Il codice di Hammurabi di Saerith (/viewuser.php?uid=20420)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'ancora di salvataggio ***
Capitolo 2: *** Una doccia fredda ***
Capitolo 3: *** Prendere il volo ***
Capitolo 4: *** New York New York ***
Capitolo 5: *** Gita al mare ***
Capitolo 6: *** Tadaima ***
Capitolo 7: *** Piume di pavone ***
Capitolo 8: *** Il complotto ***
Capitolo 9: *** Sotto il gingko nel cortile ***
Capitolo 10: *** Nel mio cuore ***
Capitolo 1 *** Un'ancora di salvataggio ***
DISCLAIMER: I personaggi di
Capitan Tsubasa non appartengono a me, ma al loro creatore Yoichi Takahashi, e
non vengono qui utilizzati a scopo
di lucro
Quella mattina
in aula faceva più caldo del solito. Il professore dopo aver scritto le formule
alla lavagna aveva allentato un po’ il nodo della cravatta e chiesto
gentilmente all’alunna del primo banco alla sua destra di aprire la finestra.
Facendo scorrere il vetro sulla sede metallica, Sanae aveva avvertito il tocco
della brezza estiva, unico ristoro dalla canicola infernale di quelle giornate d’inizio
luglio. Le vacanze erano prossime e gli studenti si stavano preparando per gli
esami di fine trimestre che si sarebbero svolti entro la metà del mese.
La ragazza si
risedette al posto sistemando la gonna del seifuku
e, come sempre, si voltò a sorridere a Tsubasa che fissava concentrato la
lavagna, cercando di carpire l’arcano dietro alle combinazioni di numeri che ne
riempivano la superficie nera. Lo vide grattarsi la testa, come faceva sempre
quando era nervoso. Soffocò una risata che stava per uscirle spontanea,
prevedeva che avrebbe chiesto il suo aiuto per prepararsi all’esame. Non che la
cosa le dispiacesse, anzi, ogni scusa per stargli vicino era la benvenuta,
perchè, purtroppo, non aveva altro modo per stare accanto al ragazzo che aveva
a cuore.
Terminò di
scrivere l’ultimo appunto, poi rivolse uno sguardo fuori della finestra, dove
si estendeva il campo da calcio, lì avrebbe passato l’ennesimo dei suoi
pomeriggi al club. Niente era cambiato, al di fuori, ma qualcosa dentro di lei sì.
Solo qualche mese prima, all’inizio dell’anno scolastico, era ancora la Sanae
di sempre, certo, ora più femminile, ma serena e soddisfatta della sua vita.
Quell’anno però, era successo qualcosa, un evento che l’aveva portata a
riflettere bene su se stessa e ciò che provava.
Al club di
calcio era arrivata Kumi Sugimoto, una kohai
iscrittasi a inizio anno e che, a differenza di tanti altri che, dopo i primi
allenamenti, avevano abbandonato, era rimasta imperterrita e il motivo di tanta
tenacia era uno: si era presa una bella cotta per Tsubasa.
I suoi modi,
quasi invadenti, non erano sfuggiti a nessuno, soprattutto a Sanae, che non
poteva nascondere che quegli ammiccamenti, quel suo precipitarsi a passare
l’asciugamano al capitano e altre fesserie simili le davano proprio sui nervi.
Certo, quando erano alle elementari anche lei aveva tenuto atteggiamenti
esageratamente espliciti, ma non per questo riusciva a giustificare il
comportamento di Kumi. Alle elementari lei era una bambina che aveva provato
una simpatia per un coetaneo, ma si cresce, si cambia. Queste erano le
considerazioni che stava facendo quella sera di marzo, mentre riguardava il suo
prezioso quaderno pieno di ritagli di giornale, tutte foto in cui era ritratto
Tsubasa. Per un attimo, il suo volto sorridente le attraversò la mente e sentì
il cuore che iniziava a bussare nel petto.
Cos’è
questa sensazione?
Aveva richiuso
il quaderno e si era infilata a letto, ma il sonno faticava a venire, poichè si
sentiva incredibilmente agitata. Il giorno dopo, al campo sportivo, di fronte
all’ennesimo teatrino messo in scena da Kumi, aveva serrato la mascella e si
era diretta dissimulando tranquillità, verso il capanno degli attrezzi. Con
stizza aveva tirato un calcio ad un secchio pieno di ferri e lo aveva fatto
rovesciare con tutto il suo contenuto. Si sentiva esplodere dalla rabbia e, non
sapeva perchè, gli occhi le si stavano facendo lucidi.
- Ma che ti
prende?!- si domandò.
Si passò una
mano sul volto e, per la prima volta, cercò di ammettere con se stessa quello
che ormai era evidente.
Sanae,
tu sei gelosa!
Ritornando sui
suoi passi, aveva incrociato Tsubasa che stava andando ai lavatoi. Lui l’aveva
guardata con quel suo sorriso dolce che come la sera precedente le aveva
mandato il cuore al galoppo. Tutto era chiaro: si era innamorata.
Scoprire i suoi
sentimenti, però, non le aveva fornito anche la risposta su come gestirli.
Aveva dovuto affrontare con pazienza le crisi di gelosia che le torcevano lo
stomaco, dissimulare tranquillità, quando dentro il petto il cuore le bussava
forte ogni qual volta Tsubasa le parlava o quando le loro mani si sfioravano
per caso. Col passare del tempo aveva imparato a convivere con la portata dei
suoi sentimenti, che si amplificava giorno dopo giorno, ma non poteva esimersi
dal sentire quella tremenda insoddisfazione per ciò che stava incatenato nel suo
cuore. Kumi, poi, non era la sola spina nel fianco, un’ombra più oscura tingeva
di grigio le sue giornate: il Brasile. Sapeva che Tsubasa era fortemente
intenzionato a partire al termine delle scuole medie e ne aveva avuto la
conferma quando, tornando a casa alla fine degli allenamenti le aveva parlato
di Carlos, il ragazzo che gli dava lezioni private di portoghese.
Sbuffò per
allontanare quella solita punta di tristezza che la coglieva e richiuse il
quaderno di matematica, mentre la campanella annunciava la ricreazione. I suoi
compagni si alzarono di scatto, felici di potersi finalmente rilassare.
- Tsubasa-kun,
tu hai capito qualcosa delle spiegazioni di oggi?- sentì Ishizaki fare la
solita domanda.
- Veramente no.-
si voltò nella sua direzione giusto in tempo per notare quel gesto d’imbarazzo
che lei trovava delizioso. I loro sguardi si incontrarono e lui tirò fuori la
lingua per gioco, ricevendo in risposta una strizzatina d’occhio.
Ho
già capito l’antifona, Tsubasa...
Dei tonfi poco
aggraziati si avvicinarono all’aula e un secondo dopo, Kumi si fiondò al suo
interno, gettandosi come un rapace verso il banco del ragazzo.
- Capitano!-
Sanae sospirò,
chiamando a raccolta tutta la sua pazienza: quella ragazza era quanto di più
simile a un incubo a occhi aperti. Tsubasa fu colto alla sprovvista e lei
approfittò del fattore sorpresa per prendergli il polso e legargli attorno tre
fili rossi intrecciati.
- Sono bracciali
portafortuna, capitano. Li ho fatti con le mie mani.- starnazzò, mentre
chiudeva i nodi di ciascun filo.
Il ragazzo non
ebbe modo nemmeno di replicare o ribellarsi, poi quando l’ultimo bracciale fu
legato, lei sorridente disse: - Sono
rossi, colore dell’amore.- e accompagnò l’ultima parola con una strizzatina
d’occhio.
Tsubasa avrebbe
preferito sprofondare per l’imbarazzo, dato che la maggior parte dei suoi
compagni di squadra era lì ad osservare e ora se la stava ridendo alla grande.
- Ehm,
grazie...- bofonchiò impacciato.
Un paio di pugni
sbattuti sul tavolo, gettarono il gruppo nel silenzio assoluto. Sanae si alzò
con stizza e afferrò con poca grazia la propria borsetta contenente il bento, per guadagnare l’uscita dell’aula.
Arrivò ai gradini che portavano alla terrazza e li salì pestando letteralmente
i piedi su ogni scalino, afferrò la maniglia della porta e una volta fuori la
sbattè con un’intensità tale da fare tremare il vetro del pannello.
Era stato troppo
anche per la pazienza che aveva imparato ad avere nel corso degli anni, il
gesto di Kumi era forse al di sopra dei normali standard a cui era abituata, ma quello che proprio non era riuscita
a digerire era stato quel “grazie” di Tsubasa.
Va
bene essere ingenui, ma accettare un gesto tanto esplicito senza battere
ciglio...
Aveva escluso
che il ragazzo potesse nutrire interesse per Kumi, non per superbia, ma perchè
sapeva bene che l’unica cosa che attirasse l’attenzione del capitano della
Nankatsu era il calcio e questa consapevolezza la portava, con rammarico, a
pensare che anche lei non avesse chissà quale posto speciale nel cuore di
Tsubasa.
Yukari si stava
lamentando del caldo infernale che impregnava l’aria di fronte agli armadietti
in cui stavano riponendo le scarpe di ricambio. Sanae l’ascoltava a tratti
annuendo e sforzandosi di sorridere.
- Yukari-chan,
oggi non me la sento di venire.- la interruppe.
La sua amica
rimase a bocca aperta, poi deglutendo chiese di ripetere.
- Mi spiace,
oggi proprio non mi va di venire al club. Tu e Kumi dovrete fare da sole.-
Sospirò. Non le
sfuggì lo sguardo perplesso della sua amica: le aveva confidato i suoi
sentimenti già da tempo e capiva quanto potesse suonarle strano che rinunciasse
a un’occasione per stare di più con “lui”.
- Tutto bene?-
chiese la seconda manager.
- Chiedilo a
Kumi.- fu la risposta piccata accompagnata dallo sbattere dello sportello
dell’armadietto, ma si pentì subito di aver usato un tono brusco proprio con
lei.
- Ti prego,
Sanae-chan. Se è lei il problema, sicuramente non risolverai le cose
abbandonando il campo, ti pare?- le prese gentilmente una spalla per
costringerla a guardarla in faccia. Mai l’aveva vista con un volto tanto
triste.
- Per favore,
oggi ho bisogno di stare da sola.- la supplicò.
Yukari lasciò la
presa e chinò il capo annuendo, Sanae la superò e si diresse verso l’uscita:
aveva bisogno, almeno per quel giorno, di staccare la spina.
Arrivata a
casa, salì in camera sua e si buttò mollemente nel letto. Si guardò attorno e
subito la sua attenzione fu catturata dalla foto sul comodino. Aggrottò le
sopracciglia, prese la cornice e la buttò con poco garbo dentro il primo
cassetto, poi si ricordò di un altro particolare e si voltò in direzione della
libreria, sfilò il quaderno dei ritagli e lo lanciò come un frisbee verso la parete opposta, dove
sbattè sulla copertina per ricadere aperto sul pavimento. Si passò
l’avambraccio sul volto per asciugare le lacrime, poi iniziò a preparare le sue
cose: con un caldo simile c’era solo un posto dove avrebbe potuto rilassarsi.
Anche l’ultimo
pallone della cesta si insaccò nella rete vuota, Tsubasa si asciugò il sudore
con la mano, poi sbuffando si avviò ai lavatoi. I suoi compagni si stavano
cambiando per raggiungerlo e le ragazze stavano finendo di sistemare le ultime
cose; era strano però che lei, che arrivava sempre in anticipo non fosse ancora
lì. Si passò l’acqua sui capelli per rinfrescarsi, poi si maledisse per non
aver preso un asciugamano. Non era un gesto che era abituato a compiere, sapeva
che c’era sempre una mano gentile che gli passava il morbido telo. Si asciugò
con poca grazia sulla maglietta, si passò una mano sul braccio sinistro e le
sue dita toccarono i braccialetti della fortuna. Portò il polso all’altezza del
viso e sbuffò scocciato.
Tsubasa,
sei proprio un imbecille.
Al mattino Kumi
lo aveva talmente preso alla sprovvista con quella pagliacciata che non era
riuscito a fermarla e dopo non aveva voluto restituirglieli per non sembrare
sgarbato. Ripensandoci gli ritornò alla mente il gesto di stizza di Sanae.
- Chissà cosa aveva
stamattina? Magari dopo l’accompagno a casa, così se ha voglia di sfogarsi...-
fece spallucce e corse verso il campo, dove tutti erano già pronti a cominciare
l’allenamento.
Il sorriso gli
morì sulle labbra quando constatò che le manager erano due.
- Sanae-chan
non se la sentiva di venire, ha detto che aveva troppo caldo oggi.- improvvisò
Yukari.
Annuì
nonostante la delusione, da quanto ricordava, c’erano state giornate in cui il
caldo era stato anche più insopportabile, ma Sanae era sempre lì a porgergli
l’asciugamano, a passargli l’acqua o a rimettergli i palloni nella cesta. Si
grattò ancora una volta la nuca, poi invitò i compagni a cominciare
l’allenamento.
Lasciò
scivolare il piede oltre il bordo della vasca per posarsi sulla scaletta, con
la mano si spruzzò un po’ d’acqua sulle spalle e sulla pancia, poi scese fino a
immergersi completamente. Sanae lasciò andare il suo corpo che spinto dalla
tensione superficiale galleggiava sull’acqua chiara della piscina. Tutta la
negatività sembrava sparire, lavata dal cullare del leggero moto ondoso. Il
sole le baciava la fronte con i suoi raggi insistenti, resi sopportabili da
quel bagno refrigerante. Andare a distendersi in piscina era ciò che ci voleva.
Un leggero colpetto sulla pancia attirò la sua attenzione e si rese conto che a
urtarla era stata una palla gonfiabile giallo canarino. Una risata a bordo
piscina spostò il suo sguardo sul “colpevole”.
- Finalmente a
godersi un po’ di riposo, eh, Sacchan?-
Tatsuya stava
chino sul bordo piscina, vestito della semplice mise “Salvataggio” e la guardava divertito attraverso gli occhiali
da sole.
- Se non
fossimo vicini di casa da anni, sarei già venuta lì per affogarti, Tacchan.- lo
rimproverò ridendo.
- Ma davvero?-
chiese beffardo e si sfilò canottiera e occhiali per entrare in acqua. Con un
paio di bracciate la raggiunse e velocemente le posò una mano sulla testa e la
spinse sott’acqua. Sanae riemerse con le guance gonfie d’acqua e ne vuotò il
contenuto sul viso di Tatsuya. Fu il segnale che scatenò una vivace battaglia a
suon di spruzzi. Entrambi, accecati dagli schizzi e incapaci di tenere la bocca
chiusa per il troppo ridere optarono per una tregua. Finalmente si sentiva
libera di divagarsi, dopo tanti giorni in cui le riusciva difficile. Tacchan
era suo amico da sempre, praticamente da quando era al mondo, dato che lui era
più grande di cinque anni. Ultimamente, però, lo aveva visto sempre meno,
perchè era andato a convivere con la sua ragazza in un altro quartiere.
Appoggiati al
bordo della piscina, iniziarono a parlare del più e del meno, Tatsuya le chiese
come trovava i suoi genitori, se gli inquilini della palazzina di fronte
avevano ancora il brutto vizio di falciare il prato a orari improponibili,
suscitando l’ilarità di entrambi. A un tratto un suono li ammutolì, Sanae fece
leva sulle braccia e raggiunse la borsa per estrarne il cellulare.
- Pronto?-
- Ciao
Sanae-chan, scusami sono Morisaki.-
Un punto
interrogativo si formò nel suo cervello.
- Scusa, so che
ti sei presa un pomeriggio libero, ma abbiamo un grosso problema. I palloni
sono sgonfi e la pompa è dentro il capanno degli attrezzi. Nessuno di noi ha la
chiave. -
E
ti pareva che quella svampita avesse gonfiato i palloni prima di andar via
ieri.
- Mi spiace,
Sanae-chan, ma se non vieni qui è impossibile allenarsi.-
Quell’ultima
parola fece lievitare un pochino il suo ego,
sembrava quasi che Morisaki volesse dirle che la sua presenza era
indispensabile. Per quanto riguardava Yukari non aveva dubbi sulla sua
competenza, di Kumi, invece, aveva capito che le sue capacità si esaurivano
nelle gentilezze da riservare al capitano.
- Ok, cerco di
fare in fretta.- sospirò.
- Grazie.-
Povero Morisaki, sembrava sul punto di piangere.
Raccolse gli
indumenti e se li rimise addosso al costume zuppo d’acqua.
- Devo
salutarti, Tacchan, mi tocca tornare a scuola.-
- Aspetta, ti
porto io in scooter. Il mio turno è
finito mezz’ora fa.-
I ragazzi
stavano facendo stretching e corsa
sul posto, perchè senza un pallone decente, era impossibile fare partite
d’allenamento. A un tratto sentirono il rumore di un motore che si avvicinava e
le grida ilari della loro prima manager. Uno scooter indaco si fermò a pochi metri dal bordo campo e dal mezzo
smontò Sanae che si tolse il casco per porgerlo, ancora in preda al riso, al
conducente.
-Sei proprio
fuori di testa, tu.-
Il ragazzo si
tolse il casco e le mostrò un sorriso a trentadue denti.
- E’ stato
bello rivederti, Tacchan.-
- E’ stato
bello essere visti.- si allungò e le posò un bacio sulla guancia, prima di
rimettere in moto e partire.
Tsubasa non
potè fare a meno di tendere i muscoli delle braccia per quel gesto tanto
confidenziale, ma subito la sua attenzione fu calamitata da ben altro. Sanae
stava rovistando nella sua borsa per trovare le chiavi che portava in un unico
mazzo con quelle di casa sua, cinta di una gonna pareo a fiori e un top attillato pregno dell’acqua
rilasciata dal costume che le lasciava scoperta la pancia, il viso incorniciato
dai capelli scapigliati e ancora umidi. Non l’aveva mai vista così, così...non
sapeva nemmeno dire lui come.
Lei porse le
chiavi a Yukari, ma non perse l’occasione per dare una raddrizzata a Kumi.
- Mi sembrava
di averti gentilmente chiesto di occuparti dei palloni ieri, ma evidentemente esaudire
le mie richieste è pretendere troppo.- le disse glaciale.
Un silenzio
imbarazzato fu l’inevitabile conseguenza di quel sottile rimprovero.
- Grazie, scusa
se ti abbiamo scocciata anche oggi.-
Finalmente
libera da ogni turbamento si voltò per regalargli un sorriso.
- Ehm, perchè,
già che ci sei, non resti?- le chiese grattandosi la nuca, nello sforzo di
mantenere lo sguardo sui suoi occhi, mentre avrebbe voluto farlo scivolare un
po’ più in basso.
Stava per
cedere, finchè i suoi occhi non incontrarono la ragione di tutta quella
baraonda, proprio lì sul polso sinistro del ragazzo, facendole riaffiorare un
po’ di rabbia. Distese i muscoli del viso e accennò un sorriso di circostanza.
- No, grazie,
non è il caso, ho un abbigliamento non accettabile per il regolamento della
scuola, in più ho ancora i vestiti umidi addosso e sarebbe meglio che andassi a
cambiarmi.- spiegò. – A domani.- disse poi rivolta agli altri.
Tsubasa la
guardò andare via, con crescente delusione e una punta di amarezza.
Tacchan...Vorrei
tanto sapere chi è quel tizio.
Sanae si
trascinò svogliatamente fino in camera sua. Nonostante la doccia calda che
aveva appena fatto, si sentiva comunque emotivamente a pezzi. L’incontro in
piscina con Tacchan era stata una boccata di aria fresca, ma il ritorno al
campo di calcio le aveva messo di fronte la scomoda realtà che stava vivendo.
Accese il suo laptop sulla scrivania,
poi si guardò attorno e notò il quaderno ancora riverso sul pavimento. Si
avvicinò per raccoglierlo e girandolo, vide la foto di lei e del capitano allo
scorso campionato. Un sospiro accompagnò la lacrima silenziosa che le scese
dalla guancia. Chiuse il quaderno e se lo strinse al petto. Un suono familiare
proveniente dal computer richiamò la sua attenzione: perfetto, aveva lasciato
l’impostazione di autoaccensione di messenger attiva.
YoshiF scrive:
Ehilà, ci sei?
Era Yoshiko che
le scriveva da New York. Da tanto non si sentivano.
Sanae scrive:
Ciao, GAIJIN!
YoshiF scrive:
SCEMA!
Sanae scrive:
.lol , scherzo, come va la vitaccia?
YoshiF scrive:
Solita schifezza...VOGLIO TORNARE IN
GIAPPONEEEEE! ç_ç
Sanae scrive:
Facciamo cambio?
YoshiF scrive:
E’ successo qualcosa?
Sanae scrive:
Ma niente, solite cose,
Tsubasa non mi considera e quell’altra cozza gli sta sempre appiccicata, oggi
ne ha combinata un’altra
YoshiF scrive:
Nah, non dirmelo, mi viene tristezza ogni
volta che me ne parli...ma per lei, non per te
Sanae scrive:
grazie
YoshiF scrive:
Per Tsubasa: ci sono passata anch’io, non
sai come mi dannavo l’anima quando Matsuyama sembrava sempre sulle sue
Sanae scrive:
vorrei avere lo stesso ottimismo che hai tu, invece sto qui
aspettando che lui si accorga che esisto e mi rattristo perchè non succederà
mai a meno che non mi vesta a scacchi bianchi e neri
YoshiF scrive:
.lol bè potresti provare, magari funziona
Sanae scrive:
rido per non disperarmi, lo faccio già abbastanza
YoshiF scrive:
Seriamente Sanae, mi spiace di sentiri
così, tra poco iniziano le vacanze estive
Ti va di venirmi a trovare?
Sanae scrive:
magari
YoshiF scrive:
non sto scherzando
Sanae scrive:
e secondo te come convinco i miei a pagarmi il viaggio?
YoshiF scrive:
vacanza studio per migliorare l’inglese?
Sanae arcuò un sopracciglio e, dopo una breve
esitazione, riprese a digitare.
Sanae scrive:
.ok IDEA FORMIDABILE!
Rieccomi con un nuovo parto mentale. A dire
il vero sono quasi tre anni che ho ideato questa fanfiction, ma non ho mai avuto l’ispirazione per scriverla,
fino a quest’estate, probabilmente tempo libero (ahimè) e la voglia di fuggire
da una realtà non sempre soddisfacente. Eccomi qui con “Il codice di
Hammurabi”, titolo un po’ pomposo, ma che ben riassume l’atteggiamento della
mia Sanae, qui un po’ fuori dal personaggio che il Taka ci ha sempre proposto.
Mi piace giocare con questo personaggio, proprio perché quando guardavo “Holly
e Benji” in tv avrei voluto vederla un
po’ più reattiva e combattiva anziché sottomessa e poco calcolata da Tsubasa.
Anche nel manga vediamo uno Tsubasa che per la maggior parte del fumetto non
considera Sanae e poi all’improvviso si precipita alla scazzottata con Kanda, è
una cosa che mi ha fatto riflettere, così come questo amore che si trascina
dalle elementari. Qui ho un po’ modificato la cosa, cercando di attenermi più
alla realtà: quando si è alle elementari il concetto di innamoramento è vissuto
in maniera ingenua e nella mia fanfiction volevo descrivere l’innamoramento di
Sanae come un percorso che si accompagna alla sua crescita nel periodo
adolescenziale. In questa fanfiction si respirano echi della fanfiction
“L’ultimo ballo” di Scandros, autrice a cui sarò sempre grata sia per avermi
fatto scoprire EFP, sia per le sue storie che sono riuscite a commuovermi.
Ringrazio anche Onlyhope, eos75 e Sakura chan, perché in questo “pazzo” mondo
virtuale si trovano delle persone stupende che ti sanno dare il massimo.
