Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Normalmente sono solita lasciare questo genere di
cose alla fine di una fanfiction, ma stavolta ho dovuto fare un’eccezione.
Nessun motivo in particolare, solo volevo fornire un paio di chiarimenti prima
di passare in maniera definitiva alla storia.
Per prima cosa, ci tenevo a scusarmi con quanti di
voi ho lasciato col fiato in sospeso per via di un’altra fanfic sempre
focalizzata sui Digimon. Nessun problema, se non quella maledetta ispirazione. E
dico “maledetta” per il semplice fatto che mai come ultimamente non fa altro che
andare e venire in un andirivieni decisamente insopportabile! Per cui, cogliendo
sfacciatamente l’occasione, mi appello a quanti di voi attendono il seguito
chiedendovi sinceramente perdono. Scusatemi ancora per questa mancanza, ma come
vi dicevo sto solo aspettando il “momento propizio” per impugnarla nuovamente.
A questo punto parte spontanea una considerazione. O,
meglio, un piccolo appunto su questa mia nuova fanfic. Ebbene, questa storia è
nata quasi per caso, in un attimo d’improvvisa ispirazione avuto qualche tempo
addietro. Precisamente è nato tutto l’estate scorsa. Ascoltavo distrattamente la
canzone “Rotolando verso sud” dei Negrita, una famosa band italiana, e intanto
vagavo per la rete. Ad un tratto sono incappata in alcune immagini del manga
“Parfait Tic” (proprietà dell’autrice e della rispettiva casa editrice) e…puf!
Ecco nascere lo spunto alla storia. In verità non ho mai letto il manga sopra
citato, se non qualche scena. Diciamo solo che in un certo senso mi ha dato una
vaga ispirazione – ossia l’idea base del trasferimento di Taichi e Yamato nella
palazzina di Sora – che io ho poi ampliato e fatto mia, per così dire. Per cui,
nel caso si verifichino delle analogie con il manga, sappiate che si tratterà di
coincidenze belle e buone, nulla di più davvero!
A differenza delle altre mie fanfic su questo anime,
questa è una storia “fresca”, con una trama molto versatile. È, in altre parole,
una storia che tenta di narrare le vicissitudini del mitico trio durante la loro
adolescenza, senza tuttavia tener conto dell’anime. D’altro canto non poteva
essere diversamente considerando il fatto che è un’Alternative Universe!
Ma adesso passiamo ai tanto odiati, quanto necessari
disclaimer.
Tutti i
personaggi di Digimon 01 e Digimon 02 non mi appartengono, ma sono proprietà
dell’autore e della rispettiva casa editrice. Gli altri personaggi, che invece
non appaiono nell’anime, mi appartengono di diritto in quanto sono il frutto
della mia fervida immaginazione. Inoltre tutti i personaggi e la stessa
fanfiction non sono utilizzati assolutamente da me medesima a scopo di
lucro.
Fatto l’utile, passiamo al dilettevole. Volevo
semplicemente ringraziare in anticipo quanti di voi leggeranno e nel caso
commenteranno la storia. Adesso non voglio nel modo più assoluto annoiarvi con
la solfa di quanto siano importanti i commenti per chi scrive, ma ci tengo a
farvi sapere che io apprezzo tantissimo qualunque critica, positiva o negativa
che sia. Per cui, ancora un grazie in anticipo! ^^
Okay, adesso vi lascio – finalmente! – e vi auguro
una buona lettura!
Memi J
Attenzione: come da suggerimento
dell’amministratrice di EFP, ho
unito la Preface con il Chapter One. Le recensioni legate a
quest’ultimo,
peraltro, sempre come da suggerimento sono state copiate e inserite nel
nuovo
capitolo come anonime. Si vuole tuttavia ringraziare skiblue,
HikariKanna,
Keiko Sayuri, Heather, memole, CERA91 e Neko chan che adesso
ritroveranno le
loro più che gradite recensioni in formato anonimo.
Nuova pagina 1
Good Boys
Chapter One
“Mamma,
sono tornata!”, la voce allegra di Sora Takenouchi si diffuse in tutta la casa,
fino a giungere nella zona soggiorno dove c’era la madre intenta ad annaffiare
una piantina.
“Togliti
le scarpe, tesoro, e va ad indossare qualcosa di comodo. Poi quando avrai
finito, per favore raggiungimi qui. Ho una notizia da darti!!”
“Va
bene!”
Sora si
sfilò le scarpe marroni e indossò velocemente le ciabatte bianche, morbide,
messe lì a disposizione per lei. Entrò nella sua camera e lasciò distrattamente
la cartella con i libri sulla sua scrivania di legno, che avrebbe ripreso solo
dopo il fine settimana appena cominciato, piombandosi poi sull’armadio. Mentre
si sfilava la divisa verde predisposta dalla sua scuola, l’Odaiba High School,
per indossare un jeans e una maglietta di un particolare rosa acceso da sopra, i
suoi pensieri erano rivolti completamente alle parole che le aveva poco prima
rivolto la madre. ‘Chissà quale sarà questa novità!’, si chiese incuriosita la
giovane, ravvivandosi i lucenti capelli ramati che le sfioravano appena la curva
delle spalle ed uscendo finalmente dalla sua stanza. Arrivata in salone, trovò
la madre ancora intenta a sistemare i suoi adorati fiori in un vaso.
“Oh,
Sora! Hai fatto presto!”, esclamò stupita Suzuki Takenouchi non appena vide la
figlia.
I
capelli castani erano raccolti in uno stretto chignon, in cima al capo, e gli
occhi scuri addolcivano spiccatamente i tratti severi del volto.
“Già!
Allora: cosa volevi dirmi?”, s’interessò immediatamente la fanciulla, andando
dritta al punto.
“Due
cose a dir la verità”, si corresse la donna, sistemando i fiori in un vaso. “La
prima è che ha chiamato Mimi stamattina. Si era dimenticata del fuso orario e
che quindi tu eri a scuola in quel momento”
Sora
annuì, facendo così intendere di aver capito. Le faceva immensamente piacere
sapere che la sua migliore amica l’aveva telefonata. Purtroppo non potevano
sentirsi spesso perché mentre lei abitava a Tokyo, Mimi si era trasferita a New
York, dall’altra parte del mondo in pratica. Così un po’ per il fuso orario e un
po’ per le bollette salate che arrivavano ogni volta, risultava un po’ difficile
chiamarsi.
“La
chiamerò appena possibile!”, assicurò, sinceramente contenta, pensando a quale
sarebbe stato l’orario migliore per poterla rintracciare.
“Bene.
Ma adesso veniamo all’altra notizia”
Le
parole di Suzuki incuriosirono subitamente la figlia che, messi da parte i
propri pensieri, la ascoltò attentamente.
“Hai
presente l’appartamento sopra di noi?”
“Sì, e
allora?”
“I
proprietari si erano dovuti trasferire e così è rimasto vuoto”
“Sono
due anni che è vuoto, mamma. Scusami, ma non riesco a capire quello che vuoi
dirmi”, Sora pareva frastornata, non riuscendo a trovare una scusa che
giustificava quel discorso in apparenza vuoto sull’appartamento che si ergeva
sopra di loro.
“Ecco,
stamattina ho parlato con la signora Tamaki, quella dell’ultimo piano e…a quanto
pare, finalmente l’appartamento è stato affittato! I nuovi inquilini dovrebbero
arrivare oggi”
“Davvero?”, la fanciulla dai capelli ramati parve piuttosto stupita della cosa,
ma non molto interessata.
‘Sarà
l’ennesima famigliola felice!’, si disse tra sé e sé, pensosa.
“Perché
non vai fuori ad aspettarli, tesoro? Sarebbe carino dare loro il benvenuto, non
trovi?”, ruppe il fluire dei suoi pensieri la signora Takenouchi.
“Uhm…okay”, mormorò distrattamente Sora, per nulla entusiasmata all’idea.
Sora
chiuse la porta di casa alle sue spalle e trasse un grosso respiro, che sembrò
riempirle i polmoni. Lentamente si allontanò dall’uscio e si avvicinò al
parapetto bianco del balcone. Affianco, le scale predisposte all'aperto
mettevano in comunicazione i vari appartamenti.
Mentre
appoggiava distrattamente i gomiti alla balaustra, i suoi pensieri volarono nel
mondo magico della fantasia, che le fece immaginare le mille e più possibilità
di persone che i nuovi inquilini della sua palazzina sarebbero potuti essere.
Sora si era immaginata una famiglia composta da quattro, cinque persone, con
magari un bebè a carico. Il capostipite sarebbe stato un tipo alla mano,
mingherlino e dal sorriso affabile, mentre la moglie che lei aveva immaginato
era il classico tipo legato alla famiglia. Poi c’erano i due figli: uno di
dodici, tredici anni, e l’altro di dieci. Presumibilmente il primo sarebbe stato
una femmina. Stava giusto pensando a quanto casino avrebbero potuto combinare i
due ragazzini, quando un camion bianco che posteggiò proprio davanti alla
palazzina attirò la sua attenzione.
‘Vediamo
se ho indovinato!’, si disse, a metà tra il divertito e l’incuriosito, la
fanciulla, intuendo al volo che si trattava del camion dei traslochi dei nuovi
inquilini. Non appena vide lo sportello del passeggero aprirsi, Sora aguzzò la
vista sicura di vedervi uscire una donna da lì. Le sue convinzioni, però,
iniziarono a vacillare non appena distinse un piede rinchiuso in una scarpa
scura, troppo grande e maschile per essere indossata da una madre di famiglia.
Infine crollarono miseramente non appena la figura uscì completamente dal
camion, rivelandosi in tutta la sua bellezza e in tutto il suo essere un
ragazzo. Uno splendido ragazzo.
Sora
spalancò senza quasi accorgersene la bocca, rapita da quella visione celestiale.
Capelli
dorati come il sole più vivo, fisico a dir poco perfetto e postura elegante. Le
sembrava di star rimirando una divinità più che un ragazzo. Il giubbotto nero
che indossava s’intonava perfettamente all’aria misteriosa che aveva lo
sconosciuto. Un’aria che a tratti appariva persino indisponente, ma sempre
tremendamente attraente.
‘Quel
ragazzo è…è bellissimo!!’, non poté fare a meno di pensare Sora senza riuscire a
distogliere lo sguardo da lui. Eppure ne aveva visti di ragazzi carini, vivendo
in una megalopoli come Tokyo. Ma quel ragazzo…quello era veramente stupendo.
Il cuore
di Sora, però, toccò il culmine quando i suoi occhi nocciola videro l’elegante
figura iniziare a salire proprio i gradini del suo palazzo…! ‘Che…che sia lui il
nuovo inquilino?’, si domandò per la prima volta, spossata e in fermento allo
stesso tempo.
Stava
ancora pensando a questo, quando si ritrovò due meravigliosi occhi di un blu
terso fissarla intensamente, quasi volessero carpire la sua parte più recondita
e segreta. Infatti il ragazzo che così prepotentemente aveva attirato le sue
attenzioni le era ormai di fronte, avendo, senza che lei se ne fosse accorta,
superata con passo elegante la prima rampa di scale del condominio. E forse fu
proprio per questo che Sora arrossì violentemente, mentre il suo cuore batteva
come impazzito.
“Ehi
tu”, la voce ferma ma decisa del ragazzo la riportò bruscamente alla realtà,
facendola palpitare.
“I…io?!”
“Vedi
qualcun altro in giro?!”
La
risposta che le diede il ragazzo la fece rimanere alquanto perplessa.
“N…no”,
la giovane Takenouchi lo guardò palesemente frastornata.
“È
questo il palazzo 619?”
“S…sì”
Sora lo
vide sospirare, probabilmente di sollievo, e il suo cuore ebbe un balzo. ‘Oddio!
Possibile che sia veramente lui il nuovo inquilino?!’, si chiese speranzosa.
“Sai
dirmi qual è l’appartamento B?”, le chiese ancora il biondo, senza mai smettere
di fissarla negli occhi.
“C…certamente. È…è quello sopra”, balbettò impacciata Sora, pregando che il
ragazzo non notasse il rossore sul suo volto.
“Uhm…”,
disse per risposta lui, prima di voltarsi e fare per avviarsi al piano di sopra,
rimanendo la povera Takenouchi completamente allibita.
‘Ma
come…se ne va così senza dire nulla?!’, si chiese allibita e leggermente
irritata per essere stata così volutamente ignorata.
“Ah, a
proposito!”
Sora
sorrise felice quando lo vide ritornare sui suoi passi. ‘Ecco, lo sapevo che non
se ne sarebbe mai andato così!’, si ripeté tutta felice.
“Fammi
un favore, ragazzina. Vai a dire a quell’uomo accanto al camion che deve
scaricare al secondo appartamento, okay?”, si raccomandò, prima di salire
l’ultima rampa di scale che lo divideva dal suo nuovo appartamento.
Rimasta
sola Sora si ritrovò suo malgrado a boccheggiare un paio di volte, completamente
allibita dalle parole del ragazzo. Ma poi un senso di rivalsa s’impossessò di
lei, che s’inalberò all’istante.
“Ma come
si permette quel…quello stupido?! Per chi mi ha presa: per la sua schiavetta?!”
Avrebbe
continuato ad inveire contro quel bellissimo quanto sfrontato ed insolente
ragazzo, se una risata palesemente divertita non avesse attirato la sua
attenzione.
Sora si
voltò incuriosita verso le scale e notò, fermo sul penultimo gradino della rampa
di scale, un giovane ragazzo dall’aria affabile che si stava letteralmente
sganasciando dalle risate.
Arrossì
di botto, imbarazzata come non mai per la figuraccia appena fatta con un ragazzo
davvero niente male. Certo, non appariscente come quell’altro, ma in ogni caso
davvero niente male con quel fisico atletico messo in risalto dal jeans e dalla
maglia sportiva, blu, che aveva indossato. I capelli castani, folti e fluenti,
apparivano scomposti sul capo, quasi trasandati, e riuscivano a conferire al
ragazzo un’aria allegra. Il volto dai lineamenti morbidi era caratterizzato
dalla presenza di due vivaci e briosi occhi marroni, capaci di dargli un’aria
affabile e cordiale, totalmente diversa dall’aria che invece aleggiava attorno
al biondino di poco prima.
“Scusa
il mio amico”, fece ad un certo punto il brunetto, salendo anche gli ultimi due
gradini. “A volte è un po’…come dire…indisponente, ecco. Ma ti assicuro che non
è male in fondo”
Il
sorriso che le rivolse fece sciogliere, come neve al sole, il cuore già
fortemente prostrato di Sora, la quale tuttavia non poté fare a meno di
sorridergli grata. Doveva ammettere che quel ragazzo era davvero molto
disponibile e alla mano.
“A
proposito: io sono Taichi Yagami!”, si presentò, con la sua solita allegria, il
ragazzo, porgendole educatamente la mano.
“Sora…
Io mi chiamo Sora Takenouchi”, dopo un’iniziale esitazione, anche la fanciulla
si lasciò andare e strinse la mano che quello le protendeva.
“Sora…
Tu vivi qui?”, s’informò allora Taichi, mentre si guardava incuriosito attorno.
“Sì.
Proprio qui”, indicò l’appartamento A in cui lei viveva con la madre.
“Ah…capisco. Beh, questo vorrà dire che d’ora in poi saremo coinquilini, poiché
da oggi abito all’appartamento B!”, fece tutto allegro il brunetto, ritornando a
posare lo sguardo in quelle calde pozze nocciola.
A quelle
parole Sora strabuzzò gli occhi. ‘Cosa?? All’appartamento B?! Insieme a quel
ragazzo?’, si chiese chiaramente frastornata.
“Io e il
mio amico, che a proposito si chiama Yamato Ishida, ci siamo appena trasferiti
qui”, quasi ebbe udito le sue mute domande, Taichi si affrettò a spiegarle.
A quella
spiegazione, Sora non poté fare a meno di sorridergli, sinceramente
riconoscente. ‘Questo ragazzo…Taichi… È davvero simpatico e socievole!’, si
disse tra sé e sé, contenta di quell’incontro, ‘e poi…non è davvero niente
male!’.
“Come
mai sei arrossita?”
“Eh?”,
la voce di Taichi la riportò dolcemente alla realtà.
“Sei
tutta rossa”, le fece allora notare lui, estremamente divertito.
“Beh,
io…ecco…veramente…”
Notandola così impacciata, al giovane Yagami sorse spontanea una risata, che
ebbe l’effetto di far sorridere anche Sora.
“Ehi,
Taichi! Si può sapere che stai facendo?”, ad interrompere l’allegra risata dei
due ci pensò una voce seria che Sora ormai aveva imparato a conoscere.
La
fanciulla si voltò verso la prima delle due rampe di scale che dava al piano
superiore e immediatamente sul suo volto comparve un’espressione sdegnata quando
scorse la figura del biondino di poco prima.
“Yamato!”, lo accolse calorosamente Yagami.
Il
biondo scese anche gli ultimi gradini, fino a ritrovarsi di fianco all’amico.
Una volta qui i suoi occhi blu si concentrarono nuovamente sull’unica ragazza
presente. Ma stavolta questa sostenne il suo sguardo, visibilmente irritata con
lui per come era stata trattata in precedenza.
“Hai già
conosciuto Sora, non è vero?”, continuò Taichi. “Lei abita proprio
all’appartamento sotto di noi”
Yamato
annuì, senza tuttavia distogliere lo sguardo da lei.
“A
proposito: hai fatto quello che ti avevo chiesto, ragazzina?”, fu l’unica cosa
che disse, rivolto a Sora, che arrossì indignata.
“Guarda
che io ho quindici anni!”, lo apostrofò, gettandogli uno sguardo inceneritore
che però non sembrò scalfire minimamente l’aria imperturbabile del giovane.
“Stai
scherzando, vero?”
Le
parole di lui la rimasero per un istante spiazzata.
“Ma…tu…come…”, balbettò, allibita.
Sora
stava per aggiungere qualcosa, ma le sue parole furono interrotte dal tempestivo
arrivo della signora Takenouchi.
“Sora?”,
Suzuki si affacciò sul pianerottolo, per poi sorridere quando vide i due giovani
ragazzi con la figlia. “Voi due dovete essere i nuovi inquilini”
La donna
si avvicinò al piccolo trio, sfoderando un sorriso cortese.
“Infatti!”, le rispose immediatamente il brunetto, sorridendo affabile. “Sono
Taichi Yagami e lui è Yamato Ishida. Lei invece deve essere la madre di Sora,
suppongo”
“Esattamente. Mi chiamo Suzuki Takenouchi, è un piacere conoscervi”
“Il
piacere è tutto nostro!”, ribatté prontamente Taichi, sfoderando un sorriso
radioso che la donna sembrò apprezzare molto.
“Non ci
sono i vostri genitori?”, s’informò subito dopo Suzuki.
“No. Io
e Yamato abbiamo deciso di venire a vivere qui da soli”, spiegò sempre il
giovane Yagami.
“Ah…capisco”, mormorò allora la donna, anche se appariva chiaramente perplessa.
“Beh, spero che vi troverete bene qui”
“Ne
siamo convinti!”, esclamò sicuro Taichi.
“Se
avete bisogno di una mano per qualsiasi cosa, non esitate a chiamare, intesi?”
“Grazie,
signora Takenouchi. Lei è davvero molto gentile”, mormorò solo il brunetto,
prima di rivolgersi all’amico. “Dai, andiamo a vedere questa casa!”
Yamato
annuì e, dopo aver salutato educatamente la madre di Sora, si avviò al piano di
sopra. Taichi lo imitò immediatamente, ma prima di scomparire dalla vista della
ragazza appena conosciuta si voltò verso di lei e le ammiccò.
“Ci
vediamo presto, Sora!”, le sorrise, affabile come sempre.
La
giovane Takenouchi annuì, contenta. Poi, senza dire nulla, ritornò in casa come
già aveva fatto poco prima la madre.
Sora
prese un paio di profondi respiri, chiedendosi per l’ennesima volta come aveva
fatto la madre a convincerla. Si sentiva tremendamente stupida in quel momento.
‘Cosa gli dico?!’, si chiese sempre più imbarazzata, ‘che la mamma mi ha
praticamente costretta a chiedere loro se vogliono che li guida per la città?!
Non ce la farò mai!’.
La
giovane Takenouchi era sul punto di andarsene, troppo impacciata per anche solo
bussare alla porta dell’appartamento B, ma per sua sfortuna proprio in quel
momento quella si aprì.
“Sora?!”, la voce di Taichi, appena uscito, appariva chiaramente stupita e ciò
fece arrossire ancor di più la poverina.
“C…ciao
Taichi”, balbettò molto impacciata la giovane.
“Come
mai sei qui? Volevi qualcosa?”
“Oh,
beh, io…”, a quella domanda il volto di Sora si colorò di un delizioso ma
inequivocabile rossore che suscitò l’immediata curiosità del brunetto. “Il fatto
è che la mamma…sì, lei pensa che forse…se volete, s’intende!…beh, io potrei
mostrarvi il quartiere e…”
“Sai, è
strano”, la interruppe ad un tratto Taichi, attirando le sue attenzioni.
La
giovane alzò lo sguardo, incuriosita, e solo allora si accorse dell’espressione
divertita sul volto del ragazzo.
“Io e
Yamato stavamo giusto uscendo per fare un giro nel nuovo quartiere…tanto per
sapere com’è, ecco! E in effetti, adesso che mi ci fai pensare, avremo proprio
bisogno di qualcuno esperto del posto che ci indichi la strada!”, Yagami le
sorrise cordiale come sempre.
“Allora…io…”, mormorò impacciata Sora, ma il meraviglioso sorriso del giovane la
azzittì.
“Ti
andrebbe farci da guida, Sora?”, le chiese con la sua solita nonchalance Taichi.
Takenouchi arrossì lievemente sotto quelle pozze marroni, ma non poté fare a
meno di ringraziarlo in cuor suo per essere così disponibile con lei.
“Sì… Ne
sarei felice”, gli rispose, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
“Bene!”
Come il
giorno precedente, anche stavolta la scena fu interrotta dall’arrivo di Yamato
dall’interno dell’appartamento. Il biondo non si curò di nascondere il proprio
stupore nel momento in cui i suoi occhi blu incrociarono la figura di Sora, che
arrossì involontariamente al suo cospetto.
“Yamato,
ho una bella notizia da darti!”, fece immediatamente il brunetto rivolto
all’amico. “Sora si è appena offerta di accompagnarci nella nostra visita! Non è
fantastico?”
Mentre
il volto di Taichi era palesemente allegro, quello di Yamato lasciava intendere
una nota di meraviglia. Ma subito si riscosse, ritornando al suo cipiglio
imperturbabile di sempre.
“Se lo
dici tu…!”, fece solo, prima di superare l’amico e uscire di casa, avviandosi
per primo verso le scale.
Sora
rimase piuttosto delusa di quel comportamento. Aveva sperato di poter
ricominciare con Yamato dopo l’incontro-scontro del giorno precedente, ma a
quanto pareva si era proprio sbagliata. Quel ragazzo aveva proprio un
caratteraccio!!
Taichi
notò il suo sguardo pensieroso e subito un sorriso gli sorse spontaneo. Senza
perdere il buonumore, il ragazzo chiuse la porta dell’appartamento B e fece per
avviarsi a sua volta verso le scale, salvo bloccarsi quando notò che Sora non si
decideva a muoversi.
“Non
vieni?”, la guardò incuriosito.
“Sì,
io…”, la fanciulla scosse il capo, mentre arrossiva nuovamente. “Eccomi!”
Riscuotendosi completamente dai suoi pensieri, Sora si avvicinò a Taichi e, dopo
avergli regalato un dolce sorriso, si apprestò a scendere le scale.
Sebbene
all’inizio si fosse dimostrata un po’ esitante, alla fine Sora dovette ammettere
che la madre aveva avuto davvero una buona idea a farla offrire da guida ai due
nuovi inquilini. Un caldo sole li aveva accompagnati per tutta la mattina e
continuava a spadroneggiare nel nitido cielo di settembre. Ma non erano solo le
condizioni atmosferiche a renderla così allegra quel giorno. Il fatto era che si
trovava veramente a suo agio con quei due ragazzi, specie con Taichi. Il
brunetto dall’aria spigliata, infatti, era una compagnia più che valida,
spiritoso e brioso com’era. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e sapeva
infondere il buonumore anche solo a guardarlo.
Meno
esuberante era invece Yamato, che tuttavia sembrava aver messo per un istante da
parte l’impertinenza mostrata fino ad ora per rivelare il suo lato più
disponibile. Forse era la presenza dell’amico a mutarlo così. Ma infondo che
importanza poteva mai avere saperlo? Quello che contava veramente era che si
stavano divertendo. Tutti e tre, di questo Sora ne era sicura sebbene Yamato si
dimostrasse piuttosto restio a lasciar trapelare i suoi sentimenti.
“Poiché
vi ho già mostrato il quartiere di Odaiba, direi di passare ad altro. Che ne
dite di andare sulla Torre di Tokyo?”, proruppe ad un tratto proprio la
fanciulla dai capelli ramati, raggiante per l’idea appena avuta. “Da lì si vede
tutta la città e poi è bellissima, ve lo assicuro! Poi potremo andare
direttamente al quartiere di Shibuya, così vi mostro anche quello. Che ne dite?”
I due
amici a quella proposta si gettarono una strana occhiata che Sora non riuscì ad
identificare. Ma poi, brioso come sempre, Taichi si affrettò a risponderle.
“Perché
no? Sarà divertente!”, esclamò interessato.
“Ottimo!”, raggiante, Sora batté le mani come una bambina a cui era stata appena
concessa l’autorizzazione ad avere una bambola nuova.
“Però
vedi di non perderti, okay?”, si affrettò ad aggiungere sarcasticamente Yamato,
per poi sghignazzare divertito quando vide il volto della fanciulla avvampare
dalla rabbia.
Irritata, Sora si voltò verso di lui e gli fece la linguaccia, che però sortì
l’unico effetto di far ridere ancora di più il ragazzo e Taichi, che si era
aggiunto a lui. Imbufalita come non mai, la giovane Takenouchi allora
s’incamminò con passo spedito, senza curarsi di attendere i due amici che
subito, dopo essersi gettati un’occhiata complice, la raggiunsero. La collera di
Sora scemò completamente nel momento stesso in cui sentì i due ragazzi prenderla
a braccetto, chi da una parte e chi dall’altra, e si tramutò repentinamente in
stupore. Ma quando gettò un’occhiata interrogativa ai due amici e quelli le
sorrisero, non poté fare a meno di arricciare a sua volta le labbra in su.
Felice, la giovane strinse un po’ di più la presa attorno alle braccia dei due
ragazzi, intanto che li conduceva allegramente alla volta della Torre di Tokyo.
“Sorridete…”
Mentre
la donna dietro l’obiettivo della macchinetta fotografica digitale tentava di
mettere a fuoco l’immagine, Sora arricciò le labbra in un sorriso allegro. Più
raggiante e appariscente era però Taichi che, sfoderando una fila di denti
bianchissimi, faceva il segno di vittoria con una mano. Infine c’era Yamato, il
più composto dei tre, che se ne stava alla sinistra di Sora e sfoderava un
sorriso appena percepibile, ma forse per questo ancor più affascinante.
“Ci
siamo”, mormorò solo la donna, prima che il flash illuminasse per un istante la
zona. “Ecco fatto!”
“Grazie
mille, signora!”, Taichi fu il primo a riprendersi e ad avvicinarsi alla donna
che gli porgeva la sua macchina fotografica.
Nel
frattempo Yamato sembrava completamente assorto nei suoi pensieri e l’unica cosa
che lo legava ancora alla realtà erano i suoi profondi occhi blu che scrutavano
Sora minuziosamente. Probabilmente era il grazioso rossore salito sulle sue gote
ad attirare così la sua attenzione. O forse era l’espressione leggermente
sperduta nei suoi occhi nocciola… Che poi, non poté fare a meno di chiedersi il
biondo perplesso, che motivo aveva di arrossire?
“Non
venite?”, fu la voce di Taichi a riportare entrambi alla realtà.
Ma
mentre Yamato subito si riscosse e, con poche falcate lo raggiunse, Sora rimase
ancora leggermente indietro immersa nei suoi pensieri. ‘Ma perché mi sento così
imbarazzata?!’, si domandò sempre più confusa, ‘per una foto, poi! Solo che…’.
La ragazza quasi non si accorse di essere avvampata paurosamente, se non fosse
stato per le occhiate curiose dei passanti che la convinsero a mettere da parte
i propri pensieri per raggiungere i due amici poco più avanti.
“Ho
fame”, disse all'improvviso Yamato, fermandosi e gettando un’occhiata ai suoi
due compagni in una chiara richiesta di trattenersi in qualche posto per
mangiare qualcosa.
“In
effetti anch’io!”, si aggiunse immediatamente anche Taichi, mentre il suo
stomaco iniziava a farsi sentire. “Che ne dite di fermarci a mangiare qualcosa?”
“C’è un
locale molto delizioso proprio accanto alla Torre”, s’intromise a quel punto
Sora, dopo un istante di silenzio. “Potremo andare lì, se a voi va bene”
“Tutto
pur di mangiare!!”, annuì immediatamente, raggiante, il brunetto.
“Okay”,
fece poco dopo anche Yamato, stranamente pensieroso.
Sora
sorrise radiosa, contenta che la sua proposta fosse stata così subitamente
accettata. Poi, tutti e tre insieme, si diressero verso il famoso locale che si
rivelò essere davvero delizioso come Sora lo aveva descritto. Non era molto
grande, ma ben arredato e dall’aria confortevole. Non appena vi ebbero messo
piede, una cameriera gentile e dall’espressione giocosa si avvicinò a loro e li
guidò all’interno del posto, fino a farli accomodare ad un piccolo tavolo
predisposto in un angolo. Quindi, dopo aver estratto dalla tasca un blocnotes e
una penna, prese le ordinazioni ed infine si accomiatò con la promessa di
ritornare in breve.
“Davvero
carino questo posto…”, l’iniziale silenzio venne come al solito fugato da
Taichi, che si guardava incuriosito attorno.
“Mio
padre mi portava sempre qui quando ero un po’ più piccola, e anche adesso quando
ritorna dai suoi viaggi mi ci porta ogni tanto”, spiegò con un sorriso quasi
nostalgico Sora.
Quasi
spinto da quella frase, Taichi si drizzò sulla sedia.
“Viaggi?!”, ripeté stordito.
Sora
sorrise. “Beh, lui è un ricercatore e per questo è costretto a spostarsi spesso.
Adesso è a Kyoto con la sua equipe e dice che non c’è città migliore per un
ricercatore”
“Quindi
tuo padre è spesso fuori casa”, osservò pensoso Taichi, mentre accanto a lui
Yamato pareva estremamente interessato al panorama che s’intravedeva dalla
finestra.
La
fanciulla annuì. “Sì, in effetti è così. Ha girato praticamente mezzo Paese, ma
è sempre presente ad ogni festa e appena può ne approfitta per venire qui da
noi. Qualche volta sono andata anche io in alcuni dei suoi viaggi, ma non posso
mai stare tanto a lungo fuori per via della scuola”
Forse
colpito da quelle parole, Yamato si voltò finalmente dalla loro parte e la
fissò, senza tuttavia dire nulla. Sora ne fu molto sorpresa, perché, vedendolo
così preso dai propri pensieri, non si era quasi accorta che lui in realtà la
stesse ascoltando.
“Beh,
deve essere forte poter vedere il Giappone in ogni sua località alla ricerca di
un qualche fenomeno!”, Taichi sorrise con convinzione, e subito ricevette un
cenno d’assenso da parte di Sora.
Ad
interrompere sulla scena ci pensò l’arrivo della cameriera di poco prima.
“Ecco a
voi, ragazzi!”, con un meraviglioso sorriso e riprendendosi il vassoio con cui
aveva portato le ordinazioni varie, la donna li lasciò nuovamente soli.
“Uhm…
Ottimo questo gelato!”
Mentre
Taichi si tuffava nell’enorme coppa che aveva di fronte, il biondo suo amico
continuava imperterrito ad osservare Sora seduta di fronte a loro. I suoi
meravigliosi occhi blu non avevano scostato per un solo istante la presa dal
volto leggermente imbarazzato della fanciulla, che non aveva potuto fare a meno
di arrossire sotto quello sguardo penetrante.
“Ehi,
Yamato, non lo mangi quello?”, in soccorso di Sora venne, senza nemmeno
accorgersene, proprio il giovane Yagami.
Il
brunetto, approfittando della distrazione dell’amico, fece per infilare il
proprio cucchiaio nella coppa di quello, ma Yamato la spostò appena l’attimo
prima che il piano potesse definirsi riuscito.
“Spiacente, amico”, mormorò solo con un ghigno vittorioso, mentre affondava la
posata da dessert nel gelato.
“Umpf!
Che ti costa darmene un pochino? Solo per assaggiarlo!”
“No”
“Dai…!”
“Ho
detto di no”
“Ti
prego!!”, lo implorò ancora Taichi.
“No e
ancora no”, ripeté lapidario Yamato, spostandosi poco più in là per impedire al
ragazzo di papparsi anche il suo di gelato.
Mentre i
due amici si contendevano il gelato, Sora non poté fare a meno di sorridere,
sinceramente divertita da tutta quella a dir poco bizzarra scena che le aveva
fatto dimenticare ogni pensiero triste.
Notandola sghignazzare, subito sia Taichi che Yamato posero fine al diverbio e
la osservarono incuriositi. Ma l’espressione raggiante sul volto della bella
Takenouchi bastò a far sorridere anche loro.
Illuminata dalla luce arancia del sole al tramonto, Tokyo sembrava più una città
legata ad un qualche incantesimo che la megalopoli caotica di sempre.
“Beh, io
sono arrivata”
“Il tuo
appartamento!”, sorrise Taichi accennando alla porta marrone a pochi passi da
loro.
“Già…”,
annuì anche Sora, non sapendo di preciso che dire e trovandosi per questo
nell’impaccio.
Tra i
tre calò un istante di silenzio durante il quale ognuno sembrò perdersi nei
propri pensieri. Sora teneva il volto basso e aveva le guance leggermente
arrossate; Yamato, invece, puntava dritto il cielo con i suoi intensi occhi blu;
infine c’era Taichi, che osservava senza curarsene la ragazza davanti a lui.
“Grazie
per averci accompagnati, Sora”, fu proprio il brunetto, alla fine, a porre fine
a quel silenzio.
Takenouchi alzò lo sguardo, lievemente stupita, e subito si ritrovò di fronte
due sorridenti occhi marroni.
“Mi sono
divertito davvero molto!”, continuò Yagami. “E poi tu sei davvero un’ottima
guida!!”
L’occhiolino che le rivolse la fece arrossire appena, ma allo stesso tempo anche
sorridere.
“È stato
un piacere, Taichi! E poi…mi sono divertita molto anch’io!”, non nascose la
fanciulla.
“Sono
contento!”, le sorrise allora lui, prima di avviarsi verso le scale. “Allora
ciao, Sora!”
“Sì!
Ciao Taichi!”
Sora lo
seguì con lo sguardo mentre saliva le scale, per poi scomparire al piano di
sopra. Udì la serratura dell’appartamento B scattare e appena poco dopo la porta
d’ingresso richiudersi, segno che Taichi era ormai entrato in casa. Allora fece
per imitarlo ed entrare nella sua di casa, ma si bloccò quando si accorse che
Yamato era ancora fermo nel punto di poco prima, intento ad osservare il
maestoso firmamento sopra di loro.
“Tokyo…”
La voce
seria e profondamente immersa di Yamato la fece sobbalzare.
‘Eh?!
Tokyo?!’, si chiese tra sé e sé, frastornata.
“Tokyo è
stupenda vista di notte”, continuò d’improvviso il biondino, senza mai smettere
di osservare la volta celeste volgersi sempre più verso l’imbrunire.
‘Yamato…!’, Sora lo guardò, palesemente stupita di sentire quelle parole proprio
da lui. Era strano, perché in fondo le uniche volte che lui le aveva rivolto la
parola era per punzecchiarla, tanto da finire per farsi rifuggire da lei.
Eppure…possibile che sotto quella scorsa da duro e indisponente ci fosse un
ragazzo dall’animo sensibile?!
“Ehi,
ragazzina?!”
“Eh?!”
Immersa
com’era stata nei suoi pensieri, Sora non si era minimamente accorta che nel
frattempo Yamato le si era avvicinato fino ad esserle in sostanza di fronte. Ma
ora che lo notava, non poté fare a meno di arrossire imbarazzata come non mai.
Si
guardarono per un tempo che le parve infinito, fino a quando non lo sorprese a
fare una cosa che la fece divenire paonazza. Yamato, infatti, si stava
avvicinando man mano sempre di più con il volto a quello di lei. Sora poté
respirare per un istante la dolce freschezza della pelle del ragazzo, che le
fece battere sempre di più il suo già impazzito cuore. ‘Che mi succede?’, si
domandò completamente in balia degli eventi, con il volto in fiamme e le gambe
molli. Non riusciva a capire… Sembrava quasi che il biondino volesse baciarla.
‘Credevo che lui non mi sopportasse…’, si ripeté nei suoi pensieri, spaesata.
Yamato
si fece sempre più vicino, tanto da esserle distante solo di pochi centimetri
ormai. I suoi occhi blu erano seri come sempre, ma anche magnetici e profondi,
talmente tanto dolci da far venire i brividi.
Sora
ormai non capiva più nulla… Non percepiva più niente se non il battito frenetico
del suo cuore e l’ardente desiderio di assaporare quelle labbra tanto invitanti.
Quasi non si accorse di chiudere gli occhi e di perdersi in quell’attimo. Le
sembrava di stare vivendo in un sogno in quel momento, con il cielo dagli
sfocati colori del pesco a fare da sfondo alla sua magica storia. ‘Ecco…il mio
primo vero bacio…’
“Lo sai
che sei buffa?”
Le
parole palesemente divertite di Yamato la riportarono alla realtà in un brusco
risveglio.
Sora
riaprì gli occhi, rossissima in volto e imbarazzata ancor di più, e subito si
ritrovò davanti un volto stranamente sorridente.
“Che hai
da sorridere?”, sbottò irritata per la figuraccia che il ragazzo le aveva appena
fatto fare.
“Sei
tu”, le rispose in tutta franchezza lui, non curandosi di trattenere una piccola
risata.
Arrabbiata e umiliata come non mai, Sora dovette stringere le mani a pugno e
richiamare a sé tutto l’autocontrollo di cui era capace per non prenderlo a
schiaffi. ‘Ma chi si crede di essere quello zoticone?! Sensibile lui…? Tsk!
Figuriamoci!’, fremette dalla rabbia. Insomma…farle credere di starla per…e poi
prendersi così gioco di lei?!
Imbufalita, Sora si voltò verso di lui e gli lanciò una delle sue più terribili
occhiatacce, che però non scalfì minimamente l’espressione divertita sul volto
del biondino. Allora, seccata, gli fece la linguaccia.
Yamato
sorrise di fronte a quella piccola rivendicazione infantile, intenerito da tanta
ingenuità, per poi ritornare serio appena poco dopo.
“Beh, ci
vediamo, Takenouchi”, fece ad un tratto Ishida, voltandosi verso le scale ed
affondando le mani nelle tasche del jeans.
“Eh?!
Ma…”, tentò di dire lei, completamente stordita dallo strano comportamento del
giovane e ormai non più arrabbiata.
Però non
fece in tempo a dire altro che il biondo era già scomparso al piano superiore.
Sora
sospirò, spossata da quel ragazzo che si rivelava ogni minuto di più sempre
diverso. Ma poi, nonostante tutto, uno splendido sorriso le increspò le labbra
scarlatte e l’accompagnò anche mentre entrava in casa sua.
“Sora,
tesoro, muoviti! Non è buona educazione far aspettare così gli ospiti!”
“Sì,
solo un minuto, mamma! Arrivo!”, rispose la giovane dalla sua camera, mentre
tentava di infilare i libri nello zaino.
In
genere non era una persona ritardataria, al contrario. Ma quel giorno la sveglia
aveva congiurato contro di lei, dimenticandosi di suonare!
Sora
stava ancora pensando a questo quando, come un flash, le ritornarono alla mente
le parole della madre. ‘Ospiti?! Di quali ospiti stava parlando??’, si domandò
perplessa e basita allo stesso tempo. Ma poi fu come una rivelazione, che la
fece precipitare immediatamente nel soggiorno dove, finalmente, poté
verificarla. E proprio come si era immaginata, comodamente seduti sul salotto di
casa sua, immersi in un’amichevole conversazione con la madre c’erano proprio
Taichi e Yamato. In verità era la signora Takenouchi, perlopiù, a tenere in
piedi la conversazione, visto che Taichi sembrava ancora nel mondo dei sogni e
considerando il carattere fortemente introverso di Yamato.
“Ma…voi…?!”
“Oh,
Sora! Vedo con piacere che sei pronta!”, la accolse calorosamente Suzuki non
appena la vide, prima di voltarsi di nuovo verso i suoi aitanti ospiti. “Dovete
scusare mia figlia. Di solito è molto puntuale, ma oggi…”
“Non si
preoccupi signora Takenouchi!”, la tranquillizzò immediatamente Taichi, mettendo
da parte per un istante il sonno e sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
“Ma…io
non capisco… Cosa ci fanno loro qui, mamma?”, domandò alla fine, senza troppi
giri di parole, Sora, gettando nel contempo un’occhiataccia ben poco amichevole
a Yamato sperando che lui capisse così che non aveva ancora dimenticato quello
che era successo la sera precedente.
Il
biondo, però, non sembrò farci molto caso e ciò aumentò ancor di più
l’irritazione della già provata Sora.
“Credevo
ti facesse piacere!”, ribatté prontamente Suzuki, guardando la figlia spaesata.
“Io… È
solo che non mi aspettavo di…voglio dire, non pensavo che…”, balbettò allora
impacciata la fanciulla dai capelli ramati, arrossendo lievemente nel sentire
gli occhi di tutti puntati su di sé.
