Il codice di Hammurabi

di Saerith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'ancora di salvataggio ***
Capitolo 2: *** Una doccia fredda ***
Capitolo 3: *** Prendere il volo ***
Capitolo 4: *** New York New York ***
Capitolo 5: *** Gita al mare ***
Capitolo 6: *** Tadaima ***
Capitolo 7: *** Piume di pavone ***
Capitolo 8: *** Il complotto ***
Capitolo 9: *** Sotto il gingko nel cortile ***
Capitolo 10: *** Nel mio cuore ***



Capitolo 1
*** Un'ancora di salvataggio ***


DISCLAIMER: I personaggi di Capitan Tsubasa non appartengono a me, ma al loro creatore Yoichi Takahashi, e non vengono qui utilizzati a scopo di lucro

 

 

Quella mattina in aula faceva più caldo del solito. Il professore dopo aver scritto le formule alla lavagna aveva allentato un po’ il nodo della cravatta e chiesto gentilmente all’alunna del primo banco alla sua destra di aprire la finestra. Facendo scorrere il vetro sulla sede metallica, Sanae aveva avvertito il tocco della brezza estiva, unico ristoro dalla canicola infernale di quelle giornate d’inizio luglio. Le vacanze erano prossime e gli studenti si stavano preparando per gli esami di fine trimestre che si sarebbero svolti entro la metà del mese.

La ragazza si risedette al posto sistemando la gonna del seifuku[1] e, come sempre, si voltò a sorridere a Tsubasa che fissava concentrato la lavagna, cercando di carpire l’arcano dietro alle combinazioni di numeri che ne riempivano la superficie nera. Lo vide grattarsi la testa, come faceva sempre quando era nervoso. Soffocò una risata che stava per uscirle spontanea, prevedeva che avrebbe chiesto il suo aiuto per prepararsi all’esame. Non che la cosa le dispiacesse, anzi, ogni scusa per stargli vicino era la benvenuta, perchè, purtroppo, non aveva altro modo per stare accanto al ragazzo che aveva a cuore.

Terminò di scrivere l’ultimo appunto, poi rivolse uno sguardo fuori della finestra, dove si estendeva il campo da calcio, lì avrebbe passato l’ennesimo dei suoi pomeriggi al club. Niente era cambiato, al di fuori, ma qualcosa dentro di lei sì. Solo qualche mese prima, all’inizio dell’anno scolastico, era ancora la Sanae di sempre, certo, ora più femminile, ma serena e soddisfatta della sua vita. Quell’anno però, era successo qualcosa, un evento che l’aveva portata a riflettere bene su se stessa e ciò che provava.

 

 

Al club di calcio era arrivata Kumi Sugimoto, una kohai iscrittasi a inizio anno e che, a differenza di tanti altri che, dopo i primi allenamenti, avevano abbandonato, era rimasta imperterrita e il motivo di tanta tenacia era uno: si era presa una bella cotta per Tsubasa.

I suoi modi, quasi invadenti, non erano sfuggiti a nessuno, soprattutto a Sanae, che non poteva nascondere che quegli ammiccamenti, quel suo precipitarsi a passare l’asciugamano al capitano e altre fesserie simili le davano proprio sui nervi. Certo, quando erano alle elementari anche lei aveva tenuto atteggiamenti esageratamente espliciti, ma non per questo riusciva a giustificare il comportamento di Kumi. Alle elementari lei era una bambina che aveva provato una simpatia per un coetaneo, ma si cresce, si cambia. Queste erano le considerazioni che stava facendo quella sera di marzo, mentre riguardava il suo prezioso quaderno pieno di ritagli di giornale, tutte foto in cui era ritratto Tsubasa. Per un attimo, il suo volto sorridente le attraversò la mente e sentì il cuore che iniziava a bussare nel petto.

Cos’è questa sensazione?

Aveva richiuso il quaderno e si era infilata a letto, ma il sonno faticava a venire, poichè si sentiva incredibilmente agitata. Il giorno dopo, al campo sportivo, di fronte all’ennesimo teatrino messo in scena da Kumi, aveva serrato la mascella e si era diretta dissimulando tranquillità, verso il capanno degli attrezzi. Con stizza aveva tirato un calcio ad un secchio pieno di ferri e lo aveva fatto rovesciare con tutto il suo contenuto. Si sentiva esplodere dalla rabbia e, non sapeva perchè, gli occhi le si stavano facendo lucidi.

- Ma che ti prende?!- si domandò.

Si passò una mano sul volto e, per la prima volta, cercò di ammettere con se stessa quello che ormai era evidente.

Sanae, tu sei gelosa!

Ritornando sui suoi passi, aveva incrociato Tsubasa che stava andando ai lavatoi. Lui l’aveva guardata con quel suo sorriso dolce che come la sera precedente le aveva mandato il cuore al galoppo. Tutto era chiaro: si era innamorata.

 

 

Scoprire i suoi sentimenti, però, non le aveva fornito anche la risposta su come gestirli. Aveva dovuto affrontare con pazienza le crisi di gelosia che le torcevano lo stomaco, dissimulare tranquillità, quando dentro il petto il cuore le bussava forte ogni qual volta Tsubasa le parlava o quando le loro mani si sfioravano per caso. Col passare del tempo aveva imparato a convivere con la portata dei suoi sentimenti, che si amplificava giorno dopo giorno, ma non poteva esimersi dal sentire quella tremenda insoddisfazione per ciò che stava incatenato nel suo cuore. Kumi, poi, non era la sola spina nel fianco, un’ombra più oscura tingeva di grigio le sue giornate: il Brasile. Sapeva che Tsubasa era fortemente intenzionato a partire al termine delle scuole medie e ne aveva avuto la conferma quando, tornando a casa alla fine degli allenamenti le aveva parlato di Carlos, il ragazzo che gli dava lezioni private di portoghese.

 

 

 

Sbuffò per allontanare quella solita punta di tristezza che la coglieva e richiuse il quaderno di matematica, mentre la campanella annunciava la ricreazione. I suoi compagni si alzarono di scatto, felici di potersi finalmente rilassare.

- Tsubasa-kun, tu hai capito qualcosa delle spiegazioni di oggi?- sentì Ishizaki fare la solita domanda.

- Veramente no.- si voltò nella sua direzione giusto in tempo per notare quel gesto d’imbarazzo che lei trovava delizioso. I loro sguardi si incontrarono e lui tirò fuori la lingua per gioco, ricevendo in risposta una strizzatina d’occhio.

Ho già capito l’antifona, Tsubasa...

Dei tonfi poco aggraziati si avvicinarono all’aula e un secondo dopo, Kumi si fiondò al suo interno, gettandosi come un rapace verso il banco del ragazzo.

- Capitano!-

Sanae sospirò, chiamando a raccolta tutta la sua pazienza: quella ragazza era quanto di più simile a un incubo a occhi aperti. Tsubasa fu colto alla sprovvista e lei approfittò del fattore sorpresa per prendergli il polso e legargli attorno tre fili rossi intrecciati.

- Sono bracciali portafortuna, capitano. Li ho fatti con le mie mani.- starnazzò, mentre chiudeva i nodi di ciascun filo.

Il ragazzo non ebbe modo nemmeno di replicare o ribellarsi, poi quando l’ultimo bracciale fu legato, lei sorridente disse:   - Sono rossi, colore dell’amore.- e accompagnò l’ultima parola con una strizzatina d’occhio.

Tsubasa avrebbe preferito sprofondare per l’imbarazzo, dato che la maggior parte dei suoi compagni di squadra era lì ad osservare e ora se la stava ridendo alla grande.

- Ehm, grazie...- bofonchiò impacciato.

Un paio di pugni sbattuti sul tavolo, gettarono il gruppo nel silenzio assoluto. Sanae si alzò con stizza e afferrò con poca grazia la propria borsetta contenente il bento, per guadagnare l’uscita dell’aula. Arrivò ai gradini che portavano alla terrazza e li salì pestando letteralmente i piedi su ogni scalino, afferrò la maniglia della porta e una volta fuori la sbattè con un’intensità tale da fare tremare il vetro del pannello.

Era stato troppo anche per la pazienza che aveva imparato ad avere nel corso degli anni, il gesto di Kumi era forse al di sopra dei normali standard a cui era abituata, ma quello che proprio non era riuscita a digerire era stato quel “grazie” di Tsubasa.

Va bene essere ingenui, ma accettare un gesto tanto esplicito senza battere ciglio...

Aveva escluso che il ragazzo potesse nutrire interesse per Kumi, non per superbia, ma perchè sapeva bene che l’unica cosa che attirasse l’attenzione del capitano della Nankatsu era il calcio e questa consapevolezza la portava, con rammarico, a pensare che anche lei non avesse chissà quale posto speciale nel cuore di Tsubasa.

 

 

Yukari si stava lamentando del caldo infernale che impregnava l’aria di fronte agli armadietti in cui stavano riponendo le scarpe di ricambio. Sanae l’ascoltava a tratti annuendo e sforzandosi di sorridere.

- Yukari-chan, oggi non me la sento di venire.- la interruppe.

La sua amica rimase a bocca aperta, poi deglutendo chiese di ripetere.

- Mi spiace, oggi proprio non mi va di venire al club. Tu e Kumi dovrete fare da sole.-

Sospirò. Non le sfuggì lo sguardo perplesso della sua amica: le aveva confidato i suoi sentimenti già da tempo e capiva quanto potesse suonarle strano che rinunciasse a un’occasione per stare di più con “lui”.

- Tutto bene?- chiese la seconda manager.

- Chiedilo a Kumi.- fu la risposta piccata accompagnata dallo sbattere dello sportello dell’armadietto, ma si pentì subito di aver usato un tono brusco proprio con lei.

- Ti prego, Sanae-chan. Se è lei il problema, sicuramente non risolverai le cose abbandonando il campo, ti pare?- le prese gentilmente una spalla per costringerla a guardarla in faccia. Mai l’aveva vista con un volto tanto triste.

- Per favore, oggi ho bisogno di stare da sola.- la supplicò.

Yukari lasciò la presa e chinò il capo annuendo, Sanae la superò e si diresse verso l’uscita: aveva bisogno, almeno per quel giorno, di staccare la spina.

Arrivata a casa, salì in camera sua e si buttò mollemente nel letto. Si guardò attorno e subito la sua attenzione fu catturata dalla foto sul comodino. Aggrottò le sopracciglia, prese la cornice e la buttò con poco garbo dentro il primo cassetto, poi si ricordò di un altro particolare e si voltò in direzione della libreria, sfilò il quaderno dei ritagli e lo lanciò come un frisbee verso la parete opposta, dove sbattè sulla copertina per ricadere aperto sul pavimento. Si passò l’avambraccio sul volto per asciugare le lacrime, poi iniziò a preparare le sue cose: con un caldo simile c’era solo un posto dove avrebbe potuto rilassarsi.

 

 

Anche l’ultimo pallone della cesta si insaccò nella rete vuota, Tsubasa si asciugò il sudore con la mano, poi sbuffando si avviò ai lavatoi. I suoi compagni si stavano cambiando per raggiungerlo e le ragazze stavano finendo di sistemare le ultime cose; era strano però che lei, che arrivava sempre in anticipo non fosse ancora lì. Si passò l’acqua sui capelli per rinfrescarsi, poi si maledisse per non aver preso un asciugamano. Non era un gesto che era abituato a compiere, sapeva che c’era sempre una mano gentile che gli passava il morbido telo. Si asciugò con poca grazia sulla maglietta, si passò una mano sul braccio sinistro e le sue dita toccarono i braccialetti della fortuna. Portò il polso all’altezza del viso e sbuffò scocciato.

Tsubasa, sei proprio un imbecille.

Al mattino Kumi lo aveva talmente preso alla sprovvista con quella pagliacciata che non era riuscito a fermarla e dopo non aveva voluto restituirglieli per non sembrare sgarbato. Ripensandoci gli ritornò alla mente il gesto di stizza di Sanae.

- Chissà cosa aveva stamattina? Magari dopo l’accompagno a casa, così se ha voglia di sfogarsi...- fece spallucce e corse verso il campo, dove tutti erano già pronti a cominciare l’allenamento.

Il sorriso gli morì sulle labbra quando constatò che le manager erano due.

- Sanae-chan non se la sentiva di venire, ha detto che aveva troppo caldo oggi.- improvvisò Yukari.

Annuì nonostante la delusione, da quanto ricordava, c’erano state giornate in cui il caldo era stato anche più insopportabile, ma Sanae era sempre lì a porgergli l’asciugamano, a passargli l’acqua o a rimettergli i palloni nella cesta. Si grattò ancora una volta la nuca, poi invitò i compagni a cominciare l’allenamento.

 

 

Lasciò scivolare il piede oltre il bordo della vasca per posarsi sulla scaletta, con la mano si spruzzò un po’ d’acqua sulle spalle e sulla pancia, poi scese fino a immergersi completamente. Sanae lasciò andare il suo corpo che spinto dalla tensione superficiale galleggiava sull’acqua chiara della piscina. Tutta la negatività sembrava sparire, lavata dal cullare del leggero moto ondoso. Il sole le baciava la fronte con i suoi raggi insistenti, resi sopportabili da quel bagno refrigerante. Andare a distendersi in piscina era ciò che ci voleva. Un leggero colpetto sulla pancia attirò la sua attenzione e si rese conto che a urtarla era stata una palla gonfiabile giallo canarino. Una risata a bordo piscina spostò il suo sguardo sul “colpevole”.

- Finalmente a godersi un po’ di riposo, eh, Sacchan?-

Tatsuya stava chino sul bordo piscina, vestito della semplice mise “Salvataggio” e la guardava divertito attraverso gli occhiali da sole.

- Se non fossimo vicini di casa da anni, sarei già venuta lì per affogarti, Tacchan.- lo rimproverò ridendo.

- Ma davvero?- chiese beffardo e si sfilò canottiera e occhiali per entrare in acqua. Con un paio di bracciate la raggiunse e velocemente le posò una mano sulla testa e la spinse sott’acqua. Sanae riemerse con le guance gonfie d’acqua e ne vuotò il contenuto sul viso di Tatsuya. Fu il segnale che scatenò una vivace battaglia a suon di spruzzi. Entrambi, accecati dagli schizzi e incapaci di tenere la bocca chiusa per il troppo ridere optarono per una tregua. Finalmente si sentiva libera di divagarsi, dopo tanti giorni in cui le riusciva difficile. Tacchan era suo amico da sempre, praticamente da quando era al mondo, dato che lui era più grande di cinque anni. Ultimamente, però, lo aveva visto sempre meno, perchè era andato a convivere con la sua ragazza in un altro quartiere.

Appoggiati al bordo della piscina, iniziarono a parlare del più e del meno, Tatsuya le chiese come trovava i suoi genitori, se gli inquilini della palazzina di fronte avevano ancora il brutto vizio di falciare il prato a orari improponibili, suscitando l’ilarità di entrambi. A un tratto un suono li ammutolì, Sanae fece leva sulle braccia e raggiunse la borsa per estrarne il cellulare.

- Pronto?-

- Ciao Sanae-chan, scusami sono Morisaki.-

Un punto interrogativo si formò nel suo cervello.

- Scusa, so che ti sei presa un pomeriggio libero, ma abbiamo un grosso problema. I palloni sono sgonfi e la pompa è dentro il capanno degli attrezzi. Nessuno di noi ha la chiave. -

E ti pareva che quella svampita avesse gonfiato i palloni prima di andar via ieri.

- Mi spiace, Sanae-chan, ma se non vieni qui è impossibile allenarsi.-

Quell’ultima parola fece lievitare un pochino il suo ego, sembrava quasi che Morisaki volesse dirle che la sua presenza era indispensabile. Per quanto riguardava Yukari non aveva dubbi sulla sua competenza, di Kumi, invece, aveva capito che le sue capacità si esaurivano nelle gentilezze da riservare al capitano.

- Ok, cerco di fare in fretta.- sospirò.

- Grazie.- Povero Morisaki, sembrava sul punto di piangere.

Raccolse gli indumenti e se li rimise addosso al costume zuppo d’acqua.

- Devo salutarti, Tacchan, mi tocca tornare a scuola.-

- Aspetta, ti porto io in scooter. Il mio turno è finito mezz’ora fa.-

 

I ragazzi stavano facendo stretching e corsa sul posto, perchè senza un pallone decente, era impossibile fare partite d’allenamento. A un tratto sentirono il rumore di un motore che si avvicinava e le grida ilari della loro prima manager. Uno scooter indaco si fermò a pochi metri dal bordo campo e dal mezzo smontò Sanae che si tolse il casco per porgerlo, ancora in preda al riso, al conducente.

-Sei proprio fuori di testa, tu.-

Il ragazzo si tolse il casco e le mostrò un sorriso a trentadue denti.

- E’ stato bello rivederti, Tacchan.-

- E’ stato bello essere visti.- si allungò e le posò un bacio sulla guancia, prima di rimettere in moto e partire.

Tsubasa non potè fare a meno di tendere i muscoli delle braccia per quel gesto tanto confidenziale, ma subito la sua attenzione fu calamitata da ben altro. Sanae stava rovistando nella sua borsa per trovare le chiavi che portava in un unico mazzo con quelle di casa sua, cinta di una gonna pareo a fiori e un top attillato pregno dell’acqua rilasciata dal costume che le lasciava scoperta la pancia, il viso incorniciato dai capelli scapigliati e ancora umidi. Non l’aveva mai vista così, così...non sapeva nemmeno dire lui come.

Lei porse le chiavi a Yukari, ma non perse l’occasione per dare una raddrizzata a Kumi.

- Mi sembrava di averti gentilmente chiesto di occuparti dei palloni ieri, ma evidentemente esaudire le mie richieste è pretendere troppo.- le disse glaciale.

Un silenzio imbarazzato fu l’inevitabile conseguenza di quel sottile rimprovero.

- Grazie, scusa se ti abbiamo scocciata anche oggi.-

Finalmente libera da ogni turbamento si voltò per regalargli un sorriso.

- Ehm, perchè, già che ci sei, non resti?- le chiese grattandosi la nuca, nello sforzo di mantenere lo sguardo sui suoi occhi, mentre avrebbe voluto farlo scivolare un po’ più in basso.

Stava per cedere, finchè i suoi occhi non incontrarono la ragione di tutta quella baraonda, proprio lì sul polso sinistro del ragazzo, facendole riaffiorare un po’ di rabbia. Distese i muscoli del viso e accennò un sorriso di circostanza.

- No, grazie, non è il caso, ho un abbigliamento non accettabile per il regolamento della scuola, in più ho ancora i vestiti umidi addosso e sarebbe meglio che andassi a cambiarmi.- spiegò. – A domani.- disse poi rivolta agli altri.

Tsubasa la guardò andare via, con crescente delusione e una punta di amarezza.

Tacchan...Vorrei tanto sapere chi è quel tizio.

 

Sanae si trascinò svogliatamente fino in camera sua. Nonostante la doccia calda che aveva appena fatto, si sentiva comunque emotivamente a pezzi. L’incontro in piscina con Tacchan era stata una boccata di aria fresca, ma il ritorno al campo di calcio le aveva messo di fronte la scomoda realtà che stava vivendo. Accese il suo laptop sulla scrivania, poi si guardò attorno e notò il quaderno ancora riverso sul pavimento. Si avvicinò per raccoglierlo e girandolo, vide la foto di lei e del capitano allo scorso campionato. Un sospiro accompagnò la lacrima silenziosa che le scese dalla guancia. Chiuse il quaderno e se lo strinse al petto. Un suono familiare proveniente dal computer richiamò la sua attenzione: perfetto, aveva lasciato l’impostazione di autoaccensione di messenger attiva.

 

 

YoshiF scrive:

Ehilà, ci sei?

 

Era Yoshiko che le scriveva da New York. Da tanto non si sentivano.

 

Sanae scrive:

Ciao, GAIJIN!

YoshiF scrive:

SCEMA!

Sanae scrive:

.lol , scherzo, come va la vitaccia?

YoshiF scrive:

Solita schifezza...VOGLIO TORNARE IN GIAPPONEEEEE! ç_ç

Sanae scrive:

Facciamo cambio?

YoshiF scrive:

E’ successo qualcosa?

Sanae scrive:

  Ma niente, solite cose, Tsubasa non mi considera e quell’altra cozza gli sta sempre appiccicata, oggi ne ha combinata un’altra

 

  YoshiF scrive:

Nah, non dirmelo, mi viene tristezza ogni volta che me ne parli...ma per lei, non per te

Sanae scrive:

grazie

YoshiF scrive:

Per Tsubasa: ci sono passata anch’io, non sai come mi dannavo l’anima quando Matsuyama sembrava sempre sulle sue

Sanae scrive:

vorrei avere lo stesso ottimismo che hai tu, invece sto qui aspettando che lui si accorga che esisto e mi rattristo perchè non succederà mai a meno che non mi vesta a scacchi bianchi e neri

YoshiF scrive:

.lol bè potresti provare, magari funziona

Sanae scrive:

rido per non disperarmi, lo faccio già abbastanza

YoshiF scrive:

Seriamente Sanae, mi spiace di sentiri così, tra poco iniziano le vacanze estive

Ti va di venirmi a trovare?

Sanae scrive:

  magari

YoshiF scrive:

non sto scherzando

Sanae scrive:

e secondo te come convinco i miei a pagarmi il viaggio?

YoshiF scrive:

vacanza studio per migliorare l’inglese?

 

Sanae arcuò un sopracciglio e, dopo una breve esitazione, riprese a digitare.

 

Sanae scrive:

.ok IDEA FORMIDABILE!

 

 

 

 

    Rieccomi con un nuovo parto mentale. A dire il vero sono quasi tre anni che ho ideato questa fanfiction, ma non  ho mai avuto l’ispirazione per scriverla, fino a quest’estate, probabilmente tempo libero (ahimè) e la voglia di fuggire da una realtà non sempre soddisfacente. Eccomi qui con “Il codice di Hammurabi”, titolo un po’ pomposo, ma che ben riassume l’atteggiamento della mia Sanae, qui un po’ fuori dal personaggio che il Taka ci ha sempre proposto. Mi piace giocare con questo personaggio, proprio perché quando guardavo “Holly e Benji” in tv avrei  voluto vederla un po’ più reattiva e combattiva anziché sottomessa e poco calcolata da Tsubasa. Anche nel manga vediamo uno Tsubasa che per la maggior parte del fumetto non considera Sanae e poi all’improvviso si precipita alla scazzottata con Kanda, è una cosa che mi ha fatto riflettere, così come questo amore che si trascina dalle elementari. Qui ho un po’ modificato la cosa, cercando di attenermi più alla realtà: quando si è alle elementari il concetto di innamoramento è vissuto in maniera ingenua e nella mia fanfiction volevo descrivere l’innamoramento di Sanae come un percorso che si accompagna alla sua crescita nel periodo adolescenziale. In questa fanfiction si respirano echi della fanfiction “L’ultimo ballo” di Scandros, autrice a cui sarò sempre grata sia per avermi fatto scoprire EFP, sia per le sue storie che sono riuscite a commuovermi. Ringrazio anche Onlyhope, eos75 e Sakura chan, perché in questo “pazzo” mondo virtuale si trovano delle persone stupende che ti sanno dare il massimo.

