Mach die Augen zu und küss mich (TORG)

di RedRevenge
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Brividi d'attesa ***
Capitolo 2: *** Meglio non sapere ***
Capitolo 3: *** Rimorso ***
Capitolo 4: *** Vaniglia amara ***
Capitolo 5: *** Anime grigio tempesta ***
Capitolo 6: *** Stavamo facendo pace. ***



Capitolo 1
*** Brividi d'attesa ***


BRIVIDI D'ATTESA

Los Angeles si iniziava a svegliare assieme a Tom Kaulitz.
Il sole sorgeva nel momento in cui il chitarrista si sfilava la maglia oversize che era solito utilizzare come pigiama e la lanciava sul pavimento bianco immacolato del bagno.
L’acqua cominciò a scorrere e il delicato rumore riempì la casa silenziosa. 
Tom  sbadigliò passandosi entrambe le mani sul volto mentre attendeva che la temperatura dell’acqua aumentasse fino a far comparire la nebbiolina di vapore nel bagno. Guardò fuori dalla finestra, con gli occhi socchiusi a causa dell’intensa luce dorata dell’alba. Non c’era molto movimento a quell’ora, anzi, probabilmente era l’unica persona di quel quartiere ad essere sveglia.
Allungò una mano nella doccia e la sua pelle fu subito bollente. Ok, poteva entrare.
Lasciò che anche i boxer andassero a fare compagnia alla maglia sul pavimento, poi con cautela entrò nella doccia, lasciando che il getto d’acqua bollente lo avvolgesse, lasciando che l’umidità prendesse il possesso dei suoi polmoni, lasciando che i suoi battiti sparissero sotto i colpi delle migliaia di gocce d’acqua che veloci cadevano sulla sua pelle, sul suo corpo.  
Reclinò la testa all’indietro, la bocca semi aperta, lasciandosi scorrere l’acqua sul volto e assaporando l’assoluto silenzio di quella perfetta mattina di metà ottobre.
- Maledizione Tom! Che ti prendano fuoco le trecce, perché non mi hai svegliato? – sbraitò un irritatissimo Bill Kaulitz spalancando la porta del bagno e sbattendo i piedi fino al WC. 
Tom lasciò che la gravità schiantasse la sua fronte sul vetro della doccia. 
Era una mattina perfetta di metà ottobre, e ora stava per diventare un’esasperante mattina di metà ottobre grazie a quella diva di suo fratello. Dopo aver vuotato la sua regale vescica Bill tirò lo sciacquone, noncurante dell’inevitabile getto di acqua bollente che si sarebbe riversato di conseguenza sulla schiena del gemello. Che si schiantò contro il vetro saltando via dal getto troppo caldo perfino per lui.
- Porca di quella … Ma sei scemo naturale o l’ossigeno t’ha bruciato gli ultimi due neuroni? –
Bill gli fece il verso e scompigliò la chioma bionda da poche settimane. Poi si sfilò la tuta con cui dormiva rimanendo vestito solo dei suoi tatuaggi.
-  E vedi di muoverti, che non sei l’unico che deve prepararsi qui. –
- Abbiamo un altro bagno, Bill. Il tuo. – Bill incrociò le braccia sul petto nudo.
- Lo sai che ho tutti i miei prodotti qui. E non sarebbe ora di depilarsi la zona … - Iniziò a parlare inclinando la testa e osservando il corpo del fratello attraverso il vetro trasparente.
- Bill, Cristo santo, smettila di guardarmi in mezzo alle gambe e vatti a fare la doccia nel tuo cazzo di bagno! – sbraitò Tom lanciandogli dei flaconi con una tale precisione da colpirlo ogni singola volta. Bill uggiolò come un cucciolo e, dopo aver raccolto i suoi prodotti extra costosi, uscì dal bagno a testa alta , dimenticandosi i vestiti sul pavimento del bagno di Tom.
Tom sospirò e tornò con la fronte sul vetro. Suo fratello l’avrebbe portato all’esaurimento.
Allungò la mano e trovò a tentoni il suo bagnoschiuma, se ne versò una dose massiccia sulla mano e ne riempì tutto il corpo, avendo cura di non lasciare nemmeno una piccola zona scoperta da quel profumo esotico e particolare che portava alla sua mente centinaia di ricordi.
Le sue mani passavano sul petto e un sorriso si aprì sul suo volto, i suoi occhi, anche se chiusi, si illuminarono. Lasciava correre i pensieri iberi, sentiva i brividi corrergli sul corpo pensando a quella giornata che sarebbe diventata perfetta alle 11.00 esatte.
Si morse il piercing mentre la sua mano scendeva ancora, guidata dalla sua mente. E il rumore del cellulare che iniziava a vibrare sul ripiano di marmo del lavandino lo fece sobbalzare.
Chi poteva avere la folle idea di scrivergli a quell’ora del mattino?
Era veramente presto, realizzò guardando il suo orologio, e uno sbadiglio quasi eterno prese il comando sui suoi muscoli facciali. Sciacquò via ogni traccia di schiuma e uscì nella nebbiolina formatasi grazie al calore. Si asciugava davanti all’enorme specchio, fissando la propria immagine riflessa e sorridendo del suo corpo. Era narcisista alle volte, addirittura vanitoso.
Era fiero di quel corpo che si era modellato senza ammazzarsi con ore e ore di esercizio.
Era fiero di quella figura perfetta che faceva sognare migliaia e migliaia di persone.
Non era modesto, per niente. Si vedeva bello. Riconosceva il potere del suo sorriso. Allenava il suo sguardo a passare dal neutro al malizioso al perverso in una frazione di secondo. Ed era sicuro al 100% di essere bravissimo a farlo. Così come era sicuro di provocare sbalzi ormonali a chiunque volesse incantare giocando col piercing al labbro. Aveva fatto della sua bellezza un’arte, e la usava a suo favore, sentendosi potente, invincibile, irraggiungibile.
Le parole di Bill gli pizzicarono un orecchio come una pulce e il suo sguardo cadde sul suo pube.
“Forse dovrei … No, ma che mi importa? E poi da quando ascolto mio fratello io?”
La sua zona X stava benissimo come stava, nessuno si era mai lamentato. E poi a lui piaceva così, fine delle storia.
Si erano fatte ormai le 07.30 e Tom capì che lo aspettavano tre ore e mezza di incubo quando dal salotto iniziò ad arrivare la musica di quel programma di esercizi mattutini con cui Bill si era fissato da un paio di settimane e che seguiva con tanto di tutina comprata apposta, fascetta da tennista in testa e scaldamuscoli di un imbarazzatissimo azzurro Puffo.
Scosse la testa e si infilò boxer e pantaloni della tuta, recuperò i vestiti dal pavimento e li gettò nel cesto apposito, poi prese in mano il cellulare e si diresse verso il salotto.
Lesse il messaggio che aveva ricevuto sotto la doccia e il suo sorriso da Sexgott illuminò il suo volto, la lingua iniziò a giocare col piercing, mentre una violenta scossa di eccitazione seguita da brividi percorse il suo corpo, facendogli odiare quelle tre ore che già gli sembravano eterne.