“Sono
stata io a dire loro di aspettarti, in modo da potergli mostrare la strada per
andare a scuola. In fondo, anche se hai mostrato loro tutto il quartiere, non
sono mai andati prima d’ora all’Odaiba High School e ho pensato sarebbe stato
carino fare la stessa strada tutti e tre insieme, giacché abitate così vicino,
no?”
“Ma, io…
Ecco… A dir la verità, non so se…”, tentò di obiettare Sora, non del tutto
convinta.
“Coraggio, adesso andate, o rischiate seriamente di arrivare in ritardo!”,
l’interruppe però la madre, alzatasi educatamente in piedi.
“Arrivederci signora Takenouchi”, la salutarono gentilmente i due ragazzi,
alzatisi a loro volta e avvicinatisi all’ingresso.
“Buona
giornata, ragazzi!”, li salutò con un sorriso la donna, sinceramente contenta di
vedere la figlia frequentare due ragazzi tanto in gamba.
“Ciao,
mamma”, la salutò, seppur ancora frastornata, Sora, prima di uscire
definitivamente da casa accompagnata dalla voce della donna che la salutava
dall’interno.
“Sora!!”
La
ragazza dai capelli ramati si voltò verso la moretta che l’aveva appena chiamata
e che adesso si faceva faticosamente largo tra i banchi della classe 3 - A per
tentare di raggiungerla.
“Reika!”
“Sora,
devi assolutamente dirmi chi erano quei due ragazzi che sono venuti con te!!”,
andò dritta al punto la moretta, ignorando una ciocca dei capelli corvini,
articolati in un taglio cortissimo ma sbarazzino, che si era sporta dinanzi agli
occhi. “Non li ho mai visti prima d’ora e…”
“Calmati, Reika! Non ti farà bene tutta quest’agitazione!”, ad interrompere il
fiume in piena di parole della moretta ci pensò Hitomo, una biondina solita
portare i propri capelli legati in cima al capo, che nel frattempo aveva
raggiunto le due compagne di classe.
“Non
dirmi che non sei curiosa anche tu di sapere chi sono quei due ragazzi!”, la
rimbeccò l’altra squadrandola dalla testa ai piedi con fare saccente.
“Io…
Ecco…”, arrossì violentemente la biondina, colpita in pieno. “D’accordo, mi
arrendo! Hai vinto tu, Reika! Contenta?”
La
moretta la guardò con un’espressione vittoriosa, prima di ritornare a
concentrare le sue attenzioni su Sora.
“Allora,
ritornando a noi… Chi erano quei due bellissimi ragazzi con te, stamattina?”
“Loro…”,
Sora arrossì violentemente nel sentire gli occhi delle sue due amiche addosso,
ma poi non poté fare a meno di sorridere. “Loro sono i miei nuovi vicini di
casa!”
“Cosa?!?
Ma perché queste fortune non capitano mai a me??”, si lamentò immediatamente
Reika, con aria melodrammatica.
“Davvero
sono i tuoi nuovi vicini?”, domandò invece Hitomo, incuriosita.
Sora
annuì. “Si sono trasferiti da qualche giorno qui ad Odaiba e da oggi
frequenteranno quest’istituto, per questo erano con me stamattina!”
“Ah…
Beh, adesso è tutto chiaro!”, sorrise la biondina, allegra come sempre. “Hai
sentito Reika? Da oggi frequenteranno il nostro stesso istituto!!”
“Sul
serio?!”, gli occhi della moretta in quel momento erano a forma di cuoricino e
la cosa non poté che far sorridere Sora. “Ma quanti anni hanno?”
“Ecco,
loro…”
Solo in
quel momento, di fronte a quella domanda, la giovane Takenouchi si rese conto
di…non sapere che età avessero!
“Io non
lo so, mi dispiace”, mormorò, mortificandosi all’istante e inspiegabilmente.
“Come?!
Come fai a non saperlo?! Ma non sono i tuoi vicini di casa??”
“Sì,
però… Io non gliel’ho chiesto”
“Ma…”
“Dai,
Reika. Smettila di insistere!”, ad irrompere sulla scena ci pensò il tempestivo
intervento di Hitomo. “Se non lo sa, non lo sa! In ogni caso non mi preoccuperei
tanto, perché è una cosa facilmente scopribile, no?”
“Ben
detto!”, si rianimò repentinamente la moretta, raggiante. “A proposito… Come mai
sei tanto interessata, tu? Non eri fidanzata??”
Lo
sguardo che Reika rivolse alla biondina la fece arrossire furiosamente, e allo
stesso tempo causò le risa di Sora.
“Sì,
che…che c’entra! Sono solo curiosa!”, si difese Hitomo.
“Mah…sarà! In ogni modo il mio preferito è il biondino!! È semplicemente
meraviglioso con quell’aria misteriosa che si ritrova!!”, riprese a dire poco
dopo Reika, emozionandosi al ricordo del giovane.
A quelle
parole il cuore di Sora sobbalzò e senza che lei nemmeno se n’accorse si ritrovò
a ripensare a quando, quel sabato sera, si era ritrovata a vivere quello strano
ma intenso momento con Yamato. Momento che però era sfociato in una delle solite
battutine di lui…
“Io
invece preferisco l’altro, il brunetto”, confessò invece Hitomo, riportando la
giovane Takenouchi alla realtà. “È così dolce con quegli occhioni allegri…! E
poi ha un’aria da bambino, non trovate anche voi?”
“Tu che
ne pensi Sora?”, si voltò verso di lei all'improvviso Reika, curiosa di sapere
anche il suo parere. “Chi ti piace di più: il misterioso biondino o l’allegro
brunetto?”
“Io…
Sinceramente…”, Takenouchi arrossì violentemente a quella domanda, quasi fosse
stata colpita al cuore.
A
toglierla da tutto quell’impaccio, però, ci pensò il fortuito arrivo del
professor Yutaka, un uomo sulla cinquantina dall’espressione severa ma dal cuore
d’oro.
“Buongiorno”
“Buongiorno, professore”, ripresero immediatamente i loro posti tutti gli altri,
comprese Reika e Hitomo.
‘Salva
per un soffio!’, sospirò sollevata Sora, che davvero non avrebbe saputo che dire
alla domanda della moretta sua amica.
“Ho una
novità per voi, ragazzi”, la voce allegra del professore la riportò alla realtà.
“Di che
starà parlando secondo voi?”, Reika, seduta davanti a Sora e alla sinistra di
Hitomo, non riuscì a trattenersi dal fare la domanda alle sue due amiche.
“Mah”,
alzò le spalle la biondina, pensierosa.
Anche
Sora fece per dire qualcosa, ma di nuovo fu interrotta dal professore.
“Ho il
piacere di annunciarvi che da oggi abbiamo un nuovo studente nel corso A”,
l’uomo cercò tra le scartoffie, mentre il cuore di una delle sue studentesse
palpitava come impazzito. “Ecco… Dunque, si tratta di…”
“È
permesso?”, il professor Yutaka venne però interrotto da una voce allegra al di
fuori della porta.
“Avanti,
entra pure!”, fece cordiale l’uomo, intuendo al volo di chi si trattava.
Anche
Sora, che ne aveva riconosciuto la voce, era ormai certa dell’identità del nuovo
studente. ‘Non posso crederci…!’, sussurrò tra sé e sé incredula.
“Sora,
stai bene?”
“Eh?”
La voce
apprensiva di Hitomo la risvegliò dai suoi pensieri.
“Sei
sicura di stare bene?”, insistette la biondina.
“S…sì…”,
farfugliò con un mezzo sorriso la giovane Takenouchi, prima di voltarsi
nuovamente verso la porta.
“Ehi! Ma
quello non è il tuo vicino di casa??”, Reika additò senza mezzi termini il
brunetto appena entrato e che adesso sorrideva cordiale alla classe, mentre si
passava impacciato una mano nei folti capelli.
“Oh mio
Dio!”, Hitomo spalancò la bocca, sgomenta.
Anche
Sora era impallidita, troppo attonita anche solo per formulare una frase di
senso compiuto.
“Come
stavo dicendo, Taichi Yagami sarà il vostro nuovo compagno di classe”
“Ciao a
tutti!”, fece cordiale il brunetto, ricevendo subito qualche risposta.
“Dunque…
Ti sei appena trasferito qui ad Odaiba da…Ikebukuro (quartiere realmente
esistente di Tokyo, ma che nella vera versione di Digimon ha ben poco a che fare
con i digiprescelti! D’altronde…questa è un’Alternative Universe, no? NdA),
se non sbaglio”
“Sì,
infatti!”, annuì subito Taichi, mentre con lo sguardo ammiccava a Sora, che
adesso era diventata completamente paonazza.
‘Che
figura… Non posso crederci! Io pensavo che venissero da un’altra città, mentre
invece… Taichi viene in pratica solo da un altro quartiere!!’, la ragazza
desiderò di poter sprofondare seimila metri sotto terra per la vergogna, ‘e
pensare che io li ho portati in giro per mezza Tokyo, credendo che… Voglio
scomparire!!’
“Scegli
pure il posto che meglio credi, Taichi”, mormorò solo Yutaka, prima di
sprofondare nelle sue carte.
Il
brunetto annuì e, con un meraviglioso sorriso stampato in volto, andò a sedersi
nella fila alla destra di Sora, due banchi dietro a Hitomo.
“Ehilà!
Ciao Sora!!”, la salutò il giovane Yagami passandole accanto.
Imbarazzata come mai in vita sua e come ormai le capitava solo da quando erano
entrati quei due aitanti giovani nella sua vita, Sora accennò ad un piccolo
sorriso, prima di fingersi immersa nella lettura del libro di fronte a lei. Ma
mentre Taichi si perdeva in una fitta conversazione con l’allegro ed esuberante
ragazzo alla sua sinistra, Aki, la giovane Takenouchi desiderò ardentemente di
poter tornare a casa il prima possibile in modo da chiudersi nella sua camera e
uscirne tra ventimila anni, quando i due amici avrebbero dimenticato la
figuraccia che aveva fatto con loro appena due giorni prima.
“Ah…!
Non vedo l’ora di farmi una bella dormita! Sono stanchissimo!”
Mentre
camminavano per la via che li avrebbe ricondotti a casa, Taichi Yagami si
stiracchiò stancamente le ossa.
“Perché?
Che hai fatto di tanto stancante?”, lo guardò di sottecchi Yamato.
“Beh…che
c’entra?! È risaputo che il primo giorno di scuola stanca!! E poi devo tenermi
in forma per domani, visto che si terrà il mio primo allenamento di calcio qui
all’Odaiba High School!!”, esclamò tutto eccitato il brunetto, arricciando le
labbra in un sorriso smagliante che ben si addiceva al suo stato d’animo.
“Ti sei
iscritto a calcio anche qui?”, gli domandò vagamente incuriosito l’altro.
“Esatto!
Sarebbe un peccato impedire al mio talento di giocare, non ti pare?”, Taichi gli
fece l’occhiolino, divertito, ricevendo per questo un’espressione sconsolata da
parte dell’amico. “Piuttosto… In che classe sei finito?”
“In 3 –
D”, rispose senza tanto interesse Yamato.
“E dove
si trova?”, domandò incuriosito Taichi.
“È la
classe dirimpetto alla vostra. Si vede, se ti affacci dalla finestra”
“Sul
serio? Fantastico!!”, esultò il giovane Yagami, prima di voltarsi verso l’unica
ragazza presente. “Come mai sei così silenziosa oggi, Sora?”
La
giovane interpellata, sentendosi chiamare, arrossì di botto quasi era stata
colta in flagrante a compiere un peccato criminoso.
“Io…
Ecco, io…”, farfugliò nel più completo impaccio.
“Hai
scoperto che veniamo da Ikebukuro e non da un’altra città?”, fece due più due
Yamato, con voce atona.
Sora gli
gettò una rapida occhiata, rossa come non mai perché punta sul vivo. Il biondo,
però, continuava a fissare distrattamente la strada davanti a sé, con
espressione indecifrabile.
“Veramente… Il fatto è che…”, balbettò impacciata, prima di lasciarsi andare a
qualche sospiro. “Potevate anche dirmi che eravate di Ikebukuro, ecco”
“Tu non
ce lo hai chiesto”, le fece allora notare Ishida, alzando le spalle come per
dire che il motivo era tutto lì.
A quelle
parole e di fronte a quell’espressione imperturbabile, la giovane Takenouchi
boccheggiò un paio di volte, non sapendo di preciso che dire, prima di lasciar
cadere il discorso con un sospiro carico di desolazione.
“Comunque non è grave!”, s’intromise Taichi, tentando di risollevare il morale
della ragazza. “E poi è stato divertente, no?”
“Sì, hai
ragione”, ne convenne poco dopo anche Sora, accennando ad un delizioso sorriso
ricolmo di gratitudine verso il brunetto.
Almeno
lui, al contrario del giovane Ishida che non aveva perso occasione di
punzecchiarla, aveva cercato di metterla a proprio agio dopo la figuraccia,
comprensibile tra l’altro visto che lei non poteva minimamente sapere che erano
di Tokyo!
Più
stava con loro, più si rendeva conto di quanto fossero diversi. Taichi era
allegro, estroverso, solare e anche molto simpatico! Al contrario Yamato era un
tipo più riservato, a volte persino scontroso, con una velata ironia che
sembrava voler utilizzare solo con lei!
“A
proposito: tu sei iscritta a qualche club, Sora?”, s’informò poco dopo proprio
Yagami, riportando la conversazione ad un livello decisamente piacevole.
“Sì.
Alle medie facevo parte della squadra di calcio, ma adesso sono nel club di
tennis”
“Davvero? E come mai hai cambiato?”, s’incuriosì il brunetto.
“Non lo
so. Forse mi piaceva di più il tennis, anche se giocare a calcio è sempre un
piacere per me!”
“Un vero
maschiaccio…”
“Come
hai detto, Yamato? Puoi ripetere??”, lo fulminò con lo sguardo, furente, Sora.
“Nulla,
Takenouchi”, accennò ad un sorriso divertito il biondino, mentre le poggiava
dolcemente una mano nei capelli ramati per arruffarglieli affettuosamente come
si fa con i bambini. “Proprio nulla!”
“Umpf!”,
sbuffò per risposta lei, incrociando le braccia al petto lievemente seccata per
essere trattata alla stregua di un bimbetto e arrossendo allo stesso tempo per
quel gesto.
“Uhm…
Sta arrivando l’autunno”, li distrasse la voce stranamente laconica di Taichi.
“Già…”,
asserì anche Sora, soffermandosi per un istante con lo sguardo ad osservare le
foglie degli alberi di ciliegio che costeggiavano il marciapiede tingersi di un
delizioso marroncino.
Sora: Ciao!
^^ Sono Sora, la
protagonista femminile di questa storia, e sono qui per riassumervi brevemente
questi primi capitoli!
Yamato: E
allora sbrigati, Takenouchi, altrimenti la gente se ne va!
Sora: Ehi!
Che modi! è__é Potresti essere anche un po’ più gentile, non credi?
[Yamato ha
indossato le cuffie del walkman e non la sta ascoltando più]
Sora:
Insomma! Che modi sono? Sgrunt!
Taichi: Su,
non arrabbiarti, Sora… ^__^’’
Sora: Sì, hai
ragione! Piuttosto, come dicevo, sono qui per riassumervi la storia fino ad ora.
Allora io abito con mia madre ad Odaiba, un quartiere di Tokyo, quando un giorno
si trasferiscono nella mia stessa palazzina, proprio all’appartamento sopra il
mio, due ragazzi: Taichi Yagami e Yamato Ishida!
[Taichi,
tutto sorridente, afferra Yamato e lo costringe a guardare l’obiettivo]
Sora: Il
fatto è che non hanno solo fatto irruzione nella mia vita e nella mia stessa
palazzina, ma anche nella mia classe, considerato il caso di Taichi!! E poi…
//.//
Taichi:
Eh…eh… ^__^
Yamato: Pfui!
Cosa succederà adesso? Come se la caverà Sora ora
che nella sua vita sono entrati Taichi e Yamato? Per saperlo non
vi resta che leggere il quarto capitolo di “Good Boys”!!
***
“Che
noia… Non ne posso più!”
Taichi
si stiracchiò stancamente gli arti delle braccia e delle gambe, abbandonando a
loro stessi penna e quaderni.
“È tutto
il giorno che studiamo!”, si lamentò, chiedendosi nel contempo come facevano
Yamato e Sora a non annoiarsi.
“Ma
domani c’è l’esame di metà quadrimestre (in Giappone ogni anno gli studenti
devono supportare almeno cinque esami! È una crudeltà, non trovate? NdA)!”,
gli ricordò allora la giovane Takenouchi, anche se in realtà lei stessa era
piuttosto stufa di studiare.
Erano
chini sui libri praticamente da ore, senza mai aver fatto nemmeno una pausa, e
adesso cominciava a sentirne a sua volta la stanchezza, proprio come Taichi.
D’istinto gettò un’occhiata al ragazzo alla sua sinistra, l’unico che non
sembrava accusare minimamente la fatica dello studio. Yamato, infatti, era
ancora totalmente assorto nella lettura del libro che aveva dinanzi e non
sembrava per nulla essersi accorto delle chiacchiere di loro due. ‘Ma come fa ad
isolarsi così?’, non poté fare a meno di chiedersi Sora, fissandolo quasi fosse
stata attratta da una calamita invisibile. Lei non era mai riuscita ad alienarsi
così, a concentrarsi a tal punto. Certo, non era come Taichi che, al contrario
di Yamato, si distraeva anche per la più piccola sciocchezza. Però…
“Chi
sarà mai a quest’ora?”
La voce
palesemente stupita di Yagami la fece trasalire e ricondurre alla realtà. Sora
stava per chiedere spiegazioni, ma lo squillo del campanello all’ingresso le
fece capire a cosa il ragazzo si stesse riferendo.
“Non lo
so”, stava nel frattempo dicendo Yamato, alzatosi per andare a vedere chi era.
“Beh, io
intanto prendo qualcosa da mangiare!”, si mise a sua volta in piedi Taichi, che
non aspettava altro per allontanarsi dai libri.
Prima
ancora che potesse accorgersene, Sora si ritrovò da sola nell’ampio soggiorno
dell’appartamento B.
Non era
la prima volta che vi entrava, visto che sempre più spesso si ritrovava a dover
dare ripetizioni a Taichi, eppure ogni volta si sorprendeva ad osservarlo con
rinnovata attenzione. Probabilmente ciò era dovuto allo stile che i due amici
avevano impresso lì dentro, dove ogni cosa lasciava emergere la loro persona.
Non vi erano grandi mobili, giusto quelli essenziali ad una casa, eppure non
dava l’aria di un posto freddo. Sembrava più una di quelle case vissute, il che
era sorprendente per un posto che era ritornato a vivere da sole due settimane.
Gran parte di questo merito era da attribuire indubbiamente a Taichi, che di
certo non esitava a lasciare un po’ ovunque quello che prendeva. Un paio di
volte il brunetto aveva fatto entrare Sora persino nella sua camera per prendere
una cosa o un’altra e lei era rimasta allibita per il disordine colossale che vi
aveva trovato. Panni, libri, cd…era tutto sparso per la stanza in un modo tale
che risultava un’ardua impresa trovarvi qualcosa.
Al
contrario, Yamato sembrava possedere quel senso dell’ordine che invece mancava
quasi completamente all’amico. Anche se Sora non era mai entrata nella sua
camera, aveva avuto guisa di notarlo nel modo in cui Yamato tendeva a riposare
ciò che utilizzava, o da come teneva in ordine le sue cose nel soggiorno.
“Yamato
non è ancora tornato?”
Di nuovo
fu la voce, stavolta appena vagamente stupita, di Taichi a riportarla alla
realtà.
“No, non
ancora”, scosse il capo Sora, mentre il ragazzo si riappropriava del suo posto.
“Beh,
gli converrà muoversi se vuole trovare ancora qualcosa da mangiare!”, esclamò
allora Yagami, prima di iniziare a divorare un biscotto.
Ne prese
ancora un altro paio con la stessa velocità che utilizzava per mangiarli, prima
di accorgersi che Sora non ne aveva ancora toccato uno.
“Non
mangi?”, le chiese allora, visibilmente perplesso.
“Eh?”
“I
biscotti! Non hai fame?”
A quella
domanda la giovane Takenouchi annuì, sentendo dentro di sé un leggero languore.
Quindi, dopo aver preso uno dei fragranti biscotti che il ragazzo le porgeva,
iniziò a mangiucchiare a sua volta. Mentre lo gustava, però, le venne ad un
tratto alla mente una domanda che già da diverso tempo le girava per la testa.
“Taichi?”
“Sì?”
“Tu e
Yamato…lo so che non sono affari miei, però mi domandavo come…beh, da quanto
tempo vi conoscete voi due? Vi vedo molto uniti, senza contare che avete preso
quest’appartamento insieme… Però non sei obbligato a rispondere se non…”
“Da
quando avevamo undici anni”, la interruppe a quel punto Taichi, sorridendole
dolcemente per farle capire che non doveva preoccuparsi di sembrare
un’impicciona, che a lui faceva piacere risponderle. “Conobbi Yamato alle
elementari, ma all’epoca non andavamo molto d’accordo. Anzi, direi che ci siamo
odiati da subito!”
Mentre
il brunetto sorrideva ai ricordi, Sora lo ascoltava rapita.
“Io ero
una testa matta, mi piaceva stare sempre al centro dell’universo e non ci
pensavo due volte a buttarmi in mezzo se era necessario. Yamato, invece, era un
tipo scontroso, schivo, sempre sulle sue… Beh, in effetti non siamo cambiati poi
molto da allora! Anche se devo ammettere che stare insieme ci ha migliorati”
Per un
istante Taichi si fece molto pensoso, ma subito si riscosse e ritornò al
racconto.
“Beh,
ritornando a noi, puoi capire che essendo così diversi ci trovavamo spesso ad
avere pareri discordanti. Per questo anche più di una volta siamo finiti alle
mani! E il bello era che il più delle volte era per una sciocchezza…! Io ero
così impetuoso e lui così indisponente…mi faceva infuriare come nessun altro!”
“E poi
cos’è cambiato tra di voi da farvi diventare amici?”, non resistette più dal
chiedere Sora, particolarmente interessata.
“Mah…
Una volta ce le stavamo dando di santa ragione, quando ad un certo punto Yamato
mi chiese perché lo stavamo facendo. Non seppi che rispondergli! In men che non
si dica ci ritrovammo a ridere come due stupidi…! È stato più o meno da allora
che è nata la nostra amicizia”, terminò di dire con un sorriso il brunetto,
prima di mangiare un altro biscotto.
La
fanciulla lo guardò per un lungo istante in silenzio, mentre rimuginava su
quanto le avesse appena detto il giovane Yagami. Poteva quasi immaginarli mentre
se le davano per una sciocchezza…! In fondo era comprensibile una cosa del
genere per due tipi così straordinariamente diversi.
“Ehi,
Yamato!”, fece all'improvviso Taichi, portando le attenzioni sull’amico. “Si può
sapere chi cavolo era alla porta?”
“Umpf”,
sbuffò per risposta il biondo, sedendosi al suo posto. “Era una certa Harumi”
“Harumi?!”, ripeté Taichi senza capire.
“Ha
detto di frequentare il 2 – F dell’Odaiba High School”, spiegò allora, con
scorso interesse, Yamato.
“Ah… E
che voleva?”, chiese ancora il brunetto, mentre Sora li ascoltava interessata.
“Mi ha
dato questo”, rispose vago Ishida, poggiando nel contempo un pezzo di carta sul
tavolo.
Taichi
lo prese e allibì immediatamente per lo stupore quando capì di che si trattava.
“Ma è un
invito per l’apertura di un luna park!”
“Già… Ha
detto che potevo portare qualche amico”
“Ah! Ho
capito adesso!!”, disse ad un certo punto Taichi, tutto allegro. “Questa
Harumi…non è quella ragazza che l’altro giorno ci ha fermati per conoscerti?”
“È lei”,
confermò per nulla entusiasta Yamato, addentando un biscotto.
“A
quanto pare hai trovato un’altra fan…!! Non sei contento?”
“Pfui!”
Mentre
Taichi scherniva Yamato per le numerose ammiratrici che si ritrovava, il cuore
di Sora aveva preso stranamente a fremere. ‘Una delle sue tante fan…’, si ripeté
spossata. In fondo non c’era da che meravigliarsi, visto quanto fosse bello
Yamato. Però…perché si sentiva in quel modo che lei stessa non riusciva ad
identificare?!
“Comunque, visto che i biglietti ce li hai, sarebbe divertente andare al luna
park, no? Una sorta di ricompensa dopo l’esame di domani!”, proruppe entusiasta
Taichi. “Tu che ne dici, Sora?”
“Io?!”,
si ritrovò ad un tratto nel discorso la ragazza.
“Ci
divertiremo, non credi anche tu Sora?”
“Beh…
S…sì”, farfugliò lievemente impacciata lei, che in verità non aveva capito poi
molto di quello che stavano dicendo, presa com’era stata dai suoi pensieri.
“Perfetto! Allora ci andiamo! Vero, Yamato?”
“Io non
ho detto di sì”, gli ricordò allora il biondo.
“Ma non
hai detto neanche di no!”, ribatté subito Taichi, incrociando le braccia e
annuendo con fare saccente.
“No”
“No…cosa?!”
“Ora ho
detto di no”, spiegò sbuffando il giovane Ishida.
“Ma…non
puoi…tu…”, biascicò basito l’altro. “Dai, Yamato!! Che ti costa?!”
“Non mi
va”
“Ti
prego!! Vedrai che non te ne pentirai!”
“No”
“Ma sei
il mio miglior amico!! Non puoi rifiutarmi un piacere!!”, lo supplicò, con le
lacrime agli occhi, il brunetto.
“Dici?”,
lo sfidò l’altro.
“Ti
prego, ti prego, ti prego!! Fallo per me!!”
“Umpf!”,
sbuffò a quel punto Yamato, stufo di quel battibecco. “E va bene, verrò. Ma solo
perché non ho più voglia di sentirti piagnucolare!”
“Ehi, io
non piagnucolo!”, si lamentò immediatamente Taichi.
“Allora?”
“Okay,
okay… Grazie, sei l’amico migliore al mondo!!”, lo abbracciò di slancio il
giovane Yagami, raggiante.
“Lasciami”, tentò di divincolarsi dalla stretta Yamato, che era arrossito seppur
impercettibilmente.
Vedendoli così, Sora non riuscì a trattenere un sorriso divertito. In fin dei
conti, era davvero contenta di averli conosciuti!
Il sole
dominava incontrastato nel cielo terso, rispecchiandosi avidamente nelle gocce
d’acqua che stentatamente uscivano dal rubinetto dei lavandini disposti
all’aperto, a disposizione degli studenti. Sembrava una normalissima giornata
estiva…se solo era estate! Ma ormai la calda stagione aveva ceduto il posto al
più mite autunno, che già colorava con le sue tinte dorate le foglie sui rami
degli alberi.
‘Che
caldo…’, meditò imperlato d’acqua Taichi, chino sul lavandino già da diversi
istanti. Non aveva saputo proprio resistere, appena ne aveva avuta la
possibilità, dal gettarsi un po’ d’acqua fresca sul volto, mitigando così tutto
il calore ingigantito dagli estenuanti allenamenti di calcio.
“Ah-ha!
Ecco dov’eri finito!!”, il suono acuto di una voce squillante lo prese in
contropiede, facendolo sobbalzare all’indietro con rapido scatto.
Ma il
lieve trasalimento che si era impossessato di lui scemò completamente quando
notò la persona che adesso sorrideva energicamente davanti a lui. Capelli
nocciola, occhi nerissimi, fisico asciutto…
“Aki!!”,
lo additò. “Che diavolo ci fai qui?”
Aki era
un brioso ragazzo che Taichi aveva avuto modo di conoscere mediante il club
stesso di calcio, dove entrambe militavano. Aveva la sua stessa età, frequentava
la sua stessa classe e con lui era stato un intendersi a prima vista.
“Come
che ci faccio?!”, ripeté allibito quello, senza mai smettere di fissarlo.
“Ovvio, sono venuto a chiamarti!”
“A
chiamarmi?”, non capì, in un primo momento, Taichi.
“Certo,
per gli allenamenti!”
“Allena…”, al giovane Yagami si accese la lampadina. “Accidenti, non dirmi che
il quarto d’ora di riposo è già finito?!”
“Bingo!!!”, esultò Aki, mostrando il segno di vittoria con le dita.
“Oh no!
Il mister sarà furioso!”, si lamentò invece Taichi, tremando al pensiero di cosa
avrebbe potuto fargli l’allenatore se non si fosse presentato sul campo di gioco
al più presto.
L’idea
comica che quel ciccione gli saltellava addosso gli faceva venire letteralmente
la pelle d’oca!
“Che
cavolo fai?”, si rivolse allarmato verso Aki, che adesso lo fissava attonito.
“Ti vuoi muovere prima che il mister ci rimbalzi addosso??”
“Rimbalzare? Addosso?”, ripeté stralunato quello.
Ma
Taichi, senza aggiungere altro e senza soffermarsi in spiegazioni, afferrò il
giovane dai capelli dello stesso colore dell’avana per il braccio e lo trascinò
senza mezzi termini verso il campo da calcio.
“Bene
così! Facciamo una pausa, okay?”
L’allenatrice Shizuka sorrise dolce come sempre ai suoi allievi, concedendo
finalmente loro qualche minuto di riposo.
‘Sono
davvero stanca, oggi’, Sora si lasciò cadere su una delle tante panchine
predisposte lungo il bordo del campo di tennis, abbandonando per qualche istante
la racchetta lì accanto.
“Sora,
io vado al distributore per prendere qualcosa di fresco da bere”, la voce di
Reika, che frequentava il suo stesso club, la riportò nuovamente alla realtà.
“Tu vuoi qualcosa?”
“No, ho
l’acqua”, denegò gentilmente la fanciulla dai capelli ramati, prima che l’amica
andasse via.
Rimasta
sola, Sora alzò lo sguardo verso il cielo quasi d’istinto e per un lungo istante
si perse ad osservare quell’immensità azzurra tempestata a tratti dal candore di
tante piccole nuvole.
Era
stata una giornata faticosa quella. Aveva dovuto sostenere l’esame di metà
quadrimestre solo nella mattinata e adesso era impegnata con i consueti
allenamenti di tennis. Sembrava una di quelle giornate destinate a non finire
mai…!
“Ma
quello non è Yamato Ishida della 3 – D?”
Ad un
certo punto una voce tra le tante le arrivò alle orecchie, distraendola dai suoi
pensieri e dalla sua lenta contemplazione.
Sora
alzò lo sguardo e si osservò attorno alla ricerca del volto del ragazzo che, a
quanto pareva, doveva trovarsi lì.
“Allora
è così che ti alleni?”
Il cuore
della ragazza sobbalzò per lo spavento, prima di palpitare quando gli occhi
nocciola di lei incontrarono proprio la figura che stava cercando.
“Ya…Yamato!”
“Posso
sedermi?”, chiese in una domanda retorica, visto che si adagiò sulla panchina
accanto a lei senza aspettare risposta.
“Co…come
mai sei qui?”, dopo un silenzio che le parve interminabile, finalmente Sora,
sguardo basso e mani strette a pugno, riuscì a porgergli la sua curiosità.
“Uhm…
Non mi andava di tornare a casa”, spiegò vago Yamato, alzando gli occhi verso il
cielo per fissare anche lui il maestoso firmamento.
“Ah…”,
mormorò solo lei, tentando di trovare un argomento di conversazione. “Non…non ti
ho ancora chiesto com’è andato l’esame stamattina”
“Bene”,
rispose distrattamente lui, quasi la cosa non lo riguardava minimamente.
Sora
sospirò, lasciando perdere ogni possibilità di iniziare una chiacchierata con
lui. Era chiaro che Yamato non avesse molta voglia di parlare. Lui non era come
Taichi, sempre pronto ad attaccare bottone. Lui era un tipo più…silenzioso.
Per
questo motivo la fanciulla decise di rimanere in silenzio, anche se avrebbe
tanto voluto sapere il motivo per cui, tra tanti posti, Yamato aveva deciso di
andare proprio lì, al campo da tennis.
La
quiete venutasi a creare, venne però ben presto fugata dall’arrivo di una delle
iscritte al club di tennis.
“C…ciao.
Scusa se ti disturbo ma… Ishida, potrei parlarti un istante?”, mentre lo diceva,
la fanciulla era arrossita violentemente.
Anche
Sora era diventata paonazza a quella richiesta, sentendosi estremamente
d’impaccio e non sapendo di preciso che fare. L’unico che sembrava a perfetto
agio era Yamato, il cui volto era una perfetta maschera d’imperturbabilità.
“No”
La
risposta secca del ragazzo fece vacillare entrambe le ragazze. Sora lo fissava
allibita, scioccata da quel rifiuto. L’altra, invece, sembrava sull’orlo di
scoppiare a piangere. Per questo scappò via, senza dire nient’altro.
Takenouchi rimase per un istante in silenzio, interdetta, prima di rivolgere una
delle sue occhiate più spaventose verso il ragazzo accanto a lei, che se ne
stava tranquillamente sulla panchina come se nulla fosse successo.
“Tu!”,
gli puntò un dito contro, con aria minacciosa, Sora.
“Stai
cercando di spaventarmi?”, alzò un sopracciglio il biondino, per nulla
impressionato.
“Stai
zitto!!”, lo ammutolì bruscamente lei. “Ti sei accorto di quello che hai appena
fatto??”
“Ho solo
detto di no”, alzò le spalle con fare frivolo lui.
“Solo?!
Ma ti rendi conto che con il tuo no hai fatto piangere una ragazza?!”,
s’inalberò allora la ragazza, scattando in piedi come una molla. “Sei un
insensibile e…”
“Sapevo
già cosa volesse dirmi”, stavolta fu il turno di Yamato di interromperla.
“Eh?”,
lo fissò sconcertata Sora.
Ma il
biondo, anziché spiegarle, si alzò in piedi.
“Ehi!
Dove stai andando, adesso??”, lo fermò basita dal suo comportamento lei.
A quella
domanda, Yamato si voltò di nuovo verso di lei fino a fronteggiarla. Solo in
quel momento Sora si rese conto di quanto fosse piccola in confronto a lui, con
quel suo misero metro e cinquantasei. Lui la superava di almeno una ventina di
centimetri, se non qualcosa di più.
“Se una
ragazza vuole stare con me solo per il mio aspetto fisico, allora…”, lo sguardo
si fece estremamente serio e il tono della voce ancor più profondo, tanto da
provocare involontari brividi in lei. “Non m’interessa”
Le
parole del giovane riecheggiarono nella mente di Sora ancora e ancora. ‘Yamato,
tu…tu non sei il ragazzo frivolo che vuoi far credere’, si disse tra sé e sé
trasognata, mentre lo fissava allontanarsi da lei con quel passo calmo ma
deciso.
“Ehi, ma
quello non era Yamato?!”, a riscuoterla dai suoi pensieri sopraggiunse la voce
di Reika, di ritorno dal distributore di bibite. “Non posso crederci, io vado
via e lui arriva!!!”
Reika
sospirò con tono melodrammatico, da risultare talmente comica che Sora, incapace
di trattenersi, scoppiò in una risata divertita.
Sora: Ah… L’esame di metà quadrimestre mi ha distrutta!
Taichi: A chi
lo dici… -__-’’ Ma almeno a voi due è andato bene!!
Sora: Non
dire così! Sono sicura che è andato bene anche a te!
Taichi: Dici
sul serio? *.*
Sora: Certo!
Abbiamo studiato insieme, no? ^^
Taichi:
Giusto!!
Yamato:
Quando avete finito con queste sciocchezze, che ne dite di passare alla storia?
Sora: Non
sono sciocchezze!! è__é
Yamato: Tsk!
Taichi:
Ehm…eh, eh!! ^__^’’
Ora che l’esame di metà quadrimestre è finito, finalmente
Sora, Taichi e Yamato potranno svagarsi al luna park!! Come
andrà la giornata? Cosa accadrà stavolta? E chi è questa fantomatica Harumi?
***
“È
fantastico, non trovi anche tu, Yamato?”
“Umpf!”,
alla domanda di Taichi, il biondino non poté fare a meno di sbuffare,
chiedendosi per l’ennesima volta come avesse fatto a lasciarsi convincere.
“Così
ristrutturato questo posto è come rinato!”, stava nel frattempo dicendo Sora,
riuscendo in breve a conquistare gli sguardi di tutti su di sé.
“Allora
direi di cominciare subito con i giochi!”, proruppe tutto raggiante il giovane
Yagami. “Che ne dite di quello?”
“La casa
delle streghe?”, lo guardò scettico Yamato.
“Perché
no?”, gli fece l’occhiolino l’altro. “Per te va bene, Sora?”
L’interpellata, che fino a quel momento non aveva fatto altro che fissare con un
certo terrore la casa stregata, sbiancò immediatamente notando che gli altri due
avevano optato proprio per quella.
“Beh…io…”
“Hai
paura?”, le domandò allora Ishida, fissandola seriamente con i suoi profondi
occhi blu.
Sora
sentì il proprio cuore balzarle nel petto sotto quello sguardo magnetico, ma
subito si riscosse.
“No,
certo che non ho paura!”, rispose con voce decisa, anche se i suoi occhi
sembravano esprimere il contrario.
A quella
risposta Yamato la guardò per un lungo istante, ma fu Taichi alla fine a
parlare.
“Allora
è deciso: si va alla casa delle streghe!!”
Alla
prospettiva, Sora rabbrividì ma, cercando di non darlo a vedere, seguì i due
amici verso l’attrazione.
La fila
che vi trovarono non fu molto pesante, lenita soprattutto grazie a Taichi e alle
sue chiacchiere allegre, che riuscirono a mettere di buon umore anche Sora. Ma
quando finalmente fu il loro turno, di nuovo un vago senso di terrore la
avvinse. ‘È…è solo un gioco’, si ripeté mentre seguiva le indicazioni
dell’addetto, ‘cosa vuoi che succeda?!’.
“Si
sieda qui”, la voce vagamente lugubre dell’addetto fece sobbalzare la giovane,
che tuttavia obbedì.
Il
sedile di pelle scura era incastonato in una piccola carrozza rigorosamente
nera, che emanava da sola un’aria cupa e a tratti quasi terrificante.
Cercando
di non badare al tumulto del suo cuore, Sora si sistemò meglio al suo posto e si
aggrappò con forza alla spranga di ferro davanti a lei.
“Adesso
ammetti che hai paura?”
Una voce
profonda, che le parve di riconoscere, attirò le sue attenzioni alla sua
sinistra.
“Ya…Yamato!”
Mentre
la sua bocca pronunciava il suo nome, le gote si erano colorate di un acceso
cremisi.
“No…ti
sbagli. Io non ho pa…paura!”, ribatté immediatamente la fanciulla, presa da uno
strano senso di rivalsa.
“Mah, se
lo dici tu…!”, fece scettico il biondino, voltando leggermente il capo da
un’altra parte.
Sora si
lasciò sfuggire un sorriso vittorioso, che morì appena subito dopo quando si
accorse di essere entrati nella lugubre galleria davanti a loro. Istintivamente,
prima ancora che lei stessa potesse rendersi conto di quello che stava facendo,
si ritrovò a stringere convulsamente la camicia a quadri verdognola, che
lasciava vedere perfettamente la maglietta a maniche lunghe scura da sotto, di
Yamato.
Il
biondo sgranò gli occhi a quel gesto, ma Sora non se ne accorse, spaventata come
era per l’apparizione di un mostro dall’espressione poco raccomandabile.
“Ah!!”
Prima
ancora che Yamato riuscisse a capire quale fosse il motivo di tanto chiasso, si
ritrovò una terrorizzata Sora scalpitare tra le sue braccia. Da parte sua la
ragazza c’impiegò un paio d’istanti buoni per capire cosa aveva appena fatto, e
quando finalmente ci riuscì non poté fare a meno di arrossire violentemente,
separandosi di scatto da lui. ‘Ma che mi è saltato in mente?’, si rimproverò
mentre tentava di darsi un contegno.
“Sei
proprio buffa!”, divertito dall’espressione apparsa sul volto di Sora, Yamato si
lasciò sfuggire un dolce quanto inusuale sorriso e le scompigliò affettuosamente
i capelli. “Se avevi paura, bastava che lo dicessi”
Il cuore
di Sora fremette nel petto a quel piccolo gesto e di fronte ad un così bello ma
raro sorriso. Era strano sentirlo così…apprensivo. Per lei.
La cosa
la metteva in un certo imbarazzo, ma allo stesso tempo si sentiva anche molto
felice.
“Dai,
andiamo adesso, Takenouchi”
Sora
quasi non si accorse che la carrozza aveva fatto il suo giro e che dovevano
scendere, se Yamato non glielo avesse fatto notare.
“Yamato!
Sora!”, una volta scesi i due vennero accolti dalla voce allegra di Taichi, che
era salito sulla carrozza prima. “Avete visto che effetti?! Sembrava di essere
in una vera casa stregata!! Mi sono proprio divertito! E a voi com’è andata?”
A quella
domanda il volto di Sora virò in tutte le tonalità di rosso fino a raggiungere
un acceso bordeaux, che ricevette per questo un’occhiata interrogativa da parte
di Yagami.
“Bene”,
a rispondergli fu tuttavia Yamato. “Adesso andiamo, però”
“Sì!”
