un certo biondino le riattraversavano la mente, provocandole nel contempo un acceso rossore sulle gote e un pallido bagliore negli occhi. Per fortuna quel pomeriggio Reika e Hitomo l’avevano trascinata via con la scusa di dover andare in centro, altrimenti non osava immaginare come sarebbe stato percorrere la strada del ritorno con Taichi e Yamato…!
‘Già, Yamato…’, arrossì violentemente al solo pensarlo. Si sentiva una stupida totale in quel momento. Il fatto era che la sua dichiarazione l’aveva totalmente spiazzata, al punto da alienarla dal mondo, e allo stesso tempo l’aveva piacevolmente toccata, perché aveva capito che lui teneva a lei molto più di quanto in realtà dimostrasse. ‘Argh, che devo fare?’, si chiese per l’ennesima volta, inabissandosi con la schiena nel morbido materasso del letto.
Sarebbe rimasta così, persa nei suoi pensieri ancora a lungo se non fosse intervenuta la voce di Suzuki a fugare quei frenetici pensieri.
“Sora, c’è Mimi a telefono!”, la avvertì la madre dall’altra stanza.
Sora sobbalzò, scattando in piedi come una furia e precipitandosi al telefono.
“Pronto?”, fece, prendendo il cordless dalle mani della madre e ritornando a rifugiarsi nella sua camera.
Sora!!”, la voce inconfondibile dell’amica la accolse calorosamente dall’altro capo del mondo.
Takenouchi si lasciò sfuggire una risata cristallina. Ecco di cosa aveva bisogno: una bella chiacchierata con quella pazza scatenata che era la sua migliore amica!
“Sono contenta di sentire che non sei cambiata, Mimi!”, esclamò felice come non mai e contenta di avere almeno quella certezza, visto l’esito delle altre.
“Eh, che vuoi farci! Le belle abitudini sono dure a morire!!”, ironizzò con fare saccente Mimi, prima di scoppiare in una genuina risata immediatamente accompagnata dall’amica.
Risero ancora qualche istante, prima che ritornassero nuovamente serie. Sora si accomodò sul suo letto.
“Piuttosto, sai a che ora mi sono dovuta svegliare per poterti parlare?!”, disse Tachikawa lacerando il silenzio.
“A che ora?”
“Alle sei e mezzo del mattino!!”
“Cosa? Sono le sei e mezzo lì?”, chiese Sora allibita.
Ma poi controllò l’orologio. Erano le sei e mezza del pomeriggio, quindi era normale che con dodici ore di fuso orario dall’altro capo fosse ancora mattina. Solo che…era strana la cosa e lei a tratti stentava addirittura a crederci!
“Esatto!”, confermò con finta esasperazione Mimi. “Ma d’altra parte, la notizia che ho da darti richiede questi e ben altri sacrifici fisici!”
“Di che notizia stai parlando?”, s’incuriosì immediatamente l’altra.
“Tieniti forte amica mia che ne resterai sconvolta: tornerò a Tokyo per le vacanze natalizie!!”, lo disse tutto di un fiato e quasi gridando, tanto che Sora impiegò diversi secondi prima di riuscire a capire cosa avesse detto.
Cosa?!”, proruppe infine, quando registrò e realizzò le parole dell’amica.
Le sembrava incredibile, un sogno…non vedeva l’ora di rivedere Mimi…!!
“Che acuto…per poco non mi rompevi un timpano!”, si lamentò scherzosamente la giovane Tachikawa dall’altro lato. “Ma questo mi fa pensare che ti fa piacere riavermi lì…”
“Certo che mi fa piacere!!”, esclamò immediatamente Sora. “Stai scherzando? Non vedo l’ora di riabbracciarti! A proposito: quando arriverai?”
“Parto il ventisei dicembre alle sette e quarantacinque di mattina dall’aeroporto John F. Kennedy per arrivare all’aeroporto di Narita di Tokyo alle due e venticinque del giorno dopo!!”, rispose con una lieve nota di spossatezza Mimi, ma non si lasciò avvincere dalla prospettiva del lungo viaggio, perché quello che contava era ritornare in Giappone, a Tokyo, da Sora.
“Accidenti quanto tempo… E poi quando andrai via?”
“Parto l’undici da Narita alle sette di sera, per giungere qua a New York alle dieci e mezza della stessa sera (dovrebbero essere le ore effettive, visto che ho cercato un po’ su internet, tanto per essere più coerente con la realtà! NdA). Questo fuso orario mi sta scervellando!”
“A chi lo dici…!”
“Però alla fine ci rivedremo, no? E sarà anche meglio, visto che staremo ventiquattro ore su ventiquattro, per due settimane, insieme!!”
“Ben detto!!”, approvò anche Sora.
“Ma ora, cambiando discorso, dimmi: come va con Taichi e Yamato?”, volle infine informarsi Mimi, a cui la questione premeva in particolar modo.
Sora sentì il proprio cuore fremere, mentre man mano le sue guance si accendevano di rosso.
“Beh, ecco…è successo che…”, trasse un profondo respiro prima di confidare tutto all’amica in un solo battito di respiro. “Yamato mi ha detto che gli piaccio!!”
Fu il turno di Mimi a rimanere in silenzio per il tempo di realizzare quanto appena detto dall’amica.
Che?! Dici sul serio??”, gridò dall’altro capo del telefono, a tal punto che ricevette una sonora sgridata dalla madre perché se continuava così rischiava di svegliare tutto il vicinato!
“Io… Sì”, ammise impacciata e imbarazzata Sora, virando in tutte le tonalità del rosso fino ad un accentuato cremisi.
“Ma come…quando…perché?”, chiese incredula Mimi, ma non per questo infelice, anzi.
“Oggi nella pausa pranzo. È stato Taichi a portarmi da lui sul terrazzino della scuola, dopo che io gli ho chiesto perché avesse il labbro rotto”
“E cos’era stato?”
“Beh…loro due avevano litigato. E Yamato mi ha detto che era…era per me”, mormorò in un sussurro, sentendosi imbarazzata come non mai.
Il solo ripensarci la faceva sentire tremendamente in impaccio e le faceva venire la tachicardia, mentre le gambe tremavano come gelatina e lo stomaco le si stringeva fino quasi a farle male.
“Wow!”, sospirò una trasognata Mimi, immaginando come poteva essere stata la scena. “E poi? Cosa è successo dopo??”
“Dopo Taichi lo ha incitato a dirmi la verità e Yamato…lui…lui ha detto che gli piacevo”
“Ma è…questo è fantastico, Sora!!”, esplose di gioia la giovane Tachikawa, felice come non mai per l’amica.
“Sì, però io… Io pensavo che lui mi odiasse”, confessò per la prima volta Sora, lasciandosi sfuggire un sospiro misto ad amarezza.
“Odiarti?!”, ripeté d’altro canto Mimi, senza capire cosa intendesse dire.
“Beh, per il modo in cui mi prende in giro… E poi ha così tante ragazze che gli vanno dietro…perché proprio io?”
“Ma scusa, non sei contenta?”, le domandò genuinamente l’altra, ma non attese risposta. “In ogni caso non lo sai che chi disprezza compra?! E poi, Sora, tu sei una ragazza speciale, quasi unica! Non hai davvero nulla da invidiare alle altre, e questo Yamato sembra averlo capito, no?”
“Però…”, tentennò ancora Sora.
Lei non si vedeva così speciale. Non era bella come la maggior parte delle ragazze che girava attorno a Yamato, né possedeva un’eccellente intelligenza… Insomma, era una ragazza normale. Che poteva trovarci in una come lei un tipo come Yamato?  No, non c’era alcun motivo che giustificava tutto ciò.
“Ma perché non provi ad avere un po’ più di fiducia in te stessa?!”, s’inalberò Tachikawa dall’altro capo del telefono. “Tu sei la persona più brava, più dolce e più stupida che abbia mai conosciuto! Perché ti ostini a sottovalutarti? Non capisci che sei la ragazza ideale per un qualunque ragazzo?! Quindi adesso sorridi e niente più attacchi di disistima, intese?”
A quelle parole, Sora non poté fare a meno di sorridere.
“Intese!”, capitolò infine, con il cuore più leggero.
“Bene, così si fa!”
Scoppiarono ancora una volta in un’allegra risata, interrotta solo poco dopo dalle parole pronunciate con calma e cariche d’affetto di Sora.
“Mimi?”
“Sì?”
“Grazie”
L’altra sorrise, sentendo il cuore pieno di gioia. “Ti voglio bene, Sora”
“Ti voglio bene anch’io, Mimi”
 
 
“Grazie e arrivederci”
La porta in vetri del supermarket si aprì e ne fece capolino la figura di Sora. Reggeva tra le mani la busta della spesa appena fatta e intanto si guardava attorno stupita di scoprire che era già calata la sera. Nel cielo notturno di una luminosa Tokyo, infatti, brillavano prorompenti le stelle accompagnate da una splendida luna piena. Quando lei era uscita di casa era ancora il tramonto e il sole ancora tardava a scomparire dietro le alture d’occidente.
“Sora?!”
La ragazza sussultò appena nel sentirsi chiamare. Si voltò verso il punto d’origine della voce che l’aveva interpellata e arrossì violentemente quando incrociò le due pozze blu di Yamato. Ma non era stato lui a chiamarla.
“Che ci fai in giro da sola a quest’ora?”, le chiese infatti Taichi, spostandosi di qualche passo in avanti.
Di tutte le persone che avrebbe potuto incontrare, Sora aveva scontrato proprio loro. Non sapeva se era un bene o un male, ma di certo c’era la sensazione d’imbarazzo che sentiva di provare sotto lo sguardo profondo di Ishida.
“Io… La mamma aveva dimenticato di comprare alcune cose, così… Sono venuta io”, farfugliò, sentendosi terribilmente stupida per quel suo impaccio.
“Non dovresti girare da sola la sera”, la voce bassa di Yamato la colpì, facendola arrossire e abbassare lo sguardo per la vergogna.
Possibile che con lui dovesse sentirsi sempre una stupida?!
“Ma veramente io… Non era sera quando sono uscita”, tentò di giustificarsi, senza tuttavia riuscire ad alzare lo sguardo dalle sue scarpe.
“Okay, tanto alla fine ha incontrato noi, no?”, capitolò Taichi, rivolgendosi a Yamato che, dopo un istante d’esitazione, annuì.
“Ora torniamo a casa”, li incitò proprio il biondo, affiancandosi a Sora, che non poté fare a meno di virare in tutte le tonalità di rosso.
Ma il suo imbarazzo crebbe a dismisura quando sentì la mano di Yamato sfiorare le sue per afferrare la busta. Sforzandosi di vincere l’impaccio, Sora gli gettò un’occhiata che voleva essere interrogativa, a cui lui rispose con un mezzo sorriso capace di farla arrossire ancor di più, se possibile.
A quella scena, Taichi sorrise istintivamente prima di porsi a sua volta alla destra libera della fanciulla e iniziare a camminare imitato dagli amici.
“Come…come mai vi trovavate da queste parti?”, domandò, dopo un istante di silenzio, Sora.
“C’è un nostro amico, Koushiro Izumi, che è venuto a trovarci”, le rispose con il solito buonumore Taichi. “Ha saputo che qui ad Odaiba c’è un grosso negozio d’elettronica e così, con la scusa di venirci a salutare, ci ha costretti ad accompagnarlo! Se n’è andato poco fa”
“Questo ragazzo…Koushiro…deve piacergli molto l’elettronica”, osservò incuriosita la fanciulla.
Il brunetto annuì. “È una sorta di hacker, ma nel senso buono però!”
Sora ricambiò al sorriso che il ragazzo le aveva rivolto, prima di sprofondare ancora una volta nei suoi pensieri. Tuttavia la voce di Yamato la fece trasalire e riportare alla realtà.
“Siamo arrivati”
Sora alzò lo sguardo e si accorse di essere proprio sotto casa sua. Senza dire una parola, i tre inforcarono le scale salvo poi fermarsi al primo piano dove risiedeva la giovane.
“Allora buonanotte, Sora!”, la salutò con un grosso sorriso e con un cenno della mano Taichi, prima di salire anche le ultime due rampe di scale.
Lo sentirono trafficare con la porta del piano di sopra e inveire quando non riusciva a trovare le chiavi. Alla fine, però, il brunetto riuscì nell’impresa e, aprendo l’uscio, si udì il rumore dei suoi passi infrangersi contro la porta che veniva richiusa alle sue spalle.
Rimasti soli, Sora si ritrovò ad arrossire furiosamente e per l’ennesima volta in quella giornata. Il cuore le batteva forte nel petto e le gambe minacciavano di cedere da un momento all’altro. Da quando Yamato le aveva detto quelle cose, nella pausa pranzo, non c’era stata ancora occasione di rimanere di nuovo sola con lui e questo la metteva in una certa agitazione. Stava entrando decisamente nel panico, se non fosse intervenuta la voce velatamente ironica del biondino.
“Hai intenzione di rimanere lì ferma come un baccalà ancora a lungo, o pensi che entro la fine dell’anno ti riprenderai la spesa che hai fatto?”
Dimenticando per un istante tutto l’imbarazzo e l’impaccio, Sora a quelle parole s’inalberò immediatamente.
“Ehi! Ti sembra questo il modo di trattare una ragazza?!”
Yamato alzò un sopracciglio. “Quale ragazza?”
La fanciulla avvampò, ma stavolta per lo sdegno. “Sarei io, razza di cavernicolo da quattro soldi!!”
“Hmf!”, il giovane Ishida scoppiò a ridere di gusto, piegandosi appena in avanti e chiudendo meccanicamente gli occhi oltremare.
In un primo momento Sora fu colta dalla pazzesca voglia di prenderlo a schiaffi visto il modo in cui la stava deridendo gratuitamente, ma poi fu come catturata da quella risata spiccatamente genuina. A ben pensarci, quella era forse una delle rarissime volte, se non addirittura l’unica, in cui lo vedeva lasciarsi andare ad una risata tanto di gusto. Il suo volto, che normalmente assumeva un’espressione quasi severa, appariva disteso, sereno. Sembrava un’altra persona rispetto al ragazzo taciturno e introverso di sempre.
Persa com’era nei suoi pensieri, Sora quasi non si accorse che nel frattempo Yamato aveva notato il suo sguardo posato su di sé. Per questo si fece ad un tratto nuovamente serio e la fissò dritto negli occhi marroni.
“Beh?”
Takenouchi si riscosse, arrossendo da capo a piedi quando si rese conto di essere stata scoperta a fissarlo.
“Da qua la busta!”, cambiò radicalmente discorso, strappandogli non troppo gentilmente la busta dalla mano.
Yamato rimase alquanto stupito di quel repentino cambio d’umore, ma non lo diede come al suo solito a dimostrare.
“Lo sai che sei proprio strana?”, non poté tuttavia fare a meno di notare, scrutandola attentamente con quei suoi meravigliosi occhi blu.
“Eh?!”, lo fissò senza capire lei, arrossendo solo lievemente sotto i suoi occhi.
Ma stavolta non si ritrasse, non abbassò lo sguardo.
“Sei buffa!”, continuò poco dopo lui, lasciando che le sue labbra s’increspassero in un dolcissimo sorriso.
Un grazioso rossore le colorò ardentemente le gote a quell’affermazione, forse perché le ricordava la prima volta che lui le aveva detto di essere buffa, il giorno dopo che li aveva conosciuti di ritorno dalla visita della città. O forse perché le aveva sorriso così spontaneamente e così deliziosamente. O forse era semplicemente la sua vicinanza… ‘Non capisco…perché mi sento così?’, si domandò con il cuore palpitante in petto.
Ancora una volta, però, i suoi pensieri scivolarono via alle parole di lui.
“Buonanotte, ragazzina!”, Yamato allungò una mano verso di lei e, piano, la spinse appena sulla testa in un gesto molto carino che la fece arrossire inevitabilmente.
Quando Sora alzò il capo, il giovane Ishida stava salendo gli ultimi gradini della prima rampa di scale. Tuttavia prima di inforcare anche l’ultima, si voltò per un istante verso la ragazza. Fu questione di una manciata d’istanti, il tempo che i loro occhi s’incontravano e si scrutavano, prima che il filo fosse spezzato proprio da Yamato. Il ragazzo si voltò e con passo felpato salì anche gli ultimi gradini.
Sora attese ancora qualche istante, il tempo di sentire la porta dell’appartamento B chiudersi ancora una volta ma stavolta in maniera definitiva per quella sera. Poi, con una strana ma piacevole sensazione di benessere, entrò a sua volta in casa.

