The unexpected life of Emma Wimsey

di _Bec_
(/viewuser.php?uid=62129)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Grandchildren? Oh my God... ***
Capitolo 3: *** Marriage is just a contract ***
Capitolo 4: *** Living again ***
Capitolo 5: *** The ballroom dancing ***



Capitolo 1
*** Prologue ***




In seguito a spiacevoli avvenimenti sono costretta a scrivere questo avviso:
E' assolutamente VIETATA la riproduzione, anche parziale, di questa o di qualsiasi altra storia presente nel mio account autrice "_Bec_". La storia è stata pubblicata solo ed esclusivamente qui: doveste vederla in qualche altro sito vi prego di avvisarmi tramite i contatti presenti nella mia pagina autrice.
Grazie.


Creative Commons License
The unexpected life of Emma Wimsey by Rebecca S. is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Italy License.
Based on a work at www.efpfanfic.net.
Permissions beyond the scope of this license may be available at http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=840274.


Image by Sara and Tania
Emma sapeva bene quanto sua madre fosse rimasta destabilizzata dopo la morte del padre

    

The unexpected life of Emma Wimsey

 

                           

   

Prologue

 

 

Emma sapeva bene quanto sua madre fosse rimasta destabilizzata dopo la morte del padre. Vuota, frivola, dispersa, come una nave in mezzo all’oceano senza nessun punto di riferimento.

Per questo aveva assecondato i suoi ridicoli capricci in quegli ultimi mesi, per questo aveva accettato di vestirsi in quel modo quel giorno.

Il corpetto stava quasi rischiando di soffocarla, per non parlare di quel cappellino azzurro che la faceva tanto sentire come la vecchia zia Peach: un fenomeno da baraccone.

Una farfalla si poggiò leggera su una pagina del libro che stava leggendo e le sue labbra si distesero in un sorriso intenerito, -Ciao.- La salutò, studiandone meravigliata i colori.

Emma era convinta che molti animali fossero più sensibili e intelligenti della maggior parte delle persone che conosceva. Tollerava la presenza di una farfalla sul suo prezioso libro, ma non avrebbe mai tollerato che le sudice mani di qualche suo coetaneo toccassero quella stessa pagina.

-Emma! Emma!-

La voce acuta di sua madre la raggiunse anche in quel posto paradisiaco, così silenzioso e pacifico da farle persino dubitare che avesse a che fare con il resto del mondo.

Si era rifugiata sotto un albero, tolta il capellino che le schiacciava i capelli sudati e aveva iniziato a sfogliare rapita uno dei suoi libri preferiti. L’aveva preso in prestito, di nascosto e convinta che nessuno se ne sarebbe accorto, dalla biblioteca del padrone di casa e contava di restituirlo una volta finito quel noioso ricevimento da cui era scappata.

Sua madre non voleva che si dilettasse in quell’attività, secondo lei leggere riempiva solo la sua testolina di inutili parole e ideali come l’Amore.

Ed Emma era innamorata dell’Amore, quello vero, quello che non aveva mai provato, quello che leggeva negli occhi di suo fratello ogni volta che poggiava lo sguardo sulla sua donna, quello che spingeva due persone a stare insieme per sempre, senza obblighi o costrizioni di mezzo.

Non riusciva a capire perché sua madre fosse diventata così rigida e ferrea sull’argomento, da quando suo padre era morto, non ricordava di aver più potuto pronunciare quella parola, non senza ottenere un’occhiata gelida in risposta.

Si alzò non appena la vide sbucare tutta trafelata da dietro la collina, le guance rosse ma il portamento sempre impeccabile.

-Emma, eccoti qui!- Sua madre si stirò il vestito, stizzita per quella lieve piega formatasi sulla gonna, -Ti stavo cercando da…- Si bloccò e le sue labbra si arricciarono alla vista di sua figlia…delle sue condizioni piuttosto, -Cosa sono quei capelli? Santo Cielo e il vestito…!-
La ragazza fece scorrere velocemente gli occhi sull’indumento azzurrino che indossava, scoprendo con orrore una macchia di terra piuttosto evidente.

-Ehm, io…madre, posso spiegarvi…- Cercò di giustificarsi, sforzandosi di riacquistare un certo contegno dopo essersi passata le dita fra i capelli nel tentativo di rendersi più presentabile.

-Oh Signore!- La donna si portò molto teatralmente una mano alla fronte, -Questo è il grande giorno di mia figlia e lei pare una serva intrattenutasi nella stalla con gli animali.-

Emma non capì che cosa intendesse dire sua madre con la definizione “il grande giorno”, ma non vi badò troppo. Si era abituata ormai alle sue stranezze.

-Sono mortificata madre, datemi solo il tempo di…-

-Oh no! Oh no!- Trillò quella afferrandola senza troppa premura per il braccio, -Non c’è tempo! È adesso!-

La giovane emise un lieve mugolio di protesta per quella presa troppo forte, ma non fece nulla per sottrarsi, la seguì docile fino alla festa dove gli invitati sembravano tutti in attesa. In attesa di cosa, ad Emma non era dato saperlo.

-Avete intenzione di mettermi al corrente dei vostri pensieri?- Si sforzò di non essere scortese per non mancare di rispetto alla madre, anche se tutta quella situazione la stava innervosendo.

Già accompagnarla a quella sfarzosa festa organizzata da Lord Winchester era stata una tortura per lei. Aveva accettato, senza protestare più di tanto, solo in nome dell’amicizia che legava il Marchese di Winchester al suo povero e defunto padre. Se avesse saputo che le cose sarebbero andate in quel modo, avrebbe cercato di opporsi con molta più veemenza.

-Questo non ti serve.- Con un veloce gesto, molto simile a quello di un’aquila che con gli artigli afferrava la sua preda, sua madre le sfilò il libro dalle mani e se lo strinse in grembo con l’intento di nasconderlo.

-Ora…ti ricordi di Charles, vero?- Un luccichio pericoloso attraversò gli occhi della madre dopo aver pronunciato quel nome.

Charles.

Emma aggrottò la fronte contrariata; c’erano talmente tanti nobili e Sir con quel nome, sembrava che la fantasia dei genitori si fosse ridotta parecchio in quell’ultimo secolo.

-Il figlio del Marchese!- Sua madre fu costretta a sibilare l’ultima frase, guardandosi intorno circospetta per assicurarsi che nessuno avesse sentito quella precisazione.

Oh no. Aveva purtroppo compreso a quale Charles si stesse riferendo ed il suo sguardo volò immediatamente verso quell’individuo dal discusso intelletto.

Charles Edwin Wilkinson, Ed per gli amici e Lord Charles Wilkinson per tutti gli altri. Per Emma solo Charles, poiché non era così vicina alla sua persona da potersi considerare sua amica -né avrebbe voluto esserlo, ma non era neanche una totale estranea.

A lei era stato concesso l’onore di chiamarlo per nome già da piccola, quando era stata costretta ad accompagnare il padre a trovare l’amico Marchese a Winchester House…o quando aveva dovuto comportarsi da brava padrona di casa con gli ospiti alle feste organizzate nella sua tenuta.

Charles stava sicuramente discutendo di qualcosa di poco intelligente con i suoi amici dell’alta società, mentre una delle dame si lasciò scappare una risatina talmente acuta che Emma si sorprese nel non vedere il bicchiere che aveva in mano sgretolarsi a quel suono tanto stridulo.

Era quasi certa che ad aver scatenato quella reazione nella giovane, fosse stato il solo sorriso del Lord padrone di casa. Aveva un modo di fare indubbiamente attraente e raffinato, capace di catturare l’attenzione di chiunque fosse nelle vicinanze.

Emma, con una punta di imbarazzo, ricordava bene quanto lei stessa, qualche anno prima, si fosse lasciata incantare da quello sguardo e da quel sorriso, da quei capelli biondi e da quella voce così calda e sicura.

Peccato che il Lord sembrasse intenzionato ad utilizzare le sue straordinarie qualità al solo fine di ammaliare un po’ tutte le dame che avevano la sfortuna di incontrarlo. Tutte, eccetto una; lei.

Forse per quello, l’orgoglio ferito di una Emma allora quattordicenne, le aveva impedito di tentare di sostenere una qualsiasi conversazione civile con lui negli ultimi anni.

Non che lui si fosse mai sforzato di farlo, l’aveva sempre e solo ignorata, forse non considerandola abbastanza per lui. L’unica volta che le aveva parlato per più di due secondi, l’aveva definita in modo molto lusinghiero una “pazza” per via del suo parlare con gli animali.

Si rese conto dello sguardo ansioso della madre e così si decise a risponderle, -Sì, ho capito di chi parlate.- Purtroppo.

-Preparati, perché da oggi la tua vita, la nostra vita, cambierà!- Non le piaceva quella frase, proprio per nulla.

Inclinò la testa confusa, decisa comunque a non lasciar correre il discorso questa volta, -Di che state parlando? Spiegatemi, vi prego.-

La donna poggiò affettuosa una mano sulla spalla della figlia, orgogliosa di annunciarle ciò che stava per succedere, -Charles ti farà la proposta!-

Emma vacillò molto poco elegantemente per un attimo, -Che cosa? Quale proposta?- Aveva un brutto presentimento e lo sguardo della madre glielo confermò.

-Lord Winchester ha deciso di tener fede all’accordo fatto anni fa con tuo padre! Suo figlio ti prenderà in sposa!- L’avrebbe abbracciata dalla gioia, se solo farlo davanti a tutti non fosse stato a dir poco sconveniente.

Sua figlia, invece, sentiva che sarebbe svenuta di lì a poco, le forze cominciavano a venirle meno. -Cos-come?-

-Chiudi la bocca Emma e cerca un attimo di sistemarti.- La rimproverò la madre, passandole una mano sulla nuca come si poteva fare ad una bestiola per accarezzarla.

Fece come le era stato detto, ma un attimo dopo aver serrato le labbra in una smorfia contrariata, le riaprì per protestare, -Ma madre, io…non voglio sposarmi.- Non ebbe il tempo di aggiungere il “non con lui” e il “non adesso”, perché la donna schiaffeggiò l’aria con una mano, come per cacciar via un insetto, e la interruppe, -Ma certo che vuoi, sciocchina!-

Scosse ripetutamente la testa, -No, non voglio. Non posso sposarmi con qualcuno che non amo e che non mi ama.- Concluse la frase decisa, ma si pentì immediatamente di aver osato tanto.

Vide il volto della madre rabbuiarsi sempre di più a quelle parole, -È per via dei libri, vero? Ti hanno messo in testa tutte queste stupide idee su un qualcosa che non esiste!- Sbottò stropicciandosi la gonna fra le mani.

-Sì che esiste.- Azzardò, la voce e lo sguardo bassi, -William l’ha trovato.-

Suo fratello William era da sempre stato il suo modello da seguire. Lui si era innamorato di una donna che lo ricambiava e con cui era felice. Una donna “qualunque” agli occhi di sua madre, visto che, non avendo nessun titolo nobiliare, era stata classificata come un’opportunista, una strega che aveva ammaliato e convinto suo figlio a sposarla.

Sospirò, -Emma…- I lineamenti del viso si rilassarono un poco, -Ricordi quello che ti ho detto riguardo gli averi di tuo padre?-

Emma si irrigidì al ricordo. Sì, ricordava bene quanto le era stato raccontato, ricordava bene le parole del notaio quel giorno.

Suo padre li aveva lasciati in mezzo ai debiti: quei vestiti, quei gioielli, quella spensieratezza…era tutta una facciata, presto non avrebbero avuto più nulla.

-Tuo fratello ha gettato la famiglia in una grossa, immensa pozza di fango sposando quella donna. Ma tu…tu piccola mia, non deludermi. Charles è l’unico erede del Marchese di Winchester, erediterà tutti i suoi averi. Ti rendi conto di quanto è importante per tutti noi questa opportunità?-

La ragazza deglutì più volte a vuoto e sgranò gli occhi incredula: sua madre stava rigettando tutti i problemi della famiglia addosso a lei, si aspettava che fosse lei a mantenere tutti, con i soldi di…suo marito.

Stette male e le si chiuse lo stomaco per la nausea. Quella festa, tutte quelle persone…tutte erano lì per quell’annuncio? Lo sapevano tutti tranne lei?

-Come…come potete chiedermi questo?- Come poteva non lasciarle alcuna scelta, alcuna possibilità di essere felice? La voleva davvero condannare ad una vita fatta sì di ricchezza, ma anche e soprattutto di infelicità?

-Emma, come puoi essere tu così egoista da non pensare a noi?- Sua madre abbassò la voce e sporse il labbro, nel chiaro tentativo di farle pena, -Con Charles sarai felice piccola, sarai in buone mani. Sarai sposata ed il tuo nome sarà legato a quello degli Wilkinson, per te non potrei desiderare un futuro migliore!-

Non era sicura di voler sentire altro. Dette un’occhiata ai presenti e si accorse solo in quel momento di essere al centro dell’attenzione. Probabilmente lo era stata anche prima, al suo arrivo, ma distratta com’era e desiderosa di estraniarsi il prima possibile, non vi aveva fatto caso.

-Charles non accetterà mai.- Si aggrappò con tenacia alla sua unica speranza. Perché sicuramente Charles si sarebbe opposto a quel matrimonio, non l’avrebbe mai sposata.

Un rumore catturò l’attenzione di tutti i presenti, compresa la sua e quella di sua madre.

-Miei signori, mie signore…- Lord Peter Wilkinson, Marchese di Winchester, sotto il gazebo e vicino a suo figlio, fece un piccolo inchino rivolto ai presenti, -Credo sappiate tutti perché siamo qui.-

Tutti tranne me.

Emma indietreggiò di un passo, l’irrefrenabile voglia di scappare che si insinuava sempre di più dentro di lei.

-Lady Emma Wimsey…- Tese una mano in aria, in sua direzione, -Mia cara…vorreste farci l’onore di raggiungerci qui?-

No.

Sentì qualcosa spingerla con delicatezza e guidarla verso il gazebo: la mano di sua madre.

-No, Charles deve accettarlo.- Le rispose allora la donna, sussurrandole nell’orecchio, -Non può disobbedire al padre; verrebbe diseredato altrimenti e lui lo sa.-

Emma strinse i denti. Un matrimonio costretto. Senza amore, senza affetto, senza alcun sentimento. Niente. Solo indifferenza.

Avanzò piano, senza aver ancora deciso cosa fare. La sua famiglia dipendeva da lei.

Fra la folla impaziente, scorse suo fratello, il volto preoccupato e una profonda ruga a solcargli la fronte, mentre stringeva la mano della sua Moira, bella, dolce, intelligente e…prossima a diventare madre. E allora, dopo essersi lasciata sfuggire un triste e rassegnato sospiro, si decise.

Non avrebbe mai lasciato che la sua famiglia cadesse in rovina: si sarebbe sacrificata. Per sua madre, ma, soprattutto, per suo fratello ed il suo bambino.

Raggiunse il Marchese e Charles, le gambe molli e la testa che le girava.

Poggiò la sua mano su quella ancora tesa del suo futuro suocero che, dopo averle sorriso affabile, la spostò su quella del figlio.

Una strana scossa la pervase nel momento in cui sfiorò la pelle del ragazzo, ma cercò di non darlo a vedere.

Era normale, si disse. Non aveva mai avuto contatti fisici con uomini della sua età.

Di una cosa fu certa e se non altro la consolò: anche Charles non era per niente contento della cosa, si vedeva lontano un miglio quanto gli pesasse inchinarsi davanti a lei.

Magari avrebbero potuto imparare ad andare d’accordo, magari si sarebbero fatti forza a vicenda per quel destino crudele. Forse non si sarebbe sentita così sola.

-Lady Emma Marie Wimsey.- Incominciò, la voce strascicata e quasi annoiata, lo sguardo freddo e per nulla amorevole come invece avrebbe dovuto essere quello di un uomo innamorato, -Volete farmi l’onore di diventare mia moglie?-

Un “dite di sì e finiamo presto questa sceneggiata” ci sarebbe stato bene dopo quella proposta, visto il tono scocciato.

Tremava, Emma. Tremava perché piangeva. Solo interiormente, non avrebbe mai permesso alle lacrime di uscire, non si sarebbe mai fatta vedere triste davanti a suo fratello, non lo avrebbe mai fatto sentire in colpa per quella sua scelta.

Si stava per consegnare ad un uomo che non amava e avrebbe tanto voluto essere sola nella sua stanza per poter soffocare i suoi singhiozzi nel suo cuscino.

Sentiva lo sguardo addosso di tutti i presenti, alcuni brusii insinuavano che avrebbe accettato, altri sostenevano il contrario.

Inaspettatamente e sorprendendo tutti, Charles compreso, sorrise. Sorrise come solo una brava moglie amorevole e obbediente avrebbe potuto fare e rispose. -Sì.-

 

                                              

******

 

 

Note dell’autrice:


Grazie di cuore a Tania (La Evans) e Sara (Pettyfer) per aver realizzato la meravigliosa immagine che vedete qui in cima, questa storia non avrebbe una copertina non fosse stato per loro! :D


 

Questa è una storia senza alcuna pretesa, scritta in un momento di crisi per passare un po’ il tempo che spero riesca ad appassionarvi come ha appassionato me.

Non era previsto che la scrivessi, né che la pubblicassi. So di averne un’altra da finire e mi scuso infinitamente con chi pazienta da mesi per un mio aggiornamento.

Mi è servito molto scrivere queste pagine agli inizi di giugno però, mi è servito rileggerle adesso e spero mi servirà a qualcosa pubblicarle.

Volevo staccarmi per un attimo dall’epilogo di “Tra l’odio e l’amore c’è la distanza di un bacio”, ne avevo bisogno per ricaricarmi e tornare più decisa di prima su quel benedetto capitolo finale e cercare di concluderlo. Finalmente fra qualche giorno arriverà anche quello.

Ma cambiando discorso, per chi non conoscesse nessuna delle mie “storie” ed è capitato qui per sbaglio…condoglianze. No, scherzo, benvenuti a tutti :)

Non so quanto bene e accurata verrà fuori questa storia, era da tempo che volevo scriverne una ambientata nell’Inghilterra del 1800 e ho fatto il possibile –compreso rompere le scatole alla cara amministratrice del forum Bea, per documentarmi e rendere il tutto credibile. Se ci sarà qualche incongruenza, qualcosa che non vi torna o che non vi sembra possibile, fatemelo assolutamente notare vi prego! Qualsiasi commento, consiglio o suggerimento è più che gradito! Dagli errori si impara (:

So che all’apparenza questa storia sembra il classico cliché del matrimonio combinato…forse lo sarà, forse no. Lo scoprirò anche io scrivendo!

Per quanto riguarda i personaggi…come vi sembrano? Ora come ora Emma sembra molto debole caratterialmente e succube della madre, ma vedrete che non è così. Se ha accettato tutto questo è stato solo per poter aiutare il fratello e il figlio che deve nascere, non per questo si farà mettere i piedi in testa, saprà cavarsela e farsi valere. 

Charles? Io preferisco chiamarlo Ed, ma al momento Emma non può ancora farlo. Quindi nei suoi pensieri rimane l’odioso Charles Wilkinson, figlio del Marchese amico di suo padre, snob e donnaiolo. Se cambierà o no opinione su di lui conoscendolo si vedrà, vi dico solo che non sarà un matrimonio facile.

