Heartless

di francy13R
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** This is gotta be a good life. ***
Capitolo 2: *** Cause these things will change. ***
Capitolo 3: *** Boy you got my heartbeat runnin' away ***
Capitolo 4: *** Everybody's dancing in the moonlight ***
Capitolo 5: *** Give me everything tonight ***
Capitolo 6: *** Let's do it ***
Capitolo 7: *** The sun goes down, the stars come out and all that counts is here right now ***
Capitolo 8: *** Supermassive Black Hole ***
Capitolo 9: *** What about now? ***



Capitolo 1
*** This is gotta be a good life. ***


 

1.This is gotta be a good life




Credi che più in basso di così non si possa cadere,
eppure eccoti qui in un pozzo senza una corda che ti faccia rivedere la luce del sole.
Hai solo uno spiraglio che mantiene viva la speranza, ma con il tempo anche quella si affievolisce
come il cielo che diventa sempre più scuro dopo il tramonto.
E quando pensi che tutto sia finito, che ormai la tua vita sia segnata per sempre eccole là, le stelle.
Forse rimarrai in quel pozzo ancora per molto, ma se continuerai ad urlare qualcuno ti sentirà.
F.

 

 



Alice arrivò alle tre precise. Di solito era sempre in ritardo di quindici minuti, ma quello era un giorno speciale. Si diresse senza esitare davanti al mio guardaroba e iniziò a tirare giù magliette a caso; io mi appoggiai allo stipite della porta incrociando le braccia e sperando che finisse in fretta.

-Ti devi portare anche questa!-, disse prendendo un top con delle paillettes rosse e blu.

-Non so se ti ricordi che a Edimburgo ci saranno si e no venti gradi! Dove devo andare con tutta questa roba scollata?-. Stufa del suo comportamento iperattivo presi alcune maglie e iniziai a riordinare, dopo di che mi sdraiai sul letto senza dire una parola.

-Come mai sei di così cattivo umore? Andiamo a Edimburgo Lavinia. Due lunghe settimane senza genitori o stronze rompiballe come... be' tu sai chi-. Smise un momento di svuotare l'armadio e si sedette sulla scrivania guardandosi le unghie di un orribile giallo canarino.

Si riferiva alle nostre amate compagne di classe, ormai quello era l'argomento all'ordine di ogni giorno.

Loro appartenevano al gruppo dei VIP. Potevano sembrare le solite traditrici, meschine, lecca...avete capito cosa, finte, innocentine, orgogliose di tutto ciò che gli apparteneva, ipocrite ed ignoranti, ma erano molto ma molto peggio. Erano alla ricerca costante di un ragazzo che le palpasse durante l'intervallo e i cambi dell'ora, ma non certo perchè desideravano l'amore, solo per farsi notare, ma si scocciavano subito così lo sostituivano dopo due, massimo tre settimane. E be' ormai eravamo abituate alle loro moine e guai avere un ragazzo, anche perchè ce l'avrebbero fregato dopo due giorni solo per il gusto di farlo. Noi eravamo le secchione sfigate della classe. Tutto lì. Triste come cosa, eh? Non eravamo alla loro altezza e per me andava benissimo anche così.

Mi guardai allo specchio e maledissi il mio aspetto. La carnagione leggermente scura, i capelli ricci e lunghi di un castano chiaro, il volto a forma di cuore, il naso dritto e orgoglioso, le labbra leggermente carnose e gli occhi di un debole verde. Le uniche persone che mi dicevano che fossi bella erano i miei parenti e Alice che aveva un debole per come si arricciavano dolcemente i miei capelli. Quindi non riuscivo mai a capire se quello che dicevano fosse obbiettivo o no.

-Lo sai perchè! Non fare la finta tonta, Marco dove lo lasci?-. Marco era il ragazzo di cui ero tanto innamorata da ben tre anni e che non mi considerava minimamente.

-Lo lasci alle italiane, noi andiamo a prenderci due bei spagnoli-. E sorrise iniziando a farsi tutti i suoi tipici viaggi mentali. Non avevo mai avuto il coraggio di dire a Marco ciò che provavo ( anche se, chissà come, lo sapeva tutta la scuola) e probabilmente non l'avrei mai avuto perchè lui era uno di quei tipi super gasati che appena venivano a conoscenza del fatto che una ragazza gli girava intorno lo andavano a dire a mezzo paese, ma, come dice un vecchio detto, non sei tu a scegliere chi amare.

Mi alzai dal letto afflitta e iniziai a riempire la valigia con le materie prime, cercando di evitare lo sguardo di disapprovazione proveniente da Alice su ogni felpa sformata che mettessi dentro. Dopo che tutto fu pronto per la partenza ci mettemmo al computer a sparlare delle fighe di turno su Facebook e ci guardammo un film horror giusto per ridere un po' per la tragica fine delle vittime.

Il tempo sembrava essersi fermato e quella notte sembrò eterna, ma sapevo che prima o poi mi sarei addormentata. Iniziai a pensare a Marco e a quanto mi sarebbe piaciuto sfiorare i suoi capelli rossi e alla sensazione delle sue labbra sulle mie. Potevo sembrare paranoica, ma era grazie a lui che avevo capito cosa voleva dire amare una persona. Tre anni prima ci frequentavamo e c'era stato anche un piccolo bacio dopo di che le cose erano precipitate: una delle mie compagne di classe di nome Alessia, saputo chissà come quello che era successo tra di noi, si era improvvisamente interessata a lui e fu così che dopo nemmeno due settimane si misero insieme. E per un lunghissimo mese dovetti farmi forza per evitare i loro baci appassionati nel bel mezzo del corridoio e le occhiate di trionfo da parte di Alessia. Marco aveva sempre preferito le bionde alle more, quindi era ovvio che ne fosse attratto, ma non pensavo che fosse così stupido da non capire che in realtà la bionda lo faceva per ripicca nei miei confronti. Non lo capì neanche un mese dopo, quando lei lo lasciò senza una spiegazione. E fu così che lui, non so se per imbarazzo o altro, non mi rivolse più la parola. Ne rimasi distrutta, lo devo ammettere, perchè ci tenevo a lui, più di quanto mostrassi. Alice mi consigliò un tatuaggio per sbollire la rabbia ed eccolo lì, indelebile sulla mia pelle: “Heartless”. Probabilmente era esagerato, ma avevo deciso che non mi sarei mai innamorata di nessun altro, che appena fiutato il pericolo mi sarei tirata indietro. Mi addormentai sperando in un futuro migliore dove tutta quella cattiveria sarebbe scomparsa.



La mattina dopo venni svegliata alle sei da mia mamma che tutti scambiavano per mia sorella, data la sua giovane età e il suo comportamento da adolescente ribelle. Feci una doccia veloce, ma bollente. Dopo di che infilai del jeans chiari, stretti ma comodi e una canottiera rossa decorata con del pizzo. Chiusi la valigia ed entrai in macchina pronta per evadere da quel paese che mi stava togliendo anche l'aria che respiravo. Il giorno prima forse non l'avevo dato a vedere, ma ero emozionata e felice, in parte perchè Alice era al mio fianco e la sua presenza mi rendeva sicura e anche perchè non vedevo l'ora di conoscere nuovi ragazzi, di esplorare il mondo e di affinare il mio inglese.

Arrivata all'aeroporto di Linate e trovato il gruppo tra cui spiccava la mia migliore amica salutai in fretta i miei genitori e mi allontanai dalla solita routine per immergermi nel freddo di Edimburgo. L'unica cosa negativa era lo studio, non per niente si chiamava vacanza-studio, ma dopo un anno ne avevo abbastanza. Ormai ero più che capace a parlare inglese e di certo non mi servivano lezioni di grammatica.

I posti sull'aereo erano già stati assegnati quindi abbandonai Alice per imbattermi in un ragazzino, che non avrà avuto più di quindici anni, raggomitolato contro il finestrino. Appena mi sedetti si girò bruscamente verso di me e notai gli occhi di un bel verde acqua e i lisci capelli castani.

-Ciao! Piacere, Lavinia-, mi presentai con un sorriso sulle labbra per non sembrare la depressa di turno e gli porsi la mano. Lui la strinse e sussurrò imbarazzato:-Marco!-.Oh ma bene! Ci mancava pure lui. Ero tentata dal chiedergli: “Ma mi stai prendendo in giro?”.

Mi trattenni nervosa mentre le hostess si esibivano nel corridoio spiegando tutte le precauzioni in caso l'aereo fosse precipitato, ma ero più che convinta che non sarei riuscita a fare nemmeno una delle cose mostrate, come prendere il giubbotto salvagente: “Ma ti pare che ho tempo di prendere quel coso? Non avrei tempo nemmeno di slacciarmi la cintura” e comunque quando un aereo cadeva i passeggeri morivano tutti.

Durante il volo il ragazzino riservato di nome Marco spiccicò giusto qualche parola e passò la maggior parte del tempo a godersi lo spettacolo dal finestrino. Intuii che era il suo primo viaggio in aereo. Io ormai ne ero abituata visto che facevo avanti e indietro dalla Puglia dove abitavano i miei nonni e qualche decina di zii e cugini. Alice, dietro, aveva stretto amicizia con una ragazza del gruppo seduta accanto a lei che mostrava con orgoglio (anzi, fin troppo orgoglio) il suo abbondante seno e i lucenti capelli biondi ( sicuramente tinti viste le tre dita di ricrescita sul suo capo), ma questa non sembrava molto interessata al discorso della mia migliore amica. In fondo chi può interessarsi alla vita privata di Messi e di tutti i giocatori del Barcellona? Solo io e Alice. Mi rigirai con un sorriso sulle labbra ripensando a tutti i pomeriggi spesi a trovare foto artistiche di Piquè o di Villa, stamparle e attaccarle sulle pareti delle rispettive camere da letto. 
Dal finestrino si intravedevano sempre più nuvole, prima di un bianco innocente, in seguito di un grigio cupo che copriva compatto ogni prato scozzese. C'era da dire che la pioggia non mi era mai dispiaciuta, anzi l'adoravo insieme all'umido e al vento, mentre odiavo il caldo afoso di Milano e più di tutto le zanzare. I miei soliti viaggi mentali su Marco vennero interrotti dal capitano che annunciò con perfetto accento “british” l'imminente atterraggio e dopo qualche minuto, immersi nelle basse nuvole, riuscimmo a scorgere del verde, delle case, delle persone e... con un brusco contatto l'aereo toccò il suolo scozzese.

Appena scesi Alice mi presentò la biondina con il suo solito entusiasmo. -Lei è Ilaria-, esclamò gioiosa.

-Piacere, Lavinia! Che classe fai?-.

-Devo fare la terza e voi?-.

-La quarta!-, dissi con un tono di orgoglio. Era inevitabile, quando si parlava con una ragazza più piccola bisognava sempre tracciare una linea di superiorità. Ma lei non sembrò accorgersi del mio tono e iniziò a fissare il vuoto oltre la mia spalla con una faccia parecchio imbronciata.

-È il tuo primo viaggio studio?-, chiesi cercando di analizzare che tipa fosse. Di solito ero brava. Mah, abbigliamento più penoso del mio, e ce ne voleva per battermi. Era piuttosto trasandata, ma per il resto non sembrava una drogata o una fanatica del piercing, almeno che nascondesse qualche gioiello sotto gli abiti, ma ne dubitavo. Sembrava okay.

-Si, sono molto emozionata!-. La guardai torva. Se lo era di certo non lo dava a vedere, sembrava uscita da uno di quei film pieni di zombie pronti a mangiarti. Alice si avvicinò e sussurrò impercettibilmente: -è pure peggio di te! M fate venire la depressione-. Sbuffò e io non riuscii a trattenere una risata sonora che bloccò alcuni passanti.

-Ecco, non siamo ancora arrivati che mi fai fare delle figure di emmental. È meglio che ti muovi-.

Mentre uscivamo dall'aeroporto guidati dal nostro professore d'inglese Corvoni adocchiai un ragazzo statuario appoggiato ad una macchinetta di bibite e lo indicai ad Alice. -Figo assurdo a ore due!-.

-Oh, ma che figo! Sembra un modello-, sussurrò sognante. Beh in effetti non era per niente male: Alto e magro con dei folti capelli neri e uno sguardo penetrante. Uno di quei tipi che ispirano tanto, ma tanto sesso (come direbbe Alice). L'unico difetto era una carnagione pallida e delle guance rosse tipiche degli inglesi.  Alice non perse tempo e gli passò davanti facendogli l'occhiolino suscitando un sorriso da parte del modello. Be' Alice non era mai stata una brutta ragazza, nonostante la sua bassa statura e il fisico non dei più asciutti, ma il suo viso tondo era grazioso e gli occhi grandi di un color nocciola erano evidenziati da folte ciglia nere. I capelli, dello stesso colore, non mostravano nemmeno un boccolo, invece scendevano dritti illuminandosi di un rosso caldo al sole. Eppure aveva avuto solo un ragazzo, e forse la sua colpa più grande era quella di non mostrarsi troppo. Faceva di tutto perchè comprassi abiti scollati mentre lei si nascondeva dietro delle magliette dell'hard-rock cafè di due taglie in più della sua.
Mentre caricavamo le valigie sul pullman che ci avrebbe portato agli alloggi un ragazzo basso e paffuto si offrì di sistemare le nostre valigie e si sedette vicino a noi. Si chiamava Lorenzo e aveva uno strano accento Siciliano.
-Allora ragazze, pronte?-, chiese agitato iniziando a divorare un pacchetto di patatine piccanti prese dallo zaino.

-Eccome-, rispondemmo in coro.

Parlammo del più e del meno, della scuola, dei prof (la maggior parte malati di mente) e degli amici che avevamo in comune e notai con sorpresa che era davvero un ragazzo simpatico, con un ottimo senso dell'umorismo. Ci presentò tutti i suoi amici tra cui c'era Marco (il ragazzino dell'aereo). Mi scordai i loro nomi dopo che gli strinsi la mano. C'era n'era anche qualcuno carino, ma niente di che. Sembravano tutti poppanti: bassi, goffi e infantili. A me erano sempre piaciuti i ragazzi alti dagli occhi scuri e un sorriso mozzafiato, genere divi di Hollywood, cioè ragazzi inesistenti nel mio paese.
Qualche posto più avanti due fidanzatini, che erano stati attaccati per tutto il volo a baciarsi, erano lì a sussurrarsi paroline dolci che mi facevano venir voglia di aprire il finestrino e vomitare. Lorenzo, che aveva notato il mio sguardo, iniziò a prenderli in giro senza che se ne accorgessero. A Brembate (dove abitavo da ormai undici anni) vedevo ragazzine di tredici anni fidanzate ufficialmente uscire mano per la mano con il loro eterno amore ogni singolo pomeriggio e il solo pensiero che io potessi essere una di quelle mi faceva venire il mal di stomaco. Non che fossi contraria alle storie durature, anzi in parte le ritenevo fortunate, ma... averlo in casa ventiquattro ore su ventiquattro, sopportarlo tutte quelle ore, limonarsi per la maggior parte del tempo... be' non era da me. Amavo le storie sofferte e lo so, posso sembrare una tipa molto strana eppure sono sicura di non essere l'unica e soprattutto adoravo il romanticismo, una rosa, un bigliettino sotto la porta, baci leggeri prima di lasciarsi. Io lo intendevo così l'amore.



Il college era una grande struttura settecentesca con un bel colonnato davanti alla piazzetta che fungeva da parcheggio. Tutto sembrava però troppo grigio, cupo e soprattutto silenzioso.
Scendemmo dal pullman lasciando le valigie all'interno e mentre raggiungevamo l'ingresso principale alcune gocce di pioggia mi rinfrescarono il viso. Passando davanti ad una classe notammo degli studenti che chiacchieravano allegri con una signora dai capelli bianchi e la pelle rugosa, probabilmente una degli insegnanti.
Alice, che era più avanti, mi raggiunse in fretta e furia come un piccolo tornado travolgendomi.

-Ci sono gli spagnoli, ci sono gli spagnoli! Che ti avevo detto?-.

Lorenzo si avvicinò ed esclamò: -Ma ci sono qua io! Gli spagnoli... Bleah!-. Lo guardammo incerte su cosa dirgli, non volevamo essere crudeli già dal primo giorno, così scoppiai in una risata sonora tentando di evitare un'eventuale presa di posizione a difesa degli spagnoli da parte di Alice.

Ci fecero sedere in una grande sala ( solo dopo scoprimmo che era la sala dove avremmo sia pranzato che cenato) occupata da lunghe panche di legno e il Corvoni con grande gioia ci informò che a breve avremo svolto un test per essere divisi in classi... insieme a dei ragazzi cinesi, che improvvisamente si riversarono nella sala. Un'insegnante bionda con un cerchietto rosso in testa mi disse di alzarmi e di sedermi tra due ragazzi cinesi, praticamente identici, che erano davvero molto loquaci, tanto che quando mi sedetti non si degnarono nemmeno di alzare la testa.
Nell'attesa le due fotocopie parlavano a bassa voce, come se io potessi capirli, e guardavano divertiti nella mia direzione. Cercai di ignorarli, ma dopo essere rimasta a fissare il soffitto per ben dieci minuti mi girai verso di loro e con un tono secco dissi: - Do you have any problem?-.
Si raddrizzarono immediatamente e iniziarono a giocherellare in silenzio con le rispettive penne.

“Ci mancavano anche 'sti mongoplettici”. Sbuffai in silenzio e cercai Alice con lo sguardo, ma trovai Lorenzo che mi riservò un sorriso incoraggiante, feci lo stesso. Dopo di che ci consegnarono dei fogli e iniziai a svolgere gli esercizi.

“Elementare, elementare, elementare...”, cominciai a credere che quel test sarebbe andato veramente bene, infatti finii tra i primi e fui immediatamente chiamata per l'orale. Mi sedetti di fronte a un professore con un viso grande e ovale e una folta barba scura, all'angolo della grande sala. Dietro di lui era stato appeso un quadro, probabilmente di qualche secolo fa, rappresentante uno dei fondatori dell'istituto con tanto di abito settecentesco e parrucca bianca. Se devo essere sincera il suo sguardo severo e autoritario mi faceva venir voglia di scappare.

L'insegnante con la faccia da uovo si presentò come Gary. Si accomodò sull'altra sedia una ragazza cinese con dei grandi occhi neri e un sorriso gentile stampato sul volto spigoloso. Dopo di che Gary ci fece le solite domande di presentazione e ci chiese di parlargli della nostra vita, degli sport ( che non praticavo) e degli hobby, nel mio caso la chitarra di cui sentivo già la mancanza. L'interrogatorio finì dopo nemmeno cinque minuti, così passai l'ora a mangiare le caramelle a forma di uovo che avevo comprato all'aeroporto e a fissare con poco interesse il soffitto.

 



-Sai che ho fatto l'orale con un figo da paura? Viene da Padova e si chiama Umberto e gioca a rugby ed è... mi sono già innamorata di lui. Pensa, credo di piacergli, mi ha sorriso-, disse Alice appena uscimmo dalla sala. Ma dai. Chissà perchè capitavano tutti a lei, mentre io mi dovevo beccare i cinesi. Non che avessi qualcosa contro occhi a mandorla, ma erano quasi tutti timidi e chi non lo era risultava troppo orgoglioso della sua antica dinastia di samurai, anche se forse i samurai erano Giapponesi ( non fate caso alle mie scarse conoscenze).

-Si immagino. Spero che la vostra love story vada in porto visto che dopo queste due settimane non vi vedrete mai più-. Alice mi fulminò con lo sguardo. Feci finta di niente e uscii all'aria aperta sedendomi su una delle tante panchine vuote che circondavano la piazzetta.

-Padova non è molto lontana da Milano. Sei solo gelosa!-, affermò in fine la mia amica che iniziava leggermente a essere paranoica. Insomma, alla fine lui le aveva solo sorriso gentilmente. Comunque se fosse successo qualcosa sarei stata la prima a gioirne.

Proprio mentre Alice si lasciava andare con i suoi soliti viaggi mentali ad alta voce, uscì dalla porta principale Lorenzo in compagnia di un suo amico che, se mi ricordo bene, si chiamava Alberto.

-Allora Lory? Com'è andata?-, chiesi facendogli posto sulla panchina.

-Se mi mettono nell' “Elementary” mi posso reputare fortunato. Ho scopiazzato un po' da Alby ma poi la biondina mi ha beccato!-. Alzò le spalle e si scambiò un sorriso complice con l'amico.

Dopo qualche minuto passato a chiacchierare un'orda di ragazzi si riversò al di fuori del college. Quelli più vicini a noi sembravano romani dal loro accento marcato, ma si potevano intravedere in lontananza altri cinesi.

-Mi sa che la pappa è pronta!-, disse Alberto che si massaggiava lo stomaco da ben venti minuti.

-Alleluia!-, esordirono in coro Lorenzo e Alice. Così ci alzammo e seguimmo la massa. Arrivati nella sala da pranzo prendemmo dei vassoi e riempimmo i piatti con ogni cibo esistente, comprese le ciambelline rosa alla Homer Simpson e patatine fritte.

