In silenzio

di Pink_lemon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incontri ***
Capitolo 3: *** Occhi ***
Capitolo 4: *** Ti ricordi? ***
Capitolo 5: *** Morsi ***
Capitolo 6: *** visita (prima parte) ***
Capitolo 7: *** visita (seconda parte) ***
Capitolo 8: *** La fine del mondo ***
Capitolo 9: *** Incontro(parte 1) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Titolo: In silenzio
Autrice: Pink_lemon
Fandom: Twilight
Personaggi: tutti
Genere: Malinconico, Romantico, Avventura
Rating: Verde
Avvertimenti: Long-fic, What if?
Note Autrice: Salve a tutti cari lettori! Questa che state per leggere è la mia prima storia e si basa su un avvenimento antecedente a Twilight. Spiega cosa sarebbe successo se Bella, a Phoenix, fosse stata vittima di un forte trauma. Spero che la trama vi appassioni e che vogliate lasciarmi i vostri pareri perché mi aiuterebbero a migliorare. Detto questo, vi auguro buona lettura!
 


Prologo

Era strano  vedere come nulla fosse cambiato durante la mia assenza .
Tutto era rimasto esattamente uguale... le strade, le case... ma sopratutto mio padre.
Il suo volto aveva la stessa espressione di due anni fa, quando lo salutai all' aeroporto , dopo la sua ultima visita.
Quando i miei divorziarono, sarei voluta restare con mio padre, non che non volessi bene a mia madre, anzi..., ma sapevo che mia madre avrebbe potuto cavarsela da sola, mentre avevo seri dubbi su Charlie; ma di anno in anno inizia a capire di sbagliarmi.
Naturalmente il giudice non affidò una bambina di sei anni ad un padre single e io mi trasferii con mia madre. C'è da dire che mio padre non lottò poi molto per la mia custodia... a volte lo odiai per questo, altre volte compresi le sue intenzioni.
Durante il viaggio i ricordi si susseguirono uno ad uno,  uniti da un filo conduttore che venne a spezzarsi con il rumore della macchina che frenava sul vialetto di casa.
Scesi dell'auto e mi guardai attorno ; mi convinsi che, potendoli contare, persino i fili d'erba fossero li stessi di cinque anni fa . Dopo l'estate dei miei dodici anni non volli più tornare a Forks, mi sembrava una presa in giro, era come un illudersi che lo schifo fosse passato quando in realtà non lo era affatto.
Charlie era venuto una settimana ogni estate, ed io lo odiavo perché avrebbe dovuto capire ciò che invece non capiva mai...
Entrai in casa. Riuscii a leggere lo sguardo di Charlie, sapevo esattamente cosa si stesse chiedendo :  si domandava dove fosse finita la sua bambina .La bambina curiosa, allegra, vivace e che non smetteva mai di parlare .
Avrei voluto urlargli che quella bambina ormai non c'era più da molti anni .
- Allora è vero che non parli ...- disse piano mio padre fra sé.
Io non risposi, presi il borsone e mi diressi verso la mia stanza, trovandola come l' avevo lasciata a dodici anni .
Niente era cambiato, niente... eccetto me.

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Capitolo 2
*** Incontri ***


Ciauu ^_^ ... eccomi  tornata !! Sono stata strafelice di leggere i vostri commenti ... spero che questo primo capitolo non  deluda le vostre aspettative !! Aspetto ansiosa altri vostri commenti.
Bando alle ciance , veniamo a noi, in questo primo capitolo conosceremo un po'  meglio Bella iniziando a capire cosa le sia successo... ma non vi voglio svelare troppo anche perché vi basterà leggere qui sotto !!
BUONA LETTURA A TUTTI.

Capitolo 1: Incontri

 
Arrivata in camera chiusi la porta e mi stesi sul letto. Presi il mio vecchio mp3 e, cullata dalle note di Debussy ,riuscii a prendere sonno.
Ma la pace fu breve , perché i soliti incubi vennero a trovarmi...

Ero a casa da sola, come al solito, sentii  la porta sbattere e corsi a nascondermi dietro la tenda
-Dov'è la mia Bellina ?-
Sentivo  la puzza d' alcol da dietro la tenda ... il mio respiro divenne sempre più  veloce cosi come il battito del mio cuore, avevo cosi tanta paura che mi feci la pipi addosso.  "perfetto"  pensai   "un motivo in più per farti picchiare..."  .
Sentivo il rumore dei suoi passi che si avvicinavano lentamente alla tenda, una volta arrivato di fronte  a me. Eravamo separati da un sottile strato di tessuto blu. Rimase fermo e il suo puzzo impregnava l'aria e mi si incollava addosso .
Qualche istante dopo mi pestò il piede, che senza saperlo era rimasto fuori dalla tenda, io emisi un flebile grido  di dolore,  lui scanso la tenda e ci ritrovammo l' uno davanti all' altro...

Mi svegliai di soprassalto. I morsi della fame mi avevano di nuovo salvato dai miei incubi.
Guardai  l'ora , era l'una.
"Le buone, vecchie abitudini", pensai alzandomi dal letto, in direzione del frigorifero. Il frigo era quasi vuoto , "e la credenza ?" persino i barboni se la passavano meglio..." Possibile che Charlie mangi sempre e solo dai Fast Food??".  Sentii  un demone dentro di me ribollire per la rabbia, "voglio cibo".
Rovistai dappertutto nella speranza di accontentarlo, finché,  "bingo" , trovai una busta con degli avanzi di pizza e hamburger .  Probabilmente era da buttare, ma mi andava bene qualunque cosa visto la fine che avrebbe fatto.
Trangugiai tutti in pochi minuti e poi, finalmente, arrivò il familiare malessere tanto ambito. Cosi corsi nel  bagno e presto mi svuotai di tutto. Per un istante le mie paure e i miei incubi, furono tutte in quel water , finche non le vidi andare giù nello scarico...
Tornai in camera e mi rimisi a letto più tranquilla, pur sapendo che il sollievo sarebbe durato poco.

Il mattino dopo fui svegliata da Charlie che mi portò il caffè  in camera, "che cosa strana" pensai,  infatti poi capii che voleva solo addolcirmi la pillola...
-Bella so che c'è scuola ... ma preferisco portarti in ospedale per fare delle visite, per la scuola c'è tempo , chissà che qua non trovino qualcosa che i tuoi medici non hanno trovato ...-
Forse si sentì in colpa, infatti subito dopo aggiunse - Ti va di fare colazione al bar?-
Feci un lieve cenno di no , e lui uscì dalla stanza .
Rimasi finalmente sola in camera e mi accorsi che la gola mi bruciava ancora dalla sera precedente, inghiottii  della saliva  ma fu come mandar giù del peperoncino... il caffè caldo mi avrebbe aiutato, infatti dopo un acuto dolore , dovuto ai primi sorsi, il dolore si attenuò di parecchio.
 
Decisi di farmi una doccia. Mentre l'acqua bollente mi scivolava addosso, mi chiesi cosa fosse peggio, "una mattinata a scuola o una giornata di visite all' ospedale?" in entrambi i casi avevo brutti ricordi...
Dopo un lungo dialogo mentale con me stessa decisi che era molto meglio non dover affrontare un nuovo primo giorno di scuola, sopratutto perche ricordavo perfettamente gli ultimi giorni in quella vecchia.
Quando avevo smesso di parlare i miei compagni mi avevano dato della pazza... non che le cose prima fossero migliori, (ero sempre stata molto taciturna). Poteva  quasi sembrare che in me la parola fosse venuta  a mancare poco alla volta ...
Che malattia avevo? Nessuna, se non si ritiene tale l'apatia dal vivere.
Naturalmente dalle visite mediche non poteva risultare nulla, cosi mia madre mi mandò dallo psicologo.
Dopo sei  sedute si rese conto di quanto fosse uno spreco di soldi . Potevo sedermi in silenzio a casa, però gratis.
Ma dopo essere stata espulsa non ci mise molto a decidere di mandarmi da Charlie , e a me stava bene cosi .
 
Camminammo nei corridoi bianchi e asettici dell'ospedale , e quelle pareti fecero riaffiorare in me altri ricordi:

-Sono caduta dalle scale-  dissi a testa bassa , sapevo che i suoi occhi minacciosi erano puntati su di me, pronti a farmi esplodere la testa al mio minimo tentennamento ...

-Bella ,Bella ... mi ascolti?-  questa volta fu  Charlie a farmi riemergere dai miei pensieri, riportandomi alla realtà.
Feci cenno di  si con la testa, - io vado a lavoro-  disse  -tu ora fai queste visite ,avvisami quando finisci e ti vengo a prendere ok?- mi guardava fisso negli occhi sperando in qualcosa di più dei miei soliti cenni  negativi o positivi , ma purtroppo  per lui ottenne solo uno di questi ultimi.
Guardai Charlie andar via , e fui tentata dal fare lo  stesso  , ma mentre ci pensavo , la porta di fronte a me si aprì .
La prima cosa che vidi furono i suoi occhi , color miele , che non riuscii a non fissare ipnotizzata.