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Capitolo 2
*** Meglio non sapere ***


MEGLIO NON SAPERE
 

- Ricordami perché ho fatto guidare te. –
- Perché altrimenti dimentico come si fa, mi disabituo e quando tu poi stai male perché ti strozzi con una patatina e stai soffocando, svieni e ti devo portare all’ospedale, prendo la macchina, ma sono fuori allenamento, così ci schiantiamo e moriamo tutti e due. – Tom si strinse con forze il cavallo dei pantaloni ascoltando la catastrofica scusa di Bill.
Tutto quello spreco di fantasia semplicemente per giustificare la sua presenza al volante e il conseguente ritardo sulla tabella di marcia. Bill era così. Non ascoltava le indicazioni, faceva di testa sua, sbagliava strada e dava la colpa a Tom di non avergli detto dove andare.
Erano già le 10.30, sarebbero dovuti arrivare in aeroporto alle 9.30 secondo il suo programma, ma con Bill al volante le speranze di arrivare in tempo erano tendenti allo zero. E quando sbagliò strada per l’ennesima volta scesero a meno due. Tom spazientito gli intimò di inchiodare, slacciò le cinture di sicurezza di entrambi e trascinò il fratello fuori dall’auto. Bill incrociò le braccia sul petto e si rifiutò di salire al posto del passeggero.
- Ti avviso, o sali in macchina o ti lascio qui a chiedere un passaggio al primo camionista arrapato che passa. – Bill fece un verso scettico e si sedette sul guard – rail, incrociando le gambe in perfetto stile Sharon Stone. Tom scosse la testa e ingranò la marcia, facendo saltare Bill per aria.
- Non lasciarmi qui! Fammi salire! – Strillò entrando in macchina un secondo prima che Tom partisse alla volta dell’aeroporto. Bill continuò a recitare la parte dell’offeso a morte per tutta la mezzora successiva. Tom stringeva il volante e ingranava le marce con nervosismo misto a rabbia.
Il nervosismo era dato dalla paura di non essere li in orario. La rabbia, beh … Basta pensare a chi fosse seduto accanto a lui per giustificare una sana incazzatura.
L’orologio sul cruscotto segnava le 10.58 esatte mentre Tom spegneva il motore nel parcheggio dell’aeroporto e si precipitava fuori dall’auto senza preoccuparsi di chiuderla. Suo fratello faticava a tenere il passo, dato che doveva farlo dall’alto dei suoi stivali con tacco, e non si risparmiava insulti e minacce verso “l’essere con cui aveva condiviso una pancia per ben 9 mesi!”
“Sono 22 anni che ti sopporto, cosa dovrei dire io?” Pensava Tom accelerando il passo verso la zona degli arrivi.
C’era una piccola folla di persone ad attendere, qualcuno lo guardò riconoscendolo, ma la maggior parte era occupata a fissare l’uscita, dalla quale presto sarebbero comparsi amici o parenti.
Anche Tom era all’erta, tendeva il collo oltre la folla con lo sguardo fisso su quell’uscita, torturando le chiavi della macchina per scaricare il nervosismo che aveva addosso.
Erano già le 11 passate, perché non si vedeva nessuno? Perché tutto rimaneva così maledettamente calmo e immutato? Sentiva la voce di Bill lamentarsi della corsa, del mal di piedi, del troppo anticipo e di mille altre cose che sinceramente non gli importavano.
Poi una ragazza iniziò a sbracciarsi chiamando un nome, riportando Tom alla realtà. Vide che la ragazza guardava verso l’uscita e vide anche un ragazzo che si sbracciava di rimando, correndo verso di lei con l’enorme valigia trolley dietro. “Sono arrivati.”
Uscirono sempre più persone da quell’uscita, ma nessuna di quelle incrociò lo sguardo di Tom.
Sentì il cuore sprofondargli nel petto. Nessuno usciva più, se ne erano andati tutti. Mancava solo la persona che gli interessava, l’unica di cui gli interessasse.
- Fantastico! Di solito le compagnie aeree perdono bagagli, ma questa no! Questa si perde persone! – Sbraitò Bill lanciando le braccia in aria.  Tom abbassò lo sguardo, cercando di nascondere l’immensa delusione che stava prendendo il possesso della sua mente.
- Oh, era ora! – starnazzò di nuovo Bill, facendogli alzare di nuovo la testa.
Uscivano le ultime due persone, spingendo i carrelli per le valigie nella loro direzione.
Arrivavano sorridenti, ridendo e scherzando tra di loro, ma quando un paio di quegli occhi si puntarono in quelli di Tom, il chitarrista sentì le guance avvampare e un immenso sorriso aprirsi sul suo volto. Il suo cuore accelerò i battiti quando quegli occhi verdi arrivarono sempre più vicini, sempre più sorridenti.
- Pensavamo di avervi persi ragazzi! – Esclamò Bill, sorridendo e abbracciando velocemente il batterista e il bassista.
- Lascia stare, hanno fatto un casino con i documenti! – Disse Gustav sistemandosi gli occhiali sul naso. Georg annuì e dopo aver abbracciato Gustav, salutò Tom con un abbraccio carico di pacche su spalle e schiena, facendo rabbrividire il chitarrista con ogni tocco.
Bill e Gustav si allontanarono per primi, parlando del viaggio e lasciando dietro gli altri due.
Tom quasi saltellava mentre camminava, Georg non aveva smesso un solo secondo di sorridere mentre parlava di qualsiasi cosa gli passasse per la mente.
All’uscita trovarono uno stuolo di paparazzi pronti a immortalare ogni singolo secondo del tragitto fino alla macchina, ma i ragazzi sembravano non notarli nemmeno.
Erano troppo occupati a organizzarsi la serata per notare qualsiasi cosa. Non si vedevano da mesi, si sentivano solo attraverso mail, messaggi e brevi telefonate, avevano un sacco di tempo da recuperare e dovevano concentrare tutto in meno di due settimane. Questo infatti era il tempo necessario per le ultime scartoffie burocratiche prima dell’uscita del nuovo album.
Salirono in macchina sempre parlando e ridendo, allontanandosi dall’aeroporto in fretta, quasi avessero paura di perdere qualche prezioso secondo da passare assieme.
Arrivarono presto alla villa (guidava Tom) e dopo il veloce giro di presentazione della casa, i due nuovi arrivati si diressero verso la loro camera da letto, la camera degli ospiti. Li accompagnò Tom, mentre Bill andava a preparare qualcosa da mangiare al volo in cucina. Gustav lanciò velocemente i suoi bagagli sul letto e corse velocemente in bagno, lasciando soli Georg e Tom.
Il chitarrista alzò lo sguardo, lasciando che i suoi occhi si perdessero in quelli verdi che gli stavano di fronte. Si morse il labbro e infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans. Georg sorrise a sua volta, ma quel sorriso scatenò il panico nel cuore di Tom.
- Stamattina mi sono precipitato fuori dal letto come se mi stesse prendendo fuoco la casa, quando ho realizzato che giorno era. – Sussurrò Tom abbassando lo sguardo.
Georg sorrise e cominciò ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno al dito.
- Non vedevo l’ora che finissero tutte quelle ore d’aereo. – Sussurrò di rimando, fissando Tom, che alzò lo sguardo sorridendo.
- Pensavo che la sera della festa prima della nostra partenza fosse stata solo una cazzata creata dall’alcool. O almeno, che tu l’avessi vista così. – disse Tom muovendo un passo verso il bassista, che ridacchiò.
- No, non è stata una cazzata.- Tom si avvicinò di più.
Ora erano a pochi centimetri l’uno dal volto dell’altro. Tom sovrastava Georg dalla su altezza, ma inclinò delicatamente il collo per avvicinare i loro volti.
I respiri così vicini, dopo mesi, gli sembrarono l’unica fonte di calore nella stanza.
La distanza di pochi millimetri che c’era tra le loro labbra era quasi dolorosa.
Il cuore di Tom batteva come impazzito. Non sentiva altro rumore che quello dei battiti che gli rimbombavano nel cervello. Georg staccò i suoi occhi da quelli di Tom solo per posarli sulle sue labbra, e una frazione di secondo dopo i loro respiri si stavano unendo attraverso le loro bocche.
Tom credette di avere un infarto, a Georg sembrava di aver corso per chilometri.
Furono secondi eterni quelli in cui le loro labbra si cercavano freneticamente, stringendosi, allontanandosi, prendendosi di nuovo, sfiorandosi appena con la lingua e mordendo delicatamente. Tom premette il suo corpo contro quello di Georg, che però staccò le labbra dalle sue. Entrambi col fiatone, le fronti appoggiate l’una all’altra.
- Tom, maledizione. C’è anche la porta aperta. – Tom sorrise e passò la lingua sul piercing, scrollando le spalle.
- Non mi importa nulla sinceramente. – Georg sorrise, poi allontanò il volto da quello di Tom, facendosi improvvisamente serio.
- Tom hai visto le nuove notizie dalla Germania? – Tom parve confuso e Georg sospirò, maledicendosi e passandosi le mani sul volto.
- Tom mi hanno fotografato con la mia ragazza.- Tom ebbe un momento di mancamento.
- La … La tua … Cosa? -

