Beyond the Gates of Graveyard

di XShade_Shinra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01 ***


Beyond the Gates of Graveyard
*} Dedicata a Bad Devil {*
Erano ormai le venti [...] quando giunsi all’enorme cancellata principale del cimitero. All’interno c’erano ancora delle persone intente a salutare i propri cari venuti a mancare, in attesa della commemorazione dei defunti del 2 Novembre, e il guardiano già metteva a posto le proprie carte, pronto a chiudere l’accesso entro un’ora.
Classificata 1° al Contest "Le mille e una notte..." indetto da Ayram e valutato da superkiki92 (giudice sostitutiva) sul forum di EFP, e Vincitrice del Premio Caratterizzazione al Contest "The Graveyard" indetto da Forgotten Stories e Eruannë. sul Forum di EFP




Autore: XShade-Shinra
Titolo: Beyond the Gates of Graveyard
Rating: Arancione [violenza]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of Life
Avvertimenti: Non per stomaci delicati, Storia a capitoli (4)
Disclaimer: Lo scritto e i personaggi sono interamente di mia proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati.
Note: Precedentemente, questa storia aveva partecipato al concorso "The Graveyard", arrivando 6° e vincendo il Premio Caratterizzazione. La versione che ho postato è la 2.0, ovvero la quella migliorata e corretta che ha partecipato al contest "Le mille e una notte...". 