 



[1] Divisa femminile alla marinaretta.

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Capitolo 2
*** Una doccia fredda ***


Tsubasa si fermò al ponte e stoppò il pallone sotto la suola della scarpa. Una volta tanto era lui ad arrivare per primo e si aspettava di veder spuntare da un momento all’altro la figura di Sanae. Di certo non poteva sapere che la sua compagna di scuola, quella mattina, si era alzata all’alba per la fretta di vedere i risultati. Rimase ad attendere ancora, finchè non vide passare Ishizaki e Izawa, allora si rese conto che doveva essere tardissimo, data la fama di ritardatari conquistatasi dai due compagni. Con un tocco mosse il pallone, per dirigersi nella loro direzione, anche se non potè fare a meno di gettare un ultimo sguardo verso il viale da cui si aspettava di vederla arrivare.

 

Finalmente, i tabelloni erano stati esposti e Sanae non contenendosi alzò in alto i pugni in segno di vittoria per il risultato. Aveva fatto di tutto per ottenere dei voti così alti, aveva dovuto rifiutare anche di aiutare i compagni di classe a studiare per evitare di perdere tempo prezioso, tutto per l’accordo che avevano raggiunto lei e suo padre. Felice per aver ottenuto il suo scopo, estrasse il cellulare dalla borsa e digitò in fretta il messaggio.

Inizia a pianificare il mio soggiorno negli States. ;)

- Ehi, Anego!- la voce di Ishizaki la fece voltare, mentre faceva ricadere il cellulare nella sua borsa. Con un cenno salutò i ragazzi che le si stavano avvicinando. L’espressione di Tsubasa si fece improvvisamente seria, solo in quel momento si era reso conto che lei non lo aveva aspettato al ponte, realizzando poi dopo che non era una cosa dovuta. Stava per chiederle come mai tanto mattiniera, quando un suono proveniente dalla borsa della ragazza catturò la sua attenzione. Sanae lesse il messaggio e un bellissimo sorriso si allargò sulle sue labbra.

Wicked cool![1]

La risposta di Yoshiko le ricordò che aveva un sacco di cose da fare, quindi salutò i suoi amici per congedarsi.

- Ma come, già te ne vai?- chiese Ryo.

- Scusate, ma devo scappare. Ciao!- e corse fuori in direzione dei cancelli.

Tsubasa non ebbe nemmeno la forza di risponderle, non riusciva più a capirla da un po’ di giorni. Prima l’allenamento saltato, poi il rifiuto di aiutarlo per la preparazione agli esami “perchè era rimasta troppo indietro” e ora quella fuga improvvisa. Per un attimo gli tornò in mente quel ragazzo, “Tacchan”, e si chiese se non fosse lui ad averle mandato l’sms di poco prima che le aveva suscitato quel luminoso sorriso. Qualcosa di indefinito, ma di assolutamente fastidioso continuava a torturargli le meningi.

- Ehi, capitano, vogliamo vedere i risultati o no?- gli chiese Izawa che lo stava invitando ad avvicinarsi ai pannelli con la mano.

Si avvicinò agli amici con una scrollata di spalle: in fondo, se Sanae aveva un appuntamento con quel tizio non era affar suo. Eppure, quella sensazione di ansia non accennava a lasciarlo in pace.

 

 

La signora Nakazawa mise sul tavolo la pentola del Sukiyaki regalando una strizzatina d’occhio alla figlia. Il marito spezzò le hashi per dividerle, osservando soddisfatto l’appetitosa pietanza che bolliva nella pentola tenuta al caldo dal fornellino sottostante.

- A cosa dobbiamo questa delizia?- chiese alla moglie.

- Per festeggiare il primo posto in graduatoria di nostra figlia.-

Il signor Nakazawa rivolse uno sguardo ammirato alla sua primogenita e congratulandosi con lei afferrò il primo pezzo di carne dalla pentola fumante.

- Domani andiamo in agenzia per quel viaggio, d’accordo?-

Sanae rivolse un sorriso raggiante a suo padre: aveva faticato molto e fatto grandi rinunce per ottenere quella valutazione.

- Ogni promessa è un debito.- concluse facendole l’occhiolino.

 

 

Yukari enunciava una ad una le voci sulla lista che Sanae aveva compilato: quando partiva aveva una tale fobia di scordarsi qualcosa che le poteva servire, che si faceva sempre una lista, per evitare di avere sgradite sorprese una volta a destinazione. Ogni volta che un indumento o un effetto personale veniva inserito nel bagaglio, la ragazza, seduta con le gambe incrociate sul letto, spuntava la voce.

- Fine.- alzò lo sguardo dalla lista sorridendo alla sua amica, che soddisfatta sistemò meglio gli ultimi indumenti per chiudere, una volta per tutte, la valigia e poi si andò a sdraiare sul letto, accanto a lei.

- Finalmente, domani si parte.- sorrise.

- Mi spiace che non sarai qui durante queste vacanze.- confessò sconsolata Yukari.

- Ti porterò un bel souvenir per farmi perdonare.-

- Allora facciamo due, visto che mi dovrò sorbire Ishizaki da sola.-

Entrambe scoppiarono in una fragorosa risata.

- Mi mancherai anche tu, Yukari-chan.- la abbracciò dolcemente.

La ragazza annuì, comprendeva benissimo perchè avesse preso quella decisione improvvisa. I sentimenti che provava per il capitano della Nankatsu la stavano consumando, rendendola l’ombra della persona che aveva imparato a conoscere e apprezzare.

- Hai progetti per queste vacanze?- chiese Sanae.

- Mah, qualche uscita con la squadra, poi sicuramente andremo dai miei zii vicino Nagasaki. Chissà come se la passa quello yeti di mio cugino Hiroshi?-

Sanae rispose con una risata all’ultima affermazione della sua amica.

- Senti, se qualcuno mi chiede dove sei, posso dire la verità o vuoi che nessuno sappia del tuo viaggio?- chiese, spiazzandola.

Sanae sospirò, non voleva andarsene con l’interrogativo sull’eventuale reazione di Tsubasa a quella notizia. Si erano un po’ allontanati negli ultimi giorni e quindi, probabilmente, non avrebbe nemmeno chiesto il perchè della sua assenza.

- Certo che puoi, mica sto scappando come una ladra.- fece una risatina forzata.

- Allora perchè hai detto solo a me che vai via?- insistette Yukari, notando di averla colpita come una mazzata con quella domanda.

- Lascia perdere.- si affrettò ad aggiungere subito dopo.

- Grazie.- bisbigliò mestamente.

 

 

Tsubasa arrestò la sua corsa davanti al cancello blu cobalto. Staccare la spina dal calcio non era poi una brutta idea e forse, finalmente, avrebbe potuto scambiare due parole come si deve con Sanae che non vedeva nè sentiva da ben tre giorni. Scostò l’anta del cancello per entrare e dirigersi alla piscina all’aperto, ma appena giunto a destinazione vide che lui e i suoi amici non erano i soli ad avere avuto l’idea di rinfrescarsi: una moltitudine di lettini e qualche ombrellone costellavano il bordo della vasca. Si diresse dal bagnino per chiedergli, intanto, di portare almeno tre lettini, che si sarebbero divisi facendo un po’ a turno e rivolgendosi al ragazzo che stava sotto l’ombrellone con la scritta “Salvataggio”, si trovò di fronte al fantomatico “Tacchan”.

- Ma tu sei...- si lasciò scappare.

Tatsuya lo squadrò, notando la strana reazione di quel ragazzino, il cui volto, però, non gli era del tutto sconosciuto.

- Ci conosciamo?- chiese, quasi scocciato.

Tsubasa incassò il colpo.

- Sono un compagno di classe di Sanae Nakazawa.- rispose.

- Ecco dove ti avevo visto. Eri anche tu al campo, giusto?-

- Ehm, sì.- si grattò la nuca.

- A proposito, chissà come è andato il viaggio di quella scimmietta, poi mi racconterà.- disse, mentre il suo sguardo si focalizzava in un punto ben preciso.

- Viaggio?- si bloccò all’improvviso.

Tatsuya si alzò di scatto.

- Sì, negli Stati Uniti.- e detto questo si portò il fischietto alle labbra rivolto a dei ragazzini che si stavano tuffando, provocando numerosi schizzi e disturbando gli altri natanti.

Tsubasa si sentì come se gli fosse crollata una zavorra di diverse tonnellate sulla testa, in cui già avevano preso a formularsi mille domande.

Sanae è andata via? Negli Stati Uniti? E perchè questo tizio sa queste cose, quando a me non ha detto niente? Forse c’è un equivoco...

- Ehi, Tsubasa!- la voce di Ryo lo riscosse dai suoi pensieri.

Si voltò speranzoso nella loro direzione, ma quando vide i cinque amici che si avvicinavano un pugno invisibile gli raggiunse lo stomaco.

Non c’è, ma è mai possibile che...

- Sanae?- chiese, cercando di mantenere un tono controllato.

- Anego è andata a farsi una vacanza oltre oceano, alla faccia nostra.- rispose ironico Ishizaki.

Allora è vero.

- Ma voi lo sapevate?- la sua voce suonò un po’ alterata.

- No, capitano, lo sapevo solo io.- rispose pacata Yukari.

Solo lei? Non si direbbe, dato che Mister Salvataggio me lo ha detto per primo.

- Ok, andiamo a chiedere un po’ di lettini.- Izawa si tolse gli occhiali da sole e si legò i capelli in un codino.

 

 

Tsubasa rimaneva mollemente seduto a bordo piscina, mentre i suoi amici continuavano a farsi scherzi e a giocare in mezzo alla piscina con un pallone gonfiabile. Yukari passava la sfera con morbidi palleggi, mentre i ragazzi si limitavano a colpirla di testa. All’inizio la ragazza aveva deciso di rimanere sdraiata per prendere un po’ di sole in pace, ma non era durata nemmeno dieci minuti, perchè subito quel cretino di Ishizaki aveva preso in prestito un secchiello da un bambino e lo aveva riempito d’acqua per andarglielo a rovesciare addosso. Lei lo aveva rincorso furiosa, finchè non lo aveva raggiunto a bordo piscina per spingerlo in acqua, salvo poi essere trascinata con lui dentro la vasca.

Era stato l’unico momento che aveva strappato delle risate divertite a Tsubasa, che ora stava lì a riflettere sul perchè si sentiva come privato di qualcosa. Ogni tanto il suo sguardo si posava sul bagnino, immaginandosi di chiedergli una volta per tutte chi fosse e in che rapporti era con Sanae, per poi darsi mentalmente dello stupido, dato che non aveva alcun diritto di fare una cosa tanto ridicola. Lo vide rispondere al cellulare e, contro ogni suo principio, tese l’orecchio per sentire.

- Sto lavorando, amore.-

Già quell’appellativo fu sufficiente per mettere Tsubasa sul “chi vive”.

- Al ristorante stasera? Ok.- lo vide annuire.

Un momento...

- Scegli tu, piccola. A stasera.- chiuse la chiamata, pressato dal fatto di essere sul luogo di lavoro.

Ok, ora era decisamente troppo per continuare a farsi i fatti propri: se quel tizio aveva un rapporto particolare con Sanae, quella era la prova che stava tenendo il piede in due scarpe e questa ipotesi fu sufficiente a renderlo ancora più nervoso. Stava per alzarsi quando un grido di Taki lo riportò alla realtà: la palla stava arrivando verso di lui e, inclinandosi di lato, alzò la gamba per rispedirla al volo verso i suoi amici.

- Nice pass![2]- esclamò Tatsuya accompagnando il complimento con un accennato battito di mani.

Per un attimo si era scordato di lui e del fatto che voleva assolutamente sapere cosa c’era tra quel tizio e Sanae. Conservando l’autocontrollo si alzò e si diresse con calma verso la sua direzione, non sapeva come avrebbe impostato il discorso, ma non si sarebbe più mosso di lì senza  avere le informazioni che voleva. Quello che provava non aveva il minimo senso, ma dentro di sè giustificava quell’intromissione come un tentativo di proteggere la sua amica, come se qualcuno glielo avesse chiesto.

Si pose di fronte al ragazzo che rilassato sedeva con le gambe distese. L’ombra che gli aveva oscurato il sole catturò subito l’attenzione di Tatsuya.

- Hai bisogno?- disse in tono servizievole.

Tsubasa si grattò la testa, sentendosi un emerito cretino, non aveva la minima idea di come attaccare discorso.

- Ti spiace se mi metto un po’ sotto il tuo ombrellone?- avrebbe voluto nascondersi per la figura meschina che stava facendo.

Il ragazzo rimase in silenzio per un momento, poi lo invitò ad accomodarsi sulla sedia libera alla sua destra.

- Manca la presenza di quella scimmietta, vero?- gli chiese rompendo il silenzio imbarazzante che si era subito eretto tra loro.

Si limitò ad annuire, infastidito da quel nomignolo.

- Vi conoscete da tanto?- incalzò subito dopo.

Chi era che doveva fare le domande?

- Più o meno tre anni. E tu?- prese subito la palla al balzo per cominciare ad indagare.

- Da sempre.- rispose sorridendo.

Che cazzo significa?

Tatsuya scoppiò a ridere divertito, punzecchiare quel ragazzo era un vero spasso. Tsubasa invece non si stava divertendo affatto, strinse le mani sui braccioli della sedia, resistendo all’impulso di mandarlo a quel paese.

- D’accordo, vuoterò il sacco.-

Quell’affermazione lo fece diventare color magenta, possibile che il suo comportamento fosse stato tanto cristallino?

- Io e Sacchan siamo vicini di casa da sempre, anche se ultimamente mi sono spostato per andare a vivere con la mia ragazza.-

Il peso che gli stava ballando sullo stomaco iniziò a togliere gradualmente il disturbo, ma c’era ancora una cosa che non gli era chiara.

- Come facevi a sapere che è andata negli Stati Uniti?-

- Me lo ha detto mia madre, la quale lo ha saputo dalla sua.-

Sorrise, poi si alzò.

- Certo che quella scimmietta lascia una bella scia...- si diresse verso la parte opposta della piscina, per dare una mano ad un’anziana signora che voleva sistemare meglio la testiera del lettino.

Tsubasa avrebbe voluto sprofondare per l’imbarazzo, si sentiva un fesso integrale, ma dentro di lui un altro sentimento contrastante e inspiegabile stava prendendo il sopravvento. Si alzò di scatto e andò a buttarsi in mezzo ai suoi amici che erano ancora intenti a giocare con la palla, provocando una fontana di schizzi.

Quando riemerse dovette subire un rimbrotto da Tatsuya che gli ricordò il regolamento per quanto riguardava i tuffi nelle piscine pubbliche. Si grattò la nuca, come al solito, poi prese a giocare con i suoi amici, deciso a passare serenamente il resto della giornata.  Un aereo passò sopra le loro teste e una fitta di nostalgia lo colse, ricordandogli quel senso di vuoto che non riusciva minimamente a comprendere e che tuttavia non smetteva di sentire.

          

 

 

Muahahahahaha, nota di perfidia per il trattamento che riservo a Tsubasa (tutto meritato, secondo me). Ebbene sì, Sanae si è “involata” e il poverino non riesce ancora a capire che la sua amica gli manca un po’ troppo. Il seguito sarà ancora più scoppiettante. Ringrazio molto chi ha letto fino in fondo, in particolar modo chi mi ha dato la possibilità di sapere cosa ne pensa lasciandomi una recensione: le vostre parole sono la mia gratificazione.  



[1] Espressione derivante dallo slang che può essere tradotta con “fighissimo!”

[2] Bel passaggio

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Capitolo 3
*** Prendere il volo ***


Nonostante le tredici ore di volo, Sanae era talmente eccitata all’idea di trovarsi su un altro continente che non badò alla stanchezza. Appena l’aereo completò le manovre di atterraggio, lei si preparò per uscire il prima possibile: non vedeva l’ora di trovare Yoshiko per abbracciarla e ringraziarla di cuore per quella vacanza improvvisata che l’aveva portata lontana dai problemi e dalle frustrazioni, poi non vedeva l’ora di mostrarle la sorpresa che le aveva fatto recapitare Matsuyama.

 

- Pronto, Nakazawa...Matsuyama-kun?!...sì...la settimana prossima...Tra cinque giorni. Per Yoshiko? D’accordo, fammelo recapitare a questo indirizzo...-

 

Sorrise, ricordando la telefonata un po’ impacciata, ma comunque molto carina del capitano della Furano. Aveva invidiato moltissimo la sua amica in quel momento, ma quando si ricordò della distanza che li divideva si sentì un po’ meschina.

Trascinandosi dietro la pesante valigia, Sanae si diresse verso l’uscita del Terminal e con un rapido colpo d’occhio vide subito Yoshiko che le corse incontro. L’amica le buttò le braccia al collo e contro ogni previsione scoppiò a piagere.

- Ehi, Yoshi-chan, dovrei essere io a piangere di gratitudine, non tu.- sorrise.

La ragazza si asciugò le lacrime e si lasciò scappare una risata, la sua reazione era stata del tutto istintiva. L’arrivo di Sanae le fece sembrare Hikaru meno distante, nonostante non fosse passato tantissimo tempo dal suo trasferimento con la famiglia. Ciò che le aveva fatto più male era stato sicuramente dover fare tutto di fretta e all’improvviso, senza aver avuto nemmeno il modo di metabolizzare la cosa. Non era comunque il momento per le lacrime, la sua amica aveva fatto un lungo viaggio per raggiungerla e doveva aiutarla a divertirsi e distrarsi.

Al parcheggio, due ragazzi giapponesi le stavano aspettando accanto alla macchina.

- Sanae-chan, loro sono i miei cugini Hiroyuki e Hachiro.- spiegò la sua amica.

Hiroyuki era il più alto dei due, aveva i capelli neri e corti e sul suo viso brillavano due occhi scurissimi, Hachiro invece aveva i capelli tinti di biondo e portava le lenti a contatto azzurre, ma ciò che attirò l’attenzione di Sanae fu la decina di piercing su ciascun orecchio. I ragazzi le strinsero la mano invitandola a evitare onorifici, erano troppo occidentalizzati per quello.

- Piacere.- rispose un po’ intimidita, soprattutto dall’aspetto “bizzarro” di Hachiro.

Yoshiko notò questo particolare e le bisbigliò di prepararsi.

- Vedrai, quando conoscerai i miei amici.- aggiunse sorniona.

Per arrivare a casa dei Fujisawa impiegarono quasi mezz’ora, dato che sull’Atlantic Avenue il traffico non mancava. Yoshiko ne approfittò per chiedere notizie degli altri amici che aveva lasciato in Giappone, stando sempre attenta a non accennare a Tsubasa. Sanae ne avrebbe parlato quando e se ne avesse avuto voglia, anche solo per sfogarsi un pochino. Non mancò, nel frattempo, di indicare i punti di maggior interesse che incontravano lungo il tragitto.

- Liberty Island è dall’altra parte, ci andremo con calma, tanto abbiamo tutto il tempo.-

 

 

Sanae seguì Yoshiko e i due ragazzi che entrarono nell’appartamento degli zii.

- Sanae-san, benvenuta.- le disse la signora Fujisawa.

I cugini di Yoshiko si congedarono dandosi appuntamento con lei per il giorno dopo.

- Stasera è meglio che ti riposi. Devi smaltire il jet lag[1].-

Annuì, poichè in effetti iniziava ad accusare un po’ di stanchezza. Salirono al piano di sopra, dove si trovavano le camere da letto. La stanza di Yoshiko era la prima di fronte alle scale: le pareti erano dipinte di un bell’azzurro effetto guantato e vi erano appesi poster di delfini e un bellissimo ingrandimento di lei sui roller blade all’età di sei anni. Sul tappeto, tra i due letti, era stata posata la valigia che Hiroyuki aveva gentilmente trasportato lì per evitare l’incombenza alle ragazze. Sul comodino c’era una cornice, molto simile a quella che Sanae teneva in camera sua, con una foto, guarda caso di Yoshiko e Matsuyama con la divisa della Furano. Si chinò a guardarla, ma fu fatale per lei, perchè inevitabilmente le ricordò la sua triste situazione.

- Tu prenderai il mio letto... - le indicò Yoshiko, che subito dopo uscì dalla camera, invitandola con un cenno a seguirla.

- ...e questo è il bagno, ce n’è uno anche di sotto, quindi non ti preoccupare e usalo pure quanto vuoi.- le fece l’occhiolino.

Finalmente era il momento di disfare i bagagli: aveva posto il regalo di Matsuyama proprio in cima, in modo da poterglielo consegnare subito. Il pacchettino fasciato in un involucro blu fu la prima cosa che estrasse e lo rivolse con un sorriso a Yoshiko, che incredula si indicò per chiedere se ne fosse proprio lei la destinataria. Prima di consegnarglielo, le fece notare il bigliettino con la calligrafia del ragazzo.

 

Cara Yoshiko,

non sai quanto vorrei essere lì con te. Sento molto la tua mancanza e quando la nostalgia mi prende, stringo l’hachimaki che mi hai regalato e mi sento meno solo. Siccome ho pensato che tu, invece, non hai niente di mio, ho chiesto a Sanae di portarti questo regalo.

Mi raccomando, pensami quando lo indossi.

Un bacio

               Hikaru

 

Indossarlo? Yoshiko scartò in fretta e furia il pacchettino e, aprendo la scatolina amaranto, trovò al suo interno un ciondolo d’argento a forma di cuore. Un sorriso le si allargò sul viso, mentre gli occhi si facevano lucidi. Sanae sorrise a sua volta, felice che il regalo avesse sortito l’effetto che, probabilmente, Matsuyama si aspettava.

- Mi manca.- sospirò.

- Lo so, ma quel regalo significa che sei sempre nei suoi pensieri.- le rispose posandole una mano sulla spalla.

Lei invece aveva poco di che rallegrarsi, si rendeva conto che la vacanza era un pretesto per scappare da Tsubasa, come se questo fosse sufficiente a farle dimenticare il forte sentimento che provava per lui. Guardò Yoshiko chiudersi la catenina sul collo e accarezzare il cuore con affetto: nemmeno la sua amica poteva dirsi felice. Certo, sapeva di essere ricambiata, ma dover esprimere i propri sentimenti a distanza poteva essere altrettanto triste. La lasciò da sola con i suoi pensieri e in silenzio iniziò a sistemare le sue cose.

 

 

I signori Fujisawa si dimostrarono da subito molto cordiali con lei: la signora Rika non faceva che riempirle il piatto,  mentre il signor Natsuo le faceva un sacco di domande sul Giappone. Era chiaro che, nonostante la gratificazione professionale, il signor Fujisawa sentiva la mancanza della sua terra natale, esattamente come la figlia.

- Sono contento che tu sia venuta. Yoshiko non si è ancora ambientata del tutto.-

La sua gratitudine la mise ancor più a suo agio, mitigando quell’imbarazzo per essere piombata all’improvviso in casa loro a causa dei suoi problemi di cuore. Evidentemente non era la sola ad aver bisogno di aiuto, anche Yoshiko voleva una spalla a cui appoggiarsi e, probabilmente, il suo invito improvviso era dovuto alla solitudine che stava provando. Sì, lei aveva pur sempre Yukari, che era al corrente della situazione, conosceva le persone coinvolte, era qualcuno che poteva capirla, mentre Yoshiko non aveva nessuno con cui sfogarsi quando la nostalgia per Matsuyama diventava insostenibile.

