Il Segreto di Emily

di Bale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non si fida di me ***
Capitolo 2: *** "Nessuno doveva sapere" ***
Capitolo 3: *** "Ti prego, parlami!" ***
Capitolo 4: *** "Ecco il mio segreto" ***
Capitolo 5: *** Pensieri... ***
Capitolo 6: *** Trovato! ***
Capitolo 7: *** Paura ***
Capitolo 8: *** Il Passato Ritorna ***
Capitolo 9: *** "Puoi provare a capirlo" ***
Capitolo 10: *** Contatto ***
Capitolo 11: *** "Ed è subito sera..." ***
Capitolo 12: *** Le parole distruggono ***
Capitolo 13: *** Confidenze ***
Capitolo 14: *** Rivelazioni ***
Capitolo 15: *** Un bacio ***
Capitolo 16: *** Fantasmi del passato ***
Capitolo 17: *** Perchè Hotch? ***
Capitolo 18: *** Delusione ***
Capitolo 19: *** Il Complice ***
Capitolo 20: *** Intuizioni ***
Capitolo 21: *** La cosa peggiore ***
Capitolo 22: *** Perchè? ***
Capitolo 23: *** Nessuno può capire ***
Capitolo 24: *** Scelte ***
Capitolo 25: *** "Dobbiamo parlare" ***
Capitolo 26: *** Rinunce e Perdono ***



Capitolo 1
*** Non si fida di me ***


CAPITOLO I

Prese una tazza di caffè nero e andò a sedersi accanto a Reid.
Lui aveva la testa sollevata, lo sguardo apparentemente perso nel vuoto. Eppure Morgan sapeva bene a chi fossero rivolti quegli occhi nocciola, a chi Reid, da qualche tempo, rivolgeva insistentemente la sua attenzione.
Emily era seduta poco lontano, anche lei una tazza tra le mani e un libro aperto sul tavolino. Hotch era accanto a lei.
-E’ davvero molto bella la nuova arrivata, eh?-
Reid parve ridestarsi da un lungo e profondo sonno. Forse stava sognando sul serio, ad occhi aperti.
-Sì, è carina-    farfugliò.
Era molto più che carina: occhi verdi, capelli ramati, leggere lentiggini e fisico atletico. Aveva un sorriso a dir poco contagioso e la sua risata spesso riempiva le loro orecchie e i loro cuori. A Morgan piaceva pensare che fosse stata mandata nella loro unità per portare un po’ di allegria, per fare in modo che ricordassero che nel mondo ci sono anche le cose belle, che non tutto è orribile come i casi che si trovavano ad affrontare ogni giorno.
Quel giorno però Emily sembrava tutt’altro che allegra. Era assorta nei suoi pensieri e se ne stava lì, in silenzio, a contemplare il libro aperto senza realmente leggerlo.
Forse era per via del caso che stavano per affrontare: uno stupratore seriale che violentava ripetutamente e uccideva brutalmente giovani donne in carriera. Dopotutto questo tipo di casi colpiva molto le donne.
Anche Reid continuava a fissarla, forse stava facendo quegli stessi pensieri, forse si stava chiedendo anche lui come mai quel giorno non si fosse ancora sentita una dolce risata riempire l’aria.
-Perché non ci provi con lei?-
Morgan fu schietto e diretto, come sempre. Reid non rimase per niente sorpreso, voltò lentamente il capo verso di lui e con uno sguardo eloquente cercò di fargli capire che non avrebbe avuto nessuna possibilità con lei.
-Oh, avanti! Perché ti butti giù così? Per quale motivo dovrebbe rifiutarti? Perché sei un genio? O forse perché sei troppo carino?-
-Forse perché non si fida di me, non si fida di nessun uomo.-
-Cosa?-
Reid aveva cambiato espressione, anzi il suo volto sembrava del tutto privo di espressione: non una ruga di rabbia né una di delusione.
-Non lo hai notato? Non tocca gli uomini!-
-Che stai dicendo, Reid?-
-Ti ha mai dato una pacca sulla spalla? O per caso ti ha stretto la mano quando vi siete conosciuti? L’hai mai vista abbracciare qualcuno? Non hai notato che ogni volta che le viene presentato un uomo lei cerca in tutti i modi di evitare il contatto fisico con lui? Addirittura quando un uomo le porge qualcosa lei non lo prende mai dalle sue mani, fa in modo che costui lo poggi su di una superficie per poi prenderlo da lì.-
-Ok, frena, frena, frena… Mi stai dicendo che ha dei problemi con gli uomini?-
-Credo proprio di sì…e anche molto seri! Deve esserle successo qualcosa di veramente terribile in passato.-

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Capitolo 2
*** "Nessuno doveva sapere" ***



CAPITOLO II

Si sentiva nervosa, non a suo agio. Hotch, seduto accanto a lei, finse di non notarlo, eppure con la coda dell’occhio osservava le sue mani irrequiete.
Si alzò per andare in bagno e fu allora che si accorse di Morgan e Reid. La fissavano insistentemente. Morgan pareva cercare qualcosa in lei, qualcosa che non riusciva a vedere, Reid la guardava preoccupato.
Forse avevano notato il suo nervosismo, la sua ansia.
Non ci fece caso ed andò dritta verso il bagno. Rossi stava uscendo proprio in quel momento.
-Freddo, eh? Ho chiesto al pilota di spegnere il condizionatore.-
Sorrise.
L’agente Rossi era come un padre per lei, quel padre che non aveva mai avuto.
Era stato il suo maestro, quando da studentessa leggeva e rileggeva i suoi libri di notte con la torcia accesa per non dare fastidio alla sua coinquilina. L’aveva aiutata a integrarsi nella squadra, si era affezionato a lei e lei a lui. Eppure non lo aveva mai toccato, non ne aveva neanche avuto l’impulso. In certi momenti era stato così carino con lei che un’altra donna avrebbe sicuramente risposto con un abbraccio, ma lei no. Non poteva toccarlo. Se lo avesse fatto sarebbe svanito, così come il suo vero padre, così come tutti gli uomini che aveva incontrato sul suo cammino. Se solo avesse sfiorato le sue mani curate o il suo viso serioso avrebbe vissuto per la seconda volta tutto quell’orrore.
Forse lui se n’era accorto, forse aveva notato che lei aveva sempre evitato il contatto fisico. Non le importava. Lei doveva vivere in quel modo, non poteva fare altro.
 
Entrò nel bagno e lì trovò un po’ di pace. C’era silenzio e c’era anche più caldo. Buttò fuori aria e con essa i brutti pensieri, i cattivi ricordi. Chiuse gli occhi e cercò di non pensare. Rimase in quella posizione per diversi minuti, poi sentì qualcuno bussare alla porta: era Hotch.
-Tutto bene lì dentro? Stiamo per atterrare.-
Non rispose. Semplicemente aprì la porta ed uscì.
Fece dei respiri profondi e quando il portellone si fu aperto uscì all’aria aperta. Il sole le accarezzò il viso e finalmente si sentì pronta ad affrontare quel caso che le ricordava la sua terribile esperienza.
 
*
 
Il detective di riferimento era una donna. Non doveva avere più di quarant’anni. Anche lei sembrava molto presa da quel caso e presto ne capirono il motivo: una delle vittime era una sua amica e lei sembrava fin troppo coinvolta emotivamente.
-Cerchi di calmarsi-    le ripeté Hotch mentre illustrava il caso con foga, con rabbia.
-Non posso calmarmi! Questo maledetto bastardo stupra e uccide le donne della mia città libero e indisturbato! Dobbiamo prenderlo!-
-Lo prenderemo!-
Hotch, con la sua solita calma e rigidità andò a sedersi ad una scrivania al centro della stazione di polizia che la detective aveva preparato per loro. Le lavagne erano già lì, pronte con le foto delle scene del crimine, pronte ad essere esaminate con accuratezza.
Morgan e Rossi erano sull’ultima scena del crimine, per cui in centrale si ritrovarono ad essere soltanto in tre.
-Cominciamo con la vittimologia.-
-Sembra seguire un certo schema-   rispose prontamente Reid.
-Giovani, belle, brune. Cerca donne benestanti, donne di successo. Vivevano tutte in villette fuori città. Può agire indisturbato.-
Un conato di vomito le salì alla gola. Lo respinse.
Il caso non sembrava affatto semplice, soprattutto per Emily. Non era in grado di lavorare lucidamente, era sopraffatta dai ricordi.
Si accorse all’improvviso che Reid la stava osservando. Per un attimo pensò di parlare con lui, di buttargli addosso quella verità che tanto le pesava. Ricambiò lo sguardo e si trattenne: nessuno doveva sapere.

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Capitolo 3
*** "Ti prego, parlami!" ***



CAPITOLO III

Mezzanotte. Il vento soffiava forte fuori dalla finestra.
Emily non si sentiva al sicuro nella sua camera d’albergo.
Andò verso il minibar e lo aprì senza esitazioni: cercava dell’alcool.
Qualcuno bussò alla porta, lei rimase immobile. Non aveva intenzione di aprire a nessuno, non voleva parlare, non voleva dover spiegare il suo nervosismo, non voleva dover trattenere le lacrime.
Aveva voglia di piangere, ma cercava di trattenersi. A dire il vero aveva anche voglia di vomitare, ma cercava di trattenere anche quello.
Chiunque fosse la persona che stava bussando alla sua porta sembrava non volersi arrendere molto facilmente. Insisteva, bussava ancora, sempre più forte.
-Chi è?-
-Spencer-
Emily ci pensò un po’ su. Che cosa poteva volere a quell’ora di notte? Forse aveva avuto una delle sue brillanti deduzioni, ma allora perché non andava a comunicarla al loro capo? Perché bussava proprio alla sua porta?
Aprì. Non voleva farlo, ma cedette. Forse fu la curiosità a spingerla ad aprire la porta, o forse inconsciamente desiderava una compagnia in quella sera buia e tempestosa come il suo animo.
-Stai bene?-
-Certo!-   rispose lei leggermente sorpresa.
Reid si infilò nella stanza senza attendere un invito. Scivolò dentro e si chiuse la porta alle spalle.
Emily continuò a fissarlo con espressione interrogativa: proprio non si spiegava il perché di quella visita notturna.
-Tu stai bene?-
-Benissimo!-
Sorrise. Era bello quando sorrideva. Gli si formavano delle righe sulle guance incavate e gli occhi si stringevano traboccanti di gioia. Non aveva mai visto un sorriso più sincero di quello.
Notò il frigobar aperto e il sorriso quasi gli si spense.
Lei lo notò e cercò di giustificarsi sostenendo di cercare dell’acqua minerale.
Reid aveva capito, aveva capito tutto.
-Ti prego, parlami!-
Le si avvicinò lentamente e per la prima volta dopo anni di paure lei non indietreggiò. Si fermò a pochi centimetri da lei, senza toccarla, ma abbastanza vicino da sentire il profumo del suo shampoo.
-Sono solo stanca, ma va tutto bene!-
-So bene che non è così-
Fu allora che esplose. Pianse, pianse forte. Si portò le mani al volto, si gettò su una sedia in preda alla disperazione. Spencer rimase lì, la osservava e basta. Sapeva di non poterla toccare, di non poterla stringere a sé, di non poterle accarezzare il capo chino sulle sue stesse braccia. Sarebbe stato peggio.
Doveva lasciarla fare, aveva bisogno di piangere, di sfogarsi e poi, quando sarebbe stata pronta, avrebbe parlato, avrebbe detto cosa la turbava, cosa le impediva di avere fiducia in lui.
Pianse per diversi minuti, forse ore e lui rimase a guardarla per tutto il tempo.
Era bella anche così, con gli occhi gonfi, le gote rosse, le labbra bagnate.
Sollevò il viso e lo guardò. Provava una leggera vergogna: si conoscevano da così poco tempo, doveva aver fatto una pessima impressione su di lui.
Invece Reid, con premura e pazienza le si accovacciò accanto. Lei sulla sedia, lui sulla moquette. Si guardavano e si capivano, non si toccavano ma si sentivano.
Emily si alzò dalla sedia, ma solo per sedersi anche lei sulla moquette, naturalmente a debita distanza da quell’uomo che in certi momenti le sembrava il suo migliore amico, in altri un perfetto sconosciuto.
Si asciugò il viso con il dorso della mano. Lui le porse un fazzoletto di cotone, anche se ormai non ne aveva più bisogno.
Mentre lo tendeva verso di lei si ricordò che stava sbagliando, quindi lo appoggiò delicatamente sulla moquette e attese che lei lo prendesse.
Emily era sorpresa. Da quel gesto comprese che Reid sapeva, conosceva il suo problema. Si sentì capita, si sentì a casa per la prima volta dopo tanto tempo, nonostante fossero seduti sulla moquette di un sudicio albergo fuori mano in chissà quale parte dell’Ohio.
-Lo sai? Tu sai che io…-
-Dicono che sono un genio!-
Sorrise ancora, sorrisero entrambi.
-Non voglio che tu ti senta obbligata a raccontarmi il perché, voglio solo aiutarti, voglio che tu sappia che io sono qui. Non ti giudico.-
Emily lo guardò. Sembrava così bello sotto la luce del neon, sembrava così bello dopo quelle parole.
-Ho una madre schizofrenica e ho paura di fare la sua stessa fine. Spesso le malattie mentali si ereditano e io sono quasi sicuro che toccherà anche a me prima o poi. Ho paura del buio, ma non per un motivo in particolare, non credo di aver avuto traumi legati al buio da bambino. Il buio mi fa paura solo per l’intrinseca mancanza di luce. Odio le cimici…-
-Spencer! Neanche tu sei obbligato a dirmi tutte queste cose!-
-Lo so, ma io voglio solo che ti fidi di me.-
Avrebbe pianto di nuovo, lo sentiva, ma questa volta sarebbe stato un pianto di gioia.
-Per me non è molto seplice…-
-Lo so.-
Rimasero lì tutta la notte. Le gambe incrociate e le braccia appoggiate alle ginocchia. Tra loro c’era il silenzio, un silenzio eloquente, un silenzio pieno di vita.