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Capitolo 3
*** Occhi ***


MMM vorrei trovare un modo originale per salutarvi ...... mmm bho la mia fantasia è morta !! e quel poco che rimane cercherò di usarla per la storia , perciò mmm ciao a tutte !
Volevo ringraziarvi per i commenti ricevuti ! e volevo dirvi di essere molto contenta del fatto di aver incuriosito alcune di voi !! spero che questo capitolo non sia da meno .... anche perché a volte  non so nemmeno io dove voler andare a parare... perciò spero vi piaccia ... e spero di ricevere altri  commenti cosi da sapere se sto proseguendo bene e da non perdermi per strada...detto ciò vi auguro una buona lettura !
mmm dove eravamo rimaste???  a si mm a due occhi color miele !
ps: il capitolo sarà un po' corto perche non volevo introdurre troppi personaggi tutti assieme cosi ho preferito spezzare...
 
 
 

 Capitolo 2: OCCHI

- Isabella  Swan ?-  mi chiese con la voce più melodica di un violino.
A quelle parole mi svegliai  dall' incantesimo ipnotico dei suoi occhi, cosi potei osservare meglio il medico di fronte a me, e capii che  gli occhi non erano l'unica cosa ipnotica in lui... notai che mi stava osservando, e capii di non aver risposto alla sua domanda, cosi abbassai la testa, per nascondere le mie guancie che si erano arrossite a tradimento, e feci un debole cenno di assenso.
L'uomo rispose con un sorriso, il sorriso più dolce che avessi mai visto uscire delle labbra di un uomo, (lo so che le mie esperienze non fanno testo ,però sono convinta di non essere stata l'unica a pensarlo su di lui); dopo un breve attimo di esitazione mi invitò ad entrare.
Stetti  seduta  di fronte a lui circa 5 minuti senza che nessuno dei due parlasse, un silenzio imbarazzante come nostro unico ospite.
Mi fissava come io fissavo lui entrambi incuriositi dalla persona che ci trovavamo d'avanti ma le ragioni erano diverse, io mi chiedevo cosa ci fosse di tanto particolare nei suoi occhi , lui qualcosa del tipo "cosa ci fa questa pazza nel mio studio"...
Ma subito mi accorsi di sbagliarmi, nel suo sguardo non leggevo giudizi e nemmeno la pietà e la compassione che tanto mi erano familiari, anzi leggevo un sincero e spassionato senso d'interesse verso il mio caso. Mi sembrava che potesse capire  quello che pensavo , ma tutto ciò non fece altro che aumentare il mio disagio e il mio imbarazzo.
Fu lui a rompere il silenzio e, a strapparmi alla catena dei miei pensieri.
-Tuo padre mi ha detto che non parli...-  "o grazie davvero tanto Charlie!"
- Ma dalla tua cartella clinica non risulta niente... si ci sono degli scompensi nelle tue analisi e noto un leggero sottopeso, ma nulla di questo può aver a che fare con la perdita della parola...-
Sicuramente mi avrebbe  sottoposto a tutta la trafila di visite e analisi , e la cosa peggiore e che non avendolo previsto non mi ero preparata a dovere.
-A me sembra inuti...- stava continuando prima di venire interrotto dal bussare alla porta.
-Avanti - disse  guardando l'orologio come se si fosse scordato un appuntamento.
Sentendo la porta aprirsi mi girai di scatto incuriosita, e di nuovo vidi solo due occhi, bellissimi e ipnotici,come e più (se possibile) di quelli del mio medico.
i due si scambiarono poche parole , che io non capii perché occupata  a decifrare lo sguardo del nuovo arrivato che, in meno di un secondo, era passato da cortese a stupito, poi ad adirato ed infine credo schifato.
E  si quello era proprio uno sguardo schifato, cazzo! Me la presi : sono consapevole di non essere una gran bellezza, ma essere giudicata addirittura repellente ! Al primo sguardo per giunta!
Prima che uscisse (o dovrei dire scappasse!) non riuscii a vederlo bene, cioè mi ero fatta un idea dei sui tratti somatici , ma non ero riuscita a mettere ben  a fuoco  la sua immagine.
Il mio medico lo seguì a ruota mormorando verso di me uno - scusa-  molto affrettato.
Rimasta sola nella stanza mi trovai a pensare che su quella cartella c'erano scritte tutte le cose necessarie da sapere su di me... mentre io non sapevo nulla della persona che mi era di fronte fino ad un attimo prima. Cosi iniziai ad osservare la grande  stanza ospedaliera, e sulla sua scrivania notai una foto sua e di quella che immaginavo essere sua moglie. Erano entrambi molto belli , troppo belli per essere reali, sembravano usciti da un quadro di fine seicento.
Indagando ancora con lo sguardo per la stanza trovai il suo certificato di laurea dove finalmente lessi il suo nome: Carlisle Cullen
Almeno ora sapevo come si chiamava la persona di fronte a me che stava per sparare sentenze sulla mia salute.
Passò davvero poco prima che sentissi la porta aprirsi di nuovo , vederlo rientrare e sedersi a suo posto.
Mentre il dottor  Carlisle continuava a parlare di cose che già sapevo sulla mia cartella clinica , io pensai al disprezzo che quegli occhi mi avevano rivolto, ricordandomi un altra persona che per tutta la mia vita mi aveva guardato con tale odio e con tutto quel disprezzo...
Facendomi pensare di essere un essere inutile senza bisogno di esistere, a volte mi ritrovavo a desiderare di scomparire pur di non dover mai più vedere quello sguardo, e ora che mi ero quasi convinta di essermelo lasciato alle spalle, il primo sconosciuto che incontravo credeva di potermi guardare in quel modo senza nemmeno conoscermi.
Ma qualcosa  tra le parole di Carlisle mi stupì  tanto da riportarmi all'attenzione.
-Io credo che sia tu non voler parlare - disse ciò e le mie guancie assunsero una tonalità di rosso cosi accesa che un pittore  avrebbe potuto definirla nuova, appena inventata.
-Comunque...- continuò, visto il mio silenzio - Questa è solo una mia teoria , e visto che sei qui per delle visite è un tuo diritto farle - fece una pausa prima di dire, più a se stesso che  a me  - Ma non credo  che verrà fuori nulla ... -
Detto questo mi fece cenno di seguirlo e, insieme, ci allontanammo dalla stanza.
 
 

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Capitolo 4
*** Ti ricordi? ***


Ciao o a tutti !! MMM credo di essere un po' in ritardo e mi voglio scusare con quelli che aspettavano  questo capitolo, lo so che sembra una scusa ma ero oberata di lavoro...
Vorrei chiedervi gentilmente se vi piace come prosegue la storia, e se cosi non è di darmi consigli per migliorare... voglio ringraziare la mia coinquilina Giulia che mi ha fatto conoscere EFP... un BACIONE  E BUONA LETTURA !!!
 

 Ti ricordi?