Detto questo, ringrazio di cuore Bea (Panna_) per aver sopportato ogni mio accenno a questa storia, per avermi aiutata con il titolo e per aver praticamente scritto tutta la meravigliosa introduzione di questa pazzia xD

Passate a leggere le sue storie se riuscite, perché la ragazza ha del potenziale anche se non lo ammette…

Spero che questo primo capitolo/prologo vi sia piaciuto e vi abbia convinto a seguire la storia!

Ah vi informo che da più di un anno ho iniziato a rompere le scatole anche su forumcommunity

 e su facebook, dove posto spoiler e avvisi. Quindi, se voleste aggiungermi, sono qui :)

Grazie infinite per l’attenzione e la pazienza!

Bec

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Grandchildren? Oh my God... ***



Image and video hosting by TinyPic

                 

Chapter 1. Grandchildren? Oh my God

 

 

 

Si era pentita esattamente un secondo dopo quella risposta, quando aveva visto lo sguardo dapprima sconcertato, poi più ostile, del suo futuro marito e quello appagato del suo futuro suocero.

La risatina stridula di sua madre aveva sovrastato qualsiasi altro commento, entrandole in testa e colpendola come tanti piccoli spilli appuntiti.

Si era sentita come se avesse appena bevuto uno di quegli intrugli disgustosi che sua zia Peach spacciava per tè, la nausea le era tornata più prepotente che mai e il respiro aveva iniziato a mancarle.

Aveva detto di sì. Aveva detto di sì, Santo Cielo! Che cosa le diceva il cervello?

Voleva davvero legarsi per tutta la vita ad un uomo che non amava? A Charles Wilkinson? Probabilmente la povera selvaggina che si divertiva a cacciare quel villano la domenica mattina era più intelligente di lui.

Perché aveva detto di sì? Per sentire gli strilli estasiati di sua madre?

Per aiutare tuo fratello, Emma. Le ricordò una parte del suo cervello.

Buon Dio, e chi aiuterà me?

A quella domanda, il suo saccente organo pensante non rispose, rimase zitto, spingendola ancora di più verso il panico totale.

Avrebbe voluto dileguarsi, nascondersi, rifugiarsi in uno dei suoi libri e invece fu costretta a restare lì, a sorridere, mentre dentro si era sentita morire.

Gli ospiti l’avevano avvicinata fin da subito per congratularsi, ed Emma aveva colto ipocrisia e invidia in più di uno sguardo.

-È per la perdita dell’ottimo partito-, le aveva suggerito tronfia sua madre.

Avrebbe volentieri voluto rispondere che l’ottimo partito le altre fanciulle in lutto per la perdita se lo potevano pure tenere, ma si morse la lingua e non replicò.

Le era sembrato che quella giornata avesse una durata infinita e ancora non si capacitava di come fosse riuscita a tornare integra alla sua tenuta, senza più incrociare nemmeno una volta lo sguardo del suo futuro marito, nemmeno durante il suo saluto, un lieve inchino accompagnato da un imposto baciamano.

Aveva trattenuto a malapena l’istinto di sfregarsi schifata la mano sulla gonna davanti a Charles, solo al sicuro nella sua carrozza si era lasciata andare a quel gesto.

-Annabelle?- Mormorò con voce stanca e rassegnata, una volta affondata nella sua poltrona preferita in salotto.

-Sì, signorina Wimsey?- La cameriera arrivò un secondo dopo, inchinandosi servile e incrociando le mani in grembo in attesa di ordini.

-Portami un tè.- Le sorrise appena e sentì dolere le guance per via di quell’ennesimo e forzato movimento facciale. Si era dimenticata il numero delle volte che aveva dovuto farlo per ringraziare gli invitati a quella festa –la loro festa, sua e di Charles.

-Subito signorina.- Annabelle si inchinò nuovamente e uscì svelta dalla stanza.

Rimasta sola, Emma si portò una mano alla fronte e sospirò.

Sentiva ogni singola fibra del suo corpo tremare, nemmeno prendere in mano uno dei suoi libri e sfogliarlo la tranquillizzò.

Sapeva quali sarebbero dovuti essere i suoi doveri di moglie, sapeva che suo marito sarebbe diventato la sua priorità assoluta di lì in poi, sapeva che avrebbe dovuto occuparsi della casa e dei domestici, ma…semplicemente non si sentiva pronta.

Una lacrima scivolò lenta sulla sua guancia e cadde silenziosa nel vuoto, bagnando la pagina ingiallita del vecchio libro preferito di suo padre. Quello dove lei aveva imparato a leggere, quello dove lui le aveva insegnato a leggere.

Si chiese che cosa avrebbe detto o pensato suo padre se fosse stato lì con lei.

Era stato lui a combinare il tutto, forse con l’assurda convinzione che un matrimonio di convenienza con un ricco Lord inglese avrebbe potuto renderla felice e darle tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno.

Oh, quanto si era sbagliato. Non avrebbe avuto una cosa, la più importante di tutte: l’Amore.

Non era pronta ad essere una buona moglie, non era pronta a sostenere e servire un uomo che non amava per tutta la vita.

Lei non era come sua madre, non le importava nulla del denaro o del titolo nobiliare di chi avrebbe sposato. 

Un rumore proveniente dallo scrittoio lì accanto la distrasse bruscamente dai suoi pensieri e la fece sobbalzare.

-Il vostro tè, signorina.- Annabelle le porse la tazzina esitante, visibilmente preoccupata per le condizioni in cui aveva trovato la sua padroncina.

Emma si ricompose in fretta e finse di non aver visto quella compassione serpeggiare per un attimo negli occhi della donna.

-Grazie Annie.-

Conosceva Annabelle da una vita intera, serviva la sua famiglia da anni, quindi le veniva spontaneo a volte chiamarla in quel modo.

Sua madre non approvava, ovviamente. Socializzare con la servitù era disdicevole secondo il suo punto di vista, così come qualsiasi altra cosa che non comprendesse lo stare zitta e sorridere.

-Tutto bene signorina?- Si azzardò a chiedere Annabelle, senza però osare sedersi lì accanto alla sua padrona.

Emma sì passò svelta una mano sugli occhi umidi, –Sì, va tutto bene, grazie.-

Avrebbe voluto sfogarsi con lei, avrebbe voluto urlare e parlare con qualcuno, ma sapeva bene che se si fosse lasciata andare ad una confessione del genere, per di più con una domestica, sua madre si sarebbe infuriata. Se la sarebbe letteralmente mangiata in un sol boccone a cena.

La cameriera annuì e, senza aggiungere altro, uscì dalla stanza.

Dopo aver sorseggiato appena il suo tè, Emma appoggiò la tazzina al tavolo lì vicino e si alzò bruscamente, incominciando a muoversi a passo nervoso per la stanza.

Così non andava, non si riconosceva neanche più! Doveva assolutamente riprendersi, di certo non avrebbe permesso a quello spocchioso, arrogante e altezzoso Lord di rovinarle la vita, ci voleva ben più di un uomo dal cervello piatto quanto la suola dei suoi stivali per farla piangere come una mammoletta.

Non stava andando al patibolo, stava solo per sposarsi con un ricco uomo inglese, poteva forse lamentarsi? No. Sposare Charles sarebbe stato terribile, certo, ma l’importante era che suo fratello avesse i soldi necessari a mantenere sua moglie e suo figlio.

Rincuorata da quei pensieri, si avviò stancamente verso la sua stanza.

Dio solo sapeva che cosa aveva in mente sua madre per il giorno dopo, conoscendola sarebbe stata capace di tenerla ore in piedi per farle provare quell’osceno vestito da sposa che anni prima aveva indossato lei stessa.

Scrollando le spalle, scostò le coperte e sprimacciò il guanciale.

Dopotutto un vestito valeva l’altro, andava bene anche quello orrendo, non le interessava indossarne uno nuovo o essere carina. Carina per chi poi?

L’importante era che tutti quei preparativi finissero presto, prima si sposava, meglio era a quel punto: non avrebbe retto per molto tutto quell’entusiasmo generale.

Si sdraiò e, spente le candele, attese paziente che il sonno la cogliesse.

 

                                      

***

 

Era stata informata dell’arrivo della sua futura famiglia ancor prima che un membro della servitù la venisse a chiamare.

Il rumore degli zoccoli sulla ghiaia e i nitriti dei cavalli l’avevano destata da quel sonno leggero e inquieto, guadagnato dopo ore passate a rigirarsi nel letto.

Quella notte non aveva chiuso occhio, aveva sperato invano di riuscire a cacciare il ricordo del suo “sì” pronunciato con tanta e superficiale leggerezza.

Sperò fino all’ultimo che si fosse trattato solo di un incubo, ma quando scostò le tende della sua stanza e vide la carrozza degli Wilkinson proprio lì sotto, nel vialetto, ogni speranza fu crudelmente annientata.

-Signorina Wims…-

-Sì, lo so Jane.-

La domestica esitò per un attimo sull’uscio, prima di inchinarsi e richiudere la porta alle sue spalle.

Stava per staccarsi dal freddo e appannato vetro della finestra, quando la sua attenzione fu catturata dal giovane che proprio in quel momento stava scendendo dal calesse.

Charles Wilkinson si guardò intorno con la sua consueta espressione sprezzante da nobile, analizzando con occhio critico l’ambiente di sicuro troppo poco sontuoso per lui.

Con un gesto fluido, si tolse poi il cappello e i suoi capelli biondi sembrarono quasi brillare alla luce del sole.

Emma, senza rendersene conto, si perse ad analizzarlo più del dovuto, tanto che quando il giovane alzò lo sguardo, la ragazza si ritrovò a fare un balzo all’indietro che le costò una bella caduta e un bel livido sul fianco.

Si portò le mani al viso e si morse con forza il labbro inferiore.

Oh maledizione! L’aveva vista! E lei, non appena quegli occhi così freddi si erano posati sulla sua persona, si era ritratta e nascosta come una bambina colta nel bel mezzo di una monelleria.

Che vergogna! Aveva fatto una figura tremenda!

Va bene, niente panico. Si disse, rialzandosi piano ed evitando di lamentarsi per il dolore al fianco.

Era stato stupido nascondersi, aveva appena fornito al suo futuro marito un motivo in più per considerarla una sciocca.

Non che lei avesse un’opinione tanto migliore di lui, però…

Scosse la testa, fece un respiro profondo e si riaffacciò alla finestra.

Il cortile era vuoto, sicuramente gli ospiti erano entrati.

Decisa a non farsi rimproverare da sua madre per il ritardo nell’accoglierli, si fece aiutare da Jane per vestirsi e scese il più velocemente possibile a salutarli, consapevole del fatto che se avesse ulteriormente indugiato, una ramanzina non gliel’avrebbe risparmiata nessuno.

-William!- Esclamò contenta quando, sulle scale, incontrò suo fratello.

Questi le lasciò un delicato bacio sulla fronte, prima di scostarsi ed esaminarla in volto, -Sorellina…Impaziente di vedere il tuo sposo?-

La stava mettendo alla prova, la giovane lo sapeva bene. Se William avesse anche solo sospettato di essere il motivo di quella scelta sbagliata, non avrebbe esitato a litigare con sua madre per opporsi a quelle nozze.

-Mi hai scoperta.- Sorrise. Non dovette neanche sforzarsi di arrossire, la piccola corsa fatta per cercare di non farsi attendere dagli ospiti le aveva già conferito un colorito roseo piuttosto credibile.

-Emma, ho dato il mio consenso, ma…- William sospirò e balbettò un attimo, non sapendo bene come proseguire il discorso.

La sorella intervenne subito in suo aiuto, avendo già intuito cosa stesse per dire, -Sì, William, ne sono sicura.-

Non si sarebbe tirata indietro, anche se così facendo avrebbe per sempre rinunciato ad un matrimonio felice.

Aveva messo in conto tutto, quella notte insonne era pur servita a qualcosa. Non sarebbe stato forse peggio veder la sua famiglia vivere in miseria? Quanto poco valeva la sua felicità rispetto a quella dei suoi cari?

-Emma…- Il ragazzo si passò una mano fra i capelli, non del tutto convinto, -È Charles Wilkinson.- Aveva pronunciato quel nome fra i denti, come se fosse stato un insulto.

Non era una novità che al giovane Wimsey non piacesse il figlio del Lord di Winchester; appena un anno prima, durante il suo periodo di fidanzamento con Moira, Charles si era lasciato andare più di una volta a sorrisi maliziosi e sconvenienti rivolti alla sua dama.

Di certo l’antipatia provata per il giovane Wilkinson non si era assopita, era anzi aumentata dopo che a quella si era associato il pensiero del matrimonio fra lui e sua sorella.

Emma si morse più volte il labbro, incapace di contenere il nervosismo, -Lo so, ma…nostro padre avrebbe voluto questo.-

Una parte, dentro di lei, le suggeriva che forse Charles non sarebbe stato un cattivo marito, suo padre non l’avrebbe mai messa nelle mani di qualcuno di cui non si fidava.

L’altra parte, invece, più grande e pressante, non faceva che rimproverarla per quell’assurda convinzione, più una speranza in realtà, partorita dal subconscio con l’intento di farla sopravvivere all’idea di un matrimonio proprio con lui.

Conosceva Charles da anni e le risultava difficile immaginarlo diverso dall’insulso e arrogante nobile altezzoso che più di una volta l’aveva derisa per la sua passione per la lettura.

Una cosa era certa: non avrebbe di certo rinunciato ad essa per volere del marito, era pronta ad affrontare i suoi doveri di moglie, non a farsi mettere i piedi in testa dal primo Lord che la chiedesse in sposa.

William fece un respiro profondo, prima di chiudere gli occhi, -Spero solo che sapesse quello che stava facendo…quando ha deciso in questo modo della tua vita…-

Lo sperava anche lei, con tutta se stessa.

Salutò il fratello, che la rassicurò dicendole che l’avrebbe raggiunta poco dopo insieme a sua moglie, e arrivò al salotto dove sua madre accoglieva gli ospiti. Sperava solo che non fosse troppo arrabbiata.

-Figlia mia, eccoti qui!-

Finalmente.

Non l’aveva detto, ma l’occhiata che le lanciò glielo suggeriva.

Le sorrise e, sforzandosi di non mutare espressione, si voltò verso i coniugi Wilkinson e il loro unico erede.

-Lord Peter, Lady Charlotte…- Fece un po’ più fatica a sorridere e a rivolgersi al futuro marito, presumibilmente a causa della scenetta di poco prima, -Charles.- Si sorprese lei stessa di quanto quel nome sibilato fra i denti assomigliasse più ad un’offesa che ad un amichevole saluto, -E’ un onore avervi qui.- Si esibì nel suo migliore inchino, reprimendo l’istinto di sbuffare, sospirare o scappare per via della tensione.

Sentiva lo sguardo dei presenti puntato insistentemente addosso, quasi stessero valutando ogni sua mossa.

Lord Peter Wilkinson e suo figlio si limitarono a ricambiare l’inchino con un cenno del capo, mentre Lady Charlotte le fece intendere, con un gesto civettuolo della mano, che l’inchino non fosse affatto necessario, -Oh Emma cara, non serve.-

Ciononostante, Emma aspettò un segno da parte di sua madre per alzarsi.

-Stavamo giusto discutendo con tua madre dei preparativi per il matrimonio, siamo entrambe d’accordo sul fatto che non debba esserci sposa più bella di te.-  

Si era distratta solo un attimo, giusto il tempo di pensare a quanto fosse raccapricciante la pettinatura di Lady Wilkinson e a come riuscisse a portarla in giro con tanta disinvoltura, ma quella disattenzione le fu fatale.

Potente e letale arrivò: l’attacco della madre e della suocera.

-Oh, io...- Aggrottò la fronte incerta, non tanto sicura della risposta.

-Bisognerà pensare al vestito e al corredo!- La interruppe Lady Charlotte.

-E all’acconciatura!- La assecondò sua madre.

-E alle partecipazioni!-

-Si dovrà trovare anche qualcosa di vecchio, qualcosa di prestato…e qualcosa di blu!-

-Oh sarai meravigliosa mia cara, già immagino che nipotini splendidi usciranno da questo matrimonio!-

Emma spalancò la bocca senza nemmeno rendersene conto. Solo quando sua madre le restituì, come uno specchio, la stessa espressione sconvolta, si ricordò di chiuderla, -Ni…nipotini?- Chiese non tanto sicura di aver capito bene. Poteva essere che quella pettinatura l’avesse nuovamente distratta.

-Ma certo, nipotini!- Intervenne sua madre, con lo stesso tono di voce stridulo della sua futura suocera.

Si sentì subito esaminata da tutti i presenti, era certa che persino Lord Peter e Charles, prima sicuramente disattenti e disinteressati ad ascoltare quella conversazione tipicamente femminile, la stessero improvvisamente osservando, ma non ebbe il coraggio di voltarsi verso di loro per verificarlo.

-Oh.- Fu tutto ciò che riuscì a dire, benché non fosse per nulla consono alla conversazione.

Nipotini. Bambini. Ma certo, che sciocca, aveva davvero sperato che il suo matrimonio con Charles si riducesse ad una mera convivenza nella stessa dimora? Avrebbe dovuto…giacere nel suo stesso letto, nel letto con suo marito.

Il tempo di realizzare la cosa e la testa prese a girarle vorticosamente, mentre le sue guance si coloravano di rosso.

Cielo, bambini! Sua madre e Lady Charlotte si aspettavano dei nipotini! E lei avrebbe dovuti darglieli, avrebbe dovuto dare degli eredi alla famiglia Wilkinson!

Dio, a cosa pensava quando aveva detto di sì a tutto quanto?

Pensava forse di passare il tempo a giocare a scacchi con suo marito nel letto? O magari di leggersi un bel libro come faceva tutte le sere e di mettersi a dormire come se Charles non ci fosse?

Improvvisamente, svanirono tutti dalla sua testa: sua madre, suo fratello, sua cognata, il suo nipotino. I suoi problemi economici erano diventati di colpo irrilevanti di fronte a quella prospettiva.

Non voleva sposarsi. Non voleva consumare quel matrimonio. Non voleva Charles al suo fianco per tutta la vita, voleva un uomo che l’avrebbe amata e coccolata, non un superbo Lord che la considerava solo una fastidiosa pezza da piedi, da sposare esclusivamente per evitare di essere diseredato.

-Emma?-

Quasi non sentì la voce della madre, arrivò lontana ed ovattata.

Si sedette su una poltrona e si sforzò di fare dei lenti e profondi respiri.

Le mancava l’aria, le guance erano bollenti e qualcosa di opprimente nel petto le impediva di respirare.

-Emma, cara!-

Alzò lo sguardo e lo puntò sulle due donne preoccupate.

Sua madre aveva appena agguantato il suo orrendo ventaglio nuovo per cercare di farle aria e, probabilmente, se la situazione non fosse stata tragica, Emma avrebbe riso della sua faccia: stava praticamente boccheggiando come un pesce!

La sua attenzione si spostò su Lord Peter e Charles Wilkinson, immediatamente dietro le due dame; il primo mostrava un’espressione sinceramente angosciata per le sue condizioni, mentre il secondo, nonostante l’apparente cruccio, sembrava essere quasi…divertito. E lo era di sicuro, Emma ci avrebbe scommesso i suoi libri preferiti. Probabilmente l’idea che lei potesse restarci secca doveva allietarlo molto, visto che non sarebbe più stato costretto a sposarla.

-Sto bene,- Rantolò a fatica, -Sto bene.- Ripeté poggiandosi una mano sul petto.