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Capitolo 2 *** Una doccia fredda ***
Tsubasa si
fermò al ponte e
stoppò il pallone sotto la suola della scarpa. Una volta
tanto era lui ad
arrivare per primo e si aspettava di veder spuntare da un momento
all’altro la
figura di Sanae. Di certo non poteva sapere che la sua compagna di
scuola, quella
mattina, si era alzata all’alba per la fretta di vedere i
risultati. Rimase ad
attendere ancora, finchè non vide passare Ishizaki e Izawa,
allora si rese
conto che doveva essere tardissimo, data la fama di ritardatari
conquistatasi
dai due compagni. Con un tocco mosse il pallone, per dirigersi nella
loro
direzione, anche se non potè fare a meno di gettare un
ultimo sguardo verso il
viale da cui si aspettava di vederla arrivare.
Finalmente,
i tabelloni erano
stati esposti e Sanae non contenendosi alzò in alto i pugni
in segno di
vittoria per il risultato. Aveva fatto di tutto per ottenere dei voti
così
alti, aveva dovuto rifiutare anche di aiutare i compagni di classe a
studiare
per evitare di perdere tempo prezioso, tutto per l’accordo
che avevano raggiunto
lei e suo padre. Felice per aver ottenuto il suo scopo, estrasse il
cellulare
dalla borsa e digitò in fretta il messaggio.
Inizia a pianificare
il mio soggiorno negli
States. ;)
- Ehi,
Anego!- la voce di
Ishizaki la fece voltare, mentre faceva ricadere il cellulare nella sua
borsa. Con
un cenno salutò i ragazzi che le si stavano avvicinando.
L’espressione di
Tsubasa si fece improvvisamente seria, solo in quel momento si era reso
conto
che lei non lo aveva aspettato al ponte, realizzando poi dopo che non
era una
cosa dovuta. Stava per chiederle come mai tanto mattiniera, quando un
suono
proveniente dalla borsa della ragazza catturò la sua
attenzione. Sanae lesse il
messaggio e un bellissimo sorriso si allargò sulle sue
labbra.
Wicked cool!
La
risposta di Yoshiko le
ricordò che aveva un sacco di cose da fare, quindi
salutò i suoi amici per
congedarsi.
- Ma come,
già te ne vai?-
chiese Ryo.
- Scusate,
ma devo scappare.
Ciao!- e corse fuori in direzione dei cancelli.
Tsubasa
non ebbe nemmeno la
forza di risponderle, non riusciva più a capirla da un
po’ di giorni. Prima
l’allenamento saltato, poi il rifiuto di aiutarlo per la
preparazione agli
esami “perchè era rimasta troppo
indietro” e ora quella fuga improvvisa. Per un
attimo gli tornò in mente quel ragazzo,
“Tacchan”, e si chiese se non fosse lui
ad averle mandato l’sms di poco prima che le aveva suscitato
quel luminoso
sorriso. Qualcosa di indefinito, ma di assolutamente fastidioso
continuava a
torturargli le meningi.
- Ehi,
capitano, vogliamo
vedere i risultati o no?- gli chiese Izawa che lo stava invitando ad
avvicinarsi ai pannelli con la mano.
Si
avvicinò agli amici con una
scrollata di spalle: in fondo, se Sanae aveva un appuntamento con quel
tizio
non era affar suo. Eppure, quella sensazione di ansia non accennava a
lasciarlo
in pace.
La signora
Nakazawa mise sul
tavolo la pentola del Sukiyaki
regalando una strizzatina d’occhio alla figlia. Il marito
spezzò le hashi per
dividerle, osservando
soddisfatto l’appetitosa pietanza che bolliva nella pentola
tenuta al caldo dal
fornellino sottostante.
- A cosa
dobbiamo questa
delizia?- chiese alla moglie.
- Per
festeggiare il primo
posto in graduatoria di nostra figlia.-
Il signor
Nakazawa rivolse uno
sguardo ammirato alla sua primogenita e congratulandosi con lei
afferrò il
primo pezzo di carne dalla pentola fumante.
- Domani
andiamo in agenzia per
quel viaggio, d’accordo?-
Sanae
rivolse un sorriso
raggiante a suo padre: aveva faticato molto e fatto grandi rinunce per
ottenere
quella valutazione.
- Ogni
promessa è un debito.-
concluse facendole l’occhiolino.
Yukari
enunciava una ad una le
voci sulla lista che Sanae aveva compilato: quando partiva aveva una
tale fobia
di scordarsi qualcosa che le poteva servire, che si faceva sempre una
lista,
per evitare di avere sgradite sorprese una volta a destinazione. Ogni
volta che
un indumento o un effetto personale veniva inserito nel bagaglio, la
ragazza,
seduta con le gambe incrociate sul letto, spuntava la voce.
- Fine.-
alzò lo sguardo dalla
lista sorridendo alla sua amica, che soddisfatta sistemò
meglio gli ultimi
indumenti per chiudere, una volta per tutte, la valigia e poi si
andò a
sdraiare sul letto, accanto a lei.
-
Finalmente, domani si parte.-
sorrise.
- Mi
spiace che non sarai qui
durante queste vacanze.- confessò sconsolata Yukari.
- Ti
porterò un bel souvenir per
farmi perdonare.-
- Allora
facciamo due, visto
che mi dovrò sorbire Ishizaki da sola.-
Entrambe
scoppiarono in una
fragorosa risata.
- Mi
mancherai anche tu, Yukari-chan.-
la abbracciò dolcemente.
La ragazza
annuì, comprendeva
benissimo perchè avesse preso quella decisione improvvisa. I
sentimenti che
provava per il capitano della Nankatsu la stavano consumando,
rendendola
l’ombra della persona che aveva imparato a conoscere e
apprezzare.
- Hai
progetti per queste
vacanze?- chiese Sanae.
- Mah,
qualche uscita con la
squadra, poi sicuramente andremo dai miei zii vicino Nagasaki.
Chissà come se
la passa quello yeti di mio cugino
Hiroshi?-
Sanae
rispose con una risata
all’ultima affermazione della sua amica.
- Senti,
se qualcuno mi chiede
dove sei, posso dire la verità o vuoi che nessuno sappia del
tuo viaggio?-
chiese, spiazzandola.
Sanae
sospirò, non voleva
andarsene con l’interrogativo sull’eventuale
reazione di Tsubasa a quella notizia.
Si erano un po’ allontanati negli ultimi giorni e quindi,
probabilmente, non
avrebbe nemmeno chiesto il perchè della sua assenza.
- Certo
che puoi, mica sto
scappando come una ladra.- fece una risatina forzata.
- Allora
perchè hai detto solo
a me che vai via?- insistette Yukari, notando di averla colpita come
una
mazzata con quella domanda.
- Lascia
perdere.- si affrettò
ad aggiungere subito dopo.
- Grazie.-
bisbigliò
mestamente.
Tsubasa
arrestò la sua corsa
davanti al cancello blu cobalto. Staccare la spina dal calcio non era
poi una
brutta idea e forse, finalmente, avrebbe potuto scambiare due parole
come si
deve con Sanae che non vedeva nè sentiva da ben tre giorni.
Scostò l’anta del
cancello per entrare e dirigersi alla piscina all’aperto, ma
appena giunto a
destinazione vide che lui e i suoi amici non erano i soli ad avere
avuto l’idea
di rinfrescarsi: una moltitudine di lettini e qualche ombrellone
costellavano
il bordo della vasca. Si diresse dal bagnino per chiedergli, intanto,
di
portare almeno tre lettini, che si sarebbero divisi facendo un
po’ a turno e
rivolgendosi al ragazzo che stava sotto l’ombrellone con la
scritta
“Salvataggio”, si trovò di fronte al
fantomatico “Tacchan”.
- Ma tu
sei...- si lasciò
scappare.
Tatsuya lo
squadrò, notando la
strana reazione di quel ragazzino, il cui volto, però, non
gli era del tutto
sconosciuto.
- Ci
conosciamo?- chiese, quasi
scocciato.
Tsubasa
incassò il colpo.
- Sono un
compagno di classe di
Sanae Nakazawa.- rispose.
- Ecco
dove ti avevo visto. Eri
anche tu al campo, giusto?-
- Ehm,
sì.- si grattò la nuca.
- A
proposito, chissà come è
andato il viaggio di quella scimmietta, poi mi racconterà.-
disse, mentre il
suo sguardo si focalizzava in un punto ben preciso.
-
Viaggio?- si bloccò
all’improvviso.
Tatsuya si
alzò di scatto.
-
Sì, negli Stati Uniti.- e
detto questo si portò il fischietto alle labbra rivolto a
dei ragazzini che si
stavano tuffando, provocando numerosi schizzi e disturbando gli altri
natanti.
Tsubasa si
sentì come se gli
fosse crollata una zavorra di diverse tonnellate sulla testa, in cui
già
avevano preso a formularsi mille domande.
Sanae
è andata via? Negli Stati Uniti? E perchè questo
tizio sa queste cose, quando a
me non ha detto niente? Forse c’è un equivoco...
- Ehi,
Tsubasa!- la voce di Ryo
lo riscosse dai suoi pensieri.
Si
voltò speranzoso nella loro
direzione, ma quando vide i cinque amici che si avvicinavano un pugno
invisibile gli raggiunse lo stomaco.
Non
c’è, ma è mai possibile che...
- Sanae?-
chiese, cercando di
mantenere un tono controllato.
- Anego
è andata a farsi una
vacanza oltre oceano, alla faccia nostra.- rispose ironico Ishizaki.
Allora
è vero.
- Ma voi
lo sapevate?- la sua
voce suonò un po’ alterata.
- No,
capitano, lo sapevo solo
io.- rispose pacata Yukari.
Solo
lei? Non si direbbe, dato che Mister Salvataggio me lo ha detto per
primo.
- Ok,
andiamo a chiedere un po’
di lettini.- Izawa si tolse gli occhiali da sole e si legò i
capelli in un
codino.
Tsubasa
rimaneva mollemente
seduto a bordo piscina, mentre i suoi amici continuavano a farsi
scherzi e a
giocare in mezzo alla piscina con un pallone gonfiabile. Yukari passava
la
sfera con morbidi palleggi, mentre i ragazzi si limitavano a colpirla
di testa.
All’inizio la ragazza aveva deciso di rimanere sdraiata per
prendere un po’ di
sole in pace, ma non era durata nemmeno dieci minuti, perchè
subito quel
cretino di Ishizaki aveva preso in prestito un secchiello da un bambino
e lo
aveva riempito d’acqua per andarglielo a rovesciare addosso.
Lei lo aveva
rincorso furiosa, finchè non lo aveva raggiunto a bordo
piscina per spingerlo
in acqua, salvo poi essere trascinata con lui dentro la vasca.
Era stato
l’unico momento che
aveva strappato delle risate divertite a Tsubasa, che ora stava
lì a riflettere
sul perchè si sentiva come privato di qualcosa. Ogni tanto
il suo sguardo si
posava sul bagnino, immaginandosi di chiedergli una volta per tutte chi
fosse e
in che rapporti era con Sanae, per poi darsi mentalmente dello stupido,
dato
che non aveva alcun diritto di fare una cosa tanto ridicola. Lo vide
rispondere
al cellulare e, contro ogni suo principio, tese l’orecchio
per sentire.
- Sto
lavorando, amore.-
Già
quell’appellativo fu
sufficiente per mettere Tsubasa sul “chi vive”.
- Al
ristorante stasera? Ok.-
lo vide annuire.
Un
momento...
- Scegli
tu, piccola. A
stasera.- chiuse la chiamata, pressato dal fatto di essere sul luogo di
lavoro.
Ok, ora
era decisamente troppo
per continuare a farsi i fatti propri: se quel tizio aveva un rapporto
particolare con Sanae, quella era la prova che stava tenendo il piede
in due
scarpe e questa ipotesi fu sufficiente a renderlo ancora più
nervoso. Stava per
alzarsi quando un grido di Taki lo riportò alla
realtà: la palla stava
arrivando verso di lui e, inclinandosi di lato, alzò la
gamba per rispedirla al
volo verso i suoi amici.
- Nice pass!- esclamò
Tatsuya accompagnando il complimento con un accennato battito
di
mani.
Per un
attimo si era scordato
di lui e del fatto che voleva assolutamente sapere cosa c’era
tra quel tizio e
Sanae. Conservando l’autocontrollo si alzò e si
diresse con calma verso la sua
direzione, non sapeva come avrebbe impostato il discorso, ma non si
sarebbe più
mosso di lì senza avere
le informazioni
che voleva. Quello che provava non aveva il minimo senso, ma dentro di
sè
giustificava quell’intromissione come un tentativo di
proteggere la sua amica,
come se qualcuno glielo avesse chiesto.
Si pose di
fronte al ragazzo
che rilassato sedeva con le gambe distese. L’ombra che gli
aveva oscurato il
sole catturò subito l’attenzione di Tatsuya.
- Hai
bisogno?- disse in tono
servizievole.
Tsubasa si
grattò la testa,
sentendosi un emerito cretino, non aveva la minima idea di come
attaccare
discorso.
- Ti
spiace se mi metto un po’
sotto il tuo ombrellone?- avrebbe voluto nascondersi per la figura
meschina che
stava facendo.
Il ragazzo
rimase in silenzio
per un momento, poi lo invitò ad accomodarsi sulla sedia
libera alla sua
destra.
- Manca la
presenza di quella
scimmietta, vero?- gli chiese rompendo il silenzio imbarazzante che si
era
subito eretto tra loro.
Si
limitò ad annuire,
infastidito da quel nomignolo.
- Vi
conoscete da tanto?-
incalzò subito dopo.
Chi
era che doveva fare le domande?
-
Più o meno tre anni. E tu?-
prese subito la palla al balzo per cominciare ad indagare.
- Da
sempre.- rispose
sorridendo.
Che
cazzo significa?
Tatsuya
scoppiò a ridere
divertito, punzecchiare quel ragazzo era un vero spasso. Tsubasa invece
non si
stava divertendo affatto, strinse le mani sui braccioli della sedia,
resistendo
all’impulso di mandarlo a quel paese.
-
D’accordo, vuoterò il sacco.-
Quell’affermazione
lo fece
diventare color magenta, possibile che il suo comportamento fosse stato
tanto
cristallino?
- Io e
Sacchan siamo vicini di
casa da sempre, anche se ultimamente mi sono spostato per andare a
vivere con
la mia ragazza.-
Il peso
che gli stava ballando
sullo stomaco iniziò a togliere gradualmente il disturbo, ma
c’era ancora una
cosa che non gli era chiara.
- Come
facevi a sapere che è
andata negli Stati Uniti?-
- Me lo ha
detto mia madre, la
quale lo ha saputo dalla sua.-
Sorrise,
poi si alzò.
- Certo
che quella scimmietta
lascia una bella scia...- si diresse verso la parte opposta della
piscina, per
dare una mano ad un’anziana signora che voleva sistemare
meglio la testiera del
lettino.
Tsubasa
avrebbe voluto
sprofondare per l’imbarazzo, si sentiva un fesso integrale,
ma dentro di lui un
altro sentimento contrastante e inspiegabile stava prendendo il
sopravvento. Si
alzò di scatto e andò a buttarsi in mezzo ai suoi
amici che erano ancora
intenti a giocare con la palla, provocando una fontana di schizzi.
Quando
riemerse dovette subire
un rimbrotto da Tatsuya che gli ricordò il regolamento per
quanto riguardava i
tuffi nelle piscine pubbliche. Si grattò la nuca, come al
solito, poi prese a
giocare con i suoi amici, deciso a passare serenamente il resto della
giornata.
Un aereo
passò sopra le loro teste e una
fitta di nostalgia lo colse, ricordandogli quel senso di vuoto che non
riusciva
minimamente a comprendere e che tuttavia non smetteva di sentire.
Muahahahahaha,
nota di perfidia per il trattamento che riservo a Tsubasa (tutto
meritato,
secondo me). Ebbene sì, Sanae si è
“involata” e il poverino non riesce ancora a
capire che la sua amica gli manca un po’ troppo. Il seguito
sarà ancora più
scoppiettante. Ringrazio molto chi ha letto fino in fondo, in
particolar modo
chi mi ha dato la possibilità di sapere cosa ne pensa
lasciandomi una
recensione: le vostre parole sono la mia gratificazione.
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Capitolo 3 *** Prendere il volo ***
Nonostante
le
tredici ore di volo, Sanae era talmente eccitata all’idea di
trovarsi su un
altro continente che non badò alla stanchezza. Appena
l’aereo completò le
manovre di atterraggio, lei si preparò per uscire il prima
possibile: non
vedeva l’ora di trovare Yoshiko per abbracciarla e
ringraziarla di cuore per
quella vacanza improvvisata che l’aveva portata lontana dai
problemi e dalle
frustrazioni, poi non vedeva l’ora di mostrarle la sorpresa
che le aveva fatto
recapitare Matsuyama.
-
Pronto, Nakazawa...Matsuyama-kun?!...sì...la settimana
prossima...Tra cinque
giorni. Per Yoshiko? D’accordo, fammelo recapitare a questo
indirizzo...-
Sorrise,
ricordando la telefonata un po’ impacciata, ma comunque molto
carina del
capitano della Furano. Aveva invidiato moltissimo la sua amica in quel
momento,
ma quando si ricordò della distanza che li divideva si
sentì un po’ meschina.
Trascinandosi
dietro la pesante valigia, Sanae si diresse verso l’uscita
del Terminal e con un rapido colpo
d’occhio
vide subito Yoshiko che le corse incontro. L’amica le
buttò le braccia al collo
e contro ogni previsione scoppiò a piagere.
- Ehi,
Yoshi-chan,
dovrei essere io a piangere di gratitudine, non tu.- sorrise.
La ragazza
si
asciugò le lacrime e si lasciò scappare una
risata, la sua reazione era stata
del tutto istintiva. L’arrivo di Sanae le fece sembrare
Hikaru meno distante,
nonostante non fosse passato tantissimo tempo dal suo trasferimento con
la
famiglia. Ciò che le aveva fatto più male era
stato sicuramente dover fare
tutto di fretta e all’improvviso, senza aver avuto nemmeno il
modo di
metabolizzare la cosa. Non era comunque il momento per le lacrime, la
sua amica
aveva fatto un lungo viaggio per raggiungerla e doveva aiutarla a
divertirsi e
distrarsi.
Al
parcheggio,
due ragazzi giapponesi le stavano aspettando accanto alla macchina.
-
Sanae-chan,
loro sono i miei cugini Hiroyuki e Hachiro.- spiegò la sua
amica.
Hiroyuki
era il
più alto dei due, aveva i capelli neri e corti e sul suo
viso brillavano due
occhi scurissimi, Hachiro invece aveva i capelli tinti di biondo e
portava le
lenti a contatto azzurre, ma ciò che attirò
l’attenzione di Sanae fu la decina
di piercing su ciascun orecchio. I
ragazzi le strinsero la mano invitandola a evitare onorifici, erano
troppo
occidentalizzati per quello.
-
Piacere.- rispose
un po’ intimidita, soprattutto dall’aspetto
“bizzarro” di Hachiro.
Yoshiko
notò
questo particolare e le bisbigliò di prepararsi.
- Vedrai,
quando
conoscerai i miei amici.- aggiunse sorniona.
Per
arrivare a
casa dei Fujisawa impiegarono quasi mezz’ora, dato che
sull’Atlantic Avenue il
traffico non mancava.
Yoshiko ne approfittò per chiedere notizie degli altri amici
che aveva lasciato
in Giappone, stando sempre attenta a non accennare a Tsubasa. Sanae ne
avrebbe
parlato quando e se ne avesse avuto voglia, anche solo per sfogarsi un
pochino.
Non mancò, nel frattempo, di indicare i punti di maggior
interesse che
incontravano lungo il tragitto.
- Liberty Island è
dall’altra parte, ci
andremo con calma, tanto abbiamo tutto il tempo.-
Sanae
seguì Yoshiko
e i due ragazzi che entrarono nell’appartamento degli zii.
-
Sanae-san,
benvenuta.- le disse la signora Fujisawa.
I cugini
di
Yoshiko si congedarono dandosi appuntamento con lei per il giorno dopo.
- Stasera
è
meglio che ti riposi. Devi smaltire il jet
lag.-
Annuì,
poichè in
effetti iniziava ad accusare un po’ di stanchezza. Salirono
al piano di sopra,
dove si trovavano le camere da letto. La stanza di Yoshiko era la prima
di
fronte alle scale: le pareti erano dipinte di un bell’azzurro
effetto guantato
e vi erano appesi poster di delfini e un bellissimo ingrandimento di
lei sui roller blade
all’età di sei anni. Sul
tappeto, tra i due letti, era stata posata la valigia che Hiroyuki
aveva
gentilmente trasportato lì per evitare
l’incombenza alle ragazze. Sul comodino c’era
una cornice, molto simile a quella che Sanae teneva in camera sua, con
una
foto, guarda caso di Yoshiko e Matsuyama con la divisa della Furano. Si
chinò a
guardarla, ma fu fatale per lei, perchè inevitabilmente le
ricordò la sua triste
situazione.
- Tu
prenderai
il mio letto... - le indicò Yoshiko, che subito dopo
uscì dalla camera,
invitandola con un cenno a seguirla.
- ...e
questo è
il bagno, ce n’è uno anche di sotto, quindi non ti
preoccupare e usalo pure
quanto vuoi.- le fece l’occhiolino.
Finalmente
era
il momento di disfare i bagagli: aveva posto il regalo di Matsuyama
proprio in
cima, in modo da poterglielo consegnare subito. Il pacchettino fasciato
in un
involucro blu fu la prima cosa che estrasse e lo rivolse con un sorriso
a
Yoshiko, che incredula si indicò per chiedere se ne fosse
proprio lei la
destinataria. Prima di consegnarglielo, le fece notare il bigliettino
con la
calligrafia del ragazzo.
Cara
Yoshiko,
non
sai quanto vorrei essere lì con te. Sento molto la tua
mancanza e quando la
nostalgia mi prende, stringo l’hachimaki che mi hai regalato
e mi sento meno
solo. Siccome ho pensato che tu, invece, non hai niente di mio, ho
chiesto a
Sanae di portarti questo regalo.
Mi
raccomando, pensami quando lo indossi.
Un
bacio
Hikaru
Indossarlo?
Yoshiko scartò in fretta e furia il pacchettino e, aprendo
la scatolina
amaranto, trovò al suo interno un ciondolo
d’argento a forma di cuore. Un
sorriso le si allargò sul viso, mentre gli occhi si facevano
lucidi. Sanae sorrise
a sua volta, felice che il regalo avesse sortito l’effetto
che, probabilmente,
Matsuyama si aspettava.
- Mi
manca.-
sospirò.
- Lo so,
ma quel
regalo significa che sei sempre nei suoi pensieri.- le rispose
posandole una
mano sulla spalla.
Lei invece
aveva
poco di che rallegrarsi, si rendeva conto che la vacanza era un
pretesto per
scappare da Tsubasa, come se questo fosse sufficiente a farle
dimenticare il forte
sentimento che provava per lui. Guardò Yoshiko chiudersi la
catenina sul collo
e accarezzare il cuore con affetto: nemmeno la sua amica poteva dirsi
felice. Certo,
sapeva di essere ricambiata, ma dover esprimere i propri sentimenti a
distanza
poteva essere altrettanto triste. La lasciò da sola con i
suoi pensieri e in
silenzio iniziò a sistemare le sue cose.
I signori
Fujisawa si dimostrarono da subito molto cordiali con lei: la signora
Rika non
faceva che riempirle il piatto, mentre
il signor Natsuo le faceva un sacco di domande sul Giappone. Era chiaro
che,
nonostante la gratificazione professionale, il signor Fujisawa sentiva
la mancanza
della sua terra natale, esattamente come la figlia.
- Sono
contento
che tu sia venuta. Yoshiko non si è ancora ambientata del
tutto.-
La sua
gratitudine la mise ancor più a suo agio, mitigando
quell’imbarazzo per essere
piombata all’improvviso in casa loro a causa dei suoi
problemi di cuore.
Evidentemente non era la sola ad aver bisogno di aiuto, anche Yoshiko
voleva
una spalla a cui appoggiarsi e, probabilmente, il suo invito improvviso
era
dovuto alla solitudine che stava provando. Sì, lei aveva pur
sempre Yukari, che
era al corrente della situazione, conosceva le persone coinvolte, era
qualcuno
che poteva capirla, mentre Yoshiko non aveva nessuno con cui sfogarsi
quando la
nostalgia per Matsuyama diventava insostenibile.
