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Attraverso il giardino di nonna, stando attenta a non
calpestare i suoi amati fiori.
Oh.
Ma che
schiocca.
È morta da oltre ventiquattro ore e, ancora, mi ostino a
parlare di lei al presente.
Questa mattina Claire mi ha chiesto di venire prima, per
preparare il buffet per il dopo funerale.
Ho fatto come mi ha ordinato,
sono venuta prima e mi sono subita ore e ore davanti ai fornelli.
La cosa assurda di tutto questo è che nonna non assaggerà quella
merdata che ho cucinato. Non potrà neanche offendermi per aver cotto troppo la
pasta, e non si strozzerà con le patate al forno troppo secche. Di solito, odiava
la mia cucina. Diceva che come cuoca facevo pena…non potevo darle torto. Ma
siccome le sue amate nipotine sono occupate in altro, tipo cercare di infilare
la scarpa destra nel piede giusto, lasciano l’ingrato compito a me.
«Hai finito con questa torta, è orrenda!». L’urlo isterico
di Mary mi fa riprendere dal momento di profonda trance. Alzo gli occhi sulla
torta che stavo tentando di decorare prima che i pensieri mi portassero in
un'altra dimensione. Eppure dovevo aggiungere solo i fiori di marzapane bianchi,
come c’era scritto sul retro, ma ho combinato un disastro.
«Ma che diamine hai combinato! Si è tutto spappolato!»
È fuori di testa, isterica e mezza matta. Mary è la più
grande di noi quattro nipotine. E’
sposata, ha tre bambine e vive a due passi da casa di nonna.
Raccontare la sua infanzia, come quella mia di Mary, Claire
e Delia sarebbe troppo complicato. Siamo cresciute tutte e quattro insieme,
quasi da sempre. I genitori di tutte e tre sono sempre stati molto affiatati,
andavano assieme a party, feste di capodanno, vacanze in isole sperdute. E
insieme, purtroppo, hanno trovato la morte. Qualcuno la vede come una stramba
macabra ironia.
«Ehi, non è colpa mia», tento di giustificarmi, ma i suoi
occhi mandano saette in ogni angolazione.
«Sei un’incapace. Nonna aveva ragione, come cuoca fai pietà».
Non me la prendo, è scossa per la morte di nonna, evito di
dirgliene quattro e sbuffando continuo ad attaccare i fiorellini di marzapane.
Che stupida idea questa della torta. Perché nessuno prende mai in
considerazione la mia opinione? Fin da piccola mi hanno sempre trattato come
l’ultima ruota del carro. La scema, la nanetta che non è buona a concludere
nulla.
«Ancora su questo maledetto dolce, Isabella dimmi una cosa,
ma dove stai col cervello?». La voce che mi riprende è di Delia. È una maniaca
della perfezione, per lei è fuori posto anche una nuvola in cielo.
Cerco di trattenere la rabbia e continuo a fare quello che
stavo facendo cinque secondi prima che le isteriche mi rompessero le palle. Le
evito, faccio finta di essere sorda e finisco di decorare la torta. Una volta
terminata le do uno sguardo critico, ma maschero bene la mia delusione nel notare
che il dolce non assomiglia minimamente a quello del libro di cucina. Non
voglio dare a entrambe la soddisfazione di ammettere che ho combinato un
disastro epocale.
«Vado in bagno» pronuncio, lisciando le pieghe invisibile
del mio tubino nero. L’ho comprato questa mattina, nel mio armadio non
ci sono molti vestiti, l’unica cosa a me disponibile sono una valanga di Jeans
e camicette a quadri, ho dovuto fare una fatica immane per trovare qualcosa di
nero che si adattasse ai miei gusti. Ma in fondo è un funerale, mia nonna di
certo non uscirà dalla barra, accusandomi di indossare un abito orrendo.
***
La cerimonia è stato uno schifo. Ho pianto per tutto il
tempo, cercando di mascherare le lacrime dietro ad un paio di occhiali da sole.
Mary, Delia e Claire sono stata molto più espansive di me, lasciandosi
trasportare dall’emozione. Hanno strillato, sbraitato e fatto abbracciare dai
rispettivi mariti, escluso Delia ovviamente. Lei non è né fidanzata né sposata,
siamo le due zitelle della famiglia Swan. Allergiche ai matrimoni o qualsiasi
cosa che rispecchia minimamente questo vincolo. Io personalmente odio dovermi
sottomettere ai voleri del sesso maschile, mi basta guardare Claire e Mary per
rabbrividire. Loro sono il classico modello di casalinghe perfette, ma
disperate.
Hanno tre marmocchi a testa, uno più petulante dell’altro e
non mi stupirei se entro il prossimo hanno una delle due uscirà nuovamente
incinta e chiamerà il pargolo Justina, come la nonna, o Justin, variante al
maschile. Sono fatte così, non posso farci nulla.
Mi muovo con passo lento verso il salotto dove riunita c’è
mezza popolazione di Forks. La maggior parte di loro supera la sessantina,
tutti vecchi amici di mia nonna. Credo che molto presto la raggiungeranno,
perché disperarsi così tanto? Non è il momento di fare sarcasmo, lo so da me,
ma cerco di superare questa tragica giornata sfornando battute senza senso e
tremendamente tristi, che non farebbero ridere neanche un cavallo.