-Oh Cielo, Emma! Hai rischiato di farmi venire un infarto, lo sai che…- Non ascoltò nulla del discorso delirante della madre, si massaggiò le tempie e si alzò di colpo interrompendola.

-Io…Scusatemi, non volevo farvi preoccupare.- Azzardò un sorriso imbarazzato e fu lieta di vedere Lady Charlotte ricambiarlo.

-Credo solo di aver bisogno di respirare un po’ d’aria fresca.- Sua madre non avrebbe potuto rimproverarla per quel tentativo di congedarsi: non si sentiva bene, era certa che i suoi ospiti avrebbero capito.

-Ma certo cara, certo…- Lady Wilkinson annuì indulgente, poi puntò lo sguardo su qualcosa alle spalle della giovane e sorrise nuovamente, -Charles!-

Emma, sollevata e rincuorata da tanta comprensione, si immobilizzò nel sentire pronunciare quel nome dalla donna.

-Charles, caro, accompagna la tua fidanzata a prendere un po’ d’aria fresca.-

-Ma no…- Quattro paia di occhi si posarono curiosi su di lei, -Non è necessario.- Tentò speranzosa. Non avrebbe sopportato l’idea di restare da sola con lui, non dopo quel palese ed imbarazzante accenno ai nipoti.

Aveva bisogno di restare per conto suo, aveva bisogno di tempo per riflettere e decidere di portare avanti tutta quella faccenda, per il bene della famiglia.

Se fosse restata un solo minuto in più in quella stanza e con tutti quegli sguardi addosso…probabilmente sarebbe scoppiata a piangere e avrebbe implorato sua madre di annullare tutto.

Lady Charlotte scosse lievemente il capo, -Insisto cara. Charles!-

I lineamenti della donna dinanzi a lei mutarono nel momento in cui i suoi occhi si posarono sul figlio: la bocca diventò una linea sottile, mentre le palpebre si socchiusero mostrando nel complesso una certa ostilità.

Evidentemente Charles doveva aver appena fatto intuire alla madre che non fosse affatto incline ad accompagnare la fidanzata fuori, solo che, essendo il ragazzo alle sue spalle, Emma non aveva avuto modo di vederlo.

Sperava si trattasse solo di un altro brutto incubo, ma quando si trovò il suo fidanzato ad un passo di distanza con un braccio alzato per scortarla e un’espressione scocciata dipinta in volto, sentì nuovamente il caldo asfissiante di poco prima.

La guardava come se stesse guardando un qualcosa di sgradito ed imprevisto, come un temporale o una macchia sul frac nuovo.

E sempre così mi guarderà.

Malgrado il respiro corto e il battito accelerato, Emma non poté fare a meno di stizzirsi leggermente per quella scortesia: nemmeno lei gradiva la sua compagnia, eppure non si comportava così sgarbatamente. Poteva almeno mostrare un minimo di gentilezza!

Anche se, era pur sempre di Charles Wilkinson che si parlava, quando mai era stato gentile con lei? Quando mai lo sarebbe stato? Dopo il matrimonio non sarebbe cambiato nulla.

-Grazie.- La voce le tremò appena ed Emma arrossì per l’umiliazione.

Deglutì a vuoto e alzò il mento orgogliosa prima di poggiare la sua mano sull’avambraccio del Lord.

Di nuovo, per qualche strano motivo, avvertì la stessa scossa del giorno precedente non appena le sue dita sfiorarono il polso di lui, ma non lo diede a vedere.

Non si interrogò sul motivo di quel brivido, era troppo occupata a concentrarsi su particolari frivoli e sciocchi quali le tende nuove o i tappeti per evitare anche solo di sfiorare l’idea che avrebbe dovuto avere dei bambini con quel maleducato.

Salutò nuovamente Lord Peter e Lady Charlotte, prima di incamminarsi per quella che sarebbe stata una lunga ed estenuante passeggiata.

 

 

*Note dell’autrice*

 

Grazie infinite ancora a Tania (La Evans) e Sara (Pettyfer) per aver realizzato quest’altra meravigliosa immagine che vedete qui in cima.

 

Lo so, già questo secondo capitolo dev’essere una delusione rispetto al primo, mi dispiace. L’ho scritto e riletto diverse volte prima di trovare il coraggio di pubblicarlo, temevo potesse deludere le aspettative.

È principalmente un capitolo di passaggio, dove vengono spiegati tutti i dubbi e le paure di Emma.

Sarà dal prossimo capitolo che si conoscerà bene Charles (che è ancora un enorme punto interrogativo), ora che son rimasti soli, dovranno conversare per forza di qualcosa, no? Sono pur sempre fidanzati…

Idee su quello che si diranno? Chi prenderà la parola per primo e per dire cosa?

Mi dispiace di avervi fatto aspettare tutto questo tempo per questo secondo capitolo, ma scrivere di Emma, scrivere del passato, è più difficile che scrivere dei giorni nostri, più di quanto pensassi. Al solito, se notate qualche incongruenza o qualcosa non vi torna, non esitate a dirmelo. Per qualsiasi domanda sono qui.

Risponderò man mano alle recensioni del primo nel frattempo, ho già iniziato con alcune e proseguirò fino a –spero- finirle tutte il prima possibile.

Vi ringrazio infinitamente per l’entusiasmo che avete mostrato nell’accogliere questa storia, non so davvero che altro dire, se non che è stata una piacevolissima sorpresa :)

Cercherò di non farvi attendere ancora così tanto per il prossimo, ho già in mente la conversazione fra i due e sta già scalpitando per essere scritta!

Un bacione.

Bec

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Marriage is just a contract ***



Image and video hosting by TinyPic

 

 

A Beatrice – che mi ucciderà quando vedrà la dedica –, per avermi supportata e sopportata.

E alle ragazze che, a distanza di un anno, non hanno perso la speranza/pazienza e sono qui a leggere. Grazie.

 

 

Chapter 2. Marriage is just a contract

 

 

Emma era rimasta a lungo in silenzio, indecisa su cosa dire o fare, se comportarsi come sempre e ignorarlo o se tentare – e sperare che funzionasse – una conversazione con lui.

Il sole pallido e l’aria fresca del mattino sul viso ebbero fin da subito il potere di farla star meglio e quietare, almeno in parte, il tremolio delle gambe ben nascoste dalla gonna.

Alla fine aveva preso coraggio, fatto un respiro profondo e aveva ritratto la mano ancora poggiata al braccio di lui.

-Mi sembra inutile continuare con questa farsa.- Portò entrambe le mani in grembo e si fermò, -Se non volete accompagnarmi non siete obbligato.-

Oh, era così fiera di sé. Sua madre non lo sarebbe stata, ma lei non era lì in quel momento e quindi poteva anche permettersi di scoprire le carte, almeno con il suo compagno di sventure. Perché se c’era qualcuno che poteva capirla e che sapeva benissimo che quel matrimonio sarebbe stato un totale disastro, quello era Charles.

Niente sorrisini di circostanza, niente inchini, niente riferimenti a nipoti, niente forme di cortesia. In un certo senso si sentiva più libera.

Charles si fermò poco dopo di lei e fece l’immenso sforzo di alzare appena il suo aristocratico sopracciglio. Si sentì a disagio così squadrata da quegli occhi glaciali, ma cercò di non darlo troppo a vedere.

-Non posso certo dire di essere deliziato dalla vostra presenza, ma la preferisco ai discorsi su pizzi, merletti o nipoti.- I lineamenti si contrassero in una smorfia disgustata, quasi il solo prenderla in considerazione per procreare lo ripugnasse.

Emma assottigliò gli occhi irritata; non era certo lusinghiero sentirsi dire parole del genere, per giunta dal proprio futuro marito.

-Temo dunque di dover smettere di sperare che voi possiate liberarmi della vostra di presenza.- Si sforzò di sorridere, per non mostrargli quanto in realtà quelle parole avessero ferito il suo orgoglio di donna.

Lui fece un mezzo sorriso non troppo convinto, -Io temo invece che dovrete abituarvi a me, mia cara.-

Avrebbe preferito che la chiamasse semplicemente Emma, quel “mia cara” forzato le fece venire la pelle d’oca.

Riprese a camminare senza accertarsi del fatto che lui la stesse seguendo, -Mi auguro di no.- Disse sovrappensiero, -Forse, con un po’ di fortuna e un’ampia dimora, finiremo con il non vederci durante le giornate.-

Lo sperava. Lo sperava davvero, con tutta stessa.

Si morse il labbro inferiore; certo, se anche non si fossero visti di giorno, avrebbero dovuto condividere lo stesso letto la notte. Evitò di dirlo ad alta voce, il solo pensiero bastò a farla avvampare.

-Non dovete preoccuparvi di questo-, l’aveva raggiunta in un attimo, un suo passo corrispondeva a due passi della ragazza, -I miei genitori per le nozze ci regaleranno una tenuta abbastanza grande da impedire di vederci l’un l’altro.- Le riservò un altro frettoloso sorriso strano, spento, vuoto. Un semplice movimento di labbra che sembrò costargli persino una certa fatica.

Era sempre stato così, dacché ne aveva memoria: ricordava di non averlo mai visto ridere di gusto o sorridere spontaneamente, non aveva mai visto i suoi freddi occhi accendersi di interesse per qualcosa, sembrava sempre così…distaccato e annoiato, come se osservasse il mondo dall’esterno, senza curarsi di intervenire.

Rideva raramente e forzatamente, solo in presenza di qualche dama o nobile di rango particolarmente alto, sorrideva solo per cortesia, per circostanza.  

Si chiese se ci fosse qualcosa in grado di animargli il cuore, una passione, un’attività in cui si dilettasse.

Emma sospirò e rafforzò la presa delle sue dita sulla gonna, piuttosto nervosa.

-Posso almeno sapere che cosa vi ha spinto a chiedermi in moglie, quando è evidente che non mi sopportate?-

-Potrei chiedervi la stessa cosa, anche voi avete avuto i vostri motivi per accettare, se non sbaglio.- La guardò di sbieco, consapevole e insinuante, ed Emma per poco non inciampò goffamente sul suo vestito.

Lo sapeva, allora. Sapeva della sua situazione economica precaria, sapeva che cosa l’aveva spinta ad accettare quella situazione. Non seppe se sentirsi sollevata o vergognarsene.

-E poi…-

Riportò l’attenzione su di lui, felice di non dover dire ancora nulla per incoraggiare la conversazione, -Che cosa vi fa credere che io non vi sopporti, Emma?- Le chiese in un soffio, voltandosi appena per guardarla.

Lei aggrottò la fronte spiazzata; che genere di domanda era quella? Era evidente che non la sopportasse, in anni di conoscenza non le aveva mai rivolto la parola, se non per denigrarla, e le rare volte in cui aveva avuto a che fare con lei il suo volto aveva sempre lasciato trapelare pura insofferenza.

-Diciamo che negli anni non mi siete mai parso particolarmente incline ad essere gentile con me. E immagino che, fra tante altre nobildonne in cerca di marito, per voi dev’essere stato terribile accettare di sposare me.- Rispose compita, mostrandosi più calma di quanto non fosse.

Ricordava ancora le estati passate da piccola in compagnia del giovane, allora poco più che un bambino e non ancora un uomo.

Ricordava i pomeriggi trascorsi sotto gli alberi del parco di Winchester House, ricordava le sollecitazioni di suo padre affinché non si isolasse e trascorresse del tempo con Charles, ricordava i libri letti in solitudine, il cinguettare degli uccellini, la sua risata fredda e priva di emozioni.

Strana.

L’aveva definita così un tredicenne e arrogante Charles Wilkinson, quando l’aveva scorta in disparte a leggere.

Strana.

Aveva riso di lei, del suo parlare con gli animali, della sua passione per la lettura; eppure nessuna delle sue ingiurie l’aveva mai toccata più di tanto, per lei Charles era sempre stato l’antipatico figlio dell’amico di suo padre.

Almeno fino ai suoi quattordici anni, almeno fino a quando Emma non si era trovata più volte, quasi senza rendersene nemmeno conto, ad osservarlo da lontano, in disparte come sempre. Osservava come le sue labbra sottili si tendessero spesso in mezzi sorrisi sconvenienti, osservava come i suoi occhi brillassero di malizia in presenza di altre dame, osservava la linea ampia delle sue spalle, il suo fisico slanciato e quei capelli biondi che, nelle rare giornate di sole, rilucevano come oro.

Con il passare degli anni quell’infatuazione era passata, fortunatamente. Le era bastato ascoltare quanto superficiali fossero i discorsi del giovane, quanto poco fossero serie le sue intenzioni con le dame che corteggiava, per capire che razza di uomo fosse. L’uomo che stava per sposare.

Qualcosa cambiò nell’espressione di Charles dopo quell’ultima frase, il suo sguardo si fece ancora più pensieroso e distante se possibile, -Una nobildonna interessata al mio patrimonio vale l’altra.- Disse semplicemente, rallentando di poco il passo, -Non crederete che io dia peso a sciocchezze come l’amore.- Aggiunse, sollevando moderatamente gli angoli delle labbra. Sembrava trovare divertente quell’ipotesi.

La giovane arricciò il nasino dubbiosa, -Volete farmi credere che non vi aspettavate di sposare una donna degna del vostro affetto?-

Certo, all’apparenza il Lord non aveva mai dato dimostrazioni tangenti della propria serietà con le dame che adulava, eppure Emma non aveva mai dubitato del fatto che anche lui, al di là della facciata, desiderasse un matrimonio basato su dei solidi e sinceri sentimenti, o quantomeno sulla reciproca stima. Più genericamente le sembrava inconcepibile che qualcuno potesse considerare così irrilevante e superficiale la scelta della propria compagna per la vita.

-Affatto.- Fu la risposta che ottenne, -Vedete Emma, voi avrete i vostri vantaggi da questo matrimonio ed io i miei, nulla di più.- La cadenza strascicata con cui parlava la faceva continuamente sentire un’indesiderata interlocutrice.

La trattava come una sciocca bambina piccola, una bambina piccola e fastidiosa a cui dare spiegazioni era solo una perdita di tempo.

Emma schiuse poco elegantemente la bocca e, con un gesto goffo e affrettato della mano, spostò dal viso una ciocca di capelli sfuggitale dall’acconciatura.

Vantaggi? Di cosa parlava, quali vantaggi avrebbe avuto lui?

In un battito di ciglia ricordò le parole della madre sull’eredità del giovane; se Charles avesse rifiutato la sposa impostagli dalla sua famiglia, suo padre avrebbe potuto scegliere di diseredarlo. Dunque era sempre una questione di patrimonio?

-Parlate del matrimonio come se fosse un affare, un contratto da stipulare…- Borbottò fra sé e sé, ben consapevole che lui l’avrebbe comunque udita.

Una bassa e controllata risata uscì dalle labbra del giovane, una risata talmente gelida e priva di allegria da farla sussultare, -Non lo è?- Le domandò retoricamente, riassumendo l’espressione arrogante di poco prima.

Arrestò nuovamente il suo incedere, gli occhi strabuzzati e le mani strette a pugno lungo il vestito, -Assolutamente no.- Si infervorò, -La vostra idea del matrimonio è…- Scosse la testa, chiedendosi perché ne stesse parlando proprio con lui, -Distorta.- Per non dire rivoltante. Non seppe cosa la trattenne dall’esternare il suo vero giudizio.

-Distorta?- Finalmente il suo viso si animò di una sincera confusione, -E secondo quali criteri, se mi è concesso chiederlo? I vostri?- Si ricompose in fretta e tornò al tono sarcastico e derisorio che tanto la irritava.

Emma contrasse la mascella e gli negò lo sguardo risentita, soffermandosi ad esaminare con indifferenza il parco intorno a lei, lo stesso parco dove le piaceva giocare da bambina nei momenti in cui sapeva che sua madre non l’avrebbe scoperta.

Amore, affetto, calore, dedizione, dolcezza.

Per lui erano solo parole prive di significato. Come poteva quell’uomo capire cosa significava per lei il matrimonio?

Avrebbe potuto parlare dell’unione fra suo fratello William e sua moglie, dell’affetto sincero che lo legava a lei, del suo sguardo innamorato e delle sue premure, ma aveva l’impressione che sarebbe stato del tutto inutile.

-Non mi aspetto che voi comprendiate Charles.- Rispose seccamente. Le fece uno strano effetto pronunciare ad alta voce il suo nome, forse perché non lo faceva spesso. Si era sempre astenuta negli anni passati dal farlo per sottolineare una certa estraneità e mancanza di intimità con lui.

Chiamava per nome suo fratello e la sua cara cognata, non una persona che, fino a qualche giorno prima, non era che uno sconosciuto per lei.

Se fu sorpreso di sentirla rivolgersi a lui in quel modo non lo diede a vedere, -Immagino che per comprendervi sarebbe sufficiente leggere uno di quei libri che vi piacciono tanto.- Considerò pensieroso, lo sguardo fisso sulla fontana davanti a sé, -È un vero peccato che prediliga altri generi, assai più colti e stimolanti.-

Le sembrò di tornare indietro nel tempo e non le piacque per niente.

Quante volte, da piccola, aveva cercato di nascondere, a disagio e invano, i titoli dei romanzi d’amore che leggeva per evitare di essere presa in giro da lui?

Non leggeva solo quelli, le piaceva anche variare genere, eppure lui non aveva perso tempo a rimarcare proprio su quel punto e a schernirla come se fosse ancora una bambina. Certo, lo aveva fatto velatamente e con più garbo, ma era riuscito comunque a farla sentire frivola come una ragazzina.

Mandò giù una sgarbata risposta e cercò di sorridere, odiandosi per la sua trasparenza. Non era capace di mascherare bene le emozioni come lui, era semplice per gli altri capire cosa le passasse per la testa, -Suppongo sia una questione di punti di vista.- Osservò a denti stretti.

Se solo sua madre avesse saputo che non solo non stava assecondando le idee di suo marito, ma stava addirittura facendogli chiaramente capire di non essere d’accordo, si sarebbe infuriata e non avrebbe più smesso di gridarle contro.

Sospirò e si concentrò sul volto del suo futuro marito, -Se non vi dispiace ora vorrei rientrare. Da sola.- Precisò, calcando volutamente sulle ultime due parole. Quella conversazione era durata anche troppo, la sua compagnia iniziava a nausearla.

Non voleva nemmeno pensare alla loro prossima vita coniugale, voleva restare quanto più possibile lontana da lui prima del giorno delle nozze.

-Non vi preoccupate, non lo dirò a vostra madre.- Aggiunse melliflua, un sorriso falso e forzato sul viso pulito da diciottenne, -Voi potete pure continuare a godervi l’aria fresca del mattino, non serve che vi scomodiate.- Si inchinò giusto quanto bastava per non mancargli di rispetto e lui fece lo stesso, con un portamento decisamente più elegante e meno impacciato del suo.

Non la contraddisse, né si offrì di accompagnarla fino alla sua stanza, le augurò semplicemente una buona giornata, con la fredda compostezza di sempre. Fu abbastanza certa del fatto che liberarsi della presenza dell’altro fosse per entrambi un sollievo, come un sassolino tolto dalla scarpa.

 

 

******

 

I giorni successivi le parvero tutte uguali, dal risveglio al calar del buio.

Si aggirava per le stanze come un fantasma, l’espressione completamente assorta, la mente svuotata da tutto.

