Black soul.

di Adela Jaymes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Frastornata. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Sguardi. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Sogno. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Festa in piscina. / Part1; ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Festa in piscina. / Part2; ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Giochi pericolosi. / Part1; ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5 - Giochi pericolosi. / Part2; ***
Capitolo 8: *** Capitolo 6 - Respiro. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 7 - Alex. Si chiamava Alex. Finalmente avrei smesso di chiamarlo sconosciuto. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 8 - Primo giorno di scuola. Chi altro potevo incontrare? ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9 - Shopping. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10 - Inaspettato. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 11 - Compagno di classe. / Part1; ***
Capitolo 14: *** Capitolo 12 - Sorpresa. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 13 - Appuntamento. (?) ***
Capitolo 16: *** Capitolo 14 - Chi è Alex? ***
Capitolo 17: *** Capitolo 15 - Sai che ti dico? Vai a fanculo, Alex. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 16 - 10:47. Ah ok. 10:47? Oh merda. Oggi è il mio compleanno! ***
Capitolo 19: *** Capitolo 17 - Ero io quella che fino a pochi minuti prima non avevo voglia di vederlo? ***
Capitolo 20: *** Capitolo 18 - No. Quali fidanzati! Siamo amici. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 19 - A meno che non sia diventata pazza, è proprio qui, sul mio collo, e non so come cacchio c'è finito! ***
Capitolo 22: *** Capitolo 20 - Perchè mi sentivo incredibilmente bene, tra le sue braccia. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 21 - Avrei preferito mille volte assaporare le labbra della persona dietro di me, che un muffin al cioccolato. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 22 - Ancora una volta, tra le sue braccia, mi sentivo al sicuro e protetta da tutti. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 23 - E i nostri cuori, ancora una volta, s’incastrarono l’un l’altro. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Frastornata. ***


Quella sera la discoteca era affollata. C'era troppa gente che mi sentivo confusa, e la voce di Carlie mi dava alla testa.
- Daaai, Greta andiamo a ballare! - disse Carlie.
Carlie era la mia migliore amica dalle elementari. Ricordo ancora quando mi disse:
 Ciao, questo pastello azzurro è tuo? Io sono Carlie, ti va di giocare?” Io per tutta risposta le sorrisi, presi il pastello e mi girai. Tendevo ad essere acida e scortese all'epoca. Con il passare dell'anno, però, diventammo praticamente inseparabili e io imparai a cambiare comportamento.
Carlie è diversa da me. E' bionda, riccia e sicura di se. Io sono mora, liscia e.. beh, non sono molto sicura di me. Lei è socievole, casinista. Io sono più il tipo che aspetta che siano gli altri a cominciare una discussione. Forse anche in amicizia gli opposti sti attraggono.
Adoravo ballare, ma in discoteca la timitezza prendeva il sopravvento e mi bloccavo davanti tutti quei ragazzi che fanno l'occhiolino a tutte, e che ti guardano in modo imbarazzante. La discoteca era un modo per distrarmi, e per mettere da parte la solita vita noiosa a casa mia.
- Greta mi senti? Ti ho detto di venire a ballare con me. - ripetè Carlie, ma io della sua frase capii solo 'ballare'.
- Che hai deettoo? - urlai sopra la testa di un tipo che ci passò davanti.
- Vieni a ballare o no? Hai forse ottant'anni? Vieni a divertirti! - urlò lei a sua volta.
- No, credo che me ne andrò a casa. Mi fa male la testa. Prendo un thè e me ne vado a letto. -
- Ok, ho capito. Ti accompagno. - rispose delusa.
Venti minuti dopo salutai Carlie, mi preparai un thè caldo e salii le scale per il piano superiore di casa. Quella notte crollai non appena finii il mio thè. © 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Sguardi. ***


