Aldebaran

di A z r a e l
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Nota dell'autrice: Salve a tutti. Questa è la mia prima fiction totalmente inventata da me e totalmente scritta da me, spero che possa piacervi, mi farà sicuramente piacere leggere le vostre recensioni, se ce ne saranno. Nei primi capitoli non accadrà molto, ma spero di riuscire a incuriosirvi a sufficienza! Grazie per esservi fermati a leggermi (:
 

Aldebaran

Capitolo 1


Stavo correndo, anzi, stavo fuggendo. Non so da cosa stessi scappando, ma dentro di me sapevo che era questione di vita o di morte.
Non riuscivo a vedere nulla, le tenebre mi opprimevano, l’unica cosa che mi guidava era un tenue bagliore davanti a me.
Non so da quanto tempo stessi correndo, non so neanche dove fossi, so solo che ad un certo punto inciampai e caddi nel vuoto.
Quando mi rialzai ero in mezzo ad un prato, avevo il respiro affannoso e avevo caldo, la mia chioma rosso fuoco era madida di sudore e alcune ciocche mi si appiccicavano alla pelle.
Mi guardai in giro, ma non c’era niente all’orizzonte, così, lentamente, mi voltai e vidi un ragazzo con i capelli castani che mi dava le spalle. Sapevo chi fosse ancora prima che si girasse verso di me. Ormai lo incontravo tutte le notti, era sempre con me in qualche modo.
Si voltò e i suoi occhi color cioccolata si fissarono nei miei verde smeraldo.
Mi sorrise.
Poi accadde tutto molto in fretta. Una luce scarlatta apparve dietro di lui, si voltò e vi si gettò in mezzo. Scomparve in pochi secondi insieme al bagliore. Rimasi sola a fissare il vuoto.
Mi svegliai di soprassalto nel mio letto, senza rendermene conto stavo tremando.
Avevo freddo.

Mi rigirai a lungo quella notte, tentando di scaldarmi in qualche modo. Ma il freddo sembrava essermi entrato nell’anima.
Riuscii ad addormentarmi solo quando i primi, tenui, raggi del sole cominciarono ad accarezzarmi la pelle.
Purtroppo però non ebbi la possibilità di dormire a lungo, infatti erano le 7:30 quando sentii la voce di mia madre che mi chiamava.
-Bryn! Alzati subito! Tuo fratello ha un appuntamento importante, non possiamo fare tardi!-
Avevo totalmente dimenticato che quel giorno mio fratello, anzi fratellastro, aveva un appuntamento con il futuro. A dire il vero neanche mi importava.
Lentamente scesi dal letto e mi cambiai, infilai le scarpe e andai allo specchio.
Guardai per un po’ il mio riflesso, gli occhi verdi come smeraldi mi fissavano, la pelle candida come la neve e i lunghi capelli rossi, mossi com’erano sembravano lingue di fuoco. Era stato proprio il mio aspetto a far fuggire mio padre tanti anni prima, nessuno nella sua famiglia o in quella di mia madre mi somigliava, neanche lontanamente, si convinse che mia madre l’aveva tradito e se ne andò. Avevo tre anni quando accadde, da quel giorno perfino mia madre cominciò a detestarmi.
Distolsi lo sguardo dalla mia immagine e mi guardai attorno. La camera in cui dormivo non mi rispecchiava, troppo altisonante per essere davvero mia.
Tuttavia non potevo fare nulla per cambiare le cose, vivevo in quella casa da quattordici anni, era stupido anche solo pensare che qualcosa potesse migliorare.
Mi riscossi e andai al piano di sotto, in cucina. Naturalmente non c’era nessuno, se n’erano andati senza aspettarmi.
Sul bancone c’erano due fette di pane tostato e un biglietto, era per me.
Addentai una fetta ormai fredda e lessi.
“Io, tuo padre e tuo fratello siamo usciti. Non torneremo prima di sera, non aspettarci. La prossima volta sii puntuale. Mamma”
Mandai giù il boccone e restai a fissare la grafia storta di mia madre. Avevo smesso da tempo di piangere per il suo comportamento nei miei confronti, non mi importava neanche più che tentasse di convincermi che Edmund e Nick fossero davvero mio padre e mio fratello, quando non condividevamo neanche una goccia di sangue. Ci avevo fatto l’abitudine, ormai.
Probabilmente non lo sapevano, altrimenti mi avrebbero sicuramente aspettata, ma mi avevano regalato una giornata che sarebbe stata davvero tutta mia. A quel pensiero sorrisi.
Gettai il biglietto e i resti della colazione nel cestino, poi salii in camera mia a prendere la borsa.
Vi avevo già messo dentro qualche libro e un asciugamano in attesa di un giorno come quello.
Tornai in cucina e presi qualcosa da mangiare dal frigorifero e afferrai anche una bottiglia d’acqua, poi, di corsa, uscii e andai verso il bosco dietro casa.

Era una giornata stupenda di inizio agosto, il sole filtrava dolcemente tra le fronde degli alberi.
Dopo quasi un quarto d’ora di cammino giunsi in prossimità del lago. Era il mio rifugio preferito, nessuno andava mai lì, e almeno in un posto al mondo mi sentivo in pace e a mio agio, finalmente libera.
Stesi l’asciugamano lungo la riva, mi tolsi le scarpe e mi sedetti con la schiena appoggiata ad un albero.
Presi uno dei libri dalla borsa e mi misi a leggere.
Non so da quanto tempo fossi lì, ma improvvisamente, alzando gli occhi dalle pagine, notai uno strano bagliore che proveniva dal centro del lago. Inizialmente pensai che fosse il riflesso del sole, ma poi mi resi conto che il bagliore era scarlatto. Battei alcune volte le palpebre, incapace di credere che potesse essere reale, qualche istante dopo la luce scomparve così come era arrivata. Scossi la testa, probabilmente avevo solo dormito troppo poco.
Cercai di convincermi che fosse così e ripresi a leggere.
Qualche attimo dopo sentii un battito di ali, alzai gli occhi al cielo e qualche secondo dopo un uccello si posò davanti ai miei piedi. Era Dermatt, il mio falco, il mio unico amico.
Allungai la mano verso di lui, si avvicinò e gli accarezzai la testa.
-Ehi, hai fame piccolo?-
Inclinò la testa e mi fissò, gli sorrisi e presi un contenitore dalla borsa, lo aprii e gli porsi uno dei pezzi di carne che conteneva.
In pochi secondi Dermatt aveva già finito la sua razione.
Guardai assorta il mio falco, era con me da quando avevo quattro anni, dalla prima notte che avevo passato nella casa del mio patrigno.
Ricordavo ancora perfettamente quella notte, ero spaventata e non riuscivo a dormire, così spalancai la finestra ed andai sul balcone, per cercare conforto nelle stelle. Con la punta delle dita dei piedi sfiorai qualcosa, mi chinai e lo vidi, era Dermatt così piccolo e impaurito, aveva un’ala rotta. Lo portai in camera e lo accudii. Bastò un attimo, per pochi secondi i nostri occhi si incontrarono, vi lessi la stessa paura e lo stesso smarrimento che c’era nei miei. Da quel giorno fummo inseparabili e non mi lasciò neanche quando fu completamente guarito. Erano passati più di quattordici anni da quella notte.
Il mio rapporto con Dermatt aveva fatto in modo che le persone mi etichettassero come “strana”, mia madre, Edmund e Nick lo odiavano e allo stesso tempo lo temevano, i miei compagni di scuola mi evitavano perché pensavano che fossi totalmente fuori di testa ad andare in giro con un falco libero sulla spalla, ma a me non importava di tutto questo, perché quel falco era insieme il mio migliore amico e la mia famiglia, il conforto che quelle persone non avrebbero mai potuto essere.
Lentamente lasciai andare i ricordi e tornai al presente, mi abbracciai le ginocchia, Dermatt si appollaiò sulla mia spalla. Insieme guardammo la superficie del lago in attesa di qualcosa, forse di una risposta.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Nota dell'autrice: Ancora non succede niente in questo capitolo, almeno, niente di particolarmente interessante, le cose cominceranno a svelarsi dal terzo capitolo in avanti. Ma se siete arrivati fin qui vuol dire che in qualche modo sono riuscita ad incuriosirvi, e ne sono davvero tanto felice (: Grazie mille a tutti coloro che proseguiranno nella lettura!
 

