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di Sofi_Luthien
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intrusi in infermeria ***
Capitolo 2: *** Pronti a partire ***
Capitolo 3: *** Nascondimi un sorriso ***
Capitolo 4: *** Un uomo libero ***
Capitolo 5: *** Il giardino silenzioso ***
Capitolo 6: *** Vapore bianco ***



Capitolo 1
*** Intrusi in infermeria ***


 
1. Intrusi in infermeria



Essere in un lettino dell’infermeria con la sola compagnia di Madama Chips, che inspiegabilmente sembrava più burbera del solito, non era affatto piacevole.
In particolare quando lo obbligava a ingurgitare un sospettissimo intruglio molliccio, drammaticamente somigliante nella consistenza alla pozione polisucco che Hermione aveva preparato al secondo anno.
Non che fosse importante, il fatto che l’avesse preparata Hermione. Era la pozione quello su cui ci si doveva concentrare in quel momento.
Ma chi vuoi prendere in giro, Ron Weasley?
Se ne stava li, a non fare niente, o al massimo a simulare un profondissimo sonno non appena percepiva Lavanda Brown nelle vicinanze.
Non si aspettava che Hermione venisse. La conosceva abbastanza bene da sapere che la sua rabbia non si sarebbe placata facilmente, e che con ogni probabilità la sua unica preoccupazione attuale fosse di starsene in biblioteca a terminare qualche compito.
 
Sentì dei passi avvicinarsi, e temendo il peggio si acciambellò sul letto a occhi chiusi, nella speranza di risultare credibile. Non poteva essere Harry e nemmeno Ginny, dato che entrambi erano agli allenamenti di Quidditch, e quindi Ron si stava già preparando a sopportare la tiritera di Lavanda, che esibiva le sue abilità di oratrice melodrammatica, vegliando coraggiosa il suo sonno, sussurrandogli certe smancerie che Ron doveva esercitare un certo autocontrollo per resistere all’impulso di non vomitare (e non era per niente semplice, avendo in corpo quell’orrenda pozione).
 
Ma le lacrime struggenti di Lavanda non arrivarono, né tantomeno i suoi bisbigli affranti. L’unica cosa che Ron riuscì a sentire fu un debole sospiro, quasi impercettibile.
Un tale silenzio non poteva provenire da Lavanda, questo era poco ma sicuro. Ron si arrischiò a socchiudere gli occhi, quel tanto che bastava per distinguere la sagoma seduta al fianco del suo letto.
Finché non se l’era trovata davanti non si era reso conto di quanto ci avesse sperato. Di quanto avesse bramato la sua presenza. La rivelazione fu quasi dolorosa.
Spalancò gli occhi, desideroso di guardarla meglio, magari di capire cosa stesse pensando in quel momento. Il volto di Hermione era indecifrabile mentre lei ricambiava lo sguardo. Ron avrebbe voluto dire qualcosa, ma temeva di fare la mossa sbagliata.
Il silenzio si protrasse per un minuto buono, durante il quale Hermione continuò a fissarlo, l’espressione come di pietra, se non fosse stato per la fronte appena corrucciata.
Fu lei a rompere il silenzio.
“Scusa. Non volevo svegliarti.” A discapito dello sguardo fermo, la sua voce era flebile e bassa, quasi dovesse sforzarsi enormemente per uscir fuori. Il che era piuttosto insolito, conoscendo la parlantina di Hermione.
“No, non mi hai svegliata. Stavo fingendo di dormire perché pensavo fosse Lav… voglio dire, non pensavo fossi tu.”
“Se preferisci restare solo io…”
“No!”
  Ron si rese conto in ritardo di quanta urgenza ci fosse nella sua voce. “No, davvero, non andare.”
“Ah, bene. Si. Ehm, come stai?” Domanda stupida ma essenziale, dato che quella era pur sempre un’infermeria e Ron era pur sempre stato avvelenato.
“Oh, molto meglio. Non mi sono quasi accorto di niente a dirla tutta. Mi sento solo debole. Madama Chips dice che è normale, comunque, nulla di cui preoccuparsi.” Non era tipico di Ron minimizzare una cosa tanto grave. Forse fu proprio quella velata gentilezza per non far preoccupare Hermione, a scioglierla.
“Ron…mi dispiace…davvero tanto.” Hermione non stava proprio piangendo. Ma si vedeva abbastanza bene che tentava di trattenere le lacrime. Per un momento Ron si chiese se in quel mi dispiace fosse racchiuso tutto il disastro che avevano combinato negli ultimi tempi, o se si riferisse soltanto al suo avvelenamento.
“Anche a me.” Era poco, ma sembrava essere abbastanza.
Hermione gli sorrise. Non succedeva da un sacco di tempo.
“Mi sei mancata.” Ron stesso si sorpresa della sua audacia. Chissà, forse l’aver rischiato di rimetterci il collo lo aveva reso improvvisamente più avventato?
“Davvero?” L’incredulità di Hermione era un pugno nello stomaco.
“Non mi credi?”
“No è che pensavo…pensavo che con Lavanda intorno non pensassi…”
“A te? Molto più di quanto tu possa immaginare…”
Hermione spalancò gli occhi, visibilmente colpita.
“…sai, senza un’amica logorroica che mi ripete di quanto drammaticamente vicini siano gli esami, rischiavo di diventare un pazzo fannullone!”
“Ah, quindi è solo per i compiti, non è così?”  
Ma non c’era traccia di rabbia nel suo volto, solo un’espressione divertita e serena. La rapidità con cui erano tornati a parlarsi era sorprendente, e Ron si ritrovò a dover ammettere che quel veleno aveva alla fine avuto qualche effetto positivo (intruglio melmoso a parte).
“Ron” - Hermione tornò seria per un momento – “Possiamo…insomma, potremmo lasciare in dietro tutto questo? Sai, tornare ad essere amici, come prima.”
“No.”  
Silenzio.
“No, Hermione. Direi che dobbiamo porre fine a questi litigi. Non fanno bene alla mia salute.” E ridacchiò.
“Temo che questo non sia possibile. Ormai essere costantemente in collera con te fa parte del mio essere.” Rise anche lei.
“Almeno proviamoci!”
In lontananza si avvertì il sonoro richiamo di Lavanda Brown. Il sopracciglio sinistro di Hermione si inarcò pericolosamente.
“Mi riuscirà difficile.” Rispose, gelida, e fece per alzarsi.
“Hermione, ti prego, fingi che io stia dormendo!”
“E perché? Non vuoi fare due chiacchere con Lav-Lav? Ah, dimenticavo che voi prediligete altre attività al dialogo.”
“Io non la voglio qui in torno. Insomma è un…un’oca!”

