Il testamento.

di Meredhit89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Piacevoli sorprese ... ***
Capitolo 3: *** Divano, pizza e chiacchiere. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il testamento.

 

Prologo

 

 

Attraverso il giardino di nonna, stando attenta a non calpestare i suoi amati fiori.

Oh.

Ma che schiocca.

È morta da oltre ventiquattro ore e, ancora, mi ostino a parlare di lei al presente.

Questa mattina Claire mi ha chiesto di venire prima, per preparare il buffet per il dopo funerale.

Ho fatto come mi ha ordinato, sono venuta prima e mi sono subita ore e ore davanti ai fornelli.

La cosa assurda di tutto questo è che nonna non assaggerà quella merdata che ho cucinato. Non potrà neanche offendermi per aver cotto troppo la pasta, e non si strozzerà con le patate al forno troppo secche. Di solito, odiava la mia cucina. Diceva che come cuoca facevo pena…non potevo darle torto. Ma siccome le sue amate nipotine sono occupate in altro, tipo cercare di infilare la scarpa destra nel piede giusto, lasciano l’ingrato compito a me.

«Hai finito con questa torta, è orrenda!». L’urlo isterico di Mary mi fa riprendere dal momento di profonda trance. Alzo gli occhi sulla torta che stavo tentando di decorare prima che i pensieri mi portassero in un'altra dimensione. Eppure dovevo aggiungere solo i fiori di marzapane bianchi, come c’era scritto sul retro, ma ho combinato un disastro.

«Ma che diamine hai combinato! Si è tutto spappolato!»

È fuori di testa, isterica e mezza matta. Mary è la più grande di noi quattro nipotine. E’ sposata, ha tre bambine e vive a due passi da casa di nonna.

Raccontare la sua infanzia, come quella mia di Mary, Claire e Delia sarebbe troppo complicato. Siamo cresciute tutte e quattro insieme, quasi da sempre. I genitori di tutte e tre sono sempre stati molto affiatati, andavano assieme a party, feste di capodanno, vacanze in isole sperdute. E insieme, purtroppo, hanno trovato la morte. Qualcuno la vede come una stramba macabra ironia.

«Ehi, non è colpa mia», tento di giustificarmi, ma i suoi occhi mandano saette in ogni angolazione.

«Sei un’incapace. Nonna aveva ragione, come cuoca fai pietà».

Non me la prendo, è scossa per la morte di nonna, evito di dirgliene quattro e sbuffando continuo ad attaccare i fiorellini di marzapane. Che stupida idea questa della torta. Perché nessuno prende mai in considerazione la mia opinione? Fin da piccola mi hanno sempre trattato come l’ultima ruota del carro. La scema, la nanetta che non è buona a concludere nulla.

«Ancora su questo maledetto dolce, Isabella dimmi una cosa, ma dove stai col cervello?». La voce che mi riprende è di Delia. È una maniaca della perfezione, per lei è fuori posto anche una nuvola in cielo.

Cerco di trattenere la rabbia e continuo a fare quello che stavo facendo cinque secondi prima che le isteriche mi rompessero le palle. Le evito, faccio finta di essere sorda e finisco di decorare la torta. Una volta terminata le do uno sguardo critico, ma maschero bene la mia delusione nel notare che il dolce non assomiglia minimamente a quello del libro di cucina. Non voglio dare a entrambe la soddisfazione di ammettere che ho combinato un disastro epocale.

«Vado in bagno» pronuncio, lisciando le pieghe invisibile del mio tubino nero. L’ho comprato questa mattina, nel mio armadio non ci sono molti vestiti, l’unica cosa a me disponibile sono una valanga di Jeans e camicette a quadri, ho dovuto fare una fatica immane per trovare qualcosa di nero che si adattasse ai miei gusti. Ma in fondo è un funerale, mia nonna di certo non uscirà dalla barra, accusandomi di indossare un abito orrendo.

***

La cerimonia è stato uno schifo. Ho pianto per tutto il tempo, cercando di mascherare le lacrime dietro ad un paio di occhiali da sole.

Mary, Delia e Claire sono stata molto più espansive di me, lasciandosi trasportare dall’emozione. Hanno strillato, sbraitato e fatto abbracciare dai rispettivi mariti, escluso Delia ovviamente. Lei non è né fidanzata né sposata, siamo le due zitelle della famiglia Swan. Allergiche ai matrimoni o qualsiasi cosa che rispecchia minimamente questo vincolo. Io personalmente odio dovermi sottomettere ai voleri del sesso maschile, mi basta guardare Claire e Mary per rabbrividire. Loro sono il classico modello di casalinghe perfette, ma disperate.

Hanno tre marmocchi a testa, uno più petulante dell’altro e non mi stupirei se entro il prossimo hanno una delle due uscirà nuovamente incinta e chiamerà il pargolo Justina, come la nonna, o Justin, variante al maschile. Sono fatte così, non posso farci nulla.

Mi muovo con passo lento verso il salotto dove riunita c’è mezza popolazione di Forks. La maggior parte di loro supera la sessantina, tutti vecchi amici di mia nonna. Credo che molto presto la raggiungeranno, perché disperarsi così tanto? Non è il momento di fare sarcasmo, lo so da me, ma cerco di superare questa tragica giornata sfornando battute senza senso e tremendamente tristi, che non farebbero ridere neanche un cavallo.