Mentre i
due amici iniziavano ad incamminarsi, la fanciulla li fissava trasognata. Il suo
sguardo ricadeva in particolare sul biondino, sul cui volto era ritornata
l’espressione indecifrabile di sempre. ‘Yamato…’, Sora quasi non si accorse di
aver invocato il suo nome. Il fatto era che il suo comportamento l’aveva
spiazzata completamente. Lei si era aspettata che lui la prendesse in giro per
come aveva urlato nella casa delle streghe, mentre invece Ishida non ne aveva
fatto parola neppure con Taichi! E poi…il tocco gentile che aveva usato poco
prima nello scompigliarle i capelli…e le parole che aveva detto… Sembrava
completamente diverso dal ragazzo freddo e distaccato che aveva conosciuto
all’inizio.
Sora non
riusciva a capire, però…le aveva fatto piacere.
“Aspettatemi!”, riscuotendosi dai suoi pensieri, la ragazza raggiunse i due
amici con una breve corsetta e un meraviglioso sorriso in volto.
“Guarda
Sora: sono bruttissimo!”, Taichi fece la linguaccia all’immagine che dava lo
specchio di sé e che appariva con proporzioni inverosimili.
Takenouchi sghignazzò divertita, prima di passare con lo stesso entusiasmo al
“magico” specchio successivo.
“Vieni a
vedere questo, Taichi!”
Il
brunetto annuì e subito le si avvicinò, per scoppiare a ridere quando notò che
lo specchio rifletteva un’immagine della ragazza quasi gigantesca.
“Sei
impressionante!!”, la prese allegramente in giro il giovane Yagami.
“E tu
allora?”, rise a sua volta fino alle lacrime lei, notando che il ragazzo era
proprio davanti allo specchio che forniva riflessi dalle proporzioni molto
sottili.
“Siamo
fantastici insieme, non trovi? Potrebbero scritturarci come l’uomo grissino e la
donna cannone!!”, si piegò letteralmente in due per il gran ridere lui.
“Sì, hai
proprio ragione!”, ne convenne anche Sora tra le risa.
Erano
entrati lì più che altro per semplice curiosità, ma alla fine la loro si era
rivelata un’ottima decisione a giudicare dalla dose di divertimento che
l’attrazione offriva.
“Yamato
non sa che si è perso”, osservò quando si fu calmato Taichi, mentre si avviava
con la ragazza verso l’uscita.
“Già”,
annuì concorde lei, pensosa.
Quando
aveva proposto di entrare nella casa degli specchi, Taichi si era dimostrato
subito entusiasta della cosa. Al contrario Yamato aveva fatto una smorfia
incomprensibile e aveva detto che li avrebbe attesi fuori, perché a lui non
andava di venire.
“Dai,
usciamo di qui adesso, Sora!”, la incitò poco dopo il giovane Yagami, accennando
al labirinto di specchi dinanzi a loro.
C’impiegarono diverso tempo per trovare l’uscita, ma fu piuttosto divertente
passare attraverso una strada costeggiata da tutti quegli specchi che
riflettevano la loro immagine. Oltretutto ognuno dei due trovava molto piacevole
la compagnia dell’altro, tanto che quando erano insieme dimenticavano spesso la
cognizione del tempo stesso.
A
riportarli al presente, però, ci pensarono i miti raggi del sole che li
avvertivano nel contempo di aver trovato l’uscita della casa degli specchi.
“Ecco
Yamato!”, Taichi lo vide subito, dato che non si era mosso dal punto in cui lo
avevano lasciato. “Ma quella…”
Sora lo
vide farsi perplesso e d’istinto seguì il suo sguardo. Fu allora che la vide. Si
trattava di una ragazza non molto appariscente ma sicuramente carina. Aveva
un’aria briosa e spigliata, grazie soprattutto alla presenza di quei lucenti
capelli rossicci che le incorniciavano il viso in un caschetto corto ma
vaporoso.
“Andiamo
da loro, Sora!”, senza lasciarle nemmeno il tempo di replicare, Taichi la
afferrò per un braccio e la condusse verso i due ragazzi. “Ehi, Yamato!”
Sentendosi chiamare, il biondo voltò il capo incuriosito, ma non fu molto
sorpreso di scoprire di chi si trattava.
“Siete
usciti finalmente”, li canzonò il giovane mentre la ragazza di fronte a lui si
voltava a fissare i due appena giunti.
“Scusaci, ci siamo fatti prendere dalle risa!”, si giustificò goffamente Yagami,
passandosi nel contempo una mano nei folti capelli castani.
Nel
frattempo la fanciulla in compagnia di Yamato aveva preso ad osservare con
particolare attenzione Sora, già virata in tutte le tonalità di rosso. Era
rimasta piuttosto spossata di vedere il giovane Ishida parlottare con una
ragazza. Il suo cuore aveva preso stranamente e incontrollabile a palpitare,
mentre qualcosa d’indefinito l’aveva fatta fremere dentro. In più ad aggiungersi
a tutto questo c’era il fatto di tenere ancora la sua mano tra quella di Taichi.
Prima lui gliela aveva presa spontaneamente, forse senza nemmeno accorgersene, e
per questo non aveva di certo notato lo strano turbamento che quel piccolo
contatto provocava in lei.
“Ciao,
Taichi, è bello rivederti!”, si riscosse di scatto la rossiccia, rivolgendo un
sorriso smagliante al ragazzo. “Ti ricordi di me, vero?”
“Ma
certo! Tu sei Harumi!”
“Esatto!”, confermò la giovane tutta contenta, prima di spostare lo sguardo
sulla ragazza accanto a lui. “Lei è la tua ragazza?”, chiese ingenuamente.
A quella
domanda sia Taichi che Sora arrossirono paurosamente, mentre al contrario Yamato
li fissava in silenzio e con una strana espressione in volto.
“No,
certo che no!”, si affrettarono a dire i due, lasciandosi le mani di scatto.
“Lei è
Sora. Sora Takenouchi”, la presentò per lei Taichi.
Harumi
annuì, ma non sembrò ancora soddisfatta della spiegazione.
“Abito
all’appartamento sotto al loro”, spiegò allora Sora. “E siamo in classe insieme,
al 3 – A dell’Odaiba High School”
“Ah…
Beh, io sono Harumi, piacere di conoscerti!”, le sorrise cordiale la giovane.
“Mio zio ha rilevato e rinnovato questo luna park, così io mi sono offerta di
aiutarlo almeno oggi che c’è l’apertura. Ma se avessi saputo che eravate venuti
vi avrei guidati personalmente qui dentro!”
“Non
preoccuparti Harumi. Ci siamo divertiti lo stesso!”, la tranquillizzò
immediatamente Taichi.
“Sono
contenta! Però adesso ci penserò io, sei d’accordo Yamato?”, con estrema
audacia, Harumi si aggrappò al braccio del bel biondino, il quale tuttavia non
si scompose minimamente.
“Per
me…!”, rispose con disinteresse il giovane Ishida, guadando distrattamente da
un’altra parte.
“Perfetto!”, sentenziò allora Harumi raggiante, prima di farsi strada tra la
folla di persone accorsa per la grande e tanto attesa apertura.
“Inizio
ad avere fame”, la voce di Yamato si fece largo tra i tre, che si voltarono
incuriositi verso lui.
“Ti
accompagno a comprare qualcosa!”, si offrì immediatamente Harumi.
Quindi,
senza concedergli nemmeno il tempo di replicare, lo trascinò letteralmente via
di lì verso il primo punto di ristoro.
“Che
strana ragazza…!”, non poté fare a meno di osservare Taichi, mentre li osservava
allontanarsi. “Mah, poco male! Vorrà dire che ci divertiremo noi due, giusto
Sora?”
La
fanciulla, che per un istante si era persa ad osservare il biondino allontanarsi
con Harumi, si riscosse dai suoi pensieri alla voce del ragazzo.
“Sì!”,
gli sorrise, felice come sempre di poter passare un po’ di tempo con lui.
Le
piaceva stare in compagnia del brunetto perché era un tipo spigliato e alla
mano.
“Che ne
dici di fare la fila per Giocopoli?”, il giovane Yagami indicò sorridendo
l’attrazione tutta colorata che si ergeva dinanzi a loro.
“D’accordo!”, annuì subito, entusiasta, Sora, attirata da quello sfavillio di
colori quasi bambineschi.
Senza
aggiungere altro, i due ragazzi iniziarono a fare la fila che di lì a breve li
avrebbe fatti entrare nel mondo di Giocopoli.
Sora si
ritrovò a sorridere inevitabilmente al pensiero. Era strano come con Taichi
fuoriusciva la sua parte più infantile! D’altronde…lui era così! Forse per
questo lei si trovava tanto bene con lui. Era strano come le sembrava di
conoscerlo da sempre. Ma probabilmente lo doveva a quel suo carattere così
notevolmente disponibile ed estroso, capace di contagiare tutto e tutti. E anche
in quel momento, con quel sorriso ingenuo e perennemente allegro sul volto,
lasciava trapelare quel suo carattere tanto estroverso e vivace.
“Sai,
Taichi”, la giovane Takenouchi quasi non si accorse di aver mosso le labbra per
parlare se il ragazzo non si fosse voltato incuriosito verso di lei. “Quando
sono con te, io sto bene”
A quelle
parole il brunetto non riuscì a nascondere un moto di stupore, che gli fece
sgranare i suoi enormi occhioni marroni. Ma poi la meraviglia dell’attimo
scomparve e al suo posto si soppiantò un sentimento di estrema dolcezza che lo
fece sorridere quasi involontariamente.
“Anch’io
sto bene con te, Sora”
Taichi
allungò istintivamente una mano verso di lei, fino a raggiungere il suo capo.
Poi, con un semplice gesto, la spinse dolcemente all’ingiù, in un atto che
voleva essere affettuoso. Sora, spiazzata da quel piccolo ma espressivo gesto,
non riuscì a fare a meno di arrossire violentemente; tuttavia, nonostante la sua
proverbiale timidezza, non poté reprime un meraviglioso sorriso che andò ad
arricciarle le labbra lampone. ‘Taichi…’, alzò lo sguardo e lo fissò in quei
briosi occhi marroni, sentendo subito come una dolce sensazione avvolgerla. Sora
non capì di che si trattava, però quando lui le sorrise, lei non esitò a
ricambiare al gesto.
Una
lieve brezza, che aveva preso già da un po’ di tempo a soffiare per le vie
dell’estremamente estesa capitale giapponese, giocherellava distrattamente con
le foglie marroncine cadute dagli alberi di ciliegio, in una delicata girandola
che s’impregnava del colore del pesco tipico del crepuscolo. In alto, a fare da
sceneggiatura a quel meraviglioso quanto intenso momento della giornata, si
stagliava un cielo appena lievemente modellato da qualche nuvola e un sole che
si apprestava ad inabissarsi dietro le alture che si scorgevano lungo
l’orizzonte.
In un
simile spettacolo naturale, tre sagome, tallonate fedelmente dalla luce solare,
si apprestavano a fare ritorno verso l’appartamento 619 (ma secondo voi i
palazzi hanno davvero un numero per essere riconosciuti?! Mah…! NdA) di
Odaiba.
“Sono
distrutto!”, Taichi si sgranchì goffamente gli arti superiori, tentando
genuinamente di ritrovare così un po’ di quella grinta che mai lo aveva
abbandonato in quella giornata.
“Già!
Oggi è stata proprio una giornata stancante!”, ne convenne accanto a lui anche
Sora, accennando ad un sorriso.
“Però in
fondo ci siamo divertiti, no?”, valutò subito il brunetto, sfoderando uno dei
suoi allegri sorrisi.
“Sì, hai
ragione!”
“Tu non
ti sei divertito, Yamato?”, continuò allora il giovane Yagami, soddisfatto della
risposta della ragazza.
“Mm…”,
scosse solo le spalle il biondino, in un gesto vago che svelava tutto e nulla.
“Fortuna
che domani è domenica!”, riprese parola Taichi, pensieroso. “Almeno potrò
dormire!! Altrimenti chi ce la faceva ad andare a scuola!!”
Divertita da quelle parole, Sora si lasciò sfuggire un sogghigno, che però morì
lentamente quando i suoi occhi nocciola, alzando lo sguardo, incrociarono una
sagoma dai tratti chiaramente femminili che sembrava stare aspettando giusto
loro appena a pochi passi da lì.
Si
fermò, imitata subito dai due amici.
“Si può
sapere perché ti sei fermata, Sora?”, non esitò a domandarle, incuriosito, il
brunetto.
Ma,
seguendo lo sguardo della fanciulla, non ebbe più bisogno di una sua risposta.
Davanti
a loro, ferma proprio sotto la palazzina 619, una graziosa ragazza li fissava
con un enorme sorriso stampato sulle labbra lampone. Non era molto grande, anzi
sembrava quasi una bambina sebbene le forme del corpo leggermente accentuate
dimostrassero il contrario, eppure era veramente graziosa. Non sarebbe stato
sbagliato paragonarla ad una fatina dalle movenze delicate ma allo stesso tempo
decise, che si leggeva specie in quelle dolci ma sicure iridi marroni. E poi
c’erano i capelli…una conforme massa setosa di un fulgido castano che si
conteneva dietro le orecchie e attraverso una mollettina dal colore rosa acceso,
ma che non riusciva a sfiorare nemmeno l’incurvatura delle spalle (a questo
punto credo che abbiate capito di chi si tratta, no? ^_- NdA).
‘Questa
ragazza…chi è?’, si domandò tra sé e sé Sora, incuriosita e stranamente attratta
da quella figura a lei sconosciuta. Le venne quasi istintivo voltarsi verso i
due ragazzi che la accompagnavano, in cerca forse di una risposta nella loro
reazione. Ma l’espressione sui loro volti se da un lato andava a confermare la
sua ipotesi che già la conoscessero, dall’altro la confondevano ancora di più
circa l’identità di quella sconosciuta.
Yamato,
che normalmente non s’impressionava per nulla, adesso non celava un delizioso
sorriso che gli arricciava le labbra perfettamente disegnate, mentre un velo di
meraviglia si affacciava appena negli occhi blu. Taichi, invece, che era
certamente il più spontaneo tra i due, non si curava di nascondere il proprio
stupore di fronte a quella visione, il quale si leggeva chiaramente su tutto il
suo volto e in quelle sue schiette pozze marroni.
“Hi…Hikari!!”, alla fine, dopo un tempo fatto di occhiate che a Sora parve
interminabile, fu proprio il brunetto il primo a fugare quello strano silenzio
creatosi.
‘Allora…la conosce davvero!’, fu il primo pensiero che la giovane Takenouchi
riuscì a formulare, mentre i suoi occhi nocciola non si staccavano per un solo
istante dalla figura davanti a lei. Ma poi, il lieve fruscio alla sua sinistra,
la fece voltare quasi automaticamente. Era stato Taichi, muovendosi, a provocare
quello strofinio e ad attirare così le attenzioni di una già terribilmente
confusa Sora.
“Taichi…”, finalmente anche la giovane sconosciuta parlò, rivelando nella
propria voce un’emozione già perfettamente visibile in viso. “Taichi!!”
Fu
questione di pochi istanti. La ragazza dai capelli castani era corsa,
palesemente emozionata, verso il ragazzo e lo aveva abbracciato di slancio,
mossa da un sentimento che tuttavia Sora non riusciva ben ad identificare. Ma la
cosa che più sorprese Takenouchi fu il modo quasi possessivo con cui Taichi
ricambiò alla stretta della giovane. I suoi occhi marroni brillavano in quel
momento e un sorriso smagliante gli illuminava il volto in un modo sorprendente.
Si vedeva chiaramente che ci teneva molto a quella ragazza e per questo Sora non
poteva fare a meno di chiedersene la ragione. Insomma: chi era quella graziosa
fanciulla apparsa quasi d’incanto proprio sotto casa loro?
NOTA
DELL’AUTRICE (ovvero, ringraziamenti più che necessari):
Mi sono
concessa questo piccolo spazio per poter ringraziare quanti di voi nonostante
tutto continuano a leggere le mie storie. Mi dispiace molto se non aggiorno più
con tanta celerità, ma mi sono resa conto in modo sconvolgente di non avere
praticamente più tempo per niente! Tuttavia, siccome ho promesso alla mia
carissima amica Sae che avrei aggiornato presto, ho preso al volo questa
mattinata di “libertà” per adempire ai miei doveri verso di voi. Per cui…ecco i
nuovi capitoli!
Inoltre
approfitto di questo ritaglio per ringraziare, appunto, la mia amica Sae,
Sora89, HikariKanna, Heather, Pollins (abbi fede, siamo solo all’inizio!),
Memole, Neko chan, Cera91, Beamarkecope, Burgos, Keiko Sayuri, Skiblue e (sperando di non aver
dimenticato nessuno!!) tutti quelli che ancora mi sostengono! Grazie mille,
davvero.
RIASSUNTO (facciamo il punto della situazione):
Sora
ha quindici anni e vive con la madre ad Odaiba, un quartiere di Tokyo. Un giorno
nella sua palazzina si trasferiscono due aitanti, quanto bizzarri ragazzi.
Yamato è un ragazzo taciturno, introverso e a volte persino scontroso. Al
contrario Taichi è un tipo più alla mano, disponibile e pieno di brio.
Ognuno completamente diverso dall’altro, ma grandi e inseparabili amici. Così,
mentre con il primo Sora troverà degli ostacoli dettati dal carattere
estremamente difficile di lui, non avrà alcuna difficoltà a legarsi con il
secondo, oltretutto in classe con lei. Le cose però sembrano prendere una piega
inaspettata dopo una divertente giornata trascorsa al luna park, al termine
della quale una misteriosa figura li attende sotto casa. Chi sarà mai questa
nuova ragazza? E cosa ha a che fare con la vita di Taichi e Yamato?
***
Lo
stridio del campanello d’ingresso si autodefinì come la brusca connessione che
avrebbe riportato Sora dall’utopistico mondo dei sogni a quello veritiero della
vita reale.
La
ragazza dai capelli ramati esitò ancora un paio d’istanti sotto le calde coperte
che la riparavano dal freddo autunnale, prima di alzarsi definitivamente per
porre lei stessa una parola fine a tutto quel fracasso immondo proveniente dal
soggiorno. Eppure, non poté fare a meno di notare mentre si apprestava ad andare
ad aprire, era strano che la madre non lo avesse già fatto. Stava ancora
valutando le possibili attenuanti, quando si accorse di essere ormai di fronte
alla porta d’ingresso.
Incurante dell’aspetto che doveva avere in quel momento, sveglia da pochissimo,
Sora aprì stancamente la porta senza nemmeno chiedere o chiedersi chi poteva mai
essere a quell’ora del mattino. Il torpore del risveglio si faceva sentire
ancora troppo pesantemente in lei per anche solo farla riflettere su queste
cose. Eppure esso scomparve come sabbia al vento quando, aprendo, si ritrovò
davanti due allegri occhi di un azzurro simile al cielo più terso.
Sora
strabuzzò un paio di volte gli occhi, credendo per un istante di trovarsi ancora
tra le braccia di Morfeo in uno dei suoi chimerici sogni. Ma ogni volta che li
riapriva, puntualmente, la figura adesso palesemente stupita di quel ragazzo le
compariva davanti.
“Scusami, ma… Questo non è il palazzo 619?”, chiese ad un tratto il giovane, che
stava fissando la sua interpellata con sguardo interrogativo.
“Beh,
sì”, rispose con una nota di frastornazione lei, senza mai smettere di
osservarlo.
C’era
qualcosa in quel ragazzo che le sembrava di riconoscere, ma che purtroppo non
riusciva ad identificare. Di certo se lo avesse visto prima avrebbe ricordato un
tipo tanto carino. Sebbene dimostrasse appena una dodicina d’anni, era piuttosto
alto. Sora ipotizzò che doveva toccare il metro e settanta circa, o forse
persino qualcosa di più. Aveva un fisico atletico, ma estremamente smilzo,
modellato probabilmente dall’attiva partecipazione a qualche club che poteva
benissimo essere quello di calcio o, meglio ancora, quello di basket. Infine
c’erano quei lucenti capelli dorati, che gli incorniciavano l’ovale perfetto del
viso i cui tratti non nascondevano una dolcezza a lui innata (anche stavolta
non credo ci siano problemi ad identificarlo, non è forse così? ^^ NdA).
“Allora
non capisco”, stava dicendo proprio il ragazzo. “Se questo è il palazzo… Dov’è
mio fratello?”
Il
biondino lo chiese rivolto verso Sora, anche se sembrava più una di quelle
domande destinate a se stessi.
“Io non
saprei… Forse se mi dici chi è tuo fratello posso darti una mano”, tentò Sora,
sfoderando un sorriso affabile che il ragazzo sembrò apprezzare particolarmente.
“Mio
fratello si chiama Yamato”, le rispose allegramente lui, senza sapere che a quel
nome il cuore della ragazza era sobbalzato involontariamente. “Yamato Ishida”
Nell’udire il nome per intero, Sora sbatté le palpebre un paio di volte come per
accertarsi che quella era davvero la realtà. Eppure non sembrava uno scherzo.
Quel ragazzo era terribilmente simile a Yamato!
‘Ecco
chi mi ricordava!’, si disse tra sé e sé la ragazza, ancora visibilmente
spossata dalla notizia appena appresa.
Sforzandosi di mettere da parte tutto lo stupore legato alla scoperta, Sora si
richiamò ad uno dei suoi migliori sorrisi.
“Conosco
tuo fratello e…non hai sbagliato palazzo, non preoccuparti”
“Oh,
dici davvero?”, il biondino sembrò entusiasmarsi alla notizia. “Meno male!
Vedendo te, ho seriamente temuto di aver sbagliato a prendere l’indirizzo di
casa di mio fratello. Ma per fortuna…!”
“Già…”,
annuì anche lei, frastornata. “Ma ti prego, entra!”
“D’accordo!”, obbedì immediatamente lui, sorridendole per l’invito. “A
proposito: io sono Takeru”
“Sora.
Io mi chiamo Sora Takenouchi!”, si presentò a sua volta anche la fanciulla dai
capelli ramati, mentre richiudeva la porta d’ingresso dietro di lei.
La
ragazza aveva completamente dimenticato di essere ancora in pigiama, se a
ricordarglielo non ci aveva pensato lo specchio che spadroneggiava lungo il
breve corridoio che separava l’ingresso dal soggiorno. Infatti mentre vi passava
accanto, gettandovi casualmente un’occhiata, fu imbarazzatissima di scoprire che
era andata alla porta con ancora l’enorme pigiamone addosso e i capelli
arruffati.
“Ti…ti
dispiace sederti qui per un istante mentre vado di là ad indossare qualcosa?”,
gli chiese allora, con un certo impaccio, una volta in soggiorno.
“No,
certo. Fa pure con comodo!”, la tranquillizzò immediatamente il biondino,
rivolgendole un sorriso dolcissimo che la fece rimanere interdetta.
‘Lui…Takeru ha detto di essere il fratello di Yamato. Eppure loro due…a parte
l’aspetto fisico, non si somigliano molto’, non poté fare a meno di considerare
la giovane mentre si chiudeva nella sua camera per cambiarsi, ‘Takeru è gentile
e sembra anche molto simpatico. Mentre invece Yamato è un ragazzo
così…scontroso! Possibile che siano davvero fratelli?!’.
Takeru
si guardò distrattamente attorno nell’attesa che Sora si preparava.
L’appartamento in cui si trovava non era molto grande, eppure era stato arredato
con mobili di buon gusto che gli conferivano un’aria confortevole. Di certo
quello non era il genere di mobilio che lui si era aspettato di trovare. Se
conosceva bene il fratello e Taichi, avrebbe infatti dovuto trovare davanti ad
un appartamento scarno di mobili inutili, pieno di luce e…di disordine!
‘Devo
davvero aver sbagliato qualcosa nel prendere l’indirizzo…’, si disse pensieroso
il giovane, ripensando alla scena consumatasi poco prima.
In un
primo momento era rimasto piuttosto sorpreso di scorgere una ragazza, che lui
non aveva mai visto prima di allora, aprire alla porta che lui credeva essere
quella di casa del fratello. Eppure doveva ammettere d’averla trovata sin da
subito una brava ragazza, gentile e disponibile. Inoltre era anche molto carina,
il che non guastava mai!
‘Ops… Se
mi sentisse Hikari…!’, sghignazzò divertito tra sé e sé il biondino, prima che
un rumore di passi attirasse la sua attenzione.
“Scusa…
Ti ho fatto aspettare?”
Takeru
alzò lo sguardo e incrociò due allegri occhi nocciola che lo fissavano cordiali.
“No, non
preoccuparti”, la tranquillizzò immediatamente, accompagnando le parole con un
gesto di dissenso col capo.
“Beh…
Vorrai andare da tuo fratello”, ipotizzò allora Sora, lievemente impacciata per
la bizzarra situazione.
Per
tutta risposta, il biondino accennò ad un sorriso carico di significato.
“Okay.
Allora andiamo?”, gli sorrise a sua volta anche lei, avvicinandosi all’ingresso.
Takeru
annuì e la seguì senza tante storie. Erano passate un paio di settimane da
quando non vedeva Yamato, e adesso sentiva una gran voglia di rivederlo. Il
fluire dei suoi pensieri venne però interrotto da Sora, che si era fermata
all’improvviso davanti al piccolo mobiletto di legno d’acero posto lungo il
corridoio che portava alla porta d’ingresso.
“È tutto
a posto?”, s’informò subito, leggermente preoccupato da quello scatto repentino
lui.
“Eh? Oh,
sì! Mi ero solo fermata per…ho visto questo biglietto, della mamma, e così…!”,
farfugliò Sora, mentre tentava di rassicurarlo con un sorriso.
Si era
fermata perché attratta dal foglietto bianco posto sopra al mobiletto, il quale
era stato lasciato lì dalla madre che la informava di essere uscita un istante,
e lui si era subito impensierito per quell’improvviso atto.
“Ah…
Capisco!”, ricambiò immediatamente al sorriso Takeru, contagiato da lei.
La
giovane Takenouchi lo ringraziò in cuor suo per tanta premurosità, chiedendosi
per la centesima volta se quel ragazzo così gentile potesse realmente essere il
fratello di Yamato. Si era preoccupato per lei, anche se la conosceva da soli
pochi minuti…! Takeru era un ragazzo davvero carino, non c’era che dire.
Mentre
uscivano di casa, Sora si affrettò a spiegare al giovane ogni cosa.
“Vedi,
tuo fratello e Taichi abitano sì a questo palazzo, ma al piano di sopra.
Nell’appartamento B”
“Ecco
perché tu…! Oh, scusami tanto Sora se ti ho svegliata e…”
“No, non
devi scusarti”, lo confortò, interrompendolo, la ragazza dai capelli ramati.
“Il
fatto è che ho preso l’appunto dell’indirizzo di fretta e così devo aver
sbagliato a…”
“Va
tutto bene!”, gli sorrise rasserenante Sora.
Takeru
fece per dire qualcosa, ma l’espressione dolce sul volto della ragazza lo fece
desistere e capire che davvero non doveva preoccuparsi.
Le
sorrise.
“Grazie”
Quella
semplice parola bastò a farla arrossire, anche se solo lievemente. Ma poi, dopo
un’ultima occhiata, si affrettò a condurlo davanti all’appartamento B dove
abitava il fratello. Fu proprio lei, una volta qui, a suonare alla porta
attraverso il campanello. L’uscio si aprì appena pochi istanti dopo e subito un
volto sorridente ma chiaramente femminile ne fece capolino, sbalordendo
all’istante la povera Sora che per un momento aveva completamente dimenticato la
presenza di quella giovane a casa dei due amici.
“Takeru!!”, la ragazzina sembrò riconoscere al volo il biondino, che abbracciò
di slancio davanti ad una frastornata Sora. “Finalmente sei arrivato!”
“Scusa…
Scusami Hikari”, ricambiò alla stretta, altrettanto felice, lui. “Il fatto è
che…beh, ho sbagliato a capire l’appartamento e così sono finito in quello di
Sora!”
A quella
spiegazione la brunetta sorrise divertita, poi, dopo essersi sciolta
dall’abbraccio, si voltò proprio verso la ragazza al suo fianco.
“Sono
contenta di rivederti, Sora!”, le sorrise cordiale.
Takenouchi, anche se palesemente stordita, non poté fare a meno di ricambiarle,
arricciando a sua volta le labbra verso su. All’inizio, quando la sera prima
l’aveva vista ferma davanti al palazzo, era rimasta piuttosto spossata. Anche
se, ad essere sincera, l’aveva presa sin da subito in simpatia. Aveva qualcosa,
quella ragazza, che le ispirava protezione, affetto. Solo più tardi aveva
scoperto che quella fanciulla si chiamava Hikari Yagami, e non era altro che la
sorellina minore di Taichi.
“Coraggio, entrate adesso! Yamato e il fratellone sono in cucina a fare
colazione!”
Mentre
faceva strada, Hikari sembrava gestirsi egregiamente in una casa che aveva
conosciuto appena la sera precedente.
“Takeru!!!”
Una
volta giunti in cucina, fu la voce entusiasta di Taichi ad accoglierli.
“Da
quanto tempo non ci vediamo!”, continuò il giovane, prendendo il biondino sotto
braccio e arruffandogli scherzosamente i capelli, incurante delle proteste di
quello.
Lo
lasciò solo quando, sotto lo stupore generale, vide Yamato avvicinarsi a loro.
“Takeru…”, mormorò solo, allungando una mano verso il fratellino e posandola
affettuosamente sui suoi capelli.
Durò
solo pochi istanti, ma sufficienti per far chiarire il vero significato di quel
gesto.
Yamato
era contento di rivederlo. Lo aveva dimostrato chiaramente, anche se a modo suo.
Un modo che ormai tutti i presenti avevano imparato a conoscere.
Takeru
sorrise, senza tuttavia dire nulla. Poi, ben presto, Taichi si riprese e
ricominciò ad arruffare i capelli del ragazzino, osservati da una divertita
Hikari. L’unica che non aveva smesso per un solo istante di fissare, con un
certo stupore, Yamato era Sora. La ragazza era rimasta piuttosto stupita dal suo
gesto. Certo, non aveva fatto feste come invece non si era mantenuto dal fare
Taichi la sera prima nel rivedere la sua sorellina, però…quello che aveva
fatto…il suo gesto era stato più espressivo che mille parole. Specie per un
ragazzo dal carattere estremamente introverso come lui. ‘Yamato…’
“Come
mai quella faccia?”
Sora
sobbalzò spaventata, per poi arrossire violentemente quando si accorse della
breve vicinanza che la legava proprio a Yamato. Non si era accorta minimamente
che il ragazzo si fosse mosso e le si fosse avvicinato, presa com’era stata dai
suoi pensieri.
“Ah,
ecco io… Veramente…”, balbettò imbarazzatissima, tentando di formulare una frase
di senso compiuto. “Non sapevo che tu e Taichi aveste dei fratelli”
A quelle
parole il biondino scrollò con negligenza le spalle.
“Tu non
ce lo hai mai chiesto”
“Oh,
beh…”, rimase per un istante senza parole Sora. “Avreste potuto anche
menzionarlo”
“Uhm…”,
mormorò solo Yamato, scuotendo appena il capo in un gesto vago.
“Mi è
venuta un’idea!!”, esclamò ad un tratto Taichi, lasciando finalmente il povero
Takeru e balzando in piedi con espressione infervorata. “Che ne dite di un
picnic?”
“Un
picnic?”, lo guardarono straniti gli altri.
“Ma sì,
dai!! Sarà divertente! Noi cinque tutti insieme!”
“Beh,
perché no?”, la prima a trovarsi d’accordo fu Hikari, che non nascose la propria
gioia battendo allegramente le mani.
“Okay!”,
annuì anche Takeru, mentre tentava di darsi una sistemata ai capelli.
“Aspetta, ti aiuto io”, si offrì gentilmente Hikari, sorridendogli e aiutandolo
nell’impresa.
Sora li
fissò e non poté fare a meno di sorridere, intenerita.
“E per
voi?”, a riportarla alla realtà ci pensò ancora una volta Taichi.
“Beh,
per me non ci sono problemi!”, si unì a loro la giovane Takenouchi.
“Ottimo!”, le sorrise allora il brunetto, prima di gettare un’occhiata
interrogativa all’unico che ancora non aveva dato una risposta.
“Umpf…va
bene”, capitolò infine anche Yamato, scostando lo sguardo da un’altra parte con
fare indifferente.
“Dovremo
preparare qualcosa da mangiare per portarci, però”, intervenne a quel punto
Hikari, che aveva appena terminato di sistemare i capelli di Takeru.
Sora si
fece per un istante pensierosa, prima che un’idea le balenasse in testa.
“Potrei
preparare qualcosa io!”, propose con un sorriso raggiante, contenta di potersi
rendere utile.
“Tu?!”,
la smontò però immediatamente Yamato, guardandola scettico.
Per
tutta risposta Sora gli lanciò un’occhiataccia, che tuttavia il ragazzo non
colse, e si voltò verso gli altri quattro.
“Se sei
d’accordo, io potrei aiutarti!”, si offrì subito Hikari, guardandola speranzosa.
“Va
bene!”, le sorrise allora l’altra, ricevendo per questo un’occhiata ricolma di
gratitudine.
“Allora
appena avete fatto, andiamo, okay?”, si mise d’accordo Taichi.
“Okay!”,
risposero in coro le due ragazze.
“Vieni,
Hikari!”, fece poi Sora rivolta alla ragazzina, che annuendo la seguì
nell’appartamento A.
“Sì.
Ciao mamma!”
Sora
riappese la cornetta e raggiunse Hikari in cucina, dove quella si stava
dilettando nella preparazione di muchi (premetto che non sono un’esperta di
gastronomia, però a mio avviso i muchi dovrebbero essere delle piccole e rotonde
torte di riso NdA).
“Sora! È
tutto okay?”, s’informò immediatamente la giovane Yagami non appena la vide.
“Sì!”,
confermò l’altra. “La mamma ha detto che ne avrebbe approfittato per fermarsi a
mangiare dalla nonna (ovviamente io non possiedo alcune notizie sulla nonna
di Sora! Concedetemelo come licenza poetica, okay? ^^NdA), visto che si
trovava nei paraggi”
Hikari
annuì, dimostrando così di aver capito, prima di ritornare a concentrarsi in
quello che stava facendo. Sora intuì che voleva chiederle qualcosa, ma proprio
perché non lo fece, ritenendola probabilmente una cosa personale, la ringraziò
in cuor suo.
“Aspetta, ti aiuto con il baran (allora, stando alle mie rudimentali
conoscenze culinarie, il baran è un’erba di sushi di plastica usata come
decorazione per l’aspetto della pietanza e per dividere i diversi pezzi di sushi
NdA)”, si mise immediatamente all’opera anche la ragazza dai capelli ramati.
Tra le
due calò un istante di silenzio, prima che proprio Sora lo fugasse via con le
sue parole.
“Hikari,
posso farti una domanda?”
“Sì,
certo”, acconsentì curiosa la brunetta.
“Io mi
chiedevo…beh, quanti anni avessi”
“Ne ho
dodici. Sono al settimo ed ultimo anno delle scuole elementari (non
dimentichiamoci che in Giappone la scuola ha un ordinamento diverso rispetto a
noi, per questo le scuole elementari si estendono nella fascia d’età che va dai
sei anni ai dodici NdA)!”
‘Come
immaginavo!’, si disse tra sé e sé Sora.
“Anche
Takeru ha dodici anni”, la voce di Hikari attirò nuovamente le sue attenzioni.
“Siamo in classe insieme e con noi viene anche un nostro amico, Daisuke!”
“Tu e
Takeru…è da molto che vi conoscete?”
La
brunetta annuì. “Avevamo otto anni. Fu involontariamente grazie a Taichi e
Yamato che ci conoscemmo! Ci portarono, senza saperlo, a giocare nel parco di
Ikebukuro lo stesso giorno. È così che ci siamo conosciuti!”
Mentre
Hikari si perdeva nei meandri dei propri ricordi, Sora la ascoltava molto
interessata.
“Però io
e Takeru siamo andati immediatamente d’accordo, al contrario di mio fratello e
di Yamato!”, sorrise divertita Yagami. “E adesso io e lui…siamo ufficialmente
una coppia!”
Mentre
lo diceva la fanciulla era arrossita lievemente, ma il meraviglioso sorriso che
le allungava le labbra era una tangibile testimonianza della sua felicità.
“Sul
serio?”, s’incuriosì anche Sora.
“Sì. Da
ben tre mesi!! Quel giorno stavamo ritornando a casa insieme. Takeru mi
accompagnò, ma sotto casa mi diede questo piccolo fermaglio”, Hikari indicò la
mollettina rosa che le reggeva la frangetta. “Io mi ero appena tagliata i
capelli, ma la frangetta era troppo corta e mi dava fastidio. Takeru fu davvero
molto carino a farmi questo regalo, non trovi anche tu?”
“Sì!”,
annuì con lo stesso entusiasmo anche l’altra.
“E poi…
Lui mi chiese di diventare la sua ragazza”, arrossì lievemente la brunetta.
“Ovviamente io accettai subito! Era da tempo che non aspettavo altro! Mi sono
innamorata di lui sin da subito, ma non avevo mai avuto il coraggio di
confessarglielo. Fui felice che lui ci riuscì!”
“La
vostra è davvero una bella storia”, non poté fare a meno di commentare Sora al
termine del racconto.
“Già!”,
ne convenne anche Hikari con sguardo sognante. “Ma ora dimmi di te! Taichi mi ha
detto che ti hanno conosciuta il giorno stesso del trasferimento”
“Infatti”, confermò l’altra. “E poi, senza volerlo, siamo capitati nella stessa
classe!”
“Sai,
sono contenta che tu sia qui”
Le
parole della giovane Yagami la spiazzarono completamente.
“Taichi
e Yamato hanno bisogno di una ragazza come te accanto a loro”, le sorrise
dolcemente Hikari. “Una ragazza che si prendesse cura di loro come fai tu, Sora”
Takenouchi rimase piuttosto colpita da quelle parole, piacevolmente.
“Tu vuoi
molto bene a tuo fratello e a Yamato, non è vero?”
Hikari
annuì. “Taichi…beh, lui è il mio fratellone! Mi è stato sempre vicino, si è
preso cura di me… Quando ha deciso di venire a vivere qui con Yamato, ci sono
rimasta un po’ male. Ma adesso capisco che è stata la scelta migliore, che lo
aiuterà a crescere… Io sono felice di questo. Per quanto riguarda Yamato…beh, io
gli voglio bene come ad un fratello! A volte è un ragazzo difficile, ma in fondo
è comprensibile con tutto quello che ha passato. E poi…lui vuole molto bene a
Takeru! Si è sempre preso cura di lui, sin da quando erano piccoli. Certo, è un
po’ restio a dimostrare i suoi sentimenti, ma Takeru sa che Yamato ci tiene
tanto a lui. E lo stesso vale per lui, ovviamente”
Sora la
ascoltò come rapita da quel racconto. Si vedeva che Hikari era molto legata ai
due, così come Takeru. E di certo Taichi e Yamato volevano altrettanto bene ai
loro due fratellini. Però…la cosa che più l’aveva colpita erano state le parole
della ragazza riguardo a Yamato.
Stava
giusto per chiederle a cosa si stava riferendo, quando lo stridio del campanello
d’ingresso attirò la sua attenzione.
“Vado ad
aprire!”, esclamò subito Hikari tutta contenta, ben sapendo chi sarebbe stato.
Rimasta
sola, Sora si perse ancora per un istante nei suoi pensieri, ma poi sentendo la
voce dei ragazzi dall’ingresso prese i cestini contenenti il pranzo e li
raggiunse.
Hikari: Che bella la nuova casa di Taichi e Yamato, non
trovi anche tu Takeru?
Takeru: Sì!
^^
Hikari: Sono
proprio contenta di essere venuta a trovarli!! Anche perché se non era per noi,
loro due chissà quando si sarebbero fatti vivi!! è__è
Takeru:
Eh…eh… ^__^
Hikari: Però
è bello stare tutti insieme!
Takeru: Sì, è
molto bello! E poi adesso c’è anche Sora con noi!
Hikari:
Giusto! E ne sono veramente felice! ^^
Takeru: Sì,
anch’io…
[Sora, che li
sta ascoltando involontariamente da poco lontano, arrossisce imbarazzata ma
felice]
Yamato: Lo
sai che non si ascoltano le conversazioni altrui?
Sora:
Ma…io…non intendevo… //.//
Taichi: Dai,
venite che si mangia!! *.*
Sora: Sì!!
Yamato:
Sempre il solito… -__-’’
Finalmente ecco fare il loro ingresso in scena i due
fratellini di Taichi e Yamato! Ma cosa voleva dire realmente
Hikari? Ovviamente per scoprirlo non vi resta che continuare a seguire la
storia!! Nonostante il terribile ritardo nell’aggiornamento che, spero, mi
perdonerete.
***
“Accidenti, questa pioggia non ci voleva proprio!”, mormorò dispiaciuta Hikari,
ricevendo subito cenni concordanti anche dagli altri.
“Umpf!
Siamo i soliti sfortunati”, mise il broncio Taichi, a cui non era proprio andato
giù vedersi mandare a monte un magnifico picnic per colpa di qualche goccia
d’acqua.
“È colpa
di Takenouchi”, mormorò incolore Yamato, attirando in un batter di ciglia la
totale attenzione.
Sora lo
fissò male. Come poteva essere lei la causa di quella pioggia?! Non aveva certo
il potere di controllare il tempo, accidenti! Quel ragazzo l’avrebbe mandata al
manicomio, lo sentiva. Ma allora perché, vedendolo ritto con un piede appoggiato
al muro dietro di lui, non riusciva a fare a meno di sentirsi…turbata? Una lotta
interiore in cui il cervello le gridava di odiarlo e il cuore, al contrario,
batteva come impazzito. D’altro canto non era nemmeno una novità per lei quella
contrastante sensazione ad invaderle la bocca dello stomaco, giacché Yamato
era tutto questo.
“Che
vuoi dire?”, stava nel frattempo dicendo Takeru, incuriosito dalla velata
accusa.