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Capitolo 11
*** Chapter Eleven ***


Good Boys
Chapter Eleven
 
“Che noia…”, Taichi si stiracchiò gli arti, mentre con finto interesse osservava i rami spogli dei ciliegi intrecciarsi perfettamente tra loro in una miriade di diramazioni sempre meno robuste.
Accanto a lui, Sora appariva decisamente allegra. Sebbene novembre fosse ormai giunto e il freddo si faceva sempre più sentire, un sole luminoso riempiva il cielo macchiato di bianco, infondendole uno strano senso di benessere. Ma non era solo per quello che si sentiva a quel modo. Infatti il più era per via della notizia datale proprio quella mattina da Taichi. Pareva infatti che la settimana successiva si sarebbe tenuto l’annuale festival sportivo alla scuola elementare del quartiere di Ikebukuro e che Takeru, il fratellino di Yamato, fosse iscritto alla competizione di corsa. Visto che capitava di sabato (ovviamente è una cosa puramente inventata, perché non ho alcuna notizia di quando si svolgano le gare sportive in Giappone! NdA), Taichi e Yamato, coinvolgendo poi anche Sora, avevano deciso di andare ad assisterlo. Come aveva detto la ragazza, Hikari, la sera prima al telefono con il fratello Taichi, a Takeru avrebbe fatto sicuramente piacere vederli tutti e tre lì durante la sua performance. E poi sarebbe stato un modo per ritrovarsi anche con gli altri ragazzi, o nel caso di Sora di conoscere gli amici dei due.
“Come mai stai sorridendo?”, la domanda del brunetto spazzò via il velo di quieto silenzio sceso tra loro.
“Stavo pensando”, rispose vaga Sora, con le labbra vermiglie ancora increspate verso l’alto.
“A cosa?”, volle sapere, spinto dalla solita curiosità, Taichi. “A Yamato?”
Le parole schiette e maliziose del ragazzo le fecero salire un istintivo moto di rossore che si espanse in men che non si dica per tutto il suo viso, fino a donarle quella deliziosa colorazione purpurea che da qualche tempo a quella parte era sempre più facile riscontrarle.
Sora stava per rispondergli a tono, se il ragazzo non l’avesse preceduta.
“Comunque è un peccato che sia dovuto rimanere a scuola più tardi oggi per finire le mansioni di capo classe (se non erro, nel Paese del Sol Levante ogni settimana il capo classe cambia. Anzi, mi sembra di ricordare che siano due per settimana. Comunque, in mancanza di fonti certe, sarà questa il criterio che utilizzerò d’ora in avanti nella fanfiction NdA), non ti pare?”
“Sì, però…”
“Avrei potuto scroccargli qualcosa da mangiare, visto che sono a secco!”
“Ma veramente io…non…”
“Va beh! Vorrà dire che la prossima volta Yamato non scampa!!”
“Taichi!!”, sbottò infine, dopo una serie di inutili tentativi per attirare la sua attenzione, Sora.
Il giovane Yagami a quel repentino scatto alzò un sopracciglio e le gettò un’occhiata palesemente perplessa, capace di farle ritornare il buonumore tanto era comica.
“Non cambierai mai!”, sghignazzò divertita la ragazza, mentre una ciocca di capelli ramati veniva trastullata dalla lieve brezza del giorno.
“Devo ritenermi offeso?”, le chiese ingenuamente e altrettanto divertito lui, senza smettere di fissarla.
Sora fece finta di pensarci su per qualche istante, prima di scuotere vigorosamente il capo.
“No, direi di no!”, sentenziò infine, rivolgendogli un sorriso smagliante. “Comunque prima pensavo a sabato prossimo”
“Alla gara di Takeru?”
“Sì. Stavo pensando che conoscerò tutti i vostri amici”
“Puoi dirlo forte! E sono sicuro, anzi sicurissimo che andrete subito d’accordo!!”
“Lo pensi davvero?”
“Certo!”, assicurò, battendo un pugno sul petto, Taichi. “Ne sono pienamente convinto, non devi preoccuparti!”
A quelle parole tanto rassicuranti, Sora non poté fare a meno di rivolgergli un sorriso ricolmo di gratitudine che lui ricambiò. Quindi spostarono lo sguardo in avanti, per fermarsi quando si resero conto di essere arrivati a casa. Salirono le scale senza dire una parola, ma con ancora il buonumore sul volto, e al primo piano Sora si divise da lui per aprire la porta dell’appartamento A.
“Sora?”, la accolse la voce della madre dall’interno.
“Sì, sono io mamma!”, le rispose lei facendo per entrare, ma la domanda di Suzuki la bloccò sulla porta.
“Taichi è lì con te?”
“Sta per salire, perché?”
“Puoi chiamarlo un attimo?”
Nonostante ignorasse il motivo di quella richiesta, Sora obbedì. Ritornò sui suoi passi e richiamò l’amico che nel frattempo stava percorrendo a passo svogliato gli ultimi gradini della prima rampa.
“Taichi, puoi venire un attimo da me?”, lo fermò. “La mamma ti vuole”
Il brunetto le gettò un’occhiata sconcertata, ma annuì ugualmente e la seguì all’interno dell’abitazione. Lasciarono, come usanza tipicamente nipponica, le scarpe all’ingresso per indossare un paio di morbide ciabatte lattee e si diressero vagamente incuriositi in soggiorno dove sapevano essere la signora Takenouchi. Tuttavia una volta qui, rimasero parimenti stupiti nel notare che Suzuki non era sola. Altre due donne le facevano compagnia, comodamente sedute sulla poltrona e con in mano una tazza di the dall’aria fumante.
Senza quasi accorgersene, Sora si ritrovò a fissarle. Erano entrambe due belle donne, non c’era che dire, ma dall’aspetto diametralmente opposto. La prima aveva dei lunghi capelli castani fermati dolcemente in un unico elastico, in perfetta sincronia con il colore degli occhi che metteva in risalto un viso dall’espressione socievole e spiccatamente vitale. Attorno a lei sembrava aleggiare un’aria decisamente affabile, incapace di far sentire a disagio alcuno. La seconda donna, invece, spiccava per l’espressione gentile che ammorbidiva il viso dalle fattezze eleganti. Le iridi di un azzurro cielo erano caratterizzate da tante piccole striature di un intenso cobalto e i capelli di un particolare castano spento, le mancavano di poco l’altezza delle spalle.
“Mamma!!!”, fu la voce palesemente esterrefatta di Taichi a riscuoterla dalla sua minuziosa osservazione.
La giovane Takenouchi si voltò prima verso l’amico, quindi di nuovo verso le due donne che finalmente sembravano aver interrotto l’allegra conversazione intrattenuta con Suzuki.
“Taichi!!”, con un’esuberanza da far invidia a chiunque, la prima delle due donne si alzò dalla poltrona e si tuffò letteralmente sul ragazzo, fino a stringerlo in un caldo quanto serrato abbraccio. “Piccolo mio, fatti guardare: mangi? Scommetto che ti stai rimpinzando di schifezze da quando vivi qui…!”
“Ma mamma…”, tentò di dire Taichi, che nel frattempo era arrossito per la vitalità con cui la donna lo stringeva.
“Per fortuna che ci ho pensato prima di venire qua. Vedrai quante cose genuine ti ho preparato!”
Se non fosse stata troppo impegnata a strapazzarlo per benino, probabilmente si sarebbe accorta dello sguardo disgustato del figlio a quell’ultima frase. Al contrario della donna, però, Sora se ne accorse e non poté per questo fare a meno di sghignazzare appena percettibilmente, provando ad immaginare di che genere di squisitezze parlava la madre dell’amico.
“Tu devi essere Sora”, le sue bizzarre fantasie scivolarono sotto le parole cordiali pronunciate dalla seconda donna, che intanto si era alzata dalla poltrona per venirle incontro. “Ho sentito molto parlare di te e devo ammettere che non vedevo l’ora di conoscerti!”
Le fece l’occhiolino e Sora arrossì lievemente, ma subito si riscosse quando sentì la madre di Taichi parlare.
“Dunque è davvero così: tu sei Sora!!”, le prese affabilmente ambo le mani e le rivolse uno dei suoi più smaglianti sorrisi che a tratti ricordavano quelli del figlio. “È un piacere fare finalmente la tua conoscenza, giacché i miei figli non fanno altro che dire quanto tu sia fantastica! Soprattutto Hikari. Che rimanga tra noi, ma credo tu abbia fatto colpo su di lei!”
L’entusiasmo della donna la travolse in quel turbinio di chiacchiere. Più lei parlava, più Sora si accorgeva di quanto lei e il figlio si assomigliassero. Logorroici, vitali e terribilmente esuberanti…!
“A proposito, che stupida! Non mi sono neanche presentata!!”, disse poco dopo, sbattendo una mano sulla fronte come a volersi ammonire da sola. “Ad ogni modo, io sono Fuyuko Yagami (nome che non appartiene alla saga di Digimon, ma che ho inventato di mia sana pianta! Scusatemi, ma non sono riuscita a trovare quello originale!! NdA), la madre di questo ingrato qui!”
“Ehi!”, si lamentò immediatamente Taichi, piccato.
“Beh? Non chiami mai!”
“Questo non è vero! Pfui!!”, disse il brunetto mettendo poi il broncio sotto lo sguardo canzonatorio della madre.
“Io invece”, si fece avanti anche l’altra donna. “Sono la madre di Yamato e di Takeru, Natsuko Takaishi”
“È un piacere fare la vostra conoscenza”, s’inchinò cortesemente, come soleva la tradizione, Sora, riscuotendo per questo le mute approvazioni delle due.
“Ho incontrato Fuyuko e Natsuko di ritorno da lavoro, mentre aspettavano Taichi e Yamato”, spiegò Suzuki di ritorno dalla cucina, dove aveva preso altre due tazze. “E così ho chiesto loro se volevano un po’ di the”
“Tua madre è stata molto gentile a prendersi questo disturbo, Sora”, disse Natsuko, sorridendo alla fanciulla che aveva di fronte.
“Nessun disturbo davvero”, replicò la signora Takenouchi, abbozzando un sorriso che levigò i lineamenti severi del volto. “Al contrario sono molto felice di poter conoscere le madri dei nostri due incantevoli giovanotti”
All’accenno, Taichi non riuscì a trattenere un moto di rossore che dipinse le gote e lo invitò quasi meccanicamente a passarsi una mano nei folti capelli castani con espressione tremendamente impacciata.
“Oh, non lo dirai di Taichi dopo che lo avrai conosciuto bene, Suzuki!”, intervenne con espressione di finto accoramento Fuyuko, per poi lasciarsi andare ad una cristallina risata quando il figlio tentò di ribattere con una serie di parole sconnesse e confusionarie.
 
 
“E questi erano Taichi e Yamato a undici anni!”, Fuyuko sorrise compiaciuta all’ennesima foto dei due ragazzini, mostrandola al resto dei presenti.
Adesso non erano più a casa Takenouchi, ma si erano spostati da qualche minuto nell’appartamento B per vederne le condizioni. Così, dopo qualche rimprovero al figlio per lo stato di disordine in cui regnava l’abitazione e dopo qualche piacevole ricordo dei tempi passati, la signora Yagami aveva avuto la brillante idea, ma triste per Taichi che alla fine aveva preferito rifugiarsi in camera sua, di ricorrere ai vecchi album che ritraevano i due coinquilini.
Sora si sporse di poco in avanti, sorridendo poi rallegrata quando vide la foto. Doveva essere scattata prima che diventassero amici, intuì immediatamente la ragazza, notando non senza un certo divertimento il modo con cui si guardavano. Taichi sembrava visibilmente arrabbiato mentre osservava in cagnesco Yamato, che al contrario reggeva lo sguardo con espressione ostinatamente glaciale. Il suo sguardo era la solita maschera di perfetta freddezza, forse ancor più allora.
“Se non ricordo male, deve essere stata scattata il giorno del compleanno di Koushiro”, continuò Fuyuko accennando al bimbetto dall’aria sveglia con degli spinosi capelli rossicci.
“Taichi e Yamato non sembrano molto amici in questa foto”, disse pensierosa Suzuki. “Eppure adesso li vedo molto uniti loro due”
“E lo sono”, confermò Natsuko. “Ma non è stato sempre così”
“Oh no, puoi dirlo forte! Quando si sono conosciuti non facevano altro che picchiarsi a vicenda quei due monellacci!”, annuì energicamente Fuyuko. “Ci hanno praticamente fatto dannare!”
“Ma poi qualcosa è cambiato”, continuò l’altra. “Ad un certo punto le rivalità tra loro sono come scomparse e hanno scoperto di essere amici”
“Il che è stata una fortuna, visto che da quando ha conosciuto Yamato, quello screanzato di mio figlio ha messo per buona parte la testa a posto!”, disse la signora Yagami. “Certo, è ancora lo sfaticato, irruente e istintivo di sempre, ma grazie a Yamato ha imparato quando è il momento di lasciar correre”
“Sì, anche per Yamato è stata molto importante trovare l’amicizia con Taichi per il suo carattere. Adesso è molto meno scontroso e taciturno”, si trovò immediatamente concorde Natsuko. “E poi non potrò mai dimenticare che è stato grazie a Taichi se mio figlio è riuscito ad accettare in maniera definitiva la separazione mia e di Masaharu”
Sora rimase molto colpita da quell’ultima frase, che le fece nascere la spontanea domanda di quale separazione stesse parlando. Ma non fu necessario che lo chiedesse a parole, perché Natsuko lo spiegò appena poco dopo.
“Io e mio marito non volevamo arrivare alla separazione, ma poi le cose ci sono scivolate di mano tra di noi e alla fine abbiamo convenuto che l’unico modo fosse dividerci. Non mi pento della nostra scelta, perché sarebbe stato più ingiusto nei confronti nostri e dei bambini continuare a fingere, ma è stata dura. Soprattutto con Yamato. Takeru era troppo piccolo, ma Yamato…”, si soffermò qualche istante, persa nei meandri dei propri ricordi, prima di ricominciare il racconto. “Ha sofferto tanto, eppure non ci ha mai incolpati di nulla nemmeno quando abbiamo deciso di tenere io Takeru, ancora troppo piccolo per allontanarsi dalla madre, e Masaharu Yamato. D’altro canto, noi abbiamo fatto del nostro meglio per non far pesare ai bambini la separazione: non c’era giorno che Yamato e Takeru non si vedessero; o che io non andassi da Yamato e Masaharu da Takeru. A ben pensarci, credo che Yamato abbia sempre saputo che era la cosa giusta, perché anche se era ancora un bambino è sempre stato fin troppo sveglio. Ciò nonostante la nostra separazione ha influito notevolmente sul suo carattere già di per sé introverso. Non mi dava problemi a scuola, ma spesso venivo chiamata per via del suo carattere un po’ troppo ribelle e litigioso soprattutto con Taichi. Fino a che non sono diventati amici. È stato allora che il mio Yamato ha iniziato persino a sorridere alla separazione mia e di Masaharu”
Il lento fluire di parole dal sapore dolciastro terminò come d’incanto, lasciando negli uditori un senso di nostalgia.
Sora era rimasta totalmente colpita dalla rivelazione di Natsuko, che l’aveva lasciata spiazzata e conscia allo stesso tempo. Finalmente i pezzi del puzzle iniziavano a trovare la loro giusta sistemazione fino a raggiungere un disegno ottimale nel quadro generale. Adesso riusciva a capire cosa aveva inteso dire Takeru con quelle parole, o Hikari ancor prima di lui. E adesso si spiegava, sebbene dapprincipio non vi aveva dato molto peso, il motivo per cui nel presentarsi Natsuko non aveva utilizzato il cognome Ishida.
Si sentiva quasi una stupida ora per non averlo saputo intuire da prima. Una stupida per essersi fatta trovare così impreparata a quella rivelazione. Una stupida per sentirsi tremendamente piccata, forse ancor più di se fosse successo a qualcun altro.
Sora fissò Natsuko con estremo interesse, prima che la sua attenzione fosse completamente catturata dal rumore della serratura della porta d’ingresso. D’istinto, tutti i presenti si voltarono verso il piccolo andito da cui sbucò, appena qualche istante dopo, la figura alta e slanciata di Yamato.
Gli occhi cobalto del giovane strabuzzarono quando si vide il proprio appartamento ospitare quell’inaspettato gruppetto di persone. Vagò sulle figure dei presenti con espressione visibilmente meravigliata, per poi fermarsi quando incrociarono quelle iridi cerulee appena più chiare delle sue.
“Mamma…?!”, mormorò in un sussurro appena percettibile.
Sora, il cui cuore aveva già perso un battito nel vederlo prima e nell’incrociare il suo sguardo poi, sentì un fremito percorrerle avidamente la schiena al suono di quella voce tanto profonda e rauca.
Come risposta a quel semplice brusio, Natsuko si alzò dal divano e si fece incontro al figlio fino ad essergli in pratica di fronte. Quindi gli sorrise, guardandolo con occhi traboccanti d’affetto materno.
“Yamato…tesoro…”, e, con una naturalezza da far invidia anche alla persona più schietta, lo strinse dolcemente.
 
