Le prime volte che ti vidi, eri... di ellephedre (/viewuser.php?uid=53532)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Immatura ***
Capitolo 2: *** Una ragazzina qualunque ***
Capitolo 3: *** Irritante ***
Capitolo 4: *** Divertente ***
Capitolo 5: *** Affamata ***
Capitolo 6: *** In pericolo ***
Capitolo 7: *** Un coniglio ***
Capitolo 8: *** Stramba ***
Capitolo 9: *** Crudele ***
Capitolo 10: *** Vittima ***
Capitolo 11: *** In compagnia ***
Capitolo 12: *** Ingenua ***
Capitolo 13: *** Una videogiocatrice ***
Capitolo 14: *** La principessa dei miei sogni ***
Capitolo 15: *** Una nana ***
Capitolo 16: *** Preoccupata ***
Capitolo 17: *** Triste ***
Capitolo 18: *** Involontariamente premurosa ***
Capitolo 1 *** Immatura ***
leprimevoltechetividi1
1
- Immatura
La prima volta che ti
vidi,
eri una
ragazzina
immatura.
La faccenda si faceva grave. Da dieci notti consecutive Mamoru
si
svegliava nel bel mezzo del
sonno, con la
voce di lei nelle
orecchie
a tormentarlo.
Trova il
cristallo
d'argento.
Come se lui non ci avesse già provato,
come se lui
più di tutti non volesse sapere che cos'era quel cristallo.
Da ragazzino uno psicologo gli aveva detto che la pietra dei
suoi sogni
era la rappresentazione dei suoi ricordi d'infanzia perduti, un
tesoro inestimabile che gli sembrava irraggiungibile e
prezioso. Un cristallo d'argento, appunto. Era una donna a
pregarlo di
ritrovare
quel gioiello, pertanto lo psicologo non aveva avuto dubbi sulla
simbologia del sogno: la figura rappresentava sua madre.
A diciassette anni compiuti Mamoru ormai aveva
compreso da tempo che i
sentimenti che
provava verso quella donna non erano del genere filiale.
Soffriva del
complesso
di Edipo? Non gli sembrava, nemmeno ricordava sua
madre.
In ogni caso la donna del sogno non era adulta. Era una
ragazza,
con una
voce dall'eco giovane e soffice. Forse era la
principessa di una fiaba che i suoi genitori gli avevano
raccontato
da piccolo, sino
allo sfinimento. Lo
avevano preso per una
bambina?
Infilò un dito sotto gli occhiali da sole e
strofinò un occhio dolorante. Quella notte aveva
dormito così poco che si era
dovuto
mettere gli occhiali scuri, l'unico modo per resistere alla luce del
giorno.
"Yahhh!"
Le urle estatiche provenivano dall'interno di un negozio.
Oltre la vetrina un
gruppo di
donne stava accalcato davanti a un bancone di vetro. Si
accapigliavano tra loro come se vi fosse in promozione del
denaro. Gioielli, capì Mamoru, guardando i prodotti
esposti
sulle bacheche.
Dal negozio uscì una ragazzina. Era una
studentessa in uniforme, con una
pettinatura
degna di un anime. Somigliava a quella della donna del suo sogno.
Da bambino gli chignon gli avevano ricordato degli odango.
La biondina con la divisa scolastica si fermò a
poca
distanza
dall'uscita, depressa.
A Mamoru non fece alcuna pena. Probabilmente i soldi di mamma
e
papà
non erano
sufficienti a permetterle acquisti in una gioielleria e per questo
lei era triste. Avesse avuto lui problemi stupidi come
quelli. Avesse
avuto
lui dei
genitori.
Gridando, lei cominciò a dare di matto.
«Ahhh!»
Appallottolò qualcosa tra le mani. «Non voglio
più vedere questo pezzo di carta!!»
La palla bianca volò in aria, descrivendo un arco
che... Mamoru non ci credette sino a che il foglio non lo
centrò in testa.
Ragazzina incosciente.
E se ne andava pure via! «Mi
hai fatto
male, Testolina a Odango!»
Udì le scuse di lei proprio mentre terminava di
dispiegare
il rifiuto cartaceo. Era un compito in classe, con un voto
infimo
in bella
evidenza.
«... trenta punti?» commentò.
La ragazzina era inconsciente e somara.
«Faresti meglio ad applicarti
di
più, Testolina a Odango.»
Lei ebbe il buon senso di correre a riprendersi il proprio
compito.
«Non sono affari tuoi, ridammelo!»
Certo, le serviva per farlo firmare alla mamma.
La ragazzina gli regalò una linguaccia da bambina
dell'asilo,
così infantile che
lui smise
di badarle.
Forse era una fortuna che non avesse avuto una famiglia, o
sarebbe potuto crescere viziato come lei, incosciente dell'importanza
di ogni singolo esame.
Dal negozio uscì un'altra cliente. Nella fretta
di
andare via, la donna quasi gli sbatté addosso.
Una gioielleria, rifletté.
Alzò lo sguardo verso l'insegna e levò
gli occhiali da sole.
Gioielleria Osap.
Forse aveva sbagliato tutto? Forse il cristallo
d'argento era un vero cristallo scambiato da
rivenditori specializzati. O magari si trattava un gioiello
mitologico con
proprietà
straordinarie.
Un cristallo magico.
Si massaggiò la tempia.
Che idiozie.
Aveva bisogno di farsi una bella dormita.
1
- Immatura -
FINE
Nelle intenzioni questa sarà una
raccolta di episodi brevi,
in cui racconterò le impressioni che Mamoru ha di Usagi,
forse anche in relazione a episodi non presenti nell'anime che
inventerò di sana pianta.
Questo primo pezzo è stato
particolarmente corto
perché volevo essere realistica: non credo che Mamoru abbia
dedicato troppi pensieri a Usagi la prima volta che l'ha vista.
Più in là, conoscendola, farà altre
riflessioni su di lei - che ho già in mente :)
Un appunto sull'età di lui. Sto
prendendo come riferimento
l'età del manga, che sono riuscita a rendere coerente con
quella dell'anime nella mia saga di Sailor Moon raccontando che Mamoru
è uno studente che è andato avanti di un anno e
considerando, naturalmente, che le superiori in Giappone durano solo
tre anni.
Questo è un episodio introduttivo, spero
vi sia piaciuto :)
ellephedre
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Capitolo 2 *** Una ragazzina qualunque ***
Le prime volte che ti vidi 2
2
- Qualunque
La seconda
volta che ti
vidi,
eri una
ragazzina
qualunque.
Un buon medico. Quando un dottore poteva definirsi
bravo?
Mamoru rimuginava sul concetto da un paio di giorni.
Quella mattina, in aula, il professore aveva sgridato un suo
compagno
di corso che sbadigliava a lezione.
«Lei, là in fondo ! Faccia attenzione!
Per esser un
buon
medico Istologia è indispensabile!»
In quanto all'apprendimento di nozioni, Mamoru non aveva
dubbi: fosse
dipeso unicamente dall'impegno, lui sarebbe stato un
ottimo medico, tra i migliori. Ma la sera prima - dopo quattro
ore di studio - aveva visto
una scena
interessante alla tv. In un telefilm un dottore aveva comunicato una
diagnosi fatale a un paziente. Il dottore era stato preciso,
non si
era lasciato travolgere
da pericolosi sentimentalismi. Se fosse crollato, d'altronde,
che ne
sarebbe stato del malato? Il medico si era
preso persino delle responsabilità per non aver individuato
prima il tumore
diagnosticato. Al paziente non era importato: aveva accusato
il dottore
di essere privo di cuore e spietato.
«Me lo dice con quella faccia?"»
Mamoru ricordava con esattezza le parole.
Il
telefilm non gli aveva permesso di capire chi tra i due avesse ragione.
La domanda sottointesa era stata lasciata aperta
di proposito, per permettere a chi guardava di farsi un'idea
propria sulla faccenda.
Lui non se l'era fatta, continuava a porsi la stessa domanda:
come si
comportava un bravo dottore? Era necessario essere
compassionevoli a tutti i costi?
Empatici?
A
lui il cuore non mancava. Aveva qualche difficoltà a
mostrare che ne
aveva uno, ma voleva diventare medico perché gli piaceva
l'idea di essere d'aiuto nei momenti più
disperati. Un essere umano
non poteva essere più generoso di un medico.
Chi altri
prestava
la propria
vita ad anni di studio, con totale abnegazione, per
imparare i più intricati dettagli di un corpo
umano? Tutto
per riuscire ad operare bene o per aiutare un paziente sofferente con
la
diagnosi esatta.
Il corpo umano a volte non sosteneva la vita, la
tradiva senza pietà. Tumori, immunodeficienze, problemi
mentali...
La sua perdita di memoria non era stata considerata una vera e
propria
malattia, ma per lui lo era. Voleva
una soluzione a quel mistero.
Nel frattempo avrebbe ridato speranza ad
altri,
guadagnandosi la loro salute. Non gli interessava la gratitudine, gli
sarebbe bastato sapere che aveva fatto qualcosa per migliorare delle
vite.
... questo, supponeva, faceva di lui una persona che poteva
diventare
un bravo medico.
Portò la tazza alla bocca e terminò di
bere il
caffé. Pausa finita, era ora di tornare a casa e
rimettersi sui libri.
Alle quattro del pomeriggio la sala del Crown era gremita: gli
studenti
delle superiori facevano la coda per sedersi davanti
ai videogiochi.
Cercò Motoki tra la gente e non lo trovò.
Qualcuno aveva rovesciato un milkshake su una console. Motoki
doveva essere andato nel retro del negozio a prendere un panno per
pulire.
«Ecco, così, bravo!»
Si voltò. Da dietro un cabinato spuntavano due
piccoli
ammassi di capelli biondi.
No, due odango
biondi.
«Bravissimo, ora tira un megacalcio!»
Testolina a Odango. Lo scopo della vita di lei era chiaro:
incitare il
prossimo a vincere ai videogiochi. Molto utile.
«Noo! Ti ha ucciso! A me è successo ieri,
sai?»
Mamoru sospirò.
Perché
era sarcastico nei confronti di quella ragazzina? Lei era solo una
tredicenne - quattrodicenne? - come tante altre. Non le piaceva lo
studio, si divertiva a passare il pomeriggio sui videogiochi...
Probabilmente trascorreva ore davanti allo specchio, a elaborare
pettinature insensate.
Eppure, un giorno lei poteva diventare una persona
di valore. A suo modo era compassionevole: sorrideva al ragazzino
che aveva perso, incoraggiandolo.
Forse da adulta Testolina a Odango avrebbe potuto fare la
maestra d'asilo. Nah, anche per un lavoro simile ci volevano
competenze che
andassero
oltre un 30 su 100 all'esame di inglese delle medie.
Si alzò dal tavolo e si diresse all'uscita.
Bah. Impegnati
con lo
studio, ragazzina.
Suppongo che
non ci
vedremo mai più.
2 -
Qualunque -
FINE
NdA:
secondo
episodio. Aanche
questa volta mi sono tenuta breve perché siamo ancora ai
primissimi pensieri di Mamoru su Usagi. Questo sarebbe un momento
inventato da me, ambientato tra il primo e il secondo episodio di
Sailor Moon.
Se avete l'impressione di un Mamoru leggermente
snob o antipatico...
è una cosa voluta :) La sto
estrapolando
dal contesto dell'anime, che sto provando a rendere più
corposo
e realistico in questa rappresentazione di Mamoru. Cioè, se
lui vuole capire come si comporta un bravo medico, io
cercherò
di capire perché un ragazzo come lui poi passi il suo tempo
a
prendere in giro una ragazzina come Usagi. Secondo me le ragioni
cambiano col passare degli episodi.
Anche in questo caso, sarò felice di
sapere cosa ne pensate
:)
ellephedre
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Capitolo 3 *** Irritante ***
Le prime volte che ti vidi 3
3 -
Irritante
La terza
volta che ti
vidi,
eri una
ragazzina irritante.
Una giornata iniziata male e terminata
peggio. Mamoru avrebbe potuto descrivere così quel giorno
nuvoloso se non
fossero state solo le cinque del pomeriggio. Aveva ancora tutta la
serata da affrontare.
Col passare delle ore, la sua sfortuna si era dipanata in una
lunga
lista di sventure.
Per cominciare aveva dormito solo a tratti durante la
notte.
Aveva sognato ripetutamente
lei,
la castigatrice del suo sonno, la principessa del suo subconscio
onirico. La ragazza si era presa a forza quel titolo, ma Mamoru glielo
aveva regalato soprattutto perché lei aveva un'aria.
nobile. 'Principessa' era un nome
adatto: nonostante il sonno che gli
rubava, lui voleva baciarla
più
spesso di quanto non volesse ucciderla.
Di mattina, dopo aver racimolato abbastanza energia per
alzarsi dal
letto, aveva guardato
di sbieco il comodino. La sveglia aveva suonato due volte senza che lui
la sentisse, gettandolo in un ritardo di mezz'ora. Disperato, per
colazione si era preparato solo un caffè;
naturalmente non aveva afferrato bene il manico della tazza e si era
macchiato la camicia nuova. Era stato costretto a ricorrere al suo
cambio d'abito
preferito - giacca classica verde, pantaloni grigi e maglia
nera a collo alto - imprecando silenziosamente in lingue che non
conosceva.
Durante il viaggio in autobus - voleva una moto! - una frenata
lo aveva
mandato a sbattere frontalmente contro una signora, proprio sul di lei
notevole paio di- Si era beccato uno schiaffo in faccia. Non si era mai
vergognato tanto in vita sua.
Correndo verso l'università - sotto la pioggia -
non aveva
visto
un buco sul marciapiede. Ci aveva infilato dentro una scarpa e aveva
impattato a terra col ginocchio
sinistro. La caviglia non era rimasta indietro e si era presa una
bella storta. Naturalmente, i suoi pantaloni si erano sporcati.
Era arrivato a lezione già iniziata. Entrando in
aula tutti gli sguardi si erano puntati su di lui, compreso quello del
suo
inflessibile professore di chimica.
Mamoru non si era ancora fatto notare da quell'uomo durante il
corso,
perciò la prima impressione che Kuroki-san aveva legato al
suo nome era quella di un ritardatario trascurato e
claudicante.
Non aveva mai creduto alla sfortuna, ma quel giorno era
intenzionato a fargli cambiare idea.
Sospirò. Almeno la gamba non lo
costringeva più a zoppicare.
... era tutta colpa del poco sonno. Era colpa di lei.
A volte si sentiva come un bambino di fronte a quella
ragazza,
impaurito e bisognoso. Si detestava
per quella
condizione.
Voleva delle risposte da lei e in sogno era
così disperato che arrivava a supplicarla pur di ricevere
una
parola nuova dalle sue labbra. Lei se ne stava muta, col volto nascosto
dall'ombra
pallida
della luna.
Malinconica, sembrava chiedergli conforto.
Trova il
cristallo
d'argento per me.
Salvami.
Quell'ultima era un'aggiunta sua. Interpretava così
la
tristezza
di lei, sempre più visibile in quella nebbia di confusione
che
era la sua testa.
Ti prego.
L'eco di quella voce si faceva col tempo più
morbido e
familiare.
Mamoru ne ricavava un senso di sconfitta. Non riusciva ad
aiutare né
lei né se stesso.
Gli sarebbe piaciuto salire sulla torre da cui la principessa
lo
chiamava. Avrebbero potuto starsene seduti insieme da qualche parte, a
piangere i loro tormenti e la loro solitudine, consolandosi a
vicenda.
Patetico.
Dove era finito il suo proposito di essere forte? Non
aveva
qualcuno a cui affidarsi e non lo avrebbe mai avuto. Rifiutava l'aiuto
di estranei che erano costretti a preoccuparsi di lui per lavoro.
Se
iniziava a piangersi addosso dove sarebbe andato a finire?
Per il futuro aveva dei progetti, piccoli passi da compiere.
Era andato
a vivere in un appartamento tutto suo e stava imparando a cucinare
meglio. Aveva iniziato a frequentare l'università con uno
scopo preciso, perseguito con costanza. Voleva una moto e
anche una macchina.
Erano tutte futilità? Cose che da sole non creavano
una
vita completa?
Non gli importava.
Si era fatto persino un amico. Motoki Furuhata gradiva la sua
compagnia.
Forse lo aveva preso sotto
la propria ala solo per bontà, ma non glielo faceva pesare.
Insieme si divertivano e, in un
paio di mesi, Mamoru gli si era quasi affezionato.
Tutto a posto. Era una persona normale, anche se non era mai
riuscito
ad adattarsi a una famiglia.
Guardò davanti a sé e quasi sorrise.
Sul lato opposto della strada non c'era forse l'emblema della
normalità? Testolina a Odango se ne stava ferma a guardare
un vicolo vuoto.
L'occhiata che lei lanciò alle proprie spalle lo
aiutò a comprendere.
Era tutta una questione di indovini. Il giorno prima era stata
inaugurata una
sala dedicata alla chiromanzia per fare concorrenza
al Signore di Juuban, un vecchietto che proclamava di saper leggere il
futuro nella mano delle persone.
Solo ragazzine come Testolina a odango potevano credere a
simili
idiozie. Probabilmente l'unica domanda che sapevano fare
sul loro futuro riguardava un ragazzo.
'Oh, quando,
come e dove
troverò un fidanzato?'
Mamoru inciampò.
Si girò e vide che era finito su una piastrella
sollevata -
in mezzo al marciapiede.
Ebbe un brutto presentimento e riprese a camminare.
Doveva correre a casa. Almeno fra le pareti domestiche non
avrebbe
avuto un pubblico ad
assistere alle sue disgrazie.
Tonk!
Una scarpa aveva usato la sua testa come trampolino per
atterrare al
suolo.
Era una ballerina nera.
Mamoru la raccolse e ne fece una polpetta nel pugno.
Eh no!
Marciò dritto verso la vittima colpevole della sua
furia. Testolina a Odango aveva la sfortuna di essere l'unico
danno vivente che gli era capitato durante la giornata,
perciò... Strinse i denti e sguainò la
scarpa. «Mi hai fatto
male,
Testolina a Odango!»
Lei si erse in tutta la sua misera altezza.
«Possibile che tu
non
sappia dire altro?»
Era lei che continuava a lanciargli oggetti in testa!
«Se non
impari a
controllare i tuoi modi, non troverai mai un fidanzato!»
Testolina a Odango cominciò a battere i denti,
rossa in viso.
Lui non si pentì di averla punta sul vivo.
Lei si riprese la scarpa. «Grazie tante
davvero!»
Peste di una
ragazzina che non era altro!
Si voltò e riprese la propria strada. Udii
dei
bofonchii in sottofondo e dovette usare tutta la propria forza di
volontà per non girarsi e rispondere.
Era adulto, non poteva comportarsi come un bambino!
Per sbollire la rabbia si allontanò.
Quella notte la sua principessa tornò a trovarlo.
Lei allungò
una mano nella sua direzione e, nonostante la distanza che li separava,
lui sentì ugualmente una carezza sulla guancia.
Il giorno dopo non era più stanco e la sua gamba
era guarita. Il caffè del mattino aveva un gusto
più
intenso
del solito, confortante.
Assaporandolo, guardò fuori dalla finestra.
Era tornato il sole.
Sorrise e si preparò a una nuova giornata di
lezioni.
3 -
Irritante - FINE
NdA:
Momento elaborato sulla base dell'incontro tra
Usagi e Mamoru
nell'episodio 2 della prima serie.
Devo ammettere di essermi divertita a scriverlo :
entriamo nel vivo
delle reazioni di Mamoru.
Il prossimo capitolo si rifarà al terzo
episodio e conosco
già il titolo: 'Divertente' ;)
Sarà sempre un piacere sentire cosa
pensate.
ellephedre
|
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Capitolo 4 *** Divertente ***
Le prime volte che ti vidi 3
4 -
Divertente
La quarta
volta che ti
vidi,
eri una
ragazzina divertente.
Mamoru aveva iniziato a correre a dodici anni, quando alle
medie si
era
iscritto al club di atletica della scuola. O meglio, quando era stato iscritto
al club.
Si era presentato agli allenamenti pomeridiani con tuta e
scarpe da
ginnastica, convinto di doversi sottoporre a esercizi supplementari per
ordine di Takashi-san, il professore di educazione fisica. Al suo
arrivo, il prof lo aveva preso fiero a braccetto, chiamando a
raccolta gli altri dieci membri del gruppo. Li aveva fatti mettere
in
fila, coi piedi posati sulla linea bianca che delimitava il
campo.
«Ragazzi, questo è Mamoru Chiba del primo
anno. È il
nostro
nuovo membro!» Takashi-san gli aveva premuto le mani sulle
spalle, impedendogli la fuga. «Dategli
il benvenuto!»
Incastrato.
Ricordava di aver gonfiato il petto e di essersi tenuto bello
dritto,
cercando di stendersi oltre i suoi centoquarantotto
centimetri -
era stato lui stesso ad annotare diligentemente la misura, ogni
mese. Alla sua età pochi lo avevano superato in altezza, ma
lui
aveva avuto ugualmente timore dei suoi compagni di istituto: fino alla
sesta
elementare si era sentito come un re a scuola, rispettato da tutti. Poi
gli avevano tolto le sue sicurezze, mandandolo in un posto in
cui non aveva alcuna reputazione.
Nel giro di qualche settimana si era ambientato. Al
club gli avevano insegnato a correre, dosando il respiro e
spingendo
sui muscoli in formazione delle gambe. Gli avevano insegnato a saltare
in lungo e soprattutto in alto.
Roteando il torso per superare la
barra, Mamoru aveva scoperto cosa si provava a volare.
Grazie,
Takashi-san.
Lo pensava ancora e lo aveva detto di persona al suo
professore, in
occasione della cerimonia di addio in terza media. Naturalmente tutti
avevano festeggiato la promozione, ma per lui era stato un saluto.
Addio a un altro luogo di certezze, con nuove sicurezze questa volta
ad accompagnarlo.
Era entrato alle superiori senza più
paure,
con un percorso già segnato: diventare la stella del salto
in
alto dell'istituto. Era stato reclutato appositamente per quello
scopo. Aveva finito col deludere tutti tranne che se stesso.
Non voglio fare
l'atleta,
aveva detto un giorno al coach, alla fine della prima superiore. Io sarò un medico!
L'amore per i salti era rimasto ugualmente dentro di lui,
così come il
bisogno
di correre, che appagava tutte le mattine in cui non aveva lezione.
Rimase a osservare il campo di allenamento. Aveva un istituto
superiore dietro casa e ogni tanto si fermava a dare un'occhiata.
«Ora!»
Al grido dell'allenatore lo studente iniziò a
compiere il
semicerchio che portava all'asta, rimbalzando sui propri piedi.
«Vai, vai, vai!»
Il ragazzo saltò.
Mamoru si permise un sorriso.
Farai strada.
La vita da universitario era una pacchia. Studiava, ma poteva
gestire
il proprio tempo in completa autonomia. Aaveva persino giorni come quel
giovedì, in cui c'era una singola lezione nella seconda
parte
della
mattinata. Davanti a lui si stagliava un pomeriggio libero, da
trascorrere come
voleva. La giornata era splendida, il cielo era azzurro...
«Al mio futuro fidanzato...»
Non riabbassò lo sguardo in tempo, ma riconobbe le
code
bionde mentre Testolina a Odango andava a sbattere contro il suo petto,
finendo
malamente a terra. Lei non gli lasciò il tempo di
proferire parola.
«Mi scusi!!» Cominciò a
elargire inchini. «Non l'ho
fatto apposta, ero sovrappensiero!»
Il palo della luce accanto a loro rimase indifferente alle sue
spiegazioni.
«Usagi!» intervenne una seconda ragazzina.
Usagi?
Testolina a Odango si chiamava 'coniglio'?
Mamoru iniziò a gustare la prima di mille battute.
Lei sollevò di scatto la testa. Inorridì
e lui
scoppiò a ridere.
«Niente male l'idea di chiedere scusa a un
palo!» Forse il
povero
cemento si era fatto male.
Testolina a Odango iniziò a ringhiare come
un
coniglietto furioso. Ah, ma sarebbe stato poco originale
prenderla in giro per il nome. Usagi
di sciocchezze ne commetteva tante di suo, riempiendosi la testa di
trenta in inglese e fidanzati del futuro immaginari.
«Certo
che è un bel problema se anche la tua testolina va
fuori
controllo per l'arrivo della primavera.» Da bravo coniglio,
lei doveva
andare a pascolare per i campi. La superò con una
risata sardonica.
«Che cosa hai detto?!» gridò
lei alle sue spalle.
Sei una
commedia vivente,
sintetizzò nella propria testa lui, continuando a camminare.
«Ehi, dimmi una cosa» udì alle
proprie spalle. «Quel ragazzo è un tuo
amico?»
L'altra ragazzina non si era moderata nel volume della voce.
«È così carino!»
Grazie.
«Ma quale carino!» sbottò
Testolina a Odango. «Mi
fa una
rabbia!!!»
Mamoru si voltò in tempo per vederla in preda a una
crisi
isterica da animaletto di campagna. Senza nemmeno vergognarsi lei gli
offrì una linguaccia da guinness
dei primati.
Diavolo,
Testolina a
Odango. Fossi meno caruccia, ti saresti già deformata il
viso.
Quella ragazzina era proprio un caso perso.
Una rosa magica fendette l'aria.
Tum.
Dentro di lui partì una specie di musica.
Un uomo senza tratti sparì nel buio e un'altra
figura, una
ragazza, rimase inginocchiata a terra.
«Ma questo è... Tuxedo Kamen!»
esclamò
lei.
Tuxedo che?
«A presto!» fu la risposta imperiosa.
«Ci rivedremo!»
La risata che riecheggiò nella notte era
indirizzata a lui.
Svegliandosi dal sogno, Mamoru si ritrovò seduto
a terra, il sedere sopra la moquette e le gambe per metà
sul balcone.
Strofinò forte gli occhi.
Ma che
diavolo...?
4 -
Divertente - FINE
NdA:
Capitolo basato sul terzo episodio della prima serie. Ho deciso
di
introdurre Tuxedo Kamen sotto forma di ricordo per
Mamoru.
Più in là non saranno ricordi ma una
consapevolezza
separata che riunirò appena possibile, quindi dopo
l'episodio 26
della prima serie, quello in cui Mamoru acquista la certezza di essere
un supereroe.
Mi sono divertita molto a scrivere questo episodio, spero sia
piaciuto
anche a voi :)
ellephedre
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Capitolo 5 *** Affamata ***
Le prime volte che ti vidi 5
5 -
Affamata
E quell'altra
volta che ti vidi,
eri una
ragazzina
affamata.
Allo specchio il cravattino risultó allineato alle
spalle,
perfettamente annodato. Mamoru si
osservò. Lo smoking gli calzava a pennello.
Quando lo aveva comprato, il commesso del
negozio glielo aveva sistemato sulla schiena con occhio critico.
«Lei è fortunato. Ha le misure di un
manichino.»
Mamoru si si era chiesto se fosse un complimento essere
paragonato a
un
oggetto inanimato.
«Vuole noleggiarlo?» aveva continuato
l'uomo.
In quella bottega di abiti da adulto, Mamoru si era sentito
grande
abbastanza da dire, «No. Vorrei comprarlo.»
Avrebbe dovuto giustificare la necessità di quella
spesa al
suo tutore, ma era tutto a posto. Il completo gli serviva e lui aveva
il
denaro e l'aspetto per portarlo.
Annuì allo specchio.
Era una persona privilegiata.
Quando era di cattivo umore - solo allora, era l'unica scusa
che si
dava - si divertiva a tormentarsi con la lista delle proprie
sfortune.
Niente era stato facile per lui: non aveva ricordi
d'infanzia, non aveva genitori e non aveva nemmeno acquisito una
famiglia mentre cresceva. L'ultimo stato era una
colpa che poteva attribuire unicamente a se stesso: era stato lui a non
aver
facilitato il processo di adozione alle famiglie che avevano tentato di
prenderlo in casa.
Per di più, non aveva amici - anzi, forse ne aveva
uno.
Anche
quella era colpa sua, ma quando aveva voglia di ignorare quel fatto si
crogiolava volentieri nell'autocompatimento.
Poi arrivavano momenti come quello che stava vivendo, in cui
la
realtà si apriva alla sua vista più nitida che
mai. Era un ragazzo privilegiato.
Aveva buone disponibilità economiche e aveva
l'aspetto di
una
persona di successo. Soprattutto possedeva un cervello che lo
avrebbe aiutato a farsi
strada nella vita. Lo aveva usato in quei primi mesi di studio
all'università. I suoi sforzi lo avevano ripagato
con
ottimi voti e l'attenzione di persone simili a lui.
