L'amore, come la morte, cambia tutto.

di ElyTheStrange
(/viewuser.php?uid=41658)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Emptiness ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***



Capitolo 1
*** Emptiness ***


Buonsalve gente! So che ho una long in corso, ma amo la storia che segue ed è un po' che ci pensavo, quindi eccola qui. Spero che vi piaccia, fatemelo sapere, se vi va. Dedico questa storia -tuttatutta- alla mia recensitrice preferita Charme. Te l'avevo detto che era nell'aria, non ho saputo attendere oltre... è tutta tua mia tessssora adorata!

Buona lettura

PROLOGO "Emptiness"

 

 

Chi non comprende il tuo silenzio probabilmente non capirà nemmeno le tue parole.


Elbert Hubbard

 



Quando una persona cara viene a mancare, è possibile provare diversi sentimenti: tristezza, disperazione, angoscia, frustrazione, paura. George Weasley non provava nulla di tutto questo. A dirla tutta, da due mesi a quella parte, non provava più niente. Era come quando qualcuno spegne la luce e tu rimani lì spaesato e confuso. Completamente al buio, tutto ti pare fermo e immutabile, in attesa che la luce si riaccenda. Perché, alla fine, la luce si riaccende sempre; Ma erano passati due mesi e nessuna luce era tornata a illuminare le giornate di George. Tutti, ma proprio tutti, avevano cercato di parlare con lui. Aveva visto un sacco di facce contrite pronte a dar lui tutto l'appoggio possibile, ma che appoggio può volere uno che non prova niente?

Durante la guerra gli era successo di pensare, anche solo per qualche istante, che suo fratello potesse non sopravvivere e il solo pensarlo l'aveva devastato a tal punto da togliergli il sonno per giorni... ma allora perché ora non provava nulla? Quando aveva visto il corpo esanime di Fred, il suo cuore aveva cominciato a martellargli nelle orecchie con una forza tale che non riusciva più a udire alcun suono, poi il nulla. Tutto era diventato sfocato, lontano e senza significato.

Non aveva pianto George. Non aveva pianto davanti al corpo freddo di suo fratello, né al funerale, né nella sua stanza, in quelle giornate interminabili in cui non scendeva nemmeno per mangiare qualcosa. I suoi occhi parevano diventati aridi come il suo cuore, come un campo rigoglioso cui è tolta l'acqua. L'acqua è l'essenza della vita, forse anche Fred era l'essenza di George.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1 "Desolation"

 

A volte e' più facile dire che stai bene, che spiegare cos'è che ti fa star male.

 

 

 


Molly bussò alla porta che, tempo prima, era stata la stanza dei gemelli.

- George... George ti prego, apri questa porta...

Tese le orecchie nella speranza di sentire suo figlio, ma nulla. Bussò di nuovo e poi un'altra volta ancora.

- George non costringermi a usare la bacchetta, apri questa porta!

Rimase in attesa, in silenzio. Dalla stanza si udì un brontolio sommesso e poi dei passi che si avvicinavano facendo scricchiolare leggermente le assi del pavimento. Dopo un piccolo scatto, la porta si aprì di poco mostrando la figura di un giovane, messo in ombra dal buio della stanza. Molly si lasciò sfuggire un sospiro di sconforto, il ragazzo davanti a lei non somigliava per nulla al suo George: era dimagrito parecchio, un accenno di barba gli colorava leggermente le guance magre, aveva gli occhi arrossati e due occhiaie piuttosto evidenti segno che anche questa notte non aveva dormito.

- Tesoro, finalmente... ti ho portato la colazione.

Disse indicando il piccolo vassoio di legno che galleggiava nell'aria accanto a lei. George gettò un'occhiata al tortino e al bicchiere di succo di zucca, poi scosse il capo.

- Non ho fame.

Sentenziò con la voce resa roca da giorni di silenzi.

- Sono due giorni che non tocchi cibo George!

Sbottò la donna esasperata. Lui chiuse gli occhi un istante, se non l'avesse accontentata, sarebbe rimasta dietro la sua porta per ore. Prese il vassoio e lo posò sul comò proprio accanto alla porta.

- Contenta ora?

Domandò atono. Molly scosse il capo.