 
L’auto grigia di Natsuko Takaishi si allontanò, portando via con sé anche lo sprazzo di una giornata vissuta tra le vestigia dei ricordi. Ad occidente, lo spicchio di sole ancora visibile si andava man mano inabissando dietro i picchi montuosi, mentre già le prime stelle illuminava il manto ombroso del firmamento.
“Che giornata…!”, Taichi si stiracchiò pigramente gli arti superiori, lasciando che il suo sguardo si posasse sulla miriade di luci perfettamente visibili dal pianerottolo del loro appartamento. “Mamma mi ha fatto sistemare tutta la camera e adesso sono stremato!”
“Beh, non puoi biasimarla. La tua camera era quasi inaccessibile”, gli fece allora notare Sora, per poi sorridere quando lo vide arrossire d’impaccio.
“Non…non è vero! È che voi donne siete fissate per l’ordine!!”, si difese a spada tratta. “E comunque adesso io me ne vado proprio a nanna, se volete saperlo!”
Quindi, senza aggiungere altro, rientrò nella spaziosa abitazione dietro di loro, richiudendosi la porta alle spalle con fare distratto. Sora scosse il capo, pensando che in fondo la signora Yagami non aveva tutti i torti quando diceva che Taichi era un poltrone! Ma poi pensò anche che fosse questo ciò che lo contraddistingueva, questo il motivo per cui lei si era affezionata tanto a lui.
Il dolce fluire dei suoi pensieri fu interrotto dal rumore lieve di Yamato che si sedeva con nonchalance su uno dei gradini delle scale alla sua sinistra. Quasi si fosse ricordata solo in quel momento della sua presenza, la giovane Takenouchi si ritrovò ad arrossire e ad abbassare il capo in concomitanza. Le parole di Natsuko ancora riecheggiavano nella sua mente, prepotenti e incisive. Avrebbe voluto chiedergli tante cose a riguardo, ma non trovava il coraggio per affrontare apertamente Yamato. Per svelargli che sapeva il suo piccolo segreto e che…
“Te l’ha detto, non è vero?”, le parole del biondo la colpirono appieno.
Sora, dimenticando per un istante l’imbarazzo della situazione, alzò lo sguardo verso di lui e lo fissò in quelle intense pozze cobalto.
“Mia madre… Ti ha detto della separazione, no?”, insistette lui, senza spostare lo sguardo e senza vacillare.
Sembrava perfettamente padrone dei propri sentimenti, come sempre del resto. Eppure nei suoi occhi blu una nuova luce si era accesa, che Sora identificò immediatamente come una dolce malinconia.
“Sì”
Una lieve brezza le scompigliò i capelli ramati, facendola rabbrividire in un modo appena percettibile. Ma il suo sguardo persisteva fermo su di lui, su quel volto in apparenza imperturbabile.
“Me ne sono accorto”, confessò allora Yamato. “Quando mia madre se n’è andata, tu l’hai salutata con il suo cognome, Takaishi”
Sora ci pensò su per un breve istante, ma non disse nulla. Yamato aveva ragione, eppure era strano scoprire che se n’era accorto così…semplicemente, mentre lei ancora tentava di trovare le parole più adatte per spiegargli che adesso anche lei sapeva tutto.
“Sora…”
La giovane si sentì avvampare nell’udire il suo nome pronunciato con voce tanto profonda, arrossendo ancor di più quando poi il giovane Ishida allungò la mano destra verso di lei fino a stringerle delicatamente il polso sinistro.
“Scusa se non te l’ho detto”
Il volto, dove si combinavano una velata espressione di rammarico e un sorriso dai tratti rassicuranti, aveva assunto dei connotati quasi eterei illuminato dalle luci esterne e impreziosito da quei lapislazzuli adesso tremendamente espressivi. I biondi capelli gli cascavano melliflui sul capo, in una morbida cascata dorata.
Vedendolo così e avvertendo quella dolce presa attorno al suo polso, Sora non riuscì a trattenere un lieve rossore che salì man mano lungo la base del collo fin quando non colorò le gote di un delizioso rubino. Il cuore le palpitava nel petto e le gambe quasi cedettero sotto le intense sensazioni che sentiva di provare mentre, vincendo la sua proverbiale timidezza, rispondeva con un impacciato sorriso.
Allora Yamato, in risposta, la tirò dolcemente per il polso in una leggera spinta in avanti che la avvicinò pericolosamente a lui. Ma non fu il profumo del ragazzo a stordire Sora, né il biondo vivo dei suoi capelli, quanto piuttosto l’inebriante sensazione di calore che l’abbraccio di Yamato apportò attorno alla sua vita. Lui, infatti, l’aveva cinta con le sue braccia ossute e aveva poggiato il capo sul suo ventre, per poi chiudere gli occhi sentendo una meravigliosa sensazione di benessere. Gli piaceva stare così, non avrebbe mai voluto sciogliere quell’abbraccio. Ma poi la sua proverbiale introversione lo costrinse a fare ciò che meno bramava e a sciogliere l’incantesimo creatosi. Fu allora che Sora, non sentendo più quel calore stringerla affettuosamente, dimenticò ogni timidezza e ricambiò alla stretta allacciandogli lentamente le braccia al collo per attrarlo di nuovo verso di sé. Yamato, allorché, sbarrò gli occhi stupito per poi lasciarsi nuovamente andare e ricostruire l’incanto. C’era ancora un velato imbarazzo nei loro sguardi, ma in fondo non importava.
Intanto, la brezza aveva ripreso a soffiare sui loro corpi, ma né Yamato né Sora parvero avvertirla così riscaldati dal reciproco calore umano.

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Capitolo 12
*** Chapter Twelve ***


Good Boys
Chapter Twelve
 
La scuola elementare di Ikebukuro pullulava di persone quella mattina. Un frettoloso via vai di persone tutte molto affaccendate imperversava all’interno del cortile, mentre già i primi spettatori si affacciavano sorridenti sulla soglia per assistere all’annuale festival sportivo.
“Hikari, dove le sistemo queste?”
La giovane interpellata si voltò verso la compagna di classe che l’aveva chiamata.
“Cosa sono?”, chiese accennando allo scatolone che teneva saldamente tra le mani.
“Torte”, le rispose quella.
“Allora sistemale pure nella vetrina del bancone”
“Sì!”
La fanciulla se ne andò e Hikari si concesse un istante di riposo. Uscì fuori dal piccolo localino cedutogli dalla scuola per l’attività che la sua classe aveva deciso di portare avanti in vista di quel giorno, e si voltò a fissare la pista ovale e bordeaux dove si concentravano già molti dei partecipanti.
“Chi stai cercando?”
La domanda la fece sobbalzare. Hikari si voltò e un sorriso le sorse spontaneo alle labbra quando vide Taichi, Yamato e Sora ritti di fronte a lei.
“Siete venuti alla fine!”, esclamò raggiante, non nascondendo la propria felicità nel vederli.
“Mi sembrava di avertelo già detto…”, ci pensò su per un istante il fratello.
“Sì, però avevo paura che ci ripensaste all’ultimo momento”, spiegò allora Hikari.
“A proposito: Takeru dov’è?”, volle informarsi Taichi.
A quella semplice domanda, il volto della più giovane della famiglia Yagami s’impreziosì di un delicato rossore.
“È lì”, fece segno col dito alla pista d’atletica. “Si sta riscaldando”
“E tu sei qui che lo tieni sott’occhio…”, la schernì immediatamente il brunetto, ma il sorriso gli morì sulle labbra al ceffone che gli arrivò dritto sul capo.
“Smettila di prenderla in giro, Taichi!”, disse fingendosi arrabbiata Sora, la colpevole del misfatto.
Quindi gettò un’occhiata complice a Hikari, che non poté fare a meno di sorriderle grata.
“Umpf! Sei ingiusta Sora! Io non ho fatto nulla di male!”, continuò Taichi, massaggiandosi la parte colpita.
Ad interrompere quell’allegro chiacchierio, ci pensò una voce altrettanto vitale.
Taichi!!!”
Sora si voltò verso il punto d’origine di quell’assordante richiamo, ma non fece in tempo a distinguere la figura che correva forsennata verso di loro che ne fu quasi travolta dall’irruenza.
“Taichi, ci sei anche tu!!”
Con una gioia esplosiva, il nuovo arrivato si tuffò letteralmente sul giovane Yagami, il quale ci mancò poco non cadesse a terra per la foga con cui era stato abbracciato.
“Taichi, non posso crederci…sei qui!”, lo strinse ancor più forte l’altro, sfoderando un sorriso a trentadue denti.
“Ciao Daisuke! Sono contento anch’io di rivederti!”, lo salutò divertito il brunetto, mentre quello finalmente si separava da lui per voltarsi verso la ragazza più giovane della combriccola.
“Tesoruccio, perché non mi hai detto niente?”, chiese con sguardo stucchevole a Hikari, che per risposta sorrise.
Sora, invece, pareva palesemente confusa. ‘Tesoro?!’, si chiese difatti, ‘ma Hikari non sta con Takeru?’.
“Smettila di guardare mia sorella come un maniaco!”, disse serio Taichi, tirando un sonoro pugno sulla nuca spinosa di un particolare prugna di Daisuke.
“Ma Taichi…!”, lo guardò supplice, causando per questo l’ilarità generale.
Solo Yamato, che non aveva ancora aperto bocca da quando era arrivato, rimaneva come sempre impassibile alla scena e se ne stava in silenzio affianco a Taichi. Almeno fino a quando Daisuke non si accorse di lui.
“Yamatuccio! Sei venuto anche tu!!”, esclamò, mentre repentinamente l’espressione crucciata di poco prima cedeva il posto ad una gioiosa. “Ma allora vi sono proprio mancato!!”
Il giovane dai capelli prugna si buttò sui due quindicenni, stringendoli in un caloroso abbraccio nonostante le loro proteste.
“Taichi! Yamatuccio!”
“Finiscila di chiamarmi così”
“Perché? Non ti piace Yamatuccio?”
“Per niente”
“Daisuke, mi stai soffocando”
“Come? Scusa grande Taichi!!”
Mentre i tre ragazzi parlottavano tra loro, Hikari si voltò verso Sora.
“Ho saputo che mamma è venuta a trovarvi la settimana scorsa”
Takenouchi annuì.
“Se solo avessi potuto, sarei tanto voluta venire anch’io”, continuò Hikari. “Ma purtroppo sono stata impegnata con l’organizzazione delle attività con la mia classe in vista d’oggi”
“Non preoccuparti, ci saranno sicuramente altre occasioni”, la tranquillizzò Sora, sfoderando un dolce sorriso.
“Sì!”, si trovò immediatamente concorde anche l’altra. “A proposito: mio fratello e Yamato ti hanno già mostrato la scuola?”
“Non ancora”, scosse il capo la giovane Takenouchi.
“Ti accompagnerei io stessa, solo che mi hanno eletto capo classe e mi devo occupare dell’allestimento del nostro reparto”, spiegò con una nota di dispiacere Hikari per non poterla scortare.
Ma Sora le sorrise rassicuranti. “Non devi scusarti. Anch’io ho dovuto organizzare spesso questo genere di manifestazioni e sono consapevole di quanto sia faticoso. Ma alla fine ti diverti, per questo ho sempre accettato il ruolo di capo classe quando mi veniva affidato”
“Sì, hai ragione!”, annuì una sorridente Hikari, felice di aver trovato una così comprensiva amica.
“Hikari!”, le loro chiacchiere vennero però interrotte dall’arrivo di un’energica ragazza dai fulgidi capelli viola.
“Sì?”, le chiese gentile come sempre la giovane Yagami.
“Hai visto Daisuke per caso?”, le domandò quella, prima di notare la figura di Sora accanto a loro. “Ciao! Tu devi essere Sora Takenouchi, la ragazza di Odaiba!”
“Sì, sono io”, le sorrise, intimamente e piacevolmente colpita da tanta esuberanza, l’altra.
“Che bello, finalmente posso conoscerti! Non sai quanto sei diventata popolare da queste parti!”, le ammiccò quella da dietro gli occhiali da vista che le facevano risaltare gli occhi marroni. “Io, invece, sono Miyako Inoue, ho tredici anni e sono al primo anno di scuola media inferiore!”
Sora le strinse la mano, pensando nel contempo che le piaceva sinceramente molto quell’allegra ragazza.
“Miyako! Anche tu qui per assistere alla gara di Takeru (premetto che non so in che modo siano disposte le scuole, e quindi se scuola elementare e media appartengano allo stesso edificio. Per cui, ho deciso di fare la ripartizione che mi sembrava più idonea, mettendo le scuole elementari che sono più lunghe in un unico edificio, e medie inferiori con medie superiori in un altro istituto. Tuttavia, per essere più neutrale possibile, ho fatto sì che in ogni dove i due istituti sorgessero vicini NdA)?”
Le tre ragazze si voltarono e videro Taichi avanzare, seguito da Yamato e Daisuke, verso di loro.
“Esatto!”, alzò indice e medio la giovane.
“Ken?”, s’informò invece Yamato.
“Stava per arrivare”, spiegò, prima di sorridere felice. “E intanto ho appena fatto amicizia con Sora!”
“Sora?! Sei tu la fantomatica Sora?”, quasi si fosse accorto della sua presenza solo in quel momento, Daisuke si voltò verso la ragazza venuta con i suoi due amici.
“In persona!”, gli sorrise contagiata dal loro entusiasmo quella.
“Cosa?!”, replicò stupito il ragazzo.
“Daisuke, non dirmi che non ti sei ancora presentato!”, lo guardò con espressione inceneritore Miyako.
Il chiamato in causa arrossì vagamente imbarazzato. “Ehm…io, veramente…”
Daisuke!! Possibile che tu debba essere sempre così distratto??”, lo apostrofò la giovane Inoue, fissandolo con occhi di fuoco.
“Umpf! Non l’ho fatto mica apposta!”, si lamentò quello, e per un istante Sora vide lei e Taichi in loro.
Il giovane dai capelli prugna si voltò infine verso di lei e le sorrise raggiante.
“Ad ogni modo”, disse. “Io mi chiamo Daisuke Motomiya, ho dodici anni e sono in classe con la mia dolcissima Hikari e con Takeru!”
“Ciao, piacere di conoscerti Daisuke!”, gli strinse sorridente la mano lei. “Io sono Sora Takenouchi, ho quindici anni e vengo da Odaiba”
“Bene, così va meglio!”, annuì soddisfatta Miyako, riferendosi a Daisuke. “E adesso vieni con me!”
Detto questo, la giovane Inoue afferrò il dodicenne per la collottola della maglietta e lo trascinò letteralmente via da lì, lasciando inebetito il resto della comitiva.
 
 
“Ecco Takeru!”, Taichi si fece faticosamente largo tra la folla di spettatori accorsi, individuando al volo la capigliatura dorata del ragazzo.
Dopo aver salutato Hikari e aver incontrato quei due scalmanati di Daisuke e Miyako, avevano deciso di andare a trovare Takeru. Purtroppo Hikari non era potuta andare con loro per via degli ultimi preparativi che ancora mancavano alla sua classe prima che il festival sportivo cominciasse.
“Ehilà, biondino!”, lo salutò il giovane Yagami, arruffandogli allegramente i capelli.
“Taichi!”, mormorò quello preso alla sprovvista.
Takeru alzò il capo e subito un’ondata di gioia lo pervase quando vide le figure di Yamato e di Sora sorridergli.
“Ci siete anche voi!”
“Non potevamo mancare”, disse Sora affabile come sempre.
“Quando inizia la gara?”, chiese invece Yamato, gettando un’occhiata alla pista ancora vuota.
“Tra una decina di minuti, credo”, gli rispose il fratellino. “Avete già incontrato Hikari?”
“Sì, e ho conosciuto anche Daisuke e Miyako!”, gli rispose una raggiante Takenouchi.
“Allora non devi preoccuparti! Non siamo tutti così pazzi!”, sopraggiunse una voce allegra alle loro spalle.
I quattro si voltarono e videro un giovane dai capelli rossicci farsi loro incontro.
“Koushiro!!”, lo salutarono in contemporanea con una pacca sulla spalla Taichi e Yamato.
Sora, invece, fissava il nuovo venuto con sguardo curioso. Appena la settimana prima era incappata in una sua foto da bambino e adesso che lo fissava meglio, doveva ammettere che era molto cambiato. Anzitutto si era fatto più alto, come di dovere, poi aveva domato i capelli sparati e nel complesso si era tramutato in un ragazzo decisamente carino, ancor più di prima.
“Tu sei Sora, giusto?”, fu proprio la domanda del rosso a ricondurla alla realtà.
Annuì. “Sì, sono Sora Takenouchi. Mentre tu devi essere l’appassionato d’elettronica!”
“Beh…sì, sono io. Mi chiamo Koushiro Izumi, ho quattordici anni e frequento la seconda media inferiore qui ad Ikebukuro”, le strinse la mano lui. “Lieto di conoscerti”
C’era un qualcosa di infinitamente gentile nei suoi modi, gradevole per chi vi parlava. Talmente tanto che Sora non riuscì a trattenere un sorriso.
“Quando sono venuto ad Odaiba non ti ho vista”, disse Koushiro poco dopo, pensieroso.
La giovane Takenouchi arrossì impercettibilmente al ricordo di quel giorno. Il giorno in cui Yamato le aveva confessato che lei gli piaceva…
“Ero andata in centro con alcune mie amiche e così non ci siamo scontrati”, spiegò in un breve riassunto.
“Sì, adesso ricordo che Yamato me lo aveva detto”, annuì lui.
A quelle parole il volto di Sora si accese un po’ di più, imbarazzata. Ma in suo accorso sopraggiunse l’arrivo di altri due ragazzi. Uno era alto, sicuramente più grande di tutti loro, con un’aria seriosa messa in risalto soprattutto grazie agli occhiali posti davanti due occhi del colore della pece, ma resa affabile dalla presenza di un sorriso allegro sul volto. Aveva i capelli di un blu molto scuro, lisci e piuttosto lunghi. L’altro, invece, era certamente più piccolo. I capelli a caschetto erano di un castano particolare, mentre gli occhi verde smeraldo illuminavano un viso dall’espressione severa.
“Jyou! Iori!”, disse raggiante Takeru non appena li vide.
“Ciao a tutti!”, salutarono i due nuovi venuti.
“Taichi, Yamato, anche voi qui?”, il più grande dei due si voltò verso di loro.
“Certo! Volevi che ci perdessimo la corsa del biondino, qui?”, rispose immediatamente Taichi, afferrando Takeru per il collo e strofinandogli come d’abitudine i capelli.
“Smettila!”, si lamentò quello, divincolandosi faticosamente dalla sua presa e sistemandosi quei fili dorati arruffatisi.
“Jyou, Iori”, decise di intervenire Koushiro per passare alle presentazioni. “Lei è Sora Takenouchi, la vicina di casa di Taichi e Yamato ad Odaiba”
“Ciao, piacere di conoscervi!”, sorrise loro la ragazza.
“Ciao!”, le sorrise il più grande. “Io sono Jyou Kido e sono in sostanza il più vecchio del gruppo!”
“Jyou ha sedici anni e frequenta il primo anno delle medie superiori”, aggiunse Koushiro all’occhiata interrogativa della fanciulla, che annuì.
“Io mi chiamo Iori Hida”, si presentò poi l’altro. “Ho nove anni e sono il più giovane”
Sora rimase piuttosto colpita dall’espressione dura del ragazzino. Ma osservandolo negli occhi notò un’espressione ben diversa da quella che voleva lasciar intendere. Gli sorrise e, con una certa soddisfazione, notò un guizzo attraversare quelle iridi berillo per poi tramutarsi in un timido sorriso.
Accanto a lei e senza che quella se ne accorgesse, Yamato la osservava in silenzio con espressione totalmente assorta. Il suo sguardo sembrava quasi rapito da lei in quel momento, mentre non poteva fare a meno di chiedersi come ci fosse riuscita a conquistare così velocemente le simpatie del posato Iori, tanto da ricevere subito un suo raro e prezioso sorriso. Ma il fluire dei suoi pensieri venne ben presto interrotto dall’accorgersi dello sguardo di Koushiro fisso già da qualche istante su di sé.
Yamato si voltò verso l’amico e un moto di rossore gli colorò appena percettibilmente le gote quando incrociò quelle riflessive pozze carbone. Non c’erano dubbi: Koushiro aveva capito tutto.
“Takeru, è ora! Vieni!”, una voce proveniente dalla fascia di partenza della pista attirò all’istante le attenzioni.
“Allora vai e vinci, Takeru”, gli augurò immediatamente Iori, e nel farlo gli occhi berillo s’illuminarono.
Allora Sora, sebbene non conoscesse ancora bene il più giovane del gruppo, intuì al volo dal gioco di sguardi che Takeru e Iori dovevano essere qualcosa come migliori amici.
Il biondino, intanto, annuì sorridente e fece per andare, ma prima si voltò verso il fratello maggiore come in cerca di sostegno.
“Fagli vedere chi sei”, disse con voce seria Yamato, poggiandogli affettuosamente una mano su una spalla.
Takeru rimase molto colpito da quel gesto tanto spontaneo, al punto che sentì come un’energia immensa caricarlo all’istante. Avrebbe potuto correre anche per ore adesso, che non avrebbe accusato minimamente la fatica! Perché Yamato confidava in lui, perché lui era suo fratello, perché non poteva e non voleva deluderlo…
Sorrise. Un sorriso dolcissimo e luminoso come non mai, che gli impreziosì le iridi opali appena un po’ più chiare rispetto a quelle di Yamato.
“Sì!”, annuì con vigoria, prima di allontanarsi con passo deciso da loro.
Takeru raggiunse la striscia di partenza e si posizionò nella sua striscia.
Takeru!”
Il giovane si voltò e di nuovo si ritrovò a sorridere quando scorse tra i tanti spettatori accorsi, la figura minuta di Hikari. Adesso nemmeno un percorso lungo chilometri lo spaventava.
Metticela tutta!!”, gli urlò dal suo posto Hikari, sorridendogli a sua volta con gioia.
Il biondino annuì prima di tornare a concentrarsi sulla pista davanti a lui. Ma ancora una volta una voce a lui ben nota lo chiamò.
Takeru!!”, il tono era leggermente più alto e spiccatamente maschile.
Takeru si voltò e notò Daisuke, mentre saltellava per tentare di attirare la sua attenzione, accanto a Hikari.
Takaishi! Se non vinci ti conviene scappare, capito?”, gli urlò da lontano, raccomandandosi ben bene con il compagno di classe e amico.
Il biondo sorrise. Quindi alzò indice e medio e gli fece il segno della vittoria.

