Breaking Universe's Laws

di Cassie chan
(/viewuser.php?uid=3898)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Beautiful stranger ***
Capitolo 2: *** Heavy on my heart ***
Capitolo 3: *** Coming back ***
Capitolo 4: *** Don't believe the truth ***
Capitolo 5: *** Everything about ***
Capitolo 6: *** Needing your presence ***
Capitolo 7: *** Skimming over you ***
Capitolo 8: *** Closer ***
Capitolo 9: *** Sorrow behind light-hearted eyes ***
Capitolo 10: *** Must not meet again ***
Capitolo 11: *** Past follows you forever ***



Capitolo 1
*** Beautiful stranger ***


Cassiechan is back

Cassiechan is back! Finalmente il seguito! Una piccola pagina di avvisi! Per prima cosa, vorrei dedicare questa fic a tutte le persone che hanno letto la prima e che l’hanno commentata! Senza il vostro sostegno, probabilmente non sarei mai riuscita a finirla! Ho ancora bisogno di voi, se questa storia vi pace come la prima commentatela! Così mi invogliate a scriverla, altrimenti poi la lascio perdere,  ne sono perfettamente capace! Seconda cosa: essendo una storia in divenire, i capitoli saranno molto più brevi di quelli di BMAY! Specie quando non sarò eccessivamente ispirata! Terza cosa: la trama è ancora più complicata della prima, per qualsiasi chiarimento fatemi sapere!

 

 

 

Capitolo 1 – Beautiful stranger

 

Era una bellissima giornata di gennaio, e, anche se l’aria si preannunciava ancora abbastanza fredda, l’aria era piena della luce del sole, che splendeva terso nel cielo privo di nubi. Un vento freddo soffiava tra gli alberi della grande villa, sollevando le foglie cadute dagli alberi e i seppur pochi petali delle magnolie, sopravvissute alle folate di vento, che costeggiavano il lungo vialetto d’ingresso, che portava alla casa signorile. Bianca, si stagliava nel paesaggio cittadino, circondato da una lunga cancellata, anch’essa bianca, che teneva fuori i malintenzionati, ma anche molti che vi avrebbero voluto entrare, ma che non erano ammessi nella casa, a causa delle strette misure dei proprietari. Tre grandi pastori tedeschi sonnecchiavano al sole, mentre uno più piccolo, che doveva avere solo pochi mesi, entrò nella villa, passando sotto un portico, ornato da fiori bianchi rampicanti, attraverso la porta di legno scuro, aperta da una donna grassa ed anziana.

Il cucciolo entrò in cucina, dove un gruppo di persone era seduta apaticamente a tavola e stava facendo colazione. All’improvviso, una donna sulla quarantina, che stava addentando una fetta biscottata, proruppe in una smorfia annoiata e rassegnata, scuotendo il capo e i lunghi capelli rosso scuro.

“Dov’è tua sorella, Miky?” chiese ad un bambino di circa sette anni, che le era seduto accanto, e che aveva i suoi stessi capelli, ma gli occhi di un intenso azzurro chiaro, piegati in un’espressione teneramente dispettosa.

“Non lo so, mamma” rispose candidamente, passando un pezzo di torta al cucciolo, che attendeva con la bocca aperta sotto il lungo tavolo di legno.

“Ma insomma, si può sapere che fa tutte le mattine, per scendere così tardi?!” si chiese, non aspettandosi una risposta, che invece le giunse da parte di un’altra persona, seduta vicino a lei, un bell’uomo in giacca e cravatta con i capelli biondi e gli occhi celeste chiaro.

“Esattamente quello che facevi tu alla sua età… stare tre ore in bagno, arrivando in ritardo a scuola tutti i santissimi giorni…”.

La donna assunse un’espressione offesa e disse: “Non è vero, Ryan… io non ero così ritardataria…”.

Lui non si scompose minimamente e, portandosi la tazza di caffè alle labbra, rispose, guardandola oltre il quotidiano che stava sfogliando: “Hai ragione, Strawberry… eri anche peggio…”.

Miky scoppiò a ridere, mentre Strawberry sospirò, poi, sorridendo, disse: “Credo che tu abbia ragione, ma ciò non toglie che tua figlia è enormemente in ritardo…”.

Aveva appena finito di parlare che nella sala irruppe una ragazza di sedici anni, che indossava una divisa scolastica, formata da una gonna a pieghe azzurra, una camicia bianca con una cravatta dello stesso colore della gonna e una giacca sempre azzurra che teneva sottobraccio. Aveva lunghi capelli biondi ed ondulati, e grandi occhi castani, che apparivano in quel momento assonnati e vistosamente trafelati. Parte dei capelli era trattenuta da un fermaglio, a forma di pesce, sempre di colore azzurro. Ai lobi, portava dei lunghi orecchini con delle perline, sempre azzurre, e alle braccia dei braccialetti della stessa tonalità di celeste.

Piegata in due, per la corsa fatta per le scale, disse solamente: “Mamma, papà… io vado a scuola… sono in ritardo e Grace e Nick mi stanno aspettando…”.

Strawberry la guardò irata e preoccupata, e disse: “Quindi scommetto che neanche stamattina farai colazione, vero? Un giorno di questi, cadrai svenuta per strada…”.

Kathrine non si scompose minimamente e, riavviandosi i capelli con le dita, disse: “Mangerò qualcosa per strada… ciao mamma! Ciao papà! Ci vediamo più tardi!” e corse fuori, mentre Strawberry sospirava vistosamente.

Inutile dire che Kathrine era, oltre che una bellissima ragazza, anche una pasticciona e disordinata di prima categoria, esattamente come era stata lei. Il problema di Kathrine, però, non stava solo in questo, ma in quella strana fusione genetica che era accaduta tra lei e Ryan, e che aveva generato i loro due meravigliosi figli. Miky era un bambino molto vivace, e aveva ereditato in pieno il carattere della madre, anche se alcune astuzie per ottenere quello che voleva erano sicuramente tipiche dell’indole di Ryan. Ma, nel caso di Kathrine, mai come in quel caso, i loro caratteri si erano fusi in qualcosa di unico. Aveva i lineamenti di suo padre, era infatti alta e magra, ma poi aveva le labbra corallo come quelle di Strawberry stessa, i suoi capelli erano biondi, ma erano carichi di sfumature ramate, i suoi occhi erano castani, ma, in particolari momenti, si tingevano di ombre e di pagliuzze verde acqua. E questo era niente… Kathrine aveva preso interamente il carattere di Ryan, era infatti sicura, determinata, alle volte anche altezzosa, ma era capace di slanci affettivi, che erano tipici solo di Strawberry. Quando voleva, era seria, posata e impeccabile, ma quando era a casa, era vivace, divertente e anche imbranata. Era anche molto intelligente e aveva voti altissimi, caratteristica pienamente corrispondente alle doti di suo padre, cosa che le faceva raccogliere attorno molte persone, desiderose del suo aiuto, ma lei si prodigava solo per pochissimi, ignorando gli altri, operando scelte nelle sue amicizie, che molti non capivano, preferendo persone poco popolari alle reginette della classe. Ma, intanto, che la si amasse o la si odiasse, Kathrine era sempre sulla bocca di tutti, anche per via di quell’aria sbarazzina e anche originale, tipicamente americana, che Ryan riconosceva come una caratteristica della sua defunta madre.

Ma, se Strawberry era semplicemente preoccupata che sua figlia si cacciasse nei guai per via di quel suo essere così sfacciatamente sopra le righe di ogni regola che le poteva essere imposta e che le procurava continui litigi con lei, nel caso di Ryan la preoccupazione aveva ben altra origine, un’origine che solo i padri possono condividere. Amava i suoi figli con tutto sé stesso, erano la cosa più bella che avesse, e poi erano il dono di quell’unico sentimento, che dopo tanti anni era sopravvissuto a tutto il tempo trascorso, ossia il suo amore per Strawberry. Di Miky si preoccupava spesso, era troppo sveglio, troppo vivace, ma di Kathrine lo impensieriva il fatto che fosse semplicemente troppo bella. Sapeva delle decine di ragazzi, che a intervalli più o meno regolari, si innamoravano di lei, tutti puntualmente respinti, ma che al contempo, c’erano ed era un fatto. Cosa sarebbe accaduto il giorno, in cui si sarebbe effettivamente innamorata di qualcuno? Conosceva il suo carattere e conosceva altrettanto bene quello molto simile di Kathrine, e sapeva che, se lui aveva fatto migliaia di sciocchezze quando era innamorato non corrisposto di Strawberry, la stessa cosa sarebbe accaduta a lei, aggiungendoci pure la ben nota impulsività, che sua figlia aveva ereditato dalla madre. Sua figlia… Katy… avevano un bel rapporto tutti e due, lei si confidava con più facilità con lui che con sua madre. Gli diceva tutto o quasi, e si faceva coccolare ancora come quando era bambina. Si ricordava ancora la prima volta che l’aveva vista, gli era sembrata un fiore d’oro. Ricordava una favola che sua madre gli aveva raccontato, quando era piccolo. In un bel campo, cresceva un bellissimo fiore dai petali dorati, splendente di luce, alto, altero e costantemente rivolto verso il sole. Tutti gli altri fiori avevano invidia di lui, perché vedeva sempre in faccia il sole, perché poteva seguirlo, perché era più bello. E allora chiamarono le nuvole e fecero coprire il sole, per giorni e giorni, finchè morì, mentre gli altri fiori bevevano con le corolle aperte le gocce di pioggia, che cadevano dal cielo. Solo quando il fiore fu morto, il sole riapparve, ma non fu più come prima. Era triste, spento, e non amava più la terra, non voleva più vederla. Sua sorella, la Luna, vide la sua infelicità e allora gli fece un regalo: prese una bella margherita gialla, e le donò la sua luce e la sua forza, affinché, diventato un gioioso girasole, potesse seguire sempre il sole, che riprese a comparire sulla Terra, riscaldando tutti i fiori.

Ryan si ricordava d’aver chiesto a sua madre: “E il fiore d’oro? Che fine ha fatto?”.

Sua madre lo aveva abbracciato e gli aveva detto: “La luna lo fece diventare una bellissima stella dorata, che adesso poteva abitare sempre accanto al sole, nel suo stesso cielo…”.

Sospirò lungamente, quella storia non aveva per niente un bel finale. Il mondo sapeva essere invidioso, e per via di quella gelosia, sapeva diventare anche cattivo. Pregava ogni giorno che questo non accadesse anche al suo fiore dorato.

 

Kathrine camminava allegramente per strada, avvolta nel suo cappotto bianco latte e nel suo basco delle stesso colore. La cartella ondeggiava nella sua mano, al ritmo del suo passo, mentre lei si dirigeva verso la casa dei suoi migliori amici, Grace e Nick. Si allontanò decisamente dal suo quartiere, quello pieno di case bianche e lussuose con infiniti giardini, tipici delle persone che avevano fisso un posto sui rotocalchi, e si diresse verso un quartiere residenziale di villette a schiera gialle e azzurre. Si fermò di fronte ad una di quelle case, da cui provenivano delle voci concitate. Si sporse leggermente davanti al suo basso cancelletto, e vide un uomo con i capelli castano chiari sostare pigramente davanti alla porta, mentre di sicuro stava aspettando qualcuno. Non era molto alto, certo lo era molto di meno di suo padre, ma emanava gioia, come del resto tutti i componenti di quella famiglia.

“Buongiorno signor Taruto!” disse Kathrine allegramente all’indirizzo dell’uomo, che si voltò e le rispose, sorridendo.

“Grace e Nick scendono subito… hanno avuto solo un piccolo problema con Teddy… ha completamente distrutto i loro appunti di una qualche materia…”.

Kathrine sorrise e disse: “Anche mio fratello era così a quell’età… anzi era anche peggio…”.

Tart sorrise e confermò con un cenno del capo, giustificando così pienamente il comportamento della sua figlia più piccola. Poi, si spostò al passaggio dei gemelli usciti di corsa dalla cucina. Grace e Nick erano praticamente identici, avevano entrambi i capelli castano chiaro e due luminosi occhi dorati, un’aria molto allegra e spensierata, ed erano entrambi molto legati a Kathrine Shirogane, loro amica da quando erano in fasce, e compagna di scuola dall’asilo.

Grace salutò il padre e saltò la bassa staccionata, senza aprirla dopo il fratello, salutando poi Kathrine, chiamata da lei affettuosamente Kitty e apostrofata con tutto il suo nome completo da Nick, sempre in evidente imbarazzo davanti alla giovane Shirogane. 

Iniziarono a camminare allegramente, dopo aver salutato Tart, e dirigendosi verso la loro scuola, che era parecchio lontana dal quartiere residenziale. Si fermarono solo quando Kathrine si comprò una ciambella da un venditore ambulante, addentandola con gusto, dato che come al solito non aveva toccato cibo a casa.

“Non capisco perché non mangi mai a casa tua, Kitty…” commentò Grace “Eppure oggi non è la giornata libera di Marie… non avrà cucinato tua madre, spero…”.

Kathrine scosse la testa: “In realtà no… andavo solo di fretta… se avesse cucinato mia madre, non sarei sicuramente ancora viva… mi avrebbe ingozzato a forza, come al solito… pensa che mio padre si alza sempre tardi per non trovarla più in casa, dopo che è andata a scuola… così getta tutte le cose, che cucina…”.

Grace scoppiò a ridere, mentre Nick, ricordandosi improvvisamente di qualcosa, eruppe in un’esclamazione veloce: “A proposito, hai saputo di Chiyo?”.

Kathrine, voltandosi verso il ragazzo, chiese: “Che cosa le è successo? Non starà male, spero…”.

Nick, di fronte al suo viso, così inaspettatamente vicino, arrossì e tacque, mentre la sorella continuava: “Mia madre mi ha detto che i suoi genitori si sono separati…”.

“Veramente non si sono mai sposati…”.

“Lo so, ma sembra che stavolta abbiano avuto un brutto litigio… la madre di Chiyo se ne è andata di casa e si è trasferita in Europa, mentre Chiyo è rimasta con suo padre… dicono che non tornerà più a casa…”.

“Fanno così da anni…” commentò tranquilla Kathrine “Vedrai che tornerà a casa… anche mia madre e mio padre litigano ad intervalli di più o meno cinque secondi, ma poi fanno sempre pace… è normale, quando due persone si amano molto…”.

“Sarà…” convenne Grace “Anche se a me gli Aoyama, non è che mi hanno fatto sempre l’impressione di due persone innamorate…”.

Su questo dovette concordare la stessa Kathrine. Pur essendo estremamente ottimisti, la situazione familiare della loro amica comune, non era certo un mistero da potersi interpretare in qualche altra chiave. Poteva anche dirsi di essere troppo abituata ai suoi genitori, che si baciavano ogni secondo, in cui erano da soli, ma allo stesso tempo anche il padre e la madre di Grace e Nick erano vistosamente innamorati l’uno dell’altra, anche se non così affettuosi come Strawberry e Ryan. Invece, Halinor e Mark tutto erano, tranne che due persone innamorate: erano troppo formali tra loro e con la figlia. Non a caso, Chiyo era venuta fuori con il carattere di una principessa di altri tempi…

Una voce li fece sobbalzare, una voce dolcemente decisa: “Ciao ragazzi! Che c’è, ve ne stavate andando senza di me?”.

Kathrine si voltò, sorridendo a Chiyo: “Certo che no… ti stavamo aspettando!”.

Grace e Nick annuirono, mentre la ragazza si aggregava a loro. Chiyo, sebbene un anno più grande di loro, continuava a fare la strada assieme a loro ogni mattina, da quando erano piccoli, per poi dividersi da loro all’arrivo nell’edificio scolastico, dove Grace e Kathrine, compagne di classe, proseguivano assieme, separandosi invece da Nick. Chiyo era una bella ragazza, dal volto e dai lineamenti un po’ tristi, e aveva un atteggiamento estremamente più maturo di quello dei suoi amici, sebbene nel suo aspetto non dimostrava la, seppure sensibile, differenza di età. Aveva lunghi capelli neri e due luccicanti occhi verdi, che le davano l’aria da cerbiatta indifesa che faceva tanto impazzire i ragazzi, ma aveva un carattere impossibile, molto di più di quello che i coniugi Shirogane imputavano a Kathrine. Era viziata, isterica, nevrastenica, in alcuni momenti limiti; perennemente insicura e timorosa di perdere le sue amicizie e le persone che amava. Solo con i suoi quattro amici d’infanzia si lasciava leggermente andare, ma anche loro certe volte non sopportavano i suoi continui sbalzi d’umore, che alla fine giustificavano e accettavano alla luce della sua situazione familiare particolarmente difficile.

Mentre camminavano, un auto li affiancò, un bella berlina azzurra, il cui conducente abbassò il finestrino, chiamando la stessa Chiyo.

“Che c’è papà?” chiese Chiyo a Mark, che continuava a guidare al loro fianco.

Mark, all’inizio, non rispose, fissando la figlia di Strawberry. Quella ragazza, sebbene non ce ne fosse apparente motivo, gli dava continuamente una sensazione strana; era impossibile non notarla tra le sue amiche per quanto fosse bella, ma non era quello che lo colpiva. Era il suo atteggiamento, che conservava tracce di sua madre a frastornarlo senza sosta. Adesso, si era messa solo i capelli dietro le orecchie, ma l’aveva fatto come lei, come Strawberry. Ma, di solito, tutto durava molto poco, perché poi lei mostrava subito in modo lampante di chi era anche figlia, e allora lo fece, inarcando un sopracciglio all’indirizzo di Nick, che le aveva mormorato qualcosa. Riprese la capacità di parlare e disse alla figlia, che aveva dimenticato il pranzo. Glielo consegnò e poi, gettando un’ultima occhiata a Kathrine, rimise velocemente in moto. Chiyo osservò la macchina sfrecciare via, mentre si chiedeva perché mai suo padre non guardava mai lei, o sua madre, come per quel solo secondo aveva guardato Kathrine. Che cosa aveva lei in più da meritare tanta attenzione? Perché suo padre le chiedeva sempre di Kathrine e di sua madre? Perché teneva in un cassetto della scrivania una sua foto da ragazzo, assieme con la allora giovanissima madre della sua amica? A quelle domande, non riuscii a trovare come sempre una risposta, ma come sempre finii per reagire istintivamente nei confronti di Kathrine, dicendo che andava di fretta e che li avrebbe preceduti, non prima di aver fatto un commento acido sul fatto che arrivavano sempre in ritardo per colpa della biondina.

“Chi la capisce, è bravo…” commentò laconico Nick, mentre ormai la sagoma della loro scuola si intravedeva. Sentendo la campana della scuola, che suonava, iniziarono a correre, fermandosi solo ai loro armadietti.

Kathrine rimase indietro perché non era riuscita ad aprire subito il suo armadietto, dato che la sua chiave si era incastrata, perciò perse qualche minuto, per poi affannarsi in corridoio, mentre Nick saliva le scale per raggiungere la sua sezione e Grace era ormai sparita, senza aspettarla. Rallentò davanti alla porta della presidenza, poi, superata, riprese a correre; davanti alla segreteria, però, la sua corsa fu frenata da uno scontro, con una persona che vi usciva.

Kathrine ricadde all’indietro, sbattendo violentemente per terra, mentre una pila di fogli bianchi si sparpagliavano dovunque. Dolorante, sollevò lo sguardo per vedere chi aveva urtato, biascicando parole di scusa. A terra, seduto e anch’egli dolorante, c’era un ragazzo, che sembrava molto più grande di lei. Aveva anche lui la divisa del istituto, ma la sua cravatta non era impeccabile come quella di Nick, ma era allentata, mentre la camicia bianca non era infilata nei pantaloni azzurri. Aveva un’aria studiatamente negletta, esaltata anche dai capelli neri falsamente spettinati, ma in realtà curati in una pettinatura, che sicuramente gli era costata molto tempo davanti allo specchio e anche molto gel. A completare il tutto, c’erano i suoi occhi di un blu semplicemente troppo profondo e irreale. Aveva l’aria di uno, che non era mai venuto a scuola in vita sua, tanto appariva rilassato e serafico. Kathrine non ricordava di averlo mai visto da nessuna parte; un tipo del genere se lo sarebbe sicuramente ricordato.

Lui le disse con voce canzonatoria, leggermente velata da piccoli lamenti: “Che ti prende ragazzina? Lo sai che non si corre per i corridoi?!”.

Kathrine arrossì all’istante, poi mormorò in preda alla rabbia: “Ragazzina?! Guarda che sei tu che mi sei venuto addosso, non io…”. Cercò di sollevarsi, ma sentì una fitta alla caviglia. Perfetto, la professoressa di educazione fisica l’avrebbe uccisa, se avesse chiesto di non giocare a pallavolo quel giorno. Vide la mano tesa di lui, che si era intanto alzato in piedi. Era anche abbastanza alto, certo molto più di lei, e poi aveva un modo di stare in piedi particolare… non aveva mai visto una persona stare in piedi così, sembrava un alto ufficiale…

“Spicciati, alzati, non si dica mai che lascio una ragazzina seduta a terra a piangere perché si è fatta la bua…” mormorò, sorridendo ironico.

“Ancora?! Si può sapere chi ti ha dato tanta confidenza?!” rispose ancora lei furiosa, sollevandosi e reggendosi sulla sua mano aperta. Lui abbandonò la sua espressione precedente, assumendo un aria confusa e spaesata.

“Che c’è?” chiese lei, ancora appoggiata a lui “Ti sei incantato?!”.

Lui non rispose, ma cadde svenuto addosso a lei, gli occhi vuoti e stranamente spalancati. Kathrine, presa di sorpresa, cadde ancora all’indietro, il ragazzo che respirava a fatica sulla sua spalla. Spaventata, chiese: “Che ti prende? Ehi tu, svegliati…”.

Seduta per terra, con il ragazzo incosciente, stava per chiamare aiuto, poi sentì la sua voce dirle: “Si può sapere chi sei?”.

Kathrine lo guardò, mentre si allontanava da lei, vistosamente affaticato e grondante sudore freddo.

“Ma che ti è preso? Ti sei sentito male?” chiese, riavvicinandosi di un passo a lui.

“Sto bene adesso…” mormorò lui, poi ripeté, passandosi una mano sulla fronte sudata “Vuoi dirmi per piacere chi sei adesso?”.

Lei lo guardò senza capire, poi mormorò: “Kathrine… mi chiamo Kathrine Shirogane…”.

“Hai detto Kathrine? E’ un bel nome… bene, Kathrine, ci vediamo presto…” disse, alzandosi e recuperando la sua solita espressione. Kathrine rimase per terra, poi mentre lui si allontanava, gli urlò dietro: “E tu chi sei? Non ti ho mai visto da queste parti…”.

Lui, senza abbandonare la sua posa, continuò a camminare di spalle, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. Disse solo: “Kevin… mi chiamo Kevin Shirayuki…”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Heavy on my heart ***


Capitolo 2- Heavy on my heart

Capitolo 2- Heavy on my heart

 

“Hai detto Kevin? Kevin Shirayuki?”.

“Non urlare, Grace!” replicò Kathrine arrabbiata, alla fine della seconda ora, all’indirizzo della sua compagna di banco “Potrebbero pensare che mi interessa…”.

Grace inarcò un sopracciglio e disse, sospirando: “In effetti, è strano che lei, Miss I-RAGAZZI-DI-QUESTA-SCUOLA-SONO-TUTTI-IMMATURI-E-BANALI-QUINDI-NON-MI-INTERESSANO, abbia prestato attenzione ad un componente del sesso opposto…”.

Kathrine piegò la testa con aria noncurante, dicendo: “Infatti, non ho mica detto che mi interessa, ho detto solo che vorrei sapere chi sia…”.

“E perché, di grazia?” chiese Grace, ironicamente, più che mai convinta che questo tipo avesse fatto breccia nell’indifferenza dell’algida Kathrine.

“Sembrava una persona particolare… non aveva niente che avessi mai visto in nessun’altro ragazzo…” spiegò Kathrine, imbarazzata.

“Era carino?”.

“Sì, molto…” ribadì Kathrine, arrossendo e chinandosi a raccogliere qualcosa per non farsene accorgere “Ma non era solo questo…”.

Grace sospirò e disse rassegnata: “Non è che ti abbia capito molto, come al solito del resto, comunque cercherò di sapere qualcosa… se è davvero così eccezionale, non l’avrai notato solo tu…”.

Kathrine annuì, poi, punta nell’orgoglio, si affrettò a ribadire: “Comunque non perdere troppo tempo… non è che mi importi più di tanto, è solo per fare qualcosa…”.

Grace sospirò, borbottando: “Come volevasi dimostrare…”.

 

 

Alla fine delle lezioni, un gruppo di studenti scalmanati si riversò, correndo, nel viale che conduceva a scuola, finalmente percorso in senso opposto. Una leggera pioggia aveva preso a cadere, e quindi molti si affannavano a coprirsi con le cartelle e correvano verso la fermata dell’autobus, mentre i pochi dotati del tanto desiderato ombrello erano presi di mira dai loro compagni.

Kathrine stava già camminando per tornarsene a casa, quando sentì una voce dietro di lei urlare di fermarsi.

Si voltò e vide Grace e Nick correre verso di lei, entrambi sprovvisti d’ombrello.

“Aspetta Kitty…” urlò Grace, prendendola sottobraccio “Ti avevo detto di aspettarmi…”. Anche Nick si sistemò accanto a lei, mentre sospirava all’insperata vicinanza della sua Kathrine. In cuor suo, benedisse la sua sbadataggine e quella provvidenziale pioggia.

“Scusa, me ne ero completamente dimenticata…” replicò Kitty con aria dispiaciuta.

“Non ti preoccupare, anche se non è certamente da te dimenticare qualcosa…”.

“Sono solo un po’ distratta oggi…”.

Grace annuì sorniona e disse: “Ne lascerò perdere il motivo, che peraltro già so e che immagino con due grandi occhi luccicanti, ma taccio per rispetto al mio caro fratello…”.

“Che c’entro io, adesso?!” chiese Nick sulla difensiva, mentre Kathrine le dava un pizzico sul braccio.

“Ahia!” gemette Grace “Comunque, volevo dirti solo che ho saputo chi è il tuo misterioso RAGAZZO-A-CUI-NON-SEI-INTERESSATA…”.

Kathrine trattenne l’espressione curiosa, che le stava venendo fuori, e disse con indifferenza: “Davvero?”.

Grace recitò prontamente, sotto lo sguardo truce di Nick: “Kevin Shirayuki… terza sezione dell’ultimo anno, si è trasferito qui da Hokkaido e attualmente vive da solo in un appartamento nella periferia della nostra città…”.

“Vive da solo?!” chiesero in coro, sinceramente colpiti, Kathrine e Nick.

“Esattamente… vi ricordo che lui ha già diciotto anni, quindi può vivere tranquillamente da solo… lavora part-time in una panetteria e si è già iscritto ad un paio di corsi pomeridiani… anche se è qui da solo una settimana, ha già un suo personale fan club…”.

“Non ci credo!” commentò incredula Kathrine “E scusa chi ti ha dato tutte queste informazioni?”.

“La segretaria del suo fan club… pensa che mi stava per dare pure il suo numero di scarpe e il suo colore preferito, ma ho rinunciato… in fondo, non ti interessa, no?” commentò tagliente Grace.

“Già, esattamente…” finì Kathrine, mentre rivolse lo sguardo ancora di fronte a sé. Anche se precise, le informazioni di Grace non l’avevano soddisfatta del tutto… in realtà, non le avevano spiegato il motivo di quel suo strano interesse e la causa della diversità di Kevin, che tanto l’avevano colpita. Era un ragazzo normalissimo, a parte il particolare della sua vita estremamente indipendente, eppure era dalla mattina che si chiedeva ossessivamente che cosa c’era in lui che non riusciva a farle scordare la sua immagine dalla mente. Ricordava che qualcun altro le aveva già parlato di qualcosa di simile, ma non riusciva a richiamare alla memoria di chi si trattasse.

Ad un tratto, la voce di Grace la richiamò dai suoi pensieri: “Kitty, io devo andare a prendere Teddy dall’asilo… vuoi venire con noi?”.

La ragazza annuì soprappensiero, poi continuò a camminare, mentre Nick e la sorella si lanciavano uno sguardo significativo. Kathrine non era certo il tipo da rimanere con gli occhi spalancati a pensare a chissà che… possibile che fosse solo opera di Kevin Shirayuki?

 

 

Kathrine era in piedi davanti all’asilo di Teddy, mentre aspettava i suoi amici, che erano corsi dentro per dividere l’agguerrita sorellina da un paio di bambini, a cui le stava dando di santa ragione. Non si ricordava che o Nick o Grace fossero mai stati così da bambini… eppure qualcosa, a parte l’amicizia tra i loro genitori, li aveva uniti da quando erano piccoli. Kathrine sapeva di essere interessata sempre e soltanto a persone particolari e che, per qualche ragione, si distinguessero dalla massa amorfa della gente, che frequentava, ma che non considerava alla fine più di tanto. Grace l’aveva colpita perché era sempre allegra e spensierata, proprio come sua madre Paddy; anche quando qualcosa le andava male, tipo un compito o litigava con qualcuno, cosa che le accadeva spesso data la sua lingua lunga, non se la prendeva, ma affrontava le cose difficili con un sorriso, riuscendo nella maggior parte delle volte ad averla vinta. Cosa completamente opposta, era stato il suo interesse per Chiyo Aoyama; in lei, l’aveva colpita il suo volto bellissimo e triste, il suo essere sempre lontana anni luce dalla realtà contingente, e le aveva sempre ricordato una grande eroina tragica del teatro greco, divisa da qualche intimo e profondo dissidio. La melodrammaticità di Chiyo era visibile in ogni cosa che faceva, anche inconsapevolmente, e questo l’aveva colpita, come l’aveva impressionata la dolcezza di Nick. Era surreale il modo che aveva di comportarsi, sempre attento a non ferire nessuno, sempre disponibile ad aiutare tutti, e questo le aveva fatto piacere, soprattutto quando era rivolto a lei. Conosceva l’enorme tenerezza dell’amore dei suoi genitori per lei, ma non arrivavano mai a Nick, che era capace di mangiare fino alla fine un orrendo tortino, che semmai aveva cucinato lei e che per altri era immangiabile.

E poi, c’era questo ragazzo, Kevin Shirayuki… va bene che era carino, ma c’erano altri ragazzi più belli di lui e che su di lei non avevano fatto presa. Invece, lui l’aveva lasciata tramortita e distratta per tutta la giornata, incapace di pensare ad altro…

Ecco! Adesso ricordava chi le aveva descritto qualcosa di simile! Sua madre, quando da bambina le aveva chiesto del suo primo incontro con suo padre Ryan…

Non ricordava molto della conversazione, ma solo poche e significative parole… lui mi trafisse il cuore, e solo con uno sguardo… non ho mai capito che cosa mi abbia fatto… eppure, non l’amavo ancora, ma già sapevo che il mio destino era con lui…

Kevin l’aveva trafitta al cuore? Impossibile, non era da lei… andava fiera della sua ben nota freddezza e della sua razionalità nei rapporti affettivi, che difficilmente generavano in passioni travolgenti o in slanci affettuosi troppo forti… chissà, magari mi sono solo spaventata perché mi è praticamente svenuto addosso…

Ad un tratto, mentre concludeva soddisfatta il corso dei suoi pensieri, sentì una fredda goccia d’acqua caderle lungo il collo. Sobbalzò, sollevando di più il suo ombrello, credendo che si fosse abbassato, permettendo alla pioggia di caderle addosso, ma vide invece un’ombra dietro di lei, che le parlò con una voce calda e profonda, la voce di un uomo, nonostante la giovane età.

“Ciao ragazzina! Che fai? Aspetti il tuo ragazzo?” l’apostrofò Kevin Shirayuki. 

Kathrine arrossì, come se lui le potesse leggere in faccia i suoi ultimi pensieri, poi replicò: “Non vedi che è un asilo? Chi dovrei aspettare, secondo te, un bambino di cinque anni?”.

Kevin sgranò gli occhi, come se lei avesse detto la cosa più normale del mondo: “E io che cosa ho detto? Stai aspettando il tuo ragazzo!”.

Kathrine, capito il senso della sua battuta, si voltò stizzita, dandogli le spalle e borbottando: “Mi lasci in pace, cortesemente?”.

Lui si parò di fronte a lei, sporgendosi oltre il suo ombrello ed avvicinandosi pericolosamente al suo viso, dicendole con aria beffarda: “E se ti dicessi di no, ragazzina?”.

Lei, che per un attimo era rimasta immobile, lo fissò provocatoria negli occhi blu e disse decisa: “Ti prenderò a calci, ti va bene come soluzione?”. 

Lui si allontanò, sorridendo, e le disse: “Va bene, ragazzina, ti lascerò in pace… volevo solo chiederti di aiutarmi…”.

“Aiutarti?!”.

“Sì… mi sono appena iscritto al corso di Teatro e la Professoressa mi ha detto che sei una delle sue allieve più brillanti… dato che ci sarà un’audizione per il ruolo di Romeo nella prossima recita e che a te hanno già dato quello di Giulietta, vorrei che tu mi aiutassi a prepararmi per il provino…”.

“Non se ne parla proprio!”.

“Perché?” chiese lui con aria angelica.

Lei, senza perdere la calma, spiegò pazientemente, sebbene ribollisse per quella sua espressione serafica e tranquilla, che già immaginava frutto di un’accurata preparazione mentale: “Perché ho molto da fare e da studiare, perciò…”.

“Va bene, questa è la motivazione, che la mamma ti ha detto di dare, facendo attenzione alla buona educazione…” le disse ironicamente, agitando avanti e indietro l’indice “Ma quale è la vera ragione?”.

Lei, arrossendo, replicò velocemente: “Mi sei antipatico, non ti sopporto, non fai altro che prendermi in giro e ti sei preso troppa confidenza come me senza che io te l’avessi data… va bene adesso?”.

Kevin sorrise dolcemente, spiazzando la ragazza, e disse: “Te ne avevo chiesto solo una… e poi ci voleva tanto a dirmi la verità?”. Lei rimase a bocca aperta, guardandolo fisso in volto, mentre lui continuava a sorriderle. Fu allora che Grace e Nick si decisero a tornare, trascinando la riottosa Teddy. Entrambi osservarono la scena da lontano, stupiti da quello che vedevano: Kathrine, vistosamente imbarazzata ed impacciata, e, come se non bastasse, davanti ad un ragazzo. Grace sorrise tra sé e sé, abbastanza divertita, rendendosi conto che quel ragazzo altri non doveva essere che il famoso Kevin Shirayuki. Nick, dal canto suo, era praticamente livido: la sua passione era sempre stata la fotografia, sin da quando era bambino, e doveva ammettere che, se non fossero stati quei due, magari avrebbe preso la sua macchina e li avrebbe scattato una stupenda foto. Perché? Erano semplicemente perfetti assieme, anche troppo…

Teddy smaniava per scendere a terra, dopo aver riconosciuto da lontano Kathrine, per cui aveva una forte simpatia, e alla fine Grace la lasciò andare. La bambina corse incontro alla ragazza, che si risvegliò dal suo torpore, provocato dagli occhi azzurri di Kevin, e la prese in braccio. Anche Kevin si accorse della presenza di Grace e Nick, e allora, sorridendo tra sé e sé, diede un leggero buffetto sulla guancia di Kathrine, per poi dirle semplicemente: “Allora ci vediamo presto… Kathrine…”. Lei sussultò, mentre un brivido le correva lungo la schiena: detto da lui, il suo nome sembrava completamente diverso. Possibile che avesse quel suono alle orecchie degli altri?

Lui si allontanò lentamente, come era arrivato, mentre Kathrine lo osservava. Grace affiancò l’amica e le disse: “Certo che è veramente un bel tipo…”.

Lei annuì impercettibilmente, poi chiese, sbattendo le palpebre: “E chi ti dice che sia lui il ragazzo, di cui ti ho parlato?”.

“Molto semplice” rispose con un sorriso, prendendo l’amica sottobraccio “E’ praticamente impossibile che due persone siano riuscite a farti assumere quella espressione nella stessa giornata…”.

 

 

Kathrine camminava pensosamente verso casa, ripensando ancora a Kevin. Che cavolo aveva di tanto particolare per non cancellarsi dalla sua testa? Maledizione… era da quando aveva lasciato Grace e Nick a casa loro che ci ripensava e non veniva a capo di quel misterioso rompicapo… magari, era perché lui non la conosceva e allora non l’aveva trattata come tutti gli altri ragazzi che conosceva che la riempivano di ossequi e di lodi, cercando di fare presa su di lei, non riuscendoci assolutamente, anzi Kevin l’aveva presa continuamente in giro… mah, non sapeva davvero più che cosa pensare… l’unica soluzione che le balenò in mente fu quella di parlarne con sua madre… in fondo, era stata lei a dirle che aveva provato qualcosa di simile… non che le facesse impazzire l’idea, considerato che non andava per niente d’accordo con lei, ma non poteva certo rivolgersi a suo padre… tutto per far finire quella assurda situazione, non era per niente abituata a rimanere troppo preoccupata per qualcosa…

Corse verso casa sotto la pioggia battente, fino ad arrivare davanti al cancello di ferro battuto di casa sua. Percorse velocemente il vialetto d’ingresso, evitando le numerose pozzanghere e salutando il loro giardiniere, che proprio allora stava andando via. Entrò in casa e lasciò le scarpe bagnate e l’ombrello, altrettanto zuppo, e salutò la madre e Marie, che erano in cucina intente a cucinare qualcosa, o meglio Marie cucinava e Strawberry cercava di capire che cosa sbagliava lei, di solito. Miky, intanto, stava giocando con il loro cucciolo di cane, Derek, mentre di Ryan nemmeno l’ombra.

“Non capisco Marie, è esattamente la stessa cosa che faccio io…” stava dicendo Strawberry alla loro governante, che evitava di fare commenti.

“Mamma, scusa avrei bisogno di parlarti un attimo... puoi venire per favore?” interruppe Kathrine, che non si era ancora cambiata.

Strawberry la guardò, stupita, era un evento rarissimo che la figlia le chiedesse qualcosa dato che di solito preferiva di gran lunga confidarsi con suo padre. In fondo, Kathrine era la copia esatta di Ryan, era normale che lei ci litigasse venti ore al giorno… perciò non se lo fece ripetere due volte e lasciò Marie, che respirò di sollievo.

Si accomodarono nel grande salotto rosa pesca, lontane dalle orecchie indiscrete di Miky. Kathrine esitava a parlare, poi finalmente si decise: “Mamma, oggi ho conosciuto un ragazzo…”.

Strawberry avrebbe voluto dare libero sfogo alle sue preoccupazioni di mamma, ma si limitò a dire un semplice: “Capisco…”.

Kathrine, incoraggiata dal silenzio della madre, proseguì, appoggiando le mani in grembo: “E’ una persona particolare, e mi ha colpito molto… ma non riesco a capire perché… e allora mi sono ricordata che tu mi avevi detto che era successa una cosa simile, quando incontrasti papà per la prima volta…”.

Strawberry sorrise teneramente tra sé e sé al ricordo di quel lontano giorno, e disse: “E scommetto che adesso vuoi sapere che cosa provai quando vidi tuo padre… e magari vuoi confrontarlo con quello che hai sentito tu, non è vero?”.

Kathrine annuì, arrossendo, mentre la madre sorrideva impercettibilmente: “Quel giorno, ero uscita con un ragazzo che mi piaceva molto…”.

“Chi era? Era papà?” chiese Miky, materializzandosi dal nulla e facendo sobbalzare le due.

“Miky, fatti i fatti tuoi!” eruppe Kathrine all’indirizzo del fratello, ma Strawberry rispose tranquillamente: “Non importa, Katy… comunque, non era vostro padre… era il ragazzo più carino della mia scuola di allora e, dopo tanto, mi aveva chiesto finalmente di uscire con lui… ero felicissima… ma stranamente mi addormentai…”.

“Ma mamma, come cavolo facesti ad addormentarti?” chiese Kathrine divertita.

“Magari era noioso quel tipo…” commentò seriamente Miky.

“Volete fare silenzio!” esplose Strawberry, rossa in viso “Volete che continui sì o no?!”.

I figli annuirono e solo dopo qualche secondo, Strawberry riprese: “Insomma, dopo un po’, salutai quel ragazzo e decisi di tornare a casa… ma poi sentii uno strano rumore e decisi di tornare indietro…”. La donna si interruppe, sapendo che il seguito non era ancora pronta a raccontarlo né a Kathrine, e nemmeno a Miky, e cioè dei chimeri, della lotta contro gli alieni, contro Profondo Blu, del suo dolore per la morte del suo amato Ryan, e poi tutta quella assurda situazione, in cui si era trovata, sospesa tra lei, Elissa e l’angelo scarlatto… non ce la faceva ancora, e allora disse: “Era solo un rumore provocato da qualche animale, ma, mentre stavo tornando indietro, non vidi un crepaccio e vi stavo per caderci dentro… ma Ryan mi prese in braccio e con un balzo riuscì a non farmi cascare dentro…”.

“Davvero?” chiese Kathrine, colpita “E allora? Ti innamorasti di lui?”.

“Assolutamente no…” intervenne la voce di Ryan dall’ingresso, che, appena tornato, aveva udito solo le ultime battute della moglie “Mi fece penare un sacco di tempo, prima di capire che era completamente persa di me...”.

“Ryan, io stavo facendo un discorso serio!” urlò Strawberry al marito.

“E io allora? Non stavo facendo un discorso serio?” chiese innocentemente Ryan, mentre beveva un bicchiere di spremuta in cucina.

Strawberry, che stava per scoppiare dalla rabbia, disse tranquillamente: “Potresti levarti dai piedi? Io stavo parlando di una cosa importante con Kathrine!”.

Ryan sospirò, poi prese Miky e disse: “Andiamo, facciamo parlare in pace le femminucce…”. Miky accettò di buon grado, tanto oramai non gli interessava più quello strano discorso, e si andò a stravaccare in poltrona con il padre.

“Allora, stavo dicendo…” continuò Strawberry, cercando di riprendere il filo dei propri pensieri e ricordi, poi abbassò la voce: “… non mi innamorai assolutamente di lui in quel momento, anzi le poche parole che mi disse mi fecero saltare il sangue al cervello… non lo sopportavo, mi sembrava solo una persona molto viziata e snob, ma intanto avevo provato qualcosa di molto strano, non appena l’avevo visto… il cuore mi era scoppiato nel petto e avevo avvertito con estrema chiarezza che, da quel momento, avrebbe fatto parte della mia vita… non era amore, o almeno lo credo, perché a me piaceva troppo quell’altro ragazzo, ma forse una parte di me capii incosciamente che lui era parte di me, e che era con lui che dovevo stare…”.

“E che cosa successe dopo?” chiese Kathrine, che sembrava di nuovo quella bambina, che era stata e a cui piaceva ascoltare le fiabe narrate da sua madre.

“Fui costretta a passare molto tempo con lui…” rispose sibillina Strawberry, cercando di non sbilanciarsi troppo “E le cose, per i primi tempi, non cambiarono molto… non lo sopportavo, ma intanto, quando non ero con quel ragazzo, che era diventato il mio fidanzato, pensavo spesso a lui, semmai non in termini romantici e idilliaci, ma pensavo a lui… finchè un giorno, fummo costretti a separarci, e fu allora che il pensiero di lui divenne ossessivo nella mia mente… dopo poco, lasciai quel ragazzo e, quando lo rividi, riprovai la stessa sensazione di quella prima volta, ma stavolta più chiara e netta… capii di amarlo e di non poterlo lasciare andare di nuovo via… il resto lo sai… ci siamo sposati e abbiamo avuto te e tuo fratello…”.

Kathrine sorrise e chiese, con un filo di voce: “Pensi allora che io sia innamorata di quel ragazzo?”.

Strawberry rise leggermente, poi disse: “No, tesoro mio… non ci si può innamorare tanto facilmente di una persona… magari hai solo intuito che è una persona che potrebbe essere molto importante per te, se le lascerai spazio nella tua vita…”.

Kathrine annuì, poi abbracciò la madre e la ringraziò. Poi, sentii il campanello suonare e andò ad aprire.

 

Ecco finalmente il secondo chappy! Sono stata un po’ impegnata ultimamente e quindi non sono riuscita a pubblicarlo prima! Perdono!!! Un enorme grazie a coloro che hanno recensito il primo capitolo, purtroppo sono ancora di fretta quindi risposte, chiarimenti e ringraziamenti vari ed eventuali dovrò rinviarli al prossimo aggiornamento!!! Ciao ciao da Cassie chan!!!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Coming back ***


Capitolo 3 – Coming back

Capitolo 3 – Coming back

 

Sulla soglia, c’era un nutrito gruppo di persone, fermo davanti alla porta di casa Shirogane: Kathrine riconobbe i genitori di Nick e Grace, mentre i due gemelli non erano con loro, poi vide il signor Aoyama, che la guardò con uno sguardo indagatore, i coniugi Akasaka, che lei chiamava affettuosamente zii, e poi altre due coppie, che non conosceva, ma che avevano un’aria familiare. Questi ultimi sembravano molto preoccupati, soprattutto una donna dai lunghi capelli castani e da due enormi occhi azzurri.

“Ciao Katy…” la salutò affettuosamente Kyle.

“Ciao zio, ciao zia Pam… è successo qualcosa?” rispose confusa.

“Niente di grave piccola” rispose Pam con un sorriso, una mano sul ventre, vistosamente rivelatore del suo settimo mese di gravidanza “Ryan e Strawberry sono in casa?”.