Hermione sbuffò contrariata, borbottando qualcosa che Ron colse come un “e te ne accorgi adesso?”
Fece un breve cenno di saluto con la mano, ancora irritata per l’arrivo di Lavanda.

“Cosa ci fai qui?”  Ron poté quasi percepire il petto di Lavanda che si ergeva, gonfio di indignazione.
“Sono passata a trovare Ron.” Ribattè Hermione con dignitosa indifferenza.
“Ah si? E avete parlato come ai vecchi tempi? O sei passata solo per tartassarlo con le tue inutili accuse?”
“Sta dormendo.”
Disse Hermione, dopo una ponderata pausa ad effetto. Ron la sentì dirigersi a grandi passi fuori dall’infermeria e si lasciò sfuggire un respiro di sollievo.
Nel frattempo Lavanda prese posto accanto al letto di Ron, piagnucolando qualcosa a cui lui non badò. Gli dispiaceva che Hermione se ne fosse andata così presto.
Si sforzò di trattenere il sorriso che gli stava affiorando sulle labbra al pensiero che comunque, forse anche quella sera stessa, sarebbe tornata.

A Lavanda non sarebbe piaciuto.
 
 

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Capitolo 2
*** Pronti a partire ***


 2. Pronti a partire
 

Ron sfuggì alle grinfie di Molly appena in tempo e si rifugiò in camera, lontano dal pericolo.
Avere una madre in preda a una folle isteria da pre-matrimonio era più complicato di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, specialmente considerando che quelli erano gli ultimi giorni che Ron avrebbe trascorso alla Tana.
Si spaparanzò sul letto e chiuse gli occhi, pensando a quello che avrebbero dovuto affrontare.
Di norma cercava di non pensarci troppo, ma era un peso ingombrante e non sempre riusciva a scrollarselo di dosso.
In più c’era Hermione, che qualche giorno prima gli si era gettata tra le braccia piangendo, distrutta dall’idea che i suoi genitori non sapevano più nemmeno chi lei fosse.
L’enormità di quello che era accaduto, e soprattutto di ciò che stava per accadere, l’aveva schiacciato con la stessa intensità con cui Hermione l’aveva stretto tra le braccia.
Sarebbero potuti morire. Hermione lo sapeva. Aveva fatto sì che i suoi genitori non la ricordassero, così ché se lei non avesse fatto ritorno non avrebbero sofferto per la sua assenza.
E lo sapeva anche Ron, malgrado cercasse di non pensarci mai, perché sentiva che nella sua mente non c’era abbastanza spazio per contemplare una simile eventualità.
 
I suoi pensieri furono interrotti da Hermione, che entrò cautamente guardandosi le spalle, probabilmente per assicurarsi che Molly non l’avesse vista.
“Stai riordinando la tua camera?” Chiese, sorridendo alla stanza in completo disordine.
“Precisamente.” Confermò Ron, che si rigirò nel letto per stare più comodo.
“Tua madre potrebbe lavorare come sentinella, non ho mai conosciuto qualcuno così abile a tenere sott’occhio tutto ciò che accade.”
“E’ preoccupata
” – sospirò Ron – “e questo la rende ancora più rompi scatole.”
“Beh, un po’ la capisco. Se pensassi che la mia famiglia è in pericolo io…”  Ma si bloccò a metà frase.
“Faresti di tutto per proteggerla, Hermione.” Ron le rivolse uno sguardo caldo e comprensivo, al ché lei, con un lieve sospiro e un sorrisetto tirato, si sedette in un angolo della stanza.
Solo in quel momento Ron si rese conto che aveva portato con se una considerevole quantità di libri, che soppesava tra le mani borbottando qualcosa a se stessa.
 