Stefano, un ragazzo del nostro gruppo ci tenne i posti e finii da una parte attaccata ad Alice dall'altra alla ragazza cinese che aveva fatto l'orale con me e che diceva di chiamarsi Cherry. Non feci in tempo a mandare giù un pezzo di pollo che Cherry si girò e mi abbracciò con un entusiasmo a dir poco eccessivo e mi presentò (da quello che riuscivo a capire) alle sue amiche che per comodità avevano come lei un secondo nome in inglese. I ragazzi del mio gruppo mi guardavano stralunati e borbottavano tra di loro sfottendo le mie nuove amiche, mentre Alice sembrava più che altro divertita dal loro comportamento così la presentai a tutte e iniziammo a parlare in un inglese penoso dell'esame.
Quasi immediatamente la conversazione divenne molto animata e le cinesi iniziarono a fare battute sarcastiche sui loro compagni d'avventura maschi che sembravano delle mummie imbalsamate. Su questo non potei che dargli ragione. Luna, una cinese con grandi occhi scuri nascosti da un paio di ray-ban da vista, ci chiese come si diceva “fuck you” in italiano e dopo la risata iniziale e la nostra traduzione iniziarono a prenderci gusto. Traducemmo ogni singola parolaccia esistente in italiano e scoppiammo a ridere quando Luna disse “putana” ad una romana seduta dietro di lei. Alice si era nascosta sotto il tavolo sperando di non fare a botte con nessuno, io invece mi piegai in due dal ridere incapace di smettere e sputando l'acqua che avevo cercato di deglutire.
La romana si girò ostile verso Luna e con uno sguardo di ghiaccio le urlò: -Ma 'n vedi questa!-.
Luna sembrava parecchio spaesata visto che avevamo rivelato il vero significato di quella parola a tutte tranne che a lei. Infatti pensava di aver detto: “come stai?”.

-No Luna. Not “putana” but “puttana”-, la corresse Alice tra un singhiozzo e l'altro. Ma la ragazza non ne voleva sapere e continuava a ripeterlo con un sorriso innocente sulle labbra.

Cherry mi si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio: -That boy is staring at you! (quel ragazzo continua a fissarti)-. E me lo indicò di nascosto.

Era seduto dall'altra parte del tavolo rispetto a noi e stava confabulando con gli altri suoi amici, ma era vero: mi stava fissando. All'inizio distolsi lo sguardo intimidita, ma dopo qualche minuto i miei occhi cercarono i suoi. Era lì seduto davanti ad un vassoio vuoto che esaminava con poco interesse una fetta di ananas. Gli occhi erano scuri come i capelli e il volto spigoloso mostrava un sorriso smagliante (probabilmente per una battuta che un suo amico riccioluto aveva fatto). Ma era difficile esaminarlo dato tutto quel baccano così lasciai perdere e ritornai alla conversazione con le cinesi.

-Lavy vai a prendermi un bicchiere d'acqua?-, mi chiese Alice. Quel giorno mi sentivo buona così presi il mio e il suo bicchiere e andai a riempirlo alla macchinetta nell'angolo della sala affollata.

Il cielo sembrava essersi schiarito e alcuni raggi di luce si proiettavano al centro del salone illuminando il parquet consumato. Tornando indietro mi soffermai su alcune fotografie appese alle pareti di legno e l'occhio mi cadde su una foto del 2009 rappresentante la squadra femminile di lacrosse. Adoravo quello sport anche se l'avevo praticato solo una volta al campo estivo a Milano.
Appena passai davanti al gruppetto di ragazzi tra cui c'era lui, il suo amico si girò e mi sorrise amichevole. Aveva dei tratti molto strani. La pelle era scura, le labbra esageratamente carnose formavano una grande O e i capelli neri e riccioluti si espandevano voluminosi sopra il suo capo. Avrà avuto massimo un anno in più di me, ma sicuramente non era il mio genere.

-This boy wants your telephone number! (questo ragazzo vuole il tuo numero di telefono)-. E indicò proprio il ragazzo che dieci minuti prima non riusciva a togliermi gli occhi di dosso.

Adesso che ero più vicina mi accorsi che gli occhi avevano delle pagliuzze verdi e che i suoi capelli in contrasto con la carnagione olivastra erano quasi biondi. Nell'insieme non era un brutto ragazzo. Il riccio mi guardava attendendo una risposta mentre lui si nascondeva dall'imbarazzo, così per alleggerire la situazione sorrisi e risposi: -Maybe! But wait, are you italian? (Forse! Ma aspetta, siete italiani?)-. Lo so era una domanda stupidissima anche perchè se fossero stati italiani avrebbero sicuramente parlato italiano, ma ero più che certa che fossero spagnoli. Alice si sarebbe sciolta.

-No, we're from Portugal!-, disse un'altro con dei capelli biondi e un viso molto bello. Niente male. L'unico che stonava in quel gruppo era il riccio che sembrava essere uscito da un coro gospel.

-Ah ok-, dissi con la mia solita vocina imbarazzata. Dopo di che gli riservai un sorriso e mi dileguai.

Ritornai dalle ragazze e cercai di introdurmi inutilmente nella conversazione visto che non facevo altro che pensare a quanto lui (prima o poi gli avrei chiesto come si chiamava) fosse carino, a guardarlo ( e lo beccavo sempre che mi fissava) e ad abbassare lo sguardo rossa come un peperone. Alice non si era accorta di niente, era troppo presa a raccontare gli affari suoi e anche i miei, così per distrarmi iniziai a parlare con Stefano che era seduto di fronte a me. Stefano aveva un anno in più di noi, ma nonostante ciò era alto solo qualche centimetro in più del mio misero metro e sessantanove. Aveva un viso quadrato e folti capelli color mogano che si accordavano con gli occhi. Era un tipo molto loquace quindi non esitò a presentarsi e a parlare del più e del meno.

Era ora di sistemarsi negli alloggi quindi io e Alice salutammo le cinesi e ci dirigemmo verso il pullman. Prima di salire sul veicolo mi girai e lo trovai a guardarmi con un'espressione persa. “Ma cos'è? Uno stalker?”, fu il mio primo pensiero.

Ma tutte quelle attenzioni da parte sua non mi dispiacevano anzi mi facevano sentire importante, cosa che non era mai successa nella mia intera vita. Ero abituata alle occhiatacce di disprezzo da parte di più di metà scuola, alle prese in giro, ai bisbigli al mio passaggio. Non spiccavo nel gruppo, ma non passavo inosservata perchè qualcuno aveva sempre da ridire sul mio abbigliamento, su come camminassi, su come parlassi. Ero l'ultima da consultare durante una votazione in classe, l'ultima che poteva avere la parola, ma chissà come ero la prima a cui chiedere i compiti e la prima ad essere supplicata per offrirmi all'inizio del giro delle interrogazioni. Dopo di che potevo finire sotto un fosso o potevo non presentarmi per due settimane, ma a nessuno importava niente. Le nullità erano avvantaggiate nel liceo scientifico di Brembate perchè venivano lasciate da parte senza essere disturbate, magari fossi stata una di loro, invece mi trovavo all'ultimo gradino della gerarchia. Io ero quella a cui rompere le balle, quella da prendere in giro quando non si sapeva che fare. E nonostante tentassi di trovare una soluzione, la domanda che più frequentemente rimbalzava nella mia mente era: “Ma cosa ho fatto per meritarmi ciò? Perché proprio a me?”.

Invece questa volta lui mi aveva notata. Incrociai le dita e gli sorrisi.

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Capitolo 2
*** Cause these things will change. ***


 

2.Cause these things will change


La vita è troppo breve per stare in un angolo a pensare a tutto quello che si potrebbe fare, pensare o dire. La vita è troppo breve per rimpiangere.
La vita è troppo breve per cercare la perfezione, o meglio,
cercare qualcosa che non arriverà mai.
F. 






Non bevevo mai roba forte semplicemente perchè non ne sentivo il bisogno, ma quando ero giù di morale l'alcol diventava un modo per fuggire dal dolore. Ed eccomi lì, alla festa dei diciotto anni di Laura, una semplice conoscenza, che mi aveva invitato per fare numero a ballare con completi sconosciuti e qualche amico. Erano circa le due e a quell'ora avrei già dovuto essere a casa sotto le coperte, ma le serate in discoteca non erano programmate per finire alle due e questo lo sapevo bene. All'inizio non ci volevo neanche andare, tutto quel casino e tutte quelle persone che saltavano uno attaccato all'altro non facevano per me, ma Alice mi aveva costretta. Avevo visto Marco tra la folla ballare con alcuni suoi amici e, come se sapesse di essere osservato, puntò gli occhi di un azzurro sorprendentemente dolce nei miei, li sgranò leggermente e mi si avvicinò.
Ricordo di essermi bloccata sulla pista ed essere rimasta lì come un ebete ad ammirarlo mentre con tutta la sua eleganza e tranquillità mi raggiungeva, ricordo anche le sue mani sulla mia vita che mi spingevano lontano dalla folla e il suo sorriso gentile.


-Sei bellissima!-, disse ad alta voce per farsi sentire sopra la musica. Non sapevo se lo ero davvero, ma ero certa di essere diversa dalla noiosa Lavinia che incontrava tutti i giorni a scuola. Quel giorno avevo lasciato che Alice si occupasse delle scarpe, del vestito e del trucco. Ed eccomi lì con un vestito corto e nero che aderiva alla perfezione sul mio corpo esile, un paio di scarpe con il tacco argentate e un rossetto rosso fuoco che evidenziava le mie labbra carnose. Mi sfiorò i capelli che ricadevano ondulati dietro la schiena.

-Grazie!-. Fu tutto quello che riuscii a dire. In quell'istante avrebbe potuto fare qualsiasi cosa di me, ero incondizionatamente sua e di nessun altro. Mi strinse forse i fianchi e inaspettatamente si avvicinò al mio volto pietrificato, mi fissò le labbra per quelli che parvero minuti e poi mi baciò.

Sapeva di alcool e di fumo, ma era un sapore quasi dolce e invitante. Feci salire le mie mani fino a sfiorare i suoi capelli, glieli strinsi e lo avvicinai a me, mentre Marco mi spingeva delicatamente contro il muro della discoteca. Sapevo che non avrei dovuto farlo e sapevo anche cosa sarebbe accaduto dopo, lui non mi voleva, forse non mi aveva mai voluto. Ma quella sera ero ubriaca e probabilmente anche lui, quindi perchè non approfittarne? Aveva rotto con Alessia da poco più di tre mesi, perciò non credevo che l'avesse fatto per semplice e pura disperazione, forse perchè invece gli facevo pena. Mi ritrovai ad essere disgustata da me stessa: quella non ero io. Io non giocavo mai sporco, io non mi approfittavo della gente, ma volevo la mia vendetta personale, quindi non cercai di respingerlo. Lo baciai nonostante sapessi che non ci sarebbe stato altro che quello, lo baciai fregandomene di quanto poi avrei sofferto in futuro.

 

 





La camera non era poi così male. La moquette blu lasciava un po' a desiderare, ma i mobili in legno rendevano calorosa la piccola stanzetta. Lasciai la valigia ed ispezionai la cucina troppo bianca arredata con quattro poltroncine e un divanetto. Sul davanzale erano appoggiati un forno a microonde, un aggeggio che serviva per scaldare le bevande e un mini-frigorifero. Dalle finestre si intravedeva in lontananza la strada principale e un giardino, mentre sulla sinistra vi era un complesso di appartamenti che non appartenevano al college. Il nostro appartamento era al secondo piano ed era composto da quattro stanze singole e da due bagni, uno dei quali aveva la doccia. Entrai nella camera di Alice e mi sdraiai sul suo letto mentre lei apriva la valigia e appendeva qualche felpa agli appendiabiti nell'armadio.

-Allora? Come ti sembra?-, chiese indaffarata.

-Lo vuoi davvero sapere? Mi sembra una cacca, insomma gli scozzesi fanno ancora più pena degli inglesi! Hai visto la cucina? Tutta bianca! Mi sembra di essere in un ospedale-, dissi tutto d'un fiato.

Alice rise con la sua solita aria positiva. -Smettila di lamentarti cretina!-. Posò l'acetone e il suo smalto azzurro sulla scrivania, prese un batuffolo di cotone dalla valigia e iniziò a occuparsi diligentemente delle sue unghie. Mi alzai, la guardai per un secondo indecisa se spaventarla per farla sbagliare o lasciar perdere. Decisi di graziarla, dopo di che tornai nella mia stanza e sistemai tutte le mie cose. Cambiai maglietta e indossai un cardigan leggero e degli stivaletti bassi e marroni più adatti a quel clima rigido.

Le altre due camere erano occupate da Ilaria (la bionda) e Marianna, una ragazza di diciassette anni con dei ribelli capelli scuri e un volto sempre sorridente. Le trovai in cucina a riempire gli scaffali con dei pacchetti.

-Cosa sono?-, chiesi avvicinandomi.

-Caramelle!-, disse Ilaria.

-Chi le ha portate?-.

-Io-, esclamò Mary.

-Oh grazie al cielo! Ci hai salvato da morte sicura! Come potremo ripagarti in futuro?-. L'abbracciai e iniziai a ridere insieme a lei.

-Mah, sai l'unica cosa che manca è il pane e della Nutella-.

-Nutella!!! Hai perfettamente ragione, appena possiamo andiamo a prenderla, ci sarà pure un supermercato nei paraggi-. Mi sedetti sul divanetto e presi un pacchetto di caramelle che iniziai a divorare. Un cellulare vibrò. Mary lo prese e lesse il messaggio che le era appena arrivato, poi sbuffò. -Non sono ancora arrivata che già inizia a rompere!-, borbottò tra se. Non seppi non farmi gli affari miei.

-Chi? Il tuo ragazzo?-. Si sedette afflitta su una sedia e mi guardò sconfortata.

-Si! Sai, non è che non voglio che si preoccupi. È che troppo possessivo. Mi ha fatto certe scenate per questo viaggio... Tipo: “Perché te ne vai via da me due lunghe settimane?” e bla bla bla! Mentre lui se ne può andare dove vuole. È già la quinta volta che mi scrive oggi-.

-Si vede che ti ama molto! Sei fortunata-, mormorai guardando il cielo oltre la finestra. Non rispose.

Dopo qualche minuto bussò alla porta il Corvoni che ci invitò a prendere una giacca e a scendere, saremmo andati a fare un giro turistico veloce della città. Così corsi a prendere il mio chiodo, la mia sciarpa, la borsa marrone di pelle e l'iphone.

Le nuvole si erano diradate lasciando un venticello fresco. Presi i miei ray-ban neri e mi diressi a braccetto con Alice verso il gruppo. Ci fece da guida un ragazzo sulla ventina di nome Joe che Alice adocchiò subito come suo solito.

Ci dirigemmo così a piedi verso il centro. La strada era costeggiata da decine di locali grandi e piccoli dove si bevevano caffè o drink analcolici. Notammo subito uno Starbuck e ci fermammo a prendere due White Mocha Cafè caldi alla velocità della luce.

Arrivate sulla via principale ( Princes Street) ci dividemmo in piccoli gruppeti per dare un'occhiata ai negozi. Lorenzo e Stefano si unirono a noi e optammo per un negozio di dischi e strumenti musicali all'incrocio più vicino. Entrammo e con grande gioia notammo che vi erano almeno cinque gradi in più rispetto all'esterno. Lorenzo, Stefano e Alice si ammassarono sui dischi in offerta, mentre io proseguii verso le chitarre acustiche: la mia vera passione. A casa avevo una Crafter che suonava divinamente, ma in realtà era stata sostituita alla mia vecchia e adorata Fender che era andata in frantumi messa sotto da una macchina.

Entrata nella sezione delle chitarre acustiche notai un gruppetto di ragazzi, quindi mi diressi dalla parte opposta. All'improvviso si levò una dolce melodia e riconobbi le note di “Just the way you are” di Bruno Mars, unita alla voce di un ragazzo. Mi avvicinai incuriosita senza farmi notare e scorsi un ragazzo con la testa chinata su una Ibanez (una tra le tante marche di chitarre che reputavo alla pari della Fender) . Quando alzò il capo per sorridere ad una sua amica lo riconobbi e feci istintivamente un passo indietro, fu così che andai a sbattere contro una chitarra e per poco non la feci cadere a terra. Grazie al cielo la presi in tempo. Era lui, il Portoghese. Accipicchia! Sapeva anche suonare la chitarra.

Mi allontanai immediatamente da quella stanza per evitare stupide figure di emmental e andai a cercare gli altri che erano alla cassa con le braccia piene zeppe di cd.

-Ma che ci dovete fare con tutta sta roba?-, chiesi arricciando il naso.

-Ascoltarla magari? Lavy, dai quando mi capitano questi cd a un prezzo del genere? Ah non dirlo a mia mamma! Cuciti quella stupida bocca altrimenti ti taglio la lingua-, disse una Alice improvvisamente seria. Risi e decisi di farmi un giro per vedere qualche cd, sempre a debita distanza dalle chitarre acustiche. Adocchiai un cd degli “One Republic” di cui andavo matta e lo girai per leggere le traccie. All'improvviso sentii una porta aprirsi e delle voci riempire il silenzio.

-Oh cazzo!-, esclamai ad alta voce accorgendomi dei Portoghesi che stavano venendo dalla mia parte. Mi girai immediatamente, presi un respiro profondo e girato l'angolo iniziai a correre come una scema verso l'uscita e appena la porta si chiuse alle mie spalle sospirai di sollievo.

-Che ti è successo?-, chiese Stefano che si materializzò vicino a me.

-No niente, non vi trovavo e credevo di avervi perso-, mentii spudoratamente, ma ci credettero. Dopo di che li incitai ad allontanarci e finimmo all'ennesimo Starbuck dietro l'angolo. Questa volta presi una semplice barretta di cioccolato fondente e un caffè macchiato. Ci sedemmo su quattro poltroncine imbottite e iniziammo a prendere in giro lo stupido cognome del nostro professore di inglese. Insomma, con tutto il buon senso del mondo, ma chi si poteva chiamare Corvoni di cognome? Come insegnante Rocco non era male, non era uno di quelli che esigeva troppo dai suoi studenti e allo stesso tempo durante le sue ore era inconcepibile l'idea di baldoria. Il suo pizzetto e l'aria giovanile lo facevano apparire aperto con i ragazzi, ma in realtà era un gran timidone.

 

Avevamo a disposizione ancora mezz'ora, così ci allontanammo da Princes Street e ci addentrammo in un piccolo parco con molto alberi e panchine. Iniziai a scattare qualche foto giusto per fare qualcosa e mentre stavo per scattare l'ennesima ad un fiore mi accorsi che sullo sfondo, una persona mi stava salutando. Abbassai la mia Canon e aguzzai la vista, ma vidi solo un ciuffo moro. Così per non sembrare maleducata salutai nella sua direzione, dopo di che sparì.

 

 


Appena tornati mi infilai nella doccia. L'acqua calda riscaldò la mia pelle e mi fece sentire a casa. Dopo di che accompagnai Marianna al supermercato per prendere alcune cose, ma prima di uscire dal complesso un ragazzo biondo con una felpa amaranto ci fermò e ci disse con perfetto accento scozzese: -Ragazze non potete uscire a quest'ora da sole!-.

-Ci hanno detto che il supermercato è dietro l'angolo, arriviamo subito-, risposi un po' impacciata.

Lui alzò le spalle e si avvicinò. -Vi accompagno io allora! Sono un membro dello staff, piacere James-. Ci porse la mano e io la strinsi sorridendo.

Ci avviammo in silenzio e intanto esaminai il ragazzo che mi stava accanto. Non avrà avuto più di venticinque anni e sembrava un albino: capelli quasi bianchi (ma forse era la luce dei lampioni a renderli così), carnagione bianchissima e occhi di un azzurro glaciale, inoltre camminava in modo molto goffo. Se all'inizio mi era sembrato simpatico dovetti ricredermi dato che ci attese fuori dal supermarket con un'aria seria incrociando le braccia e incoraggiandoci in modo da tornare agli appartamenti alla velocità della luce.

Comprammo due barattoli di Nutella, patatine a valanga e due pizze surgelate. Pagammo e quando il cassiere ci chiese se volevamo una borsa Marianna gli rispose: -Sto bene, grazie!-, fraintendendo quello che aveva detto. Io scoppiai a ridere e la giustificai con un semplice: -Siamo italiane!-. E così la portai via per evitare altre figuracce. Uscite ridendo James ci prese per i gomiti e ci trascinò a casa.

-Santo cielo quanto è scorbutico questo qua!-, disse in italiano Marianna.

-Perché sei così severo? Sorridi che la vita è bella-, gli dissi cercando di non incespicare con le parole visto che ero nel bel mezzo di un attacco di ridarella. E lui, appena arrivati, con fare ancora più cupo ci augurò la buonanotte dopo di che si diresse verso le stanze dei membri dello staff.

-Simpatici gli scozzesi-, commentai mentre salivamo le scale. Alice era alle prese con le sue solite e stupide unghie (un giorno gliele avrei tagliate nel sonno) e appena ci vide con tutto quel ben di Dio saltellò sorridente e ci aiutò a sistemarlo.

-Ho voglia di pizza! Dai la metto nel microonde. Ah, prima sono venute due ragazze del nostro gruppo: Iris ed Evelyn, sono troppo carine! Quasi quasi chiamo anche loro per la pizza-. Si dileguò e lasciò la pizza girare nel fornetto. Sentimmo la caldaia attivarsi e intuimmo che Ilaria era sotto la doccia. Forse avremmo dovuto aspettare lei prima di mangiare.

-Eccole qua! Evelyn, Iris queste sono Marianna e Lavinia-, disse Alice sbucata dal nulla. Evelyin era una ragazza alta con folti ricci di un biondo cenere ed occhi neri, mi strinse la mano calorosamente. Mentre Iris era l'opposto: minuta (ancora più bassa di Alice), con corti capelli scuri ed occhi di un azzurro limpido che si accesero appena incontrarono i miei. Erano già in pigiama il che mi fece pensare che probabilmente era molto tardi e che avremmo dovuto essere a letto. Controllai e rimasi stupita: erano appena le dieci e mezza.

-Alice, guarda che Ilaria è sotto la doccia!-, dissi mentre tirava fuori la pizza fumante.