«Isabella, piccolina, come stai?» la vocetta timorosa di zia Adele mi da su i nervi. Mi ha sempre odiato, fin da piccola. Secondo lei a sedici anni Tom, il mio primo ragazzo, faceva parte di una setta satanica. Tom non faceva parte di nessuna setta satanica, ma di una band di metallari. C’è una bella differenza, ma né lei né nonna lo hanno mai capito. Fortuna che ho lasciato Tom due mesi dopo, mi ero stufata di vedere zia Adele e nonna Justina farsi il segno della croce ogni volta che entrava in casa nostra.

«Sto bene», sussurro.

«E dov’è Max? l’ultima volta vi ho visto sembravate molto felici insieme». Tipico di zia Adele impicciarsi della mia vita sentimentale.

«Io e Max ci siamo lasciati», scandisco lentamente, sperando di sviare l’argomento.

«Mmh…».

«Adesso vado a dare una mano a Delia con il buffet ci vediamo dopo, zia Adele», le do un bacio sulla guancia e fuggo letteralmente dal salotto.

Passano due ore e finalmente la casa inizia a svuotarsi. Gli amici di nonna cominciano a dileguarsi, non prima di averci rinnovato le loro condoglianze. Solo una persona rimane, l’avvocato di famiglia Richard Rot. Rot ha sempre amministrato i nostri affari, o per meglio dire quello che ne rimane. Nonna di certo non era ricca, ma aveva qualche quotazione in borsa della quale non ci aveva mai fatto parola. Solo ogni tanto ci diceva : Mie care bambine, un giorno mi ringrazierete. Non ho mai capito il senso di quella frase.

«Volevo aspettare la fine della cerimonia prima di parlarvi del testamento di vostra nonna».

Rot si accomoda sulla poltroncina arancione di fronte a noi.

Noi quattro siamo sedute sul divano e aspettiamo di udire con trepidazione le ultime volontà di nonna.

«Su parli, non mi faccia crepare nell’ansia», Mary e la sua cafonaggine non hanno eguali.

Delia ridacchia, mentre Claire l’ammonisce con un’occhiataccia. Io rimango in silenzio.

«Questo è il testamento – tira fuori dalla sua valigetta una cartella – Vostra nonna ha pensato a tutte e quattro, in particolar modo a Isabella e a Delia», mi rivolge uno sguardo compassionevole.

Ehi! Perché mi guarda così?

«Allora? Legga, su!», questa è la mia voce, alterata.

Rot si schiarisce la gola e tira fuori dalla cartellina un foglio.

«Una cosa alla volta. Partiamo da questo».

Mary sbuffa, sono fermamente convinta che entro due secondi lo manderà a quel paese.

“Mie care bambine, se state leggendo questa lettera un motivo c’è: sono morta. Sono convinta che passeranno anni prima che voi quattro verrete a conoscenza delle mie ultime volontà. La famiglia Swan è famosa per la sua longevità, ma tagliamo corto ai convenevoli.

A te Mary, mia cara mascalzona impulsiva lascio la casa di famiglia e cinquantamila dollari. Spero che ne farai buon uso per te e i tuoi bambini. Vedi di non far toccare neanche un centesimo a quello zoticone di tuo marito.

Claire, sei la più saggia delle quattro e quindi ho deciso di donarti ogni mia singola collezione di francobolli. Ricordo ancora come brillavano i tuoi occhi da piccola quando mi aiutavi ad attaccarli nei rispettivi quadri. Spero per te che non ne venderai neanche uno, valgono una fortuna. Inoltre, anche a te, lascio cinquantamila dollari, sperando che anche tu sia abbastanza responsabile da non farli toccare da tuo marito.”

Sgrano gli occhi, cinquanta mila dollari? Com’è possibile? Nonna non aveva tutti quei soldi!

«Sta scherzando? Mia nonna non era così ricca!». Mary è incazzata, non crede alla lettera dell’avvocato, pensa che sia uno scherzo.

Rot si intimorisce. «Assolutamente no, sua nonna aveva delle piccole quotazioni in borsa. Vostro nonno Charlie una volta tornato dalla guerra aveva investito quel poco di denaro, il resta è stato usato per costruire questa casa. Negli anni le quotazioni sono salite e i vostri nonni hanno incrementato un piccolo tesoro», risponde risoluto.

«Oddio…perché non ha mai detto niente?» domanda Claire sconvolta, coprendosi il viso con le mani.

«Incredibile, si è comportata da stronza anche dopo morta!» mormora Delia, incredula.

Io sto zitta e cerco di contenere i miei sentimenti. Sono ancora indecisa se scoppiare a piangere o a ridere. Nonna è sempre stata capace di stupirci e continua tutt’ora a farlo. Incredibile.

È sempre la solita.

«Bene, passiamo a questa lettera – tira fuori una busta gialla –, è indirizzata a Delia e Isabella».

Mi agito sul posto, tentando di contenere l’agitazione.