Terminata la cena Sanae si fece una doccia ristoratrice, poi, quando entrò in camera, vide Yoshiko che sorrideva di fronte allo schermo del PC. Sospettando che stesse chattando con Matsuyama non osò disturbarla, quindi si andò a sdraiare discretamente sul letto e concentrò lo sguardo sul colore della parete che trovava estremamente rilassante. La sua amica si allontanò dalla scrivania, una lacrima le scivolava lungo la guancia. Una mano gentile le toccò la spalla e Yoshiko si voltò e affondò il viso nell’abbraccio consolatorio di Sanae.

- Voglio vederlo, voglio stargli vicino.- ripetè tra i singhiozzi.

Capiva benissimo come poteva sentirsi, era una sensazione che conosceva bene, perchè l’aveva provata e la stava provando anche in quel momento, quando, attraverso il pianto di Yoshiko, aveva compreso quanto in realtà le mancasse anche solo vedere Tsubasa.

 

 

In Giappone, il sole del mattino splendeva alto vicino a toccare il mezzogiorno, mentre Tsubasa correva, palla al piede, attraverso il parco. Si era fatto il suo allenamento mattutino e ora stava riguadagnando la via di casa. Uscendo dal parco, notò un gruppo di ragazze con la divisa delle scuole medie e, per un riflesso incondizionato, si voltò a guardarle. Sbuffò e proseguì la sua corsa, affrentandosi ad arrivare a casa dato che il caldo stava diventando più insistente. Le cicale frinivano tra gli alberi del viale, interrotte ogni tanto dai tonfi che il pallone faceva sull’asfalto. Con un’ultima falcata arrivò al cancello di casa e suonò il campanello, correndo ancora sul posto. Sua madre gli aprì quindi, calciando il pallone di lato, lasciò il suo “migliore amico” sul prato del giardino ed entrò in casa. Con poca grazia buttò le scarpe qua e là nell’ingresso e salì velocemente le scale per dirigersi nella stanza da bagno. Si sfilò la maglietta madida di sudore e, per una strana associazione di idee, nella sua mente apparve Sanae intenta a passargli un asciugamano. Scosse la testa, andò a riempire la vasca e si fermò di fronte allo specchio, fissando la propria immagine. Come se il suo riflesso lo stesse invitando a un confronto, Tsubasa iniziò ad ammettere a se stesso che la sua amica gli mancava, perchè non era abituato a non vederla per così tanto e anche il non poterla sentire lo rattristava. Nella sua testa aveva dato per scontato che avrebbero passato le vacanze estive assieme uscendo in compagnia con i ragazzi del club di calcio e che lei gli avrebbe fatto compagnia durante i suoi allenamenti mattutini. Invece, era partita così di punto in bianco, come un evaso. L’acqua sfiorava ormai il bordo della vasca e Tsubasa si spogliò completamente per immergersi nel liquido ristoratore del bagno. Si passò la mano tra i ciuffi ribelli e abbandonò il collo all’indietro in completo relax.

Tornerà prima o poi...

 

 

 

I capelli di Yoshiko, sparsi sul suo grembo, erano così lisci e setosi al tatto, la fronte calda per il pianto. Ancora scossa da qualche singhiozzo, si alzò a sedere sul letto e asciugò con il fazzoletto di carta le ultime lacrime che ancora le bagnavano le guance.

- Sono una pessima amica.- tirò su col naso.

- In effetti, rischiavo quasi di annegare tra le tue lacrime stasera.- buttò la questione in ridere e riuscì proprio a sortire quell’effetto, perchè a Yoshiko scappò una risata che contrastava con gli occhi gonfi di pianto.

- Ti va di parlarmi, Sanae-chan?-

La ragazza valutò la proposta, indecisa se lasciar perdere o dar fuoco alle polveri. Si era sempre sfogata con Yukari, la quale, onestamente, non faceva che ripeterle le solite canoniche frasi: “é un maschio, non ci arriva”, “poverino, è un ragazzo timido” e via dicendo. Per quanto fossero vere, non erano dispensatrici di consigli o di soluzioni che potessero farle trovare la via per riacquistare un po’ della serenità perduta. Forse Yoshiko, che con la storia dell’hachimaki aveva dimostrato un’intraprendenza inusuale, poteva essere la persona più adatta a cui chiedere qualche dritta per il comportamento da tenere con Tsubasa.

- Mi sento una stupida, Yoshiko.-

L’amica spalancò lo sguardo allibita.

- Per tre anni gli sono stata vicina e solo ultimamente mi sono accorta di quello che provo, mi sono innamorata di lui, senza quasi rendermene conto.-

- Bè, mi sembrava che già alle elementari provassi qualcosa per lui, no?- chiese cautamente.

- Sì, ma quella, era una cottarella infantile, poi vedevo che lui era tutto preso dal pallone e io sono cambiata da allora. Insomma, credevo che il rapporto tra noi fosse quello di due normali amici.- si passò la mano tra i capelli corvini e tirò un sospiro cercando di raccogliere le idee, perchè era difficile spiegare com’era potuto succedere che la situazione le fosse sfuggita di mano a quel modo.

- Invece, da un momento all’altro, mi ritrovo a fissarlo adorante a bordo campo, ad avere i batticuori mentre mi parla o semplicemente mi guarda...-

- A pensare quanto sia attraente, quando fa qualche azione di gioco fantastica...- la interruppe.

- Lo so a cosa ti riferisci, Sanae, è capitata la stessa cosa a me.-

- Ma non sarebbe dovuto succedere, non ci si può innamorare di un amico di punto in bianco!- esclamò affranta.

Yoshiko la fissò interrogativa, poi scoppiò a ridere.

- Da quando i sentimenti si possono controllare? E poi, chi meglio di un amico, può diventare una persona speciale?- chiese.

Yoshiko era una continua fonte di sorprese: alle volte, pensare che avessero la stessa età le risultava difficile, ma probabilmente gran parte della sua maturità era dovuta alla cultura a metà tra quella giapponese e quella americana, di certo meno castrante di quella orientale.

- Almeno avrei potuto scegliere un amico più sveglio.- si rigirò sul letto, coprendosi il volto con il braccio.

- Dai, dai, ti sei scelta il più carino della squadra, piccola volpe.- la punzecchiò colpendola tra le costole con la punta del dito. Sanae si sollevò a sedere di scatto e incrociò le gambe.

- Veramente non c’è solo lui, anzi, all’inizio di molto carino c’era Wakabayashi, ma abbiamo due caratteri straincompatibili e poi, c’era anche Taro Misaki, non credo tu lo conosca. Ecco, sì, lui sarebbe stato perfetto, carino e anche più sveglio, decisamente.- si picchiettò col dito indice sul mento.

- Eppure alla fine hai scelto lui.-

- Già.- si ributtò sdraiata sul fianco.

Yoshiko la imito e faccia a faccia le regalò un sorriso rassicurante.

- Sanae, certe cose non avvengono seguendo un filo logico, succedono e basta. A te è capitato di innamorarti di Tsubasa, che sarà pure timido e impacciato al di fuori del campo di calcio, ma qualcosa in lui ti ha attratta inevitabilmente. Non ci puoi fare niente.-

Sospirò ammettendo che le parole della sua amica erano assolutamente vere.

- Però, se la situazione è così in stallo, la colpa è anche tua.-

Si rialzò di scatto e la guardò come se volesse incenerirla.

- Mia? Quell’idiota ha accettato le spudorate avance di Kumi e sarebbe colpa mia?- domandò furiosa.

- Oh, Sanae, lascia perdere Kumi, ha le arti di seduzione di una mantide religiosa. Non credere che buttarsi addosso a qualcuno come fa lei sia utile.- le spiegò, poi proseguì, per farle capire cosa doveva cambiare se voleva ottenere dei risultati.

- Tu hai sbagliato a essere sempre così disponibile e condiscendente con lui. E’ ovvio che ti dia per scontata.-

Le ultime parole la invitarono a riflettere sul suo comportamento: in tre anni non aveva mai detto “no”.

Sanae, mi passi i palloni dalla cesta? Arrivo subito, Tsubasa.

Sanae, non ho capito un accidenti della lezione di ieri, me la rispiegheresti? Volentieri, Tsubasa.

Sanae, l’asciugamano, per favore? Te lo porto subito, Tsubasa.

E, negli ultimi mesi, non aveva nemmeno più aspettato che lui le chiedesse qualcosa, perchè era lei che prontamente lo serviva e riveriva come un principino, spinta da quel sentimento che aveva scoperto di provare. Sì, era lei la stupida che aveva fatto precipitare la situazione.

- Capisci, Sanae, non puoi essere il suo zerbino, devi avere più considerazione di te.-

- Tu come facevi con Matsuyama?- le chiese per capire meglio il suo discorso.

- Io ero gentile con lui, ma fino a un certo punto e sicuramente non tolleravo se faceva il simpatico con qualcun’altra. Naturalmente, il tutto nella massima discrezione, ma ti posso assicurare che il giorno che aveva fatto il cascamorto con il capitano della squadra di pallavolo gliel’ho fatta sudare. Non che abbia fatto scenate o fatto capire il mio malumore, semplicemente ho iniziato a ignorarlo, finchè non è venuto a chiedermi perchè.-

- E tu come hai reagito?-

- Ho fatto la vaga, ho detto che non sapevo di cosa parlasse, che a me sembrava di essere sempre uguale e che mi doveva scusare se in qualche modo lo avevo trattato male...poverino, a ripensarci ora mi sento anche in colpa.- sorrise bonariamente.

- I ragazzi vanno stuzzicati in qualche modo, a me ha dato una grossa mano la partenza, perchè chissà quanto ci avrebbe messo Hikaru a dichiararsi. Oltretutto, anche tu non hai molto tempo per scucirgli una dichiarazione, non hai detto che vuole andare in Brasile alla fine delle scuole medie? -

Sanae annuì rabbuiandosi, quel discorso la metteva tremendamente a disagio.

- Devi solo lasciare che sia un po’ lui a rincorrerti.-

- Fosse facile, Yoshi-chan, l’unica cosa che può rincorrere lui è il pallone da calcio.- sbuffò.

- Sì, perché sa che se si volta tu sei lì a bordo campo che aspetti, ma cosa accadrebbe se voltandosi non ti trovasse più?- le rivolse uno sguardo malizioso. La sua amica la fissò ammutolita, stava iniziando a comprendere la logica del suo ragionamento.

- Sono convinta che già la tua partenza improvvisa lo ha frastornato.- aggiunse con uno sguardo sadicamente ironico.

In realtà non sapeva come avesse reagito e nemmeno se Yukari ne avesse fatto parola con lui.

- Per quanti giorni, al massimo, non vi siete visti, in tre anni che vi conoscete?-

- Direi, una settimana al massimo...sì.-

- Pensa a come starà un mese e mezzo senza vederti.- sorrise compiaciuta.

 

 

Distrutta dalla stanchezza Sanae si lasciò scivolare sotto le lenzuola, diede la buonanotte e si voltò dandole la schiena. Una punta di nostalgia le stuzzicava i pensieri: era sempre così quando si allontanava da casa, anche durante i ritiri con la squadra a Tokyo e, sicuramente, essere così lontana approfondiva questa sua reazione che contrastava con il piacere del viaggio, della scoperta di nuove cose e del divertimento che avrebbe vissuto.

 

Un mese e mezzo...come starò senza di te, Tsubasa? Forse, riuscirò a rivederti come un amico?

 

Le domande si accavallavano l’una all’altra formando un intreccio fitto, simile a una rete pronta a rinchiuderla. Sospirò, scacciando quell’immagine dalla mente: aveva preso il volo per essere libera, per ritrovare la serenità di cui si sentiva defraudata e per passare un’estate fuori dal comune. Rivolse un ultimo sguardo verso Yoshiko, che probabilmente aveva già preso sonno, e una volta di più pensò che venire da lei fosse stata la scelta più giusta.

 

 

 

Yoshiko e le sue perle di saggezza…ahem, non so se si è notato, ma ciò che Yoshiko dice è ciò che io stessa penso, diciamo che lei è un po’ la mia voce in questa fanfiction. Sanae ha preso veramente il volo e come ogni uccellino deve imparare a battere le ali anche quando le correnti d’aria sono troppo forti. Il dialogo tra lei e Yoshiko mi è servito per esprimere la mia personale visione su come sia andata tra lei e Tsubasa: una cottarella infantile che si è evoluta in un sentimento più maturo e consapevole. Riuscirà Sanae a cacciare il “tontolone” dai suoi pensieri?

Grazie a tutti i lettori e a chi vorrà farmi sapere cosa ne pensa con una recensione. ;)



[1] Il cosiddetto “mal di fuso”.

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Capitolo 4
*** New York New York ***


Il bacon sfrigolava nella padella e, una volta raggiunta la giusta croccantezza, Yoshiko ne sollevò le due strisce rosacee con una pinza e le dispose sui due piatti. Sanae portò alla bocca la tazza piena di caffè espresso, assaggiò il liquido, ma la sua faccia schifata non lasciò molto spazio all’immaginazione.

- Sa di bruciato, vero?- chiese ridendo Yoshiko, anche lei non sopportava il sapore del caffè americano.

Il primo esperimento era fallito, lasciò perdere l’intruglio e si concentrò sul piatto che la sua amica le aveva porto, dove una bocca di bacon le sorrideva sotto due uova all’occhio di bue che risultarono sicuramente più graditi.

- Domani facciamo le pancakes e ci beviamo un po’ di latte freddo e cacao, altro che questo schifo.- disse indicando il liquido nero.

Il resto della colazione fu dedicato alla scelta dei primi luoghi da visitare e, mentre discutevano sull’alternativa di partire da Brooklyn per poi allargare la visita giorno per giorno o andare subito a Manhattan, un sms fece squillare il cellulare di Yoshiko. Escluse potesse trattarsi di Matsuyama, a meno che non fosse ancora in piedi a mezzanotte, quindi si alzò svogliatamente per andare a recuperare il telefonino sul bancone della cucina.

Stasera Hard Rock?

L’invito di Hachiro non lasciava alternative: la Midtown sarebbe stata la meta della giornata. Si vestirono per uscire e si diressero a passo svelto alla metropolitana di Jay Street, perchè purtroppo quella mattina i cugini di Yoshiko non potevano fare da autisti e quindi dovettero arrangiarsi con i mezzi pubblici. Sanae era sbalordita dalla miriade di persone che parlavano idiomi incomprensibili, ma dai suoni musicali, ma ancora più stupita fu quando lei e Yoshiko uscirono dalla metropolitana e imboccarono la via per il Rockfeller Center, dove vide una schiera di bandiere sventolare come se volessero salutare i turisti che affollavano la zona.

Era naturale che la destinazione scelta fosse proprio il Rockfeller Plaza e tutti i suoi invitanti negozi. Passarono attraverso i tavoli delle caffetterie e si fermarono ad ammirare la statua dorata di Prometeo della favolosa fontana nella “piazza interrata”.

- Qui di solito c’è la pista di pattinaggio, ma durante le stagioni più calde viene tolta per lasciare posto alle caffetterie.- spiegò Yoshiko, quindi la prese sotto braccio e la invitò a seguirla nel dedalo dei corridoi del Centro Commerciale.

Sanae si guardava attorno, estasiata, facendo a gara con lei per tirarsi da una parte all’altra ogni volta che trovavano qualcosa che colpiva il loro interesse. Entrambe guardarono rapite la vetrina del negozio di Botticelli, fantasticando su un paio di sandali in pizzo color glicine costellati di Swarovksy. Sospirarono, sapendo che la cifra per un paio di calzature simili era ben al di fuori della loro portata.

- Certo, però, che se Hikaru riuscisse ad entrare nel calcio professionistico...- Yoshiko rimuginò fingendosi seria, poi scoppiò a ridere divertita.

- Ah, bè, in quel caso potresti pure comprarti tutto il negozio, volendo.- stette al gioco Sanae, unendosi alle sue risate.

L’atmosfera era distesa e rilassata, nonostante aver nominato Matsuyama le avesse inevitabilmente ricordato Tsubasa, ma con suo stupore, Sanae si era resa conto che pensare a lui le faceva meno male. Si sentì trascinare per la mano dalla sua amica che aveva adocchiato un modello di occhiali delizioso dalla vetrina di Sunglass Hut.

Il vero divertimento iniziò quando entrarono dentro i negozi di abbigliamento, anche se non avevano intenzione di comprare, provarsi i vestiti e scambiarsi pareri non costava nulla. Yoshiko si sbizzarriva a provare e a far indossare alla sua amica degli accostamenti talmente audaci che a volte sembravano ridicoli, il gioco consisteva nel vestirsi e poi uscire contemporaneamente dai camerini per accentuare l’effetto sorpresa. Le due ragazze scoppiavano a ridere indicando i particolari più buffi oppure si producevano in espressioni disgustate. Fecero un ultimo giro, sotto lo sguardo della commessa che iniziava a faticare a mantenere la pazienza. Tra una fila e l’altra di vestiti Sanae notò un abito lungo bianco con delle rose stampate, lo staccò dall’appendiabiti e lo portò con sè. Yoshiko rimase fuori ad aspettare: era un po’ stanca. Sanae infilò l’abito e decise di sfilare il reggiseno, ottenendo un risultato al di sopra delle sue aspettative. Non era mai stata vanitosa, ma quel vestito le stava così bene da indurla a indugiare sulla propria immagine sorridente e ad allargare sui lati la gonna. Scostò il telo e si mostrò alla sua amica che si portò le mani alla bocca dallo stupore.

- Stai benissimo! Ti prego compralo!- esclamò entusiasta.

Arrossì vistosamente, non era abituata a quel genere di abito, così femminile.

- Se non lo compri tu, te lo regalo io, scegli.- l’ammonì Yoshiko.

La franchezza della sua amica la convinse, pensando che un’altra cosa che doveva cambiare era il rapporto con la sua femminilità, soprattutto per sè stessa, prima ancora che per attirare l’attenzione di Tsubasa. Stringendo al petto l’abito non potè fare a meno di chiedersi cosa ne avrebbe pensato lui se l’avesse vista con un vestito così.

Conoscendolo, nemmeno lo noterebbe.

Completato l’acquisto, uscirono scusandosi con la commessa per la confusione creata per poi scoppiare a ridere divertite come due bimbe dispettose. Yoshiko guardò l’orologio, poi posò una mano sullo stomaco.

- E’ quasi ora di pranzo: una salutare insalatina o un tour di schifezze?-

La proposta numero due suonò la più allettante e tra le risate Yoshiko le chiese da dove cominciare.

- Dunkin’ Donouts o Starbucks?-

 

 

Stanco di rimanere in casa Tsubasa era uscito, perchè si sentiva molto nervoso negli ultimi giorni. Al mattino si era sfogato con il suo allenamento quotidiano, ma dopo pranzo aveva mostrato un’insofferenza per quelle quattro mura che lo aveva spinto a trascinarsi fuori. Aveva vagato in centro per un’oretta e adesso stava guardando la vetrina del negozio di articoli sportivi, dove, in mezzo a canotte da basket, scarpe di marca e tavole da snowboard stava il pallone ufficiale dei passati Mondiali di Calcio, la meta che voleva raggiungere e di cui voleva conseguire il titolo a tutti i costi. La porta del negozio si spalancò e ne uscì una coppietta, probabilmente suoi coetanei, mano nella mano, che sorridevano spensierati, mentre lui le chiedeva dove desiderasse andare. Li guardò allontanarsi sorridendo bonariamente, poi fissò il terreno, si sentiva di nuovo pervaso da quella fastidiosa sensazione di mancanza che aveva provato giorni prima in piscina.

- Capitano!-

D’istinto si voltò, ma la delusione gli si dipinse in faccia quando vide Kumi corrergli incontro. Inopportunamente si avvinghiò al suo braccio e lui non potè far altro che assecondarla da quanto era ingessato dall’imbarazzo. Cinguettando allegramente, la ragazza lo trascinò fino alla caffetteria che stava a due passi. Entrarono e Tsubasa ordinò un latte macchiato per sè, mentre Kumi ordinò un frullato con una fetta di torta.

La ragazza non faceva altro che parlare, producendosi in un lungo monologo, dato che lui non proferiva parola e si limitava ad annuire o scuotere la testa, mentre si guardava attorno, maledicendosi per il fatto di non essere riuscito a glissare l’invito.

Il posto gli era familiare: si ricordò che una volta, dopo aver fatto tardi agli allenamenti, assieme a Morisaki e Sanae si era fermato lì per bere qualcosa di caldo. La manager stava seduta di fronte a lui e scherzava con il portiere sulle ridicole tecniche difensive che ogni tanto sfornava Ishizaki.

Si riscosse da quei pensieri quando la cameriera posò le loro ordinazioni sul tavolo e Kumi si avventò come un rapace sulla fetta di crostata.

Ah, la torta al limone! La mia preferita!

L’eco della voce di Sanae lo riportò a quel momento: nella sua memoria la sua amica sorrideva come una bambina di fronte al regalo più bello del mondo, quando la cameriera le aveva porto il piattino con la fetta spolverata di abbondante zucchero a velo. Soffocò una risata al ricordo dello sguardo inceneritore che aveva ricevuto, quando aveva anche solo osato mimare di prenderne un pezzettino per poi vederla ridere e offrire di sua sponte un assaggio a lui e Morisaki.

- Capitano, tutto a posto?- chiese Kumi, che si accorse di quanto fosse assente in quel momento.

Tsubasa annuì e incrociò le braccia sul tavolo, attirando l’attenzione sui tre bracciali rossi e Kumi vedendoli iniziò a manifestare tutto il suo entusiasmo, riprendendo a parlare a raffica e sorridendo.

- Kumi.- la interruppe.- Mi spiace aver accettato il tuo regalo, ma vedi...- sospirò, non voleva trattarla male, ma nemmeno voleva tenersi quei cosi al polso, tanto più che non gli era manco stato chiesto se volesse indossarli o meno.

- ...non è il caso che li porti, mi mettono a disagio.-

L’espressione della ragazzina passò dallo stupore alla più profonda delusione, anche lei si era resa conto che gli aveva fatto subire quel regalo, ma pensava che non avendo battuto ciglio lo avesse accettato.

- Non li vuoi, perchè non ti piacciono o cosa?- insistette.

- Non è questo...- si grattò la testa in evidente difficoltà. - Non sono tipo per queste cose, ecco tutto. Come vedi non indosso nemmeno l’orologio.-

- Capisco.- sospirò mestamente. Rassegnata andò al bancone per farsi prestare un paio di forbici e tagliò via i bracciali dal polso di Tsubasa.

Il ragazzo se lo massaggiò come se lo avessero liberato dalle manette e, dopo averla ringraziata, vuotò il bicchiere di latte macchiato, quindi si diresse alla cassa per pagare, mentre lei rimaneva seduta al tavolo a smaltire l’umiliazione.