Terminata
la
cena Sanae si fece una doccia ristoratrice, poi, quando
entrò in camera, vide
Yoshiko che sorrideva di fronte allo schermo del PC. Sospettando che
stesse
chattando con Matsuyama non osò disturbarla, quindi si
andò a sdraiare
discretamente sul letto e concentrò lo sguardo sul colore
della parete che trovava
estremamente rilassante. La sua amica si allontanò dalla
scrivania, una lacrima
le scivolava lungo la guancia. Una mano gentile le toccò la
spalla e Yoshiko si
voltò e affondò il viso nell’abbraccio
consolatorio di Sanae.
- Voglio
vederlo, voglio stargli vicino.- ripetè tra i singhiozzi.
Capiva
benissimo
come poteva sentirsi, era una sensazione che conosceva bene,
perchè l’aveva
provata e la stava provando anche in quel momento, quando, attraverso
il pianto
di Yoshiko, aveva compreso quanto in realtà le mancasse
anche solo vedere
Tsubasa.
In
Giappone, il
sole del mattino splendeva alto vicino a toccare il mezzogiorno, mentre
Tsubasa
correva, palla al piede, attraverso il parco. Si era fatto il suo
allenamento
mattutino e ora stava riguadagnando la via di casa. Uscendo dal parco,
notò un
gruppo di ragazze con la divisa delle scuole medie e, per un riflesso
incondizionato, si voltò a guardarle. Sbuffò e
proseguì la sua corsa,
affrentandosi ad arrivare a casa dato che il caldo stava diventando
più
insistente. Le cicale frinivano tra gli alberi del viale, interrotte
ogni tanto
dai tonfi che il pallone faceva sull’asfalto. Con
un’ultima falcata arrivò al
cancello di casa e suonò il campanello, correndo ancora sul
posto. Sua madre
gli aprì quindi, calciando il pallone di lato,
lasciò il suo “migliore amico”
sul prato del giardino ed entrò in casa. Con poca grazia
buttò le scarpe qua e
là nell’ingresso e salì velocemente le
scale per dirigersi nella stanza da
bagno. Si sfilò la maglietta madida di sudore e, per una
strana associazione di
idee, nella sua mente apparve Sanae intenta a passargli un asciugamano.
Scosse
la testa, andò a riempire la vasca e si fermò di
fronte allo specchio, fissando
la propria immagine. Come se il suo riflesso lo stesse invitando a un
confronto, Tsubasa iniziò ad ammettere a se stesso che la
sua amica gli
mancava, perchè non era abituato a non vederla per
così tanto e anche il non
poterla sentire lo rattristava. Nella sua testa aveva dato per scontato
che
avrebbero passato le vacanze estive assieme uscendo in compagnia con i
ragazzi
del club di calcio e che lei gli avrebbe fatto compagnia durante i suoi
allenamenti mattutini. Invece, era partita così di punto in
bianco, come un
evaso. L’acqua sfiorava ormai il bordo della vasca e Tsubasa
si spogliò
completamente per immergersi nel liquido ristoratore del bagno. Si
passò la
mano tra i ciuffi ribelli e abbandonò il collo
all’indietro in completo relax.
Tornerà
prima o poi...
I capelli
di
Yoshiko, sparsi sul suo grembo, erano così lisci e setosi al
tatto, la fronte
calda per il pianto. Ancora scossa da qualche singhiozzo, si
alzò a sedere sul
letto e asciugò con il fazzoletto di carta le ultime lacrime
che ancora le
bagnavano le guance.
- Sono una
pessima amica.- tirò su col naso.
- In
effetti,
rischiavo quasi di annegare tra le tue lacrime stasera.-
buttò la questione in
ridere e riuscì proprio a sortire quell’effetto,
perchè a Yoshiko scappò una
risata che contrastava con gli occhi gonfi di pianto.
- Ti va di
parlarmi, Sanae-chan?-
La ragazza
valutò la proposta, indecisa se lasciar perdere o dar fuoco
alle polveri. Si
era sempre sfogata con Yukari, la quale, onestamente, non faceva che
ripeterle
le solite canoniche frasi: “é un maschio, non ci
arriva”, “poverino, è un
ragazzo timido” e via dicendo. Per quanto fossero vere, non
erano dispensatrici
di consigli o di soluzioni che potessero farle trovare la via per
riacquistare
un po’ della serenità perduta. Forse Yoshiko, che
con la storia dell’hachimaki aveva
dimostrato
un’intraprendenza inusuale, poteva essere la persona
più adatta a cui chiedere
qualche dritta per il comportamento da tenere con Tsubasa.
- Mi sento
una
stupida, Yoshiko.-
L’amica
spalancò
lo sguardo allibita.
- Per tre
anni
gli sono stata vicina e solo ultimamente mi sono accorta di quello che
provo,
mi sono innamorata di lui, senza quasi rendermene conto.-
-
Bè, mi
sembrava che già alle elementari provassi qualcosa per lui,
no?- chiese cautamente.
-
Sì, ma quella,
era una cottarella infantile, poi vedevo che lui era tutto preso dal
pallone e
io sono cambiata da allora. Insomma, credevo che il rapporto tra noi
fosse
quello di due normali amici.- si passò la mano tra i capelli
corvini e tirò un
sospiro cercando di raccogliere le idee, perchè era
difficile spiegare com’era potuto
succedere che la situazione le fosse sfuggita di mano a quel modo.
- Invece,
da un
momento all’altro, mi ritrovo a fissarlo adorante a bordo
campo, ad avere i
batticuori mentre mi parla o semplicemente mi guarda...-
- A
pensare
quanto sia attraente, quando fa qualche azione di gioco fantastica...-
la
interruppe.
- Lo so a
cosa
ti riferisci, Sanae, è capitata la stessa cosa a me.-
- Ma non
sarebbe
dovuto succedere, non ci si può innamorare di un amico di
punto in bianco!-
esclamò affranta.
Yoshiko la
fissò
interrogativa, poi scoppiò a ridere.
- Da
quando i
sentimenti si possono controllare? E poi, chi meglio di un amico,
può diventare
una persona speciale?- chiese.
Yoshiko
era una
continua fonte di sorprese: alle volte, pensare che avessero la stessa
età le
risultava difficile, ma probabilmente gran parte della sua
maturità era dovuta
alla cultura a metà tra quella giapponese e quella
americana, di certo meno
castrante di quella orientale.
- Almeno
avrei
potuto scegliere un amico più sveglio.- si rigirò
sul letto, coprendosi il
volto con il braccio.
- Dai,
dai, ti
sei scelta il più carino della squadra, piccola volpe.- la
punzecchiò
colpendola tra le costole con la punta del dito. Sanae si
sollevò a sedere di
scatto e incrociò le gambe.
-
Veramente non
c’è solo lui, anzi, all’inizio di molto
carino c’era Wakabayashi, ma abbiamo
due caratteri straincompatibili e poi, c’era anche Taro
Misaki, non credo tu lo
conosca. Ecco, sì, lui sarebbe stato perfetto, carino e
anche più sveglio,
decisamente.- si picchiettò col dito indice sul mento.
- Eppure
alla
fine hai scelto lui.-
-
Già.- si
ributtò sdraiata sul fianco.
Yoshiko la
imito
e faccia a faccia le regalò un sorriso rassicurante.
- Sanae,
certe
cose non avvengono seguendo un filo logico, succedono e basta. A te
è capitato
di innamorarti di Tsubasa, che sarà pure timido e impacciato
al di fuori del
campo di calcio, ma qualcosa in lui ti ha attratta inevitabilmente. Non
ci puoi
fare niente.-
Sospirò
ammettendo che le parole della sua amica erano assolutamente vere.
-
Però, se la
situazione è così in stallo, la colpa
è anche tua.-
Si
rialzò di
scatto e la guardò come se volesse incenerirla.
- Mia?
Quell’idiota ha accettato le spudorate avance
di Kumi e sarebbe colpa mia?- domandò furiosa.
- Oh,
Sanae,
lascia perdere Kumi, ha le arti di seduzione di una mantide religiosa.
Non
credere che buttarsi addosso a qualcuno come fa lei sia utile.- le
spiegò, poi
proseguì, per farle capire cosa doveva cambiare se voleva
ottenere dei
risultati.
- Tu hai
sbagliato a essere sempre così disponibile e condiscendente
con lui. E’ ovvio
che ti dia per scontata.-
Le ultime
parole
la invitarono a riflettere sul suo comportamento: in tre anni non aveva
mai detto
“no”.
Sanae,
mi passi i palloni dalla cesta? Arrivo subito, Tsubasa.
Sanae,
non ho capito un accidenti della lezione di ieri, me la rispiegheresti?
Volentieri, Tsubasa.
Sanae,
l’asciugamano, per favore? Te lo porto subito, Tsubasa.
E, negli
ultimi
mesi, non aveva nemmeno più aspettato che lui le chiedesse
qualcosa, perchè era
lei che prontamente lo serviva e riveriva come un principino, spinta da
quel
sentimento che aveva scoperto di provare. Sì, era lei la
stupida che aveva
fatto precipitare la situazione.
- Capisci,
Sanae, non puoi essere il suo zerbino, devi avere più
considerazione di te.-
- Tu come
facevi
con Matsuyama?- le chiese per capire meglio il suo discorso.
- Io ero
gentile
con lui, ma fino a un certo punto e sicuramente non tolleravo se faceva
il
simpatico con qualcun’altra. Naturalmente, il tutto nella
massima discrezione,
ma ti posso assicurare che il giorno che aveva fatto il cascamorto con
il
capitano della squadra di pallavolo gliel’ho fatta sudare.
Non che abbia fatto
scenate o fatto capire il mio malumore, semplicemente ho iniziato a
ignorarlo,
finchè non è venuto a chiedermi
perchè.-
- E tu
come hai
reagito?-
- Ho fatto
la
vaga, ho detto che non sapevo di cosa parlasse, che a me sembrava di
essere
sempre uguale e che mi doveva scusare se in qualche modo lo avevo
trattato
male...poverino, a ripensarci ora mi sento anche in colpa.- sorrise
bonariamente.
- I
ragazzi
vanno stuzzicati in qualche modo, a me ha dato una grossa mano la
partenza,
perchè chissà quanto ci avrebbe messo Hikaru a
dichiararsi. Oltretutto, anche
tu non hai molto tempo per scucirgli una dichiarazione, non hai detto
che vuole
andare in Brasile alla fine delle scuole medie? -
Sanae
annuì
rabbuiandosi, quel discorso la metteva tremendamente a disagio.
- Devi
solo
lasciare che sia un po’ lui a rincorrerti.-
- Fosse
facile,
Yoshi-chan, l’unica cosa che può rincorrere lui
è il pallone da calcio.-
sbuffò.
-
Sì, perché sa
che se si volta tu sei lì a bordo campo che aspetti, ma cosa
accadrebbe se
voltandosi non ti trovasse più?- le rivolse uno sguardo
malizioso. La sua amica
la fissò ammutolita, stava iniziando a comprendere la logica
del suo
ragionamento.
- Sono
convinta
che già la tua partenza improvvisa lo ha frastornato.-
aggiunse con uno sguardo
sadicamente ironico.
In
realtà non
sapeva come avesse reagito e nemmeno se Yukari ne avesse fatto parola
con lui.
- Per
quanti
giorni, al massimo, non vi siete visti, in tre anni che vi conoscete?-
- Direi,
una
settimana al massimo...sì.-
- Pensa a
come
starà un mese e mezzo senza vederti.- sorrise compiaciuta.
Distrutta
dalla
stanchezza Sanae si lasciò scivolare sotto le lenzuola,
diede la buonanotte e
si voltò dandole la schiena. Una punta di nostalgia le
stuzzicava i pensieri:
era sempre così quando si allontanava da casa, anche durante
i ritiri con la
squadra a Tokyo e, sicuramente, essere così lontana
approfondiva questa sua
reazione che contrastava con il piacere del viaggio, della scoperta di
nuove
cose e del divertimento che avrebbe vissuto.
Un
mese e mezzo...come starò senza di te, Tsubasa? Forse,
riuscirò a rivederti
come un amico?
Le domande
si
accavallavano l’una all’altra formando un intreccio
fitto, simile a una rete
pronta a rinchiuderla. Sospirò, scacciando
quell’immagine dalla mente: aveva
preso il volo per essere libera, per ritrovare la serenità
di cui si sentiva
defraudata e per passare un’estate fuori dal comune. Rivolse
un ultimo sguardo
verso Yoshiko, che probabilmente aveva già preso sonno, e
una volta di più
pensò che venire da lei fosse stata la scelta più
giusta.
Yoshiko
e le sue perle di saggezza…ahem, non so se si è
notato, ma
ciò che Yoshiko dice è ciò che io
stessa penso, diciamo che lei è un po’ la mia
voce in questa fanfiction. Sanae ha preso veramente il volo e come ogni
uccellino deve imparare a battere le ali anche quando le correnti
d’aria sono
troppo forti. Il dialogo tra lei e Yoshiko mi è servito per
esprimere la mia
personale visione su come sia andata tra lei e Tsubasa: una cottarella
infantile che si è evoluta in un sentimento più
maturo e consapevole. Riuscirà
Sanae a cacciare il “tontolone” dai suoi pensieri?
Grazie
a tutti i lettori e a chi vorrà farmi sapere cosa ne pensa
con una recensione. ;)
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Capitolo 4 *** New York New York ***
Il bacon sfrigolava nella padella e, una
volta raggiunta la giusta
croccantezza, Yoshiko ne sollevò le due strisce rosacee con
una pinza e le
dispose sui due piatti. Sanae portò alla bocca la tazza
piena di caffè
espresso, assaggiò il liquido, ma la sua faccia schifata non
lasciò molto
spazio all’immaginazione.
- Sa di
bruciato, vero?- chiese
ridendo Yoshiko, anche lei non sopportava il sapore del
caffè americano.
Il primo
esperimento era
fallito, lasciò perdere l’intruglio e si
concentrò sul piatto che la sua amica
le aveva porto, dove una bocca di bacon
le sorrideva sotto due uova all’occhio di bue che risultarono
sicuramente più
graditi.
- Domani
facciamo le pancakes e ci beviamo
un po’ di latte freddo
e cacao, altro che questo schifo.- disse indicando il liquido nero.
Il resto
della colazione fu
dedicato alla scelta dei primi luoghi da visitare e, mentre discutevano
sull’alternativa di partire da Brooklyn
per poi allargare la visita giorno per giorno o andare subito a Manhattan, un sms fece squillare il
cellulare di Yoshiko. Escluse potesse trattarsi di Matsuyama, a meno
che non
fosse ancora in piedi a mezzanotte, quindi si alzò
svogliatamente per andare a
recuperare il telefonino sul bancone della cucina.
Stasera Hard
Rock?
L’invito
di Hachiro non lasciava
alternative: la Midtown sarebbe
stata
la meta della giornata. Si vestirono per uscire e si diressero a passo
svelto
alla metropolitana di Jay Street,
perchè
purtroppo quella mattina i cugini di Yoshiko non potevano fare da
autisti e quindi
dovettero arrangiarsi con i mezzi pubblici. Sanae era sbalordita dalla
miriade
di persone che parlavano idiomi incomprensibili, ma dai suoni musicali,
ma
ancora più stupita fu quando lei e Yoshiko uscirono dalla
metropolitana e
imboccarono la via per il Rockfeller Center,
dove vide una schiera di bandiere sventolare come se volessero salutare
i
turisti che affollavano la zona.
Era
naturale che la
destinazione scelta fosse proprio il Rockfeller
Plaza e tutti i suoi invitanti negozi. Passarono attraverso i
tavoli delle
caffetterie e si fermarono ad ammirare la statua dorata di Prometeo
della
favolosa fontana nella “piazza interrata”.
- Qui di
solito c’è la pista di
pattinaggio, ma durante le stagioni più calde viene tolta
per lasciare posto
alle caffetterie.- spiegò Yoshiko, quindi la prese sotto
braccio e la invitò a
seguirla nel dedalo dei corridoi del Centro Commerciale.
Sanae si
guardava attorno,
estasiata, facendo a gara con lei per tirarsi da una parte
all’altra ogni volta
che trovavano qualcosa che colpiva il loro interesse. Entrambe
guardarono rapite
la vetrina del negozio di Botticelli, fantasticando su un paio di
sandali in
pizzo color glicine costellati di Swarovksy.
Sospirarono, sapendo che la cifra per un paio di calzature simili era
ben al di
fuori della loro portata.
- Certo,
però, che se Hikaru
riuscisse ad entrare nel calcio professionistico...- Yoshiko
rimuginò
fingendosi seria, poi scoppiò a ridere divertita.
- Ah,
bè, in quel caso potresti
pure comprarti tutto il negozio, volendo.- stette al gioco Sanae,
unendosi alle
sue risate.
L’atmosfera
era distesa e
rilassata, nonostante aver nominato Matsuyama le avesse inevitabilmente
ricordato Tsubasa, ma con suo stupore, Sanae si era resa conto che
pensare a
lui le faceva meno male. Si sentì trascinare per la mano
dalla sua amica che
aveva adocchiato un modello di occhiali delizioso dalla vetrina di Sunglass Hut.
Il vero
divertimento iniziò
quando entrarono dentro i negozi di abbigliamento, anche se non avevano
intenzione di comprare, provarsi i vestiti e scambiarsi pareri non
costava
nulla. Yoshiko si sbizzarriva a provare e a far indossare alla sua
amica degli
accostamenti talmente audaci che a volte sembravano ridicoli, il gioco
consisteva nel vestirsi e poi uscire contemporaneamente dai camerini
per accentuare
l’effetto sorpresa. Le due ragazze scoppiavano a ridere
indicando i particolari
più buffi oppure si producevano in espressioni disgustate.
Fecero un ultimo
giro, sotto lo sguardo della commessa che iniziava a faticare a
mantenere la
pazienza. Tra una fila e l’altra di vestiti Sanae
notò un abito lungo bianco
con delle rose stampate, lo staccò
dall’appendiabiti e lo portò con sè.
Yoshiko
rimase fuori ad aspettare: era un po’ stanca. Sanae
infilò l’abito e decise di
sfilare il reggiseno, ottenendo un risultato al di sopra delle sue
aspettative.
Non era mai stata vanitosa, ma quel vestito le stava così
bene da indurla a
indugiare sulla propria immagine sorridente e ad allargare sui lati la
gonna.
Scostò il telo e si mostrò alla sua amica che si
portò le mani alla bocca dallo
stupore.
- Stai
benissimo! Ti prego
compralo!- esclamò entusiasta.
Arrossì
vistosamente, non era
abituata a quel genere di abito, così femminile.
- Se non
lo compri tu, te lo
regalo io, scegli.- l’ammonì Yoshiko.
La
franchezza della sua amica
la convinse, pensando che un’altra cosa che doveva cambiare
era il rapporto con
la sua femminilità, soprattutto per sè stessa,
prima ancora che per attirare
l’attenzione di Tsubasa. Stringendo al petto
l’abito non potè fare a meno di
chiedersi cosa ne avrebbe pensato lui se l’avesse vista con
un vestito così.
Conoscendolo,
nemmeno lo noterebbe.
Completato
l’acquisto, uscirono
scusandosi con la commessa per la confusione creata per poi scoppiare a
ridere
divertite come due bimbe dispettose. Yoshiko guardò
l’orologio, poi posò una
mano sullo stomaco.
-
E’ quasi ora di pranzo: una
salutare insalatina o un tour di schifezze?-
La
proposta numero due suonò la
più allettante e tra le risate Yoshiko le chiese da dove
cominciare.
- Dunkin’ Donouts o Starbucks?-
Stanco di
rimanere in casa Tsubasa era uscito, perchè si sentiva molto
nervoso negli
ultimi giorni. Al mattino si era sfogato con il suo allenamento
quotidiano, ma
dopo pranzo aveva mostrato un’insofferenza per quelle quattro
mura che lo aveva
spinto a trascinarsi fuori. Aveva vagato in centro per
un’oretta e adesso stava
guardando la vetrina del negozio di articoli sportivi, dove, in mezzo a
canotte
da basket, scarpe di marca e tavole da snowboard stava il pallone
ufficiale dei
passati Mondiali di Calcio, la meta che voleva raggiungere e di cui
voleva
conseguire il titolo a tutti i costi. La porta del negozio si
spalancò e ne uscì
una coppietta, probabilmente suoi coetanei, mano nella mano, che
sorridevano
spensierati, mentre lui le chiedeva dove desiderasse andare. Li
guardò
allontanarsi sorridendo bonariamente, poi fissò il terreno,
si sentiva di nuovo
pervaso da quella fastidiosa sensazione di mancanza che aveva provato
giorni
prima in piscina.
-
Capitano!-
D’istinto
si
voltò, ma la delusione gli si dipinse in faccia quando vide
Kumi corrergli
incontro. Inopportunamente si avvinghiò al suo braccio e lui
non potè far altro
che assecondarla da quanto era ingessato dall’imbarazzo.
Cinguettando
allegramente, la ragazza lo trascinò fino alla caffetteria
che stava a due
passi. Entrarono e Tsubasa ordinò un latte macchiato per
sè, mentre Kumi ordinò
un frullato con una fetta di torta.
La ragazza
non
faceva altro che parlare, producendosi in un lungo monologo, dato che
lui non
proferiva parola e si limitava ad annuire o scuotere la testa, mentre
si
guardava attorno, maledicendosi per il fatto di non essere riuscito a
glissare
l’invito.
Il posto
gli era
familiare: si ricordò che una volta, dopo aver fatto tardi
agli allenamenti,
assieme a Morisaki e Sanae si era fermato lì per bere
qualcosa di caldo. La
manager stava seduta di fronte a lui e scherzava con il portiere sulle
ridicole
tecniche difensive che ogni tanto sfornava Ishizaki.
Si
riscosse da
quei pensieri quando la cameriera posò le loro ordinazioni
sul tavolo e Kumi si
avventò come un rapace sulla fetta di crostata.
Ah,
la torta al limone! La mia preferita!
L’eco
della voce
di Sanae lo riportò a quel momento: nella sua memoria la sua
amica sorrideva
come una bambina di fronte al regalo più bello del mondo,
quando la cameriera
le aveva porto il piattino con la fetta spolverata di abbondante
zucchero a
velo. Soffocò una risata al ricordo dello sguardo
inceneritore che aveva
ricevuto, quando aveva anche solo osato mimare di prenderne un
pezzettino per poi
vederla ridere e offrire di sua sponte un assaggio a lui e Morisaki.
-
Capitano,
tutto a posto?- chiese Kumi, che si accorse di quanto fosse assente in
quel
momento.
Tsubasa
annuì e
incrociò le braccia sul tavolo, attirando
l’attenzione sui tre bracciali rossi
e Kumi vedendoli iniziò a manifestare tutto il suo
entusiasmo, riprendendo a
parlare a raffica e sorridendo.
- Kumi.-
la
interruppe.- Mi spiace aver accettato il tuo regalo, ma vedi...-
sospirò, non
voleva trattarla male, ma nemmeno voleva tenersi quei cosi al polso,
tanto più
che non gli era manco stato chiesto se volesse indossarli o meno.
- ...non
è il
caso che li porti, mi mettono a disagio.-
L’espressione
della ragazzina passò dallo stupore alla più
profonda delusione, anche lei si
era resa conto che gli aveva fatto subire quel regalo, ma pensava che
non
avendo battuto ciglio lo avesse accettato.
- Non li
vuoi,
perchè non ti piacciono o cosa?- insistette.
- Non
è
questo...- si grattò la testa in evidente
difficoltà. - Non sono tipo per
queste cose, ecco tutto. Come vedi non indosso nemmeno
l’orologio.-
-
Capisco.-
sospirò mestamente. Rassegnata andò al bancone
per farsi prestare un paio di
forbici e tagliò via i bracciali dal polso di Tsubasa.