Delia sembra tranquilla e accavalla le gambe, con fare annoiato.

“Ed ora eccomi a voi Delia e Isabella. Siete sempre state le più irresponsabili. Solo al ricordo di tutti i ragazzi che avete portato in questa casa, uno peggio dell’altro, rabbrividisco…Mentre scrivo questa lettera tu Delia esci con un tipo di nome Alex, fa il benzinaio non so neanche io dove, e mi si stringe il cuore ogni volta che vi vedo. So che meriti di più, ma tendi a scegliere la feccia del genere maschile.

Isabella, tu sei messa peggio di Delia. Mi spiego: quei pochi ragazzi che hai portato a casa mi hanno fatto storcere il naso sin dall’inizio. Ricordo ancora quel Tom, il ragazzo satanico, Gesù, menomale lo hai lasciato perdere…Per non parlare di Max, il professore di lettere più vecchio di te di dieci anni! Cara Isabella, quando capirai che meriti di più?

Ho deciso che a te e a Delia non lascerò nulla, almeno che non ve lo guadagnerete con la lealtà e la sincerità.

C’è un milione di dollari. Sono certa che Claire e Mary non se la prenderanno a male, loro non hanno bisogno di soldi, in fondo sono fortunate : hanno una casa, dei bambini e, per quanto io odio i loro rispettivi mariti, anche l’amore. Voi due invece, mie care ragazze, da sempre siete state le sfigate per eccellenza, le zitelle della famiglia Swan. Volete o no sfatare questo mito?

Avete un anno di tempo per conquistarvi il milione di dollari. Chi troverà l’amore, badate bene, l’amore vero e puro, senza secondi fini, riceverà la sua parte d’eredità. So quanto amiate le sfide e sono certa che non vi tirerete indietro.

Con affetto, la vostra nonna Justina.”

 

«Che cosa? Non è possibile!» balzo in piedi, indignata.

Delia mi fiancheggia e assieme guardiamo con astio Rot.

«Non ve la dovete prendere con me, sono le volontà di vostra nonna!» si giustifica.

«Per intenderci: devo trovare l’amore vero entro un anno o non riceverò neanche un centesimo? Dove sono capitata, in un libro della Kinsella!».

Rot si alza in piedi, mette all’interno della sua valigetta i documenti. «Questo è quanto. Avete un anno di tempo».

«Chi non le dice che ci sposeremo con il primo che capita?», è la domanda di Delia.

Ha ragione, potremmo uscire da quella casa e recarci insieme ad uno sconosciuto in una cappella di Las Vegas e sposarci. La prima che firmerebbe le pratiche del matrimonio, si prenderebbe tutti i soldi.

«Mi dispiace deludervi, ma vostra nonna ha pensato proprio a tutto. Dovete prima avere una frequentazione alle spalle con l’uomo che sceglierete come vostro marito, ed io sarò il supervisore. Lavoro all’ufficio immigrazioni, sapete quante coppie si sono esclusivamente sposate per la cittadinanza americana? Tante, ed io lo sempre scoperte e rispedite nei rispettivi paesi».

Un sorriso furbo increspa le sue labbra e capisco immediatamente che Rot è intelligente, più di quanto pensassi.

Se ne va così, lasciandoci da sole, immerse nei nostri pensieri.

È Mary la prima a parlare. «Porca puttana, nonna questa volta ha superato se stessa».

 

_______

 

Allora, questa storia è nata per caso. Spero sul serio che non ci sia una storia simile xD È da circa un anno che risiede dentro ad una cartella del pc. Ho voluto tirarla fuori adesso, perché sono pronta a continuarla. È una storia abbastanza leggera, senza nessuna pretesa e spero che vi piacerà comunque : ) Unica nota negativa: la storia vedrà il suo corso verso la fine di settembre. Per adesso devo concludere un’altra storia e portarne avanti altre, ma a fine settembre questa arriverà sulle pagine di Efp, purtroppo per voi U_U

Nel frattempo, però, potete lasciare la vostra opinione, se volete :D Così mi renderò conto se l’idea piace o meno.

Un bacio!

 

 

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Capitolo 2
*** Piacevoli sorprese ... ***


Piacevoli sorprese.

 

 

Delia è sempre stata più bella di me, non voglio autocompatirmi, ma è cosi.

Delia è bella. Io sono carina.

Lei è bionda. Io sono mora.

Lei è alta. Io sono bassa.

Lei ha la quarta di tette. Io ho la seconda.

Non ho uno straccio di possibilità di trovarmi un ragazzo prima dello scadere dell’anno. Nessuno mi fila quando entrambe compariamo nella stessa stanza. La sua bellezza è carismatica, attira anche un cieco.

Siamo due persone completamente diverse, ma una cosa ci accomuna: il carattere. Non siamo delle schiocche che si lasciano travolgere dagli eventi. Ci piace sfidarci… in continuazione.

Da piccole a monopoli. Da adolescenti con i ragazzi. E da donne sul lavoro e i soldi. Piace a tutte e due sfoggiare la carta di credito senza limiti ed acquistare l’ultimo paio delle mutande più brutte di questo mondo è fantastico se una delle sue riesce ad acciuffarla prima dell’altra.