- Beyond the Gates of Graveyard -
Capitolo 01


Il 31 Ottobre è uno dei giorni dell’anno che noi della polizia odiamo di più, assieme al Capodanno e alla Notte Bianca: tutte ricorrenze nelle quali le persone si sentono quasi in obbligo di star fuori fino a tardi e creare situazioni pericolose per loro stesse e, soprattutto, per gli altri.
La nostra era una piccola cittadina piuttosto tranquilla – a parte per gli ubriachi e gli incidenti stradali –, ma un anno, proprio nella notte di Halloween, ci furono diversi arresti: dei ragazzi appartenenti a una setta satanica avevano scoperchiato numerose tombe, distruggendo anche delle statue simbolo del nostro cimitero monumentale. E una delle tombe violate fu quella della mia defunta moglie.
Appunto per far sì che non succedesse di nuovo un fatto del genere, il 31 Ottobre dell'anno dopo presi la decisione di andare al camposanto per controllare che non ci fosse nulla di sospetto.
Erano ormai le venti – e la città era illuminata solo dai lampioni, dai fari delle auto e dalle fioche luci delle lampadine che filtravano dalle finestre – quando giunsi all’enorme cancellata principale del cimitero. All’interno c’erano ancora delle persone intente a salutare i propri cari venuti a mancare, in attesa della commemorazione dei defunti del 2 Novembre, e il guardiano già metteva a posto le proprie carte, pronto a chiudere l’accesso entro un’ora.
Nonostante la situazione dall’esterno sembrasse tranquilla, decisi di entrare in quel luogo sacro per accertarmene, onde evitare un altro atto vandalico premeditato.
Camminai per diversi minuti in mezzo a lapidi, statue e cripte. Il silenzio avvolgeva quel posto, dove nemmeno gli uccellini sui cipressi cantavano, come per portare rispetto al lutto degli altri, e tutti stavano in religioso silenzio.
«Fate la carità…»
D'un tratto udii una voce proveniente dall’uscita secondaria che dava sul sagrato della chiesa di Coldineve: era una giovane mendicante che chiedeva l’elemosina; accanto a lei c’erano la madre, che teneva un pezzo di cartone con su scritto qualcosa in un italiano piuttosto stirato, e un fratellino più piccolo, che dormiva acciambellato assieme al cane.
Scossi tristemente la testa e cercai qualche spicciolo in tasca, ma notai che la sua richiesta venne repentinamente accolta da un’altra persona: si trattava di un ragazzo vestito con capi firmati da cima a fondo – se anziché sequestrarlo per un riscatto lo avessero solamente spogliato, i malviventi ne avrebbero guadagnato sicuramente di più!  
«Tenga» disse alla zingara, donandole una banconota da ben venti euro. «Le auguro una buona giornata, ma non si compri le sigarette con questi soldi, per favore» disse gentile, salutandola con un sorriso e andando via assieme ai suoi due amici che si erano fermati ad attenderlo.
Rimasi sbalordito.
A prima vista avevo pensato che fosse uno di quei ragazzini viziati, invece si era dimostrato molto generoso con quella famiglia in difficoltà. Non pensavo che un ragazzo così giovane potesse avere un così gran cuore.
«I wish the sunrise to come take my soul from this cold, lonely shell I am free».
Improvvisamente, un assordante frastuono mi costrinse a voltarmi, e ciò che vidi mi lasciò di stucco: quel fragore proveniva da un minuscolo MP3 alle orecchie di un ragazzo. Costui era vestito interamente di nero – dagli anfibi, al chiodo, passando ai jeans e i guanti – e ascoltava a tutto volume quella che doveva essere la sua musica preferita, demolendo la pace di quel luogo. Con lui c'era una ragazzina, che non notai subito data la loro notevole differenza d’altezza – nonostante lei portasse le scarpe con la zeppa e i tacchi alti –, vestita con un abitino da gothic lolita talmente corto che il prete se l’avesse vista, l’avrebbe sicuramente scacciata. Notai, inoltre, che aveva i capelli bianchi, come la pelle diafana: forse era un’albina.
Li seguii con lo sguardo, finché non sparirono dalla mia vista e poi li pedinai, preoccupato. Era stata gente come loro a distruggere il cimitero e mancare di rispetto ai morti, e non l’avrei permesso di nuovo, perché conoscevo la sofferenza dei parenti di quelle vittime uccise due volte, nel nome di un dio dell’odio.
Girato l’angolo, li trovai davanti a delle tombe dietro le lunghe file di loculi di marmo e rimasi a osservarli un attimo. Notai che la ragazza si era inginocchiata davanti a una lapide, intenta a pregare, mentre l’altro stava in piedi accanto a lei, con le braccia conserte. Tutto tranquillo e regolare, finché non vidi l’albina prendere dalla borsetta un piccolo astuccio, dal quale tirò fuori degli incensi e un accendino. Non capendo ciò che volesse fare, decisi di intervenire.
«Scusate» richiamai gentilmente la loro attenzione, mentre la ragazza si voltava verso di me, accendendo un incenso, e l’altro non faceva una piega. Sicuramente non mi aveva sentito.
«Dica» fece lei, rivolgendo i suoi occhi rosso sangue verso di me.
Vedendo che la compagna si era mossa, il giovane si tolse gli auricolari e mi guardò severo.
«Che vuoi, sbirro? I tuoi colleghi ci hanno fermato anche prima» fece scontroso.
Mi accorsi che aveva gli occhi di diverso colore: uno blu e uno verde; i miracoli delle lenti a contatto colorate, presumibilmente.
«Sono l’Agente Antonio Pervinca, e anche io vorrei vedere i vostri documenti» dissi deciso, con aria marziale, fermandomi alla distanza di un metro da loro.
«No» mi rispose lui.
«Prego?» chiesi in tono di sfida.
«Non ora, almeno» precisò. «Scilla deve salutare suo nonno, prima».
Guardai la ragazzina, la quale annuì:
«Mi dia cinque minuti» pigolò, piantando la base dell’incenso acceso nella terra accanto alla tomba in marmo e congiungendo le mani, pinzandosi il setto nasale.
Guardai la scena, palesemente confuso, e fu ancora il ragazzo dagli occhi bicolore a parlare, sottovoce, spegnendo finalmente quell’aggeggio infernale:
«Suo nonno è morto la notte di Halloween. Veniamo qua ogni anno per porgergli un saluto» spiegò con voce piatta e neutra.
«Da come lo dici, sembra che veniate da lontano».
«Sì, tre ore di treno penso sia classificabile come “lontano”» annuì, iniziando a porgermi il portadocumenti nel quale teneva la carta d’identità. «Inizi da me».
Controllai i suoi dati ed effettivamente appurai che non fosse residente in città.
«Ofelio Stradivari…» lessi. «Parente del…?».
«Magari…» bofonchiò, facendo roteare gli occhi. Probabilmente non era la prima volta che qualcuno glielo chiedeva. E notai in ritardo che aveva fatto rima…
Dopo qualche minuto, nel quale presi i dati del metallaro, la ragazza completò le sue preghiere e si avvicinò a me, porgendomi il passaporto.
«Ersilia Priscilla Glicine» lessi, appuntandomi il nome, senza fare ulteriori commenti per non ritrovarmi una risposta sfottò come prima. «Mi raccomando, ragazzi, non state ancora per molto qui: tra poco il cimitero chiude» li informai.
«Ora andiamo» mi rassicurò Ersilia, riprendendosi il proprio documento. «Ho finito di salutare il nonnino» spiegò, stringendo una Rose Cross che portava come ciondolo.
«Bene» annuii, ben felice che quegli strambi individui se ne andassero. Nonostante si fossero dimostrati innocui, il loro aspetto non mi piaceva per nulla. «Posso chiedere una cosa?» domandai, rivolto all’albina. «Perché hai acceso un incenso? Di solito si portano i fiori ai morti».
«Opeth ed io non siamo d’accordo» rispose.
«Chi è Opeth?» chiesi, non capendo a chi si riferisse.
«È il mio soprannome» mi spiegò Ofelio, indicandosi.
«E perché questa scelta?» domandai loro. Dopotutto gli incensi si utilizzavano nei riti satanici; quelli di loto, uniti ad altri oggetti “magici”, servivano per aprire le porte degli Inferi.
«Dopo pochi giorni i fiori muoiono e chi siamo noi per uccidere un essere vivente? Perché far morire quel fiore assieme ai nostri cari? Perché regalare dei fiori ai morti? Non hanno più gli occhi per vederli o le mani per accarezzarne i petali o sporcarsi con il loro polline» spiegò lui con voce bassa e calma. «Potrebbero forse sentirne l’odore, ma è troppo tenue perché li raggiunga. Quindi pensiamo che sia più sensato un incenso, il cui odore forte, che sale con il suo fumo, raggiungerebbe senz’altro quello che voi cristiani chiamate Paradiso e le ceneri, cadute a terra, raggiungerebbero l’Inferno, dove un fiore non potrebbe mai arrivare».
Il suo ragionamento non faceva una piega, in realtà.
«Ma non penso che sia educato dire che l’anima di una persona cara sia all’Inferno…» gli feci notare, ma la voce di Priscilla mi raggelò:
«Il mio nonnino era un omicida. Ha ucciso sua figlia e un altro uomo: mia madre e mio padre. Loro mi volevano portare via da lui» soffiò piano, guardando a terra. «Non so se il suo dio ha deciso di accoglierlo in Paradiso o se è precipitato all’Inferno».
«Ma… Solo un pazzo potrebbe fare una cosa del genere!» esclamai, non comprendendo il gesto di quell’uomo – di quel dannato assassino.
Quelle parole, però, rischiarono di costarmi caro: Ofelio mi prese per il bavero della giacca e mi sollevò di una spanna da terra, guardandomi fisso negli occhi, dai quali divampava odio puro.
«Rimangiati subito quello che hai detto sul nonno di Scilla, hai capito?!» ruggì, prima che la ragazza gli prendesse il gomito – troppo bassa per arrivare oltre.
«No, Opeth! Aspetta!» fece lei. «Mettilo giù! Mio nonnino non sarebbe felice se finissi in prigione per una cosa così!»
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, guardandomi torvo, poi mi mise a terra con garbo, ringhiando come un cane.
«Scusi…» fece, cercando di contenere la propria collera.
Lo guardai severo e feci per dire qualcosa, ma la ragazza si mise di nuovo in mezzo:
«Lo scusi, per favore… Lui ha conosciuto il mio nonnino…»
«Odio quando la gente giudica senza sapere tutto di una persona!» esclamò il metallaro. «Lui era una brava persona!»
«Come puoi dire questo?!» feci lapidario. «È un assassino! Ha ammazzato delle persone!»
«Lui…» pigolò l’albina, «…li ha uccisi per me».