Capitolo 2


Rimasi così, in attesa, per un paio d’ore, senza muovermi, senza parlare, come se qualsiasi mio movimento potesse far sfuggire qualche dettaglio, qualche risposta. Ma non accadde nulla. La superficie del lago non si muoveva, veniva solo increspata debolmente dalla leggera brezza che mi sollevava i capelli. Nessun bagliore ricomparve, nulla, calma totale.
Nella mia immobilità non mi ero neanche accorta che Dermatt era volato via, probabilmente annoiato da quell’assenza di movimento.
Cercai di riscuotermi, era stupido passare la giornata di libertà a fissare il vuoto. Così mi alzai in piedi e andai a fare una passeggiata.
Camminavo scalza tra gli alberi, era piacevole sentire sotto le piante dei piedi la vita del bosco, mi faceva sentire parte di qualcosa. Si alzò una folata di vento. Mi fermai. Alcune foglie secche mi vorticarono intorno, inspirai profondamente godendomi la carezza dell’aria sulla pelle. Era per momenti come questi che adoravo starmene da sola al lago, solo io e la natura, solo questo, nessuno che potesse disprezzarmi o criticarmi, un luogo in cui potevo essere davvero me stessa.
Continuai la mia passeggiata assaporando ogni attimo, ogni cosa. Pochi minuti dopo raggiunsi una piccola radura, al centro della quale c’era un grosso masso con la superficie piatta. Mi ci sdraiai sopra, il freddo della roccia era piacevole sulla schiena. Rimasi così, a fissare il cielo tra le fronde degli alberi, poi mi addormentati.

Mi sembrava di cadere, c’era solo oscurità attorno a me, ero in preda al panico, poi mi accorsi che avevo gli occhi chiusi. Li aprii.
Mi guardai attorno, ero nel cuore di una foresta, ma non era il bosco dietro casa, gli alberi erano strani, diversi, non ne avevo mai visti di simili. Era bellissimo, ma nell’aria aleggiava un senso di pericolo.
Cosa ci facevo lì? Come ci ero arrivata? Perché avevo paura? Poi capii. Era un sogno.
A pochi passi da me, su di una roccia, era seduto il ragazzo dai capelli castani.
Sembrava tranquillo, o forse rassegnato.
-Chi sei?-
Non potevo non chiederglielo, non dopo averlo incontrato tutte le notti negli ultimi mesi.
Non mi rispose.
-Dove siamo?-
Almeno a quella domanda poteva rispondermi, e lo fece.
-Siamo a casa.-
La sua voce era meravigliosa, ma la risposta mi lasciò perplessa.
-A casa? Stai scherzando vero?-
-No, non è uno scherzo, presto lo saprai, presto tornerai anche tu.-
Poi si alzò e s’incamminò verso gli alberi.
-Dove stai andando?-
Non mi rispose, stava rapidamente diventando un’ombra tra gli alberi. Corsi verso di lui, ma più correvo più sembrava irraggiungibile. Mi stavo facendo prendere dal panico, avevo così tante domande, ma lui sparì definitivamente e io mi svegliai.

Aprii gli occhi e sentii qualcosa che premeva sulla schiena, era una radice. Dovevo essere caduta dal masso mentre dormivo.
Mi rialzai dolorante e lentamente tornai verso il lago.
L’asciugamano era ancora dove l’avevo lasciato, mi sedetti e allungai la mano verso la borsa in cerca di qualcosa da mangiare. Trovai un panino, lo scartai e lo addentai, non mi ero resa conto di essere così affamata.
Mangiai in silenzio totale, lo sguardo perso sulla distesa d’acqua che mi stava davanti, incapace di staccare gli occhi dal lago in attesa di un segnale, di qualcosa che mi chiamasse o che facesse smettere quella sorta di richiamo che sentivo provenire dal profondo dell’acqua.
Ma ancora una volta non accadde nulla, temetti di star impazzendo.
Quando terminai di mangiare decisi di tornare a casa, presi le mie cose e le infilai nella borsa, mi rimisi le scarpe e con passo poco convinto andai verso casa.
In prossimità dell’edificio scorsi il SUV nero del mio patrigno, erano già tornati.
Inspirai profondamente prima di decidermi ad avviarmi verso l’ingresso.
Cercai di fare il meno rumore possibile, nella speranza che non si accorgessero della mia fuga, se poi si fossero accorti che ero stata nel bosco sarebbero andati su tutte le furie, non volevano che ci andassi perché sapevano che tra gli alberi stavo bene, e questo loro non lo volevano, preferivano ignorarmi o rendermi la vita impossibile.
Stavo posando il piede sul primo gradino quando una voce infuriata mi ferì le orecchie.
-Bryn! Quante volte ti ho detto di non andare nel bosco?!-
Come faceva a saperlo? Provai a mentire.
-Ma mamma, sono andata a fare una passeggiata, non ero nel bosco.-
Mi si avvicinò con rabbia sorprendente, alzò una mano e prese qualcosa dai miei capelli. Era una foglia. Ma la sventolò sotto il naso, poi riprese.
-Pensi davvero che sia stupida? Credi che non sappia che hai fatto apposta a fare tardi stamattina? So che speravi che tuo fratello perdesse l’appuntamento, perché sei invidiosa del fatto che lui sia tutto quello che tu non sarai mai! Sei esattamente come tuo padre!-
Mise tutto il veleno possibile nelle ultime tre parole, poi si girò e se ne andò, senza punirmi. Non dissi niente, salii in camera mia in silenzio e mi chiusi la porta alle spalle.
Per qualche istante credetti che il mio stupido fratellastro ventenne facesse comparire i suoi occhi grigi e indagatori nella mia stanza, per infierire, come sempre. Ma non lo fece, troppo ebbro di felicità per distruggere la mia vita.

Quella sera non scesi a fare cena, probabilmente neanche mi volevano a guastare la festicciola familiare per il successo di Nick.
Restai sdraiata sul letto fissando il soffitto con gli auricolari del mio iPod nelle orecchie e con la musica che risuonava nella mia testa a definire i contorni della mia vita.
Era ormai buio pesto quando decisi di infilare il pigiama, raccolsi i capelli in una lunga e spessa treccia.
Andai sul balcone, come mia abitudine, a guardare le stelle. Dermatt era già lì ad aspettarmi. Insieme guardammo la volta celeste che ci sovrastava.
Ad un certo punto sentii un profondo richiamo proveniente dal più profondo del mio cuore. Era come se volesse indicarmi la via verso qualcosa. Sapevo dove dovevo andare, dove dovevo essere.
Mi misi a correre giù per le scale, ancora scalza, uscii dalla porta della cucina e mi diressi nel fitto del bosco, verso il lago, Dermatt volava al mio fianco.
Ci misi meno del solito ad arrivare alla sponda del lago, la luna aveva rischiarato il mio cammino e avevo quindi potuto correre decisa verso la mia meta.
Guardai verso il centro della distesa d’acqua e seppi istintivamente che era lì, il bagliore scarlatto che avevo visto quel pomeriggio. Mi stava chiamando, voleva che andassi verso di lui.
Dermatt si posò sulla mia spalla, solo quando sentii il suo peso familiare presi una decisione.
Lentamente mi avvicinai all’acqua, un passo dopo l’altro mi avvicinavo al bagliore, l’acqua mi lambiva le cosce, ero sempre più vicina. Ero immersa fino al collo quando allungai una mano e potei sfiorare quella luce. Le mie dita la sfiorarono e l’oscurità mi avvolse, forse persi conoscenza, so solo che la prima cosa che vidi dopo il lago fu un campo che non avevo mai visto prima, Dermatt era davanti a me e mi guardava divertito. Ero per terra ed ero totalmente ricoperta di fango.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***