Kathrine fece segno di sì, e li fece entrare in casa. Mark provò la solita ben nota sensazione di freddo lungo la schiena. Entrare nella sua casa gli aveva fatto sempre uno strano effetto; non che ci venisse spesso, anzi ci era venuto solo tre volte: per il suo matrimonio, e allora era rimasto per soli tre minuti nell’androne della casa, incapace di proseguire nell’analisi della meravigliosa vita che Ryan le aveva donato, e poi in occasione delle nascite dei suoi due figli. Ma anche allora non era riuscito a rimanerci molto, sebbene si era aggrappato sempre al pensiero di Halinor e Chiyo. Ma stavolta, nessuna delle due era lì con lui, e questo lo frastornò parecchio, soprattutto quando Strawberry si affacciò dalla porta della cucina e gettò un’occhiata confusa. Era ancora così tremendamente bella, come quella ragazzina che aveva conosciuto anni prima, e quella meravigliosa donna, che non aveva esitato a schiaffeggiare in un impeto di rabbia. Scosse la testa, cercando di scordare quello che era successo, che sembrava quasi averlo marchiato a fuoco. Si perse nei suoi capelli rossi, adesso leggermente più scuri, e nei suoi occhi caffè, più luminosi di prima. Era diventata una donna elegante e raffinata, e anche adesso che era in casa, emanava una calda atmosfera di fascino discreto, ma presente. Poi, accanto a lei, si sporse anche Ryan, e fu allora che capii ancora una volta quanto lei lo amava. Non si erano nemmeno toccati, e nemmeno parlati… ma solo uno sguardo di lei negli occhi acquamarina di lui… lui che serbava ancora intatto l’aspetto di quello che era stato fino a pochi anni prima… quello sguardo fu peggio che se si fossero baciati, davanti a lui… si sentì vecchio, per la prima volta, anche se era anche più giovane di Ryan… oltre che vecchio, si sentì inutile, dato che aveva perso l’unica donna, che aveva mai amato, e cioè Strawberry, e l’unica, che lo avesse mai amato veramente, cioè Halinor. Sua figlia era l’unica cosa che gli era rimasta, anche se pure lei non gli volesse certamente un bene dell’anima, ma lui temeva fortemente che lei lo odiasse per quello che aveva fatto a sua madre. Non che ne avesse tutti i torti, anzi… Halinor aveva fatto benissimo ad andarsene, non poteva certo biasimarla, dato che lui nemmeno si era sforzato di imparare ad amarla, pensando solo ed unicamente a Strawberry…

Strawberry spalancò gli occhi, riconoscendo le figure che aveva di fronte, e corse nell’ingresso.

“Blanche! Ghish! Pie! Lory!” disse, abbracciando i suoi amici “Sono anni che non ci vediamo!”.

Lory le sorrise, stringendola a sé, e rispose: “Sono esattamente quindici anni… ma sai, è molto difficile per noi lasciare casa nostra, soprattutto per Blanche e per Ghish…”.

Strawberry annuì, poi chiamò Kathrine e Miky, che si erano fermati sulla soglia della cucina, accanto a Ryan e a Marie.

“E’ così loro sono i piccoli Shirogane…” disse allegra Lory. Strawberry annuì e disse: “Per fortuna, hanno preso molto dalla mamma e poco dal papà…”.

Tutti scoppiarono a ridere, finchè Ryan, abbandonata la sua espressione fintamente irritata nei confronti della moglie, quando invece adorava i momenti, in cui facevano finta di prendersi in giro, chiese: “Non che non sia felice di vedervi, ma dato che avete appena detto che lasciate casa vostra pochissime volte, devo dedurre che non sia una visita di cortesia…”.

“In effetti, la ricordo ancora la tua ultima visita, Ghish…” disse malinconica Strawberry, poggiando una mano sul braccio del marito, quasi temesse che lui sparisse di nuovo come tanti anni prima.

“Mi dispiace dovervi disturbare ancora una volta…” replicò Blanche, che aveva gli occhi cerchiati e l’aria vistosamente stanca, un’espressione che sembrava non aver mai avuto anche nei giorni peggiori della battaglia contro Profondo Blu.

“Non lo dire nemmeno per scherzo…” intervenne Ryan, facendo loro segno di accomodarsi in salotto “Se non fosse stato per voi, io sarei…”. Si interruppe, ricordandosi della presenza di Kathrine e Miky, che stavano capendo poco quanto niente di quella vicenda, ma che certamente avrebbero fatto mille domande, se avessero saputo che il loro caro padre era, diciamo, morto già una volta.

Sedutisi tutti in salotto, Kathrine rimase davanti alla porta del salotto, poi, udendo lo strano silenzio che si era venuto a creare tra gli adulti, prese il fratello per mano e se lo trascinò dietro, chiudendo poi la porta.

Ghish si decise finalmente a continuare, rincuorato dal fatto che Kathrine e Miky avessero lasciato la stanza: “Non volevo parlare, finchè fossero rimasti qui… scommetto che nemmeno voi li avete mai raccontato niente di quello che ci è successo…”.

Ryan e Strawberry si guardarono negli occhi, poi lei abbassò lo sguardo e fece cenno di no con il capo, mentre lui le stringeva la mano. Scosse deciso il capo, dicendo: “Vogliamo raccontargli tutto, ma lo faremo quando Miky sarà più grande… sono due bravi ragazzi, ma forse sarebbero sconvolti da quello che li racconteremmo…”.

“Esattamente quello che avevamo pensato anche noi…” disse triste Blanche, gli occhi pieni di lacrime “Aggiungetevi anche che avremmo dovuto raccontare a Kivar che cosa o meglio chi era stato… un uomo assetato di sangue e di potere, e per di più mio zio… credete che avrebbe capito?”.

Ryan e Strawberry scossero il capo, pensando che in effetti il loro sarebbe stato un compito molto più difficile. 

“Ma Kivar è pur sempre Profondo Blu… le loro anime sono le stesse, anche il loro carattere è praticamente lo stesso… hanno anche gli stessi poteri, solo il loro aspetto è leggermente diverso, e ovviamente Kivar non è malvagio, come lo era lui…” continuò Blanche, a cui ogni parola costava un singhiozzo “Lui è cambiato radicalmente, dopo il nostro ultimo viaggio sulla Terra, anche se era solamente un bambino… quando tornammo a casa, iniziò a mostrare sempre più chiaramente di ricordare qualcosa della sua vita precedente…”.

“Che cosa?!” chiese Strawberry, scioccata “Io, quando ero l’angelo scarlatto, ho cancellato tutti i suoi ricordi…”.

“Era quello che credevamo anche noi, ma Kivar iniziò a parlare di cose, che non poteva sapere… ricordava la Terra, e poi ricordava Elissa e Leon… non ci preoccupammo più di tanto, perché erano solo frammenti di immagini, e lui li sognava solo di tanto in tanto… erano troppo poco per permettergli di capire tutto… inoltre, lo vedevamo sempre troppo piccolo per sapere la verità, per sapere ciò che era stato… non poteva saperlo, lo avrebbe ucciso… un giorno, esattamente un mese fa, però, accadde qualcosa sul nostro pianeta… qualcosa di strano, ma di non impossibile, un’eclissi anulare di sole…”.

“Non capisco che cosa c’entra l’eclissi con Kivar…” chiese confusa Strawberry.

Blanche continuò: “Non lo sappiamo nemmeno noi, ma fu durante quell’eclissi che Kivar recuperò un altro ricordo, credo uno dei più importanti della vita di Profondo blu… fu da allora che iniziò a chiederci con sempre maggiore insistenza da dove venisse, e se fosse davvero nostro figlio… noi gli abbiamo sempre risposto di sì, perché in fondo la carne di Kivar è la mia, il suo sangue è il mio… insomma lui è mio figlio, e per Ghish è come se lo fosse, ma… lui si ricordò anche di alcune voci, che aveva sentito quando era bambino, e che gli avevano imputato una strana somiglianza con Profondo Blu… chiunque lo guardava non poteva non notarlo, anche perché lui è molto spesso al centro dell’attenzione dato che è mio figlio, e io sono la Presidentessa del nostro pianeta… qualche giorno fa, con le sue richieste, mi irritò molto e gli risposi male, dicendogli che doveva essermi grato se lo proteggevo da quello che lui era. Ho sbagliato, lo so, perché è stato allora che gli ho dato la conferma che c’era effettivamente qualcosa che gli avevo tenuto nascosto… insomma, Kivar è scappato di casa e scommetto che è venuto sulla Terra… è qui che si cela la verità sul suo passato… forse se incontrasse te, Strawberry, o anche te, Ryan, ricorderebbe tutto… e credo che sia quello che vuole…”.

Blanche cessò di parlare, le lacrime che adesso scorrevano libere sul suo volto. Lory sorrise ed intervenne: “Comunque, Kivar non è da solo… ha portato anche suo cugino, ossia nostro figlio, Delet… crediamo che siano entrambi sulla Terra…”.

“Mi- mi dispiace tanto…” mormorò Strawberry.

“Cercheremo di trovarli entrambi…” ribadì Ryan “Ma intanto sarà meglio che voi rimaniate qui, non credo che abbiate altro posto dove andare… e poi casa nostra è molto grande…”.

“Grazie…” mormorò Ghish, ribadendo che non appena la situazione si fosse risolta, sarebbero subito tornati a casa.

“Non c’è alcuna fretta… adesso dobbiamo solo pensare a Kivar e a Delet… dove credete che possano essere andati precisamente?” chiese Strawberry, che provava molta pena nei confronti di Blanche. Non poteva smettere di pensare a che cosa avrebbe fatto lei, se al posto di Kivar ci fosse stata Kathrine o anche Miky.

“Non lo so, ma sono sicuramente venuti qui… “ commentò Ghish “Io conservavo una vecchia foto del Caffè mew mew… e non l’ho più trovata… credo che Kivar me l’abbia rubata…”.

“Bene, almeno sappiamo dove cercare…” intervenne Mark, alzandosi in piedi e avviandosi verso la porta. Non poteva rimanere un minuto di più in quella casa, o sarebbe soffocato. Ryan lo guardò allontanarsi, senza fare nulla, pregando Marie di accompagnarlo alla porta. Strawberry, dopo molte reticenze e scongiuri di stare calmo, gli aveva alla fine raccontato che cosa le avesse fatto Mark e lui non poteva minimamente sopportare che lui avesse picchiato Strawberry, fosse pure in un impeto di rabbia. Lui si arrabbiava con lei trenta volte al giorno, ma mai, mai, aveva solo alzato un dito su di lei, semplicemente perché non gli era minimamente saltato per la mente per quanto l’amava. Strawberry, dal canto suo, si sentiva sempre a disagio quando lo rivedeva e quindi respirò di sollievo a vederlo andare via; non poteva dire di odiarlo, come lo aveva odiato nei primi tempi, ma non gli stava nemmeno simpatico. Quando lo vedeva, aveva paura che le facesse ancora del male, anche se sapeva che Ryan non glielo avrebbe permesso. Ancora una volta, a quel pensiero, sorrise a sé stessa, come faceva ormai da anni… Ryan… accanto a lui, tutto le sembrava una facile passeggiata… lui era la cosa più bella che le era mai capitata…

Si alzò anche lei dal divano, salutando Pam, Paddy, Tart e Kyle, promettendo che in caso di novità, si sarebbe fatta risentire. Poi, indicò agli altri le loro camere, lasciando che riposassero dopo il loro lungo e faticoso viaggio. Erano ormai le undici passate, e Kathrine e Miky erano andati a letto, o meglio a fingere di dormire, mentre Kathrine avrebbe sicuramente chiamato Grace e Miky si sarebbe divorato i suoi fumetti. Ritornò in salotto, che ormai era in penombra, illuminato solo dalle luci della strada, e si sedette accanto a Ryan, che stava ancora guardando la televisione.

Lui la fissò in viso, cercando di capire come sempre che cosa pensasse. In fondo, quella loro sottile complicità non era mai andata via e alle volte, Strawberry pensava che fosse ancora attivo il loro legame telepatico.

“Che cosa ne pensi di questa storia?” chiese Ryan, abbassando il volume della televisione.

“Non lo so… non mi fa paura che Kivar sia, diciamo, in libertà… so che lui non è più Profondo Blu, ma penso al dolore che provano Blanche e Ghish… se fosse successo a noi, io…” disse, interrompendosi bruscamente.

Ryan l’attirò dolcemente a sé e le mormorò: “Un giorno, sapranno tutto… ma adesso, lo sai, è troppo presto… riusciremmo solo a renderli più confusi…”.

Strawberry annuì, respirando a pieni polmoni l’odore di Ryan… se avesse potuto tornare indietro, avrebbe rifatto mille e mille volte quello che aveva fatto, e che poi aveva biasimato, o per cui aveva sofferto… doveva aver avuto tutto un meraviglioso senso, se adesso l’aveva resa così felice, accanto a lui…

Ryan le sussurrò: “Si può sapere che cosa ti ha chiesto Kathrine di me e di te?”.

Strawberry sorrise: “Certo che sei proprio geloso di lei…”.

“C’entra un ragazzo vero?”

Strawberry scoppiò a ridere e lo baciò sulle labbra, dicendogli: “Mi dispiace, ma è un segreto professionale… è un segreto tra mamma e figlia… adesso vieni a dormire, e non ci pensare più… Kathrine è una ragazza in gamba, e saprà scegliere il miglior ragazzo…”, poi, prendendolo per mano e sollevandolo di peso dal divano, aggiunse dolcemente: “… come ha fatto sua madre…”.

Ryan le sorrise, ringraziando ancora nel cuore Dio per quella meravigliosa donna, che gli aveva regalato e che amava ancora come il primo giorno, e la baciò. Poi entrambi si diressero verso la loro camera da letto.

 

Mi scuso enormemente per il ritardo, ma purtroppo il mio pc ha ricominciato a fare capricci, e quindi… finalmente è arrivato anche il terzo capitolo! La prima parte dell’enorme caos di questa storia si è compiuta! Spero che questa storia vi stia piacendo, io ce la sto mettendo davvero tutta! Un grazie enormissimo per i loro commenti alla mia cara Ayuccia (probabilmente se non ci sei, non lo leggerai neanche questo capitolo!!! Uffi!!! Per quanto riguarda la tua domanda, non credo di averlo fatto proprio apposta, intendo a ricalcare Kevin su Ryan; credo che alla fine quello sia il mio modello di ragazzo ideale, quindi lo ricreo spesso! Sono strana, ma mi piacerebbe uno che mi tiene testa e che mi fa anche innervosire! Appena posso, ti scrivo un bel commento al tuo capitolo nuovo, l’ho letto, ma il mio computer non so perché mi impedisce di scrivere recensioni, mah! Divertiti in vacanza!), Lunachan 62 (grazie dei tuoi complimenti, per la tua domanda credo che hai avuto parziale risposta! Nei prossimi capitoli, avrai una risposta anche migliore! Spero di aggiornare prima di questa volta!!), Hermy 6 (la mia pazzerella! Come hai visto, sto facendo dei semi intrecci tra Ryan e Strawberry! Ho una semi idea per loro due, ma è troppo cattiva e perfida anche per me, quindi non so se realizzarla! Tu che dici?), Mew Pam (grazie tantissimo, soprattutto delle parti che ti sono piaciute di più! Sono quelle che sono piaciute anche a me nello scriverle!), Black pill (mi mancavano le tue recensioni! Grazie dei tuoi complimenti, comunque non ti preoccupare, almeno per il momento non abbandonerò questa storia! Mi piace troppo scriverla, anche se purtroppo i miei aggiornamenti non potranno essere tanto frequenti! Sto partecipando ad un concorso e quindi sto scrivendo anche un’altra storia nel frattempo!). Adesso devo andare! Spero di aggiornare quanto prima!! Ciao ciao da Cassie chan!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Don't believe the truth ***


Capitolo 4 – Don’t believe the truth

Capitolo 4 – Don’t believe the truth

 

La giornata era frizzante, come se d’improvviso gennaio avesse lasciato il posto ad un caldo e dolce marzo, che in realtà non era ancora arrivato. Nel cortile della scuola, molti ragazzi sostavano pigramente al sole, altri giocavano a pallavolo e altri ancora a calcio con una lattina di coca cola; soprattutto le ragazze chiacchieravano tranquillamente, polarizzate attorno a tre figure femminili, considerate le più popolari e le più carine della scuola: una era Ayane Fuitsuki, una bella ragazza dai lunghi capelli rossi, che aveva il cervello del peso di una piuma e che accoglieva accanto a sé solo le persone più ricche e alla moda; l’altra era Miyu Taylor, appena arrivata dall’Inghilterra, una ragazza con una mente al di sopra della media e con un carattere dalla generosità invidiabile; l’altra, ovviamente, era Kathrine Shirogane, che sorrideva allegra tra i suoi amici, i capelli biondo miele sollevati dal vento e fermati solo da un piccolo fiore di rosa di raso rosso. Accanto a lei, c’erano Grace, Nick, Chiyo, e altri ragazzi di altre classi, con cui la ragazza si divertiva particolarmente.

“Che stai guardando?”. Alla domanda dell’amico, Kevin sobbalzò.

“Che vuoi che stia guardando?!” disse calmo, ma vistosamente nervoso.

Un ragazzo dai capelli castani e due occhi celeste chiaro si sedette sull’erba accanto a lui, sorridendo e mormorando qualcosa.

“Che hai da borbottare, Daniel?!” chiese Kevin, scocciato, i ritagli di sole tra le foglie che gli illuminavano i capelli corvini e gli occhi blu oltremare.  

“Assolutamente niente…” rispose l’altro innocentemente “Mi sembra solo strano che tu sia interessato proprio a quella ragazza…”.

Kevin gettò un’occhiata distratta a Kathrine, che era scoppiata a ridere, e replicò: “Che significa, scusa, genio? Ti ho detto o no che cosa mi ha fatto?!”.

Daniel rispose, sventolando la mano avanti e indietro: “Sì, sì me l’hai detto… ma non mi sembra un caso che sia proprio la ragazza più carina della scuola ad averti dato una sensazione del genere… li hai visti i suoi capelli? Da noi, non c’è nessuna con i capelli di quel colore…”.

Kevin scosse il capo e disse: “Sì, sì… ma non è per quello… hai sentito come si chiama? Kathrine Shirogane… a me questo nome non mi è nuovo…”.

“Piacere che non ti è nuovo…” rispose esasperato Daniel “Ryan Shirogane, suo padre, era il vecchio proprietario del Caffè mew mew…”.

Kevin sobbalzò e chiese stupito: “Come hai fatto a saperlo?”.

“Internet” replicò in maniera sbrigativa Daniel. 

Kevin sorrise impercettibilmente e disse sicuro: “Lo vedi che ritorna tutto? E’ lei, la chiave…”.

Daniel mormorò qualcosa, poi si alzò da terra e disse semplicemente: “Dato che io, invece, sono qui sono solo in vacanza, non intendo proseguire questo discorso… chiave, eclisse, e altro, non sono mie priorità, cugino… sai come si dice sulla Terra, Kivar? Veditela tu e il mese di maggio…”.

Kevin scoppiò a ridere e disse: “E che razza di proverbio è?!”.

Daniel sorrise e si allontanò, mentre nella sua testa sentiva la voce di suo cugino, che lo ammoniva per l’ennesima volta… e poi te l’ho detto mille volte, Delet, cavolo… io adesso sono Kevin Shirayuki… non mi devi più chiamare Kivar in pubblico, maledizione…

 

 

Kathrine sospirò pesantemente, mentre cercava sul comodino una rivista, sollevando il braccio dolorante oltre la coperta di raso rosso. Aveva l’influenza e si sentiva maledettamente spossata, ma almeno si era risparmiata la fatica di assistere alla sfilza di provini per il ruolo di Romeo, che si dovevano tenere quello stesso giorno. Più tardi, Nick e Grace sarebbero venuti a trovarla e avrebbe chiesto a loro chi era stato preso.

… dato che ci sarà un’audizione per il ruolo di Romeo nella prossima recita e che a te hanno già dato quello di Giulietta, vorrei che tu mi aiutassi a prepararmi per il provino…

Già, adesso si ricordava… quello strano ragazzo avrebbe partecipato alle audizioni per la parte di Romeo, accidenti a lui! Sperava ardentemente che non lo prendessero… le venne un leggero brivido di nervosismo a pensare di dover recitare con lui… chi l’avrebbe sopportato?

Sentii ad un tratto bussare alla porta, e, sistemandosi i capelli, disse un tranquillo: “Avanti!”. Alla porta, apparve dapprima sua madre, che aveva il viso curvato in un’espressione di divertita curiosità, esattamente come Grace, che era dietro di lei; poi comparve il viso più che mai scuro di Nick, e una faccia, che Kathrine all’inizio non riconobbe e che pensò di essersi immaginata.

Poi sobbalzò, arrossendo, ed urlò, un dito puntato contro la figura: “Che cavolo ci fai a casa mia?!”.

Strawberry rimproverò la figlia per la sua maleducazione, mentre Kevin ribadiva con rassegnazione: “Non si preoccupi, signora… tra me e sua figlia è consolidata tradizione parlarci così…”.      

“Infatti, io e te non siamo assolutamente amici…” confermò Kathrine con estrema convinzione “Che diamine vuoi?!”.

“Kathrine!” urlò Strawberry ancora all’indirizzo della figlia, mentre ancora una volta aveva la sensazione di stare vivendo un dejà vu; poi, con un sorriso, capii perché… Kathrine e questo ragazzo…

Io e Ryan…

Ma non era solo questo, ne era sicura… a dirla tutta, era da quando Kevin era entrato in casa, da quando lo aveva visto nell’ingresso, che aveva avuto una strana sensazione… che ricordava, una sensazione che ricordava… paura, mista di senso acuto di seduzione… Kevin era certamente solo un ragazzino e non era minimamente attratta da lui, ma le aveva provocato quella percezione… ma tanto più si sforzava di ricordare dove aveva sentito quell’emozione, e più non se lo ricordava… come se urtasse contro una spessa parete di vetro gelido… 

Scosse la testa, pensando che fossero solamente manie le sue di vedere pericolo o ricordi dove non ce ne erano. L’esperienza di Profondo Blu, Leon ed Elissa l’aveva cambiata molto, ma si era fatta anche una donna estremamente più serena e razionale, e, per questo, lasciò la camera di Kathrine con un sorriso e tornò in cucina, non accorgendosi minimamente di uno strano sguardo, lanciatole da Kevin, che pensò: “Lo sapevo… tutto qui mi ricorda qualcosa… soprattutto la madre di Kathrine… mi sembra di averla già vista, ma dove? E poi… sento una forte sensazione, mi sta intossicando… magia, qui c’è traccia di magia…”, si voltò pallido verso Kathrine, che lo guardava stupita, confusa ed ancora arrabbiata: “Anche in lei, c’è traccia di magia… anche se è lontana, la sento…”.

“Che hai?!” chiese Grace, sventolando una mano davanti al naso di Kevin.

“Niente, solo un momento di distrazione…” rispose lui pensosamente, sedendosi accanto a Nick e a Grace su delle piccole poltroncine di velluto rosa pesca, in tinta con il resto della stanza.

Per interrompere l’imbarazzante silenzio che si era creato, Grace disse: “Chiyo non è potuta venire… aveva delle cose da fare con suo padre…”.

“Non importa, mi aveva già chiamato ieri sera…” ribatté Kathrine ancora accigliata, poi, senza accorgersene, cercando di prevenire l’ennesimo silenzio, chiese: “Chi hanno preso per la parte di Romeo?”.

Grace tossicchiò leggermente, mentre Nick faceva una risatina, e Kevin alzava gli occhi al cielo: “Spero che adesso sarai contenta e ti sentirai in colpa… non mi hanno preso e tutto perché tu ti sei rifiutata di aiutarmi…”

Aveva un’espressione da cucciolo abbandonato sotto la pioggia, e Kathrine dovette fare leva su tutta la sua già poca pazienza per non lanciargli addosso un cuscino.

“Si dà il caso che ti ho già ribadito che non ti avrei aiutato e questo è successo un mese fa…” disse con calma, come se stesse dicendo la cosa più vecchia e scontata del mondo “Se fossi un bravo attore, saresti riuscito a prepararti da solo…”

Kevin non si fece minimamente impressionare dal tono deciso della ragazza e disse, portandosi le mani dietro il capo: “A dirla tutta, il livello della selezione è stato piuttosto bassino… la mia arte non è stata chiaramente compresa… e poi il ruolo di Romeo non faceva proprio per me…”

“Perché?” chiese frettolosamente Grace, tanto per fare conversazione ed evitare l’ennesima battuta acida di Kathrine, che leggeva già stampata a lettere cubitali sul suo volto.

Kevin ribatté con noncuranza: “Morire per una donna… per favore, non credo che ci sia niente di più stupido nell’intero Universo…”

Kathrine non riuscì più a reprimere la rabbia, che sentiva dentro, e si scagliò contro di lui: “Perché dovrebbe essere stupido? Quando ami una persona, faresti di tutto per renderla felice e per stare per sempre con lei, anche se questo significherebbe morire… ma figuriamoci tu hai la personalità con le sfaccettature di un cavolfiore, non lo capiresti mai…”

“Può darsi” disse lui, sorprendendola “Non credo di essere una persona molto sensibile da questo punto di vista, ma sono più che mai convinto che l’amore non duri per sempre… è stupido morire solo per un sentimento… e l’amore è solo questo…”

Kathrine lo guardò quasi scioccata, e ripensò a sua madre e a suo padre. Non aveva mai capito come si erano messi assieme, facevano sempre in modo di eludere il discorso, ma lo capiva nelle loro rare e sibilline parole che era stato qualcosa di molto difficile, lo capiva dal modo che aveva Strawberry di stringere la mano di Ryan, quando sentiva quei discorsi, dal modo che aveva Ryan di accarezzarle la guancia, quando a lei si riempivano gli occhi di lacrime. Eppure adesso stavano assieme e lei lo sapeva che non potevano vivere l’una senza l’altro. Loro avrebbero fatto di tutto per difendersi l’uno l’altra e per restare assieme, e aveva come la sensazione che l’avessero già fatto.

Kevin guardò altrove, fuori dalla finestra, da cui si vedevano i rami più alti di un albero ancora spoglio di magnolia.

“Non credo di essermi mai innamorato, ma ho visto i miei genitori…” continuò Kevin, soppesando con attenzione le parole “Loro sono stati innamorati e credo che lo siano ancora molto, ma ci sono momenti, ci sono cose per cui il loro amore non esiste, e dove non riesce a reggere il peso delle cose che possono caderli addosso… e allora proprio per il loro amore, li ho visti deboli, fragili, anche per quello che hanno verso di me… per proteggersi, non sono liberi…”. Kevin si fermò a disagio, aveva detto più di quanto avrebbe voluto, ma quelle parole gli erano volate via dalle labbra, senza che ne volesse effettivamente parlare.

Kathrine lo guardò per un attimo, poi disse piano: “Capisco che cosa vuoi dire… anche i miei genitori si preoccupano molto per me e per mio fratello, ma sono certa che la loro vita senza di noi sarebbe vuota, inutile, priva di senso… può darsi che l’amore ti renda schiavo, ma alla fine non amare è uguale a morire…”.

Kevin si voltò sorridendo verso di lei, e le disse ironicamente: “E che ne sai tu, ragazzina? Dove le hai lette queste cose?”

L’espressione per un attimo più serena e tranquilla di Kathrine divenne subito minacciosa e furente, stavolta non provò nemmeno a trattenersi e gli lanciò contro un cuscino, che aveva preso dal letto.

“Ahia, lo vedi che sei soltanto una bambina viziata?!” urlò Kevin, massaggiandosi il braccio, anche se non provava il minimo dolore.

“Devi ancora dirmi che ci fai qui a casa mia!” replicò lei, il viso rosso dalla febbre e dalla rabbia.

A quel punto, Grace che aveva osservato la scena da lontano, ridendo, disse, guardando l’orologio: “Avrete tutto il tempo per parlare di questo… io adesso devo davvero andare… Nick, vieni con me, vero?”

Kathrine la guardò con gli occhi sgranati, mormorando a labbra strette: “DOVE devi andare Grace?”

Lei, cercando di reprimere una risata, rispose: “Lo sai meglio di me… ho purtroppo una sorella che scalcia dalla voglia di vedermi e Nick deve andare a ripetizione di algebra, altrimenti quest’anno è sicuro che lo bocciano… ma tanto c’è Kevin con te…”

Lei assunse un’espressione truce, mentre l’interessato inarcava un sopracciglio: “Non ti preoccupare, con me la tua amica è in buone mani…”

Kathrine si voltò ancora minacciosa e disse: “Ma perché tu non te ne vai con loro?!”

“Per lo stesso motivo, per cui sono venuto… ho bisogno di parlarti…” mormorò lui seriamente.

Grace afferrò il fratello per il colletto della camicia, e se lo trascinò dietro, salutando entrambi con la mano.

Kathrine, aspettando che la porta si chiudesse del tutto, chiese subito: “Allora si può sapere che vuoi?”

Kevin si avvicinò a lei, sedendosi sul letto, e disse: “E’ una cosa davvero molto importante per me, e te lo sto chiedendo perché, nonostante non lo faccia vedere, mi fido abbastanza di te…”

“Non mi hai dimostrato mai questa grandissima fiducia…” disse lei, inarcando un sopracciglio “E infatti sono più che mai convinta che ci sia dell’altro sotto…”

Lui si limitò a sospirare, poi disse: “Lasciami spiegare e poi mi dirai se accetti o meno… ti ruberò solamente tre giorni…”

“Tre giorni?!” chiese ancora lei, visibilmente meravigliata

“Sì…” continuò lui, iniziando a montare la storia in parte falsa, che le stava raccontando “Non so se lo sai, ma io vengo da Hokkaido… ho vissuto lì in realtà per gli ultimi tre anni, ma sono nato a Parigi ed è lì che vive la mia famiglia… io litigavo spesso con mia madre, perché lei mi nascondeva delle cose molto importanti sulla mia vita, tipo la vera identità di mio padre, che io sono sicuro non essere quello che lei mi ha sempre presentato come tale…”

“Perché ne sei tanto sicuro?” chiese lei sospettosa, interrompendolo.

“Semplicemente perché ho sempre notato che non mi somiglia affatto… e poi, quando ero bambino, sentivo spesso delle persone parlare di un altro uomo e associarlo spesso a me…”

“E tu credi che questa persona sia il tuo vero padre?” chiese Kathrine, ancora diffidente.

A questo punto, Kevin si fermò… la sua storia stava diventando troppo credibile anche per lui stesso. Profondo Blu, era quello il nome, che sentiva ripetere fino all’ossessione da quando era piccolo. Ogni persona che lo aveva incontrato, che lo aveva visto, aveva sbarrato gli occhi e gli aveva detto: “Tu sei uguale a Profondo Blu!”. Quando era stato abbastanza grande per capire, lo aveva chiesto a sua madre chi fosse quell’uomo, ma lei era impallidita e non gli aveva risposto. Mai gli aveva risposto, anche quando glielo aveva chiesto solo tre mesi prima. E alla fine lo aveva capito perché. Perché era quello il suo vero padre. Suo padre, quello che aveva sempre ritenuto tale, era totalmente diverso da lui, lui che aveva qualcosa di sua madre, ma che per il resto non assomigliava molto neanche a lei. Invece, c’era o c’era stata una persona, che gli assomigliava in modo talmente impressionante da spaventare gli altri. Aveva chiesto a chiunque chi fosse questa persona, ma tutti o si ritraevano a disagio oppure dicevano che spettava a sua madre parlargliene, cosa che lei evitava accuratamente di fare. Poi quel giorno dell’eclissi anulare di sole, aveva sentito una voce acuta nella sua testa sussurrargli: “Il sangue è sulla Luna Azzurra” ; era sussultato e si era ritrovato la schiena zuppa di sudore freddo, poi aveva fatto delle ricerche e aveva scoperto che la Luna Azzurra era un antico nome, attribuito al terzo pianeta della stella Sole, dove avevano abitato i suoi antenati. Fin qui, non c’era niente di strano, se non che, mentre leggeva dei testi di sua madre, aveva trovato delle carte di suo padre, tra cui una vecchia foto di quel lontano pianeta, di uno strano edificio chiamato Caffè mew mew con l’indirizzo di Tokyo, e aveva capito. Aveva capito che qualsiasi cosa i suoi genitori gli nascondessero, era lì sulla Terra. Aveva fatto un ultimo tentativo con sua madre, e aveva fallito. Allora, aveva assunto l’identità falsa di Kevin Shirayuki ed era partito per la Terra con suo cugino, che aveva insistito tanto per andare con lui, dopo aver saputo che le donne terrestri fossero alcune tra le più incantevoli creature dell’intero Universo. Poi quel giorno, aveva incontrato Kathrine Shirogane ed un rapido e breve tocco con la sua mano gli aveva restituito la memoria, sebbene molto fioca, di due persone che già ricordava vagamente: una donna dai lunghi capelli scuri e un uomo dai capelli biondi molto chiari, che lo guardavano severamente. Erano i suoi veri genitori? Non lo sapeva, ma era certo che Kathrine, la figlia di Ryan Shirogane, il proprietario del vecchio Caffè che suo padre conosceva, era la Chiave per scoprirlo. E adesso ne doveva essere assolutamente certo e, per questo, doveva convincerla a venire con lui. 

Ritornò a guardarla, e mormorò: “Non so se sia il mio vero padre, ma ho saputo che viveva in Giappone… quindi tre anni fa, chiesi a mia madre di potermi trasferire per un po’ da una mia zia, che viveva ad Hokkaido, con la scusa che non avevo un ottimo rapporto con i miei docenti…”

Kevin sospirò, Kathrine sembrava abbastanza convinta, quindi si fece coraggio e continuò nella sua commedia: “Un mese fa, sono tornato a Parigi, ma ho avuto una violenta discussione con i miei, che avevano saputo di una serie di indagini che avevo fatto da mia zia, e che mi avevano portato a sapere che mio padre dovrebbe vivere in questa città… mi accusarono di irriconoscenza e allora capii che c’era effettivamente qualcosa sotto. Quella stessa sera, raccolsi i miei risparmi e presi il primo aereo per Tokyo…”

“Sei scappato di casa?!” chiese Kathrine, visibilmente colpita e scioccata. Se lo avesse fatto lei, i suoi avrebbero sguinzagliato l’ F.B.I.…

“Non sono proprio scappato di casa…” mormorò Kevin con aria d’importanza “Ogni settimana li chiamo e li faccio sapere come sto, ma non li dico dove sono esattamente… così, fino ad ora, non mi hanno ancora trovato… nonostante questo, hanno continuato a tacere, non mi dicono ancora chi è il mio vero padre…”

“E se fosse solamente frutto di una tua macchinazione?” chiese Kathrine, scuotendo il capo “Anche degli amici dei miei genitori hanno dei problemi con il loro figlio, che è scappato di casa… e tutto per qualcosa che lui ritiene importante, ma che non è per loro lo stesso…”

Kevin sobbalzò sulla sedia, poi cercò di rimanere calmo. Erano certamente i suoi genitori, allora erano lì… un’ulteriore conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la pista Shirogane era giusta.

“Non è la stessa cosa…” mormorò lui “Io sono assolutamente sicuro… che loro mi nascondano qualcosa… può darsi che la persona che sto cercando non sia mio padre, ma è l’unica in grado di dirmi che cosa si nasconde dietro il loro silenzio…”

“E allora io che cosa c’entro?” chiese Kathrine, curiosa, ma che continuava a non capire dove il ragazzo volesse arrivare.

“Due settimane fa, ho chiamato i miei genitori…” iniziò lui, assumendo il tono più convincente che gli riuscisse “Il nostro maggiordomo, ha chiesto di parlare con me… mi ha detto che aveva del materiale da darmi e che era molto importante, lo aveva trovato tra le cose di mia madre e riguardava questa persona, che io sto cercando… mi ha chiesto di andare a Parigi a prenderlo, dato che non può spedirmelo…”

“Non credi che potrebbe essere un tentativo dei tuoi di farti ritornare a casa?” chiese ancora Kathrine

“Certo che l’ho pensato…” rispose Kevin con aria quasi offesa “Ma, se poi fosse vero, non potrei giocarmi qualcosa di così importante… devo andare a Parigi… ed ecco che entri in gioco tu…”

“Io?!”

“Se accetterai, verrai con me a Parigi, per tre, quattro giorni…” spiegò Kevin “Andrai in mia vece a casa mia a prendere questo pacco, così, se è una trappola, i miei non mi avranno comunque trovato; se non ne sanno niente, anche se ti vedranno, non ti collegheranno a me… capisci adesso?”

Kathrine cercò di trattenersi dall’arrossire, e disse: “Io dovrei venire quattro giorni con te a Parigi DA SOLA?! Ma tu sei impazzito?! Perché non ci porti Daniel, o qualche altro tuo amico?! Perché proprio io?!”

“Perché Daniel è una persona inaffidabile…” spiegò pazientemente Kevin “E i miei genitori capirebbero che è mio amico… non è capace di fingere, neanche sotto tortura… tu, invece, non sei una grande attrice?” concluse ironico.

“Smettila di dire sciocchezze!” urlò lei, tappandosi dopo la bocca con la mano a causa del suo alto tono di voce, che poteva essere sentito chiaramente dai suoi genitori “I miei non mi daranno mai il permesso… quattro giorni da sola all’estero con- con…” s’interruppe, più ci pensava e più si sentiva in imbarazzo. A Parigi poi! La capitale dell’amore! Ma per piacere! Sua madre e suo padre avrebbero subito pensato ad una fuga sentimentale. Le venivano i brividi solamente a pensarci.

“Quattro giorni a Parigi con un ragazzo più grande di te…” iniziò lui con aria suadente, avvicinandosi fino a farla arrossire, poi le toccò la punta del naso, spingendole indietro il viso, e continuò beffardamente: “E che non è minimamente interessato a te, che ti trova solamente una ragazzina e con cui litighi ventiquattro ore su ventiquattro… proprio una vacanza romantica…!”

Kathrine abbandonò subito l’espressione dolcemente imbarazzata, che aveva assunto, e afferrò di nuovo con rabbia il cuscino e glielo scagliò contro.

“Che ti arrabbi a fare?!” disse lui, ridendo “E’ o no l’amara verità?!”

“Che cosa racconterei ai miei?” disse lei, cercando di calmarsi, lui poteva scherzare e prenderla in giro quanto voleva, tanto in quella situazione aveva lei il coltello dalla parte del manico “Anche se dico che vado a Parigi con un ragazzo supponente ed immaturo, che non mi piace minimamente, loro non mi faranno mai venire…” concluse quasi soddisfatta, incrociando le braccia.

“E tu li dici che vai ad un rodeo della grammatica o a qualcosa del genere… non sei la tipica secchiona, a cui crederebbero in un batter d’occhio?” chiese lui ancora beffardo, appoggiando la schiena contro la poltrona.

“E se anche li convincessi, dovrei spendere tutti i miei soldi duramente risparmiati, per venire in vacanza con te…” disse lei con tono palesemente innervosito.

“Prima di tutto, considerando in che razza di casa vivi, non credo che i tuoi siano risparmi duramente guadagnati…” iniziò Kevin a bassa voce “E comunque almeno per le spese d’albergo e del biglietto aereo pagherei tutto io…”

A quell’ultima affermazione, Kathrine rizzò le orecchie, l’indole affarista che aveva ereditato da Ryan si mise in moto. In effetti, era conveniente per lei andare quattro giorni a Parigi, dove non era mai stata, e non pagare niente, a parte in vestiti e in regalini, che avrebbe comprato.

Finse un’espressione rassegnata e disse: “E va bene, mi hai convinto… ma massimo cinque giorni, niente di più…”

“Veramente, si era parlato di tre, massimo quattro giorni…” replicò Kevin contrariato “Gli alberghi costano!”

“Va bene, allora vorrà dire che resterò a casa…” rispose lei, stendendosi più comodamente sul suo letto.

Kevin si rassegnò alla fine, aveva troppo bisogno che lei venisse per trattare oltre, ma non mancò di farle notare, socchiudendo gli occhi: “Ti sei presa proprio una bella cotta per me, ragazzina? Vuoi stare sola con me cinque giorni?”.

Lei non si scompose minimamente e rispose: “Voglio vedere Parigi, non te… e allora, quando partiamo?”

“La settimana prossima… lunedì esattamente… verrò a prenderti alle quattro e mezzo… il nostro aereo è alle sei…”

“Alle quattro e mezzo?!” domandò Kathrine, con gli occhi spalancati “Perché così presto?!”

“Perché l’aeroporto è lontano e il viaggio sarà lungo…” spiegò lui, alzandosi in piedi “Considera anche un po’ di tempo al check-in… a proposito, ti verrò a prendere con la mia moto, quindi non ti azzardare a portarti troppi bagagli…”

Lei sbuffò, incrociando le braccia, adesso doveva anche comprimere i bagagli per cinque giorni in una sola borsa.

“Bene, adesso devo proprio andare…” disse lui, incamminandosi verso la porta, mentre lei si schiariva la voce: “Non dovresti dirmi qualcosa?!”

Kevin la guardò per un attimo, la mano sospesa sulla maniglia, poi esplose in una risata e disse: “Di ringraziarti, non se ne parla proprio… l’affare è molto più conveniente per te che per me… saresti stata una stupida a non accettare!”

Kathrine lanciò di nuovo il suo cuscino, stavolta prendendo solamente la porta chiusa, poi si distese più comoda sul letto e sorrise tra sé e sé. Appena quella maledetta febbre, le fosse passata avrebbe cominciato a cercare su guide e su internet tutti i posti che voleva visitare a Parigi, peccato solamente che ci sarebbe dovuta andare con Kevin. Sospirò a lungo, nella peggiore delle ipotesi lo avrebbe lasciato in albergo e se ne sarebbe andata in giro da sola. Ma adesso doveva soprattutto pensare a che cosa raccontare ai suoi per farla rimanere fuori ben cinque giorni…

Mentre Kathrine pensava a queste cose, Kevin scese le scale di legno scuro della grande casa della ragazza, con una lieve smorfia di fastidio divertito, certo che quella ragazza era troppo violenta per i suoi gusti. Per fortuna, aveva accettato di venire con lui: gli veniva quasi da sperare che dall’incontro con Herik e Melissa ne venisse fuori un nulla di fatto, almeno non sarebbe stato più costretto a frequentarla.

Sospirò, poi sorrise, mentre passava davanti alla porta spalancata del salotto, dove la signora Shirogane stava prendendo il tè con una sua amica, dai lunghi capelli e gli occhi azzurro ghiaccio, che rideva sommessamente e che sembrava in dolce attesa.

“Arrivederci, signora Shirogane…” disse Kevin, sporgendosi poco oltre la soglia, temendo che nella stanza ci fosse la presenza invisibile dall’esterno di uno dei suoi genitori.

Strawberry si voltò, ancora sorridente, e rispose: “Ciao Kevin! Spero che tornerai presto a trovare Kathrine… sembra permalosa e dispettosa, ma in fondo è una brava ragazza… e non lo dico solo perché è mia figlia…”

Kevin sorrise e disse: “Lo penso anch’io, signora Shirogane… credo che ci rivedremo presto…”.

Strawberry sorrise a sua volta, non cogliendo il leggero lampo, che era passato negli occhi di Kevin. Inutile, quel ragazzo le ricordava troppo qualcosa che aveva già visto…

Kevin salutò ancora Strawberry, poi inforcò l’uscita con un sospiro, respirando di sollievo al contatto dell’aria fresca sul suo viso. Quella donna, la madre di Kathrine, era troppo bella per essere vera… quello che emanava quella donna… meravigliosamente ed immoralmente turpe, per lui, il voler possedere qualcosa che non aveva, e non avrebbe mai avuto. Con qualsiasi altra donna e ragazza, era diverso. Loro le sentiva dentro già dall’inizio, già lo sentiva che potevano essere sue, se solo lo avesse voluto, Strawberry Shirogane no .

… non è mai stata mia…

Sorrise tra sé e sé, certo che quel pianeta metteva a dura prova le sue capacità razionali, che razza di pensieri gli venivano in mente… era ancora perso in quelle considerazioni, e non si accorse di una figura che veniva nella direzione opposta.

Solo, quando se lo ritrovò davanti, sollevò lo sguardo e si ritrovò a stretto contatto con due occhi color acquamarina, che non lasciavano presagire nulla di rassicurante.

“Chi sei?” chiese Ryan al ragazzo, che lo guardava a bocca aperta, anche lui lo conosceva, anche lui era convinto di averlo già visto. Anzi quello stesso momento, stare a tu per tu con lui in una strada, mentre stava camminando, e lui che lo guardava con quell’espressione mista di malcelato fastidio ed indifferenza, l’aveva già vissuta. Come in una vita precedente. E poi odio, purissimo ed estatico odio alla sua vista, che sgorgava nelle profondità del suo spirito, un odio senza spiegazione, che scacciò velocemente dalla sua testa.

Riconobbe nei suoi tratti il viso di Kathrine e nei suoi capelli, ancora biondi, nonostante dovesse avere già una quarantina d’anni, quelli ugualmente color sabbia della ragazza. E allora capii. Eccolo, il pezzo mancante del quadro di Kathrine Shirogane, eccolo il filo rosso, che legava suo padre alla Terra: Ryan Shirogane, il proprietario del Caffè mew mew, il padre di Kathrine.

“Lei deve essere il padre di Kathrine…” disse, sforzando di essere gentile, la gola invasa dall’acido di un risentimento, che non gli apparteneva.

Ryan sollevò le spalle, coperte da una giacca elegante di colore scuro, continuando a guardare in maniera ostile Kevin. Strinse più forte la valigia, che portava nella mano destra, dopo il suo ultimo viaggio in America, e serrò la mascella. Mancava da soli tre giorni, e già un ragazzo diverso da Nick metteva piede in casa loro. Chi diamine era? Sembrava molto più grande di Katy e non era male, almeno per quello che gli consentiva il suo giudizio.