[ Continua... ]
XShade-Shinra



Nota: La canzone che ascolta Ofelio è “Forest of October” (tanto per restare in tema) degli Opeth e il pezzo proposto nella storia significa:
Desidero che venga l'alba
Che prenda la mia anima (via)
Da questo freddo, solitario guscio
Sono libero

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Capitolo 2
*** Capitolo 02 ***


- Beyond the Gates of Graveyard -
Capitolo 02


Rimasi in silenzio, in attesa che Ersilia continuasse.
«Mentre suo marito era in marina per un anno e mezzo, mia madre ebbe un amante e dalla loro unione nacqui io. Per mettere a tacere il fatto prima che tornasse, lei decise di uccidermi. Non avrebbe mai rischiato un aborto, perché aveva paura di andarci di mezzo anche lei. Così, la notte che la mamma e il papà cercarono di uccidermi, il mio nonnino li freddò e mi salvò, tenendomi con sé e crescendomi come una figlia». Un piccolo sospiro, e l'albina riprese a raccontare. «Lui era buono con me. Quando è morto di vecchiaia mi ha raccontato tutto e mi ha chiesto di odiarlo, ma come si può odiare la persona che ti ha salvato la vita?» mi guardò con le sue pozze di sangue, rese umide dalla malinconia. «Così decisi solo di raccontare il fatto alla polizia, che, comunque, non avrebbe più potuto fargli nulla di male. Io gli voglio bene… Tanto bene».
Pur non comprendendo il suo modo di vedere i fatti, capii che doveva essere stato un ottimo nonno ma una spregevole persona: avrebbe potuto portarla via senza uccidere il sangue del proprio sangue.
«Ho capito, ma né chiederò scusa, né mi rimangerò quanto detto» precisai.
«Non importa» disse la ragazza, asciugandosi gli occhi. «L’importante è che io ci sia sempre per lui».
Sentii Ofelio borbottare un qualcosa che feci finta di non udire e decisi di salutare quella stravagante coppia.
«Ora tornatevene a casa» ordinai duro, anche se la chiacchierata con loro mi aveva del tutto sconvolto. Amare un assassino… follia! «Buon rientro, sappiate che vi terrò d’occhio se girate ancora da queste parti».  
Priscilla fece per dirmi qualcosa, ma si bloccò, preferendo annuire e prendere Ofelio per mano, per poi girarsi e procedere lungo la strada per l’uscita secondaria del cimitero.
Io, invece, decisi di finire il giretto di perlustrazione e andare da una persona.