Nota dell'autrice: Caro lettore (così mi sento troppo importante XD) se sei giunto fin qui vuol dire che in qualche modo sono riuscita ad attirare davvero la tua attenzione, e la cosa mi emoziona non poco *w* Finalmente in questo capitolo cominciano ad accadere un po' di cose e si spiega una parte della storia. Il capitolo è un pochettino più lungo dei precedenti, ancora non sono sicura della lunghezza dei prossimi, ma credo che questo non importi, l'importante è che la storia riesca a catturarvi in qualche modo, e io lo spero davvero ^^ Buona lettura (:


Capitolo 3


Provai ad alzarmi, ma i miei piedi nudi scivolarono sul fango e caddi, parecchio sgraziatamente, picchiando il sedere per terra. Fortunatamente, oltre a Dermatt, non c’era nessuno a godersi la scena.
Ovviamente non sapevo che mi stavo sbagliando.
-Coraggio alzati!- tuonò una voce alle mie spalle –Non potevi concentrarti perlomeno su di una superficie asciutta?- sembrava per qualche motivo seccata.
Sbuffai parecchio stizzita. Quella persona mi stava irritando, non mi conosceva e mi dava ordini, senza contare il fatto che stava evidentemente farneticando. Mi voltai lentamente, sperando che la rabbia scivolasse via.
Mi trovai davanti una vecchia con i capelli bianchissimi raccolti in una stretta crocchia, indossava una casacca marrone informe. In qualche modo sentivo una sorta di potere provenire da lei. Non so perché ma ne rimasi intimidita e non riuscii a dire una sola parola.
-Non guardarmi con quella faccia bambina. Ti stavo aspettando. Sapevo che saresti arrivata oggi, il cielo ha parlato. Solo credevo che fossi più furba.- sembrava piuttosto delusa.
Probabilmente aveva bisogno di farsi curare, povera vecchina, avrei potuto darle il numero dell’analista di mia madre, però non mi sembrava il caso di offenderla, era l’unica che potesse dirmi dove mi trovassi. E poi mi faceva paura.
Mi tese una mano e la guardai intimidita.
-Coraggio! Non ti mangio mica.-
Per qualche motivo decisi di ascoltarla e strinsi la sua mano. Rischiai di scivolare di nuovo, ma fortunatamente non accadde. Feci qualche passo incerto e mi allontanai dal fango.
-Chi siete?- chiesi. Poi aggiunsi –Cosa intendevate quando avete detto che mi stavate aspettando? E soprattutto: dove siamo?-
La vecchina trasse un sospiro, poi rispose.
-Quante domande- sbuffò –Rispondendo in ordine le cose stanno così: io sono Dawn e sono la Sacerdotessa del villaggio qui vicino, ogni Sacerdotessa prima di me ti ha aspettata bambina, dovevi tornare a casa e ora l’hai fatto. E per l’appunto, questo è il luogo da dove provieni. Sei finalmente ad Aldebaran.-
La guardai sbigottita, non avevo capito assolutamente niente. Ma non ebbi il tempo di porre altre domande perché si rimise a parlare.
-Da come mi guardi deduco che tu non sappia niente, neanche chi sei davvero. Non pensavo che avrei dovuto spiegarti ogni cosa.- sembrava che stesse parlando più con se stessa che con me –Ti spiegherò tutto mentre camminiamo, dobbiamo arrivare al lago il prima possibile, è fondamentale che tu prenda possesso di Haro prima di partire per il tuo viaggio.-
Senza guardarmi si voltò e cominciò a camminare lungo un sentiero nel bel mezzo di quelli che sembravano campi. Evidentemente si aspettava che andassi con lei.
Guardai Dermatt in cerca di una risposta, ricambiò il mio sguardo e si levò in volo sulla scia della vecchina.
A quel punto smisi di esitare e li seguii.

Non ci misi molto tempo a raggiungerli, seppur molto veloce Dawn era pur sempre una vecchina.
Trascorremmo qualche minuto in silenzio, i campi si stavano già diradando lasciando il posto a gruppetti di alberi, tutto mi risultava familiare eppure allo stesso tempo sconosciuto.
Lentamente gli alberi si facevano più numerosi, trasformandosi nell’ombra di un boschetto. Ci stavamo inoltrando tra i rami quando parlò.
-So che non stai capendo quello che sta succedendo, evidentemente tuo padre non ha fatto in modo che tu potessi ricordare qualcosa.- fece una pausa –Credo che quindi spetti a me spiegarti ogni cosa.-
Ero confusa, era evidente, forse se lei mi avesse spiegato tutto avrei potuto capire. L’unica cosa che mi era chiara era che non mi trovavo in un sogno, ormai questo l’avevo capito.
Non le dissi niente e lei capì che poteva cominciare.
-Tuo padre, il tuo vero padre, si chiamava Aldebaran, era nato insieme a questo mondo e insieme alla stella che porta il suo nome.- mi lanciò uno sguardo –Non dire niente, capirai.-
Volevo ribattere ma non me ne lasciò il tempo.
-Aldebaran era il sovrano di questo mondo e lo battezzò con il suo nome. Gli abitanti vivevano nella pace assoluta, ma il Re, che aveva il dono della preveggenza, sapeva che qualcosa si sarebbe guastato e sapeva che non avrebbe potuto vivere abbastanza per salvare il suo popolo. Così prese una decisione, convocò gli Stregoni dai quattro angoli del regno e disse loro di forgiare le anime di quattro guerrieri, i prescelti, che uniti insieme alla sua vera figlia sarebbero riusciti a sconfiggere il male. Anche lui forgiò un’anima, quella di una guerriera con i capelli rossi e gli occhi verdi, esattamente come era lui, donò a quell’anima il potere dei quattro elementi. Gli spiriti dei cinque prescelti vennero mandati sulla Terra, in attesa di nascere davvero prima di tornare su Aldebaran per compiere il loro destino.-
Pensai che in fondo mi ero sbagliata, ero davvero in un sogno.
-So che non mi credi, so che è difficile. Ma tu sei la vera figlia di Aldebaran ed è importante che tu lo capisca. Gli altri prescelti sono già qui, lampi rossi hanno attraversato il cielo quattro volte per annunciare il loro arrivo. Quando sei arrivata tu si è tinto completamente di rosso per qualche secondo, sapevo cosa questo significava e sono venuta a prenderti.- si fermò, eravamo arrivate a un lago, decisamente più grande di quello che c’era a casa –È fondamentale che tu vada a prendere Haro, solo così saprai chi sei.-
La guardai scettica.
-Non capisco, davvero. Sembra tutto un sogno strano, ma non so se lo sia davvero perché è così realistico e non mi ero mai accorta prima di trovarmi in un sogno. E…- prima che concludessi la frase Dermatt si posò sulla mia spalla, un tocco reale e rassicurante –Chi è Haro?-
Mi fece un sorriso, il primo da quando l’avevo incontrata.
-Haro è il tuo pugnale. Solo tu puoi usarlo e solo tu puoi toccarlo e trovarlo. Ma dovrai affrontare una prova prima.- mi guardò cercando di leggere sul mio viso qualche segno che le indicasse che avevo capito –In questo lago dimora un pezzetto dello spirito di Aldebaran, come quello che ti ha fatta arrivare fin qui, sarà lui a guidarti.-
Tutto cominciava ad avere un senso, anche se in modo strano. In fondo ero la ragazza delle stranezze, quindi il tutto poteva accadere.
Mi voltai e guardare la superficie del lago. Non me n’ero accorta prima, ma sulla sponda opposta a dove ci trovavamo, una cascata si infrangeva sulla superficie, tuffandosi da una parete rocciosa che brillava sotto i raggi del sole. Era magnifico.