Aveva conosciuto
studenti e studentesse eccellenti, avidi di sapere, tra cui
alcuni ragazzi in scambio che avevano girato per il mondo. Uno di
loro, White, lo aveva presentato a Mr. Edwards, un benefattore
inglese che elargiva borse di studio. Nel salotto della sua villa si
radunavano
studenti di fisica, chimica, letteratura, arte, musica, medicina.
Giovani
come lui, dottorandi e persino professori, pronti a trasmettere il
proprio
sapere ad altri, nutrendo le grandi menti del domani. Mamoru
voleva essere uno di loro.
Quella sera avrebbe avuto la possibilità di
espandersi oltre le sue piccole esperienze fatte di libri e lezioni.
Avrebbe conversato con persone che, al pari suo, non si
rassegnavano a vivere una vita che sarebbe terminata con la loro
morte. Lui voleva fare grandi cose, voleva essere ricordato
nel
tempo. Era
il suo
sogno.
In quella sua vita iniziata con qualche handicap, aveva ora a
disposizione i mezzi e le possibilità per
realizzare le sue massime aspirazioni, senza limiti. Dipendeva tutto
dalla sua volontà di impegnarsi, di riuscire.
Era la condizione, sorrise, di una persona molto privilegiata.
Andare in giro per la città in smoking lo faceva
sentire...
osservato. Piacevolmente, quando negli occhi di qualche ragazza si
dipingeva uno sguardo di ammirazione. Tuttavia la maggior
parte delle persone pensava solo... «Ma
dove va conciato
così? Non ha una macchina?»
Magari. Lui voleva un'automobile con tutte le sue
forze. Purtroppo l'età della patente non era in
discussione e ai
suoi
diciotto anni mancavano ancora alcuni mesi. Inoltre, non aveva i fondi
per un veicolo decente. Il suo tutore era stato chiaro.
«Non potrò
concederti una cifra superiore a questa.» Tsukushima-san gli
aveva mostrato l'ammontare su un
bigliettino. Quell'uomo scriveva tutto. «Per un neopatentato
è meglio
un'automobile
introduttiva, un modello di base senza pretese. Se fossero vivi, i tuoi
genitori insisterebbero sullo stesso criterio.»
Tsukushima-san richiamava la figura dei suoi genitori quando
gli
proponeva una soluzione poco gradita. A Mamoru era poco
gradito quel tentativo, tuttavia... Per logica, un adulto sapeva
più di un
ragazzo quale sarebbe stato il comportamento che un genitore avrebbe
adottato.
Avere qualcuno che lo frenava poteva essere utile.
Non sentiva il bisogno di vivere con un adulto - non era
più
un bambino - ma era piacevole sapere che, al mondo, esisteva una
persona
che
si occupava del suo interesse, pur solo finanziariamente.
Il
giudice
gli avrebbe accordato un tutore a tempo pieno se lui non avesse
insistito per stare da solo, dimostrando che era la soluzione
migliore nel suo caso. Pertanto aveva unicamente Tsukushima-san,
che avrebbe gestito le sue finanze fino al compimento dei suoi
vent'anni.
In sintesi ciò significava che, per avere l'auto
che
desiderava, Mamoru doveva
mettersi a lavorare. Anche quella poteva essere un'esperienza
formativa.
Un raggio di sole lo colpì dritto nelle pupille.
Tirò fuori gli occhiali da sole.
Forse erano vistosi, ma non gli importava: la salute veniva prima di
tutto. Inoltre quel paio di lenti gli stava davvero bene. Se
la natura gli
aveva
concesso dei privilegi, perché non usufruirne?
Dietro le lenti scure, sul marciapiede davanti a lui, si
materializzarono due codini
biondi.
Al mondo esistevano persone più o meno
sfortunate. Per esempio Testolina a Odango aveva sicuramente
una bella
famiglia
che l'aveva
viziata fino allo sfinimento, nonché un aspetto da bambolina
anime che un giorno sarebbe piaciuto a qualcuno.
Ma come si faceva a
sorvolare sui trenta in inglese? O in matematica e giapponese, ne era
certo. Lei doveva proprio coltivare il cervello, visto
che stava facendo di tutto per acquistare una decina di chili in un
colpo solo. Stringeva sotto il braccio un sacchetto
di carta e, con la mano libera, stava aiutando un nikuman fumante a
sparire a grossi morsi dentro la propria bocca. L'esperienza la
estasiava talmente tanto che teneva gli occhi socchiusi mentre
camminava, manco fosse stata privata di pranzo e colazione insieme.
Era senza speranza, pensò Mamoru. Si
fermò davanti a lei. «Accidenti, quanto
mangi.»
Testolina a Odango aveva un pregio: quando era arrabbiata
gonfiava le guance fino a diventare comica.
«La Testolina a Odango che mangia un
nikuman» continuò lui. Praticamente,
uno spot
vivente per il cibo.
«Non sono cose che ti riguardano!»
protestò lei. «Quando
impari a farti gli affari tuoi?!»
Mai?
Si
stava
divertendo ed era lei a capitargli sempre tra i piedi. «Se
continui a
rimpinzarti in quel modo, diventerai davvero un
nikuman.»
Paffuta
da scoppiare.
Lei fece fare una giravolta al braccio. «Chiudi il
becco!» Gli
lanciò un nikuman.
Lui lo
afferrò al volo. «Ops, bella presa!»
Niente nikuman in faccia per il signor scocciatore che diceva solo la
verità. «Grazie mille!»
Assaggiò la carne dentro
il ripieno e dovette darle ragione per l'ingordigia: il
nikuman era delizioso, un ottimo antipasto prima della cena a casa di
Edwards.
Doveva muoversi o sarebbe arrivato in ritardo. «Uno
che
regali a me»
disse ad alta voce, allontanandosi, «è uno in meno
che fa
ingrassare te!» E
con lei aveva già perso abbastanza tempo, perciò
si privò del piacere della sua faccia offesa e
andò via.
«Tell me, Chiba-san» gli chiese Edwards
alla festa,
posando una
mano sulla sua spalla. «Do you have a special girl in
your life?»
Perché tutti quelli sopra i trent'anni erano
interessati a
sapere se aveva una fidanzata? Tsukushima-san, le sue vicine di casa,
Edwards... Era un argomento di conversazione comune?
«No» rispose cortesemente, cercando di
sorridere.
»Then this may be the right occasion for
you.» Edwards gli
indicò con una mano l'ampio salone da ballo.
«Tonight I have
invited a lot of beautiful girls.»
Sì, le ragazze erano più di quante
avesse immaginato.
«Look at that Miss over there.» Edwards
gli
indicò
una
ragazza
appoggiata contro la parete, le braccia incrociate dietro la schiena.
«Why don't you ask her to dance? She'd be
delighted.»
Mamoru comprese. «Sure.»
Edwards stava solo tentando di
mettere a suo agio tutti gli ospiti. Per una ragazza era
triste non essere invitata a ballare: lo
aveva
imparato durante le piccole feste all'orfanotrofio, molti anni
addietro. Era incredibile che una simile conoscenza gli
tornasse di
nuovo utile nel presente.
Andò dalla ragazza. Non ricordava il suo nome, ma
l'aveva sentita discorrere animatamente di... poeti inglesi,
giusto?
Non ebbe bisogno di salutarla, perché lei
alzò gli occhi e li sgranò nel vederlo.
Bene, non aveva nemmeno bisogno di convincerla.
«Vorresti
ballare con
me?»
La risposta fu una specie di sospiro.
«Sì.»
Mamoru le porse la mano.
Al primo tocco seppe che con lei non avrebbe condiviso
più
di un ballo quella notte. La sua non era una nozione astratta,
solo una sensazione.
Voleva
sentire le dita attratte dal calore di un'altra persona, voleva danzare
come
sapeva fare - con naturalezza, un'altra sua fortuna - e desiderava...
vicinanza, ad ogni livello.
Un giorno, forse, sarebbe successo. Un giorno lontano, se
esisteva la
persona giusta.
E a te
dirò
della macchina che voglio e del sogno che sto inseguendo. Di come mi
sento strano, a volte superiore agli altri, a volte niente di speciale.
Di come
non voglio più stare da solo.
Un giorno lontano.
Se esisti.
5 - Affamata -
FINE
NdA:
ho scritto quasi il
doppio rispetto al solito :) Con questo capitolo ho rotto un
piccolissimo
blocco dello scrittore. A parte la testa che mi fa male per il
raffreddore che mi sono beccata, negli ultimi due giorni ho riguardato
le cose che ho scritto di recente e ho pensato 'bleah'.
Mi capita di tanto in tanto, niente di grave. Mi serve per
darmi la
carica per scrivere (credo). O a ricordarmi che, a volte, non bisogna
pensare tanto per buttare giù delle parole, ma farlo e
basta,
altrimenti non si scrive più nulla.
Spero che questo episodio vi sia piaciuto :)
Come avrete notato, ho riportato un personaggio della terza
serie - 'Mr
Edwards' - per tentare di spiegare perché Mamoru se ne
andava in
pieno giorno vestito come un pinguino.
Non ho parlato di Tuxedo Kamen perché in questa
puntata - la
quarta - lui non compare.
Avrò modo di rifarmi ;)
ellephedre
|
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Capitolo 6 *** In pericolo ***
Le prime volte che ti vidi 6
6 -
In pericolo.
Quando
ti
vidi di nuovo, per l'ennesima volta,
eri una
ragazzina in
pericolo.
Un cane, sospirò Mamoru, guardando la
foto di tre cuccioli
di Akita appesa alla vetrina di un negozio di animali.
In
vendita!
Siamo due maschi e una femmina, in buona salute. Entra per
chiedere dove si trova il nostro allevamento!
Gli sarebbe piaciuto prendere un cane, ma viveva da
solo.
Un cane sarebbe venuto a svegliarlo la mattina,
strofinando il muso
contro il palmo della sua mano, rotolandosi tra le coperte. Un cane
avrebbe
abbaiato felice ogni volta che lui fosse rientrato a casa, saltandogli
intorno. Un cane avrebbe lasciato
ciondolare la lingua per chiedergli da mangiare,
producendo quel mezzo sorriso canino che lo faceva sorridere
già quando lo vedeva in televisione.
Un cane doveva anche essere portato fuori in media
tre volte al giorno.
Inoltre era un animale che si sentiva abbandonato se veniva lasciato in
casa da solo. Mamoru poteva capirlo.
Purtroppo lui aveva l'università da
frequentare e pianificava di trovarsi un lavoretto extra: un animale
impegnativo era fuori discussione.
Riprese a camminare, passando oltre il negozio.
Hm.
L'ultima volta che aveva contemplato la
possibilità di un
animale domestico non aveva ancora avuto un appartamento tutto suo.
Un gatto, rimuginò. I gatti erano
morbidi, silenziosi e
discreti.
Tutte ottime qualità, ma una sua compagna di
università
gli aveva parlato del proprio felino. I disastri che combinava quando
lei
non era presente - raccontava - erano leggendari. Mamoru teneva al
proprio
mobilio e all'ordine; in più, non voleva imporre la
solitudine a un altro essere vivente. Se il gatto combinava disastri
quando stava da
solo, probabilmente era perché si annoiava.
Un canarino? Un pappagallo?
L'idea di un uccelletto giallo sembrava colorata, ma rumorosa.
Il
canto dei canarini gli piaceva fuori dalla finestra, quando lo sentiva
in lontananza. Un pappagallo non lo entusiasmava. Era divertente
sentirli parlare, ma sentirsi annunciare il buongiorno da una voce
gracchiante non era la sua idea di risveglio ideale.
Un cricreto? Morivano dopo un paio d'anni.
Un coniglio? Vivevano di più - cinque,
dieci anni? - ma non
erano animali comunicativi.
Non lo sarebbe stato neppure lui se fosse stato
costretto a stare in una gabbia larga non più di un metro
per
uno.
Conigli, criceti e volatili vari avrebbero dovuto
vivere in libertà. Quantomeno, lui non avrebbe contribuito a
intrappolarne uno.
Era una decisione che lo privava di gran parte
delle sue opzioni.
«Chanela!»
L'esclamazione di un bambino attirò la
sua attenzione.
Il ragazzino - uno studente delle elementari -
era fermo in mezzo al marciapiede, incurante dei passanti che lo
scansavano. Teneva tra le mani un peluche delle dimensioni di un
coniglietto. La peluria del pupazzo era
lillà, tanto
realistica da sembrare viva. Il coniglio mosse un orecchio.
Era vivo!
«Chanela» sospirò il ragazzino.
Le
pupille dei suoi
occhi erano dilatate. Gli colava del muco dal naso.
Il bambino era raffreddato, ma non
accennò ad asciugarsi. Proseguì ad
adorare imperterrito il proprio animale.
Gli occhietti della piccola bestia erano rossi,
brillanti,
così intensi...
Mamoru si ritrasse.
Che cos'era stato?
Aveva sentito come un ago profumato
che si faceva largo nel suo cervello.
«Chanela» ripeté con un
mormorio il ragazzino.
Una signora lo urtò con la borsa della
spesa. «Scusami!»
Il ragazzino emise un verso rabbioso
e riprese a camminare, l'animaletto stretto tra le braccia.
Si trattava di una nuova specie di coniglio?
Avanzando, Mamoru si ritrovò con un
pezzo di carta sotto la
scarpa.
Il volantino pubblicitario rispose a tutte le sue domande.
Chanela, pensò tra sé il
giorno dopo, scuotendo
la testa.
Proprio come il giorno prima, il negozio che
distribuiva quegli
animali era stracolmo. Le persone che entravano ne uscivano
ipnotizzate, piccoli zombie a cui importava solo del loro nuovo
feticcio, lo Chanela.
Mamoru non pensava che lo avrebbe mai detto di un
altro essere vivente,
ma quella sottospecie di conigli sembrava malvagia. A lui non
piacevano i film dell'orrore ed era fermamente convinto che
tutta la cattiveria del mondo avesse una spiegazione -
nonché
un
volto umano. Ma la situazione che si stava diffondendo a Juuban aveva
qualcosa di sovrannaturale.
Il fulcro dell'anomalia era il negozio dall'altra
parte della strada, in cui gli Chanela venivano
regalati a chiunque fosse interessato ad averne uno. Non era
previsto un compenso, neppure un misero ringraziamento: dopo aver
preso lo Chanela in mano, la gente usciva dal negozio senza voltarsi.
Per appurarlo, lui il giorno prima si era infilato nel locale,
trovandosi davanti uno spazio di luci soffuse in cui si
espandeva un profumo velenoso, dolce. Una
commessa lo aveva invitato a dare un'occhiata in giro, indicandogli le
gabbie trasparenti - vere e proprie vetrine - in cui venivano
conservati gli animali.
Per amore del rischio, Mamoru aveva tentato di
incrociare di nuovo lo
sguardo con uno di quegli esseri. Si era ritratto, avvertito da un
istinto di sopravvivenza più forte di lui.
Era uscito dal negozio col suo cervello e senza
animali, unico tra
tanti.
Ora non sapeva cosa fare.
L'attività del negozio non poteva essere
illecita: l'avevano
aperta in centro, era conosciuta da centinaia - oramai migliaia - di
persone. Comprese le forze dell'ordine, giusto?
Qualcuno oltre a
lui doveva essere rimasto sano; qualcuno col potere di mettere
fine a quella storia doveva essersi accorto del pericolo. Non era
necessario che lui, Mamoru Chiba, andasse ad avvertire giornali e
polizia.
Ci
sono conigli
allucinogeni là dentro!
Avrebbe fatto la figura dell'idiota.
Sul marciapiede opposto, in mezzo alla folla di
bambini che si
accalcava fuori dal negozio, brillò una chioma bionda.
Faticò a credere ai propri occhi.
Un coniglio ridicolo e
ingenuo stava per infilarsi nella tana dei suoi confratelli malefici.
Mamoru attraversò di corsa la strada.
Gli odango di Usagi-Odango non si mossero rimasero ad
attenderlo,
fermi sul marciapiede. Lo sguardo di lei si era sicuramente
illuminato al pensiero di possedere uno Chanela.
Certo, i conigli erano attratti da altri conigli,
ma tanta
stupidità era troppa anche per una ragazzina come lei.
Riuscì a raggiungerla. «Ehi, Testolina a
Odango!»
Le spalle di lei vibrarono. «Questa
voce...!» Si
voltò e lo
vide.
Mamoru non dovette nemmeno inventarsi la risata:
Usagi-Odango
aveva una faccia da pagliaccetto buffo persino in quella situazione.
L'avrebbe fatta scappare con una dosa
industriale di sarcasmo.
«Accidenti» ringhiò lei,
«si
può sapere
perché mi spunti di continuo davanti?»
«Curioso. Vedi, anche io mi faccio la
stessa
domanda.» In altre circostanze avrebbe
pensato che Testolina a Odango lo stesse seguendo di proposito.
Credendosi minacciosa, lei lo fulminò
con gli occhi.
Si sopravvalutava. «Non mi dirai che anche
tu vuoi comprarti
uno Chanela?»
«Perché?!» ribatté
lei.
L'aveva punta sul vivo, come aveva creduto.
Scrollò le
spalle. «Perché a te la fragranza di un profumo
non si addice
proprio.»
«Che rompiscatole!»
Mamoru si vergognò: era scaduto
nella maleducazione.
Chiuse gli occhi per una
frazione di secondo, fatale.
«Che rompiscatole!» stava
ripetendo Testolina a Odango, sorpassando la porta
scorrevole del negozio.
«Ehi-» Fece per correrle dietro, ma si
fermò.
Che cosa le avrebbe detto? 'Vieni
fuori, là ci sono conigli pericolosi?'
Testolina a Odango lo avrebbe preso per un
molestatore pazzo.
Nel peggiore dei casi avrebbe interpretato male la sua preoccupazione,
pensando che lui volesse darle confidenza. Lei poteva addirittura
convincersi che, se si incontravano tanto spesso, era perché
lui la stava seguendo.
Figurarsi, nemmeno la conosceva.
Infatti,
comprese
d'improvviso. In cosa si differenziava Testolina a Odango dalle decine
di persone che aveva visto cadere vittima degli Chanela?
Avrebbe potuto
tentare di salvare anche loro. Non aveva senso focalizzarsi su
un'unica persona.
Il problema doveva essere risolto alla radice.
Forse doveva solo aspettare.
In città si erano già
verificati
episodi particolari nelle ultime settimane. Gente che perdeva
una decina di chili in due o tre giorni, folle di persone che cadevano
in coma senza ragione apparente. Forse la
polizia stava già indagando, per quanto quelle situazioni
poi si
fossero risolte da sole.
Così sarebbe stato anche per gli
Chanela: lui non viveva in
un film
dell'orrore, il mondo non sarebbe stato invaso da adoratori di conigli.
Lanciò un'occhiata al cielo.
Si sarebbe preoccupato seriamente solo se quegli
animali non fossero
spariti entro una settimana.
Ma per allora, di sicuro, tutto
sarebbe tornato alla
normalità.
Accadde molto prima.
La mattina successiva lesse sul giornale che il
negozio di Chanela non
esisteva più. Secondo il trafiletto in nona pagina, l'intera
attività si era trasferita senza indicare un nuovo
indirizzo,
deludendo decine di potenziali clienti.
Il suo senso di colpa tardò altri due
giorni ad estinguersi.
Aveva abbandonato Testolina a Odango a se stessa.
Lei era solo una sua
stramba conoscenza, ma era comunque una persona con cui aveva scambiato
qualche parola. Non avrebbe permesso a qualcun altro che conosceva di
entrare dentro il negozio - che fosse il postino che gli consegnava
le
lettere, o la commessa del piccolo supermercato in cui andava a
fare la spesa. Con Usagi-Odango aveva fatto un'eccezione solo
perché aveva temuto di fare brutta figura.
Che codardo.
Pensò il destino a farlo sentire meglio.
Di
venerdì
sera camminava per Juuban sotto la pioggia diretto a
noleggiare una videocassetta. Nel grigiore delle strade
l'improvvisa macchia di giallo risaltò ai suoi occhi come un
faro.
Testolina a Odango camminava dall'altra parte della
strada, in mano un
ombrello. Lei era vestita di bianco e blu, ed era seguita da un gatto
che teneva solerte il passo.
Era la prima volta che Mamoru la vedeva senza
l'uniforme scolastica.
Forse lei
sarebbe stata contenta di saperlo, ma non le dava più
tredici
anni: Usagi-Odango ne aveva sicuramente quattordici. Giacchetta e gonna
corta le
davano l'aria di una ragazza che doveva ancora crescere, ma la
direzione era quella. Lei sembrava
particolarmente fiera del proprio aspetto: camminava allegra con le
spalle dritte, accarezzando col braccio la gonna bianca che si
agitava al ritmo della sua falcata.
Doveva essere un vestito nuovo, sorrise Mamoru.
Se anche uno Chanela le
aveva rubato il cervello, qualche giorno prima, ora era tutto a posto.
Smentendolo, Testolina a Odango si girò e
iniziò
a parlare col gatto, intavolando una lunga conversazione.
Mamoru fece finta di non vedere, andandosene.
I tarli nelle teste di certe quattordicenni non si
potevano proprio
curare.
6 -
In pericolo -
FINE
NdA:
Andato
anche l'episodio
numero 5 della prima serie :) Nella versione originale non
c'è
alcuna spiegazione per l'antipatia di Mamoru. Io ho voluto offrire
questa, mi sembrava plausibile e soprattutto mi faceva sembrare Mamoru
meno sciocco e infantile di quanto era apparso in quella puntata.
La scena finale fa riferimento al vestiario che
Usagi indossa
nell'episodio numero 6, in cui Mamoru non appare, nemmeno come Tuxedo
Kamen.
Si nota un suo cambio di atteggiamento nei
confronti di Usagi?
:)
Alla prossima!
ellephedre
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Capitolo 7 *** Un coniglio ***
Le prime volte che ti vidi
7 - Un
coniglio.
Quando ti
vidi per la... Non ricordo più quante volte ti avevo
già visto,
ma, allora, per
la prima
volta...
«Quanti anni avevi quando hai perso i tuoi
genitori?»
«Sei.»
L'analista se ne stava accomodato sulla poltrona.
«Sono stati i dottori a dirmi quanti anni
avevo.»
«Hm-mh.»
L'uomo scrisse un appunto sul quaderno.
«Il tuo ricordo più lontano? Vuoi
parlarne?»
«La puzza di ospedale. Quel giorno.» In
realtà, la puzza
della propria urina sul camice dell'ospedale. Quando si era svegliato,
aveva saputo per istinto di non essere abituato a dormire con le gambe
bagnate e infreddolite. Un ricordo
anche quello?
«Dei tuoi genitori hai qualche immagine
mentale?
Rammenti un
momento con loro?»
«Ho una foto.» Quella che gli avevano dato
i
dottori.
Tieni la foto
di mamma e
papà, gli avevano detto. Ti saranno sempre vicini.
In che modo, lui non lo aveva capito. I suoi genitori erano
morti,
andati.
Erano adulti
sconosciuti che si erano presi cura di lui
fino a quel momento, ma Mamoru nemmeno li ricordava.
«Non mi mancano» aveva detto all'analista,
per
chiarire come stavano
le cose. «Non sono io a voler ricordare il mio
passato.»
Il professionista aveva annuito. «Persone generose
ti hanno
offerto una casa per qualche tempo e queste
sedute con me. Approfittane.»
Lui non ne aveva avuto alcuna intenzione. L'analista aveva
lasciato
perdere gli appunti, posando i gomiti sulle
ginocchia.
«Mamoru, io sono... un orecchio. Uno specchio di te,
con
tante
risposte. Puoi dirmi quello che vuoi, nessuno lo saprà
mai.»
«Lei... aiuta.» Perciò anche
gli
analisti, aveva pensato, erano
dottori.
«È così. Aiuto.»
«Voglio diventare medico da grande.»
«Per aiutare?»
Sì.
A dodici anni aveva parlato a quell'uomo dei propri sogni, per
far
passare le ore delle loro poche sedute insieme. Di sé - del
Mamoru che si
sentiva un bambino normale, che voleva solo essere lasciato in pace -
aveva rivelato un unico vero particolare.
Da grande
diventerò medico. E non avrò più
bisogno dell'aiuto di nessuno.
«Quindi la risposta è no.»
Motoki
passò lo straccio bagnato sul bancone.
Mamoru si ritrasse, lasciandolo pulire. «Non sono
tipo da
confidenze.»
«Lo sapevo, ma volevo chiedere.»
Scusa.
Ma
non
lo disse. Si chiedeva scusa per un errore, non perché si era
riservati.
Motoki strofinò un panno asciutto sul compensato
azzurro che
fungeva da bancone del Crown. «Non stare a pensarci. Se mi
rispondevi, bene, se non rispondevi... Almeno, ora sai che mi importa
di
te.»
Anche a lui importava di Motoki, perciò avrebbe
dovuto
rispondergli
che sì, non aveva mai parlato con nessuno del proprio
passato.
Motoki stava scuotendo la testa. «Non sei tenuto a
raccontarmi niente.»
«E va bene lo stesso?»
«Sì. Tieni il caffè.»
Mamoru lo portò alle labbra e ingerì il
primo
sorso. «Perché continui a metterci dello
zucchero?»
«Un po' di dolce fa bene a tutti.»
«Tu il caffè lo prendi nero e
amaro.»
Come lui.
«Lo zucchero per me ha un'altra forma." Il suo amico
incrociò le
braccia, soddisfatto. «Stasera porto fuori Reika.»
«A cena?»
«Certo.»
«Non costa tanto?»
Ridendo, Motoki tornò a preparare i milkshake.
»Con le donne
non si può risparmiare.»
Be', pensò Mamoru, lui non aveva ancora
sperimentato il
problema, ma riteneva che la
validità di quell'affermazione fosse direttamente
proporzionale
all'età della ragazza. Reika Nishimura aveva vent'anni, due
più di Motoki. Per sopperire alla distanza anagrafica, lui
si impegnava tre volte tanto nel farle regali, nel prestarle
attenzioni, nel parlare di qualunque cosa con lei. Tutto per una
relazione che non sarebbe
durata.
Mamoru si era tenuto la propria
opinione per sé.
Motoki lasciò scivolare un bicchiere di plastica
verso il
lato
opposto del bancone. La ragazzina che lo afferrò si profuse
in
una risatina ridicola, arrossendo.
«Se
abbassassi i tuoi standard» gli fece notare Mamoru,
«potresti cavartela con qualche gelato.» Al
Crown venivano anche ragazze delle superiori, spesso solo per guardare
il
commesso che gestiva il negozio un giorno sì e un giorno no,
dalle due del pomeriggio alle nove di sera.
«Io non sono più in cerca.»
Motoki fece
compiere due giri
completi al collo, rilassando i muscoli delle spalle. «Con
Reika ho
già
tutto quello che voglio.»
«Tutto?» Intendeva...
Motoki Furuhata piaceva alle ragazzine
perché
andava in giro con l'innocenza di un liceale dipinta in faccia. Per
Mamoru fu una sorpresa vedere i suoi occhi
che crescevano di qualche anno, proprio davanti a lui.
«Be'... sì, tutto.» Motoki
nascose un
sorriso adulto,
beffardo.
Era una delle ragioni per cui era bello avere un amico. Con
chi altri
Mamoru avrebbe potuto parlare di sesso? A chi, tra
qualche tempo, avrebbe potuto chiedere qualche dritta, un'opinione,
qualche minuto per parlare dell'argomento? Gli avrebbe già
fatto
diverse domande se per rispondere Motoki non avesse dovuto
parlargli anche di Reika.
Quando quei due si
fossero lasciati, il campo sarebbe stato libero da equivoci.
«Hai visto quelle ragazze?»
Mamoru si girò sullo sgabello. Fuori dalle porte
del locale
si intravedeva una figura con una gonna
corta, degli stivali alti e una giacchetta appariscente, color rosa
shocking.
Non era troppo presto per
andare in discoteca?
«Vanno al provino per il Cinderella
Caravan» gli
spiegò Motoki.
Già il nome dell'evento prometteva male.
«Che
cos'è, un concorso per
idol?»
«Per talenti di ogni tipo. Ma sì, alla
fine credo
che
cerchino sempre la solita idol. Quelle fabbricano soldi.»
Mamoru poteva capirne la ragione. Dai tredici ai quattordici
anni aveva
passato anche lui una fase idol che non avrebbe rivelato ad anima viva.
