Flesh and Blood I - Slytherin Pride

di Skylark91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nightmare and Falling ***
Capitolo 2: *** Scar and Voices ***
Capitolo 3: *** The Toad in the Fireplace ***
Capitolo 4: *** Between Two Fires ***
Capitolo 5: *** The Dark Lord's Intentions ***
Capitolo 6: *** Doubts and Certainties ***
Capitolo 7: *** A Chat Between Old Friends ***
Capitolo 8: *** Clear Your Mind ***
Capitolo 9: *** Uncovering the Spy ***
Capitolo 10: *** A Matter of Loyalty ***
Capitolo 11: *** Supporting a Snake ***
Capitolo 12: *** Blind Trust ***
Capitolo 13: *** Tales from the Past ***
Capitolo 14: *** Trusting Snakes ***
Capitolo 15: *** Double Rescue ***
Capitolo 16: *** Under the Larches ***
Capitolo 17: *** Troubles on the Homefront ***
Capitolo 18: *** Of Guardians and Gifts ***
Capitolo 19: *** Those We Lost ***
Capitolo 20: *** War Victims ***
Capitolo 21: *** Heart to Heart ***
Capitolo 22: *** Man's Best Friend ***
Capitolo 23: *** To Build a Home ***
Capitolo 24: *** Of Forgiveness and Other Sins ***



Capitolo 1
*** Nightmare and Falling ***


Flesh and Blood
Part I . Slytherin Pride




I.

Nightmares and Falling




«Sirius!»

«Harry! Allora non mi hai abbandonato!»

Il sorriso non scomparve dal volto del quindicenne, si attenuò appena. «Perché avrei mai dovuto? Sono così felice di averti trovato! Credevo… credevo…»

Sirius gli restituì il sorriso. «Che non mi avresti mai più raggiunto?» gli suggerì, in viso la solita smorfia divertita. «Non finirai mai di stupirmi! Pensavo che non avresti mai avuto il coraggio di superare il velo, ma ce l’hai fatta…»

«Il velo?» chiese Harry, perplesso. «Sirius dove…?»

Il giovane raggelò improvvisamente. Il volto del suo padrino si era oscurato tutto d’un colpo e ora una fredda e implacabile espressione vi si era incisa sopra, cosa che Harry mai aveva visto. Quando parlò, la voce dell’uomo era irriconoscibile, sembrava appartenere quasi a…

«Sei qui per me, Harry… Potter…»


... Voldemort.

«Dunque non sei morto per raggiungermi» commentò Sirius, prima di girargli le spalle. «Non mi sarei mai immaginato nulla del genere da parte tua. Non desidero vederti mai più…»

La figura di Sirius cominciò a diventare sempre più sfumata e lontana, mentre scompariva tra le tenebre, lasciando il suo figlioccio solo.

«Ahahahah…!»

«Sirius!» gridò Harry, disperato, mentre quella risata atroce rimbombava nelle sue orecchie. «SIRIUS!»
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«Harry! Harry, svegliati!»

Harry balzò seduto in mezzo al letto, il corpo tremante e il respiro affannoso. La maglietta leggera a maniche corte che gli faceva da pigiama gli si era incollata alla schiena, completamente sudata. Il ragazzo si passò una mano sulla fronte grondante goccioline perlacee e fece vagare lo sguardo sulla stanza immersa nell’oscurità, cercando di regolarizzare la respirazione.

La faccia pallida di Ron Weasley apparve a poca distanza da lui, illuminata dalla luce emessa dalla bacchetta che l’amico teneva in mano. «Harry, cosa succede?» chiese, visibilmente preoccupato.

«E’…» ansimò l’altro, gli occhi sgranati e il corpo ancora tremante, «… è stato solo un incubo…»

«Sì, ma urlavi il nome di Sirius e ti agitavi nel letto come…»

«Ron, sto bene.» Harry tentò di suonare convincente, riacquistando padronanza della propria voce e tagliando le parole dell’amico frettolosamente. Troppo frettolosamente. «Davvero. Torna pure a dormire, io… credo che andrò in bagno» aggiunse, scivolando con cautela giù dal letto per dirigersi verso il corridoio appena fuori la camera.

Sentiva lo sguardo inquieto di Ron ancora su di se, mentre attraversava la stanza e si accingeva a chiudere la porta alle proprie spalle; si accorse che le mani gli tremavano ancora. Lentamente, si avviò verso il piano di sotto, dove sapeva che avrebbe trovato la camera di Sirius; voleva solo accertarsi che stesse bene.

Harry sapeva che Sirius era abituato a dormire con la porta socchiusa, così, una volta raggiunta la stanza, gli bastò spingerla appena per rendersi conto che… il letto del suo padrino era vuoto. Un tuffo al cuore bloccò il ragazzo sulla soglia della camera, mentre le vivide immagini dell’incubo dal quale Ron l’aveva svegliato tornavano ad offuscargli la mente; poteva ancora vedere aleggiare davanti a se lo spirito di Sirius e sentire le sue accuse arrabbiate contro di lui.

Il ragazzo che è sopravvissuto scosse la testa, scacciando i tremiti che minacciavano di assalirlo nuovamente per poter riflettere con lucidità; Sirius doveva essere da qualche parte di sotto oppure di sopra con Fierobecco (ipotesi più improbabile dato che l’ippogrifo aveva ricevuto l’ultima visita della giornata da parte di Harry e Sirius poco prima che tutti andassero a dormire). Il giovane decise così di andare a cercare il proprio padrino al piano di sotto, aspettandosi di trovarlo in cucina alle prese con un certo languorino notturno.

Harry non fece in tempo a fare più di cinque passi sulle scale che portavano al piano terra che delle voci familiari giunsero alle sue orecchie; con cautela, decise di sporgersi oltre il corrimano per poter dare una sbirciata al piano di sotto e vedere chi stesse parlando con chi nel cuore della notte.

Una candela sospesa a mezz’aria tra i due interlocutori, permise a Harry di riconoscere il volto solitamente gioviale di Albus Silente e quello tanto odiato di Severus Piton; i due erano sulla soglia della stanza che i membri dell’Ordine della Fenice usavano per le loro segretissime riunioni e le loro voci erano a malapena udibili dal punto in cui si trovava il ragazzo.

«… il rituale oscuro che intende celebrare non può ancora considerarsi fattibile, ma se dovesse venire in possesso del…»

«… faremo in modo che ciò non succeda, Severus… Per il momento, è necessario che questo particolare piano di Voldemort resti tra noi, almeno fintanto che…»

Harry si era improvvisamente dimenticato di Sirius. Certo, le preoccupazioni che l’avevano assalito nel momento in cui si era accorto che il suo padrino mancava dalla sua stanza non erano scomparse, ma ora nel suo animo era subentrata quella scarica di adrenalina che lo accompagnava ogni volta che si trovava a un passo dal carpire importanti informazioni sui progetti di Voldemort.

Con eccitazione crescente, scese di un altro gradino sulla scala e rimase nella penombra, lontano dal cono di luce emanato dalla candela proprio sotto di lui; lì probabilmente sarebbe stato in grado di sentire meglio quello che il Preside e Piton si sarebbero detti.

Ad un tratto, un rumore – proveniente evidentemente dal piano inferiore a quello su cui sostavano i due uomini – colse di sorpresa tutti i presenti. Con enorme delusione, Harry vide Silente e Piton smettere immediatamente di parlare e voltarsi verso le scale che conducevano di sotto: Sirius Black era appena emerso dalle cucine con in mano un bicchiere colmo di succo di zucca, distinguibile solamente per la densità del liquido e per il colore aranciastro che la luce della candela aveva messo in risalto.

Harry si sentiva sollevato del fatto che Sirius stesse bene, ma non poté reprimere un leggero moto di irritazione per il fatto che – casualmente – il suo padrino avesse scelto proprio quel momento per palesarsi. Il ragazzo tornò a guardare verso Silente e Piton e notò che quest’ultimo non fece nemmeno la fatica di nascondere lo sdegno che provava per l’interruzione causata da Sirius, al contrario di Silente.

«Black» sputò fuori, stizzoso, «ma che sorpresa trovarti a origliare le conversazioni altrui. Davvero originale» aggiunse sarcasticamente.

«Non ti devo nessuna spiegazione riguardo a quello che faccio in casa mia, Mocciosus» replicò duramente Sirius, prima di rivolgersi a Silente. «Non era mia intenzione interrompervi, Albus, ero giù in cucina a prepararmi qualcosa da mangiare, ma non ho udito nulla di quello che vi siete detti.»

«Nessun problema, Sirius, io e Severus stavamo giusto per…»

Harry non udì mai l’ultima frase di Silente.

Senza nessun preavviso, la cicatrice aveva preso a bruciargli atrocemente e ora la sua testa era pervasa da urla raccapriccianti e versi disperati. Harry sentiva il segno che portava in fronte pulsare come mai prima d’allora e – mentre si aggrappava al corrimano con entrambe le mani, per cercare di resistere a quel dolore lancinante – sentì l’improvviso bisogno di gridare per liberarsi di tutta quella sofferenza.

Persino quando – dopo quella che parve un’eternità – le urla strazianti parvero attenuarsi appena, il dolore alla testa non accennò a diminuire, anzi, aumentò ulteriormente. Ora Harry poteva sentirla chiaramente: una risata agghiacciante si levò nella sua testa, sollevandosi al di sopra di ogni altro orribile verso e rimbombando nella mente del ragazzo come i tuoni di un furioso temporale.

Tutto incominciò a diventare più scuro e sfuocato, finché Harry non sentì le forze lasciarlo lentamente; abbandonò la presa sulla ringhiera e perse l’equilibrio sul gradino su cui si trovava, ruzzolando per la parte restante di scale che lo separavano da terra, sotto lo sguardo sconcertato dei tre uomini al piano inferiore.
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«Harry!»    

Harry emise un basso gemito. Non era ancora tornato pienamente in se dopo il piccolo volo che l’aveva portato ad atterrare sul pianerottolo di sotto, ma era già in grado di avvertire delle presenze che si muovevano attorno a lui e parlavano sommessamente.

O meglio, solo due di loro parevano riuscire nell’intento di non destare il ragazzo.

«Come sta? Professor Silente, che cos’ha Harry, perché non risponde…?»

«Sirius, ragazzo mio, calmati» la voce del vecchio mago era poco più di un sussurro, «Harry non ha urtato forte la testa, ha subito solo una leggera contusione al braccio per la botta sul gradino più basso, ma si riprenderà» proseguì, spostando la bacchetta sul corpo del ragazzo per eseguire un Incanto Diagnostico.

«Notevole come Potter non si risparmi mai quando si tratta di fare entrate ad effetto…»

«COME OSI, RAZZA DI…!»

«Sirius!» Silente lo zittì appena in tempo e gli fece notare che Harry cominciava a riprendere conoscenza.

Harry si mosse appena, destato da tutta la confusione che Sirius produceva nella sua testa a causa della voce estremamente elevata con cui parlava. Il ragazzo provò a muovere leggermente una mano, aprendo e richiudendo lentamente le dita sulla moquette scura; avrebbe voluto aggrapparvisi per potersi sollevare con più facilità, ma temeva che – se anche solo avesse osato muovere un muscolo di troppo – tutto, intorno a lui, sarebbe potuto tornare ad farsi confuso e indistinto.

«Harry?» provò a chiamarlo, piano, Silente.

Dopo qualche istante, il giovane si sforzò di aprire appena gli occhi, quel tanto che bastava da permettergli di intravedere i volti del Preside e del suo padrino chini su di lui. La testa gli doleva ancora e un leggero senso di nausea minacciava di coglierlo di sorpresa da un momento all’altro.

«Harry? Come ti senti? Vorresti qualcosa per…»

«Molto toccante» la voce tagliente e annoiata di Piton sferzò l’aria come una frusta, mentre rivolgeva uno sguardo sprezzante a Sirius, «se non ha nulla da obiettare, Preside, io tornerei ad Hogwarts in attesa di riprendere il nostro discorso, così brutalmente interrotto da Black e Potter.»

«Aspetta, Severus, gradirei che restassi ancora un momento» esordì Silente, voltandosi brevemente verso di lui prima di posare nuovamente gli occhi azzurri sul ragazzo ancora a terra. «Harry potrebbe avere bisogno di qualche pozione per il sonno e il tuo aiuto sarebbe certamente utile.»

Piton roteò gli occhi verso l’alto, ma il suo volto rimase impassibile mentre rivolgeva lo sguardo scuro in direzione di Potter. Il ragazzo stava cercando di mettersi a sedere, aiutato dal padrino che pareva completamente sconvolto da un’ansia quanto mai ingiustificabile per l’insegnante di Pozioni.

Harry dovette combattere contro la paura di rigettare lì davanti per poter provare a rispondere alle continue domande di Sirius. Aveva paura che, come avrebbe aperto bocca, si sarebbe sentito male tanto gli doleva ancora la testa; faceva così male da fargli sembrare una sciocchezza il dolore che provava alla parte sinistra del corpo, la quale aveva urtato contro il suolo nella caduta di poco prima.

«Harry, riesci a spiegarci cosa è successo?» chiese con dolcezza Silente, una volta che il ragazzo ebbe rassicurato sufficientemente il proprio padrino.

«Mi… mi sono svegliato di soprassalto poco fa» iniziò Harry, incerto; non era affatto convinto di voler raccontare del sogno che lo aveva indotto ad alzarsi nel cuore della notte, soprattutto non davanti a Piton. «Allora ho deciso di andare al bagno, ma passando davanti alla camera di Sirius, ho notato che il letto era vuoto e… e così ho pensato di venire giù per vedere dov’era» terminò, forse più in fretta del dovuto. Stava per proseguire nel racconto, quando fu Sirius stesso a interromperlo.

«Harry, il bagno si trova anche al piano dove dormite tu e Ron, perché avresti dovuto scendere per andarci?»

Il ragazzo si morse appena il labbro inferiore e guardò da Sirius a Silente con uno sguardo che poteva essere considerato come una sorta di ‘richiesta d’aiuto’: voleva comunicare loro che avrebbe preferito tenere per se i dettagli, almeno fin quando Piton fosse stato presente. Era quasi del tutto certo che l’odiato insegnante di Pozioni non aspettava altro che trovare un’occasione per deriderlo del suo ‘spiccato sentimentalismo’ nei confronti di Sirius. Ma né il padrino né tantomeno il Preside mostrarono segno di accogliere la sua silenziosa richiesta, così, con un sospiro, si costrinse a spiegare nuovamente.

«Ho avuto un incubo» esordì, sentendosi incredibilmente ridicolo nel pronunciare quelle parole, «non si tratta del primo, insomma, faccio frequentemente incubi su avvenimenti che sembrano reali o che di solito coinvolgono Voldemort» (Harry non notò che Piton aveva immediatamente distolto lo sguardo nel sentire quel nome e si era portato una mano sull’avambraccio sinistro, in ciò che aveva l’aria di essere un gesto istintivo) «ma questa volta è sembrato tutto più reale delle altre…»

Il giovane raccontò del sogno e sentì la mano che Sirius aveva posato sulla sua spalla stringersi un po’ di più intorno a questa.

«Harry, lo sai che non potrei mai essere arrabbiato con te se succedesse una cosa del genere» disse Sirius, ignorando lo sguardo nauseato di Piton.

«Lo so, ma nel sogno era tutto diverso!» esclamò Harry, guardando esasperato Silente, sperando che almeno lui capisse quello che stava cercando di spiegare. «Dopo essermi svegliato sono venuto a cercarti e, quando non ti ho visto in camera, ho pensato di venire qua giù» tornò a rivolgersi a Sirius, «solo che, mentre scendevo le scale, la cicatrice ha incominciato a bruciare e la mente ha iniziato a riempirsi di urla disumane e… e della risata di Voldemort.» Harry sentiva improvvisamente la gola più secca e fece fatica a concludere: «La testa mi faceva troppo male e l’unica cosa che ricordo dopo è di essere scivolato sui gradini.»

Ci fu qualche istante di silenzio al termine del racconto; Sirius continuava a stringere Harry per una spalla, donandogli silenzioso conforto, mentre Silente pareva riflettere sul resoconto di Harry, i vividi occhi azzurri che vagavano in quelli verdi del giovane.

Infine, fu proprio Silente a rialzarsi e a rompere il silenzio. «Molto bene, Harry, credo che tu necessiti di riposo ora» sospirò, mentre Sirius aiutava il ragazzo a rimettersi in piedi. «Domani mattina discuteremo di quanto accaduto stanotte, ma per il momento desidero che tu vada a letto per riprendere le forze. Severus» si voltò verso Piton, in disparte, ancora in piedi accanto all’ingresso della stanza riunioni, «potresti procurarci una Pozione Soporifera e una Anti-Dolore che aiutino Harry a dormire più tranquillo?»

Piton strinse le labbra in una leggera smorfia insofferente, ma, senza dire una parola, estrasse la bacchetta con cui fece comparire due piccole fiale ripiene entrambe di un liquido grigiastro; si avvicinò a Silente per porgergliele e si ritrasse subito dopo.

«Deduco che provengono direttamente dalle tue scorte da viaggio» osservò Silente – chiaramente compiaciuto – sotto lo sguardo impassibile di Piton. «Sirius, accompagna pure Harry di sopra e assicurati che beva queste» continuò, passando all’altro uomo le fiale, «io e Severus dobbiamo scambiare ancora due parole prima di tornare a Hogwarts. Harry, ci vedremo domani mattina, quando sarai fresco e riposato… Buona notte.»

Harry trovò la forza di annuire appena, sebbene la testa fosse tornata a girargli nel preciso momento in cui si era sollevato in piedi grazie all’aiuto di Sirius. Mentre risaliva le scale con il padrino al suo fianco, si chiese se Silente e Piton avrebbero continuato la discussione che l’arrivo di Felpato aveva interrotto. Il ragazzo era stato attento a evitare di parlare di quel poco che era riuscito ad udire.

… il rituale oscuro…

… piano di Voldemort…

Le parole dei due maghi vorticavano nella testa di Harry tanto da fargliela girare più di quanto già non facesse da sola. Decise che per quella sera avrebbe provato ad accantonare i pensieri che riguardavano le possibili intenzioni del suo acerrimo nemico, per abbandonarsi ad un sonno privo di immagini e suoni raccapriccianti.
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Capitolo 2
*** Scar and Voices ***


II.
Scar and Voices





«Potter potrebbe aver udito la nostra conversazione, Albus.» La voce di Piton era poco più di un sibilo quando parlò. «Sapevo che sarebbe stato poco saggio riferirti il mio rapporto qui e non ad Hogwarts…»


«Severus, sai benissimo che al momento Grimmauld Place è un luogo ben più sicuro rispetto ad Hogwarts» tagliò corto Silente, guardandolo con intensità. «Il Ministero potrebbe aver già messo sotto controllo le reti di comunicazione e alcune sale… senza contare, inoltre, che l’arrivo di Dolores Umbridge è previsto per la fine di luglio. Sono certo che – negli ultimi giorni del mese – il numero delle sue visite a scuola crescerà notevolmente.»


Piton sbuffò appena, distogliendo gli occhi da Silente e rimarcando: «Ciò non toglie che Potter dovrebbe imparare a non ficcare il naso nelle faccende più grandi di lui.» Si interruppe solo per un attimo, prima di proseguire, gli occhi neri di nuovo fissi sul Preside: «Se la tua teoria sulla connessione tra lui e Voldemort fosse corretta, sarebbe sempre più pericoloso lasciare che Potter venga a conoscenza dei dettagli riguardo ai piani dell’Ordine.»


«Domani avrò modo di parlare con Harry riguardo al collegamento che potrebbe essersi instaurato tra la sua mente e quella di Voldemort» disse lentamente il mago più anziano, soppesando accuratamente le proprie parole. «Tuttavia, non so perché, ma ho il presentimento che la nostra chiacchierata mi permetterà di rivedere le idee che abbiamo formulato sull’argomento.»

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Erano mesi che Harry non dormiva così bene.


Finalmente, per la prima volta dopo tanto tempo, non sognava di calici di fuoco, draghi, mostri marini e – più recentemente – di labirinti, cimiteri e… lampi di luce verde.


Erano passate tre settimane dalla morte di Cedric Diggory, ma il senso di colpa per l’ingiusta sorte di quel povero ragazzo affliggeva ancora pesantemente Harry. Rivedeva il suo volto – felice e soddisfatto per aver afferrato la coppa Tremaghi – tramutarsi rapidamente in quello pallido e privo di vita che il giovane Grifondoro non avrebbe mai dimenticato.


Anche per questo aveva reputato strano l’incubo fatto prima di prendere la Pozione Soporifera. Era la prima volta che sognava di Sirius – pur sapendolo vivo e vegeto – e non di Cedric o degli altri orrori che avevano popolato la sua vita fino a quel momento.


Ma era anche la prima volta che Voldemort si rivolgeva direttamente a lui in un sogno. Come aveva fatto a non pensarci prima? Possibile che la sua mente avesse rimosso quel ricordo la notte prima, quando aveva raccontato a Silente ciò che aveva sognato? Pur non avendogli descritto il sogno nei dettagli, gli aveva fatto capire a grandi linee di cosa si trattava, ma… come aveva potuto dimenticare un tassello così importante?


«Ehi, amico… dormito bene?»


Immerso com’era nei propri pensieri, Harry non si era accorto che Ron si era già svegliato e lo fissava con attenzione. Rispose al suo saluto con un lieve sorriso, nell’intento di non fare insospettire l’amico con l’espressione preoccupata che gli si era palesata in volto poco prima.


«Sì, quelle pozioni fanno miracoli» rispose il ragazzo, ma, vedendo lo sguardo perplesso di Ron, si ricordò che il suo migliore amico non era a conoscenza di tutti i fatti accaduti quella notte. «Oh… ti spiegherò tutto dopo colazione» aggiunse, pensando che sarebbe stato più giusto parlarne con anche Hermione presente.


Il moro e il rosso si alzarono dal letto per prepararsi e presentarsi giù in cucina, dove erano presenti quasi tutti gli attuali residenti del numero 12 di Grimmauld Place. Nell’entrare, salutarono il gruppo già riunito intorno al lungo tavolo e presero posto a sedere.


Harry vide Sirius rivolgergli un caloroso sorriso e avvertì ogni preoccupazione riguardo all’incubo svanire in quello stesso istante.


«Cosa preferisci con le uova, Harry caro, salsiccia o bacon?» Molly Weasley si era girata verso di lui con una padella in mano, distogliendo gli occhi dal piano cucina su cui si stava affaccendando, in attesa della risposta del giovane.


«Il bacon andrà bene, signora Weasley, grazie» disse Harry, riconoscente per l’affetto che la mamma del suo migliore amico gli dedicava quotidianamente. Per qualcun altro la scelta tra bacon e salsiccia avrebbe potuto sembrare una questione da poco, ma Harry apprezzava davvero le attenzioni di Molly, anche le più piccole, perché non le aveva mai ricevute da nessun altro in passato.


Un rumore proveniente dall’ingresso della sala cucina richiamò l’attenzione di tutti: senza preavviso, dalla sala adiacente fecero irruzione una serie di palloncini colorati che iniziarono a galleggiare in aria, sopra le teste dei presenti. Sembravano innocui, ma come Ron allungò una mano verso il più vicino, quello – scoppiando – gli ricoprì la faccia di una sostanza appiccicosa e verdognola.


Harry rise, seguito da Hermione, Ginny, Sirius e da altre due voci che giungevano proprio dalla sala accanto.


«Fred, George!» La Signora Weasley scambiò un’occhiata con il marito, attendendo – con i pugni premuti contro i fianchi – che i suoi figli più indisciplinati si palesassero in cucina.


«Hai chiamato, mamma?» Con un sonoro crac, i gemelli comparvero ai lati di Molly, facendola saltare per la sorpresa e parlando all’unisono.


«Si può sapere cosa vi passa per la testa?!» esclamò esasperata Molly, cercando l’appoggio di Arthur, che, però, era troppo occupato a sorridere tra se e se. «Ripulite vostro fratello da quella… robaccia» aggiunse poi, tornando a occuparsi della colazione.


«Credevamo avresti apprezzato…»


«… i festeggiamenti ideati apposta per voi!»


«Di che festeggiamenti parlate?» chiese Ginny, curiosa.


«Abbiamo pensato di organizzare una piccola festicciola di ringraziamento per mamma e papà» spiegò Fred, con aria soave.


«In onore della loro saggia decisione di farci assistere al prossimo incontro dell’Ordine» proseguì George, lanciando languidi sguardi in direzione dei due genitori.


«Ragazzi, sedetevi e dateci un taglio» disse Molly, lanciando loro un’occhiata obliqua. «Nessuno di noi ha mai detto che avreste potuto partecipare ai prossimi incontri.»


«Siamo maggiorenni, ne abbiamo tutto il diritto!» esclamò Fred. «E poi sappiamo benissimo che ieri tu e papà avete parlato e…»


«Non si origliano le discussioni!» li rimproverò Molly, troncando ogni protesta.


Ron lanciò uno sguardo a Harry. «Sì e io sto ancora aspettando che qualcuno mi ripulisca la faccia…» borbottò.


Arthur levò la bacchetta verso di lui e, in un attimo, la sporcizia scomparve. «Andiamo, Molly, i ragazzi hanno ragione, ne abbiamo parlato anche ieri» intervenne, cercando di ignorare l’occhiataccia scoccatagli dalla moglie. «Dovremmo dare loro la possibilità di assistere alle riunioni.»


«Arthur, Fred e George saranno anche maggiorenni, ma non fanno parte dell’Ordine della Fenice» insistè la donna, mentre serviva la colazione ai ragazzi. «Sai bene cosa comporterebbe la loro adesione alla società segreta di Silente…»


I due coniugi continuarono a discutere sull’argomento, davanti agli sguardi interessati di tutti i ragazzi. Harry, in particolare, trovava affascinante venire a conoscenza di qualche dettaglio in più sull’Ordine, dato che era colui che ne sapeva di meno al riguardo, visto che il suo arrivo a Grimmauld Place risaliva solo a due giorni prima.


Harry era stato ben felice di abbandonare il numero quattro di Privet Drive. Non era solo una questione di solitudine e di nostalgia verso i suoi amici, ma proprio di sopravvivenza psicologica, oltre che fisica. Dal suo ritorno a casa degli zii – dopo il quarto anno – la vita del ragazzo era diventata ancora più infernale e problematica; il senso di colpa verso la morte di Cedric e il ricordo di tutti gli orrori a cui aveva assistito l’anno passato, gli causavano terribili incubi e visioni notturne, che lo portavano a gridare nel cuore della notte e a farsi udire da Dudley e dagli zii.


Innumerevoli volte, Harry si era risvegliato con le lacrime che scendevano inconsciamente lungo le guance livide di paura; aveva cercato di evitare di farsi sentire dai parenti, ma non riusciva sempre a reprimere le urla di terrore e rimorso che emergevano durante il sonno. Di giorno, era quindi costretto a sopportare gli interrogatori e le risa di scherno di zio Vernon e di Dudley, che adoravano deriderlo e minacciarlo di venire alle mani nel caso in cui osasse rispondere o meno alle provocazioni. Al contrario del marito e del figlio, zia Petunia sembrava completamente indifferente verso il nipote, preferendo ignorare ogni sua manifestazione di dolore, tanto quanto i tormenti a cui egli era sottoposto.


Harry cercò di non pensare ai Dursley e a ciò che aveva comportato il fatto di crescere in una famiglia del genere. No, decisamente “famiglia” non era la parola giusta, poiché, pur non avendone mai avuta una, Harry si era fatto una certa idea di cosa volesse dire quella parola che rappresentava tutto ciò che avesse mai desiderato veramente.


Il ragazzo continuò a mangiare in silenzio, la mente affollata di pensieri, tra i quali, di nuovo, erano affiorati quelli riguardanti l’incubo della sera precedente, così diverso dagli altri per qualche aspetto che ancora non riusciva a decifrare del tutto. Mentre rimuginava, avvertì lo sguardo di Sirius su di se e sollevò la testa, distogliendo lo sguardo da ciò che rimaneva delle sue uova, per osservare il proprio padrino chinarsi verso di lui e parlargli.


«Quando hai finito la colazione, raggiungimi di là in soggiorno.»


Harry annuì e cercò di sorridergli, in risposta al suo sguardo incoraggiante; non voleva far preoccupare Sirius più del dovuto. Chissà cosa doveva aver pensato quando l’aveva visto piombare giù dalle scale semi-svenuto. Harry sentì un’improvvisa vampata d’imbarazzo al pensiero di essere caduto in quel modo davanti a Silente, ma soprattutto davanti a Piton. Era certo che alla prima occasione, l’odiato insegnante di Pozioni si sarebbe preso gioco di lui solo per il gusto di metterlo a disagio, proprio come aveva sempre fatto in passato.


Il Ragazzo Che E’ Sopravvissuto si congedò da tavola quando ormai erano rimasti solo Fred e George in compagnia del signore e della signora Weasley, ancora intenti a far valere le proprie ragioni riguardo alla maggiore età dei figli. Senza indugio, si diresse verso il piccolo salotto in cui Sirius l’aspettava e prese posto accanto a lui sul vecchio e consumato divanetto situato al centro della stanza.


«Harry, Silente ha detto che stamattina, sul tardi, sarebbe passato a vedere come stai» gli ricordò tranquillamente Sirius, fissando brevemente la moquette macchiata della stanza prima di guardare il proprio figlioccio. «Come ti senti, campione?»


Harry avrebbe voluto rispondergli con la verità, ovvero che si sentiva tutto all’infuori che un campione. «Mmh… direi ok, insomma… decisamente meglio rispetto a ieri» rispose, cercando di apparire il più sincero possibile, ma considerando seriamente di dover migliorare le proprie doti persuasive.


Sirius non disse nulla per qualche istante, capendo immediatamente che il ragazzo sembrava intenzionato a nascondere le proprie preoccupazioni. «Sai, non abbiamo avuto modo di parlare molto di quanto è successo durante la Terza Prova…» tentò, ma le sue parole furono presto troncate.


«Sirius, è vero quando dico che sto bene» disse istintivamente Harry, senza riuscire a trattenersi dall’interromperlo. «Non sento il bisogno di descrivere nei dettagli cosa è successo quella sera, per cui non sto male al riguardo» provò a suonare convincente, riuscendo un po’ meglio nel suo intento, a differenza di prima.


Sirius non sembrava molto contento della risposta, ma cercò di non darlo a vedere; avrebbe voluto pressare un po’ di più Harry per indurlo a liberarsi dei numerosi pesi che evidentemente portava ancora in petto, ma sembrava tutto più difficile del previsto. Probabilmente avrebbe potuto riprovarci più tardi, ora era il caso di distrarre il ragazzo.


«Va bene, campione, che ne dici di fare una visitina a Beccuccio e poi di dedicarci a un’avvincente partita a Spara Schiocco?» propose con energia, strizzando un occhio in sua direzione e posandogli una mano sulla spalla.


Harry gli sorrise, sapendo che l’intento di Sirius era quello di fargli dimenticare ogni preoccupazione; proprio per questo, il ragazzo non se la sentì di rivelargli che non era dell’umore giusto per giocare, ma accettò di seguirlo fino alla stanza di Fierobecco cercando di apparire il più sereno possibile.


In realtà, la mente di Harry continuava a lavorare senza sosta. Si era dimenticato che la notte scorsa Silente aveva espresso il desiderio di vederlo in mattinata: ciò voleva dire che il Preside reputava importante sapere esattamente cosa fosse successo al momento della caduta. O forse aveva capito che lui, Harry, era venuto a conoscenza di qualche dettaglio riguardo alla conversazione avuta con Piton?


Harry già si immaginava di dover rispondere a tutte le domande del vecchio mago senza avere la possibilità di omettere i dettagli che avrebbe voluto tenere per se. Ricordava bene la strana sensazione che provava quando lo sguardo profondo di Silente sembrava trapassarlo da parte a parte, mettendolo sotto esame.


Probabilmente, continuò a pensare il ragazzo, tetramente, se Silente tiene così tanto a vedermi stamattina è perché quello che è successo ieri notte è più preoccupante di quanto sembra.

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Albus Silente indossava una lunga veste blu cobalto ricoperta di piccole stelle dorate; gli occhialetti a mezzaluna, appollaiati sul naso adunco, scintillarono alla luce verde delle fiamme che precedettero il suo arrivo nel modesto camino del soggiorno di casa Black.


«Harry, mio caro ragazzo.» Il vecchio mago avanzò fino al centro della stanza, prima di prendere posto nella poltrona situata di fronte al divano dove Harry l’aveva atteso. «Come va il braccio?»


Per una frazione di secondo il giovane si chiese a cosa si stesse riferendo Silente, ma poi capì. «Oh, il braccio… Ha smesso di fare male dopo aver preso le pozioni, signore» si riscosse, tastandosi distrattamente l’arto. A dir la verità, si era completamente dimenticato della botta presa quella notte e la totale assenza di dolore o fastidio in mattinata non l’aveva di certo aiutato a ricordare.


«Mi fa piacere sentirlo» disse Silente, con un sorriso sincero, «le pozioni del professor Piton si dimostrano sempre all’altezza del suo nome, d’altronde.»


Harry si chiese in che cosa differissero le pozioni preparate da Piton da quelle di qualunque altro pozionista esperto, ma decise di non indagare. Non che fosse davvero interessato nel saperne di più.


«Ad ogni modo» continuò tranquillamente Silente, «siamo qui per discutere dell’incubo di ieri sera se non sbaglio.» All’espressione allarmata comparsa immediatamente sul viso del ragazzo, l’uomo proseguì, con un piccolo sorriso: «Harry, non devi sentirti in ansia perché pensi che voglia sapere tutti i particolari del tuo sogno; ciò che desidero che tu mi descriva sono le sensazioni che hai provato mentre lo vivevi.»


«Ma professore, credevo che avessimo già parlato ieri sera dell’incubo e che oggi avremmo discusso della cicatrice e di ciò che ho provato quando sono caduto…»


«Ah, la cicatrice, Harry.» Silente sospirò e alzò una mano a mezz’aria per frenare l’obiezione del ragazzo. «Parleremo anche di quello, ma a tempo debito.»


Harry attese in silenzio. C’era qualcosa che non gli tornava; la voce di Silente era calma e serena come sempre, ma i suoi occhi erano privi del solito brillio gioviale e allegro che li caratterizzava. Se quella fosse stata davvero una discussione normale, Harry era certo che Silente avrebbe fatto in modo di tranquillizzarlo con ben più convinzione di così.


«Ciò che mi preme sapere, Harry» proseguì il vecchio mago, come se non avesse mai smesso di parlare, «è se durante l’incubo hai mai sentito, come dire… una sorta di “intrusione” da parte di qualcuno.»


Harry quasi scattò in piedi a quelle parole. Come faceva Silente a sapere? Come aveva fatto a centrare perfettamente il motivo preciso per cui lui era così preoccupato riguardo a quel sogno, quando neppure Harry stesso era stato in grado di capirlo fino a quel momento?


Il ragazzo non riuscì a staccare gli occhi dal volto antico e segnato di Silente per parecchi istanti, con in viso un’espressione chiaramente scioccata. L’altro mago ricambiò, lasciando che il proprio sguardo azzurrino vagasse sui giovani tratti di Harry fino a concentrarsi esclusivamente sui suoi occhi verdi.


Il giovane si rese conto che il Preside attendeva una sua risposta, nonostante sospettasse che Silente – grazie al suo sguardo perforante – fosse in grado di ottenerla da solo.


«Io…» esordì, incerto, «… ho sentito una voce mentre parlavo con Sirius, nel sonno. Era Voldemort, lo so, ma se all’inizio era sembrata solo un sussurro, man mano si è trasformata in qualcosa di sempre più concreto e reale… esattamente come la risata che ho udito tramite la cicatrice prima di cadere dalle scale. Era… era nella mia testa, professore» proseguì Harry, concitato, realizzando solo in quel momento quanto disgusto provasse a quel pensiero.


Silente sospirò e fece completamente aderire la schiena alla poltrona su cui era seduto, rilassandosi contro di essa. «Come sospettavo» mormorò a bassa voce, senza staccare gli occhi da Harry.

Al giovane parve che, tuttavia, il vecchio mago non lo stesse vedendo veramente e provò un piccolo moto di irritazione. «Cosa sospettava, professore?» domandò, sempre più teso, mentre stringeva nervosamente le mani intorno alle ginocchia, spingendosi verso il bordo del divano.


Era ansioso di scoprire la verità. Silente sapeva. Sapeva qualcosa che Harry ancora ignorava, ma che era certo riguardasse lui. Lui… e Voldemort.


Dopo quella che parve un’eternità, Silente si decise a parlare. «Harry… come penso che anche tu avrai notato, questo sogno è ben diverso da tutti gli altri che hai avuto in passato e di cui abbiamo già discusso; da quello che ho capito, Voldemort sembrerebbe interessato a comunicarti attraverso la cicatrice, probabilmente per spaventarti. Temo che non abbia ancora capito che tu sei addirittura più “avanti” di lui col passo – come si dice tra voi ragazzi – visto che sei addirittura in grado di percepire i suoi stati d’animo e di vedere attraverso i suoi occhi.»


Harry sbatté le palpebre più volte, come se fosse certo di aver capito male. Voldemort vuole comunicare con me attraverso la cicatrice? Avvertì improvvisamente una morsa gelida asserragliargli il petto, mentre la paura minacciava di sopraffarlo. No… pensò, sforzandosi di suonare sicuro, … Silente avrà una soluzione, ha sempre una soluzione a tutto…


«Prima che Voldemort si accorga della reale potenzialità della cicatrice, Harry, dovremo fare in modo di bloccare la tua mente a ogni suo tentativo di intrusione e a qualsiasi visione che provi a manifestarsi a te» proseguì Silente, cauto nella scelta delle parole.


«Professore, ma come…?»


«E’ giunto il momento che tu apprenda la difficile e sfuggente arte dell’Occlumanzia.» Silente non disse nulla per qualche secondo, godendosi l’effetto sortito su Harry, il quale lo fissava ora a occhi sgranati e con in volto un’espressione a metà tra l’affascinato e lo sgomento. Trasse un profondo respiro prima di continuare: «E conosco una sola persona in grado di impartirti un simile insegnamento.»

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Capitolo 3
*** The Toad in the Fireplace ***


III.
The Toad in the Fireplace





Severus Piton attraversò l’atrio della Sala d’Ingresso in un elegante fluttuare di vesti nere. I suoi occhi scuri vagarono per un attimo intorno a se, giusto il tempo di avvistare la sottile sagoma di Minerva McGranitt impegnata in una fitta conversazione con Pomona Sprite – proprio nei pressi della scalinata principale. L’insegnante di Pozioni non indugiò su di loro, superandole senza una parola e dirigendosi a passo svelto verso le scale mobili.



«Oh, Severus, sei tornato!» La voce della McGranitt lo raggiunse appena dopo che le ebbe oltrepassate; sembrava più acuta del normale.

Piton si fermò e si voltò lentamente verso di lei, prima di lanciarle uno sguardo eloquente. «Ho importanti faccende da sbrigare nell’ufficio del Preside, Minerva, qualunque cosa tu senta l’urgenza di dirmi, può aspettare» disse sbrigativo – sottolineando le ultime due parole – e con un fluido movimento del mantello si girò di nuovo, per riprendere il passo.

«Severus, aspetta!»

Minerva doveva essere davvero preoccupata se non si prendeva nemmeno la briga di rimbeccarlo per i suoi modi sgarbati, com’era solita – invece – fare.

«Albus non è qui al momento e noi abbiamo un problema serio…»

«Il Preside non è ancora rientrato?» Severus tornò a guardarla, le pupille ridotte a due fessure. Dannazione, non credevo che Albus ci avrebbe messo così tanto a parlare con quel moccioso di Potter!

«Proprio così» enfatizzò – accalorata – Minerva, che odiava non essere presa in considerazione, soprattutto in casi delicati come quello che ora si vedevano costretti a fronteggiare, «e ti chiedo di avere la decenza di ascoltarmi per il tempo necessario a farti comprendere la gravità della situazione in cui ci troviamo.» Vide l’uomo emettere uno sbuffo quasi impercettibile, ma lo ignorò, per continuare: «Dolores Umbridge sarà qui a momenti e noi non abbiamo ricevuto nemmeno un minimo di preavviso… Albus ci aveva assicurati che quell’arpia non sarebbe arrivata prima della fine di luglio!»

«Invero, è quello che ha continuato a ripetere fino a ieri sera» commentò Severus, senza particolare emozione, prima di inarcare un sopracciglio. «Ad ogni modo… non mi è ancora del tutto chiaro a che punto dovrebbe subentrare il cosiddetto… problema

Le Direttrici di Grifondoro e Tassorosso si scambiarono uno sguardo a metà tra l’indignato e l’esasperato: lo sfacciato sangue freddo di un Serpeverde era quanto di più irritante ci potesse essere in momenti di tensione come quello.

«Il problema è che non siamo preparati!» esclamò Minerva, allarmata. «Quella… quella donna, ci sarà addosso a momenti e noi non abbiamo avuto il tempo di organizzare un piano con Albus…»

Piton roteò gli occhi al soffitto e incrociò le braccia al petto. «E che cosa avrebbe previsto questo vostro geniale piano? Una calorosa accoglienza condita di maledizioni e fatture?»

La sua ironia spinse la McGranitt sul punto di esplodere; era sempre un brutto segno quando l’angolo destro della bocca cominciava a vibrare debolmente e nei suoi occhi verdi balenava una luce pericolosa, che minacciava di folgorare l’uomo da un momento all’altro.

Fu Pomona a prendere in mano le redini di quella difficile conversazione, prima che la situazione potesse sfuggire a tutti di mano. «Severus, credi che potremmo inviare un Patronus ad Albus?»

«Temo che il Preside sia al momento impegnato in una – indubbiamente – interessante discussione con Harry Potter a Grimmauld Place» ripose Piton, posando gli occhi freddi su di lei, prima di stendere le labbra in un ghigno tirato, «non mi sembra il caso di disturbarlo per simili sciocchezze e di privare Potter del piacere di lamentarsi di tutti i suoi problemi adolescenziali.»

Minerva gli scoccò un’occhiata fulminante, incapace di trattenersi oltre. «E da quando ti preoccupi degli interessi del signor Potter, Severus?» sbottò acidamente, facendo un passo verso di lui.

Prima che Piton potesse ribattere con qualche sgradevole commento, Pomona si interpose tra i due professori. «Signori, per favore!» esclamò, alzando le mani come se volesse calmare i bollenti spiriti dei suoi colleghi con un solo gesto. «Non è il momento per le vostre diatribe, dobbiamo cercare di collaborare per trovare una soluzione – frattanto che Albus non sarà presente – da persone civili quali siamo!»

«Bene!» strillò Minerva, più forte del previsto. «Sono disposta a mettere da parte il rancore quando si tratta di casi come questo» distolse per prima lo sguardo da Piton, occupandosi di lisciarsi la veste verde bottiglia come se volesse riguadagnare un minimo di contegno.

Severus sbuffò e si rivolse direttamente alla Sprite, con il suo solito tono annoiato: «Dov’è Vitious?»

«Dovrebbe essere in biblioteca ad aiutare Madama Pince a riordinare tutti i libri che Pix ha fatto cadere dagli scaffali...»

«Sarà necessaria anche la sua presenza, visto che dirige Corvonero» continuò l’esperto di Pozioni, con tono noncurante, «e – se non ricordo male – Albus ha detto che Dolores Umbridge sarebbe arrivata esclusivamente tramite la Metropolvere, attraverso il camino che collega il Ministero all’ufficio del Preside.»

Minerva colse al volo il suggerimento implicito e annuì vigorosamente. «Pomona, vai a recuperare Filius, avremo bisogno anche di lui per bloccare momentaneamente il camino di Albus, così da guadagnare tempo prezioso in attesa del suo ritorno… Dopo di che ci ritroveremo tutti nel suo ufficio per praticare la chiusura di quella rete.»
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Harry fissò Silente con gli occhi sgranati per quasi due buoni minuti.    

«Piton?» esclamò, sperando con tutto il cuore di aver udito male.

«Il professor Piton, Harry» lo corresse Silente, tranquillo.

Il ragazzo si costrinse a sbattere le palpebre un paio di volte – ancora incredulo – consapevole dell’espressione idiota che doveva aver preso forma in viso. «Signore, è… è sicuro che…? Voglio dire… non c’è altro… modo?» Le parole faticavano a uscire di bocca man mano che il suo cervello assimilava pienamente la notizia.

Silente lo fissò attentamente, come se stesse valutando se fosse il caso o meno di dirgli ciò che stava pensando in quel momento. «Harry, il professor Piton è l’Occlumante più abile che abbia mai conosciuto» disse, infine. «Oltre ad essere, naturalmente, un esperto Legilimens.»

«Legili… cosa?» Un velo di confusione offuscò gli occhi di Harry.

«Legilimens. Indica qualunque mago in grado di penetrare la mente umana e di vedere i pensieri e le memorie che l’attraversano… anche le più nascoste, se si è estremamente capaci. Non ci sono molte persone al mondo ad avere un’alta competenza in quest’arte; il professor Piton è una di esse, insieme a me e a… Voldemort

Harry sentì la gola farsi improvvisamente più arida. «Quindi Voldemort si è introdotto nella mia mente con la Legili…»

«…manzia.»

«… durante il mio ultimo incubo?»

«Sì, nonostante normalmente occorra un contatto visivo tra due persone perché quest’arte possa essere praticata.»

Harry attese che Silente aggiungesse qualcosa, ma – quando vide che non l’avrebbe fatto – continuò: «Ma allora… è la cicatrice! La cicatrice gli permette di comunicare con me pur non essendomi di fronte!»

Silente annuì. «Ma, come ti ho spiegato prima, è l’unica cosa di cui è davvero certo al momento. Non è ancora consapevole delle tue visioni, perché altrimenti cercherebbe di occludere la mente affinché tu non venga al corrente delle sue mosse» proseguì.

«Signore, ha detto che anche lei è un Legilimens» azzardò Harry, incerto, «perché non può essere lei a insegnarmi Occlumanzia?»

«Ho i miei buoni motivi per non farlo, Harry, posso solo chiederti di riporre – ancora una volta – la tua fiducia in me e nella stima che io stesso ripongo in Severus.»

Harry rimase in silenzio, cercando di riordinare tutti i pensieri che vagavano ora sparsi nella sua testa. La risposta di Silente era sembrata più che sincera, ma il ragazzo – decisamente – non aveva le idee chiare, sebbene il Preside fosse stato piuttosto esplicito. Cosa avrebbe dovuto fare? Non che avesse davvero scelta…

Piton

«Harry, non devi preoccuparti della reazione del tuo insegnante di Pozioni» disse Silente, offrendo un piccolo sorriso simpatetico mentre lo fissava dritto negli occhi (Sta usando la Legilimanzia ora?, pensò Harry). «Parlerò con il professor Piton non appena saremo a Hogwarts e sono certo che accetterà di buon grado di darti lezioni private di Occlumanzia.»

Oh, certo, farà i salti di gioia quando glielo dirà!

«Professore… ha detto “quando saremo ad Hogwarts”?» chiese, invece, perplesso.  

«Sì, Harry, desidero che tu mi accompagni a scuola perché fissi direttamente con il professor Piton i dettagli delle vostre future lezioni» spiegò Silente, senza tanti giri di parole.

Oh, questo sì che è fantastico, pensò Harry – senza entusiasmo – mentre cercava di mascherare l’ondata di orrore che si stava impossessando di lui in quel momento. Non solo quell’untuoso idiota di Piton non sapeva un bel nulla del brillante piano di Silente, ma – per giunta – di lì a poco avrebbe assistito in diretta alla sua presa di coscienza: il Preside aveva davvero organizzato tutto nei dettagli. Dopo qualche attimo di riflessione, si sentì, audacemente, chiedere: «Vuole essere certo che il professor Piton mi accetti ad Occlumanzia?»

Silente gli sorrise, cogliendo la sottigliezza del quasi quindicenne. «E’ sempre bene essere pronti ad ogni evenienza, mio caro ragazzo, soprattutto quando si ha a che fare con il nostro amabile esperto di Pozioni.»
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«Severus, non possiamo tenere ulteriormente la connessione chiusa» la voce allarmata della professoressa Sprite svegliò gran parte dei vecchi Presidi – placidamente assopiti nei loro ritratti – tra proteste e borbottii da parte di questi ultimi.

Piton abbassò la bacchetta di ebano nero, puntata – fino a quel momento – verso il camino di Silente, e si voltò a guardare la McGranitt, che aveva fatto la stessa cosa un minuto prima di lui, seguita dalla Sprite e da Vitious. «L’Incanto durerà ancora una quindicina di minuti prima di svanire. Suggerisco di lasciare un Patronus nell’atrio dell’Ingresso principale, cosicché Albus possa essere avvisato della situazione.»

I Capi delle quattro Case avevano mantenuto il blocco alla Metropolvere per quasi venti minuti ormai; solo in assenza del Preside poteva essere castato l’Incanto – effettuabile solo da parte di tutti i Direttori riuniti insieme – che proibiva l’accesso a chiunque nel camino più importante e protetto di tutta Hogwarts.

Non era consigliabile tenere la connessione chiusa ancora per molto o Dolores Umbridge avrebbe potuto accusarli di un complotto architettato ai danni della sua persona. Tutti i presenti nella stanza sapevano con assoluta certezza che quella donna odiosa non aspettava altro che trovare una scusa del genere per poter correre da Cornelius Caramell e dargli delle ottime ragioni per intervenire nella gestione di Hogwarts.

Come già stavano facendo.

La McGranitt annuì alle parole di Piton e mosse la bacchetta in direzione della porta di quercia dello studio di Silente. «Expecto Patronum.» Uno snello gatto argentato attraversò la stanza e scomparve oltre il muro, scendendo di tre piani più in giù. «Avviserà Albus che Dolores Umbridge è qui e spiegherà perchè non è riuscito ad usare la Metropolvere, nel caso in cui avesse già provato a farlo.»

I Direttori delle quattro Case rimasero ad attendere il momento in cui il camino avrebbe iniziato ad eruttare fiamme verdi e sull’ufficio del Preside calò uno spiacevole silenzio.
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Harry non si era mai Smaterializzato prima d’ora, ma l’unica cosa che appariva certa e sicura in quel momento – oltre alla terribile sensazione di nausea che lo stava sopraffacendo – era il desiderio di non voler mai più riprovare nulla del genere.

Il vortice in cui era stato risucchiato nel preciso instante in cui aveva toccato il braccio di Silente era stretto e soffocante; il ragazzo aveva avuto la netta impressione di aggrovigliarsi su se stesso, in un turbinio di braccia e gambe che nemmeno l’impatto con il suolo riuscì a far cessare.

Le ginocchia cedettero sotto il suo corpo afflosciato, ma, prima che potesse toccar terra, Harry avvertì Silente sorreggerlo e impedirgli, così, di schiantarsi rovinosamente.

«Harry?» la voce velata di preoccupazione del Preside parve destarlo solo un poco da tutto quel senso di smarrimento e malessere in cui versava.

Il ragazzo tossì, incapace di trattenersi oltre. «Io… sto… sto bene, signore…» cercò di pronunciare il più chiaramente possibile quelle parole, desideroso di farsi comprendere da Silente, ma, ben presto, capì che aprire la bocca in quelle condizioni poteva diventare tutt’altro che producente, o, così, almeno, sembravano suggerirgli le uova e la pancetta che si rivoltavano nel suo stomaco.

Silente gli sorrise incoraggiante e lo lasciò solo quando fu certo che il giovane potesse sostenersi in piedi da solo senza crollare. «Perfettamente comprensibile che la prima volta ti faccia questo effetto, nulla di preoccupante» disse pacatamente.

Harry annuì, ma smise subito perché il movimento, seppur piccolo, non faceva altro che incrementare il giramento di testa che si era palesato in quel momento. «Signore,» esordì, cercando di vincere la nausea, mentre si incamminavano verso il castello, risalendo la collina più bassa del parco, «secondo lei perché non siamo riusciti a usare il camino?» Non che sarebbe andata meglio… assolutamente no, pensò con un brivido, ricordando le rare volte in cui aveva dovuto ricorrere a quel particolare trasporto magico.

Silente aggrottò leggermente le sopracciglia. «Purtroppo, Harry, i motivi del perché ci sia stato negato l’accesso alla Metropolvere per Hogwarts sono molteplici… e tutti poco piacevoli.»

Harry non disse nulla. Pensava a Sirius, che non era al corrente del preciso motivo per cui avesse dovuto seguire Silente a Hogwarts e a come avrebbe reagito una volta che fosse venuto a sapere delle lezioni con Piton, che, a quanto pareva, era all’oscuro della novità esattamente come il suo odiato rivale. A quanto pareva, Silente era abituato a mettere le persone davanti ai fatti compiuti (come aveva già fatto anche con Harry stesso), in modo da essere sicuro del successo dei propri piani.

Superarono la capanna di Hagrid, dalla quale – stranamente – non proveniva alcun rumore. Harry si era aspettato di vedere Thor correre dietro agli uccelli nell’orto, ma il grosso segugio nero se ne stava sdraiato di fronte alla porta della capanna, con la testa appoggiata alle zampe; sembrava dormire.

«Professore?»

«Sì, Harry?»

Il ragazzo esitò un istante, ma alla fine si decise ad azzardare la domanda che gli ronzava in testa da quando aveva visto la capanna del mezzo gigante. «Hagrid non è ancora tornato dalla sua… ehm… missione?» chiese, infine, ricordando le parole che l’amico aveva pronunciato alla fine dell’anno precedente.

La fine del quarto anno… Harry sentì una fitta al petto a quel pensiero. Era estremamente doloroso ricordare ciò che era successo appena poche settimane prima, quando uno di loro se n’era andato per sempre.

Cedric era uno di loro.

Ucciso da Codaliscia… per mano di Voldemort.

Se solo non l’avessi convinto ad afferrare quella dannata coppa…

«No, Harry, Hagrid sarà assente ancora per diversi giorni.» La voce di Silente lo salvò da quei terribili momenti e dai sensi di colpa che continuavano a divorarlo internamente. «Sebbene non possa rivelarti i dettagli del suo incarico, posso assicurarti in tutta tranquillità che sono costantemente in contatto con il nostro caro guardiacaccia… non temere per la sua sorte» aggiunse con sincerità.

Harry rimuginò sulle parole del Preside in silenzio mentre attraversavano il ponte di pietra e, successivamente, il Cortile d’Ingresso della scuola. Al loro arrivo, le alte porte di quercia si spalancarono sul grande atrio principale di Hogwarts e un bagliore argentato si fece loro incontro, in una sorta di spettrale accoglienza.

Quella che il ragazzo riconobbe essere la distinta sagoma di un gatto a pelo corto parlò con la severa voce di Minerva McGranitt.

«Dolores Umbridge sarà qui da un momento all’altro. Trattenuta al di là del camino per circa venti minuti.»

Harry aggrottò la fronte. Chi è Dolores Umbridge? Guardò incuriosito verso Silente e vide che l’uomo ricambiava intensamente il suo sguardo, come se stesse riflettendo velocemente sul da farsi, che – evidentemente – riguardava anche lui.

«Harry, temo che importanti questioni richiedano urgentemente la mia presenza al terzo piano» disse semplicemente, «posso chiederti di raggiungere i sotterranei e di attendere momentaneamente nell’ufficio del professor Piton?»

Il ragazzo capì immediatamente che quella non era una vera e propria domanda. Anzi, non lo era affatto, visto che Silente mosse una mano a mezz’aria in segno di saluto senza nemmeno attendere una risposta.

Harry era inorridito da ciò che Silente aveva osato suggerire, ma lo sguardo scioccato che aveva tentato di lanciare al Preside non ebbe l’effetto sperato; tentò di aprire bocca per protestare, ma non ebbe il tempo di emettere nessun suono visto che l’uomo era già ben lontano.

Rassegnato e con in mente tutt’altro che allegri pensieri, al giovane non rimase altro da fare che strascicare i piedi verso le scale che l’avrebbero condotto ai freddi sotterranei del castello.
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«Hem hem

Dolores Umbridge aveva fatto il suo ingresso nel camino del Preside esattamente tre minuti dopo che Harry e Silente si furono Materializzati di fronte ai cancelli di Hogwarts.

Il turbinio di fiamme verdi si estinse piuttosto rapidamente, per lasciar posto ad una donna bassa e tozza, dalle fattezze incredibilmente simili a quelle di un grosso rospo. Indossava un cardigan e una gonna rosa e in testa portava un cappello sgraziato del medesimo colore; le sue vesti emanavano un forte odore di lavanda, così intenso da risultare sgradevole e da far venire la nausea a chiunque. I suoi occhietti color grigio topo vagarono sulla stanza circolare con malsano interesse, prima di spostarsi su ognuno degli insegnanti lì presenti.

«Bene, bene, bene» la sua voce acuta attraversò l’ufficio, così come aveva fatto il suo sguardo. «Professori, immagino… Dolores Umbridge, Sottosegretario Anziano del Ministro della Magia Cornelius Caramell» si presentò, pronunciando con estrema leziosità il nome del suo superiore. Quando vide che nessuno dei quattro Direttori delle Case aveva aperto bocca per ricambiare la presentazione, proseguì, con un tono che non prometteva nulla di buono: «Chi sa dirmi perché – per ben trentasette minuti – mi è stato impossibile accedere ad Hogwarts? O, forse, dovrei dire… impedito
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Capitolo 4
*** Between Two Fires ***


IV.
Between Two Fires




«Siamo… lieti di fare finalmente la sua conoscenza, Sottosegretario Anziano.» Minerva ruppe l’opprimente silenzio che si era venuto a creare tra gli astanti; in qualità di Vicepreside, d’altronde, era suo compito occuparsi di sostituire Silente, anche nelle incombenze meno… piacevoli.


«E lei deve essere Minerva McGranitt, suppongo… Silente mi ha parlato della sua Vicepreside» la sua voce era tanto setosa quanto falsa. «Dunque, forse – vista la sua carica – lei sarebbe in grado di spiegarmi il motivo della mia estenuante attesa.» I suoi occhi lampeggiarono sinistramente.

Minerva aggrottò la fronte e sfoggiò la sua migliore espressione di profonda sorpresa. «Estenuante attesa?» ripeté, con aria scioccata. «Credevamo che il suo ritardo fosse dovuto a inderogabili problemi al Ministero… Vuole forse insinuare che il camino le ha… impedito, l’accesso? Come potrebbe mai essere possibile?»

La Umbridge assunse un’espressione scettica e indispettita al tempo stesso, accentuando, così – ancora di più – i suoi tratti da rospo. Voleva chiaramente pressare ancora di più la McGranitt, ma sapeva che continuare a lanciare accuse – in evidente svantaggio numerico – non l’avrebbe portata da nessuna parte, anzi: avrebbe messo a rischio la propria posizione. Si rivolse, dunque, all’intero gruppo: «Vorreste farmi credere che non vi siete accorti di nulla? Neanche di una piccola interferenza tra le connessioni?» lasciò cadere il silenzio sulla stanza, prima di osservare, con la subitanea ombra di un sorriso sospettoso: «Non vedo Silente.»

La McGranitt scambiò uno sguardo con Piton, che fece un passo in avanti. «Mi sembra evidente che il Preside non sia fisicamente in questa stanza, al momento.» Pronunciò ogni parola con estrema lentezza, come se volesse rimarcare la stupidità dell’osservazione della Umbridge; in un’altra situazione, probabilmente Minerva avrebbe riso.

Dolores Umbridge spostò gli occhietti grigi su di lui e lo guardò come se si fosse accorta di Piton solo in quell’istante; il sorriso malevolo era del tutto svanito dalla sua faccia flaccida. Probabilmente, l’aspetto dell’uomo completamente vestito di nero e il senso delle sue parole canzonatorie avevano fatto sì che la sua sicurezza calasse drasticamente. «E lei sarebbe…?» non terminò la frase, lasciandola in sospeso con un certo nervosismo.

«Severus Piton» rispose lui, storcendo appena il naso, disgustato dal lampo di terrore palesatosi negli occhi della Umbridge quando si era rivolto a lei. «Esperto e insegnante di Pozioni, Direttore della Casa di Serpeverde.»

La Umbridge socchiuse appena gli occhi, in un gesto molto simile a quello a cui era solito lo stesso Piton. «Il suo nome mi ricorda qualcosa…» pronunciò, cautamente, tentando di afferrare una memoria lontana.

«Oh» l’anticipò, noncurante, Piton, la voce completamente priva di emozione, «sì, deve averlo letto in qualche vecchio registro processuale del Wizengamot,» il suo tono non cambiò, nemmeno di fronte all’espressione al tempo stesso colpita e compiaciuta della donna-rospo, «per i miei trascorsi in certe… schiere.»

«La sua storia sembra essere così… interessante.» Dolores allargò la bocca in un sorriso trionfante, quasi del tutto dimentica dell’aspetto cupo e impressionante sfoggiato dall’uomo che le stava davanti; sembrava aver trovato un ottimo punto per dare il via alle indagini che avrebbero portato a Cornelius le prove necessarie per affidarle la gestione della scuola. «Forse sarebbe una buona cosa iniziare immediatamente un’ispezione incentrata sul passato di ciascuno di voi profes…»

«Forse» la interruppe, di nuovo, Piton, con una strana luce che brillava – minacciosa – negli occhi neri, «non le è sufficientemente chiaro che senza l’approvazione del Preside e un mandato del Ministero lei non ha alcun diritto di interrogare i docenti di questa scuola.»

«Severus ha ragione» squittì Vitious, attirando l’attenzione sulla sua piccola figura, «nessuno ci ha avvertiti di un possibile colloquio con un funzionario del Ministero.»

La Umbridge abbassò lo sguardo verso il piccolo insegnante di Incantesimi e sollevò entrambe le sopracciglia, prima di emettere una risatina stridula. «Difatti, non sarete sottoposti alle mie domande in vesti di professori, ma in quelle di potenziali membri dell’Ordine della Fenice» osservò per un attimo la sorpresa apparsa sul volto del mezzo-folletto, prima di rivolgersi direttamente a lui. «Anche lei sembra avere una singolare storia da raccontare: per esempio, si è mai sottoposto ad un esame di accertamento razziale…»

«Ora basta!»

Minerva era livida, le sottili labbra – pressate l’una contro l’altra – che tremavano dalla rabbia; le dita della mano destra erano serrate intorno alla bacchetta nascosta nella veste, mentre l’altra mano era stretta a pugno, nell’arduo tentativo di controllarsi dall’aggredire la Umbridge in quel preciso istante. «In qualità di Vicepreside… non le permetterò di insultare i miei colleghi in questo modo!» esclamò, stridula, mentre il suo lato Grifondoro prendeva il sopravvento sulla ragione.

La Umbridge parve profondamente colpita dalla reazione dell’altra donna e fece un istintivo passo indietro. Aprì la bocca e la richiuse più volte, come se volesse replicare qualcosa, ma fosse troppo intimorita dalla furia impressa in ogni tratto severo della McGranitt. Quando, finalmente, sembrò avere trovato una valida obiezione, l’arrivo improvviso di una sesta persona troncò ogni malignità.

«Dolores… è una sorpresa averla qui.» La voce profonda di Albus Silente catturò l’attenzione dei presenti, inducendoli a voltarsi verso la porta di quercia dell’ufficio circolare; il Preside avanzò nella stanza, oltrepassando tutti fino a sostare in piedi dietro alla propria scrivania. «Cosa la porta da noi, in questa calda giornata estiva?»

Il Sottosegretario Anziano lanciò un’ultima occhiataccia alla McGranitt, prima di rivolgersi al Preside, con un piccolo sorriso teatrale. «Silente» esordì, con la sua vocetta acuta, «prima di esporle i motivi della mia visita, vorrei farle notare l’ostilità con cui sono stata accolta dai suoi docenti» e sembrò sul punto di indicare con un dito la McGranitt, in un gesto decisamente infantile.

«Ostilità?» abbaiò quest’ultima, cercando invano di contenersi di fronte a Silente. «Albus, questa… donna è venuta qui senza un preavviso, con la sfacciata intenzione di interrogare ciascuno di noi, senza considerare le parole offensive con cui ha osato rivolgersi…»

«Su, su, Minerva» Albus le offrì uno sguardo simpatetico, sperando che comprendesse la necessità di ostentare un minimo di parvenza diplomatica almeno in una situazione come quella; la verità, tuttavia, era che la sua Vicepreside – come del resto gli altri insegnanti lì presenti – non potevano immaginare quanto le circostanze in cui si trovavano potessero diventare pericolose con la presenza di Harry Potter appena qualche piano più sotto. «Sono sicuro – e spero – che si sia trattato solo di un equivoco.»

Il suo sguardo oscillò dall’una all’altra donna. Apprezzava che Minerva – seppur all’oscuro dei motivi che lo spingevano ad agire così nei riguardi della Umbridge – si stesse sforzando di mantenere un certo controllo sul proprio temperamento. D’altra parte, nella mente dell’anziano mago, vi erano due sole priorità, al momento: tenere Harry lontano dalla Sottosegretaria di Caramell e occuparsi di quest’ultima quanto più in fretta possibile.

«Ciò non toglie che io abbia dovuto attendere per quasi quaranta minuti…»

«Mia cara Dolores» la bloccò Albus, la sua voce educata come sempre, «sono sicuro che avremo modo di parlare di quanto è accaduto durante la mia assenza tra non molto.» Si interruppe, posando lo sguardo su Piton. «Severus» chiamò, «devo chiederti di scendere nei sotterranei e di terminare le Pozioni Rigeneranti di cui ha fatto richiesta Poppy per le sue scorte.»

Gli occhi neri dell’ex Mangiamorte incontrarono quelli azzurri del Preside e Piton non dovette ricorrere alla Legilimanzia per capire che dietro alle parole di Silente si nascondeva ben altro che una semplice richiesta da parte di Madama Chips. Non era mai entrato nella mente dell’uomo che gli aveva concesso la possibilità di cambiare la propria vita; l’uomo che gli aveva dato fiducia quando da tutti gli era stata negata.

Non era il caso di spezzare ora quella stessa – reciproca – fiducia che condividevano da ormai quattordici anni.
Con un breve e silenzioso cenno, Severus si congedò dai presenti e abbandonò l’ufficio circolare, diretto verso i freddi e oscuri sotterranei, dove – a sua insaputa – il ragazzo che più detestava al mondo attendeva il suo arrivo.
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Harry osservava la testa di una salamandra galleggiare nel liquido giallastro di un largo barattolo da quasi quindici minuti. Quando aveva raggiunto l’ufficio di Piton – come ordinatogli da Silente – ormai venti minuti prima, si era guardato distrattamente intorno, senza prestare particolare attenzione all’aspetto austero della stessa stanza in cui era già stato in passato solo in occasioni tutt’altro che piacevoli.

Il ragazzo aveva varcato la soglia dell’ufficio con un certo timore, misto ad una buona dose di ansia, come se temesse che Piton potesse sbucare all’improvviso da qualche angolo nascosto e intimargli di sparire all’istante. Non che gli sarebbe dispiaciuto davvero, visto che non era per scelta personale che si trovava lì.

La noia per un’attesa tutt’altro che volontaria aveva cominciato a farsi sentire piuttosto in fretta e, così, Harry si era ben presto ritrovato seduto in una delle sedie poste di fronte alla scrivania di Piton con lo sguardo fisso sull’unico oggetto della stanza apparentemente in movimento.

Strano come una cosa morta possa sembrare più viva di altre…

SBAM!

Harry balzò in piedi di scatto, come se la sedia avesse improvvisamente preso a bruciare. Si voltò in  un lampo – il cuore che batteva all’impazzata – portando istintivamente una mano alla bacchetta celata in una delle tasche dei jeans.

L’alta figura ammantata di nero ricambiava il suo sguardo scioccato con aria profondamente irritata, mentre sostava di fronte alla stessa porta che aveva appena sbattuto alle proprie spalle con un colpo secco.     

«Potter» la voce sprezzante di Piton riempì l’ufficio, mentre Harry abbandonava la presa sulla bacchetta, senza – tuttavia – riuscire a rilassarsi. «Che spiacevole… sorpresa.»

Il ragazzo guardò il professore di Pozioni muovere qualche passo verso il centro della stanza; l’istinto gli suggeriva di indietreggiare, sebbene sapesse che Piton non aveva motivo di nuocergli. Era una sensazione inconscia: aveva sempre provato repulsione per il proprio insegnante, probabilmente per il modo ingiusto in cui era stato trattato dall’uomo nei quattro anni passati a Hogwarts; d’altronde, nei freddi occhi di Piton aveva sempre e solo trovato disgusto e scherno. L’unica conclusione a cui poteva giungere Harry era che la loro era una vera e propria avversione reciproca.

«Cosa ci fai nel mio ufficio, Potter?» la dura voce dell’insegnante lo riportò alla realtà.

Harry si morse nervosamente un labbro. Non era previsto che fosse lui a spiegare a Piton il motivo della sua presenza lì, nei sotterranei, nel suo stesso ufficio; cosa avrebbe dovuto rispondergli? Silente non gli aveva detto come comportarsi e cosa dire riguardo alla decisione che, a quanto pareva, aveva preso per entrambi…

Dov’è Silente quando serve?

«Hai perso l’uso della parola, Potter?»

Harry aprì bocca per replicare, ma si sforzò di non rispondere alla provocazione dell’odiato professore. La derisione presente nella voce dell’uomo era quasi sopportabile, in confronto alla luce sospettosa che brillava nei suoi occhi neri, intenti a scrutarlo con una tale fermezza da far abbassare lo sguardo al ragazzo.

Quest’ultimo trasse un profondo respiro. Doveva rimanere calmo; non si sarebbe fatto intimorire dalle parole ostili di Piton, né dalle sue provocazioni…

«Il professor Silente mi ha chiesto di aspettare qui, signore» rispose semplicemente. «Ha insistito perché venissi nel suo ufficio e…»

Piton interruppe le sue parole con un infastidito brontolio. A Harry parve di sentire borbottare in un sibilo qualcosa come “vecchio stupido”. «E immagino che ti abbia almeno dato un buon motivo per cui saresti dovuto venire qui» sbuffò, stizzito.

Possibile che a questo dannato moccioso si debbano sempre tirare fuori le parole di bocca?

«Io…» Harry esitò, deglutendo. Era proprio il caso che fosse lui a esporre a Piton la brillante idea di Silente? «Io… non so… ecco…»

«Smettila di blaterare parole senza senso, Potter!» sbottò Piton, chiaramente spazientito e irritato da quella sorta di “sconfinamento di territorio”.

Tacquero entrambi per qualche istante. Harry poteva udire solo il proprio respiro nella stanza, mentre era costretto a subire l’occhiata fulminante del professore su di se. Lo sguardo indagatorio di Piton stava scandagliando ogni tratto del suo viso, alla ricerca di un qualsiasi segnale che dimostrasse la colpevolezza di Harry in qualche guaio. Rancore e disgusto era tutto ciò che il ragazzo riusciva a leggere negli occhi gelidi di Piton, finchè un maligno lampo di trionfo non gli illuminò il volto pallido.

«Forse Silente è riuscito a farti confessare» esordì lentamente, come se traesse incredibile piacere da ogni singola parola e volesse prolungare all’infinito l’attesa del ragazzo, «che ieri sera hai origliato la nostra conversazione privata

«No!» scattò subito Harry, allarmato dalla piega che stava prendendo la discussione. «No, davvero, io non…»

«Nemmeno Silente potrebbe credere che tu ti trovassi su quelle scale proprio in quel momento per puro caso...» proseguì, implacabile, Piton, mentre storceva la bocca in un ghigno soddisfatto, pronto a colpire di nuovo, «… nemmeno quel pulcioso idiota che chiami padrino, potrebbe mai…»

Prima le accuse, le insinuazioni… ora le offese. Harry sentì il respiro farsi più affannoso, mentre una rabbia incontrollabile si impossessava di lui. Qualsiasi proposito sul rimanere calmo e sul resistere alle provocazioni di Piton era completamente svanito nel momento in cui l’uomo aveva pronunciato quelle ultime parole.

Non poteva tollerarle. Non voleva tollerarle.

«LA SMETTA!» urlò Harry, fuori di se.

Ignorò del tutto il lampo di sorpresa che era guizzato per un istante sul volto dell’insegnante di Pozioni, livido quanto il suo. Doveva andarsene da lì, da quegli odiosi sotterranei, da quell’odioso ufficio e da Piton… il più odioso di tutte quelle cose messe insieme.

Lo vide aprire la bocca e fare un minaccioso passo in avanti verso la scrivania, ma – accecato com’era dall’ira – ebbe l’ardire di muoversi più velocemente di lui: scattò in avanti, scansando il professore con un braccio e aprì con furia la porta della stanza, prima di prendere a correre per i bui e freddi corridoi, lontano dallo sguardo gelido e insostenibile di Piton.
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Severus fissò il punto in cui qualche istante prima c’era Potter, a pochi passi da lui. Quell’odioso moccioso aveva davvero avuto il fegato – no, la stupidità – di urlargli addosso e di scappare via?

Non sapeva se essere più infuriato o più stupito. Probabilmente entrambe le cose.

Ma cosa c'era da aspettarsi, d'altronde, dal degno figlio di James "dannato" Potter? Nessun limite all'idiozia.

Non aveva neppure provato a fermarlo. Avrebbe facilmente potuto bloccare la porta dell’ufficio con un incantesimo non verbale, ma che importava? Se quello stupido presuntuoso voleva scomparire dalla sua vista, non poteva altro che fargli piacere. Meno lo vedeva, meglio era.

Poi, un’improvvisa, terribile consapevolezza lo colpì come uno schiaffo in pieno viso.

Dolores Umbridge.

Il rospo era ancora nel castello; probabilmente avrebbe fatto anche un’ispezione generale delle sale, per installare altri dispositivi e incantesimi di controllo per conto del Ministero o per scovare punti strategici, passaggi segreti…

Potter era nei guai. In guai seri, se – nel più sfortunato dei casi – fosse incorso in quell’orrenda sottospecie di donna.

Silente avrà la mia testa se dovesse accadere qualcosa al suo ‘prezioso’ Ragazzo d’Oro…

Emise un basso sibilo, maledicendo Potter e il suo nome, mentre girava sui tacchi e scompariva oltre la porta del proprio ufficio in uno svolazzare di vesti nere.
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Harry aveva percorso poco più di cinquecento metri quando capì che qualcosa non andava.

La fronte aveva iniziato a pizzicargli debolmente senza che se ne rendesse nemmeno conto all’inizio, tanto era impegnato a volare lungo il corridoio, a fuggire da Piton, più veloce che mai… finchè il fastidio non crebbe appena di intensità e parve stabilizzarsi. Svoltò un angolo. Era ancora lontano dal tanto agognato piano terra; troppo lontano dalla luce del sole estivo che inondava le sale superiori del castello.

Le fiamme delle torce appese ai lati delle pareti tremolarono fiocamente, come se fossero sul punto di spegnersi da un momento all’altro. Girò l’ennesimo angolo – senza rallentare – e fu allora che la testa gli esplose in un crescendo di dolore disumano. La corsa del ragazzo fu interrotta rovinosamente; crollò al suolo, senza nemmeno avere la forza di portarsi una mano alla cicatrice ardente, pervasa da atroci fitte.

Harry si appiattì contro la fredda pietra del pavimento – incapace di muoversi – improvvisamente sopraffatto dal terrore. Voleva far cessare tutta quella sofferenza insopportabile. Voleva dimenticare tutto quel dolore… liberarsi da tutta quella paura che lo paralizzava a terra…

E’ questo che si prova quando si è prossimi alla morte?

Credeva di esserlo. Estremamente vicino.

Vicino a lui.

Vicino a Voldemort.

Cedi, Harry… abbandonati alla Morte… abbandonati a… me!
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Il braccio di Severus prese quasi a fumare tanto era potente il richiamo del Signore Oscuro.

La manica della bianca camicia – sotto la preziosa stoffa della veste nera – si stava attaccando alla pelle, che bruciava, bruciava e bruciava.

E’ furente… follemente, arrabbiato, pensò Severus, premendo con forza la mano destra sull’avambraccio martoriato, mentre si immetteva in un corridoio sulla sinistra e si appoggiava brevemente al muro con le spalle, giusto il tempo di ricomporsi velocemente, prima di abbandonare il castello e Materializzarsi accanto a…

Fu allora che lo vide.

Una figura esile, per terra.

«POTTER!»

Severus sbatté le palpebre diverse volte, prima di staccarsi dal muro e di avvicinarsi alla sagoma scomposta che giaceva sul pavimento, immobile. Si chinò sul Grifondoro, chiedendosi con rabbia cos’accidenti avesse combinato stavolta quello stupido ragazzo.

Il volto di Potter era seminascosto nell’ombra e, vedendo che il giovane non aveva risposto al suo richiamo, Severus si vide costretto ad allungare una mano verso di lui, in un gesto stizzito, per girargli la testa verso il proprio viso. «Potter, che diavolo…?» sbottò, ma si interruppe di colpo, trattenendo inconsciamente il fiato.

Sangue.

La faccia del ragazzo era coperta per metà dal sangue che la cicatrice eruttava senza sosta, come un piccolo vulcano a forma di saetta.

Severus analizzò rapidamente la situazione, mentre un’altra fitta al braccio sinistro gli ricordava della chiamata a cui era tenuto a rispondere. Potter era chiaramente incosciente e aveva urgente bisogno di cure affinché quell’inspiegabile emorragia alla cicatrice cessasse, possibilmente prima che fosse troppo tardi.

Un bisogno urgente quanto quello che aveva lui di rispondere immediatamente alla chiamata del Signore Oscuro.

Intrappolato tra due fuochi, Severus Piton avrebbe presto dovuto scegliere tra due mali inevitabili, di cui uno – nonostante gli costasse un'enorme sforzo ad ammetterlo – era decisamente peggio dell'altro.
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Capitolo 5
*** The Dark Lord's Intentions ***


V.
The Dark Lord’s Intentions




Dannato moccioso.

Severus imprecò sottovoce mentre con un rapido gesto della bacchetta faceva sparire il sangue dalla faccia pallida di Potter. La cicatrice, che aveva ora l’aspetto di una ferita aperta, continuava a perderne; il professore evocò un flaconcino di Essenza di Dittamo così da poter fermare l’emorragia.

Tre gocce furono sufficienti, ma c’era ancora il problema del gonfiore della pelle – incredibilmente arrossata – intorno alla furiosa saetta. Severus si rialzò da terra e mosse nuovamente la bacchetta in direzione del ragazzo, che fu sollevato dal freddo pavimento per iniziare a fluttuare verso il laboratorio di Pozioni. Doveva essere immediatamente rimosso da quel corridoio, dove avrebbe potuto facilmente essere avvistato da una Umbridge particolarmente in vena di una gita nei sotterranei.

Quale posto più sicuro del suo laboratorio privato? Non poteva rispedirlo da quello stupido cane rognoso del suo padrino in quelle condizioni.

Severus, seguì il corpo del giovane a distanza ravvicinata, per controllare costantemente che la situazione non si aggravasse. Il dolore al braccio non accenna a diminuire: dubito che vada diversamente per la cicatrice di Potter, constatò.

La strada per il laboratorio sotterraneo parve più lunga del previsto.

Potter fu adagiato su un lungo tavolo da osservazione che Severus trasformò in una sorta di lettino rialzato per l’occasione. Senza perdere tempo, l’insegnante agitò la bacchetta verso l’armadietto delle scorte, dal quale – una volta aperto – uscì una piccola boccetta che volò dritta dritta nella mano tesa dell’uomo.

Severus osservò da vicino il Grifondoro. Sapeva che l’unico modo per attenuare il rossore e il gonfiore di cicatrici causate da maledizioni era quello di applicare il pregiato unguento che stringeva ora tra le dita. Conosceva le proprietà di quella pomata meglio di chiunque altro visto che l’aveva ideata lui stesso per combattere le complicazioni del Marchio Nero.

L’uomo mantenne il proprio sangue freddo mentre ignorava una fitta più acuta all’odiato emblema del Signore Oscuro. L’irritazione di quest’ultimo era chiaramente rivolta al suo discutibile ritardo; nonostante l’orrendo essere serpentesco sapesse, infatti, che – all’occorrenza – l’esperto di Pozioni poteva anche impiegare ore a Materializzarsi al suo fianco, ciò non gli impediva di continuare a torturarlo tramite il Marchio Nero per comunicargli l’urgenza della convocazione.

Non promette nulla di buono, pensò, amaramente.

Ogni ritardo doveva essere giustificato.

Obbligatoriamente.

Accantonando quei pensieri tutt’altro che allettanti, Severus toccò, riluttante, la cicatrice di Potter, spalmandovi sopra – con due dita – una piccola quantità di unguento. Era trasparente ed emanava un odore acre. Non gli aveva mai dato un nome; la sua creazione risaliva ancora alla Prima Guerra Magica e solo Silente era a conoscenza dell’uso per cui era stata progettata: Severus non ne aveva mai fatto parola con nessun altro.

Un paio di minuti dopo l’applicazione, la cicatrice sembrava già meno rossa e arrabbiata; probabilmente anche meno dolorante, visto che il volto di Potter parve rilassarsi un poco.

Il ragazzo, però, sembrava non riprendere ancora conoscenza ed era molto pallido.

«Lumos.» Severus tolse gli occhialetti rotondi dal piccolo naso di Potter e li appoggiò sul tavolino lì accanto; poi, sollevò con delicatezza le sue palpebre socchiuse, una ad una, e controllò l’attività degli occhi; non sapeva con certezza quando quel marmocchio arrogante si sarebbe ripreso, ma almeno era certo che – per il momento – fosse fuori pericolo.

Dopo aver borbottato un veloce «Nox», l’uomo evocò una Pozione per Rifornire il Sangue e la portò alla bocca di Potter con un gesto stizzito, facendogliela ingerire senza tante storie e massaggiandogli brevemente la gola affinché deglutisse correttamente senza soffocare. Presto, le guance sarebbero tornate senz’altro più rosee.

Non c’era più nulla che Severus potesse fare per l’odioso moccioso, se non alzare le barriere protettive intorno al laboratorio in cui sarebbe rimasto Potter – incantandole affinché solo Albus potesse accedervi – e facendo lo stesso con il proprio studio, in cui avrebbe lasciato il proprio Patronus con un messaggio che spiegasse al Preside – e a lui soltanto – tutto ciò che era avvenuto da quando aveva abbandonato il suo dannato ufficio circolare.

Avrei preferito mille volte rimanere nella stessa stanza con Dolores Umbridge, a continuare la nostra adorabile discussione, piuttosto che prendermi cura di uno stupido Grifondoro impertinente… Potter per giunta!

Questi furono gli ultimi pensieri di Severus Piton, prima di evocare le vesti cerimoniali da Mangiamorte – prontamente incantate affinché potessero essere nascoste sotto gli abiti quotidiani – e uscire di gran carriera dal laboratorio, in volto un’espressione priva di qualsiasi emozione.

Aveva eretto le ultime barriere di cui necessitava.  

Quelle della mente.
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Lord Voldemort stava contando otto, nove… dodici dei suoi servitori più fedeli – quelli appartenenti alla cerchia più intima – fare la propria apparizione intorno a lui, in uno spettacolo di fumose volute nere.

Ne mancava ancora uno.

Il più utile.

Il più prezioso.

I raffinati interni della villa abbandonata che torreggiava su Little Hangleton erano immersi nell’ombra; le persiane abbassate e le finestre perfettamente serrate escludevano la tenue luce che quella mattinata estiva offriva.

La dimora che un tempo era appartenuta alla ricca famiglia Riddle si era rivelata un nascondiglio perfetto per Voldemort, nel periodo che aveva preceduto la sua rinascita corporea.

E, ora, come momentanea base per una riunione quanto mai urgente.

Il Signore Oscuro poteva leggere la sorpresa negli occhi dei suoi seguaci; poteva intravederla attraverso le pallide maschere che indossavano. Per la prima volta, dopo tanto tempo, erano stati richiamati in un orario decisamente insolito: non erano abituati a una convocazione in pieno giorno dai tempi della Prima Guerra.

Significava che qualcosa sarebbe presto cambiato.

E che quello non era un giorno come gli altri.

Era stato vicino, vicinissimo a impossessarsene…

Rabbia, furia, sete di sangue…

«Avery, Nott!» Il comando, secco e feroce, bastò a far avanzare due delle dodici figure verso il centro della cerchia, verso di lui. «La vostra sciocca inettitudine non resterà impunita…»
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Harry non sentiva più nulla.

Suoni, sensazioni…

Nemmeno il dolore alla cicatrice.

La cicatrice che aveva smesso di fare male – così male – dopo che due dita vi avevano spalmato sopra qualcosa, qualcosa dall’odore particolarmente... pungente. Sì, forse, poteva almeno riconoscere ancora gli odori.

Ma non era importante, no?

Il dolore era lentamente sparito … poteva riposare ora?

Era al sicuro? Davvero?

Quelle dita… avevano allontanato il dolore.

Harry non ricordava che qualcuno gli avesse mai toccato quel segno maledetto che portava in fronte.

Ma il dolore è scomparso ora…

… come la persona che si era preso cura di lui.
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La prima cosa che udì Severus dopo essersi Materializzato furono urla disperate e gemiti sofferenti. La seconda, invece, fu la voce fredda e sibilante dell’uomo che lo aveva privato di ciò che aveva avuto di più prezioso al mondo.

Lily.

«Severus.» L’esperto di Pozioni non degnò le due figure che si contorcevano orrendamente a terra nemmeno di uno sguardo, per concentrarsi, invece, esclusivamente su Voldemort. Quest’ultimo ricambiava, con un pericoloso scintillio negli occhi scarlatti. «Finalmente.»

Strano come in quei momenti, il pensiero di Lily tornasse più vivido che mai.

«Mio Signore.» Severus aveva riconosciuto il luogo in cui si trovavano senza aver avuto bisogno di dargli un’attenta occhiata. Era lo stesso ritrovo che avevano usato, ormai, nelle ultime tre riunioni: Villa Riddle, appena un pelo più in su rispetto al cimitero dove Potter, per poco, non aveva quasi rimesso la pelle, qualche settimana prima. L’uomo nascose quell’ultimo pensiero dietro alle sue barriere più sicure, mentre inclinava brevemente il capo in avanti. «Porto con me informazioni… importanti informazioni.»

Voldemort schiuse le labbra in un sottile sorriso compiaciuto. Severus sapeva di aver catturato il suo interesse, ma era anche certo di non averlo distolto dall’importante questione che avrebbe dovuto ora affrontare.

«Le ragioni del tuo ritardo prima, Severus.» Pronunciò quelle parole quasi in un sussurro, la voce fine come la seta. «Hanno forse a che fare con queste tue… importanti informazioni

Un altro gemito, più forte dei precedenti, si levò da uno dei due uomini a terra.

«Sì, mio Signore» rispose con prontezza Severus, senza distogliere gli occhi dall’essere di fronte a lui. Aveva indirizzato Voldemort nella giusta direzione con la propria mente, permettendogli di vedere con una certa chiarezza alcune delle scene occorse nell’ultima ora. «Riguardano lui, mio Signore… Harry Potter» aggiunse con disprezzo. Non doveva sforzarsi molto, in effetti. Per nulla.

Ci furono attimi di silenzio; persino le due figure sul pavimento, piegate nel loro dolore, sembrarono aver trattenuto il fiato. Voldemort guardò Severus per un lungo istante, trovando conferma alle sue ultime parole, ma desideroso di sapere la versione del suo servitore prima di accertarsi che fosse vera, scavando più a fondo nella sua mente.

Nagini sibilò e Voldemort socchiuse gli occhi per qualche secondo, come se si stesse focalizzando sulla faccia di Potter – in ogni suo dettaglio. In ogni suo maledetto dettaglio. Il Signore Oscuro riaprì le palpebre di colpo, lasciando vagare lo sguardo su tutti i presenti, non più solo sul Pozionista.

«E dimmi, Severus» disse, mantenendo quel tono di voce basso ed estremamente pericoloso. «Cos’hai scoperto?»

«Potter è stato danneggiato, mio Signore, gravemente danneggiato.» Severus parlò quasi meccanicamente, mentre metteva in azione il piano che si era prefigurato in testa, poco prima di abbandonare Potter nel laboratorio. «Ha subito un attacco mentale e ne sta pagando le conseguenze, le… giuste conseguenze» aggiunse, prima di continuare: «ma è stato un colpo così duro per lui che ho dovuto agire – su ordine di Silente – per fermare l’emorragia alla cicatrice.» Fece una pausa, per poi concludere: «Senza il mio intervento, gli esiti sarebbero stati… catastrofici, mio Signore. Il ragazzo sarebbe morto

Gli occhi scarlatti si dilatarono per qualche istante. Che fosse… paura? Ma Severus non ebbe mai la conferma che si fosse trattato davvero di paura: Voldemort aveva fatto scomparire velocemente quell’emozione per lasciar spazio nuovamente solo alla fredda rabbia con cui poco prima aveva torturato Avery e Nott.

«Il ragazzo… sopravvivrà?»

«Sì, mio Signore, si riprenderà.»

Il piano sembra funzionare, pensò la parte di Severus che si celava dietro le barriere alzate, non lo vuole morto; non ora.
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«Il tuo intervento è stato pronto ed efficace, Severus, hai la mia… assoluzione, per il tuo ritardo» sibilò Lord Voldemort, mentre fissava uno ad uno i propri Mangiamorte, e Piton – ormai congedato – prendeva il proprio posto nel gruppo. «Dovete sapere» esordì, coprendo, con la propria voce, i lamenti che si erano nuovamente levati in aria, «che questa mattina ho pensato bene di dare un assaggio della mia potenza a Harry Potter… ve lo ricordate, vero?» sorrise, gelidamente, osservando i brevi cenni d’assenso che riceveva dagli uomini disposti in cerchio. «Non era mia intenzione ridurlo in… fin di vita. Così debole! » rise, di gusto maligno. «Potrei schiacciarlo come un piccolo ragno… esattamente come potrei fare con ognuno di voi» aggiunse, dopo averli sentiti emettere deboli versi divertiti, insieme a lui.

Smisero all’istante. Li sentì rabbrividire e poi irrigidirsi, di fronte al suo potere.

Il potere di togliere la vita in un battito di ciglia.

Il potere di rovesciare quell’insulso mondo da luridi babbanofili.

«Sono ancora molto arrabbiato. Con tutti… tranne che con te, Severus» tornò a parlare, posando gli occhi sull’Esperto di Pozioni, «ti sei dimostrato, ancora una volta, un valido sostenitore della nostra causa, fedele e capace… come un tempo. A differenza dei molti, qui presenti» lo sguardo scarlatto tornò a tormentare gli altri Mangiamorte con fredda furia, «che oggi mi hanno profondamente deluso.»

Il silenzio tombale calò nuovamente sull’oscura sala della villa in cui si trovavano. Voldemort si aggirava lentamente nella cerchia, portandosi – di tanto in tanto – alle spalle dei Mangiamorte, come se volesse annusare la paura di ognuno di loro.

«Non siete riusciti a recuperare la formula che mi occorre per preparare il rituale!» gridò, improvvisamente, muovendosi di nuovo verso il centro, di scatto. «E voi… idioti!» puntò la bacchetta verso Avery e Nott, che ripresero a contorcersi e a gridare, sfiniti da una tortura che durava da più di un'ora. «Stavate per farvi scoprire dagli Auror!» Fece una lunga pausa, traendo lunghi respiri mentre tornava ad un tono meno acuto, ma non per questo meno terribile, anzi: «Dovrete procurarvi quella formula, senza farvi sorprendere! Ho ancora bisogno di tempo per organizzare il mio ritorno e annunciarlo al mondo intero! Ma, quando sarà il momento, tutti tremeranno…» levò la bacchetta in aria, e la sala si riempì di urla strazianti, «… anche se, per il momento, dovrò accontentarmi di voi
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Harry aprì lentamente gli occhi.

O meglio, tentò di aprirli.

Erano così pesanti… le palpebre sembravano quasi incollate, tanto erano difficili da sollevare.

Anche quando fu riuscito parzialmente nel suo intento, schiudendo le verdi iridi quel tanto che bastava per guardarsi intorno, credette ancora di essere circondato dalle tenebre in cui era scivolato poco prima.

O era passato più tempo? Sembrava essere stato solo un attimo…

La luce era così fioca lì dentro… o era, forse, più corretto dire “là sotto”? A Harry sembrava ancora di essere nei sotterranei – a giudicare dal freddo – con Piton…

Piton.

No, Piton non era certamente lì. E quello non poteva essere il suo ufficio. Nonostante non avesse ancora aperto del tutto gli occhi e non portasse gli occhiali, il ragazzo poteva almeno rendersi conto che quel posto era più grande dell’ufficio di quell’odiato idiota untuoso.

Se non fosse stato per l’insolito intorpidimento a tutti i muscoli facciali e per la stranezza della situazione, probabilmente Harry avrebbe riso. E anche tanto.

Gli piaceva come suonavano quelle parole accostate insieme.

Odiato idiota untuoso. Niente male, Harry! Dovrai dirlo a Ron quando…

«Harry?»

Chi lo chiamava? Voleva rispondere ma non ci riusciva.

«Harry… come stai, ragazzo mio?»

«Pro… fes… so… re.» Solo suoni confusi uscirono dalla bocca del giovane, che aveva riconosciuto il particolare timbro profondo e rassicurante della voce di Silente. Cercò di tirarsi su, ma una mano lo spinse con delicatezza all'indietro per farlo rilassare. Voleva chiedere a Silente cosa fosse successo e dove si trovasse, ma l’anziano mago sembrava più interessato a valutare le sue condizioni fisiche.

«Riesci a ricordarti da quanto tempo sei sveglio, Harry?»

«I-io… no…» Il ragazzo fece uno sforzo per parlare e tentò nuovamente di mettersi a sedere, senza risultato. «P-professore… c-cosa… è s-successo…?» Smettila di blaterare parole senza senso, Potter! L’aspra voce di Piton si ripeté nella sua testa ed Harry si sentì uno stupido; ma non era colpa sua, non poteva fare a meno di parlare in quel modo, di sicuro non ora… Silente sarebbe senz’altro stato più comprensivo, ne era certo.

«Rilassati, Harry, sei al sicuro» disse Silente, facendolo di nuovo stendere e lasciando una mano sulla sua spalla, mentre con la bacchetta nell’altra faceva un po’ di luce sul viso del ragazzo. «Il peggio è passato ora, tra non molto credo che potrai anche tornare a Grimmauld Place dai tuoi amici, ma» il Preside lo trattenne con gentile fermezza, sentendo il ragazzo fare ancora pressione per rialzarsi, «solo quando i tuoi valori saranno rientrati completamente nella norma.»

Harry fissò la faccia sfuocata di Silente: l’uomo era irremovibile; il proprio viso si era illuminato di gioia al pensiero di tornare da Sirius e gli altri… doveva ancora raccontare così tante cose a Ron e Hermione, compreso quel maledetto incubo da cui era partito tutto!

«E… le lezioni con Pit… il professor Piton?» si costrinse a chiedere, sperando che Silente avesse accantonato il proprio piano.

«Oh, non le ho dimenticate, Harry.» Silente offrì un piccolo sorriso, un brillio divertito negli occhi azzurri. «Ma temo di dover prendere in considerazione l’idea di parlare prima con Severus al riguardo» aggiunse, con serietà, «visti i recenti avvenimenti.»

Harry non voleva pensare allo scambio di battute avuto con Piton, ma fu sollevato di sentire che Silente avrebbe, almeno, rivisitato qualche parte del suo disegno. «Professore?» chiese. «Potrei avere i miei occhiali?» Chi glieli aveva tolti? Harry li inforcò non appena Silente glieli ebbe passati e si guardò attorno, incuriosito. «Ehm… dove mi trovo?»

«Questo» esordì Silente, sorridendo di nuovo, «è il laboratorio privato del professor Piton, Harry. So cosa è successo tra di voi nel suo ufficio e di quanto è accaduto dopo: Voldemort ti ha attaccato tramite la cicatrice, di nuovo, ma – questa volta – in modo più grave… E’ stata un’immensa fortuna che Severus ti abbia trovato in tempo per portarti qui e prestarti soccorso.»

Harry sbatté le palpebre più volte, incredulo e inorridito al tempo stesso.

Era stato Piton a prendersi cura di lui?!

Piton, che doveva averlo visto in chissà quali orribili condizioni…

... Piton che avrebbe avuto altri innumerevoli modi per prendersi gioco di lui ora…

… ora che aveva assistito a quello che per lui doveva essere stato uno spassoso spettacolo!

Harry distolse lo sguardo dal Preside, gli occhi verdi offuscati da un’ombra, mentre cercava di controllare il rancore che lo aveva improvvisamente assalito.

Rancore verso Silente, senza il quale a quest’ora sarebbe ancora a Grimmauld Place, tra le uniche persone che riuscivano a mostrargli dell’affetto.

Verso Piton, di cui poteva immaginare il maligno ghigno sulle labbra, nel momento in cui lo trovava, bisognoso di cure.

E verso di se, così debole e stupido da non riuscire mai…

mai, mai, mai

… a badare a se stesso.
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Capitolo 6
*** Doubts and Certainties ***


VI.
Doubts and Certainties




Albus Silente osservò il viso tormentato di Harry Potter con gentile interesse. Il ragazzo evitava il suo sguardo, cercando di mascherare tutte le emozioni che i suoi occhi – così espressivi – avrebbero altrimenti tradito.


Ad Albus non serviva l’uso della Legilimanzia per capire cosa gli passasse per la testa. Harry era evidentemente giù di morale per le ultime parole che aveva appena sentito pronunciare dalla sua bocca riguardo alla cicatrice e a Severus. Il pensiero di Voldemort non lo stava sfiorando neanche lontanamente, almeno per il momento.

Era lui il problema… se stesso.

Harry si sentiva inadeguato.

Impotente.

Per qualsiasi cosa, anche la più semplice, probabilmente.

«Harry? A cosa pensi?»
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Harry si scosse un poco, ricordandosi della presenza di Silente.

Che razza di domanda era? Silente avrebbe potuto leggergli nella mente in qualsiasi istante, perché rivolgergli domande così stupide?

«A nulla» disse, e si irrigidì, cercando di non esternare l’irritazione che l’aveva assalito poco prima e che non si era ancora sopita del tutto.

«Harry, sai meglio di me che non è possibile pensare a nulla» gli sorrise gentilmente il vecchio mago. «C’è qualcosa che ti turba, parlarne ti farà sentire meglio.»

Il ragazzo strinse debolmente i pugni intorno al telo scuro del lettino su cui era ancora costretto a stare sdraiato. Parlarne ti farà sentire meglio. Sicuro, pensò, irritato, come l’anno scorso, no? Ma parlare non è servito a riportare Cedric indietro, né a farmi dimenticare di quegli orrori che ancora sogno la notte.

«No, signore, non ho niente da dire» fu la sua risposta, quanto più calma possibile.

Silente sospirò. «Ne hai parlato con Sirius?»

Ecco. La conferma che Silente sapeva a cosa stava pensando.

«Sirius non può risolvere nulla, come nessun altro!» esclamò Harry, incapace di trattenere oltre la rabbia che sentiva crescere sempre di più verso Silente e le sue stupide e inutili parole. Non era più un bambino! «E non voglio che legga nella mia mente come un libro aperto..:!»

«Non ho bisogno di leggere nella tua mente per sapere cosa si prova ad assistere alla mor…»

Harry non voleva sentir pronunciare quelle parole. «Me lo dimostri allora!» gridò, fuori di se.

«Ma tu guarda… già in grado di urlare contro qualcuno, Potter? Quale notevole ripresa…»

La voce annoiata di Piton li raggiunse dall’ingresso del laboratorio, prevenendo qualsiasi risposta da parte di Silente alla richiesta di Harry. Avanzò verso di loro – le mani incrociate sul petto, intorno all'abituale veste nera – e si fermò a qualche passo dal cono di luce della bacchetta del mago più vecchio.

«Severus…» esordì Silente, con una strana nota nella voce, ma Piton parlò prima che potesse aggiungere qualcos’altro.

«Da quanto tempo Potter è sveglio?» domandò, con freddezza.

Silente non rispose subito, indugiando con lo sguardo sul volto in ombra di Piton. Senza staccargli gli occhi di dosso, rispose: «Da circa mezz’ora. Sono arrivato mentre riprendeva conoscenza.»