Amiamo la competizione e la parola perdere non risiede nel nostro vocabolario.

Quando l’avvocato andò via, tutte e quattro iniziammo a sistemare il soggiorno e la cucina senza dire una singola parola. Mary era stranamente taciturna, mentre Claire non faceva altro che imprecare ogni volta che trovava briciole di pane in mezzo ai cuscini delle sedie. Io e Delia ci siamo evitate per le due ore successive mentre segretamente ci studiavamo a vicenda.

Ho valutato i pro e i contro. Certo, i contro sono più dei pro, ma posso riuscire nell’impresa.

Ho salutato tutte e tre due ore più tardi, pronta a tornare nel mio appartamento. Gli ultimi due giorni sono stati estremamente faticosi, dal decesso di nonna mi sono concessa poco, compreso il sonno. Ho bisogno di dormire, di mettere in standby il cervello e lasciarmi cullare tra le braccia di Morfeo.

Ad accogliermi dentro al mio appartamento c’è Toby, il mio bastardino di due anni. L’ho adottato dopo aver mollato Max e le sue manie da perfezionista. Toby è fedele, non parla, cerca solo da mangiare e vuole tante coccole. L’uomo perfetto se non fosse un cane.

Sbuffando tolgo i tacchi che massacrano i miei poveri piedi e cammino fino in salotto, dove la lucetta rossa della segreteria segnala un nuovo messaggio.

Premo il pulsante ed ascolto il messaggio vocale.

Bella, sono Edward, sono due giorni che sei sparita…è tutto okay? Chiamami quando torni dal funerale.

Merda. Mi ero completamente dimenticata di lui.

Da quando si è trasferito a Houston non ci siamo più visti. Lavora presso uno studio televisivo come cameraman in un show tv. Tornerà in città la prossima settimana ed io non vedo l’ora di riabbracciarlo. È un buono amico e un buon confidente.

Non ho mai pensato a lui in quel senso, come un uomo da corteggiare e da amare. Però, una volta al liceo, lo ricordo come se fosse ieri, ci siamo baciati.

In effetti, per lui, io sono stata il suo primo bacio, il primo sfioramento di lingua. Poi tutto sfumò in qualcosa di umidiccio e tremendamente bagnato. Non ricordo di chi era la saliva che colava dai nostri menti, ma quella esperienza fu terrificante, a tratti traumatica. Non c’è stata più occasione per replicare quel bacio. Negli anni siamo cresciuti, le nostre esperienze si sono estese ed entrambi siamo maturati, lasciandoci alle spalle quel disgustoso e imbarazzante aneddoto.

Nel tempo, dopo che le nostre strade si sono divise al college, ci siamo visti si e no una quindicina di volte. È più di un anno che non ci incontriamo. È venuto a trovarmi lo scorso Ottobre ed insieme abbiamo passato il Ringraziamento con le mie cugine a casa di nonna. È stato il delirio, le mie cugine gli hanno fatto mille domande, finché Mary con la solita grazia che la contraddistingue non gli domandò se andassimo a letto insieme.

Pensavo che non mi avrebbe più voluto frequentare dopo quell’esperienza, ma non è stato così… per fortuna.

Nonna aveva un’insana passione per Edward. Lo definiva il ragazzo perfetto e non potevo darle torto, ma a volte esagerava con i complimenti.

Insomma, lui è Edward, non ha nulla di speciale!

***

Il lunedì è il giorno che amo di più della settimana. Adoro tornare a lavoro, soprattutto dopo aver trascorso quasi quarantottore insieme alle mie cugine. Delia questa notte mi ha inviato un messaggio sul cellulare.

C’era scritto: Vincerò io, stanne certa.

Mentre Mary mi ha chiamato di prima mattina, chiedendomi se potevo passare da lei nel pomeriggio. Non mi ha detto il perché, ma sospetto che c’entri qualcuno dei suoi pargoli.

Claire, invece, ancora non si è fatta sentire, ma di solito lei chiama all’ora di pranzo, cercando di spillarmi più informazioni possibili sul mio capo. Un gran pezzo d’uomo, a detta sua.

Trovo Alice, la mia collega d’ufficio, in postazione: cuffie all’orecchio, dita che digitano freneticamente sulla tastiera del computer e solito sorriso allegro a dipingere il suo piccolo viso.

Alice Brandon è la miglior persona che ho conosciuto qui dentro. È affabile, simpatica, non s’impiccia degli affari tuoi e qualche volta si improvvisa mia consulente personale su uomini e sesso.

«Signore, quale delle mie parole non ha capito? Un’ aspirapolvere non è un aspira chiodi, non dovrebbe chiamare per queste sciocchezze!», risponde ad un tizio al telefono.

Ahimè, il mio lavoro è abbastanza particolare. Diciamo che lavoro in una grande azienda di elettrodomestici, nel reparto che molti evitano come la peste: il reclamo clienti.

Avete presente quando comprate un prodotto e nel manuale d’istruzione c’è la frase: per qualsiasi esposto chiamate il numero verde?

Io sono una delle dodici persone che dalla mattina alla sera in questa stanza si occupa di anonimi inferociti che se la prendono con me e i miei colleghi, per problemi che non stanno né in cielo né in terra.