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Capitolo 4
*** "Ecco il mio segreto" ***



CAPITOLO IV

-Avevo 16 anni, ero al liceo. Ero una ragazzina normalissima, abbastanza banale, anonima. Studiavo parecchio, avevo una migliore amica, guardavamo i ragazzi. Alla mia amica, Sheila, piaceva un certo Michael, un giocatore di football. Non era niente male, solo un po’ troppo arrogante per i miei gusti. Sheila lo adorava, io lo detestavo. Un giorno, a lezione di inglese, ci provò spudoratamente con me, ma io lo rifiutai mettendolo in ridicolo davanti a tutta la classe. Non ricordo neanche cosa gli dissi, ma riuscii a farlo tacere una volta per tutte. Sheila se la prese: Michael ci aveva provato con me, il ragazzo dei suoi sogni aveva fatto lo scemo con me ed io lo avevo addirittura umiliato. Non mi parlò per i successivi tre giorni e questo non fece altro che favorirli.
-Favorire chi?-
Erano le undici e mezza di sera. Spencer ed Emily erano seduti ancora una volta sulla moquette, ma questa volta si trattava di quella di casa di Emily.
Avevano risolto il caso nell’Ohio: dopo diverse difficoltà erano riusciti a mettere le mani sullo stupratore. Al momento dell’arresto Emily si era allontanata con Spencer, temeva di avere reazioni fuori luogo.
Erano tornati a casa da poche ore e, all’atterraggio, Emily aveva chiesto a Spencer di accompagnarla a casa. Una volta arrivati alla porta di casa gli aveva chiesto di salire.
Si erano seduti sul pavimento con un gesto quasi spontaneo, simultaneamente. Erano rimasti in silenzio per diversi minuti, poi Emily aveva iniziato a parlare. Per la prima volta raccontava quello che le era accaduto, per la prima volta dopo la sua deposizione alla polizia.
-Loro-
Di nuovo silenzio.
Spencer era rapito da quel racconto. Finalmente avrebbe saputo, finalmente avrebbe potuto fare qualcosa per lei.
-Michael frequentava ragazzi più grandi: un certo Kyle e un altro ragazzo di ventitre anni di cui non ricordo il nome. Credo di non averlo mai saputo in realtà.-
Spencer la guardava. Più andava avanti nel racconto, più sapeva che sarebbe peggiorato.
-Mi hanno rapita, Spencer.-
Era incredibilmente calma. Non una lacrima, non un tremore della voce né delle mani. Era come se la sera prima in quel pianto disperato avesse racchiuso tutta la rabbia e l’angoscia accumulate in quegli anni, era come se si fosse liberata dei fantasmi del suo passato, delle sue paure ed ora fosse libera di parlare del suo passato.
-Mi hanno tenuta rinchiusa in una vecchia casa di campagna per diciotto lunghissimi giorni.-
-Che cosa ti hanno fatto?-
-Stupro-
Aveva pronunciato quell’unica terribile parola con una freddezza preoccupante, come se quel passato non le appartenesse.
-Erano in tre ed ogni volta che avevano voglia di fare sesso venivano da me. Mi stupravano…mi stupravano.-
Spencer avrebbe voluto abbracciarla, ma sapeva che non era ancora il momento di farlo.
-All’inizio le contavo, cercavo di tenere il conto degli stupri, delle violazioni che compivano sul mio corpo, ma ad un certo punto ho perso il conto. Chiudevo gli occhi e subivo, cercavo di portare la mente altrove, ma con poco successo.
La polizia mi ha trovata dopo diciotto lunghi giorni. Ero disidratata e non mangiavo da giorni.
Sono rimasta in ospedale per più di una settimana, senza vedere nessuno. Mio padre non è venuto a trovarmi neanche una volta.-
-E tua madre?-
Un lampo illuminò i suoi occhi, ma subito si spense.
-Mia madre è morta subito dopo il parto. Non l’ho mai conosciuta. Ho sempre pensato che mio padre non me lo avesse perdonato, che ce l’avesse con me perché le avevo portato via sua moglie e ne ho avuto la conferma dopo questa brutta storia.
Quando sono stata dimessa è venuta mia nonna a prendermi in ospedale. Lui se n’era andato, non l’ho più rivisto.-
-Se n’era andato?-
-La nonna diceva che era stato il suo lavoro a portarlo via, ma io so bene che non mi voleva più, non mi ha mai voluta. Se n’è andato perché non riusciva più a guardarmi in faccia sapendo ciò che avevo subito, riteneva fosse colpa mia.-
-Non hai avuto più sue notizie?-
-Non so se è vivo o morto, non so dove sia, non ho più un padre.-
Reid tacque. Nella sua mente stava già elaborando una sorta di profilo. Erano davvero notevoli le delusioni che aveva subito dal genere maschile: i ragazzi che l’avevano stuprata, il padre l’aveva abbandonata perché la riteneva responsabile di due delitti che non ha mai commesso. Era già abbastanza sorprendente che Emily non fosse diventata una di quelle donne che se ne vanno in giro ad ammazzare uomini e ad amputare loro i genitali. Emily aveva reagito anche fin troppo bene considerato ciò di cui era stata vittima.

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Capitolo 5
*** Pensieri... ***



CAPITOLO V

Le stava tendendo la mano. Lei non l’afferrò.
Spencer lo sapeva, era troppo presto. Se mai fosse riuscita a fidarsi di lui, a toccarlo, a sfiorarlo con le dita, sarebbero dovuti passare giorni, mesi, forse anche anni.
Lo guardò come per scusarsi, non era pronta, non lo era ancora.
-Grazie-   sussurrò con la voce rotta dalla commozione.
Lui sorrise. Di nuovo quel sorriso così bello, di nuovo quegli occhi pieni di gioia.
Era notte fonda ormai, ma a loro non importava, non erano stanchi, non avevano sonno.
Accesero la tv, ma Spencer aveva occhi solo per lei.
-Tu non meriti tutto questo-
-Ci conosciamo da qualche settimana, come fai a dirlo?-
-Nessuno merita questo-
 

*

 
Un nuovo giorno, un nuovo caso.
JJ stava illustrando loro la situazione: due famiglie sterminate. Le immagini che passavano sullo schermo alle spalle di JJ erano terribili e cruente. Due famiglie massacrate, bambini inclusi.
Morgan a volte pensava sul serio di lasciare la squadra, lasciare quel lavoro tanto tremendo. Non ne poteva più di vedere morti ammazzati, non ne poteva più di vedere sempre e soltanto il lato peggiore dell’esistenza umana.
Poi però arrivava Garcia, con i suoi colori, le sue battutine ambigue, il suo affetto perfettamente celato dietro pesanti tendaggi di ironia e sarcasmo e tutto si colorava.
A volte aveva pensato davvero di amarla e dopotutto quello che c’era tra loro era amore, una forma particolare di amore. Non tornavano a casa insieme la sera, non facevano cenette romantiche a lume di candela, non facevano sesso, ma tra loro vi era un legame veramente indissolubile. A volte gli bastava guardarla per sentirsi meglio, per sentirsi al sicuro in un mondo così crudele.
Anche Spencer stava facendo su per giù gli stessi pensieri. Emily riusciva a renderlo felice. Quei pochi momenti che avevano trascorso insieme, seduti sulla moquette di un qualche posto remoto e insignificante lo avevano fatto stare bene. Aveva dimenticato di avere paura del buio, aveva dimenticato il suo destino segnato dall’ereditarietà della malattia della madre, aveva dimenticato chi fosse e dove fosse: c’era solo lei.
Forse si stava innamorando. E lei? Sarebbe stata in grado di amarlo un giorno? Sarebbe riuscita a toccarlo, a baciarlo, a stringerlo forte quando faceva brutti sogni? Forse stava esagerando, forse stava andando troppo in là con i pensieri.
Cercò di tornare alla realtà, concentrandosi sul caso, su quell’ennesimo orrore di cui sarebbe stato testimone.
 
Hotch ascoltava JJ. Non batteva ciglio, come al solito. Eppure anche a lui quel lavoro faceva ribrezzo a volte. Pazzi criminali che uccidono per il gusto di farlo, è davvero orribile. Spostò per un attimo lo sguardo su Emily, la nuova arrivata. Era in gamba, molto precisa,  sveglia e intelligente. Aveva un solo difetto: era stata vittima di ripetuti stupri. L’agente Hotchner, capo dell’unità, aveva il privilegio (e a volte la sfortuna) di conoscere molti aspetti della vita privata dei suoi agenti. Leggeva le loro cartelle e ciò che leggeva lo aiutava a conoscerli uno per uno. Quando aveva letto del passato dell’agente Prentiss non aveva esitato ad assumerla. Con quel passato era in grado di capire cose che un normale agente non avrebbe potuto comprendere. Non a caso era specializzata in crimini sessuali e chi meglio di lei poteva essere qualificata in quel campo. Ciò che aveva subito era orribile, ma la rendeva un’agente migliore di molti altri.
Solo dopo una settimana di lavoro insieme, Hotch si era accorto di quanto fosse grave il suo problema. Evitava il contatto con gli esseri umani in generale, ma soprattutto con il genere maschile. All’inizio si era preoccupato, aveva pensato di aver commesso un grave errore ad assumerla, ma poi si era reso conto che il suo comportamento non intaccava assolutamente il suo lavoro. Forse a qualcuno poteva essere sembrata maleducata perché non aveva stretto la mano al momento delle presentazioni ufficiali, ma a pensarci bene Hotch era convinto che i detective con cui avevano avuto a che fare non se ne fossero neanche accorti.
Era sicuro che prima o poi sarebbe riuscita a sconfiggere le sue paure, ad affrontare il problema, ma se anche non fosse accaduto non sarebbe cambiato niente. Era brava, era in gamba ed era solo questo che le serviva per svolgere al meglio il suo lavoro.
Rossi guardava lo schermo, l’espressione leggermente disgustata.
-I bambini hanno subito violenza?-
JJ scosse il capo.
-E la madre?-
Di nuovo JJ fece segno di diniego.
-Si parte tra venti minuti-
Hotch raccolse la sua cartella e come al solito fu il primo ad alzarsi dal tavolo.
Rossi lo imitò, poi tutti gli altri.
Stavano per affrontare un nuovo caso che apparentemente sembrava essere uno dei tanti, ma per Emily avrebbe rappresentato una vera e propria svolta.

