Penny Lane is in my ears and in my eyes

di bethlennonthalieharrison
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Prologo - Thalie e Beth - The other side of Liverpool, where they come from ***
Capitolo 3: *** Uno - Thalie - The other side of Liverpool, you just have to laugh (1/2) ***
Capitolo 4: *** Uno - Beth - A hard day (senza ‘s night, che la notte almeno Beth dorme) [2/2] ***



Capitolo 1
*** Premessa ***



Elizabeth&Nathalie production presenta:


Penny lane is in my hears and in my eyes


Premessa


Non siamo intelligenti.

Cioè io, Beth, un tempo lo ero. Ma non ero neanche una beatlesiana, prima di conoscere questa qui.

Quindi... Conoscendo Nathalie ci ho perso in intelligenza, e ci ho guadagnato in beatlesitudine. Come lei, tra laltro, ha guadagnato un po di Harrypotteritudine.

Ma continuiamo a parlare della storia, valà.

Questa storia.... Nasce per realizzare, almeno su carta, un sogno graande.

Siamo entrambe innamorate dei Beatles come gruppo, e rispettivamente di John Lennon e Coso Harrison in particolare. Cioè, Coso Harrison si chiamerebbe George, ma questo ci penserà Nathalie a dirvelo (e, credetemi, se state in sua compagnia più di cinque minuti sarà impossibile che non ve lo dica).


Ebbene... Che cosa abbiamo fatto noi?

Su msn, una sera, ci siamo dette che dovevamo scrivere una storia insieme.

Ebbene... Labbiamo fatto.

Cioè, il prologo è suo, ma fa nniente.

Questa... questa è la nostra storia.

Non sappiamo esattamente dove ci porterà, nossignore.

Sappiamo solo linizio della storia, il seguito... no, non lo sappiamo.

Ebbene? Lo scopriremo solo scrivendo!

E voi leggendo, sempre che una povera anima si voglia avventurare oltre a questa premessa.

Premessa, eh, non promessa. Perché lunica cosa che vi promettiamo, noi, è che Nathalie è demente.

Io sono quella intelligente, delle due. Cioè..... Appena lei leggerà lintroduzione che sto preparando mi spara, me lo sento.

Quindi io temporaneamente sarò morta, lasciandole il tempo di postare il prologo.

Baaci

Beth



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Capitolo 2
*** Prologo - Thalie e Beth - The other side of Liverpool, where they come from ***



Ed eccolo, il prologo di Nathalie.

Di Nathalie, che sarei io.

E' breve, questo prologo.

Tanto, troppo, ma aggiorneremo presto, e Lizzie lo sa, che io scrivo in qualunque situazione, lo sa.

Lo sa quanto sa che adesso che devo ripeterle storia e geografia, cosa che mi sta ricordando da stamattina...è la "sorella maggiore" in tutto e per tutto, lei!

Vi lascio al prologo, adesso.

Thalie


Prologo

Thalie e Beth

The other side of Liverpool, where they come from


Erano loro, c'era poco da fare.

Due ragazzine di periferia di quattordici e diciassette anni, addormentate sul modesto divano della loro casetta al numero 9 di Penny Lane.

Sorelle, soprattutto.

I visetti accostati, una voluminosa copia di Guerra e Pace semicoperta dai capelli biondi di Nathalie ed un altrettanto massiccio tomo dal titolo pressoché nascosto dalla fulva treccia di Elizabeth, Via col Vento.

Ai loro piedi, Eraclito e Teocrito, un panciuto certosino dai luminosi occhi turchini ed un diabolico petauro dello zucchero, si contendevano il vinile di Love Me Tender, sognato dalle due Ellis per mesi e mesi.

Era il 31 Agosto 1957, il loro ultimo giorno d'estate.

La più calda -ed odiata da Thalie- delle stagioni sarebbe durata ancora una manciata di giorni, per la verità, ma per loro finiva con il sopraggiungere di Settembre, il mese che scandiva, con i suoi giorni un po' umidi un po' freschi, costantemente piovosi, per la gioia della secondogenita, il cui clima ideale era esattamente quello della steppa siberiana, l'inizio del Liverpool College of Art.



Note


Il titolo del prologo (del mio prologo, almeno...quel che ha intenzione di fare Lizzie non si sa, e se non sapessi che potrebbe sbattermi il mio amato Guerra e Pace in testa in qualsiasi momento -solo quando ci vediamo, in teoria, ma lei non dimentica facilmente-, oserei dire che è meglio così), è una sorta di "citazione rivisitata" di The other side of Liverpool di Ringo, che la sottoscritta (ma anche la Beth, a cui l'ho fatta sentire ieri) venera.

Le sorelle Ellis...nasce dallo pseudonimo di Emily Brontë, questo cognome.

Ci abbiamo passato una sera intera, io e la Beth, ad elucubrare sul cognome...ma dettagli, dettagli, dettagli.