“Tsk! Se
non avesse deciso di mettersi a cucinare…”, disse solo lui, scrollando le spalle
con noncuranza quasi la cosa non lo toccasse affatto.
“Ma
dai!”, si rifiutò di credere Taichi, mentre Hikari cercava lo sguardo complice
di Takeru e Sora mostrava la linguaccia ad un indifferente Yamato.
La
pioggia intanto continuava a scendere dal cielo, costringendoli a stringersi
sempre di più sotto il tendone di una vecchia e chiusa gelateria.
“A
proposito Taichi”, disse, dopo un istante di silenzio, Hikari rivolta al
fratello maggiore. “La mamma è arrabbiata con te”
“Eh?”,
la guardò stranito il brunetto, non riuscendo proprio a capire il motivo di
quello sdegno.
“Dice
che da quando ti sei trasferito ti fai sentire poco e niente”
“Cosa?!”, stavolta Taichi era palesemente scioccato. “Ma se la chiamo almeno due
volte al giorno!!”
“Sì, ma
le tue telefonate durano al massimo due minuti!”, gli rammentò la sorella,
brandendo il suo cestino con fare ammonitore.
Il
brunetto fece per dire qualcosa, ma alla fine riuscì solo a boccheggiare un paio
di volte, prima di spirare un sospiro.
“Okay,
okay…hai vinto tu. Vorrà dire che la prossima volta mi incollerò al telefono, va
bene?”, le fece l’occhiolino, al quale Hikari rispose con un meraviglioso
sorriso. “Argh! Mi sono stufato di rimanere qui!”
“E che
proponi di fare allora?”, alzò un sopracciglio Yamato, con fare interrogativo.
“Tanto
vale tornarcene a casa, a questo punto! Ormai il picnic è saltato”, replicò
Taichi con espressione tanto saccente quanto buffa.
“Che
peccato però…”, obiettò Sora, gettando un’occhiata triste all’inutile lavoro suo
e di Hikari.
“Se non
ricordo male l’entrata della metro dovrebbe trovarsi oltre quel palazzo”, disse
invece Takeru, accennando con lo sguardo all’imponente struttura metallica che
sovrastava in altezza quelle vicine.
“Andiamo, allora! Quattro schizzetti non ci fermeranno, vero ragazzi?”, esordì a
quel punto il più grande dei due Yagami, prima di buttarsi a capofitto sotto la
scrosciante pioggia.
“Che
matto…”, ridacchiò nell’osservarlo Hikari, divertita dall’esuberanza del
fratello.
“Ci
buttiamo anche noi?”, le chiese Takeru, di fianco a lei, prendendole la mano
dolcemente quando poi la ragazza annuì.
“Va
bene”
Pochi
istanti dopo anche i due fidanzatini si stavano cimentando in un’improbabile
corsa sotto le intemperie naturali del tempo. Rimasta a fissarli, Sora quasi non
si accorse della presenza di Yamato al suo fianco se solo lui non si fosse mosso
nella sua direzione fino ad esserle praticamente di fianco. Talmente tanto che
poteva sentire il braccio ossuto di lui sfiorarle il suo a discapito di tanti
piccoli brividi pronti a scuoterla come una foglia al vento. Che poi, si domandò
esasperata, che motivo aveva di sentirsi così? Lui era forse la persona più
insopportabile che avesse mai incontrato. Tuttavia…non poteva proprio dire che
la cosa poteva classificarsi come un dispiacere vero e proprio.
“Hai
intenzione di rimanertene lì impalata ancora a lungo, Takenouchi?”, le domandò
ad un tratto lui, risvegliandola dal flusso invadente di pensieri.
Sora
s’infiammò. Era la seconda volta che lui la riprendeva. Cominciava ad averne
sinceramente abbastanza.
“Senti,
tu…”, fece per dire, pronta a fronteggiare la sua insolenza, ma Yamato non le
diede il tempo che già si era buttato a sua volta nel fitto del pioggia.
La
ragazza spalancò la bocca. Non l’aveva neppure aspettata! ‘Ma chi si crede di
essere?!’, domandò a se stessa infuriata mentre, lottando per tentare di
minimizzare i danni che la pioggia avrebbero causati al cestino ricolmo di cibo,
raggiungeva il resto del gruppo verso la stazione metropolitana più vicina.
La
metropolitana arrivò, come sempre, puntuale nella sua corsa. Taichi fu
ovviamente il primo a salire nel vano tentativo di trovare qualche posto a
sedere. Alla fine, però, decise di stroncare le ricerche e posizionarsi invece
accanto ad una delle uscite dove subito lo affiancò la sorella. Anche Yamato,
spinto più che altro dal richiamo di Hikari, li raggiunse e lo stesso stava per
fare Sora se solo una stretta attorno al suo polso non glielo avesse impedito.
Si girò giusto in tempo per scorgere sul volto di Takeru un meraviglioso sorriso
rivolto solo ed esclusivamente a lei.
“Posso
parlarti un attimo?”, domandò con la sua voce dal timbro caldo e gentile.
Sora
annuì, pensando nel contempo che nemmeno un pazzo avrebbe saputo dire di no a
quel ragazzo.
“Ma
certo!”
Takeru
alla risposta sospirò, rilassando i muscoli tenuti fino a quel momento in
tensione.
“Niente,
io… Non ti ho ancora ringraziata per stamattina. Sai, per avermi accompagnato a
casa di Yamato”
“Non
devi ringraziarmi, Takeru. Davvero!”, gli sorrise immediatamente Sora,
rassicurante come sempre, felice di sapere che non c’era in effetti nulla di cui
preoccuparsi.
Si
sentiva onorata, a ben pensarci, di quella piccola attenzione ricevuta dal
fratello di Yamato. Gli piaceva Takeru, era un bravo ragazzo, di quelli gentili
e zelanti.
Il
biondino, allora, le rivolse uno dei suoi più dolci sorrisi che le lasciò il
pensiero che il ragazzo sorrideva molto più spesso rispetto al fratello e che
forse Yamato avrebbe dovuto prendere esempio da lui sotto quel particolare punto
di vista. La riflessione venne tuttavia scartata quando lo vide volgere lo
sguardo verso gli altri tre.
“Sono
contento di essere venuto qua”, confessò ad un tratto Takeru, attirando le
attenzioni della ragazza. “Era da un po’ che non vedevo mio fratello e…beh, devo
ammettere che mi è mancato molto”
Sora
rimase piuttosto colpita da quelle parole. Si vedeva quanto il dodicenne teneva
a Yamato, ma in fondo era più che comprensibile una cosa del genere. ‘Devono
essere davvero molto uniti!’, non poté fare a meno di notare, sorridendo
involontariamente.
“Prima
che lui e Taichi si trasferissero, io e Yamato ci vedevamo molte più volte”,
stava nel frattempo dicendo il biondino, mentre un sorriso a tratti quasi
nostalgico spuntava sul suo volto. “Anche se non sempre era possibile”
“Per via
degli orari?”, ipotizzò Sora.
“Eh?”,
fece lui, non riuscendo a capire a cosa lei si stava riferendo.
“Beh, se
non potevate vedervi spesso era per via degli orari differenti che avevate, no?
È per questo che, anche se vivevate sotto lo stesso tetto, a volte capitava di
non incontrarsi, giusto? Spesso capita anche a me con mia madre!”
Il
sorriso sul suo volto scomparve però nel giro di pochi istanti accorgendosi che
Takeru la fissava frastornato e chiaramente basito.
“Ma
io…pensavo tu lo sapessi. Possibile che mio fratello o anche Taichi non ti
abbiano detto niente?!”, chiese quasi a se stesso il biondino, colpendo in pieno
con la sua domanda la ragazza.
Sora lo
fissò a bocca aperta, boccheggiando un paio di volte. ‘A cosa si sta
riferendo?’, si domandò con una punta d’apprensione. Cosa doveva sapere?!
Stava
per chiedere dei chiarimenti, quando una voce allegra proruppe tra loro.
“Avanti,
ragazzi!! Venite anche voi!”, senza nemmeno immaginare di aver potuto
interrompere qualcosa, Taichi allungò il collo verso di loro e incurante dei
presenti li richiamò a sé ponendo involontariamente fine ad una conversazione
che si faceva sempre più importante.
‘Non mi
hanno detto nulla…’, Sora puntò lo sguardo vacuo verso un punto indefinito
davanti a sé.
Era da
quando Takeru e Hikari se n’erano andati, la sera prima, con il primo bus che
portava ad Ikebukuro, che stava in quel mondo ovattato fatto solo di pensieri.
E, la causa, era da ricercare unicamente nelle parole che i due dodicenni le
avevano rivolto, in primis quelle del fratellino di Yamato.
Purtroppo, sebbene avesse tentato riparlargli più volte dopo essere stati
stroncati così bruscamente sulla metro, non era mai riuscita nel suo intento. E
adesso che Takeru era partito, non poteva più sperare di risolvere quel dilemma
che le gravava prepotente sul cuore e nei suoi pensieri. O, perlomeno, non così
brevemente come avrebbe voluto.
“Sora,
stai bene?”, la voce dolce e apprensiva dell’amica Hitomo la ridestò dai suoi
pensieri, riconducendola alla realtà.
Era
l’ora d’educazione fisica e, come d’abitudine, dopo aver indossato la tuta nera
che forniva la scuola, la 3 – A era scesa il cortile. Normalmente Sora si
sarebbe data parecchio da fare in quell’ora, perché le piaceva moltissimo fare
attività sportive. Ma quel giorno un’insolita e pesante stanchezza le impediva
quasi di muoversi.
“S…sì,
certo!”, tentò di apparire convincente Sora.
“Allora…Yamato non c’entra niente?”, insistette la biondina con sguardo
scettico.
Takenouchi avvampò all’istante a quell’insinuazione, accorgendosi solo in quel
momento di avere lo sguardo fisso sul campetto da basket dove si tenevano in
allenamento i ragazzi e, in particolare, di averlo puntato già da diverso tempo
proprio sul giovane. Infatti, sebbene fossero in classi differenti, quella
d’educazione fisica era l’unica ora che i terzi del corso A e del corso D
avevano in comune.
“No,
lui…cioè, io…”, tentò di giustificarsi imbarazzatissima la ragazza, ma tutto ciò
che riuscì a dire furono parole senza alcun nesso logico.
“Yamato!!!”,
in suo accorso sopraggiunse un inaspettato quanto entusiastico grido che si
diffuse in breve lungo tutto il cortile, attirando in men che non si dica le
attenzioni soprattutto delle ragazze, poiché i ragazzi erano completamente presi
dalla loro partita di basket.
Sora si
voltò e strabuzzò un paio di volte gli occhi quando notò la figura che correva
come una forsennata nella loro direzione. I capelli rossi, lo sguardo gioioso e
la voce squittante non lasciavano spazio al dubbio: era Harumi. Al suo seguito,
cercando faticosamente di stare al suo passo, c’erano altre due ragazze che Sora
ricordava di aver già incrociato qualche volta lungo i corridoi.
“E
quella chi sarebbe?!”, domandò con un certo astio Reika, fissando la fanciulla
avvicinarsi con espressione contrariata e per nulla rassicurante.
“Yamato!
Yamatuccio!!”, stava nel frattempo gridando Harumi, che ormai era a pochi
metri di distanza dal campo da basket dove qualcuno dei ragazzi sembrava averla
finalmente notata.
“Reika,
che cosa stai pensando di fare?”, mormorò Hitomo, ma la bruna già non la sentiva
più, partita in quarta alla volta di Harumi.
“Tu!!”,
Reika si piazzò di fronte a Harumi e alle altre due ragazze, che si fermarono
stupite, e alzò un dito contro la rossa. “Smettila immediatamente di gridare
come un’ossessa il nome di Yamato!”
Harumi,
così come le sue due amiche, sgranò gli occhi a quella frase, per poi
riprendersi appena poco dopo. Intanto erano sopraggiunte sulla scena anche Sora
e Hitomo, apprensive per ciò che sarebbe potuto accadere.
“E tu
chi diavolo saresti per ordinarmi di stare zitta??”, non si attenne di certo
Harumi, seccata per essere stata così bruscamente ostacolata dal raggiungere
Yamato.
“No, chi
sei tu ad irrompere nel cortile come una pazza gridando furiosamente il
nome di uno dei ragazzi che stanno giocando!!”, s’inalberò all’istante Reika,
impulsiva come sempre.
“Reika,
ti prego…”, tentò di farla ragionare Hitomo, ma quella era irremovibile e
continuava a guardare in cagnesco la rossa davanti a lei.
“Innanzitutto il cortile è di tutti, perciò posso gridare quanto mi pare. In
secondo luogo, non mi pare che questi siano affari che ti riguardano. Quindi, se
permetti, lasciami andare dal mio Yamatuccio!”, le fece notare con un sorriso
vittorioso Harumi, mentre dietro di lei le due ragazze sghignazzavano divertite.
“No che
non permetto! Stai distraendo la mia classe, nel caso non lo avessi notato. E
poi smettila di chiamarlo in quel modo, non credo che a Yamato farà piacere
sapere come hai distrutto il suo nome!”, ribatté immediatamente Reika, piccata
nell’orgoglio.
Accanto
a lei Hitomo non sapeva più cosa fare per placare gli animi, per questo gettò
un’occhiata implorante a Sora, che, sospirando, si decise ad intervenire
nonostante lo strano torpore che le indolenziva le ossa.
“Ragazze, vi prego smettetela di litigare, non è il caso di…”
“Hai
visto anche tu, Sora, che è stata lei a cominciare!”, proruppe Harumi, mettendo
su il broncio come una bambina e incrociando le braccia al petto.
“Cosa?!
Tu conosci questa qui??”, Reika però non sembrò dar retta alle parole della
rossa, quanto piuttosto al fatto di venire a sapere che le due ragazze si
conoscevano già.
“Ehi!!”,
si lamentò subitamente Harumi, che di certo non aveva gradito l’epiteto.
Ma Reika
non vi fece caso, al contrario non staccò lo sguardo inquisitore da Sora, che
adesso si morsicava nervosamente un labbro mentre tentava di mettere a fuoco
l’immagine dell’amica dinanzi a lei.
“Beh,
l’ho conosciuta al luna park. Lei…lei è la nipote del nuovo gestore e ci siamo
incontrate lì”, spiegò sommariamente, omettendo volutamente la parte in cui era
stata la stessa Harumi a regalare i biglietti d’ingresso a Yamato per non
scatenare un ulteriore putiferio.
“Capisco…”, fece Reika pensosa. “In ogni caso ciò non toglie che sia tu ad aver
infastidito per prima me e la mia classe!”, aggiunse poi, rivolgendosi
nuovamente a Harumi.
“Cosa?!
Io non ho fatto nulla, volevo solo salutare Yamatuccio!!”
“Smettila di chiamarlo così!!”
“Che
c’è, ti da fastidio se dico Yamatuccio??”
“Sì!
Finiscila!”
“Altrimenti che mi fai?”
“Non
provocarmi!”
“Non mi
fai paura!”
“Nemmeno
tu!”
Le due
si erano ormai lanciate in un insolito battibecco, seguite ormai dall’intero 3 –
A e D che si era voltato a fissarle incuriosito, compreso alcuni dei ragazzi dal
campo di basket. Ma man mano che le due si gridavano contro le cose più assurde,
Sora si rendeva conto di avere un mal di testa sempre più spiccato e di sentirsi
quasi accaldata, in totale contraddizione con i brividi di freddo che di tanto
in tanto le percorrevano la schiena.
“Sora?
Tutto okay?”, anche la voce apprensiva di Hitomo le giunse come ovattata, mentre
davanti a lei le immagini si facevano sempre più sfocate e confuse.
Takenouchi si portò istintivamente una mano alla testa, che aveva preso a pesare
più del normale, come sbattuta.
“Sora!!”
Il
gridolino che Hitomo lanciò fu l’ultima cosa che sentì, prima di sprofondare
nell’oblio.
“Adesso
la vostra compagna sta riposando, ma non dovete preoccuparvi. Ha solo un po’
d’influenza, basterà che starà per qualche giorno nel letto”
Una voce
cordiale la ridestò lentamente dallo strano torpore in cui era caduta,
invitandola ad aprire gli occhi e a tornare alla realtà. L’ultima cosa che
ricordava era la voce di Hitomo, giù in cortile, mentre gridava il suo nome, per
questo rimase piuttosto sorpresa di trovarsi in una camera spoglia ma
accogliente, stesa in un letto e con un separé che oscurava le immagini delle
tre figure dall’altra parte.
‘Dove
sono?’, si chiese Sora mentre tentava di mettersi a sedere. Si sentiva piuttosto
accaldata e aveva un forte mal di testa, ma questo non le impedì di alzarsi dal
letto. Poggiò i piedi a terra, ma l’equilibrio le venne per un istante a mancare
tanto che dovette aggrapparsi al mobiletto di legno lì accanto per non cadere.
Ci mise un paio di secondi per ritrovare l’equilibrio e quando finalmente ci
riuscì, si spostò lentamente verso l’uscita del separé. Rimase piuttosto stupita
di vedere Taichi e Yamato parlare con l’infermiera della scuola.
“Sora!”,
il primo a notarla fu proprio Taichi che, prontamente, la afferrò sottobraccio
prima che lei cadesse a terra, avvinta dalla stanchezza. “Che ci fai in piedi?!
Hai l’influenza, devi stare a letto!”
“Io…non
riuscivo a capire dove mi trovavo”, spiegò con una voce che lei per prima
faticava a riconoscere propria, mentre il brunetto l’aiutava a sedersi sul
letto. “Cosa è successo?”, chiese poi, una volta che Taichi si fu allontanato di
qualche passo.
“Sei
svenuta, mia cara”, le rispose gentilmente l’infermiera. “Hai preso una brutta
influenza”
Evidentemente, si disse pensierosa, la pioggia del giorno precedente stava dando
i suoi frutti.
“Oh…beh,
io ricordo che ero in cortile con Reika, Hitomo, Harumi e due…oh no!”
“Che
c’è?”, chiese apprensivo Taichi, notandola farsi sempre più rossa.
“Niente
è che…”, Sora abbassò il capo, incapace di continuare.
Si
sentiva già piuttosto imbarazzata, perché indubbiamente doveva essere svenuta in
cortile davanti a tutti facendo così la figura della scema, senza dover
necessariamente far rivivere la scena.
“Dovresti tornare a casa, Sora”, intervenne nuovamente la giovane infermiera
della scuola. “C’è nessuno che può venire a prenderti?”
Sora ci
pensò su per qualche istante, prima di scuotere il capo. Sua madre, infatti,
stava lavorando in quel momento e non le sembrava il caso di chiamarla per
venire a prenderla a scuola.
“No, ma
non è un problema. Posso tornare a casa anche da sola, senza che nessuno…”
“Non se
ne parla, mia cara”, denegò subito l’infermiera, mettendola gentilmente a
tacere. “Non ti lascio andar via da sola in queste condizioni, è troppo
pericoloso”
Quindi
si rivolse a Taichi e Yamato, che erano rimasti in silenzio fino a quel momento.
“Uno di
voi due sarebbe così gentile da accompagnare Sora a casa, per favore?”, domandò
cortese come sempre, ma non per questo Sora si sentì meno imbarazzata.
I due
giovani si gettarono un’occhiata veloce poi Taichi, senza che Sora lo notasse
troppo impegnata com’era a rimuginare sulla figuraccia che aveva fatto, annuì.
“Non c’è
problema!”, rispose infine il brunetto, mentre l’altro si avvicinava alla
ragazza. “Io purtroppo ho…sì, ho da fare, ecco, ma Yamato può benissimo
riaccompagnare Sora a casa, non è vero?”
Il
biondo si limitò a fare un cenno d’assenso col capo, mentre si chinava, dando la
schiena, di fronte a Sora.
“Coraggio, salta su”, la incitò.
La
ragazza avvampò seduta stante al pensiero di dover essere portata in braccio da
Yamato e stava per opporre una fiera resistenza, se non avesse sentito le forze
venirle meno e lo sguardo dell’infermiera inflessibile a tal proposito. Con un
sospiro, e ringraziando in cuor suo di avere la febbre cosicché non doveva stare
a giustificare l’acceso rossore che le dipingeva le gote, si chinò verso il
ragazzo e si abbarbicò alla sua schiena. Quindi Yamato si alzò con facilità,
quasi non sentisse affatto il dolce peso della ragazza, sostenendola saldamente
alle gambe.
“Andate
pure, ci penseremo noi con il preside”, li rassicurò l’infermiera mentre Taichi,
senza essere notato da Sora, sorrideva sibillino all’amico, che in un istante si
ritrovò ad arrossire e ad abbassare lo sguardo piccato.
Uscirono
dall’infermeria in silenzio e in men che non si dica erano fuori scuola. Yamato
la reggeva saldamente e Sora, nonostante l’imbarazzo che sentiva di provare
misto al torpore da febbre, dovette ammettere di sentirsi stranamente protetta
così, tra le sue braccia. Forse per questo, vincendo la sua proverbiale
timidezza, si strinse un po’ di più alla sua magliettina sportiva bianca e
appoggiò il capo caldo sulla spalla di lui, che tuttavia non disse nulla. Anzi,
per un istante Sora poté giurare che Yamato aveva rinforzato ancor di più la
presa attorno alle sue ginocchia, ma poi la stanchezza la avvinse e si abbandonò
a essa.
Nota
dell’Autrice: Ciao a
tutti, sono Memi, l’autrice di questa fanfic. Prometto di non
rubarvi molto
tempo con questa nota, solo volevo fare dei ringraziamenti alquanto
doverosi.
Il primo di tutti va ovviamente a tutti quelli che hanno letto e
continuano a
leggere questa mia storia. Volevo creare un qualcosa
d’originale, diverso dal
solito e con una trama briosa, perciò…beh, potete
osservare il risultato! Poi,
mi sembrava opportuno rivolgere un ringraziamento particolare alle mie
carissime amiche Sae, Sora89, Heather, Yuki, e alla simpaticissima Bea!
Grazie
davvero di cuore ragazze per il vostro sostegno!! Bene,
detto ciò, passo alla storia e all’ottavo
capitolo. Ma mi raccomando di farmi
sapere cosa ne pensate!! Bacioni
a
tutti! J *** ‘Okay,
posso farcela. Non è così difficile!’,
Sora prese fiato un paio di volte,
costringendosi ad essere normale. Ma era alquanto difficile fingere di
non
sentire il tumulto che le aleggiava nel cuore, o quel frenetico
battito, o
quella violenta sensazione d’imbarazzo. ‘No,
così non va!’, si disse mentre per
l’ennesima volta spostava il dito dal campanello,
‘se continuo ad indugiare non
suonerò mai a questa maledetta porta!!’. Facendosi
definitivamente coraggio, e
dopo un lungo respiro, Sora allungò per l’ennesima
volta il dito verso il
campanello dell’appartamento B e, obbligandosi a non
pensarci, suonò. Nello
stesso istante in cui il campanello trillava, il suo cuore
aumentò il proprio
battito come impazzito e le sue guance si colorarono
all’istante di un
accesissimo bordeaux. “Sì?”,
la
porta si aprì e Sora quasi non svenne quando
notò… “Taichi!!”,
il suono del nome del brunetto arrivò quasi come un sospiro
di sollievo. “Beh,
chi
ti aspettavi?!”, alzò un sopracciglio il giovane
Yagami, prima che un sorriso
sibillino per nulla rassicurante gli increspasse le labbra.
“Per caso…Yamato??” Sora
avvampò seduta stante a quella domanda, tanto che ormai il
suo volto non si
distingueva più dal vivace pullover rosso che aveva
indossato; e Taichi non
poté, proprio per questo motivo, che scoppiare a ridere
vistosamente, mentre le
sue teorie prendevano sempre più concretezza. “Dai,
entra!”, la incitò quindi, spostandosi
dall’ingresso per permetterle di
entrare. Nonostante
l’enorme imbarazzo che sentiva di provare, Sora
annuì ed entrò all’interno
dell’appartamento. Sembrava più incasinato del
solito, fu la prima cosa che
notò mentre attraversava il soggiorno, quasi vi fosse appena
passato un
uragano. Evidentemente Taichi e Yamato ne avevano approfittato durante
la sua
convalescenza, ne dedusse immediatamente. “Piuttosto,
come ti senti adesso?”, le domandò il brunetto,
quasi non era andato a trovarla
appena il giorno prima. Ma
Sora
apprezzò moltissimo l’interesse tanto che, per la
prima volta da quando aveva
deciso di andare lì, le sorse spontaneo sorridere grata
all’amico. “Decisamente
meglio, non c’è che dire!” “Sono
contento”, fece un cenno compiaciuto Taichi, mentre prendeva
posto al tavolino
di legno del soggiorno per portare avanti quel maledettissimo compito
di
matematica. Quindi
il
brunetto sprofondò nuovamente nei compiti, concentrandosi a
tal punto che per
un istante sembrò quasi dimenticarsi della giovane. Dal
canto suo Sora rimase
per un istante immobile a chiedersi se fosse o no il caso di dargli una
mano,
quando proprio la voce del giovane Yagami scartò ogni suo
dilemma. “A
proposito”,
fece talmente all’improvviso che la ragazza si
ritrovò a sobbalzare spaventata.
“Se cerchi Yamato, lo trovi in camera sua” Takenouchi,
a quella affermazione, virò in tutte le tonalità
del rosso e, per la seconda
volta nel giro di pochi minuti, si colorò di un acceso
cremisi. Ma ciò
nonostante non poté che annuire e, seppur ancora alquanto
imbarazzata, si
avvicinò alla porta che dava nella camera del biondo. Il
cuore le balzò forte
nel petto mentre bussava timidamente all’uscio, ma non
ottenne nessuna risposta
dall’interno. Allora gettò un’occhiata
fugace a Taichi, come a voler chiedere
aiuto, e il ragazzo le fece cenno di entrare ugualmente.
Ubbidì. Sora
non
era mai entrata nella camera di Yamato e forse per questo si sentiva
ancor più
agitata del normale. Fu come entrare in un altro mondo, rispetto al
caos che
regnava in soggiorno. Il letto, che spiccava per via di quel copriletto
di uno
sgargiante blu, non era disfatto come quello di Taichi, né
sopra vi erano
buttati alla cieca i vestiti. E la scrivania era ben visibile, a
differenza di
quella della camera del brunetto dove vi erano riposte sopra le
più svariate
delle cose. I libri trovavano tutti perfettamente posto nella libreria
sistemata in un angolo e una pila di panni tutti diligentemente piegati
erano
poggiati su una sedia accanto al letto. E allora Sora si rese conto che
davvero
Taichi e Yamato erano di quanto più diverso potesse esserci. Riscuotendosi
dai suoi pensieri, e appurando l’assenza del biondo dalla
stanza, la giovane
Takenouchi si voltò per ritornare in soggiorno se, spostando
lo sguardo,
qualcosa poggiato sul comodino di fianco al letto non avesse attirato
la sua
attenzione. Si trattava del modellino in scala di un razzo, alto
più o meno una
quindicina di centimetri in tutto, di un lucente bianco. Esso sembrava
quasi
spiccare all’interno della stanza, perché, in
effetti, era l’unico oggetto che
non aveva nulla a che vedere con il resto dell’arredamento.
Un pugno in un
occhio, o forse un particolare pregevole, ma di certo si trattava di un
oggetto
capace di attirare. E forse per questo Sora, abbandonando per un
istante l’idea
di ritornare in soggiorno, vi si avvicinò e lo prese
cautamente tra le mani.
Osservandolo così da vicino poté notare la cura
dei dettagli, la precisione dei
particolari e il modo sublime con cui era stato mantenuto, tanto da
sembrare
nuovissimo. “Che
diavolo stai facendo?” Fu
come
essere stati scoperti a rubare qualcosa. Sora sobbalzò
talmente tanto per lo
spavento di quella voce così incredibilmente burbera che il
prezioso oggetto le
cadde inavvertitamente da mano, infrangendosi contro il freddo
pavimento quasi
fosse stato un fragile cristallo. ‘Waaa…!
L’ho rotto!!’, si portò
immediatamente ambo le mani sulla bocca la fanciulla, spostando
repentinamente
lo sguardo da Yamato, duro e inflessibile accanto alla porta, al razzo
ora in
pezzi sul pavimento. Il cuore le batteva a mille e uno strano magone le
bloccava lo stomaco, mentre sperava con tutta se stessa che il tempo
tornasse
indietro e che le ridesse così quel modellino di razzo
ancora intatto. Ma, a
suo malincuore, le lancette dell’orologio continuarono il
loro calmo e
irrefrenabile ticchettio, nonostante la terribile sensazione di gelo
che era
calata irresistibilmente nella stanza. A pezzi e maledettamente in
colpa, Sora
gettò un’occhiata fugace al biondo e solo in quel
momento si accorse che quello
nel frattempo si era spostato, seppur con movimenti estremamente lenti,
dalla
porta fino ad esserle praticamente accanto. E, come succedeva sempre
ogni volta
che Yamato era così vicino a lei, il suo cuore prese a
battere più forte, ma
stavolta era agitato come non mai per via dell’espressione
dura e inflessibile
apparsa sul volto di lui. Era serio, terribilmente serio. Anche
più del solito.
E certamente quella che si leggeva nei suoi occhi cerulei era durezza,
una
spietata fermezza che la faceva star male oltre ogni altra cosa. “Io…mi
dispiace, non volevo… Ero venuta per ringraziarti
e… Non pensavo che…”,
biascicò mortificata lei, rompendo finalmente il silenzio ma
non il gelo. “Te
lo aggiusto io, oppure te lo ricompro nuovo se…” Ma
Yamato, d’improvviso, si calò e, senza nemmeno
degnarla di uno sguardo, iniziò
a raccogliere i frammenti del razzo da terra. Fu peggio che ricevere
una
pugnalata. Quasi sperò che lui la sgridasse,
perché quel silenzio ostinato e
quella freddezza agghiacciante erano peggio di qualsiasi grido. “Yamato…”,
quasi lo supplicò Sora, mentre sentiva le lacrime farsi
sempre più insistenti
lungo gli spigoli dei suoi occhi cioccolato. Il
biondo, però, non disse nulla, quasi non l’avesse
nemmeno udita. E forse fu
proprio per questo, oltre che per quel violento senso di colpa che le
stringeva
saldamente lo stomaco, che Sora non riuscì più a
resistere. Le lacrime vennero
giù come un fiume in piena, mentre faceva qualche passo
incerto indietro che
l’avrebbe allontanata sempre più da lì,
da lui, da quell’aria glaciale e da
quella sensazione di disagio che sentiva di provare. “Mi
dispiace…”, mormorò solo tra le
lacrime, trattenendo a stento un singulto. Quindi
si
voltò e corse via, cercando frettolosamente di scivolare da
tutta
quell’insostenibile situazione. Imboccò
l’ingresso mancando di scontrare per
poco Taichi che, nel frattempo, si era avvicinato alla camera di Yamato
per
appurare cosa fosse accaduto. “Sora…!”,
la richiamò stordito il brunetto, seguendola con lo sguardo
fino a quando non
fu costretto a scontrarsi con la porta d’ingresso malamente
richiusa. Fu
allora
che, senza nemmeno rendersene conto, scattò. Una breve
corsetta, la porta che
si riapriva per poi tornare a sbattere sui cardini e la ferma stretta
al
braccio di lei. Sora si voltò meccanicamente, palesemente
stupita di essere
stata ostacolata da qualcuno. “Tai…Taichi”,
balbettò cercando disperatamente di trattenersi da un nuovo
attacco di pianto. “Sora,
ma
cosa…?”, fece stralunato lui, fissandola con quei
grandi occhi scuri e
chiedendosi cosa mai potesse essere successo per farla piangere in quel
modo. L’aveva
vista entrare nella stanza di Yamato sotto sua indicazione, salvo poi
accorgersi che il biondino non era affatto lì, e quando
anche questo era
entrato nella sua camera aveva sentito un rumore di cocci infranti.
Colpito,
Taichi era andato a verificare l’accaduto, ma quando era
ormai sulla soglia
della camera di Yamato, si era scontrato con una Sora in lacrime che
aveva
immediatamente seguito. “Oh,
Taichi!”, scoppiò infine in lacrime la ragazza,
affondando d’istinto il capo
sul petto aitante di Taichi che, seppur ancora frastornato, la strinse
dolcemente a sé. D’improvviso
fu come se il forte turbamento di poco prima si fosse almeno in parte
sedato.
Sora si sentiva rassicurata, come cullata da braccia amiche,
quasi…fraterne. Il
pensiero la colpì, ma allo stesso tempo non poté
che farle sorgere un sorriso
dolcissimo sulle labbra. Taichi se ne accorse e la guardò
stupito, ma per
risposta non ricevette altro che uno sguardo ricolmo di gratitudine e
d’affetto. Il peso al cuore nell’averla vista
così disperata si allentò come
d’incanto, mentre amabilmente allungava una mano verso le
gote rosate fino ad
accogliere sul proprio indice una di quelle piccole lacrime che ancora
v’indugiavano. “Ma
che…” Taichi
e
Sora si voltarono di scatto, sussultando quasi per lo spavento. Non si
erano
accorti di Yamato, in piedi sull’uscio con uno sguardo
inaspettatamente
frastornato. Il biondo li fissava ostinatamente e Sora si accorse di
come
quegli occhi oltremare ricadessero in particolar modo sulla mano di
Taichi, che
ancora le sfiorava il viso. Avvampò all’istante,
abbassando timidamente lo
sguardo per non dover incontrare quello sguardo indagatore, mentre nel
contempo
Taichi abbassava la mano. “Non
è
come pensi, Yamato”, disse subito il brunetto, senza mai
smettere di fissare
l’amico che adesso lo guardava in una specie di assorto
silenzio. A
quelle
parole Sora arrossì ancora di più, se possibile,
ma non si avventurò ad alzare
lo sguardo. Il cuore le batteva fortissimo in petto, talmente tanto che
si
ritrovò a pregare di non essere udita. Adesso oltre che in
colpa, si sentiva
tremendamente in imbarazzo, e maledettamente stupida per via di
quell’insensata
voglia che aveva di spiegarsi, di far capire a Yamato che non era
davvero come
poteva pensare. Ma il fluire dei suoi pensieri ebbe vita breve,
interrotto
subitamente da una leggera folata di vento che la costrinse ad alzare
lo
sguardo. Yamato
aveva imboccato le scale a passo veloce e, con mani ben nascoste nelle
tasche
dei jeans, si avviava verso una meta sconosciuta persino a lui. Taichi
sapeva perfettamente dove andare a cercarlo. Lo sapeva
perché era il posto in
cui lui amava rifugiarsi, cullandosi nei suoi malinconici ricordi
cadenzati dal
cigolio ritmico dell’altalena. Il
parco
era semivuoto, il che era più che legittimo considerata
l’ora tarda. Le dieci
meno un quarto o quasi. Yamato
era ovviamente seduto sulla sua preziosa altalena, con le gambe ben
salde a
terra per dondolarsi lentamente ora avanti ora indietro. Senza
una
parola e senza attendere cenno alcuno, il brunetto si
auto-invitò a sedersi
sull’altalena di fianco, rimanendo poi per un istante in
silenzio ad ascoltare
il suono ridonante dei cardini arrugginiti del dondolo su cui era
seduto il suo
amico. Lui, invece, rimase ostinatamente fermo a vagliare tutte le
possibilità
per iniziare quel nuovo e difficile discorso. Alla fine però
decise di non
crogiolarsi troppo in simili pensieri e di andare direttamente al punto
della
questione. “Sora
era
preoccupata per te”, dichiarò lacerando il
silenzio quasi irreale del luogo. A
quelle
parole Yamato diede finalmente segno di averlo notato e, smettendo di
dondolarsi, si voltò addirittura a fissarlo. Adesso erano
occhi negli occhi,
blu nel marrone. “Quindi?”,
chiese infine duro, come se la cosa gli scivolasse sulle spalle senza
nemmeno
toccarlo. In
realtà
le parole di Taichi lo avevano scosso molto più di quello, o
altrimenti non
avrebbe trascorso nemmeno un minuto, figurarsi un pomeriggio intero, da
solo in
giro alla deriva per le strade di un’affollatissima Tokyo
soltanto per tentare
di non pensare. “Smettila
di fare l’idiota!”, lo apostrofò in
risposta Taichi, incapace di contenere
oltre il suo furore. Lui
non
era come Yamato, ciò che provava proprio non riusciva a
celarlo come invece era
perfettamente in grado di fare il biondo sotto lo spesso muro azzurro
che erano
i suoi occhi. “Non
ti
riguarda”, ribatté con voce aspra proprio il
giovane Ispida, nascondendo
tuttavia l’ondata d’irritazione che andava sempre
più salendo e aumentando in
lui. “Invece
sì, perché Sora è una mia amica e non
mi va che debba piangere per colpa di un
insensibile come te!”, si alzò di scatto in piedi
l’altro, pronto ad avventarsi
sulla prima cosa che gli capitava a tiro. Ormai
ci
vedeva rosso, era sul punto di scoppiare. Era inutile, la profonda
indifferenza
che l’amico si ostinava a mostrare proprio non gli andava
giù. Come quando
erano bambini e litigavano per un nonnulla. Yamato era sempre
così freddo, e
lui sempre così arrabbiato per quel suo distacco invidiabile. “Tanto
ci
sarai sempre tu a consolarla, no?”, anche il biondo si era
alzato, pronto a
fronteggiarlo con la sue espressione di ghiaccio macchiata soltanto da
una
velata ironia. “Non
è
come pensi”, lo fissò serio Taichi, stringendo le
mani a pugno per lottare
contro la tentazione di prendere a pugni quella faccia di bronzo. “Io
invece credo proprio di sì”, lo sfidò
ciò nonostante Yamato, quasi cercando
invece il confronto che sapeva sarebbe scaturito continuansi su quella
linea. Si
conoscevano da così tanto tempo che ormai avevano imparato i
punti deboli l’uno
dell’altro e li utilizzavano, senza remore, come arma nel
momento del bisogno. “Sei
libero di credere quello che vuoi, allora!” “Infatti”,
scoccò la lingua sotto al palato il biondo, ben sapendo che
quel gesto
l’avrebbe mandato su tutte le furie. Taichi,
infatti, non ci vide più e, come un toro che carica per poi
avventarsi sul torero,
si buttò addosso al ragazzo colpendolo con uno dei suoi
allenati pugni. Il
colpo andò a segno, provocando immediate fitte di dolore che
andavano dallo
zigomo colpito a tutto il corpo quasi vibrante sotto
l’incontenibile furore che
l’aveva travolto. Il giovane Yagami era l’unico che
riusciva a fargli perdere
la testa e il solito selfcontrol a quel modo. L’unico che
l’aveva mai visto
arrabbiato, o triste, o in lacrime. L’unico a cui Yamato
mostrava la sua
debolezza. Come in quel momento in cui la maschera
dell’indifferenza era
crollata per lasciare il posto ad una rabbia accecante che lo
portò a
restituire il colpo subito. Il pugno arrivò dritto e
poderoso al volto di
Taichi, spaccandogli il labbro inferiore in un brivido di dolore. Per
tutta
risposta il brunetto alzò lo sguardo per fissarlo in quello
dell’avversario e
studiare la sua eventuale prossima mossa. Ma adesso erano pari, Yamato
non lo
avrebbe attaccato di nuovo se prima non lo avesse fatto lui e Taichi
non ne
aveva la benché minima intenzione. Ormai si erano sfogati,
era inutile
continuare a darsele di santa ragione. Quasi
in
contemporanea, i due rilassarono i muscoli tenuti in tensione e si
fissarono di
nuovo in silenzio per un tempo tanto infinito quanto in
realtà breve, prima che
un sorriso complice andasse ad increspare le loro labbra. “Ti
hanno
mai detto che sei uno stupido, Ishida?”, lo
schernì Taichi mentre con un polso
si asciugava il sangue rattrappitosi sul labbro. “E
a te
hanno mai detto che sei un idiota, Yagami?”,
ribatté sulla stessa linea Yamato,
tuffando nel contempo le mani nelle tasche dei pantaloni. “Più
o
meno tutte le volte che lo hanno detto a te”,
scrollò le spalle l’altro con
nonchalance, prima di avvicinarsi e buttargli un braccio attorno alle
spalle.
“Coraggio, amico, torniamo a casa” Quindi,
senza il bisogno di dover dire altro, i due ragazzi si avviarono a
braccetto
verso l’appartamento che condividevano. La
porta d’ingresso si aprì dolcemente, per poi
richiudersi appena qualche istante dopo. Un rumore di passi e
finalmente sulla
soglia dell’ingresso apparve la chioma nocciola della ragazza
appena entrata. “Mimi,
tesoro, sei tornata”, la accolse
calorosamente la donna dall’aria stravagante seduta sulla
poltrona. “Com’è
andata a scuola?”, le chiese l’uomo
affianco, sorridendo cordiale alla figlia. “Uhm…al
solito!”, rispose vagamente annoiata la
giovane, prendendo posto nella poltroncina libera. “Voi
invece cosa avete
fatto?” “Tuo
padre è andato all’agenzia viaggi
stamattina!”, l’affermazione della donna, Nanami
Tachikawa, colpì la giovane
Mimi. “E…come
mai?”, chiese infatti la ragazza,
guardando i genitori con espressione perplessa. “Vuoi
dirglielo tu, caro?”, per tutta risposta la
signora Tachikawa si voltò verso il marito, che
annuì. “Ricordi
cosa ci hai chiesto qualche tempo fa?”,
chiese, alla figlia, Akahito. “Beh,
sì. Vi chiesi se potevo andare da Sora a
Tokyo per le feste di Natale”, rispose ancora confusa Mimi. “E
ricordi cosa ti rispondemmo?”, insistette il
padre. La
ragazza annuì. “Che non sapevate se era
possibile” “Esatto…”,
mormorò solo con un sorriso sibillino
Akahito, lasciando che fosse la figlia ad intuire il resto. Mimi
ci pensò su per qualche istante, prima che
gli occhi nocciola s’illuminassero a seguito di un raggiante
sorriso apparso
sul suo volto dalle fattezze aggraziate. “Ma
questo…questo vuol dire che…”, li
fissò
stralunata, troppo incredula per capire se fosse davvero la
realtà. Fu la
signora Tachikawa alla fine a terminare la
frase per lei. “Io
e tuo padre abbiamo deciso che puoi andarci,
cara” “E
nel
frattempo, noi abbiamo trascorreremo una piccola vacanza alle
Hawaii!” Mimi
ardeva di gioia. “Questo
è… È fantastico!!”, esplose
infine, alzandosi dalla poltroncina e tuffandosi
letteralmente sui suoi genitori. “Calma,
calma figliola!”, sorrise orgoglioso il signor Akahito. “Grazie,
grazie, grazie!!”, fece per risposta Mimi. “Corro
subito a dirlo a Sora!!” Scattò
in
piedi e si diresse spedita verso il telefono, salvo poi fermarsi per
accertarsi
dell’ora. “Oh
no!