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Capitolo 3
*** Rimorso ***


RIMORSO


Una serata come tante ad Amburgo.
Quattro ragazzi in casa da soli, la musica che fa tremare le fondamenta, i popcorn e le patatine sparsi anche sul pavimento e sul tavolo bottiglie vuote di alcolici vari.
A voler essere precisi non era affatto una serata come tante.
Era l’ultima sera dei gemelli Kaulitz ad Amburgo, l’ultima sera in cui avrebbero condiviso l’appartamento con Gustav e Georg. Avevano deciso così, avevano deciso di trasferirsi a Los Angeles, un po’ per i paparazzi, un po’ per vezzo.
Bill si stava scatenando con la Wii, giocando a Just Dance insieme a Georg, mentre Gustav assisteva ridendo e Tom osservava dal balcone, fumando una sigaretta.
Erano ubriachi persi e ne erano pienamente coscienti. Ma andava bene così, era giusto che fosse così in quella situazione tanto eccitante quanto terrificante.
Tom aspirava lunghe boccate di fumo, che lasciava andare poi lentamente, mentre i pensieri affollavano la sua testa.
Avrebbero lasciato la loro Germania, sarebbero stati lontani dalla famiglia, dagli amici.
Da quegli amici, soprattutto, con cui da anni condividevano casa, albergo, tourbus e palcoscenico, e questa era la peggiore delle cose per Tom.
Lasciare così i suoi due migliori amici, lasciare così Georg soprattutto.
Perché gli veniva in mente solo Georg? Ok, era il suo migliore amico, era quello che sapeva tutto di lui, era quello con cui poteva essere davvero sé stesso. E ora lo stava per abbandonare. Inspirò l’ultima boccata prima di gettare il mozzicone.
Non era l’idea di abbandonarlo che lo spaventava. Era l’idea di abbandonarlo insieme a quella ragazza che gli faceva gli occhi dolci da qualche tempo.
O meglio, la ragazza con cui andava a letto da qualche tempo.
Espirò il fumo con forza.
Gli dava fastidio. Un fastidio che era paragonabile solo alla gelosia, ma Tom non avrebbe mai ammesso di essere geloso di Georg.
“Suonerebbe così gay.” Si ripeteva ogni volta che quel pensiero si insinuava in testa.
Aspettò un po’ prima di rientrare, si stava così bene fuori. Osservava Bill e Georg dimenarsi all’interno. Bill faceva sembrare il ballo una cosa naturale, una cosa facile a tutti. Georg lo sorprese invece. Aveva un senso del ritmo particolarmente fine e riusciva a coordinare ogni singola fibra del suo corpo con la musica.
Ridevano come pazzi i due ballerini, a causa di alcuni movimenti di bacino decisamente imbarazzanti per loro, ma l’alcool li costringeva ad andare avanti, a ballare comunque. Tom rideva osservando i loro sederi muoversi a tempo.
Smise di ridere quando i suoi occhi si soffermarono su Georg. Sui suoi fianchi, sulla sua vita, sui suoi capelli … Dio, era incantato dal movimento dei suoi capelli.
 