«Isabella, piccolina, come stai?» la vocetta timorosa di zia
Adele mi da su i nervi. Mi ha sempre odiato, fin da piccola. Secondo lei a
sedici anni Tom, il mio primo ragazzo, faceva parte di una setta satanica. Tom
non faceva parte di nessuna setta satanica, ma di una band di metallari. C’è
una bella differenza, ma né lei né nonna lo hanno mai capito. Fortuna che ho
lasciato Tom due mesi dopo, mi ero stufata di vedere zia Adele e nonna Justina
farsi il segno della croce ogni volta che entrava in casa nostra.
«Sto bene», sussurro.
«E dov’è Max? l’ultima volta vi ho visto sembravate molto
felici insieme». Tipico di zia Adele impicciarsi della mia vita sentimentale.
«Io e Max ci siamo lasciati», scandisco lentamente, sperando
di sviare l’argomento.
«Mmh…».
«Adesso vado a dare una mano a Delia con il buffet ci
vediamo dopo, zia Adele», le do un bacio sulla guancia e fuggo letteralmente
dal salotto.
Passano due ore e finalmente la casa inizia a svuotarsi. Gli
amici di nonna cominciano a dileguarsi, non prima di averci rinnovato le loro
condoglianze. Solo una persona rimane, l’avvocato di famiglia Richard Rot. Rot ha
sempre amministrato i nostri affari, o per meglio dire quello che ne rimane. Nonna
di certo non era ricca, ma aveva qualche quotazione in borsa della quale non ci
aveva mai fatto parola. Solo ogni tanto ci diceva : Mie care bambine, un giorno
mi ringrazierete. Non ho mai capito il senso di quella frase.
«Volevo aspettare la fine della cerimonia prima di parlarvi
del testamento di vostra nonna».
Rot si accomoda sulla poltroncina arancione di fronte a noi.
Noi quattro siamo sedute sul divano e aspettiamo di udire
con trepidazione le ultime volontà di nonna.
«Su parli, non mi faccia crepare nell’ansia», Mary e la sua
cafonaggine non hanno eguali.
Delia ridacchia, mentre Claire l’ammonisce con un’occhiataccia.
Io rimango in silenzio.
«Questo è il testamento – tira fuori dalla sua valigetta una
cartella – Vostra nonna ha pensato a tutte e quattro, in particolar modo a
Isabella e a Delia», mi rivolge uno sguardo compassionevole.
Ehi! Perché
mi guarda così?
«Allora? Legga, su!», questa è la mia voce, alterata.
Rot si schiarisce la gola e tira fuori dalla cartellina un
foglio.
«Una cosa alla volta. Partiamo da questo».
Mary sbuffa, sono fermamente convinta che entro due secondi lo
manderà a quel paese.
“Mie care bambine, se state leggendo questa
lettera un motivo c’è: sono morta. Sono convinta che passeranno anni prima che
voi quattro verrete a conoscenza delle mie ultime volontà. La famiglia Swan è
famosa per la sua longevità, ma tagliamo corto ai convenevoli.
A te
Mary, mia cara mascalzona impulsiva lascio la casa di famiglia e cinquantamila
dollari. Spero che ne farai buon uso per te e i tuoi bambini. Vedi di non far
toccare neanche un centesimo a quello zoticone di tuo marito.
Claire,
sei la più saggia delle quattro e quindi ho deciso di donarti ogni mia singola collezione
di francobolli. Ricordo ancora come brillavano i tuoi occhi da piccola quando
mi aiutavi ad attaccarli nei rispettivi quadri. Spero per te che non ne
venderai neanche uno, valgono una fortuna. Inoltre, anche a te, lascio
cinquantamila dollari, sperando che anche tu sia abbastanza responsabile da non
farli toccare da tuo marito.”
Sgrano gli occhi, cinquanta mila dollari? Com’è possibile? Nonna non aveva tutti quei soldi!
«Sta scherzando? Mia nonna non era così ricca!». Mary è
incazzata, non crede alla lettera dell’avvocato, pensa che sia uno scherzo.
Rot si intimorisce. «Assolutamente no, sua nonna aveva delle
piccole quotazioni in borsa. Vostro nonno Charlie una volta tornato dalla
guerra aveva investito quel poco di denaro, il resta è stato usato per
costruire questa casa. Negli anni le quotazioni sono salite e i vostri nonni hanno
incrementato un piccolo tesoro», risponde risoluto.
«Oddio…perché non ha mai detto niente?» domanda Claire
sconvolta, coprendosi il viso con le mani.
«Incredibile, si è comportata da stronza anche dopo morta!»
mormora Delia, incredula.
Io sto zitta e cerco di contenere i miei sentimenti. Sono ancora
indecisa se scoppiare a piangere o a ridere. Nonna è sempre stata capace di
stupirci e continua tutt’ora a farlo. Incredibile.
È sempre la solita.
«Bene, passiamo a questa lettera – tira fuori una busta
gialla –, è indirizzata a Delia e Isabella».
Mi agito sul posto, tentando di contenere l’agitazione.
Delia sembra tranquilla e accavalla le gambe, con fare
annoiato.