Mi fermai davanti alla tomba di mia moglie, ormai vuota. Nella foto sorrideva, come quando era andata incontro alla morte.
Vedrai, ci rivedremo tra quattro ore!” aveva esclamato sorridendo. “E non presentarti con dei fiori: quelli si portano ai morti!” aveva ridacchiato, mentre mi salutava con la mano e i medici la portavano in barella fino alla sala operatoria.
Le avevano riscontrato un tumore che, pian piano, la stava mangiando dall’interno. I dottori ci avevano detto che l’operazione poteva essere molto pericolosa, ma se non l’avessero curata in tempo, poi non ci sarebbero più state speranze. Mia moglie era una donna forte, così aveva deciso di sottoporsi all’operazione per poter vivere serenamente per gli anni a venire. Però, dopo sette ore dall’inizio dell’intervento, ormai a notte fonda, il suo medico curante venne da me e mi diede la notizia.
Sua moglie non ce l’ha fatta” aveva detto triste.
Quelle parole erano bastate per farmi crollare a terra in un pianto disperato.
Da allora, mi recavo al cimitero almeno ogni domenica, più qualche altra visita infrasettimanale a seconda dei turni di lavoro. Erano passati cinque anni dal suo decesso e, ancora, non riuscivo a dimenticarla.
Poi c’era stata la sua seconda morte, quando quelle bestie di Satana l’avevano usata per i loro riti, distruggendone i resti.
Le ossa e le ceneri sono state mischiate” mi informò il mio superiore, quando quei ragazzi – quei mostri – furono arrestati. “Purtroppo non sappiamo come fare”.
L’avevo persa, un’altra volta.
Il suo corpo violato era nella fossa comune, insieme a quello delle altre vittime dello scempio, ma il mio punto di riferimenti restava quella tomba vuota e spaccata riportante la sua foto, accanto al mazzo di fiori nel vaso. In effetti, dopo una settimana di freddo senza pioggia, erano ormai secchi. Morti come lei.
Mi feci il segno della croce e, dopo aver detto una preghiera per la sua anima, presi l’uscita principale, passando vicino al guardiano.
«Buonanotte, signor Alessio» lo salutai, mentre vedevo che armeggiava con le chiavi – che avrebbe poi consegnato al parroco – per chiudere la guardiola.
«Buonanotte a lei, signor Pervinca» mi salutò di rimando. Ci eravamo conosciuti esattamente l’anno prima. «Grazie per il giro di ricognizione che ha fatto, la stavo osservando».
«Di nulla, si figuri» sorrisi, mentre vedevo un barbone in sedia a rotelle che entrava nel cimitero.
«Buonasera» mi rivolse il saluto, spingendo la carrozzina con fatica.
«Salve» feci, guardandolo con aria interrogativa.
«Grazie, Alessio» disse al guardiano, che gli fece un cenno con la mano, per poi proseguire verso il centro del cimitero.
«Chi è?» domandai, vedendolo scomparire dietro le lapidi.
«È solo un senzatetto al quale do ospitalità in questo luogo, per la notte. È un brav’uomo, lo conoscevo prima che cadesse in disgrazia. Da quando ha perso l’uso delle gambe, e ha conseguentemente perso il proprio lavoro, vive così» spiegò il guardiano, accompagnandomi fuori e chiudendo il cancello dopo aver spento l’illuminazione dal quadro principale.
«Capisco…» annuii, volgendo un ultimo sguardo in quel luogo sacro.
«Anche il parroco ne è al corrente, non facciamo nulla di illegale» ridacchiò Alessio, andando verso la chiesetta. «Arrivederci!»
«A domani» feci, abbozzando un sorriso.
Avevo in mente di portare a mia moglie dei bellissimi crisantemi bianchi, la mattina seguente, in modo da poterle donare un regalo anticipato nella giornata di Ognissanti; ma non sapevo che in quel cimitero ci sarei tornato molto prima, ancora durante la notte di Halloween.

«Sei un imbecille, Opeth!» sentenziò Priscilla, dando un colpo di borsetta dei Cannibal Corpse – della capienza degna di quella di Mary Poppins – in testa al ragazzo. «Lo sapevo che non saremmo dovuti passare in fumetteria a prendere il nuovo numero di “Bastard!!”. Ora abbiamo perso il treno!»
«Ma quel manga esce una volta ogni morte di papa, Scilla! E da noi non c’è la fumetteria» borbottò il metallaro, difendendosi dai colpi della compagna. «Vorrà dire che andremo a fare “dolcetto o scherzetto” alla porta dei tuoi ex-compaesani».
«E rischiare che ci denuncino come nella tua città, tre anni fa?!» gli ricordò Ersilia. «Abbiamo già avuto abbastanza grane per oggi: prima quella pattuglia, poi quel poliziotto e infine due bambini con le bombolette spray che volevano spruzzarci pensando che i nostri abiti fossero vestiti a maschera!»
«Almeno mi hanno chiamato Lord Alucard!» disse Ofelio, decisamente esaltato da quel titolo.
«Quanto sei scemo» rise la ragazza, la quale si accorse che erano tornati al cimitero. «Uhm, qui dovrebbe esserci un bar, magari è aperto fino a tardi, stanotte. Ci prendiamo qualcosa da bere e poi…» la voce le si fece malinconica. «Mi faresti  compagnia su quelle altalene?» chiese, prendendolo per mano, mentre guardava il piccolo spazio giochi del Parco delle Rimembranze, antistante all’entrata principale del cimitero. Il nonno la portava sempre lì quando era piccola.
«Certo» sorrise il ragazzo, dandole un bacio tra i nivei capelli. «Indicatemi la via, mia damigella» scherzò.
«Da questa parte, mio prode!» rise lei, ritrovando subito il buon umore, facendo strada al metallaro verso il piccolo bar vicino alle altalene.


[ ...continua... ]
XShade-Shinra



Note:
- “Bastard!!” è ovviamente il manga di Kazushi Hagiwara. La periodicità è fortemente irregolare e per questo motivo i fans fanno i salti mortali pur di averne i nuovi tankōbon il prima possibile.
- “Alucard” è il protagonista del manga “Hellsing” di Kouta Hirano, ma anche un personaggio di Castlevania e del film “Il figlio di Dracula” (Son of Dracula). Curiosità: letto al contrario diventa “Dracula”.  