Sora a quest’ora sta dormendo!!”, si
lamentò, sbuffando poco aggraziatamente e
rituffandosi nella poltrona (allora, se
non ho fatto male i calcoli – e spero di no! – tra
Tokyo e New York dovrebbe
esserci un fuso orario di circa 12 ore. Per cui ammettendo che da Mimi
sia
tardo pomeriggio, da Sora dovrebbe essere mattina presto NdA).
“Argh! Che
sonno…”, Aki si stiracchiò
svogliatamente sulla sedia,
mentre il professore di matematica si affaccendava a cercare qualcosa
sul suo
vecchio libro. Accanto
a
lui Taichi sembrava stranamente spento, quasi preoccupato. Da quando
era
entrato in classe il suo sguardo non faceva che spostarsi in
continuazione
verso la fila alla sua sinistra, due banchi più avanti, al
posto che rimaneva
ostinatamente vuoto. Qualche volta si ritrovò persino a
chiedersi se per caso a
Sora non fosse venuta una ricaduta, ma poi scartò il
pensiero della febbre
ricordandosi che quando quella mattina era passato come sempre a
chiamarla –
anche se stavolta c’era andato da solo perché
‘quello stupido di Yamato’ era andato
via senza nemmeno salutarlo – sua madre gli aveva detto che
era già uscita. Sì,
ma allora dov’era? Possibile che avesse deciso di saltare le
lezioni per…per
cosa, poi? “Ehi,
Taichi” Il
brunetto, sentendosi chiamare, alzò lo sguardo per
incrociare gli occhi vispi
di Reika. “Sì?” “Sai
dov’è Sora?”, gli chiese con una nota
d’apprensione nella voce. “Non è da lei
arrivare in ritardo” Mentre
la
moretta parlava, Taichi notò che anche Hitomo si era voltata
verso di lui per
ascoltare la risposta. Ma, per loro sfortuna, nemmeno il giovane Yagami
conosceva la soluzione all’enigma che li stava impensierendo. “No,
mi
dispiace”, scosse il capo. “Quando sono passato a
chiamarla, sua madre mi ha
detto che era già uscita” “Questo
è
strano”, mormorò soprappensiero Hitomo. Affianco
a lei Reika stava per dire qualcosa, se non fosse intervenuto il rumore
scattante della porta scorrere seguito a ruota da una vocina spossata e
ansimante. “Mi
scusi
per il ritardo, professore”, ansò Sora Takenouchi,
reggendosi con aria stanca alla
porta. L’uomo,
seduto al suo posto dietro la cattedra, si voltò vagamente
incuriosito verso di
lei. Era forse la prima volta che Sora faceva ritardo a scuola e la
cosa, come
palesemente lasciava intendere, aveva stupito persino il professore. Ma
l’attimo
d’incredulità scomparve dal volto
dell’uomo appena poco dopo, soppiantato da un
accennato ma caldo sorriso. “Non
si
preoccupi, Takenouchi. Piuttosto prenda posto che la lezione di
matematica sta
per iniziare” Sora
annuì e, ricambiando al sorriso, andò ad
accomodarsi al suo posto dove fu
immediatamente assalita dalle domande e dagli sguardi degli amici. “Sora!”,
esclamò stupita Hitomo. “Si
può
sapere che fine avevi fatto??”, chiese invece, senza tanti
giri di parola,
Reika. La
ragazza stava per risponderle, ma la voce di Taichi che la richiamava
da poco
più dietro la costrinse a voltarsi. “Ehi,
Sora! Sono passato a chiamarti stamattina, ma non
c’eri”, la informò. “Oh,
sì,
scusami se non ti ho aspettato”, mormorò come
risposta Sora, mentre un lieve
rossore iniziava ad imporporarle le gote. Nel
secondo che ne seguì, la giovane si ritrovò a
pregare ardentemente che il
ragazzo non insistesse oltre su quella via perché davvero
non avrebbe saputo
cosa rispondergli altrimenti. Ma per sua fortuna e con suo enorme
sollievo,
Taichi non indagò oltre accettando quella semplice risposta.
Allora Sora stava
per chiedergli a sua volta qualcosa dopo aver notato il labbro rotto
ostentato
dal giovane, ma fu interrotta proprio nel momento in cui fece per aprir
bocca. “Piuttosto”,
s’intromise nuovamente Reika. “Come mai sei
arrivata tardi?”, la guardò
inquisitoria. “Ecco,
io… A dire il vero…”, Sora era
arrossita paurosamente a quella domanda. Ancora
una volta, nel giro di pochi istanti, si ritrovò a sperare
che succedesse
qualcosa per non rispondere a quella domanda. Non riusciva a rispondere
senza
sentirsi dannatamente in imbarazzo, era inutile. E questo non faceva
che farla
sentire ancora più stupida, perché…che
motivo aveva di imbarazzarsi a quel
modo? A meno che… Il suo cuore fremette mentre, senza quasi
rendersene conto,
si ritrovò a fissare dall’altra parte, dalla
finestra, verso la classe
dirimpetto alla loro e in particolare verso il biondino
dall’aria molto seria
seduto ad uno dei banchi nella fila proprio accanto alla vetrata.
‘Possibile
che…?’, si chiese senza riuscire a distogliere lo
sguardo e nonostante l’acceso
rossore che adesso le bruciava le guance. Ma poi si costrinse a
voltarsi e a
scuotere il capo, perché un pensiero del genere era di
quanto più assurdo
potesse esserci. Sì, era notevolmente sciocco e impossibile
ciò che aveva,
anche solo per un istante, pensato. “Ehi,
Sora? Ci sei?”, la mano di Reika che sventolava davanti ai
suoi occhi la
riportò bruscamente alla realtà e alla sensazione
di disagio di appena poco
prima dettata appunto dalla domanda dell’amica. “Sì,
io…” “Dai,
Reika, smettila di insistere”, con suo sommo piacere, a
venirle incontro ci
pensò come sempre la calma e riflessiva Hitomo.
“Se Sora ha fatto tardi avrà le
sue buone ragioni. E poi è successo solo questa mattina, non
è il caso di farne
un dramma!” Sebbene
ancora vistosamente scettica, Reika si lasciò convincere
dalla biondina e
abbandonò finalmente ogni proposito di indagare sulla
faccenda. Anche perché,
come notò subito dopo, il professore si era finalmente
deciso ad iniziare con
la lezione. Il
suono
acuto della campanella, che segnava l’inizio della pausa
pranzo e la breve
sospensione delle lezioni, fu accompagnato come sempre da
un’orda affamata di
studenti che si andavano ad accalcare soprattutto nel cortile. “Taichi!” Yagami
sussultò dalla sedia nel sentire il proprio nome
così energicamente
pronunciato, ampliato dal tonante schiocco di una mano che sbatteva
vivacemente
sul banco. “Sora,
mi
hai fatto spaventare!”, si lamentò, stupito dallo
scatto improvviso della
ragazza. Ma la
fanciulla quasi non gli diede peso, mentre continuava a guardarlo fisso
negli
occhi con un’insolita espressione grave. D’altro
canto aveva atteso tutta la
mattina per potergli parlare e adesso che poteva finalmente farlo, non
si
sarebbe tirata indietro. “Taichi,
per quale motivo hai il labbro rotto??”, chiese con tono che
non ammetteva
repliche. Lo
sguardo di Sora era un misto di furore, preoccupazione e imbarazzo allo
stesso
tempo, tanto che in un altro momento sarebbe risultato quasi comico. Ma
non in
quel frangente e non con tutta quella pesante sensazione
d’esasperazione che
gli gravava addosso come un macigno. “Vuoi
saperlo davvero?”, la reazione di Taichi si rivelò
essere ancor più insolita
del comportamento di Sora. Il
giovane Yagami osservava quelle pozze nocciola con sguardo
terribilmente serio,
del tutto dissimile rispetto all’aria briosa che normalmente
gli rallegrava il
volto. Sotto quegli occhi inquisitori, Sora vacillò per
qualche istante prima
di prendere nuovamente in mano la situazione e annuire. “Sì…
Sì,
certo che voglio saperlo” Voleva
saperlo, eccome se voleva. Non era normale svegliarsi e trovarsi col
labbro
rotto, non dopo quello che era successo il giorno prima… A
ripensarci si
sentiva ancora tremendamente imbarazzata per l’assurdo modo
in cui Yamato aveva
visto lei e Taichi, ma non poteva credere che una sciocchezza del
genere
potesse essere la causa di quell’ematoma. ‘Che
abbia litigato con Yamato?’, non
poté fare a meno di chiedersi per la prima volta.
Sì, si disse, probabilmente
era davvero così, ma…perché? Che
motivo avevano avuto di litigare? Era
impensabile che Yamato si fosse arrabbiato per aver visto Taichi mentre
la
rassicurava…! Anche perché…che ragione
ne avrebbe avuto Yamato di sentirsi
offeso? ‘Beh, qualunque ne sia la ragione, so per certo che
non sono io’, si
disse tra sé e sé Sora, abbassando spontaneamente
il capo e lasciandosi
sfuggire un sospiro carico di un’amarezza che lei per prima
faticava a
spiegare. Era certa, infatti, che Yamato non la trovasse
particolarmente
simpatica, a giudicare da come lui non si stancava mai di prenderla in
giro.
Senza contare che gli aveva fatto a pezzi un oggetto per lui
chiaramente
importante. E se anche gli era simpatica, sicuramente non nutriva per
lei un
affetto tanto forte da litigare con probabilmente uno dei suoi
più cari amici
per lei. Anzi. “Allora
vieni!”, senza aggiungere altro e senza indugiare, Taichi si
alzò dalla sedia e
dopo averla agguantata per un braccio la trascinò
letteralmente fuori
dell’aula, lungo il corridoio. Non si fermò
neanche al richiamo indistinto di
Reika e Hitomo che per questo, e stimolate da una certa
curiosità, li seguirono
nel loro tragitto. “Taichi,
dove mi stai portando?”, domandò vagamente
inquieta Sora, prima di rivolgere
un’occhiata comprensiva alle due amiche che li seguivano di
pari passo. Tuttavia
non ci fu bisogno che il brunetto le rispondesse. Con una mano,
infatti,
spalancò la porta verdognola e subito un’ondata di
luce li investì. Solo quando
i suoi occhi si furono abituati a quel cambio di luminosità
improvviso e
finalmente poté riaprirli, Sora si accorse che Taichi
l’aveva portata sul tetto
della scuola dove l’enorme solarium faceva ampiamente bella
mostra di sé. ‘Ma…
Che significa?’, si domandò attonita la giovane
Takenouchi, non riuscendo
proprio a capire il motivo per cui il ragazzo l’aveva portata
sin lì. Ancora
una volta tuttavia fu la realtà dei fatti a risponderle. “Yamato?!”,
domandò quasi a se stessa Sora, ma il suo mormorio venne
udito non solo da lei. Ishida
si
voltò di scatto, mostrando un’espressione
vagamente stupita che mutò
subitamente per lasciare il posto alla solita
impenetrabilità. “Coraggio,
Sora”, a lacerare lo strano silenzio creatosi ci
pensò Taichi. “Chiedigli
quello che hai domandato a me” Sora
non
ne capì il motivo dapprincipio, ma fece lo stesso quanto le
era stato
richiesto. Anche perché, adesso che ci faceva caso, poteva
benissimo notare la
macchia violacea sullo zigomo del giovane. “Io
volevo sapere il motivo per cui…”, alzò
lo sguardo e lo puntò in quelle pozze
cerulee di fronte a lei. “Perché avete quei
lividi, oggi?” La
sua
voce era ferma, in totale opposizione con la girandola
d’emozioni che le
vorticava nel cuore. Dal
canto
suo Yamato fissava lei e Taichi con uno sguardo estremamente intenso e,
in
particolare, i suoi occhi puntavano alla salda presa del brunetto
ancora sul
braccio di lei. Taichi se ne accorse, ma non lasciò la
presa. Questo bastò a
Yamato per fargli capire le intenzioni dell’amico. “Io
e
Taichi abbiamo litigato”, rispose infine il biondino,
rivelando un invidiabile
autocontrollo. La
prima
reazione di Sora fu quella di una certa soddisfazione per aver saputo
la
risposta e per avervi indovinato. Poi però si rese conto di
non sapere ancora
una cosa fondamentale. “Ma…
Perché?”, chiese ingenuamente e con sguardo
palesemente stupito. Reika
e
Hitomo, che ascoltavano la conversazione da poco lontano, guardarono
istintivamente verso l’aitante biondino, mentre una strana
consapevolezza si
faceva man mano largo in loro. Anche Taichi fissava l’amico
in silenzio, senza
demordere, convinto che solo mettendolo alle strette poteva potevano
risolvere
quella situazione. “Per
te” La
risposta di Yamato, che arrivò decisa e sincera,
andò a confermare le teorie
ormai già ripetutamente verificate del giovane Yagami. E,
allo stesso tempo,
andò ad ingarbugliare ancor di più il vortice
d’emozioni nel cuore di Sora, che
adesso fissava il biondo con occhi strabuzzati. “Avanti
Yamato, dille la verità”, lo incoraggiò
Taichi, lasciando finalmente la presa
attorno al braccio della ragazza. Ishida
fissò l’amico dritto negli occhi, quindi si
voltò nuovamente verso la giovane
che nel frattempo non poteva fare a meno di chiedersi di quale
verità stavano
parlando. La risposta alla sua muta domanda non tardò,
tuttavia, ad arrivare. “Tu
mi
piaci, Sora” La
frase
del giovane Ishida colpì appieno i presenti, giungendo
inaspettata e improvvisa
come non mai. Reika e Hitomo erano rimaste senza parole e lo stesso
Taichi,
sebbene avesse compreso tutto da tempo, si ritrovò a
stupirsi nel sentirlo dire
così apertamente, per la prima volta, da Yamato. Il
cuore
di Sora, a quelle parole, fece una capriola, e non solo
perché quella era
probabilmente la prima volta che Yamato la chiamava per nome.
Lui…Yamato le aveva
appena confessato di piacergli! Ancora
stordita per l’inattesa e per
l’intensità della notizia, la fanciulla
puntò gli
occhi nuovamente in quelli del biondo, alla ricerca di una qualche
motivazione
che potesse giustificare quella sua affermazione. Ma per tutta risposta
Yamato
scrollò appena le spalle, come a voler dire che, sebbene non
sapesse a sua
volta come, era così, era successo, e non poteva farci
niente. “Visto
che non è stato tanto difficile ammetterlo?!”, a
fugare quell’imbarazzante
silenzio creatosi ci pensò la voce, divenuta
d’improvviso nuovamente cordiale,
di Taichi. “Evidentemente il mio destro è stato
efficace” “Pfui!
Figurati…” “Adesso
dici così, ma stanotte ti ho sentito mentre ti lamentavi per
il dolore!”, lo
schernì divertito il brunetto, ricevendo per questo
un’occhiata interrogativa
da parte dell’altro. Mentre
i
due amici parlavano tra loro, Sora era diventata completamente
paonazza. Non
sapeva più che fare, che dire, come muoversi… Le
sembrava tutto così
dannatamente assurdo!! Come era possibile? E come doveva comportarsi
ora? Non
lo sapeva e forse Yamato se n’era accorto perché,
dopo aver spostato per
qualche istante lo sguardo ancora su di lei, ritornò a
fissare il brunetto. “Torniamo
in classe, Taichi”, gli intimò con cadenza decisa
ma allo stesso tempo quasi
dolce, del tutto insolita per lui e forse per questo ancor
più incisiva. Ma
Sora
capì subito la complessità di parole che si
celava dietro quella semplice
frase. Yamato le stava dando del tempo per realizzare, per capire e,
infine,
per decidere. “Sì!”,
intuì al volo anche Yagami che, con un sorriso radioso,
passò un braccio
attorno alle spalle dell’amico e lo accompagnò via
dal tetto, verso l’interno
dell’istituto scolastico. Sora
si
voltò solo l’istante prima che i due amici
scomparissero nei meandri
dell’edificio, ancora spossata e incredula.
‘Allora, dopotutto, non gli sono
antipatica…’, fu il suo unico, sciocco pensiero
mentre la chioma dorata di
Yamato e quella castana di Taichi si sottraevano alla vista dei suoi
occhi. Fu Hitomo,
alla fine, a ridurre in frantumi il velo di silenzio sceso ancora una
volta. “Sora…
Stai bene?” Takenouchi
si voltò quasi con difficoltà verso le due
amiche, che adesso la fissavano
apprensive. “Sì,
ma…
Non capisco come… Io non so cosa fare per…adesso
che…”, bofonchiò senza
riuscire realmente ad esprimere quello che stava provando. Fu
solo
grazie all’intervento di Reika che il tumulto del suo cuore
riuscì in qualche
modo a mitigarsi. “Non
preoccuparti, lo capirai presto”, la rassicurò,
facendo qualche passo verso di
lei e poggiandole dolcemente una mano su una spalla. “E poi
hai noi, no?” Reika
le
rivolse uno di quei sorrisi raggianti e confortanti che solo lei sapeva
fare,
al quale Sora non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
Ma il buonumore le
scomparve dal volto quando si ricordò di un particolare. “Reika,
ma tu… Tu non eri…”,
farfugliò impacciata e ansiosa allo stesso tempo. “Beh,
ho
sempre detto che mi piaceva Yamato, questo è
vero”, intuì al volo la domanda
dell’amica. “Ma non ho mai pensato seriamente a lui
in quel senso. Voglio
dire…se era così, ti pare che non mi sarei data
subito da fare invece che
farmelo scappare?” La
moretta le fece l’occhiolino in segno d’intesa e
Sora capì che stava dicendo la
verità. Sorrise. “Grazie,
ragazze” Hitomo
si
fece avanti. “Non devi ringraziarci, Sora” “Noi
siamo amiche”, le ricordò Reika. “Sì!”
Sora
sospirò. La scatolina appoggiata sulla sua scrivania e
perfettamente incartata
in un involucro di un indefinito azzurro, sembrava volesse quasi
sfidarla.
Eccola, la motivazione del suo ritardo di quella mattina. Giaceva
lì, immobile,
inanimata, eppure tremendamente partecipe, una presenza costante e che
mai più
di quel momento quasi fastidiosa. Perché…con che
coraggio l’avrebbe data al suo
legittimo destinatario? Con che faccia sarebbe andata, dopo quello che
il
ricevente le aveva appena poche ore prima detto? Si
sedette stancamente sul letto, sentendosi spossata quasi avesse giocato
tre
partite complete di tennis di fila. ‘Che devo
fare?’, si domandò per l’ennesima
volta, mentre le parole schiette ma incisive di un certo biondino le
riattraversavano la mente, provocandole nel contempo un acceso rossore
sulle
gote e un pallido bagliore negli occhi. Per fortuna quel pomeriggio
Reika e Hitomo
l’avevano trascinata via con la scusa di dover andare in
centro, altrimenti non
osava immaginare come sarebbe stato percorrere la strada del ritorno
con Taichi
e Yamato…! ‘Già,
Yamato…’, arrossì violentemente al solo
pensarlo. Si sentiva una stupida totale
in quel momento. Il fatto era che la sua dichiarazione
l’aveva totalmente
spiazzata, al punto da alienarla dal mondo, e allo stesso tempo
l’aveva
piacevolmente toccata, perché aveva capito che lui teneva a
lei molto più di
quanto in realtà dimostrasse. ‘Argh, che devo
fare?’, si chiese per l’ennesima
volta, inabissandosi con la schiena nel morbido materasso del letto. Sarebbe
rimasta così, persa nei suoi pensieri ancora a lungo se non
fosse intervenuta
la voce di Suzuki a fugare quei frenetici pensieri. “Sora,
c’è Mimi a telefono!”, la
avvertì la madre dall’altra stanza. Sora
sobbalzò, scattando in piedi come una furia e precipitandosi
al telefono. “Pronto?”,
fece, prendendo il cordless dalle mani della madre e ritornando a
rifugiarsi
nella sua camera. “Sora!!”,
la voce inconfondibile
dell’amica la accolse calorosamente dall’altro capo
del mondo. Takenouchi
si lasciò sfuggire una risata cristallina. Ecco di cosa
aveva bisogno: una
bella chiacchierata con quella pazza scatenata che era la sua migliore
amica! “Sono
contenta di sentire che non sei cambiata, Mimi!”,
esclamò felice come non mai e
contenta di avere almeno quella certezza, visto l’esito delle
altre. “Eh,
che
vuoi farci! Le belle abitudini sono dure a morire!!”,
ironizzò con fare
saccente Mimi, prima di scoppiare in una genuina risata immediatamente
accompagnata dall’amica. Risero
ancora qualche istante, prima che ritornassero nuovamente serie. Sora
si
accomodò sul suo letto. “Piuttosto,
sai a che ora mi sono dovuta svegliare per poterti
parlare?!”, disse Tachikawa
lacerando il silenzio. “A
che
ora?” “Alle
sei
e mezzo del mattino!!” “Cosa?
Sono le sei e mezzo lì?”, chiese Sora allibita. Ma
poi
controllò l’orologio. Erano le sei e mezza del
pomeriggio, quindi era normale
che con dodici ore di fuso orario dall’altro capo fosse
ancora mattina. Solo
che…era strana la cosa e lei a tratti stentava addirittura a
crederci! “Esatto!”,
confermò con finta esasperazione Mimi. “Ma
d’altra parte, la notizia che ho da
darti richiede questi e ben altri sacrifici fisici!” “Di
che
notizia stai parlando?”, s’incuriosì
immediatamente l’altra. “Tieniti
forte amica mia che ne resterai sconvolta: tornerò a Tokyo
per le vacanze
natalizie!!”, lo disse tutto di un fiato e quasi gridando,
tanto che Sora
impiegò diversi secondi prima di riuscire a capire cosa
avesse detto. “Cosa?!”,
proruppe infine, quando
registrò e realizzò le parole
dell’amica. Le
sembrava incredibile, un sogno…non vedeva l’ora di
rivedere Mimi…!! “Che
acuto…per poco non mi rompevi un timpano!”, si
lamentò scherzosamente la
giovane Tachikawa dall’altro lato. “Ma questo mi fa
pensare che ti fa piacere
riavermi lì…” “Certo
che mi fa piacere!!”, esclamò immediatamente Sora.
“Stai scherzando? Non vedo
l’ora di riabbracciarti! A proposito: quando
arriverai?” “Parto
il
ventisei dicembre alle sette e quarantacinque di mattina
dall’aeroporto John F.
Kennedy per arrivare all’aeroporto di Narita di Tokyo alle
due e venticinque
del giorno dopo!!”, rispose con una lieve nota di spossatezza
Mimi, ma non si
lasciò avvincere dalla prospettiva del lungo viaggio,
perché quello che contava
era ritornare in Giappone, a Tokyo, da Sora. “Accidenti
quanto tempo… E poi quando andrai via?” “Parto
l’undici da Narita alle sette di sera, per giungere qua a New
York alle dieci e
mezza della stessa sera (dovrebbero
essere le ore effettive, visto che ho cercato un po’ su
internet, tanto per
essere più coerente con la realtà! NdA).
Questo fuso orario mi sta
scervellando!” “A
chi lo
dici…!” “Però
alla fine ci rivedremo, no? E sarà anche meglio, visto che
staremo ventiquattro
ore su ventiquattro, per due settimane, insieme!!” “Ben
detto!!”, approvò anche Sora. “Ma
ora,
cambiando discorso, dimmi: come va con Taichi e Yamato?”,
volle infine
informarsi Mimi, a cui la questione premeva in particolar modo. Sora
sentì il proprio cuore fremere, mentre man mano le sue
guance si accendevano di
rosso. “Beh,
ecco…è successo che…”,
trasse un profondo respiro prima di confidare tutto
all’amica in un solo battito di respiro. “Yamato mi
ha detto che gli piaccio!!” Fu il
turno di Mimi a rimanere in silenzio per il tempo di realizzare quanto
appena
detto dall’amica. “Che?! Dici
sul serio??”, gridò
dall’altro capo del telefono, a tal punto che
ricevette una sonora sgridata dalla madre perché se
continuava così rischiava
di svegliare tutto il vicinato! “Io…
Sì”,
ammise impacciata e imbarazzata Sora, virando in tutte le
tonalità del rosso
fino ad un accentuato cremisi. “Ma
come…quando…perché?”, chiese
incredula Mimi, ma non per questo infelice, anzi. “Oggi
nella pausa pranzo. È stato Taichi a portarmi da lui sul
terrazzino della
scuola, dopo che io gli ho chiesto perché avesse il labbro
rotto” “E
cos’era stato?” “Beh…loro
due avevano litigato. E Yamato mi ha detto che era…era per
me”, mormorò in un sussurro,
sentendosi imbarazzata come non mai. Il
solo
ripensarci la faceva sentire tremendamente in impaccio e le faceva
venire la
tachicardia, mentre le gambe tremavano come gelatina e lo stomaco le si
stringeva fino quasi a farle male. “Wow!”,
sospirò una trasognata Mimi, immaginando come poteva essere
stata la scena. “E
poi? Cosa è successo dopo??” “Dopo
Taichi lo ha incitato a dirmi la verità e
Yamato…lui…lui ha detto che gli
piacevo” “Ma
è…questo è fantastico,
Sora!!”, esplose di gioia la giovane Tachikawa, felice
come non mai per l’amica. “Sì,
però
io… Io pensavo che lui mi odiasse”,
confessò per la prima volta Sora,
lasciandosi sfuggire un sospiro misto ad amarezza. “Odiarti?!”,
ripeté d’altro canto Mimi, senza capire cosa
intendesse dire. “Beh,
per
il modo in cui mi prende in giro… E poi ha così
tante ragazze che gli vanno
dietro…perché proprio io?” “Ma
scusa, non sei contenta?”, le domandò genuinamente
l’altra, ma non attese
risposta. “In ogni caso non lo sai che chi disprezza compra?!
E poi, Sora, tu
sei una ragazza speciale, quasi unica! Non hai davvero nulla da
invidiare alle
altre, e questo Yamato sembra averlo capito, no?” “Però…”,
tentennò ancora Sora. Lei
non
si vedeva così speciale. Non era bella come la maggior parte
delle ragazze che
girava attorno a Yamato, né possedeva
un’eccellente intelligenza… Insomma, era
una ragazza normale. Che poteva trovarci in una come lei un tipo come
Yamato?No, non
c’era alcun motivo che
giustificava tutto ciò. “Ma
perché non provi ad avere un po’ più di
fiducia in te stessa?!”, s’inalberò
Tachikawa dall’altro capo del telefono. “Tu sei la
persona più brava, più dolce
e più stupida che abbia mai conosciuto! Perché ti
ostini a sottovalutarti? Non
capisci che sei la ragazza ideale per un qualunque ragazzo?! Quindi
adesso
sorridi e niente più attacchi di disistima,
intese?” A
quelle
parole, Sora non poté fare a meno di sorridere. “Intese!”,
capitolò infine, con il cuore più leggero. “Bene,
così si fa!” Scoppiarono
ancora una volta in un’allegra risata, interrotta solo poco
dopo dalle parole
pronunciate con calma e cariche d’affetto di Sora. “Mimi?” “Sì?” “Grazie” L’altra
sorrise, sentendo il cuore pieno di gioia. “Ti voglio bene,
Sora” “Ti
voglio bene anch’io, Mimi” “Grazie
e
arrivederci” La
porta
in vetri del supermarket si aprì e ne fece capolino la
figura di Sora. Reggeva
tra le mani la busta della spesa appena fatta e intanto si guardava
attorno
stupita di scoprire che era già calata la sera. Nel cielo
notturno di una
luminosa Tokyo, infatti, brillavano prorompenti le stelle accompagnate
da una
splendida luna piena. Quando lei era uscita di casa era ancora il
tramonto e il
sole ancora tardava a scomparire dietro le alture d’occidente. “Sora?!” La
ragazza sussultò appena nel sentirsi chiamare. Si
voltò verso il punto
d’origine della voce che l’aveva interpellata e
arrossì violentemente quando
incrociò le due pozze blu di Yamato. Ma non era stato lui a
chiamarla. “Che
ci
fai in giro da sola a quest’ora?”, le chiese
infatti Taichi, spostandosi di
qualche passo in avanti. Di
tutte
le persone che avrebbe potuto incontrare, Sora aveva scontrato proprio
loro.
Non sapeva se era un bene o un male, ma di certo c’era la
sensazione
d’imbarazzo che sentiva di provare sotto lo sguardo profondo
di Ishida. “Io…
La
mamma aveva dimenticato di comprare alcune cose,
così… Sono venuta io”,
farfugliò, sentendosi terribilmente stupida per quel suo
impaccio. “Non
dovresti girare da sola la sera”, la voce bassa di Yamato la
colpì, facendola
arrossire e abbassare lo sguardo per la vergogna. Possibile
che con lui dovesse sentirsi sempre una stupida?! “Ma
veramente io… Non era sera quando sono uscita”,
tentò di giustificarsi, senza
tuttavia riuscire ad alzare lo sguardo dalle sue scarpe. “Okay,
tanto alla fine ha incontrato noi, no?”, capitolò
Taichi, rivolgendosi a Yamato
che, dopo un istante d’esitazione, annuì. “Ora
torniamo a casa”, li incitò proprio il biondo,
affiancandosi a Sora, che non
poté fare a meno di virare in tutte le tonalità
di rosso. Ma il
suo
imbarazzo crebbe a dismisura quando sentì la mano di Yamato
sfiorare le sue per
afferrare la busta. Sforzandosi di vincere l’impaccio, Sora
gli gettò
un’occhiata che voleva essere interrogativa, a cui lui
rispose con un mezzo
sorriso capace di farla arrossire ancor di più, se possibile. A
quella
scena, Taichi sorrise istintivamente prima di porsi a sua volta alla
destra
libera della fanciulla e iniziare a camminare imitato dagli amici. “Come…come
mai vi trovavate da queste parti?”, domandò, dopo
un istante di silenzio, Sora. “C’è
un
nostro amico, Koushiro Izumi, che è venuto a
trovarci”, le rispose con il
solito buonumore Taichi. “Ha saputo che qui ad Odaiba
c’è un grosso negozio
d’elettronica e così, con la scusa di venirci a
salutare, ci ha costretti ad
accompagnarlo! Se n’è andato poco fa” “Questo
ragazzo…Koushiro…deve piacergli molto
l’elettronica”, osservò incuriosita la
fanciulla. Il
brunetto annuì. “È una sorta di hacker,
ma nel senso buono però!” Sora
ricambiò al sorriso che il ragazzo le aveva rivolto, prima
di sprofondare
ancora una volta nei suoi pensieri. Tuttavia la voce di Yamato la fece
trasalire e riportare alla realtà. “Siamo
arrivati” Sora
alzò
lo sguardo e si accorse di essere proprio sotto casa sua. Senza dire
una
parola, i tre inforcarono le scale salvo poi fermarsi al primo piano
dove
risiedeva la giovane. “Allora
buonanotte, Sora!”, la salutò con un grosso
sorriso e con un cenno della mano
Taichi, prima di salire anche le ultime due rampe di scale. Lo
sentirono trafficare con la porta del piano di sopra e inveire quando
non
riusciva a trovare le chiavi. Alla fine, però, il brunetto
riuscì nell’impresa
e, aprendo l’uscio, si udì il rumore dei suoi
passi infrangersi contro la porta
che veniva richiusa alle sue spalle. Rimasti
soli, Sora si ritrovò ad arrossire furiosamente e per
l’ennesima volta in
quella giornata. Il cuore le batteva forte nel petto e le gambe
minacciavano di
cedere da un momento all’altro. Da quando Yamato le aveva
detto quelle cose,
nella pausa pranzo, non c’era stata ancora occasione di
rimanere di nuovo sola
con lui e questo la metteva in una certa agitazione. Stava entrando
decisamente
nel panico, se non fosse intervenuta la voce velatamente ironica del
biondino. “Hai
intenzione di rimanere lì ferma come un baccalà
ancora a lungo, o pensi che
entro la fine dell’anno ti riprenderai la spesa che hai
fatto?” Dimenticando
per un istante tutto l’imbarazzo e l’impaccio, Sora
a quelle parole s’inalberò
immediatamente. “Ehi!
Ti
sembra questo il modo di trattare una ragazza?!” Yamato
alzò un sopracciglio. “Quale ragazza?” La
fanciulla avvampò, ma stavolta per lo sdegno.
“Sarei io, razza di cavernicolo
da quattro soldi!!” “Hmf!”,
il giovane Ishida scoppiò a ridere di gusto, piegandosi
appena in avanti e
chiudendo meccanicamente gli occhi oltremare. In un
primo momento Sora fu colta dalla pazzesca voglia di prenderlo a
schiaffi visto
il modo in cui la stava deridendo gratuitamente, ma poi fu come
catturata da
quella risata spiccatamente genuina. A ben pensarci, quella era forse
una delle
rarissime volte, se non addirittura l’unica, in cui lo vedeva
lasciarsi andare
ad una risata tanto di gusto. Il suo volto, che normalmente assumeva
un’espressione quasi severa, appariva disteso, sereno.
Sembrava un’altra
persona rispetto al ragazzo taciturno e introverso di sempre. Persa
com’era nei suoi pensieri, Sora quasi non si accorse che nel
frattempo Yamato aveva notato il suo sguardo posato su di
sé. Per questo si fece ad un tratto
nuovamente serio e la fissò dritto negli occhi marroni. “Beh?” Takenouchi
si riscosse, arrossendo da capo a piedi quando si rese conto di essere
stata
scoperta a fissarlo. “Da
qua
la busta!”, cambiò radicalmente discorso,
strappandogli non troppo gentilmente
la busta dalla mano. Yamato
rimase alquanto stupito di quel repentino cambio d’umore, ma
non lo diede come
al suo solito a dimostrare. “Lo
sai
che sei proprio strana?”, non poté tuttavia fare a
meno di notare, scrutandola
attentamente con quei suoi meravigliosi occhi blu. “Eh?!”,
lo fissò senza capire lei, arrossendo solo lievemente sotto
i suoi occhi. Ma
stavolta non si ritrasse, non abbassò lo sguardo. “Sei
buffa!”, continuò poco dopo lui, lasciando che le
sue labbra s’increspassero in
un dolcissimo sorriso. Un
grazioso rossore le colorò ardentemente le gote a
quell’affermazione, forse
perché le ricordava la prima volta che lui le aveva detto di
essere buffa, il
giorno dopo che li aveva conosciuti di ritorno dalla visita della
città. O
forse perché le aveva sorriso così spontaneamente
e così deliziosamente. O
forse era semplicemente la sua vicinanza… ‘Non
capisco…perché mi sento
così?’,
si domandò con il cuore palpitante in petto. Ancora
una volta, però, i suoi pensieri scivolarono via alle parole
di lui. “Buonanotte,
ragazzina!”, Yamato allungò una mano verso di lei
e, piano, la spinse appena
sulla testa in un gesto molto carino che la fece arrossire
inevitabilmente. Quando
Sora alzò il capo, il giovane Ishida stava salendo gli
ultimi gradini della
prima rampa di scale. Tuttavia prima di inforcare anche
l’ultima, si voltò per
un istante verso la ragazza. Fu questione di una manciata
d’istanti, il tempo
che i loro occhi s’incontravano e si scrutavano, prima che il
filo fosse
spezzato proprio da Yamato. Il ragazzo si voltò e con passo
felpato salì anche
gli ultimi gradini. Sora
attese ancora qualche istante, il tempo di sentire la
porta dell’appartamento B chiudersi ancora una volta ma
stavolta in maniera
definitiva per quella sera. Poi, con una strana ma piacevole sensazione
di
benessere, entrò a sua volta in casa.
“Che
noia…”, Taichi si stiracchiò gli arti,
mentre con finto interesse osservava i
rami spogli dei ciliegi intrecciarsi perfettamente tra loro in una
miriade di
diramazioni sempre meno robuste. Accanto
a
lui, Sora appariva decisamente allegra. Sebbene novembre fosse ormai
giunto e
il freddo si faceva sempre più sentire, un sole luminoso
riempiva il cielo
macchiato di bianco, infondendole uno strano senso di benessere. Ma non
era
solo per quello che si sentiva a quel modo. Infatti il più
era per via della
notizia datale proprio quella mattina da Taichi. Pareva infatti che la
settimana successiva si sarebbe tenuto l’annuale festival
sportivo alla scuola
elementare del quartiere di Ikebukuro e che Takeru, il fratellino di
Yamato,
fosse iscritto alla competizione di corsa. Visto che capitava di sabato
(ovviamente è una cosa puramente
inventata,
perché non ho alcuna notizia di quando si svolgano le gare
sportive in
Giappone! NdA), Taichi e Yamato, coinvolgendo poi anche Sora,
avevano
deciso di andare ad assisterlo. Come aveva detto la ragazza, Hikari, la
sera
prima al telefono con il fratello Taichi, a Takeru avrebbe fatto
sicuramente
piacere vederli tutti e tre lì durante la sua performance. E
poi sarebbe stato
un modo per ritrovarsi anche con gli altri ragazzi, o nel caso di Sora
di
conoscere gli amici dei due. “Come
mai
stai sorridendo?”, la domanda del brunetto spazzò
via il velo di quieto
silenzio sceso tra loro. “Stavo
pensando”, rispose vaga Sora, con le labbra vermiglie ancora
increspate verso
l’alto. “A
cosa?”, volle sapere, spinto dalla solita
curiosità, Taichi. “A Yamato?” Le
parole
schiette e maliziose del ragazzo le fecero salire un istintivo moto di
rossore
che si espanse in men che non si dica per tutto il suo viso, fino a
donarle
quella deliziosa colorazione purpurea che da qualche tempo a quella
parte era
sempre più facile riscontrarle. Sora
stava per rispondergli a tono, se il ragazzo non l’avesse
preceduta. “Comunque
è un peccato che sia dovuto rimanere a scuola più
tardi oggi per finire le
mansioni di capo classe (se non erro, nel
Paese del Sol Levante ogni settimana il capo classe cambia. Anzi, mi
sembra di
ricordare che siano due per settimana. Comunque, in mancanza di fonti
certe,
sarà questa il criterio che utilizzerò
d’ora in avanti nella fanfiction NdA),
non ti pare?” “Sì,
però…” “Avrei
potuto scroccargli qualcosa da mangiare, visto che sono a
secco!” “Ma
veramente io…non…” “Va
beh!
Vorrà dire che la prossima volta Yamato non
scampa!!” “Taichi!!”,
sbottò infine, dopo una serie di inutili tentativi per
attirare la sua
attenzione, Sora. Il
giovane Yagami a quel repentino scatto alzò un sopracciglio
e le gettò
un’occhiata palesemente perplessa, capace di farle ritornare
il buonumore tanto
era comica. “Non
cambierai mai!”, sghignazzò divertita la ragazza,
mentre una ciocca di capelli
ramati veniva trastullata dalla lieve brezza del giorno. “Devo
ritenermi offeso?”, le chiese ingenuamente e altrettanto
divertito lui, senza
smettere di fissarla. Sora
fece
finta di pensarci su per qualche istante, prima di scuotere
vigorosamente il
capo. “No,
direi di no!”, sentenziò infine, rivolgendogli un
sorriso smagliante. “Comunque
prima pensavo a sabato prossimo” “Alla
gara di Takeru?” “Sì.
Stavo pensando che conoscerò tutti i vostri amici” “Puoi
dirlo forte! E sono sicuro, anzi sicurissimo che andrete subito
d’accordo!!” “Lo
pensi
davvero?” “Certo!”,
assicurò, battendo un pugno sul petto, Taichi. “Ne
sono pienamente convinto,
non devi preoccuparti!” A
quelle
parole tanto rassicuranti, Sora non poté fare a meno di
rivolgergli un sorriso
ricolmo di gratitudine che lui ricambiò. Quindi spostarono
lo sguardo in
avanti, per fermarsi quando si resero conto di essere arrivati a casa.
Salirono
le scale senza dire una parola, ma con ancora il buonumore sul volto, e
al
primo piano Sora si divise da lui per aprire la porta
dell’appartamento A. “Sora?”,
la accolse la voce della madre dall’interno. “Sì,
sono
io mamma!”, le rispose lei facendo per entrare, ma la domanda
di Suzuki la
bloccò sulla porta. “Taichi
è
lì con te?” “Sta
per
salire, perché?” “Puoi
chiamarlo un attimo?” Nonostante
ignorasse il motivo di quella richiesta, Sora obbedì.
Ritornò sui suoi passi e
richiamò l’amico che nel frattempo stava
percorrendo a passo svogliato gli
ultimi gradini della prima rampa. “Taichi,
puoi venire un attimo da me?”, lo fermò.