E' qualcosa tipo la mia parola preferita, dettagli, ma immagino che al momento la cosa non ci riguardi.

Nathalie...la devo alla meravigliosa Natal'ja Rostova di Guerra e Pace, la devozione per questo nome.

Mentre per quanto riguarda la Beth, io non lo so, perché sia tanto fissata col nome Elizabeth, ma so che quando comincia a parlare di Rhett Butler, di John Lennon o di mio padre (per cui ha una cotta neanche tanto lieve, la signorinella, ma questo è, appunto, un dettaglio), c'è da fuggire nella mia dolce Siberia, o comunque lontano, lontano, lontano da lei.

Poi io l'adoro, la Beth.

Ma non ditelo troppo in giro, mi raccomando!

Sperando che il prologo di Thalie vi sia piaciuto, vi saluto e lascio a voi la parola!

Thalie




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Capitolo 3
*** Uno - Thalie - The other side of Liverpool, you just have to laugh (1/2) ***



Uno

Thalie

The other side of Liverpool, you just have to laugh

(1/2)


Nathalie finì d'intrecciarsi i capelli, mordendosi un labbro per non lasciarsi sfuggire imprecazioni verso i latitanti ciuffi biondi che proprio non riusciva a tenere insieme.

-Non inalberarti, Thalie, e vieni qui- l'interruppe pacata Elizabeth, posandole una mano sulla spalla.

-Giù le zampe, Liz! Mi spiegazzi la camicetta!-

-Del pigiama?- puntualizzò la maggiore delle Ellis, inarcando un sopracciglio.

-Del pigiama- sibilò la piccola Thalie, che in quel momento avrebbe volentieri cacciato in bocca a Beth uno dei suoi stivali di camoscio.

Sospirando, Elizabeth si accostò alla sorella, iniziando a pettinarle la selva biondastra a cui Nathalie teneva più della sua stessa vita.

Da quattro elementi che poco avevano a che fare con Empedocle, infatti, dipendeva la tranquillità di Nathalie Ellis: Guerra e Pace, l'inverno, gli stivali di camoscio e i capelli.

Poi avrebbero potuto diventarle verdi i parenti, crescere orchidee sullo scendiletto della Principessa Esterházy, anche vedere cinque gatti rossi che giocavano a briscola all'incrocio di Penny Lane sarebbe stato assolutamente ordinario, nella discutibile mentalità della bionda quattordicenne liverpooliana, ma i quattro elementi di Nathalie non dovevano mancare.

-Colore?-

Nathalie sbarrò gli occhi, indietreggiando e travolgendo i piedi della sorella.

-Colore di che?-

-L'ho salvata!- gridò vittoriosa Elizabeth, che nella caduta era riuscita a mantenere la presa sull'estremità della treccia di Thalie

-Sei un tesoro, Lizavéta-

-Cristo, manco lei ha risparmiato, Ràskolnikov!- protestò la Rossa Malpelo della famiglia, rammentando l'omicidio di Ròdja -come Thalie si ostinava a chiamare il protagonista di Delitto e Castigo, altra lettura idolatrata dalla ragazzina-.

-Dettagli, Lizavéta. Dettagli-

-Tu la ami, questa parola, nevvero?-

-Taci, Liz. Grigiazzurro, comunque-

-Grigiazzurro che?-

Nathalie alzò i begli occhi al cielo, scuotendo la treccia ancora saldamente tenuta da Elizabeth -motivo per cui, per non rischiare di rimetterci la chioma, smise di scuotere la testa molto presto-.

-Il nastro, Liz!-

-Grigiazzurro sarà l'assurdo colore dei tuoi occhi, io un nastro così dove lo trovo?-

-Assurdo? Parla per te, Lizavéta dagli occhi verdazzurri-

Elizabeth sbuffò, ridendo sotto i baffi.

-Azzurro va bene, Thalie?-

-Azzurro e basta?-

Pareva delusa, la sua adorata sorellina.

Con un ruggito Elizabeth scelse dal cestino che dominava il comò delle due Ellis un nastro azzurro e un nastro grigio, annodandoli insieme con chissà quale mano, senza lasciare la treccia di Nathalie.

Di tanto in tanto, agli occasionali "ma non li hai annodati bene!" della piccola scocciatrice di famiglia, gliela tirava un po', giusto per farla star zitta.

-Et voilà!-

Elizabeth sorrise, assicurando il doppio nastro grigiazzurro all'estremità della treccia della sorellina.

-Grande Liz!- esultò Nathalie, scostando la maggiore con una gomitata nello stomaco e precipitandosi a scompigliare la pelliccia d'un esasperato Eraclito.

-Ti voglio bene, Cliclì. Ne voglio anche a Beth, ma tu non glielo dire-

-No, non me lo dire, Cliclì- intervenne Elizabeth, scuotendo il capo con rassegnazione -Non sono sicura di volerlo sapere-

-Taaci, Liz-

Elizabeth afferrò il segnalibro di Via col Vento, meditando di farglielo ingoiare.