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Capitolo 6
*** Trovato! ***



CAPITOLO VI

Il cuore le batteva forte, era di fronte al cadavere di un bambino di quattro anni. Non era da molto che faceva quel lavoro, eppure sapeva che non si sarebbe mai abituata a quell’orrore. La mente criminale era un qualcosa che l’aveva sempre affascinata, ma quei cadaveri, il sangue rosso vivo, le cicatrici nell’anima delle persone, quello no; non sarebbe mai riuscita ad abituarsi a quello.

L’obitorio era vuoto, il medico legale li avrebbe raggiunti a momenti.
Emily e Rossi fissavano quel bambino con il caschetto castano e gli occhi stretti forte come in una smorfia di dolore. Era stato percosso e poi strangolato. Il fratello più grande invece, come il resto della famiglia, era stato ucciso con un unico colpo al petto, un colpo di pistola.

-Jimmy ha lottato, ha lottato molto per sopravvivere-

Il medico legale entrò nella sala. Esordì con quella frase, pronunciata con un distacco impressionante.
Era un uomo sulla quarantina, molto distinto e molto serio. Ricordava vagamente Hotch con la sua serietà e la sua freddezza. Forse lui era riuscito ad abituarsi a tutto quell’orrore, forse aveva scoperto il segreto per continuare a fare quel lavoro senza inorridire ogni volta che squillava il suo cellulare. Provò quasi invidia per lui, ma presto si ricredette: fare quel lavoro senza rimanere scossi, scioccati, disgustati sarebbe stato come perdere la passione, le motivazioni, la grinta. Emily all’improvviso seppe che nel momento in cui fosse riuscita a guardare un cadavere di un bambino così piccolo senza avere voglia di vomitare, sarebbe stato per lei il momento di lasciare la squadra.
 

*

 
Lavorarono al caso con impegno, come sempre. Hotch sembrava particolarmente preso, anche se come al solito cercava in tutti i modi di non darlo a vedere. Per Emily non era stato molto difficile capirlo: Jack aveva l’età di Jimmy, il bambino morto.
 
Morgan come sempre si accaniva contro questo S.I. che, come tutti gli altri all’inizio di un caso, sembrava essere il più spietato di tutti quelli che avevano dovuto studiare in passato.
 
Spencer stava lavorando ad un profilo preliminare; se ne stava chiuso nell’ufficio accanto al loro con la testa immersa nelle scartoffie e solo di tanto in tanto alzava lo sguardo per rivolgerlo ad Emily.
Pensava che dopotutto la sua collega era stata molto più sfortunata di quanto non credessero tutti, forse per lei sarebbe stato più facile morire piuttosto che vivere una vita di timori costanti, paure sempre presenti.
 

*

 
Il profilo di Spencer sembrava perfetto: l’S.I. si identificava nel figlio minore ed era per questo che a lui riservava un destino diverso, una morte apparentemente meno cruda. Era facile sparare un colpo di pistola da lontano, senza nemmeno curarsi dell’avvenuta morte. Più difficile sembrava strangolare un bambino di quattro anni che lotta e che fino all’ultimo ti guarda chiedendo pietà. L’S.I dedicava ai figli minori molto più tempo e attenzione di quanto non ne dedicasse al resto della famiglia. Erano i figli minori il suo bersaglio.
Il resto della squadra non trovò nulla da obiettare al profilo elaborato da Reid, riuscirono soltanto ad arricchirlo ancora prima di illustrarlo alla polizia.

Una volta presentato il profilo vennero fuori ancora nuovi elementi, dovuti anche ad un altro omicidio avvenuto quella notte stessa. Grazie a Garcia riuscirono ad arrivare ad un nome, il nome dell’S.I.

-Reid e Prentiss con me. Avete tutti l’indirizzo, ci vediamo lì-

Hotch salì in macchina e mise in moto senza attendere che Reid chiudesse la portiera. Era determinato, forse anche più del solito.

-Morgan e Rossi non ci sono, li abbiamo persi. Non ci stanno seguendo, dovresti rallentare-

Reid era preoccupato, era la determinazione di Hotch a renderlo un tantino nervoso.
Era risaputo quanto poco amasse l’azione, preferiva elaborare profili geografici, farsi venire brillanti deduzioni mentre stava comodamente seduto ad una scrivania con una tazza di caffè tra le mani. L’azione lo preoccupava, ma non temeva di essere ferito o di morire; la cosa che temeva di più era di dover essere lui a sparare, a distruggere una vita che seppur macchiata da crimini e violenze era pur sempre una vita.

-Reid ha ragione, dobbiamo aspettarli-

-Se il profilo è giusto sarà in casa da solo. Sappiamo che è un vigliacco, non cercherà lo scontro. Possiamo farcela.-

-Abbiamo sbagliato altre volte, non possiamo rischiare!-

Hotch sospirò. Non vedeva l’ora di acciuffare quel criminale, sbatterlo al fresco e tornare a casa ad abbracciare suo figlio e assicurarsi che stesse bene.

-Va bene, una volta arrivati a casa dell’S.I. aspetteremo gli altri.-
 
 
Come non detto. Hotch si fiondò in quella casa da solo, costringendo Prentiss e Reid a seguirlo per coprirgli le spalle. Ciò che avvenne in quella casa fu spaventoso, ma per Emily fu davvero come se qualcuno, dal cielo, gli avesse teso una mano per aiutarla.

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Capitolo 7
*** Paura ***



CAPITOLO VII

La casa era apparentemente vuota. Non un rumore, non un respiro. Eppure Hotch sembrava sicuro di quello che faceva, era certo che l’S.I. fosse lì ad aspettarli, era certo che lo avrebbero trovato.
Salirono le scale lentamente: Hotch davanti a tutti, poi Reid e alla fine Emily.

Reid avvertiva un leggero tremore alle gambe e faticava a tenere ben salda la pistola tra le mani.
Sapeva che Morgan e Rossi sarebbero stati lì a momenti, dopotutto avevano lasciato la stazione di polizia nello stesso istante.

Hotch, dal canto suo, non mostrava il minimo segno di paura o tensione.
Teneva lo sguardo fermo, dritto davanti a sé, così come la pistola che stringeva tra le mani.

Emily, sullo sfondo, seguiva i suoi colleghi, sperando che quella casa fosse vuota. Per la prima volta si ritrovava a desiderare di essersi sbagliata, avrebbe preferito lasciarsi scappare l’S.I. piuttosto che agire così incoscientemente. Aveva uno strano presentimento, aveva paura.
 
Ben presto le sue paure si concretizzarono, ben presto qualcosa di agghiacciante accadde, ben presto si ritrovò a desiderare di non essere mai entrata in quella maledetta casa!
 

*

 
 
Hotch entrò nella prima stanza sulla destra, la prima al piano di sopra. Reid lo seguì, mentre Emily tardò ad arrivare, trattenuta dai pensieri, dalla paura.
Sentì solo diversi colpi di pistola: qualcuno aveva appena scaricato il suo caricatore contro i suoi due colleghi dell’FBI.
 

*

 
 
Entrò lentamente nella stanza, impaurita. Teneva la pistola ben salda tra le mani, lo sguardo attento, ogni muscolo pronto a muoversi.

Reid e Hotch erano a terra, ma non ebbe il tempo di vedere cosa gli fosse successo.

Sul fondo della stanza con il petto gonfio del sapore del trionfo vi era un uomo. La barba incolta, i capelli radi. Era alto, possente. Non avrebbe vinto facilmente contro di lui. Era da sola contro un energumeno, con in mano un’arma che in quella situazione le sembrava un giocattolo e niente di più.

All’improvviso però realizzò di avere un vantaggio. Emily aveva sempre avuto una passione per i numeri, contava tutto: le scale, le caramelle, i rintocchi delle campane della chiesa e aveva contato anche i colpi esplosi dall’S.I. Li aveva finiti, aveva sparato tutti i proiettili.

Emily si sentì trionfante, ma presto il suo trionfo si spense pensando a Hotch, pensando a Reid. Per un attimo  le sembrò di sentire qualcuno contorcesi e lamentarsi: qualcuno era ancora vivo!
 
Hotch aveva ragione: l’S.I. era un vigliacco. Senza una pistola tra le mani non era altro che una nullità, incapace di reagire in qualsiasi modo. Emily riuscì, senza troppe difficoltà, a mettergli le manette, lasciandolo intrappolato con i polsi appesi al calorifero della stanza.

Si lanciò su Hotch che aveva gli occhi aperti e le labbra contratte. Cercava di dire qualcosa, ma non ne aveva la forza. Solo allora Emily si rese conto che quel criminale aveva sparato a vuoto, riuscendo a colpire soltanto una spalla di Hotch e la coscia di Reid.

-Devi andare da Reid-   riuscì a dire in preda al dolore.

Emily alzò lo sguardo. Spencer perdeva sangue, aveva una grave emorragia in corso e lei avrebbe dovuto cercare di bloccare la fuoriuscita di sangue.
Hotch riusciva a farlo da solo, la spalla era stata colpita di striscio e lui, con l’altra mano riusciva a mantenersela senza problemi.

-Devi aiutare Reid, devi fermare il sangue!-

Reid era lì, a pochi centimetri da Hotch. La guardava.
Lo sapeva, sapeva che non sarebbe stata in grado di farlo, non lo avrebbe toccato neanche quella volta, non ne sarebbe stata capace. Non era colpa sua, dopotutto.
Hotch continuava a ripeterle di andare dal suo collega, ma lei era come immobilizzata. Con un gesto quasi meccanico riuscì a prendere il telefono per richiedere un’ambulanza, ma Reid era ancora lì disteso e perdeva sangue.

Si fece coraggio e andò da lui.

-Non devi farlo per forza. L’ambulanza sta arrivando, me la caverò comunque-

La voce di Reid era debole, spenta.
Eppure Lei non poteva farlo, non poteva toccarlo.

Per un attimo immaginò di essere di nuovo all’obitorio, accanto al corpo di Jimmy. Era come un sogno.
All’improvviso si accorse che accanto al cadavere del bambino ce n’era un altro, si avvicinò lentamente: era Reid. Aveva gli occhi cerchiati di nero, la pelle spettrale: era morto.
No, non poteva farlo. Reid non poteva morire per colpa sua. Lui l’aveva aiutata, aveva cercato di farlo in tutti i modi. Era stato paziente, l’aveva rispettata; era arrivato il momento di ricambiare il favore!

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Capitolo 8
*** Il Passato Ritorna ***



CAPITOLO VIII

Affondò la mano in quella macchia scura.
Si guardò intorno in cerca di qualcosa che potesse aiutarla a fermare il flusso di sangue, ma all’improvviso fu assalita dai ricordi.
 
Era legata alla spalliera di un letto. Aveva diversi lividi sulle gambe. Indossava soltanto uno slip scuro e una t-shirt grigia. La maglietta doveva essere di uno dei ragazzi: riportava la stampa “I love Beer”.
C’era odore di cibo, hamburger probabilmente e in quel momento era da sola. Forse gli S.I. stavano mangiando. Si rese conto in quel momento di avere fame. Il suo stomaco brontolava e la sua gola implorava acqua. Fu allora che arrivò. Era Kyle, il mezzano e il più spietato. Le sollevò la maglietta senza troppi complimenti e poi lentamente le sfilò gli slip. Emily tremava, tremava troppo.

 
Stava tremando anche nella realtà, nel presente. Gli occhi chiusi e una smorfia di dolore sul volto.

-Emily? Emily torna qua da me. Sono io, sono Spencer. Non ti farò del male.-

Emily si ridestò. Era vero, era Spencer. Sembrava sentirsi meglio, sembrava aver riacquistato leggermente le forze.

-Non ti accadrà niente. Mi stai solo aiutando ed io non ho intenzione di farti del male.-

Hotch ascoltava senza battere ciglio. Conosceva bene la situazione di Emily, anche se lei non lo sapeva.
 
