All I Want Is You

di Jaded_Mars
(/viewuser.php?uid=114205)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eleanor ***
Capitolo 2: *** Down Home Again ***
Capitolo 3: *** The Book Of Love ***
Capitolo 4: *** Photograph ***
Capitolo 5: *** A Brand New Beginning ***
Capitolo 6: *** Sparks ***
Capitolo 7: *** Dazed And Confused ***
Capitolo 8: *** Wild Youth - Interlude- ***



Capitolo 1
*** Eleanor ***


Quella maledetta corda non voleva proprio tendersi. Era circa un quarto d’ora che ci stava lavorando su, provando e riprovando, e continuava a non andare. Quel giorno era stranamente impacciato con le mani, non ne faceva una giusta e forse anche per quel motivo non era in grado di sistemarla come voleva. Non ci capiva più niente, aveva una grande confusione in testa, però almeno una cosa la sapeva. Si era scocciato di quel suono gracchiante e di quella stupida corda che non faceva più il suo dovere, perciò iniziò a slegarle tutte dal corpo della chitarra, una ad una, con infinita cura, pazienza … e le mani tremanti.  Sbuffò quando un nodo si oppose al suo dolce tocco, si ribellava, non voleva essere sciolto. Pensava e ripensava, tante idee saettavano una dopo l’altra inseguendosi e scontrandosi, se si concentrava poteva vederne quasi le scie luminose che si lasciavano dietro come traccia. Doveri, mestieri, faccende, anche quelli lo rincorrevano fino a catturarlo nella loro morsa di monotonia chiudendolo in una prigione dalle sbarre invisibili.  Invece che essere soffocato dal mondo avrebbe solo voluto essere libero di restare tutta la sua vita semplicemente a suonare sette note sulla sua amata chitarra, anche in una casa in campagna lontano da tutti, non faceva differenza, bastava suonare. Ma non era possibile, lo sapeva. Come del resto aveva sempre saputo che sarebbe diventato una grande star. Era  nel suo destino, nel suo DNA, marchiato a fuoco nel suo essere, una consapevolezza di cui era a conoscenza sin da quando era piccolo. Non era mai stato solo un ridicolo sogno, uno di quelli che tutti i ragazzini hanno per un certo periodo della loro vita e che poi dimenticano in mezzo ai libri di scuola e al lavoro. Era determinato, lo era sempre stato, forse solo per quella grande vocazione che covava dentro sé stesso. “Io ce la farò”. E così era stato. Ci era riuscito. Partito dal nulla, vissuto con nulla se non con la sua infinita ispirazione e l’inseparabile chitarra. Ed ora era nella sua bella casa, tabernacolo della sua affermazione, comprata coi soldi del successo, del suo successo, intento a raccogliere i frutti della sua ispirazione con uno strumento che non voleva collaborare. Anzi con delle corde che non volevano collaborare. Finalmente era riuscito a sfilarle. Si alzò dal divano reggendole in mano come fossero corpi esanimi, fili d’erba appena recisi dalla vita, e si diresse in cucina. Cercò una pentola – dove diavolo erano le pentole?-  la riempì d’acqua e la mise sul fuoco. Accensione automatica. Gran cosa la tecnologia. Era bello vivere in un posto così ricco di comfort, nessuna fatica, tutto servito. Eppure a lui mancava l’ebbrezza del semplice. Sentiva nostalgia per quei tempi non lontani in cui non aveva che un  fornelletto da campeggio per fare tutto il necessario e uno sgangherato lavandino in cui lavarsi le mutande in una topaia che cadeva a pezzi. Forse c’era qualcosa di più vero in quei momenti di trasandatezza e irregolarità che nella perfezione che aveva ora. Che poi intendiamoci, perfezione proprio non era. Sembrava  perfezione, in realtà era solo il 10% visibile di un iceberg di caos. Ma del resto ogni cosa che lo riguardava appariva in una maniera totalmente diversa dal vero, era riservato per natura, non si apriva facilmente alle persone, un po’ per diffidenza, un po’ per carattere. Era per questo che riusciva facilmente a celare a tutti una gran percentuale dei suoi casini, tutti i suoi non detti avrebbero potuto comodamente riempire lo Staples Center. Droga, litigi, tensioni… droga. Ah, la maledetta. Era felice, sinceramente felice di esserne uscito. Era stato dannatamente difficile. Una lotta contro se stesso, una battaglia contro l’esterno che lo aveva profondamente segnato. Aveva combattuto con le unghie e coi denti per riprendere le redini della sua esistenza, ancora una volta era stato determinato, determinato a ricominciare, e quando decideva qualcosa, perseguiva il suo obiettivo fino in fondo. Solo che quella volta era stata diversa, non aveva avuto il sostegno di nessuno, aveva iniziato la sua relazione con la droga quasi per gioco più che per necessità, in compagnia, e l’aveva interrotta da solo, chiuso nella sua segretezza.  Aveva ricevuto così tanti schiaffi e batoste che era stato quasi sul punto di mollare. Eppure eccolo lì, ancora in piedi, ammaccato ma non sconfitto, rinforzato. Si guardò le mani, tremavano ancora.  C’era troppo silenzio in quella stanza per i suoi gusti. Il silenzio che gli era così caro, lui che per indole era taciturno e preferiva il vuoto allo spreco di fiato, ora voleva rumore. Qualsiasi cosa per mettere a tacere la sua testa –taci maledetta!- che da qualche giorno era in subbuglio. Si passò una mano sulla fronte come se quel gesto potesse aiutarlo a schiarirsi i pensieri e gettò le corde nell’acqua bollente. Le guardò danzare leggiadre e coordinate immerse nel liquido trasparente. Bolle piccole, bolle grandi. Era incantato a seguire quel balletto insolito. Anche lui un tempo aveva provato a ballare. Il risultato? Sembrava una di quelle goffe bolle che stavano scoppiando in pentola. Tanto era bravo a comporre musica quanto era negato per il ballo. Ma lei no, lei era armoniosa, delicata, bella. Era il suo opposto in tutto. Lei stava al blu quanto lui stava al giallo. Ma era anche il suo complementare, insieme diventavano bianco, luce. La testa gli stava scoppiando. Andò ad accendere la radio su una frequenza casuale, qualsiasi cosa andava bene, ed alzò il volume al massimo.

“You got a thing about you,
I just can’t live without you,
I really want you, Elenor, near me.”

Ecco la canzone più sbagliata che potesse capitare in quel momento. Stupidi dj, non l’avevano mai  passata quando serviva ed ora la piazzavano proprio quando lui aveva bisogno di distrarsi e non pensare. Come se ci fosse stato dietro un perfido calcolo del destino occhi verdi, intensi, vivi come un bosco si esplosero nella sua mente, sempre gli stessi begli occhi che si illuminavano quando lo vedevano suonare, occhi profondi che non sapevano celare menzogne, occhi che erano stati la sua medicina. Nei momenti in cui lacrime di dolore avevano rigato il suo viso, quando la stabilità emozionale lo stava per abbandonare, lui pensava a quegli smeraldi e subito si sentiva meglio. Li aveva sempre considerati preziosi, lei, un dono che non meritava. Non li aveva mai dimenticati, ci pensava ogni giorno da quando li aveva persi. Ci aveva pensato soprattutto durante la battaglia contro i suoi demoni. Quegli occhi, lei, non erano più presenti vicino a lui, ma erano reali, lo sapeva, e questo gli aveva procurato conforto, una ragione per non arrendersi. Un viso dolce e sicuro prese forma intorno a quegli occhi da cerbiatto, contornato da capelli color cioccolato. Ora erano lisci. Come aveva potuto schiacciare quei bei riccioli morbidi? Ricordava le centinaia, forse migliaia di volte in cui aveva infilato le sue mani in quella bella capigliatura e aveva passato minuti interi a giocarci, quasi come se fossero le corde della sua chitarra, ricavandone lo stesso piacere che aveva a suonare.

“There is no one like you, Elenor, really”

Gli sembrò di sentire un forte profumo di gelsomino invadere la stanza. Era il suo profumo, il profumo di Eleanor. Quel dolce aroma estivo che gli portava buonumore in qualsiasi situazione si trovasse. A volte capitava che le baciasse il collo improvvisamente, anche nei momenti meno adatti, in mezzo alla gente o a casa da soli poco importava, non temeva la reazione di nessuno, tutto pur di  potere annusare quell’odore così buono per qualche istante e poterlo conservare sempre fresco nella sua memoria. E quando lo faceva Eleanor rideva con la sua inconfondibile risata cristallina, solleticata dal fiato birichino del ragazzo che correva sulla sua pelle, o si seccava a volte, ma in ogni caso era sempre paziente con lui e lo lasciava fare. Se ne fosse stato in grado il giovane avrebbe voluto riversare il profumo della sua ragazza in una piccola ampollina da cui non si sarebbe mai separato. Avrebbe tanto desiderato portare una parte di lei con sé, ma non gli erano rimasti che i ricordi del passato, delle foto e qualche regalo. Senza contare quella maglia blu, quella che Eleanor indossava quando andava a dormire. Quella l’aveva tenuta, oh sì ci potevate scommettere, era ancora nel suo armadio, nascosta in un cassetto, insieme a tutto ciò che la riguardava, lontano dalla vista, tuttavia vicina. E non se ne sarebbe separato per nulla al mondo. Capitava che andasse a guardarla, e se ci affondava il viso, riusciva ancora a distinguerne il profumo di gelsomino. Ma ora, in quell’istante, quello che sentiva non era finto, era troppo vero per essere uno degli innumerevoli scherzi che la sua mente gli aveva giocato in passato.

“Elenor, gee I think you’re swell
And you really do me well”

Una mano si posò delicatamente sul suo fianco e andò a cingergli la vita in un abbraccio, la testa appoggiata su una spalla. Izzy per un attimo trattenne il fiato. Era lì! Era lei, finalmente. La speranza gli scoppiò dentro al cuore assieme alla gioia. Dopo tre anni, lunghi come una vita intera, era tornata, era lì per lui e questa volta no, non avrebbe permesso che andasse via. La sua Eleanor finalmente lo abbracciava, dolcemente e affettuosamente come solo lei sapeva fare. Quanto tempo aveva atteso quel momento, lo aveva desiderato con tutto sé stesso.  L’aveva vista per caso due sere prima, come un’epifania, l’aveva scorta in mezzo agli invitati di una festa di vecchi amici. Non poteva crederci, pensava di avere scambiato un’altra per lei.  E invece era lì in città, di nuovo, ed era rimasto colpito da quanto fosse cambiata, sembrava più sicura di sé, più donna e meno ragazza, ma non era diversa da come la ricordava. Per un attimo aveva temuto che non si rammentasse nemmeno di lui – e se fosse cambiata così tanto da avermi scordato?- ma quell’attimo di paura durò fino a quando i loro sguardi si incrociarono. Allora capì che il suo timore era stato del tutto immotivato, un guizzo negli occhi verdi di Eleanor fece capire al ragazzo che l’aveva riconosciuto ed Izzy si sentì subito ricaricato di energia e speranza.

Toccò le mani che gli cingevano la vita nella speranza di trovare quelle morbide e calde della ragazza, ma ciò che incontrò non erano altro che mani fredde, quasi inospitali. Quella non era la sua Ellie, era Anja, una bellissima ragazza trofeo col suo accento svedese e la sua perfetta pelle diafana. L’immagine di Eleanor che aveva preso vita negli istanti precedenti, quella proiezione che la sua mente aveva ricreato con precisione talmente reale da sembrare vera, si sgretolò davanti agli occhi di Izzy come un fragile muro di sabbia riportandolo bruscamente alla realtà, nella sua casa da copertina, nella sua finta vita perfetta.  E lui si sentì disperare.

“I think I love you Elenor, love me.” 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Down Home Again ***


“Buongiorno signorina Gates.”

“Buon giorno.”

“Vedo che c’è un errore di battitura nel suo nome, potrebbe dirmelo giusto?”

“Certo. Eleanor Gates, E-L-E-A-N-O-R, con la E.” precisò. ‘Eleanor Isbell’ pensò invece, toccandosi istintivamente l’anello all’anulare destro. Si guardò intorno. L’ufficio era a uno dei piani più alti di quei bei grattacieli che spiccavano nella Downtown di Los Angeles. Completamente arredato in un bianco immacolato che sfidava ogni genere di polvere o invecchiamento, era illuminato dalla luce che irrompeva da ampie vetrate senza tende. Al contrario di quello che si poteva pensare, pur essendo un ambiente minimalista ed estremamente curato, non era per niente asettico,trasudava buon gusto. Delle calle bianche davano un piccolo tocco di colore alla camera monocromatica. Era strano per essere l’ufficio di un uomo, sembrava non appartenergli per niente, l’unico bianco tra tutte le stanze del Delacour Events. O forse rispecchiava esattamente il suo essere, pulito, preciso, essenziale. Ellie non poteva ancora dirlo, non conosceva abbastanza chi aveva di fronte per potere dare un giudizio.

“Perfetto ora è corretto.” Il giovane manager fece un sorriso compiaciuto guardando l’inchiostro della sua costosa stilografica che si asciugava sulla carta. “Mi sembrava un po’ strano che si scrivesse Elanor … sembrava quella della canzone.”

“Oh sì, a tanti capita spesso di confondersi …” rispose la ragazza con un sorriso cortese. ‘Sa, me la cantava sempre il mio ragazzo quando era di buon umore’ avrebbe voluto aggiungere. Un momento, il mio ragazzo? No, ma che diceva, non lo era più da un pezzo e da altrettanto non pensava più a lui in quei termini. Ah ah certo, che grossa bugia. Sapeva  mentire a sé stessa così bene che riusciva anche a credere ai suoi inganni talvolta, ma non sempre. Quello era uno di quei casi. Era un pensiero agrodolce che riportava alla luce momenti felici di un periodo che era finito. Eppure non riusciva a crederci, mentre viveva quegli attimi, le sembrava che si potessero prolungare all’infinito e inconsciamente sperava che presto il tempo avrebbe cessato di esistere, per cristallizzarsi in una vita fatta solo di magia. All’inizio era stato così, era stato così molto a lungo, un lungo lasso spazio-temporale in cui non poteva trovare un solo difetto alla sua relazione, alla sua vita, anche se non viveva in un letto di rose. ‘Quando eravamo bellissimi’. E poi? Poi qualcosa era cambiato. Già forse troppe cose erano cambiate,una dopo l’altra, repentinamente e senza preavviso. Così tante che erano riuscite a  spezzare la magia, facendo riprendere la corsa disperata del tempo, facendo trasformare la loro relazione, loro. ‘Cosa sei per me? Un amico? Un conoscente? Una star? Un ex? Un ricordo?’ Se l’era posta ogni giorno quella domanda nei primi tempi della separazione, spesso se la ripeteva ancora, anche se con meno frequenza. Col passare dei mesi si era esercitata e aveva imparato a non pensare a qualcosa di così doloroso, aveva relegato tutti quei pensieri in un angolo ben custodito della sua mente. In ogni caso la risposta che si riusciva a dare era una e solo una, anche a distanza di tempo, sempre la stessa: sei l’amore. Izzy per lei era solo quello e non sarebbe mai potuto essere altro. ‘E io ti ho lasciato.’

“Bene ora che abbiamo sbrigato queste piccole questioni di forma possiamo cominciare. Parliamo un po’ di lei, dal suo curriculum ho letto che dopo avere studiato arte qui a Los Angeles si è trasferita a New York  dove si è laureata con successo alla Parsons in comunicazione e ha lavorato per tre anni a Vogue come addetto stampa. Stava avendo piuttosto successo, cosa l’ha spinta a lasciare il suo posto di lavoro e tornare sulla West Coast dopo tutto questo tempo?”

Eccola la domanda più naturale del mondo. Perché aveva mollato tutto ed era tornata? Eleanor si sistemò più comodamente sulla sedia di tessuto imbottita e si preparò a cominciare. Diede uno sguardo alla scrivania ben ordinata che aveva di fronte a sé per poi focalizzarsi sul suo interlocutore. Parlò guardandolo negli occhi, come era abituata a fare quando interloquiva con qualcuno, le piaceva stabilire un contatto, per potere determinare le reazioni della persona che aveva di fronte, se c’era traccia di interesse o di noia, per potere capire in anticipo le mosse da fare o le parole da usare. Forse semplicemente ostentava una sicurezza che non aveva e guardare negli occhi una persona era un modo per evitare di essere ignorata. Odiava essere ignorata. Un tempo soleva distogliere lo sguardo, non si sentiva quasi mai all’altezza della situazione. Ma aveva imparato a dimostrare quanto valesse, soprattutto grazie agli anni a New York che l’avevano rafforzata, fatta crescere. Quella ragazza timida e insicura che era cresciuta a Los Angeles non era scomparsa ma apparteneva a un periodo della sua vita che era oramai concluso. Ingenua, non sapeva. Forse lo era ancora anche se ora diffidava del prossimo e della vita più di quanto non facesse prima. Sicura, certo che era sicura, solo in certi campi però. Non c’era nulla di sicuro nella vita, l’aveva imparato a sue spese purtroppo ed ora… ora era pronta a ricominciare da un’altra parte, di nuovo. Solo che questa volta era tornata all’origine.