-Creepa, Lie!-


-Thé e biscotti al burro?- domandò Nathalie, speranzosa.

-Se hai il tempo di prepararli, sincere congratulazioni- commentò Vincent Victor Ellis, sbadigliando da dietro il Mersey Beat.

-Quando finisci di leggerlo me lo passi, vero, pa'?- quasi gridò la bionda aspirante russa, ignorando il sarcasmo del padre.

-Sì, papà, passaglielo! C'è un articolo su Dostoevskij!-

-Ma...mitico!- gioì la ragazzina, facendo per rubare il giornale dalle mani del padre, che scosse la testa, guardandola storto.

-Sì, sì, Thalie. Mitico. Anche perché a Fëdor sul Mersey Beat puoi credere solo tu- la riprese la sorella maggiore, impietosa.

-Ah...non c'è?-

Elizabeth tirò la treccia alla piccola credulona, ridendo.

-Tu sei tuutta scema, Natal'ja!-

-Ma...Lizavéta!-


Thé e biscotti al burro, rigorosamente preparati da Elizabeth, furono consumati in una manciata di minuti, sotto gli occhi divertiti del sornione e relativamente scansafatiche -perlomeno appena sveglio- Vincent Victor.

Poi le due ragazze si lanciarono fuori di casa con un entusiasmo ed una fretta che fecero sgranare gli occhi a Teocrito, il povero petauro.

Elizabeth rovinò sulle scale, invocando un certo Rhett Butler, mentre Nathalie volò giù dal muretto, insultando la sorella in russo.

Vincent Victor, sorridente, si affrettò a chiudere la porta, tranquillizzando il petauruccio con lo sguardo.


-Natal'ja!- strillò una ragazzina dai brillanti occhi verdi, che nascondeva la folta chioma fulva sotto un colbacco che probabilmente sarebbe stato adattissima nella steppa russa ottocentesca, e che, si domandava Elizabeth, chissà quanto le faceva sudare le orecchie.

Era Kayleigh Janice Céithlinn, soprannominata da Liz "l'Irlandese" e da Lie, chissà per quale arcana ragione, Layla.

Era di Belfast, Layla l'Irlandese, sebbene fossa cresciuta tra Dublino e Liverpool.

Suo padre era dell'Ulster, sua madre dell'Éire, ma il cuore di entrambi innegabilmente liverpooliano, dato ch'era lì che avevano aperto il loro Ufficio Promozione Petauri dello Zucchero, da originali animalisti quali erano.

Era indiscutibilmente la migliore amica di Nathalie, anche se più d'una volta Elizabeth si era ritrovata a doverle separare, durante un litigio per i "diritti su Fëdor Dostoevskij".

Non era un'aspirante russa ai livelli di Nathalie, ma aveva anch'ella disgraziatamente subito l'incantesimo del barbuto più affascinante di Mosca, evidentemente per colpa della suddetta bionda ragazzina.

-Senti, Thalie, a te va bene se ti lascio qui con l'Irlandese, vero?- incominciò Beth, sospirando di sollievo.

Kayleigh strinse gli occhi, facendole la linguaccia.

-Irlandese a chi, Liverpooliana?-

-Con... Kayleigh Dostoevskij, ok?- si corresse Elizabeth, sapendo che con quell'appellativo avrebbe fatto andare in bestia la sorella.

-Guai a te, Layla!- strillò infatti Nathalie, rubandole il colbacco slavo e sbattendolo in testa ad un'angelica Liz.

-Daai, Lie, Kay, mi lasciate andare?- protestò infine quest'ultima, che, pur adorando le due ragazzine, non vedeva l'ora di raggiungere la sua, di migliore amica, che forse era più tarata delle due filorusse messe insieme, ma era un dettaglio.

-Ma vai, vai, Lizzie bella!-

Ridendo e sbuffando, Liz si allontanò.

-State attente!- non riuscì a trattenersi dal gridare alla fine della via, ma poi si tappò la bocca con una mano, continuando a ridere.

Beh, se anche qualche gentildelinquente si facesse venire in mente la simpatica idea di rapire Thalie...


-Beh? Che racconti, Al'ja?-

Nathalie infilò le mani nelle tasche del giaccone, sorridendo.

-Liz rompe ma l'adoro, Cliclì è il mio gatto preferito, nonché l'unico, e Teo è il petauro più timoroso che conosca, ma è così carino... Odio papà quando mi prende in giro, ma probabilmente lo amo anche in quei momenti. Venero i biscotti al burro di Beth e la mamma che le ha insegnato la ricetta...ma anche la mamma in sé, soprattutto quando insulta pa'. Del resto lo insulta anche perché gli vuole tanto, tanto bene, no?-

-Dolce...- sussurrò Kayleigh, battendo i denti per il freddo.

