Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Cassiechan
is back! Finalmente il seguito! Una piccola
pagina di avvisi! Per prima cosa, vorrei dedicare questa fic a tutte le persone
che hanno letto la prima e che l’hanno commentata! Senza il vostro sostegno,
probabilmente non sarei mai riuscita a finirla! Ho ancora bisogno di voi, se
questa storia vi pace come la prima commentatela! Così mi invogliate a
scriverla, altrimenti poi la lascio perdere,ne sono perfettamente capace! Seconda cosa: essendo una storia in
divenire, i capitoli saranno molto più brevi di quelli di BMAY! Specie quando
non sarò eccessivamente ispirata! Terza cosa: la trama è ancora più complicata
della prima, per qualsiasi chiarimento fatemi sapere!
Capitolo 1 – Beautiful stranger
Era
una bellissima giornata di gennaio, e, anche se l’aria si preannunciava ancora
abbastanza fredda, l’aria era piena della luce del sole, che splendeva terso
nel cielo privo di nubi. Un vento freddo soffiava tra gli alberi della grande
villa, sollevando le foglie cadute dagli alberi e i seppur pochi petali delle
magnolie, sopravvissute alle folate di vento, che costeggiavano il lungo
vialetto d’ingresso, che portava alla casa signorile. Bianca, si stagliava nel
paesaggio cittadino, circondato da una lunga cancellata, anch’essa bianca, che
teneva fuori i malintenzionati, ma anche molti che vi avrebbero voluto entrare,
ma che non erano ammessi nella casa, a causa delle strette misure dei
proprietari. Tre grandi pastori tedeschi sonnecchiavano al sole, mentre uno più
piccolo, che doveva avere solo pochi mesi, entrò nella villa, passando sotto un
portico, ornato da fiori bianchi rampicanti, attraverso la porta di legno
scuro, aperta da una donna grassa ed anziana.
Il
cucciolo entrò in cucina, dove un gruppo di persone era seduta apaticamente a
tavola e stava facendo colazione. All’improvviso, una donna sulla quarantina,
che stava addentando una fetta biscottata, proruppe in una smorfia annoiata e
rassegnata, scuotendo il capo e i lunghi capelli rosso scuro.
“Dov’è
tua sorella, Miky?” chiese ad un bambino di circa sette anni, che le era seduto
accanto, e che aveva i suoi stessi capelli, ma gli occhi di un intenso azzurro
chiaro, piegati in un’espressione teneramente dispettosa.
“Non lo
so, mamma” rispose candidamente, passando un pezzo di torta al cucciolo, che
attendeva con la bocca aperta sotto il lungo tavolo di legno.
“Ma
insomma, si può sapere che fa tutte le mattine, per scendere così tardi?!” si
chiese, non aspettandosi una risposta, che invece le giunse da parte di
un’altra persona, seduta vicino a lei, un bell’uomo in giacca e cravatta con i
capelli biondi e gli occhi celeste chiaro.
“Esattamente
quello che facevi tu alla sua età… stare tre ore in bagno, arrivando in ritardo
a scuola tutti i santissimi giorni…”.
La donna
assunse un’espressione offesa e disse: “Non è vero, Ryan… io non ero così
ritardataria…”.
Lui non
si scompose minimamente e, portandosi la tazza di caffè alle labbra, rispose,
guardandola oltre il quotidiano che stava sfogliando: “Hai ragione, Strawberry…
eri anche peggio…”.
Miky
scoppiò a ridere, mentre Strawberry sospirò, poi, sorridendo, disse: “Credo che
tu abbia ragione, ma ciò non toglie che tua figlia è enormemente in ritardo…”.
Aveva
appena finito di parlare che nella sala irruppe una ragazza di sedici anni, che
indossava una divisa scolastica, formata da una gonna a pieghe azzurra, una
camicia bianca con una cravatta dello stesso colore della gonna e una giacca
sempre azzurra che teneva sottobraccio. Aveva lunghi capelli biondi ed
ondulati, e grandi occhi castani, che apparivano in quel momento assonnati e
vistosamente trafelati. Parte dei capelli era trattenuta da un fermaglio, a
forma di pesce, sempre di colore azzurro. Ai lobi, portava dei lunghi orecchini
con delle perline, sempre azzurre, e alle braccia dei braccialetti della stessa
tonalità di celeste.
Piegata
in due, per la corsa fatta per le scale, disse solamente: “Mamma, papà… io vado
a scuola… sono in ritardo e Grace e Nick mi stanno aspettando…”.
Strawberry
la guardò irata e preoccupata, e disse: “Quindi scommetto che neanche
stamattina farai colazione, vero? Un giorno di questi, cadrai svenuta per
strada…”.
Kathrine
non si scompose minimamente e, riavviandosi i capelli con le dita, disse:
“Mangerò qualcosa per strada… ciao mamma! Ciao papà! Ci vediamo più tardi!” e
corse fuori, mentre Strawberry sospirava vistosamente.
Inutile
dire che Kathrine era, oltre che una bellissima ragazza, anche una pasticciona
e disordinata di prima categoria, esattamente come era stata lei. Il problema
di Kathrine, però, non stava solo in questo, ma in quella strana fusione
genetica che era accaduta tra lei e Ryan, e che aveva generato i loro due
meravigliosi figli. Miky era un bambino molto vivace, e aveva ereditato in
pieno il carattere della madre, anche se alcune astuzie per ottenere quello che
voleva erano sicuramente tipiche dell’indole di Ryan. Ma, nel caso di Kathrine,
mai come in quel caso, i loro caratteri si erano fusi in qualcosa di unico.
Aveva i lineamenti di suo padre, era infatti alta e magra, ma poi aveva le
labbra corallo come quelle di Strawberry stessa, i suoi capelli erano biondi,
ma erano carichi di sfumature ramate, i suoi occhi erano castani, ma, in
particolari momenti, si tingevano di ombre e di pagliuzze verde acqua. E questo
era niente… Kathrine aveva preso interamente il carattere di Ryan, era infatti
sicura, determinata, alle volte anche altezzosa, ma era capace di slanci
affettivi, che erano tipici solo di Strawberry. Quando voleva, era seria,
posata e impeccabile, ma quando era a casa, era vivace, divertente e anche
imbranata. Era anche molto intelligente e aveva voti altissimi, caratteristica
pienamente corrispondente alle doti di suo padre, cosa che le faceva
raccogliere attorno molte persone, desiderose del suo aiuto, ma lei si
prodigava solo per pochissimi, ignorando gli altri, operando scelte nelle sue
amicizie, che molti non capivano, preferendo persone poco popolari alle
reginette della classe. Ma, intanto, che la si amasse o la si odiasse, Kathrine
era sempre sulla bocca di tutti, anche per via di quell’aria sbarazzina e anche
originale, tipicamente americana, che Ryan riconosceva come una caratteristica
della sua defunta madre.
Ma, se
Strawberry era semplicemente preoccupata che sua figlia si cacciasse nei guai
per via di quel suo essere così sfacciatamente sopra le righe di ogni regola
che le poteva essere imposta e che le procurava continui litigi con lei, nel
caso di Ryan la preoccupazione aveva ben altra origine, un’origine che solo i
padri possono condividere. Amava i suoi figli con tutto sé stesso, erano la
cosa più bella che avesse, e poi erano il dono di quell’unico sentimento, che
dopo tanti anni era sopravvissuto a tutto il tempo trascorso, ossia il suo
amore per Strawberry. Di Miky si preoccupava spesso, era troppo sveglio, troppo
vivace, ma di Kathrine lo impensieriva il fatto che fosse semplicemente troppo
bella. Sapeva delle decine di ragazzi, che a intervalli più o meno regolari, si
innamoravano di lei, tutti puntualmente respinti, ma che al contempo, c’erano
ed era un fatto. Cosa sarebbe accaduto il giorno, in cui si sarebbe
effettivamente innamorata di qualcuno? Conosceva il suo carattere e conosceva
altrettanto bene quello molto simile di Kathrine, e sapeva che, se lui aveva
fatto migliaia di sciocchezze quando era innamorato non corrisposto di
Strawberry, la stessa cosa sarebbe accaduta a lei, aggiungendoci pure la ben nota
impulsività, che sua figlia aveva ereditato dalla madre. Sua figlia… Katy…
avevano un bel rapporto tutti e due, lei si confidava con più facilità con lui
che con sua madre. Gli diceva tutto o quasi, e si faceva coccolare ancora come
quando era bambina. Si ricordava ancora la prima volta che l’aveva vista, gli
era sembrata un fiore d’oro. Ricordava una favola che sua madre gli aveva
raccontato, quando era piccolo. In un bel campo, cresceva un bellissimo fiore
dai petali dorati, splendente di luce, alto, altero e costantemente rivolto
verso il sole. Tutti gli altri fiori avevano invidia di lui, perché vedeva
sempre in faccia il sole, perché poteva seguirlo, perché era più bello. E
allora chiamarono le nuvole e fecero coprire il sole, per giorni e giorni, finchè
morì, mentre gli altri fiori bevevano con le corolle aperte le gocce di
pioggia, che cadevano dal cielo. Solo quando il fiore fu morto, il sole
riapparve, ma non fu più come prima. Era triste, spento, e non amava più la
terra, non voleva più vederla. Sua sorella, la Luna, vide la sua infelicità e
allora gli fece un regalo: prese una bella margherita gialla, e le donò la sua
luce e la sua forza, affinché, diventato un gioioso girasole, potesse seguire
sempre il sole, che riprese a comparire sulla Terra, riscaldando tutti i fiori.
Ryan si
ricordava d’aver chiesto a sua madre: “E il fiore d’oro? Che fine ha fatto?”.
Sua madre
lo aveva abbracciato e gli aveva detto: “La luna lo fece diventare una
bellissima stella dorata, che adesso poteva abitare sempre accanto al sole, nel
suo stesso cielo…”.
Sospirò
lungamente, quella storia non aveva per niente un bel finale. Il mondo sapeva
essere invidioso, e per via di quella gelosia, sapeva diventare anche cattivo.
Pregava ogni giorno che questo non accadesse anche al suo fiore dorato.
Kathrine
camminava allegramente per strada, avvolta nel suo cappotto bianco latte e nel
suo basco delle stesso colore. La cartella ondeggiava nella sua mano, al ritmo
del suo passo, mentre lei si dirigeva verso la casa dei suoi migliori amici,
Grace e Nick. Si allontanò decisamente dal suo quartiere, quello pieno di case
bianche e lussuose con infiniti giardini, tipici delle persone che avevano
fisso un posto sui rotocalchi, e si diresse verso un quartiere residenziale di
villette a schiera gialle e azzurre. Si fermò di fronte ad una di quelle case,
da cui provenivano delle voci concitate. Si sporse leggermente davanti al suo
basso cancelletto, e vide un uomo con i capelli castano chiari sostare
pigramente davanti alla porta, mentre di sicuro stava aspettando qualcuno. Non
era molto alto, certo lo era molto di meno di suo padre, ma emanava gioia, come
del resto tutti i componenti di quella famiglia.
“Buongiorno
signor Taruto!” disse Kathrine allegramente all’indirizzo dell’uomo, che si
voltò e le rispose, sorridendo.
“Grace e
Nick scendono subito… hanno avuto solo un piccolo problema con Teddy… ha
completamente distrutto i loro appunti di una qualche materia…”.
Kathrine
sorrise e disse: “Anche mio fratello era così a quell’età… anzi era anche
peggio…”.
Tart
sorrise e confermò con un cenno del capo, giustificando così pienamente il
comportamento della sua figlia più piccola. Poi, si spostò al passaggio dei
gemelli usciti di corsa dalla cucina. Grace e Nick erano praticamente identici,
avevano entrambi i capelli castano chiaro e due luminosi occhi dorati, un’aria
molto allegra e spensierata, ed erano entrambi molto legati a Kathrine
Shirogane, loro amica da quando erano in fasce, e compagna di scuola
dall’asilo.
Grace
salutò il padre e saltò la bassa staccionata, senza aprirla dopo il fratello,
salutando poi Kathrine, chiamata da lei affettuosamente Kitty e apostrofata con
tutto il suo nome completo da Nick, sempre in evidente imbarazzo davanti alla
giovane Shirogane.
Iniziarono
a camminare allegramente, dopo aver salutato Tart, e dirigendosi verso la loro
scuola, che era parecchio lontana dal quartiere residenziale. Si fermarono solo
quando Kathrine si comprò una ciambella da un venditore ambulante, addentandola
con gusto, dato che come al solito non aveva toccato cibo a casa.
“Non
capisco perché non mangi mai a casa tua, Kitty…” commentò Grace “Eppure oggi
non è la giornata libera di Marie… non avrà cucinato tua madre, spero…”.
Kathrine
scosse la testa: “In realtà no… andavo solo di fretta… se avesse cucinato mia
madre, non sarei sicuramente ancora viva… mi avrebbe ingozzato a forza, come al
solito… pensa che mio padre si alza sempre tardi per non trovarla più in casa,
dopo che è andata a scuola… così getta tutte le cose, che cucina…”.
Grace
scoppiò a ridere, mentre Nick, ricordandosi improvvisamente di qualcosa, eruppe
in un’esclamazione veloce: “A proposito, hai saputo di Chiyo?”.
Kathrine,
voltandosi verso il ragazzo, chiese: “Che cosa le è successo? Non starà male,
spero…”.
Nick, di fronte al suo viso,
così inaspettatamente vicino, arrossì e tacque, mentre la sorella continuava:
“Mia madre mi ha detto che i suoi genitori si sono separati…”.
“Veramente
non si sono mai sposati…”.
“Lo so,
ma sembra che stavolta abbiano avuto un brutto litigio… la madre di Chiyo se ne
è andata di casa e si è trasferita in Europa, mentre Chiyo è rimasta con suo
padre… dicono che non tornerà più a casa…”.
“Fanno
così da anni…” commentò tranquilla Kathrine “Vedrai che tornerà a casa… anche
mia madre e mio padre litigano ad intervalli di più o meno cinque secondi, ma
poi fanno sempre pace… è normale, quando due persone si amano molto…”.
“Sarà…”
convenne Grace “Anche se a me gli Aoyama, non è che mi hanno fatto sempre
l’impressione di due persone innamorate…”.
Su questo
dovette concordare la stessa Kathrine. Pur essendo estremamente ottimisti, la
situazione familiare della loro amica comune, non era certo un mistero da
potersi interpretare in qualche altra chiave. Poteva anche dirsi di essere
troppo abituata ai suoi genitori, che si baciavano ogni secondo, in cui erano
da soli, ma allo stesso tempo anche il padre e la madre di Grace e Nick erano
vistosamente innamorati l’uno dell’altra, anche se non così affettuosi come
Strawberry e Ryan. Invece, Halinor e Mark tutto erano, tranne che due persone
innamorate: erano troppo formali tra loro e con la figlia. Non a caso, Chiyo
era venuta fuori con il carattere di una principessa di altri tempi…
Una voce
li fece sobbalzare, una voce dolcemente decisa: “Ciao ragazzi! Che c’è, ve ne
stavate andando senza di me?”.
Kathrine
si voltò, sorridendo a Chiyo: “Certo che no… ti stavamo aspettando!”.
Grace e
Nick annuirono, mentre la ragazza si aggregava a loro. Chiyo, sebbene un anno
più grande di loro, continuava a fare la strada assieme a loro ogni mattina, da
quando erano piccoli, per poi dividersi da loro all’arrivo nell’edificio
scolastico, dove Grace e Kathrine, compagne di classe, proseguivano assieme,
separandosi invece da Nick. Chiyo era una bella ragazza, dal volto e dai lineamenti
un po’ tristi, e aveva un atteggiamento estremamente più maturo di quello dei
suoi amici, sebbene nel suo aspetto non dimostrava la, seppure sensibile,
differenza di età. Aveva lunghi capelli neri e due luccicanti occhi verdi, che
le davano l’aria da cerbiatta indifesa che faceva tanto impazzire i ragazzi, ma
aveva un carattere impossibile, molto di più di quello che i coniugi Shirogane
imputavano a Kathrine. Era viziata, isterica, nevrastenica, in alcuni momenti
limiti; perennemente insicura e timorosa di perdere le sue amicizie e le
persone che amava. Solo con i suoi quattro amici d’infanzia si lasciava
leggermente andare, ma anche loro certe volte non sopportavano i suoi continui
sbalzi d’umore, che alla fine giustificavano e accettavano alla luce della sua
situazione familiare particolarmente difficile.
Mentre
camminavano, un auto li affiancò, un bella berlina azzurra, il cui conducente
abbassò il finestrino, chiamando la stessa Chiyo.
“Che c’è
papà?” chiese Chiyo a Mark, che continuava a guidare al loro fianco.
Mark,
all’inizio, non rispose, fissando la figlia di Strawberry. Quella ragazza,
sebbene non ce ne fosse apparente motivo, gli dava continuamente una sensazione
strana; era impossibile non notarla tra le sue amiche per quanto fosse bella,
ma non era quello che lo colpiva. Era il suo atteggiamento, che conservava
tracce di sua madre a frastornarlo senza sosta. Adesso, si era messa solo i
capelli dietro le orecchie, ma l’aveva fatto come lei, come Strawberry. Ma, di
solito, tutto durava molto poco, perché poi lei mostrava subito in modo
lampante di chi era anche figlia, e allora lo fece, inarcando un sopracciglio
all’indirizzo di Nick, che le aveva mormorato qualcosa. Riprese la capacità di
parlare e disse alla figlia, che aveva dimenticato il pranzo. Glielo consegnò e
poi, gettando un’ultima occhiata a Kathrine, rimise velocemente in moto. Chiyo
osservò la macchina sfrecciare via, mentre si chiedeva perché mai suo padre non
guardava mai lei, o sua madre, come per quel solo secondo aveva guardato
Kathrine. Che cosa aveva lei in più da meritare tanta attenzione? Perché suo
padre le chiedeva sempre di Kathrine e di sua madre? Perché teneva in un
cassetto della scrivania una sua foto da ragazzo, assieme con la allora
giovanissima madre della sua amica? A quelle domande, non riuscii a trovare
come sempre una risposta, ma come sempre finii per reagire istintivamente nei
confronti di Kathrine, dicendo che andava di fretta e che li avrebbe preceduti,
non prima di aver fatto un commento acido sul fatto che arrivavano sempre in
ritardo per colpa della biondina.
“Chi la
capisce, è bravo…” commentò laconico Nick, mentre ormai la sagoma della loro
scuola si intravedeva. Sentendo la campana della scuola, che suonava,
iniziarono a correre, fermandosi solo ai loro armadietti.
Kathrine
rimase indietro perché non era riuscita ad aprire subito il suo armadietto,
dato che la sua chiave si era incastrata, perciò perse qualche minuto, per poi
affannarsi in corridoio, mentre Nick saliva le scale per raggiungere la sua
sezione e Grace era ormai sparita, senza aspettarla. Rallentò davanti alla
porta della presidenza, poi, superata, riprese a correre; davanti alla
segreteria, però, la sua corsa fu frenata da uno scontro, con una persona che
vi usciva.
Kathrine
ricadde all’indietro, sbattendo violentemente per terra, mentre una pila di
fogli bianchi si sparpagliavano dovunque. Dolorante, sollevò lo sguardo per
vedere chi aveva urtato, biascicando parole di scusa. A terra, seduto e
anch’egli dolorante, c’era un ragazzo, che sembrava molto più grande di lei.
Aveva anche lui la divisa del istituto, ma la sua cravatta non era impeccabile
come quella di Nick, ma era allentata, mentre la camicia bianca non era
infilata nei pantaloni azzurri. Aveva un’aria studiatamente negletta, esaltata
anche dai capelli neri falsamente spettinati, ma in realtà curati in una
pettinatura, che sicuramente gli era costata molto tempo davanti allo specchio
e anche molto gel. A completare il tutto, c’erano i suoi occhi di un blu
semplicemente troppo profondo e irreale. Aveva l’aria di uno, che non era mai
venuto a scuola in vita sua, tanto appariva rilassato e serafico. Kathrine non
ricordava di averlo mai visto da nessuna parte; un tipo del genere se lo
sarebbe sicuramente ricordato.
Lui le
disse con voce canzonatoria, leggermente velata da piccoli lamenti: “Che ti
prende ragazzina? Lo sai che non si corre per i corridoi?!”.
Kathrine
arrossì all’istante, poi mormorò in preda alla rabbia: “Ragazzina?! Guarda che
sei tu che mi sei venuto addosso, non io…”. Cercò di sollevarsi, ma sentì una
fitta alla caviglia. Perfetto, la professoressa di educazione fisica l’avrebbe
uccisa, se avesse chiesto di non giocare a pallavolo quel giorno. Vide la mano
tesa di lui, che si era intanto alzato in piedi. Era anche abbastanza alto,
certo molto più di lei, e poi aveva un modo di stare in piedi particolare… non
aveva mai visto una persona stare in piedi così, sembrava un alto ufficiale…
“Spicciati,
alzati, non si dica mai che lascio una ragazzina seduta a terra a piangere
perché si è fatta la bua…” mormorò, sorridendo ironico.
“Ancora?!
Si può sapere chi ti ha dato tanta confidenza?!” rispose ancora lei furiosa,
sollevandosi e reggendosi sulla sua mano aperta. Lui abbandonò la sua
espressione precedente, assumendo un aria confusa e spaesata.
“Che
c’è?” chiese lei, ancora appoggiata a lui “Ti sei incantato?!”.
Lui non
rispose, ma cadde svenuto addosso a lei, gli occhi vuoti e stranamente
spalancati. Kathrine, presa di sorpresa, cadde ancora all’indietro, il ragazzo
che respirava a fatica sulla sua spalla. Spaventata, chiese: “Che ti prende?
Ehi tu, svegliati…”.
Seduta
per terra, con il ragazzo incosciente, stava per chiamare aiuto, poi sentì la
sua voce dirle: “Si può sapere chi sei?”.
Kathrine
lo guardò, mentre si allontanava da lei, vistosamente affaticato e grondante
sudore freddo.
“Ma che
ti è preso? Ti sei sentito male?” chiese, riavvicinandosi di un passo a lui.
“Sto bene
adesso…” mormorò lui, poi ripeté, passandosi una mano sulla fronte sudata “Vuoi
dirmi per piacere chi sei adesso?”.
Lei lo
guardò senza capire, poi mormorò: “Kathrine… mi chiamo Kathrine Shirogane…”.
“Hai
detto Kathrine? E’ un bel nome… bene, Kathrine, ci vediamo presto…” disse,
alzandosi e recuperando la sua solita espressione. Kathrine rimase per terra,
poi mentre lui si allontanava, gli urlò dietro: “E tu chi sei? Non ti ho mai
visto da queste parti…”.
Lui,
senza abbandonare la sua posa, continuò a camminare di spalle, le mani
affondate nelle tasche dei pantaloni. Disse solo: “Kevin… mi chiamo Kevin
Shirayuki…”.
“Non
urlare, Grace!” replicò Kathrine arrabbiata, alla fine della seconda ora,
all’indirizzo della sua compagna di banco “Potrebbero pensare che mi
interessa…”.
Grace
inarcò un sopracciglio e disse, sospirando: “In effetti, è strano che lei, Miss
I-RAGAZZI-DI-QUESTA-SCUOLA-SONO-TUTTI-IMMATURI-E-BANALI-QUINDI-NON-MI-INTERESSANO,
abbia prestato attenzione ad un componente del sesso opposto…”.
Kathrine
piegò la testa con aria noncurante, dicendo: “Infatti, non ho mica detto che mi
interessa, ho detto solo che vorrei sapere chi sia…”.
“E
perché, di grazia?” chiese Grace, ironicamente, più che mai convinta che questo
tipo avesse fatto breccia nell’indifferenza dell’algida Kathrine.
“Sembrava
una persona particolare… non aveva niente che avessi mai visto in nessun’altro
ragazzo…” spiegò Kathrine, imbarazzata.
“Era
carino?”.
“Sì,
molto…” ribadì Kathrine, arrossendo e chinandosi a raccogliere qualcosa per non
farsene accorgere “Ma non era solo questo…”.
Grace
sospirò e disse rassegnata: “Non è che ti abbia capito molto, come al solito
del resto, comunque cercherò di sapere qualcosa… se è davvero così eccezionale,
non l’avrai notato solo tu…”.
Kathrine
annuì, poi, punta nell’orgoglio, si affrettò a ribadire: “Comunque non perdere
troppo tempo… non è che mi importi più di tanto, è solo per fare qualcosa…”.
Alla fine
delle lezioni, un gruppo di studenti scalmanati si riversò, correndo, nel viale
che conduceva a scuola, finalmente percorso in senso opposto. Una leggera
pioggia aveva preso a cadere, e quindi molti si affannavano a coprirsi con le
cartelle e correvano verso la fermata dell’autobus, mentre i pochi dotati del
tanto desiderato ombrello erano presi di mira dai loro compagni.
Kathrine
stava già camminando per tornarsene a casa, quando sentì una voce dietro di lei
urlare di fermarsi.
Si voltò
e vide Grace e Nick correre verso di lei, entrambi sprovvisti d’ombrello.
“Aspetta
Kitty…” urlò Grace, prendendola sottobraccio “Ti avevo detto di aspettarmi…”.
Anche Nick si sistemò accanto a lei, mentre sospirava all’insperata vicinanza
della sua Kathrine. In cuor suo, benedisse la sua sbadataggine e quella
provvidenziale pioggia.
“Scusa,
me ne ero completamente dimenticata…” replicò Kitty con aria dispiaciuta.
“Non ti
preoccupare, anche se non è certamente da te dimenticare qualcosa…”.
“Sono
solo un po’ distratta oggi…”.
Grace
annuì sorniona e disse: “Ne lascerò perdere il motivo, che peraltro già so e
che immagino con due grandi occhi luccicanti, ma taccio per rispetto al mio
caro fratello…”.
“Che
c’entro io, adesso?!” chiese Nick sulla difensiva, mentre Kathrine le dava un
pizzico sul braccio.
“Ahia!”
gemette Grace “Comunque, volevo dirti solo che ho saputo chi è il tuo
misterioso RAGAZZO-A-CUI-NON-SEI-INTERESSATA…”.
Kathrine
trattenne l’espressione curiosa, che le stava venendo fuori, e disse con
indifferenza: “Davvero?”.
Grace
recitò prontamente, sotto lo sguardo truce di Nick: “Kevin Shirayuki… terza
sezione dell’ultimo anno, si è trasferito qui da Hokkaido e attualmente vive da
solo in un appartamento nella periferia della nostra città…”.
“Vive da
solo?!” chiesero in coro, sinceramente colpiti, Kathrine e Nick.
“Esattamente…
vi ricordo che lui ha già diciotto anni, quindi può vivere tranquillamente da
solo… lavora part-time in una panetteria e si è già iscritto ad un paio di
corsi pomeridiani… anche se è qui da solo una settimana, ha già un suo
personale fan club…”.
“Non ci
credo!” commentò incredula Kathrine “E scusa chi ti ha dato tutte queste
informazioni?”.
“La
segretaria del suo fan club… pensa che mi stava per dare pure il suo numero di
scarpe e il suo colore preferito, ma ho rinunciato… in fondo, non ti interessa,
no?” commentò tagliente Grace.
“Già,
esattamente…” finì Kathrine, mentre rivolse lo sguardo ancora di fronte a sé.
Anche se precise, le informazioni di Grace non l’avevano soddisfatta del tutto…
in realtà, non le avevano spiegato il motivo di quel suo strano interesse e la
causa della diversità di Kevin, che tanto l’avevano colpita. Era un ragazzo
normalissimo, a parte il particolare della sua vita estremamente indipendente,
eppure era dalla mattina che si chiedeva ossessivamente che cosa c’era in lui
che non riusciva a farle scordare la sua immagine dalla mente. Ricordava che
qualcun altro le aveva già parlato di qualcosa di simile, ma non riusciva a
richiamare alla memoria di chi si trattasse.
Ad un
tratto, la voce di Grace la richiamò dai suoi pensieri: “Kitty, io devo andare
a prendere Teddy dall’asilo… vuoi venire con noi?”.
La
ragazza annuì soprappensiero, poi continuò a camminare, mentre Nick e la
sorella si lanciavano uno sguardo significativo. Kathrine non era certo il tipo
da rimanere con gli occhi spalancati a pensare a chissà che… possibile che fosse
solo opera di Kevin Shirayuki?
Kathrine
era in piedi davanti all’asilo di Teddy, mentre aspettava i suoi amici, che
erano corsi dentro per dividere l’agguerrita sorellina da un paio di bambini, a
cui le stava dando di santa ragione. Non si ricordava che o Nick o Grace
fossero mai stati così da bambini… eppure qualcosa, a parte l’amicizia tra i
loro genitori, li aveva uniti da quando erano piccoli. Kathrine sapeva di
essere interessata sempre e soltanto a persone particolari e che, per qualche
ragione, si distinguessero dalla massa amorfa della gente, che frequentava, ma
che non considerava alla fine più di tanto. Grace l’aveva colpita perché era
sempre allegra e spensierata, proprio come sua madre Paddy; anche quando
qualcosa le andava male, tipo un compito o litigava con qualcuno, cosa che le
accadeva spesso data la sua lingua lunga, non se la prendeva, ma affrontava le
cose difficili con un sorriso, riuscendo nella maggior parte delle volte ad
averla vinta. Cosa completamente opposta, era stato il suo interesse per Chiyo
Aoyama; in lei, l’aveva colpita il suo volto bellissimo e triste, il suo essere
sempre lontana anni luce dalla realtà contingente, e le aveva sempre ricordato
una grande eroina tragica del teatro greco, divisa da qualche intimo e profondo
dissidio. La melodrammaticità di Chiyo era visibile in ogni cosa che faceva,
anche inconsapevolmente, e questo l’aveva colpita, come l’aveva impressionata
la dolcezza di Nick. Era surreale il modo che aveva di comportarsi, sempre
attento a non ferire nessuno, sempre disponibile ad aiutare tutti, e questo le
aveva fatto piacere, soprattutto quando era rivolto a lei. Conosceva l’enorme
tenerezza dell’amore dei suoi genitori per lei, ma non arrivavano mai a Nick,
che era capace di mangiare fino alla fine un orrendo tortino, che semmai aveva
cucinato lei e che per altri era immangiabile.
E poi,
c’era questo ragazzo, Kevin Shirayuki… va bene che era carino, ma c’erano altri
ragazzi più belli di lui e che su di lei non avevano fatto presa. Invece, lui
l’aveva lasciata tramortita e distratta per tutta la giornata, incapace di
pensare ad altro…
Ecco!
Adesso ricordava chi le aveva descritto qualcosa di simile! Sua madre, quando
da bambina le aveva chiesto del suo primo incontro con suo padre Ryan…
Non
ricordava molto della conversazione, ma solo poche e significative parole…
lui mi trafisse il cuore, e solo con uno sguardo… non ho mai capito che cosa mi
abbia fatto… eppure, non l’amavo ancora, ma già sapevo che il mio destino era
con lui…
Kevin
l’aveva trafitta al cuore? Impossibile, non era da lei… andava fiera della sua
ben nota freddezza e della sua razionalità nei rapporti affettivi, che
difficilmente generavano in passioni travolgenti o in slanci affettuosi troppo
forti… chissà, magari mi sono solo spaventata perché mi è praticamente
svenuto addosso…
Ad
un tratto, mentre concludeva soddisfatta il corso dei suoi pensieri, sentì una
fredda goccia d’acqua caderle lungo il collo. Sobbalzò, sollevando di più il
suo ombrello, credendo che si fosse abbassato, permettendo alla pioggia di
caderle addosso, ma vide invece un’ombra dietro di lei, che le parlò con una
voce calda e profonda, la voce di un uomo, nonostante la giovane età.
“Ciao
ragazzina! Che fai? Aspetti il tuo ragazzo?” l’apostrofò Kevin Shirayuki.
Kathrine
arrossì, come se lui le potesse leggere in faccia i suoi ultimi pensieri, poi
replicò: “Non vedi che è un asilo? Chi dovrei aspettare, secondo te, un bambino
di cinque anni?”.
Kevin
sgranò gli occhi, come se lei avesse detto la cosa più normale del mondo: “E io
che cosa ho detto? Stai aspettando il tuo ragazzo!”.
Kathrine,
capito il senso della sua battuta, si voltò stizzita, dandogli le spalle e
borbottando: “Mi lasci in pace, cortesemente?”.
Lui si
parò di fronte a lei, sporgendosi oltre il suo ombrello ed avvicinandosi
pericolosamente al suo viso, dicendole con aria beffarda: “E se ti dicessi di
no, ragazzina?”.
Lei, che
per un attimo era rimasta immobile, lo fissò provocatoria negli occhi blu e
disse decisa: “Ti prenderò a calci, ti va bene come soluzione?”.
Lui si
allontanò, sorridendo, e le disse: “Va bene, ragazzina, ti lascerò in pace…
volevo solo chiederti di aiutarmi…”.
“Aiutarti?!”.
“Sì… mi
sono appena iscritto al corso di Teatro e la Professoressa mi ha detto che sei
una delle sue allieve più brillanti… dato che ci sarà un’audizione per il ruolo
di Romeo nella prossima recita e che a te hanno già dato quello di Giulietta,
vorrei che tu mi aiutassi a prepararmi per il provino…”.
“Non se
ne parla proprio!”.
“Perché?”
chiese lui con aria angelica.
Lei,
senza perdere la calma, spiegò pazientemente, sebbene ribollisse per quella sua
espressione serafica e tranquilla, che già immaginava frutto di un’accurata
preparazione mentale: “Perché ho molto da fare e da studiare, perciò…”.
“Va bene,
questa è la motivazione, che la mamma ti ha detto di dare, facendo attenzione
alla buona educazione…” le disse ironicamente, agitando avanti e indietro
l’indice “Ma quale è la vera ragione?”.
Lei,
arrossendo, replicò velocemente: “Mi sei antipatico, non ti sopporto, non fai
altro che prendermi in giro e ti sei preso troppa confidenza come me senza che
io te l’avessi data… va bene adesso?”.
Kevin
sorrise dolcemente, spiazzando la ragazza, e disse: “Te ne avevo chiesto solo
una… e poi ci voleva tanto a dirmi la verità?”. Lei rimase a bocca aperta,
guardandolo fisso in volto, mentre lui continuava a sorriderle. Fu allora che
Grace e Nick si decisero a tornare, trascinando la riottosa Teddy. Entrambi
osservarono la scena da lontano, stupiti da quello che vedevano: Kathrine,
vistosamente imbarazzata ed impacciata, e, come se non bastasse, davanti ad un
ragazzo. Grace sorrise tra sé e sé, abbastanza divertita, rendendosi conto che
quel ragazzo altri non doveva essere che il famoso Kevin Shirayuki. Nick, dal
canto suo, era praticamente livido: la sua passione era sempre stata la
fotografia, sin da quando era bambino, e doveva ammettere che, se non fossero
stati quei due, magari avrebbe preso la sua macchina e li avrebbe scattato una
stupenda foto. Perché? Erano semplicemente perfetti assieme, anche troppo…
Teddy
smaniava per scendere a terra, dopo aver riconosciuto da lontano Kathrine, per
cui aveva una forte simpatia, e alla fine Grace la lasciò andare. La bambina
corse incontro alla ragazza, che si risvegliò dal suo torpore, provocato dagli
occhi azzurri di Kevin, e la prese in braccio. Anche Kevin si accorse della
presenza di Grace e Nick, e allora, sorridendo tra sé e sé, diede un leggero
buffetto sulla guancia di Kathrine, per poi dirle semplicemente: “Allora ci
vediamo presto… Kathrine…”. Lei sussultò, mentre un brivido le correva lungo la
schiena: detto da lui, il suo nome sembrava completamente diverso. Possibile
che avesse quel suono alle orecchie degli altri?
Lui si
allontanò lentamente, come era arrivato, mentre Kathrine lo osservava. Grace
affiancò l’amica e le disse: “Certo che è veramente un bel tipo…”.
Lei annuì
impercettibilmente, poi chiese, sbattendo le palpebre: “E chi ti dice che sia
lui il ragazzo, di cui ti ho parlato?”.
“Molto
semplice” rispose con un sorriso, prendendo l’amica sottobraccio “E’
praticamente impossibile che due persone siano riuscite a farti assumere quella
espressione nella stessa giornata…”.
Kathrine
camminava pensosamente verso casa, ripensando ancora a Kevin. Che cavolo aveva
di tanto particolare per non cancellarsi dalla sua testa? Maledizione… era da
quando aveva lasciato Grace e Nick a casa loro che ci ripensava e non veniva a
capo di quel misterioso rompicapo… magari, era perché lui non la conosceva e
allora non l’aveva trattata come tutti gli altri ragazzi che conosceva che la
riempivano di ossequi e di lodi, cercando di fare presa su di lei, non
riuscendoci assolutamente, anzi Kevin l’aveva presa continuamente in giro… mah,
non sapeva davvero più che cosa pensare… l’unica soluzione che le balenò in
mente fu quella di parlarne con sua madre… in fondo, era stata lei a dirle che
aveva provato qualcosa di simile… non che le facesse impazzire l’idea,
considerato che non andava per niente d’accordo con lei, ma non poteva certo
rivolgersi a suo padre… tutto per far finire quella assurda situazione, non era
per niente abituata a rimanere troppo preoccupata per qualcosa…
Corse
verso casa sotto la pioggia battente, fino ad arrivare davanti al cancello di
ferro battuto di casa sua. Percorse velocemente il vialetto d’ingresso,
evitando le numerose pozzanghere e salutando il loro giardiniere, che proprio
allora stava andando via. Entrò in casa e lasciò le scarpe bagnate e
l’ombrello, altrettanto zuppo, e salutò la madre e Marie, che erano in cucina
intente a cucinare qualcosa, o meglio Marie cucinava e Strawberry cercava di
capire che cosa sbagliava lei, di solito. Miky, intanto, stava giocando con il
loro cucciolo di cane, Derek, mentre di Ryan nemmeno l’ombra.
“Non
capisco Marie, è esattamente la stessa cosa che faccio io…” stava dicendo
Strawberry alla loro governante, che evitava di fare commenti.
“Mamma,
scusa avrei bisogno di parlarti un attimo... puoi venire per favore?”
interruppe Kathrine, che non si era ancora cambiata.
Strawberry
la guardò, stupita, era un evento rarissimo che la figlia le chiedesse qualcosa
dato che di solito preferiva di gran lunga confidarsi con suo padre. In fondo,
Kathrine era la copia esatta di Ryan, era normale che lei ci litigasse venti
ore al giorno… perciò non se lo fece ripetere due volte e lasciò Marie, che
respirò di sollievo.
Si
accomodarono nel grande salotto rosa pesca, lontane dalle orecchie indiscrete
di Miky. Kathrine esitava a parlare, poi finalmente si decise: “Mamma, oggi ho
conosciuto un ragazzo…”.
Strawberry
avrebbe voluto dare libero sfogo alle sue preoccupazioni di mamma, ma si limitò
a dire un semplice: “Capisco…”.
Kathrine,
incoraggiata dal silenzio della madre, proseguì, appoggiando le mani in grembo:
“E’ una persona particolare, e mi ha colpito molto… ma non riesco a capire
perché… e allora mi sono ricordata che tu mi avevi detto che era successa una
cosa simile, quando incontrasti papà per la prima volta…”.
Strawberry
sorrise teneramente tra sé e sé al ricordo di quel lontano giorno, e disse: “E scommetto
che adesso vuoi sapere che cosa provai quando vidi tuo padre… e magari vuoi
confrontarlo con quello che hai sentito tu, non è vero?”.
Kathrine
annuì, arrossendo, mentre la madre sorrideva impercettibilmente: “Quel giorno,
ero uscita con un ragazzo che mi piaceva molto…”.
“Chi era?
Era papà?” chiese Miky, materializzandosi dal nulla e facendo sobbalzare le
due.
“Miky,
fatti i fatti tuoi!” eruppe Kathrine all’indirizzo del fratello, ma Strawberry
rispose tranquillamente: “Non importa, Katy… comunque, non era vostro padre…
era il ragazzo più carino della mia scuola di allora e, dopo tanto, mi aveva
chiesto finalmente di uscire con lui… ero felicissima… ma stranamente mi
addormentai…”.
“Ma
mamma, come cavolo facesti ad addormentarti?” chiese Kathrine divertita.
“Magari
era noioso quel tipo…” commentò seriamente Miky.
“Volete
fare silenzio!” esplose Strawberry, rossa in viso “Volete che continui sì o
no?!”.
I figli
annuirono e solo dopo qualche secondo, Strawberry riprese: “Insomma, dopo un
po’, salutai quel ragazzo e decisi di tornare a casa… ma poi sentii uno strano
rumore e decisi di tornare indietro…”. La donna si interruppe, sapendo che il
seguito non era ancora pronta a raccontarlo né a Kathrine, e nemmeno a Miky, e
cioè dei chimeri, della lotta contro gli alieni, contro Profondo Blu, del suo
dolore per la morte del suo amato Ryan, e poi tutta quella assurda situazione,
in cui si era trovata, sospesa tra lei, Elissa e l’angelo scarlatto… non ce la
faceva ancora, e allora disse: “Era solo un rumore provocato da qualche
animale, ma, mentre stavo tornando indietro, non vidi un crepaccio e vi stavo
per caderci dentro… ma Ryan mi prese in braccio e con un balzo riuscì a non
farmi cascare dentro…”.
“Davvero?”
chiese Kathrine, colpita “E allora? Ti innamorasti di lui?”.
“Assolutamente
no…” intervenne la voce di Ryan dall’ingresso, che, appena tornato, aveva udito
solo le ultime battute della moglie “Mi fece penare un sacco di tempo, prima di
capire che era completamente persa di me...”.
“Ryan, io
stavo facendo un discorso serio!” urlò Strawberry al marito.
“E io
allora? Non stavo facendo un discorso serio?” chiese innocentemente Ryan,
mentre beveva un bicchiere di spremuta in cucina.
Strawberry,
che stava per scoppiare dalla rabbia, disse tranquillamente: “Potresti levarti
dai piedi? Io stavo parlando di una cosa importante con Kathrine!”.
Ryan
sospirò, poi prese Miky e disse: “Andiamo, facciamo parlare in pace le
femminucce…”. Miky accettò di buon grado, tanto oramai non gli interessava più
quello strano discorso, e si andò a stravaccare in poltrona con il padre.
“Allora,
stavo dicendo…” continuò Strawberry, cercando di riprendere il filo dei propri
pensieri e ricordi, poi abbassò la voce: “… non mi innamorai assolutamente di
lui in quel momento, anzi le poche parole che mi disse mi fecero saltare il
sangue al cervello… non lo sopportavo, mi sembrava solo una persona molto
viziata e snob, ma intanto avevo provato qualcosa di molto strano, non appena
l’avevo visto… il cuore mi era scoppiato nel petto e avevo avvertito con
estrema chiarezza che, da quel momento, avrebbe fatto parte della mia vita… non
era amore, o almeno lo credo, perché a me piaceva troppo quell’altro ragazzo,
ma forse una parte di me capii incosciamente che lui era parte di me, e che era
con lui che dovevo stare…”.
“E che
cosa successe dopo?” chiese Kathrine, che sembrava di nuovo quella bambina, che
era stata e a cui piaceva ascoltare le fiabe narrate da sua madre.
“Fui
costretta a passare molto tempo con lui…” rispose sibillina Strawberry, cercando
di non sbilanciarsi troppo “E le cose, per i primi tempi, non cambiarono molto…
non lo sopportavo, ma intanto, quando non ero con quel ragazzo, che era
diventato il mio fidanzato, pensavo spesso a lui, semmai non in termini
romantici e idilliaci, ma pensavo a lui… finchè un giorno, fummo costretti a
separarci, e fu allora che il pensiero di lui divenne ossessivo nella mia
mente… dopo poco, lasciai quel ragazzo e, quando lo rividi, riprovai la stessa
sensazione di quella prima volta, ma stavolta più chiara e netta… capii di
amarlo e di non poterlo lasciare andare di nuovo via… il resto lo sai… ci siamo
sposati e abbiamo avuto te e tuo fratello…”.
Kathrine
sorrise e chiese, con un filo di voce: “Pensi allora che io sia innamorata di
quel ragazzo?”.
Strawberry
rise leggermente, poi disse: “No, tesoro mio… non ci si può innamorare tanto
facilmente di una persona… magari hai solo intuito che è una persona che
potrebbe essere molto importante per te, se le lascerai spazio nella tua
vita…”.
Kathrine
annuì, poi abbracciò la madre e la ringraziò. Poi, sentii il campanello suonare
e andò ad aprire.
Ecco
finalmente il secondo chappy! Sono stata un po’ impegnata ultimamente e quindi
non sono riuscita a pubblicarlo prima! Perdono!!! Un enorme grazie a coloro che
hanno recensito il primo capitolo, purtroppo sono ancora di fretta quindi
risposte, chiarimenti e ringraziamenti vari ed eventuali dovrò rinviarli al
prossimo aggiornamento!!! Ciao ciao da Cassie chan!!!
Sulla
soglia, c’era un nutrito gruppo di persone, fermo davanti alla porta di casa
Shirogane: Kathrine riconobbe i genitori di Nick e Grace, mentre i due gemelli
non erano con loro, poi vide il signor Aoyama, che la guardò con uno sguardo
indagatore, i coniugi Akasaka, che lei chiamava affettuosamente zii, e poi
altre due coppie, che non conosceva, ma che avevano un’aria familiare. Questi
ultimi sembravano molto preoccupati, soprattutto una donna dai lunghi capelli
castani e da due enormi occhi azzurri.
“Ciao
Katy…” la salutò affettuosamente Kyle.
“Ciao
zio, ciao zia Pam… è successo qualcosa?” rispose confusa.
“Niente
di grave piccola” rispose Pam con un sorriso, una mano sul ventre, vistosamente
rivelatore del suo settimo mese di gravidanza “Ryan e Strawberry sono in
casa?”.
Kathrine
fece segno di sì, e li fece entrare in casa. Mark provò la solita ben nota
sensazione di freddo lungo la schiena. Entrare nella sua casa gli aveva
fatto sempre uno strano effetto; non che ci venisse spesso, anzi ci era venuto
solo tre volte: per il suo matrimonio, e allora era rimasto per soli tre minuti
nell’androne della casa, incapace di proseguire nell’analisi della meravigliosa
vita che Ryan le aveva donato, e poi in occasione delle nascite dei suoi due
figli. Ma anche allora non era riuscito a rimanerci molto, sebbene si era
aggrappato sempre al pensiero di Halinor e Chiyo. Ma stavolta, nessuna delle
due era lì con lui, e questo lo frastornò parecchio, soprattutto quando
Strawberry si affacciò dalla porta della cucina e gettò un’occhiata confusa.