«Dolores Umbridge?»

«E’ tornata al Ministero.»

Calò un insolito silenzio.

Harry si chiese cosa stesse succedendo. C’era evidentemente qualcosa di strano, molto strano, ma cosa? E perché Piton non si mostrava, né si degnava di guardarlo? Non che gli importasse veramente, ma dal tono di voce di Silente poteva dire con certezza che c’era qualcosa che non andava.

E poi, non sapeva ancora chi diavolo fosse questa Dolores Umbridge.

«Harry, lascia che controlli i tuoi valori attuali» disse, alla fine, il Preside, chinandosi nuovamente su di lui, «così potremo considerare l’idea di farti tornare a Grimmauld Place.»

Volevano sbarazzarsi di lui, allora. Proprio adesso che sembrava esserci qualcosa di interessante da ascoltare, nessuno voleva parlare davanti al povero, piccolo Harry. Il giovane dovette trattenersi dall’esprimere apertamente ciò che pensava dei due maghi, ma non riuscì a mascherare del tutto l’espressione corrucciata che gli si palesò in viso quando Silente iniziò a eseguire un Incanto Diagnostico su di lui, senza neanche attendere una risposta.

«Sembri essere tornato in perfetta salute» constatò il Preside, sorridendogli con dolcezza, «vieni, prova a scendere a terra; dovresti essere in grado di usare la Metropolvere, la Materializzazione sarebbe troppo stancante per te ora.»

Harry si lasciò scivolare giù dal lettino; poteva stare tranquillamente in piedi senza sforzo. Seguì Silente verso lo spento e spoglio camino della grande stanza senza dire una parola, ma lanciò uno sguardo a Piton quando si fu fermato. Era ancora immerso nell’ombra.

«Severus, possiamo?»

Il professore annuì con un breve, secco cenno rivolto al Preside e distolse gli occhi dai due, posandoli su quella che aveva l’aria di essere una boccetta per unguenti – posta sul tavolino accanto al letto dove si trovava Harry fino a poco prima.

Quest’ultimo inarcò un sopracciglio. Il Pipistrello dei Sotterranei sembrava davvero avere qualcosa che non andava… Perché non si stava comportando da odiato idiota untuoso, come suo solito? Harry si era aspettato ben più di quella piccola punzecchiatura iniziale. Niente battute sarcastiche ai suoi danni? Nessuna maligna presa in giro sulle sue condizioni fisiche?

Che diavolo è successo?

La curiosità verso quella situazione anomala aveva improvvisamente fatto svanire tutto l’astio che aveva provato poco prima verso se stesso e i due uomini.

«Ti contatterò quando sarà il momento, Harry» disse Silente, guardandolo avanzare nel camino vuoto e prendendo una manciata di Polvere Volante dal contenitore sulla mensola lì sopra. «Considera quello di cui abbiamo parlato prima… Buon ritorno.» Gettò la polvere nel camino dal quale comparvero immediatamente fiamme verdi.

Harry annuì senza troppa convinzione e, dopo un breve saluto, gridò: «Grimmauld Place, numero 12!»

Il laboratorio di Piton scomparve dalla sua vista e, così, il professore stesso e Silente, mentre Harry – tutto impolverato – atterrava con le ginocchia sul pavimento scricchiolante di Casa Black, stanco e confuso per gli ultimi avvenimenti.
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Severus si sedette pesantemente in una delle poltrone poco distanti dal lettino, nella zona vicino alla grande libreria che ricopriva quasi un intero lato della stanza; nella mano destra stringeva l’unguento con cui aveva trattato la cicatrice di Potter prima di raggiungere Voldemort.

L’Esperto di Pozioni poteva sentire su di se lo sguardo preoccupato di Silente, che si stava allontanando dal camino per avvicinarsi a lui, in modo da vederlo meglio alla luce delle torce. Il vecchio mago voleva evidentemente avere una conferma alle intuizioni che poco prima aveva quasi rivelato di fronte a quel moccioso di Potter.

Severus sapeva che erano esatte.

Il suo volto era pallido, molto più pallido del solito; un sottile velo di sudore gli copriva la fronte corrucciata. Le dita tremavano ancora, ma più lievemente rispetto a prima, quando – a braccia incrociate – aveva dovuto stringerle forte intorno alla veste per mascherarne i fremiti.

Albus lo guardò aprire la boccetta con qualche difficoltà. «Dovresti pensare prima agli effetti della Maledizione Cruciatus, Severus» suggerì, osservandolo mentre si arrotolava la manica della camicia intorno al gomito, scoprendo il braccio marchiato.

Severus emise un piccolo sbuffo in risposta, occupato a spalmare la pomata sull’orrendo segno arrossato e dolente; solitamente, la pelle bruciata impiegava almeno un paio di giorni prima di mostrare gli effetti della guarigione.

Vedendo che l’uomo più giovane non accennava a voler seguire il suo consiglio, Albus agitò vagamente la bacchetta in direzione dell’armadietto delle scorte, che Severus – nella fretta che aveva seguito il richiamo di Voldemort e le cure prestate a Potter – aveva lasciato socchiuso. Una pozione dal colore chiaro fluttuò fino al tavolino accanto alla poltrona dove si trovava il Pozionista.

Quest’ultimo inarcò un sopracciglio e guardò brevemente il Preside, prima di tornare a dedicarsi al Marchio Nero. «Se l’avessi ritenuta opportuna, avrei potuto richiamarla io stesso» parlò, controllando al meglio il tremito nella voce, come aveva fatto prima di fronte a Potter. «Non era arrabbiato con me, Albus, la Maledizione è durata solo pochi minuti» aggiunse, riferendosi a Voldemort.

«Severus, Harry non è più qui, non è il caso che ti ostini a nascondere le conseguenze della Cruciatus.» Albus scosse il capo; la testardaggine di Severus Piton non avrebbe mai smesso di meravigliarlo. «Raccontami dell’incontro» aggiunse, prendendo posto nella seconda poltrona, mentre osservava l’uomo di fronte a lui evocare un panno per ripulirsi le dita dall’unguento.

Il sopracciglio di Severus si era inarcato ancora di più nel sentir nominare Potter in quella circostanza, ma, alla richiesta del Preside, fissò i propri occhi neri in quelli azzurri di lui, in uno sguardo torvo. «Ha punito Avery e Nott per oltre due ore – tutto il tempo dell’incontro» esordì, senza emozione, «hanno fallito nel trovare la formula, come gli altri, ma, in più, stavano per farsi sorprendere dagli Auror… al Ministero, credo.»

Silente ascoltava con attenzione, la luce rossastra delle torce appese ai muri che si rifletteva negli occhi chiari. Osservò Severus concedersi un sorso della pozione che avrebbe fatto rilassare più facilmente i suoi muscoli tesi e i nervi accavallati, e sorrise appena.

«Il Signore Oscuro non ha fatto il nome del luogo che è toccato a quei due incapaci, ma sono quasi sicuro che si tratti davvero del Ministero – come avevamo ipotizzato –, a giudicare dai pensieri che passavano nella testa di Lucius.» Severus si concesse un ghigno soddisfatto. «Sembra che Malfoy ne sappia più degli altri; probabilmente il Signore Oscuro gli ha chiesto di trovare un modo per scoprire se la formula si trova sotto stretta sorveglianza degli Auror, in uno dei Dipartimenti Segreti.»

Silente tacque per qualche istante, prima di mormorare: «E questo ci porta al nostro secondo problema… Sappiamo entrambi cosa c’è celato in uno di quegli uffici, Severus. La Profezia di cui Voldemort non deve venire in possesso.»

L’Ex-Mangiamorte sembrò perdersi per qualche istante in ricordi lontani. «Non l’ha dimenticata… mai» disse lentamente, distogliendo lo sguardo da Silente e fissandolo nel vuoto.

Rimasero in silenzio per diversi minuti, ciascuno immerso nei propri pensieri, finchè non fu lo stesso Severus a romperlo. «Ho dovuto rivelare al Signore Oscuro dell’incidente avvenuto oggi con la cicatrice; avrebbe trovato sospetta un’ora di ritardo per qualsiasi cosa non concernesse il ragazzo…» si interruppe per un attimo, ricordando come il suo racconto gli aveva permesso di evitare una punizione ben peggiore di qualche minuto di Cruciatus... a quella nessuno scampava mai, nonostante le cosiddette assoluzioni di Voldemort. Tornò a guardare Silente con un’espressione quanto più impassibile sul viso. «… Potter necessita urgentemente di apprendere Occlumanzia, Albus.»

Silente lo osservò accuratamente, prima di abbozzare un sorriso quasi… divertito.

Severus lo fissò, confuso. Come può sorridere dopo quello che gli ho appena raccontato?

«Severus, non credevo che mi avresti reso così facile il compito di spiegarti il mio piano riguardo a Harry» disse Silente, gli occhi che brillavano allegramente. «Ero certo che avrei dovuto passare l’intera giornata cercando di convincerti, ma offrirti volontariamente è davvero cortese da parte tua...»

Severus impiegò un secondo per realizzare quello che stava implicando il vecchio mago. «No!» ruggì, balzando in piedi, in viso un’espressione di puro orrore mista a rabbia. «Non ho mai detto che sarei stato io a insegnare a quello stupido moccioso impertinente!» urlò, fuori di se.

Albus non fece una piega di fronte alla sua reazione; era abituato all’irascibilità che acquisiva usualmente Severus durante le loro discussioni private, nel momento in cui il suo nome veniva accostato – nella stessa frase – a quello di Harry.

«Non voglio avere nulla a che fare con Potter!» abbaiò l’insegnante di Pozioni, prima di dare bruscamente le spalle a Silente e prendere a camminare su e giù davanti alla libreria, imprimendo in ogni passo tutta la sua furia.

«Severus,» lo chiamò Albus, dopo averlo lasciato andare avanti e indietro per un po’, nella speranza che riacquistasse il proprio autocontrollo, «so che pensavi di suggerire me, ma sei ben consapevole del fatto che non posso essere io a insegnare Occlumanzia a Harry» disse con calma.

L’Ex-Mangiamorte si girò di scatto verso di lui; le vesti nere ondeggiarono intorno alla sua figura, seguendone il movimento con estrema perfezione. «Era questo il tuo piano, fin dall’inizio,» sibilò gelido, gli occhi neri immersi in quelli azzurri del Preside, «è per questo che mi hai fatto trovare Potter nel mio ufficio oggi.»

«Severus, so di chiederti tanto» continuò Silente, alzandosi a sua volta, e muovendo un passo verso l’altro uomo, «ma credimi: è l’unico modo che abbiamo per proteggerlo come Lily avrebbe…»

«Non – nominare – il – suo – nome – ora» soffiò Severus, pronunciando separatamente ogni parola, come se gli costasse uno sforzo immenso mantenere la fredda calma che era riuscito a raccogliere dopo l’esplosione iniziale, senza mettersi a gridare di nuovo contro il Preside.

Tacque e, per diversi minuti, l’unico suono udibile nella stanza fu il ticchettio dell’antico pendolo che segnava le tre del pomeriggio passate da un angolo immerso nell’ombra. Infine, Silente sospirò e si diresse verso le scale che portavano all’uscita del laboratorio, non prima di aver lanciato un ultimo sguardo all’irato insegnante di Pozioni.

«Aspetto una tua risposta entro stasera, Severus» disse, tranquillo. «So che farai la scelta giusta.»

Aveva mosso appena qualche passo quando gli giunsero due semplici parole.

Poco più che un fruscio per le sue orecchie.  

«Non posso.»
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«Harry, ti abbiamo aspettato per il pranzo, ma sei stato via per più di quattro ore!»

Il ragazzo si guardò intorno, confuso. Qualcuno l’aveva aiutato a rimettersi in piedi dopo che era caduto nell’arrivare con la Metropolvere, probabilmente era stato Sirius, il quale lo fissava ora, con un’espressione ansiosa in viso.

Più di quattro ore? Era stato incosciente per tutto quel tempo?

«Harry, è successo qualcosa?» La voce di Sirius lo riportò alla realtà.

Harry non era sicuro di cosa rispondere. «Ehm… no, è tutto a posto, Sirius» si sorprese a dire, dopo qualche istante.

Non se la sentiva di spiegare subito quello che era successo nelle ultime ore; non riusciva a vedersi mentre raccontava a Sirius di come aveva urlato contro Piton (anche se sapeva che al suo padrino avrebbe fatto immensamente piacere sapere della bizzarra espressione sorpresa che era riuscito a far balenare sul volto impassibile del professore), o di come aveva creduto di morire quando la cicatrice si era aperta ed era svenuto… Ma, soprattutto, non voleva parlare del fatto che fosse stato proprio Piton a rimetterlo in sesto.

Era qualcosa che, semplicemente, non riusciva a figurarsi in mente.

Né ad accettare. Come una sorta di conflitto interno a cui non era in grado di dare un nome.

«Di cosa aveva bisogno Silente?» insistè Sirius, chiaramente non convinto della risposta sbrigativa datagli dal ragazzo, il quale stava – nel frattempo – cercando con lo sguardo Ron e Hermione.

Li trovò poco distanti da lui, mentre osservavano in silenzio la scena, alquanto sorpresi della risposta evidentemente evasiva che aveva dato all’uomo di fronte a lui. «Sirius, credo… credo che sia meglio se te lo spieghi Silente stesso…» Un guizzo di luce sorpresa attraversò gli occhi di Sirius. Ecco, pensò mestamente Harry, devo averlo offeso.

La verità era che non sapeva quanto bene il suo padrino avrebbe preso la notizia di eventuali lezioni private con Piton. In più, c’era un’alta probabilità per cui avrebbe allertato Sirius per nulla: chi gli assicurava che Piton avrebbe accettato la richiesta di Silente? Harry sperava con tutto il cuore in un suo rifiuto.

Il ragazzo pensò di aggiungere qualcosa, vedendo l’espressione di Sirius farsi più apprensiva, ma la voce della Signora Weasley non gli diede il tempo di aprir bocca per rimediare.

«Oh, Harry caro, sei tornato! Vieni, ho riscaldato il pasticcio di carne che ho messo da parte per te…» Lo prese per un braccio gentilmente, ma con fermezza, e se lo portò di là in cucina senza permettergli di protestare su quanta poca fame avesse in quel momento.
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Quella sera, Hogwarts era immersa in un’inconsueta nebbia, fine e umida; un raro spettacolo estivo, di cui l’uomo ammantato, che scivolava sul dolce pendio del parco, non si curava minimamente. L’aria era piacevolmente fresca intorno a lui.

Severus usciva raramente dal castello; se non per svolgere incarichi da parte dell’Ordine o di Voldemort, le sue escursioni nel parco erano dovute alla raccolta di erbe e risorse per rifornire le scorte del suo laboratorio, soprattutto in vista del nuovo anno scolastico. C’erano particolari ingredienti, per esempio, che dovevano essere recuperati sotto precise condizioni: il professore di Pozioni sapeva che quella era una sera perfetta per rimediare alcune tra le più pregiate varietà di felci e verbena.

Tuttavia, nonostante le motivazioni prettamente pratiche, quella della raccolta di piante rare era anche una buona scusa per allontanarsi da Hogwarts e, soprattutto, dalla costante presenza di Silente. Severus sapeva che quando il vecchio mago voleva una cosa, raramente demordeva nel suo intento di ottenerla.       

Sadico manipolatore… non cadrò di nuovo nella tua trappola.

Albus sembrava adorare ricordargli costantemente la responsabilità che si era assunto quando – in una maledetta notte di tanti anni prima – aveva promesso che avrebbe fatto tutto quanto in suo possesso per aiutarlo a proteggere il figlio di Lily.

Ma quando Severus aveva dato la propria parola al riguardo, non era mai stato sfiorato – nemmeno per un istante – dal pensiero che quello stesso giuramento avrebbe potuto implicare, un giorno, la costruzione di un legame tra se stesso ed Harry Potter, il figlio dell’odioso ragazzino viziato che l’aveva tormentato per i sette lunghi anni della sua vita scolastica.  

Eppure, lo studio dell’Occlumanzia richiedeva uno stretto rapporto di reciproca fiducia tra chi avrebbe insegnato l'arte e chi l'avrebbe appresa. Un concetto basilare che consentiva il successo in quella particolare branchia magica e di cui Albus era ben al corrente.      

Come poteva, dunque, fargli una richiesta simile?

Come poteva anche solo illudersi che lui, Severus Piton, avrebbe messo da parte tutti i sentimenti di rancore e odio che aveva provato per James Potter e che erano stati automaticamente trasferiti in suo figlio, la prova vivente della scelta di Lily per un altro uomo, per il suo acerrimo rivale?

Deve essersi completamente rimbambito se crede davvero di poter far funzionare qualcosa del genere tra me e quel moccioso impertinente, pensò, mentre si aggirava tra gli arbusti e gli alberi ai limitari della Foresta Proibita.
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Harry aveva passato il resto del pomeriggio in camera sua con Ron e Hermione; desideroso com’era di raccontare loro tutto quello che era successo dalla sera precedente, il ragazzo era uscito solo per cenare e soddisfare eventuali bisogni, prima di rintanarsi in camera per lasciarsi andare ad un sonno, possibilmente, ristoratore.

Era stato ansioso di sentire le teorie dei suoi due amici riguardo al comportamento di Piton, soprattutto. Harry si era chiesto dove fosse stato per tutto il tempo che lui era rimasto incosciente, nel laboratorio, prima di essere trovato da Silente. E come mai quest’ultimo, invece, avesse agito in modo tanto circospetto.

Le cose non quadravano, ma per Ron il motivo era molto semplice: Piton si era limitato a fare lo stretto indispensabile e aveva poi pensato bene di lasciarlo lì, mezzo stordito e solo, perché non sopportava di stare nella stessa stanza con Harry per più del tempo necessario a rimetterlo in se.

Hermione, al contrario, non si era sbilanciata più di tanto: secondo lei, non c’erano grandi motivi per giudicare “strane” le azioni del professore; aveva svolto il suo lavoro sia di docente che di membro dell’Ordine, salvaguardando la salute di uno studente, ma, soprattutto, di Harry Potter. Per quanto riguardava la sua assenza e l’ambiguità del suo comportamento post-ritorno, era convinta nel fatto che Harry non poteva essere certo di essere davvero rimasto da solo per tanto tempo visto che era incosciente.

Il Ragazzo Che E’ Sopravvissuto non cercò minimamente di smuoverli dalle loro idee. Era stanco, sia mentalmente che fisicamente e l’unica cosa con cui si era trovato d’accordo con i due amici era che l’idea di Silente fosse orrenda e necessaria al tempo stesso: da una parte, come diceva Ron, passare chissà quante ore con Piton l’avrebbe fatto trasformare in un grosso pipistrello o in un cinico bastardo, o, molto probabilmente, tutte e due; dall'altra parte, Harry era convinto quanto Hermione che si dovessero prendere seri provvedimenti contro le visioni mandategli volontariamente o no da Voldemort.

Ne avrebbe avuto la prova quella sera stessa.

Quando, prima di addormentarsi, si chiese perché gli interessasse tanto sapere cosa avesse mai potuto costringere Piton a seguirlo, – come aveva detto Silente – dopo che gli aveva urlato contro, e poi a lasciarlo solo, dopo aver stabilizzato le sue condizioni fisiche.

Gli interessava per… gratitudine?

Prima di scivolare nel sonno, il ragazzo ricordò di quella volta in cui Silente gli aveva spiegato la questione dei debiti tra i maghi. Era per riconoscenza verso Piton che si sentiva così strano? O forse era per qualcos’altro…?

Pensò a come era stato strano e, al tempo stesso, confortante sentirsi toccare per la prima volta la cicatrice in quello stato di semi-incoscienza e smarrimento. Non sapeva cosa avesse alleviato quel dolore terribile, ma non poteva fare a meno di associare quel tocco alla scomparsa di tutta quella sofferenza, paura, disperazione…

… gemiti silenziosi, soffocati… lo scricchiolio di rami e… l’agghiacciante suono di giunture spezzate...

… una figura nera si contorce sulla terra umida, nella foresta… nera come la massa disordinata di capelli che coprono il volto dell’uomo sofferente…

«Sirius!» vuole gridare Harry, ma non può, dalla sue labbra continua a uscire una sola, terribile parola…

«Crucio!» si sente urlare, euforico, ma non è la sua voce…

… non è la sua voce… «CRUCIO!»

L’uomo a terra continua a piegarsi su se stesso, ma ostenta la ferrea volontà di non piegare il proprio spirito, la propria dignità… perché non urla? Perché non grida di smetterla?

«Poni fine al dolore… urla… diglielo, Harry… urla!»

La sagoma cerca di rialzarsi, continuando ad agitarsi in silenzio, ma ricade su un fianco, mentre il suono raccapricciante di altri “Crucio” si unisce a quello delle articolazioni rotte… e la tortura prosegue… prosegue…

«Basta una tua parola, Harry… una tua parola e il dolore svanirà…»

Una ciocca di capelli neri scivola dal viso dell’uomo, che si torce ora sulla schiena, a faccia in su, verso di lui, verso Harry…

… due occhi neri come la notte…

... un viso pallido...

… non era Sirius…

«No... BASTA!!»
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Capitolo 7
*** A Chat Between Old Friends ***


VII.
A Chat Between Old Friends





«No… BASTA!!»


L’urlo di Harry aveva svegliato tutti gli abitanti di Grimmauld Place dai loro pacifici sogni.

Sirius si era precipitato nella stanza dove dormiva il suo figlioccio e aveva trovato Ron che cercava di destare Harry dall’incubo in cui sembrava ancora profondamente immerso. Il ragazzo si agitava nel letto, sudato e con un’espressione terrorizzata in volto, come se stesse assistendo a chissà quali orribili scene.

Dopo diversi tentativi, Sirius e Ron riuscirono nel loro intento ed Harry spalancò gli occhi di scatto, balzando in mezzo al letto. Sembrava quasi sorpreso di vedere intorno a se facce amiche.

«E’… è Piton… Voldemort lo ha preso… lo sta torturando…» farfugliò confusamente, non appena ebbe riconosciuto i volti familiari di Sirius e Ron.

Questi ultimi si scambiarono un’occhiata stranita; di certo, si erano aspettati di tutto tranne che Harry stesse sognando di Piton. Sirius, soprattutto, sembrava quasi scioccato. Harry fissò le loro espressioni basite e si chiese perché nessuno dei due si muovesse a dare l’allarme.

«Dobbiamo avvisare l’Ordine… Silente…!» esclamò, facendo per alzarsi dal letto, ma fu spinto indietro – con cautela – dalla mano che Sirius gli aveva posato sulla spalla prima, quando aveva cercato di svegliarlo.

«Harry, è stato solo un incubo» tentò di calmarlo, utilizzando un tono ragionevole. «Quell’idiota di Mocciosus sarà sicuramente rintanato nel suo oscuro laboratorio a giocare al piccolo chimico come sem…» stava aggiungendo, con un mezzo ghigno sarcastico.

«Non è stato un incubo!» gridò Harry, profondamente irritato dal comportamento di Sirius.

Possibile che fosse così infantile? A dispetto di tutto il rancore che, nel corso di quattro anni, non aveva fatto altro che crescere, nei confronti dell’insegnante di Pozioni, Harry non riusciva a capire come Sirius potesse agire così solo perché si trattava di Piton. Era certo che il proprio padrino non sarebbe stato altrettanto cinico e riluttante nell’allertare gli altri se al posto di ‘Mocciosus’ si fosse trovato qualsiasi altro membro dell’Ordine.

Sirius lo guardò con apprensione. Che fosse in preda alla febbre? «Harry, credo che tu non capisca che quel pipistrello troppo cresciuto può cavarsela anche da solo…»

«No, Sirius, tu non capisci!» Harry non sapeva se il suo padrino avesse mai subito la Maledizione Cruciatus in vita sua, ma lui la ricordava molto bene. Come poteva dimenticare quando Voldemort l’aveva punito nel cimitero, quell’estate?  Sentì la pelle accapponarsi al ricordo del dolore che aveva provato, un dolore che non avrebbe mai potuto augurare a nessun altro, di sicuro nemmeno a Piton, nonostante tutti i loro dissapori. «Voldemort potrebbe ucciderlo in qualsiasi momento… Ho bisogno di Silente!»

In quel momento, dalla porta aperta fece capolino la testa di Arthur Weasley.

«Signor Weasley!» esclamò Harry, sollevato, prima che qualcuno potesse dire qualcosa o interromperlo. «Signor Weasley, la prego, devo vedere Silente… il professor Piton è stato catturato da Voldemort…»

Arthur lo fissò per qualche secondo, mentre cercava di riprendersi dal sentir pronunciare il nome del Signore Oscuro. «Harry… sei sicuro che si tratti davvero di una visione?» domandò, con aria confusa.

Harry non era più sicuro di nulla. Non l’aveva neanche sfiorato l’idea che potesse essere stato solo un incubo, semplicemente perché era stato tutto così reale; aveva potuto non solo vedere Piton e Voldemort, ma sentire, quasi, il suo dolore, la sua angoscia, e l’irritazione di Voldemort per il fatto che l’uomo si ostinasse a non urlare.

«I miei incubi si avverano generalmente» insistè il ragazzo, «non possiamo rischiare che Pit…»

«D’accordo» tagliò corto – un po’ troppo bruscamente – Sirius, come se gli desse fastidio anche solo sentir pronunciare quel nome. «Arthur, chiama Silente, vedrà lui cosa fare.»

Harry ignorò il suo tono poco convinto e gli lanciò uno sguardo grato. Le immagini dell’orrenda tortura a cui aveva assistito – anzi, partecipato – continuavano a ripetersi nella sua testa; avrebbe dato qualunque cosa per dimenticare, anche solo per un istante, il suono raccapricciante delle articolazioni spezzate, della voce di Voldemort che lanciava la Maledizione… voleva dimenticare la sua stessa voce che gridava quell’orrenda parola, riecheggiante nella propria testa… Crucio… crucio… crucio…

Il ragazzo convinse Sirius a fargli abbandonare il letto per seguire il signor Weasley al piano di sotto e si fece aiutare dal padrino e da Ron a scendere le scale; era ancora profondamente scosso da tutte quelle visioni e le gambe gli tremavano ad ogni passo. Quando fu in salotto, poté finalmente lasciarsi cadere sul divano consunto – sfinito dal tragitto percorso – sotto gli sguardi preoccupati della Signora Weasley, di Ginny ed Hermione.

Quest’ultima si avvicinò all’amico per sedersi accanto a lui e dargli conforto con la propria silenziosa presenza; aveva in viso un’espressione incerta, che non le si addiceva affatto. Harry l’avrebbe trovata quasi buffa in circostanze normali. Hermione lanciava di tanto in tanto occhiate interrogative a Ron, ma il rosso si limitava a scuotere piano la testa, in viso un’espressione scettica e preoccupata al tempo stesso.

Il signor Weasley stava parlando a bassa voce con qualcuno al di là del camino scoppiettante. Dopo qualche minuto, si girò verso di loro e disse: «Silente sarà qui a momenti, Harry.»

Il ragazzo annuì, mentre osservava distrattamente la signora Weasley, che aveva seguito Hermione e aveva evocato un panno affinché Harry potesse asciugarsi il sudore. Il giovane non si era nemmeno accorto di avere la maglietta incollata alla schiena e accettò volentieri la premura di Molly, cercando di abbozzare un debole sorriso, al quale la mamma di Ron rispose strizzandogli con dolcezza una mano tra le sue.

I minuti passavano lentamente e di Silente non si vedeva neanche l’ombra. Harry si era aspettato che il vecchio mago si sarebbe precipitato da loro e sentì crescere dentro di se una strana ansia. Perché il Preside ci impiegava tanto? Si stava forse assicurando che Piton fosse davvero scomparso…?

Mentre l’attesa si prolungava fino a diventare snervante, Fred e George apparvero nella piccola stanza dove ormai erano tutti riuniti. Harry era tanto teso, che quasi balzò sul divano al suono del crack con cui si manifestarono; la Signora Weasley li accolse con uno sguardo ammonitore.

«Cos’è successo?» domandarono i gemelli, ricevendo in risposta un’altra occhiataccia.

Le fiamme del camino iniziarono a diventare verdi in quel momento.

«Fred, George, accompagnate vostra sorella di sopra» disse Molly, mentre tutti osservavano far capolino dal fuoco i primi lembi della veste di Silente, «e anche voi, ragazzi» aggiunse rivolta a Ron e Hermione, «sarebbe meglio se lasciassimo che Harry…»

«Ma proprio ora che inizia a farsi tutto così interessante!» protestarono i gemelli, gli occhi fissi sull’alta figura di Silente, che aveva appena fatto il suo ingresso nel salotto e aveva appena salutato con un generico, ma cordiale «Buonasera.»

Fred e George sembravano sul punto di aggiungere qualcos’altro per far valere le proprie tesi con i genitori, ma il camino avvampò di nuovo pochi istanti dopo l’entrata del Preside.

Harry sbatté le palpebre più volte di fronte alla comparsa di un Severus Piton in perfetta forma, ma più infastidito che mai. L’uomo avanzò con grazia oltre il focolare scoppiettante, con il nero mantello da viaggio che si muoveva alle sue spalle con altrettanta eleganza; ogni tratto del viso era teso a formare la solita maschera arcigna e indurita di cui era usualmente adornato.

I gelidi occhi neri fissarono quelli verdi del ragazzo esattamente come avevano fatto durante l’incubo: oscuri pozzi senza fine, privi di qualunque emozione. Dopo aver indugiato sull’espressione incredula di Harry per qualche secondo, Piton arricciò le labbra e inarcò un sopracciglio.   

«Deluso di vedermi, Potter?» disse, beffardo.

Harry sentì le guance avvampare, mentre avvertiva gli sguardi dei presenti incollati su di se. Gli sembrava ancora impossibile che Piton fosse lì, senza nemmeno un graffio e più sprezzante che mai, mentre lui aveva fatto la figura del completo idiota davanti a tutti. Improvvisamente, provò l’urgente bisogno di cancellare quell’orrendo ghigno dalla faccia dell’untuoso idiota una volta per tutte, ma era ancora così confuso da non riuscire nemmeno a riordinare i pensieri nella testa.

Cercò di evitare lo sguardo di Piton e si rivolse a Silente. «Io… io ho visto come lo torturava…» tentò di spiegare, nonostante si sentisse sempre più stupido. «Ho… sentito la voce di Voldemort…»

Tutti – all’infuori di Silente – trasalirono e per qualche istante nessuno aprì bocca.

«Ragazzi, lasciamo che Harry parli con il professor Silente» la signora Weasley parve essere la prima a sforzarsi di riprendersi dall’aver sentito nominare Voldemort. «Su, tutti a letto!»

Nonostante il disappunto ben visibile nei loro occhi, Ron, Hermione, Ginny e i gemelli non osarono fiatare e si incamminarono verso le camere, ai piani superiori, solo dopo aver lanciato un ultimo sguardo furtivo a Harry.

Sirius non mosse un muscolo per seguire Molly e Arthur nella sala accanto. Continuava a fissare Piton con uno sguardo di puro odio e sembrava volergli far rimangiare da un momento all’altro il tono con cui si era rivolto poco prima al suo figlioccio.

«Non lascerò Harry in compagnia di Mocciosus» disse a denti stretti. «E’ già abbastanza scosso per quello che ha visto, ha bisogno di me al suo fianco» guardò Silente in cerca di approvazione, ma Piton aveva già spostato gli occhi su di lui, in un gesto annoiato.  

«Che cosa commovente, Black» commentò, in tono di scherno, «immagino che potremmo anche sistemare un tappeto ai piedi di Potter, affinché tu possa consolarlo nel modo che più ti si addice: da bravo cagnolino.»

Sirius mosse un minaccioso passo verso di lui, ma Silente si fece avanti, interponendosi tra i due. «Severus, Sirius, per favore» disse, fermamente, in un tono che non ammetteva repliche. «Siamo qui per capire cos’è successo in modo da aiutare Harry, non per riprendere amichevoli chiacchierate tra vecchi compagni di scuola.»

Harry sentiva che la testa gli sarebbe presto scoppiata. Aveva voglia di urlare loro che lui era ancora lì e che la dovevano smettere di parlare come se non ci fosse; l’unica cosa che lo trattenne dal farlo era che si sentiva troppo stanco per mettersi a gridare come avrebbe davvero voluto.

«Harry» si rivolse a lui Silente, mentre prendeva posto nella stessa poltrona che aveva occupato la mattina precedente, «Arthur mi ha spiegato a grandi linee cosa è successo; vorrei che tu mi raccontassi esattamente cosa hai visto, sentito e… provato, durante l’incubo.»

Il ragazzo trasse un respiro profondo, cercando di riprendere un minimo di padronanza di se. Avvertì Sirius sedersi accanto a lui e, dopo aver deglutito, si costrinse a ricordare ad alta voce, uno per uno, tutti i dettagli di quell’orrenda visione. Mentre raccontava trovava difficile guardare Silente negli occhi, perché sapeva che dietro di lui, immobile come una statua, c’era Piton, il cui sguardo freddo non aveva mai abbandonato il volto di Harry.

Quest’ultimo aveva evitato il più possibile di alzare gli occhi sul professore di Pozioni, soprattutto mentre – con un vago rossore sulle guance altrimenti pallide – descriveva nei particolari ogni sensazione della tortura di cui l’uomo era stato protagonista nell’incubo. Quando, tuttavia, al termine del resoconto commise l’errore di guardare Piton, vide che l’uomo era livido di rabbia.

Non c’era traccia di paura.

Solo rabbia.

 «Quindi» esordì Silente, con calma, alla fine, «dal sogno sembrava che Voldemort fosse al corrente di dove sia realmente riposta la fedeltà di Severus in questa guerra?»

«Tutto ciò è ridicolo» sbottò Piton, tastandosi nervosamente il Marchio Nero. «Il Signore Oscuro si fida di me, Preside, altrimenti non sarei qui a parlarne, dopo l’incontro di questa mattina…» Harry si fece più attento e l’uomo gli rivolse un’occhiata minacciosa, prima di continuare: «… Deve trattarsi dell’ennesima falsa visione di cui Potter è afflitto.»

«Già, ma per quale motivo?» domandò Silente, più a se stesso che a qualcuno di loro. «Perché avrebbe dovuto mandare un’immagine in cui tu sei coinvolto nella tortura, Severus? Di certo Voldemort saprà che avrebbe potuto infliggere una punizione di gran lunga maggiore, per Harry, inviandogli un’altra visione su Sirius…» si interruppe per un istante, mantenendo gli occhi fissi in quelli di Harry e il ragazzo avrebbe giurato di vedere, per un attimo, l’ombra di un sorriso dietro alle labbra semiaperte del Preside, come se fosse stato appena colto da una rivelazione.

In un lampo, un’idea tutt’altro che piacevole attraversò la testa di Harry. Poteva mai, Voldemort, essere consapevole del fatto che la sua mente fosse stata occupata, per la stragrande maggioranza della giornata, da pensieri – consapevoli o inconsapevoli (se si contava anche lo stato di incoscienza in cui era sprofondato dopo l’attacco di quella mattina) – concernenti Piton?

Harry ricordava come si era interrogato tutto il giorno sul comportamento dell’insegnante e su quella strana sorta di riconoscenza che si era insinuata in lui dopo i fatti di quella mattina. Persino prima di addormentarsi la sua mente era corsa alle sensazioni provate durante gli attimi in cui aveva perso i sensi…  

Anche Silente sembrava essere arrivato alla stessa conclusione, qualche attimo prima di lui. Harry non sapeva se il vecchio mago gli stesse leggendo nel pensiero, ora, o se fosse al corrente di fatti che lui, invece, non conosceva, ma sentì l’urgente bisogno di chiarirsi una volta per tutte le idee, parlando con lui e lui soltanto.

Di certo non davanti a Piton.

E nemmeno di fronte a Sirius.
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Severus era più che irritato.

Era furente.

Quella giornata era stata un vero inferno, possibile che Potter e tutti i suoi problemi dovessero perseguitarlo anche di notte?

Come se non bastasse, era costretto a dover sopportare la presenza di Black nella stessa stanza in cui Silente aveva suggerito loro di andare, quando Potter aveva espresso il desiderio di parlare solo con il Preside.

Be’, certo, era stata una vera e propria sorpresa sentire che l’odioso marmocchio non desiderava il suo fido cagnolino accanto a se per quell’occasione, quasi ancora più sorprendente dell’essere chiamati dal Preside nel cuore della notte – durante la raccolta di importanti ingredienti – solo perché Potter aveva fatto un brutto sogno che lo riguardava.

Non gli era mai capitato niente di più assurdo.

Che diavolo importa a Potter dei miei affari con il Signore Oscuro?

Scosse la testa, concentrandosi sull’unica cosa che gli interessava davvero in quel momento e sul reale motivo del suo cattivo umore: un brutto presentimento gli diceva che Silente sarebbe senz’altro uscito da quella discussione con un ottimo motivo per convincerlo a insegnare a Potter quella dannatissima Occlumanzia.

Non doveva fare altro che aspettare il momento in cui avrebbe firmato la propria ‘condanna a morte’.
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«Credo che una spiegazione sia d’obbligo.»

Albus osservò i due uomini che sostavano di fronte a lui; Sirius e Severus evitavano di guardarsi e se ne stavano, rigidi e immobili, a qualche metro di distanza l’uno dall’altro. Il vecchio mago li aveva richiamati in salotto dopo aver finito di parlare con Harry e dopo avergli suggerito di tornare in camera per cercare di riprendere sonno, o – se preferiva – per aggiornare il suo amico Ron sulle ultime novità.

«Visti i recenti avvenimenti, temo che un… cambio di piani sia estremamente necessario.»

«Di che piani stiamo parlando, Silente?» chiese Sirius, impaziente.

Albus lo guardò intensamente, prima di parlare. «La scorsa mattina, Harry ha subito un altro grave attacco mentale da parte di Voldemort a Hogwarts. Prima che tu aggiunga qualcosa» lo anticipò, vedendolo aprire bocca, «Harry mi ha assicurato che l’unico motivo per cui non ti ha informato di quanto accaduto è che non voleva farti preoccupare ulteriormente.»

Piton emise un basso sbuffo, in viso un’espressione profondamente disgustata, come se fosse sul punto di dare di stomaco da un momento all’altro.

«Se non fosse stato per l’intervento immediato di Severus, Harry non sarebbe – molto probabilmente – sopravvissuto» proseguì Albus, guardando Sirius lanciare un’occhiata sospettosa all’insegnante di Pozioni. «Ora, sappiamo con assoluta certezza che Voldemort non tenterà più di provocare la morte di Harry tramite la loro connessione mentale, ma è altrettanto certo che gli attacchi potrebbero intensificarsi e farsi più pericolosi sia per lo stato fisico che psicologico del ragazzo.» Fece un’altra pausa, prima di aggiungere: «Per questo motivo, ho chiesto a Severus di avviare Harry allo studio dell’Occlumanzia.»

Sirius impallidì di colpo. Adocchiò aggressivamente Piton, prima di sbottare, incredulo: «Lui… cosa

«E’ una decisione altamente necessaria da prendere… tanto quanto quella di trasferire Harry a Hogwarts.»

«COSA?» gridarono Piton e Sirius all’unisono, prima di scambiarsi uno sguardo di puro odio.

«Preside, mi sembrava di essere stato chiaro sul mio rifiuto riguardo all’insegnamento di Potter, non considererò neanche per un istante l’idea di convivere con la sua costante presenza ad Hogwarts!» esclamò Piton, più bianco di quanto già non fosse.

«Harry non andrà da nessuna parte, Silente, soprattutto non con lui!» urlò Sirius, indicando con disgusto Piton, il volto trasformato in una maschera terrificante. «Il suo posto è qui, accanto al suo padrino!»

Albus sollevò due mani per placare le loro furiose proteste. «Severus, non sarai di certo costretto ad ospitare Harry nei tuoi alloggi, il ragazzo potrà stare nella Torre di Grifondoro: Minerva non avrà problemi a dargli un occhio» assicurò, mentre l’espressione minacciosa di Piton si intensificava ancora di più. «Sirius, cerca di considerare la salute di Harry: d’ora in avanti sarà soggetto a costanti e violenti attacchi che, sebbene non dovrebbero risultare mortali, potrebbero consistere in un severo debilitamento mentale e fisico. E’ più sicuro avere qualcuno che sappia trattare efficacemente i danni che potrebbe subire e che questo qualcuno sia il più vicino possibile al ragazzo: Madama Chips, ma – soprattutto – Severus si dimostreran…»

«LUI NON TOCCHERA’ HARRY NEANCHE CON UN DITO!» ululò Sirius, fuori di se e rosso di rabbia, mentre guardava Piton come se fosse sul punto di balzargli addosso per sbranarlo.

«Come se io fossi d’accordo!» sbraitò Severus. «Non ho nessuna intenzione di fare di nuovo da babysitter a Potter, e sono sicuro che nemmeno quello stupido ragazzino viziato potrebbe mai sottostare a un piano così folle

«Si dà il caso, che Harry abbia già accettato la mia proposta.»
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«Albus? Abbiamo sentito urlare poco fa, cosa… oh!»

La signora Weasley trattenne un piccolo strillo acuto alla vista che le si parò davanti quando lei e il marito varcarono la soglia del salotto: vedere Sirius Black immobile, sdraiato sul divano mentre russava placidamente e Severus Piton, nelle stesse condizioni, accasciato nella poltrona di fronte a lui, non era certamente uno spettacolo di tutti i giorni.

«Nulla di cui preoccuparsi Molly, la situazione stava sfuggendo un po’ di mano ai nostri due amici qui presenti, e ho pensato che un po’ di riposo avrebbe giovato ai loro nervi e alla loro… come si dice? Oh, sì… sete di sangue.» Silente le offrì un piccolo amabile sorriso, prima di tornare a osservare i due uomini.

Era stato necessario lanciare loro un incanto per farli addormentare, prima che la discussione degenerasse seriamente.

A quanto pareva, nessuno dei due aveva preso bene e – soprattutto – con maturità, quella che era l’unica soluzione che avrebbe potuto dimostrarsi sicura e producente al fine di trattare il problema di Harry.

Albus sospirò.

Lo attendeva ancora una lunga notte.

Sarà meglio che mi procuri una Pozione Calmante per quando si sveglieranno… prevedo un risveglio tutt’altro che piacevole.
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Harry non era riuscito a prendere sonno dopo essere tornato in camera sua.

A malapena era stato in grado di raccontare a Ron ciò che lo avrebbe atteso per il resto dell’estate.

Il Preside era certo che dopo il discorso che avrebbe affrontato con Piton, il professore di Pozioni non avrebbe avuto obiezioni alla sua ‘proposta’. Harry si domandò se ci fosse ancora qualcosa che non sapesse.

«Silente vuole farti passare l’estate a Hogwarts?» aveva esclamato l’amico, incredulo. «Con Piton? Perché mai dovrebbe volerti punire in questo modo?»

Harry pensò che la sua espressione fosse molto simile a quella che aveva assunto lui stesso nel momento in cui Silente lo aveva messo al corrente del suo piano. Il ragazzo aveva sgranato gli occhi, scioccato e orripilato al tempo stesso, mentre una sensazione di crescente panico si era rapidamente fatta strada dentro di lui.

In qualsiasi altra circostanza, l’idea di trascorrere l’estate a Hogwarts l’avrebbe eccitato più di ogni altra cosa, ma il solo pensiero di abbandonare Sirius e i suoi amici per seguire Piton e passare gran parte delle sue vacanze da solo o – peggio ancora – con lui, lo faceva stare male.

«Silente mi ha detto che potrò tornare qui, ogni tanto. Andare a Hogwarts è solo una precauzione: c’è l’infermeria, oltre alle ingenti scorte di pozioni di Piton, ed è un luogo magico estremamente potente: Silente è convinto che la Magia Nera di cui è impregnata Grimmauld Place potrebbe influire negativamente sull’apprendimento di un’Arte Mentale come l’Occlumanzia» spigò Harry, in tono rassegnato, ricordando le rassicurazioni del Preside.

Aveva avuto difficoltà ad accettare tutto quello che era successo nelle ultime ore. Era quasi arrivato a maledirsi per la sua, cosiddetta ‘mania di salvare tutti’ – come amava chiamarla Hermione; tuttavia, Harry non si era pentito di aver allertato quasi metà Ordine solo per il suo incubo, nonostante l’umiliazione che aveva provato quando Piton gli aveva sogghignato, sprezzante, proprio in faccia.

D’altronde, Harry non si era aspettato di meno dall’odiato insegnante di Pozioni. Ciò che non sopportava, era che Voldemort stava diventando sempre più pericoloso, stava imparando – come gli aveva confidato Silente – ad usare la connessione tramite la cicatrice a proprio piacimento, mandandogli immagini che era certo l’avrebbero turbato profondamente.

Era questo il motivo per cui gli aveva mandato una falsa visione di Piton che veniva tormentato. Silente non si era sbilanciato più di tanto (Harry era quasi del tutto sicuro che non gli avesse rivelato tutte le proprie teorie al riguardo), ma gli aveva spiegato che Voldemort doveva aver percepito il senso di debito e… gratitudine, che il ragazzo aveva iniziato a provare da quella mattina verso il professore.

Ciò non voleva dire che il mostro serpentesco sospettasse di Piton come spia.

Alla luce delle nuove osservazioni, Harry aveva, dunque, preso la propria decisione.

Era riuscito a convincersi della necessità di quelle lezioni, che – nel caso in cui fossero andate a buon fine – gli avrebbero permesso di contrastare le terrificanti scene che rappresentavano la morte di Sirius, le orrende torture ai danni di chi gli stava intorno e tutte le altre diavolerie, false e non, mandategli da Voldemort.

Avrebbe dato il proprio meglio per sconfiggerlo e per trionfare nella furiosa battaglia tra le loro menti.

Anche se ciò avesse voluto dire trascorrere un’intera estate con Severus Piton.
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Capitolo 8
*** Clear Your Mind ***


VIII.
Clear Your Mind




«Era proprio necessaria una soluzione tanto drastica, Preside?»


«Severus, mio caro ragazzo, ero solo preoccupato per la vostra reciproca incolumità.»

Piton fece una smorfia mentre si massaggiava con cura, dietro la nuca, un punto del collo estremamente indolenzito. Essere tornati a Hogwarts con la Metropolvere non aveva fatto altro che peggiorare gli effetti di intorpidimento causati da quello stupido incantesimo. Che tu sia dannato, Albus…

«Harry arriverà qui nel pomeriggio» lo informò Silente, portandosi dietro alla scrivania, nel suo ufficio circolare, e facendo segno al professore di sedersi. «Prima inizierà con l’Occlumanzia, meglio sarà.»

«Non ho mai avuto scelta, vero?» sibilò Severus, ignorando l’invito e fissandolo con ostilità, le pupille ridotte a due fessure.

Albus lo osservò per qualche istante prima di sedersi nella propria poltrona e parlare di nuovo. «Mai quanto ora dovresti considerare l’importanza di queste lezioni» si interruppe brevemente, gli occhi azzurri che vagavano con serietà sul volto dell’altro uomo, teso in un’espressione accusatoria. «C’è di mezzo il tuo ruolo di spia, oltre che – naturalmente – la tua incolumità.»

«Albus, ti ripeto che il Signore Oscuro non sospetta…»

«Non sospetta ora, Severus, è vero… ma potrebbe iniziare a farlo» rimarcò Silente. «Ha percepito qualcosa di diverso nei pensieri di Harry, qualcosa che concerne te. Il ragazzo era in uno stato emozionale confuso la scorsa mattina, l’attacco lo aveva debilitato profondamente: Voldemort ha approfittato dei dubbi e dei pensieri insinuatisi in Harry – dopo il tuo rapido intervento per curarlo – e li ha usati contro di lui questa notte. Ha capito che il ragazzo si sente in debito verso di te… l’ha capito prima di Harry stesso!»

«In debito?» ripeté Severus, in tono vacuo, mentre sosteneva lo sguardo intenso del Preside e inarcava un sopracciglio. «Albus, ti rendi conto delle sciocchezze che stai dicendo? Ho salvato la vita a Potter in ben altre occasioni, perché mai dovrebbe sentirsi…»

«Severus, apri gli occhi» lo interruppe Silente, incrociando le dita di ambo le mani davanti a se e sporgendosi un po’ più in avanti sulla scrivania, «Harry non è il ‘marmocchio presuntuoso e viziato’ che reputi tuttora essere. Ti ricordo che – al di là del debito – il figlio di Lily ha subito tre attacchi mentali nel giro di una giornata e che la sua stabilità emotiva ne ha chiaramente risentito: è evidente che per lui ha significato molto essere tratto in salvo dall’oscurità di cui Voldemort l’aveva fatto prigioniero l’altra mattina… nonostante fossi stato tu a salvarlo, l’uomo che ha sempre fatto di tutto per rendergli le lezioni di Pozioni un inferno.»

Il figlio di Lily.

Il viso di Severus si era fatto via via sempre più livido ad ogni parola pronunciata da Silente. «Non accetterò di essere giudicato da te in nessun modo, Albus» disse, la voce bassa che iniziava a tremare dal nervoso.

«Non ti sto giudicando, Severus» rispose tranquillamente il Preside, «ti sto mettendo davanti alla nuda verità.» Lo osservò in silenzio ancora per qualche istante, prima di aggiungere, con una nota stanca nella voce: «Alla luce del pericolo a cui questa connessione espone non solo Harry, ma anche te e la tua copertura di spia per l’Ordine… posso avere la tua parola che ti impegnerai affinché il ragazzo apprenda efficacemente l’Occlumanzia?»

Severus distolse gli occhi dal volto segnato del vecchio mago e li posò ostinatamente sul paesaggio notturno che si intravedeva dalla finestra dell’ufficio. Odiava tutto di quella situazione, ma, d’altra parte, Silente aveva trovato un ottimo punto a favore della propria tesi: se avesse perso i favori del Signore Oscuro e, quindi, la possibilità di informare l’Ordine dei suoi piani sarebbe diventato inutile… esattamente come Black.

E questo non poteva accettarlo.

«Che mi dici della Umbridge?» domandò, evitando di rispondere subito a quella spinosa questione. «Potter non sarà nei guai a girare per il castello con la possibilità di incappare in qualche visita a sorpresa di quell’insopportabile donna?»

Silente sorrise, con gli occhi che brillarono vivacemente. «Severus, il tuo interesse per il ragazzo mi sorprende» commentò, guardando – divertito – l’altro uomo che roteava gli occhi al soffitto, chiaramente stizzito dalla sua innocente presa in giro. «Il Ministero sarà tenuto a informarci in anticipo delle prossime ispezioni, come d’accordo con Caramell. Avremo tutto il tempo per far sì che Harry non si trovi al castello quando Dolores Umbridge, o qualsiasi altro inviato, verrà a farci visita.»

«Immagino che Potter non sia al corrente della sua… reputazione al Ministero» disse lentamente Severus, continuando a guardare fuori dalla finestra.

«No, ma dubito di poterlo tenere all’oscuro di tutte quelle malignità ancora per molto» disse Silente. «Posso solo assicurarmi che non mettano le mani sul ragazzo solo per strappargli informazioni che non può dare o per ridicolizzarlo davanti al mondo magico.»

Severus non disse nulla per parecchi istanti, evidentemente non interessato alle ultime parole del Preside. Pensava alla risposta che avrebbe dovuto dargli di lì a poco; gli costava uno sforzo enorme ammettere di non avere altra scelta se non quella di accettare l’incarico.

Il cattivo presentimento che aveva avuto poco prima, a casa dell’idiota pulcioso, si era infine avverato. Silente l’aveva convinto. Anche questa volta.

«Penso che ti lascerò il piacere di informare Potter del fatto che la nostra prima lezione di Occlumanzia si terrà in tarda serata, oggi stesso, Albus» disse, mellifluo, voltandosi e facendo per andarsene, ignorando il sorriso compiaciuto che si era dipinto sulle labbra del Preside.

«Sapevo che avresti fatto la scelta giusta, Severus» disse Albus, amabilmente, osservandolo andare verso la porta e posare una mano sulla maniglia. «Ti ringrazio per aver compreso le mie ragioni… posso sempre fare affidamento su di te.»

Severus avrebbe preferito mille volte non sentirsi dire nessuna di quelle parole. Borbottò un rapido saluto e uscì dall’ufficio circolare, diretto verso l’ala dei sotterranei che ospitava le sue stanze. Durante il tragitto, non fece altro che maledire la propria lealtà verso il Preside. Il vecchio mago se n’era sempre approfittato ed era decisamente più facile prendersela verso di lui piuttosto che verso ciò che provava ancora nei confronti di Lily Evans.

Quale sortilegio ha usato il vecchio manipolatore per trasformarmi in un dannato Tassorosso? Pensò con amaro sarcasmo, per poi scuotere la testa di fronte a quell’orribile pensiero.
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I buoni propositi di Harry sarebbero stati messi a dura prova nelle successive settimane, il ragazzo ne era certo. Sapeva di doversi aspettare tutt’altro che una passeggiata e che Piton avrebbe fatto di tutto per farlo pentire di aver accettato di ricevere lezioni da lui.

Si costrinse a non pensarci troppo, mentre percorreva i corridoi che l’avrebbero condotto dall’ufficio del Preside fino alla Torre di Grifondoro, dove Silente aveva già inviato il baule che il giovane aveva preparato per la sua permanenza al castello. Sapeva che se avesse riflettuto ancora su tutta quella questione, probabilmente avrebbe fatto dietrofront e sarebbe tornato a Grimmauld Place di corsa.

Non voleva ammetterlo a se stesso, ma le parole espresse dai suoi amici in mattinata riguardo alla sua scelta avevano influito non poco sul suo umore attuale.

Se Ron era stato scioccato dai suoi propositi di impegnarsi in ciò che Piton gli avrebbe insegnato e Hermione si era dimostrata comprensiva e fiduciosa (nonostante fosse sembrata un po’ preoccupata alla prospettiva di un’estate passata quasi interamente in un castello semi-deserto, per quanto si trattasse di Hogwarts), Harry aveva riscontrato una reazione decisamente più intransigente da parte di Sirius.

«Harry, sebbene io possa capire che tutto ciò ha come fine il tuo bene, sei proprio sicuro che Piton sia la persona più adatta per ricoprire questo ruolo? Voglio dire… è di Piton che stiamo parlando!» aveva esclamato quella mattina il suo padrino, ripresosi da una nottata infernale.

«Non si tratta di essere adatti o non adatti, Sirius» aveva cercato di spiegargli per l’ennesima volta Harry, stanco di continuare quella discussione che il migliore amico di suo padre non voleva considerare chiusa. «Piton è l’unico che può insegnarmi a bloccare la mente, hai sentito Silente…»

Harry provò a rimuovere del tutto il pensiero di Sirius che insisteva a farlo ragionare e proseguì verso il settimo piano, osservando distrattamente i familiari corridoi e le sale illuminate dalla luce del sole estivo che stava attraversando. Era davvero strano camminare per una Hogwarts così silenziosa e calma.

Dovrò farci l’abitudine prima o poi, pensò, con una scrollata di spalle. Se non altro, ho il pomeriggio libero prima della lezione con Piton di stasera, magari potrei fare un salto al Campo di Quidditch oggi e…

«Potter.» La voce severa di Minerva McGranitt lo riportò bruscamente alla realtà; la donna lo fissava con il  capo leggermente inclinato di lato, come se stesse riflettendo su dove fosse il ragazzo con la testa.

«Il professor Silente ha messo al corrente me e il resto della staff qui presente della tua permanenza estiva al castello. Ti ricordo che in qualità di Direttrice di Grifondoro, sarò tenuta a monitorare le tue azioni come durante un normale anno scolastico… affinché tu non ti esponga ad eventuali pericoli… di qualsiasi sorta» disse, fissandolo con il suo sguardo penetrante, come a lasciare intendere che se fosse andato in cerca di guai, lei l’avrebbe saputo.

Harry deglutì e cercò di abbozzare un piccolo sorriso, per nulla convincente. «C-certo, professoressa…» disse, osservando un punto – apparentemente molto interessante – appena sopra la spalla dell’insegnante, per non incrociare i suoi occhi pungenti.

«Immagino tu stia andando al Dormitorio» proseguì Minerva, «posso fare affidamento sul fatto che sarai in grado di arrivarci senza incorrere in nessun tipo di… imprevisto?»

Harry riportò lo sguardo su di lei e fu tentato di inarcare un sopracciglio in modo interrogativo. Era il suo modo per offrirsi ad accompagnarlo fino alla Sala Comune? Teme forse che potrei avere un attacco durante il tragitto da qui alla torre? Pensò, con un po’ di irritazione.

Era evidente che Silente aveva pensato bene di mettere al corrente Minerva McGranitt della sua particolare situazione attuale… Be’, poteva anche essere stata una buona mossa visto che, oltre ad essere un membro dell’Ordine della Fenice, la donna era anche Vicepreside e Direttrice di Grifondoro. Tuttavia, Harry non poté fare a meno di sperare che Silente avesse ritenuto saggio avvisare solo lei e non anche gli altri docenti riguardo al motivo della sua permanenza.

«Ehm… starò bene, professoressa» disse Harry, cercando di non far emergere troppo la sua frustrazione. «Davvero» aggiunse, con un po’ più di energia del dovuto, per rendere ancora più convincenti le proprie parole.

La McGranitt indugiò con lo sguardo su di lui ancora per qualche istante, come se non fosse sufficientemente soddisfatta della sua risposta e si sentisse in dovere di accertarsi che il ragazzo potesse effettivamente raggiungere la Torre di Grifondoro senza problemi. «Molto bene, signor Potter» sospirò, infine, «generalmente i dormitori non sono protetti d’estate, ma per ovvi motivi di sicurezza abbiamo deciso di ripristinare le parole d’ordine: ‘Fiat Lux’ è quella attuale. Ti avviserò nel caso dovesse cambiare.» Fece per riprendere a camminare, non prima di aver aggiunto: «Se avessi bisogno di me, sarò nel mio ufficio… Buona giornata.»

Harry annuì, borbottando un piccolo ‘grazie’ per la sua disponibilità. In realtà, si sentiva già come un uccello in gabbia; non erano le attenzioni a dargli fastidio, quanto il fatto che gli adulti gli davano sempre la sensazione di non fidarsi di lui e che per questo andasse sorvegliato nell’eventualità che commettesse qualche sciocchezza.

Sospirò, raggiungendo, infine, la Torre di Grifondoro; la Signora Grassa lo accolse con un caloroso bentornato e si fece da parte per lasciarlo passare. Harry si diresse immediatamente verso dormitorio che aveva da sempre condiviso con Ron, Neville, Dean e Seamus per sistemare le proprie cose nella stanza.

Non è la stessa cosa essere qui senza di loro, pensò amaramente, sentendo anche quel poco di eccitazione che aveva provato quella mattina all’idea di andare ad Hogwarts svanire del tutto, sostituita da un velo di nostalgia.

Immerso nei propri pensieri, iniziò a tirare fuori dal baule i libri e i vestiti da disporre nel dormitorio.
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«Chiudi la porta, Potter.»

Harry sentì la solita ansia che provava ogni volta che si ritrovava a varcare la soglia dell’ufficio di Piton attanagliargli lo stomaco più del previsto. Sebbene non avesse fatto nulla di speciale tutto il pomeriggio, a parte riordinare i suoi affetti, leggere e fare una passeggiata per il castello, il tempo era passato decisamente troppo velocemente per il ragazzo e il momento di raggiungere Piton nei sotterranei era infine arrivato.

«Immagino che il Preside ti abbia già spiegato a grandi linee in cosa consiste l’Occlumanzia» disse l’insegnante di Pozioni, con un tono sbrigativo e profondamente annoiato, una volta che Harry si fu chiuso la porta alle spalle ed ebbe preso posto nella sedia indicatagli. «Si tratta di un’arte che predispone la mente affinché questa sia in grado di bloccare qualsiasi tipo di penetrazione esterna, proteggendo i propri pensieri, ricordi e… le emozioni

La sua voce era andata via via assottigliandosi, tanto da sembrare un labile sussurro alle orecchie di Harry, al quale quella situazione piaceva sempre di meno.

«Esistono essenzialmente due modi per allenare la mente a chiudersi secondo il proprio volere» Piton si interruppe, vedendo il ragazzo muoversi nervosamente sulla sedia; arricciò impercettibilmente un angolo della bocca, assaporando l’evidente agitazione che Harry stava mostrando di fronte a quella pausa volutamente protratta, «quello che adotterò io consiste nel forzarla ad aprirsi in un modo analogo a quello che hai sperimentato con il Signore Oscuro…» osservò l’espressione di orrore dipintasi sul volto del ragazzo, prima di aggiungere, soave: «… con la differenza che non è mio obiettivo primario torturarti fino a farti impazzire.»

Harry rabbrividì. Quelle parole erano tutt’altro che rassicuranti: Piton stava facendo di tutto per metterlo a disagio. Lo osservò vuotare alcuni pensieri in quello che aveva tutta l’aria di essere il Pensatoio di Silente.

«Il tuo compito sarà quello di…»

«Professore? E l’altro metodo?» sentì l’urgenza di chiedere Harry, desideroso di venire a conoscenza dell’alternativa che Piton aveva evidentemente scartato.

«Non interrompermi, Potter» soffiò l’uomo, stringendo le labbra, gli occhi che scintillavano pericolosamente. «L’altro metodo non sarà adottato, pertanto, non ti sarà di alcuna utilità scoprirne le caratteristiche. Come stavo dicendo,» proseguì, ignorando il lampo deluso che aveva attraversato gli occhi del ragazzo, «tutto ciò che dovrai fare, Potter, sarà cercare di bloccare i miei tentativi di accedere alla tua mente.»

Harry attese che Piton gli dicesse almeno in che modo avrebbe dovuto provare a resistere, ma – con crescente panico – si accorse che l’uomo si era già alzato e aveva mosso la bacchetta in direzione della scrivania che li separava, allineandola contro una delle pareti laterali per lasciare campo libero tra se e il ragazzo.

«Fuori la bacchetta, Potter» mormorò dolcemente Piton, sorridendo beffardo di fronte allo sguardo disorientato di Harry. «Ti servirà per tentare di difenderti nel modo che preferisci; è proprio il caso che ti ricordi che il Ministero non potrà mai rintracciare la tua magia visto che ti trovi a Hogwarts? Ora concentrati e svuota la mente, al mio tre ti attaccherò.»

Harry fissò disperatamente la bacchetta di Piton, mentre estraeva la propria e sentiva le mani cominciare a sudare. L’angoscia si era ormai impossessata di lui, rendendogli difficile riordinare anche i pensieri più semplici.

Tre secondi per prepararmi??

«Uno…»

Non mi ha nemmeno detto come fare a svuotare la mente!

«… due…»

Dannazione! Non sono pronto… non sono pronto… non sono pronto…

«… tre. Legilimens!»

Fu peggio di quanto Harry si fosse aspettato. La violenza dell’incantesimo che gli colpì la mente fu tale da fargli vorticare dolorosamente i pensieri nella testa e l’ultima cosa che il ragazzo sentì, prima di essere sopraffatto dalle memorie in cui Piton stava scavando, fu la propria voce gridare.

L’ufficio e la figura dell’insegnante erano spariti istantaneamente, mentre Harry si rivedeva bambino, nel cortile della sua scuola elementare, circondato da Dudley e i suoi amici che lo fissavano con prepotenza… un attimo dopo era nel sottoscala di Privet Drive, coperto dalla polvere e dai ragni che suo cugino si divertiva a fargli cadere addosso, saltando sui gradini sopra di lui… Una luce abbagliante segnò l’ennesimo cambio di scena: il professor Raptor cercava di strappargli la Pietra Filosofale di mano… Ginny Weasley giaceva immobile nella Camera dei Segreti… un Dissennatore scivolava verso di lui sull’Espresso per Hogwarts… Sirius gli voltava le spalle e si allontanava, in un incubo…

«Protego!»

«Questa è ciò che chiami concentrazione, Potter?»

Il volto indurito di Piton tornò nel campo visivo del ragazzo, che sbatté le palpebre più volte per mettere a fuoco la vista. Stava tremando; per quanto fosse stato debole, il Sortilegio Scudo che era riuscito a richiamare, gli aveva permesso, almeno, di tornare padrone di se.

«Non… riesco… non…» balbettò Harry, aggiustandosi gli occhiali che rischiavano di cadergli dal naso e cercando di riprendersi.

«Non riesci a fare cosa, Potter?»

«Non riesco a concentrarmi… se non mi dice… come fare» ansimò Harry, tentando di regolarizzare la respirazione e di controllare la rabbia che minacciava di sopraffarlo: Piton non lo stava affatto aiutando, anzi, stava facendo di tutto per rendere la situazione più difficile. «Ho bisogno… di più tempo

«Tempo?» ripeté piano Piton, inarcando un sopracciglio, in viso un’espressione imperscrutabile. «E secondo te, Potter,» proseguì, con lo stesso tono di chi si sta rivolgendo a un idiota, «il Signore Oscuro ti concederà il tempo di cui necessiti, la prossima volta che ti attaccherà?»

«Io…» tentò di dire Harry, sistemandosi meglio sulla sedia e lanciandogli uno sguardo obliquo, ma Piton mosse un passo verso di lui.

«Inizia a prepararti da subito, Potter» disse aspro, sollevando di nuovo la bacchetta, «non avrai il lusso di lamentarti con Lui, quando verrà il momento! Legilimens!»

«Ah!»

… Sirius gli sfuggiva, sempre più lontano… un dolore disumano gli esplodeva nella testa… Voldemort che rideva… sangue copioso che scorreva dalla cicatrice… e poi, il nulla… nessuna sofferenza… nessuna risata agghiacciante… solo… pace… e… sicurezza… donategli da quel tocco…

Con orrore, Harry provò ad opporsi con tutte le forze a quel ricordo, senza successo; ma più cercava di nasconderlo a Piton e più scivolava in quella memoria che non voleva far vedere, non doveva far vedere…

Poi, senza preavviso e con sua enorme sorpresa, la visione e le sensazioni, che essa aveva risvegliato svanirono, e il ragazzo si ritrovò a carponi sul freddo pavimento di pietra, ansante e sconvolto. Solo dopo diversi istanti di silenzio arrivò a capire che poteva essere stato solo Piton ad aver interrotto il contatto e, quindi, il ricordo.

Con il viso imperlato di sudore, rosso per l’imbarazzo e la collera per essere stato attaccato di sorpresa, Harry si costrinse ad alzare gli occhi sul professore di Pozioni, che non aveva ancora aperto bocca. Piton aveva fatto un passo indietro e lo fissava con un’espressione che Harry non gli aveva mai visto in volto: sembrava quasi… turbato. Gli occhi neri lo scrutavano con aria assorta, come se non stessero realmente vedendo il volto del ragazzo ma, di nuovo, la scena di poco prima.

Harry non aveva mai desiderato tanto diventare invisibile quanto in quel momento. Dominando a stento l'istinto di gridare qualcosa contro Piton riguardo ai suoi metodi d'insegnamento, voltargli le spalle e correre via, aspettò, con ansia crescente, l’aspro commento che sapeva sarebbe arrivato da un momento all’altro…

«Alzati, Potter» disse bruscamente Piton, in volto la solita espressione fredda e distaccata nuovamente al suo posto.
«La lezione di oggi termina qui.»

Harry si rialzò, incerto e osservò Piton dargli le spalle in un gesto secco. Vedendo che l’uomo non aggiungeva nulla, si azzardò a chiedere, sorprendendo soprattutto se stesso: «E… la prossima lezione, signore
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Severus non si voltò, riportando la scrivania al suo posto con un rapido movimento della bacchetta e scrutando il muro di fronte a se, chiuso in un ostinato silenzio.

Possibile che quel moccioso non capisce mai quando è il momento di sparire dalla mia vista?

Trasse un profondo respiro, prima di scandire, stizzito: «Ti presenterai qui ogni sera, allo stesso orario di oggi. Esercitati a chiudere la mente prima di andare a dormire… a meno che tu non voglia ripetere i patetici tentativi di resistere che hai mostrato poco fa.»

Per qualche istante, non percepì nessun movimento alle proprie spalle, come se Potter stesse indugiando ancora, ma, alla fine, udì i passi del ragazzo verso l’uscita, sentì la porta dell’ufficio aprirsi e poi richiudersi, e seppe di essere finalmente solo.

Quello che aveva visto nella mente di Potter l’aveva sorpreso, sì… nonostante le parole che Silente gli aveva rivolto la notte precedente dopo essere ritornati da Grimmauld Place.

Era questo che intendeva, quando parlava del debito che Potter sente di dovermi? Pensò, sedendosi dietro la scrivania ed evocando distrattamente una pila di compiti delle vacanze da correggere.

Non era solo il fatto di essere stato salvato, allora… No, era qualcosa che andava ben oltre quel mero dettaglio. Ricordò come Potter era sembrato a proprio agio in quel ricordo, nonostante avesse cercato di combatterlo dopo essersi accorto di ciò che realmente riguardava.

Per quello stupido ragazzo aveva davvero significato così tanto il momento in cui l’unguento aveva iniziato a fare effetto ed era sprofondato in quella sensazione di calma assoluta? Era bastato così poco a fargli dimenticare gli orrori in cui il Signore Oscuro lo aveva…?

… sensazione di pace e sicurezza…

Un'improvvisa consapevolezza colpì Severus come uno schiaffo dritto in viso.

Non era stato l’unguento in se.

Era stato il gesto.

Almeno – ora che ci prestava attenzione –  questo era quanto emerso dalla mente di Potter, che solo a quel punto del ricordo aveva cercato in tutti i modi di cacciarlo dalla mente.

Severus era certo del fatto che Potter si trovasse in uno stato di incoscienza dopo l’attacco del Signore Oscuro, quindi non poteva sapere nulla dell’unguento, ma la sua condizione non gli aveva impedito di percepire quello che accadeva intorno a lui con i sensi.

E ciò che Potter aveva percepito era stato il tocco di qualcuno che allontanava il dolore.

Severus scosse la testa. Tutte quelle sciocchezze gli stavano facendo venire mal di testa.

Non avrebbe mai capito cosa passasse per la testa di quel moccioso insolente.

Sì. Harry Potter sarebbe sempre rimasto un moccioso insolente per lui, nonostante qualsiasi cosa si ostinasse a dire Silente.

Senza dedicare un pensiero di più al fastidioso ragazzo che – in un modo o nell’altro – riusciva sempre a renderlo più irritato di quanto già non fosse, Severus afferrò con impeto la prima pergamena dalla pila e sfogò tutte le sue frustrazioni sul malcapitato studente di cui stringeva il compito tra le mani.
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Capitolo 9
*** Uncovering the Spy ***


IX.
Uncovering the Spy




Stupido Harry.


Come aveva potuto umiliarsi così per ben due volte davanti a Piton?

Prima, allertando l’Ordine in un ingenuo tentativo di salvarlo da Voldemort e ora… in un modo ancora più imbarazzante: permettendogli di vedere ciò che provava nei suoi confronti, quella gratitudine che aveva cercato di negare davanti a tutti, soprattutto a se stesso.

Per non parlare di tutta quella questione su quanto si fosse sentito al sicuro nel momento in cui l’uomo si era occupato di lui (anche se era da considerare che la colpa di questo piccolo dettaglio era da attribuire al suo stato di incoscienza).

Harry non sapeva se odiare più se stesso o Piton.

Se stesso per essere stato tanto incapace nel nascondere i propri pensieri all’insegnante. Se solo si fosse impegnato di più, probabilmente sarebbe stato in grado di celarli… proteggerli… Magari l’impegno avrebbe potuto compensare il fatto che non aveva la più pallida idea di come fare, esattamente, a chiudere la mente.

Dall’altro lato, desiderava odiare con tutte le proprie forze Piton. Era così facile dargli la colpa per tutto – come in passato – in modo da sentirsi meglio: era colpa dell’untuoso idiota se lui, Harry, non riusciva a bloccare i pensieri; era colpa sua se ora si sentiva indebitato, confuso, grato… e così via. Chissà per quante altre cose era colpevole Piton.

Il ragazzo raggiunse il proprio letto nel dormitorio di Grifondoro, dopo la prima lezione di Occlumanzia, stanco e abbattuto.

Oltre che irritato. Profondamente irritato.

Ciò era dovuto, soprattutto, a quell’insopportabile pizzicore alla cicatrice, che non l’aveva abbandonato neanche per un istante, all’incirca da quando era uscito dall’ufficio di Piton. Non era un dolore forte, ma gli dava fastidio, tanto fastidio quanto quello che provava per il fatto di non sapere quali pensieri avessero attraversato la mente di Piton dopo che quest’ultimo aveva scoperto le sue emozioni.

Poco prima di coricarsi e giacere nel letto alla ricerca di un sonno ristoratore che sembrava non voler arrivare, Harry si chiese perché gli importasse davvero così tanto essere al corrente di ciò che passava per la testa di Severus Piton.
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«Concentrati!»

«Non – ci – riesco!» gridò Harry, furioso e tremante.

«Non usare questo tono con me, Potter» sibilò Piton, minacciosamente. «Hai dimenticato di essere di fronte ad un insegnante? O forse, credi di essere ancora a casa del tuo inutile padrino?»

Harry serrò la mascella, cercando invano di ignorare il dolore alla saetta sulla fronte – che, negli ultimi giorni bruciava con inaudita costanza – e di resistere alla voglia di rispondere per le rime a Piton: sapeva di non potersi permettere di cadere nella sua trappola.

Nell’ultima settimana, Harry non aveva fatto grandi passi in avanti e le lezioni di Occlumanzia erano diventate via via più aspre. Il ragazzo aveva avuto l’impressione che, sebbene Piton avesse ignorato nel modo più totale quanto aveva visto nella mente di Harry durante la prima lezione, l’insegnante stesse cercando solo un pretesto per interrompere definitivamente le loro ‘sedute’.

Harry sospettava che l’uomo stesse facendo di tutto per rendere quelle serate nei sotterranei così insostenibili nell’evidente speranza di fargli gettare la spugna. Questo atteggiamento, però, non aveva fatto altro che spingere Harry a essere ancora più motivato nell’apprendere quell’arte, più per ripicca verso l’uomo che per altro.

«Hai accettato di seguire queste lezioni per farmi perdere tempo, Potter?» continuò Piton, vedendo che il ragazzo non reagiva. «Mi sembrava di averti detto di esercitarti ogni sera, ma, a quanto pare, sei così arrogante da credere di poter…»

«Io sto provando a esercitarmi!» esplose il ragazzo, arrabbiato. «Ma trovo difficile farlo, senza avere un metodo preciso e con la cicatrice che continua a far male notte e giorno…»

«Ma guardati» Piton fece una smorfia derisoria, prima di aggiungere, sprezzante: «l’unica cosa che sembra riuscirti bene è lamentarti: deve essere un tratto… ereditario

Il ragazzo strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne. Come osava dire certe cose? Cosa lo spingeva a provare tanto odio verso di lui e suo padre? Aprì la bocca per protestare, ma la richiuse subito dopo, in un estremo sforzo di mantenere la calma: non avrebbe dato a Piton la soddisfazione di cacciarlo dal suo ufficio.

Piton inarcò le sopracciglia, fingendo stupore. «Quanta loquacità» commentò, sardonico.

«Possiamo riprovare?» tagliò corto Harry, dopo qualche istante, quando fu abbastanza certo che sarebbe stato in grado di trattenersi dal rispondere in malo modo. «Signore?» si costrinse ad aggiungere, sperando che Piton non captasse il velo ironico con cui aveva pronunciato la parola.

L’uomo non disse nulla per qualche istante, come se stesse ponderando sulla possibilità di punire la sua impudenza in qualche altro modo oppure no. «Al mio tre» mormorò invece, in tono piatto. «Uno… due… tre. Legilimens!»

Harry aveva sette anni e Dudley lo spintonava con le mani grassocce sul pianerottolo di casa, prima di correre via gridandogli «Mostro!» e additandogli con disgusto la saetta sulla fronte… un crac dal nulla, e – all’improvviso – gli ultimi due gradini della rampa di scale svanivano per magia, causando una rovinosa caduta al cugino… Vernon Dursley puniva il nipote prendendolo per un orecchio e trascinandolo fino al sottoscala, dove sarebbe rimasto per il resto della giornata, senza cibo fino a tarda notte…

Harry avvertì la presenza di Piton farsi meno marcata e lo sentì dirigersi verso ricordi più recenti. Il ragazzo pensò che fosse un buon momento per spingere l’intruso fuori dalla propria mente, ma qualcosa glielo impediva…

… Era prigioniero in un cimitero, paralizzato dal suo stesso terrore sotto la volta nera della notte… una voce alle sue spalle… un lampo di luce verde… Cedric morto…

No, no, no, no… NO!

Non era Piton!


… Un incubo, atroce… terrificante… come quello in cui l’uomo dai capelli e gli occhi neri veniva torturato, ancora… ancora e ancora… Poi, una risata animalesca… nella sua testa…

… era nella sua testa…

«Ahahahah…!»

«Potter…? Potter!»

Harry urlò con quanto fiato aveva in corpo, ma non poté sentire la propria voce, né quella dell’uomo che lo chiamava. Nella sua testa, tutto ciò che rimbombava era quella risata gelida e mostruosa, e l'ultima cosa che fu in grado di vedere, prima di svenire e sentire il freddo pavimento di pietra sotto di se, furono un paio di occhi neri farsi sempre più vicini a lui.
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«Potter…? Potter!»

Severus vide il ragazzo perdere gradualmente conoscenza e accasciarsi al suolo; in un attimo, fu chino su di lui, per ispezionare la cicatrice estremamente rossa e arrabbiata.

Quando aveva sentito l’intrusione di una seconda mente – oltre alla propria – nella testa di Potter, l’uomo aveva cercato di uscirvi il più velocemente possibile prima che l’altro Legilimens potesse accorgersi di lui. Severus sapeva che Voldemort non avrebbe tardato a riconoscere la sua impronta magica nella mente del ragazzo: non era il caso che sospettasse così presto che Potter stesse prendendo delle misure contro quegli attacchi.

Poteva solo sperare di avere fatto abbastanza in fretta da non essere individuato.

L’Esperto di Pozioni puntò la bacchetta verso la scrivania e la trasfigurò in un divano. Potter non era nelle condizioni di essere trasportato con Mobilicorpus per tratti lunghi, quindi, sia il laboratorio che l’infermeria erano da escludere a priori al momento.

Il ragazzo fu adagiato sul divano con l’incantesimo. Mentre si avvicinava a lui, Severus notò che cominciava ad avere le prime convulsioni: a quanto pareva, l’Oscuro Signore aveva appena dato il via alla sua tortura.

Dapprima lenti e deboli, i movimenti di Potter si fecero sempre più rapidi e violenti.

Tenendo il ragazzo fermo per una spalla, Severus evocò una Pozione Anti-Convulsioni, ma gran parte di questa finì rovesciata sulla maglietta di Potter, che aveva cominciato a dimenarsi in modo via via più forte, sputacchiando anche quel poco di pozione che era riuscito a mandare in gola.

Severus fece una smorfia e si apprestò a usare un altro metodo: puntò la bacchetta contro il petto del ragazzo e mormorò un basso incantesimo che facesse rilassare muscoli e nervi: avrebbe funzionato per qualsiasi normale attacco di convulsioni, ma mai per la Maledizione Cruciatus. Incredibilmente, Potter non si calmò e Severus imprecò sottovoce.

Possibile stia usando la Cruciatus a distanza tramite quella stupida cicatrice?

Se così stavano le cose, avrebbe avuto bisogno della consulenza di Albus prima del previsto.

L’uomo mollò il ragazzo e agitò la bacchetta per immobilizzarlo con un incantesimo di stasi che non l’avrebbe fatto cadere dal divano, né gli avrebbe permesso di farsi del male da solo, prima di dirigersi rapidamente verso il camino e di gettarvi dentro la polvere magica.

«Albus!» chiamò Severus, dopo aver infilato la testa nelle fiamme verdi. Nell’ufficio del Preside, non c’era neanche l’ombra di Silente. Dannazione. «Albus!» gridò di nuovo, e sentì un’inaspettata ondata di sollievo quando captò il movimento della veste di Silente precedere il suo proprietario attraverso la porta di quercia. Che diavolo fa in giro alle undici di sera passate?

 «Severus?»

«Si tratta di Potter» disse sbrigativamente l’uomo di cui si intravedeva la testa nel camino, «è urgente. Un nuovo attacco.»

«Arrivo subito» rispose Silente, avvicinandosi immediatamente alle fiamme, in viso un’espressione preoccupata.

Severus si allontanò dal camino e tornò vicino a Potter; la cicatrice era sempre più infiammata, ma per lo meno, non sanguinava come l’ultima volta. Il moccioso non aveva dunque mentito quando aveva parlato di un dolore costante alla saetta. L’insegnante dovette aspettare solo pochi secondi prima che Albus attraversasse il camino e lo raggiungesse nei pressi del divanetto.

«Ho usato un Incanto di Stasi, è sotto l’effetto della Maledizione Cruciatus a distanza» spiegò Severus, gli occhi fissi sul ragazzo.

«Da quanto tempo?» mormorò Silente, chinandosi su Harry e muovendo la bacchetta sopra di lui, su e giù, accertandosi delle sue condizioni.

«Una decina di minuti, è successo mentre ero nella mente di Potter» rispose l’altro uomo, incrociando le braccia sul petto, «pochi secondi e sarei stato coinvolto nella tortura allo stesso modo.» Mosse la bacchetta a mezz’aria, evocando l’unguento da applicare alla cicatrice arrabbiata e – senza aggiungere nulla – porse la boccetta al vecchio mago.

Quest’ultimo alzò gli occhi, guardando con attenzione prima l’unguento e poi il mago più giovane. «Severus, sei tu il Pozionista» osservò, «dovresti essere tu a…»

«Non sono sicuro di volerlo fare, Albus» tagliò corto Severus, evitando i suoi occhi penetranti e posando i propri sul ragazzo.

«Severus…»

«Potter potrebbe farsi nuovamente strane idee» insisté l’Ex-Mangiamorte, in un tono più deciso e aspro. «Non ho intenzione di ripetere l’esperienza dell’altra sera, quando dovrò entrare di nuovo nella sua mente, la prossima volta. Se non vuoi farlo tu, chiama qui Poppy e lascia che si occupi lei di…»

«Severus, non abbiamo tutta la notte!»

L’Esperto di Pozioni guardò con rancore il Preside, prima di accostarsi a Potter di controvoglia. «Credi di fargli un favore, facendolo illudere di essere al sicuro?» soffiò, con rabbia, mentre applicava il primo strato di unguento sulla cicatrice. «Anche il ragazzo sarà orripilato una volta che sarà abbastanza cosciente da rendersi conto di chi gli ha spalmato – ancora una volta – questa dannata pomata!»

«Ma non si tratta di un’illusione, Severus» rispose Silente, sorridendo amabilmente, «è in questi momenti che Harry si sente al sicuro. Se può servire ad aiutarlo a combattere gli orrori che ora sta vivendo, è tanto di guadagnato.»

Severus represse un sonoro sbuffo, mentre svolgeva il proprio compito nel modo più rapido possibile. Ancora una volta, Silente lo costringeva a fare qualcosa che non gli andava affatto a genio. Non si stanca mai di essere così ripetitivo? «Consiglio di trasportarlo in Infermeria finchè si trova sotto stasi, così che Poppy possa occuparsene a tempo pieno» disse, noncurante. «Potrei essere richiamato da un momento all’altro in vista di possibili aggiornamenti, non è il caso che Potter passi la notte nel mio ufficio» aggiunse, accennando al Marchio Nero.

Albus annuì e, quando Severus ebbe terminato di spalmare l’unguento, i due portarono Harry diversi piani più su. La situazione fu rapidamente spiegata a Madama Chips, che si occupò immediatamente di recuperare dei rimedi calmanti dalle scorte per quando il ragazzo si sarebbe svegliato.

«Dobbiamo annullare l’Incanto di Stasi, Severus» disse Silente, sedendosi in una sedia accanto al letto su cui Harry era adagiato. «Non può restare ancora a lungo sotto quell’effetto… possiamo solo sperare che Voldemort abbia cessato di usare la Cruciatus.»

Severus si accostò al ragazzo e, puntando la bacchetta verso di lui, pronunciò le parole che avrebbero rilasciato l’incantesimo: il petto di Potter ebbe uno spasmo, prima di tornare ad alzarsi e abbassarsi come prima, solo che più lentamente rispetto a quando era stato sotto tortura.

I freddi occhi neri incontrarono quelli verdi nel momento in cui il giovane ebbe ripreso conoscenza.
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Harry tremava e faticava a respirare correttamente.

Non capiva più dove si trovasse, che ora fosse, né chi fossero quelle figure dai contorni confusi che si muovevano attorno a lui. Un attimo prima ricordava di aver sentito urlare, di aver visto Voldemort esultare e sfogare la sua folle gioia su di lui, facendogli provare quel dolore infernale che stava diventando così familiare, ma al quale – certamente – non si sarebbe mai abituato. Mai.

E poi c’era stato qualcos’altro.

Voldemort aveva visto…

… Voldemort si era accorto…

«… i miei… patetici… tentativi…» I suoni facevano incredibilmente fatica a uscire dalla bocca del ragazzo. Harry cercò di focalizzare la vista attorno a se e un paio di occhi neri gli vennero incontro, come avevano fatto prima che perdesse conoscenza.

Era certo di sapere a chi appartenessero.

Devo avvisarlo… devo avvertirlo prima che sia troppo tardi…

... non sono riuscito a bloccare Voldemort... prima che vedesse...


«Harry?» disse una voce, gentile e rassicurante. «Harry, prendi questa pozione, ti sentirai meglio…»

Era… Silente?

«No… devo… devo… parlare…» ansimò il ragazzo, scuotendo debolmente la testa. «… Voldemort…» avvertì il movimento dell’uomo dagli occhi neri al suo fianco e si rivolse verso di lui. «… perché…?»

Piton inarcò un sopracciglio. «Perché ‘cosa’, Potter?»

Perché continua a salvarmi?

Non osò esporre a voce alta il proprio dubbio, ma ebbe l’impressione che Piton avesse intuito qualcosa vista la strana luce sorpresa che aveva per un attimo illuminato i suoi occhi scuri. Tornò a guardare Silente, e poi Madama Chips, che gli porgeva ancora la pozione, tormentandolo su quanto fosse importante che lui la prendesse. Harry l'accettò, troppo stanco per discutere ulteriormente, e la portò alle labbra, mentre cercava di riordinare la confusione che aleggiava nella propria testa.

Vedeva delle figure incappucciate intorno a Voldemort, fermo nel mezzo della cerchia. Non riusciva a capire in che luogo si trovassero: tutto era immerso in una fastidiosa penombra. Poi, una sagoma si faceva avanti, verso il suo padrone, davanti al quale si inginocchiava, tendendo le braccia verso di lui, qualcosa stretto tra le mani…

«Cos’è la formula per… il Rituale dell’Annullamento?» domandò, cercando di inspirare profondamente per regolarizzare la respirazione, ancora difficoltosa.

Alzò lo sguardo su Piton e ne osservò il comportamento curioso: lo vide scambiare una rapida occhiata con Silente, schiudere appena le labbra, sorpreso, e poi serrarle di nuovo, in una sottile linea minacciosa.

«Poppy, potresti lasciarci soli, per favore?» chiese gentilmente il Preside.

La donna avrebbe chiaramente voluto protestare che aveva un paziente a cui badare, ma acconsentì a dirigersi verso il proprio ufficio, non prima di aver fatto le dovute raccomandazioni nel caso in cui Harry si fosse sentito male.

«Di cosa stai parlando, Potter?» sbottò duramente Piton, non appena la donna fu scomparsa oltre la porta dell’ufficio.

«Qualsiasi cosa sia, lui l’ha trovata» rispose Harry, innervosito e seccato al tempo stesso, spostando gli occhi su Silente, nella vana speranza che almeno lui rispondesse: ancora una volta, veniva escluso da importanti informazioni riguardo a Voldemort e alla guerra ormai alle porte. «Ho visto un Mangiamorte consegnargli la formula, l’ha nominata… era estremamente soddisfatto…» Osservò gli uomini scambiarsi un altro sguardo, ma non fu in grado di leggere ciò che si celava dietro le loro espressioni imperturbabili. «Serve per una pozione, vero...?»

«Tu vaneggi, Potter» commentò Piton, asciutto, lanciandogli un’occhiata obliqua, «non so di cosa tu stia parlando...»

«Sì che lo sa!» lo interruppe Harry – con più impeto del dovuto – incapace di trattenersi, mentre sentiva l’irritazione iniziare a prendere il sopravvento. Strinse entrambe le mani intorno alla pozione che teneva ancora di fronte a se, cercando di ignorare l’improvvisa stanchezza che lo stava assalendo in quel preciso momento.

«Modera il tono» disse Piton a denti stretti, con gli occhi neri che scintillavano pericolosamente. Stava per aggiungere qualcos’altro, quando qualcosa lo bloccò.

Harry lo guardò afferrarsi con forza il braccio sinistro, mentre un lampo di dolore gli attraversava lo sguardo scuro, concentrato ora sul punto che aveva evidentemente iniziato a bruciare. Con orrore, il ragazzo immaginò nella propria testa il Marchio Nero contorcersi e ardere sulla pelle viva dell’uomo e rabbrividì, chiedendosi come potesse Piton sopportare qualcosa di così atroce.

«Devo andare» disse l’Ex-Mangiamorte a Silente, in tono risoluto e sbrigativo, facendo per andarsene dopo aver ricevuto solo un rapido cenno d’assenso da parte del Preside, che si mosse per accompagnarlo fino all’uscita dell’infermeria.

«No!»

Harry fu il primo a essere sorpreso per aver gridato. Tutti e due gli uomini si voltarono verso di lui, in attesa di una spiegazione.

«Prego?» Piton aveva inarcato un sopracciglio e ora scrutava il ragazzo con gli occhi freddi appena socchiusi, in un’espressione sospettosa e interrogativa  al tempo stesso. Si vedeva che era impaziente di riprendere il proprio cammino al più presto.

Harry avrebbe voluto farsi piccolo piccolo di fronte al suo sguardo indagatore e quasi si pentì di averlo richiamato indietro in modo così avventato. Sapeva, tuttavia, di non potersi più tirare indietro. Doveva avvertirlo, visto che prima non gli era stato possibile, non era stato ascoltato, la pozione l’aveva distratto e l’aveva fatto rilassare troppo…

«Non può tornare da lui» si costrinse a parlare, radunando tutto il suo coraggio. Osservò Piton accigliarsi ancora di più e cercò di continuare, spiegandosi ulteriormente: «Voldem… Lei-Sa-Chi» si corresse, «ha percepito la sua presenza nella mia testa prima… ho sentito i suoi dubbi, le sue domande…solo che era troppo esultante per...»

«Non ho intenzione di sentire una sciocchezza di più» disse Piton, secco, chiaramente in procinto di perdere anche quel poco di calma di cui disponeva al momento. «Se non te ne fossi accorto, Potter, vado di fretta» fece di nuovo per voltarsi, ma la voce di Harry lo fermò ancora.

«Questa volta è vero, l’ho sentito realmente!» gridò il ragazzo. Perché non capisce? Pensò, sentendo un insolito panico farsi rapidamente strada in lui. «Non sta aspettando altro che lei torni per fargliela pagare, la torturerà…!» Si interruppe, non sapendo come continuare imbarazzato, sorpreso e… agitato al tempo stesso. Si stava davvero preoccupando per Piton? Non avendo alcuna risposta alla propria domanda, si voltò verso Silente, decidendo di provare a convincere almeno lui. «Professore, non può lasciarlo andare da Vold…!»

«Ora basta!» tuonò Piton. Harry notò che una vena gli pulsava pericolosamente sulla tempia, vicino all’attaccatura dei capelli e immaginò che la sua furia fosse accentuata soprattutto dall’incessante dolore che doveva provare al braccio, visto il modo in cui se lo stringeva – con la mano destra –, quasi convulsamente. «Continui a ficcare il naso in faccende che non ti riguardano, Potter! Quando accantonerai le tue manie di grandezza e smetterai di immischiarti negli affari degli altri? Il Signore Oscuro ha bisogno di me! Credi davvero che si sbarazzerebbe tanto facilmente dell’unico Esperto Pozionista al suo servizio? I tuoi ridicoli tentativi di farmi perdere la posizione che occupo nell’Ordine stanno diventando…!»

«Cosa?» Harry era scioccato. Come poteva pensare certe assurdità? «Io sto cercando di salvarle la vita!» urlò, furioso, con quanto fiato aveva in corpo, nonostante gli facesse terribilmente male il petto e gli girasse la testa.

Sull’infermeria calò un silenzio opprimente; l’unico rumore che poteva essere distintamente udito al suo interno era il respiro affaticato di Harry, che continuava a squadrare Piton quasi con la stessa aria infervorata con cui lo fissava l’uomo. Quando la porta dell’ufficio di Poppy si spalancò di colpo e la donna entrò di gran carriera, con fare minaccioso, tutti e tre sobbalzarono.

«Insomma! Vi sembra il caso di fare tanto baccano? Questa è un’infermeria

«Preside, sarà meglio che vada.» Con evidente sforzo, Piton distolse lo sguardo infuocato da Harry e, senza aggiungere una parola, uscì dalla corsia a grandi falcate.

«Sarò di nuovo da te in pochi minuti, Harry» disse Silente, in tono rassicurante, prima di seguire Piton fuori dall’infermeria. «Severus, un’ultima parola…» lo udì pronunciare Harry, in un tono insolitamente grave.

Il ragazzo si lasciò ricadere con la schiena sui cuscini dietro di lui e chiuse gli occhi. Che diavolo gli era preso? Perché si sentiva così tanto coinvolto da tutta quella situazione? A mente fredda, avrebbe potuto ammettere tranquillamente che su una cosa Piton aveva ragione: non era affar suo se il suo compito era quello di spiare per l’Ordine e non aveva alcun diritto di insistere così tanto affinché un mago adulto e consapevole delle proprie azioni non svolgesse il proprio lavoro.

Ma in quel momento, Harry aveva la mente tutt’altro che fredda e rilassata. Non poteva fare a meno di arrovellarsi su un’infinità di questioni.

Si chiedeva a cosa servisse realmente quella formula…

Si chiedeva quali fossero gli attuali piani di Voldemort…

Se Piton sarebbe mai tornato a Hogwarts…

Perché gli importava tanto di tutta quella situazione?

Piton non aveva bisogno di tutti i suoi avvertimenti. Aveva mostrato in più occasioni di non apprezzarli, anzi, di rifiutarli nel modo più totale, quasi disgustato. Perché doveva continuare a umiliarsi così allora? Perché non poteva fare a meno di preoccuparsi delle ripercussioni che Voldemort avrebbe potuto esercitare su di lui?

Era perché non voleva accettare che una persona dalla loro parte facesse una brutta fine in ordine di porre fine a quella guerra?

Era perché reputava una follia tutta quella storia dello spionaggio? Cosa spingeva realmente Piton a rischiare così tanto per l’Ordine? Non poteva credere che l’uomo fosse obbligato da Silente, era inimmaginabile che il vecchio mago chiedesse qualcosa di così pericoloso da lui, come da qualsiasi altro.

Ma Silente, lo stesso Silente che non era – inspiegabilmente – intervenuto a sedare l'accesa discussione di poco prima, aveva chiesto a Piton di raggiungere Vodemort la notte del suo ritorno.

«Harry, devi smettere di credere che le persone muoiano per causa tua» gli aveva detto Hermione, un paio di giorni dopo la Terza Prova, nella speranza di tirarlo su di morale.

Ma, forse, il motivo che l’aveva spinto ad essere così ostinato, prima, con Piton andava ben oltre a quella stupida fissa di salvare tutti. L’uomo, d’altronde, l’aveva sottratto alla morte in più occasioni, ma non solo: aveva allontanato il dolore, quando avrebbe potuto tranquillamente fare finta di nulla, visto che il pericolo peggiore era scampato;  aveva toccato la cicatrice – quell’orrenda cicatrice – per la quale Harry era sempre stato preso in giro e schernito da tutti, all’infuori dei suoi amici più cari.

Il ragazzo si era interrogato a lungo sul significato di quel gesto, non capendo come Piton potesse riuscire a strapparlo dai poteri di Voldemort con tanta prontezza ed efficacia ogni qualvolta si presentasse l’occasione.

Sentendo il terribile mal di testa, che lo affliggeva da quando si era risvegliato, diventare ancora più insopportabile, Harry provò a chiudere la mente e a cancellare ogni pensiero; si girò nel letto e posò lo sguardo sul cielo stellato che si intravedeva dalla finestra semi aperta, cercando di concentrarsi mentre attendeva il ritorno di Silente.
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Severus aveva sempre trovato facile – addirittura quasi naturale – ripulire la mente di ogni pensiero. Aveva imparato a padroneggiare quell’arte piuttosto velocemente, considerandola un mezzo con cui privarsi di tutte le idee spiacevoli, di tutte le emozioni che era andato ad odiare sempre più nel corso della sua vita. L’Occlumanzia era, così, diventata parte di lui, un’alleata vincente non solo contro Voldemort, ma anche contro il resto del mondo: probabilmente, Silente era l’unico ad essere stato spettatore dei rari momenti in cui il suo viso aveva tradito le sue emozioni più nascoste.   

Quella notte, tuttavia, mentre percorreva il sentiero che l’avrebbe condotto ai cancelli di Hogwarts, Severus trovò l’operazione di chiudere la mente quasi snervante e fastidiosa.

Da un lato, avrebbe voluto rimuovere completamente l’inutile discussione avuta con Potter qualche minuto prima, dall’altro sentiva la necessità di continuare a rifletterci sopra, di capire cosa non funzionasse correttamente nella testa di quello stolto ragazzo.

Potter riusciva a turbarlo con troppa frequenza di recente, cosa che non gli piaceva affatto. Come ci riusciva? Come poteva, l’arrogante figlio di James Potter, con la sua incapacità nel preparare anche la più semplice delle pozioni senza sbagliare almeno un paio di ingredienti, esercitare questo effetto su di lui?

Cosa ne sapeva, Potter, di quanto fosse importante per lui il suo ruolo di spia?

Del fatto che fosse l’unica cosa importante della sua vita da quasi quindici lunghi anni?

Tutto ciò che valesse ancora veramente.

Nulla.

Come non sapeva nulla della Profezia, del suo dannato passato e… di Lily.

Eppure…

«Io sto cercando di salvarle la vita!»

Perché – per la prima volta da quando conosceva Harry Potter – quella frase, il modo deciso con cui aveva pronunciato quelle parole e… la luce testarda di cui i suoi occhi verdi si erano illuminati, gli avevano ricordato non l’insolenza e la sfacciataggine di  James Potter, no… ma la grinta e la forza di volontà di Lily Evans?  

Fu questo l’ultimo pensiero a vagare nella testa dell’uomo e a essere riposto dietro alle alte barriere della sua mente. Era giunto, infine, il momento di raggiungere l’Oscuro Signore e la sua cerchia ristretta di seguaci.
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Capitolo 10
*** A Matter of Loyalty ***


X.
A Matter of Loyalty



«Severus, un’ultima parola…»

«Se ha a che vedere con Potter, Albus, potrà aspettare fino al mio ritorno» replicò Severus bruscamente, mentre la porta si chiudeva alle spalle del Preside.

«Non riguarda solo Harry, ma te in particolare.» Albus fissò Severus dritto negli occhi in uno sguardo eloquente. «Sai a cosa mi riferisco. Sei sicuro sia il caso di rispondere a questa chiamata?»

Severus lo fissò con un sopracciglio inarcato. «Sono ancora in tempo per rimediare e convincere l’Oscuro Signore della mia lealtà» disse, deciso. «Sarebbe una follia non presentarsi, Albus! Come puoi essere così certo che non si tratti di qualche altra falsa visione avuta da Potter?»

Albus si prese una lunga pausa, prima di rispondere. «C’era una luce diversa nei suoi occhi, mentre ne parlava» disse, lentamente, osservando il volto dell’altro uomo rimanere impassibile con straordinaria maestria.

«Il Signore Oscuro sa che gli servo per la preparazione della pozione, ora più che mai visto che potrebbe aver trovato davvero la formula» proseguì Severus, risoluto, «non posso tirarmi indietro ora, Albus.»