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Capitolo 3
*** Capitolo 03 ***


- Beyond the Gates of Graveyard -
Capitolo 03

Si erano fatte ormai le undici e tutto pareva tranquillo, ma, davanti all’entrata secondaria del cimitero, tre ragazzi stavano scavalcando il cancello, atterrando soffici sul tappeto di foglie secche trasportate dal vento che si stava alzando.
«Ehi, Adalberto!» uno di loro chiamò quello che doveva essere il capo. «Ancora non ci hai risposto! Perché hai fatto la carità a quella zingara?» gli domandò, camminando con gli altri nel cimitero buio e deserto.
Adalberto Barocco, il ragazzo che poche ore prima aveva donato ben venti euro alla ragazzina davanti all’uscita del cimitero, passò una torcia al suo compare, per poi rispondere con aria di sufficienza:
«Perché mi avrebbe senz’altro toccato con le sue mani lerce, inoltre quelli là sono dei grandi iettatori! Ti ricordo che io devo sostenere gli esami all’Università tra pochi mesi! Non posso permettermi di avere fatture addosso» spiegò scocciato.
«Ah, è vero! Il capo è acculturato» rise il terzo, che aveva taciuto fino a quel momento, che portava con sé una busta del supermarket contenente una bottiglia di alcolico e dei bicchieri per festeggiare alla mezzanotte.
«Fanculo, Lucio. Lo sai che studio solo per non dover alzare il culo dalla sedia andando a lavorare. Meglio la vita da studente» disse Adalberto, andando verso la parte del cimitero con le statue più belle e antiche.
«Lo sappiamo, capo!» ridacchiò Lucio, accendendosi una sigaretta. «Dopotutto, io e Firmato, quest’anno, non stiamo nemmeno frequentando».
Il trio stava passeggiando con svogliatezza per il camposanto, visitato solo poche ore prima, per fare una classica prova di coraggio: dovevano solamente scattarsi delle foto in posa insieme alle statue e presentarle ai loro amici il giorno dopo. Un gioco poco rispettoso nei confronti dei morti e delle tombe che avrebbero calpestato.
Il destino, però, volle che quello stupido gioco non venisse mai fatto, perché Firmato, che puntava la torcia a terra, vide una strana figura investita dal cono di luce giallognola, e si bloccò di colpo, indicandolo:
«Un―un
uno... zozom» balbettò. «…uno zombi!»
Gli altri due sbiancarono, guardando quel corpo sdraiato tra le foglie morte. 
«Chi c’è?» chiese una voce umana, decisamente stanca. La figura si alzò a sedere e poggiò la schiena contro una vecchia lapide.
«È un uomo?» chiese Lucio, guardandolo a occhi sbarrati.
«Sembra di sì» li tranquillizzò Adalberto, camminando verso l’individuo. «Che ci fai qua?» gli chiese, senza rispondere alla sua precedente domanda.
«Non potete entrare qui!» li aggredì il barbone, avvolto in una spessa e consunta coperta di lana. «Quando il prete lo saprà avviserà immediatamente le forze dell’ordine!»
«Oh, ma il prete non lo saprà… vero?» domandò il capo del terzetto con aria lugubre.
In quel momento la torcia che teneva in mano Firmato fece brillare un qualcosa vicino all’uomo: la sua sedia a rotelle.
«Ah, ma sei storpio…» fece Lucio, soffiando il candido veleno della sua sigaretta, che si condensò nel freddo di quella notte.
«Già… sei storpio e fai la voce grossa con noi?» rise Adalberto, dandogli un calcio al fianco.
Antioco, dolente, si portò una mano al punto offeso, ma continuò a guardare il trio con aria severa:
«Fate pure i gradassi quanto volete, ma vedrete che vi passerà la voglia di comportavi in questo modo quando la polizia…»
«La polizia?» ripeté Adalberto, accucciandosi vicini a lui. «Non farmi ridere, storpio! Prima di poter parlare con il tuo caro amico pretino o con la polizia, devi arrivare da loro, non trovi?» chiese sprezzante. «Sei proprio sicuro di volerli avvisare della nostra incursione?»
«Certo!» dichiarò deciso e per niente impaurito da quei tre ragazzi.
«Se questa è la tua risposta…» borbottò Adalberto, per poi sollevare il volto e guardare i suoi due scagnozzi con lo sguardo da invasato, traboccante di pazzia. «Penso che potrebbe darci delle grane… Divertiamoci con lui» ghignò, alzandosi e dando un calcio in faccia all'uomo, scaraventandolo a terra con un grugnito di dolore.
I due ragazzi si avvicinarono al loro boss e cominciarono a dargli manforte, divertendosi a infierire su Antioco con calci in parti sparse del corpo, prima che Adalberto potesse dar loro ulteriori ordini:
«No, no, ma che fate? Così penserà che siamo dei delinquenti! Prendiamocela con qualcosa che non gli serve, come le gambe, ad esempio!» sghignazzò, godendo nel poter far del male a una persona che non si poteva difendere, come una preda circondata dal branco: uno contro tre, un incontro sadico e impari.
«No…» chiese pietà Antioco, cercando di portare le proprie gambe al petto, circondandosele con le braccia per poterle così proteggere.
«Ahahah!» risero i tre, mentre Lucio buttava a terra la sua paglia, ormai consumata fino al filtro, schiacciandola con la suola della scarpa.
«Che scena! Facciamogli delle foto! Le metteremo su Facebook!» istigò il fumatore.
«Va benissimo!» annuì Adalberto, prendendo la digitale dallo zaino e scattando qualche foto all'uomo. «E ora… finiamo di conciarlo per le feste! Così non dirà nulla a nessuno!» ordinò, cominciando a prendere a calci le gambe del barbone, colpendo però anche le braccia e il busto, fino a fargli lasciare la presa dal dolore, mentre urlava con tutto il fiato che aveva in corpo.
Dopo pochi minuti, Lucio si accorse di avere ancora la busta della spesa in mano e la mise a terra, trovando molto più divertente far del male al senzatetto, ma a Adalberto non sfuggì di certo quel gesto, e un ghigno a mezzaluna gli solcò il volto, dandogli l'aspetto di un demone.
«Oh, ma pensa un po'…» fece, andando a prendere la bibita. «La grappa è infiammabile, vero?» domandò retorico, aprendola e avvicinandosi all'uomo.
«Che vuoi fare, boss?» domandò Firmato, capendo che c'era sotto qualcosa.
«Divertirmi insieme a voi, mi pare ovvio» rispose, cominciando a versare il contenuto della bottiglia di grappa sulle gambe dell'uomo «Lucio, appena ho finito, accenditi un'altra sigaretta: stasera faremo un bel falò! Vediamo se riesce a correre!» rise in maniera grottesca, provando piacere puro per le proprie parole e per tutto il dolore che avrebbe procurato a quella persona, la cui sola colpa era essere là proprio in quel giorno.
Antioco, comprendendo cosa avevano intenzione di fargli, urlò di terrore, squarciando il silenzio di quella notte di festa.
Si dice che Satana scenda sulla terra nella notte di Halloween, acclamato dagli spiriti, e Antioco fu certo che quelle non erano solo dicerie popolari atte a infangare una festa pagana.