Il ragazzo
se lo
massaggiò come se lo avessero liberato dalle manette e, dopo
averla
ringraziata, vuotò il bicchiere di latte macchiato, quindi
si diresse alla
cassa per pagare, mentre lei rimaneva seduta al tavolo a smaltire
l’umiliazione.
- Ora
dovrei
andare, Kumi.-
Un cenno
di
assenso fu tutto quello che ricevette in risposta. Gli dispiaceva
vederla così
abbattuta, ma non aveva voluto tenersi oltre quella specie di marchio
di
fabbrica. Si congedò e riprese la strada di casa.
L’aria calda dell’estate
trasportava con sè l’odore dell’erba
tagliata e del profumo dei fiori
solleticandogli la pelle, d’istinto alzò lo
sguardo per osservare la scia di un
aereo che stava ormai sparendo. Era passata una settimana da quando
aveva visto
Sanae per l’ultima volta.
Il muro di
cristallo emanava dei bagliori che sembravano magici attraverso le sue
forme
irregolari, uno spettacolo fantastico che veniva amplificato dalla luce
riflessa del sole che stava acquisendo i colori arancioni del tramonto.
Yoshiko
la invitò a proseguire, altrimenti si sarebbero perse lo
spettacolo delle
ultime luci del giorno dalla cima del Top
of the rock. Salirono di un piano e rimasero qualche minuto a
giocare con
le luci interattive del corridoio che si illuminavano e producevano
effetti
sonori al loro passaggio. Alla fine raggiunsero la cima del grattacielo
che
sovrastava la città, una vista da mozzare il fiato. La due
ragazze si
avvicinarono alla parte nord della terrazza da cui si godeva la
panoramica su Central Park, poi i
loro sguardi si
focalizzarono sulla zona sud dove svettava l’Empire
State Building. Gli ultimi bagliori del sole iniziarono a
lottare con il blu della notte che stava prendendo il sopravvento.
- Come
vorrei
che Tsubasa potesse vederlo.- si lasciò scappare Sanae,
vergognandosi subito
per la propria debolezza. Voltandosi verso Yoshiko, però,
non notò
un’espressione di rimprovero, ma solo lo sguardo comprensivo
di chi capiva
perfettamente quello che stava provando.
- Non devi
sentirti in colpa per quello che senti, Sanae.-
Due
lacrime
silenziose scesero dai suoi occhi concentrati sullo spettacolo
meraviglioso cui
stava assistendo, il braccio gentile di Yoshiko le circondò
le spalle,
rincuorandola con quel gesto, ancora meglio di mille parole. Attesero
che le
luci della città si accendessero prima di abbandonare la
terrazza, dove l’aria
della sera cominciava a farsi piuttosto fredda, poi tornarono al
sessantasettesimo piano per prendere l’ascensore e uscire.
Quando
furono
nuovamente all’aria aperta il cellulare di Yoshiko
suonò.
- Hachi,
dove
siete?- chiese rispondendo.
- Ah,
siete già
lì. Dammi dieci minuti e arriviamo. Later.-
chiuse la comunicazione e con un cenno invitò
l’amica a seguirla.
Passarono Time Square e svoltarono per la 7th Avenue, dove vennero risucchiate
dalla scia luminosa delle insegne. Sanae osservava con
curiosità ogni
particolare, cercando di stare al passo svelto di Yoshiko, che di punto
in
bianco si fermò per indicarle il grattacielo dove
campeggiava la scritta di una
nota marca giapponese.
-
Lì c’è il
pannello del midnight countdown.-
La ragazza
annuì
completamente stregata da quello spettacolo, un po’
artificiale, certo, ma pur
sempre affascinante per gli occhi di una turista. Finalmente, videro
l’insegna
del locale e, prendendosi a braccetto, entrarono.
Yoshiko si
muoveva con una certa sicurezza, cosciente di dove potessero essersi
sistemati
i suoi amici. Superarono il negozio ed entrarono nello spazio dedicato
al
ristorante. Un po’ intimidita, Sanae si fece largo tra i
tavoli stando il più
vicina possibile all’amica.
Scesero
un’ultima
rampa di scale e lei potè distinguere Hachiro nel gruppo di
ragazzi al tavolo
proprio di fronte all’arco luminoso che circondava la foto di
Elvis Presley, su cui campeggiava la
scritta Who do you love?
Il
destino mi perseguita?
Sospirò
sentendosi un po’ in soggezione per gli sguardi curiosi degli
amici di Yoshiko,
che con un sorriso la invitò ad avvicinarsi per le
presentazioni.
- Ragazzi,
lei è
Sanae. Loro, invece, sono Christopher, Jamal e Cody.- rispettivamente
un
biondino con gli occhi verdi, un ragazzo afroamericano con i dreadlock
e un
ragazzo dai capelli scuri e gli occhi azzurri. Scambiati i dovuti
convenevoli,
si sedettero al tavolo.
- Tsk, la
prossima volta ci facciamo un festino nel privé.
Troppa gente qui.- sbuffò Cody, slacciando
l’ultimo bottone della sua camicia
Gucci.
La sua
dichiarazione scatenò l’ilarità degli
amici che iniziarono a sfotterlo per le
sue uscite da miliardario viziato.
- Il padre
di
Cody è molto ricco.- le suggerì Yoshiko.
- Sanae,
come è
andata la prima giornata, ti piace New
York?- le chiese Jamal con un caldo sorriso.
La ragazza
si
sentì un po’ più a suo agio e, con
l’aiuto di Yoshiko, riuscì a raccontare come
aveva passato la sua prima giornata americana, interrotta ogni tanto
dalle
domande di Chris, come aveva chiesto di essere chiamato. Cody sembrava
il meno
ospitale dei tre, visto che non aveva aperto bocca e si era limitato
solo a
guardarla per tutto il tempo. Hachiro invece si divertiva a
punzecchiarla,
facendole notare le storpiature di pronuncia o i piccoli errori di
lessico,
finchè sua cugina e Jamal non gli intimarono il silenzio.
Le loro
ordinazioni arrivarono al tavolo, ma proprio quando stava per tuffarsi
sul suo hamburger, il cellulare di
Sanae
squillò. Era sua madre che la chiamava per sentire come
stava, ma la confusione
nel locale la obbligò a uscire per trovare un luogo meno
caotico.
- La tua
amica è
proprio carina, lo sai Yoshi?- Cody stava ancora fissando la porta da
cui era
uscita Sanae.
- Lascia
perdere.- fu la pronta risposta.
-
Perchè?-
chiese lui sorridendo.
- Non
è uno scherzo,
stalle lontano.- lo minacciò con la forchetta.
Lo sguardo
provocatorio
del ragazzo fu il chiaro segnale che le sue minacce non funzionavano,
purtroppo
sapeva che tipo era: se voleva qualcosa la otteneva. Temeva proprio che
la sua
amica Sanae stesse per diventare l’ennesimo capriccio di quel
ragazzino
viziato.
Tadaaaan,
alla fine di una bella giornata di shopping, arriva lo sparviero pronto
a
piombare su Sanae, mentre il caro capitano in Giappone deve
disimpegnarsi dal
pressing serrato di Kumi…mmm, prevedo scintille.
Grazie
a tutti delle belle recensioni che mi lasciate e del tempo che dedicate
alla
mia fanfiction.
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Capitolo 5 *** Gita al mare ***
-
Yoshi-chan, tu sei mai stata
a questa fantomatica villa a Palm Beach?-
chiese Sanae, mentre toglieva dalla busta il costume nuovo che aveva
comprato.
L’amica
scosse la testa,
impegnata a selezionare gli abiti da portare per quella che Cody aveva
definito
“gita fuoriporta”, anche se in realtà, e
lei lo sapeva benissimo, era
l’ennesima subdola manovra per conquistare le attenzioni di
Sanae, dato che abiti
firmati e auto di lusso non sembravano aver scalfito il guscio che la
ragazza mostrava
con ogni maschio che non rispondesse al nome di Tsubasa Ozora.
Quando
l’amico le aveva
invitate ad andare non aveva mancato di rivelare il valore monetario
della sua
“casa per le vacanze” al mare, che ammontava sui 14
milioni di dollari,
rimanendo deluso dalla mancanza di reazione da parte della sua
“futura
conquista”.
Nakazawa
sistemò un ultimo paio
di pantaloncini di jeans sorridendo di fronte alla mole di vestiti che
aveva
comprato nel mese trascorso a New York:
Yoshiko sembrava essersi messa in testa di cambiarle il guardaroba per
fare in
modo che avesse meno cose castigate e poco femminili. Buttò
in valigia anche il
top amaranto a fascia che aveva
preso
il giorno prima sulle bancarelle nella 6th
Avenue e chiuse il trolley
che le
aveva prestato la sua amica.
Yoshiko
fece appena in tempo a
chiudere il suo bagaglio che Hachiro suonò alla porta, a cui
andò ad aprire la
signora Fujisawa. Il ragazzo e Christopher salirono al piano di sopra
per
prelevare galantemente le valigie delle ragazze che, salutata la madre
di Yoshiko,
uscirono per raggiungere le macchine parcheggiate nel vialetto. La
ragazza
scosse la testa notando la vistosa differenza fra l’anonima
vettura di suo
cugino e il fuoristrada di lusso di Cody
che, come al solito, non lesinava di ostentare i mezzi di cui poteva
disporre. Ancora
una volta, però, la reazione di Sanae fu come una mattonata
in testa poiché, dopo
averlo salutato, entrò nell’altra auto lasciandolo
incredulo, con la mano
ancora sulla manopola della portiera che stava lasciando aperta per
lei. Dentro
l’abitacolo, Jamal stava ridendo a crepapelle, mentre
Christopher che li aveva
raggiunti contorceva i lineamenti per non scoppiare a ridere a sua
volta.
- Non
osare metterti a ridere.-
lo aveva ammonito Cody, sottolineando le parole sfilandosi gli occhiali
da
sole.
Scocciato
mise in moto in
direzione dell’aeroporto, dove avrebbero preso
l’aereo per risparmiare tempo.
Dopo due
ore e mezzo circa di
volo arrivarono a Palm Beach, dove
trovarono il custode della villa pronto a condurli a destinazione.
Rimasero
tutti di stucco di fronte alla facciata della lussuosa abitazione che
nello
spiazzo antistante l’entrata ospitava una Porsche
Carrera e una Lamborghini Diablo.
- Ho
pensato che potessero servirle
se lei e i suoi amici voleste andare in giro la sera, signor Franklin.-
spiegò
l’uomo indicando le auto, mentre con delicatezza invitava le
ragazze a scendere
per poi occuparsi dei bagagli.
Sanae era
confusa da tanto
lusso, anche se non era mai stata una persona che si lasciava
impressionare
dalla ricchezza. Nella sua testa continuava a domandarsi come avevano
fatto
Yoshiko e suoi cugini a diventare amici di un ragazzo così
benestante, per non
parlare di Jamal e Chris che erano la semplicità fatta a
persona.
Entrarono
all’interno e ciò che
vide non era niente a confronto di quel che si presentava dalla
facciata della
casa: ogni mobile, ogni oggetto era in stile raffinato e molto
ricercato; ogni
dettaglio minimamente curato, dalle tende di seta ai quadri pregiati
appesi
alle pareti. Cody fece accomodare i suoi ospiti, mostrando ogni ala
dell’abitazione: la cucina in legno di palissandro e marmo di
Carrara, le numerose
stanze da bagno, il soggiorno con il maxischermo al plasma e, per
finire,
l’ampio patio colonnato che dava sulla piscina. Sanae si
avvicinò al fusto di
una colonna per ammirare l’enorme vasca dove
l’acqua azzurra s’increspava
lievemente scossa dal vento, quando una voce la richiamò
alla realtà.
- Ti
piace, Sunny?-
Cody era
comparso alle sue
spalle e le rivolgeva quel sorriso malizioso che aveva imparato a
conoscere
bene, così come il nomignolo che si era inventato per
chiamarla in modo
particolare e intimo, dato che il ragazzo, a differenza dei tipi che
era solita
frequentare, non aveva mai mascherato l’interesse nei suoi
confronti.
Gli
sorrise e annuì.
-
Complimenti, Cody, avete una
casa bellissima.-
Il ragazzo
fece spallucce
spiegando che l’artefice di tanto lusso era la sua viziata
mammina che aveva
speso una fortuna tra arredatori e decoratori d’interni per
fare in modo che
quel luogo divenisse la fiera delle vanità.
Yoshiko
comparve sulla porta
del patio con l’aria di un generale e le mani sui fianchi.
Cody alzò lo sguardo
al cielo: la sua amica stava diventando un incubo, nemmeno fosse il
peggior
mostro che esiste sulla faccia della Terra.
-
Sanae-chan, vieni che
disfiamo i bagagli?-
- Arrivo.-
le rispose, poi la
superò oltre la porta e uscì.
La ragazza
incrociò le braccia
sul petto e lo squadrò con occhi sottili.
- Ti tengo
d’occhio.- e detto
questo si congedò.
Cody
sospirò, passandosi le mani
tra i capelli: Yoshiko stava diventando una vera seccatura, doveva
trovare il
modo di distrarla in modo che la smettesse di interrompere i suoi
tentativi di
avvicinarsi a Sanae. L’unica persona adatta allo scopo era
Christopher, che si
era preso una cotta per la ragazza, ma aveva abbandonato
l’idea quando aveva
saputo che aveva un ragazzo in Giappone. Intuiva che toccando le corde
giuste
avrebbe spinto di nuovo l’amico a provarci con lei e, se non
avesse comunque
cavato un ragno dal buco, almeno gli avrebbe lasciato il tempo per
avvicinarsi
a Sanae.
Le ragazze
nel frattempo
stavano indugiando sulla raffinatezza dell’arredamento della
camera. Di fronte
alla porta due vetrate, che ricoprivano l’intera altezza
della parete, davano
sulla piscina e più in là si potevano vedere le
spiagge con la loro sabbia
dorata; sul muro portante stavano poggiate le testiere dei letti le cui
curve
morbide contrastavano con il rigore delle forme dei comodini e degli
armadi,
accomunati dal tenue colore pastello e dai decori floreali. Dalla parte
opposta
stava un’enorme specchiera illuminata da ogni lato con
lampade in ferro battuto
e alla sinistra stava l’entrata del bagno, grande quanto la
stanza da letto e
con una vasca dal diametro spropositato.
- Ho idea
che questa “gita”
sarà indimenticabile.- sospirò Yoshiko.
Chris non
la perdeva un secondo
d’occhio: Yoshiko gli piaceva molto, non riusciva a
nasconderlo e nemmeno a non
pensare a quanto fosse carina con il prendisole bianco e sensuale con
il
costume a due pezzi che aveva indosso in quel momento. Le parole di
Cody gli
avevano risvegliato quei sentimenti che aveva tentato di sopire per
rispetto di
lei e correttezza verso quel fantomatico fidanzato
d’oltreoceano.
- Chi ti
assicura che lui non
sia a divertirsi con un’altra adesso?- gli aveva fatto notare
l’amico.
Sinceramente
non l’aveva mai
pensata in questi termini o almeno, se gli era mai venuto il minimo
sospetto,
lo aveva ricacciato in qualche cassetto della sua mente,
perché non avrebbe mai
fatto soffrire la ragazza instillandole il dubbio del tradimento, era
una cosa
che andava contro i suoi principi. Eppure adesso era lì,
pronto a rifarsi
avanti con la cugina del suo migliore amico.
La ragazza
andò a giocare con
le onde assieme a Sanae, che lentamente cercava di vincere i brividi
dello
sbalzo termico ed entrare in acqua. L’amica la raggiunse alle
spalle e l’invitò
a contare fino a tre e poi buttarsi assieme.
- Non
barare.-
Ma ancor
prima di finire il
conteggio, Hachiro arrivò correndo alle loro spalle alzando
un’infinità di
schizzi e buttandosi pesantemente in mezzo a loro due, che fradice e
anche
infuriate cominciarono a rincorrerlo in mezzo alle onde. Cody sbirciava
Sanae
da dietro gli occhiali da sole, ammirando la doratura della sua pelle
acquisita
al sole della piscina, che ben si accostava al rosso fuoco del suo
seducente
bikini.
Afferrò
il pallone da beach volley e
togliendosi gli occhiali
invitò Chris e Jamal a seguirlo per andare a giocare in
acqua. I tre iniziarono
a palleggiare, poi resero i passaggi più difficili
aggiungendo schiacciate e
ricezioni in tuffo. Sanae e Yoshiko, che stavano tornando da una
nuotata a
largo si fermarono a guardarli, mentre Hachiro si univa a loro. La
palla si
alzò a campanile e Cody spiccò un bel salto per
produrre una schiacciata
talmente rapida da lasciare di stucco Jamal che rimase con le braccia
tese in
avanti come una statua.
-
Però…è veramente bravo.- si
lasciò sfuggire Sanae.
-
E’ titolare nella squadra di
pallavolo del suo liceo.- le rispose Yoshiko in tono piatto.
Vide la
sua amica avvicinarsi e
cercare spazio tra i giocatori, mettendosi tra Cody e Hachi.
Ok,
sei sensibile al fascino dello sportivo.
Vedendo
suo cugino che si
sbracciava per invitarla a giocare, saltellò sulle onde e si
unì al cerchio che
avevano formato a due passi dalla battigia.
Sanae
giocava divertita e
dentro sentiva una gioia incontenibile, finalmente riusciva a vivere
dei
momenti sereni senza offuscarli con i pensieri dolorosi. Non che
Tsubasa fosse
sparito dalla sua testa, ma era riuscita a tramutarlo in un pensiero
dolce, un
ricordo di quello che di bello l’aspettava una volta tornata
a casa, ma per
rientrare in Giappone c’era tempo e lei, ora, aveva
intenzione di godersi
quella vacanza fino all’ultimo minuto. Ogni volta che si
girava alla sua destra
incrociava lo sguardo ammaliante di Cody che quel giorno sembrava
particolarmente ispirato a far cadere ogni sua difesa. Poco prima,
quando il
pallone era caduto in mezzo a loro, lui lo aveva raccolto e, dopo
averlo scosso
per far scivolare via l’acqua, gliel’aveva porto
come un pacco regalo; mentre
lei afferrava la sfera, aveva avvertito le sue dita sfiorare il dorso
della sua
mano.
Yoshiko
scrutava preoccupata
gli ammiccamenti che si scambiavano, ignara che, proprio accanto a lei,
una
persona non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Chris continuava a
fare i
conti con i propri scrupoli, mentre la parte più meschina
del suo animo lo
martoriava con l’idea che il fantomatico Matsuyama non fosse
lo stinco di santo
che lei credeva e che magari, mentre lui si arrovellava nei dubbi,
l’altro
approfittava dell’assenza della ragazza per farsi i fatti
propri. Distratto da
quei pensieri non vide la palla arrivare e Yoshiko, presa dal gioco, si
buttò
nella sua direzione per prenderla. Entrambi caddero in acqua e Chris
sentì il
corpo di lei così aderente al suo, che tutti i suoi buoni
propositi crollarono
una volta per tutte.
La schiuma
aveva formato delle
nuvole deliziose sulla superficie dell’acqua e nella stanza
si confondevano i
profumi del bagnoschiuma e del pout-pourri.
Sanae aveva trovato delle candele e le aveva accese per creare
un’ulteriore
atmosfera rilassante. Yoshiko era già immersa
nell’acqua calda e la sua amica
la raggiunse poco dopo, sfilandosi l’asciugamano di dosso.
Mentre giocava con le
bolle la voce inquisitoria di Fujisawa le fece sparire il sorriso dal
volto.
- Che
succede tra te e Cody?-
Sanae si
rabbuiò, infastidita
da quella domanda.
- Non
succede proprio niente.-
rispose stizzita.
- Ah
sì? Non mi pare dagli
sguardi che vi scambiavate oggi.-
La ragazza
si voltò
completamente nella sua direzione e si avvicinò per essere
faccia a faccia con
la sua amica.
- Faccio
qualcosa di sbagliato
se mi godo il corteggiamento di un bel ragazzo?- il suo viso aveva
un’espressione quasi addolorata.
Yoshiko si
rese subito conto
che la situazione in cui era la sua amica non era delle più
semplici: in
Giappone c’era un ragazzo per cui aveva perso la testa, ma
che non aveva mai
dato il minimo segno di tenere a lei o almeno non in quel senso;
lì c’era Cody,
un ragazzo molto carino che la stava ricoprendo di attenzioni, anche se
lui non
era proprio il tipo da fare le cose sul serio. Sanae non aveva niente
da
rimproverarsi, non aveva nessuno a cui dover rispondere, lei era libera
di fare
quello che voleva.
-
Scusami.- rispose contrita.
- Ma una
cosa voglio dirtela:
Cody non è un bravo ragazzo, non con le donne almeno. Le
prende e le lascia
come fossero oggetti, le vede alla stregua di una bella macchina o di
una
camicia firmata, all’inizio si appassiona, poi dopo poco si
stanca.-
- Questo
lo so.- le rispose
spiazzandola.
- Ma non
credo che sia talmente
meschino da forzarmi a fare cose che non voglio.-
Annuì
e si rilassò, parlare con
sincerità era stata la scelta migliore, per entrambe.
I ragazzi
erano pronti e le aspettavano
all’ingresso per andare alla baracchina in spiaggia dove si
teneva il solito
festino con musiche caraibiche. Chris e Cody si scambiarono uno sguardo
eloquente quando le videro scendere le scale fasciate dai vestitini da
sera che
indossavano.
Il ragazzo
offrì il braccio a
Sanae che con un sorriso accettò volentieri
l’invito, mentre Chris fu preceduto
da Hachiro, che prese per le spalle la cugina, squadrandolo pure in
cagnesco.
Hachiro Fujisawa non era un cretino, aveva capito che il suo migliore
amico
aveva ripreso gli antichi propositi e non gli avrebbe lasciato il campo
libero,
non gli avrebbe permesso di fare qualcosa che potesse far soffrire la
sua
preziosa cuginetta. Il ragazzo rimase un po’ deluso e
seguì Jamal che con un
cenno del capo lo invitava a raggiungere gli altri.
Cody
lanciò la chiave della Porsche
ad Hachiro, che con stupore gli
chiese se si fidasse a fargliela guidare.
- Non
posso guidarle entrambe.-
sorrise alzando le spalle, poi si voltò e porse la mano a
Sanae per aiutarla a
salire nel basso abitacolo della Lamborghini.
La ragazza si guardò attorno, osservando i particolari del
cruscotto, fino ad
arrivare al volante con al centro lo stemma del toro pronto ad incornare,
Cody si sedette al suo posto e le fece l’occhiolino,
suscitandole un sorriso
alquanto civettuolo. Sul sedile posteriore Jamal sospirò:
mai come in quel
momento si sentiva di troppo.
La musica
era talmente
coinvolgente che Sanae si scordò la propria timidezza e
iniziò a muoversi,
aiutata da Jamal, che da bravo ballerino qual era conosceva tutti i
passi base dei
principali balli latinoamericani. Yoshiko si limitava a muoversi a
tempo, scatenandosi
con il cugino nell’imitazione di Uma Thurman e John Travolta
in Pulp Fiction, provocando
l’ilarità dei
presenti. Cody stava a guardarli spalle allo steccato che delimitava la
pista
da ballo, mentre Christopher era girato dalla parte opposta con i
gomiti posati
sulla balaustra di legno intento a fissare le onde.
- Ehi, che
faccia da funerale.-
- Fottiti!
La colpa è anche tua.
Potevi evitare di coinvolgermi nelle tue manovre.- rispose seccato.
- Potresti
provare a parlarle.-
gli suggerì.
- Secondo
te Hachi me lo
lascerebbe fare? Lo conosci, è il solito cazzone, ma
toccagli suo fratello o
sua cugina e sei fregato.-
Cody
vuotò la bottiglia di
birra
e la posò sullo steccato, poi si infilò tra la
gente che ballava e chiese a Sanae
se gli andava di fare una passeggiata. La ragazza rivolse uno sguardo a
Yoshiko
come alla ricerca di un pretesto per rifiutare, ma in quel momento
qualcosa nel
suo cervello fece scattare una molla quando, oltre le spalle della sua
amica, vide
una ragazza che portava dei braccialetti brasiliani come quelli che
Kumi aveva
regalato a Tsubasa. Lasciandosi prendere per mano lo seguì
lungo la spiaggia
lontano dalla confusione.