Il Preside lo guardò con una certa apprensione. «Molto bene… mi fido del tuo giudizio, Severus» sospirò, infine. «So che farai quanto è in tuo potere per mantenere questa copertura, ma se ciò non fosse possibile… preoccupati solo di tornare tutto intero.»

Severus roteò gli occhi al cielo, le labbra curvate a formare un lieve ghigno. «Dovresti sapere che non sono avvezzo a sconsiderati atti di eroismo, Albus» commentò, con una nota beffarda nella voce.

Silente lo considerò seriamente per qualche istante ancora. «E’ vitale che tu torni, Severus» rimarcò, «tu e Harry avete ancora molto su cui lavorare per quanto riguarda Occlumanzia. Spero che tu abbia realizzato, ormai, l’importanza di queste lezioni.»

«C’è dell’altro di cui vuoi parlarmi prima che vada a svolgere il mio vero lavoro?»

Albus sorrise appena al suo cinico sarcasmo, immancabile anche in quei momenti di tensione.  «No. Mi aspetto di rivederti presto nel mio ufficio, Severus… fai attenzione» aggiunse e, dopo un breve scambio di saluti, lo guardò allontanarsi e confondersi tra le ombre del silenzioso castello.
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Silente osservò Harry girarsi verso di lui non appena ebbe varcato nuovamente la soglia dell’Infermeria. Il ragazzo sembrava aver perso un po’ del pallore mortale di poco prima, ma non per questo poteva dirsi più in forma di quando l’aveva lasciato.

Il vecchio mago prese posto nella sedia che aveva occupato precedentemente e soppesò con lo sguardo azzurrino il volto provato del quindicenne, prima di offrirgli un piccolo sorriso. «Vedo con piacere che la nostra cara ed efficiente matrona ha deciso di lasciarti un attimo di respiro» osservò, con una gentile strizzatina d’occhio.

Insicuro su come rispondere, Harry annuì brevemente, ma smise subito, a causa dell’incessante mal di testa che lo tormentava. Aveva chiesto a Madama Chips una pozione che glielo facesse passare, ma la donna aveva replicato che, avendo appena preso una Pozione Calmante, avrebbe dovuto solo aspettare che quest’ultima facesse effetto contro ogni sintomo di stanchezza, compresa l’emicrania.

Il ragazzo non capiva come mai Silente fosse così intenzionato a rimanere. Non aveva bisogno di qualcuno che restasse costantemente con lui solo per un po’ di mal di testa. Voldemort sarà certamente troppo occupato a torturare qualcun altro tra non molto, non avrà tempo per me, pensò con profonda amarezza. Si era aspettato che il Preside dicesse qualcosa riguardo all’attuale situazione, ma, vedendo che l’uomo non sembrava intenzionato a parlarne, tornò a rivolgere lo sguardo alla finestra, senza riuscire a mascherare una certa delusione.

«Mi chiedevo, Harry…» esordì Silente, cercando di attirare la sua attenzione, con l’evidente scopo di distrarlo dai suoi pensieri. «… Sei già stato al campo di Quidditch in questi giorni? Pensavo non avresti resistito per così a lungo al brivido di volare in uno spazio tanto vasto tutto per te.»

«Credevo sarebbe stato rischioso visti i recenti attacchi di Voldemort» disse Harry con voce distante, senza distogliere gli occhi dal cielo scuro.

«Una decisione saggia» approvò Silente, prima di aggiungere, «ma potremmo accordarci affinché un adulto sia nei paraggi a controllare che la situazione sia sotto controllo. Sei pur sempre in vacanza, d’altronde, non sarebbe giusto trascorrere tutto il tuo tempo tra le mura di un vecchio castello» sorrise gentilmente.

Harry gli concesse un piccolo cenno d’assenso, nonostante avrebbe voluto replicare che difficilmente quella che stava vivendo poteva considerarsi una vacanza. Si chiese se Silente fosse in grado di capire quando una persona non era dell’umore giusto per parlare; probabilmente il vecchio mago stava solo cercando di fargli dire ad alta voce quello che davvero gli passava per la testa al momento. Il ragazzo stette in silenzio per qualche attimo ancora, mentre considerava l’idea di accontentarlo e di parlare.   

«Non ha nemmeno provato a fermarlo, vero?» chiese semplicemente, dopo un lungo istante, sapendo che Silente avrebbe capito anche senza pronunciare il nome della persona di cui stava parlando.

Albus osservò attentamente il volto teso del giovane che si rifiutava di ricambiare il suo sguardo, prima di sospirare. «Harry» esordì, «il professor Piton è un mago estremamente intelligente e capace, oltre che un uomo adulto. Sa fin dove può spingersi; conosce i propri limiti. Ho ben poca voce in capitolo quando si tratta delle sue scelte…»

«Ma lui è andato perché esegue i suoi ordini» obiettò Harry, non capendo dove volesse andare a parare Silente. «Sta facendo quello che lei gli ha chiesto di fare la notte della terza prova. Nessuno potrebbe mai desiderare di fare la spia di propria spontanea volontà!» insistè, non sapendo neanche perché stesse cercando di trovare delle risposte dal Preside riguardo a certi argomenti concernenti Piton.

Silente sorrise, ma il ragazzo non riusciva a figurarsi il perché del suo comportamento. Dopo qualche istante, il mago più anziano gli offrì una spiegazione. «Ti posso assicurare, Harry, che se il professor Piton non fosse convinto di una cosa, davvero convinto, non la farebbe. Nemmeno per me.»

Harry fece una smorfia, mentre dalle labbra gli sfuggiva un verso simile ad una risata amara. «Sta dicendo che è stata una sua volontaria scelta quella di darmi lezioni di Occlumanzia?» chiese piano, chiaramente scettico.

«No» rispose, tranquillo, Silente, «devo ammettere che, in questo caso, vincere la testardaggine di Severus Piton è stata una bella sfida anche per me... Ma vedi, quello che intendo è che – talvolta – il nostro caro insegnante di Pozioni ha semplicemente bisogno di una spinta verso quella che anche lui sa essere la giusta direzione, peccato che sia troppo orgoglioso per ammetterlo.» Silente, fece una pausa, continuando a sorridergli, prima di concludere: «Se andassi a dirgli all’improvviso di smettere di fare il suo lavoro di spia, pensi che mi darebbe retta? Assolutamente no. Per cui ti ripeto: mi limito a dargli consigli, ma non reputerò mai di essere nella posizione di impedirgli di fare ciò che ritiene più giusto.»

Harry aveva ancora dei dubbi riguardo al vero motivo per cui Piton sembrava tenere così tanto al suo ruolo di spia, ma rimase in silenzio, cercando di non dare a vedere a Silente che non era del tutto convinto della sua spiegazione.

Visto che liberare la mente non sembrava funzionare ancora e che rimuginare sempre sugli stessi pensieri stava diventando davvero stancante, il ragazzo decise di prendere spunto dall’idea di Silente sul Quidditch e di chiudere gli occhi per qualche istante. Immaginò di librarsi sul verde e curato prato del campo a cavallo della propria Firebolt, libero e spensierato nel luminoso cielo azzurro.

Un sorriso soddisfatto comparve sulle labbra di Silente, mentre osservava il ragazzo rilassarsi gradualmente di fronte a se e perdere lentamente l’aria tesa che gli aveva, fino a pochi istanti prima, tormentato il viso.

Tutti i suoi discorsi erano serviti a qualcosa.
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«… è davvero un onore, mio Signore, per me e la mia famiglia… mettere a disposizione la nostra dimora…»

«Finora ti sei comportato bene, Lucius, mi hai… sorpreso. Non commettere errori e potrei ricompensarti, quando verrà il momento.»

«S-sì, mio Signore, vi ringrazio...»

«Ora va’ ad accogliere il nostro ospite e portalo qui. Voglio parlare con Severus… da solo

Severus osservò la figura di Lucius Malfoy far capolino dalla sala in cui quest’ultimo aveva parlato con Voldemort fino a qualche istante prima; l’uomo dai capelli biondo pallido richiuse la porta alle proprie spalle e i suoi freddi occhi grigi incontrarono quelli neri e imperscrutabili del suo amico di lunga data.

«Severus.»

«Lucius.»

Si fissarono per un lungo istante, poi Malfoy fece un debole tentativo di rilassare i muscoli del volto e un impercettibile sorriso andò a increspargli le labbra sottili. «Il nostro nuovo Quartier Generale» disse con voce tirata. «Il Signore Oscuro desidera parlarti; pare ci siano stati… importanti risvolti di cui tu non sei ancora al corrente.»

Severus soppesò il suo sguardo per qualche secondo. «L’incontro si è già concluso?» chiese, in tono piatto.

«Circa un’ora fa. Ti suggerisco di raggiungere l’Oscuro Signore… non dovresti farlo aspettare» rispose Malfoy, spostandosi di lato per lasciarlo passare, mal dissimulando un gesto nervoso.

«No, non dovrei» ripeté Severus impassibile, e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Lucius, si apprestò ad entrare.

La sala era immersa nella penombra, tranne nel punto in cui Severus poteva vedere parte della scura veste di Voldemort, illuminata da una torcia appesa al muro di pietra. Il Signore Oscuro, il cui volto era seminascosto nell’oscurità, era seduto in una poltrona accanto al camino spento; ai suoi piedi, si trovava, acciambellato, l’enorme serpente Nagini, che emise un sibilo quando sentì la porta aprirsi.

«Severus» esordì Voldemort, la voce poco più di un sussurro, «sono certo che tu abbia delle… interessanti novità per me» proseguì, mellifluo, «ma prima, è importante che tu sia informato dei recenti sviluppi. Per il resto, ci sarà… tempo, non trovi?» aggiunse, pericolosamente.

Severus non dovette faticare molto per intuire che, questa volta – purtroppo – Potter non doveva essersi affatto sbagliato riguardo alla propria visione; gli occhi del mostro serpentesco brillavano di una subdola luce che non lasciava spazio ai dubbi. Presto, sarebbe stato il momento di usare una scusa (mentalmente preparata) quanto più credibile e inattaccabile possibile: ogni esitazione avrebbe portato a un fallimento sempre più probabile.

Non poteva sbagliare.

Doveva rimanere focalizzato esclusivamente sulla cosa più importante in quel momento: riuscire a mantenere la propria copertura.

«Sì, mio Signore» si limitò a rispondere, chinando brevemente il capo in avanti e attendendo l’evolversi della discussione senza lasciar traspirare alcuna emozione.

Voldemort soppesò il suo sguardo imperscrutabile per qualche secondo ancora, prima di parlare di nuovo. «Abbiamo raggiunto un notevole obiettivo oggi, grazie al quale presto – molto presto – potremo concretizzare il primo grande evento che sancirà il mio ritorno ufficiale davanti all’intero mondo magico.» Fece una pausa, godendo dell’effetto che essa era in grado di suscitare. «La conquista di Azkaban è ormai prossima; i Dissennatori sono già stati allertati… i nostri fratelli e sorelle – ingiustamente rinchiusi anni fa per la loro indiscussa fedeltà – potranno presto riunirsi a noi e alla nostra causa. Non ne sei compiaciuto, Severus? Ricordo che eri molto legato a Mulciber in passato, se non sbaglio…»

«La notizia non può che rallegrarmi profondamente, mio Signore» rispose l’uomo con enfasi, simulando interesse, quando, in realtà, il nome di Mulciber – il grande amico dal quale Lily lo aveva sempre messo in guardia – provocava in lui solo ribrezzo ormai.

Voldemort sorrise. «Ne sono sicuro» mormorò dolcemente. «Inoltre, grazie al nostro… speciale infiltrato, la scorsa notte siamo riusciti a sottrarre dal Ministero ciò che renderà il nostro trionfo ancora più certo: con un piccolo aiuto interno, Lucius è stato in grado di consegnarmi la formula che racchiude il segreto per la preparazione della Pozione di Annullamento prevista dal rituale» si interruppe per pochi attimi, giusto il tempo di socchiudere le pupille, prima di sussurrare, in un lungo e lento sibilo: «ma forse questo lo sai già… non è così, Severus?»

L’Esperto Pozionista non mosse un muscolo, né distolse lo sguardo dalle iridi scarlatte di Voldemort. La parte della sua mente protetta dalle barriere corse rapida alla Profezia racchiusa nel Dipartimento Misteri, molto probabilmente in qualche sala poco distante da quella in cui era stata recuperata la formula: e se, con altrettanta facilità, fossero arrivati anche ad essa? Severus non poté fare a meno di chiedersi chi si celasse dietro a questo “speciale infiltrato” all’interno del Ministero, apparentemente tanto abile da aiutare quell’inetto di Lucius a mettere le mani su un oggetto così ben custodito.

Ma non era il momento di chiedere a Voldemort i dettagli di quell’operazione, sempre che si sarebbe più fidato di lui allo stesso modo da rivelarglieli, come avrebbe fatto – invece –, con maggiore certezza, in passato.

«Sono certo che tu abbia una valida spiegazione al perché poco fa ti trovassi… nella testa di Harry Potter» proseguì Voldemort, con il tono di voce basso di quando qualcosa lo insospettiva e incuriosiva al tempo stesso.

«Sì, mio Signore» rispose prontamente Severus, incrociando le dita delle mani dietro la schiena, come era solito fare quando era tenuto a riferire i propri rapporti. «Recentemente, Albus Silente mi ha affidato il compito di insegnare Occlumanzia a Potter. Pare che lo sciocco babbanofilo sia… preoccupato per la salute mentale del ragazzo, che – naturalmente – non dimostra alcun talento nel padroneggiare quest’arte.» Vedendo che Voldemort non diceva nulla, capì di poter proseguire: «Mio Signore, posso assicurarvi di aver agito esclusivamente nei vostri interessi: ho accettato il compito di Silente per valutare eventuali abilità nascoste di Potter e per riportarvi nuove informazioni sulla natura della vostra connessione.»

Gli occhi di Voldemort scintillarono avidamente e Severus comprese di aver acceso il suo interesse.

«Continua» gli intimò l’uomo-serpente, chiaramente bramoso di sapere di più sull’argomento.

«Il ragazzo è in grado di vedere quello che accade attraverso i vostri occhi, mio Signore» rivelò Severus, «ne abbiamo avuto prova oggi, quando è riuscito a vedere un Mangiamorte consegnarvi la formula; mi permetto di esporre le mie preoccupazioni al riguardo: sarebbe un grave danno per noi, se Potter fosse costantemente in grado di vedere i nostri piani e riuscisse, così, ad anticipare le nostre mosse e a vanificare i nostri sforzi, dal momento che può osservare anche ciò che voi non volete mostrargli.»

Ci furono diversi istanti di silenzio, durante i quali Severus osservò Voldemort prendere tempo per riflettere su quelle nuove informazioni. Infine, il Signore Oscuro sorrise appena, mentre accarezzava distrattamente la liscia testa triangolare di Nagini – drizzata sulle proprie spire – per poi unire le punte delle lunghe e pallide dita davanti a se.

«Sono notizie indubbiamente interessanti… Occorrerà che prenda le dovute precauzioni se voglio continuare a torturare il nostro piccolo amico senza dargli libero accesso alle nostre intenzioni. Tuttavia, non è il caso che ti preoccupi, Severus» mormorò dolcemente, «presto metteremo a punto un piano affinché Harry Potter ci raggiunga in ruolo di ospite d’onore, e allora, avrà il piacere di assistere ai nostri incontri… dal vivo. Nel frattempo, voglio che tu memorizzi ciò che ci occorre per la preparazione della pozione. Codaliscia!» chiamò poi, voltandosi di scatto verso una porta laterale, che si aprì di colpo per lasciar avanzare la tarchiata figura di un ometto dagli occhi acquosi e i radi capelli ritti in testa dalla paura.

«M-mio S-signore?»

«La formula, Codaliscia» sibilò Voldemort, spazientito, tendendo una mano alla propria sinistra.

Codaliscia estrasse da una tasca del giaccone consunto una pergamena giallastra e la porse, con le mani tremanti, al proprio padrone, prima di ritirarsi con un passo indietro e un inchino deferente. Severus aveva voglia di storcere il naso, profondamente disgustato, ma rimase immobile e silenzioso, consapevole di essere ancora sotto esame.

«Come immaginavo, non l’hai ancora messa al sicuro» commentò Voldemort, con gelido disappunto, strappandogli la pergamena di mano, prima di rivolgersi nuovamente a Severus. «Il contenuto è stato tradotto dal greco antico e ricopiato su pergamena, prima che la tavoletta di creta originale, scritta dal creatore stesso – Herpo il Folle – andasse perduta secoli fa» spiegò, mostrandogli la formula.

Severus scorse con lo sguardo le parole elegantemente vergate sulla pergamena e notò che c’erano le indicazioni necessarie anche per la preparazione del Rituale. Il nome di questa cerimonia derivava dal fatto che consentisse di “annullare” completamente l’essere di una persona tramite il prosciugamento della sua stessa essenza. Voldemort non si sarebbe accontentato di dare a Potter una morte dolorosa; voleva rendere il ragazzo un guscio vuoto, in un modo che superava di gran lunga quello adoperato dai Dissennatori: ciò che desiderava davvero, era prosciugarlo di tutti i suoi poteri magici. Avrebbe spillato anche la più piccola goccia di sangue contenente magia dal corpo del giovane.

Il Rituale prevedeva che il sangue della vittima – dalla quale si volessero risucchiare i poteri – fosse versato, intenzionalmente o no, dalla mano di un parente; il colpo non doveva essere fatale: Voldemort si sarebbe riservato il privilegio di finire il ragazzo da solo, approfittando del fatto che la cerimonia prevedeva che la vittima rimanesse cosciente durante tutto il procedimento, pena – altrimenti – l’impossibilità di acquisirne i poteri.

Herpo il Folle pensava davvero in grande, osservò Severus, con amara ironia, ricordando come l’inventore di quel rito venisse annoverato nei libri di scuola come il più grande Mago Oscuro della sua epoca.

Il sangue ottenuto dalla vittima sarebbe stato, poi, mischiato alla pozione, che avrebbe avuto bisogno di essere preparata in un periodo di tempo compreso tra due pleniluni e che sarebbe stata bevuta da chi aveva intenzione di acquisire i poteri prelevati. In fondo alla pergamena, infine, erano stati trascritti i nomi degli ingredienti occorrenti alla pozione stessa, le parole da pronunciare affinché il rituale oscuro avesse successo e le particolari condizioni in cui esso sarebbe stato obbligatoriamente praticato.

«Le risorse per la pozione non richiederanno particolari ricerche da parte tua, sono sicuro che molte sono già alla tua portata. L’ingrediente principale, tuttavia, sarà la stessa mano che immolerà Potter come un agnello sacrificale sull’altare del mio ritorno: il ragazzo morirà, dopo che il suo sangue avrà fatto sì che tutta la sua magia venga trasferita a me» riprese a parlare Voldemort, chiaramente compiaciuto a quell’idea.

«Un piano indubbiamente geniale, mio Signore» approvò Severus, restituendo la pergamena dopo averne memorizzato il contenuto.

«Oh, sì, senza dubbio» sussurrò Voldemort, con un freddo sorriso. «Alla prossima luna piena, inizierai a preparare la pozione, che dovrà essere terminata esattamente allo scadere dei ventisette giorni che separano i due pleniluni» ordinò.

«Mio Signore, sono ansioso di prendere parte al progetto che consacrerà definitivamente la vostra superiorità sull’intero mondo magico e su… Harry Potter» disse Severus, con un tono quanto più partecipe e coinvolto possibile.

Voldemort sorrise. «La tua devozione alla causa mi lascia… basito, Severus» commentò, con una traccia di ironia nella voce, «ero convinto che le tue recenti azioni segnalassero un leggero… cambio di vedute da parte tua. Sai, ho quasi temuto, per un attimo, che volessi iniziare a fare di testa tua, con quell’iniziativa di spiare nella mente di Potter… senza consultarmi prima.»

Severus valutò il tono pericoloso con cui Voldemort aveva pronunciato quelle parole: vi era un accenno di accusa che il Pozionista sapeva di dover dissipare immediatamente, prima che quell’odioso essere lo accusasse di vero e proprio tradimento. Tutto ciò che stava aspettando era un cedimento da parte sua, anche minimo, che testimoniasse la sua colpevolezza in tutta quella faccenda riguardo a Potter e all’Occlumanzia.

«Per quanto io apprezzi le tue abilità di Legilimens e di Occlumens – arti nelle quali io stesso ti ho avviato, quando ti dimostrasti un servo devoto, in passato – sei consapevole del fatto che il tuo ritardo nel mettermi al corrente delle tue intenzioni e delle informazioni da esse ricavate è… ingiustificabile?» proseguì Voldemort, a voce sempre più bassa.

«Mio Signore, nonostante le mie azioni siano state dettate esclusivamente dal mio desiderio di compiacervi – so di avervi deluso per non aver pensato di mettervi immediatamente al corrente del mio piano, né dei propositi di Silente. Per questo vi chiedo di punirmi nel modo che ritenete più giusto.»

«Quindi, se sei consapevole del fatto che la tua condotta non possa essere lasciata… impunita, saprai anche che ciò che ti aspetta sarà qualcosa di simile a quello che uso per torturare Potter, vero?» la gelida piega con cui aveva storto quelle che un tempo erano state delle “labbra” nel vero senso della parola – ma che ora non potevano più definirsi tali, data la loro quasi totale assenza – si allargò ancora di più. «Ti chiederò di aprire completamente la tua mente a me, Severus.»

Fin dove è disposto a spingersi un uomo pur di continuare a fare ciò in cui crede veramente?

Confessare il proprio tradimento sarebbe stato più facile di impegnarsi a resistere a ciò che di lì a poco avrebbe dovuto sopportare.

Avrebbe potuto ottenere una morte che, nel peggiore dei casi, sarebbe stata senz’altro preferibile al dolore prolungato che lo attendeva a breve.

Avrebbe potuto dire addio a un’esistenza fatta di prese in giro, dolore, rimorsi, colpe…

… ma così non sarebbe stato più utile.

Non avrebbe più potuto fare l’unica cosa che desse ancora un senso a quella vita miserabile che gli era toccata in sorte. O che si era costruito da solo.

Non avrebbe più potuto continuare a essere leale, a mostrare lealtà – non a Silente, nè tantomeno a Voldemort – ma all'amore che provava per Lily.

Non avrebbe più potuto proteggere Potter… per Lily.

«Mio Signore.» Severus fece qualcosa che non aveva mai fatto prima d’ora, qualcosa che non era mai stato costretto a fare e per la quale poco prima aveva profondamente provato disgusto: non solo piegò il capo davanti a Voldemort, ma addirittura si inginocchiò di fronte a lui. «Mio Signore, sono pronto a tutto pur di dimostrarvi la mia buona fede… merito ben di peggio e vi ringrazio per la vostra clemenza.»

«Hai sentito, Codaliscia?» sussurrò Voldemort, compiaciuto, senza staccare le pupille scarlatte da Severus. «Ecco cosa vuol dire essere un servitore fedele… Ti do il permesso di restare: potresti imparare qualcosa da un uomo come lui.»

Codaliscia, che non aveva fatto neanche la fatica di mascherare la propria estasi nel sentire che proprio Piton – il Mangiamorte che, da sempre, detestava più di tutti a causa delle perentorie lodi che il Signore Oscuro gli aveva sempre rivolto – sarebbe stato punito, perse di colpo il ghigno esaltato che aveva assunto qualche istante prima e si rabbuiò immediatamente, ardendo d’invidia a quelle parole.

«Cominciamo, Severus. Apri la mente aME! Legilimens!»
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Harry non sapeva quanto tempo era trascorso da quando Piton se n’era andato.

Non sapeva neanche che ore fossero esattamente.

Si era appisolato poco dopo aver parlato con Silente, approfittando del silenzio che era sceso su di loro al termine della discussione e della relativa calma che questa gli aveva donato; tuttavia, quando riaprì gli occhi, ormai desto, vide che fuori era ancora piuttosto buio.

Si guardò intorno con circospezione e vide che – mentre Silente non era più lì – Madama Chips si trovava ancora nella sala, seduta dietro a una scrivania piazzata al termine della fila di letti; sembrava intenta a leggere qualcosa, aiutata dalla luce della sua bacchetta accesa e usata a mo’ di torcia.

Possibile che quella donna non dorma mai? Si chiese il ragazzo, esasperato, mentre si girava su un fianco facendo finta di essere ancora addormentato per non dover sopportare altre attenzioni da parte della matrona fin troppo ligia al dovere.

Cosa avrebbe dato per poter essere a Grimmauld Place in quel momento. Passare la notte in infermeria era quanto di più noioso ci fosse, per non parlare di quanto si sentisse solo in quel momento: una settimana senza Ron, Hermione e tutti gli abitanti della Tana cominciava davvero a pesare. Si chiese come stesse Sirius, se ce l’avesse ancora con Silente per la sua decisione di mandarlo a Hogwarts e si domandò quando avrebbe potuto rivederlo.

Chissà, forse se Piton non sarà di ritorno in mattinata, potrei fare visita a…

Harry si pentì immediatamente di quel pensiero, riflettendo su quanto fosse fuori luogo. La verità era che sperava che Piton tornasse presto, in modo tale che i suoi sensi di colpa per non essere stato in grado di bloccare Voldemort e aver, probabilmente, compromesso la posizione del professore di Pozioni si attenuasse.

Ma anche se Piton fosse tornato, in quali condizioni avrebbe varcato la soglia dell’infermeria?

Il ragazzo non poté fare a meno di immaginarsi gli scenari più orrendi e, involontariamente, trattenne il fiato, lasciandosi sfuggire, così, un piccolo rumore dalla bocca, non abbastanza lieve, tuttavia, perché Madama Chips non l’udisse.

«Signor Potter, è già sveglio? A meno che non debba andare al bagno, le consiglio di tornare a dormire… l’alba è ancora lontana e così la sua dose di Pozione Calmante.»

Harry sbuffò, soffocando il rumore con le coperte per non farsi udire e richiuse gli occhi per provare a riprendere sonno.

Oltre a non necessitare delle dovute ore di sonno, è dotata anche di un udito sopraffino… comincio a pensare che questa donna non sia umana.
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L’aria pungente della notte gli penetrò le membra tremanti e straziate dal dolore. Inspirò troppo velocemente e una fitta al petto lo costrinse ad appoggiarsi alla balaustra di marmo per evitare di scivolare dalle scale situate davanti all’ingresso della sontuosa dimora.

Lasciò andare la presa sulla ringhiera troppo presto – desideroso di allontanarsi il più in fretta possibile da quel posto – e, così, non poté fare a meno di incespicare e finire a terra, sollevando una nuvola di polvere con la sua caduta.

Serrò la mascella e cercò di rialzarsi tenacemente, facendo leva sulle mani, ancora instabili e scosse dai fremiti. Non si reggeva neanche in piedi talmente era debole, e non solo fisicamente: se il suo corpo poteva essere definito un vero e proprio “rottame”, la sua mente stava anche peggio.

Decisamente peggio.

La potenza che Voldemort aveva esercitato su di lui era stata tale da fargli rimpiangere una qualsiasi maledizione corporea, da fargli desiderare la morte. Ma il mostro aveva pensato bene di torturarlo forzando tutti i pensieri non protetti a venir fuori, strappati come da artigli affilati, che gli avevano ridotto la mente quasi nelle stesse condizioni di un ammasso informe e sanguinante.

Severus non sapeva neanche come aveva fatto a mantenere le barriere in posizione, in modo che tutti i segreti – suoi e dell’Ordine – non venissero forzati all’esterno dalla brutale tortura inflittagli da Voldemort.

E poi era arrivata la Cruciatus, che era partita direttamente dalla sua mente prima di diffondersi rapidamente per tutto il corpo, straziandogli ogni muscolo, ogni nervo, ogni articolazione. Ma ciò che era peggio, era stato il non potersi nemmeno concedere la grazia di perdere conoscenza, perché se fosse svenuto, cedendo al dolore sotto l’effetto della Legilimens di Voldemort, si sarebbe lasciato sfuggire tutti i pensieri che doveva proteggere e celare ad ogni costo per avere qualche speranza di uscirne vivo, convincere definitivamente il Signore Oscuro della propria lealtà e tornare a rapporto da Silente.

Severus arrancò lungo il largo viale di ghiaia con la sola forza di volontà, dato che poteva contare sempre meno su quella delle gambe. Di tanto in tanto inciampava e si graffiava i palmi delle mani, mentre cercava di focalizzare la vista – in parte annebbiata dallo stato sofferente in cui riversavano il suo corpo e la sua mente – sul maestoso cancello di ferro battuto, che appariva sempre più distante, nonostante i suoi sforzi.

Non era in grado di articolare pensieri distinti; tutto, nella sua testa, appariva confuso e dolorante. L’unica cosa che lo manteneva ancora cosciente e lo spingeva ad andare avanti era il suo istinto di sopravvivenza e la salda consapevolezza della necessità di allertare l’Ordine sui preoccupanti piani di Voldemort.

Silente… devo… informare… Si… len… te…

Questo era tutto ciò che continuava a ripetersi nella mente, mentre si avvicinava al cancello – la sua salvezza. Le inferriate incantate si spalancarono nel riconoscere la presenza del Marchio Nero sul suo braccio, e Severus le oltrepassò, concedendosi solo allora un momento di riposo; avrebbe avuto bisogno di riguadagnare un minimo di forze per essere in grado di Materializzarsi correttamente davanti ai cancelli di Hogwarts senza correre il rischio di Spaccarsi durante il processo.

Con una mano tremante e graffiata, estrasse la bacchetta dalla tasca e l’agitò debolmente di fronte a se, richiamando una fiala dalla sua scorta da viaggio; la Pozione Semi-Ricostituente gli avrebbe permesso di recuperare temporaneamente la concentrazione e le energie necessarie alla Materializzazione, prima di perdere ogni effetto.

Severus si portò alle labbra la piccola fiala, dalla quale sorseggiò il liquido ambrato; aveva la gola così arida e bruciante che mandò giù la pozione come se fosse acqua fresca. Una volta assunta la dose necessaria, si rialzò – un po’ meno barcollante e con la mente leggermente più chiara – e focalizzò ogni suo pensiero sulla destinazione che intendeva ad ogni costo raggiungere.

Inspirò un’ultima volta la fresca aria notturna del Wiltshire, prima di vedere scomparire dalla propria vista la scura foresta che circondava Villa Malfoy e le sue siepi di tasso, e di riapparire davanti alla massiccia cancellata di Hogwarts, in una voluta di polvere.

Non aveva fatto neanche tre passi oltre le inferriate, che sentì l’efficacia della pozione cominciare a venir meno, a causa dell’enorme ammontare di energie perse durante il processo di Materializzazione. Fu in grado di avanzare solo di un paio di metri in più dall’entrata del parco immerso nel buio, prima di crollare rovinosamente al suolo, stremato e immobile.

L’ultima speranza che gli restava era quella di essere ritrovato al più presto da Silente, magari grazie al suo ingegnoso sistema di allarme, che era stato ripristinato nel momento in cui Severus aveva ripreso il suo lavoro di spia. Era un metodo che si rivelava molto utile visto che avvisava il Preside dell’arrivo dell’Ex-Mangiamorte nello stesso istante in cui quest’ultimo varcava i cancelli di Hogwarts – di ritorno da una riunione con Voldemort – così da permettergli di calcolare il tempo che il professore impiegava nel raggiungere il castello e venirgli incontro in caso di un ritardo, un dato che poteva segnalare ferite o effetti post-tortura, com'era già successo in passato.

Severus sperava, possibilmente, di venire rintracciato prima di morire di freddo... e magari anche prima di essere costretto a trovare le forze per ricorrere al suo Patronus a forma di cerva e dare così a Potter o chicchessia qualche motivo in più per ficcare il naso nei suoi affari.
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Capitolo 11
*** Supporting a Snake ***


XI.
Supporting a Snake




Quando Harry fu svegliato da una serie di rumori e voci, l’alba doveva essere ormai prossima, a giudicare dalla tenue luce che attraversava le finestre dalle tendine aperte. Il ragazzo aprì lentamente gli occhi, confuso da quella concitazione così improvvisa, e si tirò su a sedere: tutto ciò che vide furono sagome confuse che gli sfilarono davanti al letto prima di raggiungerne un altro poco distante.

Harry allungò una mano verso il comodino accanto a se e inforcò gli occhiali rotondi con inusuale rapidità per essersi appena svegliato; poi, si girò alla propria sinistra e poté, finalmente, vedere ciò che era oggetto di tante attenzioni.

O meglio… chi.

Severus Piton era appena stato adagiato su un letto dalle bianche lenzuola identico al suo. Le sue vesti scure erano ricoperte di polvere e macchie di fango; aveva il viso più pallido del solito e sembrava semi-svenuto. Harry trattenne il fiato quando vide che indossava le vesti cerimoniali da Mangiamorte, di cui stringeva l’orrenda maschera – di un bianco spettrale – tra le mani, ma ancora di più si lasciò sfuggire un piccolo gemito quando si rese conto delle condizioni in cui proprio queste ultime erano ridotte: graffiate e chiazzate di sporco, in più punti perdevano sangue.

Silente era chino su di lui insieme a Madama Chips, ma quando si rese conto che Harry era sveglio, si girò immediatamente verso il ragazzo.

«Che… che cosa gli hanno fatto?» domandò Harry, prima che il vecchio mago potesse dirgli qualcosa.

«Non lo sappiamo ancora con esattezza, ma potrebbe aver subito ripetutamente la Maledizione Cruciatus» disse piano Silente, dopo aver valutato per qualche attimo l’espressione sconvolta del ragazzo: non era il caso di dirgli che probabilmente l’uomo aveva dovuto sopportare la maledizione anche a livello mentale, proprio come lui. «L’ho trovato nei pressi dei cancelli, grazie all’aiuto di Thor e dell’allarme che mi ha avvertito del suo ritorno» spiegò lentamente, prima di voltarsi a guardare brevemente Madama Chips somministrare a Piton una pozione che Harry non seppe identificare.

«Non sarebbe dovuto tornare là» disse Harry, cercando di controllare il fremito arrabbiato della voce. Non sapeva se avercela di più con se stesso, per non essere riuscito a bloccare Voldemort dalla propria mente, o con Piton, che non aveva voluto ascoltarlo.

«Harry, credo sarebbe meglio che tu ti riposassi…» stava dicendo il Preside, con l’intenzione di tornare a occuparsi di Piton, ma proprio la voce di quest’ultimo, bassa e roca, lo interruppe.

«S-Silente…»

L’uomo era tornato cosciente (forse grazie anche alla pozione di Madama Chips), ma faceva evidentemente fatica a parlare e sembrava che non sapesse dove si trovasse, così come pareva non essersi accorto che Harry fosse lì, sveglio e attento. «… I Dis… Dissennatori… sono stati allertati… presto prenderanno… A-Azkaban…» tentò di mettersi a sedere e di fare da parte Madama Chips, che cercò, invano, di trattenerlo, «… il rituale… sarà pronto in poco più… di un mese» proseguì, più deciso, controllando i tremiti della voce. Fece una pausa, i suoi occhi cercarono febbrilmente quelli di Silente, che si era avvicinato a lui e gli ostruiva – involontariamente – la vista di Harry. «Potter…» riprese, «Potter è in pericolo…»

Gli occhi di Harry si allargarono, in un’espressione incredula. Si sarebbe aspettato di tutto, meno che quelle parole; da un lato, desiderava che Silente si spostasse per lasciar vedere a Piton che lui era proprio lì, ad ascoltare tutto, mentre, dall’altro, sperava che il Preside restasse dove fosse per evitare che l’insegnante di Pozioni smettesse di parlare e lo reputasse più ficcanaso di quanto già non pensasse.

«Severus, calmati. Recupera le forze e accetta i rimedi di Poppy, parleremo di questo nel mio ufficio quando…»

«No!» protestò Piton, continuando a rifiutare la seconda dose di pozione che gli offriva Madama Chips; era evidente che una era stata sufficiente a farlo tornare definitivamente troppo in se. «Dobbiamo parlarne ora, Preside! Quindi, dica alla signora qui presente di lasciarmi e di concederci un po’ di privacy…!»

«Professor Piton!» esclamò Poppy, in tono offeso. «Qui non siamo nei suoi sotterranei dove può permettersi di dare ordini a destra e a manca! Sì dà il caso che si trovi nella mia infermeria!»

«Severus, per favore» parlò di nuovo Silente, prima che i due potessero continuare quell’acceso scambio di battute, «sii ragionevole: c’è un altro motivo per cui non mi sembra il caso di continuare qui questa discussione» proseguì, facendosi da parte.

Harry, che aveva distolto gli occhi dalla scena per non farsi cogliere ad assistere con aria fin troppo interessata, sentì lo sguardo confuso di Piton posarsi su di se e si costrinse a non ricambiarlo. Il professore richiuse la bocca che aveva aperto per continuare a controbattere e fissò il ragazzo per qualche istante, con un’espressione che diventava via via sempre più scura, chiaramente irritato della sua presenza (di cui si era dimenticato) e per l'essersi lasciato sfuggire quelle parole di troppo davanti a lui.

Soprattutto quelle riferite al suo stato di pericolo.

«Bene» esordì Silente, allargando le braccia, «ora che siamo tutti più calmi, direi che sarebbe meglio occuparci delle tue ferite, Severus» proseguì, osservando l’uomo trattenere ostinatamente un gemito di dolore, che lo riportò ad adagiarsi nuovamente al cuscino dietro di lui. «Sospetto che Voldemort abbia usato la Maledizione Cruciatus, dico bene?»

Piton fece una smorfia, lasciando passare una fitta alla gamba che aveva tentato di appoggiare a terra mentre cercava di divincolarsi da Madama Chips. «Perché fare domande di cui conosci già la risposta, Albus?» rispose, seccato. Non avrebbe ammesso davanti a Potter che, per una volta, i suoi sospetti si fossero rivelati corretti. O doveva, forse, chiamarli… aspettative? Ancora non riusciva a immaginare perché il moccioso dovesse far finta di interessarsi a lui… «Come testare la mia lealtà, altrimenti?» aggiunse, mentre cercava di ritrarre – ancora una volta – le proprie mani dalla stretta cortese, ma salda di Madama Chips.

Harry era tornato ad osservare Piton, ascoltando attentamente ogni sua parola. Non aveva bisogno che Silente aggiungesse qualcosa per capire ciò che Voldemort aveva davvero usato sull’insegnante di Pozioni: c’erano già i segni. Il disorientamento iniziale, le farneticazioni e i movimenti convulsi che aveva mostrato poco prima, erano esattamente ciò che lui stesso aveva sperimentato dopo essere stato soggetto alla tortura mentale, oltre che fisica, da parte del mostro serpentesco.

Mentre realizzava che ora lui e Piton condividevano qualcosa in più – vista la medesima crudeltà subita da entrambi – il ragazzo vide il vecchio Preside aprire bocca per domandare qualcos’altro, ma il professore di Pozioni fu più veloce di lui a parlare.

«Ovviamente – se sono qui a parlarne – è perché ancora una volta ho saputo giocare bene le mie carte» disse, e Harry poté percepire, oltre al solito cinico sarcasmo, una buona dose di auto-compiacimento nella sua voce. Lo sguardo dell’uomo incrociò quello assorto del ragazzo, in un silenzioso confronto che sembrava essere il proseguimento di quello più… acceso, avvenuto tra i due diverse ore prima.

Harry si interrogò ancora una volta sulle ragioni che potevano spingere Piton a rischiare la propria vita in quel modo e – senza rendersene effettivamente conto – si ritrovò a osservarlo per la prima volta sotto una luce nuova: quello che per lui un tempo era stato solo l’insegnante più odioso e sgradevole di Hogwarts, adesso appariva come un esempio di inaudita forza di volontà e coraggio. Harry capiva solo ora perché Silente avesse insistito tanto nell’affermare che Piton fosse un Occlumante davvero abile: quante altre persone sarebbero state in grado di resistere alla potenza della Legilimanzia di Voldemort, salvando sia la pelle che il proprio ruolo di spia?

«Stai per condividere con noi una delle tue brillanti osservazioni, Potter, o dovremo semplicemente accontentarci dell’estrema acutezza assunta dal tuo sguardo da circa due minuti?»

Harry si riscosse e cercò di mascherare il leggero rossore diffusosi sulle guance per l’ennesima figura da idiota che aveva appena fatto; sperava solo che almeno per una volta il proprio viso non avesse messo a nudo i pensieri che aveva appena formulato riguardo alle ammirevoli capacità di agente segreto di Piton.

Sarà anche una spia straordinaria… ma resta sempre un idiota irritante, non poté fare a meno di borbottare nella propria testa, mentre sentiva ancora lo sguardo del Serpeverde su di se, alla ricerca di chissà quali risposte nascoste.
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«Dunque non ti ha rivelato l’identità dell’infiltrato» sospirò Silente una volta che Madama Chips ebbe decretato che Harry potesse essere scortato nel suo dormitorio e i due uomini furono rimasti soli nell’infermeria. «E la Profezia è ancora più in pericolo adesso…»

«La caduta di Azkaban sarà la sua prima mossa pubblica» disse Piton. «Con i Dissennatori e i suoi più fedeli Mangiamorte liberi non impiegherà molto per impadronirsi dell’intero Ministero, con o senza il suo esecutore segreto.»

Silente annuì tetramente. «Ho ritenuto necessario inviare un Patronus alla base dell’Ordine, perché sia inviato qualche membro in più a Privet Drive: visti i dettagli emersi dalla formula rubata, i parenti di Harry sono più in pericolo ora di quanto non lo siano stati in quattordici anni» disse, prima di continuare: «E’ stato un bene che tu sia riuscito a mantenere il tuo ruolo di spia, Severus, abbiamo bisogno che Voldemort continui a fidarsi di te, soprattutto in relazione ai recenti sviluppi.»

Ci furono diversi minuti di silenzio prima che Piton decidesse di spezzarlo.

«Ho dovuto rivelargli che il ragazzo è in grado di vedere parte dei suoi piani, Albus» disse lentamente. «Il Signore Oscuro prenderà precauzioni per bloccare quelle visioni senza rinunciare alle… torture.»

Silente tacque per un lungo istante, osservandolo attentamente. «E questo ti turba» commentò con semplicità.

«No» rispose subito Piton, inarcando un sopracciglio. «Mi turba che Potter non sia in grado di reggere un dannato confronto di sguardi senza distogliere gli occhi nel giro di pochi secondi. Come possiamo sperare che resista faccia a faccia con l’Oscuro Signore se non può chiudere la mente nemmeno con l’aiuto della distanza che li separa?»

Silente scosse piano la testa. «Severus, tu hai provato quello che Harry ha sofferto. Tu sai cosa vuol dire sentire Voldemort che artiglia ogni pensiero non protetto, ogni più piccolo anfratto della mente. E dovresti sapere anche cosa fare per aiutare il ragazzo a migliorare…»

«No, Silente, non lo so!» sbottò Piton, frustrato. «Ti aspetti forse che inizi le lezioni di Occlumanzia offrendo a Potter una tazza di tè, o magari conversando amabilmente dei bei vecchi tempi trascorsi con suo padre a Hogwarts?»

Silente sospirò, ma abbozzò un leggero sorriso a quelle parole. «Non pretendo nulla di tutto ciò, tuttavia… trovo che l’idea della chiacchierata davanti a un bel vassoio di tè e biscotti non sia affatto male, anzi, magari l’argomento potrebbe riguardare… qualcuno che non sia suo padre.» Piton gli lanciò un’occhiata irritata e il Preside ridacchiò bonariamente. «Riposati, Severus… Harry avrà bisogno di riprendere ad esercitarsi con te il più presto possibile.»
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Erano passati quasi quattro giorni da quando Voldemort aveva attaccato per l’ultima volta Harry. Su suggerimento di Silente, era stata stabilita una breve pausa dalle lezioni di Occlumanzia: il vecchio mago pensava che un’interruzione delle intrusioni mentali di Piton avrebbe giovato alla ripresa più rapida di entrambi, visti i recenti traumi vissuti dai due per mano di Voldemort.

Harry era quasi stupito di come l’insegnante di Pozioni si fosse comportato quasi decentemente con lui le rare volte in cui si erano incrociati, in quei giorni; non c’erano stati commenti maligni o battute sarcastiche sulla sua debolezza e scarsa abilità nel padroneggiare l’arte occlumantica, né ripercussioni per l’inettitudine con cui Harry aveva, per poco, contribuito alla rovina di Piton come spia. Il giovane sapeva che l’uomo era uscito dall’infermeria poche ore dopo di lui e non l’aveva più rivisto fino a cena, al termine della quale, il Serpeverde si era brevemente soffermato a ricordargli che avrebbe dovuto continuare ad esercitarsi nel chiudere la mente prima di dormire – nonostante la sospensione dalle lezioni.

Harry avrebbe voluto intrattenersi per chiedere dettagli sulle intenzioni di Voldemort che lo riguardavano più da vicino, visto che le parole “Potter è in pericolo” non facevano altro che tormentarlo, ma – certo di ricevere solo un’occhiataccia indisposta – aveva rinunciato momentaneamente all’idea di fare domande.

Erano dunque trascorsi pochi giorni quando il Ragazzo Sopravvissuto si ritrovò a ricevere inaspettate visite nella Sala Comune di Grifondoro, in uno dei tanti assolati pomeriggi di quelle vacanze estive.    

«Ron! Hermione!» esclamò sorpreso, mentre il volto gli si illuminava in un gran sorriso alla vista degli amici.

«Come stai, Harry?» chiese Hermione, mentre si abbracciavano calorosamente. «Silente ha pensato di lasciarci venire a trovarti, ha detto che una visita ti avrebbe sicuramente fatto bene...»

«Già, erano giorni che chiedevamo all’Ordine di parlare con Silente per poterti vedere, ma sembrano sempre più impegnati di questi tempi» disse Ron, battendogli una mano sulla spalla. «Allora cos’è successo?»

Harry si chiese quanto il Preside avesse rivelato ai due riguardo a quello che era accaduto circa tre sere prima; optò per spiegare loro tutto ciò che ricordava da quando Voldemort era di nuovo entrato nella sua testa fino al risveglio in infermeria. Gli sembrava ancora impossibile che fossero già passati quasi quattro giorni da quell’incubo…

«Accidenti, Harry, deve essere stato terribile» sussurrò Hermione, sconvolta, passandogli una mano sul braccio in segno di conforto, mentre l'amico terminava il proprio resoconto.

Il ragazzo sospirò. «Quel che è peggio è che non so nemmeno cos'ho visto esattamente nella visione avuta in quel momento; questa storia della pozione e del rituale... non capisco. Silente non vuole dire nulla, naturalmente, e Piton--»

«Piton era di nuovo presente, Harry, non è vero? Durante l'aggressione di Tu-Sai-Chi, dico» disse improvvisamente Ron, come se avesse avuto un lampo di genio. «E se fosse lui la causa di questi attacchi? Se le lezioni di Occlumanzia non fossero altro che una scusa per indebolirti mentalmente e...»

Harry non stette nemmeno a sentire il resto della frase, mentre si distraeva per un attimo in modo da rifletterci su; doveva ammettere che non aveva mai pensato a nulla del genere, ma l'idea di Ron gli sembrava così ridicola da fargli venire voglia di ridere. Certo, fino a pochi mesi prima probabilmente sarebbe arrivato anche lui alla stessa conclusione, ma dopo aver visto Piton fare quello che aveva fatto e – soprattutto – dopo ciò che aveva provato nell'essere prontamente salvato da lui, più di una volta...

«Ron» sentì la voce di Hermione interrompere il discorso acceso del rosso, «come ti vengono in mente certe idee?» proseguì la ragazza, scuotendo la testa. «Piton ha salvato Harry!»

«E se fosse una messinscena...

«No, Ron» disse subito Harry, interrompendolo con più foga del previsto. Non sapeva perchè, ma si sentiva come punto sul vivo; era come se il suo sesto senso lo spingesse a difendere Piton, suggerendogli che ci fosse davvero una buona ragione per farlo. «Hermione ha ragione: avrebbe avuto più di un'occasione per torturarmi mentalmente, ma non l'ha mai fatto. Anzi, ha rischiato di non tornare dal suo ultimo incontro con Voldemort per rimediare a... un mio errore.»

Ancora non si perdonava per la debolezza che aveva quasi costato la vita alla spia, anche se sapeva che ben poco avrebbe potuto contro la potenza di Voldemort. Harry si chiese se non fosse il caso di raccontare a Ron ed Hermione ciò che era riuscito a fare Piton, di come era tornato al castello per miracolo dopo essere stato in grado di ingannare – ancora una volta – Voldemort; dall’altro lato, il ricordo delle condizioni in cui l’uomo era stato trasportato in infermeria e la testarda determinazione con cui aveva rifiutato le cure per fare rapporto a Silente lo bloccavano dal rivelare troppi dettagli, anche perchè Piton gli aveva sempre dato l'impressione di essere un uomo estremamente riservato...

«Harry? Sei ancora tra noi?» lo risvegliò la voce di Hermione, un po’ perplessa.

«Miseriaccia, amico, stai fissando il vuoto da due buoni minuti!» scherzò Ron, prima di farsi un po’ più serio, di fronte allo sguardo di rimprovero della ragazza. «Ehm, ad ogni modo… cos'è questa storia dell''incontro' con Tu-Sai-Chi? E di che errore stavi parlando?»

Harry si accorse che i suoi amici lo stavano fissando con una luce confusa negli occhi, come se non riuscissero a capire il perché della sua reazione. Effettivamente, nemmeno lui sentiva di avere le idee chiare riguardo all'improvvisa fiducia che stava dimostrando nei confronti dello stesso uomo che si era sempre fatto odiare dai Grifondoro per la sua spiccata antipatia e le numerose ingiustizie.

Convincendosi del fatto che fosse il caso di confrontarsi con qualcuno come Ron e Hermione, Harry si decise nel rivelare ai suoi amici le qualità di spia e mago che aveva recentemente scoperto nel Serpeverde, pensando – tuttavia – di risparmiare loro dettagli inutili. Il giovane aprì bocca per parlare, concitato per ciò che stava per dire, ma – proprio nel momento in cui si ritrovò a pronunciare «Piton…» – il ritratto della Signora Grassa scivolò di lato per lasciare spazio all’energica figura di Sirius Black.

Harry lo accolse con un sorriso a trentadue denti, andandogli incontro con gioia. «Mi sembra di non rivedervi tutti da una vita» esclamò, lasciandosi scompigliare i capelli dalla presa scherzosa dell’uomo, che scoppiò in una fragorosa risata.

«Potevo mai dimenticarmi del mio figlioccio preferito?» lo prese in giro con una strizzatina d’occhio. «Harry, Silente mi ha spiegato cosa è successo, come ti senti?»

«Ora anche meglio» rispose Harry, positivo, ma allo sguardo un po’ più serio di Sirius decise di adottare un atteggiamento più maturo. «Dico davvero, il peggio è passato e Madama Chips mi ha dimesso completamente» lo rassicurò.

Sirius lo osservò per un po’ senza dire nulla, come se stesse valutando le sue effettive condizioni fisiche, dopodiché sorrise di nuovo. «Sono arrivato nell’Ufficio di Silente dopo aver seguito questi due nel camino e mi sono intrattenuto a parlare un po’ con lui; chissà, forse riuscirò a convincerlo a farti prendere lezioni di Occlumanzia a Grimmauld Place, se sarò in grado di liberare la casa da tutti gli oggetti maledetti... almeno quelli rimovibili.»

«Silente ti ha permesso di venire qui? Credevo che fosse rischioso abbandonare Casa Black…»

«Harry, chi vuoi che mi veda in un castello semi-deserto? Nah, Silente in persona mi ha dato il via libera, e ti dirò di più» aggiunse, adottando un tono più basso e misterioso, «visto che ti sei ripreso piuttosto egregiamente, mi ha anche concesso di portarvi tutti… al campo di Quidditch per un’avvincente allenamento!» esclamò infine, esaltato come un bambino.

Harry rise e cominciò a sentire l’adrenalina in corpo all’idea di tornare a volare sulla sua Firebolt. «Ora capisco perché stavi testando le mie condizioni fisiche! Hai paura di perdere, per caso?»

«Su su, prendi la scopa che ci aspetta una partita mozzafiato! Chi arriva ultimo si accaparra una favolosa Comet 260 presa dall’armadietto delle scorte! Hermione? Ron? Pronti?»

«Mmh, penso che mi porterò da leggere e vi guarderò giocare.»

«Puoi scommetterci!»

«Questo è lo spirito giusto!» esclamò Sirius, dando una pacca sulla spalla a Ron, mentre si apprestavano tutti a uscire. «Hey, ma sbaglio, o prima si parlava del Pipistrello dei Sotterranei?» aggiunse l’uomo, con un leggero ghigno, mentre il rosso ridacchiava.

La bonarietà e l’entusiasmo di Sirius aveva fatto dimenticare a Harry quello che avrebbe voluto raccontare a Ron ed Hermione. Il ragazzo ricordò di come Sirius era stato estremamente contrario alle lezioni con Piton e pensò che non fosse assolutamente il caso di riaprire il discorso sulla sua permanenza al castello, né tantomeno farlo partecipe delle disavventure passate dal ‘Pipistrello’ – come si ostinava a chiamarlo – pochi giorni prima.

Senza contare, poi, che Harry dubitava seriamente che Sirius l’avrebbe considerato ancora il suo ‘figlioccio preferito’ se fosse venuto a conoscenza della nuova luce ammirata con cui il ragazzo aveva cominciato a guardare Piton dal momento del suo ritorno a Hogwarts.
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Per quanto Severus trovasse incredibilmente fastidioso il compito di andare a raccattare Potter al campo di Quidditch, doveva ammettere che si trattava di un'ottima occasione per controllare che il moccioso non si stesse cacciando in qualche guaio insieme a quel gran campione di idiozia che si ritrovava come padrino. Il Serpeverde aveva sempre saputo a cosa sarebbe andato incontro giurando di difendere Potter, e sentiva di avere pieno diritto nel manifestare il proprio disappunto verso i pericoli a cui la causa concreta di tutti i suoi guai poteva andare incontro, stando a contatto con un decerebrato come Black; per questo motivo, aveva ritenuto perfettamente normale esporre a Silente i dubbi che aveva sull'assennatezza della sua decisione.

Mandare Potter su una scopa con Sirius Black dopo quello che è successo nemmeno due giorni fa… quanto saggio da parte tua, Albus.


Severus scosse la testa a quel pensiero, mentre percorreva il sentiero che portava al campo di Quidditch. Naturalmente, tutto ciò che aveva ricevuto in risposta era stato un sorriso consapevole e un vivace brillio negli occhi azzurri; a volte gli riusciva davvero difficile capire quali idee impossibili passassero per la testa del vecchio Preside.

L’esperto di Pozioni si era ripreso piuttosto velocemente dalla tortura di tre notti prima, nonostante il Marchio Nero avesse – da allora – continuato a bruciare costantemente. I casi erano due: o il Signore Oscuro voleva accertarsi che lui non compisse lo stesso errore una seconda volta – ricordandogli la punizione in cui sarebbe altrimenti incorso – oppure si preparava a richiamarlo per eventuali sviluppi riguardo agli innumerevoli piani che stavano per essere attuati.  

Il sole cominciava già a tramontare sui prati e sul Lago Nero a sud del castello; la Piovra Gigante aveva da poco lasciato emergere placidamente alcuni tentacoli dalle acque scure, preparandosi ad accogliere il momento che più preferiva nelle calde giornate estive: la fresca e cupa notte.

Severus proseguì lungo il percorso fino ad arrivare all’ingresso del campo, all'interno del quale avrebbe potuto recuperare il prezioso Ragazzo d'Oro di Silente e riferirgli che avrebbero ripreso quella sera stessa le lezioni di Occlumanzia, visto che diffidava del fatto che il marmocchio si stesse esercitando davvero per conto suo. La prima cosa che i suoi occhi notarono una volta all’interno furono le tre sagome che si rincorrevano vicendevolmente a diversi metri da terra, sopra la testa di una quarta figura, la quale osservava i rapidi e concitati movimenti con cui le scope volanti si inseguivano in aria.

Il Direttore di Serpeverde non impiegò molto a individuare Potter: era il più esile del gruppetto. Il ragazzo piroettava a destra e a manca scansando con facilità Weasley e afferrando al volo la Pluffa lanciatagli da Black; Severus lo vide fermarsi a mezz’aria e prendere la mira per il lancio, ma il suo attraversamento del campo fino a qualche metro dalla Granger dovette aver catturato l’attenzione del ragazzo, perché Potter abbassò gli occhi e così il braccio che reggeva la palla rossa.

I loro sguardi si incrociarono brevemente, ma a Harry bastò per capire che sarebbe stato meglio scendere: se Piton si trovava lì doveva essere solo per un buon motivo. Dopo aver lanciato una breve occhiata a Sirius e a Ron – i quali si erano altrettanto avveduti della presenza dell’uomo vestito di nero – il giovane si apprestò a planare docilmente verso terra.

Impassibile, Piton lo osservò atterrare con abilità di fronte a se e attese che il ragazzo gli si facesse incontro prima di parlare. «La lezione di questa sera è anticipata, Potter. Avrai il tempo necessario per darti una sistemata, dopodiché mi raggiungerai nei sotterranei.»

Piton è venuto fin qui per dirmi solo questo? Si chiese Harry, confuso.

«Qualcosa non ti è chiaro, Potter?»

«No, signore,» rispose Harry, prima di aggiungere, incerto, «è successo qualcosa…?»

Piton inarcò un sopracciglio, chiedendosi quale straordinaria intuizione pensasse di aver avuto questa volta il ragazzo. «No, Potter» rispose lentamente, prima di parlare a voce più bassa, «ma potrei essere richiamato da un momento all’altro.»

A Harry non sfuggì l’intenzionale sguardo che Piton aveva lanciato al proprio braccio e capì che l’uomo non avrebbe aggiunto di più sull’argomento davanti a Sirius, che era appena atterrato poco distante insieme a Ron e si stava avvicinando a loro.

«Problemi, Mocciosus

«A parte la tua presenza, non ne vedo, Black.»

«A me sembri tu quello fuori luogo» ringhiò Sirius, facendo un passo avanti. «Nessuno ti ha invitato--»

«E da quando – esattamente – detti legge anche ad Hogwarts?» sibilò Piton, fissandolo con odio. «Inoltre,» aggiunse in tono più casuale, «ti ricordo che non ho bisogno del tuo permesso per parlare con Potter.»

Prima che il suo padrino potesse ribattere qualcosa, Harry si fece avanti per catturare la sua attenzione. «Sirius, devo tornare al castello per Occlumanzia. Chiederò a Silente se mi lascerà visitare Grimmauld Place nei prossimi giorni, va bene?»

«Devi riprendere le lezioni ora? Avevo concordato con Silente di farti distrarre un po’, credevo che ti fosse stato concesso qualche giorno per riposare…»

«Il Signore Oscuro non concede pause,» replicò sarcastico Piton, fissandolo come si fa con un perfetto idiota.

«Già, perché tu conosci molto bene le sue abitudini, non è così, Piton?»

Un silenzio gelido calò improvvisamente sul gruppo.

Harry rabbrividì quando vide il volto dell’insegnante di Pozioni trasformarsi, diventando via via più bianco, fino ad assumere un’espressione di pura rabbia. Il ragazzo capì dagli sguardi di Ron ed Hermione che anche loro si stavano preparando al peggio.

«Che cosa stai insinuando, Black?» Piton digrignò pericolosamente i denti, riducendo le pupille a due fessure.

«Sto dicendo» scandì Sirius, avvicinandosi ancora di più a lui, con aria minacciosa, «che Silente può pensare quello che vuole di te, ma io non mi fido di chi è stato già una volta un viscido Mangiamorte--»

«Sirius!» intervenne Harry, sorprendendo se stesso, ma – ancor di più – gli altri, mentre si frapponeva tra i due. Il ragazzo era quasi scioccato dalla pesantezza delle sue accuse, soprattutto dopo aver visto fino a dove si era spinto Piton per tornare a riferire a Silente di come luiHarry – fosse in pericolo. Naturalmente Sirius non poteva sapere nulla di tutto ciò, ma il ragazzo era pronto a fargli aprire gli occhi. Serrò la stretta sulla Pluffa che teneva ancora in mano, come per darsi forza, prima di esclamare: «Sirius, lui sta facendo la spia per noi! Tu non sai cosa vuol dire dover--»

«Non – una – parola – di più, Potter,» soffiò irato Piton, troncandogli ogni spiegazione.

«Ma deve sapere! Se le persone sapessero che lei rischia la vita ogni volta che--»

«Potter!»

Harry si girò, alzò lo sguardo verso di lui e vide che era furente, sebbene cercasse – allo stesso tempo – di nascondere il lampo stupito che gli aveva illuminato gli occhi scuri pochi istanti prima; il ragazzo non sapeva distinguere se l’uomo fosse più arrabbiato per l’attacco verbale di Felpato o per il modo in cui lui aveva deliberatamente disubbidito al suo comando. Mantenne il contatto visivo con l’insegnante – incapace di distogliere gli occhi da quello sguardo, in cui era apparsa una luce diversa dal solito – e si chiese quale sottile linea avesse oltrepassato questa volta.

Intanto, avvertì l’aria farsi sempre più greve attorno a se: Ron ed Hermione lo guardavano ad occhi sgranati, letteralmente esterrefatti dal suo exploit a favore di Piton. Tuttavia, non erano gli unici: Sirius sembrava sconvolto oltre ogni limite, mentre fissava il giovane come se stentasse a riconoscerlo.

«Come osi alzare la voce con lui, Mocciosus?» latrò, una volta che si fu ripreso dalla sorpresa iniziale, interrompendo l’insostenibile silenzio che si era creato.

Piton gli rivolse un’occhiata piena di rancore e disgusto. «A differenza tua, Black, non ho tempo da perdere in simili buffonate, il tuo spettacolino finisce qui» disse aspramente, prima di rivolgersi di nuovo a Harry. «Potter, seguimi. A meno che tu non preferisca aspettare un attacco del Signore Oscuro mentre svolazzi spensieratamente a mezz’aria.»

Harry lo osservò brevemente mentre si incamminava verso l’uscita del campo e si fermava ad aspettarlo poco distante, per assicurarsi di essere seguito. Per non sentire l'urgenza di ribattere a tono alle offese del suo rivale di sempre deve davvero avere poco tempo, pensò il ragazzo, sorpreso. «Sirius…» esordì, tornando a guardare il proprio padrino e chiedendosi perché fosse così difficile trovare le parole giuste con cui rivolgersi a lui, «… mi spiace aver gridato prima, ma devi capire che Piton sta facendo davvero tanto per la nostra parte, lui--»    

«Harry,» Sirius si piegò sulle ginocchia quel tanto che bastava da portarsi alla sua altezza, «promettimi solo una cosa: dai il massimo nelle tue lezioni di Occlumanzia, ma… giurami di non abbassare la guardia con Piton. Non ci si può mai fidare del tutto di un serpente… ricordatelo.»

Il ragazzo osservò il suo sguardo serio e preoccupato, prima di annuire lentamente, sebbene non fosse completamente convinto delle sue parole. Piton l’aveva salvato in più di un’occasione e aveva messo in pericolo la propria copertura più di una volta per poterlo aiutare: Harry era convinto che, nonostante tutti i loro dissapori, il Serpeverde potesse essere un affidabile alleato contro Voldemort e… una valida guida nell’apprendimento dell’Occlumanzia.

O almeno questo era quello che pensava mentre si accingeva a salutare i suoi amici e Sirius, per poter infine raggiungere l’insegnante di Pozioni e farsi scortare da lui nella salita verso il castello.
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Severus camminava un po’ più avanti rispetto al ragazzo, il quale teneva il passo a capo chino, apparentemente concentrato sui suoi pensieri. Anche l’uomo era immerso nei propri: gli sembrava incredibile di aver assistito a quanto avvenuto solo pochi minuti prima.

Potter che prendeva le sue difese… in un confronto con Black, per giunta!

Severus non riusciva a togliersi la scena dalla testa. Lo stupore e lo sconcerto che l’avevano colto in quel momento, come una secchiata d’acqua gelida in pieno volto, erano ancora ben impressi in lui, così come ricordava ancora la faccia altrettanto sconvolta del rognoso Black, la snervante insistenza del ragazzo nel voler spiegare al suo stupido padrino la pericolosità del suo compito, e infine…

… i suoi occhi verdi.

Potter si era voltato e lui – per una frazione di secondo – non aveva più visto il moccioso che tanto detestava: per un attimo, erano esistiti solo quegli occhi verdi, quelli che ancora desiderava, amava… e che erano animati dalla stessa luce che avevano quando…

«Lasciatelo stare!»

«Non mi serve l’aiuto di una piccola schifosa Mezzosangue!»

… era Lily a guardarlo e difenderlo.

Severus serrò la mascella a quel ricordo, troppo doloroso da poter essere dimenticato e tornò alla realtà del momento. Solo allora si accorse che erano appena arrivati nella Sala d’Ingresso del castello e che il giovane Grifondoro lo stava fissando, in attesa.

«Cosa stai aspettando, Potter?» domandò in tono asciutto, il viso privo di ogni emozione. «Va’ a prepararti e raggiungimi nel mio ufficio il prima possibile… abbiamo molto di cui discutere.»

Osservò il ragazzo annuire senza ribattere e dirigersi verso la scalinata principale, e – mentre lo guardava svoltare l’angolo – non poté fare a meno di chiedersi se fosse normale che una parte di lui sperasse di rivedere ancora lo stesso brillio ammirato balenato per qualche istante negli occhi verdi che per troppi anni aveva cercato di ignorare.
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Capitolo 12
*** Blind Trust ***


XII.
Blind Trust



Harry fu costretto a mordersi la lingua per non rispondere a tono a Piton quando l’uomo lo richiamò per la sua peculiare abilità nel parlare sempre a sproposito e – soprattutto – nell’impicciarsi di cose che non lo riguardavano affatto. D’altronde, da una persona estremamente riservata come l’insegnante di Pozioni, Harry non si era di certo aspettato che il suo snocciolamento di elogi di fronte a Sirius Black e a due dei suoi studenti preferiti potesse risultare gradito.

«Se dovessi scoprire, Potter, che hai spiattellato tutte le informazioni riservate di cui sei venuto a conoscenza in questi giorni ai tuoi piccoli amici, ti assicuro che rimpiangerai di aver accettato di prendere lezioni di Occlumanzia da me,» disse Piton, con aria minacciosa. «Sono stato chiaro?»

«Sì, signore,» rispose il giovane, incapace di trattenere una nota risentita nella voce, cosa che evidentemente non piacque a Piton, vista l’espressione scettica immediatamente apparsa sul volto austero.

«Lo vedremo,» disse semplicemente, in tono basso, mentre lo considerava per qualche altro secondo, prima di dargli le spalle e dirigersi verso l’armadietto situato dietro la scrivania. «Ti sei esercitato nel chiudere la mente ogni sera?» domandò poi, rovistando nel mobiletto alla ricerca di qualcosa che il ragazzo non avrebbe potuto vedere da quella posizione.   

«Ci ho provato, signore,» rispose tranquillo Harry, prima di continuare, in tono quasi casuale, «ma trovo difficile riuscire nell’intento, quando non so, di preciso, cosa dovrei fare.»

Piton rialzò la testa dalla piccola credenza e si voltò nuovamente verso di lui, raddrizzandosi in un movimento lento e squadrandolo con sospetto. «Che cosa stai cercando di dimostrare – esattamente – Potter?» inquisì, inarcando il sopracciglio sinistro in un cipiglio che Harry ormai conosceva molto bene.

Harry sfoderò l’espressione più innocente del mondo a quelle parole. «Nulla,» rispose, prima che Piton perdesse la pazienza, «solo la verità. Come si può pensare al niente quando sto già pensando a qualcosa?»

Piton ignorò con evidente sforzo il continuo tono piccante con cui il ragazzo si stava rivolgendo a lui; sospettava che avesse a che fare con la predica di poco prima. «È qui che ti sbagli, Potter,» disse, osservandolo con attenzione e vedendolo toccarsi distrattamente la cicatrice. «Avvicinanti,» ordinò, tornando a cercare nell’armadietto dietro di se.   

Per un attimo, Harry pensò che Piton volesse punirlo per il suo tono provocatorio e fu con enorme incertezza che si mosse verso il fondo dell’ufficio, nel punto in cui si trovava l’uomo. Con un misto di curiosità e paura, il giovane cercò di sbirciare oltre la schiena dell’insegnante per scoprire cosa celasse l’armadietto, ma – quando vide il Pozionista girarsi nuovamente – si affrettò a fare finta di nulla.


Piton reggeva quella che aveva l’aria di essere una boccetta per unguenti, la quale Harry ricordava vagamente di avere già notato da qualche altra parte. Il ragazzo vide l’uomo spostare lo sguardo sul punto della fronte in cui era incisa la cicatrice, prima di piegarsi leggermente verso di lui in modo da poterla osservare meglio. Harry si mosse, a disagio, lanciando sguardi preoccupati prima alla boccetta e poi all’insegnante, così vicino a lui.

«Fermo, Potter,» disse severamente l’uomo, mentre continuava a guardare con intensità la saetta, che – all’insaputa del ragazzo – appariva più arrossata del solito. «Come sospettavo…» lo sentì mormorare Harry, più a se stesso che a lui, per poi vederlo stappare la piccola fiala. «Se avessi prestato più attenzione alle mie parole durante la prima lezione, sapresti che quello che occorre per riuscire nell’Occlumanzia non è smettere di pensare, come hai stupidamente blaterato poco fa. Bensì,» disse lentamente, prendendo un po’ di unguento e accostando la mano alla fronte del giovane, «nel focalizzare la mente affinché tutti i tuoi pensieri siano protetti da una barriera, la quale risulterà particolarmente efficace in caso di predisposizione naturale, esercizio costante o una sensazione di… estrema pace interiore

Harry avvertì qualcosa di freddo sfiorargli la cicatrice e si irrigidì istintivamente, sorpreso da quel contatto inaspettato; una minuscola parte di sè gli suggeriva di rifiutare il tocco delle dita di Piton, ma si trattò di una questione di pochi secondi prima che l’effetto dell’unguento cominciasse a farsi sentire e vincesse sull’urgenza di scostarsi. Il ragazzo si rilassò nel riconoscere l’odore acre della pomata e nel ricordare la quiete che più di una volta quel procedimento gli aveva donato; mentre cercava di non dare troppo a vedere il conforto che stava provando in quel momento, alzò gli occhi su Piton, e vide che il volto del professore era una maschera impassibile: tutto ciò che poteva scorgere in lui era la concentrazione con cui stava svolgendo il proprio lavoro.  

«Signore, questa… pomata, come può--»

«Ti sei accorto, Potter, che la tua cicatrice era particolarmente irritata fino a poco fa?» lo interruppe bruscamente Piton, terminando di applicare il balsamo sulla saetta e scostandosi dal ragazzo quel tanto che bastava da poter controllare il miglioramento nel suo insieme.

«Io… non ci ho fatto caso,» rispose sorpreso Harry, sentendo che l’ostilità provata poco prima verso l’uomo stava drasticamente calando. E io che pensavo fosse solo un altro stratagemma per bearsi nel mettermi a disagio. «Crede che Voldemort si stia preparando ad attaccarmi?» chiese poi, colto da un timore improvviso.

Piton osservò per qualche istante il panico balenare negli occhi verdi. «No,» rispose infine, in tono neutro, e avvertì il giovane tirare quasi un sospiro di sollievo, «ma potrebbe essere in agguato in qualunque momento. Per questo,» aggiunse, posando la boccetta sul tavolo e ripulendosi le dita con accuratezza, «è stata una mossa sciocca quella di seguire Black su una scopa oggi.»

Harry inarcò un sopracciglio, perplesso, ignorando l’impulso di chiedergli perché gli importasse tanto di quello che sarebbe potuto accadergli. «Ma Silente ha detto che--»

«Il Preside non è sempre infallibile, Potter, e per quanto grande possa essere la tua stima nei suoi confronti, penso che questo dovrebbe esserti chiaro ormai,» replicò Piton, in tono annoiato e il ragazzo ebbe l'impressione che l'uomo non si riferisse solo a quanto successo l'anno precedente in seguito alle diverse decisioni prese da Silente. «Ora, riprendi posizione e vediamo se questa volta ti sarà più semplice concentrarti.»

Harry trovò strano non essere immediatamente sopraffatto dalla solita ansia che normalmente si insinuava in lui quando Piton annunciava il momento in cui avrebbe forzato la sua mente ad aprirsi; senza pensarci su troppo, attribuì quella novità all’effetto dell’unguento e ricapitolò nella propria testa quanto gli era stato detto di nuovo dall’insegnante sul metodo da usare per proteggere i ricordi.

«Ehm… professore?» disse il ragazzo con solo un velo di nervosismo nella voce, mentre osservava Piton posizionarsi in silenzio di fronte alla scrivania. «Non userà la bacchetta per…?»

«No, Potter, non ce ne sarà bisogno in questo caso,» tagliò corto l’uomo, evidentemente intenzionato a non perdere altro tempo, «puoi tenere estratta la tua, anche se dubito ti servirà. Preparati e non abbassare lo sguardo. Al mio tre,» mormorò a voce più bassa. «Uno… due… tre

Harry non sentì Piton pronunciare ‘Legilimens’. Prima di udire il ‘tre’ dell’insegnante, aveva tratto un bel respiro profondo e aveva focalizzato la vista sugli occhi d’onice che lo fissavano con intensità; pochi secondi dopo, l’ufficio era svanito ed Harry si era ritrovato nel labirinto scuro che aveva dovuto attraversare la notte della Terza Prova.

Il ragazzo percepì una presenza premere nella sua testa per vedere il ricordo, per sentire la paura che aveva provato nel vagare solo, in mezzo a oscuri pericoli, lungo il sentiero circondato da alte siepi. Con panico crescente, Harry adocchiò la brillante coppa situata sul piedistallo in fondo al percorso e sentì i piedi muoversi da soli verso di essa; non voleva raggiungerla, perché sapeva che – toccandola – avrebbe rivisto il cimitero di Little Hangleton, il cadavere di Cedric, Voldemort…

«Combattimi, Potter,» sussurrò una voce al suo orecchio.

Harry per poco non sobbalzò, perchè non la sentiva solo nella propria testa, ma anche accanto a se, come se Piton gli fosse incredibilmente vicino. La forza mentale dell’uomo lo sospinse ancor di più verso la Coppa Tremaghi, prima di parlargli nuovamente.

«Alza le barriere e nascondi il ricordo dietro di esse.»

Il ragazzo avvertì qualcosa sfiorargli di nuovo la cicatrice, o forse se lo stava immaginando, forse voleva semplicemente aggrapparsi a quella sensazione di tranquillità che provava ogni volta che quel gesto si ripeteva e che, a quanto pareva, non era legato esclusivamente all'unguento in se...

Si concentrò su quel momento, ripercorrendolo con la mente e pensando solo alla sicurezza e alla pace che esso gli procurava, escludendo ogni interrogativo in sospeso. Per un istante, gli parve quasi di riuscire, almeno, a rallentare i propri passi, ad opporsi in qualche modo all'avanzare inesorabile a cui Piton cercava di costringerlo in modo da vedere i suoi ricordi... Poi, tutto accadde in pochi secondi: Harry si rese conto che i suoi piedi avevano smesso di muoversi e che l’intero scenario attorno a se aveva iniziato a vorticare; la presenza di Piton si fece meno intensa, fino a scomparire del tutto quando il labirinto venne come risucchiato e il ragazzo sentì una sorta di strattone che lo riportava alla realtà.

Barcollò nell’attimo in cui i suoi piedi toccarono il pavimento di pietra dei sotterranei; disorientato, si guardò intorno, alla ricerca di Piton. Quest’ultimo era poco distante da lui e si stava tenendo il braccio marchiato con forza.

«Cosa… cos’è successo…?» chiese Harry, confuso dal rapido susseguirsi di eventi, mentre cercava di tornare stabile sulle gambe. «Sono riuscito a respingerla…?»

«No, Potter,» rispose Piton e dal suo ritorno al tono brusco adoperato a inizio lezione Harry capì che il marchio doveva aver cominciato ad ardere più intensamente, «ho dovuto interrompere il contatto perché il Signore Oscuro reclama la mia presenza.»

Harry lo osservò estrarre la bacchetta e rimettere a posto l’unguento nell’armadietto delle scorte, il quale fu richiuso a chiave con un semplice movimento del polso; il ragazzo ebbe un sussulto quando vide materializzarsi nella mano libera dell’uomo le vesti da Mangiamorte, che lo avevano già fatto inorridire quando aveva avuto modo di notarle in infermeria quattro giorni prima.

Piton parve accorgersi del gesto perché fece una piccola smorfia annoiata e – con una mossa fluida – le nascose rapidamente sotto l’abito, dopo averle rimpicciolite. Infine, fece cenno al Grifondoro di seguirlo fuori dai sotterranei. «La lezione è rimandata a domani sera,» si limitò a comunicargli.

Harry lo udì mormorare qualche incantesimo di protezione davanti alla porta dell’ufficio e si affrettò a seguirlo lungo i corridoi che conducevano al piano terra del castello. Avrebbe voluto fargli mille domande su quanto avvenuto durante il contatto mentale, ma il pensiero che l’uomo avrebbe presto affrontato un altro incontro con Voldemort – dopo quello che era successo l’ultima volta – gli impediva di parlare.

Il ragazzo non si rese conto che avevano raggiunto il salone d’ingresso finchè non si accorse che Piton si era fermato a parlargli.

«Confido che tu sappia tornare alla Torre di Grifondoro senza incorrere in qualche… imprevisto,» disse l’insegnante – evidentemente di fretta –, facendo per andarsene. Dopo pochi secondi, tuttavia, parve ripensarci, perché si voltò di nuovo e vide Harry ancora lì, fermo ad osservare la sua partenza: «Ah, e Potter… vedi di non montarti quella piccola testa che ti ritrovi. È vitale che tu continui ad esercitarti: nonostante il… minimo miglioramento di questa sera, sei più che lontano da significativi passi in avanti.»

Harry lo guardò voltarsi con un movimento sciolto e allontanarsi oltre il portone di quercia del castello. Sbatté le palpebre più volte, ancora stordito da tutte le novità accadute in una singola lezione di Occlumanzia, soprattutto per quella più scioccante di tutti: Piton era stato attualmente di aiuto per qualcosa senza sentire l’irrefrenabile bisogno di comportarsi come il solito sadico bastardo di sempre.  

Era davvero successa una cosa del genere, o l’aveva puramente immaginata?

Il ragazzo scrollò le spalle, non volendo rimuginare più del dovuto sul comportamento quasi civile dell’uomo, ma si ritrovò inspiegabilmente a sorridere tra se e se, mentre si avviava verso il proprio dormitorio: a detta di Piton un minimo miglioramento c’era stato… e quelle parole valevano più di quanto Harry volesse ammettere persino a se stesso.    
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Nei giorni seguenti, il professore di Pozioni fu visto sempre più raramente del solito a Hogwarts.

Prima, cominciò a calare il numero di incontri delle lezioni di Occlumanzia; poi, Harry iniziò a non vederlo più nemmeno ai pasti, al che il ragazzo si chiese se non ci fossero stati ulteriori sviluppi nei piani di Voldemort, di cui conosceva comunque ben poco.

Harry non sapeva perchè, ma più che essere interessato alle effettive intenzioni del mostro serpentesco era sempre più incuriosito dai motivi che si celavano dietro alla dedizione dimostrata da Piton per il proprio lavoro. Certo, l’Esperto di Pozioni era famoso per essere un perfezionista, ma il ragazzo non riusciva a immaginare che l’uomo potesse mettere a rischio la propria vita solo per mettere in mostra le sue doti da Serpeverde; per non parlare dell’incredibile ammontare di coraggio che il compito richiedeva.

Ma soprattutto… cosa aveva spinto Piton a cambiare fazione? Ad abbandonare Voldemort per Silente?

Harry era estremamente curioso riguardo a questi interrogativi e, sebbene l’uomo continuasse a incutergli la solita dose di timore e nervosismo, trovava sempre più interessante l’alone di mistero di cui Piton era perennemente ammantato.

Forse fu proprio per il gusto del brivido e della sfida che il ragazzo iniziò a bazzicare più spesso dalle parti dei sotterranei, che non gli erano più avversi come un tempo, soprattutto ora che stava cominciando a comprendere le mosse giuste da eseguire per diventare un buon Occlumens. Il tipo di connessione che Piton aveva iniziato a instaurare tra le loro menti appariva marcatamente diverso dal primo e decisamente meno violento; certo, l’uomo sembrava continuare a detestarlo per motivi a lui incomprensibili (non poteva credere che uno scherzo di vecchia data potesse suscitare tanta ostilità), ma almeno sembrava che ora Piton avesse davvero preso in considerazione l’idea di insegnargli come si deve a proteggere la mente.     

Un giorno, Harry riemerse dai sotterranei insoddisfatto per l’ennesima interruzione della lezione da parte di Voldemort e perché ancora una volta non era stato in grado di trovare i pezzi del puzzle che intendeva ricomporre. Provare a carpire le informazioni direttamente dalla mente di Piton assomigliava a un’operazione tanto suicida quanto irrealizzabile e tentare di affrontare l’argomento con Silente o qualsiasi altro membro dell’Ordine sembrava una battaglia persa fin dall’inizio; così pensava Harry mentre si incamminava verso l’unico luogo che gli avesse sempre ispirato le idee migliori.

Fu proprio il vecchio Preside, alla fine, ad offrirgli un’occasione per discutere sulle sue curiosità, quando i due si incontrarono in cima alla Torre di Astronomia, in una calda serata di luglio in cui Piton si era – ancora una volta – assentato.

La luce rossastra del crepuscolo si riversava sul pavimento in legno della torre, passando attraverso le grandi arcate in pietra da cui era possibile osservare il cielo nel dettaglio, grazie ai diversi strumenti astronomici che occupavano la cima. Harry stava lasciando vagare gli occhi sulle meravigliose distese che circondavano Hogwarts, appoggiato al parapetto di ferro battuto che dava sul cortile interno del castello, quando una voce profonda per poco non lo fece balzare dalla sorpresa.  

«A quanto pare non sono l’unico ad apprezzare un classico tramonto per terminare bene la giornata.»

Silente era in piedi vicino alla scalinata che portava ai piani inferiori della torre, gli occhi azzurri che brillavano allegramente e un sorriso gentile sul volto antico. «Un’ottima serata per le riflessioni, non è così, Harry?» chiese cordiale, avvicinandosi al punto in cui si trovava il ragazzo.

Quest'ultimo annuì piano, ricambiando un piccolo sorriso. «Mi ha sempre affascinato la classe di Astronomia… la torre più alta di Hogwarts,» si ritrovò a commentare, mentre respirava la sensazione di libertà che quel posto così elevato gli donava.

«Ben lontana dai cupi e freddi sotterranei, dove, tuttavia,» osservò bonariamente l’uomo, «ora trascorri parecchio tempo… anche più di quello che ti viene richiesto.»

Harry alzò lo sguardo verso di lui, sorpreso. Come faceva Silente a sapere che spesso scendeva anche a orari diversi per vedere se Piton fosse tornato o meno dai suoi incontri con Voldemort? Imbarazzato, cercò velocemente una scusa credibile che non lo facesse passare per idiota. «Avevo intenzione di… ehm… chiedere al professor Piton di aiutarlo a preparare le pozioni che serviranno a inizio anno,» disse, giocherellando nervosamente con il bordo della T-shirt che indossava, senza tener conto del fatto che fosse quasi ridicolo che una frana come lui volesse rendersi utile proprio in Pozioni, «giusto per… tenermi occupato.»

Si aspettò che Silente smascherasse la sua piccola trovata, ma ciò non avvenne; al contrario, l’uomo continuò a sorridere gioviale, con lo stesso brillio divertito che luccicava ancora negli occhi chiari. «Mi sembra un’ottima idea, Harry; ho saputo da Minerva che le sei stato di grande aiuto recentemente con la correzione dei compiti del primo anno: ha piacevolmente apprezzato la tua voglia di impiegare il tempo in modo utile qui al castello e sono certo che anche al professor Piton farebbero comodo un paio di mani in più, soprattutto ora che è così… occupato.»

Il ragazzo era certo che se Piton avesse saputo anche solo del suggerimento di Silente, sarebbe inorridito quanto Harry stesso: trascorrere più tempo del previsto insieme allo ‘stupido moccioso arrogante’ avrebbe persino potuto compromettere il discreto successo che il giovane pensava di essersi guadagnato in Occlumanzia. Harry scosse la testa e si concentrò sulle ultime parole del Preside, decisamente più interessato a quel tipo di argomento.

«Voldemort lo sta richiamando con più frequenza recentemente, non è vero?» chiese piano, sperando di ricavare qualche preziosa informazione. «Spesso siamo costretti a interrompere le lezioni perché possa raggiungerlo.»

Silente rimase in silenzio per qualche istante, prima di parlare. «Non rispondere alle chiamate di Lord Voldemort costerebbe molto non solo all’Ordine, ma anche allo stesso professor Piton,» rispose semplicemente poi.

Harry rifletté per un po’ su quanto gli era appena stato detto, prima di ripensare a una discussione che lui e Silente avevano già avuto diverse volte. «Ha mai detto a nessuno, signore,» iniziò, incerto su come continuare, «i motivi per cui si fida del professor Piton?» domandò all’improvviso, facendo appello al fatto che Silente non l’avrebbe redarguito per interrogativi inopportuni; al massimo non avrebbe risposto.

Il vecchio Preside distolse gli occhi dal paesaggio che si stendeva dinanzi a loro per poterli fissare intensamente sul ragazzo. «No,» rispose tranquillo, ma Harry avrebbe giurato di vedere un guizzo inquieto nel suo sguardo, come se fosse indeciso su qualcosa, «spetta a Severus parlare di certe cose che concernono il suo passato; per questo non ho mai rivelato a nessuno il motivo per cui mi fido… e per cui è più che disposto a dare il proprio contributo in questa guerra,» aggiunse, prima di tornare a sorridergli piano.  

Harry annuì, assente, mentre la sua mente già lavorava. Dunque c’era un motivo specifico. Sentì lo sguardo del vecchio mago ancora su di sè, nel frattempo che il silenzio si protraeva. «Pensavo… che qualunque cosa lo spinga a fare tanto, deve trattarsi sicuramente di una motivazione molto importante per lui,» disse infine, con una mezza nota di ammirazione che a Silente non sfuggì.

«Oh, sì, mio caro ragazzo,» sospirò mestamente l’uomo, posandogli una mano sulla spalla e tornando a guardare l’orizzonte tingersi di rosso, «più di quanto tu possa immaginare.»
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«Come sono andato, signore?» chiese Harry, una volta che ebbe sentito la presenza di Piton svanire dalla propria mente e fu tornato alla realtà. Respirava ancora a fatica e gli girava un po’ il capo visto che era la terza volta di seguito che provavano quella sera.

Piton gli aveva applicato l’unguento a inizio lezione affinché il pizzicore alla cicatrice si alleviasse e perchè il ragazzo potesse essere più concentrato. Harry era convinto che in quei giorni non avesse cessato di procurargli fastidio perché Voldemort doveva essere in procinto di realizzare qualcosa di grosso e, nonostante si fosse guardato bene dall’esporre i propri dubbi a Piton, aveva apprezzato l’attenzione che l’uomo aveva cominciato a prestare alla saetta prima di ogni lezione.

«Un tentativo appena passabile,» commentò sbrigativo l'insegnante, squadrandolo con uno sguardo penetrante e riducendo le pupille a due fessure. «Mi spieghi, Potter, ciò che ho appena visto nella tua testa?»

Harry deglutì al suo tono, tremendamente lento e sospettoso; il modo in cui il Serpeverde aveva pronunciato il suo nome gli aveva immediatamente fatto capire di essere nei guai. Solo ora ricordava di non essere riuscito a tenere Piton fuori dal ricordo riguardante la discussione avuta il giorno prima con Silente.

«Io…» esordì, incerto, prendendo tempo e sperando che Piton dicesse qualcosa per completare la frase al suo posto; forse una strigliata sarebbe stata più veloce e indolore rispetto a ciò che avrebbe subito con un inutile tentativo di arrampicarsi sugli specchi. Peccato che Piton non la pensasse allo stesso modo visto che rimase in silenzio, in attesa di una sua risposta. «… mi chiedevo solo… come mai tenesse tanto al suo ruolo di spia…» trovò il coraggio di bofonchiare il ragazzo, in una voce piccola piccola che non sembrava affatto appartenergli.

«Non devi mai più, Potter – mai più – ficcare il naso in affari che non ti riguardano,» disse a denti stretti Piton, ed Harry si ritrovò a fare un passo indietro in risposta al tono pericoloso usato dall’insegnante. «Non m’importa se metti in dubbio il mio operato di fronte al Preside, ma se ti ostinerai a dimostrare tanta arroganza nel reputarti così importante da pensare di…»

«Non ho messo in dubbio il suo operato!» trovò il coraggio di ribattere, frustrato, il ragazzo guardandolo negli occhi. «Non sono arrogante e non mi ritengo così importante da pensare di poter capire le sue azioni e i motivi che la spingono a servire Voldemort sotto copertura!»

Ci furono diversi minuti di silenzio, durante i quali Harry trattenne il fiato e si maledisse per non aver frenato la lingua, aspettandosi che Piton gli urlasse contro qualcosa e lo sbattesse fuori dall’ufficio per la sua impertinenza. Ma nulla di tutto ciò avvenne e il ragazzo si chiese perché l’uomo lo stesse fissando senza dire nulla, con una strana luce nelle iridi scure; poi, tutto d’un colpo, si rese conto che aveva appena anticipato ciò che molto probabilmente avrebbe voluto dirgli l’insegnante.

Una piccola smorfia beffarda comparve sul volto di Piton nel momento in cui colse la consapevolezza illuminare il viso del giovane; incrociò le braccia al petto e continuò a osservarlo, inarcando un sopracciglio. «Ma come, Potter, pratichi per la prima volta la Legilimanzia e non mi diletti con un ridicolo balletto di gioia per la tua sfacciata fortuna?» disse sardonico.  

Harry sgranò gli occhi, preso alla sprovvista dal suo sarcasmo, quando si era aspettato, invece, l’ennesima strigliata. «Ce l’ho fatta veramente?» chiese, incredulo e felice al tempo stesso, tanto da prendere quasi in considerazione il suggerimento dell’uomo riguardo al balletto. «Com’è possibile? Non stavo nemmeno pensando di leggerle nella mente…»

Piton emise un basso sbuffo impaziente e roteò gli occhi al soffitto. «Andiamo, Potter, solo pochi minuti fa ho visto nella tua testa che in questi giorni hai persino fantasticato sull’idea di ricavare informazioni sui piani del Signore Oscuro e sulle misteriose ragioni che possano avermi portato a passare dalla parte di Silente tramite la lettura della mente. Ragioni,» ripeté, riducendo gli occhi a due fessure e prendendosi il tempo per scandire chiaramente ogni parola in modo che rimanessero bene impresse al ragazzo, «che non ti devono interessare e delle quali non – devi – impicciarti – minimamente. Intesi?»

Il Grifondoro si affrettò ad annuire, ma decise di approfittare della momentanea tolleranza dell’uomo per tornare sull’argomento Legilimanzia. «Signore, secondo lei come posso essere riuscito a leggerle nella mente se finora ci siamo occupati esclusivamente di Occlumanzia?»

«Legilimanzia e Occlumanzia sono due facce della stessa medaglia, signor Potter,» rispose con semplicità Piton, adottando lo stesso tono accademico che era solito usare anche in classe e che condiva con una buona dose di derisione, riservata quasi esclusivamente a Harry. «Esercitarsi nell’una o nell’altra è solo una questione di punti di vista, il procedimento è molto simile e più alto sarà il grado di fiducia riposto nella persona con cui si fa pratica… più rilevanti risulteranno i miglioramenti nelle due discipline. Inoltre, limitare la Legilimanzia alla definizione di “lettura della mente” è a dir poco minimalistico, e questo dovrebbe esserti ormai sufficientemente chiaro.»

«Quindi,» cercò di ricapitolare Harry, confuso da tutto quell’ammontare di nuove informazioni, «avevo ragione a credere che è merito della connessione creatasi tramite quella specie di… unguento se ora riesco a gestire meglio…»   

Piton scosse la testa. «Pensa pure ciò che ti pare, Potter, l’unguento serve a lenire il dolore fisico, per cui dovrebbe esserti ormai chiaro che
quella connessione di cui parli si è instaurata la prima volta quando, nel tuo fragile stato psicologico, hai avvertito qualcuno – me, per mia sfortuna – giungere in tuo aiuto in una situazione insostenibile. In altri termini,» proseguì, roteando gli occhi al cielo quando vide l'espressione a metà tra l'imbarazzato e lo scettico del ragazzo, «devo ringraziare la mia prontezza nel seguirti e assisterti se ora dimostri di riporre nella mia persona un’eccessiva dose di quanto mai ingenua fiducia.»

Harry era convinto che Piton non gli stesse dicendo tutta la verità e che stesse sopravvalutando il ruolo che aveva avuto nel suo salvataggio; la teoria dell'unguento filava perfettamente nella sua testa. Tuttavia, decise di lasciar perdere per il momento e concentrarsi sulle ultime parole dell'uomo; aggrottò la fronte e aprì la bocca per protestare. «Non è ingenua, ho la certezza che lei lavori per l’Ordine e ne ho avuto la prova quando è tornato al castello per riferire a Silente che sono in pericolo e che--»

«Non essere sciocco, Potter, potrei benissimo essere tornato raccontando solo quello che l’Oscuro Signore volesse che dicessi al Preside, magari procurandomi tutti i sintomi della tortura con una delle mie pozioni,» replicò Piton, sorridendo beffardo.

Harry inarcò ulteriormente un sopracciglio, in quella che avrebbe potuto facilmente essere scambiata per un’imitazione di Piton. Non capiva se si stesse divertendo a prendersi gioco di lui o cosa. «Nemmeno lei sarebbe tanto masochista da provare una cosa del genere!» esclamò senza riflettere, prima di portarsi una mano alla bocca ed essere fulminato da un’occhiata dell’uomo. «E che mi dice di tutte le volte che mi ha salvato dagli attacchi mentali di Voldemort quando avrebbe potuto lasciarmi in balia dei suoi poteri?» continuò imperterrito, una volta che ebbe ritrovato il coraggio di parlare.

«Forse,» mormorò Piton con voce soave e pericolosa al tempo stesso, «si è trattato solo di un modo per illuderti della mia buona fede e per farti dire simili sciocchezze riguardo al mio ‘masochismo’,» lo prese in giro.

Non ci si può mai fidare del tutto di un serpente… ricordalo.

Harry richiamò alla mente le parole che gli aveva detto Sirius qualche giorno prima e parve pensarci su un attimo.

«No,» disse, infine, con rinnovata decisione, ignorando il suo tono sarcastico, «avrebbe potuto ingannare me, ma non il professor Silente. Lui si fida… e per questo anch’io.»

Il Grifondoro avrebbe giurato di vedere un guizzo sorpreso nello sguardo di Piton. Si trattò solo di una frazione di secondo, tuttavia, perché immediatamente gli occhi neri tornarono freddi, impassibili e… assenti, come se l’uomo stesse ricordando qualcosa successo parecchio tempo prima. «Stolto ragazzo,» borbottò, dandogli le spalle e dirigendosi verso il muro spoglio dietro la scrivania, «prima o poi arriverà il giorno in cui il vecchio mago ti deluderà e tutte le tue certezze cadranno senza alcun preavviso assieme alla tua cieca fiducia

Harry non ebbe il tempo di provare a capire il significato di quelle parole, mentre osservava l’uomo posizionare una mano contro la fredda parete disadorna; guardando con più attenzione, il ragazzo notò le pietre iniziare a spostarsi sotto il tocco di Piton, per lasciar emergere una porta di mogano scuro che era stata evidentemente protetta – fino a quel momento – da barriere incantate.

«Aspetta qui, Potter, e non oltrepassare questa soglia,» ordinò Piton, scomparendo oltre l’uscio.

Harry ebbe una fugace visione di quello che sembrava essere un piccolo ingresso con tanto di portamantelli in un angolino; il ragazzo non ebbe tempo di notare altro, vista la rapidità con cui Piton si richiuse la porta alle spalle, ma era quasi certo di aver appena visto uno scorcio degli alloggi del Direttore di Serpeverde a Hogwarts.

Non era mai stato sfiorato dal pensiero che anche Piton – come tutti gli altri membri dello staff – dovesse avere una sorta di quartier generale dove vivere nel tempo libero o quando non era occupato a pattugliare i corridoi di notte, e si divertì a fantasticare su come potesse essere l’interno di quella specie di appartamento, curioso di sapere con che stile fosse arredato; lo immaginò privo di sontuose decorazioni, semi-spoglio, in modo da riflettere il carattere austero del suo inquilino. Chissà, magari Piton possedeva anche una cucina personale all’interno. Harry ridacchiò tra se e se quando raffigurò nella propria testa l’immagine dell’uomo, avvolto in un’orrenda vestaglia da notte, alle prese con i fornelli per prepararsi la colazione.

Nah, si disse il ragazzo, continuando a sghignazzare, è più il tipo da elfi domestici…

«Cosa ti spinga a ridere così tanto davanti ad una porta chiusa, Potter, va oltre la mia immaginazione,» lo riportò alla realtà la voce canzonatoria di Piton, che sostava di nuovo di fronte a lui.

Harry si affrettò a perdere l’espressione idiota che aveva assunto poco prima e notò che l’uomo era tornato con un libro in mano; non era tanto grande, ma sembrava avere diversi anni a giudicare dalle condizioni della copertina rigida con cui era stato rilegato, e il ragazzo faticò non poco a decifrare il titolo impresso sopra: ‘Guida all’Occlumanzia Avanzata’ di Maxwell Barnett.

«Voglio che tu legga questo, Potter,» disse Piton, mostrandogli il volume, «ignora tutti i passaggi teorici e concentrati esclusivamente sugli esercizi da fare prima di addormentarti, soprattutto quelli sulla respirazione. Da quello che ho potuto osservare, hai ancora difficoltà a dimenticare quanto successo in quel… cimitero, a giugno,» fece una pausa, mentre vedeva il ragazzo alzare subito gli occhi verso di lui, come se temesse qualche commento pungente da parte sua. «Il libro potrebbe renderti le cose più semplici, ma è necessario che tu ti liberi dei rimorsi, Potter; devi,» sottolineò, «parlare di quanto accaduto con qualcuno, persino Black potrebbe servire a qualcosa per una volta. Il Signore Oscuro non esiterà a usare subito quel ricordo contro di te in un eventuale confronto, visto che è ciò che più influenza la tua incapacità di alzare delle barriere sufficientemente forti, in questo momento.»

Harry riabbassò nervosamente gli occhi sul libro per non dover sostenere ulteriormente lo sguardo di Piton. Non gli piaceva l’idea di affrontare un discorso su come la notte del ritorno di Voldemort stesse ancora condizionando il suo inconscio… né su come la morte di Cedric stesse ancora pesando sulla sua coscienza. Anche perché Harry non era affatto convinto che parlarne con qualcuno sarebbe servito a far cessare del tutto gli orribili incubi da cui era ancora afflitto – anche se in minore quantità rispetto a prima – e a eliminare i sensi di colpa che, apparentemente, erano alla causa della sua incapacità nel proteggere la mente in modo adeguato.

«Gli darò un’occhiata…» borbottò, cercando di evitare l’argomento e di ignorare il penetrante sguardo di Piton ancora fisso su di lui.

«No, Potter, forse non hai capito,» lo riprese Piton, inarcando un sopracciglio. «Non gli ‘darai un’occhiata’: imparerai ad usare alla perfezione ognuno dei metodi riportati lì dentro, nessuno escluso. E per dimostrarmi di averli letti, mi scriverai una ventina di righe per ciascun esercizio, descrivendoli in tutte le loro caratteristiche.» Il suo tono era definitivo e Harry era certo che il suo sguardo di protesta non sarebbe servito a far cambiare idea all’uomo. «La prossima lezione sarà domani sera, alle sei.»