“Ed ora
eccomi a voi Delia e Isabella. Siete sempre state le più irresponsabili. Solo
al ricordo di tutti i ragazzi che avete portato in questa casa, uno peggio dell’altro,
rabbrividisco…Mentre scrivo questa lettera tu Delia esci con un tipo di nome
Alex, fa il benzinaio non so neanche io dove, e mi si stringe il cuore ogni
volta che vi vedo. So che meriti di più, ma tendi a scegliere la feccia del
genere maschile.
Isabella,
tu sei messa peggio di Delia. Mi spiego: quei pochi ragazzi che hai portato a
casa mi hanno fatto storcere il naso sin dall’inizio. Ricordo ancora quel Tom,
il ragazzo satanico, Gesù, menomale lo hai lasciato perdere…Per non parlare di
Max, il professore di lettere più vecchio di te di dieci anni! Cara Isabella,
quando capirai che meriti di più?
Ho
deciso che a te e a Delia non lascerò nulla, almeno che non ve lo guadagnerete
con la lealtà e la sincerità.
C’è un
milione di dollari. Sono certa che Claire e Mary non se la prenderanno a male,
loro non hanno bisogno di soldi, in fondo sono fortunate : hanno una casa, dei
bambini e, per quanto io odio i loro rispettivi mariti, anche l’amore. Voi due
invece, mie care ragazze, da sempre siete state le sfigate per eccellenza, le
zitelle della famiglia Swan. Volete o no sfatare questo mito?
Avete
un anno di tempo per conquistarvi il milione di dollari. Chi troverà l’amore,
badate bene, l’amore vero e puro, senza secondi fini, riceverà la sua parte d’eredità.
So quanto amiate le sfide e sono certa che non vi tirerete indietro.
Con affetto,
la vostra nonna Justina.”
«Che cosa? Non è possibile!» balzo in piedi, indignata.
Delia mi fiancheggia e assieme guardiamo con astio Rot.
«Non ve la dovete prendere con me, sono le volontà di vostra
nonna!» si giustifica.
«Per intenderci: devo trovare l’amore vero entro un anno o non riceverò neanche un centesimo? Dove sono
capitata, in un libro della Kinsella!».
Rot si alza in piedi, mette all’interno della sua valigetta
i documenti. «Questo è quanto. Avete un anno di tempo».
«Chi non le dice che ci sposeremo con il primo che capita?»,
è la domanda di Delia.
Ha ragione, potremmo uscire da quella casa e recarci insieme
ad uno sconosciuto in una cappella di Las Vegas e sposarci. La prima che firmerebbe
le pratiche del matrimonio, si prenderebbe tutti i soldi.
«Mi dispiace deludervi, ma vostra nonna ha pensato proprio a
tutto. Dovete prima avere una frequentazione alle spalle con l’uomo che
sceglierete come vostro marito, ed io sarò il supervisore. Lavoro all’ufficio immigrazioni,
sapete quante coppie si sono esclusivamente sposate per la cittadinanza
americana? Tante, ed io lo sempre scoperte e rispedite nei rispettivi paesi».
Un sorriso furbo increspa le sue labbra e capisco
immediatamente che Rot è intelligente, più di quanto pensassi.
Se ne va così, lasciandoci da sole, immerse nei nostri
pensieri.
È Mary la prima a parlare. «Porca puttana, nonna questa
volta ha superato se stessa».
_______
Allora,
questa storia è nata per caso. Spero sul serio che non ci sia una storia simile
xD È da circa un anno che risiede dentro ad una cartella del pc. Ho voluto
tirarla fuori adesso, perché sono pronta a continuarla. È una storia abbastanza
leggera, senza nessuna pretesa e spero che vi piacerà comunque : ) Unica nota
negativa: la storia vedrà il suo corso verso la fine di settembre. Per adesso
devo concludere un’altra storia e portarne avanti altre, ma a fine settembre
questa arriverà sulle pagine di Efp, purtroppo per voi U_U
Nel
frattempo, però, potete lasciare la vostra opinione, se volete :D Così mi
renderò conto se l’idea piace o meno.
Delia è sempre stata più bella di me, non voglio
autocompatirmi, ma è cosi.
Delia è bella. Io sono
carina.
Lei è bionda. Io sono
mora.
Lei è alta. Io sono
bassa.
Lei ha la quarta di tette. Io ho la seconda.
Non ho uno straccio di possibilità di trovarmi un ragazzo
prima dello scadere dell’anno. Nessuno mi fila quando entrambe compariamo nella
stessa stanza. La sua bellezza è carismatica, attira anche un cieco.
Siamo due persone completamente diverse, ma una cosa ci
accomuna: il carattere. Non siamo delle schiocche che si lasciano travolgere
dagli eventi. Ci piace sfidarci… in continuazione.
Da piccole a monopoli. Da adolescenti con i ragazzi. E da
donne sul lavoro e i soldi. Piace a tutte e due sfoggiare la carta di credito
senza limiti ed acquistare l’ultimo paio delle mutande più brutte di questo
mondo è fantastico se una delle sue riesce ad acciuffarla prima dell’altra.
Amiamo la competizione e la parola perdere non risiede nel
nostro vocabolario.