Sulla spiaggia si stava benissimo. Il sole riscaldava al punto giusto, e c'era quel piacevole vento tiepido d'estate che rinfresca la pelle. Il mare era calmo, e me ne stavo sdraiata sul telo con Carlie, a sentire le voci delle ragazze accanto che commentavano il fisico di ogni bagnino che attraversava la spiaggia. Una era magrissima, fin troppo e solo quando si girò verso di noi capii chi era. Jessie. La 'popolare' della scuola; 'la vipera' era il nome che io e Carlie le avevamo dato. Se ne stava tutto il tempo a limarsi le unghia, a scegliere con le sue amiche oche quale rossetto si addiceva di più alle loro labbra, e a ondeggiare con i fianchi da una parte all'altra della spiaggia, per farsi notare da i ragazzi, che le correvano dietro come dei cagnolini affamati. Sin dall'inizio del liceo aveva avuto qualcosa contro me e Carlie, qualcosa che però non sapevamo. Finchè un giorno una ragazza -una delle sue ochette seguaci- non ci venne a dire che il motivo della sua freddezza nei nostri confronti non era altro che l'invidia. Ci invidiava, si. Ma per cosa? Non avevamo nulla in meno di lei, tranne se si parlava di simpatia.
- Greta, guarda li quel bel bocconcino - disse Carlie ammirando un ragazzo che stava uscendo dall'acqua.
- Carlie, ho l'impressione che tu voglia entrare nel simpaticissimo gruppetto di Jessie. - risposi io sorridendo.
- No seriamente, l'hai guardato? Se fossi in te ci farei un pensierino, anche perchè da quando è arrivato non fa altro che guardarti - mi disse sorridendo anche lei, ma io non lo guardai.
- Ma che dici, stava sicuramente guardando te! - provai a convincerla.
- No mia cara, ti fissa da 14 minuti e 19 secondi. Ecco ora 20. - disse guardando l'orologio sul cellulare.
Stavolta lo cercai tra la folla della spiaggia, e lo vidi. Mi fissava sul serio, ma quando anchio lo guardai distolse lo guardo. Era alto, con i capelli neri, il fisico perfettamente scolpito, e un sorriso attraente. Ma quello che mi colpì fu l'intensità del suo sguardo. Con gli occhi neri guardava ogni angolo della spiaggia, ma non sembrava interessato alle altre ragazze. Lui guardava me, e lo fece di nuovo. Ma questa volta fui io a distogliere lo sguardo. © 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Sogno. ***


Avevo visto qualcosa negli occhi di quel ragazzo, qualcosa di affascinante e misterioso al tempo stesso. E quella notte lui apparve per un istante nei miei sogni. Rividi la stessa scena della spiaggia, lui che mi guardava e che distoglieva lo sguardo quando anchio lo facevo. Solo che nel sogno mi sorrideva; io cercavo di avvicinare una mano verso di lui, ma era come se qualcuno mi tenesse per i fianchi, non riuscivo a muovermi, ad andare avanti. E poi mi svegliai. Quel sogno si ripetè per cinque notti di seguito. Il sesto giorno, fu una notte senza sogni. Al mio risveglio, guardai per terra come ogni mattina, e mi rassicurai vedendo la mia gatta nella sua cesta. Mia era con me da quando avevo tre anni, e non avrei mai immaginato di separarmi da lei. Era una seconda migliore amica, a cui potevo confidare i miei segreti più intimi senza che mi giudicasse. Non avevo ancora guardato l'orario sulla sveglia, che squillò il cellulare.
- Pronto Greta? Ma ti rendi conto di che ora sono? - strillò Carlie al telefono mentre davo uno sguardo all'orario. 10:17.
Merda, la festa in piscina!
- Carlie scusa, davvero. Mi sono addormentata. Mi preparo e arrivo - cercai di scusarmi.
- Ci mancherebbe. Sai quanto tengo a questa festa! Ci sono tanti ragazzi carini, tra cui uno con cui adesso mi precipito a parlare, a dopo! - disse con entusiasmo, e senza lasciarmi rispondere riattaccò.
- Cia... o. - dissi al cellulare che rispose con un 'tu-tu-tu'.
- Mia, adesso che mi metto? - dissi alla mia gatta, che miagolò dolcemente.
Alla fine scelsi un jeans chiaro, un top a fascia viola, misi un po' di lip-gloss color fragola e un bracciale con un ciondono a forma di occhio (un vecchio regalo della nonna) con il centro viola. Non potei non pensare agli occhi di quel misterioso ragazzo della spiaggia. Presi le chiavi del mio motore e chiusi la porta. © 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Festa in piscina. / Part1; ***