Spesso si ritrovava, inconsciamente e guidata dal cuore, affacciata alla finestra ad osservare il parco della sua tenuta, il parco dove era cresciuta con suo padre, il parco che avrebbe presto dovuto lasciare. Guardava la luce del sole giocare tra le foglie degli alberi e dei cespugli, riflettersi nell’acqua della fontana e sparire al di là della collina al crepuscolo.

Sfiorava i libri e gli oggetti con la punta delle dita, dava un silenzioso saluto con lo sguardo alle cose che più le sarebbero mancate della sua casa.

Presto sarebbe stata una donna sposata, presto avrebbe avuto una sua tenuta da mantenere, da arredare, dei figli suoi da crescere.

Il suo sogno di sposarsi per amore era crollato in mille pezzi davanti ai suoi occhi di bambina, il sogno di una ragazzina che non aveva ancora fatto i conti con la cruda realtà, fatta di doveri, falsità, interessi.

Non era più la fanciulla che avrebbe voluto continuare ad essere, era una donna ormai, una donna pronta a sposarsi e doveva accettarlo.

Non doveva sforzarsi di far nulla; di sorridere, di parlare, di pensare. Si occupava di tutto quanto sua madre, avida manipolatrice della marionetta che era diventata.

Non che Emma avesse tentato di opporsi ai quei fili, per lei era semplicemente più comodo lasciare che fosse sua madre a dare direttive sull’abito, sul ricevimento, sugli invitati o sul cibo da servire, lei non aveva né la forza né l’umore per occuparsene.

Il suo abito da sposa avrebbe anche potuto essere del più scandaloso colore in circolazione o del più economico e scadente tessuto, poco le importava.

Voleva solo che quei mesi passassero il prima possibile, era stanca di tutta quella frenesia, delle prove del vestito con Mrs. Lewis, delle parole “matrimonio” e “futuro marito” inserite in ogni frase, dei falsi sorrisi rivolti a suo fratello e a sua cognata per rassicurarli della sua felicità inesistente.

Aveva iniziato ad amare la sera, l’unico momento di pace in cui poteva finalmente chiudere gli occhi e dormire, fuggire almeno nel sonno da quelle nozze.

-Emma, Santo Cielo, stai dritta con quella schiena!-

Sussultò alle parole della madre e spostò gli occhi dal vetro della finestra al vetro dello specchio davanti a sé.

Una giovane donna le restituì lo sguardo con aria smarrita: stava in piedi su un piccolo sgabello di legno, le braccia sollevate ai lati del suo corpo e un vestito di seta color avorio a fasciarle le esili forme.

-Scusate mamma.-

Non appena Emma raddrizzò il mento e le spalle, la ragazza riflessa nello specchio assunse un portamento più aggraziato.

Mrs Lewis, china per sistemarle l’orlo, le riservò un’occhiata torva e di rimprovero per quei continui movimenti, ma la ragazza non vi badò troppo: la sarta era conosciuta per la sua fin troppa precisione, raramente e solo dopo giorni di lavoro era soddisfatta del suo operato.

La giovane sospirò e lasciò che le successive parole della madre le scivolassero addosso come il tessuto dell’abito che indossava.

Le sue giornate erano così monotone, prive di attrattiva, nemmeno la lettura l’aiutava ad uscire da quello stato di apatia. Le ore scorrevano inesorabilmente davanti ai suoi occhi senza che lei facesse nulla per interagire con il resto del mondo.

Sbatté le palpebre ed osservò la sua espressione corrucciata nello specchio: quelli erano gli ultimi mesi che avrebbe trascorso da ragazza nubile, voleva davvero passarli in quel modo? Voleva continuare a passare i pomeriggi a ricamare il corredo con sua madre, a provare un orrendo vestito sempre troppo largo, a scrivere a mano gli inviti e a ricevere gente a casa sua? Non ne poteva più di sentire nobildonne che, con fare civettuolo, si congratulavano con lei per l’ottimo partito e le chiedevano la data del matrimonio, non ne poteva più di quell’atmosfera, aveva bisogno di fare altro, di distrarsi almeno per qualche ora.

-Emma, mi stai ascoltando?-

Non fu necessario risponderle, sua madre intuì dal suo sguardo smarrito che non aveva sentito una parola.

-Lord e Lady Shaftesbury terranno un ballo questa domenica, un ballo a cui non possiamo permetterci di mancare, te lo ricordi, vero?- La donna chinò lievemente il capo e la guardo di sottecchi dal basso, un chiaro e tacito invito a confermare.

-Certamente.- Replicò lesta, nonostante il solo pensiero di presenziare ad un ballo le facesse girare la testa.

-Bene.- Sua madre richiuse il suo ventaglio e lo sbatté sul palmo della mano, -Perché ci sarà anche il tuo futuro marito, come ben sai. Sarà il primo evento pubblico a cui parteciperete entrambi da fidanzati.-

Un motivo in più per avere la nausea, pensò Emma. Avrebbe dovuto dedicare gran parte del suo tempo e dei suoi balli a lui, avrebbe dovuto sopportare su di sé gli sguardi di tutta la nobiltà inglese. Di nuovo.

I suoi occhi corsero istintivamente all’antico mobile in mogano accanto alla finestra, dove era esposto, dentro ad un vaso di famiglia, un ingombrante e maleodorante mazzo di fiori: uno dei tanti regali del suo…fidanzato. Uno dei tanti regali appariscenti che, ovviamente, non incontrava per nulla il suo gusto personale.

Non pensò nemmeno per un attimo che Lord Charles Wilkinson si fosse realmente abbassato a scegliere di persona un regalo adatto a lei, né tantomeno credeva che fosse stato lui a firmare il biglietto che vi era in allegato. Sicuramente quei fiori dovevano essere stati mandati da Lady Charlotte Wilkinson…o da qualcuno dei suoi servitori.

Male interpretando i suoi pensieri, sua madre sorrise languidamente, -Oh, è un così caro ragazzo!- Sospirò congiungendo le mani e osservando a sua volta il vistoso dono.

L’appellativo “caro ragazzo” le fece ritrarre la testa nelle spalle inorridita. Non vi era nessuno di meno “caro” al mondo di Charles Wilkinson, al confronto suo zio Bartholomeus, sempre scorbutico, accigliato e maldisposto ad aiutare il prossimo, era un marito amorevole e premuroso.

Probabilmente per sua madre lo era esclusivamente per il semplice fatto che il suo conto in banca li avrebbe salvati da una quasi sicura e prossima miseria.

-Non trovate anche voi che sia un giovane di buone maniere, Mrs Lewis?- Chiese retoricamente la donna, giusto per vantarsi ulteriormente dell’uomo “conquistato” da sua figlia. Come se non lo avesse fatto abbastanza con qualsiasi altro ospite in quei giorni.

Mrs Lewis, che stava fissando degli spilli sulle spalline del vestito, sentendosi chiamata in causa annuì fiaccamente, -Naturalmente, Lady Wimsey. Mi è capitato di rado di vedere corteggiatori così assidui, il suo interesse per vostra figlia è lodevole.-

Emma nascose tutto il suo scetticismo e una poco opportuna risata con il dorso della mano e un contenuto colpo di tosse.

Lady Wimsey impallidì e si voltò così a guardarla con aria seriamente preoccupata, -Ti senti male, Emma cara?-

-Assolutamente no, madre, sto benissimo.- Si affrettò a rispondere, prima che le venisse in mente di mandare a chiamare il medico e spedirla a letto, -Ecco, mi stavo solo chiedendo…- Incominciò, ansiosa di cambiare argomento.

La donna si animò nel vedere sua figlia finalmente partecipe alla conversazione e non imbronciata e silenziosa come nei giorni precedenti, -Sì, cara?-

Emma abbassò le braccia intorpidite e le abbandonò delicatamente lungo i fianchi, -Sono giorni che non faccio altro che ricamare, accogliere ospiti con voi e scrivere inviti…non che non sia di mio gradimento, sapete quanto ami dilettarmi in queste attività.- Si affrettò ad aggiungere, sperando che quell’ultima frase non risultasse sarcastica come temeva, -Ma…mi piacerebbe poter andare in paese con la mia cara cognata uno di questi giorni. Credo che passeggiare un po’ per le strade di Kings Worthy mi farebbe bene.- Affermò candidamente, sorridendo pacatamente per rendere la richiesta più tollerabile.

Osservò in silenzio le labbra di sua madre contrarsi e diventare una linea sottilissima, -Moira è in stato interessante Emma, lo sai che non è nelle condizioni di poter uscire.- Passeggiò per la stanza con studiata lentezza, -E tu hai ancora molto da fare qui, specie in queste settimane! Puoi farti accompagnare da una delle domestiche in giardino a prendere aria.-

La giovane si stropicciò il vestito tra le mani, gesto che quasi fece stramazzare al suolo svenuta Mrs Lewis, -Potrei chiedere a William il permesso di farla uscire…sono sicura che anche lei sarebbe felice di fare una passeggiata con me.- Implorò sporgendo il labbro inferiore in un broncio infantile, -Oh vi prego madre, ho bisogno di rilassarmi un po’, questi preparativi per il matrimonio…mi rendono nervosa.- Ammise, nella speranza di avere un po’ di comprensione da parte della donna. L’unica carta che poteva giocare era quella, fare leva sui suoi nervi già provati. Sua madre non avrebbe potuto privarla di una rasserenante passeggiata giù in paese, non quando il suo umore dipendeva da quello.

Lady Wimsey arcuò le sopracciglia e la scrutò attentamente in volto, prima di distendere i lineamenti e sospirare, -Ebbene…se William acconsentirà, non avrò nulla da ridire.-

Trattenne l’impulso di precipitarsi giù dallo sgabello per correre immediatamente a parlare con suo fratello e si limitò a sorridere sollevata, -Oh madre, grazie! Non ve ne pentirete, vedrete.-

William, dopo un attimo di esitazione dovuto alla preoccupazione per le condizioni della moglie, avrebbe di certo dato il suo consenso, ne era sicura. Moira adorava passeggiare in paese e avrebbe giovato anche a lei uscire per un pomeriggio dalla tenuta.

Ed Emma finalmente avrebbe potuto distrarsi un po’ ed evadere dalla monotonia di quelle giornate.

-Ora, Lady Emma, potreste cortesemente evitare di muovervi?- Domandò Mrs Lewis stizzita.

La ragazza si ricompose per permettere alla donna di finire più svelta il suo lavoro, mentre in testa già le ronzavano le parole che avrebbe usato con suo fratello per convincerlo a concederle un pomeriggio fuori con sua cognata.

 

 

 

 

*Note dell’autrice più ritardataria di EFP*

 

 

Ehm…Uhm…Ahm…che dire dopo un anno? (più di un anno, ma suvvia, arrotondiamo per difetto).

Ecco, potrei inventare un sacco di scuse, tirare in ballo la mancanza di tempo, lo studio, le condizioni atmosferiche o l’umore del gatto, ma la verità è che ho avuto un tremendo blocco. Dirò la cosa più stupida e ovvia del mondo: non credevo che scrivere una storia ambientata nell’800 fosse così difficile. Cioè, non è difficile scriverla, è difficile renderla credibile.

Ho avuto dubbi su qualsiasi cosa, ho fatto ricerche su tutto (sarebbe più corretto dire che Bea ha fatto ricerche, io l’ho semplicemente stressata per tutto), sui matrimoni dell’epoca, i fidanzamenti, il corteggiamento, il modo di comportarsi, i titoli nobiliari.

Ecco, i titoli nobiliari, che odio tremendo! E a proposito di questo, in base a quello che ho capito, vi spiego brevemente cosa sono Emma e Charles.

Emma era la figlia di un conte che, una volta deceduto, ha passato il titolo al primogenito e fratello di Emma, William.

Charles è figlio del marchese di Winchester (quindi è di un gradino più in alto rispetto a lei), di Peter Wilkinson, ovvero Lord Winchester (questo sarebbe il titolo Lord + nome del posto). Nel momento in cui questo poveraccio morirà, il titolo di Lord Winchester passerà a Charles.

Insomma, se non dovesse essere chiaro qualcosa chiedete pure e cercherò di spiegarvelo – sempre che io sia riuscita a comprenderlo bene xD

Per quanto riguarda l’età, visto che mi è stato chiesto, Emma ha diciotto anni, Charles, invece, ne ha ventidue.

Quindi Emma è più piccola di quattro anni rispetto a Charles e, come penso si sia capito, si è presa una piccola cotta per lui in passato, quando di anni ne aveva quattordici e lui diciotto.

Che ne pensate di lui? Che impressione vi siete fatta?

Di nuovo vi ricordo, se notate qualcosa di poco credibile o che vi ha fatto storcere il naso, di farmelo notare e sarò felicissima di rifletterci su e, eventualmente, correggere l’errore.

Che altro dire? Ah, sì, ecco…mi dispiace. Infinitamente, davvero. Vorrei non averci messo così tanto per farvi sapere come continuava questa storia, probabilmente e – giustamente – penserete che non varrà neanche la pena attendere così tanto per un aggiornamento.

Posso solo dirvi che, essendomi documentata su quasi tutto, ora dovrei essere più sciolta e tranquilla nello scrivere. Preciso che la storia ce l’ho scritta in testa – anche se non ho ancora deciso come andrà a finire – quindi il vero problema è buttarla giù.

Fatemi sapere, se volete, o qui o su facebook, se ci siete ancora.

E a proposito di questo vi snocciolo ancora una volta i numerosi e noiosi contatti: il gruppo facebook, il contatto (accetto tutti, sia in uno che nell’altro) e ask. Grazie di aver letto (se siete arrivate fino a qui xD) e di esserci.

Un bacione!

Bec

 

Ps: riguardo i protagonisti (ringrazio ancora una volta Pettyfer per la copertina che vedete sopra), potete immaginarli come volete, ovviamente.

Quelli sono i personaggi come li ha immaginati la bravissima ragazza che ha fatto il banner, nella mia testa sono diversi (:

Più o meno - dal momento che mi è stato chiesto come li vedo io- così:

Emma.

Charles (immaginatelo in abiti completamente diversi, ovviamente xD)

 

 

Pps: Le risposte alle recensioni dello scorso capitolo arriveranno presto, ce la posso fare ad essere originale e a non ringraziarvi tutte con i soliti e banali “grazie per aver letto” :P

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Living again ***



Image and video hosting by TinyPic
Grazie come sempre a Bea per avermi sopportata e aver corretto il capitolo


Grazie come sempre a Bea per avermi sopportata e aver corretto il capitolo.

E grazie a tutte voi di esserci.

 


Chapter 3. Living again

 

 

 

L’elegante carrozza della famiglia Wimsey – uno dei tanti averi che servivano ad ostentare una ricchezza non più presente – tagliava in due parti perfettamente uguali la stretta e disagevole stradina di campagna.

A disturbare la quiete del luogo, solo il rumore degli zoccoli e delle ruote sul terreno. Di tanto in tanto, Emma udiva il cocchiere incitare i cavalli e dar loro colpi secchi con le briglie, anche se avvertiva il tutto solo in minima parte, troppo presa com’era ad osservare il paesaggio circostante.

Si era talmente isolata dal resto del mondo, che quasi non si accorse nemmeno dell’arrivo a Hinton Bridge.

Da piccola amava quel posto, suo padre la portava sempre, quando c’era bel tempo, ad osservare i pesci dall’alto e a dar loro da mangiare pane raffermo.

Era il loro posto segreto, neanche William era a conoscenza delle loro scampagnate mattutine; se lo avesse saputo, lo avrebbe involontariamente riferito alla madre che sarebbe andata su tutte le furie.

William era un fratello premuroso e amorevole, ma se c’era un difetto da imputargli era quello di non saper mantenere un segreto.

-A cosa è dovuta questa improvvisa voglia di uscire dalla tenuta?-

La ragazza sussultò appena: di fronte a lei una giovane donna dai lunghi capelli corvini raccolti in una stretta crocchia distese i lineamenti in un sorriso cortese.

Moira era bella e aggraziata, così bella che spesso Emma si era domandata perché il destino fosse stato così ingiusto da farla nascere in una famiglia di rango molto inferiore rispetto al loro.

Sollevò di poco le spalle, sapendo che solo da lei o da William un comportamento così poco elegante sarebbe stato tollerato, -Mi piace Kings Worthy ed è da molto che non vengo qui.- Decise di omettere la parte dell’ansia dovuta ai preparativi del matrimonio, chiudersi di nuovo nel suo mutismo le parve più comodo.

Tuttavia, nel momento in cui vi passò davanti, non riuscì ad impedirsi di accarezzare con lo sguardo la chiesetta in mattoni proprio al di fuori del paese.

St Mary’s Church. Il luogo dove sarebbe ufficialmente iniziata la sua vita da donna sposata.

-Com’è stato?- Si accorse di aver parlato solo quando notò gli occhi limpidi e chiari di Moira su di sé.

Si osservò le mani e giocò impacciata con l’ingombrante anello di fidanzamento che le era stato donato. E che era stata costretta ad indossare.

-Voglio dire… il matrimonio. Cosa hai provato quando sei arrivata all’altare?-

Era la prima volta che affrontava l’argomento così apertamente, era la prima volta che parlava seriamente del matrimonio con qualcuno. Non aveva delle amiche con cui confidarsi e a sua madre non aveva chiesto nulla perché sapeva già quale sarebbe stata la risposta.

Devi solo sorridere e star zitta fino a quando il prete non ti dirà di parlare, Emma.

Avrebbe aggiunto anche un “Stai dritta con la schiena”, tanto per non farsi mancare nessuna raccomandazione.

Moira esitò e ad Emma parve che le sue gote si colorassero di un leggero rossore, -È stato…spaventoso.- Confessò, portandosi una mano alla bocca con aria mortificata e colpevole.

Tutto si era aspettata meno che quello. Spaventoso? Come poteva essere stato spaventoso un matrimonio con l’uomo che amava?

La sua espressione sbalordita spinse Moira a spiegarsi meglio, -Il cuore mi batteva forte e le gambe mi tremavano così tanto che ho temuto fino all’ultimo di cadere. Se fossi caduta… tua madre probabilmente mi avrebbe ritenuta ancora più inadatta.- Come accortasi di aver osato troppo, Moira si strinse nelle spalle a disagio e le riservò una timida occhiata di scuse.

Non si erano mai scambiate particolari confidenze, le domande più intime che Emma le aveva rivolto riguardavano perlopiù il nascituro, mai nulla sul suo rapporto con il fratello o la suocera.

Stranamente non era offesa per quella considerazione, anzi, riusciva a capirla.

Non era mai stata dell’opinione della madre, a lei non era mai importato molto dell’assenza di un titolo nobiliare, le interessava solo la felicità di suo fratello. E William era felice come non lo aveva mai visto da quando si era fidanzato con lei.

Si umettò le labbra nervosa e pose la domanda che da diversi secondi aveva in testa, -Avevi paura?-

Nel notare che la frase di poco prima non aveva comportato alcuna reazione negativa da parte della ragazza, Moira si rilassò e riprese a conversare, -Molta. È normale, Emma.-

Quelle semplici parole, in qualche modo, riuscirono a farla sentire meglio, a quietare tutto il tormento che per settimane aveva sentito crescere di giorno in giorno dentro di sé.

Era normale. Lei era normale, non era né la prima né l’ultima ad essere spaventata. Non era sola.

Ed era qualcosa di così ovvio che si sentì sciocca per non averci pensato, per aver creduto di essere l’unica ad aver paura, l’unica povera vittima infelice.