Di nuovo Kyle. Il petto nudo, le mani sul suo corpo. Sorrideva, ma non era un vero sorriso, non c’era traccia di gioia in quella smorfia indefinibile. Era un ghigno, un ghigno beffardo, un ghigno trionfante.
 
-Emily, no! Quello è il passato e tu ora sei qui con me. Io…io non ti farei mai del male, devi fidarti di me!-

Fu in quel momento che Morgan e Rossi fecero irruzione nella stanza. Dietro di loro c’erano i paramedici: l’ambulanza era arrivata. Eppure adesso Emily faticava a staccarsi da Reid, non riusciva ad interrompere quel contatto nuovo, quel contatto sconosciuto. La sua gamba era piena di sangue e ora lo era anche la sua mano. Era come se i loro corpi si fossero fusi insieme, come non vi fosse più rimedio a quel contatto, a quell’unione.

Rossi l’afferrò delicatamente dalle spalle e la trascinò via, lontano da Spencer. Lei neanche se ne accorse. Il contatto era finito, ma i loro sguardi erano ancora fusi insieme.

Ancora una volta si guardavano e si capivano e anche se non si toccavano più si sentivano.

Uno dei paramedici si chinò su Spencer, interrompendo anche i loro sguardi.

Rossi la trascinò fuori e l’aiutò a ripulirsi. Le sue mani erano piene di sangue, ma per una volta ad Emily non dispiaceva.

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Capitolo 9
*** "Puoi provare a capirlo" ***



CAPITOLO IX

Furono dimessi entrambi quella sera stessa. In realtà i medici fecero un’eccezione per permettere loro di tornare a casa con il resto della squadra.
Hotch stava bene; non poteva esagerare con i movimenti del braccio destro, ma per il resto stava bene. Anche Reid non era poi così malandato. Avrebbe dovuto usare le stampelle per un po’, ma sembrava sereno.

In aereo Hotch le si avvicinò.

-Sei stata molto coraggiosa-

Emily ne fu sorpresa. Coraggiosa lei? Aveva esitato troppo, si era lasciata sopraffare dai ricordi, aveva lasciato che il passato vincesse.
Rivolse ad Hotch uno sguardo interrogativo.

-Conosco il tuo problema, l’ho notato. So che hai delle difficoltà nei rapporti con il genere maschile, so che preferisci evitare qualsiasi tipo di contatto fisico con gli uomini. Non credevo fosse un problema, dopotutto in questa unità ciò che conta di più è il nostro cervello.-

Fece una pausa e la guardò. Emily era sempre più sorpresa: Hotch sapeva e lei non aveva mai preso in considerazione questa possibilità. Eppure era ovvio. Aveva sicuramente letto la sua scheda.

-Ho avuto paura che Reid non ce la facesse. Solo stasera ho realizzato che il tuo problema poteva mettere in pericolo la vita dei tuoi colleghi. Per un attimo ho pensato che se ne fossimo usciti tutti vivi avrei evitato d’ora in poi di mandarti sul campo, ma poi mi hai stupito. Hai superato la tua paura, sei riuscita ad affrontare i mostri del tuo passato, hai messo la vita di Reid davanti alla tua. Sei stata molto più coraggiosa di quanto mi aspettassi.-

Emily non riusciva proprio a capire. Era sicura di aver sbagliato, era sicura che sarebbe stata mandata via dall’unità per quello che era successo ed ora invece riceveva addirittura i complimenti.

-Grazie-

Emily sorrise, Hotch si allontanò.

Mille interrogativi riempirono la sua mente. Aveva toccato Reid, ma perché era riuscita a farlo? Era perché aveva paura che morisse, aveva paura di doversi portare sulla coscienza la morte di un suo collega oppure la cosa era molto più grande di ciò che sembrava? Era possibile che fosse riuscita a fidarsi di lui finalmente? Era possibile che dopo anni e anni passati nel più totale terrore avesse finalmente trovato la pace? Era possibile che quel ragazzo spaventosamente magro, con gli occhi nocciola e il sorriso incredibilmente bello fosse riuscito a cancellare il suo passato, i suoi timori?
Lo guardò.
Spencer dormiva. Era disteso sul divano del jet e dormiva tranquillamente. Era accovacciato in una buffa posizione a causa della gamba ferita, ma sembrava dormire beatamente. Chissà cosa stava sognando.
 

*

 
-Ma non puoi guidare!-

-Non posso neanche prendere la metro se è per questo, ma non vedo perché debba accompagnarmi tu! Mi dispiace farti fare tutta quella strada, non sono poi così ‘invalido’!-

-Ma a me fa piacere!-

Litigavano come una coppia sposata da quarant’anni ed era bellissimo.

-Avanti Reid, smettila! Ti accompagno io e basta! Sali!-

Salirono in macchina. Lui sorrideva, lei si godeva il trionfo.

La strada non era poi tanto lunga, Spencer era il solito esagerato. Esagerava per premura, esagerava perché le voleva già bene.
Percorsero tutto il tragitto in silenzio, avvolti in un clima caldo, tranquillo, sereno.
Lui continuava a sorridere, lei si era lasciata contagiare.

-E’ qui che abiti?-

-Perché quel tono? Non ti piace?-

Spencer scese dalla macchina senza troppe difficoltà.

-Ho solo fatto una domanda.-

Emily lo imitò.

-Vuoi entrare, vero?-

-Vorrei parlarti, sì-

Entrarono.

Emily non badò molto alla casa, era concentrata su colui che ci viveva. Notò soltanto un’enorme quantità di libri, ma questo era prevedibile.

-Qualcosa non va?-

Reid era rimasto in piedi, appoggiato alle stampelle. Il viso leggermente preoccupato, gli occhi in attesa.

-Ce l’ho fatta, ti ho toccato. Ho affondato la mano nel tuo sangue, nella tua ferita-

-Lo so-

-Vorrei capire perché l’ho fatto-

-Beh, non è difficile. Ero in pericolo, l’istinto di sopravvivenza ha avuto la meglio su tutte le tue paure.-

-E’ stato solo questo?-

-Che vuoi dire?-

Emily sospirò. Non sapeva come spiegarlo, non sapeva esprimere bene il concetto senza sembrare ambigua.

-Il punto è: l’ho fatto solo perché rischiavi la vita oppure perché ho imparato a fidarmi di te?-

Sputò fuori la frase tutta d’un fiato. Se ne liberò senza troppi preamboli. Sapeva che se qualcuno poteva avere una risposta allora quello era Spencer Reid.

-Non lo so.-

-Non lo sai?-

-Non posso saperlo! Sarò anche un genio, ma non posso leggere i tuoi pensieri!-

-Sapevi che avrei rivissuto il passato, che non appena ti avessi toccato avrei rivisto ciò che ho subito molti anni fa!-

-Quello è normale dopo un trauma come il tuo!-

Silenzio.

Stavano litigando di nuovo. Emily lo stava incolpando di qualcosa di cui nessuno poteva avere colpa.

-Puoi provare a capirlo però!-

Lo disse all’improvviso, rompendo il silenzio che si era creato, mettendo la parola pace in un litigio che non si era ancora neanche consolidato.

-Provare? E come?-

-Vieni qui, avvicinati.-

Emily eseguì. Era davvero incredibile, sembrava davvero fidarsi ciecamente di lui. Bastava una sua parola per farla agire, non aveva neanche bisogno di chiedere il perché.

-Ora sto bene, non sono in pericolo. Prova a toccarmi ora. Non ti sforzare troppo, fallo solo se te lo senti e potresti avere la risposta che cerchi.-
Reid aveva ragione. L’unico modo per comprendere ciò che era successo qualche ora prima era provarci di nuovo e rimanere lì ad osservare cosa sarebbe successo dopo.

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Capitolo 10
*** Contatto ***



CAPITOLO X

Gli stava tendendo la mano, di nuovo.
Lei scosse la testa per fargli capire che non doveva farlo. Doveva solo rimanere lì fermo ad aspettare. Era lei a dover fare il primo passo.
Lasciò ricadere il braccio lungo il fianco, lo riappoggiò sulla stampella e attese.

All’improvviso sentì il peso di ciò che stava per accadere.

E se fosse stato vero? Se Emily avesse riacquistato davvero la fiducia persa molti anni prima? Perché proprio lui? Aveva sempre desiderato aiutarla, ma in quel momento le conseguenze dell’aiuto che aveva sempre voluto porgere a quella donna così bella cominciavano a pesare, erano comunque una responsabilità.
Se avesse superato le sue paure grazie a lui cosa sarebbe successo? Significava che si stavano innamorando? Oppure era solo una bella amicizia?

Emily sollevò il braccio destro. Le dita tese, con la punta di esse sfiorava già la sua cravatta, ma non andò oltre. Rimase lì, a sentire quel tessuto così piacevole al tatto, ad assaporare l’attesa.

Spencer ebbe un sussulto. Seppure attraverso la cravatta, riusciva già a sentire il tocco di Emily. Era un tocco impreciso, spaventato, inesperto. Era un tocco che gli trasmetteva calore, sicurezza. Che paradosso! Quella donna insicura, piena di paure gli stava trasmettendo una sicurezza ed una tranquillità mai provate prima.

Sentiva il suo respiro irrequieto, percepiva di nuovo il suo profumo.

Per lui bastava anche quel tocco parziale, quel tocco incompleto. Si sentiva già bene.
 
Emily respirava a fatica, era quasi in apnea. Era tesa, era nervosa. Che cosa sarebbe accaduto? Come sarebbe finita quella storia?

E se non fosse riuscita a toccarlo del tutto?
Beh, a quel punto avrebbe avuto ragione Hotch: ciò che contava nel suo lavoro era il suo cervello, nient’altro. Se non fosse riuscita a portare al termine quel “tocco” non sarebbe successo proprio un bel niente. Avrebbe continuato a vivere come era abituata a fare, come aveva sempre fatto.

E se invece ci fosse riuscita?
Spencer avrebbe preteso un bacio? Avrebbe voluto fare l’amore con lei? Si stavano innamorando o era solo un illusione? La situazione era così complicata che non riusciva a pensare lucidamente.

Fece un altro piccolo passo in avanti e fu allora che lo toccò di nuovo, irrimediabilmente, definitivamente.

Le sue dita erano affondate nel suo fianco, su quella camicia grigia e sottile, su quel corpicino piccolo e indifeso.

Per un attimo Emily rimase immobile, di nuovo in apnea. Anche Spencer smise di respirare.

Si avvicinò ancora. Le dita risalirono il suo petto fino alle spalle, fino al viso.

Erano pericolosamente vicini. Le loro labbra quasi si toccavano, i loro respiri erano diventati uno solo.

Fu allora che Spencer capì: era giunto il momento.
Sollevò nuovamente la sua mano dalla stampella che cadde a terra con un rumore che nessuno dei due udì realmente. La mano di Reid andò a posarsi sul fianco di Emily, in un abbraccio delicato, incompleto.
Lei sorrise nervosamente. Lui rispose per rassicurarla.
Non tremava più, non aveva più paura.

A Spencer venne l’impulso di tendere le labbra, di baciarla. Erano vicini, vicini come due innamorati che stanno per darsi il primo bacio.
Il baciò non ci fu.

Rimasero lì per diversi minuti, prima che lo squillo del telefono di lui li facesse ritornare violentemente alla realtà.

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Capitolo 11
*** "Ed è subito sera..." ***



CAPITOLO XI

Il pc acceso, il cursore lampeggiante, una tazza di caffè sulla scrivania.
Hotch fissava il vuoto, si sentiva in colpa.

Il suo intento era stato quello di lodare Emily, di farle capire quanto fosse stata coraggiosa, di spingerla a superare le sue paure. Alla fine però aveva detto delle frasi fredde, frasi un po’ equivocabili. Le aveva detto che dopotutto era il cervello quello che contava. Le aveva implicitamente fatto capire che a lui non importava proprio niente se lei non stava bene con se stessa, se aveva paura dei mostri del suo passato, per lui l’importante era che svolgesse al meglio il suo lavoro. E invece le cose non stavano affatto in quel modo, Hotch si era soltanto spiegato male.

-Papà?-

Jack comparve sulla porta, compresso nel suo pigiamino preferito, quello con gli orsetti.