In venti minuti di strada, arrivai al garage della casa di Carlie. La musica altissima si poteva sentire persino da lì, e mi affrettai a posteggiare il motore per non farla aspettare ancora. La sua casa era sempre stata bellissima, ma da quando la madre di Carlie si era (ri)sposata per la terza volta l'aveva completamente ristrutturata. Mobili nuovi all'ultima moda, pareti dipinte con colori moderni e luminosi, e graffiti vari sulle pareti colorate raffiguranti rami d'alberi in fiore. Adesso era spettacolare, la casa dei sogni. Ecco perchè era sempre piena di gente. Diversa dalla casa dove abitavamo io e mia madre, che era ancor più vuota quando mancavo io. Mia madre lavorava a Toronto, e stava fuori tutta la settimana e tornava il week-end; invece mio padre non l'ho mai conosciuto. Quando sono nata ci ha abbandonate, e non gliel'ho mai perdonato.
Immersa nei miei pensieri, mi avviai per il giardino dove Carlie mi accolse urlando un 'Cciaoooo!' e abbracciandomi.
Era il suo 17esimo compleanno, e dopo averle dato il mio regalo -un bracciale con incise le nostre iniziali che lei sembrò apprezzare molto- mi accompagnò nella sua stanza di sopra, per indossare il mio costume. Ma quando aprii la borsa, non c'era. L'avevo dimenticato a casa.
Brava Greta, tu sì che sei un mito! Merda, ci mancava solo questa.
- Tranquilla tesoro, te ne presto uno dei miei - disse la mia amica. - Ecco, prendi questo nero con gli strass che ti sta che è una meraviglia! - Il bikini che mi dette era adatto a lei, non a me. Ma lo indossai comunque, per non farle perdere ancora tempo. Era la sua festa, e non doveva essere di certo la sua migliore amica a rovinargliela.
Scese di nuovo in giardino, ci preparammo per prendere il sole, munite di crema abbronzante, io.. e olio, lei.
Dopo mezz'ora passata al sole a parlare di tutte le invitate della scuola e non, ci tuffammo in piscina. Mi lasciai accogliere e coccolare dall'acqua, nuotando qua e la per l'immensa piscina di casa Brown. Adoravo andare sott'acqua, io e Carlie al mare facevamo sempre le gare a chi-resta-più-sott'acqua, e vincevo sempre io.
Anni e anni di allenamento saranno pur serviti a qualcosa, no?
Riemergendo, quello che vidi non fu affatto piacevole. Su una sdraio c'era distesa Jessie Walker, intenta a sorseggiare un drink alla fragola e a mettere le sue chiappe abbronzate in mostra.
- Non mi avevi detto che c'era anche la vipera! Non ti starai affezionando a lei, vero? - dissi a Carlie in tono scherzoso.
- Quello che non ti ho detto in realtà è che è una festa aperta a tutti - rispose lei.
Non appena mi girai, quello che arrivò sulla mia faccia era una cosa morbida e.. e.. Panna.
- Oh, scusa Greta! Ci sei anche tu? Non ti avevo vista, davvero - disse Jessie ridendo e facendo quello che le riesce meglio. La falsa.
- Bruutta vipeera deel caa... - iniziai a dire, dandole uno spintone che la fece cadere per terra.
- ..caaalma, calma - finì la frase Carlie per me, ma non con la fine che volevo dargli io.
Mi trascinò vicino al banchetto, lontana dalla portata di Jessie. Se non mi avesse fermata giuro che.. che...
- Aspettami qui, ti porto dei tovaglioli -
Non appena Carlie si allontanò, qualcuno mi toccò la spalla con una mano. © 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Festa in piscina. / Part2; ***