«Uhn?» fece Ersilia, volgendo lo sguardo verso il cimitero.
«Cosa c'è, Scilla?» domandò Ofelio, intento a comporre una nuova canzone sul proprio taccuino Moleskine pentagrammato.
I due si erano seduti sulla panchina antistante al cimitero, cercando di ammazzare il tempo componendo musica, mentre bevevano i drink che avevano preso al bar. Ormai era notte fonda e avevano in mente di festeggiare la mezzanotte e fare una passeggiata nella solitudine di quella zona periferica, tranquilla e silenziosa, in attesa che si facesse l’alba per andare a prendere il treno.
La ragazza, però, aveva sentito un rumore, e rimase un attimo in silenzio, facendo dondolare le gambe sulla panchina, non rispondendo subito alla domanda del ragazzo. 
«Mi è sembrato… qualcosa…» rispose, pensierosa.
«Magari è la suggestione» provò a dire Ofelio.
«Dormo in un letto a forma di bara, secondo te questo luogo mi fa paura?» chiese retorica, ma prima che il metallaro potesse rispondere, sentirono entrambi un grido provenire dal cimitero.
Priscilla balzò in piedi, preoccupata.
«I morti non urlano» disse solo, mentre Ofelio riponeva il blocchetto nella borsa e si alzava, seguendo la ragazza che aveva iniziato a correre, attraversando la strada per dirigersi al cancello principale.
Qualsiasi persona sarebbe scappata terrorizzata sentendo quelle urla provenienti da un camposanto, ma loro, abituati a che fare con le cose lugubri, non avevano certamente paura del buio o degli incubi che esso celava. Così, decisero di scavalcare il cancello ed entrare in quel luogo, per controllare almeno cosa stesse succedendo; soprattutto perché l’albina era preoccupata che, in qualche modo, ne potesse essere andata di mezzo la tomba del proprio nonno.

[ ...continua... ]
XShade-Shinra 

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Capitolo 4
*** Capitolo 04 ***