-Cosa c’è, tesoro?-

-Posso dormire con te stanotte?-

In altre situazioni Hotch sarebbe stato categorico, avrebbe detto di no. Era convinto che Jack dovesse abituarsi a dormire da solo, doveva crescere. Quella, però, non era una situazione come le altre. Dopo aver visto quei bambini massacrati in Florida, sentiva anche lui il bisogno di stare con suo figlio.

-Va bene, ma solo per questa notte.-

Spense il pc, poi la luce e seguì suo figlio in camera da letto.

Si addormentò con un sorriso e con l’intenzione di scusarsi e chiarire la situazione con Emily l’indomani.
 

*

 
-Era mia madre. A volte ha voglia di sentirmi prima di andare a dormire.-

-E’ normale.-

Erano di nuovo distanti con i corpi, ma sempre più vicini con l’anima.

Non dissero nulla, non c’era nulla da dire.

Emily lo aveva toccato, lo aveva accarezzato. Si erano quasi baciati e, anche se non era successo, Reid si sentiva euforico. Non pensava più alle conseguenze come una responsabilità, si sentiva semplicemente bene.

C’era un leggero imbarazzo nei movimenti di Emily, ma era del tutto normale. Sorrideva nervosamente, si tormentava le mani.

-Si è fatto tardi, sarà meglio che vada-

Spencer avrebbe voluto chiederle si restare. Gli sarebbe piaciuto molto trascorrere un’altra notte davanti alla tv senza guardarla veramente, oppure seduti sul pavimento a scrutarsi dolcemente.
Quella sera, però, non poteva farlo. Non poteva chiederle di restare. C’era stato quasi un bacio e se avesse insistito per farla rimanere lì con lui Emily avrebbe potuto equivocare. Avrebbe pensato che voleva approfittare della situazione e Reid, certamente, non aveva questa intenzione.

Annuì sorridendo e la lasciò andare.

Quella notte non dormì. Continuò a pensare al suo profumo, al loro contatto.

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Capitolo 12
*** Le parole distruggono ***



CAPITOLO XII

Un caso terribile, il caso di Raphael.

Fu quello a separarli di nuovo, fu quello a fargli perdere nuovamente la fiducia in lui.

Si trattava di un caso molto complesso. Un assassino, prima di commettere i suoi crimini, li annunciava alla polizia telefonando al 911. Garcia presto scoprì che i filmati degli omicidi venivano poi diffusi tramite Internet. Proprio da quei video la squadra riuscì ad elaborare un profilo abbastanza dettagliato: si trattava di un SI con personalità multipla e ossessionato dalla religione che puniva le sue vittime per i peccati commessi.

Morgan lo pensava sempre, all’inizio di ogni caso pensava sempre che quell’S.I. fosse il peggiore di tutti e forse in quel caso non si sbagliava affatto!
 

*

-Lo ha preso!-

-Cerca di calmarti adesso. Chi l’ha preso? Cosa è successo?-

Reid era stato rapito, portato via dall’S.I.
La cosa più orribile di tutta quella faccenda fu che il suo rapitore continuava a trasmettere su internet le immagini del suo rapimento. Spencer veniva drogato e picchiato. Era dura guardare quelle immagini, era dura vedere quel caso come tutti gli altri.

Eppure ce la fecero anche quella volta. Trovarono Reid.

Il problema fu il dopo.
Nei giorni successivi al rapimento Spencer fu strano, molto strano.
Il resto della squadra sosteneva che fosse normale, aveva subito uno shock non indifferente.
Emily, dal canto suo, percepiva qualcosa di più. Non le sembrava un semplice shock, doveva esserci sotto qualcosa di terribile.

Decise di chiederglielo, di affrontarlo senza farsi troppi pensieri.

Spencer fu sfuggente, anche un po’ aggressivo.

-Vuoi dirmi cosa c’è che non va?-

-Va tutto bene-

Sembrava annoiato, sembrava recitare un copione sempre uguale. Tutti gli chiedevano se andava tutto bene, lui rispondeva sempre di sì.

-Non è vero! Non ti ho mai visto così!-

Spencer si alzò.

Un attimo prima era comodamente sprofondato nella sua poltrona da ufficio, un attimo dopo era in piedi davanti a lei, eretto in tutta la sua statura. Sembrava più alto, più robusto, più imponente.

-Non mi hai mai visto così? E dimmi un po’, da quand’è che ci conosciamo noi due? Qualche giorno? Un mese?-

Emily indietreggiò.

-Credi di conoscermi così a fondo solo perché siamo stati sul punto di farci un’allegra scopata?-

Poi silenzio. Buio.

Emily scappò via, lontano, senza pensarci e senza voltarsi.



No, non era vero. Impossibile. Spencer non poteva aver detto quelle parole, non poteva averla ferita così, intenzionalmente, per il gusto di farlo.
Si era offerto lui di aiutarla, lei non gli aveva mai chiesto nulla. Non era spiegabile un comportamento come quello.

Era mezzanotte passata ed Emily, avvolta nel suo plaid a pois, decise di andare a fondo a quella storia.

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Capitolo 13
*** Confidenze ***



CAPITOLO XIII

No, proprio non ce la faceva.
Ci aveva provato diverse volte, ma sempre senza successo.
Non riusciva proprio ad avvicinarsi a Spencer, a parlargli, a chiedergli di dirgli cosa c’era che non andava realmente. Temeva un’altra sfuriata, o forse il suo vero timore era che Spencer pensasse davvero ciò che le aveva gettato in faccia con tanta rabbia.

Era possibile? Spencer l’aveva aiutata a superare il suo dolore e le sue paure soltanto per portarsela a letto?
Doveva essere per forza così, per quanto assurdo potesse sembrare. 
Perché avrebbe dovuto dire quelle parole se non fossero state vere?

-Emily, stai bene?-

Hotch la sorprese a fissare il vuoto. Erano a Quantico e stavano aspettando che JJ presentasse il nuovo caso da affrontare. Lei era arrivata per prima e si era seduta. Hotch l’aveva appena raggiunta. Mancava ancora il resto della squadra.

Emily annuì evitando il contatto visivo con il suo interlocutore.

-Sei in anticipo-

-Anche tu-

Hotch si sedette accanto a lei e iniziò ad esaminare i fascicoli che un attimo prima teneva sotto il braccio.
Eppure il suo sguardo non era veramente rivolto a quei fogli, piuttosto alla sua collega.
Da qualche giorno sembrava triste…di nuovo.
Hotch aveva avuto l’impressione che si stesse riprendendo, che in qualche modo stesse cercando di superare i suoi problemi e di dimenticare il passato.
Da un po’ di tempo, invece, era ritornato tutto come prima. Emily si guardava intorno furtiva, indietreggiava se un uomo le si avvicinava più del normale, evitava qualsiasi contatto, anche solo visivo, con chicchessia.

-Sei sicura di stare bene?-

-No-

Fu incredibile: la risposta le uscì dalle labbra in un sussurro. Emily stentò a credere di averla pronunciata sul serio.

-Vorresti parlarmene?-

Emily non rispose; questa volta non vi fu nessuna risposta involontaria.

-Non vedermi per forza come il tuo capo, sono anche un uomo e conosco perfettamente il comportamento umano.
Spesso ho offerto un sostegno psicologico ai componenti della mia squadra, posso aiutarti se lo vuoi.-

Emily sgranò gli occhi. Aveva appena scoperto un lato di Hotch che forse soltanto sua moglie aveva avuto il privilegio di conoscere.

Il loro capo spesso sembrava insensibile, quasi inumano e invece aveva appena dimostrato di avere un cuore, dei sentimenti, una coscienza.

Fu tentata di acconsentire, di iniziare delle sedute con Hotch. Per la prima volta voleva parlare, voleva raccontare tutto. Erano finiti quei giorni in cui credeva che tenersi tutto dentro fosse la scelta migliore, erano finiti quei giorni in cui lasciava che le sue paure la sopraffacessero.

Eppure non rispose, si limitò a lanciargli uno sguardo carico di gratitudine.

E poi arrivò JJ.
 

*

 
Era molto tardi, ma Hotch era ancora lì. Attraverso il vetro del suo ufficio si vedeva il suo capo bruno chino sulla scrivania. Era decisamente quello il momento giusto, ma Emily non aveva ancora realmente deciso se farlo oppure no.

Fu il destino a decidere per lei quella sera: Hotch alzò lo sguardo e la vide e allora Emily seppe che non poteva più tirarsi indietro, che quella era la scelta giusta.
 

*

 
Erano seduti l’uno di fronte all’altro.

Hotch era seduto su di una poltroncina nera; il busto in avanti, i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani giunte. La sua cravatta penzolava nel vuoto lenta, ipnotizzante.

Emily era adagiata sul divano. Si era seduta all’estremità, pronta ad alzarsi da un momento all’altro.

Rimasero in silenzio non per molto. Presto Emily sentì il bisogno di parlare,  di raccontare tutto.
E lo fece. Raccontò veramente tutto, cominciando da quando aveva sedici anni.
Mentre raccontava, veloce e spedita come un fiume in piena, sapeva bene che Hotch conosceva la sua storia. Forse non c’era neanche bisogno di raccontargliela, ma per lei era quasi una necessità. Doveva liberarsi, svuotarsi. Doveva farlo ora che Reid sembrava aver dimenticato quanto lei si fosse aperta con lui.

-…ma questa storia la conoscevi già, non è vero?-

-No-

Emily lo guardò stupita.

-No, non conoscevo questa storia. Ho letto i fascicoli della polizia e ti assicuro che non è esattamente la medesima cosa.-

Proseguì senza mai fermarsi. Raccontò di Reid.
Le faceva male parlarne, ma sapeva che doveva farlo.

-Non voglio giustificare ciò che ha fatto o detto, ma credo che Reid abbia dei problemi seri-

-Di che si tratta? Te lo ha detto lui?-

-No, l’ho capito da solo.-

Hotch sospirò. Si sentiva quasi in difficoltà. Stava per darle altro dolore.

-Reid durante il rapimento è stato più volte drogato, ricordi?-

All’improvviso Emily capì. Fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto.

-Lui…lui è diventato...? No, non può essere!-

-La droga crea dipendenza, questo lo sappiamo tutti. Sono certo che sta cercando di smettere, ma questo gli procura crisi d’astinenza non indifferenti.-

-Non può essere!-

-Mi dispiace, ma è proprio così-

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Capitolo 14
*** Rivelazioni ***



CAPITOLO XIV

Qualcuno bussò alla porta.

Reid esitò qualche istante. L’astinenza era terribile: gli tremano le gambe e anche le mani. Si sentiva irrequieto.

Aprì dopo diversi minuti, convinto che chiunque avesse bussato alla sua porta fosse già andato via.

-Credo che dovresti parlare con qualcuno-

Un’unica frase e poi se ne andò.

La sua rigidità, il suo distacco avevano convinto Reid: Hotch aveva ragione.
 

*

 
Aprì la porta senza neanche pensare a chi potesse essere a quell’ora.

Era lui. Era Spencer.

Aveva un sorriso stampato sul volto e un sacchetto bianco stretto nella mano destra.

-Non dirmi che hai già cenato!-

Sembrava allegro, sembrava quello di sempre.

Emily non rispose. Si spostò leggermente per lasciarlo entrare.

-Che vuoi, Spencer?-

Era fredda.

-Voglio solo cenare con te. Sono passato dal cinese all’angolo. Non puoi dire di no ad una bella cena cinese.-

-Ti sembra normale tutto questo?-

-Normale? No che non lo è! La normalità è noiosa!-

Ebbene sì, sembrava davvero quello di sempre.
Mangiarono quasi tutto, il cibo era davvero squisito.
Emily aveva una fame da lupi, non mangiava da giorni, non mangiava da quando lei e Spencer avevano avuto quel battibecco.
Rimase comunque sull’attenti. Anche se sembrava tutto normale, per lei Spencer era ancora una bomba ad orologeria: non si sarebbe affatto stupita se, all’improvviso, avesse cambiato atteggiamento nei suoi confronti. Dopotutto era già successo una volta.