Tom sdraiato nel letto rivedeva quella notte come se fosse successa il giorno prima.
Sentiva ancora il sapore di quella sigaretta appena spenta, sentiva ancora il profumo della pizza che avevano ordinato per cena, sentiva ancora la musica battere i bassi nel suoi stomaco. E sentiva ancora i suoi battiti accelerare alla vista del corpo del bassista e il suo respiro farsi più pesante e veloce. Si coprì il volto con le mani, cercando di allontanare tutti i pensieri relativi a quella serata. Cercando di dimenticare.
 
Bill vinse, come sempre. Ok, l’aveva lasciato vincere, come sempre. Sennò poi chi lo sopportava con tutte le sue menate della serie “Non ero in forma”, “Non mi piaceva la canzone”, “Hai barato” e così via. A Bill non piaceva perdere, ecco tutto.
E ora festeggiava saltellando in qua e in là per il salotto, colpendo di tanto in tanto Georg con il telecomando. Il quale rispondeva con qualche ceffone ben assestato al cantante, che nonostante tutto non demordeva.
Georg lanciò il telecomando a Gustav, raggiunse il tavolo e prese una bottiglia d’acqua, per poi bere senza preoccuparsi di usare un bicchiere.
Il bassista si passò una mano tra i capelli, spostandoli all’indietro. Era accaldato, allo sforzo di ballare bisognava aggiungere l’alcool, il caldo di quei giorni e la pizza estremamente farcita di schifezze di poco prima. Si voltò e vide che Tom era ancora fuori, nonostante avesse finito di fumare. Georg sorrise al chitarrista, mentre ancora il suo petto si alzava ed abbassava velocemente nel tentativo di riprendere fiato.
Tom gli sorrise di rimando e Georg sentendo che Bill voleva fare un’altra partita si precipitò fuori assieme a Tom, lasciando gli altri due soli all’interno.
- Tuo fratello è esasperante!- esclamò Georg ridendo. Tom sorrise e annuì, e dopo qualche minuto di silenzio estrasse un’altra sigaretta e l’accese.
Georg si allontanò di due passi, guardando male l’amico fumatore.
- Dovresti evitare di fumare così tanto. A nessuno piace baciare una bocca che sa di posacenere. – esclamò sentenzioso. Tom alzò sarcasticamente le sopracciglia, direzionando uno sbuffo di fumo proprio verso il bassista.
- Nel mio caso non ci sono pericoli, fidati. –
- Ah giusto, tu non passi dai baci, tu le spogli direttamente!- disse ridacchiando Georg. Tom annuì, senza troppa convinzione.
Tom sentiva la testa annebbiata dall’alcool e dal fumo. Georg incolpava l’alcool e la stanchezza. Entrambi stavano solo cercando un pretesto credibile per giustificare i loro pensieri di quel momento.
 
Georg si alzò di scatto dal letto e cominciò a camminare avanti e indietro.
Era in una situazione terribilmente complicata, si era andato ad incastrare tra due delle persone a cui teneva di più. Da una parte c’era lei, la sua ragazza. Dall’altra c’era Tom, amico di una vita e…
“Maledizione, non dovrebbe esserci un… Qualcos’altro!” Georg litigava con la sua stessa mente, combatteva contro prepotenti ricordi che improvvisamente si paravano davanti a lui ridendogli in faccia. Mai che gli capitasse qualcosa di buono.
Georg sospirò. Sapeva che qualche stanza più in la, fuori dalla sua, c’era Tom. E sapeva che probabilmente non stava bene, psicologicamente.
Gustav dormiva pacificamente e Georg lo osservava provando quasi invidia. Lui riusciva a dormire come un ghiro nonostante tutto. E Georg invece alla minima preoccupazione perdeva il sonno, perdeva l’appetito, combatteva con atroci attacchi di nausea nervosa e soprattutto cercava di nascondere al meglio tutto quanto.
Ma Tom aveva quell’assurda capacità di leggergli dentro; lo guardava qualche secondo, lo fissava dritto negli occhi e Georg sentiva che gli stava facendo una radiografia all’anima. E quando gli chiedeva cosa c’era che non andava, in realtà sapeva già la risposta. Georg negava spesso che ci fosse qualcosa e Tom lo consolava ugualmente, faceva comunque tutto il possibile per farlo ridere.
Tom era terribilmente empatico. Se Georg stava male, lui stava male. Se Georg rideva, lui era felice. Chissà se anche adesso sentivano entrambi la stessa cosa?
 
I loro pensieri erano speculari. Georg sentiva l’impulso di tirare a sé Tom, Tom voleva a tutti costi avvicinarsi di più a Georg.
- Georg, credi che l’alcool possa farti desiderare davvero chiunque? – chiese Tom guardando distrattamente un punto non precisato. Georg scoppiò a ridere.
- Sai quante cazzate si fanno da ubriachi? – Tom annuì sempre guardando nel vuoto.
Poi si voltò di scatto, afferrò i passanti dei jeans di Georg e lo tirò verso la ringhiera del balcone, facendo in modo che desse la schiena al vuoto sotto di loro, e senza ulteriori pensieri strinse in un bacio le loro labbra.
 
Georg tirò un pugno contro il muro, maledicendo quella sera.
Tom lanciò lontano il suo cuscino, maledicendo i suoi pensieri da ragazzina innamorata.