Si girò confusa. -E allora?-.

-Ok, allora muoviamoci a mangiarla prima che ci scopra-. Tagliai la pizza in cinque pezzi e ci sedemmo attorno al tavolino bianco circondate dal più totale silenzio. Mi abbuffai come pochi con la paura che la porta del bagno si aprisse all'improvviso e venissimo beccate con le mani nel sacco e lo stesso fecero le altre. La pizza lasciava molto a desiderare, ma avevamo fame e ci saremmo mangiate anche i cubetti di ghiaccio nel freezer.

La porta si aprì proprio mentre stavo masticando l'ultimo pezzo e solo allora realizzai che Ilaria avrebbe potuto vedere il cartone della pizza così corsi tra le sedie come una disperata e ficcai la scatola nel primo cassetto che trovai. Ad Alice era andata la pizza di traverso perciò stava annaspando alla ricerca disperata di un bicchiere, trovato lo riempì d'acqua e bevve. Le altre tentarono di mantenere un comportamento neutro, o almeno innocente, al passaggio di Ilaria, ma eravamo fuori pericolo, non si era nemmeno girata verso la cucina, era invece andata a chiudersi nella sua camera.

-Simpatia portami via-, sussurrai sedendomi a terra. Scoppiammo a ridere.

Il Corvoni arrivò giusto dieci minuti dopo e spedì Evelyn e Iris nel loro appartamento, così mi ritrovai nella cucina spoglia sola con Alice (Marianna era subito andata a dormire data la stanchezza).

-Dormi con me stanotte?-, la supplicai facendole gli occhi dolci.

-Che scassa palle che sei!-, disse ma con un sorriso spense le luci della cucina e si ficcò sotto le coperte insieme a me.

-Abbiamo conosciuto una delle guide, ci ha accompagnate al supermercato-, sussurrai.

-E com'è?-. -Mmm, brutto e noioso-, sentenziai. Dopo di che caddi in un sonno profondo privo di sogni. E il mio primo giorno a Edimburgo era andato.

 

 

La sveglia suonò alle sette e dieci esatte. Avrei desiderato dormire di più, ma un odore di pane tostato e Nutella risvegliò il mio stomaco. Così mi diressi verso quel dolcissimo profumo e notai Alice, già vestita e truccata, mentre si godeva l'alba e gustava il suo toast. Notai che sul tavolo c'erano quattro buste.

-Buongiorno! Chi ha portato questa roba?-, sussurrai sbadigliando. Mi strinsi nel maglioncino di lana che mi aveva fatto nonna Margherita e mi sedetti incrociando le gambe.

-Good morning! È la colazione, in più il Corvoni ha portato il pan carré-, disse pimpante la mia migliore amica. Diedi un'occhiata alle buste e notai che in una c'era un succo di frutta all'arancia e una brioches vuota. La feci subito mia e iniziai ad infilare tonnellate di Nutella nella brioche.

-Lo zombie non è ancora uscito dalla sua stanza?-, chiesi più nel mondo dei sogni che in quello reale. Mi guardò confusa. -Ilaria, lo zombie è Ilaria-.

-Ahh, devo dire azzeccatissimo! Non pensavo fosse così noiosa-. Si alzò e prese un barattolo di caffè. Lo guardai come se fosse l'unica cosa davvero importante sulla terra. Girandosi notai che aveva la mia maglietta del Barcellona, quella con il numero sette, quella di Villa.

-Adesso ti metti pure a frugare nella mia valigia? Scusami ma Villa è mio-.

-Ti prego ti prego, fammela tenere almeno fino a domani sera. Mi sono innamorata di lui!-.

-Cosa? Villa è mio. Quale di queste tre parole non ti entra nel cervellino microscopico che ti ritrovi? E poi non eri già promessa a Messi?-.

-Non so perchè, ma adesso che si è rimesso con quella sfigata di Antonella, Messi mi sta davvero sulle balle. Insomma non può illudermi in questo modo, credevo di avere una speranza con lui ed ero sicura che alla partita Barcellona-Milan mi avesse sorriso dopo il suo secondo goal... Ma forse mi sbagliavo! Mi ha tradito, brutto stronzo-. Alzai gli occhi al cielo e trattenni una risata per non ferire i suoi sentimenti.

-Non è una scusa valida per cambiare uomo. L'hai voluto? Adesso te lo tieni-. Le feci la linguaccia e mi alzai per preparare il caffè. Naturalmente gli scozzesi volevano complicarsi sempre la vita dato che non c'era una semplice macchinetta, quindi optai per lo scalda bevande sperando che funzionasse. Lo riempii d'acqua e ci versai tre cucchiai di caffè, dopo di che lo accesi e mi girai ad ammirare il sole che si alzava lentamente tra le nuvole che non avevano intenzione di concedergli più spazio per farsi guardare. Avevo sempre pensato che Edimburgo fosse un posto orribile, fatto per gli sfigati che non sapevano dove andare e dunque si rifugiavano in una città sperduta nel nulla, ma mi sbagliavo, era perfino più bella di Londra, più pacifica, il posto ideale in cui vivere. Inoltre tutte le villette alla Harry Potter rendevano caratteristica e pittoresca la periferia. Persa nelle mie solite considerazioni mattutine non mi accorsi di nulla finché lo scalda bevande esplose e l'acqua miscelata a caffè si sparse per tutto il bancone. Mi allontanai velocemente sotto lo sguardo divertito di Alice e arrabbiata iniziai a pulire freneticamente l'area con uno straccio.

-Vaffanculo stupido scaldino! Io la mattina ho bisogno del caffè, è d'obbligo. Mi toccherà fermarmi da Starbuck-, dissi più a me stessa che alla mia amica.

Alla fine bevvi il freddo succo di frutta e mi diressi mezza addormentata verso il bagno per dare un'occhiata ai capelli. Mi guardai allo specchio: “Pensavo peggio, dai”. Mi lavai i denti e piastrai qualche ciocca ribelle in modo che la massa di ricci scendesse morbida fino alla vita. Data la temperatura invernale optai per il paio di jeans più pesante che avessi e una felpa gialla della Nike. Mi truccai di fretta e furia semplicemente con il mascara e qualche goccia di fondotinta, dopo di che presi la borsa e chiusi a chiave la mia porta. Raggiungemmo il college con il solito pullman che era occupato anche dai cinesi e dai portoghesi a cui però non feci troppo caso, visto il mio stato di incoscienza.

Quando arrivammo tutti i gruppi scesero tranne noi, la nostra prima e vera destinazione era il castello di Edimburgo che si trovava su una collinetta immersa nella nebbia.

Percorremmo all'incirca un chilometro a piedi seguendo delle viuzze strette e ripide, ma alla fine arrivammo in un grande spiazzo e potemmo ammirare l'antico e imponente castello che si erigeva davanti a noi. Dopo qualche minuto di attesa entrammo attraverso un ponte levatoio e ci ritrovammo nelle alte mura protetti dal vento gelido che quella mattina soffiava imperterrito. La vista di tutta la città e del mare ci lasciò incantati: le nuvole scure si abbattevano sulla città, ma più in là sul mare il sole illuminava una piccola isoletta e si rifletteva nell'acqua creando dei magnifici giochi di colore.

Visitammo tutto il castello, in lungo e in largo, e con il tempo sentivo le mie gambe farsi sempre più pesanti e il freddo sempre più pungente tanto che neanche la felpa e il chiodo riuscivano a proteggermi, così mi strinsi ad Alice, mentre lei si strinse a Marianna.

-Sembrate dei pinguini-, ci disse James ridendo sotto i baffi.

-Ma grazie, come mai oggi sorridi?-, chiesi giusto per conversare in inglese e... farmi gli affari altrui. Notai che Alice si mise subito alla sua sinistra impaziente di sentire la risposta.

-Sei sempre così divertente? E questa signorina qui? Non la conosco-. Si rivolse ad Alice, le strinse la mano e si presentò. Non c'era bisogno di dire che lei si stava già facendo un film mentale con tanto di bambini dalle teste bionde. Sospirai e notando Evelyn e Iris mi diressi verso di loro anticipando la richiesta di Alice che mi riservò un sorriso di gratitudine.

-Lavinia! Eccoti! Grazie al cielo ce ne stiamo andando, non mi sento più le mani-, disse Evelyn dopo avermi preso a braccetto. Forse era una mia impressione, ma non credevo che fosse così contenta di vedermi, il suo sguardo leggermente scocciato infatti mi aveva avvertito. Probabilmente per il semplice fatto che mi fossi intromessa tra lei e Iris, ma senz'altro non avevo intenzione di immischiarmi nelle loro faccende, anche perchè le conoscevo da meno di un giorno.

Comunque ero pur sempre positiva, la vacanza-studio sarebbe durata due settimane, un arco di tempo non così lungo e io volevo fare amicizia più di ogni altra cosa. Volevo distaccarmi dal mio paese e da tutte le persone che ci vivevano e quello mi sembrava un modo efficace per farlo. Avevo bisogno di aria fresca.

Tornati al college ci abbuffammo di cibo e dopo aver mangiato e chiacchierato allegramente ci dirigemmo verso la palestra: un piccolo edificio distaccato dal college che all'esterno aveva un'aria antica, mentre all'interno il parquet di legno lo rendeva moderno ed accogliente. Trovammo un materasso libero e ci buttammo su quello mentre Lorenzo, Stefano e altri ragazzi giocavano a calcetto. Sdraiata a pancia in su con il cellulare in mano per controllare il mio profilo di Facebook non mi accorsi della palla che centrò il mio stomaco.

-Cazzo!-, urlai pronta ad uccidere chiunque l'avesse tirata, ma appena mi alzai in piedi dovetti bloccarmi. Davanti a me c'era il portoghese, quello del numero di telefono, quello della chitarra, quello che (porca misera) non aveva un nome.

-Scusa! Non volevo, non l'ho fatta apposta-, disse con una pronuncia davvero penosa. Non seppi rispondergli e questo mi preoccupò, di solito non mi facevo prendere in contro piede in questo modo. Annuii mentre lui mi sorrideva con la sua aria da cane bastonato, dopo di che entrambi tornammo ai nostri posti.

-Mmm carino-, disse Iris con gli occhi azzurri che luccicavano. “Mi dispiace bella ma quello è già prenotato”, non feci in tempo a rifletterci che questo pensiero si intrufolò nella mia mente e mi scombussolò.

“-No Lavy, dai è Portoghese! Dopo queste due settimane non lo rivedrai più. Ti prego. A Londra, l'anno scorso, ti è andata bene che era del nostro stesso gruppo, ma questa volta stagli alla larga. -Eppure è così bello....

-No, col cazzo, no no no Lavinia santo cielo torna in te! Tu devi cercare un modo per riprenderti Marco, lascia perdere sto qua!

-Ma è inutile Marco non mi vuole e una volta che un ragazzo si interessa a me non dovrei considerarlo?”

Il mio discorso mentale non riusciva a trovare una soluzione a questo dilemma. L'unica cosa certa era che stetti tutto il tempo a guardarlo giocare e a segnare cinque goal in tre dei quali si girò verso di me e disse: -Questo è per te!-.

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Capitolo 3
*** Boy you got my heartbeat runnin' away ***


3.Boy you got my heartbeat runnin' away

 

Heart beats fast
Colors and promises
How to be brave
How can I love when I’m afraid to fall?
But watching you stand alone
All of my doubt suddenly goes away somehow
One step closer

 

A thousand years
Christina Perri

 

 

 

Le lezioni pomeridiane erano una completa noia tanto che per restare sveglia dovetti bere tre caffè. Ci avevano diviso in classi a seconda del punteggio ottenuto ai test ed io e Alice eravamo finite in due classi diverse, ma dello stesso livello: Advanced.

Naturalmente ne eravamo fiere e ce lo aspettavamo, insomma eravamo in quarta. Rosalind, la nostra insegnante, aveva lunghi capelli bianchi e la pelle candida ma rugosa, eppure, nonostante l'età, era fin troppo attiva e solare. Continuò a parlare della sua vita privata per almeno un'ora e notai guardandomi attorno che non nessuno era interessato quanto me.
Non ero una secchiona, chiariamoci. Semplicemente mi piaceva l'inglese e lei, essendo nata a Londra, lo parlava divinamente. Ero incantata dal modo in cui ad ogni sua parola se ne univa armonicamente un'altra senza spezzare il suono con delle pause, sembrava un fiume che correva ininterrotto ed ero anche elettrizzata per il semplice fatto che riuscissi a capire cosa dicesse mentre gli altri o si sforzavano di comprendere e azzeccavano due parole su dieci o si estraniavano iniziando a parlare con il vicino di banco.

La classe era composta da tredici elementi, tra cui quattro ragazze cinesi (l'unica che conoscessi era Cherry), quattro Padovani e due Romani. Fabio e Stefano erano seduti vicino a me e per non addormentarsi sul banco scarabocchiavano sui libri consegnatici.
Conoscevo bene il ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli biondi seduto alla mia sinistra dato che ci avevo legato molto durante la vacanza studio a Londra dell'anno precedente, ma talvolta mi sorprendeva. Spesso Fabio si allontanava dal gruppo, si sedeva distante ed accendeva l'i-pod assorto nei suoi pensieri, come se un ragazzo di diciassette anni potesse avere grandi preoccupazioni...
Ma questo accadeva di rado, la maggior parte delle volte era un giocherellone. Correva e saltava appena eravamo all'aria aperta incapace di stare fermo, era per questa sua allegria e per i suoi continui cambi d'umore che era uno dei miei migliori amici, inoltre mi capiva sempre, soprattutto quando facevo dei discorsi insensati sulla vita o sulla morte.

Alla seconda ora Rosalind ci lasciò nelle mani di Gosha, una giovane insegnante con grandi occhi glaciali e lunghi capelli corvini, la quale non mi aveva preso propriamente in simpatia dato che la parlantina trattenuta per più un'ora si riversò su Fabio e Stefano durante sua lezione. Naturalmente i due non ne erano dispiaciuti anzi mi incitarono divertiti dalle stupidaggini che mi uscivano di bocca. D'altronde era da me, quando parlavo perchè non sapevo che altro fare discutevo su cavolate e la nostra giovanissima insegnante se n'era accorta tanto non faceva altro che ammonirci esclamando: -Nella mia classe niente italiano!-.

Fabio all'ennesima ammonizione si girò con aria di sfida e rispose:-Stiamo parlando spagnolo infatti!-.

Io e Stefano scoppiammo a ridere e riuscimmo a calmarci solo dopo una decina di minuti quando gli occhi smisero di lacrimare, inoltre il fatto che ogni volta che Gosha si girasse Fabio iniziasse a farle le linguacce e a sussurrarle parolacce in tutte le lingue che conosceva non aiutava di certo a placare la nostra ridarella.

Finalmente le ore di lezione terminarono e potei stiracchiarmi le gambe. Optai per un giro attorno al college e Fabio mi accompagnò. Era alto circa un metro e novanta così quando iniziammo a camminare mi appoggiò le braccia sulle spalle senza alcun problema.

-Si ma così sembro una bambina di dieci anni Fabio!-, mi lamentai.

-Non è colpa mia se i tuoi genitori ti hanno fatta così bassa! Ti potrei sfruttare per altri fini, ma non sarebbe leale come cosa quindi ringraziami e facciamoci questa maledetta passeggiata immersi nella natura morta di questo maledetto college-. Non capii a che cosa si riferiva parlando di secondi fini, ma feci finta di niente dato il suo umore alla Leopardi.

-Mi raccomando, continua così mister simpatia-, sussurrai tirandogli una pacca sullo stomaco.

Girammo attorno alla palestra e notai che sul retro c'era un orticello, mentre affiancato a questa vi era un altro edificio dal quale entravano e uscivano insegnanti e studenti con almeno due anni in più di noi. Forse frequentavano il college anche durante l'estate.

-Sai che tra dieci minuti si mangia?-. Controllai l'orologio e notai che erano le sei meno dieci.

-Ma ho mangiato cinque ore fa. Ne sei sicuro?-, chiesi non fidandomi molto.

-Guarda che è pinocchio quello che racconta le balle, non io. E comunque lo sapresti se stessi più attenta durante le lezioni-, si lasciò sfuggire.

-Oh ma piantala! Non fare il saputello-.

-Se mi dai una pianta la pianto-, disse trattenendo una risata. Mi bloccai indignata. -è più vecchia di mio nonno questa battuta! Che cretino che sei. Comunque sono stata attenta durante l'ora di Rosalind, non puoi pretendere che stia attenta anche durante quella di Gosha-.

-Rosalind..... Le donne adulte come lei mi sono sempre piaciute-, mormorò sovrappensiero. Lo guardai torva.

-Oddio ma dove sono finita?-, chiesi più a me stessa che a lui, ma Fabio rispose togliendomi ogni dubbio. -All'inferno mia cara-.

 



Mangiammo come predetto alle sei e il mio stomaco sussultò a contatto con l'hamburger e le patatine fritte tanto che inghiottii solo qualche boccone. A casa mia mamma non cucinava prima delle otto e mezza e questo cambiamento scombussolò leggermente il mio organismo.

-Massì, abbiamo i Twix in frigorifero. Se avrò fame mi mangerò quelli-, disse Alice, seduta vicino a me, allontanando il piatto.

Mentre guardavo imbronciata il mio vassoio pieno la mia attenzione fu catturata da una maglietta rossa dall'altra parte della sala. Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi apparentemente scuri.

“Eh no, adesso mi sono rotta. Ci sarà pure qualcuno che conosce il suo nome. Mmmmm azz Ste ci stava giocando oggi a calcio”. Senza perdere un secondo mi alzai e mi diressi verso Stefano che stava parlando animatamente con Lorenzo e mi sedetti sulla sua sedia spostandolo di poco. Ok, il fatto che non chiedessi il permesso era un optional per me... non pensate male.

-Buonasera meraviglia-, disse Lory interrompendo il suo discorso. Gli sorrisi e mi rivolsi a Ste.

-Per caso sai come si chiama il tizio con la maglietta rossa?-, chiesi e lo indicai velocemente.

-Il portoghese?-. Annuii abbassando il capo come se fossi una spia che stava per venire a coscienza di un segreto a livello internazionale.

-Manuèl mi sembra-.

-Ok, grazie-. Sorrisi e mi alzai diretta verso la mia sedia.

-Perché sei andata da Ste?-, mi chiese Alice, la quale aveva ripreso a mangiare.

-Così, c'è un portoghese carino e gli ho chiesto come si chiama-.

-E?-, chiese più interessata.

-E mi ha detto il suo nome?-.

-Oh cristo Lavinia! In che senso ti piace?-. Prese una fetta di ananas e la divorò in un secondo. Mi ritrovai a fissare la sua bocca che si muoveva ritmicamente per inghiottire il frutto. In che senso mi piaceva? E io cosa ne sapevo? Mi aveva chiesto indirettamente il suo numero di telefono e mi aveva dedicato tre goal... Forse non gli piacevo nemmeno. Forse faceva così con tutte le sue amiche.

Notando il mio sguardo assorto Alice mi chiese agitata: -Ho il muso sporco?-.

-No no, non è per quello è che non so, forse non è niente!-, dissi confusa con uno strano tono che sembrava triste... triste?

-Ok, adesso sistemo io le cose! Se vuoi vado da quel tipo che... aspetta non mi hai ancora detto chi è! Insomma ho capito tutto, ma non posso indovinare chi è tra quei bei fustacchioni l'uomo dei tuoi sogni anche se conoscendoti potrei anche azzeccare...mmm ce n'è uno riccio carino, ma non mi piace la sua maglietta, insomma dai, sembra uscito dal film “Il bambino con il pigiama a righe”. Magari è Ebreo. No, ma non credo che ti piacciano gli Ebrei... Oh non pensare che io sia razzista, ti pare? È solo che tu hai un po' di senso dello stile e di certo non ti vai a cercare uno che si veste a righe bianche e blu. Passiamo oltre. Accipicchia guarda quello moro in piedi con la faccia da mezzo ebete che... ti sta fissando!-. Rimase impalata per qualche secondo e io cercai di non guardare verso Manuèl.

-Ti sta fissando?-, chiese ancora più stupita. Dopo di che si girò verso di me con la bocca aperta e gli occhi sgranati. -Ti sta fissando?-.

-L'ho capito cretina che mi sta fissando! Non c'è bisogno che me lo ripeti mille volte-, esclamai perdendo la pazienza. Lei, senza dire una parola, tornò a fissare il suo sguardo sul portoghese.

-Mmm abbigliamento discreto. Fisico da nove, il dieci lo do solo a Cristiano Ronaldo anche se mi sta sulle balle con quell'aria da io-sono-l'unico-e-il-solo-Dio-del-calcio-. Capelli? Mi piace il taglio, alla Robert Pattinson-, disse assorta. Alzai gli occhi al soffitto trattenendo una risata.

-E viso, aspetta, non è che posso alzarmi e vederlo meglio? Perché da qui mi sembra uscito da un video di Taylor Swift, ma forse da vicino fa pena-. Fece per alzarsi, ma la tenni stretta per un braccio. Gliel'avrei staccato volentieri. Meno male che nessuno sembrava darci retta.

-Rimani qui!-, sussurrai. Notando il mio volto basso e la mia figura rannicchiata si abbassò anche lei e mormorò:-Mi piace sta cosa, dico dare i voti ai ragazzi. Dovremmo farlo più spesso!-.

-Chiudi quella bocca barbona-, esclamai e mi raddrizzai appoggiando la schiena allo schienale mezzo rotto della sedia e sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

-Oh si sta avvicinando. Assolutamente un bel nove al viso, capiscimi il dieci lo do solo ai tipi che scelgo io-. Feci finta di non ascoltarla, ma non dovetti sforzarmi tanto visto che appena mi girai verso l'uscita trovai Manuèl a guardarmi divertito come se avesse sentito tutta la conversazione tra me ed Alice. Mi salutò con un cenno della mano e sparì oltre la porta.