- Ora dovrei andare, Kumi.-

Un cenno di assenso fu tutto quello che ricevette in risposta. Gli dispiaceva vederla così abbattuta, ma non aveva voluto tenersi oltre quella specie di marchio di fabbrica. Si congedò e riprese la strada di casa. L’aria calda dell’estate trasportava con sè l’odore dell’erba tagliata e del profumo dei fiori solleticandogli la pelle, d’istinto alzò lo sguardo per osservare la scia di un aereo che stava ormai sparendo. Era passata una settimana da quando aveva visto Sanae per l’ultima volta.

 

 

Il muro di cristallo emanava dei bagliori che sembravano magici attraverso le sue forme irregolari, uno spettacolo fantastico che veniva amplificato dalla luce riflessa del sole che stava acquisendo i colori arancioni del tramonto. Yoshiko la invitò a proseguire, altrimenti si sarebbero perse lo spettacolo delle ultime luci del giorno dalla cima del Top of the rock. Salirono di un piano e rimasero qualche minuto a giocare con le luci interattive del corridoio che si illuminavano e producevano effetti sonori al loro passaggio. Alla fine raggiunsero la cima del grattacielo che sovrastava la città, una vista da mozzare il fiato. La due ragazze si avvicinarono alla parte nord della terrazza da cui si godeva la panoramica su Central Park, poi i loro sguardi si focalizzarono sulla zona sud dove svettava l’Empire State Building. Gli ultimi bagliori del sole iniziarono a lottare con il blu della notte che stava prendendo il sopravvento.

- Come vorrei che Tsubasa potesse vederlo.- si lasciò scappare Sanae, vergognandosi subito per la propria debolezza. Voltandosi verso Yoshiko, però, non notò un’espressione di rimprovero, ma solo lo sguardo comprensivo di chi capiva perfettamente quello che stava provando.

- Non devi sentirti in colpa per quello che senti, Sanae.-

Due lacrime silenziose scesero dai suoi occhi concentrati sullo spettacolo meraviglioso cui stava assistendo, il braccio gentile di Yoshiko le circondò le spalle, rincuorandola con quel gesto, ancora meglio di mille parole. Attesero che le luci della città si accendessero prima di abbandonare la terrazza, dove l’aria della sera cominciava a farsi piuttosto fredda, poi tornarono al sessantasettesimo piano per prendere l’ascensore e uscire.

Quando furono nuovamente all’aria aperta il cellulare di Yoshiko suonò.

- Hachi, dove siete?- chiese rispondendo.

- Ah, siete già lì. Dammi dieci minuti e arriviamo. Later.- chiuse la comunicazione e con un cenno invitò l’amica a seguirla.

Passarono Time Square e svoltarono per la 7th Avenue, dove vennero risucchiate dalla scia luminosa delle insegne. Sanae osservava con curiosità ogni particolare, cercando di stare al passo svelto di Yoshiko, che di punto in bianco si fermò per indicarle il grattacielo dove campeggiava la scritta di una nota marca giapponese.

- Lì c’è il pannello del midnight countdown[1].-

La ragazza annuì completamente stregata da quello spettacolo, un po’ artificiale, certo, ma pur sempre affascinante per gli occhi di una turista. Finalmente, videro l’insegna del locale e, prendendosi a braccetto, entrarono.

Yoshiko si muoveva con una certa sicurezza, cosciente di dove potessero essersi sistemati i suoi amici. Superarono il negozio ed entrarono nello spazio dedicato al ristorante. Un po’ intimidita, Sanae si fece largo tra i tavoli stando il più vicina possibile all’amica.

Scesero un’ultima rampa di scale e lei potè distinguere Hachiro nel gruppo di ragazzi al tavolo proprio di fronte all’arco luminoso che circondava la foto di Elvis Presley, su cui campeggiava la scritta Who do you love?

 

Il destino mi perseguita?

 

Sospirò sentendosi un po’ in soggezione per gli sguardi curiosi degli amici di Yoshiko, che con un sorriso la invitò ad avvicinarsi per le presentazioni.

- Ragazzi, lei è Sanae. Loro, invece, sono Christopher, Jamal e Cody.- rispettivamente un biondino con gli occhi verdi, un ragazzo afroamericano con i dreadlock e un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi azzurri. Scambiati i dovuti convenevoli, si sedettero al tavolo.

- Tsk, la prossima volta ci facciamo un festino nel privé. Troppa gente qui.- sbuffò Cody, slacciando l’ultimo bottone della sua camicia Gucci.

La sua dichiarazione scatenò l’ilarità degli amici che iniziarono a sfotterlo per le sue uscite da miliardario viziato.

- Il padre di Cody è molto ricco.- le suggerì Yoshiko.

- Sanae, come è andata la prima giornata, ti piace New York?- le chiese Jamal con un caldo sorriso.

La ragazza si sentì un po’ più a suo agio e, con l’aiuto di Yoshiko, riuscì a raccontare come aveva passato la sua prima giornata americana, interrotta ogni tanto dalle domande di Chris, come aveva chiesto di essere chiamato. Cody sembrava il meno ospitale dei tre, visto che non aveva aperto bocca e si era limitato solo a guardarla per tutto il tempo. Hachiro invece si divertiva a punzecchiarla, facendole notare le storpiature di pronuncia o i piccoli errori di lessico, finchè sua cugina e Jamal non gli intimarono il silenzio.

Le loro ordinazioni arrivarono al tavolo, ma proprio quando stava per tuffarsi sul suo hamburger, il cellulare di Sanae squillò. Era sua madre che la chiamava per sentire come stava, ma la confusione nel locale la obbligò a uscire per trovare un luogo meno caotico.

- La tua amica è proprio carina, lo sai Yoshi?- Cody stava ancora fissando la porta da cui era uscita Sanae.

- Lascia perdere.- fu la pronta risposta.

- Perchè?- chiese lui sorridendo.

- Non è uno scherzo, stalle lontano.- lo minacciò con la forchetta.

Lo sguardo provocatorio del ragazzo fu il chiaro segnale che le sue minacce non funzionavano, purtroppo sapeva che tipo era: se voleva qualcosa la otteneva. Temeva proprio che la sua amica Sanae stesse per diventare l’ennesimo capriccio di quel ragazzino viziato.

 

 

 

Tadaaaan, alla fine di una bella giornata di shopping, arriva lo sparviero pronto a piombare su Sanae, mentre il caro capitano in Giappone deve disimpegnarsi dal pressing serrato di Kumi…mmm, prevedo scintille.

Grazie a tutti delle belle recensioni che mi lasciate e del tempo che dedicate alla mia fanfiction.



[1] Conto alla rovescia della sera del 31 dicembre

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Capitolo 5
*** Gita al mare ***


- Yoshi-chan, tu sei mai stata a questa fantomatica villa a Palm Beach?- chiese Sanae, mentre toglieva dalla busta il costume nuovo che aveva comprato.

L’amica scosse la testa, impegnata a selezionare gli abiti da portare per quella che Cody aveva definito “gita fuoriporta”, anche se in realtà, e lei lo sapeva benissimo, era l’ennesima subdola manovra per conquistare le attenzioni di Sanae, dato che abiti firmati e auto di lusso non sembravano aver scalfito il guscio che la ragazza mostrava con ogni maschio che non rispondesse al nome di Tsubasa Ozora.

Quando l’amico le aveva invitate ad andare non aveva mancato di rivelare il valore monetario della sua “casa per le vacanze” al mare, che ammontava sui 14 milioni di dollari[1], rimanendo deluso dalla mancanza di reazione da parte della sua “futura conquista”.

Nakazawa sistemò un ultimo paio di pantaloncini di jeans sorridendo di fronte alla mole di vestiti che aveva comprato nel mese trascorso a New York: Yoshiko sembrava essersi messa in testa di cambiarle il guardaroba per fare in modo che avesse meno cose castigate e poco femminili. Buttò in valigia anche il top amaranto a fascia che aveva preso il giorno prima sulle bancarelle nella 6th Avenue e chiuse il trolley che le aveva prestato la sua amica.

Yoshiko fece appena in tempo a chiudere il suo bagaglio che Hachiro suonò alla porta, a cui andò ad aprire la signora Fujisawa. Il ragazzo e Christopher salirono al piano di sopra per prelevare galantemente le valigie delle ragazze che, salutata la madre di Yoshiko, uscirono per raggiungere le macchine parcheggiate nel vialetto. La ragazza scosse la testa notando la vistosa differenza fra l’anonima vettura di suo cugino e il fuoristrada di lusso di Cody [2] che, come al solito, non lesinava di ostentare i mezzi di cui poteva disporre. Ancora una volta, però, la reazione di Sanae fu come una mattonata in testa poiché, dopo averlo salutato, entrò nell’altra auto lasciandolo incredulo, con la mano ancora sulla manopola della portiera che stava lasciando aperta per lei. Dentro l’abitacolo, Jamal stava ridendo a crepapelle, mentre Christopher che li aveva raggiunti contorceva i lineamenti per non scoppiare a ridere a sua volta.

- Non osare metterti a ridere.- lo aveva ammonito Cody, sottolineando le parole sfilandosi gli occhiali da sole.

Scocciato mise in moto in direzione dell’aeroporto, dove avrebbero preso l’aereo per risparmiare tempo.

 

 

Dopo due ore e mezzo circa di volo arrivarono a Palm Beach, dove trovarono il custode della villa pronto a condurli a destinazione. Rimasero tutti di stucco di fronte alla facciata della lussuosa abitazione che nello spiazzo antistante l’entrata ospitava una Porsche Carrera e una Lamborghini Diablo.

- Ho pensato che potessero servirle se lei e i suoi amici voleste andare in giro la sera, signor Franklin.- spiegò l’uomo indicando le auto, mentre con delicatezza invitava le ragazze a scendere per poi occuparsi dei bagagli.

Sanae era confusa da tanto lusso, anche se non era mai stata una persona che si lasciava impressionare dalla ricchezza. Nella sua testa continuava a domandarsi come avevano fatto Yoshiko e suoi cugini a diventare amici di un ragazzo così benestante, per non parlare di Jamal e Chris che erano la semplicità fatta a persona.

Entrarono all’interno e ciò che vide non era niente a confronto di quel che si presentava dalla facciata della casa: ogni mobile, ogni oggetto era in stile raffinato e molto ricercato; ogni dettaglio minimamente curato, dalle tende di seta ai quadri pregiati appesi alle pareti. Cody fece accomodare i suoi ospiti, mostrando ogni ala dell’abitazione: la cucina in legno di palissandro e marmo di Carrara, le numerose stanze da bagno, il soggiorno con il maxischermo al plasma e, per finire, l’ampio patio colonnato che dava sulla piscina. Sanae si avvicinò al fusto di una colonna per ammirare l’enorme vasca dove l’acqua azzurra s’increspava lievemente scossa dal vento, quando una voce la richiamò alla realtà.

- Ti piace, Sunny?-

Cody era comparso alle sue spalle e le rivolgeva quel sorriso malizioso che aveva imparato a conoscere bene, così come il nomignolo che si era inventato per chiamarla in modo particolare e intimo, dato che il ragazzo, a differenza dei tipi che era solita frequentare, non aveva mai mascherato l’interesse nei suoi confronti.

Gli sorrise e annuì.

- Complimenti, Cody, avete una casa bellissima.-

Il ragazzo fece spallucce spiegando che l’artefice di tanto lusso era la sua viziata mammina che aveva speso una fortuna tra arredatori e decoratori d’interni per fare in modo che quel luogo divenisse la fiera delle vanità.

Yoshiko comparve sulla porta del patio con l’aria di un generale e le mani sui fianchi. Cody alzò lo sguardo al cielo: la sua amica stava diventando un incubo, nemmeno fosse il peggior mostro che esiste sulla faccia della Terra.

- Sanae-chan, vieni che disfiamo i bagagli?-

- Arrivo.- le rispose, poi la superò oltre la porta e uscì.

La ragazza incrociò le braccia sul petto e lo squadrò con occhi sottili.

- Ti tengo d’occhio.- e detto questo si congedò.

Cody sospirò, passandosi le mani tra i capelli: Yoshiko stava diventando una vera seccatura, doveva trovare il modo di distrarla in modo che la smettesse di interrompere i suoi tentativi di avvicinarsi a Sanae. L’unica persona adatta allo scopo era Christopher, che si era preso una cotta per la ragazza, ma aveva abbandonato l’idea quando aveva saputo che aveva un ragazzo in Giappone. Intuiva che toccando le corde giuste avrebbe spinto di nuovo l’amico a provarci con lei e, se non avesse comunque cavato un ragno dal buco, almeno gli avrebbe lasciato il tempo per avvicinarsi a Sanae.

Le ragazze nel frattempo stavano indugiando sulla raffinatezza dell’arredamento della camera. Di fronte alla porta due vetrate, che ricoprivano l’intera altezza della parete, davano sulla piscina e più in là si potevano vedere le spiagge con la loro sabbia dorata; sul muro portante stavano poggiate le testiere dei letti le cui curve morbide contrastavano con il rigore delle forme dei comodini e degli armadi, accomunati dal tenue colore pastello e dai decori floreali. Dalla parte opposta stava un’enorme specchiera illuminata da ogni lato con lampade in ferro battuto e alla sinistra stava l’entrata del bagno, grande quanto la stanza da letto e con una vasca dal diametro spropositato.

- Ho idea che questa “gita” sarà indimenticabile.- sospirò Yoshiko.

 

 

Chris non la perdeva un secondo d’occhio: Yoshiko gli piaceva molto, non riusciva a nasconderlo e nemmeno a non pensare a quanto fosse carina con il prendisole bianco e sensuale con il costume a due pezzi che aveva indosso in quel momento. Le parole di Cody gli avevano risvegliato quei sentimenti che aveva tentato di sopire per rispetto di lei e correttezza verso quel fantomatico fidanzato d’oltreoceano.

- Chi ti assicura che lui non sia a divertirsi con un’altra adesso?- gli aveva fatto notare l’amico.

Sinceramente non l’aveva mai pensata in questi termini o almeno, se gli era mai venuto il minimo sospetto, lo aveva ricacciato in qualche cassetto della sua mente, perché non avrebbe mai fatto soffrire la ragazza instillandole il dubbio del tradimento, era una cosa che andava contro i suoi principi. Eppure adesso era lì, pronto a rifarsi avanti con la cugina del suo migliore amico.

La ragazza andò a giocare con le onde assieme a Sanae, che lentamente cercava di vincere i brividi dello sbalzo termico ed entrare in acqua. L’amica la raggiunse alle spalle e l’invitò a contare fino a tre e poi buttarsi assieme.

- Non barare.-

Ma ancor prima di finire il conteggio, Hachiro arrivò correndo alle loro spalle alzando un’infinità di schizzi e buttandosi pesantemente in mezzo a loro due, che fradice e anche infuriate cominciarono a rincorrerlo in mezzo alle onde. Cody sbirciava Sanae da dietro gli occhiali da sole, ammirando la doratura della sua pelle acquisita al sole della piscina, che ben si accostava al rosso fuoco del suo seducente bikini.

Afferrò il pallone da beach volley e togliendosi gli occhiali invitò Chris e Jamal a seguirlo per andare a giocare in acqua. I tre iniziarono a palleggiare, poi resero i passaggi più difficili aggiungendo schiacciate e ricezioni in tuffo. Sanae e Yoshiko, che stavano tornando da una nuotata a largo si fermarono a guardarli, mentre Hachiro si univa a loro. La palla si alzò a campanile e Cody spiccò un bel salto per produrre una schiacciata talmente rapida da lasciare di stucco Jamal che rimase con le braccia tese in avanti come una statua.

- Però…è veramente bravo.- si lasciò sfuggire Sanae.

- E’ titolare nella squadra di pallavolo del suo liceo.- le rispose Yoshiko in tono piatto.

Vide la sua amica avvicinarsi e cercare spazio tra i giocatori, mettendosi tra Cody e Hachi.

 

Ok, sei sensibile al fascino dello sportivo.

 

Vedendo suo cugino che si sbracciava per invitarla a giocare, saltellò sulle onde e si unì al cerchio che avevano formato a due passi dalla battigia.

Sanae giocava divertita e dentro sentiva una gioia incontenibile, finalmente riusciva a vivere dei momenti sereni senza offuscarli con i pensieri dolorosi. Non che Tsubasa fosse sparito dalla sua testa, ma era riuscita a tramutarlo in un pensiero dolce, un ricordo di quello che di bello l’aspettava una volta tornata a casa, ma per rientrare in Giappone c’era tempo e lei, ora, aveva intenzione di godersi quella vacanza fino all’ultimo minuto. Ogni volta che si girava alla sua destra incrociava lo sguardo ammaliante di Cody che quel giorno sembrava particolarmente ispirato a far cadere ogni sua difesa. Poco prima, quando il pallone era caduto in mezzo a loro, lui lo aveva raccolto e, dopo averlo scosso per far scivolare via l’acqua, gliel’aveva porto come un pacco regalo; mentre lei afferrava la sfera, aveva avvertito le sue dita sfiorare il dorso della sua mano.

Yoshiko scrutava preoccupata gli ammiccamenti che si scambiavano, ignara che, proprio accanto a lei, una persona non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Chris continuava a fare i conti con i propri scrupoli, mentre la parte più meschina del suo animo lo martoriava con l’idea che il fantomatico Matsuyama non fosse lo stinco di santo che lei credeva e che magari, mentre lui si arrovellava nei dubbi, l’altro approfittava dell’assenza della ragazza per farsi i fatti propri. Distratto da quei pensieri non vide la palla arrivare e Yoshiko, presa dal gioco, si buttò nella sua direzione per prenderla. Entrambi caddero in acqua e Chris sentì il corpo di lei così aderente al suo, che tutti i suoi buoni propositi crollarono una volta per tutte.

 

 

La schiuma aveva formato delle nuvole deliziose sulla superficie dell’acqua e nella stanza si confondevano i profumi del bagnoschiuma e del pout-pourri. Sanae aveva trovato delle candele e le aveva accese per creare un’ulteriore atmosfera rilassante. Yoshiko era già immersa nell’acqua calda e la sua amica la raggiunse poco dopo, sfilandosi l’asciugamano di dosso. Mentre giocava con le bolle la voce inquisitoria di Fujisawa le fece sparire il sorriso dal volto.

- Che succede tra te e Cody?-

Sanae si rabbuiò, infastidita da quella domanda.

- Non succede proprio niente.- rispose stizzita.

- Ah sì? Non mi pare dagli sguardi che vi scambiavate oggi.-

La ragazza si voltò completamente nella sua direzione e si avvicinò per essere faccia a faccia con la sua amica.

- Faccio qualcosa di sbagliato se mi godo il corteggiamento di un bel ragazzo?- il suo viso aveva un’espressione quasi addolorata.

Yoshiko si rese subito conto che la situazione in cui era la sua amica non era delle più semplici: in Giappone c’era un ragazzo per cui aveva perso la testa, ma che non aveva mai dato il minimo segno di tenere a lei o almeno non in quel senso; lì c’era Cody, un ragazzo molto carino che la stava ricoprendo di attenzioni, anche se lui non era proprio il tipo da fare le cose sul serio. Sanae non aveva niente da rimproverarsi, non aveva nessuno a cui dover rispondere, lei era libera di fare quello che voleva.

- Scusami.- rispose contrita.

- Ma una cosa voglio dirtela: Cody non è un bravo ragazzo, non con le donne almeno. Le prende e le lascia come fossero oggetti, le vede alla stregua di una bella macchina o di una camicia firmata, all’inizio si appassiona, poi dopo poco si stanca.-

- Questo lo so.- le rispose spiazzandola.

- Ma non credo che sia talmente meschino da forzarmi a fare cose che non voglio.-

Annuì e si rilassò, parlare con sincerità era stata la scelta migliore, per entrambe.

 

 

I ragazzi erano pronti e le aspettavano all’ingresso per andare alla baracchina in spiaggia dove si teneva il solito festino con musiche caraibiche. Chris e Cody si scambiarono uno sguardo eloquente quando le videro scendere le scale fasciate dai vestitini da sera che indossavano.

Il ragazzo offrì il braccio a Sanae che con un sorriso accettò volentieri l’invito, mentre Chris fu preceduto da Hachiro, che prese per le spalle la cugina, squadrandolo pure in cagnesco. Hachiro Fujisawa non era un cretino, aveva capito che il suo migliore amico aveva ripreso gli antichi propositi e non gli avrebbe lasciato il campo libero, non gli avrebbe permesso di fare qualcosa che potesse far soffrire la sua preziosa cuginetta. Il ragazzo rimase un po’ deluso e seguì Jamal che con un cenno del capo lo invitava a raggiungere gli altri.

Cody lanciò la chiave della Porsche ad Hachiro, che con stupore gli chiese se si fidasse a fargliela guidare.

- Non posso guidarle entrambe.- sorrise alzando le spalle, poi si voltò e porse la mano a Sanae per aiutarla a salire nel basso abitacolo della Lamborghini. La ragazza si guardò attorno, osservando i particolari del cruscotto, fino ad arrivare al volante con al centro lo stemma del toro pronto ad incornare[3], Cody si sedette al suo posto e le fece l’occhiolino, suscitandole un sorriso alquanto civettuolo. Sul sedile posteriore Jamal sospirò: mai come in quel momento si sentiva di troppo.

 

 

La musica era talmente coinvolgente che Sanae si scordò la propria timidezza e iniziò a muoversi, aiutata da Jamal, che da bravo ballerino qual era conosceva tutti i passi base dei principali balli latinoamericani. Yoshiko si limitava a muoversi a tempo, scatenandosi con il cugino nell’imitazione di Uma Thurman e John Travolta in Pulp Fiction, provocando l’ilarità dei presenti. Cody stava a guardarli spalle allo steccato che delimitava la pista da ballo, mentre Christopher era girato dalla parte opposta con i gomiti posati sulla balaustra di legno intento a fissare le onde.

- Ehi, che faccia da funerale.-

- Fottiti! La colpa è anche tua. Potevi evitare di coinvolgermi nelle tue manovre.- rispose seccato.

- Potresti provare a parlarle.- gli suggerì.

- Secondo te Hachi me lo lascerebbe fare? Lo conosci, è il solito cazzone, ma toccagli suo fratello o sua cugina e sei fregato.-

Cody vuotò la bottiglia di birra[4] e la posò sullo steccato, poi si infilò tra la gente che ballava e chiese a Sanae se gli andava di fare una passeggiata. La ragazza rivolse uno sguardo a Yoshiko come alla ricerca di un pretesto per rifiutare, ma in quel momento qualcosa nel suo cervello fece scattare una molla quando, oltre le spalle della sua amica, vide una ragazza che portava dei braccialetti brasiliani come quelli che Kumi aveva regalato a Tsubasa. Lasciandosi prendere per mano lo seguì lungo la spiaggia lontano dalla confusione.

Yoshiko li seguì con lo sguardo, finchè la sua attenzione non fu catturata da Christopher che ora stava di tre quarti in modo da riuscire a vederla. Lei gli sorrise e lui alzò la mano per salutarla, poi vide che gli chiedeva di andare in pista, ma scosse la testa. A quel punto fu lei ad avvicinarsi, anche per riprendere fiato.