“Hai fatto vedere a Harry quella roba che sta su in soffitta?” Chiese lei dopo un po’, con una smorfia.
“Non ancora.” Rispose Ron, ridacchiando.
Il vecchio demone che abitava la sua casa ormai da tempi immemori aveva subito una notevole trasformazione, grazie al sapiente contributo di Fred e George, il cui spirito pestifero non era stato scalfito dalla drammaticità degli ultimi avvenimenti. Anzi, più il clima era teso, più i gemelli traevano piacere nel sottoporre le loro invenzioni alle ignare vittime che capitavano a tiro.
C’era da dire che il loro temperamento era lodevole.
Hermione, quando l’aveva visto, aveva arricciato il naso e cercato di trattenere quello che sembrava a tutti gli effetti un conato di vomito. D’altronde una creatura viscida, piena di pustole e puzzolente, non era ciò che si poteva definire gradevole alla vista (e all’odorato).
“Sai cosa dirà, vero?”
“Oh, si. Dirà che sarà rischioso, che non dobbiamo partire con lui e che bla bla bla”
“Esatto”
– dichiarò Hermione, contemplando la copertina di un volume particolarmente grosso – “Per cui dobbiamo mettere subito le cose in chiaro, prima che si faccia strane idee.”
“E prima che parta per conto suo prima del matrimonio. Tu-sai-chi sembrerà una barzelletta in confronto alla furia di mia madre, se dovesse verificarsi quell’eventualità.”
La risata di Hermione si spense in fretta, e per un attimo il suo sguardo sembrò indugiare lontano lontano, verso un qualcosa che Ron non poteva vedere.
“Andrà tutto bene, Hermione. Vedrai.”
“Ne sembri molto sicuro.”
“Certo che lo sono! Saremo con te!”
Nelle intenzioni di Ron avrebbe dovuto suonare come una battuta, ma la sua voce inaspettatamente seria e convinta lo tradì all’istante. Si sentì arrossire, e anche le guance di Hermione si colorarono.
“Dici…dici davvero?” Se Ron non l’avesse vista muovere le labbra non sarebbe stato sicuro di averla veramente sentita parlare, tanto il suo tono era basso.
“Si, Hermione. Non ho dubbi. Con tutte le volte che ci hai cacciati fuori dai guai! Sei formidabile anche senza tutti quei libri.” Concluse, soddisfatto che il complimento gli fosse uscito così bene.
“E’ tipico di te, considerare i libri inutili.” Puntualizzò lei, lanciandogli un’occhiataccia divertita.
“Ed è tipico di te preoccuparti per niente.”
“Per niente? Ron…quello che stiamo per fare…”
“Non c’è bisogno che tu me lo ricordi, lo so quanto sarà pericoloso. Ma non trovo giusto il modo in cui ti sottovaluti, quando sai benissimo quello che sei capace di fare.”
Cercò di dare al suo tono di voce una certa autorità, per convincerla definitivamente.
“Grazie, Ron.”
“Per cosa?”
“Per essere sempre così…rassicurante.”
Disse lei, esitando un po’.
“Ma Hermione, non ho detto niente di ché!”
“Non mi riferisco solo ad adesso”
– lo interruppe lei – “Parlo in generale. Anche per…per l’altro giorno.”
Dopo la sua crisi di pianto non ne avevano più parlato, presi da tutto ciò che dovevano fare e dalla pressante presenza di Malocchio, che non faceva che ripetere quanto il piano per recuperare Harry sarebbe potuto andare a rotoli se non avessero fatto esattamente quello che lui aveva detto.
“Non dire sciocchezze. Era il minimo che potessi fare.” – Ron rifletté un attimo prima di terminare la frase – “Tu ci sei sempre stata.”
“E sarà ancora così.” Decretò infine Hermione, che pareva finalmente risollevata e tornò a esaminare i suoi libri con quel tipico interesse maniacale che Ron le aveva visto tante volte a scuola.
In un certo senso le ricordava la scrupolosità di Moody, che per un bizzarro gioco del destino era stato il primo di loro a cadere, dopo Silente. I due pilastri su cui si reggeva la sicurezza dell’Ordine della Fenice erano crollati sotto il peso della morte.
Per la seconda volta nella giornata, i pensieri di Ron indugiarono un po’ troppo sull’immenso mistero legato a coloro che non c’erano più.
E se fosse successo a lui? No, inconcepibile, era inutile pensarci. Era troppo difficile immaginarlo.
Eppure, si disse, Silente era il migliore. E Malocchio era il più tosto di tutti. Cosa aveva lui, Ron Weasley, di tanto speciale da risparmiarlo? Cosa avevano loro? Ma no, non era possibile. Doveva esserci una soluzione.
“E se Malocchio fosse vivo?” La domanda gli uscì senza volerlo, in un impulsivo bisogno di aggrapparsi a qualcosa.
Hermione alzò il viso e lo guardò dritto in faccia.
“Ron…cosa te lo fa pensare?”
“Non lo so, Hermione. Ma era così forte, come possiamo sapere che non…”
Ron si bloccò, sentendo dei rumori di passi sempre più vicini. Si alzò di scatto dal letto e si diresse verso la porta.
“Sto pulendo, sto pulendo!” – Harry fece capolino nella stanza – “Oh, sei tu.” Disse Ron, rilassandosi e tornando al suo letto. Hermione salutò Harry, accarezzando distrattamente Grattastinchi che le si era seduto in grembo.
Si concesse di guardarla ancora una volta, mentre l’attenzione di lei era rivolta altrove e non poteva accorgersi del suo sguardo insistente. Ripensò alle parole che si erano detti e si convinse che era vero. Averla vicino lo faceva sentire più sicuro, protetto dal suo coraggio.
Harry invece era seduto sull’attenti, e dopo aver constatato anche con lui che Malocchio non poteva in nessun modo essere vivo, attese che dicesse quello che entrambi si aspettavano.
 
“Ascoltate…” Iniziò Harry, come previsto.
Ron si girò verso Hermione, che esibiva sul bel viso un sorrisetto rassegnato.

Si scambiarono un’occhiata di intesa. Erano pronti.
 

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Capitolo 3
*** Nascondimi un sorriso ***


 3. Nascondimi un sorriso.
 


Harry era sdraiato supino,  con lo sguardo nel vuoto.
Hermione sbuffò. Stava pensando ai doni della morte, poco ma sicuro. Si ritrovò costretta a rivolgere la parola a Ron più spesso di quanto avrebbe voluto. Doveva ammettere che trattarlo con sufficienza stava diventando uno sforzo. Arricciare la bocca per manifestare disprezzo mentre gli parlava era ormai fastidioso, soprattutto perché Ron era talmente entusiasta nel voler rimediare al suo imperdonabile abbandono che si faceva scivolare addosso tutte le sue freddezze.
Si sarebbe fatta tagliare un orecchio come era successo a George piuttosto che ammetterlo, ma voleva che con Ron tornasse tutto come prima. Avevano rischiato di essere catturati a casa di Xeno Lovegood, e Dio solo sapeva cosa sarebbe potuto capitare. No, non era quello il periodo giusto per serbare rancore.
 
Ron era seduto a bordo tenda, guardava il bosco che si stagliava attorno a loro. Era tranquillo e silenzioso. Sembrava un buon momento per parlare.
“Mi domando cosa sia l’Horcrux di Corvonero.” Si, non era un gran ché come argomento di riappacificazione, ma Hermione lasciò che il suo tono di voce fosse tranquillo e rilassato, come un dolce invito a risponderle. Harry proseguì nel suo tacito subbuglio mentale, dentro il quale Hermione non aveva alcuna voglia, almeno per il momento, di indagare. Così fu Ron a rispondere prontamente, poco distante da lei.
“Me lo sono chiesto anche io. Potrebbe essere qualsiasi cosa. D’altronde non è che ci sia molto in comune tra un medaglione e una coppa, ma quelli erano i cimeli degli altri due.”
“Corvonero privilegiava l’intelligenza. Chissà, magari è qualcosa che ha a che vedere con lo studio, però escluderei un libro, non mi pare il tipo di oggetto che si mantiene intatto dopo mille anni.”
Hermione non poté fare a meno di notare l’espressione ebete di Ron, che la fissava intensamente, come fosse uno strano animale.
“Ron!” 
“Oh, scusa, si hai ragione. Intelligenza. In effetti potrebbe essere. Magari un qualcosa per scrivere? Ma no, non durerebbe tutti quegli anni.”
Ron blaterò imbarazzato ancora qualche minuto e ad Hermione sfuggì un sorriso. Probabilmente era rimasto talmente stupito dalla sua improvvisa gentilezza che non si era reso conto di fissarla in quel modo, e ora tentava di mascherare malamente il rossore delle sue orecchie. Accidenti, era adorabile.
“E tra l’altro…” – proseguì Hermione, per andare incontro al balbettio di Ron – “…vorrei sapere come sia riuscito tu-sai-chi a scoprire dove si trovasse. Oggetti di questo tipo devono avere un valore inestimabile, non si trovano tutti i giorni. Harry, che ne pensi?”
“Non credo che sia così importante.”
“Come sarebbe a dire? Harry, dovremmo iniziare a porci il problema, non possiamo cercare una cosa senza nemmeno sapere cosa sia!”
“Smettila di preoccuparti, Hermione! Con i Doni potremmo risolvere tutto!”
 