Harry prese il libro che l’insegnante gli porgeva e brontolò un ‘grazie’ non particolarmente convinto. Chissà, forse Piton sta davvero escogitando qualcosa, pensò, cercando di ritrovare un po’ di buon umore, mentre si incamminava verso l’uscita, darmi consigli non è mai stata una delle sue priorità, anzi…

«Ah, Potter,» lo raggiunse la voce di Piton quando fu nei pressi della porta, «visto che hai così caldamente espresso al Preside il desiderio di aiutarmi con i preparativi di inizio anno, sarai felice di sapere che da domani mattina potrai cominciare a ripulire tutti i calderoni di cui mi sto servendo per rifornire le scorte scolastiche,» proseguì, con un sottile ghigno sarcastico, mentre si godeva l’espressione di puro orrore comparsa sul viso del giovane. «Appuntamento alle sette in punto, Potter. Non un minuto di ritardo,» concluse soavemente, senza attendere una risposta.

Harry grugnì, rassegnato, e uscì dall’ufficio.
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Capitolo 13
*** Tales from the Past ***


XIII.
Tales from the Past



Spuff.

Severus lanciò un’occhiata infastidita alla fonte del rumore. Si era sempre chiesto che uso facesse Silente di tutti quegli stupidi strumenti d’argento che emettevano piccoli e incessanti sbuffi di vapore, senza mai trovare una risposta soddisfacente al riguardo. L’unica cosa di cui era assolutamente certo, era che – uniti al costante russare dei Presidi nei ritratti – quegli odiosi oggettini rendevano le sue visite all’ufficio del vecchio mago a dir poco snervanti.

«È vero, dunque,» disse piano Silente, assorto nei suoi pensieri, «Azkaban è caduta.»

Severus non rispose, fissando lo sguardo sulla copia della Gazzetta del Profeta del giorno. In prima pagina, spiccava una vecchia foto della prigione dei maghi, a lato del titolo: ‘Evasi da Azkaban: sostenitori di Colui Che Non Deve Essere Nominato presto ricondotti davanti alla giustizia.’ Non una parola sulla dispersione dei Dissennatori, né sul fatto che i Mangiamorte in questione non fossero già più individuabili.

Tsk… idioti incompetenti.

«Cercano di contenere le informazioni,» sospirò stancamente il Preside, «senza rendersi conto del fatto che la quiete non sia destinata a durare.»

«Non stanno facendo altro che il suo gioco,» disse Severus, in tono annoiato. «Conscio della loro ignoranza, il Signore Oscuro ha spostato la sua base in un luogo irrintracciabile, un forte dotato di barriere persino sul circondario esterno; attaccare il Ministero non è più tra i suoi piani immediati, dal momento che lo considera… innocuo.»

Silente annuì e si alzò per sostare accanto alla finestra dell’ufficio. «Continua a studiare eventuali piani di fuga, Severus, ma fa’ attenzione: Voldemort ha già dubitato di te una volta e il fatto che non ti abbia ancora rivelato l’identità del suo infiltrato, è senza dubbio preoccupante.»

Severus si sforzò di non trasalire nel sentir nominare quell’essere ripugnante. «Con un po’ di pazienza, il completamento della Pozione per il suo Rituale mi farà riacquistare luce ai suoi occhi,» disse, senza entusiasmo, strofinandosi il braccio sinistro con una mano. «Considerando che ho iniziato la preparazione una settimana fa – con l’inizio del plenilunio –, in meno di una decina di giorni l’Oscuro Signore sarà convinto di avere tra le mani la sua arma più potente… peccato che nemmeno Lui possa distinguere una pozione vera da una disillusa,» aggiunse, le labbra stese in un ghigno sottile.

Silente gli concesse un lieve sorriso, voltandosi ad osservarlo con un brillio compiaciuto nello sguardo chiaro. «Questo ci permetterà di mantenere la tua copertura ancora per diverso tempo prezioso,» disse, prima di aggiungere, con una punta di orgoglio nella voce, «siamo sicuri che il Cappello non abbia scelto troppo presto per te, Severus? Geniale come un Corvonero, coraggioso come un…»

«Oh, per favore, Albus,» interruppe Severus, agitando brevemente una mano a mezz’aria, «risparmiami simili paragoni con la tua… ah… nobile Casa,» aggiunse con un sorrisetto sardonico.

Silente ridacchiò piano, per nulla offeso dal tono dell’Esperto di Pozioni, essendo ormai abituato ai suoi commenti sarcastici. «A proposito di Grifondoro,» esordì, tornando a osservare fuori dalla finestra la traiettoria di un gufo nel cielo mattutino, «ho saputo che hai permesso a Harry di darti una mano in laboratorio…»

«Se dare una mano significa sentirlo ronfare sul banco di lavoro quando dovrebbe ripulirlo, allora sì, si può dire che si stia dimostrando molto utile,» replicò Severus, con una smorfia.

«Potresti approfittare della sua presenza per dargli qualche consiglio su come migliorare in Pozioni, anziché metterlo ai lavori forzati… magari facendogli fare qualcosa di più interessante?» suggerì Silente.

Severus inarcò un sopracciglio. «E magari chiedergli anche di partecipare alla preparazione di alcune pozioni richieste esplicitamente dall’Oscuro Signore… quale brillante idea, Albus,» disse, roteando gli occhi. «Ho già superato me stesso accettando di tenerlo là sotto di prima mattina per osservare eventuali progressi con l’Occlumanzia: ammesso che si stia esercitando – cosa di cui dubito, visto che non ho ancora ricevuto uno straccio di saggio riguardo al compito assegnatogli –, gli effetti positivi dei metodi contenuti nel libro che gli ho dato si notano più facilmente appena svegli.»

Silente gli lanciò un’occhiata curiosa, che Severus fece finta di non vedere. «Sembra che tu stia facendo un buon lavoro con lui.»

L’uomo dai capelli neri scrollò le spalle con aria indifferente. «È ancora ben lontano dal padroneggiare l’Arte e mostra una snervante tendenza a sottovalutare i benefici di una sana chiacchierata con i suoi piccoli amici riguardo a quanto accaduto la notte della Terza Prova,» sbottò, secco.

Il sorriso sulle labbra di Silente si allargò ancora di più. «Sono certo che presto sarà lui stesso a sentire il bisogno di parlare con qualcuno delle colpe e delle paure che ancora lo tormentano. Forzarlo al dialogo farebbe più male che bene ora come ora,» sospirò infine, prima di girarsi e riprendere posto alla propria scrivania. «Nel frattempo, domani potrà festeggiare il suo compleanno con Sirius, i Weasley e la signorina Granger, sperando che possa distrarsi – per un giorno – da ogni preoccupazione.»

«Oh, che peccato. Vorrà dire che domattina dovrò fare a meno del mio volenteroso aiutante,» commentò senza emozione Severus, incurante dello sguardo divertito di Silente. Non avendo più nulla di cui discutere con il Preside, si alzò e fece per andarsene, non prima di aver aggiunto: «Sarà meglio che vada giù a controllare che non abbia fatto esplodere l’intero laboratorio con qualche sua geniale trovata.»
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Harry imprecò sottovoce quando un dolore acuto gli attraversò il palmo della mano.
 

Mollò la presa sullo straccio e si chinò sopra il tavolo da lavoro che stava ripulendo per identificare ciò che l’aveva punto; osservando con attenzione, scoprì che si trattava di un aculeo di porcospino conficcato nel legno.

Il ragazzo lo estrasse con forza e lo gettò con irritazione alle proprie spalle, senza curarsi minimamente di dove potesse andare a finire.

Come diavolo mi è saltato in mente di offrirmi per lustrare l’odioso laboratorio di Severus Piton? Sbottò mentalmente, frustrato, mentre si avvicinava il palmo ferito al viso per esaminarlo meglio: oltre a dolere e ad essere arrossato, nulla di più. Se lo massaggiò brevemente con l’altra mano, prima di tornare chino sul bancone per terminare le pulizie.

Dopo più sbadigli che strofinate, Harry abbandonò nuovamente il panno che aveva usato per asciugare la superficie da lavoro; si sgranchì la schiena e considerò l’idea di fare una pausa curiosando indisturbato finché ne avesse avuta la possibilità.

Piton non era andato via da troppo tempo; erano passati appena una trentina di minuti da quando il Pozionista aveva abbandonato il laboratorio dopo una breve conversazione con Silente tramite il camino. A Harry era parso piuttosto di fretta, e – all’infuori di secche raccomandazioni riguardo al non provocare danni e il divieto di accelerare i lavori con la bacchetta – il giovane non aveva ricevuto particolari spiegazioni.

«Non approfitterai della tua permanenza a Hogwarts per praticare magie durante l’estate a tuo piacimento, Potter» aveva detto Piton il primo giorno, evocando tutto l’occorrente necessario per delle pulizie alla cara, vecchia maniera babbana.

Non bastavano i Dursley… aveva sbuffato Harry nella propria testa, guardandosi bene dal lamentarsi con Piton a gran voce e di prima mattina, per giunta.

Il ragazzo prese a gironzolare per la grande stanza con fare annoiato, provando a immaginare le possibili questioni sulle quali stessero discutendo il Preside e il professore. Era certo che si trattasse di Voldemort e avrebbe dato qualunque cosa per poter scoprire utili informazioni sui suoi piani, soprattutto visto che in quei giorni – dal quasi miracoloso ritorno di Piton a Hogwarts – non era trapelato nulla di nuovo.

Incurante del fatto di doversi ancora occupare di ben due calderoni da grattare da cima a fondo, Harry si avvicinò alla notevole libreria situata all’estremità della sala, incuriosito dalla quantità di libri presenti sugli scaffali e dal fatto che quella zona sembrasse diversa dal resto del laboratorio, illuminata da una luce ben più decisa di quella soffusa presente nella zona di lavoro. Il giovane sapeva di rischiare non poco vagando indisturbato là sotto, ma trovava difficile dire di no ad una tentazione simile: non aveva mai avuto modo di esplorare quel luogo così grande da quando aveva iniziato a scendervi per le sue ‘pulizie’, visto che Piton non si era mai assentato in sua presenza e quello sembrava il momento più adatto per farlo.

Dando un’occhiata ai numerosi tomi che occupavano i ripiani della libreria, Harry non si stupì più di tanto della frequenza con cui le parole “Arti Oscure” ricorressero tra i titoli che leggeva; non era un segreto che Piton fosse da sempre interessato a quella particolare branchia della magia, aspirando – con particolare costanza – alla relativa cattedra scolastica.

Mentre scorreva con lo sguardo i vari libri e le loro intestazioni, il Grifondoro si distrasse un attimo per riflettere su chi avrebbe potuto assumere il ruolo quell’anno; magari “Malocchio” Moody – quello vero – avrebbe preso il posto che la volta precedente gli era stato negato dall’impostore Barty Crouch Jr. Harry non ci sperava più di tanto, soprattutto perché non credeva affatto di potersi sentire a proprio agio davanti all’uomo le cui sembianze gli ricordavano solo attimi di panico e… rabbia, verso chi aveva stregato la Coppa Tremaghi in un mezzo per spedirlo dritto dritto da Lord Voldemort.

Già, avrà anche incantato la Coppa, ma è stato comunque per causa mia che Cedric ha accettato di prenderla…

Harry sospirò e riprese a passeggiare lentamente davanti alla libreria, percorrendola per il lungo. Nel tentativo di allontanare i sensi di colpa per tutta quella vicenda, il giovane si sforzò di tornare ad ipotizzare su di un possibile candidato per Difesa Contro le Arti Oscure, ma mentre si lanciava in quest’impresa, – per quanto fosse al corrente dell’irrealizzabilità di un simile desiderio – non poté fare a meno che andare con la mente a Remus Lupin. Era stato l’unico, rifletté Harry, tra tutti i professori di quella sfortunata materia, ad insegnargli effettivamente qualcosa… nel vero senso del termine.

Un vero peccato che grazie a Piton non vedrà mai più una cattedra in vita sua, pensò amaramente il giovane, chiedendosi – nel frattempo – se l’uomo affetto da Licantropia fosse ancora in missione per conto di Silente. Chissà, magari potrebbe esserci anche lui domani a Grimmauld Place…

Un particolare fuori posto colse improvvisamente l’attenzione di Harry, riportandolo alla realtà: c’era un foglietto piegato che sporgeva da un libro situato sul quinto ripiano della libreria, proprio nel punto in cui lo sguardo del ragazzo si era distrattamente posato. Considerata l’altezza, Harry dovette spingersi sulla punta dei piedi e tendere il braccio al massimo per poter arrivare a toccare il dorso rigido del volume con le dita e tirare verso di se.

Rischiò di farselo cadere in testa vista la presa precaria. Soddisfatto di essere riuscito nel suo intento, Harry aveva completamente rimosso la possibilità di essere colto da Piton mentre ficcava il naso tra i suoi affetti personali.

Il giovane lasciò scorrere lo sguardo sul volume e inarcò un sopracciglio nel leggere il titolo riportato sulla copertina: ‘Milleuno Spunti per Perfetti Incanti’ di un certo Barnabis Crockford. Sembrava essere un libro per ragazzi a giudicare dalle immagini e doveva avere diversi anni (ma non tanti quanto il manuale di Occlumanzia); pareva anche che Piton l’avesse consultato parecchio (senza contare la posizione spostata rispetto agli altri volumi), sebbene Harry non riuscisse proprio a immaginare cosa potesse mai farsene di un libro del genere un tipo come lui.

Sempre più incuriosito dal foglietto sporgente, il Grifondoro lo estrasse con cautela dal volume e lo aprì. I suoi occhi incontrarono una calligrafia ordinata e femminile, in quella che aveva tutta l'aria di essere una lettera.
                                                                                                                         



                                                                                                                             25 Dicembre 1972
                                                                                                                    Aberystwyth, Ceredigion
                                                                                                                                             Galles

          Caro Sev,

                        
                          sono felice di sentire che stai passando queste vacanze invernali a Hogwarts.

          Ho sperato fino all’ultimo che tua madre decidesse di accontentarti per quest’anno e sono
          contenta che alla fine abbia scelto ciò che è più giusto per te, mi spiace solo di non poter
          essere lì a tenerti compagnia. Vedrai che presto ci rifaremo di tutti i giorni persi,
          a cominciare dai festeggiamenti per il tuo compleanno!  
         
          Come procedono le giornate? Mi auguro nel migliore dei modi e spero che l’assenza
          di quei due bulli arroganti di Potter e Black contribuisca in tutto ciò; sono sicura che
          una punizione esemplare non gliela toglierà nessuno la prossima volta che proveranno
          quello stupido scherzo del bagno. Approfitta della tranquillità offerta dalla loro mancanza
          (l’intera scuola dovrebbe!) per rilassarti e passare più tempo fuori dai sotterranei, magari
          potresti andare a leggere il libro che ti ho spedito con questa lettera in qualche luogo più
          luminoso della Sala Comune di Serpeverde. Sono sicura che ti piacerà e che ti aiuterà
          nell’ideare nuovi incanti, dato che sembra fatto apposta per te; sono curiosa di scoprire cosa
          inventerai questa volta!
    
          La vacanza trascorre bene anche da noi. Il viaggio in Galles è stato piacevole finora
          e ha permesso a Petunia di distrarsi dall’argomento ‘magia’ quel tanto che basta per darmi
          un po’ di tregua. Non sono i suoi dispetti a preoccuparmi, ma la distanza che ormai sembra
          dividerci; credo che non abbia mai smesso di sperare in una lettera di ammissione ad
          Hogwarts e io continuo a evitare di parlarne davanti a lei per non farla soffrire.
         
          Passando a note più allegre, forse domani papà troverà un modo per portarmi a vedere
          i draghi! Dobbiamo solo sperare che mamma distragga Petunia in qualche negozio di vestiti
          e riuscire nell’intento di trovare l’arena magica di cui abbiamo sentito Hagrid parlare.
          Non vedo l’ora di rivederti per raccontarti tutto nei dettagli!
          
          Nel frattempo, tantissimi auguri di Buon Natale!

          Con affetto,
          Lily

          PS.   Scommetto che avrai già finito i compiti di Pozioni! Mi chiedo se Lumacorno abbia
                 intenzione di farci entrare nel suo Club speciale visto che siamo ormai al secondo
                 anno.


Harry si sentiva stordito, come se avesse ricevuto un duro colpo in testa. Non aveva letto realmente le ultime parole che vergavano la conclusione alla lettera. La sua mente si era fermata al nome con cui essa era stata firmata. Lily. Rimase a fissare per diversi secondi il foglio di carta, completamente incapace di riprendersi dallo shock e di fermare il flusso di pensieri disorganizzati che avevano preso a turbinargli in testa confusamente.
 

Non potevano esserci molti dubbi sull’identità della Lily di cui aveva appena letto la missiva.

Troppi nomi che conosceva, troppi elementi coincidenti per poter essere additati come pura casualità, in quella lettera così breve eppure così significativa, testimoniante un’impensabile amicizia tra i giovani Severus Piton e Lily Evans.

Anche solo accostandoli mentalmente, i loro nomi – insieme – sembravano stridere.

Harry non si era accorto di essere indietreggiato di qualche passo, troppo frastornato da tutto quell’ammontare di scoperte per accorgersi dei cambiamenti intorno a lui e delle sue stesse azioni. Sarebbe andato avanti ancora per diverso tempo con le sue formulazioni, se non avesse urtato qualcosa dietro di se e una cupa voce non l’avesse fatto raggelare seduta stante.

«Potter

Harry non aveva il coraggio di voltarsi. Una sensazione di puro terrore si era impossessata di lui a tal punto da fargli trattenere il fiato; pur non vedendolo in viso, Harry poteva sentire l’incontrollabile ira di Piton crescere sempre più e aleggiare attorno a lui come una sentenza di morte.

Deglutì, e prese a girarsi lentamente, ma prima che potesse completare l’azione, si vide strappati di mano libro e lettera con un rapido guizzo, come se fossero stati artigliati da un rapace.

«Cosa avevo detto riguardo al ficcare il naso nei miei affari?»

La voce dell’Ex-Mangiamorte era sempre più terribile alle orecchie di Harry, e – ora che poteva vederne il volto – la situazione si presentava ancora più agghiacciante. L’espressione solitamente fredda e impassibile dell’uomo appariva distorta in una maschera di pura rabbia; un pallore cadaverico era calato su ogni tratto facciale e i suoi occhi – spaventosi quanto pozzi neri senza fondo – fissavano Harry con un’intensità tale da farlo sentire un misero scarafaggio in procinto di essere schiacciato.

«Hai soddisfatto abbastanza la tua curiosità per oggi, Potter?» Piton mosse un passo verso di lui e Harry trovò la forza di sbloccarsi solo per indietreggiare. «Avrei dovuto immaginare che avresti aspettato il momento opportuno per fare quello che il tuo stolto padre ti ha così diligentemente tramandato…»

«Professore, i-io--»

«Fuori

«N-non è come--»

«HO DETTO FUORI, POTTER!»

Harry non poté insistere oltre; Piton lo sovrastava ormai e il ragazzo era certo che il rumore di barattoli in frantumi fosse un chiaro segnale del drastico calo di autocontrollo da parte dell’uomo. All’esplosione del terzo contenitore di vetro, il Grifondoro prese a correre verso la porta del laboratorio – evitando senza troppa grazia il contenuto viscido che ricopriva il suolo – e imboccò il corridoio alla propria destra, risalendo le scale di volata; non si sarebbe fermato per nessuna ragione, almeno finché non avrebbe raggiunto i piani superiori e la salvezza, tremante e ancora sotto shock.

Non era sicuro di voler più mettere piede nei sotterranei del castello almeno fino all’inizio delle lezioni scolastiche.
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«BUON COMPLEANNO, HARRY!»

Sirius Black osservò il suo giovane figlioccio sorridere a tutti i presenti riuniti nella sala da pranzo di Grimmauld Place. I festeggiamenti erano iniziati non appena il neo-quindicenne aveva attraversato la soglia del camino nella sala e tutti gli invitati lo avevano accolto tra fischi di trombette e striscioni colorati.

Il ragazzo era rimasto piacevolmente sorpreso da tutte quelle attenzioni; era chiaro che avesse sentito la mancanza di quella che per lui era ciò di più vicino ad una vera famiglia. Dal momento del suo arrivo all’ora di pranzo – quando Remus Lupin li aveva raggiunti, incrementando la gioia generale e di Harry soprattutto – fino all’apertura dei regali, il ragazzo si era dimostrato sempre di buon umore, ma mai completamente spensierato. Sirius avrebbe giurato di aver visto una rapida ombra oscurargli gli occhi verdi più di una volta, come se fosse soprappensiero.

Che si trattasse delle scoraggianti notizie riportate dal Profeta il giorno prima?

Probabilmente no. In fondo, solo poco prima che tutti si mettessero a tavola Sirius aveva potuto vedere Harry discutere al riguardo con Ron e Hermione. I loro toni erano sì preoccupati, ma l’intervento di Ninfadora Tonks era riuscito a migliorare in qualche modo i loro umori.

L’uomo era intenzionato ad indagare sulla faccenda; non era del tutto certo che Harry avesse la testa con loro in quel momento e, in qualità di padrino, era suo dovere preoccuparsi di risolvere piccoli quesiti come questo, anche se ciò avesse voluto dire discutere di argomenti poco piacevoli nel giorno del compleanno del suo figlioccio.

Sì, perché a giudicare dall’espressione assorta assunta dal suo ragazzo in quel momento e dai furtivi sguardi che vedeva lanciare di tanto in tanto a se stesso e a Remus, Sirius aveva proprio il sentore che la conversazione sarebbe stata incentrata su qualcosa a lui tutt’altro che geniale.
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Harry non riusciva a togliersi dalla testa quello che era successo il giorno precedente.

Malgrado tutti i suoi sforzi per distrarsi e godersi appieno la giornata, nonostante la gioia che aveva provato nel rivedere tutti e la piacevole sorpresa che aveva ricevuto con il ritorno di Lupin, il giovane non si sentiva proprio in grado di liberare la mente dalle sconcertanti informazioni ricavate dalla lettera scritta da sua madre e indirizzata a Severus Piton ben ventitre anni prima.

Se gli avessero detto che un giorno avrebbe scoperto che sua madre e Piton erano stati amici di scuola, il giovane era certo che – dopo un attimo di panico iniziale – si sarebbe fatto semplicemente una fragorosa risata, prendendo il tutto come un terribile scherzo. Ma vedere la prova effettiva di tale affermazione era tutta un’altra cosa; nessuno spazio a dubbi o incertezze, e la reazione di Piton al riguardo non aveva fatto altro che confermare il tutto, nonostante Harry non fosse del tutto certo del motivo di una simile reazione, dato che l’uomo non si era mai scagliato contro di lui in quel modo in circostanze, a suo parere, ben peggiori.  

Ma al di là di una scoperta già abbastanza scioccante di per sé – continuò a rimuginare il ragazzo, accantonando per un attimo il pensiero di Piton – la cosa più assurda di tutta quella storia era ciò che sua madre sembrava pensare di suo padre a quei tempi. Harry non si era di certo immaginato che i suoi genitori potessero aver avuto chissà quale idillio amoroso già dal loro secondo anno – non era neanche mai stato certo che potessero essere grandi amici da allora – ma per lo meno conoscenti che si apprezzassero vicendevolmente come compagni di Casa.

Di sicuro non aveva mai pensato alla possibilità che Lily considerasse sgradevole sia James che Sirius, tanto da augurare a entrambi di scontare una detenzione come si deve solo per qualche bravata giocata su Piton.

Severus Piton. Che persona poteva mai essere a quell’età, da poter risultare piacevole agli occhi di sua madre, che – a giudicare dalla lettera – pareva preferire la compagnia del Serpeverde a quella dei due Grifondoro? 
    

Nonostante l’ammontare di sensazioni confuse che l’avevano colpito al momento di quella rivelazione, tuttavia, Harry poteva ricordarne per lo meno una completamente positiva: l’attimo in cui si era sentito sopraffatto da un’emozione calda e profonda, quando – alla sorpresa della recente scoperta – era subentrata la consapevolezza di star stringendo tra le mani qualcosa che era appartenuto a sua madre, qualcosa che lei aveva toccato e scritto di suo pugno, dando forma a quelli che erano i suoi pensieri di un Natale di diversi anni prima, quando era ancora solo una ragazzina.

Un pezzo della vita di sua madre era stato proprio lì, tra le sue dita... prima che Piton arrivasse – silenzioso e letale – a privarlo di ciò che per lui aveva appena acquistato un valore simile a quello di una reliquia.

«Allora Remus, com’è andata la tua missione? Sei riuscito a recuperare informazioni per Silente?»

Gli occhi di Harry si spostarono sul suo ex-insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, mentre ascoltava brevemente la risposta che quest’ultimo stava dando ad Arthur Weasley, prima di tornare a ponderare sul da farsi. Era intenzionato a sapere qualcosa di più sui suoi genitori, e, in particolar modo, sul rapporto che sua madre doveva avere con Piton.

Perché nessuno ha mai pensato di dirmi qualcosa di così personale riguardo a mia madre? Pensò, mentre posava lo sguardo su Sirius e lo scopriva fare lo stesso. In effetti, era più frequente che si parlasse di suo padre o di entrambi in generale, piuttosto che di lei nello specifico.

Harry era estremamente curioso ora, ma non pensava che sarebbe riuscito ad affrontare una discussione del genere con il proprio padrino, sapendo quanto quest’ultimo detestasse Piton. Lupin, d’altro canto, appariva molto più ben disposto nei confronti dell’uomo, dimostrando almeno di essere capace di avere una conversazione civile e, soprattutto, utile sull’argomento.

Allora è deciso. Harry terminò la propria fetta di torta e tornò a prestare completamente ascolto al resoconto di Remus; era perfettamente nei suoi diritti chiedere informazioni sui suoi genitori, dunque perché non approfittare della presenza di uno dei loro amici più intimi per soddisfare la sua curiosità e sfatare i suoi dubbi riguardo a entrambi?
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Il Whiskey Incendiario Ogden Stravecchio bruciava nella gola di Severus come avrebbe fatto il Marchio Nero sul suo avambraccio in circostanze normali. Era evidente, tuttavia, che quelle non lo fossero, visto il lancinante dolore che gli percorreva l’intero arto.

Severus posò il bicchiere di Whiskey vuoto sul tavolo della sala in cui si trovava e si appoggiò con entrambe le mani ad esso, il capo piegato verso il libro e la lettera che la mattina precedente aveva strappato dalle mani di Potter.

Lo stesso libro e lettera… che avevano per lui un valore tuttora incommensurabile.

Non era stato difficile vedere attraverso gli occhi terrorizzati di Potter come si erano svolti fatti. Il moccioso ficcanaso aveva pensato bene di prendere a gironzolare per il suo laboratorio finché la sua attenzione non era stata catturata dall’enorme libreria a muro di cui l’uomo disponeva. Una volta lì davanti, non aveva impiegato molto ad individuare l’unica cosa apparentemente fuori posto nella stanza.

Severus si maledisse mentalmente. Come aveva potuto tralasciare un dettaglio così importante, proprio lui, tanto preciso e accorto soprattutto per quel genere di minuzie?

Vero, in sua difesa poteva essere considerato il fatto che tra i continui richiami del Signore Oscuro e le lezioni di Occlumanzia di Potter la sua mente era costantemente occupata da questioni estremamente delicate. Ma ciò che Severus non riusciva a smettere di rimproverarsi era la facilità con cui aveva ceduto due sere prima a riprendere in mano quel libro e a rileggere dopo tanti anni la lettera di Lily.

Possibile che la vicinanza forzata di Potter lo avesse spinto inconsciamente a tentare di affrontare i suoi spettri del passato? A concedersi il lusso di ricordare ciò che di bello c’era stato prima che lui potesse rovinare tutto con una stupida frase e delle scelte sbagliate?

La paura che Potter, tra tutte le persone, potesse scoprire il suo passato e il suo legame con sua madre non era nulla in confronto al fatto che il moccioso sarebbe potuto venire a conoscenza di qualcosa di ben più privato, come la promessa che aveva fatto in nome del suo amore per Lily e che – guarda caso – riguardava proprio lui.

Nessuno poteva sapere.

Nessuno doveva sapere.

La sua copertura (e, con essa, la sua reputazione ad Hogwarts) non sarebbe stata messa in pericolo da stupidi ficcanaso, soprattutto non da un marmocchio insolente che giocava a fare l’eroe. L’abitudine di Potter di spifferare tutto ai suoi amichetti avrebbe potuto mandare facilmente all’aria anni e anni del suo delicato lavoro di spia, se solo avesse avuto l’occasione di scoprire informazioni tanto riservate – di cui solo Silente era a conoscenza – e se queste stesse fossero giunte alle tante orecchie indiscrete che giravano costantemente intorno a Potter, specialmente durante l’anno scolastico.

Il camino situato sul lato opposto da dove si trovava lui avvampò in quell’istante, prima di lasciare spazio alla figura del Preside.

«Severus,» pronunciò quest’ultimo, alla solita maniera amabile, «desideravi vedermi?»

L’uomo dai capelli neri non sollevò gli occhi dagli oggetti sul tavolo di fronte a lui, ma inarcò un sopracciglio. «No, si tratta più di una necessità.» Udì il mago più anziano ridacchiare leggermente e si sforzò di non sbuffare in sua direzione. «Devo parlarti prima che tu parta per il Ministero stasera; è molto probabile che prima di domani sia chiamato a rapporto.»

«Credi che Tom si stia preparando a qualcosa di grosso?»

«A giudicare dal Marchio sì, in queste circostanze è in procinto di richiamare tutta la sua cerchia a rapporto… come la notte della Terza Prova.» Severus lasciò passare diversi secondi – durante i quali fece sparire il libro e la lettera di Lily con un fluido movimento della bacchetta – prima di riprendere a parlare. «Se avrò fortuna, grazie alla presenza degli evasi, proverò a scoprire l’identità dell’infiltrato al Ministero; Mulciber mi deve qualche… favore, potrei riuscire a portare l’argomento della nostra chiacchierata sull’aiuto che hanno ricevuto per fuggire.»

«Mi sembra un’ottima idea, Severus, anche se preferirei che usassi la massima discrezione e cautela nel trattare con i Mangiamorte, soprattutto quelli appena rilasciati. Ricorda che Voldemort potrebbe essere in attesa di un tuo passo falso e tenderti un tranello,» disse Silente, prendendo posto ad una delle sedie presso il tavolo e osservando l’Esperto di Pozioni far apparire un altro bicchiere di fianco al proprio, contenente però del brandy. «Nel frattempo, proverò a scoprire un modo per allontanare definitivamente Lucius Malfoy dai ranghi del Ministero; senza tali privilegi, gli sarà molto difficile risultare utile al suo padrone. Non dimentichiamo che potrebbe essere implicato nel recupero della formula.»

«Non direttamente,» commentò Severus, ricordando le sue ultimi, brevi conversazioni con l’amico di vecchia data, «dopo tutto questo tempo, si sarebbe lasciato sfuggire qualche dettaglio in merito al suo coinvolgimento. La modestia non è esattamente il suo forte quando si tratta di fare la gara a chi compiace di più l’Oscuro Signore.»

Silente sorseggiò il suo brandy in silenzio per qualche istante. «Mi chiedo se Lucius abbia intenzione di mandare il giovane Draco a Hogwarts quest’anno… dubito che riuscirà a tenerlo lontano da Voldemort ancora per molto data l’età di reclutamento ormai prossima,» sospirò, fissando un punto vuoto nella stanza.

«Finora, il ragazzo non ha partecipato ad alcuno degli incontri, ma dubito che il Signore Oscuro si farà sfuggire l’occasione di allargare le proprie fila,» disse Severus. «Il suo ritorno ad Hogwarts potrebbe essere un modo per ritardare l’inevitabile e proteggere Draco…»

«… oppure usare la sua presenza per tenere d’occhio Harry.» Silente sospirò nuovamente. «Quel ragazzo non ha ancora avuto un anno scolastico che non sia stato costellato di pericoli e spaventi.»

Severus alzò gli occhi al soffitto, in un evidente gesto di stizza. «Non mi risulta che Potter faccia molto per evitare almeno la metà dei guai che incontra,» commentò, aspro.

«Su, su, non essere acido, Severus,» replicò bonariamente l’anziano mago, «è per caso successo qualcosa tra te e il giovane Grifondoro? Avrei giurato che aveste intrapreso la strada giusta per una civile convivenza da qui alla fine delle vacanze…»

«Continua a sognare, Albus,» scandì Severus, asciutto. «Finché Potter non imparerà a tenere il naso fuori dalle faccende altrui, dubito che riuscirà mai a tenere i pericoli lontani. Sarà una liberazione vederlo sempre meno nei prossimi giorni, potrei quasi considerare l’idea di fermarmi alla fortezza del Signore Oscuro volontariamente.» Severus terminò l’ultimo goccio di Whiskey presente nel proprio bicchiere e ignorò l’occhiata severa di Silente.

«Mi aspetto che tu sia di ritorno regolarmente dalla preparazione della pozione. Voldemort dovrebbe sapere che una tua prolungata assenza da Hogwarts risulterebbe sospettosa dal momento che non dovrei essere a conoscenza dei suoi piani,» gli ricordò. «Ad ogni modo,» proseguì, alzandosi dalla sedia dopo aver finito il proprio drink, «ti ringrazio per avermi avvisato riguardo all’imminente chiamata, provvederò che sia Minerva a ricevere Harry stasera, al suo rientro da Grimmauld Place.»

Severus gli rivolse un cenno di approvazione. «Questa è quella che chiamo un’ottima notizia.»
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«Volevi parlarmi, Harry?»

Remus Lupin guardò con attenzione il suo ex-alunno, in viso un’espressione aperta e cordiale come d’abitudine. Il figlio di James appariva perplesso; Remus ricordava di avere già visto quel genere di turbamento sul volto di Harry in altre occasioni durante l’anno in cui era stato suo insegnante e sperava che anche in questa circostanza il giovane si sarebbe sentito abbastanza a proprio agio da riuscire a confidarsi.

«In effetti sì, professore… ma se ha da fare con--»

«Harry, mi fa piacere passare del tempo con te, è passato un anno dall’ultima volta che ci siamo visti,» rispose Remus. «Non temere, ho avuto modo di riposarmi dalla missione prima di raggiungervi qui a Grimmauld Place. E non farti problemi a darmi del tu, come ben sai, non insegno più ad Hogwarts,» aggiunse, rivolgendogli un sorriso gentile.

«Ehm... d’accordo,» Harry ricambiò il sorriso, apparendo più rilassato. «Mi chiedevo se avevi qualche minuto per parlare dei miei genitori, di mia madre soprattutto… sembra che nessuno parli mai di lei per qualche motivo.»

«Certo che possiamo parlarne, Harry. Cosa vuoi sapere esattamente?» Remus si era aspettato ben di peggio, ma non riusciva a capire per quale motivo il ragazzo avesse aspettato che fossero soli e non avesse incluso anche Sirius in una conversazione che gli sarebbe sicuramente stata a cuore.

«Beh… quando hanno iniziato a frequentarsi esattamente? Cioè… non sono sempre stati amici, giusto?»

Remus si lasciò sfuggire una piccola risata divertita. «Oh, no, Harry,» rispose, affabile. «Tua madre e tuo padre non avrebbero potuto essere più diversi. Infatti, hanno iniziato a uscire insieme solo verso la metà del sesto anno, dopo averne passati cinque a battibeccare come cane e gatto.» Remus vide un lampo di consapevolezza attraversare lo sguardo di Harry.
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«Perché litigavano? Mamma non sopportava il modo di scherzare di papà e Sirius?»

Harry era sempre più desideroso di saperne di più, anche a costo di dover sopportare spinose domande di ritorno riguardo ai suoi mezzi di informazione. Sentiva lo sguardo di Remus farsi più attento, ma l’adrenalina era ormai entrata in circolo e nulla avrebbe potuto fermare la sua sete di conoscenza. Anzi, tutta quella situazione non faceva altro che distrarlo dal leggero pizzicore che aveva iniziato ad avvertire alla cicatrice da circa qualche minuto.

«E’… probabile che non apprezzasse certi comportamenti un tantino… infantili, da parte loro,» rispose Remus, improvvisamente in difficoltà. Lui stesso non aveva mai approvato certi modi di fare di Sirius e James. «Ma hanno entrambi iniziato a mettere la testa a posto nel corso del sesto anno…»

«Si prendevano gioco degli altri studenti?» lo interruppe Harry, incalzante, con un vago presentimento di ciò che non doveva andare a genio a sua madre. «Facevano i bulli con chi non era come loro? Con i più fragili?» Un nome balenò nella mente di Harry, che non riuscì a frenarsi in tempo dal pronunciare: «Con Piton?»

Remus sembrava spiazzato; non si era immaginato che Harry avrebbe condotto la loro conversazione con tanta foga e partecipazione, ma prima che potesse dire qualcosa una terza persona entrò nel tetro salotto di Grimmauld Place.

«E’ questo che pensi, Harry?» disse Sirius, fermo sull’uscio che connetteva la sala con un corridoio. «Che io e tuo padre non fossimo altro che bulli?»

Harry si pentì di non aver tenuto la bocca chiusa. «Non ho detto questo,» rispose con calma, girandosi verso di lui, «mi chiedevo solo per quale motivo--»

«Harry, Severus Piton era praticamente un Mangiamorte in via di sviluppo quando--»

«Già al secondo anno?» Harry inarcò un sopracciglio, scettico. «E non mi risulta che le vostre ‘attenzioni’ riguardassero solo lui…»

«Sirius e James erano ragazzi un po’ vivaci, Harry, ma quando sono diventati uomini--»

«Vuoi dire che Draco Malfoy è solo un ‘ragazzo vivace’, Remus? Che Tiger e Goyle, e tutti gli altri bulli a scuola che per anni tormentano gli altri studenti possono essere giustificati per un semplice problema di vivacità

Harry non poteva credere che infine tutti i suoi dubbi si erano rivelati corretti. Non poteva credere che Piton avesse sempre detto il vero riguardo a suo padre e al suo modo di comportarsi ad Hogwarts…

«Ma ti senti, quando parli?» Sirius avanzò nella sala e sul suo viso c’erano un misto di emozioni confuse che Harry non aveva mai visto nello stesso momento; incredulità, rancore e la peggiore di tutte: delusione. «Pensi che quel serpente di Mocciosus se ne stesse immobile quando accadevano queste cose? Non posso credere che tu ti sia fatto fare il lavaggio del cervello da quell’essere spregevole!»

«Non mi ha fatto nessun lavaggio del cervello,» replicò Harry, indignato e per nulla intenzionato a rivelare le proprie fonti; alzò a sua volta la voce. «Non ho mai parlato con lui di queste cose, ma so che mia madre--»

«Anche tua madre se n’era accorta, Harry!» gridò Sirius, prendendo la palla al balzo per ricondurre il suo figlioccio sulla via della ragione. «Persino lei – l’unica diversa da quella marmaglia di Mangiamorte con cui Mocciosus era fiero di andare in giro – aveva capito che lui non era altro che un untuoso appassionato di Arti Oscure e futuro seguace di Voldemort!»

«Dannazione Sirius, stavo parlando con Remus!» esclamò Harry, irritato dall’ennesima interruzione. «Non posso fare il nome di Piton che inizi ad alterarti...»

«Non è il nome di quell’idiota a darmi fastidio,» sbottò Sirius, irato e deluso al tempo stesso, «ma il modo in cui sembri difendere l’uomo che ti ha reso la vita impossibile in questi ultimi quattro anni, a discapito della memoria di tuo padre!» Diede le spalle a entrambi, ignorando la voce di Remus che lo invitava a sedersi e parlarne con calma, e si fermò soltanto una volta giunto alla porta da cui era entrato. «Mi chiedo cosa penserebbe James sentendo suo figlio giudicarlo prima ancora di averlo conosciuto.»

E con queste ultime, sconsolate parole uscì.

Harry si sentiva estremamente confuso e mortificato; non sapeva più a chi credere o a chi dare ragione. Quello di cui era certo, era che non avrebbe mai pensato di litigare con Sirius prima del suo ritorno ad Hogwarts e – per giunta – nel giorno del suo compleanno. La delusione che aveva avvertito nella voce del suo padrino era insopportabile, qualcosa che non aveva mai provato prima; ma, dall’altro lato, si sentiva a sua volta tradito per la cecità che lo stesso Sirius aveva dimostrato dopo aver praticamente ammesso che tra le loro attività ad Hogwarts vi era anche quella di tormentare gli altri studenti.

Volevo solo capire perché mia madre preferisse la compagnia di Piton a quella di papà, tutto qui. Sbuffò mentalmente, già nervoso per il pizzicore alla cicatrice – di cui si era completamente dimenticato – e chiedendosi come erano potuti arrivare ad alzare la voce tanto da far sbucare Ron e Hermione dal corridoio, richiamati da tale baccano.

Harry vide Remus rivolgergli uno sguardo simpatetico, facendogli capire che non aveva motivo di essere giù e che presto sarebbe tornato tutto come prima tra lui e il suo padrino. «Non capisco perché debba scaldarsi così tanto,» borbottò il ragazzo, sinceramente dispiaciuto.

«Sirius non è mai stato il tipo paziente e argomentatore» disse l’uomo con calma, «non farne un dramma, Harry, vedrai che sarà lui il primo ad accorgersi di aver esagerato.»

«Non stavo mettendo in dubbio le sue parole, è solo che…» cercò di spiegare il ragazzo, ignorando gli sguardi curiosi dei suoi due amici, ancora sulla porta, «… che non avrei mai immaginato che mamma potesse apprezzare la compagnia di Piton e… fosse irritata da papà, almeno all’inizio.» Avvertì Ron ed Hermione scambiarsi un’occhiata scioccata, ma si decise a continuare indisturbato. «Nessuno parla quasi mai di lei – a parte in relazione ai nostri occhi – e credevo avesse a che fare con questo, col fatto che lei e Piton si conoscessero…»

«In realtà, non ci abbiamo mai pensato, Harry. Eravamo stretti amici di tuo padre ed è stato solo verso la fine della scuola che Lily si è unita al gruppetto, ma non abbiamo mai – davvero – pensato di tenerti qualcosa nascosto,» disse Lupin, sincero e deciso al tempo stesso.

Harry annuì, dopo qualche istante. Era sicuro della buona fede con cui Remus aveva pronunciato quelle parole, il suo ex-insegnante si era sempre dimostrato onesto con lui, anche riguardo a questioni ben più controverse e il giovane non vedeva per quale motivo avrebbe dovuto mentirgli o omettere volutamente dei dettagli sapendo quanto quell’argomento gli stesse a cuore.

«E’ che… mi accorgo veramente solo ora di quanto poco conosca di entrambi,» commentò infine Harry, senza opporre il minimo sforzo per celare il velo melanconico che gli aveva coperto gli occhi in quell’istante al pensiero dei suoi genitori, morti prima ancora che lui potesse ricordarseli.
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Minerva McGranitt guardava oltre la grande finestra rettangolare dello studio del Preside mentre attendeva che Harry Potter facesse la sua comparsa. In assenza di Albus – già da diverse ore al Ministero in seguito ai disordini susseguitisi dalla caduta di Azkaban – e di Severus – in chissà quale angolo nascosto della Gran Bretagna – la responsabilità di aspettare l’arrivo a momenti del Ragazzo Sopravvissuto era diventata sua.

Il giovane Grifondoro sarebbe arrivato di lì a poco da Grimmauld Place, dopo aver passato quella che Minerva sperava fosse stata una piacevole giornata di distrazione, trascorsa tra i festeggiamenti di compleanno del neo-quindicenne.

Nonostante il suo modo di fare spesso severo, la donna desiderava sinceramente, per Potter, un po’ di tranquillità, soprattutto in vista dei recenti sviluppi negativi per l’intero mondo magico. Molto presto, se la guerra fosse andata avanti di quel passo, nessuno avrebbe più potuto parlare di feste e distrazione per chissà quanto tempo.

Erano esattamente le ventidue e trentasette minuti quando il grande camino di marmo, vicino al quale Minerva sedeva, prese vita e a brillare di luce verde, illuminando per un istante l’intera stanza circolare.

«Signor Potter.» Minerva si alzò dalla sua postazione nel vedere il ragazzo fare il suo turbolento e alquanto sgraziato ingresso nell’ufficio, concludendo con una grande voluta di polvere da cui lo stesso Potter dovette riprendersi gradatamente. «Buon compleanno.»

«G-grazie, professoressa,» gracchiò Harry, una volta che fu in grado di proferir parola senza strozzarsi con la sua stessa tosse.
 

Sembrava confuso. Evidentemente, pensò Minerva, nessuno doveva averlo messo al corrente del fatto che sarebbe stata lei a riceverlo per riaccompagnarlo alla Sala Comune.

«Il Preside è partito qualche ora fa per il Ministero, Potter, mi ha incaricata di accompagnarti alla Torre di Grifondoro,» spiegò, prima di aggiungere, «oh, e il professor Piton mi ha chiesto di riferirti che da domani mattina non sarà più il caso di presentarti nel suo laboratorio.»

Il ragazzo inarcò un sopracciglio, in viso un’espressione ancora più perplessa di prima. «Non le ha detto nulla riguardo alle lezioni di Occlumanzia…?»

«Il professor Piton aveva molta fretta quando mi ha riferito le sue istruzioni per te, credo che faresti meglio a parlarne con lui al suo ritorno.»

«Oh.»

Minerva lo osservò con attenzione per qualche istante. Potter non sembrava particolarmente allegro; con se aveva diversi pacchetti regalo già scartati – che la donna si apprestò a incantare affinché raggiungessero il dormitorio senza la necessità di doverli trasportare – ma non mostrava neanche un briciolo dell’umore di uno che è appena tornato dalla propria festa di compleanno.

«Qualcosa non va, signor Potter?» chiese la Direttrice di Grifondoro, mentre si accingevano a lasciare l’ufficio di Silente. «E’ evidente che non hai l’aria di chi dovrebbe aver festeggiato i suoi…»

Non finì mai la propria frase, perché in quel momento l’attenzione di entrambi fu catturata da un rumore e una luce provenienti dallo stesso punto in cui avevano sostato poco prima. Il camino di Silente si illuminò per una seconda volta in un’ampia fiammata, per lasciare spazio ad una figura tarchiata e totalmente priva di gusto estetico.

Minerva guardò allibita la faccia da rospo che aveva di fronte, chiedendosi per quale assurdo motivo Dolores Umbridge avesse appena messo piede nell’ufficio presidenziale di Hogwarts senza essere attesa.

«Sottosegretario Anziano,» soffiò Minerva, curvando un sopracciglio in un eloquente gesto di stizza, incredula e infastidita da tanta arroganza, «si può sapere che scherzo è mai questo? Piombare qui – ad Hogwarts – senza il minimo preavviso…»

«Non si preoccupi, professoressa,» esordì l’altra donna e Minerva notò solo in quel momento quanto questa apparisse stranamente più stanca e disfatta rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, quasi… trasandata. «Impiegherò… solo pochi secondi del vostro tempo.» I suoi occhi, leggermente arrossati da un’evidente mancanza di riposo si spostarono dalla Vice Preside a Harry, il quale la fissava, a sua volta, con l’aria accigliata di chi non ha la più pallida idea di cosa stesse succedendo, né di chi fosse quella strana donna.

Poi, accadde l’inevitabile.

Minerva aveva aperto bocca per ribattere alla Umbridge di levare i tacchi e tornare solo dopo aver fissato un incontro con Silente, ma nessun suono fece in tempo a uscirle dalle labbra.

Un grido agghiacciante si levò dietro di se e la donna seppe che poteva trattarsi solo di Potter.

Sì voltò di scatto e vide il ragazzo con la testa tra le mani, ansimante e sofferente; Minerva lo guardò contorcere il viso – ogni tratto di esso distorto in una maschera di puro dolore – e scattò immediatamente da lui.

«Potter!» lo chiamò, risvegliatasi dallo shock iniziale. Provò a posargli una mano sulla spalla e a sollevargli il viso in modo da vederlo meglio – dato che Harry non sembrava poterla sentire – e solo allora i suoi occhi incontrarono la saetta sanguinante del giovane. «No…» sussurrò Minerva, completamente ignara della strega dietro di se e della sua bacchetta levata, «… Potter! Mi senti? Devi venire subito con m--»

«Stupeficium!»

Minerva fu scagliata contro la porta di quercia, a pochi metri da lei e Harry, dove si accasciò, priva di sensi. Non avrebbe visto né sentito nulla di quello che sarebbe successo dopo essere stata schiantata.

Né avrebbe potuto ricordarselo.

«Oblivion.»
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Capitolo 14
*** Trusting Snakes ***


XIV.
Trusting Snakes



«Aaaaah!»

Harry si sentì urlare, incapace di trattenersi dal dolore sconfinato che gli era improvvisamente esploso in testa. La sua fronte pulsava, la sua vista si annebbiava sempre più e le parole della professoressa sembravano così distanti e inaudibili che il ragazzo comprendeva ben poco di ciò che stava accadendo intorno a lui.

Travolto dal dolore, tutto ciò che poteva sentire in quel momento, chiaro e forte era una voce sibilante…

«Harry… Potter… presto… ci rivedremo…»

… la sua voce sibilante.


Il volto della professoressa McGranitt appariva e scompariva dal suo campo visivo, mentre avvertiva qualcosa di viscido e appiccicoso colare dallo squarcio che aveva in fronte. La voce della Vice Preside suonava altrettanto indefinita, finché un botto improvviso non fece trasalire il ragazzo, facendolo quasi rinsavire per una frazione di secondo.


Non più sorretto dalla mano dell’insegnante, Harry si accasciò a terra, la presa sulla propria fronte sempre più debole e i sensi ancora più disorientati. Una piccola parte della sua mente – ancora in grado di resistere al dolore immane da cui era invasa – realizzava quello che stava accadendo e il pericolo in cui si trovava. Un senso di impotenza e disperazione si impadronirono di lui, proprio quando vide l’ombra della donna tozza calare su di lui e la sua coscienza cedere il posto ad una lenta discesa verso l’oscurità.


«Un lavoretto facile facile,» furono le ultime parole che sentì pronunciare.

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Freddo. Buio.


Un flash di terrore e ansia gli apparve nella mente.


... il cimitero di Little Hangleton?


Pietra ruvida sotto la sua schiena dolorante.


No, non poteva essere il cimitero. Ma allora… dove…?


Harry si mosse appena, troppo spaventato all’idea di essere osservato da qualcuno nelle tenebre che lo circondavano e ancora frastornato per tutto ciò che era successo attimi prima di svenire in preda al dolore. Sapeva di dover agire, far qualcosa, o – per lo meno – capire dove si trovasse e perché, in modo da occupare la mente con pensieri utili e non cedere alla paura.


La prima cosa che fece fu allungare una mano verso la tasca del jeans dove era solito riporre la bacchetta. Le sue dita – ancora sporche di sangue secco – incontrarono solo tessuto e un vuoto allo stomaco si impossessò di lui.


Era la prima volta che si trovava in una situazione di pericolo senza la sua arma di difesa principale. Con cosa avrebbe potuto proteggersi da chi l’aveva rapito? Era completamente alla mercé del nemico.


Harry ricordava di aver urlato, del dolore accecante nella mente. Si toccò leggermente la cicatrice e poté sentire che il sangue colatogli durante l’attacco si era raggrumato tutto intorno; chissà cosa diavolo gli avevano dato per farlo rinvenire.


La testa gli girava ancora tremendamente, come se qualcuno gli avesse lanciato un bolide dritto in testa, e il senso di confusione e nausea non fece altro che aumentare quando provò a sollevarsi da quella scomoda posizione per mettersi in piedi. Dopo un paio di tentativi, dovette accontentarsi di mettersi seduto e di guardarsi intorno dal punto in cui si trovava; naturalmente, non riconosceva quel posto e – sebbene avesse ormai appurato di non trovarsi nel cimitero di un mese e mezzo fa – il sentore di essere nei guai era forse ancora più forte di allora, quando per diversi istanti aveva creduto di stare ancora gareggiando per la Coppa Tremaghi.


Alte e cupi pareti incombevano su di lui, rannicchiato e paralizzato dall’ansia crescente, come spaventosi colossi di pietra. L’unico barlume di luce che penetrava all’interno proveniva dalla torcia nel corridoio che dava su quella che ormai aveva capito essere la sua cella.


Alla fine ci era riuscito.


Voldemort… aveva mantenuto la sua promessa.


Era solo, isolato da tutti e senza via di scampo.


Thump. Thump.


Un improvviso rumore di passi riportò Harry alla realtà, ormai in preda al terrore.


«Haaaarry…»


Era… una donna? Tra le schiere di Voldemort? Il ragazzo non sapeva a che pensare, se non che quella voce fosse una delle più terrificanti che avesse mai sentito in vita sua.


Una sagoma dai lunghi capelli ricci, che sparavano in tutte le direzioni, si parò di fronte alle sbarre della cella, coprendo completamente il cono di luce della torcia. Era chiaramente una donna, che indossava una lunga veste molto simile a quella portata dai Mangiamorte.


«Finalmente ci incontriamo.»


Harry indietreggiò, non sapendo cosa aspettarsi, e la donna ridacchiò in modo orribile, mentre apriva la porta con un gesto del polso e avanzava all’interno della cella.


«Cosa c’è, piccolo Harry?» mormorò la donna in una voce stridula, quasi in falsetto. «Hai paura? Paura di stare tutto solo soletto in questa sporca e buia cella?»


Il Grifondoro indietreggiò fino al muro alle proprie spalle, incapace di distogliere gli occhi da quelli nero fumo della donna, che brillavano di una luce folle nell’oscurità intorno a loro. Erano terrificanti.


«Non devi averne,» sussurrò dolcemente la Mangiamorte, chinandosi verso di lui e guardandolo con una finta occhiata compassionevole, «perché tra poco, piccolo Potter, rivedrai tanti vecchi amici che muoiono dalla voglia di giocare un po’ con te.»


Harry rabbrividì e si appiattì contro la parete, disgustato dalla vicinanza con quella donna. Ora che poteva vederla meglio in viso, sapeva chi era, avendone letto il nome e visto la foto sul numero della Gazzetta del Profeta che parlava dell’evasione dei Mangiamorte da Azkaban, e ne era ancora più terrorizzato: Bellatrix Lestrange, la torturatrice dei coniugi Alice e Frank Paciock, nonché cugina di Sirius.


«Allora, Potterino… pronto per una passeggiata al chiaro di luna?»

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Un silenzio tombale aleggiava sul tetro cortile interno della fortezza, come la nebbia che avvolgeva i mantelli degli uomini in piedi e immobili, radunati in cerchio di fronte al loro padrone. L’unico suono che accompagnava il movimento della fredda foschia era il fruscio delle spire di Nagini sul terreno umido.


Lord Voldemort ne accarezzò la testa squamata e il grande serpente sibilò ai suoi piedi. «Questa,» esordì solennemente, «è una notte molto importante.»


Le pesanti porte del maniero si aprirono in quel momento, rivelando Bellatrix in procinto di unirsi al gruppo, mentre spingeva e strattonava, al tempo stesso, una figura più bassa e incappucciata. I due entrarono nel cerchio di maghi dal volto altrettanto coperto, e solo allora Lord Voldemort si alzò dal suo scranno, prima di riprendere la parola.


«Sono certo,» esordì, procedendo verso il gruppo, i piedi nudi che calcavano il suolo polveroso con estrema lentezza, «che molti di voi si staranno chiedendo chi abbia deciso di unirsi a noi a così tarda ora per una piacevole rimpatriata tra amici. Naturalmente, alcuni lo conoscono solo di fama, impediti dalle sbarre di Azkaban fino a due giorni fa; non disperate: questa sera, anche voi avrete il piacere di fare la sua conoscenza… dal vivo.»


Avanzò fino a trovarsi nel mezzo della cerchia, accanto al prigioniero, che – ansimante e in ginocchio – continuava a muovere la testa da una parte all’altra, come se cercasse di spiare, attraverso il tessuto del suo cappuccio, ciò che lo circondava, in attesa di quello che stava per accadergli.


L’Oscuro Signore estrasse la propria bacchetta dalla lunga veste e la puntò verso il volto della figura tremante vicino al quale sostava. In quell’istante, il cappuccio svanì sotto gli occhi dei presenti.


«Salutate tutti il nostro ospite d’onore… Harry Potter!»

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La risata di Lord Voldemort riempì l’aria della notte, ma Severus non la udì. I suoi occhi erano fissi sulla pietosa figura di Potter, il volto tumefatto e il corpo tremante; la sua mente, invece, era occupata a tenere lontano ogni pensiero che potesse costare la propria copertura e la vita al ragazzo.

No... non può essere vero. Non può succedere... non doveva succedere, Silente!

Quando era arrivato a Tantallon’s Castle, qualche ora prima, si era concesso il lusso di accantonare parte dei presentimenti negativi che aveva provato a Hogwarts, mentre attendeva di essere chiamato tramite il Marchio. Nella nuova base segreta di Voldemort, nulla lasciava presagire a ciò che si stava verificando in quel momento davanti ai suoi occhi.


Come sempre, aveva fatto rapporto all’Oscuro Signore, aveva scambiato poche parole di circostanza con Mulciber e, infine, aveva raggiunto il laboratorio per dedicarsi alla pozione prevista dal Rituale dell’Annullamento fino a tarda serata. Aveva così avuto modo di calcolare l’esatta data in cui l’infuso sarebbe stato pronto – addirittura prima del previsto – e aveva deciso che un piccolo sabotaggio sarebbe stato utile a ritardare i tempi di ancora qualche giorno…  Ma proprio mentre si apprestava a mettere in atto il suo stratagemma, era stato richiamato in superficie per una riunione straordinaria nel cortile interno del maniero.


In nessun modo avrebbe potuto prevedere quello che stava accadendo. Non sapeva quanti dei Mangiamorte più vicini a Voldemort fossero a conoscenza del piano per catturare Potter, ma la cosa più eclatante era che lui non fosse tra essi. L’Oscuro Signore non aveva ritenuto opportuno informarlo di tale mossa, così come aveva fatto con il nome del suo “infiltrato speciale”, che ora non era più segreto.


Severus lanciò un’impercettibile occhiata a Lucius, lodato a grandi titoli da Voldemort – poco prima dell’entrata in scena di Potter – per come era riuscito a servirsi di Dolores Umbridge in tutti i suoi lavori sporchi al Ministero, e ora anche per questo compito, così importante e delicato. Era stata lei – sotto il controllo dell’Imperius di Malfoy – a rubare la formula della pozione e a far prendere il controllo di Azkaban con la liberazione di Dissennatori e Mangiamorte.


E il fatto che lui – Severus – non fosse stato messo al corrente di tutto ciò, non aveva fatto altro che far perdere terreno all’Ordine su ogni loro azione.


Ma ora non era il momento per complimentarsi con gli avversari per i loro successi. Severus tornò a posare lo sguardo su Potter, che si guardava intorno – tremante e indifeso – come un animale ferito circondato dai propri carnefici. Non importava più il modo in cui il Signore Oscuro era riuscito a mettere le mani sul ragazzo; l’unica cosa che contava veramente in quell’istante, era trovare la soluzione per tirar Potter fuori da lì.


«Che ne dici di un po’ di divertimento, eh, Harry?» Voldemort girava intorno al giovane Grifondoro come uno squalo con la propria preda. «Sai, non ho particolarmente apprezzato il modo in cui ci siamo salutati l’ultima volta… per questo, faremo sì che ciò non accada più. Niente più passaporte… niente più bacchette, né fantasmi… A proposito, hai più visto mamma e papà, Harry?»


Tutti risero di gusto, mentre Potter riusciva a raccogliere le forze per alzare la testa e lanciare uno sguardo oltraggiato alla propria nemesi, quasi a volerlo sfidare ad aggiungere una parola di più.


«Non hai una bella cera, Potter,» continuò Voldemort per nulla colpito, senza smettere di sorridere, «a quanto pare la nostra Bellatrix ha già avuto modo di giocare un po’ con te… perché non estendere i festeggiamenti del nostro nuovo incontro anche agli altri, mh? Crucio


Potter si contorse al suolo e Severus lo vide distintamente trattenere i gemiti strozzati che gli salivano in gola per il dolore.


Crucio! Crucio! Crucio!


Altri Mangiamorte si aggiunsero al coro, a turno, solo dopo che Voldemort si fu ritenuto abbastanza soddisfatto della propria performance.


Potter cadde nuovamente nella polvere, sollevando una nuvola grigiastra nella cerchia. Severus lo vide attraverso la propria maschera, rotolare sulla schiena e lanciare uno sguardo terrorizzato attorno a se, come se stesse cercando qualcosa… qualcuno. I loro occhi si incontrarono in quell’istante, e – per una frazione di secondo – Severus ebbe l’impressione che Potter l’avesse riconosciuto, nonostante il volto coperto, e che un barlume di speranza gli avesse illuminato le iridi verdi.


«Chiudi la mente al dolore, Potter,» tentò di comunicargli, approfittando del loro contatto visivo.


Un lampo di consapevolezza nello sguardo del ragazzo gli fece capire che il Grifondoro aveva recepito il messaggio.


«Implora pietà, Potter, e ti risparmieremo ulteriori sofferenze… per questa sera.»


«… m-mai…» biascicò il giovane, il respiro mozzato dal dolore.


L’ennesima maledizione colpì il ragazzo, che – nonostante avesse cercato di rialzarsi, ancora e ancora – si accasciò nuovamente su se stesso, con un verso soffocato; difficilmente il suo fisico avrebbe resistito per molto.


Severus si concentrò sulle proprie barriere mentali; gli era sempre più difficile ignorare i grandi, sofferenti occhi verdi che avevano cercato i suoi poco prima, come alla ricerca di una luce in fondo al tunnel. Ed era sempre più difficile ignorare la presenza di Lily nel ragazzo, fino a quasi annullare ogni rassomiglianza fisica con James Potter.


Se avesse potuto, avrebbe fermato ogni tortura in quel preciso istante. Avrebbe allontanato ogni traccia di sofferenza, paura, disperazione… da quegli occhi che amava tanto. Ma non gli era possibile sottrarre Potter-- il figlio di Lily, al Signore Oscuro senza il vantaggio della propria copertura. La pozione non sarebbe stata pronta prima di quattro giorni, durante i quali il Grifondoro sarebbe stato torturato... ma non ucciso. Avrebbe escogitato qualcosa, avrebbe trovato un modo per fare uscire il giovane dal castello in una corsa contro il tempo che li avrebbe condotti oltre le barriere lanciate sull’intero circondario della zona…


«Severus


La voce sibilante di Voldemort lo riportò alla realtà.


«Vieni avanti.»


Infine, era arrivato il suo turno.


Doveva essere pronto a fare anche ciò che mai avrebbe voluto.


L’Esperto di Pozioni obbedì, il volto impassibile nascosto dietro alla maschera. I suoi passi lo portarono di fronte all’uomo serpentesco e a un metro da Potter, di cui evitò lo sguardo. Se il ragazzo avesse tradito un qualsiasi tipo di emozione, entrambi avrebbero potuto considerarsi spacciati.


Voldemort sorrise e lanciò un’occhiata ai propri piedi, dove il Grifondoro si contorceva. «Harry, Harry,» mormorò dolcemente, scuotendo piano la testa, in segno di disapprovazione, «dove hai lasciato le buone maniere?» Mosse la bacchetta affinché il giovane fosse costretto a sollevare il capo da terra, i nervi e i muscoli costretti a scattare insieme. «Perché non saluti il professor Piton?»


Severus notò che, nonostante tutto il dolore che doveva attraversare ogni centimetro del corpo di Potter, il ragazzo sembrava ancora intenzionato a trattenere i propri gemiti, come se non volesse dar soddisfazione a Voldemort.


«Potter non mostrava rispetto quando era nel pieno di sè, mio Signore, la sua persistente arroganza è tutto all’infuori che imprevedibile,» commentò Severus, nel tono più disgustato e schernitore possibile.


Voldemort sorrise, compiaciuto. «Andiamo, Harry, puoi fare di meglio…» continuò, con un altro secco gesto della bacchetta, che costrinse il giovane ad alzare il braccio e a sventolare una mano di fronte a Severus, «credevo che tu e il professor Piton andaste d’amore e d’accordo oramai…» La sua breve risata scatenò l’ilarità contenuta di alcuni Mangiamorte.


Potter sembrò sul punto di cedere e gridare per il movimento obbligato, ma si morse le labbra come per costringersi a non farlo. Severus si chiese come poteva un giovane di soli quindici anni sopportare tanto dolore senza lamentarsi più del dovuto. Com’era possibile? Quel  ragazzo – lo stesso ragazzo in cui aveva sempre e solo voluto vedere inettitudine e indisciplinatezza – stava dimostrando una forza di volontà e un autocontrollo mentale fuori dalla norma.


Una vera riserva di potenziale nascosto.


Poi, uno schiocco – come di un ramo spezzato – risuonò nella notte, e l’urlo di dolore di Potter si levò nell’aria.

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Quando Harry aveva visto il cerchio di persone-- no, mostri, che lo stavano aspettando fuori al maniero, con Voldemort ad attendere nient’altri che lui, la sua prima reazione era stata quella di andare nel panico più totale. Il cortile avvolto dalla nebbia, in cui erano radunati gli stessi Mangiamorte di un mese e mezzo prima più altri di cui non ricordava nemmeno i nomi, non era altro che la copia sputata del cimitero di Little Hangleton.


Le stesse sensazioni orribili lo assalirono di colpo. Improvvisamente, si sentì di soffocare, incapace di emettere un respiro di più di quell’aria opprimente e terrificante.


Ma non poté fare altro che avanzare, sospinto e maltrattato da Bellatrix, fino a raggiungere la cerchia e ritrovarsi di nuovo lì, in balia degli eventi, come la notte della Terza Prova.


Come l’avrebbe affrontata questa volta, sapendo quanto poco bastasse prima che un lampo di luce verde mettesse a finire tutto?


Questa volta, Voldemort sembrava aver preso le dovute precauzioni. Non gli aveva restituito alcuna bacchetta, non aveva proposto nessun duello senza senso. La tortura era iniziata, strappando Harry da quello stato surreale, impedendogli di pensare a nient’altro che al dolore, lento e straziante.


Il volto di Cedric Diggory gli apparve mentalmente, i suoi occhi vacui che fissavano il nulla, gli arti rilassati… Sarebbe bastato un attimo, pochi secondi e tutto sarebbe cessato, proprio come per il giovane Tassorosso… proprio come per suo padre e sua madre…


No. Non può finire così.


Come se una parte della sua coscienza stesse ancora cercando di aggrapparsi ad una soluzione – ad una via di uscita, nonostante la sofferenza – un flash e delle parole risalenti a solo poche ore prima gli vennero in mente.


«Il professor Piton aveva molta fretta quando mi ha riferito le sue istruzioni per te, credo che faresti meglio a parlarne con lui al suo ritorno.»


E se Piton fosse lì?


Se fosse in mezzo al gruppo di Mangiamorte che ora lo osservavano contorcersi e si preparavano a contribuire alla sua tortura?


Forse non era ancora del tutto spacciato… forse c’era ancora una speranza…


Harry cercò con lo sguardo tra gli uomini ammantati, alla ricerca di segni particolari che gli potessero far riconoscere Piton. Si trattava di una vera impresa, a causa della vista che si faceva sempre più annebbiata e del desiderio crescente di cedere alla stanchezza, ma soprattutto perché quelle maledette maschere sembravano tutte dannatamente uguali.


E poi li vide. Mentre passava in rassegna i Mangiamorte – nel momento in cui questi si diedero il cambio per torturarlo – Harry vide due occhi neri ricambiare il suo sguardo, come a voler instaurare un contatto.


«Chiudi la mente al dolore, Potter,» sentì chiara e forte la voce di Piton nella propria testa.


Avere la certezza assoluta che l’insegnante di Pozioni fosse dalla sua parte fu come ricevere una scarica di energia che risvegliò in lui l’intenzione di non lasciarsi andare. Avrebbe dimostrato a Piton che era in grado di resistere al dolore e, se ce ne fosse stata la necessità, persino a Voldemort.


Harry si concentrò nell’alzare le proprie barriere, come si era esercitato a fare da quando aveva iniziato a leggere il libro prestatogli da Piton. Immaginò che nella propria mente ci fosse Voldemort e che lui dovesse respingere la sua presenza, quando – in realtà – tutto ciò che stava cercando di fare era confinare almeno parte del dolore e dell’angoscia in un piccolo spazio circoscritto, lontano dalla speranza e dalla determinazione che ancora ardevano in lui. Non poteva permettere che il terrore prendesse il sopravvento su di lui… non poteva…


Voldemort smise di torturarlo per qualche istante e Harry cercò di riprendere fiato. Quando udì pronunciare il nome di Piton, si sentì raggelare; e se avesse testato la sua fedeltà? Se lo avesse costretto a esporsi…?


Harry attese, senza curarsi delle parole di Voldemort, o delle risate degli altri Mangiamorte. Era troppo sfinito per sentirli, troppo concentrato sulle proprie barriere… e su Piton. Sapeva che non doveva dar peso a qualunque cosa l’uomo avesse detto sotto quelle circostanze; sapeva che quello non era altro che il suo copione da recitare e che l’uomo non avrebbe mai rischiato di far saltare la propria copertura in quel momento, così cruciale. Ma – nonostante questi pensieri che continuava a ripetersi come un mantra – non riuscì a smettere di sperare di poter incontrare nuovamente il suo sguardo, per trarne anche solo un briciolo di conforto.


E quando Voldemort iniziò a farlo muovere come se fosse una marionetta, Harry continuò imperterrito a tenere gli occhi fissi su Piton, sull’uomo che aveva scoperto essere stato amico di sua madre; l’Ex-Mangiamorte che aveva dimostrato più di una volta, in passato, di essere in grado di badare alla sua sicurezza; colui che, nonostante tutto, aveva fatto sì che apprendesse i rudimenti di un’arte quanto mai utile nello scontro contro Voldemort e che aveva vinto la sua ammirazione da quando Harry aveva scoperto il coraggio e l’abilità con cui svolgeva il proprio lavoro…


… crack.


Un dolore atroce e improvviso esplose tra l’avambraccio e la mano del ragazzo, la stessa che Voldemort aveva costretto a sollevare e sventolare poco prima. Il giovane urlò, incapace di trattenersi un secondo di più, mentre le instabili barriere che tanto aveva faticato per costruirsi crollavano di colpo come un castello di carte.


Harry si portò la mano sinistra al polso spezzato della destra, mentre si lasciava cadere a terra nella polvere, accartocciato su se stesso. Strizzò gli occhi per ricacciare indietro le lacrime, stringendo a se l’articolazione piegata in modo così innaturale dal volere di Voldemort.


Quest’ultimo sorrise. «Infine,» esordì, trionfo, girando intorno al giovane, «ci delizi della tua voce, Harry… e io che credevo volessi privarci di un suono tanto leggiadro.» Altri sogghigni si unirono ai suoi. «Forse, dopo questo piccolo riscaldamento, sarai pronto a far divertire anche il professor Piton,» continuò, prima di rivolgersi nuovamente all’Esperto di Pozioni. «Severus, credo che una lezione sia in ordine per il signor Potter…»


«Mio Signore?»


«So che Potter è ormai abituato alla tua presenza nella sua mente,» disse Voldemort, casualmente, «voglio che gli dimostri per chi hai davvero lavorato per tutto questo tempo… voglio sentirlo urlare, mentre gli strappi ogni singolo pensiero, fino all’ultima briciola di sanità mentale che questo moccioso insolente possiede.» Si avvicinò a Piton, il volto serpentesco a pochi centimetri dal suo orecchio. «Fai del tuo peggio con lui, altrimenti… lo saprò.»


Tremante e sfinito, Harry trovò la forza di volgere il capo verso la figura incombente di Piton, i cui occhi erano già sui suoi.


«Certamente, mio Signore.»


E Harry si preparò al peggio.

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Potter era alla sua mercé.


E lui sarebbe stato costretto a fare quello che mai avrebbe voluto.


Torturare il ragazzo che aveva giurato di proteggere.


Severus vide Potter alzare lo sguardo su di lui e la paura baluginare attraverso i suoi occhi chiari, prima di mischiarsi alla rassegnazione di chi ha ormai accettato il proprio destino. L’Esperto di Pozioni si era quasi ritrovato a sperare che Potter opponesse una qualche sorta di resistenza, che provasse a riposizionare le barriere o che distogliesse la vista da lui… ma tutto ciò non avvenne. Quasi come se il ragazzo volesse rendergli il compito più semplice.


Potter si era dimostrato abile, pur con la sua preparazione imperfetta e affrettata, Severus doveva ammettere che pretendere ulteriori sforzi da un fisico e una mente già tanto provati sarebbe stato chiedere l’impossibile.


Facendo appello alla propria padronanza dell’Occlumanzia, Severus nascose tutto il proprio disgusto per l’atto che stava per compiere dietro a un’impenetrabile muraglia di freddezza. Avrebbe fatto quello che doveva e svolto il proprio lavoro ancora una volta, costringendosi ad ignorare la lenta e atroce tortura psicologica alla quale lui stesso stava andando incontro.


Perché nel momento in cui Severus forzò la mente di Potter ad aprirsi a lui, iniziando a strappargli ogni singola goccia di agonia – sotto il vigile controllo di Voldemort – e le sue orecchie si riempirono delle urla del ragazzo, solo allora il Pozionista capì che non doveva più solo fare i conti con gli occhi di Lily… ma anche con quelli di Potter.


Potter, che aveva cercato di metterlo in guardia e fermarlo per impedirgli di incorrere nell’ira di Voldemort.


Potter, che lo aveva difeso dalle accuse lanciate dal suo padrino, senza curarsi dell’opinione di quest’ultimo, né di quella dei suoi amici.


E ancora Potter, che – nonostante le prese in giro e le punizioni subite da parte sua in quattro anni ad Hogwarts – aveva dimostrato di saperlo guardare con ammirazione e  fiducia.  


Ora – si rendeva conto Severus, mentre Potter gridava ancora e ancora, come mai aveva fatto per tutta la notte – assistere alla miriade di emozioni disperate che passavano attraverso gli occhi e la mente del ragazzo, era mille volte peggio che sopportare l’invasione mentale sperimentata due settimane prima da parte di Voldemort.


E la gelida morsa nel petto di Severus non si allentò nemmeno quando la voce del Grifondoro divenne tanto rauca da quasi scomparire; né quando Potter svenne, infine, sotto lo sguardo soddisfatto del Signore Oscuro e lui poté interrompere quella tortura straziante.


Sapeva che – da quella notte – non avrebbe mai dimenticato come fosse dovuto arrivare a trasformarsi nel carnefice di Potter, per realizzare, finalmente, ciò che avrebbe dovuto capire molto tempo addietro.

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Harry sentì qualcuno muoversi al suo fianco.


Non provò a spostarsi, né ad aprire gli occhi per vedere di chi si trattasse.


Non se ne curava minimamente. La testa gli scoppiava dieci volte peggio di quando era stato catturato ed emettere anche un solo pensiero di senso compiuto sembrava un’impresa titanica. Persino un movimento infinitesimo come quello di sollevare le palpebre era fuori discussione.


Anche i sensi erano confusi. Gli era parso di udire grida e risate solo un attimo prima (o forse si era trattato di diverse ore addietro?), mentre adesso tutto taceva, tranne che per quei leggeri movimenti così vicini a lui. L’unica cosa che riusciva a distinguere, per il momento, era la superficie contro la quale era rannicchiato – fredda e ruvida pietra –, ben diversa dal terreno polveroso nel quale si era dimenato chissà quanto tempo prima.


Uno dei Mangiamorte doveva averlo riportato nella sua cella, forse Bellatrix, se ben ricordava…


I movimenti cessarono per qualche secondo. Poi, Harry avvertì due braccia tirarlo leggermente su e mantenerlo con cautela in una posizione semi-seduta; chiunque lo stesse tenendo, sembrava avere come intento quello di somministrargli qualcosa, a giudicare dal breve rumore di boccetta stappata che seguì quegli spostamenti. Il primo impulso del ragazzo, fu quello di ribellarsi alla presa, per quanto garbata fosse. I suoi arti, tuttavia, sembravano pesare tonnellate e i suoi riflessi apparivano rallentati al pari di quelli di un bradipo; incapace di trasmettere comandi coerenti al proprio corpo, Harry si ritrovò a scivolare impotente contro la veste dall’aroma variamente speziato della persona sconosciuta.


Il panico iniziò a impossessarsi di lui. Le immagini confuse di quanto avvenuto nel cortile del maniero tornarono dolorosamente alla mente e un verso strozzato gli uscì dalla bocca; persino la voce lo aveva quasi del tutto abbandonato, mentre il suo udito non riusciva a distinguere le parole pronunciate dall’individuo ancora ignoto.


Poi, le stesse mani che lo avevano sorretto, si spostarono e Harry percepì una di esse posarsi con delicatezza sulla sua fronte, proprio sulla cicatrice. Immediatamente, capì di chi si trattasse e – sopraffatto da un senso di tranquillità e, allo stesso tempo, di frustrazione e imbarazzo per la propria condizione – non fu in grado di trattenere lacrime silenziose, mentre i suoi muscoli si rilassavano contro il petto di Severus Piton.


«Ho bisogno che tu prenda questa, Potter,» disse l’uomo dopo qualche istante, senza ritrarsi dal contatto, «ti aiuterà a recuperare le forze più rapidamente.»


Harry annuì in modo impercettibile, troppo dolorante per qualunque movimento. Sentì la mano libera di Piton portargli una fiala alla bocca, mentre l’altra rimaneva per tutto il tempo sulla sua fronte, nonostante la polvere e il sangue secco che copriva la pelle del ragazzo. Quest’ultimo si lasciò aiutare ad ingerire il liquido, che lo riscaldò non appena fu sceso lungo la sua gola inaridita.


«Mostrami il tuo polso,» continuò Piton, sollevandogli leggermente l’arto dolorante per definire l’entità dei danni. Harry gemette debolmente per le fitte che sembravano trapassargli l’intera zona spezzata; sentì l’insegnante di Pozioni mormorare qualcosa e, dopo pochi secondi, il dolore scomparve, lasciando spazio solo ad un vago intorpidimento. «Le ossa sono state sistemate al loro posto, ma ci vorrà un po’ di tempo prima che possano risanarsi completamente; è importante che tu non sforzi l’arto durante questo periodo--»


Un verso amaro sfuggì dalle labbra di Harry, che iniziava a sentire gli effetti ristoratori della fiala di poco prima. «N-non credo ci vorrà… m-molto prima che V-Voldemort mi spezzi… t-tutte le ossa del corpo…»


«No, Potter,» giunse l’immediata risposta dell’uomo, e Harry si sentì in dovere di credergli per la sicurezza con cui l’uomo aveva pronunciato quelle parole, «non ci saranno altre torture. Il Signore Oscuro vuole preservarti per il rituale magico che performerà in poco più di tre giorni.» Piton avvertì Potter rabbrividire contro di lui a quelle parole. «Per allora – se tutto sarà andato secondo i miei piani – avremo già percorso diversa strada da qui ad Hogwarts.»


Un’ondata di speranza si abbatté sul ragazzo: Piton l’avrebbe fatto uscire da lì. Non sapeva in che modo, esattamente, né se la missione avrebbe avuto successo, ma solo il fatto che l’uomo avesse un piano era abbastanza per farlo sentire meglio. Un dubbio, tuttavia, gli salì alla mente.


«E l’Ordine…? S-Silente sa già del…?»


«No, la locazione di questa fortezza è sconosciuta all’Ordine e io non posso allontanarmi da qui senza che Voldemort si insospettisca,» rispose Piton, con una certa fretta. «Inoltre,» aggiunse, prima di spostare cautamente il peso del ragazzo da se al muro di pietra alle loro spalle – affinché fosse in grado di sostenersi contro di esso –, «se me ne andassi non potrei rimetterti in sesto per la fuga che ci attende.»


Harry provò ad aprire gli occhi e fu sollevato nel rendersi conto che ora era in grado di farlo senza le difficoltà di poco prima. Avrebbe voluto chiedere al Pozionista qualche dettaglio in più sul modo in cui sarebbero scappati da lì, ma – mentre metteva a fuoco attorno a se – fu colpito dall’improvvisa realizzazione che non poteva vedere Piton da nessuna parte nella cella.


«Incantesimo di Disillusione,» rispose il Serpeverde da un punto vicino a lui, anticipando la sua domanda nel vedere l’espressione confusa sul viso del giovane, «pensavi che il Signore Oscuro mi avrebbe concesso di farti da babysitter come se niente fosse?» Harry poté captare la nota sarcastica con cui Piton era solito accompagnare quel genere di uscite, e – nonostante non potesse vederlo – immaginò una delle sue sopracciglia inarcarsi nell’usuale cipiglio; non sapeva perché, ma trovava quell’atteggiamento, a cui ormai era tanto familiare, stranamente rassicurante nella situazione in cui si trovava. «Non ho più molto tempo, Potter,» riprese a parlare Piton, «tornerò questa sera a prenderti; nel frattempo, ho bisogno che tu finga di avere ancora il polso rotto e di star soffrendo con chiunque si avvicini alla cella. Sono stato chiaro?»


«Non sarà troppo difficile,» annuì Harry, trattenendo una smorfia di dolore mentre tentava di sistemarsi meglio contro la parete.


Udì il fruscio di un mantello e dei passi; capì che Piton si era rialzato e si accingeva ad andarsene. Un attimo dopo, la porta della cella si aprì senza un cigolio e Harry seppe di essere solo.


Devo trovarmi in uno stato veramente miserabile se persino Piton riesce a provare pietà per me.

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«Harry è…? Cosa?»


Albus guardò il volto scioccato di Sirius. Conosceva quella luce negli occhi: presto l’incredulità avrebbe ceduto spazio all’orrore e alla rabbia, prima di essere sostituita ad un senso di impotenza nel rendersi conto che non avrebbe potuto fare nulla per aiutare per il proprio figlioccio.


«Non è possibile, Albus, non… posso credere che…»


Anche il vecchio mago si era chiesto com’era potuto accadere qualcosa di tanto terribile.


Harry era svanito nel nulla.


Tra le mura di Hogwarts, per giunta; nell’unico luogo in cui avrebbe dovuto sentirsi al sicuro. E – quel che era peggio – l’unica persona probabilmente presente al momento del rapimento, non era in nessuna condizione per raccontare ciò che era davvero accaduto.


Voldemort – perché non poteva trattarsi di altri che di lui – non aveva fatto altro che approfittare del momento più opportuno per colpire, quando nessuno avrebbe potuto aiutare Harry. Il ragazzo gli era letteralmente stato servito su un piatto d’argento. E Albus non poteva fare altro che rimproverare se stesso per questo.


Si era allontanato da Hogwarts per privare Lucius Malfoy dei poteri conferiti dalla sua posizione al Ministero, per eliminarlo dalla scena pubblica e far sì che Voldemort perdesse la sua pedina più importante all’interno dell’amministrazione magica. Mai avrebbe potuto immaginare che sarebbe stato anticipato in modo tanto repentino ed efficace.


«Sirius, sono profondamente desolato per quello che è successo in mia assenza, ma--»


«Dobbiamo fare qualcosa, Albus!» ruggì Sirius, infervorato. «Dobbiamo scoprire dove quei bastardi hanno portato Harry e--»


«Sirius ho bisogno che tu ti calmi. Al momento, tutto ciò che possiamo fare è attendere che Kingsley Shacklebolt e Tonks ci contattino per scoprire l’attuale posizione di Malfoy.»


«Calmarmi? Albus, ti rendi conto di quello che mi chiedi? Non posso stare qui, seduto ad aspettare mentre Harry è in mano al mostro che lo vuole morto!» gridò Sirius, lanciando le mani al soffitto in un gesto frustrato.


«Silente ha ragione, Sirius,» intervenne Remus, «sappiamo che se Harry si trova già nel forte di Voldemort per noi sarà impossibile rintracciarlo, Piton ha detto che--»


«Piton!» ululò Sirius, voltandosi di scatto verso Remus e poi di nuovo verso Silente. «Chi ci dice che non sia stato lui l’artefice di tutto ciò?»


«Severus è stato richiamato da Voldemort ieri sera, prima ancora che io potessi allontanarmi dal castello,» disse fermamente Albus.


«Certo, è stato richiamato dal suo padrone per festeggiare il pronto arrivo di Harry! Per quel che so, potrebbe aver stregato il ragazzo affinché si fidasse di lui e lo potesse raggiungere ovunque--»


«Sirius, ti prego, ragiona,» tentò ancora Remus, prima che la situazione degenerasse, «Piton ci ha messi in guardia riguardo al rituale e alla caduta di Azkaban, ma nemmeno lui sapeva l’identità di chi è dietro a tutto ciò!»


«Se quel pipistrello mancato è una spia, un motivo ci sarà: lui sa come raggirare le persone e giocare con la mente altrui, ma forse eri troppo occupato a spingere Harry a credere che a Piton sia mai importato qualcosa di sua madre, o sbaglio Remus?» rimarcò pungente Sirius, facendo un passo verso l’amico.


Remus inarcò un sopracciglio, prima di replicare con calma: «Da quando hai una così alta reputazione di Severus Piton? Devo dedurre che è riuscito a giocare anche con la tua, di mente?»


Sirius si preparò a rispondergli a tono, ma Silente si frappose tra i due. «Non so cosa sia successo di recente per portarvi a reagire in questo modo,» esordì, deciso e con un tono estremamente grave, «ma vorrei ricordarvi che tutto ciò non aiuterà Harry.»


Il silenzio e la pausa che seguirono gli fecero capire che il suo messaggio era stato recepito. Sirius sospirò e si lasciò andare pesantemente in una poltrona, in viso un’espressione non più dura e accanita, ma di rammarico.


«Infatti,» riprese Silente, dopo qualche attimo, «credo che al momento la miglior speranza per Harry sia da riporre proprio in Severus.»

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«Potter?» Severus sgusciò dal muro e aprì la cella con un semplice gesto della bacchetta, impedendo all’inferriata di cigolare. Il suo sguardo impiegò qualche secondo a individuare la figura del Grifondoro, rannicchiato in un angolo dell’oscura cella. «Potter?» ripeté, avvicinandosi a lui e chinandosi per girarlo su un fianco, in modo da guardarlo in faccia.


Il volto del ragazzo era una maschera di lividi, gonfia e arrossata. Le sue condizioni apparivano tanto gravi quanto lo erano state in mattinata, durante la sua precedente visita; era evidente che aveva ricevuto nuove percosse fisiche da allora – oltre alla solita dose di Maledizione Cruciatus – dai Mangiamorte che – a turno – scendevano a intrattenersi con lui. Tuttavia, non era il momento per fare diagnosi: se Potter voleva ancora uscire vivo da lì, avrebbe dovuto cogliere l’occasione immediatamente. Non avrebbero avuto altre chances.


Il ragazzo si divincolò debolmente dalla sua presa, balbettando parole sconnesse.


Piton sospirò, intensificando la sua stretta sul giovane. «Non abbiamo molto tempo--»


«N-no… m-mai fidarsi… dei serpenti…»


«Potter, sono io,» disse fermamente Piton, «di quali serpenti…?»


Si ricordò che era ancora sotto l’Incanto di Disillusione e se ne privò perché il ragazzo potesse calmarsi. Potter tentò nuovamente di allontanarsi da lui, prima di fermarsi un istante, sbattere le palpebre gonfie per qualche secondo – come per vedere meglio – ed emettere un bisbiglio sorpreso.


«… professor Piton?»


Severus annuì brevemente. «Dobbiamo fare in fretta, Potter. Ingerisci queste,» aggiunse, passandogli delle boccette familiari.

Harry era ancora stordito. Per un attimo, nonostante avesse già riconosciuto il proprio insegnante dopo aver ripreso conoscenza, aveva avvertito nuovamente l’impulso di scostarsi con violenza da Piton e di rannicchiarsi in un angolo, lontano dall’uomo che ormai incarnava sia la figura del suo carnefice che quella del suo salvatore. Facendo appello a tutta la propria forza di volontà, si costrinse a considerare solo la seconda opzione per il momento. In fondo, per quanto gli costasse caro doverlo ammetterlo, la sua sopravvivenza dipendeva esclusivamente dal suo insegnante.

Ingoiò il contenuto delle pozioni di Piton quanto più in fretta poté, cercando di ignorare il senso di nausea che non cessava di tormentarlo, ma – proprio quando si apprestava a chiedere all’insegnante in che modo sarebbero usciti da lì –, un rumore di passi lo interruppe. Spostò lo sguardo terrorizzato sul volto di Piton e vide che l’uomo si era portato un dito alle labbra.


«Fa parte del piano,» disse quest’ultimo, sbrigativo, «continua a recitare il tuo copione e tutto filerà liscio.» Riprese le fiale con se e fece per rialzarsi, ma la mano di Potter lo trattenne per la veste.


«N-no, n-non voglio che…»


«Non andrò da nessuna parte, Potter,» disse a bassa voce Severus, liberando il proprio braccio dalla sua presa e aiutandolo a riadagiarsi al suolo. Il Grifondoro sembrava terrificato all’idea di tornare in balia di qualche Mangiamorte sceso a torturarlo, e lui non poteva certamente biasimarlo. «Fidati di me,» mormorò, fissandolo con intensità un’ultima volta prima di scomparire nuovamente sotto l’Incanto.


Si accostò al lato del muro opposto a quello dove si trovava il giovane, e attese nell’ombra, appiattito contro la fredda pietra; il visitatore di Potter non tardò ad arrivare e a fare il proprio ingresso nella cella.


Severus lo riconobbe subito.


Era Mulciber.

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Capitolo 15
*** Double Rescue ***


XV.
Double Rescue



Fidati di me.

Con quelle parole impresse in mente, Harry si preparò al peggio.

Il ragazzo non aveva dimenticato ciò che aveva dovuto sopportare per mano di Piton a causa dell’ordine di Voldemort. Era convinto delle sue buoni intenzioni, sapeva che l’uomo voleva realmente farlo uscire di lì, ma era il modo in cui l’avrebbe fatto a preoccuparlo, realmente. L’Ex-Mangiamorte era scaltro e ricco di risorse, questo Harry doveva concederglielo; ma proprio per tale motivo il giovane non poteva fare a meno di sentirsi costantemente sul filo del rasoio. Se c’era una parola adatta a descrivere il suo insegnante di Pozioni, il giovane avrebbe detto ‘imprevedibile’. Fino a che punto si sarebbe spinto l’uomo per tirarlo fuori da quella situazione? Harry non sapeva se era veramente interessato a scoprirlo o meno.

Non che avesse molta importanza ormai.

Certo, se Piton avesse almeno avuto il tempo di metterlo al corrente del suo piano, probabilmente lui avrebbe potuto affrontare l’ennesimo incontro con un Mangiamorte con uno stato d’animo leggermente diverso.

Harry deglutì, sentendo i passi farsi più vicini e l’ombra del servitore di Voldemort incombere su di lui. Non poteva fare altro che sperare che la trovata di Piton non si facesse troppo attendere e che – soprattutto – funzionasse.

«Contento di vedermi, lurido Mezzosangue?»

La voce rozza di Mulciber risuonò a poca distanza dalle orecchie di Harry, che cercò di evitare con tutte le proprie forze di respirare il suo alito fetido. Il Mangiamorte lo vide scostarsi e gli sferrò un inaspettato calcio al fianco destro; Harry rotolò sull’altro, gemendo e sentì l’uomo ridere stupidamente. «Lo dicevo io, che ti ero mancato.»

Harry ignorò il dolore e strinse i denti, mentre con la coda dell’occhio captava un movimento alle spalle di Mulciber.  

«Che ne dici di movimentare la serata, pidocchio? Cruci--»

Senza alcun preavviso, il corpo del Mangiamorte fu scaraventato sul lato opposto della cella con un tonfo sordo. Harry sbatté le palpebre più volte, fissando il punto da cui aveva visto partire il getto di luce rosso, sorpreso dal sortilegio non verbale quasi quanto doveva esserlo stato Mulciber.

Piton fece capolino dall’ombra. «Non fare quella faccia, Potter,» disse, avvicinandosi a lui, «è solo stato schiantato.» Il ragazzo lo vide estrarre da una tasca due fiale, che presero a fumare dopo un leggero colpetto della bacchetta d’ebano su ciascuna. «Un pizzico dei tuoi capelli,» aggiunse rapidamente, e Harry capì subito di quale pozione si trattasse.

Wow, deve essere estremamente utile avere sempre a portata di mano ciò che serve al momento opportuno, pensò il giovane, ricordando che Piton era sempre provvisto di scorte trasportabili. In silenzio, eseguì e osservò Piton fare altrettanto con Mulciber, per poi aggiungere gli ingredienti finali ai due miscugli. «Non sarebbe bastato un Incanto di Disillusione?» chiese Harry, prima di bere la Pozione di Polisucco che l’insegnante gli porgeva e storcere immediatamente il naso in una smorfia disgustata.

«No, Potter,» disse l’uomo, forzando la mandibola di Mulciber in modo da fargli ingerire tutta l’essenza – di un bel colore dorato –,  «l’Incanto che mi hai visto usare non fornisce completa invisibilità, a differenza del mantello di cui ti servi per girovagare indisturbato in ogni area recondita di Hogwarts. Funziona primariamente in ambienti bui e chiusi, ed assume particolare efficacia da fermi, a meno che non ci si debba spostare e celare solo per brevi tratti, come nel mio caso per venire qui. Non posso portarti a spasso per il quartier generale del Signore Oscuro mentre i tuoi contorni oscillano alla luce di ogni torcia che incontriamo.»

«Non si accorgeranno che quello non sono io--?»

«Certo che si accorgeranno, Potter,» Piton roteò gli occhi al soffitto e osservò la trasformazione avvenire sia su Harry che il Mangiamorte, «ma per allora saremo già nelle gallerie, con un discreto vantaggio iniziale. Considerato il tempo tra un cambio di guardia e l’altro, e la durata degli effetti della Pozione Polisucco, abbiamo all’incirca un’ora, da adesso.» Con un gesto della bacchetta, invertì gli abiti che i due indossavano, affinché appartenessero ai rispettivi proprietari.

Harry annuì, guardandosi per controllare che la trasformazione fosse completa; rimosse gli occhiali – di cui non aveva più bisogno – e per poco non balzò dall’orrore quando vide la parte finale del Marchio Nero sbucare da sotto la manica del braccio sinistro, nonostante fosse consapevole che il simbolo altro non era che una replica innocua del vero marchio, alla stregua di un normale tatuaggio.  Trasse un respiro profondo. «C’è… c’è q-qualcosa che devo sapere s-su di lui?» chiese nervosamente, con un cenno della testa verso il Mangiamorte.

«Rudolph Mulciber è noto per il suo sadismo nel torturare le sue vittime, questo è il campo in cui è impiegato tra le schiere del Signore Oscuro. Lui e McNair riuscirebbero a strappare qualunque informazione anche ai maghi più potenti, se non adeguatamente istruiti all’Arte Occlumantica,» spiegò Piton, aggiustando la postura di Harry e controllando che fosse credibile nei movimenti. «Oh, ed eravamo compagni di scuola,» aggiunse casualmente, ignorando l’occhiata sorpresa del giovane, «quindi mi aspetto che tu mi chiami per nome se ce ne fosse estremo bisogno, altrimenti, evita di parlare quando possibile.»

Harry sperò ardentemente di non essere costretto ad arrivare a tanto; si chiese quanto naturale sarebbe suonato il nome di Piton sulle sue labbra. La risposta che si diede non suonava tanto incoraggiante.

Poi, un pensiero improvviso – che non aveva nulla a che fare con Severus – lo folgorò. «Professore, la mia bacchetta!» esclamò, sconvolto all’idea di poterla lasciare nelle mani di Voldemort.

«Dovrai accontentarti di questa, Rudolph,» disse Piton, con praticità, raccogliendo quella di Mulciber e porgendola a Harry senza tante storie, incurante della sua delusione, «adesso vieni, abbiamo perso fin troppo tempo…»
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«Non c’è traccia di Malfoy al Ministero, Albus.» Tonks era appena emersa dalle fiamme del focolare di Grimmauld Place, accolta dal Preside, Sirius, Remus e i Weasley. «Svanito. Io e Kingsley abbiamo suggerito di organizzare una squadra e mandarla a Villa Malfoy, ma il Ministero si rifiuta di spostare anche un solo Auror dopo quello che è successo ad Azkaban.»

Silente sospirò. «Il resto delle indagini? Qualsiasi segnale di attività sospette?»

«Dolores Umbridge sembra essere scomparsa nel nulla, come Malfoy. Alcuni testimoni dicono di averla vista per l’ultima volta poco prima di usare la Metropolvere; sembra anche che da diversi giorni si presentasse al lavoro con un aspetto decisamente trascurato per i suoi standard.»

Sirius emise uno sbuffo impaziente. «Stiamo solo perdendo tempo, il Ministero non muoverà un dito per aiutarci a trovare Harry!»

«Dunque, cosa proponi in alternativa?» domandò Remus. «Non abbiamo altri metodi al momento per risalire alla posizione della base di Voldemort.»

«Possibile che Severus non possa mettersi in contatto con noi, Albus?» domandò il signor Weasley, un braccio intorno alle spalle della moglie, a sostenerla.

«Non senza allontanarsi dalla fortezza, e temo che questa non sia un’opzione visto che Severus mi aveva già comunicato – prima di partire – che la sua assenza avrebbe potuto prolungarsi più del solito,» rispose Silente. «E’ evidente che qualcosa lo trattenga lì, immagino sia per eventuali disposizioni di Voldemort che per la sicurezza di Harry.»  

«Quel povero ragazzo,» sussurrò Molly, portandosi una mano alla bocca per trattenere un singhiozzo, «deve avere subito un tale shock, rapito nel giorno del suo compleanno…» sospirò, separandosi dal marito per congedarsi dagli altri. «Dovremo dirlo ai ragazzi, non possono essere tenuti all’oscuro di tutto ancora per molto.»

Attimi di silenzio accompagnarono l’uscita dei coniugi Weasley. «Se non sbaglio, Piton ha detto che la base di Voldemort si trova in un castello,» suggerì Sirius, con un barlume di speranza nello sguardo.

«Ce ne sono quasi duecento in tutta la Gran Bretagna,» disse Lupin, «senza contare che quello in cui si trova Voldemort è protetto da barriere che lo rendono invisibile dall’esterno e impenetrabile attraverso la Materializzazione a chi è sprovvisto di Marchio.»

Sirius sbuffò, frustrato. «Ma non possiamo restare qua con le mani in mano mentre Harry è lì dentro!» sbottò. «Se Caramell non vuole impiegare Auror a Villa Malfoy, perché non possiamo andare noi a far visita a quel bastar--»

«Se Lucius ha fatto perdere le proprie tracce, vuol dire che è con il suo Signore adesso e avrà senz’altro messo al sicuro la propria famiglia. Villa Malfoy sarà probabilmente disabitata ormai, ma non per questo meno pericolosa,» avvertì Silente, cercando di mettere un freno ai bollenti spiriti del Malandrino. «Ciononostante, potremmo mandare due membri dell’Ordine – volontari – per indagare in incognito.»

Sirius si fece immediatamente avanti, ma Remus lo precedette. «Andrò io. Sai che non puoi allontanarti da qui, se qualcuno ti riconoscesse--»

«Harry è il mio figlioccio,» disse Sirius con enfasi.

«Remus ha ragione, Sirius. Non possiamo rischiare di esporti, se qualcosa dovesse andare storto o fossimo costretti a contattare il Ministero, sarebbe impossibile cercare di dimostrare la tua innocenza,» intervenne Silente, ancora una volta, e questa volta il suo tono non ammetteva repliche.

«Andrò anch’io,» si offrì Tonks, «il mio Dipartimento sa che non sarò in servizio per i prossimi due giorni, e dal momento che Kingsley non può allontanarsi dal Ministero e che chiamare un qualsiasi altro membro ci farebbe solo perdere tempo, direi che sia la scelta più logica.»

Silente valutò la situazione per qualche secondo. «Molto bene,» disse infine, «dunque – per questo tipo di lavoro – avremo bisogno di un aiuto speciale

Un sonoro crac annunciò l’arrivo di una creatura non più alta di un portaombrelli, le grandi orecchie a punta che penzolavano ai lati della faccia e gli enormi occhi a palla che ricambiavano lo sguardo dei presenti.

«Il professor Silente ha chiamato, signore?»

La voce di Dobby trillò nell’aria greve di Grimmauld Place.

«Sì, Dobby,» rispose il Preside, «abbiamo bisogno del tuo aiuto, ne va della salvezza di Harry.»