-In realtà sono qui per chiederti scusa-

-Spencer, non è affatto necessario…-

-Invece sì!-

Emily desiderava ardentemente le sue scuse, ma allo stesso tempo la facevano stare male. Ricordare quell’episodio, quelle parole le avrebbe fatto soltanto del male.

-Vuoi sapere perché ho detto quelle cose?-

Per Emily era una tortura.

-Lo vuoi sapere? Beh, è semplice! Ti ho detto quelle cose perché ho avuto paura di morire, di non rivederti mai più!-

-Che cosa diavolo vorrebbe dire questo?-

-Se io fossi morto, se Raphael mi avesse ucciso avrei avuto un solo grande rimpianto.-

-E quale sarebbe stato?-

Gli occhi di Emily traboccavano di lacrime. Era un supplizio, una sofferenza immane. Non voleva ricordare, non voleva dover rivivere di nuovo quell’ennesima delusione.

-Avrei rimpianto di non averti baciata quella notte a casa mia, avrei rimpianto di non aver fatto l’amore con te!-

Fu allora che il mondo si fermò, la terra smise di girare, il tempo smise di scorrere.

Emily era in piedi, immobile. La bocca spalancata, le mani ferme a mezz’aria. Stava per replicare, avrebbe voluto farlo, ma qualcosa l’aveva bloccata lì, inchiodata al parquet del suo salotto.

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Capitolo 15
*** Un bacio ***



CAPITOLO XV

Si fiondò nel suo ufficio senza neanche bussare. Sapeva di trovarlo lì, chinato sulle solite scartoffie, intento a compilare moduli su moduli.

Alzò appena lo sguardo, sembrava aspettarsi quella visita.

Emily respirava velocemente, come se avesse corso a gambe levate.

-Vuole fare l’amore con me-

Hotch lasciò cadere la penna e si alzò dalla scrivania. Le si avvicinò lentamente senza fiatare, scrutandola con espressione impassibile.
Si lasciò cadere sulla poltroncina posta di fronte al divano, invitandola così a fare lo stesso.

Emily era troppo nervosa per sedersi, troppo impaziente. Scosse la testa mentre continuava, irrequieta, a spostare il peso del corpo da una gamba all’altra.

-Emily, calmati. Vieni qui a sederti.-

No, proprio non ci riusciva.

Fu Hotch a raggiungerla.

Emily non indietreggiò.

-Tu vuoi fare l’amore con lui?-

-Non lo so. Non sono pronta.-

-Allora parlagli, vedrai che capirà.-

Hotch le si avvicinò ancora. Emily rimase dov’era.
Riusciva a sentire l’odore del suo dopobarba, l’odore dell’inchiostro che aveva usato per scrivere il rapporto del caso, l’odore di menta fresca del suo alito.
Non si toccarono, non si parlarono, ma quei momenti valevano più di mille parole.
 

*

Era buio, ma nessuno accese le luci.
Non c’era bisogno di vedersi, si conoscevano già. Si sentivano.

Il suo respiro era lento, le sue mani incerte.

Non era molto tardi, dovevano essere le dieci o le dieci e mezzo.

C’era odore di incenso.

Nell’ombra si distinguevano due corpi. Erano vicini ma non si toccavano.

L’uomo era alto, la donna sembrava piccola e indifesa.

Non si muovevano, si fissavano attraverso il buio.

Lei sembrava tremare, lui la rassicurava con la sua presenza, con il suo calore.

Finalmente si toccarono e si persero in un bacio. Fu un bacio lungo, un bacio appassionato.

Nessuno dei due era mai stato baciato in quel modo prima di allora.

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Capitolo 16
*** Fantasmi del passato ***



CAPITOLO XVI

Uno squillo. Due squilli.

La finestra era aperta, le tende bianche gonfiate dal vento.

Tre squilli.

Un’ombra si mosse nell’oscurità.

Quattro squilli.

Emily era sotto la doccia, la radio accesa. Non riusciva a sentire il telefono, né i passi del losco intruso che passeggiava indisturbato nel suo salotto.

Scattò la segreteria telefonica.

Agente Prentiss? Sono lo sceriffo McPherson, può rispondere? E’ urgente!
Si tratta di Kyle Glass. Pare sia evaso.
Mi richiami non appena sente il messaggio.”

La comunicazione si interruppe.

L’intruso si mosse verso il telefono e con un unico gesto deciso cancellò quel messaggio, poi lasciò l’appartamento uscendo dalla porta principale.
 

*

 
Era una mattina come tante. Emily era già in ufficio, così come Rossi e JJ. Morgan e Reid arrivarono poco dopo.

Hotch, stranamente, non si era ancora visto, ma nessuno se ne rese conto.

Neanche Emily se ne era accorta.

In effetti Hotch era sempre il primo ad arrivare, ma si chiudeva immediatamente nel suo ufficio e non ne usciva finchè non veniva fuori un nuovo caso da affrontare. La sua presenza non si notava poi molto.

-Agente Prentiss?-

-Sì?-

Emily alzò lo sguardo dalla sua scrivania e si ritrovò davanti un agente molto giovane, accompagnato da un bambino.

-Jack! Tutto bene? Cosa ci fai qui? Come ci sei arrivato?-

Solo mentre si chinava su di lui, Emily si rese conto dell’assenza di Hotch.

-E’ arrivato pochi minuti fa e ha chiesto di lei. Ho pensato fosse suo figlio.-

-Grazie. E’ stato molto gentile. Può andare adesso.-

Jack sembrava spaventato, scosso.

-Ti va una Coca-Cola?-

Il bambino annuì.

-Bene, allora vieni con me-

Lo accompagnò nell’ufficio dell’agente Rossi e gli fece portare la bibita promessa.

-Cosa credi sia successo?-  chiese David mentre scrutava il bambino da lontano.

-Non lo so e non voglio fare congetture inutili. L’unico modo per sapere cosa è successo è chiederlo a Jack.-
 

*

-Un uomo cattivo ha portato via papà.-

-Ti ricordi com’era fatto?-

-Era alto e aveva la barba.-

-Come hai fatto a scappare, Jack?-

-Io non sono scappato! E’ stato lui a portarmi qui!-

Rossi assisteva all’interrogatorio da lontano. Era nascosto nell’ombra, eppure il suo sguardo  stupito arrivò fino ad Emily.

-Ti ha portato qui? E ti ha spiegato il perché?-

-Mi ha detto che dovevo parlare con te.-

-Con me? Ti ha detto di chiedere dell’agente Prentiss?-

Jack annuì. La Coca-Cola era finita.

-Ma ti ha spiegato perché?-

Jack scosse la testa.

-Mi ha detto solo di dirti il suo nome e avresti capito.-

-E qual è questo nome?-

-Kyle…Kyle Glass!-

Il terrore riempì gli occhi di Emily. Si lasciò cadere la penna con cui stava giocherellando fino a un attimo prima. Rossi le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio di uscire.

-Chi è Kyle Glass? Significa qualcosa per te?-

-Kyle Glass è uno dei ragazzi che mi ha tenuta segregata per diciotto giorni quando ero ancora un’adolescente. Kyle Glass è il motivo di tutti i miei incubi. Kyle Glass mi ha stuprata!-

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Capitolo 17
*** Perchè Hotch? ***



CAPITOLO XVII

-C’è qualcosa che non torna-

Erano seduti in sala riunioni. Non avevano ancora coinvolto il resto della squadra.
Rossi si era fatto raccontare sommariamente ciò che Kyle Glass aveva fatto ad Emily.

-Perché dovrebbe avercela ancora con te?-

-Perché l’ho fatto andare in prigione, no?-

Sembrava leggermente più calma, parlare con Rossi la tranquillizzava sempre. Eppure non potevano perdere altro tempo, dovevano agire. Per agire, però, dovevano prima capire.

-Non sembra una motivazione molto forte, ma te la do per buona-

-David, dobbiamo fare qualcosa!-

Emily alzò leggermente la voce.

-Dobbiamo riflettere prima!-
 
Garcia fece irruzione nella sala riunioni, sembrava sconvolta.

-Finalmente vi ho trovati! Dovete venire a vedere!-

Raggiunsero l’ufficio di Garcia in pochi secondi. Morgan, JJ e Reid erano già lì.

-Garcia, vuoi dirci che cosa è successo?- chiese JJ impaziente.

-E dov’è Hotch?- si meravigliò Reid.

-E’ proprio questo il punto!-

Garcia sembrava sempre più nervosa.

-Ho appena ricevuto un video: sembra che Hotch sia stato rapito!-

Nel video si distingueva chiaramente il volto di Aaron Hotchner. Perdeva sangue dal naso e dal labbro inferiore. Continuava a tenere testa al suo rapitore nonostante tutto. Non mostrava nessun segno di paura.
Il rapitore, incappucciato, lo gettava per terra e cominciava ad urlare contro di lui.

-Se farai ciò che ti dico andrà tutto bene. Non sei tu il mio bersaglio.-

Il video si concludeva all’improvviso senza una conclusione. Erano esattamente al punto di partenza: sapevano soltanto che Hotch era stato rapito e grazie a Jack conoscevano anche l’identità del rapitore.

-Garcia, cerca tutto ciò che riesci a sapere su un certo Kyle Glass.- ordinò l’agente Rossi.

-Chi è Kyle Glass?- chiese Morgan.

-Ragazzi, dobbiamo parlare!-
 

*

In pochi secondi furono di nuovo in sala riunioni.

Rossi raccontò al resto della squadra come stavano le cose. Spiegò chi era Kyle Glass, raccontò l’arrivo di Jack Hotchner di poche ore prima.

Emily era molto imbarazzata. Fino a qualche settimana prima non avrebbe raccontato il suo passato nemmeno sotto tortura e invece ora la conoscevano tutti i suoi colleghi, seppure con pochi dettagli.

-Ma non è possibile! Perché prendere Hotch?-

Morgan proprio non riusciva a crederci.

-Perché è il capo dell’unità?- provò JJ.

-Ma non ha senso! Se si tratta davvero di questo Glass avrebbe dovuto prendersela con qualcuno a cui Emily tiene particolarmente, altrimenti non avrebbe avuto senso. Se voglio colpire una persona, ma non voglio prendermela
direttamente con quest’ultima, i bersagli più facili sono i figli, i genitori o il partner- sostenne Reid con veemenza.

-Reid ha ragione, perché Hotch? Non ha minimamente senso!-

-Invece ce l’ha!-

Finalmente Emily intervenne, finalmente prese la parola.

-Che cosa vorresti dire?-

Reid la fissava stupito.

-Io e Hotch ci siamo baciati. Potrebbe averci visto.-

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Capitolo 18
*** Delusione ***



CAPITOLO XVIII

Fu come aver ingoiato un enorme macigno. Si sentiva lo stomaco pesante.

Forse non aveva sentito bene o forse stava sognando.

Sì, proprio così, poteva essere benissimo un sogno. Spesso faceva incubi in cui gli succedevano le peggiori sventure, in cui perdeva sua madre o le persone che più amava al mondo.

Non si era mai chiesto se fosse realmente innamorato di Emily, sapeva soltanto che da quella sera a casa sua non aveva fatto altro che pensare a lei. Immaginava i loro corpi intrecciati, immaginava le loro labbra sfiorarsi.

Non avrebbe saputo dire se ne era innamorato o meno, ma desiderava farci l’amore e, visto che per lui il sesso non era solo un passatempo, doveva provare realmente qualcosa per lei.

Qualche sera prima le aveva detto tutto, si era confidato senza problemi. Le aveva rivelato quello che provava, le aveva detto che voleva baciarla.

C’era soltanto una cosa che quella sera non era uscita dalle sue labbra: aveva smesso di drogarsi grazie a lei.

Lei aveva preso tempo, aveva detto di non essere pronta e lui si era fatto da parte.

Era normale, del tutto normale. Una donna che per anni e anni evita anche il contatto fisico più banale con qualsiasi uomo non poteva, da un giorno all’altro, accettare di andare a letto con lui.

Avevano già fatto molti passi avanti, avevano già superato i problemi che sembravano più insormontabili. Si erano toccati, si erano abbracciati. Emily gli aveva anche salvato la vita tamponando la sua ferita alla gamba.

Chinò istintivamente lo sguardo per rivolgerlo a quella ferita ormai rimarginata.