Era ancora così tremendamente bella, come quella ragazzina che aveva conosciuto
anni prima, e quella meravigliosa donna, che non aveva esitato a schiaffeggiare
in un impeto di rabbia. Scosse la testa, cercando di scordare quello che era
successo, che sembrava quasi averlo marchiato a fuoco. Si perse nei suoi
capelli rossi, adesso leggermente più scuri, e nei suoi occhi caffè, più
luminosi di prima. Era diventata una donna elegante e raffinata, e anche adesso
che era in casa, emanava una calda atmosfera di fascino discreto, ma presente.
Poi, accanto a lei, si sporse anche Ryan, e fu allora che capii ancora una
volta quanto lei lo amava. Non si erano nemmeno toccati, e nemmeno parlati… ma
solo uno sguardo di lei negli occhi acquamarina di lui… lui che serbava ancora
intatto l’aspetto di quello che era stato fino a pochi anni prima… quello
sguardo fu peggio che se si fossero baciati, davanti a lui… si sentì vecchio,
per la prima volta, anche se era anche più giovane di Ryan… oltre che vecchio,
si sentì inutile, dato che aveva perso l’unica donna, che aveva mai amato, e
cioè Strawberry, e l’unica, che lo avesse mai amato veramente, cioè Halinor.
Sua figlia era l’unica cosa che gli era rimasta, anche se pure lei non gli
volesse certamente un bene dell’anima, ma lui temeva fortemente che lei lo
odiasse per quello che aveva fatto a sua madre. Non che ne avesse tutti i
torti, anzi… Halinor aveva fatto benissimo ad andarsene, non poteva certo
biasimarla, dato che lui nemmeno si era sforzato di imparare ad amarla,
pensando solo ed unicamente a Strawberry…
Strawberry
spalancò gli occhi, riconoscendo le figure che aveva di fronte, e corse
nell’ingresso.
“Blanche!
Ghish! Pie! Lory!” disse, abbracciando i suoi amici “Sono anni che non ci
vediamo!”.
Lory le
sorrise, stringendola a sé, e rispose: “Sono esattamente quindici anni… ma sai,
è molto difficile per noi lasciare casa nostra, soprattutto per Blanche e per
Ghish…”.
Strawberry
annuì, poi chiamò Kathrine e Miky, che si erano fermati sulla soglia della
cucina, accanto a Ryan e a Marie.
“E’ così
loro sono i piccoli Shirogane…” disse allegra Lory. Strawberry annuì e disse:
“Per fortuna, hanno preso molto dalla mamma e poco dal papà…”.
Tutti
scoppiarono a ridere, finchè Ryan, abbandonata la sua espressione fintamente
irritata nei confronti della moglie, quando invece adorava i momenti, in cui
facevano finta di prendersi in giro, chiese: “Non che non sia felice di
vedervi, ma dato che avete appena detto che lasciate casa vostra pochissime
volte, devo dedurre che non sia una visita di cortesia…”.
“In
effetti, la ricordo ancora la tua ultima visita, Ghish…” disse malinconica
Strawberry, poggiando una mano sul braccio del marito, quasi temesse che lui
sparisse di nuovo come tanti anni prima.
“Mi
dispiace dovervi disturbare ancora una volta…” replicò Blanche, che aveva gli
occhi cerchiati e l’aria vistosamente stanca, un’espressione che sembrava non
aver mai avuto anche nei giorni peggiori della battaglia contro Profondo Blu.
“Non lo
dire nemmeno per scherzo…” intervenne Ryan, facendo loro segno di accomodarsi
in salotto “Se non fosse stato per voi, io sarei…”. Si interruppe, ricordandosi
della presenza di Kathrine e Miky, che stavano capendo poco quanto niente di
quella vicenda, ma che certamente avrebbero fatto mille domande, se avessero
saputo che il loro caro padre era, diciamo, morto già una volta.
Sedutisi
tutti in salotto, Kathrine rimase davanti alla porta del salotto, poi, udendo
lo strano silenzio che si era venuto a creare tra gli adulti, prese il fratello
per mano e se lo trascinò dietro, chiudendo poi la porta.
Ghish si
decise finalmente a continuare, rincuorato dal fatto che Kathrine e Miky
avessero lasciato la stanza: “Non volevo parlare, finchè fossero rimasti qui…
scommetto che nemmeno voi li avete mai raccontato niente di quello che ci è
successo…”.
Ryan e
Strawberry si guardarono negli occhi, poi lei abbassò lo sguardo e fece cenno
di no con il capo, mentre lui le stringeva la mano. Scosse deciso il capo,
dicendo: “Vogliamo raccontargli tutto, ma lo faremo quando Miky sarà più
grande… sono due bravi ragazzi, ma forse sarebbero sconvolti da quello che li
racconteremmo…”.
“Esattamente
quello che avevamo pensato anche noi…” disse triste Blanche, gli occhi pieni di
lacrime “Aggiungetevi anche che avremmo dovuto raccontare a Kivar che cosa o
meglio chi era stato… un uomo assetato di sangue e di potere, e per di più mio
zio… credete che avrebbe capito?”.
Ryan e
Strawberry scossero il capo, pensando che in effetti il loro sarebbe stato un
compito molto più difficile.
“Ma Kivar
è pur sempre Profondo Blu… le loro anime sono le stesse, anche il loro
carattere è praticamente lo stesso… hanno anche gli stessi poteri, solo il loro
aspetto è leggermente diverso, e ovviamente Kivar non è malvagio, come lo era
lui…” continuò Blanche, a cui ogni parola costava un singhiozzo “Lui è cambiato
radicalmente, dopo il nostro ultimo viaggio sulla Terra, anche se era solamente
un bambino… quando tornammo a casa, iniziò a mostrare sempre più chiaramente di
ricordare qualcosa della sua vita precedente…”.
“Che
cosa?!” chiese Strawberry, scioccata “Io, quando ero l’angelo scarlatto, ho
cancellato tutti i suoi ricordi…”.
“Era
quello che credevamo anche noi, ma Kivar iniziò a parlare di cose, che non poteva
sapere… ricordava la Terra, e poi ricordava Elissa e Leon… non ci preoccupammo
più di tanto, perché erano solo frammenti di immagini, e lui li sognava solo di
tanto in tanto… erano troppo poco per permettergli di capire tutto… inoltre, lo
vedevamo sempre troppo piccolo per sapere la verità, per sapere ciò che era
stato… non poteva saperlo, lo avrebbe ucciso… un giorno, esattamente un mese
fa, però, accadde qualcosa sul nostro pianeta… qualcosa di strano, ma di non
impossibile, un’eclissi anulare di sole…”.
“Non
capisco che cosa c’entra l’eclissi con Kivar…” chiese confusa Strawberry.
Blanche
continuò: “Non lo sappiamo nemmeno noi, ma fu durante quell’eclissi che Kivar
recuperò un altro ricordo, credo uno dei più importanti della vita di Profondo
blu… fu da allora che iniziò a chiederci con sempre maggiore insistenza da dove
venisse, e se fosse davvero nostro figlio… noi gli abbiamo sempre risposto di
sì, perché in fondo la carne di Kivar è la mia, il suo sangue è il mio… insomma
lui è mio figlio, e per Ghish è come se lo fosse, ma… lui si ricordò anche di
alcune voci, che aveva sentito quando era bambino, e che gli avevano imputato
una strana somiglianza con Profondo Blu… chiunque lo guardava non poteva non
notarlo, anche perché lui è molto spesso al centro dell’attenzione dato che è
mio figlio, e io sono la Presidentessa del nostro pianeta… qualche giorno fa,
con le sue richieste, mi irritò molto e gli risposi male, dicendogli che doveva
essermi grato se lo proteggevo da quello che lui era. Ho sbagliato, lo so,
perché è stato allora che gli ho dato la conferma che c’era effettivamente
qualcosa che gli avevo tenuto nascosto… insomma, Kivar è scappato di casa e
scommetto che è venuto sulla Terra… è qui che si cela la verità sul suo
passato… forse se incontrasse te, Strawberry, o anche te, Ryan, ricorderebbe
tutto… e credo che sia quello che vuole…”.
Blanche
cessò di parlare, le lacrime che adesso scorrevano libere sul suo volto. Lory
sorrise ed intervenne: “Comunque, Kivar non è da solo… ha portato anche suo cugino,
ossia nostro figlio, Delet… crediamo che siano entrambi sulla Terra…”.
“Mi- mi
dispiace tanto…” mormorò Strawberry.
“Cercheremo
di trovarli entrambi…” ribadì Ryan “Ma intanto sarà meglio che voi rimaniate
qui, non credo che abbiate altro posto dove andare… e poi casa nostra è molto
grande…”.
“Grazie…”
mormorò Ghish, ribadendo che non appena la situazione si fosse risolta,
sarebbero subito tornati a casa.
“Non c’è
alcuna fretta… adesso dobbiamo solo pensare a Kivar e a Delet… dove credete che
possano essere andati precisamente?” chiese Strawberry, che provava molta pena
nei confronti di Blanche. Non poteva smettere di pensare a che cosa avrebbe
fatto lei, se al posto di Kivar ci fosse stata Kathrine o anche Miky.
“Non lo
so, ma sono sicuramente venuti qui… “ commentò Ghish “Io conservavo una vecchia
foto del Caffè mew mew… e non l’ho più trovata… credo che Kivar me l’abbia
rubata…”.
“Bene,
almeno sappiamo dove cercare…” intervenne Mark, alzandosi in piedi e avviandosi
verso la porta. Non poteva rimanere un minuto di più in quella casa, o sarebbe
soffocato. Ryan lo guardò allontanarsi, senza fare nulla, pregando Marie di
accompagnarlo alla porta. Strawberry, dopo molte reticenze e scongiuri di stare
calmo, gli aveva alla fine raccontato che cosa le avesse fatto Mark e lui non
poteva minimamente sopportare che lui avesse picchiato Strawberry, fosse pure
in un impeto di rabbia. Lui si arrabbiava con lei trenta volte al giorno, ma
mai, mai, aveva solo alzato un dito su di lei, semplicemente perché non gli era
minimamente saltato per la mente per quanto l’amava. Strawberry, dal canto suo,
si sentiva sempre a disagio quando lo rivedeva e quindi respirò di sollievo a
vederlo andare via; non poteva dire di odiarlo, come lo aveva odiato nei primi
tempi, ma non gli stava nemmeno simpatico. Quando lo vedeva, aveva paura che le
facesse ancora del male, anche se sapeva che Ryan non glielo avrebbe permesso.
Ancora una volta, a quel pensiero, sorrise a sé stessa, come faceva ormai da
anni… Ryan… accanto a lui, tutto le sembrava una facile passeggiata… lui era la
cosa più bella che le era mai capitata…
Si alzò
anche lei dal divano, salutando Pam, Paddy, Tart e Kyle, promettendo che in
caso di novità, si sarebbe fatta risentire. Poi, indicò agli altri le loro
camere, lasciando che riposassero dopo il loro lungo e faticoso viaggio. Erano
ormai le undici passate, e Kathrine e Miky erano andati a letto, o meglio a
fingere di dormire, mentre Kathrine avrebbe sicuramente chiamato Grace e Miky
si sarebbe divorato i suoi fumetti. Ritornò in salotto, che ormai era in
penombra, illuminato solo dalle luci della strada, e si sedette accanto a Ryan,
che stava ancora guardando la televisione.
Lui la
fissò in viso, cercando di capire come sempre che cosa pensasse. In fondo,
quella loro sottile complicità non era mai andata via e alle volte, Strawberry
pensava che fosse ancora attivo il loro legame telepatico.
“Che cosa
ne pensi di questa storia?” chiese Ryan, abbassando il volume della
televisione.
“Non lo
so… non mi fa paura che Kivar sia, diciamo, in libertà… so che lui non è più
Profondo Blu, ma penso al dolore che provano Blanche e Ghish… se fosse successo
a noi, io…” disse, interrompendosi bruscamente.
Ryan
l’attirò dolcemente a sé e le mormorò: “Un giorno, sapranno tutto… ma adesso,
lo sai, è troppo presto… riusciremmo solo a renderli più confusi…”.
Strawberry
annuì, respirando a pieni polmoni l’odore di Ryan… se avesse potuto tornare
indietro, avrebbe rifatto mille e mille volte quello che aveva fatto, e che poi
aveva biasimato, o per cui aveva sofferto… doveva aver avuto tutto un
meraviglioso senso, se adesso l’aveva resa così felice, accanto a lui…
Ryan le
sussurrò: “Si può sapere che cosa ti ha chiesto Kathrine di me e di te?”.
Strawberry
sorrise: “Certo che sei proprio geloso di lei…”.
“C’entra
un ragazzo vero?”
Strawberry
scoppiò a ridere e lo baciò sulle labbra, dicendogli: “Mi dispiace, ma è un
segreto professionale… è un segreto tra mamma e figlia… adesso vieni a dormire,
e non ci pensare più… Kathrine è una ragazza in gamba, e saprà scegliere il
miglior ragazzo…”, poi, prendendolo per mano e sollevandolo di peso dal divano,
aggiunse dolcemente: “… come ha fatto sua madre…”.
Ryan le
sorrise, ringraziando ancora nel cuore Dio per quella meravigliosa donna, che
gli aveva regalato e che amava ancora come il primo giorno, e la baciò. Poi
entrambi si diressero verso la loro camera da letto.
Mi scuso
enormemente per il ritardo, ma purtroppo il mio pc ha ricominciato a fare
capricci, e quindi… finalmente è arrivato anche il terzo capitolo! La prima
parte dell’enorme caos di questa storia si è compiuta! Spero che questa storia
vi stia piacendo, io ce la sto mettendo davvero tutta! Un grazie enormissimo
per i loro commenti alla mia cara Ayuccia (probabilmente se non ci sei,
non lo leggerai neanche questo capitolo!!! Uffi!!! Per quanto riguarda la tua
domanda, non credo di averlo fatto proprio apposta, intendo a ricalcare Kevin
su Ryan; credo che alla fine quello sia il mio modello di ragazzo ideale,
quindi lo ricreo spesso! Sono strana, ma mi piacerebbe uno che mi tiene testa e
che mi fa anche innervosire! Appena posso, ti scrivo un bel commento al tuo
capitolo nuovo, l’ho letto, ma il mio computer non so perché mi impedisce di scrivere
recensioni, mah! Divertiti in vacanza!), Lunachan 62 (grazie dei tuoi complimenti,
per la tua domanda credo che hai avuto parziale risposta! Nei prossimi
capitoli, avrai una risposta anche migliore! Spero di aggiornare prima di
questa volta!!), Hermy 6 (la mia pazzerella! Come hai visto, sto facendo
dei semi intrecci tra Ryan e Strawberry! Ho una semi idea per loro due, ma è
troppo cattiva e perfida anche per me, quindi non so se realizzarla! Tu che
dici?), Mew Pam (grazie tantissimo, soprattutto delle parti che ti sono
piaciute di più! Sono quelle che sono piaciute anche a me nello scriverle!), Black
pill (mi mancavano le tue recensioni! Grazie dei tuoi complimenti, comunque
non ti preoccupare, almeno per il momento non abbandonerò questa storia! Mi piace
troppo scriverla, anche se purtroppo i miei aggiornamenti non potranno essere
tanto frequenti! Sto partecipando ad un concorso e quindi sto scrivendo anche
un’altra storia nel frattempo!). Adesso devo andare! Spero di aggiornare quanto
prima!! Ciao ciao da Cassie chan!
La
giornata era frizzante, come se d’improvviso gennaio avesse lasciato il posto
ad un caldo e dolce marzo, che in realtà non era ancora arrivato. Nel cortile
della scuola, molti ragazzi sostavano pigramente al sole, altri giocavano a
pallavolo e altri ancora a calcio con una lattina di coca cola; soprattutto le
ragazze chiacchieravano tranquillamente, polarizzate attorno a tre figure
femminili, considerate le più popolari e le più carine della scuola: una era
Ayane Fuitsuki, una bella ragazza dai lunghi capelli rossi, che aveva il
cervello del peso di una piuma e che accoglieva accanto a sé solo le persone
più ricche e alla moda; l’altra era Miyu Taylor, appena arrivata
dall’Inghilterra, una ragazza con una mente al di sopra della media e con un
carattere dalla generosità invidiabile; l’altra, ovviamente, era Kathrine
Shirogane, che sorrideva allegra tra i suoi amici, i capelli biondo miele
sollevati dal vento e fermati solo da un piccolo fiore di rosa di raso rosso. Accanto
a lei, c’erano Grace, Nick, Chiyo, e altri ragazzi di altre classi, con cui la
ragazza si divertiva particolarmente.
“Che stai
guardando?”. Alla domanda dell’amico, Kevin sobbalzò.
“Che vuoi
che stia guardando?!” disse calmo, ma vistosamente nervoso.
Un
ragazzo dai capelli castani e due occhi celeste chiaro si sedette sull’erba
accanto a lui, sorridendo e mormorando qualcosa.
“Che hai
da borbottare, Daniel?!” chiese Kevin, scocciato, i ritagli di sole tra le
foglie che gli illuminavano i capelli corvini e gli occhi blu oltremare.
“Assolutamente
niente…” rispose l’altro innocentemente “Mi sembra solo strano che tu sia
interessato proprio a quella ragazza…”.
Kevin
gettò un’occhiata distratta a Kathrine, che era scoppiata a ridere, e replicò:
“Che significa, scusa, genio? Ti ho detto o no che cosa mi ha fatto?!”.
Daniel
rispose, sventolando la mano avanti e indietro: “Sì, sì me l’hai detto… ma non
mi sembra un caso che sia proprio la ragazza più carina della scuola ad averti
dato una sensazione del genere… li hai visti i suoi capelli? Da noi, non c’è
nessuna con i capelli di quel colore…”.
Kevin
scosse il capo e disse: “Sì, sì… ma non è per quello… hai sentito come si
chiama? Kathrine Shirogane… a me questo nome non mi è nuovo…”.
“Piacere
che non ti è nuovo…” rispose esasperato Daniel “Ryan Shirogane, suo padre, era
il vecchio proprietario del Caffè mew mew…”.
Kevin
sobbalzò e chiese stupito: “Come hai fatto a saperlo?”.
“Internet”
replicò in maniera sbrigativa Daniel.
Kevin
sorrise impercettibilmente e disse sicuro: “Lo vedi che ritorna tutto? E’ lei,
la chiave…”.
Daniel
mormorò qualcosa, poi si alzò da terra e disse semplicemente: “Dato che io,
invece, sono qui sono solo in vacanza, non intendo proseguire questo discorso…
chiave, eclisse, e altro, non sono mie priorità, cugino… sai come si dice sulla
Terra, Kivar? Veditela tu e il mese di maggio…”.
Kevin
scoppiò a ridere e disse: “E che razza di proverbio è?!”.
Daniel
sorrise e si allontanò, mentre nella sua testa sentiva la voce di suo cugino,
che lo ammoniva per l’ennesima volta… e poi te l’ho detto mille volte,
Delet, cavolo… io adesso sono Kevin Shirayuki… non mi devi più chiamare Kivar
in pubblico, maledizione…
Kathrine
sospirò pesantemente, mentre cercava sul comodino una rivista, sollevando il braccio
dolorante oltre la coperta di raso rosso. Aveva l’influenza e si sentiva
maledettamente spossata, ma almeno si era risparmiata la fatica di assistere
alla sfilza di provini per il ruolo di Romeo, che si dovevano tenere quello
stesso giorno. Più tardi, Nick e Grace sarebbero venuti a trovarla e avrebbe
chiesto a loro chi era stato preso.
… dato
che ci sarà un’audizione per il ruolo di Romeo nella prossima recita e che a te
hanno già dato quello di Giulietta, vorrei che tu mi aiutassi a prepararmi per
il provino…
Già,
adesso si ricordava… quello strano ragazzo avrebbe partecipato alle audizioni
per la parte di Romeo, accidenti a lui! Sperava ardentemente che non lo
prendessero… le venne un leggero brivido di nervosismo a pensare di dover
recitare con lui… chi l’avrebbe sopportato?
Sentii ad
un tratto bussare alla porta, e, sistemandosi i capelli, disse un tranquillo:
“Avanti!”. Alla porta, apparve dapprima sua madre, che aveva il viso curvato in
un’espressione di divertita curiosità, esattamente come Grace, che era dietro
di lei; poi comparve il viso più che mai scuro di Nick, e una faccia, che
Kathrine all’inizio non riconobbe e che pensò di essersi immaginata.
Poi
sobbalzò, arrossendo, ed urlò, un dito puntato contro la figura: “Che cavolo ci
fai a casa mia?!”.
Strawberry
rimproverò la figlia per la sua maleducazione, mentre Kevin ribadiva con
rassegnazione: “Non si preoccupi, signora… tra me e sua figlia è consolidata
tradizione parlarci così…”.
“Infatti,
io e te non siamo assolutamente amici…” confermò Kathrine con estrema
convinzione “Che diamine vuoi?!”.
“Kathrine!”
urlò Strawberry ancora all’indirizzo della figlia, mentre ancora una volta
aveva la sensazione di stare vivendo un dejà vu; poi, con un sorriso, capii
perché… Kathrine e questo ragazzo…
Io e Ryan…
Ma non
era solo questo, ne era sicura… a dirla tutta, era da quando Kevin era entrato
in casa, da quando lo aveva visto nell’ingresso, che aveva avuto una strana
sensazione… che ricordava, una sensazione che ricordava… paura, mista di senso
acuto di seduzione… Kevin era certamente solo un ragazzino e non era
minimamente attratta da lui, ma le aveva provocato quella percezione… ma tanto
più si sforzava di ricordare dove aveva sentito quell’emozione, e più non se lo
ricordava… come se urtasse contro una spessa parete di vetro gelido…
Scosse la
testa, pensando che fossero solamente manie le sue di vedere pericolo o ricordi
dove non ce ne erano. L’esperienza di Profondo Blu, Leon ed Elissa l’aveva
cambiata molto, ma si era fatta anche una donna estremamente più serena e
razionale, e, per questo, lasciò la camera di Kathrine con un sorriso e tornò
in cucina, non accorgendosi minimamente di uno strano sguardo, lanciatole da
Kevin, che pensò: “Lo sapevo… tutto qui mi ricorda qualcosa… soprattutto la
madre di Kathrine… mi sembra di averla già vista, ma dove? E poi… sento una
forte sensazione, mi sta intossicando… magia, qui c’è traccia di magia…”, si
voltò pallido verso Kathrine, che lo guardava stupita, confusa ed ancora
arrabbiata: “Anche in lei, c’è traccia di
magia… anche se è lontana, la sento…”.
“Che hai?!” chiese Grace, sventolando una mano
davanti al naso di Kevin.
“Niente, solo un momento di distrazione…” rispose
lui pensosamente, sedendosi accanto a Nick e a Grace su delle piccole poltroncine
di velluto rosa pesca, in tinta con il resto della stanza.
Per interrompere l’imbarazzante silenzio che si era
creato, Grace disse: “Chiyo non è potuta venire… aveva delle cose da fare con
suo padre…”.
“Non importa, mi aveva già chiamato ieri sera…” ribatté
Kathrine ancora accigliata, poi, senza accorgersene, cercando di prevenire
l’ennesimo silenzio, chiese: “Chi hanno preso per la parte di Romeo?”.
Grace tossicchiò leggermente, mentre Nick faceva
una risatina, e Kevin alzava gli occhi al cielo: “Spero che adesso sarai
contenta e ti sentirai in colpa… non mi hanno preso e tutto perché tu ti sei
rifiutata di aiutarmi…”
Aveva un’espressione da cucciolo abbandonato sotto
la pioggia, e Kathrine dovette fare leva su tutta la sua già poca pazienza per
non lanciargli addosso un cuscino.
“Si dà il caso che ti ho già ribadito che non ti
avrei aiutato e questo è successo un mese fa…” disse con calma, come se stesse
dicendo la cosa più vecchia e scontata del mondo “Se fossi un bravo attore,
saresti riuscito a prepararti da solo…”
Kevin non si fece minimamente impressionare dal
tono deciso della ragazza e disse, portandosi le mani dietro il capo: “A dirla
tutta, il livello della selezione è stato piuttosto bassino… la mia arte non è
stata chiaramente compresa… e poi il ruolo di Romeo non faceva proprio per me…”
“Perché?” chiese frettolosamente Grace, tanto per
fare conversazione ed evitare l’ennesima battuta acida di Kathrine, che leggeva
già stampata a lettere cubitali sul suo volto.
Kevin ribatté con noncuranza: “Morire per una
donna… per favore, non credo che ci sia niente di più stupido nell’intero
Universo…”
Kathrine non riuscì più a reprimere la rabbia, che
sentiva dentro, e si scagliò contro di lui: “Perché dovrebbe essere stupido?
Quando ami una persona, faresti di tutto per renderla felice e per stare per
sempre con lei, anche se questo significherebbe morire… ma figuriamoci tu hai
la personalità con le sfaccettature di un cavolfiore, non lo capiresti mai…”
“Può darsi” disse lui, sorprendendola “Non credo di
essere una persona molto sensibile da questo punto di vista, ma sono più che
mai convinto che l’amore non duri per sempre… è stupido morire solo per un
sentimento… e l’amore è solo questo…”
Kathrine lo guardò quasi scioccata, e ripensò a sua
madre e a suo padre. Non aveva mai capito come si erano messi assieme, facevano
sempre in modo di eludere il discorso, ma lo capiva nelle loro rare e sibilline
parole che era stato qualcosa di molto difficile, lo capiva dal modo che aveva
Strawberry di stringere la mano di Ryan, quando sentiva quei discorsi, dal modo
che aveva Ryan di accarezzarle la guancia, quando a lei si riempivano gli occhi
di lacrime. Eppure adesso stavano assieme e lei lo sapeva che non potevano
vivere l’una senza l’altro. Loro avrebbero fatto di tutto per difendersi l’uno
l’altra e per restare assieme, e aveva come la sensazione che l’avessero già
fatto.
Kevin guardò altrove, fuori dalla finestra, da cui
si vedevano i rami più alti di un albero ancora spoglio di magnolia.
“Non credo di essermi mai innamorato, ma ho visto i
miei genitori…” continuò Kevin, soppesando con attenzione le parole “Loro sono
stati innamorati e credo che lo siano ancora molto, ma ci sono momenti, ci sono
cose per cui il loro amore non esiste, e dove non riesce a reggere il peso
delle cose che possono caderli addosso… e allora proprio per il loro amore, li
ho visti deboli, fragili, anche per quello che hanno verso di me… per
proteggersi, non sono liberi…”. Kevin si fermò a disagio, aveva detto più di
quanto avrebbe voluto, ma quelle parole gli erano volate via dalle labbra,
senza che ne volesse effettivamente parlare.
Kathrine lo guardò per un attimo, poi disse piano:
“Capisco che cosa vuoi dire… anche i miei genitori si preoccupano molto per me
e per mio fratello, ma sono certa che la loro vita senza di noi sarebbe vuota,
inutile, priva di senso… può darsi che l’amore ti renda schiavo, ma alla fine
non amare è uguale a morire…”.
Kevin si voltò sorridendo verso di lei, e le disse
ironicamente: “E che ne sai tu, ragazzina? Dove le hai lette queste cose?”
L’espressione per un attimo più serena e tranquilla
di Kathrine divenne subito minacciosa e furente, stavolta non provò nemmeno a
trattenersi e gli lanciò contro un cuscino, che aveva preso dal letto.
“Ahia, lo vedi che sei soltanto una bambina
viziata?!” urlò Kevin, massaggiandosi il braccio, anche se non provava il
minimo dolore.
“Devi ancora dirmi che ci fai qui a casa mia!”
replicò lei, il viso rosso dalla febbre e dalla rabbia.
A quel punto, Grace che aveva osservato la scena da
lontano, ridendo, disse, guardando l’orologio: “Avrete tutto il tempo per
parlare di questo… io adesso devo davvero andare… Nick, vieni con me, vero?”
Kathrine la guardò con gli occhi sgranati,
mormorando a labbra strette: “DOVE devi andare Grace?”
Lei, cercando di reprimere una risata, rispose: “Lo
sai meglio di me… ho purtroppo una sorella che scalcia dalla voglia di vedermi
e Nick deve andare a ripetizione di algebra, altrimenti quest’anno è sicuro che
lo bocciano… ma tanto c’è Kevin con te…”
Lei assunse un’espressione truce, mentre
l’interessato inarcava un sopracciglio: “Non ti preoccupare, con me la tua
amica è in buone mani…”
Kathrine si voltò ancora minacciosa e disse: “Ma
perché tu non te ne vai con loro?!”
“Per lo stesso motivo, per cui sono venuto… ho
bisogno di parlarti…” mormorò lui seriamente.
Grace afferrò il fratello per il colletto della
camicia, e se lo trascinò dietro, salutando entrambi con la mano.
Kathrine, aspettando che la porta si chiudesse del
tutto, chiese subito: “Allora si può sapere che vuoi?”
Kevin si avvicinò a lei, sedendosi sul letto, e
disse: “E’ una cosa davvero molto importante per me, e te lo sto chiedendo
perché, nonostante non lo faccia vedere, mi fido abbastanza di te…”
“Non mi hai dimostrato mai questa grandissima fiducia…”
disse lei, inarcando un sopracciglio “E infatti sono più che mai convinta che
ci sia dell’altro sotto…”
Lui si limitò a sospirare, poi disse: “Lasciami
spiegare e poi mi dirai se accetti o meno… ti ruberò solamente tre giorni…”
“Tre giorni?!” chiese ancora lei, visibilmente
meravigliata
“Sì…” continuò lui, iniziando a montare la storia
in parte falsa, che le stava raccontando “Non so se lo sai, ma io vengo da
Hokkaido… ho vissuto lì in realtà per gli ultimi tre anni, ma sono nato a
Parigi ed è lì che vive la mia famiglia… io litigavo spesso con mia madre,
perché lei mi nascondeva delle cose molto importanti sulla mia vita, tipo la
vera identità di mio padre, che io sono sicuro non essere quello che lei mi ha
sempre presentato come tale…”
“Perché ne sei tanto sicuro?” chiese lei
sospettosa, interrompendolo.
“Semplicemente perché ho sempre notato che non mi
somiglia affatto… e poi, quando ero bambino, sentivo spesso delle persone
parlare di un altro uomo e associarlo spesso a me…”
“E tu credi che questa persona sia il tuo vero
padre?” chiese Kathrine, ancora diffidente.
A questo punto, Kevin si fermò… la sua storia stava
diventando troppo credibile anche per lui stesso. Profondo Blu, era quello il
nome, che sentiva ripetere fino all’ossessione da quando era piccolo. Ogni
persona che lo aveva incontrato, che lo aveva visto, aveva sbarrato gli occhi e
gli aveva detto: “Tu sei uguale a Profondo Blu!”. Quando era stato abbastanza
grande per capire, lo aveva chiesto a sua madre chi fosse quell’uomo, ma lei era
impallidita e non gli aveva risposto. Mai gli aveva risposto, anche quando
glielo aveva chiesto solo tre mesi prima. E alla fine lo aveva capito perché.
Perché era quello il suo vero padre. Suo padre, quello che aveva sempre
ritenuto tale, era totalmente diverso da lui, lui che aveva qualcosa di sua
madre, ma che per il resto non assomigliava molto neanche a lei. Invece, c’era
o c’era stata una persona, che gli assomigliava in modo talmente impressionante
da spaventare gli altri. Aveva chiesto a chiunque chi fosse questa persona, ma
tutti o si ritraevano a disagio oppure dicevano che spettava a sua madre
parlargliene, cosa che lei evitava accuratamente di fare. Poi quel giorno
dell’eclissi anulare di sole, aveva sentito una voce acuta nella sua testa sussurrargli:
“Il sangue è sulla Luna Azzurra” ; era
sussultato e si era ritrovato la schiena zuppa di sudore freddo, poi aveva
fatto delle ricerche e aveva scoperto che la Luna Azzurra era un antico nome,
attribuito al terzo pianeta della stella Sole, dove avevano abitato i suoi
antenati. Fin qui, non c’era niente di strano, se non che, mentre leggeva dei
testi di sua madre, aveva trovato delle carte di suo padre, tra cui una vecchia
foto di quel lontano pianeta, di uno strano edificio chiamato Caffè mew mew con
l’indirizzo di Tokyo, e aveva capito. Aveva capito che qualsiasi cosa i suoi
genitori gli nascondessero, era lì sulla Terra. Aveva fatto un ultimo tentativo
con sua madre, e aveva fallito. Allora, aveva assunto l’identità falsa di Kevin
Shirayuki ed era partito per la Terra con suo cugino, che aveva insistito tanto
per andare con lui, dopo aver saputo che le donne terrestri fossero alcune tra
le più incantevoli creature dell’intero Universo. Poi quel giorno, aveva
incontrato Kathrine Shirogane ed un rapido e breve tocco con la sua mano gli
aveva restituito la memoria, sebbene molto fioca, di due persone che già
ricordava vagamente: una donna dai lunghi capelli scuri e un uomo dai capelli
biondi molto chiari, che lo guardavano severamente. Erano i suoi veri genitori?
Non lo sapeva, ma era certo che Kathrine, la figlia di Ryan Shirogane, il
proprietario del vecchio Caffè che suo padre conosceva, era la Chiave per
scoprirlo. E adesso ne doveva essere assolutamente certo e, per questo, doveva
convincerla a venire con lui.
Ritornò a
guardarla, e mormorò: “Non so se sia il mio vero padre, ma ho saputo che viveva
in Giappone… quindi tre anni fa, chiesi a mia madre di potermi trasferire per
un po’ da una mia zia, che viveva ad Hokkaido, con la scusa che non avevo un
ottimo rapporto con i miei docenti…”
Kevin
sospirò, Kathrine sembrava abbastanza convinta, quindi si fece coraggio e
continuò nella sua commedia: “Un mese fa, sono tornato a Parigi, ma ho avuto
una violenta discussione con i miei, che avevano saputo di una serie di
indagini che avevo fatto da mia zia, e che mi avevano portato a sapere che mio
padre dovrebbe vivere in questa città… mi accusarono di irriconoscenza e allora
capii che c’era effettivamente qualcosa sotto. Quella stessa sera, raccolsi i
miei risparmi e presi il primo aereo per Tokyo…”
“Sei
scappato di casa?!” chiese Kathrine, visibilmente colpita e scioccata. Se lo
avesse fatto lei, i suoi avrebbero sguinzagliato l’ F.B.I.…
“Non sono
proprio scappato di casa…” mormorò Kevin con aria d’importanza “Ogni settimana
li chiamo e li faccio sapere come sto, ma non li dico dove sono esattamente…
così, fino ad ora, non mi hanno ancora trovato… nonostante questo, hanno
continuato a tacere, non mi dicono ancora chi è il mio vero padre…”
“E se
fosse solamente frutto di una tua macchinazione?” chiese Kathrine, scuotendo il
capo “Anche degli amici dei miei genitori hanno dei problemi con il loro
figlio, che è scappato di casa… e tutto per qualcosa che lui ritiene
importante, ma che non è per loro lo stesso…”
Kevin
sobbalzò sulla sedia, poi cercò di rimanere calmo. Erano certamente i suoi
genitori, allora erano lì… un’ulteriore conferma, se mai ce ne fosse stato
bisogno, che la pista Shirogane era giusta.
“Non è la
stessa cosa…” mormorò lui “Io sono assolutamente sicuro… che loro mi nascondano
qualcosa… può darsi che la persona che sto cercando non sia mio padre, ma è
l’unica in grado di dirmi che cosa si nasconde dietro il loro silenzio…”
“E allora
io che cosa c’entro?” chiese Kathrine, curiosa, ma che continuava a non capire
dove il ragazzo volesse arrivare.
“Due
settimane fa, ho chiamato i miei genitori…” iniziò lui, assumendo il tono più
convincente che gli riuscisse “Il nostro maggiordomo, ha chiesto di parlare con
me… mi ha detto che aveva del materiale da darmi e che era molto importante, lo
aveva trovato tra le cose di mia madre e riguardava questa persona, che io sto
cercando… mi ha chiesto di andare a Parigi a prenderlo, dato che non può
spedirmelo…”
“Non
credi che potrebbe essere un tentativo dei tuoi di farti ritornare a casa?”
chiese ancora Kathrine
“Certo
che l’ho pensato…” rispose Kevin con aria quasi offesa “Ma, se poi fosse vero,
non potrei giocarmi qualcosa di così importante… devo andare a Parigi… ed ecco
che entri in gioco tu…”
“Io?!”
“Se accetterai,
verrai con me a Parigi, per tre, quattro giorni…” spiegò Kevin “Andrai in mia
vece a casa mia a prendere questo pacco, così, se è una trappola, i miei non mi
avranno comunque trovato; se non ne sanno niente, anche se ti vedranno, non ti
collegheranno a me… capisci adesso?”
Kathrine
cercò di trattenersi dall’arrossire, e disse: “Io dovrei venire quattro giorni
con te a Parigi DA SOLA?! Ma tu sei impazzito?! Perché non ci porti Daniel, o
qualche altro tuo amico?! Perché proprio io?!”
“Perché
Daniel è una persona inaffidabile…” spiegò pazientemente Kevin “E i miei
genitori capirebbero che è mio amico… non è capace di fingere, neanche sotto
tortura… tu, invece, non sei una grande attrice?” concluse ironico.
“Smettila
di dire sciocchezze!” urlò lei, tappandosi dopo la bocca con la mano a causa
del suo alto tono di voce, che poteva essere sentito chiaramente dai suoi
genitori “I miei non mi daranno mai il permesso… quattro giorni da sola
all’estero con- con…” s’interruppe, più ci pensava e più si sentiva in
imbarazzo. A Parigi poi! La capitale dell’amore! Ma per piacere! Sua madre e
suo padre avrebbero subito pensato ad una fuga sentimentale. Le venivano i
brividi solamente a pensarci.
“Quattro
giorni a Parigi con un ragazzo più grande di te…” iniziò lui con aria suadente,
avvicinandosi fino a farla arrossire, poi le toccò la punta del naso,
spingendole indietro il viso, e continuò beffardamente: “E che non è
minimamente interessato a te, che ti trova solamente una ragazzina e con cui
litighi ventiquattro ore su ventiquattro… proprio una vacanza romantica…!”
Kathrine
abbandonò subito l’espressione dolcemente imbarazzata, che aveva assunto, e
afferrò di nuovo con rabbia il cuscino e glielo scagliò contro.
“Che ti
arrabbi a fare?!” disse lui, ridendo “E’ o no l’amara verità?!”
“Che cosa
racconterei ai miei?” disse lei, cercando di calmarsi, lui poteva scherzare e
prenderla in giro quanto voleva, tanto in quella situazione aveva lei il
coltello dalla parte del manico “Anche se dico che vado a Parigi con un ragazzo
supponente ed immaturo, che non mi piace minimamente, loro non mi faranno mai
venire…” concluse quasi soddisfatta, incrociando le braccia.
“E tu li
dici che vai ad un rodeo della grammatica o a qualcosa del genere… non sei la
tipica secchiona, a cui crederebbero in un batter d’occhio?” chiese lui ancora
beffardo, appoggiando la schiena contro la poltrona.
“E
se anche li convincessi, dovrei spendere tutti i miei soldi duramente
risparmiati, per venire in vacanza con te…” disse lei con tono palesemente innervosito.
“Prima di
tutto, considerando in che razza di casa vivi, non credo che i tuoi siano
risparmi duramente guadagnati…” iniziò Kevin a bassa voce “E comunque
almeno per le spese d’albergo e del biglietto aereo pagherei tutto io…”
A
quell’ultima affermazione, Kathrine rizzò le orecchie, l’indole affarista che
aveva ereditato da Ryan si mise in moto. In effetti, era conveniente per lei
andare quattro giorni a Parigi, dove non era mai stata, e non pagare niente, a
parte in vestiti e in regalini, che avrebbe comprato.
Finse
un’espressione rassegnata e disse: “E va bene, mi hai convinto… ma massimo
cinque giorni, niente di più…”
“Veramente,
si era parlato di tre, massimo quattro giorni…” replicò Kevin contrariato “Gli
alberghi costano!”
“Va bene,
allora vorrà dire che resterò a casa…” rispose lei, stendendosi più comodamente
sul suo letto.
Kevin si
rassegnò alla fine, aveva troppo bisogno che lei venisse per trattare oltre, ma
non mancò di farle notare, socchiudendo gli occhi: “Ti sei presa proprio una
bella cotta per me, ragazzina? Vuoi stare sola con me cinque giorni?”.
Lei non
si scompose minimamente e rispose: “Voglio vedere Parigi, non te… e allora,
quando partiamo?”
“La
settimana prossima… lunedì esattamente… verrò a prenderti alle quattro e mezzo…
il nostro aereo è alle sei…”
“Alle
quattro e mezzo?!” domandò Kathrine, con gli occhi spalancati “Perché così
presto?!”
“Perché
l’aeroporto è lontano e il viaggio sarà lungo…” spiegò lui, alzandosi in piedi
“Considera anche un po’ di tempo al check-in… a proposito, ti verrò a prendere
con la mia moto, quindi non ti azzardare a portarti troppi bagagli…”
Lei
sbuffò, incrociando le braccia, adesso doveva anche comprimere i bagagli per
cinque giorni in una sola borsa.
“Bene,
adesso devo proprio andare…” disse lui, incamminandosi verso la porta, mentre
lei si schiariva la voce: “Non dovresti dirmi qualcosa?!”
Kevin la
guardò per un attimo, la mano sospesa sulla maniglia, poi esplose in una risata
e disse: “Di ringraziarti, non se ne parla proprio… l’affare è molto più
conveniente per te che per me… saresti stata una stupida a non accettare!”
Kathrine
lanciò di nuovo il suo cuscino, stavolta prendendo solamente la porta chiusa,
poi si distese più comoda sul letto e sorrise tra sé e sé. Appena quella
maledetta febbre, le fosse passata avrebbe cominciato a cercare su guide e su
internet tutti i posti che voleva visitare a Parigi, peccato solamente che ci
sarebbe dovuta andare con Kevin. Sospirò a lungo, nella peggiore delle ipotesi
lo avrebbe lasciato in albergo e se ne sarebbe andata in giro da sola. Ma
adesso doveva soprattutto pensare a che cosa raccontare ai suoi per farla
rimanere fuori ben cinque giorni…
Mentre
Kathrine pensava a queste cose, Kevin scese le scale di legno scuro della
grande casa della ragazza, con una lieve smorfia di fastidio divertito, certo
che quella ragazza era troppo violenta per i suoi gusti. Per fortuna, aveva
accettato di venire con lui: gli veniva quasi da sperare che dall’incontro con
Herik e Melissa ne venisse fuori un nulla di fatto, almeno non sarebbe stato
più costretto a frequentarla.
Sospirò,
poi sorrise, mentre passava davanti alla porta spalancata del salotto, dove la
signora Shirogane stava prendendo il tè con una sua amica, dai lunghi capelli e
gli occhi azzurro ghiaccio, che rideva sommessamente e che sembrava in dolce
attesa.
“Arrivederci,
signora Shirogane…” disse Kevin, sporgendosi poco oltre la soglia, temendo che
nella stanza ci fosse la presenza invisibile dall’esterno di uno dei suoi
genitori.
Strawberry
si voltò, ancora sorridente, e rispose: “Ciao Kevin! Spero che tornerai presto
a trovare Kathrine… sembra permalosa e dispettosa, ma in fondo è una brava
ragazza… e non lo dico solo perché è mia figlia…”
Kevin
sorrise e disse: “Lo penso anch’io, signora Shirogane… credo che ci rivedremo
presto…”.
Strawberry
sorrise a sua volta, non cogliendo il leggero lampo, che era passato negli
occhi di Kevin. Inutile, quel ragazzo le ricordava troppo qualcosa che aveva
già visto…
Kevin
salutò ancora Strawberry, poi inforcò l’uscita con un sospiro, respirando di
sollievo al contatto dell’aria fresca sul suo viso. Quella donna, la madre di
Kathrine, era troppo bella per essere vera… quello che emanava quella donna…
meravigliosamente ed immoralmente turpe, per lui, il voler possedere qualcosa
che non aveva, e non avrebbe mai avuto. Con qualsiasi altra donna e ragazza,
era diverso. Loro le sentiva dentro già dall’inizio, già lo sentiva che
potevano essere sue, se solo lo avesse voluto, Strawberry Shirogane no .
… non è
mai stata mia…
Sorrise
tra sé e sé, certo che quel pianeta metteva a dura prova le sue capacità
razionali, che razza di pensieri gli venivano in mente… era ancora perso in
quelle considerazioni, e non si accorse di una figura che veniva nella
direzione opposta.
Solo,
quando se lo ritrovò davanti, sollevò lo sguardo e si ritrovò a stretto
contatto con due occhi color acquamarina, che non lasciavano presagire nulla di
rassicurante.
“Chi
sei?” chiese Ryan al ragazzo, che lo guardava a bocca aperta, anche lui lo
conosceva, anche lui era convinto di averlo già visto. Anzi quello stesso
momento, stare a tu per tu con lui in una strada, mentre stava camminando, e
lui che lo guardava con quell’espressione mista di malcelato fastidio ed
indifferenza, l’aveva già vissuta. Come in una vita precedente. E poi odio,
purissimo ed estatico odio alla sua vista, che sgorgava nelle profondità del
suo spirito, un odio senza spiegazione, che scacciò velocemente dalla sua
testa.
Riconobbe
nei suoi tratti il viso di Kathrine e nei suoi capelli, ancora biondi,
nonostante dovesse avere già una quarantina d’anni, quelli ugualmente color
sabbia della ragazza. E allora capii. Eccolo, il pezzo mancante del quadro di
Kathrine Shirogane, eccolo il filo rosso, che legava suo padre alla Terra: Ryan
Shirogane, il proprietario del Caffè mew mew, il padre di Kathrine.
“Lei deve
essere il padre di Kathrine…” disse, sforzando di essere gentile, la gola
invasa dall’acido di un risentimento, che non gli apparteneva.
Ryan
sollevò le spalle, coperte da una giacca elegante di colore scuro, continuando
a guardare in maniera ostile Kevin. Strinse più forte la valigia, che portava
nella mano destra, dopo il suo ultimo viaggio in America, e serrò la mascella.
Mancava da soli tre giorni, e già un ragazzo diverso da Nick metteva piede in
casa loro. Chi diamine era? Sembrava molto più grande di Katy e non era male,
almeno per quello che gli consentiva il suo giudizio.
“Sì, sono
suo padre… sei venuto a trovarla?” chiese, mantenendo un tono di voce asciutto
e piatto.
Kevin
socchiuse gli occhi, almeno l’antipatia sembrava reciproca: “Sì, vostra figlia
non sta molto bene, e sono venuto a trovarla…”, vedendo il suo volto
minaccioso, si affrettò ad aggiungere: “Sono venuto con Grace e Nick… loro sono
andati via poco tempo fa…”.