Sotto la luce del riflettore, i suoi occhi e la sua pelle sudata per il movimento brillavano come fossero di cristallo. Chris le sorrise malinconico, cosciente che lei non poteva sapere cosa avrebbe dato in quel momento solo per poterla abbracciare. Rivolse nuovamente lo sguardo al mare, ma sentì una mano calda posarsi sul suo braccio.

- Chris, qualcosa non va?- chiese sinceramente preoccupata.

Il ragazzo riflettè qualche istante, poi decise di chiederle di seguirlo per poter parlare con calma. Hachiro era immobile in mezzo alla pista con le mani occupate dalle birre che aveva comprato per sè e Jamal, ma quest’ultimo lo bloccò quando fece per mettersi tra i due.

- Lascia che se la sbrighino da soli, sono grandi abbastanza.-

 

Sanae e Cody intanto erano seduti sulla sabbia ancora calda e stavano rimirando il riflesso della luna sulle onde, non avevano parlato granchè fino a quel momento. Lei era in evidente imbarazzo, mentre lui aspettava tranquillo il momento giusto per per fare ciò che si era messo in testa. La ragazza sospirò per sciogliere l’agitazione attirando uno sguardo incuriosito del ragazzo.

- Come vi siete conosciuti tu e gli altri?- chiese sorridendogli.

Cody si sdraiò sulla sabbia con le mani incrociate dietro la nuca.

- Christopher è figlio della colf di mia madre, è stato lui a presentarmi gli altri.-

Sanae annuì, avrebbe voluto chiedergli di più, ma non voleva sembrare indiscreta. Lui si voltò con il gomito poggiato a terra e rise.

- Ti starai chiedendo come fa un ragazzino ricco e viziato a essere amico loro, vero?-

La ragazza arrossì colta in fallo, ma voltandosi per chiedere scusa, vide che lui le stava sorridendo dolcemente.

- E’ perchè loro non approfittano mai della mia amicizia. Sono diversi da tutti quei leccapiedi che si fingono miei amici per usufruire dei privilegi concessi dai soldi di papà.-

Quelle parole servirono a farle vedere quel ragazzo sotto un’altra luce: in realtà, era un ragazzino viziato e per lui le donne erano delle bamboline con cui giocare un po’ e poi relegarle in cantina, ma quante di loro si erano avvicinate a lui disinteressatamente?

Non si mosse quando sentì la sua mano che le sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le accarezzava il viso, nemmeno quando il suo volto si fece sempre più vicino per posare le labbra sulle sue.

 

Chris camminava con le mani in tasca, lasciando un po’ indietro Yoshiko. La ragazza, stufa di rincorrerlo, gli chiese di rallentare, ma lui si voltò di scatto e si parò di fronte a lei.

- Yoshiko, io voglio stare con te.-

Non si sarebbe mai aspettata una dichiarazione simile, erano d’accordo che sarebbero rimasti amici, perchè lei aveva già qualcuno.

- Chris, sai bene che io non posso darti quello che vuoi, c’è già un altro e non è un mistero che io non veda l’ora di tornare in Giappone da lui.-

Il ragazzo non aveva alternative, sicuramente non avrebbe tirato fuori la possibilità che la fiducia in quel lontano ragazzo fosse mal riposta, altrimenti si sarebbe giocato pure la sua amicizia, anche se in quel momento gli sembrò l’unico appiglio valido, ma si interruppe ancor prima di proferire parola con uno sbuffo rassegnato.

- Come un idiota volevo metterti in testa il dubbio che lui forse non ti è fedele come lo sei tu in questo momento...Ma non credo che sia quel tipo di persona, se lo hai scelto deve essere un tipo in gamba e se è così, sa bene che vale la pena aspettarti, eh, Yoshi-chan?- disse con voce tremante e gli occhi un po’ lucidi per la tristezza.

La ragazza sentì le lacrime pizzicarle gli occhi e mai come in quel momento avvertì la mancanza di Hikaru. Dispiaciuta si precipitò ad abbracciarlo e tra le lacrime continuò a ripetere quanto le dispiacesse.

- Dispiace anche a me.- bisbigliò al suo orecchio, mentre una lacrima prepotente scendeva lungo la sua guancia.

 

 

Tsubasa si sfilò la maglia e si passò la mano sul petto caldo: quel giorno era andato ad allenarsi ed era rimasto tutto il pomeriggio sul campo deserto a torso nudo, rimediando un principio di scottatura. Infilò i pantaloncini e la canotta e si stese sul letto. Il suo sguardo passò dai poster e gagliardetti che tappezzavano le pareti al calendario che stava proprio di fronte a lui. Sforzò la vista per distinguere il numero del giorno appena passato e alzando le mani contò sulle dita.

- Quindici giorni.- sospirò.

 

 

 

Sì sì, bravo Tsucoso sospira che intanto dall’altra parte del mondo sta succedendo il finimondo (ok, forse esagerato). Lo so che qualcuna di voi mi sta odiando…sono pronta a ricevere i vostri improperi. XD

Grazie a tutti per le vostre parole e per il tempo che dedicate alla mia fanfiction.

 



[1] Circa 9.883.572,54 euro.

[2] Cody e Hachiro hanno 16 anni, età sufficiente negli USA per ottenere la patente di guida

[3] Stemma della Lamborghini

 

[4] La questione sul consumo di alcolici in USA è controversa e ogni stato ha le sue leggi e un’infinità di eccezioni.

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Capitolo 6
*** Tadaima ***


Il libro di inglese aveva l’angolo destro completamente accartocciato, dato che da una settimana il suo proprietario sfogava la frustrazione sulla carta, su tutti i fogli che aveva sottomano. Lo sguardo buttato ogni tanto sull’unico banco vuoto alla sua sinistra, Tsubasa stava mollemente aspettando che il professore facesse il suo ingresso in classe per iniziare la lezione. L’insegnante entrò poco dopo e, salutato dagli alunni, aprì il registro per iniziare l’appello. Arrivato alla lettera N, anzichè saltare il nome che il ragazzo attendeva con attenzione, il prof lo chiamò e non ottenendo risposta alzò lo sguardo.

- Qualcuno sa dirmi dov’è Nakazawa-san?-

Un mormorio si elevò tra i banchi: la scuola era iniziata da una settimana e nessuno aveva visto Sanae, alcuni pensavano si fosse ritirata dato che i professori non la chiamavano nemmeno durante gli appelli.

- I suoi genitori ci hanno avvisati che sarebbe stata assente la prima settimana, ma oggi doveva essere qui se il professor Takeda non ha capito male.-

Un rumore di passi in corridoio ammutolì i presenti e la porta scorrevole si aprì di colpo.

- Nakazawa presente, professore, scusi il ritardo.- disse intervallando le parole col fiatone.

Tsubasa rimase a bocca aperta, le gote rosse per la corsa l’avevano resa proprio deliziosa, per non parlare dei capelli.

- Nakazawa...- li indicò il docente.

Sanae prese in mano le trecce afro che si era fatta fare da una giamaicana nel Queens e si giustificò.

- Ho chiesto al capo insegnanti, mi ha detto che sono al limite del regolamento ma accettabili, ho una dichiarazione firmata da lui.-

Il professore scosse la mano, poi si schiarì la voce.

- No, mi fido, è che sarebbe opportuno che li legassi con un nastro. Per il banco, mettiti pure di fianco a Ozora.-

Obbedendo al professore si accomodò al suo posto e sfilò un nastro rosso dalla sua cartella con cui legò le treccine. Scostandosi i capelli dalla spalla rivolse lo sguardo a Tsubasa che la stava guardando e gli sorrise, poi ammiccò in direzione di Yukari e Morisaki che stavano accanto alle vetrate. La lezione finalmente iniziò e il professore diede indicazioni a quale pagina aprire il libro.

- Visto che sei arrivata in ritardo e a quanto pare ti sei fatta un bel soggiorno negli States, che ne dici di leggere e tradurre tutta pagina trentadue, Nakazawa-san?-

Sanae non si scompose e tenendo il libro tra le mani si alzò in piedi.

Il suo compagno di banco cercava di seguire le righe, che venivano lette con un’ottima pronuncia, ma ogni tanto sbirciava il profilo abbronzato della ragazza stupendosi come se la vedesse solo in quel momento per la prima volta. Terminato il compito lei si risedette e il professore partì con le domande prendendo persone a caso. Tsubasa si chinò sul banco cercando di rendersi quasi invisibile, ma nemmeno lui sfuggì all’interrogazione. Aveva compreso la domanda, ma non aveva idea di come impostare la risposta e come sempre aspettava che il suo angelo custode si occupasse di lui, però il suggerimento sperato non arrivò e il professore lo fece sedere ammonendolo. D’istinto si voltò verso Sanae, che stava con lo sguardo fisso sulle pagine del libro e nuovamente sentì l’amaro sapore della delusione. Non poteva sapere che la ragazza si era concentrata per non obbedire all’impulso di mostrarsi servizievole con lui e dargli il tanto sospirato suggerimento.

Durante la ricreazione i ragazzi del club di calcio passarono a trovarla.

- Ehi Anego, ti sei fatta una bella vacanza, eh? - Ishizaki sorrideva a trentadue denti.

- Pensavamo non tornassi più indietro.- incalzò Kisugi.

- Ammetto che sono stata tentata.- sorrise agli amici che le facevano un sacco di domande.

L’unico che non si sentiva partecipe era Tsubasa, che dopo aver udito quella frase si era rabbuiato. La ragazza sembrava persa in un altro mondo, un luogo dove i suoi amici riuscivano a entrare senza problemi, mentre lui non ne trovava l’accesso. Non era Sanae a impedirglielo, anche se in più di un occasione gli sembrava cambiata. Probabilmente era il suo aspetto che gli dava questa idea, quindi si limitò ad ascoltare le risposte che dava ai suoi compagni senza intervenire.

- Dicci la verità, Anego, hai avuto qualche avventuretta estiva?- chiese maliziosamente Ishizaki.

Quella domanda allertò ogni cellula del corpo di Tsubasa.

- Non te lo dirò MAI.- rispose lei mostrandogli la lingua, per poi scoppiare a ridere assieme agli altri.

Tsubasa non si sentiva a suo agio, gli sembrava di avere di fronte un’estranea.

- Ehi, capitano. Tutto a posto?- chiese Sanae accompagnando la domanda con un sorriso.

Finalmente la rivedeva, quell’espressione così dolce, quella che le faceva comparire le fossette ai lati della bocca e che rendeva più armoniosa la forma delle sue labbra, quella che faceva brillare il caldo dei suoi occhi castani, quella che, aveva difficoltà ad ammetterlo, gli era mancata.

 

Durante la pausa pranzo, Sanae estrasse il cellulare dalla cartella e lo accese, poi raggiunse gli altri per andare assieme alla mensa. Tsubasa si affiancò a lei, sguardo basso come un colpevole, ma non proferì parola, incerto su cosa dire alla sua prima manager.

- Sanae...-

La ragazza si voltò nella sua direzione.

- Ecco...- prese a balbettare, ma un suono lo disturbò.

Lei rispose alla chiamata e un sorriso le illuminò il viso quando salutò la persona dall’altra parte con un “hello” quasi cantato.

- Tsubasa, non credo di aver tempo di venire a pranzare con voi. Potresti dirlo tu agli altri?-

La vide correre verso le scale per la terrazza, poi come un cane bastonato si diresse alla mensa dove gli altri erano già lì ad attenderlo.

- Ehi, capitano, ma Sanae-chan?- chiese Izawa.

- Al telefono. Dice che non ci raggiungerà per il pranzo.- borbottò.

Un coro di esclamazioni si levò dai suoi amici che a turno iniziarono a fare congetture sul probabile interlocutore.

- Ah, ve lo dico io, Sanae ha conosciuto qualcuno a New York.- chiosò Kisugi.

- Può essere, del resto è una ragazza carina.- aggiunse Morisaki.

I compagni annuirono tra di loro.

- Poi i capelli così le stanno benissimo. Non pensi anche tu, capitano?- domandò Izawa, cercando di coinvolgere il loro taciturno amico.

Tsubasa era troppo intento a massacrare un pezzo di tamago yaki[1] con le bacchette da quando aveva sentito l’ipotesi di Kisugi. Perchè gli dava tanto fastidio anche solo pensare a qualcuno accanto a Sanae? Chi era lui per sentirsi così irritato?

- Ehi, Tsubasa, ci sei?- Yukari gli scosse una mano di fronte.

- Scusate, ragazzi, ‘sta roba fa schifo. Me ne torno in classe.- e detto questo si alzò per andare a posare il vassoio e uscire, ma durante il tragitto fu intercettato da Kumi, che con la solita insistenza lo arpionò per il braccio.

- Ti va di accompagnarmi in terrazza?-

Stava quasi per rifiutare, quando gli venne in mente chi avrebbe incontrato assecondandola.

Sanae, intenta a parlare, appoggiata con i gomiti alla ringhiera, nemmeno sentì la porta alle sue spalle aprirsi. Una voce fastidiosa richiamò la sua attenzione e il suo sguardo incontrò quello di Kumi e Tsubasa.

 

Bene, vedo che non hai perso tempo.

 

Si rigirò tentando di dominarsi e continuò la sua conversazione, simulando un’indifferenza da guinnes dei primati. Il ragazzo stava di spalle alla ringhiera in modo da porterla avere nel proprio campo visivo, mentre la kohai non faceva altro che squittire sulla bellezza del panorama, neanche fosse la prima volta che lo vedeva. A un tratto si voltò verso il suo interlocutore, ma vide che lui era distratto e focalizzato su qualcos’altro, o meglio, su qualcun altro. Kumi si sentì un po’ offesa e con una scusa banale si congedò, ma vedendo la reazione distratta di Tsubasa si irritò ancora di più.

Sanae ora rideva, scherzava, come non aveva mai fatto con lui. Sembrava felice: era mai stata così in sua compagnia?

Finalmente, la vide chiudere quel dannato aggeggio e voltarsi. Lei rimase spiazzata vedendolo da solo.

- Sei solo? E Kumi?-

Scrollò le spalle quasi a significare che non era importante.

- Sanae, lei mi si è appiccicata addosso...sai com’è fatta...-

- Perchè mi dai spiegazioni?- chiese ostentando una reale curiosità.

- Ecco...-

 

Bravo, adesso cosa m’invento?

 

Le scappò una risata per la sua goffaggine.

- Tra poco rinizia la lezione.- disse, superandolo, e con un tocco sistemò meglio i capelli sulla sua schiena facendo tintinnare le perline che legavano le estremità delle trecce.

- Sanae...- lei si voltò e attese.

- Oggi ci sei al club, vero?- quella domanda suonò più come una preghiera.

Un sorriso le si allargò sul volto.

- Ma certo.- rispose spostando la testa di lato in maniera sbarazzina.

Almeno una delle sue certezze non era venuta a mancare.

 

Il pomeriggio era ancora troppo caldo e i ragazzi chiedevano costantemente pause per andarsi a rinfrescare, l’unico che resisteva e non si allontanava mai dal campo era proprio Tsubasa che continuava a provare i suoi tiri contro la rete sguarnita. Ogni tanto i suoi occhi cercavano la figura a bordo campo, che aveva sostituito la solita tuta con un paio di pantajazz rossi e una canottiera bianca con la scritta “I love NY”, indumenti che esaltavano decisamente le forme prossime alla maturazione della ragazza.

La cesta dei palloni stava iniziando a svuotarsi e Sanae se n’era accorta da molto ma, decisa a continuare con il suo atteggiamento distaccato, fece finta di non rendersene conto. Il mister notò che il ragazzo si era accorto di aver esaurito la scorta e guardava le manager grattandosi la nuca, come se questo bastasse ad attirare la loro attenzione e, per la prima volta in tre anni, dovette far notare alle ragazze che il loro aiuto era richiesto.

- Ah, sì. Kumi vai ad aiutare Tsubasa.- borbottò scocciata la prima manager.

Quel tono di voce urtò parecchio il ragazzo che si voltò a guardarla mentre gli dava le spalle, impegnata a piegare gli asciugamani puliti da portare negli spogliatoi.

 

Non mi ha neanche chiamato “capitano”.

 

Vide la Nishimoto avvicinarsi a lei per dirle qualcosa e notò che scrollava le spalle, come se qualunque cosa le avesse detto non la riguardasse. La kohai si era riempita le mani di palloni che rischiavano di sfuggirle dalla presa da un momento all’altro e Tsubasa dovette darle una mano per evitare che le sfere rotolassero da ogni lato. Diede un ultimo sguardo al bordo campo, ma vide che se n’era andata dentro gli spogliatoi a posare la pila di asciugamani aiutata da Yukari.

- Sanae-chan, scusa se te lo chiedo? Hai conosciuto qualche ragazzo in America?-

La ragazza sbuffò: a Yukari non avrebbe potuto mentire, non sarebbe stato giusto dato che si era dimostrata sempre tanto comprensiva e disponibile con lei.

- Più o meno.-

La sua amica allargò gli occhi per lo stupore.

- Che significa “più o meno”?-

- Nel senso che ho incontrato un ragazzo, ma non ne voglio parlare.- cercò di chiudere l’argomento. Spiegare la situazione a Yukari sarebbe stato complicato e se lei era davvero sua amica non l’avrebbe forzata a parlarne, ma si sentì una persona pessima quando ne vide l’espressione mortificata.

- Mi spiace, Yukari-chan. Sei una cara amica, lo sai, ma la situazione è un po’ ingarbugliata.-

- Nel senso che lui è là e tu qui?- chiese.

- No, è un discorso lungo e complicato.-

 

Ti prego, non chiedermi altro Yukari.

 

La ragazza sospirò, poi sorrise.

- Quando sarai pronta me ne parlerai.-

La risposta di Sanae fu un abbraccio di gratitudine.

 

Gli allenamenti erano finiti e Sanae rispedì a casa Yukari e Kumi, spiegando che siccome la prima settimana era stata assente lasciando loro tutte le incombenze, voleva sdebitarsi finendo di riordinare da sola. Aveva anche bisogno di un po’ di solitudine per riappropriarsi di tutte le piccole cose che la legavano a quel club.

Aveva finito di stendere le magliette a cui aveva fatto fare un bel giro in lavatrice, poi aveva cominciato a pulire i palloni con un panno. Il sole stava scendendo lentamente e la temperatura era piacevolmente mite: nel campo deserto si respirava un’aria di pace e, avvertendo un brivido sulle spalle scoperte, Sanae slegò il nastro per sciogliere i capelli che le coprirono così la pelle nuda. Le perline le solleticavano la schiena, proprio lì dove la pelle rimaneva scoperta tra la canottiera e i pantaloni, ma a lei piaceva sentire i suoi capelli, che di solito tagliava corti in nome di una decantata comodità, così lunghi: merito delle extention che le aveva applicato Maylea, la simpatica ragazza che aveva pazientemente intrecciato le sue ciocche, talmente lisce e scivolose, per un intero pomeriggio. Quel viaggio oltreoceano era stato un toccasana per lei: aveva scoperto una parte di sè che non aveva mostrato mai nemmeno a se stessa, forse per paura, quella che l’aveva spinta a chiudersi in abiti maschili da bambina e che le faceva ostentare una grinta solo apparente per difendersi. Grazie a Yoshiko e alle attenzioni di Cody aveva scoperto il suo lato femminile, quello che voleva disperatamente far emergere, imprigionato dalla paura di non piacere a Tsubasa.

Pensò a come si era svolta la giornata e si potè ritenere soddisfatta del suo comportamento che finalmente si stava allontanando dallo zerbino che si era ridotta ad essere e, cosa migliore in assoluto, Tsubasa sembrava essersi accorto del cambiamento. Sorrise tra sè ignara della presenza alle sue spalle e, infilando l’ultimo pallone nella cesta, scostò la massa di trecce che era scivolata in avanti quando si era chinata per prendere lo strofinaccio. Il rumore di una frustata con conseguente grido di dolore la fece voltare di scatto con gli occhi sbarrati.

Di fronte a lei stava Tsubasa che, dolorante, si teneva il braccio colpito dai suoi capelli. Imbarazzata andò a toccarlo proprio lì dove erano evidenti i segni lasciati dalle perline.

- Scusami davvero, non pensavo fossi dietro di me. Mi spiace, ti fa male?- chiese mortificata.

Tsubasa le sorrise e le assicurò che stava benissimo. Lei alzò lo sguardo dal bicipite che si stava arrossando e incontrò gli occhi scuri del ragazzo che la stava fissando. La vicinanza e l’espressione dei suoi occhi che le parve così dolce stavano mandando all’aria i suoi buoni propositi, ma dentro di sè prevalse l’orgoglio che le impedì di arrossire o iniziare a innervosirsi.

- Uff, dovrei pensare di farle sciogliere.- si portò l’estremità imperlata di una treccia davanti agli occhi.

- Ti stanno benissimo.-

 

Ho sentito bene? Quello era un complimento? Non fare la scema e non andare in visibilio, Cody ti ha sommersa di complimenti molto più elaborati di questo.

 

Dentro la sua testa angeli e demoni svolgevano una battaglia oratoria, ma i buoni propositi ebbero la meglio.

- Sei gentile, ma tenerle troppo a lungo mi rovinerebbe i capelli.- spinse via il cesto per andarlo a sistemare nel magazzino.

- Ti posso aiutare?- chiese lui.

- Mmm, no ho finito, chiudo qui, mi cambio e me ne vado.- spiegò.

- Ti aspetto così ti accompagno.-

 

Io e lui da soli sulla strada di casa...no, scordatelo Sanae, non ci devi cascare!

 

- No, vai pure, tanto non vado a casa.-

- No?-

- I miei genitori avevano voglia di una serata alternativa e hanno prenotato al ristorante. Adesso telefono a mio padre per dirgli di venirmi a prendere.-

 

Ottima scusa, Sanae, speriamo che non ti chieda di aspettare il suo arrivo con te...

 

Il ragazzo rimase un po’ male, sperava di poter fare due chiacchiere una buona volta dato che in tutta la giornata, tra impegni e telefonate e i suoi compagni che avevano tenuto banco, non aveva potuto parlare con lei.

- Sarà per un’altra volta.- si sforzò di sorridere.

Si congedò e la lasciò andare a cambiarsi. La ragazza si chiuse alle spalle la porta dello spogliatoio e sbuffò, poi sorrise al proprio riflesso nello specchio.

- Sei proprio una pessima bugiarda, Sanae.-

 

 

 

Muahahahahahah, ebbene Sanae è tornata, ma il povero Tsubasa ci capisce ancor meno di prima: acconciatura nuova, un misterioso interlocutore telefonico e il suo essere così distaccata. Cosa sarà successo negli USA?

Per saperlo…alle prossime puntate!

Ringrazio i lettori e soprattutto chi lascia un commento facendomi sapere cosa pensa di questa storia. Alla prossima. ;) PS: Tadaima, il titolo del capitolo è un'espressione giapponese che si usa quando si rientra a casa. Di solito chi entra dice "Tadaima" e chi accoglie in casa risponde "Okaeri".