“La mamma ti vuole” Il
brunetto le gettò un’occhiata sconcertata, ma
annuì ugualmente e la seguì
all’interno dell’abitazione. Lasciarono, come
usanza tipicamente nipponica, le
scarpe all’ingresso per indossare un paio di morbide ciabatte
lattee e si
diressero vagamente incuriositi in soggiorno dove sapevano essere la
signora
Takenouchi. Tuttavia una volta qui, rimasero parimenti stupiti nel
notare che
Suzuki non era sola. Altre due donne le facevano compagnia, comodamente
sedute
sulla poltrona e con in mano una tazza di the dall’aria
fumante. Senza
quasi accorgersene, Sora si ritrovò a fissarle. Erano
entrambe due belle donne,
non c’era che dire, ma dall’aspetto diametralmente
opposto. La prima aveva dei
lunghi capelli castani fermati dolcemente in un unico elastico, in
perfetta
sincronia con il colore degli occhi che metteva in risalto un viso
dall’espressione socievole e spiccatamente vitale. Attorno a
lei sembrava
aleggiare un’aria decisamente affabile, incapace di far
sentire a disagio
alcuno. La seconda donna, invece, spiccava per l’espressione
gentile che
ammorbidiva il viso dalle fattezze eleganti. Le iridi di un azzurro
cielo erano
caratterizzate da tante piccole striature di un intenso cobalto e i
capelli di
un particolare castano spento, le mancavano di poco l’altezza
delle spalle. “Mamma!!!”,
fu la voce palesemente esterrefatta di Taichi a riscuoterla dalla sua
minuziosa
osservazione. La
giovane Takenouchi si voltò prima verso l’amico,
quindi di nuovo verso le due
donne che finalmente sembravano aver interrotto l’allegra
conversazione
intrattenuta con Suzuki. “Taichi!!”,
con un’esuberanza da far invidia a chiunque, la prima delle
due donne si alzò
dalla poltrona e si tuffò letteralmente sul ragazzo, fino a
stringerlo in un
caldo quanto serrato abbraccio. “Piccolo mio, fatti guardare:
mangi? Scommetto
che ti stai rimpinzando di schifezze da quando vivi
qui…!” “Ma
mamma…”, tentò di dire Taichi, che nel
frattempo era arrossito per la vitalità
con cui la donna lo stringeva. “Per
fortuna che ci ho pensato prima di venire qua. Vedrai quante cose
genuine ti ho
preparato!” Se
non
fosse stata troppo impegnata a strapazzarlo per benino, probabilmente
si
sarebbe accorta dello sguardo disgustato del figlio a
quell’ultima frase. Al
contrario della donna, però, Sora se ne accorse e non
poté per questo fare a
meno di sghignazzare appena percettibilmente, provando ad immaginare di
che
genere di squisitezze parlava la madre dell’amico. “Tu
devi
essere Sora”, le sue bizzarre fantasie scivolarono sotto le
parole cordiali
pronunciate dalla seconda donna, che intanto si era alzata dalla
poltrona per
venirle incontro. “Ho sentito molto parlare di te e devo
ammettere che non
vedevo l’ora di conoscerti!” Le
fece
l’occhiolino e Sora arrossì lievemente, ma subito
si riscosse quando sentì la
madre di Taichi parlare. “Dunque
è
davvero così: tu sei Sora!!”, le prese
affabilmente ambo le mani e le rivolse
uno dei suoi più smaglianti sorrisi che a tratti ricordavano
quelli del figlio.
“È un piacere fare finalmente la tua conoscenza,
giacché i miei figli non fanno
altro che dire quanto tu sia fantastica! Soprattutto Hikari. Che
rimanga tra
noi, ma credo tu abbia fatto colpo su di lei!” L’entusiasmo
della donna la travolse in quel turbinio di chiacchiere. Più
lei parlava, più
Sora si accorgeva di quanto lei e il figlio si assomigliassero.
Logorroici,
vitali e terribilmente esuberanti…! “A
proposito, che stupida! Non mi sono neanche presentata!!”,
disse poco dopo,
sbattendo una mano sulla fronte come a volersi ammonire da sola.
“Ad ogni modo,
io sono Fuyuko Yagami (nome che non
appartiene alla saga di Digimon, ma che ho inventato di mia sana
pianta!
Scusatemi, ma non sono riuscita a trovare quello originale!! NdA),
la madre
di questo ingrato qui!” “Ehi!”,
si lamentò immediatamente Taichi, piccato. “Beh?
Non
chiami mai!” “Questo
non è vero! Pfui!!”, disse il brunetto mettendo
poi il broncio sotto lo sguardo
canzonatorio della madre. “Io
invece”, si fece avanti anche l’altra donna.
“Sono la madre di Yamato e di
Takeru, Natsuko Takaishi” “È
un
piacere fare la vostra conoscenza”,
s’inchinò cortesemente, come soleva la
tradizione, Sora, riscuotendo per questo le mute approvazioni delle due. “Ho
incontrato Fuyuko e Natsuko di ritorno da lavoro, mentre aspettavano
Taichi e
Yamato”, spiegò Suzuki di ritorno dalla cucina,
dove aveva preso altre due
tazze. “E così ho chiesto loro se volevano un
po’ di the” “Tua
madre è stata molto gentile a prendersi questo disturbo,
Sora”, disse Natsuko,
sorridendo alla fanciulla che aveva di fronte. “Nessun
disturbo davvero”, replicò la signora Takenouchi,
abbozzando un sorriso che
levigò i lineamenti severi del volto. “Al
contrario sono molto felice di poter
conoscere le madri dei nostri due incantevoli giovanotti” All’accenno,
Taichi non riuscì a trattenere un moto di rossore che
dipinse le gote e lo
invitò quasi meccanicamente a passarsi una mano nei folti
capelli castani con
espressione tremendamente impacciata. “Oh,
non
lo dirai di Taichi dopo che lo avrai conosciuto bene,
Suzuki!”, intervenne con
espressione di finto accoramento Fuyuko, per poi lasciarsi andare ad
una
cristallina risata quando il figlio tentò di ribattere con
una serie di parole
sconnesse e confusionarie. “E
questi
erano Taichi e Yamato a undici anni!”, Fuyuko sorrise
compiaciuta all’ennesima
foto dei due ragazzini, mostrandola al resto dei presenti. Adesso
non erano più a casa Takenouchi, ma si erano spostati da
qualche minuto
nell’appartamento B per vederne le condizioni.
Così, dopo qualche rimprovero al
figlio per lo stato di disordine in cui regnava l’abitazione
e dopo qualche
piacevole ricordo dei tempi passati, la signora Yagami aveva avuto la
brillante
idea, ma triste per Taichi che alla fine aveva preferito rifugiarsi in
camera
sua, di ricorrere ai vecchi album che ritraevano i due coinquilini. Sora
si
sporse di poco in avanti, sorridendo poi rallegrata quando vide la
foto. Doveva
essere scattata prima che diventassero amici, intuì
immediatamente la ragazza,
notando non senza un certo divertimento il modo con cui si guardavano.
Taichi
sembrava visibilmente arrabbiato mentre osservava in cagnesco Yamato,
che al
contrario reggeva lo sguardo con espressione ostinatamente glaciale. Il
suo
sguardo era la solita maschera di perfetta freddezza, forse ancor
più allora. “Se
non
ricordo male, deve essere stata scattata il giorno del compleanno di
Koushiro”,
continuò Fuyuko accennando al bimbetto dall’aria
sveglia con degli spinosi
capelli rossicci. “Taichi
e
Yamato non sembrano molto amici in questa foto”, disse
pensierosa Suzuki.
“Eppure adesso li vedo molto uniti loro due” “E
lo
sono”, confermò Natsuko. “Ma non
è stato sempre così” “Oh
no,
puoi dirlo forte! Quando si sono conosciuti non facevano altro che
picchiarsi a
vicenda quei due monellacci!”, annuì energicamente
Fuyuko. “Ci hanno praticamente
fatto dannare!” “Ma
poi
qualcosa è cambiato”, continuò
l’altra. “Ad un certo punto le rivalità
tra loro
sono come scomparse e hanno scoperto di essere amici” “Il
che è
stata una fortuna, visto che da quando ha conosciuto Yamato, quello
screanzato
di mio figlio ha messo per buona parte la testa a posto!”,
disse la signora
Yagami. “Certo, è ancora lo sfaticato, irruente e
istintivo di sempre, ma
grazie a Yamato ha imparato quando è il momento di lasciar
correre” “Sì,
anche per Yamato è stata molto importante trovare
l’amicizia con Taichi per il
suo carattere. Adesso è molto meno scontroso e
taciturno”, si trovò
immediatamente concorde Natsuko. “E poi non potrò
mai dimenticare che è stato
grazie a Taichi se mio figlio è riuscito ad accettare in
maniera definitiva la
separazione mia e di Masaharu” Sora
rimase molto colpita da quell’ultima frase, che le fece
nascere la spontanea
domanda di quale separazione stesse parlando. Ma non fu necessario che
lo
chiedesse a parole, perché Natsuko lo spiegò
appena poco dopo. “Io
e mio
marito non volevamo arrivare alla separazione, ma poi le cose ci sono
scivolate
di mano tra di noi e alla fine abbiamo convenuto che l’unico
modo fosse
dividerci. Non mi pento della nostra scelta, perché sarebbe
stato più ingiusto
nei confronti nostri e dei bambini continuare a fingere, ma
è stata dura.
Soprattutto con Yamato. Takeru era troppo piccolo, ma
Yamato…”, si soffermò
qualche istante, persa nei meandri dei propri ricordi, prima di
ricominciare il
racconto. “Ha sofferto tanto, eppure non ci ha mai incolpati
di nulla nemmeno
quando abbiamo deciso di tenere io Takeru, ancora troppo piccolo per
allontanarsi dalla madre, e Masaharu Yamato. D’altro canto,
noi abbiamo fatto
del nostro meglio per non far pesare ai bambini la separazione: non
c’era
giorno che Yamato e Takeru non si vedessero; o che io non andassi da
Yamato e
Masaharu da Takeru. A ben pensarci, credo che Yamato abbia sempre
saputo che
era la cosa giusta, perché anche se era ancora un bambino
è sempre stato fin
troppo sveglio. Ciò nonostante la nostra separazione ha
influito notevolmente
sul suo carattere già di per sé introverso. Non
mi dava problemi a scuola, ma
spesso venivo chiamata per via del suo carattere un po’
troppo ribelle e
litigioso soprattutto con Taichi. Fino a che non sono diventati amici.
È stato
allora che il mio Yamato ha iniziato persino a sorridere alla
separazione mia e
di Masaharu” Il
lento
fluire di parole dal sapore dolciastro terminò come
d’incanto, lasciando negli
uditori un senso di nostalgia. Sora
era
rimasta totalmente colpita dalla rivelazione di Natsuko, che
l’aveva lasciata
spiazzata e conscia allo stesso tempo. Finalmente i pezzi del puzzle
iniziavano
a trovare la loro giusta sistemazione fino a raggiungere un disegno
ottimale
nel quadro generale. Adesso riusciva a capire cosa aveva inteso dire
Takeru con
quelle parole, o Hikari ancor prima di lui. E adesso si spiegava,
sebbene
dapprincipio non vi aveva dato molto peso, il motivo per cui nel
presentarsi
Natsuko non aveva utilizzato il cognome Ishida. Si
sentiva quasi una stupida ora per non averlo saputo intuire da prima.
Una
stupida per essersi fatta trovare così impreparata a quella
rivelazione. Una
stupida per sentirsi tremendamente piccata, forse ancor più
di se fosse
successo a qualcun altro. Sora
fissò Natsuko con estremo interesse, prima che la sua
attenzione fosse
completamente catturata dal rumore della serratura della porta
d’ingresso.
D’istinto, tutti i presenti si voltarono verso il piccolo
andito da cui sbucò,
appena qualche istante dopo, la figura alta e slanciata di Yamato. Gli
occhi
cobalto del giovane strabuzzarono quando si vide il proprio
appartamento
ospitare quell’inaspettato gruppetto di persone.
Vagò sulle figure dei presenti
con espressione visibilmente meravigliata, per poi fermarsi quando
incrociarono
quelle iridi cerulee appena più chiare delle sue. “Mamma…?!”,
mormorò in un sussurro appena percettibile. Sora,
il
cui cuore aveva già perso un battito nel vederlo prima e
nell’incrociare il suo
sguardo poi, sentì un fremito percorrerle avidamente la
schiena al suono di
quella voce tanto profonda e rauca. Come
risposta a quel semplice brusio, Natsuko si alzò dal divano
e si fece incontro
al figlio fino ad essergli in pratica di fronte. Quindi gli sorrise,
guardandolo con occhi traboccanti d’affetto materno. “Yamato…tesoro…”,
e, con una naturalezza da far invidia anche alla persona più
schietta, lo
strinse dolcemente. L’auto
grigia di Natsuko Takaishi si allontanò, portando via con
sé anche lo sprazzo
di una giornata vissuta tra le vestigia dei ricordi. Ad occidente, lo
spicchio
di sole ancora visibile si andava man mano inabissando dietro i picchi
montuosi, mentre già le prime stelle illuminava il manto
ombroso del
firmamento. “Che
giornata…!”, Taichi si stiracchiò
pigramente gli arti superiori, lasciando che
il suo sguardo si posasse sulla miriade di luci perfettamente visibili
dal
pianerottolo del loro appartamento. “Mamma mi ha fatto
sistemare tutta la
camera e adesso sono stremato!” “Beh,
non
puoi biasimarla. La tua camera era quasi inaccessibile”, gli
fece allora notare
Sora, per poi sorridere quando lo vide arrossire d’impaccio. “Non…non
è vero! È che voi donne siete fissate per
l’ordine!!”, si difese a spada
tratta. “E comunque adesso io me ne vado proprio a nanna, se
volete saperlo!” Quindi,
senza aggiungere altro, rientrò nella spaziosa abitazione
dietro di loro,
richiudendosi la porta alle spalle con fare distratto. Sora scosse il
capo,
pensando che in fondo la signora Yagami non aveva tutti i torti quando
diceva
che Taichi era un poltrone! Ma poi pensò anche che fosse
questo ciò che lo
contraddistingueva, questo il motivo per cui lei si era affezionata
tanto a
lui. Il
dolce
fluire dei suoi pensieri fu interrotto dal rumore lieve di Yamato che
si sedeva
con nonchalance su uno dei gradini delle scale alla sua sinistra. Quasi
si
fosse ricordata solo in quel momento della sua presenza, la giovane
Takenouchi
si ritrovò ad arrossire e ad abbassare il capo in
concomitanza. Le parole di
Natsuko ancora riecheggiavano nella sua mente, prepotenti e incisive.
Avrebbe
voluto chiedergli tante cose a riguardo, ma non trovava il coraggio per
affrontare apertamente Yamato. Per svelargli che sapeva il suo piccolo segreto e che… “Te
l’ha
detto, non è vero?”, le parole del biondo la
colpirono appieno. Sora,
dimenticando per un istante l’imbarazzo della
situazione, alzò lo sguardo verso di lui e lo
fissò in quelle intense pozze
cobalto. “Mia
madre… Ti ha detto della separazione, no?”,
insistette lui, senza spostare lo
sguardo e senza vacillare. Sembrava
perfettamente padrone dei propri sentimenti, come sempre del resto.
Eppure nei
suoi occhi blu una nuova luce si era accesa, che Sora
identificò immediatamente
come una dolce malinconia. “Sì” Una
lieve
brezza le scompigliò i capelli ramati, facendola
rabbrividire in un modo appena
percettibile. Ma il suo sguardo persisteva fermo su di lui, su quel
volto in
apparenza imperturbabile. “Me
ne
sono accorto”, confessò allora Yamato.
“Quando mia madre se n’è andata, tu
l’hai salutata con il suo cognome, Takaishi” Sora
ci
pensò su per un breve istante, ma non disse nulla. Yamato
aveva ragione, eppure
era strano scoprire che se n’era accorto
così…semplicemente, mentre lei ancora
tentava di trovare le parole più adatte per spiegargli che
adesso anche lei
sapeva tutto. “Sora…” La
giovane si sentì avvampare nell’udire il suo nome
pronunciato con voce tanto
profonda, arrossendo ancor di più quando poi il giovane
Ishida allungò la mano
destra verso di lei fino a stringerle delicatamente il polso sinistro. “Scusa
se
non te l’ho detto” Il
volto,
dove si combinavano una velata espressione di rammarico e un sorriso
dai tratti
rassicuranti, aveva assunto dei connotati quasi eterei illuminato dalle
luci
esterne e impreziosito da quei lapislazzuli adesso tremendamente
espressivi. I
biondi capelli gli cascavano melliflui sul capo, in una morbida cascata
dorata. Vedendolo
così e avvertendo quella dolce presa attorno al suo polso,
Sora non riuscì a
trattenere un lieve rossore che salì man mano lungo la base
del collo fin
quando non colorò le gote di un delizioso rubino. Il cuore
le palpitava nel
petto e le gambe quasi cedettero sotto le intense sensazioni che
sentiva di
provare mentre, vincendo la sua proverbiale timidezza, rispondeva con
un
impacciato sorriso. Allora
Yamato, in risposta, la tirò dolcemente per il polso in una
leggera spinta in
avanti che la avvicinò pericolosamente a lui. Ma non fu il
profumo del ragazzo
a stordire Sora, né il biondo vivo dei suoi capelli, quanto
piuttosto
l’inebriante sensazione di calore che l’abbraccio
di Yamato apportò attorno
alla sua vita. Lui, infatti, l’aveva cinta con le sue braccia
ossute e aveva
poggiato il capo sul suo ventre, per poi chiudere gli occhi sentendo
una
meravigliosa sensazione di benessere. Gli piaceva stare
così, non avrebbe mai
voluto sciogliere quell’abbraccio. Ma poi la sua proverbiale
introversione lo
costrinse a fare ciò che meno bramava e a sciogliere
l’incantesimo creatosi. Fu
allora che Sora, non sentendo più quel calore stringerla
affettuosamente,
dimenticò ogni timidezza e ricambiò alla stretta
allacciandogli lentamente le
braccia al collo per attrarlo di nuovo verso di sé. Yamato,
allorché, sbarrò
gli occhi stupito per poi lasciarsi nuovamente andare e ricostruire
l’incanto.
C’era ancora un velato imbarazzo nei loro sguardi, ma in
fondo non importava. Intanto,
la brezza aveva ripreso a soffiare sui loro corpi, ma né
Yamato né Sora parvero
avvertirla così riscaldati dal reciproco calore umano.
La
scuola elementare di Ikebukuro pullulava di persone quella mattina. Un
frettoloso via vai di persone tutte molto affaccendate imperversava
all’interno
del cortile, mentre già i primi spettatori si affacciavano
sorridenti sulla
soglia per assistere all’annuale festival sportivo. “Hikari,
dove le sistemo queste?” La
giovane interpellata si voltò verso la compagna di classe
che l’aveva chiamata. “Cosa
sono?”, chiese accennando allo scatolone che teneva
saldamente tra le mani. “Torte”,
le rispose quella. “Allora
sistemale pure nella vetrina del bancone” “Sì!” La
fanciulla se ne andò e Hikari si concesse un istante di
riposo. Uscì fuori dal
piccolo localino cedutogli dalla scuola per
l’attività che la sua classe aveva
deciso di portare avanti in vista di quel giorno, e si voltò
a fissare la pista
ovale e bordeaux dove si concentravano già molti dei
partecipanti. “Chi
stai cercando?” La
domanda la fece sobbalzare. Hikari si voltò e un sorriso le
sorse spontaneo
alle labbra quando vide Taichi, Yamato e Sora ritti di fronte a lei. “Siete
venuti alla fine!”, esclamò raggiante, non
nascondendo la propria felicità nel
vederli. “Mi
sembrava di avertelo già detto…”, ci
pensò su per un istante il fratello. “Sì,
però avevo paura che ci ripensaste all’ultimo
momento”, spiegò allora Hikari. “A
proposito: Takeru dov’è?”, volle
informarsi Taichi. A
quella semplice domanda, il volto della più giovane della
famiglia Yagami
s’impreziosì di un delicato rossore. “È
lì”, fece segno col dito alla pista
d’atletica. “Si sta riscaldando” “E
tu sei qui che lo tieni sott’occhio…”,
la schernì immediatamente il brunetto,
ma il sorriso gli morì sulle labbra al ceffone che gli
arrivò dritto sul capo. “Smettila
di prenderla in giro, Taichi!”, disse fingendosi arrabbiata
Sora, la colpevole
del misfatto. Quindi
gettò un’occhiata complice a Hikari, che non
poté fare a meno di sorriderle
grata. “Umpf!
Sei ingiusta Sora! Io non ho fatto nulla di male!”,
continuò Taichi,
massaggiandosi la parte colpita. Ad
interrompere quell’allegro chiacchierio, ci pensò
una voce altrettanto vitale. “Taichi!!!” Sora
si voltò verso il punto d’origine di
quell’assordante richiamo, ma non fece in
tempo a distinguere la figura che correva forsennata verso di loro che
ne fu
quasi travolta dall’irruenza. “Taichi,
ci sei anche tu!!” Con
una gioia esplosiva, il nuovo arrivato si tuffò
letteralmente sul giovane
Yagami, il quale ci mancò poco non cadesse a terra per la
foga con cui era
stato abbracciato. “Taichi,
non posso crederci…sei qui!”, lo strinse ancor
più forte l’altro, sfoderando un
sorriso a trentadue denti. “Ciao
Daisuke! Sono contento anch’io di rivederti!”, lo
salutò divertito il brunetto,
mentre quello finalmente si separava da lui per voltarsi verso la
ragazza più
giovane della combriccola. “Tesoruccio,
perché non mi hai detto niente?”, chiese con
sguardo stucchevole a Hikari, che
per risposta sorrise. Sora,
invece, pareva palesemente confusa. ‘Tesoro?!’, si
chiese difatti, ‘ma Hikari
non sta con Takeru?’. “Smettila
di guardare mia sorella come un maniaco!”, disse serio
Taichi, tirando un
sonoro pugno sulla nuca spinosa di un particolare prugna di Daisuke. “Ma
Taichi…!”, lo guardò supplice, causando
per questo l’ilarità generale. Solo
Yamato, che non aveva ancora aperto bocca da quando era arrivato,
rimaneva come
sempre impassibile alla scena e se ne stava in silenzio affianco a
Taichi.
Almeno fino a quando Daisuke non si accorse di lui. “Yamatuccio!
Sei venuto anche tu!!”, esclamò, mentre
repentinamente l’espressione crucciata
di poco prima cedeva il posto ad una gioiosa. “Ma allora vi
sono proprio
mancato!!” Il
giovane dai capelli prugna si buttò sui due quindicenni,
stringendoli in un
caloroso abbraccio nonostante le loro proteste. “Taichi!
Yamatuccio!” “Finiscila
di chiamarmi così” “Perché?
Non ti piace Yamatuccio?” “Per
niente” “Daisuke,
mi stai soffocando” “Come?
Scusa grande Taichi!!” Mentre
i tre ragazzi parlottavano tra loro, Hikari si voltò verso
Sora. “Ho
saputo che mamma è venuta a trovarvi la settimana
scorsa” Takenouchi
annuì. “Se
solo avessi potuto, sarei tanto voluta venire
anch’io”, continuò Hikari. “Ma
purtroppo sono stata impegnata con l’organizzazione delle
attività con la mia
classe in vista d’oggi” “Non
preoccuparti, ci saranno sicuramente altre occasioni”, la
tranquillizzò Sora,
sfoderando un dolce sorriso. “Sì!”,
si trovò immediatamente concorde anche l’altra.
“A proposito: mio fratello e
Yamato ti hanno già mostrato la scuola?” “Non
ancora”, scosse il capo la giovane Takenouchi. “Ti
accompagnerei io stessa, solo che mi hanno eletto capo classe e mi devo
occupare dell’allestimento del nostro reparto”,
spiegò con una nota di
dispiacere Hikari per non poterla scortare. Ma
Sora le sorrise rassicuranti. “Non devi scusarti.
Anch’io ho dovuto organizzare
spesso questo genere di manifestazioni e sono consapevole di quanto sia
faticoso. Ma alla fine ti diverti, per questo ho sempre accettato il
ruolo di
capo classe quando mi veniva affidato” “Sì,
hai ragione!”, annuì una sorridente Hikari, felice
di aver trovato una così
comprensiva amica. “Hikari!”,
le loro chiacchiere vennero però interrotte
dall’arrivo di un’energica ragazza
dai fulgidi capelli viola. “Sì?”,
le chiese gentile come sempre la giovane Yagami. “Hai
visto Daisuke per caso?”, le domandò quella, prima
di notare la figura di Sora
accanto a loro. “Ciao! Tu devi essere Sora Takenouchi, la
ragazza di Odaiba!” “Sì,
sono io”, le sorrise, intimamente e piacevolmente colpita da
tanta esuberanza,
l’altra. “Che
bello, finalmente posso conoscerti! Non sai quanto sei diventata
popolare da
queste parti!”, le ammiccò quella da dietro gli
occhiali da vista che le
facevano risaltare gli occhi marroni. “Io, invece, sono
Miyako Inoue, ho
tredici anni e sono al primo anno di scuola media inferiore!” Sora
le strinse la mano, pensando nel contempo che le piaceva sinceramente
molto
quell’allegra ragazza. “Miyako!
Anche tu qui per assistere alla gara di Takeru (premetto
che non so in che modo siano disposte le scuole, e quindi se
scuola elementare e media appartengano allo stesso edificio. Per cui,
ho deciso
di fare la ripartizione che mi sembrava più idonea, mettendo
le scuole
elementari che sono più lunghe in un unico edificio, e medie
inferiori con
medie superiori in un altro istituto. Tuttavia, per essere
più neutrale
possibile, ho fatto sì che in ogni dove i due istituti
sorgessero vicini NdA)?” Le
tre ragazze si voltarono e videro Taichi avanzare, seguito da Yamato e
Daisuke,
verso di loro. “Esatto!”,
alzò indice e medio la giovane. “Ken?”,
s’informò invece Yamato. “Stava
per arrivare”, spiegò, prima di sorridere felice.
“E intanto ho appena fatto
amicizia con Sora!” “Sora?!
Sei tu la fantomatica Sora?”, quasi si fosse accorto della
sua presenza solo in
quel momento, Daisuke si voltò verso la ragazza venuta con i
suoi due amici. “In
persona!”, gli sorrise contagiata dal loro entusiasmo quella. “Cosa?!”,
replicò stupito il ragazzo. “Daisuke,
non dirmi che non ti sei ancora presentato!”, lo
guardò con espressione
inceneritore Miyako. Il
chiamato in causa arrossì vagamente imbarazzato.
“Ehm…io, veramente…” “Daisuke!!
Possibile che tu debba essere
sempre così distratto??”, lo apostrofò
la giovane Inoue, fissandolo con occhi
di fuoco. “Umpf!
Non l’ho fatto mica apposta!”, si
lamentò quello, e per un istante Sora vide
lei e Taichi in loro. Il
giovane dai capelli prugna si voltò infine verso di lei e le
sorrise raggiante. “Ad
ogni modo”, disse. “Io mi chiamo Daisuke Motomiya,
ho dodici anni e sono in
classe con la mia dolcissima Hikari e con Takeru!” “Ciao,
piacere di conoscerti Daisuke!”, gli strinse sorridente la
mano lei. “Io sono
Sora Takenouchi, ho quindici anni e vengo da Odaiba” “Bene,
così va meglio!”, annuì soddisfatta
Miyako, riferendosi a Daisuke. “E adesso
vieni con me!” Detto
questo, la giovane Inoue afferrò il dodicenne per la
collottola della maglietta
e lo trascinò letteralmente via da lì, lasciando
inebetito il resto della
comitiva. “Ecco
Takeru!”, Taichi si fece faticosamente largo tra la folla di
spettatori
accorsi, individuando al volo la capigliatura dorata del ragazzo. Dopo
aver salutato Hikari e aver incontrato quei due scalmanati di Daisuke e
Miyako,
avevano deciso di andare a trovare Takeru. Purtroppo Hikari non era
potuta
andare con loro per via degli ultimi preparativi che ancora mancavano
alla sua
classe prima che il festival sportivo cominciasse. “Ehilà,
biondino!”, lo salutò il giovane Yagami,
arruffandogli allegramente i capelli. “Taichi!”,
mormorò quello preso alla sprovvista. Takeru
alzò il capo e subito un’ondata di gioia lo
pervase quando vide le figure di
Yamato e di Sora sorridergli. “Ci
siete anche voi!” “Non
potevamo mancare”, disse Sora affabile come sempre. “Quando
inizia la gara?”, chiese invece Yamato, gettando
un’occhiata alla pista ancora
vuota. “Tra
una decina di minuti, credo”, gli rispose il fratellino.
“Avete già incontrato
Hikari?” “Sì,
e ho conosciuto anche Daisuke e Miyako!”, gli rispose una
raggiante Takenouchi. “Allora
non devi preoccuparti! Non siamo tutti così
pazzi!”, sopraggiunse una voce
allegra alle loro spalle. I
quattro si voltarono e videro un giovane dai capelli rossicci farsi
loro
incontro. “Koushiro!!”,
lo salutarono in contemporanea con una pacca sulla spalla Taichi e
Yamato. Sora,
invece, fissava il nuovo venuto con sguardo curioso. Appena la
settimana prima
era incappata in una sua foto da bambino e adesso che lo fissava
meglio, doveva
ammettere che era molto cambiato. Anzitutto si era fatto più
alto, come di
dovere, poi aveva domato i capelli sparati e nel complesso si era
tramutato in
un ragazzo decisamente carino, ancor più di prima. “Tu
sei Sora, giusto?”, fu proprio la domanda del rosso a
ricondurla alla realtà. Annuì.
“Sì, sono Sora Takenouchi. Mentre tu devi essere
l’appassionato d’elettronica!” “Beh…sì,
sono io. Mi chiamo Koushiro Izumi, ho quattordici anni e frequento la
seconda
media inferiore qui ad Ikebukuro”, le strinse la mano lui.
“Lieto di conoscerti” C’era
un qualcosa di infinitamente gentile nei suoi modi, gradevole per chi
vi
parlava. Talmente tanto che Sora non riuscì a trattenere un
sorriso. “Quando
sono venuto ad Odaiba non ti ho vista”, disse Koushiro poco
dopo, pensieroso. La
giovane Takenouchi arrossì impercettibilmente al ricordo di
quel giorno. Il
giorno in cui Yamato le aveva confessato che lei gli piaceva… “Ero
andata in centro con alcune mie amiche e così non ci siamo
scontrati”, spiegò
in un breve riassunto. “Sì,
adesso ricordo che Yamato me lo aveva detto”,
annuì lui. A
quelle parole il volto di Sora si accese un po’ di
più, imbarazzata. Ma in suo
accorso sopraggiunse l’arrivo di altri due ragazzi. Uno era
alto, sicuramente
più grande di tutti loro, con un’aria seriosa
messa in risalto soprattutto
grazie agli occhiali posti davanti due occhi del colore della pece, ma
resa
affabile dalla presenza di un sorriso allegro sul volto. Aveva i
capelli di un
blu molto scuro, lisci e piuttosto lunghi. L’altro, invece,
era certamente più
piccolo. I capelli a caschetto erano di un castano particolare, mentre
gli
occhi verde smeraldo illuminavano un viso dall’espressione
severa. “Jyou!
Iori!”, disse raggiante Takeru non appena li vide. “Ciao
a tutti!”, salutarono i due nuovi venuti. “Taichi,
Yamato, anche voi qui?”, il più grande dei due si
voltò verso di loro. “Certo!
Volevi che ci perdessimo la corsa del biondino, qui?”,
rispose immediatamente
Taichi, afferrando Takeru per il collo e strofinandogli come
d’abitudine i
capelli. “Smettila!”,
si lamentò quello, divincolandosi faticosamente dalla sua
presa e sistemandosi
quei fili dorati arruffatisi. “Jyou,
Iori”, decise di intervenire Koushiro per passare alle
presentazioni. “Lei è
Sora Takenouchi, la vicina di casa di Taichi e Yamato ad
Odaiba” “Ciao,
piacere di conoscervi!”, sorrise loro la ragazza. “Ciao!”,
le sorrise il più grande. “Io sono Jyou Kido e
sono in sostanza il più vecchio
del gruppo!” “Jyou
ha sedici anni e frequenta il primo anno delle medie
superiori”, aggiunse
Koushiro all’occhiata interrogativa della fanciulla, che
annuì. “Io
mi chiamo Iori Hida”, si presentò poi
l’altro. “Ho nove anni e sono il più
giovane” Sora
rimase piuttosto colpita dall’espressione dura del ragazzino.
Ma osservandolo
negli occhi notò un’espressione ben diversa da
quella che voleva lasciar
intendere. Gli sorrise e, con una certa soddisfazione, notò
un guizzo
attraversare quelle iridi berillo per poi tramutarsi in un timido
sorriso. Accanto
a lei e senza che quella se ne accorgesse, Yamato la osservava in
silenzio con
espressione totalmente assorta. Il suo sguardo sembrava quasi rapito da
lei in
quel momento, mentre non poteva fare a meno di chiedersi come ci fosse
riuscita
a conquistare così velocemente le simpatie del posato Iori,
tanto da ricevere
subito un suo raro e prezioso sorriso. Ma il fluire dei suoi pensieri
venne ben
presto interrotto dall’accorgersi dello sguardo di Koushiro
fisso già da
qualche istante su di sé. Yamato
si voltò verso l’amico e un moto di rossore gli
colorò appena percettibilmente
le gote quando incrociò quelle riflessive pozze carbone. Non
c’erano dubbi:
Koushiro aveva capito tutto. “Takeru,
è ora! Vieni!”, una voce proveniente dalla fascia
di partenza della pista
attirò all’istante le attenzioni. “Allora
vai e vinci, Takeru”, gli augurò immediatamente
Iori, e nel farlo gli occhi
berillo s’illuminarono. Allora
Sora, sebbene non conoscesse ancora bene il più giovane del
gruppo, intuì al
volo dal gioco di sguardi che Takeru e Iori dovevano essere qualcosa
come
migliori amici. Il
biondino, intanto, annuì sorridente e fece per andare, ma
prima si voltò verso
il fratello maggiore come in cerca di sostegno. “Fagli
vedere chi sei”, disse con voce seria Yamato, poggiandogli
affettuosamente una
mano su una spalla. Takeru
rimase molto colpito da quel gesto tanto spontaneo, al punto che
sentì come
un’energia immensa caricarlo all’istante. Avrebbe
potuto correre anche per ore
adesso, che non avrebbe accusato minimamente la fatica!
Perché Yamato confidava
in lui, perché lui era suo fratello, perché non
poteva e non voleva deluderlo… Sorrise.
Un sorriso dolcissimo e luminoso come non mai, che gli
impreziosì le iridi
opali appena un po’ più chiare rispetto a quelle
di Yamato. “Sì!”,
annuì con vigoria, prima di allontanarsi con passo deciso da
loro. Takeru
raggiunse la striscia di partenza e si posizionò nella sua
striscia. “Takeru!” Il
giovane si voltò e di nuovo si ritrovò a
sorridere quando scorse tra i tanti
spettatori accorsi, la figura minuta di Hikari. Adesso nemmeno un
percorso
lungo chilometri lo spaventava. “Metticela tutta!!”,
gli urlò dal suo
posto Hikari, sorridendogli a sua volta con gioia. Il
biondino annuì prima di tornare a concentrarsi sulla pista
davanti a lui. Ma
ancora una volta una voce a lui ben nota lo chiamò. “Takeru!!”,
il tono era leggermente più
alto e spiccatamente maschile. Takeru
si voltò e notò Daisuke, mentre saltellava per
tentare di attirare la sua
attenzione, accanto a Hikari. “Takaishi! Se non vinci ti
conviene scappare,
capito?”, gli urlò da lontano,
raccomandandosi ben bene con il compagno
di classe e amico. Il
biondo sorrise. Quindi alzò indice e medio e gli fece il
segno della vittoria.
Nota
dell’Autrice: Non
mi sembra vero: finalmente sono riuscita ad inserire anche gli altri
digiprescelti nella mia storia! Certo, manca ancora Ken,
ma non temete perché apparirà in questo
tredicesimo capitolo
di “Good Boys”!! Ad ogni modo colgo
l’occasione per ringraziare ancora una
volta tutti voi che continuate a seguirmi, a commentare e a leggere
questa mia
fanfic! Spero di non avervi deluso fino ad ora, mentre posso
già dirvi che ne
succederanno di cose di qui alla fine! Infatti ci saranno ancora tante
cose che
dovranno succedere, troppi colpi di scena ancora da
verificarsi…ma non
preoccupatevi, perché l’azione si
svolgerà tutto in modo scorrevole come ora.
^^ Ma
adesso vi lascio alla storia, giacché ho già
occupato troppo tempo con queste
mie chiacchiere. Buona
lettura, dunque, e a presto! Baci!
J *** Il
sole illuminava i concorrenti mentre, schierati ordinatamente lungo la
linea
della partenza, attendevano il fischio che avrebbe decretato
l’inizio della
gara. “Ragazzi!!” Gli
interpellati si voltarono per vedere Miyako accompagnata da un giovane
ragazzo
– che Sora trovò dall’aspetto quasi
familiare – venire verso di loro. “Ehilà
Ken!”, fece Taichi quando notò il giovane.
“Come va la vita?” Quello
arrossì lievemente alla domanda e Sora non poté
fare a meno di chiedersene la
ragione. “Bene,
grazie” “Sei
appena arrivato?”, gli domandò invece Iori. “Sì.
Miyako e Daisuke mi sono venuti incontro poco fa”,
spiegò il giovane
sconosciuto, e Sora capì che era quello il motivo per cui la
giovane Inoue
prima aveva cercato Motomiya. “Ken,
ti ricordi di Sora Takenouchi?”, disse allora Miyako,
sorridendo alla ragazza
di fronte a loro. Il
ragazzo la osservò per un breve istante con i suoi magnetici
occhi turchini, in
perfetta armonia con il blu notte dei lisci capelli che gli sfioravano
appena
la base del collo. Poi, finalmente, le rivolse un meraviglioso sorriso. “Ciao
Sora, sono felice di conoscerti”, le porse educatamente la
mano. La
giovane Takenouchi ricambiò alla stretta, mentre rispondeva
al sorriso. “È
un piacere anche per me Ken…” “Ichijouji.
Sono Ken Ichijouji”, le venne in accorso lui. “Ho
dodici anni e sono all’ultimo
anno d’elementari alla Tamachi Elementary (dovrebbe
essere il nome originale, visto che l’ho trovato su un sito
internet dedicato
appunto ai Digimon! NdA)” “Oh,
tu non sei di qui?”, domandò incuriosita Sora. “No”,
scosse il capo Ken. “Devi
sapere”, s’intromise Taichi a quel punto.
“Che la nostra affezionatissima
Miyako e il carissimo Ken sono una coppia ormai!” Il
brunetto ammiccò sornione e subito sia Ken che Miyako si
accesero per
l’imbarazzo. Ma quest’ultima non si
lasciò avvincere dalla timidezza. “Taichi
ha ragione!”, disse allacciandosi al braccio del giovane
Ichijouji. “Io e Ken
stiamo insieme da ben un mese e mezzo!!” La
ragazza sorrise raggiante, mostrando il pollice alla giovane davanti a
lei. Dal
canto suo Sora rimase piacevolmente stupita della notizia. Era bello
vedere due
ragazzi tanto palesemente diversi, stare insieme. “Adesso
ricordo dove ti ho già visto!”, esclamò
all’improvviso proprio la giovane
Takenouchi, rivolgendosi a Ken. Ichijouji
la guardò interrogativamente. “Sul
giornale! Se non sbaglio, un po’ di tempo fa lessi un
articolo che ti
riguardava”, ci pensò su Sora. “In
particolare parlava di calcio…sì, di come
avevi portato la squadra alla vittoria!” “Ricordo
quell’articolo”, s’intromise Jyou.
“È stato scritto alla fine del campionato
studentesco dell’anno scorso, aggiudicatosi dalla tua squadra
Ken” “Ho
conservato anch’io quell’articolo!”,
proruppe una raggiante Miyako. Nel
frattempo il canto di un uccellino, in ritardo per la migrazione
invernale,
riempiva l’aria d’attesa che si respirava, prima di
essere sostituito dallo
strepitio provocato dal fischio dell’arbitro. Tutti si
voltarono verso la
pista. La gara di corsa dell’annuale festival sportivo era
finalmente iniziata. “Forza Takeru!!”,
urlò dalla tribuna
Taichi, senza mai scostare lo sguardo dal biondino in pista. “È
partito piuttosto bene”, osservò invece Sora,
felicissima. “Credo
abbia ottime possibilità di vincere”,
annuì affianco a lei Koushiro. Di
fatti proprio in quel momento Takeru si contendeva il primato con un
unico
ragazzo. Il ritmo incalzante prevedeva ora il sorpasso di uno, ora
dell’altro,
in un gioco che sarebbe potuto essere infinito se non fosse stato per
il limite
decretato dalla linea d’arrivo. ‘Devo
farcela…’, si ripeté tra sé
e sé per l’ennesima volta il giovane Takaishi,
mentre con sguardo furtivo gettava occhiate fugaci al suo avversario,
‘posso
vincere…!’. Il
tracciato bianco che segnalava la fine della corsa si faceva sempre
più
vicino…tre metri…due metri…un
metro… “Takeruuu!!!” Un
urlo e la striscia del traguardo che veniva spezzata
dall’arrivo del vincitore. Il
vociare si azzittì, gli uccelli smisero di cantare, il tempo
per un istante si
fermò. Poi…il delirio. L’innaturale
silenzio della folla si era tramutato in un
boato di gioia, mentre a gran voce s’inneggiava il fortunato
giunto per primo
al traguardo. Un entusiasmo acceso, che invase gli animi degli
spettatori e
degli stessi concorrenti che, nonostante la disfatta, si erano
volentieri uniti
ai cori d’esultanza. “Takeru,
sei stato fantastico!!”, Taichi si fece largo a gomitate tra
la folla e, giunto
al cospetto del bel biondino, se lo caricò vittoriosamente
sulle spalle. “Sei
forte, Takeru!”, esultò accanto a loro Daisuke,
con occhi che mandavano
scintille. “Sei
stato bravissimo”, si congratulò anche Hikari,
raggiante, sovrastando i
complimenti dei presenti. Il
giovane Takaishi sorrise, rincuorato e riscaldato da quei complimenti.