Ron fu il primo a captare il pericolo. Guardò prima Hermione, poi Harry, con sguardo apprensivo, in un muto tentativo di avvertire l’amico di mettersi in salvo. Il fatto che Hermione non avesse ancora parlato era un altro evidente segnale di allarme. Non capiva perché Harry fosse all’improvviso così disinteressato. Loro stavano facendo, a dirla tutta, quello che avrebbe dovuto fare lui: cercare di trovare gli Horcrux.
Come previsto, dopo lo sbigottimento iniziale, Hermione partì all’attacco.
“Smetterla di preoccuparmi? Harry, dobbiamo trovare gli Horcrux, si può sapere cosa ti sei messo in testa? Dopo tutto quello che abbiamo…”
“Si, va bene, Hermione. Ho capito. Non farla lunga, so bene perché siamo qui.”
“Ma…”
“Sono stanco.” – tagliò corto Harry – “Vorrei riposare.”  E si girò dall’altra parte, ostinato.
Dal canto suo, Hermione rimase a bocca spalancata, trafiggendo Harry con lo sguardo.
Ron si assicurò che la spada di Grifondoro fosse al sicuro e fuori dalla sua portata, prima di rilassarsi.
Uscì dalla tenda pestando i piedi talmente forte da far tremare il fragile tavolino in legno su cui poggiava la loro piccola lampada. Si lasciò cadere con scarsa delicatezza sul tronco di un albero e rimase li, pensosa.
“Credo che dovremmo lasciarlo in pace per un po’.” – si azzardò Ron, avvicinandosi a lei – “Con il tempo questa faccenda dei Doni gli passerà dalla testa.”
“Tu ci credi, Ron?”  C’era quasi tristezza nella voce di Hermione. Non sembrava più nervosa, e questo lo incitò ad essere totalmente sincero.
“Non lo so, Hermione. Insomma, Lovegood crede a cose talmente assurde! Però…quel simbolo ha un significato. Te lo ha lasciato Silente, e lui ha sempre saputo quel che faceva.” Si sentì arrossire, e sperava che Hermione non se ne accorgesse. Era vero, Silente sapeva quel che faceva. Aveva previsto che a Ron sarebbe servito il deluminatore perché se ne sarebbe andato, o come aveva detto Harry, perché avrebbe voluto tornare.
“Io non credo che Harry se lo farà passare di mente tanto in fretta.”
“Vorrà dire che avremo due cose in più da cercare, ormai ci siamo abituati.”  Ron le sorrise, amichevole.
“Hermione… lo so che ti ho delusa.”  Avrebbe voluto parlare intimamente da molto tempo, ma le occhiatacce brusche e i rimproveri di Hermione erano tutt’altro che incoraggianti. Quel momento sembrava tuttavia perfetto. E la parte più meschina di se benediva Harry per averla fatta innervosire, dato che per una volta sembrava aver dimenticato la sua collera verso Ron per lasciar posto a quella verso il suo amico.
Lei non rispose, si limitò a guardare dritta davanti a se e a non fare niente per impedirgli di parlare.
“Non è facile rimediare a quello che ho fatto.” – proseguì, interpretando il silenzio di Hermione come un invito a continuare – “Ma se potessi fare qualcosa, credimi, la farei.”
“Come posso crederti?” Più che un rimprovero implicito, quello di Hermione sembrava un dubbio di vitale importanza. Ron non era mai stato bravo a capire i sentimenti delle persone, ma era sicuro che Hermione si fosse posta quella domanda un’infinità di volte da quando era tornato. Molto probabilmente anche da quando era partito. Non poteva biasimarla, anche se sentirselo chiedere in quel modo era più doloroso di quanto avrebbe potuto immaginare. Era quasi meglio farsi picchiare.
“Io sono qui.” Fu l’unica risposta che gli venne in mente. Non sapeva nemmeno lui cosa significasse.
“E chi mi dice che non te ne andrai ancora?”  Hermione si stava agitando, poteva percepirlo dalla velocità della sua voce, dal tono leggermente più alto e incrinato.
“Non commetterò lo stesso errore di nuovo, Hermione. Sono stupido, ma non così tanto.”
“Non credo che tu sia stupido.” – borbottò lei, anche se poi, come temendo di essere stata troppo gentile, aggiunse – “O meglio, lo sei, ma non sempre.”
“Mi accontenterò.” Ridacchiò Ron, tentando di mascherare l’ennesimo rossore. Ma perché doveva sempre arrossire?
Hermione fece un breve cenno, come a dire che le stava bene, e si lasciò sfuggire un sorriso che Ron vide per pochi secondi, il tempo necessario affinché lei si rendesse conto di avergliela data vinta e tornasse seria come prima.
 
Soddisfatto, si alzò e fece per entrare in tenda, ma lei lo chiamò.
“Ron.”
“Si?” Era strano vedere Hermione impacciata.
“Ehm…buonanotte.” 
 “Buonanotte, Hermione.”  Che l’avesse colto, tutto l’amore che aveva tentato di trasmetterle mentre pronunciava il suo nome? Forse si.
 
Quando Ron si voltò, prima di congedarsi definitivamente, vide l’ombra di un secondo sorriso colorarle il volto, e sta volta non sembrò avere tanta fretta di nasconderlo.
 

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Capitolo 4
*** Un uomo libero ***


4. Un uomo libero
 
 
“Siete pazzi? Non se ne parla nemmeno!” Sbottò Hermione, arrabbiata.
“Hermione, ti prego, lo so che è difficile ma…”
“No che non lo sai!” Disse, alzando ferocemente la voce. Harry la guardò, sconvolto. Non era abituato a sentirsi parlare con quel tono da Hermione. Per quello era Ron, l’esperto.
“Scusa.” Buttò li lei, accortasi di aver esagerato. Ma non aggiunse altro, come a sottolineare il fatto che non era così sicura di doversi scusare davvero.
“Sentite, facciamo una pausa, ok? È da ore che pianifichiamo, dobbiamo staccare un po’. Per te va bene Unci-Unci?”
Il folletto annuì, ostile, e fece cenno ai tre di uscire dalla sua camera. Hermione scese le scale senza aggiungere altro e si diresse in cucina.
“Era proprio necessario insistere così tanto, Harry?” Scattò Ron, la cui voce non era molto più amichevole di quanto lo fosse stata quella di Hermione.
“Senti, lo so che è una cosa delicata, ma è fondamentale, Ron! È la sola possibilità che abbiamo per entrare!”
“Ma è stata torturata!” – protestò Ron, esasperato – “Non puoi pretendere che si trasformi in Bellatrix Lestrange!”
“Senti, ora riposiamo un po’, va bene? Siamo stanchi. Ne riparliamo dopo, insieme.” Harry fece per allontanarsi, ma vedendo Ron ancora furente tornò sui suoi passi.
“Ascolta, lo so che per lei è stato terrificante. Devi credermi, non vorrei mai vederla soffrire. Ma questa cosa è davvero importante. So che le sto chiedendo molto, ma Hermione è forte, sono certo che ce la farà.”
Ron non era ancora del tutto convinto, ma accettò le parole di Harry e lo salutò con un cenno di assenso, prima di seguire Hermione in cucina.
 