-Ehi, Layla! Freddolosa come sei non so come te la caverai, in Russia!-

-Al, ci sono sette gradi sotto zero...-

-Tanto meglio! E poi in Russia è peggio, se lo vuoi sapere-

Poi scosse la testa, Nathalie.

Scoppiò a ridere, scompigliando i capelli rossi dell'amica.

-E a te come butta, Kay-Layla?-

-Benuccio...-

Nathalie sorrise per la buffa risposta dell'Irlandese.

-Liff come sta?-

-Maluccio...-

La giovane Ellis sgranò gli occhi.

Non che amasse particolarmente i bambini piccoli -se li sarebbe potuti ingoiare uno pterodattilo, per lei, quelli-, ma a Liffey, la sorellina di Kayleigh, nonché irriverentissima omonima del bel fiume dublinese, era particolarmente affezionata.

-Davvero?-

-Febbre a quaranta, Lie. Grazie ai tuoi adorati sette gradi sotto zero-

Nathalie si morse la lingua, dispiaciuta.

-Caspiterina...-

-Ehi, ma che caspiterina e caspiterina del piffero?- la prese in giro "la rossa di Belfast", scuotendo la coda un poco scomposta sotto il colbacco.

-Come pensi che sarà la nuova scuola, Al?-

-Caruccia...- rispose la bionda scocciatrice di Penny Lane, imitando Kay.

Quest'ultima scosse la testa, appioppandole una gomitata nella milza.

-Che diamine, Layla!-

-Questa era un tantino meno caruccia, non trovi?-


1 Settembre 1957, Liverpool College of Art


Era un edificio imponente, quello del Liverpool College of Art.

Le due filorusse si fermarono a guardarlo rapite, neanche fossero state davanti al Cremlino di Mosca ai tempi di Napoleone.

Fu Kayleigh a rompere il ghiaccio, naturalmente con un commento dei suoi.

-Oh, è grandino...-

-Sarà, ma è caruccio- aggiunse Thalie, ritrovando le parole.

-Entriamo?- bofonchiò l'Irlandese, scuotendo la testa, ma sotto sotto un poco divertita.

-Eh, magari...-

-Thalie!-

-Sei retorica, Kayleigh Janice!-

Ignorando la ragazzina di Penny Lane, la Céithlinn si sfilò il colbacco con un gesto deciso, facendo un passo avanti, dopodiché, prendendo coraggio, si decise ad entrare.


Il corridoio non era particolarmente luminoso, ma i ragazzi, con quella loro allegria disordinata e gli sguardi ancora un po' assonnati ma già scintillanti, gli davano quella pennellata di "adorabile vitalità" che, a detta di Nathalie, faceva del Liverpool College of Art "una Penny Lane giusto un po' più affollata".

Le due ragazzine si fermarono vicino alla porta di un'aula ad osservare l'ambiente, finché la suddetta porta non si aprì e travolse senza mezze misure la cara Nathalie Eileen Ellis, stordendola più di quanto non fosse già.

-Visigoti...- commentò la biondina, "riavviandosi le piume".

-Al diavolo i tuoi capelli, Thalie, sei appena arrivata e già rovini una porta!- strillò Kayleigh, turbata.

-Sei scema, Kay-Layla?-

L'Irlandese rise, scuotendo la testa.

-No, Al, te l'assicuro-

Nathalie annuì, seppur poco convinta, allontanandosi saggiamente dalla porta e dalle tribù di pseudo-artisti che ogni tanto la varcavano.

Ancora non sapevano bene da che parte girarsi, tanto che sarebbero potute finire dritte contro un "Visigota" da un momento all'altro, ma infine optarono per stabilirsi accanto ad un'altra classe, chiaramente dalla parte opposta alla porta.

Kayleigh spalancò gli occhi, indietreggiando.

-Lie! Lie, quel...-

-Quel termosifone?- l'interruppe Nathalie, pensierosa -Sì, mi pare affascinante-

-Quel! Quel...ragazzo, credo-

-Oh, credi...- l'aspirante russa per eccellenza ruotò di poco la testa, cercando di capire chi diamine avesse incantato a quel modo "la rossa di Belfast".

Era un ragazzo, decisamente.

"Il ragazzo del termosifone", come l'avrebbe in seguito impietosamente soprannominato Thalie, ma pur sempre un ragazzo.

Un bel ragazzo, teoricamente.

Con due occhi persi e apparentemente scuri faceva vagare lo sguardo sulla porta che poco prima aveva "salutato" Thalie, un po' sognante un po' serio.

-Non è slavo- constatò freddamente, scrollando le spalle.

Kayleigh si voltò verso di lei, indispettita.