Rimasi impalata a guardare l'uscita sperando che tornasse indietro da me fin quando la mia migliore amica mi scosse con la delicatezza di un elefante.

-Cazzo Lavinia ripigliati! Oddio! Stai male?-.

-Alice sono viva, sto bene. Dai su dobbiamo trovarci davanti alla palestra tra pochi minuti-, dissi alzandomi e posando il vassoio sopra la pila di stoviglie all'angolo della sala.

All'esterno la temperatura si era abbassata così indossai il chiodo e mi avvolsi con una sciarpa. Arrivate davanti alla palestra notammo subito il Corvoni farci segno di raggiungerlo, eravamo le ultime, come al solito.

-Ok ragazzi! Domani si va in piscina quindi ricordatevi il costume da bagno e le ciabatte. Per chi preferisce stare qui si faranno dei giochi tra squadre-.

-Ci sarà senz'altro James! Dobbiamo rimanere qui! Cosa ci vai a fare in piscina? Fa freddo-, sussurrò al mio orecchio Alice iniziando a saltellare esaltata.

-E adesso cosa c'entra James? Mica ti piaceva un Padovano?-, chiesi leggermente confusa.

-Si ma è un bambino, si comporta da poppante. James invece è adulto, insomma mi hai capito?-.

-Ho capito solo che James vive a Edimburgo, mentre tu abiti a Brembate, in Italia e, lui avrà si e no venticinque anni mentre tu ne hai diciassette e che lui è un membro dello staff mentre tu sei una sua alunna. Mettiamola così! Ho dimenticato qualcosa?-.

-Devi sempre rovinare le mie speranze vero? Se la tua vita è una cacca anche la mia deve essere così-, disse mettendo su il muso. Si girò dall'altra parte e iniziò a tirare su il naso teatralmente.

Ok, forse avevo esagerato. -Scusa, non volevo! Dai domani non vado in piscina. Sto qua con te-, dissi per tirarla su di morale. Si girò all'improvviso sorridente e mi abbracciò. -Sei la migliore! Grazie-.

 





Il mio pigiama stava disteso sul letto mentre indossavo la mia adorata maglietta con stampato sul retro in giallo il numero sette, il numero di David Villa, attaccante della mia squadra preferita e un paio di pantaloni lunghi da ginnastica.
Il Corvoni ci avrebbe portato a svagarci un po' in un parco vicino all'Arthur Sit, una catena di colline molto ripide da cui si godeva un meraviglioso panorama. Non c'era anima viva quindi ci dividemmo in gruppi e iniziammo a giocare. Io e Alice volevamo giocare a calcio così ci unimmo al gruppo dei ragazzi che tracciarono le estremità del campo e le porte.

Fabio mi prese immediatamente nella sua squadra dato che conosceva le mie potenzialità e sapeva anche che nessuno si sarebbe aspettato che una ragazza potesse giocare così bene, mentre Alice fu scelta da Lorenzo.
Appena la partita iniziò non persi tempo in passaggi inutili e puntai subito alla porta. Visto che il gioco sarebbe durato solo mezz'ora conveniva sbrigarsi. Colsi di sorpresa tutti tranne Alice che si aspettava da parte mia una mossa del genere. Tentò di bloccarmi, ma, facendo una finta e (devo ammetterlo) rischiando di perdere il controllo della palla, la superai e con un sinistro perfetto portai la palla in porta. Fabio mi sollevò per aria e iniziò a correre come un pazzo facendomi morire dalle risate, dopo di che Lorenzo riportò la palla al centro e iniziò l'azione.

Alice segnò un goal dopo circa cinque minuti, ma Alberto ci portò in vantaggio con un pallonetto ad arte. Finito il primo tempo ci ritrovammo due a uno. Corsi a bere qualche sorso d'acqua alla fontana dall'altra parte del parco e appena tornai ricominciammo. Ero carica e volevo una vittoria epica, così impegnandomi insieme ad Alberto segnai altri tre goal. Negli ultimi trenta secondi mi ritrovai con la palla in mano e non esitai nemmeno un secondo a dirigermi verso la porta, ma Davide (il difensore dell'altra squadra) mi si parò davanti e scartandolo mi fece lo sgambetto. Caddi a terra, ma non seppi come la palla finì in rete. La partita finì cinque ad uno per noi.

Ormai le ombre delle ripide colline davanti a noi si riversavano su quasi tutto il parco e il vento gelido della sera non tardò ad arrivare, così stremati tornammo a casa.

-Devo ammettere che sei migliorata dall'ultima volta che abbiamo giocato-, disse Alice apparendo al mio fianco.

-Dì la verità: non te l'aspettavi!-.

-Assolutamente no. L'ultima volta ho vinto quattro a zero. Villa si è impossessato di te-. Risi e la strinsi a me.

Probabilmente Alice era l'amica più preziosa che avessi, nonostante non lo dessi molto a vedere. Ci conoscevamo sin da piccole, quando frequentavamo il catechismo insieme, ma non eravamo mai state così intime come al liceo. In prima non la consideravo molto, ma in seguito notai che avevamo molte cose in comune: la passione per il calcio, per i libri di Ken Follet o Patricia Cornwell e.... l'amore per un ragazzo. Si, anche a lei piaceva Marco, forse non quanto piacesse a me, ma cercava di farsi notare appena lui si avvicinava. Il fatto che lui non considerasse entrambe ci fece avvicinare sempre di più, così ci ritrovavamo nelle rispettive camere da letto a parlare di lui, ad ammirare le foto sul suo profilo di Facebook, a odiare ogni ragazza che lo abbracciava e a immaginare come sarebbe stato se lui ci avesse almeno dato retta. Passavamo ore sdraiate sul mio letto a sognare ad occhi aperti la sua persona che si avvicinava e ci domandava come stessimo. E quando Alessia se ne impossessò la nostra rabbia divenne un'ossessione, non facevamo altro che sputare addosso a quella coppia così falsa quanto le tette di Pamela Anderson, forse con troppo vigore, ma eravamo state tradite. L'unica cosa a favore di Alice fu il fatto che lei non rivelò mai la sua cotta mentre nel mio caso tutta la scuola lo sapeva ed ogni volta che passavo accanto alle pettegole dell'istituto queste trasudavano falsa pietà da tutti i pori.

Grazie al cielo c'era lei, silenziosa, quasi invisibile, eppure con me era un'altra persona, non c'era giorno che non la vedessi allegra, pronta a darmi tutti i consigli del mondo e sempre ottimista. Secondo Alice tutti gli sfigati al mondo sarebbero diventati persone importanti ed era convinta che tra quelli ci fossimo noi, a questo punto se ciò risultava vero mi andava più che bene essere una disadattata sociale.





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Ecco qua il terzo capitolo!! Spero davvero che vi piaccia :D
Non ho avuto molto tempo per ricontrollarlo quindi mi scuso in anticipo per eventuali errori grammaticali. 
In questo capitolo ho voluto descrivere più dettagliatamente Alice. Nonostante sia un personaggio di secondo piano è pur sempre la migliore amica della nostra Lavinia, quindi mi sembrava più che giusto dedicarle una parte, forse un po' troppo piccola, ma spero che capiate e percepiate il valore della loro amicizia.  Fatemi sapere :D




UN BACIO <3

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Capitolo 4
*** Everybody's dancing in the moonlight ***


4-Everybody's dancing in the moonlight




 

I'm gonna lose my mind for you
I'm sure!







Era inutile, avevo passato il correttore almeno venti volte per eliminare le mie occhiaie, ma queste sembravano più evidenti di prima. La baldoria si era conclusa alle tre meno un quarto quando il Corvoni, sentendo le risate, salì e riportò i ragazzi nei rispettivi appartamenti, a quel punto non riuscii più ad addormentarmi così rimasi seduta sul marmo della finestra ad ammirare il cielo che si faceva sempre più chiaro e le stelle che lentamente scomparivano. Mi arrovellai il cervello per riordinare tutti i pensieri che frullavano nella mia contorta mente, ma niente, cercavo di chiudere una porta ma se ne apriva subito un'altra. Così mi concentrai su cosa avrei voluto intraprendere come facoltà all'università. Di sicuro qualcosa che avesse a che fare con la letteratura, con le lingue e con i viaggi, le mie tre grandi passioni escludendo la chitarra. Ogni volta che la nostra professoressa di italiano iniziava a spiegare i canti della Divina Commedia mi luccicavano gli occhi dall'interesse.

Inglese, be', il semplice fatto che fossi li' a Edimburgo doveva significare automaticamente che adorassi l'inglese, inoltre avevo comprato in terza liceo un dizionario di spagnolo ed ogni settimana prendevo venti parole a caso e le imparavo a memoria. Avrei tanto voluto imparare il Cinese o il Giapponese, ma con il ritmo scolastico che dovevo sopportare era già tanto fare pratica con due lingue contemporaneamente, figuriamoci con tre. E i viaggi... L'eccitazione della partenza, l'odore tipico della pelle delle poltrone sugli aerei, il sapore del vento che soffia appena arrivi in una meta completamente sconosciuta, tutto ciò era qualcosa di indescrivibile.

Ero nata per viaggiare, scoprire e imparare. Non riuscivo a chiudermi nel mio appartamento e vivere da semplice adolescente la mia semplice vita, avevo troppe ambizioni, volevo essere qualcuno nella vita, qualcuno di cui la gente potesse fidarsi, qualcuno che le persone potessero stimare.

Dopo tutte queste considerazioni personali ritorniamo alla realtà.

Mi trovavo esattamente nel bagno del college, quando Alice entrò come una furia saltellando impazzita e fu così che grazie alla sua entrata da persona poco normale riuscii a ficcarmi il mascara negli occhi.


-Stasera c'è la discoteca!-, mi annunciò elettrizzata. Dopo la mattinata passata a giocare a carte con James e a tirare palline contro i bicchieri di plastica per farli cadere, ci mancava anche la discoteca!

-Cosa?-. La guardai allo specchio e poi guardai i nostri vestiti. Una semplice maglietta e un semplice paio di jeans, accipicchia, avrebbero potuto avvertirci prima.

-Dobbiamo andare a fare shopping! Almeno una maglietta decente. E comunque il Corvoni non ci ha mai detto della discoteca-, mormorai scocciata mentre ficcavo nella cerniera della mia borsa tutti i trucchi.

-Aspetta! Ce l'hai il rossetto, quello rosso rosso?-.

-Quello da T?-.

-Oh quanto la fai tragica!-, esclamò Alice facendo girare due ragazze portoghesi all'angolo del bagno.

-Che minchia guardi?-, disse Alice ad una delle ragazze che traumatizzata girò la testa.

-Che delicatezza, almeno potevi dirglielo in spagnolo. Comunque eccolo-, le porsi il rossetto e in seguito mi girai verso le ragazze e gli sorrisi in segno di scuse.

-Que Carajo...-. Le tappai la bocca in tempo.

-Ma tu non stai bene!-.

-Passiamo oltre, ho capito che siamo troppo belle e purtroppo non gli faccio una colpa se non riescono a distogliere lo sguardo-. Alzai gli occhi al cielo.

-Quando siamo andate a farci un giro avevo individuato su Princes Street l'HeM, potremmo andare lì-, disse distrattamente mentre si passava il rossetto sulle labbra, ma come al solito si sbavò tutta.

-Concordo. Oggi con Rosalind era impossibile seguire, insomma io stavo dormendo in piedi. Per non parlare di Gosha, fa troppo la so-tutto-io-.

-Io mi stavo addormentando al museo della gioventù o come cavolo si chiama, il Corvoni è proprio un coglione! Mica sono venuta a Edimburgo per visitare tutti i musei della Scozia-, rispose lei mentre cercava di sistemarsi.

-Magari se ti dai una mossa riusciamo ad andare all'HeM e a tornare per le sette e mezza, a meno che non sia chiusa-, dissi tirandole la manica del maglione.

Uscite trovammo davanti il Corvoni e fu così che un quarto d'ora dopo eravamo completamente sole per la via dello Shopping di Edimburgo a fare, be', a fare un po' le fighe.

-No no, però adesso che siamo sole parliamo inglese così magari cucchiamo qualche bello scozzese-, disse Alice.




Non eravamo il massimo, ma potevamo essere scambiate per due americane data la nostra carnagione un po' troppo scura per essere inglese o scozzese. Ma la prima persona che ci passò vicino si girò verso di noi e sorrise divertita come se avesse capito il trucco e a quel punto mi arresi. Entrate all'HeM trovammo subito due magliette abbastanza carine per una serata in discoteca e quando raggiungemmo la cassa mi ritrovai davanti un ragazzo alto e biondo con un filo di barba che lo rendeva ancora più attraente. Alice intanto non faceva che ridere dietro di me.

Cercai di darmi un contegno e andai a pagare, ma fu tutt'altro che una passeggiata con quella rimbambita che continuava a darmi gomitate per farmi notare quanto fosse figo, tanto che alla fine, notando i miei occhi lucidi, mi chiese se stessi bene. Riuscii solo ad annuire dopo di che presi lo scontrino e scappai.

-Dovevi vedere la tua faccia! Eri rossa come un peperone e tra un po' non ti mettevi a piangere dal ridere, giuro che sto morendo-, disse Alice tra una risata e l'altra appena fummo all'aria aperta.

-Vaffanculo! Ma perchè mi devi far fare queste figure di emmental?-. Ma lei non mi badò.

-Dovevi vederti, oddio! Chissà cosa avrà pensato quello lì-. Continuò a sfottermi fino a che non entrammo nel bagno del college e ci cambiammo.




Nel negozio non avevo avuto tempo per provare la maglia, ma grazie al cielo mi andava a pennello. Il rosso mi era sempre stato da Dio inoltre mi piaceva come il tessuto si avvolgeva stretto in vita mentre all'altezza del petto si ammorbidiva lasciando scoperte le spalle. Passai leggermente il rossetto rosso sulle labbra e sistemai i capelli in una treccia a spina di pesce. Alice aveva optato per un look più scollato, ma non volgare. Maglia blu con una spallina che scendeva aderente e un paio di leggins grigi.

-Quanto siamo belle! Mi stupisco sempre di più-, disse prendendo il mio eye-liner e passandolo pesantemente sugli occhi.

-Panda!-,sbuffai sistemando la borsa.

Intanto erano entrate Evelyn ed Iris che indossavano due semplici vestiti entrambi neri e corti fino alle ginocchia.

-Dai ragazze, stanno iniziando e vi state perdendo i cinesi che ballano-, disse Iris tirandomi per un braccio. Entrate nella sala da pranzo quasi non la riconobbi. I tavoli erano stati spostati all'estremità, le finestre coperte da teloni neri non permettevano il passaggio della luce dei lampioni, invece all'interno si esibivano piccole luci colorate. La musica rimbombava su tutte le pareti e James al centro della pista cercava di ballare con una cinese, ma l'unica cosa che riusciva a fare era girare su se stesso in modo patetico. Nonostante la sua scarsa abilità di ballerino Alice sembrava incantata dai suoi passi. All'angolo notai un tavolo su cui erano appoggiate delle patatine e bevande varie quindi mi diressi immediatamente in quella direzione seguita da Evelyn.

Mentre bevevo un bicchiere di coca Evelyn guardava dritto davanti a se con un'espressione quasi beata.

-Come mai tanta felicità?-, chiesi curiosa.

-Oh, niente. C'è un portoghese che mi fissa sempre, è carinissimo-. “Oh cazzo, non Manuèl. Già ci ha pensato Iris a mettergli gli occhi addosso!”.

-Questi qua sanno solo fissare. Voglio fatti porca misera-, sussurrai.

-Ha dei ricci troppo belli, poi è alto, tanto alto e muscoloso-. Ok non era lui. Probabilmente era quello che Alice aveva considerato: uscito dal “bambino con il pigiama righe”. Mi girai dall'altra parte trattenendo una risata.

-Eccolo!-, urlò prendendomi il braccio e facendomi girare verso l'altro lato della sala. Stava chiacchierando con una ragazza bassa con folti capelli ricci. Spostai involontariamente il mio sguardo annoiato sui presenti e incontrai i suoi occhi. Quanto poteva essere bello un ragazzo? Manuèl era qualcosa di trascendente, in Italia non esistevano ragazzi come lui. Dovetti tenermi al tavolo per non dirigermi verso di lui. Indossava una camicia azzurra che lasciava intravedere il suo petto e i capelli spettinati lo rendevano fin troppo sexy. Sarei potuta stare per ore ad ammirare le sue ampie spalle, il contorno della mascella così dritto, ma allo stesso tempo morbido, le labbra sempre tirate in un sorriso sincero e il suo modo di camminare così disinvolto. Mi persi in quegli occhi lontani per un'eternità e lui rispose con un sorriso, dopo di che seguì i suoi compagni sulla pista da ballo.

“-Troppo tardi- Dissi alla parte di me che cercava di scacciare quel ragazzo dalla mia mente”. Sperai che fosse solo un'illusione. L'amore non faceva per me, era solo dolore. Eppure sapevo di provare qualcosa per lui ancor prima di conoscerlo e l'amore aveva quella particolarità. Ma per quella sera non ci volevo pensare e come sempre rimandai le conseguenze delle mie decisioni al giorno dopo.












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Eccovi a voi un altro capitolo!!!! ragazzi vi devo confessare che sono seriamente preoccupata, notando le scarse visite e le pochissime recensioni sto pensando di interrompere la storia anche se sinceramente mi sta a cuore. Se avete qualche consiglio vi prego di dirmelo, non voglio di certo che leggendo la mia storia vi annoiate o sbadigliate!!!! Ci ho messo il mio cuore :) Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto!!!


XOXO

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Capitolo 5
*** Give me everything tonight ***


5.Give me everything tonight












 

Quel giorno Rosalind non era in vena di parlare, così ci diede qualche esercizio scritto da svolgere, ma neanche io ero in vena di scrivere, così più minuti passavano più scarabocchi lasciavo sul quadernino. Sentii un lieve rumore e mi girai verso la porta incontrando lo sguardo divertito di Manuèl che mi chiedeva di uscire. Rosalind non se ne sarebbe nemmeno accorta, così aprii la porta e gli sorrisi.

-Cosa ci fai qui?-.

-Vieni dai!-. Mi prese per mano e iniziammo a correre mentre la pioggia ci inzuppava lentamente i vestiti. Venni catapultata sulla spiaggia di Edimburgo. Il vento soffiava forte portando fino a noi il profumo di salsedine e le nuvole lasciavano intravedere qualche raggio di luce. Attorno a noi solo gabbiani i cui versi venivano inghiottiti dal rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli in lontananza. Non c'era nemmeno una persona. Chiusi gli occhi per assaporare il sapore del mare e il sole che scaldava il mio volto, dopo di che mi girai verso Manuèl. Il sole rendeva i capelli di un biondo luminoso e gli occhi di un verde intenso. Passai una mano tra i suoi capelli mossi dal vento, mentre lui mi circondava la vita con le braccia forti, chiudendomi in una morsa.

-Non farmi mai cadere, ti prego!-, dissi ammirando quegli occhi che all'apparenza sembravano così scuri. Mi sentivo felice, per una volta in tutta la mia vita, ed era una sensazione indescrivibile. Ciò che volevo era davanti a me e mi amava come io amavo lui. Non c'era bisogno di parole.

-Mai Lavinia-, rispose con quel sorriso mozzafiato. Il vento gelido soffiava, ma io non sentivo altro che il calore del suo corpo contro il mio, il battito del suo cuore contro il mio e quella mano che accarezzava delicata la mia guancia. Volevo piangere dalla gioia, ma mi trattenni, così non sarei più riuscita a distinguere il colore degli occhi di Manuèl. Il suo alito dolce mi invase. Mi prese il mento tra il pollice e l'indice guardandomi come se non avesse visto nulla di più bello. Ero io quella che contava per una volta, nessuna ragazza me l'avrebbe portato via, lui mi apparteneva come io appartenevo a lui. Le sue braccia mi strinsero ancora più forte mentre si avvicinava lentamente. Solo il vento, il sole, solo io e Manuèl, quel ragazzo piombato come un lampo nella mia vita, che l'aveva stravolta, l'aveva resa ancora più difficile, ancora più bella. Ero disposta a tutto per stare con lui, a qualsiasi cosa, avrei abbandonato tutto il mio mondo per entrare nel suo. Non c'era più niente per me in quell'angolo di terra dove abitavo da diciassette anni. Strinsi la presa sui suoi capelli e lo avvicinai a me, non c'era niente di più importante.

 




Aprii gli occhi e mi ritrovai sola nel mio letto. Una lacrima scese lungo la tempia e bagnò il cuscino. “ Era solo un sogno Lavinia, un incubo”. Mi rigirai dall'altra parte del letto cercando di concentrarmi su altro, ma quello che era successo la sera precedente invase la mia mente. Manuèl che si avvicinava e mi chiedeva come mi chiamassi, quella semplice e breve conversazione che mi aveva lasciato senza fiato. Si era avvicinato! Sorrisi al pensiero che probabilmente avrei avuto una speranza con lui, ma poi? Non ci sarebbe stato un poi, non ci sarebbe stato niente di niente. I brividi corsero lungo la mia schiena e strinsi le gambe al petto tentando di trattenere i singhiozzi che mi perforavano il petto. “Non ci sarà un poi!” ripetei nella mia mente incapace di pensare ad altro. Inutile fermare le lacrime che bagnavano le lenzuola, ed ero sicura che quelle non sarebbero state le ultime. Volevo sempre complicare le cose più di quanto fosse possibile.