Ero totalmente imbambolata a guardare la distesa d’acqua che quasi non mi accorsi che Dawn mi stava parlando.
-Bambina, è ora che tu vada, hai un lungo viaggio da compiere e non hai tempo da perdere.-
Le lanciai una rapida occhiata poi, senza dire una parola, mi diressi verso l’acqua. Allungai un piedi, la sensazione era piacevole, così presi coraggio e mi immersi sempre più.
Quando sentii il peso familiare di Dermatt sparire dalla mia spalla la vidi. Era una pallina di luce scarlatta, identica a quella che mi aveva guidata nel bosco, tesi una mano per tentare di toccarla, ma si allontanò. Capii che voleva che la seguissi senza toccarla, era la sua missione. Restai in attesa, qualche attimo dopo la vidi scomparire sott’acqua, la seguii subito, non potevo perderla, riempii i polmoni d’aria e mi immersi anch’io.
Non mi ero resa conto di quanto fosse profondo il lago, continuavo a scendere seguendo la luce rossa, ma non vedevo mai il fondo, sentii che cominciavano a bruciarmi i polmoni per la mancanza di ossigeno, per fortuna l’agonia stava per finire. Seguii la pallina di luce dentro una sorta di caverna subacquea, quasi istantaneamente potei riemergere, inspirai profondamente, felice di poter sentire di nuovo l’aria nei polmoni. Uscii dall’acqua e stessi qualche minuto seduta per terra cercando di recuperare le forze.
Quando mi rialzai la pallina di luce stava danzando davanti ai miei occhi, voleva che proseguissimo.
Mi portò fino ad una fonte di luce e calore, era un muro di fuoco. Non avevo alternative, non avrei potuto tornare indietro, l’unica soluzione era quella di attraversare le fiamme, anche se non potevo aggirarle in alcun modo e nonostante sembrava che almeno dieci metri di suolo fossero fatti di fiamme.
Ero ancora bagnata, ma il calore del fuoco mi stava già asciugando la pelle, dovevo sbrigarmi. Indietreggiai di qualche passo poi mi voltai nuovamente verso la parete di fuoco, mi misi a correre e l’attraversai. Con mio immenso stupore all’interno delle fiamme non avevo avuto caldo e non mi ero bruciata, come se il fuoco fosse stato solo un’illusione.
Ma non avevo tempo da perdere crogiolandomi nella fantasia di essere invincibile, la vecchina aveva detto che dovevo sbrigarmi e poi non potevo lasciare che passasse troppo tempo, avrei rischiato di perdere il coraggio. Tornai ad inseguire lo spirito di Aldebaran.
Mi condusse in una nuova parte della caverna, davanti a me c’era un fossato, l’interno sembrava così profondo che se vi ci fossi caduta dentro sarei probabilmente finita al centro del mondo, o direttamente all’inferno.
Mi voltai verso la pallina scarlatta con aria interrogativa, sembrava un vicolo cieco. Come sempre mi sbagliavo.
La luce si diresse verso il baratro e come trascinata da una tromba d’aria sparì, ma non cadde, sparì verso l’alto. Poiché mi restava ancora un po’ di coraggio decisi di saltare nel fosso, pensai che sarei precipitata, ma qualcosa come una gigantesca mano invisibile mi spinse in alto e mi scaraventò in un piano più alto della caverna. La pallina di luce era lì ad aspettarmi.
Non feci in tempo a fissarla per più di un minuto perché sparì nel terreno davanti ai miei occhi. Non so cosa ci facesse della terra nella caverna, ma cominciai a scavare.
Mi ferii le mani durante l’impresa, ma quando ebbi creato un buco profondo una cinquantina di centimetri sentii finalmente qualcosa sotto le dita, era una scatola. La ripulii dalla terra e finalmente l’aprii, conteneva un pugnale nel suo fodero, afferrai l’elsa ed estrassi Haro. La lama scintillò sotto i miei occhi e subito sentii una forte connessione con quell’arma. Era leggero e facile da maneggiare, sembrava che fosse stato creato appositamente per la mia mano, il tocco finale era un rubino incastonato alla base dell’elsa, era stupendo. In quel momento mi sentii completa per la prima volta in vita mia.
Rinfoderai Haro e lo appesi come meglio potevo ai pantaloni del pigiama.
Mi rialzai e proseguii verso il fondo della caverna, svoltato l’angolo sentii lo scrosciare dell’acqua. Affrettai il passo e finalmente arrivai all’uscita. Ero dietro la cascata.
Preso un lungo respiro e mi tuffai, quei quindici metri sembrarono non finire mai.

La prova era andata decisamente bene, al mio ritorno Dawn era raggiante, almeno per quanto possa essere raggiante una vecchia Sacerdotessa bisbetica, senza perdersi in inutili giri di parole mi condusse al villaggio.
Dopo essermi lavata come potevo, la vecchia Mani di Fata, come chiamavano Dawn gli abitanti del villaggio, mi curò mani e piedi e mi procurò abiti nuovi.
Mi fece indossare una tenuta nera, fatta di un materiale robusto ma allo stesso tempo comodo e fresco, Dawn mi diede anche un mantello dello stesso colore della notte e una bisaccia, contenente acqua e cibo, il mattino seguente prima della partenza.
-Non hai tempo da perdere, devi andare. La tua prima tappa sarà la foresta, è intrisa di pericoli, quindi fai attenzione, ma è la meta più vicina, là troverai il primo prescelto, devi trovarli tutti per riuscire a salvare Aldebaran.-
Mi guardò con una nuova luce negli occhi, prima di congedarmi mi porse una boccetta contenente l’unguento che mi aveva messo a nuovo mani e piedi.
-Credo che potrà servirti.-
Le sorrisi.
-Grazie!-
E senza aggiungere altro sistemai Haro alla cintura dei miei nuovi vestiti, battei un piede per terra controllando un’altra volta che gli stivali calzassero alla perfezione. Poi mi voltai in direzione della foresta.
Avevo ancora mille dubbi e non conoscevo nulla del nemico che dovevo combattere, neanche il nome. Avevo solo una sicurezza: Dermatt al mio fianco. E questo era sufficiente per cominciare il mio viaggio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Nota dell'autrice: ed ecco finalmente questo nuovo capitolo, è più corto rispetto al precedente, ma è mia convinzione dire che non sarebbero servite ulteriori parole per descrivere l'accaduto ^^ Vi ringrazio ancora una volta per essere ancora qui a proseguire la lettura delle avventure di Bryn! Buona lettura (:


Capitolo 4


Dermatt era andato a caccia e io ero seduta su di un sasso, poggiando i piedi su di una radice. Stavo mangiando un po’ di carne essiccata, non sapevo di cosa fosse e non era neanche tanto male, avrei potuto abituarmi a mangiare così in mezzo alla foresta.
Il sole era ancora alto nel cielo, i suoi raggi riuscivano a passare attraverso le fronde di quegli alti e strani alberi e riscaldavano il mio corpo stanco.
Sapevo di non poter stare ferma per troppo tempo, mi spaventava l’idea di restare sola in quel posto di notte, dovevo trovare un riparo prima che fosse troppo tardi.
Avrei davvero voluto proseguire, ma ero stremata e confusa, ancora non potevo riuscire a credere a tutto quello che mi aveva detto Dawn. Mi sembrava tutto un sogno troppo realistico, nonostante la fatica e le ferite non riuscivo a credere che potesse essere reale, soprattutto non mi capacitavo del fatto che non ero neanche una persona reale, ero stata creata, non ero nata davvero.
Non riuscivo a pensare ad altro, perché era come se niente fosse vero, neanche io.
Mi alzai e decisi di proseguire, dovevo immergermi nella natura per poter smettere di pensare.
Capii subito che era stata una buona idea, la foresta era stupenda, ero circondata da alberi altissimi sembrava quasi che si stessero perdendo nell’azzurro del cielo. A poco distanza sentii lo scrosciare dell’acqua, in qualche modo mi misi a correre e in una manciata di minuti mi trovai in riva ad un ruscello. Mi sfilai gli stivali e arrotolai l’orlo dei pantaloni fino alle ginocchia, entrai precipitosamente in acqua, era ghiacciata ma era come un balsamo per i miei piedi sanguinanti.
Rimasi così per parecchio tempo, quando poi mi resi conto che era meglio proseguire uscii dall’acqua e spalmai un po’ dell’unguento di Mani di Fata sui piedi, poi infilai gli stivali e ripartii.