Gli occhi di Dobby si allargarono ancora di più se possibile. «Harry Potter è in pericolo, signore?»

Silente annuì. «Devo chiederti di Materializzare due membri dell’Ordine all’interno di Villa Malfoy, Dobby, sei l’unico che può farlo dal momento che conosci il luogo e che ti è possibile superare eventuali barriere di difesa.»

«Dobby farà qualunque cosa pur di aiutare Harry Potter, signore!» esclamò l’elfo, la determinazione forte e chiara nella sua voce stridula.

«Ero certo che avrei potuto contare su di te, amico mio,» sorrise Silente, prima di tornare a guardare Remus e Tonks. «Dobby vi guiderà all’interno, ma tenete a mente di procedere con estrema cautela in modo da evitare rischi inutili. È altamente probabile che il luogo sia ancora impregnato di Magia Oscura e che il posto non sia stato abbandonato.»

«Ci metteremo subito al lavoro,» annuì Remus, scambiando uno sguardo di intesa con Tonks. «Mostraci la strada, Dobby.»

«Subito.» L’elfo annuì vigorosamente e si posizionò al centro della stanza per compiere la Materializzazione, mentre gli altri si facevano da parte per lasciargli lo spazio necessario.

Sirius guardò per diversi istanti il punto in cui Remus, Tonks e Dobby sarebbero presto spariti, e – nella frazione di un secondo – prese la sua decisione: avrebbe contribuito al salvataggio di Harry, con o senza l’approvazione di Silente. Prima che chiunque avesse il tempo di fermarlo, si protese verso l’elfo, riuscendo a carpirne il braccio nello stesso momento in cui l’Uomo Lupo e l’Auror si accingevano a fare lo stesso.

«Sirius, no!»

I quattro scomparvero dalla vista dei presenti, lasciando dietro di sé solo una nuvola di polvere.   
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Harry si sentiva sguarnito, indifeso.

L’idea di abbandonare la sua bacchetta – la stessa bacchetta che l’aveva salvato in innumerevoli circostanze – nelle grinfie di Voldemort lo tormentava come nient’altro in quel momento. Persino la fuga aveva assunto un sapore completamente diverso. Non poteva fare a meno di chiedersi se la presenza della propria bacchetta ancora in tasca lo avrebbe fatto sentire meno nervoso di quanto fosse in quel momento.

Lanciò uno sguardo furtivo a Piton, accanto a sé. L’uomo camminava con disinvoltura, a passo svelto, rallentando leggermente solo quando erano in prossimità di altri Mangiamorte. Era strano trovarsi al suo livello, considerando che Mulciber era alto più o meno quanto lui; vedere lo stesso insegnante che gli aveva reso la vita quasi impossibile da quella nuova prospettiva lo rendeva in qualche modo meno terrificante, ma non per questo meno pericoloso.

Stavano attraversando un’area del castello semiaperta, che aveva tutto l’aspetto di essere in rovina da tempo immemorabile. L’edera aveva messo radici sulle imponenti mura in modo tale che solo la magia avrebbe potuto debellarla, Harry ne era certo. Qualche metro davanti a loro, un ponte di pietra permetteva il passaggio ad una seconda ala della fortezza e il ragazzo cercò di esorcizzare la paura di essere scoperti da un momento all’altro provando a ipotizzare quanti piedi potesse contare il dirupo sotto di loro. Immaginò che alla luce del sole e in una situazione diversa quel posto dovesse essere estremamente suggestivo.

«Rimani concentrato,» sentì mormorare Piton al suo fianco e Harry si chiese se avesse visto i suoi occhi vagare un po’ troppo sul circondario. Ma nel momento in cui essi tornarono a posarsi di fronte, il giovane capì il motivo dell’avvertimento.

Lucius Malfoy attendeva in fondo al ponte, lo sguardo posato sulle due figure che avanzavano verso di lui.

«Una serata incantevole per ricordare i vecchi tempi, non è così?»

«Lucius,» disse Piton, mentre Harry si limitava a fare un cenno col capo in segno di saluto, sperando che il proprio nervosismo non risultasse così evidente, «suppongo che sia così, io e Rudolph abbiamo molto di cui discutere, non credo che gli argomenti mancheranno dopo tanti anni.»

Malfoy annuì, prima di rivolgersi all’altro Mangiamorte. «Non dirmi che Potter ti ha già stancato, Mulciber?» disse con un sottile sorriso e Harry deglutì. «Spero che il tempo trascorso ad Azkaban non ti abbia reso più… soffice, con i prigionieri.»

«N-no, non direi proprio.» Harry si sforzò di risultare sicuro di se e di non cedere all’impulso di mordersi il labbro inferiore.

«Meglio così,» asserì Lucius, lanciandogli un ultimo sguardo consideratorio, prima di tornare a guardare anche Piton. «Immagino che non dovremmo lasciare il nostro ospite da solo, allora; direi che sia doveroso da parte mia porgergli almeno una visita prima delle celebrazioni finali.»

Piton emise un leggero ghigno di approvazione e Harry si accodò a lui, afferrando il suggerimento, e ridacchiando grottescamente come pensava avrebbe fatto Mulciber in quella situazione.

«In tal caso, buon proseguimento,» disse Piton, che sembrava perfettamente a proprio agio in quella situazione tanto spinosa, «e porta i miei omaggi al Signor Potter. Sarà certamente felice di riceverli.» Harry osservò le labbra di Lucius incurvarsi in un sorrisetto soddisfatto. «Vieni, Rudolph, il mio laboratorio non dista molto da qui,» aggiunse la spia, in modo da farsi sentire da Malfoy, prima di riprendere a camminare con Harry.  

Quando furono abbastanza lontani, quest’ultimo esalò un respiro di sollievo. Si chiese quante rotelle dovessero mancare a Piton da spingerlo a venerare così ardentemente un lavoro tanto folle e pericoloso quanto quello che eseguiva per Silente. Ma una cosa non poteva negarla: l’uomo era dannatamente bravo a svolgerlo.

«Dobbiamo fare in fretta,» disse a bassa voce Piton, mentre percorrevano l’ennesimo corridoio e si ritrovavano nel torrione più esterno del forte. «Le gallerie sono tre rampe più sotto, ogni castello ha un sistema di sotterranei che permette di raggiungere l’esterno in caso di attacco senza essere avvistati.»

Harry avrebbe voluto chiedergli di più al riguardo, ma sapeva che non era il momento. Piton doveva aver studiato il maniero a fondo per avere tutte quelle informazioni su di esso; evidentemente il suo ruolo di agente segreto dell’Ordine includeva anche un piano di fuga in caso di pericolo.

Svoltarono un angolo e scesero le scale aumentando la velocità dei loro passi. Al termine delle rampe di pietra, si ritrovarono di fronte a un bivio.

«Per di qua.» Piton fece strada fino ad un’ampia grata semicircolare nel muro, che Harry identificò come l’accesso alle gallerie; il ragazzo si chiese se non era stato tutto fin troppo facile. «Preparati a correre da qui in avanti, dobbiamo approfittare dell’effetto della pozione fino alla fine altrimenti--»

«Altrimenti, Severus?»

Harry sentì il sangue raggelarsi nelle vene e, con il cuore che martellava all’impazzata in petto, si voltò insieme a Piton. Un Mangiamorte allampanato, dall’aria arcigna, li osservava con una luce sospettosa negli occhi.  

«Augustus. A cosa devo l’onore?»

«Potrei chiedere la stessa cosa.» Rookwood aveva la bacchetta estratta, ma non sembrava ancora intenzionato a puntarla contro di loro.

«Il mio laboratorio è a pochi metri da qui, non è inusuale la mia presenza nei sotterranei,» osservò Piton, casualmente, «difficile dire lo stesso di te.»

«E immagino che tu abbia dimenticato che il tuo laboratorio si trova dalla parte opposta?» ribatté Rookwood, con un gesto eloquente della testa. «Ad ogni modo… non mi riferivo a te, ma a Mulciber,» proseguì, e Harry sentì un brivido percorrergli la schiena, «credevo che le tue passioni fossero ben altre, e invece ti ritrovo a dilettarti a fare il piccolo chimico. Quanto a me, ero venuto a cercarti, Severus. Volevo complimentarmi per la prestazione che ci hai offerto l’altra sera con Potter, una vera delizia per i sensi… qualcosa non va, Rudolph?»

Il ricordo di tutti gli orrori e della sofferenza che aveva subito la sera precedente prese il sopravvento sulla mente già provata del ragazzo, che si irrigidì sul posto, iniziando a tremare leggermente.

Il dolore della Maledizione Cruciatus bruciava in ogni centimetro del suo corpo…

… le risate di scherno dei Mangiamorte…

… la tortura di Piton…

Avvertì quest’ultimo – consapevole della sua condizione – muoversi al suo fianco, il polso della bacchetta pronto a farla scattare dalla manica delle veste in qualsiasi momento.

«Non è lo stesso da quando è tornato da Azkaban,» lo sentì pronunciare, «gli somministrerò una pozione affinché--»

«L’ho chiesto a lui, Severus, non a te.» Gli occhi di Rookwood si assottigliarono, mentre faceva un passo in avanti. «Può ancora parlare, almeno, non è così?»

«É vero,» si costrinse a dire Harry, sforzandosi di mantenere ferma la voce e ricacciando indietro il senso di nausea che si faceva strada in lui. Possibile che fosse già quasi trascorsa un’ora…? «S-Severus ha ragione, ho…» si interruppe, notando che il Mangiamorte aveva sollevato la bacchetta e gliela stava puntando contro.

Un getto luminoso uscì dalla punta, illuminando i sotterranei come le torce non avrebbero mai potuto fare. «Ma guarda un po’, è una cicatrice quella che vedo sulla tua fronte?» Un lampo di trionfo comparve negli occhi di Rookwood. «Un altro souvenir che ti sei portato dietro da Azkaban, immagino… dico bene, Mulciber?»

Il fiotto di luce rossa che sprizzò dalla bacchetta di Rookwood andò a scontrarsi contro l’Incanto di Protezione lanciato da Piton.
 

«Il Signore Oscuro non si sbagliava su di te, dopotutto,» gridò il Mangiamorte, schivando la maledizione scagliata dalla spia. «ha fatto bene a incaricarmi di sorvegliare quest’uscita. Incarcerus!»

«Expelliarmus!» esclamò Harry. La bacchetta di Mulciber baluginò per una frazione di secondo, prima di sparare flebili scintille in direzione del nemico.

Quest’ultimo rise di fronte all’orrore del ragazzo e si apprestò a colpire nuovamente. «Fa’ sogni d’oro, Potter. Impedimenta!»

Piton deviò il sortilegio per lui e mandò l’incanto a sbattere contro la grata di ferro alle loro spalle, in modo da farla saltare. «Potter, corri!» urlò.
   

Harry provò a fare come gli era stato ordinato, ma dopo appena due passi inciampò nella veste che portava; la pozione stava definitivamente perdendo la sua efficacia visto che le sue gambe erano già tornate alla normalità. Il ragazzo cercò di rialzarsi e si mosse a tentoni, mentre si affannava a cercare nella veste gli occhiali, senza i quali vedeva a malapena.

«Levati di torno, Piton!» ululò il Mangiamorte, furente.

«Dopo di te, Rookwood,» replicò l’Esperto di Pozioni, e Harry ebbe la fugace visione di un lampo di luce blu, dopo aver udito il proprio insegnante gridare: «Expulso!»

Il punto del soffitto colpito da Piton si aprì sulla testa di Rookwood, che scomparve alla vista dei due fuggitivi, apparentemente inghiottito dalla cascata di pietre e detriti pioventi. Prima che il piano superiore potesse crollare anche su di loro, Piton afferrò Harry per la collottola e lo trascinò con sé oltre la grata.

«La segretezza non è più una nostra priorità. Puoi camminare a passo svelto?» chiese l’uomo, sbrigativo, rimettendolo in piedi e lanciando un incantesimo ai vestiti del ragazzo, perché si restringessero e non gli impedissero di muoversi.

Harry inforcò gli occhiali e annuì, nonostante si sentisse uno straccio. La forza in più che aveva acquisito grazie alla trasformazione in Mulciber era svanita del tutto, e ora il giovane poteva contare unicamente su ciò che rimaneva degli effetti della Pozione Rinforzante con cui Piton l’aveva rimesso in sesto nella cella.  

Approfittando del vantaggio interposto dalla barriera tra loro e il Mangiamorte, i due si lanciarono in una corsa nelle gallerie.    
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«Sei completamente impazzito?» Lupin scattò verso Sirius, che si stava ancora rialzando dal pavimento di pietra su cui erano atterrati. «Hai rischiato di Spaccarti!»

Felpato lo allontanò da se con un gesto annoiato della mano e si mise in piedi. «Credevi che sarei rimasto ancora a guardare mentre Harry è in pericolo? Sono stato con le mani in mano troppo a lungo. Ora basta,» aggiunse, deciso, ignorando l'occhiata obliqua di Tonks e allontanandosi da entrambi, «nessuno mi farà tornare indietro. Dove ci troviamo esattamente, Dobby?»

«Nella cantina di Villa Malfoy, signore,» rispose prontamente l’elfo domestico, ma la sua voce tremò nel pronunciare il nome del vecchio padrone.
 

«Lumos.» Sirius si guardò intorno, incurante delle confabulazioni di Remus e Tonks sull’imprevisto che lui stesso aveva generato. «Una cantina? Sembra più una prigione.»

Si trovavano in una sala spoglia, in lastre di pietra e dal soffitto basso; l’unica via d’uscita apparentemente disponibile era situata alla loro destra, dove una porta doveva condurre ai piani superiori. Il luogo era completamente privo di luce, eccetto che per una lanterna quasi spenta, posta nel punto più estremo rispetto a dove si trovavano i tre membri dell’Ordine. Sirius seguì con lo sguardo il flebile cono di luce che si estendeva sul pavimento del sotterraneo e i suoi occhi si posarono su una doppia ciotola metallica, e su quello che aveva tutta l’aria di essere un piede che emergeva dall’ombra.

Sirius si voltò verso Remus e Tonks, ormai rassegnati della sua presenza, e capì che anche loro si erano avveduti di quel particolare. Con un cenno di intesa, i tre si mossero con circospezione verso l’angolo più buio delle segrete.
 

Il Malandrino dai capelli color pece si accostò con cautela alla sagoma semi-nascosta e sollevò la bacchetta in modo da fare luce sul volto di chiunque si trovasse lì con loro. Un volto flaccido e privo di sensi emerse dall’oscurità.

«Dolores Umbridge,» disse Tonks, in un bisbiglio. «Come pensate che sia finita qui?»

Sirius esalò bruscamente. Per un attimo, aveva ingenuamente sperato che Harry potesse trovarsi lì e che l’incubo sarebbe finito. Invece, ora avevano un problema in più da risolvere.

Remus si chinò sulla donna e ne controllò il respiro. «Non ha importanza per il momento. Dobbiamo farla uscire di qui, è in uno stato pietoso--»

«Non c’è tempo ora, ci penseremo dopo,» disse immediatamente Sirius, dando le spalle alla figura seduta a terra e dirigendosi verso l’unica porta del sotterraneo. «Harry è il motivo per cui siamo qui, la nostra unica priorità.»

«Ci penserà Dobby,» replicò Remus, «può tornare da noi in qualsiasi momento, nel caso avessimo bisogno di lui qui; la versione di questa donna potrebbe tornarci utile, se non dovessimo riuscire a trovare alcuna informazione che ci aiuti a localizzare Harry.»

Tonks annuì e si rivolse all’Elfo Domestico, il quale apparve ben felice di potersi dimostrare ulteriormente utile e di allontanarsi da Villa Malfoy. Dopo che Dobby fu sparito con la donna svenuta, l’Auror e Lupin raggiunsero Sirius vicino all’uscita. 
 

«Alohomora,» mormorò quest’ultimo, senza successo. Riprovò, ma il secondo tentativo si rivelò altrettanto inutile.

«Deve essere incantata per riconoscere solo i Malfoy dall’interno,» disse Tonks, in un sospiro amaro. «Immagino che avere sangue Black conti ben poco.»

Sirius dovette frenare l’impulso di tirare un pugno alla pesante porta che li costringeva a restare nella sala umida e ammuffita. «Dobby ha scelto il luogo migliore per farci entrare…»

«E dove altro avrebbe potuto Materializzarci? Nel bel mezzo di un gruppo di Mangiamorte in riunione, magari?» Tonks si sentì in dovere di difendere l’elfo, le mani sui fianchi come una maestrina.

«Shhh, fate silenzio un attimo! Sento delle voci.»

Remus si era acquattato contro la porta e il suo udito superiore appariva intento a captare ogni minuscola vibrazione oltre l’ostacolo che li teneva rinchiusi. Una voce femminile e una maschile – che conosceva perfettamente – si susseguivano in una conversazione che sembrava essere sul punto di terminare.

«… incomincia dal funzionario del Ministero, assicurati di far sparire ogni prova, anche la più piccola. Quando avrai finito, ci raggiungerai immediatamente al rifugio, sono stata chiara?»

«Sì, signora Malfoy,» rispose la voce di Codaliscia, in tono deferente. «Me ne occuperò subito.»

«E controlla che ogni barriera sia al suo posto prima di sparire, sta pur certo che se dovessi tralasciare anche solo mezzo dettaglio di quanto ho ordinato, farò in modo che l’Oscuro Signore lo venga a sapere. Vieni, Draco.»

«Certamente, milady,» furono le ultime parole sottomesse che Remus sentì pronunciare da quello che un tempo era stato uno dei Quattro Malandrini di Hogwarts.

Attese qualche secondo ancora, sentendo i passi di madre e figlio allontanarsi, prima di udire quelli di Peter Minus spostarsi esattamente sopra le loro teste. Si voltò a guardare Sirius. «Narcissa e Draco Malfoy hanno appena abbandonato la Villa; Codaliscia sta venendo qui.»

Per un attimo, i tratti facciali di Sirius furono stravolti da un’espressione feroce, prima di distendersi e andare a formarne una di folle trionfo. «E noi saremo pronti ad accoglierlo,» mormorò, pregustando il momento in cui avrebbe potuto saldare i conti con il traditore che gli aveva strappato il suo migliore amico.  
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La corsa di Harry non durò a lungo.

Il giovane sentiva gli effetti della Pozione Ricostituente svanire ad ogni passo. Arrancando, strinse i denti e cercò di focalizzare la mente sulla via d’uscita che stavano inseguendo, nonostante le forze minacciassero di abbandonarlo completamente da un momento all’altro.

Quando – per l’ennesima volta – incespicò sulla superficie melmosa della galleria e si sentì cadere, avvertì Piton afferrarlo e tirarlo nuovamente su.

«Ce la posso fare…» borbottò il giovane, cercando di rimettersi più stabile sui piedi senza l’aiuto del suo professore, incapace, tuttavia, di ottenere grandi risultati.

«Questo mi è piuttosto evidente, Potter.» Piton inarcò un sopracciglio e represse a stento un sospiro impaziente; ignorando le proteste del Grifondoro, prese a sorreggerlo. Harry avrebbe giurato di sentirgli aggiungere un malcelato “stolto ragazzo”, ma decise di lasciar correre. La situazione in cui si trovavano richiedeva collaborazione reciproca purtroppo, e lui si sentiva comunque troppo stanco per fare discussioni con Piton. Il silenzio calò ancora una volta su di loro, finché Harry non resistette più.

«Non posso prendere un’altra di quelle pozioni…?» biascicò, insofferente all’idea di essere un peso e di avere bisogno dell’aiuto di Piton anche solo per muoversi.

«No,» rispose seccamente l’uomo, procedendo quanto più speditamente possibile, nonostante l’impiccio che Harry costituiva, «è necessario che passino almeno cinque ore tra una dose e l’altra, a meno che tu non voglia cadere incosciente al suolo e costringermi a trasportarti in braccio per il resto del tragitto.»

Harry inorridì alla sola idea e si affrettò a rimangiarsi qualsiasi tipo di protesta. Doveva ammettere, tuttavia, che mantenere il proprio sarcasmo in una situazione come quella era a dir poco encomiabile da parte di Piton.

Il tunnel attraverso cui procedevano sembrava non avere mai fine. Il rumore dell’acqua che scorreva nei cunicoli laterali, tamburellando senza sosta sul pavimento limaccioso, picchiettava nella testa di Harry come un martello – il suono amplificato a dismisura dall’emicrania e dal senso di nausea che non gli davano tregua.

Per un attimo, si sentì mancare nuovamente (o forse era stato più di un attimo…?). Un gelo improvviso aveva iniziato a insinuarsi in lui come tante lame affilate, mentre la vista prendeva ad  annebbiarsi sempre di più e le gambe iniziavano a muoversi al rallentatore…

Percepì Piton fermarsi per pochi secondi, fargli qualche veloce domanda – di cui Harry non capì nemmeno una parola – e poi il dorso di una mano fredda posarsi sulla sua fronte. Il ragazzo avrebbe giurato che l'uomo l'avesse chiamato addirittura per nome, ma forse era troppo poco lucido per distinguere la realtà dalle illusioni. Attimi dopo, erano di nuovo in cammino, questa volta un po’ più lentamente, e Piton aveva ripreso a parlare (forse per tenerlo sveglio?). Harry lo sentiva pronunciare frasi che a lui apparivano sconnesse e che andavano dallo stato in cui il suo corpo debilitato versava, al fatto che il “povero spettacolo” offerto davanti a Rookwood non era stato causato dalla bacchetta di Mulciber, ma dal suo polso ancora debole; questo non avrebbe dovuto essere sforzato in ulteriori “sciocchi atti di protagonismo” altrimenti il suo processo di guarigione ne avrebbe risentito…

Quando Harry rinvenne si accorse di non avere più i piedi per terra e che nei suoi occhi semi-aperti riverberava la luce lunare, filtrante dal varco che – ormai sempre più prossimo – si stagliava di fronte a loro.

E poi, tornò l’oscurità.
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Per la prima volta in vita sua, Severus fu tentato di maledire il ruolo che lui stesso aveva scelto di ricoprire più di un decennio prima.

Avrebbe portato Potter in salvo anche in capo al mondo, ma questo era veramente troppo. Quando sarebbero tornati ad Hogwarts – perché sarebbero ritornati – avrebbe ricordato a Silente che trasportare Potter in braccio come un moccioso di sei anni non rientrava in alcun modo nelle sue mansioni.
 

Il ragazzo aveva sopportato troppi sforzi nelle ultime quarantotto ore ed era infine giunto il momento di pagarne il fio; persino un uomo adulto e vaccinato avrebbe sentito su di se le conseguenze di tante fatiche, figurarsi un ragazzo minuto come Potter. Quando l’aveva preso in braccio perché la febbre era diventata troppo forte e il giovane non era più in grado di mantenersi cosciente, Severus si era reso conto che il Grifondoro pesava incredibilmente poco per appena due giorni di digiuno e – soprattutto – per un ragazzo della sua età.

Nemmeno lui, per quanto trascurato fin da piccolo, era mai stato tanto esile quanto appariva il Bambino Sopravvissuto. Eppure ricordava che né Lily né Potter avessero mai avuto problemi di costituzione troppo magra, anzi, entrambi erano sempre stati in perfetta forma, indice di un’alimentazione sana e regolare.

Severus lanciò un’occhiata al volto provato del ragazzo, confermando che era ancora svenuto; la sua fronte era stata incandescente fino a pochi minuti prima e l’Ex-Mangiamorte non aveva potuto fare altro che ricorrere ad una fiala sfebbrante e rinvigorente. Poteva concedere qualche minuto di incoscienza a Potter fintanto che fossero stati al riparo del tunnel, ma – una volta fuori di lì – avrebbe avuto bisogno di qualcuno in grado di correre, altrimenti sarebbero stati un bersaglio fin troppo facile.

Distolse quasi subito lo sguardo dallo studente. Doveva rimanere concentrato sulla missione attuale, non era il momento di distrarsi con i pensieri riguardanti la dieta di Potter. Tanto più che tutto ciò non rientrava nemmeno nelle sue competenze…

… o forse sì?

I verdi occhi luminosi tornarono a tormentarlo, così come il pensiero di ciò che il giovane aveva sopportato per mano sua la scorsa notte. Era molto più semplice quando tutto ciò che riusciva a vedere in lui era James Potter, il suo odiato, arrogante rivale. Ora, tutto ciò che era in grado di vedere gli ricordava di Lily.

E, in quel momento, Severus si accorse di conoscere la risposta alla propria domanda.
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Harry non percepiva più il trascorrere del tempo.

Da quando aveva visto la luce della luna abbagliarlo, era tornato in un mondo fatto di ombre e silenzio. La voce di Piton era solo un eco lontano ormai; non sapeva cosa stesse accadendo attorno a loro, né se i Mangiamorte li avessero già raggiunti, mettendo così fine alla loro fuga.

D’altronde, chi gli diceva che Piton fosse ancora lì?

Magari si era stancato di avere un peso come lui dietro.

O forse si era reso conto che il gioco non valeva più la candela e aveva deciso di riconsegnarlo a Voldemort?

Non sapeva nemmeno se lui stesso fosse ancora vivo o no.

Magari un’Avada Kedavra aveva già messo fine a tutte le sue sofferenze.

Non doveva fare altro che attendere il momento in cui l’oscurità si sarebbe diradata e avrebbe rivisto le facce di coloro che lo amavano. Già gli sembrava di sentire le loro voci, come in coro, chiamarlo e spronarlo ad affrettarsi. Una luce apparve distintamente davanti ai suoi occhi e Harry si sforzò di aprirli, finalmente in grado di uscire dal baratro nero in cui si trovava…

Solo che il coro che aveva udito non era formato da voci e la luce innanzi a lui non era indistinta ma ben definita.

Un freddo glaciale – ben più agghiacciante di quello che gli aveva procurato la febbre – si impossessò del ragazzo, mentre le urla disumane delle creature che scivolavano verso di lui si facevano sempre più prossime. Nel momento in cui i sensi tornavano vagamente a percepire ciò che li circondava, Harry riconobbe di essere in una foresta e che i Dissennatori erano a poco più di qualche metro da lui.

«Expecto Patronum!»

Qualche istante dopo, avrebbe giurato di vedere un quadrupede semitrasparente corrergli di fronte e schermarlo dai suoi assalitori ammantati.

Forse la febbre gli giocava brutti scherzi. Per un attimo, aveva creduto che il Patronus di suo padre fosse giunto in suo soccorso. Strizzò gli occhi, incredulo, cercando di risvegliarsi completamente dallo stato onirico in cui era sprofondato; ad un’osservazione più attenta, la creatura appariva più piccola del solito e priva di corna...

«Potter,» la voce di Piton risuonò nella foresta buia, da un punto poco distante rispetto a lui, «ho bisogno che tu muova quelle gambe… ora!»

Harry si sentì tirare su di peso ed essere sospinto in avanti. I suoi arti inferiori sembravano come arrugginiti; il giovane fece fatica a ritrovare un equilibrio stabile, muovendosi dapprima a scatti, per poi riuscire ad acquisire il giusto ritmo con cui avanzare attraverso la fitta vegetazione.

Dietro di sé, udì Piton iniziare a seguirlo, non prima di aver scagliato un nuovo Incanto Patronus che si intrattenesse a coprire la loro fuga. Il ragazzo non poté fare a meno di voltarsi, lasciando vincere la curiosità sul buonsenso anche in quel momento di estremo pericolo.

Una magnifica cerva argentea disperse i Dissennatori rimasti, frapponendosi come uno scudo impenetrabile tra i due maghi e le creature.

Non sapendo bene cosa pensare, Harry continuò a correre, ancora confuso e stordito. Non sapeva da che parte dovesse andare, se solo Piton si premurasse di dargli delle istruzioni più precise! Intorno a lui tutto era buio e anche quel poco che riusciva a vedere, sembrava ripetersi allo stesso modo per miglia e miglia. Stessi alberi, stesse rocce, stessa vegetazione. E non una via di fuga. Persino i versi degli animali notturni si susseguivano all’infinito in una cantilena che Harry non avrebbe sopportato ancora per molto.

«Da che parte?» gridò a Piton, poco più indietro di lui, a controllare che nessuno li seguisse.

«Non fermarti!»

«Ho chiesto da che--»

«Non lo so, Potter! Risparmia il fiato per la corsa!»

Uh-oh, Piton che ammette di non sapere qualcosa…

Se Harry anziché pensare a Piton avesse continuato a guardare di fronte a se, probabilmente non sarebbe mai finito a sbattere con la testa contro il ramo basso di un albero.

E il suo mondo non sarebbe tornato a farsi tutto nero.
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Capitolo 16
*** Under the Larches ***


XVI.
Under the Larches



«Expelliarmus!»

Codaliscia sgranò gli occhietti acquosi e lanciò un grido, più simile a uno squittio. Due getti di luce rossa piombarono su di lui dal nulla, appena un secondo dopo che il Mangiamorte ebbe spalancato la porta che conduceva alla cantina dei Malfoy. Il suo corpo grassoccio venne scaraventato all’indietro, ai piedi delle scale che aveva percorso e la sua testa ciondolò in avanti per qualche istante, finché due ombre non lo sovrastarono.

«Peter… vecchio amico

Il servitore più codardo di Lord Voldemort emise un altro verso, mentre ogni centimetro delle sue fattezze deformi prendeva a tremare e un’espressione di puro terrore andava a formarsi nello sguardo sconvolto.

«S-Sirius… R-Remus… per f-favore…»

«Com’è essere tornati a lavorare per il tuo padrone?» Sirius lo afferrò per la collottola macchiata di unto e sporcizia, sollevandolo da terra in malo modo. «I tuoi amici Mangiamorte ti trattano piuttosto bene dopotutto, per essere soltanto il loro ratto di fiducia… ti lasciano girare per Villa Malfoy tutto solo soletto… e guarda qui cos’abbiamo… una mano nuova di zecca tutta per te?»

«L-lasciami… ti p-prego… » biascicò Codaliscia, cercando di liberarsi dalla sua stretta. Guardò Remus in cerca di un briciolo di pietà, ma tutto ciò che ricevette fu disprezzo.

«Non temere, non abbiamo tempo per trattarti come più meriti,» intervenne quest’ultimo, sentendo Tonks superarli per perlustrare il piano superiore. «Ora ci dirai come raggiungere la fortezza del tuo adorato Signore Oscuro, senza farci perdere tempo con le tue inutili suppliche.»

Codaliscia allargò ancora di più gli occhi. «M-ma… ma… n-non posso!» piagnucolò, quasi istericamente.
 
La presa di Sirius su di lui si intensificò. «Non garantisco il tuo arrivo tutto intero da Silente, quando avremo finito…» lo minacciò, fulminandolo con un’occhiata.

Il Mangiamorte deglutì più volte, il viso impiastrato di sudore che brillava alla luce delle bacchette. «Non è possibile Materializzarsi all’interno o all’esterno con chi non possiede il Marchio, la base è nascosta da barriere estremamente potenti poste tutt’attorno alla foresta di larici…»

«Ed è proprio lì che ci farai apparire allora,» incalzò Sirius, strattonandolo con forza, «ai limitari della foresta, per poi farci strada fino al quartier generale segreto.»

«E non pensare nemmeno di fare scherzi,» sottolineò Remus, premendo la punta della bacchetta contro il suo petto, «ti assicuro che questa volta non finirà come l’ultima.»

Tonks tornò dal suo giro e guardò gli altri con rinnovato entusiasmo. «Dunque è tutto pronto per andare a salvare Harry?»
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Una donna bellissima, dai capelli rosso scuro e gli occhi di un verde così brillante da illuminare anche l’oscurità più buia…

… Accanto a lei era accovacciata una cerva trasparente, il corpo splendente di luce propria…

«Potter non mostrava rispetto quando era nel pieno di se, mio Signore, la sua persistente arroganza è tutto all’infuori che imprevedibile.» …

… «Fai del tuo peggio con lui, altrimenti… lo saprò.»

«Certamente, mio Signore.» …

… «Ho bisogno che tu prenda questa, Potter, ti aiuterà a recuperare le forze più rapidamente.» …

… «No, Potter, non ci saranno altre torture.» …

Harry cercò con tutto se stesso di risvegliarsi. Non sopportava più quelle ombre, non sopportava più quelle voci, né le sue stesse urla di dolore. Voleva dimenticare con tutte le proprie forze ogni cosa, voleva tornare a Grimmauld Place, rivedere Sirius e riappacificarsi con lui per quella stupida discussione che avevano avuto… voleva Ron e Hermione al suo fianco, mangiare un’altra fetta della torta della Signora Weasley… voleva…  

I suoi occhi finalmente si mossero e le sue palpebre si aprirono leggermente. Si accorse di non essere più nella fredda e buia selva in cui aveva battuto la testa. Il luogo in cui si trovava sembrava molto più piccolo e ristretto… una cella? Harry cercò di tirarsi su di colpo, terrorizzato, ma la testa gli vorticò paurosamente e fu costretto ad accasciarsi di nuovo.

«Quando la smetterai di agitarti sarà sempre troppo tardi.»

Una voce familiare parlò accanto a lui e Harry non poté fare a meno di muoversi ancora, freneticamente. Nella sua testa, c’era il ricordo di due Piton: una prima versione che lo torturava per ordine di Voldemort, e una seconda che lo aiutava a fuggire e lo rassicurava. Ora Harry, sconvolto dallo stato semi-onirico in cui era – per l’ennesima volta – sprofondato, non sapeva con quale dei due si trovasse.   

«Dannazione, Potter, pensavo avessimo ormai superato questo punto…» Piton si fece più vicino e gli immobilizzò entrambe le braccia in modo da impedirgli di farsi del male.

«N-no!» protestò il ragazzo, cercando di svincolarsi inutilmente dalla sua presa.

«Smettila di muoverti, stupido, finirai per ferirti!»

«No, non m-mi torturi!»

Piton mollò immediatamente la presa su di lui, come se si fosse scottato. Nel suo sguardo, c’era una luce sorpresa mista a quello che Harry non poteva credere essere rimorso. Il giovane cessò di agitarsi – accorgendosi di non essere mai stato in pericolo – e si rese conto che, come era arrivato, quel velo di turbamento era già scomparso dall’espressione dell’uomo.

«Non era mia intenzione farti del male,» disse rigidamente Piton dopo qualche istante, tornando a sedersi poco più in là, il volto nuovamente impassibile.

«Lo so,» rispose Harry, in un tono a malapena udibile, mentre la respirazione iniziava a regolarizzarsi. In realtà, non sapeva se Piton si stesse riferendo a quanto appena successo o a quanto accaduto nella fortezza di Voldemort la notte prima.

Ora che era completamente sveglio, si sentì quasi un’idiota per la reazione avuta.

Uno scomodo silenzio scese su di loro, e il ragazzo ne approfittò per guardarsi intorno. Si trovavano in quella che aveva tutta l’aria di essere una piccola caverna scavata nella roccia, illuminata quel tanto che bastava da permettere a entrambi di vederci qualcosa; Harry sospettò che ci fosse lo zampino della magia di Piton anche per la temperatura all’interno del loro rifugio improvvisato, perché l’ambiente appariva piacevolmente riscaldato.
 
«Non saremo un bersaglio facile qui dentro?» chiese Harry, mentre notava che il giaciglio improvvisato su cui era steso si trovava nel punto più lontano dall’apertura della tana.

«Siamo al sicuro per il momento, ho incantato la caverna perché risulti invisibile ad occhi esterni, estendendo la protezione anche alle nostre voci,» spiegò Piton, che stava scrutando le tenebre della notte.

Harry annuì, ma smise subito: la testa gli faceva così male che faticava persino ad immagazzinare informazioni tanto semplici. Per distrarsi, cercò di ricordare quello che stava sognando prima che tutto si trasformasse in un incubo su Voldemort, Piton e la tortura. Il volto di sua madre che accarezzava una cerva eterea affiorò nella sua mente e Harry sentì il cuore alleggerirsi un poco a quel pensiero.

In che modo erano collegate le due immagini?

Il Patronus di Piton era una cerva… e ormai il ragazzo non aveva più dubbi sul fatto che un tempo i due fossero stati amici. Era mai possibile, tuttavia, che ci fosse dell’altro?

Come in un flash, il ragazzo rivide la lettera che aveva scoperto nel laboratorio del Pozionista e ricordò il modo burrascoso in cui quella mattinata si era conclusa. Harry poteva ancora sentire la voce di Piton – terribile e incontrollabile – tuonargli addosso, mentre lo scacciava dal suo laboratorio senza lasciargli il tempo di dare nemmeno una spiegazione.

«Non volevo ficcare il naso nei suoi affari, a Hogwarts,» disse all’improvviso il ragazzo, pensando di approfittare di quel momento per chiarire; non sapeva perché, ma ne sentiva il bisogno.

Piton non mosse un muscolo, ma Harry ebbe l’impressione che l’uomo non si fosse aspettato un ritorno sull’argomento. «Non è qualcosa di cui voglio parlare, Potter,» tagliò corto, dissimulando una nota infastidita nella voce e sforzandosi di mantenere un tono sufficientemente civile con il giovane. «Ho commesso un errore lasciandoti solo nel mio laboratorio.»

Harry inghiottì la delusione che minacciava di salirgli alle labbra. Per un attimo, aveva quasi sperato che Piton fosse disposto a dirgli qualcosa riguardo a sua madre, ma era evidente che l’uomo non avesse nessuna intenzione al riguardo. Forse non aveva nemmeno tutti i torti; perché mai avrebbe dovuto raccontare i suoi fatti più personali proprio a lui, Harry James Potter? D’altronde, se doveva dirla tutta – senza giustificare la reazione esagerata del proprio insegnante –, il Grifondoro doveva ammettere che nemmeno a lui sarebbe piaciuto se di punto in bianco qualcuno si fosse messo a toccare i suoi affetti personali senza permesso.

Si rimangiò qualsiasi risposta piccata, mordendosi la lingua, e si coricò nuovamente, posando lo sguardo sul soffitto della grotta.
 
«Volevo solo dirle che mi dispiace,» rispose invece, sincero.

Con la coda dell’occhio, notò un movimento leggero della testa di Piton, come se quest’ultimo fosse stato sorpreso di sentire quelle parole provenire niente meno che dal Ragazzo Sopravvissuto. Lo vide separare appena le labbra, come sul punto di dire qualcosa, prima di tornare a volgersi verso l’esterno del loro riparo improvvisato, il viso nuovamente imperscrutabile.

Trascorse qualche altro attimo di silenzio, durante il quale Harry rimase in ascolto dei cori di cicale e dello stridio di qualche civetta solitaria, aspettandosi che da un momento all’altro questi suoni fossero interrotti dallo scalpitare improvviso dei loro inseguitori.

«Ne ho combinata un’altra delle mie, vero?» disse amaramente, non sopportando più quel silenzio; era evidente che per causa sua avevano dovuto interrompere la fuga e perdere anche quel briciolo di vantaggio che avevano acquisito sui Mangiamorte. Quando si accorse che la risposta di Piton tardava ad arrivare, il giovane gli lanciò un’altra occhiata. «Nessun commento sarcastico al riguardo?» aggiunse, nella speranza che l’uomo non ce l’avesse con lui per il comportamento di prima e per la storia della lettera.

Piton inarcò il suo sopracciglio preferito e si girò verso il Grifondoro. «Ti farebbe sentire meglio se ne facessi uno?» Non sembrava arrabbiato, e Harry si chiese da quando aveva iniziato ad apprezzare il senso dell’umorismo del Serpeverde; se doveva essere sincero, dopo averci fatto l’abitudine, non era poi così male. «In realtà – per quanto mi costi ammetterlo – per una volta hai fatto una cosa giusta, picchiando la testa contro quel ramo. Non potevamo continuare così, hai bisogno di recuperare le forze.»

Wow, questo sì che è incoraggiante, sospirò Harry nella propria testa. D’un tratto, si sentì nuovamente sopraffare dalla stanchezza e socchiuse brevemente gli occhi; si chiese se Piton non avesse bisogno di dormire.

«Per quanto tempo resteremo qui?»

«Tre ore, non di più. Prima dell’alba saremo già in marcia.»

«Non dovremmo fare a turni per…?»

«No, tu dormi, io faccio la guardia,» sentenziò l’Esperto di Pozioni, in un tono definitivo.

Se Severus Piton era intenzionato a restare di fronte all’ingresso della caverna per tutto il tempo che sarebbero stati lì, Harry non avrebbe certo cercato di fargli cambiare idea; era troppo esausto per argomentare ulteriormente con lui, e ormai aveva capito che sarebbe stata comunque una battaglia persa fin dall’inizio, anche in condizioni normali. Ciononostante, non poteva negare di sentirsi molto più sicuro sapendo che qualcuno come Piton avrebbe vegliato sul suo sonno; finora l’uomo si era dimostrato impeccabile nella fuga, affrontando ogni situazione con abilità e sangue freddo, e mantenendo fede a tutto ciò che gli aveva assicurato in cella, prima della loro evasione.

Un dettaglio di quei momenti colse Harry, proprio mentre il sonno iniziava a farsi più pesante e insistente. Non poteva credere che fosse arrivato a quella conclusione solo in quel momento, nemmeno dopo tutti gli indizi che persino Piton gli aveva suggerito durante le lezioni di Occlumanzia ad Hogwarts.
    
«Non è mai stato l'unguento, vero?»

Severus spostò gli occhi sul viso stanco e provato del ragazzo. «A cosa ti riferisci, Potter?» domandò, fingendo di non capire. Probabilmente la febbre stava tornando. Sì alzò e si chinò su di lui per controllargli la fronte.

«La sensazione... di pace interiore. A farmi stare bene.»

Era fredda. Severus rimase in silenzio per qualche istante, poi lo vide chiudere gli occhi e cedere alla stanchezza. «Dormi... presto, dovremo riprendere a correre.»

Forse questa piccola testa vuota sta finalmente iniziando a capire di aver bisogno di una mano e che non può continuare a giocare a fare l’eroe da solo...
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«È questo il punto esatto?»

Codaliscia annuì vigorosamente, prima di ritrarsi di scatto di fronte alla bacchetta agitatagli sotto il naso da Sirius. «Ne sei perfettamente sicuro, ratto?»
 
«Sì, sì, sì!» piagnucolò in risposta l’uomo tarchiato. «La base è in una radura nel mezzo della foresta! Si può entrare e uscire solo accompagnati da un Mangiamorte…»

«Come facciamo a sapere che non ci sta mentendo?» bisbigliò Tonks all’orecchio di Remus, vedendo Sirius troppo preso a ispezionare l’entrata della selva e ascoltare le spiegazioni frenetiche di Codaliscia.

«Semplice… non lo sappiamo,» rispose tetro Lunastorta, lasciando sorvolare gli occhi sulla boscaglia di fronte a loro, «ma ormai siamo qui, e temo che Sirius abbia ragione: questa potrebbe essere la nostra unica occasione per salvare Harry.»

«Remus, il piano era trovare informazioni su dove Harry è tenuto in modo da avvisare Silente. Abbiamo bisogno di una strategia se vogliamo anche solo sperare di poterci avvicinare al quartier generale di Tu-Sai-Chi, abbiamo bisogno di rinforzi, di altri auror--»

«È per questo che tu tornerai indietro,» la interruppe Remus, gentile e fermo al tempo stesso.

«Che cosa? Perché--?»

«Sarai tu a informare Silente e a mandare rinforzi,» spiegò lui. «Sei l’unica, a parte noi, ad essere a conoscenza di questo luogo, puoi Materializzarti qui con altri e porterai con te Codaliscia dopo che ci avrà fatto entrare, così da poter superare nuovamente le barriere. D’accordo?»

«Remus, sei impazzito?» Tonks lo guardò quasi scioccata. «Non potete entrare lì dentro da soli, quel posto brulica di Mangiamorte--»

«È l’unica soluzione, Tonks, lo sai,» intervenne Sirius, strattonando Codaliscia vicino all’ingresso della foresta, desideroso di entrarvi al più presto. «Non intendo sprecare quella che potrebbe essere l’unica chance di entrare che abbiamo.»

Tonks guardò alternativamente l’uno e l’altro uomo, prima di annuire, con riluttanza, e di acconsentire al piano. «Okay…» sospirò infine, «… ma fate attenzione, mi raccomando,» aggiunse, cercando di nascondere la pessima sensazione che provava all’idea di farli andare momentaneamente da soli.
 
Remus le sorrise, e lei ricambiò, abbozzandone uno che sperava non avrebbe tradito le proprie preoccupazioni. Poi, salutò entrambi e li vide inoltrarsi nella selva, guidati in modo remissivo da Codaliscia.

Tonks li guardò sparire oltre le barriere magiche e attese qualche secondo, rimanendo in ascolto.

I tre non erano entrati da più di due minuti, quando l’Auror avvertì una sorta di commozione generale. Dei versi strozzati provenivano dal punto in cui gli uomini erano scomparsi.

«No! Sirius, aiutami!»

«Ci sto provando! Dannazione, non si stacca!»

Tonks scattò verso la selva, incapace di oltrepassarne l’ingresso. «Remus!» gridò, con il cuore in gola. «Remus, rispondimi!»

Negli attimi di silenzio che seguirono, la donna credette di impazzire, costretta a non poter intervenire e a non sapere ciò che era accaduto dall’altra parte. Chiamò ancora i loro nomi, facendo appello anche a Sirius, finché non giunse, infine, la risposta di quest’ultimo. Sembrava scioccato.

«Codaliscia… lui è… La mano d’argento l’ha strangolato.»

Remus guardò impietrito il volto paonazzo di quello che un tempo era stato Peter Minus, solo un ragazzo debole e sognatore, che seguiva lui, Felpato e Ramoso in ogni disavventura possibile. Ora, aveva incontrato la propria fine così, da traditore – schierato dalla parte opposta –, dopo una vita costellata di scelte sbagliate.  

«E noi non abbiamo potuto fare nulla per aiutarlo.»  
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«Immagino che non sia possibile Smaterializzarsi per tornare a casa, vero?»

«Non pensi che se fosse stato possibile, l’avrei già fatto, Potter?» rispose l’Ex-Mangiamorte, senza lasciarsi sfuggire il termine con cui il giovane aveva definito Hogwarts. Di sicuro non poteva riferirsi a quell’orrendo tugurio a Grimmauld Place… né tantomeno alla casa dei suoi zii. «Se mi Smaterializzassi non potrei portarti con me dato che non disponi di Marchio.»

«Esattamente quello che pensavo,» rispose immediatamente il Grifondoro, deciso a non perdere punti agli occhi dell’uomo. «E come sapremo se stiamo andando dalla parte giusta?» chiese ancora, guardandosi intorno e cercando di capire come facesse Piton ad orientarsi in mezzo a quel paesaggio così monotono. Tanto più che fino alla notte precedente persino lui aveva ammesso di non sapere quale fosse la direzione giusta… ma forse in quel momento la priorità dell’uomo era stata sbarazzarsi dei Dissennatori e cercare riparo piuttosto che trovare il percorso corretto.

«Incanto Quattro Punti,» fu la semplice e incolore risposta di Piton.

«Oh.» Harry aggrottò la fronte. «É che non gliel’ho visto usare--»

«Se non puoi vedere qualcosa, non significa che questa non esista, dico bene, Potter?» lo interruppe l’uomo con voce di seta, come se gli stesse spiegando l’ovvietà più grande al mondo. «Se usassi l’incantesimo in maniera visibile, saremmo un bersaglio facile; potrebbero individuare la scia del sortilegio da parecchi metri di distanza e localizzarci quasi immediatamente.»

Harry si sentì uno sciocco. Poteva anche passare che non sapesse delle protezioni che impedivano la Materializzazione entro i confini del bosco, ma dimenticare che Piton ricorreva spesso e volentieri a incantesimi non verbali e talvolta persino invisibili doveva sembrare un po’ troppo per l’insegnante di Pozioni.

Harry tacque e Severus ne approfittò per godere di qualche attimo di silenzio. Sforzarsi di mantenere la calma con Potter non era esattamente la sua specialità e non voleva rischiare di perderla finché non fossero stati almeno nei paraggi dell’uscita da quella stramaledetta selva.

Ci manca solo che il ragazzo inizi a chiedermi del mio Patronus…

«Signore, credevo che l’Ordine usasse l'Incanto Patronus per comunicare a distanza, non potremmo adoperarlo per--»

«Le barriere del Signore Oscuro bloccano qualsiasi tipo di comunicazione,» rispose il Serpeverde, irrigidendosi appena. A che gioco sta giocando? «Mettiamo in chiaro due cose, Potter, ti va?» disse improvvisamente, girandosi verso il ragazzo. «Non stiamo esattamente facendo un’amichevole scampagnata nel parco di Hogwarts; ogni minuto - ogni secondo, trascorso qui dentro potrebbe determinare la nostra vita o la nostra morte, e dal momento che il mio compito è quello di portarti in salvo, preferirei che si trattasse del primo caso. Mi auguro che tu sia in grado di trattenere qualsiasi altra domanda per quando avremo abbandonato questo luogo infernale.»

«Sì, signore,» Severus lo vide abbassare appena il capo e – come gli era accaduto quella notte, nella grotta – fu colpito dall’impulso di rimangiarsi il tono con cui si era rivolto al giovane.

Potter in atteggiamento remissivo… un tempo avrei gradito questa rara visione.

«Ottimo. Ora affretta il passo.»

Ripresero a muoversi più velocemente attraverso la vegetazione, per quanto quest’ultima lo permettesse; Harry non voleva ripetere l’episodio della scorsa sera a causa di uno stupido ramo basso. Fortunatamente, la botta non gli aveva procurato gravi danni a parte mandarlo K.O, e il ragazzo era certo che Piton si fosse occupato di qualsiasi altro effetto indesiderato.

Non era ancora l’alba e tutto intorno una leggera nebbia avvolgeva ogni cosa; il ragazzo lanciò uno sguardo al cielo sopra di loro, nel tentativo di vedere oltre le spesse chiome degli alberi che li sovrastavano: le fronde erano così folte che difficilmente avrebbero notato il sorgere del sole.

Il Serpeverde guidò il giovane Grifondoro attraverso i passaggi più ombrosi, evitando le sporadiche radure che incontravano e che li avrebbero resi più visibili e vulnerabili; certo, questa scelta avrebbe reso il percorso più lento, ma almeno più sicuro. In questo modo, i due riuscirono a proseguire senza intoppi per quasi un’altra ora, almeno finché anche la nebbia fu dalla loro parte.

Harry era in procinto di dire a Piton che la cicatrice aveva cominciato a pizzicargli da una ventina di minuti, quando un getto di luce rosso passò accanto alla sua tempia come un bolide infuocato, mancandola di pochissimo.

«Sono laggiù!»

Harry riconobbe le voci dei Mangiamorte scambiarsi ordini concitati alle loro spalle e lanciò un’occhiata a Piton, che lo spronò a correre con un rapido gesto della testa; il giovane non se lo fece ripetere due volte. A giudicare dalle voci, i loro inseguitori dovevano essere come minimo tre, ma Harry era certo che presto ne sarebbero sopraggiunti altri, se non fossero riusciti a sbarazzarsi dei primi.  

Udì Piton lanciare sortilegi alle loro spalle e avvertì il grugnito di un Mangiamorte, evidentemente colpito da uno degli incantesimi dell’Esperto di Pozioni. Un fiotto bollente sfrecciò a pochi centimetri dalla guancia destra del ragazzo, che prese a muoversi a zig zag tra gli alberi, nel tentativo di rendersi una preda più difficile.

«Non puoi correre per sempre, Potter!»

Harry riconobbe la voce di Mulciber da un punto alla loro sinistra e sentì il cuore martellargli il petto mentre cercava di accelerare nella corsa, senza successo. Qualcosa andò storto e il suo piede sinistro entrò in collisione con la radice di un larice, trascinandolo in una rovinosa caduta nel sottobosco. Reprimendo un gemito, si voltò, cercando di risalire l’avvallamento nel quale era appena sprofondato, ma fu obbligato a bloccarsi quasi subito. Piton si era fermato di fronte a lui, ordinandogli con un solo, silenzioso gesto di rimanere nascosto.

Il ragazzo tentò di aprire bocca per protestare, ma l’uomo gli aveva già dato le spalle, con un singolo guizzo del mantello. Harry non era più certo di quanti Mangiamorte avessero alle calcagna ora e l’idea di non poter dare un contributo neanche quando era in grado di reggersi in piedi non gli piaceva affatto.

«Hai commesso un grave errore la scorsa notte, Severus.» Harry sbirciò dalla propria copertura quel tanto che bastava per vedere un uomo non troppo alto sostare a pochi metri da Piton. «Ma il Signore Oscuro sa essere misericordioso e potrebbe decidere di risparmiarti la vita se ci consegnerai il ragazzo… subito

«Al diavolo la misericordia, Yaxley,» intervenne un Mangiamorte dalla folta barba sul viso selvaggio. «Basta con i giochi, Piton, dove hai nascosto Potter?»

«Per una volta concordo con te, Dolohov,» replicò con calma la spia, «al diavolo la misericordia. Diffindo!»

«Hai dimenticato come si punta una bacchetta, Piton--?»

«Spostati, idiota!»

Yaxley si scansò di lato, intuendo le intenzioni dell’avversario, mentre Dolohov rimase immobile dove si trovava, un’espressione beffarda ancora stampata sul volto grezzo nell'istante in cui il grosso ramo sopra la sua testa si staccava dall’albero per piombargli addosso. Cadde a terra, svenuto.

«Stupeficium!»

Le saette di luce urtarono l’una con l’altra, deviandosi a vicenda.

Con il cuore in gola, Harry osservò Piton schivare una maledizione e spostarsi di lato per contrattaccare di nuovo. Yaxley arretrò di qualche passo, costretto a lanciare diversi incantesimi scudo per mantenere la distanza con il proprio avversario; la punta della sua bacchetta si illuminò di un viola acceso e uno scoppio violento esplose alle spalle di Piton, ad appena un metro dalla testa di Harry. Vedendo il proprio professore vacillare per la forza dell’esplosione, il giovane – ormai allo scoperto – balzò di lato e mirò dritto verso il Mangiamorte.

«Expelliarmus!»

Questa volta l’Incanto andò a segno, con abbastanza forza da disarmare Yaxley, ma non per mandarlo a tappeto.

«Incarcerus!» gridò Piton da terra, prima che l’altro potesse avere il tempo di reagire.

Corde invisibili si attorcigliarono per intero attorno al corpo e al volto del Mangiamorte, fino a immobilizzarlo completamente. Piton si rialzò e si mosse verso il punto in cui Harry si era accasciato, sfinito. Ma qualcosa non tornava.

Un fruscio alle sue spalle lo interruppe a metà strada.

L’uomo si voltò appena in tempo per evitare la Maledizione Cruciatus di Mulciber, il cui reale obiettivo era Harry. Il Mangiamorte scomparve in una voluta di fumo e riapparve dietro al ragazzo, afferrandolo per una spalla e costringendolo contro di se, in una morsa serrata.

Severus vide Harry – evidentemente sopraffatto dal ricordo di due notti prima – cercare di liberarsi disperatamente dalla presa di Mulciber e sentì una sensazione inedita agitarsi nelle viscere, come se queste avessero preso ad attorcigliarsi dolorosamente su se stesse.  

«Lascialo,» sibilò, a denti stretti.

Mulciber gli rivolse un ghigno storto. «Severus… mi conosci. Che male potrei mai fargli?» sussurrò, prima di scoppiare in una grottesca risata. «Desidero solo divertirmi un po’ con il ragazzo…»

Harry cercò di non cadere nel panico più totale, nonostante la repulsione per il contatto con Mulciber e il dolore alla testa non facessero altro che aumentare. Vide Piton stringere le dita attorno alla bacchetta d’ebano ancora più saldamente – la punta rivolta verso il Mangiamorte – come se stesse cercando di mantenere un ferreo controllo su se stesso; raramente il ragazzo l’aveva visto tanto livido.

«Hai qualcosa che mi appartiene, Mezzosangue,» proseguì Mulciber, «sarebbe buona maniera restituire ciò che non è tuo...» Con un lesto gesto del polso recuperò la bacchetta con cui Harry aveva disarmato Yaxley e sorrise beffardo, mentre sventolava l’altra di fronte al giovane. «Che dici, Potter, cosa dovrei fare ora con questa

Harry la riconobbe subito: il legno in agrifoglio, l’impugnatura ben salda… Una scarica di adrenalina gli percorse la schiena nel vederla così vicina, eppure ancora così lontana. Quell’emozione durò ben poco e fu presto sostituita da un tuffo al cuore: il giovane vide come al rallentatore le dita di Mulciber piegarsi sulla bacchetta e fare pressione su di essa.

«No!» gridò Harry, incapace di trattenersi, orripilato e scioccato al tempo stesso. Nel momento in cui le due estremità si staccarono – rivelando il nucleo cremisi in piuma di fenice – il Grifondoro sentì qualcosa dentro di se spezzarsi; il sonoro crack che seguì, segnando la rottura della sua fedele compagna di sempre, riecheggiò nella sua testa come amplificato da un eco immaginario e fu quasi peggio del ricordo di ciò che aveva patito quando era stato il suo stesso polso a provocare quello schiocco secco.

Mulciber rise e lasciò cadere a terra la bacchetta ormai inutilizzabile. «Povero Potter,» scosse la testa, compiaciuto dall’espressione distrutta del ragazzo, «non dirmi che ora ti metterai a frignare anche per la tua insulsa bacchetta?» lo canzonò, appagato dalla reazione che aveva provocato, prima di rivolgersi a Piton. «Ah, Severus, davvero non so cosa ti è preso. Abbandonare l’Oscuro Signore, i tuoi fratelli e la nostra causa solo… per questo lurido poppante piagnucoloso? Patetico

«Chiudi la bocca e molla il ragazzo,» ripeté Piton, minaccioso, «o devo pensare che sei troppo vigliacco per affrontare un uomo?» aggiunse, lanciandogli un’occhiata a metà tra il beffardo e il provocatorio.

Mulciber lo ignorò e si rivolse nuovamente al giovane. «Forse il pidocchio può darmi una mano a comprendere… Fatti guardare, Potter,» disse, approfittando del fatto che Piton non potesse attaccarlo senza nuocere a Harry. Serrò una mano attorno al viso di quest’ultimo e lo costrinse ad alzare il volto verso di sé in modo da incontrare i terrorizzati occhi verdi del ragazzo. «Oh, sì… ora capisco cosa ti ha portato a questo… Ora riesco a vedere…» mormorò, come in trance, tornando a fissare il suo vecchio compagno di scuola con un lampo di folle trionfo nello sguardo, «… una certa somiglianza,» aggiunse, una piega di scherno a segnargli la faccia.

Severus serrò la mascella, fremendo di fronte alle parole del Mangiamorte; non stava nemmeno provando ad occludere la mente tanto era forte il desiderio di strappare quel ghigno dalla faccia odiosa di Mulciber.

Se solo Potter non gli stesse facendo da scudo umano…

«Mi chiedo cos’avrebbe pensato Evans se solo avesse potuto assistere allo spettacolino che ci hai offerto l’altra sera con suo figlio, Sev,» incalzò Mulciber, velenoso, «dubito che avrebbe cambiato idea sul tuo conto…»

Per Harry, che stava capendo solo in quel momento le implicazioni delle parole di Mulciber, vedere il proprio insegnante così fuori di sé durante un duello era qualcosa di estremamente insolito e terrificante. Il ragazzo si era ormai abituato a vederlo glaciale e calcolatore anche nelle situazioni più disperate, anzi, soprattutto durante queste; l’esempio più evidente era il modo in cui aveva affrontato i duelli con gli altri Mangiamorte. Ora, invece, l’intera figura del suo insegnante sembrava percorsa da una furia implacabile, da una sete di sangue insaziabile… e, per la prima volta da quando lo conosceva, Harry ebbe veramente paura.

Tutto ciò, prima di sentire il sangue ribollirgli nelle vene alle successive parole del Mangiamorte.

«… ma immagino che non abbia mai avuto granché importanza, non è così? È evidente che nonostante tutto tu non sia mai riuscito a dimenticarti di quella piccola, insulsa e sporca Mezzos--»

«STA’ ZITTO!» urlò Piton, il volto contorto in una maschera deforme.

In quel preciso istante – approfittando del fatto che Mulciber avesse scostato la bacchetta dal suo collo per puntarla contro Piton e che la presa dell’uomo si fosse fatta meno marcata dalla sorpresa, Harry calciò con tutte le forze che aveva in corpo, colpendo il Mangiamorte ad una gamba. Mulciber grugnì e si piegò sul ginocchio sano, cercando di riagguantare il ragazzo, il quale – però – era già sgusciato via e si era piegato per evitare il sortilegio di Piton.

«SECTUMSEMPRA!»

Mulciber venne ferito al petto e al ventre da una prima lama invisibile con una tale potenza che fu sbalzato all’indietro di diversi metri, mentre la seconda fu respinta da un Sortilegio Scudo di fortuna. Harry vide due squarci allargarsi nella veste da Mangiamorte, presto impregnata del sangue che fuoriusciva a volontà; con gli occhi dilatati dallo sgomento, il ragazzo colse il movimento di Piton, che si stava portando vicino a Mulciber, con l’evidente intenzione di finirlo.

Harry non seppe cosa lo fece muovere da quello stato di paralisi; scattò verso il suo insegnante e gli si parò davanti, senza avere nemmeno la più pallida idea di ciò che avrebbe fatto in seguito.

Piton non lo degnò di uno sguardo. «Togliti di mezzo, Potter,» scandì.

«No, non può davvero ucciderlo, non servirebbe a--»

«Tu non sai niente,» lo interruppe Piton, gli occhi che luccicavano pericolosamente ancora fissi sulla figura lamentosa di Mulciber, «questa feccia non merita la tua pietà.»

«Non ha importanza,» replicò Harry, cercando disperatamente di opporsi all’avanzare inarrestabile dell’uomo, «non è costretto a farlo, non deve abbassarsi al suo livello! Mia madre… lei non avrebbe voluto…»

Un lampo di sorpresa attraversò lo sguardo spietato di Piton, che spostò gli occhi su quelli verdi del ragazzo. Harry lo vide indugiare su di essi per qualche istante, chiaramente diviso da un conflitto interno tra sentimenti contrastanti, prima di sentire un rumore secco dietro di sé.

«Potter, giù!»

Il giovane si sentì afferrare e sospingere via; finì a terra malamente, ma – nel girarsi – fu in grado di vedere un primo lampo di luce ferire Piton ad una spalla, mentre il secondo andava ad infrangersi contro la protezione lanciata in ritardo dall’uomo. Harry si guardò rapidamente attorno, nella speranza di individuare chi li stesse attaccando, senza successo.

Poi, una risata acuta ruppe l’aria come un colpo di fucile.

«Ti sono mancata, Potterino?»

Bellatrix emerse dalla vegetazione, i lunghi capelli che sparavano in ogni direzione e gli occhi febbrili di chi non vede l’ora di affondare gli artigli nella propria preda. I suoi passi la portarono fino al corpo di Mulciber, che si muoveva ancora a malapena, circondato dal suo stesso sangue; Harry la vide scuotere la testa con aria di disappunto.

«Davvero un peccato, Mulciber. Ma in questo stato non sarai più utile a nessuno,» la sentì pronunciare il ragazzo, prima di osservarla puntare la bacchetta contro l’uomo esamine e assistere – scioccato e impotente – alla scena seguente. «Avada Kedavra

Harry rimase a fissare il volto spento del Mangiamorte a terra, incapace di staccare gli occhi da quella scena raccapricciante; l’ultima volta che aveva visto il lampo di luce verde prendersi la vita di qualcuno era stato nel cimitero di Little Hangleton e la vittima in questione era stata Cedric Diggory. In quell’attimo, sentì la cicatrice tornare ad ardere più forte.   

«Potter, dietro di me,» udì a malapena la voce bassa di Piton, che, se non altro, sembrava essere tornato in se stesso, «occludi la mente--»

«È troppo tardi, traditore,» lo interruppe la donna, pronunciando l’ultima parola con profondo disgusto; le sue labbra si stesero in un sorriso diabolico. «Il Signore Oscuro sta venendo a reclamare ciò che gli appartiene… la tua insulsa vita e il moccioso.»
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«Quanta strada avremo fatto?»

«Non ne ho idea… mi sembra di girare intorno da ore!» esclamò Sirius, frustrato.

Dopo l’improvvisa e scioccante morte di Codaliscia, i due non avevano parlato molto. Ciononostante, avevano presto realizzato di essere bloccati oltre le barriere della foresta, incapaci di uscirne a meno che non avessero catturato un Mangiamorte in ostaggio o ucciso lo stesso Voldemort; inutile dire che delle due soluzioni, la più probabile era la prima.

«La foresta potrebbe essere incantata per impedirci di raggiungere la base,» ipotizzò Remus, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa che li aiutasse a capire fino a che punto si fossero spinti.

«Forse se mi trasformassi sarei in grado di fiutare Harry…» stava iniziando a proporre Sirius, quando delle grida attirarono la sua attenzione e quella dell’amico; si voltò immediatamente verso di lui, la bacchetta pronta e i sensi all’erta.

«Proveniva da quella parte.» Remus indicò un punto alla loro destra, dove la vegetazione si infittiva, come una barriera che si spostava insieme ai loro movimenti.

«Riesci a riconoscere le voci?» domandò Sirius, mentre riprendevano ad avanzare, questa volta verso i rumori concitati.

«Distinguo la voce di una donna tra le altre, sento pronunciare incantesimi--» si interruppe, qualche secondo, prima di affrettare il passo. «Oh, no.»

«Che cosa?» incalzò Sirius, facendosi strada tra il fogliame il più velocemente possibile.

«Piton. Sembra essere nei guai.»

Felpato assunse un’espressione scettica. «Dovrà sperare che Harry sia con lui, altrimenti i Mangiamorte non saranno l’unica cosa di cui dovrà preoccuparsi,» commentò sospettoso, tuttavia senza rallentare.

Aiutati dal vociare costante e dallo scalpitio dell’azione in corso, si inoltrarono nel fogliame a passo svelto, cercando allo stesso tempo di non esporsi troppo nel caso in cui la vegetazione avesse lasciato improvvisamente spazio ad una radura. Non avrebbero mai rischiato di far saltare la loro copertura prima di aver acquisito una visuale più completa di chi stesse affrontando chi e, soprattutto, senza essersi prima accertati della presenza di Harry.
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Harry non poteva credere ai propri occhi quando vide le familiari sagome di Sirius e Remus fare il proprio ingresso nello spiazzo dove il tutto si stava svolgendo. Il loro arrivo, preceduto da diversi incantesimi a sorpresa che avevano spiazzato i Mangiamorte, non poteva capitare in un momento più opportuno.

Poco prima, Dolohov era rinvenuto dalla botta subita e si era sbarazzato del ramo che lo bloccava a terra, pronto ad affiancare Bellatrix nello scontro con Piton; la donna, inoltre, aveva prontamente provveduto a liberare Yaxley del sortilegio che lo aveva tenuto legato, cosa che aveva aggravato la situazione già abbastanza spinosa in cui il giovane Grifondoro e il suo insegnante si trovavano.  Harry, infatti, – privo di bacchetta e in evidente difficoltà – poteva contare solo sul riparo offerto dagli Incanti Scudo di Piton, la cui posizione sul campo di battaglia contro tre Mangiamorte diventava sempre più precaria.

L’inatteso intervento dei due membri dell’Ordine sortì parte dell’effetto sperato: Remus mandò al tappeto Dolohov colpendolo a un fianco, mentre Piton ne approfittava per cogliere di sprovvista Yaxley; Sirius si concentrò sulla donna, deviandone l’incanto prima che questo potesse nuovamente raggiungere l’Esperto di Pozioni.

Bellatrix scoprì i denti, sibilando furiosa mentre veniva costretta a indietreggiare, essendo stata ormai abbandonata dai suoi compagni. «Il Signore Oscuro sarà felice di sapere che il mio rognoso cugino e il suo fedele lupo mannaro hanno deciso di accompagnare lo sporco traditore in un viaggio di sola andata per l'inferno!» gridò, prima di sparire in una voluta di fumo nera.

«Sirius!» esultò Harry, cercando di rimettersi in piedi seppur vacillante.

«Harry,» sospirò sollevato il suo padrino, venendogli incontro per sorreggerlo, «sono così felice di vederti tutto intero. D'ora in poi andrà tutto bene,» aggiunse, stringendolo affettuosamente a se con un braccio.

Il ragazzo gli sorrise, offrendo uno sguardo riconoscente anche Lupin, che ricambiò con uno di rassicurazione. Harry sentì un senso di calore riscaldargli il cuore: i fedeli compagni di suo padre non si erano smentiti neanche in quell'occasione, rischiando di tutto per venirlo a cercare e infine riuscendo nell'intento di trovarlo, nonostante le avversità. Poi, un pensiero improvviso lo folgorò seduta stante, facendolo voltare immediatamente. Piton! Bellatrix l'ha ferito...?

L'Esperto di Pozioni spostò la mano che aveva tenuto pressata fino a quel momento contro la spalla colpita da uno dei precedenti sortilegi e vi accostò in silenzio la punta della bacchetta d'ebano. La pelle sfregiata prese a risanarsi e il mago alzò gli occhi d'onice, avvedendosi solo allora dello sguardo preoccupato del giovane Grifondoro.

«Sto bene, Potter,» rispose brevemente, senza indugiare con gli occhi su di lui e piegandosi ad afferrare qualcosa da terra che Harry non riuscì a distinguere a causa dell'erba alta. L'uomo fece per riprendere il cammino alla guida del gruppo, limitandosi ad aggiungere: «Non fermarti,» quando lo vide titubare ancora un po'.

Sirius colse la luce inquieta nello sguardo del suo figlioccio, ma non disse nulla, limitandosi a fissare Piton con un velo incerto negli occhi.

«Tutto bene, Severus? Sei sicuro di riuscire a proseguire...?»


«Credevo che i lupi avessero un udito superiore, Lupin, devo proprio ripetermi?» tagliò corto Piton, questa volta con una nota stizzita nella voce, del tutto assente quando si era rivolto a Harry.

Mentre acceleravano il passo, Remus guardò tentativamente Sirius aspettandosi che fosse lui a parlare questa volta, ma ciò non avvenne. «Volevo solo ringraziarti per quello che hai fatto per...»

«Non l'ho fatto per te, Lupin, né tantomeno per Black,» replicò con una smorfia il Serpeverde. «E se proprio vuoi ringraziarmi, ti consiglio di farlo una volta che saremo usciti da--»

Il grugnito soffocato di Harry richiamò la sua attenzione e così quella degli altri.

«Harry? Cosa succede...?» indagò immediatamente Sirius, che era il più vicino.

«La cicatrice... Voldemort è... vicino...» biascicò il ragazzo, cercando di mantenersi in piedi con l'aiuto del suo padrino.

«Dannazione, non hai niente per lui?»

«No, ho terminato quasi tutte le scorte da viaggio e quelle rimaste non lo aiuteranno,» disse Piton, ignorando la luce implorante negli occhi di Black e concentrandosi sull'espressione sofferente di Harry. «Solo Potter può fermarlo con l'Occlumanzia.»

«Avanti, possiamo raggiungere l'uscita se ci sbrighiamo!» esclamò Remus, mentre Sirius si caricava un esausto Harry in braccio per velocizzare gli spostamenti. «Incomincia a intravedersi!»

«Ahahaha, stupidi illusi! Non potete nulla contro... me!»

«Sirius, attento!»

Felpato si scostò appena in tempo per evitare di essere afferrato dalla sostanza fumosa che aveva iniziato a stargli alle costole. Un lembo nerastro si allungò nuovamente verso di lui e Sirius poté distinguere per un attimo le cineree e quasi scheletriche dita di Voldemort tentare di lambirgli una spalla.

«Impedimenta!» urlò, trattenendo Harry con un braccio per evitare che cadesse e puntando vanamente la bacchetta contro la massa informe che li aveva quasi raggiunti. Il getto di luce attraversò la voluta di fumo senza produrre l'effetto sperato.

«Credi di poter colpire me, traditore del tuo sangue? Patetico.»

No, no, no, no... non proprio ora! Siamo così vicini!

Harry ebbe una fugace visione dell'uscita dalla selva, a non più di trecento metri da lui, prima di essere costretto a capitombolare al suolo. Era bastato un leggero spostamento d'aria perché la forma incorporea di Voldemort producesse un'onda d'urto che fece incespicare Sirius, mandandolo rovinosamente a terra senza alcun preavviso. Remus e Piton interruppero la fuga per guardarsi alle spalle, il cuore in gola per la corsa e la vista che si parava loro innanzi: il Signore Oscuro aveva la strada ormai spianata verso un Harry che sembrava tentare di riprendere il controllo dei propri sensi, seppur con immensa fatica.

«Sectumsempra!»

«Stupeficium!»

Gli incantesimi vennero respinti senza il minimo sforzo, mentre Voldemort continuava la sua inesorabile avanzata verso il ragazzo.

«Dimmi, Potter, da chi incominciare? Dal tuo inetto padrino o dall'amico mannaro?» Voldemort ghignava maligno nella sua testa, graffiando e lacerando ogni angolo della sua mente. «Oh, ma aspetta... forse preferisci che sia lo sporco doppiogiochista a morire per primo? Dopo tanta strada fatta per arrivare fin qui... un vero peccato, non trovi?»

Harry si afferrò il capo, cercando di resistere al dolore e di occludere con tutte le proprie misere forze la paura che si faceva inesorabilmente strada in lui, la tremenda, folle paura di rivedere la stessa luce spenta che aveva visto sul volto di Cedric Diggory negli occhi delle tre persone che avevano fatto tanto per trarlo in salvo. No, aveva fatto una promessa a se stesso. Mai più. Mai più qualcun'altro sarebbe morto per colpa sua.

Concentrandosi, Harry cercò di trasformare quella medesima paura in forza di volontà.

No. Gridò nella sua mente, e avvertì la presenza di Voldemort vacillare anche se per un breve istante, indubbiamente colto di sorpresa. NO! Urlò più forte, trovando le energie per rialzarsi mentre costringeva la sua nemesi a indietreggiare.

«Prendete Harry e andate!»

Due secondi dopo, un grosso cane nero balzò di lato, afferrando tra le fauci il polso con cui Voldemort gestiva la bacchetta. Colto di sprovvista, il Signore Oscuro tentò di liberarsi dalla presa dell'animale, che non sembrava per nulla intenzionato a lasciarlo, almeno per dare il tempo necessario a Remus e Piton di recuperare Harry.

«No, Sirius!» esclamò Harry, ribellandosi debolmente alla salda presa esercitata da Severus sul suo braccio.

«Felpato, ora! Mollalo!» gridò Remus, pronto a coprire la fuga dell'amico con la bacchetta già puntata contro Voldemort. «Confringo!» urlò, non appena le zanne di Sirius si furono schiuse per abbandonare il braccio del mostro serpentesco e il cane nero non fu scattato in avanti.

Un'esplosione violacea circondò Voldemort fino a renderlo invisibile, mentre Sirius - ancora nella sua forma Animagus - veniva sbalzato in avanti dalla potenza dello scoppio. Remus si affrettò ad afferrare il cane privo di sensi e a trascinarlo verso l'uscita dove Piton attendeva trepidante per varcare le barriere insieme a loro.

«Muoviti, Lupin!» esortò, aggiustando la presa su Harry - ormai a peso morto contro di lui per l'impiego di forze mentali precedente - e osservando con ansia crescente il fumo attorno a Voldemort iniziare a diradarsi.

«AVADA--»

Lupin si tuffò oltre la barriera insieme agli altri - la morsa ancora salda sull'amico che non sembrava dar segni di rinvenimento - le ultime parole di Voldemort che riecheggiavano ancora nella sua testa come un sordo eco.

Poi, la mano di Piton aggrappò la sua veste e i contorni della spoglia pianura intorno a loro presero a girare in un vortice confuso, impedendogli di riprendere fiato anche solo per un istante e di realizzare l'incredibile ammontare di eventi susseguitisi in pochi ma interminabili minuti.
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Capitolo 17
*** Troubles on the Homefront ***


XVII.
Troubles on the Homefront



«Severus, per favore, calmati--»

«Per l'ultima volta, Albus, io - sono - calmo!» sbraitò Severus, voltandosi di scatto verso il vecchio mago, come se fosse pronto a colpirlo. «Ora, vuoi dirmi per quale assurdo motivo hai pensato che mandare Black e Lupin in quel posto infernale - senza la benché minima nozione di ciò a cui sarebbero andati incontro - fosse una buona idea?»

«E io per l'ultima volta ti dico, ragazzo mio, che la presenza di Sirius lì è stata una pura casualità...»

«Una... pura casualità?» Severus assottigliò le pupille a due fessure, ripetendo le parole del Preside con aria incredula. «Potter e Lupin sono in uno stato pietoso e Black potrebbe essere morto, per quel che sappiamo!»

«Sirius Black si trova in uno stato di coma, Severus, non giungiamo a conclusioni affrettate, per favore,» lo corresse Silente, con una nota grave nella voce, «e per quel che concerne Harry, il ragazzo è ancora all'oscuro di ciò che è successo al suo padrino.»

L'Esperto di Pozioni per poco non sgranò gli occhi a quella rivelazione. «Tu... non glielo hai detto?» sussurrò, quasi indignato.

«Severus, Harry è incredibilmente provato da tutti gli avvenimenti che ha appena affrontato e tra l'altro non ricorda assolutamente nulla degli istanti precedenti al vostro arrivo qui; ho solo pensato che aggiungere uno shock del genere nello stato in cui versa--»

Severus non lo lasciò nemmeno terminare. Dando le spalle a Silente con un grugnito esasperato, attraversò l'ufficio circolare a grandi falcate.

«Severus, nella posizione già difficile in cui ti trovi in questo momento--»

L'uomo avvolto di nero lasciò che la pesante porta di quercia sbattesse dietro di sé, del tutto incurante del fragore provocato e di quello che l'altro mago gli stesse ricordando.

Dire che ne aveva abbastanza delle assurdità di Silente era ben poco.

Mentre attraversava i corridoi di Hogwarts con il favore delle tenebre, Severus rifletté su quello che era successo nei tre giorni trascorsi da quando era riuscito a rimettere piede al castello. Potter era sprofondato in un sonno ristoratore come aveva toccato il letto riservatogli in infermeria; per merito delle pozioni somministrategli, al ragazzo erano stati risparmiati gli incubi che avrebbero senz'altro iniziato a infestare la sua mente tormentata dagli orrori che aveva patito nei giorni precedenti. Durante rari momenti di veglia, tuttavia, il ragazzo si era dimostrato lucido e incredibilmente attento, chiedendo più volte di ciò che era accaduto poco prima di abbandonare la selva e domandando dove fossero tutti.

Severus sapeva tutto ciò grazie a quanto riferitogli da Silente e da Poppy, puntualmente interpellata dal Maestro di Pozioni ogni qual volta quest'ultimo facesse visita in infermeria, sempre e solo quando era certo che Potter stesse dormendo e nessun altro potesse vederlo.

Era così che aveva scoperto che il ragazzo chiedeva espressamente anche di lui, e non solo del suo padrino e di Lupin.

Quel che Potter non sapeva erano le motivazioni per cui nessuno di loro si era ancora mostrato a lui.

«Buonasera, professor Piton,» lo salutò Madama Chips quando lo vide varcare le porte della sala riservata ai debilitati, attenta a mantenere un tono di voce basso per non destare il ragazzo che dormiva qualche letto più in là.

O almeno questo era quello che l'infermiera pensava.
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Harry aguzzò le orecchie e stette attento a non muovere un muscolo quando udì l'inconfondibile, cadenzato passo di stivali e il familiare fruscio di mantello che potevano appartenere solo ad una persona all'interno del castello. Le parole che seguirono non fecero altro che confermare quanto già aveva dedotto da solo.

«Buonasera, professor Piton,» la voce di Poppy era poco più che un bisbiglio, ma sufficientemente alto da essere udibile dal giovane, «se è qui per vedere il signor Potter--»

«No,» fu la quasi istantanea risposta dell'uomo, e Harry avvertì un'inaspettata fitta al petto. Il ragazzo dovette faticare a ingoiare la delusione salitagli in gola, mentre tutta la gioia di chi aspetta una visita da tanto tempo spariva di colpo. Ovvio che Piton non si trovava lì per lui. Come aveva potuto anche solo sperare che, finalmente, una faccia amica fosse venuta ad accertarsi delle sue condizioni, magari per scambiare qualche parola di conforto dopo tutto quello che era successo... ma niente, sembrava che tutti volessero evitarlo da quando erano tornati ad Hogwarts... Sirius, Remus e... persino Piton. «Sono qui per sapere di Black.»

Che cosa? Sirius è qui?

Il sospiro di Madama Chips rese il Grifondoro ancora più inquieto, se possibile. Cosa poteva farci Sirius in infermeria...? «Si tratta di una questione estremamente delicata, Severus,» disse Poppy, e Harry la percepì muoversi verso il lato della stanza opposto rispetto a dove si trovava il suo letto, «fino ad ora, non ci era mai capitato nulla del genere. Sto ancora ricercando una possibile spiegazione a quanto accaduto. Ho provato a chiedere a Remus i dettagli di ciò che avete passato prima di arrivare qui, ma... sinceramente, non è stato di grande aiuto.»

Severus si mosse, impaziente. «Lupin non è nelle condizioni di aiutare nessuno, temo,» rispose, asciutto. «Black è rimasto coinvolto nell'esplosione provocata dal suo sortilegio mentre si trovava in forma di Animagus e da allora non si è più potuto né risvegliare, né ritrasformare, chiaramente.»

«Pensi che sia rimasto troppo a lungo incosciente e in stato di Animagus da poter tornare indietro...?»

«No, è da escludere a priori dal momento che Peter Minus è rimasto nella sua forma animale ininterrottamente per ben tredici anni,» osservò Severus, lanciando uno sguardo alla propria destra verso uno dei letti al quale erano state tirate le tendine affinché nessuno potesse vedervi oltre.

Harry sentiva il cuore iniziare a battere più forte. Di cosa stavano parlando? Cos'era successo a Sirius? Perché nessuno lo aveva messo al corrente della situazione quando si era risvegliato? E per quale motivo sia Piton che Remus evitavano ogni contatto con lui? Per non dirgli la verità? L'unico da cui aveva ricevuto visite finora era stato Silente, ma il vecchio mago finora si era presentato solo per chiedergli come stava e metterlo a conoscenza del fatto che tutti a Grimmauld Place non vedevano l'ora di riabbracciarlo. C'era dunque qualcosa che impediva ai Weasley e a Hermione di venirlo a trovare...?

«Il morso di Black,» udì  la voce di Piton parlare nuovamente, il tono di chi ha appena avuto una rivelazione. Nella penombra dell'infermeria, Harry adocchiò l'uomo tornare a volgersi verso la donna dal camice bianco e fissarla intensamente, accingendosi a spiegare la sua teoria. «Black ha azzannato il Signore Oscuro per distogliere la sua attenzione da Potter, non sapendo che il suo corpo è costituito in buona parte dal veleno di Nagini, il suo serpente. È ciò di cui si è nutrito per anni in modo da riacquistare parte della sua forma corporea.»

Harry riuscì a intravedere Madama Chips portarsi una mano alla bocca, mentre lui stesso tentava di trattenere un gemito. «Severus, vuoi dire che Sirius ha ingerito... quel... quella...»

«La trasformazione da Animagus gli ha conferito una certa dose di protezione al veleno, ma la sostanza è entrata nel suo sistema in modo diretto, a crudo, senza aver attraversato prima un processo di preparazione come quello subito dalle pozioni, e deve aver agito immediatamente sul suo sistema nervoso, provocando il coma in cui versa. Se nelle sue vene non scorresse sangue di mago, ma Babbano, a quest'ora per Black non ci sarebbe stato più niente da fare.»

«Contatto immediatamente il San Mungo perché possa inviarci tutti i campioni di antidoti compatibili con il veleno di cui Sirius è infetto,» comunicò Madama Chips senza perdere tempo, avviandosi verso il proprio ufficio a passa svelto. «Oh, e Severus,» si girò un'ultima volta, «credi che sia giusto risparmiare al signor Potter le ultime notizie riguardo al suo padrino? Personalmente sono convinta che il ragazzo meriti di sapere.»

«Per quanto mi dolga ammetterlo, Poppy,» esordì l'uomo vestito di nero, con una smorfia tirata della labbra, «per una volta mi ritrovo a concordare con te. Sarà mia premura fare in modo che il ragazzo ne venga a conoscenza.»

Harry sentì la porta dell'ufficio di Madama Chips chiudersi e cercò di regolarizzare la respirazione per non farsi scoprire da Piton, ancora fermo in mezzo alla stanza. Incassare tutto quell'ammontare di informazioni sulla sorte di Sirius senza farsi prendere dal panico sembrava un'impresa impossibile. Aveva voglia di gridare, mettersi a piangere e prendere a pugni il cuscino allo stesso tempo, incapace di accettare che ancora una volta era colpa sua se una delle persone a lui care si trovava in pericolo di vita.

I suoi pensieri stravolti furono interrotti quando con la coda dell'occhio catturò il movimento di Piton. Si accorse che lo sguardo dell'uomo si era spostato su di lui e, prima che potesse rendersene conto, l'Ex-Mangiamorte aveva evocato una sedia e si era sistemato a fianco del suo letto. Harry strizzò gli occhi chiusi e cercò di rilassare il viso, simulando di essere nel bel mezzo di un sogno.

Il leggero sbuffo emesso da Piton lo colse del tutto impreparato, così come le parole che seguirono.

«Puoi anche smettere di fingere, Potter,» disse il suo insegnante in tono del tutto casuale, e - anche ad occhi ancora chiusi - Harry avrebbe potuto giurare che l'uomo avesse appena roteato lo sguardo al soffitto. «È da quando sono entrato che so che sei sveglio.»

Harry mantenne gli occhi serrati, ma si girò in modo da essere sdraiato supino, mentre si lasciava andare ad un pesante sospiro.

«Perché?» chiese in un soffio, dopo qualche attimo di silenzio.

«Perché ho permesso che ascoltassi la conversazione? Oppure vuoi sapere perché apparentemente né io né Lupin siamo venuti a trovarti? Oh, e prima che tu chieda, Potter, no, non sto usando la Legilimanzia.»  

Harry ringraziò che fosse abbastanza buio da nascondere l'imbarazzo causato dalle parole di Piton. Ora come ora, il suo comportamento riguardo al ricevere visite dai due adulti gli appariva infantile come non mai. «Remus ce l'ha con me per quello che è successo a Sirius, non è così?» Anche solo pronunciare il nome del suo padrino conoscendo lo stato in cui versava gli procurava un dolore immenso.

«L'unica persona con cui in questo momento Lupin è arrabbiato è se stesso,» rispose Piton con semplicità.

«Perché mai dovrebbe avercela con se stesso?» Harry si coprì il viso con le mani, lasciandosi sfuggire un mezzo singhiozzo. «È solo per salvare me che Sirius si trova in queste condizioni!»

Severus osservò il viso affranto del ragazzo. Perché vedere il Grifondoro così disperato doveva procurare in lui simili sensazioni scombussolanti? Era sempre stato certo che non avrebbe mai più provato un senso di protezione per nessun altro da quando Lily era morta e ora... cercare di consolare il giovane stava lentamente diventando quasi un bisogno fisiologico. «Sciocchezze. Ciò che è successo a Black non è colpa di nessuno, e lo stesso vale per quanto accaduto a Cedric Diggory lo scorso anno,» incalzò con fervore, sapendo ciò a cui il ragazzo si sarebbe appellato per controbattere alle sue parole. «Devi smettere di pensare che tutte le sciagure di questo mondo siano la causa diretta della tue azioni, Harry--» Severus si interruppe, irrigidendosi nella sua sedia e Potter parve fare altrettanto, prima di abbassare le mani con cui si era coperto il viso e fissare l'uomo con un'espressione sorpresa.

Per la prima volta in vita sua, Severus si sentì in una posizione veramente scomoda.

Si schiarì la gola, facendo finta di non aver mai pronunciato l'ultima parola, prima di riprendere a parlare. «Se vuoi scagliare le tue frustrazioni su qualcuno, ti consiglio di farlo con l'unico responsabile di tutti questi atti. È l'Oscuro Signore il tuo nemico principale, Potter, non te stesso.»  

Harry cercò di ignorare il veloce passaggio dal proprio nome al cognome adottato da Piton e a cancellare l'espressione scioccata che ancora aveva in volto, giusto per non essere fulminato seduta stante da un'altra occhiata dell'uomo. «Crede che Sirius si sveglierà?» sussurrò, invece.

«Lo sapremo molto presto, non appena avremo fatto le prove con i vari antidoti a disposizione del St. Mungo.»

«Non è la risposta che cercavo,» si lamentò Harry, stropicciandosi un occhio che minacciava di iniziare a lacrimare nuovamente.

«Ma si tratta dell'unica risposta realistica che posso darti al momento, Potter, o preferisci che si continui a giocare con le parole e a riempirti la testa di bugie pur di farti stare meglio?» il tono di Piton si fece leggermente più marcato, come se fosse finalmente arrivato alla parte più importante del suo discorso. «Non ho buttato all'aria quattordici anni di lavoro come spia perché tu possa iniziare a piangerti addosso come un seienne. Ho bisogno che tu ti indurisca, Potter. Ho bisogno che tu abbia una valida motivazione per dare il massimo di te stesso, d'ora in avanti. Per questo ho voluto che sapessi di Black.»

«Cosa dovrei fare?» chiese Harry, cercando di suonare meno tetro di prima. Aveva sempre voluto che gli adulti iniziassero a metterlo al corrente di come stavano davvero i fatti e a trattarlo come una persona matura, e ora che qualcuno gliene dava finalmente l'occasione non poteva di certo tirarsi indietro.

«Apprenderai tutto ciò che ti servirà per contrastare il Signore Oscuro, a cominciare dalle nozioni più basilari dei duelli tra maghi - sui quali è evidente che nessuno ti abbia mai realmente istruito - fino ad arrivare alla preparazione delle pozioni più potenti e letali. Tutto ciò che possa aiutarti a sopravvivere fino allo scontro decisivo con l'Oscuro Signore ti verrà impartito direttamente da me.»

«No, non può prendersi questa responsabilità,» disse subito Harry, cercando di non suonare tanto allarmato quanto sentiva di essere internamente, «non posso permettere che qualcun altro venga ferito o... o peggio, per causa mia--»

«Non è qualcosa che sta a te decidere, Potter,» replicò Severus con una certa durezza, «è una mia scelta, e prima ti abituerai a rispettare e seguire le mie decisioni, meglio sarà per te.»

C'era una nota finale nel suo tono di voce, che non ammetteva repliche.

Harry sospirò di nuovo. Piton era sopravvissuto finora e aveva mantenuto fede alle proprie promesse. Si era sempre mostrato spietatamente sincero nei suoi riguardi. Di quante altre persone avrebbe potuto dire lo stesso? Da quando erano arrivati ad una convivenza civile, l'uomo non aveva mai nascosto verità scomode con le stesse bugie velate e a fin di bene offertegli da quasi tutto il resto dell'Ordine. Forse era proprio di questo tipo di persona che aveva bisogno per crescere e diventare più forte. Qualcuno di cui fidarsi.

«D'accordo,» rispose infine il ragazzo, prima di lasciar posare lo sguardo sulle tendine tirate del letto opposto al suo, nel punto in cui Sirius, o - almeno - la sua forma di Animagus, giaceva. «Potrò... vederlo?»

Piton annuì. «Quando sarai in grado di rimetterti in piedi. E no, Potter, il momento in cui ciò sarà possibile non spetta a me da decidere,» aggiunse, captando l'occhiata speranzosa del ragazzo e anticipando la sua domanda, «ma alla nostra adorabilmente inflessibile capo-infermiera.»

Harry si lasciò sfuggire una debole risata. Per quanto il suo umore non fosse dei migliori a causa dei recenti avvenimenti, il modo impassibile con cui Piton scandiva le sue uscite non avrebbe mai cessato di meravigliarlo.

«Bene, direi che abbiamo rubato abbastanza tempo al tuo prezioso riposo,» Piton fece per alzarsi e far svanire la sedia su cui aveva sostato, ma il suo sguardo indugiò ancora per qualche istante sull'espressione di disappunto appena apparsa sul viso di Harry.

«Tornerà a trovarmi?» le parole scapparono dalla bocca del ragazzo prima ancora che l'uomo potesse aggiungere qualcosa. Harry sentì l'imbarazzo allargarsi sul proprio volto senza dargli scampo. Idiota! Che diavolo ti salta in testa di chiedere? «I-intendo... è bello passare del tempo anche solo... uhm, chiacchierando con qualcuno e--»

«Se ti fa piacere, Potter,» fu la casuale risposta di Piton, ignorando quanto la richiesta di Potter fosse inusuale allo stesso modo in cui il ragazzo aveva fatto con il suo personale momento di defiance, «farò in modo da ritagliarmi uno spazio per venirti a trovare. Ora, ti suggerisco di prendere sonno prima che Madama Chips irrompa con estrema grazia e mi sbatta fuori con altrettanta cortesia.»

Harry annuì con un sorriso riconoscente e guardò Piton fare per andarsene. «Oh, e signore?» chiese ancora, aspettando che l'uomo si voltasse per riprendere a parlare. «Pensa che Ron ed Hermione potranno venire a farmi visita presto?» chiese, con aria speranzosa.

«Ne parlerò con il Preside,» rispose Piton, prima di inarcare un sopracciglio esperto, «ora, signor Potter, credo che sia davvero il caso che lei dorma.»

«Okay...» Harry si girò su un fianco e fece per chiudere gli occhi, ma poi ci ripensò e li riaprì, fissandoli nuovamente in quelli onice di Piton. «Uhm, professore? Un'ultima cosa: potrei avere un'altra di quelle pozioni per riposare...?»  

«Oh, ma che casualità,» disse Piton con voce soave, «credo di aver appena lanciato un incanto di istantanea sonnolenza su di te, Potter,» pronunciò, mentre un sorriso sottile si allargava sulle sue labbra alla vista dello sguardo di Harry farsi improvvisamente più annebbiato.

Harry avvertì le proprie membra rilassarsi e le palpebre iniziare a diventare più pesanti. Aveva ancora diverse cose da chiedere a Piton, ora che ci pensava. «Questo... è... giocare sporco... professore...» farfugliò Harry, provando a combattere inutilmente la sensazione di sonnolenza provocata dal sortilegio.

«Oh, no, Potter, questo si chiama istinto di auto-preservazione,» rispose suadente l'uomo, suonando quasi divertito dal modo in cui Harry continuava a cercare di rimanere sveglio. «Considerala come una delle nostre prime lezioni.»

«Preferisco... quando... mi chiama... Harry...» mugugnò confusamente il ragazzo, prima che la sua respirazione si facesse più profonda, segnalando che aveva infine ceduto al sonno.

Severus attese qualche secondo, lasciando vagare i suoi occhi scuri sui tratti addormentati del giovane. Poi, allungò una mano verso gli occhialetti rotondi che il Grifondoro aveva ancora inforcati sul naso e li rimosse con attenzione, posandoli sul comò affianco al letto.

«Buonanotte, Harry,» disse infine, indugiando un'ultima volta con lo sguardo su di lui, prima di voltarsi e scivolare nuovamente nelle tenebre di una Hogwarts quasi deserta.
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«Harry!»

«Ron! Hermione!» Il volto di Harry si allargò in un ampio sorriso. Non gli sembrava vero di rivedere i suoi amici finalmente.

Dopo i rispettivi abbracci, sia Ron che Hermione attesero qualche istante prima di parlare.

«Miseriaccia, Harry,» sospirò infine il ragazzo dai capelli di fuoco, «quando la smetterai di farci preoccupare così?»

«Ron,» lo redarguì Hermione, lanciandogli un'occhiata obliqua dopo aver notato l'espressione quasi mortificata di Harry. «Abbiamo deciso che non avremmo parlato di quello che--»

«Hermione, è solo un modo di dire! Non sto mica incolpando Harry per quello che gli è successo.» Ron rivolse all'amico uno sguardo apologetico. «Non te la sei presa, vero, amico?»

Non ho buttato all'aria quattordici anni di lavoro come spia perché tu possa iniziare a piangerti addosso come un seienne. Ho bisogno che tu ti indurisca, Potter. Harry scosse la testa con rinnovato ottimismo, rivolgendo al rosso un piccolo sorriso. «No, va tutto bene,» lo rassicurò.

Un nuovo silenzio calò sul trio di amici, interrotto solo dal leggero respiro del grosso cane nero steso sul letto opposto a quello di Harry, a ricordargli dolorosamente del fatto che il suo padrino fosse ancora in quelle condizioni, nonostante avesse già ricevuto la prima dose di antidoto fornita dai medici del St. Mungo.

«Hai saputo qualcosa riguardo alla salute di Sirius?» gli domandò piano Hermione, come se potesse leggere i suoi pensieri.

«So solo che hanno già iniziato con la terapia,» sospirò Harry, «ma dicono che potrebbero volerci diversi giorni prima che gli antidoti inizino a fare effetto sulla dose di veleno che ha ingerito.»

Harry non poteva che diventare ogni giorno più irrequieto e lasciarsi affliggere da pensieri negativi sulla salute del proprio padrino. E se il sistema di Sirius non fosse riuscito a contrastare il veleno di Nagini? No, non voleva nemmeno pensarci...

Fu Ron a interrompere quel nuovo momento di riflessione.

«Quindi Harry... è vero quello che dicono? Intendo... che sia stato Piton a farti uscire da lì?» chiese, senza riuscire a trattenersi neppure di fronte alla seconda occhiataccia di Hermione.

Harry annuì. «Senza il suo intervento a quest'ora Voldemort mi avrebbe già usato per chissà quale orrendo rituale,» disse il ragazzo, rabbrividendo al ricordo di quella notte.

«Ne siamo venuti a conoscenza... Ma c'è anche qualcos'altro che abbiamo... scoperto.»

Harry li guardò con aria interrogativa. Era come se entrambi non riuscissero a trovare le parole per andare avanti.

«L'Ordine questa mattina ha tenuto una riunione speciale e noi... beh, l'abbiamo origliata con l'aiuto di Fred e George,» spiegò Hermione, con una certa difficoltà. Sembrava essere in evidente imbarazzo per aver trasgredito in modo tanto palese alle regole. «Quello che abbiamo scoperto è che anche Piton ha partecipato a... ad usare la Cruciatus su di te.»

Harry sentì il cuore accelerare i battiti a quella rivelazione. Aveva fatto di tutto per rimuovere tale memoria, per cancellarla per sempre dalla propria mente, ma ora non poteva fare a meno di riprovare tutta la paura e il dolore di quella notte. «Che... che cos'hanno detto durante la riunione?» biascicò, sentendo l'ansia aumentare a dismisura nonostante i suoi tentativi di nasconderla e alleviarla. Come avevano fatto a sapere? Di sicuro Piton non poteva aver raccontato tutti i dettagli di quella notte davanti all'intero Ordine...

«Beh, gli altri non sono contenti di ciò che Piton ha fatto,» disse Hermione cautamente, notando l'agitazione che cominciava a mostrarsi sui tratti dell'amico, «ma non credo che dovremmo parlarne in questo momento--»

«No,» la interruppe Harry con enfasi, «devo sapere. Come hanno fatto a scoprirlo?»

Hermione sospirò. «Harry,» pronunciò con estrema premura, «quando ti hanno portato qui hanno fatto degli accertamenti sul tuo corpo per individuare eventuali ferite. Si tratta di semplici incanti di controllo che permettono di scansionare le funzioni vitali del soggetto e individuare che tipo di sortilegi abbia eventualmente subito.» La ragazza fece un'altra pausa, guardando tentativamente Ron come per ottenere un minimo di supporto, ma il rosso appariva più incerto di lei su come continuare. «Hanno individuato all'incirca una ventina di Maledizioni Cruciatus su di te e sono arrivati alla conclusione che sia stata opera di un intero gruppo di Mangiamorte... eh, beh sai, Piton era un Mangiamorte, così Kingsley ha richiesto di usare Prior Incantatio sulla sua bacchetta per scoprire se avesse usato la maledizione su di te insieme agli altri.»

«Insomma le cose non sembrano mettersi bene per lui,» aggiunse Ron. «Ho sentito da papà che l'Ordine sta decidendo il da farsi. Se avvisassero il Ministero di quanto successo, Piton finirebbe dritto dritto in custodia da loro, dal momento che Azkaban è in mano a Tu-Sai-Chi.»