D'altronde, che colpa aveva? Da tredicenne
si era accorto che esistevano le ragazze, le gambe scoperte, i seni che
spuntavano da sotto le magliette... e le idol in tv e nelle riviste,
studentesse delle superiori con visi da bambola e sorrisi dolci che in
ogni canzone sussurravano, 'Guardami, ascoltami, con te
io
sarò molto carina.'
Per fortuna poi era cresciuto. Addio alla fase da ragazzina
carina,
ora puntava a ragazze più grandi, che andassero almeno
all'università.
Motoki guardava oltre le sue spalle. «Scommetto che
vorrà andarci anche Usagi-chan.»
Chan?
Motoki aveva un grosso
problema: per lui qualunque ragazza sotto i sedici anni era una
potenziale sorellina di cui prendersi cura. Usagi Tsukino, alias
Testolina a Odango, gli stava particolarmente a cuore. Lei lo
divertiva e ne parlava spesso, tanto che avevano finito col capire di
averla conosciuta entrambi, separatamente.
«Non è una bambina» disse
Mamoru.
«Se la caverà
da sola.»
Motoki non ne era sicuro. «Quando passa di qui le
parlerò. Usagi-chan segue i suoi sogni
e fa bene, ma sai come sono questi talent... In tv usano le
prove più sfortunate per far ridere la gente.»
Mamoru doveva concordare con lui: nemmeno Testolina a
Odango meritava
una
simile umiliazione.
Motoki lo puntò con un dito. «Casa tua
è
nella
direzione da cui arriva Usagi. Adesso torni al tuo
appartamento?»
Sì, ma la domanda odorava di una proposta
che era
già pronto a rifiutare.
«Se la incroci, parlale tu. Non ti sta molto
simpatica, ma
è
solo una ragazzina delle medie.»
E quindi?
«Qualcuno deve spiegarle i pericoli del
mondo.»
«Non ti prometto niente.» Finì
il
caffè e si
alzò.
Motoki era alto quanto lui, ma in quel momento lo stava
guardando
dall'alto in basso, dalla cima di una maturità che -
dannazione
- lui non aveva ancora acquisito.
«Fa' l'adulto, Mamoru.»
Non avrebbe potuto ricattarlo in modo peggiore.
Aveva iniziato a pensare a Testolina a Odango come a una
piccola
calamità, inevitabile di tanto in tanto nella sua vita, una
fonte di risate e occasionali sensi di colpa.
Uscito dal Crown, pensò all'esame imminente (era
pronto,
sarebbe
stato il miglior studente del suo corso), a quanti soldi aveva in tasca
(abbastanza da noleggiare un paio di videocassette, non sufficienti per
fare la spesa), a dove sarebbe andato nel fine settimana (un bel
viaggetto fuori porta, era un po' che non usciva da Tokyo) e a non
cambiare strada nel tornare verso il suo appartamento. Se il suo sesto
senso non si stava sbagliando, Motoki lo aveva fatto sentire un
ragazzino perché il destino gli permettesse di
rimediare.
Testolina a Odango spuntò in fondo alla via,
correndo dritta
verso di lui.
Appunto, inevitabile.
«Ehi»
le fece.
Lei mise il freno a mano e cambiò percorso,
nascondendosi
dietro il muro di un vicolo.
Lui andò a raccattarla nella sua tana. Come
convincerla a
fare come voleva?
Prendendola in giro, ovviamente. Non era ancora abbastanza
maturo per
fare il fratello maggiore, ma non
gli importava: con una sorella minore come Testolina a Odango sarebbe
già scappato di casa.
Appoggiò una mano sull'angolo del muro, chiudendole
la via
di
fuga. «Ecco che spunta la tua Testolina a Odango. Non starai
andando al
Cinderella Caravan?»
Lei sussultò e, alla faccia dei suoi supposti
quattordici
anni,
emise
un suono scocciato da scolaretta dell'asilo, rifiutandosi di guardarlo.
Lui sfoderò la verità, la sua arma
migliore.
«Potresti gareggiare con un numero comico.»
Testolina a Odango scattò a guardarlo.
«Ma
figurati!
È ovvio che non sto andando lì!»
Era ovvio piuttosto che lei aveva appena cambiato idea. E che
aveva
pianto da poco.
«Ora togliti, devo andare a casa!»
Usagi-Odango lo
spintonò
facendosi strada fino al marciapiede. «Uffa»
bofonchiò mentre marciava via. «Che
tipo noioso!»
Lei era proprio una ragazzina divertente che faceva
onore al
proprio nome.
Era talmente 'coniglio': con le guance paffute, gli occhi grandi, le
orecchie che nel suo caso erano capelli biondi e l'espressione da
animaletto bastonato che gli faceva venire voglia di... be', non
proprio di
consolarla, ma almeno di darle un paio di pacche sulla schiena e dirle
che sarebbe andato tutto bene.
Bah.
Se ora iniziava a trovarla simpatica, non si sarebbe
più
scrollato Motoki di dosso.
Tornò a casa.
7 - Un coniglio
-
FINE
NdA:
In
crisi perché mi
manco tempo per terminare il benedetto/maledetto nuovo pezzo di Verso
l'alba, ho buttato giù questo nuovo episodio. Mi aiuta a
sbloccarmi e rilassarmi, Mamoru da giovane è uno spasso :)
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Capitolo 8 *** Stramba ***
primevoltechetividi8
8 - Stramba
Poi ti
incontrai di nuovo,
e questa volta eri solo stramba.
La situazione si faceva preoccupante.
I suoi sogni ricorrenti avevano preso una nuova strada: c'era
lui che,
vestito di un mantello nero, correva in giro per la città,
saltando sopra i tetti dei palazzi. Gli sembrava quasi di volare: il
suo corpo non aveva peso, le sue gambe erano molle capaci di condurlo a
decine di metri dal suolo. Nella notte, dominava la
città. Poi c'era di mezzo qualche combattimento in
stile supereroe, ma su
quel punto i suoi ricordi erano vaghi al risveglio.
Non sapeva più cosa stava cercando di dirgli la sua
testa. Stava impazzendo?
Da un un mese i sogni lo tormentavano quasi ogni notte.
Nemmeno il sonnifero li fermava.
«Mamoru-san?»
«Hm?» Guardò Saori-san.
«Eri distratto?»
«Sì, scusa.»
Lei accarezzò il bicchiere della caffetteria.
«Non importa...»
«Mi dicevi di Kobayashi?»
«Sì. Ha cambiato idea su
Psicologia.»
Possibile? All'ultimo anno delle superiori Kobayashi non aveva
parlato d'altro.
«Si specializzerà in psichiatria. Ha
scoperto che i pazzi sono più interessanti.»
Mamoru rise. «La pensi così anche
tu.»
«Per i criminali, dici? Già. Io li
farò arrestare, poi arriverà uno come Kobayashi
che dirà che avevano l'attenuante dell'infermità
mentale.»
Divertito, Mamoru controllò ciò che era
rimasto
nella propria ciotola. Non c'era più un solo chicco di riso.
Di sfuggita colse l'attenzione di Saori sulla sua faccia.
Quando frequentavano la stessa classe, alle superiori, ogni tanto
lei lo guardava in quel modo particolare, interessato.
Quel giorno si erano incontrati per caso nei giardini
dell'università,. Vedendolo Saori si era illuminata e lo
aveva
invitato a
pranzo. A lui aveva fatto piacere.
«Mangi spesso qui?» si sentì
domandare.
«No, di solito sto al parco.»
Finché continuava il bel tempo, ne avrebbe approfittato.
« Mi porto il cibo da casa.»
«Mi ricordo dei tuoi bento. Semplici e sostanziosi,
giusto?»
Sì, li aveva definiti lui in quel modo. Non erano
mai stati ricchi come quelli dei suoi compagni di classe, che avevano
delle madri che cucinavano per loro, ma Mamoru studiava il proprio menu
con attenzione, per combinare i nutrienti che gli servivano
con i
sapori di cui non voleva fare a meno.
«Di' a Kobayashi che mi hai
incontrato. La prossima volta mi piacerebbe pranzare tutti e tre
insieme.»
Lei esitò. «Certo.»
Probabilmente le sarebbe piaciuto di più un invito
a cena per due, comprese Mamoru. Si alzò. «Ho
lezione ora.
È stato bello rivederti, Saori-san.»
Lei scattò in piedi. «Anche per
me!»
La salutò e prese la strada dell'aula N4. Lo
attendeva una nuova sessione di biologia molecolare.
Mentre camminava, si domandò se avrebbe dovuto
essere più incoraggiante con la sua ex-compagna di classe.
Alle medie - passata la fase idol - si era convinto che
avrebbe trovato una ragazza alle superiori. In effetti si era trovato
maggiormente a suo agio
con le persone, perciò le ragazze
interessate non gli erano mancate, ma a nessuna aveva chiesto di uscire.
In generale le ragazze che aveva
giudicato adatte a lui lo avevano superato in età di un anno
o due.
Avrebbe potuto parlare con loro dei progressi della medicina, dei
problemi della società, del significato della vita... Ma
sapeva che, quando fossero arrivati al sodo, la sua inadeguatezza
sarebbe risultata lampante ai loro occhi. Non poteva sopportare di
sentirsi
impreparato. Dai
discorsi dei suoi compagni di classe si era reso conto che, all'ultimo
anno, alcune ragazze avevano già fatto sesso, mentre
lui...
All'università!
si era ripromesso. Come universitario avrebbe scelto una studentessa
delle
superiori a caso e con lei avrebbe sperimentato. Se proprio doveva
sentirsi ignorante non voleva essere solo, ma soprattutto
voleva avere il controllo della situazione.
Eppure, eccolo arrivato alla Todai e nulla era cambiato.
Anzi, la situazione si era fatta più complicata.
Aveva
conosciuto molta gente interessante e non poteva più
pensare di tornare indietro e accontentarsi di una studentessa delle
superiori. A casa di Edwards, ad esempio, c'era stata quella ragazza
straniera... Bella, occhi verdi, spigliata. Troppo
spigliata. Si era mossa tra
gli altri come se fossero tutti suoi amici. Le era piaciuto
anche lui, così tanto che quando lo aveva puntato non gli
aveva più lasciato un attimo di respiro. Nei suoi occhi
Mamoru si era sentito una preda, ignaro di quello che stava per
capitargli. Naturalmente sapeva cosa voleva lei, ma...
"Non sai
baciare?" Immaginò di udire la sua risata. "Poverino,
adesso ti insegno io..."
Si sarebbe sentito ridicolizzato.
Aveva bisogno di una persona più pacata e timida,
come
Saori-san. Il problema era che non provava alcuna attrazione nei suoi
confronti.
Se proprio voleva esercitarsi poi, illudere un'amica come lei
sarebbe
stato sbagliato.
Doveva trovare qualcun altro. Non chiedeva tanto:
solo una ragazza che lo facesse sentire
bene. O almeno, una che gli facesse venire voglia di baciarla tanto da
dimenticare i problemi che potevano sorgere in seguito.
... per allora però voleva arrivare
già preparato.
Era un circolo senza uscita.
Come al solito, pensava troppo. Parlava poco, era
quello il problema. Si teneva tutto dentro,
per
questo il suo cervello era pieno di idiozie e sogni senza
senso. Aveva bisogno di più contatto umano, senza
scuse.
Gli serviva un po' di normalità.
Rinvigorito, provò a cercarla quel
pomeriggio.
Riusciva meglio quando si metteva in testa un progetto e lo
attuava senza aspettare.
Sarebbe andato alla scuola preparatoria Crystal, che cercava
assistenti di studio per gli studenti delle superiori. Ci avrebbe
guadagnato un lavoro e la possibilità di conoscere
studentesse intelligenti. Magari avrebbe legato con una di loro.
Da semi-professore sarebbe stato sbagliato?
Niente scuse, avrebbe deciso cosa fare sul momento. Comunque
gli
servivano dei soldi per comprare un'auto, quindi un'entrata in
più non guastava.
Quando arrivò di fronte alla scuola, non credette
ai propri occhi.
C'era Testolina a Odango davanti all'entrata.
Testolina a Odango - che prendeva 30 agli esami di inglese -
che si interessava a una scuola preparatoria?
Forse i suoi insulti avevano avuto
un'utilità.
Qualcuno bofonchiò accanto a lei.
«Usagi, sta' attenta.»
Chi aveva parlato?
Testolina a Odango si chinò di lato.
«Sono venuta solo a restituire questo disco, Luna. Ti
preoccupi troppo.»
... lei si stava rivolgendo alla gatta?
No, era impossibile. «Hai deciso di metterti a
studiare
un po', Testolina a Odango?»
Usagi-Odango trasalì e lo fissò.
«Ancora tu! Si può sapere
perché spunti fuori nei
momenti
più strani?!»
«E io che ne so.» Avrebbe dovuto chiederlo
lui. «Sbaglio,
o quel gatto poco fa stava parlando?»
Invece di scoppiare a ridergli in faccia, Testolina a Odango
sbiancò.
... era una ventriloqua, vero?
Lei esplose in una risata. «Ma cosa dici! Da
quando in qua i gatti
sanno
parlare! » Cominciò a scappare.
«Che scemenze!»
Lo erano, ed era assurda lei. Era una ventriloqua.
Non c'era fine a quanto era stramba.
Testolina a Odango si fermò a dieci metri di
distanza. Girando al rallentatore la testa, gli lanciò
un'ultima occhiata.
Si vergognava come una ladra.
Si eclissò prima che lui potesse aggiungere
qualcosa.
L'episodio lo lasciò con un ritrovato orgoglio di
sé.
C'era sempre chi stava peggio al mondo. Testolina a Odango era
stata
messa sulla sua strada per ricordarglielo.
Alla fine, la scuola preparatoria non lo aveva accettato come
aiutante:
troppo giovane, avevano detto. A lui non era dispiaciuto. In quel posto
spacciavano un floppy-disk come il sistema definitivo per migliorare le
prestazioni scolastiche. Non voleva lavorare per dei truffatori.
Il giorno seguente avrebbe
cercato un altro lavoro che lo mettesse a contatto con la gente.
Cameriere?
Se necessario, pensò.
Sdraiato sul letto, si addormentò.
8 - Stramba -
FINE
NdA:
Tornata
anche con questa raccolta - a proposito, ho revisionato lo stile di
tutti gli episodi precedenti.
Mentre scrivevo di Mamoru che pensava di sperimentare con
Saori-san, me la ridevo tra me. Lei ci si sarebbe gettata a pesce! Ma
poi sarebbe morta per mano di Usagi, nella quarta serie. Si
è salvata!
La prossima one shot sarà relativa all'episodio 11, in cui
Usagi e Mamoru viaggiano sullo stesso trenino in un Luna Park.
Sì, Mamoru sopra un trenino. Mi divertirò a
spiegarne la ragione.
Grazie di essere qui a leggermi!
ellephedre
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Capitolo 9 *** Crudele ***
primevoltechetividi9
9 - Crudele
Quella volta, al luna park,
con me fosti crudele.
Terminò di legare i tre bus tra loro. Doveva
salvare le persone rapite e le guerriere Sailor, subito. Il varco
dimensionale
si stava richiudendo. Si mise alla guida del bus di testa e
schiacciò il palmo sul
clacson. «Vi farò io da autista! Fate
presto!»
«Tuxedo Kamen! Ma quando sei arrivato?!» A
gridare
era stata Sailor Moon.
Marinaio Luna?
Premette il piede sull'acceleratore e i bus si levarono
insieme in
aria, verso il tunnel che portava alla
realtà.
Guardò di sotto. Le
guerriere Sailor
spiccarono un balzo e lo raggiunsero all'ultimo momento, aggrappandosi
alla portiera aperta. Su di loro si
poteva contare.
«Tuxedo Kamen, grazie!»
Lui aveva solo fatto il proprio dovere. Si
concentrò sul
volante: lo teneva saldo tra le mani, non avrebbe sbagliato
l'atterraggio. Oramai erano riapparsi a Tokyo.
Alle sue spalle Sailor Moon cominciò a sbracciarsi.
«Ami-chaan!!»
Lei si rivolgeva a una ragazza ferma in strada, di sotto.
Dietro Sailor Moon c'era un'altra guerriera, vestita di
bianco e rosso.
Allora le Sailor erano diventate tre, oramai. Bene:
avrebbero
vinto contro il male adesso che
le loro fila stavano crescendo.
Le ruote del bus toccarono terra morbidamente, senza
scossoni. Era stato bravo.
Sailor Moon si precipitò fuori, a festeggiare con
la ragazza dai capelli blu. La Sailor in rosso esitò prima
di scendere, lanciandogli un'occhiata.
Lui annuì. Anche lei aveva fatto un buon lavoro:
l'aveva vista bruciare vivo il mostro.
Rimasto solo sull'autobus, si slacciò la
cintura. Il suo compito era finito.
«Addio» salutò. «Ci
rivedremo una prossima volta.»
Ma lo pensò o lo disse? Non ne fu sicuro, sapeva
solo
che era ora di andare.
Corse via e si infilò in un vicolo. Con una
rincorsa compì un enorme balzo e si arrampicò su
un tubo - come l'Uomo
Ragno! - poi si issò sopra un tetto.
Si era fatto giorno, doveva correre a...
Si svegliò, sedendosi sul letto.
Dannazione, un altro sogno.
Ricadde in avanti, esausto.
Era già giorno. Si sentiva come se avesse
dormito appena un'ora.
Marinaio Luna?
Quello era il nome della ragazza, giusto? Inoltre lui aveva
guidato
degli autobus, ma non aveva nemmeno la patente e... Gli stava
venendo mal di testa.
Il sogno si stava rintanando in una parte
contratta del suo cervello, troppo protetta per essere esplorata senza
dolore.
Che ore erano?
La sveglia segnava la sette del mattino.
Era... venerdì? No, sabato.
Non aveva lezioni all'università.
Si sdraiò sul materasso e chiuse gli
occhi, tornando a dormire.
Il giorno seguente Mamoru sbadigliò davanti a una
tazza di
latte. Rigirò tra le mani il volantino.
Il Paese dei Sogni! Nuovo
luna park a Tokyo, Ueno. Venite numerosi! Prezzi scontati per le prime
quattro domeniche!
Hm, non era mai stato ad un luna park in vita
sua. Almeno, non
ricordava di
esserci mai stato; in relazione ai primi sei anni della sua esistenza
aveva solo qualche prezioso indizio sulle esperienze vissute. Ad
esempio sapeva che qualcuno gli aveva insegnato ad andare in
bicicletta. Alla
casa famiglia in cui era cresciuto c'era stata un'unica bici per
bambini, un veicolo bianco
traballante privo di ruote d'appoggio. Lui l'aveva provato a sette
anni per la prima volta. Non era caduto, l'equilibrio gli
era venuto
spontaneo. Le ruote che lo trascinavano veloce lungo il vialetto lo
avevano galvanizzato.
«Che bravo, Mamo-chan. Sai andare in
bicicletta!»
Dalle sue educatrici aveva ricevuto tante congratulazioni.
Memore
di quel successo, quando era andato alla sua prima lezione di nuoto -
alle elementari - si era sentito sicuro. L'acqua della piscina
aveva
accolto il suo tuffo, poi lo aveva visto annegare, annaspando a
braccia all'aria per la disperazione. Uno degli istruttori si
era
gettato per recuperarlo.
«Ehi, piccolo! Vuoi ammazzarti?»
Così aveva scoperto che i suoi genitori
non gli
avevano
insegnato a nuotare.
Era stato allo zoo con la scuola, in gita al mare con i suoi
compagni
della casa famiglia, all'acquario e al planetario per conto suo, ma al
luna park... mai.
Nel volantino si vedeva un grosso ottovolante.
Magari avrebbe
potuto provarlo e rivivere le sensazioni che lo invadevano nei sogni.
Poteva essere un modo per fare chiarezza nella sua testa.
... Sì, era deciso.
Il treno dell'ottovolante sfrecciava sulle rotaie verso il suolo. Era
veloce come un razzo.
«AHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!»
La coppia dietro di lui urlava, ma la corsa era fantastica. Gli
veniva
da esultare, altro che paura!
Alla curva il convoglio si capovolse, lasciandolo sospeso in
aria mentre
tutto il mondo girava.
Grandioso! Anche nel tubo di curve il treno non
perdeva
velocità!
Si aggrappò forte alla maniglia in ferro, chiudendo
gli occhi per proteggerli dal vento.
Quello era il suo stato naturale! Lui volava e
poteva affrontare di tutto!
Il treno cominciò a rallentare.
Il tracciato si era
appianato. Stavano per andare verso una nuova salita.
Mamoru rise ad alta voce.
Wow.
Seduto su una panchina, inspirò a boccate profonde.
A terra la corsa aveva cominciato a fargli sentire i suoi effetti:
testa che girava, stomaco sottosopra... Niente che un poco
d'aria non potesse sistemare.
Si guardò intorno. Il parco era molto grande, dove
poteva andare adesso? Aveva recuperato una piantina delle attrazioni,
ma voleva vederle di persona per decidere cosa provare.
«Attenzione,
signori!» Una voce all'altoparlante. «Il
trenino del
parco sta
per partire dalla piazzola Uno!
Grandi e piccini, venite a scoprire le meraviglie del Paese dei
Sogni!»
Giusto, aveva visto delle rotaie ai bordi di ogni
attrazione. Quindi...
Si alzò e corse verso la piazzola più
vicina. Un cartello gli confermò che era arrivato
al punto
giusto.
Attraversò il varco tra una fila di siepi fiorite.
Non c'era coda, ma... Ohi, lui non poteva salire su quel treno
microscopico! Era pieno di bambini. Altro
che 'grandi e piccini', non c'era passeggero che
superasse il metro di altezza!
«Deve salire, signore.»
Sobbalzò. Un cervo lo stava spingendo verso il
convoglio, strofinandogli il fianco con le corna.
Quei robot con sembianze di animali erano inquietanti. Come
diavolo funzionavano?
«Signore, stanno aspettando solo lei!»
insistette la bestia.
Mamoru si ritrasse da un ulteriore contatto, ma la
belva meccanica
non desistette. «Presto, presto!»
Si ritrovò seduto sul tetto di un minuscolo vagone.
Tenne lontano l'automa con una mano. «Okay, sono
seduto.»
«Bravo!»
... macché bravo.
Si sistemò sul sedile.
A capo del treno
non c'era una persona, ma un panda. Doveva essere per forza un umano
travestito.
«Signore e signori, partenza!» Il panda
tirò una
corda e in aria si levò un fischio. I bambini sul
treno esultarono.
«Ciao, tesoro!» Una donna oltre la siepe
stava salutando un
ragazzino di cinque anni.
«Divertiti, Kyo-chan!» Un padre
teneva in mano una
telecamera. Inquadrò anche lui nell'obiettivo e
sollevò
la testa, perplesso.
Mamoru volle sprofondare.
«Aspettateciiii!!!»
Un urlo, di una voce conosciuta. Mamoru si girò, ma
appena notò le code bionde tornò a guardare
davanti a sé con uno scatto.
«Usagi, fermati! Ormai è
partito!»
«Figurati, ora lo raggiungo con un
baaa...lzo!»
Il treno saltellò. Usagi-Odango lo aveva quasi
rotto saltandoci sopra.
«Aspettami, ho detto!»
«Forza, Rei! Dai che ce la fai... Sì,
grande!»
... dannazione. Proprio su un treno come quello
doveva incontrare Odango? Da un momento all'altro lei lo
avrebbe visto.
«Che bello, ce l'abbiamo fatta!»
«Usagi, un po' di contegno...» L'amica di
lei
sbuffò. «Non vedi che sono tutti ragazzini? Non
essere
più infantile di loro!»
«Scorbutica! Divertiti un po', su!»
Per fortuna le due non lo avevano notato.
C'era la possibilità che non lo notassero affatto
se lui rimaneva girato. Bastava non voltare troppo la testa.
Alle sue spalle Usagi-Odango cominciò a
canticchiare un motivetto.
... era davvero una ragazzina.
Purtroppo, lui non si poteva permettere di dirlo da dove stava
seduto. La sua dignità era al minimo storico.
Stando attendo a non attirare l'attenzione,
sospirò. In fondo, doveva vedere il lato positivo della
faccenda: anche
quella era una
nuova esperienza. Era mai stato su un trenino per bambini?
Non ricordava.
Magari, un tempo, anche lui aveva avuto genitori che lo
avevano guardato fieri mentre provava nuove esperienze. Era possibile
che lo
avessero anche filmato.
In casa, dentro una scatola in soffitta, aveva una vecchia
mini-cassetta. Gliel'aveva consegnata il suo tutore legale, di
recente.
«Ho voluto aspettare che fossi cresciuto,
Mamoru-san» gli aveva detto.
«Lei... l'ha vista?»
«Non mi sono permesso. Sicuramente è un
ricordo dei tuoi genitori.»
Mamoru non aveva ancora comprato l'apparecchio necessario a
leggerla. Non sapeva se voleva vedere e sapere tanto presto.
Se nella cassetta ci fosse stata una bella scena di famiglia,
forse avrebbe
cominciato a sentire la mancanza di qualcosa che
niente e nessuno gli avrebbe mai ridato.
Era solo. Stava bene da solo. Ovvero, quando fosse
stato assolutamente sicuro di essere felice in solitudine, o quando la
sua vita fosse cambiata in meglio, con più
compagnia, avrebbe avuto il coraggio
di guardare quella cassetta.
Per adesso non voleva cambiare le cose. Non ce n'era
bisogno.
Il fatto stesso che la possibilità di ascoltare le
voci dei suoi genitori non lo tormentasse era un segno: per lui era
più importante costruirsi una sua identità come
persona singola. Il passato era importante, ma era passato.
Lui aveva
già troppi problemi da risolvere nel presente.
Sotto i suoi piedi scorreva un suolo di ghiaia e ciottoli. Il
convoglio si muoveva placido lungo il percorso.
Da un lato riusciva a vedere la pista di auto-scontro,
dall'altro il tendone di un piccolo circo. In sottofondo c'era
l'attrazione centrale, la Casa dei Dolci.
«Senti quant'è buono il profumo di queste
rose!»
Odango.
«Usagi, giù le mani! Non rovinare le
siepi!»
«Ahia, mi sono punta!»
«Le rose hanno le spine, genio!»
Quelle due sembravano una babysitter e la sua protetta.
«Pensi che Ami sia andata al castello? Anche io dopo
voglio
passare da lì!»
«Prima dobbiamo esplorare l'intero parco. Hai
sentito qualcosa
di tutto quello che abbiamo detto, o eri troppo impegnata ad
abbracciare quel leone finto?»
«Era morbido!»
«Era sinistro. Mi chiedo come tu abbia fatto a
sopravvivere
con il sesto senso che ti ritrovi. Un sacchetto di plastica ha
più intuito di te!»
«Sei troppo cattiva, Rei! Ma io non ti
starò a
sentire! La la la!»
Mamoru alzò gli occhi al cielo. Ogni volta che si
faceva venire il dubbio di aver sottovalutato Odango, lei lo smentiva.
L'altra ragazza sospirò ancora. «A me
sembra che qui stiamo solo giocando.»
L'amica sembrava una persona sensata. Che ci faceva
su
quel treno? Non si fidava a lasciare Odango da sola?
Usagi-Odango era serena. «Guarda che è il
modo
migliore per curiosare in giro senza dare nell'occhio.»
Hm. Cercavano qualcuno?
Forse un povero derelitto di cui Odango si
era invaghita. Di sicuro lei non era fedele a Motoki con le
sue cotte lampo.
Il treno si fermò di colpo e qualcosa di duro lo
colpì alla schiena. Era una faccia, naturalmente di...
Il treno rilasciò un fischio.
«Scusate»
annunciò il panda. «Questo era il segnale di stop.
Aspettate
un attimo.»
Si erano fermati all'intersezione con un'altra fila di rotaie.
Appena dopo seguiva un curva profonda, con una piccola discesa. In quel
tratto di percorso il treno avrebbe marciato a U per qualche metro e
per
Odango sarebbe stato chiaro chi aveva davanti.
Mamoru prese il coraggio a due mani e si voltò.
«Ehi.»
Lei lo vide e il suo viso si deformò per il
disgusto. «Ugh... Ancora tu.»
«Aspetta un attimo!»
La maleducazione di quella ragazzina non aveva limiti!
«Sei tu che mi sei venuta addosso con quella pietra che ti
ritrovi al
posto della testa. Non mi pare il caso, Testolina a Odango.»
Accucciata per la vergogna, lei non replicò.
La sua amica era estasiata. «Testolina a Odango! Ma
certo, che
soprannome!»
Bene, esisteva qualcuno con un sano senso dell'umorismo.
«Assomigliano
un po' anche a degli onsen-manju, no?»