Quando l’avvocato andò via, tutte e quattro iniziammo a
sistemare il soggiorno e la cucina senza dire una singola parola. Mary era
stranamente taciturna, mentre Claire non faceva altro che imprecare ogni volta
che trovava briciole di pane in mezzo ai cuscini delle sedie. Io e Delia ci
siamo evitate per le due ore successive mentre segretamente ci studiavamo a
vicenda.
Ho valutato i pro e i contro. Certo, i contro sono più dei
pro, ma posso riuscire nell’impresa.
Ho salutato tutte e tre due ore più tardi, pronta a tornare
nel mio appartamento. Gli ultimi due giorni sono stati estremamente faticosi,
dal decesso di nonna mi sono concessa poco, compreso il sonno. Ho bisogno di
dormire, di mettere in standby il cervello e lasciarmi cullare tra le braccia
di Morfeo.
Ad accogliermi dentro al mio appartamento c’è Toby, il mio
bastardino di due anni. L’ho adottato dopo aver mollato Max e le sue manie da
perfezionista. Toby è fedele, non parla, cerca solo da mangiare e vuole tante
coccole. L’uomo perfetto se non fosse un
cane.
Sbuffando tolgo i tacchi che massacrano i miei poveri piedi
e cammino fino in salotto, dove la lucetta rossa della segreteria segnala un
nuovo messaggio.
Premo il pulsante ed ascolto il messaggio vocale.
Bella,
sono Edward, sono due giorni che sei sparita…è tutto okay? Chiamami quando
torni dal funerale.
Merda. Mi ero
completamente dimenticata di lui.
Da quando si è trasferito a Houston non ci siamo più visti.
Lavora presso uno studio televisivo come cameraman in un show tv. Tornerà in
città la prossima settimana ed io non vedo l’ora di riabbracciarlo. È un buono
amico e un buon confidente.
Non ho mai pensato a lui in quel senso, come un uomo da
corteggiare e da amare. Però, una volta al liceo, lo ricordo come se fosse
ieri, ci siamo baciati.
In effetti, per lui, io sono stata il suo primo bacio, il
primo sfioramento di lingua. Poi tutto sfumò in qualcosa di umidiccio e
tremendamente bagnato. Non ricordo di chi era la saliva che colava dai nostri
menti, ma quella esperienza fu terrificante, a tratti traumatica. Non c’è stata
più occasione per replicare quel bacio. Negli anni siamo cresciuti, le nostre
esperienze si sono estese ed entrambi siamo maturati, lasciandoci alle spalle
quel disgustoso e imbarazzante aneddoto.
Nel tempo, dopo che le nostre strade si sono divise al
college, ci siamo visti si e no una quindicina di volte. È più di un anno che
non ci incontriamo. È venuto a trovarmi lo scorso Ottobre ed insieme abbiamo
passato il Ringraziamento con le mie cugine a casa di nonna. È stato il
delirio, le mie cugine gli hanno fatto mille domande, finché Mary con la solita
grazia che la contraddistingue non gli domandò se andassimo a letto insieme.
Pensavo che non mi avrebbe più voluto frequentare dopo
quell’esperienza, ma non è stato così… per fortuna.
Nonna aveva un’insana passione per Edward. Lo definiva il
ragazzo perfetto e non potevo darle torto, ma a volte esagerava con i
complimenti.
Insomma, lui è Edward, non ha nulla di speciale!
***
Il lunedì è il giorno che amo di più della settimana. Adoro
tornare a lavoro, soprattutto dopo aver trascorso quasi quarantottore insieme
alle mie cugine. Delia questa notte mi ha inviato un messaggio sul cellulare.
C’era scritto: Vincerò
io, stanne certa.
Mentre Mary mi ha chiamato di prima mattina, chiedendomi se
potevo passare da lei nel pomeriggio. Non mi ha detto il perché, ma sospetto
che c’entri qualcuno dei suoi pargoli.
Claire, invece, ancora non si è fatta sentire, ma di solito
lei chiama all’ora di pranzo, cercando di spillarmi più informazioni possibili
sul mio capo. Un gran pezzo d’uomo, a detta sua.
Trovo Alice, la mia collega d’ufficio, in postazione: cuffie
all’orecchio, dita che digitano freneticamente sulla tastiera del computer e
solito sorriso allegro a dipingere il suo piccolo viso.
Alice Brandon è la miglior persona che ho conosciuto qui
dentro. È affabile, simpatica, non s’impiccia degli affari tuoi e qualche volta
si improvvisa mia consulente personale su uomini e sesso.
«Signore, quale delle mie parole non ha capito? Un’
aspirapolvere non è un aspira chiodi, non dovrebbe chiamare per queste
sciocchezze!», risponde ad un tizio al telefono.
Ahimè, il mio lavoro è abbastanza particolare. Diciamo che
lavoro in una grande azienda di elettrodomestici, nel reparto che molti evitano
come la peste: il reclamo clienti.
Avete presente quando comprate un prodotto e nel manuale
d’istruzione c’è la frase: per qualsiasi esposto chiamate il numero verde?
Io sono una delle dodici persone che dalla mattina alla sera
in questa stanza si occupa di anonimi inferociti che se la prendono con me e i
miei colleghi, per problemi che non stanno né in cielo né in terra.
La
pentola a vapore non manda vapore. Il forno a microonde che non gira. La scopa
elettrica che non spazza.