La pentola a vapore non manda vapore. Il forno a microonde che non gira. La scopa elettrica che non spazza.

Tutte sciocchezze che sentite per dodici ore di fila rischiano di farti uscire fuori di testa.

Lavorare a servizio dei clienti è un completo schifo. Sei costretta ad umiliarti ed a soccombere a ogni genere d’insulto pur di tenerti stretto il posto di lavoro. Lo faccio perché mi servono i soldi per mantenermi e finire l’università, ma se nonna non fosse stata così stronza da non lasciarmi neanche un centesimo a quest’ora avrei mollato tutto e continuato gli studi con più tranquillità.

Il mio sogno da bambina era di diventare una professoressa di storia. Amo la storia, mi piace perdermi per ore nella pagine che raccontano la rivoluzione francese o le cause che scatenarono la prima guerra mondiale. Adoro anche i costumi d’epoca e ogni tanto mi diverto a riprodurne qualcuno con le mie stesse mani. Le occasioni per indossarli sono sempre poche, ma quando si presenta Halloween o Carnevale sono la prima ad entrare nei panni di Maria Antonietta.

Un giorno, spero il più vicino possibile, riuscirò a realizzare questo mio piccolo grande sogno.

Alice sbuffa e con un colpo secco toglie le cuffie dall’orecchio. Il cliente le ha chiuso la chiamata in faccia, si capisce dal suo sguardo furibondo.

«Accidenti, mi sono rotta di questa merda. Prima o poi mando a fare in culo tutto!», impreca.

Mi sono dimenticata di aggiungere che Alice, a livello di cafonaggine, si avvicina molto a Mary. Il suo linguaggio è abbastanza colorito, farebbe impallidire anche un ragazzino di diciassette anni che, in teoria, a parolacce dovrebbe essere più fornito.

«Che bello quest’aria dall’allegria ogni volta che entro», dico sarcastica.

Mi siedo nella scrivania accanto a quella di Alice ed inizio ad accendere il computer. Metto anche le cuffie, strumento indispensabile per comunicare con il cliente inappagato dal prodotto che ha acquistato.

«Mi dispiace per tua nonna. Sono imperdonabile, non sono venuta al funerale. Scusami, ma Jeremy ha avuto la febbre», mormora dispiaciuta.

«Tranquilla, sei una ragazza madre…non è colpa tua», faccio spallucce e sospiro sconfortata all’idea che da un momento all’altro il primo stronzo insoddisfatto della giornata m’inonderà di lamentale inutili e insensate.

«Ehi, è un offesa?», mi domanda.

Ridacchio sotto i baffi. «Ovviamente no, Alice…».

Parte uno squillo che mi annuncia la prima chiamata.

«Servizio clienti buongiorno, sono Isabella».

«Salve, il mio ferro da stiro non manda i due strati di vapore per il quale lo comprato, eppure nella confezione c’era scritto: doppio vapore».

Sul mio viso si dipinge un sorriso spontaneo. Non è una casalinga disperata quella dall’altra parte della cornetta.

«Uaoh…non m’intendo di ferro da stiro, ma potrei passarle la mia collega», sto al gioco.

«Uhm…lei è più carina».

«Ah si? Da cosa lo deduce?».

«Dalla voce».

«Perspicace, magari ha anche ragione».

«Certo. Io ho sempre ragione».

È meglio mettere fine a questa pagliacciata, prima che qualcuno si accorga che invece di lavorare sto facendo la scema con il mio migliore amico.

«Edward! Piantala, quante volte ti ho detto di non chiamarmi quando sono a lavoro?». È impossibile ragionare con lui.

Se il capo mi becca a chiacchierare dei fatti miei sul telefono dell’azienda mi licenzia su due piedi.

«Ma tu hai già spento il cellulare, ed io ti dovevo parlare subito», si giustifica.

È vero, quando entro in azienda il telefono lo spengo per ovvie ragioni.

«Potevi aspettare, che ne so, dopo le cinque?».

«No, perché quello che sto per dirti ti renderà la donna più felice dell’intero universo».

Inarco un sopracciglio. «Addirittura?».

«Okay, spara», faccio con fare annoiato.

«Hai presente William Turner, il tuo attore preferito?».

Certo che ho presente William Turner. È stato per anni il mio idolo adolescenziale. Ho visto tutti i suoi film, non ne ho perso neanche uno per strada. Davanti a “L’amore profondo” ho perso la mia verginità, anche se quella sera di profondo c’era soltanto il mio dolore e non il piacere.

«Quindi?».

«Mercoledì è in trasmissione e, visto che sei la mia migliore amica e si dà il caso che io faccia parte dello staff, sei invitata. Ovviamente hai il pass per il dietro le quinte», sussurra allegro.

Il cuore fa una capriola nel petto…spero per lui che non mi stia prendendo in giro.

«Edward, non stai scherzando, vero?». La mia voce si è già alzata di una nota, manca solo che mi metta a saltellare sul posto.

«Ovviamente no, piccola». Dio, se mi chiama anche piccola…mi sciolgo.