«Ah sì, hai ragione!»
Era strano che una ragazza come quella si accompagnasse ad
Odango. Di viso sembrava più grande; con quei lunghi
capelli neri era carina come una liceale, ben lontana dal visetto anime
di certe bambine delle medie coi codini biondi.
Odango scattò in piedi, i pugni stretti.
«Smettetela di divertirvi alle mie spalle!»
Era colpa sua, era troppo facile prenderla in giro.
Odango era lanciata. «E poi sentiamo, tu che scusa
hai? Sei
grande, cosa ci fai su questo trenino?!»
Colpito e forse affondato.
Lei non aveva terminato. «La verità
è
che sei un tipo tanto triste, dico bene? Mi fai solo ridere! Ha ha
ha!»
Triste,
lui? Anche se lo era, Odango non aveva alcun diritto di-
«Inoltre scommetto che hai l'ombelico a trombetta,
che fa
'pepperepeee'!!»
Eh no! «Ho-» balbettò.
«Ho le mie ragioni anche io!» Non sarebbe sceso al
livello di lei!
Il treno ripartì, facendo cadere Odango sopra la
sua amica.
«Ma sentila...» bofonchiò lui,
tornando a guardare davanti a sé. «Gira
pure il dito nella piaga.» Si zittì a
forza. Più parlava, più le dava
strumenti per
attaccarlo.
«Ehi, Panda!» sbraitò Odango.
Non stava
più badando a lui. «Piantala di fermarti e
ripartire in
continuazione!»
«Attenzione! Sta
per avere
inizio lo spettacolo
alla Casa
dei Dolci.»
Mamoru ascoltò a stento il messaggio
all'altoparlante.
«Ehi, Panda!» riprese a urlare Odango.
«Fermati,
fermati!»
Il capotreno si voltò. «Spiacente, non
posso
fermarmi e ripartire in continuazione!»
Mamoru lo applaudì nella propria testa.
«Uffa!» si lamentò Odango.
«Non è per
niente gentile.»
Senti chi parla.
Lei lo aveva appena insultato come nessuno aveva osato fare.
Triste, lui? Ma se aveva una casa tutta sua, una carriera
universitaria
brillante, il rispetto di tutti quelli che lo conoscevano e... E se ne
stava su quel treno solo per caso! A differenza di lei, che da quando
era salita aveva urlato più di tutti gli altri ragazzini
messi insieme!
Alle sue spalle udì una risatina. Non era di
Odango: parlottava con la sua amica.
Odango si alzò di scatto, facendo di nuovo
sobbalzare
il treno.
«No, nella maniera più
assoluta!» ribatté. «Non gli
somiglia
per niente, no e no!»
Somiglia a chi? Lui?
Parlavano di lui?
Doveva far finta che non esistessero. Doveva chiudere il
cervello al mondo e...
«Insomma, abbiamo una missione! Dobbiamo scendere
subito!»
«Cos-? Usagi!»
Mamoru udì un verso e si voltò. Odango
era saltata oltre le siepi, atterrando sul marciapiede. Stava
già correndo via.
Come aveva fatto?
«Usagi!» L'amica di lei scese dal treno,
incespicando. «Scusa!»
gridò, rivolta a lui.
Mamoru scosse la testa: non c'era niente di cui scusarsi. Ma
era meglio che
quella ragazza stesse attenta alle proprie frequentazioni: alcune
facevano
decisamente male.
«Sei tanto triste, sai?!»
Si svegliò nel cuore della notte con la voce di
Odango in testa.
«Mi fai ridere!»
Nel petto aveva un masso duro di vergogna.
Si girò su un fianco.
Quella notte il suo incubo era stato normale, così
reale che faceva ancora male riviverlo.
Usagi Tsukino che rideva di lui, Motoki che rideva di lui,
tutti i
suoi professori all'università - che non riusciva
più ad
accontentare - che si facevano beffe di quanto era stupido,
perché non era più in grado di imparare niente.
Gli amici
della casa famiglia che lo abbandonavano perché lo
giudicavano
ridicolo.
... quell'ultima parte era vera.
Erano passati due anni dall'ultima volta che aveva incontrato
Koga,
Akimura, Misano - o uno qualunque dei ragazzi con cui era
cresciuto. Tutti facevano le loro vite.
Erano soli come lui?
... Avevano abbandonato la casa, come aveva fatto lui? Senza
guardarsi indietro, senza tornare quasi mai a far visita?
Veniva abbandonato se era il primo ad abbandonare. Poteva
biasimare solo se stesso.
Il prossimo weekend sarebbe andato a far visita alle donne che
lo avevano cresciuto.
Conosceva la verità su stesso, ma forse aveva
bisogno di qualcuno che gli dicesse...
«Bravo, Mamo-chan.»
9 - Crudele -
FINE
NdA:
Questo episodio riprende le scene finali dell'episodio 10
dell'anime
(quello in cui appare Sailor Mars) e la parte centrale dell'episodio
11. Come al solito tutti i dialoghi sono ripresi da quelli originali.
Mi aveva colpito in particolare Mamoru che diceva 'Ma senti questa,
come gira il coltello nella piaga'. Come se Usagi ci avesse proprio
azzeccato definendolo 'triste' e di fatto ridicolo.
Non state troppo in pena per lui perché - sempre
seguendo la
linea della prima serie, episodio 13 - vedrete che poi sarà
così risentito che si vendicherà a dovere.
Grazie per aver letto!
ellephedre
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Capitolo 10 *** Vittima ***
primevoltechetividi10
10 -
Vittima
Poi fui io crudele con
te.
Il mondo stava arrivando a una fine. In testa lui aveva sogni sempre
più strani e in cielo apparivano
figure demoniache che minacciavano di mandare a fuoco l'intera
città. La polizia era preoccupata, ma secondo
Mamoru non avrebbero
preso
sufficienti precauzioni contro quel fenomeno - alcuni pensavano ancora
che si trattasse di uno scherzo. Lo sembrava, ma lui aveva un brutto
presentimento.
Sfogliò il giornale.
Guerriere Sailor?
L'apparizione di ieri notte
sui cieli di Tokyo ha chiamato in causa il
gruppo di tre paladine della giustizia che agisce nel
quartiere di Juuban-ku. Ci troviamo di fronte a una lotta tra bande di
criminali
per il controllo del territorio? O stiamo assistendo a
eventi sovrannaturali?
Tutti i dettagli a pagina...
Mamoru cercò di sforzare le
meningi. Marinaio Luna -
aveva sentito quel nome in uno dei suoi sogni. Si trattava di Sailor
Moon? Lui aveva qualcosa a che fare con quelle spaventose
assurdità?
Mise da parte il giornale, bevendo un altro sorso di
caffè.
Che cosa ridicola.
Lui era una persona normale che si stava
lasciando suggestionare.
Invece di interessarsi di simili storie doveva preparare l'esame di
Anatomia. Era da una vita che aspettava di farlo e adesso... cosa?
Trascurava gli studi per dei sogni? Si rifiutava di farsi
influenzare in quel modo.
Era ora di mischiarsi alla gente comune. Andando in biblioteca
non
sarebbe rimasto dentro le quattro mura di casa sua, solo coi propri
deliri.
Prese le chiavi e uscì dal suo appartamento.
«Mamoru-senpai!»
In biblioteca sollevò gli occhi,
riconoscendo la voce. «Asanuma-san.»
Il ragazzo che aveva conosciuto alle superiori si accese di
fierezza. «Ti ricordi di me!»
Certo, dal club di atletica. «Come mai da queste
parti?»
«Mi sto portando avanti. Voglio entrare alla
Todai
come te, perciò ci sto dando sotto con lo studio
già dal
secondo anno!»
Mamoru fu fiero di lui. «Così si fa.
Impegnati
e raggiungerai il tuo obiettivo.»
Come aveva sempre fatto, Asanuma non giudicò la
conversazione
terminata con i convenevoli. Guardandolo speranzoso, si
azzardò a
sedersi accanto a lui. «Mamoru-senpai...
L'università è
davvero la
cosa migliore che possa capitare a uno studente?»
«Per lo studio, dici? Sì. Ti puoi
concentrare sulle
materie che ami e gestisci da solo i tuoi tempi. Addio a lunghi mesi di
preparazione per un unico esame di ammissione che ti
cambierà la vita.» Volle essere sincero.
«In
compenso ci sono molti singoli esami complicati da affrontare. Ma
ognuno
ti dà una nuova possibilità.»
«È il mio sogno!» Asanuma
strinse il pugno. «Voglio laurearmi in Psicologia!»
«Davvero?»
«Mi piace ascoltare la gente!»
Be', in effetti Asanuma pendeva dalle labbra altrui, quindi...
Lo stava giudicando troppo duramente. Tendeva
a farlo
con gli altri, per sentire di elevarsi sopra i loro errori ed essere
quindi migliore di loro. Non aveva studiato psicologia, ma sapeva che
il suo era l'atteggiamento di una persona debole.
Con amarezza, sorrise. «Perciò analizzi
la gente. Cosa diresti di me?»
Interdetto, Asanuma arrossì.
«Ehm...»
«Te l'ho chiesto per avere un parere
critico» chiarì Mamoru. Non voleva complimenti.
Asanuma si calmò. «Senpai... Come hai
appena detto, sei
una persona che si aspetta che gli altri lo giudichino con
severità.
Perciò fai del tuo meglio e non mostri mai alcun difetto
evidente. In questo modo nessuno può attaccarti.»
Mamoru sentì il bisogno di chiudersi in una
corazza. Fu
coraggioso e non si protesse: aveva voluto lui una risposta.
«È questa l'impressione che do?»
Vedevano tutti la
sua fragilità?
Asanuma scosse la testa. «Io credo che le persone
troppo perfette abbiano sempre qualcosa da nascondere, ma nel
tuo caso... Ti ammiro. Penso che tu conosca i tuoi difetti e che abbia
deciso di combatterli per conto tuo. Quando sarai pronto, li mostrerai
a
qualcuno di cui ti fiderai.»
Mamoru lo sperava. «Sai più di quello che
dimostri, Asanuma. Ti avevo sottovalutato.»
Lui si girò i pollici, in imbarazzo su come
chiudere la conversazione.
Mamoru non volle trattenerlo oltre. «Ti ringrazio
per avermi assecondato.»
Asanuma scattò in piedi. «È
stato un piacere!
Voglio dire... parlarti è stata una grande
esperienza! Ciao!»
Confuso, Mamoru agitò le dita in aria, salutando il
nulla.
«... ciao.»
Asanuma era già scappato.
Perciò - ragionò nel tragitto verso casa
- lui era una persona che si proteggeva dagli altri. Era vero, ma non
pensava che persone che conosceva
solo superficialmente potessero notarlo.
A volte si domandava se la sua era una malattia. Alcune - come
la sindrome di Asperger - si manifestavano in disturbi della
personalità che portavano i soggetti colpiti ad isolarsi e a
non essere in grado di interagire in maniera naturale con gli altri.
Il suo caso non presentava alcuni dei sintomi
più estremi e forse per questo lui era solo dannatamente
normale. Se si fosse trattato di una malattia, almeno ci sarebbe stata
una cura precisa. Invece lui rifletteva sì molto prima di
agire in maniere nuove con le persone, ma era bravissimo a cogliere i
comportamenti corretti da tenere in ogni occasione. Non era emarginato,
si isolava da solo, per scelta. Dava di sé l'immagine di una
persona a suo agio con se stessa, piena di certezze. O almeno,
questo era quello che aveva sempre pensato.
Asanuma gli aveva appena dimostrato di saperlo decifrare. E
l'altro giorno Odango gli aveva sbattuto in faccia la verità
della sua situazione: era un diciassettenne che era andato a divertirsi
in giro senza amici,
di domenica, finendo su un trenino per bambini. Ci aveva persino visto
qualcosa di buono, àncorato com'era all'idea di un passato
lontano
più di dieci anni.
Era solo e ridicolo.
Strinse i denti.
Non avrebbe dovuto essere Odango a dirlo. Lui non l'aveva
scelta per alcuna confidenza; non le aveva nemmeno permesso di
conoscerlo, perciò perché lei si era presa la
libertà di insultarlo? Le battute che si erano
scambiati erano sempre state
superficiali. C'erano dei limiti che lei non avrebbe dovuto superare.
Qualcosa lo colpì in testa, facendogli male.
Abbassò lo sguardo sull'oggetto che era caduto a
terra: una scarpa da ragazza. La afferrò nel pugno, pronto a
gridare contro la ragazza che- Ma era Odango! «Di nuovo
tu?!»
Lo disse all'unisono con lei, che lo aveva raggiunto.
«È la seconda volta che mi lanci una
scarpa in testa!» le invì contro lui.
«Lo fai apposta?»
«La colpa è tua che cammini con la testa
tra le nuvole!»
Come no. «Che tipa antipatica!
Possibile che tu non riesca a esprimerti in modo decente, come le altre
ragazze?» Non era solo lui quello strano!
Lei osò fargli una linguaccia. «Mi
dispiace tanto! C'è qualcuno che dice che gli piaccio di
più se non mi freno!»
«Che idiozie.» Lei viveva in un mondo di
stupide illusioni. «Uno così è
veramente il massimo.»
«Di sicuro è molto più
affascinante di te!»
Invece un ragazzo attratto da lei aveva sicuramente grossi
problemi. «"Chi va con lo zoppo impara a zoppicare»
recitò. «"Ogni
pentola ha il suo coperchio", "L'immondizia va al suo posto"»
e visto che lei non ci sarebbe arrivata da sola, «"A ogni
Testolina a Odango il suo perdente."»
Vedendola sobbalzare provò un moto di fierezza.
Gli occhi di lei iniziarono a tremare. «Quante
cattiverie! Se fossero su di me, pazienza, ma parlare male di
Motoki...»
Motoki?
Oh no, adesso si metteva a frignare!
Uno strillo gli riempì le orecchie, attirando
l'attenzione dei passanti.
«Ehi...» provò a dirle, ma la
gente lo stava già guardando come se fosse un mostro!
«Che cattivo, l'ha fatta piangere!»
Non era lui il colpevole, bensì lei che- Odango si
era accasciata
a terra in un mare di lacrime. «Cattivo!!»
Quella ragazzina era incredibile, troppo infantile per
prenderla sul serio. Stava cominciando a fare pena persino a lui.
«Senti, scusa, ho un impegno urgente!»
Iniziò a indietreggiare ma si accorse di avere
ancora la scarpa di lei in mano. «Ti restituisco la scarpa.
Ci vediamo!» Gliela buttò vicino e correndo si
fece largo tra decine di persone che lo guardavano male.
Non si era mai sentito tanto idiota in vita sua.
Nei giorni successivi, elaborò un piano.
Aveva esagerato. Doveva chiedere scusa, ma senza chiedere
scusa: in fondo aveva semplicemente pareggiato i conti con Odango.
Ovviamente era più maturo di lei e ora sapeva che Odango era
una ragazzina capace di mettersi a piangere per un piccolo insulto.
Nonostante tutto, lui non aveva avuto intenzione di spingersi tanto in
là. Come risposta soddisfacente gli sarebbe bastato un
broncio ferito.
Sono davvero immaturo e
ridicolo.
Doveva smettere - per quanto possibile - di fare quel gioco
con lei.
Come al solito la incrociò per strada quasi per
caso, un pomeriggio che si muoveva verso
l'università. Odango stava correndo nella sua
direzione.
«Ehi.»
Nel vederlo lei si fermò sul posto, le gambe che
marciavano. «Non ho tempo per te!» Gli fece una
linguaccia.
«Volevo dirti che-»
Odango insistette a tirare fuori la lingua due volte,
sonoramente. «Hm! Hm! È tutto quello che ho da
dirti io, baka!»
Lui le gridò dietro.
«Non devi piangere la prossima volta!»
«E chi piange?!» Roteando la testa in modo
impossibile, Odango tirò fuori la lingua. Correndo, se la
morse da sola.
Mamoru scoppiò a ridere.
«Bakaaaaa!» L'urlo di lei sparì
nelle strade.
10 - Vittima -
FINE
NdA:
Due note. 'Baka' significa 'Stupido'. Ho usato il termine
giapponese
perché mi sembra che 'stupido' non renda esattamente il
concetto. 'Baka' indica anche qualcuno che è stupido nel
comportarsi, mentre in italiano sembra più un insulto
all'intelligenza. Diciamo che è una forma più
leggere di
insulti che in italiano sarebbero molto più pesanti (tipo
'Str****o' :D)
Asanuma: è un personaggio che compare nel manga di
Sailor
Moon. Non so se l'ho mai menzionato nella mia saga. Credo di
sì,
ma non sono sicura. Comunque è un kohai di Mamoru. Dovrebbe
essere più giovane di come l'ho rappresentato
(più
giovane di Usagi); mi sono presa una licenza artistica.
Sull'episodio in sé... sono piuttosto soddisfatta,
soprattutto della parte finale. Qui riprendo quanto accaduto
nell'episodio 13 di Sailor Moon. Nel successivo episodio in cui compare
Mamoru c'è già l'incontro con Rei, quindi mi
divertirò a scrivere dell'appuntamento con lei e del
perché Mamoru decide di assecondarla. Oggi pensavo che
sarà strano scrivere di questi due insieme, ma interessante
:)
Grazie per aver letto! Se avete commenti, sono curiosa di
sentirli.
ellephedre
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Capitolo 11 *** In compagnia ***
primevoltechetividi11
11 - In compagnia
All'incontro successivo, iniziai a
prestare attenzione alla tua amica.
I suoi sogni cominciavano a somigliare a un telefilm sentai.
La star era sempre Sailor Moon, con il suo costumino sgargiante e gli
attacchi di cui gridava il nome prima di poterli lanciare. Lui non era
da meno: portava una cappa sulla spalle - ne sentiva il peso, gli era
capitato di intravederla - e forse indossava qualcosa sulla testa. Un
cappello?
Sapeva di guardare il mondo tramite una leggera patina bianca, quindi
aveva una maschera sul viso. Possedeva persino un nome super-eroistico:
Tuxedo Kamen.
Perché diavolo si era autodenominato 'lo smoking mascherato'?
Sui giornali gli era capitato di notare il nome di Sailor Moon, ma si
era rifiutato di prestare attenzione a quegli articoli: quella storia lo
stava già influenzando troppo. Per qualche recondita e folle ragione che
non voleva esplorare, si stava immaginando di partecipare alle
scorribande di cosplayer esaltati.
Ovviamente, non era tutta una finzione se mezza città aveva visto e
sentito l'immagine di un uomo che lanciava minacce dal cielo, ma... Be',
se in giro c'era qualche fenomeno sovrannaturale, lui non voleva averci
niente a che fare. Era una cosa che lo inquietava. Purtroppo le sue
orecchie si drizzavano da sole ogni volta che ne sentiva parlare.
Ecco la sua risposta: sognava di far parte di quelle battaglie perché
l'argomento lo affascinava, nel profondo.
Mostri, battaglie, supposte super-eroine con poteri... Era come
assistere a ogni logica della realtà che si deformava proprio nella sua
città, proprio in un tempo in cui lui era vivo.
Forse quegli incidenti avrebbero avuto un'escalation, e presto qualcosa
sarebbe cambiato nel mondo.
Era come far parte di un film di fantascienza.
Scosse la testa e ordinò alle gambe di continuare a correre. Stava
lavorando troppo con la fantasia. Era un segnale di stress.
Si concentrò sul sudore che si andava formando sulla sua fronte, mentre
ormai era alla fine del primo chilometro di corsa. Gli toccava passare
per il centro di Juuban, ma dalla parte opposta c'era un parco, il suo
obiettivo finale. Doveva solo attraversare la strada...
Un gatto. Lo notò fermo sulle strisce, mentre sopraggiungeva un camion.
No!
Saltò oltre le barriere di protezione della strada, afferrò l'animale
con un braccio e balzò via, appena prima di finire sotto le ruote
dell'autocarro. Atterrò sul marciapiede opposto e sentì il rumore di un
clacson che lo insultava per la sua idiozia.
Non gli importò: aveva appena
compiuto un'impresa. «Stai bene?»
Il gatto tra le sue braccia si voltò a guardarlo.
Appena la vide in volto, lui decise che era una femmina. Era piccola, e
tremava ancora per la paura. «Non sei ferita, vero?» Iniziò ad
accarezzare il pelo morbido di lei, incredulo. Si era davvero gettato
davanti a un'auto in corsa?
Un urlo gli spaccò le orecchie.
«Cosa stai facendo alla mia Luna?!»
Odango. Appena aveva un momento di pace, lei arrivava puntualmente a
rovinarglielo.
«Se è la tua gatta, non dovresti mandarla in giro da sola.» Odango non
si rendeva conto del pericolo che aveva corso il suo animale? «Per poco
non finiva sotto un camion!»
Senza alcuna grazia, lei gli strappò la micia dalle mani, afferrandola
per le zampe come fosse un sacco della spazzatura.
«Ma fatti gli affari tuoi! Luna non è come gli altri gatti!»
In effetti quella gatta non si dimenava per scappare via: subiva
le angherie della sua padrona in silenzio.
Sarai abituata, poverina.
Due ragazze circondarono Odango.
«Smettila, Usagi!»
«Rei ha ragione. Lui ha salvato Luna, dovresti ringraziarlo.»
Almeno le amiche di lei avevano un minimo di coscienza.
Si trovavano sul marciapiede davanti al Crown e in quel momento Mamoru
notò qualcuno che si avvicinava dall'interno del locale. Era Motoki che,
attirato dalla confusione, uscì in strada. «Ehi, ma cosa... Mamoru, sei
tu?»
«Ciao, Motoki» lo salutò lui.
Odango sobbalzò. «Motoki onii-san! Scusa, ma... tu conosci questo
tizio?!»
Mamoru incrociò le braccia. Mi
conosce meglio di te, ragazzina.
«Certo» rispose Motoki. «Frequentiamo la stessa università.»
«COOSA?!»
Mamoru cercò di non mostrarsi troppo superiore.
Odango lo puntò con un dito, incredula. «Tu saresti uno studente
universitario?!?»
Ora sai la verità, calamità Odango.
«È così.»
Fu sul punto di farsi sfuggire una battuta sarcastica, ma la presenza
di Motoki lo frenò. Dopo l'ultimo episodio si era ripromesso di fare
l'adulto: non voleva più scendere ai livelli di una ragazzina delle
medie. Quantomeno, non in pubblico.
«Ci si vede, Motoki!» Riprese la propria corsa.
Mentre acquisiva velocità, udì un debole saluto. A pronunciarlo era
stata una delle amiche di Odango - la ragazza coi capelli neri, quella
carina - ma lui era già lontano.
Proseguì a correre, diretto verso il parco.
Danzava. Con le mani sfiorava dita morbide, piccole. La ragazza con cui
ballava si staccava da lui al suono di una melodia. Aprendo gli occhi
nel sogno gli parve di conoscere il viso di lei. Non la vedeva, ma la
ricordava. La ragazza indossava il vestito della sua principessa. Era
la sua principessa.
Lei volteggiò. Si muoveva con lui come fossero una cosa sola. Gli tornò
vicino e, nell'ombra del suo volto, Mamoru pensò di vedere un sorriso.
D'improvviso erano soli e fuori dal salone in cui avevano danzato. Si
trovavano su una terrazza.
Quello era il luogo da cui lei lo chiamava in sogno.
Finalmente anche lui si trovava su quella balconata. L'aveva raggiunta.
Provò a parlare, ma scoprì di dire cose che non capiva, che non
intendeva. Invece di essere se stesso, era un'altra persona, che parlava
alla principessa e provava per lei sentimenti sconosciuti, intensi.
Anche lei era diversa. Non lo chiamava con disperazione, era calma. Lo
aveva accanto e si sentiva sicura.
Erano fermi, sempre più vicini...
Le mani di lei si posarono sul suo petto e il suo volto sollevò a
guardarlo.
Mamoru chinò la testa.
Si svegliò col sapore di un bacio sulla bocca, il cuore che gli
martellava nel petto.
Era davvero tutto un sogno?
Fu una domanda che lo tormentò per tutta la mattina.
Sognava da troppo tempo lo stesse cose. Alcune sensazioni erano così
vivide e reali da sembrare vere, parte di una vita passata.
Impossibile.
Lui non ricordava i primi sei anni della sua esistenza, ma cosa
c'entravano con quel periodo principesse, cristalli e sentimenti
d'amore? Forse il suo subconscio stava rielaborando eventi a cui aveva
assistito, creando una specie di favola per fargli capire meglio la
storia.
Non era da escludere. Ma era ridicolo che sognasse persino di essere
innamorato.
Arrossì.
Stava camminando per strada e scosse veloce la testa, prima che
qualcuno lo vedesse in quello stato.
Doveva essere obiettivo: i sogni avevano sempre un'interpretazione.
Erano la via attraverso cui il subconscio si esprimeva.
Se lui sognava l'amore significava che... lo desiderava? Eppure non ne
aveva l'impressione. Voleva trovare una ragazza soprattutto per
estinguere una curiosità personale. Voleva analizzare quel tipo di
rapporto, e magari sentirsi meno solo.
La notte scorsa il vero elemento nuovo nella sua serie di sogni era
stato il bacio.
A quel gesto riusciva a dare un senso: da tanto tempo voleva
sperimentare contatti fisici più adulti.
Tornava sempre allo stesso problema però. Se voleva dare un bacio,
prima doveva intrecciare una relazione. Non ci sarebbe mai riuscito se
non si dava una mossa a trovare una ragazza con cui uscire.
Aveva deciso che preferiva una studentessa universitaria, ma al
contempo si sentiva intidimito da loro, per la maggiore esperienza che
avevano rispetto a lui.
Si massaggiò una tempia.
... basta.
Doveva fare qualcosa di concreto.
Alla prima ragazza carina che avesse trovato, possibilmente più giovane
di lui, non avrebbe più detto di no.
Non era necessario imporsi di baciarla, ma doveva pur vivere qualche
esperienza di natura romantica, no? Altrimenti non avrebbe mai fatto dei
passi avanti.
Col piede pestò una testa nera.
Trasalendo, si tirò indietro. «Ehi! Tutto bene?»
Era una ragazza, sdraiata per terra. Come aveva fatto a non vederla?
«...sì» mormorò lei.
Imbarazzato, lui tirò dritto. «Meno male.» Fu lesto a muoversi per
andare via: indugiare sui disastri gli dava fastidio. Meglio
dimenticarli subito e passare oltre.
Si sentì prendere un braccio. Era la ragazza che aveva pestato, che
d'improvviso gli bloccava la strada.
Lei lo guardò speranzosa. «Scusami, ma...»
Mamoru la riconobbe. «Tu non sei l'amica di Odango?» Quella che aveva
cercato di salutarlo, e che sembrava una liceale.
«Esatto! Sono Rei Hino. Ma tu chiamami pure Rei-chan.»
Eh?
Perché tanta confidenza?
Col braccio la ragazza stringeva il suo in una morsa.
«Non ti sei fatto male, vero?»
Lui? «No, direi di no. Almeno, io no.» Lei forse sì invece, alla testa,
dato che stava dicendo sciocchezze. D'altronde, era amica di Odango.
La ragazza premette il petto contro l'interno del suo gomito, senza
rendersi conto di quanto gli stesse facendo sentire la forma dei seni.
Era una bambina, Mamoru lo capì in quel momento. Era ingenua e troppo
piena di entusiasmo.
«Ti chiedo scusa!» gli disse lei. «Per farmi perdonare vorrei offrirti
una tazza di tè!»
«Per farti perdonare cosa?» Era pazza.
Lei chinò il capo, cercando di inventarsi qualcosa. «Ecco... per averti
costretto a metterti un piede in testa!»
«Eh?» Non era nemmeno una scusa decente, ma il tentativo di uscire con
lui era tenero, per quanto era sfacciato. Comunque, non si era appena
ripromesso di non dire di no alla prima occasione disponibile? Eccone
una. «Okay» rispose. «Per un tè si può anche fare.»
«Dici davvero?»
Lei si era illuminata. Non era solo carina, ma proprio bella. «Sì»
ribadì Mamoru, ancora più convinto.
Gioiendo, la ragazza stritolò con più forza il suo braccio,
trascinandolo con sé in una mezza giravolta. Lo fece muovere nella
direzione da cui lui era arrivato. Non gli aveva nemmeno chiesto dove
volesse andare, e lo stava tenendo a braccetto come se avessero già una
relazione.
«Ehm...»
«Ti andrebbe un locale carino? Ne conosco giusto uno!»
Quella tizia era troppo audace. «Sì, ma... Scusa, non sai nemmeno come
mi chiamo.»