“Ciò  che mi ha spinto a tornare qui sono la mia ambizione e voglia di cambiamento. Certo stavo avendo un discreto successo a Vogue, ma purtroppo un lavoro come quello non prometteva grandi prospettive di crescita e in più non rispecchiava ciò per cui avevo studiato a lungo e soprattutto la mia passione primaria. Ho sempre avuto un grande amore per organizzare eventi e feste, mi da una grande soddisfazione vedere la felicità negli occhi degli altri e il successo di un evento non è altro che il risultato di giorni di preparazione in cui incanalo tutte le mie energie e dedizione. Ogni festa ben riuscita non è altro che  un incentivo per fare sempre meglio per la prossima. Sono aperta a nuove sfide e riesco ad essere anche molto flessibile. Credo che lavorando qui, con persone così competenti come voi, potrei imparare moltissimo, fare tesoro dei vostri insegnamenti e contribuire in parte alla crescita del prestigio dell’azienda. Sono determinata a raggiungere gli obiettivi che mi prefisso e i fallimenti solitamente non vengono contemplati. Fossi al vostro posto spererei di non avermi nella concorrenza.”

Un bel discorso, non sapeva nemmeno lei cosa aveva detto esattamente aveva solo parlato a ruota libera, ma sperava di essere stata chiara abbastanza da risultare diretta, sicura, precisa. Forse l’ultima frase poteva pure risparmiarsela, ostentare così la sua risolutezza poteva essere una lama a doppio taglio, c’era il cinquanta percento di possibilità che venisse mandata al diavolo, ma anche altrettanta percentuale di successo. In certi casi funzionava, le persone erano facilmente impressionabili, così come facilmente suscettibili di fronte a certi atteggiamenti che rasentavano l’arroganza.

Eleanor aveva smesso di parlare ed ora stava aspettando una reazione dal capo del personale che la guardava in silenzio. ‘Maledizione adesso mi manda a casa filata.’ pensò, già pentita di non avere fatto la modesta.  ‘Le faremo sapere’ era la frase che temeva di più, desiderava tantissimo quel lavoro, nell’azienda di organizzazione eventi migliore di tutta la costa, era qualcosa che voleva ancora da quando era solo una studentessa del liceo. Organizzava feste sin da quando era bambina, i tea party per le sue bambole erano il suo passatempo preferito di ogni pomeriggio della settimana. Crescendo, gli eventi divennero progressivamente reali, meno bambole e più bambini, partendo dalle feste per i ragazzini a cui faceva da baby sitter fino ai compleanni preparati per i suoi amici.

Finalmente l’uomo ebbe una reazione, posò seccamente la penna che fino a quel momento aveva tenuto in mano e incrociò le dita delle mani assumendo un’aria seria.

“Signorina lei ostenta molta sicurezza per avere pressoché nessuna esperienza nel settore. Un atteggiamento del genere me lo aspetterei più da un navigato PR che da una ragazza quasi fresca di laurea.”

‘Ecco mi ha cassato alla grande, dovevo essere meno boriosa… addio sogni miei.’

“Però le devo confessare che mi ha preso contropiede e mi ha impressionato. Dimostra molto fegato a parlare in questo modo, probabilmente è la persona adatta per relazionarsi con star viziate che le chiederanno l’impossibile per le loro pretenziose feste di compleanno o di nozze. Sono sicuro che saprà come tenerle a bada e soddisfare i loro desideri.”

Eleanor lo fissò e una consapevolezza prese forma nella sua testa ma non era sicura che fosse quella giusta, perciò provò a domandare: “E questo significa…?”

“ Significa che la posizione è sua.”

“Fantastico!” la ragazza tenne a bada le sua gioia ed entusiasmo celando le sue emozioni dietro un sorriso sicuro.

“Benvenuta a bordo Miss Gates. L’istinto mi dice che sto facendo la scelta giusta, e di solito i fatti mi danno ragione. Non mi faccia pentire della fiducia che sto riponendo in lei, mi raccomando.”

Ellie strinse professionalmente la mano dell’uomo per suggellare il loro accordo “Non se ne pentirà, glielo posso assicurare.”

Salutò il direttore, uscì dall’ufficio tranquillamente e sempre tranquillamente si diresse al desk della segretaria che le avrebbe dato le indicazioni necessarie sull’inizio del lavoro ed altre faccende burocratiche. Avrebbe iniziato lunedì alle 9, aveva tre giorni di tempo per abituarsi all’idea che stava per fare il lavoro che aveva sempre voluto. Aspettò di essere fuori le porte scorrevoli dell’ingresso dell’edificio per lanciare un gridolino di soddisfazione. Da quando aveva lasciato la California aveva imparato suo malgrado a reprimere molto bene le sue emozioni, tanto che spesso nemmeno più si riconosceva, dov’era finita quella ragazza di un tempo? Anche quella parte di sé apparteneva al passato.

Un passante vestito in modo ingessato l’aveva colta in flagrante mentre esultava, ma era più incuriosito che altro, certo era diverso da New York dove la gente ti guardava male se eri troppo trasgressivo, sarà pure stata la città che non dorme mai, ma solo a Los Angeles potevi essere libero di comportarti come volevi, tutto era tollerato e l’eccesso era di casa, non c’era pericolo di essere troppo giudicato, tranne che all’interno in certi ambienti elitari, certo. La ragazza si ricompose e iniziò a camminare sul marciapiede in mezzo ai grattacieli di Downtown. Erano così alti e imponenti che lei a confronto sembrava solo un piccolo gnomo in mezzo ai giganti. File di auto e taxi gialli sfrecciavano per strada. Sapeva esattamente dove andare. Si diresse verso la prima fermata degli autobus, ‘chissà se il numero 40 passa ancora da qui.’  In quel momento vide proprio quel bus color stagnola arrivarle incontro. Salì, pagò il biglietto da un dollaro al grasso conducente e si sedette in un posto qualsiasi di fianco al finestrino, lasciandosi trasportare dal veicolo verso la sua destinazione. Sentiva un senso di familiarità in tutti quei gesti, un’abitudine abbandonata riaffiorava lentamente. Il viaggio fu breve, il Getty Museum non era poi tanto distante da dove si trovava. Attraversò la grande piazza di cemento davanti all’edificio moderno ed entrò diretta verso l’ascensore, su fino all’ultimo piano.

Appena uscì sul terrazzo fu investita da una ventata di calda brezza losangelina. La inspirò profondamente, era così diversa rispetto a quella di New York. Un panorama mozzafiato la circondava. Guardò la città che si stendeva nella sua disordinata sconfinatezza sotto i suoi occhi. Spontaneamente sorrise. Sentiva la felicità scorrerle nelle vene come un brivido. ‘Finalmente vecchia mia. Mi sei mancata.’

E lì, in cima alla collina, in mezzo ai visitatori estasiati del museo, immersa in quel mare di luce, sotto quel cielo azzurro intenso che non si trova da nessun’altra parte al mondo, lì dove si ricongiungevano tutti i ricordi più belli e più brutti della sua vita, lo sentì fin nelle viscere, era di nuovo  a casa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** The Book Of Love ***


“Sei romantica quando sei malinconica …” disse Izzy porgendo ad Eleanor una tazza fumante di tè alla rosa bollente.

“Ti rendi conto dell’idiozia che hai appena detto? Sai almeno di cosa stai parlando Mr. Poeta Maledetto?” la ragazza sorridendo gli fece un po’ di spazio sulla piccola poltrona di velluto bordeaux mezza rotta su cui era seduta, di fronte alla finestra.

“Ma è vero, sembri l’eroina di uno di quei grandi romanzi dell’ottocento, con quello sguardo perso ad osservare la pioggia battente, tormentata da chissà quali pensieri…”

“Con questo mi stai dicendo che sembro una che sta per tagliarsi le vene?”

“No. Solevo semplicemente di dirti che sei il libro che in assoluto preferisco leggere.” Il ragazzo le accarezzò la testa dolcemente e l’attirò a sé per stringerla in un abbraccio. Quel pomeriggio passò lentamente nel modesto appartamento di Izzy,  scandito dal ticchettio del vecchio orologio a muro che faceva eco all’acqua che fuori cadeva dal cielo plumbeo creando pozzanghere fangose nelle strade deserte.

***

Izzy era sulla terrazza della sua bellissima villa, proprio di fronte al mare. Il profumo dell’oceano arrivava prepotente alle sue narici, salato, autentico. Era una giornata limpida, come di quelle che si trovano in California, la nebbia mattutina si era appena diradata lasciando spazio al sole caldo e a una lieve brezza.

Il ragazzo era seduto su una comoda sedia da giardino in legno azzurro, che si intonava alla nuance in cui era dipinta la casa, in mano teneva un libro. Era sempre stato un lettore accanito e ultimamente aveva ripreso in mano tanti libri che aveva lasciato a metà in passato, riuscendo finalmente a finirli. Alcuni li aveva riletti, riuscendo perfino a capirli nel loro messaggio profondo. Aveva anche letto tanti libri che prima nemmeno avrebbe mai considerato, soprattutto quelli che a Ellie piacevano tanto e che lui ignorava perché li credeva noiosi. Si ricordava di quante volte lei gli avesse suggerito dei titoli che l’avevano entusiasmata e lui l’avesse snobbata in modo poco galante per nessun motivo in particolare, facendola restare male. Era stato anche per quella serie di piccole cose che era finita tra loro due. Ed ora si ritrovava a leggere cose che per lei erano state importanti quasi come per trovare un modo per renderla felice, o per espiare le sue colpe, ad anni di distanza.

Sapeva che oramai era inutile un gesto del genere, tanto lei non l'avrebbe mai saputo, anzi forse nemmeno gliene sarebbe importato ora come ora. Però lui si sentiva in dovere di farlo, sentiva di doverle qualcosa, anche a distanza, anche ora che era tutto finito, e leggendo le sue letture preferite pensava che fosse il modo giusto per riuscirci.
Non aveva fatto tante cose di quelle che a Eleanor sarebbero piaciute, eppure lei non se ne era mai lamentata, perché tutto sommato quello che aveva sempre voluto era solo stare con lui. Non ricordava di avere mai litigato con lei, se non per questioni serie e gravose, e quelle poche volte che era successo, era stato verso la fine del loro rapporto, quando già tutto era compromesso ed irrimediabilmente sgretolato.
Izzy si rigirò tra le mani il volume di Jane Eyre che si era portato dietro. Era particolare, lo aveva visto così tante volte che l'avrebbe potuto riconoscere tra un milione di copie, perché quello era stato di Ellie, ed era inconfondibilmente suo, dalla prima all'ultima pagina. L'aveva trovato per caso qualche giorno prima in un vecchio banchetto di libri di un ambulante a Venice Beach. Per distrarsi, era andato a fare un paio d'ore di skate allo skate park sulla spiaggia, e tornando indietro si era fermato a guardare la merce in esposizione, quasi tutti libri sgualciti o in edizione ridotta con le pagine ingiallite che si staccavano l'una dall'altra. E poi, sommerso in quel caos, ecco sbucare una familiare copertina di velluto blu con incisioni in filo d'argento. Incredulo, lo liberò dagli altri volumi e quando lo tenne in mano ne ebbe la certezza, era il Jane Eyre di Ellie.

"É un bell'esemplare quello, sai,é uno dei migliori che ho. Hai buon gusto ragazzo."

Izzy fece un sorriso sghembo, "Non sono io ad avere buon gusto, é chi l'ha ricoperto che ne ha. Mi sai dire da chi l'hai     avuto?"

"Ragazzo, da me i libri vanno e vengono, ma quello me lo ricordo bene, é passato da me un paio di volte in questi anni..."

Il moro divenne speranzoso, di cosa esattamente nemmeno lui era cosciente, forse era il semplice fatto di parlare di lei, cosa che gliela faceva sentire vicina di nuovo, come un tempo.

"E...per caso ti ricordi la persona che te l'ha venduto la prima volta?" azzardò, non riponendo troppa fiducia nella memoria dell’interlocutore.

"Oh certo, era una di quelle ragazze che non ti scordi facilmente. Era venuta qui qualche anno fa, forse tre o quattro. Era deliziosa, dei
modi così gentili che non se ne trovano più, ma con un'aria costì triste sul viso che la rendeva … non so come dire..."                          

"Romantica?"

L'uomo lo guardò sbigottito, come stupito della precisione di quella parola "Sì…sì esatto, romantica è la definizione perfetta. Ma tu, come lo sai?”

Izzy non lo stava più seguendo, "Lo prendo" disse semplicemente, tirando fuori dalla tasca le banconote stropicciate e porgendole all’uomo sbadatamente. Si girò e fece due passi quando venne richiamato dall’anziano,

“Hey! Hey ragazzo! Ma mi hai dato 50 dollari! Quel libro ne costa 15!”

“Mh? Oh…tenga pure il resto!” il moro era completamente preso ad osservare quel libro, toccarne la copertina morbida, era come vivere un tuffo nel passato che non si aspettava.

“Ma son tanti soldi…” obiettò perplesso l’uomo.

“Non esistono soldi sufficienti per comprare l’amore…” rispose Izzy, più a se stesso che all’altro, andandosene via sul suo skate, stingendo in mano e un nuovo pezzo della sua vecchia vita.

Da quando lo aveva comprato, non lo aveva ancora aperto, lo aveva nascosto nel cassetto delle cose di Ellie, quasi per proteggerlo da occhi indiscreti, come quelli di Anja. Non voleva che vedesse niente che era appartenuto ad Eleanor, come per non contaminare il ricordo che aveva di lei e di quello che avevano vissuto. Izzy lo sapeva, ne era più che cosciente, che Eleanor era stato il suo grande amore, e che come lei non ce ne sarebbero più stati. Era stata una storia rara, la loro, di quelle che sarebbero state destinate a durare, su cui tutti avrebbero scommesso. Quando stavano insieme, si immaginava nella loro casa ideale circondati dai loro cani e da due bellissimi bambini, un maschio e una femmina, che sarebbero assomigliati a lei, con i suoi capelli castani e gli occhi verdi e un sorriso solare e gentile. Di lui… di lui non voleva che prendessero niente, se non la passione per la musica. Poi era successo quello che era successo, lui aveva fatto il cretino e puf! tutti i suoi sogni si dissolsero nel nulla, semplici fantasticherie scomparse in un istante.

Aveva ripreso in mano il libro solo quella mattina perché non c’era nessuno in casa e si sentiva al sicuro. Anche se, dopo più di mezz’ora che ce l’aveva in mano, Izzy ancora non riusciva ad aprire quella copertina. Il perché non lo sapeva, era come quando prendeva una chitarra particolarmente rara ed aveva un timore reverenziale nel maneggiarla, quasi potesse romperla. ‘Ma questo è solo un libro, cosa può farmi un libro?’ si disse tra sé.  

Velluto blu e argento. Ricordava quando Eleanor l'aveva fatto ricoprire, era una vecchia copia che le aveva regalato sua madre a cui era molto affezionata. A furia di leggerlo aveva spezzato la copertina, così quando aveva deciso di cambiarla l'aveva fatta fare su misura per lei. Un giorno si era presentata in salotto con aria dubbiosa e il libro appresso che poggiò sul tavolo. Gli aveva chiesto un parere sugli abbinamenti da scegliere, per lei anche certi dettagli contavano moltissimo. Lui le aveva risposto quasi scherzando:

"Blu, come il tuo colore preferito, di velluto, come la tua pelle, con le scritte del titolo e dell'autore ricamate d'argento perché per te é un libro prezioso."