Mi girai credendo che Carlie fosse già tornata. Fui sorpresa nel vedere chi era in realtà.
Il ragazzo che aveva popolato i miei sogni per ben cinque notti di seguito, era lì. A un passo da me, e mi stava per parlare. Il mio stomaco improvvisamente iniziò a fare le capriole.
- Ciao, ho visto quello che ha fatto Jessie e non credo proprio che non l'abbia fatto apposta - mi disse lui sorridendo. E, cazzo, che sorriso!
- Uuh, ma guarda.. lo penso anchio. - risposi, scrollando via dalla mia faccia la panna.
Cosa vuoi da me ragazzo-che-prima-in-spiaggia-mi-fissa-e-che-non-poi-mi-ha-lasciato-dormire-per-cinque-cavolo-di-notti?
- E' una stronza, lo sappiamo tutti. - ecco che mi regalò un altro sorriso.
- Sì, ma c'è l'ha soprattutto con me e Carlie. - risposi. - se lei non mi avesse bloccata giuro che.. che.. l'avr.. -
- Si, immagino perfettamente la scena. - sorrise ancora. - Ma cos'ha con voi due? - chiese interessato.
- Niente, troppo complicato. Non lo sappiamo bene neanche noi. -
- Forse è solo invidiosa perchè non sei terribilmente odiosa e stronza come lei. E forse non solo per quello.. - sorrise imbarazzato.
- Ti sbagli sconosciuto, se voglio lo posso diventare anchio. - dissi, e stavolta sorrisi anchio.
- Mmm.. - che intendeva con quel 'mmm'? - mi piacerebbe conoscere la tua parte cattiva, basta che non la sperimenti con me, sconosciuta. - perchè non la smetteva di sorridere?
Gli avrei chiesto il suo nome, si. Dovevo farlo, dovevo sapere chi era.
- La tua amica.. come hai detto che si chiama? -
Ah ecco, si è avvicinato a me per lei. Lo sapevo. Beh.. non mi restava che lasciarglielo. 'Lasciarglielo'? Ma che dico? Io e lui non siamo niente, se lo può tenere, è tutto suo.
- Carlie - risposi. - ti interessa? Se vuoi posso parlarle di te.. basta che me lo dici e io.. -
- A me interessi tu. - quella risposta mi colpì e rimasi bloccata a guardarlo negli occhi scuri.
- Co..come scusa? - dissi, forse avevo capito male io. Ma certo, era così.
- Ho detto che a me interessi tu, non Carlie. - ripetè.
Ok, avevo sentito bene.
Arrossii.
- Scusa, ti ho fatta arrossire. Capita sempre quando parlo con qualche ragazza - Presuntuoso.
- Non mi hai fatta arrossire! E' solo che ho caldo.. -
- Ah sì.. è una giornata calda -
- Già, e per questo che adesso vado a fare un bagno.. Ci-ciao. - Mi feci avanti verso la piscina, ma lui mi prese un braccio.
Cazzo, adesso che vuole?
- Posso sapere almeno il tuo nome, sconosciuta? - mi disse guardandomi negli occhi e sorridendo ancora.
Stavo per parlare, quando vidi arrivare Carlie da dietro le spalle di... dello sconosciuto.
- Gr.. - stava per dire Carlie.
- Carlieee! - la bloccai. - Mi ero persino dimenticata che la mia faccia era ancora in parte coperta dalla panna.
- Ecco i tovagl.. oh, hai fatto amicizia durante la mia assienza, vedo - e mi schiacciò l'occhio.
- Ehm, bene andiamo sopra a pulirmi - cambiai argomento.
Lo sconosciuto mi aveva già mollato il braccio da un pezzo, ma era come se qualcosa ancora mi trattenesse a lui. © 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Giochi pericolosi. / Part1; ***