Non sapevo dove stavo andando, seguivo il mio istinto come mi era stato detto di fare, ovviamente questo significava proseguire totalmente alla cieca.
Stavo girovagando da parecchio tempo senza meta quando sentii delle risate gutturali. Cercai di fare meno rumore possibile e mi nascosi dietro a un cespuglio poco distante dalla sorta di sentiero che stavo percorrendo.
Restai immobile quando due figure sinistre si avvicinarono, il cuore mi martellava nel petto ad una velocità sorprendente; nessuno che avesse una risata simile poteva portare qualcosa di buono.
Poi li vidi, erano orribili, sembravano per metà delle bestie, avevano una coda lunga come quella di un leone, denti gialli enormi e affilati, occhi iniettati di sangue, le mani terminavano con lunghi artigli. Erano troll, o almeno fu quello che pensai in quel momento.
Quando arrivarono all’altezza del cespuglio uno dei due si mise ad annusare l’aria, i suoi occhi passarono nel punto in cui ero nascosta, probabilmente non mi vide ma io trasalii alla vista di quegli occhi pieni di malvagità. Involontariamente feci un passo indietro e calpestai un ramoscello che scricchiolò sotto il mio piede. Trattenni il respiro sperando che non avessero sentito, ma le loro orecchie pelose e appuntite erano meglio delle mie.
Si mossero troppo velocemente per essere due bestioni mastodontici, in un attimo erano sopra ti me. Quello che aveva guardato verso il cespuglio mi prese per un braccio e mi scaraventò in mezzo al sentiero, caddi a terra con un tonfo e non riuscii a trattenere un gemito di dolore.
-Cosa abbiamo qui? Una bambina.- disse quello che non aveva ancora mosso un dito –Oggi è il tuo giorno sfortunato!-
Il suo compare gli lanciò un ghigno sghembo.
Non potevo perdere tempo, dovevo fare qualcosa prima che mi uccidessero. Mi alzai e afferrai l’elsa del pugnale, quando estrassi Haro finalmente capii. Tutto quello che mi aveva detto Dawn era reale, ora sapevo chi fossi, ogni cosa aveva un senso. Avevo una nuova percezione delle cose, sentivo la forza dei quattro elementi che mi vorticava intorno, dentro di me sapevo di conoscere il modo per usarli, per farli obbedire al mio comando.
Raccolsi la rabbia che provavo, verso i miei genitori, verso Nick e Edmund, verso Aldebaran. Alimentai con l’ira le fiamme che mi avvolgevano il cuore. Mi mossi rapidamente, sferzai l’aria con Haro e mi avventai contro il bestione che aveva parlato, non seppi mai come ma riuscii a ferirlo; cadde rumorosamente a terra. Prima che il suo compare potesse registrare il fatto lo attaccai, sentivo il fuoco che voleva uscire, lo vedevo dietro gli occhi, ne sentivo il calore. Mi concentrai profondamente e sprigionai la rabbia; il fuoco divampò e cominciò a bruciare il troll.
In pochi attimi le fiamme l’avevano divorato e distrutto, restava solo una massa carbonizzata ai miei piedi.
Ansimando richiamai le fiamme, ero debole e sfinita e non mi accorsi del nuovo attacco. Il troll che avevo ferito mi afferrò per la gola e mi gettò contro il tronco di un albero, l’impatto mi tolse tutta l’aria dai polmoni. Ero ferita e ormai innocua, non avrei mai trovato gli altri prescelti e non avrei salvato Aldebaran.
Fissai il nemico, decisa a sostenere il suo sguardo fino all’ultimo respiro.
Al limitare del mio campo visivo vidi un’ombra che velocemente si stava avvicinando alle spalle del bestione.
Il troll era quasi sopra di me quando si arrestò, mi preparai al suo attacco imminente, alla morte, ma non arrivò. Dalla bocca cominciò a colargli una densa scia di sangue nero come la pece, emise qualche grugnito nel tentativo di riempirsi i polmoni, poi cadde privo di vita.
Guardai il corpo di quella bestia per qualche attimo, poi rotolai su di un fianco, mi misi in ginocchio e vomitai.
Dopo qualche minuto mi pulii la bocca con la manica, chiusi gli occhi e mi voltai, preparandomi a rivedere i cadaveri dei due mostri.
Quando aprii gli occhi vidi una sagoma incappucciata, indossava abiti simili ai miei, ma invece di essere neri erano dei colori del bosco. La figura si tolse il cappuccio e due occhi marroni come il cioccolato si fissarono nei miei. Li avrei riconosciuti ovunque, come il ragazzo che mi stava guardando. Avevo passato molte notti con lui negli ultimi tempi: era il ragazzo del sogno.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


Non so per quanto tempo restai in silenzio ad osservarlo. Tra tutte le cose assurde che mi erano successe negli ultimi giorni forse questa era la più strana, forse.
Avrei voluto parlare, dire qualcosa, qualsiasi cosa, eppure non ci riuscivo, volevo sapere se lui era entrato davvero nei miei sogni, se si ricordava di averlo fatto, e soprattutto cosa significava il fatto che ora me lo ritrovavo davanti. Avevo la testa piena di mille domande, ma non ne uscì neanche una.
Fece qualche passo verso di me e poi fu lui a spezzare il silenzio.
-Sei stata fortunata- disse –Probabilmente se non fossi stata in grado di controllarti le tue fiamme ti avrebbero divorata.-
Non sapevo cosa rispondergli, anche perché ero fermamente convinta che avesse ragione. Ero stata fortunata.
-Ti ho vista, ho visto tutta la scena, se non fossi intervenuto alla fine ti avrebbero uccisa. Sei stata un’incosciente!-
Non potevo credere alle mie orecchie e a quel punto non seppi tenere a freno la lingua.
-Hai visto tutto e non hai fatto niente per aiutarmi? Sei stato a guardare mentre dei mostri mi assalivano e non avevo neanche la più pallida idea di cosa fare! Ne hai ucciso uno come se niente fosse, aspettando l’ultimo momento! Cosa pretendi? Che ti ringrazi per avermi salvato la vita?-
Ero furiosa. Come poteva darmi dell’incosciente. Mi alzai a fatica, ero parecchio malferma sulle gambe. Lui mi fissava senza replicare, così continuai.
-Sono arrivata in questo maledetto posto da un giorno e ho già rischiato di morire, comincio a non sapere neanche chi sono o cosa sono! Ho una maledetta paura di quello che potrebbe succedermi, non so neanche cosa si aspetti la gente da me! E tu vieni qui dal nulla e mi dai dell’incosciente, quando l’unica cosa che ho fatto è stata tentare di salvarmi la vita anche se non avevo mai combattuto prima!-
Sentivo le fiamme che ricominciavano ad ardere dentro di me, alimentate dalla mia rabbia. Si sarebbero sprigionate se la loro forza non mi avesse fatto vacillare. Le gambe non mi ressero più e caddi per terra, il contatto con il terreno mi svuotò di ogni emozione e le fiamme dentro di me si estinsero.
Avrei voluto rannicchiarmi e scoppiare a piangere, ma ero troppo orgogliosa per farlo davvero.
-Mi dispiace.- disse avvicinandosi –So chi sei e so che sei appena arrivata, ho visto il cielo quando ti ha annunciata. Solo credevo che la figlia di Aldebaran fosse un portento, non una ragazzina impaurita.-
Mi stavo arrabbiando nuovamente. Quel ragazzo sembrava totalmente diverso da quello che era apparso nel sogno, era così arrogante e antipatico che, se solo ne avessi avuto la forza, l’avrei preso a schiaffi.
-Comunque io sono Jack.- disse tendendomi la mano –Credo che dovremo comunque imparare a collaborare, a quanto pare il destino di questo posto dipende da noi.-
Afferrai la sua mano e mi rialzai a fatica.
-Io sono Bryn.- risposi con una smorfia di dolore –Così tu sei il famoso primo prescelto, quello della foresta.- potevo permettermi di essere scettica, mi ritrovavo davanti agli occhi l’esatto opposto di ogni eroe conosciuto e sconosciuto.
-Mi dispiace di aver deluso le tue aspettative, in ogni caso, che tu lo voglia o no, sono il tuo primo compagno di viaggio.-
-A dire il vero ti sbagli. Sei il secondo.-
-Come? Hai già trovato un altro dei prescelti? E perché ha lasciato da sola una ragazzina come te?-
Gli risi in faccia, anche se poi barcollai e lui dovette sostenermi per impedirmi di cadere di nuovo.
Voltai il viso verso il cielo e seppi immediatamente che stava arrivando.
-Adesso vedrai.-
Alzai il braccio meno malandato e qualche istante dopo vi si appollaiò il mio falco.
-Ti presento Dermatt.- sorrisi –Lui è il mio primo compagno di viaggio.-
Jack guardò il rapace con aria stupita, poi scoppiò a ridere.
-Sei la ragazza più strana che abbia mai incontrato!-
Non sapevo se avrei dovuto offendermi, era comunque tutta la vita che mi chiamavano così, per cui non davo troppo peso alla cosa.
-Credo che sia meglio sbrigarsi, mancano poche ore al crepuscolo e per allora sarà meglio trovare un posto in cui dormire.-
Lanciai uno sguardo a Dermatt che si alzò in volo, sapeva che doveva seguirmi.
Mi aggrappai a Jack che continuò a sostenermi e ci incamminammo lasciandoci alle spalle i corpi senza vita dei troll.