A quelle parole,
il volto di Ryan si rasserenò e si limitò ad un pallido sorriso. In fondo, non
aveva motivo di essere così preoccupato e possessivo… Strawberry aveva ragione,
Kathrine era una ragazza in gamba e sarebbe stata capace di tenere alla larga
chiunque non le andasse a genio. E poi quel ragazzo non sembrava certo un
delinquente, sebbene avvertisse nei suoi confronti una strana sensazione.
“Bene…
spero di rivederti presto…” mormorò Ryan in maniera inespressiva, poi, mentre
si voltava verso casa sua, chiese: “Quale è il tuo nome?”
“Kevin…
Kevin Shirayuki…” si affannò a rispondere il ragazzo.
“Allora
arrivederci Kevin…” ripeté Ryan, dandogli ancora le spalle e percorrendo il
vialetto con passo più veloce. Voleva vedere quanto prima il viso di Kathrine
per vedere come stava. Indipendentemente dall’influenza, ma più per la sua
reazione di fronte a Kevin Shirayuki.
Intanto,
il ragazzo guardò per un po’ l’uomo allontanarsi, poi scrollò le spalle e si
allontanò con un lieve sorriso sulle labbra sottili… certo che la famiglia
Shirogane era una continua fonte di sorprese…
Lo so, lo so, che alcuni di voi meditano la mia morte!
Sono in un ritardo a dir poco pazzesco, purtroppo questo è stato davvero un
periodo orribile, e quindi non ho avuto molto tempo per aggiornare la mia
storia! Spero di riuscire ad anticipare il prossimo capitolo che comunque
dovrebbe arrivare prima di questo! La storia si sta complicando sempre di più
vero??! e non siamo ancora a nulla di quello che accadrà… ehehehehe!!!! Va
bene, prima che me ne parta completamente di cervello, ecco le solite, risposte
e ringraziamenti vari:
Aya chan: la mia carissima Ayuccia! Come sempre la
tua recensione mi ha fatto tantissimo piacere!!! Chissà se le tue ipotesi sono
giuste… per adesso non ti dico niente, ti posso solamente dire che la tua
supposizione è giusta solamente a metà! Quanto sono sadica!!!! Anche te però
non scherzi! Mi piace parecchio la mitologia greca, ho spulciato libri su
libri, ma niente! Non trovo chi è colei che scioglie gli eserciti!!! Rabbia!!!
A proposito, ma quand’è che aggiorni? Ho appena scoperto che, pur avendo
ripetutamente letto il tuo ultimo capitolo, non ho nemmeno scritto uno straccio
di recensione!!! Non ti preoccupare, non posso certamente mancare in questo
capitolo! Comunque, per la foto, è solamente un foto che Ghish teneva per
ricordo! Invece per la richiesta del rogo di Mark, accusato dal Tribunale della
Sacra Inquisizione di Cassie del crimine di rompiballite acuta, purtroppo c’è
ancora l’appello dell’imputato, ma sono solo inezie!! Ormai è finito!!!
Mew Pam: ciao Pamuccia!!! Sono contenta che la tua
ipotesi si stia confermando! Mi chiedo: ma sono io che sono prevedibile o siete
voi dei geniacci? Ghish e Blanche, proprio perché sono i genitori di Kivar, li
vedrai ancora moltissimo!! Ti sei molto affezionata a loro, vero? anche a me
piacciono tanto, credo che siano la mia migliore creazione! Ti perdono il
ritardo, ma solo perché ho ritardato di più io!
Hermy6: per il momento non se ne parla proprio di
far lasciare Ryan e Strawberry, ci ho fatto una fatica a farli mettere assieme!
Però… adesso non posso dire niente!!! comunque grazie dei tuoi complimenti!
Rimani sempre la mia pazzerella preferita!
Kashia: che bello che ho ritrovato anche te! Sigh,
sob, sono commossa, sto diventando troppo smielata!! Cercherò di non deluderti,
un grazie enormissimo!
Lunachan 62: davvero sto diventando più brava? A me
sembra invece di essere sempre uguale, se non di scrivere anche peggio! Comunque
un iper grazie, per Ryan e Strawberry credo che siano così reali perché mi sono
ispirata molto ai miei genitori! Sono odiosi, litigano sempre, ma si vogliono
molto bene! Ogni cosa, credo, deve avere un suo riflesso nella vita vera! Quando
ci riesco, mi piace parecchio quello che scrivo, altrimenti rimango
insoddisfatta! Grazie ancora, scusa anche a te per il ritardo!!
Black_Pill: ciao bellissima! Anche per te sto diventando più brava? Grazie!! Sono
contenta che la storia ti piaccia, i sto esaurendo più che con BMAY, ogni volta
che sistemo qualcosa, mi crolla tutto da un’altra parte!!!
Sperando di aggiornare quanto prima possibile, un mega
bacione anche a tutti coloro che leggono e non recensiscono!!!! Ciao ciao da
Cassie chan!!
“CHE
COSA?!” urlò Grace, il volto paonazzo, mentre Kathrine le faceva segno di stare
zitta. Un gruppo di ragazzine del primo anno, vestite tutte uguali, la
guardarono curiose, scuotendo i capelli ondulati dei ferri caldi di un
parrucchiere. Kathrine sorrise imbarazzata e mormorò: “Non è molto normale, ha
degli attacchi di schizofrenia, dovete scusarla!”. Le ragazzine si
allontanarono, sorridendo tra loro, mentre Kathrine respirò di sollievo.
“Si può
sapere perché hai sempre il maledetto vizio di urlare?!” chiese Kathrine
sottovoce all’amica, che si teneva intanto una mano tra i capelli ramati per
via del forte vento, che c’era in cortile e che sollevava i petali dell’albero
di ciliegio sotto il quale si trovavano assieme a Nick e a Chiyo, i cui volti
erano ugualmente scioccati, ma la cui reazione era stata più contenuta.
“Fa-fammi
capire b-bene…” mormorò Nick, verde di rabbia, ma che cercava di trattenere il
tremito incontrollato della sua voce “Andrai a Parigi con Shirayuki per cinque
giorni?! TU E LUI DA SOLI?!”. Le ultime parole furono pronunciate da Nick a
voce leggermente più alta, ma tale che potessero sentirlo un altro gruppo
stavolta di ragazzi, che passava di lì. Uno di loro, che aveva uno sguardo da
Casanova incallito, si rivolse sornione a Kathrine e disse in tono da navigato
seduttore: “Chi ha la fortuna di restare da solo con la bella Shirogane?!”.
“Stai zitto Derek!” urlarono
contemporaneamente Kathrine e Nick, rossi in viso, all’indirizzo di uno dei
tanti ammiratori della ragazza, il quale se ne andò via con la coda tra le
gambe.
“Adesso
posso parlare per più di tre secondi senza essere interrotta?!” chiese
Kathrine, riprendendo fiato.
“Fai
pure, Shirogane…” le disse freddamente Chiyo, inarcando un sopracciglio. Possibile
che quella ragazza avesse tutte le fortune di questo mondo? Solo il giorno
prima, Chiyo aveva incontrato finalmente Kevin Shirayuki per i corridoi, mentre
correva per raggiungere l’aula di fisica, con il suo amico Daniel. Era
terribilmente attraente, il tipico ragazzo che non poteva camminare da solo per
una strada, se aveva una fidanzata. L’avrebbe abbordato chiunque. E lui era
interessato così tanto a Shirogane… figuriamoci, se la perfetta e sublime
Kathrine non avesse conquistato anche lui, affascinava persino gli uomini di
quaranta anni, come suo padre… incrociò le braccia con fare infastidito, e
continuò ad ascoltare il resoconto di Kathrine, che stava raccontando il motivo
del viaggio a Parigi.
“Avete
capito adesso?” terminò Kathrine verso i suoi amici ancora colpiti “Come potevo
rifiutare?”
“Con la
bocca…” commentò acida Chiyo, e si alzò per raggiungere alcune sue compagne di
classe, mentre Kathrine scuoteva il capo, commentando a bassa voce: “Un giorno
o l’altro, la manderò davvero a quel paese…”.
Grace,
ripresasi dallo shock iniziale, replicò: “Lasciala perdere… comunque, tornando
a noi, allora hai deciso di accettare?”.
Kathrine
annuì con il capo e rispose: “Sì, per lui è una cosa molto importante…”, si
mise imbarazzata una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ricordando il suo
viso così deciso e i suoi occhi così intensi, poi riprese: “E poi ci scappa
anche una bella vacanza!”.
“Che cosa
racconterai ai tuoi?” chiese ancora Nick, cercando di farle cambiare idea di
fronte alla difficoltà di raggirare i suoi genitori.
“Non lo
so…” mormorò Kathrine, guardando altrove “Non voglio mentirli… mi stanno
dimostrando una grande fiducia in questo periodo, ma non posso certo
raccontarli la verità…”
“Sta
tranquilla Kitty!” eruppe Grace con una risata argentina “Se è davvero così
importante per te, ti aiuterò io!”
“E come?”
chiese Kathrine scettica
“Semplice”
disse lei, iniziando a parlare di quella che era la meravigliosa scusa, che le
era venuta in mente, mentre Kathrine sorrideva esultante e Nick scuoteva il
capo.
Poco
lontano da loro, una figura li aveva guardati per più di quanto se ne fosse
accorto. Kevin distese le gambe lungo tutto il ramo dell’albero, su cui si
arrampicava, quando lo prendeva la nostalgia di casa sua, e forse anche dei
suoi genitori, o quando semplicemente voleva starsene da solo. Appoggiò il capo
al tronco dell’albero, il libro di letteratura inglese ancora sulle sue
ginocchia, non ancora aperto, mentre guardava il cielo, solcato dalle frecce
d’argento delle ali dei gabbiani, che volavano verso il mare lì vicino. Quanto
era bello quel pianeta azzurro, adesso si rendeva conto perché i suoi antenati
a volte lo nominassero ancora come un paradiso. Era così diverso da Nemesi, da
casa sua, che aveva persino passato giorni peggiori, fatti di morte e di sangue
che andava a sporcare il nitore del ghiaccio. Chissà perché poi non erano più
tornati sulla Terra... La storia che sua madre e suo padre gli avevano fatto
sempre studiare iniziava dalla proclamazione della repubblica, dopo la morte di
un sovrano buono e giusto, a seguito di una congiura ordita da suo fratello.
Kevin rise tra sé, ecco un’altra di quelle cose, che i suoi genitori non gli
avevano permesso di fare. Ma adesso tutto sarebbe cambiato, adesso aveva la
chiave per risolvere il mistero nella sua mente: Kathrine. Quella ragazza e
quel suo potere, che non sapeva nemmeno di avere o che forse non esisteva, se
non su di lui, quello di liberare dalle catene i ricordi, che non credeva di
aver vissuto, ricordi di una donna dagli occhi viola e di un uomo dai capelli
biondi. C’era qualcosa in lei, nei suoi genitori, qualcosa di magico, un potere
che poteva ridargli tutto quello che cercava e desiderava: la verità.
Ad un
tratto, una voce lo riscosse dai suoi pensieri e si sporse oltre il ramo.
Istintivamente prima guardò verso l’albero sotto il quale si trovava Kathrine e
la vide ancora lì, che abbracciava la sua amica Grace.
Che razza
di bambina… pensò
con un lieve sorriso.
“Kevin!”
gli stava urlando Daniel da giù “Ho una cosa da farti vedere! Scendi!”
Lui
borbottò e si slanciò in avanti, scendendo con facilità e grazia, sebbene il
ramo si trovasse a qualche metro dal suolo. Se gli avesse fatto vedere un altro
degli strambi posti terrestri che voleva vedere, gli avrebbe spaccato il naso,
anche se era suo cugino e come un fratello minore.
“Che
c’è?” chiese perplesso.
Daniel
gli agitò davanti agli occhi la copia di una rivista patinata, con grandi
fotografie colorate e che sembrava uno di quei giornali leggeri, che leggevano
molto le donne terrestri nei momenti liberi.
“Guarda!”
disse orgoglioso, agitando ancora il giornale “E poi non dire che non ti aiuto
mai!”
“Se lo
tiene fermo mezzo secondo, potrei anche guardarlo!” disse nervoso Kevin,
togliendoglielo di scatto di mano. Guardò la sua copertina e vi vide solamente
una bella modella in costume da bagno rosso fiammante, che ammiccava
all’obiettivo della macchina fotografica.
“Carina,
ma non penso che ci filerebbe, Daniel…”.
Daniel,
che stava già annuendo soddisfatto, scattò e disse: “Non la modella! Guarda
dentro!”, poi glielo strappò di mano e lo sfogliò velocemente, per poi fermarsi
ad una pagina ben precisa e indicò con l’indice l’articolo, che occupava
qualche pagina.
“Questo!”
disse, ridandoglielo.
Kevin
guardò con più attenzione la pagina, poi lesse con noncuranza per poi
sobbalzare: “Per la serie: le famiglie dei grandi imprenditori- LA FAMIGLIA
SHIROGANE”.
Daniel
spiegò sinteticamente: “Ce l’aveva una mia compagna di classe… lo stava per
usare per riempire un pupazzo per la rappresentazione teatrale… il cadavere di
Mercuzio o qualcosa del genere… ho intravisto il nome Shirogane e glielo ho
strappato di mano, è di qualche mese fa…”.
Kevin
diede una pacca sulla schiena di Daniel e lo ringraziò, poi si sedette e iniziò
a guardare l’articolo, corredato di numerose foto prese dall’album di famiglia
dei Shirogane. Nella prima pagina, c’era una grande foto del matrimonio di
Strawberry Momomiya e di Ryan Shirogane; Kevin provò ancora una sensazione
strana, rabbia, astio e, strano a dirsi per un tipo come lui, gelosia.
Sì, gelosia. Quella scena l’aveva già vissuta, anche questa, ammirare la
felicità di altri alla luce della propria vita, di cui non era per niente
soddisfatto. Iniziò a sudare freddo adesso, nonostante la grande dose di
coraggio che aveva ricevuto in eredità da Ghish e da Blanche. Ora aveva davvero
un po’ di paura: che cosa significavano quelle strane sensazioni? Forse stava
aprendo uno oscuro e profondo vaso, di cui non vedeva il fondo e che temeva
fosse troppo profondo anche per lui. Aveva letto su un libro terrestre di una
leggenda di quel pianeta, quella del vaso di Pandora. E se stesse aprendo
baratri, che non erano suoi, che erano troppo cupi e per questo gli erano stati
nascosti? Poi scosse la testa, erano solo stupide paure infantili, se il suo
maestro di spada dell’Accademia Militare di Nemesi lo avesse visto, lo avrebbe
picchiato dalla mattina e sera. Ed avrebbe avuto perfettamente ragione.
Nonostante
questo, quella sensazione che premeva negli anfratti della sua testa, continuò
a guardare per un po’ quella fotografia: i genitori di Kathrine dovevano avere
poco più di vent’anni, ma sua madre non lo dimostrava per nulla. Era
bellissima, più di quanto non avesse già notato lui, e stringeva forte il
braccio del suo neo marito. I capelli più chiari di adesso le cadevano sulle
spalle, leggermente trattenuti da delle piccole rose bianche di tessuto, mentre
il suo vestito senza spalline e privo di grandi e ricchi disegni, scendeva
piano lungo i suoi fianchi e si apriva in un’ampia gonna di raso. Stavolta,
ricordò con un sorriso dove aveva visto quell’espressione, sebbene non di così
rapita felicità. Kathrine… i loro occhi erano gli stessi e splendevano
nella stessa maniera. Poi, il suo sguardo si soffermò su Ryan e la sua
sensazione cambiò: anche lui era molto elegante, indossava un completo scuro,
con una camicia bianca e una cravatta azzurro chiaro, e teneva stretta la
moglie per la vita sottile. Ma quello che lo colpì di più fu il suo viso: non
ostentava la stessa travolgente gioia di Strawberry, doveva essere abituato a
non mostrare troppo di sé stesso nella sua espressione. Comunque si notava che
il suo viso era sereno, rilassato, placido, come le onde del mare che si spegnevano
sulla terra. Notò come teneva appoggiata la sua mano su quella che la moglie
gli teneva sul braccio, e pensò se sarebbe stato possibile anche a lui di
essere così felice.
… non si deve amare mai nessuno… l’amore ti
ammazza…
Scosse il capo, ancora parole non sue nella sua
testa. Andò avanti e vide altre fotografie: una ritraeva Strawberry, che teneva
in braccio Kathrine, che doveva avere solo qualche mese; poi ce ne era
un’altra, dove Ryan portava sulle spalle il fratello di Kathrine sulla
spiaggia, con Strawberry al lato e Kathrine, che correva davanti a loro con un
cagnolino alle calcagna; infine una di Kathrine, che ormai alla sua età,
abbracciava il fratello, seduta su una veranda, che dava sulle montagne
innevate.
Finalmente iniziò a leggere l’articolo:
Delle tante famiglie, che
costituiscono il jet set internazionale, una delle più celebri è certamente la
famiglia Shirogane. I motivi della celebrità di questa famiglia non risiedono
solo nella piccola fortuna, accumulata negli anni da Ryan Shirogane, con il suo
complesso industriale di S. Francisco, specializzato nella produzione di
micro-componenti elettronici.
L’articolo proseguiva con tutta una serie di
descrizioni dell’impianto industriale e degli operai che vi lavoravano, e Kevin
stava già per gettare all’aria il giornale, quando arrivò una parte che lo
interessò particolarmente.
Ryan Shirogane lasciò S. Francisco
assieme ad uno dei collaboratori di suo padre, Kyle Akasaka, suo amico
fraterno, all’indomani della morte dei suoi genitori, periti in un misterioso
incendio nella loro villa appena fuori da S. Francisco. I soccorsi non
arrivarono in tempo e i due morirono entrambi, lasciando solo il figlio appena
dodicenne, che si trasferì a Tokyo sotto la tutela provvisoria di Kyle Akasaka.
I due aprirono un Caffè nella città, che ebbe molto successo, diventando sede
di numerose occasioni mondane della città, sebbene anche in esso si
verificarono strani incidenti. In esso, lavoravano cinque ragazze come
cameriere, tra le quali una di loro fece perdere la testa a Ryan Shirogane,
Strawberry Momomiya. I due diventarono molto amici, anche se il sentimento che
Ryan provava per lei appariva a tutti di natura certamente più profonda. Al
ragazzo, però, accadde qualcosa di molto strano, nel periodo in cui aveva compiuto
diciannove anni. Si disse che era morto, vittima di uno sciagurato incidente
stradale, a bordo della sua motocicletta. Il suo corpo non fu mai ritrovato, ma
la motocicletta apparteneva a lui e la sua carcassa fu riconosciuta da Kyle
Akasaka; per quattro anni tutti credevano che egli fosse effettivamente
deceduto, sia i suoi nonni rimasti a S.Francisco, che i suoi amici di Tokyo. In
realtà, Ryan Shirogane non era mai morto. Per una strana fatalità, al ragazzo
era stata rubata la sua motocicletta, pochi giorni prima, ma egli non ne aveva
denunciato il furto. Il ladro, evidentemente, non aveva saputo che farsene, o
chissà per quale ragione, l’aveva distrutta, gettandola in mare e facendo
credere che fosse avvenuto il tragico incidente. Un incidente, però, c’era
effettivamente stato. Ryan Shirogane aveva avuto per cause sconosciute un
aneurisma celebrale ed era rimasto in coma per quattro anni in un ospedale di
Tokyo. Privo di documenti e incosciente, non fu riconosciuto fino al risveglio,
e il ritrovamento della motocicletta fecero pensare che fosse morto
nell’incidente. Solo quando finalmente si risvegliò, raccontò ciò che era
avvenuto, destando un grande scalpore. L’erede degli Shirogane era vivo e
vegeto. Ovviamente ci fu grande gioia tra parenti ed amici, e soprattutto per
Strawberry, che, distrutta da quella che era stata la notizia della sua morte,
gli dichiarò i sentimenti scoperti per lui in quel lasso di tempo. I due si
sposarono di lì a poco…
Kevin si fermò, osservando in volto Daniel, con un
espressione sinceramente colpita.
“Certo che ne hanno passato di tutti i colori in
questa famiglia…” commentò, rivolto al cugino, che si era seduto accanto a lui.
“Già, è questo che ha colpito anche me, per questo
te l’ho fatto leggere… mi è sembrata strana questa storia del
MORTO-E-POI-RESUSCITATO… non è una cosa normale…” rispose Daniel, stendendosi
sull’erba del prato, socchiudendo gli occhi azzurro chiaro alla luce del forte
sole, che passava dai rami degli alberi.
“Per i terrestri, non lo è assolutamente… e non lo
sarebbe nemmeno per noi, a dirla tutta…”.
“Kathrine ti ha mai detto qualcosa di questo?”
chiese Daniel, sollevandosi di nuovo al suono della campanella che segnalava la
fine dell’intervallo.
Kevin inarcò un sopracciglio, e disse ironicamente:
“Kathrine Shirogane non è ciò che solitamente si definisce LA MIA MIGLIORE
AMICA, quindi non mi viene certo a raccontare i fatti suoi e della sua
famiglia…”
Daniel si alzò, ridendo, e disse: “Mi sa tanto che,
invece dovrai fa sì che te li dica, altrimenti addio bella ricerca, Kevin… ma
in fondo c’è sempre Parigi…”, assunse un’espressione melensa e sviolinò: “Tu,
lei, la Senna, la luna che si specchia nell’acqua, tu che ti avvicini, lei che
si avvicina…”
“Smettila idiota!” replicò irritato Kevin,
lanciandogli contro la rivista, mentre il cugino si allontanava diretto verso
la sua classe e continuava ad urlare, imitando la voce di Kevin: “Ti amo
anch’io, piccola!!!”
Il ragazzo scosse il capo, poi rise leggermente e
raccolse, sollevandosi la rivista. C’era ancora un piccolo capoverso, che non
aveva visto nell’articolo e che non aveva letto. Magari, conteneva qualcosa di
interessante…
Ryan e Strawberry hanno
indubbiamente trasmesso molto di sé stessi ai loro due meravigliosi figli,
Kathrine di sedici anni, e Miky di soli sette anni; Kathrine, soprattutto, è al
centro delle mire di molti rampolli di buona famiglia, che vorrebbero entrare
nelle grazie della bella Shirogane. La ragazza desta molta curiosità
soprattutto a cagione del fatto che la sua famiglia, molto riservata, ha tenuto
anche lei e suo fratello lontani dalle luci della ribalta. Di qui a un anno, si
terrà però la tradizionale presentazione in società delle cosiddette
debuttanti, a cui dovrebbe partecipare anche Kathrine Shirogane. Sicuramente si
tratterà dell’evento dell’anno, se Kathrine mostrerà di aver ereditato la
particolarissima indole degli Shirogane.
L’ha
ereditata in pieno, sta tranquillo… pensò Kevin, rivolgendosi allo sconosciuto autore
dell’articolo.
Continuò
a camminare, per entrare nell’edificio scolastico, assediato dalla folla degli
studenti che si affannavano a tornare nelle loro classi alla fine
dell’intervallo. Era ancora un po’ soprappensiero, e non si accorse di una
presenza accanto a lui.
“Buongiorno
Shirayuki…” disse una voce femminile, accattivante nel suo tono falsamente
indifferente. Kevin si voltò e si trovò davanti una ragazza alta poco meno di
lui, con lunghi capelli neri che sembravano di seta, e due grandi occhi verdi;
sorrideva seducente, camminando lentamente accanto a lui, e guardandolo fisso
negli occhi. Ricordava di averla già vista da qualche parte, ma non ricordava
assolutamente dove l’aveva vista. Era un vero schianto, un bel viso di
porcellana su un corpo da favola, ma non si ricordava proprio come facesse a
conoscerlo. Poi si ricordò all’improvviso di chi si trattava… era un’amica di
Kathrine, e, se non si sbagliava, si chiamava Aoyama… sì, Chiyo Aoyama…
“Buongiorno
anche a te, Aoyama…” rispose dopo un po’.
Chiyo
sorrise compiaciuta, almeno sapeva come si chiamava: “Allora come ti trovi
qui?”.
“Abbastanza
bene…” rispose Kevin, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare quel
suo discorso.
“Vieni da
Parigi, vero?” continuò lei, la voce sempre modulata in un tono volutamente
soffuso.
Kevin
sorrise leggermente con aria beffarda, e disse: “Vedo che la ragazzina non ha
il dono di tenere la bocca chiusa… vi ha raccontato tutto, vero? Di me e di
Parigi, intendo?”.
Chiyo
annuì, quasi rassegnata, e replicò: “Che vuoi farci? In fondo Kathrine è poco
più di una bambina… e poi non conosce la discrezione… spero che non ti metterà
nei guai, a causa della sua immaturità…”.
Stava per
risponderle, quando fu urtato da qualcosa al braccio.
“Scusami!”
.
Kathrine
lo aveva sorpassato, correndo, mentre rideva a crepapelle, inseguita per chissà
quale motivo da Nick, che era praticamente scarlatto, mentre Grace correva
dietro di loro, gridando: “Smettila Nick! Ormai lo sanno tutti che sei geloso
marcio di lei!”.
Kevin
seguì con lo sguardo azzurro i capelli biondi di Kathrine, che sparirono oltre
la porta, poi scosse il capo con un sospiro e tornò a rivolgersi a Chiyo: “In
effetti, credo che tu abbia ragione…”.
Kevin
notò solo allora il lampo d’odio, che era passato negli occhi della bella
ragazza, quando era passata Kathrine. Sembrava volerla fulminare con lo
sguardo… chissà per quale ragione… certo, che questo poteva essergli utile… in
fondo Kathrine era una sua amica e se effettivamente non la sopportava, sarebbe
stata forse più pronta a dirgli cose che forse la stessa Kathrine gli avrebbe
tenuto nascosto…
“Ascoltami…
Aoyama…” esordì con il tono più seducente che gli uscisse, attirando
l’attenzione di Chiyo che si voltò verso di lui.
“Dimmi,
ma chiamami pure Chiyo…”.
“Stasera,
c’è una specie di mostra d’arte moderna, a cui il mio professore di letteratura
vorrebbe che partecipassi… ti andrebbe di venire con me? Sinceramente non me la
sento proprio di andarci da solo, e non conosco ancora molto bene la città…
allora?”.
Chiyo si
illuminò in volto, sorridendo. Almeno per una volta poteva prendersi una bella
rivincita su Kathrine Shirogane…
“Certo,
mi piacerebbe molto…” rispose lei, tranquillamente, poi, colta da un’improvvisa
illuminazione chiese sottovoce: “Non ti piacerebbe portarci Shirogane?”.
Kevin
capì stavolta perfettamente dove voleva andare a parare, evidentemente ci aveva
visto giusto… questa ragazza deve odiarla molto… e quella scema di Kathrine
non se ne sarà nemmeno accorta…
“Come
hai sostenuto tu, Shirogane è solamente una bambina…” rispose, poi, non
volendole dare troppa soddisfazione, aggiunse: “Comunque, se vuoi, lo chiedo a
Kathrine…”
Chiyo si
affannò a rispondere che ci sarebbe venuta molto volentieri, poi, dopo essersi
messi d’accordo, Chiyo sparì in direzione della scuola.
Kevin la
seguì con lo sguardo, adesso c’era solamente da sperare che la faccenda
portasse qualche frutto.
“Allora
quando inizi a fare i bagagli?” chiese eccitata Grace all’amica, mentre
aspettavano Chiyo e Nick all’uscita da scuola.
“Stasera
ne parlo con i miei, e poi si vedrà… meno male che mi hai trovato quella scusa…
è perfetta…”.
Kathrine
si appoggiò al muro della scuola, sperando ancora ardentemente che i suoi ci
cascassero. Poi guardò l’orologio e disse: “Capisco Nick che aveva la riunione
del club di basket, ma Chiyo che fine ha fatto?”.
Grace borbottò
qualcosa e poi disse a voce più alta: “Ti giuro che un giorno di questi mi
dimenticherò perché mi hai costretto ad essere sua amica…”.
“Credo di
essermelo dimenticata anch’io…” mormorò Kathrine in risposta.
Dopo
qualche secondo, Chiyo spuntò all’orizzonte, allegra e pimpante: “Scusatemi, ma
oggi avevo il turno di pulizia…”.
Grace e
Kathrine evitarono di guardarsi in viso per non scoppiare a ridere, certo che
quella ragazza era davvero lunatica…
“Bene,
Nick se ne tornerà a piedi… andiamo…” disse decisa Grace, prendendo per un
braccio Kathrine.
Mentre le
ragazze camminavano, il sole che spariva rosso alle loro spalle, lungo il lungo
viale alberato, un’ombra corse velocemente verso di loro, poi le sorpassò,
urlando una specie di saluto: “Ciao bimbetta! Mi raccomando vedi di convincere
mammina e papino!”.
Kathrine
rispose mentalmente al saluto di Kevin, sperando per la prima volta che i
genitori la segregassero in casa per un decennio, poi il ragazzo, dopo aver
salutato anche Grace, disse: “Allora Chiyo, passo a prenderti alle otto e
mezzo, va bene?”.
“Va
benissimo Kevin…” squittì la ragazza, sotto lo sguardo scioccato di Grace e
Kathrine.
Kevin
annuì, poi sparì, girando l’angolo, assieme al suo amico Daniel.
“Che
cos’è questa storia, Chiyo?! Esci con Shirayuki?” chiese Grace, incapace di
trattenersi, mentre Kathrine voltava stizzita il capo dall’altra parte. Non
voleva neanche starla a sentire… adesso si sarebbe vantata a non finire, per
questo era così allegra… maledetto a lui e al giorno che lo aveva incontrato…
adesso dava anche a Chiyo un motivo per fare la grande donna vissuta con lei…
“Shirayuki
voleva andare a vedere una mostra, e mi ha chiesto di accompagnarlo… non ti
dispiace, vero Shirogane?” chiese con voce falsamente gentile.
Kathrine
si voltò di nuovo verso di lei con un grande sorriso, e disse gaia: “E perché
mai? Vai e divertiti… mi dispiace solo che non avrai il massimo della
compagnia… Shirayuki non è un grandissimo acquisto… peccato ci saresti potuta
andare tu a Parigi con lui, ma magari, se passerete una bella serata, alla fine
lo chiederà a te…”.
Grace
dovette mordersi le labbra, per non scoppiare a ridere alla faccia innocente di
Kitty, mentre Chiyo si allontanava con la scusa di andarsi a preparare, ma era
visibilmente stizzita.
“Razza di
oca…”borbottò Kathrine, mentre si
allontanava “Credeva di farmi ingelosire… sai che me ne importa se esce con
quella testa di rapa?!”.
Grace
finalmente scoppiò a ridere, poi strinse il braccio dell’amica e disse: “Sei
troppo forte, Kitty… comunque, chissà perché le avrà chiesto di uscire…”.
“Magari
perché hanno molto in comune… tipo la loro evidente maturità intellettuale,
rispetto alla mocciosa qui presente… ma chissà perché a me non appare così
evidente…” commentò piattamente Kathrine, poi lei e Grace entrarono in una
gelateria del centro, e si sedettero a prendere un gelato, mentre ridevano,
parlando di quella improbabile coppia che si era formata.
Kevin si
guardò attorno nel quartiere residenziale, dove viveva Chiyo Aoyama. C’erano
solo palazzi dall’aspetto signorile e con lucide porte di legno scuro; appena
era tornato a casa, si era chiesto se fosse stato effettivamente il caso di
invitare ad uscire Chiyo, e più volte era stato sul punto di chiamarla per
disdire tutto. Non aveva molta voglia di uscire, e poi quella ragazza lo faceva
sentire strano, insicuro e, quei pochi attimi che aveva nominato Kathrine, lei
era sembrata contemporaneamente sul punto di piangere e di scoppiare dalla
rabbia. Come poteva parlarle di Kathrine, considerando che era l’unica cosa che
davvero lo interessasse di lei?
Kevin
scosse il capo, guardando verso l’alto il condominio lussuoso dove viveva
Chiyo, assieme a suo padre. Era davvero un bel palazzo, con solo due famiglie
per piano, sintomo di appartamenti grandi e principeschi, esattamente il
contrario del piccolo pensionato per studenti dove vivevano lui e Daniel, di
grigio intonaco scrostato e pieno di scarafaggi. Si spolverò con la mano la
giacca blu scura, che indossava su una camicia bianca e un paio di jeans larghi.
La cosa che gli piaceva di più di quel pianeta erano forse proprio i vestiti,
su Nemesi per un appuntamento, qualora lo si potesse avere, bisognava recarsi
in alta uniforme, o non si veniva nemmeno presi in considerazione dalla ragazza
di turno. Cosa che a lui non era mai successa, e certo per quello che era il
fatto di essere il figlio, o presunto tale, della Presidentessa di Nemesi. Gli
mancava un po’ casa sua, il suo palazzo di ghiaccio, al centro della capitale,
e anche sua madre e suo padre, ma adesso non era il momento di pensarci. Doveva
scoprire quanto più possibile sulla famiglia Shirogane, e solo allora sarebbe
tornato a casa. Se mai quello che avesse scoperto, non avrebbe sconvolto tanto
la sua vita da impedirgli il ritorno…
Stava per
suonare al citofono, quando il portone si spalancò violentemente, rivelando una
trafelata Chiyo, che aveva il viso rosso e gli occhi lucidi.
Chiyo si
accorse della presenza di Kevin e sorrise imbarazzata: “Ciao… ero pronta ed
allora sono scesa…”.
“Sono in
ritardo?” chiese intimorito Kevin.
Chiyo
negò con il capo e si passò una mano sugli occhi verdi, vistosamente rossi e
pieni di lacrime.
“Scusami,
è che ho litigato con mio padre…” mormorò Chiyo, seguendo Kevin, che aveva
iniziato a camminare.
“Stai
bene? Te la senti ancora di uscire?” chiese Kevin, in maniera forzata.
“Sì,
certo…” rispose lei con un sorriso. La soddisfazione che il giorno dopo avrebbe
potuto prendersi su Kathrine valeva tutto quel sacrificio. Sacrificio…
uscire con un ragazzo, che era bello da mozzare il fiato… suo padre le stava
rovinando la vita… quella sera, si era anche azzardato a schiaffeggiarla… lo
odiava con tutte le sue forze, voleva solamente che sparisse dalla sua
esistenza, lasciandola finalmente in pace. Gli aveva solo chiesto se sapeva l’indirizzo
di sua madre in Germania, ma da una parola all’altra, lui aveva detto che
doveva smetterla di pensare sempre ad Halinor e dimenticarsi quotidianamente di
lui. E lei allora gli aveva vomitato in faccia il fatto che lui non aveva mai
amato sua madre, che per quella ragione non si erano mai sposati, e che era
sempre rimasto innamorato della mamma di Kathrine. Al suo silenzio, aveva
alzato il tiro, dicendo che adesso si era anche preso una sbandata per la sua
giovanissima amica. E solo allora Mark si era alzato dalla sua poltrona
cremisi, dove rimaneva seduto la sera, con un bicchiere di brandy, che gli
conciliava il sonno, e le aveva dato uno schiaffo in pieno viso.
“Non
parlare di cose che non capisci! Vai via! Vattene via da me!” le aveva urlato e
lei era scappata, lontana da lui, da sua madre e dalla sua vita.
Kevin,
notando il suo silenzio, si voltò a guardarla. Era chiaramente anni luce di lì;
forse adesso capiva perché odiava tanto Kathrine, semplicemente perché era il
suo opposto. I pensieri di Kathrine erano indelebili segni sul suo viso che
chiunque poteva leggere, lei era una nebbia vorticante di immagini e di
pensieri, che nessuno si dava la briga di decifrare.
Sospirò,
se era venuto a fare lo psicologo, era meglio farlo per intero…
“Allora vuoi
dirmelo o no perché hai litigato con tuo padre? Non voglio trascorrere la
serata in questo silenzio…” le disse francamente e brutalmente, guardando
davanti a sé.
Chiyo lo
guardò, poi replicò: “Niente di importante… mia madre se n’è andata di casa
perché mio padre non l’ha mai amata… l’ho sempre saputo, ma speravo che
riuscissero a resistere, almeno fin quando fossi vissuta con loro… e adesso lui
vuole che io la dimentichi, o che non la cerchi più. Ma lei è sempre mia madre
e io la capisco per quello che ha fatto… ecco tutto… non può spingermi ad
odiarla, perché non lo farò mai…”.
Kevin
annuì, poi Chiyo rise allegra e lo prese per un braccio, riprendendo il suo
tono di voce solito, morbido e flautato: “Ma adesso non ne voglio parlare,
davvero… allora cosa facciamo dopo la mostra?”.
Iniziarono
a camminare, fino a raggiungere il palazzo dove si teneva la mostra, che
seguirono, passando da una sala all’altra.
Kevin
cercava di capire che cosa passasse per la testa di quella strana ragazza, ma
non ci riusciva assolutamente. Fu quasi tentato di entrare nella sua mente,
come aveva iniziato ad imparare su Nemesi, prima di andarsene, ma era ancora
troppo inesperto e poteva farle male. Alternava fasi di trenta secondi, in cui
era allegra, ed altre di altrettanta brevità, in cui si chiudeva in uno
stizzito silenzio. Era difficile parlarle, e ad alcune innocenti frasi,
rispondeva in maniera stranamente nervosa. Se fosse andata avanti così, non
avrebbe potuto nominare Kathrine nemmeno sotto tortura…
Stava
pensando a quelle cose, quando la sua attenzione fu attirata da un dipinto, che
non era nient’altro che formato da delle strisce di colore rosso scarlatto,
nero corvino, giallo oro e azzurro cobalto. Quei colori si fondevano nei suoi
occhi come sotto la spinta di una scarica elettrica, e sentì qualcosa dentro di
lui che si svegliava da un lungo torpore. Possibile che l’arte umana fosse così
potente? Che contenesse tali emozioni, dentro di essa?
Chiese a
Chiyo che cosa provasse, lui che era spaventato ed attonito per la follia di
quei colori, e sudava quasi freddo. E lei gli rispose in modo statuario:
“Assolutamente nulla… mi piace molto di più questo qui…”, ed indicò una tela
nera, percorsa da striature argentee, che a Kevin sembrava lo scarabocchio di
un bambino.
Si avvicinò a quella tela, ma
il nome del suo artista non c’era, a parte un piccolo segno, che era una sorta
di V rovesciata ed incatenata con una A: c’era in compenso il suo titolo,
scritto con caratteri greci, che però lui che sapeva bene tutte le lingue terrestri,
sembrava assolutamente comprensibile.
Pangea... kakiov kai kalov. e cioè
PANGEA, e KAKION e KALON … pangea era il nome che aveva il blocco dei
continenti terrestri, prima di spaccarsi, e che erano circondati da un enorme
oceano, chiamato PANTALASSA, e poi quelle altre due parole erano due aggettivi…
Il buono e il
cattivo… il bene e il male…
Che
diamine significava quel quadro?
Si
avvicinò sotto lo sguardo sorpreso di Chiyo ad una guida e chiese chi fosse
l’autore.
“Vivienne
Atwood…” rispose l’uomo, guardando sorpreso quel ragazzo “E’ una donna di quasi
novant’anni, di madre greca… è ricoverata in un ospizio, dopo essere diventata
cieca… ma è ancora la migliore degli artisti astratti del nostro secolo…”.
“Avete
una litografia di quest’opera?” chiese Kevin. Doveva farla assolutamente vedere
a Daniel.
L’uomo
annuì e gli indicò un banchetto, dove Kevin acquistò una piccola riproduzione
del quadro.
“Ti piace
così tanto?” chiese Chiyo, riavvicinandosi a lui. Kevin la guardò
soprappensiero, si era completamente dimenticato di lei.
Annuì
solamente, poi, presa una biro, si scrisse il nome dell’artista sul retro del
quadro. Appena tornato a casa, avrebbe dovuto scoprire dove viveva questa
donna… chiuse la mano, ancora vistosamente sudata, e la guardò per qualche secondo…
Questo brivido,
questa sensazione dentro… non è solo Kathrine, allora…
Kathrine
era distesa sul letto, gli occhi castano chiaro spalancati sul soffitto rosa
della sua stanza. Canticchiava una canzone che stava sentendo alla radio, e
muoveva a tempo il piede, che spuntava nudo dai pantaloni del suo pigiama
azzurro.
Ad un
tratto, sentì bussare alla porta e mormorò un: “Avanti!”, non muovendosi
minimamente dalla sua posizione.
Alla
porta, apparve Grace, seguita da Strawberry e stranamente anche da Ryan.
Kathrine
si aspettava di vedere Grace, che avrebbe passato la notte lì per aiutarla a
fare i bagagli per andare a Parigi, ma certo non i suoi genitori, soprattutto
suo padre, che non entrava in camera sua da quando aveva otto anni.
Si tirò
bruscamente a sedere e chiese preoccupata dalla loro espressione: “Mamma, papà,
che cosa c’è?!”. Vuoi vedere che non erano più convinti di mandarla a Parigi?
Lo sapeva… provò una leggera fitta di sottile e crudele soddisfazione all’idea
della faccia di Kevin, il giorno dopo…
Ryan
entrò nella stanza della figlia, dicendo a Grace: “Grace, puoi aspettare un
secondo? Vorremo parlare da soli con Kathrine, ti dispiace?”
“Certo
che no, signor Shirogane…” replicò Grace, che sollevò le sopracciglia in segno
di preoccupazione a Kathrine, alle spalle dei suoi genitori, e poi richiuse la
porta.
Kathrine
guardò ancora i suoi genitori, che si erano seduti sul suo letto, e che si
guardavano le mani, non parlando ancora.
“Mamma,
papà, si può sapere che cosa volete dirmi? Non volete più che vada a Parigi?”
chiese ancora.
“Non è
questo, tesoro…” disse Strawberry, sollevando gli occhi “Ci hai detto che siete
stati sorteggiati solamente in cinque in tutta la scuola, per vedere questa
mostra impressionista al Louvre, e certamente è una grandissima occasione…
sarebbe stupido non accettare…”, poi Strawberry scosse il capo, voltandosi a
guardare il marito, che guardava ancora le sue mani, e disse indispettita:
“Ryan, o glielo dici tu o non se ne parla! Io non faccio il terzo grado a mia
figlia! E poi che razza di domanda è?!”.
Ryan
sollevò lo sguardo e replicò con lo stesso tono di voce: “Cinque secondi fa eri
d’accordo con me e adesso fai la madre libertina?!”.
“Ma che
diamine dici?! Sei tu che hai detto che lo volevi sapere! E adesso chiediglielo,
spicciati!”.
“Non ci
penso proprio! Faccio sempre io la figura del paranoico, e tu lo sei quanto
me!”.
Kathrine
guardò rassegnata i suoi genitori, alzando gli occhi al cielo. Bisticciavano
sempre, accidenti a loro… e scommetteva che ci provavano anche gusto…
“Si può
sapere che cosa volete sapere?!!” urlò la ragazza, soverchiando le loro grida.
Strawberry
e Ryan si girarono verso di lei, ancora rossi per l’impeto della loro
conversazione amichevole, e chiesero assieme: “A Parigi, viene anche Kevin Shirayuki?!”.
Kathrine
inarcò un sopracciglio e chiese sbalordita: “Era solamente questo?! E che razza
di domanda è?!”.
“Hai
visto, e io che ti avevo detto?!” replicò Strawberry a Ryan, afferrando un
cuscino e colpendolo sul capo.
Prima che
ricominciassero, Kathrine chiese: “Si può sapere che differenza ci sarebbe?”.
Strawberry
rispose praticamente: “Si dà il caso che tuo padre sia convinto che tu abbia
una cotta per il ragazzo in questione!”.
Kathrine
fece una smorfia disgustata e replicò: “Papà, che ti salta in testa?! Ma
nemmeno tra un migliaio di anni! Bleah!”.
Ryan,
ricomponendosi, disse tranquillo: “Tua madre la pensa esattamente come me, ma
adesso vuole fare la
MADRE-CHE-HA-UN’ESTREMA-FIDUCIA-IN-SUA-FIGLIA-E-CHE-NON-METTE-IL-NASO-NELLE-SUE-COSE…
ma non ci riesce assolutamente…”.
“Ma se io
e Kevin litighiamo ogni trenta secondi! Non lo sopporto, figuriamoci!”.
“E’
proprio questo il problema…” mormorò Ryan “Non hai appena assistito ad una
scena di questo tipo?”, mentre Strawberry annuiva con decisione, un leggero
sorriso sulle labbra rosa.
“Non
è il caso mio e di Kevin… potete starne certi…” replicò Kathrine, il viso più
scuro “Lui è fermamente convinto che io sia solamente una piccola mocciosa, e
io sono altrettanto convinta che lui sia solo un arrogante borioso… e non
andiamo assolutamente d’accordo… e, a differenza di voi due, io non provo alcun
piacere nel litigare con lui, semplicemente perché, se posso evitarlo, non ci
parlo proprio con lui…”.
Ryan
e Strawberry guardarono con attenzione il viso ancora caratterizzato da quella
delicatezza tipica di una bambina, che ancora non spariva da lei, ma che anzi
si mescolava con i primi segni del suo diventare una donna. Forse era vero, o
forse chissà c’erano persone, che per amarsi, avevano bisogno di andare d’accordo,
non di litigare continuamente, e quello forse era il caso della loro figlia.
Kathrine
riprese: “Comunque, non dovete preoccuparvi, io so badare a me stessa e, se
anche gli dovesse venire qualche istinto nei miei confronti, saprò
stroncarglielo sul nascere…”, cercò di sollevare i suoi occhi, ma non ci
riusciva. Stava mentendo, ad entrambi, ai suoi genitori. Non solo Kevin sarebbe
venuto con lei, ma sarebbero stati anche loro due, da soli. E poi lo sapeva
dannatamente bene che era impossibile fermare qualcuno che voleva qualcosa che
non poteva avere… scosse il capo con decisione, aveva promesso a sé stessa e
anche a Nick di non pensarci più, nella maggior parte del tempo ci riusciva, ma
alle volte quel nauseante pensiero ritornava e lei doveva far forza sulla sua
memoria per cancellarlo.
“Adesso
basta! Dovrete aspettare ancora molto per avere un nipote, mi dispiace
tantissimo!” disse con un sorriso, nonostante tutto, ancora tirato, ma che
tranquillizzò Strawberry e Ryan, che, dopo averla abbracciata, se ne andarono
dalla sua camera.
Kathrine
si appoggiò per qualche istante con la nuca alla spalliera del letto, chiudendo
gli occhi e respirando profondamente, poi sorrise a Grace che entrava, reggendo
in mano un piccolo borsone.
“Ti
hanno fatto il terzo grado, Kitty?” chiese divertita la ragazza,
acciambellandosi sul letto.
“Volevano
solo sapere se Kevin sarebbe venuto a Parigi, e io ho semplicemente ribadito
che tra me e lui non c’è assolutamente niente e che quindi non si devono
preoccupare…”rispose Kathrine,
distendendosi sul letto.