Yoshiko li
seguì con lo
sguardo, finchè la sua attenzione non fu catturata da
Christopher che ora stava
di tre quarti in modo da riuscire a vederla. Lei gli sorrise e lui
alzò la mano
per salutarla, poi vide che gli chiedeva di andare in pista, ma scosse
la
testa. A quel punto fu lei ad avvicinarsi, anche per riprendere fiato.
Sotto la
luce del riflettore, i
suoi occhi e la sua pelle sudata per il movimento brillavano come
fossero di
cristallo. Chris le sorrise malinconico, cosciente che lei non poteva
sapere
cosa avrebbe dato in quel momento solo per poterla abbracciare. Rivolse
nuovamente lo sguardo al mare, ma sentì una mano calda
posarsi sul suo braccio.
- Chris,
qualcosa non va?-
chiese sinceramente preoccupata.
Il ragazzo
riflettè qualche
istante, poi decise di chiederle di seguirlo per poter parlare con
calma.
Hachiro era immobile in mezzo alla pista con le mani occupate dalle
birre che
aveva comprato per sè e Jamal, ma quest’ultimo lo
bloccò quando fece per mettersi
tra i due.
- Lascia
che se la sbrighino da
soli, sono grandi abbastanza.-
Sanae e
Cody intanto erano
seduti sulla sabbia ancora calda e stavano rimirando il riflesso della
luna
sulle onde, non avevano parlato granchè fino a quel momento.
Lei era in
evidente imbarazzo, mentre lui aspettava tranquillo il momento giusto
per per
fare ciò che si era messo in testa. La ragazza
sospirò per sciogliere
l’agitazione attirando uno sguardo incuriosito del ragazzo.
- Come vi
siete conosciuti tu e
gli altri?- chiese sorridendogli.
Cody si
sdraiò sulla sabbia con
le mani incrociate dietro la nuca.
-
Christopher è figlio della colf
di mia madre, è stato lui a
presentarmi gli altri.-
Sanae
annuì, avrebbe voluto
chiedergli di più, ma non voleva sembrare indiscreta. Lui si
voltò con il gomito
poggiato a terra e rise.
- Ti
starai chiedendo come fa
un ragazzino ricco e viziato a essere amico loro, vero?-
La ragazza
arrossì colta in
fallo, ma voltandosi per chiedere scusa, vide che lui le stava
sorridendo
dolcemente.
-
E’ perchè loro non approfittano
mai della mia amicizia. Sono diversi da tutti quei leccapiedi che si
fingono
miei amici per usufruire dei privilegi concessi dai soldi di
papà.-
Quelle
parole servirono a farle
vedere quel ragazzo sotto un’altra luce: in
realtà, era un ragazzino viziato e
per lui le donne erano delle bamboline con cui giocare un po’
e poi relegarle
in cantina, ma quante di loro si erano avvicinate a lui
disinteressatamente?
Non si
mosse quando sentì la
sua mano che le sistemava una ciocca di capelli dietro
l’orecchio e le
accarezzava il viso, nemmeno quando il suo volto si fece sempre
più vicino per
posare le labbra sulle sue.
Chris
camminava con le mani in
tasca, lasciando un po’ indietro Yoshiko. La ragazza, stufa
di rincorrerlo, gli
chiese di rallentare, ma lui si voltò di scatto e si
parò di fronte a lei.
- Yoshiko,
io voglio stare con
te.-
Non si
sarebbe mai aspettata
una dichiarazione simile, erano d’accordo che sarebbero
rimasti amici, perchè
lei aveva già qualcuno.
- Chris,
sai bene che io non
posso darti quello che vuoi, c’è già un
altro e non è un mistero che io non
veda l’ora di tornare in Giappone da lui.-
Il ragazzo
non aveva
alternative, sicuramente non avrebbe tirato fuori la
possibilità che la fiducia
in quel lontano ragazzo fosse mal riposta, altrimenti si sarebbe
giocato pure la
sua amicizia, anche se in quel momento gli sembrò
l’unico appiglio valido, ma
si interruppe ancor prima di proferire parola con uno sbuffo rassegnato.
- Come un
idiota volevo metterti
in testa il dubbio che lui forse non ti è fedele come lo sei
tu in questo
momento...Ma non credo che sia quel tipo di persona, se lo hai scelto
deve
essere un tipo in gamba e se è così, sa bene che
vale la pena aspettarti, eh,
Yoshi-chan?- disse con voce tremante e gli occhi un po’
lucidi per la
tristezza.
La ragazza
sentì le lacrime
pizzicarle gli occhi e mai come in quel momento avvertì la
mancanza di Hikaru.
Dispiaciuta si precipitò ad abbracciarlo e tra le lacrime
continuò a ripetere
quanto le dispiacesse.
- Dispiace
anche a me.- bisbigliò
al suo orecchio, mentre una lacrima prepotente scendeva lungo la sua
guancia.
Tsubasa si
sfilò la maglia e si
passò la mano sul petto caldo: quel giorno era andato ad
allenarsi ed era
rimasto tutto il pomeriggio sul campo deserto a torso nudo, rimediando
un
principio di scottatura. Infilò i pantaloncini e la canotta
e si stese sul
letto. Il suo sguardo passò dai poster e gagliardetti che
tappezzavano le
pareti al calendario che stava proprio di fronte a lui.
Sforzò la vista per
distinguere il numero del giorno appena passato e alzando le mani
contò sulle
dita.
- Quindici
giorni.- sospirò.
Sì
sì, bravo Tsucoso sospira che intanto dall’altra
parte del mondo sta succedendo
il finimondo (ok, forse esagerato). Lo so che qualcuna di voi mi sta
odiando…sono
pronta a ricevere i vostri improperi. XD
Grazie
a tutti per le vostre parole e per il tempo che dedicate alla mia
fanfiction.
|
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Capitolo 6 *** Tadaima ***
Il libro
di inglese aveva
l’angolo destro completamente accartocciato, dato che da una
settimana il suo
proprietario sfogava la frustrazione sulla carta, su tutti i fogli che
aveva
sottomano. Lo sguardo buttato ogni tanto sull’unico banco
vuoto alla sua sinistra,
Tsubasa stava mollemente aspettando che il professore facesse il suo
ingresso
in classe per iniziare la lezione. L’insegnante
entrò poco dopo e, salutato dagli
alunni, aprì il registro per iniziare l’appello.
Arrivato alla lettera N,
anzichè saltare il nome che il ragazzo attendeva con
attenzione, il prof lo
chiamò e non ottenendo risposta alzò lo sguardo.
- Qualcuno
sa dirmi dov’è
Nakazawa-san?-
Un
mormorio si elevò tra i
banchi: la scuola era iniziata da una settimana e nessuno aveva visto
Sanae, alcuni
pensavano si fosse ritirata dato che i professori non la chiamavano
nemmeno
durante gli appelli.
- I suoi
genitori ci hanno avvisati
che sarebbe stata assente la prima settimana, ma oggi doveva essere qui
se il
professor Takeda non ha capito male.-
Un rumore
di passi in corridoio
ammutolì i presenti e la porta scorrevole si aprì
di colpo.
- Nakazawa
presente,
professore, scusi il ritardo.- disse intervallando le parole col
fiatone.
Tsubasa
rimase a bocca aperta,
le gote rosse per la corsa l’avevano resa proprio deliziosa,
per non parlare
dei capelli.
-
Nakazawa...- li indicò il
docente.
Sanae
prese in mano le trecce
afro che si era fatta fare da una giamaicana nel Queens
e si giustificò.
- Ho
chiesto al capo
insegnanti, mi ha detto che sono al limite del regolamento ma
accettabili, ho una
dichiarazione firmata da lui.-
Il
professore scosse la mano,
poi si schiarì la voce.
- No, mi
fido, è che sarebbe
opportuno che li legassi con un nastro. Per il banco, mettiti pure di
fianco a
Ozora.-
Obbedendo
al professore si
accomodò al suo posto e sfilò un nastro rosso
dalla sua cartella con cui legò
le treccine. Scostandosi i capelli dalla spalla rivolse lo sguardo a
Tsubasa
che la stava guardando e gli sorrise, poi ammiccò in
direzione di Yukari e
Morisaki che stavano accanto alle vetrate. La lezione finalmente
iniziò e il
professore diede indicazioni a quale pagina aprire il libro.
- Visto
che sei arrivata in
ritardo e a quanto pare ti sei fatta un bel soggiorno negli States, che
ne dici
di leggere e tradurre tutta pagina trentadue, Nakazawa-san?-
Sanae non
si scompose e tenendo
il libro tra le mani si alzò in piedi.
Il suo
compagno di banco
cercava di seguire le righe, che venivano lette con un’ottima
pronuncia, ma
ogni tanto sbirciava il profilo abbronzato della ragazza stupendosi
come se la
vedesse solo in quel momento per la prima volta. Terminato il compito
lei si
risedette e il professore partì con le domande prendendo
persone a caso. Tsubasa
si chinò sul banco cercando di rendersi quasi invisibile, ma
nemmeno lui sfuggì
all’interrogazione. Aveva compreso la domanda, ma non aveva
idea di come
impostare la risposta e come sempre aspettava che il suo angelo custode
si
occupasse di lui, però il suggerimento sperato non
arrivò e il professore lo
fece sedere ammonendolo. D’istinto si voltò verso
Sanae, che stava con lo
sguardo fisso sulle pagine del libro e nuovamente sentì
l’amaro sapore della
delusione. Non poteva sapere che la ragazza si era concentrata per non
obbedire
all’impulso di mostrarsi servizievole con lui e dargli il
tanto sospirato
suggerimento.
Durante la
ricreazione i
ragazzi del club di calcio passarono a trovarla.
- Ehi
Anego, ti sei fatta una
bella vacanza, eh? - Ishizaki sorrideva a trentadue denti.
-
Pensavamo non tornassi più
indietro.- incalzò Kisugi.
- Ammetto
che sono stata
tentata.- sorrise agli amici che le facevano un sacco di domande.
L’unico
che non si sentiva
partecipe era Tsubasa, che dopo aver udito quella frase si era
rabbuiato. La
ragazza sembrava persa in un altro mondo, un luogo dove i suoi amici
riuscivano
a entrare senza problemi, mentre lui non ne trovava
l’accesso. Non era Sanae a
impedirglielo, anche se in più di un occasione gli sembrava
cambiata. Probabilmente
era il suo aspetto che gli dava questa idea, quindi si
limitò ad ascoltare le
risposte che dava ai suoi compagni senza intervenire.
- Dicci la
verità, Anego, hai avuto
qualche avventuretta estiva?- chiese maliziosamente Ishizaki.
Quella
domanda allertò ogni
cellula del corpo di Tsubasa.
- Non te
lo dirò MAI.- rispose
lei mostrandogli la lingua, per poi scoppiare a ridere assieme agli
altri.
Tsubasa
non si sentiva a suo
agio, gli sembrava di avere di fronte un’estranea.
- Ehi,
capitano. Tutto a
posto?- chiese Sanae accompagnando la domanda con un sorriso.
Finalmente
la rivedeva,
quell’espressione così dolce, quella che le faceva
comparire le fossette ai
lati della bocca e che rendeva più armoniosa la forma delle
sue labbra, quella
che faceva brillare il caldo dei suoi occhi castani, quella che, aveva
difficoltà ad ammetterlo, gli era mancata.
Durante la
pausa pranzo, Sanae
estrasse il cellulare dalla cartella e lo accese, poi raggiunse gli
altri per
andare assieme alla mensa. Tsubasa si affiancò a lei,
sguardo basso come un
colpevole, ma non proferì parola, incerto su cosa dire alla
sua prima manager.
-
Sanae...-
La ragazza
si voltò nella sua
direzione.
- Ecco...-
prese a balbettare,
ma un suono lo disturbò.
Lei
rispose alla chiamata e un
sorriso le illuminò il viso quando salutò la
persona dall’altra parte con un “hello”
quasi cantato.
- Tsubasa,
non credo di aver
tempo di venire a pranzare con voi. Potresti dirlo tu agli altri?-
La vide
correre verso le scale
per la terrazza, poi come un cane bastonato si diresse alla mensa dove
gli
altri erano già lì ad attenderlo.
- Ehi,
capitano, ma Sanae-chan?-
chiese Izawa.
- Al
telefono. Dice che non ci
raggiungerà per il pranzo.- borbottò.
Un coro di
esclamazioni si levò
dai suoi amici che a turno iniziarono a fare congetture sul probabile
interlocutore.
- Ah, ve
lo dico io, Sanae ha
conosciuto qualcuno a New York.- chiosò Kisugi.
-
Può essere, del resto è una
ragazza carina.- aggiunse Morisaki.
I compagni
annuirono tra di
loro.
- Poi i
capelli così le stanno
benissimo. Non pensi anche tu, capitano?- domandò Izawa,
cercando di
coinvolgere il loro taciturno amico.
Tsubasa
era troppo intento a
massacrare un pezzo di tamago yaki
con le bacchette da quando aveva sentito l’ipotesi
di Kisugi. Perchè gli
dava tanto fastidio anche solo pensare a qualcuno accanto a Sanae? Chi
era lui
per sentirsi così irritato?
- Ehi,
Tsubasa, ci sei?- Yukari
gli scosse una mano di fronte.
- Scusate,
ragazzi, ‘sta roba
fa schifo. Me ne torno in classe.- e detto questo si alzò
per andare a posare
il vassoio e uscire, ma durante il tragitto fu intercettato da Kumi,
che con la
solita insistenza lo arpionò per il braccio.
- Ti va di
accompagnarmi in
terrazza?-
Stava
quasi per rifiutare,
quando gli venne in mente chi avrebbe incontrato assecondandola.
Sanae,
intenta a parlare,
appoggiata con i gomiti alla ringhiera, nemmeno sentì la
porta alle sue spalle
aprirsi. Una voce fastidiosa richiamò la sua attenzione e il
suo sguardo
incontrò quello di Kumi e Tsubasa.
Bene,
vedo che non hai perso tempo.
Si
rigirò tentando di dominarsi
e continuò la sua conversazione, simulando
un’indifferenza da guinnes
dei primati. Il ragazzo stava di
spalle alla ringhiera in modo da porterla avere nel proprio campo
visivo,
mentre la kohai non faceva altro
che
squittire sulla bellezza del panorama, neanche fosse la prima volta che
lo
vedeva. A un tratto si voltò verso il suo interlocutore, ma
vide che lui era
distratto e focalizzato su qualcos’altro, o meglio, su
qualcun altro. Kumi si
sentì un po’ offesa e con una scusa banale si
congedò, ma vedendo la reazione distratta
di Tsubasa si irritò ancora di più.
Sanae ora
rideva, scherzava,
come non aveva mai fatto con lui. Sembrava felice: era mai stata
così in sua
compagnia?
Finalmente,
la vide chiudere
quel dannato aggeggio e voltarsi. Lei rimase spiazzata vedendolo da
solo.
- Sei
solo? E Kumi?-
Scrollò
le spalle quasi a
significare che non era importante.
- Sanae,
lei mi si è
appiccicata addosso...sai com’è fatta...-
-
Perchè mi dai spiegazioni?-
chiese ostentando una reale curiosità.
- Ecco...-
Bravo,
adesso cosa m’invento?
Le
scappò una risata per la sua
goffaggine.
- Tra poco
rinizia la lezione.-
disse, superandolo, e con un tocco sistemò meglio i capelli
sulla sua schiena
facendo tintinnare le perline che legavano le estremità
delle trecce.
-
Sanae...- lei si voltò e
attese.
- Oggi ci
sei al club, vero?-
quella domanda suonò più come una preghiera.
Un sorriso
le si allargò sul
volto.
- Ma
certo.- rispose spostando
la testa di lato in maniera sbarazzina.
Almeno una
delle sue certezze
non era venuta a mancare.
Il
pomeriggio era ancora troppo
caldo e i ragazzi chiedevano costantemente pause per andarsi a
rinfrescare,
l’unico che resisteva e non si allontanava mai dal campo era
proprio Tsubasa
che continuava a provare i suoi tiri contro la rete sguarnita. Ogni
tanto i
suoi occhi cercavano la figura a bordo campo, che aveva sostituito la
solita
tuta con un paio di pantajazz rossi e una canottiera bianca con la
scritta “I love NY”,
indumenti che esaltavano
decisamente le forme prossime alla maturazione della ragazza.
La cesta
dei palloni stava
iniziando a svuotarsi e Sanae se n’era accorta da molto ma,
decisa a continuare
con il suo atteggiamento distaccato, fece finta di non rendersene
conto. Il
mister notò che il ragazzo si era accorto di aver esaurito
la scorta e guardava
le manager grattandosi la nuca, come se questo bastasse ad attirare la
loro
attenzione e, per la prima volta in tre anni, dovette far notare alle
ragazze
che il loro aiuto era richiesto.
- Ah,
sì. Kumi vai ad aiutare
Tsubasa.- borbottò scocciata la prima manager.
Quel tono
di voce urtò
parecchio il ragazzo che si voltò a guardarla mentre gli
dava le spalle,
impegnata a piegare gli asciugamani puliti da portare negli spogliatoi.
Non
mi ha neanche chiamato “capitano”.
Vide la
Nishimoto avvicinarsi a
lei per dirle qualcosa e notò che scrollava le spalle, come
se qualunque cosa
le avesse detto non la riguardasse. La kohai
si era riempita le mani di palloni che rischiavano di
sfuggirle dalla presa
da un momento all’altro e Tsubasa dovette darle una mano per
evitare che le
sfere rotolassero da ogni lato. Diede un ultimo sguardo al bordo campo,
ma vide
che se n’era andata dentro gli spogliatoi a posare la pila di
asciugamani
aiutata da Yukari.
-
Sanae-chan, scusa se te lo
chiedo? Hai conosciuto qualche ragazzo in America?-
La ragazza
sbuffò: a Yukari non
avrebbe potuto mentire, non sarebbe stato giusto dato che si era
dimostrata
sempre tanto comprensiva e disponibile con lei.
-
Più o meno.-
La sua
amica allargò gli occhi
per lo stupore.
- Che
significa “più o meno”?-
- Nel
senso che ho incontrato
un ragazzo, ma non ne voglio parlare.- cercò di chiudere
l’argomento. Spiegare
la situazione a Yukari sarebbe stato complicato e se lei era davvero
sua amica
non l’avrebbe forzata a parlarne, ma si sentì una
persona pessima quando ne vide
l’espressione mortificata.
- Mi
spiace, Yukari-chan. Sei
una cara amica, lo sai, ma la situazione è un po’
ingarbugliata.-
- Nel
senso che lui è là e tu
qui?- chiese.
- No,
è un discorso lungo e
complicato.-
Ti
prego, non chiedermi altro Yukari.
La ragazza
sospirò, poi
sorrise.
- Quando
sarai pronta me ne
parlerai.-
La
risposta di Sanae fu un
abbraccio di gratitudine.
Gli
allenamenti erano finiti e
Sanae rispedì a casa Yukari e Kumi, spiegando che siccome la
prima settimana
era stata assente lasciando loro tutte le incombenze, voleva sdebitarsi
finendo
di riordinare da sola. Aveva anche bisogno di un po’ di
solitudine per
riappropriarsi di tutte le piccole cose che la legavano a quel club.
Aveva
finito di stendere le
magliette a cui aveva fatto fare un bel giro in lavatrice, poi aveva
cominciato
a pulire i palloni con un panno. Il sole stava scendendo lentamente e
la
temperatura era piacevolmente mite: nel campo deserto si respirava
un’aria di
pace e, avvertendo un brivido sulle spalle scoperte, Sanae
slegò il nastro per
sciogliere i capelli che le coprirono così la pelle nuda. Le
perline le
solleticavano la schiena, proprio lì dove la pelle rimaneva
scoperta tra la
canottiera e i pantaloni, ma a lei piaceva sentire i suoi capelli, che
di
solito tagliava corti in nome di una decantata comodità,
così lunghi: merito
delle extention che le aveva
applicato Maylea, la simpatica ragazza che aveva pazientemente
intrecciato le
sue ciocche, talmente lisce e scivolose, per un intero pomeriggio. Quel
viaggio
oltreoceano era stato un toccasana per lei: aveva scoperto una parte di
sè che
non aveva mostrato mai nemmeno a se stessa, forse per paura, quella che
l’aveva
spinta a chiudersi in abiti maschili da bambina e che le faceva
ostentare una
grinta solo apparente per difendersi. Grazie a Yoshiko e alle
attenzioni di
Cody aveva scoperto il suo lato femminile, quello che voleva
disperatamente far
emergere, imprigionato dalla paura di non piacere a Tsubasa.
Pensò
a come si era svolta la
giornata e si potè ritenere soddisfatta del suo
comportamento che finalmente si
stava allontanando dallo zerbino che si era ridotta ad essere e, cosa
migliore
in assoluto, Tsubasa sembrava essersi accorto del cambiamento. Sorrise
tra sè
ignara della presenza alle sue spalle e, infilando l’ultimo
pallone nella
cesta, scostò la massa di trecce che era scivolata in avanti
quando si era
chinata per prendere lo strofinaccio. Il rumore di una frustata con
conseguente
grido di dolore la fece voltare di scatto con gli occhi sbarrati.
Di fronte
a lei stava Tsubasa
che, dolorante, si teneva il braccio colpito dai suoi capelli.
Imbarazzata andò
a toccarlo proprio lì dove erano evidenti i segni lasciati
dalle perline.
- Scusami
davvero, non pensavo
fossi dietro di me. Mi spiace, ti fa male?- chiese mortificata.
Tsubasa le
sorrise e le
assicurò che stava benissimo. Lei alzò lo sguardo
dal bicipite che si stava
arrossando e incontrò gli occhi scuri del ragazzo che la
stava fissando. La
vicinanza e l’espressione dei suoi occhi che le parve
così dolce stavano
mandando all’aria i suoi buoni propositi, ma dentro di
sè prevalse l’orgoglio
che le impedì di arrossire o iniziare a innervosirsi.
- Uff,
dovrei pensare di farle
sciogliere.- si portò l’estremità
imperlata di una treccia davanti agli occhi.
- Ti
stanno benissimo.-
Ho
sentito bene? Quello era un complimento? Non fare la scema e non andare
in
visibilio, Cody ti ha sommersa di complimenti molto più
elaborati di questo.
Dentro la
sua testa angeli e
demoni svolgevano una battaglia oratoria, ma i buoni propositi ebbero
la
meglio.
- Sei
gentile, ma tenerle
troppo a lungo mi rovinerebbe i capelli.- spinse via il cesto per
andarlo a
sistemare nel magazzino.
- Ti posso
aiutare?- chiese lui.
- Mmm, no
ho finito, chiudo
qui, mi cambio e me ne vado.- spiegò.
- Ti
aspetto così ti
accompagno.-
Io
e lui da soli sulla strada di casa...no, scordatelo Sanae, non ci devi
cascare!
- No, vai
pure, tanto non vado
a casa.-
- No?-
- I miei
genitori avevano
voglia di una serata alternativa e hanno prenotato al ristorante.
Adesso
telefono a mio padre per dirgli di venirmi a prendere.-
Ottima
scusa, Sanae, speriamo che non ti chieda di aspettare il suo arrivo con
te...
Il ragazzo
rimase un po’ male,
sperava di poter fare due chiacchiere una buona volta dato che in tutta
la
giornata, tra impegni e telefonate e i suoi compagni che avevano tenuto
banco,
non aveva potuto parlare con lei.
-
Sarà per un’altra volta.- si
sforzò di sorridere.
Si
congedò e la lasciò andare a
cambiarsi. La ragazza si chiuse alle spalle la porta dello spogliatoio
e
sbuffò, poi sorrise al proprio riflesso nello specchio.
- Sei
proprio una pessima
bugiarda, Sanae.-
Muahahahahahah,
ebbene Sanae è tornata, ma il povero Tsubasa ci capisce
ancor meno di prima:
acconciatura nuova, un misterioso interlocutore telefonico e il suo
essere così
distaccata. Cosa sarà successo negli USA?