«Ma non poteva fare altrimenti! Voldemort lo avrebbe ucciso seduta stante se si fosse rifiutato!» esclamò Harry, indignato. «Piton mi ha salvato la vita; Sirius e Remus non avrebbero mai potuto trovarci se lui non mi avesse fatto scappare da Voldemort, questo dovrà pure contare qualcosa per l'Ordine!»

«Lo so, Harry,» disse Hermione, comprensiva, mentre Ron sembrava essere di un'altra opinione e non attese molto prima di esporla.

«Harry, quell'untuoso bastardo ha pur sempre usato una Maledizione Senza Perdono su di te! Come puoi perdonarlo così facilmente?»

Harry si sentì punto sul vivo, sorpreso dalla sua reazione. «E tu come puoi essere così ottuso, Ron?» replicò, ferito dall'atteggiamento dell'amico. «Ti ho appena detto che senza Piton non sarei qui ora,» disse, cercando di ignorare il vago pizzicore alla cicatrice che cominciava a insinuarsi rapidamente in lui.

Ron sbuffò. «Cosa ne sappiamo che non sia stato un pentimento dell'ultimo momento? Magari si è persino divertito ad usare la Cruciatus su di te e potrebbe già essere in procinto di trovare un modo per riconquistare la fiducia del suo padrone, e tu sei qui, a difenderlo,» accusò, con una nota sprezzante.

Harry fece per muoversi dal letto e afferrare Ron per la collottola, ma Hermione si interpose tra i due. «Ora basta, Ron, stai esagerando,» disse la ragazza.

«Anche tu con questa storia, Hermione? Pensavo ne avessimo parlato,» insisté Ron, offeso dalla sua presa di posizione e scattando in piedi dal nervoso, «quel viscido serpente non può che aver fatto il lavaggio del cervello a Harry per--»

«Fuori.»

La voce di Harry rimase ferma e gelida, nonostante il ragazzo avvertisse una furia incontrollabile pervadergli ogni fibra del corpo.

Ron lo fissò scioccato, fermo sul posto. «Harry--»

«Non lo ripeterò più, Ron. Non sei più il benvenuto qui.»

«Bene,» annuì il rosso, ingoiando la delusione e la rabbia che quelle parole avevano provocato in lui. «Quando avrai finito di venerare un sadico psicopatico che prova gusto a tormentare i più deboli, fammi un fischio... amico,» sputò fuori, velenoso, prima di voltarsi e incamminarsi verso l'uscita.

«Se proprio vuoi saperlo, è stato lo stesso sadico psicopatico a chiedere a Silente che i miei amici potessero venire a trovarmi!» urlò Harry fuori di sé, mentre Ron varcava la porta dell'infermeria, la quale fu sbattuta in un sonoro colpo.   

«Signor Potter!»

Richiamata dal gran fragore, Madama Chips uscì tutta affannata dal proprio ufficio, osservando i volti dei due ragazzi rimasti con gli occhi sgranati di chi non ha la benché minima idea di cosa stia succedendo.

«Si può sapere per quale motivo sento urla provenire da qui dentro? Vi ricordo che questa è--»

«È un'infermeria, Madama Chips, lo so bene,» disse Harry a denti stretti, trattenendo la voglia sfrenata di afferrare il vaso di fiori posto accanto al comodino e di scagliarlo contro una parete.

«Le consiglio vivamente di moderare il tono,» lo rimproverò la donna, fulminandolo con un'occhiata, mentre il ragazzo si mordeva la lingua per costringersi a non risponderle nuovamente. «Signorina Granger, le suggerisco di usare la Metropolvere del mio camino, è evidente che il signor Potter non sia in vena di visite oggi.»

Hermione lanciò uno sguardo desolato all'amico, prima di passargli una mano sul braccio in segno di supporto. «Mi dispiace tanto, Harry... ma lo sai Ron com'è fatto: non riesce a vedere a un palmo dal suo naso,» mormorò, con sincerità. «Proverò a parlargli io... ci vediamo presto, ok?»

«Grazie, Hermione,» rispose Harry, riconoscente, seppur ancora tremante di rabbia per lo scontro con il suo miglior amico, «e non preoccuparti, farò il bravo. Dubito che Madama Chips mi farà avere ancora visite se finiscono tutte così.»

La ragazza gli rivolse un ultimo sorriso, prima di augurargli una pronta guarigione, alzarsi e dirigersi verso l'ufficio della capo-infermiera.

E Harry rimase solo a fissare il soffitto sopra di sè, pensando che presto, una ad una, tutte le persone a lui care - chi per un motivo, chi per un altro - lo avrebbero abbandonato.
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«Ho saputo che hai deciso di dire a Harry la verità su Sirius.»

«Oh, Lupin... qual buon vento.» Severus non si curò di sollevare gli occhi dalla pergamena sulla quale stava finemente trascrivendo i risultati dei compiti di fine anno. «Credevo che la tua presenza tra noi - comuni mortali - fosse ormai puramente eterea.»

«Acido come sempre, Severus,» rispose Lupin, senza particolare trasporto, gli occhi spenti di chi ha appena perso qualcosa di estremamente prezioso. «Non sono venuto qui per discutere con te. Volevo sapere come sta Harry. So che l'hai visto.»

Severus emise un soffio di scherno. «Perché non andare a chiederlo a lui stesso?»

Lupin si morse il labbro. «Sai perché non posso.»

«Oh?» Severus distolse infine gli occhi dal suo lavoro per fissarli in quelli sciupati e afflitti di Lupin. «Quindi, Potter non merita di ricevere visite da te perché i tuoi sensi di colpa te lo proibiscono? Così maturo da parte tua, Lupin.»

«Sei l'ultima persona che può giudicarmi, Severus,» replicò l'altro uomo, facendo un passo avanti all'interno dell'ufficio sotterraneo di Piton. «Immagino che tu non abbia rivelato a Harry quanto accaduto durante le recenti riunioni.»

Il Pozionista ignorò la sua prima sentenza. «E per quale motivo avrei dovuto? Illuminami, Lupin,» disse, «Potter ha diritto a sapere quel che lo riguarda direttamente, non necessariamente ciò che concerne me

«Ho notato il modo in cui Harry guarda a te con ammirazione, e so anche che sei andato a trovarlo nonostante l'Ordine ti avesse proibito di farlo,» disse Remus. «Non importa ciò che è successo quella notte alla fortezza di Lord Voldemort, so che il tuo cuore è nel posto giusto, Severus, e che Harry avrà quanto mai bisogno di te, soprattutto ora che non può fare affidamento sulla presenza del suo padrino,» fece una pausa, ignorando l'espressione apparentemente indifferente dipinta sul viso di Piton, «per questo ho deciso di testimoniare a tuo favore alla prossima riunione dell'Ordine.»

Severus rimase in silenzio per diversi istanti. Era leggermente infastidito dal modo in cui Lupin sembrava insistere sulla sua redenzione riguardo a ciò che aveva compiuto quella notte. Lui stesso faticava ancora a perdonarsi, per quanto sapesse che quelle azioni erano state necessarie ad assicurare l'evasione di Potter da lì. Tuttavia, non poteva che considerare positivamente la presa a suo favore del lupo.

«Accetterò il tuo voto per me ad un patto, Lupin,» disse lentamente, fissandolo con una luce penetrante nello sguardo. «Andrai a fare visita a Potter oggi stesso.»

«Severus--»

«Il ragazzo è convinto che tu lo reputi responsabile di ciò che è successo a Black,» sottolineò Piton, in un tono inflessibile, «forse è il caso che tu metta da parte i tuoi infantilismi e vada a trovarlo. Potter non ha mai pensato - nemmeno per un istante - che tu possa aver causato indirettamente la disfatta del suo padrino.»

«Avrei dovuto esserci io al suo posto,» mormorò Remus, con un filo di voce, «e Harry ha l'abitudine di perdonare le persone troppo facilmente per i loro errori.»

Severus non disse nulla. Non poteva dargli torto sull'ultima affermazione. Lui stesso aveva diverse remore sull'abilità innata che Potter continuava a mostrare verso chiunque. Come poteva il ragazzo non riconoscere che si trattava di un'arma a doppio taglio e che prima o poi avrebbe dovuto pagare il fio di tanta misericordia?

«Ad ogni modo,» Remus interruppe il flusso di pensieri di Severus, riprendendo la parola, «andrò da lui nel pomeriggio.» L'uomo fece per voltarsi, ma prima di varcare la porta e andarsene, si fermò, la mano ancora sulla maniglia e il capo leggermente rivolto verso Piton. «E Severus... grazie ancora per aver sottratto Harry a Voldemort.»
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«Perché non mi ha detto dei problemi che ha per quello che è successo con gli altri Mangiamorte...?»

«Potter, non è assolutamente necessario che tu venga a conoscenza di tutti i dettagli della mia vita privata.»

«Ma potrei aiutarla parlando con l'Ordine! Di sicuro Silente terrà conto del ruolo che ha giocato nella mia liberazione, posso testimoniare--»

«No, è fuori discussione.»

Era di nuovo tarda sera quando Harry ricevette visita da parte di Piton. Il ragazzo aveva passato il pomeriggio a parlare con Remus e a riconciliarsi con lui, cedendo infine alla voglia di lasciarsi andare ad un pianto liberatorio e sfogandosi per quanto successo nei terribili giorni trascorsi come prigioniero di Voldemort e, allo stesso tempo, per la sorte incerta di Sirius. Remus lo aveva abbracciato, chiedendogli di non sentirsi in colpa e assicurandogli che Sirius sarebbe riuscito a cavarsela anche in quell'occasione.

Harry ora osservava Piton con insistenza, non sopportando che l'uomo continuasse a rifiutare il suo aiuto. «Perché?»

«Perché, Potter, così ho deciso,» Severus sospirò pesantemente, mentre la sua pazienza veniva seriamente messa alla prova. Per quale assurdo motivo il ragazzo dev'essere così ostinato? «Coinvolgerti in questa storia rischierebbe di peggiorare la tua posizione al Ministero, nel caso in cui l'Ordine dovesse decidere di trascinarmi là. Ti ricordo che Cornelius Caramell non è ancora convinto del ritorno del Signore Oscuro e considera fandonie le tue parole.»

«Beh, sono già coinvolto, signore,» replicò Harry, con altrettanta irritazione. «Si sta pur sempre parlando di qualcosa che è accaduto a me, ho il diritto di dare la mia versione.»

L'uomo non rispose e, mentre lo osservava passarsi una mano sul volto, il ragazzo si accorse solo allora di quanto apparisse stanco.

«Signore?» chiese Harry, preoccupato, adocchiando una smorfia dolorosa attraversare il viso di Piton. Lo sguardo chiaro del giovane ricadde sul braccio sinistro dell'insegnante, nel punto in cui sapeva essere impressa a fuoco la sua vecchia fedeltà a Lord Voldemort. «Il Marchio le sta dando problemi, non è così?»

Piton emise un sibilo, lasciando passare il dolore, prima di stendere le labbra in un lieve ghigno, mascherando le fitte continue subite dal suo avambraccio marchiato. «Pensavi che l'Oscuro Signore avrebbe accettato le mie dimissioni con tanta facilità?» disse, «Sono un traditore, Potter, e la tortura è lo strumento con cui Lui si impegnerà a ricordarmelo.»

«Non... non c'è niente che si possa fare?» chiese a bassa voce il ragazzo, orripilato dal pensiero che Piton potesse patire quella sofferenza a vita.

«No, solo alleviare il dolore, per il momento,» rispose brevemente Piton, prima di tornare a fissare il ragazzo con intensità. «Ad ogni modo, non è per questo che sono venuto qui stasera.»

Harry lo guardò, incuriosito.

«Per qualche giorno, non potrò farmi vedere ad Hogwarts,» spiegò l'uomo, ignorando la luce delusa accesasi nello sguardo del giovane. «L'Ordine ha richiesto la mia presenza a Grimmauld Place per decidere su quanto abbiamo già discusso e, no, Potter - per l'ultima volta - tu non parteciperai a questa riunione.»

«E cosa dovrei fare? Starmene qui, con le mani in mano, aspettando che anche l'ultima persona a cui sembri importare qualcosa di me, mi abbandoni come tutti gli altri?» esclamò il ragazzo, improvvisamente infervorato. Aveva riflettuto accuratamente su quanto successo ed era giunto ad una conclusione. Lentamente, tutti si stavano stancando di lui. Al diavolo le promesse che Piton gli aveva fatto solo la sera prima sull'addestrarlo. L'uomo doveva sicuramente aver fatto due calcoli e infine deciso che lui - Harry - non fosse all'altezza di una simile impresa.

Severus nascose la sorpresa per la definizione appena appioppatagli da Harry con straordinaria maestria. «Di che cosa stai parlando Potter?» disse invece. «Nessuno ha mai parlato di abbandonarti--»

«Come no! Sirius mi ha abbandonato, decidendo di scagliarsi contro Voldemort senza pensare alle conseguenze,» incalzò il ragazzo, sentendosi pervadere da una rabbia incontrollabile, la stessa che lo aveva colto quella mattina durante la visita dei suoi amici, ma come raddoppiata. «Silente non fa altro che nascondermi verità su verità; Ron mi si è rivoltato contro oggi stesso perché convinto che lei mi abbia fatto il lavaggio del cervello; Remus--»

«Credevo che Lupin fosse venuto a trovarti oggi,» interruppe Piton, inarcando un sopracciglio con aria di disappunto. L'ex-Malandrino gli aveva persino riferito che lui e il ragazzo si erano chiariti e che avevano passato un piacevole pomeriggio.

«Certo, dopo essersi dimenticato di me per ben quattro giorni!» gridò Harry, fuori di sé, troppo occupato a scagliare la sua improvvisa ira contro Piton per accorgersi che la sua cicatrice aveva cominciato ad ardere. «E scommetto che anche dietro a quella visita c'è il suo zampino! Cos'è, doveva forse trovare il sostituto che badasse al povero, piccolo Harry in sua assenza?»

«Ora stai semplicemente esagerando con questo dramma, Potter,» replicò Piton, fissandolo con irritazione. Non poteva credere che l'immaturità del giovane arrivasse a questo punto. «Se non la smetti immediatamente di usare questo tono con me--» esordì nuovamente l'uomo, con voce pericolosa, ma poi si fermò, notando che la cicatrice del ragazzo sembrava bruciare quasi quanto il suo Marchio. C'era qualcosa che non quadrava. Questa versione di Potter era completamente diversa da quella con cui aveva parlato e scherzato solo la sera precedente. «--Harry?» mormorò.

Il ragazzo respirava affannosamente, come se si stesse riprendendo da una lunga corsa appena fatta.

«Severus,» un sibilo mostruoso uscì dalle labbra del Grifondoro, che prese a contorcersi nel letto come in preda alle convulsioni, «sorpreso di vedermi?»

Severus percepì quel poco di colorito che aveva in volto prosciugarsi del tutto di fronte all'orrore di quella scena raccapricciante.

No. Non sta succedendo.

Il ricordo della paura folle che si era impossessata di lui quando aveva visto Potter dapprima in mano a Mulciber e successivamente alla mercé di Voldemort tornò a farsi viva come non mai.

«Avanti, Severus,» parlò ancora Voldemort attraverso la bocca del ragazzo, «mostrami come salverai il ragazzo questa volta... esiste un solo modo e tu lo sai,» la labbra di Harry si stesero in un sorriso demoniaco. «Uccidilo e liberalo da ogni sofferenza!»
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Capitolo 18
*** Of Guardians and Gifts ***


XVIII.
Of Guardians and Gifts



«Sirius!»

«Harry! Allora non mi hai abbandonato!»

Il sorriso non scomparve dal volto del quindicenne, si attenuò appena. «Perché avrei mai dovuto? Sono così felice di averti trovato! Credevo... credevo...»

Sirius gli restituì il sorriso. «Che non mi avresti mai più raggiunto?» gli suggerì, in viso la solita smorfia divertita.

Harry raggelò seduta stante. Aveva già visto quella scena, già udito quelle parole.

E quello di certo non era il vero Sirius. Non poteva essere.

Sirius era in un letto dell'infermeria, comatoso e in pericolo di vita.

E lui... lui era solo.
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Harry respirava sempre più a fatica, anelando per l'aria come un naufrago in procinto di annegare. Dalla sua gola fuoriuscivano solo rantoli disperati, mentre la sua testa pulsava di un'agonia causata dalla cicatrice in fiamme e rimbombava di una voce non sua.
 

«Il ragazzo è mio, Severus,» Harry udì se stesso formulare le parole, incapace di controllare i propri convulsi movimenti, «non hai altra scelta che quella di distruggerlo...» Un freddo glaciale si impossessò del giovane, che si dimenò ancora di più nel disperato tentativo di liberarsi dell'entità mostruosa nella sua testa.

«Legilimens!»
 

Il ragazzo avvertì una seconda presenza nella sua mente, la stessa che già altre volte aveva accolto nel proprio inconscio e che Harry riconobbe subito, nonostante lo stato di smarrimento in cui si ritrovava. Il terribile vuoto che aveva sentito dentro di sé fino a quel momento fu presto colmato da una serie di memorie che il giovane aveva quasi dimenticato di possedere.
   

... Ricevere Edvige in regalo da Hagrid...

... L'incontro con Ron ed Hermione sull'Hogwarts Express...

... La prima volta su una scopa...

... La promessa di Sirius che sarebbero andati a vivere insieme...

... Stringere tra le mani la lettera scritta da sua madre tanti anni prima...

«Controlla le tue emozioni e occludi la mente!»

Eccola, infine, la sua ancora di salvezza.

Harry si aggrappò a quella voce amica con tutte le proprie forze; allo stesso tempo, percepì Voldemort gridare dalla rabbia e - per un attimo - l'agonia esplose più forte in lui, come se potesse sentire anche ciò che l'altro stava patendo -  prima che una mano gli stringesse una spalla così forte da far sparire ogni traccia del dolore appena sperimentato, come se qualcuno lo stesse sottraendo alla morsa del mostro e stesse cercando di guidarlo nuovamente verso la ragione. La folle e cieca ira che aveva provato fino a poco prima scomparve, sostituita dai sentimenti che lo legavano alle persone a lui più care.

«Stupido! Non potrai sfuggirmi per sempre... alla fine perirai, come tutti gli altri...»

Il ragazzo sentì la presenza della propria nemesi via via allontanarsi, abbandonare il suo corpo e la sua mente, fino a che respirare smise di essere doloroso. L'angoscia prese a diradarsi così come la nebbia che aveva obnubilato la testa del quindicenne fino a quell'istante.
 

«Harry,» pronunciò una voce vicina a lui, e il giovane poté percepirne tutto il sollievo di cui essa era impregnata.

Faceva ancora così freddo. Il Grifondoro avvertì qualcosa di caldo avvolgersi attorno a sé nel momento in cui riemergeva completamente dalla terribile visione di Voldemort che si impossessava della sua mente e tornava ad avere controllo delle proprie facoltà sensoriali. Piton era accanto a lui, trattenendolo in una posizione seduta mentre con l'altra mano manteneva una coperta ben stretta attorno al suo corpo.

«Non voglio rimanere solo,» sussurrò tremante il giovane, in un filo di voce.

«Non succederà mai,» rispose immediatamente l'uomo, in tono deciso e rassicurante, andando inconsciamente a rafforzare la presa sulle spalle del ragazzo, come a rimarcare ancora di più le proprie parole. «Te lo prometto,» aggiunse, nascondendo anche le ultime tracce di paura che aveva provato alla vista di quel terribile spettacolo dietro alle proprie barriere, in modo da dare forza al giovane.

Harry affondò il viso contro la veste di Piton, lasciandosi avvolgere dallo stesso aroma che lo aveva già confortato una volta. Ora che ci pensava, poteva riconoscerne le fragranze: cannella e chiodi di garofano. Il ritmico e basso tum tum emesso dal petto dell'uomo contribuì a produrre un effetto calmante sul ragazzo, cullandolo come un piacevole mantra finché la sua respirazione non prese lentamente a regolarizzarsi.

Benché non avvezzo a simili effusioni, Severus lo lasciò fare, attendendo che Harry fosse del tutto rilassato contro di sé prima di aprire bocca per parlare. Peccato che un arrivo imprevisto non gli diede il tempo di proferir parola.

«Severus,» la voce di Silente suonò quasi sorpresa di fronte alla scena che si ritrovò davanti non appena varcata la soglia dell'Infermeria.

Harry avvertì Piton irrigidirsi leggermente, come se fosse stato colto in flagrante.

Questo sì che si chiama 'tempismo', vecchio... maledisse il Pozionista nella propria testa, e apprezzò il fatto che Harry si mosse per primo per sciogliere l'abbraccio, come intuendo il disagio dell'uomo.

«Credevo di averti suggerito di rispettare le volontà dell'Ordine,» proseguì il Preside, dopo un attimo di incerto silenzio. Harry scorse i suoi occhi brillare di una luce soddisfatta, cosa che non poteva stonare di più con il tono serio che il vecchio mago stava usando.

«Potter ha appena ricevuto un altro attacco,» disse Piton con voce neutra, voltandosi verso Silente e inarcando un sopracciglio. «Se non fossi stato qui, mi spieghi come avrebbe fatto Poppy a gestire la situazione da sola?»

Silente fissò i propri occhi azzurrini sul giovane Grifondoro, che ricambiò. «È così Harry?»

Il ragazzo annuì, ma smise subito per non farsi male. «Il professor Piton mi ha aiutato,» disse, con quanta più voce ferma possibile, sottolineando l'ultima parola con particolare enfasi, «Voldemort non si aspettava che avrebbe usato la Legilimanzia per contrastare la sua possessione.»

«Albus, dobbiamo parlare immediatamente,» disse Piton, facendo per alzarsi, prima di essere costretto ad afferrare la sedia per non vacillare.

«Severus, stai sanguinando,» osservò Silente in tono grave, avanzando verso di lui in modo da valutare ciò che stava accadendo.

Harry notò con crescente paura che la veste attorno al braccio sinistro di Piton gli si era letteralmente incollata addosso, fino ad inzupparsi del sangue che ora poteva chiaramente veder colare dalla manica bianca a terra - sul pavimento di pietra -, in quelle che apparivano grosse e dense gocce cremisi.
  

«Non è nulla,» disse immediatamente Piton, allontanando la mano di Silente da sé e nascondendo il proprio braccio dalla vista di Harry. Il ragazzo immaginò la quantità di dolore che l'uomo doveva celare in quel momento per apparire così calmo e indifferente; l'unico segnale tangibile di quello che stava patendo, a parte il sangue, era il sottile velo di sudore che aveva iniziato a imperlargli la fronte. «Ho solo bisogno... di riorganizzare la mente...»

Severus si chiese perché avvertisse solo ora gli effetti causati dall'essersi immerso nei pensieri di Potter, e quindi anche di Voldemort, durante il tentativo di possessione del ragazzo. Che prima fosse troppo occupato a badare al Grifondoro per accorgersene?

«Professore, dobbiamo fare qualcosa!» esclamò Harry angosciato, rivolgendosi a Silente dato che Piton sembrava ostinato a fare finta che nulla stessa accadendo.

«Concordo con te, Harry. Severus,» disse il Preside, costringendo l'altro mago ad accettare la presa sul suo braccio sano. «Perché non ti risiedi così che possa dare un'occhiata al tuo braccio...?»

«Non - qui - Albus,» pronunciò il Pozionista con irritazione crescente. Possibile che il vecchio non capisca? Per nessuno motivo avrebbe mostrato il braccio nelle condizioni in cui sapeva essere davanti ad un già sufficientemente traumatizzato Potter.

«Come preferisci,» sospirò Silente, prima di chiamare Madama Chips perché stesse con il Grifondoro e li avvisasse in caso di un altro attacco. «Harry, tornerò presto ad accertarmi delle tue condizioni, ti lascio nelle ottime mani di Poppy.»

«Professore... starà bene?» Harry non poté fare a meno di chiedere, cercando di non ricadere nel panico che la vista scioccante di prima gli aveva procurato.

Severus si voltò leggermente verso di lui, prima di uscire dall'infermeria. «Non sono ancora sul mio letto di morte, Potter, puoi stare tranquillo,» rispose, arricciando le labbra nel suo solito ghigno beffardo.  I loro occhi si incontrarono in quel frangente. E ricordati che non sei solo, gli comunicò, sforzando ancora una volta la connessione mentale, nonostante il terribile mal di testa che stava prendendo piede.

La luce riconoscente nello sguardo chiaro di Harry gli fece capire che il giovane aveva afferrato il concetto.
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«Stai ancora cercando un modo per rimuovere il Marchio, Severus?»

L'Esperto di Pozioni lanciò al Preside un'occhiata obliqua. «Ho smesso di farlo diversi anni fa, Albus, dovresti saperlo ormai,» rispose, seccamente, mentre continuava a dedicarsi alla medicazione. «Mi serve per ricordare--»

«--non ne hai più bisogno, Severus. Così come non ne hai più bisogno per fare penitenza,» disse Silente.

Severus grugnì, chiaramente contrariato. «Non esistono metodi magici, Albus, almeno che tu non stia offrendo l'amputazione del braccio come soluzione,» tagliò corto, tamponando sulla ferita esposta, «in tal caso, preferirei mantenere entrambi gli arti per non essere costretto ad abbandonare anche l'ultima delle mansioni rimastemi.»

«Lieto di sentire che il tuo senso dell'umorismo non sia cambiato, Severus,» offrì Silente, con un lieve sorriso. «Tuttavia, considerando quanto tenessi al tuo lavoro di spia, devo dire che sono rimasto positivamente sorpreso che tu non stia rimuginando sulla sua perdita,» osservò, mentre con un gesto della bacchetta faceva sparire i bendaggi insanguinati, «deduco che tu abbia trovato un'altra ragione per--»

«Oh, risparmiami le tue lezioni, Albus,» interruppe Severus, che non era dell'umore adatto per simili discorsi, «sì, io e Potter siamo arrivati ad una convivenza sufficientemente civile da sopportarci a vicenda, immagino che questo fosse il tuo obiettivo fin dall'inizio, per cui tanto di cappello,» sbottò aspramente. «Ora, credevo fossimo qui proprio per parlare del tuo prezioso Ragazzo d'Oro, e non di una mia eventuale rivelazione mistica.»

Silente sollevò le mani in segno di resa. «Sono solo contento di vedervi andare d'accordo, Severus, tutto qui. Ho sempre pensato che tu ed Harry aveste potuto trovarvi sotto diversi punti e, per quanto avrei preferito che nessuno di voi attraversasse le terribili esperienze dei giorni scorsi, sono convinto che sia proprio grazie a queste che il vostro rapporto si sia rafforzato ancora di più,» si limitò a spiegare. «Ora, parlando di quanto accaduto oggi...»

«Potter pensa di essere trascurato,» disse Severus, arrivando subito al dunque, «e temo che l'attacco subito quest'oggi sia collegato con il suo umore particolarmente depresso. È evidente che il Signore Oscuro stia sfruttando le sue emozioni negative per penetrare nel suo subconscio e portarlo alla follia. Vuole farlo sentire abbandonato, inutile... non all'altezza di se stesso.»

Silente parve pensarci su per diversi istanti. «Questo spiegherebbe i suoi recenti attacchi d'ira,» commentò, «il giovane Ronald Weasley, per esempio, ha lasciato il mio ufficio tramite Metro-Polvere con aria tutt'altro che... allegra, dopo la visita al suo amico.»

«Dubito che la permanenza in infermeria migliorerà l'umore di Potter,» aggiunse Severus, casualmente, mettendo da parte l'Essenza di Dittamo e dedicando la propria attenzione a spalmare l'unguento adatto ad alleviare il dolore del Marchio. «Essere costretto nella stessa stanza vuota - all'infuori del suo padrino in stato comatoso - per diversi giorni, non può che continuare a nuocere alla sua salute mentale.»

«Cosa suggerisci dunque, Severus?»

«Ho proposto a Potter di dargli lezioni private,» continuò l'uomo, con aria perfettamente indifferente. «Sembra intenzionato ad imparare come si sopravvive nel mondo magico, e non solo ad improvvisare qualche incantesimo in un momento fortuito, come invece è avvezzo fare. Sarebbe un vero peccato deludere le così alte aspettative del pedante marmocchio a causa di una presa di posizione negativa da parte dell'Ordine...»

«Oh, Severus, puoi anche abbandonare la recita.» Silente dovette trattenere una bonaria risata, cosa che non gli risparmiò, tuttavia, un'occhiata fulminante dall'Esperto di Pozioni. «Ormai anche le mura sanno che Harry ha un talento naturale nel fare breccia nei cuori delle persone. E sai bene che mi fido ciecamente di lasciarlo nelle tue mani; lo stesso non si può dire, invece, del resto dell'Ordine.»

«Non ho la minima idea di cosa tu stia insinuando, Albus,» disse Severus, senza battere ciglio di fronte ai precedenti commenti dell'uomo. «E non m'importa di quello che dice l'Ordine,» insisté, «È Potter stesso a dover decidere del proprio futuro.»

«Molly Weasley potrebbe obiettare che Harry sia solo un ragazzo, per giunta minorenne,» gli fece notare Silente.

«Quella donna ha fin troppe teste rosse a cui badare, ha davvero bisogno di aggiungere anche un povero, piccolo Calimero nel suo nido?» rispose immediatamente Piton, inarcando un sopracciglio. «E da quando, esattamente, Molly Weasley può considerarsi custode di Potter, in ogni caso?»  

Il silenzio che ne seguì fece dedurre a Severus che Silente stava riflettendo su quanto gli era appena stato detto, come colto da un'improvvisa illuminazione. L'uomo dai capelli corvini quasi temeva di chiedere al Preside il motivo di quello scintillio dietro agli occhialetti a mezzaluna, poiché - di solito - esso non portava mai a qualcosa di buono. Almeno per lui.

«C'è solo un modo per essere certi che tu non sia estromesso dall'Ordine e che ti si vieti di interagire con il ragazzo, anche solo come insegnante,» Silente lo guardò intensamente, preparandosi a esporre la sua idea: «Dovrai diventare il guardiano di Harry, Severus.»
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Harry fissava quel poco che riusciva a vedere dalla finestra accanto al suo letto, completamente incurante della posizione scomoda a cui aveva costretto il proprio collo per diversi istanti. La sua mente era immersa in pensieri tutt'altro che piacevoli.

Per esempio, il fatto che Piton sarebbe stato torturato a distanza tramite il Marchio - per causa sua - non sembrava volergli dare tregua. Possibile che non ci fosse un modo per liberarsene? Non credi che Piton lo avrebbe già fatto se fosse così semplice, Harry? Ma prima era diverso. Prima Piton doveva essere costretto a fingere la sua parte con Voldemort, a fare il doppio-gioco...

Possibile che l'Ordine volesse sbarazzarsi di lui ora che non sarebbe stato più utile?

Harry sospettava che dietro alla proposta dell'uomo di fargli da mentore nell'addestramento ci fosse l'intenzione di avere ancora uno scopo all'interno delle loro schiere. Il ragazzo tentò di accantonare quel pensiero scomodo e di concentrarsi sui lati positivi che Piton aveva rivelato fino a quel momento.

Il giovane di certo non immaginava che l'uomo potesse starsene con le mani in mano mentre altri combattevano perché la guerra cessasse. In un certo senso, almeno in questo, lui e Sirius si somigliavano parecchio. Il coraggio che Piton aveva dimostrato nei lunghi anni impiegati come spia doveva pure significare qualcosa. Come poteva l'Ordine dimostrarsi così irriconoscente nei suoi confronti, dopo tutti i rischi che l'uomo aveva corso per portare loro informazioni di vitale importanza?

Harry scosse la testa. Tutto si sarebbe aggiustato senz'altro. Silente non avrebbe mai permesso che Piton fosse consegnato al Ministero.
 

Quello che ancora non sapeva, era come il vecchio mago sarebbe riuscito nel proprio intento.
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«Credo che tu abbia seriamente picchiato la testa, Albus, sicuro che non serva un incantesimo diagnostico?»

«Posso assicurarti di non essere mai stato meglio, Severus,» rispose Silente, con un ampio sorriso. «Sai bene che non è cosa rara che ai giovani maghi - specialmente se orfani - venga assegnato un guardiano magico che si occupi di loro fino all'età adulta.»

«Potter ha già un padrino, Silente, o lo hai forse dimenticato?» ribatté acido Severus, serrando la presa sui braccioli della poltrona a cui era seduto. «E l'ultima volta che ho controllato, Black era pur sempre magico... se così si può dire,» aggiunse, storcendo leggermente il naso nel parlare del suo rivale.

«Nelle condizioni in cui Sirius versa, temo che nessuno possa appellarsi al suo status di padrino,» rispose Silente. «E i due ruoli non coincidono esattamente.»

«Perché diavolo l'Ordine dovrebbe accettare me, come nuovo guardiano per Potter?» Severus non sapeva se ridere o piangere. «Hai immaginato cosa succederebbe se la stampa lo venisse a sapere? Perché lo verrà a sapere quando andremo davanti al Ministero per le pratiche da sbrigare. Pensa ai titoli, Albus! Mangiamorte pentito prende il Ragazzo Sopravvissuto sotto la sua ala. Per non parlare del Signore Oscuro, scommetto che non vedrà l'ora di poter prendere due piccioni con una fava non appena saprà della lieta novella!»

«Severus, vorresti calmarti un istante?»

Piton lo fulminò con lo sguardo. Odiava quello scintillio negli occhi azzurri del Preside. Il motivo per cui il vecchio mago sembrava trovare estremamente divertente tutta quella storia andava oltre la sua immaginazione.

«Penso che tu stia semplicemente esagerando,» proseguì Silente, posandogli un amichevole mano sulla spalla. «Nessuno deve necessariamente sapere che tu sei il nuovo guardiano di Harry. Faremo in modo di avere un Custode Segreto e la notizia sarà condivisa esclusivamente con i membri dell'Ordine più vicini. Tutto ciò di cui avremo bisogno sarà fabbricare i documenti necessari che servono a provare il nuovo rapporto di parentela tra te e Harry--»

«Oh, quanto Serpeverde da parte tua, Albus,» lo prese in giro l'altro uomo, con finta aria di rimprovero. «E se intendi vincere la folla a Grimmauld Place andando a sbandierare ai quattro venti la promessa che ti feci quattordici anni fa, ti dico già che la mia risposta è no

«Bada bene, Severus, per fabbricare intendo riprodurre solo i documenti riguardanti il tuo nuovo status, affinché il Ministero non lo venga a sapere. Ma non dimenticare che tu diverrai il guardiano di Harry a tutti gli effetti: faremo in modo di tenere una cerimonia segreta, alla presenza di due testimoni, uno per te e uno per Harry. E per quanto ciò che mi giurasti la notte che i Potter furono assassinati... Severus, forse è il caso che la gente finalmente sappia chi ha segretamente vegliato sul ragazzo in tutto questo tempo. Potrebbe essere l'unica possibilità di salvarti dall'essere consegnato al Ministero.»

Severus si passò un mano sul viso stanco, soffermandosi a massaggiare l'area intorno alle tempie, cercando di lenire il mal di testa che ancora non passava. Nonostante il suo conflitto interno, la scelta si presentava più facile del previsto: se avesse rinunciato e fosse stato mandato dritto dritto in tribunale, chi avrebbe continuato a proteggere il figlio di Lily? «Hai pensato a come Potter potrebbe prendere questa notizia?» disse infine. «Tanto per cambiare, non è che tu ci lasci altra scelta, Albus,» proseguì, senza preoccuparsi di velare la propria irritazione per i metodi manipolatori adottati - ancora una volta - da Silente. «Mi auguro che tu abbia almeno la decenza di interpellare il volere del ragazzo al riguardo.»

«Se ho proposto questo tipo di soluzione, Severus, è perché so che Harry accetterà.»
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«Il professor Piton... ha acconsentito al suo piano, signore?»

«Sì, Harry,» rispose Silente, che occupava la stessa sedia dell'infermeria usata precedentemente da Severus, «e mi fa piacere sentire che la sua opinione conti tanto per te quanto la tua per lui.»

Harry ci rifletté su ancora per diversi istanti. Di tutte le teorie che aveva fatto durante l'assenza dei due uomini, questa le batteva sicuramente tutte per stravaganza. Severus Piton... il suo guardiano. Gli sembrava quasi inverosimile che l'uomo che un tempo aveva provato gusto a tormentare la sua esistenza potesse accettare un titolo del genere. Improvvisamente, il ragazzo aveva la testa piena di domande che necessitavano di risposte chiare e oneste.

«E Sirius? Voglio dire...»

«Sirius Black rimarrà sempre il tuo padrino, Harry, e nessuno cambierà mai l'affetto che vi lega. Ma in sua assenza, al momento, è innegabile che tu abbia bisogno di un protettore all'interno del mondo magico. E in forma ufficiale.»

Harry annuì, pensando allo shock che avrebbe provato Sirius nel momento in cui avrebbe appreso la notizia. «E che ne sarà dei Dursley, signore? Dovrò tornare da loro ogni estate?» domandò il ragazzo, speranzoso, pensando che passare un'estate con Piton non potesse essere peggio che trascorrerla a essere bistrattato da Dudley e a eseguire tutte le mansioni stabilite dai suoi zii. Per non parlare del fatto che non potesse toccare cibo fino a che anche l'ultimo angolo di patio non fosse stato abbondantemente lustrato...

«È così, Harry,» disse Silente, rivolgendo uno sguardo simpatetico all'occhiata di supplica offertagli dal giovane, «la protezione di tua madre è ancora attiva e lo rimarrà fino al compimento della tua maggiore età. Non vogliamo farla assottigliare prima del tempo con un tuo mancato rientro dai tuoi parenti.»

Il ragazzo storse il naso all'idea. Parenti. Come no. Se morissi, probabilmente gli farei solo un favore.
 

«Hai già pensato a chi potrebbe essere il tuo testimone per l'occasione, Harry?»

«Mmh, non saprei... magari Remus?» rifletté il ragazzo, pensando che al momento fosse l'unica valida alternativa a Silente, che a quanto pare avrebbe fatto da testimone a Piton. «In cosa consiste esattamente la procedura? Voglio dire, è una specie di cerimonia o cosa...?»

«Farò in modo che Remus ne sia messo al corrente allora. Per quanto riguarda il rituale in sé, è molto simile al Voto Infrangibile per esecuzione - tranne che per i suoi effetti a dir poco spiacevoli in caso di mancato adempimento -, e noi seguiremo in tutto e per tutto l'iter predisposto dal Ministero della Magia,» si accinse a spiegare Silente, «non è nulla di complicato, Harry, si tratterà semplicemente di formule da recitare da parte tua e del professor Piton; io e l'altro testimone giureremo di vigilare affinché le condizioni di legame tra il guardiano e il tutelato vengano sempre rispettate, e il tutto sarà seguito dall'esecuzione dell'Incanto Fidelius, di cui i presenti saranno i Custodi Segreti principali.»

Harry cercò di immagazzinare l'intero ammontare di quelle informazioni senza dare a Silente l'impressione di essere in difficoltà. «Potrò dunque decidere a chi rivelare il mio nuovo legame con il professor Piton e chi no, giusto?»

«Precisamente, Harry,» disse Silente, con un sorriso rassicurante, «se tu volessi mettere i tuoi amici più stretti a conoscenza del fatto, potrai farlo senza problemi. I Custodi Segreti secondari non hanno alcuna possibilità di rivelare il segreto ad altri, a differenza nostra.»

Harry immaginò la faccia di Ron che apprendeva la novità e cercò di trattenere l'espressione delusa che minacciava di affiorargli in volto. No, dubito che racconterò loro qualcosa, almeno per il momento. Se voglio una chance per ricostruire il rapporto con Ron, credo proprio che sia meglio che non sappia nulla di tutta questa storia.   

«Se non hai altre domande per me, Harry,» disse Silente, interrompendo ancora una volta il suo flusso di pensieri, «avrei una cosa da mostrarti, ora che ti sei completamente ristabilito.» Il giovane Grifondoro lo guardò cercare nella tasca della veste color blu mezzanotte che l'uomo indossava quella sera, prima di estrarre qualcosa che lo lasciò completamente senza fiato.

La sua bacchetta in legno di agrifoglio e piuma di fenice riposava tra le mani di Silente in perfetto stato, come se non fosse mai stata spezzata. Harry la fissò con il cuore che gli rimbalzava letteralmente in gola, in viso un'espressione meravigliata ed estasiata al tempo stesso, tanto da impedirgli di emettere qualsiasi suono.

«Il professor Piton me l'ha consegnata la notte stessa in cui siete tornati ad Hogwarts,» spiegò Silente, con un allegro brillio dietro agli occhiali a mezzaluna di fronte alla gioia esterrefatta del ragazzo. «Inutile dire che era in condizioni pietose... ma con un piccolo aiuto da parte della mia bacchetta, devo dire che sembra essere tornata nuovamente in forma, non trovi?»

«Wow,» sussurrò Harry, sentendosi pervadere dallo stesso calore che lo aveva travolto la prima volta che l'aveva impugnata, ormai quattro anni prima. «È fantastico... Grazie, professore!» esclamò, al settimo cielo. Era incredibile poterla stringere ancora tra le mani dopo più di una settimana di assenza e in seguito alla fine che le aveva visto fare per mano di Mulciber.

«Di nulla, Harry,» sorrise ancora Silente, dandogli un buffetto affettuoso sulla testa. «Assicurati di ringraziare anche il professor Piton, senza di lui a recuperarla, non avrei - ahimè - potuto fare nulla.»

Harry annuì vigorosamente. Ora capiva cosa l'uomo si fosse soffermato a raccogliere, prima di iniziare la corsa verso l'uscita dalla selva insieme a Sirius e Remus. Il ragazzo non poteva credere di aver dimenticato un dettaglio così importante come la propria bacchetta; le condizioni in cui si trovava al momento non giustificavano affatto la sua dimenticanza, pensò con rimorso. Era tuttavia piacevolmente colpito da come Piton avesse dato tanta importanza a qualcosa che poteva non avere alcun significato per sè stesso, ma che sapeva essere fondamentale per lui - Harry -, il legittimo proprietario.
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«Dovrà svolgersi in infermeria?»

«Harry, sarei stato ben felice di poter accomodare il rituale nel mio ufficio, ma è preferibile che sia fatto qui nel caso in cui tu ti senta debilitato in seguito all'uso della magia dopo tanto tempo,» spiegò Silente, rivolgendogli uno sguardo apologetico.

Harry annuì, pensando che effettivamente non avrebbe fatto granché differenza. Semplicemente non vedeva l'ora di abbandonare quel tetro luogo in cui si ritrovava da quasi una settimana intera.

«Severus, Remus.»

Il ragazzo si voltò a guardare l'arrivo dei due uomini. Piton nel suo usuale abito nero il cui mantello svolazzava alle spalle in un turbinare elegante, e Lupin nella solita veste trascurata di sempre. Mmh, da quello che ho capito la cerimonia ha ben poco di formale, se non l'esecuzione... pensò, lanciando uno sguardo al proprio pigiama.

«Sei pronto, Harry?» Remus gli sorrise benevolo, posandogli una mano sulla spalla, prima di lanciare uno sguardo a Piton, i cui occhi erano intenti a fissare il ragazzo. «Severus?»

«Ho portato la pozione,» disse semplicemente Piton. «Occorrerà dopo aver pronunciato la formula di giuramento,» spiegò, in risposta allo sguardo interrogativo di Harry. «Quello che stiamo per effettuare, signor Potter, è la suggellazione di un estremamente potente e antico contratto magico: una volta accettato, non vi sarà nessuna possibilità di annullarlo - a meno che, uno di noi due non si dimostri indegno del tipo di legame che esso richiede. Se non sei assolutamente sicuro di questa scelta...» incalzò Severus, ignorando l'occhiata di Silente. Il ragazzo aveva il diritto di sapere.

«Lo sono,» rispose Harry, mandando giù il nodo alla gola che lo aveva improvvisamente attanagliato. Piton stava forse cercando di metterlo in guardia contro qualcosa? Di fargli cambiare idea? Magari lui era proprio il primo a non voler andare fino in fondo alla cosa... Il ragazzo accantonò anche quel pensiero. Pensò all'alternativa, e cioè alla possibilità che Piton fosse mandato al Ministero senza alcuna possibilità di appello. No. Dopo tutto quello che l'uomo aveva fatto per lui, Harry non poteva permettere che facesse quella fine. Non c'è nulla di cui avere paura, pensò. «Lo sono davvero, professore,» aggiunse, offrendogli un piccolo sorriso, come a voler confermare ulteriormente le proprie parole.

Severus non ricambiò, limitandosi a osservare l'espressione sincera del giovane con intensità. Dietro alla maschera di impenetrabile calma e freddezza, si nascondeva più tensione di quella che l'uomo avrebbe mai voluto ammettere.

«Bene, direi che possiamo procedere,» disse Silente, richiamando la loro attenzione. «Harry, Severus, uno di fronte all'altro, per favore. Ora, stringete l'uno il braccio destro dell'altro, così. Severus, vorresti iniziare tu?»

«Io, Severus Tobias Piton, accetto di ricoprire il ruolo di guardiano magico di Harry James Potter e giuro solennemente di provvedere al suo benessere e a proteggerlo con ogni mezzo a mia disposizione, sempre e comunque, fino al suo compimento dell'età adulta,» pronunciò Severus, i cui occhi d'onice non lasciarono nemmeno per un istante quelli verdi.

Harry attese che l'uomo terminasse, mentre il cuore aveva preso a rimbombargli in gola dall'emozione derivata dall'attesa per il proprio turno. «Io, Harry James Potter, accetto Severus Tobias Piton come mio guardiano magico, giurando solennemente di rispettare ogni sua decisione riguardante la mia salute e la mia sicurezza,» recitò il ragazzo, ricordando la formula impartitagli da Silente il giorno prima.  

Il vecchio mago si schiarì allora la gola. «In qualità di testimone e garante di questo magico contratto, giuro di vigilare affinché i suoi principi vengano rispettati in ogni loro parte, da ora fino al raggiungimento dell'età adulta da parte del tutelato.»

Harry osservò la bacchetta del Preside disegnare un cerchio al di sopra del braccio che il giovane aveva stretto attorno a quello di Piton, prima che Remus facesse lo stesso, dopo aver pronunciato la stessa frase appena enunciata da Silente. Al segnale dato da quest'ultimo, sia Harry che Severus puntarono la bacchetta verso i due cerchi che ondeggiavano ancora in aria, pronunciando all'unisono: «Custodis Pactum,» prima di bere dalle due fiale le identiche pozioni.

I due filamenti che aleggiavano come serpenti volanti si intrecciarono attorno alle braccia unite dei due, scintillando brevemente di una luce scarlatta, prima di diventare via via invisibili, come se non fossero mai esistiti.

Harry avrebbe giurato che nulla fosse cambiato rispetto a prima, se non che ora aveva la consapevolezza di dovere a Piton un rispetto addirittura maggiore a quanto richiesto tra insegnante e alunno. Era strano avere un tutore da poter chiamare tale. È vero, aveva pur sempre Sirius come suo padrino ufficiale, ma il ragazzo poteva sentire che non era lo stesso tipo di rapporto che avrebbe ora avuto con Piton.

Perché Piton sapeva chiedere e avere, e sembrava anche molto serio riguardo al nuovo ruolo che avrebbe ricoperto nella vita di Harry.

Il ragazzo fu distolto dai propri pensieri poiché Silente era già passato a lanciare l'Incanto Fidelius sui presenti, affinché essi diventassero i Custodi Segreti di ciò che si era appena compiuto.

«Molto bene,» sorrise Silente, al termine del rito. «Direi che abbiamo concluso con successo. Ora, Harry,» si rivolse al giovane, che aveva appena sciolto la stretta con Piton e attendeva un segnale dagli adulti per sapere cosa sarebbe successo di lì in poi, «suggerirei che tu torni a letto e riposi, visto il recente impiego di magia da parte tua.»

Harry guardò Piton, come se si aspettasse un suo intervento di qualche tipo, ma ciò non arrivò e il giovane dedusse che l'uomo non avesse obiezioni al riguardo. Effettivamente, ora che ci pensava mentre tornava nel suo letto lì accanto, poteva sentire la testa più leggera rispetto a prima, come se il rito avesse prosciugato parte delle proprie energie.

«È normale che mi senta così... leggero?»

«Sì, Harry, perfettamente,» rispose il mago più anziano con un piccolo sorriso, «propongo che tu sfrutti quest'ultimo giorno che ti rimane da passare in infermeria a godere del necessario riposo per ristabilirti completamente. Sono sicuro che il professor Piton abbia molto di cui parlarti non appena sarai... com'è che si dice? Ah, un uomo libero,» disse, con una gentile strizzatina d'occhio, identificando il regno di Madama Chips alla pari di una prigione. «Signori,» aggiunse, prima di fare segno agli altri di precederlo nell'uscita.

«Un momento, Albus,» disse Piton, immobile nella sua posizione. «Ho bisogno di un minuto con Potter.»

«Come desideri, Severus. Ricordati di questa sera... a più tardi.»

«Cosa ci sarà questa sera?» chiese Harry, attendendo che gli altri fossero usciti dall'infermeria.

«Una riunione dell'Ordine in cui i membri più stretti saranno messi al corrente del recente... sviluppo di eventi,» spiegò Severus. «Mi sono soffermato per dirti che, per tale motivo, questa sera non mi sarà possibile venirti a trovare come mio solito.»     

Harry avrebbe trovato divertente il fatto che Piton sembrasse doversi giustificare con lui della cosa, se non fosse stato per la grande delusione nel ricevere la notizia. Passare la sua ultima notte in infermeria nuovamente da solo ed esclusivamente sorvegliato da Madama Chips proprio mentre tutti gli altri erano radunati a Grimmauld Place per una riunione che riguardava anche lui appariva incredibilmente ingiusto al ragazzo.

«Non c'è proprio nessuna possibilità che io possa--?»

«No,» rispose l'uomo, senza tanti giri di parole. «E faremo in modo che anche i tuoi piccoli amici questa volta non abbiano alcuna possibilità di... ah, inciampare su qualsiasi informazione lasciata così sbadatamente incustodita, come è invece accaduto l'ultima volta.»

Harry annuì, cercando di mettere su un'espressione sufficientemente matura. «D'accordo, signore,» rispose, in un tono basso.

«Lieto che tu abbia capito,» disse Piton, apprezzando che il giovane non avesse insistito più del necessario. «Oh, e un ultima cosa: dal momento che il rito appena svoltosi presume un tipo di legame più stretto di quello che avevamo prima... puoi anche non appellarti in modo così formale a me, quando siamo soli.»

«Oh,» disse Harry, sorpreso dall'insolita spiegazione. «Va bene, sig-- ehm, come dovrei chiamarla?»

«Il mio nome proprio andrà più che bene, Harry,» Piton scosse la testa, sfoderando uno dei suoi soliti mezzi sorrisi sardonici, che il ragazzo aveva la netta impressione fossero usati esclusivamente per farlo sentire un idiota.
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«Come sarebbe a dire? Severus Piton... il guardiano di Harry?»

Severus roteò gli occhi di fronte ad una versione starnazzante di Molly Weasley.

«Molly, per favore, calmati,» intervenne Remus, con un semplice gesto della mano, «ti assicuro che Harry è in perfetta sicurezza con Severus e che non hai nulla da temere per la sua incolumità--»

«Immagino che dovrò vederlo con i miei occhi per giudicare da me, dal momento che sembriate tutti perfettamente d'accordo con la situazione, tanto da presentarcela già a fatto compiuto... dico bene, Albus?» ribatté Molly, decisa a non desistere. «E Remus, credevo che fossi il più assennato tra James e Sirius, ma evidentemente mi sbagliavo se riponi così tanta fiducia in chi più di una volta ha leso - volente o nolente - Harry...»

«Severus si è sempre dato da fare per mantenere Harry in vita, come tutti noi e - in alcuni casi - anche di più,» disse in tono grave Silente, che accettava tutto meno che non fossero riconosciuti i giusti meriti dell'Ex-Mangiamorte. «Per ben quattordici anni ha vegliato sul ragazzo costantemente, ricoprendo - allo stesso tempo - il pericoloso ruolo di spia che per poco non gli costava la vita la scorsa settimana, quando ha tratto il Harry in salvo da Lord Voldemort.»

Il braccio di Severus pulsò dolorosamente sotto ai bendaggi, ma l'uomo non mosse un muscolo, a differenza di alcuni degli altri componenti al lungo tavolo.

«E così,» esordì Malocchio Moody, grattandosi distrattamente quel poco di barba stopposa che aveva sul mento, «Piton ti avrebbe giurato di vegliare sul ragazzo per il resto dei suoi giorni?»

«Esattamente,» rispose Silente, in un tono che non ammetteva repliche, «e io ora invoco il suo diritto a diventare il guardiano di Harry Potter a tutti gli effetti, dato che è ciò che è stato segretamente in tutti questi anni, solo in forma non ufficiale.»

Un mormorio concitato si accese sulla sala riunioni, interrotto prontamente dal battito di mani che Silente utilizzò per richiamare l'attenzione di tutti, dal momento che non aveva ancora terminato il proprio discorso.

«Naturalmente, per evitare che la sicurezza di Severus - il cui doppiogioco è stato ormai scoperto da Voldemort -, quanto quella di Harry siano messe a serio rischio, saremo costretti a non far uscire questa discussione da Grimmauld Place per alcun motivo.»

«E... e Harry dovrà semplicemente essere costretto a sottostare a questa decisione, Albus?» disse Molly, quasi singhiozzante per la sconfitta.

«Ti posso assicurare, Molly, che Harry ha scelto di accettare il nuovo ruolo ricoperto da Severus nella sua vita,» replicò Silente, con quanta più dolcezza possibile, guardando Arthur cingere le spalle della donna in una stretta di supporto. «Sappiamo tutti quanto tu tenga a Harry come ad un figlio, Molly cara, e ti assicuro che nessuno ti vieterà di trattarlo ancora come tale ora che il ragazzo avrà un guardiano nel mondo magico.»

La donna annuì, soffiandosi il naso in un largo fazzoletto. Severus si limitò a fissare in un punto alla propria destra, incurante di ciò che accadeva attorno a lui. Molly Weasley sembrava voler completare la scena della classica madre perfetta fino alla fine...

Severus era certo che il mal di testa gli sarebbe presto tornato solo per causa sua.

Ah, questa riunione è stata un vero supplizio.
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Harry si svegliò nel suo letto di infermeria per quella che sperava essere con tutto il cuore la sua ultima notte lì. Il ragazzo fece una smorfia, prima di raddrizzarsi seduto e massaggiarsi il collo incriccato per la posizione scomoda in cui era stato.

Eppure era convinto di avere fatto un sogno piacevole per una volta.

Gli era sembrato di aver sognato ancora una volta la stessa magnifica cerva argentata che già aveva visto due volte, sia dal vivo, che in stato onirico...

Harry si voltò verso la propria sinistra, adocchiando il tavolo alla quale solitamente poteva vedere Madama Chips intenta a trascrivere prescrizioni e sistemare etichette alle boccette. La donna non c'era. Probabilmente anche lei necessita del bagno a volte, vuol dire che è pur sempre umana nonostante sembri non chiudere mai occhio, pensò Harry, trattenendo un sorrisetto.

Ora che sapeva che la capo-infermiera era assente, il ragazzo si sentì libero di fare qualche movimento in più e inforcò gli occhialetti rotondi per guardare fuori dalla finestra, cercando di capire che ora fosse e quante gliene mancassero ancora per abbandonare quel luogo. Poi, un'idea improvvisa gli si parò in mente.

È un buon momento per visitare Sirius indisturbatamente.

Il ragazzo si lasciò scivolare giù dal letto e pattinò con le ciabatte fino a quello opposto al suo. Scoprendo le tendine con mano trepidante, non poté che rimanere profondamente colpito da ciò che vide.

Sirius giaceva nel letto in maniera completamente rilassata, come se il grosso cane nero stesse facendo il più profondo dei sogni; le sue fauci erano semi-aperte e Harry poté vedere la punta della sua lingua violacea sporgere tra di esse; il suo respiro era irregolare e a malapena udibile.

Il giovane sapeva che i medici non avevano ancora individuato l'antidoto adatto a questo genere di problema. Tutti i farmaci inviati dal St. Mungo erano serviti per il momento solo a ritardare gli effetti del veleno, mentre il resto delle pozioni usate venivano impiegate per lenire i dolori causati dallo stesso.

Il ragazzo appoggiò una mano sul manto scuro e spettinato dell'Animagus, chiedendosi se Sirius potesse sentire qualcosa nello stato in cui si trovava. Gli accarezzò con gentilezza il pelo, che era stato disincrostato da fango e sporcizia con un semplice incantesimo di pulizia.

«Mi dispiace, Sirius,» mormorò Harry, ripensando a come il suo padrino si era interposto tra lui e Voldemort per fare da distrazione. «Ma ti prego... ti prego, non mollare la tua battaglia,» continuò, fissando l'espressione quasi pacifica che il cane aveva in volto. «Anch'io ne ho una da combattere... e ti prometto che farò di tutto per diventare più forte e vincerla,» pronunciò il ragazzo, prima di asciugarsi distrattamente un occhio con la manica del pigiama.

Guardò intensamente il punto in cui sapeva che lo sguardo grigiastro di Sirius sarebbe stato se solo avesse potuto vederlo e pensò agli avvenimenti della giornata. Cosa avrebbe pensato il suo padrino della decisione di accettare Severus Piton come suo custode? Come sarebbe stato avere quel tipo di uomo nel ruolo di tutore? Era evidente che ci sarebbero state regole da rispettare, laddove con Sirius non c'era mai stato nulla del genere nel corso dell'estate... Piton si sarebbe preoccupato di consolarlo come Sirius aveva fatto nei momenti di tristezza?

Laddove Piton era riservato e calcolatore, Sirius era caotico e impulsivo.

Eppure Harry sapeva che, nonostante Piton sapesse nascondere bene le proprie emozioni, l'uomo non ne era assolutamente privo: in più di un'occasione, infatti, era stato spettatore del crollo della sua apparentemente granitica muraglia.

Harry lisciò un'ultima volta il manto di Felpato e si rialzò, pronto a dirigersi, infine, verso il proprio letto prima che Madama Chips potesse scoprirlo. Una volta lì, notò qualcosa di cui non si era avveduto precedentemente, quando era ancora intontito dal recente risveglio.

Sul suo comò si trovava un libro e un pezzo di pergamena, accuratamente ripiegato in modo da spuntare dall'angolo destro del volume. Harry ebbe un tuffo al cuore quando il suo occhio scorse il titolo sulla copertina, vagamente illuminato dalla luce penetrante della luna: 'Milleuno Spunti per Perfetti Incanti', di Barnabis Crockford.

Era il libro che il giovane aveva scoperto diversi giorni prima nella libreria del laboratorio di Piton e che gli era costato una sgridata da parte dell'uomo per aver ficcato il naso nei suoi affari, tanto per cambiare.

Il ragazzo non poté fare a meno di chiedersi se ci fosse anche...

Con il cuore in gola, Harry aprì il tomo e la vide: la lettera di sua madre era proprio lì, nello stesso punto in cui l'aveva lasciata, a infondergli le stesse emozioni di quando l'aveva aperta e letta per la prima volta in assoluto.

Con trepidazione crescente, il ragazzo aprì la nota lasciata da Piton e vi lesse - nella sua calligrafia stretta ed elegante:

    
            Il tuo compleanno è stato più di una settimana fa,
            ma in qualità di tuo guardiano è mio dovere provvedere anche alle questioni più... triviali.
            Questo libro ha per me un grande valore. Mi auguro che tu sappia prendertene cura.

                                                                                      Severus

    
Sì, Piton si preoccupava per lui, concluse il ragazzo con il petto colmo di calore, mentre riponeva con cura la breve, ma significativa lettera lasciatagli dall'uomo insieme a quella di sua madre.

In un modo maturo e responsabile, che teneva conto di bisogni che Harry stesso non sapeva di avere, poiché situati negli angoli più reconditi del suo subconscio, come era emerso dall'ultima volta che Voldemort aveva provato ad attaccarlo.

Ed il ragazzo era certo ormai che Severus Piton fosse la persona più adatta in circolazione al momento per ricoprire il ruolo di suo guardiano.
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Capitolo 19
*** Those We Lost ***


XIX.
Those We Lost







Severus osservava da lontano il ragazzo occhialuto e dai capelli corvini che - seduto sotto un salice in riva al Grande Lago di Hogwarts - se ne stava placidamente immerso nella propria lettura. Erano passati all'incirca ventitre anni dall'ultima volta che qualcuno aveva occupato lo stesso posto con in mano il medesimo libro. Tuttavia, quel qualcuno era solitamente accompagnato da una ragazza dai capelli color fuoco anziché castani.


L'Esperto di Pozioni notò Hermione Granger distogliere momentaneamente l'attenzione dal proprio eserciziario di Trasfigurazione per scambiare una veloce parola con Potter, il quale alzò lo sguardo ad incontrare gli occhi d'onice del suo nuovo tutore. Severus vide il giovane rivolgergli un educato segno di saluto, abbozzando un semi-sorriso, prima di tornare - imbarazzato - a fissare il libro aperto sulle proprie ginocchia.

Severus sospirò, prima di avviarsi verso i due. Se trattare con gli adolescenti non era il suo forte, avere a che fare con Harry Potter appariva come un'impresa ancora più ardua, se possibile, vista la sua complessità.
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«Harry, il professor Piton sta venendo dalla nostra parte.»

«Me ne sono accorto, Hermione.»

«Credi che sia già ora di tornare?»

«Probabilmente,» disse Harry, cercando di nascondere il lieve rossore affioratogli sulle guance. «Che cosa?» chiese poi, captando l'occhiata curiosa lanciatagli dall'amica.

«Stai arrossendo,» rispose semplicemente la ragazza.

«Wow, perspicace, Hermione,» Harry roteò leggermente gli occhi, prima di chiudere il libro che aveva in grembo e di sospirare. «È solo che... non mi sono ancora abituato all'idea di avere qualcuno in particolare a cui fare conto dei miei orari e spostamenti, tutto qui,» spiegò con una certa difficoltà.

Hermione sorrise appena. «Harry, è perfettamente normale sentirsi un po' a disagio,» rispose, rassicurante, «almeno all'inizio. Sono sicura che con il tempo ci farai l'abitudine. Penso che anche per il professor Piton sia una novità, no?»

«Sì, ma in questo caso è lui l'adulto, è diverso,» osservò Harry.

«Beh, si tratta di avere anche più responsabilità,» proseguì Hermione. «Avete solo bisogno di passare un po' di tempo assieme e scoprire i vostri punti in comune. Dovranno pur essercene,» aggiunse, di fronte al grugnito poco convinto di Harry. «Almeno per rompere il ghiaccio. Non penso che parlerete sempre e solo di Tu-Sai-Chi e di Occlumanzia... o sbaglio?»

Harry ci pensò su per un attimo. In effetti, erano state ben poche le occasioni in cui lui e Piton avevano parlato di altro. «Uhm... più o meno?»

Hermione lo fissò per qualche altro secondo, prima di suggerire: «Perché non provi a chiedergli qualcosa riguardo ai compiti che ci ha assegnato per l'estate? Harry, avessi io l'occasione di poter fare quante più domande possibili a un professore per migliorare nella materia l'avrei già colta.»

«Mmh, dubito che Piton possa essere contento di socializzare tramite l'argomento Pozioni,» rispose Harry. A dir la verità, per quanto Piton sembrasse averci messo tutta la propria buona volontà, il ragazzo non poteva che aspettarsi le solite vecchie critiche se solo avesse indirizzato la discussione sulla scuola.

«Harry,» pronunciò Hermione con aria di rimprovero, «evitare di familiarizzare con Piton non risolverà le cose. E poi, credevo volessi chiedergli di poter restare a Hogwarts. Quale momento migliore se non questo?»

Era vero. Da quando aveva lasciato l'infermeria, il ragazzo era tornato a trascorrere gran parte delle proprie giornate a Grimmauld Place, con suo profondo rammarico. Non c'era voluto molto perché Harry iniziasse a provare insofferenza per quel posto, ormai privato del suo padrone di casa, Sirius. Ogni ora, minuto passato tra le mura dell'antica dimora Black, non facevano altro che ricordargli la sorte toccata al proprio padrino e le precarie condizioni in cui ancora versava. In più, condividere la stanza con Ron da quando avevano litigato era diventata quasi un'impresa che non poteva che aggiungersi al suo stress e dispiacere.

«Signor Potter. Miss Granger.»

I due Grifondoro alzarono gli occhi per incontrare l'alta figura nera ormai su di loro, e Harry udì Hermione rivolgere un saluto al professore in una vocina sottile. Inutile dire che Piton sapeva suscitare la solita inquietudine anche con l'espressione più calma del mondo stampata in volto.

«Spiacente di interrompere la vostra - senza dubbio - interessante chiacchierata, ma temo si sia fatto sufficientemente tardi,» spiegò l'uomo con la solita cadenza adottata in classe.

Harry non mancò di notare il sottile invito lanciatogli da Hermione con un'occhiata di parlare a Piton del ritorno a Grimmauld Place. Prima che il giovane potesse aprire bocca, tuttavia, l'insegnante lo anticipò, proseguendo.

«Seguitemi nel mio ufficio; Potter, ti tratterrai qualche minuto.»

I ragazzi annuirono, raccogliendo il materiale che avevano sparso sotto l'albero e accingendosi a seguire l'Esperto di Pozioni lungo il sentiero che riportava al castello. Il silenzioso viaggio non durò più di quindici minuti, compreso il tempo necessario a raggiungere i sotterranei. Harry salutò Hermione e colse l'invito di Piton a sedersi nella sedia di fronte alla sua scrivania.

«Mi è giunta voce che stai dormendo poco la notte. O meglio, meno del solito,» esordì Piton, arrivando al dunque dopo essersi limitato ad osservare il ragazzo per qualche istante. «Perché non ne sono stato messo al corrente dal diretto interessato?»

«Oh, è che ormai ci sono quasi abituato, signore... non ci ho fatto granché caso, davvero,» rispose Harry sorpreso, mentre la sua mente già si arrovellava a pensare a chi potesse aver allertato Piton per così poco.  

Piton valutò il suo sguardo palesemente appesantito dalla stanchezza ancora per qualche secondo, prima di sospirare. «Gradirei esserne informato d'ora in poi, Harry,» disse, adottando un registro meno formale, e il giovane si scoprì sollevato che l'uomo non ce l'avesse con lui per la carenza subita.

«Posso sapere chi, ehm... chi gliel'ha riferito, signore?» chiese Harry, dopo qualche istante. «È che non ne ho parlato con nessuno per cui...»

«Non sono abituato a svelare le mie fonti tanto facilmente, ma dal momento che si tratta della signora Weasley, farò un'eccezione,» rispose Piton, facendo spazio sulla propria scrivania con un pigro gesto del polso. «Deduco che sia stato il tuo... migliore amico a riportarglielo visto che condividete la stanza a Grimmauld Place.»

Harry annuì, facendo del proprio meglio per non lasciar trapelare le proprie emozioni contrastanti al sentir parlare di Ron, nonostante fosse certo che all'occhio attento di Piton non sfuggisse nulla. «Era di questo che volevo parlarle-- ehm, parlarti? Severus

Severus si costrinse a frenare il leggero ghigno che aveva minacciato di salirgli alle labbra nel sentir Potter essere indeciso su come appellarsi a lui. Ignorando il suo tentennamento e l'evidente confusione mista a puro imbarazzo sul volto del Grifondoro, si accinse a ricordargli: «Ho suggerito che usassi il mio nome in circostanze informali perché tu possa sentirti a tuo agio, Harry, non per creare esattamente l'effetto contrario. Non si tratta di un obbligo, per cui sentiti libero di rifarti alle vecchie abitudini se necessario.»

«Okay, grazie, signore,» rispose Harry, grato del fatto che per lo meno Piton avesse avuto tanto tatto da non scoppiargli a ridere in faccia per la sua uscita semi-comica. «Dicevo... potrei trasferirmi nuovamente ad Hogwarts per il resto delle vacanze estive?»

Severus lo osservò per un lungo istante prima di parlare. «I Weasley hanno insistito molto affinché tu tornassi al Quartier Generale dell'Ordine,» disse, evitando accuratamente di aggiungere 'dopo quanto accaduto qui ad Hogwarts'.

«Lo so,» mormorò Harry, consapevole della gioia con cui Molly Weasley l'aveva accolto, a braccia aperte, «ma se potessi tornare alla Torre di Grifondoro--»

«Humpf,» interruppe Piton, «la Torre è fuori discussione, semplicemente perché non vi è più nessun Direttore che possa darti un occhio. Ti ricordo che Minerva McGranitt è ancora ricoverata al San Mungo a causa di Dolores Umbridge.» L'uomo spostò i penetranti occhi neri su quelli verdi del quindicenne, come se stesse valutando con estrema attenzione la sua futura reazione, prima di riprendere parola. «L'unica valida alternativa a Grimmauld Place, al momento, sarebbe che tu venissi a stare nei sotterranei. Sotto la mia supervisione,» concluse, conscio della sorpresa che le sue parole avevano suscitato nel ragazzo.

Harry si fermò a pensare, colpito dalla proposta. Non era affatto ciò che si era aspettato di sentirsi dire, né una decisione da prendere a cuor leggero, pur considerando il nuovo legame di guardiano-protetto che univa lui e Piton da ormai qualche giorno.

«Naturalmente, avrai tutto il tempo che occorre per pensarci, e qualsiasi decisione prenderai, ricordati che non sarà mai necessariamente definitiva,» si sentì in dovere di aggiungere Severus, di fronte alla sua espressione incerta.

«Io... grazie, professore,» fu in grado di dire Harry, impacciato, mentre la sua mente già si arrovellava sulla decisione da prendere. Gli sembrava quasi impossibile che Piton gli stesse offrendo un posto in cui stare, soprattutto se pensava che i suoi stessi parenti sanguigni - i Dursley - consideravano la sua presenza in casa più che un peso, un ignobile destino. Più di una volta era stato minacciato di vedersi sottrarre un tetto dalla testa e ora, ad offrirgliene uno, era niente meno che Severus Piton, l'insegnante che per quattro anni della sua vita aveva provato gusto a tormentarlo.

Severus emise un basso grugnito. «Non devi ringraziarmi, spetta a me badare alle tue necessità in qualità di guardiano, cosa che tu sembri continuare a dimenticare con una certa insistenza,» commentò, con una nota sardonica nella voce, mista a una manciata di rimprovero. «Ad ogni modo,» proseguì, «cambiando argomento... come procedono i tuoi compiti estivi?»

Harry trasalì, sorpreso dalla domanda. «Uhm, bene... penso,» rispose. «Oggi ho terminato quelli di Trasfigurazione, e visto che avevo già finito quelli di Incantesimi a inizio luglio, credo mi manchino solo quelli di--»

«--Pozioni, presumo,» ultimò Piton al suo posto, arricciando le labbra in un sottile ghigno, mentre scuoteva leggermente la testa. «Immagino che sia del tutto inutile ricordarti che poco più di due settimane dall'inizio della scuola non siano sufficienti a produrre risultati accettabili per i tuoi standard.»


«Ho già iniziato a farli,» protestò Harry, in una debole difesa, «è solo un... caso, che siano rimasti per ultimi, tra un impegno e l'altro,» aggiunse, in una voce ancora più piccola.

«Dunque non avresti nulla da ridire se ti chiedessi di portarmi in anticipo quanto hai già preparato, cosicché io possa revisionarlo?» mormorò Severus in voce soave.

Harry impallidì. Piton si stava proponendo per dare un'occhiata ai suoi compiti di Pozioni? Prima della data ultima di consegna? E se tutto ciò non fosse altro che una scusa per tornare a farsi beffe di lui...? No. Non può essersi già dimenticato di tutti i suoi buoni propositi, cercò di rassicurarsi il ragazzo.

«N-no, ehm... certo che no,» rispose, aggiustandosi scomodamente nella sua sedia e mordendosi un labbro.

«Perfetto. Me li consegnerai domani nel primo pomeriggio, dunque, prima di andare ad occuparci di qualcos'altro,» disse Severus, prima di accingersi a spiegare di fronte all'occhiata interrogativa del giovane. «Come ho accennato poco prima, la professoressa McGranitt si trova attualmente al St. Mungo sotto l'effetto di un incantesimo di memoria. Il Preside desidera che ci rechiamo a farle visita perché la vista di facce familiari l'aiuti a ricordare.»

Harry annuì, comprensivo. Aveva parlato con Hermione di quanto accaduto alla McGranitt e di come il senso di colpa per ciò che le era toccato in sorte non cessasse di tormentarlo. Inutile dire che la ragazza si era premurata di rassicurarlo in modo deciso. Da allora, il ragazzo aveva cercato di sopprimere ogni pensiero negativo, memore di quanto fosse facile cadere in preda alla manipolazione mentale di Voldemort. «Immagino che andremo sotto copertura, signore?»

«È quello che io e il professor Silente abbiamo concordato di fare,» assentì Severus, «con l'aiuto di un semplice Incanto di Camuffamento... ma ci sarà tempo per parlare di questo domani,» aggiunse, cogliendo Harry nell'atto di reprimere uno sbadiglio. Inutile dire che le notti insonni non potevano che procurargli un'insolita ondata di stanchezza verso una certa ora. «Passerò a prenderti a Grimmauld Place alle tre in punto.»

Dopo un breve scambio di saluti, Harry si accinse a tornare al Quartier Generale dell'Ordine tramite Metropolvere.

Quella sera, la testa gli girava non poco e lo stomaco trovava estremamente difficile digerire quel poco che il giovane era riuscito a ingoiare dell'abbondante pasto preparato dalla Signora Weasley. Harry non poteva fare a meno che sentirsi agitato per l'indomani, quando avrebbe consegnato quel poco che aveva abbozzato dei compiti di Pozioni a Piton, in esclusiva. In altre circostanze, al ragazzo non sarebbe importato molto della prevedibile opinione dell'uomo riguardo al lavoro svolto, ma ora il Grifondoro si sentiva quasi in dovere di impressionare l'uomo.

Per questo motivo, al posto di andare a coricarsi e a riposare il fisico già abbastanza debilitato, il giovane scelse di restare in piedi a migliorare il proprio tema sugli usi e le proprietà dei pungiglioni di celestino.

Una volta nel suo letto, celato alla vista di Ron dalle coperte e con la propria bacchetta come unica fonte di illuminazione, Harry ci mise tutto se stesso per non farsi intimidire dalla mole di lavoro accumulatasi per i compiti di Pozioni. Era abituato a quel genere di situazione, la quale si presentava bene o male ad ogni fine estate, quando l'inizio della scuola era ormai prossimo.


Quando costretto a stare con i Dursley, vedersi rinchiudere a chiave libri di testo e strumenti da lavoro dai suoi infernali parenti era solo questione di ordinaria amministrazione per il ragazzo. Per cui non c'era da meravigliarsi se si vedeva costretto a risolversi sempre all'ultimo secondo per i compiti. Gli unici al corrente di tutto ciò, tuttavia, erano sempre stati Ron ed Hermione. Harry aveva pensato bene di risparmiare il tutto a Sirius, che avrebbe senz'altro preferito mandare all'aria la propria "libertà" condizionata pur di ripagare i Dursley del trattamento riservato al suo figlioccio in tutto quel tempo.

Harry si impegnò con tutto se stesso per focalizzarsi sul tema. Tuttavia, come le ore passavano, il ragazzo si rendeva conto che mantenere gli occhi aperti diventava sempre più un'impresa. La stanchezza iniziò presto ad avere la meglio, facendo lentamente scivolare il Grifondoro sotto le coperte in un agitato tumulto di emozioni che mai, da quella volta, il giovane avrebbe desiderato più sperimentare.
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Severus era solito dormire poco la notte.

A volte nemmeno si degnava di recarsi a letto, intento com'era ad ultimare le proprie pozioni, a ricercare ingredienti facilmente individuabili solo alla luce della luna, oppure a studiare nuove formule sui suoi numerosi tomi di magia. Abituato a tenere lezioni durante l'arco della giornata, lavorare di notte era presto diventato il momento migliore per dedicarsi alle altre numerose attività richieste dal suo ruolo di insegnante.

L'Ex-Mangiamorte sedeva nella sua poltrona accanto al camino scoppiettante nel suo laboratorio, un libro dalla copertina rilegata nella mano sinistra e la bacchetta d'ebano in quella destra. Il rumore del placido scoppiettio delle fiamme era inframezzato solo dal lieve grattare del mestolo occupato a girare pigramente nel calderone fumante poco più in là della poltrona.

Severus si chiese se fosse stato troppo prematuro offrire a Potter un luogo in cui stare alternativo a Grimmauld Place. Il ragazzo aveva espresso i propri dubbi nel rimanere nella casa del suo padrino, chiaramente non sopportando l'ammontare di ricordi che potevano solo apportargli dolore e senso di colpa per le condizioni in cui Black versava. Eppure, nonostante l'incertezza dimostrata da Potter, all'uomo era parso di percepire un'ondata di gratitudine che andava ben oltre la semplice proposta fattagli.

L'uomo avvolto di nero ultimò la pagina e attese pazientemente che il libro si sfogliasse da solo così da permettergli di andare avanti nella lettura. Forse, sarebbe stato più utile procurarsi un libro per comprendere i meandri della mente complicata di Harry Potter come lettura serale piuttosto che l'ultima antologia pubblicata da Newton Scamander.

Scosse la testa, con un basso grugnito. Non avrebbe mai immaginato che cercare di capire un adolescente potesse essere così difficile...

Proprio in quel momento, le fiamme accanto a lui emisero un sussulto e il camino si illuminò di verde. Severus sospirò, conscio di dover interrompere di lì a poco la propria tranquilla serata.

«Severus,» la voce allarmata di Remus Lupin risuonò nel laboratorio sotterraneo, «si tratta di Harry, abbiamo bisogno di te.»

Severus era già in piedi e di fronte al camino, una manciata di Metropolvere nella mano. «Potresti essere più esplicativo, Lupin?» inquisì, con un sopracciglio inarcato.

«Sembra essere in preda ad un terribile incubo, ma non riusciamo a calmarlo, né svegliarlo... Severus, non abbiamo tempo!»

«Arrivo,» fu la risposta immediata dell'altro uomo, mentre si accingeva a lanciare la polvere nel camino e ad entrarvi.

La prima cosa che Piton notò nel momento in cui mise piede a Grimmauld Place fu l'indicibile trambusto che si agitava intorno a lui, un contrasto piuttosto deciso rispetto al silenzio quasi tombale in cui era stato immerso finora. I suoi occhi captarono gente che andava e veniva - per lo più teste rosse dei Weasley - ma anche diversi  membri dell'Ordine probabilmente di ritorno da qualche missione. Gran parte delle voci, tuttavia sembravano provenire dal piano di sopra, proprio dove l'uomo sapeva si trovassero le camere.

«Quindi Potter ha avuto un incubo,» pronunciò in tono neutro mentre Lupin faceva strada verso il piano superiore. Detto così suona incredibilmente stupido.

«Non un incubo qualunque,» spiegò in fretta Remus. «È come se fosse in balia di una delle sue visioni, mormora frasi sconnesse ed è incredibilmente agitato, ma non si sveglia in nessun modo.»

«Silente è stato avvertito?»

«Si è appena diretto verso il Ministero con una manciata di Auror, pare che ci sia stato un altro attacco dei Mangiamorte in un piccolo borgo Babbano.»

Che i due avvenimenti siano collegati? Severus trasformò un'imprecazione in un basso grugnito, mentre si augurava di non doversi ritrovare davanti per l'ennesima volta un Potter dalla cicatrice sanguinante e convulso.

Con più apprensione di quanto gli piacesse ammettere, l'Esperto di Pozioni si introdusse nella stanza di Potter, evidentemente già occupata da diverse persone. Molly Weasley era sul letto accanto al ragazzo, intenta ad accarezzargli i capelli corvini e impregnati di sudore, mentre ai piedi del letto Hermione Granger si stringeva ad uno sconcertato Ron, nel frattempo che Arthur Weasley tentava di convincerli a lasciare la stanza.

Per un attimo, Severus temette che Harry potesse essere morto. Da come Lupin gli aveva descritto la situazione, il ragazzo era in preda ad un'agitazione subconscia incontrollabile, come altre volte era successo in passato.

Ora, tutto ciò che i suoi occhi registravano nella stanza semibuia in cui si trovavano era il corpo immobile di Potter, di un biancore così cadaverico da far invidia a qualsiasi Infero, completamente abbandonato nell'abbraccio materno di una singhiozzante Molly Weasley.

Con il petto serrato da una morsa gelida, Severus si avvicinò ulteriormente al letto, mentre sentiva Lupin bisbigliare qualcosa sotto-voce, e solo allora trasse un sospiro di sollievo. Potter respirava. E si muoveva ancora, seppur impercettibilmente, visto  che l'unico movimento era quello prodotto dal rapido sbattere delle sue palpebre. Era chiaro che fosse ancora in preda ad un sonno estremamente disturbato.

«Avrò bisogno di usare la Legilimanzia su di lui,» parlò Piton, e la sua voce causò un sobbalzo nella signora Weasley, che mosse solo allora lo sguardo sull'uomo in nero, avvedendosi per la prima volta di lui. «Deve essere portato ad un risveglio graduale se non vogliamo incorrere in ulteriori traumi.»

Molly strinse Harry un po' più a sè, negli occhi una luce quasi ostile, prima di spostare la vista da Piton a Lupin, come a cercare una conferma. Severus si sforzò di non roteare gli occhi al cielo data la situazione e la fastidiosa inquietudine che lui stesso stava provando in quel momento, alla quale non era decisamente abituato.

«Fidati di Severus, Molly, ti prego,» la tranquillizzò Remus, con tono tuttavia urgente, «non sappiamo da quanto tempo Harry sia in quello stato, altri cinque minuti persi potrebbero costargli dei danni per quel che sappiamo.»

La donna tirò su col naso, tuttavia annuendo. «Va bene, ma resterò qui con lui. Hermione, Ron, seguite Arthur, per favore.»

Quando i ragazzi tentarono di protestare, bastò un solo sguardo di Molly a farli ammutolire, cosa che Severus apprezzò non poco. Prima avrebbe potuto dedicarsi a Potter e meglio sarebbe stato. Senza aggiungere altro, l'esperto Legilimens attese che la signora Weasley avesse adagiato il ragazzo nuovamente sul letto prima di andarsi a sedere sulla sponda opposta alla sua.

Due secondi dopo, era nella mente tormentata di Harry.
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La prima sensazione che l'uomo avvertì non appena immersosi nel subconscio del ragazzo, fu un'indicibile ondata di paura.

Paura di fallire.

Di non essere all'altezza.

Di continuare a mettere tutti in pericolo solo con la propria presenza.

Nel frattempo, un bambino prese a piangere in lontananza.

Severus poteva percepirne tutta la solitudine, tutto lo sconforto di cui i suoi singhiozzi erano impregnati. Lui stesso, a suo tempo, ne aveva prodotti di simili.

L'immagine di un sottoscala buio e polveroso apparve nitido di fronte all'uomo. Al suo interno, un bimbo non più grande di otto anni - dai capelli nero corvino e gli occhialetti tondi malamente assemblati - piangeva tutto il proprio dolore.

Con un nodo stretto a serrargli la gola, Severus tese una mano verso la figura, ma poco prima che le sue dita potessero entrare in contatto con la veste del piccolo, delle grida in lontananza attirarono la sua attenzione.  

La scena cambiò improvvisamente.


La targhetta del numero 4 di Privet Drive baluginò nel cono visivo di Severus, che avanzò verso la fonte da cui proveniva il frastuono. Prima che potesse raggiungere la porta d'accesso alla villetta, tuttavia, un'esplosione eruttò proprio di fronte a lui, avvolgendo l'abitazione in una voluta di fiamme e fumo.

«No...»

Severus si voltò alla voce che aveva biascicato a poca distanza da lui.

Potter era inginocchiato a terra, afflosciato su se stesso come se un peso terribile gli impedisse di raddrizzare la schiena. I suoi occhi erano fissi sulla casa in fiamme, come in trance, mentre volute nere fluttuavano sopra di loro. «Harry--»

«È troppo tardi, professore,» la voce del ragazzo era a malapena udibile talmente bassa e inframezzata di singhiozzi, «non sono mai stati dei parenti esemplari... ma erano... erano indifesi... contro... di lui...» Le pupille di Severus si allargarono per un istante mentre la consapevolezza di quelle parole lo colpiva in pieno viso. Petunia. «Nemmeno loro meritavano... questa fine...»

Severus si guardò intorno, distratto dal contrasto di luce che era stato del tutto assente nella scena del sottoscala. Sta albeggiando su Privet Drive.

«No,» disse immediatamente, protendendosi verso il ragazzo e afferrandolo con garbo, seppur con decisione. «C'è ancora tempo. Reggiti forte.»

L'ultima cosa che gli occhi di Harry videro nel momento in cui Severus gli strattonò il braccio per riportarlo con se alla realtà, fu il fumoso Marchio Nero che si ergeva sinistro sulla villetta sconquassata, presagio di morte e terrore.
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«I Mangiamorte si preparano ad attaccare i Dursley,» la voce di Piton risuonò nella stanza semi-oscurata di Grimmauld Place, facendo sobbalzare i presenti, che evidentemente non si aspettavano un suo ritorno così subitaneo. «Lupin, informa gli auror e Silente che il prossimo attacco sarà a Privet Drive, tutto il resto altro non è che un diversivo,» spiegò velocemente, osservando l'altro uomo lanciare un ultimo sguardo a Harry per accertarsi delle sue condizioni, prima di sparire oltre la porta.

Il Grifondoro annaspava nella stretta del Serpeverde, come se fosse appena sfuggito ad un annegamento certo, e Severus allentò leggermente la presa su di lui, in modo da lasciargli lo spazio necessario per riprendere a respirare correttamente, cosa abbastanza difficile a causa delle premure soffocanti già in atto di Molly Weasley.

«Oh, Harry, caro!» La donna non si fece intimorire dalla tosse del giovane, traumatizzato dal brusco passaggio dalla dimensione onirica a quella reale, e prese a battergli sulla schiena per farlo calmare. «Eravamo così preoccupati,» singhiozzò, accarezzandogli il viso come avrebbe fatto con uno dei suoi figli, «perché non ci hai detto che stavi poco bene ieri sera? Oh, se Ron non si fosse accorto che facevi fatica a respirare nel sonno... e fare i compiti a così tarda ora!»

Harry si avvide solo ora che le sue sudate carte erano ancora tutte sparse intorno a lui e lanciò uno sguardo furtivo a Piton, prima di distoglierlo immediatamente, arrossendo: gli occhi scuri dell'uomo stavano scansionando con attenzione i libri di testo di Pozioni e le pergamene sparpagliate ogni dove, mettendo insieme i pezzi del puzzle. Il ragazzo avvertì la stretta del professore sulla sua spalla intensificarsi, in modo deciso, ma allo stesso tempo rassicurante e al giovane - tornato a cercare lo sguardo di Severus - parve di scorgere un brillio colpevole nei suoi occhi.

Con un semplice gesto della bacchetta, libri e carte sparirono, prima che una pozione dal colore blu mezzanotte apparisse nella mano tesa di Piton.

«Non... non riesco a capire...» farfugliò Harry, ancora sotto shock per quanto accaduto, «cosa... cosa può essere successo? Non è stato Voldemort... perché avrebbe dovuto far saltare il suo piano mostrandomi...?»

«Preveggenza da stress,» fu la risposta mesta di Piton, che stappò la boccetta senza distogliere gli occhi dal ragazzo, «poco diffusa nel mondo magico quasi quanto in quello Babbano, ma non per questo da considerarsi un fenomeno raro. Considerando poi gli eccessivi sforzi a cui il tuo fisico già debilitato è stato sottoposto - per causa tua e di altri - direi che sia una risposta più che normale. Temo inoltre che il disagio dello stare qui dentro e a cui hai accennato oggi sia controproducente al tuo benessere psico-fisico, signor Potter.»

«In poche parole... Grimmauld Place contribuisce al mio malessere?» sospirò Harry, prima di aggiungere, in un borbottio stanco. «Se è così, sono ancora più convinto a non volervi più stare,» il suo sguardo si spostò distrattamente sul letto vuoto appartenente a Ron, cosa che non passò inosservata né a Molly né a Severus.

«Ron ti ha dato fastidio in qualche modo, Harry?» esordì la signora Weasley. «Ho notato che non vi parlate più come prima, se ha detto o fatto qualcosa che ti abbia rattristato gli spetta una bella chiacchierata con--»

«Oh, no, signora Weasley, non c'è n'è bisogno, veramente,» disse immediatamente Harry, imbarazzato dall'idea che la mamma del suo migliore amico si sentisse in dovere di intervenire a suo favore nei loro litigi. E ancora di più preoccupato che tutto ciò potesse avvenire davanti all'occhio osservatore di Piton, così che questi potesse scoprire il reale motivo del suo battibecco con Ron. Ah, che vita impossibile. «Si tratta solo di... ehm, un momento passeggero, ecco tutto... nulla di cui preoccuparsi, davvero» cercò di sorridere, sebbene gli stesse martellando la testa dal sonno arretrato.

«Forse,» giunse la voce soave di Severus, a interrompere il loro momento, «potremmo rimandare certe questioni più... triviali, a quando Potter starà meglio,» disse, con un cenno eloquente alla pozione che attendeva ancora di essere bevuta da Harry, ricevendo in cambio un'occhiata grata da quest'ultimo, per il modo in cui era stato prontamente tratto in salvo dall'imbarazzo.

«Mmh,» commentò Molly, ancora poco convinta, come se reputasse il riallacciamento tra Harry e Ron più importante di qualsiasi stupida pozione fumosa. «Sappi che qualsiasi scelta tu voglia compiere Harry caro, avrai sempre il nostro appoggio,» aggiunse, infine, lisciandogli i capelli con una mano e guardandolo con affetto, prima di lasciare che il ragazzo bevesse la propria bevanda conciliatrice e guardarlo sprofondare in un sonno tranquillo e ristoratore.
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«No, no e no, Albus! Prima la storia del guardiano, e ora... lasciare Grimmauld Place per... dei sotterranei freddi e bui? Nemmeno sul mio cadavere!»

«Molly cara, per quanto sia toccato dal tuo affetto per Harry, devi riconoscere che è stato il ragazzo stesso a esprimere il proprio desiderio di abbandonare--»

«Chi si occuperà di lui? Chi gli preparerà da mangiare--»

«Elfi domestici, ovviamente» se ne uscì Severus, con una smorfia semi-comica, meritandosi un'occhiata fulminante da una Molly già abbastanza agitata.

«Humpf, elfi domestici!» sbottò la donna, sempre più basita e infervorata.

«Harry ha chiaramente espresso la sua preferenza nell'abbandonare - seppur momentaneamente - questa casa Molly,» si intromise con calma e gentilezza Silente, posando una mano sul braccio teso della strega, in un gesto cordiale. «Sono convinto che dovremmo tenere in considerazione le sue esigenze, in particolar modo ora che si ritrova a fronteggiare questo genere di... traumi.»

Un leggero bussare sulla porta della sala riunioni interruppe la seduta. Remus, seguito da due Auror, fecero il loro ingresso all'invito di Silente ad entrare.

«La missione è andata a buon fine, seppur con qualche... imprevisto,» annunciò l'Uomo Lupo, con una certa gravità. «Abbiamo anticipato i Mangiamorte di poco. Il loro obiettivo era davvero puntare alla famiglia adottiva di Harry e ne è nato uno scontro impossibile da evitare. I Dursley sono stati scortati al sicuro, ma temo di doverti informare che la loro attuale locazione non è il nostro rifugio ad Hogwarts, ma bensì il San Mungo. Petunia Dursley è in salvo senza alcun graffio... lo stesso non si può dire per il figlio e il marito, al momento ricoverati in terapia intensiva.»

Uno scomodo silenzio calò sul gruppo di maghi seduti attorno al tavolo delle riunioni.

Severus vide il volto di Silente invecchiare nel giro di pochi minuti; era come assistere ad una metamorfosi al rallentatore. Lui stesso, non sapeva bene come reagire. Non era particolarmente sorpreso dal fatto che Voldemort fosse sempre mezzo passo più avanti rispetto a loro, quanto al fatto che - ancora una volta - Harry fosse riuscito a minare i piani del viscido mostro, seppure solo in parte.

Harry, che aveva saputo dimostrare pietà persino nei confronti di pessimi parenti.

Severus considerò ironico che Petunia Dursley dovesse la vita proprio a suo nipote, allo stesso ragazzo che aveva sempre pensato bene di trascurare da quando questi aveva messo piede nella loro casa. O almeno questo era quello che l'uomo aveva percepito nell'attingere da quei frammenti di memoria captati nel corso delle loro sedute di Occlumanzia. Per non parlare di quanto fosse rimasto turbato dalla recente visione di un Harry disperato e piangente all'interno di un sottoscala chiaramente chiuso a chiave.

Avrebbe proprio desiderato fare due chiacchiere con la cara vecchia Tunia sui metodi adottati da lei e il suo ottuso marito nei confronti del figlio di Lily.

Sembrava proprio che una visita fosse in ordine, oh sì.  
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«Suggerisco di rimandare il vostro viaggio al San Mungo di qualche giorno,» la voce di Silente richiamò l'attenzione di Severus, seduto nella propria postazione accanto al letto di Harry, e - in particolar modo - di quest'ultimo, che si drizzò sulla schiena, decisamente meno rilassato di prima. «Almeno fintanto che la situazione non si sarà assestata.»

«Signore, tengo molto a rivedere la professoressa McGranitt,» disse immediatamente il ragazzo, cercando supporto nello sguardo attento di Severus, «e il professor Piton ha detto che i Dursley--»

«Un motivo in più per non incorrere in rischi inutili,» riprese Silente, senza tanti complimenti. Harry non ricordava di averlo mai visto tanto stanco. Lo vide scambiare un'occhiata con Severus, nella quale il ragazzo immaginò si celasse il disappunto nei confronti dell'altro mago per aver deciso di rivelare lo stato attuale dei suoi parenti adottivi. «Non sappiamo ancora se Voldemort tenterà di portare a termine nell'immediato ciò che non è riuscito a ultimare ieri.»

«Abbiamo già rimandato a domani l'incontro, Albus, e temo che posticiparlo ulteriormente non gioverebbe a nessuna delle parti coinvolte,» intervenne finalmente Severus. «Il Signore Oscuro non si aspetta certamente un nostro arrivo al San Mungo alla piena luce del sole, tanto più se agevolati dalle sembianze alterate di cui ci serviremo. Inoltre, più tempo passa e più la memoria di Minerva rischia di diventare compromessa...»

«In questo momento di particolare tensione, temo che sia un rischio da correre, se non vogliamo mettere nuovamente in pericolo la vita di Harry,» fu la risposta immediata di Silente.

Harry guardò Severus inarcare un sopracciglio, chiaramente contrariato dal fatto di essere stato contraddetto così apertamente dall'altro mago. «Dovremmo condurre questo discorso da un'altra parte,» disse l'uomo avvolto di nero, alzandosi.

«Come preferisci,» Silente si spostò di lato, una mano tesa verso la porta ad indicare di anticiparlo verso l'uscita. «A più tardi, Harry.»

«Tornerò per la seconda dose di pozione appena terminato con il professor Silente,» disse Severus, rivolto al ragazzo, prima di seguire il Preside fuori dalla stanza.

Il giovane Grifondoro cercò di rivolgergli un sorriso grato, sebbene sapesse che nulla di buono sarebbe risultato dalla discussione tra i due a giudicare dall'espressione torva che Severus aveva stampata in volto.

«Non ho accettato di diventare il guardiano di Potter perché la mia autorità venga messa in discussione davanti a lui,» esordì Piton, non appena furono soli, lontani da qualsiasi orecchio indiscreto.

«Mi risulta di averti lasciato sufficiente campo libero perché tu possa impartire gli insegnamenti al ragazzo come meglio credi, Severus, non ti sembra di esagerare?»

Severus ricambiò lo sguardo bonario di Silente con marcato scetticismo. «Per favore, Albus, non offendere la mia intelligenza. Come se non conoscessi abbastanza i tuoi metodi di manipolazione,» rimarcò.

«Così mi ferisci, ragazzo mio,» uno sguardo di stupore apparve sul viso dell'anziano mago. «Tutto ciò che ho fatto è stato esporre la mia sincera preoccupazione per la salute di Harry, la cui sicurezza sappiamo essere nell'interesse di entrambi.»

Severus grugnì a bassa voce. «A tal proposito, comincia a preparare una dose di calmante per Molly Weasley per quando il ragazzo lascerà Grimmauld Place, non oso immaginare l'abbraccio stritolante che praticherà su di lui nel momento in cui il suo adorato pulcino abbandonerà il nido materno,» disse, incapace di trattenere una smorfia.

Silente ridacchiò in modo amabile, prima di posare una mano sulla spalla dell'uomo dai capelli neri. «Ti ricordo che sei tu il maestro di Pozioni,» sorrise, prima che il brillio dietro agli occhialetti a mezzaluna si intensificasse. «Ad ogni modo, mi fa onestamente piacere che Harry sia arrivato a guardarti come un punto di riferimento, Severus... nonostante le nostre idee spesso differiscano, confido che farai un buon lavoro con lui.»

«Buona fortuna a convincere la tigre rossa di ciò,» sospirò Severus, con una punta di sarcasmo. «Ed eccola di ritorno per un secondo round,» aggiunse, osservando Molly Weasley avanzare con andatura decisa verso di loro.

«Siamo pieni di risorse, Severus, qualcosa ci inventeremo--»

«Ti  inventerai, vuoi dire,» sogghignò il Serpeverde, avviandosi verso l'uscita opposta alla sala, «dimentichi che ho delle pozioni da somministrare a Potter, oltre che un viaggio al San Mungo da organizzare, quindi... se vuoi scusarmi.»

E prima che Albus potesse ribattere qualcosa al fatto di essere abbandonato in balia della furia rossa, Severus si era già dileguato.
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«Ron sa essere uno stupido alle volte, Harry,» disse una voce femminile dall'altro capo della porta nella stanza al secondo piano di Grimmauld Place. «Non far caso a quello che dice nei suoi momenti di rabbia.»

«Avrei preferito che se la prendesse con me anziché con chi non c'entra assolutamente nulla.»

«Sì, beh... lo sai, il professor Piton non gli è mai stato esattamente simpatico... mmh, in realtà lo stesso si può dire per tutti noi Grifondoro.»

«Vero, e dimentichi Corvonero e Tassorosso,» giunse la voce di Harry, «ma questa volta è diverso, voglio dire... con me non è più il solito Pipistrello dei Sotterranei che tutti pensano, anzi... mi ha offerto un posto dove stare, Ginny. Non è cosa da poco.»

«Lo so, Harry. E ti credo quando dici che Piton non è poi così male come guardiano,» Severus roteò gli occhi al soffitto a quell'ondata di sdolcinatezza, e - avendone abbastanza - bussò lievemente sulla porta, spingendola per entrare in seguito all'invito ricevuto da parte del ragazzo, in concomitanza con le parole della giovane Weasley: «Mi spiacerà tuttavia che non passerai il resto delle vacanze insieme a noi...»

Severus sostò sulla porta semi-aperta, meno preparato alla scena che gli si parò davanti di quanto pensasse. Vedere una testa rossa intenta a occupare il suo posto accanto al letto di Harry - una mano a coprire quella del giovane dai capelli corvini in segno di affetto - causò come un blocco temporale per lui, durante il quale non poté fare a meno di sentirsi proiettato di parecchi anni nel passato. L'accostamento di colori era pressoché identico e a Severus occorse qualche istante per riprendersi dall'ondata di ricordi da cui fu investito.

Poi, Ginny Weasley voltò il capo e l'incantesimo finì, così come l'allegra chiacchierata  tra i due ragazzi. Harry guardò con curiosità il comportamento del suo nuovo guardiano, che si schiarì la gola, riprendendosi dallo stato di tranche in cui era sprofondato - anche se per breve tempo.

«Professor Piton,» salutò timidamente la ragazza, prima di alzarsi per cedergli il posto. «Vi lascio da soli,» aggiunse poi, rivolgendo un piccolo sorriso a Harry, mentre le sue guance si coloravano di una tonalità molto simile a quella dei suoi capelli.