Izzy aveva sparato alto, tanto sapeva che sarebbe costato una mezza fortuna farsi rilegare un libro in quel modo, e in quel momento non navigavano propriamente nell'oro.
E invece lei se l'era fatto rilegare proprio così. Aveva speso parecchi soldi,  e lui all'epoca non aveva capito veramente il perché, pensava fosse stato più un capriccio che altro, però non le aveva detto niente al riguardo, solo un "Sì" alla domanda "Ti piace?"
Adesso però comprendeva il motivo per cui Eleanor aveva speso così tanto per abbellire quel libro, anche lui avrebbe speso cifre folli per rendere più belle le sue chitarre.  Ma, come sempre, a certe conclusioni così banali arrivava troppo tardi.
Ora però si chiedeva perché quel libro l'avesse lui. Sapeva che quando avevano rotto lei aveva venduto tutto per partire, ma non capiva il motivo che l'avesse spinta a disfarsi anche di qualcosa che per lei aveva così tanto valore. 'Ah Ellie, per quanto ti possa conoscere bene, resterai sempre un enigma per me.'.A domande come quella, però, sapeva che non avrebbe mai dato una risposta. Accarezzò il velluto, come se stesse accarezzando Eleanor. Finalmente l’aprì, non dall’inizio, ma su una pagina qualsiasi, e lesse una frase a caso:

“L'amavo molto, più di quello che avessi il coraggio di dire, più di quello che le parole potessero esprimere.”*

Sì, era vero. Quasi come se la sua coscienza avesse parlato dopo tanto tempo. Sì, non aveva mai avuto il coraggio di dirle quanto fosse davvero importante per lui, sperava che i piccoli gesti d’affetto che le riservava potessero bastare, ma presto si rese conto che così non era. Ma non fece nulla per cambiare. Le aveva scritto una canzone, una canzone d’amore, tutta per lei, perché in musica Izzy riusciva a far parlare la parte di sé che normalmente taceva, era una canzone dolce, ma era arrivata troppo tardi, quando oramai non poteva più riparare nulla.

Provò a cambiare pagina.

“Qualche volta ho nei suoi confronti una sensazione curiosa, specialmente quando mi è vicina, come ora. Mi sembra di avere una corda nella parte sinistra nel mio petto strettamente legata a una corda analoga nella parte corrispondente della sua personcina. E se mare e terra si frapporranno tra noi, temo che quella congiunzione andrà spezzata, e ho la convinzione che comincerò a sanguinare dentro.. quanto a lei.. mi dimenticherà!”*

In quel momento Izzy sentì un grande vuoto dentro di sé. Il suo cuore sanguinava ancora, nonostante i suoi tentativi di nascondere la cosa. Si era illuso di essere guarito fino a quando non aveva rivisto Eleanor alla festa. Lì si era reso conto di non avere mai smesso di soffrire, di non essere lui quello forte tra loro due. Uno sguardo, era bastato uno sguardo a fargli capire che l’amava ancora, in un modo viscerale. Era stato un sollievo vedere che in qualche modo lei l’aveva riconosciuto, non l’aveva dimenticato come lui temeva, ma allo stesso tempo aveva capito che non poteva pretendere nulla da lei. Era Eleanor che lo aveva lasciato ed ora che si era rifatta una vita, lui non avrebbe interferito, l’aveva già fatta soffrire troppo, non voleva più farle del male.

Chiuse il libro per riaprirlo sulla prima pagina. Sotto il titolo stampato, c’erano dei versi scritti a mano, era la calligrafia di Eleanor, arrotondata e ordinata.


“I love it when you read to me
And you
You can read me anything.
The book of love has music in it
In fact that's where music comes from.
Some of it is just transcendental
Some of it is just really dumb
But I
I love it when you sing to me
And you
You can sing me anything.”**

“Amo quando canti per me e mi puoi cantare qualsiasi cosa.” Ellie glielo ripeteva spesso, e lui le cantava con piacere soprattutto le canzoni dei Rolling Stones. In realtà cantava davvero qualsiasi cosa per la sua bambina, anche se la sua preferita era Lady Jane.
Considerava Eleanor la sua Lady Jane, le aveva giurato fedeltà e lealtà, la voleva sposare. ‘In un certo senso l’ho fatto’ sorrise all’orizzonte Izzy, a pensare al modo bizzarro in cui l’aveva sposata. Ma era un sorriso agrodolce il suo. Il sorriso di un ragazzo consapevole che certi momenti non sarebbero più tornati e che avrebbe dovuto vivere di ricordi. Un sorriso pieno di lacrime.

Sentì l’impulso di rivederla. Doveva rivederla, voleva rivederla, almeno una volta, sentire la sua voce, vedere i suoi occhi, il suo sorriso, sentire il suo profumo.
Eleanor era vicina ora, eppure allo stesso tempo così lontana. Ma lui non poteva non tentare, non poteva lasciare che nemmeno uno spiraglio di possibilità venisse sprecato, sempre che ce ne fosse fosse ancora una. Aveva la sensazione di essersela giocata tempo fa. Si slacciò la catenina che portava al collo e guardò l’anello che vi era infilato dentro. Era una piccola fede d’argento. Una sottile incisione all’interno diceva “Eleanor”.


“The book of love is long and boring
And written very long ago
It's full of flowers and heart-shaped boxes
And things we're all too young to know
But I
I love it when you give me things
And you
You ought to give me wedding rings”**

Forse aveva perso tutto, ma la speranza … no quella no, anzi ora era più viva che mai. Era la speranza di un ragazzo che non aveva più niente da perdere, tutto ciò che gli era rimasto di importante stava andando a rotoli, la band non era più la stessa, c’erano problemi con quei ragazzi. Erano i suoi fratelli certo, ma se andava avanti così, non sapeva quanto ancora sarebbe durata con loro. No, era deciso. Doveva provare con Eleanor, un ultimo disperato tentativo. E se fosse andata male, almeno non avrebbe avuto un altro rimorso sulla coscienza. Ne aveva già tanti, non ne voleva più aggiungere altri.


------------------------------------------------------------
*Citazioni da Jane Eyre di Charlotte Bronte.

** la canzone menzionata è The book of Love di Peter Gabriel. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Photograph ***


“Affittasi a partire da ora bilocale, ampia camera da letto bagno e cucina ben tenuti. Per Info chiamare 001.369.200"

"Oh no, non ci credo!" Ellie era tra lo sbalordito e il divertito di fronte a quell'annuncio affisso sul balcone della sua prima casa in una piccola palazzina di tre piani piuttosto vecchia, situata in una via sulla collina dietro il Sunset Strip. La strada per arrivarci partiva dall'angolo col Whisky a GoGo e poi si arrampicava irta verso l'alto, costeggiata da un'alternanza di villette basse e ben tenute o di edifici a quattro piani un po' trascurati.
All'inizio non aveva capito dove l'agente immobiliare la stesse portando, dopo un'intera giornata passata a visitare appartamenti era stanca morta e aveva smesso di prestare attenzione a quello che le mostrava già qualche ora prima, perciò foss'anche stata una reggia la sua reazione non sarebbe stata certo di euforico entusiasmo.
Però ora che si trovava davanti al posto dove aveva abitato per tanti anni il suo interesse era magicamente ricomparso. C'erano tante vecchie memorie legate a quella casa che Eleanor guardava con tenerezza. Aveva venduto anche quella, quando era partita per New York, utilizzando gli utili che aveva realizzato per finanziarsi i primi mesi di vita sulla East Coast. Era stato sorprendente tenere in mano un assegno con segnato l'importo per il quale era stata conclusa la cessione dell'appartamento, in parte perché non si aspettava che valesse così tanti soldi, in parte perché racchiudeva una fetta dei suoi ricordi, e venderla significava staccarsene. 

Tutto sommato prima di partire si era disfatta di tutto quello che aveva, casa, auto, libri, molti vestiti e anche tanti dischi, era stata una separazione molto dolorosa. Non aveva conservato quasi nulla, se non le foto. Da quelle non si sarebbe mai separata, anche se le aveva relegate tutte in un’anonima scatola di cartone all’epoca del trasloco, e da allora non le aveva mai più aperte o guardate. Erano semplicemente rimaste lì dov’erano, a prendere polvere anno dopo anno, abbandonate in un angolo dell’armadio sotto montagne di abiti, ma non dimenticate. Erano le pagine del suo libro di memorie che semplicemente non aveva più voluto aprire, forse per paura di scoppiare improvvisamente in lacrime alla vista di una qualsiasi di quelle facce sorridenti che la guardavano dalla vecchia carta in bianco e nero ingiallita. Un tempo faceva tante foto, le piaceva immortalare facce buffe, situazioni, per non scordare mai chi e cosa la facesse sentire bene. L’ultima foto che avesse fatto era in un cimitero, ad un funerale, quasi si poteva toccare con mano la tristezza che emanava quello scatto. Poi aveva smesso, aveva venduto anche la macchina fotografica ed era andata via.

North Clark Street 1145*. Quello era l’indirizzo della casa. Eleanor non aveva la minima intenzione di andarci a vivere di nuovo, era l’ultimo posto che avrebbe scelto fra migliaia, eppure, spinta da una sorta di curiosità, aveva accettato l’invito di andarla a visitare. In fondo era l’ultima della lista del giorno non le avrebbe tolto molto tempo più di quello che aveva già perso, ed in più, voleva vedere come era diventata.  

“Andiamo.” Disse all’agente immobiliare, incamminandosi con lui verso l’ingresso. Appena entrata nell’androne principale venne investita da un’ondata di familiare odore di cera per pavimenti che la proprietaria dello stabile soleva passare ogni giorno quando ancora abitava lì. Questo voleva dire che lei c’era ancora! Soffocò una risata al ricordo di quelle corse folli giù dalle scale che sfidavano la forza di gravità e che spesso terminavano in scivoloni imbarazzanti una volta messo a contatto il piede col pavimento. Stranamente non si era mai rotta nulla nonostante quei voli allucinanti. Salirono le tre rampe di scale con facilità, mentre l’agente raccontava la storia di quel posto ad Eleanor, non sapendo che lo conosceva ben più di lui. Quando la porta dell’abitazione venne aperta era tutto buio, le finestre chiuse e le tapparelle abbassate. L’uomo la fece gentilmente accomodare dentro, e andò a portare un po’ di luce, man mano che la tapparella si alzava, i contorni familiari del salotto si delineavano davanti agli occhi di Eleanor. Con sua grande sorpresa non era cambiato nulla, tutto era rimasto come quando l’aveva lasciata, i mobili erano al loro posto, così come i muri erano ancora della stessa tonalità di azzurro con cui li aveva dipinti quando ci era andata ad abitare. Ci aveva messo tre giorni a scegliere quel colore, pantone crystal blue, perché Izzy continuava a protestare dicendo che nessuno di quelli che aveva selezionato lei rispecchiava davvero la sua personalità. Infatti, alla fine, era stato il ragazzo a scegliere, e ci aveva preso al cento per cento. Si avviò verso la camera mentre si guardava intorno con un forte senso di reminescenza, le parole del venditore un eco lontano.

“…c’è solo un piccolo buco nel parquet, qui vicino al letto.”

Ellie stava guardando la parete del corridoio notando che c’erano ancora i segni dei quadri sotto i chiodi, quando fu attirata da quelle parole.

“Come prego?”

“Oh, ho detto che c’è un piccolo buco nel parquet, ma è davvero una stupidaggine, veloce da riparare.”

Il buco nel parquet? L’aveva fatto lei quando stava tentando di nascondere un amplificatore per chitarra che voleva regalare ad Izzy in occasione del primo concerto della sua band al Trubadour. Non l’aveva mai riparato ma semplicemente coperto con un tappeto. Non poteva crederci. Come era possibile che ci fosse ancora? Era la prima cosa che chiunque avrebbe sistemato appena messo piede lì. Quasi sembrava che nessuno ci avesse mai abitato dopo di lei.

“Scusi se glielo chiedo, ma qui ci ha vissuto qualcuno dopo che è stata venduta?”

L’uomo la guardò un secondo ed Eleanor si affrettò ad aggiungere:

“Perché sa, sembra che l’impronta del proprietario sia ancora forte …”

“Effettivamente ha ragione signorina, qui nessuno ci ha mai abitato, se non per brevissimi periodi, per via di problemi con la proprietaria dello stabile. Sa è una persona piuttosto difficile da accontentare e per vivere qui bisogna che le si vada a genio. Probabilmente finora nessuno ha mai soddisfatto i suoi gusti.”

Eleanor annuì. Ecco perché era ancora tutto così staticamente uguale a tre anni prima. Eppure le sembrava così strano che la proprietaria fosse davvero così esigente, lei se la ricordava una persona alla mano e molto aperta di vedute, non le aveva mai fatto storie, tantomeno a Izzy che tutto sommato non era certo quel bravo ragazzo dalla bella compagnia che uno avrebbe voluto avere come frequentatore del palazzo. ‘Mah, sarà cambiata anche lei, tutti cambiano alla fine.’

***
 
“Trovato qualcosa di interessante oggi?”

“Mh non molto a dire la verità, ho visto tutto quello che c'era di disponibile in zona ma niente mi ha colpita particolarmente.”

“Fammi vedere un po' va che ti conosco troppo bene, miss perfezione!”

Melissa, la migliore amica di Eleanor, prese una sedia trascinandola vicino a lei e si mise a guardare le foto degli annunci sparsi sul suo tavolo di legno bianco della cucina.  Era sera ma il cielo non era nero, rifletteva le luci artificiali delle strade e dei palazzi acquistando un innaturale colore arancione. C'era un gran silenzio.

“Comunque sai che puoi restare qui tutto il tempo che vuoi, mi fa piacere dividere l'appartamento con te!”

“Grazie Mel ma appena trovo qualcosa di decente e abbordabile tolgo il disturbo.”

“Ellie... Non capisco tutta questa fretta, sul serio, sei tornata nemmeno da una settimana,  quasi non hai smaltito il jet lag e già hai le smanie di fare e disfare. Ti devo ricordare che qui sei sulla West Coast e che New York é lontana miglia? Take it easy!”

Lei sorrise. “Lo so hai ragione, é che sai come sono, non mi piace essere un peso.”

“Ma scema! Te sei tutto fuorché un peso!”

“E tu sei un'amica.”

“Anche tu Ellie.” Melissa guardò Eleanor e le strinse la mano, improvvisamente si rese conto di quanto seriamente le fosse mancata e di come, nonostante all'apparenza così diversa, fosse in realtà rimasta l'amica che conosceva da sempre. E di questo fu molto grata.

“Dai avanti vediamo queste topaie che tu snobbi...”

“Io non snobbo! É che...”

“Lascia stare Ellie, lascia stare...” Mel la liquidò con un gesto della mano, “Hey! Che ne dici di questa?”

***
“Ellie…”

“Sì?”

“Posso farti una domanda?”

Eleanor sentì che “la” domanda stava per arrivare, arrivava sempre prima o poi, se l’aspettava da chiunque, soprattutto dalla sua migliore amica. La sentiva lontana attraverso la cornetta del telefono, ed effettivamente era lontanissima, dall’altra parte del paese, in un altro mondo. Era sdraiata sul letto ricoperto da una trapunta blu, numerosi cuscini erano sparpagliati per terra, ma in quel momento si alzò in piedi. Si sentiva sulle spine, perché se agli altri poteva dire qualsiasi cosa, con Melissa era diverso, non riusciva a mentire, e tutto sommato nemmeno voleva farlo. Così iniziò a parlarle col cuore in mano, davanti ad una finestra aperta che si affacciava sul Central Park, coi rumori di Manhattan in sottofondo, con in mente solo poche precise parole che non erano le sue ma di un caro amico, le quali, tuttavia, esprimevano esattamente tutto quello che aveva in mente, solo che lei aveva fatto il viaggio al contrario.


Guess I needed
Some time to get away 
I needed some peace of mind 
Some peace of mind that'll stay 
So I thumbed it 
Down to sixth and L.A.
Maybe your greyhound 
Could be my way**

Aveva pianto quella sera, al telefono, da sola in quella casa vuota. Era la prima volta che mostrava una reazione dopo la separazione, la prima volta che le sue difese crollavano meramente di fronte  una semplice domanda. Fu anche l’ultima. Partendo e lasciandosi tutto alle spalle pensava di avere fatto la cosa giusta …

But it's been such a long time
Since I knew right from wrong 
It's all the means to an end, I,
I keep on movin' along **

***

“Eleanor! Santo cielo quante cose ti sei portata dietro?!” Melissa poggiò con un tonfo  la scatola che stava trasportando con fatica su per le scale e si legò i capelli in una coda stretta.

“Che cacchio di domanda è? Tutto quello che avevo!” Le urlò dall'ultimo piano Ellie.

“Ma é una montagna! Gli scatoloni non finiscono più! E sono pesantissimi!”

“Grazie Mel, vogliamo vedere quanti ne avresti tu se traslocassi?”

“Sì ma mi hai ingannata! Mi avevi fatto vedere quattro scatole e due valigie, da dove salta fuori tutta ‘sta roba? A saperlo avremmo chiamato Joey e Matt!”

“Melissa si vede che sei smemorata te l’avevo detto che era tutto in un box in affitto...  e poi sù, era ovvio che ne avrei avuta un po', son stata via tre anni!”