[1] Rotolo di frittata

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Capitolo 7
*** Piume di pavone ***


Tsubasa non era fatto per la vita mondana, preso com’era dall’unica passione della sua vita, ma aveva pensato che quell’anno, l’ultimo che avrebbe passato con i suoi amici, fosse il giusto periodo per prendersi qualche momento di svago, dato che in futuro raramente ne avrebbe avuto ancora occasione. Sua madre gli aveva stirato la camicia bianca e gliel’aveva posta sull’appendiabiti, mentre lui era impegnato a cercare una cintura per i suoi jeans neri.

Finì di vestirsi e poi scese a dare un’occhiata all’orologio da parete per sincerarsi di non essere in ritardo: decisamente no, anzi, si era preparato anche troppo presto. Sarebbe uscito comunque, magari avrebbe trovato già qualcuno nel locale, anzi , sperava di trovarvi una persona in particolare.

Sanae era ormai l’ombra della ragazza che ricordava: non aveva perso la dolcezza né il suo caldo sorriso, ma la sentiva distante, come se ogni giorno che passava stesse posando un mattone sul muro che si innalzava tra loro due. Spesso la cercava a bordo campo, ma lei gli dava le spalle oppure era impegnata a parlare sempre con quel “qualcuno” al cellulare. Oltre al fatto che Sanae aveva conosciuto qualcuno a Yukari aveva scucito poche altre informazioni, dato che la ragazza aveva candidamente confessato di non sapere altro e non era riuscita a capire in che rapporti erano. Sicuramente ottimi, dato che questo gaijin[1] le telefonava frequentemente tenendola per parecchi minuti impegnata in conversazione. Sentirla ridere, quando era al telefono con l’altro gli dava sui nervi e lo sapeva bene Morisaki che era costretto a prendersi le sue bordate incazzose oppure Ishizaki e Takasugi che si erano beccati gomitate o tacchetti nelle gambe nelle simulazioni di partita.

Si rendeva conto, però, che il suo atteggiamento non aveva senso: mostrare gelosia nei confronti di un’amica era una cosa infantile. Il problema era che non sapeva più dire se per lui Sanae era soltanto una compagna di scuola dolce e carina oppure qualcosa di più, era complicato. Fino alla scorsa primavera per lui esisteva solo il suo amatissimo sport; poi, tornato a scuola, si era ritrovato di fronte la sua manager che all’improvviso era diventata il suo angelo custode: lo aiutava nello studio, gli dava i suggerimenti in classe, era la prima a correre per passargli i palloni dalla cesta o porgergli l’asciugamano. Quelle attenzioni all’inizio lo avevano piacevolmente colpito, poi le aveva considerate come il comportamento di una sorella maggiore. Ebbene sì, doveva ammetterlo, al di fuori del calcio, aveva bisogno della baby-sitter per tante cose e chi meglio della “sorellona”[2] poteva esserlo? Non si era reso conto di quanto fossero atteggiamenti importanti finché non ne fu privato da un momento all’altro e, dopo un’estate in cui il suo angelo custode era volato lontano, si era ritrovato faccia a faccia con una Yuki-onna[3]. Probabilmente l’incontro con l’altro c’entrava in questo suo cambiamento, però, che lei avesse cambiato atteggiamento con lui poteva significare che quelle attenzioni che gli riservava non erano disinteressate come credeva?

Preso dai pensieri si ritrovò di fronte al locale concordato con gli altri: dal vetro vide una figura femminile e per un attimo ci sperò, ma quando la ragazza si voltò e avvistandolo lo salutò, dovette constatare che, purtroppo, si trattava di Kumi. Appena entrò lei gli si appiccicò come sempre e Tsubasa si perse nuovamente nelle sue considerazioni, confrontando i modi un po’ sfacciati di Kumi con quelli discreti di Sanae. Possibile che lei desiderasse quel tipo di attenzioni e che lui non se ne fosse mai reso conto? Probabile: quando stavano insieme, doveva ammetterlo, era solo lui a parlare e sempre, guarda il caso, di calcio.

Le porte del locale si spalancarono e quasi tutti i compagni di squadra fecero il loro ingresso: mancavano Ishizaki e Izawa, i ritardatari, che si presentarono una decina di minuti dopo.

 

Lei dov’è?

 

- Sanae-chan ultimamente è sempre in ritardo.- sbuffò Yukari.

- Avrà anche i fatti suoi di cui occuparsi, non possiamo mica essere sempre il centro dei suoi pensieri.- fece notare Morisaki.

Una frase buttata a caso, tristemente vera, che aveva il potere di far diventare il suo umore nero come i suoi occhi che fissavano insistentemente la porta del locale, sperando di vederla comparire da un momento all’altro. Izawa estrasse il suo cellulare e scorse la rubrica.

- La chiamo e le dico che intanto ci sediamo, non possiamo rimanere in piedi ad aspettarla.-

Izawa fece partire la chiamata, ma poco dopo scosse la testa e avvertì che il telefono era occupato.

- Starà parlando col suo boyfriend transoceanico.- aggiunse maliziosa Kumi, provocando degli sguardi al vetriolo da parte di Ishizaki, Yukari e dallo stesso Tsubasa che in quel momento l’avrebbe decapitata volentieri.

 

I ragazzi avevano appena congedato la cameriera avvertendola che stavano ancora aspettando una persona. Yukari si rigirava nervosamente una ciocca tra le dita: Sanae era diventata strana dopo quel viaggio e si sentiva come se stesse perdendo la sua migliore amica.

- Yukari, ma ha detto per caso che non aveva voglia di venire?- chiese Kisugi.

La ragazza non sapeva che rispondere: una volta riusciva a capire di più la prima manager, ma adesso c’erano momenti in cui le sembrava un’estranea.

Tsubasa si stava agitando di minuto in minuto, lo avvertiva Yukari che lui aveva preteso di avere al fianco, in modo che gli evitasse la scomoda vicinanza di Kumi, perché sotto il tavolo continuava a dondolare le gambe come se lo avesse morso una tarantola. Quel movimento molesto si arrestò di colpo quando una figura superò l’arco che divideva la sala in cui si erano accomodati dall’ingresso. Un sorriso radioso fu la scossa che agitò il suo cuore.

- Sanae…- gli uscì un soffio leggero.

- Scusate il ritardo.- fece un inchino ai suoi amici.

- Ehilà, manager, che eleganza!- fischiò Izawa.

- E’ vero, Sanae, che bel vestito che hai.- si complimentò Yukari.

La ragazza sorrise mentre le sue guance si velarono di un leggero rossore, perché tra gli sguardi ammirati aveva distinto quello di Tsubasa. Il ragazzo la salutò educatamente e si scansò per farle posto alla sua sinistra.

- Vicino al capitano? Oh, come sono fortunata.- ironizzò, lanciando uno sguardo eloquente a Kumi.

 

Mi spiace per te, ma stasera mi sento molto civetta. E’ il momento che sia tu a metterti in coda.

 

- Tutto a posto? Come mai questo ritardo?- chiese il ragazzo.

- Insomma, ci ho messo più tempo del solito a prepararmi…-

- Con un ottimo risultato.- le sorrise.

 

Oh, no, non smontarmi le intenzioni così…accidenti, poi stasera sei proprio carino. Ok, uno a zero, ma adesso ti dimostro come pareggio subito.

 

- Grazie…- sorrise a sua volta -…dicevo, poi sono stata un sacco di tempo al telefono.-

Tsubasa si sentì come se gli avessero dato un pugno nello stomaco, gli mancava solo l’accenno alle lunghe telefonate. Sanae prese un menù tra le mani e lui ne approfittò per sbirciare; notandolo, lei spostò verso il centro la carta ricca di pietanze stuzzicanti.

- Tu cosa prendi?- i loro visi erano talmente vicini che Tsubasa sentì il suo respiro sulla guancia e quel contatto bastò a farlo arrossire come il solito imbranato che era. Sanae posò il mento sulla mano e iniziò a indicare le voci del menù che avevano attirato maggiormente la sua attenzione.

- Questo sembra buono.- gli suggerì picchiettando sul foglio.- Però anche questo. Come faccio a decidere?-

- Che ne dici se io prendo una cosa e tu l’altra, poi dividiamo?- suggerì Tsubasa.

Sanae annuì soddisfatta e lui passò il menù a Taki che lo reclamava, poi continuò a conversare con la sua deliziosa vicina, che quella sera sembrava più ben disposta nei suoi confronti. Kumi fissava quel loro conversare, scambiarsi sorrisi o ridere per una battuta con i nervi a fior di pelle: il capitano non aveva mai fatto così con lei.

- Ehi, tortorelle, vi siete messi vicini per tubare meglio?- li interruppe la solita voce fastidiosa.

 

Ishizaki, quand’è che ti cuci quella cazzo di bocca? Tra te e Morisaki...!! Non mi mettere in imbarazzo proprio stasera che finalmente Sanae mi dà un po’ retta.

 

La ragazza si sporse oltre le sue spalle e fece una boccaccia all’amico.

- Parla pure, tanto a te non ti filano nemmeno le più disperate del primo anno.- lo canzonò, suscitando l’ilarità dei presenti.

Tsubasa era scoppiato a ridere, ma subito dopo aveva riflettuto sul fatto che Sanae non aveva negato come era solita fare, che tra loro ci fosse qualcosa. La guardò ridere e farsi i dispetti con il suo compagno di squadra che si era messo ad appallottolare i pezzi di tovagliolino e tirarglieli. Era così che la preferiva, vivace e sorridente, non quando stava con lo sguardo assente e distante chissà dove.

 

 

 

Com’era normale l’aria della sera stava progressivamente rinfrescando, dal momento che il giorno dopo sarebbe stato lo Shubūn no Hi[4]. Sanae infilò il coprispalla che aveva lo stesso colore rosato dei fiori stampati sul vestito comprato a New York, scelto per la serata. I ragazzi decisero di fermarsi vicino al ponte per ammirare lo spettacolo notturno della luce lunare e si avvicinarono al letto del fiume per sedersi sul manto erboso. Sanae rimase in piedi con la gonna leggermente mossa dal venticello che accarezzava l’acqua gorgogliante del fiume. Tsubasa si girò a guardarla e rimase come ipnotizzato dal suo profilo illuminato dalla luna e il corpo esile avvolto in quell’abito che si muoveva sinuoso, come se la ragazza fosse vestita di vento. A un tratto, però, la vide incrociare le braccia sul petto e frizionarsi le spalle con le mani. Probabilmente aveva sottovalutato il calo della temperatura della sera, amplificato evidentemente dall’umidità del fiume.

Una giacca di jeans si posò sulle sue spalle e voltandosi potè vedere l’espressione dolce che Tsubasa le stava regalando in quel momento. Le sue mani, calde, rimasero posate sulle sue spalle e iniziarono ad accarezzarla per darle un po’ di calore. Dei fischi divertiti si elevarono tra i compagni di squadra che assistendo alla scena non avevano saputo resistere all’impulso di mettere in imbarazzo il loro capitano, il quale, però, deciso a non farsi vincere dalla timidezza, rivolse uno sguardo di sufficienza ai suoi amici e fece notare che anche Nishimoto e Sugimoto avevano freddo.

- Non vorrete passare mica per dei cafoni?- insistette.

- A differenza del solito controbatte.- ringhiò Izawa, che toltosi la felpa la offrì a Kumi che la rifiutò con poca grazia. Lei avrebbe pagato per essere al posto di Sanae in quel momento.

 

 

 

Tsubasa, ormai immune alle prese in giro, aveva deciso di accompagnarla a casa, nonostante lei gli avesse detto più volte che non si doveva disturbare.

- Non ti faccio andare a casa da sola a quest’ora.- il tono usato non ammetteva repliche e non le restò che incamminarsi sotto lo sguardo torvo di Kumi e quello divertito degli altri.

Durante il tragitto, però, fu l’imbarazzo a farla da padrone. Nessuno dei due aveva idea su come iniziare un discorso, finchè non fu Tsubasa a rompere il silenzio.

- Domani che fai?-

Sanae scrollò le spalle.

- Probabilmente andremo a Yokohama alla tomba del nonno a pregare. Tu?-

- I miei nonni sono sepolti a Mitaka e la mamma non se la sente di andare fino là senza papà. Andrò al parco a correre e allenarmi.-

 

Figurati se mi diceva che sarebbe rimasto a casa a riposare o a fare dell’altro.

 

Arrivarono al cancello della casa dei Nakazawa, proprio mentre una figura familiare stava uscendo dall’abitazione a fianco.

- Scimmietta!- esclamò.

- Uffa, Tacchan, sei cattivo! Perchè mi chiami ancora così?- si lamentò, fingendo di essere profondamente offesa.

I due ragazzi si lanciarono in una conversazione sul perché il ragazzo si trovasse a casa dei suoi a quell’ora e tagliarono fuori Tsubasa, che rimase a guardarli mentre Tatsuya le faceva i complimenti sul vestito e le diceva che i capelli, ormai privi di trecce ed extension, ma comunque un po’ più lunghi, la rendevano più femminile. Sanae si ricordò all’improvviso della sua presenza e si scusò per la propria maleducazione.

- Tsubasa lui è...-

- Sì, ci conosciamo.- la interruppe scocciato.

- Ci siamo conosciuti in piscina.- puntualizzò Tatsuya.

Il ragazzo non ci teneva ad intrattenersi con lui, non si sentiva a suo agio con quel tipo.

- Buonanotte, Sanae, ci vediamo lunedì a scuola. Arrivederci, Tatsuya-san.- si congedò.

La ragazza rimase a guardarlo, compiaciuta di poter notare un po’ di gelosia in Tsubasa.

- Guarda che a forza di tirare le corde si spezzano, Sacchan.-

Lei si voltò, conscia di quello che stava insinuando.

- Non sai com’è il rapporto tra noi due, è giusto che stia un po’ sulle spine, dopo come ho passato la scorsa primavera.-

- No, non lo so, ma so cos’ha provato lui, quando io gli ho detto che eri andata via. Noi maschi saremo un po’ ingenui a volte, ma non siamo marionette da manovrare come fa comodo.- e detto questo si congedò.

Non si sarebbe mai aspettata che proprio Tatsuya le facesse la predica. Prendersi qualche rivincita era così sbagliato?

Entrò in casa e salì direttamente in camera per prepararsi per la notte. Mentre si coricava con la guancia sprofondata nel cuscino, nella sua testa c’era spazio solo per gli sguardi dolci di Tsubasa e il piacevole tepore delle sue mani sulle spalle.

 

 

 

 

Nel pomeriggio si sarebbero visti al club ma, non sapeva come, stava compilando il modulo di accesso alla biblioteca scolastica, tutto perchè Yukari gli aveva detto che Sanae studiava lì dopo le lezioni. Si fece strada tra gli scaffali per trovare un libro non troppo lungo e pensò che l’ultimo numero di World Soccer Digest[5] potesse andare, avrebbe reso più credibile la sua presenza lì dentro. Con fare circospetto cercò la ragazza tra i banchi, finchè non la trovò al tavolo accanto alla finestra, china sull’eserciziario di matematica. L’indomani avrebbero avuto una prova scritta sulle equazioni algebriche, ma Tsubasa ora era troppo impegnato a concentrarsi sui tratti del viso di Sanae che preoccuparsi delle eventuali conseguenze del suo scarso impegno nello studio.

Il viso di lei era intinto dei raggi del sole che filtravano dall’ampia finestra e i suoi capelli corvini ricadevano sulle spalle a parte le ciocche del ciuffo, troppo lunghe, che erano tenute ferme da mollettine color fragola. Tatsuya aveva ragione, era più femminile con i capelli più lunghi, anche se, a dire la verità, l’aveva sempre trovata carina, anche quando si vestiva come un maschiaccio con il gakuran[6]. Non sapeva dire perché aveva bisogno di rimanere lì e guardarla, nel silenzio della biblioteca, senza alcun seccatore che lo canzonasse o altre occupazioni che lo distraessero. Forse era così che ci si sentiva? Bastava poterla guardare per sentirsi appagato?

A un tratto lo sguardo della ragazza si alzò a incontrare il suo, che imbarazzato si nascose dietro la rivista, ma notò che lei stava soffocando una risata. Si accorse subito di cosa l’aveva divertita, quando vide che i kanji erano rovesciati: stava tenendo la rivista al contrario.

 

Epic fail, Tsubasa! Adesso penserà che la stavi fissando come un maniaco.

 

Sanae era incerta sul cosa fare, anche se l’idea di rimanere lì a fare mostra di sé come un pavone che fa la ruota non le sembrava poi tanto malvagia. Aveva aspettato parecchio perché il ragazzo sacrificasse un po’ del suo tempo per lei e, sicuramente, che lui ora fosse lì a rimirarla quasi fosse un opera d’arte superava ogni sua più rosea aspettativa. Avrebbe atteso ancora un po’, poi gli avrebbe chiesto se aveva bisogno di una mano per il compito in classe di domani. Dopotutto, poteva permettersi un po’ di flessibilità dati gli ultimi risultati che aveva ottenuto. Purtroppo per Tsubasa, però, qualcosa, anzi qualcuno, arrivò a guastare ogni proposito.

- Ciao, Nakazawa-san.-

Sanae alzò gli occhi dal libro e sorrise timidamente al ragazzo che aveva di fronte.

- Buongiorno, Yoshizumi-san.-

Dal tavolo di fronte Tsubasa stava già spiegazzando le pagine della rivista, ansioso di sapere cosa volesse il capoclasse della 3ªF da Sanae.

- Puoi smettere un attimo? Vorrei offrirti un caffè.- le chiese in tono gentile, provocandole un leggero imbarazzo.

 

No, che non può. No, no, NO!

 

La ragazza tirò in avanti le braccia per sgranchire le spalle e sorridendo si alzò in piedi.

- Ti ringrazio, in effetti un caffè è quello che ci vuole.-

Yoshizumi fece strada e Sanae passò davanti a Tsubasa che stava riducendo quella povera rivista a un ammasso accartocciato e non riuscì a nascondere il sorriso che l’evidente gelosia del ragazzo le stampò sulle labbra.

 

Ora capisci cosa si prova?

 

 

 

E qui mi rendo conto che non sono stordita…DI PIÙ!!

Scusate, ma mercoledì scorso sono stata distratta e mi sono letteralmente scordata di pubblicare, gomen a tutti. ^^’

Tornando alla storia: Tsubasa adesso è come un agnello sul girarrosto, non lo invidio proprio. Certo che capire l’atteggiamento di Sanae è proprio dura, specialmente per lui che non ha mai nemmeno lontanamente pensato alla possibilità di un cambiamento così radicale.

Ringrazio tutti i lettori e scusate ancora per la mia dimenticanza.



[1] Straniero

[2] Anego, il nomignolo di Sanae alle elementari, significa “sorella maggiore”.

[3] Le Yuki-onna sono delle youkai, le cosiddette donne delle nevi, figure spettrali seducenti ma spietate.

[4] Giorno dedicato al festeggiamento dell’Equinozio Autunnale, in questo giorno scuole e luoghi di lavoro sono chiusi per permettere di visitare le tombe dei propri defunti e offrire loro dei doni.

[5] Rivista di calcio pubblicata in Giappone.

[6] Divisa scolastica maschile.

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Capitolo 8
*** Il complotto ***


Su certe questioni Tsubasa poteva essere un vero impiastro, ma avrebbe sfidato chiunque a comprendere l’atteggiamento che Sanae gli riservava. C’erano dei momenti in cui si sentiva talmente sereno da sfiorare il cielo con un dito, per poi essere scaraventato violentemente a terra nell’arco di pochi minuti. Non gli era certamente sfuggito lo sguardo compiaciuto che gli aveva dato in biblioteca e, per un attimo, si era sentito come preso in giro. Perché lei si comportava così?

Stufo di rimirare il soffitto andò alla scrivania, maledicendosi per il proprio disordine, e iniziò a cercare, tra i fogli che sporgevano, la cartellina con il logo della Federazione. Sfilando e rimettendo sugli scaffali libri e quaderni, fece scivolare sulla scrivania una cartellina arancione con lo stemma della JFL piena di polvere. La girò sul retro dove si distinguevano diverse calligrafie sparse per tutta l’ampiezza del cartoncino e cercò tra i kanji il nome di Matsuyama, che si trovava in basso a destra con tanto di indirizzo e numero di telefono.

Andò all’apparecchio  e compose il numero, incapace di non provare vergogna per quello che stava per fare.

- Pronto, Matsuyama.- era una voce femminile, probabilmente la madre di Hikaru.

- Buongiorno, sono Tsubasa Ozora, c’è Hikaru-san per favore?-

La signora lo salutò e andò a chiamare il figlio. Tsubasa distinse un rumore di passi e la cornetta che veniva ripresa.

- Che sorpresa, Tsubasa-kun!-

- Ciao, Matsuyama-kun. Come va?-

- Abbastanza bene, ora sto studiando. Tu?-

- Diciamo bene. Scusa, ti chiamo per un favore, posso?-

- Sì, dimmi.-

- Potrei avere il numero di Fujisawa-san?-

Hikaru rimase imbambolato a ripetersi mentalmente la domanda, faticando a comprendere una simile richiesta da parte del suo capitano nazionale.

- Ecco, vedi, Sanae è un po’ strana ultimamente, vorrei chiedere a Yoshiko-san se è successo qualcosa.- tanto valeva non fare i misteriosi e dire chiaramente perché stesse cercando la sua ragazza.

- Capisco, aspetta un attimo.-

Dopo poco, Matsuyama riprese il telefono e dettò con calma il numero all’amico.

- Ricorda il fuso orario...-

 

Mi prende per un idiota?!

 

- Grazie mille, davvero, e scusa se ho disturbato.-

- Ma tranquillo, non è niente. Senti però, non voglio impicciarmi ma devo dirti una cosa: penso che Yoshiko non ti dirà quello che vuoi sapere, soprattutto per rispetto verso Sanae. Ancora una cosa: io mi sono ritrovato all’aeroporto a fare la dichiarazione alla mia ragazza, perché sono stato un idiota che ha pensato solo al calcio, finché non mi sono reso conto che stavo per separarmi dalla persona più importante. Rifletti bene su ciò che ti ho detto, Tsubasa-kun. -

- Lo farò, Matsuyama-kun.-

- Ci si vede in ritiro, speriamo ci convochino!-

- Ciao e grazie ancora.-

Chiuse la comunicazione e non potè fare a meno di riflettere su quanto gli aveva detto l’amico. Era vero, Yoshiko avrebbe potuto rifiutare di rivelare dettagli privati della sua amica, ma lui doveva tentare di capire cosa le era successo durante quella vacanza e magari sapere qualcosa di più del misterioso gaijin che la teneva occupata al telefono la maggior parte del tempo.

Guardò l’orologio posto sulla credenza in noce del corridoio e notò che erano appena le cinque del pomeriggio: avrebbe dovuto attendere ancora qualche ora prima di chiamare Fujisawa. Decise quindi di uscire, pallone al piede, tanto per fare qualcosa che lo distraesse e lo portasse fuori dalle mura di casa in cui sarebbe rimasto come un pesce sulla graticola a contare ogni minuto, prima della famosa telefonata che, sperava, gli avrebbe chiarito un po’ di cose.