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Capitolo 13
*** Chapter Thirteen ***


Good Boys
Chapter Thirteen

Nota dell’Autrice:
Non mi sembra vero: finalmente sono riuscita ad inserire anche gli altri digiprescelti nella mia storia! Certo, manca ancora Ken, ma non temete perché apparirà in questo tredicesimo capitolo di “Good Boys”!! Ad ogni modo colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta tutti voi che continuate a seguirmi, a commentare e a leggere questa mia fanfic! Spero di non avervi deluso fino ad ora, mentre posso già dirvi che ne succederanno di cose di qui alla fine! Infatti ci saranno ancora tante cose che dovranno succedere, troppi colpi di scena ancora da verificarsi…ma non preoccupatevi, perché l’azione si svolgerà tutto in modo scorrevole come ora. ^^
Ma adesso vi lascio alla storia, giacché ho già occupato troppo tempo con queste mie chiacchiere.
Buona lettura, dunque, e a presto!
Baci! J
 
***
 
Il sole illuminava i concorrenti mentre, schierati ordinatamente lungo la linea della partenza, attendevano il fischio che avrebbe decretato l’inizio della gara.
“Ragazzi!!”
Gli interpellati si voltarono per vedere Miyako accompagnata da un giovane ragazzo – che Sora trovò dall’aspetto quasi familiare – venire verso di loro.
“Ehilà Ken!”, fece Taichi quando notò il giovane. “Come va la vita?”
Quello arrossì lievemente alla domanda e Sora non poté fare a meno di chiedersene la ragione.
“Bene, grazie”
“Sei appena arrivato?”, gli domandò invece Iori.
“Sì. Miyako e Daisuke mi sono venuti incontro poco fa”, spiegò il giovane sconosciuto, e Sora capì che era quello il motivo per cui la giovane Inoue prima aveva cercato Motomiya.
“Ken, ti ricordi di Sora Takenouchi?”, disse allora Miyako, sorridendo alla ragazza di fronte a loro.
Il ragazzo la osservò per un breve istante con i suoi magnetici occhi turchini, in perfetta armonia con il blu notte dei lisci capelli che gli sfioravano appena la base del collo. Poi, finalmente, le rivolse un meraviglioso sorriso.
“Ciao Sora, sono felice di conoscerti”, le porse educatamente la mano.
La giovane Takenouchi ricambiò alla stretta, mentre rispondeva al sorriso.
“È un piacere anche per me Ken…”
“Ichijouji. Sono Ken Ichijouji”, le venne in accorso lui. “Ho dodici anni e sono all’ultimo anno d’elementari alla Tamachi Elementary (dovrebbe essere il nome originale, visto che l’ho trovato su un sito internet dedicato appunto ai Digimon! NdA)
“Oh, tu non sei di qui?”, domandò incuriosita Sora.
“No”, scosse il capo Ken.
“Devi sapere”, s’intromise Taichi a quel punto. “Che la nostra affezionatissima Miyako e il carissimo Ken sono una coppia ormai!”
Il brunetto ammiccò sornione e subito sia Ken che Miyako si accesero per l’imbarazzo. Ma quest’ultima non si lasciò avvincere dalla timidezza.
“Taichi ha ragione!”, disse allacciandosi al braccio del giovane Ichijouji. “Io e Ken stiamo insieme da ben un mese e mezzo!!”
La ragazza sorrise raggiante, mostrando il pollice alla giovane davanti a lei. Dal canto suo Sora rimase piacevolmente stupita della notizia. Era bello vedere due ragazzi tanto palesemente diversi, stare insieme.
“Adesso ricordo dove ti ho già visto!”, esclamò all’improvviso proprio la giovane Takenouchi, rivolgendosi a Ken.
Ichijouji la guardò interrogativamente.
“Sul giornale! Se non sbaglio, un po’ di tempo fa lessi un articolo che ti riguardava”, ci pensò su Sora. “In particolare parlava di calcio…sì, di come avevi portato la squadra alla vittoria!”
“Ricordo quell’articolo”, s’intromise Jyou. “È stato scritto alla fine del campionato studentesco dell’anno scorso, aggiudicatosi dalla tua squadra Ken”
“Ho conservato anch’io quell’articolo!”, proruppe una raggiante Miyako.
Nel frattempo il canto di un uccellino, in ritardo per la migrazione invernale, riempiva l’aria d’attesa che si respirava, prima di essere sostituito dallo strepitio provocato dal fischio dell’arbitro. Tutti si voltarono verso la pista. La gara di corsa dell’annuale festival sportivo era finalmente iniziata.
Forza Takeru!!”, urlò dalla tribuna Taichi, senza mai scostare lo sguardo dal biondino in pista.
“È partito piuttosto bene”, osservò invece Sora, felicissima.
“Credo abbia ottime possibilità di vincere”, annuì affianco a lei Koushiro.
Di fatti proprio in quel momento Takeru si contendeva il primato con un unico ragazzo. Il ritmo incalzante prevedeva ora il sorpasso di uno, ora dell’altro, in un gioco che sarebbe potuto essere infinito se non fosse stato per il limite decretato dalla linea d’arrivo.
‘Devo farcela…’, si ripeté tra sé e sé per l’ennesima volta il giovane Takaishi, mentre con sguardo furtivo gettava occhiate fugaci al suo avversario, ‘posso vincere…!’.
Il tracciato bianco che segnalava la fine della corsa si faceva sempre più vicino…tre metri…due metri…un metro…
Takeruuu!!!”
Un urlo e la striscia del traguardo che veniva spezzata dall’arrivo del vincitore.
Il vociare si azzittì, gli uccelli smisero di cantare, il tempo per un istante si fermò. Poi…il delirio. L’innaturale silenzio della folla si era tramutato in un boato di gioia, mentre a gran voce s’inneggiava il fortunato giunto per primo al traguardo. Un entusiasmo acceso, che invase gli animi degli spettatori e degli stessi concorrenti che, nonostante la disfatta, si erano volentieri uniti ai cori d’esultanza.
“Takeru, sei stato fantastico!!”, Taichi si fece largo a gomitate tra la folla e, giunto al cospetto del bel biondino, se lo caricò vittoriosamente sulle spalle.
“Sei forte, Takeru!”, esultò accanto a loro Daisuke, con occhi che mandavano scintille.
“Sei stato bravissimo”, si congratulò anche Hikari, raggiante, sovrastando i complimenti dei presenti.
Il giovane Takaishi sorrise, rincuorato e riscaldato da quei complimenti. Era bello quando Hikari gli diceva quelle cose…era piacevole sentirla mentre gli faceva i complimenti. Lo faceva sentire…completo. E quando poi incrociava quegli affettuosi occhi scuri…era come se ogni cosa si colorasse di tinte più dolci, più belle, più luminose. Ecco, lei era la sua luce. Quando si sentiva triste, o solo…quando gli mancava il fratello…beh, era Hikari la sua ancora di salvezza. Lei la sua valvola di sfogo…la sua fidata amica…la sua dolce ragazza…
Takeru le sorrise e, alzando il pollice, le fece il gesto dell’okay con le dita. Un gesto che Hikari apprezzò più di mille parole perché aveva capito quanto significasse per lui. Quanto lei significasse per lui.
“Takeru”
Il biondo si voltò e il suo cuore ebbe un tuffo. In contemporanea Taichi, che aveva intuito tutto, lo lasciò andare con i piedi nuovamente a terra.
“Ya…Yamato!”, farfugliò in un misto di sensazioni contrastanti Takeru.
“Sei stato bravissimo”, disse con voce velata di dolcezza il giovane Ishida, mentre sul suo volto si formava un sorriso dai tratti indistinti.
Sora, che aveva assistito alla scena in silenzio per tutto il tempo, sentì un’ondata di tenerezza attraversarle il cuore nel vedere gli occhi azzurro cielo di Takeru farsi ancora più chiari per via delle lacrime, per poi venire scacciate dalla lieve ma indubbia carezza sul capo che gli rivolse Yamato.


Il piccolo localino concesso alla classe di Hikari era stato sapientemente allestito per l’occasione. Un grosso bancone posto accanto ad una delle pareti faceva bella mostra dei più svariati tipi di dolci, gentilmente serviti dai membri della classe.
“Hikari ha avuto proprio una bell’idea a realizzare questa piccola pasticceria!”, sorrise compiaciuta Miyako, osservandosi con occhi accondiscesi attorno. “Senza contare che vedere Daisuke mettersi così spavaldamente in mostra è un vero e proprio spasso!!”
“Miyako, non maltrattarlo così”, scese in sua difesa Ken, l’amico di sempre.
Sora, intanto, gettò un’occhiata incuriosita al giovane Motomiya e non poté fare a meno di sorridere quando lo vide tentare di convincere più persone possibili a mangiare le loro squisitissime torte!
“Poverino, sono secoli che è innamorato di Hikari”, disse Jyou.
“Adesso capisco perché prima l’ha chiamata tesoro”, mormorò pensosa la giovane Takenouchi.
“Già”, annuì Koushiro. “Daisuke ha accettato da tempo il fatto che Hikari non ricambiasse i suoi sentimenti, ma non smette mai di provarci!”
“Quel farfallone…!”, scosse il capo una sconsolata Miyako.
“Non essere così severa con lui”, la rimproverò affettuosamente il piccolo Iori.
Per tutta risposta Miyako gli fece la linguaccia, smorzata dall’allegro sorriso apparso sul suo volto. Sora non lo poteva sapere, ma ben presto anche lei avrebbe imparato che quel modo tutto particolare della giovane Inoue stava a dimostrare tutto l’affetto che la legava agli amici. Anche perché era lo stesso, identico atteggiamento che assumeva Mimi nei confronti di chi voleva bene.
“Ma purtroppo per lui mia sorella è già impegnata, non è vero Takeru?”, Taichi si rivolse al giovane Takaishi che alla domanda era virato in tutte le possibili varianti di rosso. “E dubito che Hikari abbia intenzione di lasciare questo bel biondo, adesso anche vincitore della gara di corsa libera!”
“Smettila”, lo rimproverò con voce atona Yamato.
“Ragazzi, vi ho portato un po’ di torte!”, ad irrompere sulla scena ci pensò una sorridente Hikari con in mano alcuni vassoi ricolmi di dolci.
“Grandiosa sorellina!!”, s’illuminò all’istante Taichi, dimenticando completamente ogni precedente allusione per concentrarsi sulle prelibatezze che la ragazza gli metteva dinanzi.
“Spero siano di vostro gradimento!”
“Sembrano squisite!”, commentò Koushiro.
“Lo sono!!”, disse Miyako addentando un pezzo di una delle torte.
Hikari sorrise, gratificata da tutti quei complimenti. Poi, istintivamente, si voltò verso Sora curiosa di sapere cosa ne pensasse la ragazza.
“Sono davvero ottime Hikari”, le disse subito Takenouchi. “Devi assolutamente darmi la ricetta!”
“Sì!”, annuì felice la giovane Yagami.
Contenta, stava per tornare al proprio lavoro ma fu bloccata da una lieve stretta attorno al proprio braccio. Alzò lo sguardo e sorrise quando incrociò gli occhi azzurri di Takeru.
“Vuoi che ti dia una mano? Sembri…sembrate molto impegnati”, farfugliò il giovane, arrossendo immediatamente all’occhiata sibillina che gli rivolse Taichi.
“Io… No, no, non ce n’è bisogno”, scosse gentilmente il capo Hikari, mentre nel contempo Sora sgridava al fratello di essere un impiccione. “Tu riposati. Sarai…sarai stanco dopo la corsa”
In realtà c’era molto da fare, ma Takeru aveva appena affrontato un’estenuante corsa ed era giusto che adesso si godesse un attimo di riposo. Avrebbe pensato lei al resto.
“E poi c’è Daisuke a darmi una mano!”, insistette Hikari nel notare lo sguardo ancora esitante di Takeru.
Finalmente, a quelle parole, il biondino si convinse. “Okay!”
La vide allontanarsi per raggiungere il bancone e per l’ennesima volta si ritrovò a pensare che era davvero molto fortunato.


“Beh, ragazzi, adesso noi dobbiamo proprio andare”, Taichi si rivolse agli amici che, seppure con una certa delusione, annuirono.
Il disco solare era ormai quasi del tutto scomparso, mentre una luna luminosa e piena si apprestava ad occupare il cielo sovrastante.
“È stato bello conoscervi tutti!”, disse Sora con un sorriso.
“Non dirlo nemmeno! Siamo noi ad essere contenti di averti conosciuta!”, le prese affettuosamente le mani Miyako.
“Abbiamo sentito tanto parlare di te”, disse il giovane Iori.
“Così tanto che ci sembrava già di conoscerti!”, aggiunse con una nota di gioia Jyou.
“Verrai a trovarci qualche altra volta?”, le chiese invece una speranzosa Hikari.
Sora la fissò e per un istante le parve di sentire le parole della signora Yagami, quando le aveva detto di aver fatto colpo sulla figlia.
“Sì, sicuramente”, rispose convinta, sentendo il cuore infinitamente più leggero e caldo.
Salutò anche il resto della comitiva, soffermandosi a scambiare poche parole con ognuno di loro. Poi, finalmente, si voltò verso i suoi due amici e vide che erano pronti per andare via a loro volta.
“Andiamo?”, chiese difatti Yamato.
Taichi e Sora annuirono. Quindi tutti e tre stavano per andare via, ma furono bloccati da una vocina tremendamente timida.
“Ya…Yamato!”
Il biondo si voltò e rimase piacevolmente stupito di trovarsi di fronte una graziosa ragazza un tempo sua compagna di classe.
“Ti…ti ricordi di me?”, domandò visibilmente impacciata la giovane.
“Maeko”
La ragazza s’illuminò nel costatare che lui non l’aveva dimenticata e questo parve infonderle nuovo coraggio.
“Yamato io…volevo chiederti se qualche volta tu…se ti andava di…”, deglutì rumorosamente, prima di parlare tutto di un fiato. “Qualche volta usciresti con me?”
La richiesta colpì tutti i presenti e, in particolar modo, Sora. Uno strano fremito le correva lungo la schiena, mentre con sguardo avido non scostava per un solo istante gli occhi da Yamato.
Dal canto suo, il giovane Ishida sembrò per un istante soppesare la situazione, prima che dalle sue labbra uscissero parole dette con una dolce sicurezza.
“Mi dispiace Maeko, ma mi piace già una ragazza”
Il cuore della giovane Takenouchi ebbe un tuffo.
“Lei”
Il braccio di Yamato avvolse la schiena minuta di Sora, provocando in lei una miriade d’emozioni tutte molto intense. Le gambe le tremavano, il cuore batteva all’impazzata e un acceso rossore le dipingeva le gote, mentre tentava di riformulare quanto detto dal ragazzo.
“Oh…io… Scusami allora”, si chinò educatamente Maeko, evitando così di mostrare la delusione per il rifiuto.
Il sorriso che Yamato le rivolse, però, bastò a ripagare ogni sua sofferenza. Non aveva mai osato sperare che lui accettasse e forse proprio per questo poteva dirsi ugualmente soddisfatta. Aveva ricevuto uno dei suoi rarissimi e preziosi sorrisi, questo valeva più d’ogni altra cosa.
“Ciao!”, arricciando le labbra all’insù, la fanciulla si voltò e si allontanò con una corsetta.
Ma se per lei la cosa si era conclusa lì, altre sette persone sembravano ancora attendere spiegazioni. Solo Koushiro, in disparte, sorrideva compiaciuto.
“Che significa?”, chiese infine Daisuke, il più sfacciato del gruppo.
Yamato alzò le spalle.
“Quello che ho detto”, rispose con tono neutrale.
“Ma…ma questo vuol dire…significa che…”, balbettò Miyako mentre spostava lo sguardo ora su uno ora sull’altra.
Notando il deciso rossore apparso sulle guance di Sora e il lieve, quasi impercettibile imbarazzo farsi strada in Yamato, Taichi si decise ad intervenire.
“Noi adesso scappiamo, ma voi fatevi sentire, okay?”, ammiccò agli amici e afferrò Yamato e Sora per le braccia, per poi trascinarli letteralmente via di lì.
Koushiro sorrise. L’aveva capito. Aveva capito tutto quando aveva visto lo sguardo del biondo amico posarsi per qualche istante su Sora, prima che la gara iniziasse.
Al contrario Jyou, Miyako, Daisuke, Takeru, Hikari, Ken e Iori rimasero fermi e ammutoliti mentre li osservavano allontanarsi, troppo scioccati dalla rivelazione per anche solo pensare di fare qualcosa. Yamato… Il distaccato, impenetrabile, impertinente Yamato…innamorato?!