Forse si era rimarginato anche il loro amore, se così poteva essere chiamato.

Uscì dalla sala senza avvisare, senza fiatare.

Rossi provò a fermarlo. Emily lo precedette.

-Spencer aspetta!-

Si fiondò fuori dalla sala e lo raggiunse accanto all’ascensore.

-Ho bisogno di prendere aria.-

Si sentiva veramente tradito.

Con lui Emily aveva preso tempo, con Hotch non aveva avuto bisogno di aspettare neanche un minuto.

-Spencer mi dispiace!-

-Se ti fosse dispiaciuto non lo avresti fatto!-

Entrò nell’ascensore e scomparve dietro quelle fredde porte metalliche.

Eppure non era arrabbiato. Si sentiva deluso, frustrato, ma non provava neanche un minimo accenno di rabbia.

Quando Rossi aveva spiegato che il rapitore probabilmente era Kyle Glass, lo stupratore di Emily, Reid si era sentito quasi in pericolo. Ingenuamente aveva pensato: Emily tiene a me, sono un possibile bersaglio.

Che stupido era stato. Non avrebbe dovuto fidarsi di lei. L’aveva aiutata a fidarsi di lui, aveva cercato di insegnarle che la fiducia non può essere sbagliata, eppure aveva dovuto ricredersi.

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Capitolo 19
*** Il Complice ***



CAPITOLO XIX


-Quando è successo? E dove?-

-Dev’essere successo in un luogo pubblico, altrimenti come avrebbe fatto a vedervi?-

Emily era ritornata in sala riunioni ed ora i suoi colleghi la stavano torchiando per benino.

-E’ successo nell’ufficio di Hotch-

-Nell’ufficio di Hotch?-

Annuì.

-E come avrebbe fatto a vedervi?-

-Non lo so!-

Emily alzò la voce e scattò in piedi. Cominciava a sentirsi l’acqua alla gola, si sentiva distrutta per via di Reid, si sentiva impotente perché Hotch era in pericolo e loro brancolavano ancora nel buio.

-Non lo so, ma è l’unica spiegazione!-

Si impose di calmarsi e abbassò il tono della voce.

Era vero. Non si spiegava come avesse fatto Kyle a vederli, ma doveva essere andata proprio così. Altrimenti perché prendere Hotch? Kyle era un pianificatore, non avrebbe mai preso un ostaggio a caso.

Garcia entrò all’improvviso facendoli sobbalzare tutti.

-Scusate, avrei dovuto bussare!-

-Novità su Glass?- chiese Rossi impassibile.

-E’ evaso due giorni fa e lo sceriffo della contea sostiene di averti avvisata, Emily-

-Avvisata? Quando?-

-Dice di averti telefonato ieri sera e di averti lasciato un messaggio in segreteria.-

-No, si sbaglia. Non ho trovato nessun messaggio.-

-Ad ogni modo ho saputo che un mese fa un certo Michael Johnson è stato rilasciato per buona condotta e, scavando nel loro passato, ho scoperto che…beh, Emily sa di cosa sto parlando-

-Erano tre gli stupratori: Michael, Kyle e un altro ragazzo più grande- spiegò Emily con naturalezza.

-Esatto!- esclamò Garcia –In quel caso fu coinvolto un terzo uomo! Ho fatto delle indagini, ma ho scoperto che è stato ucciso in carcere pochi giorni fa-

-Kyle era molto legato a quel ragazzo, il suo omicidio potrebbe essere stato il suo fattore di stress- concluse Emily.

-Sì, ma questo non ci aiuta a capire dove sia Hotch!-

-E invece sì!-

C’era una nota di trionfo nel tono dell’agente Rossi.

-Da ciò che mi ha raccontato Emily, Michael era un sottomesso. Glass potrebbe averlo coinvolto, potrebbe averlo convinto ad aiutarlo nella fuga e forse anche nel rapimento-

-Sappiamo come è evaso Glass?- chiese Morgan speranzoso.

-In effetti pare proprio che avesse un complice!- concluse Garcia tetra.

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Capitolo 20
*** Intuizioni ***



CAPITOLO XX

-Ho parlato con un agente al piano di sotto. Mi ha detto che la settimana scorsa, mentre eravamo via ad occuparci di un caso, un sedicente tecnico ha preteso di entrare nell’ufficio di Hotch. Sosteneva di dover controllare alcune parti dell’impianto elettrico. Credo abbia messo delle cimici!-

Reid era tornato. Aveva fatto irruzione nella sala riunioni accompagnato da quella scoperta.

-Un tecnico? Ma è un trucco vecchio come il mondo? C’è ancora chi ci casca?- chiese Morgan quasi infastidito.

-Pare di sì-

Reid non le rivolse lo sguardo nemmeno per un secondo, nemmeno per sbaglio.

Ora era lui a non fidarsi più.
 

*

-Controlla tutte le proprietà intestate ai tre ragazzi. Non possono essere andati lontano!-

-Sissignore!-

Garcia uscì marciando.

-Secondo voi che cosa vuole Kyle?- chiese JJ più incuriosita che preoccupata.

-Vuole Emily, è ovvio!- affermò Reid continuando ad evitare il suo sguardo.

-Ma perché? Perché dopo tutto questo tempo?-

Reid non rispose, intervenne David Rossi.

-Perché ha visto il suo amico morire e questo gli ha procurato una certa instabilità psicologica e poi perché ha visto Emily con un altro uomo-

-Non c’è mai una spiegazione razionale. Stiamo parlando di psicopatici- sostenne Morgan con rabbia.

-Credete che Hotch se la caverà?-

Di nuovo intervenne Emily, di nuovo parlò dopo un lungo silenzio. Aveva le lacrime agli occhi. Le sembrava di vivere un incubo.

Rossi le si avvicinò lentamente e le si accovacciò accanto.

Lei rimase lì seduta sulla poltrona a tormentarsi le mani. Sollevò leggermente lo sguardo per rivolgerlo a colui che spesso si era comportato nei suoi confronti come un vero e proprio padre.

-Io credo che lo troveremo e andrà tutto bene!-

 
-Aspettate un secondo! Aspettate! Che cosa hai detto, Rossi?-

-Ho detto che Hotch se la caverà-

Reid era irrequieto, euforico. Aveva avuto un’intuizione ed Emily, in cuor suo, sperava che si trattasse di un’intuizione positiva.

-Hai detto che Kyle ha agito perché ha visto Emily con un altro uomo! Finchè erano i suoi amici non gli creava problemi, ma se si tratta di un estraneo?-

-Reid, cosa stai cercando di dirci?-

-Il suo bersaglio è Hotch, solo Hotch! Non farà del male ad Emily!-

-Ma nel video ha detto chiaramente che il suo bersaglio non era lui!-

-Dov’è Jack?-

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Capitolo 21
*** La cosa peggiore ***



CAPITOLO XXI

Jack non c’era.

L’ufficio dell’agente Rossi era completamente vuoto: nessuna traccia del piccolo, né dell’agente al quale lo avevano affidato.

Per fortuna non vi erano neanche segni di colluttazione.

-Chiedo a Garcia i video della sorveglianza, scopriremo chi è entrato o uscito dall’edificio-

-Ottima idea JJ. Noi continuiamo a cercare-

Emily era disperata. Non si sarebbe mai perdonata se fosse successo qualcosa ad Aaron o a Jack.

Cercarono in lungo e in largo e dopo diversi minuti riuscirono ad individuare l’agente al quale avevano lasciato Jack. Stava chiacchierando allegramente con una sua collega, mentre stringeva tra le mani una barretta di cioccolato ed
una lattina di coca.

-Dov’è il bambino?-

Rossi si avventò su di lui afferrandolo dal colletto della camicia.

-E’ nel suo ufficio, agente. Sono solo uscito a prendergli da mangiare. Me l’ha chiesto lui-

-Non doveva lasciarlo da solo!-

-Mi dispiace, io non lo sapevo-

-Quanto tempo fa è uscito da quell’ufficio?- chiese Emily imponendosi calma e sangue freddo.

-Pochi minuti fa-

-Se qualcuno l’ha preso non può essere andato molto lontano.-

-Ragazzi, lo abbiamo trovato!-

JJ arrivò alle loro spalle euforica. Dal suo volto sembrava che Jack stesse bene.

E infatti era proprio così. Jack aveva semplicemente iniziato a gironzolare nell’edificio, finché non aveva trovato l’ufficio di Garcia.

-Troverai il mio papà?-

-Certo amore- aveva risposto lei quasi commossa –Anche se in realtà in questo momento stavo cercando te!-

Il pericolo era stato scampato. Ora restava soltanto Hotch. Dovevano trovarlo.
 

*

-Credo di sapere dove tengono Hotch. Ho analizzato attentamente tutte le proprietà dei tre ragazzi e, tenendo conto del video, credo si trovino in un appartamento non molto lontano dalla stazione ferroviaria-

-Come fai a dirlo?- chiese Rossi quasi scettico.

-Nel video viene inquadrata chiaramente la finestra e verso la fine si vede un treno partire in lontananza-

-Manda l’indirizzo al mio palmare. Andiamo-

Rossi sembrava aver abbandonato lo scetticismo per fare largo alla determinazione.

Dovevano almeno tentare.
 

*

Arrivarono troppo tardi.

Non troppo tardi per salvare Hotch, semplicemente troppo tardi per mettere k.o. l’S.I.

Fecero irruzione nell’appartamento augurandosi di non trovare brutte sorprese e invece vi trovarono Hotch con una pistola puntata contro l’S.I.

Si trattava di Kyle Glass, ma presto riuscirono ad acciuffare anche il suo complice.

Dovevano aver lottato a lungo, considerato lo stato dell’appartamento, e alla fine Hotch doveva aver avuto la meglio: era riuscito a togliergli la pistola e a sottometterlo del tutto.

Intervenne subito Morgan che ammanettò l’S.I. e lo trascinò con forza fuori dalla stanza.

La prima cosa che fece Hotch dopo essersi assicurato che l’S.I. fosse stato portato via fu abbracciare Emily.

-Come sta Jack?-

-Sta bene. Va tutto bene, stai tranquillo-

Poi andò da Reid.

Non poteva sapere ciò che era successo mentre si trovava nelle grinfie di quei due ragazzini inesperti, ma dallo sguardo di Reid e dal fatto che evitasse, con un certo sforzo, quello di Emily comprese che doveva sapere.

-Mi dispiace-

Spencer non rispose. Lo guardò dritto negli occhi, uno sguardo duro e deciso che nessuno aveva mai visto su quel viso tanto delicato.

Uscì dalla stanza senza rispondere, senza fiatare.

-Come l’ha presa?-

-Male! Non mi ha urlato contro, non mi ha insultata. Non è arrabbiato, è deluso-

-…e non può esserci cosa peggiore-

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Capitolo 22
*** Perchè? ***


-Spencer ti prego apri!-

Emily continuava a bussare con forza. Avrebbe buttato giù la porta se necessario. Doveva parlare con Spencer, doveva spiegare. Sentiva di amarlo, nonostante tutto. Non riusciva a spiegare nemmeno a se stessa quello che aveva fatto.

Perché baciare Hotch se provava qualcosa per Reid?

Ed era anche stato un bacio lungo, appassionato, carico di sentimento.

Ma quale sentimento?

Era possibile amare due uomini contemporaneamente?

La sua vita non era più priva di uomini, ne era fin troppo piena.

Eppure lei la sua scelta l’aveva fatta: amava Spencer Reid.

Rimaneva soltanto un interrogativo senza risposta, ma se ne sarebbe occupata dopo, magari con l’aiuto dell’uomo che sentiva di amare.

-Ti prego…-

Il braccio doleva, la voce era diventata roca.

Si fermò per un istante.

Fu allora che la porta si aprì.

-Non mi devi alcuna spiegazione, torna pure da Hotch!-

Il viso di Spencer era freddo, impassibile. Sembrava privo di qualsiasi sentimento, di qualsiasi espressione.

Aveva pronunciato quella frase con noncuranza, come un messaggero, come se la cosa non riguardasse lui.

-Aspetta!-

Stava per richiudere la porta, ma Emily riuscì a intrufolarsi in casa.