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Capitolo 4
*** Vaniglia amara ***


VANIGLIA AMARA
 
Nonostante fossero le tre di notte, Georg non riusciva a chiudere occhio.
I suoi pensieri facevano troppo rumore, erano troppo invadenti.
Quella notte ad Amburgo gli aveva lasciato solo qualcosa per cui valesse la pena sorridere, sentimenti sinceri, un diverso ritmo al battito del cuore.
Eppure era stata come una cometa. L’aveva emozionato per quella notte, poi il giorno dopo era solo un bel ricordo. Tom era partito e lui era rimasto solo coi ricordi.
I giorni erano diventati mesi e la presenza di quella ragazza era diventata indispensabile per lui. La guardava dicendole che lei era tutto per lui, mentre dentro sanguinava per quelle spudorate menzogne. Lei era indispensabile solo per non affogare, solo per non crollare sotto il peso del ricordo di quella notte.
Era una mano tesa dal bordo dell’abisso, chi non l’avrebbe afferrata?
Le notti nel suo letto con quella ragazza erano notti infinite, notti che non facevano altro che aprire ferite sempre più profonde.
Mentiva, mentiva sempre di più.
Sussurrava il suo nome, ma pensava a quel bacio.
Baciava le sue labbra, ma sentiva il vento che aveva sentito su quel balcone.
Sentiva freddo accanto a lei, ma non voleva lei per scaldarsi.
Lei era felice. Sembravano entrambi felici, anche Georg si iniziava ad illudere che in fondo era meglio così. Che era perfetto, che andava tutto bene.
No, non andava bene un cazzo, ma sarebbe migliorato. Doveva migliorare.
Altre settimane, altri baci, altre bugie.
Il sapore delle labbra di Tom svaniva lentamente dalla sua mente.
Il calore del corpo del chitarrista premuto contro il suo era un vago ricordo.
Il suo cuore aveva ricominciato a battere col solito ritmo.
La stringeva a sé sempre più forte e in fondo era lo stesso che stringere chiunque altro, era lo stesso che stringere Tom.
Lei gli aveva chiesto se la loro fosse una relazione, lui aveva risposto sì senza esitare.
Forse senza pensare.
Gliel’aveva chiesto davanti a tutti, avendo cura da farsi sentire dai paparazzi, nell’unica volta in cui avevano osato mostrarsi in pubblico assieme.
Le foto in una settimana erano diventate le più cliccate del web, le ragazzine si disperavano, e lei non faceva altro che chiamare Georg per aggiornarlo su ogni singolo, maledetto giornale in cui comparivano le loro foto.
Poi la chiamata di Tom, l’invito a Los Angeles. Per due settimane i Tokio Hotel sarebbero stati di nuovo riuniti, sarebbe stato tutto come sempre.
In aeroporto Georg l’aveva salutata con un bacio sulla guancia e si era allontanato in fretta, sotto lo sguardo inquisitore di Gustav. Aveva scritto a Tom quello che gli era passato per la testa, senza pensarci due volte. Poi aveva spento il cellulare, nella speranza di riuscire a spegnere anche il cervello.
Ora non riusciva a credere che fosse successo tutto per davvero.
La sera ad Amburgo, i mesi con quella ragazza, le labbra di Tom di nuovo sulle sue.
Era tutto così maledettamente assurdo e privo di senso.
Gustav dormiva beatamente, come tutti in quella casa. Georg si alzò e si diresse verso la cucina, a caccia di qualsiasi cosa che contenesse alcool.
Ognuno ha i suoi antidolorifici. Dolci, cibo spazzatura, sesso senza amore, fumo, alcool. Georg finora aveva rifiutato solo il fumo.
Nel gigantesco frigorifero della cucina trovò solo una bottiglia di birra, della marca che più detestava al mondo, ma era meglio che niente. Cominciò a cercare ovunque un apribottiglie, senza successo.
- Scommetto che nel cassetto in basso trovi qualcosa di interessante.- La voce di Bill lo fece sussultare. Cercò nell’ultimo cassetto in basso e trovò subito quello che stava cercando. Aprì la bottiglia e fece cenno a Bill per chiedere se ne volesse.
Bill scosse la testa e si avvicinò alla mensola appena sopra la testa di Georg per tirarne fuori una scatola di metallo pieno di bustine di the e infusi. Mise una tazza di acqua a scaldare nel microonde e si girò a guardare Georg, appoggiato al bancone della cucina. Georg lo guardò da sopra la bottiglia, ma nessuno disse nulla.
Il microonde annunciò di aver compiuto il suo dovere e Bill tirò fuori la tazza, buttandoci dentro una bustina di the che iniziò ad emanare profumo di vaniglia.
Vaniglia.
Era il gusto preferito di Tom.
Era il profumo della stanza di Tom.
Era il profumo che Tom cercava sul corpo di ogni ragazza.
Era il profumo che aveva Tom addosso dopo il sesso.
Georg strinse la bottiglia prima di appoggiarla con troppa forza sul tavolo.
Bill girava il the con un cucchiaino. Tolse la bustina, aggiunse dello zucchero e continuò a girare, aspettando che arrivassero le parole del bassista.
- Da quando bevi roba così da frocio? – lo apostrofò Georg. Bill alzò gli occhi al cielo e appoggiò la tazza sul bancone.
- Lo sai che mio fratello adora qualsiasi cosa che sia con della vaniglia. –
- Anche Tom è sveglio? – Bill annuì.
- è tutta la notte che parliamo. Ha qualcosa, ma non riesco a capire cosa. –
- Potrei … Potrei provare a parlargli io. – Bill si irrigidì e strinse la tazza di Tom.
- Io sono suo fratello. Sono il suo gemello. Se non dice una cosa a me non la dice a nessuno. – Georg sospirò.
- Bill, forse è qualcosa che non puoi capire. –
- Qualcosa che non … Scusami? – Bill stava diventando rosso in viso per la rabbia.
- Bill non puoi pretendere di entrare sempre nella sua testa! –
- Io sono il suo gemello. Io sono lui! Non c’è mai stato niente, NIENTE, che Tom non mi abbia confidato! E arrivi tu a pretendere di prendere il mio posto! –
- Io sto solo dicendo che forse … -
- Non importa! Non mi importa nulla! Prendi quella tazza e portagliela tu. In fondo sei tu che hai studiato psicologia, no? Ecco, vai a psicanalizzarlo tu. Io me ne vado a dormire. – Bill si allontanò quasi correndo dalla cucina. Fantastico.
Georg guardò la tazza, sapendo a cosa doveva andare incontro.
La prese delicatamente, come se avesse paura di quello che rappresentava, poi si diresse verso la stanza di Tom. Bussò delicatamente e poi entrò.
Tom spalancò gli occhi. Gli occhi rossi e lucidi.
Georg deglutì a fatica a quella vista. Tom piangeva.
- Bill … L’ha fatto lui, ma l’ho portato … L’ho portato io per lui. – Georg si sentiva un idiota, parlava guardando la tazza fumante per non guardare Tom.
- Grazie. – La voce roca di Tom si impossessò del suo petto, stringendolo.
Georg si avvicinò al letto di Tom e gli porse la tazza. Tom la prese, sorseggiando lentamente il the bollente.
- Sei venuto con l’intenzione di dire qualcosa Georg? – Tom sussurrava guardando il pavimento. Georg non seppe rispondere.
- Perfetto. Grazie del the, puoi anche andartene ora. –
- Tom, ma io … -
- Vattene Georg. – La voce di Tom era ferma, i suoi occhi sempre più lucidi facevano bruciare quelli di Georg, specchiandocisi dentro. Il bassista inspirò a fatica e si allontanò. Era sulla porta, ma la voce di Tom non lo fermò.
Chiuse la porta, ma niente cambiò. Nessuno corse incontro a nessuno.
Appoggiò la schiena alla porta e chiuse gli occhi, permettendo per la prima volta alle lacrime di uscire.