Meno di un’ora dopo arrivammo ai piedi di un albero che aveva vicino alle radici un piccolo cuscinetto di muschio.
Jack si mise a cercare legna per il fuoco e io mi inginocchiai accanto all’albero. Chiusi gli occhi e mi misi in contatto con la terra che mi circondava. Sembrava facile dopo aver sprigionato il fuoco. Allungai le mani fino a sfiorare il muschio e semplicemente immaginai che il cuscinetto si trasformasse in un tappeto di muschio su cui dormire. Non so come, ma sapevo che avrebbe funzionato.
Quando riaprii gli occhi il cuscinetto si era esteso fino a diventare un tappeto di muschio. Avrei sicuramente dormito meglio così piuttosto che sulle radici.
Mi misi a sedere, cercando di stare comoda, appoggiai la schiena contro il tronco dell’albero e attesi il ritorno di Jack.
Qualche attimo dopo riemerse dal folto del bosco, tra le braccia portava diversi pezzi di legna. In totale silenzio li dispose davanti a me e accese un timido fuocherello.
Si sedette per terra, dalla parte opposta del fuoco rispetto a quella dove mi trovavo io. Sembrava che volesse lasciarmi lo spazio necessario per abituarmi a lui e alla situazione.
Restai anch’io in silenzio, non avevo nulla da dire e in ogni caso il mio orgoglio mi avrebbe impedito di farlo.
In quel momento Dermatt si posò al mio fianco, dopo averci osservati dall’alto degli alberi. La sua presenza familiare mi rassicurava e allo stesso tempo aveva su di me un effetto calmante. Gli carezzai la testa per fargli capire che sarebbe andato tutto bene.
Le ombre si stavano allungando sempre più attorno a noi, l’unica fonte di luce era il fuocherello che scoppiettava tra me e Jack.
Allungai una mano verso la mia bisaccia ed estrassi quello che rimaneva delle mie scorte di cibo. Divisi il fagotto in due parti uguali e ne lanciai la metà a Jack che l’afferrò al volo. Mi fece un semplice cenno con il capo prima di addentare la carne essiccata.
Mangiammo in silenzio senza guardarci, solo quando ingoiai l’ultimo boccone e bevvi un sorso d’acqua il silenzio tra noi si spezzò.
-Mi dispiace.- disse cercando i miei occhi –So che siamo partiti con il piede sbagliato e so anche che tu non ti fidi si me.- non lo interruppi per confermare le sue parole –Ma dobbiamo imparare a fidarci l’uno dell’altra è l’unico modo che abbiamo per vincere, per fermare l’Oppressore ed è fondamentale che insieme troviamo anche gli altri, in fondo questa è casa nostra.-
Abbassai lo sguardo, non riuscivo a guardarlo negli occhi, sapevo che aveva ragione su ogni cosa.
-È difficile credere che questa sia davvero casa mia. È difficile credere che tutto questo sia reale.- feci una pausa –Eppure so che è tutto vero e so che hai ragione.- era arduo confessare ogni cosa, ma non potevo fuggire e avevo bisogno di fidarmi di lui.
Non mi ero accorta che si era spostato e che si era seduto accanto a me. I suoi occhi erano fissi su di me e sembrava che danzassero al ritmo delle fiamme.
-È difficile anche per me Bryn, ma dobbiamo farcela.-
La sua voce era carica di determinazione, e aveva riempito il mio cuore di una nuova speranza. Non sapevo se saremmo riusciti a vincere, ma sapevo che avremmo fatto tutto il possibile per provarci.
Lo guardai e annuii, non servivano altre parole.
Mi lanciò un ultimo sguardo, poi si alzò in piedi.
-È meglio che tu dorma adesso, sei debole e stanca, devi assolutamente riposarti perché domani ci aspetta un lungo viaggio.- si allontanò per tornare al suo posto –Starò io di guardia, non hai nulla di cui preoccuparti!-
E per qualche motivo lo feci, mi sdraiai e allontanai tutte le preoccupazioni dalla mia mente, in pochi minuti mi addormentai.

Quando mi svegliai i primi raggi del sole mi stavano accarezzando la pelle.
Un po’ intontita mi misi a sedere guardandomi attorno. Davanti a me c’erano i resti del fuoco che ci aveva scaldati la sera precedente.
Quel mattino la foresta era ancora più magnifica di quanto l’avessi vista il giorno prima. Gli alberi erano così maestosi e imponenti che mi ricordavano i grattacieli di quelle grandi città americane che avevo visto solo nei film, la differenza più evidente però era che quelle grandi colate di cemento mi davano la sensazione di star soffocando solo a vederle, mentre quegli alberi mi trasmettevano un senso di sicurezza, di pace.
Perlustrai con lo sguardo i dintorni, rapita da quei colori, da quella bellezza.
Sentii Dermatt che accanto a me si stava risvegliando. Poi i miei occhi si posarono sul ragazzo che stava dormendo a qualche passo da me. In quel momento Jack mi sembrò come un bambino addormentato e indifeso, tutta la sicurezza e la spavalderia che aveva dimostrato il giorno prima sembravano essere state spazzate via.
Lo stavo ancora fissando quando si svegliò qualche minuto dopo. Mentre lo stordimento procurato dal sonno svaniva vidi la sicurezza ricomparire sul suo volto, mi sembrava di star assistendo ad una trasformazione, come se sotto i miei occhi un bambino si stesse improvvisamente trasformando in un uomo.
-Buongiorno!- mi disse con un mezzo sorriso –Sembra proprio che oggi tu stia meglio.-
Aveva ragione, mi sentivo fresca e riposata, anche i lividi che mi ero procurata nello scontro con i troll facevano meno male.
Gli sorrisi di rimando annuendo.
-Credo di essere pronta per ricominciare il viaggio.-
-Meglio così, ma prima dovremo fare colazione, altrimenti non avremo la forza per proseguire.-
Si mise così a frugare nella sua bisaccia estraendone due tozzi di pane qualche secondo dopo. Si alzò in piedi e venne a sedersi accanto a me, mi porse una delle due pagnotte e cominciò a mangiare.
Guardai titubante quello che avevo tra le mani, più che una pagnotta sembrava un sasso. Ero però affamata, così, lasciando da parte i dubbi iniziali, ne strappai un pezzo e l’infilai in bocca. Era effettivamente un po’ raffermo, ma dovetti ammettere che il sapore non era niente male.
Restammo così finché non finimmo di mangiare, in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri.
Cominciavo ad apprezzare maggiormente la presenza di Jack, non era una di quelle persone che credevano che bisognasse riempire per forza ogni silenzio con le parole, avevo sempre pensato che fosse una cosa stupida, molto meglio il silenzio piuttosto che una marea di parole vuote.
Quando ci fummo riempiti la pancia, come per un tacito accordo, ci alzammo e ci preparammo a partire.
Dermatt si appollaiò sulla mia spalla, Jack s’incamminò davanti a me e io, dopo aver ricontrollato che avessimo cancellato tutte le tracce del nostro passaggio, lo seguii.