«Be', me l'ha detto Usagi, no? Parla sempre di te.»
Ah, sì? «Nemmeno Odango conosce il mio nome.»
La ragazza, Rei Hino, fece spallucce. «Lo ha imparato ieri. Motoki ci
ha detto un po' di te. È vero che vivi da solo?»
L'intrusione nella sua vita privata fu un po' troppo per lui. «Sì.»
Staccò il braccio da lei. «Vivo per conto mio e mi chiamo Mamoru Chiba.»
Hino era soddisfatta. «Sei al primo anno della Todai, vero?»
«Già.»
«Io frequento la seconda media all'istituto T.A!»
Quindi lei aveva la stessa età di Odango. «Senti, non ti sembra
sconveniente uscire con uno studente universitario?»
La ragazza - Hino - sbatté le palpebre. «Tu non hai diciassette anni?»
Tra poco lei gli avrebbe rivelato persino la sua data di nascita.
«Già.» Motoki le aveva detto proprio tutto.
«Sono solo tre anni di differenza! Ma anche se tu fossi stato un po'
più grande... Io vivo da sola con mio nonno. Ho un ottimo profitto
scolastico e a volte mi occupo del tempio che gestiamo insieme. Sono
molto matura per la mia età.»
Il fatto stesso che lei lo stesse dicendo dimostrava che voleva
sembrare più grande. Era un sentimento che Mamoru riusciva a
condividere.
Hino lo guardava speranzosa. «Non è vero che sembro adulta? Anche di
viso.»
«... sì.» Ma lei era comunque piccola. Troppo per lui.
Alla fine, le aveva detto di sì solo per un tè. A fine appuntamento
l'avrebbe scaricata.
Non disse nulla e dopo un po' il silenzio di lei lo stupì. Fino a quel
momento Hino aveva parlato ininterrottamente.
Si ritrovò a guardarla e lei ricambiò l'occhiata con un sorriso quieto.
«Ti va di parlarmi un po' di te?»
D'improvviso Hino aveva assunto un atteggiamento più maturo. «Ecco...»
Rimase in attesa di una domanda più specifica, ma seguendo le regole di
un nuovo gioco lei rimase ad attendere che fosse lui a continuare la
conversazione.
«Studio per diventare medico.»
Hino annuì.
«Non ho ancora deciso in cosa specializzarmi.»
«È una scelta difficile.»
Era una considerazione intelligente, per quanto vaga. «Esatto.»
Hino aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse subito. Stava
cercando di trattenere il fiume di parole; voleva impressionarlo.
Mamoru sorrise. «Tu sai già cosa vuoi diventare?»
«Per me è presto. Per ora studio con attenzione e seguo le mie
passioni. A scuola ho praticato tiro con l'arco.»
«Davvero?» Era uno sport interessante.
«Sì, cioè... lo praticavo. Ho deciso di smettere dopo il primo anno. Il
nonno ha bisogno di me al tempio.»
Rei Hino era una ragazza che teneva alla famiglia.
Lei tornò allegra. «Mi piace suonare il pianoforte e partecipare alle
attività del mio istituto quando ho tempo. L'anno scorso ho organizzato
lo stand della mia classe per il festival scolastico. Tu facevi qualcosa
per i festival?»
«No. Sono un tipo solitario.»
«Oh, ma certo. È una cosa positiva.»
Ah, sì?
«Voglio dire... Ognuno ha il suo carattere, no?» Il sorriso di lei si
allargò oltre misura. «Io sono una ragazza vivace, ma mi farebbe bene
qualcuno di più calmo.»
L'allusione era evidente.
Mamoru cercò di sviare il discorso. «Mi stai portando in qualche posto
in particolare?»
Sorpresa, lei tornò a guardare la strada. «Oh, sì! Dobbiamo girare
l'angolo, andiamo!» Lo afferrò di nuovo per il braccio.
Di fronte a tanta irruenza, Mamoru non ebbe modo di protestare.
Una volta seduti al tavolo della caffetteria, Hino si fece di nuovo
silenziosa.
Mamoru aveva l'impressione che lei stesse elaborando un'altra strategia
per impressionarlo.
Volle farle una domanda. «Come mai sei amica di Odango?» Per un momento
pensò di chiamare Testolina a Odango col suo nome, o Tsukino, ma non
voleva essere disonesto: Usagi-Odango non gli stava simpatica.
Hino fece spallucce. «Così, capita di incontrarsi... Sai l'altra
ragazza che era con noi ieri? Ami Mizuno. È un'amica comune.»
«Ho capito.»
Hino bloccò una nuova domanda sul nascere. Giocherellò con le dita sul
tavolo, mordendosi un labbro.
Sì, lei stava proprio pensando a come fargli una buona impressione.
Ti comprendo, pensò Mamoru. Se
fosse uscito con una ragazza che gli piaceva, sarebbe stato ugualmente
nervoso. Hino era coraggiosa: non si lasciava vincere dalla paura, si
era buttata. «Come si scrive il tuo nome?» le domandò.
Lei si illuminò. Gli fece vedere gli ideogrammi, disegnandoli col dito
sul ripiano del tavolo.
«Bello» commentò lui. «Spirito del fuoco.»
«Infatti» arrossì lei. «Lo trovo molto poetico.»
L'imbarazzo gliela fece sembrare ancora più carina.
Era un vero peccato che lei non avesse qualche anno di più: Hino aveva
uno dei volti più raffinati che gli fosse mai capitato di incontrare. I
suoi occhi in particolare, per forma e colore, erano unici.
Come aspetto lei era proprio il suo tipo. Forse non come carattere,
ma...
Scosse mentalmente la testa. Lei era ugualmente troppo giovane,
sicuramente immatura.
Arrivarono le loro ordinazioni.
Mamoru si accinse a bere la sua tazza di caffè.
«Ah... non ci metti lo zucchero?»
Lui assaggiò il primo sorso. «No, lo prendo senza.»
«Ah, certo. Farò così anche io.»
Lei le stava davvero provando tutte per piacergli.
Hino trovò un argomento di conversazione. «E il tuo nome come si
scrive?»
«Chiba ha il kanji della parola Terra.» Il loro pianeta. «Mamoru si
scrive nel modo convenzionale.»
Hino rifletté. «Quindi, anche il tuo nome potrebbe avere un
significato. Protettore della Terra.»
Mamoru sollevò gli occhi, sorpreso. Non aveva mai sentito nessun altro
fare quell'interpretazione. «... già.»
Gli piaceva immaginarsi come una persona con un ruolo. Come medico,
voleva proteggere gli altri dal male che distruggeva le loro vite. Era
bello pensare che il suo fosse un nome con un destino. Non aveva cara
l'idea dei suoi genitori, ma la possibilità che gli avessero dato un bel
nome, con aspettative condite da affetto, lo rincuorava quando si
sentiva solo.
Le guance di Hino si imporporarono di nuovo. «Lo trovo adatto a te.»
Altri complimenti. Ma non era spiacevole sentirli.
Fu per quello che, quando lei gli propose di andare in un parco, Mamoru
le disse di sì.
Rei Hino era una ragazza tenace, focalizzata, molto diversa da lui e
per questo interessante. Conosceva l'arte della discrezione, ma ne
faceva un uso minimo: quando voleva qualcosa glielo diceva in faccia,
senza preoccuparsi di quanto fossero evidenti le sue reali intenzioni.
Gli aveva proposto una gita in barca, nel laghetto del parco in cui
l'aveva portato.
Per Mamoru era chiaro che lei stava spuntando una lista.
Gita romantica con un ragazzo che mi piace? Fatto.
La ammirava. Lui era convinto di non preoccuparsi troppo del giudizio
altrui, ma alla fine stava sempre attento a non fare brutte figure. Hino
correva il rischio pur di avere ciò che voleva.
Andò volentieri in barca con lei. Per premiarla, innanzitutto, ma anche
per fare una nuova esperienza: non aveva mai portato una barca a remi.
Scoprì che era intuitivo e divertente.
Inoltre, il luogo in cui si erano recati gli piaceva. Non avrebbe mai
immaginato che un parco del genere si trovasse così vicino al loro
quartiere. Dal centro del lago sembrava quasi di non essere in una
grande città come Tokyo.
«Purtroppo lo demoliranno presto» gli fece sapere Hino. «Per far spazio
a degli uffici.»
Oh. La stupidità dell'essere umano non conosceva limiti. «Eppure è un
parco così bello, circondato da tanta natura...» Come si poteva
distruggere un'oasi simile?
«La pensi anche tu così, Mamoru-san?»
«Certo. Come persone dovremmo imparare a rispettare di più l'ambiente.»
Ogni volta che lui apriva bocca, l'ammirazione di Hino cresceva, come
se non avesse mai incontrato un ragazzo più intelligente.
Dopo la maniera in cui lo aveva fatto sentire Odango qualche giorno
prima, quell'atteggiamento per Mamoru era la conferma di ciò che aveva
sempre saputo: non era né infantile né da compatire. Aveva molte
qualità, che una ragazza normale notava subito.
Hino sorrise. Stava diventando più sciolta in sua compagnia.
«Senti, Mamoru-san... Mi trovo davvero bene con te.»
Lei era proprio diretta.
«Ti andrebbe se...»
Una fitta lo colpì alla testa. Si tenne la fronte con le mani,
schiacciando le tempie.
Ma cosa-?
«Mamoru-san, che ti succede?»
Il cervello gli stava scoppiando!
Sentì il verso di uno stormo di uccelli. Fece appena in tempo ad alzare
gli occhi: un intero branco si avventò su di loro, con violenza.
Un rapace schizzò dritto tra i loro corpi e Mamoru si avventò su Hino,
per provare a schermarla. Il suo balzo fece vacillare la barca. Nel
tentativo di riprendere l'equilibrio, lui finì per appoggiare tutto il
peso su un lato. L'imbarcazione si ribaltò.
Idiota!
Lo choc del contatto con l'acqua gelida lo guarì in un istante. Hino
aveva urlato, dov'era finita?
Sopra di loro, ancora immerso, Mamoru vide l'ombra della barca
rovesciata. Cercò Hino con le mani, a vuoto, poi notò la figura di lei
che risaliva rapida in superficie.
Riemerse a sua volta. «Ehi!» Respirò a pieni polmoni.
«Mamoru-san, stai bene?!»
Certo, anche se l'acqua era ghiacciata. «Dobbiamo tornare verso la
riva. Riesci a nuotare fino a lì?»
Hino annuì, coraggiosa e nel pieno controllo di se stessa.
Per precauzione lui le rimase vicino. Fino alla fine - combattendo
contro la temperatura del lago - Hino non rallentò il ritmo delle
bracciate.
Stremati, arrivarono fino al piccolo molo.
Lui spinse Hino sulle assi di legno e solo quando lei fu completamente
fuori dall'acqua si tirò su.
«Stai bene?» le domandò.
«Io sì. Tu, Mamoru-san?»
«Certo, niente di grave.» Tremava per il freddo, ma soprattutto si
vergognava. Era stato lui a farli cadere nel lago.
Perché quelli uccelli li avevano attaccati?
Hino guardava verso il parco, forse cercando lo stormo che si era
accanito su di loro. D'improvviso, si voltò verso di lui. «Mamoru-san,
tu rimani qui! Io torno subito!»
Cosa?
Non riuscì a fermarla: con incredibile energia lei si rimise in piedi e
corse via.
Lui si tirò su a sedere, appena in tempo per sentire il mal di testa
che tornava. Per fortuna non era più in acqua, altrimenti...
Non era la prima volta che aveva emicranie di quel tipo.
L'ultima fitta di dolore fu talmente forte da cancellargli ogni
pensiero.
Sentì la testa che sbatteva contro il legno del molo, poi più nulla.
Quando si risvegliò, era sdraiato sull'erba, in mezzo a una radura di
alberi.
Ma cosa-?
Aveva ancora gli abiti bagnati.
Giusto, era caduto in acqua.
Ma come si era trascinato fino a lì?
E Hino? Dov'era?
Racimolando forza, Mamoru si rimise in piedi e camminò.
Quegli episodi di emicrania stavano diventando un problema. Aveva
cercati di ignorarli, ma se non si risolvevano in fretta, avrebbe dovuto
consultare un medico. Forse si trattava di un problema grave, che stava
sottovalutando.
Non sono malato, vero?
Si rifiutò di pensarlo. Era giovane e in salute. Magari soffriva di
piccoli episodi di sonnambulismo misti a narcolessia.
Per ora l'unico suo problema erano i vestiti fradici. «Guarda come sono
ridotto...»
«Mamoru-san!»
Oh, Hino. Fu un sollievo vedere che lei stava bene. Ma perché era con
Odango?
«Sei sicuro di riuscire a stare in piedi?»
La preoccupazione di lei era gentile. «Certo, tutto a posto.» La
raggiunse e provò con nonchalance a ignorare la testa bionda accanto a
lui: non era in vena di discussioni.
Invece di parlargli, Hino iniziò a confabulare proprio con Odango. Ma
quando si erano incontrate? E perché i vestiti di lei non erano fradici
come i suoi?
Non riuscì a sentire il discorso sottovoce, ma Odango lo rese chiaro
quando iniziò a urlare. «Un tipo come questo non potrebbe mai essere
Tuxedo Kamen!»
Il nome risuonò nella sua mente come uno sparo. «Chi è questo Tuxedo
Kamen?» Finse indifferenza, ma tutto il suo cervello era entrato in
allerta.
«Nessuno» ridacchiò Hino. «Non ti preoccupare!»
Invece si preoccupava. Il suo sogno si era infiltrato nella realtà? O
viceversa.
Scosse la testa, cercando di schiarirla.
Era vera la seconda opzione, per forza: aveva sentito il nome Tuxedo
Kamen dove lo avevano sentito Hino e Odango.
Giusto?
Doveva chiedere a Hino altre informazioni, appena fossero stati di
nuovo soli.
«Ah, Usagi-san!»
Un ragazzo era apparso da dietro un'aiuola. Aveva chiamato Odango col
suo nome di battesimo.
«Umino...» bofonchiò lei. Era imbarazzata, una cosa strana per un
essere senza pudore come lei.
Il ragazzino occhialuto raggiunse il loro gruppo. «Ti ho cercata
dappertutto! Dài, continuiamo il nostro appuntamento!»
Ah. Quindi anche Usagi-Odango aveva interessi amorosi.
«Umino, non inventarti le cose...»
«Ma che dici, Usagi-san? Sei stata tu a invitarmi, no?»
Lei si ritrovò scoperta, senza la possibilità di ritrattare.
«Quindi è così che stanno le cose» la prese in giro Mamoru.
Odango digrignò i denti, cercando di nascondersi nelle spalle. «N-no,
non è come pensate!»
Ma certo che sì. Non doveva vergognarsi di avere un fidanzatino adatto
a lei.
Vederla rossa come un peperone era uno spettacolo, quasi sufficiente a
fargli dimenticare i suoi problemi.
«Non è come pensate!» urlò Odango.
Mamoru evitò a stento di coprirsi le orecchie.
«Basta gridare!» la rimproverò perentoria Hino. «A nessuno importa con
chi vuoi uscire!»
«Non sto uscendo con lui! Umino, ti sei confuso!»
«Ma Usagi-san...» Il ragazzino stava per mettersi a piangere.
Hino girò intorno alla nuova coppia, prendendo Mamoru a braccetto.
«Andiamo via, Mamoru-san. Hai bisogno di asciugarti.»
«Ehi!» L'attenzione di Odango fu tutta per loro. «Dove andate?!»
«Dove vogliamo noi!»
Mamoru non vide il sorriso smagliante di Hino, ma sentì tutta la
spavalderia di lei. Non lo disturbò giocare a quel gioco: era normale
che Hino fosse fiera di accompagnarsi a un ragazzo del suo calibro, a
confronto del ragazzino delle medie con cui stava la sua amica.
«Ci si vede!» Hino sbeffeggiò Odango con un saluto della mano.
Mentre ormai se ne stavano andando, Odango non rimase in silenzio.
«Uscire con lui è una cosa immorale!»
Mamoru sobbalzò: Odango aveva la capacità di colpire esattamente nel
punto giusto.
Hino sbuffò. «Cosa ne sa lei? È una tale bambina! Scommetto che
troverebbe immorale persino andare oltre la stretta di mano! Non sa cosa
significa essere grandi!»
Mamoru sentì il bisogno di ricordare a Hino che nemmeno loro dovevano
scoprirlo - almeno, non insieme. Districò il braccio dalla sua stretta.
La delusione di lei fu talmente forte da farlo sentire in colpa.
«Ascoltami...»
«Non dire nulla. Corro troppo, vero? Ma mi piacerebbe rivederti. Mi
piacerebbe davvero tanto.»
Mamoru non seppe come rispondere.
«Pensaci, okay? Intanto andiamo a trovare un posto dove asciugarti.»
Già. «Ma tu? Come mai sei asciutta?»
Hino sobbalzò. «Ecco... ho incontrato una compagna di classe! Aveva un
uniforme in più!»
Ah, sì?
«Sai, era appena andata in palestra, per questo non la indossava. È
stata così gentile da prestarmi i suoi vestiti.»
Che coincidenza. Comunque, era l'unica spiegazione plausibile.
Lui ora doveva tornare a casa. «Per asciugarmi farei meglio ad
andare...»
«Oh, ma casa tua sarà lontana! Ti ammalerai! No, lascia fare a me!
Conosco benissimo questa zona!»
Ancora una volta, Mamoru non seppe difendersi dall'entusiasmo di lei.
Hino lo trascinò in un negozio di abiti. Fu tanto audace da proporre
persino di regalargli una nuova camicia. «In fondo, siamo caduti in
acqua perché mi hai difesa...»
Lui alzò una mano, proteggendosi dallo sguardo sognante di lei. «Mi
pago i vestiti da solo.»
«Come vuoi.»
Durante la conversazione ne approfittò per domandarle di Tuxedo Kamen.
Hino fece spallucce. «Sai gli scontri di cui si sente parlare in città?
Alle guerriere Sailor si è aggiunto un ragazzo mascherato che si fa
chiamare Tuxedo Kamen. Dicevo a Usagi che tu gli somigli.»
Lui rimase a riflettere, poi si accorse dell'attenzione con cui lei
stava aspettando una sua risposta.
«Impossibile» sentenziò.
«È solo che mi sembra un tipo tanto affascinante...»
Stava dicendo che lo era anche lui? «Tu mi lodi troppo.»
«Dici?» Hino gli regalò un sorriso radioso. Non aveva alcuna vergogna a
mostrare il suo interesse per lui.
«Dico solo la verità» aggiunse lei. «Comunque, se ti danno fastidio,
non parlerò più di queste sciocchezze.»
Già. Sailor Moon, Tuxedo Kamen... Solo assurdità. Lui aveva letto o
sentito nominare il nome del nuovo super-eroe mascherato da qualche
parte, magari alla radio, o in un giornale. Poi aveva immaginato di
essersi inventato da solo l'appellativo e le circostanze.
Stava impazzendo. Doveva ritrovare il contatto con la realtà.
Hino guardava per terra, appoggiata a uno stand di vestiti. «Ti
andrebbe di uscire un'altra volta con me?»
«Sì» rispose lui, senza pensare.
La felicità di lei gli confermò di aver fatto la scelta giusta.
Aveva bisogno di interazione umana. Necessitava di pensare a qualcosa,
a qualcuno, che non fossero le solite follie partorite dal suo cervello.
La solitudine gli faceva male.
«Mamoru-san?»
Si concentrò. «Scusa, ero distratto. Vuoi bere un altro tè, dopo, per
riscaldarci dopo il bagno?»
La gioia di Hino fu immensa.
11 - In compagnia - FINE
NdA: E
così Mamoru ha fatto la conoscenza di Rei. Che ne pensate? :)
ellephedre
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Capitolo 12 *** Ingenua ***
primevoltechetividi11
12 - Ingenua
La volta dopo, trovai te ingenua e
lei... interessante.
Rei Hino era un tormento.
Era bella, vivace e intelligente, ma al contempo autoritaria e
prevaricatrice.
Negli incontri che aveva con lei, Hino parlava soprattutto di se
stessa. A lui piaceva ascoltare, e trovava tenero che lei avesse tanto
bisogno di qualcuno che le prestasse attenzione, ma aveva l'impressione
che Hino non lo trovasse poi così interessante. Le piaceva il suo
background - il fatto che lui vivesse in un bell'appartamento da solo e
studiasse in un'università prestigiosa. Lei gradiva anche il fatto che
fosse un ragazzo tranquillo e maturo. Ma al di fuori di ciò, non erano
molto compatibili. Mamoru era convinto che anche Hino lo percepisse.
Quando lui rimaneva in silenzio, lei attaccava con un discorso
qualunque, come se il non parlare fosse segno che qualcosa tra loro non
andava per il verso giusto.
Avevano interessi opposti. A Hino piacevano la musica, i drama, i
manga. A lui scienza, medicina, storia. Amavano entrambi il cinema, ma
anche in quel comparto i loro gusti erano diversi: lui preferiva i
drammi, lei i film d'azione o le commedie romantiche.
Sotto la facciata di eleganza e grazia, Hino era una ragazza molto
normale, con gusti quasi... rozzi? Lui l'avrebbe apprezzata maggiormente
se lei fosse stata più genuina nel porsi. Era così concentrata a
sembrargli posata, ben educata e dolce che Mamoru sentiva di non
conoscere ancora la vera Rei Hino.
Forse per questo accettava ancora di uscire con lei, per capire che
tipo di ragazza fosse davvero.
Nonostante tutte le cose che non funzionavano nei loro incontri, Mamoru
la considerava una creatura interessante. Ammirava soprattutto la sua
determinazione: forse Hino non sapeva esattamente cosa voleva, o chi
era, ma almeno aveva il coraggio di scegliere una strada qualunque e
percorrerla. Era un atteggiamento più produttivo del suo, che
apaticamente attendeva che le cose gli capitassero - almeno, a livello
di relazioni personali.
In ogni caso, Hino non accettava rifiuti. Non gli dava nemmeno il tempo
di formularli quando lo chiamava.
«Ciao, Mamoru-san! Sei libero questo pomeriggio?»
«Ciao, Rei-san. Ecco...»
«Questa volta ho pensato a una nuova libreria, con caffetteria annessa.
Ne ho sentito parlare molto bene. Ci incontriamo al solito posto alle
cinque?»
«Ah... okay.»
«Perfetto, non vedo l'ora di vederti!»
Forse erano quelle annotazioni dolci a convincerlo a incontrarla, di
volta in volta. Era piacevole sentire che qualcuno aveva voglia di
passare del tempo con lui.
Quando si vedevano, Mamoru non poteva fare a meno di notare quanto lei
fosse bella. Quella di Hino era un'avvenenza ancora in via di formazione
- il viso di lei era ancora un pochino troppo rotondo per essere maturo
- ma i suoi tratti erano un piacere per gli occhi. Lui si riscopriva a
guardarla e lei lo notava. Hino sorrideva, non si imbarazzava. Flirtava.
Era un'interazione stimolante. Gli spiaceva darle false speranze, ma
trovava l'esperienza preziosa: esercitandosi in quelle situazioni non
sarebbe stato completamente a disagio quando avesse dovuto flirtare con
una ragazza che gli interessava sul serio.
Non aveva ancora avuto il coraggio di dire a Motoki che stava uscendo a
con una ragazzina delle medie. Forse lui non lo avrebbe giudicato, ma
Mamoru temeva la minima presa in giro: era sensibile sull'argomento.
Si scopriva a rispondere ad accuse che non gli erano ancora state
mosse.
'Io ho un anno meno di te.'
'Non ho la tua esperienza.'
'Se vuoi proprio saperlo, non sono mai uscito con una ragazza.'
Ecco. Quella non era un'informazione che teneva a condividere con
Motoki. Era abbastanza sicuro che il suo amico avesse intuito la verità,
ma se ne avesse avuto la conferma, Mamoru non si sarebbe più sentito
libero di parlargli da pari di ragazze. A Motoki sarebbe sembrato un
novellino ansioso di sapere ogni volta che ascoltava con attenzione il
racconto di come gli andavano le cose con Reika.
Scocciato dal bagliore del sole che si rifletteva sullo schermo della
consolle, Mamoru tornò a indossare gli occhiali da sole, provando a
concentrarsi sulla partita.
Quel gioco non era granché. Forse doveva tornare su Metal Slug, per
cercare di battere il suo record.
«Ciao, Motoki-oniisan!»
Odango.
Era sola. Quindi la storiella col compagno di classe occhialuto non era
approdata da nessuna parte.
Lei andò a parlare a Motoki. «Motoki-oniisan, non sai cosa mi è
successo!»
«Ti vedo molto giù, Usagi-chan. Racconta.»
Quei due si comportavano davvero come se fossero un fratello e una
sorella.
Mamoru evitò di palesare la sua presenza, benché fosse sicuro che Odango
lo avesse visto. Si ignorarono di comune accordo.
«Motoki-oniisan, nessuno è gentile con me!»
«A chi ti riferisci?»
«Mia madre, mio fratello. Lu- Cioè, Ami. Nessuno mi capisce!» Odango si
abbandonò su una sedia, gli occhi gettati al cielo. «È così sbagliato
avere un sogno per il futuro?»
Motoki si incuriosì. «Oh. Hai deciso cosa vuoi fare da grande?»
«Esatto! Sai che il grande fotografo Kijin Shinokawa ha deciso di
indire un casting per modelle?»
«Kijin Shinokawa... dove l'ho già sentito? Ah, aspetta. È il ragazzino
che ha vinto il concorso di fotografia nazionale!»
«Proprio lui! Ho mandato una mia foto al suo studio, sai? Nel
regolamento dice che possono candidarsi tutte le ragazze dai 13 ai 29
anni, quindi ho deciso di partecipare! Sarà un'esperienza bellissima!
Appena ci ho pensato ho capito che sarebbe proprio adatto a me fare la
modella!»
Mamoru trattenne uno scoppio di risa.
«Sono simpatica e abbastanza carina, no? Mi impegnerò tantissimo se mi
scelgono. Studierò recitazione, canto, portamento-»
Veramente per fare i modelli non era necessario studiare, pensò Mamoru.
«Imparerò tutto il necessario! Ma appena sono andata a dirlo a mia
madre, quell'antipatico di mio fratello Shingo si è intromesso dicendomi
che non riuscirò mai a far avverare il mio sogno. Uffa, Motoki-oniisan!
So che ci sono ragazze più belle, ma conta anche l'impegno, no? E quanto
si desidera una cosa! Io la voglio tantissimo, non è giusto che pensino
che fallirò ancora prima che abbia provato!»
Quell'ultimo discorso aveva un senso, anche se ovviamente il mestiere
di modella era totalmente fuori dalla portata di Odango. Perché poi lei
desiderava passare la vita a farsi fotografare? Era un sogno vuoto, così
superficiale.
Motoki le stava già dicendo la sua. «Hai ragione, Usagi-chan. Non
bisogna rinunciare in partenza solo perché si pensa che non andrà bene.
L'importante è provare tutto ciò che si vuole.»
«Motoki-onisaan, tu sei l'unico che mi parla così gentilmente.»
C'era un motivo. Mamoru tolse gli occhiali. «Motoki ha ragione, ma ciò
non toglie che ti scarteranno comunque. Certo, l'importante è
partecipare.»
Capì di aver parlato con più sarcasmo di quanto aveva voluto, ma vedere
le penne arruffate di Odango lo convinse a non moderarsi.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere!»
«E io te lo dico comunque.» Bisognava pure che lei affrontasse la
realtà prima o poi. Odango doveva maturare, come gran parte del mondo
che li circondava. «Ultimamente uomini e donne hanno le idee un po'
confuse. Pensano che basti conciarsi bene fuori per essere considerati
belli. La bellezza, anche nelle ragazze, non è solo questione di
estetica.»
Lasciò interdetta Odango. «E cosa sarebbe, allora?»
Era semplice. «Ciò che si ha dentro.» E se proprio doveva descrivere...
«Una bella ragazza è una che sa essere coraggiosa e generosa, e che
possiede forti ideali in cui credere.» Hm, lo aveva detto proprio bene.
Anche Odango era colpita. «Una ragazza coraggiosa?»
«Esatto. Ovviamente tu non hai nessuna di queste qualità.» Ma perché
gli uscivano simili frasi?
Perché era un gioco, si rispose da solo guardando Odango. Lei,
incapponendosi e rispondendogli a tono, giocava esattamente come voleva
lui.
Gli mostrò una linguaccia. «Ma certo, figurarsi se sono così!»