Sorseggiava una tazza di tè, probabilmente solo per avere qualcosa da fare.
“Tutto bene?”
“Si” – sospirò lei – “mi spiace di aver alzato la voce. È stato sciocco.”
“Non è stato sciocco. Chiunque avrebbe reagito così.”
“Si ma…non posso mettermi a fare i capricci proprio ora, la posta in gioco è troppo alta.”
“I capricci? Non essere ridicola, Hermione. Dopo quello che ti è successo…” Ron la guardò con aria colpevole. Non avevano più parlato dell’interrogatorio di Bellatrix. Hermione aveva evitato accuratamente l’argomento e ogni volta che lui aveva tentato di farle qualche domanda a riguardo, per assicurarsi che stesse bene, lei era stata sorprendentemente abile nel divagare su qualunque altra cosa che portasse l’attenzione altrove.
Hermione sospirò una seconda volta, sedendosi. “Non mi va di parlarne, Ron.”
“Lo so. Scusami. È che mi dispiace vederti così.”
“Sto bene. Dico davvero. E berrò la polisucco.” Da dove fosse scaturita tanta determinazione, Ron non sapeva dirlo. Sapeva solo che improvvisamente gli occhi di Hermione si fecero sicuri e decisi.
“Sei convinta?”
“Oh si! Non ho intenzione di darla vinta a quella pazza svitata.”  Dichiarò, orgogliosa. Un bagliore le incorniciò gli occhi, con la stessa ferocia che assumeva quando si rendeva conto di lottare per una giusta causa. Solo due cose, prima d’ora, avevano manifestato in Hermione quella furia malsana: gli esami scolastici e il C.R.E.P.A..
Ron sogghignò di nascosto, sollevato all’idea che si fosse finalmente calmata.
 
Ciò che era accaduto a Villa Malfoy aveva intaccato pesantemente il loro umore, per non parlare della morte di Dobby. Tuttavia la drammaticità della situazione aveva in qualche modo solennizzato i loro sforzi. Erano più determinati, Harry sembrava aver assunto una nuova e più salda consapevolezza, e la scelta di Hermione aveva confermato quello che Ron pensava già da un po’: non avrebbero ceduto mai. Finchè restava loro forza, avrebbero combattuto.
Non che questo rendesse le cose più facili, ma era un pensiero utile in cui rifugiarsi, quando si rischiava di perdere la speranza.
 
Hermione si alzò e ripose la tazza nel lavello. Si era accorta che Ron la fissava, e non sembrava affatto stupita.
“C’è una ragione precisa per cui continui a guardarmi in quel modo? Ti ho già detto che sto bene.”
“In che modo ti guarderei?” Azzardò Ron, spiazzato da quella domanda così diretta. Guardare Hermione era diventato talmente naturale che non si preoccupava nemmeno più di essere visto, anche se in quel momento avrebbe preferito di gran lunga averlo fatto.
“Beh, come se…” – Hermione si fermò, titubante – “…insomma, mi guardi come se fossi, non so…preoccupato.”
“Non sono preoccupato.”
“E allora perché lo fai?”
“Ti da fastidio?”
“No. e rispondi alla mia domanda.” Abbaiò lei, contrariata.
“Perché…lo sai il perché.” Il colorito di Ron aveva raggiunto un rosso allarmante.
“Non che non lo so.” Disse Hermione, abbassando la voce.
“Lo sai…Hermione, certo che lo sai.”
“Dimmelo.” Non c’era traccia dell’autorità di poco prima. Sembrava una preghiera.
La risposta che martellava nella testa di Ron era li, pronta per uscire. Ma non era quello il momento. Non nella cucina di Bill e Fleur, con un folletto antipatico alle calcagna e una missione da compiere.
“Sei bellissima.” Si scoprì a dire. Era vero. Avrebbe voluto dirle molto di più, ma Hermione sorrise con dolcezza. Lo sapeva anche lei, che non era quello il momento.
Gli posò un delicato bacio sulla guancia e uscì dalla cucina. Ron la seguì con gli occhi finchè non sparì in salotto, dove la sentì intavolare una buffa discussione con Luna.
 
Lui invece rimase li  per conto suo, a osservare la tomba di Dobby che si intravvedeva dalla finestra.
Harry vi aveva inciso sopra la scritta Qui giace Dobby, un elfo libero. Ron fantasticò per un attimo su quando sarebbe arrivato il tempo in cui anche lui sarebbe stato libero.
Sarebbe arrivato, quel tempo. Non ne era mai stato così sicuro come in quel momento, nella cucina di Villa Conchiglia, a contemplare il mare scosso dal vento e l’immagine di Hermione ancora impressa nel riflesso degli occhi.

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Capitolo 5
*** Il giardino silenzioso ***


5. Il giardino silenzioso
 
 
Il giardino della Tana non era mai stato così silenzioso. Ogni tanto qualche gnomo si arrischiava fuori dalle siepi, ma nessuno si dava la pena di andarlo a cacciare, e così tornava a nascondersi, annoiato.
Ron stava dando da mangiare alle galline, che beccavano sul terreno con movimenti ripetitivi e monotoni. Anche la Tana era in preda ad una pressante monotonia. Sembrava che tutti i suoi abitanti si fossero abituati a seguire un rituale prestabilito di gesti e comportamenti, e avessero tutti il terrore di rompere quella nuova routine.
La morte di Fred aveva fatto precipitare la casa in uno stato di semi incoscienza. Si andava avanti così come capitava, un giorno dietro l’altro. Non c’era stato molto tempo per pensare alla morte, durante la guerra. Ma ora le giornate scorrevano lentamente, lasciando a tutti tanto, troppo tempo per pensare. La tristezza era alternata alla rabbia e al sollievo a intervalli scostanti, in un subbuglio di sentimenti incoerenti talmente difficili da gestire che non si poteva mai dire se qualcuno stesse piangendo di gioia o di dolore, se le risate fossero amare o sincere.
 