Moira osò allungare una mano per poggiarla delicatamente sulla sua, un sorriso materno e comprensivo sulle labbra, -Andrà tutto bene. Tuo padre era un uomo saggio e ti voleva bene, sono sicura che non avrebbe mai scelto superficialmente il tuo futuro sposo.-

Lo sapeva. Una parte di lei lo aveva sempre saputo, ma sentirselo dire da qualcun altro fu d’aiuto, fu una conferma.

Era a conoscenza del fatto che Moira, così come suo fratello, non stimasse molto Charles Wilkinson come persona, eppure aveva pronunciato quell’ultima frase con una solennità tale che era impossibile non crederle.

La carrozza si fermò di colpo ed il cocchiere le informò del loro arrivo a Kings Worhty.

Prima che Moira potesse scendere, aiutata dal lacchè, Emma le sussurrò un flebile e veloce “Grazie” che le fece guadagnare un luminoso sorriso in risposta.

Aveva fatto bene a parlarne con lei, aveva fatto bene ad uscire e andare in paese. Aveva bisogno di una giornata come quella, una giornata fuori dalla tenuta e lontana da sua madre.

 

 

 

*****

 

 

A poche miglia da Kings Worhty, nel parco di una delle tenute più sfarzose della contea, il clangore di due spade incrociate tra loro spaventò e fece alzare in volo diversi uccelli.

I volti dei due contendenti erano entrambi coperti, così fu impossibile per uno vedere il lieve ghigno soddisfatto sulle labbra dell’altro.

Di egual corporatura e più o meno della medesima altezza, i due si fronteggiavano e brandivano la propria arma con esperienza, grazia e fluidità.

Ad un osservatore esterno potevano sembrare pari, in realtà l’affanno per uno dei due iniziava a farsi sentire e ad essere un problema.

Scontrò di nuovo la lama con quella del suo rivale, poi, intuendo la sua prossima mossa, indietreggiò e la punta della spada nemica fendette l’aria a pochi centimetri dal suo petto.

Masticò tra i denti un’imprecazione, mentre si faceva nuovamente in avanti per ripartire all’attacco, i capelli corvini al vento.

Bastò un colpo più deciso dell’altro a disarmarlo poco dopo e, con la lama avversaria puntata al cuore, fu costretto ad alzare le mani in segno di resa.

Sollevò la protezione dal viso e sospirò, -Accidenti Ed! Volevi ridurmi in mille pezzi forse?- Si lamentò, aggrottando la fronte accigliato.

Il suo amico aveva la tendenza a prendere un po’ troppo sul serio le cose… o forse era lui che le prendeva troppo alla leggera.

L’altro giovane si sfilò la maschera e i biondi capelli sudati gli ricaddero scompostamente sulla fronte. Gli occhi chiari si strinsero appena quando la luce del sole li investì, -Non è certo colpa mia se sei fuori allenamento George.- La voce, perfettamente ferma e controllata nonostante la fatica di poco prima, assunse un tono vagamente divertito.

George Raymond Blackley in risposta fece un altro profondo e teatrale respiro, -Se essere fuori allenamento significa trascorrere le giornate a corteggiare la più deliziosa dama della contea al posto di esercitarsi…. ebbene sì, confesso, sono colpevole.- Poggiò la mano sul petto, un’espressione solenne sul volto.

Charles Edwin Wilkinson si levò il guanto in pelle e alzò un sopracciglio scettico, -Ancora Lady Crampton?-

-Sempre Lady Crampton!- Replicò l’altro con fervore, liberandosi delle ingombranti protezioni.

Il giovane Wilkinson scosse la testa e curvò gli angoli delle labbra in un sorrisetto indisponente, -Ah George, come ti sei ridotto…-

Lord Blackley non si offese, tutt’altro, rise: era abituato al modo di fare del suo amico, lo conosceva da quanto ormai, dieci anni? Contando che loro ne avevano rispettivamente ventidue e ventiquattro era una bella quantità di tempo.

-Credimi Ed… ne vale davvero la pena per una donna del genere.-

George era una delle poche persone ad essere a conoscenza dell’avversione che Charles nutriva per il suo primo nome – datogli in onore del suo omonimo nonno –, così, fin da quando erano piccoli, aveva iniziato a chiamarlo “Ed” per via del suo secondo nome.

Wilkinson non risparmiò una cinica occhiata all’amico, -Nessuna donna vale un tale dispendio di energie e tempo, neanche la più graziosa e colta.-

Poteva aspettarsi una risposta diversa da lui? Naturalmente no.

Per Charles Wilkinson le donne non erano che un momentaneo passatempo, niente a che vedere con la caccia o la scherma, attività assai più piacevoli e appassionanti.

George non ricordava di averlo mai visto prestare attenzioni alla stessa dama per più di qualche giorno, il suo interesse era sempre stato passeggero e la noia e l’indifferenza sopraggiungevano prima ancora che la povera malcapitata potesse rendersene conto.

Wilkinson sapeva come farsi notare, come attrarre su di sé sguardi adoranti di dame sposate da tempo e di fanciulle ancora nubili, e il suo successo, se possibile, non faceva che gonfiare il suo già smisurato ego.

Quando si annoiava, quando non vi era altro svago alle feste, poteva forse esserci distrazione più divertente di assecondare civettuole fanciulle?

Non gli importava nulla del pensiero degli altri, tantomeno delle famiglie, dei mariti o fidanzati delle donne con cui si intratteneva a chiacchierare, e non si era mai comunque spinto oltre ad occhiate e sorrisini maliziosi. Non intendeva affatto essere coinvolto in sciocchi duelli per un diversivo, non ne valeva la pena.

Con un cenno deciso del mento, Charles diede a Bolton e Crane – suoi fedeli valletti rimasti fino ad allora ritti e in silenzio ad assistere – l’ordine di raccogliere e riporre gli oggetti utilizzati.

Lord Blackley sogghignò e gli diede un amichevole colpetto sulla spalla, -Eh vecchio mio, per te è facile parlare. Non tutti hanno la fortuna di avere come promessa sposa una fanciulla tanto graziosa.-

Gli parve di vedere i lineamenti dell’amico tendersi in una smorfia a stento accennata, ma non ne fu del tutto sicuro. Spesso Charles era un mistero anche per lui.

-Graziosa?- Domandò senza una particolare intonazione nella voce, -Una sgraziata ragazzina che legge romanzi d’amore e conversa con gli animali?- Sbatté le palpebre e alzò lentamente un sopracciglio, -Rispetto il volere dei miei genitori, naturalmente, ma non posso negare di aver confidato in una decisione più giudiziosa da parte loro.- Iniziò a camminare a passo lento verso la sua tenuta, lo sguardo puntato sull’edificio imponente e visibile tra i rami degli alberi.

Blackley lo seguì in silenzio, meditando attentamente sulle sue parole.

Aveva presenziato alla festa di fidanzamento dell’amico ed era stato ben felice di congratularsi con lui e con la sua futura sposa; tuttavia, vi erano dei particolari che gli sfuggivano, dei pezzi che non riusciva a collegare.

Perché mai Charles, se davvero non riteneva la fanciulla adatta come moglie, non aveva fatto alcuna obiezione e aveva acconsentito senza batter ciglio?

Non pensò neppure per un attimo che fosse interessato alla ragazza o quantomeno che la stimasse; a parte qualche sporadico incontro da bambini, i due non si erano più parlati in età adulta e il suo amico aveva sempre preferito avvicinare dame più mature e acute, di una bellezza più evidente e sfacciata.

Avrebbe sicuramente accettato qualsiasi altra scelta dei suoi genitori, dal momento che non vi era una nobildonna che lo lasciasse meno indifferente dell’altra, ma avrebbe sposato una dama che avrebbe ritenuto alla sua altezza, degna di lui.

Dunque perché aveva detto di sì, se non pensava che Lady Emma lo fosse?

Charles Wilkinson non era tipo da prendere decisioni con leggerezza, rifletteva sempre molto bene prima di agire.

In ogni caso George non avrebbe mai fatto domande in proposito, sapeva che non sarebbe servito a nulla. Se Charles voleva che gli altri venissero a conoscenza di qualcosa, lo diceva semplicemente. Non rispondeva mai alle domande personali che gli venivano rivolte, non sinceramente almeno.

Congiunse le mani dietro la schiena e piegò la bocca con disappunto, -Cielo Ed, parliamo di… quanti anni fa? Otto? Non credi che dovresti rivalutare la tua opinione su di lei?-

Lord Blackley conosceva molto poco Emma, eppure rammentava bene il giorno in cui, insieme al suo amico, l’aveva vista chiedere ad un passerotto come stesse. Ricordava di averla trovata buffa e di aver riso per un motivo completamente diverso da quello di Charles, che invece non aveva perso l’occasione per schernirla.

Il giovane Wilkinson corrugò impercettibilmente la fronte, -A quanto ho potuto constatare non è cambiata di molto.-

Non l’aveva più vista – grazie al cielo – conversare con esseri viventi incapaci di comprenderla e rispondere, ma i suoi assurdi ideali sul matrimonio non l’avevano resa meno sciocca ai suoi occhi.

-Sei troppo severo con la tua fidanzata.- Affermò George in tono leggero, -A proposito, a che punto sono i preparativi del matrimonio?-

Trattenne una risata quando Charles lo guardò di sbieco, a metà fra il divertito e l’irritato, -Sai bene che non mi curo di queste sciocchezze.- Un domestico si inchinò reverenziale e Wilkinson ricambiò il saluto con un piccolo e distratto cenno della testa, -Penseranno a tutto la mia fidanzata- a George non sfuggì il sarcasmo dell’amico, -Lady Wimsey e, naturalmente, mia madre. È una fortuna che questi preparativi tengano le sue giornate abbastanza impegnate da non farle prendere in considerazione l’idea di coinvolgermi.-

Lady Wilkinson era indubbiamente una donna piena di energie e spirito d’iniziativa: quando c’era un evento da organizzare non le piaceva avere gente intorno che la intralciasse o rallentasse, motivo per cui non aveva interpellato il figlio per nessuna decisione o progetto. Non che quest’ultimo smaniasse dalla voglia di sapere qualcosa o di contribuire, d’altronde.

George aveva modo di incontrare lei e Lord Winchester piuttosto frequentemente; trascorreva mattinate intere a tirare di scherma nella tenuta dell’amico e, dopo lo sforzo fisico, Charles faceva preparare dai domestici un piccolo banchetto per rifocillarsi e chiacchierare a quattr’occhi con lui.

-Ti limiterai a presentarti in chiesa in altre parole…- Commentò scuotendo il capo rassegnato.

-Non vedo cos’altro possa essere di mia competenza.-

Ribatté l’altro freddamente, lo sguardo rivolto altrove e le labbra contratte in una perfetta linea dritta.

Era evidente il suo intento di concludere lì quel tipo di conversazione.

Continuare ad insistere sarebbe servito solo a fargli ottenere risposte meno partecipi e più seccate, così Lord Blackley decise saggiamente di cambiare argomento. Azzardò qualche pronostico sulla battuta di caccia che ci sarebbe stata il mattino seguente, mentre dentro di sé si domandava nuovamente che cosa lo avesse spinto ad accettare di chiedere la giovane Wimsey in sposa.

 

 

 

 

******

 

-Sono meravigliosi.-

Emma osservò la mano di Moira muoversi con una punta di incertezza sui tessuti esposti e sorrise istintivamente.

-Dovresti comprarli.- Le disse d’impulso, facendo illuminare di riflesso il volto della negoziante che subito si premurò di ricordare loro la qualità del prodotto importato direttamente da Londra.

La cognata scosse piano la testa e allontanò le dita dalla soffice stoffa tentatrice, -Non posso.- Piegò gli angoli della graziosa bocca all’ingiù.

Emma non ebbe bisogno di chiedere il motivo, lo conosceva bene. Da mesi ormai dovevano stare attenti a qualsiasi spesa, suo fratello William restava alzato notti intere a studiare carte a lei incomprensibili per cercare di far quadrare i conti della tenuta.

Presto, però, grazie al suo matrimonio non avrebbero più dovuto pensare ai loro debiti, poiché Charles Wilkinson, in quanto suo marito, si sarebbe preoccupato di saldarli. Dopotutto era per quello che lei aveva acconsentito a sposarsi.

-Sì che puoi. Dovrai pensare anche agli abiti del bambino.- La giovane alzò le delicate sopracciglia e indicò con il mento il ventre leggermente rigonfio della sua accompagnatrice.

Lady Moira Wimsey fece istintivamente scivolare la mano sinistra, ornata dalla fede nuziale, sulla pancia, -Lo so, ma...-

-Niente ma.- La interruppe bonariamente Emma, prima di mostrare il primo spontaneo sorriso della giornata, -Le prendiamo tutte.- Annunciò con entusiasmo e in tono deciso.

-Emma, no, Santo Cielo, tua madre…- Moira stava via via perdendo colore mentre cercava, a voce bassa e tremolante, di convincerla a cambiare idea.

-Mia madre sarebbe d’accordo. Suo nipote sarà il bambino meglio vestito della contea.- Di quello ne era convinta: sua madre non avrebbe mai permesso che un componente della sua famiglia non si vestisse in modo più che degno del loro nome.

La negoziante, una bassa donnetta dai crespi capelli castani raccolti in una severa crocchia, fu ben felice di assecondarla e farle i complimenti per l’ottima scelta ed Emma ne fu più che mai appagata.

Se poteva fare qualcosa per Moira, suo fratello e il suo nipotino con i soldi di Charles Wilkinson lo avrebbe fatto. Non li avrebbe mai voluti per sé, non sapeva che farsene, ma alla sua famiglia non sarebbe più mancato nulla. Il suo sacrificio doveva pur valere qualcosa, no?

Si mise d’accordo con la donna per la consegna, poi prese Moira a braccetto ed uscirono insieme dal negozio.

-Non dovevi farlo.- Quello della cognata fu un sussurro a malapena udibile, tanto che Emma per un attimo dubitò perfino di averla sentita parlare.

-Sì che dovevo. Sei della famiglia Moira, così come lo sarà il mio nipotino.- Piegò la bocca in un sorriso affettuoso, mentre con la mano libera si sistemava il cappellino.

Gli occhi di Moira si velarono appena di lacrime, -Grazie.-

Un po’ a disagio per l’intensità del suo sguardo, Emma si umettò le labbra e tornò a guardare la strada davanti sé.

Una giovane donna dai lunghi capelli biondi fissati in un’acconciatura semplice ma elegante le restituì lo sguardo e sorrise.

Alcuni riccioli ribelli le ricadevano sulle guance arrossate che tanto ricordavano quelle di una bambola di porcellana, le pupille circondate da iridi di un verde intenso e le labbra piene e delicate.

Si avvicinò a loro, la sua giovane dama di compagnia al fianco.

-Lady Moira, che piacere incontrarvi qui.- Fece una riverenza perfetta e aggraziata, che Moira ricambiò timidamente e lievemente in soggezione, -Lady Crampton, vi trovo molto bene.-

Come volevano le norme comportamentali, la prima a salutare doveva essere colei che apparteneva al rango più alto.

La nuova arrivata spostò la sua attenzione su di lei e si inchinò nuovamente, -Lady Emma.-

-Lady Crampton.- Emma ripeté il gesto e si sforzò di sorridere.

Lady Eveline Deirdre Crampton di Greyton era la figlia del Duca di Greyton, la sua era una delle famiglie più antiche e ricche del Paese. Ciononostante non aveva mai attirato particolarmente la sua simpatia, benché a lei non avesse fatto alcun torto in particolare.

Era estremamente scaltra e adulatrice, il tipo di donna che sapeva cosa voleva e come ottenerla. Il genere di persona che scatenava in lei una certa insofferenza.

Si scambiarono i consueti convenevoli; Lady Eveline si affrettò a chiedere notizie sullo stato di salute della sua famiglia e sul bambino in arrivo, mentre Moira pregava gentilmente Eveline di portare i suoi saluti a Lord e Lady Greyton.

Dopo averle assicurato che lo avrebbe sicuramente fatto, Lady Crampton spostò lo sguardo su di lei e i suoi occhi scintillarono in un modo che ad Emma non piacque.

-Ma ditemi cara… a quando le nozze? Avete già stabilito una data?-

Era pronta ad una domanda del genere, aveva ripetuto la risposta nella sua testa diverse volte negli ultimi giorni.

Cercò di mantenere intatto il sorriso, -Non ancora. Ritengo che sia presto, dopotutto il fidanzamento è stato annunciato solo qualche settimana fa.-

Lady Eveline annuì, anche se non parve troppo soddisfatta della replica, -Capisco. Ma avrete scelto almeno il mese immagino…-

Emma in quel momento rimpianse la mancanza della madre; averla lì con sé l’avrebbe tolta da quell’impiccio, poiché avrebbe inevitabilmente preso lei le redini della conversazione.

-Naturalmente. Pensavamo di sposarci in autunno.- L’uso del plurale suonò strano persino alle proprie orecchie. Lei e Charles non si erano più parlati da quel giorno in giardino, tanto meno per decidere di sposarsi in autunno.

-In autunno!- Lady Crampton si mostrò piuttosto sorpresa, -Che periodo insolito, se mi è concesso dirlo, per sposarsi.-

Emma pregò con tutta se stessa che non le domandasse il motivo di tale scelta, dal momento che non avrebbe proprio saputo cosa rispondere.

Si sarebbero sposati presto per risolvere il prima possibile i problemi economici della sua famiglia, ma non era di certo una cosa che si poteva raccontare ad altri.

Quasi avesse intuito i suoi pensieri, Eveline sorrise nuovamente e inclinò di poco la testa, -Spererò per voi che il tempo sia clemente.-

Si chiese se avesse capito qualcosa, quell’espressione compiaciuta la rendeva inquieta.

-Grazie, siete molto gentile.-

Era già pronta al congedo, quando Lady Crampton sembrò ricordarsi improvvisamente di una cosa, -Ci sarete al ballo a Shaftesbury questa domenica, non è vero?-

Moira confermò con un cenno del capo.

-Ne sono felice, immagino che ci vedremo lì. Sono ansiosa di incontrarvi con il vostro futuro sposo Lady Emma. Purtroppo, come sapete, ero in città quando sono state annunciate le nozze.- Eveline si portò una mano alla bocca dispiaciuta, la fronte leggermente aggrottata.

Alla tenuta erano arrivati numerosi biglietti di congratulazioni da parte di chi non aveva potuto farlo di persona e fra quelli, scritto con grafia ordinata e tondeggiante, vi era quello di Lady Eveline Crampton.

-Sarà un piacere rincontrarvi.- S’inchinò, felice che la conversazione fosse finita e che non fosse più costretta a sorridere. Le dolevano i muscoli delle guance.

Mentre ripercorreva la strada con Moira per tornare alla carrozza, pensò che la sua festa di fidanzamento, in fondo, non era stata nulla in confronto a quello che l’aspettava domenica al ballo.

E il pensiero di rivedere il suo fidanzato, con quell’aria arrogante, quegli occhi glaciali e quel modo di fare irritante, la rendeva inevitabilmente nervosa.

 

 

 

*Note dell’autrice*

 

Beh dai, stavolta non ho tardato così tanto, no?

Sto cercando di autoconvincermi, nel caso non si fosse capito.

Ormai scusarsi per il ritardo mi sembra superfluo, lo sapete che mi dispiace davvero tanto.

Così come mi dispiace che questo capitolo alla fine sia solo un altro di passaggio. Siamo ancora all’inizio della storia, mi piace sviluppare bene e per gradi le cose.