Mel alzò gli occhi al cielo "Sì ma almeno due ragazzi li avresti potuti chiamare..." lo disse più a sé stessa che all'amica, prese coraggio e ricominciò a salire le scale su fino al terzo piano. Eleanor la stava aspettando sorridente davanti alla porta, circondata da scatole di cartone.

"Ecco ora possiamo aprire" si sfilò dalla tasca dei pantaloncini un mazzo di chiavi. Trovò con facilità quella giusta, se la ricordava bene non aveva nemmeno avuto bisogno di ascoltare le indicazioni dell'agente immobiliare al momento del contratto. La serratura fece quell'inconfondibile scatto familiare e la porta cigolò, aveva bisogno di un po' di olio. Entrarono insieme nella casa buia e vuota che profumava di vernice fresca. Quando aprirono le finestre la luce del tramonto si proiettò sulle pareti dipinte da poco di azzurro cielo. Fecero un giro nel piccolo appartamento, come se non l'avessero mai visto; la disposizione dei mobili era completamente cambiata dall'ultima volta e anche il buco nel parquet era stato riparato.

“È venuta bene vero?” disse Melissa guardando un po’ intorno il risultato del suo lavoro.

“Già tutto merito tuo mia cara interior designer!” Eleanor abbracciò l’amica che le sorrise modesta, era contenta che le piacesse, ci aveva lavorato tanto per farla risultare il più possibile differente da prima.

Eleanor si guardava intorno soddisfatta, era indubbiamente diversa. Una mano di vernice fresca e i mobili nuovi avevano portato una ventata di aria nuova in quel posto. Visto che ora ci doveva vivere una seconda volta, voleva che fosse tutto fuorché un vecchio simulacro di memorie. Doveva iniziare da capo e quindi anche la casa doveva essere rinnovata. Fosse stato per lei, avrebbe sicuramente scelto qualche altro posto, perché l’idea di tornare lì proprio non la entusiasmava. Eppure, purtroppo, era anche l’unico che al momento potesse permettersi e che non fosse troppo lontano dal lavoro, le altre proposte erano tutte eccessivamente costose. Per quello aveva chiesto a Mel di darle una mano risistemarla. Sapeva che teoricamente non era permesso a livello contrattuale, però era riuscita a strappare il benestare della signora Moore che le aveva concesso di fare tutto quello che voleva. La signora Moore era la proprietaria di tre quarti degli appartamenti in quella palazzina, quando aveva rivisto Eleanor dopo tutto quel tempo, l’aveva accolta come una vecchia nipote. Era estremamente contenta che fosse tornata, finalmente avrebbe avuto un’inquilina a modo e non ragazzacci, così aveva detto, anche se Eleanor sapeva bene che gli affittuari precedenti erano gente perbene. Sospettò quasi che l’atteggiamento burbero che avevano attribuito all’anziana donna fosse dovuto al fatto che avesse voluto tenere libera quella casa per lei, come se avesse saputo che prima o poi sarebbe tornata. ‘Oh Ellie, smettila di farti viaggi mentali!’. Si avvicinò alla finestra aperta, il sole stava tramontando dietro le montagne e il cielo era diventato rosa-arancione. Ne aveva visti tanti di tramonti così, ma aveva quasi scordato come fosse vederli da lì. Si girò verso Melissa che stava bevendo un bicchiere d’acqua vicino al lavandino della cucina.

“Mel, che dici se iniziassimo a portare dentro un po’ di scatole?”

“Agli ordini capo!” la ragazza rispose ad Eleanor con un saluto militare e si diresse verso il pianerottolo per iniziare la nuova tornata di trasporto scatole.

***

“Dì Ellie, non ti sembra di vivere un déjà vu?”

Eleanor sbucò da dietro una pila di libri che stava sistemando e guardò Melissa con aria interrogativa, anche se sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo.

“Dici di esser qui e fare le stesse cose che abbiamo fatto nell’85?”

“Già…”

“Sì, in effetti sì … ma ora è tutto diverso … non ci sono Matt e Joey a fare casino invece che ordine!”

“Oppure Saul e Steve alla finestra che sbavavano dietro tutte le ragazze che passavano per strada.”

Nel giro di un secondo entrambe le ragazze scoppiarono in una fragorosa risata al ricordo di quelle scene comiche e allo stesso tempo imbarazzanti a cui avevano assistito, con i due capelloni che ci provavano spudoratamente con le giovani abitanti del quartiere mentre Izzy placidamente cercava di tenerli a bada per dargli un minimo di dignità. Erano bei tempi quelli. Eleanor salì su uno sgabello e ritornò a sistemare i libri sulle mensole della sala-cucina, quando fu di nuovo interrotta da un tonfo sordo e dall’imprecazione dell’amica.

“Che è successo?!” abbandonò i volumi in disordine, si girò e vide Melissa intenta a raccogliere il più rapidamente possibile le centinaia di foto che erano sparse sul pavimento. Alla vista di quello spettacolo sgranò gli occhi.

“Ma come…?”

“Scusami Ellie scusami! Ho sollevato la scatola, si vede che l’ho presa male e si è sfondata! Mi dispiace un sacco, non ti preoccupare adesso le sistemo io! Tu continua a fare quello che stavi facendo!”  Melissa era in totale imbarazzo, sapeva bene che Eleanor non voleva che quella scatola si aprisse, ma oramai il danno era fatto e voleva rimediarvi il prima possibile.
Eleanor si chinò a raccogliere una foto a caso e rimase a guardarla.


Look at this photograph
Every time I do it makes me laugh
how did our eyes get so red?
And what the hell is on Joey’s head?

Risaliva ai tempi del liceo, era una di quelle foto fatte nelle sere di fine anno, tutti sorridenti e vestiti eleganti per la prom night, loro due, Matt, Joey, Caroline e un altro ragazzo di cui non si ricordava il nome, uno che Caroline frequentava all’epoca. Ora che ci pensava, quella era l’epoca in cui aveva conosciuto Izzy.

“Hey te la ricordi questa?”

Ellie mostrò la foto all’amica, “Eccome se me la ricordo! La prom night! Peccato per quegli occhi rossi…”

“Già, ci divertimmo un sacco! Chissà che fine ha fatto il tipo di Carol…”

“Boh, sai che non lo so? Ruppero tre giorni dopo la festa, ma meglio così non era per niente il suo tipo!”

Eleanor iniziò a sparpagliare ancora di più le foto ammucchiate, ora che stavano lì di fronte a lei, voleva rivederle un po’. Erano così tante e così diverse, alcune le aveva anche completamente dimenticate, come quelle fatte quell’estate nei vigneti della Napa Valley, quando a sua madre era venuto il trip dei viaggi di degustazione del vino, o di quando era andata per la prima volta a Santa Monica sola coi suoi amici. Quasi per ogni singolo periodo della sua vita, aveva una foto che lo immortalasse, come un diario, in cui a parlare non erano le parole ma le immagini. La sua attenzione venne attirata da un angolo di una foto seminascosta dalle altre. Non ricordava cosa fosse, ma i colori sgargianti la catturarono, così la tirò fuori. Quando la vide le sembrò di ricevere un pugno nello stomaco.


We used to listen to the radio
And sing along with every song we know
We said someday we’d find out how it feels
To sing to more than just the steering wheel

Era con Izzy, seduti sul cofano di una Cadillac rosa, all’epoca degli esordi degli Hollywood Rose. ‘Oddio la Cadillac rosa del mio vicino di casa!Quante ce ne aveva dette dietro per esserci seduti sopra! Axl ci aveva quasi arrivato alle mani!’. Le sfuggì una risata. Erano ridicoli vestiti in quel modo sgargiante e così alternativo che forse era eccessivo anche per la moda dei primi anni ’80. ‘Avevo davvero dei fuseaux di spandex leopardati?’ Eleanor era incredula di se stessa. Avevano l’aria di due fuori di testa, lui che sembrava un giovane Johnny Thunders e lei la sua ragazza glam, ma era lampante che fossero felici. Sparsi flash di memoria le ritornarono in mente, di quando passavano intere serate a girare la città sulla sua macchina senza fare niente se non cantare e godersi  la notte. Izzy la prendeva in giro perché era un po’ stonata, ma nonostante questo non le chiedeva mai di smettere, anzi si divertiva a insegnarle a cantare. Ora se sapeva prendere tre note su quattro era solo merito suo. Passò un po’ di tempo immobile a fissare quell’immagine e a lasciarsi trasportare dal ricordo. Quando Melissa ebbe finito di mettere via tutte le foto, si accorse dell’espressione persa dell’amica. Si preoccupò un poco e  se la prese con se stessa, ‘Gran bel tempismo nel rompere quella scatola Mel, davvero complimenti!’ Forse non era stata una mossa astuta quella di rientrare in quella casa.

“Ellie tutto bene?”

Eleanor alzò lo sguardo riprendendo contatto col presente. “Oh, sì… sì certo!”

“Senti… Sei davvero sicura di volere vivere qui? Guarda che se vuoi puoi tornare da me … ”

“Mel stai tranquilla, non è successo niente, sul serio. E sì sono convinta di restare, non mi vedi? Sto bene!” fece un sorriso che tutto sommato non era nemmeno sforzato. Poi le venne un’illuminazione improvvisa, “Sai cosa mi è venuto in mente  a vedere tutte queste foto? Che ci vorrebbe una festa di inaugurazione. Chiamiamo tutti quelli della compagnia, sarebbe carino no? In fondo non ho ancora visto nessuno da quando sono tornata, sarebbe una bella occasione!”

“Mi piaci quando  sei pro-attiva ragazza!” Melissa fu sollevata dal vedere la reazione di Eleanor, “Ti appoggio, se hai bisogno di una mano, io ci sono!”

Eleanor la ringraziò, era bello avere del supporto anche in quell’impresa. Guardò l’orologio, si stava facendo tardi, era l’una di notte.

“Forse è meglio andare, non credi? Torniamo qui domattina presto così cerchiamo di finire il grosso del lavoro.” Eleanor diede un ultimo sguardo alla foto che aveva in mano per poi gettarla nella scatola che richiuse e mise in un angolo. Le due ragazze presero le loro cose e lasciarono l’appartamento in completo disordine.

Prima di addormentarsi, sul comodo divano letto nel salotto di Melissa, Eleanor ripensò alle immagini che prima le erano passate davanti agli occhi. Era stato emozionante, come se si aprisse un vaso di pandora in cui uno sciame di sentimenti e memorie erano state sigillate. Fu assalita da una malinconia improvvisa al pensiero di quei momenti, soprattutto di quelli con Izzy. Non era stata una passeggiata, aveva cercato di essere indifferente prima, anche se in realtà era stata una scossa profonda nel suo essere. Per un attimo, in quel preciso istante dopo tanto tempo, ebbe voglia di avere Izzy accanto a sé, per potersi accoccolare di fianco a lui e lasciare che l’avvolgesse nel suo abbraccio, per ascoltare il suo respiro regolare e scivolare dolcemente nel sonno. Si sentì male al pensiero che non ci fosse e che non ci sarebbe più stato. Ma era sicura che già il mattino dopo si sarebbe ripresa, si riprendeva sempre in fondo.  


If I could relive those days
I know the one thing that would never change. 
Look at this photograph
Every time I do it makes me laugh
Every time I do it makes me...


***

*Esiste davvero questa strada, il Whisky A GoGo è proprio all’angolo tra N Clark Street e il Sunset Boulevard.
**One in a Million – Guns N’ Roses

***Photograph – Nickelback
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Beh che dire, sembra che questa storia stia andando meglio di Hollywood Rose in quanto a frequenza di aggiornamenti!Speriamo continui così! Ringrazio tantissimo EllieMarsRose che mi lascia sempre belle recensioni (smack!) ed elliehudson che si è innamorata del mio Izzy (una bella sfida farlo piacere a chi già ama quello reale). Ringrazio anche i/le numerosi/e lettori/lettrici silenziosi, mi fate molto felice.
Un bacio a tutti,
Mars

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** A Brand New Beginning ***


Erano giorni incasinati quelli che Eleanor stava vivendo in quel periodo. Aveva finito di sistemare la casa con Melissa durante il week end ed ora era perfetta, come nuova, anzi meglio come non fosse stata la prima volta. Aveva superato più facilmente del previsto il vuoto che aveva provato alla vista delle foto, non se lo aspettava, probabilmente doveva tutto alla sua idea della festa e soprattutto all'inizio del lavoro che l'aveva risucchiata completamente.
Aveva iniziato bene, lunedì era arrivata puntuale in ufficio e pronta cominciare. Indossava una corta  gonna a ruota gialla a vita alta, una camicetta nera con le maniche a sbuffo e un paio di ballerine nere con piccole borchiette. Era vestita praticamente come quando andava a Vogue a New York, sperava che andasse bene anche in quel contesto o avrebbe dovuto rifarsi il guardaroba. Già si sentiva male al pensiero di dovere spendere una marea di soldi, che al momento non aveva, per abiti formali.
Quella mattina si era svegliata presto per non rischiare di arrivare in ritardo il suo primo giorno di lavoro. Probabilmente era l'unica ragazza in città a muoversi coi mezzi pubblici, che lì a Los Angeles, erano quantomeno disastrosi. Doveva ancora prendere una macchina, una qualsiasi che la portasse dove voleva, non aveva grandi pretese bastava che funzionasse. Nel profondo di se stessa doveva ammettere che si era dimenticata di come andavano le cose in quella città per quanto riguardava gli spostamenti, la regola era o la macchina o la morte nelle infinite attese tra un autobus e l'altro. Vivendo a New York non aveva mai sentito il bisogno di prendersi un'auto o una moto, la metro era più rapida delle code infernali che si snodavano sulle strade.
Si chiedeva come aveva potuto essersi scordata di un tale particolare...aveva decisamente sottovalutato la questione e se ne rendeva conto solo in quel momento che si trovava a pregare di non incontrare nessun ingorgo che la facesse arrivare in ritardo.
Quando si trovò nell'ascensore diretta all'ultimo piano del grattacielo dove erano i suoi uffici era sola. Alzò la testa e si guardò nello specchio sul soffitto, la sua immagine rifletteva una ragazza carina, nel fiore degli anni, che sembrava sicura di sé. In uno slancio di narcisismo si perse a guardare i suoi occhi. Era la parte di se stessa che le piaceva di più, perché era vera e la rispecchiava fino nel profondo. Quel verde smeraldo che si tingeva di scuro fino ad arrivare ad essere grigio chiaro a seconda del tempo rappresentava la sua natura fatta di sfumature. Non si sentiva una immutabile e sempre uguale ma in cambiamento costante, anche se a volte quasi impercettibile, proprio come il colore dei suoi occhi.
Un campanello l'avvisò che era arrivata. Le porte scorrevoli di metallo si aprirono svelandole un grande corridoio immacolato, proprio come l'ufficio al piano di sotto del dirigente che l'aveva assunta. Sembrava che non esistesse colore in quell’ambiente di vetro e moquette bianca, era tutto troppo illuminato per sembrare vero, c’era un forte senso di surrealtà che la disorientava. Era abituata agli ambienti incasinati e creativi della redazione di un giornale di moda ed ora era catapultata in questa specie di enorme loft accogliente con musica ambient distensiva e profumo di gardenia che permeava qualsiasi cosa. Sembrava di essere in una succursale di una spa. Da quello che poteva intravedere delle persone negli uffici, erano tutti vestiti in modo curato ed alla moda ma non sgargiante. Si guardò la sua gonna giallo canarino e sentì di avere toppato in pieno la scelta. ‘Brava Ellie, davvero … non potevi sceglierti una cosa più tranquilla, volevi per forza iniziare col botto eh … ’ sperò solo che non le facessero problemi. Sapeva che doveva andare nientemeno che dalla direttrice dell’agenzia, la signora Claire Delacour, per avere delle indicazioni sulle sue mansioni e su chi l’avrebbe affiancata almeno per quei primi giorni. Era un po’ agitata al pensiero di doversi relazionare immediatamente con lei sin dal primo giorno, in fin dei conti era una donna di successo e grande carisma, tutti sapevano che era dura lavorare con lei per il suo grande rigore ed il non poco ingombrante ego che la contraddistingueva. ‘Ma mia cara Claire, conosco qualcuno che ce l’ha ancora più grosso del tuo, ha!’ ridacchiò tra sé all’idea della signora Delacour e di Axl presi in un confronto, non conosceva ancora la donna, ma sapeva che se le voci sul suo conto erano sul serio vere, probabilmente sarebbero finiti a litigare e picchiarsi. Eleanor aveva visto qualche volta Axl arrabbiato, arrabbiato sul serio, e non augurava a nessuno di essere il motivo della sua furia, né tantomeno di trovarsi nell’occhio del ciclone in quei momenti. Ma non era il momento di pensare a quanta paura le avesse fatto il suo amico in passato, si doveva concentrare per fare almeno bella figura davanti al suo capo nei prossimi cinque minuti.