- Come posso essere contenta, George? Sono due mesi che stai rinchiuso qui dentro, non vuoi mangiare, non vuoi parlare con noi...

Abbassò lo sguardo sospirando.

- Fred non vorrebbe vederti...

Cominciò, ma non riuscì a terminare la frase.

- FRED è MORTO MAMMA. MORTO! Non può più volere un accidenti di niente!

E così dicendo George chiuse la porta con un forte tonfo, lasciando sua madre immobile, con gli occhi sbarrati e pieni di lacrime a fissare il legno leggermente scheggiato cui era ancora appeso il cartello "Stanza di Fred e George, girate a largo".

Ginny uscì dalla sua camera e si avvicinò a sua madre.

- Mamma, cos'è successo? Ho sentito George gridare e...

La giovane s'interruppe vedendo le guance di Molly bagnate di lacrime.

- Oh mamma...

Sospirò, stringendola a sé. La donna cominciò a singhiozzare un po' più forte, nascondendo il viso sulla spalla della figlia.

- Io... io non so più... non so cosa devo fare...

Ginny le carezzava i capelli e la cullava come fosse una bambina.

- Tu stai facendo il possibile, ma deve uscirne da solo, lo sai.

Molly annuì sciogliendosi dall'abbraccio e asciugandosi gli occhi in un vecchio fazzoletto, poi deglutì e si costrinse a sorridere a sua figlia mentre le carezzava il volto dolcemente.

- Hai fame tesoro?

Ginny sorrise e annuì.

- Andiamo, papà ci aspetta in cucina.

Aggiunse, cingendole le spalle con un braccio e accompagnandola verso le scale.

Seduto al tavolo della cucina Arthur attendeva l'arrivo di sua moglie con un groppo in gola, le pareti della Tana erano di legno e lui aveva sentito tutto. Appena la vide sulla soglia, con gli occhi arrossati e gonfi di pianto, gli si strinse il cuore e sospirò.

- Buongiorno Ginny

Salutò, sforzandosi di sorridere.

- Buongiorno papà

Ricambiò la ragazza servendosi un tortino e del latte tiepido.

- Arthur devi parlare con lui...

Mormorò Molly, sedendosi accanto al marito. L'uomo bevve un lungo sorso di caffè ripensando a tutte le volte in cui erano incappati in quella discussione.

- Tesoro ne abbiamo già parlato, che cosa posso dirgli che non gli abbiamo già detto?  Non vuole vedere nessuno, non vuole sentire ragioni...

Molly sospirò affranta, sapeva che suo marito aveva ragione, ma si sentiva comunque frustrata e tremendamente impotente.

- Ma... ma noi non possiamo stare qui senza far niente... l'hai visto? È diventato l'ombra di se stesso, non può continuare così!

Insistette, incapace di lasciar correre. L'uomo scosse il capo, rassegnato. Non sapeva per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a sopportare tutta quella situazione, era dannatamente scoraggiante cercare di tornare a una vita, quasi, normale con un figlio che era diventato come un fantasma. Fred era morto in battaglia e questa ferita non si sarebbe mai rimarginata, avrebbe continuato a sanguinare ogni volta che il pensiero fosse volato al quel piccolo combina guai, ma questa perdita aveva trasformato anche George che, privato di ogni grammo della sua spensieratezza e voglia di vivere, stava trascinando tutti in un vortice di sofferenza.

- Mamma, George ha perso la sua ancora, non capisci?

Sbottò a un tratto Ginny subentrando nella conversazione. I suoi genitori la guardarono confusi.

- Tu hai papà, io ho Harry, Ron ha Hermione, Percy ha Penelope, Bill ha Fleur e Charlie... beh, lui ha i suoi draghi, ma George... lui non ha nessuno.

Denocciolò la ragazza, Molly strinse con forza il fazzoletto che teneva in mano.

- Lui ha tutti noi!

Ribatté con foga, trovando le parole di sua figlia semplicemente inaccettabili. Ginny scosse il capo.

- Non è la stessa cosa.

La donna si alzò di scatto, rossa in viso dalla collera.

- Io sono sua madre, questo non conta più nulla? Perché non vuole parlare con me?!

Soffiò con rabbia, mentre sentiva le lacrime tornare a pizzicarle gli occhi.