Le già limitate capacità di Ron di gestire i propri sentimenti erano ulteriormente messe alla prova dalla presenza di Hermione. Era stata un’ancora di salvezza di importanza vitale, e saperla vicina gli infondeva un senso di quiete interiore che era del tutto estraneo al subbuglio che il dopoguerra aveva lasciato.
Ma il dolore era troppo vivo per poterne godere appieno. Dopo quel bacio impulsivo nella stanza delle necessità non ve n’erano stati altri, e anche se Hermione non lo lasciava solo un attimo, Ron sentiva che la loro situazione era irrisolta.
Era ansioso di parlarle, di poterle dichiarare finalmente quanto l’amasse in assoluta libertà. Ma in qualche modo sembrava sbagliato. Erano circondati da così tanta tristezza che si sentiva quasi in colpa, se per caso si riscopriva a sorridere pensando a lei. Probabilmente per Hermione era lo stesso, perché nemmeno lei aveva ancora toccato l’argomento, sebbene i suoi gesti non fossero più timidi come un tempo. Lo abbracciava e prendeva per mano con naturalezza, alternando sorrisi un po’ malinconici, un po’ incoraggianti.
“Ah, sei qui.” Hermione fece capolino nel pollaio, dedicandogli un sorrisetto tirato.
“Mi cercavi?”
“Si, volevo parlarti di una cosa. Ma se preferisci stare per conto tuo possiamo fare dopo, non è urgente.”
“No, va bene, parliamo.” Ron le fece cenno di sedersi sulla vecchia panca di legno dove stava anche lui, facendole spazio.
“Ho parlato con Kingsley…” – iniziò lei, esitante – “…sai, riguardo i miei genitori.”
Ron la guardò. Avevano parlato poco anche di questo, ma vedendola ora, impacciata e timorosa, si rese conto di quanto quel problema l’avesse assillata in quei giorni. Era stato stupido a non pensarci. Hermione non vedeva la sua famiglia da un anno ormai, non sapeva dove fossero di preciso e senza dubbio ne aveva sentito la mancanza enormemente.
“Ha detto che può aiutarmi a cercarli, mi ha dato alcune istruzioni e mi ha assicurato l’appoggio del ministero per la reintegrazione, se torneranno.”
“Se torneranno? Che dici, Hermione? Torneranno sicuramente!”
“Beh…si, suppongo di si.”
“Di cosa hai paura?”
“Non…non saprei, Ron. Non li vedo da così tanto. Magari…magari loro stanno bene la dove sono e io non…”
“Non dire sciocchezze! Loro sono i tuoi genitori, torneranno dall’Australia e sarà tutto come prima!” La interruppe Ron, risoluto. Si accorse che Hermione stava trattenendo le lacrime a fatica ed era rossa in volto. D’istinto Ron la abbracciò, dandosi dell’idiota per non aver mai pensato seriamente a quanto dovesse essere difficile per lei sopportare quel peso.
Lei non fu più capace di trattenersi e pianse, ma non per molto.
“Mi dispiace Ron. Scusa, davvero…” Disse, sciogliendo l’abbraccio.
“E di cosa? Scusami tu, Hermione. Non ti ho più chiesto nulla sulla tua famiglia…”
“Hai già abbastanza da pensare con la tua, di famiglia, Ron.”
“No, invece! Ti sei sempre preoccupata per me e io…tu sei più importante di me…tu…” Ron si accorse che ansimava. Si era accalorato, parlando, e ora sembrava aver perso tutto il fiato che aveva. Voleva dirle che la amava disperatamente. La sua famiglia stava impazzendo, sua madre piangeva in continuazione, George era praticamente morto…era tutto un enorme, irrimediabile caos. E Hermione era l’unica speranza di ordine che lui avesse. Ma come si fa a far capire una cosa simile a una persona? Forse Hermione ci sarebbe riuscita, era brava con le parole. Ma Ron era quello impulsivo, parlare con calma e lucidità non era il suo forte. E più l’argomento era importante, più la sua mente si chiudeva.
“Ron, calmati. Stai tremando!” – si affrettò a dire lei, visibilmente preoccupata della sua reazione – “Ascoltami, non devi agitarti per me, dico davvero. È tutto ok.”
“Tu non capisci. Non hai mai capito, Hermione. Non fino in fondo.”
“C-cosa? Ron, di cosa stai parlando?” Fece lei, sempre più tesa.
“Quanto vali. Quanto vali per me. Io…forse non te l’ho mai dimostrato. Non puoi chiedermi di non preoccuparmi per te e ripetermi in continuazione che stai bene – non interrompermi” – le ordinò lui, vedendo che stava per replicare qualcosa – “perchè lo so che non stai bene. Me lo hai appena dimostrato, e io non ho ancora fatto niente per aiutarti.”
“Ma, Ron! Fred…”
“Non dirmi che mi devo preoccupare della mia famiglia come se tu non ne facessi parte!”  - Gridò lui, furibondo.
Hermione ammutolì. C’era una tensione palpabile, e sul momento nessuno dei due sembrò in grado di smorzarla.
“Ron…” - Sussurrò Hermione, dopo un po’. Aveva un’espressione mortificata e stupita insieme, e sembrava indecisa su quale dei due sentimenti concentrarsi. – “…Ron, io devo trovarli…devo andare in Australia. Non subito.” – si affrettò a precisare, come per tranquillizzarlo – “Ma devo andarli a prendere. Volevo parlarti di questo. Del fatto che più avanti dovrò partire.”
Ron annuì, senza guardarla.  
 
“Sei…stai meglio? Chiese lei, dopo un altro lungo silenzio.
“E tu stai meglio? Voglio la verità, Hermione.” Aggiunse dolcemente, dimenticando il tono rabbioso di prima.
“Non lo so, Ron. Non vorrei andarmene, ma so che devo. L’idea che non ricordino nemmeno chi sono, non so, mi spaventa a morte.” Sputò fuori lei, tutto d’un fiato. Chissà da quanto tempo avrebbe voluto sfogarsi.
“Ron?”
“Si?”
“Lo pensi davvero? Quello che hai detto sulla tua famiglia…che io ne faccio parte.”
“Pensi che non sia vero?” Chiese lui, concentrando lo sguardo da qualche parte oltre il prato.
“Lo sto chiedendo a te.”
Ron alzò il volto per guardarla finalmente negli occhi. Sembrava ancora preoccupata per lui, ma non c’era più traccia di lacrime sul suo viso, e lo scrutava guardinga, con le guance leggermente arrossate. Pareva quasi che avesse paura della risposta.
 
“Io ti amo.”
 