In ogni caso, lei non era sola nella sua superficialità. «Per quanto
riguarda il tuo fotografo, se gli va bene fotografare qualunque ragazza
purché sia giovane, penso che sia un professionista di second'ordine -
anzi, di terz'ordine, .»
Odango non lo resse più. «Basta, non voglio più vedere la tua faccia!»
Impettita, uscì dalla sala giochi, senza neppure salutare il suo
fratellone Motoki.
Mamoru si divertì a guardare la marcia che lei stava compiendo sul
marciapiede.
Motoki aveva qualcosa da dire. «Non dovresti trattarla così, sai? È una
ragazza, non è più una bambina.»
Il punto era proprio quello. «Lo so. Il fatto è che quando ci parlo
finisco sempre col litigarci.» Odango tirava fuori... be', non il peggio
di lui, ma qualcosa di lui che non mostrava ad altri. «Suppongo che non
siamo molto compatibili.»
Motoki rilasciò uno sbuffo. «Se tu fossi meno caustico con lei,
scopriresti che è una ragazza molto dolce.»
Dolce? «È troppo ingenua. Non dovresti assecondarla.»
«Perché? Alla sua età è giusto sognare.»
«Più si sogna, più è doloroso cadere.»
Motoki sospirò. «Parli come un vecchio, Mamoru.» Se ne andò,
lasciandolo solo.
Mamoru non se la prese per il commento. Sì, era un vecchio-giovane. La
vita lo aveva costretto a diventarlo.
Guardò le porte da cui Odango era uscita.
Meglio essere come lui che vivere nel mondo delle favole.
«Mamoru-san?»
Il giorno successivo si dimenticò di non rispondere al telefono. Si
ritrovò con una smorfia in faccia nel rispondere a Rei Hino. «Ciao, Rei-san.»
Provò a precederla. «Veramente oggi...»
«Come stai?»
«Ah... Bene.»
«È qualche giorno che non ti sento. Mi... mancava la tua voce.»
Lui sentì un fiotto di calore che saliva al viso. Non riuscì a dire
nulla.
Udì un sorriso rapido di lei, un poco imbarazzato. «Come sta andando
l'università?»
Hino non gli chiedeva di uscire? «Bene. Come al solito.»
«Sono contenta. Sai, ti chiamavo solo per parlare un po'. Mi sono resa
conto che finora ti ho sempre tartassato per portarti fuori, quindi, per
una volta...»
Sentirla così percettiva e consapevole gliela fece apprezzare molto più
di quanto avesse creduto possibile. «A te come va con la scuola?»
«Bene! Sai, oggi in classe abbiamo parlato di...»
La ascoltò, con genuino interesse. E durante la conversazione si scoprì
a pensare che, forse, l'esperienza che stava vivendo con Hino poteva non
essere solo un esperimento.
Forse. Chissà.
12 - Ingenua - FINE
NdA: Non
siate troppo gelose, fan di Usagi e Mamoru. Bisognava pur mostrare che
da parte di Mamoru c'era stato un minimo interesse per Rei. Mi sto
divertendo a descrivere la cosa: lui vede un sacco di difetti in Rei
ma con qualche occasionale uscita lei riesce a tenere viva
l'attenzione di lui, seppure
sia ancora una ragazzina che a sua volta si sta appena avventurando
nel mondo degli appuntamenti. Penso che sia questo che ci sia
stato da principio, tra questi due.
Poi
Mamoru tornerà a essere scocciato da lei. Rei, essendo più giovane (e
testarda) ci metterà molto più tempo a rendersi conto che lui non è
interessato quanto dovrebbe esserlo un fidanzato. Ma per ora andrà
avanti così. Rei è decisa, Mamoru non sa bene come dirle di no e
d'altronde non ne ha motivo: Usagi è ancora troppo Odango per
sconvolgergli la vita. A quello arriveremo piano piano, insieme a lui
;)
Grazie
per aver letto, fatemi sapere che ne pensate del capitolo!
ellephedre
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Capitolo 13 *** Una videogiocatrice ***
primevoltechetividi12
13 - Una videogiocatrice
Quella volta mi facesti tenerezza
Per qualche giorno Mamoru aveva deciso di non rispondere più a Rei
Hino. Si sarebbe finto impegnato e avrebbe lasciato partire la
segreteria. Non era un atteggiamento onesto da parte sua, ma ormai si
era reso conto di essere facilmente manipolabile dalle ragazze.
L'ultima volta che erano usciti insieme Hino lo aveva convinto ad
andare a una mostra di bambole artigianali.
Lui non era fissato su una concezione rigida della virilità e poteva
apprezzare un hobby tipicamente femminile... in teoria. Nella pratica
aveva trovato la mostra noiosa e aveva finto interesse solo per far
felice la ragazza che lo aveva convinto a visitarla. Si sarebbe
ribellato se avesse intuito che Hino stava cercando attivamente di
rigirare la sua gentilezza contro di lui, ma non era quello il caso. Se
lei lo vedeva annoiato gli chiedeva cosa c'era che non andava e sul suo
volto appariva un'espressione di lieve ansia, genuina e dolce. Temeva il
suo giudizio; se lui fosse stato sincero l'avrebbe ferita.
Non gli andava di farlo e perciò stava scegliendo una strategia di fuga
che in passato aveva giudicato codarda.
Ora capiva perché gli uomini non parlassero chiaro con le donne:
temevano la loro delusione. Era più semplice tergiversare o evitare la
discussione.
Appoggiato sul bancone dal Crown, da un lato insolito della barricata,
ci pensò su. Un giorno avrebbe dovuto dire a Hino che non voleva più
uscire con lei. Non era sicuro di farcela nell'immediato: Rei Hino aveva
già dimostrato di saper ricatturare il suo interesse appena sentiva che
stava svanendo. Era desiderosa di compiacerlo e questo - Mamoru era
capace di ammetterlo - solleticava il suo ego.
Si stampò un sorriso in faccia quando le porte del Crown si aprirono.
Quel giorno sostituiva Motoki al banco e toccava a lui accogliere i
clienti. Il ragazzino che era appena entrato venne da lui e gli chiese
di cambiare una banconota da mille yen in gettoni per le console.
Mamoru eseguì. Se la cavava con la cassa, gli era già capitato
saltuariamente di svolgere il mestiere di commesso.
Poteva approfittarne per studiare, una cosa comoda. Nella sua totalità
comunque il mestiere era noioso e per fortuna la sostituzione sarebbe
durata solo un altro pomeriggio. Motoki si era beccato una brutta
influenza, ma era già in via di guarigione.
Udì lo scorrere delle ante in vetro all'entrata. Usagi Tsukino entrò
allegra, con un braccio alzato. «Motoki-oniichan, buon pomeriggio!»
Mamoru si mangiò una risata. Odango riaprì gli occhi e lo notò al
bancone. Boccheggiò e iniziò a camminare all'indietro, a gambero.
«Scappi, Testolina a Odango?»
«Non mi chiamare così!»
Lui non aveva alcuna intenzione di scusarsi. Squadrandola, la sfidò ad
avanzare senza paura. Oppure lei aveva intenzione di rinunciare al suo
pomeriggio di giochi?
Odango rimase coi piedi incollati al pavimento, a un metro dall'uscita.
«Dov'è Motoki-san?»
«Il tuo fratellone è a casa malato.»
«Oh no, sta bene?»
La preoccupazione di Odango era genuina. «Domani sarà qui, questo è il
secondo giorno che lo sostituisco.»
«Poteva trovare qualcuno di migliore. Quanti clienti avrai già fatto
scappare?»
Ha! «Invece la clientela è aumentata. Qualcuno mi trova gradevole, a
differenza tua.»
«Perché non ti conoscono!»
La sua linguaccia lo lasciò freddo; non aveva intenzione di scendere al
suo livello. «Tu invece mi temi così tanto da non avere il coraggio di
affrontarmi, hm?»
«Chi lo dice? Dammi subito dieci gettoni!»
Lui li tirò fuori dal cassetto sotto il bancone. «Non hai cose migliori
in cui spendere i tuoi soldi?»
«Che razza di commesso sei? Dirò a Motoki che dici alla gente di non
giocare!»
Mamoru si sentì in colpa. «Non lo dico agli altri, solo a te! Dovresti
investire in un buon libro, Odango, lo dico per il tuo bene.»
«Non mi interessa quello che pensi!» Lei afferrò i gettoni senza
neppure attendere il resto. «Alle persone fa bene divertirsi e se lo
facessi di più anche tu non avresti quel caratteraccio!» Se ne andò,
lasciando Mamoru a ribollire sulla sua seggiola.
Come faceva Odango a toccare sempre punti scoperti del suo animo?
Rimase a battere il dito sul bancone mentre lei si accomodava davanti a
un videogioco e iniziava a battere furiosamente sui tasti, probabilmente
immaginando che fossero la sua testa.
Il cattivo umore non lo abbandonò per almeno dieci minuti. Dedicò
attenzione agli altri clienti e provò a concentrarsi su un libro, ma
nulla: il pensiero di essere stato criticato da un esserino come lei gli
rodeva fin nel profondo.
Alzò gli occhi. Odango giocava ancora, ma la sua espressione era
cambiata. Era felice ora e si era completamente dimenticata del loro
alterco. Rilasciò un'esclamazione di delusione di fronte all'ennesima
sconfitta. Dopo un istante di delusione si morse le labbra e iniziò a
guardarsi attorno. Incrociò i suoi occhi un attimo prima che lui li
scostasse, fingendo di interessarsi ad altro.
Con circospezione, Mamoru tornò a guardarla solo dopo un lungo attimo.
Odango stava sgranocchiando patatine da un sacchetto che aveva tirato
fuori dalla cartella. Era rimasta seduta al suo posto e osservava le
schermate che scorrevano in background sulla console.
Stando seduta occupava la postazione, a che stava pensando?
Mamoru si alzò in piedi, afferrando le monete che lei aveva lasciato
sul banco. Prima di procedere studiò la reazione che stava avendo. C'era
poca gente nella sala giochi, perché voleva cacciarla a tutti i costi
dalla sedia? Era così ligio alle regole da non saperle adattare alle
circostanze?
Be', era uno dei tanti motivi per cui aveva smesso di fare il commesso:
non aveva pazienza coi clienti.
Si rimise seduto e cercò di non concentrarsi troppo su Odango,
fallendo. Perché lei guardava lo schermo della console con tanta
fascinazione?
Le si avvicinò un ragazzino. «Scusa...»
Lei saltò subito in piedi. «Ci giochi tu? Posso guardarti?»
Il ragazzino di prima media fu conquistato dalla sua allegria. «Sì, tu
hai finito i gettoni?»
«Mi succede quando provo i giochi per la prima volta, non sono brava!
Stavo guardando le immagini della storia, pensi che faranno mai un
anime?»
«È in produzione!»
«Wow, non vedo l'ora di vederlo!»
Quindi era così? Per essere felice le bastava rimirare dei disegni
pixellati, immaginando che storia ne sarebbe venuta fuori?
... aveva voglia di prenderla in giro perché lui non era in grado di
accontentarsi di così poco. Alcune persone avevano
un'attitudine alla felicità che eclissava quella delle altre.
Forse lui trovava Odango tanto irritante perché ne era un po'
invidioso.
Il ragazzino giocò un paio di partite, incitato da lei. Si arrese dopo
il secondo tentativo. «Questo gioco è davvero difficile, sorellona!
Torno a giocare all'altro, altrimenti mi finiscono tutti i gettoni.»
Odango lo comprese. «Certo, ciao!» Rimuginando appoggiò di lato il
sacchetto di patatine e frugò nella tasca della cartella, alla ricerca
di altri soldi.
Senza sapere cosa gli era preso, Mamoru lasciò sgusciare una mano nel
cassetto dei gettoni, recuperandone uno. «Odango!»
Lei si accigliò. «Non ti rispondo se mi chiami così!»
«Peccato, volevo dirti che assieme al tuo resto hai dimenticato un
gettone.»
Il modo in cui il suo viso si illuminò fu al contempo comico e...
qualcos'altro.
«Davvero?»
Lui lo sollevò tra le dita.
Come se stesse andando dal suo salvatore invece che dal ragazzo che
considerava il diavolo in persona, Odango gli corse incontro. Sentendo
che lei si sarebbe spinta a sfiorare la sua mano pur di prendere il
gettone, Mamoru lo appoggiò sul bancone, tenendosi a debita distanza.
Lei recuperò i suoi averi in un'unica passata. «Grazie!» cantilenò.
Il sorriso che gli lanciò gli causò un rimescolio, così strano e
incomprensibile che lui prese subito una decisione. «Di niente» rispose
atono, afferrando il suo libro di medicina. Non alzò più gli occhi dal
bancone, neppure quando dopo dieci minuti udì un allegro, «Di' a Motoki
che domani torno a vederlo!»
«Ah-ha.»
Quando fu certo che non ci fosse più pericolo di vederla, sollevò lo
sguardo e restò a fissare il vuoto.
Prima di dimenticarsene tirò fuori il portafogli e mise nella cassa
l'equivalente del prezzo di un gettone.
Le aveva offerto una giocata.
Non voleva dire niente. Era solo stato gentile verso una ragazzina che
gli suscitava compassione.
Si impose di non pensare più all'episodio - mai, mai più.
13 - Una videogiocatrice
NdA: Mi sembra incredibile la facilità con cui mi è uscito dalle dita
questo capitolo. Si vede che mi mancava scrivere di Usagi e Mamoru in
questo periodo della loro conoscenza, erano davvero teneri! Lui
soprattutto secondo me, si sarà capito.
Questo episodio si colloca dopo il capitolo 18 della prima serie ('Sam
e le bambole') e prima del capitolo 19, in cui Usagi riceve una lettera
d'amore da un finto Tuxedo Kamen.
Sappiate che dovete questo capitolo a Erica, che ha raccolto il mio
appello ed è diventata una mia sostenitrice su Patreon.
Al livello Adoratori di Elle (sì, è ultra-ironico) potete scegliere una
storia della mia saga di almeno 1000 parole da farmi scrivere :) Sono
tempi difficili e bisogna ingegnarsi. Ho cercato di unire l'utile al
dilettevole, dopo essermi informata sulla legalità dell'operazione (si
può ricevere un singolo corrispettivo anche per le fanfiction, a patto
che siano fatte su commissione, proprio come per le fanart).
Fatemi sapere che pensate di questa escursione nel passato di Usagi e
Mamoru, mi raccomando!
Elle
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Capitolo 14 *** La principessa dei miei sogni ***
primevoltechetividi14
14 - La principessa dei
miei sogni
In quel sogno fui incantato da te e caddi tra le tue braccia
Il suo problema stava assumendo contorni psichiatrici. Come semplice
studente di medicina Mamoru non era abbastanza preparato per elaborare
una diagnosi, ma quello che gli capitava non era normale.
Per l'ennesima volta era stato colpito da una fortissima emicrania in
pieno giorno, in questa occasione in mezzo alla strada. Quando era
rinvenuto si era ritrovato in un vicolo, a una ventina di metri dal
punto in cui ricordava di aver perso i sensi. Nel mentre la luce era
cambiata: un attimo prima lui tornava a casa col sole alto nel cielo e
quello dopo era buio. Si era spaventato: secondo il suo orologio era
trascorsa più di un'ora.
Che cos'era? Sonnambulismo? Narcolessia associata ad allucinazioni?
Aveva sognato durante il breve blackout, un sogno vivido. Continuava a
indossare i panni del super-eroe Tuxedo Kamen, ma non si stupiva di
averlo sempre in testa: quella mattina il misterioso individuo in cappa
nera aveva mandato una lettera romantica a decine di giovani ragazze di
Juuban - un gesto ridicolo e sospetto. Persino Odango ne aveva ricevuta
una. Da scioccherella qual era si era disperata perché non era stata la
sola destinataria della missiva d'amore. In un gesto insolito Odango
aveva ignorato Motoki che le consigliava di non presentarsi
all'appuntamento.
Per far passare meglio il messaggio Mamoru l'aveva presa in giro. «Sei
così disperata da volere attenzioni da un pazzo che va in giro con lo
smoking?»
La strategia non aveva funzionato. «Che ne sai tu dell'amore?!» aveva
ribattuto lei, tirando fuori la lingua di dieci centimetri.
Mamoru si era figurativamente lavato le mani di quella ragazzina.
Probabilmente però gli era rimasto un vago senso di colpa al pensiero di
non averla convinta a stare lontana da quel tipo; per questo aveva
sognato di essere lui. Sempre per la stessa ragione, per forza, aveva
avuto a che fare con una Sailor Moon che gli ricordava tanto Testolina a
Odango.
L'aveva vista bene in viso questa volta - nel sogno, si intendeva.
Avevano combattuto insieme contro una specie di leone, appena prima di
rimanere intrappolati in un ascensore ben illuminato. Lei aveva fatto la
sciocca, proprio come Odango - un altro scherzo del suo subconscio.
Il sogno era diventato un dramma d'azione nel momento in cui erano
stati costretti ad uscire da una botola sul tetto della cabina per non
spiaccicarsi al suolo. Mamoru si era sentito molto... virile - sì, un
vero eroe - quando aveva sostenuto il proprio peso e quello di Sailor
Moon afferrandosi a una sporgenza della tromba dell'ascensore. Per non
cadere lei si era arrampicata sulle sue spalle e lui aveva avuto un'idea
geniale, quasi comica. Per distrarla ed evitare di udire i suoi pianti
le aveva chiesto di parlare mentre lui cercava una soluzione per venire
fuori da quella situazione.
Si era sentito in pericolo di morte, perciò aveva a malapena percepito
il soffio del respiro di lei contro l'orecchio e alla base del collo -
una sensazione stranissima. La Sailor Moon del suo sogno si era
comportata come una bambina tenera. Pensando che non potesse udirla gli
aveva chiesto se venisse a salvarla perché era innamorato di lei. Mamoru
- spezzando la dimensione del sogno - le aveva parlato di sé, dei sogni
in cui gli sembrava di vedere una principessa che lo chiamava. In quel
frangente Sailor Moon e la ragazza si erano fuse in un'unica persona.
Era risultata chiarissima la ragione per cui lui continuava a cercarla,
a proteggerla.
Se tu perdessi la vita, io ne morirei.
A lei lo aveva detto con parole molto meno tragiche. Le altre guerriere
Sailor erano intervenute a salvarli appena in tempo e da lì i ricordi di
Mamoru si facevano sfumati. Era fuggito, poi... poi si era svegliato nel
vicolo, un'ora e tredici minuti dopo aver perso i sensi.
Non sapeva più che pensare, ma sapeva cosa temere.
Se fosse andato da un dottore e gli fosse stato diagnosticato un
problema mentale... Tsukushi-san, il tutore delle sue finanze, avrebbe
segnalato il problema al giudice di minori. Forse avrebbero revocato
l'emancipazione, rimandandolo alla casa-famiglia.
Non poteva permetterlo, ormai era diventato autosufficiente. Poteva
gestire uno stupido problema onirico che... che cominciava ad
influenzare il suo funzionamento nella vita di tutti i giorni.
Turbato, tornò a casa di corsa.
Come se dovesse ricaricarsi, dormì dodici ore per notte nei
successivi sei giorni. Nelle ore di luce non gli capitarono più
incidenti. Fu tentato di dirsi che era finita, che era stato tutto
frutto della stanchezza.
La mattina del settimo giorno percepì un brivido quando aprì il
giornale.
«La principessa del regno di Diamond presenterà il leggendario tesoro
del suo paese! Questa sera, alla festa dell'ambasciata, un tesoro
inastimabile vedrà la luce in tutto il suo splendore argentato!»
Argentato?... il cristallo d'argento.
Il cerchio alla testa ricomparve dal nulla, rapido, stringendogli le
tempie in una morsa feroce.
Il cristallo dei suoi sogni.
Barcollando Mamoru si diresse al freezer e afferrò una bacinella con
cubetti di ghiaccio. La svuotò sopra la nuca; lo choc del freddo gli
permise tornare alla realtà.
Dannazione. Per un pelo.
Allungò il braccio verso il tavolo e afferrò il giornale,
stropicciandolo e strappandolo
Basta, non doveva più leggere notizie di cronaca. Appena comparivano
riferimenti a Sailor Moon, Tuxedo Kamen o strani cristalli, il suo
cervello minacciava di esplodere.
Scivolando sul pavimento si adagiò contro le ante della mensola, rivoli
d'acqua gelata che gli colavano lungo il collo.
... voglio solo essere una persona normale.
Quella mattina andò all'università e pranzò. Nel primo pomeriggio
rimase a studiare in biblioteca, poi verso le quattro gli venne un colpo
di sonno. Abituato alla sensazione da una settimana di lunghe dormite,
si diresse verso casa. Alle sei era in pigiama e sotto le coperte,
profondamente addormentato.
... indossava tuba, mantello e smoking. Quando smetteva di
combattere contro la sua natura si librava in aria nei cieli e si
sentiva completo. Il vero se stesso.
Era Tuxedo Kamen e aveva uno scopo.
"Trova il cristallo d'argento."
Non sapeva bene chi lo diceva, ma la voce fatata risuonava nella sua
anima da sempre, dall'eternità, ancora prima che nascesse. Si riempiva
di nostalgia ad ascoltare quel mormorio e l'unica cosa che sapeva era
che, trovando il cristallo, si sarebbe avvicinato a lei,
l'entità meravigliosa che lo tormentava.
Un buon modo per farlo era recarsi all'ambasciata per il ballo indetto
dalla principessa del Regno di... non sapeva cosa. In quella forma non
memorizzava bene i nomi. Bramava chiarezza e se solo fosse arrivata...
Forse avrebbe smesso di essere spezzato in due; un ragazzo confuso di
giorno e un giustiziere di notte.
Giustiziere? Il suo compito non era esattamente quello di dispensare
giustizia - almeno questo lo ricordava.
Le sue azioni si esaurivano nel proteggere l'ingenua Sailor Moon e nel
cercare indizi per ritrovare il misterioso cristallo d'argento. Era
piuttosto egoista, considerato che difendeva la ragazza per un interesse
personale e allo stesso modo cercava il cristallo solo per sé. Non
combatteva per la giustizia in generale, badava solo ai propri
interessi.
Sento che è sbagliato, ma ora non posso fare altrimenti.
Gli si spezzava il cuore all'idea che a Sailor Moon potesse accadere
qualcosa. Lei sì che era retta, giusta, buona... Gli rammentava tanto la
creatura del suo sogno, la sua principessa. Ma lei era più giovane,
tenera e divertente. La principessa invece... Non ricordava con
chiarezza, ma aveva suscitato in lui sentimenti troppo intensi per
strappargli anche solo una risata.
Si intrufolò nell'ambasciata senza difficoltà grazie al suo smoking.
Immaginava che avesse contribuito anche il suo portamento: lui era
nobile in fondo, l'altezza reale di...
Sgranò gli occhi, fermandosi mentre camminava.
Non ricordava. Pensava a metà, la sua identità era incompleta.
Scuotendo la testa si concentrò sulla missione e adagiò la schiena
contro un muro, allungando il collo in direzione della porta dietro cui
si era rifugiata la principessa di Diamond. Se solo lei avesse avuto il
cristallo d'argento, i suoi ricordi sarebbero stati finalmente chiari.
«Vediamo...»
Il mormorio gli causò un brivido lungo tutta la schiena.
Si voltò e la prima cosa che vide furono due lunghe code bionde,
lucenti e morbide. Solo uno scorcio del viso di lei gli entrò in testa -
un'immagine indefinita che gli provocò un rimbombo al petto. La ragazza
scomparve oltre l'angolo.
Ma quella era..?
La conosceva, ne era certo.
La sua vista si annebbiò e un attimo dopo si ritrovò ai piedi di un
castello. Dalla cima di un palazzo la sua principessa lo chiamava
accorata. «Trova il cristallo d'argento!»
Doveva raggiungerla, lei era lì.
Mettendo un piede davanti all'altro, incerto, seguì la ragazza che era
sparita nei corridoi.
Cinque minuti dopo non l'aveva ancora trovata ma aveva ripreso
lucidità.
Era in corso un ballo e la ragazza aveva indosso un abito da sera. Dove
altro poteva essere se non nel salone?
Vi si addentrò, rimanendo per un momento stordito dalla quantità di
luce e dalla massa di persone che lo circondavano. Non era abituato a
essere Tuxedo Kamen in un contesto così limpido; richiedeva troppa
energia per essere gestito. Lui preferiva la notte e la possibilità di
defilarsi appena sentiva venir meno le energie.
Venne urtato un paio di volte da coppie che danzavano. In procinto di
uscire dal salone e riprendere la sua ricerca del cristallo, la notò.
Lei era adagiata al muro con la schiena - bellissima e triste.
Perché nessuno la invitava a ballare?
Lei era magia, incanto.
Si diresse da lei; con ogni passo la sua mente si schiariva. La
raggiunse e le tese la mano. «Posso avere l'onore di questo ballo?»
Ricevette in premio un largo sorriso splendente. Non resistette:
allungò il braccio e la trovò sulla schiena con le dita, attirandola a
sé. Tra le mani il suo corpo era familiare, caro, fonte di gioia
infinita.
I tuoi occhi sono come l'oceano del mio pianeta.
Da dove gli era venuta?
Volteggiò con lei, senza mai smettere di guardarla in volto. Sei
tu. Una parte di lui sapeva che la ragazza non poteva essere lei
- perché lei era un sogno - al contempo un'ossessione che gli impediva
di vivere la sua vita e il più dolce dei suoi desideri. Ma...
Certo che era lei. Chissà come, chissà perché, l'aveva ritrovata. Ora
ballava con lei come nell'altra lontanissima vita, senza sbagliare un
passo, come se fossero nati insieme ballando.
Ricordi? Ricordi, Sereni...
Hm?
Qual era il nome che gli era quasi tornato in mente?
Uno squillo assordante spezzò il sogno.
Il sistema d'allarme.
Tutti i presenti guardavano una ragazzina dai capelli marroni che
teneva uno scrigno sotto il braccio, diretta al balcone. Il suo volto
era deformato dal male.
In braccio alla giovane con cui aveva danzato arrivò una gatta
parlante. Lui non udì nemmeno le sue parole, troppo sorpreso nel trovare
naturale il loro abbinamento e il concetto che gli era appena entrato in
testa.
Questa ragazza è Sailor Moon.
Lei si precipitò dalla morettina indemoniata, tentando di sfilarle lo
scrigno dalle mani.
Era la solita, precipitosa e goffa. Insinuandosi tra la gente lui la
raggiunge di corsa, non abbastanza velocemente. La giovane demoniaca la
stava spingendo giù dal balcone!
Vide il guanto di lei sparire oltre il bordo in pietra e per poco non
si buttò anche lui di sotto. La afferrò per il polso appena in tempo.
«Tuxedo Kamen!»
Sì, sono io. E tu non sai stare un attimo ferma.
Proprio come il suo guanto, che stava iniziando a scivolare sulla sua
pelle, facendogli perdere la presa. Dietro di lui la ragazza demone
cercava di spingerlo di sotto; era impazzita. Qualcuno gliela tolse di
torno.
Di sotto Nephrite, l'ultimo suo nemico, parlava a vanvera, aprendo i
palmi nella loro direzione. Stava per attaccarli!
Vennero salvati da una fiammata. Erano arrivate le altre guerriere
Sailor.
Il suo sollievo fu breve. In mezzo secondo il guanto di Sailor Moon si
era sfilato per intero dal suo braccio, lasciandola precipitare nel
vuoto.
Lui si sentì emettere un urlo sordo, poi l'intero mondo si capovolse.
Si era buttato. Afferrò Sailor Moon e la strinse al torso, avvolgendola
col suo corpo, per proteggerla dalla caduta.
Lei armeggiava con uno strumento che emetteva luci. Ci fu una piccola
esplosione fumosa e tra le mani le apparve... un ombrello? Era così
grande da raccogliere l'aria sotto la stoffa, fungendo da paracadute.
L'avevano scampata.
Atterrando lui non perse altro tempo: si scaraventò contro Nephrite,
che da bravo codardo stava scappando. «Fermati!» gli urlò dietro.
Una guerriera Sailor - quella blu, Mercury - gli sbarrò la strada.
«Aspetta un momento!»
Per spostarla lui avrebbe dovuto spingerla di lato; si ribellò alla
violenza dell'azione.
«Dicci chi sei!»
Se solo lo avesse saputo. Lei era troppo vicina e per un atavico
istinto di protezione lui scostò lo sguardo. «Anch'io vorrei sapere chi
sono.» Ci sarebbe voluto tempo. «Per il momento devo risolvere il
mistero del cristallo d'argento.»
«Sei un nemico o sei dalla nostra parte?»
