L'aquila e il Britanno

di Melian_Belt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'aquila e il Britanno ***
Capitolo 2: *** Alla fine della battaglia ***



Capitolo 1
*** L'aquila e il Britanno ***


Esca si girò a controllare alle loro spalle. Marco riusciva a stento a rimanere in piedi e toccava a lui guidarli e far sì che non venissero catturati. Sentì il Romano scivolare dalla sua presa e gli strinse un braccio intorno alla vita per fargli sorpassare un piccolo dosso. Il respiro di Marco si fece spezzato, ma non potevano fermarsi.
Udì il latrato dei cani da caccia. Ma stavolta non era il vento a farli sembrare più vicini: li avevano quasi raggiunti. Esca conosceva quella zona, non bene come quella dove aveva passato la sua infanzia, ma ricordava il fiume che scorreva poco distante. Con il freddo e la pioggia non era una scelta che avrebbe fatto in circostanze più favorevoli, ma non vedeva alternative. Per la fretta di nascondersi quasi rotolarono giù per il fosso e l’acqua gelida fu come una lama sulla pelle. Si riprese subito dallo shock e tirò Marco per la maglia, appiattendosi più possibile contro le rocce.
Poggiò la testa di Marco sulla sua spalla, per permettergli di respirare senza problemi. Tremava, probabilmente sia per il freddo che per il dolore. Lo strinse contro di sé, anche se sapeva di non essere molto d’aiuto. Rimasero in silenzio, trattenendo il respiro quando sentirono gli Uomini Foca appena sopra di loro. I cani non potevano percepire il loro odore nell’acqua ed Esca tirò un lieve sospiro quando i cacciatori si furono allontanati. “Dobbiamo risalire il fiume” disse. “Torneranno indietro”.
La loro fuga proseguì tra rotolamenti e inciampi, l’avrebbe trovato ridicolo se la situazione non fosse stata così critica. Marco appoggiava sempre più il peso su di lui. Esca era molto più minuto, ma era forte e riuscì a farli procedere almeno un mezzo chilometro. Fino a che ogni colore sembrò scomparire dal viso di Marco ed il Romano non crollò a terra. Lo tirò su un poco, ma era evidente che non poteva continuare. “Fermiamoci, devi riposare”. Marco scosse il capo: “Non possiamo”. Cercò di rialzarsi, ma la gamba ferita cedette e Marco cadde di nuovo. “Devi riposare”. Marco fece un cenno di diniego, con fermezza quasi delirante: “No, no”. Il figlio di Cunoval si inginocchiò e prese il viso dell’altro tra le mani, guardandolo negli occhi: “Ascoltami bene, testardo di un Romano. Devi fidarti di me”. Marco aveva gli occhi lucidi e le labbra stavano prendendo una preoccupante tonalità viola. La voce uscì in un mormorio sbiascicato: “M-mi  fido di te”. Esca annuì, lo sguardo di pietra determinato come sempre. Individuò un punto asciutto e vi trascinò Marco: “Forza”. Il romano si abbandonò per terra, respirando a grandi boccate. Esca si chinò ad esaminare la ferita: aveva perso molto sangue. Vi applicò una seconda fasciatura, era il minimo che potesse fare. “Esca”. Alzò lo sguardo in quello di Marco. “Cosa?”. Il romano sollevò l’aquila d’oro, che fino ad allora aveva tenuto stretta contro il petto: “Vattene. Prendila, fa si che torni a Roma. Io…ti affido il mio onore, quello della mia famiglia…”. Esca rimase impassibile. Come poteva chiedergli una cosa del genere? Aveva promesso di proteggere quell’uomo, gli doveva la vita ed Esca, figlio di Cunoval, signore di 500 lance, non mancava mai alla parola data. Se Marco fosse rimasto lì, sarebbe morto di certo. “No. Ho fatto una promessa: che non ti avrei abbandonato”. Le braccia di Marco tremavano sotto il peso del pesante idolo, ma con uno sforzo le tese ancora di più verso di lui. “Ti prego”. Esca strinse la bocca in una linea sottile. Con un gesto secco mise la mano dietro al collo di Marco e poggiò la fronte contro la sua. “Ho promesso. Non ti lascio qui”. Sentì Marco mormorare un secondo “ti prego”, poi tacere. Se fosse svenuto o addormentato, il Britanno non poteva dirlo. Si poggiò con la schiena contro la roccia umida e strinse Marco contro il petto, cercando di dargli un po’ di calore. La pioggia continuava a scendere fitta e il corpo tra le sue braccia era sempre più freddo. Scostò i capelli dalla fronte di Marco, scoprendo la pelle pallida.
Rimasero così per ore. Esca sapeva che era suicida restare lì, ma non poteva lasciare Marco a morire in quella pozza di fango. Prima fu un movimento lieve, poi Marco si drizzò a sedere, nascondendo il volto nel collo di Esca: “Ti fa male?”. Quell’orgoglioso non disse nulla ed Esca non chiese di nuovo, accontentandosi di tracciargli lunghe carezze sulla schiena. Sentì Marco maneggiare con qualcosa, poi un oggetto freddo gli venne messo in mano. Era il coltello di suo padre, il simbolo della schiavitù che lo legava a Marco. Corrugò la fronte, guardando il Romano interrogativamente. Marco fece un tenue sorriso, chiudendogli le dita intorno al piccolo pugnale: “Sei libero, amico mio”. Poi la testa gli ricadde sul petto di Esca. Il Britanno strinse la mano a pugno e sentì la piccola lama pungergli il palmo. Con un gesto rigido poggiò le labbra sulla fronte gelida del Romano. “Non morire, Marco. Non morire, hai capito?”. Lo circondò con le braccia, stringendolo in un goffo abbraccio. “Resta con me. Amico mio, resta qui”.
Si irrigidì quando vide delle figura farsi strada nella nebbia. Non aveva sentito i cani, si era distratto. Portò una mano alla spada appesa alla cintura e quasi gridò di gioia quando riconobbe gli uomini in avvicinamento. Non era mai stato così felice di vedere degli scudi Romani in vita sua.   