-Ma è...-

-Sssì, relativamente carino-

-Chissà come si chiama!-

- Fëdor no di sicuro!-

L'Irlandese alzò gli occhi al cielo, drizzando le orecchie per carpire ogni singola parola il ragazzo scambiasse con il termosifone o, più probabilmente, con il ragazzo relativamente alto e apparentemente ancora più stordito di lui che gli si era appena avvicinato.

-Huya, Stu!-

-Huga, Jo-

-Huga?- domandò Thalie, perplessa.

Huya era una forma di saluto dello scouse liverpooliano, ma Huga...il "buongiorno" caraibico, il "va a quel paese" delle Fiji?

Mistero.

-Oh, Stu...- mormorò Kay, rapita.

-E smettila, scemina! E' solo un ragazzo-termosifone! Però...-

Il "Però" di Thalie era particolarmente spettinato, quella mattina, oltre che irrecuperabilmente in ritardo, almeno secondo i suoi personali criteri, che lo portavano a correre come un indemoniato teppista dei vicoli che si fosse appena riempito le tasche di focaccine "gratuite" -sempre per i suoi personali criteri-.

Pareva confuso, di quella confusione che ti fa un po' tenerezza e un po' venir voglia di appioppare quattro schiaffi, ma ad ogni modo era oltremodo carino, almeno secondo i personali criteri di Nathalie Eileen Ellis.

-Quello potrebbe anche chiamarsi Fëdor, viste le circostanze...-

Anche lui si era affiancato al ragazzo del termosifone e all'altro stordito con gli occhiali -quello che s'era beccato l' "huga", per intenderci-, che però l'avevano guardato con un sufficienza, senza una vera e propria reazione.

Al "Però" di Thalie era quasi cascata di mano alla cartella, dopodiché aveva abbassato lo sguardo, come intimorito.

-Ragazzi...-

Il ragazzo del termosifone aveva sospirato, battendogli una pacca sulla spalla.

-Anche tu qui, Gee?-

Nathalie aveva storto il naso.

-Gee? Si chiama Fëdor, ve lo dico io!-



Note


Il primo capitolo avrebbe dovuto postarlo Beth, teoricamente.

Ma poiché io ho parlato della mattina a casa e lei comincerà -credo- dall'ingresso a scuola, oltre al fatto che la signorina è costantemente in ritardo -l'ho menata, sì, ma più di tanto non posso fare! ;)-, ecco qui il primo capitolo di Thalie.

Mi somiglia terribilmente, Nathalie.

Anche se, teoricamente, il nostro nick dice tutto. ;)

Il capitolo di Beth...è mitico, sappiatelo.

Me ne sta facendo leggere stralci improvvisati, ed è dannatamente straordinario, semplicemente.

Lei non deve saperlo, no.

Ma io adoro quello che scrive, punto.

Parlando di questo capitolo...è demente, temo.

Ci sono io che non so ancora farmi una treccia decente, ci sono io che mi potete portare via tutto -relativamente-, ma i quattro elementi di Nathalie no.

C'è il mio adorato Fëdor che, no, non poteva mancare.

C'è l'ennesima citazione di Ringo nel titolo -portata al presente per ovvi motivi-, immancabile quasi quanto Fëdor.

Ci sono Cliclì e Teo, il gatto Dostoevskijano e il petauro timoroso, le due bestiole liverpooliane delle altrettanto liverpooliane sorelle Ellis.

Ci sono il thé e i biscotti al burro che mangiavo sempre, quand'ero in Inghilterra, c'è Vincent Victor -Vincent Van Gogh e Victor Hugo, per intenderci. Anche se, beh, Vincent sarebbe anche uno pseudo-omaggio a mio nonno ;)-, ovvero Mister Ellis -un personaggio che sinceramente adoro, anche se non ancora presentato in tutto e per tutto-, c'è Kay, "la rossa di Belfast", frammento della mia adorata Dublino (non chiedetemi perché, essendo innamorata di Dublino, lei sia di Belfast. Non chiedetemelo!), e Liffey, che non è ancora entrata in scena, ma arriverà.

La "teoria dello pterodattilo" varrebbe anche per me, francamente -per Liz no, assolutamente, ma questo è, appunto, un dettaglio- , ma Liffey...oh, io l'ho costeggiato, il Liffey, sotto le mie care piogge dublinesi.

E amo i fiumi stranieri, così, a prescindere. Hanno qualcosa di magico, e il Liffey è così...irlandese, grigiazzurro, impetuoso, gonfio di pioggia.

Amerò -e spero di riuscire a farvi amare- anche la sua omonima, dunque.

Quanto all'Ufficio Promozione Petauri dello Zucchero dei Coniugi Céithlinn...parleremo anche di questo, purtroppo!

Poi...spero che vi sia piaciuto, questo capitolo.