“Sì, sono suo padre… sei venuto a trovarla?” chiese, mantenendo un tono di voce asciutto e piatto.

Kevin socchiuse gli occhi, almeno l’antipatia sembrava reciproca: “Sì, vostra figlia non sta molto bene, e sono venuto a trovarla…”, vedendo il suo volto minaccioso, si affrettò ad aggiungere: “Sono venuto con Grace e Nick… loro sono andati via poco tempo fa…”.

A quelle parole, il volto di Ryan si rasserenò e si limitò ad un pallido sorriso. In fondo, non aveva motivo di essere così preoccupato e possessivo… Strawberry aveva ragione, Kathrine era una ragazza in gamba e sarebbe stata capace di tenere alla larga chiunque non le andasse a genio. E poi quel ragazzo non sembrava certo un delinquente, sebbene avvertisse nei suoi confronti una strana sensazione.

“Bene… spero di rivederti presto…” mormorò Ryan in maniera inespressiva, poi, mentre si voltava verso casa sua, chiese: “Quale è il tuo nome?”

“Kevin… Kevin Shirayuki…” si affannò a rispondere il ragazzo.

“Allora arrivederci Kevin…” ripeté Ryan, dandogli ancora le spalle e percorrendo il vialetto con passo più veloce. Voleva vedere quanto prima il viso di Kathrine per vedere come stava. Indipendentemente dall’influenza, ma più per la sua reazione di fronte a Kevin Shirayuki.

Intanto, il ragazzo guardò per un po’ l’uomo allontanarsi, poi scrollò le spalle e si allontanò con un lieve sorriso sulle labbra sottili… certo che la famiglia Shirogane era una continua fonte di sorprese…

 

 

Lo so, lo so, che alcuni di voi meditano la mia morte! Sono in un ritardo a dir poco pazzesco, purtroppo questo è stato davvero un periodo orribile, e quindi non ho avuto molto tempo per aggiornare la mia storia! Spero di riuscire ad anticipare il prossimo capitolo che comunque dovrebbe arrivare prima di questo! La storia si sta complicando sempre di più vero??! e non siamo ancora a nulla di quello che accadrà… ehehehehe!!!! Va bene, prima che me ne parta completamente di cervello, ecco le solite, risposte e ringraziamenti vari:

Aya chan: la mia carissima Ayuccia! Come sempre la tua recensione mi ha fatto tantissimo piacere!!! Chissà se le tue ipotesi sono giuste… per adesso non ti dico niente, ti posso solamente dire che la tua supposizione è giusta solamente a metà! Quanto sono sadica!!!! Anche te però non scherzi! Mi piace parecchio la mitologia greca, ho spulciato libri su libri, ma niente! Non trovo chi è colei che scioglie gli eserciti!!! Rabbia!!! A proposito, ma quand’è che aggiorni? Ho appena scoperto che, pur avendo ripetutamente letto il tuo ultimo capitolo, non ho nemmeno scritto uno straccio di recensione!!! Non ti preoccupare, non posso certamente mancare in questo capitolo! Comunque, per la foto, è solamente un foto che Ghish teneva per ricordo! Invece per la richiesta del rogo di Mark, accusato dal Tribunale della Sacra Inquisizione di Cassie del crimine di rompiballite acuta, purtroppo c’è ancora l’appello dell’imputato, ma sono solo inezie!! Ormai è finito!!!

Mew Pam: ciao Pamuccia!!! Sono contenta che la tua ipotesi si stia confermando! Mi chiedo: ma sono io che sono prevedibile o siete voi dei geniacci? Ghish e Blanche, proprio perché sono i genitori di Kivar, li vedrai ancora moltissimo!! Ti sei molto affezionata a loro, vero? anche a me piacciono tanto, credo che siano la mia migliore creazione! Ti perdono il ritardo, ma solo perché ho ritardato di più io!

Hermy6: per il momento non se ne parla proprio di far lasciare Ryan e Strawberry, ci ho fatto una fatica a farli mettere assieme! Però… adesso non posso dire niente!!! comunque grazie dei tuoi complimenti! Rimani sempre la mia pazzerella preferita!

Kashia: che bello che ho ritrovato anche te! Sigh, sob, sono commossa, sto diventando troppo smielata!! Cercherò di non deluderti, un grazie enormissimo!

Lunachan 62: davvero sto diventando più brava? A me sembra invece di essere sempre uguale, se non di scrivere anche peggio! Comunque un iper grazie, per Ryan e Strawberry credo che siano così reali perché mi sono ispirata molto ai miei genitori! Sono odiosi, litigano sempre, ma si vogliono molto bene! Ogni cosa, credo, deve avere un suo riflesso nella vita vera! Quando ci riesco, mi piace parecchio quello che scrivo, altrimenti rimango insoddisfatta! Grazie ancora, scusa anche a te per il ritardo!!

Black_Pill:  ciao bellissima! Anche per te sto diventando più brava? Grazie!! Sono contenta che la storia ti piaccia, i sto esaurendo più che con BMAY, ogni volta che sistemo qualcosa, mi crolla tutto da un’altra parte!!!

Sperando di aggiornare quanto prima possibile, un mega bacione anche a tutti coloro che leggono e non recensiscono!!!! Ciao ciao da Cassie chan!!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Everything about ***


Capitolo 5 – Everything about

Capitolo 5 – Everything about

 

“CHE COSA?!” urlò Grace, il volto paonazzo, mentre Kathrine le faceva segno di stare zitta. Un gruppo di ragazzine del primo anno, vestite tutte uguali, la guardarono curiose, scuotendo i capelli ondulati dei ferri caldi di un parrucchiere. Kathrine sorrise imbarazzata e mormorò: “Non è molto normale, ha degli attacchi di schizofrenia, dovete scusarla!”. Le ragazzine si allontanarono, sorridendo tra loro, mentre Kathrine respirò di sollievo.

“Si può sapere perché hai sempre il maledetto vizio di urlare?!” chiese Kathrine sottovoce all’amica, che si teneva intanto una mano tra i capelli ramati per via del forte vento, che c’era in cortile e che sollevava i petali dell’albero di ciliegio sotto il quale si trovavano assieme a Nick e a Chiyo, i cui volti erano ugualmente scioccati, ma la cui reazione era stata più contenuta.

“Fa-fammi capire b-bene…” mormorò Nick, verde di rabbia, ma che cercava di trattenere il tremito incontrollato della sua voce “Andrai a Parigi con Shirayuki per cinque giorni?! TU E LUI DA SOLI?!”. Le ultime parole furono pronunciate da Nick a voce leggermente più alta, ma tale che potessero sentirlo un altro gruppo stavolta di ragazzi, che passava di lì. Uno di loro, che aveva uno sguardo da Casanova incallito, si rivolse sornione a Kathrine e disse in tono da navigato seduttore: “Chi ha la fortuna di restare da solo con la bella Shirogane?!”.

 “Stai zitto Derek!” urlarono contemporaneamente Kathrine e Nick, rossi in viso, all’indirizzo di uno dei tanti ammiratori della ragazza, il quale se ne andò via con la coda tra le gambe.

“Adesso posso parlare per più di tre secondi senza essere interrotta?!” chiese Kathrine, riprendendo fiato.

“Fai pure, Shirogane…” le disse freddamente Chiyo, inarcando un sopracciglio. Possibile che quella ragazza avesse tutte le fortune di questo mondo? Solo il giorno prima, Chiyo aveva incontrato finalmente Kevin Shirayuki per i corridoi, mentre correva per raggiungere l’aula di fisica, con il suo amico Daniel. Era terribilmente attraente, il tipico ragazzo che non poteva camminare da solo per una strada, se aveva una fidanzata. L’avrebbe abbordato chiunque. E lui era interessato così tanto a Shirogane… figuriamoci, se la perfetta e sublime Kathrine non avesse conquistato anche lui, affascinava persino gli uomini di quaranta anni, come suo padre… incrociò le braccia con fare infastidito, e continuò ad ascoltare il resoconto di Kathrine, che stava raccontando il motivo del viaggio a Parigi.

“Avete capito adesso?” terminò Kathrine verso i suoi amici ancora colpiti “Come potevo rifiutare?”

“Con la bocca…” commentò acida Chiyo, e si alzò per raggiungere alcune sue compagne di classe, mentre Kathrine scuoteva il capo, commentando a bassa voce: “Un giorno o l’altro, la manderò davvero a quel paese…”.

Grace, ripresasi dallo shock iniziale, replicò: “Lasciala perdere… comunque, tornando a noi, allora hai deciso di accettare?”.

Kathrine annuì con il capo e rispose: “Sì, per lui è una cosa molto importante…”, si mise imbarazzata una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ricordando il suo viso così deciso e i suoi occhi così intensi, poi riprese: “E poi ci scappa anche una bella vacanza!”.

“Che cosa racconterai ai tuoi?” chiese ancora Nick, cercando di farle cambiare idea di fronte alla difficoltà di raggirare i suoi genitori.

“Non lo so…” mormorò Kathrine, guardando altrove “Non voglio mentirli… mi stanno dimostrando una grande fiducia in questo periodo, ma non posso certo raccontarli la verità…”

“Sta tranquilla Kitty!” eruppe Grace con una risata argentina “Se è davvero così importante per te, ti aiuterò io!”

“E come?” chiese Kathrine scettica

“Semplice” disse lei, iniziando a parlare di quella che era la meravigliosa scusa, che le era venuta in mente, mentre Kathrine sorrideva esultante e Nick scuoteva il capo.

Poco lontano da loro, una figura li aveva guardati per più di quanto se ne fosse accorto. Kevin distese le gambe lungo tutto il ramo dell’albero, su cui si arrampicava, quando lo prendeva la nostalgia di casa sua, e forse anche dei suoi genitori, o quando semplicemente voleva starsene da solo. Appoggiò il capo al tronco dell’albero, il libro di letteratura inglese ancora sulle sue ginocchia, non ancora aperto, mentre guardava il cielo, solcato dalle frecce d’argento delle ali dei gabbiani, che volavano verso il mare lì vicino. Quanto era bello quel pianeta azzurro, adesso si rendeva conto perché i suoi antenati a volte lo nominassero ancora come un paradiso. Era così diverso da Nemesi, da casa sua, che aveva persino passato giorni peggiori, fatti di morte e di sangue che andava a sporcare il nitore del ghiaccio. Chissà perché poi non erano più tornati sulla Terra... La storia che sua madre e suo padre gli avevano fatto sempre studiare iniziava dalla proclamazione della repubblica, dopo la morte di un sovrano buono e giusto, a seguito di una congiura ordita da suo fratello. Kevin rise tra sé, ecco un’altra di quelle cose, che i suoi genitori non gli avevano permesso di fare. Ma adesso tutto sarebbe cambiato, adesso aveva la chiave per risolvere il mistero nella sua mente: Kathrine. Quella ragazza e quel suo potere, che non sapeva nemmeno di avere o che forse non esisteva, se non su di lui, quello di liberare dalle catene i ricordi, che non credeva di aver vissuto, ricordi di una donna dagli occhi viola e di un uomo dai capelli biondi. C’era qualcosa in lei, nei suoi genitori, qualcosa di magico, un potere che poteva ridargli tutto quello che cercava e desiderava: la verità.  

Ad un tratto, una voce lo riscosse dai suoi pensieri e si sporse oltre il ramo. Istintivamente prima guardò verso l’albero sotto il quale si trovava Kathrine e la vide ancora lì, che abbracciava la sua amica Grace.

Che razza di bambina… pensò con un lieve sorriso.

“Kevin!” gli stava urlando Daniel da giù “Ho una cosa da farti vedere! Scendi!”

Lui borbottò e si slanciò in avanti, scendendo con facilità e grazia, sebbene il ramo si trovasse a qualche metro dal suolo. Se gli avesse fatto vedere un altro degli strambi posti terrestri che voleva vedere, gli avrebbe spaccato il naso, anche se era suo cugino e come un fratello minore.

“Che c’è?” chiese perplesso.

Daniel gli agitò davanti agli occhi la copia di una rivista patinata, con grandi fotografie colorate e che sembrava uno di quei giornali leggeri, che leggevano molto le donne terrestri nei momenti liberi.

“Guarda!” disse orgoglioso, agitando ancora il giornale “E poi non dire che non ti aiuto mai!”

“Se lo tiene fermo mezzo secondo, potrei anche guardarlo!” disse nervoso Kevin, togliendoglielo di scatto di mano. Guardò la sua copertina e vi vide solamente una bella modella in costume da bagno rosso fiammante, che ammiccava all’obiettivo della macchina fotografica. 

“Carina, ma non penso che ci filerebbe, Daniel…”.

Daniel, che stava già annuendo soddisfatto, scattò e disse: “Non la modella! Guarda dentro!”, poi glielo strappò di mano e lo sfogliò velocemente, per poi fermarsi ad una pagina ben precisa e indicò con l’indice l’articolo, che occupava qualche pagina.

“Questo!” disse, ridandoglielo.

Kevin guardò con più attenzione la pagina, poi lesse con noncuranza per poi sobbalzare: “Per la serie: le famiglie dei grandi imprenditori- LA FAMIGLIA SHIROGANE”.

“Dove l’hai preso?” chiese Kevin, sinceramente colpito.

Daniel spiegò sinteticamente: “Ce l’aveva una mia compagna di classe… lo stava per usare per riempire un pupazzo per la rappresentazione teatrale… il cadavere di Mercuzio o qualcosa del genere… ho intravisto il nome Shirogane e glielo ho strappato di mano, è di qualche mese fa…”.

Kevin diede una pacca sulla schiena di Daniel e lo ringraziò, poi si sedette e iniziò a guardare l’articolo, corredato di numerose foto prese dall’album di famiglia dei Shirogane. Nella prima pagina, c’era una grande foto del matrimonio di Strawberry Momomiya e di Ryan Shirogane; Kevin provò ancora una sensazione strana, rabbia, astio e, strano a dirsi per un tipo come lui, gelosia. Sì, gelosia. Quella scena l’aveva già vissuta, anche questa, ammirare la felicità di altri alla luce della propria vita, di cui non era per niente soddisfatto. Iniziò a sudare freddo adesso, nonostante la grande dose di coraggio che aveva ricevuto in eredità da Ghish e da Blanche. Ora aveva davvero un po’ di paura: che cosa significavano quelle strane sensazioni? Forse stava aprendo uno oscuro e profondo vaso, di cui non vedeva il fondo e che temeva fosse troppo profondo anche per lui. Aveva letto su un libro terrestre di una leggenda di quel pianeta, quella del vaso di Pandora. E se stesse aprendo baratri, che non erano suoi, che erano troppo cupi e per questo gli erano stati nascosti? Poi scosse la testa, erano solo stupide paure infantili, se il suo maestro di spada dell’Accademia Militare di Nemesi lo avesse visto, lo avrebbe picchiato dalla mattina e sera. Ed avrebbe avuto perfettamente ragione.

Nonostante questo, quella sensazione che premeva negli anfratti della sua testa, continuò a guardare per un po’ quella fotografia: i genitori di Kathrine dovevano avere poco più di vent’anni, ma sua madre non lo dimostrava per nulla. Era bellissima, più di quanto non avesse già notato lui, e stringeva forte il braccio del suo neo marito. I capelli più chiari di adesso le cadevano sulle spalle, leggermente trattenuti da delle piccole rose bianche di tessuto, mentre il suo vestito senza spalline e privo di grandi e ricchi disegni, scendeva piano lungo i suoi fianchi e si apriva in un’ampia gonna di raso. Stavolta, ricordò con un sorriso dove aveva visto quell’espressione, sebbene non di così rapita felicità. Kathrine… i loro occhi erano gli stessi e splendevano nella stessa maniera. Poi, il suo sguardo si soffermò su Ryan e la sua sensazione cambiò: anche lui era molto elegante, indossava un completo scuro, con una camicia bianca e una cravatta azzurro chiaro, e teneva stretta la moglie per la vita sottile. Ma quello che lo colpì di più fu il suo viso: non ostentava la stessa travolgente gioia di Strawberry, doveva essere abituato a non mostrare troppo di sé stesso nella sua espressione. Comunque si notava che il suo viso era sereno, rilassato, placido, come le onde del mare che si spegnevano sulla terra. Notò come teneva appoggiata la sua mano su quella che la moglie gli teneva sul braccio, e pensò se sarebbe stato possibile anche a lui di essere così felice.

non si deve amare mai nessuno… l’amore ti ammazza…

Scosse il capo, ancora parole non sue nella sua testa. Andò avanti e vide altre fotografie: una ritraeva Strawberry, che teneva in braccio Kathrine, che doveva avere solo qualche mese; poi ce ne era un’altra, dove Ryan portava sulle spalle il fratello di Kathrine sulla spiaggia, con Strawberry al lato e Kathrine, che correva davanti a loro con un cagnolino alle calcagna; infine una di Kathrine, che ormai alla sua età, abbracciava il fratello, seduta su una veranda, che dava sulle montagne innevate.

Finalmente iniziò a leggere l’articolo:

Delle tante famiglie, che costituiscono il jet set internazionale, una delle più celebri è certamente la famiglia Shirogane. I motivi della celebrità di questa famiglia non risiedono solo nella piccola fortuna, accumulata negli anni da Ryan Shirogane, con il suo complesso industriale di S. Francisco, specializzato nella produzione di micro-componenti elettronici.

L’articolo proseguiva con tutta una serie di descrizioni dell’impianto industriale e degli operai che vi lavoravano, e Kevin stava già per gettare all’aria il giornale, quando arrivò una parte che lo interessò particolarmente.

Ryan Shirogane lasciò S. Francisco assieme ad uno dei collaboratori di suo padre, Kyle Akasaka, suo amico fraterno, all’indomani della morte dei suoi genitori, periti in un misterioso incendio nella loro villa appena fuori da S. Francisco. I soccorsi non arrivarono in tempo e i due morirono entrambi, lasciando solo il figlio appena dodicenne, che si trasferì a Tokyo sotto la tutela provvisoria di Kyle Akasaka. I due aprirono un Caffè nella città, che ebbe molto successo, diventando sede di numerose occasioni mondane della città, sebbene anche in esso si verificarono strani incidenti. In esso, lavoravano cinque ragazze come cameriere, tra le quali una di loro fece perdere la testa a Ryan Shirogane, Strawberry Momomiya. I due diventarono molto amici, anche se il sentimento che Ryan provava per lei appariva a tutti di natura certamente più profonda. Al ragazzo, però, accadde qualcosa di molto strano, nel periodo in cui aveva compiuto diciannove anni. Si disse che era morto, vittima di uno sciagurato incidente stradale, a bordo della sua motocicletta. Il suo corpo non fu mai ritrovato, ma la motocicletta apparteneva a lui e la sua carcassa fu riconosciuta da Kyle Akasaka; per quattro anni tutti credevano che egli fosse effettivamente deceduto, sia i suoi nonni rimasti a S.Francisco, che i suoi amici di Tokyo. In realtà, Ryan Shirogane non era mai morto. Per una strana fatalità, al ragazzo era stata rubata la sua motocicletta, pochi giorni prima, ma egli non ne aveva denunciato il furto. Il ladro, evidentemente, non aveva saputo che farsene, o chissà per quale ragione, l’aveva distrutta, gettandola in mare e facendo credere che fosse avvenuto il tragico incidente. Un incidente, però, c’era effettivamente stato. Ryan Shirogane aveva avuto per cause sconosciute un aneurisma celebrale ed era rimasto in coma per quattro anni in un ospedale di Tokyo. Privo di documenti e incosciente, non fu riconosciuto fino al risveglio, e il ritrovamento della motocicletta fecero pensare che fosse morto nell’incidente. Solo quando finalmente si risvegliò, raccontò ciò che era avvenuto, destando un grande scalpore. L’erede degli Shirogane era vivo e vegeto. Ovviamente ci fu grande gioia tra parenti ed amici, e soprattutto per Strawberry, che, distrutta da quella che era stata la notizia della sua morte, gli dichiarò i sentimenti scoperti per lui in quel lasso di tempo. I due si sposarono di lì a poco…

Kevin si fermò, osservando in volto Daniel, con un espressione sinceramente colpita.

“Certo che ne hanno passato di tutti i colori in questa famiglia…” commentò, rivolto al cugino, che si era seduto accanto a lui.

“Già, è questo che ha colpito anche me, per questo te l’ho fatto leggere… mi è sembrata strana questa storia del MORTO-E-POI-RESUSCITATO… non è una cosa normale…” rispose Daniel, stendendosi sull’erba del prato, socchiudendo gli occhi azzurro chiaro alla luce del forte sole, che passava dai rami degli alberi.

“Per i terrestri, non lo è assolutamente… e non lo sarebbe nemmeno per noi, a dirla tutta…”.

“Kathrine ti ha mai detto qualcosa di questo?” chiese Daniel, sollevandosi di nuovo al suono della campanella che segnalava la fine dell’intervallo.

Kevin inarcò un sopracciglio, e disse ironicamente: “Kathrine Shirogane non è ciò che solitamente si definisce LA MIA MIGLIORE AMICA, quindi non mi viene certo a raccontare i fatti suoi e della sua famiglia…”

Daniel si alzò, ridendo, e disse: “Mi sa tanto che, invece dovrai fa sì che te li dica, altrimenti addio bella ricerca, Kevin… ma in fondo c’è sempre Parigi…”, assunse un’espressione melensa e sviolinò: “Tu, lei, la Senna, la luna che si specchia nell’acqua, tu che ti avvicini, lei che si avvicina…”

“Smettila idiota!” replicò irritato Kevin, lanciandogli contro la rivista, mentre il cugino si allontanava diretto verso la sua classe e continuava ad urlare, imitando la voce di Kevin: “Ti amo anch’io, piccola!!!” 

Il ragazzo scosse il capo, poi rise leggermente e raccolse, sollevandosi la rivista. C’era ancora un piccolo capoverso, che non aveva visto nell’articolo e che non aveva letto. Magari, conteneva qualcosa di interessante…

Ryan e Strawberry hanno indubbiamente trasmesso molto di sé stessi ai loro due meravigliosi figli, Kathrine di sedici anni, e Miky di soli sette anni; Kathrine, soprattutto, è al centro delle mire di molti rampolli di buona famiglia, che vorrebbero entrare nelle grazie della bella Shirogane. La ragazza desta molta curiosità soprattutto a cagione del fatto che la sua famiglia, molto riservata, ha tenuto anche lei e suo fratello lontani dalle luci della ribalta. Di qui a un anno, si terrà però la tradizionale presentazione in società delle cosiddette debuttanti, a cui dovrebbe partecipare anche Kathrine Shirogane. Sicuramente si tratterà dell’evento dell’anno, se Kathrine mostrerà di aver ereditato la particolarissima indole degli Shirogane.

L’ha ereditata in pieno, sta tranquillo… pensò Kevin, rivolgendosi allo sconosciuto autore dell’articolo.

Continuò a camminare, per entrare nell’edificio scolastico, assediato dalla folla degli studenti che si affannavano a tornare nelle loro classi alla fine dell’intervallo. Era ancora un po’ soprappensiero, e non si accorse di una presenza accanto a lui.

“Buongiorno Shirayuki…” disse una voce femminile, accattivante nel suo tono falsamente indifferente. Kevin si voltò e si trovò davanti una ragazza alta poco meno di lui, con lunghi capelli neri che sembravano di seta, e due grandi occhi verdi; sorrideva seducente, camminando lentamente accanto a lui, e guardandolo fisso negli occhi. Ricordava di averla già vista da qualche parte, ma non ricordava assolutamente dove l’aveva vista. Era un vero schianto, un bel viso di porcellana su un corpo da favola, ma non si ricordava proprio come facesse a conoscerlo. Poi si ricordò all’improvviso di chi si trattava… era un’amica di Kathrine, e, se non si sbagliava, si chiamava Aoyama… sì, Chiyo Aoyama…

“Buongiorno anche a te, Aoyama…” rispose dopo un po’.

Chiyo sorrise compiaciuta, almeno sapeva come si chiamava: “Allora come ti trovi qui?”.

“Abbastanza bene…” rispose Kevin, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare quel suo discorso.

“Vieni da Parigi, vero?” continuò lei, la voce sempre modulata in un tono volutamente soffuso.

Kevin sorrise leggermente con aria beffarda, e disse: “Vedo che la ragazzina non ha il dono di tenere la bocca chiusa… vi ha raccontato tutto, vero? Di me e di Parigi, intendo?”.

Chiyo annuì, quasi rassegnata, e replicò: “Che vuoi farci? In fondo Kathrine è poco più di una bambina… e poi non conosce la discrezione… spero che non ti metterà nei guai, a causa della sua immaturità…”.

Stava per risponderle, quando fu urtato da qualcosa al braccio.

“Scusami!” .

Kathrine lo aveva sorpassato, correndo, mentre rideva a crepapelle, inseguita per chissà quale motivo da Nick, che era praticamente scarlatto, mentre Grace correva dietro di loro, gridando: “Smettila Nick! Ormai lo sanno tutti che sei geloso marcio di lei!”.

Kevin seguì con lo sguardo azzurro i capelli biondi di Kathrine, che sparirono oltre la porta, poi scosse il capo con un sospiro e tornò a rivolgersi a Chiyo: “In effetti, credo che tu abbia ragione…”.

Kevin notò solo allora il lampo d’odio, che era passato negli occhi della bella ragazza, quando era passata Kathrine. Sembrava volerla fulminare con lo sguardo… chissà per quale ragione… certo, che questo poteva essergli utile… in fondo Kathrine era una sua amica e se effettivamente non la sopportava, sarebbe stata forse più pronta a dirgli cose che forse la stessa Kathrine gli avrebbe tenuto nascosto…

“Ascoltami… Aoyama…” esordì con il tono più seducente che gli uscisse, attirando l’attenzione di Chiyo che si voltò verso di lui.

“Dimmi, ma chiamami pure Chiyo…”.

“Stasera, c’è una specie di mostra d’arte moderna, a cui il mio professore di letteratura vorrebbe che partecipassi… ti andrebbe di venire con me? Sinceramente non me la sento proprio di andarci da solo, e non conosco ancora molto bene la città… allora?”.

Chiyo si illuminò in volto, sorridendo. Almeno per una volta poteva prendersi una bella rivincita su Kathrine Shirogane…

“Certo, mi piacerebbe molto…” rispose lei, tranquillamente, poi, colta da un’improvvisa illuminazione chiese sottovoce: “Non ti piacerebbe portarci Shirogane?”.

Kevin capì stavolta perfettamente dove voleva andare a parare, evidentemente ci aveva visto giusto… questa ragazza deve odiarla molto… e quella scema di Kathrine non se ne sarà nemmeno accorta…

“Come hai sostenuto tu, Shirogane è solamente una bambina…” rispose, poi, non volendole dare troppa soddisfazione, aggiunse: “Comunque, se vuoi, lo chiedo a Kathrine…”

Chiyo si affannò a rispondere che ci sarebbe venuta molto volentieri, poi, dopo essersi messi d’accordo, Chiyo sparì in direzione della scuola.

Kevin la seguì con lo sguardo, adesso c’era solamente da sperare che la faccenda portasse qualche frutto.

 

 

“Allora quando inizi a fare i bagagli?” chiese eccitata Grace all’amica, mentre aspettavano Chiyo e Nick all’uscita da scuola.

“Stasera ne parlo con i miei, e poi si vedrà… meno male che mi hai trovato quella scusa… è perfetta…”.

Kathrine si appoggiò al muro della scuola, sperando ancora ardentemente che i suoi ci cascassero. Poi guardò l’orologio e disse: “Capisco Nick che aveva la riunione del club di basket, ma Chiyo che fine ha fatto?”.

Grace borbottò qualcosa e poi disse a voce più alta: “Ti giuro che un giorno di questi mi dimenticherò perché mi hai costretto ad essere sua amica…”.

“Credo di essermelo dimenticata anch’io…” mormorò Kathrine in risposta.

Dopo qualche secondo, Chiyo spuntò all’orizzonte, allegra e pimpante: “Scusatemi, ma oggi avevo il turno di pulizia…”.

Grace e Kathrine evitarono di guardarsi in viso per non scoppiare a ridere, certo che quella ragazza era davvero lunatica… 

“Bene, Nick se ne tornerà a piedi… andiamo…” disse decisa Grace, prendendo per un braccio Kathrine.

Mentre le ragazze camminavano, il sole che spariva rosso alle loro spalle, lungo il lungo viale alberato, un’ombra corse velocemente verso di loro, poi le sorpassò, urlando una specie di saluto: “Ciao bimbetta! Mi raccomando vedi di convincere mammina e papino!”.

Kathrine rispose mentalmente al saluto di Kevin, sperando per la prima volta che i genitori la segregassero in casa per un decennio, poi il ragazzo, dopo aver salutato anche Grace, disse: “Allora Chiyo, passo a prenderti alle otto e mezzo, va bene?”.

“Va benissimo Kevin…” squittì la ragazza, sotto lo sguardo scioccato di Grace e Kathrine.

Kevin annuì, poi sparì, girando l’angolo, assieme al suo amico Daniel.

“Che cos’è questa storia, Chiyo?! Esci con Shirayuki?” chiese Grace, incapace di trattenersi, mentre Kathrine voltava stizzita il capo dall’altra parte. Non voleva neanche starla a sentire… adesso si sarebbe vantata a non finire, per questo era così allegra… maledetto a lui e al giorno che lo aveva incontrato… adesso dava anche a Chiyo un motivo per fare la grande donna vissuta con lei…

“Shirayuki voleva andare a vedere una mostra, e mi ha chiesto di accompagnarlo… non ti dispiace, vero Shirogane?” chiese con voce falsamente gentile.

Kathrine si voltò di nuovo verso di lei con un grande sorriso, e disse gaia: “E perché mai? Vai e divertiti… mi dispiace solo che non avrai il massimo della compagnia… Shirayuki non è un grandissimo acquisto… peccato ci saresti potuta andare tu a Parigi con lui, ma magari, se passerete una bella serata, alla fine lo chiederà a te…”.

Grace dovette mordersi le labbra, per non scoppiare a ridere alla faccia innocente di Kitty, mentre Chiyo si allontanava con la scusa di andarsi a preparare, ma era visibilmente stizzita.

“Razza di oca…”  borbottò Kathrine, mentre si allontanava “Credeva di farmi ingelosire… sai che me ne importa se esce con quella testa di rapa?!”.

Grace finalmente scoppiò a ridere, poi strinse il braccio dell’amica e disse: “Sei troppo forte, Kitty… comunque, chissà perché le avrà chiesto di uscire…”.

“Magari perché hanno molto in comune… tipo la loro evidente maturità intellettuale, rispetto alla mocciosa qui presente… ma chissà perché a me non appare così evidente…” commentò piattamente Kathrine, poi lei e Grace entrarono in una gelateria del centro, e si sedettero a prendere un gelato, mentre ridevano, parlando di quella improbabile coppia che si era formata.

 

Kevin si guardò attorno nel quartiere residenziale, dove viveva Chiyo Aoyama. C’erano solo palazzi dall’aspetto signorile e con lucide porte di legno scuro; appena era tornato a casa, si era chiesto se fosse stato effettivamente il caso di invitare ad uscire Chiyo, e più volte era stato sul punto di chiamarla per disdire tutto. Non aveva molta voglia di uscire, e poi quella ragazza lo faceva sentire strano, insicuro e, quei pochi attimi che aveva nominato Kathrine, lei era sembrata contemporaneamente sul punto di piangere e di scoppiare dalla rabbia. Come poteva parlarle di Kathrine, considerando che era l’unica cosa che davvero lo interessasse di lei?

Kevin scosse il capo, guardando verso l’alto il condominio lussuoso dove viveva Chiyo, assieme a suo padre. Era davvero un bel palazzo, con solo due famiglie per piano, sintomo di appartamenti grandi e principeschi, esattamente il contrario del piccolo pensionato per studenti dove vivevano lui e Daniel, di grigio intonaco scrostato e pieno di scarafaggi. Si spolverò con la mano la giacca blu scura, che indossava su una camicia bianca e un paio di jeans larghi. La cosa che gli piaceva di più di quel pianeta erano forse proprio i vestiti, su Nemesi per un appuntamento, qualora lo si potesse avere, bisognava recarsi in alta uniforme, o non si veniva nemmeno presi in considerazione dalla ragazza di turno. Cosa che a lui non era mai successa, e certo per quello che era il fatto di essere il figlio, o presunto tale, della Presidentessa di Nemesi. Gli mancava un po’ casa sua, il suo palazzo di ghiaccio, al centro della capitale, e anche sua madre e suo padre, ma adesso non era il momento di pensarci. Doveva scoprire quanto più possibile sulla famiglia Shirogane, e solo allora sarebbe tornato a casa. Se mai quello che avesse scoperto, non avrebbe sconvolto tanto la sua vita da impedirgli il ritorno…

Stava per suonare al citofono, quando il portone si spalancò violentemente, rivelando una trafelata Chiyo, che aveva il viso rosso e gli occhi lucidi.

Chiyo si accorse della presenza di Kevin e sorrise imbarazzata: “Ciao… ero pronta ed allora sono scesa…”.

“Sono in ritardo?” chiese intimorito Kevin.

Chiyo negò con il capo e si passò una mano sugli occhi verdi, vistosamente rossi e pieni di lacrime.

“Scusami, è che ho litigato con mio padre…” mormorò Chiyo, seguendo Kevin, che aveva iniziato a camminare.

“Stai bene? Te la senti ancora di uscire?” chiese Kevin, in maniera forzata.

“Sì, certo…” rispose lei con un sorriso. La soddisfazione che il giorno dopo avrebbe potuto prendersi su Kathrine valeva tutto quel sacrificio. Sacrificio… uscire con un ragazzo, che era bello da mozzare il fiato… suo padre le stava rovinando la vita… quella sera, si era anche azzardato a schiaffeggiarla… lo odiava con tutte le sue forze, voleva solamente che sparisse dalla sua esistenza, lasciandola finalmente in pace. Gli aveva solo chiesto se sapeva l’indirizzo di sua madre in Germania, ma da una parola all’altra, lui aveva detto che doveva smetterla di pensare sempre ad Halinor e dimenticarsi quotidianamente di lui. E lei allora gli aveva vomitato in faccia il fatto che lui non aveva mai amato sua madre, che per quella ragione non si erano mai sposati, e che era sempre rimasto innamorato della mamma di Kathrine. Al suo silenzio, aveva alzato il tiro, dicendo che adesso si era anche preso una sbandata per la sua giovanissima amica. E solo allora Mark si era alzato dalla sua poltrona cremisi, dove rimaneva seduto la sera, con un bicchiere di brandy, che gli conciliava il sonno, e le aveva dato uno schiaffo in pieno viso.

“Non parlare di cose che non capisci! Vai via! Vattene via da me!” le aveva urlato e lei era scappata, lontana da lui, da sua madre e dalla sua vita.

Kevin, notando il suo silenzio, si voltò a guardarla. Era chiaramente anni luce di lì; forse adesso capiva perché odiava tanto Kathrine, semplicemente perché era il suo opposto. I pensieri di Kathrine erano indelebili segni sul suo viso che chiunque poteva leggere, lei era una nebbia vorticante di immagini e di pensieri, che nessuno si dava la briga di decifrare.

Sospirò, se era venuto a fare lo psicologo, era meglio farlo per intero…

“Allora vuoi dirmelo o no perché hai litigato con tuo padre? Non voglio trascorrere la serata in questo silenzio…” le disse francamente e brutalmente, guardando davanti a sé.

Chiyo lo guardò, poi replicò: “Niente di importante… mia madre se n’è andata di casa perché mio padre non l’ha mai amata… l’ho sempre saputo, ma speravo che riuscissero a resistere, almeno fin quando fossi vissuta con loro… e adesso lui vuole che io la dimentichi, o che non la cerchi più. Ma lei è sempre mia madre e io la capisco per quello che ha fatto… ecco tutto… non può spingermi ad odiarla, perché non lo farò mai…”.

Kevin annuì, poi Chiyo rise allegra e lo prese per un braccio, riprendendo il suo tono di voce solito, morbido e flautato: “Ma adesso non ne voglio parlare, davvero… allora cosa facciamo dopo la mostra?”.

Iniziarono a camminare, fino a raggiungere il palazzo dove si teneva la mostra, che seguirono, passando da una sala all’altra.

Kevin cercava di capire che cosa passasse per la testa di quella strana ragazza, ma non ci riusciva assolutamente. Fu quasi tentato di entrare nella sua mente, come aveva iniziato ad imparare su Nemesi, prima di andarsene, ma era ancora troppo inesperto e poteva farle male. Alternava fasi di trenta secondi, in cui era allegra, ed altre di altrettanta brevità, in cui si chiudeva in uno stizzito silenzio. Era difficile parlarle, e ad alcune innocenti frasi, rispondeva in maniera stranamente nervosa. Se fosse andata avanti così, non avrebbe potuto nominare Kathrine nemmeno sotto tortura…

Stava pensando a quelle cose, quando la sua attenzione fu attirata da un dipinto, che non era nient’altro che formato da delle strisce di colore rosso scarlatto, nero corvino, giallo oro e azzurro cobalto. Quei colori si fondevano nei suoi occhi come sotto la spinta di una scarica elettrica, e sentì qualcosa dentro di lui che si svegliava da un lungo torpore. Possibile che l’arte umana fosse così potente? Che contenesse tali emozioni, dentro di essa?

Chiese a Chiyo che cosa provasse, lui che era spaventato ed attonito per la follia di quei colori, e sudava quasi freddo. E lei gli rispose in modo statuario: “Assolutamente nulla… mi piace molto di più questo qui…”, ed indicò una tela nera, percorsa da striature argentee, che a Kevin sembrava lo scarabocchio di un bambino.

Si avvicinò a quella tela, ma il nome del suo artista non c’era, a parte un piccolo segno, che era una sorta di V rovesciata ed incatenata con una A: c’era in compenso il suo titolo, scritto con caratteri greci, che però lui che sapeva bene tutte le lingue terrestri, sembrava assolutamente comprensibile.

Pangea... kakiov kai kalov. e cioè PANGEA, e KAKION e KALON … pangea era il nome che aveva il blocco dei continenti terrestri, prima di spaccarsi, e che erano circondati da un enorme oceano, chiamato PANTALASSA, e poi quelle altre due parole erano due aggettivi…

Il buono e il cattivo… il bene e il male…

Che diamine significava quel quadro?

Si avvicinò sotto lo sguardo sorpreso di Chiyo ad una guida e chiese chi fosse l’autore.

“Vivienne Atwood…” rispose l’uomo, guardando sorpreso quel ragazzo “E’ una donna di quasi novant’anni, di madre greca… è ricoverata in un ospizio, dopo essere diventata cieca… ma è ancora la migliore degli artisti astratti del nostro secolo…”.

“Avete una litografia di quest’opera?” chiese Kevin. Doveva farla assolutamente vedere a Daniel.

L’uomo annuì e gli indicò un banchetto, dove Kevin acquistò una piccola riproduzione del quadro.

“Ti piace così tanto?” chiese Chiyo, riavvicinandosi a lui. Kevin la guardò soprappensiero, si era completamente dimenticato di lei.

Annuì solamente, poi, presa una biro, si scrisse il nome dell’artista sul retro del quadro. Appena tornato a casa, avrebbe dovuto scoprire dove viveva questa donna… chiuse la mano, ancora vistosamente sudata, e la guardò per qualche secondo…

Questo brivido, questa sensazione dentro… non è solo Kathrine, allora…

 

 

Kathrine era distesa sul letto, gli occhi castano chiaro spalancati sul soffitto rosa della sua stanza. Canticchiava una canzone che stava sentendo alla radio, e muoveva a tempo il piede, che spuntava nudo dai pantaloni del suo pigiama azzurro.

Ad un tratto, sentì bussare alla porta e mormorò un: “Avanti!”, non muovendosi minimamente dalla sua posizione.

Alla porta, apparve Grace, seguita da Strawberry e stranamente anche da Ryan.

Kathrine si aspettava di vedere Grace, che avrebbe passato la notte lì per aiutarla a fare i bagagli per andare a Parigi, ma certo non i suoi genitori, soprattutto suo padre, che non entrava in camera sua da quando aveva otto anni.

Si tirò bruscamente a sedere e chiese preoccupata dalla loro espressione: “Mamma, papà, che cosa c’è?!”. Vuoi vedere che non erano più convinti di mandarla a Parigi? Lo sapeva… provò una leggera fitta di sottile e crudele soddisfazione all’idea della faccia di Kevin, il giorno dopo…

Ryan entrò nella stanza della figlia, dicendo a Grace: “Grace, puoi aspettare un secondo? Vorremo parlare da soli con Kathrine, ti dispiace?”

“Certo che no, signor Shirogane…” replicò Grace, che sollevò le sopracciglia in segno di preoccupazione a Kathrine, alle spalle dei suoi genitori, e poi richiuse la porta.

Kathrine guardò ancora i suoi genitori, che si erano seduti sul suo letto, e che si guardavano le mani, non parlando ancora.

“Mamma, papà, si può sapere che cosa volete dirmi? Non volete più che vada a Parigi?” chiese ancora.

“Non è questo, tesoro…” disse Strawberry, sollevando gli occhi “Ci hai detto che siete stati sorteggiati solamente in cinque in tutta la scuola, per vedere questa mostra impressionista al Louvre, e certamente è una grandissima occasione… sarebbe stupido non accettare…”, poi Strawberry scosse il capo, voltandosi a guardare il marito, che guardava ancora le sue mani, e disse indispettita: “Ryan, o glielo dici tu o non se ne parla! Io non faccio il terzo grado a mia figlia! E poi che razza di domanda è?!”.

Ryan sollevò lo sguardo e replicò con lo stesso tono di voce: “Cinque secondi fa eri d’accordo con me e adesso fai la madre libertina?!”.

“Ma che diamine dici?! Sei tu che hai detto che lo volevi sapere! E adesso chiediglielo, spicciati!”.

“Non ci penso proprio! Faccio sempre io la figura del paranoico, e tu lo sei quanto me!”.

Kathrine guardò rassegnata i suoi genitori, alzando gli occhi al cielo. Bisticciavano sempre, accidenti a loro… e scommetteva che ci provavano anche gusto…

“Si può sapere che cosa volete sapere?!!” urlò la ragazza, soverchiando le loro grida.

Strawberry e Ryan si girarono verso di lei, ancora rossi per l’impeto della loro conversazione amichevole, e chiesero assieme: “A Parigi, viene anche Kevin Shirayuki?!”.

Kathrine inarcò un sopracciglio e chiese sbalordita: “Era solamente questo?! E che razza di domanda è?!”.

“Hai visto, e io che ti avevo detto?!” replicò Strawberry a Ryan, afferrando un cuscino e colpendolo sul capo.

Prima che ricominciassero, Kathrine chiese: “Si può sapere che differenza ci sarebbe?”.

Strawberry rispose praticamente: “Si dà il caso che tuo padre sia convinto che tu abbia una cotta per il ragazzo in questione!”.

Kathrine fece una smorfia disgustata e replicò: “Papà, che ti salta in testa?! Ma nemmeno tra un migliaio di anni! Bleah!”.

Ryan, ricomponendosi, disse tranquillo: “Tua madre la pensa esattamente come me, ma adesso vuole fare la MADRE-CHE-HA-UN’ESTREMA-FIDUCIA-IN-SUA-FIGLIA-E-CHE-NON-METTE-IL-NASO-NELLE-SUE-COSE… ma non ci riesce assolutamente…”.

“Ma se io e Kevin litighiamo ogni trenta secondi! Non lo sopporto, figuriamoci!”.

“E’ proprio questo il problema…” mormorò Ryan “Non hai appena assistito ad una scena di questo tipo?”, mentre Strawberry annuiva con decisione, un leggero sorriso sulle labbra rosa.

“Non è il caso mio e di Kevin… potete starne certi…” replicò Kathrine, il viso più scuro “Lui è fermamente convinto che io sia solamente una piccola mocciosa, e io sono altrettanto convinta che lui sia solo un arrogante borioso… e non andiamo assolutamente d’accordo… e, a differenza di voi due, io non provo alcun piacere nel litigare con lui, semplicemente perché, se posso evitarlo, non ci parlo proprio con lui…”.

Ryan e Strawberry guardarono con attenzione il viso ancora caratterizzato da quella delicatezza tipica di una bambina, che ancora non spariva da lei, ma che anzi si mescolava con i primi segni del suo diventare una donna. Forse era vero, o forse chissà c’erano persone, che per amarsi, avevano bisogno di andare d’accordo, non di litigare continuamente, e quello forse era il caso della loro figlia.

Kathrine riprese: “Comunque, non dovete preoccuparvi, io so badare a me stessa e, se anche gli dovesse venire qualche istinto nei miei confronti, saprò stroncarglielo sul nascere…”, cercò di sollevare i suoi occhi, ma non ci riusciva. Stava mentendo, ad entrambi, ai suoi genitori. Non solo Kevin sarebbe venuto con lei, ma sarebbero stati anche loro due, da soli. E poi lo sapeva dannatamente bene che era impossibile fermare qualcuno che voleva qualcosa che non poteva avere… scosse il capo con decisione, aveva promesso a sé stessa e anche a Nick di non pensarci più, nella maggior parte del tempo ci riusciva, ma alle volte quel nauseante pensiero ritornava e lei doveva far forza sulla sua memoria per cancellarlo.

“Adesso basta! Dovrete aspettare ancora molto per avere un nipote, mi dispiace tantissimo!” disse con un sorriso, nonostante tutto, ancora tirato, ma che tranquillizzò Strawberry e Ryan, che, dopo averla abbracciata, se ne andarono dalla sua camera.

Kathrine si appoggiò per qualche istante con la nuca alla spalliera del letto, chiudendo gli occhi e respirando profondamente, poi sorrise a Grace che entrava, reggendo in mano un piccolo borsone.