- Beyond the Gates of Graveyard -
Capitolo 04


«Ahahah! Sentite come urla e piange: è terrorizzato!» rise Adalberto, mentre Lucio si accendeva la sigaretta e ghignava, prendendo qualche boccata di fumo.
«Basta! Basta!» urlava Antioco tra le lacrime, spaventato e dolorante, mentre vedeva la morte, nascosta tra quelle centinaia di lapidi, che lo guardava, pronta a prenderlo con sé.
«Il bello deve ancora venire, altroché!» ridacchiò Firmato, che stava facendo altre foto per immortalare quell’espressione terrorizzata.
«Permettimi, Lucio…» sussurrò Adalberto, il più divertito dei tre, prendendo la sigaretta dalle labbra dell’amico. «Voglio essere io a farlo».
«Certo, capo» annuì lui, lasciando che le dita curate del suo boss si divertissero a giocare con quella stecca, in una sorta di tortura psicologica per il barbone, prima di lasciarla sospesa a pochi decimetri dai suoi pantaloni inzuppati di alcol.
«Addio» disse Adalberto, tombale; ma, prima che potesse lasciare la presa, un potente pugno lo mandò a terra, facendo cadere lontano quella sigaretta, che venne prontamente spenta dal tacco nero della scarpa di Ersilia. 
«Come vi permettete?!» ruggì Ofelio, mettendosi davanti al corpo del barbone. Era stato lui a centrare in pieno il capogruppo di quel branco, mandandolo al tappeto.
«E tu chi saresti?» chiese Lucio, colpendo il metallaro con un calcio che non riuscì ad andare a segno, perché il nuovo arrivato glielo parò, tenendogli bloccata l’articolazione della caviglia.
«Opeth è un demone dell’Inferno» sorrise Priscilla, rispondendo alla sua domanda. «Vi conviene scusarvi con quell’uomo» suggerì.
«Noi... scusarci?!» urlò Firmato, furente, mentre Ofelio lo fulminava con lo sguardo. «Sei tu, metallaro di merda, che ti dovresti scusare per quello che hai fatto al nostro capo!»
«Siete alle dipendenze di un verme come quello?» chiese Ofelio con un’espressione granitica in volto, indicando il corpo di Adalberto con uno sputo mirato e stringendo la presa su Lucio, che gridò di dolore.
«Stai zitto, faccia di cazzo!» rispose l’altro scagnozzo, facendo per dargli un pugno, che venne schivato dalla forza bruta di Ofelio, che usò il corpo stesso di Lucio come arma, buttandolo addosso al compare.
«Stupidi…» sputò schifato, facendosi scrocchiare le nocche. «Ora vi sistemo…» ringhiò, picchiando con violenza i due ragazzi, mentre Adalberto, probabilmente, fingeva di essere morto per non incappare oltre nella sua ira.
Nessuno di loro poteva sapere che Ofelio, da buon ragazzo di montagna, era cresciuto in mezzo alla natura e si era fatto i muscoli spaccando la legna e trasportando a casa la selvaggina catturata.
Intanto, Ersilia si era avvicinata all’uomo, che piangeva ancora a terra.
«Signore…» lo chiamò piano. «Come si sente?» domandò, inginocchiandosi vicino a lui.
«Ora… bene…» ebbe la forza di dire.
«Chiamo la polizia e un'ambulanza!» disse l'albina a voce alta, tirando fuori dalla borsa il cellulare.
«Ok!» concordò il metallaro, dando un ultimo pugno a Firmato, che cadde a terra privo di sensi e con il naso sanguinante.
Mentre Priscilla chiamava la polizia, Ofelio raggiunse Antioco e gli prese una mano, cercando di dargli coraggio e fargli forza. Capiva benissimo che doveva essere stato un forte shock per lui.
«Come ti chiami?» gli chiese.
Il barbone, stringendogli spasmodicamente la mancina, rispose con un fil di voce tremante:
«Antioco…»
«Sta' tranquillo, Antioco. Ora sei al sicuro» lo tranquillizzò. «Scilla sta chiamando l'ambulanza».
«Grazie…» si udì appena. «Grazie, Signore…» fece il barbone, portandosi l'avambraccio agli occhi per cercare di trattenere le lacrime che continuavano a scorrergli lungo le tempie e le guance.
Era salvo.
Il Signore aveva deciso di mandare in suo soccorso due angeli decisamente poco canonici, ma non per questo non consoni alla missione.

Dopo dieci minuti scarsi, io e i miei colleghi, chiamati dalla ragazza, arrivammo al cimitero, seguiti dall’ambulanza. Avevo deciso di restare a disposizione alla centrale per intervenire nel caso ci fossero state delle chiamate e, quando mi dissero che si trattava di un’aggressione nel cimitero, capii che avevo fatto la scelta giusta.
Avevo svegliato il parroco, chiamandolo dalla volante, e lui si era presentato così celermente al cancello del cimitero che al nostro arrivo trovammo già tutto aperto. Entrammo, quindi, senza troppi convenevoli, illuminando quel luogo a giorno.
Trovammo i bulli ancora stesi a terra sanguinanti, per via delle botte ricevute da Ofelio, mentre Antioco, stanco per lo shock, si era addormentato, vegliato dai suoi salvatori. Puzzava terribilmente d’alcol e avrei pensato che fosse un ubriacone se già nella sua telefonata Priscilla non ci avesse avvisato che “dei bastardi volevano dare fuoco a un barbone”.
«Ma questa è una persecuzione…» borbottò il metallaro, vedendomi, mentre Ersilia ridacchiava.
«A quanto pare…» bofonchiai, cominciando a interrogarli per capire l’accaduto, mentre i paramedici fecero per prendere i ragazzi in terra.
«Non loro! Lui!» strillò Priscilla, arrabbiata, indicando Antioco.
«Ma sembra che loro stiano peggio…» notarono i medici.
«No!» li sgridò, facendoli desistere dal soccorrere i ragazzi, per prestare, invece, le prime cure al barbone.
I miei colleghi, intanto, avevano risvegliato gli assalitori e li stavano trascinando verso le auto di ordinanza, per portarli alla stazione di polizia per un interrogatorio con i fiocchi, e riconobbi in loro i tre ragazzi distinti della sera prima. 
«Andiamo» fece Ofelio, prendendo la ragazza per mano, ma li trattenni:
«Non potete andare da nessuna parte: devo finire di interrogarvi» dissi loro. «Dopotutto vi avevo detto di andarvene subito e di non rimanere qui».
«Abbiamo perso il treno» spiegò Ersilia con un pigolio dispiaciuto.
«Già, e poi volevamo andare all’ospedale con lui, non tornare a casa» continuò il metallaro, per poi lasciare di nuovo la parola all’altra:
«Non riusciremo a stare tranquilli senza aver sentito prima i medici… quei ragazzi gli hanno fatto tanto male…»
«Va bene, andate» acconsentii, poiché i veri criminali avevano già le manette ai polsi. «Però vi raggiungerò là, intesi?»
«Agli ordini!» esclamò Ofelio, mettendosi sull’attenti e allontanandosi con Priscilla, seguendo la barella.
Quell’anno, per fortuna, la tragedia che stava per nascere era stata interrotta giusto in tempo, e quando vidi il metallaro salire in ambulanza assieme alla gothic lolita e al barbone ferito, mentre il gruppetto di bulli veniva caricato nella gazzella dai poliziotti – allora e solo allora –, mi domandai chi fosse il Demone e chi l'Angelo.
Il ricco ragazzino educato che aveva dato l'elemosina a quella povera famiglia di zingari e che poi aveva offeso il vagabondo con il proprio branco, oppure i due strambi ragazzi vestiti alternativi, con l'MP3 al massimo, le croci al collo e la parlantina sarcastica, che avevano salvato il barbone dalla pazzia dei borghesi?