«Com'è andata con Silente?» chiese Harry, una volta che furono soli e l'uomo ebbe nuovamente occupato la sua postazione accanto a lui.

«Il Preside ha ben poca voce in capitolo all'infuori degli incarichi pressoché accademici,» rispose Severus, le labbra piegate in un sottile sorriso compiaciuto.

Harry ridacchiò di fronte alla sua espressione quasi comica. «Credevo fosse anche il capo dell'Ordine oltre che il Direttore scolastico,» commentò, con un velo di astuzia.

Severus ricambiò sfoderando un altro dei sui ghigni sardonici. «Il che rende ancora più soddisfacente disubbidirgli... o sbaglio?» mormorò con voce soave.

Harry scosse la testa, riprendendosi dalla risata. Di sicuro non conosceva quel lato sovversivo di Piton. Poi, un improvviso giramento di stomaco gli fece serrare le mani attorno alla t-shirt blu che indossava.

«Nausea?» chiese Severus, tornando serio.

«Un pochino,» grugnì Harry, prima di sospirare, lasciando passare il dolore.

«Sono gli effetti indesiderati delle pozioni che stai assumendo, direi che per il resto della notte tu possa fare a meno di una seconda dose,» spiegò Severus. «Stenditi supino,» gli impartì poi.

Harry obbedì, seppur confuso dal comando. Osservò come l'uomo si sistemasse meglio sulla sedia, prima di procedere a posare entrambi i palmi delle mani rivolti verso il basso, al di sopra del suo addome, senza tuttavia toccarlo. Dopo qualche secondo, Harry si sentì invadere come da un'energia invisibile, che partiva dalle mani dell'Esperto di Pozioni e attraversava l'aria fino ad entrare in contatto con il suo corpo, infondendogli calore e distensione.

«Professore, cosa...?» mormorò Harry sentendosi già più sereno rispetto a prima, e allo stesso tempo affascinato da quella pratica per lui così inconsueta.

«É una tecnica di rilassamento, o un comune massaggio magico, se preferisci,» rispose Severus senza guardarlo, rimanendo concentrato su ciò che stava facendo. «Non è raro tra i Pozionisti apprendere le arti dei guaritori magici... alternare le due metodologie nei processi di cura delle persone non è altro che un metodo per limitare l'assunzione di eccessivi infusi, a lungo andare tossici per il fisico.» Harry vide infine lo sguardo di Severus posarsi sul suo e guardarlo intensamente negli occhi verdi, prima di aggiungere, dopo una breve ma significativa pausa: «É stata tua madre a insegnarmelo.»

Harry sentì il battito cardiaco accelerare leggermente, preso dalla stessa emozione di quando aveva scoperto per la prima volta la lettera scritta da Lily a Severus. Scoprire ogni volta uno sprazzo in più della vita di sua madre gli procurava una gioia irrefrenabile.

«Mamma studiava per diventare una guaritrice?» non poté frenarsi dal chiedere, con trepidazione nascente.

«Era tra i suoi interessi giovanili, insieme a Pozioni, Incantesimi e Cura delle Creature Magiche,» disse Severus, dopo un'altra piccola pausa, nella quale si concesse il lusso di soffocare una fitta di dolore in ricordo della solare e promettente strega che era stata Lily. «Ricordo che seguì un corso che si tenne a scuola durante il nostro quarto anno, e da allora divenne un interesse personale, da coltivare nel tempo libero leggendo libri e facendo pratica sui compagni volontari.»

Harry era estasiato dalle informazioni di cui Piton lo stava impreziosendo riguardo sua madre. «Era brava in Pozioni?» domandò ancora, in viso un'espressione rapita di chi pende completamente dalle labbra del proprio interlocutore.

«Oh sì, la più brillante strega dell'intero corso,» rispose Severus, con una punta di orgoglio nella voce, prima di interrompersi e schiarirsi piano la gola di fronte a un Harry che cercava di stropicciarsi gli occhi ora lucidi con quanta più discrezione possibile.

«Avrei voluto conoscerla,» bisbigliò il ragazzo, in una vocina sottile, colto da una malinconia insidiosa.

Severus si chiese come potesse consolarlo per una perdita così grave, lui che non era in grado di consolare nemmeno se stesso. E l'ultima volta che aveva confortato qualcuno era stato... troppo tempo fa. Ai tempi di Lily. Interruppe il massaggio, ormai superfluo, e allungò una mano verso gli occhialetti del ragazzo palesemente travolto dalla stanchezza, disinforcandoli dal suo piccolo naso, prima di evocare un fazzoletto candido da porgergli.

Harry ringraziò sommessamente e ne approfittò per soffiarsi il naso. Quando ebbe finito, fu sorpreso di sentire una mano scivolare tra i suoi capelli ribelli e accarezzargli il capo con calma in un gesto di insolito affetto, che tuttavia il giovane trovò estremamente rassicurante.

La voce di Severus era altrettanto tranquilla quando parlò.     

«Sentirsi spossati è normale dopo quello che hai vissuto, ma il massaggio ti aiuterà a farti riposare.»

Harry annuì, sentendosi già più sonnolento. «Credevo dovessimo parlare del viaggio al San Mungo...»

«Parleremo domani di diverse cose, inclusi altri ricordi su tua madre,» promise Severus, osservandolo socchiudere gli occhi mentre cedeva alla stanchezza,  «ora riposa.»

«... Resterai con me? Severus?» parlò nuovamente il ragazzo in un tono quasi infantile, timoroso di rivivere altri incubi come la notte precedente.

Severus allontanò un altro ciuffo ribelle dalla fronte del Grifondoro. «Sì, Harry.»
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Capitolo 20
*** War Victims ***


XX.
War Victims




Il turbinio lo avvolse di sorpresa, senza dargli il tempo di prepararsi all'impatto con il suolo stradale irregolare e catapultandolo in quello che aveva tutte le sembianze di un vicolo sul retro. Qualcuno lo afferrò, trattenendolo in posizione prima che la sua faccia potesse incontrare il dislivello e causargli danno.

«Temo che delle lezioni su come atterrare dopo la Materializzazione siano in ordine, d'ora in avanti.»

Harry si voltò a osservare Severus e l'elegante volteggiare del suo mantello da viaggio. La sua postura era impeccabile. Il ragazzo non poté trattenersi dall'inarcare un sopracciglio, in quella che avrebbe potuto somigliare ad una imitazione perfetta dello stesso Piton.

«É proprio necessario?» borbottò, lisciandosi le vesti stropicciate.

«Assolutamente. L'entrata in scena è fondamentale per un mago,» rimarcò Severus, aiutandolo a ricomporsi. «Per non parlare di tutta la polvere che lasci dietro quando usi il camino... dove andremo a finire?» esagerò il tono esasperato, con un sospiro quasi teatrale mentre scuoteva la testa.

«Severus. Per favore, mi stai mettendo in imbarazzo,» lo pregò sottovoce Harry, aggiustandosi gli occhialetti sul naso mentre tentava di evitare le occhiate di tenerezza lanciategli dalle signore attorno a loro in coda per entrare nell'ospedale. Ai loro sguardi doveva senz'altro apparire adorabile nei panni di un bambino di poco più di otto anni.

Anche Severus non aveva le stesse sembianze di sempre. Il suo aspetto era invecchiato di qualche anno; i capelli corvini erano tagliati decisamente più corti di come era solito portare la sua chioma abitudinaria; il suo mento era incorniciato da una corta barba sale e pepe, e i suoi occhi si avvicinavano per tonalità ad un blu intenso, della medesima sfumatura di quelli sfoggiati nello stesso momento dall'Harry bambino, il quale - a sua volta - avrebbe potuto tranquillamente passare per la miniatura esatta dell'uomo.

L'Ex-Mangiamorte schiuse appena le labbra a formare un piccolo sorriso, e - dietro all'incanto di camuffamento in atto - Harry avrebbe potuto giurare di intravedere la luce sardonica che solitamente caratterizzava i suoi lineamenti. «Da questa parte,» disse l'uomo, indicando il vecchio magazzino dai mattoni rossi di fronte a loro.

Era infine arrivato il loro turno per entrare. Harry osservò Piton sporgersi oltre una delle finestre dell'edificio abbandonato e rivolgersi a quello che aveva tutta l'aria di essere un manichino immobile. Dopo qualche istante, quest'ultimo si spostò di lato, esattamente come aveva fatto poco prima per un paio di streghe - lasciando libero il passaggio e permettendogli di attraversare il gateway magico. Severus si fermò a metà strada, attendendo che Harry lo precedesse, prima di fare lo stesso.

Il giovane eseguì e - un attimo dopo - si ritrovò al di là della barriera, in un luogo che appariva completamente diverso dal fatiscente e abbandonato magazzino labellato Purge & Dowse Ltd. Un basso 'wow' gli sfuggì dalle labbra mentre i suoi occhi vagavano su ogni dettaglio di quel luogo così poco familiare. Pareti di un bianco quasi innaturale circondavano quella che aveva tutta l'aria di essere una considerevolmente grande sala di attesa, ricca di quelli che Harry avrebbe tranquillamente definito "pazienti molto particolari".
  

Il Grifondoro si ritrovò a seguire il Serpeverde con gli stessi movimenti che avrebbe fatto un automa, troppo impegnato a osservare le stranezza che lo attorniavano. Un uomo con un palloncino rosso al posto della testa, un pappagallo che dava ad un bambino lezioni dettagliate in una lingua che il ragazzo non avrebbe saputo identificare, una pianta carnivora dalla quale sbucavano due gambe umane in movimento...

«Ouch.» Harry finì con l'urtare la schiena del suo guardiano magico; Severus lanciò un'occhiata distratta al suo sbadato protetto, senza interrompere la discussione con l'infermiera al bancone presso cui si era fermato.

«Oh, ti sei fatto male, piccolo?»

Harry smise di massaggiarsi il naso dolente, girandosi verso il volto preoccupato di un'altra donna dal camice bianco. «N-no, non è nulla... davvero,» cercò di abbozzare un sorriso, odiando la vocina infantile con cui aveva risposto.

«Non è tenero, Margie? Suona proprio come un ometto,» commentò ancora la seconda infermiera. «Come si chiama?»

«Edgar,» Severus bruciò sul tempo ogni risposta possibile di Harry, che tossì per evitare di strozzarsi dalla sorpresa.

«Proprio un bel bambino,» asserì la prima donna, tornando a guardare Severus con l'aria di chi si sta congratulando con un genitore orgoglioso. Harry sentì le guance avvampare e finse di stropicciarsi ancora il punto colpito per mascherare parte dell'imbarazzo; con la coda dell'occhio osservò l'espressione curiosa sul volto di Piton, la cui poker face parve infrangersi, seppure per un solo istante. A quanto pareva - pensò Harry, ridacchiando internamente - ingannare per anni l'Oscuro Signore doveva essere stata una passeggiata a confronto con le circostanze del momento. «Abbiamo un'area bimbi al nostro secondo piano, può lasciare lì il suo giovanotto e passare a prenderlo al termine della visita, signore.»

«Oh no, temo che ciò non sia possibile,» rispose casualmente Severus, troncando ogni possibile replica da parte del giovane, «Edgar ha insistito molto per poter visitare sua nonna, Minerva... non vorrei privarlo della possibilità di riabbracciarla ora che è qui.»

Harry vide il viso della prima infermiera intristirsi improvvisamente. «Oh, è la paziente di cui mi parlava prima, ricoverata nel Reparto Lesioni da Incantesimo, non è così?» Al cenno di assenso di Severus, il Grifondoro vide la donna rivolgergli uno sguardo simpatetico, cercando di non fargli sentire le parole successive. «Povero piccino, dover assistere a certe scene in età così precoce... Ma vi sto facendo perdere tempo; ecco il vostro cartellino da visitatori,» si corresse, con un colpetto della bacchetta verso il lato destro della loro veste, all'altezza del petto, «e... una caramella per questo piccolo lord,» aggiunse, con una gentile strizzatina d'occhio in direzione di Harry, facendogli apparire uno zuccotto di zucca in una mano.

«Grazie,» mormorò Harry in tono educato, prima di accingersi a seguire Severus verso l'ascensore alla loro sinistra, il più velocemente possibile. «Ricordami di chi è stata la brillante idea di farmi assumere le sembianze di un bambino?» parlò, dopo qualche istante di silenzio.

Severus grugnì. «Albus Percival Wulfric Brian Silente, esperto nell'arte dell'imbarazzare la gente dal 1881.»

«E cosa mi dici di "Edgar"? Seriamente? Edgar?»

«Non è di tuo gradimento?» replicò Severus, inarcando le sopracciglia in una finta espressione sorpresa.

Harry roteò gli occhi e lasciò cadere l'argomento, sapendo che a nulla sarebbe valso cercare di convincere l'uomo delle proprie ragioni. Ben presto, l'ascensore si fermò al quarto piano e i due sbucarono in un corridoio tanto bianco quanto la reception al piano terra. Il ragazzo si guardò intorno, spaesato, finché non notò i piccoli numeri posizionati al di sopra di ogni porta laterale.

«Stanza 459,» indicò Severus, lanciando uno sguardo dietro di sè per assicurarsi che Harry lo stesse seguendo. Il giovane era però attualmente intento a fissare quello che aveva tutta l'aria di essere un piccolo chiosco per visitatori e pazienti; il Grifondoro ne fu immediatamente attratto come da una calamita, colto da un'idea improvvisa.

«Avete anche i fiori?» chiese Harry, dopo essersi avvicinato alla bancarella e aver salutato l'uomo e la donna dietro di esso.

«Certo che sì, figliolo, nove falci per un bel mazzetto di gigli,» rispose l'uomo, osservando il punto in cui gli occhi di Harry si erano posati. Ricordava che la professoressa McGranitt era solita tenerne uno in un vaso sulla scrivania del proprio ufficio.

Harry pescò nella propria tasca, alla ricerca delle monete necessarie, ma nello stesso istante in cui le dita si chiusero intorno ad una manciata di falci, un leggero tintinnare nella sua mano libera lo distrasse. Confuso, Harry sollevò lo sguardo verso Severus, che gli lanciò un'occhiata eloquente. Il giovane fece per aprire bocca per ringraziare e cercare - al tempo stesso - di rifiutare i soldi, ma l'intensità negli occhi dell'uomo lo fermò, ricordandogli le parole che solo il giorno prima gli aveva rivolto.

Non devi ringraziarmi, spetta a me badare alle tue necessità in qualità di guardiano.

Riconoscente, il ragazzo concluse il piccolo acquisto, prima di riprendere a camminare lungo il corridoio immacolato assieme al Serpeverde. Di tanto in tanto ad Harry capitò di vedere medi-magi correre ed affaccendarsi da un lato all'altro del reparto, presi ad occuparsi delle numerose emergenze in atto o dei vari casi più gravi. Molti di questi, notò Harry erano Auror, maghi e streghe, ma anche Babbani, tutti - chi più e chi meno - vittime della comune guerra in corso. Nel giro di qualche minuto, i due si ritrovarono di fronte ad una porta identica a tutte le altre, ma riportante il numero che stavano cercando. Severus si guardò intorno prima di spingere Harry con se oltre l'uscio ed entrare. Al di là della porta, il primo letto era occupato da una signora anziana che discuteva animatamente con un signore che poteva essere solo suo marito a giudicare dalle frasi sconnesse captate da Harry. I due si interruppero brevemente nel vederli entrare, sorridendo lievemente in direzione dei nuovi arrivati. La figura ospitata nel secondo letto era invece mascherata da un classico paravento ospedaliero, che ne celava i tratti.

Severus vi guidò Harry, accertandosi che entrambi fossero ben nascosti dalla barriera di tela prima di estrarre la bacchetta. Con un fluido gesto del polso, l'Incanto di Camuffamento abbandonò i due maghi e Minerva McGranitt - nel letto a due passi da loro - emise un leggero sussulto, tutta a un tratto sveglia.

«Professoressa McGranitt?» tentò Harry, speranzoso, cercando di accantonare il ricordo dell'ultima volta in cui l'aveva vista, lo sguardo allora stravolto da puro orrore per il suo stato di salute, poco prima di essere scagliata come una bambola inanimata contro la parete dell'ufficio di Silente. «Riesce a riconosc--?»

«Oh, ma che bei fiori,» disse la donna, con un largo sorriso ad aprirle il volto visibilmente deperito, «come facevate a sapere che sono i miei preferiti?»

Harry lanciò uno sguardo a Severus, che gli fece segno di continuare e prendere posto nella sedia accanto alla donna. Sembrava piuttosto evidente che la Direttrice di Grifondoro non avesse ancora recuperato la propria memoria. «Perché so che li tiene in un vaso ad Hogwarts, professoressa,» rispose gentilmente il ragazzo.

«Oh,» ripeté la donna, spostando lo sguardo dall'uno all'altro come se qualcosa non le tornasse, «anche voi con questa storia della scuola di magia?»

«Minerva, siamo qui per aiutarti a ricordare quanto avvenuto la scorsa settimana. Io ed Har--»

«Shhh,» interruppe la strega, portandosi un dito alle labbra e fulminando Severus con gli occhi, prima di far loro cenno di avvicinarsi. Con confusione crescente, Harry guardò il proprio guardiano, che si limitò ad annuire. «Finalmente, dei volti amici,» sospirò la donna, prima di allungare una mano a stringere il braccio del suo giovane allievo, «è bello vedere che stai bene, Harry,» disse ancora, sinceramente sollevata. «Severus, mi meraviglio di te--»

«Ho lanciato l'Incanto Muffliato prima di sederci, possiamo parlare liberamente,» interruppe Severus, l'angolo destro delle labbra arricciato in un piccolo sorriso, spiegando anche per Harry, che si era rivolto a lui, sempre più perplesso. «Deduco che tu abbia ritrovato la memoria, Minerva?» riprese l'uomo.

«In parte,» rispose la donna, i suoi lineamenti austeri nuovamente tesi a formare un'espressione seria, «abbastanza da accorgermi di essere sorvegliata a vista,» aggiunse, con un lieve cenno in direzione delle uniche due persone che occupavano la stanza oltre a loro. «Spie del Ministero, senza dubbio. Caramell è ormai poco più che una pedina nelle mani del Signore Oscuro, non mi meraviglierei se questi due non fossero a loro volta sotto effetto di un incantesimo di camuffamento.»

Harry si girò instintivamente verso la coppia di anziani che rimaneva oscurata dal paravento, un brivido a percorrergli la schiena. Il sorriso che aveva ricevuto poco fa dai due appariva ora quanto mai sinistro nella sua mente. «Da quanto tempo sono qui? Perché Silente non era al corrente...»

«Si sono spostati qui appena quattro giorni fa e lanciare un Patronus per mandare un messaggio senza bacchetta, in queste condizioni, era fuori discussione... stupide misure di sicurezza che impediscono ai pazienti di possedere bacchette nel corso del ricovero,» la McGranitt sospirò, stizzita, «inoltre, ho iniziato a riacquistare parte della memoria solo dall'altro ieri... certo, niente ha finora aiutato tanto quanto vedere Severus Piton ed Harry Potter riuscire a coabitare civilmente nella stessa stanza per più di cinque minuti,» fu il suo turno a sorridere adesso, incapace di trattenere una nota divertita nella voce, nonostante l'evidente stanchezza.

Severus emise un leggero grugnito, rapido nel cambiare argomento come una biscia a scivolare sul pelo dell'acqua. «Dobbiamo fare in modo che ti dimettano quanto prima da qui,» disse, mentre i suoi occhi scuri vagavano sulla sagoma in movimento del vecchio affianco, in procinto di abbandonare il suo posto accanto alla "moglie". «Avrò Silente qui prima di sera, il San Mungo non può trattenerti se dimostriamo che la tua salute non è più precaria.»

«Non so cosa stia succedendo di preciso dietro le mura del Ministero, ma ti posso assicurare che non è nulla di buono, Severus,» continuò la donna, con enfasi. «L'ultima cosa che vogliamo è che il conflitto si espanda ad Hogwarts... Oh, come faremo con la scuola aperta? Cosa diremo alle famiglie dei ragazzi...?» proseguì, la voce sempre più spezzata mentre la foga lasciava spazio all'angoscia di un futuro incerto.

«Affronteremo quel che verrà, se e quando succederà, Minerva,» rispose subito Piton, «quello di cui abbiamo veramente bisogno adesso, è che tu ti rimetta pienamente in sesto e ritorni tra le fila dell'Ordine. Per quanto sia poco caratteristico da parte mia ammetterlo,» aggiunse, facendo per alzarsi e sfoderando uno dei suoi più celebri sorrisetti sardonici, «avremo bisogno della nostra incrollabile muraglia per i tempi che verranno.»

«Starà bene, professoressa?» chiese Harry, ripensando alle parole della donna riguardo al Ministero della Magia, ormai colluso con Voldemort.

Minerva si soffiò brevemente il naso, già ristabilitasi dal suo piccolo momento di defiance. «Non sottovalutare l'orgoglio di un'anziana strega, Signor Potter,» rimbeccò, con un velo di ironia. «Ora, sarà meglio che andiate o darete nell'occhio,» continuò, strizzando gentilmente l'occhio in direzione di Harry, una luce scaltra nello sguardo chiaro, «sono ancora troppo giovane per avere un figlio ed un nipote così grandi.»

Harry le sorrise, apprezzando la forza d'animo della sua direttrice anche in quella circostanza e decidendo di tralasciare il fatto che Severus l'aveva additata come 'nonna' alla reception. Reprimendo un piccola risata interiore, il ragazzo si sottopose all'incanto che l'avrebbe fatto diventare nuovamente bambino. Una volta abbandonata la stanza numero 459, il giovane osservò un filamento argenteo lasciare la punta della bacchetta di Piton e prendere la forma dell'ormai familiare cerva d'argento che l'uomo aveva per Patronus.

«Silente sarà subito avvisato,» mormorò Severus, prima di notare che lo sguardo del giovane sembrava ancora turbato e scosso dalle recenti rivelazioni. L'uomo gli si posizionò di fronte, controllando di non essere osservato, per poi posargli una mano sulla spalla e osservarlo con la stessa luce intensa di qualche minuto fa. «Voglio che i visi di quei due ti rimangano impressi nella mente, Harry. Quella che stiamo combattendo è una guerra in cui il nemico può assumere le sembianze di chiunque; potrebbe nascondersi dietro il volto del tuo vicino di casa, del tuo compagno di banco e... persino del tuo migliore amico,» gli occhi di Harry incontrarono i suoi, sorpresi e Severus continuò, la sua voce più sottile e marcata, e la presa sulla sua spalla più serrata. «Ogni errore che compi potrebbe essere l'ultimo.»

Harry deglutì e attese qualche attimo prima di aprire bocca. «Come faccio a sapere quando sto per compierne--»   

«Comincia da quest'istante. Da quest'anno, niente più stupidi gesti eroici, niente più insensati atti di coraggio. Imparerai finalmente ad usare quell'adorabile cervello di cui i tuoi genitori ti hanno tanto gentilmente dotato come un vero Serpeverde, fosse l'ultima cosa che faccio.»

«Hey,» interruppe il giovane, stizzito, «siamo già tornati alle offese?»

«Se servirà a risvegliare un po' di sano amor proprio e a salvarti la pelle, sono disposto a fare ben di peggio,» proseguì Severus, con una nota finale nella voce e un'occhiata ancora più grave, se possibile.

«Non tollererò che mio figlio e mio marito siano detenuti in questo manicomio un minuto di più! Per giunta in camere così distanti l'una dall'altra!»

Una voce stridula proveniente dall'estremo opposto del corridoio interruppe lo scambio tra guardiano e protetto. Harry riconobbe immediatamente il tono esigente e altezzoso di Petunia Dursley senza nemmeno doversi voltare verso il punto da cui il chiasso proveniva.

«Abbiamo il tempo per un'altra visita?» chiese Harry, guardando sua zia allontanarsi a grandi passi dalla stanza per andare a protestare con chi di dovere, evidentemente non apprezzando il tentativo, da parte delle infermiere di reparto, di calmarla.

Severus osservò la luce speranzosa nello sguardo del giovane e si sforzò di concedere un semplice cenno di assenso. «Se proprio insisti...» gli accordò, prima di rassegnarsi a seguirlo verso la stanza dove doveva attualmente trovarsi almeno uno dei suoi parenti feriti. 

Una volta entrati, Harry si chiese se avessero sbagliato. Suo cugino Dudley era attualmente l'unico ricoverato all'interno della camera in cui si trovavano, ma il giovane Grifondoro per poco non lo riconobbe dallo stato in cui il suo coetaneo si trovava. Il volto di suo cugino era così gonfio e tumefatto che Harry stentò a credere di trovarsi di fronte alla stessa persona con cui era abituato a passare orribili estati.

Dudley si mosse impercettibilmente nel sonno, come se avesse percepito di non essere più solo nella propria stanza. «... ma-mma...?» mugugnò, tuttora incosciente, e Harry non poté che essere mosso a pietà dallo stato in cui suo cugino versava. «... a-acqua...» Il Grifondoro lanciò uno sguardo a Severus, che lesse nei suoi occhi la silenziosa richiesta, sospirando; un semplice gesto della bacchetta fu sufficiente a reidratare il giovane che giaceva nel letto.

«Cosa... cosa gli hanno fatto?» mormorò Harry, gli occhi ancora fissi sulla figura lesionata del cugino. «Molti di loro hanno figli della nostra età,» proseguì Harry, spostando il suo sguardo mesto da Dudley a Severus, alla ricerca di risposte. «Come hanno potuto compiere atti così orribili contro chi non è nemmeno capace di difendersi...?» domandò ancora, questa volta con più veemenza se possibile, colto improvvisamente da una rabbia inedita fattasi strada dai i meandri del suo stomaco fino a salirgli in petto.

«Tuo cugino non è né la prima né l'ultima delle giovani vittime di violenza subita da parte dei Mangiamorte,» si limitò a rispondere Severus, in volto la stessa espressione neutrale di sempre. «La loro crudeltà e il terrore verso il loro Signore non conosce confini.»

Harry rimase in silenzio per qualche istante, i suoi occhi chiari nuovamente posati sulla figura ora  immobile e dormente di Dudley. «È tutta colpa mia,» disse infine Harry, la voce impregnata di rancore misto a sconfitta, «se solo non fossero mai stati coinvolti nella mia vita, a quest'ora non avrebbero dovuto subire qualcosa di tanto imperdonabile--»

«Quello che hanno fatto a te, Harry, è imperdonabile,» lo fermò subito Severus, marcando con enfasi le sue parole e costringendolo a voltarsi con gentilezza, ma decisione, gli occhi illuminati dalla stessa luce intensa di poco prima. Non poteva sopportare di sentire quella rassegnazione nella voce del ragazzo, «i Mangiamorte, i Dursley... nessuno di loro merita la tua pietà.»

«I Dursley erano indifesi! Il fatto che siano stati orribili nei miei confronti per anni non cambia nulla. Se io non fossi andato a vivere con loro, i Mangiamorte non li avrebbero mai presi di mira!» continuò Harry, intestarditosi, sempre più convinto delle proprie ragioni. «Nessuno merita di fare questa fine, soprattutto non per una battaglia che non li riguarda...»

Severus scosse la testa, le labbra arricciate in un sorriso sardonico che non poteva fare a meno di ricordare a Harry i tempi in cui gli si sarebbe gelato il sangue nelle vene nel vederlo. «Questa guerra non conosce differenze tra maghi e Babbani, e il tuo ottuso, infantile, idealismo non fa altro che dimostrare quanto sto dicendo,» scandì il l'ex-spia e Harry si sentì inesorabilmente ferito dal ritorno all'uso degli insulti neanche poi tanto velati da parte dello stesso uomo che era diventato suo mentore e guardiano. «Hai forse dimenticato le nostre sedute di Occlumanzia? Credi che non abbia visto gli abusi a cui questi inetti esseri ti hanno sottoposto per tutti questi anni? Solo uno stupido non ricorderebbe che sta parlando degli stessi parenti che gli hanno reso la vita un inferno quando avrebbero dovuto--»

«Lo avresti ucciso?» fu il turno di Harry a interrompere Severus, cercando di ingoiare l'ennesima offesa del professore e di spostare l'attenzione su qualcosa che nulla avesse a che vedere con tutti i soprusi patiti per mano dei suoi parenti, concentrandosi - al tempo stesso - su quello che più gli premeva in quel momento. «Avresti ucciso Mulciber, se Voldemort non fosse intervenuto? Se io non ti avessi fermato?» ripeté, ignorando la fitta di dolore che balenò per un istante negli occhi del suo guardiano al sentir pronunciare il nome proprio del suo vecchio padrone. Dentro di sè, il giovane provava l'urgente bisogno di confermare le proprie paure, i propri dubbi. Se diventare più forti - come Severus gli aveva promesso di insegnargli ad essere - avrebbe voluto dire rinunciare alla propria umanità e trasformarsi in cinici e pragmatici misantropi come Piton, allora forse lui non era tagliato per questo. Aveva bisogno di sapere. Doveva sapere, se questo nuovo mutuo accordo tra di loro, questo nuovo tentativo di convivenza avrebbe potuto funzionare...

«Harry--»

«Rispondi alla domanda,» incalzò Harry con più fervore, liberandosi dalle mani dell'uomo ancora posate sulle proprie spalle, completamente incurante dell'occhiata con cui Severus lo fulminò. Solo allora quest'ultimo sembrò - per la prima volta durante il loro alterco - essere realmente in difficoltà.

Severus socchiuse gli occhi per qualche secondo, prima si sospirare infine. «Sì,» rispose, e il Grifondoro sentì il pavimento vacillare per un istante, sotto i propri piedi, «sì, lo avrei ucciso.»

Harry annuì in modo assente, quasi meccanico, il suo sguardo posato in un punto non precisato della stanza. Si sentiva stremato dalla loro discussione, prossimo alle lacrime e in procinto di soccombere alla stanchezza. Tutto quello che avrebbe voluto fare era urlare in faccia a Piton e scappare il più lontano possibile da lì.  Invece, solo una delle due cose gli riuscì, perché la sua voce suonò estremamente calma quando parlò.

«Io ho scelto di darti una seconda possibilità,» esordì, cercando di nascondere l'evidente delusione nel suo tono basso e pacato, ma non per questo meno micidiale, «ma è evidente che solo uno stupido avrebbe potuto sperare che sarebbe valso a qualcosa.»

Severus fissò il punto in cui Harry aveva ripreso a muoversi, in procinto di uscire dalla stanza in cui ancora si trovavano e qualcosa in lui scattò. Le parole del giovane erano state in grado di colpirlo come uno schiaffo in pieno viso. «Harry James Potter,» la sua voce era aspra e intimidatoria, in particolar modo nel momento in cui si soffermò volutamente sul secondo nome del Grifondoro. «Non provare nemmeno a varcare quella so-- Potter!»

Harry non prestò ascolto, incurante dell'ira evidente nella voce minacciosa del suo professore, lui stesso infervorato da un mix pericoloso di emozioni e nessuna di queste positiva. Non sapendo bene dove andare, il giovane continuò a correre lungo il corridoio ospedaliero. Il suo vagare durò poco tuttavia, perché ben presto la sua faccia entrò sgraziatamente in contatto contro qualcosa che tutto era tranne che morbido.

«Ma tu guarda che bel bambino... cosa fai tutto solo in giro per questo posto?»

Harry sollevò gli occhi fino a incontrare il volto pieno di rughe di un anziano dall'aria incredibilmente familiare... Harry sentì la schiena gelarsi per la seconda volta di seguito quel giorno, mentre si rendeva conto che quello era lo stesso vecchio da cui la McGranitt li aveva messi in guardia.

«Non ci siamo forse già incontrati?» proseguì il vecchio, con aria amichevole, fin troppo amichevole. «Oh, ma sì! Poco fa, nella stanza con mia moglie? Devi scusarmi, ma la mia memoria fa cilecca ormai il più delle volte,» continuò ridacchiando bonariamente. Lo sguardo dell'uomo si fece per una frazione di secondo più serio, probabilmente perché Harry aveva iniziato a muoversi a disagio, nella sua testa mille voci che gridavano tutte la stessa cosa: scappa. «Cosa c'è, piccolo? Sei preoccupato perché hai perso il tuo papà? Ti aiuto io a ritrovarlo,» sorrise di nuovo sereno l'anziano.

«N-no,» disse Harry, iniziando ad arretrare impercettibilmente, «n-no, grazie, non ce n'è bisogno...»

«Temo che dovrò insistere allora,» proseguì l'uomo, «sai, non vorrei mai che un bimbo come te si perda in un posto così grande e pieno di strani soggetti...»

Harry deglutì. Si era pentito amaramente di essere corso via senza curarsi nemmeno della possibilità di cacciarsi nei guai, per di più dopo essersi ripromesso di non fare più stupidaggini, né errori... Indietreggiò ancora, vedendo l'uomo avanzare con fare sicuro verso di lui.

«Edgar?»

La sua schiena toccò qualcosa in movimento e il timbro basso e sicuro della voce che aveva parlato gli sembrò musica per le sue orecchie. Nello stesso istante in cui un braccio andò a circondargli le spalle, Harry vide l'anziano che lo aveva importunato cercare di camuffare l'espressione sorpresa che gli era balenata in viso per poi fare un passo indietro.

«Quante volte devo dirti che questo non è il posto adatto per giocare a rincorrersi?» continuò Severus, attirandolo accanto a sé come per rimarcare le proprie parole, in quella che aveva tutta l'aria di essere una vera e propria paternale. Harry notò che sembrava completamente un'altra persona rispetto a prima, ma in quel momento non gli importava. Era salvo.

Il giovane mormorò, nella sua piccola voce, uno "scusa" che voleva essere in qualche modo anche un anticipo di quello che avrebbe voluto dire a Severus per l'atteggiamento stupido che aveva appena avuto e che - per poco - non aveva causato seri problemi a tutti, lui in primis.

«Che dire... tutto è bene quel che finisce bene?» sorrise nervosamente l'uomo, prima di scivolare via in modo tanto disinvolto così come era arrivato.

Harry attese qualche istante prima di tornare a respirare a dovere, la paura che lo aveva investito poco prima ancora ben presente. Solo allora poteva realmente rendersi conto di quanto vulnerabile si sentisse nelle sembianze attuali. In quel momento, si accorse che Severus era ancora fermo accanto a lui, la stessa mano ancora a tenerlo saldamente contro di sé e il viso dall'espressione perennemente imperscrutabile rivolto verso di lui. Il giovane non mosse un muscolo, in attesa della sentenza che sapeva sarebbe arrivata... questione di secondi ormai... 

«Mai più,» fu tutto ciò che uscì dalle labbra di Severus, in un sibilo in grado di procuragli mal di pancia seduta stante.

Harry si morse il labbro inferiore, consapevole di non potersi permettere repliche in quel momento di evidente svantaggio. Sapeva che una discussione era in ordine, rimandata a quando entrambi sarebbero stati soli, lontano dagli spettatori che avevano iniziato a popolare il piano del San Mungo in quel frangente. Con estrema docilità - nel tentativo di non peggiorare la propria posizione già sufficientemente precaria - permise all'uomo di guidarlo verso l'ascensore. «Dove andiamo adesso?» domandò nervosamente, in una voce piccola piccola.

«A prendere le tue cose prima di tornare a Hogwarts,» tagliò corto Severus. «Dove faremo i conti per il tuo comportamento insolente e immaturo,» aggiunse, con la voce pericolosa di chi sa benissimo cosa sarebbe successo una volta arrivati a destinazione.

Harry deglutì. Se c'era una cosa che aveva imparato nel corso della sua giovane vita, era sapere benissimo quando si trovava in guai seri. Era evidente che la sua situazione attuale non prevedeva nulla di buono. Piton lo avrebbe punito, esattamente come avrebbe fatto in passato ad Hogwarts durante l'anno scolastico e tutto tra loro sarebbe tornato come prima, ne era certo. Forse, da un lato, sarebbe stato meglio così, piuttosto che continuare con la farsa delle buone intenzioni che solo due giorni prima si erano promessi durante il giuramento... Ed Harry non avrebbe neanche potuto replicare, perché sapeva che aveva torto, che scappare in quel modo era stato sciocco, infantile e tutto ciò che Severus gli aveva appena detto di non fare per garantire la propria sopravvivenza...

Il viaggio di ritorno dal San Mungo all'esterno durò insolitamente poco - troppo poco per Harry - e ben presto venne il momento di Materializzarsi. Preparandosi psicologicamente a schiantarsi contro il suolo del vialetto principale di Grimmauld Place, Harry accettò il braccio teso del suo professore, prima di essere proiettato nel familiare e nauseante vortice che tanto detestava. Ma l'impatto contro la dura pietra non avvenne mai, perché anche questa volta Harry fu afferrato appena in tempo dall'uomo al suo fianco, cosa che gli permise di evitare una rovinosa caduta.

Harry sollevò lo sguardo sul Maestro di Pozioni, confuso e - al tempo stesso - sorpreso dal gesto. Avrebbe giurato che, tornando tutto come prima tra di loro, Piton avrebbe ripreso le buone, vecchie abitudini che tanto lo rendevano celebre tra gli studenti a Hogwarts, ovvero consistenti nel ritornare a vederlo come il solito, imbranato, buono a nulla Potter e a trattarlo di conseguenza, facendogli urtare volutamente la faccia contro il pavimento così da insegnargli una lezione e prendendolo anche in giro per questo. Di certo non si sarebbe aspettato, invece, un suo comportamento tanto distintamente non 'Pitonesco'.

Severus ignorò completamente la sua occhiata e bussò tre volte sull'uscio del Quartier Generale dell'Ordine. Arthur Weasley aprì loro la porta e i due si introdussero all'interno, accolti ben presto da alcuni membri dell'Ordine in procinto di uscire in missione. Harry cercò con lo sguardo Remus tra di essi, ma sembrava che l'uomo non si trovasse alla base per il momento.

«Silente ha ricevuto il tuo Patronus, Severus,» spiegò Arthur per loro, mentre la squadra guidata da Moody attraversava la porta dalla quale i due erano appena entrati. «Minerva sarà presto in buone mani e di nuovo tra noi.»

L'uomo dai capelli neri annuì, mentre l'Incanto di camuffamento spariva del tutto per entrambi. «Sono tornato a prendere le cose di Potter,» disse, con l'espressione più neutrale ed incolore di questo mondo, prima di rivolgersi al ragazzo di fianco a sè, il quale era intento a osservare con estrema cura i buchi nel tappeto sconquassato su cui sostavano al momento. «Va' pure di sopra a salutare i tuoi amici, mentre scambio due parole con il signor Weasley. Mi aspetto che tu sia qui tra quindici minuti.»

«Sì, signore,» mormorò Harry con voce sommessa, per poi allontanarsi dall'ingresso con lo stesso umore di un condannato al patibolo. L'idea di incontrare Ronald Weasley - con il quale non si era ancora riappacificato - prima di fronteggiare Severus Piton a Hogwarts sicuramente non poteva che migliorare il suo umore.

«Harry!»

Hermione e Ginny furono le prime ad avvedersi di lui, non appena ebbe varcato la soglia della camera che aveva condiviso fino a quel momento con Ron. Il Ragazzo Sopravvissuto lanciò un'occhiata all'amico e i loro occhi si incrociarono per un breve istante, prima che entrambi lo distogliessero alla svelta, quasi mortificati l'uno con l'altro.

Hermione non si lasciò sfuggire lo scambio appena intercorso ed emise un leggero sbuffo irritato, stanca di dover sopportare l'infantilismo dei suoi due migliori amici. Era evidente che entrambi volessero fare pace l'un con l'altro, nonostante nessuno dei due si decidesse a mettere da parte l'orgoglio per fare la prima mossa. «Avete intenzione di tornare a parlarvi voi due, o che cosa?» sospirò infine, adocchiandoli con la stessa aria severa di Molly Weasley.

«Potresti non rivedere Harry fino all'inizio delle lezioni, vuoi davvero farlo andare via così, senza neanche salutarlo?» Ginny redarguì il fratello, che le lanciò un'occhiataccia di sottecchi, prima di alzare di nuovo lo sguardo verso Harry, una luce di ostilità ancora presente.

«Mamma ha detto che andrai a stare con Piton,» disse il rosso, cercando di non pronunciare il nome dell'insegnante con troppo disprezzo. «Era così difficile aspettare l'inizio delle lezioni per stare con lui, anziché passare il resto dell'estate con i tuoi amici, Harry?»

Harry roteò gli occhi al soffitto, irritato. Doveva aspettarselo che Ron avrebbe fatto il difficile, proprio quando si aspettava che si sarebbero invece riappacificati. «Andrò per tornare a studiare Occlumanzia ed essere addestrato in Difesa Contro le Arti Oscure, Ron, di certo non per giocare a nascondino nei sotterranei,» ribatté stizzito. Soprattutto non dopo come gli ho gridato in faccia e sono corso via al San Mungo...

«Giusto,» continuò Ron, incurante dello sguardo fulminante rivoltogli da Hermione, «perché non potevate farlo semplicemente qui, vero? Come avreste potuto altrimenti rafforzare la grande amicizia nata dalla vostra improvvisa e reciproca rivelazione...»

«Ron, adesso basta, sei davvero infantile!»

«Io sarei infantile, Hermione?» replicò Ron, nonostante Harry non avesse ancora risposto alla sua provocazione. «Harry non ha neanche avuto il coraggio di ammettere che lascia questo posto perché non riesce nemmeno più a guardarmi in faccia, figuriamoci continuare a condividere la stanza con me!»

«Questo non è vero, Ron,» disse Harry, a disagio. O almeno, non era del tutto vero. Una parte di sé sapeva che l'amico non aveva tutti i torti, e questo lo faceva sentire in colpa come non mai. «Grimmauld Place non è più lo stesso da quando Sirius non c'è più, e Severus ha detto che il luogo contribuisce a--»

«Oh, è Severus, adesso, non è così?» esclamò Ron, trionfante e fuori di sé, la faccia ormai dello stesso colore dei propri capelli e qualsiasi buona intenzione ormai nel dimenticatoio. «Beh, se tu sei in grado di ignorare quattro anni di tormenti e prese in giro, buona continuazione, amico, ci si vede a Hogwarts.»

«Sei proprio un idiota, Ron,» mormorò Ginny, trattenendo Harry per un braccio prima che potesse andare a cantargliene quattro da vicino.

Harry fissò la schiena del suo migliore amico per qualche istante prima di lasciarsi condurre dalla sorella del rosso fuori dalla stanza, dalla quale il giovane poté sentire Hermione continuare a difenderlo.

«Non badare a quello che dice, Harry, è solo accecato dalla gelosia,» disse Ginny, cercando di scusarsi per lui. «Non si può ragionare con lui in questo momento, convinto com'è che il suo migliore amico lo stia trascurando per passare del tempo con chi ci ha reso la vita un inferno fino ad ora.»

Harry scosse la testa, deglutendo la delusione che minacciava di salirgli in gola. «Come può essere geloso di Piton?»

Proprio in quel momento, la voce di Hermione si levò sopra quella di Ron, permettendo ai due fuori di udire come se fossero ancora dentro con loro.
 

«Smettila di fare il bambino, Ron! Il professor Piton ha dimostrato in più di un'occasione di tenere ad Harry, possibile che tu non capisca? Ha bisogno anche lui di un punto di riferimento, una guida, soprattutto ora che il suo padrino non è presente per aiutarlo!»

«È circondato da adulti, Hermione, la mia famiglia lo adora, perché non può restare con noi? Perché proprio Piton?»

«Perché forse è ciò di cui ha bisogno, Ronald! Forse Harry ha bisogno di qualcuno che si occupi di lui e solo di lui! Non di prendere un posto all'interno della famiglia di qualcun altro, cosa che quel tuo zuccone vuoto si ostina a non capire!»

Harry sentì un pizzichio familiare dietro alle lenti arrotondate e si affrettò a salutare Ginny prima che le emozioni prendessero il sopravvento. Mentre la ragazza lo abbracciava e si faceva promettere di scrivere ogni qual volta ne sentisse il bisogno, le immagini di come Severus si era preso cura di lui solo la sera prima, come era rimasto accanto a lui finché il giovane non aveva ripreso sonno, per poco non rischiarono di sopraffarlo. E ancora quello stesso pomeriggio, nonostante la loro discussione e il modo in cui lui - Harry - gli aveva disubbidito, Severus era ugualmente giunto in suo soccorso, con quella stessa aura di protezione che il giovane aveva percepito durante la loro fuga disperata dalla fortezza, quando l'uomo aveva usato tutte le armi in suo possesso per difenderlo a spada tratta dai Mangiamorte e da Voldemort stesso. E gli aveva impedito di cadere e farsi male, nonostante tutto, dimostrando di tenere ancora alla sua sicurezza, come alla sua salute, quando avrebbe potuto tranquillamente infischiarsene.

I suoi sensi di colpa per come si era conclusa la visita al San Mungo furono momentaneamente interrotti dai due bauli che avevano preso a fluttuare ordinatamente verso il piano inferiore. Osservando i propri affetti scomparire in fondo alle scale, Harry si rese conto che il tempo a sua disposizione era ormai giunto a termine.

Dopo aver salutato anche Hermione e gli altri Weasley sbucati sul pianerottolo, Harry si accinse a incontrare Severus al piano terra, dove il giovane ricevette l'ennesimo abbraccio stritolante da parte di Molly Weasley.

«E ricordati di scriverci e di aggiornarci su come stai, mi raccomando,» si premurò Molly sotto lo sguardo scuro di Severus, che non perse l'occasione per storcere il naso a quella vista, «per qualsiasi cosa dovessi aver bisogno - anche solo per una razione extra di zuppa inglese - sappi che ci saremo sempre per te, Harry caro...»

«Ma certo, tesoro,» intervenne Arthur, quando la moglie cercò il suo supporto con lo sguardo, «ma vedrai che Harry starà bene, non sta partendo per una guerra magica--» tentò di smorzare la situazione, ottenendo in cambio un'occhiataccia da parte della donna.

«Il Preside ci sta aspettando,» si schiarì la voce Severus, chiaramente spazientito. «Signor Potter?» lo richiamò, attendendo, accanto alla porta, che il giovane si liberasse della stretta affettuosa di Molly.

«Sono pronto,» mormorò il ragazzo, una volta che ebbe accompagnato il professore al di là dell'uscio del numero 12 di Grimmauld Place. Severus ruotò il capo verso di lui, un sopracciglio inarcato a formulare una silenziosa domanda. «A Materializzarmi. Voglio dire... a Materializzarmi come si deve, signore,» spiegò Harry, nervosamente.

Una smorfia apparve sul volto di Severus, che tese il proprio braccio perché Harry lo afferrasse. «Raccogliere pezzi di Potter sparsi per il giardino di Hogwarts non è previsto nel mio programma odierno,» disse semplicemente, ignorando lo sguardo di puro orrore che apparve sul volto del ragazzo. «Limitati a seguire me come hai fatto finora, e tutto andrà bene,» si sentì in dovere di aggiungere, prima di rivolgergli uno dei suoi celebri sorrisetti diabolici, «le lezioni di Materializzazioni dovranno attendere ancora... sai, non vorrei che ti stancassi troppo prima della nostra, ormai prossima, discussione tra le mura dei sotterranei.»

E con quelle ultime fatidiche parole, prima che Harry potesse aggiungere qualcosa, i due sparirono dal pianerottolo di Grimmauld Place con un sonoro crack.
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Capitolo 21
*** Heart to Heart ***


XXI.
Heart to Heart




Severus trovò estremamente difficile mantenere in viso l'abitudinaria espressione austera e impassibile che si era prefissato di usare con il suo protetto per il resto della giornata. Persino lui doveva ammettere che vedere la faccia di Potter sospesa a due centimetri da una pozzanghera piena di fango era oltremodo divertente, e la cosa stava certamente mettendo a dura prova le sue doti di esperto Occlumens.

«Ma tu guarda,» mormorò con voce soave, scuotendo leggermente la testa in segno di disapprovazione, «l'urgenza di specchiare il tuo riflesso era così tanta da non poter attendere il nostro rientro al castello, Signor Potter?»

Ironia, buon segno. Forse non è poi così arrabbiato per prima...  

Harry storse il naso, in quel preciso momento tappato nel disperato tentativo di tenere lontano l'odore maleodorante che proveniva da sotto di lui. «Non è divertente,» si lamentò, nonostante sapesse bene che, se non fosse stato per Piton e i suoi riflessi magici, a quest'ora il suo intero corpo - viso compreso - sarebbe stato ricoperto di fango puzzolente. «Sempre che questo non faccia già parte della punizione che hai intenzione di riservarmi...»

La faccia di Severus si aprì in un'espressione di finta sorpresa e apprezzamento. «Per essere una frana in Occlumanzia, non male, Potter,» proseguì Severus, in un tono che voleva evidentemente prendere in giro l'osservazione espressa da Harry, «prevedere una punizione per il tuo comportamento idiota di poco fa... quale incredibile sorpresa.»

Harry roteò gli occhi, non troppo offeso dal commento dell'uomo, mentre sentiva lo stesso incantesimo che lo aveva tenuto sospeso fino ad allora aiutarlo a rimettersi in piedi. Il sarcasmo di Severus Piton gli avrebbe un tempo procurato un indicibile prurito alle mani e la malsana voglia di prendere a pugni qualcosa. Ora doveva ammettere che non era troppo male. Anzi, tutto il contrario. «Ho calcolato male l'atterraggio. Anche questa volta,» disse Harry una volta stabile sui propri piedi, prima che l'altro potesse aggiungere qualcosa. «Non è necessario girare il coltello nella--» stava continuando il giovane, ma la sua voce andò scemando mentre si rendeva conto che l'attenzione di Severus era stata catturata da qualcos'altro.

Richiamato dallo stesso, peculiare rumore, Harry aguzzò la vista contro la luce del sole in procinto di scendere oltre l'alta linea di alberi che formavano la Foresta Proibita. La grossa sagoma di un mastino napoletano correva a perdifiato verso di loro, abbaiando con urgenza. I due lo videro fermarsi a poca distanza da loro - continuando a latrare con insistenza perché lo seguissero - e fu allora che Harry si avvide della grande figura rivolta a terra, l'inconfondibile stazza poteva appartenere solo a...

«Hagrid!» gridò Harry, oltrepassando Severus e i cancelli di Hogwarts, sprintando verso il Mezzo-Gigante con quanto fiato avesse in corpo. Thor lo seguì fino al punto in cui l'amico era collassato, evidentemente stremato dalle numerose ferite che si intravedevano dagli squarci nell'enorme pelliccia indossata da Hagrid.

Harry si inginocchiò accanto alla sagoma gigante, caduto a faccia in giù nel polveroso sentiero sterrato e cercò di rivoltarlo sulla schiena, senza successo. Sembrava respirare fortunatamente, ma a giudicare dalla fatica che faceva, le sue condizioni non dovevano essere delle migliori. «Cosa facciamo adesso?» Harry alzò gli occhi su Severus, che l'aveva raggiunto e aveva già lanciato il proprio Incanto Patronus in direzione del castello.

«Gli incantesimi per trasportarlo non funzioneranno, visto il suo sangue da gigante,» rispose alla svelta Severus, rimboccandosi la veste scura intorno agli avambracci con scioltezza, in modo da intervenire quanto più velocemente possibile. «La capanna è a due passi ormai, aiutami a trascinarlo.»

Harry deglutì, facendo del suo meglio per dare il proprio contributo. Insieme, e con sforzo estremo, i due riuscirono a girare il mezzo-gigante affinché non si danneggiasse ulteriormente il volto già graffiato e tumefatto durante il tragitto fino alla capanna. Per quanto breve il percorso fosse, ad Harry parve lungo miglia dalla fatica nel fare muovere Hagrid di soli pochi passi. La porta della casetta non illuminata fu spalancata da un incantesimo non verbale di Severus, che fu il primo ad entrarvi, trascinando con sé il mezzo gigante per le braccia; Harry, che spingeva - o almeno ci provava - l'uomo per una gamba, per poco non inciampò nella figura agitata di Thor, che continuava ad abbaiare in mezzo a loro.

«Accendi il fuoco, mentre io mi occupo di assestare i danni,» ordinò Severus, piegato sulla figura stesa di Hagrid, mentre Harry si affaccendava alla ricerca degli strumenti necessari. «Con la bacchetta, siamo ad Hogwarts, ricordi?»

«Sì, signore,» mormorò Harry, imbarazzato; nel panico generale si era dimenticato - ancora una volta - che Severus gli aveva permesso in più di un'occasione di usare magie nel corso dell'estate, purché protetto dalle mura del castello, dove gli incantesimi dei minorenni non avrebbero potuto essere rintracciati dal Ministero. «Cosa posso fare adesso?» chiese subito Harry, ansioso di rendersi utile, una volta che il fuoco ebbe preso a crepitare nel grande camino.

«Occupati dell'ammasso di pulci,» Severus digrignò i denti contro l'invadenza di Thor, che sembrava fare di tutto per ostacolare l'uomo chino sul proprio padrone, intento a lanciare incantesimi diagnostici sul mezzo-gigante per assestarne i danni. Se Hagrid non fosse stato in condizioni tanto avverse, Harry avrebbe trovato divertente il modo in cui il grosso mastino napoletano cercava di catturare l'attenzione di Severus con feste e leccate a tradimento.
 
Con la scusa di dargli i suoi biscotti preferiti, Harry riuscì nell'intento di allontanare l'ingombrante cane da Severus. «Cosa può avergli procurato tutte queste ferite?» domandò Harry, piano, dopo qualche minuto di silenzio in cui pensò fosse meglio lasciare che il proprio guardiano lavorasse in santa pace.

Severus rimase concentrato sul proprio compito, senza interrompere il contatto visivo con le numerose ferite sul corpo di Hagrid. «Principalmente altri giganti. I diversi segni di zoccoli su alcuni punti della sua pelle indicano che è stato vittima anche di un attacco da parte di centauri,» replicò l'uomo.

In quel momento, il grande camino alla destra di Harry si illuminò in una vampata verde e il ragazzo per poco non sobbalzò quando Madama Chips e Albus Silente vi uscirono, con evidente urgenza.

«Severus, abbiamo ricevuto il tuo Patronus,» disse Silente, mentre Madama Chips si affrettava ad affiancare Severus nell'accertarsi delle condizioni di Hagrid, «Poppy ha portato la salvia e l'essenza di dittamo.»

«Oh, povero Rubeus,» sospirò Poppy, dedicandosi immediatamente all'applicazione dell'unguento adatto a trattare le ferite più gravi. «Per quanti giorni sarà andato avanti senza occuparsene...»

«Alcune lesioni risalgono almeno a due settimane fa,» disse Severus con voce grave, aiutando Poppy nell'impresa, prima di interrompersi per qualche secondo, solo per lanciare uno sguardo verso Silente, «Albus, posso chiederti di accompagnare Potter nei sotterranei e assicurarti che non subisca altri attacchi?»

«Ma posso essere utile qui!» esclamò Harry, balzando in piedi, deciso a fare qualcosa. «Hagrid ha bisogno di--»
  
«--di spazio in cui operare,» tagliò corto Severus, inflessibile, fulminando il ragazzo per interrompere qualsiasi altra protesta. «Non ci vorrà molto, se ci lascerai fare il nostro lavoro.»

Harry deglutì la delusione che provava nel sentirsi additare come l'anello "inutile" del gruppo mentre la mano di Silente si posava sulla sua spalla, un sorriso bonario a tingergli le labbra in un gesto incoraggiante.

«Coraggio, Harry,» disse il vecchio mago, cercando di suonare rassicurante, «lasciamo che Poppy e Severus lavorino senza distrazioni da parte nostra. I bauli di Harry, Severus?»

«Sono già all'interno delle stanze,» grugnì il Pozionista, come se ritenesse la domanda futile, «conosci il modo per accedervi, Albus.»

«Molto bene,» sorrise ancora Silente, prima di fare segno ad Harry di precederlo.
 
Il ragazzo prese una manciata di Polvere Volante da gettare nel camino e, su indicazione del Preside, pronunciò il nome della loro destinazione. Prima di attraversare le fiamme color verde acceso, Harry valutò che almeno non avrebbe dovuto sopportare l'ennesimo viaggio tramite la tanto odiata Materializzazione.
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«Da questa parte, Harry,» Silente guidò il ragazzo attraverso l'ufficio di Piton. I due oltrepassarono la scrivania del professore di Pozioni, finché non si ritrovarono di fronte alla stessa parete disadorna che Harry sapeva condurre verso quelle che immaginava essere le stanze private di Severus ad Hogwarts.

«Il professor Piton ti mostrerà il modo per entrare Harry, è l'unico che può trasmettere il permesso di accedere ai suoi alloggi personali ad altri,» spiegò Silente, appoggiando la propria mano sulla fredda e spoglia parete davanti la quale sostavano.

Il giovane osservò la pietra tremare leggermente sotto il tocco del vecchio mago, prima di spostarsi e lasciar posto ad una pesante porta in mogano scuro. Harry sentì un tremito di eccitazione percorrergli la schiena nel varcare quella soglia, la sua irrefrenabile curiosità già pronta ad alimentare la fervida immaginazione di quanto avrebbe trovato all'interno del 'quartier generale' personale del suo guardiano magico.

Se ripensava a se stesso e al rapporto con Piton di sole due settimane prima, di certo non si sarebbe mai visto in una simile circostanza in questo preciso momento.

L'ingresso era stretto, ma neanche troppo. Il portamantelli che Harry aveva intravisto la volta precedente si trovava nello stesso punto in cui ricordava, a sinistra appena entrati; il breve corridoio sfociava quasi immediatamente in quello che era uno spazioso salone. I colori che decoravano la larga stanza non erano certamente quelli che Harry si sarebbe aspettato da un uomo che indossava nero in ogni stagione dell'anno. La sala appariva, invece, sorprendentemente accogliente, con la tonalità marroncina dei divani in pelle posizionati ad angolo di fronte al camino scoppiettante e i numerosi tappeti che decoravano il pavimento, ricoprendo la fredda pietra in modo uniforme ed elegante. Qualche arazzo qua e là tappezzava le pareti, ma la prima cosa che balzò all'occhio di Harry, fu l'incredibile ammontare di libri di cui l'uomo disponeva; il ragazzo ricordava ancora la gigantesca libreria che aveva visto nel laboratorio di Piton, e sapere che quella era solo la superficie di tutta la sua collezione di tomi lo sorprendeva non poco.

Silente condusse Harry lungo un altro corridoio, che collegava la zona giorno con quella notte.

«La camera del professor Piton è questa, in mezzo abbiamo il bagno e... oh, sì eccola qua, in fondo al corridoio abbiamo la tua stanza Harry,» disse l'anziano mago, facendo segno al ragazzo di raggiungerlo e indicando un punto in cui era evidente che prima non dovesse ospitare alcun locale. «Noto con piacere che Severus ha avuto il tempo di aggiungere gli ultimi accorgimenti.»

Harry esitò leggermente nel varcare la soglia. Silente si fece da parte per farlo avanzare all'interno, osservando con curioso interesse la sorpresa negli occhi del ragazzo. Harry lasciò vagare il proprio sguardo attorno a sè, la bocca appena schiusa a formare una piccola 'o' di meraviglia. Non aveva mai visto una stanza tanto grande per una sola persona; né tantomeno poteva dire di averne mai posseduta una. Doveva essere grande quanto la stanza che condivideva nel dormitorio di Grifondoro con i suoi quattro compagni... con la differenza che questa era interamente solo per lui. Inoltre, la camera era sorprendentemente decorata con gli stessi colori caldi e familiari della sua casata di appartenenza, dalle pareti al comodo letto in un angolo. Un tocco che Harry non si sarebbe aspettato da Piton, per quanto il loro rapporto fosse migliorato nel frattempo, così come non si sarebbe aspettato che l'uomo avesse trovato il tempo da dedicare all'aggiunta e decorazione di una camera in più solo per lui.

Il ragazzo lasciò scivolare una mano sulla pregiata scrivania di legno d'acero che si trovava accanto a lui, mentre gli occhi si posavano nel frattempo sullo spazioso armadio posto sull'altro lato; era così grande che Harry era sicuro di non possedere abbastanza vestiti nemmeno per riempirlo a metà. Le sue dita si mossero distrattamente verso il colorato mappamondo sulla scrivania, movimento che fece roteare la sfera leggermente. Il ragazzo si schiarì piano la voce, cercando di mascherare il proprio imbarazzo.

«Il... professor Piton ha fatto tutto questo per me?» mormorò, a voce bassa, incapace di incontrare gli occhi di Silente.

«Sì, Harry,» rispose l'uomo con semplicità, sorridendogli con dolcezza. «Ha pensato che aggiungere familiarità alla tua nuova stanza avrebbe aiutato il tuo spostamento qui.»

Harry annuì, cercando di sopprimere l'urgente senso di colpa per come si era rivolto all'uomo quel pomeriggio.

«Immagino tu non abbia ancora mangiato, dico bene?» disse ancora Silente, distraendolo dai pensieri evidenti che turbinavano nella testa del giovane. «Non ti ho ancora mostrato la cucina in effetti...»

«Preferisco aspettare il professor Piton, signore,» rispose il ragazzo, con rinnovata energia, «non ho molta fame a dire il vero... e ho ancora questo zuccotto che mi hanno regalato al San Mungo, ora che ci penso, nel caso in cui tardasse,» sorrise, pescando nella propria tasca.

«Mio caro ragazzo,» il sorriso di Silente si allargò ancora di più se possibile, «dubito che il professor Piton voglia vederti morire di fame al tuo primo giorno qui, senza neanche aver avuto la possibilità di elencarti le regole per una buona convivenza con lui,» strizzò l'occhio con gentilezza, guadagnandosi un sorriso divertito, «ma fai come preferisci, Harry, e sentiti pure libero di sistemare le tue cose, sarò qua accanto a parlare nel camino se hai bisogno di me,» aggiunse, osservando il ragazzo avvicinarsi ai propri bauli, ordinatamente posati su un lato sgombro della camera.

«Grazie, professore,» disse Harry, iniziando a tirar fuori i propri averi e ad arricchire la sua nuova, personalissima camera da letto con un ritrovato sorriso sulle labbra.
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«Oh, Severus,» la voce di Silente richiamò l'attenzione del ragazzo occhialuto, che smise immediatamente di riordinare la sua nuova stanza per correre nella sala da cui provenivano le voci. «Deduco che sia andato tutto bene?»

«Come sta Hagrid?» chiese subito Harry, facendo capolino nel soggiorno.

Severus gli lanciò uno sguardo, chiaramente ancora non avvezzo a vedere il giovane Grifondoro sbucare dalle proprie stanze con tanta casualità. «Ha ripreso conoscenza ed è per il momento stabile. Poppy vigilerà sulle sue condizioni finché non le darò il cambio,» rispose, prima di tornare a guardare Silente. «Hai saputo qualcosa dagli Auror incaricati di recuperare Minerva?»

«È stata scortata con successo a Grimmauld Place,» disse Silente, alzandosi dal divano su cui era stato comodamente seduto fino a quel momento, prima di avviarsi verso il camino. «Vado proprio ora a farle visita... vi auguro una buona serata, immagino abbiate molto di cui parlare,» sorrise a entrambi, per poi sparire dietro ad una voluta di fiamme verdi.

Seguirono attimi di silenzio, prima che gli occhi di Severus si posassero sul tavolino da caffè di fronte ai divani, dove un vassoio di tè fumante e pasticcini li attendeva. L'uomo storse il naso leggermente, in una smorfia con cui Harry era diventato più che familiare.

«Sembra che il nostro caro vecchio Preside non abbia perso tempo a renderti complice delle sue cattive abitudini con leccornie fuori pasto,» scosse la testa Severus, mettendo fine al silenzio che aleggiava su di loro.

Harry lo guardò dirigersi verso la cucina e agitare la bacchetta in un fluido gesto. «Ci ha provato,» commentò, osservando distrattamente mentre gli utensili da cucina prendevano ad agitarsi da soli, «ma ho pensato fosse meglio aspettarti,» disse Harry, mordendosi il labbro inferiore, prima di decidersi a continuare.

«Immagino ti abbia già mostrato la tua stanza...»

«È fantastica!» esclamò il ragazzo con ritrovato entusiasmo, prima ancora che Severus potesse terminare la frase, mentre iniziava a snocciolare i dettagli che più lo avevano meravigliato. «Ha persino un appendi-scope a muro ed un kit per la manutenzione!» esclamò.

Una corta risata nasale sfuggì a Severus, onestamente colpito dall'improvviso cambio di umore del giovane, mentre percorreva il corridoio che collegava la sala con la zona notte. «Se proprio dovrai continuare a praticare quello sport animalesco, almeno lo farai nel massimo della sicurezza,» giunse la sua voce dal bagno.

«E ha una scrivania enorme!»

«Non oso chiederti dove tu abbia studiato per tutti questi anni,» rispose con drammaticità esagerata l'uomo, mentre Harry poteva udire l'acqua scrosciare nel lavandino.

«Credi che possa aggiungere qualche stendardo di Grifondoro alle pareti?» proseguì Harry euforico.

«Qui dentro da meno di un'ora e già ad avanzar richieste,» Severus sospirò in modo quasi teatrale, «tipico.» La sua voleva essere evidentemente una battuta, ma Harry si rese conto che in tutto questo non si era ancora scusato per il comportamento avuto quel giorno.

Attese che l'uomo tornasse, prima di parlare nuovamente. «Quello che voglio dire è...» si interruppe un attimo, insicuro, alla ricerca delle parole adatte da utilizzare per l'occasione, «... che mi dispiace,» cercò gli occhi neri del suo guardiano, prima di continuare: «per quello che è accaduto oggi, intendo.»

Severus lo fissò per qualche istante, prima di dire, con estrema semplicità: «Credo che la cena sia pronta.»

Harry lo fissò instupidito per diversi secondi, incerto se aveva capito bene o meno. «Cosa...?»

«La cena è pronta, Signor Potter,» ripeté Severus, con la stessa espressione di condiscendenza con cui ci si rivolge a uno stupido. «Ho pronunciato qualche parola che non ti è familiare, per caso?»

«Credevo dovessimo avere una discussione stasera,» ribatté Harry, inarcando un sopracciglio al suo tono.

«Ovviamente,» rispose Severus, muovendo la bacchetta perché la tavola circolare del salone venisse apparecchiata, «mi sto solo occupando della tua alimentazione, Potter, o credi che mi sia dimenticato che il tuo stomaco sia attualmente vuoto e privo dei nutrimenti che necessita a quest'ora del giorno?»

Harry bofonchiò qualcosa che suonò come un 'non ti capisco proprio a volte', prima di attraversare la stanza sotto lo sguardo intenso di Severus e acconsentire a sedersi a tavola. «Possiamo parlare mentre mangiamo o è proibito fare entrambe le cose contemporaneamente?» si morse la lingua, già pentito di quanto gli era sfuggito dalle labbra.

«In vena di sarcasmo, Signor Potter?» Severus piegò le labbra in un piccolo ghigno beffardo di fronte alla sua espressione, mentre il suo coltello iniziava a tagliare la spessa bistecca al sangue davanti a sè. «Ti suggerisco di fare attenzione con chi lo usi.»

«Possiamo tornare a Harry, per favore?» si lamentò il ragazzo a bassa voce, iniziando a versarsi una manciata di patate arrosto nel piatto.

Severus si limitò a mangiare qualche boccone con garbo, prima di posare nuovamente lo sguardo su di lui, ogni traccia dell'ironia di poco prima sparita dal suo volto di nuovo serio. «Harry,» sospirò, «hai idea di quello che sarebbe potuto accadere oggi?» Vide il Grifondoro abbassare gli occhi nel proprio piatto e lasciò che la pausa rimarcasse la gravità delle sue parole. «Di quello a cui saresti potuto andare incontro se non fossi intervenuto in tempo - ancora una volta?»

Harry sentì le proprie viscere contorcersi dolorosamente al ricordo, i sensi di colpa misti all'imbarazzo che provava per come aveva reagito. Piton aveva ragione; come poteva sperare di sconfiggere Lord Voldemort se non era nemmeno capace di fare due passi prima di cacciarsi nei guai? Se non era nemmeno in grado di tirarsi fuori dalle situazioni spinose in cui lui stesso si cacciava, da solo?

«Il Signore Oscuro sa del tuo complesso da eroe e continuerà a sfruttarlo a proprio vantaggio, stesso discorso per la tua impulsività e testardaggine,» proseguì Severus, incalzandolo, «dovresti aver imparato ormai che ripetermi non è qualcosa in cui mi piace dilettarmi, ma voglio fare un altro tentativo con te: smettila di agire come uno stupido,» concluse, sottolineando ogni singola parola con estrema incisività.

Il ragazzo abbandonò forchetta e coltello nel proprio piatto, tutto a un tratto privo di fame. «Non mi comporto da stupido,» ribatté, ferito.

«Allora dimostralo,» disse ancora Severus, senza dargli tregua, in viso un'espressione significativa. «Devi fermarti a pensare a tutti i possibili risultati che una determinata scelta ti porterà una volta fatta. Non puoi improvvisare per tutta la vita e sperare che ti vada bene come è successo finora...»

«Ma anche tu improvvisi!» esclamò Harry, a un tratto, ricordando improvvisamente qualcosa. «Nella foresta con Dolohov e prima ancora con Rookwood--»

«Quelli erano duelli,» scosse la testa Severus, «per quanto al tuo occhio inesperto possa essere sembrata improvvisazione, posso assicurarti che il risultato finale di uno scontro magico viene determinato da una perfetta osservazione dell'avversario e dell'ambiente circostante, atto a sfruttare qualsiasi elemento a tuo favore,» si portò un altro boccone alle labbra, prima di adocchiare il piatto del ragazzo. «E finisci di mangiare le tua carne,» aggiunse.

Harry lo osservò per qualche secondo, cercando di rimanere serio. Il tono con cui Piton aveva pronunciato le ultime parole voleva essere severo e autoritario, ma il ragazzo non riuscì a trattenere la risata che gli affiorò alle labbra.

«Cosa c'è di tanto divertente adesso?» socchiuse gli occhi Severus, irritato dalla poca serietà del giovane.

«Scusami...» riuscì a dire Harry, tra una risata e l'altra, trattenendosi la pancia con le mani come se potesse aiutarlo a smettere più facilmente, «... è che è difficile...»

«... prendermi sul serio?» Severus concluse la frase al posto suo, lanciando uno spazientito sguardo nei meandri della mente di Potter. «Oh, non preoccuparti, conosco proprio la medicina che fa al caso nostro,» pronunciò con voce soave, mentre un tomo voluminoso prendeva a librare dagli scaffali vicino al camino, verso di loro, «ad esempio, una quarantina di righe su come le teorie contenute ne Il Libro dei Cinque Anelli di Miyamoto Musashi possano aiutarti nella battaglia contro il Signore Oscuro, pronte per la fine di quest'estate.»

Harry strabuzzò gli occhi dall'orrore, rischiando di strozzarsi con la sua ultima risata. «Mi stai dando altri compiti?» esclamò, atterrito.

«Quello che sto cercando di fare è insegnarti a pensare. Hai coraggio da vendere, Harry - te ne darò atto - ma devi incominciare a contare meno su questo e più sul valore di pianificare, sull'osservazione del tuo nemico e delle sue debolezze, nonché delle tue,» stabilì Severus, ignorando lo sguardo con cui il giovane aveva tentato, invano di impietosirlo. «Considerala come la base su cui fondare le nostre lezioni,» aggiunse, facendo lievitare il proprio piatto vuoto verso le cucine.

«Allora perché mi suona tanto come una delle tue punizioni?» borbottò il ragazzo, sconfitto, infilzando uno degli ultimi pezzi di carne con particolare foga.

Severus replicò con un sorriso storto in risposta al suo sguardo torvo. «Ritieniti fortunato a non essere giù in laboratorio a grattare calderoni per il modo in cui hai deliberatamente disubbidito ad un mio comando oggi,» ricordò, con voce di velluto.

Harry deglutì, affrettandosi a finire il piatto. «Sì, signore.»
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Più tardi, quella stessa sera, Severus sedeva comodamente nel proprio divano in pelle, le gambe elegantemente accavallate e lo sguardo immerso nella propria lettura, quando un'ombra si parò su di lui. L'esperto mago sollevò gli occhi dal libro, in viso un'espressione interrogativa rivolta al giovane che sostava ora di fronte a lui.

«Ho aperto adesso l'armadio,» esordì Harry, perplesso, «ci sono un sacco di vestiti dentro.»

Severus inarcò le sopracciglia, fingendo stupore. «Credevo fosse questo il suo scopo,» osservò con estrema semplicità.

Harry roteò gli occhi al suo sarcasmo, mostrando due degli abiti che si era portato dietro. «Quello che intendevo è che dentro ci sono cose che non sono mie,» disse invece.

«Pensavi di poter andare avanti a vestire semplicemente un jeans, due t-shirt e un paio di felpe?» domandò Severus.

«Hai guardato nei miei bauli?» chiese Harry, allarmato, il viso contorto in un'espressione imbarazzata.

«No, Harry, ho notato come vesti ogni giorno,» si limitò a rispondere Severus, frenando l'impulso di sbottare e adoperando un tono più calmo per evitare che il ragazzo andasse ancora più in panico di quanto già non fosse. «Se non sono di tuo gradimento possiamo--»

«No,» disse subito Harry, grattandosi distrattamente la base del collo, impacciato, «vanno più che bene; è solo che non sono abituato a... a tutto questo,» concluse infine, con difficoltà.

«A cosa esattamente?»

Harry posò lo sguardo sui propri piedi, incapace di guardare nei penetranti occhi di Piton. L'uomo gli aveva fornito un posto in cui stare, una camera tutta sua con abiti nuovi di zecca e aveva persino cucinato per lui (seppur alla maniera magica). E tutto senza mai richiedere nulla in cambio, quando con i Dursley, invece, tutto ruotava intorno al guadagnarsi il prossimo pasto e il tetto sopra la testa offerto. Mentre le parole che Hermione aveva rivolto a Ron quel pomeriggio si ripetevano nella sua mente, il giovane rimuginò su quanto gli era stato appena chiesto. Ad avere qualcuno che si prenda cura di me. «Ad essere un peso,» rispose invece, in un sussurro.

Severus lo fissò per un lungo istante, prima di mettere il libro da parte sul tavolino di fronte a loro e poi far segno al ragazzo di prendere posto accanto a sé. Dopo qualche attimo di silenzio, l'uomo parlò, schiarendosi la voce. «Forse... possiamo provare qualcosa di diverso per fare entrare in quel tuo zuccone vuoto il concetto di guardiano,» mormorò, tornando a guardarlo negli occhi e costringendolo a fare altrettanto, «ti mostrerò qualcosa... che tengo racchiuso da tempo... troppo,» sospirò, con evidente difficoltà, prima di aprire - solo con il proprio pensiero - l'antina in vetro di una credenza.

Harry guardò stupito quello che aveva tutta l'aria di essere la replica del pensatoio di Silente aleggiare verso di loro. Aprì bocca per chiedere, ma Severus lo anticipò non appena l'oggetto di pietra non fu ben posizionato tra di loro.

«Albus me l'ha prestato per le nostre sedute di Occlumanzia,» spiegò, mentre si puntava la bacchetta d'ebano alla tempia, dalla quale fuoriuscì ben presto un singolo filamento argentato, che andò a riempire il recipiente magico in un fluttuo costante e vorticoso. Severus sollevò lo sguardo sul ragazzo, che lo fissava ad occhi aperti, l'emozione ben visibile nelle iridi chiare e il cuore che batteva a mille per ciò che avrebbe visto tra i ricordi dell'uomo, per la versione inedita che il suo oscuro insegnante di Pozioni gli stava mostrando di se stesso e per la fiducia che stava riponendo in lui in quel momento. «Dopo di te,» disse a bassa voce Severus, dandogli il segnale di chinarsi verso il liquido inconsistente.

Il ragazzo fece come gli era stato chiesto e - ben presto - il suo volto entrò in contatto con le memorie che l'Ex-Mangiamorte aveva riversato nel Pensatoio. I contorni divennero subito fumosi e i colori si smorzarono, prendendo tonalità color seppia e disorientando Harry, mentre tutto attorno a lui diventava ancora più confuso.

Una volta atterrato, il ragazzo si rese conto di essere su qualcosa che aveva una parvenza di morbido e - a giudicare dall'enorme quantità di luce tutt'attorno - capì di essere in un ambiente esterno. I bordi di un lago entrarono nel suo campo visivo, così come le fronde di un grande albero sotto cui il giovane sostava in quel momento. Sollevandosi da terra, gli occhi di Harry captarono un movimento e delle voci provenire dalla parte interna dello sconosciuto parco in cui si trovava.

Per la precisione, una risata cristallina si levò insieme alle foglie trasportate dal vento, ed Harry si voltò immediatamente verso la sagoma di una bambina dai capelli di un intenso color ramato, stesa sotto l'albero ai piedi di un laghetto grigiastro, accanto ad un bambino minuto dai capelli corvini e gli abiti in disordine, probabilmente della stessa età, a giudicare dalla statura similare. Harry aguzzò la vista mentre si avvicinava ai due, e sentì il proprio cuore serrarsi in una morsa dolorosa al pensiero che mai - prima d'allora - aveva avuto la possibilità di udire un suono così melodioso, suono che altro non era che la risata di sua madre.

«Andiamo, Sev!» colse la bambina esclamare. Sev. Ancora quel soprannome intimo e affettuoso, che Harry non avrebbe mai pensato Piton avrebbe potuto tollerare da nessun altro che non fosse Lily. «Non posso credere che ci sia una piovra gigante nel lago del castello!»

«La vedrai, Lily,» rispose il bambino, gli occhi neri che luccicavano mentre raccontava la sua storia all'amica, «mia madre dice che tutti gli allievi del primo anno arrivano ad Hogwarts con le barche, sono sicuro che la piovra si farà vedere anche a noi.»

Lily ridacchiò ancora, trascinando Severus nella sua risata contagiosa. La bambina raccolse un legnetto al proprio fianco, agitandolo in aria per poi puntarlo verso il lago di fronte a loro. «Ti sconfiggeremo piovra! Forza, Sev, lancia un incantesimo,» lo spronò, posandogli una mano sulla spalla prima di passargli la bacchetta.

La versione bambino di Severus parve pensarci su un attimo, prima di puntare a sua volta la bacchetta finta ed esclamare una frase che Harry era certo non fosse un vero incantesimo. «Prendi questo, bestiaccia!»

Incredibilmente, il pezzo di legno emise un piccolo sibilo ed una ranocchia gracidante balenò dalla punta, prima di saltellare e sparire verso le canne di bambù del laghetto. Le risate dei due bambini riecheggiarono nel parco, trasportate dal vento. Harry notò che la luce sembrava iniziare a diminuire e che nella memoria il sole doveva ormai essere in procinto di tramontare. In quel preciso istante, una terza voce - proveniente dalla collina alle loro spalle - si unì ai due, rovinando la magia del momento.

«Lily! Lily, la cena è pronta!»

I due smisero immediatamente ed Harry notò come l'espressione sul volto di Severus si fosse già trasformata in pura tristezza. Lily si rialzò insieme a lui, ma indugiò sugli occhi scuri dell'amico, in viso la stessa luce dolce e gentile di qualche istante prima.

«Non essere giù, Sev,» mormorò, onestamente dispiaciuta di dover rispondere al richiamo della madre e abbandonare così il suo amico, «lo sai che tornerò da te domattina... Piuttosto, hai chiesto a tua madre di poter venire a stare dai miei per qualche giorno?»

Severus scosse leggermente la testa, evidentemente a disagio. «Non posso lasciarla, Lily... e se lui venisse a saperlo se la prenderebbe ancora di più con lei,» rispose, abbassando lo sguardo a terra. Era evidente, agli occhi di Harry, che il bambino avesse paura di tornare a casa.

«Allora sai cosa faremo?» continuò Lily, caparbia, incapace di andarsene senza aver prima strappato un sorriso al suo amico, mentre la madre continuava a chiamarla a gran voce. «Puoi portare con te la nostra bacchetta magica,» disse, prendendogli una mano e posandovi il rametto che avevano usato fino a poco fa, «così potrai esercitarti con gli incantesimi che mi mostrerai domani,» aggiunse.

Solo allora Severus parve riacquistare un barlume di gioia, ricambiando la gentilezza di Lily con uno sguardo di pura venerazione. «Mi allenerò tutta la notte, Lily,» promise, occhi d'onice immersi nel mare verde smeraldo che gli avevano appena ridonato fiducia in se stesso.

Lily gli sorrise con dolcezza, prima di abbracciarlo con intensità. Harry non mancò di osservare come il viso pallido e sciupato del ragazzino dai capelli neri si fosse illuminato al contatto con l'amica, mentre ricambiava la stretta con altrettanto affetto. «A domani, Sev.»

Harry udì le parole riecheggiare attorno a sé, mentre la scena cambiava in volute di fumo rapide e disordinate. I suoi occhi cercarono le figure di Severus e Lily, ancora e ancora, desideroso di conoscere di più sulla loro storia, sulla loro amicizia, ma tutto ciò che le sue mani afferrarono fu la bacinella di pietra del pensatoio, dove un Severus adulto e invecchiato di vent'anni ricambiò il suo sguardo stravolto con intensità.

«Eravate... eravate amici prima ancora di Hogwarts,» bisbigliò Harry, riprendendo fiato, profondamente colpito dagli effetti di un ricordo tanto vivido.

«Eravamo amici d'infanzia... abitavamo vicini l'uno all'altro,» Severus annuì, ed Harry notò che c'era qualcosa di nuovo nel suo sguardo. Qualcosa che era stato sopito per tanto tempo e che ora sembrava essersi destato, come da un lungo sonno. Un barlume di emozione. Con un placido fruscio, quello che aveva tutta l'aria di essere un piccolo scrigno delle memorie fluttuò verso di loro, ed Harry osservò con fascino mentre questo andava a posarsi direttamente nelle sue mani. Guardò Severus, come a chiedere il permesso, finché l'uomo non lo incoraggiò ad aprire il cofanetto di legno di palissandro con un breve segno del capo.

Harry si ritrovò davanti allo stesso pezzo di legno che aveva appena visto arricchire i momenti di gioco e spensieratezza di Lily e Severus; il ragazzo allungò una mano tremante verso il rametto, che era rimasto perfettamente integro e riportava ancora le stesse identiche venature chiare intraviste durante i ricordi del Maestro di Pozioni. Solo allora si avvide che all'interno del piccolo scrigno si trovavano anche altri oggetti.

«Blu fiordaliso era il suo colore preferito,» mormorò Severus, sfiorando i petali di quello che era un ciondolo in argento con una delicatezza e venerazione che Harry non avrebbe mai creduto possibili per un uomo come lui.

Harry lo guardò come in trance, gli occhi dilatati alla rivelazione a cui Piton lo stava rendendo partecipe. Ai piccoli dettagli della vita di sua madre che aveva infine deciso di condividere con lui. Fu allora che notò la profonda commozione negli occhi dell'uomo.

«Tua madre era speciale. Era... il ritratto della gioia,» proseguì Severus, la voce appena incrinata, mentre si impegnava ad andare avanti senza interrompersi, «così piena di amore... così piena di...»

«... di vita,» completò Harry in un sussurro, ricordando il suono ricco della risata di Lily. Il suo olfatto fu catturato ad un tratto da una fragranza particolare, che si levò nell'aria come sprigionata dal cofanetto stesso. Il giovane si accorse che aveva involontariamente sfiorato quella che aveva tutta l'aria di essere una boccetta di fragranze.

«Rosa di Damasco,» spiegò Severus, osservando il movimento di Harry nell'inspirare quell'aroma avvolgente e delicato, «era il suo profumo preferito.»

Harry socchiuse gli occhi, perdendosi in memorie e sensazioni che non credeva di aver mai provato prima, ora risvegliate dalla percezione di quella fragranza particolare. L'abbraccio amorevole di sua madre gli apparve tangibile ad un tratto, una cascata di capelli color rame tutt'attorno a sè, mentre il suo viso neonato trovava calore e rifugio nell'incavo del suo collo, il suo piccolo naso invaso da quello stesso dolce profumo.

Un nodo alla gola gli serrò le parole che avrebbe voluto pronunciare e qualche attimo di silenzio seguì, ciascuno dei due immerso nei propri ricordi, finché Harry non si decise a formulare quella singola, spontanea domanda, che si era insinuata in lui da qualche tempo a quella parte.

«Amavi mia madre?» azzardò, in un sussurro, quasi timoroso di rompere la magia di quel momento.

Silenzio. Harry osò osservare con attenzione il volto tormentato e distante del suo professore, lo sguardo perso nei meandri di chissà quali altri ricordi fisso in un punto non precisato di fronte a loro.

«L'ami ancora?» chiese, incapace di trattenersi. Non seppe bene cosa lo spinse a proferire quelle parole, e - per un attimo - la paura di ricevere una sgridata per aver osato troppo lo travolse, finché...

«Sempre,» pronunciò Severus, in un singolo, doloroso sussurro.

Due sillabe. Una singola, semplice parola. Harry trattenne inconsapevolmente il fiato, sorpreso non tanto dalla risposta, ma dall'intensità con cui questa era stata articolata. Dal sentimento di desiderio, di mancanza... di rimorso, che essa esprimeva.

«Credi... credi di poter tornare ad amare?»

Severus spostò lentamente lo sguardo su di lui, la stessa emozione che Harry aveva percepito poco prima ben evidente nei suoi penetranti occhi neri. «Penso... di aver da poco ricominciato,» rispose a bassa voce, e il significato di quelle parole profonde non tardò a colpire Harry ancor più della rivelazione di poco prima.

Il suo cuore fece una capriola, quasi incredulo di fronte a quanto aveva appena udito, mentre i suoi occhi verdi cercavano a fondo in quelli scuri dell'uomo dinanzi a lui la conferma di quanto aveva appena ascoltato. La conferma di non essere più solo e che qualcuno tenesse a lui, per quello che era come Harry e nient'altro, con tutti i suoi difetti.   

«Tu non sei un peso, Harry,» affermò Severus, con sincerità, senza interrompere il contatto visivo con il ragazzo, mentre ricollegava quanto gli aveva mostrato fino adesso alla loro precedente discussione. «Quella che ho compiuto l'altro giorno, è stata una scelta consapevole e volontaria,» proseguì, rimarcando le ultime due parole con crescente intensità, mentre il ragazzo sentiva il macigno nel proprio petto sgretolarsi come d'incanto, improvvisamente alleggerito della paura che solo allora si era accorto realmente di possedere. La paura di essere abbandonato. Ancora.

Avvertendo i propri occhi iniziare ad inumidirsi, Harry sbatté le palpebre, schiarendosi piano la voce. «Non avrei dovuto dire quelle cose oggi... non sarei dovuto correre via così...» mormorò, onestamente dispiaciuto dopo quanto Piton gli aveva appena confidato, cogliendo solo ora la preoccupazione che aveva causato nell'uomo con il suo comportamento idiota.

«Errare è qualcosa a cui non ci è possibile trascendere, e compiere atti di cui spesso ci pentiamo fa parte della nostra natura,» disse Severus, e dal suo tono di voce Harry ebbe il sentore che le sue parole non si riferissero esclusivamente a quanto accaduto al San Mungo, ma a qualcosa di estremamente personale. «Lungi da me è essere perfetto, Harry, ma voglio fare un tentativo a tener fede al patto che abbiamo suggellato l'altro giorno... sempre che tu sia ancora disposto a provare,» concluse, con serietà.  

Gli occhi verdi di Harry si illuminarono nuovamente a quella proposta, carico di rinnovata vitalità. «Più di ogni altra cosa,» rispose, sincero, mentre il profumo di sua madre - levatosi dalla scatola che ancora reggeva - gli scaldava il cuore in una nuova ondata di speranza.

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Capitolo 22
*** Man's Best Friend ***


XXII.
Man's Best Friend




«Sei in ritardo.»

Remus Lupin sospirò, spostando i suoi stanchi occhi nocciola fino ad incontrare quelli neri e annoiati di Severus Piton. «Questo mese mi ha causato... degli impedimenti in più. Dov'è Harry?»

Severus mosse il polso perché due tazze fumanti apparissero sul tavolino da caffè situato in mezzo ai due divani, rivolgendo al lupo un cenno perché si accomodasse. «In camera sua, a finire i compiti estivi,» rispose brevemente, lanciando un'occhiata al corridoio che portava alla zona notte, «abbiamo qualche minuto per discutere prima che andiate.»

«A proposito di questo, Severus--»

«Non dimenticare la tua promessa al ragazzo, Lupin,» Severus si schiarì la gola, interrompendo l'altro uomo senza tante ciance, «o hai già intenzione di ritrattare?»

Remus si concesse una mezza risata amara. «Ironico che sia tu a ricordarmelo,» mormorò, abbassando lievemente la testa prima di tornare a fissare i propri occhi sul Serpeverde, «ma non per questo meno apprezzato. Accompagnerò Harry a Diagon Alley, unica fermata Grimmauld Place a recuperare i Weasley e Hermione, così che tu possa dedicarti alle tue... attività.»

Severus lo osservò con serietà. «Lo avrò qui non più tardi delle ore diciassette, Lupin,» scandì. «Oh, e ritienimi contrario all'assunzione non necessaria di dolciumi, ci pensa già Albus a fare abbastanza danni alla sua alimentazione.»

«Se Molly Weasley potesse sentirti, Severus,» Remus scosse la testa, una nota divertita nella voce, prima di accettare la boccetta che l'uomo aveva materializzato seduta stante.

«Questa dovrebbe essere sufficiente per la luna di settimana prossima,» disse il professore di Pozioni, «ne preparerò dell'altra con l'inizio del primo semestre. Suggerisco di approfittare di questa giornata per condividere le tue memorie più preziose con il ragazzo, pare aiuti a rinforzare il proprio autocontrollo nei giorni antecedenti alla trasformazione,» aggiunse, lasciando che gli occhi vagassero brevemente sui segni evidenti sul viso dell'altro.

«Ti ringrazio,» disse sinceramente Remus, offrendogli un piccolo sorriso, «non solo per questo, ma anche per quello che stai facendo per--»

«Remus!»

Harry fece capolino dal corridoio, il viso illuminato di gioia nel vedere il suo vecchio professore di Difesa Contro le Arti Oscure all'interno dell'accogliente soggiorno. Remus si alzò per salutarlo, lasciando che Harry gli si facesse incontro e ritornando il suo abbraccio con calore.

«Harry,» lo salutò, osservando il giovane con un sorriso affettuoso sulle labbra, «sono felice di vederti. Sei già pronto ad andare?»

«Aspettavo solo te,» rispose con prontezza il giovane, in viso l'espressione radiosa di chi ha appena ricevuto un regalo. Remus si stupì della facilità con cui la stessa si attenuò notevolmente, nel momento in cui Harry riportò gli occhi su Severus, come colto da una rivelazione. «Non verrai con noi?» domandò.

Severus avvertì la delusione nella voce del ragazzo, ma camuffò ogni reazione con la solita maestria. «Devo badare ad alcune faccende che richiedono la mia attenzione,» rispose brevemente, «la guarigione del tuo amico Hagrid è una di queste.»

Harry annuì, comprensivo. «Potrò passare a trovarlo al mio ritorno, se dovesse riprendersi?» domandò poi, speranzoso.

«Si è già risvegliato, a dir la verità,» disse Severus, «ha solo bisogno di riposare e rimanere sotto controllo da parte mia e di Madama Chips. Immagino che stasera tu possa fargli una breve visita in mia compagnia.»

Remus non poté fare a meno di sorridere di fronte all'espressione radiosa con cui Harry ricompensò Severus per la concessione accordatagli. «Ti lasciamo ai tuoi impegni, Severus. Riporterò Harry prima dell'orario di cena,» disse, avviandosi verso il camino assieme al ragazzo, il quale salutò Severus prima di essere avvolto dalle fiamme verdi della Metropolvere.

Una mezza dozzina di teste rosse li accolsero una volta arrivati nel soggiorno polveroso di Grimmauld Place.

«Allora, pronti a partire?»
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Harry scartò una caramella Tutti Gusti + 1 passatagli da Ginny, che si lasciò sfuggire una risata di fronte alla smorfia del giovane nel deglutirla. Hermione era impegnata con i gemelli poco più in là, vittima di uno dei loro scherzi goliardici, mentre Ron passeggiava in disparte ai bordi del vicolo invaso dal quotidiano trambusto di Diagon Alley. Erano trascorsi ormai tre giorni da quando Harry si era trasferito ufficialmente nei quartieri privati di Severus, e il giovane non aveva ancora avuto modo di rimediare alla brusca rottura con il proprio migliore amico.

Ginny seguì lo sguardo del giovane occhialuto e il suo viso si addolcì. «Sai, è evidente che gli manchi, Harry; Ron è solo troppo orgoglioso e ostinato per ammetterlo,» gli offrì in supporto.

Harry sospirò. «Avrei già fatto il primo passo, se sapessi come convincerlo a vedere le cose come stanno,» mormorò. «Non ho proprio idea di cosa voglia sentirsi dire--»

«Probabilmente per Ron sarebbe più facile che tu tornassi a ridere e scherzare di Piton insieme a lui come un tempo, che cercare di vedere la realtà dei fatti,» proseguì Ginny, «quello che è certo, è che ha bisogno di più tempo degli altri perché le cose gli entrino per bene in quel testone duro che si ritrova. Vedrai che un modo troveremo, Harry.»

Harry annuì, prima di sentire la mano di Remus posarsi sulla sua spalla. «Hai parlato con Severus di quanto successo tra te e Ron, Harry?» Allo scuotere della testa del ragazzo, Lupin proseguì: «Potrebbe aiutare con--»

«Non mi sembra il tipo di approccio migliore, Remus,» disse Harry, quasi sconcertato alla proposta dell'uomo, mentre immaginava la reazione del proprio guardiano nel sentirsi raccontare di come Ron aveva mancato di rispetto nei confronti del suo professore. Probabilmente Severus gli avrebbe fatto cambiare idea a suon di sortilegi.

«Come preferisci,» sospirò Remus, «ma temo che tu stia sottovalutando i benefici di parlare con un adulto di queste vicende, per quanto triviali siano... sai che Severus, in qualità di guardiano, avrà voce in capitolo sulla tua formazione scolastica, per esempio?»

Harry grugnì. «Non ricordarmelo,» borbottò, «mi ha già chiesto di fargli avere tutti i compiti pronti almeno una settimana prima delle lezioni - cioè tra tre giorni! - così che lui possa controllarli per tempo...»

«Harry, ma è fantastico!» esclamò Hermione, eccitata, «Oh, avessi io questa possibilità! Hai idea di come i tuoi voti miglioreranno d'ora in avanti?»

Remus ridacchiò tra sè e sè. «Su questo non ho dubbi.»

«Hey,» replicò Harry, fingendosi offeso, «mi sembra di essermela cavata sempre abbastanza bene finora, o sbaglio?»

«Parlavo di Pozioni, Harry!» disse ancora Hermione, «ma ci pensi? Il professor Piton potrebbe perfino aiutarti ad ottenere il punteggio richiesto per i G.U.F.O. necessari a intraprendere la carriera di Auror.»

Harry tornò a fissare la schiena di Ron, trovando difficile distrarsi con quei discorsi scolastici. Voleva avere l'occasione di poter parlare a quattrocchi con il proprio amico per chiarirsi. Ma per fare ciò, avrebbe dovuto aspettare il momento propizio.
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«Zucchero, Severus?»

«No, grazie.»

Severus sedeva comodamente nella cucina malandata di Grimmauld Place, dove Molly Weasley si affaccendava a svolgere i propri mestieri giornalieri. Arthur sorseggiava il proprio tè con una copia de La Gazzetta del Profeta aperta in grembo e l'espressione di chi vorrebbe essere ovunque tranne che lì in quel momento.

«Abbiamo notizie di Hagrid? Speriamo si sia ripreso dopo quello che ha passato...»

«È in via di guarigione. Occorrerà ancora una settimana prima che torni nel pieno delle sue forze, ma il tempo medio per un semi-gigante è di durata molto inferiore rispetto a un comune umano,» rispose Severus, bevendo casualmente dalla propria tazza.

Molly annuì distrattamente, asciugandosi le mani in uno degli stracci appesi lì accanto; il suo sguardo andò a posarsi sul marito, il quale intuì il volere della moglie e si schiarì piano la gola, in evidente difficoltà.  

«Severus, grazie per aver accettato di venire qui oggi,» esordì Arthur, passandosi una mano attraverso i corti capelli rossi. «Il motivo per cui ti abbiamo chiesto questo favore è per parlarti di... Harry e Ron.» Allo sguardo più intenso rivoltogli dall'altro uomo, il signor Weasley si affrettò a proseguire: «Non abbiamo potuto fare a meno di notare nell'ultimo periodo come il loro rapporto sia diventato piuttosto... turbolento, nei confronti l'uno dell'altro. Nulla di grave, per carità, ma non possiamo ignorare l'irritabilità presentata da Ron nell'ultimo periodo, nei confronti dei suoi stessi fratelli.»

Nel vedere il marito esitare leggermente, Molly colse l'occasione per prendere parola. «Il motivo per cui stiamo condividendo le nostre preoccupazioni con te, Severus, è nella speranza che tu possa assisterci nel capire come poter aiutare Ronald ed Harry caro a tornare uniti come prima,» la donna si interruppe per riprendere fiato, prima di continuare, con evidente fatica e la voce sempre più spezzata dall'emozione. «So che abbiamo avuto un inizio brusco da quando sei subentrato nella vita di Harry, ma ora posso dire di aver visto il modo in cui sei stato in grado di aiutarlo l'altra notte, in preda a... a q-quel... m-mostro!»

«Su, su, Molly,» Arthur si alzò per circondarle le spalle, la voce della donna ormai rotta da singhiozzi materni.

Severus si costrinse mentalmente a non sollevare gli occhi al cielo e si schiarì invece la gola. Forse accettare di fare da guardiano a Potter era stata una scelta troppo avventata. Oh, se solo avesse preso in considerazione per tempo che avrebbe dovuto aver a che fare anche con pianti isterici e futili problemi adolescenziali...  

L'uomo trasse un respiro, prima di sforzarsi di parlare, nella sua voce annoiata di sempre. «Non posso negare di aver notato un deciso cambiamento negli atteggiamenti tra il Signor Weasley e Potter, senza dubbio provocato anche dagli ultimi sviluppi di questa, ah... sfortunata estate,» iniziò, con disinvoltura. «I due hanno mostrato una notevole tendenza ad evitarsi l'un con l'altro, piuttosto che cercare un confronto che li aiuti a chiarirsi. Forse,» proseguì, osservando attentamente le reazioni dei due genitori, «potrebbe essere fattibile per me organizzare un incontro forzato tra i due soggetti interessati.»

Arthur e Molly si scambiarono un'occhiata, per un istante esitanti sul da farsi.

«Severus, non vorrai... punirli?» domandò Arthur, la voce velata d'incertezza.

Severus offrì un elegante sventolio della mano, come se stesse scacciando con estrema disinvoltura una mosca fastidiosa. «Oh, no, sebbene Potter sia sotto la mia supervisione, lo stesso non si può dire del Signor Weasley; non è nelle mie facoltà punire uno studente nel periodo estivo, per giunta fuori dalle mura scolastiche. Quello che stavo meramente suggerendo è di aspettare o creare l'occasione opportuna perché possano trovarsi nella stessa stanza allo stesso momento.»  

Qualche attimo di silenzio seguì, prima che la donna decise di riprendere la parola.

«Non posso più sopportare di vedere quei due ragazzi far fatica anche a salutarsi...» mormorò, lanciando uno sguardo apologetico al marito, col chiaro intento di scusarsi per quello che avrebbe di lì a poco detto. Con lo sguardo rinnovato di sentimento, Molly tornò a guardare l'insegnante dagli abiti scuri e batté con decisione una mano sul tavolo. «E sia, a mali estremi... estremi rimedi!»

Severus dovette trattenere a stento il sorrisetto che per poco non gli affiorò alle labbra.

Si prospetta una giornata interessante, oh sì.
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«Avete visto la Professoressa McGranitt? Silente ha detto che si trova a Grimmauld Place ora,» Harry si voltò a guardare Ginny mentre passeggiavano l'uno accanto all'altra, lunga la via principale di Diagon Alley. Le compere per l'inizio del nuovo anno stavano procedendo senza particolari rallentamenti, a parte qualche scherzo qua e là dei gemelli nei confronti di ignari passanti.