«A, sì, cioè…okay! Chiederò un permesso e verrò a Houston!» esclamo contenta, facendo voltare incuriosita mezza stanza verso di me.

Abbasso la voce e mi schiarisco la gola. Vorrei sprofondare per la vergogna, ma mi riprendo all’istante.

«Ehm, Edward, ci sentiamo dopo okay? Adesso devo andare. Grazie, sei il migliore, ti voglio bene». Senza aspettare che risponda termino la chiamata, premendo il pulsante che ho sulla tastiera.

«Mi chiedo quando ti deciderai a sposartelo» è il primo commento di Alice, che per poco non mi fa andare di traverso la mia stessa saliva.

«Alice, cazzo è il mio migliore amico…lo conosco da una vita». Non riesco neanche ad immaginarmi nuda dentro ad una letto a fare sesso con Edward, figuriamoci sposarlo.

«Hai mai visto Dawson’s Creek? Anche lì sono tutti migliori amici, e poi si chiavano a vicenda».

 

***

 

Eccomi qui ^^ Prima di tutto i miei ringraziamenti vanno a voi e all’entusiasmo che avete mostrato per questo inizio di storia :D

In questo capitolo è entrato in scena Edward, molte di voi si aspettavano che fosse lo sconosciuto di turno del quale Bella si innamora? Su, dite la verità ;)

In questa storia, il ruolo di Edward sarà abbastanza importante se non decisivo in alcune fasi della vita della nostra eroina.

Ho aggiornato prima del previsto, sono soddisfatta di me stessa xD Spero che questo capitolo sia gradito come il precedente.

Perdonate i vari errori, non ho riletto e molto probabilmente gli darò un’occhiata questa sera.

William Turner non è un attore, ma un pittore e incisore inglese dell’ottocento, ma siccome in questo nome ci sono racchiusi due dei mie personaggi ammiro di più, ho deciso di usarlo. William è il nome di uno dei miei attori preferiti, appunto William Hurt, mentre il cognome “Turner” viene da un’altra persona che stimo…Tina Turner, cantante sublime :D

Dawson Creek lo conoscete tutti suppongo, non c’è bisogno che vi spiego cosa sia u.u

Con questo vi saluto ed io me ne vado a nanna :P

Un bacione e alla prossima!

 

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Capitolo 3
*** Divano, pizza e chiacchiere. ***


Houston, Texas.

Nessuno mi ha mai detto quanto sia caldo questo stato. Sto letteralmente squagliando dentro al mio maglione di lana.

La cosa divertente è che Edward ha provato ad avvertimi del clima piuttosto afoso di Houston, ma io come al solito ho sminuito le sue raccomandazioni e ho fatto di testa mia.

Quando sono partita da Forks, si stava letteralmente morendo di freddo, essendo autunno inoltrato è anche comprensibile, ma una volta atterrata in questo aeroporto ho avuto i primi “bollori”.

Ho tolto il giaccone e la felpa. Adesso ho solo una maglioncino color crema, che comunque è molto pesante.

Non riesco a intravedere Edward, così mi avvio a prendere il mio bagaglio, cioè una valigia contenente tutto l’occorrente per apparire al meglio quando sarò tra il pubblico in trasmissione.

C’è molta gente, spintono qualcuno e arrivo davanti al rullo, allungando il braccio per afferrare la mia valigia.

Proprio mentre la prendo, una mano dietro di me si posa sulla mia spalla, facendomi sobbalzare.

Mi giro svelta e il sorriso sghembo di Edward mi stende in un nano secondo.

Cielo, è bellissimo…ed io non lo ricordavo così alto, magro e con due labbra perfette da baciare.

Lo guardo un attimo, prima di balbettare come una scema : «Ti sei messo a dieta?».

Edward si acciglia, spero che non si sia offeso, e si passa una mano in mezzo ai capelli.

«Non ci vediamo da due anni e mi chiedi se mi sono messo a dieta? Secondo te?».

Per fortuna non ci è rimasto male, anzi, ridacchia divertito.

«Beh, sei diverso, più magro e muscoloso! C’entra una ragazza, giusto?» ammicco, dandogli un buffetto sul petto. Faccio per ritirare la mano dal suo torace, ma lui la blocca, coprendola con la mia.

I suoi occhi sono diventati seri, il suo sguardo non è più sorridente. Ho toccato un tasto dolente?

Sono la solita cretina...

«Vieni qua, non ti abbraccio da un secolo», mi trascina letteralmente tra le sue braccia e ci abbracciamo con affetto e calore.

Non ha risposto alla mia domanda, ma non voglio tubarlo così decido di far cadere l’argomento.

«Mi sei mancata…» mi sussurra all’orecchio, facendomi venire i brividi.

«Anche tu, tantissimo!» esclamò, soffocando la voce sulla sua t-shirt dei Red Hot Chilli Pepers. Il suo gruppo preferito da un secolo.

Qualche secondo dopo ci stacchiamo e Edward raccoglie la mia valigia, prendendola al mio posto.

«Posso farcela, non è così pesante» ribatto.

«Adesso che ho messo su i “muscoli” posso benissimo farcela» scherza.

«Non che prima eri male, ma ora sei: Uaoh…».