Nel prossimo ci sarà il ballo, questo è sicuro, dal momento che inizierà con quello.

Che dire di questo? Vengono introdotti due nuovi personaggi: George e Eveline, che ne pensate? Avrete capito (credo) che il primo è cotto della seconda, che invece sembra non considerarlo nemmeno di striscio nonostante il suo corteggiamento.

Qui c’è un primo Charles (più George a dire il vero, non ho voluto svelare troppo) POV, che vi fa intuire a grandi linee cosa ne pensa di Emma e che ha accettato di sposarla per un motivo che non sappiamo.

Non ho nulla di pronto del prossimo capitolo, ma per farmi perdonare vi dico, come anticipazione, che Emma si farà una chiacchierata con George. E ovviamente ballerà con il fidanzato.

Grazie davvero di esserci, nonostante i tempi lunghi di attesa, nonostante i ritardi, nonostante i capitoli (forse, spero di no) deludenti.

Ho adorato i vostri commenti e mi hanno aiutata tantissimo ad andare avanti a scrivere, non sapete che ansia è stata per me pubblicare dopo così tanto tempo.

Risponderò poi man mano a tutte le recensioni (con la mia consueta lentezza, ma voglio ringraziarvi una ad una), per ora mi limito a ringraziarvi tutte – ancora e comunque – anche qui, anche solo per aver letto.

Un bacione grandissimo!

Bec

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** The ballroom dancing ***


Direi che ci sta un “nelle puntate precedenti” visto tutto il tempo che è passato dall’ultima volta che ho aggiornato:

Direi che ci sta un “nelle puntate precedenti” visto tutto il tempo che è passato dall’ultima volta che ho aggiornato:

Emma e Charles si devono sposare per volere dei genitori; l’una perché ha la famiglia indebitata fino al collo (il padre, prima di morire, giocava d’azzardo), l’altro perché glielo ha imposto il padre – amico del simpaticone che giocava d’azzardo – ed è troppo “figo” per mettersi a discutere per una sciocchezza di poco conto come un matrimonio. Quindi accetta di sposarla e basta, anche per non essere diseredato.

Emma, in passato, ha avuto una cotta per lui, mentre Charles, al contrario, non l’ha mai considerata, se non per deriderla quando erano bambini per il fatto che lei leggesse sempre e “parlasse” con gli animali (Lo faccio anche io, tra l’altro. Il mio gatto ne è stufo). Quindi ora si ignorano amabilmente.

Nel capitolo precedente si parlava di un ballo, ricordate? Emma e Moira, la cognata, sono andate in paese a comprare delle stoffe e hanno incontrato Lady Eveline Crampton, amore impossibile di George, l’amico di Charles – sì, incredibile ma vero, Charles ha un amico che lo sopporta.

Questo capitolo sarà incentrato solo sul ballo, pronte? Via.



Image by Sara and Tania

 

 

 

 

Chapter 4. The ballroom dancing

 

 

Aveva già visto più e più volte la sala in cui si svolgeva il ballo degli Shaftesbury, ricordava perfettamente di essersi nascosta sotto uno dei tavoli che ora erano posizionati vicino a una parete per sfuggire ai rimproveri di sua madre, da bambina. Era come se non ci avesse mai messo piede, tuttavia: rimase minuti interi a fissare la scena, estasiata e terrorizzata allo stesso tempo. Delicate tende bianche, fluttuanti e quasi impalpabili nella brezza estiva, facevano da contrappunto ai pesanti tendaggi di broccato che incorniciavano le finestre. Sprazzi di un giardino fresco e illuminato solo da qualche torcia si intravedevano tra il tessuto chiaro, un giardino in cui avrebbe disperatamente voluto scappare. Le candele che illuminavano la sala coloravano ogni cosa con una leggera tinta dorata che faceva risaltare il biancore dei volti, la lucentezza degli abiti, lo sfarzo dell'arredamento. Al centro della stanza, in un turbinio di stoffe colorate, alcune coppie già danzavano sulla musica allegra di un'orchestrina, quasi nascosta in un angolo. Sopra la musica si levava qualche risata acuta, subito nascosta dall'ondeggiare di un ventaglio, dal movimento rapido di una mano guantata.

Nel momento in cui fece il suo ingresso in quell’enorme salone, Emma percepì distintamente lo sguardo di ogni presente posarsi su di sé.

Il vestito stretto nei pugni delle mani, il petto che si alzava ed abbassava ritmicamente contro il bustino troppo stretto, e il battito del cuore irregolare e rumoroso, almeno alle sue orecchie. Riusciva a sentirlo nitidamente nonostante la musica ed il chiacchiericcio intorno a lei.

Cercò di contenere il tremore delle gambe mentre faceva la riverenza di fronte a gentiluomini e nobildonne che cortesemente si avvicinavano a salutarla o le venivano presentati, ma ogni volta che rialzava la testa avvertiva un leggero capogiro. Le guance le scottavano e l’aria le mancava, nonostante più di una finestra ai lati del salone fosse aperta.

Era la prima volta che partecipava ad un ballo di quelle dimensioni da fidanzata. Avrebbe dovuto essere una liberazione per lei: il fatto che fosse ufficialmente impegnata avrebbe sicuramente tenuto alla larga pretendenti indesiderati, eppure si sentiva tremendamente irrequieta.

Era presente gran parte della nobiltà inglese, tra cui il Duca e la Duchessa di Greyton e Lord Hertman e Lord Cosgriff, due dei più ambiti scapoli di Londra. Per quanto si guardasse intorno, però, non riusciva proprio a scorgere la figura di Lady Eveline Crampton. La cosa la tranquillizzava immensamente, contando che non aveva alcuna voglia di incontrarla e salutarla in presenza del suo futuro sposo.

Si accorse per sua sfortuna di essere rimasta uno dei più ghiotti pettegolezzi mormorati dietro ai ventagli delle signore, lei e il suo imminente matrimonio con il figlio del Marchese di Winchester.

Sospirò con rassegnazione: doveva abituarsi, sarebbe stato così per i mesi successivi. Inoltre, quello era il primo ballo a cui partecipavano entrambi, quindi era comprensibile che l’attenzione fosse puntata su di loro.

Proprio quando stava per rilassarsi e rendere più spontaneo il suo sorriso, i suoi occhi notarono il giovane di bell’aspetto che, a passo sicuro, si stava dirigendo verso lei e sua madre.

Deglutì a vuoto e si guardò istintivamente intorno, sperando fino all’ultimo che Charles Wilkinson deviasse la sua attenzione su qualcuno nelle vicinanze o alle sue spalle. Così non fu, purtroppo per i suoi nervi.

Aveva un’espressione rilassata e sicura di sé sul volto, il portamento altezzoso ma impeccabile come sempre, un sorriso appena accennato e chiaramente di facciata. Niente di malizioso o esagerato, una piccola curva all’insù delle labbra che non contagiò in alcun modo gli occhi.

Come avrebbe voluto essere altrettanto brava a dissimulare qualsiasi emozione, così impassibile e tranquilla.

Lord Wilkinson si fermò a porgere i suoi saluti a sua madre, momento di cui Emma approfittò per cercare di calmare il respiro e il battito.

Dopo aver scambiato i consueti convenevoli con Lady Wimsey, Charles le si avvicinò per prendere la sua mano guantata e posarci sopra le labbra. Fu silenziosamente grata della presenza del guanto, un contatto diretto l’avrebbe certamente infastidita.

Prese tempo e nascose una smorfia dietro al ventaglio, per poi scansarlo e forzare il miglior sorriso del suo repertorio.

Falso, bugiardo, ipocrita, borioso, arrogante e superficiale Charles Wilkinson. Era talmente presa da quella serie di aggettivi gradevoli da rivolgere al suo futuro marito, che non ascoltò una parola di quello che disse. Quando lui inarcò un sopracciglio, presumibilmente in attesa di una risposta, la ragazza si ritrovò a boccheggiare incerta. Chiedergli di ripetere era fuori discussione, solo una sciocca non avrebbe udito e compreso le sue parole ad una distanza così ravvicinata. Sarebbe risultata terribilmente svampita. Cielo, perché si distraeva così spesso? Distratta ed impacciata; si era sempre sentita fuori luogo a quegli eventi.

Rimase in silenzio per cinque lunghi e imbarazzanti secondi; era pronta a giurare che, se avesse potuto voltarsi a guardare sua madre, avrebbe letto terrore puro nei suoi occhi.

Sbatté le palpebre e si riprese, giusto in tempo per azzardare una risposta consona a qualsiasi tipo di frase rivolta da un uomo. -Vi ringrazio.- Allargò lentamente il sorriso, tentando di addolcirlo e di non farlo sembrare un ghigno ben poco signorile. Sia che le avesse fatto un complimento, cosa molto probabile, sia che le avesse detto che era un piacere incontrarla di nuovo, cosa ugualmente probabile, la sua risposta non sarebbe sembrata fuori luogo.

-È un piacere rivedervi- Mormorò incerta, benché un piacere non lo fosse affatto.

Con la coda dell’occhio vide sua madre rilassarsi al suo fianco, perciò dedusse di non aver detto nulla di sciocco. Fortunatamente.

-Certamente non quanto lo è per me rivedere voi.-

Hm. Era preparato e bravo con le frasi ad effetto, doveva concederglielo. Chissà a quante dame doveva averlo già detto, si ritrovò a pensare.

Era così falso e costruito. Non che conoscesse un solo nobiluomo spontaneo e credibile, a parte suo fratello, ma se ci fosse stata una classifica degli uomini più falsi d’Inghilterra, Emma avrebbe sicuramente messo al primo posto il suo fidanzato.

Sua madre si lasciò sfuggire una risatina stridula e mosse la mano davanti a sé con finta modestia, quasi quella frase fosse stata rivolta a lei e non alla figlia. Santo Cielo, che situazione ridicola. Quanto avrebbe voluto congedarsi e lasciare loro due a quelle frasi di rito, spontanee e genuine quanto il gesto altruistico di un gentiluomo che sentiva l’improvviso bisogno di offrire dei soldi in beneficenza, per pura coincidenza proprio nel momento in cui aveva l’attenzione dei giornali e della nobiltà inglese su di sé.

Probabilmente avrebbe dovuto reagire come sua madre: ridere in modo ridicolo e ringraziare, ma lei non era sua madre. Piegò il capo di lato con fare ingenuo e sollevò un sopracciglio. -Non vi sembra di essere un po’ presuntuoso ad insinuarlo? Non trovate, inoltre, che la vostra precisazione sminuisca le mie parole?-

Sua madre stava per avere un collasso, ne era certa. Diventò improvvisamente rossa ed iniziò a sventolarsi violentemente con il ventaglio, guardandosi intorno allarmata per assicurarsi che nessuno avesse sentito il tono oltraggioso e sgarbato di sua figlia. -Emma!- Sussurrò, gonfiando le guance.

Charles, invece, non si scompose minimamente, anche se, benché solo per un secondo, ad Emma parve di scorgere un lampo di stupore attraversare i suoi occhi.

Se era vero che aveva già utilizzato diverse volte quella frase, quel che era ancora più certo era che nessuna nobildonna gli aveva mai risposto in quel modo. Non se lo aspettava e la cosa la fece gongolare interiormente.

-Non era mia intenzione offendervi. Vi chiedo di scusarmi se avete percepito le mie parole come un tentativo di vanificare il significato delle vostre.- Assottigliò lo sguardo, forse leggermente infastidito.

Meraviglioso. In qualche modo sentiva che se lui si fosse innervosito, lei avrebbe potuto rilassarsi. Sorrise per quella piccola vittoria, questa volta in modo molto più istintivo. -Siete perdonato.-

Se si fosse vista dall’esterno si sarebbe certamente vergognata del modo in cui stava sorridendo e sbattendo le ciglia, come una qualunque sua coetanea in cerca di un buon partito da accalappiare.

Il colorito di sua madre tornò ad una tonalità più normale e salutare, ma l’espressione di rimprovero non abbandonò il suo volto.

-Bene, bene- Borbottò tra sé e sé, facendosi aria e lasciando scorrere lo sguardo dall’una all’altro.

Lord Wilkinson inclinò di poco la testa e stese le labbra nell’ennesimo sorriso di circostanza, guardandola di sottecchi in un modo che, se fosse stata ancora una quattordicenne ingenua, l’avrebbe certamente fatta arrossire. -Spero mi concederete l’onore del primo ballo.-

Riapparso il sorriso del Lord, scomparve quello della giovane. Non aveva possibilità di scelta, sapevano entrambi che, in quanto fidanzati, il primo ballo avrebbero dovuto riservarlo l’uno all’altra.

-Naturalmente- Replicò, senza nemmeno sforzarsi di mostrarsi entusiasta.

Fu lieta di vederlo congedarsi qualche minuto dopo, non avrebbe retto ancora per molto quella vicinanza.

-Emma, non mi piace il tuo atteggiamento con Charles! Sai bene come stanno le cose, è il figlio di un Marchese, il suo titolo…- Ci mancava solo un altro rimprovero. Stando attenta a non farsi notare, fece roteare gli occhi verso il soffitto e si chiese mentalmente per quanto sua madre sarebbe stata capace di andare avanti.

-Sono stata chiara?- Approfittò di quel momento per rispondere svelta: “Certo”, prima che ricominciasse a sgridarla per la sua scarsa attenzione.

-Bene.- Concluse soddisfatta, sfoggiando un sorriso cortese e ruffiano quando Lord e Lady Winchester, genitori di Charles e quindi suoi futuri suoceri, si avvicinarono per salutarle.

Un giorno o l’altro avrebbe chiesto a Lady Winchester il nome della sua cameriera e parrucchiera personale, pensò Emma mentre eseguiva la riverenza. E il nome delle pettinature sempre più bizzarre che aveva il coraggio di portare.

-Siamo così contenti di rivedervi! Oh, cara Emma!-

La giovane si sforzò di riportare il suo sguardo sul viso della sua interlocutrice e, come da copione, sorrise. Non era tanto difficile sostenere una conversazione con Lady Winchester, tutto sommato la trovava simpatica. Senz’altro più gradevole del figlio.

-Che delizioso evento, non trovate?- Chiese sua madre in tono civettuolo, proprio nel momento in cui Lady Shaftesbury passava accanto a lei per accogliere nuovi ospiti.

Dopo aver dato il suo contributo alla conversazione con un altro sorriso e un cenno affermativo della testa, Emma incominciò a guardarsi intorno con discrezione, in cerca di sua cognata. O di qualsiasi altra possibile via di fuga. Aveva un disperato bisogno di respirare un po’ e di fare una pausa da tutti quei saluti e scambi di formalità.

-Sono impaziente di vedere il nostro Charles ballare con la vostra Emma, sono sicura che saranno stupendi!-

Stupendi non era proprio la parola che avrebbe usato per definire lei e Charles insieme, ma non si sarebbe mai azzardata a farlo presente ad alta voce. Che Lady Winchester sognasse pure.

-Oh, Emma era così emozionata che non ha parlato d’altro per tutta la settimana!-

Cielo, si stavano sfiorando livelli ridicoli di ipocrisia!

Dovette impiegare tutte le sue energie per non mutare espressione: ridere sarebbe stato poco opportuno, così come fare un qualunque tipo di smorfia.

Incontrò un paio di occhi familiari e a lungo cercati dall’altra parte della sala e si trattenne a malapena dal sospirare per il sollievo.

-Vogliate scusarmi, credo che mia cognata abbia urgente bisogno di me.-

In realtà Moira l’aveva semplicemente guardata per pochi secondi, inconsapevole di essere la sua salvezza, ma Emma era certa del fatto che quella sarebbe stata la sua unica occasione per liberarsi dei Marchesi.

S’inchinò e tentò a passo svelto di raggiungere la donna. Aveva intenzione di chiedere a Moira di tenerle compagnia e passeggiare con lei per un po’ a braccetto, giusto per rilassarsi un po’ e prendersi una pausa.

Non aveva calcolato il giovane dai capelli corvini che le si parò davanti, un sorriso malandrino sul volto.

-Non dovreste girare da sola per la sala, Lady Wimsey- La rimproverò amichevolmente, una luce divertita nello sguardo.

Spalancò gli occhi sorpresa, le labbra schiuse in un modo molto poco decoroso.

Non si aspettava di essere fermata da un uomo, tantomeno da un uomo così sfacciato da rivolgerle la parola per primo, senza nemmeno aspettare un suo saluto.

Era sicura di averlo già visto da qualche parte, ma non riusciva a ricollegarlo a nessuna delle sue conoscenze. Difficile dire se fosse più maleducato lui per la libertà che si era preso, o lei che non aveva affatto memoria del suo nome.

Resosi conto della sua espressione scioccata, il giovane raddrizzò la schiena e s’inchinò. -Vi chiedo perdono per la mia impudenza, milady. Sono George Blackley di Cherhill. Siamo stati presentati quando non eravamo che bambini, quindi è naturale che non abbiate memoria del mio volto.-

George Blackley. Associò in meno di un secondo quel nome a quello del suo futuro marito, ecco perché quel giovane le sembrava familiare. Lo aveva visto spesso conversare con Charles, ma era sicura di non averci mai parlato in tutti quegli anni.

Blackley. Richiuse la bocca con uno scatto, mentre ricordava il bambino dai capelli scuri e sempre ben pettinati che aveva incontrato alcune volte da piccola a Winchester House, quando vi andava con suo padre.

-N-no, io…- Si schiarì la voce, un po’ impacciata. -Vi chiedo perdono io per la mia reazione. Mi ricordo di voi, Lord Blackley – mentì spudoratamente, un leggero rossore sulle guance per quella bugia, – solo non mi aspettavo… d’incontrarvi- Azzardò incerta, rigirandosi il ventaglio tra le mani. In realtà non si aspettava proprio che le rivolgesse la parola, non lo aveva mai fatto lui e non l’aveva mai fatto lei. Si erano sempre comportati come due estranei mai presentati, ora che ci pensava bene.

Il suo sorriso si accentuò, quasi avesse intuito il corso dei suoi pensieri. -Non abbiamo mai avuto molte occasioni di parlarci, purtroppo.-

Si morse il labbro nervosa e fece un mezzo sorriso, incerta. Non sapeva cosa rispondere e non riusciva a capire perché lui avesse deciso di interrompere anni di silenzio proprio in quel momento. Doveva essere per via dell’amicizia che lo legava al suo futuro marito, forse stava semplicemente cercando di essere gentile con lei in vista delle nozze, si disse pensierosa.

-Spero avremo occasione di rimediare a questa mancanza- Proseguì lui, per nulla a disagio o turbato dalla sua scarsa capacità di dialogare.

-Uhm, sì, lo spero anche io.- Arrossì impercettibilmente. Si sentiva una completa imbecille, una ragazzina incapace di articolare una frase di senso compiuto o di sostenere una conversazione con un nobile. Non aveva fatto altro che dire “sì” e “no” come una sciocca. Buon Dio, se solo lui non l’avesse colta così alla sprovvista! Non le piacevano e non era troppo abituata alle conversazioni con gli estranei, non andava oltre i soliti convenevoli e non si intrometteva mai nei pettegolezzi delle altre dame alle feste; aveva sempre preferito la compagnia di un buon libro, di suo padre o di suo fratello. E, nel corso degli anni, non si era mai sforzata di parlare molto, c’era sempre stata sua madre a coprirle le spalle e a parlare abbastanza per entrambe. Solitamente non le era mai neanche importato di quello che gli altri pensavano di lei, ma George Blackley, un po’ come Charles, la rendeva nervosa, specie perché non sapeva cosa aspettarsi da lui.