«È così, occupa la stanza di Ron per il momento. Da quando sei andato via hanno pensato di spostarlo a dormire in camera con Fred e George per dare alla McGranitt la giusta privacy,» spiegò Ginny. «Credo che rimpianga di essere in stanza con te,» aggiunse poi, ridacchiando leggermente in direzione del fratello.

«Questo è poco ma sicuro,» rispose il ragazzo occhialuto, ricambiando il suo sorriso. «Mi farebbe piacere passare a trovarla--»

«Shhh, Harry!»

Nel sentirsi trascinare di colpo dietro a un angolo, Harry si interruppe di colpo, voltandosi a guardare Ginny con occhi spalancati. «Ginny, ma che diav--?»

In tutta risposta, Ginny si premette ancora di più il dito che si era portata alle labbra. «Guarda!» indicò poi, puntando poco oltre la strada che avevano percorso fino a poco prima, la mano rivolta verso la scalinata che portava ad un negozio avvolto dalla penombra, con la scritta a lettere gotiche Magie Sinister ben visibile sopra. Harry seguì lo sguardo di Ginny fino a scorgere una testa dai capelli biondo pallido, che sostava di fronte alla bottega, la stessa testa che poteva appartenere solo a...

«Malfoy,» mormorò Harry serrando i pugni dalla rabbia, mentre ricordava con fremiti di rancore l'incubo di quella note senza fine in cui il padre del suo acerrimo rivale si era unito ai suoi confratelli Mangiamorte nel torturarlo senza tregua. «Sembra sia solo... con chi starà parlando?» Harry strizzò gli occhi dietro agli occhiali, sforzandosi di vedere meglio nonostante il sole abbagliante di quella giornata estiva che contrastava nettamente con il vicolo buio in cui Malfoy sostava.

«Ha qualcosa in mano,» bisbigliò Ginny, «sembra... una specie di specchio...»

«Specchi gemelli,» esclamò una voce alle loro spalle, facendoli saltare.

«Hermione!» sussurrò Harry, indignato per il modo brusco in cui l'amica aveva deciso di palesarsi.

«Scusate,» si affrettò a dire quest'ultima, prima di appiattirsi contro il muro di mattoni insieme agli amici. «Come siete arrivati fin qui? Il professor Lupin vi sta cercando,» aggiunse, per poi lanciare un'altra occhiata a Malfoy, unico oggetto dell'interessamento di Harry e Ginny. «La domanda non è cosa sta facendo... ma con chi comunica,» proseguì, attirando finalmente su di sé l'attenzione dei due amici, «deve esserci qualcuno con uno specchio identico al suo con cui sta parlando, e - a giudicare dal modo in cui muove le labbra - sembra una discussione parecchio concitata.»

«Se solo Fred e George fossero qui, avremmo potuto usare le Orecchie Oblunghe per ascoltare...»

«Forza, proviamo ad avvicinarci senza essere scoperti--» stava per dire Harry, facendo un passo allo scoperto dopo aver controllato che Malfoy fosse troppo concentrato per accorgersi di lui, quando un'altra voce alle proprie spalle lo colse di sorpresa.

«Hey, cosa state combinando?» disse Ron, posando casualmente una mano sulla spalla di Hermione. 
 

Il trio balzò seduta stante, e - con orrore di tutti - il gridolino inaspettato di Ginny catturò l'attenzione del Serpeverde che sostava qualche metro più avanti. Lo sguardo di Malfoy ricadde sul gruppetto di ascoltatori inattesi e lo shock nei suoi occhi grigi cedette ben presto il posto all'irritazione. Con un movimento lesto della mano, il giovane celò nella propria veste lo specchio attraverso cui aveva comunicato fino ad allora, per poi rivolgere uno sguardo di fuoco ai Grifondoro che avevano osato spiare su di lui.

«Stupidi Mezzosangue!» gridò nervosamente, prima di girare sui tacchi e dileguarsi rapidamente attraverso le vie più interne del quartiere.

«Per la miseria,» esordì Ron, troncato subito dallo sguardo fulminante degli altri tre.

«Ottimo lavoro, Ron,» commentò Hermione, ironica, battendogli la stessa mano sulla spalla in un'imitazione dell'amico. «Non solo non abbiamo scoperto i suoi piani, ora dobbiamo anche preoccuparci del fatto che Malfoy sappia che lo stavamo spiando!»

«Hey, come facevo a sapere che--?»

«Non una parola, Ron,» disse Ginny, scuotendo la testa, «piuttosto, come hai fatto a seminare Lupin?»

«Fred e George mi hanno dato una mano,» rispose il ragazzo, scrollando le spalle. «Ci siamo divisi per non dare nell'occhio...»

«Cosa che, a quanto pare, non ha funzionato,» giunse la voce di Remus dietro di loro. L'ex-professore li guardò con aria di disapprovazione. «Si può sapere cosa è saltato in mente a tutti e quattro? Ragazze sono deluso da voi in particolar modo,» continuò Remus, prima di posare lo sguardo sul Ragazzo Sopravvissuto. «E Harry, da te non mi aspettavo un comportamento così immaturo, non dopo quello che hai passato quest'estate. Davvero reputi saggio allontanarti da me per poter gironzolare nei dintorni di Nocturn Alley?»  

Harry fissò il proprio sguardo sulle proprie scarpe, mortificato. Avvertire la delusione nella voce di Remus era peggio che se avesse gridato. «Mi dispiace,» mormorò a bassa voce.

Remus sospirò, prima di passarsi una mano sul viso stanco. «Fortunatamente state tutti bene. Coraggio, torniamo indietro. Visto il tempo che ho passato a cercarvi, credo che possiamo saltare la sosta alla gelateria di Fortebraccio e dedicarci all'ultimo negozio rimasto...»

Mentre Remus parlava e il gruppo tornava sui propri passi, Ginny punzecchiò Harry con un gomito. «Cos'è quella faccia Harry? Credevo ormai fossi abituato a infrangere le regole,» scherzò, con l'intento di tirarlo su di morale.

Harry si lasciò sfuggire un grugnito demoralizzato. «Spero solo che Remus non abbia intenzione di raccontare tutto a Severus... in quel caso, quello che mi aspetta sarà ben peggio che saltare il gelato del pomeriggio,» borbottò il giovane, deglutendo all'idea di ciò che lo avrebbe quasi certamente atteso al suo ritorno.
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«Deduco che la tua giornata non sia andata per il meglio, a giudicare dalla tua faccia.»

Harry deglutì. Il soggiorno in pietra dei quartieri di Piton era vagamente illuminato dallo scoppiettio del fuoco magico proveniente dal camino; il professore di Pozioni - seduto comodamente sul sofà in pelle marrone - sollevò gli occhi dal giornale che stava leggendo per posarli sull'entrata del ragazzo, in attesa di una sua risposta. Poi le parole di Remus gli tornarono alla mente.

«Non racconterò quello che è successo oggi a Severus, Harry, non perché penso che non debba saperlo, ma perché vorrei che sia tu a farlo,» gli aveva detto l'uomo lupo, prendendolo da parte una volta tornati a Grimmauld Place. «Desidero che tra di voi si instauri un legame di reciproca fiducia, che rischierei di rovinare se intervenissi anzitempo. Questo sarebbe stato ovviamente diverso se fosse invece accaduto qualcosa,» aveva continuato, aggiungendo con un tono decisamente più sollevato e meno severo, «in questo caso, avrei potuto considerarmi un uomo morto.»

Il ricordo della loro conversazione fu abbastanza da far schiodare al ragazzo i piedi dal tappeto su cui sostava. Severus non poteva sapere ancora nulla di quella giornata. Di certo ci sarebbe stato un momento migliore per raccontarglielo...

«Fare shopping non è esattamente entusiasmante,» disse Harry, scrollando le spalle e lasciandosi sprofondare in quella che era già diventata la sua poltrona preferita, «certamente non come un mattinata passata sul campo da Quidditch a provare la scopa appena lustrata con il nuovo kit di manutenzione...» azzardò con un mezzo sorriso astuto, curioso di sapere come Piton avrebbe reagito alla velata proposta.

Severus inarcò un sopracciglio, ma Harry avrebbe potuto giurare di vedere l'ombra di un sorrisetto quasi compiaciuto increspargli impercettibilmente le labbra. «È scaltrezza Serpeverde quella che le mie orecchie odono, Signor Potter?»

Harry ridacchiò, allungando una mano verso il piatto di biscotti posto sul tavolino da caffè di fronte al camino. «Questa estate è stata quasi peggio delle altre per quanto riguarda l'allenamento pre-campionato,» commentò con casualità, cercando un appoggio su cui fare leva, «non vorrei che la mia squadra pensasse che ora parteggio attivamente per Serpeverde, dovessi mai far figure a causa del mancato allenamento.»

Severus scosse la testa, sollevandosi dal divano su cui aveva passato l'ultima mezz'ora in attesa che il ragazzo tornasse. «Suggerisco di fare attenzione ai punti, nel caso la carta Quidditch non funzionasse quest'anno,» rispose, senza perdere il ghigno appena accennato, ed Harry avvertì un accenno di mal di stomaco dentro di sé, in ricordo di quanto fosse facile per il suo nuovo guardiano di togliere punti a Grifondoro. «Ora andiamo, abbiamo una visita da rispettare prima che faccia buio, ricordi?»

Il volto di Harry si accese d'un tratto. Hagrid! Come aveva potuto dimenticarsi di lui? Pronto come non mai, il ragazzo seguì le lunghe falcate di Severus, ritrovandosi quasi costretto a fare jogging per stare dietro all'uomo. Una volta fuori da Hogwarts, Harry alzò il viso verso Severus, una domanda ben leggibile sul volto.

«Perché non abbiamo usato il camino come Madama Chips per raggiungere Hagrid?»

Severus sorrise impercettibilmente, senza girarsi a guardarlo. «Credevo tenessi alla tua forma fisica in vista dell'inizio del torneo di Quidditch,» rispose con voce di velluto.

Harry sospirò internamente. Serpe. Inutile quanto si sforzasse, Severus era sempre un passo avanti a lui.

Arrivati lungo la discesa che li avrebbe condotti dritti alla capanna di Hagrid, l'enorme sagoma del mastino napoletano si palesò in fronte a loro, accogliendoli in latrati e scodinzolii. Harry aggrottò la fronte, accarezzando distrattamente il cane prima di sentire la voce di Hagrid provenire allarmata, seppure attutita, dalla capanna.

«Che cos'avrà che non va?» domandò il ragazzo a Severus.

L'uomo non rispose, accelerando il passo ancor di più se possibile.

«Thor!»

Harry fece un balzo indietro nell'entrare nello spazioso monolocale di Hagrid, travolto dalla voce tuonante del Mezzo-Gigante.

«Oh, Harry, Professor Piton, non vi avevo visti arrivare,» si scusò l'enorme omaccione, attualmente steso nel suo letto sgangherato. «Quel birbante di Thor approfitta che non mi posso muovere per prendere una boccata d'aria ogni due per quattro...»

«Ciao Hagrid,» salutò Harry, accorato, prendendo posto su una sedia accanto al letto. Rispetto all'ultima volta che l'aveva visto, Hagrid appariva un po' più roseo e meno violaceo, con il viso tuttavia ancora segnato dalle ferite che aveva subito e i capelli sempre più simili ad un groviglio selvaggio. «Come ti senti?»

«Oh, acciaccato, ma nulla di irreparabile grazie al professore qui... qui--,» Hagrid emise due potenti starnuti che quasi minacciarono di far cadere Harry dalla propria precaria posizione e aggiunsero due macchie giallastre sul lungo mantello di Severus, il quale si limitò a storcere il naso e a muovere il polso della bacchetta in tono annoiato fino a farle sparire, «-- presente.»

«Vuoi raccontarmi cosa ti è successo,--» Harry non fece in tempo a finire la frase che il subdolo schiarimento di voce dell'insegnante al suo fianco lo interruppe.

Hagrid scosse piano la testa, evitando con difficoltà lo sguardo del giovane Grifondoro per lanciare occhiate furtive a Severus e al suo volto di pietra. «Non è possibile, Harry, mi spiace... questioni dell'Ordine,» fu la risposta evasiva del Mezzo Gigante.

Harry inarcò un sopracciglio, deluso. Era evidente che, davanti a Piton, Hagrid non avrebbe mai parlato. Avrebbe dovuto escogitare uno stratagemma per avere la certezza di tirar fuori qualcosa dall'amico gigante.

«Vorrei offrirvi dei biscotti, ma tutti quelli rimasti devono essere ammuffiti durante la mia assenza,» Hagrid cambiò casualmente discorso, con la stessa grazia di un elefante in un negozio.

«Ho già mangiato abbastanza caramelle per un giorno-- ehm, volevo dire è quasi ora di cena comunque,» cercò di correggersi Harry, ben consapevole che a Severus non fosse sfuggita la sua prima asserzione. «Come te la stai cavando qui, Hagrid? Intendo dire da solo, hai bisogno di una mano per cucinare, o...?»

«Oh no, Harry, Madama Chips e il professor Piton sono così gentili da occuparsi anche del cibo quando vengono in visita,» disse Hagrid con ritrovata energia, lanciando uno sguardo di sincera riconoscenza a Severus, prima che un pensiero improvviso lo colpisse tanto duramente da farlo rattristare. «Come ti dicevo, l'unico problema è Thor, una vera spina nel fianco,» mormorò sconsolato, «continua a fare come prima, sgattaiola fuori come una manticora in fuga appena ne ha l'occasione e io non posso badargli,» spiegò, prima che il suo sguardo si addolcisse posandosi sulla vista del suo adorato mastino, attualmente occupato a lasciare una scia di bava maleodorante sul ginocchio di Severus. «Penso che gli piaccia, Professor Piton.»

Harry si sentì quasi strozzare nel tentativo disperato di trattenere la violenta risata che minacciava di salirgli in gola. Non sapeva cosa era più divertente in quel momento, se lo sguardo di pura adorazione con cui Thor persisteva nel cercare di appoggiare il muso sulle gambe di Severus, oppure la faccia disgustata con cui quest'ultimo tentava di allontanare il grosso mastino, senza successo, sotto gli occhi di un inconsapevole Hagrid.

«Potrei occuparmi io di Thor, Hagrid,» propose Harry, in uno slancio di bontà, mordendosi l'interno della guancia per costringersi a non cedere all'ilarità del momento. Al suo fianco, avvertì Severus pietrificarsi completamente.

«Come prego?»

«Io e il professor Piton potremmo beneficiare della sua compagnia,» proseguì Harry, imperterrito, approfittando che Severus fosse troppo impegnato a tenere a bada al cane - che aveva ora iniziato a tirargli il mantello per giocare al tiro alla fune - per poter dare retta anche a lui.

«Assolutamente, no! Potter, non pensarci nemmeno--»

«Dici davvero, Harry?» chiese Hagrid, come se non avesse sentito neanche una parola di Severus, il volto tumefatto già largo in un sorriso entusiasta. «Sono sicuro che Thor starà bene con voi, e voi con lui! È di grande compagnia, fedele, educato e--»

«... inqualificabile!»

«Esatto, ha così tanti aggettivi positivi che potrei parlarne per ore! Mi piace il suo entusiasmo, professore,» esclamò Hagrid, gioioso. «Guardi come si è già affezionato a lei,» aggiunse con incredibile sdolcinatezza, tanto che Harry si chiese se Hagrid avesse ricevuto un trauma più grave di quanto i suoi due guaritori pensassero, per non accorgersi di come Severus tentava in tutti i modi di allontanarsi da Thor.

«Puoi starne certo, Hagrid, Thor sarà dei nostri almeno finché non ti rimetterai in sesto,» si sentì in dovere di aggiungere il Grifondoro, lanciando un'occhiata trionfante al proprio guardiano mentre si guadagnava un ululato di approvazione da parte del mastino. Io e te faremo i conti dopo, lesse nello sguardo di Severus, prima che quest'ultimo decidesse che ne aveva abbastanza da alzarsi e abbandonare ogni tentativo di ripulire le vesti ormai completamente impiastricciate di saliva canina.

«Attendi Poppy per la prossima medicazione,» disse velocemente Severus, chiaramente ansioso di uscire da lì e respirare qualsiasi cosa che non fosse alito di cane, «la salvia che ti ho applicato stamattina avrà effetto ancora per due ore.»

«Grazie Professor Piton, e grazie a te, Harry,» rispose subito Hagrid, quasi con le lacrime agli occhi dal doversi separare dal proprio amico a quattro zampe, «e non dimenticate l'osso preferito di Thor, e-e i suoi cinque pasti al g-giorno, e--»

«Andrà tutto bene, Hagrid,» lo rincuorò Harry, alzandosi a sua volta e battendo con gentilezza la mano sull'enorme braccio del Mezzo-Gigante. «Porteremo Thor a trovarti insieme a noi molto presto,» aggiunse, rassicurante.

Come la porta si chiuse alle loro spalle, Harry guizzò di lato per evitare la mano calante con cui Severus aveva tentato di acchiappargli la collottola.

«Potter! Vuoi spiegarmi che diavolo ti è venuto in mente?» ringhiò Severus, furibondo. «Dovrei trasformarti in un rospo verrucoso seduta stante!»

«Credevo fosse la cosa giusta da fare,» si giustificò Harry, prima di piegarsi in due alla vista di Thor che faceva le feste intorno a Severus. «Non vedi come si è già legato a te, ho pensato avrebbe fatto bene a entrambi--»

«Ho già una peste insolente che mi gira per casa, non ho bisogno anche di un bavoso ammasso di pulci!» Alla vista di Harry che continuava a ridere con ancora più gusto, se possibile, Severus incrociò le mani al petto, un ritrovato ghigno sardonico ora ben inciso sulle proprie labbra. «Occlumanzia. Stasera. Tu ed io

Harry sbiancò d'un tratto, la bocca improvvisamente arida e le pupille dilatate. «N-no, Severus, per favore, non dirai sul serio--»

«Serissimo,» asserì l'uomo, con le labbra tirate, «non svolgiamo lezioni da troppo tempo, è proprio il momento di riprendere con le... ah sì, vecchie abitudini,» pronunciò, con un velo fintamente sadico nella voce, cosa che un tempo avrebbe fatto scappare Harry a gambe levate. Ma l'attuale scena era troppo divertente per prendere il Pipistrello dei Sotterranei sul serio, dato che Thor - stanco delle mancate attenzioni di Severus - aveva infine deciso di usarlo come albero personale. L'uomo scrollò con forza la gamba ormai fradicia, scatenando nuovamente l'ilarità di Harry. «E ora aiutami a togliermi questa bestiaccia di dosso!»
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«E quando - esattamente - pensavi di dirmi di ciò che è successo oggi?»

Harry riprese fiato, cambiando posizione sulla poltrona che aveva scelto all'inizio della seduta di Occlumanzia. «N-non è quello che pensi--» tentò di dire affannosamente, passandosi il dorso della mano sulla fronte sudata.

«E che cosa sarebbe allora quello che ho visto nella tua testa?» incalzò Severus, abbassando la propria voce al suo famigerato tono pericoloso di sempre. Harry si fece piccolo piccolo, preparandosi a valutare bene le parole seguenti.

«M-mi mi stavo solo divertendo con i miei amici--»

«Ti stavi... divertendo?» ripeté Severus, in un sussurro quasi amabile. «Che razza di idea di divertimento sarebbe quella di spiare su Draco Malfoy al limite del quartiere più malfamato di Londra?» rimbeccò, tornando ad alzare gradualmente il tono della voce.

«Stavamo solo dando un'occhiata!» esclamò Harry, stanco di tutti quei rimproveri. «Si stava comportando in modo strano e abbiamo solo sentito...»

Severus non lo lasciò finire di parlare, portandosi fino davanti alla faccia del ragazzo e chinandosi per essere al suo livello. «Cosa ti ho detto solo l'altro giorno al San Mungo?» ringhiò. «Quante volte devo ripeterti di smetterla di comportarti come uno stupido e di non allontanarti mai dalla protezione di chi sta badando alla tua sicurezza?»

«Questo vorrebbe dire che non potrò mai spassarmela? Il Ragazzo Sopravvissuto non ha diritto anche lui a un po' di svago?» rispose Harry, incapace di trattenersi oltre.

«Non provare nemmeno ad usare questo tono con me.» Severus lo fulminò seduta stante. «Ti ho tenuto in vita da quando avevi undici anni, non fallirò proprio adesso solo perché tu, stolto ragazzo, avevi voglia di divertirti,» Harry avvertì lo sprezzo con cui Severus aveva pronunciato l'ultima parola e ingoiò la risposta che gli era salita alle labbra, concentrandosi invece sulla prima parte della frase di Piton.

Ti ho tenuto in vita da quando avevi undici anni.

«Io...» Harry fu investito dall'intensità con cui Severus lo stava fissando e fu colto da un'improvvisa ondata di sensi di colpa. L'uomo gli aveva dimostrato di essere veramente disposto a tutto pur di proteggerlo dai mille pericoli che si aggiravano intorno a loro. Spiare. Mentire. E perfino uccidere. «... mi dispiace.»

Severus spostò lo sguardo da lui alla stanza intorno a loro, dandogli le spalle e incamminandosi verso la cucina, dove le pentole avevano iniziato ad armeggiare da sole. «L'hai già detto in passato, dimostralo,» proseguì, senza tante storie. «A partire da domani mattina, voglio che tu e il signor Weasley passiate la vostra giornata scrivendo ben cinquecento righe della stessa frase "Userò la testa di cui sono stato dotato e ascolterò gli adulti che mi tutelano al fine di proteggere me e i miei amici."»

«Cinquecento righe?» Harry balzò in piedi, confuso e arrabbiato. «Ma non finiremo mai in un giorno! E perché Ron? Eravamo lì in quattro ed è stata una mia idea--» cercò di replicare, senza alcun successo.

«Perché, da quello che ho visto nella tua mente, è evidente che se Ronald Weasley non fosse intervenuto con la sua goffaggine, ci sarebbero state più chance che Malfoy non si accorgesse della vostra presenza, limitando così i danni nati dall'essere scoperti.»

«Ma non è giusto!» esclamò Harry, «siamo in vacanza, non puoi punirci!»

«Oh, è qui che ti sbagli, Signor Potter,» disse Severus, girandosi finalmente verso di lui con un freddo sorrisetto impostato sulle labbra. «Dimentichi che sono il tuo guardiano. In più, sono di comune accordo con i Weasley perché loro figlio condivida la stessa punizione con te, non sei... contento di questo trattamento di riguardo?»

Harry lo fissò sempre più spaesato. «Ma... ma come?» domandò prima di rinunciare al voler capire e focalizzarsi su qualcos'altro. «Dovreste impegnarvi a scoprire cosa ci faceva Malfoy a Nocturn Alley e con chi cercava di comunicare, non poteva che essere qualcosa di losco--»

«Per quanto sicuramente interessante sia la storia che solo ora sembri volermi raccontare, è mio compito badare alla tua supervisione e non a quella di Malfoy,» proseguì Severus, rovesciando nel piatto di Harry un'abbondante porzione di patate al forno e due cosce di pollo. «Quindi sei pregato ad attenerti a quello che io dico, questa è l'ultima volta che lo ripeto con calma,» disse a denti stretti, cercando con estrema fatica di scansare un Thor con l'acquolina in bocca senza far cadere neanche un po' di cibo dal piatto. «Vorresti, gentilmente, tenere questo dannato cane?»
    

«Thor, vieni qui bello, lascia stare Severus,» borbottò Harry, rassegnato alla punizione alla quale sapeva di non poter scampare. «Dì la verità, c'entra anche la nostra recente aggiunta alla casa non è così?»

Severus inarcò un sopracciglio mentre si sedevano a tavola finalmente. «Ma non mi dire, sbaglio o sei diventato più acuto ultimamente?» lo spiazzò con ironia, beccandosi la solita roteata di occhi.

«Noto un certo astio nei confronti dei cani per caso?» lo stuzzicò Harry, curioso, ignorando il commento di prima.

«Hai forse dimenticato che al tuo primo anno quel dannato cerbero del tuo amico Hagrid per poco non mi staccava una gamba?» replicò soave Severus, prima di lanciare un'occhiata al mastino che li fissava dal tappeto della sala, mordicchiando amabilmente un osso di pollo casualmente sfuggito a Harry. «Sappi che sarà tua responsabilità badare a lui, dato che l'hai voluto così tanto.»

«La prendo come una mezza vittoria,» acconsentì Harry, con energia ritrovata, entusiasta di aver avuto il tacito consenso da parte di Severus a mantenere Thor con loro, «questo vuol dire che quando porterò Thor fuori per la sua uscita mattutina, potrei approfittare per fare mezz'oretta di volo sulla scopa--»

«Penserai prima alla tua punizione, porterò io il pulcioso fuori domattina,» tagliò subito corto Severus.

Harry grugnì, desolato, prendendosela con una patata solitaria nel suo piatto. Non sapeva se la cosa che più lo irritava era la punizione in se, o il fatto di essere costretto a spendere una giornata e forse più nella stessa stanza con il suo migliore amico senza sapere come ricucire il loro rapporto.
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Capitolo 23
*** To Build a Home ***


XXIII.
To Build a Home




Harry avvertì un tonfo e un piegamento nel letto che lo fece balzare. Ancora sonnolento, non si degnò di aprire gli occhi per vedere cosa fosse stato, probabilmente si era trattato solo di un brusco risveglio da un sogno già non più afferrabile. Il fragrante odore di uova e bacon proveniente dalla cucina colpì piacevolmente le sue narici, facendolo gradualmente risvegliare dal sonno e inducendolo a stiracchiarsi in modo non troppo composto.

Ancora cinque minuti... pensò il ragazzo, nuovamente accucciato contro qualcosa di morbido e comodo e bagnato e... dall'odore così pungente in grado di coprire quello della colazione in procinto di essere servita.

Una lingua rosea e dal fiato pesante colse di sprovvista il giovane, che si scansò troppo tardi per poter evitare che la sua guancia fosse inondata di saliva.
  

«Ugh, Thor!» Harry cercò di limitare i danni arrecati strofinando il lenzuolo contro la guancia ormai fradicia, fino a farsela diventare rossa. In tutta risposta al suo richiamo, Thor si limitò a scodinzolare felice, stiracchiandosi a sua volta sul letto di Harry e balzando nuovamente giù con moto pigro, in attesa che il ragazzo lo seguisse.

«Dormito bene?»

Harry si stropicciò gli occhi, prima di posarli sulla figura di Severus, appoggiato casualmente allo stipite della porta, nel suo più nero dei mantelli. «Già... è il risveglio che ha lasciato un po' a desiderare,» commentò il giovane, alzandosi goffamente e inforcando gli occhiali rotondi.

Severus offrì uno dei suoi sorrisi più obliqui. «Sembra che il pulcioso abbia una sua utilità, dopotutto,» disse, tornando verso la cucina.

Harry sospirò, lasciandosi poi andare ad uno sbadiglio. «Dovevo immaginare che ci fosse il tuo zampino...» Papà, stava per aggiungere. Harry trattenne il respiro per una frazione di secondo per poi rilassarsi, sollevato dall'essersi interrotto per tempo e - allo stesso modo - terrorizzato all'idea di potersi lasciar sfuggire una simile parola di fronte a Piton. Il ragazzo era sicuro che non avrebbe mai potuto sopportare di vedere l'orrore e il sarcasmo negli occhi dell'uomo, se solo quest'ultimo lo avesse sentito vociare il suo pensiero. Un pensiero sempre più frequente, specialmente da quando si erano ritrovati a vivere sotto lo stesso tetto.
 

«Penso che tu abbia dimenticato che giorno sia oggi,» proseguì Severus, in tono amabile - forse fin troppo per lui - vedendo che il ragazzo ancora non capiva. «Sai, non avrei voluto far aspettare più del necessario il signor Weasley, che ha così gentilmente deciso di essere puntuale per una volta.»

Harry fece un balzo indietro nel mettere finalmente a fuoco la faccia rossa del suo migliore amico. Vedere Ron seduto allo stesso tavolo dove Harry era solito mangiare con Severus, nell'ormai familiare soggiorno di quest'ultimo, aveva un non so che di incredibilmente surreale. «Perché non mi hai svegliato prima?» domandò Harry, allarmato, rendendosi conto solo in quel momento che Ron era lì per iniziare la loro punizione.

Severus inarcò un sopracciglio, l'espressione perfettamente seria e austera di sempre già in posizione. «Ti sembro la tua balia personale?»
 

«N-no,» deglutì subito Harry, ricacciando indietro ogni protesta di fronte al tono del suo guardiano. Mosse lo sguardo nuovamente su Ron, che spostava il peso sulla sedia su cui si trovava con evidente disagio. Dire che era teso sarebbe stata una menzogna. Il volto del Grifondoro era una maschera di terrore.

«Miseriaccia, Harry,» bisbigliò Ron, una volta che quest'ultimo gli fu abbastanza vicino da non far sentire a Piton, «hai idea da quanto tempo ti aspetto? Mamma e papà mi hanno fatto alzare alle sette per essere qui così presto!»

«Mi spiace, mi è sfuggito,» si scusò il ragazzo, prendendo posto accanto a lui e lanciando sguardi nervosi verso Severus, prima di addentare la propria colazione con lo stomaco già in subbuglio per quello che li attendeva. «È già capitato che dormissi più del solito, ma mi ha sempre svegliato con largo anticipo. È come se l'avesse fatto apposta...»

Ron roteò gli occhi al cielo. «Piton che cerca di incastrarci,» sospirò, in tono ovvio, «per la misera, questo sì che è incredibile--»

«Linguaggio,» ammonì Severus, rientrando dalla cucina. «Siamo già a due, signor Weasley. Dalla terza, aggiungerò duecento righe per ogni imprecazione pronunciata,» aggiunse, nel più pericoloso dei suoi sibili.

Ron si raddrizzò immediatamente, come un perfetto soldatino, la bocca impercettibilmente mossa a formare una scusa. Harry provò un moto di pietà per il proprio amico; era evidente che Ron poteva solo sentirsi come un topo in trappola nel covo di un serpente. Pensò di rispondere al proprio guardiano che aggiungere righe ad una punizione già ingiusta di per sè era come accanirsi su un indifeso, ma poi ci ripensò. Lo sguardo di Severus era lo stesso che era solito utilizzare in classe con i Grifondoro, e - per un attimo - Harry si dimenticò che fino a qualche minuto prima, in assenza di Ron - l'uomo aveva perfino scherzato con lui.

Il ragazzo terminò la propria colazione in silenzio, aprendo bocca solo per chiedere a Ron se aveva già fatto la sua; il rosso annuì forse un po' troppo energicamente, lanciando occhiate sospette al piatto che Harry aveva appena divorato come se temesse che Piton potesse aver avvelenato il proprio amico.

Ben presto la tavola apparecchiata svanì, lasciando posto a due pile di pergamene bianche e due calamai con tanto di piuma.
 

«Potete cominciare,» si limitò a dire Severus, prendendo posto allo scranno sull'altro lato della stanza, senza staccare gli occhi dai due ragazzi posizionati al tavolo nel centro del soggiorno.

Harry inarcò un sopracciglio, ricambiando lo sguardo insistente dell'uomo. «Ti... metterai lì tutto il tempo a osservarci?»

Ron lo guardò come se fosse improvvisamente impazzito.

Severus imitò Harry in un'espressione inquisitiva, tutt'altro che amichevole. «E da quando il signor Potter pensa che questionare quello che faccio in casa mia sia saggio?»  

Harry si costrinse ad abbassare lo sguardo, cedendo a qualsiasi impulso di dare un seguito alla neanche tanto velata minaccia dell'uomo. Recuperata la piuma d'oca dal calamaio, con la testa china ognuno sulla propria pergamena, i due ragazzi cominciarono a scrivere mestamente, dando ufficialmente inizio alla loro punizione.
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Tic. Toc. Tic--

Crack!

Harry sobbalzò nella propria sedia, tutto a un tratto sveglio e lucido. Solo in quel momento si accorse di essersi quasi appisolato, salvato solo dal rumore del calamaio Ron, finito per terra in un momento di sbadataggine dell'amico.

Il ragazzo occhialuto si guardò intorno, allarmato, cercando con lo sguardo l'espressione torva di Severus, il quale - però - non era in vista. Strano, pensò, sorpreso. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, finché il suo sguardo non ricadde sul pendolo che segnava quasi mezzogiorno.

«Ehi, Harry,» bisbigliò Ron, accostando il volto al suo, «dove pensi che sia andato?»

«Come posso saperlo, Ron? Al bagno, magari?» rispose Harry distrattamente, occupato a lanciare Reparo sull'oggetto in frantumi unito all'Incanto di Pulizia per rimediare al danno effettuato al tappeto di Severus.

«Non importa, quello che conta è che abbiamo via libera per sgusciare via--»

«Non se ne parla neanche!» rimbeccò Harry, abbassando ancora di più la voce se possibile. «Non ci lascerebbe mai da soli senza avere un modo alternativo di controllarci... potrebbe essere un test.»

Ron sbuffò. «Andiamo, Harry, dov'è finito il tuo senso del divertimento?» replicò, l'espressione concentrata di chi sta cercando motivi validi per convincere l'amico. «Siamo pur sempre in vacanza, non vorrai passare uno dei nostri ultimi giorni estivi a scrivere righe?»

«Il massimo che possiamo fare è una pausa,» rimarcò Harry, serio e leggermente infastidito dall'insistenza dell'amico, non cedendo alle ragioni esposte, «non posso disubbidirgli così, Ron, cosa faresti se al suo posto ci fosse uno dei tuoi genitori--»

«Ma lui non lo è, Harry!» esclamò Ron ad alta voce, senza neanche lasciarlo finire di parlare, incapace di trattenersi oltre. Il colore del Grifondoro stava diventando forse più rosso dei suoi stessi capelli dall'enfasi con cui aveva sottolineato la frase.

Harry lo fissò per qualche istante, incredulo di fronte a quello che Ron aveva appena detto. «Sì che lo è,» replicò con calma Harry, cercando di non apparire offeso dalle parole dell'amico e desideroso di non far degenerare la discussione già in procinto di accendersi. «È il mio guardiano, Ron, e se non impari ad accettarlo--»

«Altrimenti cosa fai? Mi lanci un sortilegio?» ribatté Ron, testardo, ignorando persino Thor che si era alzato dalla propria postazione e aveva iniziato ad abbaiare. «Siete già arrivati alla lezione sulle Maledizioni Senza Perdono?»

«Ritira subito quello che hai detto,» ringhiò Harry a denti stretti, semi-consapevole del subitaneo prurito alla cicatrice.

«Come fai a continuare a chiedermi di accettarlo, Harry!» continuò Ron, imperterrito. «Possibile che non ti rendi conto che non è normale venerare lo stesso uomo che ti ha inflitto torture insieme a Tu-Sai-Chi quando eri prigioniero--»

«Vuoi sapere che cos'ha veramente fatto?» gridò Harry a sua volta, incapace di trattenersi oltre. «Si è preso cura di me, rischiando la vita per darmi le pozioni che mi permettessero di recuperare e poi trascinandomi fuori da lì sotto il naso di Voldemort senza quasi un graffio!» si interruppe solo per riprendere fiato, ormai fuori controllo, prima di proseguire. «Poi ha passato giorni e notti seduto accanto a me aspettando che mi riprendessi e mi ha persino abbracciato nel momento in cui ne avevo più bisogno, quando temevo di essere di nuovo solo dopo la caduta di Sirius e la lontananza di Remus! Mi ha raccontato di mia madre e mi ha donato uno dei pochi oggetti rimasti a ricordarla, oltre ad offrimi un posto in cui stare,» Harry si appoggiò con la mani al tavolo come per sorreggersi, improvvisamente instabile sulle proprie gambe. «Ma forse per te sono tutte cose scontate, non è così, Ron? Tu hai sempre avuto una pacca sulla spalla da tuo papà e una mamma che ti tenesse stretto nei momenti di sconforto. Beh, sai una cosa? Non ti permetterò di offendere ancora una volta l'unica persona più vicina ad un padre che mi sia rimasta!»

La prima cosa di cui Harry si accorse fu di star tremando e che il pavimento sotto i piedi non era poi così stabile. Vide che Ron lo fissava con la stessa aria terrorizzata che forse gli aveva solo visto in volto quando insieme si erano imbattuti in Aragog. Spostando infine lo sguardo attorno a sé, si rese solo in quel momento conto del perché il suo amico apparisse così spaventato: gli oggetti più piccoli e i soprammobili dentro e fuori dalle varie credenze si trovavano attualmente a lievitare a mezz'aria, come appesi da tanti fili invisibili. Quando il suo sguardo spaesato incontrò gli occhi neri di Severus, rientrato nella stanza proprio allora, tutto si fermò.   

Harry avvertì la testa iniziare a girargli e le gambe d'un tratto molli. «Severus--» Non riuscì a terminare il nome, accasciandosi nella sedia che si trovava dietro di lui, sfinito.

«Harry!» Ron gli si fece incontro per afferrarlo ed evitargli di farsi male, sebbene l'incanto silenzioso di Severus avesse già provveduto a rendere innocua la caduta.

L'uomo oltrepassò rapidamente Ron e si chinò sul Grifondoro indebolito in una frazione di secondo, lanciando i primi incantesimi diagnostici. Il suo sguardo ricadde sulla cicatrice arrossata del giovane, prima di premurarsi di sollevarlo con calma per andare ad adagiarlo sul divanetto di pelle scura di fronte al camino.

Ron lo guardò ancora sotto-shock, decidendo infine di sfidare la propria paura di Piton per seguirlo poco più in là ed accertarsi delle condizioni di Harry. «S-sta bene? C-cosa gli è successo--?»

«Dovrei essere io a chiedervi spiegazioni su cosa sia successo,» replicò brusco Severus, controllando con delicatezza le palpebre di Harry in modo da verificarne le condizioni, «vi ho lasciato soli il tempo di dieci minuti per ritrovarvi a gridare come forsennati!»

«Per favore, professore, Harry come sta?» insisté Ron, i sensi di colpa che iniziavano a tormentarlo per quanto appena accaduto.

«Sfinito, ma bene,» sospirò brevemente Severus, il tono sollevato neanche poi tanto nascosto di fronte al rosso. Abbiamo rischiato un altro attacco del Signore Oscuro. «Reinnerva,» mormorò, con un movimento circolare della bacchetta in direzione del quindicenne.

Harry sbatté lentamente le palpebre, fissando poi i due volti ondeggianti sopra la propria testa fino a quando non furono di nuovo immobili. «C-cosa... cosa mi è...»

«Sovraccarico emotivo,» rispose Severus, porgendogli un bicchiere d'acqua che aveva appena fatto apparire. «Hai sprigionato magia senza volerlo. La tua cicatrice è una porta aperta per l'Oscuro Signore, Harry. Non puoi soccombere alle emozioni così facilmente, che siano esse di rabbia o malinconia.»

«Lo so,» disse il ragazzo, «m-ma ero così... frustrato, da non riuscire nemmeno ad occludere la mente, nonostante sapessi quello che stava per accadere,» spiegò, con il respiro ancora affannoso, terminando di sorseggiare dal proprio bicchiere.

Un rumore simile ad uno scoppio, proveniente dal piano al di sotto del loro, sorprese sia Harry che Ron, facendoli quasi balzare; era lo stesso tipo di rumore che avevano sentito innumerevoli volte in classe e al quale Ron, in particolare, era decisamente avvezzo. L'inconfondibile botto di un calderone che esplode. Nel realizzare quanto accaduto, il rosso allargò gli occhi, sorpreso, e cercò di comunicare a Harry la cosa.

«Severus, m-mi spiace per--» iniziò Harry arrivando a capire il motivo per cui l'uomo era stato costretto ad assentarsi.

Severus non spostò lo sguardo intenso dei propri occhi da quello del giovane neanche per una frazione di secondo. «Diciannove anni senza un calderone esploso è un record che non vale la vita del Ragazzo Sopravvissuto,» sospirò, ed Harry vide la preoccupazione velata dell'uomo attraversargli per un attimo lo sguardo. Né tantomeno quella del giovane che ho deciso di adottare, gli comunicò poi attraverso la Legilimanzia. Mosso dalle sue parole non verbali, il ragazzo lo ricompensò con un piccolo sorriso grato. «Posso confidare nel vostro buonsenso e andare a occuparmi per cinque minuti di quanto successo di sotto?» continuò, lanciando uno sguardo al ragazzo Weasley dietro di sé. «Vorrei assicurarmi che la pietra del mio sotterraneo sia ancora intatta

Ron sembrava ancora troppo scioccato dagli sviluppi del recente avvenimento, ma si risvegliò d'un tratto, mettendosi per poco sull'attenti nel vedere Piton rialzarsi. «Sì signore, baderò io a Harry,» si sentì in dovere di aggiungere.

Quando Severus fu di nuovo oltre la botola che portava al laboratorio inferiore, Ron prese posto accanto al ragazzo, nel punto appena liberatosi. «Harry, i-io...» esordì, con evidente difficoltà, mentre l'altro Grifondoro lo osservava lasciandolo parlare. «... mi dispiace. Ero così concentrato sull'idea che Piton potesse solo averti fatto il lavaggio del cervello per renderti così... così fedele nei suoi riguardi che non ho pensato a nient'altro. Né al tuo stato d'animo dopo l'incubo di Tu-Sai-Chi... né ai tuoi sentimenti,» proseguì, impacciato.

«Non posso credere che ci sia voluto così tanto per farti entrare una nozione così semplice in quello zuccone,» ridacchiò debolmente Harry. «Dovevo proprio stare così male per impietosirti?»

Ron scosse la testa, dandogli una innocua pacca sul braccio. «Non tu, sciocco, Piton! Miseriaccia, Harry, che sortilegio gli hai fatto per fargli abbandonare le caratteristiche da Pipistrello dei Sotterranei?»

Harry fece una piccola smorfia. «Oh, no, credimi, sa ancora esserlo perfettamente quando vuole,» ribatté, sorridendo all'idea che forse - finalmente - tutto sarebbe potuto tornare come prima tra lui e il suo migliore amico, senza dover necessariamente rinunciare alla sua nuova vita.

«Beh, se Piton fa esplodere un calderone per accorrere da te dopo averci sentito gridare, non oso immaginare cosa farebbe se ti vedesse in mano nemica,» proseguì Ron, quasi esaltato all'idea di azione e avventura.

«Avresti dovuto vederlo,» annuì Harry, tirandosi un pochino su sul divano, rivivendo l'adrenalina di quei momenti. «Non ho mai visto nessuno duellare come lui, Ron, non vedo l'ora di iniziare le lezioni e imparare tutto quello che posso--»

«Prima finirete con la vostra punizione e prima vi sarà concesso di procedere con le vostre vacanze nel modo a voi più congeniale,» disse la voce soave di Severus, facendoli balzare per il subitaneo rientro dal laboratorio.

Ron si tirò istintivamente su, raddrizzandosi come un perfetto soldatino e tornando al proprio posto con passo svelto.

Severus inarcò un sopracciglio. «Il signor Weasley vuole spiegarmi cosa sta facendo?»

«Riprendo la mia punizione, signore,» rispose sommessamente Ron, «posso continuare anche con le righe di Harry, se necessario...»

«Non ce ne sarà bisogno per oggi,» lo fermò l'insegnante di Pozioni, ed Harry avrebbe giurato di vedere l'ombra di un ghigno soddisfatto attraversargli il volto, «potete interrompervi e proseguire domani, quando il signor Potter si sarà ripreso,» aggiunse.

Gli occhi di Ron si illuminarono. «Davvero?»

«Ti conviene andare prima che Severus cambi idea,» ridacchiò sommessamente Harry, tenendosi una mano sulla pancia per non sforzarsi troppo, prima di ignorare l'occhiata lanciatagli dall'uomo in questione.

«Grifondoro meriterebbe dieci punti per l'intuizione,» commentò Severus con aria distaccata e incolore, in una delle sue freddure che causarono l'ennesima risata trattenuta da parte di Harry.

Lo aspettava un anno difficile come guardiano di Harry Potter, oh sì.
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«Il dosaggio corretto dell'estratto di Horklump è di due misurini o tre nella Pozione Erbicida?» domandò Harry dal divano su cui era steso, passandosi distrattamente la penna d'oca sotto il naso, mentre rileggeva pensieroso tutte le opzioni elencate nella pergamena davanti a sé. Era il terzo aiuto che chiedeva a Severus e si era quindi appena giocato il massimo numero dei suggerimenti concessi dall'uomo.

«Due,» rispose Severus, voltando casualmente la pagina della Gazzetta del Profeta che era intento a leggere. «Credevo avessi detto che eri oltre quel punto del test,» aggiunse l'uomo inarcando un sopracciglio, gli occhi ancora immersi nella lettura del testo in movimento all'interno delle pagine di fronte a sé.

Harry grugnì, accarezzando casualmente Thor - attualmente sdraiato sul tappeto ai suoi piedi. «Ero convinto di esserlo, ma poi sono comparse ben altre trenta domande a scelta multipla dal nulla. Ne sai qualcosa?» chiese, con sottile ironia.

Severus sorrise impercettibilmente da dietro il quotidiano. «Vedilo come un trattamento di riguardo nei tuoi confronti,» mormorò soave, «avresti preferito altre trenta domande a risposta aperta al posto di quelle che ti ho dato?»

Harry deglutì. «N-no, grazie,» fu la sua pronta risposta, «apprezzo il pensiero,» mormorò sommessamente. Qualche minuto passò in silenzio, durante i quali Harry provò a tornare a concentrarsi senza successo, un pensiero tutt'ora frullante nella propria testa. Si mosse nella propria posizione, tutto a un tratto scomodo. Movimento che non passò - ovviamente - inosservato agli occhi esperti del Pozionista. «Pensavo,» esordì il giovane, incerto, allo sguardo interrogativo dell'uomo, «a quando riprenderanno le lezioni.»

«Tra esattamente otto giorni e quattordici ore,» Severus lo freddò, imperturbabile.

Harry roteò gli occhi al soffitto, ignorando il suo sarcasmo. «Intendevo,» proseguì con evidente difficoltà, «a quello che cambierà con la ripresa della scuola,» vide Severus staccare gli occhi dalla pagina di giornale per posarli su di lui e si costrinse ad aggiungere: «tra di noi.»

L'uomo non disse nulla per qualche minuto. «Potrebbe il Signor Potter essere così cortese da elaborare?»

Il ragazzo sospirò, rassegnato a vuotare il sacco. «Dovremo tornare a... detestarci, davanti al resto del mondo? Voglio dire, i Serpeverde--»

«Fossi in te, mi preoccuperei sui tuoi compiti estivi, che procedono più lenti di una Lumaca Cornuta in procinto di essere stufata--»

«Severus,» si permise di interrompere Harry, con evidente urgenza, incurante di incorrere in qualsiasi tipo di rimprovero in un momento in cui tutto ciò che desiderava erano certezze, «non hai risposto alla mia domanda.»

Severus frenò il rimprovero che gli era immediatamente giunto alle labbra. In silenzio, richiuse le pagine della Gazzetta del Profeta, accantonando il giornale sul tavolino in vetro accanto alla sua seduta. «La tua domanda denota come tu non abbia ancora letto nemmeno una pagina del libro che ti ho assegnato qualche giorno fa,» fu il suo verdetto. Harry aprì bocca per replicare che Il Libro dei Cinque Anelli non era esattamente una passeggiata di allegria, ma venne zittito con un singolo sguardo significativo da parte del Pozionista. «A volte temo che tu dimentichi il motivo per cui mi è stata affidata la tua custodia.»

«Perché il mio padrino è attualmente in un letto d'infermeria e non abbiamo la più pallida idea se e quando si risveglierà?» soffiò con rancore Harry, pentendosi quasi immediatamente di quello che gli era appena uscito dalle labbra.

Se Severus era rimasto deluso dalla sua sparata, riuscì a non darlo a vedere con estrema maestria. «Perché sono insospettabile,» ribatté l'uomo, e fu il turno di Harry a rimanere ora deluso dalla scelta lessicale.

Un grugnito non poté che sfuggirgli dalla bocca, amareggiato. «Può darsi, ma forse tu e Silente dimenticate che i figli dei Mangiamorte frequentano questa scuola, e sanno benissimo che tu non fai più parte delle schiere di Vold--»

«Sanno che ti ho salvato la vita, non sanno che ti ho adottato, stolto ragazzo,» fu il turno ad interrompere di Severus, che si sollevò dalla poltrona, ergendosi in tutta la sua altezza. «Non sospetteranno mai che tu possa vivere tra queste mura nel tuo tempo libero, né che la tua protezione dipenda da un contratto magico e insolubile. Pertanto, pretendere di buttare all'aria anni di protezione da parte mia nei tuoi confronti per giocare alla famiglia felice davanti ai Serpeverde è oltremodo capriccioso e infantile!»

«Bene!» si alzò Harry a sua volta, ripresosi dal colpo inferto con inaudita foga. «Dato che sono tanto ridicolo per essermi illuso di poter ricominciare da capo e dimenticare anni di bullismo in classe da parte di chi afferma di avermi sempre protetto, vorrà dire che toglierò il disturbo!»

«Dove pensi di andare, Potter?»

«In camera mia!» sbottò Harry, incamminandosi verso il corridoio che portava alle camere.

Severus scoprì i denti e con un colpo secco la porta della stanza del ragazzo sbatté chiusa. «Non prima che io ti abbia dato il permesso per farlo,» soffiò, mantenendo un ferreo controllo sul tono della propria voce.

«Non puoi farlo!» esclamò Harry, adirato, tentando inutilmente di forzare la maniglia della porta serrata ermeticamente.

«Sì che posso farlo, Signor Potter, forse hai dimenticato che questa è casa mia?» replicò Severus, con una soavità pericolosamente minacciosa. «Ora tornerai immediatamente qui, ti calmerai e ripeterai attentamente quello che ho detto sulla tua sicurezza.»

Dal nervoso, Harry sentiva crescere sempre più forte in lui la malsana voglia di prendere a calci la propria porta finché non l'avrebbe costretta ad aprirsi. Severus stava reagendo in modo ingiusto e scorretto, non aveva il diritto di comportarsi così come se nulla fosse cambiato--

«Harry James Potter, non ho alcuna intenzione di ripetermi una seconda volta,» giunse dalla sala la voce del suo aguzzino.

Harry si morse la lingua fino a farsela sanguinare per non sputare fuori il veleno che aveva in corpo. Sapeva che se ne sarebbe pentito immediatamente. In parte perché dalla quasi impercettibile vibrazione nella voce di Severus, sapeva che l'uomo era quasi al limite della sua pazienza, e - dall'altra parte - perché ripensandoci sopra più tardi nel cuore della notte, in fondo in fondo al suo ego, sapeva che si sarebbe senz'altro sentito un ingrato. Era incredibile quante sfumature su sé stesso e sugli altri aveva incominciato ad osservare da quando viveva con qualcuno che non fosse i Dursley.

Fece quindi dietrofront e marciò a testa bassa fino a portarsi di fronte a dove sostava Severus. Quest'ultimo, facendo rilassare la mano dal fianco su cui l'aveva posata, fece lo sforzo di tenere a freno la propria ira e di sedersi con la solita grazia sulla poltrona dietro di sé. «Vieni qui,» comandò Piton, facendo segno al ragazzo di avvicinarsi di più.

Harry obbedì docilmente, contrariamente a quanto aveva fatto finora. C'era qualcosa nello sguardo e nel linguaggio corporeo dell'uomo di fronte a lui che emanava autorità da ogni piccolo gesto. Doveva esserci una spiegazione plausibile alla facilità con cui Severus riusciva a farlo trasformare da uno sfacciato adolescente - incurante delle proprie azioni - in un agnellino timoroso. Non era una sorpresa che Silente lo avesse fatto entrare nel corpo dei Direttori delle Case ad Hogwarts.

Le mani di Severus afferrarono le sue braccia senza preavviso, distogliendolo da quei pensieri. Harry tentò di indietreggiare istintivamente, ma la morsa con cui Severus lo stava trattenendo immobile e in piedi direttamente di fronte a lui non si allentò minimamente. Confuso e imbarazzato da quella nuova posizione, Harry fu costretto ad abbassare la testa per incontrare lo sguardo fermo del suo guardiano.   

«Ora tu mi ascolterai bene, perché quello che sto per dirti è qualcosa che non voglio assolutamente ripetere, in nessuna - altra - occasione,» sottolineò Severus ad ogni ultima parola. Harry deglutì, affrettandosi ad annuire. «Nel caso in cui tu non te ne fossi accorto, quella che si sta combattendo è una guerra. Puoi non vederne i segni, ma ti posso assicurare che dal preciso istante in cui l'Oscuro Signore è tornato a camminare tra noi la notte della terza gara del Torneo Tremaghi, le persone hanno iniziato a mobilitarsi, ognuno nei propri ruoli. Non tutte le guerre vengono combattute sul campo di battaglia, alla luce del giorno; ciò che la tua mente fallisce nel comprendere, è che tu non sei al sicuro,» la voce di Piton si intensificò drammaticamente, «nemmeno ad Hogwarts.»

Harry approfittò della pausa dell'uomo per poter parlare. «Ma... ma il castello ha difese, ci sei tu, c'è Silente--» azzardò tentativamente.

Severus lo interruppe con un grugnito amaro. «Né io né il professor Silente siamo onniscienti, né tantomeno immortali, Harry,» replicò, scuotendo la testa. «Facciamo del nostro meglio per essere presenti ovunque all'interno del castello per prevenire ciò che non dovrebbe mai accadere, ma non possiamo arrivare dappertutto, come questi anni ad Hogwarts ti hanno palesemente dimostrato. Quello che voglio che tu faccia entrare in quel tuo zuccone, è che se continuare a trattarti come il più odiato dei Grifondoro in classe servirà a salvarti la vita un giorno e a farti arrivare al termine di questa dannata guerra, andrò avanti a farlo, senza rimorsi,» rimarcò Severus, guardandolo intensamente. Nel vedere Harry abbassare la testa con aria sconfitta, si sentì in dovere di aggiungere dopo una duratura pausa: «Voglio che tu sappia anche che tale scelta non cambierà mai il rapporto che abbiamo all'interno di queste mura.»

Il giovane Grifondoro rialzò il capo, sorpreso, per incontrare nuovamente gli occhi d'onice del suo mentore. Severus stese le labbra in un sorriso tirato, ma Harry non vide ironia nel suo sguardo e seppe che non stava mentendo per convincerlo ad accettare quel compromesso. Aveva una casa, un luogo sicuro dove tornare, sempre e a prescindere da eventuali litigate e disaccordi. E questo, per lui, era più che sufficiente.

«Ho bisogno di una risposta, Harry. Sono stato abbastanza chiaro--?» Severus allentò appena la presa su di lui, vedendo che non proferiva parola, come ipnotizzato da quanto gli aveva appena detto, ma non fece in tempo a terminare la frase che Harry approfittò del momento per camminare dritto nelle sue braccia, di slancio.

«Grazie,» mormorò il ragazzo contro lo spesso tessuto di lana nero in cui la sua guancia era appena affondata, respirando l'ormai familiare fragranza di vaniglia mista a chiodi di garofano. Nonostante fosse ora il turno di Severus ad essere sorpreso dal ragazzo, l'uomo ricambiò l'abbraccio in un gesto istintivo, più per evitare che il Grifondoro potesse cadere e procurarsi così un trauma cranico con il suo improvviso impeto emotivo.  

Severus si schiarì leggermente la voce. «Grazie e...?»

«... e prometto che cercherò di usare il cervello prima di lasciarmi prendere da stupidi atti privi di lucidità e contegno,» grugnì Harry, in un tono molto simile a quello con cui la voce di Severus aveva parlato nella sua mente, senza tuttavia staccarsi dal calore della veste contro cui era appoggiato.

«Bravo ragazzo,» mormorò Severus, concedendogli perfino una piccola pacca sulla schiena, soddisfatto dalla sua risposta.

Harry sorrise, orgoglioso, e si preparò a fare un passo indietro per sciogliere l'abbraccio, ma avvertì il braccio con cui Severus lo stava stringendo intensificare la presa su di lui. La voce di Severus si fece improvvisamente più profonda quando parlò. «Non così in fretta, Harry

Uh-oh. «Ehm... sono ancora nei guai per poco fa, non è così?» Harry deglutì, sentendosi come una piccola preda intrappolata tra le spire di un serpente.
 

Severus si trasse indietro quel tanto che bastava per tornare a guardarlo in volto, gli occhi brillanti di una nuova luce pericolosa, la stessa che Harry conosceva molto bene. «Vedo che stiamo lavorando sulle nostre doti intuitive,» proferì con voce soave, «magari una rinfrescatina sulle regole che vigono in questa casa non guasterebbe, che ne dici?» proseguì, con un lieve cenno del capo verso la porta che poco prima Harry aveva quasi cercato di abbattere a suon di calci.

«O-Ottima idea, pa--»

Harry si bloccò seduta stante, prima che potesse osare troppo. Non poteva credere di aver quasi pronunciato quella parola, la stessa parola che aveva inconsapevolmente urlato in faccia a Ron quel pomeriggio e che da tempo - da quando il rapporto tra lui e Piton aveva iniziato ad evolversi, ancora prima dell'adozione - popolava i suoi sogni. Imbarazzato dal momento, abbassò gli occhi in un punto non definito del pavimento, trovando estremamente interessante le venature scolpite nella pietra che ricopriva il sotterraneo.

«Dillo,» disse improvvisamente Severus, gli occhi ancora fermi su di lui.

«Dire cosa?» La testa di Harry scattò in alto come per volontà propria. Incredulo, fissò Severus per un lungo instante, chiedendosi come potesse aver-- ma certo... dannata Legilimanzia. «Papà,» si costrinse a dire, in poco più che un sussurro. Doveva apparire incredibilmente patetico agli occhi di Piton, in quel momento. Eppure l'uomo non sembrava né infastidito dall'appellativo, né sul punto di scoppiargli a ridere in faccia. Si limitò semplicemente ad annuire piano.

 «Sai che non potrai mai pronunciarlo a scuola, al di fuori dei miei quartieri personali?»

Harry per poco non sgranò gli occhi. Piton sapeva, probabilmente sapeva da un po' di quello che gli frullava per la testa e non sembrava essere affatto disturbato dalla cosa? «Sì, signore,» rispose il ragazzo, ripresosi dallo shock iniziale.

Severus si limitò a osservarlo ancora per qualche minuto in silenzio, soppesando la sua risposta; Harry sentì la mano che l'uomo aveva ancora dietro la sua schiena andare a stringergli leggermente una spalla, prima di risollevarsi dalla poltrona dalla quale gli aveva appena impartito l'ennesima lezione. «Si sta facendo tardi,» disse Severus, riordinando sedie e poltrone, e facendo sparire i piatti che avevano usato per cenare dal tavolo poco distante con un singolo gesto casuale del polso. «È ora di andare a dormire, ti aspetta un lunga giornata tra il terminare la tua punizione con Ronald Weasley e finire tutti i tuoi compiti prima dell'inizio delle lezioni,» aggiunse, ed Harry sentì il distintivo schiocco della porta della sua camera che si apriva.

Eccolo che torna già in modalità professore. Harry evitò di roteare gli occhi al cielo nel sentire Severus tornare ad usare il solito tono distaccato di sempre; trovava invece impossibile smettere di sorridere come uno stupido, per qualche strana ragione. Il suo cuore sembrava leggero come una piuma, come se liberato di un incredibile peso, persino dopo la ramanzina appena ricevuta.

Sarà un anno diverso questo, si ritrovò a pensare il ragazzo mentre si avviava verso la sua camera da letto, dopo aver augurato la buonanotte a Severus, un piccolo sorriso speranzoso ancora stampato in volto.

Anche tra le mille avversità, qualsiasi cosa gli fosse successo quest'anno, sapeva che l'avrebbe affrontato in modo differente.

Perché quest'anno avrebbe avuto una casa... e qualcuno da cui tornare.
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Capitolo 24
*** Of Forgiveness and Other Sins ***


XXIV.
Of Forgiveness and Other Sins



«Come procede la vostra ultima settimana di vacanze, Severus?»

Il sole splendeva alto nel cielo sul parco verdeggiante intorno al castello; la brezza era leggera, quel tanto che bastava per smuovere dolcemente le fronde piene degli alberi intorno al limitare esterno e il campo da Quidditch era silenzioso come mai durante l'anno scolastico... prima che, ovviamente, la voce amabile del Preside di Hogwarts decidesse di interrompere quella quiete tanto ricercata da Severus.

Trattenendo a stento l'impulso di roteare gli occhi, Severus emise invece un sospiro che lasciava trapelare solo una parte della propria irritazione. «Come chi ha già messo in conto di dover affrontare un'emicrania costante dovuta alla zucconaggine di oltre mille allievi che presto si riverseranno per i corridoi del castello in vista di un nuovo, entusiasmante anno scolastico,» si limitò a rispondere, prima di inarcare un sopracciglio, fingendo sorpresa: «Oh, aspetta un secondo... è proprio ciò che accadrà.»

Albus si concesse una piccola risata. «Lieto di vederti sfoggiare il solito acume affilato, ragazzo mio,» commentò, con una punta di orgoglio, prima di seguire il punto in cui lo sguardo dell'uomo più giovane era ancora fermo.

Harry Potter svolazzava in pieno cielo a bordo della sua fiammeggiante Firebolt - il viso concentrato in un misto di precisione e spensieratezza - mentre affrontava il suo amico Ronald e un paio degli altri fratelli Weasley con la stessa grinta che avrebbe avuto in una partita di campionato. L'ultima volta che Severus aveva assistito ad un allenamento di Potter, le sensazioni risvegliate da una simile scena erano molto diverse da quelle che si agitavano in quel momento nel suo petto.

Dire che la cosa non lo disturbava affatto sarebbe stata una bugia.

Non si trattava di emozioni del tutto nuove, poiché ne aveva già sperimentato lampi a tratti, nel corso delle ultime settimane con Potter - più o meno a partire dalla notte in cui il ragazzo era stato rapito con successo dai Mangiamorte e in concomitanza della loro rocambolesca fuga nelle foreste del North Berwick - ma mai prima d'ora queste stesse emozioni si erano ripresentate a lui con tanta frequenza e... intensità.

Se prima vedere Potter sfarfallare su una scopa a mezz'aria accompagnato dal suo odioso padrino o da qualsiasi altro dei suoi seccanti amichetti gli avrebbe procurato solo un potente moto di fastidio misto a rancore per l'atteggiamento così simile al suo vecchio rivale, ora tutto ciò che si agitava in lui - almeno per una buona percentuale del suo essere - era apprensione. Stupida, irrazionale e irritante apprensione.

Severus lanciò uno sguardo di sottecchi verso Albus, mentre questi era troppo impegnato a lodare le doti del giovane Ragazzo d'Oro. L'uomo doveva sapere quello che stava provando, ecco spiegato il suo disgustoso buon umore. Represse un moto di stizza, il suo sguardo nuovamente catturato dal giovane Grifondoro occhialuto che procedeva ora verso di lui.

«Indovina chi è il vincitore?» la voce eccitata del ragazzo colse le sue orecchie prima ancora che gli occhi scuri di Severus incontrassero quelli verdi di Harry.

«Lasciami intuire,» Severus scosse la testa alla vista dei capelli ancora più arruffati con cui il ragazzo era tornato dal suo allenamento e frenò l'impulso di allungare una mano per sistemarglieli.

Harry ridacchiò, ormai abituato al tono imperturbabile di Severus. Vivere assieme a quello che un tempo era stato il più oscuro e terrificante dei suoi professori gli stava insegnando ad apprezzare persino le sue battute più subdole, traguardo che il giovane mai si sarebbe aspettato di raggiungere.
 
«Ah, il Quidditch, quale sport meraviglioso,» sospirò Silente, con gli angoli della bocca arricciati in un sorriso gioioso, mentre faceva per andarsene. «Unisce i cuori. Severus, spero di vederti più spesso tra il pubblico in vista dell'inizio del campionato scolastico.» Severus trattenne un grugnito impeccabilmente ed Harry morse a freno la lingua per evitare di ridere nuovamente. «Sarà interessante vedere per chi farai il tifo quest'anno,» sorrise nuovamente Silente, voltandosi un'ultima volta verso di loro con un brillio divertito, apparentemente incurante dello sguardo minaccioso con cui il Pozionista lo aveva immediatamente fulminato.

Stavolta fu il turno di Ron a dover trattenere un moto di risa, che tentò di dissimulare con un paio di goffi colpi di tosse, guadagnandosi quasi uno scappellotto da parte di Severus. L'uomo si costrinse a digrignare i denti in una smorfia insofferente; a giudicare dal modo in cui Harry gli vide serrare le meningi, il ragazzo immaginò il ferreo controllo che il suo guardiano stata esercitando su se stesso per non cedere alla collera.

«Immagino che il mio time-out sia terminato,» sospirò Harry, cercando di distogliere Severus dalle parole del Preside, per quanto interessato fosse a scoprire la risposta a quello stesso interrogativo. «Cosa prevede il programma odierno? Revisione sulle precedenti lezioni di Pozioni che non ho assimilato? Una seduta intensiva di Occlumanzia? Oppure un--»

«Una doccia,» lo freddò Severus, nel suo impeccabile humour inglese, ignorando magistralmente la risata del ragazzo, «questo è ciò che ti attende per ora, nulla di più. Non arrovellarti sul futuro, per il momento,» proseguì Severus, mentre iniziavano ad allontanarsi in coda ai ragazzi Weasley, prima di aggiungere a voce più bassa e melliflua, «il resto... sarà una sorpresa.»

Harry sbatté le palpebre più volte. «Una... s-sorpresa?» domandò, perdendo tutto a un tratto il suo sorriso. Conosceva bene ormai quel tono di Severus e - solitamente - non portava nulla di buono... «Che genere di sorpresa...?»

Severus sorrise di fronte al suo sguardo smarrito, prima di posargli una mano sulla spalla e guidarlo attraverso il parco. «Harry,» sospirò, «che sorpresa sarebbe se la svelassi ora?»
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«Wow!» La voce del Ragazzo Sopravvissuto riecheggiò all'interno della sconfinata stanza in cui si trovava, rimbalzando contro le infinite pareti invisibili di cui doveva essere costituita, ma che il suo occhio umano non poteva cogliere. «Questo posto è fantastico!» L'espressione del giovane di meraviglia si allargò se non di più, quando la stanza perseguì nel mutare e prendere gradualmente forma attorno a lui, il tutto sotto lo sguardo serio di Severus. «Come ci riesci?»

Severus mosse gli occhi su di lui, distogliendo la vista dallo scenario in evoluzione. «Questa, Harry, è la Stanza delle Necessità,» illustrò, «la stanza che farà al caso nostro per le sedute di addestramento che terremo. Per quanto il parco di Hogwarts si presti bene in questo periodo dell'anno per clima e spazio, lo stesso non si può purtroppo dire in fatto di discrezione,» continuò l'uomo, prima di aggiungere - con una punta di ammonimento nella voce, «confido che ciò che ti sto rivelando verrà usato in modo saggio da parte tua, e non a danno della tua incolumità o per futili motivi.»

Harry distolse lo sguardo da quella vista incredibile per riportarlo su Severus, sapendo che il tono di quest'ultimo richiedeva attenzione. Annuì con convinzione, prima di mettere ordine a quanto aveva appena visto per dare voce alla sua curiosità. «Può prendere qualsiasi forma?»

«Prende la forma di tutto ciò che chi la cerca immagina gli possa servire,» rispose Severus, posando gli occhi sulle alte vetrate che lasciavano entrare potenti fasci di luce ad illuminare il pavimento in legno di faggio, «nessuna stanza è uguale alle altre.»

Harry sfiorò con una mano il bordo di un davanzale in marmo bianco, grande abbastanza da poterci salire sopra e ammirare la veduta esterna del parco, sul lago nero e gli alberi dalle fronde sventolanti. «E nessuno può trovarci, né vederci?» domandò nuovamente, pensieroso.

«Esatto,» Severus lo osservò con cautela; Harry aveva sviluppato il vizio di mordersi leggermente il labbro inferiore quando era preoccupato per qualcosa. Con gli eventi traumatici che avevano sconvolto la sua vita solo nell'ultimo mese, l'uomo poteva immaginare e comprendere il tipo di pensieri che potevano attraversare la mente al ragazzo in quel momento. «Se qualcuno prova a cercare la stanza mentre questa è occupata da noi, non riuscirà a trovarla, perché è predisposta per non apparire,» lo rassicurò, «questo luogo - questo aspetto - sono protetti dalla nostra impronta magica, sia che ci troviamo al suo interno che al suo esterno. Nessun altro è in grado di ricrearla o di varcarla senza il nostro consenso e presenza.»

Harry tornò a guardarlo e gli rivolse un piccolo sorriso grato. Severus gli stava dimostrando ancora una volta di aver pensato a tutto pur di assicurare la sua sicurezza e lui non poteva che apprezzare il gesto. «Quando cominciamo?» chiese, con un brillio speranzoso negli occhi.

Severus ricambiò, stendendo le labbra in una piega sottile. «In questo istante,» pronunciò, raddrizzando la sua postura in un guizzo elegante del mantello, prima di rivolgergli un breve inchino col capo. «Fuori la bacchetta, Signor Potter.»

Sorpreso, Harry cercò di ignorare la scarica di adrenalina che gli aveva appena percorso la schiena in un brivido. Balzò nuovamente in piedi, una mano a pescare nella tasca posteriore la propria arma, prima di cercare di imitare Severus in un impacciato inchino.

L'uomo emise un leggero sibilo, che Harry si chiese se non fosse in realtà una risata dissimulata, dopo di che parlò: «Schiena dritta, petto in fuori e mano non dominante dietro la schiena.»

«V-va bene così? Severus? Per quanto tempo--?»

«Riposo,» sospirò Severus, ed Harry avrebbe giurato di aver intravisto una luce divertita attraversargli per un istante gli occhi scuri. Ah, allora è così che stanno le cose? pensò, cogliendo infine che era stato solo preso in giro.

«Non è divertente,» bofonchiò il ragazzo, riprendendo una postura rilassata per evitare di inciampare su sè stesso.

«Lo stile, Harry, è un'arte,» replicò semplicemente Severus. «Se padroneggiata a dovere, può diventare un'arma ancor più letale della bacchetta magica. Se tu avessi iniziato a leggere il libro che ti ho affidato ormai più di una settimana fa...»

Harry ascoltò affascinato, mentre la sua mente non poteva che soffermarsi su un ricordo particolare. «Mi insegnerai a lanciare anche gli incantesimi non verbali?» domandò, tutto a un tratto più entusiasta, mentre rimembrava i duelli magici a cui aveva assistito quando Severus l'aveva tratto in salvo dalla selva magica intorno alla roccaforte di Voldemort.

Severus lo fissò per un lungo istante, riuscendo ad ignorare con sufficiente efficacia l'interruzione del ragazzo. «Dovrai dimostrarmi di essere pronto con l'Occlumanzia per questo tipo di lezione, Harry. Gli incanti non verbali prevedono non solo un'altissima dose di concentrazione e percezione di sé e dell'ambiente circostante, ma anche un'elevata maestria nel bloccare la mente ad ogni stimolo esterno attorno a sé.»

Harry annuì, pensieroso. Severus avrebbe giurato che la sua mente associativa stesse già indugiando sull'ennesimo nesso correlante che gli era balzato in mente in quel momento. La conferma di tale intuizione non si fece attendere per molto. «Perché Silente non ti ha mai affidato l'insegnamento di Difesa Contro le Arti Oscure? È per via della maledizione?»

Severus soppesò la sua domanda, prima di avvicinarsi a lui. «Il posto è maledetto,» confermò, con voce calma e l'espressione concentrata, mentre andava a correggere la postura del ragazzo, raddrizzandogli schiena, spalle e testa, «ma questa non è l'unica preoccupazione del Preside.»

Harry sollevò lo sguardo su di lui, lasciandosi impostare finché l'uomo non si ritenne soddisfatto della sua posizione. La luce negli occhi di Severus era impassibile come sempre, ma Harry si sentì coraggioso abbastanza da osare e chiedere un'ulteriore spiegazione. «Quale altro motivo avrebbe per--»

«No,» fu la risposta dell'uomo, che ignorò la sorpresa sul volto del ragazzo con la stessa coltre distaccata che Harry gli aveva visto usare in plurime occasioni in passato. «Questa è una risposta che dovrai conquistarti, Harry,» proseguì, con una punta severa, ma priva di rimprovero. «Ora, ritieni la tua curiosità sufficientemente placata perché la nostra prima lezione abbia inizio?»
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Harry non avrebbe mai pensato che i postumi della prima sessione di addestramento potessero essere tanto duri da fargli rimpiangere persino i dolori muscolari procurati da una partita di Quidditch particolarmente accanita.

Come un ammasso infermo di membra doloranti, giaceva ora a pancia in giù, sul morbido letto dai colori rosso-dorati nella sua camera, nella mano sinistra la copia de "Il libro dei cinque anelli" prestatagli da Severus, aperta alla pagina 31. Un leggero bussare interruppe momentaneamente la sua lettura e - al suo invito ad entrare - la sagoma ammantata del suo guardiano fece la sua comparsa, nelle mani una boccetta di unguento.

«Questo ti permetterà di disinfiammare i muscoli più velocemente,» spiegò Severus, una volta che si fu avvicinato abbastanza al suo letto da sedervici sopra. Il ragazzo rispose con un sorriso stanco, ma grato, gli occhi brillanti di riconoscenza e la soddisfazione per come la giornata era trascorsa. «Vedo che abbiamo deciso finalmente di aprire un libro di spontanea volontà,» commentò con ironica compiacenza Severus, conquistandosi un basso grugnito in risposta.

«Non c'è molto altro che possa fare, ridotto così,» borbottò Harry, alla ricerca di un minimo di consolazione, lasciandosi sollevare docilmente la maglietta a scoprire il dorso indolenzito. Ma la risposta graffiante e sarcastica che avrebbe giurato sarebbe seguita non arrivò mai. Tutto ciò che ottenne fu un corto, sibilo sorpreso, a stento trattenuto. «Severus, cosa--?»

«Avrei dovuto fermare quello stolto vecchio quando ne ho avuta l'occasione,» udì Severus soffiare con un crescendo irato che Harry non gli sentiva da diverso tempo ormai. «Petunia Dursley rimpiangerà quello che ha lasciato accadere in tutti questi anni!»

Harry sgranò le pupille, orripilato all'idea di ciò che gli occhi di Severus potevano osservare in quel momento. L'istinto gli inviò l'impulso immediato di ruotare su sé stesso e di nascondere i segni di vecchie percosse, di cui le più recenti risalivano a solo qualche mese prima. Se avesse chiuso gli occhi, avrebbe potuto vedere medie e piccole costellazioni di vecchi lividi mai guariti procuratigli da Dudley quando non aveva nessun altro da usare come punch-ball. Non erano molti, ma quel che bastava per fargli desiderare di non aver passato così tante ore sotto il sole rovente a badare al giardino di zio Vernon, a rendere alcune di quelle ecchimosi di un permanente colore scuro. L'istinto di nascondere immediatamente quei ricordi e tutta quella mortificazione si fece più forte in lui. Ma la mano di Severus era insolitamente calda e confortante sulla sua schiena che il suo tentativo non riuscì a concludersi.

«Harry,» la voce di Severus parlò, carica di quella stessa premura che il ragazzo aveva riconosciuto più volte, mista all'evidente sforzo di tenere a freno una ribollente rabbia nei confronti dei parenti del Grifondoro, «devi dirmi quando è stata l'ultima volta che ti hanno fatto questo

«N-no, io... è acqua passata... Non voglio che--»

«Harry, per favore,» insisté l'uomo, inflessibile e al tempo stesso rassicurante, «ho bisogno di sapere quando--»

«No!» esclamò Harry, iniziando ad agitarsi e riuscendo infine a ribaltarsi nuovamente supino per impedire a Severus la vista di altri segni. «Che differenza fa! Hai già visto quello che mi hanno fatto tramite le lezioni di Occlumanzia, non voglio rivivere nuovamente tutta quella... quella vergogna!» gridò.

Qualcosa scattò in Severus e Harry lo vide tacere per un attimo, come colpito da un lampo di consapevolezza che aveva riconosciuto solo in quel preciso istante. «Harry,» ripeté l'uomo, la voce appena incrinata mentre si sforzava di tornare ad un tono più controllato, nonostante l'ira incandescente che minacciava di riaffiorare, «non ho mai visto l'azione in sé, né tanto meno i segni di questi... questi maltrattamenti in nessuno dei ricordi che abbiamo rivisitato insieme tramite quelle sedute. Se le avessi viste,» si interruppe, lasciando passare l'ennesimo moto d'ira, cosa che sembrava procurargli un'intensa dose di dolore, prima di costringersi a proseguire con fredda calma, «ti posso assicurare che non avrei mai permesso a Vernon e Petunia Dursley di camminare un solo giorno di più su questa terra con l'unico ausilio delle loro gambe.»

Harry raggelò al suo tono di voce. Per quanto Severus si stesse sforzando di mantenere un tono civile in quel momento, c'era qualcosa nella vibrazione della sua voce, nell'espressione dolorosa dei suoi occhi neri, a ricordargli quel giorno nella foresta con Mulciber inerme, in un lago di sangue. «No,» ripeté il ragazzo. «È una storia chiusa adesso... Lui è in fin di vita e lei è sola con--»

Severus soffiò, irato. «Non ti permetterò di giustificare ulteriormente ciò che quelle carogne ti hanno fatto, fosse anche opera di quella foca obesa che si ritrovano come figlio,» lo interruppe. «Si tratta di adulti, Harry, adulti coscienti che erano responsabili del tuo benessere psico-fisico di minore e il cui unico compito era quello di tutelarti,» proseguì, trasportato da un coinvolgimento che sembrava così... personale. «Devo parlarne immediatamente con Silente.»

«Ho detto di no!» esclamò nuovamente Harry, così atterrito all'idea da apparire quasi nauseato. Dovette aver usato un tono di voce più forte del normale, perché sentì Thor dal soggiorno abbaiare e correre a vedere cosa stava accadendo. Imbarazzato, prima che Severus potesse riprenderlo, il ragazzo si affrettò ad aggiungere con voce sottile: «Almeno non ora. Per favore

Lo sguardo dell'uomo era ancora animato da una furia omicida nei confronti dei Dursley, che Harry pensò si sarebbe alzato e materializzato seduta stante da loro se solo le leggi di Hogwarts glielo avessero permesso. Il giovane lo vide serrare la mascella con forza per trattenere qualsiasi ulteriore esternazione d'ira, mentre cercava di riacquisire il controllo. Harry lo aveva visto così inferocito solo quando Mulciber si era permesso di insultare sua madre. «Girati,» arrivò infine il comando sommesso e inaspettato dell'esperto di Pozioni.

Harry lo fissò ancora per qualche istante, riluttante a mostrare nuovamente la schiena a tratti macchiata a Piton. «Che cosa--»

«Devo ancora applicare la lozione per i tuoi muscoli,» sospirò Severus, trattenendo con sforzo il tono brusco che minacciava di affiorargli alle labbra.

Harry annuì piano, accondiscendendo infine alla richiesta e sdraiandosi nuovamente prono perché Severus potesse procedere con l'unguento rilassante. Il medicamento proseguì nel silenzio più totale, anche se Harry rimase in allerta ogni qual volta che sentiva l'uomo soffermarsi più a lungo su una zona particolarmente segnata. «E-esiste... un modo per farli... sparire del tutto?» domandò infine, al termine della procedura.

La risposta di Severus non si fece attendere molto. «No,» rispose con calma, in un tono molto diverso da quello che aveva usato fino a poco prima, «la magia può curare i segni causati da molti incantesimi, all'infuori delle maledizioni,» spiegò, «ciò che è provocato da qualcosa di non magico non può essere trattato che con le cure tradizionali. Possiamo ridurne la pigmentazione con degli unguenti naturali, questo è quanto siamo in grado di fare al momento.»

«Oh,» mormorò Harry, senza riuscire a frenare la nota delusa che gli aveva impregnato la voce. Il suo sguardo cadde inconsciamente sull'avambraccio sinistro di Severus, dove sapeva esservi impresso - sotto uno strato di camicia bianca e di spesso tessuto nero - l'orribile e indelebile marchio a forma di serpente.

A Severus non sfuggì la direzione che le sue iridi verdi avevano preso prima di rompere il silenzio che aveva permeato la stanza fino ad allora. «Ci sono segni, cicatrici...» esordì, traendo un lungo respiro e soffermandosi brevemente sulla saetta sotto la fronte del ragazzo, «... da cui non è possibile guarire fisicamente.» Harry annuì piano a quelle parole, abbassando il capo verso un punto non bene identificato del lenzuolo. «A volte, è però possibile guarirne interiormente, anche dopo diversi anni. Quello che non posso tollerare, invece,» proseguì Severus, con intensità, «è che tu, Harry, provi vergogna per qualcosa di cui non sei colpevole,» affermò, sottolineando quelle due minuscole parole dal grande valore.

Harry sollevò nuovamente gli occhi chiari a quel richiamo, alla ricerca dello sguardo sicuro e incisivo con sui Severus stava ricambiando. L'immagine che gli occhialetti rotondi gli restituirono non era esattamente nitida come si sarebbe aspettato, ma quello che sapeva era che la luce di consapevolezza nei profondi pozzi scuri del suo guardiano avevano un non so che di familiare che lo spinsero ad accettare quelle parole come la liberazione che tanto aveva atteso e che mai era arrivata fino a quel momento.

«Io...» Harry trovò difficile organizzare i pensieri. Cercò nuovamente Severus, sopraffatto dalle emozioni, mentre avvertiva la vista farsi ancor più appannata. «... Ho pensato di...di meritarlo... per così tanto tempo...»

Vide la mano destra di Severus muoversi e andare a saldarsi in modo fermo nell'incavo tra la sua spalla e il suo collo, in una presa rassicurante e al tempo stesso affettuosa. «Lo so,» mormorò piano l'uomo, tracciando un breve cerchio con il pollice sulla guancia del giovane, mentre ne contemplava gli occhi carichi di lacrime mai versate, «lo so, ragazzo mio,» ripeté, attirandolo lentamente contro di sé, in una stretta intensa.

Harry inspirò nel calore delle vesti di Severus, trovando conforto nella familiarità di quel gesto e sentendo la morsa dei sensi di colpa, della vergogna, allentare la presa su sé stesso con l'intensificarsi dell'abbraccio.

Harry vi sfogò finalmente anni di abusi emotivi e non.

Poté piangervi le morte dei suoi genitori, di Cedric e persino l'infermità di Sirius.

La strada verso l'auto-perdono sarebbe stata lunga e tortuosa, già lo sapeva.

Ma questa si era almeno - finalmente, realizzò, in un'inaspettata ondata di sollievo - avviata.
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«Tu sapevi... sapevi, e non hai detto nulla?»

«Severus--»

«Tanti anni passati in quella maledetta casa a subire maltrattamenti e mortificazioni da chi avrebbe dovuto tenerlo al sicuro e tu non hai mai pensato di fargli una dannata visita? Una visita, Albus!»

«Ho provato più volte invece, Severus, ma - come sai bene - Petunia non ama la presenza di maghi attorno casa e se avesse rifiutato di donare la protezione a Harry--»

«Non avevi nessun diritto di scegliere per tutti noi, né tantomeno per il ragazzo. Nessun diritto!»

Il viso di Severus era una maschera di rabbia implacabile. Le pupille nere erano dilatate, immobili in quelle azzurrine dell'anziano uomo che aveva sempre considerato come la figura più vicina ad un padre che avesse mai avuto. Ora, tutto l'affetto che credeva di aver provato un tempo, tutto il rispetto che aveva riposto nella sua persona, gli sembravano ormai solo un lontano ricordo, un'ideale di qualcosa che era esistito solo nella testa di un altro ragazzo un tempo maltrattato e trascurato a sua volta da chi invece avrebbe dovuto proteggerlo, proprio come Harry Potter.

«È vero quello che Severus sta dicendo, Albus?» intervenne Minerva, avvicinandosi a sua volta alla scrivania - con l'aiuto di un bastone del quale si serviva da quando era stata ufficialmente riabilitata in servizio, in occasione dell'inizio ormai prossimo dell'anno accademico. Quasi supplicando il suo vecchio amico con lo sguardo, nella vana speranza che questo avrebbe aiutato a sfatare ogni dubbio recentemente emerso, la donna si appoggiò sul piano in quercia massiccia, ricoperto da tutti quei buffi oggetti argentati che neanche in quel momento tanto drammatico cessavano di emettere i loro singolari rumori. «Ti avevo avvertito che quei Babbani erano persone orribili, ma mi avevi assicurato che Harry sarebbe stato al sicuro...»

«E così è stato per tanti anni, Minerva,» parlò infine Silente. «Da Lord Voldemort, per lo meno. Non potevo immaginare fino a che punto si sarebbe estesa la noncuranza di Petunia Dursley e di--»

Severus emise un grugnito più simile a un basso ringhio. «Vuoi farmi credere che questo piccolo dettaglio ti era sconosciuto? Che non lo hai minimamente ponderato all'interno del tuo grande schema per rendere Potter un martire? Il Ragazzo Sopravvissuto, cresciuto in una famiglia di violenti Babbani, idolatrato dall'intero mondo magico per le sue umili origini e per il suo passato tragico--»

«Severus, so che questo tema ti tocca particolarmente da vicino, ma--»

«Non-Osare!» esplose l'uomo in nero, scosso dalla rabbia mentre puntava un dito accusatorio contro il Preside. «Nessuno meritava questo destino, né tantomeno il figlio di Lily! E non attaccarti alla storia della protezione magica, perché avremmo trovato altri modi per tenerlo al sicuro--!»

«Non potevo sapere che suo cugino sarebbe cresciuto tanto violento da bullizzarlo a tal punto, un giorno,» si difese stancamente Silente, gli occhi insolitamente lucidi dietro agli occhialetti a mezzaluna. «E quali altri modi, Severus?» Seguì una lunga, estenuante pausa, durante la quale le iridi azzurrine del vecchio mago tentarono di penetrare a fondo in quelli neri dell'uomo più giovane. «La notte in cui per primo arrivasti a casa dei Potter quattordici anni fa - prima che Hagrid potesse recuperare il ragazzo, avresti--?»

«Non--» Severus si interruppe, lasciando passare un'acuta fitta di dolore, frenando l'impulso di maledire Silente una volta per tutte, «non parlare mai più di quella notte,» digrignò, in una chiara minaccia. «Voglio che d'ora in avanti tu stia il più lontano possibile dal ragazzo,» aggiunse in un'ultima sferzata, prima di girare i tacchi e allontanarsi con subitanea ferocia dall'ufficio rotondo. A nulla valse il tentativo di Silente di richiamarlo indietro, di farlo tornare per provare a ragionare con calma. Il cieco rancore e la delusione provati in quel momento dall'Esperto di Pozioni nei confronti del proprio mentore erano più forti di qualunque altro sentimento gli stesse attraversando ogni fibra del corpo in quel momento.

Avresti preso Harry con te come se fosse tuo?

Risparmiandogli anni di sofferenza e un'infanzia infelice?    

Dopo essere stato la causa primaria del suo essere orfano?

Il vero unico artefice di quella dannata sera e il portavoce di quella stramaledetta profezia che aveva sancito per sempre il destino di Potter, Lily, Harry e...?

Persino il suo.

Erano davvero i Dursley, i responsabili della misera vita condotta dall'ignaro Grifondoro fino a quel momento?

Severus poteva ancora sentire quella voce nella propria testa, che non era del tutto la voce di Silente. No, al vecchio stolto si potevano rimproverare molte cose, ma non gli si poteva attribuire anche quest'ultimo merito.

Stringendo le meningi, dilaniato da quell'atroce senso di colpa mai sopitosi nonostante il tempo trascorso, l'uomo raggiunse le alte cancellate di Hogwarts senza nemmeno accorgersi di aver attraversato diverse ali del castello e l'intero parco tanto rapidamente e immerso in sé. Quello che aveva compiuto, era ciò che era abituato a fare perché quel maledetto bruciore nel petto, quella terribile sensazione di pentimento inarrestabile potessero attenuarsi.

L'unico modo esistente era sempre stato uno solo.

Rispondere alla chiamata del Marchio Nero.

Severus sollevò l'avambraccio sinistro, fissando l'arto coperto con un misto tra odio e desiderio.

Un tempo, avrebbe potuto scegliere senza esitare.

Ora, rispondere a quella necessità avrebbe voluto dire andare incontro ad una morte certa e inevitabile.

Se prima quest'ultima eventualità non lo avrebbe sconvolto minimamente, il ruolo che aveva iniziato a ricoprire nella vita di Harry da qualche tempo a quella parte e la sua responsabilità verso il ragazzo, gli impedivano tuttavia ora di agire così sconsideratamente, obbligandolo ad una frustrante inazione.

«Dove stai andando?»

Severus sì voltò nel riconoscere la voce del giovane Grifondoro, la solita maschera priva di emozioni già in posizione sul viso, pronto ad affrontare la domanda appena postagli. Internamente, si maledì per aver - dopo i recenti sviluppi - momentaneamente rimosso dalla mente che il ragazzo sarebbe stato da Hagrid quel pomeriggio, a trovare l'amico mezzo-gigante ormai quasi ripresosi dalla sua convalescenza.

«Da nessuna parte,» replicò imperturbabile. Harry inarcò un sopracciglio in modo molto simile al suo e Severus si domandò istintivamente se questa fosse una nuova peculiarità assunta da Potter solo di recente. «Siamo in un parco, Signor Potter, dove credi che crescano le piante di cui mi servo per il mio lavoro?» mentì, risparmiandogli la cruda e nuda verità.

Harry soppesò la sua risposta, apparentemente convinto dal suo tono accademico. «Non starai pensando di andare dai... dai Dursley, vero?» domandò poi, dopo qualche istante.

Solo sentire quel nome faceva sì che l'intestino di Severus si arroventasse improvvisamente.

«Imparerai che difficilmente rompo le promesse che faccio,» si costrinse invece a rispondere, tornando lentamente sui propri passi per avvicinarsi al giovane e all'inseparabile enorme mastino napoletano che sembrava ormai accompagnare il ragazzo dappertutto, «nel bene e nel male. Se avessi voluto andare da quelle orribili persone lo avrei fatto con molta più-- enfasi

Harry soffocò un grugnito, ma l'espressione sul suo volto appariva ora decisamente più sollevata. «Grazie,» mormorò, «lo apprezzo davvero,» rimarcò sincero, riconoscendo quanto dovesse costare a Severus fare quello sforzo. «So che prima o poi dovrò affrontarli-- affrontare quel momento. Ma vorrei che non fosse ora, almeno non-- sotto le circostanze in cui si trovano adesso» proseguì. Sapeva che sarebbe stata solo questione di tempo prima che l'uomo avrebbe reclamato un incontro con i Dursley, ma il fatto di avergli strappato un minimo compromesso riguardo a quando quel momento sarebbe giunto, lo rendeva quantomeno più sereno. Mi avanza ancora qualche minuto prima della nostra lezione nella Stanza delle Necessità? Pensavo di andare a trovare Sirius in infermeria dato che presto non avrò più molto tempo per fargli visita con l'inizio della scuola.»

Severus attese qualche minuto prima di rispondere. «Puoi visitarlo,» annuì l'uomo, ma il suo tono grave fece intuire a Harry che c'era dell'altro. «È tuttavia bene che tu sappia che - con la ripresa delle lezioni - l'Ordine intenderà spostare Black da Hogwarts a Grimmauld Place.»

Le sopracciglia di Harry schizzarono in alto come se mosse da un ingranaggio a molla. «Ma... ma perché?»

«Perché agli occhi del mondo magico resta un pericoloso ricercato. Il rischio che si venga a sapere di lui è troppo grande,» spiegò Piton, mentre incominciavano a ripercorrere il tragitto a ritroso verso il castello. «Neanche un incanto di disillusione potrebbe garantire la sua sicurezza, qualche studente più grande, esperto, un professore ignaro o persino un Mangiamorte sotto copertura potrebbero venire a sapere di lui più facilmente di quello che pensi, nonostante la sua attuale forma canina. D'altro canto,» proseguì Severus con una drammatica pausa, «trattasi di ordini di Silente.»

Harry sbuffò contrariato. «Quando pensava di dirmelo?» si lamentò, deluso e contrariato dalla notizia.

Severus non rispose immediatamente, sapendo che quella di Harry altro non era che una domanda retorica. «Focalizza la mente, Harry,» disse infine, non senza una piccola dose di rimprovero. «L'anno scolastico inizierà tra due giorni e ciò di cui hai bisogno è sgombrare la mente da pensieri superflui e rimuginanti. La tua testa dovrà restare concentrata esclusivamente sui tuoi studi, sulle nostre sezioni di allenamento e - ultimo, ma più fondamentale tra tutti - sullo stare lontano dai guai,» sottolineò.

«Suona proprio come un anno divertente questo,» commentò Harry sarcastico, pentendosene quasi immediatamente.

«Come, prego?»

«E-Ehm, intendevo solo dire che non vedo l'ora di prender parte al nuovo anno accademico,» cercò di correggersi, impacciato, passandosi una mano dietro la nuca in un gesto nervoso.

«Harry Potter,» sospirò Severus, mentre scuoteva piano la testa con gli occhi rivolti al cielo e un'espressione esageratamente esasperata in volto, «dovremo continuare a lavorare sulle tue doti occlumantiche ancora per parecchio tempo, a quanto pare.» L'angolo assunto dalle labbra di Severus, ora lievemente arricciate in un mezzo sorriso sarcastico era diventato per Harry così familiare che il ragazzo lo interpretò con estrema sicurezza.

«Ah sì?» replicò a sua volta, lo sguardo ancor più vistosamente scherzoso di quello del suo guardiano, mentre si girava brevemente a calcolare la distanza che li separava dalla grande scalinata che conduceva all'ingresso del castello. «Che ne dici di una corsa?»

Severus emise un leggero soffio di scherno. «Io non corro, Harry, l'hai forse dimenticato?» pronunciando la terza parola come se fosse una specie di insulto.

«Oh certo, fa parte dell'importanza per lo stile, come ho fatto a... un, due, tre, via!» Harry scattò in avanti senza preavviso e senza dare all'uomo il tempo di reagire, il viso contratto in un ghigno divertito e determinato, con negli occhi solo la meta che si era stabilito. Thor lo seguì a ruota, scodinzolando e abbaiando come un matto, evidentemente felice di godersi una meritata scorrazzata nel parco.

«Har--Potter!»

Harry rise, senza dare cenno di volersi fermare, divertito dal brusco cambio di appellativo da parte di Severus. O, almeno, cercò di continuare a non fermarsi, finché non si rese conto che qualcosa - a pochi metri dal tanto agognato traguardo - gli impediva di sollevare ulteriormente i piedi e di muovere le gambe, improvvisamente bloccate dall'erba finemente bagnata di rugiada.

«Hey,» esclamò, rivolgendo uno sguardo indignato a Severus, «questo è sleale!»

«Protesta quanto vuoi,» replicò quest'ultimo in tono mellifluo, sorridendogli amabilmente, prima di portarsi lentamente davanti a lui e di superarlo con grazia, «ma in guerra e in competizione tutto è concesso, Harry, per un attimo ho pensato di avertelo insegnato.»

Harry si concesse di riprendere fiato per qualche istante e sentì che Severus aveva infine sciolto l'incantesimo non verbale lanciatogli poco prima. Mentre cercava di fare del suo meglio per mascherare la malsana idea che - se portata a termine - sapeva avrebbe ribaltato le sorti di quella piccola sfida improvvisata, Harry si portò due dita alle labbra e vi fischiò forte, ricercando l'attenzione di Thor e approfittando della distrazione di Severus, ormai di spalle. «Forza, Thor! Prendi, bello!» gridò, mimando di lanciare qualcosa oltre all'alta figura dell'uomo in nero e ottenendo esattamente quello in cui aveva sperato: troppo preso dall'eccitazione, il grosso mastino si lanciò all'inseguimento dell'oggetto invisibile completamente alla cieca, irrompendo nella traiettoria di Severus e travolgendolo senza dolo, prima di farlo ruzzolare con impeto in un gran svolazzare di peli, bava e erba bagnata.

Dopo un primo momento di sconcerto più totale per il risultato ottenuto, Harry cercò di trattenere la fragorosa risata che minacciava di sfuggirgli le labbra da un momento all'altro e fece per avvicinarsi all'uomo a terra, già intento a ripulirsi dalle vesti la montagna di sporco in cui era piombato.

«Bestiaccia maleodorante,» borbottò Severus, scuotendo il grosso da seduto, prima di estrarre la bacchetta per ultimare l'opera.

Harry non poté fare a meno di scuotere la testa, consapevole dell'esagerazione messa in atto dall'uomo. Il ragazzo lo aveva beccato più di una volta, mentre Severus pensava di non essere visto, a viziare il grosso cane nero con qualche premio aggiuntivo o distratta carezza sulla testa. Una volta portatosi davanti all'uomo, con in viso un'espressione credibilmente rammaricata e sinceramente dispiaciuto per le conseguenze del suo scherzo innocente, Harry offrì una mano a Severus, in segno di cavalleria.

Severus la considerò per qualche istante, prima di accettarla e - con un diabolico sogghigno - tirare con forza. Preso alla sprovvista, Harry piombò a terra accanto a lui, la caduta attutita da un incantesimo che il ragazzo non udì ma che sapeva essere stato lanciato, vista la totale assenza di dolore al suo fondoschiena. Ancora scioccato dalla rapida successione di eventi, Harry sollevò uno sguardo stupito su Severus, che torreggiava già su di lui - in piedi e del tutto ripulito da ogni traccia di polvere e sporcizia.

«Sì?» giunse la voce melliflua di Severus, di fronte allo sguardo interrogativo e spaesato del giovane Grifondoro.

«T-tu... tu...» balbettò il ragazzo, ancora senza parole.

«Oh cielo, oh cielo,» Severus scosse drammaticamente la testa, mormorando dolcemente, «forse avrei dovuto aggiungere lezioni di eloquenza oltre a quelle di auto-difesa e Occlumanzia...»

Harry lasciò andare il respiro che aveva inconsciamente trattenuto fino a quel momento, in un soffio incredulo mentre la realizzazione lo colpiva solo in quel momento. L'uomo aveva davvero appena giocato con lui...?

Prima che Severus potesse chiedergli se avesse per caso battuto la testa accidentalmente nonostante l'Incanto-Cuscino gettato all'ultimo momento, Harry si risvegliò dal suo intorpidimento, balzando in piedi con rinnovato entusiasmo.

«Possiamo farlo di nuovo?»

Severus inarcò un sopracciglio, un angolo della bocca nuovamente arricciato in un sorrisetto degno del Direttore di Serpeverde. «Da quando cadere nell'erba bagnata dalla saliva di un cane è diventato un divertente passatempo?»

«Intendo passare del tempo così più spesso!» esclamò Harry, prima di lasciarsi andare ad una esaltante lista di attività snocciolate una dietro l'altra. «Anche con l'inizio della scuola, voglio dire,» proseguì poi più calmo, con una nota speranzosa nella voce.

Severus lo fissò per un lungo istante, prima che riprendessero il cammino per addentrarsi nel castello. «Harry,» sospirò, «il fatto di dover tornare a dormire alla Torre di Grifondoro per mantenere le apparenze e tornare ad una "parvenza" di normalità non cambierà mai quello che abbiamo costruito in questi mesi, lo sai, vero? Avrai sempre una casa a cui tornare.»

Con il petto rigonfio di orgoglio, Harry sorrise radioso, nel primo pieno sorriso di pura gioia che avesse mai sfoggiato in tutta quella lunga estate. «Lo so,» disse, guardando Severus con un misto di gratitudine e affetto profondo, «ma non c'è niente di meglio che sentirtelo dire, soprattutto prima che tu possa tornare a togliermi punti per... l'ultimo che arriva cucina alla maniera babbana stasera!»

Severus lo guardò schizzar via verso l'arco laterale alla Sala Grande che portava ai piani inferiori, in uno slancio energetico non da pochi. «Piccola serpe mancata,» mormorò l'uomo tra sé e sé scuotendo la testa, prima di seguirlo a passo svelto in un veloce volteggiare delle voluminosi vesti neri, nella stessa direzione presa dal ragazzo.

Verso i sotterranei.

Verso... casa.
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