“Eccoti qua Lavinia, guardati! Prima Marco e adesso questo ragazzo che spunta dal nulla. Cosa stai combinando?”. Ad un certo punto sentii la sveglia di Alice e la sua porta aprisi. No quello non era il momento delle lacrime, non potevo permettermi il lusso di stare a piangere tutto il giorno. Così sospirai e cercando di essere forte mi alzai pronta per un'altro giorno.

 

Manuèl

 

Seduto sul letto della mia minuscola stanza non riuscivo a trovare pace. Mi serviva una soluzione a quel dilemma, una soluzione che forse nemmeno lei sarebbe riuscita a darmi. Forse Joao aveva ragione, ne facevo una tragedia, dovevo pensare a divertirmi. Ma appena ridevo per qualche battuta stupida mi tornava in mente il suo sorriso, il primo. Era stato quello a catturare il mio sguardo assorto in pensieri troppo infantili per essere nominati. E la sua risata... sembrava qualcosa di magico, leggero e dolce che mi aveva travolto quando meno me l'aspettavo. Avevo chiuso con le ragazze, troppo stupide e vanitose. Eppure a prima vista quella semplice ragazza mi fece un'altra impressione tanto che non riuscii a distogliere lo sguardo da quel sorriso, da quei magnifici occhi verdi che emanavano una certa sicurezza ma anche timidezza.

Mi riportai indietro nel tempo di qualche giorno. Ricordavo tutto, quando si spostò una ciocca dietro l'orecchio e notai un tatuaggio sul braccio, ma era una parola troppo lontana per essere codificata. Quando le sue dita affusolate iniziarono a giocare con la cerniera della felpa. Quando una ragazza cinese aveva urlato qualcosa e tutto il gruppo, lei compresa, si era messa a ridere. Quasi non si ingozzò con l'acqua che aveva bevuto qualche secondo prima. Quando si girò verso di me e fissò i suoi grandi occhi nei miei trasformando l'espressione gioiosa in una sorpresa.

Avevo abbassato lo sguardo ridendo alla battuta che Toninho aveva appena fatto riguardo alle tette piccole di Maria. Quel ragazzo stava diventando paranoico, non faceva altro che pensare a sistemarsi, ma purtroppo la bassa statura e il comportamento idiota non lo permettevano.

Avevo iniziato a giocherellare con una fetta d'ananas intento ad evitare il suo sguardo anche se avevo perso il controllo della mia mente e gli occhi non riuscivano a non posarsi su quella figura minuta dall'altra parte del tavolo.

Quando si alzò con due bicchieri di plastica in mano la seguii, ma purtroppo il mio sguardo interessato non passò inosservato tra i miei amici.

-Chi stai guardando?-, aveva chiesto Toninho bloccando il monologo di Ze.

-Nessuno-, risposi sincero, ma il nano non ci cascò. Si girò e la notò.

-Accipicchia! Niente male, ma non è il tuo tipo, a te piacciono le bionde, le more lasciale a me-, aveva commentato ridendo.

-Ho solo dato un'occhiata, calmati-, mormorai ritornando alla mia fetta d'ananas.

-Questo ragazzo vuole il tuo numero di telefono!-. Alzai il capo di scatto e me la trovai davanti indecisa tra lo scappare e rimanere ad ascoltare le stupidaggini di Ze. Grazie al cielo alla sua richiesta emise una leggera risata imbarazzata così il gruppo si unì a lei iniziando a darmi pacche sulla schiena e a dirmi: -Hai fatto colpo!-.

La ragazza aveva risposto con un “forse” e aveva chiesto se fossimo italiani, certo che no, probabilmente stordita da così tante attenzioni non aveva intuito che fossimo Portoghesi, aprii la bocca per risponderle, ma ci pensò Toninho mostrandole un sorriso fin troppo intimo.

-No, siamo Portoghesi-. Aveva alzato leggermente il braccio e notai il tatuaggio scritto in corsivo, una semplice parola che riassumeva se stessa, ma leggendola compresi che qualcosa stonava. Perché mai una ragazza del genere aveva un tatuaggio con scritto “heartless” (senza cuore)? Era la cosa più insensata a cui fossi andato in contro. Non ebbi tempo per rifletterci ulteriormente dato che lei si stava lentamente allontanando, ma incontrando i suoi occhi mi riservò un sorriso luminoso. Eccole, un fiotto di domande senza risposta! Solo una ragazza, un tatuaggio e un sorriso. Da dove era saltata fuori? Era per caso giunta a sostituire il sole inesistente in quel paese così freddo? Perché “Heartless” se sembrava tutt'altro che una fredda ragazza senza cuore? L'unica cosa che potei fare fu rimanere ad ammirarla impotente per tutto il tempo.

 

-Cazzo! Ci avrò fatto una figura di merda! Penserà che sono uno sfigato che non ha niente da fare dalla mattina alla sera-, mormorai picchiando la fronte contro il ginocchio. Presi un respiro profondo e afferrai la prima camicia che trovai. Forse l'avrei vista quella sera a ballare con le sue amiche, forse mi sarei potuto soffermare ad ammirare i suo capelli, avrei potuto perfino sfiorarli accidentalmente, non se ne sarebbe accorta.

Fissai il cielo grigio e le gocce di pioggia che scivolavano sul vetro freddo della finestra, quel tempo non migliorava il mio umore.

A Porto il sole era d'obbligo, invece in quel luogo sperduto mi sembrava di essere in trappola, una trappola da cui non potevo scappare se non con lei. Il suo viso a forma di cuore non voleva scomparire, anzi era sempre lì davanti ai miei occhi, imperterrito, con quel sorriso accennato e quell'aria sommessa e timida. E quel tatuaggio... Dovevo saperne di più.

-Ti dai una mossa Manè-, urlò dall'altra stanza Adriana che probabilmente si era già incollata al braccio di Joao. Infatti lo sentii sbuffare. -Dai Adry non voglio fare lo stronzo, ma lasciami almeno vestire-, disse scocciato.

Adriana non era una brutta ragazza, ma il problema delle belle ragazze era la vanità e l'esibizionismo. Quando vide che io non la consideravo si era attaccata a Jo, da una parte ne ero sollevato dall'altro provavo davvero una sorta di dispiacere per il mio amico.

Appena uscito cercai di non fare caso al vestito troppo scollato della ragazza e al suo seno messo in evidenza, era troppo volgare per i miei gusti, ma l'occhio inevitabilmente ci cadeva sopra. Chiusi a chiave la mia porta e insieme al gruppo mi diressi verso il pullman che ci avrebbe accompagnato al college.

Arrivati ci riversammo nella sala da pranzo abbellita a dovere e mi sedetti su un tavolo ai lati bevendo una coca cola. Nemmeno quindici minuti dopo eccola!

Era vestita semplicemente eppure sembrava ancora più bella di prima, la maglietta aderente in vita mi costringeva a trattenermi dall'accarezzarle i fianchi e stringerla a me, i capelli raccolti in una treccia troppo ordinati dal liberarli e ravvivarli con la mia mano. Non c'era una cosa che stonava in lei, era perfetta!

Quando si accorse di me le sorrisi cercando di non sembrare uno stalker e andai a ballare con i miei amici. Toninho si stava atteggiando con una ragazza bassa dall'aria familiare, ma lasciai perdere.

Mi diressi verso Maria e le urlai per sovrastare la musica da discoteca: -Allora, mica volevi fare quel ballo?-.

Mi fissò stupita. -Credevo che non volessi!-. Saltellò verso il DJ e gli sussurrò qualcosa all'orecchio dopo di che tornò da me, si sistemò la maglietta a pipistrello e mi fece l'occhiolino. L'adoravo, ci conoscevamo da quando eravamo nati e non mi aveva mai tradito, era la migliore amica che tutti i ragazzi avrebbero voluto. Certo, esteriormente era una bellissima ragazza, ma non mi ero mai sentito attratto da lei. Maria era la sorella che non avevo mai avuto, quella a cui non bastavano delle spiegazioni per capirmi,per lei era sufficiente incrociare il mio sguardo per sapere se qualcosa andava storto. L'ammirai divertito dopo di che presi posto al suo fianco mentre la canzone precedente si dirigeva verso le note finali.

-Allora, per chi dovresti esibirti?-, chiese intuendo le mie intenzioni.

-Nessuno nessuno-, dissi sorridendo maliziosamente.

La canzone iniziò. -No! Give me everything tonight! Davvero? Sei caduta così in basso?-.

Risi e iniziai ade eseguire la solita sequenza di passi. Toninho, Ze, Joao e Adriana si unirono subito a noi mentre i ragazzi stranieri ci guardavano sbalorditi. Non era colpa mia se una delle materie scolastiche era recitazione, la quale comprendeva danza. Maria mi aveva costretto ad iscrivermi e dopo qualche anno ero diventato un ballerino professionista. Forse era una cosa da gay ma mi piaceva troppo per mollarla. Girai leggermente lo sguardo e notai la ragazza italiana fissare le mie gambe sbalordita, mi sorrise.

-Vieni dai!-, le urlai in inglese, ma lei si tirò indietro.

-No è troppo difficile-, disse ridendo. Alcuni ragazzi italiani e cinesi si unirono a noi.

Abbandonai la pista già scocciato dato che i passi si ripetevano meccanicamente, presi un bicchiere d'aranciata e mi diressi verso di lei. Appena si accorse di me sgranò gli occhi e cercò di non fare caso al fatto che la stavo raggiungendo. Mi sedetti su un tavolo tentando di mantenere un'aria disinvolta, eppure sentivo già il bicchiere scivolare tra le mani sudate e i battiti del cuore accelerare. Non le ero mai stato così vicino. Dopo aver detto qualcosa ad una sua amica, che subito dopo si allontanò,prese un respiro profondo e si voltò verso di me pronta ad affrontarmi.

-Non ci siamo ancora presentati, Manuèl -, dissi asciugando la mano sudata sui jeans e porgendogliela gentilmente. Lei fece lo stesso e me la strinse.

-Lavinia-. Inevitabilmente il mio sguardo cadde sul suo tatuaggio e lei notandolo ritrasse istintivamente la mano così piccola e fragile. Mi sorrise timida e si sedette vicino a me sempre con una certa distanza incrociando le braccia al petto.

-Comunque il mio amico stava scherzando! Non voglio il tuo numero di telefono, ma magari potresti dirmi il tuo nome così potremmo sentirci su Facebook-, dissi incoraggiandola a parlare.

-Si, certo. Perché no? Quindi tu sei Portoghese-, sussurrò guardando al centro della pista verso la ragazza bassa. Ecco dove l'avevo vista, era sempre seduta vicino a lei in sala mensa. Adesso non stava più ballando con Tony ma con un membro dello staff biondo.

-Quindi sei italiana-, sussurrai, ma lei mi sentì lo stesso e si girò incrociando i miei occhi. Probabilmente stavamo pensando la stessa cosa, o forse no. Era troppo bella per me.

Era da egoisti sperare che anche Lavinia provasse qualcosa per me.

La tentazione di spostare un ciuffo moro dalla fronte fu troppa e non riuscii a trattenermi così prendendo tutto il coraggio che avessi e costringendo le mani a non tremare avvicinai le dita alla ciocca e gliela spostai delicatamente dietro soffermandomi sulla pelle soffice della guancia, ma ritrassi immediatamente la mano quando lei si voltò sorpresa. Mi sorrise imbarazzata. Che cos'era quello? Mi sembrava di aver intravisto una scintilla di felicità in quegli occhi trasparenti. Risultava troppo semplice leggere le sue espressioni, era un libro aperto, chiunque avrebbe potuto indovinare ciò che pensava o provava. Lo sapevo anche perchè la mia espressione era eco della sua.

Forse era accaduto davvero, il colpo di fulmine in cui nessuno credeva. Forse esisteva davvero, altrimenti non mi sarei mai riuscito a spiegare la sensazione di essere a casa che avevo provato stando vicino a lei, sfiorandole semplicemente la mano.

Era accaduto, volli quasi saltare dalla gioia, ma una realtà molto più triste mi si presentò davanti. Era accaduto sì, ma con la persona sbagliata.

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Capitolo 6
*** Let's do it ***



6.Let's do it



Maybe i know, somewhere 
Deep in my soul 
That love never lasts 
And we've got to find other ways 
To make it alone 
Or keep a straight face 


 Only Exception 
Paramore


Alice

 

-Giuro che se continua così lo picchio. Santo cielo, ma cosa me ne frega di tutti questi stupidi musei? Avanti e indietro, su e giù. Stupido Corvoni. Non ci fermiamo neanche un secondo. Pensa domani che dovremo farci tipo cinquecento chilometri in pullman, piuttosto mi sparo-. Forse mi lamentavo troppo, ma chi se ne fregava. Avevo ragione e stop. Nemmeno a Milano avevo visitato così tanti musei, anzi non ne avevo visitato neanche uno. Non ero fatta per le opere d'arte, a meno che queste rappresentassero un Gerard Piquè o un David Villa, ma non mi era mai capitato di avere sott'occhio delle sculture del genere... purtroppo. Mi girai verso Lavinia che era seduta al mio fianco sul bus e guardava con poco interesse le monotone strade di Edimburgo immersa nei suoi soliti pensieri depressi.

-Oh Lavinia! Ripigliati-, dissi scocciata dal suo comportamento. Avevamo aspettato questa vacanza-studio da una vita e proprio adesso si metteva a fare il broncio. Avrei voluto strozzarla. Lei non mi considerava, James non mi considerava, nessuno mi considerava. Ero sola, una fottuta ragazza sola.

Si girò verso di me con quegli occhioni dolci e si raggomitolò sul mio braccio.

-Scusa! È che ho un po' di pensieri per la testa-.

-Manuèl?-.

-Manuèl-, confermò incupendosi sempre di più.

-Ti dico io cosa fare. Fattelo! Non ci pensare due volte perchè poi non lo rivedrai mai più. Fai quello che vuoi fare, bacialo, facci sesso..-

-Ho afferrato scema, ma non credo che ci farò sesso. Non lo conosco quasi per niente, ma boh, sai quando incontri quelle persone che sembra di conoscere da una vita?-, mi chiese e mi fissò con i suoi grandi occhi verdi pieni di lacrime.

-Si lo so, Lav, mi dispiace che ti sia capitato con lui. Ma accipicchia, hai fatto quel cazzo di tatuaggio e adesso mi vieni praticamente a dire che sei innamorata?-. Cercai di buttarla sul ridere per evitare una crisi di pianto in un autobus pieno di sconosciuti che cercavano di codificare il nostro linguaggio. “Non parliamo ostrogoto, rimbambiti”. Rise tirando su con il naso.

-Mi fai morire-, mormorò tra i singhiozzi.

-Ma stai piangendo o ridendo? Ripigliati. Sei sempre la mia stronza menefreghista senza cuore, vero?-.

-Quello sempre-, disse e mi baciò una guancia.

-Cosa hai intenzione di fare con James?-, chiese cambiando argomento. La fissai per la prima volta senza una risposta.

-Non lo so, che dovrei fare secondo te?-.

-Se ti piace così tanto dovresti fargli capire le tue intenzioni, ma se invece di quell'albino depresso non optassi per Toninho il Portoghese?-.

-Ah no, quello è buono solo per una notte. Sai... usa e getta e io mi sono rotta voglio una cosa che funzioni seriamente-.

-Non so se l'hai capito ma siamo a Edimburgo, tutto ciò non è per niente serio-, obbiettò catapultandomi nella realtà. Ma che stavo facendo? Eppure mi piaceva davvero James, nonostante la nostra incompatibilità. “E se lo baciassi?”, questo pensiero si formò involontariamente nella mia mente caotica. “E se lo baciassi?”. Lo ripetei più volte. Insomma, come avevo appena detto alla mia migliore amica bisognava buttarsi. Tanto quello che sarebbe successo a Edimburgo sarebbe rimasto ad Edimburgo, tanto valeva provarci, se mi avrebbe rifiutato o fatto tutte le menate da io-sono-troppo-grande-per-te girando intorno al fatto che non gli piacessi, me ne sarei fatta una ragione, ma rimanere con il dubbio non mi avrebbe certo aiutato.

“Stasera verrà a controllare gli appartamenti come sempre”, un altro pensiero del mio subconscio.
Soluzione trovata!

 






-Ricordatevi domani alle sette e mezza si parte per Inverness. Ci fermeremo al castello di Starling, ma dovremmo arrivare all'ostello verso le cinque. Portatevi il cambio per la notte, ma solo il necessario-, sentenziò il Corvoni. Dopo di che ci lasciò finalmente. Iniziava proprio a darmi sui nervi. Probabilmente era così acido perchè nessuna gliela dava. Sbuffai e precedetti tutte infilandomi velocemente in bagno e stando sotto la doccia per mezz'ora. Dovevo riflettere. Il mio piano poteva andare anche bene, ma dovevo assicurarmi che non l'avrebbe presa male e si sarebbe allontanato. Proprio il più timido mi doveva capitare. Inoltre c'era un altro membro dello staff, una ragazza bassa e con una faccia da topo, pensare che quando rideva mi faceva saltare i timpani. Aveva una vocina assurdamente acuta, il che la rendeva insopportabile. Il punto era che stava incollata a James ventiquattro ore su ventiquattro e forse lui, con il suo cervellino innocente, non se n'era accorto, ma io si, le piaceva da morire. “Speriamo solo che lui non se la fili”. Non volevo fare la vanitosa egocentrica, però si vedeva lontano un miglio che ero più bella e simpatica di lei. Tuttavia dovetti riconoscere che Lavinia aveva ragione quando diceva che c'erano troppe cose sbagliate tra me e lui, i pezzi del puzzle non si incastravano neanche minimamente.

Finita la doccia, indossai il pigiama e piastrai diligentemente i capelli per eliminare le più piccole ondulazioni. L'avrei fatto, non mi importava di cosa avrebbe pensato James in futuro, sapevo solo che se non l'avessi fatto me ne sarei pentita per il resto dei miei giorni.

Quando bussarono alla porta mi stavo mangiando nervosamente l'unghia che avevo rotto qualche giorno prima, per lui questa pazzia si poteva fare. Ilaria aprì la porta della sua stanza ma con uno sguardo infuocato la rispedii in camera sua. “Eh no zombie, non rovinerai questo momento. Segregati nella tua cella e taci come hai sempre fatto”. Se qualcuno avesse interferito gli avrei staccato la testa a morsi.

Sospirai e aprii la porta con un sorriso smagliante impresso nel mio volto teso e pessimista. Ed eccolo, sembrava una candela nel bel mezzo di una stanza buia, risplendeva di luce propria. I capelli di un biondo quasi bianco ricadevano sulla fronte nascondendo in parte gli occhi di un azzurro limpido come il mare dei Caraibi. Il suo sorriso mi infuse un sollievo immediato e un coraggio che non faceva parte di me.

-Ciao! Allora come è andata la giornata?-, chiese appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta e avvicinandosi involontariamente a me. Guardai di sfuggita oltre James e non notai il topo, bene!

-Poteva andare meglio, sono stanca morta-, commentai cercando di non soffermare troppo il mio sguardo sulla sua postura disinvolta. Quella sera sembrava diverso, di solito si conteneva come era successo la sera della discoteca. Manteneva sempre una debita distanza, ma in quel momento no. Quel suo atteggiamento mi incoraggiò ancora di più.

Rise alla mia risposta dopo di che completò la solita tabella di presenze e mi chiese se avevamo bisogno di qualcosa. Scossi la testa incapace di parlare. “Che stai facendo? E se poi non potrai più frequentare le lezioni per questa cazzata?”. Mille domande si riversarono nella mia mente, stavo andando in paranoia.

-Ok. Allora ci vediamo domani!-, disse.

-Perché? Vieni anche tu ad Inverness?-, domandai sorpresa.

-Certo che si!-. Dopo un momento di silenzio nel quale abbassò la testa rosso dalla vergogna disse:

-Bè, allora buona notte!-. Era il momento giusto.

-Aspetta!-, quasi urlai in preda al panico.

-Aspetta-, ripetei. Con tutto il coraggio che mi restava mi avvicinai più veloce del dovuto e lo baciai prendendolo dalla maglietta e avvicinandolo a me. Era la cosa più illogica e irrazionale che avessi mai fatto, ma anche la più bella. Mi ritrassi immediatamente, gli sistemai la maglietta che avevo stropicciato afferrandolo, gli sorrisi e chiusi la porta davanti alla sua espressione stupita.

“Non ci posso credere! L'ho fatto! L'ho fatto!”. Feci scorrere la schiena sul legno freddo della porta e mi sedetti sulla moquette. Toccai le labbra con un dito e riassaporai quel momento così meravigliosamente sbagliato e assurdo. Avevo baciato James Andrew Cooper.

 



Lavinia

 

Sentii sbattere la porta rumorosamente, fin troppo così mi affacciai dalla mia stanza per dare un' occhiata.

-Alice...che ci fai lì per terra?-. Era seduta con la schiena contro la porta. Non rispose così mi avvicinai e notai il suo sguardo beato. Sembrava essere nel bel mezzo di un sogno. Mi inginocchiai vicino a lei appoggiandole le mani sulle ginocchia.

-Hey, che è successo?-, sussurrai.

-L'ho fatto-, disse stupita, ma non capii a cosa si stesse riferendo. Finalmente incontrò i miei occhi e notai delle lacrime sui loro bordi, ma non erano lacrime di tristezza perchè mi sorrise.

-L'ho baciato, ho baciato James-.

Probabilmente la mia espressione era simile a quella che una persona avrebbe avuto non appena avesse visto un incidente automobilistico. Da una parte ero contenta per lei, ma dall'altra ero triste. E se si fosse affezionata a lui? Avevamo caratteri diversi, certo! Ma l'amore era uguale per tutti.