Per
saperlo…alle prossime puntate!
Ringrazio
i lettori e soprattutto chi lascia un commento facendomi sapere cosa
pensa di
questa storia. Alla prossima. ;) PS: Tadaima, il titolo del capitolo è un'espressione giapponese che si usa quando si rientra a casa. Di solito chi entra dice "Tadaima" e chi accoglie in casa risponde "Okaeri".
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Capitolo 7 *** Piume di pavone ***
Tsubasa
non era
fatto per la vita mondana, preso com’era dall’unica
passione della sua vita, ma
aveva pensato che quell’anno, l’ultimo che avrebbe
passato con i suoi amici, fosse
il giusto periodo per prendersi qualche momento di svago, dato che in
futuro raramente
ne avrebbe avuto ancora occasione. Sua madre gli aveva stirato la
camicia
bianca e gliel’aveva posta sull’appendiabiti,
mentre lui era impegnato a
cercare una cintura per i suoi jeans neri.
Finì
di vestirsi
e poi scese a dare un’occhiata all’orologio da
parete per sincerarsi di non
essere in ritardo: decisamente no, anzi, si era preparato anche troppo
presto. Sarebbe
uscito comunque, magari avrebbe trovato già qualcuno nel
locale, anzi , sperava
di trovarvi una persona in particolare.
Sanae era
ormai l’ombra
della ragazza che ricordava: non aveva perso la dolcezza né
il suo caldo
sorriso, ma la sentiva distante, come se ogni giorno che passava stesse
posando
un mattone sul muro che si innalzava tra loro due. Spesso la cercava a
bordo
campo, ma lei gli dava le spalle oppure era impegnata a parlare sempre
con quel
“qualcuno” al cellulare. Oltre al fatto che Sanae
aveva conosciuto qualcuno a
Yukari aveva scucito poche altre informazioni, dato che la ragazza
aveva
candidamente confessato di non sapere altro e non era riuscita a capire
in che
rapporti erano. Sicuramente ottimi, dato che questo gaijin
le
telefonava frequentemente tenendola per parecchi minuti impegnata in
conversazione. Sentirla ridere, quando era al telefono con l’altro gli dava sui nervi e lo sapeva
bene Morisaki che era costretto a prendersi le sue bordate incazzose
oppure
Ishizaki e Takasugi che si erano beccati gomitate o tacchetti nelle
gambe nelle
simulazioni di partita.
Si rendeva
conto, però, che il suo atteggiamento non aveva senso:
mostrare gelosia nei
confronti di un’amica era una cosa infantile. Il problema era
che non sapeva
più dire se per lui Sanae era soltanto una compagna di
scuola dolce e carina
oppure qualcosa di più, era complicato. Fino alla scorsa
primavera per lui
esisteva solo il suo amatissimo sport; poi, tornato a scuola, si era
ritrovato
di fronte la sua manager che all’improvviso era diventata il
suo angelo
custode: lo aiutava nello studio, gli dava i suggerimenti in classe,
era la
prima a correre per passargli i palloni dalla cesta o porgergli
l’asciugamano.
Quelle attenzioni all’inizio lo avevano piacevolmente
colpito, poi le aveva
considerate come il comportamento di una sorella maggiore. Ebbene
sì, doveva
ammetterlo, al di fuori del calcio, aveva bisogno della baby-sitter
per tante cose e chi meglio della “sorellona”
poteva esserlo? Non si era reso conto di quanto fossero atteggiamenti
importanti finché non ne fu privato da un momento
all’altro e, dopo un’estate
in cui il suo angelo custode era volato lontano, si era ritrovato
faccia a
faccia con una Yuki-onna.
Probabilmente l’incontro con l’altro
c’entrava in questo suo cambiamento,
però, che lei avesse cambiato atteggiamento con lui poteva
significare che
quelle attenzioni che gli riservava non erano disinteressate come
credeva?
Preso dai
pensieri si ritrovò di fronte al locale concordato con gli
altri: dal vetro
vide una figura femminile e per un attimo ci sperò, ma
quando la ragazza si
voltò e avvistandolo lo salutò, dovette
constatare che, purtroppo, si trattava
di Kumi. Appena entrò lei gli si appiccicò come
sempre e Tsubasa si perse
nuovamente nelle sue considerazioni, confrontando i modi un
po’ sfacciati di
Kumi con quelli discreti di Sanae. Possibile che lei desiderasse quel
tipo di
attenzioni e che lui non se ne fosse mai reso conto? Probabile: quando
stavano
insieme, doveva ammetterlo, era solo lui a parlare e sempre, guarda il
caso, di
calcio.
Le porte
del
locale si spalancarono e quasi tutti i compagni di squadra fecero il
loro
ingresso: mancavano Ishizaki e Izawa, i ritardatari, che si
presentarono una
decina di minuti dopo.
Lei
dov’è?
-
Sanae-chan
ultimamente è sempre in ritardo.- sbuffò Yukari.
-
Avrà anche i
fatti suoi di cui occuparsi, non possiamo mica essere sempre il centro
dei suoi
pensieri.- fece notare Morisaki.
Una frase
buttata a caso, tristemente vera, che aveva il potere di far diventare
il suo
umore nero come i suoi occhi che fissavano insistentemente la porta del
locale,
sperando di vederla comparire da un momento all’altro. Izawa
estrasse il suo
cellulare e scorse la rubrica.
- La
chiamo e le
dico che intanto ci sediamo, non possiamo rimanere in piedi ad
aspettarla.-
Izawa fece
partire la chiamata, ma poco dopo scosse la testa e avvertì
che il telefono era
occupato.
-
Starà parlando
col suo boyfriend transoceanico.-
aggiunse maliziosa Kumi, provocando degli sguardi al vetriolo da parte
di
Ishizaki, Yukari e dallo stesso Tsubasa che in quel momento
l’avrebbe
decapitata volentieri.
I ragazzi
avevano appena congedato la cameriera avvertendola che stavano ancora
aspettando una persona. Yukari si rigirava nervosamente una ciocca tra
le dita:
Sanae era diventata strana dopo quel viaggio e si sentiva come se
stesse
perdendo la sua migliore amica.
- Yukari,
ma ha
detto per caso che non aveva voglia di venire?- chiese Kisugi.
La ragazza
non
sapeva che rispondere: una volta riusciva a capire di più la
prima manager, ma
adesso c’erano momenti in cui le sembrava
un’estranea.
Tsubasa si
stava
agitando di minuto in minuto, lo avvertiva Yukari che lui aveva preteso
di
avere al fianco, in modo che gli evitasse la scomoda vicinanza di Kumi,
perché
sotto il tavolo continuava a dondolare le gambe come se lo avesse morso
una
tarantola. Quel movimento molesto si arrestò di colpo quando
una figura superò
l’arco che divideva la sala in cui si erano accomodati
dall’ingresso. Un
sorriso radioso fu la scossa che agitò il suo cuore.
-
Sanae…- gli
uscì un soffio leggero.
- Scusate
il
ritardo.- fece un inchino ai suoi amici.
-
Ehilà,
manager, che eleganza!- fischiò Izawa.
-
E’ vero,
Sanae, che bel vestito che hai.- si complimentò Yukari.
La ragazza
sorrise mentre le sue guance si velarono di un leggero rossore,
perché tra gli
sguardi ammirati aveva distinto quello di Tsubasa. Il ragazzo la
salutò
educatamente e si scansò per farle posto alla sua sinistra.
- Vicino
al
capitano? Oh, come sono fortunata.- ironizzò, lanciando uno
sguardo eloquente a
Kumi.
Mi
spiace per te, ma stasera mi sento molto civetta. E’ il
momento che sia tu a
metterti in coda.
- Tutto a
posto?
Come mai questo ritardo?- chiese il ragazzo.
- Insomma,
ci ho
messo più tempo del solito a prepararmi…-
- Con un
ottimo
risultato.- le sorrise.
Oh,
no, non smontarmi le intenzioni così…accidenti,
poi stasera sei proprio carino.
Ok, uno a zero, ma adesso ti dimostro come pareggio subito.
-
Grazie…-
sorrise a sua volta -…dicevo, poi sono stata un sacco di
tempo al telefono.-
Tsubasa si
sentì
come se gli avessero dato un pugno nello stomaco, gli mancava solo
l’accenno
alle lunghe telefonate. Sanae prese un menù tra le mani e
lui ne approfittò per
sbirciare; notandolo, lei spostò verso il centro la carta
ricca di pietanze
stuzzicanti.
- Tu cosa
prendi?- i loro visi erano talmente vicini che Tsubasa sentì
il suo respiro sulla
guancia e quel contatto bastò a farlo arrossire come il
solito imbranato che
era. Sanae posò il mento sulla mano e iniziò a
indicare le voci del menù che
avevano attirato maggiormente la sua attenzione.
- Questo
sembra
buono.- gli suggerì picchiettando sul foglio.-
Però anche questo. Come faccio a
decidere?-
- Che ne
dici se
io prendo una cosa e tu l’altra, poi dividiamo?-
suggerì Tsubasa.
Sanae
annuì
soddisfatta e lui passò il menù a Taki che lo
reclamava, poi continuò a
conversare con la sua deliziosa vicina, che quella sera sembrava
più ben
disposta nei suoi confronti. Kumi fissava quel loro conversare,
scambiarsi
sorrisi o ridere per una battuta con i nervi a fior di pelle: il
capitano non
aveva mai fatto così con lei.
- Ehi,
tortorelle, vi siete messi vicini per tubare meglio?- li interruppe la
solita
voce fastidiosa.
Ishizaki,
quand’è che ti cuci quella cazzo di bocca? Tra te
e Morisaki...!! Non mi
mettere in imbarazzo proprio stasera che finalmente Sanae mi
dà un po’ retta.
La ragazza
si
sporse oltre le sue spalle e fece una boccaccia all’amico.
- Parla
pure,
tanto a te non ti filano nemmeno le più disperate del primo
anno.- lo canzonò,
suscitando l’ilarità dei presenti.
Tsubasa
era
scoppiato a ridere, ma subito dopo aveva riflettuto sul fatto che Sanae
non
aveva negato come era solita fare, che tra loro ci fosse qualcosa. La
guardò
ridere e farsi i dispetti con il suo compagno di squadra che si era
messo ad
appallottolare i pezzi di tovagliolino e tirarglieli. Era
così che la
preferiva, vivace e sorridente, non quando stava con lo sguardo assente
e
distante chissà dove.
Com’era
normale
l’aria della sera stava progressivamente rinfrescando, dal
momento che il
giorno dopo sarebbe stato lo Shubūn no Hi.
Sanae infilò il coprispalla che aveva lo stesso colore
rosato dei fiori stampati
sul vestito comprato a New York,
scelto per la serata. I ragazzi decisero di fermarsi vicino al ponte
per
ammirare lo spettacolo notturno della luce lunare e si avvicinarono al
letto
del fiume per sedersi sul manto erboso. Sanae rimase in piedi con la
gonna
leggermente mossa dal venticello che accarezzava l’acqua
gorgogliante del
fiume. Tsubasa si girò a guardarla e rimase come ipnotizzato
dal suo profilo
illuminato dalla luna e il corpo esile avvolto in quell’abito
che si muoveva
sinuoso, come se la ragazza fosse vestita di vento. A un tratto,
però, la vide
incrociare le braccia sul petto e frizionarsi le spalle con le mani.
Probabilmente aveva sottovalutato il calo della temperatura della sera,
amplificato evidentemente dall’umidità del fiume.
Una giacca
di
jeans si posò sulle sue spalle e voltandosi potè
vedere l’espressione dolce che
Tsubasa le stava regalando in quel momento. Le sue mani, calde,
rimasero posate
sulle sue spalle e iniziarono ad accarezzarla per darle un
po’ di calore. Dei
fischi divertiti si elevarono tra i compagni di squadra che assistendo
alla
scena non avevano saputo resistere all’impulso di mettere in
imbarazzo il loro
capitano, il quale, però, deciso a non farsi vincere dalla
timidezza, rivolse
uno sguardo di sufficienza ai suoi amici e fece notare che anche
Nishimoto e
Sugimoto avevano freddo.
- Non
vorrete
passare mica per dei cafoni?- insistette.
- A
differenza
del solito controbatte.- ringhiò Izawa, che toltosi la felpa
la offrì a Kumi
che la rifiutò con poca grazia. Lei avrebbe pagato per
essere al posto di Sanae
in quel momento.
Tsubasa,
ormai
immune alle prese in giro, aveva deciso di accompagnarla a casa,
nonostante lei
gli avesse detto più volte che non si doveva disturbare.
- Non ti
faccio
andare a casa da sola a quest’ora.- il tono usato non
ammetteva repliche e non le
restò che incamminarsi sotto lo sguardo torvo di Kumi e
quello divertito degli
altri.
Durante il
tragitto, però, fu l’imbarazzo a farla da padrone.
Nessuno dei due aveva idea
su come iniziare un discorso, finchè non fu Tsubasa a
rompere il silenzio.
- Domani
che
fai?-
Sanae
scrollò le
spalle.
-
Probabilmente
andremo a Yokohama alla tomba del nonno a pregare. Tu?-
- I miei
nonni
sono sepolti a Mitaka e la mamma non se la sente di andare fino
là senza papà.
Andrò al parco a correre e allenarmi.-
Figurati
se mi diceva che sarebbe rimasto a casa a riposare o a fare
dell’altro.
Arrivarono
al
cancello della casa dei Nakazawa, proprio mentre una figura familiare
stava
uscendo dall’abitazione a fianco.
-
Scimmietta!-
esclamò.
- Uffa,
Tacchan,
sei cattivo! Perchè mi chiami ancora così?- si
lamentò, fingendo di essere
profondamente offesa.
I due
ragazzi si
lanciarono in una conversazione sul perché il ragazzo si
trovasse a casa dei
suoi a quell’ora e tagliarono fuori Tsubasa, che rimase a
guardarli mentre Tatsuya
le faceva i complimenti sul vestito e le diceva che i capelli, ormai
privi di
trecce ed extension, ma comunque un
po’ più lunghi, la rendevano più
femminile. Sanae si ricordò all’improvviso
della sua presenza e si scusò per la propria maleducazione.
- Tsubasa
lui
è...-
-
Sì, ci
conosciamo.- la interruppe scocciato.
- Ci siamo
conosciuti in piscina.- puntualizzò Tatsuya.
Il ragazzo
non
ci teneva ad intrattenersi con lui, non si sentiva a suo agio con quel
tipo.
-
Buonanotte,
Sanae, ci vediamo lunedì a scuola. Arrivederci,
Tatsuya-san.- si congedò.
La ragazza
rimase a guardarlo, compiaciuta di poter notare un po’ di
gelosia in Tsubasa.
- Guarda
che a
forza di tirare le corde si spezzano, Sacchan.-
Lei si
voltò,
conscia di quello che stava insinuando.
- Non sai
com’è
il rapporto tra noi due, è giusto che stia un po’
sulle spine, dopo come ho
passato la scorsa primavera.-
- No, non
lo so,
ma so cos’ha provato lui, quando io gli ho detto che eri
andata via. Noi maschi
saremo un po’ ingenui a volte, ma non siamo marionette da
manovrare come fa
comodo.- e detto questo si congedò.
Non si
sarebbe
mai aspettata che proprio Tatsuya le facesse la predica. Prendersi
qualche
rivincita era così sbagliato?
Entrò
in casa e
salì direttamente in camera per prepararsi per la notte.
Mentre si coricava con
la guancia sprofondata nel cuscino, nella sua testa c’era
spazio solo per gli
sguardi dolci di Tsubasa e il piacevole tepore delle sue mani sulle
spalle.
Nel
pomeriggio
si sarebbero visti al club ma, non sapeva come, stava compilando il
modulo di
accesso alla biblioteca scolastica, tutto perchè Yukari gli
aveva detto che
Sanae studiava lì dopo le lezioni. Si fece strada tra gli
scaffali per trovare
un libro non troppo lungo e pensò che l’ultimo
numero di World Soccer Digest
potesse andare, avrebbe reso più credibile la sua
presenza lì dentro. Con fare
circospetto cercò la ragazza tra i banchi, finchè
non la trovò al tavolo
accanto alla finestra, china sull’eserciziario di matematica.
L’indomani
avrebbero avuto una prova scritta sulle equazioni algebriche, ma
Tsubasa ora
era troppo impegnato a concentrarsi sui tratti del viso di Sanae che
preoccuparsi delle eventuali conseguenze del suo scarso impegno nello
studio.
Il viso di
lei era
intinto dei raggi del sole che filtravano dall’ampia finestra
e i suoi capelli
corvini ricadevano sulle spalle a parte le ciocche del ciuffo, troppo
lunghe, che
erano tenute ferme da mollettine color fragola. Tatsuya aveva ragione,
era più
femminile con i capelli più lunghi, anche se, a dire la
verità, l’aveva sempre
trovata carina, anche quando si vestiva come un maschiaccio con il gakuran.
Non sapeva dire perché aveva bisogno di rimanere
lì e guardarla, nel silenzio
della biblioteca, senza alcun seccatore che lo canzonasse o altre
occupazioni
che lo distraessero. Forse era così che ci si sentiva?
Bastava poterla guardare
per sentirsi appagato?
A un
tratto lo
sguardo della ragazza si alzò a incontrare il suo, che
imbarazzato si nascose
dietro la rivista, ma notò che lei stava soffocando una
risata. Si accorse
subito di cosa l’aveva divertita, quando vide che i kanji erano rovesciati: stava tenendo la
rivista al contrario.
Epic
fail, Tsubasa! Adesso penserà che la stavi fissando come un
maniaco.
Sanae era
incerta sul cosa fare, anche se l’idea di rimanere
lì a fare mostra di sé come
un pavone che fa la ruota non le sembrava poi tanto malvagia. Aveva
aspettato
parecchio perché il ragazzo sacrificasse un po’
del suo tempo per lei e,
sicuramente, che lui ora fosse lì a rimirarla quasi fosse un
opera d’arte
superava ogni sua più rosea aspettativa. Avrebbe atteso
ancora un po’, poi gli
avrebbe chiesto se aveva bisogno di una mano per il compito in classe
di
domani. Dopotutto, poteva permettersi un po’ di
flessibilità dati gli ultimi
risultati che aveva ottenuto. Purtroppo per Tsubasa, però,
qualcosa, anzi
qualcuno, arrivò a guastare ogni proposito.
- Ciao,
Nakazawa-san.-
Sanae
alzò gli
occhi dal libro e sorrise timidamente al ragazzo che aveva di fronte.
-
Buongiorno, Yoshizumi-san.-
Dal tavolo
di
fronte Tsubasa stava già spiegazzando le pagine della
rivista, ansioso di
sapere cosa volesse il capoclasse della 3ªF da Sanae.
- Puoi
smettere
un attimo? Vorrei offrirti un caffè.- le chiese in tono
gentile, provocandole
un leggero imbarazzo.
No,
che non può. No, no, NO!
La ragazza
tirò
in avanti le braccia per sgranchire le spalle e sorridendo si
alzò in piedi.
- Ti
ringrazio,
in effetti un caffè è quello che ci vuole.-
Yoshizumi
fece
strada e Sanae passò davanti a Tsubasa che stava riducendo
quella povera
rivista a un ammasso accartocciato e non riuscì a nascondere
il sorriso che
l’evidente gelosia del ragazzo le stampò sulle
labbra.
Ora
capisci cosa si prova?
E
qui mi rendo conto che non sono stordita…DI PIÙ!!
Scusate,
ma mercoledì scorso sono stata distratta e mi sono
letteralmente scordata di
pubblicare, gomen a tutti. ^^’
Tornando
alla storia: Tsubasa adesso è come un agnello sul
girarrosto, non lo invidio
proprio. Certo che capire l’atteggiamento di Sanae
è proprio dura, specialmente
per lui che non ha mai nemmeno lontanamente pensato alla
possibilità di un
cambiamento così radicale.
Ringrazio
tutti i lettori e scusate ancora per la mia dimenticanza.
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Capitolo 8 *** Il complotto ***
Su certe
questioni Tsubasa poteva essere un vero impiastro, ma avrebbe sfidato
chiunque
a comprendere l’atteggiamento che Sanae gli riservava.
C’erano dei momenti in
cui si sentiva talmente sereno da sfiorare il cielo con un dito, per
poi essere
scaraventato violentemente a terra nell’arco di pochi minuti.
Non gli era
certamente sfuggito lo sguardo compiaciuto che gli aveva dato in
biblioteca e,
per un attimo, si era sentito come preso in giro. Perché lei
si comportava
così?
Stufo di
rimirare il soffitto andò alla scrivania, maledicendosi per
il proprio disordine,
e iniziò a cercare, tra i fogli che sporgevano, la
cartellina con il logo della
Federazione. Sfilando e rimettendo sugli scaffali libri e quaderni,
fece
scivolare sulla scrivania una cartellina arancione con lo stemma della
JFL
piena di polvere. La girò sul retro dove si distinguevano
diverse calligrafie
sparse per tutta l’ampiezza del cartoncino e cercò
tra i kanji il nome di Matsuyama,
che si trovava in basso a destra con
tanto di indirizzo e numero di telefono.
Andò
all’apparecchio e
compose il numero, incapace di non provare
vergogna per quello che stava per fare.
- Pronto,
Matsuyama.- era una voce femminile, probabilmente la madre di Hikaru.
-
Buongiorno,
sono Tsubasa Ozora, c’è Hikaru-san per favore?-
La signora
lo
salutò e andò a chiamare il figlio. Tsubasa
distinse un rumore di passi e la
cornetta che veniva ripresa.
- Che
sorpresa,
Tsubasa-kun!-
- Ciao,
Matsuyama-kun. Come va?-
-
Abbastanza
bene, ora sto studiando. Tu?-
- Diciamo
bene.
Scusa, ti chiamo per un favore, posso?-
-
Sì, dimmi.-
- Potrei
avere
il numero di Fujisawa-san?-
Hikaru
rimase
imbambolato a ripetersi mentalmente la domanda, faticando a comprendere
una
simile richiesta da parte del suo capitano nazionale.
- Ecco,
vedi, Sanae
è un po’ strana ultimamente, vorrei chiedere a
Yoshiko-san se è successo
qualcosa.- tanto valeva non fare i misteriosi e dire chiaramente
perché stesse
cercando la sua ragazza.
- Capisco,
aspetta
un attimo.-
Dopo poco,
Matsuyama riprese il telefono e dettò con calma il numero
all’amico.
- Ricorda
il
fuso orario...-
Mi
prende per un idiota?!
- Grazie
mille,
davvero, e scusa se ho disturbato.-
- Ma
tranquillo,
non è niente. Senti però, non voglio impicciarmi
ma devo dirti una cosa: penso che
Yoshiko non ti dirà quello che vuoi sapere, soprattutto per
rispetto verso
Sanae. Ancora una cosa: io mi sono ritrovato all’aeroporto a
fare la
dichiarazione alla mia ragazza, perché sono stato un idiota
che ha pensato solo
al calcio, finché non mi sono reso conto che stavo per
separarmi dalla persona
più importante. Rifletti bene su ciò che ti ho
detto, Tsubasa-kun. -
- Lo
farò,
Matsuyama-kun.-
- Ci si
vede in
ritiro, speriamo ci convochino!-
- Ciao e
grazie
ancora.-
Chiuse la
comunicazione e non potè fare a meno di riflettere su quanto
gli aveva detto
l’amico. Era vero, Yoshiko avrebbe potuto rifiutare di
rivelare dettagli privati
della sua amica, ma lui doveva tentare di capire cosa le era successo
durante
quella vacanza e magari sapere qualcosa di più del
misterioso gaijin che la teneva
occupata al
telefono la maggior parte del tempo.
Guardò
l’orologio posto sulla credenza in noce del corridoio e
notò che erano appena
le cinque del pomeriggio: avrebbe dovuto attendere ancora qualche ora
prima di
chiamare Fujisawa. Decise quindi di uscire, pallone al piede, tanto per
fare
qualcosa che lo distraesse e lo portasse fuori dalle mura di casa in
cui
sarebbe rimasto come un pesce sulla graticola a contare ogni minuto,
prima
della famosa telefonata che, sperava, gli avrebbe chiarito un
po’ di cose.