 
Erano già  passati quindici minuti ma di Charlie nemmeno l' ombra.
Dopo un intera giornata in ospedale,  sballottata  di visita in visita in stanze fredde e umide, volevo solo sdraiarmi sul letto e rilassarmi o, nel mio caso, contemplare il soffitto cercando di spegnere il cervello con l'aiuto del mp3 . L'entrata dell'ospedale che affacciava sul parcheggio era  completamente bianca: bianchi i muri , bianco il marciapiede,  bianco il camice degli infermieri fuori per la pausa e dei pazienti che prendono una boccata d'aria... le uniche cose colorate erano le macchine parcheggiate di fronte a me, ma non so per quale motivo mi sembrarono dense di quella tinta di malinconia del bianco.
Una ventata di aria ghiacciata interruppe la mia osservazione dello spazio circostante e mi fece notare che stavo tremando per il freddo, e quando me ne accorsi cominciai a sentire sempre più freddo.
Forks era così piccola che anche con un preavviso di 5 minuti Charlie sarebbe già dovuto essere lì... che non avesse letto il mio messaggio?? Avrei  forse dovuto chiamarlo?? una chiamata con una muta? non serviva poi a molto.
La cosa positiva di quel giorno fu che il dottor Carlisle si era concentrato a trasportarmi in giro per l'ospedale a fare visite su visite alla mia gola,  ecografia,  visita alle tonsille, insomma controllo standard. Poi eravamo passati alla tac, analisi del sangue, il tutto era una trafila infinita, e preso dalla prassi degli esami aveva deciso di fare un controllino sui valori e sul peso appena avuti i risultati di oggi. Avrei avuto tutto il tempo per prepararmi a "quest' esame"  usando i molti trucchi che avevo imparato . Avrei come al solito passato l'esame a pieni voti, in fondo era facile... Se venivi scoperto era perche in fondo volevi essere scoperto, volevi essere aiutato e volevi guarire... se non le  vuoi queste cose  sono facili da evitare.
Improvvisamente  un vecchio pick -up rosso si accostò affianco a me, lo notai per il rombo  assordante prodotto da quel macinino. La persona o meglio il ragazzo che scese dall' auto sembrava dirigersi verso me, io facendo finta di non averlo notato girai la testa frettolosamente , in modo molto goffo ( era quasi meglio continuare a fissarlo ) , ma continuavo a sentire i suoi passi sempre più  vicini...
Dopo pochi secondi non li sentii più, infatti il ragazzo si era fermato proprio  di fronte a me, forse aspettando che mi girassi a guardarlo. Dopo qualche istante , dove giurerei di aver avvertito a pelle il suo imbarazzo, disse
-Bella?- con un tondo che sembrava più un' affermazione rivolta a se stesso  che una domanda rivolta a me.
Non avendo altra risposta che non fosse il mio girarmi per guardarlo in faccia, continuò
-Sono venuto a prenderti-  "Ah ecco ",  pensai.  "prendermi?? "  iniziando già a progettare una fuga
intanto lui riprese a parlare, - Charlie non poteva lasciare il lavoro e mi ha chiamato chiedendomi di passarti a prendere e di portarti a casa...-  mi misi a riflettere sul fatto che in fondo essendo mio padre lo sceriffo di Forks , poteva essere realmente oberato di lavoro, ma potevo realmente fidarmi ?? D' accordo conosceva il mio nome, ma questo era da considerarsi un bene o un male ?
Il ragazzo aveva una strana espressione in faccia , sembra quasi dispiaciuto della mia titubanza
-Bella , sono Jacob , da piccoli giocavamo sempre assieme.-
Non so cosa avrebbe dovuto dirmi quel nome ma di sicuro non mi ricordava nulla... Jacob.. Jacob?   riflettendoci  non mi suonava nuovo.
Mi girai per poterlo guardare : era altro e muscoloso ma il suo viso e il suo sguardo erano dolci, simili a quelli di un bambino, mi ricordavano qualcosa, ma non sapevo cosa. Mi sembrava di averli già visti in  passato , mi sembrava di averli consolati...
Mentre ero distratta dai miei pensieri  Jacob si avvicino, pericolosamente , e per poco non mi sfiorò il braccio... se non fosse stato per i miei riflessi fulminei  le sue mani mi avrebbero sfiorato la pelle, al solo pensiero sentii un conato di vomito salirmi su per la gola.
Dopo averlo rimandato giù nel mio stomaco , con enorme sforzo, notai che sul viso del ragazzo di fronte a me era  comparsa un espressione di rammarico e forse anche stupore, provocate dalla mia reazione forse spropositata  rispetto ad una normale ragazza.
Quasi mi fece pena, e notando che sembrava aver perso la parola (insieme al brio di poco prima)  mi sentii leggermente in colpa .
-Charlie mi ha chiesto di accompagnarti a casa- disse con tono più pacato, interrompendo il silenzio .
Non so se mi fidavo di lui o se mi dispiacesse averlo trattato così , fatto sta che salii in macchina...
"Direzione casa !...? o magari pozzo buio nella foresta ?" ... rimuginavo a ciò mentre lentamente ci dirigevamo a casa , ma subito inizia a riconoscere  la strada ...
Il viaggio  proseguiva nel più totale silenzio... l'aria era cosi densa di imbarazzo che mi sembrava di poterlo toccare.
Ad un certo punto il silenzio venne  interrotto  , naturalmente non da me.
- Sai, ti svelo un segreto... se giuri di non dirlo a Charlie - disse in tono sarcastico ( non so se volesse rallegrare me o se stesso ) - Questo pick-up è tuo , te lo ha regalato  per darti il benvenuto-  visto  che la mia espressione poi non molto diversa decise di ironizzare maggiormente - mi raccomando  acqua in bocca !-
Accennai ad un sorriso per accontentarlo. Poi finalmente intravidi casa , mai nella mia vita fui più contenta di vederla!
CASA = SOLITUDINE, SOLITUDINE = SICUREZZA, SICUREZZA = PACE , il mio cervello non faceva altro che pensare a questo sillogismo.
Purtroppo una volta scesa dalla macchina Jacob non accennò ad andarsene.
Mi guardo come se volesse supplicarmi di ricordarlo... Che avessimo condiviso qualcosa  di cosi tanto importante assieme?   Non lo sapevo , in fondo quando lasciai Forks  con mia madre avevo si e no sei anni ..
"Mi spiace per te caro Jacob  ma ho cancellato il più possibile della mia infanzia " pensai dandogli le spalle e dirigendomi verso casa, e una volta vicino la porta senti il rumore di quel vecchio rottame allontanarsi.

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Capitolo 5
*** Morsi ***


 :D ciao ciao ! Vi preannuncio che il capitolo che segue è uno dei miei preferiti... forse perche sono un pochino  sadica?? Sono contenta delle recensioni che ho ricevuto finora ... come si suol dire poche ma buone !!! spero che il capitolo che leggerete vi piaccia più degli altri perché, come ho già detto, è il mio preferito rispetto a quelli che ho scritto finora ... scommetto che siete curiose di vedere se Edward ci sarà !! mmm  lo scoprirete solo leggendo !!  quindi un bacione a tutte quelle che leggono e come sempre fatemi sapere cosa ne pensate !!   :)
 


MORSI

Entrai in casa e mi chiusi la porta alle spalle, poggiando il mio peso su di essa.  Mi resi conto di non avere più forze, nel mio stomaco iniziò a dilagare un leggero mormorio, come se volesse attirare la mia attenzione, ribollendo sempre più forte...
Era strano come, per me, ogni morso dettato dalla fame fosse piacevole, rilassante, rincuorante... non so esattamente perché, forse perché era sempre stata una delle poche cose che controllavo io nella mia vita,  la fame... la potevo far venire , e sempre io la potevo far cessare, come per il vomito...
Ovviamente ne conoscevo perfettamente i rischi e gli effetti collaterali che si manifestarono in quel momento. Ero stremata e non riuscivo a muovermi dalla porta dov'ero appoggiata... il solo pensiero di staccarmi da lì era troppo pesante. Diedi una rapida occhiata  all'orologio in cucina, " Charlie tornerà  a casa tra poco..." pensai, radunando le forze che mi erano rimaste per decidere di incamminarmi verso la mia stanza. Ad ogni passo, però, le mie gambe pesavano tonnellate, e mi sembrava che avrebbero ceduto da un momento all'altro. Alla fine riuscii ad arrivare alle scale. "Già, le scale... e ora?" . Il senso di sconforto che mi assalì, unito alla stanchezza procuratami dallo sforzo, mi fece cedere le ginocchia e caddi a terra quasi incosciente. Davanti a me  il corridoio e le scale danzavano  in un vortice  che sembrava volermi risucchiare. Le immagini iniziarono a sfocarsi e stavo quasi per rinunciare, per abbandonarmi a Morfeo, quando una vocina si fece largo in me, "Ci sei quasi, un altro piccolo sforzo, altrimenti ti scopriranno... sai cosa succederebbe se Charlie ti scoprisse? Si che lo sai..." .
Mi ritrovai, quasi inconsapevolmente, ad arrampicarmi carponi per le scale.
Con molta fatica riuscii ad arrivare in cima, mi alzai sulle mie  gambe  che però non volevano reggermi, cosi mi appoggiai al muro e camminai fino alla mia stanza. Arrivata in camera fu cosa fatta. Appena mi trovai in direzione del letto mi ci buttai sopra.
Ora potevo semplicemente godermi lo spettacolo che mi circondava. Sdraiata sul letto, vedevo la stanza dai colori molto più vividi che mi traballava intorno, il tutto accompagnato dal sottofondo musicale del mio stomaco, che tentava di opporsi al mio volere... non capiva che più si agitava e più io mi rilassavo .
Rimasi ferma in silenzio a contemplare lo spettacolo che mi si parava davanti quasi affascinata dai morsi del mio stomaco e dagli effetti che mi procurava. Alla fine non so se mi addormentai o persi i sensi, so solo che mi svegliai nel cuore della notte  immersa nel mio sudore. Il mio stomaco, capendo che non sarebbe servito a nulla, aveva smesso di tentare di attirare la mia attenzione.
Spaesata , accesi la luce della abat-jour , e affianco ci trovai un foglietto di carta
- Bella, ti ho lasciato qualcosa da mangiare sul tavolo in cucina, così non dovrai mangiare gli avanzi come ieri notte -
"O, ma che  tenero Charlie " pensai con un senso di nausea provocato da una tale smielaggine...
Subito dopo mi sentii quasi in colpa verso Charlie per avergli dedicato un pensiero così cattivo. "In fondo che colpa ne ha lui se la mia vita fa schifo?", mi affrettai a pensare, ma la risposta che mi diedi fu più cattiva della precedente, perché fu pura realtà.  "Non mi ha voluto", e proseguii, " Se solo mi avesse voluto... come gli chiesi quel giorno..."

"Papà voglio stare qui con te, a Forks..."  gli aveva chiesto fra le lacrime quella che lui definiva "la sua bambina"  con la voce rotta dal pianto...

"BASTA! Basta, Isabella", mi ripetei,  "pensa ad altro"  e come se le mie suppliche fossero state ascoltate , nella mia mente comparvero due occhi  ipnotici, color miele... carichi di disprezzo...
Nella mia vita avevo disprezzato molte cose e molte persone, ma sempre per buoni motivi. Quello sguardo  immotivato, se non fossi stata così insensibile a tutto , quasi mi avrebbe ferita. Ma la mia indifferenza era un'ottima corazza, e quello sguardo non poteva scalfirla, solo incuriosirmi...
Ma c'erano stati altri sguardi durante la giornata che chiedevano di essere ricordati, come quegli occhi da bambino che mi guardavano in modo cosi triste, carichi di compassione,  che mi supplicavano di ricordarmi  qualcosa del passato , qualcosa di cui mi ero totalmente dimenticata... ma cosa?