-Io non voglio tornare da nessuno, voglio stare qui con te!-

-Emily, ma che cosa dici? Hai baciato un altro uomo!-

-Non so perché l’ho fatto!-

-Io sì-

Emily tacque.

Spencer andò in cucina a versarsi del caffè.

Tornò con la sua tazza nera tra le mani affusolate.

Emily lo fissava a bocca aperta. Cosa stava cercando di dirle? Cosa aveva capito?

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Capitolo 23
*** Nessuno può capire ***



Aaron Hotchner fissava il vuoto. Era seduto sul divano del suo salotto con la foto di Haley tra le mani.

Jack, ai suoi piedi, mangiava i biscotti avanzati ad Halloween. Guardava i cartoni, mentre spargeva briciole su tutta la moquette.

Hotch abbandonò la fotografia e posò lo sguardo su suo figlio, su quel caschetto dorato e quelle manine tozze come le sue. Quanto era bello suo figlio. Era la fotocopia della madre, ma spesso gli ricordava anche se stesso. Quando

Haley era ancora viva diceva sempre che il bambino somigliava alla madre, ma agiva come il padre. Ricordando quelle dolci parole, Hotch non riuscì a trattenere una lacrima e, in cuor suo, sperò che suo figlio non facesse mai i suoi stessi errori.

Haley gli mancava ogni giorno, gli mancavano perfino i suoi rimproveri. Con lei accanto era riuscito ad essere un uomo migliore, un padre migliore; senza di lei, invece, era difficile tirare avanti. Era dura vivere, era dura alzarsi dal letto ogni mattina, vestire Jack, portarlo a scuola e poi telefonare per dirgli che quella sera non sarebbe tornato a casa, che doveva andare in Ohio o in qualche altra parte dell’America.

Provò ad immaginare una vita diversa, una vita con Haley ancora accanto.

E se avesse cambiato lavoro quando ne aveva avuto l’occasione?

Forse Haley non se ne sarebbe mai andata e sicuramente George Foyett non l’avrebbe uccisa.

Sarebbero stati una famiglia felice.

Hotch aveva rinunciato a quella felicità…ma in cambio di cosa?

Come gli aveva detto Rossi qualche tempo prima, dare la caccia ai criminali era tutta la sua vita. Non poteva farne a meno, era più importante di qualsiasi altra cosa.

Anche di suo figlio?

No, quello no.

E di sua moglie?

No, neanche quello.

Forse se avesse avuto al fianco una persona che potesse capire il suo modo di vivere…

In quel momento pensò ad Emily.

La verità è che spesso, accanto ad Haley, si era sentito solo, abbandonato, incompreso.

Lei aveva sempre cercato di dirgli quello che doveva o non doveva fare, ma non aveva mai cercato di capirlo. Non poteva sapere come ci si sentisse a salvare una vita.

Se avesse avuto una vita diversa, se avesse cambiato lavoro, che fine avrebbero fatto quelle persone che era riuscito a salvare?

Hotch non era un tipo presuntuoso, ma sapeva bene che molti casi erano stati risolti grazie al suo intelletto. Tuttavia una squadra è pur sempre una squadra, pertanto i casi si risolvono combinando insieme le risorse di ognuno.

Ma se lui non ci fosse stato? Come sarebbe andata a finire?

Se avesse cambiato lavoro, se avesse assecondato la Strauss nei suoi tentativi di screditarlo, si sarebbe sentito frustrato per non aver lottato per il suo onore, per la sua carriera.

Se avesse cambiato lavoro, rinunciando a quello in cui credeva, sarebbe stato un uomo fallito, sarebbe stato un padre peggiore, un marito orribile.

Era quel lavoro che lo rendeva quello che era.

E’ vero, non c’era mai, ma quando c’era, i momenti che trascorreva con suo figlio valevano più di mille parole.

Sospirò. Accarezzò il capo di suo figlio e tentò di consolarsi pensando che era proprio così che doveva andare, che nessuna donna avrebbe mai potuto accettare un marito completamente assente.

Sospirò ancora.

Forse una donna c’era.

Emily.

Facevano lo stesso lavoro, condividevano quel modo di vivere incomprensibile per una come Haley.

Lei avrebbe potuto capirlo, anzi, era sicuro che lo capisse. Lo aveva sentito in quel bacio.

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Capitolo 24
*** Scelte ***



La pioggia batteva sui vetri, ma invano. Non riusciva a coprire quelle voci nervose, tese.

-Non c’è assolutamente niente tra me e te! Ti sei sfogata con me perché è capitato, non perché lo volevi davvero. Se quella sera fosse entrato Rossi oppure Morgan nella tua camera, ti saresti confidata con uno di loro!-

-Ma io ho toccato te per primo!-

-Ero in pericolo…-

-Ma ti ho toccato anche dopo!-

Spencer fece una pausa. Sospirò.

Non sapeva come spiegare quello che pensava. Nonostante tutto non voleva ferirla.

-Questo non vuol dire che vuoi stare con me. Fidarsi non vuol dire amare-

Pronunciò l’ultima frase con amarezza.

Emily si lasciò sfuggire qualche lacrima.

-Non so se provi qualcosa per Hotch, ma di sicuro non ami me-

-Come fai a sapere quello che provo io?-

-Chi ama non tradisce-

-Ha l’aria di essere un profilo!-

-No, non lo è. E’ soltanto il mio modo di vedere le cose-

La cosa peggiore di quella conversazione non erano le parole, era il volto di Spencer.

La sua espressione era fredda e distaccata, quasi quanto quella di Hotch. Sembrava deluso, irrimediabilmente deluso.

Dopotutto non aveva tutti i torti. Le aveva detto di amarla, di volerla baciare e fare l’amore con lei, e lei in tutta risposta era corsa a baciare un altro uomo.

Lei al suo posto avrebbe fatto anche di peggio.

Non aveva nessuna scusante.

Prese il cappotto e uscì definitivamente dalla vita di Spencer Reid.

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Capitolo 25
*** "Dobbiamo parlare" ***




Un lampo squarciò il cielo, poi l’arcobaleno.

Era mattina.

Hotch non aveva dormito.

Si alzò a malincuore dal letto e andò a svegliare Jack.

-Oggi c’è la gita!- esordì  -Non vorrai fare tardi?!-

Aprì le tende e lasciò entrare la luce. Non vi era nessuna traccia del passato temporale. Era tutto tranquillo, tutto normale.

Sembrava una giornata come tante.

Hotch accompagnò suo figlio a scuola, poi andò in ufficio.

Fu il primo ad arrivare, come sempre.

Eppure qualcosa di diverso c’era. Sentiva qualcosa fremere dentro di lui, qualcosa di irrequieto, ma felice. Era come se aspettasse qualcosa o qualcuno. Era come se non vedesse l’ora di rivedere Emily.

Rivolse lo sguardo verso l’ascensore. Sembrava impaziente.

Attese qualche istante, attese che si aprissero le porte, ma rimase deluso nel vedere Rossi e Reid che facevano il loro ingresso nell’ufficio.

Reid teneva il capo chino e non guardava mai davanti a sé. Era ferito, ferito nel profondo.

Hotch iniziò ad immaginare il suo futuro, quel futuro tanto improbabile che la sera prima aveva per un attimo auspicato: lui ed Emily.

No, non poteva. Lui aveva già un figlio da crescere, senza contare che era molto più grande di lei.

Era Reid il compagno ideale per Emily, decisamente. Avevano su per giù la stessa età, amavano le stesse cose, erano legati da qualcosa di indissolubile: la giovinezza.

Hotch sospirò.

Reid alzò lo sguardo e si accorse che lo stava fissando. Gettò la borsa sulla sua scrivania e andò nel suo ufficio.

-Dobbiamo parlare-

Sembrava calmo, di certo non aveva intenzione di fare a pugni.

Sorrise nervosamente, poi chiuse la porta dietro di sé.

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Capitolo 26
*** Rinunce e Perdono ***




-Io la amo!-

-Anch’io la amo-

Una pausa, una lunga pausa.

Venti interminabili minuti di silenzio. Ognuno chiuso nei propri pensieri, avvolto in un mare di emozioni.

Fu Hotch a rompere il silenzio.

-Lei ama te!-

-No, non è vero…-

-Sì che lo è!-

Un'altra pausa, un lungo sospiro.

-Lei ha baciato me perché si sentiva insicura. Ha voluto fare una ‘prova’, voleva solo essere sicura di essere in grado di farlo. Non voleva deluderti, Reid-

Spencer scosse la testa e cercò di prendere la parola, ma Hotch lo anticipò.

-Sai benissimo che ho ragione. Prova a mettere da parte i sentimenti, prova a guardare questa situazione dall’esterno. Prova a fare un profilo. So che è difficile, ma puoi farcela e sono sicuro che arriverai alle mie stesse conclusioni-

-Non posso fare il profilo alla donna che amo!-

-Allora provo ad aiutarti-

Ancora una pausa, ancora sospiri nervosi. Hotch era molto teso e lo era anche Spencer.

-Correggimi se sbaglio, ok?-

Spencer annuì senza mai staccare lo sguardo dal pavimento.

-Tu le dici che la ami, che vuoi baciarla, che vuoi fare l’amore con lei.

Lei è molto confusa. Fino al giorno precedente nutriva una fiducia negli uomini talmente scarsa da non riuscire neanche a sfiorarli con un dito.

Ti ha raccontato la sua storia, i suoi problemi, le sue paure, e neanche lei ne conosce ancora il motivo.

E’ confusa, crede di amarti, ma ha paura che sia solo un’illusione.

Nonostante tutto arriva a toccarti, ad appoggiare i polpastrelli sul tuo ventre, a sfiorare le tue labbra con le sue, a carezzarti il volto con delicatezza.

Sta quasi per convincersi che sia amore, ma l’ennesima delusione è dietro l’angolo.-

Spencer alzò lo sguardo.

-Ti riferisci a quello che le ho detto dopo il rapimento?-

-Non te ne sto facendo una colpa. Eri scosso, eri in crisi d’astinenza.

Per lei, però, è stato come precipitare di nuovo nell’abisso, non puoi negarlo-

-Le ho chiesto scusa!-

-Lo so,e sono sicuro che lei ti avesse già perdonato da tempo.

La sua fiducia negli uomini vacillava ancora, nonostante tutto-

-E perché di te si è fidata?-

-Non si è fidata di me. Se si fosse fidata non mi avrebbe baciato-

Spencer sembrava confuso, ma decise di non obiettare e di ascoltare il resto del racconto.

-Aveva paura. Tu ti eri messo a nudo con lei, ma lei non sapeva se poteva farlo con te. Si era fidata una volta e se ne era quasi pentita. Poteva farlo di nuovo? Poteva rischiare ancora? E soprattutto: avrebbe potuto sopportare
l’ennesima delusione se ci fosse stata?-

-Sono stato un mostro!-

-Lo è stata anche lei, dal tuo punto di vista. Ha baciato un altro uomo, ti ha ferito profondamente.

Ma prova a pensare ai motivi.

Lei ha perdonato le tue azioni perché ha capito che non era stato il vero Spencer a parlare.

Tu potresti perdonare le sue, tenendo conto delle ferite che ancora si porta dentro?-

-Ieri sera è stata da me. Ha detto che mi ama. L’ho mandata via!-

-Lei quella sera è venuta da me per avere la conferma di poter fare quello che le stavi chiedendo. Anche se sembra difficile, so che puoi farlo, puoi dimenticare e ricominciare da qui, da oggi.-

-Come?-

-Ti basterà guardarla negli occhi. Se la ami davvero, il resto verrà da sé!-

Spencer si alzò lentamente dalla poltrona e andò verso la porta. Non disse ah Hotch che condivideva ciò che gli aveva detto, ma lo lasciò intendere.

Posò una mano sulla maniglia, ma qualcosa parve trattenerlo.

-Ancora una cosa…-

-Dimmi-

-Se la ami anche tu, perché stai facendo di tutto per fare in modo che io la perdoni?-

-Perché so che lei ama te-

La risposta fu immediata, secca, precisa.

-Non dovrebbe riuscirti così facile-

-Il suo posto è accanto a te!-

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