Tutte sciocchezze che sentite per dodici ore di fila
rischiano di farti uscire fuori di testa.
Lavorare a servizio dei clienti è un completo schifo. Sei
costretta ad umiliarti ed a soccombere a ogni genere d’insulto pur di tenerti
stretto il posto di lavoro. Lo faccio perché mi servono i soldi per mantenermi
e finire l’università, ma se nonna non fosse stata così stronza da non
lasciarmi neanche un centesimo a quest’ora avrei mollato tutto e continuato gli
studi con più tranquillità.
Il mio sogno da bambina era di diventare una professoressa
di storia. Amo la storia, mi piace perdermi per ore nella pagine che raccontano
la rivoluzione francese o le cause che scatenarono la prima guerra mondiale.
Adoro anche i costumi d’epoca e ogni tanto mi diverto a riprodurne qualcuno con
le mie stesse mani. Le occasioni per indossarli sono sempre poche, ma quando si
presenta Halloween o Carnevale sono la prima ad entrare nei panni di Maria Antonietta.
Un giorno, spero il più vicino possibile, riuscirò a realizzare
questo mio piccolo grande sogno.
Alice sbuffa e con un colpo secco toglie le cuffie
dall’orecchio. Il cliente le ha chiuso la chiamata in faccia, si capisce dal
suo sguardo furibondo.
«Accidenti, mi sono rotta di questa merda. Prima o poi mando
a fare in culo tutto!», impreca.
Mi sono dimenticata di aggiungere che Alice, a livello di
cafonaggine, si avvicina molto a Mary. Il suo linguaggio è abbastanza colorito,
farebbe impallidire anche un ragazzino di diciassette anni che, in teoria, a
parolacce dovrebbe essere più fornito.
«Che bello quest’aria dall’allegria ogni volta che entro»,
dico sarcastica.
Mi siedo nella scrivania accanto a quella di Alice ed inizio
ad accendere il computer. Metto anche le cuffie, strumento indispensabile per
comunicare con il cliente inappagato dal prodotto che ha acquistato.
«Mi dispiace per tua nonna. Sono imperdonabile, non sono
venuta al funerale. Scusami, ma Jeremy ha avuto la febbre», mormora
dispiaciuta.
«Tranquilla, sei una ragazza madre…non è colpa tua», faccio
spallucce e sospiro sconfortata all’idea che da un momento all’altro il primo
stronzo insoddisfatto della giornata m’inonderà di lamentale inutili e
insensate.
«Ehi, è un offesa?», mi domanda.
Ridacchio sotto i baffi. «Ovviamente no, Alice…».
Parte uno squillo che mi annuncia la prima chiamata.
«Servizio clienti buongiorno, sono Isabella».
«Salve, il mio ferro da stiro non manda i due strati di
vapore per il quale lo comprato, eppure nella confezione c’era scritto: doppio
vapore».
Sul mio viso si dipinge un sorriso spontaneo. Non è una
casalinga disperata quella dall’altra parte della cornetta.
«Uaoh…non m’intendo di ferro da stiro, ma potrei passarle la
mia collega», sto al gioco.
«Uhm…lei è più carina».
«Ah si? Da cosa lo deduce?».
«Dalla voce».
«Perspicace, magari ha anche ragione».
«Certo. Io ho sempre ragione».
È meglio mettere fine a questa pagliacciata, prima che
qualcuno si accorga che invece di lavorare sto facendo la scema con il mio
migliore amico.
«Edward! Piantala, quante volte ti ho detto di non chiamarmi
quando sono a lavoro?». È impossibile ragionare con lui.
Se il capo mi becca a chiacchierare dei fatti miei sul
telefono dell’azienda mi licenzia su due piedi.
«Ma tu hai già spento il cellulare, ed io ti dovevo parlare
subito», si giustifica.
È vero, quando entro in azienda il telefono lo spengo per
ovvie ragioni.
«Potevi aspettare, che ne so, dopo le cinque?».
«No, perché quello che sto per dirti ti renderà la donna più
felice dell’intero universo».
Inarco un sopracciglio. «Addirittura?».
«Okay, spara», faccio con fare annoiato.
«Hai presente William
Turner, il tuo attore preferito?».
Certo che ho presente William
Turner. È stato per anni il mio idolo adolescenziale. Ho visto tutti i suoi
film, non ne ho perso neanche uno per strada. Davanti a “L’amore profondo” ho perso la mia verginità, anche se quella sera
di profondo c’era soltanto il mio dolore e non il piacere.
«Quindi?».
«Mercoledì è in trasmissione e, visto che sei la mia
migliore amica e si dà il caso che io faccia parte dello staff, sei invitata.
Ovviamente hai il pass per il dietro le quinte», sussurra allegro.
Il cuore fa una capriola nel petto…spero per lui che non mi
stia prendendo in giro.
«Edward, non stai scherzando, vero?». La mia voce si è già
alzata di una nota, manca solo che mi metta a saltellare sul posto.
«Ovviamente no, piccola». Dio, se mi chiama anche piccola…mi
sciolgo.
«A, sì, cioè…okay! Chiederò un permesso e verrò a Houston!»
esclamo contenta, facendo voltare incuriosita mezza stanza verso di me.