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Capitolo 6
*** visita (prima parte) ***


Eccomi tornata con un nuovo capitolo... e anche se non lo leggeranno in molti lo pubblicherò lo stesso . Bene prima di cominciare a leggere volevo chiedervi se secondo voi la storia procede in maniera troppo lenta. Secondo voi perdo troppo tempo nel descrivere gli stati d’animo di Bella? Se lo faccio e perché lo ritengo necessario però capisco che magari risulti troppo noioso… che altro mmm .. ah si buona lettura !
 
 

VISITA

Aprii gli occhi lentamente, mi ritrovai in un luogo famigliare, somigliava al bagno del  pian terreno.
Mi correggo: non gli somigliava, lo era.  Il mio braccio era poggiato su qualcosa di freddo e bianco, che non appena misi bene a fuoco riconobbi come il water … dopo alcuni secondi un ricordo si fece largo in me. Ieri sera ero scesa per mangiare la pizza che Charlie  aveva comprato e poi,  tra un rigetto e l’altro, dovevo aver perso i sensi stremata .
Pian piano ripresi conoscenza , e più la riprendevo più sentivo la pelle ghiacciata e addormentata, la schiena era indolenzita e le mie gambe erano molli e non volevano prestarmi ascolto.
Un leggero e fastidioso formicolio iniziò a percorrermi le gambe, partendo dalla punta dei piedi per arrivare vicino le cosce, e man mano che  il formicolio si intensificava le gambe reiniziavano a rispondere ai miei ordini.
L’unica consolazione, che addolcii questo “particolare “ risveglio era la presa di coscienza del fatto che oggi era sabato … significava che avevo ancora altri due giorni da passare lontana della scuola, anche se sapevo che prima o poi sarebbe arrivato lunedì e che con il suo arrivo niente mi avrebbe salvato dal limbo infernale che molte persone si ostinavano a chiamare scuola! Certo perché loro non sapevano cosa comportasse la scuola oltre lo studio, non conoscevano la cattiveria  che gli ormoni provocava nei ragazzi in fase adolescenziale, e tutto questo perché con il diventare grandi ci si ritrova davanti a problemi talmente diversi da dimenticare quelli avuti durante l’adolescenza… a meno che le loro esperienze liceali non assomiglino alle mie.
Fui distratta dai miei pensieri perché sentii dei rumori provenienti dalla cucina. “Questo significa che Charlie si è svegliato” pensai.
Mi accigliai pensando che poteva essersi accorto della mia scomparsa dal piano di sopra, ma riflettendoci pensai che se il capo sceriffo ritenesse che la figlia fosse scomparsa non scenderebbe tranquillamente le scale per… per prendere un caffè…  un caffè! Si perché i rumori che provenivano dalla cucina sembravano proprio quelli di qualcuno che fa colazione.
Cosi decisi di andare in cucina e far finta di nulla. Prima di uscire dal bagno mi guardai allo specchio, con l’intenzione di darmi una sistemata. Come tutte le volte che lo facevo , non riconobbi subito l’immagine riflessa sopra. Era come guardare un'altra ragazza…
Come  due persone ben distinte  che si fissano reciprocamente, provando disprezzo ma anche un po’ pietà nei confronti dell’altro.
La ragazza dello specchio… come poter credere che quella ero io?
Il viso pallido e scarno e le cavità oculari scavate e colorate da un tetro violetto facevano spazio a due occhi spenti e piatti di cui il nero ne accentuava il vacuo; le labbra trasparenti e secche, tutto ciò contornato da una lunga cascata di capelli castani, aridi e sfibrati, che tentavano di nascondere i tratti ormai ispidi del mio viso.
Più osservavo la ragazza di fronte a me e più lei si rattristava e i suoi occhi si facevano lucidi… e ora piangeva, calde lacrime solcavano quel viso cosi freddo… cosi  si portò una mano sulla guancia e le asciugò, tutte, una ad una.
Mi girai di schiena e, come a voler controllare che l’incubo di una notte non fosse reale, mi alzai la maglietta, ma purtroppo il non era un incubo ma la realtà. La mia schiena era percorsa da strisce violacee dalle tonalità diverse… nella mia mente  aleggiavano ancora le sue parole: “voglio lasciarti un mio ricordo troia”. Rabbrividii. Come se fossi capace di dimenticarlo o dimenticare tutto quello che mi aveva fatto. Mi ricoprii la schiena e distolsi lo sguardo…
Dopo essermi bagnata il viso e asciugata ,uscii dal bagno .
Appena entrata in cucina Charlie mi guardò perplesso per poi dire
-Siamo mattiniere oggi?-  “perché diavolo continuava a farmi domande? Sa che non gli risponderò mai!”  mi chiedevo irritata.
Ma non sembrava  aspettarsi niente, se ne stava lì, in piedi, davanti la macchina del caffè, poggiato  al mobile, sorseggiando da una tazza fumante , lo sguardo più rilassato del solito. Non sembrava aspettarsi nulla che uscisse dalla mia bocca, anzi, per tutta risposta al mio silenzio, prese una tazza dalla credenza , la riempii di quel fumante liquido nero e me la porse.
Mi ritrovai quasi inaspettatamente a sorridere per quel gesto gentile e spontaneo, ma fatto con tale naturalezza da parte sua che mi diede una parvenza di clima famigliare a me quasi sconosciuta .
Sorseggiai con avidità il caffe, accorgendomi di essere allo stremo…
Di solito non mi riducevo mai cosi. Spesso per molti periodi mangiavo normalmente, vomitando  di rado … ma col tempo questi avvenimenti erano aumentati sempre più  proporzionatamente al mio appetito che scompariva sempre più; a volte bastava guardare il cibo, come per  le persone, per avere subito la nausea…
Lo stress per il ritorno a Forks  aveva fatto si che il solo pensiero di ingurgitare qualcosa diversa dalla mia saliva fosse per me inconcepibile … però avrei provveduto oggi stesso , non potevo ridurmi cosi, di questo passo entro due settimane sarei finita in un centro d’aiuto… e non volevo si ripetesse l’esperienza…
Charlie, non ancora abituato alle mie frequente  “assenze mentali”  dalla realtà, mi guardò stranito per qualche istante.
-Bells…- la sua voce gentile sembrò tuonare nella mia testa , un semplice nomignolo bastò a mandare in tilt il mio cervello, di tutto il resto che mio padre pronunciò io non riuscii ad ascoltare più nulla.
La mia mente oramai era troppo impegnata a viaggiare tra i ricordi.
  
Ero in quella cucina, identica ad ora se non fosse per i colori più vividi dei mobili e delle pareti  (che il tempo aveva schiarito) davanti a me c’era una bambina, i capelli raccolti in due trecce , il viso paffuto , le guance rosse, un vestitino bianco ricamato, che cercava di arrampicarsi sul mobile per arrivare alla credenza , quando una voce alle sue spalle la chiamò con tono di rimprovero.
-BELLS!- esordì Charlie -SCENDI SUBITO… potresti cadere…-
La bambina  scese e si fece scura in volto offesa per il rimprovero del padre , che subito le andò incontro per abbracciarla, e nell’abbracciarla la sollevò da terra e la strinse a sé…
Ricordai di aver pensato spesso agli abbracci di mio padre dopo il trasferimento , chiedendomi perché non potevo più averne…
Di colpo la bambina davanti a me non è più tra le braccia del padre ma è in una stanza buia , nascosta dietro degli scatoloni, rannicchiata su se stessa che trema non capendo nemmeno lei se per il freddo o per la paura…
All’improvviso dei colpi alla porta, accompagnati da delle urla.
-Bells, aprimi … BELLA  HO DETTO DI APRIRMI!  GUARDA CHE BUTTO GIU LA PORTA –
 
Quando  riemersi dai miei ricordi riemersi per tornare alla realtà Charlie non c’era più, era andato a lavoro; ed io ero sola, in casa.
                                                                                                   

***

Era ormai arrivata l’ora di pranzo ed io non avevo idea di cosa potessi mangiare senza rischiare di vomitare un secondo dopo… avevo bisogno di qualcosa per  reintegrare l’eccesso di quest’ultimo periodo.
D’improvviso il suono del campanello mi lasciò attonita per alcuni istanti; lentamente mi diressi alla porta per aprirla.
Non appena aprii la porta mi ritrovai davanti a me quegli occhi…

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Capitolo 7
*** visita (seconda parte) ***


Salve! Eccomi di nuovo qui a rubare il vostro prezioso tempo in cambio di  non so bene cosa!
E chiedo venia per il mio ritardo mostruoso… ma tra crisi d’identità varie, post-depressive, d’ispirazione… Insomma c’è crisi XD…  comunque mi spiace veramente molto per avervi fatto aspettare cosi tanto  ma ogni volta che prendevo a trascrivere il capitolo al pc, la mia mente era tormentata da mille dubbi:  se fosse abbastanza lungo, se magari fosse troppo noioso o troppo lento, se fosse inutile e dispersivo… non lo so! Ora finalmente mi sono decisa e lascerò giudicare solo voi! Spero che questo ritardo non vi abbia persuaso a non leggere più la storia che è solo una povera vittima della sua pazza autrice.
Buona lettura!
 