- Mamma: George non è più un bambino, non puoi correre in suo aiuto per ogni cosa!

Rispose la ragazza in tono stizzito, infastidita dalla rabbia di sua madre. Molly batté le mani sul tavolo.

- Per ogni cosa? Per ogni cosa?! Si sta spegnendo Ginny, non mangia, non dorme, non esce da quella stanza per giorni e giorni... cosa dovrei fare? Stare qui ferma ad aspettare che tutto si risolva da sé?

La giovane sospirò sconfitta, non sopportava tutta questa situazione: era sfiancante. Quando George si rinchiudeva per giorni nella sua camera, sua madre non faceva che singhiozzare silenziosamente passando ore e ore a pregarlo di uscire, ma quando finalmente lui usciva, l'atmosfera in casa peggiorava notevolmente. Non era più possibile parlare liberamente. Molly voleva che George non fosse costretto a ripensare alla morte di Fred, quindi non voleva che si nominasse né Hogwarts, né nulla che la riguardasse anche solo lontanamente. Non si poteva parlare dei processi ai Mangiamorte, né del ministero o di qualsiasi cosa riferito alla battaglia finale, il che, considerato che erano passati solamente due mesi e che tutti in famiglia ogni giorno partecipavano alla ricostruzione della scuola, limitava gli argomenti di discussione quasi a zero. I pasti erano accompagnati quasi esclusivamente dal rumore delle posate e da colpi di tosse imbarazzati di malcapitati ospiti. Era quasi come se a tavola con loro ci fosse un Dissennatore, nessuno parlava, nessuno tentava nemmeno di sorridere. Molly aveva anche trasferito tutte le foto in cui c'era Fred nella stanza da letto padronale, come se George ci facesse davvero caso, come se George facesse veramente caso a qualcosa.

Nel frattempo, al piano superiore, George se ne stava sdraiato sul letto, con gli occhi fissi a scrutare il soffitto buio.

- Forse pensano che sia diventato anche sordo.

Borbottò amaramente, voltandosi a guardare la foto sul suo comodino dove il suo gemello sorrideva, stringendo in mano uno gnomo. L'avevano scattata qualche giorno prima del matrimonio di Bill e Fleur, ma sembrava passata un'eternità.

- Ridi eh, sono diventato il pazzo di casa...

Continuò sorridendo amaramente.

- ... finirò al San Mungo, "il pazzo senza un orecchio". Sarò una leggenda vivente.

Concluse sospirando, mentre anche quel piccolo sorriso, seppur forzato, si spegneva sulle sue labbra. Si mosse nervosamente quando il suo stomaco protestò con un leggero brontolio per i due giorni di totale digiuno, decise che forse era davvero il caso di mangiare qualcosa. Si alzò, prese il vassoio e tornò a sedersi sul letto. Addentò la tortina e la trovò deliziosa: era calda, dolce e soffice. Si beò per un istante di quella meravigliosa sensazione e quasi gli dispiacque dover mandar giù il boccone, poi bevve un lungo sorso di succo e buttò un'occhiata al giornale piegato ai suoi piedi, l'aveva sgraffignato un paio di giorni prima, ma, appena tornato nella sua stanza, l'aveva gettato lì a terra e se ne era dimenticato. La prima pagina riportava una grande foto di Hogwarts. Lo prese, accese una piccola candela con la bacchetta e lesse il titolo dell'articolo.

"Dopo la vittoria, maghi e streghe si uniscono per ridare nuova vita all'antica scuola di Hogwarts."

George si soffermò a osservare quella che per sette anni era stata la sua seconda casa e avvertì una strana fitta allo stomaco, deglutì e voltò pagina cominciando a leggere l'articolo.

"Sono passati ormai due mesi dalla sconfitta di Voldemort e il mondo magico comincia a rimettere insieme i pezzi, iniziando dalla ricostruzione della sua prestigiosa scuola di magia. La preside Minerva McGranitt si è subito attivata per la riedificazione, anche se ha annunciato "Non riusciremo a riaprire i cancelli della scuola quest'anno, ma sono certa che tutti gli studenti saranno felici trascorrere del tempo nella serenità delle proprie case, con i loro cari". Moltissimi i volti noti giunti a dare un aiuto, cominciando dal salvatore del mondo magico, Harry Potter, passando ai suoi due inseparabili amici, Hermione Granger e Ron Weasley accompagnato da gran parte della sua famiglia. L'unico che pare non essersi ancora presentato sul posto è George Weasley, il gemello sopravvissuto, che sembra non uscire da casa dalla battaglia finale."