Dopo essermi completamente disfatta della panna sulla mia faccia, scesi giù, mi feci un altro bagno in piscina e presi l'ultimo sole sul tardo pomeriggio. Non riuscivo a togliermi dalla testa lo sguardo e il sorriso che quello sconosciuto mi aveva più volte rivolto; dal momento in cui ci eravamo salutati -se quello si può chiamare 'saluto'- non avevamo più parlato, pur essendoci ritrovati più volte l'uno pochi metri dall'altro. Carlie aveva provato a convincermi a parlare con lui, ma io non volevo farlo. Ogni volta che lo beccavo a fissarmi, il suo sguardo mi imbarazzava, e lui guardava altrove. Eravamo come due calamite: lui era attratto da me, e io -mio malgrado- da lui. Ma perchè continuavo a pensare a lui? Non me importava nulla, era uno sconosciuto qualunque. Uno sconosciuto che doveva uscire dalla mia vita prima ancora di entrarci, e anche subito.
Quella mattina il mare era più agitato del solito, e il caldo mi riscaldava la pelle bagnata dall'acqua. Adoravo quella sensazione di calore tiepido. Io e Carlie andammo al mare con Brooke e il suo ragazzo Bryan, altri due nostri amici. Erano forti, anche se a volte Bryan esagerava fino a diventare pesante.
- Noi andiamo a fare il bagno, venite? - disse Brooke a me e Carlie.
Ci avviammo verso il mare, pronte a fare tuffi e gare a volontà.
Il mare era la mia passione, lo era sempre stata fin da bambina.
Una volta entrati, cominciammo i nostri giochi -capriole sott'acqua, tuffi, trattenere il respiro..- quando all'improvviso non vidi più Carlie.
- Carlie? Carlie dove sei? - forse era ancora sott'acqua, nonostante fossimo tutti riemersi. Trattenni di nuovo il respiro e scesi giù per cercarla. Non c'era, era sparita. Il cuore cominciò ad accelerare. Dov'era la mia amica?
Riemersi e finalmente la vidi. Era andata ad esplorare il mare più infondo, lontano dalla nostra vista.
- Cazzo Carlie, mi hai fatto prendere un colpo! - la rimproverai.
- Scusa, non pensavo che mi cercassi. - disse, sistemandosi il costume fucsia.
Il mare si fece più agitato a causa del vento.
Brooke e Bryan erano usciti da qualche minuto dall'acqua, e si erano distesi sulle loro tovaglie a baciarsi per conto loro.
Io e Carlie continuammo a nuotare. La persi ancora una volta di vista, ma stavolta non mi preoccupai più di tanto, sapendo dov'era finita poco prima. Il mare era sempre più agitato, ma adoravo farmi trasportare qua e la dalle onde; ero brava a nuotare, quand'ero piccola frequentai per tre anni la piscina della mia città. Non mi accorsi che la corrente mi aveva trasportata molto, molto lontano dalla riva. Riemersi, ma venni travolta da un'onda. Cercai di salire in superficie, ma era come se un vortice di trascinasse giù. Sempre, sempre più giù.  © 

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Capitolo 7
*** Capitolo 5 - Giochi pericolosi. / Part2; ***


Sentivo l'acqua che entrava nella mia gola, stavo bevendo e non riuscivo più a riemergere. Le onde mi trasportarono troppo lontano, e anche se fossi riuscita ad urlare 'aiuto', nessuno mi avrebbe sentita. Chissà dov'era Carlie, chissà se tentava anche lei di sfuggire alle onde, o era corsa in spiaggia come tutti gli altri.
Speravo che almeno lei si fosse messa in salvo; almeno lei doveva riuscirci.
- Aiuto! Aiuto! - riuscii a malapena a dire. Ma bevvi ancora l'acqua salata del mare. Ma prima di perdere i sensi, vidi un ombra. Non ero sola in quel mare; forse qualcuno stava correndo in mio aiuto. Ma chi?
Era ancora distante da me, ed ebbi paura di aver confuso l'ombra con un pesce che i miei occhi offuscati avevano trasformato nel doppio delle sue dimensioni. Riemersi per qualche secondo, e anche l'ombra lo fece. Sentii la sua voce. Cerco di dirmi:  “ tranquilla, adesso.. arrivò lì e.. ti porto a riva, cerca di.. di restare sù! Cerca di restare.. sù!” 
Non ci riuscii per più di tre secondi; le onde mi trasportarono di nuovo giù. Lottavo, lottavo contro di loro per salire in superficie, agitavo le braccia per avvicinarmi all'ombra, per riuscirmi a salvare.
Ma vedevo tutto offuscato, sentii che stavo per non capirne più niente.
Mi disse ancora: “ Dove sei? Dove sei, non.. non ti vedo più! Dove sei?” 
- Qui! Sono qui! - dissi con fatica. Ma la mia voce si stava pian piano indebolendo.
Ed eccomi di nuovo sott'acqua, ormai riuscivo a trattenere il respiro nei polmoni a malapena. Continuavo ad ingoiare acqua.
All'improvviso qualcuno mi afferrò per un braccio. L'ombra, pensai.
E poi persi completamente i sensi. © 

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Capitolo 8
*** Capitolo 6 - Respiro. ***