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Capitolo 5
*** Anime grigio tempesta ***


ANIME GRIGIO TEMPESTA
 
Il cielo sopra Los Angeles era grigio, pesante e prometteva pioggia da li a poche ore.
Tutto sembrava tacere, nulla osava disturbare l’assoluto silenzio imposto dalle nubi scure che si avvicinavano lente e minacciose.
Anche nell’abitacolo dell’auto in cui viaggiavano i quattro ragazzi il silenzio era assordante. Nessuno osava aprire bocca, tutti guardavano fuori, la strada.
Gustav si godeva il silenzio osservando interessato il paesaggio completamente nuovo.
Tom fissava annoiato una macchia sul finestrino.
Bill si muoveva nervoso sul sedile, incapace di sopportare quel silenzio.
Georg giocava con un elastico per capelli, senza mai staccare gli occhi dalle sue dita.
L’autista non riusciva a credere alle sue orecchie. Per un momento aveva creduto di essere diventato sordo. In soli due giorni che erano arrivati gli altri due componenti della band aveva sopportato abbastanza urla, risate, canzoni, battute sconce e chissà cos’altro da fargli venire voglia di cambiare lavoro e diventare cavia da laboratorio; tutto piuttosto che sopportarli per un’altra giornata.
E invece oggi erano tutti zitti, tutti tranquilli e persi nei loro pensieri.
“Avranno preso qualche bella sbronza ieri sera. Bei tempi quelli.” Pensò guardandoli dallo specchietto retrovisore e poi sorridendo.
Arrivarono allo studio di registrazione e nemmeno David Jost riuscì a capacitarsi dell’incredibile miracolo che aveva finalmente zittito quelle quattro scimmie.
Bill sbatteva borsa, fogli, penne, bottiglie e bicchieri ovunque, segno di nervosismo, ma nessuno sembrava farci caso. Allora iniziò a dare colpetti di tosse, poi a tossire più forte, arrivò al punto di fingere di strozzarsi, ma ci rimediò solo un pugno nella schiena dal gemello.
- Ok, ora qualcuno mi dice che sta succedendo!- esclamò mettendo le mani sui fianchi e guardandoli tutti con un sopracciglio alzato. Gustav si tolse finalmente le cuffie e tornò alla realtà. Tom e Georg continuarono a guardare a terra, uno alla sua sinistra e l’altro alla sua destra. Bill richiamò la loro attenzione chiamandoli coi loro nomi completi. Tom sbuffò e gli girò le spalle, mentre Georg alzò gli occhi e lo guardò.
- Avete litigato? Cos’è successo tra voi due? –
- Niente, Bill. Niente di che. – rispose Georg sperando di far cadere il discorso.
- No! Voi avete qualcosa! E adesso me lo di…-
- Insomma Bill, fatti i cazzi tuoi per una buona volta!- gli urlò in faccia Tom.
- Sempre a immischiarti nelle mie faccende, cazzo, impara a farti gli affari tuoi! Se nessuno te lo dice forse è perché non te lo vogliamo dire! Dio santo, non ci vuole tanto a capirlo! – Gli occhi di Bill si riempirono istantaneamente di lacrime.
- Ma io…-
- “Io voglio solo aiutarti, sei mio fratello” bla bla bla. Questa faccenda non ti riguarda ok? Stanne fuori e basta!- Le lacrime ora scendevano nere di eyeliner sul volto di Bill, ma lo sguardo di Tom non accennava ad addolcirsi.
- Andatevene tutti a fanculo.- Sbottò il chitarrista prendendo un pacchetto di sigarette e uscendo dalla stanza, facendo sbattere la porta.
Bill con una mano sulla bocca cercava di arginare i singhiozzi e le lacrime. Georg sapeva che piangeva per la rabbia, più che per il dolore.
A Bill non piaceva essere trattato male, lo feriva nell’orgoglio. Soprattutto quando non se l’aspettava, altrimenti era una vera regina del dramma e del litigio all’ultimo urlo.
Georg sospirò e si avvicinò a Bill, stringendolo a sé.
- Bill, è solo… Nervoso… Non avercela con lui.- Ma Bill continuava a piangere senza un apparente motivo. Georg guardò Gustav, ma nessuno dei due sapeva bene come comportarsi a riguardo. Finalmente Bill si calmò e dopo essersi asciugato le guance, uscì a passo di marcia per cercare il gemello. Georg e Gustav ebbero paura per Tom.
- Come hai OSATO parlarmi così? Davanti a loro? Davanti a TUTTI QUANTI?!- Bill urlava come un ossesso avvicinandosi a Tom, che invece lo ignorava fissando dritto davanti a sé. Bill continuò a strillare per un pezzo e Tom continuò ad ignorarlo.
Aveva troppo casino in testa, non aveva voglia di pensare a nulla. Quell’idiota di Georg faceva il prezioso mentre lui aveva passato quelle ultime settimane a farsi film mentali assurdi prima sul suo arrivo e poi sul tempo che avrebbero dovuto passare assieme. Ora tutti quei pensieri sembravano così infantili e stupidi.
Bill smise finalmente di strillare e Tom si girò a guardarlo.
- Scusa. Starò più attento alle parole d’ora in poi.- Rispose senza aver sentito una sola parola uscita dalla bocca del gemello pochi secondi prima.
- Ti conviene.- Sentenziò Bill prima di tornare insieme agli altri due.
Tom sospirò e si accese un’altra sigaretta. Aveva bisogno di distrarsi. Di spegnere il cervello per dieci minuti. Dieci minuti, non chiedeva altro.
 