Il ragazzo appallottolò il giornale e lo buttò a terra.

- Stupidi idioti.

Commentò pigramente tornando a sdraiarsi.

- "Il gemello sopravvissuto" è un soprannome ridicolo.

Disse rivolto alla foto di Fred che sorrideva, ignaro di tutto. George scosse il capo.

- Molto meglio "il pazzo senza un orecchio", non trovi? Mi si addice molto di più.

Proseguì chiudendo gli occhi.

- In fondo sto parlando con una fotografia, e mi aspetto ancora che mi risponda.

Concluse sbadigliando.

Quando si risvegliò, doveva essere pomeriggio inoltrato. La casa era silenziosa: segno che anche Molly, che ultimamente non usciva quasi mai, era dovuta andare a fare qualche commissione. George si mise a sedere e si stropicciò gli occhi, gli faceva male la testa e aveva la nausea, ma decise comunque di approfittare della solitudine per uscire un po' dalla sua stanza. Prese dei vestiti puliti dall'armadio e andò a farsi una doccia, l'acqua calda sembrava rigenerare, almeno un poco, le sue forze. Si asciugò in fretta, premurandosi di non lanciare nemmeno un'occhiata allo specchio e scese al piano inferiore, ma le poche energie che aveva recuperato si esaurirono molto più in fretta di quello che avrebbe mai potuto immaginare. Una stanchezza improvvisa lo costrinse a sedersi sul divano logoro del soggiorno, inspirò e chiuse gli occhi, ma quel silenzio che aveva tanto bramato non faceva che ampliare il vuoto che sentiva dentro. 

Il silenzio divenne opprimente in pochi istanti, il cuore del ragazzo prese a battere talmente forte da dare l'impressione di voler schizzare fuori dal petto, faticava a respirare e la paura, che pian piano prendeva il sopravvento, peggiorò le cose. Si sentiva schiacciare da forze invisibili, come se la casa si stesse accartocciando su se stessa con lui all'interno. Sentiva una voce lontana che gli diceva di uscire, di fuggire più in fretta possibile. Chiamò a raccolta tutte le sue forze, si alzò e raggiunse a grandi falcate il giardino. Inspirò profondamente, ma non serviva a nulla, era terrorizzato, non voleva stare solo e fece l'unica cosa sensata che gli venne in mente: con un "pop" si smaterializzò per riapparire poco dopo in un vicolo di Londra.

 

 

 

 

 

 

 

*SPAZIO AUTRICE*

Piccola precisazione: alla fine del capitolo George ha una di quelle che vengono definite "crisi di panico".

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


Eccomi qui ad aggiornare, chiedo scusa per l'abominevole ritardo, ma mancava tempo ed ispirazione e ora -pare- siano tornate. Spero che il capitolo valga l'attesa, intanto vi auguro: buona lettura.

 

 

CAPITOLO 2 -FREEDOM-


 

Anche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno. (Hermann Hesse)

 

 

 

George si concesse qualche istante per riprendere fiato, mentre dalla strada poco distante arrivavano il frastuono delle automobili e gli schiamazzi dei passanti. Ripreso il controllo, il ragazzo si diresse verso la strada principale e quando capì dov'era sorrise, amaro. Malet Street. . Qualche anno prima lui e Fred erano andati lì in un pomeriggio estivo per dare un’occhiata ad un negozio di scherzi babbani. Avrebbero fatto di tutto per il loro progetto, per il loro negozio. George a quel pensiero strinse forte i pugni e sentì come se un’enorme blocco di ghiaccio gli fosse scivolato nello stomaco. Riprese a respirare affannosamente e decise di mescolarsi alla folla nel tentativo di riprendere il dominio di sé. Camminò senza una vera meta per circa mezz’ora e si rese conto che tutti quegli estranei che gli camminavano accanto ignorandolo lo facevano sentire stranamente al sicuro. Lì in mezzo era solo uno dei tanti. Non era né il gemello sopravvissuto, né il pazzo senza un orecchio. A dirla tutta se solo avesse voluto avrebbe potuto essere chiunque volesse e non più soltanto l’avanzo di un’entità perfetta solamente se completa. Non c’era dolore, e anche se ci fosse stato nessuno lo avrebbe compatito, nessuno avrebbe cercato di farlo sentire meglio. Per quanto potesse sembrare strano, tutto questo scatenò in George una travolgente sensazione di libertà.