Quando mi svegliai, tutta l'intera spiaggia mi guardava. Mi bruciavano gli occhi, non riuscivo ancora a distinguere bene i volti della gente sopra di me. La prima cosa che feci fu tossire e sputare via tutta l'acqua che avevo ingoiato. Mi misi seduta, e la gente pian piano si allontanò, ognuno per la proprio strada. Carlie agitava le braccia parlando con qualcuno, e quando vide che mi ero svegliata mi abbracciò.
- Stavolta chi  ha fatto prendere uno spavento a chi? - mi rimproverò e mi abbracciò ancora. 
Poi in lontananza vidi le spalle abbronzate di qualcuno che parlava con un signore ato e grosso; riuscii a capire solo qualche parola: 'bevuto molto, perso i sensi, spiaggia.' Io tossivo ancora, e il ragazzo si girò di scatto, avvicinandosi.
Non ci potevo credere.
- Ancora tu? - dissi.
- Ti ho salvato la vita, sconosciuta - e riecco quel famoso sorriso. - dovresti dirmi 'grazie', non aggredirmi perchè sono stato io a farlo. - mi guardò intensamente negli occhi.
- Cos'è successo dopo che ho perso i sensi? - chiesi.
- Ti ho baciata sott'acqua e magicamente il mare si è calmato - disse prendendomi in giro.
Lo guardai come a dire 'ma-che-cazzo-stai-dicendo?!'
- Okok, - disse divertito - ti ho presa e ti ho portata qui -
- Come sapevi dov'ero? Voglio dire, come sapevi che non ero uscita dall'acqua come tutti gli altri? -
- Non ti ho vista uscire dall'acqua, e poi era facile sentire le urla della tua amica - disse lui guardando Carlie.
- Ma ora come stai? - mi chiese Carlie.
- Adesso bene - risposi.
Poi cominciò a parlare al telefono con la madre, che a quanto riuscii a capire le chiedeva di tornare a casa urgentemente.
- Tesoro, adesso io vado.. Devo correre a casa, sai com'è mia madre.. - disse facendo una smorfia - ti vengo a trovare appena finisco con lei, ok? - mi abbracciò ancora. Annuii, ma in realtà avrei voluto che stesse con me. Non volevo restare sola con 'il mio salvatore'. Non volevo ammetterlo, ma era così. Mi aveva salvato la vita.
- Ti accompagno a casa, non penso che vorrai fare tutta questa strada a piedi - disse lui.
- No, davvero, no. Chiamo un taxi. Oppure vado a piedi, mi farà bene camminare. -
Andare a piedi? La spiaggia era  troppo lontana da casa mia. Ma che stavo dicendo?
- Ok, allora vado a prendere la moto e ti porto a casa. - disse agitando le chiavi.
- No.. senti.. - fatica sprecata. Era già corso a prendere la moto.© © ©  

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Capitolo 9
*** Capitolo 7 - Alex. Si chiamava Alex. Finalmente avrei smesso di chiamarlo sconosciuto. ***


Dieci minuti dopo dovetti, purtroppo, stringermi a lui per restare salda sulla sua moto nera. Era bellissima; ho sempre adorato quel genere di moto, e adesso c'ero sopra con lui.
- Comunque io sono Alex - disse lui, e negli specchietti del motore vidi che sorrideva.
Alex. Si chiamava Alex. Finalmente avrei smesso di chiamarlo sconosciuto.
- Greta - mi presentai anchio.
- Bel nome - sorrise. - Finalmente smetterò di chiamarti sconosciuta -
- Legge pure nel pensiero... - sussurrai.
- Cosa? -
- Ehm, no niente.. dicevo.. - Cazzo, e adesso che m'invento? - Bella moto - *fiuuh!*
- Se vuoi qualche volta posso riportarti a fare un giro da qualche parte - disse, stavolta il suo sorriso era malizioso.
- Oh.. sì, ehm.. - Bocca mia sta' zitta! - voglio dire.. no. Questa è la prima e ultima volta che salgo sulla tua moto. Non voglio più trovarmi nelle condizioni di chiederti un passaggio.. - Non era vero.
L'avrei (ri)voluto un passaggio con lui. Su quella moto. Ma che stavo dicendo?
No no, era davvero la prima ed ultima volta che sarei stata lì con lui.
Lui rise, e poi nessuno dei due parlò più.
Poi la moto si fermò e io scesi. Lo salutai impacciata con un gesto della mano; ma arrivata alla porta mi ricordai di non averlo ringraziato per avermi salvato la vita.
- Alex? - si voltà verso di me. - Grazie. - sorrisi, anche lui lo fece. Poi mi voltai, ed entrai in casa.
Solo una volta dentro sentii il rombo del motore che si accendeva. Guardai dalla finestra e vidi che stava per (ri)mettersi il suo grosso casco nero; abbassò la visiera, impugnò il manubrio e partì. © 