“Ti hanno fatto il terzo grado, Kitty?” chiese divertita la ragazza, acciambellandosi sul letto.

“Volevano solo sapere se Kevin sarebbe venuto a Parigi, e io ho semplicemente ribadito che tra me e lui non c’è assolutamente niente e che quindi non si devono preoccupare…”  rispose Kathrine, distendendosi sul letto.

“Cosa che non è assolutamente vera…”.

“Non ti ci mettere anche tu, Grace, per favore, o mi arrabbio sul serio!” sbottò Kathrine, decisamente irritata.

“Ma perché non vuoi ammetterlo nemmeno con te stessa? Che ci sarebbe di così terribile, se dovesse accadere qualcosa tra te e lui? Guarda che me ne sono accorta di come lo guardi…” proseguì tranquillamente Grace, poi, abbassando la voce: “Hai guardato così solamente C.J., Kathrine… non starai pensando ancora a lui?”.
Kathrine si mosse, un lungo brivido che le passò lungo la schiena nuda.

“Assolutamente no… anzi ti ho già detto che non voglio che lo nomini ancora…” disse freddamente la ragazza, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla finestra. Come era lontano C.J. adesso dalla sua vita… solo un anno prima, a quest’ora, probabilmente allora stava pensando a lui, o era con lui… se ripensava a quanto male le aveva fatto, le mancava il respiro…

Grace si accorse del repentino cambiamento d’umore dell’amica e si avvicinò a lei, poggiando una mano sulla sua spalla, dicendo: “Scusami, non volevo fartelo ricordare… vieni, ti ho portato la torta di carote e mandorle…” e le porse un pezzo del dolce preferito della ragazza.

Kathrine sorrise ed addentò la morbida pasta delle torta, rimanendo ancora per un po’ a guardare fuori dalla finestra la luna, incastonata nel velluto nero della sera. Poi si avvicinò a Grace e si sedette accanto a lei, mentre la brunetta commentava: “Scommetto che Kevin e Chiyo si stanno divertendo moltissimo… ovviamente se Kevin si è ricordato che Chiyo è gestibile solo dopo una massiccia dose di Prozac…”.

Kathrine guardò Grace, poi entrambe scoppiarono a ridere, mentre si distesero meglio su letto e iniziarono a compilare una lunga lista delle cose che Kathrine voleva vedere a Parigi.

 

 

Vivienne Atwood… e Kathrine Shirogane… che nesso c’è tra loro due?

Kevin girava piano il cucchiaino dentro una lucida coppetta di vetro azzurro, che conteneva quello che rimaneva di un gelato al caffè. Muoveva lentamente la piccola posata di metallo nel liquido marroncino, descrivendo piccoli cerchi, mentre Chiyo gli parlava di che cosa voleva fare dopo la scuola. Ma non riusciva a sentire nulla, e sperava solo che la serata finisse quanto prima.

“C’è qualcosa che non va?” chiese Chiyo all’improvviso, evidentemente irritata.

Kevin si riscosse e rispose di no, muovendo il capo.

“Sei diventato silenzioso…”.

“Lo so, me ne sono accorto… scusami, non è colpa tua, sono solo soprappensiero, tutto qui…” rispose il ragazzo, fissando i suoi occhi azzurri in quelli verdi di lei.

“Posso chiederti una cosa? Prometti però di rispondermi con sincerità?” chiese Chiyo, sporgendosi in avanti.

“Dimmi” disse Kevin un po’ preoccupato.

“Perché mi hai invitato stasera? Non sei chiaramente interessato a me… ed allora perché?” disse Chiyo, la voce più fredda.

Kevin spostò una gamba sotto il tavolo, chiaramente a disagio. Se adesso gli avesse detto la verità, probabilmente lei gli avrebbe lanciato contro un piatto…

“Non è vero… volevo conoscerti meglio, mi hai incuriosito, questo è tutto… è solo che non sono proprio al meglio, e perciò…” farfugliò velocemente “Comunque, se ti sei trovata male, ti riaccompagno a casa, e la finiamo qui…”.

Lei sorrise e chiese suadente, sporgendosi ancora verso di lui: “Perché ti ho incuriosito?”.

Perché nutri un odio sviscerale verso Kathrine… e volevo vedere se riuscivo a sfruttarlo a mio vantaggio…

“Sei particolare, non so spiegartelo…” rispose Kevin, guardandola negli occhi, cercando di farla desistere nelle sue domande.

Ma lei non ne voleva sapere di cogliere il suo messaggio nascosto: “Anche Kathrine è una ragazza particolare?”.

“Che c’entra adesso Kathrine?” chiese Kevin punto sul vivo.

Lei rise divertita, e rispose sibillina: “Avanti, dillo… Kathrine ti piace? Non saresti né il primo né l’ultimo…”.

Kevin la guardò leggermente preoccupato, il suo volto era ancora una maschera di cera, bellissima e glaciale, ma la sua risata era falsa, senza allegria, senza motivi di felicità in essa.

“Non mi piace assolutamente… e non è nemmeno una mia amica, è solo una conoscente… a cosa ti riferisci dicendo che non sarei né il primo né l’ultimo?” le chiese, curioso.

Chiyo ruppe la sua maschera e si fece più indietro con la sedia, poi gli chiese di camminare. Iniziarono a passeggiare lungo il lungomare, la luna che rischiarava appena le onde nere del mare.

Erano rimasti ancora in silenzio, poi Chiyo rispose stretta al suo braccio, rabbrividendo forse per il freddo: “M-mio padre… io credo che lui…”.

“Che lui, cosa?”.

Chiyo, prese fiato, e proseguì: “Io credo che lui abbia una cotta per lei… potrà sembrarti paranoia la mia, ma la nomina venti volte al giorno, e quando la incontriamo la fissa con uno sguardo strano…”.
Bingo! Allora era per questo che la detestava tanto…

“A parte questo, potrebbe effettivamente essere solamente paranoia…” le disse francamente.

Chiyo si strinse più forte a lui, e disse: “Mio padre era il fidanzato della madre di Kathrine… solo ai tempi della scuola, ma mio padre la amò davvero moltissimo… non ti parlo di primo amore, ma di unico amore… la mia nascita fu una sorta di incidente, perché lui non amò mai mia madre… erano semplicemente conoscenti…”.

“Come si conoscevano?” chiese Kevin, curioso. Stava iniziando a capire che era nel passato dei genitori di Kathrine, che si celava la verità riguardo a lei stessa, e forse tramite quelli di Chiyo, poteva arrivare a qualcosa…

“Ti interessa davvero saperlo?” chiese Chiyo sorpresa, gli occhi verdi sgranati e lucidi.

“Se te lo sto chiedendo, mi sembra di sì…” rispose laconico lui.

Lei sorrise e continuò: “Mia madre era la sorella del socio in affari del padre di Kathrine… avevano un caffè in centro qualche tempo fa… si chiamava… si chiamava…”, la ragazza s’interruppe, non se lo ricordava più, ma Kevin completò per lei, il volto serio: “Caffè mew mew…”.

“Come fai a saperlo?”.

“Kathrine… me l’ha detto lei…” mentì velocemente.

Chiyo continuò ancora: “La mamma di Kathrine lavorava lì, e per un po’ di tempo, non so perché, ci lavorò anche mio padre… poi successe qualcosa e lei capì di essere innamorata di Ryan Shirogane…”.
E so anche che cosa è successo… Ryan Shirogane era morto per tutti… pensò Kevin.

“Lei lasciò mio padre, che se ne andò in Germania, dove incontrò mia madre che per caso lavorava anche lei lì… passarono una notte assieme e il frutto di quella notte fui io… mio padre lo venne a sapere solo quando avevo nove mesi, e si sentì ovviamente in obbligo di tornare con mia madre e me, ma non si sono mai sposati e lui non ha mai smesso di amare Strawberry Shirogane… e adesso temo che lui veda lei in Kathrine…”.

“Potrebbe anche essere Chiyo, ma Kathrine non è sua madre… lei è diversa, molto diversa…” commentò Kevin, l’immagine di Kathrine che passava nei suoi occhi seguita da quella di sua madre.

“Lo so, ma niente mi impedisce di odiarla, di non sopportarla… lei ha tutto, ha sempre avuto tutto, e invece io…” mormorò lei, le lacrime che ormai scorrevano sulle sue guance, prive di alcun freno. Era la prima volta che confessava quelle cose a qualcuno che non fosse sé stessa, ed era… bello

Kevin le passò il braccio attorno alle spalle, attirandola a sé, mentre Chiyo arrossiva vistosamente. Che le succedeva? Era la prima volta che il suo cuore le scoppiava nel petto…

“Nonostante tutto, Kathrine è una brava persona, e non merita questo da parte tua… sei una sua amica, in fondo…” le sussurrò piano e dolcemente, come se stesse parlando ad una bambina “Ci soffrirebbe, non credi? E poi non è colpa sua, se tuo padre rivede in lei sua madre… e comunque l’odio si ritorce contro di te, e ti avvelena la vita… soffrirai per sempre, se non imparerai ad accettarlo…”

Stava difendendo Kathrine, ma chissà perché non le interessava minimamente… e arrivava persino a dargli ragione…

Kevin, intanto, pensò sarcasticamente che Kathrine gli doveva un gran favore.

Per qualche istante provò ancora una sensazione strana nelle sue membra, come uno strano formicolio, nell’accostare alle sue parole l’immagine di Kathrine. Specie ad una di esse… odio…

 

 

Mamma, questo capitolo è stato una faticaccia da scrivere! Sono praticamente uccisa! Ero indecisa se spezzettarlo in due parti perché è veramente lungo! Ma poi ho lasciato perdere! In fondo, ve lo meritate un bel capitolo lungo, e soprattutto snervante come questo! So di essere una grandissima bastarda a far usare Chiyo a Kevin, ma io sono perfida, cattiva, uahhhhh!!!! Scherzo, sono un piccolo angioletto innocente, lo sfruttamento non durerà! Allora passiamo ai soliti ringraziamenti di rito:

Aya chan: scommetto che anche questo chappy ti sta lasciando in tensione, vero? E già pregusto le tue domande! Tempo al tempo, questa storia è solo all’inizio e non puoi neanche immaginare il grado di complicatezza che raggiungerà! Per il viaggio a Parigi, è certamente giusto che serve a recuperare la memoria perduta, in fondo tutto l’interesse di Kevin si basa su questo! Ma c’è dell’altro, e ciò lo scoprirai solo a Parigi… per la scelta della città, è perché io semplicemente la amo, anche se odio i parigini! Ci sono stata in gita un anno fa, e non me ne volevo andare più! Per la storia e il suo nesso, devi solo aspettare due capitoli! O tre non lo so, dipende dalla mia musa, attualmente in vacanza alle Seychelles! Per le tue domande, credo che ci possa essere il rischio che Blanche e Ghish incontrino Kevin, ma almeno per il momento, proprio per questa ragione, credo di fargli accuratamente evitare la casa degli Shirogane! Tanto c’è sempre la scuola, il parco, e poi Parigi… la città dell’amore… non sono sicura di aver capito bene la tua 2° domanda, comunque Kevin non si ricorda assolutamente di Strawberry, ma solo un po’ di Elissa, per via dei suoi vecchi ricordi. Non sa niente né dell’Angelo Scarlatto, né di Strawberry, né delle mew mew, anche perché i genitori non li hanno mai detto niente! Era questo che volevi sapere? Mi raccomando aggiorna quanto prima la tua fic, che ancora una volta INVITO TUTTI A LEGGERE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ah già, che smemorata! Non scomodare Sherlock Holmes per le indagini, perché sono troppo schizofrenica per lui! È troppo razionale e, con una pazza come me, che cambia idea sulle sue storie venticinque/trenta volte al giorno, non riuscirebbe mai a capire nulla! È tutto nelle tue mani? Una domanda: ti piacciono le fic su Harry Potter?

Lunachan 62: grazie tesorino! Sono sempre iper felice quando le mie fic piacciono, e specie se ho imbroccato i tuoi gusti sui tuoi generi preferiti! In effetti, questa mi sta uscendo meglio della prima, ne sono soddisfatta! E non sono ancora a nulla! Forse alla fine cambierai idea su questa storia e ti pentirai di averla cominciata a leggere! Un bacione!

Black Pill: nonostante le promesse, vi ho fatto penare anche stavolta, vero? lo so, sono veramente impossibile! Comunque, sta tranquilla perché il viaggio a Parigi ci sarà, è l’unica cosa di cui sono fermamente certa al momento! Grazie tantissimo!
ci sentiamo prestissimo! E mi raccomando, COMMENTATE, COMMENTATE, COMMENTATE!!!!!!!!!!!

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Needing your presence ***


Capitolo 6- Needing your presence

 

Capitolo 6- Needing your presence

 

“Smettila Grace, non se ne parla proprio!” stava ridendo Kathrine, prendendo a cucinate l’amica, che rispondeva con pari energia, mentre Miky sostava davanti alla porta con in mano il cordless, l’aria da uomo vissuto che non capisce i giochi dei più grandi.

“Katy, telefono!” urlò alla fine il piccolo, esasperato, all’indirizzo della sorella.

Kathrine si ricompose e lanciò uno sguardo a Grace, del tipo FACCIAMO-I-CONTI-DOPO!, poi afferrò il ricevitore e mormorò un: “Pronto?”

All’altro capo del ricevitore, c’era Chiyo Aoyama: “Ciao Katy! Volevo solamente chiederti scusa per come ti ho trattato in questi giorni, o forse più in generale da quando ci conosciamo… sai, Kevin stasera mi ha fatto capire quanto sono stata ingiusta… mi dispiace tantissimo…”

Kathrine intrecciò il filo del telefono tra le dita, poi mormorò sorpresa alle parole apparentemente sincere di Chiyo: “N-non ti preoccupare, non importa… com’è andata allora la serata?”

La voce di Chiyo si fece squillante, e disse cinguettando: “Benissimo! Sono follemente innamorata di Kevin Shirayuki!”

Kathrine si mise una mano in bocca per cercare di non ridere, mentre Grace la guardava senza capire.

“Sono molto contenta per te…” replicò Kathrine, poi un piccolo bip, seguito da una voce metallica, l’avvertì di un avviso di chiamata per lei.

“Ti racconto tutto domani!” squittì ancora Chiyo, poi Kathrine la salutò e spinse un piccolo tasto, dicendo ancora: “Pronto?”

La solita voce calda e profonda la fece sobbalzare: “Allora, piccoletta, come è andata con i tuoi?”

“Chi ti ha dato il mio numero?!” urlò Kathrine, rossa in viso, come se lui potesse vederla attraverso il ricevitore in pigiama e con le trecce che le annodavano i capelli biondi. Inutile dire che Grace la guardava ancora, vistosamente scioccata.

“Chiyo…” replicò semplicemente Kevin

“Nessuno ti ha dato il permesso di chiamarmi a casa! E poi sono le undici passate!” sbraitò ancora Kathrine, camminando nervosa avanti ed indietro

“Non la fare tanto lunga! Allora che ti hanno detto?”

Kathrine respirò piano, come se stesse dando un annuncio funebre, e poi mormorò lugubre: “Mi hanno detto di sì…”

“Fantastico! Non sei contenta?” le chiese Kevin ancora, la voce vistosamente soddisfatta

“Sì, allegra come una Pasqua, perché devo dire…” mormorò lei a denti stretti, poi, colta da un’improvvisa illuminazione, disse: “Se le cose tra te e Chiyo vanno così bene, perché non ci vai con lei a Parigi? Sarà così bello per lei!”

La sua voce si fece più dolce e profonda, mentre diceva in un sussurro: “Perché ho bisogno di te, non di Chiyo…”

Kathrine arrossì, e si portò istintivamente una mano al petto, sentendo il suo cuore battere più forte sotto le pieghe del suo pigiama.

“Sei arrossita, vero?! Sei proprio una bambina! Peccato, vorrei vederti!” riprese lui, ridendo nel suo orecchio

Kathrine chiuse di scatto il telefono in faccia a Kevin, che continuò a ridere, nonostante il suono insistente del telefono, quando veniva messo giù. Era troppo divertente prenderla in giro… in fondo, forse era meglio che la Chiave fosse lei, e non Chiyo… almeno con lei si faceva due risate… forse si era sbilanciato troppo, ma lei aveva capito solo che la stava canzonando come al solito…

E invece è così dannatamente vero che ho bisogno di lei…  se solamente lo sapesse, lei potrebbe avermi in pugno per tutta la vita…

 

 

Il cielo era di uno strano colore, grigio perla, come quando era nuvoloso, ma il colore era uniforme e piatto, e all’orizzonte si tingeva di un colore ocra chiaro, che preannunciava l’arrivo dell’alba. L’aria sembrava sospesa, in attesa di qualcosa che doveva e stava per arrivare; pochi uccelli si erano già svegliati e i loro primi pigolii assonnati giungevano attutiti alle orecchie di Kathrine, seduta sull’altalena, accanto al portico di casa sua.

La ragazza guardò l’orologio per l’ennesima volta, erano le cinque meno un quarto, e Kevin non era ancora arrivato. Stava cascando dal sonno, e ogni tanto il suo capo si piegava sul collo, ed allora lei sospingeva l’altalena, impuntandosi con i piedi per terra e cercando così di svegliarsi. Iniziava anche ad avere freddo, l’aria frizzante del primo mattino che si attaccava alla sua pelle, lasciata scoperta dal lungo maglione traforato e con lo scollo a barca di colore nero, che portava sopra ad un paio di jeans celeste chiaro. Si stava decisamente iniziando ad innervosire, negli ultimi giorni aveva evitato per quanto le era possibile Kevin Shirayuki, ma purtroppo quel lunedì freddo e pieno di nebbia era arrivato prima di quanto credesse. La sera prima, aveva salutato i suoi genitori, che ovviamente l’avevano riempita di mille raccomandazioni, e poi suo fratello, che altrettanto ovviamente le aveva chiesto mille ricordini e regalini. E non erano mancate neanche le telefonate di Grace e Chiyo, la prima che le aveva intimato di tornare solo in caso di nozze con Kevin Shirayuki, e la seconda che l’aveva avvertita invece di non tornare in quel caso. L’unica telefonata che l’aveva sollevata un po’ di morale era stata quella di Nick, che le aveva detto di divertirsi e di stare attenta, ma con la voce diversa da quella dei suoi genitori.

Semplicemente perché le parole di mia madre e mio padre sono solamente avvertimenti, pronti a disfarsi sull’argine di una realtà resa rassicurante dalle parole NON POTREBBE SUCCEDERE A NOSTRA FIGLIA… e invece Nick sa benissimo che è invece tutto il contrario…  Nick era l’unico a sapere la verità, a conoscere quel suo scomodo segreto, che le faceva ancora tanto male, nonostante fosse passato già un anno. Esattamente come la facesse soffrire ancora la faccenda di C.J., accaduta più o meno nello stesso periodo, ma essa più o meno di dominio pubblico. Non ci voleva pensare più a quelle cose, ma spesso quando era sola, esse ritornavano come scure e lunghe ombre, che danzavano malinconicamente lugubri nelle nebbie di ciò che purtroppo, ormai relegato nel passato, non poteva più essere cambiato.

Scosse la testa, le onde dei suoi capelli, leggermente trattenute da una fascia di colore nero, come il maglione, che le ferirono dolcemente il viso. All’improvviso, finalmente si accorse di un paio di fari, che avanzavano nel vialetto di casa sua, mostrando una motocicletta di grossa cilindrata, guidata da una figura snella e forte, che la fece fermare a pochi centimetri da Kathrine, spegnendo poi il motore del bolide.

La ragazza sospirò, poi disse, la voce bassa per non svegliare i suoi genitori, la cui camera da letto dava su quel lato della casa: “Potevi anche farmi aspettare qualche altra ora fuori… sono sveglia dalle tre e mezzo! Accidenti a te!”

Il ragazzo si tolse il casco, che impediva di vederne il viso, e replicò: “C’era traffico… e poi Daniel aveva bisogno di una cosa, prima che partissi…”

Kathrine sospirò ancora e, non proferendo commenti sul fatto che era statisticamente impossibile che alle quattro di mattina ci fosse così tanto traffico, gli intimò di sbrigarsi, perché altrimenti i suoi genitori se ne sarebbero accorti, ed addio viaggio a Parigi.

Kevin le fece prendere il suo bagaglio, e, continuando comicamente a bisticciare sottovoce, lo caricò sulla moto, poi le porse un altro casco, che Kathrine cercò di indossare, non riuscendoci, perché voleva cercare contemporaneamente di non rovinarsi definitivamente la pettinatura.

“Sei un’imbranata!” borbottò Kevin, avvicinandosi a lei e strappandole non molto gentilmente il casco di mano; Kathrine lo guardò irritata, facendo il muso, poi lui glielo infilò piano, rimettendole a posto i capelli che uscivano fuori dal casco, passandoci le dita attraverso. Kathrine voltò il viso dall’altra parte e bofonchiò un: “Grazie” in risposta, poi entrambi salirono sulla moto, e lui le chiese di tenersi forte, considerando che molto probabilmente sarebbe caduta alla prima curva. La risata di Kevin fu soffocata da un gemito di dolore, conseguente ad un pizzico, che lei gli aveva dato sul fianco, poi Kathrine si strinse a lui ed entrambi partirono, accarezzati dal vento della mattina.

Qualcuno aveva osservato dall’alto, spettatore privilegiato, tutta la scena; e, stranamente ai suoi occhi azzurro acquamarina, quella vista era apparsa completamente diversa da come era invece effettivamente accaduta. A Ryan era sembrato che Kevin avesse sperimentato un’infinita cura maniacale, nel sistemare i capelli di Kathrine, che poi fosse partito ad una velocità troppo elevata e che lei gli si fosse stretta troppo intensamente. Anche lui, quando era ragazzo, aveva invitato a fare un giro in moto una bella ragazza dai capelli rossi, che adesso giaceva placidamente addormentata nel letto alle sue spalle. Lei lo aveva guardato scettica, chiedendogli se fosse un bravo guidatore e se poteva fidarsi, e lui aveva risposto, fintamente offeso, che non c’era alcun ragionevole dubbio. Lei lo aveva fissato ancora, poi era salita alle sue spalle, mentre lui faceva scattare la motocicletta ad una velocità maggiore a quella, a cui andava di solito, e lei aveva emesso un gridolino, portando le braccia strette attorno alla sua vita. Lo aveva stretto forte e per un attimo si era illuso che quella ragazza fosse sua, sebbene lei fosse di un altro, di un tale Mark Aoyama, che era il suo fidanzato da qualche mese e da sempre il Cavaliere Blu dei suoi sogni. Ancora non lo sapeva. Già, allora non sapeva di quanto quello che provava per la sua piccola Strawberry andasse oltre la sua esistenza, e di quanto quello stesso sentimento non fosse umano, non fosse alieno, fosse semplicemente una scia tra le stelle dell’universo, che aveva unito due pianeti, Nemesi e la Terra e ben quattro persone, lui e Strawberry, e Leon ed Elissa. Forse se lo avesse saputo, avrebbe scalato la velocità della moto, non accontentandosi di quel breve e fugace contatto fisico, ma avrebbe catturato le labbra di Strawberry nelle sue, sussurrandole quanto l’amasse, convinto, certo, sicuro di avere la medesima risposta. Mark o non Mark, Profondo Blu o non Profondo Blu.

Ma per Kevin e Kathrine non è lo stesso. Loro due sono due semplici ragazzi e a loro potrebbe bastare anche solo questo…

Anche solo sentire il respiro di uno mescolarsi a quello dell’altra, anche solo sentire oltre la barriera dei vestiti, il calore di una mano che non è la propria… poteva bastare? Chiuse forte i pugni, come poteva permetterlo? Che accadesse alla sua bambina? Lo sapeva che non sarebbe stato per sempre così, ma lei era troppo piccola, e forse già gli aveva mentito…

Sono stata sorteggiata per vedere una mostra a Parigi! Non è bellissimo, papà?

E magari invece adesso volava cullata dalle onde del suo primo amore, quello che fa raggiungere il paradiso, ma che fa così male, da farti venire voglia di spalancare le porte di un ogni inferno, più sopportabile di quello che si sta vivendo…

“Lasciala andare, Ryan…” sentii sussurrare una voce alle sue spalle, e, quando si voltò, vide Strawberry, avvolta nella sua sottile vestaglia rosa chiaro, che sorrideva appoggiata con il mento alla sua spalla destra, gli occhi castani fissi nei suoi.

“T-tu non hai visto… è partita con quel ragazzo… in moto, capisci?!” urlò arrabbiato, voltandosi di nuovo verso la finestra.

Strawberry gli baciò affettuosamente la guancia, e disse: “Anch’io li ho sentiti esattamente come li ha sentiti tu… ma Katy è nostra figlia, Ryan, e io mi fido di lei… l’abbiamo fatto anche noi alla sua età, ricordi?” 

“Eravamo più grandi… tu avevi già…”

Strawberry lo interruppe, e gli sussurrò: “Avevo solo poco più di diciannove anni, e mentii ai miei genitori, dicendo che andavo a fare una gita con Lory e Mina… e invece venni con te a Los Angeles…”, la sua voce si abbassò ancora, poi lei baciò dolcemente il marito sulle labbra e bisbigliò: “E fu allora che facemmo l’amore per la prima volta… te lo ricordi?”

Ryan sorrise suo malgrado, poi scattò e disse: “Credi che accadrà anche a Kathrine?! E’ ancora una bambina!”

Strawberry si appoggiò con la testa alla sua spalla, e mormorò: “Quando lei lo vorrà, accadrà, Ryan… e noi non potremmo impedirglielo… perché non c’è più niente di più forte di una ragazza innamorata, e noi che la amiamo così tanto, possiamo solo proteggerla dalla solitudine e aiutarla, se soffrirà… ma Ryan non potrai impedirle per tutta la vita di soffrire… il dolore trova sempre un’altra strada, e a volte è anche peggio della prima…”

Ryan annuì, poi abbracciò Strawberry, osservando il cielo che si faceva più chiaro. Nonostante tutto, qualcosa era rimasto…

E il fiore d’oro si innamorò di una stella splendente nel cielo, chiamata Sole, e prese a seguirlo per tutta la sua vita…

 

Allora, avrei dovuto scriverlo all’inizio, ma sono onesta, me ne sono dimenticata, quindi lo faccio adesso! Allora, questo capitolo non doveva proprio esistere! Mi spiego: nella mia stesura originale, questo capitolo non c’era, ma l’ho aggiunto adesso per questo è proprio piccino, piccino! Lo voglio dedicare ad Hermy6, la mia pazzerella preferita! Hai visto che ti ho aggiunto apposta un capitolo perché ti lamentavi delle scene di Ryan e Strawberry? Scherzo, comunque davvero fatemi sapere se ho incentrato troppo la storia su Kathrine, forse è un po’ noiosa la cosa, dato che è un personaggio solo mio! Oggi non posso dilungarmi troppo perché dire che sono di corsa, è dire poco!!!! Quindi, come sempre, ringrazio Lunachan 62 (sei troppo gentile con me!), Black_ Pill (in effetti, adesso, l’unica parola per definire Kevin è opportunista! Comunque a Parigi avrai modo di ricrederti… ehheheh! Grazie ancora enormemente!), Mew Pam (non ti preoccupare, anche io sono una ritardataria cronica!! Ti garantisco che Ghish tornerà quello di prima!), Aya chan ( la mia Ayuccia! Allora ci ho preso con il nome Cassandra? E io che l’ho buttato lì… sono un genio!!! Mumble, ma ora non capisco perché scioglie gli eserciti! Me tapina! Ti ho fatto quella domanda su Harry Potter perché sto scrivendo una fic e vorrei che tu la leggessi, ma per mandartela, devo aspettare un po’, primo perché non l’ho finita, e secondo perché il mio computer è di nuovo fuori di testa! Apre solo il sito di Erika e basta! Quindi non posso né leggere, né mandare e-mail! Nel caso la cosa vada per le lunghe, dato che ho davvero TAAAAANTO bisogno di te per consigli, te la mando dal computer di una mia amica, tanto il tuo indirizzo ce l’ho! E lì ti riscrivo il mio! Non mi puoi lasciare sola in questo inferno di idee che non riesco a convogliare! Buahhhh!!!!! _ Aya scappa terrorizzata dall’altra parte del mondo- ).

Ora scappo!

Ciao ciao da Cassie chan!!!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Skimming over you ***


Capitolo 7 – Skimming over you

Capitolo 7 – Skimming over you

 

Kathrine sbuffò ancora, seduta impaziente sul suo borsone, mentre guardava persone di ogni nazionalità passarle davanti veloci. Guardò l’orologio, l’una di notte, poi volse gli occhi oltre le grandi vetrate dell’aeroporto, e vide il sole che stava per iniziare la sua parabola discendente verso l’orizzonte. Che stupida che era, a casa sua era l’una, ma lì a Parigi erano appena le cinque del pomeriggio dello stesso giorno in cui era partita da Tokyo. Sembrava che avessero viaggiato solamente una decina di ore, invece le ore erano state venti con anche uno scalo. Era abbastanza stanca, anche se per fortuna in aereo aveva dormito per quasi la maggior parte del tempo. Lei non sapeva proprio che volesse dire la paura di volare, era da bambina che faceva la pendolare tra Tokyo e S. Francisco. Quello di cui invece risentiva sempre, era il jet-lag, e adesso aveva molto sonno, nonostante avesse dormito tutto quel tempo. Cominciò a tamburellare con impazienza il piede per terra, poi spazientita, urlò: “Hai capito finalmente dov’è l’albergo?!”.

Kevin scosse il capo, sporgendosi oltre la grande cartina di Parigi che stringeva tra le mani: “E’ accanto all’Opera, ma non mi ricordo la strada precisa… potresti anche avere un po’ di pazienza!”.

Kathrine si alzò bruscamente e disse: “Dovrei avere pazienza?! Hai vissuto per tutta la vita a Parigi e non te lo ricordi?! Io ho vissuto solo quattro anni a S.Francisco e la conosco come le mie tasche!”.

“Che c’entra adesso S. Francisco?” le chiese Kevin, guardandola sorpreso, sebbene sapesse benissimo che Ryan Shirogane era di quella città, e che ci lavorava ancora.

“Mio padre è americano e lavora lì…”

“Ma tu non vivi qui, scusa? Intendo a Tokyo…” le chiese ancora Kevin, sedendosi sul suo borsone e girando la cartina da un altro lato.

“Sì, ma per qualche anno, provammo a vivere a S.Francisco…” rispose Kathrine, passandosi una mano nei capelli “Mio padre era stanco di fare il pendolare tra il Giappone e l’America, ma le cose non andavano… mia madre odiava la scuola pubblica americana, ci sono bambini che entrano nelle classi già armati di coltelli … io non riuscivo a legare con i miei coetanei di lì, mi mancavano troppo Grace, Nick e Chiyo… e allora tornammo a casa…”, Kathrine aggiunse con un sorriso: “E poi, considerando il carattere dei miei genitori, se stanno lontani per un po’ è anche meglio…”.

“Perché?” le chiese ancora il ragazzo, cercando ancora con le dita quella benedetta strada sulla cartina, le orecchie ben tese alla spiegazione di Kathrine.

“Loro si amano moltissimo, non fraintendermi, non riesco ad immaginare la loro vita, se non fossero sposati… ma li piace bisticciare anche per futili motivi… si divertono così…” spiegò Kathrine con un sorriso rassegnato “A volte sono insopportabili, ma in fondo a volte fanno ridere sia me che Miky… ma, se passano troppo tempo assieme, le loro litigate si fanno più serie e allora non c’è più niente di divertente… quando sono lontani, li vedi sospirarsi per le stanze, ma quando stanno troppo assieme è sempre così… si amano ancora come due adolescenti, e credo che per loro sarà sempre così…”.

“E’ una bella cosa… per i miei non è così…” mormorò Kevin, lo sguardo che correva a Nemesi e ai suoi ricordi lì.

Kathrine si rivolse verso di lui e disse: “Me lo avevi già detto una volta…”.

“Anche loro credo che si amano molto, ma sono troppo oppressivi, l’uno nei confronti dell’altra e anche verso di me… e questo mi ha sempre dato decisamente sui nervi…” replicò nervoso, poi, osservando il volto preoccupato di Kathrine, rise e disse: “Ma adesso per fortuna sono lontano da loro due… almeno la maggior parte del tempo…”, si affrettò ad aggiungere. Kathrine chiaramente credeva che i suoi genitori fossero di Parigi.

“Adesso vediamo di trovare questo benedetto posto!”riprese velocemente, troncando sul nascere il discorso.

Kathrine annuì, mentre finalmente Kevin trovava la strada giusta e chiamava un taxi fuori dall’aeroporto. L’aria era fredda ed umida e Kathrine si strinse nel suo cappotto, mentre Kevin, entrando nell’auto, chiedeva in perfetto francese all’autista di portargli all’Opera. L’uomo acconsentì e mise in moto, convinto con piena certezza di trovarsi di fronte ad un parigino d.o.c., esattamente come continuava a pensare Kathrine, quando invece per la prima volta il fiuto nazionalista dei francesi prese una grandissima cantonata, dato che Kevin, o meglio Kivar, non solo non era francese, ma tantomeno europeo e nemmeno terrestre. E quella era la prima volta in vita sua che pronunciava una frase in francese.

“Quando andremo a casa tua?” chiese Kathrine, seduta accanto a Kevin, che guardava fuori dal finestrino i palazzi caratteristici di Parigi, dagli spigoli arrotondati e bombati e dai colori tenui, che non aveva mai visto, ma che doveva fingere di conoscere a memoria.

“Penso tra qualche giorno, forse l’ultimo giorno che saremo qui… almeno se mi rovineranno la vacanza, sarà alla fine… e poi ti riporterò a casa…” rispose telegrafico.

Kathrine ritornò a fissare affascinata i palazzi di Parigi, così diversi da quelli di casa sua, e i larghi Boulevard, costeggiati sempre da lunghe file di alberi dalle piccole foglie larghe di uno splendente verde chiaro, che emergeva evidente nel grigiore di quel freddo pomeriggio di marzo.

Dopo qualche altro metro, passato nel più completo silenzio, interrotto solamente dalle voci metalliche in francese che provenivano dalla radio dell’autista, l’auto si fermò in una grande piazza, dove un gran numero di macchine sfrecciavano freneticamente, nonostante fosse abbastanza presto. Al centro della Piazza, c’era un gran edificio con una grande iscrizione dorata, con busti di grandi musicisti del passato di un lucente bronzo dorato, e altre statue dello stesso materiale che rilucevano al sole pallido.

“E’ l’Opera?” chiese estasiata Kathrine, tirando la manica della felpa di Kevin, che stava pagando il taxista.

Kevin, dopo aver congedato l’autista, disse di sì, poi, vedendo l’espressione rapita della ragazza, sorrise e aggiunge: “Non hai ancora visto niente di Parigi, e già sei a bocca aperta, andiamo bene!”.

Kathrine sorrise e disse: “L’Europa è così bella! Qui c’è tutta la storia dell’umanità… tutte le tappe che ha attraversato… in America o anche in Giappone c’è poco del genere… e scommetto che i francesi ci camminano accanto senza nemmeno rendersene conto! Come te per esempio! Sembri così indifferente!”.

“Perché li conosco a memoria questi posti, Kathrine…” replicò il ragazzo, guardandola e fingendo un aristocratico distacco, quando in realtà anche nei suoi occhi era passato un lampo di sincera meraviglia. Certo che i terrestri ne avevano di fantasia nelle opere d’arte… per associazione d’idee gli ritornò in mente il quadro di Vivienne Atwood… quando lo aveva mostrato a Daniel, anche lui aveva detto di provare qualcosa, di lontano, ma di ugualmente presente. E allora si era portato la sua litografia, convinto di doverla mostrare ad Herik e a Melissa… un piccolo brivido gli attraversò la schiena, Daniel non si fidava di loro. E, se per questo, neanche lui si fidava completamente, ma per il momento doveva andargli bene così. Erano gli unici che avevano acconsentito a dargli una risposta sul suo passato, ma alle loro regole. Quando li aveva comunicato di aver trovato una ragazza che aveva avuto la capacità di fargli ricordare qualcosa che prima non sapeva nemmeno di aver vissuto, e cioè il ricordo di quelle due figure, la donna dai capelli rossi e l’uomo dai lunghi capelli biondi, Herik gli aveva detto che doveva vederla, doveva vedere quanto prima Kathrine. E allora gli aveva detto che nella città di Parigi esisteva un particolare passaggio dimensionale che permetteva di arrivare molto prima da Nemesi, e quindi gli aveva chiesto di portarla lì con un pretesto. Daniel, solo quella mattina, gli aveva detto: “Non mi fido di loro, Kivar… fanno troppo i misteriosi, e poi ricordi come ti hanno agganciato? Fermandoti all’ uscita dall’Accademia, all’inizio delle vacanze, e chissà perché proprio nel giorno che avevi litigato con zia Blanche… sanno troppo di te, Kivar… e se ti facessero del male?”.

“So difendermi, Delet… e poi sono gli unici che vogliono aiutarmi, a parte te… correrò il rischio…” gli aveva risposto velocemente, ma il cugino non si era arreso e gli aveva insinuato un dubbio perforante nel cervello, che anche adesso non gli dava pace.

“Vuoi correre il rischio anche con Kathrine? E se facessero del male a lei? Lei non sa difendersi, Kivar, a differenza di te…”.

Kevin sobbalzò ancora a quel pensiero, mentre Kathrine continuava a guardare l’edificio dell’Opera, dopo aver comprato una piccola guida, che stava leggendo senza difficoltà nella traduzione inglese. Non potevano farle del male, e poi per quale motivo? Volevano solo vederla per capire quello che a lui non era riuscito di capire, ossia se ci fosse in lei qualcosa di strano o se invece avesse fatto quel particolare effetto solamente a lui…

Sì, è solamente questo… e se poi volessero farle del male… io non… io non… io non glielo lascerò fare…

“Avanti, spicciati!”. La chiamò nuovamente, afferrandola per il polso e trascinandola dietro “Fino a cinque secondi fa, morivi dalla voglia di andare in albergo ed adesso sei così vispa e pimpante! Prendi il tuo borsone, muoviti!”.

La ragazza annuì, finalmente sorridente, e si lasciò guidare docilmente fino ad una piccola stradina, costeggiata da un gran numero di piccoli fiorai caratteristici che esponevano fuori dalle loro vetrine vasi di latta verde, ricolmi di fiori profumati. Kathrine guardava tutto con avida curiosità, mentre Kevin cercava di guardare tutto di sottecchi per non dare l’impressione di eccessivo interesse.

Si fermarono davanti ad una piccola porta di legno scuro, a vetri, che dava su un accogliente interno dello stesso colore. Kevin trascinò dentro di nuovo Kathrine, tenendola ancora per il polso e si avvicinò alla reception, dove c’era un uomo di origine chiaramente indiana che li guardò entrambi con un espressione di sorridente e sorniona complicità, scambiandoli in maniera inequivocabile per due fidanzatini alla loro prima gita romantica. Peccato che la ragazza sembrasse minorenne, se qualcuno fosse venuto a cercarli non avrebbe potuto nemmeno appellarsi alla legge della privacy, che si disgregava anche nella città dell’amore di fronte a dei genitori angosciati e preoccupati, venuti a cercare i propri giovanissimi pargoli…

Guardò un quaderno accanto a lui con le prenotazioni ordinate per nome, e mormorò suadente: “Monsieur Shirayuki e Mademoiselle Shirogane, oui?”.

Kevin annuì con il capo, chiedendo il numero della stanza, poi, quando l’uomo gli porse la chiave della camera numero 112, chiese espressamente che non li fosse passata nessuna telefonata, ad eccezione ovviamente di Daniel, Chiyo, Nick e Grace, che erano i soli a sapere che fossero lì.

L’uomo annuì con vigore e fece l’occhiolino ai ragazzi, mormorando qualcosa che Kevin intese benissimo, ma che preferì non riferire a Kathrine. Quella lo avrebbe linciato vivo, se avesse saputo la supposizione del proprietario dell’albergo…

Mentre un fattorino prendeva i loro bagagli, i ragazzi salirono le scale sempre di legno, arrivando fino ad una porta che recava il numero 112 in caratteri d’oro, e fu allora che Kevin inserì nell’apposita fessura la carta magnetica.

Aperta la porta, si trovarono in una camera molto ampia, di colore beige, con un grande letto matrimoniale sempre con la testata di legno scuro, che si trovava alla loro destra, mentre di fronte a loro, si apriva una grande finestra, con una spaziosa veranda, che guardava direttamente all’Opera. Ai lati della stanza, inoltre c’erano due poltrone di velluto bianco, e per terra un tappeto dall’aspetto prezioso, proprio di fronte alla televisione e ad un piccolo frigo bar. Alla loro sinistra, c’era la porta del bagno.

“Allora che ne pensi?” chiese Kevin soddisfatto, voltandosi verso Kathrine, che era rimasta in silenzio da qualche secondo.

Kathrine si morse le labbra, prima di esplodere, poi gli urlò contro: “Ma ti sei reso conto che qui c’è solamente un letto?! E dove dovrei dormire io?!”.

Kevin la guardò sorpreso: “Con me, mi sembra ovvio…”.

Kathrine arrossì e gli pestò con rabbia un piede, al cui gesto Kevin urlò di dolore: “Ma sei impazzita, razza di mocciosa?!”.

“Perché cavolo non hai preso due camere singole?!!”.

Kevin, sedendosi sulla poltrona e massaggiandosi il piede, rispose: “Primo: perché due camere singole costavano troppo e se volevano rimanere qui cinque giorni, non ce l’avrei mai fatta…”.

Kathrine lo interruppe nervosa: “Potevi prenotare in un altro albergo, questo è in centro e costa certamente di più, idiota!”.

“Secondo: perché, essendo privi di mezzi di trasporto personali, ci avremmo impiegato ore per arrivare in centro e quindi era meglio stare nei paraggi. Terzo: perché certamente avremmo dato meno nell’occhio, se ci avessero scambiati per due fidanzati. Quarto: perché non ho alcuna intenzione di fare in questa stanza nulla che si avvicina a ciò che stai pensando tu!”.

“Io non ho mai pensato a niente del genere!” replicò imbarazzata Kathrine, incrociando le braccia.

“E allora lo vedi che non c’è nessun problema? Non essendoci la benché minima attrazione sessuale da parte di entrambi, perché ti scaldi?!” le disse arrabbiato.

Kathrine cercò di arrampicarsi sugli specchi, balbettando ancora furiosa: “E-e se lo s-sapesse C-Chiyo, l-lei non pensi c-che ci st-starebbe male?”.

“Se Chiyo fosse la mia ragazza, potrei anche capire, ma non essendolo non c’è motivo che si arrabbi… e poi le devi dire tutto per forza?!”.

Kathrine lo guardò ancora scettica, non voleva fare la figura della piccola ragazzina terrorizzata, già non le piaceva di solito, figuriamoci davanti a lui… e poi ha detto che non gli piaccio, perciò di che cosa mi preoccupo? Quanto era odioso però dirglielo così scortesemente e senza mezze misure… mentre sistemava la sua valigia, si rese conto che lei invece quel discorso non poteva farlo. Lui non le piaceva perché non era come si era sempre immaginato il suo ragazzo ideale, una persona gentile e simpatica, che si prendesse cura di lei, trattandola come il centro del suo mondo, ma esteticamente non poteva esimersi dal dire che lui fosse, insomma, un bellissimo ragazzo.

Si voltò piano verso di lui, che stava stravaccato in poltrona, mentre guardava un programma televisivo, ovviamente tutto in francese. Era indubbiamente una persona particolare, anche dal punto fisico. Era diverso da tutti i ragazzi che conosceva, era diverso da Nick ed era diverso anche dal C.J. . Il suo corpo era scultoreo, si vedeva chiaramente che era abituato a fare molto esercizio fisico, che aveva modellato la sua muscolatura, lasciandola scattante ed evidente, ma nemmeno in quella maniera esagerata che era tipica dei giocatori di basket della sua scuola, ma in modo equilibrato ed armonioso. La sua pelle era di un bel colore dorato, anche se erano in pieno inverno, e aveva le mani affusolate e sottili, come quelle di una ragazza, ma levigate da quella leggera rudezza tipica di ogni ragazzo. Il suo viso era chiaramente quello di un uomo, non sembrava quello di un adolescente, a causa di un aria matura che i suoi occhi prendevano molto spesso, e che nonostante il tono ironico che sfoggiavano spesso le sue parole, non rifuggivano mai dal mostrare tutto quello che doveva aver vissuto. Uno scrigno di ricordi, che però lei non riusciva a comprendere. Quale era stata la vita di Kevin Shirayuki? La sua infanzia,la sua famiglia, i suoi amici? A parte Daniel, chi aveva avuto accanto?

Ti senti mai… solo?

Kathrine scosse il capo, decisa, che razza di pensieri le venivano in mente… anche se effettivamente non deve avere molti amici, se ha portato proprio me qui… già, in effetti, a ripensarci, perché aveva portato proprio lei a Parigi? Poteva portarci Chiyo, forse c’era anche maggiore confidenza rispetto a quella che esisteva tra loro, in fondo erano anche usciti insieme, e invece ci aveva portato lei. Perché? Più ci pensava e più non ne veniva a capo… aveva bisogno di parlare con qualcuno, ma doveva assolutamente escludere Grace e Chiyo, perciò, dato che doveva chiamare i suoi, decise di andarsi a fare una passeggiata, e approfittare per chiamare loro e, se ci fosse riuscita, Nick.

“Io esco… voglio fare una passeggiata…” mormorò all’indirizzo di Kevin che la guardò assolutamente contrariato: “Non se ne parla proprio… e se ti perdi? Ricordati che la responsabilità è mia, tu sei ancora minorenne…”.