Visita parte 2
Non appena aprii la porta mi ritrovai davanti quegli occhi così simili a quelli di un bambino che stonavano su quel fisico muscoloso…
Quegli occhi … che mi avevano fissato  con curiosità e  che  ora sembravano così felici di vedermi.
-Ehi! -   disse, lievemente  a disagio dal mio silenzio e dal mio palese sconcerto. - Come promesso… il suo pranzo è qui , milady  - 
Pronunciò queste parole con una veemenza appositamente esagerata  accennando un inchino appena finito di parlare.
Notando  il mio stupore  si ricompose e subito si affrettò a dire     - Bella, Charlie mi ha chiamato chiedendomi di portarti il pranzo… mi ha assicurato di averti avvisato  -   “ah ecco di cosa mi parlava Charlie prima di essersene andato “
In modo  indifferente mi spostai dalla porta e gli feci cenno di entrare.
Arrivati in cucina l’imbarazzo aveva preso consistenza che quasi si poteva toccare…
Avrei voluto farlo cessare, ma più di tutto avrei voluto far cessare lo sguardo che quel ragazzo, Jacob o come cavolo si chiamava, mi riservava dal nostro primo incontro… non so se poterlo definire di compassione, o di semplice tristezza… 
Ma se era triste io cosa c’entravo? Tutto questo pensare non faceva che stordirmi maggiormente.
Eravamo seduti l’uno di fronte all’altra, circondati da quel famigliare silenzio, fonte di tanto imbarazzo. Lui era concentrato a scrutare ogni mio movimento per tentare di decifrare la ragazza che aveva di fronte e capire se fosse realmente Isabella, quella che lui diceva essere la sua compagna di giochi d’infanzia, ed io ero concentrata su ogni singolo boccone per non dover  poi rigettare  quella che mi sembrava lasagna. Mi ero così abituata a disprezzare il cibo e il suo sapore che quasi non distinguevo più le pietanze, tanto che attribuivo loro lo stesso disgusto. In fondo  alla fine tutto si riduce in una disgustosa poltiglia che in un modo o nell’altro il tuo corpo parzialmente rigetta…
Con mio enorme stupore riuscii a mandar giù una bella meta della mia porzione, e non sentii nessun impulso  di recarmi al bagno. Ero piacevolmente stupita di come fossi diventata brava nel controllarmi e nell’auto-gestirmi. Dovetti comunque fermarmi - non potevo pretendere troppo, non volevo di certo finire con l’ingozzarmi di fronte a un estraneo, chissà cosa avrebbe mai potuto pensare! Potevo comunque ritenermi più che soddisfatta: avevo mangiato in modo pacato e tranquillo senza dare nell’occhio un bel pezzo di lasagna, ed il mio stomaco era forse in procinto di digerirlo.
Un tale autocontrollo non so se sarei riuscita a mantenerlo anche con Charlie: anzi, credo che forse una parte di me avrebbe voluto ficcarsi due dita in gola e vomitargli davanti. Non so quanto grande fosse quella parte, ma so per certo che era una parte di me molto malvagia.
Ma tutto sommato non credo lo avrei mai fatto, non perché quella parte di me fosse piccola, ma perché la voglia di non farmi scoprire  era nettamente maggiore. Non avrei mai voluto far succedere di nuovo il casino dell’ultima volta…
 Jacob guardò dubbioso sia me che il piatto. - Lo so che non sono come quelle di mia madre… ma da piccola non avresti esitato a spazzolarti la teglia  - 
Il pensiero di tutto quel cibo da ingurgitare mi fece salire un accenno di vomito su per la gola, che con molta discrezione dovetti sputare nel tovagliolo.
La mia più che discrezione nel non farmi scoprire era diventata un’arte… più volte mi ero trovata a complimentarmi con me stessa per il mio ingegno , anche se la quasi totale assenza di mia madre da casa mi aiutava non poco a mantenere la mia “privacy”.
Jacob, forse imbarazzato quanto me da quel silenzio, riprese a parlare. - Mia madre te la preparava sempre, sapeva quanto ti piacessero… e quanto tua madre fosse negata in cucina - 
Finita la frase rimase un po’ spaventato, temeva che io avessi potuto prenderne la fine per un’offesa… ma per tutta risposta io scoppiai a ridere. Se non fossi stata così concentrata a diffidare di lui e a odiarlo per la sua interferenza con le mie abitudini… forse avrei potuto trovarlo simpatico.
Inforcai l’ennesimo pezzo di lasagna e mentre lo stavo portando alla bocca mi sentii osservata, così alzai gli occhi  e notai il suo sguardo puntato su di me… non potei fare a meno di chiedermi perché mi stesse sorridendo, volevo capire cosa ci fosse dietro quel sorriso, cosa volesse da me…
Nel cercare si decifrarlo mi persi nei suoi occhi scuri per qualche istante.
Tre secondi, tre interi secondi nei quali ci guardammo reciprocamente, poi mi resi conto di quello che stava succedendo così  iniziò a mancarmi l’aria, le mie guance avvamparono diventando di un colore tendente al pomodoro. Per non parlare della reazione del mio cuore: i battiti non solo erano aumentati ma avevamo preso un ritmo tutto loro molto incostante.
Il fatto che sentivo ancora i suoi occhi su di me non mi aiutava affatto, anzi peggiorava di gran lunga le cose. L’aria si faceva sempre più rarefatta e sentivo l’impulso di spalancare la bocca per riempirmi i polmoni, ma non volevo  esagerare di fronte a lui…
Il risultato, però, poteva essere lo svenimento! Poggiai con finta calma la forchetta nel piatto e mi precipitai in bagno, con una velocità che andava aumentando mano a mano che mi allontanavo da Mr. Sorriso facile!
Il mio cervello era in tilt: mi accadeva spesso, quando mi accorgevo di essere osservata o di essere al centro dell’attenzione. Mi sembrava mancasse l’aria, e lo spazio sembrava ridursi fino ad imprigionarmi.
Sapevo che non sarei potuta tornare subito in cucina se non mi fossi prima calmata per bene.
Così me ne stetti in bagno, seduta a terra, con la schiena poggiata sulle mattonelle ghiacciate della parete, e mentre poggiavo una mano sul petto, come a voler rallentare il battito del mio cuore, l’altra la poggiavo inerme a terra, sperando nel sollievo dettato dalla frescura del pavimento.
Con la mente continuavo a contare da uno a cinque in modo lento per cercare di calmare l’affanno.  “Uno, due, tre, quattro, cinque, inspira… Uno, due, tre, quattro, cinque, espira…” Iniziava ad andare molto meglio, ma non so con esattezza quanto tempo ci misi, potevano essere cinque minuti come venti.  Ad un tratto sentii dei passi provenienti dalla cucina .
Quei passi rimbombarono nella mia mente. Il bagno si trasformò in una stanza a me molto più nota, ed i passi timorosi e leggeri che la porta velava si erano fatti pesanti  e smaniosi.
E sebbene  sapessi che vi era Jacob dietro quei passi, e che era lo stesso Jacob a pronunciare il mio nome con tanto timore, nel mio cervello si era attivato un meccanismo di difesa procurato dal déjà-vu che si era fatto largo in me.
Così mi fiondai sulla maniglia e la chiusi a chiave, con un impeto che probabilmente spaventò persino Jacob, che sentii uscire  senza più dir nulla. Ma mentre lui avrebbe potuto lasciarsi questo episodio alle spalle, io ero ripiombata io un mondo di paure e odio che speravo essermi lasciata a Phoenix, ma che in realtà non mi aveva mai abbandonata…
Ero distesa a terra, come una bimba impaurita, caduta in trappola, che non sa che fare, se non piangere e cercare di non fare rumore, cercare di non pensare alle percosse sulla porta che presto non avrebbero più colpito il legno ma il suo corpicino, perché tanto alla fine, per quanto  riuscisse a nascondersi bene , lui riusciva sempre a trovarla.
Non capivo più perché tentassi di oppormi, la mia resistenza non faceva che aumentare la mia punizione…
“BASTA” urlavo dentro di me, ma non mi rimaneva che sperare nella sua indulgenza  e nella mia mente, che avrebbe dovuto estraniarmi dalla realtà come meglio poteva.
Quando tornai di nuovo cosciente mi ritrovai nel  bagno, dove probabilmente stremata dai ricordi avevo perso i sensi.

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Capitolo 8
*** La fine del mondo ***


Salve a tutte o a nessuno !! XD okey sono in ritardo? Non so a questo punto credo di essere così in ritardo da potersi considerare anticipo… vabbé basta con le sdrammatizzazioni, io sono perennemente in ritardo e il fatto è che conciliare la scuola con questa fanfiction mi risulta molto difficile, visto inoltre il mio momentaneo blocco per il proseguimento della storia… Devo inoltre confessare che sono stata preda di un’ ispirazione improvvisa per un'altra storia di cui ho dovuto immediatamente buttare giù i primi capitoli. Comunque per non farvi attendere sempre così a lungo  forse deciderò di bloccarmi per qualche mese e scrivere più capitoli per poi pubblicarli a pause regolari… non ne sono ancora sicura vedrò come va la scrittura.  Intanto  vi passo questo capitolo più lunghetto del solito seguendo alcuni consigli a me molto graditi… spero mi lascerete  un commento anche per farmi sapere se preferite una pausa di  un tot di tempo o dei capitoli a sorpresa sparsi nel tempo come fino ad ora... vi lascio alla lettura!