“Cosa
che non è assolutamente vera…”.
“Non
ti ci mettere anche tu, Grace, per favore, o mi arrabbio sul serio!” sbottò
Kathrine, decisamente irritata.
“Ma
perché non vuoi ammetterlo nemmeno con te stessa? Che ci sarebbe di così
terribile, se dovesse accadere qualcosa tra te e lui? Guarda che me ne sono
accorta di come lo guardi…” proseguì tranquillamente Grace, poi, abbassando la
voce: “Hai guardato così solamente C.J., Kathrine… non starai pensando ancora a
lui?”.
Kathrine si mosse, un lungo brivido che le passò lungo la schiena nuda.
“Assolutamente
no… anzi ti ho già detto che non voglio che lo nomini ancora…” disse
freddamente la ragazza, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla finestra. Come
era lontano C.J. adesso dalla sua vita… solo un anno prima, a quest’ora,
probabilmente allora stava pensando a lui, o era con lui… se ripensava a quanto
male le aveva fatto, le mancava il respiro…
Grace
si accorse del repentino cambiamento d’umore dell’amica e si avvicinò a lei,
poggiando una mano sulla sua spalla, dicendo: “Scusami, non volevo fartelo
ricordare… vieni, ti ho portato la torta di carote e mandorle…” e le porse un
pezzo del dolce preferito della ragazza.
Kathrine
sorrise ed addentò la morbida pasta delle torta, rimanendo ancora per un po’ a
guardare fuori dalla finestra la luna, incastonata nel velluto nero della sera.
Poi si avvicinò a Grace e si sedette accanto a lei, mentre la brunetta
commentava: “Scommetto che Kevin e Chiyo si stanno divertendo moltissimo…
ovviamente se Kevin si è ricordato che Chiyo è gestibile solo dopo una
massiccia dose di Prozac…”.
Kathrine
guardò Grace, poi entrambe scoppiarono a ridere, mentre si distesero meglio su
letto e iniziarono a compilare una lunga lista delle cose che Kathrine voleva vedere
a Parigi.
Vivienne
Atwood… e Kathrine Shirogane… che nesso c’è tra loro due?
Kevin
girava piano il cucchiaino dentro una lucida coppetta di vetro azzurro, che
conteneva quello che rimaneva di un gelato al caffè. Muoveva lentamente la
piccola posata di metallo nel liquido marroncino, descrivendo piccoli cerchi,
mentre Chiyo gli parlava di che cosa voleva fare dopo la scuola. Ma non
riusciva a sentire nulla, e sperava solo che la serata finisse quanto prima.
“C’è
qualcosa che non va?” chiese Chiyo all’improvviso, evidentemente irritata.
Kevin
si riscosse e rispose di no, muovendo il capo.
“Sei
diventato silenzioso…”.
“Lo
so, me ne sono accorto… scusami, non è colpa tua, sono solo soprappensiero,
tutto qui…” rispose il ragazzo, fissando i suoi occhi azzurri in quelli verdi
di lei.
“Posso
chiederti una cosa? Prometti però di rispondermi con sincerità?” chiese Chiyo,
sporgendosi in avanti.
“Dimmi”
disse Kevin un po’ preoccupato.
“Perché
mi hai invitato stasera? Non sei chiaramente interessato a me… ed allora
perché?” disse Chiyo, la voce più fredda.
Kevin
spostò una gamba sotto il tavolo, chiaramente a disagio. Se adesso gli avesse
detto la verità, probabilmente lei gli avrebbe lanciato contro un piatto…
“Non
è vero… volevo conoscerti meglio, mi hai incuriosito, questo è tutto… è solo
che non sono proprio al meglio, e perciò…” farfugliò velocemente “Comunque, se
ti sei trovata male, ti riaccompagno a casa, e la finiamo qui…”.
Lei
sorrise e chiese suadente, sporgendosi ancora verso di lui: “Perché ti ho incuriosito?”.
Perché
nutri un odio sviscerale verso Kathrine… e volevo vedere se riuscivo a
sfruttarlo a mio vantaggio…
“Sei
particolare, non so spiegartelo…” rispose Kevin, guardandola negli occhi,
cercando di farla desistere nelle sue domande.
Ma
lei non ne voleva sapere di cogliere il suo messaggio nascosto: “Anche Kathrine
è una ragazza particolare?”.
“Che
c’entra adesso Kathrine?” chiese Kevin punto sul vivo.
Lei
rise divertita, e rispose sibillina: “Avanti, dillo… Kathrine ti piace? Non
saresti né il primo né l’ultimo…”.
Kevin
la guardò leggermente preoccupato, il suo volto era ancora una maschera di
cera, bellissima e glaciale, ma la sua risata era falsa, senza allegria, senza
motivi di felicità in essa.
“Non
mi piace assolutamente… e non è nemmeno una mia amica, è solo una conoscente… a
cosa ti riferisci dicendo che non sarei né il primo né l’ultimo?” le chiese,
curioso.
Chiyo
ruppe la sua maschera e si fece più indietro con la sedia, poi gli chiese di
camminare. Iniziarono a passeggiare lungo il lungomare, la luna che rischiarava
appena le onde nere del mare.
Erano
rimasti ancora in silenzio, poi Chiyo rispose stretta al suo braccio,
rabbrividendo forse per il freddo: “M-mio padre… io credo che lui…”.
“Che
lui, cosa?”.
Chiyo,
prese fiato, e proseguì: “Io credo che lui abbia una cotta per lei… potrà
sembrarti paranoia la mia, ma la nomina venti volte al giorno, e quando la
incontriamo la fissa con uno sguardo strano…”. Bingo! Allora era per questo che la detestava tanto…
“A
parte questo, potrebbe effettivamente essere solamente paranoia…” le disse
francamente.
Chiyo
si strinse più forte a lui, e disse: “Mio padre era il fidanzato della madre di
Kathrine… solo ai tempi della scuola, ma mio padre la amò davvero moltissimo…
non ti parlo di primo amore, ma di unico amore… la mia nascita fu
una sorta di incidente, perché lui non amò mai mia madre… erano semplicemente
conoscenti…”.
“Come
si conoscevano?” chiese Kevin, curioso. Stava iniziando a capire che era nel
passato dei genitori di Kathrine, che si celava la verità riguardo a lei
stessa, e forse tramite quelli di Chiyo, poteva arrivare a qualcosa…
“Ti interessa davvero saperlo?” chiese Chiyo sorpresa, gli occhi
verdi sgranati e lucidi.
“Se
te lo sto chiedendo, mi sembra di sì…” rispose laconico lui.
Lei
sorrise e continuò: “Mia madre era la sorella del socio in affari del padre di
Kathrine… avevano un caffè in centro qualche tempo fa… si chiamava… si
chiamava…”, la ragazza s’interruppe, non se lo ricordava più, ma Kevin completò
per lei, il volto serio: “Caffè mew mew…”.
“Come
fai a saperlo?”.
“Kathrine…
me l’ha detto lei…” mentì velocemente.
Chiyo
continuò ancora: “La mamma di Kathrine lavorava lì, e per un po’ di tempo, non
so perché, ci lavorò anche mio padre… poi successe qualcosa e lei capì di
essere innamorata di Ryan Shirogane…”. E so anche che cosa è successo… Ryan Shirogane era morto per tutti…
pensò Kevin.
“Lei
lasciò mio padre, che se ne andò in Germania, dove incontrò mia madre che per
caso lavorava anche lei lì… passarono una notte assieme e il frutto di quella
notte fui io… mio padre lo venne a sapere solo quando avevo nove mesi, e si
sentì ovviamente in obbligo di tornare con mia madre e me, ma non si sono mai
sposati e lui non ha mai smesso di amare Strawberry Shirogane… e adesso temo
che lui veda lei in Kathrine…”.
“Potrebbe
anche essere Chiyo, ma Kathrine non è sua madre… lei è diversa, molto diversa…”
commentò Kevin, l’immagine di Kathrine che passava nei suoi occhi seguita da
quella di sua madre.
“Lo
so, ma niente mi impedisce di odiarla, di non sopportarla… lei ha tutto, ha
sempre avuto tutto, e invece io…” mormorò lei, le lacrime che ormai scorrevano
sulle sue guance, prive di alcun freno. Era la prima volta che confessava
quelle cose a qualcuno che non fosse sé stessa, ed era… bello…
Kevin
le passò il braccio attorno alle spalle, attirandola a sé, mentre Chiyo
arrossiva vistosamente. Che le succedeva? Era la prima volta che il suo cuore
le scoppiava nel petto…
“Nonostante
tutto, Kathrine è una brava persona, e non merita questo da parte tua… sei una
sua amica, in fondo…” le sussurrò piano e dolcemente, come se stesse parlando
ad una bambina “Ci soffrirebbe, non credi? E poi non è colpa sua, se tuo padre
rivede in lei sua madre… e comunque l’odio si ritorce contro di te, e ti
avvelena la vita… soffrirai per sempre, se non imparerai ad accettarlo…”
Stava
difendendo Kathrine, ma chissà perché non le interessava minimamente… e
arrivava persino a dargli ragione…
Kevin,
intanto, pensò sarcasticamente che Kathrine gli doveva un gran favore.
Per
qualche istante provò ancora una sensazione strana nelle sue membra, come uno
strano formicolio, nell’accostare alle sue parole l’immagine di Kathrine.
Specie ad una di esse… odio…
Mamma, questo capitolo è stato una
faticaccia da scrivere! Sono praticamente uccisa! Ero indecisa se spezzettarlo
in due parti perché è veramente lungo! Ma poi ho lasciato perdere! In fondo, ve
lo meritate un bel capitolo lungo, e soprattutto snervante come questo! So di
essere una grandissima bastarda a far usare Chiyo a Kevin, ma io sono perfida,
cattiva, uahhhhh!!!! Scherzo, sono un piccolo angioletto innocente, lo
sfruttamento non durerà! Allora passiamo ai soliti ringraziamenti di rito:
Aya chan: scommetto che anche questo chappy ti sta lasciando in tensione,
vero? E già pregusto le tue domande! Tempo al tempo, questa storia è solo
all’inizio e non puoi neanche immaginare il grado di complicatezza che
raggiungerà! Per il viaggio a Parigi, è certamente giusto che serve a
recuperare la memoria perduta, in fondo tutto l’interesse di Kevin si basa su
questo! Ma c’è dell’altro, e ciò lo scoprirai solo a Parigi… per la scelta
della città, è perché io semplicemente la amo, anche se odio i parigini! Ci sono
stata in gita un anno fa, e non me ne volevo andare più! Per la storia e il suo
nesso, devi solo aspettare due capitoli! O tre non lo so, dipende dalla mia
musa, attualmente in vacanza alle Seychelles! Per le tue domande, credo che ci possa
essere il rischio che Blanche e Ghish incontrino Kevin, ma almeno per il momento,
proprio per questa ragione, credo di fargli accuratamente evitare la casa degli
Shirogane! Tanto c’è sempre la scuola, il parco, e poi Parigi… la città dell’amore…
non sono sicura di aver capito bene la tua 2° domanda, comunque Kevin non si
ricorda assolutamente di Strawberry, ma solo un po’ di Elissa, per via dei suoi
vecchi ricordi. Non sa niente né dell’Angelo Scarlatto, né di Strawberry, né delle
mew mew, anche perché i genitori non li hanno mai detto niente! Era questo che
volevi sapere? Mi raccomando aggiorna quanto prima la tua fic, che ancora una
volta INVITO TUTTI A LEGGERE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ah già, che
smemorata! Non scomodare Sherlock Holmes per le indagini, perché sono troppo
schizofrenica per lui! È troppo razionale e, con una pazza come me, che cambia
idea sulle sue storie venticinque/trenta volte al giorno, non riuscirebbe mai a
capire nulla! È tutto nelle tue mani? Una domanda: ti piacciono le fic su Harry
Potter?
Lunachan 62: grazie tesorino! Sono sempre iper felice quando le mie fic
piacciono, e specie se ho imbroccato i tuoi gusti sui tuoi generi preferiti! In
effetti, questa mi sta uscendo meglio della prima, ne sono soddisfatta! E non
sono ancora a nulla! Forse alla fine cambierai idea su questa storia e ti pentirai
di averla cominciata a leggere! Un bacione!
Black Pill: nonostante le promesse, vi ho fatto penare anche stavolta, vero?
lo so, sono veramente impossibile! Comunque, sta tranquilla perché il viaggio a
Parigi ci sarà, è l’unica cosa di cui sono fermamente certa al momento! Grazie tantissimo!
ci sentiamo prestissimo! E mi raccomando, COMMENTATE, COMMENTATE,
COMMENTATE!!!!!!!!!!!
“Smettila
Grace, non se ne parla proprio!” stava ridendo Kathrine, prendendo a cucinate
l’amica, che rispondeva con pari energia, mentre Miky sostava davanti alla
porta con in mano il cordless, l’aria da uomo vissuto che non capisce i giochi
dei più grandi.
“Katy,
telefono!” urlò alla fine il piccolo, esasperato, all’indirizzo della sorella.
Kathrine
si ricompose e lanciò uno sguardo a Grace, del tipo FACCIAMO-I-CONTI-DOPO!, poi
afferrò il ricevitore e mormorò un: “Pronto?”
All’altro
capo del ricevitore, c’era Chiyo Aoyama: “Ciao Katy! Volevo solamente chiederti
scusa per come ti ho trattato in questi giorni, o forse più in generale da
quando ci conosciamo… sai, Kevin stasera mi ha fatto capire quanto sono stata
ingiusta… mi dispiace tantissimo…”
Kathrine
intrecciò il filo del telefono tra le dita, poi mormorò sorpresa alle parole
apparentemente sincere di Chiyo: “N-non ti preoccupare, non importa… com’è
andata allora la serata?”
La
voce di Chiyo si fece squillante, e disse cinguettando: “Benissimo! Sono
follemente innamorata di Kevin Shirayuki!”
Kathrine
si mise una mano in bocca per cercare di non ridere, mentre Grace la guardava
senza capire.
“Sono
molto contenta per te…” replicò Kathrine, poi un piccolo bip, seguito da una
voce metallica, l’avvertì di un avviso di chiamata per lei.
“Ti
racconto tutto domani!” squittì ancora Chiyo, poi Kathrine la salutò e spinse
un piccolo tasto, dicendo ancora: “Pronto?”
La
solita voce calda e profonda la fece sobbalzare: “Allora, piccoletta, come è
andata con i tuoi?”
“Chi
ti ha dato il mio numero?!” urlò Kathrine, rossa in viso, come se lui potesse
vederla attraverso il ricevitore in pigiama e con le trecce che le annodavano i
capelli biondi. Inutile dire che Grace la guardava ancora, vistosamente
scioccata.
“Chiyo…”
replicò semplicemente Kevin
“Nessuno
ti ha dato il permesso di chiamarmi a casa! E poi sono le undici passate!”
sbraitò ancora Kathrine, camminando nervosa avanti ed indietro
“Non
la fare tanto lunga! Allora che ti hanno detto?”
Kathrine
respirò piano, come se stesse dando un annuncio funebre, e poi mormorò lugubre:
“Mi hanno detto di sì…”
“Fantastico!
Non sei contenta?” le chiese Kevin ancora, la voce vistosamente soddisfatta
“Sì,
allegra come una Pasqua, perché devo dire…” mormorò lei a denti stretti, poi,
colta da un’improvvisa illuminazione, disse: “Se le cose tra te e Chiyo vanno
così bene, perché non ci vai con lei a Parigi? Sarà così bello per lei!”
La
sua voce si fece più dolce e profonda, mentre diceva in un sussurro: “Perché ho
bisogno di te, non di Chiyo…”
Kathrine
arrossì, e si portò istintivamente una mano al petto, sentendo il suo cuore
battere più forte sotto le pieghe del suo pigiama.
“Sei
arrossita, vero?! Sei proprio una bambina! Peccato, vorrei vederti!” riprese
lui, ridendo nel suo orecchio
Kathrine
chiuse di scatto il telefono in faccia a Kevin, che continuò a ridere,
nonostante il suono insistente del telefono, quando veniva messo giù. Era
troppo divertente prenderla in giro… in fondo, forse era meglio che la Chiave
fosse lei, e non Chiyo… almeno con lei si faceva due risate… forse si era
sbilanciato troppo, ma lei aveva capito solo che la stava canzonando come al
solito…
E
invece è così dannatamente vero che ho bisogno di lei…se solamente lo sapesse, lei potrebbe avermi
in pugno per tutta la vita…
Il
cielo era di uno strano colore, grigio perla, come quando era nuvoloso, ma il
colore era uniforme e piatto, e all’orizzonte si tingeva di un colore ocra
chiaro, che preannunciava l’arrivo dell’alba. L’aria sembrava sospesa, in
attesa di qualcosa che doveva e stava per arrivare; pochi uccelli si erano già
svegliati e i loro primi pigolii assonnati giungevano attutiti alle orecchie di
Kathrine, seduta sull’altalena, accanto al portico di casa sua.
La
ragazza guardò l’orologio per l’ennesima volta, erano le cinque meno un quarto,
e Kevin non era ancora arrivato. Stava cascando dal sonno, e ogni tanto il suo
capo si piegava sul collo, ed allora lei sospingeva l’altalena, impuntandosi
con i piedi per terra e cercando così di svegliarsi. Iniziava anche ad avere
freddo, l’aria frizzante del primo mattino che si attaccava alla sua pelle,
lasciata scoperta dal lungo maglione traforato e con lo scollo a barca di
colore nero, che portava sopra ad un paio di jeans celeste chiaro. Si stava
decisamente iniziando ad innervosire, negli ultimi giorni aveva evitato per
quanto le era possibile Kevin Shirayuki, ma purtroppo quel lunedì freddo e
pieno di nebbia era arrivato prima di quanto credesse. La sera prima, aveva
salutato i suoi genitori, che ovviamente l’avevano riempita di mille
raccomandazioni, e poi suo fratello, che altrettanto ovviamente le aveva
chiesto mille ricordini e regalini. E non erano mancate neanche le telefonate
di Grace e Chiyo, la prima che le aveva intimato di tornare solo in caso di
nozze con Kevin Shirayuki, e la seconda che l’aveva avvertita invece di non
tornare in quel caso. L’unica telefonata che l’aveva sollevata un po’ di morale
era stata quella di Nick, che le aveva detto di divertirsi e di stare attenta,
ma con la voce diversa da quella dei suoi genitori.
Semplicemente
perché le parole di mia madre e mio padre sono solamente avvertimenti, pronti a
disfarsi sull’argine di una realtà resa rassicurante dalle parole NON POTREBBE
SUCCEDERE A NOSTRA FIGLIA… e invece Nick sa benissimo che è invece tutto il
contrario… Nick era l’unico a sapere la verità, a
conoscere quel suo scomodo segreto, che le faceva ancora tanto male, nonostante
fosse passato già un anno. Esattamente come la facesse soffrire ancora la
faccenda di C.J., accaduta più o meno nello stesso periodo, ma essa più o meno
di dominio pubblico. Non ci voleva pensare più a quelle cose, ma spesso quando
era sola, esse ritornavano come scure e lunghe ombre, che danzavano
malinconicamente lugubri nelle nebbie di ciò che purtroppo, ormai relegato nel
passato, non poteva più essere cambiato.
Scosse
la testa, le onde dei suoi capelli, leggermente trattenute da una fascia di
colore nero, come il maglione, che le ferirono dolcemente il viso. All’improvviso,
finalmente si accorse di un paio di fari, che avanzavano nel vialetto di casa
sua, mostrando una motocicletta di grossa cilindrata, guidata da una figura
snella e forte, che la fece fermare a pochi centimetri da Kathrine, spegnendo
poi il motore del bolide.
La
ragazza sospirò, poi disse, la voce bassa per non svegliare i suoi genitori, la
cui camera da letto dava su quel lato della casa: “Potevi anche farmi aspettare
qualche altra ora fuori… sono sveglia dalle tre e mezzo! Accidenti a te!”
Il
ragazzo si tolse il casco, che impediva di vederne il viso, e replicò: “C’era
traffico… e poi Daniel aveva bisogno di una cosa, prima che partissi…”
Kathrine
sospirò ancora e, non proferendo commenti sul fatto che era statisticamente
impossibile che alle quattro di mattina ci fosse così tanto traffico, gli
intimò di sbrigarsi, perché altrimenti i suoi genitori se ne sarebbero accorti,
ed addio viaggio a Parigi.
Kevin
le fece prendere il suo bagaglio, e, continuando comicamente a bisticciare
sottovoce, lo caricò sulla moto, poi le porse un altro casco, che Kathrine
cercò di indossare, non riuscendoci, perché voleva cercare contemporaneamente
di non rovinarsi definitivamente la pettinatura.
“Sei
un’imbranata!” borbottò Kevin, avvicinandosi a lei e strappandole non molto
gentilmente il casco di mano; Kathrine lo guardò irritata, facendo il muso, poi
lui glielo infilò piano, rimettendole a posto i capelli che uscivano fuori dal
casco, passandoci le dita attraverso. Kathrine voltò il viso dall’altra parte e
bofonchiò un: “Grazie” in risposta, poi entrambi salirono sulla moto, e lui le
chiese di tenersi forte, considerando che molto probabilmente sarebbe caduta
alla prima curva. La risata di Kevin fu soffocata da un gemito di dolore,
conseguente ad un pizzico, che lei gli aveva dato sul fianco, poi Kathrine si
strinse a lui ed entrambi partirono, accarezzati dal vento della mattina.
Qualcuno
aveva osservato dall’alto, spettatore privilegiato, tutta la scena; e,
stranamente ai suoi occhi azzurro acquamarina, quella vista era apparsa
completamente diversa da come era invece effettivamente accaduta. A Ryan era
sembrato che Kevin avesse sperimentato un’infinita cura maniacale, nel
sistemare i capelli di Kathrine, che poi fosse partito ad una velocità troppo
elevata e che lei gli si fosse stretta troppo intensamente. Anche lui, quando
era ragazzo, aveva invitato a fare un giro in moto una bella ragazza dai
capelli rossi, che adesso giaceva placidamente addormentata nel letto alle sue
spalle. Lei lo aveva guardato scettica, chiedendogli se fosse un bravo
guidatore e se poteva fidarsi, e lui aveva risposto, fintamente offeso, che non
c’era alcun ragionevole dubbio. Lei lo aveva fissato ancora, poi era salita
alle sue spalle, mentre lui faceva scattare la motocicletta ad una velocità maggiore
a quella, a cui andava di solito, e lei aveva emesso un gridolino, portando le
braccia strette attorno alla sua vita. Lo aveva stretto forte e per un attimo
si era illuso che quella ragazza fosse sua, sebbene lei fosse di un altro, di
un tale Mark Aoyama, che era il suo fidanzato da qualche mese e da sempre il
Cavaliere Blu dei suoi sogni. Ancora non lo sapeva. Già, allora non sapeva di
quanto quello che provava per la sua piccola Strawberry andasse oltre la sua
esistenza, e di quanto quello stesso sentimento non fosse umano, non fosse
alieno, fosse semplicemente una scia tra le stelle dell’universo, che aveva
unito due pianeti, Nemesi e la Terra e ben quattro persone, lui e Strawberry, e
Leon ed Elissa. Forse se lo avesse saputo, avrebbe scalato la velocità della
moto, non accontentandosi di quel breve e fugace contatto fisico, ma avrebbe
catturato le labbra di Strawberry nelle sue, sussurrandole quanto l’amasse,
convinto, certo, sicuro di avere la medesima risposta. Mark o non Mark,
Profondo Blu o non Profondo Blu.
Ma
per Kevin e Kathrine non è lo stesso. Loro due sono due semplici ragazzi e a
loro potrebbe bastare anche solo questo…
Anche
solo sentire il respiro di uno mescolarsi a quello dell’altra, anche solo
sentire oltre la barriera dei vestiti, il calore di una mano che non è la
propria… poteva bastare? Chiuse forte i pugni, come poteva permetterlo? Che
accadesse alla sua bambina? Lo sapeva che non sarebbe stato per sempre così, ma
lei era troppo piccola, e forse già gli aveva mentito…
Sono
stata sorteggiata per vedere una mostra a Parigi! Non è bellissimo, papà?
E
magari invece adesso volava cullata dalle onde del suo primo amore, quello che
fa raggiungere il paradiso, ma che fa così male, da farti venire voglia di
spalancare le porte di un ogni inferno, più sopportabile di quello che si sta
vivendo…
“Lasciala
andare, Ryan…” sentii sussurrare una voce alle sue spalle, e, quando si voltò,
vide Strawberry, avvolta nella sua sottile vestaglia rosa chiaro, che sorrideva
appoggiata con il mento alla sua spalla destra, gli occhi castani fissi nei
suoi.
“T-tu
non hai visto… è partita con quel ragazzo… in moto, capisci?!” urlò arrabbiato,
voltandosi di nuovo verso la finestra.
Strawberry
gli baciò affettuosamente la guancia, e disse: “Anch’io li ho sentiti
esattamente come li ha sentiti tu… ma Katy è nostra figlia, Ryan, e io mi fido
di lei… l’abbiamo fatto anche noi alla sua età, ricordi?”
“Eravamo
più grandi… tu avevi già…”
Strawberry
lo interruppe, e gli sussurrò: “Avevo solo poco più di diciannove anni, e
mentii ai miei genitori, dicendo che andavo a fare una gita con Lory e Mina… e
invece venni con te a Los Angeles…”, la sua voce si abbassò ancora, poi lei
baciò dolcemente il marito sulle labbra e bisbigliò: “E fu allora che facemmo
l’amore per la prima volta… te lo ricordi?”
Ryan
sorrise suo malgrado, poi scattò e disse: “Credi che accadrà anche a Kathrine?!
E’ ancora una bambina!”
Strawberry
si appoggiò con la testa alla sua spalla, e mormorò: “Quando lei lo vorrà,
accadrà, Ryan… e noi non potremmo impedirglielo… perché non c’è più niente di
più forte di una ragazza innamorata, e noi che la amiamo così tanto, possiamo
solo proteggerla dalla solitudine e aiutarla, se soffrirà… ma Ryan non potrai
impedirle per tutta la vita di soffrire… il dolore trova sempre un’altra
strada, e a volte è anche peggio della prima…”
Ryan
annuì, poi abbracciò Strawberry, osservando il cielo che si faceva più chiaro.
Nonostante tutto, qualcosa era rimasto…
E
il fiore d’oro si innamorò di una stella splendente nel cielo, chiamata Sole, e
prese a seguirlo per tutta la sua vita…
Allora,
avrei dovuto scriverlo all’inizio, ma sono onesta, me ne sono dimenticata,
quindi lo faccio adesso! Allora, questo capitolo non doveva proprio esistere!
Mi spiego: nella mia stesura originale, questo capitolo non c’era, ma l’ho
aggiunto adesso per questo è proprio piccino, piccino! Lo voglio dedicare ad
Hermy6, la mia pazzerella preferita! Hai visto che ti ho aggiunto apposta un
capitolo perché ti lamentavi delle scene di Ryan e Strawberry? Scherzo,
comunque davvero fatemi sapere se ho incentrato troppo la storia su Kathrine,
forse è un po’ noiosa la cosa, dato che è un personaggio solo mio! Oggi non
posso dilungarmi troppo perché dire che sono di corsa, è dire poco!!!! Quindi,
come sempre, ringrazio Lunachan 62 (sei troppo gentile con me!), Black_ Pill
(in effetti, adesso, l’unica parola per definire Kevin è opportunista! Comunque
a Parigi avrai modo di ricrederti… ehheheh! Grazie ancora enormemente!), Mew
Pam (non ti preoccupare, anche io sono una ritardataria cronica!! Ti garantisco
che Ghish tornerà quello di prima!), Aya chan ( la mia Ayuccia! Allora ci ho
preso con il nome Cassandra? E io che l’ho buttato lì… sono un genio!!! Mumble,
ma ora non capisco perché scioglie gli eserciti! Me tapina! Ti ho fatto quella
domanda su Harry Potter perché sto scrivendo una fic e vorrei che tu la
leggessi, ma per mandartela, devo aspettare un po’, primo perché non l’ho
finita, e secondo perché il mio computer è di nuovo fuori di testa! Apre solo
il sito di Erika e basta! Quindi non posso né leggere, né mandare e-mail! Nel
caso la cosa vada per le lunghe, dato che ho davvero TAAAAANTO bisogno di te
per consigli, te la mando dal computer di una mia amica, tanto il tuo indirizzo
ce l’ho! E lì ti riscrivo il mio! Non mi puoi lasciare sola in questo inferno
di idee che non riesco a convogliare! Buahhhh!!!!! _ Aya scappa terrorizzata
dall’altra parte del mondo- ).
Kathrine
sbuffò ancora, seduta impaziente sul suo borsone, mentre guardava persone di
ogni nazionalità passarle davanti veloci. Guardò l’orologio, l’una di notte,
poi volse gli occhi oltre le grandi vetrate dell’aeroporto, e vide il sole che
stava per iniziare la sua parabola discendente verso l’orizzonte. Che stupida
che era, a casa sua era l’una, ma lì a Parigi erano appena le cinque del
pomeriggio dello stesso giorno in cui era partita da Tokyo. Sembrava che
avessero viaggiato solamente una decina di ore, invece le ore erano state venti
con anche uno scalo. Era abbastanza stanca, anche se per fortuna in aereo aveva
dormito per quasi la maggior parte del tempo. Lei non sapeva proprio che
volesse dire la paura di volare, era da bambina che faceva la pendolare tra
Tokyo e S. Francisco. Quello di cui invece risentiva sempre, era il jet-lag, e
adesso aveva molto sonno, nonostante avesse dormito tutto quel tempo. Cominciò
a tamburellare con impazienza il piede per terra, poi spazientita, urlò: “Hai
capito finalmente dov’è l’albergo?!”.
Kevin
scosse il capo, sporgendosi oltre la grande cartina di Parigi che stringeva tra
le mani: “E’ accanto all’Opera, ma non mi ricordo la strada precisa… potresti
anche avere un po’ di pazienza!”.
Kathrine
si alzò bruscamente e disse: “Dovrei avere pazienza?! Hai vissuto per tutta la
vita a Parigi e non te lo ricordi?! Io ho vissuto solo quattro anni a
S.Francisco e la conosco come le mie tasche!”.
“Che
c’entra adesso S. Francisco?” le chiese Kevin, guardandola sorpreso, sebbene
sapesse benissimo che Ryan Shirogane era di quella città, e che ci lavorava
ancora.
“Mio
padre è americano e lavora lì…”
“Ma
tu non vivi qui, scusa? Intendo a Tokyo…” le chiese ancora Kevin, sedendosi sul
suo borsone e girando la cartina da un altro lato.
“Sì,
ma per qualche anno, provammo a vivere a S.Francisco…” rispose Kathrine,
passandosi una mano nei capelli “Mio padre era stanco di fare il pendolare tra
il Giappone e l’America, ma le cose non andavano… mia madre odiava la scuola
pubblica americana, ci sono bambini che entrano nelle classi già armati di
coltelli … io non riuscivo a legare con i miei coetanei di lì, mi mancavano
troppo Grace, Nick e Chiyo… e allora tornammo a casa…”, Kathrine aggiunse con
un sorriso: “E poi, considerando il carattere dei miei genitori, se stanno
lontani per un po’ è anche meglio…”.
“Perché?”
le chiese ancora il ragazzo, cercando ancora con le dita quella benedetta
strada sulla cartina, le orecchie ben tese alla spiegazione di Kathrine.
“Loro
si amano moltissimo, non fraintendermi, non riesco ad immaginare la loro vita,
se non fossero sposati… ma li piace bisticciare anche per futili motivi… si
divertono così…” spiegò Kathrine con un sorriso rassegnato “A volte sono
insopportabili, ma in fondo a volte fanno ridere sia me che Miky… ma, se
passano troppo tempo assieme, le loro litigate si fanno più serie e allora non
c’è più niente di divertente… quando sono lontani, li vedi sospirarsi per le
stanze, ma quando stanno troppo assieme è sempre così… si amano ancora come due
adolescenti, e credo che per loro sarà sempre così…”.
“E’
una bella cosa… per i miei non è così…” mormorò Kevin, lo sguardo che correva a
Nemesi e ai suoi ricordi lì.
Kathrine
si rivolse verso di lui e disse: “Me lo avevi già detto una volta…”.
“Anche
loro credo che si amano molto, ma sono troppo oppressivi, l’uno nei confronti
dell’altra e anche verso di me… e questo mi ha sempre dato decisamente sui
nervi…” replicò nervoso, poi, osservando il volto preoccupato di Kathrine, rise
e disse: “Ma adesso per fortuna sono lontano da loro due… almeno la maggior
parte del tempo…”, si affrettò ad aggiungere. Kathrine chiaramente credeva che
i suoi genitori fossero di Parigi.
“Adesso
vediamo di trovare questo benedetto posto!”riprese velocemente, troncando sul
nascere il discorso.
Kathrine
annuì, mentre finalmente Kevin trovava la strada giusta e chiamava un taxi
fuori dall’aeroporto. L’aria era fredda ed umida e Kathrine si strinse nel suo
cappotto, mentre Kevin, entrando nell’auto, chiedeva in perfetto francese
all’autista di portargli all’Opera. L’uomo acconsentì e mise in moto, convinto
con piena certezza di trovarsi di fronte ad un parigino d.o.c., esattamente
come continuava a pensare Kathrine, quando invece per la prima volta il fiuto
nazionalista dei francesi prese una grandissima cantonata, dato che Kevin, o
meglio Kivar, non solo non era francese, ma tantomeno europeo e nemmeno
terrestre. E quella era la prima volta in vita sua che pronunciava una frase in
francese.
“Quando
andremo a casa tua?” chiese Kathrine, seduta accanto a Kevin, che guardava
fuori dal finestrino i palazzi caratteristici di Parigi, dagli spigoli
arrotondati e bombati e dai colori tenui, che non aveva mai visto, ma che
doveva fingere di conoscere a memoria.
“Penso
tra qualche giorno, forse l’ultimo giorno che saremo qui… almeno se mi
rovineranno la vacanza, sarà alla fine… e poi ti riporterò a casa…” rispose
telegrafico.
Kathrine
ritornò a fissare affascinata i palazzi di Parigi, così diversi da quelli di
casa sua, e i larghi Boulevard, costeggiati sempre da lunghe file di alberi
dalle piccole foglie larghe di uno splendente verde chiaro, che emergeva
evidente nel grigiore di quel freddo pomeriggio di marzo.
Dopo
qualche altro metro, passato nel più completo silenzio, interrotto solamente
dalle voci metalliche in francese che provenivano dalla radio dell’autista,
l’auto si fermò in una grande piazza, dove un gran numero di macchine
sfrecciavano freneticamente, nonostante fosse abbastanza presto. Al centro
della Piazza, c’era un gran edificio con una grande iscrizione dorata, con
busti di grandi musicisti del passato di un lucente bronzo dorato, e altre
statue dello stesso materiale che rilucevano al sole pallido.
“E’
l’Opera?” chiese estasiata Kathrine, tirando la manica della felpa di Kevin,
che stava pagando il taxista.
Kevin,
dopo aver congedato l’autista, disse di sì, poi, vedendo l’espressione rapita
della ragazza, sorrise e aggiunge: “Non hai ancora visto niente di Parigi, e
già sei a bocca aperta, andiamo bene!”.
Kathrine
sorrise e disse: “L’Europa è così bella! Qui c’è tutta la storia dell’umanità…
tutte le tappe che ha attraversato… in America o anche in Giappone c’è poco del
genere… e scommetto che i francesi ci camminano accanto senza nemmeno
rendersene conto! Come te per esempio! Sembri così indifferente!”.
“Perché
li conosco a memoria questi posti, Kathrine…” replicò il ragazzo, guardandola e
fingendo un aristocratico distacco, quando in realtà anche nei suoi occhi era
passato un lampo di sincera meraviglia. Certo che i terrestri ne avevano di
fantasia nelle opere d’arte… per associazione d’idee gli ritornò in mente il
quadro di Vivienne Atwood… quando lo aveva mostrato a Daniel, anche lui aveva
detto di provare qualcosa, di lontano, ma di ugualmente presente. E allora si
era portato la sua litografia, convinto di doverla mostrare ad Herik e a
Melissa… un piccolo brivido gli attraversò la schiena, Daniel non si fidava di
loro. E, se per questo, neanche lui si fidava completamente, ma per il momento doveva
andargli bene così. Erano gli unici che avevano acconsentito a dargli una
risposta sul suo passato, ma alle loro regole. Quando li aveva comunicato di
aver trovato una ragazza che aveva avuto la capacità di fargli ricordare
qualcosa che prima non sapeva nemmeno di aver vissuto, e cioè il ricordo di
quelle due figure, la donna dai capelli rossi e l’uomo dai lunghi capelli
biondi, Herik gli aveva detto che doveva vederla, doveva vedere quanto prima
Kathrine. E allora gli aveva detto che nella città di Parigi esisteva un
particolare passaggio dimensionale che permetteva di arrivare molto prima da
Nemesi, e quindi gli aveva chiesto di portarla lì con un pretesto. Daniel, solo
quella mattina, gli aveva detto: “Non mi
fido di loro, Kivar… fanno troppo i misteriosi, e poi ricordi come ti hanno
agganciato? Fermandoti all’ uscita dall’Accademia, all’inizio delle vacanze, e
chissà perché proprio nel giorno che avevi litigato con zia Blanche… sanno
troppo di te, Kivar… e se ti facessero del male?”.
“So
difendermi, Delet… e poi sono gli unici che vogliono aiutarmi, a parte te…
correrò il rischio…” gli aveva risposto velocemente, ma il cugino non si era arreso
e gli aveva insinuato un dubbio perforante nel cervello, che anche adesso non
gli dava pace.
“Vuoi
correre il rischio anche con Kathrine? E se facessero del male a lei? Lei non
sa difendersi, Kivar, a differenza di te…”.
Kevin
sobbalzò ancora a quel pensiero, mentre Kathrine continuava a guardare
l’edificio dell’Opera, dopo aver comprato una piccola guida, che stava leggendo
senza difficoltà nella traduzione inglese. Non potevano farle del male, e poi
per quale motivo? Volevano solo vederla per capire quello che a lui non era
riuscito di capire, ossia se ci fosse in lei qualcosa di strano o se invece
avesse fatto quel particolare effetto solamente a lui…
Sì,
è solamente questo… e se poi volessero farle del male… io non… io non… io non
glielo lascerò fare…
“Avanti,
spicciati!”. La chiamò nuovamente, afferrandola per il polso e trascinandola
dietro “Fino a cinque secondi fa, morivi dalla voglia di andare in albergo ed
adesso sei così vispa e pimpante! Prendi il tuo borsone, muoviti!”.
La
ragazza annuì, finalmente sorridente, e si lasciò guidare docilmente fino ad
una piccola stradina, costeggiata da un gran numero di piccoli fiorai
caratteristici che esponevano fuori dalle loro vetrine vasi di latta verde,
ricolmi di fiori profumati. Kathrine guardava tutto con avida curiosità, mentre
Kevin cercava di guardare tutto di sottecchi per non dare l’impressione di
eccessivo interesse.
Si
fermarono davanti ad una piccola porta di legno scuro, a vetri, che dava su un
accogliente interno dello stesso colore. Kevin trascinò dentro di nuovo
Kathrine, tenendola ancora per il polso e si avvicinò alla reception, dove
c’era un uomo di origine chiaramente indiana che li guardò entrambi con un
espressione di sorridente e sorniona complicità, scambiandoli in maniera
inequivocabile per due fidanzatini alla loro prima gita romantica. Peccato che
la ragazza sembrasse minorenne, se qualcuno fosse venuto a cercarli non avrebbe
potuto nemmeno appellarsi alla legge della privacy, che si disgregava anche
nella città dell’amore di fronte a dei genitori angosciati e preoccupati,
venuti a cercare i propri giovanissimi pargoli…
Guardò
un quaderno accanto a lui con le prenotazioni ordinate per nome, e mormorò
suadente: “Monsieur Shirayuki e Mademoiselle Shirogane, oui?”.
Kevin
annuì con il capo, chiedendo il numero della stanza, poi, quando l’uomo gli
porse la chiave della camera numero 112, chiese espressamente che non li fosse
passata nessuna telefonata, ad eccezione ovviamente di Daniel, Chiyo, Nick e
Grace, che erano i soli a sapere che fossero lì.
L’uomo
annuì con vigore e fece l’occhiolino ai ragazzi, mormorando qualcosa che Kevin
intese benissimo, ma che preferì non riferire a Kathrine. Quella lo avrebbe
linciato vivo, se avesse saputo la supposizione del proprietario dell’albergo…
Mentre
un fattorino prendeva i loro bagagli, i ragazzi salirono le scale sempre di
legno, arrivando fino ad una porta che recava il numero 112 in caratteri d’oro,
e fu allora che Kevin inserì nell’apposita fessura la carta magnetica.
Aperta
la porta, si trovarono in una camera molto ampia, di colore beige, con un
grande letto matrimoniale sempre con la testata di legno scuro, che si trovava
alla loro destra, mentre di fronte a loro, si apriva una grande finestra, con
una spaziosa veranda, che guardava direttamente all’Opera. Ai lati della
stanza, inoltre c’erano due poltrone di velluto bianco, e per terra un tappeto
dall’aspetto prezioso, proprio di fronte alla televisione e ad un piccolo frigo
bar. Alla loro sinistra, c’era la porta del bagno.
“Allora
che ne pensi?” chiese Kevin soddisfatto, voltandosi verso Kathrine, che era
rimasta in silenzio da qualche secondo.
Kathrine
si morse le labbra, prima di esplodere, poi gli urlò contro: “Ma ti sei reso
conto che qui c’è solamente un letto?! E dove dovrei dormire io?!”.
Kevin
la guardò sorpreso: “Con me, mi sembra ovvio…”.
Kathrine
arrossì e gli pestò con rabbia un piede, al cui gesto Kevin urlò di dolore: “Ma
sei impazzita, razza di mocciosa?!”.
“Perché
cavolo non hai preso due camere singole?!!”.
Kevin,
sedendosi sulla poltrona e massaggiandosi il piede, rispose: “Primo: perché due
camere singole costavano troppo e se volevano rimanere qui cinque giorni, non
ce l’avrei mai fatta…”.
Kathrine
lo interruppe nervosa: “Potevi prenotare in un altro albergo, questo è in
centro e costa certamente di più, idiota!”.
“Secondo:
perché, essendo privi di mezzi di trasporto personali, ci avremmo impiegato ore
per arrivare in centro e quindi era meglio stare nei paraggi. Terzo: perché
certamente avremmo dato meno nell’occhio, se ci avessero scambiati per due
fidanzati. Quarto: perché non ho alcuna intenzione di fare in questa stanza
nulla che si avvicina a ciò che stai pensando tu!”.
“Io
non ho mai pensato a niente del genere!” replicò imbarazzata Kathrine,
incrociando le braccia.
“E
allora lo vedi che non c’è nessun problema? Non essendoci la benché minima
attrazione sessuale da parte di entrambi, perché ti scaldi?!” le disse
arrabbiato.
Kathrine
cercò di arrampicarsi sugli specchi, balbettando ancora furiosa: “E-e se lo
s-sapesse C-Chiyo, l-lei non pensi c-che ci st-starebbe male?”.
“Se
Chiyo fosse la mia ragazza, potrei anche capire, ma non essendolo non c’è
motivo che si arrabbi… e poi le devi dire tutto per forza?!”.
Kathrine
lo guardò ancora scettica, non voleva fare la figura della piccola ragazzina
terrorizzata, già non le piaceva di solito, figuriamoci davanti a lui… e poi
ha detto che non gli piaccio, perciò di che cosa mi preoccupo? Quanto era
odioso però dirglielo così scortesemente e senza mezze misure… mentre sistemava
la sua valigia, si rese conto che lei invece quel discorso non poteva farlo.
Lui non le piaceva perché non era come si era sempre immaginato il suo ragazzo
ideale, una persona gentile e simpatica, che si prendesse cura di lei,
trattandola come il centro del suo mondo, ma esteticamente non poteva esimersi
dal dire che lui fosse, insomma, un bellissimo ragazzo.
Si
voltò piano verso di lui, che stava stravaccato in poltrona, mentre guardava un
programma televisivo, ovviamente tutto in francese. Era indubbiamente una
persona particolare, anche dal punto fisico. Era diverso da tutti i ragazzi che
conosceva, era diverso da Nick ed era diverso anche dal C.J. . Il suo corpo era
scultoreo, si vedeva chiaramente che era abituato a fare molto esercizio
fisico, che aveva modellato la sua muscolatura, lasciandola scattante ed
evidente, ma nemmeno in quella maniera esagerata che era tipica dei giocatori
di basket della sua scuola, ma in modo equilibrato ed armonioso. La sua pelle
era di un bel colore dorato, anche se erano in pieno inverno, e aveva le mani
affusolate e sottili, come quelle di una ragazza, ma levigate da quella leggera
rudezza tipica di ogni ragazzo. Il suo viso era chiaramente quello di un uomo,
non sembrava quello di un adolescente, a causa di un aria matura che i suoi
occhi prendevano molto spesso, e che nonostante il tono ironico che sfoggiavano
spesso le sue parole, non rifuggivano mai dal mostrare tutto quello che doveva
aver vissuto. Uno scrigno di ricordi, che però lei non riusciva a comprendere.
Quale era stata la vita di Kevin Shirayuki? La sua infanzia,la sua famiglia, i
suoi amici? A parte Daniel, chi aveva avuto accanto?
Ti
senti mai… solo?
Kathrine
scosse il capo, decisa, che razza di pensieri le venivano in mente… anche se
effettivamente non deve avere molti amici, se ha portato proprio me qui…
già, in effetti, a ripensarci, perché aveva portato proprio lei a Parigi?
Poteva portarci Chiyo, forse c’era anche maggiore confidenza rispetto a quella
che esisteva tra loro, in fondo erano anche usciti insieme, e invece ci aveva
portato lei. Perché? Più ci pensava e più non ne veniva a capo… aveva bisogno
di parlare con qualcuno, ma doveva assolutamente escludere Grace e Chiyo,
perciò, dato che doveva chiamare i suoi, decise di andarsi a fare una
passeggiata, e approfittare per chiamare loro e, se ci fosse riuscita, Nick.
“Io
esco… voglio fare una passeggiata…” mormorò all’indirizzo di Kevin che la
guardò assolutamente contrariato: “Non se ne parla proprio… e se ti perdi?
Ricordati che la responsabilità è mia, tu sei ancora minorenne…”.
“Smettila
per piacere… tornerò presto, e se mi perdo, troverò il modo di tornare… chiederò
informazioni…” borbottò, infilandosi il cappotto e il basco.