Camminò ancora per un po’, ma ad un tratto si fermò di colpo. Dall’altro lato della strada suo padre stava camminando a passo svelto nella sua direzione, guardandosi attorno come se stesse cercando qualcuno. George però non era pronto ad essere trovato, non proprio ora che dopo mesi sentiva nuovamente la vita scorrere pigramente nelle sue vene, così si infilò nel primo negozio che vide. Rimase qualche istante sulla porta in attesa che suo padre si allontanasse, ma la voce stridula di una donna lo fece voltare verso l’interno della piccola bottega.

- Signorina, è più di un’ora che proviamo abiti su abiti, o lei è un’incompetente o questi vestiti sono davvero orrendi! Guardi come cade male!

Una grassa signora sulla cinquantina, stava urlando contro la giovane commessa mentre una bambina che somigliava incredibilmente ad un piccolo elefante strillava di sdegno strizzata in un abito decisamente troppo stretto per lei. La giovane commessa sospirò esasperata.

- Signora non è il vestito ad essere orrendo, il problema è che sua figlia è troppo grassa!!

La signora ululò di rabbia e la bimba prese a piangere, ma George dal canto suo non poté fare a meno di scoppiare a ridere. La commessa si voltò verso di lui, accorgendosi solo ora della sua presenza. La giovane aveva il volto dai lineamenti affusolati, occhi castani e i capelli neri, corti e spettinati.

- Oh, salve! Posso darti una mano?

George scosse il capo, ma non fece in tempo a rispondere perché la signora grassa aveva ricominciato ad inveire.

- Come si permette! Mi rivolgerò al direttore!

La ragazza scosse le spalle.

- Come vuole lei.

La signora si gonfiò di rabbia e a George ricordò moltissimo la Umbridge durante la loro fuga da scuola.

- Andiamo Meredith, non voglio stare in questo negozio un minuto di più.

Così dicendo svestì e rivestì la figlia che protestava a gran voce scalciando e uscì dal negozio urlando “avrà presto mie notizie”. La commessa fissò  la porta per un istante, poi riportò l’attenzione su George che non era ancora riuscito a togliersi il ghigno divertito dalle labbra.

- Le chiedo scusa, non sono sempre così scortese.

Il sorriso di George si allargò ancor di più.

- Io l’ho trovata spassosissima.

La ragazza sorrise divertita.

- Grazie. Comunque… posso darle una mano nella scelta o vuole dare un’occhiata?

Lui scosse il capo.

- Nessuna delle due.

La giovane inarcò entrambe le sopracciglia, in attesa di capire che cosa volesse quel ragazzo tanto misterioso quanto carino.

- Ora veramente mi andrebbe un bel caffè…

Lei si mordicchiò il labbro inferiore, mascherando un sorrisetto imbarazzato.

- Io starei lavorando… e comunque, nemmeno si è presentato e già mi propone un’uscita? Deve essere molto sicuro di sé oppure molto stupido…

George sorrise divertito.

- Diciamo entrambi… io sono George… solo George.

E così dicendo le porse la mano. Lei lo studiò un istante, poi strinse la mano in quella del ragazzo.

- July Thompson e ora come ora avrei anche io voglia di un bel caffè.

Disse lei sogghignando.

- Ma non stai lavorando?

Ribattè lui. Lei scrollò le spalle.

- Tanto probabilmente mi licenzieranno comunque.

George annuì compiaciuto e si avviò all’uscita. July lo seguì recuperando le chiavi del negozio e chiudendo la porta.

Dieci minuti dopo erano seduti ad un piccolo bar.

- Qui fanno i migliori donuts di Londra, li hai mai provati?