 

 

 

 

Alle dieci e mezza Tsubasa si rigirò dall’altra parte del letto, tenendo sempre tra le mani il libro di scienze naturali, cercando di concentrarsi sull’origine delle eruzioni vulcaniche. Almeno avrebbe evitato di rimediare qualche altro rimbrotto se gli fosse capitato di essere preso di mira dalla professoressa Fukuda.

Mezz’ora dopo scattò in piedi decidendo che, forse, le nove del mattino erano un orario accettabile per ricevere una telefonata. Come un ladro sgattaiolò fuori dalla propria stanza, stando ben attento a non svegliare sua madre, quindi scese le scale per arrivare al cordless al piano terra.

Prendendo un lungo respiro compose il numero e, mentre la linea stabiliva il contatto, i battiti del suo cuore presero ad accelerare per l’agitazione e l’imbarazzo.

- Hello, Yoshiko speaking.- la voce pacata di Yoshiko lo bloccò come una statua di sale.

 

‘cazzo fai Tsubasa?! Rispondi!

 

- Hello?-

Tirò un profondo sospiro e parlò.

- Buongiorno, Fujisawa-san, sono Tsubasa Ozora.-

La ragazza si sentì come le fosse caduta una tegola in testa, guardò l’orologio e contò che occhio e croce doveva essere tarda sera in Giappone.

- Ehm, immagino che per te sia buonasera ormai. Sei fortunato a trovarmi, oggi sarei dovuta essere a scuola.-

Il ragazzo prima si maledisse per non averci pensato, poi pensò che aveva avuto proprio una gran fortuna a trovarla a casa.

- Scusami, Fujisawa-san, ti chiamo per un motivo importante.-

Esitò un pochino prima di proseguire.

- Sanae ha passato le vacanze da te. E’ per caso successo qualcosa?-

La ragazza allargò le labbra in un sorriso, a quanto pare Tsubasa si era accorto che oltre al pallone esisteva anche la sua amica. Per solidarietà femminile decise che prima di rispondergli si sarebbe divertita un po’ a punzecchiarlo.

- Perché lo vuoi sapere?- chiese con un tono quasi infastidito.

Non si fece cogliere impreparato, una domanda simile se l’aspettava.

- Perché è un’altra persona adesso: a volte sembra un’estranea, vorrei sapere se è accaduto qualcosa.-

 

Eccome se è accaduto.

 

- Scusa, ma perché non glielo chiedi?-

- Ci ho provato, ma è sfuggente e ci sono giorni in cui a stento mi rivolge la parola, come se ce l’avesse con me.-

- Forse è proprio quello il problema, per questo insisto a dirti che sarebbe meglio ne parlassi con lei.-

- Fujisawa-san, ho aspettato fino adesso solo per chiamarti e sperare mi dicessi qualcosa.-

- Tsubasa-kun, spiegami perché dovrei dirti come ha passato le vacanze qui con me. Non sei né un suo parente né il suo ragazzo.-

L’ultima frase suonò come una sassata scagliata con immane violenza, ma non aveva tempo per rimanere deluso per le parole dette da Yoshiko, era in ballo e tanto valeva ballare, anche arrivare a pregare la ragazza.

- Perché…perché…perché ho passato un’estate a chiedermi che motivo avesse per andarsene via senza dire niente e quando è tornata mi sono trovato di fronte un’altra persona. Ma che succede? Ha per caso trovato un ragazzo laggiù?- il tono di voce iniziava a suonare affranto e Yoshiko, mossa a compassione, decise che era l’ora di dirgli quel che sapeva.

- Ecco, vedi, si tratta di un mio amico.-

Il ragazzo non avvertiva più niente come se una scarica elettrica potente gli avesse tolto la sensibilità in ogni punto del copo.

- Lui ne era molto attratto e ha fatto qualsiasi cosa per ottenere le sue attenzioni.- la ragazza marcò l’accento sulle ultime parole, quasi a voler mandare dei messaggi subliminali al suo interlocutore che evidentemente era troppo sconvolto per parlare.

- Quindi…quindi è con lui che Sanae parla di continuo.- la sua voce era quasi un bisbiglio.

- E’ probabile, anche se non so dirti in che rapporti sono rimasti.- mentì.

- Non sai se stanno insieme o meno?-

- Non con certezza. Però sai, Cody ci sa fare con le ragazze, è bello e anche molto ricco, ma per conquistare Sanae le ha semplicemente dato quello che ogni ragazza cerca.-

- Sarebbe a dire?-

- Considerazione. Non faceva che riempirla di complimenti e trattarla come una principessa. Sanae stessa mi ha confessato che nessuno le aveva mai dato tante attenzioni.-

Ogni parola che diceva Yoshiko era come una frecciata avvelenata sul cuore del ragazzo.

- Ho capito, però…-

- Cosa?-

- Perché mi tratta con freddezza?-

- Non so che dirti, questo dovresti proprio chiederlo a lei. Scusa, sono costretta a salutarti, perché devo aiutare mia madre a preparare il pranzo per la Festa del Ringraziamento[1]. Buona notte.-

- Grazie, Fujisawa-san. Buona giornata.-

 

Mi spiace, Tsubasa, forse sono stata un po’ dura, ma è ora che tu capisca.

 

Il ragazzo ripose il cordless sulla base e risalì mollemente le scale: la telefonata su cui aveva riposto tutte le speranze gli aveva fatto piovere addosso ulteriori pensieri come una vagonata di mattoni.

Si sdraiò sul suo letto e fissò il soffitto amareggiato, perso nella rielaborazione dei risultati della sua brillante idea. Aveva scoperto che Sanae aveva conosciuto questo tale, Cody.

 

Almeno ora il gaijin ha un nome.

 

Ora sapeva che lui le aveva dato tutto ciò che desiderava e che probabilmente stavano ancora assieme, ma in quello squallido mosaico non riusciva a capire cosa c’entrasse lui, né perché Sanae lo trattasse con freddezza. A un tratto una lampadina si illuminò nel suo cervello, era come un’equazione matematica.

 

Rifletti, Tsubasa, lei è sempre stata dolce e carina con te e ti sei preso il meglio di lei senza preoccuparti di dare nulla in cambio se non noiosissime (per lei) conversazioni sul calcio, va dall’altra parte dell’oceano Pacifico e senza il minimo sforzo si accattiva le simpatie di mister perfezione, torna e il suo atteggiamento nei tuoi confronti cambia…cazzo, Sanae, aveva un interesse nei miei confronti? E io scemo che nemmeno me ne sono reso conto?

Calma…

Analizziamo la situazione: Fujisawa non sa o finge di non sapere se stanno ancora insieme, però Sanae non disdegna mai gli inviti di quel mollusco di Yoshizumi, il che può voler dire che lei non è impegnata con nessuno…mmm, però il gaijin la chiama di continuo… Eppure l’altra volta al locale era davvero carina, abbiamo scherzato, lei ha accettato le mie gentilezze…ma cazzo!

Il gaijin le ha dato mille attenzioni, io invece le attenzioni me le sono prese e non le ho nemmeno apprezzate come avrei dovuto, probabilmente con lui ha potuto confidare i suoi sogni e le sue aspirazioni per il futuro, io invece le ho sempre sbrodolato addosso il mio sogno di andare in Brasile e lei, lei mi sorrideva, quando magari pensava che non vorrebbe che me ne andassi lontano, avrà anche creduto che lei non mi mancherà, bell’insensibile…mi prenderei a schiaffi da solo, una ragazza carina e simpatica, una persona con cui mi sono sempre trovato benissimo si interessa a me e io mi comporto da menefreghista. Complimenti Tsubasa, sei davvero una merda.

 

Sbuffò e si alzò di scatto afferrandosi la testa fra le mani.

- Che cazzo faccio adesso?-

 

 

 

 

Qualcun altro stava vegliando quella sera: Sanae ripensava agli eventi che si erano susseguiti da quando era tornata dagli USA e, nonostante col passare dei giorni avesse ottenuto dei grandi risultati, non si sentiva soddisfatta. Il suo sguardo si posò ansioso sul calendario da tavolo posato sulla scrivania. Entro quattro mesi la scuola sarebbe finita e Tsubasa sarebbe andato in Brasile. Non era un’infinità di tempo, i giorni passavano, e anche se il ragazzo aveva reagito come lei sperava quella sera si sentiva estremamente negativa.

 

Probabilmente le sue reazioni sono dovute al fatto che non è abituato a vedermi così fredda nei suoi confronti, forse a lungo andare si abituerà e comincerà a trovarmi odiosa. Forse Tacchan ha ragione, Tsubasa non è un burattino e io mi sto illudendo di poterlo manovrare come mi pare e piace. Perché sto facendo tutto questo?

 

Il suono del cellulare la distrasse dai suoi pensieri, a quell’ora poteva essere solo una persona e mai come in quel momento sentiva l’esigenza di parlare con quel ragazzo che era diventato quasi una specie di migliore amico.

- Cody…- sospirò quasi sul punto di scoppiare in lacrime.

- Ciao, bellezza! Che mi dici di bello? La strategia prosegue? Il bamboccio abbocca all’amo?-

- Perché lo faccio?!- le uscì un urlo strozzato.

Il ragazzo rimase colpito da quella domanda a bruciapelo e rimase ancora di più a bocca aperta quando sentì dei singhiozzi attraverso il ricevitore del cellulare.

- Dolcezza, sono lacrime quelle che sento?-

Nessuna risposta.

- Ah, no, non voglio sentirti così. Ora per favore, vai in bagno e sciacquati il viso.-

Sanae obbedì meccanicamente al consiglio di Cody. Il rumore dell’acqua del rubinetto si arrestò e sentendola nuovamente respirare sul microfono riprese a parlare.

- Meglio?-

- Sì, grazie.- sospirò.

- Allora, cos’è questo sconforto?-

- Non lo so, Cody. Mi sento un’idiota, ho come l’impressione che non otterrò nulla così.-

- Ma se hai già fatto dei progressi... Un passo per volta, piccola, non avere fretta.-

- Io temo che i comportamenti di Tsubasa siano una cosa passeggera, presto si abituerà al mio nuovo atteggiamento e tutto tornerà come prima. Sono solo una stupida illusa.-

- Primo, lo stupido è lui dato che aveva le attenzioni di una ragazza come te e nemmeno se n’è reso conto; secondo, anche se dovessi renderti conto che neanche così si cava un ragno dal buco, almeno avresti una volta per tutte la certezza che non gli interessi.-

- Ed è proprio per questo che vorrei mollare tutto, non voglio darmi pena per poi scoprire che non gli interesso.-

- Ammesso e non concesso che non gli interessi, cosa che ritengo altamente improbabile, date le reazioni che mi hai descritto, almeno avresti la soddisfazione di averci provato.-

Cody sembrava il classico belloccio con la testa vuota, invece aveva sempre le idee talmente chiare che Sanae ringraziò il cielo per avergli fatto incontrare una persona come lui, capace di farle vedere le cose con lucidità anche quando la testa era piena di paranoie.

- Ma ora mettiti comoda e stammi a sentire, perché è il momento di passare alle maniere forti.-

 

Tadaaan… ecco che ricompare Cody e ora tutte vi starete chiedendo che parte sta giocando. Il suo ruolo sarà chiarito nel prossimo capitolo e si scoprirà anche qualcosa di più.

Ringrazio tutti per l’apprezzamento che state dimostrando per la mia fanfiction e mi scuso ancora per essermi scordata della pubblicazione mercoledì scorso.

Alla prossima settimana! ;)

 

 

 



[1] Ricorrenza che si festeggia negli USA il quarto giovedì del mese di novembre.

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Capitolo 9
*** Sotto il gingko nel cortile ***


Le labbra posate sulle sue erano morbide, sul viso sentiva vivo il calore dell’imbarazzo, ma non avvertiva alcuna sensazione particolare. Era il suo primo bacio, sebbene un leggero tocco a fior di labbra e non vi era nulla di ciò che ci si poteva aspettare. Sanae dischiuse gli occhi per vedere Cody sorriderle e avvicinarsi nuovamente per un ulteriore contatto.

- No!- lo aveva bloccato puntando le mani sulle sue spalle, ricevendo uno sguardo interrogativo.

- Scusami...- si alzò di scatto, pronta a tornare indietro dove erano rimasti gli altri.

- Aspetta!- Cody le afferrò garbatamente il polso e la invitò a fermarsi, era meglio risolvere tutto con una spiegazione anzichè scappare.

Sanae si passò una mano tra i capelli nervosa, indecisa su cosa dire per giustificarsi.

- Io...pensavo fosse diverso.-

- Cosa?-

- Questo.- si portò le dita alle labbra. – ...mi spiace. Speravo che fosse speciale, non...non avevo mai baciato nessuno. Non mi ero mai trovata in una situazione del genere.- non riusciva a comprendere nemmeno lei cosa stesse dicendo, si sentiva agitatissima. Le mani del ragazzo la bloccarono e la costrinsero a guardarlo in faccia. I suoi occhi nocciola erano lucidi e le labbra tremavano. Lui la invitò a sedersi e cercò di calmarla accarezzandole i capelli, era la situazione più bizzarra che avesse mai vissuto e non potè evitare di ridere. Sanae gli rivolse uno sguardo a metà tra l’irato e l’interrogativo.

- Scusa se rido, ma non è mai capitata una cosa del genere nemmeno a me.-

La ragazza si asciugò una lacrima scivolata lungo la guancia e cercò di calmarsi.

- Hai voglia di parlare?-

A quel punto fu lo stupore a prendere il sopravvento, non avrebbe mai pensato di trovare comprensione proprio da quel ragazzo all’apparenza tanto superficiale. Prese un profondo respiro e le parole le uscirono spontanee, per confessare quanto fosse frustrante provare sentimenti per qualcuno tanto indifferente quanto Tsubasa.

- Uff, anche tu? Ma cos’hanno di tanto speciale i calciatori?! Anche Yoshi è partita per quel tizio che gioca a calcio.- ironizzò strappandole una risata.

- Scusami, Cody, ti ho rovinato la serata.-

- Scherzi? Credo sia la prima volta che una ragazza è tanto sincera con me e non lo dimenticherò.-

Lei lo fissò sbattendo le palpebre più volte, ignara di cosa stesse tramando.

- Ti darò una mano a conquistare lo scemo.-

 

- Sei stata brava e paziente, Sunny.- bisbigliò Cody, cercando di farla sentire meglio.

- Ma evidentemente quel cretino è talmente imbranato che ha bisogno di un’ulteriore “spinta motivazionale”.-

- Cos’altro posso fare?- chiese stizzita.

Il ragazzo sorrise e le spiegò quello che aveva in mente. Sanae annuì: prima si disse contraria, ma dopo dovette convenire che poteva essere la spinta di cui Tsubasa necessitava.

- Comunque ricordati che se quel deficiente non si schioda, ci sono sempre io qui.-

Sorrise grata a quel ragazzo che le stava dando un aiuto tanto prezioso.

- Mmm, ci penserò.- rispose in tono civettuolo.

 

 

 

L’allenamento stava per cominciare e Sanae finì di prepararsi per iniziare a sistemare le cose in campo. Aveva bisogno di parlare con il mister il prima possibile. Annodò i capelli in una coda e uscì dallo spogliatoio, trovandosi faccia a faccia proprio con Tsubasa.

 

Ottimo, il pomeriggio comincia bene.

 

Lo fissò con uno sguardo quasi astioso.

- Ciao, Sanae.-

Lei rispose a mezza bocca senza nemmeno guardarlo in faccia.

 

Oggi siamo di cattivo umore?

 

- Tutto a posto?- le chiese, tanto per spezzare quel silenzio odioso che lei teneva tanto a mantenere.

- Sese.- rispose incurante.

- Sanae...- la sua sopportazione per quei comportamenti ambigui era giunta al limite.

- EHI, PICCIONCINI!-

 

Ishizaki, un giorno di questi ti ammazzo con una pallonata, lo giuro!

 

La ragazza si allontanò premendosi una mano sulla bocca, perchè altrimenti avrebbe snocciolato volentieri una serie di insulti dedicati alla solita mancanza di tatto di Ishizaki. In realtà era dal mattino che si sentiva nervosa, durante la colazione si era quasi sbranata suo fratello solo perchè aveva finito tutto il succo d’arancia e nella pausa pranzo aveva abbaiato contro un ragazzo che stava per farle cadere il vassoio in mensa. Il teatrino che aveva messo in piedi stava mettendo a dura prova la sua resistenza, sarebbe stato meglio lasciar perdere e smettere di autoimporsi comportamenti non suoi. Non aveva scelta, ormai, che proseguire quella messa in scena e giocare l’asso nella manica suggeritole da Cody, ma l’idea di dover mentire anche al mister la rendeva un fascio di nervi.

Attese con calma la fine degli allenamenti e chiese al professor Furuoya di poter parlare in privato. Fu invitata a raggiungerlo in sala insegnanti.

- Siediti pure, Nakazawa-san. Di cosa si tratta?-

- Ecco, vede, non penso riuscirò a continuare a seguire il club di calcio. Vorrei tentare di entrare all’Istituto Keio- Shonan[1] e ho bisogno di tempo per poter studiare adeguatamente. Io...temo non riuscirò ad assicurarle la mia presenza con continuità.-

Il mister rimase spiazzato per un momento, davvero non si sarebbe aspettato che quella ragazza così assidua e costante nei propri impegni stesse dicendo quelle precise parole, senza contare, poi, che si era accorto di come il suo atteggiamento nei confronti del capitano della squadra fosse passato da un estremo all’altro nell’arco di pochi mesi.

- C’entra Tsubasa?- chiese a bruciapelo.

Sanae poteva ingannare gli amici, il ragazzo che amava, ma una persona attenta ed empatica come il professore no.

- Sì.- abbassò lo sguardo imbarazzata.

- Apprezzo la sincerità, Nakazawa-san.- rispose con un sorriso bonario.

- Ehm…-

- Non ti preoccupare, rimarrà tra me e te, però come insegnante posso solo darti un consiglio: non lasciare che siano i sentimenti a manovrare la tua vita, sei tu che devi prenderli in pugno e imparare a gestirli.-

- Ci sto provando, le giuro che ci sto provando.- rispose, frustrata dalla situazione.

- Ai tuoi compagni di squadra dirò che sei troppo impegnata con lo studio, spero che Nishimoto e Sugimoto riescano a gestire tutto da sole.-

- La ringrazio.- si alzò e fece un inchino per congedarsi, serena per quel barlume di onestà avuto con il professore.

Furuoya si alzò e andò alla finestra: all’orizzonte l’ultima striscia tinta di arancione stava sparendo. Prese le carte che gli servivano e si diresse verso l’uscita della scuola. Domani non avrebbe avuto un compito facile nell’informare la squadra di quel cambiamento, specialmente il numero 10.

 

 

 

 

Tsubasa correva come un forsennato verso casa, frustrato, irritato, incapace di accettare quello che aveva detto l’allenatore.

 

Mi odi così tanto? Bisognava arrivare a questo punto?! Cosa devo fare?

 

Entrò in casa come una furia e nemmeno rispose a sua madre che gli chiedeva come fosse andata la giornata.

 

Uno schifo!

 

Andò in camera sua e accese il PC, guardò la sveglia e cercò di ricordarsi le ore di fuso in Germania. Niente da fare, ad Amburgo era mezzogiorno e Wakabayashi non era sicuramente a casa. Andò a reperire le sue e-mail e si appuntò su un pezzetto di carta il numero di casa del suo amico, aveva bisogno di un consiglio da qualcuno che sicuramente si era sempre dimostrato molto più sveglio di lui su certe questioni.

La sveglia suonò e Tsubasa la nascose sotto il cuscino prima di riuscire a spegnerla, poi, come aveva fatto in precedenza scese al piano di sotto per prendere il cordless.

 

Amburgo, ore 22

Il telefono iniziò a suonare, ma la coppia non ci fece caso, avrebbe smesso di lì a breve. Genzo continuò a farsi torturare le labbra, finché non fu Inneke a rimettersi seduta sul divano e consigliargli di interrompere quel suono fastidioso.

- Hallo, das ist Genzo Wakabayashi[2].- rispose seccato.

- Wakabayashi-kun, scusa l’orario.-

- Tsubasa?! Proprio adesso…-

- No, per favore, ho bisogno di un consiglio.-

Genzo alzò l’orologio all’altezza del naso e i suoi occhi si allargarono per lo stupore.

- Ma tu sei fuori, sono le cinque da voi. Se è qualcosa sul calcio puoi anche andare a…-

- Si tratta di Sanae!-

Sulla sua bocca si disegnò un ghigno divertito: che Tsubasa lo chiamasse per una simile questione era un tale evento per cui avrebbe potuto sacrificare una pomiciata.

- Inneke, ich komme sofort. Warte ein Moment, bitte.[3]-

La ragazzina si accomodò meglio sul divano, risistemandosi il maglione e lisciandosi i pantaloni, poi iniziò a torcersi una ciocca tra le dita. Ricevette un ultimo sorriso da Genzo, che si andò a sedere sul suo letto in camera.

- Che vuoi?-

- Non ci capisco più un cazzo. Quando è reiniziata la scuola era così carina e premurosa con me. Mi aspettava per andare in classe, mi aiutava con lo studio, al club era sempre disponibile...poi è andata in vacanza negli USA, lì ha conosciuto un tizio che ci ha provato con lei e da quando è tornata mi tratta come una merda.-

- Esagerato…- rise.

- Non esagero, è la verità. Non mi aveva detto che partiva e ho saputo di questo tizio, tramite la ragazza di Matsuyama. Sono così incazzato che non ne hai idea.-

Genzo continuò a ridere, incapace di contenersi.

- Non pensi di essere presuntuoso? Chi ti dà diritto di incazzarti?-

Tsubasa rimase spiazzato dalle parole dell’amico: si aspettava comprensione, non prese in giro.

- Credevi che Sanae fosse particolarmente gentile perché è buona? Io la ricordo come un maschiaccio scassapalle e non c’è dubbio che sia cambiata, ma se al suo ritorno il comportamento nei tuoi confronti è cambiato, c’è un motivo chiaro come il sole.-

- Sarebbe a dire?-

- Ha trovato qualcuno che la apprezza senza fare troppi sforzi, quindi chi glielo fa fare di stare a perdere tempo dietro a te che vedi il mondo in bianco e nero come gli scacchi del pallone.-

Che fosse proprio Wakabayashi a rinfacciargli la loro comune passione era veramente un colpo basso.

- Genzo, non sono un’aquila, lo ammetto, ma secondo te perché dovrebbe arrivare a trattarmi male per questo?-

- Per darti una scossa, imbecille! E poi, scusa se te lo dico, ma sei veramente un pagliaccio se  hai chiamato la ragazza di Matsuyama.-

- E perché?!- chiese iniziando a perdere la pazienza.

- Perché è con lei che devi parlare, scemo che non sei altro. Tira fuori le palle!-

Non poteva dargli torto, tutti i suoi tentativi di capire cosa avesse portato Sanae a comportarsi così con lui non erano stati molto seri. Aveva sempre scelto di farsi scudo di qualcun altro, tutte persone che in un modo o nell’altro avevano cercato di fargli capire quanto lui fosse limitato ed egoista, ma l’unica a cui non aveva mai chiesto niente era proprio lei.