Si arrischiò a lanciargli un’altra fugace occhiata, ma l’espressione gioviale di poco prima pareva rimasta intatta. Niente di quello che vedeva in quegli occhi la faceva sentire stupida.

-Oso sperare che mi concederete un ballo, allora.-

Si irrigidì ed esitò. Le sfuggiva il motivo per cui George Blackley, che mai l’aveva degnata di tante attenzioni prima di allora e che avrebbe potuto ballare con molte altre dame, le stesse chiedendo di danzare con una tale cortesia. La cosa era un po’ sospetta. O forse era solo troppo paranoica e stava facendo inutili e maligne supposizioni su un gesto che non aveva alcun secondo fine.

Le serviva un modo gentile per rifiutare e alla svelta, comunque. Non se la cavava male con il ballo, ma non sopportava di essere al centro dell’attenzione, lo avrebbe tollerato solo se strettamente necessario.

-Naturalmente attenderò pazientemente il mio turno, so bene che Charles, in quanto vostro futuro marito, avrà l’onore di poter danzare per primo con voi.- Il sorriso del ragazzo si distese ulteriormente, così tanto che Emma si chiese se non gli facessero male le guance. Era strano che, invece di sembrare un ritratto mal riuscito di un pittore sbadato, apparisse incredibilmente affascinante. Non era sicura del fatto che con quella stessa espressione in faccia sarebbe riuscita ad ottenere un risultato altrettanto soddisfacente. Probabilmente le avrebbero chiesto se si sentisse poco bene.

Le scure sopracciglia del giovane si arcuarono appena, ricordandole che non aveva ancora spiccicato uno straccio di risposta.

Cielo, era nei guai. Cosa poteva rispondere? Non ebbe cuore di pronunciare un rifiuto, non quando il suo interlocutore le sembrava così sinceramente impaziente e lusingato al pensiero di ballare con lei. Il motivo le era ancora estraneo.

-Sarò felice di concedervi il mio secondo ballo, Lord Blackley- Accettò infine, esitante.

Non aveva mai dovuto concedere molti balli in vita sua, era sempre passata piuttosto inosservata a quel tipo di eventi. Non che ne fosse mai stata dispiaciuta, il più delle volte era lei stessa ad isolarsi. Quale uomo, del resto, badava o desiderava ballare con la giovane, acerba e distratta Emma Wimsey? Non aveva i capelli biondi e meravigliosi di Eveline Crampton, non aveva il portamento di Rebecca Sherman, gli occhi azzurri di Katherine Locksmith o la bellezza disarmante di Celine Norfolk. Non amava civettare, sbattere le ciglia un numero spropositato e inutile di volte e ridere per le sciocche battute che non capiva degli uomini, quasi sempre riguardanti il tema della caccia o della politica.

Gli occhi di Blackley si illuminarono come quelli di un felino in penombra, ma il bagliore fu talmente breve che Emma si chiese se non fosse stato uno scherzo della sua mente.

-Voi mi onorate, Lady Wimsey. Vi ringrazio per questa generosa concessione.-

Lui fece un inchino e si congedò, ancora prima che lei avesse il tempo di eseguire una dignitosa riverenza.

Due balli riservati a due affascinanti gentiluomini che fino a qualche mese prima non le avrebbero nemmeno rivolto la parola. Buffo quanto poteva cambiare le cose una semplice proposta di nozze.

Non aveva più tempo per raggiungere Moira e trascorrere qualche minuto in sua compagnia, così si dispose in fila con le altre dame per il suo primo ballo; addosso, incollatole alla pelle come il tessuto del vestito, un senso di rassegnazione con cui ormai aveva imparato a convivere nelle ultime settimane. Non c’era modo di opporsi a tutto quello e, se anche avesse potuto farlo, non l’avrebbe fatto.

Stropicciò nervosamente tra le dita la gonna del vestito e fece la riverenza, rialzando con titubanza lo sguardo per incontrare i gelidi occhi del suo fidanzato che la scrutavano impassibili dall’altro lato.

Eseguì i primi passi in silenzio, aspettando che fosse lui a dire qualcosa, ma il giovane non parve nemmeno accorgersi dello sguardo insistente puntato su di sé. Era come se non stesse ballando con lei, come se lei non esistesse e fosse da solo. Come se lei fosse completamente invisibile ai suoi occhi.

L’attenzione di Charles si spostò ben presto sulle altre coppie, in particolar modo su una giovane che Emma ricordava di aver visto a qualche altro recente evento.

Miss Thompson? Sì, doveva essere la graziosa nipote del Duca di Heathrow, le era stata presentata alla sua festa di fidanzamento.

Carnagione chiarissima, capelli neri come la pece che ricadevano sulle guance arrossate in due morbidi boccoli sfuggiti all’acconciatura, sopracciglia fini lievemente arcuate, Miss Thompson era certamente bella e sapeva di esserlo. Si accorse subito di aver suscitato un certo interesse e, dopo aver sorriso e ricambiato lo sguardo da sotto le folte ciglia scure, lo distolse con fare civettuolo.

Gli occhi di Charles si accesero di una scintilla di malizia ed eccitazione, l’espressione di un cacciatore davanti alla sua preda. Un sorrisetto compiaciuto prese forma sulle labbra, prima tese in una perfetta linea retta.

Senza quasi rendersene conto, Emma strinse con più forza la mano del suo compagno quando il ballo richiese un avvicinamento. Si sentiva stupida e mortificata, nella sua testa già sentiva i pettegolezzi delle anziane matrone che speculavano su un possibile adulterio da parte di Charles Wilkinson.

-Siete stato molto credibile prima con mia madre- Sibilò a bassa voce, facendo voltare, chiaramente controvoglia, il ragazzo verso di sé.

Non fece commenti sulla presa fin troppo salda della sua futura sposa, si limitò a guardarla con aria vagamente irritata. -Mi duole non poter dire altrettanto di voi, la vostra capacità di fingere lascia molto a desiderare.-

Girarono l’uno intorno all’altro, ma i loro sguardi, questa volta, restarono incatenati. -Non sono molto brava a mentire- Ammise fieramente lei, sottintendendo che lui, al contrario, fosse particolarmente bravo a farlo. -Eppure non riesco a considerarlo come un difetto.- Inarcò le sopracciglia in un’espressione involontariamente ostile e di sfida.

A lui sfuggì uno sbuffo simile ad una contenuta risata. Ciononostante, anche se all’apparenza la sua reazione poteva sembrare davvero spontanea, Emma era pronta a scommettere che anche quella fosse stata calcolata. Era come se, quando parlava, Charles Wilkinson seguisse un copione immaginario scritto nella sua testa, come se sapesse esattamente cosa fare o dire e nulla al mondo potesse coglierlo impreparato.

-Non ho insinuato che lo fosse- La assecondò divertito, sorprendendola. -Credo semplicemente che questo vi renda più esposta agli altri, vi si legge in faccia quello che pensate.- Lui mostrò un’espressione di sfida decisamente più convincente della sua e ciò le fece abbassare la testa furiosa con sé stessa.

Cielo, era davvero così evidente? Emma arrossì per l’umiliazione. Glielo aveva sempre detto anche suo padre, quando era più piccola. Diceva che leggere il suo viso era semplice come leggere le pagine di un libro per bambini. Ma lui era suo padre, Charles un perfetto sconosciuto.

Si mordicchiò l’interno guancia, mentre il ballo le lasciava del tempo per pensare ad una risposta. Quando si riavvicinò a lui non aveva ancora deciso bene cosa replicare, così improvvisò: -Non credete che sia stancante recitare sempre una parte? Essere costruiti e non lasciarsi mai andare ad emozioni umane?- Chiese di getto, notando di sfuggita il sorriso di George Blackley, intento a ballare con una fanciulla di cui non conosceva il nome.

Charles socchiuse le palpebre e le riservò una fredda occhiata. -Ho come l’impressione che il vostro non sia un discorso generico.-

Ah-ah. Aveva forse la coda di paglia il suo fidanzato? Lo esaminò bene in volto, cercando di capire cosa gli stesse passando per la testa. Invano.

-Vi ho forse offeso? Non sarete permaloso, spero- Lo provocò con un sorriso derisorio.

Lui sollevò appena il mento ed una ciocca di biondi capelli gli ricadde sugli occhi. -Affatto. L’essere permalosi implica il sentirsi toccati da qualcosa, ma la vostra frase non ha sortito alcun effetto su di me.-

Avrebbe voluto poter cancellare quell’espressione di superiorità, quel suo modo di fare arrogante, quel suo avere sempre la risposta pronta. Non riusciva mai a metterlo veramente in difficoltà e la cosa era sempre più demoralizzante.

-Dunque non sarà un problema per voi rispondere alla mia precedente domanda.-

Aveva passato anni della sua vita a farsi valere e rispettare da un fratello maggiore, non sarebbe stato così semplice per lui sopraffarla.

William, quando non erano che bambini, trascorreva ore intere a prenderla in giro o provocarla. Non era stato sempre il meraviglioso e premuroso fratello che lei aveva la fortuna di avere ora.

La melodia stava per finire, Emma riconobbe le note di chiusura e sapeva che di lì a poco si sarebbe dovuta nuovamente mettere in fila con le altre dame.

Distratta da quel pensiero, sussultò sorpresa ed incespicò sui suoi piedi quando Charles la tirò a sé nel momento in cui ebbe modo di prenderle nuovamente la mano. Non era una vicinanza eccessiva o scandalosa, poteva tranquillamente essere la massima vicinanza concessa a due promessi sposi innamorati, ciononostante Emma si sentì arrossire quando il viso di Charles si avvicinò al suo. Non era mai stata così a stretto contatto con nessun uomo e il fatto che fosse proprio lui ad esserle così vicino, sotto gli occhi di tutti, la metteva profondamente in imbarazzo e le causava uno strano nodo allo stomaco.

-No- Wilkinson scandì bene quella semplice parola, piegando un angolo della bocca all’insù, gli occhi accesi di un divertimento sadico che le ricordava tanto quello di William quando da bambino si svagava tirando la coda al gatto della domestica. -Non trovo che sia stancante recitare una parte.-

Le altre coppie proseguirono il ballo e si staccarono. Emma cercò di fare lo stesso, ma notò, non senza una certa agitazione, che il ragazzo non mollò la presa. Sentì la bocca farsi sempre più secca, la gola e le guance bruciare, mentre intorno a lei iniziavano a levarsi preoccupanti mormorii.

-Siete soddisfatta della mia risposta, Emma?-

La giovane rabbrividì nel sentire il modo in cui pronunciò il suo nome, una freddezza che ben si intonava al colore dei suoi occhi. Una freddezza che fece sparire la sensazione di calore che il corpo di lui così vicino le aveva donato poco prima.

Realizzò con rabbia e indignazione che non l’avrebbe lasciata andare finché non avrebbe chinato la testa e mormorato un obbediente sì.

Si guardò intorno, consapevole di essere al centro della sala e sotto gli occhi di tutti. Maledetto Charles Wilkinson.

Il suo ghigno sembrava dirle “Lo so a cosa stai pensando. Abbassa la testa e striscia come il verme che sei se non vuoi che questa gente continui a fissarci”.

Si morse il labbro con talmente tanta forza da rischiare di farlo sanguinare.

-Difficilmente qualcosa mi soddisfa pienamente.- Mormorò infine, alzando il mento più che poté per fronteggiarlo. -Ma per questa volta credo mi farò bastare la vostra risposta.-

Non aveva vinto, ma aveva miseramente cercato di trovare comunque una risposta dignitosa.

Lui assottigliò di poco lo sguardo ed accentuò il suo sorriso. -Bene.-

-Ora, se non vi spiace…- Emma puntò gli occhi sulla sua mano, ancora imprigionata tra le dita di lui. Le fece uno strano effetto vederla ed un pensiero fuori luogo riportò il calore di poco prima sulle sue guance.

Il giorno del suo matrimonio quella stessa mano le avrebbe infilato una fede nuziale al dito.

Deglutì a vuoto e cercò di sottrarsi a quella presa. Quel contatto fisico le mandava strane idee in testa e le provocava strane reazioni su cui non voleva indagare.

Il ballo era finito e le coppie, apparentemente incuranti della loro presenza, stavano prendendo posizione per il successivo.

-Ho promesso il mio secondo ballo al vostro amico Blackley e sono sicura che da qualche parte in sala ci sia la fortunata dama a cui voi avete concesso lo stesso onore che ho avuto io.- Digrignò tra i denti sarcastica, facendo scorrere febbrilmente lo sguardo intorno a sé. -Non vorrete farla attendere.-

Senza smettere di fissarla in un modo che Emma odiava, Charles lasciò andare la sua mano. -Non potrò che invidiare il mio caro amico George per tutto il tempo- Replicò infine, con lo stesso stucchevole sarcasmo usato da lei poco prima.

-Ed?-

Emma sussultò, mentre il suo fidanzato si limitò a voltare lentamente la testa quando Lord Blackley comparve proprio in quel momento accanto a loro.

-Chiedo scusa, ho interrotto una conversazione privata?- Spostò con cautela lo sguardo da uno all’altro, vagamente confuso.

La bocca di Charles ebbe un guizzo ed Emma faticò a capire se fosse irritato o divertito.

-Non dire assurdità, George- Replicò asciutto, senza una particolare intonazione, facendo un passo indietro per congedarsi e lasciargli il posto.

-Siete ancora disposta a concedermi questo ballo, vero Lady Emma? Spero non abbiate cambiato idea- Scherzò Lord Blackley, accennando un breve inchino ed un sorriso.

Lei ricambiò con sincero trasporto. -Assolutamente no, sono una donna di parola.- Fu un sollievo dedicare la sua attenzione al volto amichevole e rilassato di George Blackley, Emma non avrebbe retto ancora per molto gli occhi inespressivi e penetranti di Charles Wilkinson.

Per lei trovarsi in sua presenza era come affacciarsi alla finestra della sua stanza, la sera, quando non era visibile nulla in giardino, se non la luce della luna riflessa nell’acqua della fontana. Le faceva venire in mente quel vento gelido che tagliava letteralmente la pelle del viso, quel freddo che intorpidiva le dita, quel buio pesto, spaventoso e, tutto sommato, intrigante e misterioso che la accoglieva nelle notti d’autunno.

Scacciò via quel pensiero e si allineò con le altre dame per il seguente ballo, più tranquilla e meno rigida nei movimenti.

Certo, sapeva di non potersi comunque permettere di abbassare la guardia con lui, ma l’erede dei Blackley la metteva meno a disagio rispetto al suo futuro marito.

Quasi senza rendersene conto, sollevò di poco il mento e girò la testa in direzione delle altre coppie intorno a sé.

-Non vi ho ancora detto che siete incantevole stasera.-

Si voltò nuovamente verso Blackley, un sorriso gentile sulle labbra. Era abituata a complimenti del genere, i gentiluomini dell’alta società erano in pratica obbligati a ripetere sempre le stesse frasi a tutte le nobildonne. Ciononostante Lord Blackley le parve sincero e il suo giovane ego femminile ne fu lusingato.

-Vi ringrazio.-

Restarono in silenzio per un po’, mentre Emma seguiva a memoria i passi di una danza che non rammentava di aver ballato molto spesso.

Ruotò su se stessa e prese la mano del suo compagno, aggrottando la fronte nello scorgere una chioma bionda qualche metro più avanti.

Charles Wilkinson stava ballando con Miss Maryann Thompson; gli occhi, completamente privi di qualsiasi tipo di interesse finché era stata Emma la sua compagna, ora rilucevano di una malizia che mai si era manifestata in sua presenza e il volto, solitamente impassibile, mostrava una cordialità e un’armonia che Emma sapeva essere fittizia. Il sorriso pigro e ruffiano di un bambino viziato che voleva ottenere qualcosa dai genitori e che sapeva avrebbe raggiunto il suo scopo.

La giovane si morse l’interno guancia ed osservò Miss Thompson arrossire lievemente, le piccole e carnose labbra strette severamente tra loro in un tentativo assai scarso di non sorridere.

Perché Charles Wilkinson la detestava così tanto da mortificarla in quel modo? Perché suo padre aveva deciso di condannarla in quella maniera, promettendola in sposa ad un uomo che l’avrebbe fatta impazzire?

-Vi vedo distratta.-

Solo quando inciampò sull’orlo del vestito, come una sciocca, e finì addosso a Lord Blackley si ricordò di dove fosse e cosa stesse facendo.

-Mi dispiace- Balbettò, profondamente avvilita.

George sorrise e riprese i suoi passi come se nulla fosse accaduto. -Non vi crucciate troppo, Lady Emma.-

Pensava si stesse riferendo al suo errore, invece la sorprese riprendendo il discorso quando la danza li fece riavvicinare.

-Non sforzatevi di capirlo, mia cara. Certe volte fatico a comprenderlo persino io e lo conosco da quando eravamo nient’altro che bambini.-

Buon Dio, non sarebbe uscita viva da quella serata, stava ricevendo una mortificazione dopo l’altra. Credeva di essere stata abbastanza discreta nell’osservare il suo futuro sposo, ma a quanto pareva la sua non era stata che una mera illusione.

Non negò quanto detto dal giovane, sapeva che ai suoi occhi sarebbe apparsa ancora più stolta se lo avesse fatto.

-Non dev’essere affatto semplice essergli amico.- Le parole le uscirono di bocca prima che potesse fermarle e si pentì subito dopo averle pronunciate.

George rise genuinamente e quella reazione attirò più di uno sguardo curioso. -Non lo è, ma ormai ci sono abituato. Temo comunque che nemmeno per lui sia semplice avermi come amico, so essere piuttosto fastidioso a volte.-

Solo per un secondo, il tempo di qualche passo e qualche nota musicale, Emma si domandò perché suo padre non avesse potuto prometterla a George Blackley. Sentiva che le cose per lei sarebbero andate molto meglio se fosse stato lui a prenderla in moglie. Non avrebbe avuto tutta quella tensione addosso, quel senso di inadeguatezza, quei brividi lungo la schiena e quelle morse allo stomaco se avesse saputo che avrebbe dovuto sposare lui qualche mese dopo.

Dopo una piccola pausa di riflessione, Emma accennò un sorriso amichevole. -Vi conosco poco, Lord Blackley, ma per quel poco che abbiamo parlato questa sera posso garantirvi che non mi sono sentita infastidita nemmeno una volta.-

Cielo, era così semplice farlo sorridere! Non aveva mai fatto sorridere Charles in quel modo. In verità non lo aveva proprio mai visto un sorriso così vero sulle sue labbra.

-Sono lieto di saperlo- Affermò con il candore e l’entusiasmo di un bambino.

Il buon umore appena acquisito, però, svanì così com’era apparso nel momento in cui notò per la seconda volta Charles e Miss Thompson. Maryann si guardava intorno con discrezione, probabilmente temendo per la sua reputazione di fanciulla in età da marito.

Emma sapeva che al suo compagno di ballo non era sfuggita quell’occhiata, così sospirò rassegnata. -Se non siete riuscito a comprenderlo pienamente voi in tanti anni, dubito di essere in grado di farlo io. Credo proprio che dovrò rinunciarvi.-

Almeno per non impazzire, aggiunse mentalmente.