Lasciare Hermione Granger senza parole per due volte nell’arco della stessa conversazione non era cosa da novellini. Il fatto che avesse la bocca semiaperta in un’espressione di muto sconcerto avrebbe anche reso la scena comica, se l’affermazione di Ron non fosse stata tanto solenne.
Ma dopo tutto quel tempo gli era apparso chiaro che era quello, il momento giusto.
Perché era vero, perché avevano aspettato troppo, e perché ne avevano bisogno entrambi.
Di fronte a lui, Hermione non dava segnali di vita verificabili a occhio nudo.
Ron fu quasi tentato di sventolarle una mano davanti alla faccia per accertarsi che riuscisse ancora a sbattere le palpebre.
Lei si ridestò all’improvviso, scattò in avanti e lo abbracciò strettissimo, come se ne dipendesse la sua vita. Questa volta Ron era pronto. La prese per le spalle con tocco leggero e le fece voltare il viso in modo da averla dritta davanti a se. Le sorrise, e non si poteva scorgere alcuna traccia di tristezza in quel fugace attimo in cui i loro occhi si incrociarono, prima di baciarsi.
Un bacio talmente diverso dal primo! Era più dolce e consapevole,  non c’era urgenza, o timore. Erano vivi, erano ancora li, a preoccuparsi per il futuro. Un futuro che avrebbero potuto non avere, ma che era stato loro concesso comunque.
Quel bacio non aveva cancellato il dolore, o la morte di Fred.
Non aveva ancora il potere di rimettere a posto tutti i pezzi, di risollevarli completamente.
Era il primo tassello della loro rinascita. 

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Capitolo 6
*** Vapore bianco ***


6. Vapore bianco
 
 
Il fascino dell’Espresso per Hogwarts era un mistero che Ron non aveva mai condiviso fino in fondo. Prenderlo significava avventurarsi verso un anno di studio e lezioni complicate, e anche se la vicinanza di Harry e Hermione aveva reso la sua infanzia tutt’altro che monotona, il termine delle vacanze estive era sempre un piccolo trauma, di cui il treno scarlatto era simbolo.
 
Quell’anno, tuttavia, Ron percepiva l’atmosfera di velata nostalgia che gli adulti faticavano così tanto a descrivere. Il vapore usciva a sbuffi pigri e lenti, in contrasto con il vivace vociare degli studenti. Mancavano 20 minuti alla partenza, e l’inusuale puntualità gli diede modo di assaporare pienamente ogni singolo movimento della folla.
L’eccitazione dei bambini del primo anno era una ventata di energia pura, il loro entusiasmo infantile era la prova tangibile che il peggio era passato. I più grandi manifestavano ancora il timore guardingo di chi ha vissuto nella paura, non ancora dissipata nonostante Voldemort fosse morto ormai da qualche mese.
Qualcuno lo indicava e sorrideva al suo passaggio, altri lo salutavano cordialmente pur non conoscendolo di persona. Da quando erano emersi maggiori dettagli sulla battaglia di Hogwarts, Ron e Hermione erano stati al centro dell’attenzione quasi quanto Harry, il ché ovviamente comportava una serie di situazioni piuttosto imbarazzanti, come dover affrontare una donna in lacrime a Diagon Alley, che si era scagliata loro contro, ringraziandoli per aver salvato il mondo.
Harry sembrava esserci abituato, ma Ron aveva trascorso quasi tutta l’estate in casa, e non era ancora a suo agio con l’idea che tutti si girassero al suo passaggio. Sorrise tra se a quel pensiero – solo qualche anno prima avrebbe dato qualsiasi cosa per attirare l’attenzione in quel modo.
Si voltò verso la sua famiglia che salutava Ginny, mentre Harry tentava di mimetizzarsi tra di loro per non essere riconosciuto. La sua folta chioma nera e arruffata risaltava visibilmente tra le varie teste rosse dei Weasley, e ciò rendeva il suo tentativo di passare inosservato totalmente inutile, al punto che più di una volta si ritrovò circondato da estranei pronti a implorargli un autografo.
 
Hermione scese dal treno in quel momento, attirando l’attenzione di parecchi passanti.
“Spostiamoci di qui.” – disse, alzando gli occhi al cielo – “Qualcuno dovrebbe insegnare a questa gente che non è molto educato fissare le persone così sfacciatamente!”
Lo prese per mano borbottando ancora qualcosa e lo condusse in un angolo vicino all’uscita, relativamente al riparo da occhi indiscreti.
“Hai sistemato il tuo baule?” Chiese Ron, per smorzare la tensione del momento.
“Oh, si. Ho trovato un posto con Ginny e Luna.”
Rimasero in silenzio per un po’. Ron aveva evitato accuratamente di pensare alla partenza di Hermione il più a lungo possibile. C’era stato parecchio trambusto in quegli ultimi giorni, con lei che andava avanti e indietro dalla Tana a casa sua, divisa tra lui e i suoi genitori tornati dall’Australia.
Ma ora non si poteva più rimandare, l’espresso l’avrebbe riportata ad Hogwarts, per la prima volta senza di lui.
“Non sarà la stessa cosa senza di voi.” Disse lei con dolcezza, leggendogli nel pensiero.
“Te la caverai alla grande.” Tentò di incitarla Ron, senza troppa convinzione.
“Mi mancherai.”
“Hermione…anche tu, tanto.” Che fatica! Parlare era diventato dannatamente difficile. Si sentiva il petto pesante, circondato da una piccola angoscia.
Lei non sembrò capace di aggiungere altro. Si guardò attorno, e parve sopraffatta dalla stessa sensazione malinconica che aveva provato lui. C’era però una strana delicatezza nel suo sguardo, un piccolo sorriso carico di ottimismo nascosto.
“Ci vedremo presto, a Hogsmeade. Quest’anno passerà velocemente, vedrai. E poi avremo tutto il tempo per…”
“Per stare insieme.” Le sorrise Ron.
“Si.” Confermò lei, rianimata. “Guarda tutte queste persone…sembrano felici, non trovi? O almeno, sembra che lo possano essere. Possiamo esserlo anche noi, adesso.”
“Si, è solo che…è così brutto vederti andare via.” Confessò.
“Tornerò prima ancora che tu ti accorga che me ne sono andata.” Scherzò lei, provando a sorridere ancora.
“Bugiarda.” Rispose Ron, abbracciandola.
Rimasero stretti per quello che sembrò a malapena un secondo. Il treno fischiò, segno che il loro tempo si stava esaurendo.
“Ti amo, Ron.” Era stato un sussurro appena udibile, ma esprimeva pienamente la forza emotiva che si era creata tra di loro. Non si erano detti ti amo quasi mai, e ogni volta il tono dato alle parole assumeva una cadenza diversa. C’era stato il primo, goffo ti amo di Ron, nel pollaio. Poi era stata la volta di Hermione, prima di partire per l’Australia, un po’ intimorita ed emozionata. E poi questo piccolo, timido ti amo, che racchiudeva tanta gioia quanta tristezza.
“E’ l’ultima volta che ci salutiamo in questo modo. Quando tornerai non ti lascerò più andare da nessuna parte.”
“Oh cielo, allora dovrò approfittarne!” Il viso di Hermione era tornato parzialmente sereno, e i suoi occhi brillavano di un rinnovato entusiasmo carico di aspettativa che Ron conosceva bene: un nuovo anno a Hogwarts!
Hermione stava per vivere il suo momento. Non era più la ragazzina dentona e antipatica dei primi anni. Era un’eroina che stava per prendere il massimo dei voti in tutti i M.A.G.O. che avrebbe affrontato. Non che lei ne fosse convinta, ovviamente. Aveva trascorso gli ultimi giorni in preda al panico, ripassando con ansia febbrile le vecchie materie tralasciate da oltre un anno e gridando a chiunque fosse disposto ad ascoltarla che era rimasta scandalosamente indietro con il programma. D’altronde sarebbe stato da sciocchi illudersi che la sua maniacale devozione per i libri venisse minimamente scalfita dalla guerra. Era una di quelle cose talmente radicate in lei che non sarebbero cambiate mai, nemmeno dalla distruzione della morte.
 