Era
bello quando Hikari gli diceva quelle cose…era piacevole
sentirla mentre gli
faceva i complimenti. Lo faceva sentire…completo. E quando
poi incrociava
quegli affettuosi occhi scuri…era come se ogni cosa si
colorasse di tinte più
dolci, più belle, più luminose. Ecco, lei era la
sua luce. Quando si sentiva
triste, o solo…quando gli mancava il
fratello…beh, era Hikari la sua ancora di
salvezza. Lei la sua valvola di sfogo…la sua fidata
amica…la sua dolce ragazza… Takeru
le sorrise e, alzando il pollice, le fece il gesto dell’okay
con le dita. Un
gesto che Hikari apprezzò più di mille parole
perché aveva capito quanto
significasse per lui. Quanto lei
significasse per lui. “Takeru” Il
biondo si voltò e il suo cuore ebbe un tuffo. In
contemporanea Taichi, che
aveva intuito tutto, lo lasciò andare con i piedi nuovamente
a terra. “Ya…Yamato!”,
farfugliò in un misto di sensazioni contrastanti Takeru. “Sei
stato bravissimo”, disse con voce velata di dolcezza il
giovane Ishida, mentre
sul suo volto si formava un sorriso dai tratti indistinti. Sora,
che aveva assistito alla scena in silenzio per tutto il tempo,
sentì un’ondata
di tenerezza attraversarle il cuore nel vedere gli occhi azzurro cielo
di
Takeru farsi ancora più chiari per via delle lacrime, per
poi venire scacciate
dalla lieve ma indubbia carezza sul capo che gli rivolse Yamato.
Il
piccolo localino concesso alla classe di Hikari era stato sapientemente
allestito per l’occasione. Un grosso bancone posto accanto ad
una delle pareti
faceva bella mostra dei più svariati tipi di dolci,
gentilmente serviti dai
membri della classe. “Hikari
ha avuto proprio una bell’idea a realizzare questa piccola
pasticceria!”,
sorrise compiaciuta Miyako, osservandosi con occhi accondiscesi
attorno. “Senza
contare che vedere Daisuke mettersi così spavaldamente in
mostra è un vero e
proprio spasso!!” “Miyako,
non maltrattarlo così”, scese in sua difesa Ken,
l’amico di sempre. Sora,
intanto, gettò un’occhiata incuriosita al giovane
Motomiya e non poté fare a
meno di sorridere quando lo vide tentare di convincere più
persone possibili a
mangiare le loro squisitissime torte! “Poverino,
sono secoli che è innamorato di Hikari”, disse
Jyou. “Adesso
capisco perché prima l’ha chiamata
tesoro”, mormorò pensosa la giovane
Takenouchi. “Già”,
annuì Koushiro. “Daisuke ha accettato da tempo il
fatto che Hikari non
ricambiasse i suoi sentimenti, ma non smette mai di provarci!” “Quel
farfallone…!”, scosse il capo una sconsolata
Miyako. “Non
essere così severa con lui”, la
rimproverò affettuosamente il piccolo Iori. Per
tutta risposta Miyako gli fece la linguaccia, smorzata
dall’allegro sorriso
apparso sul suo volto. Sora non lo poteva sapere, ma ben presto anche
lei
avrebbe imparato che quel modo tutto particolare della giovane Inoue
stava a
dimostrare tutto l’affetto che la legava agli amici. Anche
perché era lo
stesso, identico atteggiamento che assumeva Mimi nei confronti di chi
voleva
bene. “Ma
purtroppo per lui mia sorella è già impegnata,
non è vero Takeru?”, Taichi si
rivolse al giovane Takaishi che alla domanda era virato in tutte le
possibili
varianti di rosso. “E dubito che Hikari abbia intenzione di
lasciare questo bel
biondo, adesso anche vincitore della gara di corsa libera!” “Smettila”,
lo rimproverò con voce atona Yamato. “Ragazzi,
vi ho portato un po’ di torte!”, ad irrompere sulla
scena ci pensò una
sorridente Hikari con in mano alcuni vassoi ricolmi di dolci. “Grandiosa
sorellina!!”, s’illuminò
all’istante Taichi, dimenticando completamente ogni
precedente allusione per concentrarsi sulle prelibatezze che la ragazza
gli
metteva dinanzi. “Spero
siano di vostro gradimento!” “Sembrano
squisite!”, commentò Koushiro. “Lo
sono!!”, disse Miyako addentando un pezzo di una delle torte. Hikari
sorrise, gratificata da tutti quei complimenti. Poi, istintivamente, si
voltò
verso Sora curiosa di sapere cosa ne pensasse la ragazza. “Sono
davvero ottime Hikari”, le disse subito Takenouchi.
“Devi assolutamente darmi
la ricetta!” “Sì!”,
annuì felice la giovane Yagami. Contenta,
stava per tornare al proprio lavoro ma fu bloccata da una lieve stretta
attorno
al proprio braccio. Alzò lo sguardo e sorrise quando
incrociò gli occhi azzurri
di Takeru. “Vuoi
che ti dia una mano? Sembri…sembrate molto
impegnati”, farfugliò il giovane,
arrossendo immediatamente all’occhiata sibillina che gli
rivolse Taichi. “Io…
No, no, non ce n’è bisogno”, scosse
gentilmente il capo Hikari, mentre nel
contempo Sora sgridava al fratello di essere un impiccione.
“Tu riposati.
Sarai…sarai stanco dopo la corsa” In
realtà c’era molto da fare, ma Takeru aveva appena
affrontato un’estenuante
corsa ed era giusto che adesso si godesse un attimo di riposo. Avrebbe
pensato
lei al resto. “E
poi c’è Daisuke a darmi una mano!”,
insistette Hikari nel notare lo sguardo
ancora esitante di Takeru. Finalmente,
a quelle parole, il biondino si convinse. “Okay!” La
vide allontanarsi per raggiungere il bancone e per l’ennesima
volta si ritrovò
a pensare che era davvero molto fortunato.
“Beh,
ragazzi, adesso noi dobbiamo proprio andare”, Taichi si
rivolse agli amici che,
seppure con una certa delusione, annuirono. Il
disco solare era ormai quasi del tutto scomparso, mentre una luna
luminosa e
piena si apprestava ad occupare il cielo sovrastante. “È
stato bello conoscervi tutti!”, disse Sora con un sorriso. “Non
dirlo nemmeno! Siamo noi ad essere contenti di averti
conosciuta!”, le prese
affettuosamente le mani Miyako. “Abbiamo
sentito tanto parlare di te”, disse il giovane Iori. “Così
tanto che ci sembrava già di conoscerti!”,
aggiunse con una nota di gioia Jyou. “Verrai
a trovarci qualche altra volta?”, le chiese invece una
speranzosa Hikari. Sora
la fissò e per un istante le parve di sentire le parole
della signora Yagami,
quando le aveva detto di aver fatto colpo sulla figlia. “Sì,
sicuramente”, rispose convinta, sentendo il cuore
infinitamente più leggero e
caldo. Salutò
anche il resto della comitiva, soffermandosi a scambiare poche parole
con
ognuno di loro. Poi, finalmente, si voltò verso i suoi due
amici e vide che
erano pronti per andare via a loro volta. “Andiamo?”,
chiese difatti Yamato. Taichi
e Sora annuirono. Quindi tutti e tre stavano per andare via, ma furono
bloccati
da una vocina tremendamente timida. “Ya…Yamato!” Il
biondo si voltò e rimase piacevolmente stupito di trovarsi
di fronte una
graziosa ragazza un tempo sua compagna di classe. “Ti…ti
ricordi di me?”, domandò visibilmente impacciata
la giovane. “Maeko” La
ragazza s’illuminò nel costatare che lui non
l’aveva dimenticata e questo parve
infonderle nuovo coraggio. “Yamato
io…volevo chiederti se qualche volta tu…se ti
andava di…”, deglutì
rumorosamente, prima di parlare tutto di un fiato. “Qualche
volta usciresti con
me?” La
richiesta colpì tutti i presenti e, in particolar modo,
Sora. Uno strano fremito
le correva lungo la schiena, mentre con sguardo avido non scostava per
un solo
istante gli occhi da Yamato. Dal
canto suo, il giovane Ishida sembrò per un istante soppesare
la situazione,
prima che dalle sue labbra uscissero parole dette con una dolce
sicurezza. “Mi
dispiace Maeko, ma mi piace già una ragazza” Il
cuore della giovane Takenouchi ebbe un tuffo. “Lei” Il
braccio di Yamato avvolse la schiena minuta di Sora, provocando in lei
una
miriade d’emozioni tutte molto intense. Le gambe le
tremavano, il cuore batteva
all’impazzata e un acceso rossore le dipingeva le gote,
mentre tentava di
riformulare quanto detto dal ragazzo. “Oh…io…
Scusami allora”, si chinò educatamente Maeko,
evitando così di mostrare la
delusione per il rifiuto. Il
sorriso che Yamato le rivolse, però, bastò a
ripagare ogni sua sofferenza. Non
aveva mai osato sperare che lui accettasse e forse proprio per questo
poteva
dirsi ugualmente soddisfatta. Aveva ricevuto uno dei suoi rarissimi e
preziosi
sorrisi, questo valeva più d’ogni altra cosa. “Ciao!”,
arricciando le labbra all’insù, la fanciulla si
voltò e si allontanò con una
corsetta. Ma
se per lei la cosa si era conclusa lì, altre sette persone
sembravano ancora
attendere spiegazioni. Solo Koushiro, in disparte, sorrideva
compiaciuto. “Che
significa?”, chiese infine Daisuke, il più
sfacciato del gruppo. Yamato
alzò le spalle. “Quello
che ho detto”, rispose con tono neutrale. “Ma…ma
questo vuol dire…significa che…”,
balbettò Miyako mentre spostava lo sguardo
ora su uno ora sull’altra. Notando
il deciso rossore apparso sulle guance di Sora e il lieve, quasi
impercettibile
imbarazzo farsi strada in Yamato, Taichi si decise ad intervenire. “Noi
adesso scappiamo, ma voi fatevi sentire, okay?”,
ammiccò agli amici e afferrò
Yamato e Sora per le braccia, per poi trascinarli letteralmente via di
lì. Koushiro
sorrise. L’aveva capito. Aveva capito tutto quando aveva
visto lo sguardo del
biondo amico posarsi per qualche istante su Sora, prima che la gara
iniziasse. Al
contrario Jyou, Miyako, Daisuke, Takeru, Hikari, Ken e Iori rimasero
fermi e
ammutoliti mentre li osservavano allontanarsi, troppo scioccati dalla
rivelazione per anche solo pensare di fare qualcosa. Yamato…
Il distaccato,
impenetrabile, impertinente Yamato…innamorato?!
“Com’è
romantico…!”, Hitomo si lasciò sfuggire
un sospiro, immaginando la scena che
poteva essere accaduta tra l’amica Sora e Yamato.
“E poi? Non ti ha detto
nulla?” Nonostante
il lieve imbarazzo che provava in quel momento, Sora si
sforzò di raccontare
ogni cosa alle amiche. “No,
non mi ha detto nulla” “Beh,
dopotutto è normale”, ci rifletté su la
biondina. “In fondo se ci pensi bene,
lui non sa ancora cosa tu provi nei suoi confronti” “E
questo, in effetti, vorrei tanto saperlo anch’io”,
aggiunse con espressione
terribilmente seria Reika. Sora,
invece, arrossì vistosamente. Era la pausa pranzo e lei,
Reika e Hitomo erano
rimaste in aula per consumare, tra le varie confidenze, il loro pasto. “Beh
io… Non so cosa…”, biascicò,
impacciata. “Non
posso crederci!”, la voce divenuta all’improvviso
squillante di Reika, fece
sobbalzare le altre due. Sora
e Hitomo si voltarono incuriosite verso la moretta e la videro fissare
con
insistenza un punto indefinito aldilà della finestra. “Quella…quella…argh!
Adesso gliela faccio vedere io a quella!!”,
sentenziò decisa, alzandosi di
scatto e uscendo come una furia fuori dell’aula. Rimaste
sole le altre due si gettarono un’occhiata perplessa. Quindi
si voltarono a
vedere il punto che appena poco prima sembrava aver attirato le
attenzioni
dell’amica e sbiancarono notevolmente quando capirono di che
si trattava. “Oh
no!”, dissero in coro, alzandosi a loro volta e caracollando
fino a raggiungere
l’estremità opposta del corridoio, nel punto in
cui si ergeva la 3 – D. “Insomma
vuoi finirla una volta per tutte di importunare Yamato?”, le
urla di Reika
sovrastarono quelle degli altri studenti. Sora
e Hitomo si gettarono un’occhiata terrorizzate, prima di
entrare nell’aula e
appurare che i loro sospetti erano fondati. Reika stava litigando
nuovamente
con Harumi. “Ti
ho già detto che questi non sono affari che ti
riguardano!”, ribatté
prontamente la rossa, accompagnata ancora dalle sue due fedeli amiche. “E
invece sì!” “Non
sei nemmeno in classe con lui!” “Sono
solo dettagli!” “Reika,
Harumi, per favore…”, tentò di sedare
gli animi Sora, arrossendo quando si rese
conto di essere fissata da tutti i presenti. “Si
può sapere che vuoi da me?”, Harumi
però non sembrò nemmeno sentirla presa
com’era dal furioso battibecco con la moretta. “Voglio
che tu lasci perdere Yamato!” “Per
quale cavolo di motivo?”, s’infuriò
ancora di più l’altra. “Ma
come fai a non capire?!”, si chiese spossata Reika. “A
capire cosa?” “Che Yamato è
già occupato, dannazione!”,
sbottò infine la moretta, riuscendo ad ammutolire
l’altra per qualche istante
buono. “Occ…occupato?”,
ripeté infine poco dopo Harumi. Adesso
il tono della sua voce era ritornato basso. “Esatto,
gli piace già qualcun’altra”,
ribadì Reika. Dietro
di lei Sora sembrò a ragione colorarsi di tutte le
tonalità possibili di rosso. “Lei”,
aggiunse infine la moretta additando proprio la giovane Takenouchi, a
cui fece
così involontariamente aumentare il rossore sul volto. Harumi
rimase piuttosto sconvolta dall’affermazione, come quanti
avevano udito la
conversazione. Spostò lo sguardo su Sora, che avrebbe pagato
oro pur di
scomparire in quel momento, e la fissò per un lungo istante.
Poi, finalmente,
sembrò riscuotersi. “Se
è così, allora…”, disse con
voce piatta. “Ma se scopro che hai inventato
tutto…!” Rivolse
un’occhiata minacciosa a Reika, la quale però non
si lasciò spaventare, prima
di andare via con le proprie amiche. Rimaste sole, anche la moretta si
voltò
verso le sue di amiche. “Scusami
tanto Sora”, le disse con una nota di desolazione ben
percepibile nella voce. L’istinto
omicida che per un attimo aveva assalito il cuore della giovane
Takenouchi, si
dissipò quasi per miracolo nell’udire una voce
tanto abbattuta. Sorrise. “Non…non
fa nulla” “Grazie”,
Reika le sorrise e, colta da un’incredibile ondata
d’affetto, la abbracciò
dolcemente, incurante degli sguardi attoniti dei presenti. Da
poco lontano Hitomo, che le stava osservando, scosse il capo sconsolata
ma allo
stesso tempo anche incredibilmente sollevata per l’esito che
avevano avuto le
cose. L’allenamento
quotidiano di tennis sembrava molto più pesante rispetto al
normale. Oltretutto
si era aggiunto anche il repentino cambiamento delle temperature,
divenute
improvvisamente più basse. Stava di fatto che quel
pomeriggio stare al passo con
gli esercizi programmati dall’allenatrice Shizuka richiedeva
uno sforzo fisico
che andava aldilà di quello richiesto normalmente. “Non
ce la faccio più”, Reika si rivolse ad una delle
sue compagne di squadra, che
annuì concorde. “Sora
invece sembra in gran forma oggi”, osservò quella
accennando alla ragazza che
ancora si stava allenando al centro del campo. La
moretta annuì. Nell’osservarla, doveva riconoscere
che Sora era probabilmente
quella più allenata di tutte loro. Aveva un’ottima
resistenza fisica,
rinvigorita forse dagli anni passati nel calcio, una tecnica davvero
niente
male e dei riflessi eccellenti. Senza contare che si allenava
costantemente e
duramente. “Ragazze,
per favore, potete venire un attimo qua?”, il fluire dei suoi
pensieri fu interrotto
dal richiamo di Shizuka che le voleva tutte attorno a sé. Le
ragazze obbedirono. “Sì,
mister?”, chiese incuriosita qualcuna. “Come
avrete notato, oggi gli allenamenti sono stati molto più
pesanti del solito”,
iniziò la donna, ricevendo subito gli assensi di buona parte
delle iscritte.
“Ma c’è uno scopo preciso dietro a
ciò e si tratta dell’annuale campionato
studentesco” Si
udì qualche sospiro, ma nessun commento sensato
all’affermazione. “Ieri
ho saputo i termini del campionato, che sono in pratica quelli di
sempre:
squadre da due o da una persona, eliminazione diretta e coppa come
vittoria (inventato, ovviamente!
^^’’ NdA)” “Scusi
mister”, si fece avanti Reika. “Potrei sapere
quando inizia il campionato?” Shizuka
annuì. “Certamente. Inizierà con
esattezza il 10 di dicembre e per allora
vorrei che mi diciate il nome del compagno con cui intendete formare la
squadra
per il doppio o, nel caso, se volete iscrivervi da singoli” Sora
e Reika a quell’affermazione si gettarono
un’occhiata istintiva, per poi sorridere
quando lessero negli occhi dell’altra la stessa identica idea. “Professoressa
Shizuka, può già inserire il nome mio e quello di
Sora Takenouchi nella lista
dei doppi!”, disse raggiante la moretta, ricevendo un sorriso
compiaciuto
dall’allenatrice. “Va
bene”, annuì. “Quando anche gli altri
avranno deciso, fatemelo sapere e io
provvederò alle iscrizioni. Ma mi raccomando a dirmelo prima
e non oltre l’otto
dicembre, ultimo giorno per chiunque vorrebbe iscriversi” “D’accordo!”,
un coro si levò nell’aria, poi il gruppo si
sciolse per permettere ad ognuno di
loro di godere di quella piccola pausa. “Reika!
Sora!” Le
due ragazze si voltarono incuriosite, per poi sorridere quando
distinsero
chiaramente la figura familiare di Hitomo. Ma non era sola. Accanto a
lei,
infatti, c’era un ragazzo dall’aria bonaria, con
una massa di capelli scuri e
ricciuti, e due bellissimi occhi scuri, con tante preziose striature
del color
dell’ametista. “Ciao
Hitomo!”, le sorrise Sora, incuriosita dal ragazzo affianco
all’amica. “Ichiro!
Anche tu qui?”, Reika si rivolse proprio a quello. Il
moro annuì. “Io e Hitomo eravamo da queste parti e
così abbiamo pensato di fare
un salto per venire a vedervi allenare”, spiegò
sinteticamente. Reika
annuì, mentre Sora sorrideva intenerita. Sapeva che Hitomo
era fidanzata, ma
quella era la prima volta che incontrava Ichiro. Eppure, nonostante
ciò, le
sembrava di conoscerlo da sempre. Forse era per via di Hitomo, che le
parlava
in continuazione del suo dolce ragazzo, o per merito di Reika, che non
si
stancava mai di sottolineare il fatto d’essere la cupida di
quella relazione.
Ed era vero. Reika conosceva Ichiro dalle elementari, ma poi lui si era
dovuto
trasferire nel quartiere vicino e così si era dissipata
anche la loro amicizia.
Salvo poi ritrovarla un’assolata giornata primaverile
d’inizio anno, in un
incontro avvenuto del tutto casualmente. La scuola era appena finita
anche per
quel giorno (vorrei ricordare che in
Giappone la scuola inizia ad aprile e termina a marzo
dell’anno successivo NdA)
e Reika aveva proposto alle sue due nuove amiche (nuove
perché nel Paese del Sol Levante c’è
l’usanza di “rimescolare”
le classi ad ogni inizio anno! NdA), che aveva conosciuto in
quell’inizio
terzo anno, di andare in centro per una passeggiata. Purtroppo,
però, Sora
aveva dovuto gentilmente declinare l’invito perché
la madre le aveva chiesto
una mano in negozio (la madre di Sora
vendeva i fiori nell’anime, giusto? @_@ me
confusa… NdA), ma Hitomo era
stata ben lieta di accettare. Ed era stata proprio in
quell’occasione, mentre
le due ragazze camminavano distrattamente per le vie di Odaiba, che
Reika aveva
rivisto il suo vecchio amico. Una parola, qualche sorriso e la vecchia
complicità era stata ritrovata. Così, in questo
clima festoso, la mora aveva
fatto le presentazioni e da lì era come scoccato il colpo di
fulmine. Hitomo e
Ichiro avevano preso a sentirsi prima saltuariamente, poi sempre
più
regolarmente fino a quando non avevano deciso di mettersi insieme. “Ichiro,
lei è la mia amica Sora Takenouchi”, ad
interrompere il fluire dei suoi
pensieri ci pensò la voce gaia di Hitomo. “Sora,
certo! L’ultimo membro del trio!”, sorrise
raggiante il giovane, oltre la rete
metallica che divideva il campo da tennis dal resto del cortile. “Tu,
invece, sei Ichiro”, ricambiò al sorriso la
giovane Takenouchi. “Hitomo e Reika
mi hanno parlato spesso di te” “Davvero?” Hitomo
arrossì lievemente, ma non rispose limitandosi al contrario
ad abbassare
imbarazzata il capo. Ichiro sorrise. “Ne
sono molto felice” La
bionda alzò lo sguardo e il suo cuore si sciolse come neve
al sole quando
incrociò quei meravigliosi occhi ametista. Oltre la rete,
Reika stava per
rispondere con una delle sue solite battutine, ma fu bruscamente
interrotta dal
suono del fischietto della professoressa Shizuka. Sospirò. “Accidenti,
è già ora di ritornare in
campo…”, si lamentò teatralmente. “Coraggio,
Reika! Alle elementari eri molto più attiva!”, la
rimproverò scherzosamente
Ichiro. Per
tutta risposta la moretta gli mostrò la lingua, salvo poi
sorridere nel
prendere Sora per un braccio – che non aveva smesso per un
solo istante di
fissare Hitomo e Ichiro con espressione assorta – e correre
allegra verso il
campo da tennis. Nella
familiarità della sua stanza, Sora tentennò
ancora qualche minuto prima di avventarsi,
in uno slancio di coraggio, sul pacco azzurro e correre come una
forsennata
fuori della camera. “Mamma,
salgo un attimo da Taichi e Yamato!”, urlò mentre
sfrecciava per il corridoio. Indossò
le scarpe con incredibile velocità e in men che non si dica
si ritrovò a
lottare contro il campanello dell’appartamento B. Il suo dito
indice era ben
premuto sul tasto bianco alla destra della porta d’ingresso,
ma dentro di sé si
ritrovò a vacillare ancora una volta. Stava davvero facendo
la cosa giusta? Con
che coraggio poteva dargli quel pacco, quel…quel regalo?
Deglutì, e fissò il
dito che non si decideva a staccarsi dal campanello. I suoi pensieri
correvano
ancora febbrili nella sua mente, trascinandola vorticosamente
nell’angoscioso
oblio dell’incertezza, quando la porta si aprì e
ne fece capolino un lievemente
irritato Taichi. “Chi
diav… Sora?!”, non si curò di
nascondere la propria sorpresa nel riconoscere la
fanciulla. Il
leggero fastidio per l’insistenza con cui avevano suonato
alla porta era
scemata completamente, trasportata dalla lieve brezza che tirava quel
giorno.
Al suo posto, due occhi sgranati e un’espressione come
inebetita. Era la prima
volta che la ragazza citofonava così petulantemente. Avrebbe
voluto chiederle che ci facesse lì, perché aveva
suonato insistentemente senza
attendere nemmeno per un istante che lui giungesse alla porta. Ma alla
fine
tutte le sue domande morirono con la nascita di un delizioso rossore
sulle gote
di lei. “Non
ti sarà venuta la febbre, vero?”, la
guardò pensieroso. Sora
arrossì ancora di più, scuotendo il capo. Yagami
allora ci pensò ancora per qualche istante, prima di
scrollare le spalle. “Va
beh! Tanto ho una cosa da mostrarti!”, e senza chiedere
nulla, senza aspettare
che lei dicesse qualcosa, la afferrò per un braccio e la
costrinse a seguirlo
in casa. Mentre
passavano per il soggiorno, Sora si ritrovò a notare come il
tavolino fosse
cosparso di riviste sportive, indubbiamente di Taichi. Ma questi futili
pensieri furono sostituiti da una strana emozione quando si rese conto
di
trovarsi nella camera di Yamato. Era la prima volta che vi metteva
piede da
quando gli aveva rotto il prezioso razzo che custodiva gelosamente sul
comodino. “Tai…Taichi,
Yamato non si arrabbierà se ci vede in camera
sua?”, domandò timorosa la
giovane, memore dell’ultima volta. “Tsk!
E comunque Yamatuccio caro non c’è, è
uscito per fare la spesa, quindi anche
volendo…!” “Sì,
però…”, tentennò ancora Sora. “Dai,
devo solo mostrarti una cosa!”, la rassicurò con
un sorriso Taichi, prima di
accennare a qualcosa d’indefinito davanti a sé. La
giovane Takenouchi seguì il punto indicato dal dito
dell’amico e il suo cuore
mancò un battito quando adocchiò
l’oggetto accuratamente custodito proprio sul
comodino di fianco al letto di Yamato. “Ma
è…è… Ma è il
razzo!”, disse senza riuscire a celare una nota di stupore. Taichi
sorrise. “Esatto!”,
confermò. “Yamato l’ha
aggiustato” Sora
osservò minuziosamente il piccolo oggetto e notò
tante piccole fenditure, il
segno visibile dell’incidente che aveva coinvolto il razzo
miniaturizzato. “Yamato
deve tenere molto a questo razzo…”, disse pensosa,
senza quasi accorgersene, la
ragazza. L’altro
annuì. “È stata la madre a
regalarglielo (okay,
anche in un’altra delle mie fanfic la madre di Yamato gli fa
questo regalo, e
difatti non volevo inserirlo. Ma poi si è rivelato un punto
cruciale per la
storia e così alla fine ho deciso di introdurlo lo stesso!
Scusatemi per la
ripresa! ^^’’ NdA) prima della
separazione” Sora
lo ascoltò rapita, senza mai distogliere lo sguardo dal
modellino. Adesso
riusciva a capire il motivo per cui aveva letto tanta
glacialità negli occhi di
Yamato quando le era caduto di mano. O la stessa sua reazione ancora
prima,
quando l’aveva pizzicata con in mano l’oggetto. Istintivamente
si ritrovò a nascondere il pacchetto azzurro dietro la
schiena, decidendo che
non poteva consegnarlo al suo legittimo destinatario. “A
proposito: come mai sei qui?” La
domanda di Taichi la fece trasalire. Nascose ancora di più
il pacco che il
brunetto ancora non aveva notato. “Io…
Non ha importanza”, si sforzò di sorridere, mentre
usciva rapidamente dalla
stanza del biondo per percorrere il breve corridoio. “Sora,
ma…”, la richiamò il giovane Yagami, ma
le sue parole scivolarono sulla porta
di legno che veniva richiusa. Fuori,
la ragazza stringeva gli occhi per tentare di scacciare quella pesante
sensazione che le gravava rovinosamente sul cuore.
‘Perché?’, si chiese mentre
scendeva i gradini che la separavano dal suo di appartamento,
‘perché con Yamato deve essere tutto
così difficile?’.
Reika: Non posso
crederci: il 10 inizierà il campionato di tennis!! Ma ci pensi Hitomo?
Hitomo: Ah… *.*
Reika:
Ehm…Hitomo?!
Hitomo: Ah…che
tesoro il mio tesoro…
Reika: Eh? Si
può sapere che stai confabulando?? ?.?
Hitomo: Oh,
Reika! Hai visto com’è dolce il mio Ichiro? E poi è così carino!! ^//^
Reika: Uhm… Sei
sicura di stare bene?
Hitomo:
Ichiro…sei così bello! E dolce! E sensibile! E…
Reika: Lasciamo
perdere che è meglio, va! -_-’’
L’annuale
campionato di tennis è ormai alle porte e Sora e Reika si allenano
duramente in vista del gran giorno. Ma, intanto, nuovi sconvolgimenti inquietano
gli animi delle due, soprattutto della giovane Takenouchi che, in preda a
contrastanti sentimenti, scappa improvvisamente via dopo che Taichi le
mostra il modellino di razzo, da lei distrutto, riaggiustato da Yamato.
Che succederà adesso? Sora riuscirà a consegnare il piccolo pacco blu al suo
legittimo destinatario? Per scoprirlo, non vi resta che continuare a seguire le
altalenanti avventure di “Good Boys”!
***
Una coltre
argentea si stagliava eterea nell’azzurro del cielo, frapponendosi ai caldi
raggi di sole che tentavano disperatamente di raggiungere il suolo. Gli alberi,
sempre più spogli, brandivano le loro esili braccia verso l’alto, nella
speranzosa ricerca di un po’ di calore. Ma dicembre era alle porte, le
temperature si ritrovavano ad essere sempre più basse e un’aria fresca riempiva
le strade della città.
‘Ecco Yamato!’,
Sora si mise ritta rispetto alla posizione svogliatamente appoggiata al muro di
poco prima e fissò il suo sguardo verso il biondino che le si faceva, con passo
lento ma deciso, incontro. I capelli dorati sembravano tante spighe di grano
irradiati dai preziosi raggi del sole e quel suo portamento così spiccatamente
elegante gli donava un’aria terribilmente attraente. Yamato Ishida era come una
calamita. Con quell’innata aura di mistero che gli aleggiava perennemente
attorno, attirava ad ogni suo passo le attenzioni dei presenti.
Così come il
resto degli studenti che ancora si attardavano in cortile, anche Sora non poteva
fare a meno di scrutare quella posata figura. Era strano come il battito del suo
cuore coincidesse con il rumore attutito dei passi di Yamato. Anomalo il tremore
che le indeboliva le gambe man mano che lui si avvicinava. Si sentiva una
stupida, ma non riusciva proprio a distogliere lo sguardo da lui, dalla sua
figura magnetica.
“È da tanto che
aspetti?”
La voce di
Yamato era bassa e profonda, come i suoi intensi occhi blu.
Sora arrossì.
“N…no”
“Allora
andiamo?”, le chiese ancora lui, senza distogliere lo sguardo dal suo viso.
Non dovevano
aspettare Taichi, perché quel giorno era impegnato con gli allenamenti di
calcio.
Mentre
camminavano silenziosamente l’uno accanto all’altra, i sentimenti nel cuore di
Sora si fecero sempre più confusi e quella strana sensazione che l’aveva colta
non solo la sera prima, ma già da svariato tempo, si rifece sentire implacabile
in lei.
“Yamato?”, lo
chiamò allora, non senza arrossire lievemente.
“Uhm?”
“Qual è il
giorno del tuo compleanno?”
La domanda lo
lasciò di stucco, ma ugualmente, cercando di non darlo a vedere, le rispose.
“Il 7 luglio
(la data dovrebbe essere quella reale e ringrazio a tal proposito la mia
carissima Yuki per avermela fornita! Thanks! ^^ NdA)”
“Quindi sei
del… Uhm, 7 luglio… Sì, sei del cancro (scusate se v’interrompo nuovamente,
volevo solo fare una precisazione. In Giappone si utilizza normalmente
l’oroscopo cinese, ma considerando il fatto che io non sapevo quale fosse il
segno corrispettivo alla data di nascita di Yamato, ho deciso di utilizzare
quello occidentale che comunque non disdegnano! Scusate! NdA)!”
“Esatto”, disse
solo il biondo, senza alcun entusiasmo.
“E qual è la
tua stagione preferita?”, insistette Sora, presa dall’estro.
“Inverno”,
rispose distrattamente il ragazzo.
Adesso si stava
iniziando a stancare.
“Inverno…”,
ripeté con un sorriso sibillino lei. “E il tuo colore preferito?”
“Si può sapere
perché mi stai facendo tutte queste domande?”, sbottò infine, leggermente
seccato, Yamato.
Sora sussultò,
fermandosi, colta alla sprovvista da quel repentino scatto.
“Ma… Io volevo
solo…”, farfugliò prima che una marea d’emozioni differenti le attanagliasse il
cuore.
Poi,
d’improvviso, calde lacrime iniziarono a scender giù dal suo viso. Non voleva,
non voleva piangere, ma si sentiva una stupida e non poteva fare altro. Ormai
erano mesi che conosceva Taichi e Yamato, ma se del primo aveva imparato ogni
cosa, del secondo…beh, fino a poco tempo prima non sapeva nemmeno che i suoi
genitori fossero separati. Il pensiero si riversò su di lei con un ardore
devastante.
“Perché io…”
Yamato, notando
che si era fermata, si voltò verso di lei e rimase visibilmente attonito quando
la vide piangere.
“Io…non so
niente di te… Sono un’idiota…
Scusami!”
Sora lo urlò
quasi, come se fosse stato uno sfogo tenuto dentro per troppo tempo. Ecco, ecco
finalmente cos’era la sensazione che l’aveva colpita la sera prima, e ancora
prima… Un desiderio. Un’insaziabile brama di sapere, di conoscere qualcosa in
più del suo silenzioso amico.
Ma averlo detto
così, davanti a lui… Si portò le mani alla bocca e sgranò gli occhi. Si sentiva
una stupida e quegli occhi oltremare che la fissavano allibiti…no, non poteva
reggere oltre quella situazione.
Senza
aggiungere nulla e senza riuscire a frenare quel fiume che le riempiva le gote,
Sora iniziò a correre come una forsennata nel desiderio più feroce di
scomparire. Ma non le fu possibile perché dopo pochi metri percorsi, una mano
che le si poggiava sul polso la bloccò. La ragazza non si voltò. Sapeva già chi
era.
“Sora…”
Quella voce
così intensa le fece salire dei fremiti lungo tutta la schiena. Strinse
meccanicamente gli occhi.
“Che
significa?”
Una semplice
domanda, ma devastante quanto un uragano.
Sora riaprì gli
occhi, mentre per la prima volta si faceva chiara una consapevolezza che per
troppo tempo si era celata dietro al tumulto del suo cuore. Un istante e le
sembrò che ogni tassello ritrovasse il proprio posto, in un’ultima e finalmente
limpida visione del puzzle.
Si voltò,
sentendo più che mai la stretta del giovane ancora attorno al suo polso.
“Significa che…
Il fatto è…”, trasse un ampio respiro e fissò i propri occhi in quelli suoi. “Mi
piaci”
Lo disse con
semplicità, sebbene quelle due poche parole portassero con sé un significato
profondo per entrambe.
Yamato la
fissò. Adesso più che mai nei suoi occhi cerulei era ben visibile una nota di
stupore, segno indelebile che quella confessione l’aveva sconvolto.
“Io… Mi
dispiace”, accennò ad un sorriso lei, che però morì tra le lacrime.
Non voleva
farsi vedere così da lui, si sentiva già una stupida. Una sciocca per quelle
lacrime, sì, ma soprattutto per non averlo saputo capire prima. Eppure era
semplice, adesso che ci rifletteva le sembrava di saperlo da sempre. Yamato le
piaceva. Forse sin dalla prima volta che l’aveva visto, quando era sceso da quel
camion dei trasporti e le aveva rivolto parole non proprio gentili. E forse lo
sapeva da quando la sera dopo si erano trovati soli, e aveva creduto che lui
volesse baciarla. E forse lo aveva capito quel giorno, al luna park, o
nell’ansia di una sua reazione quel giorno, al picnic con Takero e Hikari,
quando aveva assaggiato il sushi preparato da lei e dalla giovane Yagami.
‘Lui…mi
piace…’, si ripeté tra sé e sé, nascondendo quelle sue lacrime tra le mani e
interrompendo così anche il lieve contatto fisico instaurato con lui. Tuttavia
l’imbarazzo, che ora le sembrava di poter provare per sempre, non riuscì a
sopravvivere all’abbraccio di lui. Le braccia sicure di Yamato si erano
allungate verso di lei, fino a richiuderla dolcemente tra sé quasi fosse stata
un delicato cristallo da proteggere.
“Non piangere,
Sora”
Il suo fu poco
più di un sussurro, ma tremendamente sicuro. ‘Yamato…’, Sora poteva sentire la
dolce stretta delle sue braccia sulle proprie spalle, il suo capo poggiato sulla
propria testa ramata, il petto scolpito sotto le mani oltre la divisa
scolastica. E il proprio cuore, prima stretto dalla lucida scoperta della
verità, liberarsi e sciogliersi completamente sotto quel calore…il calore di
Yamato.
“Umpf…che
palle!”, sboccò al termine di un duro allenamento Taichi, stiracchiandosi gli
arti per poi gettarsi distrattamente il borsone da calcio dietro le spalle.
“Oggi il mister
ci ha massacrati”, sbadigliò, accanto a lui, Aki.
Stavano
passando davanti al campo da tennis per tirare dritto fino all’uscita del
cortile, quando vennero attirati da un leggero tonfo. Si voltarono e rimasero
piuttosto stupiti di notare che al campo da tennis c’era qualcuno che si
allenava.
“Ehi, ma quella
è Reika!”, esclamò leggermente stupito Taichi, senza distogliere lo sguardo
dalla figura della ragazza illuminata dall’arancia luce solare.
Accanto a lui
anche Aki non aveva occhi che per la compagna di classe. Si era come imbambolato
e per questo il brunetto dovette chiamarlo un paio di volte prima che gli
rispondesse.
“Eh?”
Taichi sbuffò.
“Ma dove hai la testa?! Ad ogni modo ti ho chiesto se ti andava di aspettare
Reika. Il sole sta tramontando e non mi sembra il caso che vada in giro da sola”
“S…sì”, annuì
Aki, arrossendo in apparenza senza alcun motivo.
“Okay!”, disse
il brunetto prima di voltarsi verso il campetto. “Ehi
Reika!”
Aveva messo le
mani davanti alla bocca a modo di megafono e il suo piano parve funzionare. La
giovane interpellata, infatti, si voltò incuriosita verso di loro per poi
sorridere quando li riconobbe.
“Taichi! Aki!”
Qualche minuto
dopo, la moretta era affianco a loro, cambiata e con il borsone tra le mani.
“Non sapevo
aveste gli allenamenti oggi”, attaccò bottone Taichi.
“Infatti non ne
avevamo”, gli rispose con un sorriso Reika. “Sono io ad essere venuta. Volevo
esercitarmi nella battuta e così mi sono fermata per il pomeriggio”
“Beh, non
dovresti stare fuori da sola fino a così tardi”, la rimproverò Yagami.
Le guance della
moretta si colorarono appena di un delizioso rossore.
“Hai ragione,
ma mi stavo allenando e così non mi sono accorta del tempo che passava”
“Va beh, per
stavolta passi!”, le ammiccò scherzosamente lui, ricevendo per questo un
meraviglioso sorriso da parte di Reika.
Alla destra di
Taichi, intanto, Aki fissava un punto imprecisato sulle sue scarpe. Era
strano…si sentiva strano. L’immagine della compagna di classe appena poco prima,
accarezzata dai miti raggi del sole, continuava a tornargli alla mente. Eppure
prima non aveva mai pensato a Reika così…
“Ehi, Aki, ci
sei?”, fu la voce dell’amico a riportarlo alla realtà.
“Eh?! Come?”
“Si può sapere
a che accidenti stai pensando?!”, borbottò Taichi.
Affianco a lui
Reika si lasciò sfuggire una risata divertita, che andò involontariamente ad
incidere sul rossore che adesso accendeva le guance di Aki.
“Niente, io… Ho
saputo che presto inizierà il campionato di tennis”, cambiò prontamente discorso
il giovane dai capelli nocciola.
Aki la fissò e
subito si sentì arrossire. “Ah… E…e sei preoccupata?”
“Un poco”,
ammise sospirando lei. “Sono in coppia con Sora, ma lei è atleticamente più
preparata di me”
“Per questo ti
allenavi?”, chiese ancora lui.
“Sì”, rispose
Reika, crucciata.
A quella
visione, qualcosa in Aki scattò.
“Vedrai che
sarai fantastica come sempre!”, disse prima ancora di rendersene conto.
Ma allo sguardo
interrogativo di Reika e sotto gli occhi allibiti di Taichi, non poté fare a
meno di arrossire come un pomodoro maturo e desiderare di poter sprofondare
diecimila metri sotto terra!
“Vo…voglio dire
che…tu… Insomma, tu sei bra…brava, ecco, e…”, iniziò a farfugliare
imbarazzatissimo.
La risata
cristallina di lei, però, mise fine al suo sproloquio. Aki alzò nuovamente lo
sguardo verso di lei e subito, a dar compagnia all’acceso rossore sul suo volto,
accorse un sorriso spontaneo. Ma se Reika, piegata dalle sue risa, non se ne
accorse, non fu altrettanto fortunato con Taichi. Il brunetto, infatti, stava
fissando l’amico già da un po’ di tempo con un certo presentimento e adesso
quelle sue parole, unite al sorriso trasognato che gli arricciava le labbra, gli
avevano confermato quasi del tutto quel suo sospetto.