Una piccola ruga si formò tra le sopracciglia del ragazzo, che appariva alquanto svagato. -Non è detto che voi non possiate arrivare laddove io abbia fallito, col tempo. Dopotutto sarete sua moglie.-

Preferiva non ricordarlo, quella parola le faceva venire la nausea, eppure sembrava ci fosse sempre qualcuno pronto a ricordargliela, a sussurrargliela nell’orecchio.

Moglie, moglie, moglie…

-E siete una donna. Non credo esista qualcuno al mondo in grado di comprendere meglio le persone di una donna.- Non c’era alcuna traccia di scherno nella voce di Lord Blackley e ciò la stupì. Era raro che un uomo facesse discorsi su come le donne fossero in grado di “comprendere le persone”, come se fosse un’abilità utile o da lodare.

-Il vostro amico non sembra pensarla così.- Il suo tono era aspro e ciò le dispiacque. Non era giusto prendersela con lui, non era Blackley la causa del suo malumore.

Prima di fare il passo indietro che lo avrebbe riportato in fila con tutti gli altri uomini per l’inchino finale, George la osservò con un cipiglio – forse per la prima volta – serio.

-Charles tende, un po’ come tutti, a sottovalutare le donne. Temo tuttavia che stia sbagliando a sottovalutare voi.- Il sorriso riapparve prima che le sue labbra potessero sentirne la mancanza. -Se ne accorgerà da solo, mia cara, vedrete.-

E detto quello, dopo essersi inchinato e averla scortata al suo posto, se ne andò ringraziandola e lasciandola ai suoi interrogativi.

Le parole pronunciate dal Lord continuavano a girarle in testa, senza possibilità di uscita per il momento. Che cosa aveva voluto dire con quell’ultima frase?

Scosse la testa e si sedette su una sedia libera, rifiutando cortesemente il successivo ballo ad un giovane stempiato a cui aveva dedicato il suo tempo a qualche festa precedente. La stanchezza era sempre una buona scusa da usare in quei casi.

Non aveva certamente fatto una bella figura, ma dopotutto sua madre non avrebbe potuto rimproverarla più di tanto.

Le restavano ancora due balli in compagnia di Charles, si meritava un po’ di respiro, no?

Fortunatamente il suo futuro sposo non le parve in vena di chiacchiere – non che lo fosse mai stato con lei, del resto –, così non si sforzò di conversare nuovamente con lui, né badò troppo agli sguardi che dedicava alle altre fanciulle.

Terminato il terzo ed ultimo ballo, prese Moira a braccetto e ne approfittò per isolarsi in un angolo della sala.

-Ne uscirò pazza, vedrai.-

Lei rise, in un modo dolce e melodioso, talmente perfetto da risultare quasi irritante. Accidenti, perché lei non produceva lo stesso meraviglioso suono quando rideva?

-Sei andata benissimo. Eravate davvero molto belli insieme.-

Le riservò un’occhiata scettica ma evitò di commentare. Moira era troppo buona per dirle che era stata goffa ed impacciata, completamente fuori luogo accanto a lui.

Fece un respiro profondo e rilassò i muscoli del corpo. Ancora poco, doveva resistere ancora per poco e poi si sarebbe potuta rintanare nella sua stanza.

Due basse e cospiratorie voci le arrivarono all’improvviso alle orecchie e, quando si voltò, notò due donne sedute a pochi passi da loro. Le stavano dando le spalle, lo sguardo rivolto verso le coppie danzanti e i ventagli innalzati fino alla punta del naso.

Cautamente, certa di aver sentito pronunciare il suo nome, Emma vi si avvicinò. Moira la guardò dapprima perplessa, poi, intuendo le sue intenzioni, scosse la testa contrariata.

-Vi dico di sì, un amico di mio marito, Mr Groundon, l’ha visto con i suoi occhi. Del resto è piuttosto risaputo che Harold Wimsey eccedesse di frequente con il gioco d’azzardo.- Stava dicendo una delle due, la più corpulenta e anziana da quel poco che Emma poteva vedere.

-Giusto cielo! Non riesco a credere che Lord e Lady Winchester abbiano acconsentito a questo matrimonio, dopotutto non hanno che da perderci…- Commentò l’altra, ondeggiando sulla sedia in un modo che ad Emma parve decisamente buffo.

-Avete visto la ragazza?- Un sorriso maligno si formò sulla bocca della prima. –Buon Dio, la mia Celine è indiscutibilmente più graziosa! Wilkinson è un giovane così affascinante, sarebbero stati perfetti insieme, è un vero peccato.-

Emma si morse il labbro inferiore così forte da farsi male, mentre dentro di sé avvertiva una rabbia sempre più pressante.

Poteva sopportare qualsiasi cattiveria su di lei, non le importava di essere meno carina di chicchessia, ma non avrebbe tollerato una sola altra parola su suo padre.

Giocava d’azzardo, sì, esagerava, sì, le aveva lasciate in mezzo ai debiti, , ma aveva sempre pensato a loro, anche dopo la sua morte, combinando quel matrimonio con Charles Wilkinson. Non avrebbe potuto pensare ad un padre più buono e affettuoso.

Fece un altro passo in avanti, con l’intento di mostrarsi a quelle due e di salutarle con un largo sorriso, ma una mano la afferrò per il braccio e la tirò indietro prima che potesse mettere in pratica il suo piano.

-Oh cielo, Emma, cosa volevi fare?- La rimproverò Moira preoccupata.

-Stanno infangando il nome di mio padre.- Si sentì un po’ come una bambina piccola che spiegava il perché di una marachella al genitore.

Sapeva di aver agito impulsivamente e di aver sbagliato. Avrebbe creato inevitabilmente tensione ed imbarazzo fra la sua famiglia e quella delle due donne se si fosse mostrata e sua madre non glielo avrebbe mai perdonato.

-Emma, sai anche tu che i pettegolezzi sono all’ordine del giorno. E sai quanti ne sono circolati e quanti ne circoleranno ancora su di me e tuo fratello. Non si possono fermare, sono inevitabili. Che cosa pensi di ottenere mostrandoti?-

Irrigidì le spalle e la mascella e annuì, reprimendo l’odio e il dolore che il sentir parlare in quel modo di suo padre le aveva causato.

Aveva ragione Moira, come sempre. Aveva ancora molto da imparare da una donna come lei, non era che una ragazzina al confronto.

Sospirò ed infilò nuovamente il suo braccio sotto quello di Moira. -Allontaniamoci da qui.- Prima che potesse fare qualche sciocchezza.

 

 

*****

 

Charles Edwin Wilkinson aveva un rapporto un po’ controverso con i balli.

Vi erano delle volte in cui li apprezzava, in cui non disdegnava la compagnia di qualche graziosa dama o una chiacchierata con qualche altro gentiluomo, e volte in cui invece avrebbe voluto far tacere tutti e chiudersi nel suo silenzio fino alla fine della serata. Quello era decisamente il caso.

Strinse tra le dita il delicato bicchiere di vetro – pieno di un raffinato vino di cui non ricordava la provenienza – e sorrise forzatamente, lanciando di sottecchi un’occhiata complice a George. Stava ascoltando le chiacchiere inutili di Miss Thompson e di sua cugina da troppo tempo, più di quanto fosse disposto a sopportare.

-Ho saputo che vi sposerete in autunno… un po’ insolito, se mi è concesso dirlo- Stava dicendo Maryann, il tono di voce vagamente deluso e dispiaciuto.

Quel traditore di George non parve disposto ad intervenire in suo aiuto per liberarlo dalla fastidiosa presenza delle due giovani, così fu costretto a rispondere:

-Avete ragione, è quello che penso anche io, ma sapete… mi è stato detto che è meglio non contraddire la propria fidanzata.- Sollevò un sopracciglio ed allargò il sorriso, un’espressione che ormai aveva imparato a sfoggiare a proprio comando.

Non ricordava più quante volte avesse ripetuto quella frase, ma era riuscito man mano a renderla sempre più credibile. Solitamente causava una serie di risatine in risposta, esattamente il tipo di reazione che ebbe Miss Thompson. Prevedibile, pensò annoiato.

-Vi è stato detto il giusto, Lord Wilkinson.- Miss Thompson rise di nuovo e la presa di Charles sul bicchiere si rafforzò. Sperò di non romperlo.

La risata di Maryann Thompson era quanto di più fastidioso e raccapricciante avesse mai sentito, simile al suono prodotto dalle unghie sfregate sulla lavagna.

Non riusciva sinceramente a capire perché le donne ridessero tanto e per ogni singola sciocchezza. Con il tempo aveva iniziato a credere che non conoscessero altro modo di comunicare, risate e battiti di ciglia talmente veloci da far pensare ad un qualche tic incurabile. Trovava più attraente e stuzzicante un sorriso, molto più discreto e meno rumoroso.

Il modo in cui guardò George – gli occhi socchiusi, una scintilla d’irritazione nelle iridi ed un sorriso sempre più tirato – costrinse l’amico ad intromettersi garbatamente nella conversazione.

-Chiedo scusa, Miss Thompson, non credo di aver compreso bene da dove veniate… siete qui in visita da qualche parente?-

Miss Thompson distolse svogliatamente lo sguardo da lui per posarlo sul giovane moro al suo fianco. Sembrò soppesarlo attentamente, come se stesse decidendo se comprare o meno un cavallo, prima di sorridere amabilmente e rispondere. Dopotutto, pensò Charles mentre la ragazza blaterava, per lei sarebbe stato più semplice e interessante entrare nelle grazie di uno scapolo. E dire che, mentre ballava con Emma, gli era sembrata molto più appetibile di così. Se solo avesse sospettato che fosse una tale lagna non le si sarebbe mai avvicinato nemmeno sotto tortura. Sospirò di sollievo quando le due dame si dovettero allontanare per salutare un parente.

-Ti devo un favore, ricordami di andarci più leggero con te la prossima volta che duelleremo.- Sorseggiò un po’ del suo vino e nascose un sorriso dietro il bicchiere.

George sbuffò, un suono molto più simile ad una risata trattenuta che ad un vero e proprio soffio infastidito. -Sarebbe inutile ricordartelo, Ed. Duelleresti comunque come se fosse una questione di vita o di morte.- Si toccò il petto con una mano e scosse la testa, aggiungendo in finto tono melodrammatico. -A volte mi chiedo come faccia ad essere ancora illeso, prima o poi finirai con l’affettarmi.-

-Se al posto di allenarti continui a preoccuparti di cose futili come il corteggiamento a Lady Crampton probabilmente hai ragione.- Non gli andava proprio giù il fatto che il suo migliore amico sprecasse il suo tempo dietro ad una donna che aveva chiaramente il solo intento di prenderlo in giro. Senza contare che non gli piaceva vincere così facilmente, il suo avversario stava diventando un rammollito.

-Parlando di cose futili…- George aveva l’incredibile capacità di cambiare discorso in un lampo quando l’argomento non lo entusiasmava, -Per quanto tempo ancora hai intenzione di continuare con questo comportamento infantile nei confronti della tua futura sposa?-

Sbatté le palpebre fintamente perplesso e colto alla sprovvista. In realtà aveva già previsto una domanda del genere, il suo amico aveva aspettato solo il momento più opportuno per porgliela.

-Che cosa intendi?- Non s’impegnò molto per metter su un’espressione confusa, gli uscì una smorfia annoiata piuttosto. Con George non aveva senso fingere, sapeva che lo avrebbe smascherato in un attimo.

-Lo sai benissimo. E togliti quell’espressione dalla faccia, mi dispiace dirti che non serve. E oltretutto non ti fa sembrare particolarmente intelligente.-

Charles si concesse un sorriso lievemente più spontaneo e meno calcolato dei soliti. -Ho accettato la decisione di mio padre, come ti ho già detto, ma questo non significa che debba per forza esserne entusiasta- Disse semplicemente, sperando invano di chiudere in fretta la conversazione.

-Sì, lo so. Ma il fatto che tu non ne sia entusiasta non mi sembra un motivo sufficiente per comportarti in quel modo con la tua fidanzata, soprattutto in pubblico. Normalmente, conoscendoti, ti saresti limitato ad ignorarla il più possibile, eppure a quanto vedo…-

-A quanto vedi non è che una ragazzina incapace di comportarsi come una donna del suo rango dovrebbe fare- Concluse seccamente, indurendo i lineamenti del viso.

Sapeva dove stava cercando di arrivare il suo amico e la cosa gli creava un certo fastidio, molto simile alla sensazione che dava il pizzico di una zanzara; un qualcosa di tranquillamente trascurabile ma ugualmente noioso.

Si era prefissato di restare in silenzio durante tutta la durata dei balli con Emma, invece si era lasciato provocare e aveva reagito non appena lei aveva aperto bocca. Certo, aveva sempre mantenuto il controllo e la sua invidiabile facciata di sicurezza, ma non aveva previsto di parlarle in quel modo, né di trattenerla a sé per sfidarla a rispondergli. La sua fidanzata si stava rivelando persino più irritante di quanto pensasse, se fosse stata sempre zitta sarebbe stato più semplice tollerarla.

-Può darsi.- Maledetto George, era insopportabile quando faceva il saputello con lui. -Ciononostante, non ho potuto che aver conferma di quanto già pensassi: la trovo deliziosa.-

Charles abbandonò il bicchiere sul vassoio di un servitore della padrona di casa che, dopo essersi inchinato, li lasciò nuovamente da soli. -Tu troveresti deliziosa persino mia zia Prudence- Considerò sarcastico.

-Beh, devo ammettere che il neo peloso sul mento ha il suo fascino.- George rabbrividì e congedò l’argomento con un cenno della mano. -Comunque penso davvero che dovresti provare a darle una possibilità. Non ti sei comportato bene e a quanto pare lei non ti sopporta.- Scosse la testa rammaricato. -E non vi siete ancora sposati. Non oso immaginare come andranno le cose dopo.-

Charles soppesò le sue parole per un secondo; era divertente pensare che Emma Wimsey non lo sopportasse. Come se lei avesse voce in capitolo in quel matrimonio, come se lei, assolutamente insignificante rispetto a lui, potesse anche solo permettersi di non tollerare la sua presenza. Non era che un irrilevante moscerino, una bambina che si atteggiava come una signora e della cui opinione non gli importava nulla.

-Non ci dormo la notte, George, per questo- Mormorò infine annoiato, piegando gli angoli della bocca all’insù quando captò lo sguardo di Lord e Lady Griever.

Non era nelle sue intenzioni andare d’accordo con Emma Wimsey in privato, non gli importava di piacerle, ma a quanto pareva il suo amico non riusciva a comprenderlo.

-Ti ricrederai amico mio, vedrai. E a quel punto, se vorrai un consiglio, io, da gran signore quale sono, sarò comunque disposto ad aiutarti.-

Non lo stava già più ascoltando, ora tutta la sua attenzione era concentrata sui due nobili che si erano avvicinati per salutarli.

Forse avrebbe dovuto farlo, George raramente si sbagliava su qualcosa. Ma in quel momento quello era l’ultimo dei suoi pensieri, esattamente come Emma Wimsey.

 

 

*Note dell’autrice*

 

Quindici pagine di Word. Dite la verità, vi siete annoiate, eh? Non finivano più, mamma mia.

Sorvoliamo sul titolo del capitolo pessimo, io non sono proprio in grado di trovare dei titoli decenti. Tra l’altro non sono nemmeno sicura che “ballo” inteso come “ballo” di quei tempi si dica così in inglese. Va beh, amen, facciamo finta di sì (che autrice pessima, sto perdendo ogni briciolo di credibilità – sempre che ne avessi – grazie a queste note).

Mi dispiace per l’attesa, avevo il capitolo pronto da un po’ – non linciatemi! – ma avevo aspettato a postarlo perché volevo prima riuscire ad aggiornare le altre mie due storie in corso. Cosa che non sono riuscita a fare alla fine.

Vi rimando al mio gruppo facebook per qualsiasi informazione sugli aggiornamenti delle altre due storie.

Per quanto riguarda questa… che dire? Io prenderei a sprangate sui denti Charles, lui e il suo titolo nobiliare del cavolo se ne possono tranquillamente andare a quel paese :D

Emma, sono con te sorella, uccidilo nel sonno… muahahah

Momento di follia a parte, ho intenzione di approfondire il personaggio di Lady Eveline Crampton, che sarà una vera stronza. La sua “storia d’amore” con George sarà parallela a quella principale, anche se devo ancora decidere se avrà un esito finale positivo o negativo.

E, per farmi perdonare del ritardo, ho deciso di mettervi come spoiler un pezzo mooolto futuro, precisamente un pezzo della prima notte di nozze di Emma. L’ho già scritta, sì, ed è stato divertente entrare nella testa di una ragazza vergine di quel tempo. Vi lascio un pezzo qui sotto e uno nel gruppo facebook.

Non manca molto al matrimonio comunque, ci siamo quasi. E soprattutto non manca molto ad un lievissimo avvicinamento tra i due.

Vado, attendo i pomodori, gli insulti o il silenzio…

Un bacione e, se siete arrivate fin qui, grazie davvero di esserci ancora.

Bec

 

 

Come promesso, ecco lo spoiler sulla prima notte di nozze. Vai così Emmaaa! ;D

 

 

 

 

Non sapeva come comportarsi, si sentiva spaesata e fuori posto come non si era mai sentita prima in vita sua. Nella sua testa ronzavano continuamente le raccomandazioni di sua madre, un susseguirsi talmente veloce di parole da risultare quasi incomprensibile.

Stai ferma.

Emma raddrizzò la schiena contro la spalliera del letto e trattenne il respiro, sentendo il cuore battere tanto forte nel petto da farle chiedere se non stesse per scoppiare.

Stai zitta.

Forse stava facendo troppo rumore, forse quel fruscio di lenzuola lo avrebbe infastidito, così come il rumore dei suoi battiti.

Charles avanzava lento verso di lei, ma non sembrava curarsi troppo della sua presenza, non aveva incrociato il suo sguardo nemmeno una volta. I suoi occhi si erano posati sul letto soltanto per un secondo, di sfuggita, mentre sfilava i bottoni della sua giacca dalle asole.

Aveva osservato quelle dita muoversi pigramente sul tessuto con un’autentica sensazione di panico addosso, le unghia affondate nel materasso sotto di sé.

E ora? Deglutì a vuoto e si sfiorò una guancia con la mano, sentendola bollente contro la pelle fredda dei polpastrelli. Non l’aiutava vedere che lui fosse completamente a suo agio, sicuramente consapevole di quello che stava per accadere a differenza di lei.

Avrebbe voluto rassicurazioni più confortanti di un semplice “sopporta e basta bambina mia, finché non sarà tutto finito”. Sua madre l’aveva guardata con compassione e l’aveva baciata sulla fronte, prima di sorridere e di dirle che era fiera di lei, che era la più bella sposa che avesse mai visto.

Non aveva idea di cosa dovesse effettivamente sopportare, non aveva idea di quanto sarebbe durato, sapeva solo che aveva paura di scoprirlo e che non riusciva a smettere di tremare. Lui non le avrebbe mai fatto del male, giusto?

Abbassò svelta e imbarazzata gli occhi sulla sua camicia da notte quando notò che era rimasto a petto nudo. Oh, santo cielo. Il respiro accelerò e un’ondata di calore la investì al solo pensiero di ciò che aveva appena intravisto. Era proprio necessario che si mostrasse a lei in quelle condizioni?

Non ne fu certa, ma le sembrò di aver scorto un sorrisino di scherno su quelle labbra poco prima di distogliere lo sguardo. Si era accorto della sua reazione.”

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=840274