George scosse il capo, a dirla tutta nemmeno sapeva che accidenti fosse un donuts, ma solo ora si rese conto di essere affamato come non mai. Ordinarono il caffè e due di quelle che si rivelarono delle deliziose ciambelle ricoperte di cioccolato.

- Allora, “solo” George… che fai nella vita? Oltre a importunare delle ingenue commesse ovviamente.

George ridacchiò divertito.

- Non credo proprio che tu sia così ingenua…

July annuì cercando di apparire innocente, ma quello che ne scaturì fu un’espressione tremendamente buffa che fece scoppiare a ridere entrambi.

- Se questa era la tua espressione innocente non ti consiglio di usarla se dovessero arrestarti, penserebbero che ti stai trasformando in uno gnomo da giardino.

Disse George senza smettere di ridere. Quanto gli era mancato ridere? Ridere sul serio, di cuore. Moltissimo. Si sentiva come se si fosse risvegliato da un lungo sonno e ora poteva assaporare, respirare, toccare davvero dopo tempi immemori di torpore assoluto. La risata cristallina di July lo faceva sentire dannatamente bene e per quanto fosse assurdo che ci volesse una perfetta estranea, George si sentì nuovamente vivo dopo mesi di apatia.

- Mi sento tremendamente offesa, per riparare devi almeno dirmi che fai nella vita.

Insistette July sorridendo furba.

- Sono una spia internazionale, ma non dirlo a nessuno: è un segreto.

La ragazzo si finse offesa, ma non riuscì a frenare una risata.

- e quindi sei scozzese...

Buttò lì George per cambiare discorso, la ragazza fece una faccia indignata.

- NO! Perché dovrei essere scozzese?

Lui abbozzò un sorriso.

- Beh, per il kilt...

July inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto.

- Innanzitutto è una gonna, non un kilt e poi cosa vuol dire? Tu sei forse romano?

Domandò con un ghigno, lui la guardò confuso.

- Perché?

La ragazza s'indicò l'orecchio, mentre il ghigno si allargava sulle sue labbra.

- Per il foro... il foro romano!

Concluse ridacchiando. George a quelle parole rimase pietrificato, il ricordo di Fred lo colpì con tanta violenza da togliergli il fiato. Per la prima volta, da quando suo fratello era morto, provava dolore. Un dolore molto più intenso di qualunque altro avesse mai provato e non gli piaceva per niente, l'unica cosa che desiderava in quel momento era ritornare a casa, al sicuro nella loro stanza. Senza nemmeno accorgersene, quasi fosse sotto Imperius, si alzò e scusandosi velocemente uscì dal locale, lasciando July da sola, a chiedersi che cosa fosse successo.

Giunto nel giardino della Tana entrò in casa il più velocemente possibile, ma quando arrivò in soggiorno, dovette fermarsi. Al suo ingresso, infatti, otto paia di occhi lo fissarono sconcertati. Ginny era seduta in poltrona, mentre Hermione le teneva la mano nella sua e le carezzava i capelli, Molly stava piangendo sul divano e Arthur le avvolgeva le spalle con un braccio cercando di confortarla. Il giovane arcuò entrambe le sopracciglia.

- Beh?

Domandò, confuso dalla situazione.

- George! Oh, George!

Esclamò Molly correndo ad abbracciarlo.

- Tesoro mi hai fatta morire di paura!

Disse cingendogli il volto con le mani per poi carezzargli amorevolmente i capelli. George si sentì infastidito da quelle attenzioni, indietreggiò di un passo e allontanò sua madre.

- Mamma, ho solo fatto un giro!

Bofonchiò irritato, Molly abbassò gli occhi, amareggiata per il suo l'atteggiamento. Le ultime due ore erano state un vero inferno e ora lui la tratta con freddezza, tornò a guardarlo con rancore.

- Perché non mi hai avvertito? Potevi almeno lasciare un biglietto... Harry e Ron sono in giro a cercarti, abbiamo pensato al peggio...

Rispose, sforzandosi di non tornare a piangere, al solo pensiero di perdere anche George. Il ragazzo inarcò un sopracciglio.

- Al peggio? Pensavi che fossi andato da qualche parte a farla finita? Non sono ancora così disperato, ma ti prometto che se andrò a suicidarmi ti lascerò un biglietto.