“Smettila per piacere… tornerò presto, e se mi perdo, troverò il modo di tornare… chiederò informazioni…” borbottò, infilandosi il cappotto e il basco.

“Ma se non parli una parola di frances…”. Kevin si interruppe, dato che lei era già uscita, sbattendo rumorosamente la porta. Sospirò lungamente, certo che era cocciuta quella dannata ragazzina, meno male che almeno conosceva bene l’inglese, altrimenti sicuramente si sarebbe persa. E, quel che peggio, sarebbe stato andare a cercarla, non sapendo nulla della topografia parigina.

“E’ davvero una ragazza graziosa, non c’è che dire…”. Kevin sobbalzò, voltandosi qua e là e cercando da dove era arrivata quella voce sottile e morbida. In un angolo della stanza, le braccia conserte e l’espressione minacciosamente divertita, c’era una ragazza. Non una ragazza terrestre, ma una chiaramente aliena per via delle orecchie a punta che spuntavano dai suoi capelli. Indossava una stretta tuta di colore argenteo, che metteva in mostra il fisico invidiabile, sopra a degli stivali dello stesso colore. I suoi capelli di colore corvino erano arricciati e corti ed arrivavano quasi alle sue spalle. Coprivano in parte i suoi occhi sottili ed allungati di colore dorato.

“Melissa! Mi hai spaventato!” mormorò Kevin, premendo una mano sul petto, contenendo i battiti decisamente accelerati del suo cuore.   

La ragazza avanzò nella camera, sinuosa come un felino, e si fermò davanti a lui: “Non dovreste mai avere paura, Vostra altezza… soprattutto considerando ciò che vi apprestate a fare…”.

“Io non sono Vostra Altezza per nessuno… non capisco perché tu ed Herik continuate a chiamarmi così…” replicò leggermente infastidito Kevin, nemmeno su Nemesi era chiamato in quella maniera.

Melissa rise divertita: “Se lo facciamo, non credete che debba esserci un motivo?”.

“Un motivo che mi sembra, non posso ancora conoscere…”.

“Assolutamente no, Vostra altezza… dovrete scoprirlo da solo, forse non ci credereste mai… in fondo, vostra madre non ve ne hai mai parlato, e anche questo dovrebbe avere un motivo…” riprese lei, insinuante.

“Mia madre temeva che non ci credessi?” chiese Kevin, come se fosse ipnotizzato dalle parole di quella ragazza.

“Credo che lei e vostro padre credevano piuttosto che ci avreste creduto troppo…” concluse sibillina Melissa, voltandosi verso una poltrona ed osservando divertita qualcosa che aveva lasciato Kathrine.

“Quindi è lei… è lei, la ragazza che vi ha fatto quello strano effetto…” chiese ancora interessata la ragazza, osservando adesso Kevin, che annuì.

“Indubbiamente è una bella ragazza… non è che davvero il suo potere ha effetto solo su di voi? In un modo spaventosamente troppo consueto e normale?” chiese in modo fastidiosamente carezzevole Melissa.

Kevin si alzò irritato e disse: “Niente di tutto questo… lei mi ha fatto qualcosa di strano la prima volta che l’ho vista… mi ha fatto rivivere qualcosa che credevo di non aver vissuto, ma che adesso so di aver solamente dimenticato… quelle due persone, la donna e l’uomo… continuano a passare nel mio cervello, e tanto più vedo Kathrine, tanto più le vedo con maggiore chiarezza… il padre di Kathrine era amico del mio… non mi sembra solamente una coincidenza…”.

“Non lo è affatto, Vostra Altezza…” replicò ancora Melissa enigmatica “I vostri genitori si conoscono molto bene e anche da parecchio… il padre e la madre di Kathrine Shirogane, così come i vostri genitori e quelli di Delet, suo cugino, sono amici da diversi anni…”.

“Perché?” chiese ancora Kevin, poi, vedendo la solita espressione di Melissa, completò rassegnato: “Scommetto che devo scoprirlo da solo…”.

“Esattamente, Altezza… io ed Herik vogliamo solo capire se Kathrine Shirogane è un entità dotata di poteri magici…”.

“E se così fosse?” chiese Kevin, leggermente impensierito.

“Alcune cose cambierebbero…”.

“Cosa, esattamente?”.

“Dovremmo decidere se non sia pericoloso per voi frequentarla, ed allora dovreste immediatamente tornare su Nemesi… in caso contrario, dovreste invece restare quanto più possibile accanto a Kathrine Shirogane, soprattutto se i nostri sospetti dovrebbero rivelarsi giusti…”.

Mentre Kevin annuiva, la porta si aprì, rivelando Kathrine che era tornata, dato che aveva dimenticato il cellulare in camera. La biondina guardò stupita l’altra ragazza: chi diamine era e che ci faceva in camera sua? Il viso di Kevin, spaventato alla possibilità che Kathrine si rendesse conto che Melissa non era umana, certo confermava a Kathrine ben altri sospetti, anche perché Melissa aveva assunto alla velocità della luce un aspetto pseudo-terrestre.

“Scusatemi, non volevo disturbare…” replicò Kathrine velocemente, afferrando il suo cellulare, vistosamente rossa in viso.

“Tu devi essere Kathrine, l’amica di Kevin…” esordì Melissa, in tono zuccheroso all’indirizzo dell’altra giovane “Io sono Melissa e sono una sua vecchia amica d’infanzia… appena ho saputo che era tornato, mi sono precipitata a trovarlo… spero non ti abbia dato fastidio…”.

“Assolutamente no…” sorrise Kathrine “Il mio nome è Kathrine Shirogane, piacere di conoscerti…”… eccola là la risposta alla sua domanda… altro che ragazzo solo e disperato… ne ha di amici ed amiche, eccome…

Melissa mormorò ancora mielata: “Come sei carina! Quanti anni hai? Quattordici?”.

Kathrine si morse il labbro, cercando di frenare la rabbia, che la stava prendendo. Meno male che aveva fatto molta pratica con Chiyo…

“Veramente, ne ho sedici e mezzo…” replicò sorridendo,  e di fronte al suo viso a Kevin sfuggì un sorrisetto. Certo che era dotata di un autocontrollo quella ragazza in alcune situazioni… sembrava assolutamente calma e serafica, mentre lui sapeva benissimo quanto odiasse essere creduta più piccola della sua effettiva età…

Melissa non si scompose minimamente e le chiese: “Volevi qualcosa?”, dando così contemporaneamente l’impressione di averli disturbati e di volerla cacciare, messaggio che Kathrine recepì benissimo tanto che disse, sempre sorridente: “Nulla, avevo solamente dimenticato il mio cellulare… devo fare una telefonata…”.

“Al tuo ragazzo?” chiese ancora Melissa, e a quella domanda Kathrine si congelò, cercando di reprimere ancora la rabbia, poi si rasserenò e pensò ad una cosa… in fondo sto per chiamare Nick, che è un ragazzo… ed in fondo siamo stati assieme tre giorni all’asilo… basta che non venga più considerata una mocciosa davanti a questi due…

“Sì, qualcosa del genere… bè, ciao…” replicò con il sorriso più convincente che le uscisse fuori, e con l’aria più fittizia e dissimulatrice che i geni di Ryan Shirogane le avessero trasmesso. Chiuse la porta piano e si appoggiò ad essa… se dopo quel cretino gli avesse fatto qualche domanda… al diavolo, mi inventerò qualcosa al momento…

Scese le scale, salutando il proprietario dell’albergo, che tramite una breve conversazione di qualche minuto in perfetto inglese, aveva saputo chiamarsi Riad, e a cui aveva raccontato tutta la storia, e cioè che lei e Kevin non stavano assolutamente assieme, ma che erano lì per sbrigare delle cose urgenti di nascosto dalla famiglia dello stesso ragazzo. Riad la salutò con affetto, già conquistato dalla ragazza metà giapponese e metà americana.

Kathrine uscì fuori e si incamminò per le allegre strade di Parigi, e ad ogni vetrina si fermava, spesso entrando in qualche negozietto caratteristico, tanto che in una mezz’oretta aveva già comprato una sciarpa per la madre, un libro per suo padre e un peluche per il fratello, oltre che tutta una serie di prodotti tipici per i suoi nonni, che adoravano la cucina francese. Si fermò su una panchina, e mangiucchiò una crepe alla nutella, poi guardò l’orologio e vide che erano le sei e mezza. Suo padre era a S.Francisco, dato che era lunedì e lì adesso erano le dieci e mezzo di mattina. Forse era meglio chiamare prima lui… in fondo era così preoccupato per lei, e poi a Tokyo erano le due di notte o giù di lì…

Compose il numero, dopo il prefisso internazionale, e chiese di lui alla sua segretaria, Debora.

“Te lo passo subito, Katy…” le disse amabilmente, poi sentii un: “Hello?” in chiara voce maschile.

“Ciao papà!” disse allegra, stringendo il piccolo telefono portatile.

Ryan si riassettò sulla poltrona di pelle nera della sua scrivania, voltandosi verso la finestra, che dava sugli alti grattacieli di S.Francisco, e disse: “Ciao tesoro! Come stai? Sei arrivata?”.

“Sì, papà, sono arrivata un’oretta fa… ora ti parlo da una panchina in Boulevard qualche cosa… non riesco a leggere bene il nome della strada…”.

“Sei da sola?” chiese Ryan preoccupato… e va bene che aveva ceduto anche di fronte al sospetto che sua figlia fosse in vacanza da sola con uno che era praticamente un uomo, ma che la lasciasse pure da sola…

“Sì, ma sto bene così, papà…” disse tranquilla “Qui capiscono tutti l’inglese, e allora parlo così… ho fatto amicizia anche con il gestore dell’albergo, si chiama Riad, è indiano ed è molto simpatico!”.

“Quanti anni ha?!” chiese ancora Ryan, geloso.

“Non lo so… una cinquantina…”.

Ryan, più calmo, chiese: “Allora stai bene?Ti stai divertendo?”.

“Mi mancate già tantissimo, tu e la mamma e Miky…” disse lei sottovoce, poi riprese più decisa e stizzita: “Anche perché qui la compagnia non è delle migliori…”.

Ryan sogghignò tra sé e sé… almeno ‘sto Kevin non si comporta da perfetto fidanzato…

“Tra qualche giorno sarai di nuovo a casa, tesoro…” la rassicurò “Mi raccomando, stai attenta e divertiti… poi ci racconti… più tardi, cerca di chiamare la mamma, o mi crocifigge fino a quando tu rimani lì!”.

“Non ritorni a casa, papà?”.

“Devo rimanere a S.Francisco per una settimana almeno… ma quando torni, ti vengo a prendere dall’aeroporto…”, poi ripensando alla possibilità di dover scoprire se effettivamente sua figlia era andata in vacanza da sola con Kevin Shirayuki, aggiunse veloce: “Oppure ti aspetto comunque a casa…”.

“Ok… adesso vado… ti voglio bene papà…”.

“Anch’io, tesoro… mi raccomando…” disse Ryan, prima di riagganciare, con un leggero sorrisetto sul viso. Forse si era preoccupato troppo… in fin dei conti, Kathrine era una ragazza risoluta e sapeva il fatto suo… almeno in quello non aveva preso da quell’ingenua di sua madre, ma da lui, che, senza falsa modestia, sapeva sbrogliarsela in situazioni ben complicate, senza farsi prendere dal panico o dall’isteria, come spesso faceva Strawberry… sorrise ancora, se Strawberry avesse saputo che l’aveva apostrofata mentalmente in quella maniera, lo avrebbe picchiato a sangue… aprì un cassetto alla ricerca di un documento, che doveva analizzare, e non pensò più alla sua preoccupazione.

 

 

Kevin guardò l’orologio sul comodino, distogliendo per qualche istante lo sguardo dalla televisione. Le nove e mezzo… che diamine di fine aveva fatto quella svampita di Kathrine? Era uscita ormai da tre ore… Melissa se ne era andata da tempo, dopo averlo lasciato con la solita dolceamara sensazione di pura insoddisfazione nel parlare con lei, e si erano accordati affinché li portasse Kathrine di lì a quattro giorni, il giorno del loro ritorno a Tokyo. Le aveva chiesto che cosa le avrebbero fatto e Melissa aveva risposto come al solito scarsamente rassicurante: “Nulla di irreparabile…”.

Ma intanto Kathrine non era ancora tornata, forse si era messa in testa che Melissa fosse una sua fidanzata segreta o qualcosa del genere ed era corsa a dirlo a Chiyo… non che gli importasse, poteva pensare quello che voleva sia lei che la sua amica, ma Parigi poteva anche essere la città più bella del mondo, ma era pur sempre un luogo pericoloso per una ragazza straniera che vi girasse da sola. Imprecando tra sé e sé, afferrò il cellulare e si apprestò a chiamarla, quando sentì il rumore della porta che si apriva e Kathrine che rientrava. Gettò velocemente il cellulare e si ributtò sulla poltrona, fingendo di essere totalmente preso dal programma che stava seguendo e di non essersi nemmeno accorto del suo ingresso.

Lei entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Appena lo vide, sospirò ed alzò gli occhi al cielo con espressione infastidita, tirando dritto. Kevin, senza distogliere lo sguardo dalla televisione, le chiese: “Dove sei stata?”

Lei, togliendosi il cappotto e stiracchiandosi, appoggiò numerosi pacchetti che aveva per le mani sul letto, poi rispose velocemente: “In giro…”

“Riad ha servito la cena un’ora fa… qui mangiano presto, ragazzina… e adesso rimarrai a digiuno, fino a domani mattina!” la schernì lui sadicamente, ma lei non si scompose minimamente e estrasse dalle sue buste un libro dalla copertina colorata e, afferrata una penna dal comodino, iniziò a scribacchiare qualcosa, dopo avergli risposto: “Avevo già mangiato fuori, caro il mio ragazzo presuntuoso ed odioso… sono andata in metropolitana a Montmatre… e comunque Riad mi aveva lasciato qualcosa…”.

“Sei andata a Montmatre da sola?!” le chiese più sorpreso che preoccupato.

Kathrine, continuando nella sua splendida interpretazione di donna matura ed indipendente che le aveva suggerito Grace al telefono, si alzò chiudendo il libro e disse, dirigendosi verso il bagno: “Sì, se aspetto te, divento vecchia… mi faccio una doccia, buonanotte…”.

Kevin la guardò a bocca aperta entrare in bagno, non sospettando minimamente che la stessa ragazza che lo aveva praticamente smontato, era la stessa che adesso, chiusa la porta del bagno, stava improvvisando LA-DANZA-DELLA-VITTORIA-SULLO-SPORCO-NEMICO-BIANCO degli indiani d’America, che le aveva insegnato suo padre, quando era bambina.

Kathrine, fischiettando, si spogliò e si infilò sotto la doccia, lasciando che l’acqua calda lavasse via il ricordo di quella giornata. Tutto sommato la vacanza era cominciata proprio bene… e forse le aveva fatto bene sentire suo padre, Grace e Nick al telefono. Era talmente triste che alla fine li aveva chiamati entrambi, trovandoli svegli e addirittura insonni a causa della sua mancata telefonata; erano dei veri amici: Nick, come al solito, l’aveva calmata e l’aveva esortata a non agitarsi per non rovinarsi la breve vacanza, mentre Grace le aveva detto che doveva fare capire a Kevin Shirayuki che lei non era affatto la bambina che pensava, ma invece era una donna fatta e finita. Inutile dire che Grace aveva continuato ad insistere su tutti i metodi che avrebbe dovuto usare per conquistare Kevin, ma quelli le erano entrati da un orecchio ed usciti dall’altro, invece aveva ascoltato con attenzione, talvolta comunque filtrandoli, i consigli che le dava per fargli cambiare l’immagine che aveva di lei. Non se ne sarebbe andata da Parigi, se non gli avesse fatto capire che non era assolutamente la piccola ragazzina che pensava…

Si mise l’accappatoio e si spazzolò i lunghi capelli bagnati, poi si accorse che aveva dimenticato di prendere il pigiama, quando aprì piano la porta e spiò all’interno della stanza, accorgendosi che Kevin si era appisolato davanti alla televisione. Lo vide sobbalzare e svegliarsi, per poi alzarsi dalla poltrona, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando. Si tolse la maglietta, rimanendo a petto nudo, e poi si mise a letto, coprendosi con il lenzuolo. Kathrine scosse il viso, diventato improvvisamente infuocato, poi aprì la porta e con nuova indifferenza rientrò nella camera, afferrando la sua valigia. Ma la sua passerella fu perfettamente inutile, perché tanto Kevin era già scivolato nel mondo dei sogni e respirava regolarmente, voltato di lato. Allora si rilassò e aprì la valigia, cercando il suo pigiama, che doveva essere finito in fondo alla borsa. Ma al suo posto emerse invece una piccolissima vestaglia di raso color panna, che Kathrine guardò senza capire. Per un attimo, pensò di aver scambiato il suo bagaglio con qualcuno all’aeroporto, poi si ricordò che prima vi aveva uscito il proprio beauty case, e quindi doveva essere per forza la sua borsa; poi si accorse di un piccolo post it attaccato sul retro del minuscolo indumento: Kitty, se non ti facevo dare io una mossa, non avresti combinato niente con quel tuo pigiama rosa con i coniglietti! Questa è di mia mamma, ma non le va più, dopo la nascita di Teddy! Tienila pure e non mi ringraziare troppo, mi raccomando! Grace

Mi ha cambiato il pigiama! Ecco perché l’altra sera si impuntò tanto perché le prendessi il succo di frutta alla pesca, invece che quello all’arancia! Voleva rimanere da sola con la mia valigia! Accidenti a lei! E adesso che faccio?

Guardò meglio il microindumento… scosse il capo, non poteva indossarlo, non poteva! Era praticamente un fazzoletto di stoffa! Chissà quel malato di mente che cosa si sarebbe messo in testa… rivoltò la borsa da capo a piedi, ma non c’era niente che avrebbe potuto indossare come pigiama, ma solo pochi ricambi di vestiti che erano di vitale importanza. Si guardò attorno terrorizzata, come se si aspettasse di vedere spuntare un enorme mostro dalle ombre della camera, cercando una qualsiasi tipo di soluzione, ma non ce ne erano. Poi tentò di calmarsi, respirando profondamente, e cercò di ragionare. In fondo Kevin stava dormendo profondamente e non l’avrebbe vista, bastava che l’indomani si fosse svegliata prima di lui e lui non l’avrebbe vista, perché intanto si sarebbe cambiata. Sorrise tra sé e sé, pensando che il giorno dopo avrebbe potuto comprarsi finalmente un pigiama decente, senza dare alcun tipo di spiegazioni a quell’idiota. Si drappeggiò addosso la sottile sottoveste, che poi indossò osservando con un sorriso il proprio riflesso in uno specchio. Stava davvero bene, se non si fosse trattato di Kevin probabilmente l’avrebbe tenuta davvero… chissà che impressione avrebbe potuto fare su un altro ragazzo, uno come… uno come… C.J. … Kathrine scosse ancora la testa, fermando gli occhi che si andavano illuminando di piccole lacrime, forse Grace le aveva fatto quella specie di regalo proprio per quello, perché intimamente era convinta che lei pensasse ancora a C.J. . Sorrise nella sua mente, perdonando il tiro mancino della sua migliore amica solo perché Grace dimostrava di preoccuparsi sempre per lei, anche se poi rimediava alla sua ansia in quelle maniere certamente poco ortodosse che le erano tipiche. In poche parole, si fissava su una cosa e non la lasciava più in pace. E l’attuale fissazione di Grace era che lei doveva innamorasi quanto prima di Kevin Shirayuki, possibilmente ricambiata.

Si infilò a letto, facendo attenzione a non svegliare Kevin che dormiva placidamente, una mano sotto il cuscino e il volto apparentemente sereno. Si raggomitolò su un lato, quanto più lontana da lui, coprendosi quanto più poteva con la coperta e il lenzuolo ed arrossì senza alcuna spiegazione, vedendolo muoversi leggermente. Sorrise dolcemente nel vederlo con quella sua espressione strana, quella di un bambino che dormiva tranquillo, riposando in un mondo luccicante di principesse e di fate, e che era così strana rispetto al suo volto solito. Il suo volto solito che, tanto per intenderci, tutto era tranne che tenero, anzi era decisamente odioso. Tentata di avvicinarsi di più a lui, per osservarlo meglio, alla fine scosse violentemente il capo, dandosi della cretina, si girò dall’altro lato, per poi addormentandosi profondamente.

Ma quello che a Kathrine sembrava uno sonno innocente e tranquillo era invece l’esatto contrario per Kevin. Dietro le sue palpebre, si nascondevano delle immagini che il ragazzo non sapeva decifrare e che ormai lo perseguitavano da qualche giorno, ed ogni volta si aggiungevano sempre più particolari. Quella notte, nelle nebbie del sonno, egli stesso notò che le immagini erano stranamente più nitide e, in un lampo di lucidità assonnata, concluse che doveva essere perché stava dormendo accanto a Kathrine.

Nel suo sogno, Kevin si trovava su Nemesi. Era una calda mattina di una di quelle brevi estati che il suo pianeta conosceva per pochi e preziosi giorni, per il resto era sempre dominato da un rigido e freddo inverno. Era in un parco vicino al palazzo, dove viveva e dove sua madre lo portava quando era bambino, e che si chiamava “Il Parco dei due Re”. Gli alberi di magnolia erano pieni di delicati fiori, che spandevano il loro profumo dolce e che gli ricordava quella mattine passate con sua madre a correre per gli alberi, prima che lui avesse avuto la capacità di capire che quella stessa incantevole e dolcissima donna gli teneva nascosto un segreto, che celava dalla sua nascita. Nel sogno, lui aveva di nuovo il suo consueto aspetto, quello alieno, che non era molto dissimile da quello umano, ad eccezione ovviamente delle orecchie a punta, ed indossava la divisa militare bianca ed oro, che portava nelle grandi occasioni su Nemesi. Sentiva la spada battere contro il suo fianco, ed era per lui rassicurante sentirla, come se stesse affrontando un grande pericolo, mentre avanzava, come se fosse ubriaco, tra quegli alberi familiari e silenziosi, illuminato dalla luce accecante del sole. Ad un tratto, gli capitava di sentire qualcosa, come il canto di un uccello che attirava la sua attenzione, e allora si dirigeva verso una piccola radura, anch’essa stranamente nota, dove c’era un’altalena che sembrava sospinta da una bambina che rideva gioiosamente. Quando si avvicinava, lento ed insicuro, scopriva che non si trattava di questo, che non era una bambina, ma una ragazza più o meno della sua stessa età. Le altre notti, quel volto era reso troppo luminoso dalla luce del sole, ma quella sera per la prima volta riuscì a guardarlo bene, inspiegabilmente era ben distinguibile. Si avvicinò ancora fino ad un passo da lei, che continuava a sospingersi, ridendo e gridando di gioia, e finalmente la vide in faccia quella donna che faceva capolino da anni nei suoi pensieri. Era una ragazza aliena, non molto alta, che indossava una lunga tunica di colore bianco e che lo guardava felice, continuando a ridere. Era sicuro di non averla mai vista, ma nonostante questo gli sembrava familiare. Sbattendo le palpebre, si accorse del perché. Era la copia della madre di Kathrine, di Strawberry Shirogane. Aveva lunghi e lucidi capelli rosso scuro, come Strawberry,  solo i suoi occhi splendevano di una luce diversa, un bel viola ametista, che rideva come la sua bocca. Era lei la donna che lo tormentava da anni; nel sogno, si guardò attorno come alla ricerca di quell’uomo biondo, sempre presente in quei suoi frammenti accanto a lei.

Lei lo guardò, scoppiando a ridere e gli chiese: “Chi stai cercando? Lui non è qui… non era quello che hai sempre voluto?”.

Tornò a guardarla, quasi meravigliandosi che si stesse rivolgendo a lui, e le chiese esitante: “Io non capisco… non capisco di chi stai parlando… chi è che avrei voluto sempre lontano? E poi tu chi sei?”.

Lei rise ancora, e poi gli rispose: “Come chi sono?! Hai distrutto tutta la tua famiglia per me, e adesso te lo sei dimenticato?”.

“La mia famiglia?” chiese pallido, forse alludeva ai suoi genitori, addolorati dalla sua scomparsa da Nemesi, e sicuramente preoccupati per lui; allora aggiunse: “Stai parlando di mia madre e di mio padre?”.

Lei rise e si alzò dall’altalena, dicendogli: “Anche di loro… ma principalmente sto parlando di lui…”.

Stava per interrogarla ancora, ma lei scoppiò a ridere e prese a correre, chiamandolo a gran voce affinché la prendesse. Sentì un formicolio lungo i suoi arti. Il desiderio di lei, quello di stringerla e di baciarla fino a possederla per sempre, lo spinse a correrle dietro, cercando di afferrarla, mentre lei correva, sfuggendogli tra gli alberi. Non c’era alcun dubbio, quella donna non poteva essere qualcosa che aveva minimamente assomigliato ad una madre per lui… la ricordava come una ragazza da quando era bambino, e non era una sua coetanea… ma allora perché voleva averla più di qualsiasi donna avesse mai visto?

Si slanciò smaniosamente in avanti, riuscendo a prenderla per il polso, e, cadendole addosso, la strinse tra le sue braccia, chinandosi a baciarla, sempre con la sua risata nelle orecchie. Divorò nelle sue le labbra di lei, una sensazione dolceamara in bocca, ma quando si staccò da lei, il suo volto era di nuovo avvolto da quella luce accecante e la sua risata si era fatta un suono acuto e fastidioso, come il verso di un animale ferito. Si stropicciò gli occhi, cercando di sollevarsi, ma non ci riusciva, si sentiva debole, dannatamente debole e stanco. Guardò la mano con cui la teneva stretta e si accorse con orrore che era piena di sangue. Chiuse forte gli occhi, cercando di concentrarsi per riuscire a vederla ancora, e capire che cosa le era successo, ormai la sua risata era un pianto straziante. Ma quando li riaprì, ebbe la sorpresa peggiore che potesse immaginarsi.

Sotto di lui, adesso c’era Kathrine Shirogane.

Il suo volto era turpemente bagnato di lacrime e sangue, e lei lo guardava con terrore e con orrore, gli occhi castani spalancati come quelli di un cucciolo. Gli si strinse il cuore e un’ondata di ghiaccio gelido gli cadde lungo la spina dorsale, mentre la guardava senza capire e sentiva quel suo pianto penoso, simile al respiro di un angelo. 

“Kathrine…” la chiamò.

“Perché mi hai fatto questo?!” gli urlò contro, continuando a piangere e respirando a fatica “Perché mi hai fatto così male?! Io mi fidavo di te, e mi hai ucciso, tu mi hai ucciso, Kivar! Sei un assassino! Sei un assassino, Kivar!”.

 

 

Come sono perfida, interrompo sempre al momento sbagliato vero? sicuramente vi starete chiedendo che cosa significa questo sogno! State tranquilli, lo scoprirete presto! In quanto alla ragazza del sogno, immagino si sia capito chi sia; è ovviamente Elissa e Kivar sta iniziando a ricordarsi di lei. E adesso ha anche capito che non è sua madre, ma che sicuramente è una cosa diversa per lui! Sono contenta di essere arrivata a questo punto, temevo di non arrivarci mai a Parigi, ma per fortuna la mia ispirazione è tornata! Sono iper mega felice e ho milioni di idee per come proseguirà la storia!!!!

Come sempre, passo ai ringraziamenti:

KillKenny: che bello ritrovare anche te! Sono sempre felice quando ritrovo coloro che hanno seguito BMAY!!! Non ti preoccupare per le recensioni mancate nella scorsa storia, ti rifarai con questa! Scherzo! Sono felice che ti piaccia, soprattutto per Kevin e Katy, non sembra, ma questi due sono difficili da gestire! Kathrine soprattutto! Come si fa a mettere assieme il carattere di Strawberry e quello di Ryan? Insomma è una bella impresa! Ho notato che il tuo voto rispetto a quello dell’altra fic è salito (ebbene sì, io mi ricordo tutto!) quindi sono anche più contenta! Grazie tantissimo!

Aya chan: sono tanto arrabbiata con te, ma quando arriva il prossimo capitolo della tua storia? Non puoi lasciarmi in ansia così a lungo, farmi morire così d’angoscia!!!!! Soprattutto adesso che ho azzeccato il magico nome e soprattutto adesso che so che il magico nome è quello che noi due sappiamo!!! Buah, sono così infelice! Comunque tornando alla mia storia, ti ringrazio tanto per avermi tolto il dubbio atroce che questa storia fosse noiosa perché è troppo incentrata su Kathrine! Ho molte idee per Ryan e Strawberry, e tu sarai la prima a saperle… ovviamente quando questo maledetto computer si sarà ripreso! Purtroppo, non ho ancora possibilità di mandare e leggere mail, devo aspettare che la mia amica torni dalla Germania! Poi la blocco e uso il suo computer! Ti mando assolutamente la mia fic su Harry, anche perché mi sono bloccata sul finale!!!! Mi devi aiutare!!!

Hermy 6: grazie come sempre pazzerella mia! Spero che ti sia goduta fino in fondo lo scorso capitolo, dedicato a te! Ti prometto che intensificherò le scene con Ryan e Strawberry, ma almeno per un po’ devo lasciarli in Giappone! Per adesso, dobbiamo starcene in Francia! Ma quando si torna…

Mew Pam: grazie cicci! Per capire chi è C.J., non dovrai aspettare molto… per capire cosa ha fatto, un po’ di più! Sono contenta che Kevin ti piaccia! A me a volte indispone mentalmente, ma sotto sotto piace tantissimo anche a me! E comunque a Parigi ne accadranno delle belle, basta aspettare…!

Black_ Pill: grazie della recensione! Anche se breve, era significativa! Perdonami, ma oggi sono davvero in vena di battute squallide!!!!

Un enorme bacio a tutti coloro che leggono soltanto, ma lasciatemi anche due righe, io non mi offendo mica! Ciao ciao da Cassie chan!!!!

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Closer ***


Capitolo 8- Closer

Capitolo 8- Closer

 

Kevin si svegliò di soprassalto, la fronte imperlata di sudore freddo e il cuore che gli batteva a mille. Si riadagiò sul cuscino, leggermente illuminato dalla prima luce del sole di Parigi, e si mise una mano sulla fronte. Lunghi brividi di freddo li sfibravano i muscoli, e per la prima volta nella sua vita provava una paura cieca ed irrazionale di quello che aveva visto. Forse doveva tornare a casa, forse doveva dimenticare tutto e continuare a vivere, tornare da sua madre e da suo padre e da quel loro rassicurante silenzio… dimenticare quella donna e la sua risata, e quel suo arcano segreto, quel suo essere la prima sua donna e l’essere lontana anni luce da essere sua madre. Forse doveva… e poi doveva riportare a casa Kathrine… restituirla a sua madre, a suo padre, a suo fratello, ai suoi amici, prima di farle del male…

Prima di ucciderla…

Con un brivido, si accorse che Kathrine non era accanto a lui in quel letto troppo grande e troppo freddo. Si alzò a fatica seduto, e si guardò, notando poi che lei era già sveglia. Rimase a bocca aperta nel guardarla, come se la vedesse per la prima volta, il suo cuore che perse un battito. Lei non si era minimamente accorta di lui, né del suo sogno, né di quella sua ansia. Era seduta dietro la finestra, vicino ad una tavola imbandita di tutto punto, e nonostante fossero le sei, era perfettamente riposata; stava facendo colazione e notò con curiosità che stava mangiando delle fragole, che portava alle labbra con lentezza, una dopo l’altra. All’inizio pensò che non se ne fosse accorta, immaginando una sua reazione di disgusto immediata, e magari anche una corsa in bagno per lavarsi la bocca, ma poi capì che lo stava facendo apposta ad intingere ogni fragola con della salsa tabasco. Lo faceva con tranquillità, serenamente, come se intingere delle cose dolcissime con altre piccanti fosse una cosa perfettamente normale. Non distoglieva lo sguardo dal quotidiano che stava leggendo con interesse, una mano ad attorcigliare le piccole onde che cadevano lungo il suo collo, sfuggendo dal resto dei capelli tenuti in alto. Seguì il suo collo e poi le linee dolci del suo corpo, coperto solo da una sottile sottoveste di raso, che non le arrivava nemmeno al ginocchio.

All’improvviso, lei spalancò gli occhi, accorgendosi di essere fissata e si girò verso di lui, che la stava ancora guardando, leggermente sporto oltre la coperta, il torso ancora nudo come la sera prima. Si guardarono confusi per qualche momento, poi Kathrine che si era completamente dimenticata della delicata faccenda “Pigiama”, si accorse che lui aveva uno strano colorito e sembrava spossato.

“Che hai?” gli chiese, attraversando la camera e sedendosi sul letto accanto a lui

“N-niente…” balbettò lui, rosso in viso, ritraendosi da lei e voltandosi dall’altra parte

“Smettila di fare il bambino!” lo rimproverò lei, poi lo prese per il mento con la mano, costringendolo a voltarsi verso di lei: “Fammi vedere… non hai una bella faccia stamattina!”

“Sto benissimo! Lasciami stare!” le disse lui nervoso e ancora rosso in viso, divincolandosi scontrosamente dalla sua stretta e cercando di alzarsi dal letto. Così facendo, Kathrine per non essere travolta da lui, si fece indietro bruscamente, ma andò ad inciampare in una piega del tappeto che era sotto il letto, rischiando di cadere all’indietro. Kevin, accorgendosene e temendo che si facesse male, l’afferrò prontamente per la vita, attirandola verso di sé, ma così la ragazza finii direttamente tra le sue braccia.

Kathrine, la guancia premuta sul suo torace, arrossì violentemente, mentre sentiva che il cuore sarebbe scoppiato da un momento all’altro dal suo petto. Temeva persino che lui arrivasse a sentire il battito del suo cuore, per quanto era forte. Le braccia di lui la stringevano ancora dolcemente e continuavano a trattenere il suo corpo stretto contro il suo. Anche Kevin era arrossito, la sensazione del sogno che si faceva più intensa, mentre guardava con espressione confusa i capelli biondi di Kathrine sotto di lui. Lentamente, le sue mani dall’essere solamente appoggiate sui fianchi di lei, si mossero sulla sua schiena, finendo per intrecciarsi sul tessuto lucido della sua veste, circondandola ancora più saldamente di prima. Kathrine sentì un lungo brivido attraversarle la schiena, e finalmente ebbe il coraggio di staccare il volto da lui, e volgere lo sguardo in su verso i suoi occhi blu, colmi anch’essi di piacevole stupore.

“Ti s-sei fatta male?” le domandò lui in un sussurro, ancora vistosamente arrossito

Kathrine negò con il capo e mormorò: “N-no, sto b-bene… a-almeno c-credo…”

Kevin, come se fosse in preda ad una meravigliosa ubriacatura, staccò una mano dalla sua schiena e le accarezzò piano i capelli, mormorandole: “Scusami, non volevo farti cadere… sono solo un po’ nervoso…”

Kathrine, la mente anche in lei stupendamente ebbra, chiese avvicinandosi di più al suo viso: “Per m-me? S-sei nervoso per colpa m-mia?”

Le sorrise dolcemente, continuando ad accarezzarle i capelli delicatamente: “No, non per te, Katy… anzi se tu non ci fossi probabilmente sarei più vittima dei miei pensieri… g-grazie per essere qui, so che per te non è facile rimanere con me…”

Anche lei sorrise e rispose in un bisbiglio: “A volte è un po’ difficile, ma credo di farcela fino alla fine della vacanza…”

“Grazie Katy…” le sussurrò ancora, sporgendosi poi per baciarla dolcemente sulla fronte, mentre lei diventava paonazza per l’ennesima volta

Si staccò da lei, alzandosi in piedi, mentre Kathrine rimase immobile sul letto, la mano sul petto e lo sguardo ancora fisso sul lenzuolo.

“Adesso muoviti, ragazzina!” le disse sarcasticamente come al solito “Capisco che adesso tu sia persa nei tuoi deliri romantici, soprattutto considerando che è stata la prima volta che qualcuno di sesso opposto ti abbia abbracciato, a parte il tuo papino, ma posso assicurarti che ero solo preoccupato che non ti fossi fatta male… tuo padre mi avrebbe ammazzato in caso contrario, ma io ci tengo alla mia vita… quindi spicciati!”

Kathrine ritornò rossa all’istante, ma stavolta di rabbia. Mi ha presa in giro, come al solito!

“Maledetto!” gli urlò, alzandosi e brandendo un cuscino, poi lui la osservò e disse, ridendo: “E mettiti anche qualcosa addosso! Ti prenderai la polmonite così discinta! Non era necessario che ti vestissi così per me, considerato che fisicamente sei proprio una bambina!”

Kathrine si ricordò solo allora della delicata faccenda vestaglia, e arrossì da capo a piedi; poi, coprendosi come poteva, corse in bagno, dopo avergli pestato come tradizione un piede, in segno di protesta. Si barricò dentro per cambiarsi, appoggiandosi allo stipite della porta con un sospiro. Certo che aveva sbagliato a giudicarlo quel giorno in camera sua, Kevin Shirayuki era proprio un bravo attore, chissà perché non gli avevano dato la parte di Romeo… cinque minuti prima, le aveva fatto credere di essere attratto da lei, addirittura era arrivata a pensare che sarebbe giunto a baciarla… e invece quel maledetto la stava di nuovo prendendo in giro, accidenti a lui! Si infilò sotto la doccia, i brividi che aveva provato ormai completamente cancellati dal suo corpo, e dalla sua memoria.

Al di là della porta di legno scuro, Kevin guardò oltre la finestra, il sorriso ironico che doveva rassicurare Kathrine ormai sparito.

Quella donna e Kathrine… che ho fatto ad una? Che stavo per fare all’altra?

 

 

Quella mattina, i due ragazzi visitarono gli Champs Elysee, straordinariamente pieni di gente come al solito. Presero un taxi e si fecero lasciare davanti all’Arco di Trionfo, che Kathrine guardò ammirata e a cui pretese di fare almeno una ventina di fotografie da varie angolazioni per mostrarle ai suoi amici e alla sua famiglia. Era particolarmente carina quella mattina, con indosso un maglioncino verde smeraldo e un paio di pantaloni chiari, e molti si giravano per strada a guardarla, colpiti dalla sua disinvoltura e da quella leggera patina di originalità, che la contraddistingueva sempre, visibile nel fermaglio di pailletes verdi a forma di quadrifoglio, che portava tra i capelli. Kevin ogni tanto la guardava di sottecchi, cercando di trovare in lei qualche segnale che gli facesse capire che lei fosse arrabbiata o peggio sconvolta per ciò che era accaduto quella mattina, ma lei era tranquilla e serena. Quando poi, mentre passeggiavano, mise teneramente il braccio attorno al suo, capì che lo aveva considerato o un incidente o uno scherzo. E in fondo, lui questo le aveva fatto credere, ed era anche questo che pensava, se non fosse stato per quel maledetto sogno… continuava a tornargli in mente, e mentre Kathrine gli sorrideva, indicandogli qualcosa, non poteva non vedere il suo viso vellutato deturpato dal sangue e rigato dal pianto. Si chiedeva se questo sarebbe successo, quando l’avesse portata da Herik e Melissa, e si riprometteva di proteggerla, come aveva assicurato anche a Delet…

“Che hai?” gli chiese ad un certo punto lei, sventolandogli la mano davanti al viso. Erano fermi in effetti da troppo tempo davanti alla stessa vetrina e persino a lei sembrava strano.

“Niente… sono solo soprappensiero…”

Kathrine lo guardò per un attimo, non del tutto convinta, poi continuò a guardare ammirata le vetrine dei luccicanti negozi parigini, insistendo per entrare nel Disney Store, dove volle comprare a tutti i costi un peluche gigante di Winnie Pooh per Teddy, la sorellina di Grace e Nick. Kevin la guardava sorridendo, sebbene cercando di non farsene accorgersene, mentre si provava strani cappelli ed occhiali da sole, o vestiti costosissimi, che nemmeno le sue ampie finanze potevano permettersi. Se quella mattina si era reso conto per la prima volta che era davvero bellissima, in quel momento si accorse di come stare con lei rilassasse i nervi e di come fosse una persona ancora spontanea come una bambina, capace di stupirsi e meravigliarsi per ogni cosa, spalancando quei suoi grandi occhi castani, come se fosse al mondo da solo un paio di ore… certo aveva il suo bel caratterino, come quando volle comprarsi assolutamente uno strano intruglio parigino sebbene lui le avesse detto che era orribile, ma lei non aveva fatto una piega e lo aveva mangiato fino alla fine, tanto per non dargli la soddisfazione di mostrargli che lo detestava, cosa che invece era evidente nell’ espressione del suo viso. Ma inaspettatamente era anche una persona molto matura, cosa che capì mentre erano seduti a pranzo in un ristorante all’aperto, da cui si vedeva ergersi statuaria la Torre Eiffel. L’aveva appena chiamata sua madre e lei ci aveva parlato per un bel po’, e lui allora aveva approfittato per dirottare la conversazione sulla storia dei suoi genitori.

“Non lo so bene come si sono conosciuti…” rispose lei distrattamente, addentando un croccante pezzo di baguette “Mio padre venne da S.Francisco in Giappone, quando aveva più o meno la nostra età… aprì con mio zio un caffè che ebbe abbastanza successo e mia madre lavorava lì… non so altro…”

“Come? Sai così poco?!” chiese quasi stizzito il ragazzo. Aveva saputo quasi di più dalla rivista che gli aveva portato Delet.

Kathrine annuì e rispose: “Quando ero bambina, un giorno la maestra ci dette da fare un tema, che voleva sapere la storia della mia famiglia… fino ad allora, non ci avevo mai pensato, ed allora chiesi per la prima volta a mia madre i nomi dei miei nonni paterni e la loro storia. Lei tentennava e io me ne accorsi, continuavo ad insistere, ma lei diceva solo che erano morti molti anni prima e che si chiamavano Kathrine e Shinichi. Allora mi ricordo che le chiesi come si erano conosciuti lei e mio padre, ed anche allora lei esitò, rispondendomi con quel poco che ti ho detto. Ero solamente una bambina, ma mi ricordo che ci rimasi molto male… immaginavo una storia romantica e meravigliosa, e invece mia madre mi teneva nascosto qualcosa da cui era dipesa la nascita mia e di mio fratello. Poi me ne sono dimenticata… ma poco prima di partire, ho avuto occasione di ripensarci e di chiederglielo di nuovo, e lei ha aggiunto dei particolari, ma anche stavolta niente di troppo preciso. E allora ho capito…”

“Che cosa hai capito?” le chiese Kevin, quasi spaventato dalla nuova espressione del suo viso così diversa e consapevole

“Mi sono resa conto che i miei genitori sono delle persone… intendo delle persone normali, non i supereroi che credevo quando ero piccola, le persone intoccabili, nate solamente per amarmi e proteggermi…” rispose lei sorridendo, guardandolo dritto negli occhi “Ho pensato che in fondo sono esattamente come me, con le stesse mie insicurezze e paure, anche con i miei stessi segreti… sai, ho ripensato a tutto quello che io non li ho mai detto, per non farli soffrire, o perché me ne vergognavo, e allora ho capito che per loro era lo stesso. Forse un giorno, mi diranno la verità, ma non ho motivo di premere su di loro se non ne hanno voglia di parlare, se questo li fa star male, come loro non lo fanno con me…”

Kathrine riprese a giocherellare con la forchetta, ripensando ancora una volta a C.J. o peggio a quello che le era accaduto un anno prima… sua madre e suo padre non ne sapevano niente, e chissà probabilmente non lo avrebbero mai saputo, perché lei sapeva quanto ci avrebbero sofferto… e anche per loro doveva essere lo stesso…

Kevin tacque all’improvviso, in imbarazzo e a disagio. Kathrine continuava a parlare di altro, di cose che forse non gli interessavano, ma lui pensava ad altro. Anche per sua madre e suo padre era stato lo stesso? Non gli avevano detto niente per paura di soffrire, di stare male? Fino a quel momento, aveva solamente pensato alla sua sofferenza, al probabile dolore che i suoi volevano evitargli, ma probabilmente era il contrario, erano loro a non volere stare male… chissà perché non ci aveva mai pensato fino ad allora…

Povera, povera Elissa… che cosa ti ha fatto mio fratello?

Kevin si piegò in due, mentre Kathrine si precipitava a soccorrerlo: “Che cosa hai? Stai bene? Kevin rispondimi!”. Il ragazzo respirava a fatica ed aveva la fronte imperlata di sudore, quel frammento di ricordo che gli perforava il cervello, ancora parole non sue nella sua testa, ma stavolta accompagnate da una sensazione fortissima. Desiderio di qualcuno, di qualcosa, che voleva disperatamente… come stanotte, con quella ragazza… con quella donna… lei… lei si chiama Elissa…

Kathrine continuava a chiamarlo, piangendo, ma non riusciva a sentirla, mentre nuovi frammenti di ricordi trovavano posto nella sua mente… ho nominato mio fratello… io non ho un fratello… e se fosse lui quella persona? Quel ragazzo biondo… e allora lui dov’è? Dove è mio fratello?

Finalmente udì la voce di Kathrine così dannatamente simile a quella che lei aveva in quel sogno. Sollevò lo sguardo ed incontrò i suoi occhi castani colmi di paura.

“Kevin!” stava sussurrando, le lacrime che le inumidivano le labbra

Si sollevò a fatica, appoggiandosi a lei, sorridendole e mormorando: “E’ stato solo un capogiro, Kathrine… ho la pressione bassa…”

La ragazza si asciugò le lacrime, poi mormorò: “Anche il giorno che ci siamo conosciuti è successa la stessa cosa… sei sicuro di star bene? Non è molto normale…”

Kevin le sorrise e poi le rispose semplicemente che non doveva preoccuparsi, poi riprese a camminare, urlandole che avevano ancora molte cose da vedere. Kathrine lo guardò soprappensiero per qualche istante, poi lo seguì.