La porta dell’ufficio di Claire Delacour era di legno bianco con maniglie laccate in oro, ed era anche l’unico del quale non fosse visibile l’interno, ‘evidentemente ha bisogno della sua privacy’ osservò Eleanor. Si sistemò i capelli, le pieghe invisibili della sua camicia e bussò. Niente. Forse non aveva sentito. Riprovò nuovamente, questa volta leggermente più forte. Niente. La ragazza guardò l’orologio, erano le nove e cinque, era in perfetto orario. Si sentiva piuttosto scoperta a stare lì davanti a quella porta enorme, dove chiunque la poteva vedere in attesa e senza la minima idea di chi potesse darle informazioni. C’era un divanetto lì di fianco e decise di sedersi per dare meno nell’occhio. Vide passare un ragazzo che sembrava poco più grande di lei sulla trentina, in camicia e jeans. Era alto e abbronzato, molto carino, ed anche l’unica persona a portata a cui porre un paio di domande. Eleanor si alzò di scatto e lo chiamò quasi rincorrendolo:

“Scusa? Hey scusa…”

Il ragazzo si fermò, girandosi verso di lei. “Sì?” Si mise la cartellina che aveva in mano sotto braccio, aspettando che Eleanor prendesse la parola.

“Sì, ehm, avrei un appuntamento con la signora Delacour, però non è nel suo ufficio al momento. Ho provato a bussare ma non c’è nessuno, sai dirmi quando
potrebbe arrivare?”

Guardò l’orologio che aveva al polso. Era un bel modello, sembrava costoso. “Ti ha fatto venire lei così presto?”

“Sì, cioè no, sono stata assunta scorsa settimana e mi han detto di presentarmi oggi alle 9, sono arrivata e giù in reception mi hanno detto di andare nel suo ufficio perché mi avrebbe spiegato il mio lavoro. Quindi.. eccomi qui!”  

“Beh dovrai aspettare un po’ allora. La signora arriva sempre dopo le dieci.”

“Ah …” Eleanor perse immediatamente entusiasmo, dopo le dieci, erano solo le nove e un quarto. Se le andava bene aveva solo un’ora di attesa senza niente da fare se non guardare il muro davanti a sé.

Il ragazzo la guardò un attimo osservandola, “ Senti, se vuoi mentre aspetti puoi farmi compagnia per un caffè, ti assicuro sarà una cosa rapida, nessuno si accorgerà della tua assenza …”

Eleanor fu colta alla sprovvista, era piuttosto indecisa “Ma se poi arriva e io non ci sono? Non vorrei iniziare male già da subito.”

“Non succederà figurati, te l’ho detto, arriva sempre dopo le dieci, fra massimo un quarto d’ora sarai di nuovo qui sul divanetto in attesa, promesso.”

“Mmm … dai ok, ci sto!”

“Andiamo allora.” Il ragazzo la condusse fino all’ascensore per scendere a piano terra. Era un tipo affabile e gentile, Eleanor fu contenta di non avere beccato un antipatico. Si misero subito a parlare come se fossero stati vecchi amici, c’era sintonia e questa era una buona cosa visto che probabilmente sarebbero stati colleghi.

C’era una caffetteria italiana proprio dall’altra parte della strada, anche se di italiano non aveva proprio niente se non i nomi evocativi delle bevande. Attraversarono rapidamente evitando di essere investiti dalle macchine in corsa ed entrarono nel locale quasi vuoto. Nonostante fosse ancora tempo di colazione il vero rush hour era alle otto quando tutti si precipitavano frettolosamente nel bar per accaparrarsi il loro beverone caldo da portare in ufficio per aiutarsi ad affrontare la mattina di lavoro.

“Hai visto com’è tranquillo? Vengo sempre qui a quest’ora, ci metto molto meno!” disse il ragazzo. Era molto alto, con dei capelli neri piuttosto lunghetti scomposti e degli occhi azzurri che assomigliavano a due specchi d’acqua. ‘wow potrei innamorarmene’ pensò Eleanor osservandolo di nascosto mentre stavano in fila. “Hey comunque non ci siamo ancora presentati noi, Tommy.”

“Eleanor! Ma… dimmi un po’, lavori da tanto qui?”

“Dunque non tantissimo in realtà fammi pensare … dall’85.”

“Sono cinque anni dall’85, è un po’ di tempo.” ‘io ero al primo anno di università nell’85’ pensò lei.

“Dio già, sono cinque anni, non mi sembrava! È volato il tempo!”

“Beh vuol dire che ti trovi bene! Senti posso farti una domanda? Ma qui da voi, com’è il dress code? Perché sono un po’ confusa. Cioè dove lavoravo prima era tutto molto creativo e colorato e tutto sommato mi immaginavo che fosse così anche qui, certo non agli stessi livelli, ma  a girare un po’ negli uffici, è tutto così bianco e formale .”

“ Mi stai chiedendo se va bene come sei vestita oggi?”

Ad Eleanor venne da ridere, era già una risposta eloquente.

“Sì non ti preoccupare vai benissimo. Almeno secondo me, ma credo che pure Mrs. Delacour apprezzerà questo tocco di colore extra.”

La ragazza tirò un sospiro di sollievo, “Oh bene! Avevo temuto di avere sbagliato completamente tutto, sai sembrava così monocromatico …  però vedo che anche te in effetti non sei in abito, meno male. Non mi piacciono le persone giovani che vanno in giro vestite esageratamente eleganti, con completi e tailleur che li fanno sembrare vecchi. Poi ovviamente è mio gusto eh.” Si sentiva a suo agio con quel ragazzo e stava parlando liberamente, forse doveva essere un po’ più riservata, ma in fin dei conti non le sembrava di avere offeso nessuno, tantomeno lui. I due ordinarono i loro caffè e si misero in disparte in attesa che fossero pronti da portare via.

“Praticamente, se ho capito bene, non ti piacciono gli ambienti esageratamente formali…” Tommy riprese il discorso.

“Esatto!”

“E c’è qualcos’altro che non ti piace? Del lavoro in generale intendo.”

Eleanor ci pensò un secondo, “Uh sì una cosa c’è, i ragazzi che al massimo avranno trent’anni, che ricoprono un ruolo rilevante in azienda e che pretendono di dare ordini a tutti come se fossero i grandi soloni della situazione, quando invece magari non ne sanno molto più degli altri.”

“Sei abbastanza radicale nelle tue idee, Eleanor.”

“Beh dai, non ti fanno innervosire? Non dico che non debbano avere promozioni, però non esagerate prima di una certa età. Non condividi?”
Tommy prese il suo caffè e l’altro lo porse a lei, “Sì, certo, lo penso anche io.” Nonostante le obiezioni di Eleanor, lui insisté per offrirle il caffè con la scusa che era il suo primo giorno di lavoro. Le sorrise gentile  mentre le apriva la porta per farla uscire e si ridiressero verso l’ufficio senza fretta, continuando a scambiarsi qualche parola. “Visto che ti ho fatta tornare in orario perfetto? Sono solo le nove e mezza e non c’è nessuno ancora.”

“Sì, vero. Dai ora ti lascio andare … Ah e grazie mille per il caffè!”

Si separarono lì dove si erano trovati ed Eleanor tornò al suo posto sul divanetto, in attesa che Madame si palesasse al lavoro. Un pochino le stava già antipatica per quel modo di fare, però, era una donna di innegabile talento nel suo campo. E poi si sa, chi ha successo ama farsi attendere, e lei conosceva bene chi altri aveva questa brutta abitudine.

***

“Signorina Gates, si accomodi prego.”

Eleanor entrò nel grande ufficio di Mrs. Delacour. Era enorme, e sorprendentemente, non bianco, o per lo meno, non interamente; c’erano delle tracce di nero qua e là. Claire Delacour era una bella donna di mezza età che si manteneva splendidamente, con una lunga chioma biondo platino che le ricadeva fluente sulle spalle e due occhi azzurri di ghiaccio. Indossava un abito color crema dal taglio impeccabile ed estremamente elegante, con gli accessori in tinta. In confronto Eleanor si sentiva una scolaretta appena uscita dal liceo. L’aveva appena degnata di uno sguardo mentre entrava, ora era intenta ad armeggiare con delle carte sulla scrivania.

“Ben mi ha parlato molto bene di lei. Mi ha detto che sei mossa da grande passione e determinazione.” Si fermò per guardarla in faccia, era molto seria “Mi fa molto piacere, perché sono questi i due elementi indispensabili in questo lavoro. Il tuo compito per ora sarà quello di fare l’assistente di Mr. Rowland, lui ti insegnerà tutto quello che devi sapere, è più che competente nel suo mestiere. Fra qualche minuto arriverà e potrete già cominciare.”
‘Tutto qui?’pensò Eleanor. ‘Davvero tutto qui? Ho aspettato un’ora e mezza per sentirmi dire da Madame in persona che farò l’assistente di un tizio? Non potevano dirmelo subito accidenti?’ Era irritata più che altro per avere fatto tutta quell’attesa praticamente per niente. Le scocciava aspettare di solito, i tempi morti non facevano per lei.  Bussarono e la porta dell’ufficio si aprì

“Buongiorno, eccomi”

“Oh buongiorno Tommy, finalmente! Questa è la tua nuova assistente.”

‘Tommy?!Oh no…’ Eleanor girò la testa verso l’uomo alla porta. Era il Tommy di poco fa, vestito estremamente elegante e senza un capello fuori posto. Dov’era finito il ragazzo informale di poco fa? In quel momento la ragazza si vergognò tremendamente, forse era arrossita. ‘No, no, cazzarola, no sembra quel tipo di persona che ho quasi disprezzato prima… gli ho dato del vecchio, spocchioso e saccente tutto in una volta sola! Perché non mi mordo mai la lingua? Che figura di merda cosmica!’ Si sarebbe voluta sotterrare se avesse potuto e invece lui le sorrideva tranquillo sulla porta. Eleanor azzardò un timido “Salve”, non riusciva ad essere molto entusiasta.

“Bene Eleanor, puoi andare.” Madame la congedò così, rapidamente come l’aveva accolta, ma Eleanor poteva quasi giurare che nonostante tutto, la donna l’aveva studiata per bene in quei pochi minuti. Salutò e uscì dall’ufficio seguendo Tommy che le faceva strada verso la sua scrivania.

“Senti…senta, per quello che ho detto prima, mi dispiace non sapevo…”

“Eleanor tranquilla, non credo avresti cambiato il tuo parere se avessi saputo che ero il tuo responsabile. Dammi del tu per favore, non c’è bisogno della formalità.
Questa è la tua scrivania, c’è tutto quello di cui hai bisogno, prova a controllare, se dovesse servirti qualcosa dillo giù alla segretaria. Ci vediamo fra dieci minuti nel mio ufficio.”

Eleanor guardò la sua scrivania di vetro immacolata, un telefono un blocco notes, un portamatite e un mazzo di rose. Ecco le rose proprio no. “Posso toglierle per favore?” disse indicando il mazzo di fiori.

“Certo. Ma… non ti piacciono?” fece Tommy sorpreso.

“Sì, però vedi, io e le rose non abbiamo un buon rapporto, sai trascorsi un po’complicati.”

Quella risposta sembrò bastare a Tommy che se ne andò verso la sua stanza pensieroso. “Sappi che comunque quello che ti ho detto prima è vero, nemmeno a me piacciono i ragazzi giovani che una volta capi si comportano da re del mondo. Ah! E sei in debito di un caffè!”. Le fece l’occhiolino prima di chiudersi la porta alle spalle lasciando Eleanor sola a sistemare altrove le rose.

***
Era venerdì pomeriggio ed Eleanor aveva terminato la sua prima settimana di lavoro. Si era rivelato piuttosto complesso, non pensava fosse così articolato, le sue memorie di organizzazione delle feste erano piuttosto semplici, ma ora era tutta un’altra storia. Tommy si era rivelato tutt’altro che il prototipo di ragazzo rampante che lei aveva profilato e per fortuna la prima sensazione di sintonia si era rivelata corretta. Lavoravano bene insieme e doveva riconoscere che era molto bravo in quello che faceva. Visto che quel giorno avevano terminato in anticipo sulla loro tabella di marcia, Tommy decise che potevano andare a casa prima, quindi ora lei si trovava sull’autobus diretta a casa. Erano solo le cinque e già per il Sunset iniziavano a ronzare un po’ di ragazzini senza meta, in attesa di potere festeggiare quella sera nei locali lì intorno. Chissà se erano sempre gli stessi quelli che andavano in voga o se era cambiato qualcosa ora che erano entrati negli anni 90. Non era ancora andata in giro di sera per lo Strip nonostante vivesse praticamente lì attaccata. Si ripromise che avrebbe dovuto farlo presto. In quel momento l’autobus passò davanti al Guitar Center ed Eleanor ebbe un’improvvisa voglia di farci visita. Anche se non sapeva suonare, le era sempre piaciuto osservare gli strumenti musicali, le sembravano oggetti magici nelle mani di chi sapeva fargli prendere vita. Quando entrò venne inghiottita in un mondo di chitarre, bassi e strumenti di ogni genere, un paese dei balocchi per musicisti insomma. In mezzo al negozio c’era un piano a coda bianco, era imponente e bellissimo. Le ricordò il suo piccolo piano su cui prendeva lezioni da piccola senza mai riuscire veramente ad imparare a suonarlo. Odiava il pianoforte, lei voleva suonare il basso ma sua mamma si opponeva e visto che non poteva suonare quello che voleva smise di strimpellare anche il piano. Non se ne era pentita. Andò nel reparto delle chitarre. Quante ce n’erano, tutte bellissime, alcune irraggiungibili per il prezzo esorbitante. Poteva distinguere i modelli senza nemmeno leggere le descrizioni, aveva passato pomeriggi interi in quel posto con Izzy e Slash che le raccontavano i segreti di ogni chitarra presente, quale andava bene per cosa e così via. Ne parlavano così bene e così a lungo che alla fine aveva imparato anche lei. Le cadde sotto gli occhi una Les Paul uguale a quella che per mesi Slash aveva desiderato prima di avere i soldi per comprarsela. Ora era diventata la sua inseparabile compagna. A proposito di Slash, quasi per ironia della sorte mentre appoggiò la chitarra che aveva preso in mano, vide una foresta di neri capelli ricci proprio di fronte a lei dall’altro lato dell’espositore. Sembravano proprio lui! Possibile? Si spostò per cercare di vedere meglio se magari fosse riuscita a vederlo in faccia. Ma niente lei si girava da una parte e lui dall’altra, così la visuale dei capelli non cambiava di una virgola. Eleanor decise di avvicinarsi per sciogliere il dubbio. Aggirò l’espositore e iniziò a seguire silenziosamente il ragazzo, voleva essere davvero sicura al cento per cento che fosse lui per evitare di fare una figuraccia. Era identico al suo amico, stessa altezza, stessa corporatura e il modo di fare era lo stesso. Anche le mani, sembravano proprio le sue. 
Finalmente lui si stava girando, era a tanto così dal vederlo quando una voce la fece sobbalzare:



“ELEANOR! Non posso crederci tu qui?!?”

Lei si girò di scatto verso quella voce e vide Eddie, un suo vecchio compagno di università.

“Eddie! Ma che bello vederti! È passata una vita! Mi puoi scusare un secondo? Torno da te subito!” Eleanor era felice di vederlo, però voleva scoprire se Slash era ancora lì, così lasciò lì il ragazzo e corse verso la fine del corridoio degli amplificatori. Niente non c’era più traccia di lui, o del suo sosia. Peccato, lo avrebbe voluto salutare più che volentieri. Un po’ delusa ritornò da Eddie.

“Scusa pensavo di avere visto un vecchio amico. Beh ma allora, come stai?”

“Non c’è male dai, e tu? Sei tornata qui per rimanere o è solo una visita?”

“No, Eddie sono tornata per ricominciare. Sono tornata a vivere nella vecchia casa sai?”

“Ma dai, Quella sulla collina dietro al Whisky?”

“Esatto lei! Ah a proposito sto organizzando una festa per domani sera, sai per inaugurarla, ti va di venire?”

“Ellie sono un po’ stanco ultimamente…”

“Dai Eddie, non ti riconosco! Non eri tu che dicevi che ogni occasione è buona per festeggiare? La settimana è finita, il tempo delle feste è arrivato! Anzi, anzi dillo a più persone possibili, spargi la voce! Mi farebbe infinito piacere rivedere Kat, Marc, Terry, Susan e gli altri. È tanto di quel tempo che non vedo e non sento più nessuno di loro. Se siete ancora in contatto informali! Vi aspetto!”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sparks ***


“ELEANOR! Non posso crederci tu qui?!?”