- D’accordo, scusa se ti ho disturbato.-

- Non farmi questa voce da cane bastonato, dai. Vedrai che parlare con lei ti servirà. Buona…ehm, giornata ormai, io vado. Ciao!-

- Grazie, Wakabayashi-kun.-

Ne era sicuro, doveva parlare con Sanae, chiederle una spiegazione e confessarle quello che, ormai ne era quasi certo, provava per lei.

 

 

 

 

Sanae arrivò nell’aula vuota e posò la cartella sul banco tirando un sospiro, non ce la faceva più a dire bugie, non ne poteva più di sforzarsi con Tsubasa: tanto se ne sarebbe andato e lei avrebbe solo sofferto di più. Proprio mentre rifletteva, l’oggetto dei suoi pensieri varcò la soglia della classe, guardandola in modo indecifrabile.

- Ciao.-

- Buongiorno, Tsubasa-kun.- rispose con lo sguardo basso.

- Il mister ci ha detto che non potrai più essere presente al club, questo mi spiace molto.-

- Devo studiare.- fu l’unica cosa che riuscì a dire.

- Lo so. Io, però, avrei bisogno di parlare con te da soli e con calma.-

- Tsubasa…-

- Dopo le lezioni, sotto il grande albero dietro la scuola.-

Le si avvicinò e le prese le mani tra le sue.

- Per favore, Sanae.-

Sentì il cuore stringersi, non aveva mai usato un tono simile con lei.

- D’accordo.-

- Me lo prometti?- la guardò dritto negli occhi.

- Sì.- finalmente riuscì a sorridergli senza temere di farlo.

Altri alunni arrivarono e capirono che era il momento di sedersi al posto.

 

Tsubasa vuole parlarmi, ma cosa vorrà dirmi di così importante?

 

 

 

Dietro il fusto del gingko riuscì a intravedere il profilo del ragazzo che le dava le spalle.

- Tsubasa-kun?-

Lui si voltò a guardarla, non era mai stato tanto felice di vederla.

- Sanae, grazie per essere venuta.-

- Te lo avevo promesso.- gli sorrise, era stanca di fingere indifferenza con lui.

Lui mise le mani in tasca e tornò a posarsi al tronco.

- Vedi, è da stamattina che penso da dove cominciare a parlare e ora che sei qui c’è una domanda che mi assilla di continuo.-

Alzò lo sguardo verso di lui attendendo di sentirlo parlare.

- Negli Stati Uniti hai per caso, conosciuto qualcuno?-

Non era proprio la domanda migliore da farle.

- Non mi pare siano affari tuoi.- disse girandosi dall’altra parte.

- Sanae, per favore, ti sto solo chiedendo se stai con qualcuno.-

- Ah, e con che diritto?-

Nuovamente quella domanda, le avrebbe risposto ammettendo i suoi sentimenti.

 

I miei sentimenti per te me ne danno il diritto.

 

Sentì che si stava muovendo.

- Se era di questo che mi volevi parlare hai sprecato il tuo tempo. Buona giornata…- stava per correre via, troppo arrabbiata per trattenersi oltre in sua presenza, ma lui l’afferrò per il polso e, con un coraggio e una punta di avventatezza che non credeva di possedere, la prese e la spinse contro il tronco.

Fu in quel momento che avvertì la sensazione che aveva cercato con il bacio di Cody, una scarica elettrica che le percorse tutto il corpo e che le fece desiderare che il tempo si fermasse in quell’istante. Le labbra di Tsubasa si schiusero e lei rispose con altrettanto ardore, felice come non lo era mai stata. Stava per gettargli le braccia al collo, ma una rabbia sopita la risvegliò da quel sogno con lo stesso effetto di una doccia fredda, quindi gli afferrò le spalle e lo spinse via.

Il ragazzo sentì il bruciante contatto del suo palmo sul viso e divenne di ghiaccio quando vide il suo sguardo astioso.

- Non osare mai più avvicinarti a me, Tsubasa. Non ti perdonerò mai!- sibilò e corse via incapace di contenere le lacrime.

 

Mi hai rubato anche il ricordo dolce che conservavo di te, non mi è rimasto più niente.

 

Lui si passò le mani tra i capelli, sconvolto e amareggiato, si voltò e sferrò un calcio verso il tronco di quell’albero imprecando per la rabbia e per il dolore.

 

 

Ecco che i misteri si sono svelati, ma so che ora le fan della coppia vorrebbero mandarmi a stendere, perché prima gli scrivo la scena che aspettavano e poi gliela rovino subito con la rabbia di Sanae. Ora, la ragazza non soffre di sdoppiamento della personalità, è solo che lei ha interpretato il bacio di Tsubasa in modo distorto. Ne saprete di più al prossimo capitolo. Grazie a tutti dell’affetto con cui mi seguite. ;)


[1] Presitigioso istituto di Fujisawa che comprende sia l’istruzione superiore che quella universitaria.

[2] “Pronto, Genzo Wakabayashi.”

[3] “Inneke, arrivo subito. Aspetta un momento, per favore.”

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Capitolo 10
*** Nel mio cuore ***


Che cazzo ho fatto? Devo essere impazzito, baciarla così e a scuola per giunta, poteva vederci chiunque con il rischio di essere pure sospesi. Possibile che faccio sempre casini?

 

Tsubasa si rigirava sul letto impossibilitato a capacitarsi di quello che aveva combinato. Il suo gesto era stato puro istinto, una mancanza di autocontrollo dovuta alla sua incapacità di gestire la situazione, avrebbe fatto di tutto per fermare Sanae, per riuscire a parlarle, ma con quella trovata era solo riuscito a compromettere ulteriormente la situazione. Ora lei lo odiava, glielo aveva letto in faccia quando gli intimava di non avvicinarsi più a lei. Si toccò la guancia: non provava più dolore, non su quella parte di pelle che era stata colpita. Ma nel profondo, nel suo cuore, qualcosa faceva ancora più male dello schiaffo carico d’ira che aveva ricevuto.

 

Non sono in grado di capirti né di comunicare con te, Sanae, ma che razza di persona sono? Sono veramente in grado di muovermi solo in un campo da calcio? Quanto deve averti fatto soffrire il mio comportamento per farti arrivare a questo punto. Adesso mi sento in grado di capirti, quello che è successo oggi, mi ha aperto gli occhi. Quando mi hai guardato con tanto disprezzo ho capito cosa provavi quando ti avvicinavi a me sorridente e non facevo che parlarti di partite, tattiche di gioco e del mio desiderio di andare in Brasile. Non penso mi perdonerai.

 

A un tratto si alzò dal letto e andò a prendere il telefono al piano inferiore, sua madre vedendolo passare lo chiamò per chiedergli come mai non volesse cenare. Si sentì in colpa anche nei suoi confronti: come sempre suo padre non c’era e aveva lasciato che sua madre mangiasse da sola e preoccupata.

- Scusa, è che sono di cattivo umore, ma se ti va fra poco usciamo così andiamo ad affittare un film. Scegli quello che vuoi.- le fece l’occhiolino.

Premette il tasto numero tre per le chiamate rapide e una voce infantile gli rispose.

- Atsushi-chan! Sono Tsubasa.-

- Tsubasa-kun!- il bambino esclamò felice come una pasqua, dato che lo vedeva come una specie di idolo da emulare.

- Senti, posso parlare con Sanae-chan?-

- Sì, certo vado a chiamarla.-

Dopo un attesa che a Tsubasa sembrò interminabile, il bimbo tornò all’apparecchio e con un certo imbarazzo cercò di inventare una scusa per giustificare il fatto che sua sorella non aveva la minima intenzione di parlare con lui. Il ragazzo ringraziò Atsushi e sospirando scese mollemente le scale, almeno ci aveva provato. Sua madre era in soggiorno e si ricordò di quanto le aveva appena proposto, quindi per quella sera doveva rassegnarsi a rodersi il fegato con I perfetti innamorati[1], così mentre sua madre stava sul divano a ridere per le scene comiche, lui si calò al cento per cento nei panni del protagonista che in quanto a combinare casini non gli era secondo[2].

Quando il film finì ringraziò di poter finalmente andare a dormire. Una mano gentile si posò sulla sua spalla e ricevette l’espressione dolce e comprensiva di sua madre.

- Grazie per avermi fatto compagnia, anche se non era la serata migliore per te.-

Lui si limitò a sorriderle e alzare le spalle, poi una carezza gli sfiorò la guancia schiaffeggiata nel pomeriggio e per un attimo temette che sua madre avesse notato un qualche segno.

- Dormi bene, tesoro.-

Negli anni Natsuko non aveva mai perso la dolcezza verso di lui che, invece, la ripagava con il desiderio di andarsene in un altro continente lasciandola sola.

- Mamma…- la donna si arrestò sulle scale.

- …tu non vuoi che vada in Brasile, vero?-

Lei gli rivolse nuovamente quello sguardo caldo e materno.

- Nessuna madre vorrebbe vedere andar via il proprio bambino, ma i figli non sono fatti per noi genitori, ci vengono dati per insegnargli a camminare con le loro gambe.-

Sì, sarebbe mancata anche a lui ma, oltre all’affetto che gli aveva così gratuitamente donato negli anni, avrebbe conservato nel cuore anche il ricordo della generosità di una madre che non lo aveva mai ostacolato.

Si preparò per la notte e si infilò sotto le coperte, dagli occhi una scia umida percorse le sue tempie. Erano anni che non piangeva, ma quella sera, sopraffatto dalle emozioni, non riusciva a impedirsi di sfogare in quel modo la sofferenza per aver fatto tanto male a Sanae e la gratitudine verso sua madre. Una mano andò a posarsi sulle sue labbra cercando di rivivere quell’istante con la mente e un particolare lo scosse dal torpore della sofferenza: nonostante il suo gesto di rabbia, la ragazza aveva risposto al suo bacio, anche se per un breve istante. Sarebbe stato quello lo scoglio a cui si sarebbe aggrappato.

 

 

 

 

Al mattino si alzò rapidamente dal letto e, arrivato in cucina, ringraziò vivamente sua madre per la solerzia che metteva ogni giorno nel fargli trovare la colazione pronta. Appena era suonata la sveglia, per la prima volta nella sua vita, non si era girato dall’altra parte aspettando che sua madre iniziasse a chiamarlo: non aveva un minuto da perdere, voleva arrivare in aula il prima possibile e questo perché voleva vedere Sanae e cercare di parlarle.

Mentre correva verso scuola pensava a tutte le situazioni possibili che avrebbe dovuto gestire: sicuramente lei non gli avrebbe parlato, avrebbe cercato di evitarlo, sarebbe scappata via non appena le avesse rivolto parola; ma come durante le partite, quando il gioco si faceva duro, era lui allora che doveva sfoderare gli artigli e, a costo di darle il tormento, avrebbe parlato con lei. Voleva chiederle scusa, non solo per quanto aveva fatto il giorno prima, ma anche per non aver capito i suoi sentimenti, per non aver minimamente calcolato i suoi sforzi per farsi notare da lui. Infine, cosa ancora più importante, voleva confessarle quello che provava per lei.

Arrivato in classe, come aveva sperato, la trovò seduta al banco, sola.

 

Ce l’ho fatta!

 

Sanae, che era intenta a leggere un romanzo in inglese, non si accorse della sua presenza, finché non fu proprio davanti a lei. Alzò lo sguardo e, vedendolo, si alzò compostamente per uscire dall’aula.

- Sanae…-

- Vado a prendere i gessi, sono quasi tutti consumati.-

Mentre lei usciva Morisaki e Yukari entrarono salutando entrambi, avvertendo subito l’atmosfera tesa, ma per discrezione preferirono non fare domande.

 

Non mi arrendo certo per così poco.

 

 

 

Durante la pausa pranzo, carico di speranze, Tsubasa si avviò alla mensa, ma quando i suoi amici arrivarono notò subito l’assenza della ragazza. Yukari gli si avvicinò e bisbigliò al suo orecchio che lei si era portata il pranzo da casa e non li avrebbe raggiunti. Come una furia si precipitò fuori, diretto alla terrazza, ma proprio in quel momento una figura minuta iniziò a seguirlo. Quando arrivò al tetto vide Sanae con il bento sulle ginocchia, le bacchette nella mano destra e il libro di economia domestica nella sinistra.

Cercò di non fare rumore nel chiudere la porta, ma la sua delicatezza fu vanificata dall’arrivo di Kumi che uscì sul terrazzo con la grazia di un elefante. Il rumore fu sufficiente a far alzare lo sguardo a Sanae, che accortasi della loro molesta presenza richiuse la scatola e la riavvolse nel suo panno, poi si alzò raccogliendo le sue cose e guadagnò l’uscita senza salutarli. Tsubasa stava faticando a contenere la rabbia ed esplose quando quella sciocchina di Kumi fece una risatina e disse: - Finalmente soli.-

- Veramente sei tu a essere di troppo, Sugimoto. La vuoi smettere di seguirmi come un cagnolino? Non mi interessi, ti devo fare un disegnino per fartelo capire?!-

 

Cazzo, cos’ho detto?!

 

La ragazzina si portò le mani al viso che era completamente rosso per la vergogna, mentre dagli occhi cominciavano a uscire lacrime di umiliazione. Corse via, incapace anche di guardarlo più in faccia.

Benissimo, ora il numero delle manager del club di calcio era ulteriormente sceso e sempre a causa sua, Nishimoto avrebbe preteso la sua testa su un piatto d’argento.

 

Potrebbe essere un buon motivo per convincere Sanae a tornare.

 

Probabilmente con Kumi aveva esagerato, ma almeno le aveva fatto capire che non aveva speranza, non aveva tempo per pensare anche a come rifiutarla gentilmente. Il suo obiettivo era solo uno: riallacciare i rapporti con Sanae.

Nel pomeriggio le cose non andarono meglio, lui tentò un “agguato” in biblioteca dove lei era andata a studiare, ma quando lo aveva intravisto tra gli scaffali aveva raccolto i libri ed era tornata a casa.

 

 

 

 

I giorni a seguire Sanae prese a presentarsi in aula all’ultimo minuto; durante la pausa pranzo era impossibile reperirla in tutta la scuola (almeno nei luoghi più logici a cui Tsubasa era riuscito a pensare), di certo non poteva sapere che lei si nascondeva nel ripostiglio delle scope per evitarlo; il pomeriggio tornava a studiare a casa e il fatto che Sugimoto avesse rassegnato le dimissioni con effetto immediato non l’aveva spinta a tornare, nemmeno per aiutare la povera Yukari che già all’inizio della settimana era distrutta per dover fare tutto da sola. Tsubasa le dava una mano, sentendosi in parte colpevole per quella situazione e, mentre ripuliva i palloni con lei, aveva preso l’abitudine di chiacchierare e l’argomento principale in quelle occasioni non era più il calcio, ma l’ormai ex prima manager. Quando raccontò a Nishimoto ciò che aveva fatto, lei lo rimproverò aspramente.

- Senti, Tsubasa-kun, non volevo raccontarti le confidenze della mia amica, ma Sanae ha capito di essere innamorata di te da un po’ di tempo e tu, non solo non hai capito un accidente, ma hai anche agito in modo sconsiderato, facendole rischiare la sospensione, dopo tutti gli sforzi che sta facendo per entrare alla Keio- Shonan.-

Lo sapeva, era cosciente di aver fatto un’idiozia enorme, anche se, quando ci ripensava, non riusciva a pentirsene.

Dal canto suo Sanae non riusciva a togliersi dalla testa quella sensazione di totale appagamento che le aveva trasmesso il bacio: avesse dovuto dar retta all’istinto gli avrebbe buttato le braccia al collo e lo avrebbe supplicato di continuare a baciarla. Troppe cose, però, erano accadute e non riusciva a vedere quel gesto come un atto dettato da un sentimento, quanto il tentativo meschino di opporsi ai suoi costanti rifiuti e questo aveva spezzato quel filo che la teneva legata a lui. Presto se ne sarebbe andato e, forse, non vedendolo, avrebbe smesso di soffrire.

- Devi tentare il tutto per tutto. Non credo te lo meriti, ma voglio darti una mano, perché ritengo che Sanae abbia sofferto abbastanza. Con una scusa la convincerò a rimanere qui a scuola, finché non finiscono gli allenamenti. Ti prego di sfruttare l’occasione, non penso ne avrai altre.-

- Contaci, Nishimoto-san, grazie mille. Ora vai pure a casa, finisco io qui e domani, se Ishizaki ti stressa di nuovo, gli faccio fare trenta giri di campo in più, prometto.-

La ragazza gli sorrise e alzò il pollice in segno d’assenso. Non avrebbe più commesso errori.

 

 

 

 

- Yukari-chan, non saprei.-

- Uffa! Non sei più al club, non vieni mai in pausa pranzo con noi, al pomeriggio ti dilegui, non riusciamo più a parlare. Per favoreeeee.- le disse congiungendo le mani in preghiera.

- Va bene, allora domani verrò a cenare e dormire da te, promesso.- le sorrise alzando due dita unite come giuramento.

La ragazza andò di corsa al campo e vi trovò il solerte capitano che già si stava riscaldando. Gli fece cenno di avvicinarsi e gli spiegò la situazione.

- Domani le dirò di aspettarmi e, quando sarà il momento, andrai tu a chiamarla al posto mio, d’accordo?-

- Sei grande, Nishimoto-san!- le mostrò il palmo che fu battuto con un cinque dalla ragazza.

 

 

 

 

 

Il giorno dopo Tsubasa si tenne a distanza di sicurezza, aspettò con pazienza che il tempo passasse e nel pomeriggio andò al consueto allenamento. Svolse i suoi compiti con il solito zelo e, quando l’allenatore fischiò per richiamarli, iniziò a pensare a quello che aveva da dirle. Sotto gli sguardi stupiti dei compagni si unì a loro per andare a fare la doccia e cambiarsi per andarsene. Raccontò la scusa del ritorno di suo padre per giustificarsi con i più curiosi e, muovendosi con lentezza disumana, aspettò che gli altri se ne andassero.

- Capitano, ti aspetto.-

Si voltò a guardare l’amico, incerto su come distoglierlo da quell’idea, ma, ancora una volta, Yukari arrivò in suo soccorso.

- Che ne dici invece di accompagnarmi, Ishizaki-kun? Comincia a diventare buio.- lo prese per un braccio e lo trascinò via tra mille proteste.

Infilò l’ultimo bottone della divisa nell’asola e sbuffò per scaricare la tensione, era il momento di affrontare Sanae. L’avrebbe ascoltato fino in fondo questa volta.

Sapeva che l’avrebbe trovata nella loro aula come d’accordo con Yukari. Salito al piano guardò avanti e indietro il lungo corridoio deserto: procedendo, i suoi passi echeggiavano sul lucido pavimento. Chissà se lei lo stava sentendo arrivare.

Posò le dita sulla maniglia, l’ultimo attimo prima di quell’incontro tanto importante. Fece scorrere lentamente la porta e vide il volto di Sanae, dapprima sorridente, poi rigido dallo stupore.

- Yukari... Brutta traditrice! – urlò sbattendo le mani sul banco, poi, come una forsennata, buttò i libri in malo modo nella cartella, ma questa volta non sarebbe rimasto a guardare mentre si allontanava nuovamente.

- Sanae-chan, ti devo parlare.-

- E io non voglio parlare con te! Perché non mi lasci in pace?!-

Prese la cartella che non riusciva a chiudersi per come erano stati messi male i libri e lo superò, ma il braccio di Tsubasa si stese a bloccare la sua avanzata.

- Io ti amo, Sanae.-

La ragazza si voltò a guardarlo piena di rabbia, stava diventando patetico.

- Cosa?- sibilò.

Questa volta Tsubasa si voltò per incontrare i suoi occhi e con una decisione pari a quella che aveva in campo ripeté quanto aveva detto. Lei, però, non si fidava delle emozioni ballerine di quel ragazzo che, nonostante tutto, era capace di farle battere il cuore come nessun altro. Non trattenne le lacrime di dolore che scendevano, intervallate dai singhiozzi, non ne poteva più di tanta sofferenza.

- Da quando? Da quando non ti corro più dietro come un cagnolino, vero?-

Le stesse parole che lui aveva rivolto a Kumi.

- Hai perso il giochino e ora lo rivuoi, giusto?-

Quelle parole erano troppo meschine, anche se forse si sentiva come se ne meritasse qualcuna, ma non avrebbe mai voluto che lei pensasse questo.

- Giochino?! Sanae, io non ho mai pensato a te come un gioco o un cane o qualsiasi altra cosa. Avevo notato che ti eri avvicinata di più a me, ma non gli ho dato il significato che tu intendevi, ti ho sempre considerato una ragazza solare, generosa al punto da sostenere sempre chi ne avesse bisogno. Più che un gioco per me eri un angelo.-

Quelle parole aprirono una breccia nel suo cuore, ma al pensiero di tutto quel che aveva tentato in quei mesi per sentirle e l’idea che lui, nonostante tutto, se ne sarebbe andato, la spinsero a erigere un muro per coprire quella falla. Lui le si avvicinò e tentò di afferrarle la mano che si ritrasse con stizza.

- Ora basta, Tsubasa, fa troppo male! Tra poco tu andrai via, non c’è posto per me nella tua vita.-

- Hai ragione…-

Qualcosa dentro di lei si stava spezzando, si stavano forse dicendo addio?

- Il tuo posto è nel mio cuore e nessuno lo prenderà mai.-

Nemmeno quel “ti amo” ripetuto pochi istanti prima era stato capace di mandare in frantumi quella corteccia di rabbia e sofferenza che le stringeva il cuore come le parole che aveva appena sentito. Si asciugò le lacrime con la manica della divisa e, senza staccare lo sguardo da lui, stese le braccia per toccarlo e rifugiarsi nel calore del suo abbraccio.

 

Finalmente, era questa l’emozione che cercavo, quel calore che desideravo provare.

 

Avvertì il tocco leggero sulle labbra e stavolta non ebbe dubbi, gli gettò le braccia al collo, decisa a far durare quel contatto bellissimo il più possibile. Il respiro di Tsubasa le accarezzò l’orecchio.

- Vorrei tanto portarti in Brasile con me…-

I loro sguardi tornarono a incontrarsi.

- Mi aspetterai?- aveva gli occhi lucidi per l’emozione.

Sanae finse di pensarci su, come se stesse valutando i pro e i contro, poi posò la fronte contro la sua.

- E secondo te, avrei fatto tutta questa fatica per niente?-

 

 

 

 

 

 E con questo capitolo termina la fanfiction. Un po’ mi spiace, perché il mio ego un po’ vanitoso sentirà la mancanza dei  vostri generosi commenti. Ringrazio tutti per avermi accompagnata in questo breve viaggio e spero che la storia sia stata a tutti voi gradita.

Un caro abbraccio. Sara.



[1] Commedia romantica con protagonisti Julia Roberts, John Cusack, Catherine Zeta-Jones e Billy Crystal.

[2] Per chi non avesse visto il film (e ve lo consiglio, perché è proprio divertente), posso dire che il protagonista Eddie ne combina delle belle diviso com’è tra le due protagoniste femminili.

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