Abbasso la voce e mi schiarisco la gola. Vorrei sprofondare
per la vergogna, ma mi riprendo all’istante.
«Ehm, Edward, ci sentiamo dopo okay? Adesso devo andare.
Grazie, sei il migliore, ti voglio bene». Senza aspettare che risponda termino
la chiamata, premendo il pulsante che ho sulla tastiera.
«Mi chiedo quando ti deciderai a sposartelo» è il primo
commento di Alice, che per poco non mi fa andare di traverso la mia stessa
saliva.
«Alice, cazzo è il mio migliore amico…lo conosco da una
vita». Non riesco neanche ad immaginarmi nuda dentro ad una letto a fare sesso
con Edward, figuriamoci sposarlo.
«Hai mai visto Dawson’s
Creek? Anche lì sono tutti migliori amici, e poi si chiavano a vicenda».
***
Eccomi
qui ^^ Prima di tutto i miei ringraziamenti vanno a voi e all’entusiasmo che
avete mostrato per questo inizio di storia :D
In
questo capitolo è entrato in scena Edward, molte di voi si aspettavano che
fosse lo sconosciuto di turno del quale Bella si innamora? Su, dite la verità
;)
In
questa storia, il ruolo di Edward sarà abbastanza importante se non decisivo in
alcune fasi della vita della nostra eroina.
Ho
aggiornato prima del previsto, sono soddisfatta di me stessa xD Spero che questo capitolo sia gradito come il
precedente.
Perdonate
i vari errori, non ho riletto e molto probabilmente gli darò un’occhiata questa
sera.
William
Turner non è un attore, ma un pittore e incisore inglese dell’ottocento, ma
siccome in questo nome ci sono racchiusi due dei mie personaggi ammiro di più,
ho deciso di usarlo. William è il nome di uno dei miei attori preferiti,
appunto William Hurt, mentre il cognome “Turner” viene da un’altra persona che
stimo…Tina Turner, cantante sublime :D
Dawson
Creek lo conoscete tutti suppongo, non c’è bisogno che vi spiego cosa sia u.u
Nessuno
mi ha mai detto quanto sia caldo questo stato. Sto letteralmente
squagliando dentro al mio maglione di lana.
La
cosa divertente è che Edward ha provato ad avvertimi del clima
piuttosto afoso di Houston, ma io come al solito ho sminuito le sue
raccomandazioni e ho fatto di testa mia.
Quando
sono partita da Forks, si stava letteralmente morendo di freddo,
essendo autunno inoltrato è anche comprensibile, ma una volta
atterrata in questo aeroporto ho avuto i primi “bollori”.
Ho
tolto il giaccone e la felpa. Adesso ho solo una maglioncino color
crema, che comunque è molto pesante.
Non
riesco a intravedere Edward, così mi avvio a prendere il mio
bagaglio, cioè una valigia contenente tutto l’occorrente
per apparire al meglio quando sarò tra il pubblico in
trasmissione.
C’è
molta gente, spintono qualcuno e arrivo davanti al rullo, allungando
il braccio per afferrare la mia valigia.
Proprio
mentre la prendo, una mano dietro di me si posa sulla mia spalla,
facendomi sobbalzare.
Mi
giro svelta e il sorriso sghembo di Edward mi stende in un nano
secondo.
Cielo,
è bellissimo…ed io non lo ricordavo così alto,
magro e con due labbra perfette da baciare.
Lo
guardo un attimo, prima di balbettare come una scema : «Ti sei
messo a dieta?».
Edward
si acciglia, spero che non si sia offeso, e si passa una mano in
mezzo ai capelli.
«Non
ci vediamo da due anni e mi chiedi se mi sono messo a dieta? Secondo
te?».
Per
fortuna non ci è rimasto male, anzi, ridacchia divertito.
«Beh,
sei diverso, più magro e muscoloso! C’entra una ragazza,
giusto?» ammicco, dandogli un buffetto sul petto. Faccio per
ritirare la mano dal suo torace, ma lui la blocca, coprendola con la
mia.
I
suoi occhi sono diventati seri, il suo sguardo non è più
sorridente. Ho toccato un tasto dolente?
Sono
la solita cretina...
«Vieni
qua, non ti abbraccio da un secolo», mi trascina letteralmente
tra le sue braccia e ci abbracciamo con affetto e calore.
Non
ha risposto alla mia domanda, ma non voglio tubarlo così
decido di far cadere l’argomento.
«Mi
sei mancata…» mi sussurra all’orecchio, facendomi
venire i brividi.
«Anche
tu, tantissimo!» esclamò, soffocando la voce sulla sua
t-shirt dei Red Hot Chilli Pepers. Il suo gruppo preferito da un
secolo.
Qualche
secondo dopo ci stacchiamo e Edward raccoglie la mia valigia,
prendendola al mio posto.
«Posso
farcela, non è così pesante» ribatto.
«Adesso
che ho messo su i “muscoli” posso benissimo farcela»
scherza.
«Non
che prima eri male, ma ora sei: Uaoh…».
Okay,
questo commento potevo risparmiarmelo, perché così
Edward potrebbe pensare che m’interessi fisicamente, cioè
è carino e tutto, ma non lo penso in quel senso. Lui è
il mio migliore amico, non potrei mai…
«Grazie»
risponde con un sorriso luminoso e riprendiamo a camminare verso
l’uscita dell'aeroporto.