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Capitolo 14
*** Chapter Fourteen ***


Good Boys
Chapter Fourteen
 
“Com’è romantico…!”, Hitomo si lasciò sfuggire un sospiro, immaginando la scena che poteva essere accaduta tra l’amica Sora e Yamato. “E poi? Non ti ha detto nulla?”
Nonostante il lieve imbarazzo che provava in quel momento, Sora si sforzò di raccontare ogni cosa alle amiche.
“No, non mi ha detto nulla”
“Beh, dopotutto è normale”, ci rifletté su la biondina. “In fondo se ci pensi bene, lui non sa ancora cosa tu provi nei suoi confronti”
“E questo, in effetti, vorrei tanto saperlo anch’io”, aggiunse con espressione terribilmente seria Reika.
Sora, invece, arrossì vistosamente. Era la pausa pranzo e lei, Reika e Hitomo erano rimaste in aula per consumare, tra le varie confidenze, il loro pasto.
“Beh io… Non so cosa…”, biascicò, impacciata.
“Non posso crederci!”, la voce divenuta all’improvviso squillante di Reika, fece sobbalzare le altre due.
Sora e Hitomo si voltarono incuriosite verso la moretta e la videro fissare con insistenza un punto indefinito aldilà della finestra.
“Quella…quella…argh! Adesso gliela faccio vedere io a quella!!”, sentenziò decisa, alzandosi di scatto e uscendo come una furia fuori dell’aula.
Rimaste sole le altre due si gettarono un’occhiata perplessa. Quindi si voltarono a vedere il punto che appena poco prima sembrava aver attirato le attenzioni dell’amica e sbiancarono notevolmente quando capirono di che si trattava.
“Oh no!”, dissero in coro, alzandosi a loro volta e caracollando fino a raggiungere l’estremità opposta del corridoio, nel punto in cui si ergeva la 3 – D.
“Insomma vuoi finirla una volta per tutte di importunare Yamato?”, le urla di Reika sovrastarono quelle degli altri studenti.
Sora e Hitomo si gettarono un’occhiata terrorizzate, prima di entrare nell’aula e appurare che i loro sospetti erano fondati. Reika stava litigando nuovamente con Harumi.
“Ti ho già detto che questi non sono affari che ti riguardano!”, ribatté prontamente la rossa, accompagnata ancora dalle sue due fedeli amiche.
“E invece sì!”
“Non sei nemmeno in classe con lui!”
“Sono solo dettagli!”
“Reika, Harumi, per favore…”, tentò di sedare gli animi Sora, arrossendo quando si rese conto di essere fissata da tutti i presenti.
“Si può sapere che vuoi da me?”, Harumi però non sembrò nemmeno sentirla presa com’era dal furioso battibecco con la moretta.
“Voglio che tu lasci perdere Yamato!”
“Per quale cavolo di motivo?”, s’infuriò ancora di più l’altra.
“Ma come fai a non capire?!”, si chiese spossata Reika.
“A capire cosa?”
Che Yamato è già occupato, dannazione!”, sbottò infine la moretta, riuscendo ad ammutolire l’altra per qualche istante buono.
“Occ…occupato?”, ripeté infine poco dopo Harumi.
Adesso il tono della sua voce era ritornato basso.
“Esatto, gli piace già qualcun’altra”, ribadì Reika.
Dietro di lei Sora sembrò a ragione colorarsi di tutte le tonalità possibili di rosso.
“Lei”, aggiunse infine la moretta additando proprio la giovane Takenouchi, a cui fece così involontariamente aumentare il rossore sul volto.
Harumi rimase piuttosto sconvolta dall’affermazione, come quanti avevano udito la conversazione. Spostò lo sguardo su Sora, che avrebbe pagato oro pur di scomparire in quel momento, e la fissò per un lungo istante. Poi, finalmente, sembrò riscuotersi.
“Se è così, allora…”, disse con voce piatta. “Ma se scopro che hai inventato tutto…!”
Rivolse un’occhiata minacciosa a Reika, la quale però non si lasciò spaventare, prima di andare via con le proprie amiche. Rimaste sole, anche la moretta si voltò verso le sue di amiche.
“Scusami tanto Sora”, le disse con una nota di desolazione ben percepibile nella voce.
L’istinto omicida che per un attimo aveva assalito il cuore della giovane Takenouchi, si dissipò quasi per miracolo nell’udire una voce tanto abbattuta. Sorrise.
“Non…non fa nulla”
“Grazie”, Reika le sorrise e, colta da un’incredibile ondata d’affetto, la abbracciò dolcemente, incurante degli sguardi attoniti dei presenti.
Da poco lontano Hitomo, che le stava osservando, scosse il capo sconsolata ma allo stesso tempo anche incredibilmente sollevata per l’esito che avevano avuto le cose.
 
 
L’allenamento quotidiano di tennis sembrava molto più pesante rispetto al normale. Oltretutto si era aggiunto anche il repentino cambiamento delle temperature, divenute improvvisamente più basse. Stava di fatto che quel pomeriggio stare al passo con gli esercizi programmati dall’allenatrice Shizuka richiedeva uno sforzo fisico che andava aldilà di quello richiesto normalmente.
“Non ce la faccio più”, Reika si rivolse ad una delle sue compagne di squadra, che annuì concorde.
“Sora invece sembra in gran forma oggi”, osservò quella accennando alla ragazza che ancora si stava allenando al centro del campo.
La moretta annuì. Nell’osservarla, doveva riconoscere che Sora era probabilmente quella più allenata di tutte loro. Aveva un’ottima resistenza fisica, rinvigorita forse dagli anni passati nel calcio, una tecnica davvero niente male e dei riflessi eccellenti. Senza contare che si allenava costantemente e duramente.
“Ragazze, per favore, potete venire un attimo qua?”, il fluire dei suoi pensieri fu interrotto dal richiamo di Shizuka che le voleva tutte attorno a sé.
Le ragazze obbedirono.
“Sì, mister?”, chiese incuriosita qualcuna.
“Come avrete notato, oggi gli allenamenti sono stati molto più pesanti del solito”, iniziò la donna, ricevendo subito gli assensi di buona parte delle iscritte. “Ma c’è uno scopo preciso dietro a ciò e si tratta dell’annuale campionato studentesco”
Si udì qualche sospiro, ma nessun commento sensato all’affermazione.
“Ieri ho saputo i termini del campionato, che sono in pratica quelli di sempre: squadre da due o da una persona, eliminazione diretta e coppa come vittoria (inventato, ovviamente! ^^’’ NdA)
“Scusi mister”, si fece avanti Reika. “Potrei sapere quando inizia il campionato?”
Shizuka annuì. “Certamente. Inizierà con esattezza il 10 di dicembre e per allora vorrei che mi diciate il nome del compagno con cui intendete formare la squadra per il doppio o, nel caso, se volete iscrivervi da singoli”
Sora e Reika a quell’affermazione si gettarono un’occhiata istintiva, per poi sorridere quando lessero negli occhi dell’altra la stessa identica idea.
“Professoressa Shizuka, può già inserire il nome mio e quello di Sora Takenouchi nella lista dei doppi!”, disse raggiante la moretta, ricevendo un sorriso compiaciuto dall’allenatrice.
“Va bene”, annuì. “Quando anche gli altri avranno deciso, fatemelo sapere e io provvederò alle iscrizioni. Ma mi raccomando a dirmelo prima e non oltre l’otto dicembre, ultimo giorno per chiunque vorrebbe iscriversi”
“D’accordo!”, un coro si levò nell’aria, poi il gruppo si sciolse per permettere ad ognuno di loro di godere di quella piccola pausa.
“Reika! Sora!”
Le due ragazze si voltarono incuriosite, per poi sorridere quando distinsero chiaramente la figura familiare di Hitomo. Ma non era sola. Accanto a lei, infatti, c’era un ragazzo dall’aria bonaria, con una massa di capelli scuri e ricciuti, e due bellissimi occhi scuri, con tante preziose striature del color dell’ametista.
“Ciao Hitomo!”, le sorrise Sora, incuriosita dal ragazzo affianco all’amica.
“Ichiro! Anche tu qui?”, Reika si rivolse proprio a quello.
Il moro annuì. “Io e Hitomo eravamo da queste parti e così abbiamo pensato di fare un salto per venire a vedervi allenare”, spiegò sinteticamente.
Reika annuì, mentre Sora sorrideva intenerita. Sapeva che Hitomo era fidanzata, ma quella era la prima volta che incontrava Ichiro. Eppure, nonostante ciò, le sembrava di conoscerlo da sempre. Forse era per via di Hitomo, che le parlava in continuazione del suo dolce ragazzo, o per merito di Reika, che non si stancava mai di sottolineare il fatto d’essere la cupida di quella relazione. Ed era vero. Reika conosceva Ichiro dalle elementari, ma poi lui si era dovuto trasferire nel quartiere vicino e così si era dissipata anche la loro amicizia. Salvo poi ritrovarla un’assolata giornata primaverile d’inizio anno, in un incontro avvenuto del tutto casualmente. La scuola era appena finita anche per quel giorno (vorrei ricordare che in Giappone la scuola inizia ad aprile e termina a marzo dell’anno successivo NdA) e Reika aveva proposto alle sue due nuove amiche (nuove perché nel Paese del Sol Levante c’è l’usanza di “rimescolare” le classi ad ogni inizio anno! NdA), che aveva conosciuto in quell’inizio terzo anno, di andare in centro per una passeggiata. Purtroppo, però, Sora aveva dovuto gentilmente declinare l’invito perché la madre le aveva chiesto una mano in negozio (la madre di Sora vendeva i fiori nell’anime, giusto? @_@ me confusa… NdA), ma Hitomo era stata ben lieta di accettare. Ed era stata proprio in quell’occasione, mentre le due ragazze camminavano distrattamente per le vie di Odaiba, che Reika aveva rivisto il suo vecchio amico. Una parola, qualche sorriso e la vecchia complicità era stata ritrovata. Così, in questo clima festoso, la mora aveva fatto le presentazioni e da lì era come scoccato il colpo di fulmine. Hitomo e Ichiro avevano preso a sentirsi prima saltuariamente, poi sempre più regolarmente fino a quando non avevano deciso di mettersi insieme.
“Ichiro, lei è la mia amica Sora Takenouchi”, ad interrompere il fluire dei suoi pensieri ci pensò la voce gaia di Hitomo.
“Sora, certo! L’ultimo membro del trio!”, sorrise raggiante il giovane, oltre la rete metallica che divideva il campo da tennis dal resto del cortile.
“Tu, invece, sei Ichiro”, ricambiò al sorriso la giovane Takenouchi. “Hitomo e Reika mi hanno parlato spesso di te”
“Davvero?”
Hitomo arrossì lievemente, ma non rispose limitandosi al contrario ad abbassare imbarazzata il capo. Ichiro sorrise.
“Ne sono molto felice”
La bionda alzò lo sguardo e il suo cuore si sciolse come neve al sole quando incrociò quei meravigliosi occhi ametista. Oltre la rete, Reika stava per rispondere con una delle sue solite battutine, ma fu bruscamente interrotta dal suono del fischietto della professoressa Shizuka. Sospirò.
“Accidenti, è già ora di ritornare in campo…”, si lamentò teatralmente.
“Coraggio, Reika! Alle elementari eri molto più attiva!”, la rimproverò scherzosamente Ichiro.
Per tutta risposta la moretta gli mostrò la lingua, salvo poi sorridere nel prendere Sora per un braccio – che non aveva smesso per un solo istante di fissare Hitomo e Ichiro con espressione assorta – e correre allegra verso il campo da tennis.
 
 
Nella familiarità della sua stanza, Sora tentennò ancora qualche minuto prima di avventarsi, in uno slancio di coraggio, sul pacco azzurro e correre come una forsennata fuori della camera.
“Mamma, salgo un attimo da Taichi e Yamato!”, urlò mentre sfrecciava per il corridoio.
Indossò le scarpe con incredibile velocità e in men che non si dica si ritrovò a lottare contro il campanello dell’appartamento B. Il suo dito indice era ben premuto sul tasto bianco alla destra della porta d’ingresso, ma dentro di sé si ritrovò a vacillare ancora una volta. Stava davvero facendo la cosa giusta? Con che coraggio poteva dargli quel pacco, quel…quel regalo? Deglutì, e fissò il dito che non si decideva a staccarsi dal campanello. I suoi pensieri correvano ancora febbrili nella sua mente, trascinandola vorticosamente nell’angoscioso oblio dell’incertezza, quando la porta si aprì e ne fece capolino un lievemente irritato Taichi.
“Chi diav… Sora?!”, non si curò di nascondere la propria sorpresa nel riconoscere la fanciulla.
Il leggero fastidio per l’insistenza con cui avevano suonato alla porta era scemata completamente, trasportata dalla lieve brezza che tirava quel giorno. Al suo posto, due occhi sgranati e un’espressione come inebetita. Era la prima volta che la ragazza citofonava così petulantemente.
Avrebbe voluto chiederle che ci facesse lì, perché aveva suonato insistentemente senza attendere nemmeno per un istante che lui giungesse alla porta. Ma alla fine tutte le sue domande morirono con la nascita di un delizioso rossore sulle gote di lei.
“Non ti sarà venuta la febbre, vero?”, la guardò pensieroso.
Sora arrossì ancora di più, scuotendo il capo.
Yagami allora ci pensò ancora per qualche istante, prima di scrollare le spalle.
“Va beh! Tanto ho una cosa da mostrarti!”, e senza chiedere nulla, senza aspettare che lei dicesse qualcosa, la afferrò per un braccio e la costrinse a seguirlo in casa.
Mentre passavano per il soggiorno, Sora si ritrovò a notare come il tavolino fosse cosparso di riviste sportive, indubbiamente di Taichi. Ma questi futili pensieri furono sostituiti da una strana emozione quando si rese conto di trovarsi nella camera di Yamato. Era la prima volta che vi metteva piede da quando gli aveva rotto il prezioso razzo che custodiva gelosamente sul comodino.
“Tai…Taichi, Yamato non si arrabbierà se ci vede in camera sua?”, domandò timorosa la giovane, memore dell’ultima volta.
“Tsk! E comunque Yamatuccio caro non c’è, è uscito per fare la spesa, quindi anche volendo…!”
“Sì, però…”, tentennò ancora Sora.
“Dai, devo solo mostrarti una cosa!”, la rassicurò con un sorriso Taichi, prima di accennare a qualcosa d’indefinito davanti a sé.
La giovane Takenouchi seguì il punto indicato dal dito dell’amico e il suo cuore mancò un battito quando adocchiò l’oggetto accuratamente custodito proprio sul comodino di fianco al letto di Yamato.
“Ma è…è… Ma è il razzo!”, disse senza riuscire a celare una nota di stupore.
Taichi sorrise.
“Esatto!”, confermò. “Yamato l’ha aggiustato”
Sora osservò minuziosamente il piccolo oggetto e notò tante piccole fenditure, il segno visibile dell’incidente che aveva coinvolto il razzo miniaturizzato.
“Yamato deve tenere molto a questo razzo…”, disse pensosa, senza quasi accorgersene, la ragazza.
L’altro annuì. “È stata la madre a regalarglielo (okay, anche in un’altra delle mie fanfic la madre di Yamato gli fa questo regalo, e difatti non volevo inserirlo. Ma poi si è rivelato un punto cruciale per la storia e così alla fine ho deciso di introdurlo lo stesso! Scusatemi per la ripresa! ^^’’ NdA) prima della separazione”
Sora lo ascoltò rapita, senza mai distogliere lo sguardo dal modellino. Adesso riusciva a capire il motivo per cui aveva letto tanta glacialità negli occhi di Yamato quando le era caduto di mano. O la stessa sua reazione ancora prima, quando l’aveva pizzicata con in mano l’oggetto.
Istintivamente si ritrovò a nascondere il pacchetto azzurro dietro la schiena, decidendo che non poteva consegnarlo al suo legittimo destinatario.
“A proposito: come mai sei qui?”
La domanda di Taichi la fece trasalire. Nascose ancora di più il pacco che il brunetto ancora non aveva notato.
“Io… Non ha importanza”, si sforzò di sorridere, mentre usciva rapidamente dalla stanza del biondo per percorrere il breve corridoio.
“Sora, ma…”, la richiamò il giovane Yagami, ma le sue parole scivolarono sulla porta di legno che veniva richiusa.
Fuori, la ragazza stringeva gli occhi per tentare di scacciare quella pesante sensazione che le gravava rovinosamente sul cuore. ‘Perché?’, si chiese mentre scendeva i gradini che la separavano dal suo di appartamento, ‘perché con Yamato deve essere tutto così difficile?’.

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Capitolo 15
*** Chapter Fifteen ***


Good Boys

Good Boys

Chapter Fifteen

 

Reika: Non posso crederci: il 10 inizierà il campionato di tennis!! Ma ci pensi Hitomo?

Hitomo: Ah… *.*

Reika: Ehm…Hitomo?!

Hitomo: Ah…che tesoro il mio tesoro…

Reika: Eh? Si può sapere che stai confabulando?? ?.?

Hitomo: Oh, Reika! Hai visto com’è dolce il mio Ichiro? E poi è così carino!! ^//^

Reika: Uhm… Sei sicura di stare bene?