[ ...fine ]
XShade-Shinra




Note finali

Spiegazione nomi dei personaggi:
-Ofelio Stradivari: scelto per l’assonanza con il gruppo musicale Opeth (soprannome del ragazzo), il cui nome deriva da Opet, la città della Luna del libro "L'Uccello del Sole" di Wilbur Smith. Il nome è scelto anche in onore del suo ruolo all'interno della storia, in quanto il significa "colui che assiste/aiuta"; Ofelia è, inoltre, un personaggio Shakespeariano dell'Amleto. Il cognome è lo stesso del liutaio cremonese Antonio Stradivari, scelto poiché il gruppo (speed) power metal “Stratovarius” deve metà del proprio nome all'artista in questione, mentre l'altra metà al modello di chitarra elettrica solid-body (priva di cassa armonica) “Stratocaster”.
-Ersilia Priscilla Glicine: il primo nome deriva dal latino e significa Rugiada (anche “figlia del sole” e qui si trova il collegamento con “l’Uccello del Sole”), oltre a essere un asteroide e una figura mitologica romana. Il secondo è stato scelto per il suo diminutivo: Scilla, nome del famoso mostro mitologico, di un asteroide e di una pianta dai colori lilla/glicine. Il cognome deriva dalla pianta rampicante Wisteria, più conosciuto con il nome comune “Glicine”; è stata scelta la seconda denominazione poiché è una delle parole italiane dove “gli” ha un suono duro (come geroglifico, negligenza, glicerina, anglicano), è stata appunto la particolarità della parola ad ispirarmi, oltre che per il colore che rappresenta, riconducibile al secondo nome della ragazza.   
-Antonio Pervinca: dal nome di un rigidissimo ma gentile carabiniere che ho avuto il piacere di conoscere. La pervinca, invece, è una pianta tossica il cui nome deriva dal latino “vincire” (legare), è inoltre un colore tra il celeste e il violetto.
-Antioco: nome molto usato in Sardegna, la mia terra; trovo inoltre che abbia una discreta sonorità.
-Alessio: deriva dal greco alékso e significa protettore.
-Adalberto Barocco: deriva dal tedesco antico e significa "illustre per nobiltà". Barocco è inteso come il movimento culturale italiano iniziato alla fine del XVI secolo e finito alla metà del XVIII secolo. Inoltre, è anche un album del Rondò Veneziano .
-Lucio: dal prenome latino Lucius, da lux o dalla parola greca leucos, significa portatore di luce, scelto per contrasto con il suo ruolo. 
-Firmato: ebbene sì, è un nome! Deriva, purtroppo, dalla disinformazione e dalla bassa soglia di istruzione. Quando venne pubblicato il Bollettino della Vittoria, in calce vi era riportato “Firmato Diaz” e molti pensarono che Firmato fosse il nome di Armando Vittorio Diaz, e alcuni bambini si ritrovarono quel nome, che a me, sinceramente, piace molto!

Il Titolo:
Il titolo significa “Al di là dei Cancelli del Cimitero”, ma ha un significato simbolico.
I cancelli del cimitero rappresentano l’esterno della persona, il suo ruolo e il suo apparire, ma l’”al di là dei cancelli” rappresenta l’interiorità delle persone, il loro stesso essere.
Il significato può tradursi in “l’abito non fa il monaco”, ed è un invito ad andare oltre le apparenze – perché un demone lo si può trovare  anche dietro un faccino pulito, creato da una maschera per sopravvivere nella società – e di ricordare che dietro ogni straccio, ogni divisa, ogni guardaroba c’è un uomo che vive, lotta e spera, esattamente come tutti gli altri.

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