Non voleva mentirle. «Se cerchiamo la stessa cosa forse siamo nemici.»
Aveva parlato anche troppo. Balzò in aria e si gettò all'inseguimento di
Nephrite.
Gli sembrava ancora di percepire la sua ombra, o forse l'odore marcio
della sua essenza malvagia. Corse, corse, ma più avanzava più Nephrite
gli sfuggiva, fino a che le sue tracce si dispersero nel nulla.
Incerto su cosa fare, si ricordò cos'aveva dimenticato. La
presentazione del tesoro!
Tornò indietro, senza indugiare.
Non rientrò al ballo, non più.
Si era lasciato distrarre troppo da Sailor Moon, dal suo vestito, dalla
loro danza... Rimase nel porticato esterno alla sala, concentrandosi
esclusivamente sul momento clou della serata. La morettina indemoniata
era tornata in sé - rivelando di essere la principessa del Regno di
Diamond. Fu lei a presentare alla stampa e ai presenti una statuina da
2000 carati che raffigurava, a suo dire, la prima sovrana del loro
reame.
Lui avrebbe dovuto esserne deluso, ma... era andata come doveva andare.
Ora era il momento di rilassarsi, di spegnersi. Doveva permettere
all'altro se stesso di riprendere il controllo del suo corpo. Lo sentiva
già scalpitare... o no? Era strano, non percepiva la solita urgenza.
L'altro lui - Mamoru - era calmo, quasi... soddisfatto?
Che cosa lo faceva sentire così?
Ebbe la sua risposta quando intravide di nuovo Sailor Moon. Lei si
muoveva allegra per la sala. Era tornata alla festa dopo la battaglia.
Tuxedo Kamen rise. Lo fece anche Mamoru e in un momento anomalo furono
d'accordo nel muoversi insieme verso di lei. Nel percorso di pochi metri
non lo accompagnò alcun dubbio. Vi erano solo certezze quella sera con
riguardo alla giovane.
Ricordava il calore della sua pelle sotto il vestito. Il suo profumo
inebriante, dolce come un campo di rose. I suoi occhi blu enormi
incantati, colmi d'amore.
Anche io.
Anche io... cosa?
A un metro da lei provò a dire qualcosa, ma Sailor Moon stava
barcollando all'indietro. Gli finì addosso e neppure si accorse di chi
era. Si era scolata un bicchiere di alcool e stava ancora farfugliando
quanto fosse buono.
Sciocca fanciulla.
La prese per le spalle, guardandola dall'alto.
Sciocca, dolcissima fanciulla.
I palmi delle sue mani bruciavano di felicità al calore del loro
contatto. Lui... aveva bisogno solo di un altro momento per stare con
lei, un attimo breve. Tenendola per le spalle la condusse fuori, lontano
dalla gente, dalla confusione. Dalla realtà. In suo compagnia era tutto
chiaro, limpido, meraviglioso.
Nel porticato lo spicchio della luna bagnava di bianco le colonne.
Anche il volto di lei meritava il bacio della luce lunare. La condusse
a sedere su una sporgenza in marmo, candida come il suo vestito.
Sailor Moon - che quella sera incarnava la sua agognata principessa -
non si svegliò. Rimase con gli occhi chiusi, a riposare, persa in chissà
quale sogno.
Lui pensava di conoscerlo.
La accarezzò coi pollici sulle spalle e osò parlarle - sperando che si
svegliasse o che non lo facesse mai.
«Ho come la sensazione di aver già vissuto questa situazione» mormorò.
«Tanto tempo fa.»
Ricordi? Ti sono corso dietro, sul porticato. Mi attendevi,
aspettavi solo me. Sorridendo hai chiuso gli occhi, sollevando la
testa...
Le palpebre di lei fluttuarono. La sua principessa lo riconobbe e si
abbandonò di nuovo al sogno, sporgendo di poco le labbra.
«È come se i miei ricordi riaffiorassero...» Non poteva resistere. Posò
la bocca sulla sua e... ogni cosa fu nitida.
Non ho bisogno di ricordare il tuo nome, amore mio. Non ti lascerò
mai, ti ho ritrovata.
Staremo di nuovo insieme, te lo prometto.
Sono qui. Ti amerò per sempre tra poco, manca così poco...
Si separò da lei, col petto che straripava di calore ed emozione.
Gli pungevano gli occhi, com'era possibile?
Teneva ancora le sue braccia tra le mani e iniziò a scuoterla, per
destarla e udire la sua voce, per sentire da lei il suo nome - il suo
vero nome.
«Usagi?»
Non era destino.
«Addio» sussurrò. La lasciò andare, morendo di dolore nella
separazione. Saltò via prima di ripensarci e restare.
Corse, corse, corse.
Una lacrima gli cadde per davvero mentre tornava a casa.
Quando Mamoru aprì gli occhi, il giorno dopo, la luce era troppo alta
nel cielo. Guardò l'orologio e gli venne un colpo.
Aveva dormito fino alle undici!
Addio lezioni della mattinata.
La notizia avrebbe dovuto metterlo di cattivo umore, ma si sentiva
stranamente sereno - addirittura felice.
Era quasi sicuro di aver sognato la notte prima, ma non ricordava di
preciso cosa.
Andò all'università nel pomeriggio, per l'unica lezione che restava.
Alle quattro era già sulla via del ritorno. Andò da Motoki, per
condividere il buon umore che sentiva.
Entrando nella sala giochi vide che il suo amico era impegnato al
bancone con Testolina a Odango.
Si sentiva magnanimo e si sedette su una console vuota, nelle
vicinanze, lasciando a Odango la possibilità di godere del suo momento
in solitaria con Motoki.
Lei stava raccontando qualcosa con grande entusiasmo.
«Ti dico che sono andata alla serata di gala di ieri, Motoki-oniisan!
Grazie al mio papà che è un fotografo!»
«Wow, Usagi-chan. Scommetto che oggi eri l'invidia delle tue amiche.
Anche mia sorella voleva andarci.»
Lei raccolse l'orlo della gonna blu tra le mani. «Sono stata fortunata!
Sai che un bellissimo cavaliere mi ha invitato a ballare? È stato magico.»
Improvvisò un valzer nel bel mezzo della saga giochi. «Ta-da-da-dan,
da-dan, da-dan!»
Mamoru scosse piano la testa. Odango non aveva vergogna: quando era
persa nei suoi sogni si dimenticava persino di provare imbarazzo -
sempre che sapesse cosa fosse.
Lei proseguì a volteggiare, a tempo col motivetto che canticchiava. Con
ogni nuovo giro la gioia nel suo volto cresceva, il suo sorriso si
allargava. Il giorno prima un poveraccio le aveva fatto il favore di
farla ballare una sola volta e lei ne era già infatuata.
Mamoru cercò di smettere di guardarla, ma qualcosa lo tenne incantenato
al luccichio festoso dei suoi occhi.
... per forza Motoki non scoraggiava le sue attenzioni. Con le guance
lisce e rotonde e gli enormi occhi blu, Testolina a Odango - Usagi
Tsukino - era deliziosamente carina quando era invaghita.
Carina?
Be'... sì. Niente di strano, era un'Odango. Gli odango erano paffuti e
carini. Gustosi.
Era naturale.
Privo di conseguenze.
Già, un fatto assolutamente poco importante.
14 - La principessa dei miei sogni
NdA: Olè Olè Olè Olè! Era TANTISSIMO tempo che volevo arrivare
all'episodio del ballo con questa raccolta! Ce l'ho fatta *_*
Ho voluto accentuare al massimo la confusione di Mamoru. Se nell'anime
sembrava quasi che dietro quella maschera ci fosse proprio un Mamoru
cosciente di quello che faceva baciando Usagi, pochi episodi prima (ep.
19) lo si era visto perdere i sensi in mezzo alla strada diventando
Tuxedo Kamen. Sempre nel sentir nominare Tuxedo Kamen, in pubblico,
Mamoru si era comportato come se stessero parlando di un'altra persona.
In seguito nell'episodio 26 - quattro episodi dopo quello del ballo -
lui capiva finalmente di essere Tuxedo Kamen entrando in possesso del
primo dei frammenti del cristallo. Diceva ad alta voce a noi spettatori
che non ne era stato sicuro fino a quel momento.
Da adesso in poi quindi lo farò arrivare all'idea che non sia stato
tutto un sogno.
Perché ho voluto che rimanesse vagamente incantato anche da Usagi alla
sala giochi?
Be', perché nel successivo episodio (il 23) lui le presta particolare
attenzione, intromettendosi in una conversazione tra lei e Motoki. Come
se d'improvviso lei gli fosse più simpatica e avesse interesse a starle
accanto.
Mi piace pensare che sia questo il
collegamento, anche se ovviamente è tutto parte della mia immaginazione
:)
Fatemi sapere che pensate di questo capitolo!
P.S. I dialoghi che ho riportato sono quelli originali, presi dai miei
DVD Dynit.
Elle
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Capitolo 15 *** Una nana ***
primevoltechetividix
15 - Una nana.
Quando ti
vidi ancora,
ti preoccupavi per quanto eri bassa.
Furuhata
Motoki e Tsukino Usagi, una coppia improbabile. Lui universitario
intelligente, maturo, allegro sì, ma fondamentalmente
adulto Lei
studentessa della medie svampita con la scatola cranica piena di
stelline: Mamoru riusciva a vederle da lontano mentre le fuoriuscivano
dagli occhi, dirette in fila verso un ignaro Motoki. Testolina a Odango
stava seduta accanto al suo amico, di fronte a un videogioco. Con quei
suoi
chignon lei non gli arrivava neppure all'altezza del petto: avrebbe
dovuto capire che non aveva alcuna speranza con lui.
"Riprovaci,
Usagi-chan, in quel passaggio devi saltare sopra il mostro fino a
schiacciarlo." Motoki stava inserendo un'altra monetina nella
macchinetta, dedito a far felice la sorellina Usagi-chan, da
bravo fratellone. La stava illudendo e nemmeno se ne rendeva conto.
Insieme erano uno spettacolo patetico. "La distogli dallo studio,
Motoki."
Si
girarono entrambi verso di lui.
Mamoru riuscì a
vedere i fulmini che
uscivano dalle iridi infuocate di lei. Non venne incenerito solo grazie
agli occhiali da sole.
"Ciao, Mamoru. Non dire così, Usagi-chan si sta solo
divertendo un po'."
"Ti avverto, tutto questo divertimento le fa prendere trenta in
inglese."
"Non è vero!" Lei scattò in piedi. "Quella
è stata una sola volta, io- io... avevo la febbre durante
l'esame!"
Invece di guardare male lei, il rimprovero di Motoki fu tutto per lui.
Perché?
Si udì un urletto dal fondo della sala giochi. "Oh, noo! Il
mio vestito!"
Un altro milkshake che andava a decorare il pavimento.
Motoki rilasciò un sospiro. "Devo andare. Fate i bravi."
Fare il bravo, a lui?
Testolina a Odango si era chinata a raccogliere la sua cartella.
"Cattivo,
cattivo, cattivo!"
Bofonchiare non serviva a evitargli di sentire. "Sii realista, Odango.
Con la testa arrivi a stento al suo petto."
Offesa, lei si gonfiò come una palla. "Io devo ancora
crescere!"
Crescere?
Stava per svegliarla dal mondo dei sogni.
"Le tue informazioni sono sbagliate. Quanti anni hai, quattordici?"
Col labbro tremante, lei rimase interdetta.
Quattordici
allora, aveva visto giusto. "Alla tua età hai già
smesso di crescere.
Rassegnati, non prenderai un solo centimetro da questo momento in poi."
"Non è vero!"
"Cercalo su un libro, se vuoi. È la verità."
Fu il colpo di grazia; gli occhi di lei si riempirono di lacrime. "Non
è vero..."
Era una sensazione strana: il pianto di lei gli provocava un piacere
sadico di cui si vergognava.
"Sei cattivo!"
Ed
eccola che scappava via, come una principessa inseguita dal cavallo
bianco imbizzarrito. Il principe era lontano, a pulire umilmente i
pavimenti. Che storia triste.
Dal fondo del locale Motoki alzò la
testa. Si prese il tempo di capire cos'era successo, poi, guardandolo,
fece
quella smorfia di delusione con la bocca che Mamoru detestava. Che bambino, diceva.
Dannazione, le uniche volte in cui era stato accusato di essere
infantile si era trovato in compagnia di Odango.
La presenza di lei gli faceva male.
La incontrò per caso qualche giorno dopo, appena fuori dal
Crown.
Lei sfoderò un grugno. "Non parlarmi più! Sono
una nana, ma chisseneimporta!"
Lui
quasi scoppiò a riderle in faccia. "Ho fatto delle
ricerche."
Era stufo di
sentirsi
inseguito da quel senso di colpa sottile, insidioso, che non gli aveva
fatto dimenticare l'ultimo grido di lei per giorni.
Sei cattivo!
Non voleva fare la parte dello stregone malvagio in nessuna storia. "La
crescita in altezza dipende dallo sviluppo ormonale della persona. Tu
hai l'aspetto di una bambina, perciò potresti crescere
ancora."
Il
broncio di lei si trasformò in un sorriso enorme. Poi
ridivenne
broncio. "Puah!" Gli fece la linguaccia e sparì dietro le
porti
scorrevoli del Crown.
Se la crescita in altezza fosse dipesa
dall'età del cervello, Usagi Tsukino un giorno
si sarebbe
trovata a tu per tu con la cima del monte Everest. Purtroppo
per lei,
secondo gli studi, l'altezza aveva un'importante relazione con l'inizio
della
pubertà, e considerato che Odango non aveva ancora
né seno né sedere...
Ricordò l'immagine del retro della gonna di lei e la
cancellò a forza, di proposito.
Gli mancava solo di sentirti un pervertito.
Bene,
in ogni caso aveva vinto lui: o lei era ancora una bambina che aveva
smesso giusto ieri di prendere il latte, oppure somigliava informemente
a quacosa che si poteva definire una donna, e pertanto sarebbe rimasta
bassa per il resto della sua vita.
E lui aveva vinto perché.... be',
perché entrambe le opzioni lo ponevano in un universo
completamente
diverso da quello di Odango.
A meno che lei improvvisamente non
diventasse una pertica, smettendo di sembrargli un coniglio divertente
da prendere in giro. Impossibile, in fondo lei sul petto aveva
già un
po' di...
Scosse la testa.
Un
po' di odango, ecco cosa. Se permetteva al suo cervello di elaborare
un'informazione diversa da quella, era ufficialmente un caso perso.
Si
diede il tempo di percorrere un paio di vie e svoltò
l'angolo.
La sua
testa che non collaborava lo costrinse a prendere una decisione: si era
allenato a sufficienza con Rei Hino, era ora di uscire nel
mondo e darsi alle studentesse universitarie.
Vere donne, già.
15 -
Una nana -
FINE
NdA: Questo
momento è
inventato da me e non è legato ad alcun episodio della
serie. Si
colloca nel periodo in cui Mamoru sta già uscendo con Rei,
ma
non ho saltato tutto quello che c'è in mezzo.
Tornerò a
riempire il vuoto più in là.
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Capitolo 16 *** Preoccupata ***
Le prime volte che ti vidi, eri...
15 -
Preoccupata
Quel giorno eri in pensiero per una tua amica
Da un paio di giorni Mamoru si sentiva meglio.
Era tutto ciò di cui aveva bisogno per non
focalizzarsi più sugli strani sogni che aveva smesso di fare.
Era come se qualcosa dentro di lui si fosse quietato...
calmato.
Quando era di buon umore, gli andava di passare del tempo in
compagnia. La sua scelta non poteva che ricadere su Motoki.
Entrando nella sala giochi, trovò il suoi amico in
compagnia di una moretta dai capelli corti - una ragazza senza uniforme
scolastica che aveva all'incirca la loro età.
«Ma certo» le stava dicendo Motoki.
«Ti insegno io a giocare, vedrai che è
facile.»
Lei aspirò un goccio di milkshake, sbattendo le
ciglia. «Grazie! Io sono negata.»
Nonostante avesse una ragazza, il suo amico continuava a
mietere conquiste. Salutandolo con un cenno della testa, Mamoru
iniziò a girovagare tra le console di gioco. Meno stava tra
i piedi di Motoki, più alte erano le possibilità
che lui guardasse altre donne, smettendo di fissarsi su Reika Nishimura.
Con i suoi due anni in più, Reika si avvicinava al
quarto anno di università; presto avrebbe iniziato un
tirocinio - probabilmente all'estero, considerata la sua
specializzazione. Per Motoki sarebbe stato difficile
lasciarla: era un tipo leale, che non si rassegnava a veder sfumare i
suoi sentimenti solo per via della lontananza. Invaghirsi di un'altra
ragazza sarebbe stata una soluzione preventiva ai suoi problemi.
Mamoru si accomodò sullo sgabello di una console,
concentrandosi sulle immagini che passavano sullo schermo. Il giochino
sparatutto con gli ometti pseudo Rambo non gli dispiaceva. Se non c'era
nient'altro, avrebbe potuto fare una partita.
Guardò qualche fila più in là
e si esaltò: era arrivata la corsa con le moto! Voleva
provare prima quella.
Per non disturbare Motoki, andò al bancone a
prendere da solo i gettoni. Aveva appena aperto il portafoglio quando
sentì un piccolo brivido alla schiena - una sensazione di
consapevolezza.
Alzò gli occhi e capì: nel locale era
entrata la sua nemesi, Odango.
Lui e quella ragazzina erano come yin e yang. Lei era
tanto sciocca e solare quanto lui era maturo e ombroso.
Non che fossero un'unità - in qualunque modo.
Semplicemente, avevano quel tipo di personalità che, in
opposizione, muovevano la società umana.
Odango si diresse piena di entusiasmo verso Motoki. Le parole
le morirono in bocca quando lo vide con la sua rivale.
Mamoru si avvicinò di soppiatto alle sue spalle.
La bimba Odango mugugnava. «Perché Motoki
sta facedo il carino con quella? E come le sta appiccicato!»
Si mangiò furiosamente le unghie. «Motoki-oniisan,
la tua Usagi è quiiii!» Fu scossa da un forte
brivido. «Ugh, avverto la presenza di...»
«Ehi, Odango!»
Mamoru cercò di non scoppiare a ridere quando le
guance rosse di lei si congiarono di rabbia conigliesca.
Amplificò la voce col palmo della mano accanto alla
bocca. «Motokii! Visto che non li degni di uno sguardo,
questi due odango sono diventati degli anpan belli gonfi!»
La ragazzina diventò rosso pomodoro. «Non
è vero, non sono per niente un anpan gonfio!»
Motoki, ignaro come al solito, li raggiunse senza badare alla
battuta. «Ciao, Usagi! Non mi ero accorto fossi qui,
scusami.»
Lei cambiò subito espressione. Si era
già dimenticata della brutta figura appena fatta, era in
brodo di giuggiole. «C-ciao.»
«Tra poco smetto di lavorare. Che ne diresti di
prendere un tè insieme?»
Il suo amico, pensò Mamoru, era scemo.
Ovviamente Odango era in estasi. «Certo! Vorrei
anche parlarti di una questione.»
Una questione? «Vengo con voi, tanto non ho niente
da fare.»
Odango inorridì, ma alle sue spalle Motoki era
sereno. «Vieni pure, andiamo insieme.»
Per Odango Mamoru smise di esistere. «Ma certo,
tutti insieme!»
Banderuola che non era altro.
Chissà che doveva dire a Motoki...
Non una dichiarazione d'amore, oppure non
sarebbe stata così tranquilla e felice, saltellante di
gioia, mentre uscivano in tre dalla sala giochi.
Meglio, Motoki non la vedeva come una ragazza. Certo, non era
strano che Odango equivocasse, viste le attenzioni del suo amico.
Con un piede sulla porta della sala giochi, Motoki
salutò la morettina che aveva tentato di addestrare all'arte
videoludica. Lei non poté nascondere la delusione nel
vederlo andare via. Frapponendosi tra loro, Odango le lanciò
un'occhiata di fuoco che strappò a Mamoru un'altra risata.
Lei la udì scattò con un piede
all'indietro, per pestargli una scarpa. Mamoru schivò con un
saltello mentre lei quasi cadeva.
Motoki la afferrò per un gomito. «Stavi
cadendo?»
Odango per poco non svenne dalla gioia. «Io... no,
cioè, sì! Mi hai salvata!»
Mamoru roteò gli occhi al cielo.
In strada, Motoki li erudì sulla loro
destinqazione. «Vi porto in un bar che i miei genitori stanno
per comprare. Appena conclusa la trattativa, ristruttureremo. Come nome
stiamo pensando a Crown, che ne dite?»
Odango, che non si era staccata da lui per un attimo,
andò in visibilio. «Mi piace!»
C'era qualche azione di Motoki che non le piacesse?
«Almeno sai cosa significa?»
Lei neppure si girò per offrirgli una linguaccia.
«Mi piace il suono, non devo sapere che vuol dire!»
Motoki si sciolse in un sorriso. «Significa
'corona', Usagi-chan. In inglese.»
«Tu sì che sei gentile a spiegarmi le
cose, Motoki-oniisan.» Il suo sguardo divenne
feroce. «Non come certe persone che sanno solo
insultare!»
«Fare una domanda equivale a criticare
ora?»
«Sai benissimo di essere antipatico!»
Motoki si frappose tra loro. «Calmi, siamo
arrivati.»
Il locale si trovava in una posizione sopraelevata. Per
entrarci era necessario utilizzare una scala esterna - un'idea carina.
L'interno conteneva circa quindici tavoli da quattro posti. Le poltrone
da due persone erano di colore verde, una tonalità che a
Mamoru non dispiaceva ma che non era adatta al tipo di clienti che i
genitori di Motoki volevano accalappiare. Mamoru ammirava i signori
Furuhata per il loro acume imprenditoriale: puntavano sugli
adolescenti, creando posti - come la sala giochi - in cui ragazzi e
ragazze volessero trascorrere i pomeriggi con gli amici.
Una cameriera li indirizzò a un tavolo libero.
Sedendosi, Odango si meravigliò dell'abbondanza di
selezioni presente nel menù, proprio come Mamoru.
Parfait, gelati, cheesecake, torte al cioccolato, torte alla
panna... Un'esplosione di zucchero.
Motoki era curioso. «Usagi-chan, di cosa volevi
parlarmi?»
Lei lanciò un'occhiata veloce a Mamoru. Per non
inibirla lui si limitò ad ascoltare, senza farle percepire
il peso del suo giudizio.
«Allora...» Odango si decise e
unì le mani sul grembo. «È
complicato...»
Motoki comprese. «Ordiniamo qualcosa da bere prima,
così ci rilassiamo.»
«Sì!»
Il suo amico aveva successo con le ragazze proprio per come
sapeva metterle a loro agio. Per Odango prese un cocktail alla
frutta, mentre Mamoru non volle altro che un caffè.
Durante l'attesa, Motoki provò a sondare la
questione. «È un problema che riguarda qualcuno
che ti è vicino?»
«Sì, una mia amica.»
Mamoru cercò di non ridere: la vecchia scusa
dell'amica.
Odango non si era accorta del suo scherno. «Si
chiama Naru-chan, frequenta la mia classe! Sono preoccupata per lei e
non so come parlarle.»
Okay, si era sbagliato. Erano strano vedere Odango
così in pensiero, così... adulta. Era sempre una
bambina, ma stava dimostrando una lealtà sincera nei
confronti di un'altra persona.
In breve tempo ebbero davanti le loro ordinazioni.
Mentre girava la sua tazzina, Motoki adottò la sua
espressione più fraterna. «Dimmi tutto,
Usagi-chan.»
Lei bevve un primo sorso prima di parlare.
«Ecco... non posso entrare nei dettagli, ma la mia amica Naru
si è innamorata di un brutto tipo. Il problema è
che lei non sa ancora che si tratta di una persona poco
raccomandabile.»
«Okay?» la esortò Motoki, senza
capire.
Odango dovette specificare. «Cosa dovrei fare? Se le
dicessi la verità, non so come reagirebbe Naru...»
Aveva sottoposto a Motoki il problema sbagliato. Lui preferiva
lasciare che le persone risolvessero i loro problemi da sole; riteneva
che imparassero così.
«Forse è meglio aspettare e vedere come
procedono le cose.»
Appunto.
Odango era delusa. Si era fidata e il consiglio che
aveva ricevuto era stato misero.
Mamoru mise giù la tazza di caffè.
«Restando a osservare come si evolve la faccenda non
cambierà nulla. Dire la verità è un
atto di coraggio.»
Dopo averci riflettuto, Motoki si allineò al suo
pensiero. «Magari ha ragione Mamoru. Naru-san si
arrabbierà se le racconterai la verità, ma come
amica hai il dovere di dirle tutto.»
Odango esplose in un sorriso grato. Era quello che aveva
voluto sentire. «Grazie! Ora che so cosa devo fare mi
è anche venuta fame!»
Eh?
Lei sparò in aria un braccio, verso la cameriera.
«Mi scusi!» urlò. «Mi porti un
parfait alla frutta, un sandwich misto, una fetta di torta alla fragola
e un succo per favore!»
Ma non aveva pranzato? In imbarazzo, Mamoru cercò
di pensare a quanto aveva in tasca. «Motoki, hai abbastanza
soldi con te?»
Odango li sentì bisbigliare. «Ma
dài, ragazzi, oggi offro io!»
No, veramente lui non si era mai fatto offrire qualcosa da
una- Non poté impedirle di continuare a urlare.
«Ci porti anche una pizza mista, per favore!»
Così esagerava. «Io non ho
fame.»
«Zitto, non si guarda in bocca al caval
donato!»
Motoki rideva. «O a una pizza!»
Mamoru si sentì escluso dal loro divertimento, poi
Usagi-Odango guardò proprio lui e sorrise - un sorriso
onesto, di genuina simpatia. «Ogni tanto anche
tu meriti qualcosa.» La linguaccia che gli concesse
fu quasi gentile.
Destabilizzato, Mamoru fece finta di nulla e tornò
a bere il proprio caffè.
Dieci minuti dopo stava assaggiando una fetta di pizza, solo
per non sembrare maleducato.
Poco dopo fece a Odango il dono di lasciarla sola con Motoki.
Provò un pizzico - proprio un pizzico - di delusione nel
vedere che lei nemmeno lo calcolò, intenta com'era a pendere
dalle labbra del suo amico.
«Ci si vede.» Fu il più
noncurante possibile nel salutare.
«Ciao!»
Uscì dal locale irritato, senza sapere il motivo.
15 - Preoccupata - FINE
NdA: Ho pensato 'già che ho ripreso, continuiamo
finché ho ancora fresche nella testa le dinamiche tra Usagi
e Mamoru nella prima serie' :)
Nel precedente capitolo avevo fatto provare a Mamoru simpatia
per Usagi proprio per condurlo a interessarsi di lei qui, in questa
scena tratto dalla puntata 23. Siamo a un episodio dalla morte di
Nephrite e a pochi episodi dal momento in cui Mamoru capirà
di essere un tutt'uno con Tuxedo Kamen. Ci ho pensato e secondo me la
vicinanza ai cristalli dell'arcobaleno diraderà le nebbie
della sua confusione mentale.
Alcune note su questo capitolo. I divani del futuro Crown non
possono non piacere a Mamoru come colore: è simile a quello
della sua giacca :P Che cosa sono gli anpan, a cui paragona ad un certo
punto gli odango di Usagi? Sia gli odango che gli anpan sono cibi
rotondi giapponesi. Ho ripreso i dialoghi dalla traduzione della Dynit
in DVD.
Ho inventato il sorriso finale di Usagi a Mamoru, secondo me
poi lei gli è stata grata almeno un pochino per il suo
interesse - è troppo buona per non farlo.
Ditemi che pensate di questo capitolo, mi ispira ad andare
avanti :)
Elle
Su FB: Verso l'alba e oltre (dove trovate
anticipazioni e miei pensieri)
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per sostenermi come scrittrice.
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Capitolo 17 *** Triste ***
Le prime volte che ti vidi, eri...
17 - Triste
Non ti avevo mai vista così desolata
Si trovava in una delle sue fasi di stabilità.
Qualche giorno
prima aveva dormito per dodici ore a notte, ma ormai poteva dire di
essersi quasi abituato.
Si stava rassegnando, per una ragione tanto assurda quanto
semplice:
stava accettando che le follie che viveva durante le ore notturne
avessero un aggancio concreto con la realtà.
No, non era un super-eroe. Ma forse durante la notte se ne
andava
davvero in giro per le strade, mascherato, alla ricerca del cristallo
d'argento che imperava nei suoi sogni da anni. Il suo cervello era
giunto a un punto di rottura magari, e aveva deciso che non poteva
restare più passivamente ad aspettare che succedesse
qualcosa
per porre fine a una striscia onirica che lo tormentava da
metà della sua vita.