Fateci sapere, che una vostra opinione ci farebbe tanto felici! ;)


A presto,

Thalie

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Capitolo 4
*** Uno - Beth - A hard day (senza ‘s night, che la notte almeno Beth dorme) [2/2] ***


Uno

Beth

A hard day (senza s night, che la notte almeno Beth dorme)

(2/2)

Charlotte Ampton era timida. Era la prima cosa che, inevitabilmente, si sapeva di lei appena la si guardava.

Esile e dal visino da coniglio, dimostrava molti meno dei diciassette anni. Quando era in compagnia di Nathalie questa, benché di tre anni più piccola, la superava di tutta la testa ed oltre.

Aveva una testolina piccola ed una cascata di boccoli di un castano chiaro un po spento, e due grandi occhi nocciola dolci ed a tratti un po vacui.

Era inspiegabile perché lei ed Elizabeth Ellis, la “nuova alunna” dellistituto darte di Liverpool, fossero amiche. Si conoscevano fin da piccole e Beth, con quel suo carattere apparentemente serio, pacato e responsabile si era guadagnata la fiducia di Charlotte.

E così erano rimaste buone amiche. Non si erano aperte mai completamente luna allaltra, forse perché entrambe molto riservate. Eppure si comprendevano e spesso Beth reputava che Charlotte fosse lunica ragazza intelligente della sua età che conoscesse.

Certo, cera sua sorella, che però era tanto, tanto bacata.

Era il quarto banco a destra, quello dellaula cinque. Charlotte era già lì, con il suo astuccio, i suoi colori, le matite tutte disposte in una specie di trincea. Il suo banco sembrava una cartoleria ambulante.

Elizabeth era anche lei ordinata, ma nella media. Non aveva tutte quelle matite, e tantomeno disponeva le matite nella scatola in ordine di colore.

Perciò quando atterrò poco graziosamente sulla sedia a fianco dellamica, Charlotte si ritrovò a pregare tutte le divinità pagane che conosceva affinché il suo banco non si trasformasse in una boutique, sì, ma dovera passato un elefante.

“Beth!”, sorrise la ragazza. Era contenta, e tanto, di avere qualcuno con cui condividere le sue giornate in classe.

La rossa le sorrise. Era troppo occupata a stringere in bocca un pugno di forcine, cercando di domare i ricci, e parlare le era impossibile.

“Sanguinerai, prima o poi... pensa se una di quelle mollette ti trapassasse il palato”, commentò l’amica.

“Nonfarecomemiaforella. Leimiaugufatuttelediscrafie...” tentò di rispondere Beth.

Intanto un crescente gruppo di ragazze si era avvicinato al banco della nuova arrivata. Snobbando la povera Charlotte, tutte sorrisero alla “ragazza con le forcine”, come lavrebbero chiamata dora in avanti.

“Io sono Emily!”, trillò una.

“Io Sophie!”, squittì un’altra.

“Io sono Louisanne, e spero di esserti utile! Possiamo diventare amiche, se ti va! Allora... Ragazze, che le spieghiamo sulla classe?”, disse una brunetta con un sorriso a trentanove denti.

Beth, per intavolare una conversazione e non sembrare maleducata, doveva svuotarsi la bocca. Quandebbe compiuto loperazione, sorrise alle compagne.

Charlotte sembrava essersi fatta piccola piccola e Beth, suo malgrado pensò di scrollarla.

“Beh, parliamole di lui!”, esclamò Sophie.

Era una ragazza bionda e minuta, ben fatta e con laria allegra e spigliata. A Lizzie, tuttavia, diede limpressione dessere leggermente superficiale.

Il “lui” in questione se lo immaginava benissimo. Bello, ribelle, strafottente, magari con nemmeno un neurone.

“Oh... è ovvio! Allora... Lui è John Lennon, e si siederà nel banco dietro al tuo. Tutte siamo innamorate di lui, più o meno dalla prima volta che l’abbiamo visto. Suona divinamente la chitarra, è un ribelle, è bellissimo e fa ridere tutte noi. Non è nemmeno fidanzato, ti rendi conto? Al massimo storie così, tipo... beh, lasciamo perdere!”. Louisanne aveva troncato la frase, con un mezzo sorriso.

Erano andate tutte al posto poco dopo, lasciando Beth attonita e stizzita.

“Ma chi è, questo John? Scommetto che è un cretino.”, si rivolse a Charlotte.

Questa arrossì, posando lo sguardo sulla scatola azzurra dei pennarelli.

“Ehm... Non è come credi, Liz. John è... Speciale, ecco.”, mormorò la bruna.

Ecco, perfetto. Charlotte era follemente innamorata di questo tizio, di cui Beth non sapeva nemmeno il cognome.

“Di grazia, che cosha di tanto speciale, Charlotte?”, chiese incerta la rossa. Non era esattamente sicura di volerlo sapere, ma lo domandò per semplice curiosità.

“Oh, beh… te l’hanno detto le altre, no?”

“Sì, ma mi sembri un po’ più intelligente della papera cotonata.”, la elogiò appena Beth, accennando a Louisanne.