Una massa di ricci sussultò a quell’esclamazione. Slash era così assorto nelle sue valutazioni tecniche sugli strumenti adeguati che gli servivano che venne improvvisamente ri-catapultato nella realtà. Non aveva minimamente notato che era stato quasi pedinato fino a un minuto prima. Stava per tornare ai fatti suoi quando sentì una voce estremamente familiare. ‘La conosco!’ pensò subito. Aveva facilmente associato quel nome femminile alla persona, certo, era Eleanor, la Ellie di Izzy. ‘Allora è vero’. Non era nemmeno più di tanto sorpreso che lei si trovasse di nuovo in città, ricordava vagamente che Renée gliene aveva accennato qualche giorno prima, anche se non l’aveva poi tanto ascoltata mentre parlava. Dalla voce sembrava sempre la stessa, forse aveva perso un po’ di accento stando lontana. Era incuriosito dalla sua presenza lì, perciò silenziosamente cercò di sporgersi dall’altro lato del corridoio per poterla vedere. Sì era proprio lei, diversa ma lei. Quando vide che stava per girare la testa verso di lui si nascose. Perché poi si stava nascondendo nemmeno lui lo sapeva, era stata una cosa istintiva, anche se alquanto stupida, perché gli avrebbe fatto veramente piacere scambiare due parole con lei. Si sentì ridicolo.

“Sono tornata a vivere nella vecchia casa sai?” La sentì dire. ‘Wow è una notiziona! Lo devo dire a Izzy!’ era stato colto da questa brillante idea come se un fulmine l’avesse colpito a ciel sereno. Izzy ne sarebbe stato contentissimo secondo lui. Ma certo! Sicuramente! Come avrebbe potuto non esserlo? Non aspettava altro! Corse fuori dal negozio senza più pensare a niente, nemmeno a salutare Eleanor, perché nella sua testa stava prendendo forma un piano glorioso: avrebbe dato a Izzy questa preziosa informazione, lui sarebbe andato da lei, avrebbero ricominciato a frequentarsi e finalmente sarebbero tornati insieme, come era sempre stato destino che fosse. E lui avrebbe avuto un ruolo tutto questo! Si sentiva euforico all’idea, quei due erano sempre stati bene insieme, sarebbe stato splendido se Izzy fosse tornato a stare bene, se lo meritava dopotutto. Saltò in macchina e  guidò rapido fino al vicino studio di registrazione dove sapeva che avrebbe trovato gli altri, quel giorno si erano accordati finalmente per provare del materiale per il nuovo disco. In tutto il tragitto continuò a pensare in rosa, quasi fosse un bambino sognante, completamente dimentico del fatto che quello che aveva fantasticato non sarebbe stato poi così facile nella realtà.

***
Axl era l’unico presente in sala prove quando Slash ci entrò quasi correndo. Lo guardò stranito, era estremamente raggiante, se fosse stata una ragazza avrebbe potuto dire radioso, e gli sembrava piuttosto strano.

“Successo qualcosa Slash?”

“Eccome! Sai chi ho beccato prima al Guitar Center?!”

“Da come ti stai comportando direi una ragazza.”

“Bravo Axl! Però non una a caso, ho trovato Ellie!”

Axl rimase in silenzio a fissarlo.

“Axl … hai capito? La Ellie di Izzy!”

“Sì ci ero arrivato Slash …” rispose infastidito il rosso. Sembrava quasi scocciato, il suo umore era mutato dal sole al temporale in meno di mezzo minuto. Ma questo non smorzò l’entusiasmo di  Slash,  ci era abituato a quei mutamenti repentini.

“Sai che è tornata a vivere nella stessa casa di un tempo? Quella vicino al Whisky! Pazzesco! Ma ti ricordi quando ci ospitava a dormire che eravamo senza una casa? Sembra passata una vita… beh comunque, lo devo assolutamente dire a Izzy! Dov’è? È già arrivato?”

“Non c’è ancora … perché poi glielo vorresti dire scusa?”

Slash guardò l’amico con gli occhi spalancati dallo stupore, come poteva non capire? “Dai Axl … Izzy è una vita che non aspetta altro che questo momento,  potrebbero ricominciare a uscire, a vedersi, potrebbero persino sposarsi sul serio questa volta, perché dovrei starmene zitto?”

Axl rimuginò un po’ sulla cosa. “Sì hai ragione, è che ho avuto l’istinto di proteggere Izzy, non vorrei che si rifacesse male di nuovo. Stavolta non credo che riuscirebbe a superarlo.”

“Non credo l’abbia mai superata Axl …” gli fece Slash rattristato.

“Senti, glielo dico ok? Però non ora, dopo, prima è meglio che combiniamo qualcosa qui, per una volta che ci siamo accordati di esserci tutti. Non vorrei che la notizia lo turbasse e si distraesse troppo con altri pensieri. Sono passati tre anni, qualche ora in più non è niente in confronto.”

Slash avrebbe voluto dirgli che se si vedevano poco era solo per colpa sua e delle sue manie da megastar che aveva acquisito nel corso degli anni, ma dovette ammettere che era una proposta ragionevole. Oramai Eleanor si era risistemata, non sarebbe certo scappata in quelle quattro ore.

“Ok, ci sto.”

Axl annuì soddisfatto.

“Però ci parlo io con Izzy! Non vorrei che ti saltasse in mente l’idea di non dirgli niente per salvaguardarlo da una situazione che tu ritieni potenzialmente dolorosa. La vita è sua, se la gioca come vuole come ha sempre fatto, però bisogna anche dargli la possibilità di giocarsele le sue carte.”

***
Izzy prese in mano la cornetta del telefono. Non riusciva a sedersi, era troppo agitato. Aveva temporeggiato fin troppo, era giunto il momento di fare quella chiamata, finalmente. Doveva raccogliere tutto il coraggio che possedeva in quel momento e parlare con Eleanor. Quello era il suo obiettivo. Parlare con lei e dirle tutto quello che aveva nel cuore, la testa, per quella volta, l’avrebbe lasciata in un angolo. Da quando Slash e Axl gli avevano parlato di Eleanor la notte prima, aveva passato la giornata in uno stato di anticipazione tale che non era riuscito a combinare assolutamente niente se non farsi mentalmente un filmino di come sarebbero andate le cose. Ogni volta gli scenari cambiavano, un momento erano gloriosi, quello dopo cupi e foschi per poi tornare a farsi felici. Ma come aveva deciso, quella volta, avrebbe lasciato da parte quella razionalità che in passato gli aveva provocato non poche incomprensioni.
Sapeva bene cosa doveva dire, doveva lasciare che i suoi sentimenti parlassero per lui, sarebbe stato … infinitamente difficile. Non riusciva a prendersi in giro, era capace di scrivere canzoni fantastiche, comporre musica toccante, ma quando veniva il momento di confrontarsi e mettersi in gioco in prima persona era un disastro. Avrebbe tanto voluto possedere la schiettezza di Axl, la sua irriverenza e mancanza di timore per riuscire a dire ciò che pensava a voce alta.

Izzy esitava a comporre quel numero che a distanza di anni conosceva ancora a memoria. La paura si stava insinuando nei suoi pensieri, coi suoi se e i suoi ma, il veleno contro qualsiasi azione coraggiosa. Proprio in quel momento, Axl,  che stava osservando la scena seduto sul divano, colse il tentennamento del suo amico. Lo vedeva estremamente teso, come quando stava per fare una cosa importante, poteva quasi toccare la sua tensione con mano. Avrebbe voluto dirgli di lasciare perdere, perché ci sarebbe solo rimasto male. Invece cercò di dargli una spronata, gli serviva solo quello.

“Dai Izzy è solo una telefonata in fondo, nulla più nulla meno. Fai un bel respiro e la sommergi di parole, è facile se non ci pensi! Poi vedi come va, però almeno la tua parte l’avrai fatta... e non avrai rimpianti per non averci provato.”

Dopo quelle parole Izzy  si sentiva rinfrancato, le idee erano tornate chiare. Axl aveva ragione. Riuscì a digitare i tasti e il telefono iniziò a suonare.

“Tutuuu, tutuuuu”

Non era occupato, ma nessuno rispondeva. ‘Magari non sente…’ pensò subito il ragazzo e rimase in attesa col fiato sospeso.

“Tutuuu, tutuuuu” altri squilli, ulteriore attesa. Izzy iniziò a sentire disagio e un imminente senso di sconfitta. Aspettò ancora un po’, ‘un altro squillo e metto giù’. Desiderava
ardentemente che Eleanor alzasse quella maledetta cornetta, doveva parlarle, ora! ‘Avanti Ellie…’. Nessuna risposta. Rimase con la cornetta attaccata all’orecchio, prima o poi la linea sarebbe caduta da sola, non sarebbe stato lui a riagganciare. Poi arrivò il magico click che lo prese alla sprovvista e che gli fece stringere il telefono con forza, premendolo forte contro il viso. Sentiva un grande rumore, musica, risate, ma nessuno che parlava. Osò lui per primo:

“Pronto?”

Ma ancora musica voci e nessuna risposta. Stava pensando quasi di avere sbagliato numero, quando sentì la voce di Eleanor in lontananza:

“Che c’è Matt?”

“Squillava il telefono Ellie!”

“Ma chi é?”

“Boh non lo so, ho solo alzato mica risposto!”

Matt, se lo ricordava, era un amico del liceo di Eleanor, stavano urlando per sentirsi sopra la musica ecco perché li sentiva così bene.

“Senti Matt aiuti Mel ad aprire un paio di bottiglie di vino per favore? Di là è un casino … e dai passami ‘sta cornetta! Pronto?”
Il cuore di Izzy era in subbuglio, travolto con la violenza di un fiume in piena. Tre anni che non sentiva più quella voce cristallina e rassicurante. Tre anni aveva pensato che non l’avrebbe mai più vista, che non ci sarebbe stata più una seconda occasione. Invece il destino era stato benevolo con lui, di nuovo, perché anche in quel caso gli aveva dato l’opportunità di ricostruire qualcosa che aveva distrutto. La chance gli si presentava lì, in quel preciso momento. Aveva il 50% di possibilità di riuscire e altrettanto di fallire. La musica continuava in sottofondo.

“Pronto, chi parla?” ripeté Eleanor.

Izzy inspirò profondamente.

EleanorMy heart is yours.
It's you that I hold on to.
That's what I'll do.
I know I was wrong,
And I won't let you down.

I promise you this,
I'll always look out for you.
That's what I'll do.”*

“Hey ma c’è qualcuno dall’altra parte o è uno scherzo?”disse Eleanor di fronte al silenzio che risuonava nella cornetta. “Guarda che metto giù ora!”.  Nessuno aveva parlato, non una parola era stata detta, aveva avuto tempo di sentire solo un respiro profondo e poi il silenzio ed in quel momento ebbe la netta sensazione di riconoscere Izzy dall’altro capo del ricevitore. ‘Sembrava proprio uno dei suoi sospiri’ si fermò a riflettere un secondo di fianco al mobiletto bianco su cui era riposto il telefono prima di darsi della stupida. Come poteva essere lui? Non sapeva nemmeno più dove abitasse, era fuori discussione. Liquidò la questione pensando che avessero sbagliato numero, in fondo capitava spesso, e se ne tornò dai suoi ospiti. Erano venuti in tanti quella sera, decisamente troppi, quando aveva detto di invitare persone, non intendeva anche sconosciuti. Strinse le spalle, "Va beh dai conoscerò persone nuove"sorrise all'idea, aveva proprio voglia di divertirsi.

Izzy era rimasto immobile con il ricevitore in mano, come se aspettasse il momento giusto per parlare. Ma il momento era passato pochi secondi fa. E lui cosa aveva fatto? Niente, proprio niente. Tutti i bei discorsi di auto convincimento e motivazione, l’aiuto di Axl, non erano serviti a nulla, aveva taciuto. Non era riuscito nemmeno a dirle una cosa insignificante, non un ciao, solo un respiro. Ci aveva forse ripensato in quel minuto in cui aveva sentito la voce di Eleanor? No. Sarebbe morto pur di confessarle i suoi sentimenti. Eppure non aveva colto la palla al balzo e se l'era lasciata sfuggire, le parole che doveva pronunciare erano rimbalzate a vuoto nella sua mente come un eco lontano, mentre questo succedeva tutto ciò che sentiva era Ellie, la sua Ellie che era tornata e la cui vita stava andando avanti. Era coi suoi amici, si stava divertendo, non era rimasta ancorata al passato come lui, perciò che diritto aveva di farle ripiombare addosso quegli anni turbolenti proprio ora che stava bene? Senza di lui Eleanor stava bene, quella era la verità. Izzy si sentiva un idiota ad avere potuto credere di potere ricostruire qualcosa dalle ceneri del loro rapporto, come se si trattasse di una fenice. Era stata una fantasia bella e buona, le avrebbe solo portato nuovamente dispiacere, non c'era più posto per lui nella vita di Eleanor, lo aveva dimenticato, doveva metterselo in testa, lo aveva sentito con le sue stesse orecchie.

“I am happy
That I have you
Even though you're not here now
I know somewhere
You are dreaming
Though it's definitely not of me”**


Una parte del ragazzo tuttavia non si era ancora arresa all'evidenza. Non voleva staccarsi da quel briciolo di speranza che gli restava e che lo aveva portato a provare a compiere quel gesto. Testardamente quella piccola fiammella ancora baluginava dentro di lui. Forse un altro giorno … sì un altro giorno ci avrebbe riprovato. Non voleva lasciare che la storia si scrivesse senza la sua partecipazione attiva, per quell’ultima volta avrebbe tentato di nuovo. Se l’era promesso qualche giorno prima, voleva mantenere quella promessa. La sua piccola speranza rimaneva ed era il suo traino, per ora. Anche se in quell’istante era ancora pietrificato di fianco al telefono con la linea caduta e si sentiva non solo idiota ma anche terribilmente vuoto e un po’ codardo. Si sentiva tante cose insieme. Da quando era diventato così confuso? Aveva voglia di piangere. Sentì la cornetta scivolare via dalla sua presa, gentilmente, ed una mano amica che si posava sulla sua spalla, era Axl.

“Dai Izzy, lascia stare. Non era il momento,non eri pronto, ci proverai un’altra volta.”

Izzy annuì. Era un sollievo avere il suo migliore amico accanto, gli dava forza e lo tranquillizzava.

“Usciamo adesso, un po’ d’aria fresca ti farà bene, ne hai bisogno, che dici?”

Axl non aspettò nemmeno che la risposta arrivasse, cinse le spalle dell’amico con un braccio e lo condusse verso l’ingresso. Sperava che un po’ di distrazione avrebbe alleviato l’animo inquieto di Izzy, non sopportava vederlo stare così male. In cuor suo sapeva che il tentativo del suo amico era un’impresa da kamikaze, eppure non poteva che sostenerlo perché era ciò che forse gli sarebbe servito per aiutarlo a trovare la sua pace interiore. Forse avrebbe fatto anche la stessa cosa se si fosse trovato al suo posto. Dopotutto lui per primo conosceva bene cosa volesse dire stare male per amore. E soprattutto, quella non era la sua vita ed il suo compito ora era quello di stargli vicino, non di interferire. Voleva comportarsi esattamente come aveva fatto Izzy con lui quando aveva avuto i suoi problemi con Erin, voleva essere un buon amico.

Izzy si lasciò guidare passivamente verso l’auto di Axl. Col paesaggio buio della Pacific Coast Highway che sfrecciava al suo fianco, il ragazzo cercava di immaginarsi Ellie, con i lunghi capelli lisci come l’aveva vista qualche settimana prima, chissà com’era vestita, sarà stata con un abito? Azzurro magari… Avrà indossato quegli orecchini a cerchio che si metteva sempre quando uscivano insieme? La voce della ragazza, la sua risata gli risuonavano in testa come una canzone in loop. Decise di lasciarle proseguire e si abbandonò ai suoi pensieri rilassandosi sul sedile di pelle, mentre la macchina  continuava la sua corsa nella notte.