***
Sono
entrata a casa di Edward da neanche un paio di minuti e già
gli sto urlando contro tutto il mio disappunto.
«Che
cosa?! Sei pazzo!».
Non
posso crederci che sia così cretino da non avere un divano
letto in casa. Appena sono entrata gli ho chiesto immediatamente dove
fosse la stanza degli ospiti, cosicché potessi cambiarmi, ma
mi ha informato che non c’è nessuna camera degli ospiti.
Così
gli ho domandato dove avessi dormito in questo caso e lui ha risposto
tranquillamente che avremmo condiviso il suo letto. Il SUO letto
matrimoniale.
«Bella,
perdonami, ma la mia ultima ragazza si è portata via il
divano, visto che era un suo regalo di compleanno, ed io sono così
pieno di lavoro che non ho neanche il tempo di mangiare, figurati di
comprare mobili o altro per la casa».
Lo
guardo incredula. «Cioè, fammi capire la situazione: la
tua ex si è portata via il divano? Ma che razza di persona
è?!».
«Diceva
che ancora doveva finirlo di pagare a rate e che lo voleva indietro.
Dovevo scegliere cosa tenere tra il divano e il letto...e ho scelto
quest’ultimo ».
Lo
guardo scioccata. Apro la bocca, vorrei dirgli che è un
emerito cretino, che solo le sue ex possono essere così
stupide e superficiali, ma mi limito ad annuire ed a sospirare
stanca.
Non
che odi dormire nello stesso letto assieme a lui, ma cavolo rimane
sempre un uomo…ed un uomo e una donna nello stesso letto,
almeno che non siano imparentati, non sono mai nulla di buono.
«Okay,
basta che non violi il mio lato o ti trincio» lo avviso.
«E
tu vedi di non tirare calci, le mie costole chiedono ancora pietà
dall’ultima volta».
«Avevamo
diciassette anni ed ero nervosa! Sei stato il primo ragazzo con cui
sono andata a letto» finisco la frase ma mi rendo conto del
doppio senso e arrossisco.
«Cioè,
nel senso con cui dormivo non con in quale h-».
«Ho
capito, Bella, non ti giustificare» sorride, dirigendosi in
cucina.
Lo
seguo e lo vedo mentre apre il frigo.
«È
il succo ai mirtilli quello?» domando incredula.
«Esatto».
Gingilla tra le mani la bottiglietta rossa.
«Ti
adoro!» gli salto addosso e per poco non glielo faccio
rovesciare sul pavimento.
Edward
è a conoscenza della mia passione smodata per il succo di
mirtilli. Mi nutrirei solo di quello e di patatine e cioccolata, ma
peccato che la mia linea ne risentirebbe. E diventare obesa non è
uno dei miei obbiettivi di quest’anno.
«L’ho
comprato per te, in vista del tuo arrivo» sussurra una volta
che ci separiamo.
Non
presto molta attenzione a quello che dice, sono molto più
concentrata a trovare un bicchiere per potermi dissetare.
Devo
ammettere che il gesto di Edward è stato adorabile.
È
premuroso, gentile, affabile e molto carino esteticamente, cosa da
non sottovalutare, non gli manca proprio nulla.
Spero
che un giorno trovi una ragazza che lo meriti veramente.
**
Sono
passate due ore ed io e Edward ci troviamo nella pizzeria sotto casa
due, a mangiare due pizze alla diavola. In frigo, oltre al succo di
mirtilli, ho scoperto che non c’è nulla. O morivamo di
fame o compravamo qualcosa.
Abbiamo
optato per la seconda, domani andremo a fare la spesa.
«E’
buonissima questa pizza» mugolo, prendendo un’altra
fetta.
«Lo
vedo...l’hai quasi finita tutta, e non sono passati neanche
dieci minuti da quando siamo entrati qui», ridacchia.
Lo
guardo malissimo. Fare commenti ad una donna mentre mangia non è
una buona mossa se non vuoi finire a terra, steso da un pugno. Edward
credo che non lo sappia.
Incavolata
ributto la fetta mezza mangiucchiata sul piatto e lo guardo in
cagnesco.
«Edward,
la prossima volta che mi dai velatamente della maiala, perché
ho finito la mia pizza prima della tua, perderai qualche dente. Ci
siamo intensi?». Gli sorrido dolcemente, ma è solo una
facciata.
«Voi
donne siete proprio strane, che ho detto di male?». Spero che
scherzi.
«Solo
che mangio come una porca, mentre sto mangiando come una porca».
«Ma
te lo dici tu stessa...che c’è di male?», inarca
un sopracciglio e da un morso alla sua fetta di pizza al salame.
«Noi
donne siamo sensibili sull’argomento cibo, non vogliamo essere
giudicate quando mangiamo o per voi è finita. Tienilo a mente
per la prossima ragazza che rimorchierai».
«Non
credo che ci sarà una ragazza nell’immediato, mi
dispiace».
«Oh...la
ragazza divano ti ha lasciato sconvolto?» sorrido, ma lui non
prende la mia battuta sullo scherzo, anzi, si innervosisce.