Il chitarrista morse il labbro inferiore della ragazza, facendola gemere più forte.
Le sue mani stringevano gli esili polsi di lei, mentre i loro respiri erano affannosi e carichi di sussurri e gemiti. La mente di Tom era così piena di rabbia e chissà cos’altro da non lasciar spazio alla razionalità e al buon senso in quel letto.
Era mosso dalla rabbia, voleva sentirla urlare, voleva che provasse dolore.
Dolore, quel dolore che lui provava nel cuore, voleva che lei lo sentisse su tutto il suo corpo. E così mordeva, stringeva, faceva di tutto pur di riempire quella notte di dolore e piacere fisico. Voleva svuotare la mente, voleva che il suo corpo fosse impegnato affinché la sua mente potesse trovare pace, ma non c’era modo di levarsi il ricordo di quei maledetti occhi verdi dai pensieri.
Non riusciva a farle abbastanza male e non riusciva a raggiungere il maledettissimo orgasmo. Lasciò andare i suoi polsi, si alzò dal letto e iniziò a cercare in giro i suoi vestiti.
- Si può sapere che cazzo ti è preso?- Strillò lei, ora seduta sul letto.
- Mi chiami nel cuore della notte, mi ansimi quattro parole arrapate al telefono e quando arrivo qui non ti degni neanche di fare le cose fino in fondo. Che razza di frocio!- Tom non si controllò e in un attimo era davanti a lei e la sua mano si schiantò con un rumore atroce sulla sua guancia. Era solo uno schiaffo, ma tutta la rabbia che c’era dietro a quello schiaffo, lo facevano sembrare una coltellata.
- Non osare mai più chiamarmi frocio! MAI PIU’!- lei lo guardava ad occhi sbarrati, con una mano sulla guancia colpita.
- E ora vedi di portare quel tuo culo da troia fuori da questa casa!- continuava a urlarle addosso, mentre le lanciava i suoi vestiti. Lei si rivestì continuando a urlare insulti e uscì di corsa, preoccupandosi di sbattere tutte le porte. Tom vide che il cellulare della ragazza era rimasto sul pavimento, lo raccolse e con un urlo lo lanciò contro la parete, vedendolo crollare in pezzi. Era senza fiato, senza forza, senza speranza, senza nulla. Si trovò a fissare i pezzi del cellulare sul pavimento, poi le coperte stropicciate. Sentì quell’odioso profumo dolcissimo e nauseante della ragazza e la testa iniziò a girargli. Dovette sedersi sul letto dove, con la testa tra le mani, per la prima volta dall’inizio di quell’inferno, scoppiò a piangere.
 
Dall’altra parte della porta, Georg rimaneva immobile, incapace di sostenere il suono delle lacrime e dei singhiozzi di Tom, incapace di affrontare quella situazione di cui lui, solo lui, era colpevole.
 
Dall’altra parte del muro, Bill scuoteva la testa e combatteva contro sé stesso, senza decidere se continuare a mostrarsi offeso col fratello, oppure correre dall’altra parte e abbracciarlo.
 
Al piano di sotto, Gustav sedeva al tavolo della cucina, sorreggendosi la testa con entrambe le mani. La follia aleggiava in quella casa e lui, come chiunque, non ci stava capendo più nulla.

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Capitolo 6
*** Stavamo facendo pace. ***


Capitolo 6
 
Era il giorno del photoshoot e nessuno dei ragazzi era minimamente presentabile.
Tra occhiaie e musi lunghi non davano proprio l’idea di una band entusiasta di presentare al pubblico un nuovo album.
David Jost, il loro manager, appena li vide si lasciò sfuggire un sospiro di sconforto.
Ci mancava solo quello.
- Ragazzi, posso capire che vi siate dovuti svegliare presto, ma così è troppo. –
Quattro paia di occhi arrabbiati lo incenerirono e David si limitò a scuotere la testa e andarsene, lasciando che le truccatrici compiessero il loro lavoro.
Georg e Tom si sedettero il più lontano possibile l’uno dall’altro, lasciando Bill e Gustav soli e costretti a subire quell’atmosfera soffocante.
Bill si muoveva nervoso sulla sedie, incurante del mascara che gli era finito nell’occhio già due volte, facendolo lacrimare tanto da sciogliere il trucco.
- Gustav, dobbiamo fare qualcosa. Io non sopporto questa situazione. –
- Se riesci a fargli dire che cosa hanno, volentieri. –
- Deve essere qualche questione di cuore. – Sentenziò Bill con lo sguardo pensieroso.
- Tutte le volte che Tom ha problemi sentimentali diventa scorbutico come un orso affamato e si affoga nel the alla vaniglia. E soprattutto, non me ne vuole parlare- Le ultime parole suonarono come una minaccia di morte. Guai nascondere qualcosa a Bill Kaulitz. Gustav annuì a quelle parole.
- Non riesco a capire cosa c’entri Georg. Dopotutto sono amici, come lo siamo tutti. Non capisco perché Tom si accanisca così contro di lui.-
- Avrà fatto qualche considerazione stupida.-
- Georg non è così idiota da essere insensibile, soprattutto in situazioni come quelle di cuore.- Bill annuì e tornò nel suo status pensieroso.
Gustav guardò Tom. Stava seduto davanti allo specchio con uno sguardo così incazzato da farlo incrinare. Teneva le braccia incrociate sul petto, con i  pugni tanto stretti da farsi diventare le nocche bianche. E si mordeva in continuazione il piercing, non lo lasciava fermo nemmeno un secondo.
Si voltò poi verso Georg. Stava seduto con le spalle basse, piegato in avanti, attorcigliando senza sosta sempre la stessa ciocca di capelli al dito. Aveva il labbro inferiore quasi spaccato da tanto se l’era morso per il nervosismo, o la rabbia, o entrambi.
Erano strani, molto strani. Era già capitato che litigassero, ma non era mai durato più di qualche giorno. Quei due ormai non si parlavano da una settimana e non davano nemmeno segni di cedimento. Si era eretto una sorta di muro alto kilometri e spesso vari metri, con tanto di filo spinato in cima. E nessuno dei due sembrava disposto nemmeno ad avvicinarsi a quel muro, figurarsi scavalcarlo.
- E’ troppo strano Gustav. Troppo.-
- Sto iniziando a sospettarlo anche io Bill.-
 