“Beh... Non credo che la tua opinione di me sia salita tanto, dopo che ti ho confessato che mi piace”, sussurrò lei.

Charlotte poteva essere anche timidissima ed ingenua, ma era intelligente. Ed aveva capito fin troppo bene la smorfia dellamica.

“No, cioè... Dai, dimmi qualcosa su di lui!”, esclamò la ragazza.

Riprese a pettinarsi, cercando di destreggiarsi con non poco impaccio con le forcine.

“Lui è.... non è bello come dicono le altre. Cioè, per me è bellissimo, ma a te non piacerà. Suona la chitarra, e... e fuma, ti rendi conto?”.

Sembrava assurdo che alla sua migliore amica piacesse uno così.

Però... Però suonava la chitarra.

Doveva essere uno che la chitarra se la portava in giro per esibirsi. Dio, quanto lo trovava presuntuoso.

Quel John la irritava, e tanto.

Le mollette le fuggivano dalle mani, come se fossero ricoperte di sapone. Non riusciva a destreggiarsi con i capelli, quella mattina.

Doveva essere la tensione per la scuola nuova e la sorpresa nel sapere che la sua amica era invaghita di un mezzo delinquente.

La porta si spalancò. Il lungo sospiro delle ragazze accanto a lei anticiparono ciò che doveva vedere.

“Dio... Non voglio voltarmi, non voglio sapere che razza di cretino sia.”, pensò la ragazza.

Charlotte, dal canto suo, si era accartocciata sulla sedia.

“Devi... dirmi com’è vestito, e come porta i capelli. Capace che se li sia tagliati.”, mormorò questultima, torcendosi una ciocca di capelli.

“Sarà verde”, mormorò la riccia, con ancora la bocca oberata dalle forcine.

Si girò e per poco non sgranò gli occhi.

Su una cosa lei aveva avuto torto. Se lera immaginato perlomeno con un fisico possente, statuario.

Era alto, certo. Ma non spiccava né per un viso stupendo né per un corpo fantastico.

Era carismatico, ecco la prima cosa che notò Beth.

Era vestito come molti ragazzi dellepoca, ma accentuando tanto il lato teddy boy.

In quel momento, entrò lanziana professoressa Currer.

Suora di chissà che ordine religioso, insegnava da tempi immemori al Liverpool College of Art.

Era buffa, una specie di pinguino. Beth si voltò verso la cattedra, cercando di seguire la lezione.

Era sempre stata una studentessa attenta, anche un po saccente.

“Oh... Una nuova anima da salvare, god!”, esclamò la professoressa. Aveva una memoria visiva notevole, quella donna.

Perciò saccorse subito della massa indistinta di capelli color terracotta della ragazza, che nel frattempo se li era sistemata alla belle meglio.

“Oh... ehm, buongiorno...”, mormorò.

“Dimmi, anima del cielo benedetto, come ti chiami?”, chiese la donna.

“Elizabeth Ellis.”, rispose. Il suo nome, abbinato al cognome, era sempre stato un mezzo cruccio per lei.

Sembrava una sorta di presa in giro, detto così.

I suoi genitori lavevano chiamata Elizabeth senza pensarci troppo e sera ritrovata con quellabbinamento fastidioso.

Quasi non saccorse che il (non) bello e dannato sera seduto nel banco dietro al suo, fin quando Charlotte non le strinse la mano talmente forte da stritolarle le dita.

“Ti guarda...”, mormorò terrorizzata quest’ultima.

Sbirciando di sottecchi, Beth non poté che rimanere stupita. Il ragazzo la stava scrutando abbastanza vistosamente. O meglio, era intento a guardarle i capelli con unattenzione morbosa.

Lei si voltò. Per la prima volta, lo guardò negli occhi.

Avevano due sfumature quasi identiche, forse Beth li aveva un poco più verdi.

La ragazza avrebbe ricordato, molto tempo dopo, che non provò niente, ma che quello sguardo apparentemente casuale diede inizio al loro rapporto.

“Che c’è?”, domandò sforzandosi di non farsi sentire dal pinguino alla cattedra.

“Hai... Dei capelli... Terribili, ecco.”, mormorò lui.

“Non osare insultare la mia fiera fulva chioma.”, soffiò lei.

Riprese a prendere appunti ed a tentare di seguire la professoressa.

Spiegava male, malissimo. Parlava di Dio e della religione in un modo piatto, monotono, meccanico.

Beth si distrasse quasi subito, nonostante la penna corresse qualche volta sul foglio per annotare qualcosa.

Continuava a pensare alla sorella. Le mancava, quasi. Avrebbe avuto bisogno di qualcuno che la capisse.

E Natalja, come voleva farsi chiamare lei, a volte la comprendeva meglio di chiunque altro.

Durante lintervallo lavrebbe cercata, era ovvio.