“If we should meet again
Don't try to solve the puzzle
Just lay down next to me
And please don't move a muscle

It doesn't matter
If this all shatters 
Nothing lasts forever.”**

*Sparks - Coldplay
**It doesn’t matter - Depeche Mode
 
 **********

Bene, sto proseguendo yeppa! :) Lasciatemi un piccolo spazietto di euforia :) Il capitolo 4 è stato molto letto e vi volevo ringraziare, ringrazio chi segue che siete tanti lo vedo (soprattutto la semper fidelis EllieMarsRose), anche se qualche volta sapere che ne pensate di questa storia mi farebbe infinito piacere, giusto per farmi un'idea. Vi bacio tutti! 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Dazed And Confused ***


Quella domenica mattina Eleanor si svegliò con un terribile cerchio alla testa. Che poi dire mattina era un eufemismo, aveva appena aperto gli occhi e dato uno sguardo alla sveglia digitale senza riuscire a distinguere bene i numeri rossi su sfondo nero, era tutto sfocato. Però vedeva bene l'intensità della luce che entrava dalle finestre, le tende erano scostate. Si tirò a sedere sul letto con molta fatica, schermandosi gli occhi con una mano, resistendo all'impulso fortissimo di lasciarsi cadere con un tonfo sul materasso e tornare a dormire. Quand'é che gli ultimi ospiti se ne erano andati? Le cinque? Forse cinque e mezza, non se lo ricordava più. In realtà all'inizio sembrava che non dovesse arrivare molta gente, verso le dieci e mezza era ancora tutto piuttosto tranquillo e rilassato, era in atto una sorta di momento amarcord tra pochi intimi e sinceramente ad Eleanor andava anche bene così. Poi dopo un’oretta circa la gente arrivò praticamente dal nulla e iniziò ad accumularsi nel suo piccolo appartamento, al momento di massima affluenza erano circa una cinquantina stretti in meno di cinquanta metri quadri. E chi diavolo erano? Tutti sconosciuti, o quasi. Ma in fondo se l’aspettava, di solito andava proprio così alle feste, la gente arrivava chiamata da altra gente così alla fine non sapevi mai chi ci fosse stato in realtà e chi avesse invitato chi, a parte ovviamente pochi fidati eletti. Tutto sommato poi era stata lei a chiedere a chi aveva invitato di sentire altri, evidentemente la voce era circolata un po’ troppo, così si era ritrovata ad aprire la porta e ad offrire da bere a una serie di sconosciuti mai visti prima. In realtà però non le importava molto, era contenta di come era andata, si era divertita un mondo. Quella della sera prima le ricordava quelle vecchie feste a cui di solito partecipava quando era all’università, o ancora meglio, quelle che si improvvisavano al vecchio garage giù a Gardner. Ci era andata spesso, anche se a Izzy non andava proprio giù che lei frequentasse quel posto, soprattutto in quei momenti di baldoria sfrenata e totale dissoluzione. Non gli piaceva che vedesse come lui e i suoi compagni di band sapessero trasformarsi da ragazzi in animali da festa, e non solo. Ma Eleanor ci andava comunque, con Mel a volte, altre da sola, era successo che ci fosse andata anche senza Izzy presente, solo per stare in compagnia dei suoi amici, era perfettamente in grado di capire quando era il momento giusto per dileguarsi quando entrava in scena una ragazza che interessava a uno di loro, o anche a più di uno.  Le piaceva trovarsi in mezzo a persone così creative e ricche di idee come quelle che costituivano il circolo dei primi Guns N’ Roses. Erano tutti praticamente senza un soldo, quasi nessuno di Los Angeles, erano arrivati lì con la speranza di potere realizzare il loro sogno. Si arrabattavano come potevano, con qualche lavoretto di poco valore che consentiva loro di tirare fine mese o che più frequentemente, non riuscivano a tenere fino a fine mese. Vivevano in posti luridi o in quartieri di dubbia fama, ma poco importava, perché avevano energia da vendere, quando suonavano facevano impallidire anche i gruppi più famosi che oramai facevano concerti solo per lavoro e non per passione. Loro invece erano spinti da una forza interna, avevano una vocazione, qualcosa da dire e l'urgenza di esprimersi e comunicarlo, di liberare la loro forza e questo succedeva solo quando erano su un palco. Aveva conosciuto tanta gente quando frequentava Izzy, con tanti aveva stretto anche un rapporto, ma per lo più erano amici del suo ragazzo o della band, quindi era stato piuttosto difficile mantenere i contatti una volta trasferita.

La numerazione dell'orologio segnò le tre, forse era davvero il caso di alzarsi. Passò rapidamente in bagno per darsi una ripulita e infilarsi un leggero copricostume verde, la prima cosa che le era capitata in mano dalle valigie ancora da disfare, non si curò troppo di quello che prendeva, perché tanto non doveva uscire, l’aspettava un bel pomeriggio di ripresa prima del rientro in ufficio il giorno dopo. Si trascinava per casa rallentata dallo stordimento dell’hangover, tutto sommato era di buon umore, ma quando mise piede in salotto per poco non si mise a piangere. Aveva cancellato il fatto che c’era ancora tutto da sistemare. La sera prima avevano tirato così tardi che aveva mandato tutti a casa con un bel sorriso stampato sulle labbra per poi crollare sul letto senza toccare niente. Ora era un bel casino, per terra tutto sporco e pieno di briciole, c’erano bicchieri di carta blu e rossi ammucchiati ovunque e tutte le bottiglie stavano dentro il lavandino. ‘Oddio che porcilaio’ la ragazza si mise un attimo le mani nei capelli per ragionare da dove fosse il caso di iniziare quella che sarebbe stata una lunga sistemazione. Cominciò col legarsi i capelli e mettersi le scarpe, c'era fin troppo lerciume intorno per usare le ciabatte. Tirò fuori una serie di sacchi neri della spazzatura e uno ad uno vi infilò dentro tutti i bicchieri e i piatti di plastica che trovava in giro, carte e cartacce, pacchetti di patatine e cibarie varie che erano troppo rovinati per pensare di essere messi via e finiti. A ben guardare, Eleanor realizzò che aveva dato fondo a tutta la spesa che aveva comprato la mattina prima, la dispensa era vuota implorava pietà e anche il frigo era peggio del deserto dei tartari. Per ironia della sorte lo stomaco le gorgogliò di fronte a quella moria, protestando per avere un pò di cibo solido da ingerire dopo tutto l'alcohol che aveva bevuto. E dio se ne era partito, la prova erano tutte le bottiglie vuote che s'erano accumulate a dismisura, alcune prese da lei, la maggior parte dono generoso degli ospiti. Buttò via anche quelle, finendo per avere l'ingresso ingombrato da cinque sacchi di immondizia. 'E questo é fatto, via uno' Eleanor si tirò su di morale, passando all'opera di pulizia dei mobili e pavimenti. Armata di straccio e detersivo fece tornare a brillare la cucina e il salotto. Quando passò vicino al telefono le venne in mente quella strana chiamata della sera prima.Si domandò chi potesse essere stato, non le piaceva quando qualcuno non rispondeva al telefono, si sentiva a disagio almeno, poi una parola poteva almeno dirla anziché tacere. Eppure non riusciva a togliersi dalla testa quella strana sensazione che si trattasse di qualcuno che conosceva bene. Di solito quel modo di fare ce l'aveva proprio Izzy quando parlavano al telefono, a volte prima di rispondere alle sue domande si fermava un attimo in silenzio a pensare e tutto quello che lei sentiva era il suo respiro. 'Ma figuriamoci, perché poi Izzy avrebbe dovuto chiamarmi?'

Tornò in cucina e gettò soddisfatta lo straccio nel lavandino, aveva finito, non ci aveva messo nemmeno troppo e la casa risplendeva, il vantaggio di avere un bilocale.
Si slegò la coda e lo stomaco ricominciò a farsi sentire prepotente. Non aveva per niente voglia di uscire, però era costretta, la fame era più forte. Mentre passava davanti allo specchio si rassegnò anche al fatto che forse era il caso di farsi una doccia veloce, aveva l'aria sciupata di una che era appena tornata da una giornata devastante nel deserto.

Eleanor uscì da casa con ancora i capelli bagnati, era una giornata tremendamente calda e non c’era stato bisogno di asciugarli, tutto per non dire che non aveva la minima voglia di perdere un’ora a tirarseli dritti e perfetti per poi dover camminare fino al primo 24/7 che era a mezz’ora di distanza sulla San Vincente Boulevard e rifarsela tutta in salita. Pensò che probabilmente una passeggiata l’avrebbe fatta ripigliare definitivamente, o più probabilmente si sarebbe trovata accasciata sulla prima panchina disidratata dal sole che ancora picchiava forte e per la mancanza di acqua. Aveva deciso di mettere su un paio di shorts di jeans, una maglia extra large a righe e le sue converse rosse, almeno sarebbe stata comoda. Mentre camminava stringeva una mano attorno alla tracolla della sua borsa di pelle e sentiva la pelle riscaldarsi al sole. C’era una leggera arietta calda che soffiava dalla Valley e i capelli le si stavano asciugando rapidamente, attorcigliandosi in quei morbidi boccoli che ora si ostinava a domare. Come sempre in quella città le strade erano deserte a parte uno sfrecciare continuo di auto, le persone sembravano scomparse, chissà dove, se non che poi bastava fermarsi nel primo locale o negozio per scoprirle tutte dentro a spendere i propri soldi in qualcosa da sorseggiare o in qualche abito. Ci mise un po’ più di un’ora tra tragitto fatto tranquillamente e spesa, quando sarebbe arrivata in casa sarebbe già stato tempo di farsi un’altra doccia. Stava sorseggiando una coca cola fredda che aveva appena preso mentre tornava indietro e passando davanti al Whisky pensò che ci sarebbe dovuta andare in settimana, c’era una bella locandina per il venerdì e sabato, magari le band che erano in cartellone erano anche brave.

Quando giunse alle scale di ingresso della sua palazzina si fermò un attimo seduta fuori sui gradini, non aveva voglia ancora di salire su. Il sole a quel punto stava iniziando a tramontare dietro le colline e il cielo si era dipinto di un arancione intenso. Voleva godersi ancora un po’ di quel momento all’aria aperta. Forse sarebbe dovuta salire sul tetto, aveva le chiavi, ma non si mosse. In quel momento un ragazzino in bicicletta sfrecciò davanti a lei perdendo il cappello. Eleanor si alzò di scatto a raccoglierlo “Aspetta!” lasciando i suoi sacchetti sparsi sulle scale e iniziò a rincorrerlo inutilmente. Era scappato via troppo veloce. Lo guardò andare via, avrà avuto dodici o tredici anni. Si rigirò il cappello tra le mani osservandolo un po’. ‘Una coppola nera?! Che gusti retrò che ha quel bambino, come si fa a dodici anni a mettersi una coppola?’. Si girò sui tacchi tornando verso casa, continuando a guardare il cappello e chiedendosi se avrebbe mai potuto ridarglielo, più probabilmente sarebbe rimasto a lei, magari era anche della sua misura. Era quasi tornata sulle scale quando improvvisamente si vide portare via la coppola dalle mani. Stava già avanzando una stizzita protesta ma quando vide in faccia il ragazzo che le aveva preso il cappello, le parole le morirono in gola. ‘No non può essere, è tutto solo un abbaglio, colpa del sole troppo forte!’

“Ciao! Questa è mia! Mi stavi cercando?” rispose Izzy con un sorriso furbo stampato in viso.

This is like a flashback
This is like a dream
This is like all the things you can fit inside a memory *


Lui, quelle parole, quel sorriso, sbucati dal nulla con la forza distruttiva di un uragano forza cinque. Eleanor era stordita e confusa come non mai, le gambe le iniziarono a tremare dallo shock. Era stata colta completamente impreparata e dire che era sorpresa non descriveva nemmeno lontanamente lo stato in cui si trovava. Izzy, assieme a tutta la vita che conosceva un tempo, erano giunti fino a casa sua per dirle ciao. Dopo tre anni, come se non fosse successo niente,un semplice ciao. La sua presenza, quella frase, quella dinamica, l’avevano investita con la rapidità di un treno in corsa. Era tutto reale, era di fronte a lei, con quei capelli neri lunghi, quegli occhi color cioccolato profondi e dolci, la sua figura magra e allo stesso tempo estremamente forte, la sua voce calma e scherzosa.  Niente era uno scherzo della sua mente, lo sapeva, era l’ennesima giocata del destino che si divertiva con le loro vite. Ed ora le sembrava di essere stata risucchiata a forza dal vortice incontrollabile di un grandissimo, enorme flashback.

*** 
*Flashback – Calvin Harris

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Wild Youth - Interlude- ***


Eleanor stava guardando fisso il ragazzo davanti a lei, indecisa se urlargli contro oppure ignorarlo del tutto e continuare sulla sua strada per i fatti suoi. Era rimasta profondamente irritata da quel modo di fare strafottente che aveva avuto nei suoi confronti, come se si trattasse di una qualunque di quelle tipe con cui probabilmente aveva a che fare normalmente con le quali si poteva permettere il lusso di prendersi certe libertà. Se c’era una cosa che proprio non riusciva a sopportare era la mancanza di rispetto e lui aveva appena oltrepassato il limite. Ma che diamine pensava di fare, saltare su così all’improvviso con una battuta del genere, come se il mondo ruotasse completamente intorno a lui e lei fosse una pedina che era entrata nel suo raggio d’azione. Quindi che fare? Non aveva granché tempo per decidere, agire? Dare sfogo alla sua indignazione sbottandogli contro? Avrebbe avuto una grandissima soddisfazione a spiattellargli le due o tre cosucce  che pensava di lui, si sarebbe liberata di un grandissimo, enorme peso che le si era accumulato dentro nel tempo. Sì si sentiva già meglio all’idea. Ma poi ci ripensò immediatamente. Oh no, assolutamente no, dare corda a quell’atteggiamento avrebbe solo voluto dire mettersi sul suo stesso piano. Non avrebbe guadagnato molto se non un temporaneo compiacimento. Perciò finì per fulminarlo con lo sguardo, girarsi sui tacchi e tornarsene dietro il bancone a prendere altre ordinazioni con aria fiera, come se non fosse stata minimamente toccata da quel modo di fare. In fin dei conti che gliene fregava? Quel moretto lì era solo un cliente, mica un  suo amico per cui sarebbe valsa la pena farsi il sangue amaro, era solo tempo perso dargli retta.  

Mentre i clienti si susseguivano lentamente alla cassa per pagare il conto, lanciava qualche sguardo furtivo ai due ragazzi che continuavano a ridere tra loro e provò un crescente senso di irritazione. Avrebbe voluto che sparissero. Anzi no, il rosso no, era simpatico lui, gentile e amichevole, pure carino fra l’altro. Era il moro era quello che non avrebbe dovuto essere lì. In quel momento dall’ingresso entrò un ragazzo biondo che si andò a sedere proprio al loro tavolo. ‘Chris?! E che ci fa con quei due lì?’ si chiese Eleanor incredula. Chris Weber era il suo vicino di casa e lo conosceva da una vita, sapeva che amava tantissimo il rock n’ roll e che era costantemente alle prese con band nuove che gioco forza lo portavano a frequentare persone non del tutto normali o raccomandabili. Ma quelli … quelli sì avevano l’aria di essere due musicisti per come si conciavano, e in cuor suo doveva ammettere che le piaceva moltissimo il modo in cui si vestiva il rosso, avrebbe voluto andare in giro anche lei con quegli abiti colorati ed esuberanti, ma poi chi la sentiva sua madre? Figuriamoci era fuori questione. Tutto sommato anche il moretto aveva gusto, una via di mezzo tra il punk di Johnny Thunders e i Rolling Stones, le piaceva. In fondo a ben guardarlo era pure carino…carino?! Ma cosa stava dicendo? Carino quello lì? Stava divagando, colpa dell’ora tarda e del pranzo saltato, sicuramente. Restava comunque che la strana coppia sembrava fosse composta da musicisti, il simpaticone si portava sempre dietro una chitarra, quindi la cosa era abbastanza ovvia. Però Chris come pensava di avere a che fare con due tipi del genere? Va bene rock n’ roll però le persone nella band bisognava anche scegliersele bene, non avrebbe retto con loro. O forse sì, anche se era certa del contrario. Quando il suo amico si avvicinò al banco per ordinare un caffè Eleanor non resisté:

“Hey Chris ma sono amici tuoi quelli con cui stavi parlando?” il suo tono tradì una nota di acidità che fece ridere il ragazzo.

“Sì Ellie sono i miei due nuovi compagni di band, ricordi che te ne ho parlato, gli Hollywood Rose, quello moro suona la chitarra mentre l’altro canta. Sono bravi…e anche simpaticissimi!”

“Mh, sì immagino…” rispose sarcastica la ragazza mentre gli preparava la tazza per il beverone.

“Sai che adesso per un po’ verranno a vivere da me…”

Eleanor alzò il viso dal caffè che stava versando con uno scatto “Cosa?!”

“Li ospito su in soffitta per un po’. Un giorno puoi venirci a vedere provare se ti va!”

“Vuoi dire che me li troverò in giro anche quando esco di casa la mattina per andare a scuola e quando torno la sera?” il volto di Eleanor malcelava la sua preoccupazione e fastidio.