Alle dieci
e
mezza Tsubasa si rigirò dall’altra parte del
letto, tenendo sempre tra le mani
il libro di scienze naturali, cercando di concentrarsi
sull’origine delle
eruzioni vulcaniche. Almeno avrebbe evitato di rimediare qualche altro
rimbrotto se gli fosse capitato di essere preso di mira dalla
professoressa Fukuda.
Mezz’ora
dopo
scattò in piedi decidendo che, forse, le nove del mattino
erano un orario
accettabile per ricevere una telefonata. Come un ladro
sgattaiolò fuori dalla
propria stanza, stando ben attento a non svegliare sua madre, quindi
scese le
scale per arrivare al cordless al
piano
terra.
Prendendo
un
lungo respiro compose il numero e, mentre la linea stabiliva il
contatto, i
battiti del suo cuore presero ad accelerare per l’agitazione
e l’imbarazzo.
- Hello, Yoshiko speaking.- la voce pacata
di Yoshiko lo bloccò come una statua di sale.
‘cazzo
fai Tsubasa?! Rispondi!
-
Hello?-
Tirò
un profondo
sospiro e parlò.
-
Buongiorno,
Fujisawa-san, sono Tsubasa Ozora.-
La ragazza
si
sentì come le fosse caduta una tegola in testa,
guardò l’orologio e contò che
occhio e croce doveva essere tarda sera in Giappone.
- Ehm,
immagino
che per te sia buonasera ormai. Sei fortunato a trovarmi, oggi sarei
dovuta
essere a scuola.-
Il ragazzo
prima
si maledisse per non averci pensato, poi pensò che aveva
avuto proprio una gran
fortuna a trovarla a casa.
- Scusami,
Fujisawa-san, ti chiamo per un motivo importante.-
Esitò
un pochino
prima di proseguire.
- Sanae ha
passato le vacanze da te. E’ per caso successo qualcosa?-
La ragazza
allargò le labbra in un sorriso, a quanto pare Tsubasa si
era accorto che oltre
al pallone esisteva anche la sua amica. Per solidarietà
femminile decise che
prima di rispondergli si sarebbe divertita un po’ a
punzecchiarlo.
-
Perché lo vuoi
sapere?- chiese con un tono quasi infastidito.
Non si
fece
cogliere impreparato, una domanda simile se l’aspettava.
-
Perché è
un’altra persona adesso: a volte sembra
un’estranea, vorrei sapere se è
accaduto qualcosa.-
Eccome
se è accaduto.
- Scusa,
ma
perché non glielo chiedi?-
- Ci ho
provato,
ma è sfuggente e ci sono giorni in cui a stento mi rivolge
la parola, come se
ce l’avesse con me.-
- Forse
è
proprio quello il problema, per questo insisto a dirti che sarebbe
meglio ne
parlassi con lei.-
-
Fujisawa-san,
ho aspettato fino adesso solo per chiamarti e sperare mi dicessi
qualcosa.-
-
Tsubasa-kun,
spiegami perché dovrei dirti come ha passato le vacanze qui
con me. Non sei né
un suo parente né il suo ragazzo.-
L’ultima
frase
suonò come una sassata scagliata con immane violenza, ma non
aveva tempo per
rimanere deluso per le parole dette da Yoshiko, era in ballo e tanto
valeva
ballare, anche arrivare a pregare la ragazza.
-
Perché…perché…perché
ho passato un’estate a chiedermi che motivo avesse per
andarsene via senza dire niente e quando è tornata mi sono
trovato di fronte
un’altra persona. Ma che succede? Ha per caso trovato un
ragazzo laggiù?- il
tono di voce iniziava a suonare affranto e Yoshiko, mossa a
compassione, decise
che era l’ora di dirgli quel che sapeva.
- Ecco,
vedi, si
tratta di un mio amico.-
Il ragazzo
non
avvertiva più niente come se una scarica elettrica potente
gli avesse tolto la
sensibilità in ogni punto del copo.
- Lui ne
era
molto attratto e ha fatto qualsiasi cosa per ottenere le sue
attenzioni.- la
ragazza marcò l’accento sulle ultime parole, quasi
a voler mandare dei messaggi
subliminali al suo interlocutore che evidentemente era troppo sconvolto
per
parlare.
-
Quindi…quindi
è con lui che Sanae parla di continuo.- la sua voce era
quasi un bisbiglio.
-
E’ probabile,
anche se non so dirti in che rapporti sono rimasti.- mentì.
- Non sai
se
stanno insieme o meno?-
- Non con
certezza. Però sai, Cody ci sa fare con le ragazze,
è bello e anche molto ricco,
ma per conquistare Sanae le ha semplicemente dato quello che ogni
ragazza cerca.-
- Sarebbe
a
dire?-
-
Considerazione.
Non faceva che riempirla di complimenti e trattarla come una
principessa. Sanae
stessa mi ha confessato che nessuno le aveva mai dato tante attenzioni.-
Ogni
parola che
diceva Yoshiko era come una frecciata avvelenata sul cuore del ragazzo.
- Ho
capito,
però…-
- Cosa?-
-
Perché mi
tratta con freddezza?-
- Non so
che
dirti, questo dovresti proprio chiederlo a lei. Scusa, sono costretta a
salutarti, perché devo aiutare mia madre a preparare il
pranzo per la Festa del
Ringraziamento.
Buona notte.-
- Grazie,
Fujisawa-san. Buona giornata.-
Mi
spiace, Tsubasa, forse sono stata un po’ dura, ma
è ora che tu capisca.
Il ragazzo
ripose il cordless sulla base e
risalì mollemente le scale: la telefonata su cui aveva
riposto tutte le
speranze gli aveva fatto piovere addosso ulteriori pensieri come una
vagonata
di mattoni.
Si
sdraiò sul
suo letto e fissò il soffitto amareggiato, perso nella
rielaborazione dei
risultati della sua brillante idea. Aveva scoperto che Sanae aveva
conosciuto
questo tale, Cody.
Almeno
ora il gaijin ha un nome.
Ora sapeva
che
lui le aveva dato tutto ciò che desiderava e che
probabilmente stavano ancora
assieme, ma in quello squallido mosaico non riusciva a capire cosa
c’entrasse
lui, né perché Sanae lo trattasse con freddezza.
A un tratto una lampadina si
illuminò nel suo cervello, era come un’equazione
matematica.
Rifletti,
Tsubasa, lei è sempre stata dolce e carina con te e ti sei
preso il meglio di
lei senza preoccuparti di dare nulla in cambio se non noiosissime (per
lei)
conversazioni sul calcio, va dall’altra parte
dell’oceano Pacifico e senza il
minimo sforzo si accattiva le simpatie di mister perfezione, torna e il
suo
atteggiamento nei tuoi confronti cambia…cazzo, Sanae, aveva
un interesse nei
miei confronti? E io scemo che nemmeno me ne sono reso conto?
Calma…
Analizziamo
la situazione: Fujisawa non sa o finge di non sapere se stanno ancora
insieme,
però Sanae non disdegna mai gli inviti di quel mollusco di
Yoshizumi, il che
può voler dire che lei non è impegnata con
nessuno…mmm, però il gaijin la
chiama di continuo… Eppure l’altra volta al locale
era davvero carina, abbiamo
scherzato, lei ha accettato le mie gentilezze…ma cazzo!
Il
gaijin le ha dato mille attenzioni, io invece le attenzioni me le sono
prese e
non le ho nemmeno apprezzate come avrei dovuto, probabilmente con lui
ha potuto
confidare i suoi sogni e le sue aspirazioni per il futuro, io invece le
ho sempre
sbrodolato addosso il mio sogno di andare in Brasile e lei, lei mi
sorrideva,
quando magari pensava che non vorrebbe che me ne andassi lontano,
avrà anche
creduto che lei non mi mancherà,
bell’insensibile…mi prenderei a schiaffi da
solo, una ragazza carina e simpatica, una persona con cui mi sono
sempre
trovato benissimo si interessa a me e io mi comporto da menefreghista.
Complimenti Tsubasa, sei davvero una merda.
Sbuffò
e si alzò
di scatto afferrandosi la testa fra le mani.
- Che
cazzo
faccio adesso?-
Qualcun
altro
stava vegliando quella sera: Sanae ripensava agli eventi che si erano
susseguiti da quando era tornata dagli USA e, nonostante col passare
dei giorni
avesse ottenuto dei grandi risultati, non si sentiva soddisfatta. Il
suo
sguardo si posò ansioso sul calendario da tavolo posato
sulla scrivania. Entro quattro
mesi la scuola sarebbe finita e Tsubasa sarebbe andato in Brasile. Non
era
un’infinità di tempo, i giorni passavano, e anche
se il ragazzo aveva reagito
come lei sperava quella sera si sentiva estremamente negativa.
Probabilmente
le sue reazioni sono dovute al fatto che non è abituato a
vedermi così fredda
nei suoi confronti, forse a lungo andare si abituerà e
comincerà a trovarmi
odiosa. Forse Tacchan ha ragione, Tsubasa non è un burattino
e io mi sto
illudendo di poterlo manovrare come mi pare e piace. Perché
sto facendo tutto
questo?
Il suono
del
cellulare la distrasse dai suoi pensieri, a quell’ora poteva
essere solo una
persona e mai come in quel momento sentiva l’esigenza di
parlare con quel
ragazzo che era diventato quasi una specie di migliore amico.
-
Cody…- sospirò
quasi sul punto di scoppiare in lacrime.
- Ciao,
bellezza! Che mi dici di bello? La strategia prosegue? Il bamboccio
abbocca
all’amo?-
-
Perché lo
faccio?!- le uscì un urlo strozzato.
Il ragazzo
rimase colpito da quella domanda a bruciapelo e rimase ancora di
più a bocca
aperta quando sentì dei singhiozzi attraverso il ricevitore
del cellulare.
-
Dolcezza, sono
lacrime quelle che sento?-
Nessuna
risposta.
- Ah, no,
non
voglio sentirti così. Ora per favore, vai in bagno e
sciacquati il viso.-
Sanae
obbedì
meccanicamente al consiglio di Cody. Il rumore dell’acqua del
rubinetto si
arrestò e sentendola nuovamente respirare sul microfono
riprese a parlare.
- Meglio?-
-
Sì, grazie.-
sospirò.
- Allora,
cos’è
questo sconforto?-
- Non lo
so,
Cody. Mi sento un’idiota, ho come l’impressione che
non otterrò nulla così.-
- Ma se
hai già fatto
dei progressi... Un passo per volta, piccola, non avere fretta.-
- Io temo
che i
comportamenti di Tsubasa siano una cosa passeggera, presto si
abituerà al mio
nuovo atteggiamento e tutto tornerà come prima. Sono solo
una stupida illusa.-
- Primo,
lo
stupido è lui dato che aveva le attenzioni di una ragazza
come te e nemmeno se
n’è reso conto; secondo, anche se dovessi renderti
conto che neanche così si
cava un ragno dal buco, almeno avresti una volta per tutte la certezza
che non
gli interessi.-
- Ed
è proprio
per questo che vorrei mollare tutto, non voglio darmi pena per poi
scoprire che
non gli interesso.-
- Ammesso
e non
concesso che non gli interessi, cosa che ritengo altamente improbabile,
date le
reazioni che mi hai descritto, almeno avresti la soddisfazione di
averci
provato.-
Cody
sembrava il
classico belloccio con la testa vuota, invece aveva sempre le idee
talmente
chiare che Sanae ringraziò il cielo per avergli fatto
incontrare una persona
come lui, capace di farle vedere le cose con lucidità anche
quando la testa era
piena di paranoie.
- Ma ora
mettiti
comoda e stammi a sentire, perché è il momento di
passare alle maniere forti.-
Tadaaan…
ecco che ricompare Cody e ora tutte vi starete chiedendo che parte sta
giocando. Il suo ruolo sarà chiarito nel prossimo capitolo e
si scoprirà anche
qualcosa di più.
Ringrazio
tutti per l’apprezzamento che state dimostrando per la mia
fanfiction e mi
scuso ancora per essermi scordata della pubblicazione
mercoledì scorso.
Alla
prossima settimana! ;)
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Capitolo 9 *** Sotto il gingko nel cortile ***
Le
labbra posate sulle sue erano morbide, sul viso sentiva vivo il calore
dell’imbarazzo, ma non avvertiva alcuna sensazione
particolare. Era il suo
primo bacio, sebbene un leggero tocco a fior di labbra e non vi era
nulla di
ciò che ci si poteva aspettare. Sanae dischiuse gli occhi
per vedere Cody
sorriderle e avvicinarsi nuovamente per un ulteriore contatto.
-
No!- lo aveva bloccato puntando le mani sulle sue spalle, ricevendo uno
sguardo
interrogativo.
-
Scusami...- si alzò di scatto, pronta a tornare indietro
dove erano rimasti gli
altri.
-
Aspetta!- Cody le afferrò garbatamente il polso e la
invitò a fermarsi, era
meglio risolvere tutto con una spiegazione anzichè scappare.
Sanae
si passò una mano tra i capelli nervosa, indecisa su cosa
dire per giustificarsi.
-
Io...pensavo fosse diverso.-
-
Cosa?-
-
Questo.- si portò le dita alle labbra. – ...mi
spiace. Speravo che fosse
speciale, non...non avevo mai baciato nessuno. Non mi ero mai trovata
in una
situazione del genere.- non riusciva a comprendere nemmeno lei cosa
stesse
dicendo, si sentiva agitatissima. Le mani del ragazzo la bloccarono e
la costrinsero
a guardarlo in faccia. I suoi occhi nocciola erano lucidi e le labbra
tremavano.
Lui la invitò a sedersi e cercò di calmarla
accarezzandole i capelli, era la
situazione più bizzarra che avesse mai vissuto e non
potè evitare di ridere.
Sanae gli rivolse uno sguardo a metà tra l’irato e
l’interrogativo.
-
Scusa se rido, ma non è mai capitata una cosa del genere
nemmeno a me.-
La
ragazza si asciugò una lacrima scivolata lungo la guancia e
cercò di calmarsi.
-
Hai voglia di parlare?-
A
quel punto fu lo stupore a prendere il sopravvento, non avrebbe mai
pensato di
trovare comprensione proprio da quel ragazzo all’apparenza
tanto superficiale.
Prese un profondo respiro e le parole le uscirono spontanee, per
confessare
quanto fosse frustrante provare sentimenti per qualcuno tanto
indifferente
quanto Tsubasa.
-
Uff, anche tu? Ma cos’hanno di tanto speciale i calciatori?!
Anche Yoshi è
partita per quel tizio che gioca a calcio.- ironizzò
strappandole una risata.
-
Scusami, Cody, ti ho rovinato la serata.-
-
Scherzi? Credo sia la prima volta che una ragazza è tanto
sincera con me e non
lo dimenticherò.-
Lei
lo fissò sbattendo le palpebre più volte, ignara
di cosa stesse tramando.
-
Ti darò una mano a conquistare lo scemo.-
- Sei
stata brava e paziente, Sunny.-
bisbigliò Cody, cercando di
farla sentire meglio.
- Ma
evidentemente quel cretino
è talmente imbranato che ha bisogno di
un’ulteriore “spinta motivazionale”.-
-
Cos’altro posso fare?- chiese
stizzita.
Il ragazzo
sorrise e le spiegò
quello che aveva in mente. Sanae annuì: prima si disse
contraria, ma dopo
dovette convenire che poteva essere la spinta di cui Tsubasa
necessitava.
- Comunque
ricordati che se quel
deficiente non si schioda, ci sono sempre io qui.-
Sorrise
grata a quel ragazzo
che le stava dando un aiuto tanto prezioso.
- Mmm, ci
penserò.- rispose in
tono civettuolo.
L’allenamento
stava per cominciare
e Sanae finì di prepararsi per iniziare a sistemare le cose
in campo. Aveva
bisogno di parlare con il mister il
prima possibile. Annodò i capelli in una coda e
uscì dallo spogliatoio,
trovandosi faccia a faccia proprio con Tsubasa.
Ottimo,
il pomeriggio comincia bene.
Lo
fissò con uno sguardo quasi
astioso.
- Ciao,
Sanae.-
Lei
rispose a mezza bocca senza
nemmeno guardarlo in faccia.
Oggi
siamo di cattivo umore?
- Tutto a
posto?- le chiese,
tanto per spezzare quel silenzio odioso che lei teneva tanto a
mantenere.
- Sese.-
rispose incurante.
-
Sanae...- la sua
sopportazione per quei comportamenti ambigui era giunta al limite.
- EHI,
PICCIONCINI!-
Ishizaki,
un giorno di questi ti ammazzo con una pallonata, lo giuro!
La ragazza
si allontanò
premendosi una mano sulla bocca, perchè altrimenti avrebbe
snocciolato
volentieri una serie di insulti dedicati alla solita mancanza di tatto
di
Ishizaki. In realtà era dal mattino che si sentiva nervosa,
durante la
colazione si era quasi sbranata suo fratello solo perchè
aveva finito tutto il
succo d’arancia e nella pausa pranzo aveva abbaiato contro un
ragazzo che stava
per farle cadere il vassoio in mensa. Il teatrino che aveva messo in
piedi
stava mettendo a dura prova la sua resistenza, sarebbe stato meglio
lasciar
perdere e smettere di autoimporsi comportamenti non suoi. Non aveva
scelta,
ormai, che proseguire quella messa in scena e giocare l’asso
nella manica
suggeritole da Cody, ma l’idea di dover mentire anche al mister la rendeva un fascio di nervi.
Attese con
calma la fine degli
allenamenti e chiese al professor Furuoya di poter parlare in privato.
Fu
invitata a raggiungerlo in sala insegnanti.
- Siediti
pure, Nakazawa-san.
Di cosa si tratta?-
- Ecco,
vede, non penso
riuscirò a continuare a seguire il club di calcio. Vorrei
tentare di entrare
all’Istituto Keio- Shonan
e ho bisogno di tempo per poter studiare adeguatamente. Io...temo non
riuscirò
ad assicurarle la mia presenza con continuità.-
Il mister rimase spiazzato per un momento,
davvero non si sarebbe
aspettato che quella ragazza così assidua e costante nei
propri impegni stesse
dicendo quelle precise parole, senza contare, poi, che si era accorto
di come
il suo atteggiamento nei confronti del capitano della squadra fosse
passato da
un estremo all’altro nell’arco di pochi mesi.
-
C’entra Tsubasa?- chiese a
bruciapelo.
Sanae
poteva ingannare gli
amici, il ragazzo che amava, ma una persona attenta ed empatica come il
professore no.
-
Sì.- abbassò lo sguardo
imbarazzata.
- Apprezzo
la sincerità,
Nakazawa-san.- rispose con un sorriso bonario.
-
Ehm…-
- Non ti
preoccupare, rimarrà
tra me e te, però come insegnante posso solo darti un
consiglio: non lasciare
che siano i sentimenti a manovrare la tua vita, sei tu che devi
prenderli in
pugno e imparare a gestirli.-
- Ci sto
provando, le giuro che
ci sto provando.- rispose, frustrata dalla situazione.
- Ai tuoi
compagni di squadra
dirò che sei troppo impegnata con lo studio, spero che
Nishimoto e Sugimoto
riescano a gestire tutto da sole.-
- La
ringrazio.- si alzò e fece
un inchino per congedarsi, serena per quel barlume di onestà
avuto con il
professore.
Furuoya si
alzò e andò alla
finestra: all’orizzonte l’ultima striscia tinta di
arancione stava sparendo. Prese
le carte che gli servivano e si diresse verso l’uscita della
scuola. Domani non
avrebbe avuto un compito facile nell’informare la squadra di
quel cambiamento,
specialmente il numero 10.
Tsubasa
correva come un
forsennato verso casa, frustrato, irritato, incapace di accettare
quello che
aveva detto l’allenatore.
Mi
odi così tanto? Bisognava arrivare a questo punto?! Cosa
devo fare?
Entrò
in casa come una furia e
nemmeno rispose a sua madre che gli chiedeva come fosse andata la
giornata.
Uno
schifo!
Andò
in camera sua e accese il
PC, guardò la sveglia e cercò di ricordarsi le
ore di fuso in Germania. Niente
da fare, ad Amburgo era mezzogiorno e Wakabayashi non era sicuramente a
casa.
Andò a reperire le sue e-mail e si appuntò su un
pezzetto di carta il numero di
casa del suo amico, aveva bisogno di un consiglio da qualcuno che
sicuramente
si era sempre dimostrato molto più sveglio di lui su certe
questioni.
La sveglia
suonò e Tsubasa la
nascose sotto il cuscino prima di riuscire a spegnerla, poi, come aveva
fatto
in precedenza scese al piano di sotto per prendere il cordless.
Amburgo,
ore 22
Il
telefono iniziò a suonare,
ma la coppia non ci fece caso, avrebbe smesso di lì a breve.
Genzo continuò a
farsi torturare le labbra, finché non fu Inneke a rimettersi
seduta sul divano
e consigliargli di interrompere quel suono fastidioso.
- Hallo, das ist Genzo Wakabayashi.-
rispose seccato.
-
Wakabayashi-kun, scusa
l’orario.-
-
Tsubasa?! Proprio adesso…-
- No, per
favore, ho bisogno di
un consiglio.-
Genzo
alzò l’orologio
all’altezza del naso e i suoi occhi si allargarono per lo
stupore.
- Ma tu
sei fuori, sono le
cinque da voi. Se è qualcosa sul calcio puoi anche andare
a…-
- Si
tratta di Sanae!-
Sulla sua
bocca si disegnò un
ghigno divertito: che Tsubasa lo chiamasse per una simile questione era
un tale
evento per cui avrebbe potuto sacrificare una pomiciata.
-
Inneke, ich komme sofort. Warte ein Moment,
bitte.-
La
ragazzina si accomodò meglio
sul divano, risistemandosi il maglione e lisciandosi i pantaloni, poi
iniziò a
torcersi una ciocca tra le dita. Ricevette un ultimo sorriso da Genzo,
che si
andò a sedere sul suo letto in camera.
- Che
vuoi?-
- Non ci
capisco più un cazzo.
Quando è reiniziata la scuola era così carina e
premurosa con me. Mi aspettava
per andare in classe, mi aiutava con lo studio, al club era sempre
disponibile...poi
è andata in vacanza negli USA, lì ha conosciuto
un tizio che ci ha provato con
lei e da quando è tornata mi tratta come una merda.-
-
Esagerato…- rise.
- Non
esagero, è la verità. Non
mi aveva detto che partiva e ho saputo di questo tizio, tramite la
ragazza di
Matsuyama. Sono così incazzato che non ne hai idea.-
Genzo
continuò a ridere,
incapace di contenersi.
- Non
pensi di essere
presuntuoso? Chi ti dà diritto di incazzarti?-
Tsubasa
rimase spiazzato dalle
parole dell’amico: si aspettava comprensione, non prese in
giro.
- Credevi
che Sanae fosse
particolarmente gentile perché è buona? Io la
ricordo come un maschiaccio scassapalle
e non c’è dubbio che sia cambiata, ma se al suo
ritorno il comportamento nei
tuoi confronti è cambiato, c’è un
motivo chiaro come il sole.-
- Sarebbe
a dire?-
- Ha
trovato qualcuno che la
apprezza senza fare troppi sforzi, quindi chi glielo fa fare di stare a
perdere
tempo dietro a te che vedi il mondo in bianco e nero come gli scacchi
del
pallone.-
Che fosse
proprio Wakabayashi a
rinfacciargli la loro comune passione era veramente un colpo basso.
- Genzo,
non sono un’aquila, lo
ammetto, ma secondo te perché dovrebbe arrivare a trattarmi
male per questo?-
- Per
darti una scossa,
imbecille! E poi, scusa se te lo dico, ma sei veramente un pagliaccio se hai chiamato la ragazza di
Matsuyama.-
- E
perché?!- chiese iniziando
a perdere la pazienza.