Hitomo: Ichiro…sei così bello! E dolce! E sensibile! E…

Reika: Lasciamo perdere che è meglio, va! -_-’’

L’annuale campionato di tennis è ormai alle porte e Sora e Reika si allenano duramente in vista del gran giorno. Ma, intanto, nuovi sconvolgimenti inquietano gli animi delle due, soprattutto della giovane Takenouchi che, in preda a contrastanti sentimenti, scappa improvvisamente via dopo che Taichi le mostra il modellino di razzo, da lei distrutto, riaggiustato da Yamato. Che succederà adesso? Sora riuscirà a consegnare il piccolo pacco blu al suo legittimo destinatario? Per scoprirlo, non vi resta che continuare a seguire le altalenanti avventure di “Good Boys”!

 

***

 

Una coltre argentea si stagliava eterea nell’azzurro del cielo, frapponendosi ai caldi raggi di sole che tentavano disperatamente di raggiungere il suolo. Gli alberi, sempre più spogli, brandivano le loro esili braccia verso l’alto, nella speranzosa ricerca di un po’ di calore. Ma dicembre era alle porte, le temperature si ritrovavano ad essere sempre più basse e un’aria fresca riempiva le strade della città.

‘Ecco Yamato!’, Sora si mise ritta rispetto alla posizione svogliatamente appoggiata al muro di poco prima e fissò il suo sguardo verso il biondino che le si faceva, con passo lento ma deciso, incontro. I capelli dorati sembravano tante spighe di grano irradiati dai preziosi raggi del sole e quel suo portamento così spiccatamente elegante gli donava un’aria terribilmente attraente. Yamato Ishida era come una calamita. Con quell’innata aura di mistero che gli aleggiava perennemente attorno, attirava ad ogni suo passo le attenzioni dei presenti.

Così come il resto degli studenti che ancora si attardavano in cortile, anche Sora non poteva fare a meno di scrutare quella posata figura. Era strano come il battito del suo cuore coincidesse con il rumore attutito dei passi di Yamato. Anomalo il tremore che le indeboliva le gambe man mano che lui si avvicinava. Si sentiva una stupida, ma non riusciva proprio a distogliere lo sguardo da lui, dalla sua figura magnetica.

“È da tanto che aspetti?”

La voce di Yamato era bassa e profonda, come i suoi intensi occhi blu.

Sora arrossì. “N…no”

“Allora andiamo?”, le chiese ancora lui, senza distogliere lo sguardo dal suo viso.

Non dovevano aspettare Taichi, perché quel giorno era impegnato con gli allenamenti di calcio.

“Sì”, annuì lei, sentendosi infinitamente impacciata.

Mentre camminavano silenziosamente l’uno accanto all’altra, i sentimenti nel cuore di Sora si fecero sempre più confusi e quella strana sensazione che l’aveva colta non solo la sera prima, ma già da svariato tempo, si rifece sentire implacabile in lei.

“Yamato?”, lo chiamò allora, non senza arrossire lievemente.

“Uhm?”

“Qual è il giorno del tuo compleanno?”

La domanda lo lasciò di stucco, ma ugualmente, cercando di non darlo a vedere, le rispose.

“Il 7 luglio (la data dovrebbe essere quella reale e ringrazio a tal proposito la mia carissima Yuki per avermela fornita! Thanks! ^^ NdA)

“Quindi sei del… Uhm, 7 luglio… Sì, sei del cancro (scusate se v’interrompo nuovamente, volevo solo fare una precisazione. In Giappone si utilizza normalmente l’oroscopo cinese, ma considerando il fatto che io non sapevo quale fosse il segno corrispettivo alla data di nascita di Yamato, ho deciso di utilizzare quello occidentale che comunque non disdegnano! Scusate! NdA)!”

“Esatto”, disse solo il biondo, senza alcun entusiasmo.

“E qual è la tua stagione preferita?”, insistette Sora, presa dall’estro.

“Inverno”, rispose distrattamente il ragazzo.

Adesso si stava iniziando a stancare.

“Inverno…”, ripeté con un sorriso sibillino lei. “E il tuo colore preferito?”

“Si può sapere perché mi stai facendo tutte queste domande?”, sbottò infine, leggermente seccato, Yamato.

Sora sussultò, fermandosi, colta alla sprovvista da quel repentino scatto.

“Ma… Io volevo solo…”, farfugliò prima che una marea d’emozioni differenti le attanagliasse il cuore.

Poi, d’improvviso, calde lacrime iniziarono a scender giù dal suo viso. Non voleva, non voleva piangere, ma si sentiva una stupida e non poteva fare altro. Ormai erano mesi che conosceva Taichi e Yamato, ma se del primo aveva imparato ogni cosa, del secondo…beh, fino a poco tempo prima non sapeva nemmeno che i suoi genitori fossero separati. Il pensiero si riversò su di lei con un ardore devastante.

“Perché io…”

Yamato, notando che si era fermata, si voltò verso di lei e rimase visibilmente attonito quando la vide piangere.

“Io…non so niente di teSono un’idiota… Scusami!”

Sora lo urlò quasi, come se fosse stato uno sfogo tenuto dentro per troppo tempo. Ecco, ecco finalmente cos’era la sensazione che l’aveva colpita la sera prima, e ancora prima… Un desiderio. Un’insaziabile brama di sapere, di conoscere qualcosa in più del suo silenzioso amico.

Ma averlo detto così, davanti a lui… Si portò le mani alla bocca e sgranò gli occhi. Si sentiva una stupida e quegli occhi oltremare che la fissavano allibiti…no, non poteva reggere oltre quella situazione.

Senza aggiungere nulla e senza riuscire a frenare quel fiume che le riempiva le gote, Sora iniziò a correre come una forsennata nel desiderio più feroce di scomparire. Ma non le fu possibile perché dopo pochi metri percorsi, una mano che le si poggiava sul polso la bloccò. La ragazza non si voltò. Sapeva già chi era.

“Sora…”

Quella voce così intensa le fece salire dei fremiti lungo tutta la schiena. Strinse meccanicamente gli occhi.

“Che significa?”

Una semplice domanda, ma devastante quanto un uragano.

Sora riaprì gli occhi, mentre per la prima volta si faceva chiara una consapevolezza che per troppo tempo si era celata dietro al tumulto del suo cuore. Un istante e le sembrò che ogni tassello ritrovasse il proprio posto, in un’ultima e finalmente limpida visione del puzzle.

Si voltò, sentendo più che mai la stretta del giovane ancora attorno al suo polso.

“Significa che… Il fatto è…”, trasse un ampio respiro e fissò i propri occhi in quelli suoi. “Mi piaci”

Lo disse con semplicità, sebbene quelle due poche parole portassero con sé un significato profondo per entrambe.

Yamato la fissò. Adesso più che mai nei suoi occhi cerulei era ben visibile una nota di stupore, segno indelebile che quella confessione l’aveva sconvolto.

“Io… Mi dispiace”, accennò ad un sorriso lei, che però morì tra le lacrime.

Non voleva farsi vedere così da lui, si sentiva già una stupida. Una sciocca per quelle lacrime, sì, ma soprattutto per non averlo saputo capire prima. Eppure era semplice, adesso che ci rifletteva le sembrava di saperlo da sempre. Yamato le piaceva. Forse sin dalla prima volta che l’aveva visto, quando era sceso da quel camion dei trasporti e le aveva rivolto parole non proprio gentili. E forse lo sapeva da quando la sera dopo si erano trovati soli, e aveva creduto che lui volesse baciarla. E forse lo aveva capito quel giorno, al luna park, o nell’ansia di una sua reazione quel giorno, al picnic con Takero e Hikari, quando aveva assaggiato il sushi preparato da lei e dalla giovane Yagami.

‘Lui…mi piace…’, si ripeté tra sé e sé, nascondendo quelle sue lacrime tra le mani e interrompendo così anche il lieve contatto fisico instaurato con lui. Tuttavia l’imbarazzo, che ora le sembrava di poter provare per sempre, non riuscì a sopravvivere all’abbraccio di lui. Le braccia sicure di Yamato si erano allungate verso di lei, fino a richiuderla dolcemente tra sé quasi fosse stata un delicato cristallo da proteggere.

“Non piangere, Sora”

Il suo fu poco più di un sussurro, ma tremendamente sicuro. ‘Yamato…’, Sora poteva sentire la dolce stretta delle sue braccia sulle proprie spalle, il suo capo poggiato sulla propria testa ramata, il petto scolpito sotto le mani oltre la divisa scolastica. E il proprio cuore, prima stretto dalla lucida scoperta della verità, liberarsi e sciogliersi completamente sotto quel calore…il calore di Yamato.

 

 

“Umpf…che palle!”, sboccò al termine di un duro allenamento Taichi, stiracchiandosi gli arti per poi gettarsi distrattamente il borsone da calcio dietro le spalle.

“Oggi il mister ci ha massacrati”, sbadigliò, accanto a lui, Aki.

Stavano passando davanti al campo da tennis per tirare dritto fino all’uscita del cortile, quando vennero attirati da un leggero tonfo. Si voltarono e rimasero piuttosto stupiti di notare che al campo da tennis c’era qualcuno che si allenava.

“Ehi, ma quella è Reika!”, esclamò leggermente stupito Taichi, senza distogliere lo sguardo dalla figura della ragazza illuminata dall’arancia luce solare.

Accanto a lui anche Aki non aveva occhi che per la compagna di classe. Si era come imbambolato e per questo il brunetto dovette chiamarlo un paio di volte prima che gli rispondesse.

“Eh?”

Taichi sbuffò. “Ma dove hai la testa?! Ad ogni modo ti ho chiesto se ti andava di aspettare Reika. Il sole sta tramontando e non mi sembra il caso che vada in giro da sola”

“S…sì”, annuì Aki, arrossendo in apparenza senza alcun motivo.

“Okay!”, disse il brunetto prima di voltarsi verso il campetto. “Ehi Reika!”

Aveva messo le mani davanti alla bocca a modo di megafono e il suo piano parve funzionare. La giovane interpellata, infatti, si voltò incuriosita verso di loro per poi sorridere quando li riconobbe.

“Taichi! Aki!”

Qualche minuto dopo, la moretta era affianco a loro, cambiata e con il borsone tra le mani.

“Non sapevo aveste gli allenamenti oggi”, attaccò bottone Taichi.

“Infatti non ne avevamo”, gli rispose con un sorriso Reika. “Sono io ad essere venuta. Volevo esercitarmi nella battuta e così mi sono fermata per il pomeriggio”

“Beh, non dovresti stare fuori da sola fino a così tardi”, la rimproverò Yagami.

Le guance della moretta si colorarono appena di un delizioso rossore.

“Hai ragione, ma mi stavo allenando e così non mi sono accorta del tempo che passava”

“Va beh, per stavolta passi!”, le ammiccò scherzosamente lui, ricevendo per questo un meraviglioso sorriso da parte di Reika.

Alla destra di Taichi, intanto, Aki fissava un punto imprecisato sulle sue scarpe. Era strano…si sentiva strano. L’immagine della compagna di classe appena poco prima, accarezzata dai miti raggi del sole, continuava a tornargli alla mente. Eppure prima non aveva mai pensato a Reika così…

“Ehi, Aki, ci sei?”, fu la voce dell’amico a riportarlo alla realtà.

“Eh?! Come?”

“Si può sapere a che accidenti stai pensando?!”, borbottò Taichi.

Affianco a lui Reika si lasciò sfuggire una risata divertita, che andò involontariamente ad incidere sul rossore che adesso accendeva le guance di Aki.

“Niente, io… Ho saputo che presto inizierà il campionato di tennis”, cambiò prontamente discorso il giovane dai capelli nocciola.

“Il 10 dicembre”, annuì Reika, facendosi d’improvviso pensierosa.

Aki la fissò e subito si sentì arrossire. “Ah… E…e sei preoccupata?”

“Un poco”, ammise sospirando lei. “Sono in coppia con Sora, ma lei è atleticamente più preparata di me”

“Per questo ti allenavi?”, chiese ancora lui.

“Sì”, rispose Reika, crucciata.

A quella visione, qualcosa in Aki scattò.

“Vedrai che sarai fantastica come sempre!”, disse prima ancora di rendersene conto.

Ma allo sguardo interrogativo di Reika e sotto gli occhi allibiti di Taichi, non poté fare a meno di arrossire come un pomodoro maturo e desiderare di poter sprofondare diecimila metri sotto terra!

“Vo…voglio dire che…tu… Insomma, tu sei bra…brava, ecco, e…”, iniziò a farfugliare imbarazzatissimo.

La risata cristallina di lei, però, mise fine al suo sproloquio. Aki alzò nuovamente lo sguardo verso di lei e subito, a dar compagnia all’acceso rossore sul suo volto, accorse un sorriso spontaneo. Ma se Reika, piegata dalle sue risa, non se ne accorse, non fu altrettanto fortunato con Taichi. Il brunetto, infatti, stava fissando l’amico già da un po’ di tempo con un certo presentimento e adesso quelle sue parole, unite al sorriso trasognato che gli arricciava le labbra, gli avevano confermato quasi del tutto quel suo sospetto.

Taichi sorrise sibillino, portandosi anche l’altra mano dietro la schiena a dar compagnia a quella che già reggeva il borsone. Non c’erano dubbi: si sarebbe proprio divertito…

 

 

La miriade di luci si susseguivano insidiose per le strade di Tokyo, mitigando la dolce oscurità della sera. La luna era visibile solo per uno spicchio, mentre nascondeva l’altra parte dietro il manto delle tenebre.

“Mamma, esco un attimo a prendere una boccata d’aria”

La proposta poteva risultare un po’ bizzarra visto l’aria fresca che aveva preso a tirare in quel giorno di venticinque novembre, ma Sora non se ne curò. In fondo era proprio di quella freschezza che aveva bisogno, l’unica in grado di riordinare il tumulto sentimentale del suo cuore.

Aveva appena chiamato il padre, il signor Takenouchi, informandola di arrivare a Tokyo appena qualche giorno prima di Natale. Sora ne era felicissima, ma in quel momento i suoi pensieri erano rivolti a tutt’altra cosa. Ripensava, come inevitabile che fosse, a quello che era accaduto quel pomeriggio. Aveva scoperto e detto a Yamato di piacerle nel giro di pochi istanti…aveva sentito la dolcezza del suo abbraccio…aveva avvertito il proprio cuore crogiolare sotto quel calore…

Nel pensare nuovamente a ciò, alle parole che il biondino le aveva rivolto e alla supplica di non piangere, si sentiva terribilmente bene. In pace, ecco. E forse proprio per questo non notò minimamente la figura appollaiata già da diverso tempo sui gradini della rampa di scale che conduceva al piano superiore.

“Sora”

La ragazza sobbalzò spaventata, per poi arrossire e palpitare quando, voltandosi, vide Yamato seduto sulle scale intento a fissarla.

“Ya…Yamato! Che ci fai qui fuori con questo freddo?”, fu la prima cosa che le venne in mente di chiedergli.

“Potrei farti la stessa domanda”, disse vago il giovane Ishida, alzandosi e muovendo qualche passo verso di lei.

Sora sentì il proprio petto sussultare a quella vicinanza e il battito cardiaco farsi sempre più veloce. Non riusciva a smettere di ripensare al suo abbraccio, a quello che si erano detti e ciò non faceva che procurarle uno smisurato imbarazzo. Come doveva comportarsi?

“Stavo per lasciar perdere e ritornarmene a casa”, disse ad un tratto Yamato, riportandola bruscamente alla realtà. “Ma poi ho visto la porta del tuo appartamento aprirsi e alla fine ne sei uscita finalmente tu”

La giovane Takenouchi strabuzzò gli occhi. La…la stava aspettando?!

“Tieni, volevo darti questo”

Il biondino le lanciò qualcosa, che Sora prese goffamente tra le mani. Aprì l’intreccio di dita che lei stessa aveva creato e rimase piuttosto sorpresa di notare una piccola agenda nera.

“È stata una ragazza che lavorava al giornalino della scuola a scriverla per un articolo. Io ho solo risposto alle domande e alla fine lei me l’ha regalata. Sai per… Nel caso qualcun altro avesse voluto fare un articolo come il suo”, spiegò Yamato, distogliendo lo sguardo per nascondere il leggero imbarazzo che gli impreziosiva il volto.

Sora lo fissò ancora sorpresa per il gesto, ma non per la delucidazione. Non la stupiva il fatto che il giornale della scuola avesse voluto scrivere un articolo su di lui. Era normale. Yamato era un ragazzo corteggiato e non solo all’Odaiba High School chiaramente.

Allo stesso tempo la ragazza non poteva che sentirsi onorata. Era felice che lui l’avesse attesa sotto quell’aria fredda solo per darle quell’oggetto, senza che lei glielo avesse chiesto oltretutto. Il cuore fremette e lei si sentì leggera, consapevole del fatto che Yamato le piaceva ogni minuto che passava in sua compagnia sempre di più.

“Gr…grazie”, mormorò, arrossendo e sorridendo insieme.

Sotto il suo sguardo di sincera gratitudine, anche l’imperturbabilità del giovane Ishida sembrò vacillare.

“Beh, ci vediamo ragazzina!”, la salutò allora, onde evitare di mostrarsi in imbarazzo con lei.

Sora lo seguì con lo sguardo mentre saliva le scale, lo udì entrare in casa sua e infine sentì la porta dell’appartamento B richiudersi definitivamente. Allora si voltò a fissare la graziosa agendina che aveva tra le mani. Si sentiva felice come non mai mentre, con un certo ed insolito tremore dettato dall’emozione, sfogliava quelle pagine macchiate d’inchiostro nero. La scrittura delle domande era spiccatamente femminile, in contrasto con quella lineare che formava le risposte.