 

 

L’aria si era fatta più fredda in quei giorni, e Kathrine si era messa un caldo golfino rosa, mentre sedeva sulla veranda del loro albergo, una biro appoggiata sulle labbra, mentre scriveva delle cartoline. Ormai la sua vacanza stava per finire e la mattina dopo, dopo aver avuto quel famoso incontro con il maggiordomo di Kevin, sarebbe ritornata a casa. Cinque giorni erano passati così in fretta e in modo tanto frenetico, che ancora adesso non lo riteneva possibile… Kevin l’aveva portata in ogni angolo di Parigi e lei aveva visto di tutto, provando mille emozioni. Aveva quasi pianto al Louvre, di fronte alla statua di Amore & Psiche, vedendo quel marmo così levigato che sembrava tanto simile alla pelle umana; aveva riso come una bambina a Disneyland, cadendo da cascate artificiali e ricoprendosi di spruzzi d’acqua; era rimasta a bocca aperta di fronte alla vista notturna di Parigi dalla collina di Montmatre, come aveva fatto, sollevando la testa piena di boccoli biondi, seguendo le severe sculture ed arcate di Notre dame; si era stretta con paura a Kevin, quando erano saliti sulla Torre Eiffel, non osando guardare giù. E non era stato solamente quello, aveva visto, sentito, provato tante altre cose, che difficilmente avrebbe potuto spiegare a parole, una volta tornata a casa. 

Kathrine guardò davanti a sé, posando la testa su un braccio, appoggiato sul tavolino di legno. Sapeva anche un’altra cosa altrettanto bene… non avrebbe mai potuto descrivere appieno quella vacanza, senza nominare Kevin Shirayuki.

Kathrine sospirò, questo perché non era stato solamente un compagno di viaggio, ma anche perchè si era dimostrato diverso da quello che aveva pensato. Quando era partita, era irritata, nervosa, assolutamente infastidita all’idea di dover passare tanto tempo con lui, ma adesso doveva ammettere con profonda onestà che lui le aveva fatto passare dei bei momenti. Era una bella persona, in fondo… certo avevano continuato a litigare, ma c’erano stati anche attimi in cui era stata davvero bene, era stata serena e tranquilla, e quella stessa mattina si era sorpresa di essersi risvegliata, senza pensare a C.J. e nemmeno a quello che era accaduto l’anno prima… la ragazza si alzò e tornò dentro, commentando tra sé e sé che questo era un vero miracolo, considerato che generalmente iniziava a pensarci proprio la mattina presto. Sistemò le cartoline sul comodino e si distese sul letto, osservando il soffitto e pensando ancora a Kevin. Nonostante lui facesse finta di niente, lei si era accorta che c’era qualcosa che non andava, che non le diceva… lui era cambiato nei suoi confronti, era più protettivo, più dolce e alle volte non riusciva nemmeno a riconoscerlo. Quando lei lo guardava interrogativa, lui arrossiva e ritornava ad essere scorbutico, come se lo avesse scoperto a fare chissà che cosa… di notte, poi, si agitava spesso nel sonno, chiamando i suoi genitori, oppure una donna di nome Elissa… gli aveva chiesto chi fosse e lui non le aveva risposto. Solo la scorsa notte lui aveva anche chiamato lei stessa, svegliandola, ma lui continuava a dormire, e, sudato e cupo, continuava a ripetere il suo nome. Quella mattina non gli aveva chiesto nulla, ma non faceva altro che domandarsi che cosa avesse sognato per spaventarlo tanto.

Chissà, che succederà, quando torneremo a casa… forse adesso è così, perché ha paura di rivedere casa sua…

Kathrine si sollevò di scatto, decisa a cancellare quei pensieri, senza soluzione, poi, dato che Kevin non c’era ed era uscito per andare chissà dove in una delle sue frequenti crisi di malinconia, decise di scendere giù e di andare a chiacchierare un po’ con Riad e con sua moglie Salinda, che la trattavano sempre con grande riguardo, perché lei ricordava molto ad entrambi la figlia più piccola Zulema, morta qualche anno prima.

Chiuse la porta della sua stanza, e, portando al chiave tra le mani, scese al piano di sotto, dove Riad stava leggendo un giornale, mentre Salinda sferruzzava, splendida nel suo sari verde oro.

“Buonasera Katy chan…” la salutò dolcemente Salinda che insisteva per chiamare la ragazza con appellativi giapponesi

Kathrine sorrise e si sedette accanto a lei: “Mi sentivo sola… Kevin se n’è andato per l’ennesima volta… mi chiedo dove diamine se ne vada…”

“Il signor Shirayuki non è ancora tornato? Deve essere uscito almeno tre ore fa…” chiese Riad, sporgendosi al di là del giornale, e guardando Kathrine che negò con il capo

“Lo so! E pensare che stasera è l’ultima sera che passiamo a Parigi e volevo fare qualcosa di speciale!” borbottò lei, incrociando le braccia

Salinda sorrise alla ragazza e le chiese: “Ti dà molto fastidio che ti abbia lasciato da sola? E allora fagliela pagare!”

“Come fagliela pagare?!” chiese Kathrine sorpresa e guardando la donna dai lunghi capelli neri

Salinda pose per terra la maglia e le disse: “Un uomo deve sempre trattare una donna come una principessa… mai farla annoiare, farla piangere, farla sentire sola… deve farla brillare di luce propria, questo mi diceva sempre mia madre, bambina… quando tornerà, troverà la più bella ragazza che possa esistere e si dovrà pentire amaramente di quello che ha fatto!”

Kathrine sospirò, scuotendo il capo, e rispose: “Mi dispiace, ma da quel punto di vista non c’è assolutamente niente da fare… Kevin non mi vede nemmeno, credo che mi consideri una specie di sorellina…”

“E allora tu fagli cambiare idea, bambina! Stasera dovrà mangiarsi le mani per quello che ha perso!” commentò ancora energicamente Salinda.

Kathrine la guardò ancora scettica per qualche secondo, poi annuì. In fondo era da quando era partita che voleva far cambiare idea a Kevin, riguardo a sé stessa, e poi non aveva niente di meglio da fare. Salinda poi sembrava così desiderosa di compagnia femminile…

“Va bene…” disse con un sorriso, prima di essere trascinata per mano da Salinda in una stanza attigua.

 

Chiedo perdono per l’enorme ritardo, ma sono sempre mega impegnata! Ho dovuto fare un esame che era una vera rogna e quindi ho dovuto abbandonare tutte le mie fic! Chiedo scusa, prometto che cercherò di essere più puntuale la prossima volta! Anche stavolta, ho lasciato la fic nel momento migliore, ma vi faccio una mega anticipazione: nel prossimo capitolo, si inizierà a capire che cosa è successo a Kathrine un anno fa e soprattutto accadrà anche qualcosina tra Kathrine e Kevin! Va bene, adesso la smetto! Come al solito, i ringraziamenti e le risposte di rito:

Killkenny: sarei felicissima di avere qualche tuo personaggio per rinforzare le schiere dei cattivi, o pseudotali! Quindi se vuoi passarmi qualcosa, ne sarei contenta! Mi piace anche la tua qualificazione di Kevin come Censored, non ci avevo mai pensato, ma credo che la userò, se sei d’accordo! Fammi sapere,  mi raccomando!

Lunachan 62: lo so, sono sempre di una perfidia unica ed infatti come vedi, anche stavolta, ho lasciato tutto sul più bello! Sono le tecniche per cui cerco di far leggere anche i capitoli successivi di questa storia, ho sempre paura che vi potreste annoiare! Grazie tantissimo! Un mega bacio!

Hermy 6: scusa, non ho mantenuto la promessa! Ho aggiornato veramente tardi! Grazie come sempre!

Aya chan: Ayuccia, mi stai facendo penare lo sai! Ma dov’è finita la tua fic? A meno che non hai aggiornato e non me ne sono accorta… ma se non hai aggiornato, mi arrabbio! Scherzo, ti capisco, anche a me spesso capita di avere duecentomila idee e di bloccarmi nello scrivere e la storia di Harry è proprio a tal punto! L’ho cancellata e riscritta, ma mi sono bloccata di nuovo, quindi ho bisogno di te: dovrei sbloccare il computer durante le vacanze, quindi per allora te la manderò, sei ancora disposta a leggerla? Anche se fa schifo? Per quanto riguarda Kivar (il cui nome è effettivamente preso da Roswell, che adoro! Basta vedere il mio account per credere!), credo che tu abbia ragione, è stato un mio errore! Avrebbe più senso che lui vedesse PB, che sé stesso, ma credo che almeno per ora, i suoi non siano veri e propri ricordi, ma più sogni, non lo so, premonitori… infatti, come vedi, le parole che ha ricordato in questo capitolo sono proprio quelle di PB! Non so se sono stata chiara, comunque quando finalmente ci potremo sentire, ti chiarirò anche questo! Grazie cicci!

Mew Pam: grazie anche a te Pammina! Per quello che Kevin potrebbe fare a Kathrine, c’è da aspettare ancora moltissimo… per C.J. invece un paio di capitoli… lo incontreremo presto… quello che invece è successo a Kathrine, lo inizierai a sapere nel prossimo, non so se è nei tuoi sospetti, ma non è una bella cosa! Non ho Skype, il mio computer è alla preistoria, anche perché lo devo formattare e quindi per un po’ niente di niente! Comunque, se mi vuoi contattare, puoi mandarmi una mail e vedrò di leggerla in qualche modo! Grazie ancora!

Black_ Pill: Grazie tantissimo tesoro! Per Herik e Melissa, capirai qualcosa nei prossimi due capitoli, dove sapremo anche una cosa importante su Kathrine! Parlo sempre troppo! Un bacione!

Un mega bacio anche a coloro che leggono solamente! Ciao ciao da Cassie chan!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Sorrow behind light-hearted eyes ***


Capitolo 9 – Sorrow behind light-hearted eyes

Capitolo 9 – Sorrow behind light-hearted eyes

 

Kevin continuò a passeggiare per qualche ora, lo sguardo ceruleo basso a fissare le piastrelle monocrome dei marciapiedi e l’asfalto delle strade. Gli allegri discorsi delle persone accanto a lui, provenienti da ogni parte del mondo, giungevano attutiti alle sue orecchie, sebbene ne capisse ogni singola parola. Continuava a pensare al suo sogno, lo stesso che si era fatto ogni notte più intenso, ad Elissa, a Melissa ed a Herik, ai suoi genitori, a Nemesi, ma soprattutto continuava incessantemente a pensare a Kathrine. La mattina dopo, l’avrebbe portata da Herik e Melissa e aveva paura, paura che le facessero male. Ma non era solamente questo, non era solamente quel suo strano potere su di lui, il potere di risvegliare memorie sepolte in lui o la sua incomprensibile presenza in quel sogno. Era lei stessa, era la stessa Kathrine che adesso gli faceva male dentro. Adesso la conosceva, adesso lei non era la sconosciuta ragazza bionda un po’ snob, che gli aveva fatto quello strano effetto. Adesso lei era la ragazza che aveva conosciuto in quei giorni, una ragazza meravigliosa, di cui si poteva perdere la testa con una facilità disarmante. Ora capiva Nick, il suo migliore amico, che si vedeva lontano un miglio che era cotto di lei, adesso capiva Grace e Chiyo, che le stavano accanto sempre, anche se ognuna a modo loro, adesso capiva i suoi genitori, che erano così protettivi con lei, ora capiva tutto quel brulichio di gente che le stava accanto e che l’amava e ammirava. Una volta conosciuta, era impossibile starle lontani. E lentamente si rendeva conto che stava succedendo anche a lui la stessa ed identica cosa… Kathrine aveva il potere. Un potere strano e meraviglioso. Non solo quello di far franare nella sua mente ricordi di un passato lontanissimo, ma anche quello di rasserenare l’animo e di rendere lucente come oro ogni giornata. Era radiosa in ogni cosa che facesse, come se non avesse mai provato sofferenza, dolore o angoscia. Non mostrava mai niente di tutto quello, anche se era praticamente impossibile che non avesse sofferto anche lei nella sua breve vita. Vedere Parigi con lei era stato bello, era stato divertente, era stato indimenticabile… e adesso stava per rischiare di perderla.

Scosse il capo, non ci doveva pensare, era necessario. Come era vero che Kathrine era tutto quello che aveva visto, la sua mente era ancora congelata su Elissa e su quell’altro ragazzo, quella persona che poteva essere suo fratello. Aveva sentito nei suoi sogni la sua voce dirgli, sofferente: “Ti perdono fratello mio…”. Che cosa gli aveva fatto? E adesso lui dov’era?

Appoggiò la mano sulla maniglia della porta dell’albergo ed entrò dentro.

A quelle domande, solo domani avrebbe avuto una risposta.

Tramite Kathrine… la sua mente si costrinse a rispondersi.

Si avvicinò alla reception, chiedendo a Riad se Kathrine fosse in camera sua.

“Veramente…” mormorò lui in francese “Non so dove sia andata… ma in compenso un’altra ragazza la sta aspettando e vuole assolutamente vederla…”.

“Un’altra ragazza?!” chiese Kevin meravigliato, poi, pensando che si trattasse di Melissa, mormorò: “E’ per caso bruna?”.

Riad cercò di reprimere la risata che già gli stava venendo fuori, contrariamente alle indicazioni di Salinda, e rispose: “Non lo so, io non l’ho vista… la sta aspettando sulla terrazza… a proposito, mi ha detto che avrebbe dovuto cambiarsi, prima di vederla…”.

“Cambiarmi?!” chiese scioccato Kevin, guardando il suo maglione azzurro e i suoi jeans. Che diamine avevano che non andava?

Riad lo prese per un braccio e lo condusse in una stanza attigua, dove l’ancora stupito ragazzo fu costretto ad indossare uno smoking di colore bianco. Riad, dopo aver sudato sette camicie per aiutare a vestirsi il riottoso ragazzo, gli fece segno di salire la scala, fino all’ultimo piano, dove, oltre una porta di ferro battuto coperta da una tenda rossa, c’era la terrazza.

Kevin, borbottando, salì le scale. Di chi diamine poteva essere quella bella idea? Ci scommetteva tutti gli euro che circolavano in quella nazione che era opera di quella pazza isterica di Melissa… chissà che cosa le era venuto in testa… continuò a salire le scale, maledicendo quel vestito che sentiva per lui troppo elegante e che gli ricordava troppo le uniformi militari di Nemesi. Arrivò in cima ed aprì la porta di ferro, scostando poi la tenda rossa.

Davanti a sé, c’era l’enorme terrazza circolare dell’albergo, circondata da candele tondeggianti rosa, che emanavano un gradevole odore di vaniglia che doveva tenere alla larga gli insetti, ma che rendeva ancora più particolare e magica quella atmosfera. La terrazza era piena di tavolini con vasi pieni di fresie bianche, accompagnati da eleganti candelieri d’argento. C’era un discreto numero di persone lì, alcune delle quali ballavano al suono delle note romantiche di un piccolo quartetto d’archi, accompagnato dalla voce suadente di una cantante, vestita in satin grigio, altre guardavano il meraviglioso panorama di Parigi, altre ancora chiacchieravano silenziosamente. Una cosa era certa: sembravano tutte coppie. Kevin, arrossendo d’imbarazzo, si fece strada tra i tavolini, cercando l’unica persona che invece doveva essere da sola perché stava aspettando lui, convinto più che mai di dover cercare una ragazza bruna di origine aliena di nome Melissa.

E invece trovò una ragazza bionda, senz’alcun dubbio umana, di nome Kathrine Shirogane.

Come qualche giorno prima, Kathrine non si accorse subito del suo arrivo, persa com’era nel panorama luccicante di Parigi. Stava ripensando a quella vacanza e i suoi occhi color cioccolato si perdevano tra scie di luci artificiali e code di ricordi vivaci; un lieve sorriso piegava le sue labbra rosa, accentuate dalla patina trasparente di un delicato rossetto. Kevin la guardò meravigliato per qualche istante… era chiaro che era lei, era normale che quella fosse Kathrine, ma era come se, all’improvviso, lui non stesse più guardando la sedicenne che conosceva, una bellissima ragazzina ancora immatura. Lei adesso sembrava cresciuta tutta assieme, diventando sua coetanea o anche più grande. Aveva i capelli stranamente liscissimi, che cadevano dolci sulle sue spalle, lasciate scoperte da un lungo vestito azzurro scuro, che le fasciava stretto i fianchi, per poi aprirsi in una specie di coda alla fine della sua schiena. Ai lobi, aveva dei piccoli brillanti, e al collo una collana con un ciondolo minuscolo a forma di fiore, che lei tormentava freneticamente tra le mani. Portava persino dei guanti lunghi di raso bianco, che le arrivavano fino al gomito. Non sembrava minimamente a disagio, anche se quelli non erano i suoi panni consueti, ma, come intuiva facilmente Kevin, dovevano trattarsi di vestiti di Salinda. Sembrava una giovane donna dell’alta società parigina, solamente un po’ annoiata che il suo accompagnatore fosse in ritardo.

Si avvicinò piano, il cuore che gli batteva ferocemente nel petto, mentre Kathrine finalmente si accorse di lui e lo guardò, sorridendo. Poi disse: “Salinda voleva che trascorressimo l’ultima serata a Parigi in modo speciale… non sono riuscita a dirle di no…”.

Lui sorrise a sua volta e si sedette di fronte a lei, osservando per qualche istante i riflessi della candela sul tavolo accendere i suoi capelli di sfumature sconosciute: “Ha avuto una bella idea, in fondo…”, poi abbassò gli occhi e mormorò: “Scusami, so di essere stato molto distratto in questi ultimi giorni… ma sai stavo pensando ai miei genitori…”.

Lei scosse il capo e rispose: “Non ti preoccupare, lo avevo immaginato… domani è il grande giorno, vero?”.

Kevin rise amaramente e annuì con il capo, l’immagine di lei che si sovrapponeva a quella straziante del suo sogno ricorrente.

Kathrine si sporse su di lui e gli sussurrò: “Hai paura?”.

“Un po’” ammise sinceramente lui, non guardandola ancora… se avessi paura per me, non ci sarebbe problema… ho avuto paura per quasi la metà della mia vita, da quando temo che i miei genitori mi nascondano qualcosa … ed invece ho paura solamente per te… e questo, se mai ciò sia possibile, mi fa paura più di tutto il resto…

Kathrine poggiò dolcemente la sua mano su quella del ragazzo, che sollevò lo sguardo da bambino, adesso reso scintillante da lacrime nascoste: “Non devi avere paura… ci sono io con te…”.

Kevin sorrise malinconicamente, pensare che era proprio questo il problema. Strinse nella sua la mano di Kathrine, che arrossì, rendendosi conto dell’improvviso contatto tra di loro, mentre Kevin intrecciava le dita attorno alle sue. Le sussurrò piano: “Non che tu sia una grande forza armata, anzi sei un’emerita fifona, ma comunque ti ringrazio…”. Il suo tono era cambiato, la stava prendendo in giro come sempre, eppure Kathrine notò subito che la sua voce era più dolce, più tenera, più tranquilla di come era di solito. Kevin era cambiato, soprattutto verso di lei, ed ancora una volta si ritrovò a chiedersi perché.

All’improvviso, la piccola orchestrina smise di suonare per concedere un po’ di pausa ai musicisti ed alla cantante. Nell’attesa che riprendessero,  le note di una canzone famosa si diffusero nell’aria primaverile. Alcune coppie si diressero verso lo spazio tra i tavoli per ballare, stretti e cullati dalla dolce melodia e dai riflessi argentati della pallida luna.

“Vuoi ballare?” le chiese Kevin, osservandola e stringendo più forte la mano di Kathrine.

La ragazza sorrise, il volto ancora scarlatto, e si fece guidare da lui, al centro della pista. Si sentiva accaldata e strana, mentre lui la trascinava con sé la mano ancora stretta nella sua, e quando si fermò, lo guardò per qualche istante, come se non capisse dove si trovava. Era da bambina che ballava spesso con qualche ragazzo, alle feste o ai ricevimenti, a cui alle volte suo padre e sua madre avevano dovuto presenziare, spesso avvenenti giovanotti si inchinavano cerimoniosamente di fronte a lei, chiedendole di ballare. Ma quella fu la prima volta, in cui ebbe quasi paura del contatto troppo forte che si stava stabilendo con Kevin, eppure era così serena e calma che niente avrebbe potuto farle paura in quel momento. Lentamente, appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo, che la strinse più forte, la mano aperta sulla sua schiena nuda. Si muovevano piano, senza fretta, perché impacciati, perché impauriti, perché felici, e attorno a loro, sembrava che il mondo avesse abbassato il volume altissimo dei suoi folli ritmi. Per un attimo, entrambi dimenticarono tutto, persino chi fossero, quale era il motivo per cui erano lì. L’importante era esserci, l’importante era essere lì l’uno con l’altra. 

“Domani, torneremo a casa…” disse all’improvviso Kathrine, staccandosi da lui e guardandolo in viso.

“Lo so, Kathrine…”.

“Le cose cambieranno… vero?” chiese ancora lei in un sussurro, stringendo più forte la mano sulla manica della sua giacca.

Kevin inarcò un sopracciglio e rispose: “Probabilmente…”.

Lei abbassò gli occhi e riprese: “Me l’aspettavo… quando torneremo, io tornerò ad essere la mocciosa di sempre, vero?”.

Kevin la guardò ancora, non capiva dove volesse arrivare. Le mise due dita sotto il mento, costringendola a sollevare il viso: “Kathrine, si può sapere che stai dicendo?”.

Kathrine spalancò gli occhi,  intimidita, come se si fosse resa conto solo allora di che cosa avesse detto. La vicinanza di Kevin le aveva fatto perdere il controllo di sé stessa ed aveva detto quello che temeva nel profondo. Lei sentiva di aver condiviso qualcosa di importante con lui, ma Kevin la pensava allo stesso modo? Che cosa dovevano considerarsi una volta tornati a casa? Conoscenti, amici o… non era possibile, in fondo lui aveva ancora Chiyo… una scarica d’orgoglio la riprese all’improvviso… e poi che diamine me ne importa?!

“Niente di importante!” sorrise decisa, portando le sue braccia attorno al suo collo “Non so che cosa mi sia preso!”.

Kevin la guardò scettico, poi ripresero a ballare. Ma la magia che si era creata pochi secondi prima tra loro non ebbe il tempo di ricrearsi. All’improvviso, Kevin sentì il corpo di Kathrine farsi freddo, sembrava diventata un pezzo di ghiaccio. Si era irrigidita ed era immobile tra le sue braccia, la discostò da sé, e si accorse che era pallida, le sue labbra erano violacee e i suoi occhi scrigni di luce spenta.

“Che hai Kathrine?! La smetti di farmi preoccupare?!” le chiese, scuotendola per le spalle.

Ma stavolta lei non fu così celere a rispondere. Rimase immobile, le labbra leggermente dischiuse, gli occhi lucidi e fissi in un punto della sala. Kevin si voltò in quella direzione e vide che non c’era nessuno, a parte un tecnico delle luci con un berretto rosso in testa che stava riavvolgendo il filo di un lampione.

Kevin non ebbe tempo di farle un’altra domanda, perché Kathrine si liberò bruscamente dalla sua stretta e raggiunse velocemente il tavolo. Si sedette e afferrò qualcosa dal tavolo. Un coltello, che nascose nella sua mano.

Kevin si accorse di quei suoi movimenti, e la prese per il polso: “Kathrine si può sapere che diamine ti succede?!”.

“Lasciami stare…” la sua voce era tagliente come una lama e i suoi occhi, sebbene ancora pieni di lacrime, erano lucidi di odio e di rabbia. Continuava a fissare lo stesso angolo di prima e stringeva convulsamente la lama del coltello che ormai le aveva ferito la mano tremante, che adesso sanguinava copiosamente.

“Non vedi che ti stai facendo male?” le urlò nervoso, strappandole finalmente il coltello di mano e attirando l’attenzione degli alti ospiti, dei camerieri e del tecnico, che guardarono interrogativamente verso di loro.

Kathrine spalancò gli occhi, che finalmente ritornarono del loro consueto colore castano luminoso,  e le sue guance si rigarono di lacrime. Si alzò velocemente ed, urtando Kevin, inforcò l’uscita. Il ragazzo stava già per seguirla, ma fu trattenuto da Salinda e Riad, che evidentemente avevano visto tutta la scena e che si affrettarono a chiedere a Kevin il motivo della stranezza di Kathrine.

“Non lo so, ma adesso vado a vedere… vi faccio sapere dopo…” rispose velocemente, prima di inforcare anche lui l’uscita. Si mise a correre giù per le scale, era insolito il comportamento di Kathrine, era stata strana tutta la sera, ma quell’ultima reazione non se l’aspettava proprio. Era scappata via  e sembrava sconvolta. Raggiunse il loro corridoio, sperando che lei fosse semplicemente tornata in camera loro, e spalancò violentemente la porta.

“Kathrine!” la chiamò a gran voce e vide spuntare i suoi capelli biondi al di là della parete di legno della veranda, ricoperta di rampicanti. Si avvicinò a lei e la guardò interrogativamente. Per tutta risposta, Kathrine lo guardò come se non fosse accaduto nulla, i suoi occhi erano ancora rossi, ma il suo viso stava riprendendo colore. Si teneva la mano ferita nell’altra  e faceva abilmente finta che lo strano della situazione fosse Kevin, non lei. Continuava a guardarlo severa e si stringeva nelle spalle sottili, adesso non più coperte dal vestito elegante di prima, ma da una lunga maglietta a maniche corte, troppo grande per lei, che le fungeva da pigiama.

Kevin si tolse la giacca di dosso e la gettò distrattamente su una poltrona, slacciandosi anche la stretta cravatta.

“Si può sapere che ti è successo?” le chiese, avvicinandosi a lei, che si ritrasse leggermente “E’ tutta la sera che ti faccio la stessa domanda ed è tutta la sera che eludi la risposta… e non ho nessuna voglia di adoperarmi continuamente come tuo psicanalista…”.

Lei non rispose e guardò davanti a sé il panorama luccicante della città di Parigi, scie di luci che cadevano e morivano nei suoi occhi. Sospirò e disse, sorridendo: “Hai ragione, non mi sento molto bene…”.

“Questa chiacchiera non funziona…” ribadì Kevin, adesso leggermente nervoso, voltandosi ancora verso di lei “Non sarò certo a pregarti di parlarmene, perché non sono proprio il tipo… anche se forse un’altra persona si offenderebbe, considerato che io invece ti ho raccontato tutto della mia vita e dei miei genitori…”.

Certo, non che questo sia del tutto vero… pensò Kevin, studiando le linee del volto della ragazza accanto a lui Ma, se scoprissi i miei segreti, saresti anche peggio di come stai adesso, solamente per i tuoi…

Kathrine replicò spazientita, muovendosi per ritornare dentro: “Non ho niente Kevin, accidenti… sono solo stanca e voglio andare a letto!”.

“Va bene” si rassegnò lui, seguendola “Ma almeno fammi vedere la ferita che hai sulla mano… stava sanguinando prima…”.  Fece per prenderle la mano, ma Kathrine si ritrasse, autenticamente terrorizzata. Tremava dalla testa ai piedi.

Kevin la guardò ancora, vistosamente amareggiato, e le disse stavolta cercando di essere più dolce: “Kathrine, per favore… che hai? Ho fatto qualcosa? Ti ho fatto stare male?”.

La ragazza, stringendo la mano al petto, negò con il capo. Cercava di trattenere le lacrime, ma sentiva che stavano uscendo, che stavano premendo sotto le sue palpebre e che tra poco sarebbe esplosa. Non voleva, non voleva assolutamente che lui lo sapesse, che Kevin sapesse che cosa le era successo, che provasse pietà, compassione o chissà che cosa. Era riuscita a vivere, dimenticandosi di tutto quello che le era capitato, era un anno che faceva così e le cose andavano bene. O perlomeno lo pensava. Già, le poche allusioni che solo Nick poteva fare, a volte le davano fastidio e cercava di eluderle. In quei momenti, si sentiva sporca, impura e aveva paura che gli altri lo pensassero a loro volta. Non voleva che proprio Kevin lo pensasse, che proprio lui lo capisse. Era riuscita ad essere meravigliosamente allegra e spigliata con lui, e adesso tutto poteva rompersi, infrangersi, come una scintillante cascata di pezzi di vetro. Era ritornata la paura, ancora una volta, la paura di essere toccata, e lui l’aveva percepito. Fu tentata di chiamare Nick, ma sapeva che si sarebbe preoccupato inutilmente. Ma perché le doveva succedere proprio adesso? E perché proprio con lui? Si morse freneticamente il labbro inferiore, mentre diceva piano, sedendosi sul letto: “Tu non hai fatto niente, Kevin… è solo colpa mia… m-mi era sembrato di vedere una p-persona che conoscevo…”

“Una persona che conoscevi? Qui, a Parigi?” chiese Kevin, sedendosi accanto a lei. Cercava di non toccarla,  aveva capito che lei aveva reagito così dopo che lui l’aveva sfiorata. Fino a cinque minuti prima, era tra le sue braccia e sembrava felice, adesso non voleva che la toccasse. Che strano contrasto…

Lei annuì sommessamente, voltando il viso dall’altra parte, poi Kevin le chiese: “Questa persona ti ha fatto soffrire?”.

Bastò quella semplice domanda e le resistenza che aveva posto dentro sé stessa si sbriciolarono, come carta bruciata.

Kathrine spalancò gli occhi, stavolta senza riuscire a fermare le sue lacrime. Come un fiume in piena, il dolore, la frustrazione, la rabbia, il disgusto, ruppero gli argini che aveva difficilmente posto nella sua mente e nel suo cuore. Si voltò verso Kevin, che la guardò sorpreso per quelle sue lacrime così lancinanti, poi si gettò tra le sue braccia, riprendendo a singhiozzare.

Lei non diceva niente, continuava a piangere, senza fermarsi. Kevin non sapeva che cosa fare,  era spaventato da quella sua reazione, ma pensò che lei avesse bisogno di sfogarsi e allora la fece fare, non parlando, ma accarezzandole piano i capelli, mentre lei piangeva, il viso nell’incavo della sua spalla, le lacrime che cadevano lungo il suo collo, portando frescura sulla sua pelle calda. Passò parecchio tempo e lei piano si andava calmando, così lentamente la prese in braccio e la mise a letto. Le rimboccò le coperte, come se fosse una bambina, e si mise anche lui il pigiama, cambiandosi in bagno. Quando ritornò, lei singhiozzava ancora, ma almeno sembrava un po’ più tranquilla.

Si sedette accanto a lei e le accarezzò il viso, e Kathrine gli fece segno di venire anche lui a letto. Si infilò piano, cercando anche stavolta di non sfiorarla, ma questa volta Kathrine si mosse tra le lenzuola, arrivando a lui e appoggiando la testa e una mano sul suo petto. Kevin arrossì, ma cercò di non darlo a vedere.

“Ti senti meglio?” le chiese in un sussurro.

Kathrine annuì piano, ma non sembrava effettivamente rasserenata.

Lui le chiese ancora: “Se vuoi parlare, io sono qui… lo sai vero?”.

Kathrine annuì ancora, poi sospirò e rispose: “Non voglio né che tu mi compatisca, né che tu faccia ogni sorta di commento in effetti… questa è una cosa troppo seria per me, e non l’ho mai detta a nessuno, a parte che a Nick, perché lui si trovò con me quel giorno, altrimenti avrei evitato anche con lui… perciò, non voglio che tu mi dica solo una frase fatta per tenermi contenta… non farlo, per favore… tanto è una cosa senza rimedio, credimi… sento di dovertelo dire, perché abbiamo condiviso qualcosa di importante in questi giorni e perché tu mi hai raccontato dei tuoi… ma non è facile per me, non lo è affatto, quindi per piacere non interrompermi… non è un bel ricordo…”.

Lui annuì e la strinse a sé. Voleva darle coraggio, lo sentiva nella sua pelle ghiacciata che stava soffrendo, che stava male, e voleva che sapesse che c’era, che lui era lì con lei.

Kathrine rimase in silenzio qualche secondo, poi lentamente iniziò a parlare. Le sue parole erano scandite, chiare, voleva evitare che Kevin le chiedesse qualsiasi tipo di cosa. Quel racconto doveva finire quanto prima possibile.

“L’anno scorso, avevo un ragazzo. Non so se alla fine potevo considerarlo tale, ma lo amavo veramente tanto. Facevo di tutto per stare con lui, di tutto, e anche io sono una persona molto pigra, mi iscrissi in piscina, perché ci andava anche lui. Era inverno, e un giorno C.J. , lui si chiamava così, non poté venire perché aveva l’influenza. Io ci andai lo stesso perché dovevo vedere una mia amica che mi doveva dire una cosa importante. Quella sera, la mia istruttrice mi trattenne per più tempo, perché le ero sembrata un po’ svogliata, e voleva chiedermi le mie intenzioni, perché tra poco ci sarebbero state delle gare e, perlomeno secondo lei, io ci avrei potuto partecipare. Senza che me ne accorgessi, si fecero le dieci. Dovevo tornare a casa da sola;  mio padre era a S. Francisco e mia madre aveva delle cose da fare con mio fratello. Mi aveva fatto uscire da sola, solo perché credeva che sarei tornata con C.J. …”

A quel punto, la ragazza si interruppe e prese fiato, adesso veniva la parte difficile. Stava per ricominciare a piangere, ma cercò di far finta che stava raccontando una storia accaduta a qualcun altro. Era l’unico modo per finire quanto prima.

“La piscina era in periferia e per arrivare a casa mia, dovevo passare davanti ad una stazione di servizio, ma prima c’era una lunga strada buia che era al limite di alcuni terreni incolti. Cominciai a camminare, la strada era buia e non c’era nessuno. La gente era già tutta a casa. Iniziai a camminare più veloce, sentivo dei passi dietro di me ed avevo paura. Ma cercai di farmi coraggio e continuai a camminare. Sospirai di sollievo, quando vidi la stazione di servizio. C’era ancora qualcuno, e in particolar modo c’erano dei camionisti che si stavano preparando per partire. Li guardai distrattamente, e ripresi a camminare. Ad un tratto, mi sentii chiamare da uno di loro. Non mi voltai, continuai a camminare, pensavo che non stessero dicendo a me. Speravo che stesse parlando con qualche altro. Poi lo sentii urlarmi qualcosa, tipo “Biondina” o altro, non lo so. Iniziai a camminare sempre più veloce, fino a quando sentii i passi di quella persona dietro di me. Presi a correre più forte che potevo, ma lui mi raggiunse. Iniziò a scherzare pesantemente, seguendomi sempre a breve distanza; io cercavo di non dargli retta, sperando che passasse qualcuno, ma nessuno si accorgeva di me. Gli urlai di lasciarmi stare, voltandomi piano, e lui per tutta risposta mi afferrò per le spalle e mi spinse contro un muro. Avevo paura, avevo tanta paura e mi misi ad urlare, ma lui mi diede uno schiaffo, dicendomi di stare zitta, altrimenti sarebbe stato peggio. Caddi per  terra, avevo il labbro spaccato e cercai ancora di scappare, ma lui mi afferrò forte per il polso e mi gettò contro quel maledetto muro. Iniziò a baciarmi sul collo, cercavo di dimenarmi, di urlare, ma non c’era nessuno in quella dannata strada. Si insinuò piano sotto i miei vestiti, sfiorandomi ovunque, e allora pensai che fosse finita, pensai che mi avrebbe stuprata e non avrei potuto fare niente per impedirglielo. Smisi di gridare e capii che non c’era più speranza. Ci andò vicino, molto vicino, ma non ne ebbe il tempo. Nick… casualmente a casa sua mancava qualcosa, ed era andato un attimo in un supermercato, vicino a casa sua e, per puro caso, aveva sentito le mie urla. Mi aveva riconosciuto ed era corso in quella direzione. Gli mollò un pugno e me lo scrollò di dosso. Quando vidi Nick, pensai che fosse un sogno. Lo abbracciai e lui mi portò a casa sua. Quella sera, non c’erano i suoi e nemmeno Grace e Teddy, e allora dormii lì. Avvisai i miei, e poi pregai Nick di non dirli nulla, sapevo quale sarebbe stata la loro reazione, mi avrebbero tenuto più sotto controllo di quanto facciano adesso, si sarebbero preoccupati, ma ormai quella… cosa… era successa. Tutte le precauzioni che hanno sempre preso con me non erano bastate e, per loro, saperlo sarebbe stata solamente una sconfitta. Avevo solo bisogno di dimenticare. Di scordare quello che era successo e ci sono riuscita. Ma stasera… quell’uomo, quel tecnico gli assomigliava molto e io ho avuto quella reazione… scusami…”

Kathrine si morse per le labbra per cercare di non piangere,  per distogliersi da quel pensiero sollevò lo sguardo per vedere il viso di Kevin, e lo vide con un’espressione strana. Lei corrugò le sopracciglia, pensò che Kevin provasse pietà, strazio, disgusto. Ma in realtà, Kevin non provava niente di tutte quelle sensazioni che lei enumerava nella sua mente. Lui provava la rabbia più cieca, muta e sorda che si potesse provare. Strinse i pugni, pensando a Kathrine, preda di quelle azioni di un uomo che era poco più di un animale. Ma anche lui sentiva in lui qualcosa di simile, qualcosa di ferino, che si dimenava furioso dentro di lui: voleva avere quell’uomo tra le mani ed ucciderlo come un cane, fargli pagare tutto quello che aveva fatto a Kathrine, pensò alla possibilità che quella dannata sera Nick non si fosse accorto che mancava qualcosa in casa, oppure se avesse preferito restare a casa al caldo. La sua rabbia, se possibile, crebbe anche di più. Pensò di usare la magia, anche in quello stesso momento, di trovare quell’uomo e di ammazzarlo, lì, davanti a Kathrine, di farlo a pezzi, davanti a quel cucciolo terrorizzato, che teneva tra le braccia. Abbassò lo sguardo e la guardò di nuovo, i suoi occhi erano specchi di dolore, stava soffrendo, stava malissimo e, per un attimo, gli sembrò di impazzire, respirando nell’aria la sofferenza di lei, che entrava in lui e lo squarciava dall’interno. 

Gli faceva paura.

Era terrorizzato.

Lei…

 lei…

… il suo dolore… inferno… mi sta consumando…

La strinse più intensamente e Kathrine si ritrovò con la guancia premuta fortemente contro il suo petto. La soffocava quasi con il suo abbraccio, ma era così bello che le sembrò quasi che il suo dolore, per la vicinanza con il ragazzo, passasse perlomeno in parte da lei a lui. 

“Di che cosa devi scusarti?” le chiese dolcemente “Di che cosa, Kathrine? Sei sicura che non fosse lui? Lo vorrei avere qui quel bastardo, lo ammazzerei con le mie mani…”.

Kathrine si ritrovò a piangere di nuovo, e strinse le sue braccia attorno alla sua vita, annuendo, il viso immerso nel suo collo.

Riprese a piangere, mentre singhiozzava: “Io voglio solo che questa cosa sparisca dalla mia testa, dalla mia mente, dalla mia memoria… voglio solo dimenticare, e invece non posso! Invece, per sempre questa cosa mi verrà dietro e non se ne andrà mai! Ogni volta che ci penso, ogni volta che mi ritorna in mente, ogni volta che i miei genitori o Nick mi dicono di stare attenta, io sento di nuovo le labbra e le mani di quell’uomo addosso, mi sento sporca e non voglio più essere toccata, sfiorata, baciata da nessuno. E ho paura, una maledetta paura che succeda ancora, che qualcuno mi faccia di nuovo tanto male”.

“Sta tranquilla, piccola” le sussurrò con calma sui capelli e la baciò piano sulla fronte “Non accadrà mai più…”

Ci sarò io con te…

Kevin si ritrovò a pensare quelle parole, ma non poteva dirle, non poteva.

Le accarezzò il viso dolcemente, il suo viso da bambina, i suoi occhi dolcissimi, le sue guance tonde, il suo naso minuto, e poi le sue labbra rosse e piene. Le sfiorò con un dito, adagio,  e si ritrovò a desiderarle, con impeto, con forza, quasi con violenza. Come se potessero accarezzare loro sole quell’animale, nato in lui, e farlo saziare. Di lei, solo di lei.

Vorrei baciarti, Kathrine… sto morendo dalla voglia di baciarti e di sussurrarti sulle tue bellissime labbra, su quelle labbra insolenti, che si aprono sempre per dirmi qualcosa di irritante, che sarò sempre qui con te… ma non ti meriti una bugia, non te la meriti. E sarei un pazzo, se adesso ti baciassi, sapendo che, tra quanto, una settimana, un giorno, qualche ora, potrei andarmene e tornare su Nemesi… e sarei una bestia, peggio di quella che ti ha fatto tutto questo, se ti baciassi solo perché adesso desidero tanto averti…

Kathrine continuava a piangere, e continuò a farlo per tutta la notte. Non si fermava, se non pochi istanti, e rimaneva stretta tra le braccia di Kevin, che cercava solo di tenerla quanto più unita possibile a lui, che sentisse il suo cuore battere forte, come il suo.

 

 

Chiedo perdono!!!! Sembra essere diventato un ritornello! Purtroppo, questa volta non è davvero colpa mia! Come avevo già preannunciato, il mio computer se ne era andato completamente ai pesci, quindi è stato necessario formattarlo e se ne sono andati due mesi buoni perché mio padre non riusciva a ripristinare Internet! Ma adesso sono tornata finalmente, quindi potete godervi questo capitolo nuovo di zecca! Finalmente si è saputo che cosa è successo alla povera Kathrine, una cosa che mi ha fatto enormemente male nello scriverla, ma che era necessaria anche per qualcosa che succederà dopo… nel prossimo capitolo, infatti, finalmente si capirà chi è davvero Kathrine e il motivo del suo particolare potere su Kivar/Kevin. Non vi dico di provare ad indovinare perché mi sono esaurita per trovare una soluzione che non fosse scontata e sono stata così geniale che sarebbe difficile per chiunque! Oggi sono nella fase della presunzione assoluta, scusatemi! Come sempre, ringrazio coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, aggiungendo che mi siete stati di grande aiuto perché, come penso si sia capito, ho sempre bisogno di molti incoraggiamenti per continuare a scrivere! Grazie, quindi a Kashia (scusami tantissimo per il ritardo, ma almeno stavolta non è stata colpa mia!! Grazie tantissimo), Izayoi 007 (grazie dei complimenti, sono sempre contenta di trovare nuovi lettori quasi quanto di trovare quelli che mi seguono da sempre! So che questa storia è davvero molto incentrata su Kathrine e Kevin, in effetti credo che siano loro i protagonisti della storia! Quindi, sicuramente ci sarà meno di Ryan e Strawberry qui! Comunque per loro due, li rivedrai presto, già nel prossimo capitolo! E comunque la mia indole perfida non li lascerà in pace… insomma, alla fine le passeranno anche loro di tutti i colori… un bacione!),  Black_pill (grazie tantissimo! Una piccola precisazione: Profondo blu, ormai, è bello che morto… quello che Kivar sente nella mente sono i ricordi di PB, ma non lui stesso… mi dispiace non essere stata chiara, ma spero di essermi spiegata adesso! Un bacio!), Mew Pam (la mia Pammina! Hai perfettamente ragione, Kivar in effetti è un po’ strano, credo di assomigliargli parecchio nei mie scatti emotivi strani!! Purtroppo, non ho nemmeno MSN, non avendo l’Adsl mio apdre non ne vuole sapere di metterlo… comunque, se vuoi contattarmi, almeno l’e-mail mi funziona nel mio computer giurassico!!! Per sapere di che altro cavolo ha fatto C.J. a Kathrine, dovrai aspettare ancora due capitoli!), Hermy6, Aya chan (la mia Ayuccia! Come vedi, finalmente ho aggiornato anche questa storia… grazie per le tue puntualissime recensioni, io invece con la tua storia sono sempre in ritardo! Ti rispondo qui solamente per quello che riguarda la recensione, tanto per il resto ci sentiamo via mail… come sempre, sei troppo buona con me, ti dico la verità: il mio più grande sogno sarebbe quello di pubblicare un libro, ma non penso di essere così brava! E poi sono troppo contenta che tu abbia notato un miglioramento nel mio modo di scrivere, a me sembra che scrivo sempre nella stessa maniera!!! Per Roswell, a me piace tantissimo, adesso lo sto rivedendo a sprazzi su MTV… la mia coppia preferita sono indubbiamente Micheal e Maria; li adoro forse perché rappresentano il mio ideale di coppia! E poi perché sono molto simile a Maria… ed anche perché il famoso “ragazzo perfetto” è molto simile a Micheal, tolti tutti i traumi infantili… sto impazzendo!!! Un mega bacione!!) e Lunachan 62 (questa volta ho lasciato persino in un punto peggiore della volta scorsa, eh? Grazie anche a te!).

Approfitto di questa sede, anche se può darsi che non leggeranno questa storia, per rimgraziare tutti coloro che continuano a recensire Beyond me and you… grazie tantissimo… adesso scappo… ciao da Cassie chan!!!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Must not meet again ***


Capitolo 10- Must not meet again

Capitolo 10- Must not meet again

 

Kevin si svegliò all’improvviso, di soprassalto, ma non aveva avuto quel suo solito incubo. Stavolta non era stato quel sogno a farlo svegliare. Guardò l’orologio, erano le dieci passate. L’appuntamento con Melissa ed Herik era per le sette e mezzo.