E quel John... Era irritante, Dio.

Lui, di per sé, non le aveva fatto niente, a parte linsultare i suoi bellissimi capelli. Erano i sospiri delle ragazze e lammirazione incondizionata che, se nera accorta, nutrivano i suoi coetanei per lui a darle fastidio.

Ma lei era la nuova arrivata, col tempo ci avrebbe fatto labitudine.

Seguirono altre due ore di lezione. Per la prima volta in vita sua, Beth non riuscì a seguire.

Si sentiva stanca, come se avesse un peso alla testa.

Ed eccola. La campanella, sia benedetta, iniziò a strepitare.

Subito tutti si alzarono.

“Charlotte, io vado a cercare mia sorella.”, mormorò la rossa.

Uscì dallaula e si appoggiò contro alla parete. Era frastornata dai rumori, dalle voci e dalla mattina appena trascorsa.

“Ellie!”, disse una voce canzonatoria alle sue spalle.

No. No, no, no. Non lo sopportava.

Non era leroe di un libro, non era Rhett Butler, non era Elvis Presley. Perciò, in quel momento, non era degno della sua attenzione.

“Cosa c’è?”, chiese lei. Cercava di essere gentile e di mettere su un sorriso forzato.

“Elizabeth Ellis...”, il ragazzo disse quel nome guardandola dritta negli occhi.

Non aveva mai odiato tanto il suo cognome.

Quella specie di teddy boy ambulante non poteva prenderla in giro.

“Non ci posso fare niente, davvero.”, bisbigliò lei. Era abbastanza mortificata e, nonostante lo insultasse mentalmente, non riusciva a rispondergli male.

“Sei figlia unica?”, domandò il ragazzo, inaspettatamente.

“No, ho una sorella.”, rispose lei stupita.

“Oh... Allison Ellis, giusto? O Elsie Ellis, mi sembra perfetto!”, proruppe lui.

“Lei... Veramente è stata adottata. Cioè, è etiope, Latifa...”, mormorò Beth.

Non sapeva da dove le fosse uscita quella cavolata abnorme, ma ebbe la tentazione di rimangiarsela.

“Tu sei figlia della tizia che vende tisane, giusto?”, chiese lui.

“Sì, lei è mia mamma. Mi sa che la conoscono tutti, a Penny Lane.”, rispose.

“E lei è tua sorella, giusto?”, domandò lui accennando ad un gruppo di persone.

Cerano lamica irlandese di Nathalie, sua sorella e un ragazzo mai visto, della loro età.

“Già.... E quella è una sua amica, e quello è un tizio mai visto prima. Saran in classe insieme, credo...”, rispose.

“No, quello... è un ragazzino che mi adora.”, replicò freddo John.

“Pure lui?”, le uscì di getto.

“Beh, sì... Sono molto popolare, qui dentro.”, commentò.

Perché stava parlando con un tizio del genere?

Doveva troncare presto, tanto presto la conversazione.

“Capisco.”, rispose sperando che bastava a chiudere lì l’argomento.

“Quel ragazzino lì suona la chitarra di tant’intanto nel mio gruppo, sai? Perché io ho un gruppo musicale, i Quarrymen.”, spiegò.

Li aveva sentiti nominare, Beth.

“Suoniamo spesso, sai? Ci accampiamo nelle cantine, più che altro, per provare. Se ti va di...”, propose il ragazzo.

“Non mi va di venire, Dio! Io ascolto Elvis, non voi!”, esclamò lei stizzita.

“Oh, io credevo.... Che le ragazze non sapessero manco chi fosse Elvis, se non per sentito dire.”, osservò lui.

“Senti, ma perché non mi lasci in pace? Sto provando un disperato bisogno di raggiungere mia sorella, sai comè. Le voglio bene, da oggi in poi.”, e detto questo corse via.

John rimase così, a guardarla mezzo divertito.

**

(le note le scrive Martina)

Note

Eh, le note le scrivo io.

E’ originale, la Beth, da questo punto di vista.

Scrive un capitolo pseudo - straordinario, e alle note s’incanta, ma sarà un dettaglio, temo.

Beth è tanto più pacata e riflessiva di Thalie, immagino si sia capito.

Del resto, se non dà l’esempio lei…

Seria no, non ve l’assicurerei.

Ma mi vuole bene, lei.

Da oggi in poi, certo, ma ci si accontenta.

La ragazza delle forcine… Argh, è proprio mia sorella, temo.

Quanto a lei e John… Oh, è categorica, Lizzie.

Fino a un certo punto, si capisce.

Che lei e John… Avranno un rapporto strano, e tanto, tanto controverso, ma…

Son loro, e questo dice tutto.

Beh, spero -speriamo, che il capitolo l’ha scritto lei, e se ne prende le responsabilità- che vi sia piaciuto.

Fateci sapere, se vi va! ;)

Baci,

Thalie

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