Stavamo camminando da diverso tempo nel cuore della foresta, un po’ mi sembrava che continuassimo a girare in tondo, una parte di me tuttavia si fidava istintivamente di Jack e sapeva che la foresta era il suo luogo, quello da cui era nato, forse non c’era niente di cui aver paura in quel momento.
Non avevamo quasi parlato da quando eravamo partiti, credo che alla fine non avessimo nulla da dirci, avevamo una missione da compiere, non eravamo in gita scolastica.
Mentre camminavamo mi tornò in mente il racconto della vecchia Sacerdotessa, mi aveva lasciata con tanti dubbi e domande senza risposta. Forse il mio compagno di viaggio ne sapeva più di me, in fondo Dawn aveva detto che gli altri prescelti erano arrivati su Aldebaran prima di me.
Puntai gli occhi sulla nuca del primo prescelto, affrettai il passo e mi misi al suo fianco.
Le foglie frusciavano sotto i nostri passi, l’unica colonna sonora del nostro viaggio.
-Senti Jack, mi stavo chiedendo se per caso tu potessi raccontarmi qualcosa su questo posto e soprattutto sul nemico che dobbiamo combattere.-
Evidentemente non si aspettava che potessi chiedergli qualcosa del genere, aveva notevolmente rallentato l’andatura e si era voltato con aria interrogativa verso di me.
-Credevo che tu sapessi già tutto, sei la figlia di Aldebaran.
Come se questo potesse spiegare le cose.
-Perché credete tutti che io debba sapere tutto per forza?- più che parole le mie sembrarono un ringhio –Ho dubbi su chi sono e pretendete che sappia tutto il resto!-
Sul suo volto comparve un’espressione dispiaciuta, ma non servì a farmi sbollire.
-Scusa, non volevo.-
Non gli risposi, era troppo frustrante sapere che il mondo intero aveva un sacco di aspettative su di me, mentre io non sapevo neanche contro chi dovevo combattere.
-Non so molto a dire il vero, il villaggio in cui mi sono risvegliato ha perso da tempo i contatti col resto del mondo, solo il capo villaggio e pochi altri ricordano la leggenda sui prescelti.-
Nonostante la rabbia lo guardai incuriosita incitandolo a proseguire.
-So di essere stato forgiato in questa foresta, i miei poteri derivano per gran parte da questo luogo e sebbene non ci sia mai stato conosco ogni angolo, ogni albero, ogni sasso, ogni buca di questo posto.- fece una breve pausa prima di proseguire –Credo che sia così per tutti i prescelti.-
Lo guardai per alcuni secondi prima di accantonare la rabbia e dirgli qualcosa.
-Se ci pensi ha un senso, anch’io traggo i miei poteri dalla connessione con gli elementi che mi hanno creata, per cui è più che logico che quello che dà la forza a te sia lo stesso anche per gli altri.-
Annuì prima di riprendere il discorso.
-Si, mi sa che è così.- riprese lentamente un’andatura più spedita –Sul nostro nemico invece non so molto, so che lo chiamano l’Oppressore e che da tempo il suo vero nome è stato dimenticato. Nessuno sa di cosa sia capace veramente, o dove si nasconda. Si sa solo che il suo potere arriva dalle tenebre più profonde.-
Un brivido mi corse lungo la spina dorsale.
-Non potremo fidarci quasi di nessuno, probabilmente avrà seguaci sparsi ovunque, per questo dobbiamo stare uniti, anche se non so come tutti insieme riusciremo a sconfiggerlo.-
Non lo sapevo neanch’io, l’unica certezza era che, in un modo o nell’altro, dovevamo riuscire a sconfiggere per sempre l’Oppressore.

Il resto del viaggio lo passammo completamente in silenzio.
Dermatt volava in cerchio diversi metri sopra le nostre teste, almeno lui non si sentiva stremato come me.
Era pomeriggio inoltrato quando arrivammo ai piedi di una collina.
-Ci siamo Bryn, un ultimo sforzo per arrivare in cima e saremo al villaggio.-

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Nota dell'Autrice: E dopo tempo interminabile, ecco finalmente il sesto capitolo di Aldebaran, spero che vi piaccia e di non avervi deluso. E spero che ci sarà ancora qualcuno pronto a leggere la mia storia ^^''
Non vi prometto che il settimo capitolo arriverà in fretta, meglio non fare promesse che non sono sicura di poter mantenere! Ma spero di riuscire a scriverlo il più presto possibile, perché voi lo meritate, ma soprattutto perché Bryn lo merita (:


Capitolo 6

Impiegammo poco più di mezz’ora per arrivare al villaggio in cima alla collina, anche se mi sembrò molto di più, ero così stanca che ogni passo mi costava quando uno sforzo sovrumano.
Quando entrammo nel villaggio un gruppo di bambini, che fino a quel momento stava giocando nella piazza, ci corse incontro con fare festoso. Circondarono Jack e lo strattonarono a destra e a sinistra perché volevano che andasse a giocare con loro, sui loro visini leggevo la gioia di rivederlo. Non dovettero insistere molto perché lui li seguì subito tra le risate generali.
Non pensavo che dentro di lui potesse nascondersi una parte simile.
Cercai con lo sguardo il mio falco, non ero abituata a non trovarlo al mio fianco. Scrutai tra gli alberi al limitare del villaggio e lo vidi appollaiato su uno dei rami bassi, a pochi passi da me.
In quel momento sentii che potevo finalmente rilassarmi, inspirai profondamente e mi misi a guardare Jack che giocava con i bambini. Non potei fare a meno di sorridere.
Mi accorsi che accanto ad una delle capanne c’era una panchina, decisi di andare a riposarmi lì mentre aspettavo il mio compagno di viaggio.
Trascinai i piedi fino alla panchina e, piuttosto sgraziatamente, mi sedetti.
Nell’attesa ebbi tutto il tempo di guardarmi attorno. Le capanne del villaggio erano piuttosto piccole e sembrava quasi che volessero rincuorarsi a vicenda per quanto erano ravvicinate le une alle altre. Alcune costruzioni erano più grandi delle altre, supposi che fossero adibite ad un uso comune. Più guardavo il villaggio e più mi sembrava perfettamente incastonato nella foresta, il legno dominava su tutto.
Ero assorta in questi pensieri quando una figura ingobbita mi si avvicinò.
-Capelli rossi. Occhi versi. Ti stavamo aspettando figlia di Aldebaran.-
Guardai l’uomo che mi aveva rivolto la parola, dalla sua postura avevo creduto che fosse un vecchio, ma ora che lo guardavo attentamente mi stupii di vedere che non fosse più vecchio di mia madre. Aveva una zazzera di capelli biondo cenere che gli arrivava alle spalle e i suoi occhi blu cobalto emanavano saggezza.
-Voi siete il capo villaggio?- chiesi.
Annuì –Sì, sono io.- i suoi occhi mi scrutarono nel profondo dell’anima –Sono rimasti in pochi qui a conoscere la vostra storia, so quanto sia importante la vostra missione e vi offrirò tutto il necessario per proseguire nel vostro viaggio.-
Gli sorrisi, era la prima persona che incontravo in quel posto che mi dimostrasse fiducia e non aspettativa, non gli importava sapere cosa sapessi, voleva solo aiutarmi.
-Grazie!-
Dopo avermi fatto un cenno con il capo si alzò e tornò alle sue occupazioni.
Lo osservai mentre si allontanava, pio il mio sguardo si posò di nuovo su Jack e i bambini che stavano giocando.