“Colore preferito?”, lesse ad alta voce, per poi sorridere nel leggere la risposta. “Blu”

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Capitolo 16
*** Chapter Sixteen ***


Good Boys

Chapter Sixteen

 

Nota dell’Autrice:

Il capitolo che segue è un po’ *particolare* rispetto agli altri. Difatti nel sedicesimo e – per la lunghezza della parentesi – nel diciassettesimo capitolo, le avventure dei protagonisti di “Good Boys” si alterneranno ad episodi estratti dai ricordi di Taichi e Yamato. Si tratta di un excursus sul loro passato che, in una serie di digressioni fatte di flash-back continui, si proporrà di chiarire anche il forte sentimento quasi fraterno che li lega, ma che dapprincipio non aveva mancato di assumere talvolta dei toni quasi rissosi. Fatta questa piccola ma essenziale premessa, vi lascio finalmente alla storia! E, intanto, vi mando un bacio a tutti! J

Memi

 

***

 

Il sole spalleggiava un cielo sgombro di nuvole ma non riusciva ad incidere sulle temperature ancora basse. Taichi si strinse un po’ di più nel giubbotto blu, chiedendosi come avrebbero potuto giocare con un’aria tanto pungente. Ma poi l’entrata in campo di Sora e Reika, le prime ad inaugurare l’apertura stagionale del campionato di tennis, gli fece dimenticare ogni pensiero circa il tempo. Piuttosto si chiese che fine avesse fatto Yamato, visto che il torneo stava per iniziare e lui ancora non si era fatto vedere. La sua muta domanda, però, trovò risposta non appena voltò il capo verso l’entrata del cortile.

Il biondo stava percorrendo a grandi falcate l’erbetta inumidita dal freddo e gli si faceva rapidamente incontro.

“La partita?”, chiese infine quando lo ebbe raggiunto.

Il giovane Yagami scrollò le spalle. “Sta per iniziare”

Yamato annuì, dando segno di aver capito, per poi voltarsi a fissare il campo da tennis.

“Come mai sei arrivato in ritardo?”, fu Taichi a fugare il silenzio appena qualche istante dopo.

“Stavo aspettando Jyou e Koushiro, ma mi hanno appena avvertito che avrebbero tardato”

“Quindi verranno anche loro?”

“Già”

Scese il silenzio e Taichi si scoprì a riflettere, forse per l’ennesima volta, che era diverso da quello di un tempo. E nemmeno la vicinanza con Yamato era più tanto irritante, al contrario adesso la trovava persino rassicurante. Gli pareva assurdo che una volta loro due non potevano sopportarsi, eppure era stato così. Proprio così…

 

 

Flash Back

Taichi imprecò, maledicendosi mentalmente per aver sbagliato a programmare la sveglia. Non era possibile che il primo giorno di sesta elementare fosse già in ritardo!

Controllò l’orologio e, con suo enorme sconforto, si rese conto di essere ormai in ritardo per la cerimonia d’apertura. Così quando imboccò il cancello d’entrata, decise di dirigersi direttamente in classe. Varcò come una furia l’entrata dell’edificio scolastico e fece per salire i gradini diretto alla sua vecchia classe, ma a metà si ricordò che era cambiata e così si precipitò a controllare la bacheca contenente i cartelloni che riportavano la nuova sistemazione.

“Ahi”

Tanto per la fretta, Taichi non si era minimamente accorto di trovarsi in rotta di collisione con un altro ragazzino che, di conseguenza, colpì brutalmente in una rovinosa caduta.

“Ahia…che dolore”, mormorò il brunetto massaggiandosi il gomito su cui era a sua volta caduto.

Quindi, senza perdere il suo buonumore, si voltò verso il povero malcapitato per accertarsi che stesse bene.

“Tutto okay?”, gli sorrise raggiante alzandosi e allungando una mano verso il biondino steso di fronte a lui.

Taichi ricordava vagamente di averlo visto qualche volta in giro per la scuola, ma non poteva dire di conoscerlo. Probabilmente, si disse mentre lo fissava cordiale, dovevano essere stati quegli spinosi capelli dorati ad aver attirato la sua attenzione, o quegli impenetrabili occhi blu, o ancora quell’aura impertinente che si leggeva sul suo volto. Ma non trovò mai una risposta alla sua domanda, perché le parole del biondino lo distolsero completamente dai suoi pensieri.

“Sta attento a dove metti i piedi la prossima volta”, disse con voce inflessibile e velatamente indispettita.

Taichi spalancò suo malgrado la bocca, sconvolto da quella reazione. Ma poi subito si riscosse, deciso più che mai a non farsi rivolgere quel tono da nessuno.

“Non l’ho fatto mica apposta!”, si difese brusco.

“Me ne sono accorto”, ribatté il biondino alzandosi a sua volta da terra.

Adesso i due si fronteggiavano. Avevano la stessa altezza e lo stesso fisico asciutto, ma le somiglianze parevano finire qui. L’uno aveva dei cespugliosi capelli castani, con dei buffi occhiali da aviatore sul capo, vestito con una magliettina blu e dei pantaloncini marroni, e con un’aria palesemente incollerita in volto. L’altro era biondo, portava una magliettina verde su un paio di semplici jeans, e aveva un’aria totalmente impertinente.

“Ti ho già chiesto scusa!”, disse con veemenza Taichi.

“No, non me l’hai chiesto”, negò con voce calmissima l’altro.

A Taichi quel modo di fare iniziava a dare sui nervi. E, soprattutto, odiava essere contraddetto.

“Stavo per farlo se solo tu me lo avessi permesso!”

“Non mi sembra ti abbia impedito di farlo”

Adesso il brunetto era notevolmente irritato.

“Insomma, si può sapere chi diavolo sei tu?!”, scoppiò.

“Potrei farti la stessa domanda”, replicò prontamente il biondino.

“Te l’ho chiesto prima io!”, ribadì il brunetto, colorandosi di rosso tanta era la collera.

Mai nessuno aveva osato trattarlo così! Ma chi diavolo si credeva di essere quello?!

“Non sono affari che ti riguardano”

“Ah sì? Allora nemmeno a te!”, rispose stupidamente Taichi.

Il biondo scrollò le spalle, facendo involontariamente infuriare ancora di più l’altro. Poi, senza dire nulla, lo superò diretto verso le scale.

“Ehi!”, s’inalberò Taichi, stizzito per essere stato così volutamente ignorato. “Si può sapere dove diavolo stai andando adesso??”

“In classe perché, nel caso non te ne fossi accorto, è tardi”, la velata ironia che utilizzò, suonò alle orecchie del brunetto come una presa in giro.

Taichi stava per dirgliene quattro, ma l’entrata di alcuni studenti – segno che la cerimonia d’apertura si era conclusa – lo fece desistere. Anche perché, come notò voltando il capo, ormai di quel presuntuoso biondino non c’era più nessuna traccia. Sbuffando poco aggraziatamente, il brunetto si avvicinò finalmente verso la bacheca per leggere i cartelloni affissi.

Fine Flash Back

 

 

Il fischio dell’arbitro risuonò acuto nell’aria, risvegliando il brunetto dai suoi vecchi ricordi.

“Che sta succedendo?”, si voltò verso il biondo al suo fianco.

“La partita è iniziata”, rispose sbrigativo Yamato, chiedendosi nel contempo se Taichi un giorno avrebbe poggiato i piedi a terra lasciando anche solo per qualche istante il mondo dorato dei sogni.

“Ah”, colto da un’improvvisa folgorazione, il giovane Yagami si avvicinò alla rete metallica che costeggiava il campo e vi si aggrappò con forza. “Forza ragazze!!!”

Il grido fece sorridere le due gareggianti che, dopo avergli regalato un sorriso raggiante, si concentrarono finalmente sul match che si apprestava a cominciare.

Soddisfatto, Taichi si portò leggermente più indietro e fece un cenno d’okay al biondino accanto a lui, prima di concentrarsi in definitiva sulla partita.

Yamato, invece, rimase ancora per qualche istante intento a fissarlo. E per un istante gli sembrò di rivedere quel Taichi undicenne che era riuscito a guadagnarsi sin da subito le sue antipatie, salvo poi abbatterle in una folata di vento…

 

 

Flash Back

Yamato sbuffò. L’incontro appena avvenuto con quell’arrogante ragazzino era riuscito ad infastidirlo e questo lo seccava forse ancor di più, perché non era da lui lasciarsi coinvolgere a tal punto dalle proprie emozioni.

“Accidenti a lui!”, tuonò, tirando un calcio alla porta scorrevole e aprendola così bruscamente.

Dentro qualche ragazzino gli lanciò un’occhiata perplessa, ma non se ne curò. Potevano pensare quello che volevano di lui, non gli toccava.

Si sedette in un rigoroso silenzio ad uno dei posti collocati verso le prime file. Odiava stare dietro, troppo chiasso.

“Ehm…ciao”, una vocina timida attirò la sua attenzione.

Yamato si voltò, ma non fece una piega quando incontrò lo sguardo impacciato di una ragazzina poco appariscente ma dall’aria indubbiamente amichevole.

“Io sono Maeko”, si presentò con un sorrisino. “Non…non ti ho visto alla cerimonia d’apertura”

“Non sono venuto”, le rispose con voce atona lui.

Le sue iridi blu erano ancora fisse sulla figurina di lei, tanto da provocarle un certo imbarazzo, ma Yamato non se ne curò.

“Ah…”, soffiò appena percettibilmente lei, arrossendo un po’. “Beh, se hai bi…bisogno, io…sono…”

“Okay”, la interruppe il biondino.

Maeko annuì e, incoraggiata dalle parole di lui pronunciate stavolta con un accenno di calore, gli sorrise, per poi tornare a parlottare con un gruppo di ragazzine poco più in là. Yamato sospirò. Aveva un caratteraccio, lo sapeva, ma non gli importavano tutte quelle formalità. Per questo aveva volutamente evitato la cerimonia di benvenuto.

“Salve a tutti!!”, la porta si spalancò di nuovo e l’attenzione del biondino venne attirata da un’entrata plateale.

Si voltò e sgranò appena percettibilmente gli occhi quando incontrò due vivaci occhi marroni.

“Tu…!”, il brunetto che aveva scontrato qualche minuto primo lo additava senza troppo ritegno, mentre sul suo volto iniziava man mano a salire un certo rossore dettato da una foga a stento controllata. “Che diavolo ci fai tu qui?”

Yamato sbuffò. “È la mia classe”

Lo vide impallidire repentinamente e, come un fulmine a ciel sereno, tutti i suoi più atroci dubbi si fecero sempre più reali, quasi palpabili. Non era possibile che…

“Ma è anche la mia classe!”

Appunto.

Gettò un’occhiata al brunetto, convincendosi sempre più che quella fosse una giornata assolutamente negativa per lui.

“Deve esserci un errore, non può essere vero…!”, insistette dall’altro lato della stanza il ragazzino dai capelli cespugliosi, mentre usciva per controllare ancora una volta la sezione. “Dannazione, è quella giusta!”

Yamato sospirò. Oltre che arrogante, era anche stupido…

“Coraggio, entrate in classe ragazzi. Che ci fate ancora qui fuori?”, la voce gioviale del professore attirò le sue attenzioni.

Il biondino si voltò verso la porta e vide il brunetto di poco prima rientrare in classe accompagnato da qualche altro ragazzo più il giovane professore della prima ora.

“Prendete posto dove più vi aggrada”, sorrise l’uomo, mentre si accomodava a sua volta dietro la cattedra.

Il brunetto sorrise e andò ad occupare uno dei posti dietro a tutto, non senza aver prima gettato un’occhiataccia a Yamato nel passargli accanto che però quello ignorò volutamente.

“Bene, procediamo con l’appello in modo che io possa conoscere anche i vostri nomi”, continuò il professore una volta che i suoi nuovi studenti avevano trovato collocazione. “Aritsu Ryu

“Presente!”, si alzò l’interpellato.

Yamato gli gettò un’occhiata fugace, prima di concentrarsi verso lo spettacolo che gli offriva la finestra. La voce del professore gli giungeva come da sottofondo, ma si fece trovare ugualmente pronto quando fu la sua volta.

“Ishida Yamato”

“Presente”, si alzò compostamente, per poi riprendere subito posto.

Il professore continuo l’appello e Yamato si voltò nuovamente verso la finestra, ma la sua discreta concentrazione venne di nuovo violata da un piccolo tonfo direttamente sul suo banco. Il biondino abbassò incuriosito lo sguardo e a stento nascose un moto di stupore quando si vide davanti un pezzo di carta tutto accartocciato. Lo aprì senza pensarci e rilesse più volte le poche parole che conteneva.

Ho scoperto il tuo nome alla fine!, citava, in una scrittura confusionaria, il biglietto.

Yamato si voltò quasi per istinto e non nascose un cipiglio quando, suo malgrado, incrociò lo sguardo vittorioso di un certo brunetto con dei bizzarri occhiali da aviatore. L’artefice di quel messaggio.

Il giovane Ishida, allora, aprì nuovamente il biglietto e, dopo avervi scritto velocemente qualcosa, lo lanciò discretamente verso il proprietario originario.

Anche io, gli aveva scritto Yamato e il brunetto ne pareva piuttosto perplesso. Com’era possibile?, si chiese confuso. Ma la risposta gli arrivò appena pochi istanti dopo.

“Yagami Taichi”, lo appellò il professore.

“Presente!”, si alzò di scatto quello, colto alla sprovvista.

L’uomo gli fece un cenno con la mano, al seguito del quale il brunetto riprese nuovamente posto. Tuttavia l’occhiata spiccatamente compiaciuta che Yamato gli rivolse non riuscì a passargli inosservata. Taichi si sedette, con il volto in fiamme, e il biondino seppe all’istante di aver colpito a fondo il suo orgoglio. E fu quello il momento in cui, senza volerlo, si designarono in contemporanea come il degno rivale dell’altro.

Fine Flash Back

 

 

“Taichi! Yamato!”

I due giovani interpellati si voltarono per scoprire la fonte di quel richiamo. Non furono sorpresi di vedere il sedicenne Jyou Kido e il rosso Koushiro Izumi avanzare verso di loro in una corsa trafelata.

“Ragazzi…a che punto è la partita?”, ansimò quest’ultimo, gettando fugacemente un’occhiata al campo da tennis.

“È iniziata da poco”, lo informò Yamato.

“Come mai avete fatto tardi?”, domandò invece Taichi, alzando un sopracciglio con espressione stupita.

Non era né da un tipo tanto affidabile e coscienzioso come Jyou, né da uno educato e riflessivo quale Koushiro, portare ritardo ad un incontro. La domanda, quindi, nasceva spontanea.

“Miyako!”, sbuffò discretamente il rosso.

Taichi e Yamato lo fissarono perplessi, ma fu Jyou a fornire loro una spiegazione.

“Avevamo appuntamento con lei, Ken e Iori, ma dopo mezz’ora che li attendevamo Miyako ci ha mandato un’email con scritto che avrebbero fatto un po’ più tardi. A quanto pare deve rimanere al minimarket di famiglia il tempo che i genitori escano un istante, e Ken e Iori hanno deciso di aspettarla”

“Così quando siamo arrivati alla fermata della metropolitana, abbiamo dovuto aspettare il prossimo convoglio dato che avevamo perso il primo!”, terminò di dire Koushiro.

“Allora meno male che non c’era anche Daisuke! Altrimenti vi faceva aspettare minimo un’altra ora!”, sghignazzò divertito il brunetto, ricevendo un’occhiata saccente da Yamato.

“Perché, tu sei tanto più puntuale di lui?”, lo ammonì con tono scherzoso, ma ricevette ugualmente una linguaccia da parte dell’amico.

“Pensa a te!”, ribatté prontamente Taichi, mal celando il divertimento che stava provando in quel momento.

“In ogni caso”, li interruppe Jyou, puntellando gli occhiali da vista. “È davvero un peccato che Daisuke e gli altri non siano potuti venire. Hikari mi aveva confessato di tenerci molto a vedere Sora giocare”

Affianco a lui Koushiro annuì.

“Anche Takeru c’è rimasto molto male”, annuì con fare diplomatico. “Ma purtroppo avevano un compito importante proprio per domani e così né loro né Daisuke sono potuti venire”

“Mia sorella me ne aveva parlato”, disse pensieroso Taichi.

La sua assorta contemplazione venne però distolta dal boato che riempì il cortile. Il brunetto, allora, si voltò incuriosito verso il campo da tennis.

“Che sta succedendo?”, domandò mentre i suoi occhi si posavano sul caloroso abbraccio che Reika aveva rivolto alla compagna di squadra.

“Sora ha appena fatto punto”, gli rispose con voce apparentemente incolore Yamato, ma Taichi era convinto che quella luce nei suoi occhi fosse di un sommesso compiacimento.

 

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Capitolo 17
*** Chapter Seventeen ***


Good Boys

Chapter Seventeen

 

Dedica dell’Autrice:

Per Beatrice, di cui non conosco il nick, ma che mi ha mandata una splendida mail d’incitamento per aggiornare questa sezione. In effetti è da un po’ che non lo faccio, devo ammettere che i motivi principali sono stati due: mancanza d’ispirazione (vedi: Naruto) e scarso tempo per scrivere. A dire il vero sono ancora sotto esame, ma di fronte ad una richiesta del genere non potevo rimanermene con le mani in mano. Perciò la ringrazio, e ringrazio tutti coloro che continuano a seguire questa storia. A breve, spero, cercherò di aggiornare anche il resto e di rispondere alle mail. Inoltre colgo la palla al balzo per scusarmi se non mi sono fatta “viva”, sono tremendamente dispiaciuta, ma come dicevo – e non è una scusante, non ho scuse davvero – sono stata alquanto impegnata. Stressata, direi che è il termine esatto, e credo di esserlo ancora. Senza il credo. Ad ogni modo, adesso vi lascio al capitolo. Baci!

Memi

 

***

 

Flash Back

Il sole brillava alto nel cielo, il parco profumava ancora d’erbetta appena tagliata e la dolce nenia di qualche uccellino riempiva le orecchie di chiunque si fosse fermato anche se per un solo istante ad ascoltare.

“Dai Hikari! Andiamo!!”, Taichi si voltò con un meraviglioso sorriso stampato in volto verso la bimbetta che correva ansante verso di lui.

Il vestitino rosa le donava particolarmente e la faceva somigliare quasi ad una delicata bambolina. Ma Taichi sapeva bene quanto la sua sorellina era forte, nonostante avesse solo otto anni. Certo, aveva ancora bisogno di sentirsi protetta e appoggiata, ma il suo carattere era già spiccatamente deciso. Una decisione che però non era mai sgradevole, ma sempre sfumata in una dolce gentilezza.