Okay, questo commento potevo risparmiarmelo, perché così Edward potrebbe pensare che m’interessi fisicamente, cioè è carino e tutto, ma non lo penso in quel senso. Lui è il mio migliore amico, non potrei mai…

«Grazie» risponde con un sorriso luminoso e riprendiamo a camminare verso l’uscita dell'aeroporto.


***

Sono entrata a casa di Edward da neanche un paio di minuti e già gli sto urlando contro tutto il mio disappunto.

«Che cosa?! Sei pazzo!».

Non posso crederci che sia così cretino da non avere un divano letto in casa. Appena sono entrata gli ho chiesto immediatamente dove fosse la stanza degli ospiti, cosicché potessi cambiarmi, ma mi ha informato che non c’è nessuna camera degli ospiti.

Così gli ho domandato dove avessi dormito in questo caso e lui ha risposto tranquillamente che avremmo condiviso il suo letto. Il SUO letto matrimoniale.

«Bella, perdonami, ma la mia ultima ragazza si è portata via il divano, visto che era un suo regalo di compleanno, ed io sono così pieno di lavoro che non ho neanche il tempo di mangiare, figurati di comprare mobili o altro per la casa».

Lo guardo incredula. «Cioè, fammi capire la situazione: la tua ex si è portata via il divano? Ma che razza di persona è?!».

«Diceva che ancora doveva finirlo di pagare a rate e che lo voleva indietro. Dovevo scegliere cosa tenere tra il divano e il letto...e ho scelto quest’ultimo ».

Lo guardo scioccata. Apro la bocca, vorrei dirgli che è un emerito cretino, che solo le sue ex possono essere così stupide e superficiali, ma mi limito ad annuire ed a sospirare stanca.

Non che odi dormire nello stesso letto assieme a lui, ma cavolo rimane sempre un uomo…ed un uomo e una donna nello stesso letto, almeno che non siano imparentati, non sono mai nulla di buono.

«Okay, basta che non violi il mio lato o ti trincio» lo avviso.

«E tu vedi di non tirare calci, le mie costole chiedono ancora pietà dall’ultima volta».

«Avevamo diciassette anni ed ero nervosa! Sei stato il primo ragazzo con cui sono andata a letto» finisco la frase ma mi rendo conto del doppio senso e arrossisco.

«Cioè, nel senso con cui dormivo non con in quale h-».

«Ho capito, Bella, non ti giustificare» sorride, dirigendosi in cucina.

Lo seguo e lo vedo mentre apre il frigo.

«È il succo ai mirtilli quello?» domando incredula.

«Esatto». Gingilla tra le mani la bottiglietta rossa.

«Ti adoro!» gli salto addosso e per poco non glielo faccio rovesciare sul pavimento.

Edward è a conoscenza della mia passione smodata per il succo di mirtilli. Mi nutrirei solo di quello e di patatine e cioccolata, ma peccato che la mia linea ne risentirebbe. E diventare obesa non è uno dei miei obbiettivi di quest’anno.

«L’ho comprato per te, in vista del tuo arrivo» sussurra una volta che ci separiamo.

Non presto molta attenzione a quello che dice, sono molto più concentrata a trovare un bicchiere per potermi dissetare.

Devo ammettere che il gesto di Edward è stato adorabile.

È premuroso, gentile, affabile e molto carino esteticamente, cosa da non sottovalutare, non gli manca proprio nulla.

Spero che un giorno trovi una ragazza che lo meriti veramente.

**

Sono passate due ore ed io e Edward ci troviamo nella pizzeria sotto casa due, a mangiare due pizze alla diavola. In frigo, oltre al succo di mirtilli, ho scoperto che non c’è nulla. O morivamo di fame o compravamo qualcosa.

Abbiamo optato per la seconda, domani andremo a fare la spesa.

«E’ buonissima questa pizza» mugolo, prendendo un’altra fetta.

«Lo vedo...l’hai quasi finita tutta, e non sono passati neanche dieci minuti da quando siamo entrati qui», ridacchia.

Lo guardo malissimo. Fare commenti ad una donna mentre mangia non è una buona mossa se non vuoi finire a terra, steso da un pugno. Edward credo che non lo sappia.

Incavolata ributto la fetta mezza mangiucchiata sul piatto e lo guardo in cagnesco.

«Edward, la prossima volta che mi dai velatamente della maiala, perché ho finito la mia pizza prima della tua, perderai qualche dente. Ci siamo intensi?». Gli sorrido dolcemente, ma è solo una facciata.

«Voi donne siete proprio strane, che ho detto di male?». Spero che scherzi.

«Solo che mangio come una porca, mentre sto mangiando come una porca».

«Ma te lo dici tu stessa...che c’è di male?», inarca un sopracciglio e da un morso alla sua fetta di pizza al salame.

«Noi donne siamo sensibili sull’argomento cibo, non vogliamo essere giudicate quando mangiamo o per voi è finita. Tienilo a mente per la prossima ragazza che rimorchierai».

«Non credo che ci sarà una ragazza nell’immediato, mi dispiace».