Mi sedetti al suo fianco passandole un braccio sulle spalle.

-Ti vorrei tanto strozzare, almeno avresti potuto dirmelo che volevi fare questa pazzia-.

-Mi avresti fermato-, sentenziò e non potei darle torto.

Avrei dovuto fare così anch'io con Manuèl, insomma, io ero avvantaggiata perchè sapevo che un po' gli interessavo. Girai il braccio per contemplare il mio tatuaggio. In quel momento era l'unica cosa che mi dava forza, perchè in fondo sarei sempre stata una stronza senza cuore con tutti coloro che non si meritavano niente, era quello il vero significato di quel segno indelebile sulla mia pelle.

-Ti ricordi quando te lo sei fatto? Piangevi come una femminuccia-, mormorò divertita.

-Faceva male, cretina!-. Era il 13 Dicembre, il giorno del mio compleanno e tra i miei genitori solo mamma era consenziente. Mi aveva detto: “ Se lo scopre tuo padre sono morta, almeno cerca di nasconderlo per un po', tanto le magliette a maniche corte a Dicembre non ti servono”. Quando uscii dal negozio con gli occhi arrossati e il braccio indolenzito la pioggia si era trasformata in soffice neve che si infilava nei miei capelli e si appoggiava sul mio naso. Tutta quell'atmosfera natalizia mi aveva fatto dimenticare il pulsare della pelle. Grazie al cielo mamma non sapeva cosa volesse dire quella semplice parola e non me ne chiese il significato. Si limitò solo ad accompagnarmi come era previsto per i minorenni. Riuscii a tenerlo nascosto a papà fino a Marzo, in seguito gli mentii dicendo che me l'aveva scritto Alice con l'indelebile, ma alla fine capì e grazie al cielo non ne fece una tragedia.

Manuèl l'aveva notato e io avevo riconosciuto la solita espressione sorpresa davanti al mio tatuaggio, la stessa che i miei amici, i miei stupidi compagni di classe, i miei parenti avevano mostrato. Naturalmente Alessia e tutta la masnada avevano iniziato a spettegolare sul fatto che fossi una stupida, debole ed insignificante ragazzina che voleva giocare a fare la dura. Eppure i loro acidi commenti mi erano scivolati addosso come olio. L'avevo fatto per me non per loro.

Ritornai alla realtà, quella realtà un po' stramba che stava giocando spudoratamente con i miei sentimenti, quella realtà che mi aveva completamente preso contropiede. Ma si sa la vita non va mai come dovrebbe.

Il telefono della mia camera squillò. Strano, di solito chiamavano tutti a quello della stanza di Alice. Mi alzai e diedi una carezza alla mia migliore amica sussurrandole: -Io ci sarò sempre!-.

-Pronto?-.

-Sono Manuèl-, rispose in inglese il Portoghese. “Come accipicchia a fatto ad avere il mio numero se non lo so nemmeno io? Che bello! Perché mi chiama? Che bello! Che cosa mi deve dire? Che bello”. Non riuscii nemmeno a respirare. Ero bloccata, in piedi con la cornetta in mano alla disperata ricerca della mia voce. Balbettai prima di dire una frase di senza compiuto.

-Come hai fatto ad avere il mio numero?-, sussurrai incredula appoggiandomi alla scrivania.

-L'ho chiesto ad un tuo amico. Comunque non voglio disturbarti, ma ti volevo chiedere se anche voi domani andate ad Inverness-. “Anche”? Ci andavano anche loro?

-Si-.

-Bene allora dovrai sopportarmi per due giorni interi-, commentò ridendo mentre dentro di me pensavo che due giorni insieme a lui era il regalo più bello che Dio potesse farmi anche se avevo forti dubbi riguardo alla sua esistenza.

-Wow, be' ci divertiremo! Ci vediamo domani, buona notte!-, risposi e riattaccai elettrizzata. “Domani... Eccome se ti sopporterò”.

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Capitolo 7
*** The sun goes down, the stars come out and all that counts is here right now ***


5.The sun goes down, the stars come out and all that counts is here right now

 

A look from her is like oxygen 
How would I keep breathing without her 
She breaks a whole as she looks away 
Now my heart ain't beating without her


Weakness
The Wanted

 

 

Non avendo dormito per tutta la notte a causa delle continue incursioni di Lorenzo, Stefano, Alberto e gli altri, schiacciai un sonnellino di due ore sul pullman. Manuèl era seduto più avanti con dei suoi amici, tra cui il riccioluto mostratomi da Evelyn. Appena salita sul veicolo mi aveva salutato e il mio occhio era caduto sul posto vuoto accanto a lui. Ma passai oltre e mi accomodai su uno degli ultimi sedili vicino ad Alice. Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che chiedermi quante probabilità avesse con James e io facevo finta di non ascoltarla appoggiando la guancia al finestrino mentre ammiravo il panorama scozzese sempre più verde. All'inizio avevamo attraversato alcune cittadine con splendide casette indipendenti, ma entrati in autostrada potemmo gustarci l'alba in tutta la sua bellezza. Il sole, infatti, alzandosi sempre più in alto illuminava le piccole collinette verdeggianti di un tenue arancione ed eliminava i piccoli residui di rugiada dalle foglie. Qua e là si intravedevano dei piccoli cottage con tanto di trattori e strade sterrate. La campagna della Scozia era molto più selvaggia e rozza rispetto a quella Inglese.



Verso mezzogiorno giungemmo in una piccola località chiamata Starling situata sulla sommità di un colle e visitammo mezzi addormentati e svogliati le sue mura medievali. Alice era in costante crisi e prima o poi le sarebbe arrivato un bel ceffone.



-Hai visto come lo guarda? Quell'arpia! Ma perchè non te ne torni dalle fogne da dove sei sbucata fuori? Mi sono informata, si chiama Sharon, ha ventidue anni ed è di Glasgow. L'unica parola che mi viene in mente quando la vedo è: topo. Ha quel muso troppo sporgente e, santo cielo, ha una faccia da prendere a martellate. Stamattina James non mi ha nemmeno salutata, ha abbassato la testa e ha guardato dall'altra parte. Che dovrei pensare? Santo cielo no! Lo so, non dovevo ricamarci sopra troppo, lo sapevo che sarebbe andata così, in fondo....ma molto infondo-, disse Alice con un sospiro.

-Noi due siamo destinate a prenderci le cotte, a farci i film mentali e a illuderci! Bella vita-, le dissi come se quelle due parole potessero consolarla o semplicemente farla sentire meglio. Eravamo troppo melodrammatiche e questo lo sapevo bene, ma era inutile provare a sopprime quella nostra attitudine. Purtroppo madre natura ci aveva fatto così e dovevamo accontentarci.

Alle sei il Corvoni ci consegnò le chiavi della nostra camera davanti all'ostello fatiscente di Inverness. Presi l'iphone pensando che tentare non faceva mai male e controllai la presenza di una qualsiasi wi-fi.

-Miracolo!-, urlai quando mi accorsi che esisteva. Non c'era nei nostri appartamenti ma in quel luogo dimenticato da Dio si. Dopo cinque minuti eravamo tutti quanti con il cellulare in mano connessi a Facebook.

-Ok, adesso per favore ascoltami e appoggia quel cazzo di cellulare-.

-Alice, non fare la dura. Me la sistemo dopo la roba-, dissi entrando nella nostra stanza composta da bel tre letti a castello per un totale di sei posti. Appoggiai lo zaino sopra il letto vicino alla finestra e la spalancai per sostituire l'aria opprimente dell'interno con quella gelida che soffiava sulla città. La vista non era delle più brutte, infatti la nostra spaziosa camera si affacciava direttamente sulla strada e in lontananza si poteva anche scorgere il mare. Appoggiai il cellulare al davanzale ed inspirai liberando i polmoni dal peso della solitudine. Ero in quel posto bellissimo, sperduto, selvaggio, senza tempo, ero libera. Per una volta ero padrona della mia vita. Sorrisi al pensiero che almeno in Scozia non ero giudicata per quello che ero stata ma per quello che ero. Ed ero convinta di essere una ragazza forte, talvolta indecisa o timida, ma pur sempre coraggiosa. Nessuno poteva buttarmi giù in quel momento. Forse avrei sofferto per quello che avrei fatto qui, mi sarei pentita di alcune scelte o semplicemente il rimorso avrebbe preso sopravvento, ma quello non era il momento di pensare, di riflettere, di trovare la via più giusta. No quello era il momento di agire d'istinto, di buttarsi a capofitto tra mille desideri e sfizi. Nessuno me l'avrebbe impedito.

 





-Fatti vedere! Oh santi numi! Sei un disastro. Ma ti trucchi la mattina?-. Borbottai un: “Si mamma” e alzai gli occhi al cielo evitando lo sguardo esasperato della mia migliore amica.

-Questa volta dobbiamo essere delle fighe! Capito? Mica come l'ultima volta che siamo dovute andare a comprarci la roba e cambiarci nel bagno del college. Scordatelo ed è per questo che ti ho portato il mio vestito-, disse Alice illuminandosi d'un tratto.

-Cosa? L'hai portato seriamente? Ma hai detto che non avevi niente per la discoteca!-, urlai dalla gioia. Quella ragazza mi aveva fregato un'altra volta.

-Solo per assecondarti. Cosa ti avevo detto? Portati delle cose un po' carine, ma tu niente. Solo felpe e t-shirt!-. Estrasse dallo zaino il suo vestito (che in realtà usavo solo io) di un blu oltremare meraviglioso. Andavo matta per quel capo, ma quando avevo deciso di comprarlo anche per me fui rimasta delusa dal fatto che il negozio li aveva finiti, così per carità Alice lo aveva ribattezzato come di mia proprietà. Era con semplici spalline e scendeva stretto aderendo con il petto fino alle costole, dopo di che si allargava lasciando scoperta più di metà gamba. Inspirai il profumo della stoffa, sapeva di estate, di caldo e di erba appena tagliata.

-Quanto ti voglio bene?-, sussurrai.

-Spero tanto-, rispose Alice provocando le risa delle ragazze attorno a noi.

-Purtroppo ho solo le zeppe, quelle basse beige-.

-Vanno benissimo Alice-. Le baciai una guancia e l'abbracciai a me. -Dovresti provare a parlare con James stasera. Alla fine non hai niente da perdere-. Lei annuì come se ci avesse già pensato.

-Dai cambiati, grazie al cielo non andiamo in discoteca altrimenti suderei e mi rovinerei i capelli, ma quel vestito va bene anche per un pub-, commentò distratta mentre cercava di ficcarmi in bagno. Risi della sua goffaggine dopo di che mi preparai. Be' il vestito non era proprio adatto al tempo di Inverness così aggiunsi il cardigan beige che mi ero portata come cambio. Passai i lati degli occhi con un filo di matita e le labbra con un lucidalabbra alla ciliegia mentre spalmai sulle guance una buona quantità di fondotinta al fine di eliminare quelle maledette occhiaie. Lasciai i capelli ricci ricadere sul corpetto del vestito dato che per mancanza di spazio non avevamo portato una piastra.




Usciti notai con un sospiro di sollievo che molti erano più in tiro di me, quindi mi rilassai strinsi Alice e Marianna e tutto il gruppo iniziò a dirigersi verso un pub, tra i più noti nella cittadina, dove avrebbe suonato una band. Mi ero informata su internet. Si chiamavano “One Feeling” e il cantante era un gran figo, inoltre suonavano un genere tra il pop ed il rock che io adoravo. La serata non poteva presentarsi meglio di quella che era. Come ciliegina sulla torta mi girai sul marciapiede controllando chi vi fosse dietro di me e vidi Manuèl con le mani nelle tasche dei jeans e gli occhi puntati verso il mare lontano. Era divino! Quella sera indossava un pullover marrone che si intravedeva appena sotto il giubbotto di pelle nero ed una sciarpa dello stesso colore del maglione.

Il locale era sulla via principale non lontano dal centro della città. Il suo interno era buio infatti ad ogni tavolino vi era solo una piccola abatjour che sprigionava una leggera luce soffusa.

Ordinammo dei drink analcolici. Il fatto che non potessi bere nemmeno una birra mi innervosiva più del solito, per avvicinarmi a Manuèl non potevo confidare completamente in me stessa, mi serviva l'alcool. Come risposta mi apparve James, un giovane venticinquenne da far cadere nella mia maledettamente diabolica rete. Mi alzai e con una camminata disinvolta mi diressi verso di lui e la sua amica Sharon che... be' assomigliava davvero ad un topo soprattutto con quella sformata camicia nera e quei capelli all'aria.


-Ma buonasera!-, dissi scivolando sulla panca vicino a lui.

-Cosa ti porta qui Lavinia?-, chiese James intuendo forse in parte la mia idea malefica.

-Ventuno-.

-Cosa?-.

-Ventuno! È l'età minima per poter ordinare drink alcolici qui in Scozia ed ecco, come ben saprai io ne ho solo diciassette, ma so essere una persona molto responsabile, quindi diciamo che la mia età celebrale ruota intorno ai ventiquattro anni, il che mi fa pensare: sono abbastanza grande per una birra! Giusto?-.

-Arriva al succo!-.

-Voglio che tu mi ordini una birra!-. Sputai il rospo sicura che dopo il mio ragionamento ad alta voce avrebbe accettato. “Sei troppo un gentiluomo per negarmi questo! Di' di si, maledetto albino!” urlai nella mia mente. Dopo averci pensato su per un minuto buono disse:-Ma si, cosa potrà mai farti una birra? Nonostante non mi fidi di te, te la ordino, ma ricordati: mi devi un favore-. Sharon era così sorpresa dalla sua concessione che era rimasta a bocca aperta, tentò di replicare, ma la bloccai con uno sguardo da se-dici-qualcosa-ti-aspetto-fuori-e-ti-accoltello! Sorrisi ad entrambi, in seguito mi dileguai.




Alice, persa nei suo pensieri, non aveva nemmeno notato la mia scappatella. In quel momento mi sentii davvero, ma davvero potente, avevo abbassato al mio livello James. Sorrisi raggiante. Dopo di che l'esibizione del gruppo iniziò e cantarono “Yellow” dei Coldplay ed altre canzoni sempre in versione acustica, avrebbero lasciato i pezzi rock infondo. Quando James arrivò, come detto, con la birra Alice si svegliò dal suo sogno ad occhi aperti e gli sorrise cosa che fece anche lui prima di scomparire nell'angolo più appartato del locale.

-Sarà un buon segno?-, chiese appoggiando il mento sul palmo della mano e guardando annoiata la performance. -Certo che lo è scema! Divertiti!-, dissi bevendo tutto d'un sorso la birra.

All'improvviso qualcuno mi prese per la vita e mi spinse all'indietro facendo premere la mia schiena contro il suo petto. -Da quando una minorenne può bere una birra ad Inverness?-, sussurrò al mio orecchio e riconobbi l'accento inglese di Manuèl. Le ragazze erano occupate a parlare dei loro problemi o ad ascoltare la band, quindi non si accorsero della figura che mi teneva stretta mentre il suo respiro caldo mi scompigliava i capelli.

-Da quando sono più furba di tutti voi messi insieme-, dissi fissando il palco davanti a me. Non avevo il coraggio di girarmi verso il suo volto. Controllai che non fosse rimasta della birra nella bottiglia. Un sorso...forse avrei dovuto scolarmi anche quello. Scossi la testa in preda al panico. Lui era ancora lì, con la testa delicatamente poggiata sulla mia spalla e le mani strette attorno ai miei fianchi.

-Senti, dato che non è obbligatorio rimanere qui. Mi chiedevo se...-. Non fece in tempo a finire la frase che mi alzai e sussurrai ad Alice che me ne andavo per una mezz'oretta. Afferrai il suo maglione per non perderlo tra la folla che si era radunata attorno ai tavolini ed uscimmo.

-Vieni!-, disse prendendomi per mano ed allontanandomi dal mondo. La sua pelle calda mi faceva uno strano effetto perchè allo stesso tempo ero sia elettrizzata che calma, come se lo conoscessi da sempre e avessi piena fiducia in lui. Probabilmente se mamma mi avesse vista con lui avrebbe iniziato con la sua predica: “Non lo conosci! Potrebbe stuprarti, violentare il tuo piccolo e fragile corpo, schiaffeggiarti, buttarti sotto un ponte”. Ma la mia immaginazione davanti a quelle parole non riusciva minimamente a prendere forma. Tutte quelle ammonizioni erano inconcepibili quando si parlava di Manuèl. Non mi avrebbe mai fatto una cosa del genere, lo sentivo.

Procedemmo per il lungo mare e scendemmo una scalinata che ci portò direttamente sulla spiaggia. Mi tolsi le zeppe così da poter infilare le dita dei piedi nella sabbia soffice, ma leggermente melmosa di Inverness. La zona era completamente deserta.



La luna era lì, pronta a sbucare tra le nuvole che lentamente si stavano diradando. Il solito profumo di salsedine mi colpì in pieno volto facendo volteggiare la mia massa di ricci.

-Bel posto eh?-, commentò Manuèl distraendomi. C'era qualcosa di familiare in quella situazione...Il sogno! Tutto combaciava. A quel punto avrei dovuto girarmi verso di lui, ammirarlo alla luce della luna e baciarlo. Ma la piccola differenza tra sogno e realtà era che nel sogno sapevi già quello che bisognava fare, nella realtà invece veniva messo in gioco tutto ciò che il sogno dava per scontato. E se mi fossi voltata e le cose non fossero andate come avrei voluto che andassero?

Alzai lo sguardo verso il cielo ed annuii alla sua domanda immergendo di qualche centimetro i piedi nell'acqua congelata dell'oceano. Nonostante la temperatura bassa e il vento non riuscivo a sentire altro che il calore dal suo braccio attorno alla mia vita. Il suo respiro contro il mio.

Feci un passo avanti verso l'oscurità del mare solo per girarmi ed ammirarlo. Era alto almeno un metro e ottantacinque e la sua espressione disinvolta aveva lasciato spazio ad una più tormentata e triste.

-Perché quella faccia?-, chiesi conoscendo già la risposta. Lui si limitò ad alzare le spalle e ad incamminarsi sulla costa. Lo raggiunsi correndo.

-Vediamo chi arriva per primo alla bandiera?-. Risi della sua scommessa, ma non mi tirai indietro. Iniziai a correre a raffica, ma nonostante ciò lui mi batté. “Maledetti ragazzi ipersviluppati”. Quando arrivai lo colsi di sorpresa e mi gettai sulle sue spalle facendolo cadere. Finimmo entrambi sulla soffice sabbia che si infilò nei miei capelli e mi ritrovai schiacciata tra il terreno e il suo corpo. Avrei tanto voluto che stesse in quella posizione fino all'apocalisse, ma da vero gentiluomo si sdraiò al mio fianco rivolgendo lo sguardo alle stelle finalmente visibili. Non seppi per quanto tempo rimanemmo in quella posizione a riprendere fiato, ognuno immerso nei propri pensieri, ognuno lontano anni luce dall'altro come due stelle che potevano vedersi ma non toccarsi. Eppure la stella al mio fianco sfiorò la mia mano e la strinse forte. Appartenevamo a due mondi diversi, parlavamo lingue diverse, avevamo amici che nessuno dei due conosceva, ma tutto ciò importava ben poco di fronte a quello che provavamo l'uno per l'altro. Alzai la mano verso il cielo indicando una stella, la più luminosa del cielo. Mi sentivo a casa, non la casa nella quale vivevo, ma la casa alla quale appartenevo, nella quale ero me stessa, la casa che tanto avevo desiderato e cercato rifugiandomi nei miei pensieri più profondi. Senza neanche uno sforzo l'avevo incontrata. Il mio volto mutò l'espressione seria in una serena e rilassata mentre ritiravo la mano e l'appoggiavo senza esitazione sul suo cuore. Sentii un sussulto provenire dal ragazzo accanto a me e mi girai incontrando i suoi occhi verdi pieni di una felicità ancora non sperimentata sul suo volto.



-È tutto sbagliato, lo so, ma non mi importa-, sussurrò provocandomi la pelle d'oca. Gli accarezzai il contorno perfettamente regolare della mascella fino ad arrivare al naso leggermente all'insù.

-Sei bellissima! Lo sai?-. Gli sorrisi dolcemente dopo di che prese le nostre mani incrociate e le alzò mostrandomi il tatuaggio con aria interrogativa.

-Cosa vuol dire?-.

-Vuol dire che l'amore è troppo doloroso per essere vissuto. Che è meglio essere senza cuore che avere un cuore infranto in mille pezzi. È quella che sono-. Avevo riassunto la mia intera vita in quelle parole che fino alla settimana prima erano state la mia filosofia di vita. Ma adesso? Cosa ne era di me? Di tutto ciò in cui credevo? Persa nel vuoto senza una direzione, una via sicura che mi avrebbe condotto all'essere fiduciosa in me stessa, ecco quella che ero. Una lacrima scivolò lungo la mia tempia per poi disperdersi nella sabbia di quel luogo sconosciuto.

-Guardami!-, ordinò. Non riuscii ed automaticamente chiusi gli occhi per ricacciare la sensazione di oppressione che mi stava pervadendo. Quale appiglio potevo avere ora che tutte le mie certezze erano scomparse? La sua mano calda girò il mio viso verso il suo e mi accarezzò la guancia. Potevo sembrare una stupida! Mettermi a piangere davanti ad un ragazzo che nemmeno conoscevo... Ma era stato lui stesso a stravolgere la situazione. Aprii gli occhi mettendo a fuoco le sue labbra che si avvicinavano e mi baciavano la fronte.