Ci sistemarono in una capanna al centro del villaggio. Ci sfamarono e ci diedero la possibilità di rinfrescarci per bene.
Il buio premeva contro le finestre, l’unica luce proveniva da qualche candela sparsa nel piccolo spazio della capanna.
Eravamo sazi e puliti, ma nonostante la stanchezza del viaggio, nessuno dei due riusciva a prendere sonno.
Ero seduta a gambe incrociate sul mio letto e osservavo Jack dall’altra parte della stanza che stava sdraiato sul suo.
Voltò lentamente la testa verso di me –Da dove vieni?-
La sua domanda mi colse impreparata. Lo guardai con aria interrogativa senza parlare.
-Beh, sappiamo di essere stati mandati sulla Terra, ma non sappiamo in che luogo. Ero solo curioso di sapere da dove vieni tu.-
Con la mente tornai a casa, in quella stanza che non era veramente la mia, e poi fuori, insieme a Dermatt, tra gli alberi del mio boschetto. Abbassai lo sguardo sulle mie mani.
-Vengo da una piccola città della campagna inglese.- rialzai la testa per guardarlo, sul mio volto un sorriso triste –Tu da dove vieni?-
-Da New York.- anche il suo era un sorriso triste, ma totalmente diverso dal mio, i suoi occhi erano carichi di nostalgia. Sicuramente gli mancava la sua famiglia e i suoi amici, forse aveva lasciato indietro anche una ragazza.
A me non mancava niente, Dermatt era ogni cosa per me, la mia famiglia, il mio migliore amico, ogni cosa. Nessuno sentiva la mia mancanza, era questo a rendermi triste.
Un alito di vento proveniente da sotto la porta fece tremolare la luce delle nostre candele fino a spegnerle. Non parlammo più e ci addormentammo.
Quella notte sognai l’Inghilterra e la mia famiglia. I loro sguardi erano gelidi, ma ridevano con gusto. Erano felici che finalmente io non ci fossi più.

Ci svegliammo all’alba. Come per un tacito accordo, in silenzio radunammo le nostre cose e andammo nella piazza dove il Capovillaggio ci stava già aspettando. Ci diede un po’ di scorte di cibo e acqua, poi si congedò.
-Vi auguro buona fortuna ragazzi.-
E su queste parole si voltò e tornò verso la sua casetta. Lo osservammo andare via, poi ci guardammo senza dire una parola e riprendemmo il cammino.
Ci inoltrammo nella foresta con Dermatt che volava qualche metro sopra le nostre teste. Non percorremmo il sentiero che ci aveva portato al villaggio, ma ai miei occhi sembrava sempre la stessa strada.
-Sei sicuro che sia la strada giusta?-
Jack si voltò verso di me con un sopracciglio inarcato.
-So dove stiamo andando.- disse voltandosi di nuovo e proseguendo lungo il sentiero –Ti ricordo che sono nato da questa foresta, la conosco meglio di me stesso.-
Sbuffai stizzita dubitando che un giorno mi sarebbe mai stato simpatico per più di mezza giornata.

Stavamo camminando da ore quando il paesaggio cominciò a mutare ed entrammo nel Territorio delle Piogge Perpetue, probabilmente mai nessun nome era stato più azzeccato.
La pioggia scendeva incessantemente e il tragitto era reso difficoltoso dall’acqua e dalla fanghiglia. Ci tenevamo in piedi a fatica, continuando a scivolare sull’erba bagnata. Nei tratti in cui riuscivamo a proseguire più saldamente i nostri piedi affondavano nel fango rallentandoci. Eravamo fradici e più che camminare il nostro sembrava un arrancare stanco.
A rendermi difficile il tragitto c’era anche Dermatt, che per ripararsi dalla pioggia si era appollaiato sulla mia bisaccia, nascosto sotto il mio mantello inzuppato.
Ormai pensavo che avrei camminato sotto la pioggia per l’eternità, ma per fortuna non feci in tempo a lamentarmi della situazione ad alta voce perché la pioggia stava lentamente cessando, più camminavamo e meno pioveva. Ci lasciammo alle spalle il terreno fangoso e proseguimmo su rocce scivolose e bagnate.
Sembrava tutto più facile, alleggeriti dal peso dell’acqua sulle spalle e, per quanto mi riguardava, da quello di Dermatt che aveva spiccato il volo appena la pioggia aveva smesso di scrosciare.
Ma un nuovo ostacolo ci si parò davanti poco dopo il passaggio dalla palude alle rocce. Ci aspettava una breve scalata.
Jack decise di andare per primo, i suoi piedi scivolavano sulle rocce, ma in pochi minuti riuscì a scalare la parete. Mi fece un cenno col capo e mi preparai a raggiungerlo.
Forse dipese dalla mia inesperienza come scalatrice, o forse dal fatto che fosse tutto bagnato, ma faticai molto più di Jack ad arrampicarmi.
Non riuscivo ad aggrapparmi saldamente da nessuna parte e appena riuscivo ad issarmi un po’ più in alto i piedi scivolavano sulla superficie rocciosa, ma nonostante le parecchi difficoltà riuscii ad arrivare in cima, anche se probabilmente il merito fu più di Jack che mio.
Ci fermammo qualche minuto a riposare.
-Te la senti di proseguire?- mi chiese.
-Dobbiamo, non possiamo sprecare tempo.-
Mi guardò con la luce della determinazione accesa negli occhi, poi si alzò e mi tese una mano per aiutarmi ad alzarmi.
Per la prima volta accettai di mia spontanea volontà la sua offerta e fu forse in quel momento che diventammo finalmente una squadra.

Eravamo stanchi e appesantiti dalla pioggia quando arrivammo al ponte. Sembrava una linea di separazione tra due mondi, dalla nostra parte solo rocce acuminate, un terreno nudo e spoglio, mentre sull’altro versante si intravedeva un paesaggio freddo e già parzialmente innevato, l’anticamera del luogo in cui eravamo diretti.
Dermatt si appollaiò sulla mia spalla, lo guardai e gli feci un cenno. Si alzò in volo e andrò in avanscoperta.
Io e Jack ci avvicinammo alla passerella, perché più che un ponte sembrava proprio una passerella in equilibrio precario. Ad una cinquantina di metri sotto le assi di legno imperversava un fiume in piena, sulla riva dell’altra sponda si intravedeva un sentiero che difficoltosamente risaliva verso il terreno innevato.
-Andrò io per primo, questa passerella sembra non reggere molto.- il suo tono non ammetteva replice –E poi, io sono molto meno importante di te.-
Avrei voluto ribattere, ma non me ne lasciò il tempo perché s’incamminò velocemente sulle passerella.
Lentamente, un passo dopo l’altro, tenendosi difficoltosamente in equilibrio, Jack arrivò dall’altra parte sano e salvo.
Inspirai profondamente per farmi coraggio, poi cominciai anch’io la traversata.
Le assi di legno scricchiolavano ad ogni mio passo, proseguii lentamente fissando lo sguardo verso Jack.
Probabilmente fu un errore, ma quasi a metà traversata guardai di sotto, l’acqua che si infrangeva sulle rocce mi fece girare la testa, mi costrinsi a fissare la passerella, ma qualcosa andò comunque storto. Senza preavviso il legno cominciò a cedere sotto i miei passi e io cominciai a cadere.

Non urlai, almeno credo di non averlo fatto, ero troppo sorpresa per poterlo fare e prima di rendermene completamente conto mi ritrovai travolta dall’acqua.
La corrente mi spinse contro le rocce, colpo dopo colpo mi trovai ad annaspare cercando aria, ma tutto quello che entrava dalla mia bocca era acqua. I polmoni cominciarono a bruciarmi per la mancanza di ossigeno e più provavo a scalciare per raggiungere la superficie più la forza del fiume impetuoso mi trascinava a fondo.
Lentamente persi la percezione delle cose, il mio mondo era fatto da un vortice di acqua che piano, piano si stava dissolvendo; il mio corpo non esisteva più, l’unica cosa che ancora sopravviveva era la mia mente, o quello che ne restava. Non avevo più la percezione delle cose, di nessuna cosa, l’unica cosa di cui mi resi conto era che stavo morendo.
Quando il pensiero della morte si formò nella mia mente accadde qualcosa, trovai dentro di me la connessione con l’acqua, fu come se qualcosa, dove un tempo c’era stato il mio cuore, si fosse risvegliato.
Aggrappandomi a quella connessione immaginai che una gigantesca mano idrica mi sospingesse dolcemente sulla riva, accanto al sentiero che mi avrebbe condotto sulle montagne.
In qualche modo funzionò perché qualche minuto dopo una leggere brezza mi stava sfiorando la pelle, il mio cervello cominciò a snebbiarsi con quel lieve contatto, ma quando provai a respirare riuscii solo a vomitare acqua.
Quando finalmente un po’ d’aria tornò a riempire i miei polmoni tentai di aprire gli occhi. Intravidi una figura sfocata che veniva nella mia direzione correndo, un suono raggiunse in quell’istante le mie orecchie.
Bryn, Bryn, Bryn…
Poi tutto divenne nero.

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