Chissenefrega…

Guardò sotto di lui, Kathrine dormiva ancora, apparentemente serena. Respirava piano, i suoi occhi apparivano ancora arrossati, ma lei sembrava respirare regolarmente, non c’era più la convulsità di quegli intollerabili singhiozzi che ancora sentiva nelle sue orecchie. Le accarezzò piano la guancia, sentiva ancora il cuore spezzato da quell’immenso dolore che lei gli aveva provocato con quella sua confidenza del giorno prima. Lei si mosse piano e si appoggiò meglio sul suo petto, e lui sorrise. Poi con attenzione cercò di sollevarsi, non svegliandola, e riuscì a farlo, facendola appoggiare di nuovo sul cuscino. Si vestì velocemente, dopo aver fatto una doccia, e scese per strada, dove l’accolse un’ancora fredda e sonnacchiosa Parigi. Voleva che il risveglio fosse quanto più dolce possibile, voleva che lei tornasse a sorridere e dimenticasse effettivamente quello smisurato dolore, che aveva condiviso con lui quella notte. Era strano che avesse tanto a cuore una persona che non facesse parte della sua famiglia, e soprattutto una persona che doveva essere solo un mezzo per raggiungere i suoi scopi.

Bè che me ne importa? L’importante è che lei stia bene…

In poco tempo, entrò in una pasticceria e comprò un paio di brioche fumanti, ripiene di crema e marmellata alle fragole, come piacevano a lei, poi passò da un fioraio e le comprò un mazzo di girasoli, trattenuti assieme da un nastro verde, e infine un braccialetto con dei ciondoli a forma di margherite bianche e gialle, con un basco con due margherite dello stesso tipo. Ritornato in albergo, prese un pezzetto di carta e le scrisse un piccolo messaggio, pregando Riad di consegnarle tutto. Poi Kevin si andò a sedere nella sala comune per fare colazione a sua volta.  L’uomo sorrise, evidentemente la sera prima i due avevano litigato e lui adesso cercava di fare pace, e si affrettò ad andare a bussare alla porta della stanza di Kathrine.

La ragazza si svegliò bruscamente, borbottando tra sé e sé, finalmente stava dormendo profondamente! Si guardò attorno, non c’era traccia di Kevin… dove cavolo era andato? Quel ragazzo era veramente strano, l’aveva lasciata da sola per l’ennesima volta… si alzò pigramente dal letto ed andò ad aprire la porta, convinta che fosse lui. Quando si ritrovò davanti Riad, con l’enorme vassoio per le mani, pensò subito ad un regalo dell’indiano e della moglie. Poi notò un piccolo biglietto in carta rossa, coperto da qualche parola, scritta con una grafia disordinata.

 

Stamattina ho pensato di farti questo regalo perché ammetto di essermi preoccupato parecchio per te stanotte. Ma lo so che tu sei forte, sei maledettamente forte, e riuscirai ad andare avanti. Riuscirai a dimenticare e a non darla vita al bastardo, che ti ha fatto questo. So che non volevi frasi fatte, e forse queste lo sono. Per questo, te le ho scritte, e non te le ho dette. Quando scenderai, sarà come al solito, tu non ne parlerai e io nemmeno. Torneremo come sempre, perché tu sei una bella persona, e io voglio che tu lo rimanga, nonostante tutto questo. E se non ci credi, pensa a quello che hai fatto per me e risponditi che un’altra persona non lo avrebbe mai fatto per uno che è praticamente uno sconosciuto. Grazie Kathrine.

                                                                                                                                                                                                      Kevin    

 

Kathrine sorrise leggermente stupita da quel piccolo messaggio, e addentò una brioche. Si sedette in veranda e si mise a guardare il cielo nuvoloso di Parigi. Kevin aveva ragione, aveva ragione, doveva andare avanti, non tanto perché così la sua vita si sarebbe fermata, non tanto perché avrebbe avuto paura di essere toccata da alcun’altro uomo, ma per quel maledetto che le aveva fatto male. Per lui. Perché, dovunque fosse, non avesse la soddisfazione di averle rovinato la vita. E poi, non era anche ora che tornasse a pensare in positivo come faceva sempre? Lui non ci era riuscito, non le aveva fatto quello che voleva, la fortuna era stata dalla sua,  e forse da quell’esperienza poteva ricavare qualcosa di positivo. Tipo essere più prudente, tipo stare più attenta, tipo ascoltare le continue raccomandazioni dei suoi genitori. Mentre si guardava allo specchio, provandosi il basco che le aveva regalato Kevin, sorrise. C’era un altro insegnamento che quella esperienza le aveva insegnato.

Le persone non sono mai come sembrano… solitamente possono anche essere meglio… molto meglio…

 

 

“Vuoi dire che questa è casa tua?!” eruppe Kathrine in una esclamazione di autentica sorpresa, premendo una mano sul suo nuovo basco, che le stava per volare via per una folata troppo forte di vento

“Perché che c’è di strano?” chiese Kevin, leggermente contrariato. Va bene che quella non era veramente casa sua, ma solo la dimora provvisoria di Herik e Melissa, ma se Kathrine avesse visto la sua vera casa, il palazzo di Nemesi, sarebbe rimasta ben più sorpresa.

Kathrine lo guardò ancora perplessa, poi disse scettica: “Non ti facevo così…”

“Così cosa, Kathrine?!”

“Insomma, vivi in una specie di castello!”disse alla fine lei, guardando l’elegante casa che c’era di fronte a lei. Assomigliava molto a quei ridenti cottage che si trovavano sulle sponde dei laghi montani, con i mattoni a vista,  e i rampicanti sulle pareti esterne. Le sue finestre erano circolari e dall’aspetto abbastanza antico, esattamente come il porticato che metteva in comunicazione la porta d’ingresso e il grande giardino. Quella casa doveva essere abbastanza antica da valere parecchio…

“Che ti avevo dato l’aria di essere un poveraccio?!” le chiese lui, guardandola dall’alto in basso

“No, ma insomma…” farfugliò lei, per poi ammettere con un sorriso falsamente colpevole “…diciamo che siamo là…” .

“Perché vivo in un piccolo appartamento per studenti non significa che sia lo stesso per i miei… ti ricordo che io sono scappato da questa casa… e adesso vivo per conto mio… se non devo contare sulle loro finanze, ma solo sulle mie, è normale che non posso permettermi granché… ” le spiegò lui, come se stesse parlando ad una bambina particolarmente testarda e capricciosa.

Kathrine fece un piccolo verso d’assenso,  anche se non era del tutto convinta, mentre Kevin, alzando gli occhi al cielo,  si decise a suonare finalmente il campanello.

Nessuna voce rispose, ma in compenso il portone di ferro battuto si aprì con lieve cigolio. Kevin sorrise tra sé e sé, era chiaro che Herik e Melissa li avevano già visti arrivare.

Kathrine lo tirò per la manica della felpa e gli chiese: “Sei sicura che i tuoi non ci siano? E se poi ti vedono?”

Kevin rispose noncurante: “Per questo devi entrare prima tu e avvisarmi se loro ci siano o meno… se sì, ce la diamo a gambe… chiaro?”

“Non mi sembra granché questo piano…”

“Ma siccome è l’unico che ho, ci dobbiamo arrangiare, va bene?!” replicò lui nervoso, per poi spalancare gli occhi, quando lei gli chiese: “Tu non hai fratelli, vero? Quindi non c’è rischio che devo stare attenta anche a loro?”

Kevin la guardò soprappensiero per qualche istante… Povera, povera Elissa… che cosa ti ha fatto mio fratello?… per un attimo, il ragazzo moro si fermò, memore del suo sogno, di quello che aveva visto, di quello che lo perseguitava da giorni. Kathrine ferita… e poi quelle strane parole che prendevano sempre il suo cervello, in ogni momento… Elissa e … suo fratello, o chiunque egli fosse… tracce scolorite, ma incise a sangue e fuoco… come se fossero ricordi di una vita precedente… già, come se questo fosse possibile… doveva cercare di calmarsi, sia per lui che per Kathrine… sapeva di che pasta erano fatti Herik e Melissa, non si fidava totalmente di loro, e quindi doveva sempre stare attento a Kathrine.

Percorsero il viale in silenzio, fino a fermarsi davanti alla porta d’ingresso. Finse di nascondersi dietro un cespuglio, mentre Kathrine suonava il campanello. Il sangue gli si congelò nelle vene. Un’ombra scura si abbatté su Kathrine, tramortendola, mentre la ragazza cadeva supina a terra. Uscì dal suo nascondiglio per soccorrerla e per scagliarsi contro il misterioso aggressore, ma un dolore acuto lo colpì alla nuca: i suoi occhi si annebbiarono, e non sentì più nulla.

 

 

Kevin serrò forte gli occhi, sebbene fosse ancora incosciente. Cercava di aprirli, ma non c’era niente da fare, erano come bloccati, voleva solo continuare a dormire. Mentre piano ritornava cosciente, avvertì chiaramente di essere stato avvolto per qualche istante da un bagliore dorato, che gli aveva spalancato gli occhi, sotto le palpebre chiuse. Cercò quasi di ritornare a quella piacevole sensazione di nulla, che provava prima, ma non ci riuscì. Stava ritornando ad essere cosciente. E immediatamente un ricordo incatenò i suoi pensieri… Kathrine … finalmente, cercò di risollevarsi ed aprì gli occhi azzurri, guardandosi disperatamente intorno. Era in una camera scura, buia e polverosa, ed era disteso su una specie di divano, con una fodera di colore rosso cupo, che però era ormai stinta e simile ad un rosa antico. Si mise una mano sulla nuca, che pulsava enormemente mista ad un senso d’intrusione, come se qualcuno fosse entrato nella sua mente. Adesso ricordava… qualcuno lo aveva colpito sulla testa e lui aveva perso i sensi. Chi era stato? Melissa? Herik? E perché? E poi… da quanto tempo era incosciente? Che cosa avevano avuto il tempo di fare a Kathrine?

Si risollevò, ma, mentre lo faceva, sentì una voce morbida perforargli il cervello: “Allora, Vostra Altezza, finalmente vi siete svegliato… temevo che vi sareste perso tutto lo spettacolo…”

Sollevò lo sguardo e vide che sopra di lui levitava, dolcemente sospesa, Melissa, che lo guardava con quel suo solito sorrisino beffardo.

“Cosa è successo? Dov’è Kathrine?” chiese più furioso che preoccupato

“Calmatevi, Altezza!” rise lei, scendendo e ponendosi di fronte a lui “La vostra amica sta benissimo… siamo molto vicini a scoprire il suo mistero, c’è il Maestro con lei adesso…”

“Herik? Che le sta facendo?” 

“Nulla di irreparabile, ve l’ho detto…” ripeté Melissa, ancora sorridente

Kevin si sollevò bruscamente dal divanetto, poi, in un fascio di luce, comparve una spada affilata nelle sue mani, che furioso puntò alla gola dell’esterrefatta ragazza: “Che diamine le sta facendo, dannazione?!” urlò, senza cercare di moderarsi. 

Melissa deglutì rumorosamente, e rispose, senza più ombra di falsi sorrisi: “Sono da quella parte, nella stanza attigua…”

Kevin la lasciò bruscamente e lei ricadde per terra, tenendosi la gola. Era la prima volta che aveva avuto paura, strano… il ragazzino le aveva fatto paura… sorrise gioiosamente tra sé e sé…

Il ragazzo intanto varcò la soglia della stanza attigua, l’elsa della spada sempre in pugno, dopo aver recuperato il suo aspetto alieno. I suoi capelli erano solo leggermente più lunghi, ma per il resto era esattamente uguale a prima, a parte l’uniforme bianca ed oro. Non si preoccupò molto della possibilità che Kathrine lo vedesse… …l’importante che lei sia ancora viva…

La sua attenzione fu attirata da un bagliore, che veniva dalle sue spalle, dove, coperta da una tenda azzurra, c’era una piccola porta.  La varcò in silenzio, e quello che vide lo lasciò a bocca aperta.

Era assolutamente impossibile che in quella casa, nonostante tutto, abbastanza piccola, esistesse una stanza così grande. Era praticamente immensa, di almeno una decina di metri,  che si snodavano sotto le forme filiformi di una serie infinita di colonne bianche con capitelli dorici. Kivar continuò a guardare quelle colonne senza capire adesso dove si trovasse, come se all’improvviso fosse uscito da quella casa e fosse in un luogo al confine dell’Universo. Tutto attorno era un velluto di stelle, e sembrava quasi di volteggiare, non esisteva più alcuna forza di gravità.

Sentì una presenza dietro di sé, e si voltò prontamente con la spada sguainata, per poi fermarsi, quando si rese conto che si trattava di Herik. Quell’uomo gli aveva sempre dettato inquietudine, sebbene lo avesse visto pochissime volte; di solito, era Melissa che incontrava, non lui, quello che Melissa chiamava il “Maestro”. Il suo volto non era mai visibile, perché indossava sempre una lunga tunica nera, con un cappuccio pesante in testa, da cui di tanto in tanto baluginavano due sottili ed angoscianti occhi oltremare, che rabbrividivano i pensieri. Nelle mani rugose, teneva un lungo bastone, sormontato da una gemma di colore rosso fuoco, che accendeva i capelli candidi e lunghi, che uscivano dal suo cappuccio.

“Dov’è Kathrine?!” chiese Kivar, senza preoccuparsi di poterlo offendere “Perché avete tramortito me e lei?”

Lui all’inizio non rispose, limitandosi a superare Kivar: “Per questa ragione, Vostra Altezza… perché non mi avreste dato libertà di agire… ci tenete molto a lei, vero?” concluse con la sua voce, che sembrava spaventosamente simile ad una risata

Il ragazzo non si scompose minimamente, in fondo stava studiando per succedere a sua madre alla presidenza di Nemesi, quindi doveva più che mai abituarsi a trattare con personaggi del genere: “Quello a cui tengo o di cui mi importa non è affare né tuo, né di Melissa… se dovesse ripetersi una cosa del genere, la nostra collaborazione terminerà qui,  e non mi dispiacerà molto… il vostro aiuto al momento non mi ha ricavato nulla, non avete dato risposta a nessuna delle mie domande, e molto probabilmente avrei avuto molti più responsi, se avessi messo sotto torchio mia madre… quindi vediamo di sbrigarci… per prima cosa, voglio vedere se sta bene Kathrine, poi parliamo del resto…”

Herik emise un rantolo ed indicò un angolo dell’immensa stanza, dove splendeva una forte luce dorata, che chissà perché, Kevin non aveva notato prima. Corse in quella direzione e rimase immobile, senza parlare, guardando quello che aveva di fronte.  Di fronte a lui c’era Kathrine, abbigliata come una principessa, aveva un lungo vestito bianco, con una gonna molto ampia e con lo scollo rotondo.  Era in orizzontale, sospesa nell’aria, esattamente come lui, ed era ancora incosciente, i suoi capelli biondi che cadevano lascivamente oltre le sue spalle e volteggiavano piano, leggermente trattenuti da una corona di grandi fiori rosa. La cosa più singolare era però che le sue braccia erano aperte e ricadevano, disegnando una specie di v, e che dalle sue mani cadevano gocce di sangue scuro; aveva infatti due grossi tagli su ambo le mani.

“Perché è ferita?” chiese Kivar, voltandosi con rabbia verso Herik

“Ci serviva il suo sangue…” rispose l’uomo, avvicinandosi di nuovo al ragazzo “Guardate che cosa c’è sotto di lei…”

Kivar lo guardò senza capire, poi si decise a sporgersi. Aveva già notato che le gocce di sangue, arrivate ad una certa altezza, sparivano, ma adesso si rese conto del motivo. Sotto di Kathrine, c’era un grande cerchio dal bordo luminescente, che era tremolante ed ondeggiante, come la superficie di un lago. Nonostante questo, si vedeva perfettamente che cosa c’era dall’altra parte.

“Nemesi…” mormorò Kivar sorpreso all’indirizzo di Herik “Com’è possibile? Quello è il collegamento che avete usato tu e Melissa?”

“Assolutamente no, Altezza… il nostro collegamento si trova nelle fondamenta della Cattedrale di Notre Dame, che, se ben ricorda, viene considerata il centro della Francia… lì, c’è molta energia mistica…” rispose Herik con voce stavolta indecifrabile “Questo collegamento è stato appena aperto… e lo ha aperto lei, la vostra Kathrine…”

“Lei?!” chiese sgomento Kivar

Herik rise ancora, poi si decise a continuare: “Esattamente, Altezza… certo c’è voluta un po’ di magia per indirizzare il suo potere, ma è stata la sua energia ad aprire un portale, qui, in questo momento… una cosa che, come voi ben sapete, è impossibile ai poteri della nostra razza, altrimenti io e Melissa lo avremmo fatto per venire qui, senza farvi scomodare a venire in Francia…”

“E allora Kathrine come ha fatto? E’un’aliena per caso?”

“No, assolutamente no…” rispose Herik, dandogli le spalle “E’una terrestre, ma possiede più potere di qualsiasi essere vivente dell’intero Universo… ci abbiamo messo parecchio per capire bene di che creatura si trattasse, ma alla fine l’abbiamo capito. Sapete, pensavamo che fosse poco più di una leggenda, e invece una creatura del genere esiste davvero…”

Kivar sospirò nervosamente, sembrava che ci godesse a lasciarlo in sospeso.

“E allora?” chiese irrequieto

“E’ una Creatura di Luce…” rispose Herik, voltandosi di nuovo verso di lui “Ne ha mai sentito parlare?”

Kivar negò con il capo, mentre Herik si affrettava a continuare: “Sapete che tutto l’Universo è regolato da due grandi principi, quello della Simpatia e dell’Antipatia, della capacità e della predisposizione degli elementi ad attrarsi o respingersi. Da essi, non appena comparvero i primi esseri viventi, dotati di raziocinio e di sentimenti, discesero quattro emanazioni, dette Forze ancestrali:  dalla Simpatia, nacquero l’Amore, forza positiva dell’interno dell’animo, e la Speranza, forza positiva dell’esterno dell’animo; ovverosia, se la prima spingeva a migliorare il proprio animo,  la seconda spingeva a credere di migliorare la realtà esterna. Dall’Antipatia, invece, nacquero l’Odio e il Dolore, anche loro emanazioni rispettivamente interiore ed esteriore…

“Queste Forze regolano l’Universo e spesso intervengono, se l’equilibrio tra di loro viene sconvolto. Per farlo, ovviamente, usano coloro che le sentono dentro di sé, gli esseri viventi. E così, per esempio, esistono i Raggi della Speranza, che sono migliaia nell’intero Universo, persone dotate di una forza d’animo e di una speranza incrollabile nel domani, ma che al contrario hanno una vita, che difficilmente altre persone riuscirebbero a sopportare. Ma il potere della Speranza si incarna in loro contro la minaccia dell’Odio e del Dolore, che potrebbero corrompere le loro fragili anime. 

“Le Forze che si legano con più difficoltà sono quelle dell’Amore e dell’Odio, le cosiddette Forze Pure; gli esseri umani e noi alieni difficilmente odiamo o amiamo in maniera così pura e perfetta da richiedere il loro intervento.  Ma alle volte questo è successo, e ciò accadde con precisione, qualche tempo fa… un alieno riuscì ad odiare in maniera perfetta, ed invece un’umana riuscì ad amare in maniera pura. Posso solo dirvi che quest’ultima era la madre di questa ragazza, e si chiamava Strawberry Momomiya…”

“La madre di Kathrine?!” chiese Kivar, sorpreso. Aveva visto giusto allora… il mistero di Kathrine è nei suoi genitori…

“Sì, questa donna amava profondamente un essere umano di nome Ryan Shirogane…” riprese Herik con voce atona “La vita di questa persona era stata messa in pericolo da quello stesso alieno che aveva raggiunto la perfetta chiarezza dell’Odio… le due forze si scontrarono, come era inevitabile che accadesse, ma la donna terrestre ebbe la meglio… questo fu possibile perchè ella, oltre che all’aspetto dell’Angelo Scarlatto, protettore dell’Amore,  assunse totalmente, sebbene per qualche istante, anche il picco della Speranza e del Dolore. In lei, si collimarono queste anime e lei ebbe la meglio sull’alieno, che aveva dalla sua solo il potere dell’Odio. Ebbe in sé, anche se per poco, tre delle Forze Ancestrali dell’Universo, diventando per pochi e preziosissimi istanti una Creatura di luce, che nasce proprio dalla fusione di tre forze, che chiaramente saranno con molta più facilità da una delle Forze Pure, più le altre due forze minori…

“La vostra amica è invece, come vi ho detto, una completa Creatura di Luce, una creatura rarissima, ne saranno esistite soltanto una o due dall’inizio della Vita. Esse nascono, quando quei tre poteri permangono nel corpo di una persona, che entro cinquantuno cicli lunari mette al mondo un figlio di sesso esclusivamente femminile. Come è chiaro, è una condizione molto difficile… per prima cosa, la Creatura di Luce originaria deve essere donna, perchè quei poteri devono passare fisicamente dalla madre al nascituro, cosa possibile solo per una donna che porta in grembo il proprio figlio;  in secondo luogo, dopo circa quattro anni, se non ci sono state gravidanze,  nascerebbero bambini assolutamente comuni; poi la Creatura di Luce, a meno che non si tratti solo di uno stato temporaneo, può essere solo donna perchè solo quel sesso esplica già in sé il principio della vita, che compendia e riassume i tre poteri ancestrali”

Kivar rimase a bocca aperta, Kathrine era tutto questo…

“Ma che genere di poteri hanno queste creature?” chiese assolutamente allibito

“Tutto…” rispose sinteticamente Herik “Una Creatura di Luce potrebbe fare tutto, se solo lo volesse e sapesse usare al massimo i suoi poteri… loro sono Chiavi, e la realtà può essere facilmente paragonata ad una serie infinite di Porte, lo sapete vero? Lo insegnano nelle lezioni elementari di Magia.  Porte tra un prima e dopo, tra uno stato e un altro, tra un posto e l’altro,  persino ci sono porte tra l’ordine e il caos. Capite adesso? La Creatura di Luce potrebbe aprire tutte queste porte… è una chiave, anche se avendo forma vivente, in molti casi, morirebbe se aprisse porte troppo imponenti. L’ordine dell’Universo è ovviamente contrario a queste creature, perchè hanno di più potente solo la comunione di tutte le Forze Ancestrali, ed esse potrebbero sciogliere vincoli imposti da quelle stesse forze. Vi faccio un esempio…”

Herik si fermò, poi sorrise… c’era un esempio perfettamente calzante da fare all’impietrito ragazzo, che aveva davanti agli occhi. 

“Ci sono delle Creature che erano state votate ad una forza dell’Antipatia, o Dolore o Odio quindi… esse provocarono distruzione nella loro vita, costringendo ad intervenire le forze eminentemente positive… dato che è considerato un crimine irrevocabile distruggere delle anime, esse vengono solitamente purificate e li viene concessa una nuova vita… si chiamano Creature Corvine… anch’esse hanno importanti poteri discendenti dalla loro vita precedente, ma nello stesso tempo hanno ricordi incatenati che premono per uscire… se uscissero, quelle anime molto probabilmente ritornerebbero esattamente com’erano prima. Esiste una legge dell’Universo che vieta che vengano in contatto con una Creatura di Luce perchè essa potrebbe sciogliere i legacci posti alla memoria di queste creature… capite adesso?”

“E io allora? Che cosa c’entro con Kathrine?” chiese Kivar, cercando di fare chiarezza nel suo cervello troppo confuso

“Altezza, alle volte siete molto ingenuo, lasciatemelo dire…” rise Herik “Mi sembra ovvio… la vicinanza con Kathrine potrà fare chiarezza anche nella sua memoria… le permetterà di ricordare cose, che potrebbe aver visto da bambino, ma adesso che non ricordate più…”

Kivar rivolse lo sguardo verso Kathrine, che era ancora incosciente alle sue spalle. Era questo il suo strano potere… era una Creatura di Luce, lei gli avrebbe restituito il suo passato…

Non si accorse Kivar di una risata nascosta dietro un cappuccio di colore nero. Non si accorse di un pensiero che aveva cullato la mente dell’uomo anziano di fronte a lui. Non se ne accorse, e si affrettò a riprendersi Kathrine, e ad andare via. Non poteva accorgersene. Forse Kathrine avrebbe potuto, ma non lui. Lui… una Creatura corvina.  

 

 

Dall’altra parte del mondo qualcuno non ne valeva sapere di prendere sonno, si rigirava nelle lenzuola troppo fredde e troppo pesanti. Strawberry si sollevò all’improvviso, incapace di addormentarsi, e si passò una mano sulla fronte bagnata di sudore freddo. Ogni volta che Ryan non c’era, lei faticava ad addormentarsi, quando lui tornava, la prendeva in giro, e lei ci rideva sopra, ma in quei momenti in cui la sua camera da letto si tingeva di mille ombre minacciose, non le veniva più tanto da ridere. Come se non bastasse, quella sera mancava anche Kathrine e lei da brava mamma apprensiva qual’era, era preoccupata per lei. Chissà come se la cavava… fu quasi tentata di chiamarla, ma poi guardò l’orologio sul suo comodino. Per Kathrine non c’era assolutamente alcun problema, a Parigi erano solamente le cinque di pomeriggio , ma da loro era l’una di notte e, se l’avesse chiamata, avrebbe fatto la figura della madre nevrastenica. Di sentire Ryan non se ne parlava proprio, l’avrebbe presa in giro per tutta la durata della telefonata.

Accese la luce del comodino e afferrò un libro, aprendola ad una parte segnata, cercando di conciliarsi il sonno. Ma dopo qualche riga, qualcosa attirò la sua attenzione, uno strano bagliore dorato fuori dalla finestra. Sorpresa, pensando ad una luce lasciata accesa, si alzò dal letto, infilando la vestaglia e si avvicinò alla finestra, per notare solamente che il bagliore era scomparso e che la notte era rimasta scura e nera, come al solito.

Si voltò per tornare a letto, ma notò con ulteriore sorpresa che sul suo letto splendeva una sfera di luce dorata, esattamente come quella che aveva visto poco prima, si spaventò ed urlò, attirando l’attenzione di Ghish, Blanche, Lory e Pie, che dormivano in stanze accanto alla sua.

“Cosa c’è?” chiese Ghish, entrando, mentre Strawberry indicava tremante la sfera di luce, che baluginava e ruotava su sé stessa.

“Che diamine è?” si chiese Pie, tenendo dietro di sé Lory

“E’ molto simile a quella sfera azzurra…” balbettò Lory “A quella che poi era l’anima di Ryan…”

Strawberry sbiancò, terribili ricordi che l’assalivano a valanghe, e si avvicinò alla sfera, che nello stesso istante prese ad espandersi, e a brillare molto forte. Quando cessò di splendere, al suo posto c’erano tre figure di donna, abbigliate nella stessa maniera: la prima era uguale ad Elissa, ed indossava un peplo rosa, con grandi ali bianche sulla schiena, come quelle di un angelo; la seconda era uguale a Paddy, ed aveva un peplo di un tenue giallo, stavolta con delle ali dorate e trasparenti, simili a quelle di una libellula; la terza aveva invece l’aspetto di Pam, ed vestiva un peplo azzurro scuro, con relative ali dello stesso colore, stavolta simili a quelle di una farfalla.

“Chi siete voi?” domandò spaventata Strawberry alle tre donne, che la guardarono sorridendo.

“Vuoi dire che non ci riconosci, Strawberry?” replicò quella con l’aspetto di Elissa “Eppure mi hai vista per parecchio tempo…”

Strawberry mormorò: “T-tu sei uguale ad Elissa… ma non puoi essere lei… Elissa è morta… io ho liberato il suo spirito… e anche loro due non possono essere Paddy e Pam…”

“Non lo siamo… abbiamo assunto queste sembianze per sembrarti più familiari e perché nessun essere vivente può vederci nella nostra vera forma… erano quelle più congeniali a non turbarti, e più adatte alla nostra essenza… ed era assolutamente indispensabile per noi comunicarti questo messaggio…” rispose glaciale quella con l’aspetto di Pam

“Allora voi chi siete?” chiese Lory, avvicinandosi

Quella con l’aspetto di Paddy rise e si rivolse a Blanche: “Si vede che la nostra principessa illegittima ha altro a cui pensare… altrimenti vi avrebbe già risposto lei… non è vero, Blanche? Hai capito chi siamo?”

Tutti si voltarono verso Blanche, che aveva come al solito gli occhi profondamente cerchiati, la quale annuì stancamente, poi sospirando rispose: “Credo che voi siate delle materializzazioni dei Guardiani delle Forze Ancestrali del Mondo… in poche parole…” e si rivolse alla donna con l’aspetto di Elissa: “… lei è di nuovo l’angelo scarlatto dell’amore, non è vero?”

“L’angelo scarlatto?” chiese stupefatta Strawberry, voltandosi verso di lei “E le altre due?”

“Io sono l’angelo aureo della Speranza…” disse sorridendo quella con l’aspetto di Paddy, mentre quella con l’aspetto di Pam disse fredda: “Io sono il demone cobalto del Dolore…”

Strawberry annuì confusa, poi, un dolore allo stomaco, chiese sgomenta: “E’ successo qualcosa a Ryan?”

“No, Ryan non c’entra niente stavolta…” disse tranquillamente l’angelo scarlatto “L’anima di Leon e quella di Ryan sono in armonia perfetta… al momento della morte, le loro anime si separeranno, e Leon tornerà nelle dimore celesti, accanto allo spirito di Elissa… e sorte diversa avrà quella di Ryan… non è loro il problema… e nemmeno Profondo Blu, che come sapete non esiste più…”

“E allora cosa?” chiese Ghish nervoso

Il demone cobalto del Dolore mormorò solo, rivolto a Strawberry: “Tua figlia…”

“Kathrine?! Che le è successo? Come sta?” implorò terrorizzata Strawberry

“Sta benissimo, Strawberry… tua figlia sta benissimo… non è assolutamente in pericolo…” rispose rassicurante l’angelo della Speranza, poi aggiunse: “Il problema è un altro… sappiamo che Profondo blu, o meglio colui che è chiamato adesso Kivar, non è più qui… è vero, Blanche?”

La donna aliena annuì tristemente, e poi chiese con un filo di voce: “Sapete dov’è?”

L’angelo scarlatto negò con il capo e disse: “Chi non vuole essere trovato, non può essere rintracciato, nemmeno da noi… e tuo figlio non lo vuole, e inoltre adesso è protetto da potente forze oscure che ne celano la nostra vista…”

Blanche si portò le mani al viso pallido, mormorando: “E’ di nuovo lui, è tornato ad essere Profondo blu?”

“No, la sua anima è ancora pura… ma lui potrebbe tornare ad esserlo…”

“Come?” chiese Ghish, sorreggendo la giovane moglie

“Se incontrasse Kathrine…” rispose l’angelo aureo

“Perché?” chiese confusa Strawberry “Che cosa c’entra mia figlia?”

“E’ una legge dell’universo… non è affare di voi mortali…” rispose sbrigativo il demone cobalto “Voi avete già ficcato troppo il naso nelle cose che riguardano l’intero Universo, per salvare il vostro piccolo pianeta… voi siete solo piccoli esseri come milioni di altri nell’Universo, e dovete sottostare a queste leggi… esse sono create per garantire l’ordine. E la loro comprensione va oltre la vostra mente, e il senso della vostra stessa esistenza… e pertanto non avete diritto di conoscerle…”

“L’unica cosa che conta per voi sapere è che Kivar e Kathrine non dovranno mai incontrarsi… mai, per nessun motivo… dovete impedirlo… con ogni mezzo, o tutto verrà gettato nell’oblio…” aggiunse l’angelo scarlatto

“Ma cosa c’è di più potente di voi? Non capisco…” mormorò Lory non del tutto convinta

“Nulla, è questo il punto…” replicò malinconico l’angelo aureo, poi riprese con voce più decisa: “I Guardiani sono quattro, ma adesso ne vedete solamente tre…”

“Il quarto Guardiano… chi è?” chiese sottovoce Strawberry

I tre Guardiani riposero nello stesso tempo: “Il demone corvino dell’Odio… egli rievocherà l’anima di Kivar, quella di Profondo Blu, che era sua di diritto, se lui incontrerà Kathrine… e non potendola avere dato che essa ora è pura, pretenderà qualcosa che non possiamo dargli… ed allora forse l’intero Universo sarà lo scotto minore…”

“Certo che queste profezie sono sempre molto rassicuranti…” mormorò Ghish,  a bassa voce, poi disse, cercando soprattutto di rassicurare Blanche: “La cosa importante è quindi che Kathrine e Kivar non si incontrino… bene, non è una cosa molto difficile… Kathrine è sempre con noi, e Kivar non verrebbe mai dove siamo noi, a meno che non voglia essere trovato… quindi, non dovrebbe essere molto complicato…”

“Peccato che questo sia già successo…” sussurrò piano Blanche, gli occhi lucidi e fissi al pavimento

“Quando?” chiese Strawberry stupita, voltandosi verso l’amica

Lory si batté una mano sulla fronte e rispose: “Qualche anno fa, ricordi, Strawberry? Kivar aveva più o meno quattro anni, e Kathrine ne aveva uno… ti ricordi? Vi venimmo a trovare io e Pie con Delet, e Blanche e Ghish con Kivar… e c’era anche Kathrine… erano piccoli, ma si videro…”

“Dannazione!” imprecò Ghish, mentre Strawberry annuiva, e Blanche proseguiva, la voce sempre più flebile: “Kivar iniziò a cambiare, dopo quel famoso viaggio… prima non ricordava niente… dopo aver incontrato Kathrine…”

“Allora non abbiamo un minuto da perdere…” riprese decisamente l’angelo scarlatto “Dovete trovare quanto prima Kivar,  la sua memoria non sarà ancora tornata del tutto, altrimenti lo avremmo percepito… l’importante è che non riveda più Kathrine… quando lo avremmo trovato, sigilleremo di nuovo la sua memoria. Finché non recupera l’ultimo ricordo, c’è ancora possibilità che tutto si risolva per il meglio… abbiate fiducia…”
I tre esseri sparirono all’improvviso, lasciando le persone in quella stanza più confuse e disorientate di prima. Una sola certezza era quella che regnava nel loro riflessivo silenzio, la sola che, dall’altra parte del mondo, veniva completamente incenerita. 

 

 

“Come ti senti adesso?”

Kathrine si guardò intorno spaesata, e vide che si trovava in una stanza che non conosceva. Era chiara e piena di luce, tutta di colore avorio,  e lei era distesa su un letto a baldacchino, con tendaggi rosa pallido. Aveva mal di testa, ma per il resto non riusciva a ricordarsi che cosa le fosse successo e perchè fosse lì. Sollevò gli occhi castani e vide Kevin, chino su di lei. Era stato lui a parlare poco prima.

“Dove sono?” chiese flebilmente

“Sei a casa mia, e dove altrimenti?” rispose Kevin quasi sprezzante

“Che cosa è successo?” chiese ancora lei, cercando di sollevarsi, ma la testa vorticava a dismisura, dovette adagiarsi di nuovo su uno dei grandi cuscini, portandosi una mano sulla fronte, che pulsava incontrollabilmente.

Kevin stentò a rispondere… ho appena scoperto che sei la Creatura più potente dell’intero Universo, ti va bene come risposta?

“Sei caduta e hai battuto la testa, perdendo conoscenza… non chiedermi come diamine hai fatto perchè non ho visto assolutamente niente, ma avrai fatto una delle tue solite cadute cretine…” rispose lui, sghignazzando

Kathrine impallidì, poi urlò: “Lo sai che potrei avere un trauma cranico?! Chi me l’ha fatta fare a venire con te?!”

“Non hai traumi cranici, altrimenti me ne sarei accorto…” sospirò Kevin, quella ragazza era veramente isterica, poi, cercando di tranquillizzarla, disse: “Comunque, è venuto il medico poco fa, e ha detto che non hai assolutamente niente…”

Kathrine finalmente si rilassò, anche se non ancora del tutto convinta, e si appoggiò meglio sui cuscini. Poi si ricordò del motivo principale per cui erano lì, e chiese: “Allora sei riuscito ad avere quello che eri venuto a prendere? Il tuo maggiordomo ti ha dato qualcosa di interessante? C’erano anche i tuoi?”

Kevin sospirò lungamente, odiava mentirle, dirle tutte quelle stupide ed inutili bugie, prive di senso. Dirle che aveva trovato il suo maggiordomo, che non aveva trovato i suoi genitori, quando sapeva benissimo che il primo era su Nemesi e i secondi lo stavano cercando disperatamente. Ma adesso era talmente vicino alla verità… mancava solo un ultimo sforzo e ce l’avrebbe fatta. Quando avrebbe capito la verità, ne avrebbe parlato anche con lei, con Kathrine, e le cose si sarebbero aggiustate. Lei era stata sincera con lui, gli aveva raccontato il più orribile dei suoi ricordi, e lui glielo doveva, doveva raccontarle la verità. Un giorno o l’altro.

Imbastì una delle sue solite chiacchiere, raccontandole di come il suo pseudo maggiordomo avesse sentito una conversazione telefonica e avesse saputo che il suo vero padre si trovava effettivamente a Tokyo. Poi, per giustificare quel viaggio e l’esigenza impellente che doveva avere quest’uomo di vederli, inventò che gli aveva dato una serie di numeri di telefono e di vecchie fotografie dell’infanzia e dell’adolescenza di sua madre. Disse a Kathrine di riposarsi ancora un po’, intanto lui sarebbe andato a prendere le valigie dal loro albergo, ma la ragazza fu irremovibile. Disse di sentirsi meglio e di voler tornare lei stessa in albergo a salutare Riad e Salima, prima di partire. Non lo volle ammettere fino in fondo all’impietrito ragazzo di fronte a lei, ma quella casa le faceva paura. C’era qualcosa di strano, come un qualcosa di morto che però si ostinasse a vivere, anche se il suo cuore batteva ancora, qualcosa che insomma le faceva venire i brividi. Aveva poi una sensazione strana addosso, da quando si era svegliata; come se le avessero fatto qualcosa, e le avessero risucchiato l’energia dal corpo… si sentiva debole, completamente priva di forza.  Ma preferì non dirlo a Kevin, sapeva che l’avrebbe presa solamente in giro.

Finalmente uscirono da quella casa, che Kevin continuò a fissare per qualche minuto, mentre lei lo guardava a sua volta. Doveva essere difficile per lui lasciare di nuovo quella casa, dove era cresciuto… dopo, si diressero lentamente e silenziosamente verso il centro della città. Kathrine cercava di guardare con occhi avidi tutto quello che stava lasciando, certo un giorno sarebbe potuta tornare a Parigi, magari con la sua famiglia, il suo futuro fidanzato o marito, e figli al seguito. Ma Kevin… dubitava fortemente che ci sarebbe mai potuta tornare con lui, forse già dal mese dopo sarebbero stati di nuovo due estranei, che non avevano più niente in comune, l’uno con l’altra. A parte la stretta cerchia di persone, che considerava indispensabili, sapeva che le persone se ne vanno, sempre, e non c’era niente da fare. Anche lui… forse sarebbe tornato ad Hokkaido, da sua zia, oppure ancora qui, in Europa, a dividersi da lei con un enorme cielo ed un immenso continente, fatto di terra, d’acqua, d’aria e di persone che lei non avrebbe mai conosciuto. Le venne una strana fitta allo stomaco, non era un bel pensiero immaginare una cosa del genere,  e cercò di concentrarsi su altro. In fondo, lo aveva sempre saputo che lui se ne sarebbe andato, perché se ne stupiva adesso? Semplicemente perché gli aveva confidato una cosa cruciale sulla sua esistenza, che non sapeva quasi nessuno, nemmeno i suoi genitori, e adesso in virtù di quella confidenza, credeva che il loro legame fosse così forte da durare per sempre… ma non era così, niente dura per sempre, e lei lo sapeva, lo sapeva bene. Gli sarebbe stata grata per sempre magari, e solo in quella frase ci poteva essere quello scomodo ed infinito avverbio… sempre… e sempre avrebbe ricordato quel viaggio, il suo misto di emozioni e sentimenti… paura, terrore, eccitazione, rabbia, fastidio, dolcezza, stupore, curiosità, gioia, entusiasmo, persino follia, se ripensava all’ enorme bugia, che aveva raccontato ai suoi… e forse anche un po’ di coinvolgimento, lei lo aveva provato per il ragazzo moro che camminava impettito accanto a lei… sorrise ancora, in fondo era sta proprio una bellissima vacanza…

Finalmente, arrivarono nel loro albergo, e, mentre Kevin saliva a prendere le valigie, Kathrine andò a salutare Salima e Riad, che abbracciò con affetto. Lasciò ad entrambi il suo indirizzo e il suo numero di telefono, in maniera che potessero sentirsi e loro fecero altrettanto. Salima le regalò i guanti bianchi di raso, che aveva indossato la sera prima, dicendole che sarebbero serviti più a lei.

“Per sapere di poter sentirsi sempre come una principessa…” le disse nel suo stentato inglese, le lacrime agli occhi

Kathrine sorrise e l’abbracciò ancora, dandole invece una fotografia che avevano fatto la mattina prima, e dove c’erano lei, Kevin, Riad e Salima stessa. Kevin chiamò Kathrine, il taxi era arrivato e la biondina si affannò a salutarli ancora, prima di prendere le valigie e salire in auto.  I due coniugi guardarono la macchina sparire, dopo una curva, mentre Riad metteva un braccio attorno alle spalle della moglie… entrambi pensarono la stessa cosa, ma la tennero per sé. In fondo, lo sapevano, ne vedevano tante di coppiette venire nel loro albergo…

Un giorno, ritorneranno… insieme… qui, in questa città, che sa rapire il cuore e che non ha però avuto i loro… ci hanno pensato da soli a rubarseli a vicenda…

 

 

Kathrine guardava pigramente fuori dal finestrino dell’aereo, la mano appoggiata sul mento e gli occhi stanchi. Ormai mancavano pochi minuti all’atterraggio, tra poco l’aereo si sarebbe fermato, e lei sarebbe scesa. Guardò accanto a lei, Kevin si era addormentato, c’era da aspettarselo… sospirò a lungo, poi gli tirò la manica, dicendogli che erano arrivati. Il loro viaggio, che era stato della durata quasi di una giornata intera, era stato silenzioso e taciturno. Kevin non aveva aperto bocca, da quando avevano lasciato casa sua, adesso che ci ripensava… era strano, in fondo era andato tutto bene… finalmente l’aereo atterrò e i due, scesa la scaletta,  rientrarono nel grande aeroporto di Tokyo, che sebbene fossero già le undici passate, era ancora pienissimo di gente. Kathrine non si aspettava nessuno, cosa che le faceva anche discretamente piacere, perché avrebbe potuti salutare Kevin in santa pace, ma fu rapidamente smentita: oltre a suo padre e a sua madre, c’erano anche Blanche, Ghish, Pie, Lory e i suoi zii.

“Caspita, che accoglienza!” borbottò, all’indirizzo di Kevin, ma il ragazzo non rispose. Si voltò infastidita verso di lui per chiedergli che cosa avesse, ma vide che non c’era, era sparito. Si guardò attorno, ma niente, Kevin se ne era andato.

“Kathrine, tesoro!” le urlò la madre, non appena la vide correndo ad abbracciarla, mentre la ragazza bionda cercava di divincolarsi: “Mamma, sono stata via solamente cinque giorni!”

Strawberry si staccò da lei, accarezzandole la guancia, e rispose: “Lo so, tesoro, ma ci sei mancata… adesso a casa ci racconterai tutto di quello che è successo! Come è stata la mostra?”

“Bellissima” rispose lei, mentre abbracciava anche suo padre, che, senza troppi preamboli, dopo le parole allarmanti che gli aveva riferito Strawberry, chiese: “E’accaduto qualcosa di strano? Hai conosciuto qualcuno?”

Kathrine deglutì più volte, per poi rispondere: “Niente di strano… perché? Che sarebbe dovuto succedere papà? E poi, a parte Riad e Salima, i proprietari dell’albergo non ho conosciuto nessun’altro!”

I due respirarono di sollievo, poi, presi i bagagli della figlia, uscirono dall’aeroporto, mentre Kathrine, gettando un’ultima occhiata distratta alle sue spalle, li seguì.

Kevin, nascosto dietro una colonna, respirò di nuovo… i suoi genitori… meno male che non l’avevano visto, come aveva intuito, stavano a casa Shirogane. Gli fece un certo effetto rivederli, erano diversi, apparivano stanchi, spossati, come non li aveva mai visti. Si sentì quasi dispiaciuto per loro, ma adesso non poteva tirarsi indietro, mancava davvero pochissimo. Una domanda però non poté evitarsela: come mai non riuscivano ad avvertire la sua presenza? Scrollò le spalle e sorrise orgoglioso, magari stava imparando a celare la sua aura di fronte agli altri… non sapeva, Kevin, che lunghe ombre si stavano addensando intorno alla sua anima, attirate da una luce che stava liberando la sua antica natura prigioniera.