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Capitolo 2
*** Alla fine della battaglia ***


ho deciso di andare fuori dal programma e di scrivere un secondo capitolo! Recensioni molto ben viste ovviamente, tanto mi pare di aver capito di essere tutelata contro gli insulti XD Here it comes! da qui si capisce che sono una rivoltante fluffista e per l'hurt/comfort! XD

 
Non riusciva a credere di essere sopravvissuto. La situazione gli era sembrata senza speranza, a lui che era sempre in grado di trovare una via di scampo. Alzò il viso contro la pioggia leggera, lasciando che la tensione gli scivolasse dalle spalle. Guern gli si avvicinò, zoppicando per una ferita alla gamba. Esca gli fece un cenno secco con il capo e l’ex-legionario sembrò comprendere il tacito ringraziamento.
 
Non era mai stato così felice di vedere degli scudi Romani in vita sua. E anche se gli uomini che li portavano avevano barbe e capelli lunghi, la pelle impallidita dal tempo Britannico, Esca sapeva che quella era la Nona Legione. Quel poco che ne restava, in quegli uomini con molti anni sulle spalle ma gli occhi ancora pieni della voglia di combattere. Il loro aspetto era più minaccioso perché accentuato dall’aria selvaggia britannica, in una strana fusione con la disciplina romana.
Scosse l’uomo tra le sue braccia: “Marco”. Lo scosse ancora: “Marco, svegliati”. Il romano aprì lentamente gli occhi, corrugando la fronte mentre cercava di focalizzare. Sentì che voleva tirarsi in piedi e lo aiutò tirandolo per un braccio. “Guern”. L’altro chinò appena il capo: “La vergogna non mi ha permesso di parlare prima”. Il guerriero distolse lo sguardo, prima di puntarlo in quello di Marco: “Ma io ho visto tuo padre morire”. Esca sentì Marco irrigidirsi, senza però dire nulla. “E qualunque cosa ti dicano” aggiunse Guern, gli occhi neri incupiti dalla determinazione con cui parlava. “Non era un codardo. L’ultimo a portare l’aquila…” le braccia di Marco si strinsero intorno al pesante stemma dorato. “…fu tuo padre”. Un piccolo sorriso incrinò le labbra di Marco, gli occhi un poco lucidi. Esca lo osservava, ma poi lì sentì. Gli Uomini Foca erano vicini. Guern drizzò la lancia contro il petto: “Gli ordini, comandante”.
Marco alzò il capo verso la cima del burrone. Guerrieri dai volti dipinti stavano scendendo, le mani già armate di lance, scuri, spade. “Non sei costretto a farlo, Guern. Nessuno di voi lo è”. L’ex-legionario scosse il capo: “Fuggiremmo da noi stessi, ancora una volta. Permettici di difendere il nostro onore”.
Marco si voltò verso Esca, che annuì. “Prepararsi a difendere l’aquila!”.
 
Esca prese un lungo respiro, osservando il vapore che uscì dalla sua bocca. La volontà di Marco era stata tanto forte da permettergli di combattere con vigore, al punto da salvargli la vita da Liathan. Doveva la vita al Romano, un’altra volta. E lui che sperava di uscire in pari da quella storia. Guardò i cadaveri, allineati per essere bruciati. Degli scudi erano stati poggiati sui Romani divenuti barbari. Marco sedeva sull’erba umida, l’aquila poggiava vicino alle gambe.
Passando oltre l’acqua, Esca gli si avvicinò, inginocchiandosi. “Marco”. L’altro alzò il viso, pallido e segnato da profonde occhiaie: “È finita?”. Esca annuì, quasi solenne. Marco annuì in ritorno.  
 