-Volevi dimostrare qualcosa a qualcuno, non è vero?-.

-Si. A me stessa, forse non sarò mai la ragazza forte ed indipendente che dico di essere, ma mi fa sentire degna di considerazione-, dissi uscendo dal guscio per la prima volta in tutta la mia vita.

-Tu sei degna di considerazione, non lo dubitare mai-. Si alzò, dopo di che mi aiutò a fare lo stesso. Mi prese il viso tra le mani e si abbassò leggermente ipnotizzandomi con quegli occhi incredibilmente grandi e verdi. La luna aveva illuminato i suoi capelli rendendoli quasi bianchi, li accarezzai come non avevo mai fatto nella realtà e chiusi gli occhi.

Le sue labbra toccarono leggermente le mie infondendomi ancora più pace di quanto non avesse già fatto il suo tocco. Ero a casa, niente avrebbe potuto buttarmi giù. Nessuno avrebbe potuto dirmi che stavo sbagliando.

 

 



Manuèl

 

Era così bella, con quello sguardo serio, quasi concentrato. Con quelle labbra incurvate verso il basso che rivelavano la sua vera tristezza e confusione. Con quel tatuaggio che mascherava tutta la sua dolcezza. Voleva apparire forte, voleva esserlo, forse più di qualunque altra cosa e adesso che avevo scoperto che anche lei aveva un cuore, sembrava distrutta, come se le certezze su cui basava la sua vita fossero crollate nello stesso preciso istante in cui l'avevo guardata negli occhi. Era spaventata, si poteva capire dagli occhi sgranati, ma perchè avere paura della propria vita? Perché dire che non era degna di considerazione se la trovavo così interessante?

-Tu sei degna di considerazione, non lo dubitare mai-, sussurrai e quelle parole non erano mai state più vere. Improvvisamente l'aria attorno a me si era fatta afosa e le gambe non rispondevano più agli stimoli del cervello, dovevo alzarmi. Presi la sua mano e la riportai con i piedi sulla soffice sabbia. Si sistemò il vestito impacciata, poi si guardò attorno come se tutta la nostra conversazione non fosse mai accaduta, come se non esistessi. Le accarezzai i capelli arrivando alle sue guance fatte apposta per essere circondate dalle mie mani. Lavinia puntò gli occhi verde smeraldo nei miei. Era troppo tardi, l'amore mi aveva fregato un'altra volta, ma in questo caso sentivo che quella ragazza era quella giusta. In un lampo vidi tutta la mia vita con lei, lo svegliarmi tutte le mattine con lei accanto, i nostri bambini, i nostri capelli bianchi. La mia immaginazione correva come un treno senza freni, incapace di dire stop, ma un suo semplice tocco mi riportò alla realtà, su quella spiaggia deserta, a quel sorriso e a quella mano che accarezzava i miei capelli. Era quella giusta. Mi chinai quasi involontariamente come se le mie labbra e il mio cuore fossero attratti dal suo sguardo e la baciai. Sapeva di salsedine e di sole, sapeva di casa. La sua mano strinse i miei capelli avvicinando il volto al suo mentre le mie esploravano la sua schiena fino a quei fianchi che avevo tanto desiderato stringere e premetti il suo piccolo corpo contro il mio abbracciandola. Le sue dita fredde scesero lungo la tempia fino al collo provocandomi dei leggeri brividi per tutto il corpo.

Il tempo si era fermato. La luna, le stelle e le nuvole erano le uniche testimoni di quel bacio così giusto quanto sbagliato. Si scostò prima di me e sorrise tenendo chiusi quegli occhi che avrebbero potuto illuminare un'intera città.

-Dovrei tornare indietro-, sussurrò rompendo l'incantesimo. La mia fronte era incapace di staccarsi dalla sua, dovetti sforzarmi per lasciarla. Le accarezzai una guancia mentre il suo sguardo incontrava il mio, la presi per mano e ci allontanammo. Non avrei mai dimenticato quel posto e se un giorno fossimo stati insieme quello sarebbe stato il primo luogo in cui l'avrei portata. Mi girai solo per ammirare un ultima volta la luna, no, la ragazza accanto a me era molto più bella.



















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PinkPrincess
 
Grazie mille per averla messa tra le seguite!!! <3


 

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Capitolo 8
*** Supermassive Black Hole ***


 

8.Supermassive Black Hole



i thought i was a fool for no one
Oh baby i'm a fool for you
you're the queen of the superficial
  and how long before you tell the truth

 


 

-Ho promesso a Manuèl che sarei andata a trovarlo, è nella camera quattro-, dissi sdraiata sul letto accanto ad Alice mentre un flusso continuo di ragazzi entrava ed usciva dalla mia camera.

-Mi chiedo perchè abbiano preso d'assalto proprio la nostra stanza-, commentò intenta a sistemare lo smalto che si era staccato da un unghia.

-Ragazze! Come mai così abbattute? Non sono nemmeno le due!-, urlò Lorenzo entrando come un tornado e tuffandosi sul nostro letto.

-Cazzo Lory! Sto morendo di sonno, in più c'ho lo smalto in mano, fai il buono o ti pitturo quel culone gigante che ti ritrovi-, disse Alice pronta ad abbattersi contro il povero ragazzo davanti a me.

-Sono le due?-. Annuirono mentre mi precipitavo in bagno per sistemarmi quei capelli orrendi che sparavano da tutte le parti. Incredibile come le cose fossero cambiate in una sola serata, incredibile come mi fossi già legata a quel ragazzo magnifico e come lui riuscisse a vedere la parte più nascosta di me. I brividi percorsero tutta la mia schiena, è vero, ero impaurita; cosa avrei fatto tornata a casa? Ma avevo passato tutta la mia vita preoccupandomi del presente e non del futuro, quindi perchè mai avrei dovuto interessarmi a quest'ultimo proprio in quel momento? Stavo bene ed ero felice, tanto era meglio approfittarne, perchè la mia vita era sempre stata fatta di alti e bassi, quando arrivavo al culmine ricadevo nel solito pozzo nero. Ormai ne ero così abituata che non mi sorprendevo del dolore che si andava ad accumulare lentamente nel mio cuore. Quei momenti mi servivano per rimettermi in sesto, solo lì il peso scompariva e si celava lasciandomi respirare aria pura. Alzai la testa combattiva, tutti avevano problemi più o meno difficili da risolvere, perciò era inutile rintanarsi in un angolo e piangere. Infilai veloce le converse sciupate e salutati gli altri che già iniziavano ad assillare Alice riguardo al mio nuovo ragazzo ( che parolone!) mi diressi al piano inferiore sperando di non incrociare quell'essere fastidioso di nome James o peggio ancora il Corvoni. Arrivata davanti alla stanza numero quattro mi fermai indecisa mentre una coppia di cinesi passava squadrandomi dalla testa ai piedi, okay, forse avrei dovuto mettermi una maglietta più carina di quella sformata dell'”Hard Rock of New York” o un paio di jeans più attillati e meno comodi, ma chiusi un occhio per quella volta e bussai delicatamente alla porta di un rosso scolorito.




Mi aprì il suo amico Toninho che mi fece entrare con fin troppi onori e accomodare su un letto mentre tutti gli altri mi esaminavano come se fossi un alieno caduto dal cielo. Per rompere il ghiaccio gli sorrisi e mi presentai stringendo la mano anche a quattro ragazze, due delle quali erano coloro che avevano assistito alla sceneggiata di Alice in bagno. “Iniziamo bene” pensai sperando che Manuèl si facesse vivo al più presto. Grazie al cielo la porta si aprì e comparve con un asciugamano in mano e i capelli scuri bagnati. Quando mi notò nel bel mezzo dei suoi amici curiosi ma allo stesso tempo imbarazzati si limitò a prendermi per mano e a trascinarmi via da quella situazione disdicevole. Chiuse la porta mentre l'aria si riempiva dei loro sussurri animati, ma non ci feci caso dato che prima cosa non capivo una parola di Portoghese e secondo ero troppo impegnata ad ammirare le nostre mani intrecciate. Non feci neanche caso al fatto che ci trovavamo nel bel mezzo del corridoio dove da un momento all'altro sarebbe potuto passare un controllore. Manuèl aprì una porta alla fine dell'atrio e ci ritrovammo in una scalinata, mi fece segno di sedermi sul marmo gelido al di sotto di una vetrata.



-Scusa! Spero che Toninho non ti abbia detto niente di stupido!-, disse sedendosi al mio fianco con fare disinvolto. Impacciata scossi la testa.

-Cosa siamo?-, chiesi non riuscendo più a trattenere questa domanda. Che cosa eravamo realmente noi due? Era stato solo un bacio innocente scappato tra due amici o la sua era stata compassione? Mi fissò con quegli occhi che adesso erano diventati più scuri, quasi un dolce nocciola, ma risultava difficile decifrare cosa in quel momento stesse veramente pensando. Non feci caso al cuore che martellava nel mio petto e nemmeno alla sua mano che sfiorava la mia. Per un attimo mi persi nella mia mente. Tutti quei pensieri confusi, spesso contrastanti mi impedivano di riflettere lucidamente, forse era l'ora o forse la birra...



-Tu cosa vorresti che fossimo?-. Si fece più vicino. Chiusi gli occhi tentando di riordinare il caos nella mia testa. “Io cosa vorrei che fossimo? Io...Io sinceramente mi chiedo perchè tu debba essere nato in Portogallo e perchè ti ho conosciuto. Se non ti avessi visto sarei tranquilla nel mio letto insieme ad Alice, a parlare delle nostre stupide compagne di classe, a fare le fighe perchè, be' siamo ad Inverness da sole senza nessuno che ci possa dire quello che dobbiamo fare o no. Ma chissà come sei spuntato te e adesso non so veramente che fare, sono veramente nella merda più totale. Sei contento? Se fossi un tantino più acida, stronza e menefreghista ti mollerei qui all'istante, ma non lo sono per mia sfortuna, in più non puoi farmi quegli occhi dolci... No non puoi. Non ne hai il diritto.” Questo erano esattamente i miei pensieri che si andavano ad accavallare impedendomi di trovare una soluzione a quel bel grande problema o semplicemente a dargli una risposta coerente.

-Se vuoi ti lascio in pace!-, disse ma non lo capii. “Se vuoi ti lascio in pace? Ma sei scemo o cosa? Insomma dopo stasera, dopo quel bacio e tutta la scenetta romantica sulla spiaggia con tanto di rotolata nell sabbia, tu te la vuoi svignare in questo modo? Se non fossi così dannatamente bello ed innocente.... Accipicchia!”.

-Stai trovando una scusa per ritornare dai tuoi amici e far finta che non sia successo niente?-. Forse mi stavo alterando un po' troppo. “Datti una calmata, le crisi isteriche sono una tua specialità, ma non rovinare tutto per un attacco d'ansia, magari ci tiene veramente a te” o magari no...

-Lavinia, ti ho baciata perchè era quello che avrei voluto fare sin dal primo momento in cui ti ho visto, non perchè eri scossa, sconvolta o come vuoi tu. No, ti ho baciata perchè penso che tu sia quella giusta, forse non così giusta dato che sei italiana, ma questa è l'unica cosa che stona, per il resto ti posso solo dire che ci tengo davvero a te-. Avrei dovuto avere le idee più chiare dopo la sua confessione, ma non era così. Lui sarebbe ripartito mercoledì e poi quando l'avrei rivisto? Sapevo così poco di lui...

-Ok, comunque non so nemmeno quanti anni hai o quanti fratelli hai, che scuola fai, cosa vuoi fare da grande. Non so niente-. Le lacrime si accumularono agli estremi degli occhi pronte a cadere sulle mie guance.

Manuèl passò il braccio attorno alle mie spalle e mi attirò a se facendo incastrare la mia testa tra il suo mento e il suo collo.

-Allora, potrei iniziare dicendo che ho diciotto anni, che ho un fratello di tredici anni, un piccolo mostriciattolo fastidioso, che l'anno prossimo andrò all'università a Barcellona e seguirò un corso di astronomia e poi in futuro boh, forse diventerò un importante astronomo come George Abell o forse sarò una nullità. Potrei dirti anche che avevo deciso di lasciar perdere le ragazze, che forse era meglio se passassi all'altra sponda-. Risi. -A parte gli scherzi, pensavo che al mondo non ci sarebbe mai stata una ragazza giusta per me e poi arrivi te e sconvolgi tutto, neanche io ti conosco eppure mi sono fidato delle mie sensazioni, del mio istinto ed eccomi qui-. Come io non sapevo nulla di lui nemmeno Manuèl sapeva nulla di me. Avevo sempre considerato le cose dal mio punto di vista, ma non mi ero mai sporta fino a toccare gli altri. Forse era giunto il momento di staccarmi dalla bolla che mi isolava dal resto del mondo, che mi isolava da quel ragazzo.

-Sei un buco nero per me!-, sussurrò baciandomi i capelli.

-È positivo o negativo? Sai non sono un'esperta-. Rise.

-Beh vedi il buco nero è il prodotto dell'esplosione di una stella, è il suo nucleo, la parte più intensa di essa e ha un campo gravitazionale così intenso che attira a sé tutta la materia circostante, nemmeno la luce gli sfugge. Non si riesce a vedere ad occhio nudo, ma si nota grazie al moto orbitale di una stella attorno ad un invisibile centro di massa-. Non mi sarei mai aspettata una descrizione così dettagliata, riuscii perfino a capire che cosa realmente fosse, invece con il mio prof di scienze impiegavo un quadrimestre per comprendere un argomento.

-Hai ragione, sono invisibile per la maggior parte delle persone che conosco, ma tu come facevi a saperlo?-.

-Era l'unica spiegazione plausibile sul tuo tatuaggio-, disse alzando le spalle.

Ero nuda davanti a lui e non lo ero mai stata con nessun altro, nemmeno con mia mamma o con Alice. Da una parte fui felice di condividere i miei pensieri con lui, ma dall'altra mi sentivo nel bel mezzo di una tempesta. Scoperta. Quella che aveva visto Manuèl era la me che nessuno aveva trovato, nemmeno io perchè ormai mi ero abituata a recitare un'altra parte, quella che non mi apparteneva, tanto che faticavo a distinguere la Lavinia fiera, acida e che doveva avere sempre l'ultima parola dalla Lavinia che si lasciava andare, quella simpatica, dolce, pronta a tutto pur di aiutare perfino coloro che la disprezzavano.

-Inoltre l'ho capito guardando i tuoi occhi sorpresi dopo che ti avevo baciato, come se nessuno ti avesse guardato nel modo in cui ti ho guardato io, ma mi chiedo: com'è possibile ciò?-.

-Se lo sapessi te lo direi ma non lo so davvero. Forse le persone non riescono a capire che sono cresciuta ormai e che non sono più quel maschiaccio con l'apparecchio che giocava a calcio o nel fango-.

-Giochi davvero a calcio? Che squadra tifi? Non che sia un grande appassionato, ma seguire il calcio non è poi così male-, disse come se con me dovesse giustificare il suo amore per quello sport.

-Giocavo e tutti i bambini mi odiavano perchè segnavo più goal di loro, poi le ragazze hanno iniziato a darmi del trans...che infanzia felice! Comunque ti sembrerà strano ma tengo al Barcellona-. Mi fissò divertito.

-”Mas que un club”?-, chiese ed intuii che anche lui tifava quella squadra. “Mas que un club” voleva dire in Catalano: più di un club, ed era da sempre stato il motto del Barcellona.

-Ora capisco perchè hai scelto Barcellona come città dove studiare-, dissi ridendo.

-Non solo, anche perchè Barcellona è più vicina a Milano rispetto a Porto e se non mi sbaglio tu abiti a Milano-, aggiunse serio e solo in quel momento capii quanto realmente ci tenesse. Aveva subito pensato alla distanza e al fatto che la città dove avrebbe studiato sarebbe stata molto più vicina a Milano rispetto a Porto... Nessuno mi aveva mai detto qualcosa del genere perciò fu naturale per me rimanere ad ammirarlo come un ebete per almeno dieci minuti. Non trovavo le parole, magari anche per dirgli qualcosa di tenero. No, assolutamente niente, se la mia mente fino a pochi minuti prima era nel più totale caos a causa di un sovraccarico di pensieri in quel momento si era completamente spenta e svuotata.

-Adesso sono io che voglio sapere qualcosa di te! Hai diciassette anni, giusto? E poi dopo la scuola cosa vorrai fare?-, chiese togliendo il suo braccio dalle mie spalle. Un'ondata di vento gelido mi fece venire i brividi lungo tutta la schiena.

-All'inizio volevo fare il medico, in particolare il cardiochirurgo, ma è troppo lunga come facoltà, quindi penso che farò lingue o letteratura-, dissi. Portai le gambe al petto per riscaldarmi.

-Interessante...-. Annuii. Be' non era rimasto molto da dire. C'erano mille cose che avrei voluto sapere riguardo al ragazzo accanto ma in quel momento neanche una si degnava di apparire nella mia mente. Chiusi gli occhi per un secondo appoggiando la testa sulle ginocchia, ma dopo nemmeno venti secondi mi ritrovai con la testa penzolante e con gli occhi incapaci di aprirsi. Okay, forse era arrivato il momento di andare a dormire.

-È meglio che vada a dormire, prima che crolli davanti a te-, dissi sforzandomi di alzarmi in piedi.

-Non ti preoccupare, ti prenderei al volo-. Rise e da vero gentiluomo mi aprì la porta.

Se non fosse stato per l'età o per i soliti problemi di appartenenza territoriale lo avrei sposato. “Okay, Lavy stai leggermente, ma dico leggermente delirando. Forse James non avrebbe dovuto prenderti la birra... Oh al diavolo l'albino e tutta la comitiva!”.

Manuèl alla mia sinistra teneva le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta e guardava distratto il soffitto. “Mi chiedo cosa ci sia d'interessante! Bel fanciullo, sono qua alla tua destra, dovresti guardare me non i neon!”. Trattenni una risata a stento. Grazie al cielo arrivammo immediatamente davanti alla porta della mia camera e Manuèl si dileguò velocemente preoccupato per la presenza nei corridoi della sua professoressa lasciandomi con un bacio leggero sulle labbra.

Aperta la porta notai che le ragazze stavano tutte dormendo tranne Alice.

-Tu non puoi nemmeno immaginarti cosa sia successo!-, disse alzandosi immediatamente dal letto e iniziando a saltellare.

-Certo che non lo so! Comunque credo che dovrai aspettare fino a domani mattina per raccontarmela, non sono lucida-, sussurrai arrampicandomi sul letto a castello. Mi infilai sotto le coperte, mentre Alice delusa e forse leggermente adirata chiudeva a chiave la porta e spegneva la luce.

-Buonanotte-, mormorai più nel mondo dei sogni che nella realtà. Mi sfiorai le labbra con l'indice inebriandomi del sapore delle sue labbra così delicate. Forse saremmo riusciti a trovare una soluzione.










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Ecco a voi l'ottavo capitolo, è molto breve, ma a parer mio intenso perchè si delinea ciò che Lavinia e Manuèl vogliono e soprattutto descrive la loro vita normale al di fuori di quel sogno!!
BACIIIIIIIII

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Capitolo 9
*** What about now? ***


 

9.What about now?
 

What about now? 
What about today? 
What if you're making me all that I was meant to be? 
What if our love never went away? 
What if it's lost behind words we could never find? 
Baby, before it's too late, 
What about now?

Westlife









-In che senso hai baciato di nuovo James?-, chiesi con gli occhi fuori dalle orbite. Erano esattamente le sei e ventuno minuti quando Alice mi svegliò con la scusa che non riusciva a dormire. Così iniziò a raccontarmi quello che era successo la sera prima raggomitolandosi tra le mie coperte.

-Te l'ho detto, l'ho baciato!-. Fece una pausa guardando il soffitto, sapevo che il fiotto di parole sarebbe giunto a momenti, quindi mi preparai.

-James è venuto a controllare se andasse tutto bene quando te ne sei andata.Grazie al cielo non si è accorto della tua mancanza! Poi mi ha fatto cenno di uscire e dovevi vedermi, ero pietrificata, sapevo che sarebbe arrivato il momento della ramanzina, solo speravo che per questo week-end mi avrebbe graziata, ma ovviamente le botte di culo non capitano a me. Sono uscita e lui ha iniziato a chiedermi perchè l'avessi baciato e tutte le menate varie-. La bloccai.

-Del tipo? Non saltare le parti fondamentali-, dissi agitata. Sapevo com'era fatta Alice, era una ribelle anticonformista e se qualcuno le diceva di non fare una cosa lei la faceva semplicemente per ripicca. Sbuffò e iniziò a torturarsi le unghie.

-Ecco, ha detto che io sono troppo piccola per lui e che anche volendo non avrebbe potuto...Ed è per questa frase che ho iniziato a tartassarlo di domande, insomma poteva dirmi semplicemente che non siamo fatti l'uno per l'altra, ma così vuol dire che prova qualcosa per me. E quando gli ho chiesto cosa significasse l' “anche volendo” è diventato rosso come un peperone e ha guardato dall'altra parte e allora ho capito che io gli piaccio in fondo, ma non può darlo a vedere. Mi capisci quando ti dico che gli piaccio? Ma ci credi? Ecco perchè alla fine di tutto l'ho baciato. Ma non ti ho ancora raccontato la parte migliore. Ad un certo punto gli ho detto se c'entrasse Sharon con tutta questa storia e lui mi ha guardato come se fosse caduto dalle nuvole e mi ha rivelato la sconvolgente verità: lei è sua cugina!-.

-Cosa? Stai scherzando? Sai che mi hai fatto odiare quella ragazza? Per non parlare delle cinque ore di pullman a sopportare le tue crisi isteriche. Adesso ho capito da chi ha preso!-, dissi. In effetti i pezzi del puzzle combaciavano.