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Capitolo 10
*** Capitolo 8 - Primo giorno di scuola. Chi altro potevo incontrare? ***


Urlavo, l’acqua mi travolgeva, non respiravo più. Mi dimenavo e mi agitavo fuori e dentro l’acqua, ma un vortice mi stava risucchiando giù. Non c’era nessuno a salvarmi, potevo solo contare sulle mie forze, che si stavano indebolendo sempre più. Sott’acqua riuscii a vedere la profondità del vortice; lì dentro cosa avrei trovato? Era scurissimo, di un buio spaventoso. Riemersi per un istante e gridai più che potei. La mia voce era terrorizzata. Urlai ancora... Poi mi svegliai.
Mia, la mia gatta, era distesa sul mio letto e questo mi tranquillizzò al mio risveglio. Era stato tutto un incubo, ma stavolta nessuno
mi salvava. Poi quel vortice...
Drin!, drin! Squillò il cellulare.
- Pronto, ritardataria? Svegliaaa! Sono le 8:15! Avresti dovuto mandaremi un messaggio, quindi ho capito che sei sprofondata nel sonno più profondo che c’è. - mi disse Carlie.
Guardai il calendario. Cavolo, oggi è il 10 settembre. La scuola!
- Oddio! Mi preparo e arrivo! Faccio in due minuti. - Neanche il primo giorno di scuola riuscivo ad arrivare in orario?
Mi lavai, misi la prima cosa che trovai nell’armadio, e uscii di casa. Partii col mio motore, e dovetti correre un po’ per arrivare in orario. Guardai l’orologio. 8:15. Ecco, di nuovo in ritardo.
Ma che potevo farci se la mia notte era stata tutto un incubo?
Andavo al secondo superiore, e non ero mai riuscita ad arrivare in orario. La coach Mc. Gowan mi mandava puntualmente dalla preside; ormai le mie scuse erano famose in tutto l’istituto, peccato che non le beveva più nessuno. Entrai nell’aula di biologia.
- Buongiorno signorina Parker! Alla buon ora! Come inizio dell’anno non c’è male, no? - mi disse in tono sarcastico la coah Mc. Gowan.
Mi misi a sedere accanto a Carlie, che frequentava il mio stesso corso.
La lezione era troppo noiosa, e appoggiai la testa sul banco con le cuffie nelle orecchie. Ero esperta in questo, e la coach non se ne sarebbe accorta. Pensavo e ripensavo al mio sogno.. Perchè lì nessuno mi salvava? E quel vortice scuro che significava?
- Signorina Parker! Dalla preside! Subito! – urlò la coach Mc. Gowan.
Merda, mi ero ancora addormentata in classe!
Cinque minuti dopo ero seduta al tavolo della preside a rispondere alle sue domande. “ Perchè ti ostini a non seguire le lezioni? Perchè usi l’mp3 in classe, Greta? Perchè ti sei addormentata sul banco? Quante volte ancora dovrò ascoltare le lamentele della coach Mc. Gowan su di te?”.  
Finito l’interrogatorio, mi alzai e uscii tenendo lo sguardo basso, annoiata.
Quando mi scontrai con qualcuno. Sbarrai gli occhi.
Ecccccerto, chi poteva essere? Stavo seriamente cominciando a pensare che Alex mi perseguitasse.
- Ciao - mi salutò.
- Dì la verita. Mi segui? - chiesi tutto d’un fiato.
- Forse. - disse, e sorrise. Il suo sorriso non era mai stato dolce. In realtà, era un sorriso che prometteva guai.
- Cosa vuoi da me? - chiesi ancora.
- Te. - rispose, e stavolta era serio ma subito dopo mi regalò un altro sorriso da cattivo ragazzo.
- Ok, me ne vado.. - stufa delle sue rispostine maliziose, lo spinsi piano con la mano, ma lui mi afferrò per il braccio.
- Perchè scappi sempre quando sei con me? Hai paura di me, Greta? - mi disse.
Ma che aveva in mente? Io? Paura di lui? Era un tipo misterioso, vestiva sempre scuro, aveva un sguardo intenso e minaccioso, da cattivo ragazzo ma.. di qua a farmi paura.. no. Non a me.
- Io non ho paura di niente. Tanto meno di te. - Cercai di andarmene di nuovo, ma si parò davanti a me, bloccandomi, con le mani poggiate sull’armadietto dietro di me. Ero con le spalle al muro, a un passo dal suo volto. I suoi occhi mi guardavano, mi scrutavano, ero sicura che volesse sapere che pensavo del fatto che la sua bocca era a un centimetro dalla mia. Il cuore iniziò a fare i capricci. Che voleva da me? ‘Te’. Mi tornarono in mente le sue parole di qualche secondo prima. Beh, se era così io volevo tutto il contrario. Non mi piaceva quel ragazzo, era.. strano.
Avvicinò ancora la testa al mio viso, ma io lo spinsi via e me ne andai.
Lo lasciai lì, con le sue idee strane. Con il suo strano  modo di fare, con il suo essere strano.
Non mi voltai, ma ero certa che lui fosse ancora lì. Se sperava che sarei tornata lì a chiedergli, non so.. ‘Scusa’ magari? ..Beh, si sbagliava di grosso. Avrei cercato di evitarlo. Era la cosa giusta da fare. Evitarlo. © 