“Taichi, aspettami!”, tentò di raggiungerlo la piccola Hikari, ma il fratello era decisamente più veloce rispetto a lei.

Fu solo quando quello ebbe rallentato il passo che finalmente la brunetta riuscì a raggiungerlo e ad affiancarlo. Era felice di poter passare del tempo con il suo adorato fratellone, si ritrovò a pensare mentre un sorriso le increspava le labbra scarlatte. I suoi pensieri vennero però interrotti dall’inaspettato fermarsi di Taichi. Hikari lo fissò attonita.

“Taichi…?”

Ma il giovane Yagami non sembrava averla udita, tanto era concentrato a guardare qualcosa d’indefinito davanti a sé. Incuriosita, Hikari seguì il suo sguardo e si ritrovò a sua volta a fissare una strana coppia di ragazzi anche loro fermi ad osservarli. Erano entrambe biondi, ma sicuramente con età differenti. La brunetta, allora, si chiese chi erano e perché mai suo fratello sembrava tanto rapito da loro due.

“Fratellone, tu li conosci?”, a spezzare lo strano silenzio creatosi ci pensò la vocina del più piccolo dei due.

Hikari lo fissò, rapita.

“Purtroppo uno sì”, rispose con tono piatto il più grande, senza mai distogliere lo sguardo da Taichi.

“Non sapevo avessi un fratello, Ishida”

La piccola Yagami si voltò d’istinto verso il fratello non appena lo sentì parlare, e notò che il suo viso era terribilmente serio. Se ne chiese involontariamente la ragione.

“Non sapevo avessi una sorella, Yagami”, ripeté, cambiando i termini, l’altro.

Il ragazzino al suo fianco a quelle parole rimase per un istante ad osservare ora il fratello, ora Taichi, per poi sorridere cordiale.

“Ciao io sono Takeru! Tu sei un amico di Yamato?”, si avvicinò al brunetto.

Taichi lo fissò attonito. Era evidente che doveva averlo erroneamente scambiato per una sorte d’amico del fratello.

“Ehm…non proprio”, scosse quindi il capo, per poi accennare ad un sorriso quando vide il bimbetto incupirsi. “Però se vuoi puoi chiamarmi Taichi, okay?”

Il biondino sembrò riscuotersi.

“Okay!”, annuì raggiante, prima di voltarsi verso la bambina accanto a lui. “E tu invece chi sei?”

L’ingenua domanda del bimbo la fece arrossire, ma per sua fortuna in aiuto le giunse proprio Taichi.

“Lei è mia sorella Hikari”, fece le presentazioni. “Ha otto anni”

“Davvero? Anch’io!”, le sorrise subito, dolce, il bimbetto.

La piccola Hikari si fece leggermente più rossa, ma non poté fare a meno di ricambiare al sorriso, intimamente colpita da quel suo cordiale coetaneo.

“Ti…ti va di andare a giocare?”, tentando di vincere la timidezza, la giovane Yagami si voltò a fissarlo in quelle chiare pozze azzurre.

“Sì!”, le rispose felice il piccolo Takeru, prima di voltarsi verso Yamato. “Posso?”

Il tono di voce si era fatto quasi speranzoso e nei suoi occhi cerulei era ben visibile tutto l’affetto e la profonda ammirazione che lo legava al fratello maggiore.

Yamato annuì. “Okay”

“Sentito?”, Takeru si voltò nuovamente verso la bimba. “Andiamo Hikari!”

Con trasporto, la prese teneramente per mano e la condusse verso i giochi pubblici posti appena poco più in là.

“A quanto pare Hikari ha appena trovato un amico”, sentenziò ad un tratto Taichi, senza distogliere lo sguardo dai due bambini.

“Per una volta”, replicò Yamato da poco lontano. “Sono d’accordo con te, Yagami”

Fine Flash Back

 

 

“Taichi, ma allora sei qui!”

Il brunetto si voltò, subito imitato dai suoi amici, verso il punto da cui proveniva quella voce.

“Aki!!”, lo accolse calorosamente non appena lo vide.

Il giovane dai capelli nocciola si avvicinò, per poi sorridere amichevole quando riconobbe il biondino.

“Ehilà, Yamato! Come va?”

“Ciao Aki”, Ishida fece un cenno con il capo, per poi ritornare a concentrarsi sulla partita.

“Loro sono i vostri amici?”, continuò invece Aki, rivolto ai due sconosciuti che lo fissavano in silenzio.

Taichi annuì. “Aki, ti presento Jyou e Koushiro”

“Ciao! Voi dunque siete gli amici di Ikebukuro, giusto?”, strinse loro la mano, cordiale come sempre, Aki.

“Non solo noi”, gli sorrise di rimando Jyou.

“Tu sei in classe con Taichi, se non erro”, gli sorrise invece Koushiro.

Aki annuì.

“Esatto! E oggi sono venuto qui a tifare altri due membri della mia squadra!”, aggiunse, accennando alle ragazze in campo.

A quelle parole, il volto di Yagami assunse all’improvviso un cipiglio malizioso. “Quindi devo dedurne che la tua presenza d’oggi non includi secondi fini…”

L’altro arrossì, piccato. “Se…se…secondi fini?!”

“Beh, sai…tipo vedere una certa moretta…”, lo canzonò Taichi, allargando le braccia in un gesto vago.

Accanto a lui Yamato scosse il capo, celando egregiamente il divertimento che quella situazione gli elargiva.

“Ma…ma che dici!”, esclamò imbarazzatissimo Aki, tirandogli uno scappellotto sulla spalla ostentando un certo autocontrollo che però non aveva.

A quel punto anche Jyou e Koushiro, che avevano compreso qualcosa della situazione, sembrarono sul punto di scoppiare a ridere.

“Oh, sì, si, certo… Allora non ti dispiacerà se faccio questo”, Taichi sorrise sibillino, lo prese per un braccio e urlò con quanto più fiato aveva in gola. “Reika!!”

Aki arrossì come un peperone maturo, ma la stretta dell’amico gli impediva di scappare. Eppure l’imbarazzo non gli impedì ugualmente di notare che al richiamo la moretta, ora alla battuta, si era voltata verso di loro incuriosita per poi sorridere alla scena. Quindi, dopo aver ammiccato scherzosamente nella loro direzione, lanciò la palla in aria e la colpì con quanta più potenza aveva. Il punto fu inevitabile, così come il coro dei tifosi.

“E brava la nostra Reika…!”, sghignazzò Taichi, mentre Aki si colorava di un acceso cremisi.

Yamato, invece, sospirò, ma l’increspatura rivolta all’insù delle sue labbra vanificò ogni suo tentativo di ostentare una rigida impassibilità. Jyou e Koushiro lo notarono e per questo non poterono fare a meno di sorridersi complici. Era cambiato. Ma non solo Yamato, anche Taichi. Il biondo non era più il bambino schivo e intrattabile di un tempo, né il brunetto era l’egocentrico e scatenato di quando aveva undici anni. Certo, questi aspetti del loro carattere sussistevano ancora, ma non erano più tanto eccessivi e visibili come allora. La loro amicizia, nonostante gli alti e bassi, alla fine si era rivelata proficua per entrambe, e di questo sia Jyou che Koushiro non potevano che andarne fieri. Per questo, a distanza d’anni, si ritrovarono a ripercorrere l’ultima tappa che li aveva visti abbandonare le ostilità per diventare finalmente gli ottimi amici quali erano.

 

 

Flash Back

Yamato Ishida!!!”, Taichi lo raggiunse e come una furia lo colpì forte al muso, scaraventandolo letteralmente a terra e buttandovisi poi sopra. “Rimangiati immediatamente ogni parola!”

Il brunetto lo colpì forte un paio di volte sul volto, prima che il biondino si ribellasse e, con uno scatto di reni, ribaltasse la situazione. Adesso era Yamato a stare sopra di lui e a colpirlo con tutte le sue forze.

“Se sei ottuso non è colpa mia, idiota!”

Ishida colpì duro proprio nel momento in cui sulla scena apparivano i due amici comuni: Jyou Kido e Koushiro Izumi.

“Ragazzi!”, il rosso fece per avvicinarsi, ma l’altro lo bloccò.

“No, lascia che se la spiccino da soli”, disse con voce ferma.

Koushiro lo fissò per un istante esitante, ma alla fine capitolò. Si fidava di Jyou e se lui consigliava di non intervenire, allora lo avrebbe ascoltato.

“Non ti permetto di chiamarmi così!”, s’inalberò Taichi, riprendendo nuovamente il controllo della situazione. “Non sopporto che tu vada a vantarti con quella tua faccia di bronzo in giro per Ikebukuro!!”

“E io non sopporto te!”, si riprese Yamato, travolgendolo in una discesa fatta di pugni e calci. “Sei solo uno stupido bambino, viziato e arrogante”

“Parli proprio tu, pomposo scimmione? Ma chi accidenti ti credi d’essere?!”, lo picchiò forte allo stomaco il brunetto. “Sei un presuntuoso e impertinente imbecille!”

“Vedo che hai aggiunto nuovi termini al tuo vocabolario”, lo derise il giovane Ishida, sorridendo sornione quando lo vide arrossire piccato.

“Prendi questo, razza di damerino da strapazzo!”, il pugno di Taichi gli fece bruciare l’occhio talmente tanto che Yamato, colto da un sentimento di rivalsa, non tardò ad assestargli un cazzotto ben piazzato allo stomaco.

Il brunetto perse per un istante il respiro, prima di buttarsi a terra esanime. A quel punto il giovane Ishida avrebbe potuto facilmente colpirlo, ma ciò nonostante non lo fece. Taichi aveva colpito duro quella volta e, sebbene non lo avesse ammesso neanche sotto tortura, Yamato si sentiva troppo stremato per poter sostenere un’altra scazzottata. Così, al contrario delle aspettative, tutto ciò che fece fu rivolgere una domanda tanto semplice quanto disarmante al ragazzo steso accanto a lui.

“Ehi, Yagami”

“Che vuoi?”, fece scontroso Taichi.

Yamato non vi badò. “Perché ci stavamo azzuffando?”

La domanda lo spiazzò. “Per…perché tu…”

Taichi stava per dire che era per via del compito di matematica, perché, vedendosi superare per l’ennesima volta nel voto da Yamato, non aveva retto all’irresistibile tentazione di prenderlo a pugni. Ma la scusa, che appena poco prima gli era sembrata perfetta, adesso appariva persino ridicola ai suoi occhi.

“Non lo so”, disse infine, in un sospiro sconcertato.

Ma la cosa che più lo sconvolse fu quello che successe dopo e che gli sghignazzi appena percettibili al suo fianco gli preannunciarono: Yamato era scoppiato a ridere. Taichi sgranò gli occhi nell’udire quella risata tanto spontanea fuoriuscire proprio dalle labbra del ragazzo. Era la prima volta che lo sentiva ridere così. La prima in assoluto.

Tuttavia nel ripensare a ciò che lui stesso aveva appena detto, al modo in cui si erano malamente picchiati senza avere una ragione concreta, Taichi non poté fare a meno di scoppiare a ridere a sua volta. E fu allora che entrambe si resero effettivamente conto che tutta quella loro rivalità e tutto l’odio che avevano pensato di nutrire nei confronti dell’altro fino a quel momento, era…inesistente!

Le risa crebbero a quella perfetta percezione delle cose e il dolore fisico provocato dalla precedente scazzottata venne ben presto soppiantato da una sana allegria.

Da sopra il pendio erboso, Jyou e Koushiro fissavano la scena in silenzio. Lo avevano sempre saputo che un giorno sarebbe finita così tra quei due, eppure solo da quell’istante poterono dire con certezza che l’amicizia tra Taichi e Yamato era finalmente nata.

Fine Flash Back

 

 

Il fischio dell’arbitro, così come prima aveva decretato l’inizio della gara, adesso si cimentava a segnalare la fine dell’incontro con la vittoria che vedeva protagoniste le due giocatrici dell’Odaiba High School.

“Venite, andiamo da loro!”, Taichi incitò i suoi amici a seguirlo, mentre si faceva largo tra la folla di spettatori per raggiungere le protagoniste di quella giornata sportiva. “Sora! Reika!”

La giovane Takenouchi fu la prima a scorgerli e ad avvicinarsi a loro.

“Ciao Sora!”, la salutarono non appena la vide sia Jyou che Koushiro.

La ragazza sorrise e fece per dire qualcosa, ma la stretta calorosa e amichevole di Taichi la interruppe.

“Sei stata strepitosa!!”, si complimentò, espansivo come sempre, il brunetto.

Sora arrossì lievemente, soprattutto perché sentiva due familiari occhi blu fissi ormai su di lei, ma non poté fare a meno di regalargli uno dei suoi più bei sorrisi.

“Grazie, ma non è tutto merito mio se abbiamo vinto”

“Oh, non fare la modesta, Sora!”, la voce fintamente severa di Reika la ammonì. “Taichi ha ragione: sei stata fantastica. Se non  fosse stato per te non avremmo mai vinto!”

“Ma…io non…”, le parole però le morirono in gola quando vide Yamato, rimasto fino ad allora in disparte a guardarla, avvicinarsi a lei con passo deciso.

“Brava, ti sei fatta valere in campo”, le disse in un discreto complimento che gli costò ugualmente un velato rossore sulle gote.

Sora, al contrario, non riuscì a fare a meno di assumere una tonalità completamente bordeaux per l’imbarazzo e per l’intensità di sensazioni che quelle poche parole avevano risvegliato in lei. Eppure, ciò nonostante, non poté fare a meno di alzare lo sguardo alla ricerca di quelle pozze cobalto tanto magnetiche e profonde. Yamato se ne accorse e, vincendo il suo carattere così ostinatamente composto, accennò ad un sorriso che le fece palpitare il cuore e vacillare le gambe. ‘Mi piace…’, si ripeté inconsciamente tra sé e sé Sora, sentendosi infinitamente felice per aver ricevuto personalmente uno di quei suoi rari quanto meravigliosi sorrisi.

Lì accanto Taichi, che stava osservando la scena, ridacchiava sommessamente mentre in cuor suo si faceva sempre più vivida la dolce constatazione che nessuno più di Yamato meritava di essere felice, proprio come lo era quando si trovava in compagnia di Sora.

 

 

Flash Back

“Yamato, è vero quello che ho saputo?”

L’altalena smise di dondolarsi tiepidamente, spazzando anche l’ultimo cigolio proveniente dagli ormai arrugginiti cardini color rame, e il ragazzino seduto su di essa alzò i suoi incredibili occhi blu per fissarli nelle pozze marroni dell’interrogatore. Taichi Yagami si ergeva con cipiglio straordinariamente serio e fare spiccatamente deciso proprio dinanzi a lui, impedendogli di godere di quella dolce culla altalenante.

“Allora?”, insistette con forza il brunetto. “È vero che i tuoi genitori sono separati?”

La domanda lo colpì in pieno petto. Yamato abbassò appena il capo, giusto per non dover più sostenere quello sguardo indagatore, mentre pian piano un piccolo e discreto cenno d’assenso gli faceva ammettere la verità dei fatti.

“E tu?”

Taichi centrò ancora una volta il suo cuore con quell’ingenuo quesito.

Il biondino scrollò le spalle. “Mi sono abituato”

“Non è vero”, la negazione decisa del brunetto lo costrinse ad alzare involontariamente il capo. “Non ti sei abituato, altrimenti non saresti mai scappato come un codardo nel sentire tua madre parlarne con la mia, poco fa, a casa, quando è venuta a prenderti”

L’affermazione arrivò dritta e precisa, ancora una volta. Yamato sorrise appena percettibilmente nel costatare quanto il brunetto ci avesse azzeccato.

“Eppure non capisco…”, insistette Taichi, pensieroso. “Se i miei genitori non andassero più d’accordo, io sarei felice che si separassero. Non sarebbe giusto farli stare ancora insieme solo per un mio capriccio”

Il giovane Ishida alzò lo sguardo, posandolo finalmente su di lui. Lo aveva colpito, di nuovo ma stavolta ancor più profondamente di prima. E allora Yamato si ritrovò a riflettere, forse per la prima volta seriamente, su quanto Taichi avesse ragione. Per tutto quel tempo era stato un egoista, un ipocrita, perché non aveva fatto altro che pensare a sé e a sé soltanto. Certo, non aveva fatto storie quando gli si era proposta dinanzi la separazione, però era pur vero che aveva sempre sperato in cuor suo in un ravvicinamento dei suoi genitori fino ad un ritorno ai tempi in cui erano ancora una famiglia. Però…adesso che ci pensava, la madre non era forse appena venuta a prenderlo a casa del suo amico? E Takeru il giorno dopo non sarebbe andato con il padre al luna park? Non erano forse, nonostante tutto, una famiglia? Sì, sì, certo che lo erano. Forse addirittura più di prima.

Yamato sorrise e per la prima volta da quando i suoi si erano separati, si sentì veramente felice e…libero.

Si alzò. “Andiamo?”

Taichi lo fissò sconcertato da quel repentino cambio d’umore, ma il sorriso che il biondo gli rivolse bastò a cancellare ogni suo dubbio. Si alzò a sua volta e annuì.

“Certo!”, rispose, consapevole di aver dato una decisa scrollata nell’animo dell’amico con quelle semplici e spontanee parole.

Si mossero quasi in contemporanea, avviandosi con passo deciso verso casa Yagami dove sapevano stare ad attenderli, mentre in lontananza le nuvole si coloravano di un delizioso porpora.

“Ehi, a proposito”, fece ad un tratto Yamato.

“Uhm?”, mugugnò Taichi, incrociando distrattamente le mani dietro al capo. “Che c’è?”

“Io non faccio i capricci”

Il tono ingenuo con cui Yamato lo disse, disarmò completamente l’altro.

“Certo, certo!”, lo canzonò lo stesso Taichi, divertito.

“Pfui!”, per tutta risposta, il biondino lo spintonò lievemente.

Yagami, quindi, borbottò qualcosa d’incomprensibile, per poi lasciar perdere e godersi il silenzio rilassato venutosi a creare tra loro.

Fine Flash Back

 

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