“Ma
se non parli una parola di frances…”. Kevin si interruppe, dato che lei era già
uscita, sbattendo rumorosamente la porta. Sospirò lungamente, certo che era
cocciuta quella dannata ragazzina, meno male che almeno conosceva bene
l’inglese, altrimenti sicuramente si sarebbe persa. E, quel che peggio, sarebbe
stato andare a cercarla, non sapendo nulla della topografia parigina.
“E’
davvero una ragazza graziosa, non c’è che dire…”. Kevin sobbalzò, voltandosi
qua e là e cercando da dove era arrivata quella voce sottile e morbida. In un
angolo della stanza, le braccia conserte e l’espressione minacciosamente
divertita, c’era una ragazza. Non una ragazza terrestre, ma una chiaramente
aliena per via delle orecchie a punta che spuntavano dai suoi capelli.
Indossava una stretta tuta di colore argenteo, che metteva in mostra il fisico
invidiabile, sopra a degli stivali dello stesso colore. I suoi capelli di
colore corvino erano arricciati e corti ed arrivavano quasi alle sue spalle.
Coprivano in parte i suoi occhi sottili ed allungati di colore dorato.
“Melissa!
Mi hai spaventato!” mormorò Kevin, premendo una mano sul petto, contenendo i
battiti decisamente accelerati del suo cuore.
La
ragazza avanzò nella camera, sinuosa come un felino, e si fermò davanti a lui:
“Non dovreste mai avere paura, Vostra altezza… soprattutto considerando ciò che
vi apprestate a fare…”.
“Io
non sono Vostra Altezza per nessuno… non capisco perché tu ed Herik continuate
a chiamarmi così…” replicò leggermente infastidito Kevin, nemmeno su Nemesi era
chiamato in quella maniera.
Melissa
rise divertita: “Se lo facciamo, non credete che debba esserci un motivo?”.
“Un
motivo che mi sembra, non posso ancora conoscere…”.
“Assolutamente
no, Vostra altezza… dovrete scoprirlo da solo, forse non ci credereste mai… in
fondo, vostra madre non ve ne hai mai parlato, e anche questo dovrebbe avere un
motivo…” riprese lei, insinuante.
“Mia
madre temeva che non ci credessi?” chiese Kevin, come se fosse ipnotizzato
dalle parole di quella ragazza.
“Credo
che lei e vostro padre credevano piuttosto che ci avreste creduto troppo…”
concluse sibillina Melissa, voltandosi verso una poltrona ed osservando
divertita qualcosa che aveva lasciato Kathrine.
“Quindi
è lei… è lei, la ragazza che vi ha fatto quello strano effetto…” chiese ancora
interessata la ragazza, osservando adesso Kevin, che annuì.
“Indubbiamente
è una bella ragazza… non è che davvero il suo potere ha effetto solo su di voi?
In un modo spaventosamente troppo consueto e normale?” chiese in modo
fastidiosamente carezzevole Melissa.
Kevin
si alzò irritato e disse: “Niente di tutto questo… lei mi ha fatto qualcosa di
strano la prima volta che l’ho vista… mi ha fatto rivivere qualcosa che credevo
di non aver vissuto, ma che adesso so di aver solamente dimenticato… quelle due
persone, la donna e l’uomo… continuano a passare nel mio cervello, e tanto più
vedo Kathrine, tanto più le vedo con maggiore chiarezza… il padre di Kathrine
era amico del mio… non mi sembra solamente una coincidenza…”.
“Non
lo è affatto, Vostra Altezza…” replicò ancora Melissa enigmatica “I vostri
genitori si conoscono molto bene e anche da parecchio… il padre e la madre di
Kathrine Shirogane, così come i vostri genitori e quelli di Delet, suo cugino,
sono amici da diversi anni…”.
“Perché?”
chiese ancora Kevin, poi, vedendo la solita espressione di Melissa, completò
rassegnato: “Scommetto che devo scoprirlo da solo…”.
“Esattamente,
Altezza… io ed Herik vogliamo solo capire se Kathrine Shirogane è un entità
dotata di poteri magici…”.
“E
se così fosse?” chiese Kevin, leggermente impensierito.
“Alcune
cose cambierebbero…”.
“Cosa,
esattamente?”.
“Dovremmo
decidere se non sia pericoloso per voi frequentarla, ed allora dovreste
immediatamente tornare su Nemesi… in caso contrario, dovreste invece restare
quanto più possibile accanto a Kathrine Shirogane, soprattutto se i nostri
sospetti dovrebbero rivelarsi giusti…”.
Mentre
Kevin annuiva, la porta si aprì, rivelando Kathrine che era tornata, dato che
aveva dimenticato il cellulare in camera. La biondina guardò stupita l’altra
ragazza: chi diamine era e che ci faceva in camera sua? Il viso di Kevin,
spaventato alla possibilità che Kathrine si rendesse conto che Melissa non era
umana, certo confermava a Kathrine ben altri sospetti, anche perché Melissa
aveva assunto alla velocità della luce un aspetto pseudo-terrestre.
“Scusatemi,
non volevo disturbare…” replicò Kathrine velocemente, afferrando il suo
cellulare, vistosamente rossa in viso.
“Tu
devi essere Kathrine, l’amica di Kevin…” esordì Melissa, in tono zuccheroso
all’indirizzo dell’altra giovane “Io sono Melissa e sono una sua vecchia amica
d’infanzia… appena ho saputo che era tornato, mi sono precipitata a trovarlo…
spero non ti abbia dato fastidio…”.
“Assolutamente
no…” sorrise Kathrine “Il mio nome è Kathrine Shirogane, piacere di
conoscerti…”… eccola là la risposta alla sua domanda… altro che ragazzo solo
e disperato… ne ha di amici ed amiche, eccome…
Melissa
mormorò ancora mielata: “Come sei carina! Quanti anni hai? Quattordici?”.
Kathrine
si morse il labbro, cercando di frenare la rabbia, che la stava prendendo. Meno
male che aveva fatto molta pratica con Chiyo…
“Veramente,
ne ho sedici e mezzo…” replicò sorridendo,e di fronte al suo viso a Kevin sfuggì un sorrisetto. Certo che era
dotata di un autocontrollo quella ragazza in alcune situazioni… sembrava
assolutamente calma e serafica, mentre lui sapeva benissimo quanto odiasse
essere creduta più piccola della sua effettiva età…
Melissa
non si scompose minimamente e le chiese: “Volevi qualcosa?”, dando così
contemporaneamente l’impressione di averli disturbati e di volerla cacciare,
messaggio che Kathrine recepì benissimo tanto che disse, sempre sorridente:
“Nulla, avevo solamente dimenticato il mio cellulare… devo fare una
telefonata…”.
“Al
tuo ragazzo?” chiese ancora Melissa, e a quella domanda Kathrine si congelò,
cercando di reprimere ancora la rabbia, poi si rasserenò e pensò ad una cosa… in
fondo sto per chiamare Nick, che è un ragazzo… ed in fondo siamo stati assieme
tre giorni all’asilo… basta che non venga più considerata una mocciosa davanti
a questi due…
“Sì,
qualcosa del genere… bè, ciao…” replicò con il sorriso più convincente che le
uscisse fuori, e con l’aria più fittizia e dissimulatrice che i geni di Ryan
Shirogane le avessero trasmesso. Chiuse la porta piano e si appoggiò ad essa…
se dopo quel cretino gli avesse fatto qualche domanda… al diavolo, mi
inventerò qualcosa al momento…
Scese
le scale, salutando il proprietario dell’albergo, che tramite una breve
conversazione di qualche minuto in perfetto inglese, aveva saputo chiamarsi
Riad, e a cui aveva raccontato tutta la storia, e cioè che lei e Kevin non
stavano assolutamente assieme, ma che erano lì per sbrigare delle cose urgenti
di nascosto dalla famiglia dello stesso ragazzo. Riad la salutò con affetto,
già conquistato dalla ragazza metà giapponese e metà americana.
Kathrine
uscì fuori e si incamminò per le allegre strade di Parigi, e ad ogni vetrina si
fermava, spesso entrando in qualche negozietto caratteristico, tanto che in una
mezz’oretta aveva già comprato una sciarpa per la madre, un libro per suo padre
e un peluche per il fratello, oltre che tutta una serie di prodotti tipici per
i suoi nonni, che adoravano la cucina francese. Si fermò su una panchina, e
mangiucchiò una crepe alla nutella, poi guardò l’orologio e vide che erano le
sei e mezza. Suo padre era a S.Francisco, dato che era lunedì e lì adesso erano
le dieci e mezzo di mattina. Forse era meglio chiamare prima lui… in fondo era
così preoccupato per lei, e poi a Tokyo erano le due di notte o giù di lì…
Compose
il numero, dopo il prefisso internazionale, e chiese di lui alla sua
segretaria, Debora.
“Te
lo passo subito, Katy…” le disse amabilmente, poi sentii un: “Hello?” in chiara
voce maschile.
“Ciao
papà!” disse allegra, stringendo il piccolo telefono portatile.
Ryan
si riassettò sulla poltrona di pelle nera della sua scrivania, voltandosi verso
la finestra, che dava sugli alti grattacieli di S.Francisco, e disse: “Ciao
tesoro! Come stai? Sei arrivata?”.
“Sì,
papà, sono arrivata un’oretta fa… ora ti parlo da una panchina in Boulevard
qualche cosa… non riesco a leggere bene il nome della strada…”.
“Sei
da sola?” chiese Ryan preoccupato… e va bene che aveva ceduto anche di fronte
al sospetto che sua figlia fosse in vacanza da sola con uno che era
praticamente un uomo, ma che la lasciasse pure da sola…
“Sì,
ma sto bene così, papà…” disse tranquilla “Qui capiscono tutti l’inglese, e
allora parlo così… ho fatto amicizia anche con il gestore dell’albergo, si
chiama Riad, è indiano ed è molto simpatico!”.
“Quanti
anni ha?!” chiese ancora Ryan, geloso.
“Non
lo so… una cinquantina…”.
Ryan,
più calmo, chiese: “Allora stai bene?Ti stai divertendo?”.
“Mi
mancate già tantissimo, tu e la mamma e Miky…” disse lei sottovoce, poi riprese
più decisa e stizzita: “Anche perché qui la compagnia non è delle migliori…”.
Ryan
sogghignò tra sé e sé… almeno ‘sto Kevin non si comporta da perfetto
fidanzato…
“Tra
qualche giorno sarai di nuovo a casa, tesoro…” la rassicurò “Mi raccomando,
stai attenta e divertiti… poi ci racconti… più tardi, cerca di chiamare la
mamma, o mi crocifigge fino a quando tu rimani lì!”.
“Non
ritorni a casa, papà?”.
“Devo
rimanere a S.Francisco per una settimana almeno… ma quando torni, ti vengo a
prendere dall’aeroporto…”, poi ripensando alla possibilità di dover scoprire se
effettivamente sua figlia era andata in vacanza da sola con Kevin Shirayuki,
aggiunse veloce: “Oppure ti aspetto comunque a casa…”.
“Ok…
adesso vado… ti voglio bene papà…”.
“Anch’io,
tesoro… mi raccomando…” disse Ryan, prima di riagganciare, con un leggero
sorrisetto sul viso. Forse si era preoccupato troppo… in fin dei conti,
Kathrine era una ragazza risoluta e sapeva il fatto suo… almeno in quello non
aveva preso da quell’ingenua di sua madre, ma da lui, che, senza falsa
modestia, sapeva sbrogliarsela in situazioni ben complicate, senza farsi
prendere dal panico o dall’isteria, come spesso faceva Strawberry… sorrise
ancora, se Strawberry avesse saputo che l’aveva apostrofata mentalmente in
quella maniera, lo avrebbe picchiato a sangue… aprì un cassetto alla ricerca di
un documento, che doveva analizzare, e non pensò più alla sua preoccupazione.
Kevin
guardò l’orologio sul comodino, distogliendo per qualche istante lo sguardo
dalla televisione. Le nove e mezzo… che diamine di fine aveva fatto quella
svampita di Kathrine? Era uscita ormai da tre ore… Melissa se ne era andata da
tempo, dopo averlo lasciato con la solita dolceamara sensazione di pura
insoddisfazione nel parlare con lei, e si erano accordati affinché li portasse
Kathrine di lì a quattro giorni, il giorno del loro ritorno a Tokyo. Le aveva
chiesto che cosa le avrebbero fatto e Melissa aveva risposto come al solito
scarsamente rassicurante: “Nulla di irreparabile…”.
Ma
intanto Kathrine non era ancora tornata, forse si era messa in testa che
Melissa fosse una sua fidanzata segreta o qualcosa del genere ed era corsa a
dirlo a Chiyo… non che gli importasse, poteva pensare quello che voleva sia lei
che la sua amica, ma Parigi poteva anche essere la città più bella del mondo,
ma era pur sempre un luogo pericoloso per una ragazza straniera che vi girasse
da sola. Imprecando tra sé e sé, afferrò il cellulare e si apprestò a
chiamarla, quando sentì il rumore della porta che si apriva e Kathrine che
rientrava. Gettò velocemente il cellulare e si ributtò sulla poltrona, fingendo
di essere totalmente preso dal programma che stava seguendo e di non essersi
nemmeno accorto del suo ingresso.
Lei
entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Appena lo vide, sospirò ed alzò gli
occhi al cielo con espressione infastidita, tirando dritto. Kevin, senza
distogliere lo sguardo dalla televisione, le chiese: “Dove sei stata?”
Lei,
togliendosi il cappotto e stiracchiandosi, appoggiò numerosi pacchetti che
aveva per le mani sul letto, poi rispose velocemente: “In giro…”
“Riad
ha servito la cena un’ora fa… qui mangiano presto, ragazzina… e adesso rimarrai
a digiuno, fino a domani mattina!” la schernì lui sadicamente, ma lei non si
scompose minimamente e estrasse dalle sue buste un libro dalla copertina
colorata e, afferrata una penna dal comodino, iniziò a scribacchiare qualcosa,
dopo avergli risposto: “Avevo già mangiato fuori, caro il mio ragazzo
presuntuoso ed odioso… sono andata in metropolitana a Montmatre… e comunque
Riad mi aveva lasciato qualcosa…”.
“Sei
andata a Montmatre da sola?!” le chiese più sorpreso che preoccupato.
Kathrine,
continuando nella sua splendida interpretazione di donna matura ed indipendente
che le aveva suggerito Grace al telefono, si alzò chiudendo il libro e disse,
dirigendosi verso il bagno: “Sì, se aspetto te, divento vecchia… mi faccio una
doccia, buonanotte…”.
Kevin
la guardò a bocca aperta entrare in bagno, non sospettando minimamente che la
stessa ragazza che lo aveva praticamente smontato, era la stessa che adesso,
chiusa la porta del bagno, stava improvvisando
LA-DANZA-DELLA-VITTORIA-SULLO-SPORCO-NEMICO-BIANCO degli indiani d’America, che
le aveva insegnato suo padre, quando era bambina.
Kathrine,
fischiettando, si spogliò e si infilò sotto la doccia, lasciando che l’acqua
calda lavasse via il ricordo di quella giornata. Tutto sommato la vacanza era
cominciata proprio bene… e forse le aveva fatto bene sentire suo padre, Grace e
Nick al telefono. Era talmente triste che alla fine li aveva chiamati entrambi,
trovandoli svegli e addirittura insonni a causa della sua mancata telefonata;
erano dei veri amici: Nick, come al solito, l’aveva calmata e l’aveva esortata
a non agitarsi per non rovinarsi la breve vacanza, mentre Grace le aveva detto
che doveva fare capire a Kevin Shirayuki che lei non era affatto la bambina che
pensava, ma invece era una donna fatta e finita. Inutile dire che Grace aveva
continuato ad insistere su tutti i metodi che avrebbe dovuto usare per
conquistare Kevin, ma quelli le erano entrati da un orecchio ed usciti
dall’altro, invece aveva ascoltato con attenzione, talvolta comunque
filtrandoli, i consigli che le dava per fargli cambiare l’immagine che aveva di
lei. Non se ne sarebbe andata da Parigi, se non gli avesse fatto capire che non
era assolutamente la piccola ragazzina che pensava…
Si
mise l’accappatoio e si spazzolò i lunghi capelli bagnati, poi si accorse che
aveva dimenticato di prendere il pigiama, quando aprì piano la porta e spiò
all’interno della stanza, accorgendosi che Kevin si era appisolato davanti alla
televisione. Lo vide sobbalzare e svegliarsi, per poi alzarsi dalla poltrona,
stropicciandosi gli occhi e sbadigliando. Si tolse la maglietta, rimanendo a
petto nudo, e poi si mise a letto, coprendosi con il lenzuolo. Kathrine scosse
il viso, diventato improvvisamente infuocato, poi aprì la porta e con nuova
indifferenza rientrò nella camera, afferrando la sua valigia. Ma la sua
passerella fu perfettamente inutile, perché tanto Kevin era già scivolato nel
mondo dei sogni e respirava regolarmente, voltato di lato. Allora si rilassò e
aprì la valigia, cercando il suo pigiama, che doveva essere finito in fondo
alla borsa. Ma al suo posto emerse invece una piccolissima vestaglia di raso
color panna, che Kathrine guardò senza capire. Per un attimo, pensò di aver
scambiato il suo bagaglio con qualcuno all’aeroporto, poi si ricordò che prima
vi aveva uscito il proprio beauty case, e quindi doveva essere per forza la sua
borsa; poi si accorse di un piccolo post it attaccato sul retro del minuscolo
indumento: Kitty, se non ti facevo dare io una
mossa, non avresti combinato niente con quel tuo pigiama rosa con i
coniglietti! Questa è di mia mamma, ma non le va più, dopo la nascita di Teddy!
Tienila pure e non mi ringraziare troppo, mi raccomando! Grace
Mi
ha cambiato il pigiama! Ecco perché l’altra sera si impuntò tanto perché le
prendessi il succo di frutta alla pesca, invece che quello all’arancia! Voleva
rimanere da sola con la mia valigia! Accidenti a lei! E adesso che faccio?
Guardò
meglio il microindumento… scosse il capo, non poteva indossarlo, non poteva!
Era praticamente un fazzoletto di stoffa! Chissà quel malato di mente che cosa
si sarebbe messo in testa… rivoltò la borsa da capo a piedi, ma non c’era
niente che avrebbe potuto indossare come pigiama, ma solo pochi ricambi di
vestiti che erano di vitale importanza. Si guardò attorno terrorizzata, come se
si aspettasse di vedere spuntare un enorme mostro dalle ombre della camera,
cercando una qualsiasi tipo di soluzione, ma non ce ne erano. Poi tentò di
calmarsi, respirando profondamente, e cercò di ragionare. In fondo Kevin stava
dormendo profondamente e non l’avrebbe vista, bastava che l’indomani si fosse
svegliata prima di lui e lui non l’avrebbe vista, perché intanto si sarebbe
cambiata. Sorrise tra sé e sé, pensando che il giorno dopo avrebbe potuto
comprarsi finalmente un pigiama decente, senza dare alcun tipo di spiegazioni a
quell’idiota. Si drappeggiò addosso la sottile sottoveste, che poi indossò
osservando con un sorriso il proprio riflesso in uno specchio. Stava davvero
bene, se non si fosse trattato di Kevin probabilmente l’avrebbe tenuta davvero…
chissà che impressione avrebbe potuto fare su un altro ragazzo, uno come… uno
come… C.J. … Kathrine scosse ancora la testa, fermando gli occhi che si
andavano illuminando di piccole lacrime, forse Grace le aveva fatto quella
specie di regalo proprio per quello, perché intimamente era convinta che lei
pensasse ancora a C.J. . Sorrise nella sua mente, perdonando il tiro mancino
della sua migliore amica solo perché Grace dimostrava di preoccuparsi sempre
per lei, anche se poi rimediava alla sua ansia in quelle maniere certamente
poco ortodosse che le erano tipiche. In poche parole, si fissava su una cosa e
non la lasciava più in pace. E l’attuale fissazione di Grace era che lei doveva
innamorasi quanto prima di Kevin Shirayuki, possibilmente ricambiata.
Si
infilò a letto, facendo attenzione a non svegliare Kevin che dormiva
placidamente, una mano sotto il cuscino e il volto apparentemente sereno. Si
raggomitolò su un lato, quanto più lontana da lui, coprendosi quanto più poteva
con la coperta e il lenzuolo ed arrossì senza alcuna spiegazione, vedendolo
muoversi leggermente. Sorrise dolcemente nel vederlo con quella sua espressione
strana, quella di un bambino che dormiva tranquillo, riposando in un mondo
luccicante di principesse e di fate, e che era così strana rispetto al suo
volto solito. Il suo volto solito che, tanto per intenderci, tutto era tranne
che tenero, anzi era decisamente odioso. Tentata di avvicinarsi di più a lui,
per osservarlo meglio, alla fine scosse violentemente il capo, dandosi della
cretina, si girò dall’altro lato, per poi addormentandosi profondamente.
Ma
quello che a Kathrine sembrava uno sonno innocente e tranquillo era invece
l’esatto contrario per Kevin. Dietro le sue palpebre, si nascondevano delle
immagini che il ragazzo non sapeva decifrare e che ormai lo perseguitavano da
qualche giorno, ed ogni volta si aggiungevano sempre più particolari. Quella
notte, nelle nebbie del sonno, egli stesso notò che le immagini erano
stranamente più nitide e, in un lampo di lucidità assonnata, concluse che
doveva essere perché stava dormendo accanto a Kathrine.
Nel
suo sogno, Kevin si trovava su Nemesi. Era una calda mattina di una di quelle
brevi estati che il suo pianeta conosceva per pochi e preziosi giorni, per il
resto era sempre dominato da un rigido e freddo inverno. Era in un parco vicino
al palazzo, dove viveva e dove sua madre lo portava quando era bambino, e che
si chiamava “Il Parco dei due Re”. Gli alberi di magnolia erano pieni di
delicati fiori, che spandevano il loro profumo dolce e che gli ricordava quella
mattine passate con sua madre a correre per gli alberi, prima che lui avesse
avuto la capacità di capire che quella stessa incantevole e dolcissima donna
gli teneva nascosto un segreto, che celava dalla sua nascita. Nel sogno, lui
aveva di nuovo il suo consueto aspetto, quello alieno, che non era molto
dissimile da quello umano, ad eccezione ovviamente delle orecchie a punta, ed
indossava la divisa militare bianca ed oro, che portava nelle grandi occasioni
su Nemesi. Sentiva la spada battere contro il suo fianco, ed era per lui rassicurante
sentirla, come se stesse affrontando un grande pericolo, mentre avanzava, come
se fosse ubriaco, tra quegli alberi familiari e silenziosi, illuminato dalla
luce accecante del sole. Ad un tratto, gli capitava di sentire qualcosa, come
il canto di un uccello che attirava la sua attenzione, e allora si dirigeva
verso una piccola radura, anch’essa stranamente nota, dove c’era un’altalena
che sembrava sospinta da una bambina che rideva gioiosamente. Quando si
avvicinava, lento ed insicuro, scopriva che non si trattava di questo, che non
era una bambina, ma una ragazza più o meno della sua stessa età. Le altre
notti, quel volto era reso troppo luminoso dalla luce del sole, ma quella sera
per la prima volta riuscì a guardarlo bene, inspiegabilmente era ben
distinguibile. Si avvicinò ancora fino ad un passo da lei, che continuava a
sospingersi, ridendo e gridando di gioia, e finalmente la vide in faccia quella
donna che faceva capolino da anni nei suoi pensieri. Era una ragazza aliena,
non molto alta, che indossava una lunga tunica di colore bianco e che lo
guardava felice, continuando a ridere. Era sicuro di non averla mai vista, ma
nonostante questo gli sembrava familiare. Sbattendo le palpebre, si accorse del
perché. Era la copia della madre di Kathrine, di Strawberry Shirogane. Aveva
lunghi e lucidi capelli rosso scuro, come Strawberry,solo i suoi occhi splendevano di una luce diversa, un bel viola
ametista, che rideva come la sua bocca. Era lei la donna che lo tormentava da
anni; nel sogno, si guardò attorno come alla ricerca di quell’uomo biondo,
sempre presente in quei suoi frammenti accanto a lei.
Lei
lo guardò, scoppiando a ridere e gli chiese: “Chi stai cercando? Lui non è qui…
non era quello che hai sempre voluto?”.
Tornò
a guardarla, quasi meravigliandosi che si stesse rivolgendo a lui, e le chiese
esitante: “Io non capisco… non capisco di chi stai parlando… chi è che avrei
voluto sempre lontano? E poi tu chi sei?”.
Lei
rise ancora, e poi gli rispose: “Come chi sono?! Hai distrutto tutta la tua famiglia
per me, e adesso te lo sei dimenticato?”.
“La
mia famiglia?” chiese pallido, forse alludeva ai suoi genitori, addolorati
dalla sua scomparsa da Nemesi, e sicuramente preoccupati per lui; allora
aggiunse: “Stai parlando di mia madre e di mio padre?”.
Lei
rise e si alzò dall’altalena, dicendogli: “Anche di loro… ma principalmente sto
parlando di lui…”.
Stava
per interrogarla ancora, ma lei scoppiò a ridere e prese a correre, chiamandolo
a gran voce affinché la prendesse. Sentì un formicolio lungo i suoi arti. Il
desiderio di lei, quello di stringerla e di baciarla fino a possederla per
sempre, lo spinse a correrle dietro, cercando di afferrarla, mentre lei
correva, sfuggendogli tra gli alberi. Non c’era alcun dubbio, quella donna non
poteva essere qualcosa che aveva minimamente assomigliato ad una madre per lui…
la ricordava come una ragazza da quando era bambino, e non era una sua
coetanea… ma allora perché voleva averla più di qualsiasi donna avesse mai
visto?
Si
slanciò smaniosamente in avanti, riuscendo a prenderla per il polso, e,
cadendole addosso, la strinse tra le sue braccia, chinandosi a baciarla, sempre
con la sua risata nelle orecchie. Divorò nelle sue le labbra di lei, una
sensazione dolceamara in bocca, ma quando si staccò da lei, il suo volto era di
nuovo avvolto da quella luce accecante e la sua risata si era fatta un suono
acuto e fastidioso, come il verso di un animale ferito. Si stropicciò gli
occhi, cercando di sollevarsi, ma non ci riusciva, si sentiva debole,
dannatamente debole e stanco. Guardò la mano con cui la teneva stretta e si
accorse con orrore che era piena di sangue. Chiuse forte gli occhi, cercando di
concentrarsi per riuscire a vederla ancora, e capire che cosa le era successo,
ormai la sua risata era un pianto straziante. Ma quando li riaprì, ebbe la
sorpresa peggiore che potesse immaginarsi.
Sotto
di lui, adesso c’era Kathrine Shirogane.
Il
suo volto era turpemente bagnato di lacrime e sangue, e lei lo guardava con
terrore e con orrore, gli occhi castani spalancati come quelli di un cucciolo.
Gli si strinse il cuore e un’ondata di ghiaccio gelido gli cadde lungo la spina
dorsale, mentre la guardava senza capire e sentiva quel suo pianto penoso,
simile al respiro di un angelo.
“Kathrine…”
la chiamò.
“Perché
mi hai fatto questo?!” gli urlò contro, continuando a piangere e respirando a
fatica “Perché mi hai fatto così male?! Io mi fidavo di te, e mi hai ucciso, tu
mi hai ucciso, Kivar! Sei un assassino! Sei un assassino, Kivar!”.
Come
sono perfida, interrompo sempre al momento sbagliato vero? sicuramente vi
starete chiedendo che cosa significa questo sogno! State tranquilli, lo
scoprirete presto! In quanto alla ragazza del sogno, immagino si sia capito chi
sia; è ovviamente Elissa e Kivar sta iniziando a ricordarsi di lei. E adesso ha
anche capito che non è sua madre, ma che sicuramente è una cosa diversa per
lui! Sono contenta di essere arrivata a questo punto, temevo di non arrivarci
mai a Parigi, ma per fortuna la mia ispirazione è tornata! Sono iper mega
felice e ho milioni di idee per come proseguirà la storia!!!!
Come
sempre, passo ai ringraziamenti:
KillKenny:
che
bello ritrovare anche te! Sono sempre felice quando ritrovo coloro che hanno
seguito BMAY!!! Non ti preoccupare per le recensioni mancate nella scorsa storia,
ti rifarai con questa! Scherzo! Sono felice che ti piaccia, soprattutto per
Kevin e Katy, non sembra, ma questi due sono difficili da gestire! Kathrine
soprattutto! Come si fa a mettere assieme il carattere di Strawberry e quello
di Ryan? Insomma è una bella impresa! Ho notato che il tuo voto rispetto a
quello dell’altra fic è salito (ebbene sì, io mi ricordo tutto!) quindi sono
anche più contenta! Grazie tantissimo!
Aya
chan: sono
tanto arrabbiata con te, ma quando arriva il prossimo capitolo della tua
storia? Non puoi lasciarmi in ansia così a lungo, farmi morire così
d’angoscia!!!!! Soprattutto adesso che ho azzeccato il magico nome e
soprattutto adesso che so che il magico nome è quello che noi due sappiamo!!!
Buah, sono così infelice! Comunque tornando alla mia storia, ti ringrazio tanto
per avermi tolto il dubbio atroce che questa storia fosse noiosa perché è
troppo incentrata su Kathrine! Ho molte idee per Ryan e Strawberry, e tu sarai
la prima a saperle… ovviamente quando questo maledetto computer si sarà
ripreso! Purtroppo, non ho ancora possibilità di mandare e leggere mail, devo
aspettare che la mia amica torni dalla Germania! Poi la blocco e uso il suo
computer! Ti mando assolutamente la mia fic su Harry, anche perché mi sono
bloccata sul finale!!!! Mi devi aiutare!!!
Hermy
6: grazie
come sempre pazzerella mia! Spero che ti sia goduta fino in fondo lo scorso
capitolo, dedicato a te! Ti prometto che intensificherò le scene con Ryan e
Strawberry, ma almeno per un po’ devo lasciarli in Giappone! Per adesso,
dobbiamo starcene in Francia! Ma quando si torna…
Mew
Pam:
grazie cicci! Per capire chi è C.J., non dovrai aspettare molto… per capire
cosa ha fatto, un po’ di più! Sono contenta che Kevin ti piaccia! A me a volte
indispone mentalmente, ma sotto sotto piace tantissimo anche a me! E comunque a
Parigi ne accadranno delle belle, basta aspettare…!
Black_
Pill: grazie
della recensione! Anche se breve, era significativa! Perdonami, ma oggi sono
davvero in vena di battute squallide!!!!
Un
enorme bacio a tutti coloro che leggono soltanto, ma lasciatemi anche due
righe, io non mi offendo mica! Ciao ciao da Cassie chan!!!!
Kevin si svegliò di soprassalto, la fronte imperlata di
sudore freddo e il cuore che gli batteva a mille. Si riadagiò sul cuscino,
leggermente illuminato dalla prima luce del sole di Parigi, e si mise una mano
sulla fronte. Lunghi brividi di freddo li sfibravano i muscoli, e per la prima
volta nella sua vita provava una paura cieca ed irrazionale di quello che aveva
visto. Forse doveva tornare a casa, forse doveva dimenticare tutto e continuare
a vivere, tornare da sua madre e da suo padre e da quel loro rassicurante
silenzio… dimenticare quella donna e la sua risata, e quel suo arcano segreto,
quel suo essere la prima sua donna e l’essere lontana anni luce da essere sua
madre. Forse doveva… e poi doveva riportare a casa Kathrine… restituirla a sua
madre, a suo padre, a suo fratello, ai suoi amici, prima di farle del male…
Prima
di ucciderla…
Con un brivido, si accorse che Kathrine non era accanto a
lui in quel letto troppo grande e troppo freddo. Si alzò a fatica seduto, e si
guardò, notando poi che lei era già sveglia. Rimase a bocca aperta nel
guardarla, come se la vedesse per la prima volta, il suo cuore che perse un
battito. Lei non si era minimamente accorta di lui, né del suo sogno, né di
quella sua ansia. Era seduta dietro la finestra, vicino ad una tavola imbandita
di tutto punto, e nonostante fossero le sei, era perfettamente riposata; stava
facendo colazione e notò con curiosità che stava mangiando delle fragole, che
portava alle labbra con lentezza, una dopo l’altra. All’inizio pensò che non se
ne fosse accorta, immaginando una sua reazione di disgusto immediata, e magari
anche una corsa in bagno per lavarsi la bocca, ma poi capì che lo stava facendo
apposta ad intingere ogni fragola con della salsa tabasco. Lo faceva con tranquillità,
serenamente, come se intingere delle cose dolcissime con altre piccanti fosse
una cosa perfettamente normale. Non distoglieva lo sguardo dal quotidiano che
stava leggendo con interesse, una mano ad attorcigliare le piccole onde che
cadevano lungo il suo collo, sfuggendo dal resto dei capelli tenuti in alto.
Seguì il suo collo e poi le linee dolci del suo corpo, coperto solo da una
sottile sottoveste di raso, che non le arrivava nemmeno al ginocchio.
All’improvviso, lei spalancò gli occhi, accorgendosi di
essere fissata e si girò verso di lui, che la stava ancora guardando,
leggermente sporto oltre la coperta, il torso ancora nudo come la sera prima.
Si guardarono confusi per qualche momento, poi Kathrine che si era
completamente dimenticata della delicata faccenda “Pigiama”, si accorse che lui
aveva uno strano colorito e sembrava spossato.
“Che hai?” gli chiese, attraversando la camera e sedendosi
sul letto accanto a lui
“N-niente…” balbettò lui, rosso in viso, ritraendosi da lei
e voltandosi dall’altra parte
“Smettila di fare il bambino!” lo rimproverò lei, poi lo
prese per il mento con la mano, costringendolo a voltarsi verso di lei: “Fammi
vedere… non hai una bella faccia stamattina!”
“Sto benissimo! Lasciami stare!” le disse lui nervoso e
ancora rosso in viso, divincolandosi scontrosamente dalla sua stretta e
cercando di alzarsi dal letto. Così facendo, Kathrine per non essere travolta
da lui, si fece indietro bruscamente, ma andò ad inciampare in una piega del
tappeto che era sotto il letto, rischiando di cadere all’indietro. Kevin,
accorgendosene e temendo che si facesse male, l’afferrò prontamente per la
vita, attirandola verso di sé, ma così la ragazza finii direttamente tra le sue
braccia.
Kathrine, la guancia premuta sul suo torace, arrossì violentemente,
mentre sentiva che il cuore sarebbe scoppiato da un momento all’altro dal suo
petto. Temeva persino che lui arrivasse a sentire il battito del suo cuore, per
quanto era forte. Le braccia di lui la stringevano ancora dolcemente e
continuavano a trattenere il suo corpo stretto contro il suo. Anche Kevin era
arrossito, la sensazione del sogno che si faceva più intensa, mentre guardava
con espressione confusa i capelli biondi di Kathrine sotto di lui. Lentamente,
le sue mani dall’essere solamente appoggiate sui fianchi di lei, si mossero
sulla sua schiena, finendo per intrecciarsi sul tessuto lucido della sua veste,
circondandola ancora più saldamente di prima. Kathrine sentì un lungo brivido
attraversarle la schiena, e finalmente ebbe il coraggio di staccare il volto da
lui, e volgere lo sguardo in su verso i suoi occhi blu, colmi anch’essi di
piacevole stupore.
“Ti s-sei fatta male?” le domandò lui in un sussurro, ancora
vistosamente arrossito
Kathrine negò con il capo e mormorò: “N-no, sto b-bene… a-almeno
c-credo…”
Kevin, come se fosse in preda ad una meravigliosa
ubriacatura, staccò una mano dalla sua schiena e le accarezzò piano i capelli,
mormorandole: “Scusami, non volevo farti cadere… sono solo un po’ nervoso…”
Kathrine, la mente anche in lei stupendamente ebbra, chiese
avvicinandosi di più al suo viso: “Per m-me? S-sei nervoso per colpa m-mia?”
Le sorrise dolcemente, continuando ad accarezzarle i capelli
delicatamente: “No, non per te, Katy… anzi se tu non ci fossi probabilmente
sarei più vittima dei miei pensieri… g-grazie per essere qui, so che per te non
è facile rimanere con me…”
Anche lei sorrise e rispose in un bisbiglio: “A volte è un
po’ difficile, ma credo di farcela fino alla fine della vacanza…”
“Grazie Katy…” le sussurrò ancora, sporgendosi poi per
baciarla dolcemente sulla fronte, mentre lei diventava paonazza per l’ennesima
volta
Si staccò da lei, alzandosi in piedi, mentre Kathrine rimase
immobile sul letto, la mano sul petto e lo sguardo ancora fisso sul lenzuolo.
“Adesso muoviti, ragazzina!” le disse sarcasticamente come
al solito “Capisco che adesso tu sia persa nei tuoi deliri romantici,
soprattutto considerando che è stata la prima volta che qualcuno di sesso
opposto ti abbia abbracciato, a parte il tuo papino, ma posso assicurarti che
ero solo preoccupato che non ti fossi fatta male… tuo padre mi avrebbe
ammazzato in caso contrario, ma io ci tengo alla mia vita… quindi spicciati!”
Kathrine ritornò rossa all’istante, ma stavolta di rabbia. Mi ha presa in giro, come al
solito!
“Maledetto!” gli urlò, alzandosi e brandendo un cuscino, poi
lui la osservò e disse, ridendo: “E mettiti anche qualcosa addosso! Ti
prenderai la polmonite così discinta! Non era necessario che ti vestissi così
per me, considerato che fisicamente sei proprio una bambina!”
Kathrine si ricordò solo allora della delicata faccenda
vestaglia, e arrossì da capo a piedi; poi, coprendosi come poteva, corse in
bagno, dopo avergli pestato come tradizione un piede, in segno di protesta. Si
barricò dentro per cambiarsi, appoggiandosi allo stipite della porta con un
sospiro. Certo che aveva sbagliato a giudicarlo quel giorno in camera sua,
Kevin Shirayuki era proprio un bravo attore, chissà perché non gli avevano dato
la parte di Romeo… cinque minuti prima, le aveva fatto credere di essere
attratto da lei, addirittura era arrivata a pensare che sarebbe giunto a
baciarla… e invece quel maledetto la stava di nuovo prendendo in giro,
accidenti a lui! Si infilò sotto la doccia, i brividi che aveva provato ormai
completamente cancellati dal suo corpo, e dalla sua memoria.
Al di là della porta di legno scuro, Kevin guardò oltre la
finestra, il sorriso ironico che doveva rassicurare Kathrine ormai sparito.
Quella
donna e Kathrine… che ho fatto ad una? Che stavo per fare all’altra?
Quella mattina, i due ragazzi visitarono gli Champs Elysee,
straordinariamente pieni di gente come al solito. Presero un taxi e si fecero
lasciare davanti all’Arco di Trionfo, che Kathrine guardò ammirata e a cui
pretese di fare almeno una ventina di fotografie da varie angolazioni per
mostrarle ai suoi amici e alla sua famiglia. Era particolarmente carina quella
mattina, con indosso un maglioncino verde smeraldo e un paio di pantaloni
chiari, e molti si giravano per strada a guardarla, colpiti dalla sua disinvoltura
e da quella leggera patina di originalità, che la contraddistingueva sempre,
visibile nel fermaglio di pailletes verdi a forma di quadrifoglio, che portava
tra i capelli. Kevin ogni tanto la guardava di sottecchi, cercando di trovare
in lei qualche segnale che gli facesse capire che lei fosse arrabbiata o peggio
sconvolta per ciò che era accaduto quella mattina, ma lei era tranquilla e
serena. Quando poi, mentre passeggiavano, mise teneramente il braccio attorno
al suo, capì che lo aveva considerato o un incidente o uno scherzo. E in fondo,
lui questo le aveva fatto credere, ed era anche questo che pensava, se non
fosse stato per quel maledetto sogno… continuava a tornargli in mente, e mentre
Kathrine gli sorrideva, indicandogli qualcosa, non poteva non vedere il suo
viso vellutato deturpato dal sangue e rigato dal pianto. Si chiedeva se questo
sarebbe successo, quando l’avesse portata da Herik e Melissa, e si riprometteva
di proteggerla, come aveva assicurato anche a Delet…
“Che hai?” gli chiese ad un certo punto lei, sventolandogli
la mano davanti al viso. Erano fermi in effetti da troppo tempo davanti alla
stessa vetrina e persino a lei sembrava strano.
“Niente… sono solo soprappensiero…”
Kathrine lo guardò per un attimo, non del tutto convinta,
poi continuò a guardare ammirata le vetrine dei luccicanti negozi parigini,
insistendo per entrare nel Disney Store, dove volle comprare a tutti i costi un
peluche gigante di Winnie Pooh per Teddy, la sorellina di Grace e Nick. Kevin
la guardava sorridendo, sebbene cercando di non farsene accorgersene, mentre si
provava strani cappelli ed occhiali da sole, o vestiti costosissimi, che
nemmeno le sue ampie finanze potevano permettersi. Se quella mattina si era
reso conto per la prima volta che era davvero bellissima, in quel momento si
accorse di come stare con lei rilassasse i nervi e di come fosse una persona
ancora spontanea come una bambina, capace di stupirsi e meravigliarsi per ogni
cosa, spalancando quei suoi grandi occhi castani, come se fosse al mondo da
solo un paio di ore… certo aveva il suo bel caratterino, come quando volle
comprarsi assolutamente uno strano intruglio parigino sebbene lui le avesse
detto che era orribile, ma lei non aveva fatto una piega e lo aveva mangiato
fino alla fine, tanto per non dargli la soddisfazione di mostrargli che lo
detestava, cosa che invece era evidente nell’ espressione del suo viso. Ma
inaspettatamente era anche una persona molto matura, cosa che capì mentre erano
seduti a pranzo in un ristorante all’aperto, da cui si vedeva ergersi statuaria
la Torre Eiffel. L’aveva appena chiamata sua madre e lei ci aveva parlato per
un bel po’, e lui allora aveva approfittato per dirottare la conversazione
sulla storia dei suoi genitori.
“Non lo so bene come si sono conosciuti…” rispose lei
distrattamente, addentando un croccante pezzo di baguette “Mio padre venne da
S.Francisco in Giappone, quando aveva più o meno la nostra età… aprì con mio
zio un caffè che ebbe abbastanza successo e mia madre lavorava lì… non so
altro…”
“Come? Sai così poco?!” chiese quasi stizzito il ragazzo.
Aveva saputo quasi di più dalla rivista che gli aveva portato Delet.
Kathrine annuì e rispose: “Quando ero bambina, un giorno la
maestra ci dette da fare un tema, che voleva sapere la storia della mia
famiglia… fino ad allora, non ci avevo mai pensato, ed allora chiesi per la
prima volta a mia madre i nomi dei miei nonni paterni e la loro storia. Lei
tentennava e io me ne accorsi, continuavo ad insistere, ma lei diceva solo che
erano morti molti anni prima e che si chiamavano Kathrine e Shinichi. Allora mi
ricordo che le chiesi come si erano conosciuti lei e mio padre, ed anche allora
lei esitò, rispondendomi con quel poco che ti ho detto. Ero solamente una
bambina, ma mi ricordo che ci rimasi molto male… immaginavo una storia
romantica e meravigliosa, e invece mia madre mi teneva nascosto qualcosa da cui
era dipesa la nascita mia e di mio fratello. Poi me ne sono dimenticata… ma
poco prima di partire, ho avuto occasione di ripensarci e di chiederglielo di
nuovo, e lei ha aggiunto dei particolari, ma anche stavolta niente di troppo
preciso. E allora ho capito…”
“Che cosa hai capito?” le chiese Kevin, quasi spaventato
dalla nuova espressione del suo viso così diversa e consapevole
“Mi sono resa conto che i miei genitori sono delle persone…
intendo delle persone normali, non i supereroi che credevo quando ero piccola,
le persone intoccabili, nate solamente per amarmi e proteggermi…” rispose lei
sorridendo, guardandolo dritto negli occhi “Ho pensato che in fondo sono
esattamente come me, con le stesse mie insicurezze e paure, anche con i miei
stessi segreti… sai, ho ripensato a tutto quello che io non li ho mai detto,
per non farli soffrire, o perché me ne vergognavo, e allora ho capito che per
loro era lo stesso. Forse un giorno, mi diranno la verità, ma non ho motivo di
premere su di loro se non ne hanno voglia di parlare, se questo li fa star
male, come loro non lo fanno con me…”
Kathrine riprese a giocherellare con la forchetta,
ripensando ancora una volta a C.J. o peggio a quello che le era accaduto un
anno prima… sua madre e suo padre non ne sapevano niente, e chissà
probabilmente non lo avrebbero mai saputo, perché lei sapeva quanto ci
avrebbero sofferto… e anche per loro doveva essere lo stesso…
Kevin tacque all’improvviso, in imbarazzo e a disagio.
Kathrine continuava a parlare di altro, di cose che forse non gli
interessavano, ma lui pensava ad altro. Anche per sua madre e suo padre era
stato lo stesso? Non gli avevano detto niente per paura di soffrire, di stare
male? Fino a quel momento, aveva solamente pensato alla sua sofferenza, al
probabile dolore che i suoi volevano evitargli, ma probabilmente era il
contrario, erano loro a non volere stare male… chissà perché non ci aveva mai
pensato fino ad allora…
Povera,
povera Elissa… che cosa ti ha fatto mio fratello?
Kevin si piegò in due, mentre Kathrine si precipitava a
soccorrerlo: “Che cosa hai? Stai bene? Kevin rispondimi!”. Il ragazzo respirava
a fatica ed aveva la fronte imperlata di sudore, quel frammento di ricordo che
gli perforava il cervello, ancora parole non sue nella sua testa, ma stavolta
accompagnate da una sensazione fortissima. Desiderio di qualcuno, di qualcosa,
che voleva disperatamente… come stanotte, con quella ragazza… con quella donna…
lei… lei si
chiama Elissa…
Kathrine continuava a chiamarlo, piangendo, ma non riusciva
a sentirla, mentre nuovi frammenti di ricordi trovavano posto nella sua mente… ho nominato mio fratello… io
non ho un fratello… e se fosse lui quella persona? Quel ragazzo biondo… e
allora lui dov’è? Dove è mio fratello?
Finalmente udì la voce di Kathrine così dannatamente simile
a quella che lei aveva in quel sogno. Sollevò lo sguardo ed incontrò i suoi
occhi castani colmi di paura.
“Kevin!” stava sussurrando, le lacrime che le inumidivano le
labbra
Si sollevò a fatica, appoggiandosi a lei, sorridendole e
mormorando: “E’ stato solo un capogiro, Kathrine… ho la pressione bassa…”
La ragazza si asciugò le lacrime, poi mormorò: “Anche il
giorno che ci siamo conosciuti è successa la stessa cosa… sei sicuro di star
bene? Non è molto normale…”
Kevin le sorrise e poi le rispose semplicemente che non
doveva preoccuparsi, poi riprese a camminare, urlandole che avevano ancora
molte cose da vedere. Kathrine lo guardò soprappensiero per qualche istante,
poi lo seguì.