Dopo la breve cerimonia funebre, Guern gli si avvicinò: “Il mio villaggio non è molto distante. Fermatevi a riposare prima di partire per Roma”. Marco fece per rispondere, ma Esca lo batté sul tempo: “Sì, grazie”. Marco lo guardò, visibilmente irritato: “Abbiamo l’aquila. Non c’è bisogno di perdere tempo”. Esca rispose con una delle sue occhiate di pietra: “Non ci insegue più nessuno, no?”. Marco aprì la bocca per ribattere, poi sorrise: “Non eri quello del “decidi tu?””. Esca scrollò le spalle.
Non avevano più i cavalli e si sarebbero dovuti muovere a piedi. Erano appena due ore di camminata, ma dopo meno di dieci minuti Marco fu costretto a ricorrere ancora all’aiuto di Esca. Il fumo li avvisò in anticipo del villaggio e una volta arrivati un gruppo di donne e bambini venne loro incontro. Un bambino e una bambina si lanciarono contro Guern, in un atteggiamento espansivo che dovevano aver preso dall’educazione paterna. La madre attendeva davanti ad una casa di pietra, l’aria solenne e i capelli scompigliati dal vento.
Esca ripensò al figlio di Liathan, morto per colpa loro. Rivide l’espressione persa di quando il padre lo aveva ucciso e il cuore gli si fermò nel petto. Guern li invitò con un cenno del braccio: “Venite. Sarete miei ospiti”.
Una volta dentro, Esca scosse le spalle, quasi a togliersi il freddo di dosso. Con l’aiuto di Guern portò Marco in un giaciglio più appartato, dove il Romano si lasciò cadere senza poter nascondere un’espressione di dolore. La donna di Guern portò un bacino d’acqua e dei panni puliti a sufficienza. “Grazie”. Lei sorrise e li lasciò, andando a sussurrare qualcosa al marito. La voce di Marco uscì roca: “Sono una bella famiglia”. Esca annuì distrattamente, scoprendo la ferita. Non aveva un bel colore, ma almeno l’odore non dava segno di infezioni gravi. La fasciò con le bende pulite, sapendo di non poter fare molto altro.
 
Nel bel mezzo della notte, un rumore lo svegliò. Per un attimo pensò di stare ancora fuggendo dagli Uomini Foca e portò una mano al pugnale di suo padre. Si rilassò quando ricordò di essere al sicuro, a casa di Guern. Allora cosa lo aveva svegliato? Rimase in attesa, fino a che non udì un fruscio, accompagnato da un gemito leggero. Si tirò a sedere dal suo giaciglio vicino a Marcus e vide che era il suo vicino a fare rumore.
Il Romano si agitava nel sonno, stringendo convulsamente le dita intorno alle ruvide coperte di lana. La fronte era imperlata di sudore e la bocca si apriva e chiudeva senza però emettere alcun suono di senso compiuto. Esca gli passò una mano sulla fronte, liberandola dai capelli umidi. “Marco” sussurrò. “Marco, svegliati”. Scottava, aveva la febbre alta. Srotolò in fretta la fasciatura intorno alla gamba e fu sollevato dal constatare che la situazione non era peggiorata. Prese una mano di Marco, mentre continuava a portare indietro i capelli dalla fronte: “Marco, sono qui. Apri gli occhi”. Di colpo Marcus obbedì, gli iridi lucenti. “E-Esca?”. Il britanno prese la borraccia dell’acqua, portandola alle labbra del ferito: “Sì amico mio, sono qui. Sono io”.
L’espressione di Marco era confusa: “Io…tu?”. Esca ripose la borraccia al suo posto: “Cosa c’è?”. Gli occhi del Romano incontrarono i suoi: “Sarebbe successa la stessa cosa, quel bambino…”. Era delirante e biascicava le parole velocemente, ma Esca voleva capire: “Parla più chiaro, non capisco”. Marco corrugò la fronte: “Cosa sarebbe successo se il figlio del capo avesse…accettato la tua offerta? Mi avrebbe tagliato la gola, l’ha fatto a suo figlio…suo figlio. Sarebbe bastato un attimo, era lì…”.Esca strinse la presa intorno alla mano di Marco, incrociando insieme le loro dita: “Sapevo che non lo avrebbe fatto”. Marco scosse il capo, come se non lo avesse sentito affatto: “Non ti importava…avrebbe potuto…ma è giusto che non ti importi. La tua famiglia, abbiamo ucciso la tua famiglia”. Esca agì d’istinto e poggiò un bacio ruvido sulla fronte del Romano: “Sapevo che non lo avrebbe fatto” ripeté. Fronte contro fronte, mormorò con voce ferma: “Altrimenti non avrei agito così, non avrei messo in gioco la tua vita. Amico mio”. Marco chiuse gli occhi, lasciandosi prendere dal sonno. Esca lo sentì sussurrare: “Amico”. Ed entrare nel mondo dei sogni.   
 

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