Era ora di fare qualcosa, si era detto il suo subconscio. E
okay,
non era stato il suo cervello a inventarsi Sailor Moon, ma quando ne
aveva sentito parlare nei giornali probabilmente era andato a farsi
coinvolgere negli scontri di quelle figure pseudo-sovrannaturali, per
capire se loro avevano le risposte che lui cercava da sempre. Dopotutto
i codini di Sailor Moon erano identici a quelli della sua
principessa. E il nome di lei, nonché i suoi
attacchi,
richiamavano la luna - un'entità che campeggiava da sempre
nell'atmosfera fatata
che caratterizzava i suoi sogni con quella sfuggente ragazza.
Arrossì lievemente mentre camminava per strada, di
ritorno dall'università.
Era convinto di averla baciata. Sailor Moon, la principessa, o
una ragazza che somigliava a entrambe. Lo vedeva in sogno - lo
sentiva - in ricordi che sapevano di reale. Inoltre, quando
aveva letto i resoconti della festa all'ambasciata,
aveva riconosciuto i luoghi dalle foto. E aveva saputo del temporaneo
furto del tesoro reale appena aveva letto nel titolo
'incidente'.
Era stato lì, era l'unica conclusione possibile.
Come mai non stava dando di matto?
Be', perché era ancora se stesso. Era Mamoru Chiba,
che si
era interessato alla lezione di Istologia, che doveva andare a fare la
spesa e si preoccupava di cosa cucinare per cena. Forse impazziva a
tratti, ma per il resto... stava bene.
Soprattutto, aveva la sensazione di poter stare solo
meglio. Se
davvero stava commettendo pazzie durante episodi ripetuti di
sonnambulismo, la cosa lo stava portando più vicino a una
qualche sorta di verità fondamentale.
Inoltre... era sopravvissuto, no? Se davvero stava combattendo
contro
presunte forze del male come nei suoi sogni, non era ancora morto.
Anzi, di volta in volta superava le avversità con grande
coraggio e agilità. Non aveva nemmeno paura di individui
come
Nephrite. Cercava con lui uno scontro aperto, diretto.
Per finire, non era da solo. Lui
interveniva, ma lo scontro era soprattutto delle guerriere Sailor.
Erano loro che portavano a termine le battaglie.
L'ultima volta non era arrivato in tempo per
scontrarsi col
mostro del giorno, ma si era reso conto - da lontano - che non era
più Nephrite a comandare le fila nemiche. C'era un nuovo
tipo,
abbigliato con la stessa uniforme, a dare ordini a una creatura
informe. Nephrite quindi era stato sconfitto, proprio come
quell'altro... Jadeite, giusto?
Erano state le guerriere Sailor. Lui le aiutava e a volte si
metteva in pericolo, ma in fondo era al sicuro.
Una foglia ingiallita cadde da un albero, accanto al suo
volto.
La soffiò via con forza, approfittandone per sospirare.
Si rendeva conto di pensare come un pazzo. Di essere mezzo pazzo.
Aveva rivoltato casa due volte per trovare il maledetto
smoking che credeva di indossare quando era Tuxedo Kamen. Se era Tuxedo Kamen.
Probabilmente si presentava con quel nome, ma lo smoking era
solo
nei suoi sogni. Probabile che andasse in giro vestito con
ciò che indossava sul momento -
quindi in pigiama, la maggior parte delle volte, come un evaso da un
istituto di igiene mentale.
Cercò di scacciare il brivido di imbarazzo.
Aveva voglia di distrarsi e perciò fu opportuno -
quasi
provvidenziale - focalizzarsi sui due chignon biondi che spuntavano da
dietro una siepe. La panchina su cui Usagi Odango era seduta dava su
uno spiazzo giochi. Lei non era sola.
«Non so cosa consigliarti,
Usagi» stava
dicendo una ragazza dai capelli castani raccolti in una coda. Si
alzò in piedi, rivelando di essere alta come un uomo.
«Non
conosco bene la tua amica. Penso che dovresti seguire il tuo
istinto.»
«Hm» replicò Odango,
insolitamente silenziosa.
«Scusa se ti lascio. Devo andare a prepararmi il
pranzo per domani. Porterò un bento anche per te, va
bene?»
«Certo. Grazie, Mako-chan!»
«Ci vediamo a scuola.»
«A domani.»
La ragazza corse via. Odango si era fatta una nuova amica. A
giudicare dall'uniforme, la ragazza non frequentava nemmeno la sua
stessa scuola. Usagi Odango collezionava amici come pupazzetti
della sala giochi. Questo, tuttavia, non le impediva di sentirsi
abbattuta.
Lui le passò accanto, alle spalle, senza fare il
giro della siepe.
«'sera, Odango.»
«'sera» rispose di riflesso lei, mogia,
poi si
inalberò e si voltò, issandosi con le ginocchia
sulla
panchina. «Ma sei tu!»
«Mi hai salutato lo stesso» le fece notare
lui. «Sei stata educata.»
Lei aveva recuperato il proprio spirito. «Potresti
imparare tu l'educazione, chiamandomi col mio nome!»
«Infatti. È Odango.»
Le uscì un ringhio.
«Ecco. Meglio arrabbiata che triste.»
«Eh?» fece lei.
Eh?
pensò lui. In un
momento di panico, sparò la prima cosa che gli venne in
mente.
«Problemi con quell'amica di cui parlavi la volta
scorsa?»
Lei non gli rinfacciò di aver origliato. Perse la
voglia di
litigare, sul suo volto tornò un broncio preoccupato.
«Sta
male.»
«Cos'è successo?»
«Lei... il brutto tipo di cui si era innamorata alla
fine non
era così cattivo. Ma se n'è andato per sempre e
questo sta facendo soffrire moltissimo Naru.»
«Ah.»
«Lei si sente come... Come si dice quando uno soffre
perché una persona che ama è morta?»
Addirittura? «Si sente in lutto.»
«Sì.
Sono
cinque giorni che Naru-chan non viene a scuola. Oggi sono passata da
casa sua, ma sua madre ha detto che stava dormendo. Non so se magari
Naru l'ha fatto dire perché non aveva voglia di
vedermi.»
Forse l'amica stava esagerando, ma la preoccupazione di Usagi
Odango per lei era era reale. «Quando
si è molto addolorati» le spiegò,
«non
è strano essere stanchi. Il corpo si spegne. È un
modo
per affrontare il trauma.»
Lei lo guardò con un interesse misto a dubbio, come
se si
fosse accorta solo in quel momento di chi aveva scelto per confidarsi.
Quando si trattava di problemi reali, a lui non dispiaceva
dare una
mano. «Va' a trovarla anche domani. Magari vorrà
ancora
isolarsi, ma alla fine fa bene sapere che là fuori
c'è
qualcuno che tiene a noi. E spesso la prima cura per il dolore
è un po' di distrazione.»
«Hm. Speriamo che hai ragione.»
«Che tu abbia
ragione. E sì, ce l'ho sempre.»
Lei strinse gli occhi. «Tu credi di avere
sempre ragione. E perché insisti per sembrare per forza
antipatico, quando sai essere normale?»
La domanda lo mise in crisi. Anzi, lo infastidì,
perché gli richiedeva di aprirsi e buttare una maschera di
cui
non aveva intenzione di disfarsi. «Solo perché ti
ho
aiutato una volta non iniziare a prenderti delle confidenze!»
Lei e tornò a sedersi, impettita.
«Puah, lo sapevo! Addio!»
«Addio!» le fece eco lui, riprendendo la
propria strada.
Per diversi minuti si sentì idiota, in collera e al
contempo turbato.
Non ci riflettè sopra, lasciò correre.
Quando si trattava di Odango, era sempre meglio lasciar perdere.
17 - Triste - FINE
NdA: Che felicità, ce l'ho fatta a scrivere il
nuovo capitolo
di questa raccolta! Sono arrivata all'episodio 26, dopo l'arrivo di
Makoto e poco prima della scena in cui Mamoru scoprirà -
finalmente - di essere proprio Tuxedo Kamen. Succederà
quando
prenderà in mano il cristallo dell'arcobaleno - e volevo far
capire come ci fosse quasi arrivato da solo a comprendere che era tutto
vero, nonostante lo scetticismo degli scorsi capitoli.
Nel prossimo capitolo parlerò della liberazione che
sentirà innanzitutto nel capire che non è pazzo,
poi
all'idea che forse sta arrivando vicino a risolvere il mistero della
sua vita. In un certo senso sarà un nuovo Mamoru,
perché
la consapevolezza di essere Tuxedo Kamen avrà aperto i suoi
orizzonti - liberando lati di lui (come per esempio
l'impulsività nell'intervenire in una battaglia) che fino a
quel
momento questo ragazzo aveva controllato.
Parlando di come ha parlato ad Usagi, ovviamente mi sono
completamente inventata questo scambio. Ma ci sta, mi sembra
così da loro, così IC :)
Ditemi che ne pensate!
Elle
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anticipazioni e miei pensieri)
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Capitolo 18 *** Involontariamente premurosa ***
Le prime volte che ti vidi, eri...
18 -
Involontariamente premurosa
Fu la prima volta che ti preoccupasti per me
Aveva un piano.
La prossima volta che fosse finito preda di uno dei suoi
'episodi', avrebbe evitato di combatterlo. Si sarebbe lasciato andare.
Ovviamente avrebbe funzionato meglio se gli fosse accaduto
quando non era
addormentato. Nel momento in cui si fosse accorto che stava per
travolgerlo il solito mal di testa lancinante, invece di opporsi,
doveva cadere nel sogno e cercare di viverlo pienamente.
Il suo obiettivo era riuscire a muoversi come diceva lui -
colpendo tre volte col pugno la prima superficie disponibile - per
sentire di non essere stato completamente
soverchiato.
Stava per succedere qualcosa di grosso.
Sognava la principessa anche due volte a notte oramai, ma
soprattutto aveva la sensazione che la verità che gli era
sfuggita per anni fosse a portata di mano, ad un passo da lui. Se per
agguantarla doveva fingere di essere Tuxedo Kamen,
così
fosse.
Era ora di farla finita, voleva riprendere in mano la propria
vita.
Gli accadde un pomeriggio sul tardi, mentre andava a fare la
spesa.
Il dolore esplose dal centro della nuca, lasciandogli appena il tempo
di boccheggiare.
Si gettò all'interno di un vicolo, ansimando.
Okay,
si disse. È
come un ottovolante. Afferra la maniglia e accetta che la corsa sta per
cominciare. Non cercare di uscire dal veicolo...
Quando riemerse, inspirò una boccata d'aria
rigenerante.
Percepì l'aria nei polmoni, ma provò un vago
senso di
nausea nel guardarsi intorno. Il suo corpo si stava alzando senza che
fosse lui a deciderlo. Era come trovarsi su una barca che non stava
conducendo. Indossava uno smoking e sulla testa sentiva il peso di un
cappello.
Lasciò che Tuxedo Kamen facesse come voleva
all'inizio e si diresse assieme a lui verso l'uscita opposta
del vicolo, sicuro della direzione che
doveva prendere. Appena prima di uscire in strada provò a
chiedergli un solo
istante - per favore. Avrebbe svolto meglio il suo
compito se si prendeva un secondo per fare una cosa.
Tuxedo Kamen smise di avanzare a un metro dallo sbocco sul
marciapiede e Mamoru colpì il muro scrostato
dell'edificio adiacente, tre volte. Il suono delle sue nocche contro il
cemento tornò alle sue orecchie chiaro e nitido.
Soddisfatto?
Sì, era soddisfatto. E gli era parso di esserselo
chiesto da solo.
Riprese la sua corsa, spuntando davanti a una signora
che
lanciò un urlo nel vederlo lanciarsi in strada, davanti a
due
auto che scansò in scioltezza. Galvanizzato, Mamoru
capì
di non avere paura. Era velocissimo, non
c'era nulla da temere.
Dopotutto, non era il pericolo in cui
si metteva quello che lo spaventava di più. Si era
risvegliato e si stava muovendo, dotato dei suoi poteri,
perché doveva assolutamente salvare la ragazza che lo stava
inconsciamente richiamando.
Non dovette chiedersi nemmeno perché fosse
necessario.
Lei aveva quelle due lunghe code bionde, emanava il profumo
della sua
principessa e a volte era inerme contro il male. Per forza doveva
aiutarla. Se l'avesse persa...
Che cosa sarebbe successo? Come si sarebbe sentito?
Non voleva scoprirlo. In pochissimo tempo -
circa due minuti - fu sul luogo dello scontro. Aveva fatto in tempo
questa volta, non sempre gli riusciva di essere presente. Al centro del
cimitero in cui era giunto, una creatura enorme e mascolina, abbigliata
come un lottatore di boxe, stava attaccando Sailor Moon.
Senza fermarsi a pensare, Mamoru saltò
giù dal muro di
cinta, sgattaiolò tra le lapidi di pietra e
afferrò la guerriera della luna tra le braccia un istante
prima che lei venisse colpita da
un guantone volante. I detriti di un'esplosione lo colpirono alle
spalle, facendogli stringere più forte la ragazza.
Non si focalizzò sui ringraziamenti di lei. Che
vigliaccata colpire in modo tanto violento una donna!
Atterrò sulla cima di una lapida sottile,
bilanciando senza
problemi il peso suo e di Sailor Moon. Osservò il suo
nemico:
aveva ali e piedi da aquila e indossava un ridicolo costume
da boxeador, con tanto di fascia da campione alla cinta.
«Un vero pugile non colpisce le belle
fanciulle» lo
schernì. «Non sai che le ragazze si cingono con
dolcezza tra le
braccia?»
A parlare era stato il suo lato Tuxedo Kamen, ma Mamoru
non si pentì delle parole smielate. Si sentiva nobile in
quei
panni, un gentleman che combatteva contro una manica di bruti.
Adagiò la fanciulla al suolo senza più badarle:
gli toccava
combattere da uomo a uomo contro il mostro.
Il bestione corse nella sua direzione e lui scelse di
attaccarlo
dall'alto. Balzò in aria, rimanendo sospeso come se volasse,
e
sfoderò il bastone. A volte, quando lo impugnava, sentiva di
brandire una spada. Il boxeador lo attaccò con una scarica
continua di guantoni, che lui respinse al mittente facendo roteare il
suo fedele attrezzo. Sembrava un'estensione del suo corpo - parte di
lui
sin da che aveva indossato quel costume.
Lasciarsi andare alla personalità di Tuxedo Kamen
lo faceva sentire vivo.
Non combatté a lungo da solo. Proprio mentre il
nemico stava
per impegnarlo in uno scontro ravvicinato, la sua attenzione fu
distratta da un nuovo arrivo: una guerriera Sailor - una nuova
guerriera Sailor, dal costume verde e rosa, che lo attendeva fiera
dall'altra
parte del campo.
Mamoru non sentì il bisogno di intervenire ad
aiutarla: non seppe
perché, ma anche se lei era una ragazza, gli sembrava per
istinto
che fosse capace di cavarsela da sola. Così fu: la
pletora di fulmini che lanciò addosso al mostro
spaventò
persino lui.
Si ritrasse e il suo sguardo fu catturato da un luccicchio
che giungeva dal suolo, nascosto tra i fili di un ciuffo d'erba.
Alle sue spalle Sailor Moon stava lanciando il suo attacco
finale -
un nuovo attacco da quel che udiva, ma non gliene poteva importare di
meno.
Il luccicchio. Proveniva da una pietra brillante color
arancio, che chiamava a sé la sua anima.
È il cristallo
d'argento? Sei il cristallo d'argento?
Quando lo prese in mano, fu come essere attraversato da un
lampo di luce - chiarezza assoluta.
La flebile dissociazione che aveva percepito nei panni di
Tuxedo
Kamen scomparve. Si ritrovò nel pieno controllo dei
propri arti e della propria mente - mentre era ancora mascherato!
Non perse tempo a ragionarci, si voltò verso il
generale
nemico, sospeso in aria. Sapeva che quell'individuo stava cercando
quello che lui aveva
appena recuperato.
«Spiacente!» gli gridò beffardo
dal suolo. «Il cristallo dell'arcobaleno viene via con
me!»
Concluse col suo saluto d'ordinanza - Sarabada, Addio - senza
neppure pensarci. Scappò via, prima che qualcuno potesse
intralciarlo.
Doveva cercare un posto tranquillo - non riusciva a crederci -
doveva testare ciò che aveva appena compreso...
Corse senza fermarsi, senza fine, per essere sicuro che
nessuno potesse portargli via il
cristallo. Era stato l'oggetto a rivelargli il proprio nome, appena lo
aveva preso in mano. Mamoru non voleva più lasciarlo andare.
Giunse sul molo di un porto e finalmente smise di correre,
abbassando lo sguardo.
Stringeva tra le dita la verità.
Guardando i riflessi arancioni del cristallo si impose di
rilassarsi, di lasciarsi andare... proprio come quando si era
abbandonato a Tuxedo Kamen, ma questa volta accadde il contrario: si
abbandonò a Mamoru, alla persona che era veramente. A chi
era
sempre stato.
Lo smoking svanì e si ritrovò nei propri
panni, coi vestiti con cui era uscito di casa.
«Ora so chi sono» dichiarò. Lo
disse ad alta voce, per udire la voce di Tuxedo Kamen, che era anche la
sua.
Era Mamoru e
Tuxedo Kamen.
Non si era inventato niente.
Non era pazzo.
Non aveva mai sognato, era tutto vero.
Lui... aveva dei superpoteri. Lui aveva una principessa da
cercare.
Lui stringeva nella mano una delle chiavi che gli avrebbero
permesso
finalmente
di dipanare il mistero dei sogni che lo avevano tormentato
sin da ragazzino.
Si sedette al suolo, lasciò che le gambe
sporgessero oltre la banchina del porto.
Si sentiva più sollevato e libero che mai. La
verità era ad un passo da lui - ad un passo.
Io sono Tuxedo
Kamen, si ripeté in testa.
Smise lentamente di sorridere.
Non era pazzo, dunque. Ma in fin dei conti, non era
nemmeno del tutto umano.
Rimase a fissare il cristallo per ore, poi calò il
buio.
Il giorno dopo si trascinò
all'università con due
occhiaie così profonde che persino uno dei professori gli
chiese
se avesse chiuso occhio quella notte.
La risposta era no. Era difficile addormentarsi quando
d'improvviso si metteva in discussione la propria appartenenza alla
specie umana. Faceva parte di un sottogruppo di ominidi? Rappresentava
una branca dell'evoluzione, o piuttosto una specie estinta proveniente
da un passato lontano, di cui era uno degli ultimi superstiti?
In quel caso, non era solo quantomeno. Le guerriere Sailor
erano come lui, creature straordinarie con poteri magici - persino
più forti dei suoi.
Avrebbe potuto avvicinarle e chiedere loro delucidazioni, ma
d'istinto gli pareva un'idea incauta. Quella tra loro con cui aveva
più
confidenza era Sailor Moon e lei sembrava sapere pochissimo di
qualunque cosa.
Lui la ricordava ancora, durante il primo combattimento, quando per
difendersi si era messa a piangere a squarciagola, emettendo ultrasuoni
che l'avevano salvata.
Sailor Moon era come un pulcino che si era addentrato nella
tana di una volpe, vagando sperduto. Non avrebbe nemmeno dovuto
combattere. Le sue compagne sembravano più esperte
di lei, forse persino
troppe astute. Mercury gli si era opposta una volta, pretendendo da lui
delle risposte.
Ma come poteva lui darne, se aveva solo domande?
Inoltre, se si fosse consultato con loro, potevano chiedergli
in cambio il pezzo di cristallo dell'arcobaleno che aveva trovato.
Semplicemente esistendo, il cristallo gli aveva comunicato di
essere
uno di sette, un frammento del cristallo d'argento che la sua
principessa gli chiedeva di trovare disperatamente da sempre. Uno di
sette, il secondo dei frammenti ad essere stato
recuperato. Lui
non poteva consegnarlo nelle mani di nessun altro - specie non in
quelle del nemico, che avrebbe potuto sottrarlo a Sailor Moon con la
facilità con cui si rubava le caramelle ad un bambino. Il
nuovo
generale aveva già preso possesso del primo frammento.
Chissà cosa voleva farne.
Quella sera, quando tornò a casa per tentare di
recuperare un po' di sonno, lo sorprese lo squillo del
telefono.
«Pronto?» rispose senza pensare.
«Mamoru-san? Ciao!»
Oh, era Hino. Rei Hino.
«Non ci sentiamo da un po'»
esordì con timidezza lei.
Già, era passata almeno una settimana. O forse due?
Aveva perso il
conto, se n'era disinteressato. Non aveva tempo per una ragazza ora.
«Ti sto disturbando?» si sentì
domandare.
«No, non è questo...»
«So che sono una scocciatrice, ma mi chiedevo se ti
andava di
venire al cinema con me. Non te lo avrei chiesto, ma non ho
nessun
altro con cui andarci...»
Lui si sentì immediatamente in colpa. «Ma
certo.» Cosa? No, non aveva tempo per il cinema!
«Oh, grazie! È un film per grandi, per
questo non posso
portarci le mie amiche. È una pellicola d'autore e ho
pensato 'Mamoru
non solo lo apprezzerebbe, ma sarebbe poi in grado di discuterlo e
spiegarmi i passaggi.' Questo autore è ostico, ma io voglio
ampliare i miei orizzonti!»
Lei aveva una voce entusiasta e molto dolce. Di dolce c'era
soprattutto il suo
tentativo di coinvolgerlo, di farlo sentire apprezzato,
poiché
teneva alla sua compagnia.
Chi altro lo aveva mai cercato con tanta insistenza?
Questo strano ragazzo che forse non era nemmeno umano?
Non sentendolo rispondere, Hino tornò esitante.
«Che ne dici di questo giovedì?»
Mamoru non se la sentiva di ferirla.
«Giovedì va bene.»
«Che bello! Ci troviamo nel posto di
sempre?»
La felicità che le aveva trasmesso lo fece sentire
meglio. «Okay. Nel posto di sempre.»
«A giovedì, Mamoru-san!»
«Ciao, Rei-san.»
Riattaccò, stranito e al contempo di umore
più leggero.
Passare un paio d'ore con una persona normale gli avrebbe
fatto bene. Forse.
Il giorno successivo non si mosse di casa per tutta la mattina.
Era uno straccio. Aveva dormito sì e no altre due
ore durante la notte. Stare sdraiato a letto non aveva fatto altro che
intensificare il flusso dei suoi pensieri. Più pensava,
più la sua testa si riempiva di domande e preoccupazioni.
Ormai sentiva di essere stato troppo ottimista all'inizio.
Era una creatura sovrannaturale. Lo era diventato, o era nato
così? Aveva ereditato quelle capacità dai suoi
genitori?
Loro erano davvero morti in un incidente? Era un caso che lui
avesse perso la memoria dei suoi primi sei anni di vita?
Forse si era reincarnato. I sogni a cui faceva visita sapevano
tanto di ricordi.
Se stava vivendo una seconda esistenza, perché la
prima tornava a reclamarlo? Non poteva lasciarlo in pace, a vivere il
suo futuro? Lui si era a malapena retto in piedi sulle proprie gambe da
solo.
Non è vero.
O forse sì, era vero. E gli costava ammetterlo.
Comunque, andando verso l'avvenire a cui lo conduceva Tuxedo
Kamen, dove sarebbe finito? Sarebbe stato coinvolto in battaglie ancora
più grandi? Quanto ancora avrebbe dovuto rischiare?
Non gli dispiaceva fare l'eroe, ma se lui pensava al bene del
mondo, chi avrebbe pensato a lui?
Seduto sulla panchina del parco, era rimasto a fissare il
suolo per ore, fino a che non aveva visto la sua ombra china stagliarsi
sulla superficie di ghiaia. Il tempo sembrava non avere più
alcun significato.
Alle sua spalle comparve una persona - la testa piccola e
rotonda sormontata da due odango. L'ombra di Usagi Tsukino non si mosse
per alcuni secondi, poi iniziò a dondolare da un lato
all'altro, puntandolo a ripetizione col dito, come se stesse parlando
con lui.
Riducendo gli occhi a due fessure, Mamoru si
voltò.
Lei sobbalzò sul posto, urlando.
Il suono gli trapassò il cranio. «Che
vuoi?» domandò cupo. Non aveva tempo per i giochi.
«Che spavento! Sempre di buon umore, eh?»
Nel vederlo in viso, nello sguardo di lei comparve un lampo di
confusione - poi di commiserazione.
Il mal di testa di Mamoru stava aumentando. «Cosa
facevi alle mie spalle?»
«Volevo prenderti in giro. Non mi veniva la battuta
giusta.»
Involontariamente - inaspettatamente - gli venne da sorridere.
«Perché sei lenta.»
«UAAARGH! E tu sei antipatico! Basta, me ne
vado!»
Quando iniziò a marciare via, lui
percepì un istantaneo senso di solitudine. Meritava
di non avere nessuno accanto, poiché in fondo, quando era
sincero, era solo caustico e cattivo.
«Usagi» mormorò senza pensare.
Gelandosi sul posto, lei si girò.
Era la prima volta che la chiamava per nome?
«Scusa» le disse, osservando l'altalena
per bambini al centro dello spiazzo. «A volte mi viene e
basta. Essere così, intendo.»
Non udì risposta e pensò che lei non
l'avesse sentito. Andava bene lo stesso: lui aveva solo cercato di non
spandere altra miseria intorno a sé.
Con una sfilza di passi rapidi, Odango tornò
davanti a lui. «Va' a casa.»
Eh?
Rialzò la testa e le spalle, fissandola.
«Fatti una dormita!» proseguì
ad ordinare lei, irritata.
Lui non seppe come rispondere.
Ma Odango non aveva finito e agitò un dito in aria.
«Riposa, mangia bene e ripigliati! Accetterò le
tue scuse quando saranno sincere, ora sembri solo un cadavere che
parla! AH! Mi è venuta la battuta giusta! È che
prima non aveva visto la tua faccia, hai due occhiaie da panda. AH! Un
altro insulto, alla fine oggi sono in gran forma!»
Attonito, lui riuscì a stento a boccheggiare.
«Torna in forma anche tu»
proseguì Odango, posando imperiosa le mani sui fianchi.
«Così sarà un duello ad armi
pari!»
Mamoru non aveva ancora detto una parola.
Lei iniziò a vacillare. «Okay?»
Indietreggiò di tre passi, come si aspettasse un suo
contrattacco. «Okay?» ripeté di nuovo,
da cinque metri di distanza.
«Okay» bofonchiò lui.
Lei esplose in un sorriso. «Al prossimo
scontro!» urlò. Trotterellò felice
lungo la stradina che conduceva fuori dal parco.
Riposa, mangia bene e
ripigliati.
Non seppe perché quelle parole gli si fossero
stampate in testa, ma spense il cervello e si diresse a casa.
Preparò una zuppa di pollo, rimanendo a fissare la
fiamma che ardeva a mente sgombra, fino al completamento del piatto.
Mangiò in silenzio, concentrandosi sul sapore del
cibo.
Lavò i denti, mise il pigiama.
Si infilò a letto, adagiò la testa sul
cuscino.
Il sonno lo reclamò senza sforzi.
18 -
Involontariamente premurosa - FINE
NdA: Credevo che sarei corsa a parlare dell'episodio 28,
invece mi sono focalizzata su Mamoru che scopre di essere Tuxedo Kamen
nell'episodio 26 e mi è venuto da scrivere molto
più di quanto avevo anticipato!
Mi fa così pena questo ragazzo! Spero di essere
riuscita a farvi percepire la sua confusione e solitudine,
nonché il motivo per cui Usagi lo influenza in modo
positivo, anche solo con poche parole.
Gliel'ho fatta chiamare per nome!!
Ho deciso di anticipare il momento perché
nell'anime originale, nell'episodio 28, lui la chiama già
Usagi. Lo fa con una disinvoltura che lasciava pensare che avesse
già usato il suo nome, anche se probabilmente non la
chiamava Odango, per una volta, perché la situazione era
lievemente 'seria' (Usagi per una volta lo stava accusando di qualcosa
che non era campato per aria, quindi lui le si rivolgeva come
un'adulta).
L'episodio 28 è quello dedicato alla pittrice e ci
sono talmente tante opportunità di interazione tra Usagi e
Mamoru che le mie dita fremono al solo pensiero!
Fatemi sapere se vi è piaciuto questo pezzo!
Elle
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anticipazioni e miei pensieri)
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