L’aria si era fatta più fredda in quei giorni, e Kathrine si
era messa un caldo golfino rosa, mentre sedeva sulla veranda del loro albergo,
una biro appoggiata sulle labbra, mentre scriveva delle cartoline. Ormai la sua
vacanza stava per finire e la mattina dopo, dopo aver avuto quel famoso
incontro con il maggiordomo di Kevin, sarebbe ritornata a casa. Cinque giorni
erano passati così in fretta e in modo tanto frenetico, che ancora adesso non
lo riteneva possibile… Kevin l’aveva portata in ogni angolo di Parigi e lei
aveva visto di tutto, provando mille emozioni. Aveva quasi pianto al Louvre, di
fronte alla statua di Amore & Psiche, vedendo quel marmo così levigato che
sembrava tanto simile alla pelle umana; aveva riso come una bambina a
Disneyland, cadendo da cascate artificiali e ricoprendosi di spruzzi d’acqua;
era rimasta a bocca aperta di fronte alla vista notturna di Parigi dalla
collina di Montmatre, come aveva fatto, sollevando la testa piena di boccoli
biondi, seguendo le severe sculture ed arcate di Notre dame; si era stretta con
paura a Kevin, quando erano saliti sulla Torre Eiffel, non osando guardare giù.
E non era stato solamente quello, aveva visto, sentito, provato tante altre
cose, che difficilmente avrebbe potuto spiegare a parole, una volta tornata a
casa.
Kathrine guardò davanti a sé, posando la testa su un
braccio, appoggiato sul tavolino di legno. Sapeva anche un’altra cosa
altrettanto bene… non avrebbe mai potuto descrivere appieno quella vacanza,
senza nominare Kevin Shirayuki.
Kathrine sospirò, questo perché non era stato solamente un
compagno di viaggio, ma anche perchè si era dimostrato diverso da quello che
aveva pensato. Quando era partita, era irritata, nervosa, assolutamente
infastidita all’idea di dover passare tanto tempo con lui, ma adesso doveva
ammettere con profonda onestà che lui le aveva fatto passare dei bei momenti.
Era una bella persona, in fondo… certo avevano continuato a litigare, ma
c’erano stati anche attimi in cui era stata davvero bene, era stata serena e
tranquilla, e quella stessa mattina si era sorpresa di essersi risvegliata,
senza pensare a C.J. e nemmeno a quello che era accaduto l’anno prima… la
ragazza si alzò e tornò dentro, commentando tra sé e sé che questo era un vero
miracolo, considerato che generalmente iniziava a pensarci proprio la mattina
presto. Sistemò le cartoline sul comodino e si distese sul letto, osservando il
soffitto e pensando ancora a Kevin. Nonostante lui facesse finta di niente, lei
si era accorta che c’era qualcosa che non andava, che non le diceva… lui era
cambiato nei suoi confronti, era più protettivo, più dolce e alle volte non
riusciva nemmeno a riconoscerlo. Quando lei lo guardava interrogativa, lui
arrossiva e ritornava ad essere scorbutico, come se lo avesse scoperto a fare
chissà che cosa… di notte, poi, si agitava spesso nel sonno, chiamando i suoi
genitori, oppure una donna di nome Elissa… gli aveva chiesto chi fosse e lui
non le aveva risposto. Solo la scorsa notte lui aveva anche chiamato lei
stessa, svegliandola, ma lui continuava a dormire, e, sudato e cupo, continuava
a ripetere il suo nome. Quella mattina non gli aveva chiesto nulla, ma non
faceva altro che domandarsi che cosa avesse sognato per spaventarlo tanto.
Chissà,
che succederà, quando torneremo a casa… forse adesso è così, perché ha paura di
rivedere casa sua…
Kathrine si sollevò di scatto, decisa a cancellare quei
pensieri, senza soluzione, poi, dato che Kevin non c’era ed era uscito per
andare chissà dove in una delle sue frequenti crisi di malinconia, decise di
scendere giù e di andare a chiacchierare un po’ con Riad e con sua moglie
Salinda, che la trattavano sempre con grande riguardo, perché lei ricordava
molto ad entrambi la figlia più piccola Zulema, morta qualche anno prima.
Chiuse la porta della sua stanza, e, portando al chiave tra
le mani, scese al piano di sotto, dove Riad stava leggendo un giornale, mentre
Salinda sferruzzava, splendida nel suo sari verde oro.
“Buonasera Katy chan…” la salutò dolcemente Salinda che
insisteva per chiamare la ragazza con appellativi giapponesi
Kathrine sorrise e si sedette accanto a lei: “Mi sentivo
sola… Kevin se n’è andato per l’ennesima volta… mi chiedo dove diamine se ne
vada…”
“Il signor Shirayuki non è ancora tornato? Deve essere
uscito almeno tre ore fa…” chiese Riad, sporgendosi al di là del giornale, e
guardando Kathrine che negò con il capo
“Lo so! E pensare che stasera è l’ultima sera che passiamo a
Parigi e volevo fare qualcosa di speciale!” borbottò lei, incrociando le
braccia
Salinda sorrise alla ragazza e le chiese: “Ti dà molto
fastidio che ti abbia lasciato da sola? E allora fagliela pagare!”
“Come fagliela pagare?!” chiese Kathrine sorpresa e
guardando la donna dai lunghi capelli neri
Salinda pose per terra la maglia e le disse: “Un uomo deve
sempre trattare una donna come una principessa… mai farla annoiare, farla
piangere, farla sentire sola… deve farla brillare di luce propria, questo mi
diceva sempre mia madre, bambina… quando tornerà, troverà la più bella ragazza
che possa esistere e si dovrà pentire amaramente di quello che ha fatto!”
Kathrine sospirò, scuotendo il capo, e rispose: “Mi
dispiace, ma da quel punto di vista non c’è assolutamente niente da fare… Kevin
non mi vede nemmeno, credo che mi consideri una specie di sorellina…”
“E allora tu fagli cambiare idea, bambina! Stasera dovrà
mangiarsi le mani per quello che ha perso!” commentò ancora energicamente
Salinda.
Kathrine la guardò ancora scettica per qualche secondo, poi
annuì. In fondo era da quando era partita che voleva far cambiare idea a Kevin,
riguardo a sé stessa, e poi non aveva niente di meglio da fare. Salinda poi
sembrava così desiderosa di compagnia femminile…
“Va bene…” disse con un sorriso, prima di essere trascinata
per mano da Salinda in una stanza attigua.
Chiedo perdono per l’enorme ritardo, ma sono sempre mega
impegnata! Ho dovuto fare un esame che era una vera rogna e quindi ho dovuto
abbandonare tutte le mie fic! Chiedo scusa, prometto che cercherò di essere più
puntuale la prossima volta! Anche stavolta, ho lasciato la fic nel momento
migliore, ma vi faccio una mega anticipazione: nel prossimo capitolo, si
inizierà a capire che cosa è successo a Kathrine un anno fa e soprattutto
accadrà anche qualcosina tra Kathrine e Kevin! Va bene, adesso la smetto! Come
al solito, i ringraziamenti e le risposte di rito:
Killkenny:
sarei felicissima di avere qualche tuo personaggio per rinforzare le
schiere dei cattivi, o pseudotali! Quindi se vuoi passarmi qualcosa, ne sarei
contenta! Mi piace anche la tua qualificazione di Kevin come Censored,
non ci avevo mai pensato, ma credo che la userò, se sei d’accordo! Fammi
sapere,mi raccomando!
Lunachan
62: lo so, sono sempre di una perfidia unica ed infatti come
vedi, anche stavolta, ho lasciato tutto sul più bello! Sono le tecniche per cui
cerco di far leggere anche i capitoli successivi di questa storia, ho sempre
paura che vi potreste annoiare! Grazie tantissimo! Un mega bacio!
Hermy
6: scusa, non ho mantenuto la promessa! Ho aggiornato veramente
tardi! Grazie come sempre!
Aya
chan: Ayuccia, mi stai facendo penare lo sai! Ma dov’è finita la
tua fic? A meno che non hai aggiornato e non me ne sono accorta… ma se non hai
aggiornato, mi arrabbio! Scherzo, ti capisco, anche a me spesso capita di avere
duecentomila idee e di bloccarmi nello scrivere e la storia di Harry è proprio
a tal punto! L’ho cancellata e riscritta, ma mi sono bloccata di nuovo, quindi
ho bisogno di te: dovrei sbloccare il computer durante le vacanze, quindi per
allora te la manderò, sei ancora disposta a leggerla? Anche se fa schifo? Per quanto
riguarda Kivar (il cui nome è effettivamente preso da Roswell, che adoro! Basta
vedere il mio account per credere!), credo che tu abbia ragione, è stato un mio
errore! Avrebbe più senso che lui vedesse PB, che sé stesso, ma credo che
almeno per ora, i suoi non siano veri e propri ricordi, ma più sogni, non lo
so, premonitori… infatti, come vedi, le parole che ha ricordato in questo capitolo
sono proprio quelle di PB! Non so se sono stata chiara, comunque quando
finalmente ci potremo sentire, ti chiarirò anche questo! Grazie cicci!
Mew
Pam: grazie anche a te Pammina! Per quello che Kevin potrebbe
fare a Kathrine, c’è da aspettare ancora moltissimo… per C.J. invece un paio di
capitoli… lo incontreremo presto… quello che invece è successo a Kathrine, lo
inizierai a sapere nel prossimo, non so se è nei tuoi sospetti, ma non è una
bella cosa! Non ho Skype, il mio computer è alla preistoria, anche perché lo
devo formattare e quindi per un po’ niente di niente! Comunque, se mi vuoi
contattare, puoi mandarmi una mail e vedrò di leggerla in qualche modo! Grazie ancora!
Black_
Pill: Grazie tantissimo tesoro! Per Herik e Melissa, capirai qualcosa
nei prossimi due capitoli, dove sapremo anche una cosa importante su Kathrine! Parlo
sempre troppo! Un bacione!
Un mega bacio anche a coloro che leggono solamente! Ciao
ciao da Cassie chan!
Kevin
continuò a passeggiare per qualche ora, lo sguardo ceruleo basso a fissare le
piastrelle monocrome dei marciapiedi e l’asfalto delle strade. Gli allegri
discorsi delle persone accanto a lui, provenienti da ogni parte del mondo,
giungevano attutiti alle sue orecchie, sebbene ne capisse ogni singola parola.
Continuava a pensare al suo sogno, lo stesso che si era fatto ogni notte più
intenso, ad Elissa, a Melissa ed a Herik, ai suoi genitori, a Nemesi, ma soprattutto
continuava incessantemente a pensare a Kathrine. La mattina dopo, l’avrebbe
portata da Herik e Melissa e aveva paura, paura che le facessero male. Ma non
era solamente questo, non era solamente quel suo strano potere su di lui, il
potere di risvegliare memorie sepolte in lui o la sua incomprensibile presenza
in quel sogno. Era lei stessa, era la stessa Kathrine che adesso gli faceva
male dentro. Adesso la conosceva, adesso lei non era la sconosciuta ragazza
bionda un po’ snob, che gli aveva fatto quello strano effetto. Adesso lei era
la ragazza che aveva conosciuto in quei giorni, una ragazza meravigliosa, di
cui si poteva perdere la testa con una facilità disarmante. Ora capiva Nick, il
suo migliore amico, che si vedeva lontano un miglio che era cotto di lei,
adesso capiva Grace e Chiyo, che le stavano accanto sempre, anche se ognuna a
modo loro, adesso capiva i suoi genitori, che erano così protettivi con lei,
ora capiva tutto quel brulichio di gente che le stava accanto e che l’amava e
ammirava. Una volta conosciuta, era impossibile starle lontani. E lentamente si
rendeva conto che stava succedendo anche a lui la stessa ed identica cosa…
Kathrine aveva il potere. Un potere strano e meraviglioso. Non solo quello di
far franare nella sua mente ricordi di un passato lontanissimo, ma anche quello
di rasserenare l’animo e di rendere lucente come oro ogni giornata. Era radiosa
in ogni cosa che facesse, come se non avesse mai provato sofferenza, dolore o
angoscia. Non mostrava mai niente di tutto quello, anche se era praticamente
impossibile che non avesse sofferto anche lei nella sua breve vita. Vedere
Parigi con lei era stato bello, era stato divertente, era stato
indimenticabile… e adesso stava per rischiare di perderla.
Scosse
il capo, non ci doveva pensare, era necessario. Come era vero che Kathrine era
tutto quello che aveva visto, la sua mente era ancora congelata su Elissa e su
quell’altro ragazzo, quella persona che poteva essere suo fratello. Aveva
sentito nei suoi sogni la sua voce dirgli, sofferente: “Ti perdono fratello mio…”.
Che cosa gli aveva fatto? E adesso lui dov’era?
Appoggiò la mano sulla maniglia della porta
dell’albergo ed entrò dentro.
A quelle domande, solo domani avrebbe avuto una
risposta.
Tramite
Kathrine… la
sua mente si costrinse a rispondersi.
Si
avvicinò alla reception, chiedendo a Riad se Kathrine fosse in camera sua.
“Veramente…”
mormorò lui in francese “Non so dove sia andata… ma in compenso un’altra
ragazza la sta aspettando e vuole assolutamente vederla…”.
“Un’altra
ragazza?!” chiese Kevin meravigliato, poi, pensando che si trattasse di
Melissa, mormorò: “E’ per caso bruna?”.
Riad
cercò di reprimere la risata che già gli stava venendo fuori, contrariamente
alle indicazioni di Salinda, e rispose: “Non lo so, io non l’ho vista… la sta
aspettando sulla terrazza… a proposito, mi ha detto che avrebbe dovuto
cambiarsi, prima di vederla…”.
“Cambiarmi?!”
chiese scioccato Kevin, guardando il suo maglione azzurro e i suoi jeans. Che
diamine avevano che non andava?
Riad
lo prese per un braccio e lo condusse in una stanza attigua, dove l’ancora
stupito ragazzo fu costretto ad indossare uno smoking di colore bianco. Riad,
dopo aver sudato sette camicie per aiutare a vestirsi il riottoso ragazzo, gli
fece segno di salire la scala, fino all’ultimo piano, dove, oltre una porta di
ferro battuto coperta da una tenda rossa, c’era la terrazza.
Kevin,
borbottando, salì le scale. Di chi diamine poteva essere quella bella idea? Ci
scommetteva tutti gli euro che circolavano in quella nazione che era opera di
quella pazza isterica di Melissa… chissà che cosa le era venuto in testa…
continuò a salire le scale, maledicendo quel vestito che sentiva per lui troppo
elegante e che gli ricordava troppo le uniformi militari di Nemesi. Arrivò in
cima ed aprì la porta di ferro, scostando poi la tenda rossa.
Davanti
a sé, c’era l’enorme terrazza circolare dell’albergo, circondata da candele
tondeggianti rosa, che emanavano un gradevole odore di vaniglia che doveva
tenere alla larga gli insetti, ma che rendeva ancora più particolare e magica
quella atmosfera. La terrazza era piena di tavolini con vasi pieni di fresie
bianche, accompagnati da eleganti candelieri d’argento. C’era un discreto
numero di persone lì, alcune delle quali ballavano al suono delle note romantiche
di un piccolo quartetto d’archi, accompagnato dalla voce suadente di una
cantante, vestita in satin grigio, altre guardavano il meraviglioso panorama di
Parigi, altre ancora chiacchieravano silenziosamente. Una cosa era certa:
sembravano tutte coppie. Kevin, arrossendo d’imbarazzo, si fece strada tra i
tavolini, cercando l’unica persona che invece doveva essere da sola perché
stava aspettando lui, convinto più che mai di dover cercare una ragazza bruna
di origine aliena di nome Melissa.
E
invece trovò una ragazza bionda, senz’alcun dubbio umana, di nome Kathrine
Shirogane.
Come
qualche giorno prima, Kathrine non si accorse subito del suo arrivo, persa
com’era nel panorama luccicante di Parigi. Stava ripensando a quella vacanza e
i suoi occhi color cioccolato si perdevano tra scie di luci artificiali e code
di ricordi vivaci; un lieve sorriso piegava le sue labbra rosa, accentuate
dalla patina trasparente di un delicato rossetto. Kevin la guardò meravigliato
per qualche istante… era chiaro che era lei, era normale che quella fosse
Kathrine, ma era come se, all’improvviso, lui non stesse più guardando la
sedicenne che conosceva, una bellissima ragazzina ancora immatura. Lei adesso
sembrava cresciuta tutta assieme, diventando sua coetanea o anche più grande.
Aveva i capelli stranamente liscissimi, che cadevano dolci sulle sue spalle,
lasciate scoperte da un lungo vestito azzurro scuro, che le fasciava stretto i
fianchi, per poi aprirsi in una specie di coda alla fine della sua schiena. Ai
lobi, aveva dei piccoli brillanti, e al collo una collana con un ciondolo
minuscolo a forma di fiore, che lei tormentava freneticamente tra le mani.
Portava persino dei guanti lunghi di raso bianco, che le arrivavano fino al
gomito. Non sembrava minimamente a disagio, anche se quelli non erano i suoi
panni consueti, ma, come intuiva facilmente Kevin, dovevano trattarsi di
vestiti di Salinda. Sembrava una giovane donna dell’alta società parigina,
solamente un po’ annoiata che il suo accompagnatore fosse in ritardo.
Si
avvicinò piano, il cuore che gli batteva ferocemente nel petto, mentre Kathrine
finalmente si accorse di lui e lo guardò, sorridendo. Poi disse: “Salinda
voleva che trascorressimo l’ultima serata a Parigi in modo speciale… non sono
riuscita a dirle di no…”.
Lui
sorrise a sua volta e si sedette di fronte a lei, osservando per qualche
istante i riflessi della candela sul tavolo accendere i suoi capelli di
sfumature sconosciute: “Ha avuto una bella idea, in fondo…”, poi abbassò gli
occhi e mormorò: “Scusami, so di essere stato molto distratto in questi ultimi
giorni… ma sai stavo pensando ai miei genitori…”.
Lei
scosse il capo e rispose: “Non ti preoccupare, lo avevo immaginato… domani è il
grande giorno, vero?”.
Kevin
rise amaramente e annuì con il capo, l’immagine di lei che si sovrapponeva a
quella straziante del suo sogno ricorrente.
Kathrine
si sporse su di lui e gli sussurrò: “Hai paura?”.
“Un
po’” ammise sinceramente lui, non guardandola ancora… se avessi paura per
me, non ci sarebbe problema… ho avuto paura per quasi la metà della mia vita,
da quando temo che i miei genitori mi nascondano qualcosa … ed invece ho paura
solamente per te… e questo, se mai ciò sia possibile, mi fa paura più di tutto
il resto…
Kathrine
poggiò dolcemente la sua mano su quella del ragazzo, che sollevò lo sguardo da
bambino, adesso reso scintillante da lacrime nascoste: “Non devi avere paura…
ci sono io con te…”.
Kevin
sorrise malinconicamente, pensare che era proprio questo il problema. Strinse
nella sua la mano di Kathrine, che arrossì, rendendosi conto dell’improvviso
contatto tra di loro, mentre Kevin intrecciava le dita attorno alle sue. Le
sussurrò piano: “Non che tu sia una grande forza armata, anzi sei un’emerita
fifona, ma comunque ti ringrazio…”. Il suo tono era cambiato, la stava
prendendo in giro come sempre, eppure Kathrine notò subito che la sua voce era
più dolce, più tenera, più tranquilla di come era di solito. Kevin era
cambiato, soprattutto verso di lei, ed ancora una volta si ritrovò a chiedersi
perché.
All’improvviso,
la piccola orchestrina smise di suonare per concedere un po’ di pausa ai
musicisti ed alla cantante. Nell’attesa che riprendessero,le note di una canzone famosa si diffusero
nell’aria primaverile. Alcune coppie si diressero verso lo spazio tra i tavoli
per ballare, stretti e cullati dalla dolce melodia e dai riflessi argentati
della pallida luna.
“Vuoi
ballare?” le chiese Kevin, osservandola e stringendo più forte la mano di
Kathrine.
La
ragazza sorrise, il volto ancora scarlatto, e si fece guidare da lui, al centro
della pista. Si sentiva accaldata e strana, mentre lui la trascinava con sé la
mano ancora stretta nella sua, e quando si fermò, lo guardò per qualche
istante, come se non capisse dove si trovava. Era da bambina che ballava spesso
con qualche ragazzo, alle feste o ai ricevimenti, a cui alle volte suo padre e
sua madre avevano dovuto presenziare, spesso avvenenti giovanotti si
inchinavano cerimoniosamente di fronte a lei, chiedendole di ballare. Ma quella
fu la prima volta, in cui ebbe quasi paura del contatto troppo forte che si
stava stabilendo con Kevin, eppure era così serena e calma che niente avrebbe
potuto farle paura in quel momento. Lentamente, appoggiò la testa sulla spalla
del ragazzo, che la strinse più forte, la mano aperta sulla sua schiena nuda.
Si muovevano piano, senza fretta, perché impacciati, perché impauriti, perché
felici, e attorno a loro, sembrava che il mondo avesse abbassato il volume
altissimo dei suoi folli ritmi. Per un attimo, entrambi dimenticarono tutto,
persino chi fossero, quale era il motivo per cui erano lì. L’importante era
esserci, l’importante era essere lì l’uno con l’altra.
“Domani,
torneremo a casa…” disse all’improvviso Kathrine, staccandosi da lui e
guardandolo in viso.
“Lo
so, Kathrine…”.
“Le
cose cambieranno… vero?” chiese ancora lei in un sussurro, stringendo più forte
la mano sulla manica della sua giacca.
Kevin
inarcò un sopracciglio e rispose: “Probabilmente…”.
Lei
abbassò gli occhi e riprese: “Me l’aspettavo… quando torneremo, io tornerò ad
essere la mocciosa di sempre, vero?”.
Kevin
la guardò ancora, non capiva dove volesse arrivare. Le mise due dita sotto il
mento, costringendola a sollevare il viso: “Kathrine, si può sapere che stai
dicendo?”.
Kathrine
spalancò gli occhi,intimidita, come se
si fosse resa conto solo allora di che cosa avesse detto. La vicinanza di Kevin
le aveva fatto perdere il controllo di sé stessa ed aveva detto quello che
temeva nel profondo. Lei sentiva di aver condiviso qualcosa di importante con
lui, ma Kevin la pensava allo stesso modo? Che cosa dovevano considerarsi una
volta tornati a casa? Conoscenti, amici o… non era possibile, in fondo lui
aveva ancora Chiyo… una scarica d’orgoglio la riprese all’improvviso… e poi
che diamine me ne importa?!
“Niente
di importante!” sorrise decisa, portando le sue braccia attorno al suo collo
“Non so che cosa mi sia preso!”.
Kevin
la guardò scettico, poi ripresero a ballare. Ma la magia che si era creata
pochi secondi prima tra loro non ebbe il tempo di ricrearsi. All’improvviso, Kevin
sentì il corpo di Kathrine farsi freddo, sembrava diventata un pezzo di
ghiaccio. Si era irrigidita ed era immobile tra le sue braccia, la discostò da
sé, e si accorse che era pallida, le sue labbra erano violacee e i suoi occhi
scrigni di luce spenta.
“Che
hai Kathrine?! La smetti di farmi preoccupare?!” le chiese, scuotendola per le
spalle.
Ma
stavolta lei non fu così celere a rispondere. Rimase immobile, le labbra
leggermente dischiuse, gli occhi lucidi e fissi in un punto della sala. Kevin
si voltò in quella direzione e vide che non c’era nessuno, a parte un tecnico
delle luci con un berretto rosso in testa che stava riavvolgendo il filo di un
lampione.
Kevin
non ebbe tempo di farle un’altra domanda, perché Kathrine si liberò bruscamente
dalla sua stretta e raggiunse velocemente il tavolo. Si sedette e afferrò
qualcosa dal tavolo. Un coltello, che nascose nella sua mano.
Kevin
si accorse di quei suoi movimenti, e la prese per il polso: “Kathrine si può
sapere che diamine ti succede?!”.
“Lasciami
stare…” la sua voce era tagliente come una lama e i suoi occhi, sebbene ancora
pieni di lacrime, erano lucidi di odio e di rabbia. Continuava a fissare lo
stesso angolo di prima e stringeva convulsamente la lama del coltello che ormai
le aveva ferito la mano tremante, che adesso sanguinava copiosamente.
“Non
vedi che ti stai facendo male?” le urlò nervoso, strappandole finalmente il
coltello di mano e attirando l’attenzione degli alti ospiti, dei camerieri e
del tecnico, che guardarono interrogativamente verso di loro.
Kathrine
spalancò gli occhi, che finalmente ritornarono del loro consueto colore castano
luminoso,e le sue guance si rigarono
di lacrime. Si alzò velocemente ed, urtando Kevin, inforcò l’uscita. Il ragazzo
stava già per seguirla, ma fu trattenuto da Salinda e Riad, che evidentemente
avevano visto tutta la scena e che si affrettarono a chiedere a Kevin il motivo
della stranezza di Kathrine.
“Non
lo so, ma adesso vado a vedere… vi faccio sapere dopo…” rispose velocemente,
prima di inforcare anche lui l’uscita. Si mise a correre giù per le scale, era
insolito il comportamento di Kathrine, era stata strana tutta la sera, ma
quell’ultima reazione non se l’aspettava proprio. Era scappata viae sembrava sconvolta. Raggiunse il loro
corridoio, sperando che lei fosse semplicemente tornata in camera loro, e
spalancò violentemente la porta.
“Kathrine!”
la chiamò a gran voce e vide spuntare i suoi capelli biondi al di là della
parete di legno della veranda, ricoperta di rampicanti. Si avvicinò a lei e la guardò
interrogativamente. Per tutta risposta, Kathrine lo guardò come se non fosse
accaduto nulla, i suoi occhi erano ancora rossi, ma il suo viso stava
riprendendo colore. Si teneva la mano ferita nell’altrae faceva abilmente finta che lo strano della
situazione fosse Kevin, non lei. Continuava a guardarlo severa e si stringeva
nelle spalle sottili, adesso non più coperte dal vestito elegante di prima, ma
da una lunga maglietta a maniche corte, troppo grande per lei, che le fungeva
da pigiama.
Kevin
si tolse la giacca di dosso e la gettò distrattamente su una poltrona,
slacciandosi anche la stretta cravatta.
“Si
può sapere che ti è successo?” le chiese, avvicinandosi a lei, che si ritrasse
leggermente “E’ tutta la sera che ti faccio la stessa domanda ed è tutta la
sera che eludi la risposta… e non ho nessuna voglia di adoperarmi continuamente
come tuo psicanalista…”.
Lei
non rispose e guardò davanti a sé il panorama luccicante della città di Parigi,
scie di luci che cadevano e morivano nei suoi occhi. Sospirò e disse,
sorridendo: “Hai ragione, non mi sento molto bene…”.
“Questa
chiacchiera non funziona…” ribadì Kevin, adesso leggermente nervoso, voltandosi
ancora verso di lei “Non sarò certo a pregarti di parlarmene, perché non sono
proprio il tipo… anche se forse un’altra persona si offenderebbe, considerato
che io invece ti ho raccontato tutto della mia vita e dei miei genitori…”.
Certo,
non che questo sia del tutto vero… pensò Kevin, studiando le linee del volto della ragazza accanto
a lui Ma, se scoprissi i miei segreti, saresti anche peggio di come stai
adesso, solamente per i tuoi…
Kathrine
replicò spazientita, muovendosi per ritornare dentro: “Non ho niente Kevin,
accidenti… sono solo stanca e voglio andare a letto!”.
“Va
bene” si rassegnò lui, seguendola “Ma almeno fammi vedere la ferita che hai
sulla mano… stava sanguinando prima…”.Fece per prenderle la mano, ma Kathrine si ritrasse, autenticamente
terrorizzata. Tremava dalla testa ai piedi.
Kevin
la guardò ancora, vistosamente amareggiato, e le disse stavolta cercando di
essere più dolce: “Kathrine, per favore… che hai? Ho fatto qualcosa? Ti ho
fatto stare male?”.
La
ragazza, stringendo la mano al petto, negò con il capo. Cercava di trattenere
le lacrime, ma sentiva che stavano uscendo, che stavano premendo sotto le sue
palpebre e che tra poco sarebbe esplosa. Non voleva, non voleva assolutamente
che lui lo sapesse, che Kevin sapesse che cosa le era successo, che provasse
pietà, compassione o chissà che cosa. Era riuscita a vivere, dimenticandosi di
tutto quello che le era capitato, era un anno che faceva così e le cose
andavano bene. O perlomeno lo pensava. Già, le poche allusioni che solo Nick
poteva fare, a volte le davano fastidio e cercava di eluderle. In quei momenti,
si sentiva sporca, impura e aveva paura che gli altri lo pensassero a loro
volta. Non voleva che proprio Kevin lo pensasse, che proprio lui lo capisse.
Era riuscita ad essere meravigliosamente allegra e spigliata con lui, e adesso
tutto poteva rompersi, infrangersi, come una scintillante cascata di pezzi di
vetro. Era ritornata la paura, ancora una volta, la paura di essere toccata, e
lui l’aveva percepito. Fu tentata di chiamare Nick, ma sapeva che si sarebbe
preoccupato inutilmente. Ma perché le doveva succedere proprio adesso? E perché
proprio con lui? Si morse freneticamente il labbro inferiore, mentre diceva
piano, sedendosi sul letto: “Tu non hai fatto niente, Kevin… è solo colpa mia…
m-mi era sembrato di vedere una p-persona che conoscevo…”
“Una
persona che conoscevi? Qui, a Parigi?” chiese Kevin, sedendosi accanto a lei.
Cercava di non toccarla,aveva capito
che lei aveva reagito così dopo che lui l’aveva sfiorata. Fino a cinque minuti
prima, era tra le sue braccia e sembrava felice, adesso non voleva che la
toccasse. Che strano contrasto…
Lei
annuì sommessamente, voltando il viso dall’altra parte, poi Kevin le chiese:
“Questa persona ti ha fatto soffrire?”.
Bastò
quella semplice domanda e le resistenza che aveva posto dentro sé stessa si
sbriciolarono, come carta bruciata.
Kathrine
spalancò gli occhi, stavolta senza riuscire a fermare le sue lacrime. Come un
fiume in piena, il dolore, la frustrazione, la rabbia, il disgusto, ruppero gli
argini che aveva difficilmente posto nella sua mente e nel suo cuore. Si voltò
verso Kevin, che la guardò sorpreso per quelle sue lacrime così lancinanti, poi
si gettò tra le sue braccia, riprendendo a singhiozzare.
Lei
non diceva niente, continuava a piangere, senza fermarsi. Kevin non sapeva che
cosa fare,era spaventato da quella sua
reazione, ma pensò che lei avesse bisogno di sfogarsi e allora la fece fare,
non parlando, ma accarezzandole piano i capelli, mentre lei piangeva, il viso
nell’incavo della sua spalla, le lacrime che cadevano lungo il suo collo,
portando frescura sulla sua pelle calda. Passò parecchio tempo e lei piano si
andava calmando, così lentamente la prese in braccio e la mise a letto. Le
rimboccò le coperte, come se fosse una bambina, e si mise anche lui il pigiama,
cambiandosi in bagno. Quando ritornò, lei singhiozzava ancora, ma almeno
sembrava un po’ più tranquilla.
Si
sedette accanto a lei e le accarezzò il viso, e Kathrine gli fece segno di
venire anche lui a letto. Si infilò piano, cercando anche stavolta di non
sfiorarla, ma questa volta Kathrine si mosse tra le lenzuola, arrivando a lui e
appoggiando la testa e una mano sul suo petto. Kevin arrossì, ma cercò di non
darlo a vedere.
“Ti
senti meglio?” le chiese in un sussurro.
Kathrine
annuì piano, ma non sembrava effettivamente rasserenata.
Lui
le chiese ancora: “Se vuoi parlare, io sono qui… lo sai vero?”.
Kathrine
annuì ancora, poi sospirò e rispose: “Non voglio né che tu mi compatisca, né
che tu faccia ogni sorta di commento in effetti… questa è una cosa troppo seria
per me, e non l’ho mai detta a nessuno, a parte che a Nick, perché lui si trovò
con me quel giorno, altrimenti avrei evitato anche con lui… perciò, non voglio
che tu mi dica solo una frase fatta per tenermi contenta… non farlo, per
favore… tanto è una cosa senza rimedio, credimi… sento di dovertelo dire,
perché abbiamo condiviso qualcosa di importante in questi giorni e perché tu mi
hai raccontato dei tuoi… ma non è facile per me, non lo è affatto, quindi per
piacere non interrompermi… non è un bel ricordo…”.
Lui
annuì e la strinse a sé. Voleva darle coraggio, lo sentiva nella sua pelle
ghiacciata che stava soffrendo, che stava male, e voleva che sapesse che c’era,
che lui era lì con lei.
Kathrine
rimase in silenzio qualche secondo, poi lentamente iniziò a parlare. Le sue
parole erano scandite, chiare, voleva evitare che Kevin le chiedesse qualsiasi
tipo di cosa. Quel racconto doveva finire quanto prima possibile.
“L’anno
scorso, avevo un ragazzo. Non so se alla fine potevo considerarlo tale, ma lo
amavo veramente tanto. Facevo di tutto per stare con lui, di tutto, e anche io
sono una persona molto pigra, mi iscrissi in piscina, perché ci andava anche
lui. Era inverno, e un giorno C.J. , lui si chiamava così, non poté venire
perché aveva l’influenza. Io ci andai lo stesso perché dovevo vedere una mia amica
che mi doveva dire una cosa importante. Quella sera, la mia istruttrice mi
trattenne per più tempo, perché le ero sembrata un po’ svogliata, e voleva
chiedermi le mie intenzioni, perché tra poco ci sarebbero state delle gare e,
perlomeno secondo lei, io ci avrei potuto partecipare. Senza che me ne
accorgessi, si fecero le dieci. Dovevo tornare a casa da sola;mio padre era a S. Francisco e mia madre
aveva delle cose da fare con mio fratello. Mi aveva fatto uscire da sola, solo
perché credeva che sarei tornata con C.J. …”
A
quel punto, la ragazza si interruppe e prese fiato, adesso veniva la parte
difficile. Stava per ricominciare a piangere, ma cercò di far finta che stava
raccontando una storia accaduta a qualcun altro. Era l’unico modo per finire
quanto prima.
“La
piscina era in periferia e per arrivare a casa mia, dovevo passare davanti ad
una stazione di servizio, ma prima c’era una lunga strada buia che era al
limite di alcuni terreni incolti. Cominciai a camminare, la strada era buia e
non c’era nessuno. La gente era già tutta a casa. Iniziai a camminare più
veloce, sentivo dei passi dietro di me ed avevo paura. Ma cercai di farmi
coraggio e continuai a camminare. Sospirai di sollievo, quando vidi la stazione
di servizio. C’era ancora qualcuno, e in particolar modo c’erano dei camionisti
che si stavano preparando per partire. Li guardai distrattamente, e ripresi a
camminare. Ad un tratto, mi sentii chiamare da uno di loro. Non mi voltai,
continuai a camminare, pensavo che non stessero dicendo a me. Speravo che
stesse parlando con qualche altro. Poi lo sentii urlarmi qualcosa, tipo
“Biondina” o altro, non lo so. Iniziai a camminare sempre più veloce, fino a
quando sentii i passi di quella persona dietro di me. Presi a correre più forte
che potevo, ma lui mi raggiunse. Iniziò a scherzare pesantemente, seguendomi
sempre a breve distanza; io cercavo di non dargli retta, sperando che passasse
qualcuno, ma nessuno si accorgeva di me. Gli urlai di lasciarmi stare,
voltandomi piano, e lui per tutta risposta mi afferrò per le spalle e mi spinse
contro un muro. Avevo paura, avevo tanta paura e mi misi ad urlare, ma lui mi
diede uno schiaffo, dicendomi di stare zitta, altrimenti sarebbe stato peggio.
Caddi perterra, avevo il labbro
spaccato e cercai ancora di scappare, ma lui mi afferrò forte per il polso e mi
gettò contro quel maledetto muro. Iniziò a baciarmi sul collo, cercavo di
dimenarmi, di urlare, ma non c’era nessuno in quella dannata strada. Si insinuò
piano sotto i miei vestiti, sfiorandomi ovunque, e allora pensai che fosse
finita, pensai che mi avrebbe stuprata e non avrei potuto fare niente per
impedirglielo. Smisi di gridare e capii che non c’era più speranza. Ci andò
vicino, molto vicino, ma non ne ebbe il tempo. Nick… casualmente a casa sua
mancava qualcosa, ed era andato un attimo in un supermercato, vicino a casa sua
e, per puro caso, aveva sentito le mie urla. Mi aveva riconosciuto ed era corso
in quella direzione. Gli mollò un pugno e me lo scrollò di dosso. Quando vidi
Nick, pensai che fosse un sogno. Lo abbracciai e lui mi portò a casa sua.
Quella sera, non c’erano i suoi e nemmeno Grace e Teddy, e allora dormii lì.
Avvisai i miei, e poi pregai Nick di non dirli nulla, sapevo quale sarebbe
stata la loro reazione, mi avrebbero tenuto più sotto controllo di quanto
facciano adesso, si sarebbero preoccupati, ma ormai quella… cosa… era
successa. Tutte le precauzioni che hanno sempre preso con me non erano bastate
e, per loro, saperlo sarebbe stata solamente una sconfitta. Avevo solo bisogno
di dimenticare. Di scordare quello che era successo e ci sono riuscita. Ma
stasera… quell’uomo, quel tecnico gli assomigliava molto e io ho avuto quella
reazione… scusami…”
Kathrine
si morse per le labbra per cercare di non piangere,per distogliersi da quel pensiero sollevò lo sguardo per vedere
il viso di Kevin, e lo vide con un’espressione strana. Lei corrugò le
sopracciglia, pensò che Kevin provasse pietà, strazio, disgusto. Ma in realtà,
Kevin non provava niente di tutte quelle sensazioni che lei enumerava nella sua
mente. Lui provava la rabbia più cieca, muta e sorda che si potesse provare.
Strinse i pugni, pensando a Kathrine, preda di quelle azioni di un uomo che era
poco più di un animale. Ma anche lui sentiva in lui qualcosa di simile,
qualcosa di ferino, che si dimenava furioso dentro di lui: voleva avere
quell’uomo tra le mani ed ucciderlo come un cane, fargli pagare tutto quello
che aveva fatto a Kathrine, pensò alla possibilità che quella dannata sera Nick
non si fosse accorto che mancava qualcosa in casa, oppure se avesse preferito
restare a casa al caldo. La sua rabbia, se possibile, crebbe anche di più.
Pensò di usare la magia, anche in quello stesso momento, di trovare quell’uomo
e di ammazzarlo, lì, davanti a Kathrine, di farlo a pezzi, davanti a quel
cucciolo terrorizzato, che teneva tra le braccia. Abbassò lo sguardo e la
guardò di nuovo, i suoi occhi erano specchi di dolore, stava soffrendo, stava
malissimo e, per un attimo, gli sembrò di impazzire, respirando nell’aria la
sofferenza di lei, che entrava in lui e lo squarciava dall’interno.
Gli
faceva paura.
Era
terrorizzato.
Lei…
lei…
…
il suo dolore… inferno… mi sta consumando…
La
strinse più intensamente e Kathrine si ritrovò con la guancia premuta
fortemente contro il suo petto. La soffocava quasi con il suo abbraccio, ma era
così bello che le sembrò quasi che il suo dolore, per la vicinanza con il
ragazzo, passasse perlomeno in parte da lei a lui.
“Di
che cosa devi scusarti?” le chiese dolcemente “Di che cosa, Kathrine? Sei
sicura che non fosse lui? Lo vorrei avere qui quel bastardo, lo ammazzerei con
le mie mani…”.
Kathrine
si ritrovò a piangere di nuovo, e strinse le sue braccia attorno alla sua vita,
annuendo, il viso immerso nel suo collo.
Riprese
a piangere, mentre singhiozzava: “Io voglio solo che questa cosa sparisca dalla
mia testa, dalla mia mente, dalla mia memoria… voglio solo dimenticare, e
invece non posso! Invece, per sempre questa cosa mi verrà dietro e non se ne
andrà mai! Ogni volta che ci penso, ogni volta che mi ritorna in mente, ogni
volta che i miei genitori o Nick mi dicono di stare attenta, io sento di nuovo
le labbra e le mani di quell’uomo addosso, mi sento sporca e non voglio più
essere toccata, sfiorata, baciata da nessuno. E ho paura, una maledetta paura
che succeda ancora, che qualcuno mi faccia di nuovo tanto male”.
“Sta
tranquilla, piccola” le sussurrò con calma sui capelli e la baciò piano sulla
fronte “Non accadrà mai più…”
Ci
sarò io con te…
Kevin
si ritrovò a pensare quelle parole, ma non poteva dirle, non poteva.
Le
accarezzò il viso dolcemente, il suo viso da bambina, i suoi occhi dolcissimi,
le sue guance tonde, il suo naso minuto, e poi le sue labbra rosse e piene. Le
sfiorò con un dito, adagio,e si
ritrovò a desiderarle, con impeto, con forza, quasi con violenza. Come se
potessero accarezzare loro sole quell’animale, nato in lui, e farlo saziare. Di
lei, solo di lei.
Vorrei
baciarti, Kathrine… sto morendo dalla voglia di baciarti e di sussurrarti sulle
tue bellissime labbra, su quelle labbra insolenti, che si aprono sempre per
dirmi qualcosa di irritante, che sarò sempre qui con te… ma non ti meriti una
bugia, non te la meriti. E sarei un pazzo, se adesso ti baciassi, sapendo che,
tra quanto, una settimana, un giorno, qualche ora, potrei andarmene e tornare
su Nemesi… e sarei una bestia, peggio di quella che ti ha fatto tutto questo,
se ti baciassi solo perché adesso desidero tanto averti…
Kathrine
continuava a piangere, e continuò a farlo per tutta la notte. Non si fermava,
se non pochi istanti, e rimaneva stretta tra le braccia di Kevin, che cercava
solo di tenerla quanto più unita possibile a lui, che sentisse il suo cuore
battere forte, come il suo.
Chiedo perdono!!!! Sembra essere
diventato un ritornello! Purtroppo, questa volta non è davvero colpa mia! Come
avevo già preannunciato, il mio computer se ne era andato completamente ai
pesci, quindi è stato necessario formattarlo e se ne sono andati due mesi buoni
perché mio padre non riusciva a ripristinare Internet! Ma adesso sono tornata
finalmente, quindi potete godervi questo capitolo nuovo di zecca! Finalmente si
è saputo che cosa è successo alla povera Kathrine, una cosa che mi ha fatto
enormemente male nello scriverla, ma che era necessaria anche per qualcosa che
succederà dopo… nel prossimo capitolo, infatti, finalmente si capirà chi è
davvero Kathrine e il motivo del suo particolare potere su Kivar/Kevin. Non vi
dico di provare ad indovinare perché mi sono esaurita per trovare una soluzione
che non fosse scontata e sono stata così geniale che sarebbe difficile per
chiunque! Oggi sono nella fase della presunzione assoluta, scusatemi! Come
sempre, ringrazio coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, aggiungendo
che mi siete stati di grande aiuto perché, come penso si sia capito, ho sempre
bisogno di molti incoraggiamenti per continuare a scrivere! Grazie, quindi a Kashia
(scusami tantissimo per il ritardo, ma almeno stavolta non è stata colpa
mia!! Grazie tantissimo), Izayoi 007 (grazie dei complimenti, sono
sempre contenta di trovare nuovi lettori quasi quanto di trovare quelli che mi
seguono da sempre! So che questa storia è davvero molto incentrata su Kathrine
e Kevin, in effetti credo che siano loro i protagonisti della storia! Quindi,
sicuramente ci sarà meno di Ryan e Strawberry qui! Comunque per loro due, li
rivedrai presto, già nel prossimo capitolo! E comunque la mia indole perfida
non li lascerà in pace… insomma, alla fine le passeranno anche loro di tutti i
colori… un bacione!),Black_pill (grazie
tantissimo! Una piccola precisazione: Profondo blu, ormai, è bello che morto…
quello che Kivar sente nella mente sono i ricordi di PB, ma non lui stesso… mi
dispiace non essere stata chiara, ma spero di essermi spiegata adesso! Un
bacio!), Mew Pam (la mia Pammina! Hai perfettamente ragione, Kivar in
effetti è un po’ strano, credo di assomigliargli parecchio nei mie scatti
emotivi strani!! Purtroppo, non ho nemmeno MSN, non avendo l’Adsl mio apdre non
ne vuole sapere di metterlo… comunque, se vuoi contattarmi, almeno l’e-mail mi
funziona nel mio computer giurassico!!! Per sapere di che altro cavolo ha fatto
C.J. a Kathrine, dovrai aspettare ancora due capitoli!), Hermy6, Aya chan (la
mia Ayuccia! Come vedi, finalmente ho aggiornato anche questa storia… grazie
per le tue puntualissime recensioni, io invece con la tua storia sono sempre in
ritardo! Ti rispondo qui solamente per quello che riguarda la recensione, tanto
per il resto ci sentiamo via mail… come sempre, sei troppo buona con me, ti
dico la verità: il mio più grande sogno sarebbe quello di pubblicare un libro,
ma non penso di essere così brava! E poi sono troppo contenta che tu abbia
notato un miglioramento nel mio modo di scrivere, a me sembra che scrivo sempre
nella stessa maniera!!! Per Roswell, a me piace tantissimo, adesso lo sto
rivedendo a sprazzi su MTV… la mia coppia preferita sono indubbiamente Micheal
e Maria; li adoro forse perché rappresentano il mio ideale di coppia! E poi perché
sono molto simile a Maria… ed anche perché il famoso “ragazzo perfetto” è molto
simile a Micheal, tolti tutti i traumi infantili… sto impazzendo!!! Un mega
bacione!!) e Lunachan 62 (questa volta ho lasciato persino in un punto
peggiore della volta scorsa, eh? Grazie anche a te!).
Approfitto di questa sede, anche se
può darsi che non leggeranno questa storia, per rimgraziare tutti coloro che continuano
a recensire Beyond me and you… grazie tantissimo… adesso scappo… ciao da Cassie
chan!!!
Kevin
si svegliò all’improvviso, di soprassalto, ma non aveva avuto quel suo solito
incubo. Stavolta non era stato quel sogno a farlo svegliare. Guardò l’orologio,
erano le dieci passate. L’appuntamento con Melissa ed Herik era per le sette e
mezzo.