Chris scoppiò a ridere divertito “Dai ora non esagerare, non saranno perennemente a casa, potrà succedere che li incontri però, questo sì.”

“Fantastico davvero!  Non vedevo l’ora di vederli anche fuori l’orario di lavoro!”

***

Era passata qualche settimana da quando Eleanor aveva avuto quella conversazione al bar con Chris. Era venerdì e aveva finito piuttosto tardi il turno perché, come ogni settimana, le toccava restare quasi fino alla chiusura del locale. Si legò il foulard al collo salutando tutti i ragazzi in cucina, prima di uscire. L’aria era pungente, come tutte le sere nell’ultimo periodo anche se oramai era maggio e l’aria avrebbe dovuto iniziare a riscaldarsi. Si strinse un po’ di più nella sua giacca di pelle prima di iniziare a camminare verso la fermata dell’autobus, ma si bloccò di colpo dopo due passi, sul cofano di una macchina rossa era seduto scompostamente quel ragazzo moro, l’amico di Chris, quello che non sopportava. Non era simpatico come quell’altro, il suo amico rosso, che almeno parlava, mica come lui che se la tirava perennemente con quell’aria da ragazzo menefreghista e snob, come se il mondo non fosse alla sua altezza. E la stava guardando. Ricambiò il suo sguardo in modo fiero per qualche secondo, prima di riprendere la sua strada in silenzio.

“Hey!” probabilmente si stava riferendo a lei ma non si voltò non dandoci peso. Sentì i passi del ragazzo che la seguivano.

“Hey, sto parlando con te!” bene era evidente che volesse dirle qualcosa, ma non aveva voglia di stare a parlare con quello, era già tardi e il giorno dopo doveva studiare. Accelerò il passo.

“Ma ti vuoi fermare o no?” la bloccò per la spalla e la fece voltare.

“Ma si può sapere cosa vuoi?!” reagì irritata scrollandosi di dosso la mano del ragazzo. “Per caso vuoi darmi altre lezioni su qual è il modo migliore di servire il cliente? O di come si deve chiudere un locale?” non reggeva l’idea di stare lì con lui, soprattutto se doveva darle altre lezioni di vita di cui non aveva bisogno.

“Beh è proprio a proposito di questo che vorrei dirti due parole …”

‘Oh no, ti prego no… per favore, fa che gli cada una pigna in testa e svenga!’non voleva in alcun modo ascoltarlo “Senti, lascia perdere, non ho intenzione di starti a sentire mentre sfoggi quell’aria da saputo con me, se non ti vado a genio, ignorami ok?”

Izzy scoppiò a ridere e quella reazione indignò profondamente la ragazza, che dopo averlo fulminato con lo sguardo, si girò sui tacchi per andarsene “Oh, al diavolo!”

Izzy si ricompose quando la vide andare via e si mise ad inseguirla, “No, no, no, dove vai, non hai capito!”

“Ah non avrei capito?! Ma se stai ridendo a crepapelle, ora mi prendi anche in giro come se fossi scema?! Ma chi credi di essere?” Eleanor non resisté a dirgli quello che pensava ora che era lì.

“Scusami” Le disse con aria compita e senza traccia di ironia.

La ragazza lo squadrò per bene, “Mh, bene. Scuse accettate.” Si sentì trionfante e in via del tutto eccezionale si sentiva ben disposta anche a sentire cosa lui avesse da dirle, “bene ora sentiamo, cosa volevi dirmi di così importante addirittura da aspettare che finissi il turno?” incrociò le braccia mentre aspettava la risposta.

“Scusa.”

“Questo me l’hai già detto, andiamo oltre.”

“Era questo che ti volevo dire, scusa. Scusa per come mi sono comportato da cafone nei giorni scorsi. Non sono stato un esempio di cavalleria, me ne sono reso conto, perciò se potessimo cancellare quegli episodi...”

Eleanor era diffidente, non sapeva se stava perseverando nel prendersi gioco di lei oppure era serio, avrà pure avuto diciassette anni ma non era stupida, solo che non lo conosceva abbastanza per regolarsi. “Vuol dire che Mr. Vivo una Spanna al di Sopra di Te si sta scusando seriamente?”

“Izzy Stradlin, ad essere precisi. E sì sono sinceramente pentito.”

‘Easy Stradlin? Ma chi è il deficiente che si chiamerebbe Easy?! Ciao sono Facile! Oddio perché solo io conosco persone del genere?’Si chiese sconsolata Eleanor scuotendo la testa.
“Easy?!”

“No… non hai capito, Izzy!” la corresse lui contrariato.

“Eh e io che ho detto? Easy!” Eleanor era indispettita, era lui quello col nome ridicolo mica lei, e aveva pure il coraggio di fare l’offeso. ‘Mah, che tipo…’

“Tesoro mi chiamo Izzy non Easy. I – z – z –y” sillabò lentamente scandendo ogni singola lettera del suo nome come si fa di solito con le persone poco intelligenti.

In quel momento Eleanor capì, “Ah… Izzy! Certo… la tua bella pronuncia mi ha ingannata sai.” rispose lei ironicamente tono. ‘Ma dio mio perché lui e il suo amico parlano come se avessero una patata in bocca?Poi mi tratta come lesa se non capisco, pensa te questo.’

“Sì è colpa dell’accento dell’Indiana.” Gli fece lui con un sorriso imbarazzato. L’aveva colpito in pieno con quell’ironia pungente, sapeva di essere lui quello di provincia venuto a cercare fortuna nella grande città, così con quelle semplici parole, si era sentito improvvisamente fuori luogo, lui che di solito se ne sbatteva altamente di tutti e di tutto quello che dicevano, per di più se quella che parlava era poco più di una ragazzina. Si ricordò di quello che gli dicevano sempre a casa:

Mom and dad says I can't win
Because it gets you in the end
The regale is the gun that shoots the man                                                                                      
Wild, wild, wild, youth*

“Oh sei del Midwest” disse Eleanor. ‘Perfetto un campagnolo rockettaro biascicone e presuntuoso dell’Indiana, non potevo sperare di meglio!’ Era vero era un presuntuoso, però per un attimo le era parso di scorgere imbarazzo nel ragazzo, quasi come se si vergognasse delle sue origini. Certo doveva essere stato difficile per lui sradicarsi completamente dalle sue abitudini per adattarsi a vivere in una città così grande come  Los Angeles. Ma appunto quella sensazione era durata solo una frazione di secondo, perché il bel moretto aveva assunto immediatamente la sua solita espressione da uomo vissuto che non poteva reggere. Lo guardò un secondo e notò che era molto magro, chissà da quanto non mangiava decentemente. Ora che ci pensava in effetti quando lui e il suo amico rosso venivano alla tavola calda ordinavano sempre e solo caffè o cibo estremamente economico, si vedeva che facevano fatica a racimolare gli scarsi centesimi che avevano per sfamarsi. Un gorgoglio sonoro interruppe la sua riflessione. No, non proveniva da una grondaia o un tombino, era lo stomaco di Izzy. Distolse lo sguardo reprimendo una risata, mentre il ragazzo cercava di malamente di mantenere la sua integrità senza scomporsi. Ma Eleanor non resistette alla tentazione, lo guardò in faccia ed esplose in una risata cristallina che ammaliò Izzy. Scoppiò a ridere anche lui divertito:

“Scusa … è da un po’ che non mangio.”

“Me ne sono accorta.” Disse Eleanor accennando con la testa in modo complice al suo stomaco. “Senti, se vuoi ti offro qualcosa io, Joe è ancora in cucina, fa delle pizze squisite!”

“Ma no lascia perdere, avranno già chiuso, non voglio che poi debbano sporcare e pulire tutto di nuovo.” Fece il finto modesto e generoso, per non mostrarsi alla canna del gas con quella ragazza, quando la realtà aveva una fame feroce e sperava con tutte le sue forze di potere addentare del cibo al più presto.

“Beh e che problema c’è? Poi ci aiuti a pulire!” gli disse lei con naturalezza facendogli segno di seguirla verso il locale.

Quando entrarono era quasi tutto in ordine e c’erano solo due persone, uno era un uomo sulla trentina, vestito con un paio di jeans una maglia bianca e un grembiule da cucina, Joe probabilmente, e l’altra era una donna con in mano uno strofinaccio, avrà avuto cinquant’anni. Entrambi si voltarono verso i ragazzi non aspettandosi di trovare Eleanor lì, in compagnia di quel ragazzo che sapevano non esserle simpatico per niente.

“Hey Joe! Senti so che abbiamo già sistemato tutto però… per caso siamo ancora in tempo per chiederti un paio di pizze al volo? Poi sistemiamo tutto noi promesso!” pregò Eleanor con la sua voce più convincente.

“Ma certo piccola, non c’è problema!”

“Grande!” ringraziò la ragazza, “mettici su quello che vuoi… e abbonda pure, sai abbiamo un po’ fame” disse sorridendo furbescamente a Izzy che dal canto suo era stato un po’ infastidito dal modo in cui quel tipo aveva chiamato Ellie, anche se fece di tutto per mascherarlo. Si mise ad aiutarla a preparare sommariamente il tavolo della cucina con dei piatti  di plastica e tovaglioli di carta.

Quando arrivarono le due pizze fumanti e colme di condimento che aveva tutta l’aria di sembrare prelibato, il ragazzo fece fatica a trattenersi dall’avventarsi sul cibo. Era da settimane che non aveva mangiava più così bene e tanto, ma non voleva fare la figura del morto di fame con lei davanti, anche se lo era. E non sfuggì certamente ad Eleanor che mentre mangiucchiava la sua fetta vedeva come lui fosse morigerato. Usava addirittura coltello e forchetta invece che le mani, decisamente stava bloccando la sua voracità.

“Guarda che non mi scandalizzo se divori la tua pizza con le mani come un piccolo porcellino. Ci sono abituata, ho un fratello a casa che lo fa tutti i giorni.”

“Sul serio?” Izzy la guardò come se avesse visto un miracolo e si sentì improvvisamente alleggerito di un fardello inesistente. Dette quelle parole tempo dieci minuti e il piatto era vuoto persino delle briciole. Eleanor gli offrì anche la sua parte, non aveva fame, aveva detto, anche se aveva capito che gli stava facendo un’ulteriore gentilezza.

“Beh, che dire…grazie Ellie!” gli disse bevendo un sorso di birra fresca.

Lei gli sorrise, aveva passato il tempo a tavola ad osservarlo e doveva ammettere che aveva avuto ragione, era proprio carino. Non bello come il suo amico, ma particolare, un tipo ecco.
Con quei capelli neri lunghi, i profondi occhi color cioccolato e i vestiti che indossava era speciale. E poi aveva belle mani.

“Così suoni la chitarra, giusto?” disse dal nulla lei.

“Già…”

“Ah, me l’ha detto Chris. Sai è il mio vicino di casa.”

“Sì lo so.” Disse Izzy poggiando il bicchiere e rivolgendole un sorriso. Era più grande di lei, forse due o tre anni, e aveva l’aria di chi ne aveva passate tante che gli infondevano un tocco di misteriosità che intrigavano non poco Eleanor. Non si era ancora comportato in modo strafottente, sembrava invece molto gentile e riflessivo, forse davvero Chris aveva ragione a dire che non era così male.

Mentre sistemavano la cucina come avevano promesso continuarono a parlare e finì per crearsi una bella sintonia tra di loro. Quando ebbero finito salutarono Joe e Mary e uscirono a buttare la spazzatura.

“Andiamo a casa?” chiese Eleanor allacciandosi la giacca e tirandosi su il bavero per coprire il collo.

Izzy annuì e la ragazza  fece qualche passo e trovandosi sola si voltò verso di lui:

“Beh che c’è, non vieni?” gli chiese stupita. Ma stupito era lui che non era preparato ad affrontare una come lei, caparbia e testarda, ma anche estremamente gentile. Era bella, questo lo sapeva fin dalla prima volta che l’aveva vista, e proprio siccome gli piaceva non riusciva a non comportarsi come uno stronzo, aveva paura che se fosse stato il vero se stesso una come lei nemmeno si sarebbe accorta della sua esistenza. Sicuramente lei veniva da una famiglia borghese, andava a scuola, era intelligente e acuta, si vedeva da come si comportava. Lui invece era diverso, veniva da un altro mondo, bazzicava nei bassifondi con gente borderline e per tirare fine mese si arrabattava con ogni tipo di lavoretto, legale e non, nella speranza di realizzare il sogno di suonare con la sua band per il resto della vita.

I'm walking in the street
With the latest on my feet
And the hair that makes the people stop and stare
I got no money, but that's okay
Because I live from day to day
And I'm free to come and go just as I please                                                                                                   
My records are so loud
I gotta hang out with the crowd
Because the usual crew are sus on what to do*


Le stava dietro da un po’di tempo, tutte le volte che riusciva trascinava lì Axl per poterla vedere, sì perché solo non si sarebbe azzardato ad andarci, non avrebbe saputo cosa dirle, infatti la maggior parte delle volte era il suo amico che parlava, quando voleva era un principe con le ragazze. E siccome lei interessava ad Izzy, voleva essere d’aiuto affinché succedesse qualcosa. Solo quella sera dopo un paio di mesi che frequentava quella tavola calda si accorse che forse era giunto il momento di farsi avanti, almeno per farle capire che non le stava antipatica. Ci aveva cenato assieme, anche se era meglio dire che lei lo aveva sfamato con un’opera di bontà ed ora era lì con lei, in procinto di riaccompagnarla a casa. Si affrettò a raggiungerla e proseguirono insieme, ad un certo punto Eleanor lo prese a braccetto e si strinse a lui continuando a parlare. Aveva freddo si vedeva, quasi tremava, ma c’era una nota di confidenza e dolcezza in quel gesto che andava oltre il semplice bisogno di calore, lasciava trasparire la definitiva rottura delle barriere tra di loro. Izzy non disse niente. Sorrise immensamente con il cuore e leggermente con il viso, per non tradire nessuna emozione e rinsaldò un po’ la presa. Improvvisamente era diventata una notte bellissima.

Wild, wild, wild, youth
Wild, wild, wild, youth
Wild, wild, wild, youth


***

I due ragazzi erano accoccolati fianco a fianco nel grande letto matrimoniale della casa di Eleanor, i suoi genitori erano andati via per le vacanze e loro ne avevano approfittato per passare la notte insieme. I loro corpi nudi erano coperti a tratti dalle lenzuola aggrovigliate. Era presto quella mattina, i primi raggi di sole tardo estivo si insinuavano attraverso le tende leggere allungandosi sul parquet. A un certo punto Eleanor si girò verso il ragazzo, appoggiando il mento sul suo petto per poterlo guardare negli occhi:

“Izzy…”

“Sì?”

“…qual è il tuo vero nome?”Strano che dopo tutto quel tempo che si conoscevano e frequentavano solo ora le era venuto in mente di chiedergli come si chiamasse veramente.

 “Perché vuoi saperlo?” chiese seccamente in rimando Izzy.

“Che c’è è talmente brutto che non vuoi dirmelo? Se non vuoi fa niente.” rispose Eleanor immediatamente sulla difensiva e facendo il broncio.

“No…no” si affrettò lui a rispondere con tono di scuse “è che trovo strano che me lo chiedi solo adesso. C’è un motivo particolare?”

Eleanor roteò gli occhi per poi dirgli ridendo “Come sai essere pesante Izzy! Dimmelo e basta, mi è venuto in mente ora, nessuna ragione precisa, forse…” disse enigmatica, tracciando disegni immaginari sul torso nudo del ragazzo.

“Jeff… Jeffrey Isbell” cedette alla fine. “Comunque ancora non capisco per…” Eleanor lo zittì posandogli l’indice sulle labbra.

“Ti amo Jeffrey Isbell, con tutto il mio cuore.”

Izzy fu colto impreparato da quelle parole. Il cuore quasi gli si fermò in petto dalla gioia. Capiva perché gli aveva chiesto il suo nome, Eleanor amava lui, la sua persona, per come era, in tutta la sua totalità, non solo Izzy il chitarrista, schivo e creativo. Non era mai stato più felice di così, ne era sicuro, era così felice che non esistevano parole adatte per descrivere il suo stato d’animo, si sentiva soltanto infinitamente grato che al mondo esistesse Eleanor e che fosse lì per lui.

“Ti amo Eleanor.” avvicinò il suo viso a quello di lei “Con tutto il mio cuore.” disse prima di baciarla, sapendo che il meglio della loro vita assieme doveva ancora arrivare.


*Wild Youth – Generation X

***
Volevo ringraziare di cuore tutti quelli che stanno leggendo e seguendo questa storia, sia che commentino che non, you make me really happy.  
xxx
Mars


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=827354