Georg lasciò andare la ciocca di capelli e alzò lo sguardo verso lo specchio, incrociando il suo stesso sguardo nel riflesso. Aveva delle occhiaie mostruose, le borse sotto gli occhi, gli occhi rossi dalla mancanza di sonno e le labbra che sanguinavano per il troppo morderle.
La cosa peggiore era non sapere cosa stesse succedendo.
Non capiva cosa provava per Tom, non capiva cosa provava Tom per lui.
Erano stati lontani talmente tanto tempo che si era quasi dimenticato di lui e di quella notte ad Amburgo.
No, inutile dire cazzate. Non si era affatto dimenticato di quelle labbra unite alle sue.
Non si era affatto dimenticato del battito accelerato del suo cuore, che sembrava voler uscire dal petto.
Si voltò verso Tom e lo vide lontano, lo sentì lontano. Non poteva sopportarlo.
Si alzò e si avvicinò a grandi passi al chitarrista.
- Dobbiamo parlare.- Tom voltò lo sguardo verso di lui e Georg sentì di aver appena commesso la cavolata del giorno. Non doveva parlargli.
Tom si alzò in silenzio e lo guardò.
- Prego.-
- Non qui.- Tom annuì e lo seguì poco lontano dagli specchi, sotto lo sguardo ansioso di suo fratello, che per poco non si ribaltava dalla sedia.
Georg lo guardò nuovamente negli occhi.
- Tom è inutile fingere che non sia successo niente tra noi.-
- Io non fingo. Non ho mai finto. Sei tu che hai preferito quella… Quella… Insomma, lei a me!-
- Cosa dovevo fare? Te ne eri andato! Io ero solo e lei era sempre gentile con me.-
- Quindi ti sei sentito in dovere di andarci a letto?- Georg abbassò lo sguardo. Alla fine era solamente colpa sua.
- Anche tu ieri sera ti sei consolato per bene.-
- Era la prima volta, dopo quella notte, che andavo a letto con qualcuno.-  Georg lo guardò incredulo e si lasciò scappare una risata.
- Tu non riesci a tenertelo nei pantaloni per più di due ore Tom.- Lo sguardo di Tom si rabbuiò improvvisamente. Poi gli rivolse un sorriso. Un sorriso amaro, cattivo.
Tom sentì che doveva zittirlo, in qualche modo. Fargli rimpiangere quelle parole.
Fargli cambiare idea su loro, su tutto. E per lui era così facile. Lo era sempre stato.
Gli si fece vicinissimo in un istante e tenendolo per i capelli sulla nuca lo tirò a sé e cominciò a baciarlo con foga, con rabbia. Georg cercava di liberarsi da quel bacio. Insomma, potevano vederli tutti.
Tom fece pressione sul corpo del bassista spingendolo contro la parete, tenendolo per i polsi. Georg spostò il volto da quello di Tom e l’altro cominciò a baciarlo sul collo.
- Che cazzo stai facendo Tom?- chiese col fiato corto Georg. Tom si staccò e lo guardò negli occhi.
- Come hai detto tu, non riesco a tenerlo nei pantaloni per più di due ore. E ora tu sei qui, perché non approfittarne?- Il cuore di Georg accelerò in modo bizzarro.
Non era paura. Non era rifiuto. Era…
Eccitazione?
Le labbra di Tom tornarono in collisione con le sue e sentì i suoi denti morderle e tirarle. Una mano di Tom lasciò il polso di Georg, raggiungendo invece la sua cintura.
Georg si riscosse e lo spostò con forza.
- Sei impazzito. Completamente impazzito.- esclamò col fiatone, rosso in viso.
Tom gli sorrise e la sua lingua cominciò a muovere il piercing.
- Come se ti fosse dispiaciuto.- Georg deglutì e si sistemò i capelli tutti scompigliati.
In quel momento arrivò Bill, che li guardò entrambi perplesso.
- Tutto bene ragazzi?- Tom gli sorrise.
- Tranquillo Bill. Stavamo facendo pace.- Gli occhi di Georg si sgranarono e Bill si fece ancora più sospettoso e confuso. Ma preferì non dire altro.
Avevano fatto pace, questo era l’importante per lui.
Appena si fu allontanato, Tom tornò a fissare Georg.
- Ancora sicuro di volere quella ragazza?- Georg ispirò a fondo e non rispose.
Tom gli si avvicinò e con la scusa di un abbraccio, gli sussurrò all’orecchio:
- Se passi da camera mia stanotte ti do un’altra buona ragione per dimenticarti il suo nome.- Georg smise di respirare quando dopo quelle parole Tom gli morse delicatamente il lobo dell’orecchio e con un sorriso si allontanò.
Georg rimase con la schiena appoggiata al muro e il cuore che batteva all’impazzata.
Cosa era successo? E soprattutto, cosa sarebbe successo con Tom quella notte?

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