Chissenefrega…
Guardò
sotto di lui, Kathrine dormiva ancora, apparentemente serena. Respirava piano,
i suoi occhi apparivano ancora arrossati, ma lei sembrava respirare
regolarmente, non c’era più la convulsità di quegli intollerabili singhiozzi
che ancora sentiva nelle sue orecchie. Le accarezzò piano la guancia, sentiva
ancora il cuore spezzato da quell’immenso dolore che lei gli aveva provocato
con quella sua confidenza del giorno prima. Lei si mosse piano e si appoggiò
meglio sul suo petto, e lui sorrise. Poi con attenzione cercò di sollevarsi,
non svegliandola, e riuscì a farlo, facendola appoggiare di nuovo sul cuscino.
Si vestì velocemente, dopo aver fatto una doccia, e scese per strada, dove
l’accolse un’ancora fredda e sonnacchiosa Parigi. Voleva che il risveglio fosse
quanto più dolce possibile, voleva che lei tornasse a sorridere e dimenticasse
effettivamente quello smisurato dolore, che aveva condiviso con lui quella
notte. Era strano che avesse tanto a cuore una persona che non facesse parte
della sua famiglia, e soprattutto una persona che doveva essere solo un mezzo
per raggiungere i suoi scopi.
Bè
che me ne importa? L’importante è che lei stia bene…
In
poco tempo, entrò in una pasticceria e comprò un paio di brioche fumanti,
ripiene di crema e marmellata alle fragole, come piacevano a lei, poi passò da
un fioraio e le comprò un mazzo di girasoli, trattenuti assieme da un nastro
verde, e infine un braccialetto con dei ciondoli a forma di margherite bianche
e gialle, con un basco con due margherite dello stesso tipo. Ritornato in
albergo, prese un pezzetto di carta e le scrisse un piccolo messaggio, pregando
Riad di consegnarle tutto. Poi Kevin si andò a sedere nella sala comune per
fare colazione a sua volta.L’uomo sorrise,
evidentemente la sera prima i due avevano litigato e lui adesso cercava di fare
pace, e si affrettò ad andare a bussare alla porta della stanza di Kathrine.
La
ragazza si svegliò bruscamente, borbottando tra sé e sé, finalmente stava
dormendo profondamente! Si guardò attorno, non c’era traccia di Kevin… dove
cavolo era andato? Quel ragazzo era veramente strano, l’aveva lasciata da sola
per l’ennesima volta… si alzò pigramente dal letto ed andò ad aprire la porta,
convinta che fosse lui. Quando si ritrovò davanti Riad, con l’enorme vassoio
per le mani, pensò subito ad un regalo dell’indiano e della moglie. Poi notò un
piccolo biglietto in carta rossa, coperto da qualche parola, scritta con una
grafia disordinata.
Stamattina ho pensato di farti questo regalo perché ammetto di
essermi preoccupato parecchio per te stanotte. Ma lo so che tu sei forte, sei
maledettamente forte, e riuscirai ad andare avanti. Riuscirai a dimenticare e a
non darla vita al bastardo, che ti ha fatto questo. So che non volevi frasi
fatte, e forse queste lo sono. Per questo, te le ho scritte, e non te le ho
dette. Quando scenderai, sarà come al solito, tu non ne parlerai e io nemmeno.
Torneremo come sempre, perché tu sei una bella persona, e io voglio che tu lo
rimanga, nonostante tutto questo. E se non ci credi, pensa a quello che hai
fatto per me e risponditi che un’altra persona non lo avrebbe mai fatto per uno
che è praticamente uno sconosciuto. Grazie Kathrine.
Kevin
Kathrine
sorrise leggermente stupita da quel piccolo messaggio, e addentò una brioche.
Si sedette in veranda e si mise a guardare il cielo nuvoloso di Parigi. Kevin
aveva ragione, aveva ragione, doveva andare avanti, non tanto perché così la
sua vita si sarebbe fermata, non tanto perché avrebbe avuto paura di essere
toccata da alcun’altro uomo, ma per quel maledetto che le aveva fatto male. Per
lui. Perché, dovunque fosse, non avesse la soddisfazione di averle rovinato la
vita. E poi, non era anche ora che tornasse a pensare in positivo come faceva
sempre? Lui non ci era riuscito, non le aveva fatto quello che voleva, la
fortuna era stata dalla sua,e forse da
quell’esperienza poteva ricavare qualcosa di positivo. Tipo essere più
prudente, tipo stare più attenta, tipo ascoltare le continue raccomandazioni
dei suoi genitori. Mentre si guardava allo specchio, provandosi il basco che le
aveva regalato Kevin, sorrise. C’era un altro insegnamento che quella
esperienza le aveva insegnato.
Le
persone non sono mai come sembrano… solitamente possono anche essere meglio…
molto meglio…
“Vuoi
dire che questa è casa tua?!” eruppe Kathrine in una esclamazione di autentica
sorpresa, premendo una mano sul suo nuovo basco, che le stava per volare via
per una folata troppo forte di vento
“Perché
che c’è di strano?” chiese Kevin, leggermente contrariato. Va bene che quella
non era veramente casa sua, ma solo la dimora provvisoria di Herik e Melissa,
ma se Kathrine avesse visto la sua vera casa, il palazzo di Nemesi, sarebbe
rimasta ben più sorpresa.
Kathrine
lo guardò ancora perplessa, poi disse scettica: “Non ti facevo così…”
“Così
cosa, Kathrine?!”
“Insomma,
vivi in una specie di castello!”disse alla fine lei, guardando l’elegante casa
che c’era di fronte a lei. Assomigliava molto a quei ridenti cottage che si
trovavano sulle sponde dei laghi montani, con i mattoni a vista,e i rampicanti sulle pareti esterne. Le sue
finestre erano circolari e dall’aspetto abbastanza antico, esattamente come il
porticato che metteva in comunicazione la porta d’ingresso e il grande
giardino. Quella casa doveva essere abbastanza antica da valere parecchio…
“Che
ti avevo dato l’aria di essere un poveraccio?!” le chiese lui, guardandola
dall’alto in basso
“No,
ma insomma…” farfugliò lei, per poi ammettere con un sorriso falsamente
colpevole “…diciamo che siamo là…” .
“Perché
vivo in un piccolo appartamento per studenti non significa che sia lo stesso
per i miei… ti ricordo che io sono scappato da questa casa… e adesso vivo per
conto mio… se non devo contare sulle loro finanze, ma solo sulle mie, è normale
che non posso permettermi granché… ” le spiegò lui, come se stesse parlando ad
una bambina particolarmente testarda e capricciosa.
Kathrine
fece un piccolo verso d’assenso,anche
se non era del tutto convinta, mentre Kevin, alzando gli occhi al cielo,si decise a suonare finalmente il
campanello.
Nessuna
voce rispose, ma in compenso il portone di ferro battuto si aprì con lieve
cigolio. Kevin sorrise tra sé e sé, era chiaro che Herik e Melissa li avevano
già visti arrivare.
Kathrine
lo tirò per la manica della felpa e gli chiese: “Sei sicura che i tuoi non ci
siano? E se poi ti vedono?”
Kevin
rispose noncurante: “Per questo devi entrare prima tu e avvisarmi se loro ci
siano o meno… se sì, ce la diamo a gambe… chiaro?”
“Non
mi sembra granché questo piano…”
“Ma
siccome è l’unico che ho, ci dobbiamo arrangiare, va bene?!” replicò lui
nervoso, per poi spalancare gli occhi, quando lei gli chiese: “Tu non hai
fratelli, vero? Quindi non c’è rischio che devo stare attenta anche a loro?”
Kevin
la guardò soprappensiero per qualche istante… Povera, povera Elissa… che
cosa ti ha fatto mio fratello?… per un attimo, il ragazzo moro si fermò,
memore del suo sogno, di quello che aveva visto, di quello che lo perseguitava
da giorni. Kathrine ferita… e poi quelle strane parole che prendevano sempre il
suo cervello, in ogni momento… Elissa e … suo fratello, o chiunque egli fosse…
tracce scolorite, ma incise a sangue e fuoco… come se fossero ricordi di una
vita precedente… già, come se questo fosse possibile… doveva cercare di
calmarsi, sia per lui che per Kathrine… sapeva di che pasta erano fatti Herik e
Melissa, non si fidava totalmente di loro, e quindi doveva sempre stare attento
a Kathrine.
Percorsero
il viale in silenzio, fino a fermarsi davanti alla porta d’ingresso. Finse di
nascondersi dietro un cespuglio, mentre Kathrine suonava il campanello. Il
sangue gli si congelò nelle vene. Un’ombra scura si abbatté su Kathrine,
tramortendola, mentre la ragazza cadeva supina a terra. Uscì dal suo
nascondiglio per soccorrerla e per scagliarsi contro il misterioso aggressore,
ma un dolore acuto lo colpì alla nuca: i suoi occhi si annebbiarono, e non
sentì più nulla.
Kevin
serrò forte gli occhi, sebbene fosse ancora incosciente. Cercava di aprirli, ma
non c’era niente da fare, erano come bloccati, voleva solo continuare a
dormire. Mentre piano ritornava cosciente, avvertì chiaramente di essere stato
avvolto per qualche istante da un bagliore dorato, che gli aveva spalancato gli
occhi, sotto le palpebre chiuse. Cercò quasi di ritornare a quella piacevole
sensazione di nulla, che provava prima, ma non ci riuscì. Stava ritornando ad
essere cosciente. E immediatamente un ricordo incatenò i suoi pensieri…
Kathrine … finalmente, cercò di risollevarsi ed aprì gli occhi azzurri,
guardandosi disperatamente intorno. Era in una camera scura, buia e polverosa,
ed era disteso su una specie di divano, con una fodera di colore rosso cupo,
che però era ormai stinta e simile ad un rosa antico. Si mise una mano sulla
nuca, che pulsava enormemente mista ad un senso d’intrusione, come se qualcuno
fosse entrato nella sua mente. Adesso ricordava… qualcuno lo aveva colpito
sulla testa e lui aveva perso i sensi. Chi era stato? Melissa? Herik? E perché?
E poi… da quanto tempo era incosciente? Che cosa avevano avuto il tempo di fare
a Kathrine?
Si
risollevò, ma, mentre lo faceva, sentì una voce morbida perforargli il
cervello: “Allora, Vostra Altezza, finalmente vi siete svegliato… temevo che vi
sareste perso tutto lo spettacolo…”
Sollevò
lo sguardo e vide che sopra di lui levitava, dolcemente sospesa, Melissa, che
lo guardava con quel suo solito sorrisino beffardo.
“Cosa
è successo? Dov’è Kathrine?” chiese più furioso che preoccupato
“Calmatevi,
Altezza!” rise lei, scendendo e ponendosi di fronte a lui “La vostra amica sta
benissimo… siamo molto vicini a scoprire il suo mistero, c’è il Maestro con lei
adesso…”
“Herik?
Che le sta facendo?”
“Nulla
di irreparabile, ve l’ho detto…” ripeté Melissa, ancora sorridente
Kevin
si sollevò bruscamente dal divanetto, poi, in un fascio di luce, comparve una
spada affilata nelle sue mani, che furioso puntò alla gola dell’esterrefatta
ragazza: “Che diamine le sta facendo, dannazione?!” urlò, senza cercare di
moderarsi.
Melissa
deglutì rumorosamente, e rispose, senza più ombra di falsi sorrisi: “Sono da
quella parte, nella stanza attigua…”
Kevin
la lasciò bruscamente e lei ricadde per terra, tenendosi la gola. Era la prima
volta che aveva avuto paura, strano… il ragazzino le aveva fatto paura… sorrise
gioiosamente tra sé e sé…
Il
ragazzo intanto varcò la soglia della stanza attigua, l’elsa della spada sempre
in pugno, dopo aver recuperato il suo aspetto alieno. I suoi capelli erano solo
leggermente più lunghi, ma per il resto era esattamente uguale a prima, a parte
l’uniforme bianca ed oro. Non si preoccupò molto della possibilità che Kathrine
lo vedesse… …l’importante che lei sia ancora viva…
La
sua attenzione fu attirata da un bagliore, che veniva dalle sue spalle, dove,
coperta da una tenda azzurra, c’era una piccola porta.La varcò in silenzio, e quello che vide lo
lasciò a bocca aperta.
Era
assolutamente impossibile che in quella casa, nonostante tutto, abbastanza
piccola, esistesse una stanza così grande. Era praticamente immensa, di almeno
una decina di metri,che si snodavano
sotto le forme filiformi di una serie infinita di colonne bianche con capitelli
dorici. Kivar continuò a guardare quelle colonne senza capire adesso dove si
trovasse, come se all’improvviso fosse uscito da quella casa e fosse in un
luogo al confine dell’Universo. Tutto attorno era un velluto di stelle, e
sembrava quasi di volteggiare, non esisteva più alcuna forza di gravità.
Sentì
una presenza dietro di sé, e si voltò prontamente con la spada sguainata, per
poi fermarsi, quando si rese conto che si trattava di Herik. Quell’uomo gli
aveva sempre dettato inquietudine, sebbene lo avesse visto pochissime volte; di
solito, era Melissa che incontrava, non lui, quello che Melissa chiamava il
“Maestro”. Il suo volto non era mai visibile, perché indossava sempre una lunga
tunica nera, con un cappuccio pesante in testa, da cui di tanto in tanto
baluginavano due sottili ed angoscianti occhi oltremare, che rabbrividivano i
pensieri. Nelle mani rugose, teneva un lungo bastone, sormontato da una gemma
di colore rosso fuoco, che accendeva i capelli candidi e lunghi, che uscivano
dal suo cappuccio.
“Dov’è
Kathrine?!” chiese Kivar, senza preoccuparsi di poterlo offendere “Perché avete
tramortito me e lei?”
Lui
all’inizio non rispose, limitandosi a superare Kivar: “Per questa ragione,
Vostra Altezza… perché non mi avreste dato libertà di agire… ci tenete molto a
lei, vero?” concluse con la sua voce, che sembrava spaventosamente simile ad
una risata
Il
ragazzo non si scompose minimamente, in fondo stava studiando per succedere a
sua madre alla presidenza di Nemesi, quindi doveva più che mai abituarsi a
trattare con personaggi del genere: “Quello a cui tengo o di cui mi importa non
è affare né tuo, né di Melissa… se dovesse ripetersi una cosa del genere, la
nostra collaborazione terminerà qui,e
non mi dispiacerà molto… il vostro aiuto al momento non mi ha ricavato nulla,
non avete dato risposta a nessuna delle mie domande, e molto probabilmente
avrei avuto molti più responsi, se avessi messo sotto torchio mia madre… quindi
vediamo di sbrigarci… per prima cosa, voglio vedere se sta bene Kathrine, poi
parliamo del resto…”
Herik
emise un rantolo ed indicò un angolo dell’immensa stanza, dove splendeva una
forte luce dorata, che chissà perché, Kevin non aveva notato prima. Corse in
quella direzione e rimase immobile, senza parlare, guardando quello che aveva
di fronte.Di fronte a lui c’era
Kathrine, abbigliata come una principessa, aveva un lungo vestito bianco, con
una gonna molto ampia e con lo scollo rotondo.Era in orizzontale, sospesa nell’aria, esattamente come lui, ed era
ancora incosciente, i suoi capelli biondi che cadevano lascivamente oltre le
sue spalle e volteggiavano piano, leggermente trattenuti da una corona di
grandi fiori rosa. La cosa più singolare era però che le sue braccia erano
aperte e ricadevano, disegnando una specie di v, e che dalle sue mani cadevano
gocce di sangue scuro; aveva infatti due grossi tagli su ambo le mani.
“Perché
è ferita?” chiese Kivar, voltandosi con rabbia verso Herik
“Ci
serviva il suo sangue…” rispose l’uomo, avvicinandosi di nuovo al ragazzo
“Guardate che cosa c’è sotto di lei…”
Kivar
lo guardò senza capire, poi si decise a sporgersi. Aveva già notato che le
gocce di sangue, arrivate ad una certa altezza, sparivano, ma adesso si rese
conto del motivo. Sotto di Kathrine, c’era un grande cerchio dal bordo
luminescente, che era tremolante ed ondeggiante, come la superficie di un lago.
Nonostante questo, si vedeva perfettamente che cosa c’era dall’altra parte.
“Nemesi…”
mormorò Kivar sorpreso all’indirizzo di Herik “Com’è possibile? Quello è il
collegamento che avete usato tu e Melissa?”
“Assolutamente
no, Altezza… il nostro collegamento si trova nelle fondamenta della Cattedrale
di Notre Dame, che, se ben ricorda, viene considerata il centro della Francia…
lì, c’è molta energia mistica…” rispose Herik con voce stavolta indecifrabile
“Questo collegamento è stato appena aperto… e lo ha aperto lei, la vostra
Kathrine…”
“Lei?!”
chiese sgomento Kivar
Herik
rise ancora, poi si decise a continuare: “Esattamente, Altezza… certo c’è
voluta un po’ di magia per indirizzare il suo potere, ma è stata la sua energia
ad aprire un portale, qui, in questo momento… una cosa che, come voi ben
sapete, è impossibile ai poteri della nostra razza, altrimenti io e Melissa lo
avremmo fatto per venire qui, senza farvi scomodare a venire in Francia…”
“E
allora Kathrine come ha fatto? E’un’aliena per caso?”
“No,
assolutamente no…” rispose Herik, dandogli le spalle “E’una terrestre, ma
possiede più potere di qualsiasi essere vivente dell’intero Universo… ci abbiamo
messo parecchio per capire bene di che creatura si trattasse, ma alla fine
l’abbiamo capito. Sapete, pensavamo che fosse poco più di una leggenda, e
invece una creatura del genere esiste davvero…”
Kivar
sospirò nervosamente, sembrava che ci godesse a lasciarlo in sospeso.
“E
allora?” chiese irrequieto
“E’
una Creatura di Luce…” rispose Herik, voltandosi di nuovo verso di lui “Ne ha
mai sentito parlare?”
Kivar
negò con il capo, mentre Herik si affrettava a continuare: “Sapete che tutto
l’Universo è regolato da due grandi principi, quello della Simpatia e
dell’Antipatia, della capacità e della predisposizione degli elementi ad
attrarsi o respingersi. Da essi, non appena comparvero i primi esseri viventi,
dotati di raziocinio e di sentimenti, discesero quattro emanazioni, dette Forze
ancestrali:dalla Simpatia, nacquero
l’Amore, forza positiva dell’interno dell’animo, e la Speranza, forza positiva
dell’esterno dell’animo; ovverosia, se la prima spingeva a migliorare il
proprio animo,la seconda spingeva a credere
di migliorare la realtà esterna. Dall’Antipatia, invece, nacquero l’Odio e il
Dolore, anche loro emanazioni rispettivamente interiore ed esteriore…
“Queste
Forze regolano l’Universo e spesso intervengono, se l’equilibrio tra di loro
viene sconvolto. Per farlo, ovviamente, usano coloro che le sentono dentro di
sé, gli esseri viventi. E così, per esempio, esistono i Raggi della Speranza,
che sono migliaia nell’intero Universo, persone dotate di una forza d’animo e
di una speranza incrollabile nel domani, ma che al contrario hanno una vita,
che difficilmente altre persone riuscirebbero a sopportare. Ma il potere della
Speranza si incarna in loro contro la minaccia dell’Odio e del Dolore, che
potrebbero corrompere le loro fragili anime.
“Le
Forze che si legano con più difficoltà sono quelle dell’Amore e dell’Odio, le
cosiddette Forze Pure; gli esseri umani e noi alieni difficilmente odiamo o
amiamo in maniera così pura e perfetta da richiedere il loro intervento.Ma alle volte questo è successo, e ciò accadde
con precisione, qualche tempo fa… un alieno riuscì ad odiare in maniera
perfetta, ed invece un’umana riuscì ad amare in maniera pura. Posso solo dirvi
che quest’ultima era la madre di questa ragazza, e si chiamava Strawberry
Momomiya…”
“La
madre di Kathrine?!” chiese Kivar, sorpreso. Aveva visto giusto allora… il
mistero di Kathrine è nei suoi genitori…
“Sì,
questa donna amava profondamente un essere umano di nome Ryan Shirogane…”
riprese Herik con voce atona “La vita di questa persona era stata messa in
pericolo da quello stesso alieno che aveva raggiunto la perfetta chiarezza
dell’Odio… le due forze si scontrarono, come era inevitabile che accadesse, ma
la donna terrestre ebbe la meglio… questo fu possibile perchè ella, oltre che
all’aspetto dell’Angelo Scarlatto, protettore dell’Amore,assunse totalmente, sebbene per qualche
istante, anche il picco della Speranza e del Dolore. In lei, si collimarono
queste anime e lei ebbe la meglio sull’alieno, che aveva dalla sua solo il
potere dell’Odio. Ebbe in sé, anche se per poco, tre delle Forze Ancestrali
dell’Universo, diventando per pochi e preziosissimi istanti una Creatura di
luce, che nasce proprio dalla fusione di tre forze, che chiaramente saranno con
molta più facilità da una delle Forze Pure, più le altre due forze minori…
“La
vostra amica è invece, come vi ho detto, una completa Creatura di Luce, una
creatura rarissima, ne saranno esistite soltanto una o due dall’inizio della
Vita. Esse nascono, quando quei tre poteri permangono nel corpo di una persona,
che entro cinquantuno cicli lunari mette al mondo un figlio di sesso
esclusivamente femminile. Come è chiaro, è una condizione molto difficile… per
prima cosa, la Creatura di Luce originaria deve essere donna, perchè quei
poteri devono passare fisicamente dalla madre al nascituro, cosa possibile solo
per una donna che porta in grembo il proprio figlio;in secondo luogo, dopo circa quattro anni, se non ci sono state
gravidanze,nascerebbero bambini
assolutamente comuni; poi la Creatura di Luce, a meno che non si tratti solo di
uno stato temporaneo, può essere solo donna perchè solo quel sesso esplica già
in sé il principio della vita, che compendia e riassume i tre poteri
ancestrali”
Kivar
rimase a bocca aperta, Kathrine era tutto questo…
“Ma
che genere di poteri hanno queste creature?” chiese assolutamente allibito
“Tutto…”
rispose sinteticamente Herik “Una Creatura di Luce potrebbe fare tutto, se solo
lo volesse e sapesse usare al massimo i suoi poteri… loro sono Chiavi, e la
realtà può essere facilmente paragonata ad una serie infinite di Porte, lo
sapete vero? Lo insegnano nelle lezioni elementari di Magia.Porte tra un prima e dopo, tra uno stato e
un altro, tra un posto e l’altro,persino ci sono porte tra l’ordine e il caos. Capite adesso? La Creatura
di Luce potrebbe aprire tutte queste porte… è una chiave, anche se avendo forma
vivente, in molti casi, morirebbe se aprisse porte troppo imponenti. L’ordine
dell’Universo è ovviamente contrario a queste creature, perchè hanno di più
potente solo la comunione di tutte le Forze Ancestrali, ed esse potrebbero
sciogliere vincoli imposti da quelle stesse forze. Vi faccio un esempio…”
Herik
si fermò, poi sorrise… c’era un esempio perfettamente calzante da fare
all’impietrito ragazzo, che aveva davanti agli occhi.
“Ci
sono delle Creature che erano state votate ad una forza dell’Antipatia, o
Dolore o Odio quindi… esse provocarono distruzione nella loro vita,
costringendo ad intervenire le forze eminentemente positive… dato che è
considerato un crimine irrevocabile distruggere delle anime, esse vengono
solitamente purificate e li viene concessa una nuova vita… si chiamano Creature
Corvine… anch’esse hanno importanti poteri discendenti dalla loro vita
precedente, ma nello stesso tempo hanno ricordi incatenati che premono per
uscire… se uscissero, quelle anime molto probabilmente ritornerebbero
esattamente com’erano prima. Esiste una legge dell’Universo che vieta che
vengano in contatto con una Creatura di Luce perchè essa potrebbe sciogliere i
legacci posti alla memoria di queste creature… capite adesso?”
“E
io allora? Che cosa c’entro con Kathrine?” chiese Kivar, cercando di fare
chiarezza nel suo cervello troppo confuso
“Altezza,
alle volte siete molto ingenuo, lasciatemelo dire…” rise Herik “Mi sembra ovvio…
la vicinanza con Kathrine potrà fare chiarezza anche nella sua memoria… le
permetterà di ricordare cose, che potrebbe aver visto da bambino, ma adesso che
non ricordate più…”
Kivar
rivolse lo sguardo verso Kathrine, che era ancora incosciente alle sue spalle.
Era questo il suo strano potere… era una Creatura di Luce, lei gli avrebbe
restituito il suo passato…
Non
si accorse Kivar di una risata nascosta dietro un cappuccio di colore nero. Non
si accorse di un pensiero che aveva cullato la mente dell’uomo anziano di
fronte a lui. Non se ne accorse, e si affrettò a riprendersi Kathrine, e ad
andare via. Non poteva accorgersene. Forse Kathrine avrebbe potuto, ma non lui.
Lui… una Creatura corvina.
Dall’altra
parte del mondo qualcuno non ne valeva sapere di prendere sonno, si rigirava
nelle lenzuola troppo fredde e troppo pesanti. Strawberry si sollevò
all’improvviso, incapace di addormentarsi, e si passò una mano sulla fronte
bagnata di sudore freddo. Ogni volta che Ryan non c’era, lei faticava ad addormentarsi,
quando lui tornava, la prendeva in giro, e lei ci rideva sopra, ma in quei
momenti in cui la sua camera da letto si tingeva di mille ombre minacciose, non
le veniva più tanto da ridere. Come se non bastasse, quella sera mancava anche
Kathrine e lei da brava mamma apprensiva qual’era, era preoccupata per lei.
Chissà come se la cavava… fu quasi tentata di chiamarla, ma poi guardò
l’orologio sul suo comodino. Per Kathrine non c’era assolutamente alcun
problema, a Parigi erano solamente le cinque di pomeriggio , ma da loro era
l’una di notte e, se l’avesse chiamata, avrebbe fatto la figura della madre
nevrastenica. Di sentire Ryan non se ne parlava proprio, l’avrebbe presa in
giro per tutta la durata della telefonata.
Accese
la luce del comodino e afferrò un libro, aprendola ad una parte segnata,
cercando di conciliarsi il sonno. Ma dopo qualche riga, qualcosa attirò la sua
attenzione, uno strano bagliore dorato fuori dalla finestra. Sorpresa, pensando
ad una luce lasciata accesa, si alzò dal letto, infilando la vestaglia e si
avvicinò alla finestra, per notare solamente che il bagliore era scomparso e
che la notte era rimasta scura e nera, come al solito.
Si
voltò per tornare a letto, ma notò con ulteriore sorpresa che sul suo letto
splendeva una sfera di luce dorata, esattamente come quella che aveva visto
poco prima, si spaventò ed urlò, attirando l’attenzione di Ghish, Blanche, Lory
e Pie, che dormivano in stanze accanto alla sua.
“Cosa
c’è?” chiese Ghish, entrando, mentre Strawberry indicava tremante la sfera di
luce, che baluginava e ruotava su sé stessa.
“Che
diamine è?” si chiese Pie, tenendo dietro di sé Lory
“E’
molto simile a quella sfera azzurra…” balbettò Lory “A quella che poi era
l’anima di Ryan…”
Strawberry
sbiancò, terribili ricordi che l’assalivano a valanghe, e si avvicinò alla
sfera, che nello stesso istante prese ad espandersi, e a brillare molto forte.
Quando cessò di splendere, al suo posto c’erano tre figure di donna, abbigliate
nella stessa maniera: la prima era uguale ad Elissa, ed indossava un peplo
rosa, con grandi ali bianche sulla schiena, come quelle di un angelo; la
seconda era uguale a Paddy, ed aveva un peplo di un tenue giallo, stavolta con
delle ali dorate e trasparenti, simili a quelle di una libellula; la terza
aveva invece l’aspetto di Pam, ed vestiva un peplo azzurro scuro, con relative
ali dello stesso colore, stavolta simili a quelle di una farfalla.
“Chi
siete voi?” domandò spaventata Strawberry alle tre donne, che la guardarono
sorridendo.
“Vuoi
dire che non ci riconosci, Strawberry?” replicò quella con l’aspetto di Elissa
“Eppure mi hai vista per parecchio tempo…”
Strawberry
mormorò: “T-tu sei uguale ad Elissa… ma non puoi essere lei… Elissa è morta… io
ho liberato il suo spirito… e anche loro due non possono essere Paddy e Pam…”
“Non
lo siamo… abbiamo assunto queste sembianze per sembrarti più familiari e perché
nessun essere vivente può vederci nella nostra vera forma… erano quelle più
congeniali a non turbarti, e più adatte alla nostra essenza… ed era
assolutamente indispensabile per noi comunicarti questo messaggio…” rispose
glaciale quella con l’aspetto di Pam
“Allora
voi chi siete?” chiese Lory, avvicinandosi
Quella
con l’aspetto di Paddy rise e si rivolse a Blanche: “Si vede che la nostra
principessa illegittima ha altro a cui pensare… altrimenti vi avrebbe già
risposto lei… non è vero, Blanche? Hai capito chi siamo?”
Tutti
si voltarono verso Blanche, che aveva come al solito gli occhi profondamente
cerchiati, la quale annuì stancamente, poi sospirando rispose: “Credo che voi
siate delle materializzazioni dei Guardiani delle Forze Ancestrali del Mondo…
in poche parole…” e si rivolse alla donna con l’aspetto di Elissa: “… lei è di
nuovo l’angelo scarlatto dell’amore, non è vero?”
“L’angelo
scarlatto?” chiese stupefatta Strawberry, voltandosi verso di lei “E le altre
due?”
“Io
sono l’angelo aureo della Speranza…” disse sorridendo quella con l’aspetto di
Paddy, mentre quella con l’aspetto di Pam disse fredda: “Io sono il demone
cobalto del Dolore…”
Strawberry
annuì confusa, poi, un dolore allo stomaco, chiese sgomenta: “E’ successo
qualcosa a Ryan?”
“No,
Ryan non c’entra niente stavolta…” disse tranquillamente l’angelo scarlatto
“L’anima di Leon e quella di Ryan sono in armonia perfetta… al momento della
morte, le loro anime si separeranno, e Leon tornerà nelle dimore celesti,
accanto allo spirito di Elissa… e sorte diversa avrà quella di Ryan… non è loro
il problema… e nemmeno Profondo Blu, che come sapete non esiste più…”
“E
allora cosa?” chiese Ghish nervoso
Il
demone cobalto del Dolore mormorò solo, rivolto a Strawberry: “Tua figlia…”
“Kathrine?!
Che le è successo? Come sta?” implorò terrorizzata Strawberry
“Sta
benissimo, Strawberry… tua figlia sta benissimo… non è assolutamente in
pericolo…” rispose rassicurante l’angelo della Speranza, poi aggiunse: “Il
problema è un altro… sappiamo che Profondo blu, o meglio colui che è chiamato
adesso Kivar, non è più qui… è vero, Blanche?”
La
donna aliena annuì tristemente, e poi chiese con un filo di voce: “Sapete
dov’è?”
L’angelo
scarlatto negò con il capo e disse: “Chi non vuole essere trovato, non può
essere rintracciato, nemmeno da noi… e tuo figlio non lo vuole, e inoltre
adesso è protetto da potente forze oscure che ne celano la nostra vista…”
Blanche
si portò le mani al viso pallido, mormorando: “E’ di nuovo lui, è tornato ad
essere Profondo blu?”
“No,
la sua anima è ancora pura… ma lui potrebbe tornare ad esserlo…”
“Come?”
chiese Ghish, sorreggendo la giovane moglie
“Se
incontrasse Kathrine…” rispose l’angelo aureo
“Perché?”
chiese confusa Strawberry “Che cosa c’entra mia figlia?”
“E’
una legge dell’universo… non è affare di voi mortali…” rispose sbrigativo il
demone cobalto “Voi avete già ficcato troppo il naso nelle cose che riguardano
l’intero Universo, per salvare il vostro piccolo pianeta… voi siete solo
piccoli esseri come milioni di altri nell’Universo, e dovete sottostare a
queste leggi… esse sono create per garantire l’ordine. E la loro comprensione
va oltre la vostra mente, e il senso della vostra stessa esistenza… e pertanto
non avete diritto di conoscerle…”
“L’unica
cosa che conta per voi sapere è che Kivar e Kathrine non dovranno mai
incontrarsi… mai, per nessun motivo… dovete impedirlo… con ogni mezzo, o tutto
verrà gettato nell’oblio…” aggiunse l’angelo scarlatto
“Ma
cosa c’è di più potente di voi? Non capisco…” mormorò Lory non del tutto
convinta
“Nulla,
è questo il punto…” replicò malinconico l’angelo aureo, poi riprese con voce
più decisa: “I Guardiani sono quattro, ma adesso ne vedete solamente tre…”
“Il
quarto Guardiano… chi è?” chiese sottovoce Strawberry
I tre Guardiani riposero nello stesso tempo: “Il demone corvino
dell’Odio… egli rievocherà l’anima di Kivar, quella di Profondo Blu, che era
sua di diritto, se lui incontrerà Kathrine… e non potendola avere dato che essa
ora è pura, pretenderà qualcosa che non possiamo dargli… ed allora forse
l’intero Universo sarà lo scotto minore…”
“Certo che queste profezie sono sempre molto rassicuranti…”
mormorò Ghish,a bassa voce, poi disse,
cercando soprattutto di rassicurare Blanche: “La cosa importante è quindi che
Kathrine e Kivar non si incontrino… bene, non è una cosa molto difficile…
Kathrine è sempre con noi, e Kivar non verrebbe mai dove siamo noi, a meno che
non voglia essere trovato… quindi, non dovrebbe essere molto complicato…”
“Peccato che questo sia già successo…” sussurrò piano Blanche,
gli occhi lucidi e fissi al pavimento
“Quando?” chiese Strawberry stupita, voltandosi verso l’amica
Lory si batté una mano sulla fronte e rispose: “Qualche anno fa,
ricordi, Strawberry? Kivar aveva più o meno quattro anni, e Kathrine ne aveva
uno… ti ricordi? Vi venimmo a trovare io e Pie con Delet, e Blanche e Ghish con
Kivar… e c’era anche Kathrine… erano piccoli, ma si videro…”
“Dannazione!” imprecò Ghish, mentre Strawberry annuiva, e
Blanche proseguiva, la voce sempre più flebile: “Kivar iniziò a cambiare, dopo
quel famoso viaggio… prima non ricordava niente… dopo aver incontrato
Kathrine…”
“Allora non abbiamo un minuto da perdere…” riprese decisamente
l’angelo scarlatto “Dovete trovare quanto prima Kivar,la sua memoria non sarà ancora tornata del
tutto, altrimenti lo avremmo percepito… l’importante è che non riveda più
Kathrine… quando lo avremmo trovato, sigilleremo di nuovo la sua memoria.
Finché non recupera l’ultimo ricordo, c’è ancora possibilità che tutto si
risolva per il meglio… abbiate fiducia…”
I tre esseri sparirono all’improvviso, lasciando le persone in quella stanza
più confuse e disorientate di prima. Una sola certezza era quella che regnava
nel loro riflessivo silenzio, la sola che, dall’altra parte del mondo, veniva
completamente incenerita.
“Come ti senti adesso?”
Kathrine si guardò intorno spaesata, e vide che si trovava in
una stanza che non conosceva. Era chiara e piena di luce, tutta di colore
avorio,e lei era distesa su un letto a
baldacchino, con tendaggi rosa pallido. Aveva mal di testa, ma per il resto non
riusciva a ricordarsi che cosa le fosse successo e perchè fosse lì. Sollevò gli
occhi castani e vide Kevin, chino su di lei. Era stato lui a parlare poco
prima.
“Dove sono?” chiese flebilmente
“Sei a casa mia, e dove altrimenti?” rispose Kevin quasi
sprezzante
“Che cosa è successo?” chiese ancora lei, cercando di
sollevarsi, ma la testa vorticava a dismisura, dovette adagiarsi di nuovo su
uno dei grandi cuscini, portandosi una mano sulla fronte, che pulsava
incontrollabilmente.
Kevin stentò a rispondere… ho appena scoperto che sei la
Creatura più potente dell’intero Universo, ti va bene come risposta?
“Sei caduta e hai battuto la testa, perdendo conoscenza… non
chiedermi come diamine hai fatto perchè non ho visto assolutamente niente, ma
avrai fatto una delle tue solite cadute cretine…” rispose lui, sghignazzando
Kathrine impallidì, poi urlò: “Lo sai che potrei avere un trauma
cranico?! Chi me l’ha fatta fare a venire con te?!”
“Non hai traumi cranici, altrimenti me ne sarei accorto…”
sospirò Kevin, quella ragazza era veramente isterica, poi, cercando di
tranquillizzarla, disse: “Comunque, è venuto il medico poco fa, e ha detto che non
hai assolutamente niente…”
Kathrine finalmente si rilassò, anche se non ancora del tutto
convinta, e si appoggiò meglio sui cuscini. Poi si ricordò del motivo
principale per cui erano lì, e chiese: “Allora sei riuscito ad avere quello che
eri venuto a prendere? Il tuo maggiordomo ti ha dato qualcosa di interessante?
C’erano anche i tuoi?”
Kevin sospirò lungamente, odiava mentirle, dirle tutte quelle
stupide ed inutili bugie, prive di senso. Dirle che aveva trovato il suo
maggiordomo, che non aveva trovato i suoi genitori, quando sapeva benissimo che
il primo era su Nemesi e i secondi lo stavano cercando disperatamente. Ma
adesso era talmente vicino alla verità… mancava solo un ultimo sforzo e ce
l’avrebbe fatta. Quando avrebbe capito la verità, ne avrebbe parlato anche con
lei, con Kathrine, e le cose si sarebbero aggiustate. Lei era stata sincera con
lui, gli aveva raccontato il più orribile dei suoi ricordi, e lui glielo
doveva, doveva raccontarle la verità. Un giorno o l’altro.
Imbastì una delle sue solite chiacchiere, raccontandole di come
il suo pseudo maggiordomo avesse sentito una conversazione telefonica e avesse
saputo che il suo vero padre si trovava effettivamente a Tokyo. Poi, per
giustificare quel viaggio e l’esigenza impellente che doveva avere quest’uomo
di vederli, inventò che gli aveva dato una serie di numeri di telefono e di
vecchie fotografie dell’infanzia e dell’adolescenza di sua madre. Disse a
Kathrine di riposarsi ancora un po’, intanto lui sarebbe andato a prendere le
valigie dal loro albergo, ma la ragazza fu irremovibile. Disse di sentirsi
meglio e di voler tornare lei stessa in albergo a salutare Riad e Salima, prima
di partire. Non lo volle ammettere fino in fondo all’impietrito ragazzo di
fronte a lei, ma quella casa le faceva paura. C’era qualcosa di strano, come un
qualcosa di morto che però si ostinasse a vivere, anche se il suo cuore batteva
ancora, qualcosa che insomma le faceva venire i brividi. Aveva poi una
sensazione strana addosso, da quando si era svegliata; come se le avessero
fatto qualcosa, e le avessero risucchiato l’energia dal corpo… si sentiva
debole, completamente priva di forza.Ma preferì non dirlo a Kevin, sapeva che l’avrebbe presa solamente in
giro.
Finalmente uscirono da quella casa, che Kevin continuò a fissare
per qualche minuto, mentre lei lo guardava a sua volta. Doveva essere difficile
per lui lasciare di nuovo quella casa, dove era cresciuto… dopo, si diressero
lentamente e silenziosamente verso il centro della città. Kathrine cercava di
guardare con occhi avidi tutto quello che stava lasciando, certo un giorno
sarebbe potuta tornare a Parigi, magari con la sua famiglia, il suo futuro
fidanzato o marito, e figli al seguito. Ma Kevin… dubitava fortemente che ci
sarebbe mai potuta tornare con lui, forse già dal mese dopo sarebbero stati di
nuovo due estranei, che non avevano più niente in comune, l’uno con l’altra. A
parte la stretta cerchia di persone, che considerava indispensabili, sapeva che
le persone se ne vanno, sempre, e non c’era niente da fare. Anche lui… forse
sarebbe tornato ad Hokkaido, da sua zia, oppure ancora qui, in Europa, a
dividersi da lei con un enorme cielo ed un immenso continente, fatto di terra,
d’acqua, d’aria e di persone che lei non avrebbe mai conosciuto. Le venne una
strana fitta allo stomaco, non era un bel pensiero immaginare una cosa del
genere,e cercò di concentrarsi su
altro. In fondo, lo aveva sempre saputo che lui se ne sarebbe andato, perché se
ne stupiva adesso? Semplicemente perché gli aveva confidato una cosa cruciale
sulla sua esistenza, che non sapeva quasi nessuno, nemmeno i suoi genitori, e
adesso in virtù di quella confidenza, credeva che il loro legame fosse così
forte da durare per sempre… ma non era così, niente dura per sempre, e lei lo
sapeva, lo sapeva bene. Gli sarebbe stata grata per sempre magari, e solo in
quella frase ci poteva essere quello scomodo ed infinito avverbio… sempre…
e sempre avrebbe ricordato quel viaggio, il suo misto di emozioni e
sentimenti… paura, terrore, eccitazione, rabbia, fastidio, dolcezza, stupore,
curiosità, gioia, entusiasmo, persino follia, se ripensava all’ enorme bugia,
che aveva raccontato ai suoi… e forse anche un po’ di coinvolgimento, lei lo
aveva provato per il ragazzo moro che camminava impettito accanto a lei… sorrise
ancora, in fondo era sta proprio una bellissima vacanza…
Finalmente, arrivarono nel loro albergo, e, mentre Kevin saliva
a prendere le valigie, Kathrine andò a salutare Salima e Riad, che abbracciò
con affetto. Lasciò ad entrambi il suo indirizzo e il suo numero di telefono,
in maniera che potessero sentirsi e loro fecero altrettanto. Salima le regalò i
guanti bianchi di raso, che aveva indossato la sera prima, dicendole che
sarebbero serviti più a lei.
“Per sapere di poter sentirsi sempre come una principessa…” le
disse nel suo stentato inglese, le lacrime agli occhi
Kathrine sorrise e l’abbracciò ancora, dandole invece una
fotografia che avevano fatto la mattina prima, e dove c’erano lei, Kevin, Riad
e Salima stessa. Kevin chiamò Kathrine, il taxi era arrivato e la biondina si
affannò a salutarli ancora, prima di prendere le valigie e salire in auto.I due coniugi guardarono la macchina
sparire, dopo una curva, mentre Riad metteva un braccio attorno alle spalle della
moglie… entrambi pensarono la stessa cosa, ma la tennero per sé. In fondo, lo
sapevano, ne vedevano tante di coppiette venire nel loro albergo…
Un giorno, ritorneranno… insieme… qui, in questa
città, che sa rapire il cuore e che non ha però avuto i loro… ci hanno pensato
da soli a rubarseli a vicenda…
Kathrine guardava pigramente fuori dal finestrino dell’aereo, la
mano appoggiata sul mento e gli occhi stanchi. Ormai mancavano pochi minuti
all’atterraggio, tra poco l’aereo si sarebbe fermato, e lei sarebbe scesa.
Guardò accanto a lei, Kevin si era addormentato, c’era da aspettarselo… sospirò
a lungo, poi gli tirò la manica, dicendogli che erano arrivati. Il loro
viaggio, che era stato della durata quasi di una giornata intera, era stato
silenzioso e taciturno. Kevin non aveva aperto bocca, da quando avevano
lasciato casa sua, adesso che ci ripensava… era strano, in fondo era andato
tutto bene… finalmente l’aereo atterrò e i due, scesa la scaletta,rientrarono nel grande aeroporto di Tokyo,
che sebbene fossero già le undici passate, era ancora pienissimo di gente.
Kathrine non si aspettava nessuno, cosa che le faceva anche discretamente
piacere, perché avrebbe potuti salutare Kevin in santa pace, ma fu rapidamente
smentita: oltre a suo padre e a sua madre, c’erano anche Blanche, Ghish, Pie, Lory
e i suoi zii.
“Caspita, che accoglienza!” borbottò, all’indirizzo di Kevin, ma
il ragazzo non rispose. Si voltò infastidita verso di lui per chiedergli che
cosa avesse, ma vide che non c’era, era sparito. Si guardò attorno, ma niente,
Kevin se ne era andato.
“Kathrine, tesoro!” le urlò la madre, non appena la vide
correndo ad abbracciarla, mentre la ragazza bionda cercava di divincolarsi:
“Mamma, sono stata via solamente cinque giorni!”
Strawberry si staccò da lei, accarezzandole la guancia, e
rispose: “Lo so, tesoro, ma ci sei mancata… adesso a casa ci racconterai tutto
di quello che è successo! Come è stata la mostra?”
“Bellissima” rispose lei, mentre abbracciava anche suo padre,
che, senza troppi preamboli, dopo le parole allarmanti che gli aveva riferito
Strawberry, chiese: “E’accaduto qualcosa di strano? Hai conosciuto qualcuno?”
Kathrine deglutì più volte, per poi rispondere: “Niente di
strano… perché? Che sarebbe dovuto succedere papà? E poi, a parte Riad e
Salima, i proprietari dell’albergo non ho conosciuto nessun’altro!”
I due respirarono di sollievo, poi, presi i bagagli della
figlia, uscirono dall’aeroporto, mentre Kathrine, gettando un’ultima occhiata
distratta alle sue spalle, li seguì.
Kevin, nascosto dietro una colonna, respirò di nuovo… i
suoi genitori… meno male che non l’avevano visto, come aveva intuito, stavano a
casa Shirogane. Gli fece un certo effetto rivederli, erano diversi, apparivano
stanchi, spossati, come non li aveva mai visti. Si sentì quasi dispiaciuto per
loro, ma adesso non poteva tirarsi indietro, mancava davvero pochissimo. Una
domanda però non poté evitarsela: come mai non riuscivano ad avvertire la sua
presenza? Scrollò le spalle e sorrise orgoglioso, magari stava imparando a
celare la sua aura di fronte agli altri… non sapeva, Kevin, che lunghe ombre si
stavano addensando intorno alla sua anima, attirate da una luce che stava
liberando la sua antica natura prigioniera.