Ribatté ironico, sua madre arretrò di qualche passo, spaventata da quelle parole così dure. Hermione, dal canto suo, si alzò di scatto, furiosa.

- Non è divertente George!

Lui si girò a guardarla con sufficienza.

- Hai ragione, Hermione, non è divertente... è patetico, proprio come il fatto che uno non possa farsi una passeggiata senza che sia allertato l'intero Ordine!

Soffiò adirato, tornando a guardare sua madre con risentimento. Arthur, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, s'infiammò di sdegno.

- Chiedi immediatamente scusa a tua madre!

Urlò diventando paonazzo dalla rabbia. George lo fissò un istante, non aveva voglia di scusarsi e non trovava nemmeno un motivo per doverlo fare, ma capì che era l'unico modo per essere lasciato in pace, così si voltò verso Molly.

- Scusa.

Mugugnò, senza troppa convinzione.

- Ora posso andare in camera mia? O volete portarmi davanti Ministero della Magia per un processo in piena regola?

Continuò rivolto a suo padre, il quale gli si avvicinò sempre più furibondo e gli afferrò l'avambraccio con forza.

- Non essere così insolente, George!

Il ragazzo si liberò dalla sua presa con un gesto esasperato. Era la prima volta che suo padre si rivolgeva a lui in quel modo e non era per niente piacevole. Il dolore per il ricordo di Fred e la rabbia verso Arthur si mescolarono aumentando a dismisura la frustrazione di George.

- Ti abbiamo riaccolto in casa e abbiamo sopportato per due mesi i tuoi continui sbalzi d'umore, ma non ti permetto di mancare di rispetto a tua madre, non in casa mia!

Continuò urlando. Gli occhi di George si ridussero a fessure, quindi lui era solo un peso? Si allontanò da suo padre e guardò i volti mortificati di Molly, Ginny e Hermione provando un fastidiosissimo senso di disagio.

- Bene, vorrà dire che toglierò il disturbo!

Decretò, uscendo a grandi passi dalla stanza. Molly si affrettò a seguirlo e lo fermò a metà della scala che portava al piano superiore.

- Non andare George, papà è arrabbiato, ma sai che non pensa quelle cose...

Il ragazzo guardò negli occhi castani di sua madre e non poté fare a meno di sentirsi sconfitto. Annuì e riprese a salire le scale, ma arrivato all'ultimo gradino sentì il bisogno di voltarsi nuovamente verso Molly, che lo guardava allontanarsi, ancora una volta, da lei. In quegli occhi c'era tutto l'amore del mondo, ed era per lui. Era come una mano tesa a salvarlo dal baratro in cui era caduto, ma se uscirne, voleva dire provare il dolore che aveva sentito meno di un'ora prima, George non era sicuro di volerlo fare. Rimase fermo alcuni istanti, combattuto tra il desiderio di cancellare la distanza che li divideva e lasciare che sua madre si prendesse cura di lui, e la voglia di tornare al buio della sua stanza, in cui era libero di non provare assolutamente nulla se non il solito, rassicurante senso di vuoto.

- Mamma... io... scusa...

Disse infine abbassando lo sguardo e rientrando velocemente nella sua stanza, sperando che sua madre potesse capire che quelle scuse non si limitavano all'atteggiamento avuto poco prima, ma alla sua mancanza di coraggio nell'affrontare il dolore.

Chiusa la porta alle sue spalle, si buttò sul letto incapace di articolare un pensiero concreto. Si sentiva esausto e frastornato per aver provato tante emozioni dopo mesi di totale apatia.  Si girò su un fianco facendo vagare lo sguardo sul letto vuoto accanto al suo, mentre lo stesso dolore di quel pomeriggio tornava a trafiggerlo a tradimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*SPAZIO AUTRICE*

RINGRAZIO SENTITAMENTE COLORO CHE L'HANNO MESSA TRA LE SEGUITE, PREFERITE E RICORDATE E SOPRATTUTTO CHI HA AVUTO LA VOGLIA DI PERDERE UN PAIO DI MINUTI PER FARMI SAPERE CHE NE PENSAVA. UN BACIO E  A PRESTO!!!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=830163