 

 

Chiedo sommamente perdono a tutti, ma questo è stato davvero un periodo molto particolare e la mia vena “artistica” se ne era andata decisamente ai pesci!!!! Insomma, non vi volevo tediare con un capitolo scritto tanto per scrivere, e non fatto, come cerco sempre di fare, con il cuore e con la mia mente! Poi, scritto il capitolo e dovendo per l’ennesima volta, formattare il computer ho perso il floppy che conteneva questo capitolo e gli altri successivi… insomma, na tragedia!  E solo oggi, dopo non so nemmeno quanto tempo, sono riuscita ad aggiornare!!!! Avete capito allora perché questa storia si chiama così e perché la sua traduzione è sostanzialmente “Infrangendo le regole dell’universo?”. Era questo il motivo!!! Purtroppo oggi non ho davvero tempo per rispondervi uno per volta, se ce la farò, aggiornerò questo stesso capitolo con i ringraziamenti del caso, ma intanto voglio ringraziare tutti coloro che in questi mesi mi hanno manifestato il loro affetto e la loro volontà che questa storia fosse continuata. Non voglio promettermi aggiornamenti più rapidi perché so che molto probabilmente tradirei le vostre aspettative, ma voglio solo promettere che questa storia sarà completata prima o poi. Un piccolo messaggio voglio dedicarlo solo alla mia Aya: purtroppo, non sono riuscita a leggere la tua storia, semplicemente perché non mi è davvero possibile! Se ci riesco nei prossimi giorni ti mando una mail per spiegarti tutto, posso solo dirti una cosa per farti capire il mio periodo molto particolare… ricordi il “ragazzo perfetto”??? Insomma, da sette mesi è il mio ragazzo… muoio dalla voglia di dirti tutto e di riprendere a farti da beta reader, quindi sentiamoci al più presto, ok???

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Past follows you forever ***


Capitolo 11 - Past follows you forever

Capitolo 11 -  Past follows you forever

 

Erano passati diversi giorni da quando Kathrine e Kevin erano tornati da Parigi. I due ragazzi erano stati di nuovo trascinati dal vortice della loro vita quotidiana, ed era abbastanza difficile per loro avere tempo per qualcos’altro. Kathrine era costantemente impegnata con lo spettacolo, ormai mancavano poche settimane, e sarebbe andato in scena, quindi trascorreva parecchio tempo in teatro a fare prove su prove. Quando terminava poi era talmente stanca da andarsene a letto, senza rivolgere la parola a nessuno, anzi scagliando anatemi a chiunque si azzardasse solamente a dirle una mezza frase. Per giorni, non vide null’altro che il suo Romeo, ossia Danny Tetsuo della terza C, e l’insegnante di letteratura. Non che poi avesse questa voglia infinita di vedere qualcun altro. Da quando era tornata da Parigi, le sembrava che il mondo fosse cambiato e che lei non fosse stata ammessa a tutta questa bella scenata di rivolgimenti e rivoluzioni. I primi erano, come sempre, i suoi genitori. Ryan e Strawberry erano sempre stati due genitori molto apprensivi, si preoccupavano costantemente e spesso in maniera eccessiva, scatenando nella povera Kathrine reazioni di stizza e fastidio. Ci litigava un giorno sì e l’altro anche, quando li veniva in testa di farle domande assurde o di piantarle grane su dove andava, con chi andava e quando tornava. Ma, se mai questo era possibile, le cose erano anche peggiorate da quando era tornata da Parigi. Quella sera stessa, alla presenza anche di Ghish e Blanche, aveva dovuto raccontare tutto quello che aveva fatto, visto e visitato a Parigi. Con particolare attenzione, per chi aveva visto. Era stata ore a ripetere che, a parte Salima e Riad, lei non aveva conosciuto nessuno, ma niente, insistevano, chiedendole se non si fosse scordato qualcuno con presunta indifferenza, ma in realtà con ben evidente preoccupazione. Aveva dovuto anche dare i nomi fittizi dei quattro compagni che erano venuti con lei, e stavano quasi per chiederle il numero di scarpe, l’estratto conto dei genitori e il gruppo sanguigno. Davvero non li capiva più… il paradosso poi era che la situazione si ripeteva ogni santissimo giorno. Finito il capitolo PARIGI, c’era sempre quello VITA DI TUTTI I GIORNI, ovviamente lunghissimo. Ormai per quanto poteva, evitava di incontrarli, e se ne scappava in camera sua, evitando i loro interrogatori, e per la prima volta nella sua vita, considerando quanto amava suo padre, si chiese come mai Ryan non se ne tornasse a S.Francisco. In questo modo almeno, sua madre avrebbe perso il suo più grande alleato. Nel pianeta degli stramboidi, poi, Kathrine avrebbe sicuramente accresciuto ancora di più la popolazione, aggiungendovi anche quei due amici dei suoi, Ghish e Blanche. All’inizio le erano stati abbastanza simpatici, certo si vedeva che erano molto preoccupati per il figlio, ma le sembravano dei tipi a posto. Ghish, poi, nei momenti in cui non era malinconico, era anche abbastanza spiritoso e spesso lei e Miky a tavola si erano scapicollati dalle risate; Blanche invece era decisamente più riflessiva e aveva sempre un’aria triste che nonostante gli scherzi del marito, non le passava mai. Praticamente passava le ore nella sua camera con le serrande abbassate, stesa a letto con un fazzoletto bagnato sulla fronte. Sapeva che i suoi erano molto legati a loro, anche se non aveva ancora capito bene come si erano conosciuti, dicevano per lavoro, quindi aveva dedotto che doveva essere stato per il celeberrimo Caffè mew mew. Tra l’altro, conoscevano anche i genitori di Grace e Nick, quindi le sembrò logico che l’origine di tutto fosse quella. Insomma, la cosa strana era che anche loro due erano decisamente cambiati, da quando era tornata. Avevano partecipato agli interrogatori dei suoi, non in veste di spettatori, ma facendole anche loro tutta una sfilza di domande sulle sue nuove conoscenze, a cui lei non aveva risposto male solo perché era effettivamente molto educata e perché poi c’erano i suoi, che le avrebbero dato il tormento eterno. Ma che cavolo hanno tutti? Si chiedeva senza risposta. Il culmine poi lo aveva raggiunto solo due giorni prima. Non sapeva neanche lei come si era trattenuta; stava scendendo a colazione e, come era accaduto pochissime volte, Blanche era seduta anche lei in cucina, e sorseggiava pensosamente un tè. Appena era entrata, si era limitata a sollevare pigramente gli occhi azzurri, sempre rossi e cerchiati. Kathrine l’aveva salutata, e si era affannata ad ingurgitare il suo cappuccino, prima che le chiedesse qualcosa. Troppo tardi. Mentre allungava il braccio per prendere la caraffa di succo di frutta, Blanche era scattata all’improvviso, afferrandole il polso e stringendoglielo con forza, gli occhi che roteavano quasi folli nelle orbite.

Si era lamentata leggermente, ma lei non aveva allentato la presa.

“Che c’è?!” aveva chiesto con una nota di irritazione nella voce Kathrine, già infastidita dal probabile ed ennesimo ritardo a scuola, ormai decisamente nervosa per la stretta molesta.

Blanche non l’aveva lasciata, mentre le chiedeva dove aveva preso il braccialetto che indossava. Kathrine l’aveva guardata senza capire. Certo che questa è proprio pazza…! Si era limitata a sussurrare che l’aveva preso da Parigi, non provvedendo a specificare che gliela aveva regalato Kevin. Non era assolutamente necessario saperlo, e poi nessuno sapeva che Kevin Shirayuki non solo era stato un suo compagno di viaggio, ma era stato il suo unico compagno di viaggio.

“Chi te l’ha venduto?!” la incalzò ancora Blanche, stringendola ancora più forte. Fu allora che Kathrine si staccò abbastanza violentemente dalla sua presa, scappando via e dicendo che era in ritardo per la scuola, lasciandola con un palmo di naso. Adesso anche avere un braccialetto era un crimine passabile della corte marziale? Quando era tornata da scuola, Blanche le aveva chiesto scusa, incalzata da Ghish, ma adesso Kathrine se poteva evitarlo, non rimaneva sola con lei. Come se non bastasse, l’aveva anche sentita bisbigliare al marito parole come “strane vibrazioni” e “sento la sua presenza”; che fosse veramente pazza?! Sembrava che vivesse dentro Dragon Ball, dove i sayan sentivano le aure e le vibrazioni.

Comunque, il pianeta stramboidi era in rapida crescita demografica e si stavano tenendo le elezioni per la carica di presidente onorario; i candidati erano Grace Mitsuki, Chiyo Aoyama e Kevin Shirayuki. Degli ultimi due non era stupita, quelli non erano mai stati molto normali, ma Grace! La sua Grace, la sua migliore amica! Non ci voleva nemmeno pensare!

A quanto pareva, mentre era a Parigi con Kevin, lei e Daniel avevano legato molto; legato insomma era un pallido eufemismo. Erano appiccicati come la colla! Erano, come si dice in gergo, più che amici, ma meno che fidanzati, e stavano lì tutto il tempo a tubare, a ridere, a parlottare come due perfetti imbecilli. Di come questo fosse successo in meno di una settimana, Kathrine lo ignorava beatamente. Sapeva solo che erano stati messi in punizione assieme dalla prof di letteratura e si erano quindi messi a chiacchierare del più e del meno, mentre riordinavano le infinite schede dell’archivio studenti. Poi, esauriti gli argomenti, avevano trovato il loro enorme punto in comune, Kathrine e Kevin e la loro tragicomica situazione. Insomma, avevano fatto amicizia, ridendo di loro due e del fatto che sia Grace che Daniel fossero convinti che i due in realtà si piacessero molto. Kathrine non trovava antipatico Daniel, anzi sembrava un tipo a posto, al contrario del suo cugino stramboide, per questo almeno per il momento non lo collocava nella popolazione del pianeta dei malati di mente. Ma forse ci sarebbe anche arrivata. Grace se ne stava tutto il santissimo giorno o appiccicata a Daniel, oppure con lo sguardo cuoriforme. Guardava un cane e diceva: “A Danny piace molto questa razza di cani…”. Prendeva un gelato ed era tutto un: “Danny, avrebbe preso la nocciola con il cioccolato…”. Persino respirare non andava più bene nella maniera che non era quella di Danny. E guai a farglielo notare! Sbuffava e rispondeva: “Kitty, io ti ho sopportato fino alla noia, quando stavi con C.J.! E adesso che sono innamorata, mi neghi questo piacere?!”, e via sensi di colpa e rimorsi. Il peggio era però, quando lei si scusava e Grace rispondeva che sicuramente potevano condividere la gioia di essere innamorate, se lei finalmente avesse ammesso che le piaceva Kevin.

“Immagina che bello uscire tutti e quattro assieme!” ribatteva la ragazza castana, sbattendo le ciglia.

Kathrine si limitava a replicare che era bello come avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con E.T., l’extraterrestre, e se ne andava alle prove della recita, mentre Grace riprendeva a sbuffare.

Alla fine di quei colloqui con Grace, Kathrine rimaneva a pensare a quanto quello che sperasse la sua migliore amica, era completamente assurdo. A parte l’impossibilità ovvia di non essere innamorata di Kevin, c’era anche l’aggravante del fatto che Kevin praticamente non le parlasse più. Appena erano tornati da Parigi, il ragazzo si era trincerato dietro un ostinato muro di silenzio. Aveva persino rinunciato a prenderla in giro, come sempre, e a battibeccare con lei. La evitava come la peste, Kathrine se ne era accorta: ogni volta che si incontravano, lui cambiava strada con nonchalance oppure fingeva di non vederla oppure, se proprio vi era costretto, la salutava velocemente con un’alzata di capo e niente più. Il motivo di questo comportamento era chiaramente un mistero. All’inizio, la ragazza bionda aveva pensato che fosse dovuto a quella cosa… la confidenza di quello che le era successo un anno prima e che lei gli aveva fatto a Parigi. Forse provava pena per lei, chissà… ma poi aveva capito che la cosa era diversa. Doveva esserci dell’altro. Lui si era cominciato a comportare stranamente non dopo quell’episodio, ma successivamente. Esattamente da quando avevano lasciato casa sua. In quei momenti, quando la sua mente ricollegava il comportamento di Kevin alla visita nella casa dei suoi genitori, si mordicchiava nervosa il labbro inferiore e malediceva il fatto che fosse svenuta come una pera cotta e che quindi non avesse potuto assistere a quella che doveva essere stata una cosa di portata tale da farlo repentinamente cambiare. Intanto, quando si ritrovava a pensarci troppo a questa storia, scuoteva furiosamente il capo, dicendosi che se lo doveva aspettare e che in fondo non gliene importava proprio niente. Quella medesima riflessione seguiva a ruota un’altra, che la sua mente però negava ancora più apertamente delle precedenti. Kathrine ricordava perfettamente in ogni secondo una risposta a quelle sue riflessioni, che però si rifiutava per principio di analizzare. Kevin adesso usciva stabilmente con Chiyo. E la risposta più ovvia al suo comportamento, poteva essere che Chiyo avesse imposto a Kevin di non frequentarla più. Oddio non che Chiyo se ne facesse accorgere… come degno cittadino onorario del pianeta dei folli, Chiyo da quando usciva con Kevin era diventata uno zuccherino. L’aspettava all’uscita da scuola, l’accompagnava a casa, la ricopriva di attenzioni e complimenti. Kathrine sorrideva, però anche il livello di sopportazione nei confronti di Chiyo decresceva a vista d’occhio. La figlia di Mark aveva evidentemente la dote innata di rendersi odiosa, anche quando era carina e gentile.

La conseguenza di tutta questa situazione era che Kathrine trascorreva tutto il suo tempo a teatro, cercando di stare quanto più lontana possibile dalla sua famiglia e dai suoi amici. Perlomeno, le restava Nick, che per sua fortuna era rimasto uguale a prima. Però Nick, con suo sommo dispiacere, non aveva molto tempo da dedicarle. Aveva gli allenamenti al club di basket e non poteva saltarli praticamente mai; si stavano avvicinando i play off e Nick era il playmaker della squadra della scuola.

Mancavano cinque giorni alla festa della scuola e esattamente trentacinque al debutto di “Romeo e Giulietta”.

Kathrine era esausta e l’unica cosa che voleva era buttarsi a capofitto nel suo letto.

Ma evidentemente non era la sua giornata fortunata.

Era appena uscita dal cancello della scuola che una voce argentina la richiamò indietro. Si voltò pigramente, trattenendo uno sbuffo di impazienza. Dietro di lei, appoggiati languidamente al muro dell’ingresso, c’erano Kevin e Daniel che parlottavano tra loro, il primo sempre più ombroso, il secondo invece apparentemente sereno. Accanto a loro, una da una parte e l’altra da quella opposta, sostavano anche Grace e Chiyo. Se un giorno le avessero detto che quelle due sarebbero uscite assieme, non ci avrebbe mai creduto; a quanto pare, Grace aveva realizzato il suo sogno dell’uscita a quattro. Senza di me, ovviamente.

Scacciò la fitta allo stomaco e li salutò stancamente.

“Hai finito le prove?” le chiese Chiyo, sbattendo le ciglia, praticamente incollata al braccio di Kevin che stava studiando attentamente un albero di ciliegio.

“Sì, mezz’ora fa…” rispose velocemente, chiedendosi che cavolo volessero da lei.

“Noi stiamo andando al – Sugar pie-, vuoi venire con noi?” replicò Grace sorridente, abbracciando Daniel.

Li guardò, inarcando un sopracciglio. Dalle labbra le sfuggì un: “Non dirai sul serio?!”.

Grace e Chiyo sgranarono gli occhi e mormorarono: “Perché,  che c’è?!”.

Le spalle di Kathrine si afflosciarono su sé stesse, mentre la biondina diceva caustica: “E che sarei io, il terzo o il quinto incomodo?!”.

“Ma non dire sciocchezze!” ribatté con enfasi Chiyo, scuotendo la testa “Non ci vediamo da così tanto tempo!”.

“Sì, ma io sarei stanchissima…”.

“Dai, non fare la pigrona!” sorrise Grace. La pigrona, la pigrona?!!! A lei??!! Voleva vedere chiunque altro a ripetere dieci volte di fila “O Romeo, O Romeo…” e tutta la solita solfa per colpa di un faro che non funziona bene, di una spada che si impiglia nella scenografia o di Danny Tetsuo che non sa ancora nemmeno un quinto della sua parte! Nemmeno uno con la pazienza di Buddha e il corpo di Rocky Balboa, sarebbe uscito illeso.

“Sentite, sono davvero stanca e sarò anche pigrona, ma sto morendo di sonno! Quindi, ciao, ci vediamo domani!” mormorò acidamente, voltandosi per tornarsene a casa.

“Possibile che tu debba essere sempre fare l’imperatrice della situazione?”.

“Toh!” eruppe Kathrine, voltandosi verso la voce fin troppo conosciuta. Si portò una mano dietro l’orecchio e sussurrò con espressione fintamente stupefatta: “La voce di Kevin Shirayuki! Erano anni che non la si sentiva su questo pianeta!”, poi cambiò mimica, ritornando alla faccia precedente, quella acida e stanca.

Sibilò velenosa come un serpente: “Torna a guardare il tuo albero, Shirayuki. E lasciami in pace…”.

Si voltò nuovamente su sé stessa, pronta ad andarsene, poi la voce soffice di Grace la fece fermare.

“Scusami, Kitty… non avrei dovuto insistere… è solo che è davvero da un sacco di tempo che non parliamo un po’… ma sei così stanca non fa niente, facciamo un’altra volta…”.

Kathrine sorrise finalmente e disse piano: “Va bene, vengo… ma solo per un po’… ho davvero voglia di una bella fetta di torta…”.

“Mandorle e carote?” ammiccò Grace, staccandosi da Daniel e prendendo sottobraccio l’amica.

“Ovviamente… ma siccome sono una pigrona, me la vai tu a prendere!” sorrise Kathrine, incamminandosi con Grace.

Le due continuarono a parlare giocosamente, punzecchiandosi, mentre a tratti Kathrine raccontava a Grace le novità degli ultimi giorni. A breve distanza, le seguivano gli altri tre.

Chiyo, al suono di una suoneria gioiosa, si staccò dal braccio di Kevin, recuperando il suo trillante cellulare dalla cartella.

“Mamma!” rise felice, mentre rimaneva indietro, impegnata a parlare con sua madre che la chiamava dalla Germania e che non sentiva da qualche giorno.

Approfittando della telefonata, Daniel si avvicinò furtivamente a Kevin che se ne stava in silenzio, lo sguardo azzurro fisso davanti  a sé. Quasi sembrava non essersi accorto della presenza del cugino, né del fatto che Chiyo si fosse staccata da lui.

Daniel sospirò e sussurrò: “Dovresti smetterla, Kivar… davvero…”.

“Di far, che?” chiese Kevin, sbattendo due volte le palpebre.

“Di ignorarla…”.

“Chi?”.

“E dovresti smetterla anche di fare il falso idiota… lo sei già abbondantemente…” replicò a voce stavolta più alta Daniel.

Kevin rise, decidendo di smetterla almeno con la seconda cosa.

“Te l’ho detto, no? Te l’ho detto che cosa è successo a Parigi…” rispose velocemente Kevin.

“Sì che me l’hai detto…” sospirò Daniel “Kathrine è la leggendaria Creatura di Luce… difficile da credersi…”.

Lo sguardo di entrambi si concentrò sulla ragazza bionda davanti a loro, che rideva gioiosa.

Bellissima, intelligente, vivace, con un sarcasmo che le veniva fuori come niente.

Eppure, oltre che la speciale ragazza che era, era anche una creatura speciale. Sembrava così… normale… ed invece non c’era niente che non potesse fare.

“Già… la più potente creatura dell’Universo è Kathrine Shirogane… ed è davvero una Chiave…” bisbigliò ancora Kevin, una risata amara sulle labbra “E pensare che la definivo così solo perché sembrava essere la chiave per il mio passato… e invece… potrebbe esserlo per qualsiasi cosa…”.

Daniel sorrise con comprensione, poi commentò piattamente: “Mio caro cugino, lei sarà anche una Chiave, una Creatura di Luce, la cosa più rara dall’inizio della vita, l’essere più potente al mondo, e bla, bla, bla… ma sai che altro è?”.

“Che altro?” chiese Kevin quasi allarmato dalla possibilità che ci fosse qualcosa di peggio.

“In primis, è una ragazza…” rispose Daniel, scalando con le dita un ipotetico punto primo di una fantomatica lista “E le ragazze non amano essere ignorate, specie da uno con cui sono state in vacanza da sole per cinque giorni a Parigi…”.

Kevin lo guardò, sospirando: “E poi?”.

“E poi la ragazza in questione sarà anche quello che vuoi, ma è soprattutto… Kathrine Shirogane…” concluse sorridendo Daniel, prima di aggiungere: “E se la conosco anche solo la metà di quanto la conosci tu, credo che ti caverà gli occhi la prossima volta che non le rivolgerai la parola…”.

Kevin sospirò ancora, aveva perfettamente ragione. Anzi su un punto aveva torto marcio: Kathrine non gli avrebbe mai cavato gli occhi. Almeno non prima di avergli buttato addosso un litro di acido solforico…

Daniel andò a raggiungere Grace e Kathrine, lasciando indietro il cugino a riflettere. Dopo qualche attimo, Kevin fu affiancato a sua volta da Chiyo, che aveva finito di parlare con la madre.

Lo abbrancò di nuovo per il braccio, sorridendo. Poi gli chiese: “Che hai? Sei strano… a che stai pensando?”.

La risata di Kathrine sembrò saturare l’aria attorno a lui. Sorrise nervosamente e si affrettò a replicare: “A niente… era tua madre, vero?”.

Chiyo annuì con energia, stringendosi più forte a lui. Doveva avergli bloccato la circolazione del braccio.

“La mamma mi ha parlato di una scuola per design meravigliosa che c’è a Berlino…” rispose Chiyo, le guance rosse per l’eccitazione “Vorrebbe che io ci andassi…”.

“Sarebbe bello…” le sorrise Kevin con affetto.

“Già, sarebbe bello… ma almeno per ora non se ne parla…” riprese la ragazza mora, visibilmente più scoraggiata.

Kevin intuì il motivo del suo cambiamento d’umore e disse sottovoce: “Tuo padre…”.

Chiyo alzò le spalle, i suoi occhi verde giada erano pieni di lacrime, ma la ragazza si sforzò di sorridere, non appena risollevò lo sguardo. Kevin l’attirò più vicina a sé, baciandole la tempia e sussurrandole: “Andrà tutto bene…”.

Tra le sue braccia, Chiyo arrossì, sorridendo, mentre il suo braccio lo stringeva a sua volta attorno alla vita.

“Bene!” disse alla fine staccandosi da lui “Che facciamo domani sera?”.

Kevin le sorrise, mentre Chiyo faceva le sue varie proposte. Anche se era cominciata in modo decisamente opportunista da parte sua, quella con Chiyo si era trasformata in una bellissima amicizia. Certo, Kevin sapeva perfettamente che l’interesse della ragazza non era disinteressato, ma al momento cercava di non dare peso all’attrazione che sapeva avere Chiyo nei suoi confronti. Era una ragazza molto fragile, in lotta continua con il padre. Sentiva molto la mancanza della madre e spesso era invidiosa di Kathrine e Grace; insomma non era certamente un tipo facile. Eppure da quando uscivano assieme, lei sembrava un po’ più serena, magari aveva bisogno solo di una persona che l’ascoltasse e che le stesse vicino, e lui lo faceva volentieri. Traeva anche lui giovamento dall’idea che fosse utile a qualcuno, che la sua permanenza sulla Terra non fosse solamente l’emblema del suo egoismo che stava facendo una vittima dopo l’altra. Prima i suoi genitori e Delet, poi Kathrine. Già Kathrine… come comportarsi con lei? Da quando aveva saputo che cosa era Kathrine in realtà, qualcosa in lui era cambiato. No, stava mentendo, mentiva anche a sé stesso. Mentiva enormemente. Lui ripensava sempre alla scena del suo sogno, solo a quella, con l’aggiunta di un tocco di realismo fornito dalla prova che Herik e Melissa avevano cercato, aprendo quel portale con il sangue di Kathrine davanti ai suoi occhi. L’aveva messa in pericolo decisamente troppo e, quello che risuonava peggiore, era che non era riuscito a fare niente per impedirlo. Chi diamine era lui per mettere in pericolo la vita di una ragazza innocente? Era tormentato da paure che non lo lasciavano mai in pace. E se il sogno si fosse avverato? E se Herik e Melissa avessero voluto impadronirsi del potere di Kathrine? Se per lei era rischioso richiamare i suoi ricordi? Herik gli aveva detto che le Creature di Luce potevano morire, se aprivano portali troppo imponenti, e lui non aveva la minima idea di che cosa si nascondesse nella sua mente. Poteva metterla in pericolo solo per sapere chi era veramente? Poteva farlo, essendo così maledettamente incapace? Intanto la teneva a distanza, incerto su che cosa fare. Arrivava anche a pensare di tornare dai suoi, ma era allora che il latente potere di Kathrine ridava ulteriore nitidezza ai suoi sogni e ai suoi ricordi. Ormai conosceva alla perfezione il volto di Elissa e Leon, ma non riusciva ancora a capire chi fossero. Per il primo, provava odio nei suoi ricordi e sogni, ma sentiva anche di esservi legato, lo aveva accostato ad un fratello la maggior parte delle volte che lo aveva ricordato. Per la seconda, avvertiva desiderio, ma senso di colpa per esso, quasi che fosse una bramosia sporca. Non riusciva a capirci più niente e intanto Kathrine ormai non gli parlava più, se non per insultarlo.

Che stupenda situazione, ma se io me ne stavo bello e tranquillo su Nemesi… pensò sospirando, mentre entravano nel Sugar Pie.

Si sedettero ad un tavolo, Grace e Kathrine di fronte a lui, Daniel e Chiyo. Le due ragazze,  a quanto pare, erano presissime dalla loro conversazione, che riguardava tale Natalie della sezione F che si era lasciata con il suo ragazzo.

Kevin stava leggendo il menù, indeciso su che cosa prendere, quando sentì il cicaleccio delle due amiche finire all’improvviso. Ringraziò Dio che il discorso fosse finito, e sollevò lo sguardo. Sia Kathrine che Grace stavano guardando l’ingresso con aria sospettosa. Kathrine era leggermente impallidita, mentre Grace stringeva le mani attorno ad un tovagliolo di carta.

“Che è successo?” chiese Daniel, preoccupato, ma le due lo ignorarono beatamente.

I tre allora si voltarono verso la porta, non c’era niente di strano, il solito viavai. Almeno agli occhi di Kevin e Daniel… infatti Chiyo invece annuì con comprensione, sospirando. Poi mormorò: “Katy, stai calma, mi raccomando… credo che stia venendo qui…”.

“CHI?!!” eruppero sia Kevin che Daniel, che non ci stavano capendo nulla.

Kathrine aveva sorriso a Chiyo, poi aveva chiuso gli occhi e aveva mormorato con aria di sufficienza: “Non vi sembra di sentire puzza di carogna?”.

“A me no…” rispose Daniel ingenuamente, mentre Kevin gli dava una gomitata.

“Hai ragione, Kitty… questo posto è caduto proprio in basso…” ribatté Grace velenosa, la voce più alta, come se volesse farsi sentire da qualcuno di preciso.

Anche Chiyo sembrò reggere il gioco: “Adesso fanno entrare proprio tutti… che schifo!”.

“Sarà meglio cercarci un altro posto, eh? Che ne dite?” disse Kathrine gaia, ma a Kevin non era affatto sfuggito come gli occhi scuri della ragazza si fossero riempiti di scintille verdi. Come quando era arrabbiata.

Sia Chiyo che Grace annuirono, mentre i due ragazzi ancora non ci capivano niente. Rimasero seduti ad osservare le tre che si alzavano dal tavolo, finché finalmente capirono l’oggetto di tante battutine.

Infatti, quando Kathrine si era alzata ed aveva oltrepassato il loro tavolo, seguita da Grace e Chiyo, qualcuno l’aveva fermata. Anche Daniel e Kevin si alzarono velocemente, affiancandosi alle tre ragazze, presagendo che qualcuno stesse dando loro fastidio.

Ma in realtà il misterioso assalitore non era minimamente interessato a Grace e Chiyo, ma solo a Kathrine. L’aveva presa per il polso e la stava trattenendo. Kevin era già pronto a scagliarsi su di lui, mollandogli un cazzotto in faccia, quando Kathrine sputò fuori con rabbia queste parole: “Lasciami stare C.J.! Lasciami o ti prendo a calci!”.

C.J… che razza di nome imbecille… questo fu il contemporaneo pensiero di Daniel e Kevin, sentendo Kathrine. Ma la seconda cosa che i due pensarono fu diversa: se Daniel pensò a che genitore crudele potesse chiamare in quella maniera il proprio figlio, Kevin ricordò distintamente di aver già sentito parlare di questo ragazzo. C.J…. dove cavolo l’aveva sentito? A guardarlo, il ragazzo non gli ricordava nulla: era sicuramente più grande di loro, doveva avere almeno venticinque anni. Aveva la tipica faccia del biondino che fa impazzire tutte le ragazze, una specie di incrocio tra Leonardo di Caprio e James Dean. Capelli spettinati con ciuffo ribelle sulla fronte, occhi verde chiaro, fisico scolpito da nuotatore professionista. Indossava una camicia azzurra ed una giacca elegante, sopra dei jeans scuri. La mano libera dalla presa sul polso di Kathrine stringeva una valigetta di cuoio nero. Insomma, a Kevin non diceva proprio nulla. Poi come un lampo si accese la spia luminosa nel suo cervello. Certo, C.J.! Era l’ex di Kathrine! Gliene aveva parlato quando gli aveva raccontato di quel spiacevole episodio che le era accaduto un anno prima, proprio una sera in cui lui non era andato con lei in piscina. Ci aveva preso anche sul fatto che era un nuotatore allora… deglutì leggermente, non se lo immaginava così. Immaginava un povero sfigato, un ragazzino insomma, lo aveva raffigurato nella sua mente molto simile a Nick. Invece, quello era praticamente un uomo fatto e finito.

“Che cavolo vuoi ancora, Christopher James?” chiese irritata Grace, mentre Kathrine aveva cessato di dimenarsi e stava guardando con odio puro il ragazzo biondo. A Kevin e Daniel, venne da ridere. Ecco da dove veniva quel nome assurdo, C.J…. il suo nome completo era perfino peggiore e non lo credevano possibile.

“Voglio parlarti, Katy…” sussurrò con voce suadente o pseudotale. Guardava Kathrine come se fosse un topolino nella sua trappola. Kevin si ritrovò a stringere i pugni, senza nemmeno rendersene conto. Gli stava dando sui nervi.

“E io no… lo vedi come è semplice risolvere le cose…” sorrise falsamente Kathrine, per poi aggiungere “Te ne puoi anche andare adesso, no? Ciao C.J.!”.

Il ragazzo chiaramente non ne voleva sapere: “Smettila di fare la bambina!”.

Senza minimamente scomporsi, Kathrine ripeté a voce più bassa, ma anche tremendamente più tagliente: “E tu smettila di fare il primate! Oh, ti prego perdonami! Tu sei un primate! Sei già arrivato al pollice opponibile?”.

Finalmente lui la lasciò andare e Kathrine si massaggiò il polso indolenzito. Poi recuperò la sua cartella e fece per uscire, seguita a ruota da Grace e Chiyo.

Era già arrivata alla porta, quando C.J. disse a voce alta per farsi sentire anche da lei: “Scappa pure, amore… ma sappi che sto per tornare a scuola… mi mancavi così tanto… sarà tutto come ai vecchi tempi…”.

Kathrine rimase immobile all’ingresso, la mano ghiacciata sulla maniglia di metallo come se fosse bloccata. Sbatté le palpebre un paio di volte, poi finalmente uscì con le sue amiche.

C.J. sorrise tra sé e sé e se ne tornò al suo posto, non prima di aver lanciato uno sguardo ai due tipi che erano con la sua ex ragazza. Uno dei due sembrava stranamente contrariato. Sogghignò … che illuso, non sapeva che tra poco lui si sarebbe ripreso la sua Katy e con tutti gli interessi. E né lui, né nessun altro ci avrebbe potuto fare niente.

 

 

“Dai, dimmelo che vuoi sapere di Kathrine e C.J., non me la prendo mica, sai?” sorrise Chiyo, il braccio stretto attorno a quello di Kevin che la stava accompagnando a casa. Da quando erano usciti dalla gelateria, Kevin se ne stava in silenzio. Non che per Chiyo questo non fosse normale, ma di solito non capiva perché alle volte si chiudesse in silenzio e non parlasse per ore. Credeva che pensasse ai suoi e non voleva intromettersi. I genitori erano sempre una brutta bestia, e lei ne era l’esempio vivente. Ma stavolta era fin troppo intuibile che aveva il ragazzo. E non c’entravano niente i suoi genitori, ma Kathrine. Chiyo non era stupida. Lo aveva capito subito che Kevin ci teneva moltissimo a Kathrine. All’inizio, la cosa le aveva dato fastidio, ma da quando lei e Kevin si vedevano, non ci dava più importanza. Kevin voleva bene a Kathrine, e allora? Voleva bene anche a lei e questo era palese. Questo al momento le bastava. Sospirò, mentre studiava il suo profilo corrucciato, gli occhi blu accesi dal sole che moriva di fronte a loro, rendendo il cielo rosa di confetto e i capelli di entrambi colati di liquido oro rosso. Non era vero, non le bastava più essere solo sua amica e lo sapeva benissimo. Stava diventando difficile stargli accanto, sapendo che molto probabilmente lui non era interessato a lei, se non come amica. Sopportava la situazione a stento ormai, ma la sopportava, lacerando e strappando di giorno in giorno il sentimento che provava per lui, come un lenzuolo lercio. Sopportava perché in nessuna misura poteva permettersi di perderlo. Non riusciva nemmeno a ricordarsi come aveva fatto prima di lui. Kevin era come un raggio di sole, qualcuno che illuminava a giorno tutta la rabbia e tutto il dolore che aveva dentro. Sotto il suo calore, tutto sembrava diventare rivestito di luce, anche quello che con la luce non aveva niente a che vedere. Dopo anni, non conosceva più l’invidia per Kathrine e questo sapeva essere un autentico miracolo. Non poteva rinunciare a lui, ne aveva bisogno per sopravvivere. Era come se avesse svoltato un angolo e ormai fosse cosciente di non poter tornare indietro. Ma aveva ancora la necessità che lui le stesse vicino per superare il prossimo angolo.

Sospirò ancora, prima di chiamarlo a voce più alta, dato che lui sembrava non averla sentita.

“Figurati che me ne importa…” ribatté lui scorbutico, ma Chiyo capì che era tutto il contrario dalla tensione che permeava il bicipite del braccio di Kevin.

“Sì, sì, va bene, non ti interessa…” rispose Chiyo accondiscendente “Ma dato che ce ne stiamo in silenzio, te lo dirò giusto per dire qualcosa… e se poi davvero C.J. tornerà a scuola, lo verrai a sapere lo stesso…”.

“Fa come ti pare…” rispose sbrigativo Kevin, fingendo il disinteresse che non aveva.

“Va bene… allora come avrai intuito, C.J. era il fidanzato di Kathrine…” iniziò Chiyo con voce calma e tranquilla “So che può sembrare strano, considerato che hanno dieci anni di differenza, ma è andata proprio così. Sono stati assieme un anno e mezzo e si saranno lasciati poco più di un anno fa. Da aggiungere che Kathrine avrà perso un anno e mezzo della sua vita, rimanendo con lui. Ma non glielo dire mai… lei è fermamente convinta che C.J. sia stato importante per lei e che l’abbia aiutata a crescere. In cosa non lo so, e nemmeno credo di volerlo sapere… C.J. arrivò nella nostra scuola più o meno tre anni fa, io ero al secondo, mentre Grace, Nick e Kathrine al primo. Si era appena laureato e venne in qualità di tirocinante; seguiva le lezioni di letteratura con il prof di allora, Kawashima. Appena entrò in classe, ci fu una carneficina… credo che solamente due o tre nella scuola non si dichiararono follemente innamorate di lui alla fine del suo primo giorno, comprese Kathrine e Grace”.

“E te, scommetto…” commentò Kevin, interrompendola.

“Ho detto due o tre, no? E ci stavo anche io… non mi è mai piaciuto…” rispose Chiyo convinta.

“Che c’è? Non ti piacciono i biondini con la faccia da attori?” chiese Kevin ironicamente, credendo che Chiyo volesse solo non ammettere che anche a lei piaceva C.J. .

“No, assolutamente…” rispose Chiyo, poi trovò il modo perfetto per zittirlo, prima di continuare: “A me piacciono molto di più i mori… ma lasciamo abbondantemente perdere…”. Si strinse più forte al suo braccio, mentre Kevin deglutiva a fatica, e finalmente riprese: “Kathrine e Grace erano entrambe perse di C.J., fu l’unica volta che le vidi in rotta tra di loro, ma ben presto la cosa si ridimensionò, almeno per Grace. Come ti ho detto, C.J. aveva schiere di ammiratrici, l’ora di letteratura era ogni volta una battaglia tutta al femminile. Non credo di aver mai visto tanto interesse per Shakespeare, durante il semestre in cui c’era C.J.. Tutte si affannavano come delle pazze a rispondere, quando c’era in classe Christopher James Callaway. Il buon vecchio Kawashima ringraziava solo che fosse agli sgoccioli della sua carriera, so per certo che C.J. gli era stato raccomandato caldamente da un suo parente. I Callaway sono ricchissimi ed molto influenti, una sorta di Shirogane inglesi. Ma C.J. aveva lasciato l’Inghilterra per fare esperienza di vita e per questo era in Giappone.

“Comunque, Grace perse quasi subito l’interesse per C.J. : è una ragazza molto romantica e si sapeva fin troppo bene che C.J. si stava ripassando tutto l’Istituto, ovviamente femminile… pensa che le poche ragazze ancora sane di mente e i ragazzi lo chiamavano “The Libertine”, perché ne aveva anche due o tre alla volta… a Grace non andava giù questo aspetto del suo carattere e quindi lo lasciò perdere ben presto. Invece, per Kathrine il caso fu diverso. Si fissò sull’idea che lei sarebbe stata quella che l’avrebbe messo in riga e che lo avrebbe cambiato. Aveva davvero perso la testa per lui, e poi Kathrine ama le sfide, e questa in effetti era una sfida di una portata colossale. C.J. si era infatti messo con almeno venti ragazze e con una professoressa…”.

“EH?!!” chiese Kevin più scioccato che geloso “Con ventuno ragazze?! Ma come cavolo ha fatto?!”.

Chiyo scrollò le spalle: “Non lo chiedere a me, te lo ricordi il mio preambolo all’inizio? E ne mancano ancora tre: Kathrine ed altre due… ma aspetta che adesso ci arrivo…”.

Kevin tacque, più che mai convinto che l’aggettivo “The Libertine” gli calzasse effettivamente a pennello.

“Allora, per Kathrine, C.J. era diventato un’ossessione. Era il suo primo amore e avrebbe fatto di tutto per averlo. Non so alla fine come ce la fece, considerando che a quei tempi era timidissima, ma ce la fece. Lei e C.J. si misero assieme, e lui la piantò con tutte le sue storielle. Fecero coppia fissa per un anno e mezzo, anche se C.J. a causa della relazione con Kathrine, fu trasferito in un’altra scuola. Kathrine lo amava moltissimo e per C.J. sembrava lo stesso…”.

“La tradiva?” chiese Kevin, presagendo il resto. Ancora si ritrovò a stringere i pugni. Era inutile, quando c’era di mezzo Kathrine, riusciva sempre a perdere le staffe.

Chiyo sorrise malinconicamente, intuendo a sua volta il forte legame che Kevin aveva con l’amica. Sospirò, poi proseguì: “Facile da capirsi, vero? Comunque, non lo sapemmo subito, quello che ti sto dicendo, lo abbiamo saputo solo un anno fa quando abbiamo ricostruito tutta la storia… quando C.J. si mise con Kathrine, stava contemporaneamente con due ragazze. Una era Kelly Miyazawa, se ne andò l’anno scorso; l’altra la conosci… hai presente Ayane Fuitsuki? Quella che va in terza D?”.

Kevin non ebbe bisogno di soffermarcisi troppo, era una bella ragazza e l’aveva già notata. Annuì, ricordando nello stesso istante quando fosse irrimediabilmente cretina. Aveva avuto modo di notarlo in un’assemblea, quando lei aveva parlato come capo delle cheerleaders. Il suo discorso era pieno di risatine vezzose, frasi sgrammaticate e battito di ciglia nere di mascara.

“Kelly era una ragazza intelligente…” continuò Chiyo al cenno di Kevin “O meglio era una ragazza orgogliosa… appena seppe di lui e Kathrine, lo mollò senza complimenti. Con Ayane, le cose proseguirono per due mesi;  ma poi evidentemente C.J. capì che stava scherzando con il fuoco e troncò con lei. Ayane sembra stupida, sembra un’oca senza speranze, ma posso assicurarti che non è così… finge come poche, tutto per essere popolare e per conquistare le attenzioni dei ragazzi. È una vera e propria arrampicatrice sociale, le piace circondarsi di persone ricche e influenti. Ha tentato di farsi amica anche Kathrine, le avrebbe fatto comodo avere come amica l’ultima degli Shirogane, ma non ce l’ha fatta. Da allora, Ayane e Kathrine sono nemiche per la pelle. Quando C.J. preferì Kathrine a lei, andò fuori di matto. Ricordo che iniziò a sbraitare come una pazza durante l’ora di fisica… poi le cose andarono a posto. Dopo una settimana circa, Ayane sembrava essersi calmata. Ma non era affatto così…

“Ayane era semplicemente andata di filato da Kawashima a raccontare tutta la storia della relazione di Kathrine con C.J. . Nonostante la raccomandazione e tutto il resto, Kawashima fu costretto a cacciarlo, dopo che Ayane fece convocare il consiglio d’istituto. Le cose comunque sembrarono andare meglio, ormai Ayane non poteva più intromettersi, che altro avrebbe potuto fare di peggio? Ma non avevamo fatto i conti con –The Libertine-… C. J. appena arrivò nella nuova scuola, riprese la sua vecchia vita, rassicurato dal fatto che Kathrine non potesse vederlo. Dopo una serie di storielle brevi, sembrò mettersi in maniera relativamente seria con una di loro, Carys Kiota. Con lei praticamente faceva lo stesso che con Kathrine, fingeva di stare solo con lei e la trattava come la sua ragazza, salvo mollarla per andare da Kathrine. Carys non era quella che si definisce una brava ragazza… lei e Kathrine erano l’opposto. Carys era per dirla in modo gentile, una specie di teppista di strada. Ti basta sapere che il suo guardaroba era completamente di pelle nera e borchie, adorava gruppi heavy metal con nomi tipo Mutilator ed aveva un’enorme moto nera… insomma, era una tosta…”.

“Fammi indovinare…” proseguì, interrompendola Kevin “Carys venne a sapere della storia con Kathrine?”.

“Esattamente…” continuò Chiyo, la sua voce si velò di una vena di ironia “Ma ovviamente THE LIBERTINE non poteva mettere fine al suo bel giochetto… inventò una chiacchiera colossale per Carys, mentre Kathrine chiaramente non sospettava nulla. Disse a Carys che Katy era una sua ex, che erano stati assieme per qualche tempo e che lei continuava a metterlo alle strette, perché voleva tornare con lui. Quello che però non aveva messo in conto era che Carys era persa di lui, ma che era anche una di quelle che non te la fanno passare liscia, se qualcosa va storto. Organizzò una spedizione punitiva contro Kathrine, chiamando una banda di tipacci… per fartela breve, un giorno l’aspettavano fuori da scuola per farla nera. Per nostra fortuna, quello stesso giorno C.J. era venuto a prendere Kathrine e, insomma, Carys li vide in atteggiamenti abbastanza ovvi. Alla fine, fu lui ad essere picchiato…”.

Kevin si ritrovò a reprimere un piccolo sorriso soddisfatto, mentre Chiyo terminava il suo racconto: “Chiaramente Kathrine ci capì poco quanto niente… aveva pensato solamente a dei delinquenti o roba simile, e C.J. non si preoccupò ovviamente di chiarire le cose in nessun modo, assecondando l’interpretazione che lei aveva dato. Se Carys lo aveva lasciato, non voleva mica perdere il suo giochetto con Katy… per sua sfortuna, Carys non era assolutamente una persona arrendevole. Sapendo che a scuola c’era il rischio di incontrare C.J., scovò il suo numero di telefono e chiamò Kathrine a casa. Si incontrarono in piscina, approfittando del fatto che quel giorno C.J. non sarebbe venuto. Insomma, per fartela breve, Kathrine seppe tutto quel giorno… non fece fatica a crederle, come puoi immaginare. Il giorno dopo, si lasciarono e C.J. se ne andò dal Giappone. Credevamo che fosse tornato a casa sua, ma evidentemente eravamo stati troppo ingenui. Alla fine, è qui che è tornato…”.

Kevin annuì silenziosamente con il capo, Kathrine doveva essere stata davvero male, e tutto per colpa di quella sottospecie di invertebrato. Ad un tratto, si sentì gelare nella schiena, una strana sensazione che gli aveva preso la bocca dello stomaco, costringendolo ad un collegamento mentale a cui prima non era arrivato. Stava quasi per chiedere delucidazioni a Chiyo, ma sarebbe dovuto essere troppo preciso e raccontarle, quindi, ciò che Kathrine gli aveva confidato a Parigi su quello che le era successo un anno prima, la tentata violenza. Si era ricordato della circostanza in cui Kathrine si era trovata da sola fuori dalla piscina… Era inverno, e un giorno C.J. , lui si chiamava così, non poté venire perché aveva l’influenza. Io ci andai lo stesso perché dovevo vedere una mia amica, che mi doveva dire una cosa importante. Era Carys, la ragazza che doveva incontrare? Era stato per vedere lei che Kathrine aveva rischiato quello che, solo per un caso, non le era successo?

Sospirò, continuando a camminare, gli occhi fissi sul sole ormai sparito all’orizzonte, la presenza silenziosa e greve di Chiyo accanto. Decise di non chiedere niente a Chiyo, né tantomeno a Kathrine.

Solamente perché aveva paura, un’enorme e folle paura.

Paura di trovare motivi ulteriori per odiare in maniera sviscerale Christopher James Callaway.

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=82571