 

LA  FINE DEL MONDO

 

 

Le coperte calde mi coprivano come una sorta di corazza che mi manteneva al caldo. Il tutto fu bruscamente interrotto dal suono ripetitivo della sveglia che mi riportò non proprio cosciente alla realtà. Mi guardai intorno,  ancora confusa e spaesata dal trovarmi nella mia vecchia cameretta.

Il suono della sveglia, i vestiti già  pronti appesi sulla sedia e lo zaino malamente poggiato a terra  pieno di libri: tutto mi ricordava che oggi sarebbe stato il mio primo giorno di scuola alla Forks High School . La fine del mondo, l’apocalisse e varie calamità naturali erano tutte cose che avrei sopportato maggiormente e con sano entusiasmo. Tutto  pur di evitare questo maledetto lunedì.

La notte si era trascinata in una sorta di dormiveglia, dove immagini e ricordi dalla mia vecchia scuola e dei miei vecchi “amati” compagni mi attraversavano la mente come camion e mi lasciavano tramortita nel letto. Chissà a quale nuovo scherzo mi avrebbero sottoposta i nuovi?

La mia speranza fin da quando ero piccola era sempre stata la stessa: stare sola! In fondo non chiedevo molto… Ma la gente continuava ad accanirsi contro di  me come se gli fosse stato imposto da qualcuno.

E in preda a immagini e pensieri spiacevoli mi ero rigirata nel letto tutta la notte, sperando che il sole non sorgesse più.

Ma purtroppo come tutte le mie richieste nemmeno questa fu accolta, perché sebbene qui a Forks “il sole non sorgesse”  le nuvole, come sue vicarie, lasciavano penetrare quel poco di luce che serviva alla popolazione di questo buco di città per definire il sole sorto.

Mentre mi apprestavo ad alzarmi mi accorsi di stringere qualcosa nelle mie mani, la luce era troppo poca per vedere l’oggetto ma  tastandolo meglio capì che si trattava di una fotografia, anzi “della fotografia”.

Da quando sabato pomeriggio Jacob l’aveva infilata sotto il portone dopo essersene andato, l’avevo osservata così tanto che se fosse stato possibile consumarla con lo sguardo, a quel punto l’avrei già corrosa.

Avevo tante foto  che coprivano la mia infanzia dai sei anni fino ai dieci, ma del periodo precedente non rimaneva più niente, opera di mia mamma che voleva sbarazzarsi di tutto ciò che le ricordava Charlie.

A volte, da bambina, credevo che volesse sbarazzarsi anche di me, che glielo ricordavo più di qualsiasi oggetto che avesse mai buttato, strappato o bruciato. Ma non potendo né buttarmi, né  bruciarmi né tantomeno strapparmi, aveva preferito essere sempre il più lontano possibile da casa, con orari lavorativi improponibili.

Così ogni volta che lei mi diceva che avevo gli occhi di mio padre per me equivaleva ad un modo tutto suo di scacciarmi.

perché i miei occhi erano gli occhi del suo unico amore, anche se lei cercava di nasconderlo a tutti -prima fra tutti se stessa- Reenè  aveva amato ed avrebbe sempre amato solo un uomo: mio padre.

Nella foto che stringevo in mano avevo sì e no 5 anni, ero immersa nella sabbia con affianco un bambino dalla pelle scura, che contrastava non poco dalla mia carnagione color latte… i due bambini erano alle prese con quel che sembrava un castello di sabbia, in lontananza s’intravedeva Reenè che sembrava parlare con una bellissima donna dai tratti indiani appena accennati.

Il viso della donna, che sembrava rivolto verso il mio compagno di giochi, era colmo d’amore. Vedere quella foto sul pavimento dell’ingresso aveva risvegliato in me qualcosa di sopito, sentimenti che in quel momento stentavo a credere di aver mai provato: affetto, nostalgia, addirittura compassione, non so di preciso quali di questi fosse il più corretto a definire come mi ero sentita, forse tutti o forse nessuno.

Non so spiegarmi bene nemmeno il perché di quella reazione ma il dubbio aveva continuato a tormentarmi, e come se non bastasse aggiungendo a tutto ciò un po’ di “stress da primo giorno”, tutti gli ingredienti avevano dato il via ad un pasticcio perfetto!

Con il solito mal di stomaco, ormai mio intimo amico, mi diressi verso il mio nuovo mezzo di trasporto, nonché regalo di benvenuto  del mio magnanimo padre!  “Bel tentativo Charlie. Se volevi farti perdonare per tutti questi anni di assenza avresti  dovuto puntare su una Ferrari, altro che questo”.

Ma dissi a me stessa che sarebbe potuta andarmi peggio: avrebbe potuto accompagnarmi lui a scuola.

 

***

 

La scuola non distava molto da casa, e nemmeno vi era un percorso particolarmente complesso, ma il mio “dolce paparino” aveva avuto la premura di farmi una simpatica mappa!

Arrivata al parcheggio notai con mio sommo piacere che questa era un terzo della mia precedente scuola… Ma nonostante ciò scendendo dalla macchina mi ritrovai tutti gli occhi puntati addosso. Doveva trattarsi del tipico effetto da paesello, in un posto grande non fai caso alle novità, ma evidentemente a Forks tutto poteva essere ritenuto uno svago dalla monotonia della routine.

La mia reazione fu istintiva, afferrai la borsa, e a passo troppo veloce per una persona normale, mi diressi verso l’interno della scuola, come unica meta il bagno!

Mentre camminavo un ragazzo, credo asiatico, mi si affiancò.

-ehi! Piacere…- non gli diedi tempo di finire perché accelerai se possibile ancora di più, ed in pochi secondi stava scomparendo alle mie spalle.

Girovagavo per i corridoi della scuola da ormai una decina di minuti, quasi rassegnata a non trovare il bagno, ma alla fine trovai qualcosa di meglio: lo sgabuzzino del bidello!

Dopo essermi assicurata che il corridoio fosse  libero ci entrai in modo discreto…

Era totalmente buio, ma non avevo paura, anzi, mi sentivo totalmente a mio agio… come se ne facessi completamente parte. Era strano come io, che avevo paura praticamente di tutto, non temessi una delle cose che generava le fobie più comuni.

Ma il tempo mi aveva insegnato che il buio a volte poteva essere un ottimo rifugio dove nascondere se stessi…  come un mantello che ti copre e magari a volte riesce  a salvarti.

Seduta per terra in quello sgabuzzino, dove a malapena vedevo le mie mani, lavoravo sul mio respiro, aiutandolo a tornare regolare.  Ma in quel momento La campanella squillo; a malincuore mi alzai e usci cautamente da lì.

Estrassi dalla tasca gli orari delle lezioni che “gentilmente” da bravo padre Charlie era andato a prendere a scuola - informandoli, fra l’altro, che sua figlia era “particolare”, e se pure tutte queste premure mi avevano aiutato parecchio, mi snervava  tutta questa attenzione  da parte di Charlie.  “Vuole solo essere un buon padre” mi ripetevo, “non puoi scordarti per dieci anni di avere una figlia e poi diventare il padre dell’anno" mi rispondevo maligna…

Cercando i miei orari sul foglietto mi accorsi, felicemente, che tra i vari moduli da compilare e gli orari vi era una mappa dell’istituto. Quindi seguii le indicazioni per l’aula ventidue, felice di scoprire che avrei avuto due ore di letteratura.

Arrivata davanti la porta dell’aula notai che l’insegnante stava per chiudere la porta, segno che la lezione stava cominciando, ma quando mi notò si fermò di colpo.

Dopo avermi osservato per alcuni istanti con uno sguardo freddo disse:

-Isabella Swan?-

Io mi limitai ad un debole cenno per confermarlo.

Probabilmente  oramai tutti gli insegnanti erano stati avvisati della mia particolare condizione. Infatti con mio enorme sollievo non mi venne chiesto nulla, mi accomodai in un banco in fondo all’aula e a testa bassa attesi in silenzio l’inizio della lezione.

 

***

Lo squillo della campanella decretò la fine delle lezioni, ma non per me…  la signora Bennet, una donna  sulla cinquantina, bassa e grassottella, mi aveva invitato a restare per rispondere ad un questionario.

-Voglio essere sicura del fatto che… magari ti troveresti meglio in un’altra classe, con… ragazzi come te… ragazzi particolari-

 La parola “ritardati” aleggiava nell’aria più pesante di qualsiasi cosa detta, e nel suo tono come nel suo sguardo trapelava il suo sdegno, ma mi ero abituata anche alle persone che mi ritenevano stupida. Avevo anche creduto che più la gente mi riteneva tale più sarei passata inosservata, non capendo che i miei compagni erano solo più incitati a ridere di me…

Iniziai a rispondere a quello che per l’insegnante doveva essere un test particolarmente difficile, perché quando notò la facilità con cui rispondevo aveva un’aria  molto più che stupefatta…

In fondo essendo solo cinque domande tutte inerenti alla letteratura inglese dei primi dell’ottocento non fu davvero molto difficile rispondere: per me che ero un’accanita lettrice era molto banale - come banale era il mio rifugiarmi nei libri, nel vano tentativo di scordare la mia vita.