«La
ragazza divano, come la chiami tu, non c’entra niente. Non ci
sarà nessuna ragazza nella mia vita, almeno per i prossimi
dieci anni».
«Ti
ha proprio ferito, eh?».
Allungo
una mano prendendo la sua libera dalla pizza e la stringo con
affetto. Edward è sempre stato abbastanza sfigato in amore. Le
donne che si è scelto, fino ad oggi, lo hanno sempre
sottovalutato e lui si è lasciato usare come uno straccio
vecchio. Non so che diamine gli passa per la testa, ma merita di più,
e sarebbe ora che se ne rendesse conto.
«Edward,
prima o poi incontrerai la ragazza giusta. E se dovesse andare male
ci sono sempre io: la tua amica zitella!», scoppio a ridere per
la mia battuta scema, ma lui non sorride. Improvvisamente si fa serio
e questa cosa mi lascia di stucco.
Che
ho detto di male? Le battute imbecilli sono quelle che mi vengono
meglio, diamine!
«Paghiamo?
Mi è passata la fame». Si alza dal tavolino velocemente,
lasciandomi da sola davanti alla sedia vuota di fronte a me, che
pochi secondi fa era riempita dal suo corpo.
Per
almeno un minuto rimango basita dal suo cambio di umore, così
veloce e così fastidioso, ma poi sbatto le palpebre e mi
riprendo. Edward nel frattempo torna e mi dice di aver pagato il
conto, protesto perché anch’io volevo pagare la mia
parte, ma lui non vuole sentire scuse. Sono una sua ospite e come
tale mi tratterà finché mi tratterà a Houston.
Sbuffando,
tra una lamentela e l’altra, ci avviamo a casa.
Ho
la strana sensazione che mi stia nascondendo qualcosa di veramente
importante, ma non vorrei insistere. Di solito è lui il primo
a confidarsi con me, negli anni è sempre stato così.
Dal canto mio sono sempre stata leggermente restia a confidarmi, non
perché non mi fidi, ma per un semplice fatto di timidezza.
Quando
arriviamo a casa, la stanchezza del viaggio inizia a prendere strada
in me. Con la pancia piena e i miei bisogni fisiologici accontentati,
potrei dormire per dodici ore di fila.
Sbadiglio,
stiracchiandomi in mezzo al salone privo di divano. Ecco, in momenti
come questi farebbe la differenza. Quella tv al centro della sala è
inquietante senza lo strumento perfetto per la guardarla. Spero sul
serio che Edward abbia intenzione di comprarne uno, o sarò
costretta a farglielo acquistare con la forza.
«Sono
stanchissima», sbadiglio per l’ennesima volta e butto la
borsa sul pavimento senza preoccuparmi troppo dove è finita.
Edward
mi sorride dolcemente e si fa vicino. «Vai a dormire, abbiamo
tempo prima di domani e poi dovrò tornare a lavoro più
tardi» sussurra e mi accarezza un guancia, che prende fuoco al
suo passaggio.
Non
ricordavo che i contatti fisici tra me e lui potessero sconvolgermi
più del previsto. È una sensazione strana, che mi
lascia senza sorpresa. Quando eravamo più piccoli, capitava
spesso che ci cambiassimo uno di fronte all’altro, tale è
alto il nostro grado di affetto fraterno. Non si potrebbe mai
trasformare in attrazione fisica vera e propria, solo al pensarci ho
i brividi. Lo considero un fratello, ed io con mio fratello non ci
andrei mai a letto, ovviamente.
«Ehm...sì,
credo che andrò...quando torni?», gli domando
allontanandomi nel frattempo e dirigendomi verso la camera da letto.
«Non
so, verso le otto, ma non prometto nulla. Tu vai a dormire, io da
finire del lavoro al pc e fare qualche chiamata».
Annuisco,
senza rispondere e chiudo la porta alle mie spalle.
Caspita,
in Texas si muore di caldo, e con questo camicetta addosso non credo
di poter resistere oltre. La sbottono velocemente e rimango in
canottiera.
I
jeans fanno la stessa fine, ma non posso dormire in mutande nel letto
del mio migliore amico, per quanto siamo intimi, ci tengo ancora al
mio pudore. Riesco a trovare in mezzo alle cianfrusaglie che ho messo
nel trolley un paio di short corti ed esulto mentalmente per la mia
genialità.
Quando
toccò la morbidezza del materasso, il mondo intorno a me
sparisce e sprofondo in un sonno pesante e senza sogni.
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Ciao
a tutte! Come va? Inutile scusarmi per il ritardo. Avevo già
avvisato che questa storia avrebbe avuto degli aggiornamenti lenti,
ma ora che finalmente “Lei e Lui” sta per finire, manca
solo l’ultimo capitolo, posso iniziare a dedicarmi a questa :D
Non siete contente? XD No, ovviamente xD ihihi...
Tralasciando
i miei scleri, parliamo della storia. Avete notato tutte la reazione
di Edward alle domane di Bella? Eh eh, chissà come mai è
così triste...Io direi che il caro Edward è innamorato
da una vita della nostra Isabella, ma io non vi ho detto nulla :P
Vi
lascio, grazie mille per i commenti allo scorso capitolo ;) vi
aspetto anche in questo, se volete :P