Taichi sorrise
sibillino, portandosi anche l’altra mano dietro la schiena a dar compagnia a
quella che già reggeva il borsone. Non c’erano dubbi: si sarebbe proprio
divertito…
La miriade di
luci si susseguivano insidiose per le strade di Tokyo, mitigando la dolce
oscurità della sera. La luna era visibile solo per uno spicchio, mentre
nascondeva l’altra parte dietro il manto delle tenebre.
“Mamma, esco un
attimo a prendere una boccata d’aria”
La proposta
poteva risultare un po’ bizzarra visto l’aria fresca che aveva preso a tirare in
quel giorno di venticinque novembre, ma Sora non se ne curò. In fondo era
proprio di quella freschezza che aveva bisogno, l’unica in grado di riordinare
il tumulto sentimentale del suo cuore.
Aveva appena
chiamato il padre, il signor Takenouchi, informandola di arrivare a Tokyo appena
qualche giorno prima di Natale. Sora ne era felicissima, ma in quel momento i
suoi pensieri erano rivolti a tutt’altra cosa. Ripensava, come inevitabile che
fosse, a quello che era accaduto quel pomeriggio. Aveva scoperto e detto a
Yamato di piacerle nel giro di pochi istanti…aveva sentito la dolcezza del suo
abbraccio…aveva avvertito il proprio cuore crogiolare sotto quel calore…
Nel pensare
nuovamente a ciò, alle parole che il biondino le aveva rivolto e alla supplica
di non piangere, si sentiva terribilmente bene. In pace, ecco. E forse proprio
per questo non notò minimamente la figura appollaiata già da diverso tempo sui
gradini della rampa di scale che conduceva al piano superiore.
“Sora”
La ragazza
sobbalzò spaventata, per poi arrossire e palpitare quando, voltandosi, vide
Yamato seduto sulle scale intento a fissarla.
“Ya…Yamato! Che
ci fai qui fuori con questo freddo?”, fu la prima cosa che le venne in mente di
chiedergli.
“Potrei farti
la stessa domanda”, disse vago il giovane Ishida, alzandosi e muovendo qualche
passo verso di lei.
Sora sentì il
proprio petto sussultare a quella vicinanza e il battito cardiaco farsi sempre
più veloce. Non riusciva a smettere di ripensare al suo abbraccio, a quello che
si erano detti e ciò non faceva che procurarle uno smisurato imbarazzo. Come
doveva comportarsi?
“Stavo per
lasciar perdere e ritornarmene a casa”, disse ad un tratto Yamato, riportandola
bruscamente alla realtà. “Ma poi ho visto la porta del tuo appartamento aprirsi
e alla fine ne sei uscita finalmente tu”
La giovane
Takenouchi strabuzzò gli occhi. La…la stava aspettando?!
“Tieni, volevo
darti questo”
Il biondino le
lanciò qualcosa, che Sora prese goffamente tra le mani. Aprì l’intreccio di dita
che lei stessa aveva creato e rimase piuttosto sorpresa di notare una piccola
agenda nera.
“È stata una
ragazza che lavorava al giornalino della scuola a scriverla per un articolo. Io
ho solo risposto alle domande e alla fine lei me l’ha regalata. Sai per… Nel
caso qualcun altro avesse voluto fare un articolo come il suo”, spiegò Yamato,
distogliendo lo sguardo per nascondere il leggero imbarazzo che gli impreziosiva
il volto.
Sora lo fissò
ancora sorpresa per il gesto, ma non per la delucidazione. Non la stupiva il
fatto che il giornale della scuola avesse voluto scrivere un articolo su di lui.
Era normale. Yamato era un ragazzo corteggiato e non solo all’Odaiba High School
chiaramente.
Allo stesso
tempo la ragazza non poteva che sentirsi onorata. Era felice che lui l’avesse
attesa sotto quell’aria fredda solo per darle quell’oggetto, senza che lei
glielo avesse chiesto oltretutto. Il cuore fremette e lei si sentì leggera,
consapevole del fatto che Yamato le piaceva ogni minuto che passava in sua
compagnia sempre di più.
“Gr…grazie”,
mormorò, arrossendo e sorridendo insieme.
Sotto il suo
sguardo di sincera gratitudine, anche l’imperturbabilità del giovane Ishida
sembrò vacillare.
“Beh, ci
vediamo ragazzina!”, la salutò allora, onde evitare di mostrarsi in imbarazzo
con lei.
Sora lo seguì
con lo sguardo mentre saliva le scale, lo udì entrare in casa sua e infine sentì
la porta dell’appartamento B richiudersi definitivamente. Allora si voltò a
fissare la graziosa agendina che aveva tra le mani. Si sentiva felice come non
mai mentre, con un certo ed insolito tremore dettato dall’emozione, sfogliava
quelle pagine macchiate d’inchiostro nero. La scrittura delle domande era
spiccatamente femminile, in contrasto con quella lineare che formava le
risposte.
“Colore
preferito?”, lesse ad alta voce, per poi sorridere nel leggere la risposta.
“Blu”
Il
capitolo che segue è un po’ *particolare* rispetto agli altri. Difatti nel
sedicesimo e – per la lunghezza della parentesi – nel diciassettesimo capitolo,
le avventure dei protagonisti di “Good Boys” si alterneranno ad episodi
estratti dai ricordi di Taichi e Yamato. Si tratta di un excursus sul
loro passato che, in una serie di digressioni fatte di flash-back continui, si
proporrà di chiarire anche il forte sentimento quasi fraterno che li lega, ma
che dapprincipio non aveva mancato di assumere talvolta dei toni quasi rissosi.
Fatta questa piccola ma essenziale premessa, vi lascio finalmente alla storia!
E, intanto, vi mando un bacio a tutti! J
Memi
***
Il
sole spalleggiava un cielo sgombro di nuvole ma non riusciva ad incidere sulle
temperature ancora basse. Taichi si strinse un po’ di più nel giubbotto blu,
chiedendosi come avrebbero potuto giocare con un’aria tanto pungente. Ma poi
l’entrata in campo di Sora e Reika, le prime ad inaugurare l’apertura
stagionale del campionato di tennis, gli fece dimenticare ogni pensiero circa
il tempo. Piuttosto si chiese che fine avesse fatto Yamato, visto che il torneo
stava per iniziare e lui ancora non si era fatto vedere. La sua muta domanda,
però, trovò risposta non appena voltò il capo verso l’entrata del cortile.
Il
biondo stava percorrendo a grandi falcate l’erbetta inumidita dal freddo e gli
si faceva rapidamente incontro.
“La
partita?”, chiese infine quando lo ebbe raggiunto.
Il
giovane Yagami scrollò le spalle. “Sta per iniziare”
Yamato
annuì, dando segno di aver capito, per poi voltarsi a fissare il campo da
tennis.
“Come
mai sei arrivato in ritardo?”, fu Taichi a fugare il silenzio appena qualche
istante dopo.
“Stavo
aspettando Jyou e Koushiro, ma mi hanno appena avvertito che avrebbero tardato”
“Quindi
verranno anche loro?”
“Già”
Scese
il silenzio e Taichi si scoprì a riflettere, forse per l’ennesima volta, che
era diverso da quello di un tempo. E nemmeno la vicinanza con Yamato era più
tanto irritante, al contrario adesso la trovava persino rassicurante. Gli
pareva assurdo che una volta loro due non potevano sopportarsi, eppure era
stato così. Proprio così…
Flash Back
Taichi
imprecò, maledicendosi mentalmente per aver sbagliato a programmare la sveglia.
Non era possibile che il primo giorno di sesta elementare fosse già in ritardo!
Controllò
l’orologio e, con suo enorme sconforto, si rese conto di essere ormai in
ritardo per la cerimonia d’apertura. Così quando imboccò il cancello d’entrata,
decise di dirigersi direttamente in classe. Varcò come una furia l’entrata
dell’edificio scolastico e fece per salire i gradini diretto alla sua vecchia
classe, ma a metà si ricordò che era cambiata e così si precipitò a controllare
la bacheca contenente i cartelloni che riportavano la nuova sistemazione.
“Ahi”
Tanto
per la fretta, Taichi non si era minimamente accorto di trovarsi in rotta di
collisione con un altro ragazzino che, di conseguenza, colpì brutalmente in una
rovinosa caduta.
“Ahia…che
dolore”, mormorò il brunetto massaggiandosi il gomito su cui era a sua volta
caduto.
Quindi,
senza perdere il suo buonumore, si voltò verso il povero malcapitato per
accertarsi che stesse bene.
“Tutto
okay?”, gli sorrise raggiante alzandosi e allungando una mano verso il biondino
steso di fronte a lui.
Taichi
ricordava vagamente di averlo visto qualche volta in giro per la scuola, ma non
poteva dire di conoscerlo. Probabilmente, si disse mentre lo fissava cordiale,
dovevano essere stati quegli spinosi capelli dorati ad aver attirato la sua
attenzione, o quegli impenetrabili occhi blu, o ancora quell’aura impertinente
che si leggeva sul suo volto. Ma non trovò mai una risposta alla sua domanda,
perché le parole del biondino lo distolsero completamente dai suoi pensieri.
“Sta
attento a dove metti i piedi la prossima volta”, disse con voce inflessibile e
velatamente indispettita.
Taichi
spalancò suo malgrado la bocca, sconvolto da quella reazione. Ma poi subito si
riscosse, deciso più che mai a non farsi rivolgere quel tono da nessuno.
“Non
l’ho fatto mica apposta!”, si difese brusco.
“Me
ne sono accorto”, ribatté il biondino alzandosi a sua volta da terra.
Adesso
i due si fronteggiavano. Avevano la stessa altezza e lo stesso fisico asciutto,
ma le somiglianze parevano finire qui. L’uno aveva dei cespugliosi capelli
castani, con dei buffi occhiali da aviatore sul capo, vestito con una
magliettina blu e dei pantaloncini marroni, e con un’aria palesemente
incollerita in volto. L’altro era biondo, portava una magliettina verde su un
paio di semplici jeans, e aveva un’aria totalmente impertinente.
“Ti
ho già chiesto scusa!”, disse con veemenza Taichi.
“No,
non me l’hai chiesto”, negò con voce calmissima l’altro.
A
Taichi quel modo di fare iniziava a dare sui nervi. E, soprattutto, odiava
essere contraddetto.
“Stavo
per farlo se solo tu me lo avessi permesso!”
“Non
mi sembra ti abbia impedito di farlo”
Adesso
il brunetto era notevolmente irritato.
“Insomma,
si può sapere chi diavolo sei tu?!”, scoppiò.
“Potrei
farti la stessa domanda”, replicò prontamente il biondino.
“Te
l’ho chiesto prima io!”, ribadì il brunetto, colorandosi di rosso tanta era la
collera.
Mai
nessuno aveva osato trattarlo così! Ma chi diavolo si credeva di essere
quello?!
“Non
sono affari che ti riguardano”
“Ah
sì? Allora nemmeno a te!”, rispose stupidamente Taichi.
Il
biondo scrollò le spalle, facendo involontariamente infuriare ancora di più
l’altro. Poi, senza dire nulla, lo superò diretto verso le scale.
“Ehi!”,
s’inalberò Taichi, stizzito per essere stato così volutamente ignorato. “Si può
sapere dove diavolo stai andando adesso??”
“In
classe perché, nel caso non te ne fossi accorto, è tardi”, la velata ironia che
utilizzò, suonò alle orecchie del brunetto come una presa in giro.
Taichi
stava per dirgliene quattro, ma l’entrata di alcuni studenti – segno che la
cerimonia d’apertura si era conclusa – lo fece desistere. Anche perché, come
notò voltando il capo, ormai di quel presuntuoso biondino non c’era più nessuna
traccia. Sbuffando poco aggraziatamente, il brunetto si avvicinò finalmente
verso la bacheca per leggere i cartelloni affissi.
Fine Flash Back
Il
fischio dell’arbitro risuonò acuto nell’aria, risvegliando il brunetto dai suoi
vecchi ricordi.
“Che
sta succedendo?”, si voltò verso il biondo al suo fianco.
“La
partita è iniziata”, rispose sbrigativo Yamato, chiedendosi nel contempo se
Taichi un giorno avrebbe poggiato i piedi a terra lasciando anche solo per
qualche istante il mondo dorato dei sogni.
“Ah”,
colto da un’improvvisa folgorazione, il giovane Yagami si avvicinò alla rete
metallica che costeggiava il campo e vi si aggrappò con forza. “Forza ragazze!!!”
Il
grido fece sorridere le due gareggianti che, dopo avergli regalato un sorriso
raggiante, si concentrarono finalmente sul match che si apprestava a
cominciare.
Soddisfatto,
Taichi si portò leggermente più indietro e fece un cenno d’okay al biondino
accanto a lui, prima di concentrarsi in definitiva sulla partita.
Yamato,
invece, rimase ancora per qualche istante intento a fissarlo. E per un istante
gli sembrò di rivedere quel Taichi undicenne che era riuscito a guadagnarsi sin
da subito le sue antipatie, salvo poi abbatterle in una folata di vento…
Flash Back
Yamato
sbuffò. L’incontro appena avvenuto con quell’arrogante ragazzino era riuscito
ad infastidirlo e questo lo seccava forse ancor di più, perché non era da lui
lasciarsi coinvolgere a tal punto dalle proprie emozioni.
“Accidenti
a lui!”, tuonò, tirando un calcio alla porta scorrevole e aprendola così
bruscamente.
Dentro
qualche ragazzino gli lanciò un’occhiata perplessa, ma non se ne curò. Potevano
pensare quello che volevano di lui, non gli toccava.
Si
sedette in un rigoroso silenzio ad uno dei posti collocati verso le prime file.
Odiava stare dietro, troppo chiasso.
“Ehm…ciao”,
una vocina timida attirò la sua attenzione.
Yamato
si voltò, ma non fece una piega quando incontrò lo sguardo impacciato di una
ragazzina poco appariscente ma dall’aria indubbiamente amichevole.
“Io
sono Maeko”, si presentò con un sorrisino. “Non…non ti ho visto alla cerimonia
d’apertura”
“Non
sono venuto”, le rispose con voce atona lui.
Le
sue iridi blu erano ancora fisse sulla figurina di lei, tanto da provocarle un
certo imbarazzo, ma Yamato non se ne curò.
“Ah…”,
soffiò appena percettibilmente lei, arrossendo un po’. “Beh, se hai bi…bisogno,
io…sono…”
“Okay”,
la interruppe il biondino.
Maeko
annuì e, incoraggiata dalle parole di lui pronunciate stavolta con un accenno
di calore, gli sorrise, per poi tornare a parlottare con un gruppo di ragazzine
poco più in là. Yamato sospirò. Aveva un caratteraccio, lo sapeva, ma non gli
importavano tutte quelle formalità. Per questo aveva volutamente evitato la
cerimonia di benvenuto.
“Salve
a tutti!!”, la porta si spalancò di nuovo e l’attenzione del biondino venne
attirata da un’entrata plateale.
Si
voltò e sgranò appena percettibilmente gli occhi quando incontrò due vivaci
occhi marroni.
“Tu…!”,
il brunetto che aveva scontrato qualche minuto primo lo additava senza troppo
ritegno, mentre sul suo volto iniziava man mano a salire un certo rossore
dettato da una foga a stento controllata. “Che diavolo ci fai tu qui?”
Yamato
sbuffò. “È la mia classe”
Lo
vide impallidire repentinamente e, come un fulmine a ciel sereno, tutti i suoi
più atroci dubbi si fecero sempre più reali, quasi palpabili. Non era possibile
che…
“Ma
è anche la mia classe!”
Appunto.
Gettò
un’occhiata al brunetto, convincendosi sempre più che quella fosse una giornata
assolutamente negativa per lui.
“Deve
esserci un errore, non può essere vero…!”, insistette dall’altro lato della
stanza il ragazzino dai capelli cespugliosi, mentre usciva per controllare
ancora una volta la sezione. “Dannazione, è quella giusta!”
Yamato
sospirò. Oltre che arrogante, era anche stupido…
“Coraggio,
entrate in classe ragazzi. Che ci fate ancora qui fuori?”, la voce gioviale del
professore attirò le sue attenzioni.
Il
biondino si voltò verso la porta e vide il brunetto di poco prima rientrare in
classe accompagnato da qualche altro ragazzo più il giovane professore della
prima ora.
“Prendete
posto dove più vi aggrada”, sorrise l’uomo, mentre si accomodava a sua volta
dietro la cattedra.
Il
brunetto sorrise e andò ad occupare uno dei posti dietro a tutto, non senza
aver prima gettato un’occhiataccia a Yamato nel passargli accanto che però
quello ignorò volutamente.
“Bene,
procediamo con l’appello in modo che io possa conoscere anche i vostri nomi”,
continuò il professore una volta che i suoi nuovi studenti avevano trovato
collocazione. “AritsuRyu”
“Presente!”,
si alzò l’interpellato.
Yamato
gli gettò un’occhiata fugace, prima di concentrarsi verso lo spettacolo che gli
offriva la finestra. La voce del professore gli giungeva come da sottofondo, ma
si fece trovare ugualmente pronto quando fu la sua volta.
“Ishida
Yamato”
“Presente”,
si alzò compostamente, per poi riprendere subito posto.
Il
professore continuo l’appello e Yamato si voltò nuovamente verso la finestra,
ma la sua discreta concentrazione venne di nuovo violata da un piccolo tonfo
direttamente sul suo banco. Il biondino abbassò incuriosito lo sguardo e a
stento nascose un moto di stupore quando si vide davanti un pezzo di carta
tutto accartocciato. Lo aprì senza pensarci e rilesse più volte le poche parole
che conteneva.
Ho scoperto il tuo
nome alla fine!,
citava, in una scrittura confusionaria, il biglietto.
Yamato
si voltò quasi per istinto e non nascose un cipiglio quando, suo malgrado,
incrociò lo sguardo vittorioso di un certo brunetto con dei bizzarri occhiali
da aviatore. L’artefice di quel messaggio.
Il
giovane Ishida, allora, aprì nuovamente il biglietto e, dopo avervi scritto
velocemente qualcosa, lo lanciò discretamente verso il proprietario originario.
Anche io, gli aveva scritto
Yamato e il brunetto ne pareva piuttosto perplesso. Com’era possibile?, si
chiese confuso. Ma la risposta gli arrivò appena pochi istanti dopo.
“Yagami
Taichi”, lo appellò il professore.
“Presente!”,
si alzò di scatto quello, colto alla sprovvista.
L’uomo
gli fece un cenno con la mano, al seguito del quale il brunetto riprese
nuovamente posto. Tuttavia l’occhiata spiccatamente compiaciuta che Yamato gli
rivolse non riuscì a passargli inosservata. Taichi si sedette, con il volto in
fiamme, e il biondino seppe all’istante di aver colpito a fondo il suo
orgoglio. E fu quello il momento in cui, senza volerlo, si designarono in
contemporanea come il degno rivale dell’altro.
Fine Flash Back
“Taichi! Yamato!”
I
due giovani interpellati si voltarono per scoprire la fonte di quel richiamo.
Non furono sorpresi di vedere il sedicenne Jyou Kido e il rosso Koushiro Izumi
avanzare verso di loro in una corsa trafelata.
“Ragazzi…a
che punto è la partita?”, ansimò quest’ultimo, gettando fugacemente un’occhiata
al campo da tennis.
“È
iniziata da poco”, lo informò Yamato.
“Come
mai avete fatto tardi?”, domandò invece Taichi, alzando un sopracciglio con
espressione stupita.
Non
era né da un tipo tanto affidabile e coscienzioso come Jyou, né da uno educato
e riflessivo quale Koushiro, portare ritardo ad un incontro. La domanda,
quindi, nasceva spontanea.
“Miyako!”,
sbuffò discretamente il rosso.
Taichi
e Yamato lo fissarono perplessi, ma fu Jyou a fornire loro una spiegazione.
“Avevamo
appuntamento con lei, Ken e Iori, ma dopo mezz’ora che li attendevamo Miyako ci
ha mandato un’email con scritto che avrebbero fatto
un po’ più tardi. A quanto pare deve rimanere al minimarket di famiglia il
tempo che i genitori escano un istante, e Ken e Iori hanno deciso di
aspettarla”
“Così
quando siamo arrivati alla fermata della metropolitana, abbiamo dovuto
aspettare il prossimo convoglio dato che avevamo perso il primo!”, terminò di
dire Koushiro.
“Allora
meno male che non c’era anche Daisuke! Altrimenti vi faceva aspettare minimo
un’altra ora!”, sghignazzò divertito il brunetto, ricevendo un’occhiata
saccente da Yamato.
“Perché,
tu sei tanto più puntuale di lui?”, lo ammonì con tono scherzoso, ma ricevette
ugualmente una linguaccia da parte dell’amico.
“Pensa
a te!”, ribatté prontamente Taichi, mal celando il divertimento che stava
provando in quel momento.
“In
ogni caso”, li interruppe Jyou, puntellando gli occhiali da vista. “È davvero
un peccato che Daisuke e gli altri non siano potuti venire. Hikari mi aveva
confessato di tenerci molto a vedere Sora giocare”
Affianco
a lui Koushiro annuì.
“Anche
Takeru c’è rimasto molto male”, annuì con fare diplomatico. “Ma purtroppo
avevano un compito importante proprio per domani e così né loro né Daisuke sono
potuti venire”
“Mia
sorella me ne aveva parlato”, disse pensieroso Taichi.
La sua assorta contemplazione venne però
distolta dal boato che riempì il cortile. Il brunetto, allora, si voltò
incuriosito verso il campo da tennis.
“Che sta succedendo?”, domandò mentre i
suoi occhi si posavano sul caloroso abbraccio che Reika aveva rivolto alla
compagna di squadra.
“Sora ha appena fatto punto”, gli rispose
con voce apparentemente incolore Yamato, ma Taichi era convinto che quella luce
nei suoi occhi fosse di un sommesso compiacimento.
Per
Beatrice, di cui non conosco il nick, ma che mi ha mandata una splendida mail d’incitamento
per aggiornare questa sezione. In effetti è da un po’ che non lo faccio, devo
ammettere che i motivi principali sono stati due: mancanza d’ispirazione (vedi:
Naruto) e scarso tempo per scrivere. A dire il vero sono ancora sotto esame, ma
di fronte ad una richiesta del genere non potevo rimanermene con le mani in
mano. Perciò la ringrazio, e ringrazio tutti coloro che continuano a seguire
questa storia. A breve, spero, cercherò di aggiornare anche il resto e di
rispondere alle mail. Inoltre colgo la palla al balzo per scusarmi se non mi
sono fatta “viva”, sono tremendamente dispiaciuta, ma come dicevo – e non è una
scusante, non ho scuse davvero – sono stata alquanto impegnata. Stressata,
direi che è il termine esatto, e credo di esserlo ancora. Senza il credo. Ad ogni
modo, adesso vi lascio al capitolo. Baci!
Memi
***
Flash Back
Il
sole brillava alto nel cielo, il parco profumava ancora d’erbetta appena
tagliata e la dolce nenia di qualche uccellino riempiva le orecchie di chiunque
si fosse fermato anche se per un solo istante ad ascoltare.
“Dai
Hikari! Andiamo!!”, Taichi si voltò con un meraviglioso sorriso stampato in
volto verso la bimbetta che correva ansante verso di lui.
Il
vestitino rosa le donava particolarmente e la faceva somigliare quasi ad una
delicata bambolina. Ma Taichi sapeva bene quanto la sua sorellina era forte,
nonostante avesse solo otto anni. Certo, aveva ancora bisogno di sentirsi
protetta e appoggiata, ma il suo carattere era già spiccatamente deciso. Una
decisione che però non era mai sgradevole, ma sempre sfumata in una dolce
gentilezza.
“Taichi,
aspettami!”, tentò di raggiungerlo la piccola Hikari, ma il fratello era
decisamente più veloce rispetto a lei.
Fu
solo quando quello ebbe rallentato il passo che finalmente la brunetta riuscì a
raggiungerlo e ad affiancarlo. Era felice di poter passare del tempo con il suo
adorato fratellone, si ritrovò a pensare mentre un sorriso le increspava le
labbra scarlatte. I suoi pensieri vennero però interrotti dall’inaspettato
fermarsi di Taichi. Hikari lo fissò attonita.
“Taichi…?”
Ma
il giovane Yagami non sembrava averla udita, tanto era concentrato a guardare
qualcosa d’indefinito davanti a sé. Incuriosita, Hikari seguì il suo sguardo e
si ritrovò a sua volta a fissare una strana coppia di ragazzi anche loro fermi
ad osservarli. Erano entrambe biondi, ma sicuramente con età differenti. La
brunetta, allora, si chiese chi erano e perché mai suo fratello sembrava tanto
rapito da loro due.
“Fratellone,
tu li conosci?”, a spezzare lo strano silenzio creatosi ci pensò la vocina del
più piccolo dei due.
Hikari
lo fissò, rapita.
“Purtroppo
uno sì”, rispose con tono piatto il più grande, senza mai distogliere lo
sguardo da Taichi.
“Non
sapevo avessi un fratello, Ishida”
La
piccola Yagami si voltò d’istinto verso il fratello non appena lo sentì
parlare, e notò che il suo viso era terribilmente serio. Se ne chiese
involontariamente la ragione.
“Non
sapevo avessi una sorella, Yagami”, ripeté, cambiando i termini, l’altro.
Il
ragazzino al suo fianco a quelle parole rimase per un istante ad osservare ora
il fratello, ora Taichi, per poi sorridere cordiale.
“Ciao
io sono Takeru! Tu sei un amico di Yamato?”, si avvicinò al brunetto.
Taichi
lo fissò attonito. Era evidente che doveva averlo erroneamente scambiato per
una sorte d’amico del fratello.
“Ehm…non
proprio”, scosse quindi il capo, per poi accennare ad un sorriso quando vide il
bimbetto incupirsi. “Però se vuoi puoi chiamarmi Taichi, okay?”
Il
biondino sembrò riscuotersi.
“Okay!”,
annuì raggiante, prima di voltarsi verso la bambina accanto a lui. “E tu invece
chi sei?”
L’ingenua
domanda del bimbo la fece arrossire, ma per sua fortuna in aiuto le giunse
proprio Taichi.
“Lei
è mia sorella Hikari”, fece le presentazioni. “Ha otto anni”
“Davvero?
Anch’io!”, le sorrise subito, dolce, il bimbetto.
La
piccola Hikari si fece leggermente più rossa, ma non poté fare a meno di
ricambiare al sorriso, intimamente colpita da quel suo cordiale coetaneo.
“Ti…ti
va di andare a giocare?”, tentando di vincere la timidezza, la giovane Yagami
si voltò a fissarlo in quelle chiare pozze azzurre.
“Sì!”,
le rispose felice il piccolo Takeru, prima di voltarsi verso Yamato. “Posso?”
Il
tono di voce si era fatto quasi speranzoso e nei suoi occhi cerulei era ben
visibile tutto l’affetto e la profonda ammirazione che lo legava al fratello
maggiore.
Yamato
annuì. “Okay”
“Sentito?”,
Takeru si voltò nuovamente verso la bimba. “Andiamo Hikari!”
Con
trasporto, la prese teneramente per mano e la condusse verso i giochi pubblici
posti appena poco più in là.
“A
quanto pare Hikari ha appena trovato un amico”, sentenziò ad un tratto Taichi,
senza distogliere lo sguardo dai due bambini.
“Per
una volta”, replicò Yamato da poco lontano. “Sono d’accordo con te, Yagami”
Fine Flash Back
“Taichi,
ma allora sei qui!”
Il
brunetto si voltò, subito imitato dai suoi amici, verso il punto da cui
proveniva quella voce.
“Aki!!”,
lo accolse calorosamente non appena lo vide.
Il
giovane dai capelli nocciola si avvicinò, per poi sorridere amichevole quando
riconobbe il biondino.
“Ehilà,
Yamato! Come va?”
“Ciao
Aki”, Ishida fece un cenno con il capo, per poi ritornare a concentrarsi sulla
partita.
“Loro
sono i vostri amici?”, continuò invece Aki, rivolto ai due sconosciuti che lo
fissavano in silenzio.
Taichi
annuì. “Aki, ti presento Jyou e Koushiro”
“Ciao!
Voi dunque siete gli amici di Ikebukuro, giusto?”, strinse loro la mano,
cordiale come sempre, Aki.
“Non
solo noi”, gli sorrise di rimando Jyou.
“Tu
sei in classe con Taichi, se non erro”, gli sorrise invece Koushiro.
Aki
annuì.
“Esatto!
E oggi sono venuto qui a tifare altri due membri della mia squadra!”, aggiunse,
accennando alle ragazze in campo.
A
quelle parole, il volto di Yagami assunse all’improvviso un cipiglio malizioso.
“Quindi devo dedurne che la tua presenza d’oggi non includi secondi fini…”
L’altro
arrossì, piccato. “Se…se…secondi fini?!”
“Beh,
sai…tipo vedere una certa moretta…”, lo canzonò Taichi, allargando le braccia
in un gesto vago.
Accanto
a lui Yamato scosse il capo, celando egregiamente il divertimento che quella
situazione gli elargiva.
“Ma…ma
che dici!”, esclamò imbarazzatissimo Aki, tirandogli uno scappellotto sulla
spalla ostentando un certo autocontrollo che però non aveva.
A
quel punto anche Jyou e Koushiro, che avevano compreso qualcosa della
situazione, sembrarono sul punto di scoppiare a ridere.
“Oh,
sì, si, certo… Allora non ti dispiacerà se faccio questo”, Taichi sorrise
sibillino, lo prese per un braccio e urlò con quanto più fiato aveva in gola. “Reika!!”
Aki
arrossì come un peperone maturo, ma la stretta dell’amico gli impediva di
scappare. Eppure l’imbarazzo non gli impedì ugualmente di notare che al
richiamo la moretta, ora alla battuta, si era voltata verso di loro incuriosita
per poi sorridere alla scena. Quindi, dopo aver ammiccato scherzosamente nella
loro direzione, lanciò la palla in aria e la colpì con quanta più potenza
aveva. Il punto fu inevitabile, così come il coro dei tifosi.
“E
brava la nostra Reika…!”, sghignazzò Taichi, mentre Aki si colorava di un
acceso cremisi.
Yamato,
invece, sospirò, ma l’increspatura rivolta all’insù delle sue labbra vanificò
ogni suo tentativo di ostentare una rigida impassibilità. Jyou e Koushiro lo
notarono e per questo non poterono fare a meno di sorridersi complici. Era
cambiato. Ma non solo Yamato, anche Taichi. Il biondo non era più il bambino
schivo e intrattabile di un tempo, né il brunetto era l’egocentrico e scatenato
di quando aveva undici anni. Certo, questi aspetti del loro carattere
sussistevano ancora, ma non erano più tanto eccessivi e visibili come allora.
La loro amicizia, nonostante gli alti e bassi, alla fine si era rivelata
proficua per entrambe, e di questo sia Jyou che Koushiro non potevano che
andarne fieri. Per questo, a distanza d’anni, si ritrovarono a ripercorrere
l’ultima tappa che li aveva visti abbandonare le ostilità per diventare
finalmente gli ottimi amici quali erano.
Flash Back
“Yamato Ishida!!!”, Taichi lo raggiunse
e come una furia lo colpì forte al muso, scaraventandolo letteralmente a terra
e buttandovisi poi sopra. “Rimangiati immediatamente ogni parola!”
Il
brunetto lo colpì forte un paio di volte sul volto, prima che il biondino si
ribellasse e, con uno scatto di reni, ribaltasse la situazione. Adesso era
Yamato a stare sopra di lui e a colpirlo con tutte le sue forze.
“Se
sei ottuso non è colpa mia, idiota!”
Ishida
colpì duro proprio nel momento in cui sulla scena apparivano i due amici
comuni: Jyou Kido e Koushiro Izumi.
“Ragazzi!”,
il rosso fece per avvicinarsi, ma l’altro lo bloccò.
“No,
lascia che se la spiccino da soli”, disse con voce ferma.
Koushiro
lo fissò per un istante esitante, ma alla fine capitolò. Si fidava di Jyou e se
lui consigliava di non intervenire, allora lo avrebbe ascoltato.
“Non
ti permetto di chiamarmi così!”, s’inalberò Taichi, riprendendo nuovamente il
controllo della situazione. “Non sopporto che tu vada a vantarti con quella tua
faccia di bronzo in giro per Ikebukuro!!”
“E
io non sopporto te!”, si riprese Yamato, travolgendolo in una discesa fatta di
pugni e calci. “Sei solo uno stupido bambino, viziato e arrogante”
“Parli
proprio tu, pomposo scimmione? Ma chi accidenti ti credi d’essere?!”, lo
picchiò forte allo stomaco il brunetto. “Sei un presuntuoso e impertinente
imbecille!”
“Vedo
che hai aggiunto nuovi termini al tuo vocabolario”, lo derise il giovane
Ishida, sorridendo sornione quando lo vide arrossire piccato.
“Prendi
questo, razza di damerino da strapazzo!”, il pugno di Taichi gli fece bruciare
l’occhio talmente tanto che Yamato, colto da un sentimento di rivalsa, non
tardò ad assestargli un cazzotto ben piazzato allo stomaco.
Il
brunetto perse per un istante il respiro, prima di buttarsi a terra esanime. A
quel punto il giovane Ishida avrebbe potuto facilmente colpirlo, ma ciò
nonostante non lo fece. Taichi aveva colpito duro quella volta e, sebbene non
lo avesse ammesso neanche sotto tortura, Yamato si sentiva troppo stremato per
poter sostenere un’altra scazzottata. Così, al contrario delle aspettative,
tutto ciò che fece fu rivolgere una domanda tanto semplice quanto disarmante al
ragazzo steso accanto a lui.
“Ehi,
Yagami”
“Che
vuoi?”, fece scontroso Taichi.
Yamato
non vi badò. “Perché ci stavamo azzuffando?”
La
domanda lo spiazzò. “Per…perché tu…”
Taichi
stava per dire che era per via del compito di matematica, perché, vedendosi
superare per l’ennesima volta nel voto da Yamato, non aveva retto all’irresistibile
tentazione di prenderlo a pugni. Ma la scusa, che appena poco prima gli era
sembrata perfetta, adesso appariva persino ridicola ai suoi occhi.
“Non
lo so”, disse infine, in un sospiro sconcertato.
Ma
la cosa che più lo sconvolse fu quello che successe dopo e che gli sghignazzi
appena percettibili al suo fianco gli preannunciarono: Yamato era scoppiato a
ridere. Taichi sgranò gli occhi nell’udire quella risata tanto spontanea
fuoriuscire proprio dalle labbra del ragazzo. Era la prima volta che lo sentiva
ridere così. La prima in assoluto.
Tuttavia
nel ripensare a ciò che lui stesso aveva appena detto, al modo in cui si erano
malamente picchiati senza avere una ragione concreta, Taichi non poté fare a
meno di scoppiare a ridere a sua volta. E fu allora che entrambe si resero
effettivamente conto che tutta quella loro rivalità e tutto l’odio che avevano
pensato di nutrire nei confronti dell’altro fino a quel momento,
era…inesistente!
Le
risa crebbero a quella perfetta percezione delle cose e il dolore fisico
provocato dalla precedente scazzottata venne ben presto soppiantato da una sana
allegria.
Da
sopra il pendio erboso, Jyou e Koushiro fissavano la scena in silenzio. Lo
avevano sempre saputo che un giorno sarebbe finita così tra quei due, eppure
solo da quell’istante poterono dire con certezza che l’amicizia tra Taichi e
Yamato era finalmente nata.
Fine Flash Back
Il
fischio dell’arbitro, così come prima aveva decretato l’inizio della gara,
adesso si cimentava a segnalare la fine dell’incontro con la vittoria che
vedeva protagoniste le due giocatrici dell’Odaiba High School.
“Venite,
andiamo da loro!”, Taichi incitò i suoi amici a seguirlo, mentre si faceva
largo tra la folla di spettatori per raggiungere le protagoniste di quella
giornata sportiva. “Sora! Reika!”
La
giovane Takenouchi fu la prima a scorgerli e ad avvicinarsi a loro.
“Ciao
Sora!”, la salutarono non appena la vide sia Jyou che Koushiro.
La
ragazza sorrise e fece per dire qualcosa, ma la stretta calorosa e amichevole
di Taichi la interruppe.
“Sei
stata strepitosa!!”, si complimentò, espansivo come sempre, il brunetto.
Sora
arrossì lievemente, soprattutto perché sentiva due familiari occhi blu fissi
ormai su di lei, ma non poté fare a meno di regalargli uno dei suoi più bei
sorrisi.
“Grazie,
ma non è tutto merito mio se abbiamo vinto”
“Oh,
non fare la modesta, Sora!”, la voce fintamente severa di Reika la ammonì.
“Taichi ha ragione: sei stata fantastica. Se nonfosse stato per te non avremmo mai vinto!”
“Ma…io
non…”, le parole però le morirono in gola quando vide Yamato, rimasto fino ad
allora in disparte a guardarla, avvicinarsi a lei con passo deciso.
“Brava,
ti sei fatta valere in campo”, le disse in un discreto complimento che gli
costò ugualmente un velato rossore sulle gote.
Sora,
al contrario, non riuscì a fare a meno di assumere una tonalità completamente
bordeaux per l’imbarazzo e per l’intensità di sensazioni che quelle poche
parole avevano risvegliato in lei. Eppure, ciò nonostante, non poté fare a meno
di alzare lo sguardo alla ricerca di quelle pozze cobalto tanto magnetiche e
profonde. Yamato se ne accorse e, vincendo il suo carattere così ostinatamente
composto, accennò ad un sorriso che le fece palpitare il cuore e vacillare le
gambe. ‘Mi piace…’, si ripeté inconsciamente tra sé e sé Sora, sentendosi
infinitamente felice per aver ricevuto personalmente uno di quei suoi rari
quanto meravigliosi sorrisi.
Lì
accanto Taichi, che stava osservando la scena, ridacchiava sommessamente mentre
in cuor suo si faceva sempre più vivida la dolce constatazione che nessuno più
di Yamato meritava di essere felice, proprio come lo era quando si trovava in
compagnia di Sora.
Flash Back
“Yamato,
è vero quello che ho saputo?”
L’altalena
smise di dondolarsi tiepidamente, spazzando anche l’ultimo cigolio proveniente
dagli ormai arrugginiti cardini color rame, e il ragazzino seduto su di essa
alzò i suoi incredibili occhi blu per fissarli nelle pozze marroni
dell’interrogatore. Taichi Yagami si ergeva con cipiglio straordinariamente
serio e fare spiccatamente deciso proprio dinanzi a lui, impedendogli di godere
di quella dolce culla altalenante.
“Allora?”,
insistette con forza il brunetto. “È vero che i tuoi genitori sono separati?”
La
domanda lo colpì in pieno petto. Yamato abbassò appena il capo, giusto per non
dover più sostenere quello sguardo indagatore, mentre pian piano un piccolo e
discreto cenno d’assenso gli faceva ammettere la verità dei fatti.
“E
tu?”
Taichi
centrò ancora una volta il suo cuore con quell’ingenuo quesito.
Il
biondino scrollò le spalle. “Mi sono abituato”
“Non
è vero”, la negazione decisa del brunetto lo costrinse ad alzare
involontariamente il capo. “Non ti sei abituato, altrimenti non saresti mai
scappato come un codardo nel sentire tua madre parlarne con la mia, poco fa, a
casa, quando è venuta a prenderti”
L’affermazione
arrivò dritta e precisa, ancora una volta. Yamato sorrise appena
percettibilmente nel costatare quanto il brunetto ci avesse azzeccato.
“Eppure
non capisco…”, insistette Taichi, pensieroso. “Se i miei genitori non andassero
più d’accordo, io sarei felice che si separassero. Non sarebbe giusto farli
stare ancora insieme solo per un mio capriccio”
Il
giovane Ishida alzò lo sguardo, posandolo finalmente su di lui. Lo aveva
colpito, di nuovo ma stavolta ancor più profondamente di prima. E allora Yamato
si ritrovò a riflettere, forse per la prima volta seriamente, su quanto Taichi
avesse ragione. Per tutto quel tempo era stato un egoista, un ipocrita, perché
non aveva fatto altro che pensare a sé e a sé soltanto. Certo, non aveva fatto
storie quando gli si era proposta dinanzi la separazione, però era pur vero che
aveva sempre sperato in cuor suo in un ravvicinamento dei suoi genitori fino ad
un ritorno ai tempi in cui erano ancora una famiglia. Però…adesso che ci pensava,
la madre non era forse appena venuta a prenderlo a casa del suo amico? E Takeru
il giorno dopo non sarebbe andato con il padre al luna park? Non erano forse,
nonostante tutto, una famiglia? Sì, sì, certo che lo erano. Forse addirittura
più di prima.
Yamato
sorrise e per la prima volta da quando i suoi si erano separati, si sentì
veramente felice e…libero.
Si
alzò. “Andiamo?”
Taichi
lo fissò sconcertato da quel repentino cambio d’umore, ma il sorriso che il
biondo gli rivolse bastò a cancellare ogni suo dubbio. Si alzò a sua volta e
annuì.
“Certo!”,
rispose, consapevole di aver dato una decisa scrollata nell’animo dell’amico
con quelle semplici e spontanee parole.
Si
mossero quasi in contemporanea, avviandosi con passo deciso verso casa Yagami
dove sapevano stare ad attenderli, mentre in lontananza le nuvole si coloravano
di un delizioso porpora.
“Ehi,
a proposito”, fece ad un tratto Yamato.
“Uhm?”,
mugugnò Taichi, incrociando distrattamente le mani dietro al capo. “Che c’è?”
“Io
non faccio i capricci”
Il
tono ingenuo con cui Yamato lo disse, disarmò completamente l’altro.
“Certo,
certo!”, lo canzonò lo stesso Taichi, divertito.
“Pfui!”,
per tutta risposta, il biondino lo spintonò lievemente.
Yagami,
quindi, borbottò qualcosa d’incomprensibile, per poi lasciar perdere e godersi
il silenzio rilassato venutosi a creare tra loro.