Se me ne fosse importato qualcosa mi sarei dovuta offendere per la faccia stupita che era dipinta sulla signora Bennet… ma in fondo come darle torto? Non dovevo avere la faccia molto sveglia con l’aria perennemente stanca ed assonnata che mi accompagnava.

Era sufficiente indossare maglioni larghi e mettere su del fondotinta per coprire il mio malessere? Inutili i tentativi, non servivano quasi a nulla. Nella maggior parte dei casi passavo inosservata, scivolavo via dalle vite delle altre persone come la pioggia, ma credo che uno sguardo più attento non sarebbe stato ingannato da ciò… per fortuna ero solo pioggia, e chi si ferma ad osservare la pioggia?

Poi un'altra importante questione era quella di perdermi di continuo tra i miei pensieri. Non doveva darmi un’aria molto intelligente…

La mattinata trascorse in maniera inaspettatamente tranquilla, la simpatica idea della signora Bennet  non venne emulata da nessun altro insegnante.

L’ultima campanella, che risuonava tra le varie aule, risvegliava gli studenti come i topolini che ballavano sotto l’effetto della melodia del pifferaio… l’euforia sembrava dilagare nell’aula, tutti che, recandosi verso la mensa, radunati in gruppetti parlavano del più e del meno,  con una tale enfasi da sembrarmi  irreale.

Io radunavo le mie cose, pregustando già uno dei miei famosi “pranzi al bagno”. Sarei passata dalle macchinette nel corridoio, mi sarei rifugiata nel bagno femminile, chiudendomi in una delle toilette alla ricerca di un po’ di pace, e ci sarei  riuscita se non fosse stato per un certo Mike Newton, che mi colse totalmente alla sprovvista.

Si avvicinò, semplicemente, presentandosi e invitandomi a pranzare con lui e i suoi amici, il tutto con un goffo utilizzo del linguaggio dei segni.  Sarei scoppiata a ridergli in faccia -lui credeva di avvicinarsi con l’utilizzo di un linguaggio che io stessa conoscevo a stento- ma evitai di ridere, in fondo potevo quasi ritenerlo un gesto gentile.

Avrei comunque rifiutato molto volentieri ma non mi diede minimamente tempo per rispondergli, e poi il rispondere non era più contemplato nei miei modi di fare, e anche potendo il:  “scusa devo chiudermi in bagno a mangiare e vomitare” non sarebbe stato il massimo…

Quindi in balia di questo esaltato raggiunsi la fantomatica mensa:  notai di nuovo con piacere che, seppur strapiena, non conteneva nemmeno la metà degli studenti della mia precedente scuola.

Ma ciò non bastava a rassicurarmi dalla insolita gentilezza delle persona che sembravano essere tutte come Mike. Il tavolo dove mi aveva condotto sembrava essere al centro della sala, che se non ricordavo male era sinonimo di popolarità, infatti dopo poco mi accorsi che molti dei ragazzi indossavano il giaccone della squadra di football, lo stesso Mike la indossava (come avevo fatto a non notarlo??)

-Vi ricordate Isabella Swan? Ha frequentato l’asilo con noi- le parole uscirono dalla bocca di Mike con una tale semplicità, come se fosse la cosa più naturale al mondo ricordarsi di me.

-ah! La piccola Bella! Andavi sempre alla ricerca di formiche, come procede il tuo hobby?- disse un certo Ben, nel tentativo, lo avevo capito, di mettermi a mio agio.

Io per tutta risposta arrossii, e feci un debole cenno di  no con la testa, mentre un minuscolo sorriso percorreva le mie labbra. Tutti cercavano d’inserirmi negli argomenti , rendendomi partecipe nelle conversazioni, insomma come meglio potevano fare con una muta! Era davvero così facile stare con i miei coetanei?

-Bella ci credo che sei così magra! Se mangi solo una mela per pranzo- In realtà la mela era rimasta intatta sul mio vassoio, non credo sarei mai riuscita a mangiare con tutte quelle persone che mi guardavano… ma il fatto che qualcuno (Ben)se ne fosse accorto mi lasciò interdetta per alcuni secondi.

Mi portai le mani sulla pancia come ad indicare un piccolo malessere.

-Ansia da primo giorno?- intervenne sarcastico Mike, scossi la testa per negare, ma nel farlo notai qualcosa di particolare, anche se non so se questo aggettivo sia ideale per la situazione.

Quattro ragazzi erano appena entrati dalla porta del cortile, e il tempo si era come congelato intorno alla loro venuta. Non sembravano minimamente dei ragazzi intenti con un normale giorno scolastico, erano come usciti da un film, ma la cosa più strana fu che nessuno sembrava accorgersene a parte me, che li stavo fissando come incantata delle loro movenze così eleganti da sembrare irreali.

Una voce mi riportò alla realtà, apparteneva a Jessica (o almeno credo si chiamasse così), seduta di  fianco a me.

-ehi , lascia perdere! Quelli sono i Cullen, non perderci troppo tempo – Disse con l’aria e il tono di chi ci fosse già passata…

 

 

 

Eccomi qua … di solito non scrivo mai nel fondo della pagina , ma volevo scusarmi dell’inutilità di questo capitolo… promettendovi che a breve ci sarà il ritorno del nostro amato Edward!!  

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Capitolo 9
*** Incontro(parte 1) ***


 

AUG!! salve! E’ da molto tempo che avrei voluto scrivere un capitolo dal punto di vista di Edward, ma sono sempre stata frenata dalla paura  di scrivere qualcosa di totalmente irreale e fasullo che Edward non direbbe mai. Ma ora finalmente mi sono messa a scrivere , perché ne sentivo proprio una forte necessità…   Mi sembrava che la storia ne risentisse troppo quindi ho deciso di farlo sperando in un risultato non troppo irreale! Poi naturalmente volevo farmi perdonare per la lunga assenza di Edward nella storia, intuendo dalle vostre recensioni che vi mancava XD sono contenta perché ho  ripreso il ritmo della storia e come molte di voi mi consigliavano noterete che i capitoli sono più lunghi, ma spero non noiosi XD fatemi sapere come trovate questi cambiamenti !! Buona lettura !!

 

                                                                                                                                                      INCONTRO (parte 1)

Pov Edward

La strada scorreva fin troppo lentamente sotto le ruote di quel pesante gippone, e mi chiedevo come Emmett  riuscisse a sopportare tale lentezza. Con la mia Volvo ci avrei impiegato un quarto del tempo.  Sembra strano, penserete: ”ha tutta un’eternità davanti e si lamenta per qualche ora spesa male” Beh,  lo so che può sembrare solo un capriccio (e probabilmente lo è) ma, che dire, mi piace la velocità, era l’unica cosa che mi piaceva in quella vita piatta e lenta che mi ritrovavo a vivere da circa un secolo.

In macchina la noia mi costrinse  a pensare a cosa esattamente mi aveva spinto ad intraprendere quella fulminea  fuga in Alaska… ma forse mi sarei dovuto chiedere  casa mi spingesse a tornare. Dentro di me continuavo a ripetermi che lo facevo per la mia famiglia,  non sopportavo più le chiamate di Esme - che  sembrava sempre in procinto di piangere  - e poi l’orgoglio, quello era un fattore dominante: non sarei di certo scappato.

 Indubbiamente queste erano valide motivazioni che sicuramente avevano influito nel mio bisogno di tornare, ma c’era qualcosa, non sapevo spiegarmi esattamente cosa fosse, che mi spingeva a tornare il più velocemente possibile a Forks…

La mia partenza era stata così improvvisa che quasi non riuscivo a spiegarmela nemmeno io…

 

…“Isabella Marie Swan” La prima volta che sentii il suo nome non gli attribuì l’importanza dovuta. In fondo è il bello delle prime volte. Tutto ci sembra diverso rispetto a quello che l’avvenire ci dimostrerà. “Alta un metro e sessanta due, quarantasei kilogrammi.  Numerosi ricoveri  al pronto soccorso dovuti a fratture e contusioni, fin dall’infanzia”. In quel momento i pensieri di mio padre mi sembravano del tutto normali  -   ovviamente normali per un diligente medico che porta sempre il lavoro a casa, disposto a consultare su cartelle per un padre preoccupato della sua unica figlia, e naturalmente normale per quanto un vampiro che svolge come lavoro quello del medico possa essere normale.

 Che strano concetto la normalità, una cosa soggetta a innumerevoli fattori:  tipologie sociali, passato storico demografico e sociologico del posto a cui si fa riferimento, e soprattutto al passare del tempo . Proprio il trascorrere del tempo e i continui e repentini  cambi di mode, usanze e pensieri, mi aveva portato alla conclusione che la normalità poteva esistere solo all’interno di un singolo individuo ed avere un valore molto effimero.