-Non ti capisco!-, mormorò Alice.

-Fisicamente! Intendo fisicamente, sono entrambi due mostri-, risposi ridendo, ma quando la mia stupida amica mi tirò una gomitata nello stomaco per poco non rischiai di urlare e svegliare mezzo ostello.

-Sei proprio una bastarda! Sai che ti dico? Che anche Manuèl è orribile, con quei capelli alla Justin Bieber e... Bè ti sei scelta proprio un mostro-. Non riuscii a trattenere le risate tanto che gli occhi iniziarono a lacrimare.

-Justin Bieber? Mica erano alla Robert Pattinson?-, chiesi tra un singhiozzo e l'altro. -Cosa ti sei fumata prima di venire a svegliarmi?-.

-Stai zitta! Mi dovevo sfogare con qualcuno, solo che adesso è troppo tardi per battere in ritirata e confidarmi con il muro. Comunque ritornando al discorso di prima-. Notando che non riuscivo a smettere mi tirò una sberla in testa.

-La vuoi piantare di ridere?-. Mi detti un contegno.

-Mi ha anche detto che ero bellissima al pub e che avrebbe voluto sedersi al nostro tavolo solo che non voleva lasciare sola Sharon, che ragazzo d'oro! E dopo che mi ha augurato la buona notte non sapeva che fare, era ultra impacciato, allora l'ho baciato, ma baciato come si deve-.

-Okay, puoi anche evitare questi dettagli!-. Ragazzo d'oro o no aveva fatto prendere una bella cotta alla mia migliore amica. Ci mancava anche questo!

-Sai credo davvero che mi piaccia James...è perfetto per me!-.

-Chissà perchè le persone più giuste per noi le incontriamo in queste stupide vacanze studio. Lo sai vero? Che come io non rivedrò Manuèl tu non rivedrai James?-, dissi cercando di evidenziare quella crudele realtà. Al solo pensiero di non rivedere mai più quegli occhi di un intenso color nocciola mescolato al verde dei campi scozzesi il mio stomaco sussultò. Mi presi la testa tra le mani cercando di ricacciare la sensazione di perdita che mi stava affliggendo. Alice l'avrebbe superato, lei era molto più forte di me. Io invece ero solo un'illusa. Non potevo pretendere di non amare e di non soffrire, perchè l'amore, oltre a essere qualcosa di meraviglioso, era per prima cosa sofferenza. “Ma tu sei senza cuore Lavy, non puoi amare! Fatti forza”.

Quanto era vero quel pensiero che si articolò nei meandri della mia mente e si impossessò di me?

-Lo so, ma la vita è troppo breve per stare a riflettere, bisogna agire ed è quello che stiamo facendo entrambe-, commentò Alice guardando il muro bianco davanti a se.

Quelle parole mi ispirarono.

-Facciamo una pazzia?-, chiesi improvvisamente eccitata. Mi alzai dal letto in un lampo, presi il primo paio di jeans che trovai e mi cambiai sotto lo sguardo confuso della mia migliore amica.

-Che fai?-.

-Usciamo-, risposi indossando una maglietta marrone a maniche corte e un maglione più chiaro.

-Cosa?-, chiese stupita.

-Guarda che non sei l'unica a cui vengono idee geniali tipo svegliare la propria amica alle sei di mattina. Quindi adesso che sono quasi le sette andiamo a fare un giro e poi colazione. Tanto il Corvoni ci lascia in pace fino alle otto e mezza-. Attorcigliai la sciarpa di lana attorno al collo per evitare una tonsillite, infilai gli stivaletti di pelle e aspettai Alice che era filata in bagno con un sorriso stampato sulle labbra.

Uscita notai il suo abbigliamento stile “diva di Hollywood”, le mancava solo il caffè dello Starbucks in mano e sarebbe stata perfetta.

-Andiamo a fare le fighe!-, esclamò prendendomi a braccetto mentre con l'altra mano apriva cercando di non fare rumore la porta. Ma purtroppo il cigolio non ci aiutò. Grazie al cielo solo Iris emise un lieve sospiro e si girò dall'altra parte. Per il corridoio non c'era un'anima viva, quindi sgattaiolammo all'esterno senza difficoltà.

L'aria fresca del mattino ci colpì in pieno volto varcata la porta dell'ostello fatiscente. Eravamo libere. Libere e pazze, anzi completamente fuori di testa, tanto che iniziai a saltellare e a dire cose senza senso. Alice mi prese per il gomito. -Ho un'idea, andiamo!-, mi incitò prendendo la stessa direzione che io e Manuèl avevamo preso la sera precedente.

Arrivate al mare scorgemmo qualche peschereccio in lontananza e centinaia di gabbiani appollaiati sugli scogli.

-Qui, anche volendo le nostre compagne di classe non ci possono sentire-, commentò la ragazza al mio fianco. Ci capimmo con uno sguardo complice.

-Alessia fatti una tinta più decente!-, urlammo in coro facendo spaventare gli uccelli che iniziarono a volare sul mare. Era il nostro modo (devo ammettere un po' strano) per sfogarci e lo adoravo. La prima volta che l'avevamo sperimentato eravamo a casa di Alice che abitava al quinto piano di una palazzina alla periferia di Brembate, urlammo fuori dalla finestra e quell'esperienza fu un balsamo per la mia mente.

-Marco sei uno sfigato! Voglio vederti quando Lavy torna, quando le sbaverai dietro e lei non ti cagherà di striscio. Voglio proprio vedere! Sei una gran testa di cazzo-, urlò Alice facendomi ridere a crepapelle. L'abbracciai dopo di che gridammo diversi insulti per ogni nostro singolo compagno di classe. Loro potevano sparlarci dietro quando volevano e noi no? Questa era la nostra rivincita. Non avrebbero mai saputo che cosa avevamo fatto, purtroppo per loro lì non c'era nessuna spia pronta a drizzare le orecchie in nostra presenza o a pedinarci. Soddisfatte della nostre performance mattutina ci dirigemmo a braccetto per le vie deserte di Inverness. Ma a quell'ora già si poteva incontrare qualche gruppetto di ragazzi con i capelli per aria e i vestiti stropicciati di ritorno dalle discoteche della città. Trovammo uno Starbucks aperto e ci infilammo dentro sperando di poterci riscaldare con un bel cappuccino.

Il locale era vuoto, vi erano solo due ragazzi che avranno avuto non più di vent'anni seduti in un angolo intenti a bere da due grandi tazze un te' fumante.

-L'ultimo giorno di scuola avrei voluto tanto, ma dico tanto, buttare giù dalle scale Denise. Ti ricordi?-, annuii alla sua domanda. Denise era un'altra delle nostre simpaticissime e stimatissime compagne di classe. L'avevo avuta come vicina di banco per ben due mesi ed era stata una tortura. Assomigliava in tutto e per tutto ad Alessia, ma si sa quel genere di ragazze si assomigliano, hanno tutte la stessa faccia da meretrice e quegli occhi da impiccione. Superava di almeno dieci centimetri il mio metro e sessantanove e nonostante praticasse a livello agonistico la pallavolo non si poteva considerare una ragazza magra, ma ai ragazzi questo non importava, nemmeno il fatto che fosse una terribile indagatrice con la puzza sotto il naso o una vanitosa da far venire il volta stomaco. Come faceva a non accorgersi della sua arroganza? Io conoscevo i miei difetti, mentre lei si reputava perfetta, una fottuta barbie dai capelli biondi e un culone gigante. I ragazzi erano così ciechi, si lasciavano attrarre dagli oggetti che luccicavano senza sapere che era bigiotteria.

L'ultimo giorno di scuola la nostra cara Denise aveva “casualmente” attaccato la sua cicca ai capelli di Alice e quest'ultima era andata su tutte le furie. Lo sapevano anche i muri: i capelli di Alice non si toccavano. Denise aveva iniziato a scusarsi ridendo e a tentare di levarle la cicca creando solo più problemi del dovuto così l'avevo allontanata immediatamente e avevo portato la mia amica in lacrime al bagno dei professori che era munito di ghiaccio. Avevo preso dei cubetti e li avevo messi a diretto contatto con la gomma, e fu così che dopo cinque minuti buoni tutti i residui di quella roba appiccicosa mischiata con la saliva di quella vipera si erano immediatamente staccati dai suoi capelli.

.Si me lo ricordo. Ecco perchè è meglio stare alla larga da gente come quella, sono delle psicopatiche-, commentai, sorseggiando attenta a non bruciarmi la lingua, il mio cappuccino.

-La cosa più brutta è stata vedere la faccia di Asia. Eravamo così amiche, poi è precipitato tutto. Le hanno fatto il lavaggio del cervello-. Alice s'incupì e guardò oltre la vetrata tentando di ricacciare le lacrime che volevano stra bordare. Asia...un'altra tra le tante che avevano acconsentito a fare da tappetino ad Alessia e a Denise. Solo che prima di diventare loro umile servitrice era la nostra migliore amica, eravamo inseparabili e le volevo davvero bene, forse per quel suo volto sempre gentile con tutti, per quella risata contagiosa o per quei capelli corti e ribelli che la facevano sembrare una bambina birichina. Semplicemente l'adoravo, era perfetta come amica, perfetta come consigliera, come spalla su cui piangere, potevo parlare ore e ore con lei eppure non si stancava mai di ascoltarmi. Ma la favola era troppo bella per essere vera, tanto che le “magnifiche” (come si facevano chiamare) approfittarono di un raffreddamento nel nostro rapporto e ce la portarono via con una maestria a dir poco stupefacente. Quella che mi sorprese di più fu però Asia, che come un burattino si era lasciata manovrare e condizionare. Adesso quei grandi occhi non erano più pieni di vita, ma sempre attenti e impauriti, le sue maniere dolci e delicate si erano trasformate in bruschi movimenti improvvisi e ogni volta che ci rivolgeva la parola era solo per criticarci o zittirci.

Cercavamo di non parlarne quasi mai, perchè faceva male ad entrambe.

-L'importante è che non lo facciano ad una di noi due, sarebbe la fine! Manca un anno, credi che le loro maniere persuasive siano così...così persuasive?-, chiesi notando che una piccola pioggerella bagnava il marciapiede all'esterno.

-Se l'hanno fatto con Asia che, non dico che le odiasse perchè lei era sempre neutrale, ma non le stimava nemmeno. Non capisco, rivoglio la mia Asia-, commentò.

-Non sai quanto la rivoglia anch'io-. Rimaste per qualche minuto perse nei meandri delle nostre menti non ci accorgemmo del ticchettio dell'orologio rosso appeso al muro che segnava esattamente le otto e mezza. “Le otto e mezza? Cazzo”.

-Guarda l'ora! Cristo! Il Corvoni ci ammazza!-, esclamai in preda al panico alzandomi di fretta e furia.

-Siamo fregate!-, commentò semplicemente Alice.

Uscite iniziammo a correre sotto lo sguardo stupito dei passanti. Le strade si erano riempite di uomini e donne ben vestiti. La pioggia era diventata più pesante e ormai molte persone avevano tirato fuori gli ombrelli e i cappucci, mentre io ed Alice ce ne fregammo completamente dei capelli. Era già tanto se avessimo trovato il gruppo all'ostello. Arrivate non mi fermai nemmeno davanti alle scale, anzi salii tre gradini alla volta rischiando di rompermi l'osso del collo un paio di volte. Spalancata la porta della nostra camera la trovammo vuota, non c'erano nemmeno i nostri zaini.

-Porca miseria! Eccome se siamo fregate!-, dissi prendendo fiato. Valutai velocemente la situazione. I letti non erano ancora stati fatti, non dovevano essere partiti da molto.

-Il pullman!-, sussurrai prendendo Alice per la manica della giacca.

-Dici che sono al parcheggio?-, chiese la ragazza disperata. Annuii.

-Le ragazze avranno notato la nostra assenza, non ti pare? Probabilmente hanno preso loro i nostri zaini-, dissi aprendo nuovamente il portone principale sotto lo sguardo scocciato del proprietario dietro la reception. Non gli lasciai tempo per fermarci e rimproverarci per il troppo baccano.

-Eccolo! Lo vedo! È giallo giusto?-, chiese Alice e questa volta fu lei a trascinarmi fino al parcheggio. Si, aveva ragione, era il nostro pullman.

-Grazie signore!-. Risi di gioia. Il solo pensiero di rimanere bloccata in quella cittadina così fredda mi aveva fatto venire il mal di stomaco e di certo la presenza del mio cappuccino non aiutava. Avrei vomitato se non fosse stato per l'ondata di sollievo che mi sciolse i nervi.

Salite sopra il veicolo ci ritrovammo davanti al volto contorto dalla preoccupazione e dalla rabbia del Corvoni, il quale appena ci vide tirò un sospiro.

-Scusi, scusi, scusi. Eravamo uscite solo per prendere una boccata d'aria e...-, tentai di giustificarci ma il professore ci incitò a salire e a prendere posto.

-Siamo in ritardo fanciulle! Non mi interessa cosa abbiate fatto, l'importante è che siete sane e salve-, disse tenero.

-Che cucciolo!-, commentò a bassa voce la mia amica. Passate davanti a James notai il suo volto illuminarsi alla vista di Alice che si sedette senza pensarci due volte vicino a lui lasciandomi nel bel mezzo dello stretto corridoio come un ebete. Grazie al cielo Fabio mi aveva tenuto un posto tra lui ed Evelyn. Mi sedetti chiudendo gli occhi e abbandonandomi sul sedile.

-Si può sapere dove cavolo siete state? Pensavo che vi avessero rapite!-, disse Fabio.

-Si, in realtà ci hanno rapite gli alieni, avevano bisogno di un pezzo di stomaco per i loro esperimenti-. Fui l'unica a ridere della mia battuta, così aprii gli occhi per controllare che qualcuno mi stesse ascoltando, infatti erano tutti a fissarmi con aria accusatoria, ma sollevata.

-Siamo andate a farci un giro ragazzi! Non avevamo sonno-, risposi sincera. Evelyn mi passò il mio zaino.

-Tieni! Ho buttato la roba dentro un po' a casaccio, mi dispiace!-.

-Grazie mille-. Le riservai un sorriso. Forse avevo sbagliato a considerarla antipatica.




Per un'ora buona tutto quello che feci fu dormire appoggiata al braccio spigoloso di Fabio, non così comodo come un cuscino ma senz'altro meglio del vetro freddo del pullman. Quando giungemmo al famoso lago di Lochness il ragazzo vicino a me mi scrollò e con voce teatrale disse: -Sveglia bell'addormentata, il sole splende, la temperatura è intorno ai venti gradi ed è ora di un bel giretto sulla barca-. Risi in coma e seguendo la coda scesi dal veicolo.

Dopo essermi stropicciata gli occhi mi allontanai dal gruppo per ammirare il panorama. Le montagne alte e verdeggianti incombevano sul lago proiettando le loro ombre su di esso e rendendolo ancora più misterioso di quanto già non fosse. Non vi erano molte case, dal parcheggio si intravedeva solo un piccolo hotel ed un negozio di souvenir e in lontananza si scorgeva un'antica torre abbandonata. La natura completamente selvaggia di quel luogo non mi faceva paura anzi mi stimolava ad esplorarla, ma mi trattenni, non volevo far venire un secondo infarto al Corvoni. Sarebbe stato troppo. Quando mi girai notai Manuèl dirigersi verso di me con i capelli spettinati e lo sguardo più addormentato del mio.

-Ho sentito dire che tu e la tua amica vi siete perse-, disse appena arrivato con un sorriso dolce stampato sul volto.

-Argh, pettegolezzo errato! Siamo andate a fare un giro e abbiamo perso di vista l'orario, niente di emozionante-, mormorai. Aprì le braccia e mi ci tuffai dentro inspirando il suo magnifico profumo e appoggiando la testa sul suo petto. Sperai di potermi addormentare cullata dal suo abbraccio, ma James richiamò tutti quanti troppo presto e ci divise in gruppi separando i Portoghesi dagli Italiani.

Finii in gruppo con Lorenzo, Evelyn, Iris, Fabio e Alice. Fummo i primi ad essere accompagnati alla barca che ci avrebbe portato a visitare una piccola parte di quell'immenso lago.

Passai la maggior parte del tempo a scattare fotografie o con il cellulare o con la macchina fotografica. Volevo che ogni singolo istante di quella vacanza fosse documentato e quello era un modo per ricordarmi di tutto, dal panorama mozzafiato, dalla faccia sorpresa di Alice sicura di aver intravisto Nessie alla nostra esibizione alla Titanic sulla prua del battello mentre una famiglia indiana ci fissava divertita e al tentativo di buttare giù dall'imbarcazione Fabio.

Scesi davanti a noi trovammo delle panchine verniciate di nero con incisa elegantemente la frase: “Come when you can” (Vieni quando puoi) il che non poté farci trattenere dal ridere a crepapelle dato l'evidente, anzi evidentissimo, doppiosenso.

Per la prima volta da quando eravamo arrivati mangiammo decentemente in un ristorantino sulla via per tornare ad Edimburgo. Mi abbuffai di lasagne e bistecca al sangue e quando salii sul pullman rischiai seriamente di dare di stomaco. Mi avevano lasciato da sola con la paura che potessi sporcare a qualcuno la maglietta o i pantaloni, così mi ero ritrovata ad ascoltare le canzoni deprimenti dei Barcelona (una band devo ammettere non molto conosciuta) e degli Snow Patrol. Non riuscii a prendere sonno, nemmeno ad appisolarmi leggermente per dimenticare il terribile mal di stomaco, così mi concentrai sul panorama maledicendo in tutte le lingue che conoscevo quelle lasagne.

Era tardo pomeriggio e non eravamo giunti neanche a metà viaggio. Le montagne rocciose attorno a noi si presentavano più ripide che mai, quasi pronte a sovrastarci. Non scorsi neanche un animale e dedussi che in quel gelido deserto ce ne fossero davvero pochi.

Mentre il cielo si tingeva dell'azzurro intenso che precedeva il tramonto qualcuno fu così coraggioso da sedersi vicino a me. Grata di ciò mi girai e incontrai gli occhi verdi di Manuèl e il suo sorriso dolce e preoccupato.

-Come stai?-, chiese aprendo le braccia ed accogliendomi. Non so se fu frutto del mio subconscio ma i crampi allo stomaco si placarono appena la mia schiena toccò il suo petto.

-Meglio-, sussurrai inspirando il meraviglioso profumo della sua felpa.

-Ti ho vista dall'altra parte della sala che mangiavi come una dannata e ho subito pensato che ci avresti rimesso le penne! Meno male che sei ancora viva-, disse stringendomi. Sorrisi al pensiero che qualcuno notasse di tanto in tanto tutte le cavolate che facevo, che qualcuno potesse provare interesse per una povera illusa come me, bruciata dall'amore.

Non so quanto stetti in quella posizione, accoccolata tra le sue braccia sentendo il sollevarsi ritmico del suo petto con la testa appoggiata sul suo cuore. Quando riaprii gli occhi mi girai ad ammirare il cielo ancora più scuro e due stelle attirarono la mia attenzione, erano così grandi e luminose che sembravano delle lanterne lasciate volare.

Un braccio di Manuèl era attorno alle mie spalle, l'altro stringeva la mia vita impedendomi di cadere. Avevo tutto dalla vita e mi sentivo al settimo cielo. Sentivo in quel momento di poter volare dalla felicità, di poter credere che la vita non fosse poi così brutta come pensassi.

Sull'i-pod partì la canzone degli U2 “Beautiful Day” e non potei trattenermi dal sorridere, si quel giorno era davvero stato sensazionale, bellissimo, unico, indescrivibile. Mille parole per descrivere ventiquattro misere ore, che avevano completamente ribaltato la mia vita, il mio mondo. Avrei dovuto appuntarmi quella data, 23 Luglio, quella data... Gli occhi si riempirono di lacrime gioiose, mentre nel cielo spuntavano sempre più stelle e il buio di impossessava dei campi e delle prime case che scorgevo lungo la strada.

Il pullman correva e si lasciava dietro tanti luoghi, troppi luoghi inesplorati. Il mondo era così grande. Sarei riuscita un giorno a visitarlo tutto? Sapevo che non mi sarei mai saziata di posti nuovi, di culture e tradizioni. Ma la cosa più bella, interessante e che mi lasciava senza parole erano le persone. Pensavo di trovarmi in un mondo che non mi capisse solo perchè vivevo in una città dove la maggior parte della popolazione era vanitosa, egocentrica ed invidiosa, non avevo capito che c'era anche la parte buona del mondo, quella che ti accettava, che ti reputava importante ed eccola lì. Manuèl o le cinesi, culture diverse, lingue, ma c'era una cosa che ci accomunava: la voglia di comunicare con qualcuno.

Allungando il collo notai Alice con la testa appoggiata alla spalla di James. Un sorriso...ancora. Quanti sorrisi potevano esserci in una giornata?

Manuèl si era appisolato. Non mi importava come sarebbe andata a finire, ci avrei provato lo stesso. Non era amore di sicuro. Quel ragazzo dolce ma allo stesso tempo forte mi aveva colpito e mi piaceva davvero tanto, ma sapevo che dovevo controllarmi e mai spingermi oltre. “Stai alla larga dall'amore” era l'unico pensiero che mi ronzava per la mente. Annuii a me stessa, non sarei caduta nella stessa trappola in cui ero finita con Marco, quella volta ero preparata, l'amore non mi avrebbe avuta di nuovo.






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Eccomi qua con un altro capitolo!!! Scusate il ritardo ma in questo mese la scuola mi ha distrutto!!! Un bacio a tutti, e... fatemi sapere cosa ne pensate :D

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