Ron la riaccompagnò vicino al treno, dandole il tempo di salutare tutti gli altri.
Tentando di mascherare gli occhi lucidi gli diede un ultimo bacio, prima di salire e chiudere lo sportello dietro di se. Lei, Ginny e Luna si affacciarono al finestrino mentre il treno prendeva velocità, salutandoli con la mano.
Poco a poco, dell’Espresso per Hogwarts non rimase che un’ombra di fumo bianco contro il cielo.
La folla si disperse lontano dal binario, ma Ron si prese ancora un momento per guardarsi attorno.
C’era una piacevole solitudine tra quelle rotaie vuote, una pace purissima e ordinata, immutabile.
Ron sentì la familiare voce di Harry che lo chiamava e fece dietrofront per raggiungere la sua famiglia, ma prima di andarsene tornò ancora una volta a guardare la scia dell’espresso.
Hermione aveva ragione, quello era il momento in cui sarebbe iniziata la difficile ricostruzione delle loro vite. Sarebbero potuti essere felici, anzi, lo sarebbero stati sicuramente. Un passo dietro l’altro, come la folle rincorsa di un treno sui binari.
Lei era andata a riprendersi il suo futuro, e lui, pur così lontano in quel momento, ne faceva parte.
Che adorabile controsenso, che magnifica sensazione! La distanza sembrava una barzelletta, ora che capiva quanto forti fossero insieme. Una consapevolezza del tutto nuova, quella di poter contare per sempre sull’amore di qualcuno.
Oh si, gli sarebbe mancata terribilmente, su questo si era rassegnato. E l’idea di tornare in quella casa, il cui silenzio sarebbe rimbombato con forza maggiore ora che lei e Ginny non c’erano più, gli faceva rimpiangere la sua assenza prima ancora di percepirla davvero.
Eppure non poteva fare a meno, pensando al domani, di essere ottimista.
Lasciò il vuoto che si era portato dentro sul binario 9 ¾, e si avvicinò a Harry con un sorriso promettente.
Si sorprese nel constatare che l’amico sembrava ugualmente sereno, e il suo cuore si alleggerì ulteriormente, rendendosi conto di avere, ancora una volta, un fratello occhialuto e spettinato con cui dividere se stesso.


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Nota:

Non ho mai commentato i capitoli precedenti perchè ho preferito lasciare un'unica nota finale, dando qualche breve spiegazione.

Prima di tutto, la scelta dei vari momenti si basa sul percorso emotivo di Ron e Hermione (ovviamente secondo la mia visione personale) che parte dal rendersi conto dei propri sentimenti al riuscire ad esprimerli in totale serentià.
Per questa ragione ho scelto l'infermeria per il primo capitolo, momento di riappacificazione e, forse, di consapevolezza tacita da parte di entrambi.

Il preludio alla partenza con Harry è un altro momento secondo me molto importante, perchè sia Ron che Hermione si rendono conto di che enorme rischio valga questo viaggio, e di quanto sia fondamentale in un momento simile poter contare l'uno sull'altra.

Non poteva mancare la seconda riappacificazione, dopo la partenza di Ron. Diciamocelo, Hermione è furibonda e ne ha tutte le ragioni, ma poi sembra ovvio che se la farà passare. Quello che è più dubbio, a mio modo di vedere, è se tra di loro tornerà ad esserci il rapporto di fiducia che c'era prima. Per questo motivo l'ho ritenuto un momento importante, che segna la volontà di Ron di rimediare all'errore compiuto e la scelta di Hermione di tornare a fidarsi di lui.

Il capitolo sul piano per entrare alla Gringott è più di transizione. Ron e Hermione sono ormai pienamente consapevoli di amarsi, ma capiscono che non possono ancora esprimere appieno quello che c'è tra di loro. 

Il quinto capitolo è dedicato alla prima, vera dichiarazione d'amore. Ho pensato che nonostante la situazione ormai ovvia, entrambi si trovassero in parecchia difficoltà, date le circostanze, a manifestare ciò che pensano veramente.

E infine quest'ultimo capitolo sulla partenza di Hermione per Hogwarts. Avrei potuto scrivere altri capitoli, ma non avrei fatto che ribadire il concetto ormai assodato che Ron e Hermione si amano, e non avrebbe avuto molto senso data la scelta di impostazione che ho fatto per questa raccolta. 
Ho approfittato dell'immagine sempre suggestiva del treno che parte per rendere l'idea del loro futuro in cambiamento, ma che potranno comunque condividere. Volevo evocare questa sensazione dolceamara e nostalgica, che è un po' quella che ho provato io quando ho finito di leggere Harry Potter. Questa è anche la ragione per cui ho terminato il racconto con una riflessione su Ron e Harry.

Grazie davvero a tutti quelli che hanno recensito la storia e a chi l'ha letta. Spero vi sia piaciuta, ho fatto il possibile per rendere i personaggi fedeli a quelli descritti dalla Rowling, ma ovviamente ci ho messo del mio quindi abbiate pazienza se a volte si sono comportati in modo che non sembrerebbe conforme al loro carattere. C'è da dire che in una situazione come quella che hanno vissuto in questo contesto può accadere di fare cose avventate che in tempi normali non si farebbero, quindi mi sono sentita libera di rendere Ron un po' più audace del consueto.

A presto!

 

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