“L’ultimo suo ricovero nella città di Phoenix è stato in seguito ad un aggressione subita in casa da ladri che sono riusciti a scappare. Ha riportato un forte trauma cranico, una gamba rotta e alcune costole inclinate… Da allora sembra aver perso l’uso della parola.” Doveva essere atroce trovare nella propria casa delle persone estranee e sentirsi in trappola, pensai. Poi la mente mi condusse a Rose, un forte sentimento di compassione e tristezza mi pervase: quanto doveva essere stato difficile per lei? Decisi di non voler più ascoltare mio padre, un po’ perché il disgusto per persone come quelle mi faceva fare brutti pensieri e mi conduceva verso un passato di cui non ero fiero, un po’ perché mi sembrava di intromettermi  e immischiarmi nella vita privata di un altra persona che doveva aver subito già troppe intrusioni…

Ero diventato sempre più bravo a evitare i pensieri altrui. Ci avevo messo un po’, ma ora riuscivo a canalizzare la mia mente su quello che più volevo. Avevo dovuto esercitarmi ed imparare soprattutto per la mia famiglia. Non mi sembrava corretto violare la loro privacy, anche se ormai erano abituati a non avere più segreti con il sottoscritto, ma io appena potevo mi distraevo con altro nel tentativo di concedere loro quel poco di privacy che riuscivo a lasciargli.

All’ inizio non era stato facile nemmeno per me: sentivo sempre una gran confusione di cui avrei voluto liberarmi. Quando compresi che non avrei potuto farlo cercai di imparare ad usare a vantaggio mio e dalla mia famiglia questa mia… qualità!  Ad esempio se in qualche città qualcuno iniziava ad avere dubbi su noi, potevamo scoprirlo e fare le valigie prima che i dubbi diventassero sospetti.

Mi rifugiai nella mia stanza per apprezzare un po’ di Debussy … visto che tutti i miei fratelli e sorelle avevano da fare “fra di loro”.

 

                                                                                                                                                                    ***

 

Quando scesi in salone, con mio grande stupore, trovai mio padre ancora intento a leggere la cartella medica che Charlie Swan gli aveva consegnato qualche giorno prima.

Doveva essere un caso molto complesso per tenerlo occupato tutto quel tempo. Mi domandavo perché mio padre, che ha un’ esperienza pluricentenaria, fosse stato bloccato su un solo caso per un intero pomeriggio. La cosa m’incuriosiva alquanto, se si considera oltretutto che anche io avevo un paio di lauree in medicina.

-Papà , stai ancora lavorando sul caso Swan?-

-oh Edward caro, non mi ero accorto che fossi entrato nella stanza- Mentre lo diceva non smosse minimamente lo sguardo dai fogli che stava leggendo.

“Vorrei solo capire, le analisi mostrano che non ha riportato nessun danno che le impedirebbe di parlare, eppure è da quasi un anno che è muta...”

-cosa hai intenzione di fare?-

“non lo so proprio figliolo, domani verrà nel mio studio, non ho altro da fare se non propinarle tutta la trafila di visite che ha già effettuato più e più volte…”

-Ti aiuterebbe poter sapere cosa pensa questa ragazza?- Dissi a metà tra il divertito e lo spassionatamente buono.

Mi padre sembro rianimarsi dalla tristezza che lo affliggeva fino a poco prima… “Hai avuto proprio una buona idea figliolo… ma sospetto che tu lo faccia per saltare la scuola.”

-Non posso negarlo! ma sai dopo tutti gli anni da liceale che ho passato perdere qualche giorno non può che giovarmi-

Mentre eravamo lì che ridevamo tranquilli arrivò  Esme per avvisarci che in soggiorno un torneo di scacchi stava avendo luogo , e mentre lo faceva cinse  le spalle a mio padre con un tenerissimo abbraccio. In quei momenti, quando vedevo i miei “genitori” abbracciarsi, capivo che quel loro sentimento era qualcosa che desideravo più di ogni altra cosa al mondo, più dei nostri soldi ma soprattutto più della mia eternità…

 

                                                                                                                                                                  ***

 

La mattina seguente, mentre i miei fratelli si preparavano per la scuola, li osservavo con un sorriso beffardo e qualche battutina che sembravano non gradire molto… Era per me veramente un sollievo non dovermi recare in quel raduno di adolescenti problematici ed essere costretto ad ascoltare i loro sciocchi pensieri, che vertevano sempre sugli stessi argomenti e che si potevo sintetizzare con una sola parola: sesso.

-Ti porterò i compiti a casa- Disse la mia piccola e adorata Alice, tra una piroetta e l’altra, danzando armoniosamente fino alla porta finestra della sua stanza. Le feci una piccola reverenza, in omaggio alla sua grazia.

- Mamma, se Edward non va a scuola non vado nemmeno io- Emmett per quanto fosse il più grosso di tutti continuava a comportarsi e ad esprimersi come un ragazzotto, ma bastò un’ occhiata fulminea di Esme per metterlo a tacere con un broncio che però non se ne andò via. Io e Jasper ci guardammo con un’ aria di rassegnazione. Poi lui andò a raggiungere  Alice: quei due non riuscivano a stare lontani per più di pochi minuti!

Lasciai le chiavi della mia macchina a Rose: la sua avrebbe fatto troppo scalpore, e non mi sembrava proprio il caso! Noi puntavamo al confonderci con gli altri… almeno ci speravamo.

                                                                                                                                                                  ***

Ero sicuro che quella ragazza fosse entrata nello studio, ma non sentivo altro che i pensieri di mio padre. Eppure la vedevo! Come poteva essere? era davanti gli occhi di Charlise, tutta indifesa e spaurita, non era possibile che non stesse pensando a nulla, non per più di dieci minuti almeno! Non sapevo cosa pensare: non mi era mai capitata una cosa del genere, forse sarei dovuto entrare nella stanza con un qualsiasi pretesto, così da più vicino sarei riuscito a sentirla, ne ero sicuro. Ma non volevo invadere lo studio di mio padre per poter spiare meglio una persona, mi sembrava già orribile essere venuto qui con il mero intento di spiare una ragazza i cui problemi sembravano già tanti! Restai ancora qualche minuto diviso tra il voler entrare e il tentare di concentrarmi meglio. Ma visto che tutto quello che riuscivo a vedere era il suo viso minuto e troppo ossuto, e tutto quello che sentivo erano le parole di mio padre che riepilogavano davanti ad aprire la porta.

Ora, con il senno di poi, mi chiedo come sarebbero andate le cose se non avessi mai aperto quella porta, ma mi consolo pensando che il nostro incontro era inevitabile e che forse se gli occhi di mio padre e il timore dei suoi giudizi non fossero stati lì di fronte a me non sarei riuscito a trattenermi, e la strage sarebbe stata inevitabile.

Ma lì in quel momento, con quel sublime odore che mi invadeva le narici riscendendo giù per la gola, che al suo passaggio ribolliva tutta e ardeva di frenesia, non riuscii a far altro che tentare di scappare il più in fretta possibile - e credo che già per scappare impiegai molta della mia forza d’animo-. Con ancora quella fragranza in me correvo per i corridoi dell’ospedale di Forks, sperando che nessuno mi notasse, e a stento mi accorgevo di mio padre che mi correva dietro per capire cosa mi fosse successo.

Mentre mi fiondavo nella Jeep di Emmett, ancora indeciso se non fosse il caso di tornare indietro e lasciare che la natura del mio vero essere facesse il suo corso, il mio telefonino cominciò a vibrare: inutile rispondere, già sapevo di chi si trattava.

La mia Piccola Alice doveva aver saputo prima di me che stavo per partire. Le si sarebbe spezzato il cuore, ma mai come ad Esme… decisi di non tornare a casa altrimenti non sarei riuscito ad andar via vedendo la tristezza di mia madre.

A volte mi domando se ho amato la mia vera madre più di quanto amo lei, ma non lo ricordo proprio.

Speravo che Emmett mi avrebbe perdonato per il furto, ma credo che in fondo persino io sapessi che era solo  una cosa temporanea. Lo avrei scoperto in  breve...

 

…Ed ora, preda dello stesso impeto,  mi ritrovavo davanti al cartello “benvenuti a Forks” che capeggiava lo svincolo dell’uscita autostradale. Rientrando nella piccola e nuvolosa città che aveva ospitato svariate volte la mia famiglia, ero ancora indeciso sul da farsi. Sarei dovuto andare a casa, sì questo avrei dovuto fare, e me lo ripetevo senza tregua mentre varcavo la soglia dell’ingresso dalla scuola.

Subito avvertii i pensieri di mia sorella Alice, che forse sapeva prima di me che sarei arrivato, stava pensando così tante cose insieme che la mia mente fu travolta da una specie di uragano da cui riuscivo solo a percepire rare parole : lo sapevo, ne sei sicuro?, posso dirlo io?

Ma non disse nulla, mi corse incontro e mi abbracciò.

 

                                                                                                                                                                 ***

 

Con la scusa della campanella riuscii a scampare dalla furia di Emmett, che non voleva perdonare il mio “furto”. Mi recai verso l’aula di biologia invaso da un sempre maggiore stato d’ansia, dovuto alla consapevolezza che la mia ora di biologia era in comune con quella di una certa “muta” di mia conoscenza.

Mi ripetevo che in fondo era una semplice umana, e che ero stato uno stupido a pensare di scappare, e poi per cosa? un po’ di buon odore? Un po’ del più buon odore mai sentito in cento anni? Una semplice ventata della fragranza più sublime che la natura avesse creato?

E mentre tentavo di ricordare la fragranza in questione entrai nell’aula e mi trovai travolto da quel famigliare e sublime odore, appartenente a due occhi color nocciola che  mi fissavano stupefatti .

 

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Okay … sono cattiva? Ma no dai vi dico che il prossimo capitolo è già pronto e sarà di nuovo un Pov. Edward !!
 

 

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