-
Perché è con lei che devi
parlare, scemo che non sei altro. Tira fuori le palle!-
Non poteva
dargli torto, tutti
i suoi tentativi di capire cosa avesse portato Sanae a comportarsi
così con lui
non erano stati molto seri. Aveva sempre scelto di farsi scudo di
qualcun
altro, tutte persone che in un modo o nell’altro avevano
cercato di fargli
capire quanto lui fosse limitato ed egoista, ma l’unica a cui
non aveva mai
chiesto niente era proprio lei.
-
D’accordo, scusa se ti ho
disturbato.-
- Non
farmi questa voce da cane
bastonato, dai. Vedrai che parlare con lei ti servirà.
Buona…ehm, giornata
ormai, io vado. Ciao!-
- Grazie,
Wakabayashi-kun.-
Ne era
sicuro, doveva parlare
con Sanae, chiederle una spiegazione e confessarle quello che, ormai ne
era
quasi certo, provava per lei.
Sanae
arrivò nell’aula vuota e
posò la cartella sul banco tirando un sospiro, non ce la
faceva più a dire
bugie, non ne poteva più di sforzarsi con Tsubasa: tanto se
ne sarebbe andato e
lei avrebbe solo sofferto di più. Proprio mentre rifletteva,
l’oggetto dei suoi
pensieri varcò la soglia della classe, guardandola in modo
indecifrabile.
- Ciao.-
-
Buongiorno, Tsubasa-kun.-
rispose con lo sguardo basso.
- Il mister ci ha detto che non potrai
più essere presente al club,
questo mi spiace molto.-
- Devo
studiare.- fu l’unica
cosa che riuscì a dire.
- Lo so.
Io, però, avrei
bisogno di parlare con te da soli e con calma.-
-
Tsubasa…-
- Dopo le
lezioni, sotto il
grande albero dietro la scuola.-
Le si
avvicinò e le prese le
mani tra le sue.
- Per
favore, Sanae.-
Sentì
il cuore stringersi, non
aveva mai usato un tono simile con lei.
-
D’accordo.-
- Me lo
prometti?- la guardò
dritto negli occhi.
-
Sì.- finalmente riuscì a
sorridergli senza temere di farlo.
Altri
alunni arrivarono e capirono
che era il momento di sedersi al posto.
Tsubasa
vuole parlarmi, ma cosa vorrà dirmi di così
importante?
Dietro il
fusto del gingko riuscì
a intravedere il profilo del ragazzo che le dava le spalle.
-
Tsubasa-kun?-
Lui si
voltò a guardarla, non
era mai stato tanto felice di vederla.
- Sanae,
grazie per essere
venuta.-
- Te lo
avevo promesso.- gli
sorrise, era stanca di fingere indifferenza con lui.
Lui mise
le mani in tasca e
tornò a posarsi al tronco.
- Vedi,
è da stamattina che
penso da dove cominciare a parlare e ora che sei qui
c’è una domanda che mi
assilla di continuo.-
Alzò
lo sguardo verso di lui
attendendo di sentirlo parlare.
- Negli
Stati Uniti hai per
caso, conosciuto qualcuno?-
Non era
proprio la domanda
migliore da farle.
- Non mi
pare siano affari
tuoi.- disse girandosi dall’altra parte.
- Sanae,
per favore, ti sto
solo chiedendo se stai con qualcuno.-
- Ah, e
con che diritto?-
Nuovamente
quella domanda, le
avrebbe risposto ammettendo i suoi sentimenti.
I
miei sentimenti per te me ne danno il diritto.
Sentì
che si stava muovendo.
- Se era
di questo che mi
volevi parlare hai sprecato il tuo tempo. Buona giornata…-
stava per correre
via, troppo arrabbiata per trattenersi oltre in sua presenza, ma lui
l’afferrò
per il polso e, con un coraggio e una punta di avventatezza che non
credeva di
possedere, la prese e la spinse contro il tronco.
Fu in quel
momento che avvertì
la sensazione che aveva cercato con il bacio di Cody, una scarica
elettrica che
le percorse tutto il corpo e che le fece desiderare che il tempo si
fermasse in
quell’istante. Le labbra di Tsubasa si schiusero e lei
rispose con altrettanto
ardore, felice come non lo era mai stata. Stava per gettargli le
braccia al
collo, ma una rabbia sopita la risvegliò da quel sogno con
lo stesso effetto di
una doccia fredda, quindi gli afferrò le spalle e lo spinse
via.
Il ragazzo
sentì il bruciante
contatto del suo palmo sul viso e divenne di ghiaccio quando vide il
suo
sguardo astioso.
- Non
osare mai più avvicinarti
a me, Tsubasa. Non ti perdonerò mai!- sibilò e
corse via incapace di contenere
le lacrime.
Mi
hai rubato anche il ricordo dolce che conservavo di te, non mi
è rimasto più
niente.
Lui si
passò le mani tra i
capelli, sconvolto e amareggiato, si voltò e
sferrò un calcio verso il tronco
di quell’albero imprecando per la rabbia e per il dolore.
Ecco
che i misteri si sono svelati, ma so che ora
le fan della coppia vorrebbero mandarmi a stendere, perché
prima gli scrivo la
scena che aspettavano e poi gliela rovino subito con la rabbia di
Sanae. Ora,
la ragazza non soffre di sdoppiamento della personalità,
è solo che lei ha
interpretato il bacio di Tsubasa in modo distorto. Ne saprete di
più al
prossimo capitolo. Grazie a tutti dell’affetto con cui mi
seguite. ;)
|
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Capitolo 10 *** Nel mio cuore ***
Che
cazzo ho fatto? Devo essere impazzito, baciarla così e a
scuola per giunta,
poteva vederci chiunque con il rischio di essere pure sospesi.
Possibile che faccio
sempre casini?
Tsubasa si
rigirava sul letto
impossibilitato a capacitarsi di quello che aveva combinato. Il suo
gesto era
stato puro istinto, una mancanza di autocontrollo dovuta alla sua
incapacità di
gestire la situazione, avrebbe fatto di tutto per fermare Sanae, per
riuscire a
parlarle, ma con quella trovata era solo riuscito a compromettere
ulteriormente
la situazione. Ora lei lo odiava, glielo aveva letto in faccia quando
gli
intimava di non avvicinarsi più a lei. Si toccò
la guancia: non provava più
dolore, non su quella parte di pelle che era stata colpita. Ma nel
profondo,
nel suo cuore, qualcosa faceva ancora più male dello
schiaffo carico d’ira che
aveva ricevuto.
Non
sono in grado di capirti né di comunicare con te, Sanae, ma
che razza di
persona sono? Sono veramente in grado di muovermi solo in un campo da
calcio? Quanto
deve averti fatto soffrire il mio comportamento per farti arrivare a
questo
punto. Adesso mi sento in grado di capirti, quello che è
successo oggi, mi ha
aperto gli occhi. Quando mi hai guardato con tanto disprezzo ho capito
cosa provavi
quando ti avvicinavi a me sorridente e non facevo che parlarti di
partite,
tattiche di gioco e del mio desiderio di andare in Brasile. Non penso
mi
perdonerai.
A un
tratto si alzò dal letto e
andò a prendere il telefono al piano inferiore, sua madre
vedendolo passare lo
chiamò per chiedergli come mai non volesse cenare. Si
sentì in colpa anche nei
suoi confronti: come sempre suo padre non c’era e aveva
lasciato che sua madre
mangiasse da sola e preoccupata.
- Scusa,
è che sono di cattivo
umore, ma se ti va fra poco usciamo così andiamo ad
affittare un film. Scegli
quello che vuoi.- le fece l’occhiolino.
Premette
il tasto numero tre
per le chiamate rapide e una voce infantile gli rispose.
-
Atsushi-chan! Sono Tsubasa.-
-
Tsubasa-kun!- il bambino esclamò
felice come una pasqua, dato che lo vedeva come una specie di idolo da
emulare.
- Senti,
posso parlare con
Sanae-chan?-
-
Sì, certo vado a chiamarla.-
Dopo un
attesa che a Tsubasa
sembrò interminabile, il bimbo tornò
all’apparecchio e con un certo imbarazzo cercò
di inventare una scusa per giustificare il fatto che sua sorella non
aveva la
minima intenzione di parlare con lui. Il ragazzo ringraziò
Atsushi e sospirando
scese mollemente le scale, almeno ci aveva provato. Sua madre era in
soggiorno
e si ricordò di quanto le aveva appena proposto, quindi per
quella sera doveva
rassegnarsi a rodersi il fegato con I perfetti innamorati,
così mentre sua madre stava sul divano a ridere per le scene
comiche, lui si
calò al cento per cento nei panni del protagonista che in
quanto a combinare
casini non gli era secondo.
Quando il
film finì ringraziò
di poter finalmente andare a dormire. Una mano gentile si
posò sulla sua spalla
e ricevette l’espressione dolce e comprensiva di sua madre.
- Grazie
per avermi fatto
compagnia, anche se non era la serata migliore per te.-
Lui si
limitò a sorriderle e
alzare le spalle, poi una carezza gli sfiorò la guancia
schiaffeggiata nel
pomeriggio e per un attimo temette che sua madre avesse notato un
qualche
segno.
- Dormi
bene, tesoro.-
Negli anni
Natsuko non aveva
mai perso la dolcezza verso di lui che, invece, la ripagava con il
desiderio di
andarsene in un altro continente lasciandola sola.
-
Mamma…- la donna si arrestò
sulle scale.
-
…tu non vuoi che vada in
Brasile, vero?-
Lei gli
rivolse nuovamente
quello sguardo caldo e materno.
- Nessuna
madre vorrebbe vedere
andar via il proprio bambino, ma i figli non sono fatti per noi
genitori, ci
vengono dati per insegnargli a camminare con le loro gambe.-
Sì,
sarebbe mancata anche a lui
ma, oltre all’affetto che gli aveva così
gratuitamente donato negli anni,
avrebbe conservato nel cuore anche il ricordo della
generosità di una madre che
non lo aveva mai ostacolato.
Si
preparò per la notte e si
infilò sotto le coperte, dagli occhi una scia umida percorse
le sue tempie.
Erano anni che non piangeva, ma quella sera, sopraffatto dalle
emozioni, non
riusciva a impedirsi di sfogare in quel modo la sofferenza per aver
fatto tanto
male a Sanae e la gratitudine verso sua madre. Una mano andò
a posarsi sulle
sue labbra cercando di rivivere quell’istante con la mente e
un particolare lo scosse
dal torpore della sofferenza: nonostante il suo gesto di rabbia, la
ragazza
aveva risposto al suo bacio, anche se per un breve istante. Sarebbe
stato
quello lo scoglio a cui si sarebbe aggrappato.
Al mattino
si alzò rapidamente
dal letto e, arrivato in cucina, ringraziò vivamente sua
madre per la solerzia
che metteva ogni giorno nel fargli trovare la colazione pronta. Appena
era
suonata la sveglia, per la prima volta nella sua vita, non si era
girato
dall’altra parte aspettando che sua madre iniziasse a
chiamarlo: non aveva un
minuto da perdere, voleva arrivare in aula il prima possibile e questo
perché
voleva vedere Sanae e cercare di parlarle.
Mentre
correva verso scuola
pensava a tutte le situazioni possibili che avrebbe dovuto gestire:
sicuramente
lei non gli avrebbe parlato, avrebbe cercato di evitarlo, sarebbe
scappata via
non appena le avesse rivolto parola; ma come durante le partite, quando
il
gioco si faceva duro, era lui allora che doveva sfoderare gli artigli
e, a
costo di darle il tormento, avrebbe parlato con lei. Voleva chiederle
scusa,
non solo per quanto aveva fatto il giorno prima, ma anche per non aver
capito i
suoi sentimenti, per non aver minimamente calcolato i suoi sforzi per
farsi
notare da lui. Infine, cosa ancora più importante, voleva
confessarle quello
che provava per lei.
Arrivato
in classe, come aveva
sperato, la trovò seduta al banco, sola.
Ce
l’ho fatta!
Sanae, che
era intenta a
leggere un romanzo in inglese, non si accorse della sua presenza,
finché non fu
proprio davanti a lei. Alzò lo sguardo e, vedendolo, si
alzò compostamente per
uscire dall’aula.
-
Sanae…-
- Vado a
prendere i gessi, sono
quasi tutti consumati.-
Mentre lei
usciva Morisaki e
Yukari entrarono salutando entrambi, avvertendo subito
l’atmosfera tesa, ma per
discrezione preferirono non fare domande.
Non
mi arrendo certo per così poco.
Durante la
pausa pranzo, carico
di speranze, Tsubasa si avviò alla mensa, ma quando i suoi
amici arrivarono
notò subito l’assenza della ragazza. Yukari gli si
avvicinò e bisbigliò al suo
orecchio che lei si era portata il pranzo da casa e non li avrebbe
raggiunti.
Come una furia si precipitò fuori, diretto alla terrazza, ma
proprio in quel
momento una figura minuta iniziò a seguirlo. Quando
arrivò al tetto vide Sanae con
il bento sulle ginocchia, le
bacchette nella mano destra e il libro di economia domestica nella
sinistra.
Cercò
di non fare rumore nel
chiudere la porta, ma la sua delicatezza fu vanificata
dall’arrivo di Kumi che uscì
sul terrazzo con la grazia di un elefante. Il rumore fu sufficiente a
far
alzare lo sguardo a Sanae, che accortasi della loro molesta presenza
richiuse
la scatola e la riavvolse nel suo panno, poi si alzò
raccogliendo le sue cose e
guadagnò l’uscita senza salutarli. Tsubasa stava
faticando a contenere la
rabbia ed esplose quando quella sciocchina di Kumi fece una risatina e
disse: -
Finalmente soli.-
-
Veramente sei tu a essere di
troppo, Sugimoto. La vuoi smettere di seguirmi come un cagnolino? Non
mi
interessi, ti devo fare un disegnino per fartelo capire?!-
Cazzo,
cos’ho detto?!
La
ragazzina si portò le mani
al viso che era completamente rosso per la vergogna, mentre dagli occhi
cominciavano a uscire lacrime di umiliazione. Corse via, incapace anche
di
guardarlo più in faccia.
Benissimo,
ora il numero delle
manager del club di calcio era ulteriormente sceso e sempre a causa
sua, Nishimoto
avrebbe preteso la sua testa su un piatto d’argento.
Potrebbe
essere un buon motivo per convincere Sanae a tornare.
Probabilmente
con Kumi aveva
esagerato, ma almeno le aveva fatto capire che non aveva speranza, non
aveva
tempo per pensare anche a come rifiutarla gentilmente. Il suo obiettivo
era solo
uno: riallacciare i rapporti con Sanae.
Nel
pomeriggio le cose non
andarono meglio, lui tentò un “agguato”
in biblioteca dove lei era andata a
studiare, ma quando lo aveva intravisto tra gli scaffali aveva raccolto
i libri
ed era tornata a casa.
I giorni a
seguire Sanae prese
a presentarsi in aula all’ultimo minuto; durante la pausa
pranzo era
impossibile reperirla in tutta la scuola (almeno nei luoghi
più logici a cui
Tsubasa era riuscito a pensare), di certo non poteva sapere che lei si
nascondeva
nel ripostiglio delle scope per evitarlo; il pomeriggio tornava a
studiare a
casa e il fatto che Sugimoto avesse rassegnato le dimissioni con
effetto
immediato non l’aveva spinta a tornare, nemmeno per aiutare
la povera Yukari
che già all’inizio della settimana era distrutta
per dover fare tutto da sola.
Tsubasa le dava una mano, sentendosi in parte colpevole per quella
situazione e,
mentre ripuliva i palloni con lei, aveva preso l’abitudine di
chiacchierare e
l’argomento principale in quelle occasioni non era
più il calcio, ma l’ormai ex
prima manager. Quando raccontò a Nishimoto ciò
che aveva fatto, lei lo
rimproverò aspramente.
- Senti,
Tsubasa-kun, non
volevo raccontarti le confidenze della mia amica, ma Sanae ha capito di
essere
innamorata di te da un po’ di tempo e tu, non solo non hai
capito un accidente,
ma hai anche agito in modo sconsiderato, facendole rischiare la
sospensione,
dopo tutti gli sforzi che sta facendo per entrare alla Keio- Shonan.-
Lo sapeva,
era cosciente di
aver fatto un’idiozia enorme, anche se, quando ci ripensava,
non riusciva a pentirsene.
Dal canto
suo Sanae non
riusciva a togliersi dalla testa quella sensazione di totale
appagamento che le
aveva trasmesso il bacio: avesse dovuto dar retta all’istinto
gli avrebbe
buttato le braccia al collo e lo avrebbe supplicato di continuare a
baciarla.
Troppe cose, però, erano accadute e non riusciva a vedere
quel gesto come un
atto dettato da un sentimento, quanto il tentativo meschino di opporsi
ai suoi
costanti rifiuti e questo aveva spezzato quel filo che la teneva legata
a lui.
Presto se ne sarebbe andato e, forse, non vedendolo, avrebbe smesso di
soffrire.
- Devi
tentare il tutto per
tutto. Non credo te lo meriti, ma voglio darti una mano,
perché ritengo che
Sanae abbia sofferto abbastanza. Con una scusa la convincerò
a rimanere qui a
scuola, finché non finiscono gli allenamenti. Ti prego di
sfruttare
l’occasione, non penso ne avrai altre.-
- Contaci,
Nishimoto-san,
grazie mille. Ora vai pure a casa, finisco io qui e domani, se Ishizaki
ti
stressa di nuovo, gli faccio fare trenta giri di campo in
più, prometto.-
La ragazza
gli sorrise e alzò
il pollice in segno d’assenso. Non avrebbe più
commesso errori.
-
Yukari-chan, non saprei.-
- Uffa!
Non sei più al club,
non vieni mai in pausa pranzo con noi, al pomeriggio ti dilegui, non
riusciamo
più a parlare. Per favoreeeee.- le disse congiungendo le
mani in preghiera.
- Va bene,
allora domani verrò
a cenare e dormire da te, promesso.- le sorrise alzando due dita unite
come
giuramento.
La ragazza
andò di corsa al
campo e vi trovò il solerte capitano che già si
stava riscaldando. Gli fece
cenno di avvicinarsi e gli spiegò la situazione.
- Domani
le dirò di aspettarmi
e, quando sarà il momento, andrai tu a chiamarla al posto
mio, d’accordo?-
- Sei
grande, Nishimoto-san!-
le mostrò il palmo che fu battuto con un cinque dalla
ragazza.
Il giorno
dopo Tsubasa si tenne
a distanza di sicurezza, aspettò con pazienza che il tempo
passasse e nel
pomeriggio andò al consueto allenamento. Svolse i suoi
compiti con il solito
zelo e, quando l’allenatore fischiò per
richiamarli, iniziò a pensare a quello
che aveva da dirle. Sotto gli sguardi stupiti dei compagni si
unì a loro per
andare a fare la doccia e cambiarsi per andarsene. Raccontò
la scusa del
ritorno di suo padre per giustificarsi con i più curiosi e,
muovendosi con
lentezza disumana, aspettò che gli altri se ne andassero.
-
Capitano, ti aspetto.-
Si
voltò a guardare l’amico,
incerto su come distoglierlo da quell’idea, ma, ancora una
volta, Yukari arrivò
in suo soccorso.
- Che ne
dici invece di
accompagnarmi, Ishizaki-kun? Comincia a diventare buio.- lo prese per
un
braccio e lo trascinò via tra mille proteste.
Infilò
l’ultimo bottone della
divisa nell’asola e sbuffò per scaricare la
tensione, era il momento di
affrontare Sanae. L’avrebbe ascoltato fino in fondo questa
volta.
Sapeva che
l’avrebbe trovata
nella loro aula come d’accordo con Yukari. Salito al piano
guardò avanti e
indietro il lungo corridoio deserto: procedendo, i suoi passi
echeggiavano sul
lucido pavimento. Chissà se lei lo stava sentendo arrivare.
Posò
le dita sulla maniglia, l’ultimo
attimo prima di quell’incontro tanto importante. Fece
scorrere lentamente la
porta e vide il volto di Sanae, dapprima sorridente, poi rigido dallo
stupore.
-
Yukari... Brutta traditrice!
– urlò sbattendo le mani sul banco, poi, come una
forsennata, buttò i libri in
malo modo nella cartella, ma questa volta non sarebbe rimasto a
guardare mentre
si allontanava nuovamente.
-
Sanae-chan, ti devo parlare.-
- E io non
voglio parlare con
te! Perché non mi lasci in pace?!-
Prese la
cartella che non
riusciva a chiudersi per come erano stati messi male i libri e lo
superò, ma il
braccio di Tsubasa si stese a bloccare la sua avanzata.
- Io ti
amo, Sanae.-
La ragazza
si voltò a guardarlo
piena di rabbia, stava diventando patetico.
- Cosa?-
sibilò.
Questa
volta Tsubasa si voltò
per incontrare i suoi occhi e con una decisione pari a quella che aveva
in
campo ripeté quanto aveva detto. Lei, però, non
si fidava delle emozioni
ballerine di quel ragazzo che, nonostante tutto, era capace di farle
battere il
cuore come nessun altro. Non trattenne le lacrime di dolore che
scendevano,
intervallate dai singhiozzi, non ne poteva più di tanta
sofferenza.
- Da
quando? Da quando non ti
corro più dietro come un cagnolino, vero?-
Le stesse
parole che lui aveva
rivolto a Kumi.
- Hai
perso il giochino e ora
lo rivuoi, giusto?-
Quelle
parole erano troppo
meschine, anche se forse si sentiva come se ne meritasse qualcuna, ma
non
avrebbe mai voluto che lei pensasse questo.
-
Giochino?! Sanae, io non ho
mai pensato a te come un gioco o un cane o qualsiasi altra cosa. Avevo
notato
che ti eri avvicinata di più a me, ma non gli ho dato il
significato che tu
intendevi, ti ho sempre considerato una ragazza solare, generosa al
punto da
sostenere sempre chi ne avesse bisogno. Più che un gioco per
me eri un angelo.-
Quelle
parole aprirono una
breccia nel suo cuore, ma al pensiero di tutto quel che aveva tentato
in quei
mesi per sentirle e l’idea che lui, nonostante tutto, se ne
sarebbe andato, la
spinsero a erigere un muro per coprire quella falla. Lui le si
avvicinò e tentò
di afferrarle la mano che si ritrasse con stizza.
- Ora
basta, Tsubasa, fa troppo
male! Tra poco tu andrai via, non c’è posto per me
nella tua vita.-
- Hai
ragione…-
Qualcosa
dentro di lei si stava
spezzando, si stavano forse dicendo addio?
- Il tuo
posto è nel mio cuore
e nessuno lo prenderà mai.-
Nemmeno
quel “ti amo” ripetuto
pochi istanti prima era stato capace di mandare in frantumi quella
corteccia di
rabbia e sofferenza che le stringeva il cuore come le parole che aveva
appena
sentito. Si asciugò le lacrime con la manica della divisa e,
senza staccare lo
sguardo da lui, stese le braccia per toccarlo e rifugiarsi nel calore
del suo
abbraccio.
Finalmente,
era questa l’emozione che cercavo, quel calore che desideravo
provare.
Avvertì
il tocco leggero sulle
labbra e stavolta non ebbe dubbi, gli gettò le braccia al
collo, decisa a far
durare quel contatto bellissimo il più possibile. Il respiro
di Tsubasa le
accarezzò l’orecchio.
- Vorrei
tanto portarti in
Brasile con me…-
I loro
sguardi tornarono a
incontrarsi.
- Mi
aspetterai?- aveva gli
occhi lucidi per l’emozione.
Sanae
finse di pensarci su,
come se stesse valutando i pro e i contro, poi posò la
fronte contro la sua.
- E
secondo te, avrei fatto
tutta questa fatica per niente?-
E
con
questo capitolo termina la fanfiction. Un po’ mi spiace,
perché il mio ego un
po’ vanitoso sentirà la mancanza dei
vostri generosi commenti. Ringrazio tutti per avermi
accompagnata in
questo breve viaggio e spero che la storia sia stata a tutti voi
gradita.
Un
caro abbraccio. Sara.
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