«Oh...la ragazza divano ti ha lasciato sconvolto?» sorrido, ma lui non prende la mia battuta sullo scherzo, anzi, si innervosisce.

«La ragazza divano, come la chiami tu, non c’entra niente. Non ci sarà nessuna ragazza nella mia vita, almeno per i prossimi dieci anni».

«Ti ha proprio ferito, eh?».

Allungo una mano prendendo la sua libera dalla pizza e la stringo con affetto. Edward è sempre stato abbastanza sfigato in amore. Le donne che si è scelto, fino ad oggi, lo hanno sempre sottovalutato e lui si è lasciato usare come uno straccio vecchio. Non so che diamine gli passa per la testa, ma merita di più, e sarebbe ora che se ne rendesse conto.

«Edward, prima o poi incontrerai la ragazza giusta. E se dovesse andare male ci sono sempre io: la tua amica zitella!», scoppio a ridere per la mia battuta scema, ma lui non sorride. Improvvisamente si fa serio e questa cosa mi lascia di stucco.

Che ho detto di male? Le battute imbecilli sono quelle che mi vengono meglio, diamine!

«Paghiamo? Mi è passata la fame». Si alza dal tavolino velocemente, lasciandomi da sola davanti alla sedia vuota di fronte a me, che pochi secondi fa era riempita dal suo corpo.

Per almeno un minuto rimango basita dal suo cambio di umore, così veloce e così fastidioso, ma poi sbatto le palpebre e mi riprendo. Edward nel frattempo torna e mi dice di aver pagato il conto, protesto perché anch’io volevo pagare la mia parte, ma lui non vuole sentire scuse. Sono una sua ospite e come tale mi tratterà finché mi tratterà a Houston.

Sbuffando, tra una lamentela e l’altra, ci avviamo a casa.

Ho la strana sensazione che mi stia nascondendo qualcosa di veramente importante, ma non vorrei insistere. Di solito è lui il primo a confidarsi con me, negli anni è sempre stato così. Dal canto mio sono sempre stata leggermente restia a confidarmi, non perché non mi fidi, ma per un semplice fatto di timidezza.

Quando arriviamo a casa, la stanchezza del viaggio inizia a prendere strada in me. Con la pancia piena e i miei bisogni fisiologici accontentati, potrei dormire per dodici ore di fila.

Sbadiglio, stiracchiandomi in mezzo al salone privo di divano. Ecco, in momenti come questi farebbe la differenza. Quella tv al centro della sala è inquietante senza lo strumento perfetto per la guardarla. Spero sul serio che Edward abbia intenzione di comprarne uno, o sarò costretta a farglielo acquistare con la forza.

«Sono stanchissima», sbadiglio per l’ennesima volta e butto la borsa sul pavimento senza preoccuparmi troppo dove è finita.

Edward mi sorride dolcemente e si fa vicino. «Vai a dormire, abbiamo tempo prima di domani e poi dovrò tornare a lavoro più tardi» sussurra e mi accarezza un guancia, che prende fuoco al suo passaggio.

Non ricordavo che i contatti fisici tra me e lui potessero sconvolgermi più del previsto. È una sensazione strana, che mi lascia senza sorpresa. Quando eravamo più piccoli, capitava spesso che ci cambiassimo uno di fronte all’altro, tale è alto il nostro grado di affetto fraterno. Non si potrebbe mai trasformare in attrazione fisica vera e propria, solo al pensarci ho i brividi. Lo considero un fratello, ed io con mio fratello non ci andrei mai a letto, ovviamente.

«Ehm...sì, credo che andrò...quando torni?», gli domando allontanandomi nel frattempo e dirigendomi verso la camera da letto.

«Non so, verso le otto, ma non prometto nulla. Tu vai a dormire, io da finire del lavoro al pc e fare qualche chiamata».

Annuisco, senza rispondere e chiudo la porta alle mie spalle.

Caspita, in Texas si muore di caldo, e con questo camicetta addosso non credo di poter resistere oltre. La sbottono velocemente e rimango in canottiera.

I jeans fanno la stessa fine, ma non posso dormire in mutande nel letto del mio migliore amico, per quanto siamo intimi, ci tengo ancora al mio pudore. Riesco a trovare in mezzo alle cianfrusaglie che ho messo nel trolley un paio di short corti ed esulto mentalmente per la mia genialità.

Quando toccò la morbidezza del materasso, il mondo intorno a me sparisce e sprofondo in un sonno pesante e senza sogni.





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Ciao a tutte! Come va? Inutile scusarmi per il ritardo. Avevo già avvisato che questa storia avrebbe avuto degli aggiornamenti lenti, ma ora che finalmente “Lei e Lui” sta per finire, manca solo l’ultimo capitolo, posso iniziare a dedicarmi a questa :D Non siete contente? XD No, ovviamente xD ihihi...

Tralasciando i miei scleri, parliamo della storia. Avete notato tutte la reazione di Edward alle domane di Bella? Eh eh, chissà come mai è così triste...Io direi che il caro Edward è innamorato da una vita della nostra Isabella, ma io non vi ho detto nulla :P

Vi lascio, grazie mille per i commenti allo scorso capitolo ;) vi aspetto anche in questo, se volete :P

Un bacio!


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