Chiedo sommamente perdono a tutti, ma questo è stato
davvero un periodo molto particolare e la mia vena “artistica” se ne era andata
decisamente ai pesci!!!! Insomma, non vi volevo tediare con un capitolo scritto
tanto per scrivere, e non fatto, come cerco sempre di fare, con il cuore e con
la mia mente! Poi, scritto il capitolo e dovendo per l’ennesima volta,
formattare il computer ho perso il floppy che conteneva questo capitolo e gli
altri successivi… insomma, na tragedia!E solo oggi, dopo non so nemmeno quanto tempo, sono riuscita ad
aggiornare!!!! Avete capito allora perché questa storia si chiama così e perché
la sua traduzione è sostanzialmente “Infrangendo le regole dell’universo?”. Era
questo il motivo!!! Purtroppo oggi non ho davvero tempo per rispondervi uno per
volta, se ce la farò, aggiornerò questo stesso capitolo con i ringraziamenti del
caso, ma intanto voglio ringraziare tutti coloro che in questi mesi mi hanno
manifestato il loro affetto e la loro volontà che questa storia fosse
continuata. Non voglio promettermi aggiornamenti più rapidi perché so che molto
probabilmente tradirei le vostre aspettative, ma voglio solo promettere che
questa storia sarà completata prima o poi. Un piccolo messaggio voglio
dedicarlo solo alla mia Aya: purtroppo, non sono riuscita a leggere la
tua storia, semplicemente perché non mi è davvero possibile! Se ci riesco nei
prossimi giorni ti mando una mail per spiegarti tutto, posso solo dirti una
cosa per farti capire il mio periodo molto particolare… ricordi il “ragazzo
perfetto”??? Insomma, da sette mesi è il mio ragazzo… muoio dalla voglia di
dirti tutto e di riprendere a farti da beta reader, quindi sentiamoci al più
presto, ok???
Erano passati diversi giorni da quando Kathrine e Kevin erano
tornati da Parigi. I due ragazzi erano stati di nuovo trascinati dal vortice
della loro vita quotidiana, ed era abbastanza difficile per loro avere tempo
per qualcos’altro. Kathrine era costantemente impegnata con lo spettacolo,
ormai mancavano poche settimane, e sarebbe andato in scena, quindi trascorreva
parecchio tempo in teatro a fare prove su prove. Quando terminava poi era
talmente stanca da andarsene a letto, senza rivolgere la parola a nessuno, anzi
scagliando anatemi a chiunque si azzardasse solamente a dirle una mezza frase.
Per giorni, non vide null’altro che il suo Romeo, ossia Danny Tetsuo della
terza C, e l’insegnante di letteratura. Non che poi avesse questa voglia
infinita di vedere qualcun altro. Da quando era tornata da Parigi, le sembrava
che il mondo fosse cambiato e che lei non fosse stata ammessa a tutta questa
bella scenata di rivolgimenti e rivoluzioni. I primi erano, come sempre, i suoi
genitori. Ryan e Strawberry erano sempre stati due genitori molto apprensivi,
si preoccupavano costantemente e spesso in maniera eccessiva, scatenando nella
povera Kathrine reazioni di stizza e fastidio. Ci litigava un giorno sì e
l’altro anche, quando li veniva in testa di farle domande assurde o di
piantarle grane su dove andava, con chi andava e quando tornava. Ma, se mai
questo era possibile, le cose erano anche peggiorate da quando era tornata da
Parigi. Quella sera stessa, alla presenza anche di Ghish e Blanche, aveva
dovuto raccontare tutto quello che aveva fatto, visto e visitato a Parigi. Con
particolare attenzione, per chi aveva visto. Era stata ore a ripetere
che, a parte Salima e Riad, lei non aveva conosciuto nessuno, ma niente,
insistevano, chiedendole se non si fosse scordato qualcuno con presunta
indifferenza, ma in realtà con ben evidente preoccupazione. Aveva dovuto anche
dare i nomi fittizi dei quattro compagni che erano venuti con lei, e stavano
quasi per chiederle il numero di scarpe, l’estratto conto dei genitori e il
gruppo sanguigno. Davvero non li capiva più… il paradosso poi era che la situazione
si ripeteva ogni santissimo giorno. Finito il capitolo PARIGI, c’era sempre
quello VITA DI TUTTI I GIORNI, ovviamente lunghissimo. Ormai per quanto poteva,
evitava di incontrarli, e se ne scappava in camera sua, evitando i loro
interrogatori, e per la prima volta nella sua vita, considerando quanto amava
suo padre, si chiese come mai
Ryan non se ne tornasse a S.Francisco. In questo modo almeno,
sua madre avrebbe perso il suo più grande alleato. Nel pianeta degli
stramboidi, poi, Kathrine avrebbe sicuramente accresciuto ancora di più la
popolazione, aggiungendovi anche quei due amici dei suoi, Ghish e Blanche.
All’inizio le erano stati abbastanza simpatici, certo si vedeva che erano molto
preoccupati per il figlio, ma le sembravano dei tipi a posto. Ghish, poi, nei
momenti in cui non era malinconico, era anche abbastanza spiritoso e spesso lei
e Miky a tavola si erano scapicollati dalle risate; Blanche invece era
decisamente più riflessiva e aveva sempre un’aria triste che nonostante gli
scherzi del marito, non le passava mai. Praticamente passava le ore nella sua
camera con le serrande abbassate, stesa a letto con un fazzoletto bagnato sulla
fronte. Sapeva che i suoi erano molto legati a loro, anche se non aveva ancora
capito bene come si erano conosciuti, dicevano per lavoro, quindi aveva dedotto
che doveva essere stato per il celeberrimo Caffè mew mew. Tra l’altro,
conoscevano anche i genitori di Grace e Nick, quindi le sembrò logico che
l’origine di tutto fosse quella. Insomma, la cosa strana era che anche loro due
erano decisamente cambiati, da quando era tornata. Avevano partecipato agli
interrogatori dei suoi, non in veste di spettatori, ma facendole anche loro
tutta una sfilza di domande sulle sue nuove conoscenze, a cui lei non aveva
risposto male solo perché era effettivamente molto educata e perché poi c’erano
i suoi, che le avrebbero dato il tormento eterno. Ma che cavolo hanno tutti?
Si chiedeva senza risposta. Il culmine poi lo aveva raggiunto solo due giorni
prima. Non sapeva neanche lei come si era trattenuta; stava scendendo a
colazione e, come era accaduto pochissime volte, Blanche era seduta anche lei
in cucina, e sorseggiava pensosamente un tè. Appena era entrata, si era
limitata a sollevare pigramente gli occhi azzurri, sempre rossi e cerchiati.
Kathrine l’aveva salutata, e si era affannata ad ingurgitare il suo cappuccino,
prima che le chiedesse qualcosa. Troppo tardi. Mentre allungava il braccio per
prendere la caraffa di succo di frutta, Blanche era scattata all’improvviso,
afferrandole il polso e stringendoglielo con forza, gli occhi che roteavano
quasi folli nelle orbite.
Si era lamentata leggermente, ma lei non aveva allentato la
presa.
“Che c’è?!” aveva chiesto con una nota di irritazione nella voce
Kathrine, già infastidita dal probabile ed ennesimo ritardo a scuola, ormai
decisamente nervosa per la stretta molesta.
Blanche non l’aveva lasciata, mentre le chiedeva dove aveva
preso il braccialetto che indossava. Kathrine l’aveva guardata senza capire. Certo
che questa è proprio pazza…! Si era limitata a sussurrare che l’aveva preso
da Parigi, non provvedendo a specificare che gliela aveva regalato Kevin. Non
era assolutamente necessario saperlo, e poi nessuno sapeva che Kevin Shirayuki
non solo era stato un suo compagno di viaggio, ma era stato il suo unico
compagno di viaggio.
“Chi te l’ha venduto?!” la incalzò ancora Blanche, stringendola
ancora più forte. Fu allora che Kathrine si staccò abbastanza violentemente
dalla sua presa, scappando via e dicendo che era in ritardo per la scuola,
lasciandola con un palmo di naso. Adesso anche avere un braccialetto era un
crimine passabile della corte marziale? Quando era tornata da scuola, Blanche
le aveva chiesto scusa, incalzata da Ghish, ma adesso Kathrine se poteva
evitarlo, non rimaneva sola con lei. Come se non bastasse, l’aveva anche
sentita bisbigliare al marito parole come “strane vibrazioni” e “sento la sua
presenza”; che fosse veramente pazza?! Sembrava che vivesse dentro Dragon Ball,
dove i sayan sentivano le aure e le vibrazioni.
Comunque, il pianeta stramboidi era in rapida crescita
demografica e si stavano tenendo le elezioni per la carica di presidente
onorario; i candidati erano Grace Mitsuki, Chiyo Aoyama e Kevin Shirayuki.
Degli ultimi due non era stupita, quelli non erano mai stati molto normali, ma
Grace! La sua Grace, la sua migliore amica! Non ci voleva nemmeno pensare!
A quanto pareva, mentre era a Parigi con Kevin, lei e Daniel
avevano legato molto; legato insomma era un pallido eufemismo. Erano
appiccicati come la colla! Erano, come si dice in gergo, più che amici, ma meno
che fidanzati, e stavano lì tutto il tempo a tubare, a ridere, a parlottare
come due perfetti imbecilli. Di come questo fosse successo in meno di una
settimana, Kathrine lo ignorava beatamente. Sapeva solo che erano stati messi
in punizione assieme dalla prof di letteratura e si erano quindi messi a
chiacchierare del più e del meno, mentre riordinavano le infinite schede
dell’archivio studenti. Poi, esauriti gli argomenti, avevano trovato il loro enorme
punto in comune, Kathrine e Kevin e la loro tragicomica situazione. Insomma,
avevano fatto amicizia, ridendo di loro due e del fatto che sia Grace che
Daniel fossero convinti che i due in realtà si piacessero molto. Kathrine non
trovava antipatico Daniel, anzi sembrava un tipo a posto, al contrario del suo
cugino stramboide, per questo almeno per il momento non lo collocava nella
popolazione del pianeta dei malati di mente. Ma forse ci sarebbe anche
arrivata. Grace se ne stava tutto il santissimo giorno o appiccicata a Daniel,
oppure con lo sguardo cuoriforme. Guardava un cane e diceva: “A Danny
piace molto questa razza di cani…”. Prendeva un gelato ed era tutto un: “Danny,
avrebbe preso la nocciola con il cioccolato…”. Persino respirare non andava più
bene nella maniera che non era quella di Danny. E guai a farglielo
notare! Sbuffava e rispondeva: “Kitty, io ti ho sopportato fino alla noia,
quando stavi con C.J.! E adesso che sono innamorata, mi neghi questo
piacere?!”, e via sensi di colpa e rimorsi. Il peggio era però, quando lei si
scusava e Grace rispondeva che sicuramente potevano condividere la gioia di
essere innamorate, se lei finalmente avesse ammesso che le piaceva Kevin.
“Immagina che bello uscire tutti e quattro assieme!” ribatteva
la ragazza castana, sbattendo le ciglia.
Kathrine si limitava a replicare che era bello come avere un
incontro ravvicinato del terzo tipo con E.T., l’extraterrestre, e se ne andava
alle prove della recita, mentre Grace riprendeva a sbuffare.
Alla fine di quei colloqui con Grace, Kathrine rimaneva a
pensare a quanto quello che sperasse la sua migliore amica, era completamente
assurdo. A parte l’impossibilità ovvia di non essere innamorata di Kevin, c’era
anche l’aggravante del fatto che Kevin praticamente non le parlasse più. Appena
erano tornati da Parigi, il ragazzo si era trincerato dietro un ostinato muro
di silenzio. Aveva persino rinunciato a prenderla in giro, come sempre, e a
battibeccare con lei. La evitava come la peste, Kathrine se ne era accorta:
ogni volta che si incontravano, lui cambiava strada con nonchalance oppure
fingeva di non vederla oppure, se proprio vi era costretto, la salutava
velocemente con un’alzata di capo e niente più. Il motivo di questo
comportamento era chiaramente un mistero. All’inizio, la ragazza bionda aveva
pensato che fosse dovuto a quella cosa… la confidenza di quello che le
era successo un anno prima e che lei gli aveva fatto a Parigi. Forse provava
pena per lei, chissà… ma poi aveva capito che la cosa era diversa. Doveva
esserci dell’altro. Lui si era cominciato a comportare stranamente non dopo
quell’episodio, ma successivamente. Esattamente da quando avevano lasciato casa
sua. In quei momenti, quando la sua mente ricollegava il comportamento di Kevin
alla visita nella casa dei suoi genitori, si mordicchiava nervosa il labbro
inferiore e malediceva il fatto che fosse svenuta come una pera cotta e che
quindi non avesse potuto assistere a quella che doveva essere stata una cosa di
portata tale da farlo repentinamente cambiare. Intanto, quando si ritrovava a
pensarci troppo a questa storia, scuoteva furiosamente il capo, dicendosi che
se lo doveva aspettare e che in fondo non gliene importava proprio niente.
Quella medesima riflessione seguiva a ruota un’altra, che la sua mente però
negava ancora più apertamente delle precedenti. Kathrine ricordava
perfettamente in ogni secondo una risposta a quelle sue riflessioni, che però
si rifiutava per principio di analizzare. Kevin adesso usciva stabilmente con
Chiyo. E la risposta più ovvia al suo comportamento, poteva essere che Chiyo
avesse imposto a Kevin di non frequentarla più. Oddio non che Chiyo se ne
facesse accorgere… come degno cittadino onorario del pianeta dei folli, Chiyo
da quando usciva con Kevin era diventata uno zuccherino. L’aspettava all’uscita
da scuola, l’accompagnava a casa, la ricopriva di attenzioni e complimenti.
Kathrine sorrideva, però anche il livello di sopportazione nei confronti di
Chiyo decresceva a vista d’occhio. La figlia di Mark aveva evidentemente la dote
innata di rendersi odiosa, anche quando era carina e gentile.
La conseguenza di tutta questa situazione era che Kathrine
trascorreva tutto il suo tempo a teatro, cercando di stare quanto più lontana
possibile dalla sua famiglia e dai suoi amici. Perlomeno, le restava Nick, che
per sua fortuna era rimasto uguale a prima. Però Nick, con suo sommo
dispiacere, non aveva molto tempo da dedicarle. Aveva gli allenamenti al club
di basket e non poteva saltarli praticamente mai; si stavano avvicinando i play
off e Nick era il playmaker della squadra della scuola.
Mancavano cinque giorni alla festa della scuola e esattamente
trentacinque al debutto di “Romeo e Giulietta”.
Kathrine era esausta e l’unica cosa che voleva era buttarsi a
capofitto nel suo letto.
Ma evidentemente non era la sua giornata fortunata.
Era appena uscita dal cancello della scuola che una voce
argentina la richiamò indietro. Si voltò pigramente, trattenendo uno sbuffo di
impazienza. Dietro di lei, appoggiati languidamente al muro dell’ingresso, c’erano
Kevin e Daniel che parlottavano tra loro, il primo sempre più ombroso, il
secondo invece apparentemente sereno. Accanto a loro, una da una parte e
l’altra da quella opposta, sostavano anche Grace e Chiyo. Se un giorno le
avessero detto che quelle due sarebbero uscite assieme, non ci avrebbe mai
creduto; a quanto pare, Grace aveva realizzato il suo sogno dell’uscita a
quattro. Senza di me, ovviamente.
Scacciò la fitta allo stomaco e li salutò stancamente.
“Hai finito le prove?” le chiese Chiyo, sbattendo le ciglia,
praticamente incollata al braccio di Kevin che stava studiando attentamente un
albero di ciliegio.
“Sì, mezz’ora fa…” rispose velocemente, chiedendosi che cavolo
volessero da lei.
“Noi stiamo andando al – Sugar pie-, vuoi venire con noi?” replicò
Grace sorridente, abbracciando Daniel.
Li guardò, inarcando un sopracciglio. Dalle labbra le sfuggì un:
“Non dirai sul serio?!”.
Grace e Chiyo sgranarono gli occhi e mormorarono: “Perché,che c’è?!”.
Le spalle di Kathrine si afflosciarono su sé stesse, mentre la
biondina diceva caustica: “E che sarei io, il terzo o il quinto incomodo?!”.
“Ma non dire sciocchezze!” ribatté con enfasi Chiyo, scuotendo
la testa “Non ci vediamo da così tanto tempo!”.
“Sì, ma io sarei stanchissima…”.
“Dai, non fare la pigrona!” sorrise Grace. La pigrona, la
pigrona?!!! A lei??!! Voleva vedere chiunque altro a ripetere dieci volte di
fila “O Romeo, O Romeo…” e tutta la solita solfa per colpa di un
faro che non funziona bene, di una spada che si impiglia nella scenografia o di
Danny Tetsuo che non sa ancora nemmeno un quinto della sua parte! Nemmeno uno
con la pazienza di Buddha e il corpo di Rocky Balboa, sarebbe uscito illeso.
“Sentite, sono davvero stanca e sarò
anche pigrona, ma sto morendo di sonno! Quindi, ciao, ci vediamo domani!”
mormorò acidamente, voltandosi per tornarsene a casa.
“Possibile che tu debba essere sempre
fare l’imperatrice della situazione?”.
“Toh!” eruppe Kathrine, voltandosi
verso la voce fin troppo conosciuta. Si portò una mano dietro l’orecchio e sussurrò
con espressione fintamente stupefatta: “La voce di Kevin Shirayuki! Erano anni
che non la si sentiva su questo pianeta!”, poi cambiò mimica, ritornando alla
faccia precedente, quella acida e stanca.
Sibilò velenosa come un serpente:
“Torna a guardare il tuo albero, Shirayuki. E lasciami in pace…”.
Si voltò nuovamente su sé stessa,
pronta ad andarsene, poi la voce soffice di Grace la fece fermare.
“Scusami, Kitty… non avrei dovuto
insistere… è solo che è davvero da un sacco di tempo che non parliamo un po’…
ma sei così stanca non fa niente, facciamo un’altra volta…”.
Kathrine sorrise finalmente e disse
piano: “Va bene, vengo… ma solo per un po’… ho davvero voglia di una bella
fetta di torta…”.
“Mandorle e carote?” ammiccò Grace,
staccandosi da Daniel e prendendo sottobraccio l’amica.
“Ovviamente… ma siccome sono una
pigrona, me la vai tu a prendere!” sorrise Kathrine, incamminandosi con Grace.
Le due continuarono a parlare
giocosamente, punzecchiandosi, mentre a tratti Kathrine raccontava a Grace le
novità degli ultimi giorni. A breve distanza, le seguivano gli altri tre.
Chiyo, al suono di una suoneria
gioiosa, si staccò dal braccio di Kevin, recuperando il suo trillante cellulare
dalla cartella.
“Mamma!” rise felice, mentre rimaneva
indietro, impegnata a parlare con sua madre che la chiamava dalla Germania e
che non sentiva da qualche giorno.
Approfittando della telefonata,
Daniel si avvicinò furtivamente a Kevin che se ne stava in silenzio, lo sguardo
azzurro fisso davantia sé. Quasi
sembrava non essersi accorto della presenza del cugino, né del fatto che Chiyo
si fosse staccata da lui.
Daniel sospirò e sussurrò: “Dovresti
smetterla, Kivar… davvero…”.
“Di far, che?” chiese Kevin,
sbattendo due volte le palpebre.
“Di ignorarla…”.
“Chi?”.
“E dovresti smetterla anche di fare
il falso idiota… lo sei già abbondantemente…” replicò a voce stavolta più alta
Daniel.
Kevin rise, decidendo di smetterla
almeno con la seconda cosa.
“Te l’ho detto, no? Te l’ho detto che cosa è successo a
Parigi…” rispose velocemente Kevin.
“Sì che me l’hai detto…” sospirò Daniel “Kathrine è la
leggendaria Creatura di Luce… difficile da credersi…”.
Lo sguardo di entrambi si concentrò sulla ragazza bionda davanti
a loro, che rideva gioiosa.
Bellissima, intelligente, vivace, con un sarcasmo che le veniva
fuori come niente.
Eppure, oltre che la speciale ragazza che era, era anche una
creatura speciale. Sembrava così… normale… ed invece non c’era niente
che non potesse fare.
“Già… la più potente creatura dell’Universo è Kathrine Shirogane…
ed è davvero una Chiave…” bisbigliò ancora Kevin, una risata amara sulle labbra
“E pensare che la definivo così solo perché sembrava essere la chiave per il
mio passato… e invece… potrebbe esserlo per qualsiasi cosa…”.
Daniel sorrise con comprensione, poi commentò piattamente: “Mio
caro cugino, lei sarà anche una Chiave, una Creatura di Luce, la cosa più rara
dall’inizio della vita, l’essere più potente al mondo, e bla, bla, bla… ma sai
che altro è?”.
“Che altro?” chiese Kevin quasi allarmato dalla possibilità che
ci fosse qualcosa di peggio.
“In primis, è una ragazza…” rispose Daniel, scalando con le dita
un ipotetico punto primo di una fantomatica lista “E le ragazze non amano
essere ignorate, specie da uno con cui sono state in vacanza da sole per cinque
giorni a Parigi…”.
Kevin lo guardò, sospirando: “E poi?”.
“E poi la ragazza in questione sarà anche quello che vuoi, ma è soprattutto…
Kathrine Shirogane…” concluse sorridendo Daniel, prima di aggiungere: “E se
la conosco anche solo la metà di quanto la conosci tu, credo che ti caverà gli
occhi la prossima volta che non le rivolgerai la parola…”.
Kevin sospirò ancora, aveva perfettamente ragione. Anzi su un
punto aveva torto marcio: Kathrine non gli avrebbe mai cavato gli occhi. Almeno
non prima di avergli buttato addosso un litro di acido solforico…
Daniel andò a raggiungere Grace e Kathrine, lasciando indietro
il cugino a riflettere. Dopo qualche attimo, Kevin fu affiancato a sua volta da
Chiyo, che aveva finito di parlare con la madre.
Lo abbrancò di nuovo per il braccio, sorridendo. Poi gli chiese:
“Che hai? Sei strano… a che stai pensando?”.
La risata di Kathrine sembrò saturare l’aria attorno a lui.
Sorrise nervosamente e si affrettò a replicare: “A niente… era tua madre,
vero?”.
Chiyo annuì con energia, stringendosi più forte a lui. Doveva
avergli bloccato la circolazione del braccio.
“La mamma mi ha parlato di una scuola per design meravigliosa
che c’è a Berlino…” rispose Chiyo, le guance rosse per l’eccitazione “Vorrebbe
che io ci andassi…”.
“Sarebbe bello…” le sorrise Kevin con affetto.
“Già, sarebbe bello… ma almeno per ora non se ne parla…” riprese
la ragazza mora, visibilmente più scoraggiata.
Kevin intuì il motivo del suo cambiamento d’umore e disse
sottovoce: “Tuo padre…”.
Chiyo alzò le spalle, i suoi occhi verde giada erano pieni di
lacrime, ma la ragazza si sforzò di sorridere, non appena risollevò lo sguardo.
Kevin l’attirò più vicina a sé, baciandole la tempia e sussurrandole: “Andrà
tutto bene…”.
Tra le sue braccia, Chiyo arrossì, sorridendo, mentre il suo
braccio lo stringeva a sua volta attorno alla vita.
“Bene!” disse alla fine staccandosi da lui “Che facciamo domani
sera?”.
Kevin le sorrise, mentre Chiyo faceva le sue varie proposte.
Anche se era cominciata in modo decisamente opportunista da parte sua, quella
con Chiyo si era trasformata in una bellissima amicizia. Certo, Kevin sapeva
perfettamente che l’interesse della ragazza non era disinteressato, ma al
momento cercava di non dare peso all’attrazione che sapeva avere Chiyo nei suoi
confronti. Era una ragazza molto fragile, in lotta continua con il padre.
Sentiva molto la mancanza della madre e spesso era invidiosa di Kathrine e
Grace; insomma non era certamente un tipo facile. Eppure da quando uscivano
assieme, lei sembrava un po’ più serena, magari aveva bisogno solo di una
persona che l’ascoltasse e che le stesse vicino, e lui lo faceva volentieri.
Traeva anche lui giovamento dall’idea che fosse utile a qualcuno, che la sua
permanenza sulla Terra non fosse solamente l’emblema del suo egoismo che stava
facendo una vittima dopo l’altra. Prima i suoi genitori e Delet, poi Kathrine.
Già Kathrine… come comportarsi con lei? Da quando aveva saputo che cosa era
Kathrine in realtà, qualcosa in lui era cambiato. No, stava mentendo, mentiva
anche a sé stesso. Mentiva enormemente. Lui ripensava sempre alla scena del suo
sogno, solo a quella, con l’aggiunta di un tocco di realismo fornito dalla
prova che Herik e Melissa avevano cercato, aprendo quel portale con il sangue
di Kathrine davanti ai suoi occhi. L’aveva messa in pericolo decisamente troppo
e, quello che risuonava peggiore, era che non era riuscito a fare niente per
impedirlo. Chi diamine era lui per mettere in pericolo la vita di una ragazza
innocente? Era tormentato da paure che non lo lasciavano mai in pace. E se il
sogno si fosse avverato? E se Herik e Melissa avessero voluto impadronirsi del
potere di Kathrine? Se per lei era rischioso richiamare i suoi ricordi? Herik
gli aveva detto che le Creature di Luce potevano morire, se aprivano portali
troppo imponenti, e lui non aveva la minima idea di che cosa si nascondesse
nella sua mente. Poteva metterla in pericolo solo per sapere chi era veramente?
Poteva farlo, essendo così maledettamente incapace? Intanto la teneva a distanza,
incerto su che cosa fare. Arrivava anche a pensare di tornare dai suoi, ma era
allora che il latente potere di Kathrine ridava ulteriore nitidezza ai suoi
sogni e ai suoi ricordi. Ormai conosceva alla perfezione il volto di Elissa e
Leon, ma non riusciva ancora a capire chi fossero. Per il primo, provava odio
nei suoi ricordi e sogni, ma sentiva anche di esservi legato, lo aveva
accostato ad un fratello la maggior parte delle volte che lo aveva ricordato.
Per la seconda, avvertiva desiderio, ma senso di colpa per esso, quasi che
fosse una bramosia sporca. Non riusciva a capirci più niente e intanto Kathrine
ormai non gli parlava più, se non per insultarlo.
Che stupenda situazione, ma se io me ne stavo
bello e tranquillo su Nemesi… pensò sospirando, mentre entravano nel Sugar Pie.
Si sedettero ad un tavolo, Grace e Kathrine di fronte a lui,
Daniel e Chiyo. Le due ragazze,a quanto
pare, erano presissime dalla loro conversazione, che riguardava tale Natalie
della sezione F che si era lasciata con il suo ragazzo.
Kevin stava leggendo il menù, indeciso su che cosa prendere,
quando sentì il cicaleccio delle due amiche finire all’improvviso. Ringraziò
Dio che il discorso fosse finito, e sollevò lo sguardo. Sia Kathrine che Grace
stavano guardando l’ingresso con aria sospettosa. Kathrine era leggermente
impallidita, mentre Grace stringeva le mani attorno ad un tovagliolo di carta.
“Che è successo?” chiese Daniel, preoccupato, ma le due lo
ignorarono beatamente.
I tre allora si voltarono verso la porta, non c’era niente di
strano, il solito viavai. Almeno agli occhi di Kevin e Daniel… infatti Chiyo
invece annuì con comprensione, sospirando. Poi mormorò: “Katy, stai calma, mi
raccomando… credo che stia venendo qui…”.
“CHI?!!” eruppero sia Kevin che Daniel, che non ci stavano
capendo nulla.
Kathrine aveva sorriso a Chiyo, poi aveva chiuso gli occhi e
aveva mormorato con aria di sufficienza: “Non vi sembra di sentire puzza di
carogna?”.
“A me no…” rispose Daniel ingenuamente, mentre Kevin gli dava
una gomitata.
“Hai ragione, Kitty… questo posto è caduto proprio in basso…”
ribatté Grace velenosa, la voce più alta, come se volesse farsi sentire da
qualcuno di preciso.
Anche Chiyo sembrò reggere il gioco: “Adesso fanno entrare
proprio tutti… che schifo!”.
“Sarà meglio cercarci un altro posto, eh? Che ne dite?” disse
Kathrine gaia, ma a Kevin non era affatto sfuggito come gli occhi scuri della
ragazza si fossero riempiti di scintille verdi. Come quando era arrabbiata.
Sia Chiyo che Grace annuirono, mentre i due ragazzi ancora non
ci capivano niente. Rimasero seduti ad osservare le tre che si alzavano dal
tavolo, finché finalmente capirono l’oggetto di tante battutine.
Infatti, quando Kathrine si era alzata ed aveva oltrepassato il
loro tavolo, seguita da Grace e Chiyo, qualcuno l’aveva fermata. Anche Daniel e
Kevin si alzarono velocemente, affiancandosi alle tre ragazze, presagendo che
qualcuno stesse dando loro fastidio.
Ma in realtà il misterioso assalitore non era minimamente
interessato a Grace e Chiyo, ma solo a Kathrine. L’aveva presa per il polso e
la stava trattenendo. Kevin era già pronto a scagliarsi su di lui, mollandogli
un cazzotto in faccia, quando Kathrine sputò fuori con rabbia queste parole:
“Lasciami stare C.J.! Lasciami o ti prendo a calci!”.
C.J… che razza di nome imbecille… questo fu il contemporaneo
pensiero di Daniel e Kevin, sentendo Kathrine. Ma la seconda cosa che i due
pensarono fu diversa: se Daniel pensò a che genitore crudele potesse chiamare
in quella maniera il proprio figlio, Kevin ricordò distintamente di aver già
sentito parlare di questo ragazzo. C.J…. dove cavolo l’aveva sentito? A
guardarlo, il ragazzo non gli ricordava nulla: era sicuramente più grande di
loro, doveva avere almeno venticinque anni. Aveva la tipica faccia del biondino
che fa impazzire tutte le ragazze, una specie di incrocio tra Leonardo di
Caprio e James Dean. Capelli spettinati con ciuffo ribelle sulla fronte, occhi
verde chiaro, fisico scolpito da nuotatore professionista. Indossava una
camicia azzurra ed una giacca elegante, sopra dei jeans scuri. La mano libera
dalla presa sul polso di Kathrine stringeva una valigetta di cuoio nero.
Insomma, a Kevin non diceva proprio nulla. Poi come un lampo si accese la spia
luminosa nel suo cervello. Certo, C.J.! Era l’ex di Kathrine! Gliene aveva
parlato quando gli aveva raccontato di quel spiacevole episodio che le era
accaduto un anno prima, proprio una sera in cui lui non era andato con lei in
piscina. Ci aveva preso anche sul fatto che era un nuotatore allora… deglutì
leggermente, non se lo immaginava così. Immaginava un povero sfigato, un
ragazzino insomma, lo aveva raffigurato nella sua mente molto simile a Nick.
Invece, quello era praticamente un uomo fatto e finito.
“Che cavolo vuoi ancora, Christopher James?” chiese irritata
Grace, mentre Kathrine aveva cessato di dimenarsi e stava guardando con odio
puro il ragazzo biondo. A Kevin e Daniel, venne da ridere. Ecco da dove veniva
quel nome assurdo, C.J…. il suo nome completo era perfino peggiore e non lo
credevano possibile.
“Voglio parlarti, Katy…” sussurrò con voce suadente o
pseudotale. Guardava Kathrine come se fosse un topolino nella sua trappola.
Kevin si ritrovò a stringere i pugni, senza nemmeno rendersene conto. Gli stava
dando sui nervi.
“E io no… lo vedi come è semplice risolvere le cose…” sorrise
falsamente Kathrine, per poi aggiungere “Te ne puoi anche andare adesso, no?
Ciao C.J.!”.
Il ragazzo chiaramente non ne voleva sapere: “Smettila di fare
la bambina!”.
Senza minimamente scomporsi, Kathrine ripeté a voce più bassa,
ma anche tremendamente più tagliente: “E tu smettila di fare il primate! Oh, ti
prego perdonami! Tu sei un primate! Sei già arrivato al pollice
opponibile?”.
Finalmente lui la lasciò andare e Kathrine si massaggiò il polso
indolenzito. Poi recuperò la sua cartella e fece per uscire, seguita a ruota da
Grace e Chiyo.
Era già arrivata alla porta, quando C.J. disse a voce alta per
farsi sentire anche da lei: “Scappa pure, amore… ma sappi che sto per tornare a
scuola… mi mancavi così tanto… sarà tutto come ai vecchi tempi…”.
Kathrine rimase immobile all’ingresso, la mano ghiacciata sulla
maniglia di metallo come se fosse bloccata. Sbatté le palpebre un paio di
volte, poi finalmente uscì con le sue amiche.
C.J. sorrise tra sé e sé e se ne tornò al suo posto, non prima
di aver lanciato uno sguardo ai due tipi che erano con la sua ex ragazza. Uno
dei due sembrava stranamente contrariato. Sogghignò … che illuso, non sapeva
che tra poco lui si sarebbe ripreso la sua Katy e con tutti gli interessi. E né
lui, né nessun altro ci avrebbe potuto fare niente.
“Dai, dimmelo che vuoi sapere di Kathrine e C.J., non me la
prendo mica, sai?” sorrise Chiyo, il braccio stretto attorno a quello di Kevin
che la stava accompagnando a casa. Da quando erano usciti dalla gelateria,
Kevin se ne stava in silenzio. Non che per Chiyo questo non fosse normale, ma
di solito non capiva perché alle volte si chiudesse in silenzio e non parlasse
per ore. Credeva che pensasse ai suoi e non voleva intromettersi. I genitori
erano sempre una brutta bestia, e lei ne era l’esempio vivente. Ma stavolta era
fin troppo intuibile che aveva il ragazzo. E non c’entravano niente i suoi
genitori, ma Kathrine. Chiyo non era stupida. Lo aveva capito subito che Kevin
ci teneva moltissimo a Kathrine. All’inizio, la cosa le aveva dato fastidio, ma
da quando lei e Kevin si vedevano, non ci dava più importanza. Kevin voleva
bene a Kathrine, e allora? Voleva bene anche a lei e questo era palese. Questo
al momento le bastava. Sospirò, mentre studiava il suo profilo corrucciato, gli
occhi blu accesi dal sole che moriva di fronte a loro, rendendo il cielo rosa
di confetto e i capelli di entrambi colati di liquido oro rosso. Non era vero,
non le bastava più essere solo sua amica e lo sapeva benissimo. Stava diventando
difficile stargli accanto, sapendo che molto probabilmente lui non era
interessato a lei, se non come amica. Sopportava la situazione a stento ormai,
ma la sopportava, lacerando e strappando di giorno in giorno il sentimento che
provava per lui, come un lenzuolo lercio. Sopportava perché in nessuna misura
poteva permettersi di perderlo. Non riusciva nemmeno a ricordarsi come aveva
fatto prima di lui. Kevin era come un raggio di sole, qualcuno che illuminava a
giorno tutta la rabbia e tutto il dolore che aveva dentro. Sotto il suo calore,
tutto sembrava diventare rivestito di luce, anche quello che con la luce non
aveva niente a che vedere. Dopo anni, non conosceva più l’invidia per Kathrine
e questo sapeva essere un autentico miracolo. Non poteva rinunciare a lui, ne
aveva bisogno per sopravvivere. Era come se avesse svoltato un angolo e ormai
fosse cosciente di non poter tornare indietro. Ma aveva ancora la necessità che
lui le stesse vicino per superare il prossimo angolo.
Sospirò ancora, prima di chiamarlo a voce più alta, dato che lui
sembrava non averla sentita.
“Figurati che me ne importa…” ribatté lui scorbutico, ma Chiyo
capì che era tutto il contrario dalla tensione che permeava il bicipite del
braccio di Kevin.
“Sì, sì, va bene, non ti interessa…” rispose Chiyo
accondiscendente “Ma dato che ce ne stiamo in silenzio, te lo dirò giusto per
dire qualcosa… e se poi davvero C.J. tornerà a scuola, lo verrai a sapere lo
stesso…”.
“Fa come ti pare…” rispose sbrigativo Kevin, fingendo il
disinteresse che non aveva.
“Va bene… allora come avrai intuito, C.J. era il fidanzato di
Kathrine…” iniziò Chiyo con voce calma e tranquilla “So che può sembrare
strano, considerato che hanno dieci anni di differenza, ma è andata proprio
così. Sono stati assieme un anno e mezzo e si saranno lasciati poco più di un
anno fa. Da aggiungere che Kathrine avrà perso un anno e mezzo della sua vita,
rimanendo con lui. Ma non glielo dire mai… lei è fermamente convinta che C.J.
sia stato importante per lei e che l’abbia aiutata a crescere. In cosa non lo
so, e nemmeno credo di volerlo sapere… C.J. arrivò nella nostra scuola più o
meno tre anni fa, io ero al secondo, mentre Grace, Nick e Kathrine al primo. Si
era appena laureato e venne in qualità di tirocinante; seguiva le lezioni di
letteratura con il prof di allora, Kawashima. Appena entrò in classe, ci fu una
carneficina… credo che solamente due o tre nella scuola non si dichiararono
follemente innamorate di lui alla fine del suo primo giorno, comprese Kathrine
e Grace”.
“Ho detto due o tre, no? E ci stavo anche io… non mi è mai
piaciuto…” rispose Chiyo convinta.
“Che c’è? Non ti piacciono i biondini con la faccia da attori?”
chiese Kevin ironicamente, credendo che Chiyo volesse solo non ammettere che
anche a lei piaceva C.J. .
“No, assolutamente…” rispose Chiyo, poi trovò il modo perfetto
per zittirlo, prima di continuare: “A me piacciono molto di più i mori… ma
lasciamo abbondantemente perdere…”. Si strinse più forte al suo braccio,
mentre Kevin deglutiva a fatica, e finalmente riprese: “Kathrine e Grace erano
entrambe perse di C.J., fu l’unica volta che le vidi in rotta tra di loro, ma
ben presto la cosa si ridimensionò, almeno per Grace. Come ti ho detto, C.J.
aveva schiere di ammiratrici, l’ora di letteratura era ogni volta una battaglia
tutta al femminile. Non credo di aver mai visto tanto interesse per
Shakespeare, durante il semestre in cui c’era C.J.. Tutte si affannavano come
delle pazze a rispondere, quando c’era in classe Christopher James Callaway. Il
buon vecchio Kawashima ringraziava solo che fosse agli sgoccioli della sua
carriera, so per certo che C.J. gli era stato raccomandato caldamente da un suo
parente. I Callaway sono ricchissimi ed molto influenti, una sorta di Shirogane
inglesi. Ma C.J. aveva lasciato l’Inghilterra per fare esperienza di vita e per
questo era in Giappone.
“Comunque, Grace perse quasi subito l’interesse per C.J. : è una
ragazza molto romantica e si sapeva fin troppo bene che C.J. si stava ripassando
tutto l’Istituto, ovviamente femminile… pensa che le poche ragazze ancora sane
di mente e i ragazzi lo chiamavano “The Libertine”, perché ne aveva anche due o
tre alla volta… a Grace non andava giù questo aspetto del suo carattere e
quindi lo lasciò perdere ben presto. Invece, per Kathrine il caso fu diverso.
Si fissò sull’idea che lei sarebbe stata quella che l’avrebbe messo in riga e
che lo avrebbe cambiato. Aveva davvero perso la testa per lui, e poi Kathrine
ama le sfide, e questa in effetti era una sfida di una portata colossale. C.J.
si era infatti messo con almeno venti ragazze e con una professoressa…”.
“EH?!!” chiese Kevin più scioccato che geloso “Con ventuno
ragazze?! Ma come cavolo ha fatto?!”.
Chiyo scrollò le spalle: “Non lo chiedere a me, te lo ricordi il
mio preambolo all’inizio? E ne mancano ancora tre: Kathrine ed altre due… ma
aspetta che adesso ci arrivo…”.
Kevin tacque, più che mai convinto che l’aggettivo “The
Libertine” gli calzasse effettivamente a pennello.
“Allora, per Kathrine, C.J. era diventato un’ossessione. Era il
suo primo amore e avrebbe fatto di tutto per averlo. Non so alla fine come ce
la fece, considerando che a quei tempi era timidissima, ma ce la fece. Lei e
C.J. si misero assieme, e lui la piantò con tutte le sue storielle. Fecero
coppia fissa per un anno e mezzo, anche se C.J. a causa della relazione con
Kathrine, fu trasferito in un’altra scuola. Kathrine lo amava moltissimo e per
C.J. sembrava lo stesso…”.
“La tradiva?” chiese Kevin, presagendo il resto. Ancora si
ritrovò a stringere i pugni. Era inutile, quando c’era di mezzo Kathrine,
riusciva sempre a perdere le staffe.
Chiyo sorrise malinconicamente, intuendo a sua volta il forte
legame che Kevin aveva con l’amica. Sospirò, poi proseguì: “Facile da capirsi,
vero? Comunque, non lo sapemmo subito, quello che ti sto dicendo, lo abbiamo
saputo solo un anno fa quando abbiamo ricostruito tutta la storia… quando C.J.
si mise con Kathrine, stava contemporaneamente con due ragazze. Una era Kelly
Miyazawa, se ne andò l’anno scorso; l’altra la conosci… hai presente Ayane
Fuitsuki? Quella che va in terza D?”.
Kevin non ebbe bisogno di soffermarcisi troppo, era una bella
ragazza e l’aveva già notata. Annuì, ricordando nello stesso istante quando
fosse irrimediabilmente cretina. Aveva avuto modo di notarlo in un’assemblea,
quando lei aveva parlato come capo delle cheerleaders. Il suo discorso era
pieno di risatine vezzose, frasi sgrammaticate e battito di ciglia nere di
mascara.
“Kelly era una ragazza intelligente…” continuò Chiyo al cenno di
Kevin “O meglio era una ragazza orgogliosa… appena seppe di lui e Kathrine, lo
mollò senza complimenti. Con Ayane, le cose proseguirono per due mesi;ma poi evidentemente C.J. capì che stava scherzando
con il fuoco e troncò con lei. Ayane sembra stupida, sembra un’oca senza
speranze, ma posso assicurarti che non è così… finge come poche, tutto per
essere popolare e per conquistare le attenzioni dei ragazzi. È una vera e
propria arrampicatrice sociale, le piace circondarsi di persone ricche e
influenti. Ha tentato di farsi amica anche Kathrine, le avrebbe fatto comodo
avere come amica l’ultima degli Shirogane, ma non ce l’ha fatta. Da allora,
Ayane e Kathrine sono nemiche per la pelle. Quando C.J. preferì Kathrine a lei,
andò fuori di matto. Ricordo che iniziò a sbraitare come una pazza durante
l’ora di fisica… poi le cose andarono a posto. Dopo una settimana circa, Ayane
sembrava essersi calmata. Ma non era affatto così…
“Ayane era semplicemente andata di filato da Kawashima a
raccontare tutta la storia della relazione di Kathrine con C.J. . Nonostante la
raccomandazione e tutto il resto, Kawashima fu costretto a cacciarlo, dopo che
Ayane fece convocare il consiglio d’istituto. Le cose comunque sembrarono
andare meglio, ormai Ayane non poteva più intromettersi, che altro avrebbe
potuto fare di peggio? Ma non avevamo fatto i conti con –The Libertine-… C. J.
appena arrivò nella nuova scuola, riprese la sua vecchia vita, rassicurato dal
fatto che Kathrine non potesse vederlo. Dopo una serie di storielle brevi,
sembrò mettersi in maniera relativamente seria con una di loro, Carys Kiota.
Con lei praticamente faceva lo stesso che con Kathrine, fingeva di stare solo
con lei e la trattava come la sua ragazza, salvo mollarla per andare da Kathrine.
Carys non era quella che si definisce una brava ragazza… lei e Kathrine erano
l’opposto. Carys era per dirla in modo gentile, una specie di teppista di
strada. Ti basta sapere che il suo guardaroba era completamente di pelle nera e
borchie, adorava gruppi heavy metal con nomi tipo Mutilator ed aveva un’enorme
moto nera… insomma, era una tosta…”.
“Fammi indovinare…” proseguì, interrompendola Kevin “Carys venne
a sapere della storia con Kathrine?”.
“Esattamente…” continuò Chiyo, la sua voce si velò di una vena
di ironia “Ma ovviamente THE LIBERTINE non poteva mettere fine al suo bel
giochetto… inventò una chiacchiera colossale per Carys, mentre Kathrine
chiaramente non sospettava nulla. Disse a Carys che Katy era una sua ex, che
erano stati assieme per qualche tempo e che lei continuava a metterlo alle
strette, perché voleva tornare con lui. Quello che però non aveva messo in
conto era che Carys era persa di lui, ma che era anche una di quelle che non te
la fanno passare liscia, se qualcosa va storto. Organizzò una spedizione
punitiva contro Kathrine, chiamando una banda di tipacci… per fartela breve, un
giorno l’aspettavano fuori da scuola per farla nera. Per nostra fortuna, quello
stesso giorno C.J. era venuto a prendere Kathrine e, insomma, Carys li vide in atteggiamenti
abbastanza ovvi. Alla fine, fu lui ad essere picchiato…”.
Kevin si ritrovò a reprimere un piccolo sorriso soddisfatto,
mentre Chiyo terminava il suo racconto: “Chiaramente Kathrine ci capì poco
quanto niente… aveva pensato solamente a dei delinquenti o roba simile, e C.J.
non si preoccupò ovviamente di chiarire le cose in nessun modo, assecondando
l’interpretazione che lei aveva dato. Se Carys lo aveva lasciato, non voleva
mica perdere il suo giochetto con Katy… per sua sfortuna, Carys non era
assolutamente una persona arrendevole. Sapendo che a scuola c’era il rischio di
incontrare C.J., scovò il suo numero di telefono e chiamò Kathrine a casa. Si
incontrarono in piscina, approfittando del fatto che quel giorno C.J. non
sarebbe venuto. Insomma, per fartela breve, Kathrine seppe tutto quel giorno…
non fece fatica a crederle, come puoi immaginare. Il giorno dopo, si lasciarono
e C.J. se ne andò dal Giappone. Credevamo che fosse tornato a casa sua, ma
evidentemente eravamo stati troppo ingenui. Alla fine, è qui che è tornato…”.
Kevin annuì silenziosamente con il capo, Kathrine doveva essere
stata davvero male, e tutto per colpa di quella sottospecie di invertebrato. Ad
un tratto, si sentì gelare nella schiena, una strana sensazione che gli aveva preso
la bocca dello stomaco, costringendolo ad un collegamento mentale a cui prima
non era arrivato. Stava quasi per chiedere delucidazioni a Chiyo, ma sarebbe
dovuto essere troppo preciso e raccontarle, quindi, ciò che Kathrine gli aveva
confidato a Parigi su quello che le era successo un anno prima, la tentata
violenza. Si era ricordato della circostanza in cui Kathrine si era trovata da
sola fuori dalla piscina… Era inverno, e un giorno C.J. , lui si chiamava
così, non poté venire perché aveva l’influenza. Io ci andai lo stesso perché
dovevo vedere una mia amica, che mi doveva dire una cosa importante. Era
Carys, la ragazza che doveva incontrare? Era stato per vedere lei che Kathrine
aveva rischiato quello che, solo per un caso, non le era successo?
Sospirò, continuando a camminare, gli occhi fissi sul sole ormai
sparito all’orizzonte, la presenza silenziosa e greve di Chiyo accanto. Decise
di non chiedere niente a Chiyo, né tantomeno a Kathrine.
Solamente perché aveva paura, un’enorme e folle paura.
Paura di trovare motivi ulteriori per odiare in maniera
sviscerale Christopher James Callaway.