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Capitolo 11
*** Capitolo 9 - Shopping. ***


Quel pomeriggio io, Carlie e Brooke andammo a fare shopping. Fu un pomeriggio diverso dagl’altri, perchè la compagnia di Brooke era rara. Stava sempre col suo ragazzo; aveva solo noi come amiche, ma era raro che ci degnava della sua presenza. Forse l’estate le aveva fatto venir voglia di stare un po' con le sue vecchie amiche.
Eravamo da Tiffany’s, il negozio preferito da me e Carlie.
Cercavo di frequentare il meno possibile i posti dov’era solito andare Alex; anche se, a dir la verità, non avevo idea di quali fossero. Carlie voleva spiarlo. Mi aveva detto: ‘Voglio scoprire chi è, se ha una ragazza, a che famiglia appartiene, se è ricco, i posti che frequenta, se fa uso di sostanze illegali, se fuma o beve, insomma.. voglio scoprire chi è il primo ragazzo che entrerà a far parte della vita di Greta Parker.’  Io le lanciai un occhiataccia, per farle capire che stava solo dicendo cose che la sua mente non controllava, ma non funzionò, perchè lei continuò dicendo: ‘Comincerò a pedinarlo da domani, all'uscita da scuola. Non mi riconoscerà, tranquilla; indosserò una parrucca riccia e castana. Ah, a proposito. Dovrai prestarmi il tuo motore per pedinarlo. Sai che lui ha una moto fighissima nera?’
Eccome se lo sapevo! C’ero anche salita sopra, ma non volevo che Carlie insinuasse qualcosa che non era affatto vera; quindi risposi con un 'No'  secco.
Lei era convinta che tra me e lui sarebbe successo qualcosa. Io no, per niente. Non volevo neanche prendere in considerazione quest’idea folle. Non lo volevo nella mia vita, punto.
- Come sto con questo? - disse Carlie. - Rosa o nero? - continuò agitando due vestitini da sera.
- Rosa - risposte Brooke.
- Nero - dissi io allo stesso tempo.
Loro preferivano colori come il rosa, il giallino chiaro, l’azzurro pastello, l’arancione, o il rosso; io preferivo il nero o il viola scuro. E molti mi giudicavano per questo. Cioè, siamo arrivati al punto che la gente ti giudica perchè indossi spesso magliette nere o viola, e non rosa? Il rosa mi sapeva di.. Barbie. E le Barbie sono perfette. Io no. Sono tutto all’infuori della perfezione.
Stavamo scegliendo i vestiti per l’homecoming, il ballo dell’inizio dell’anno. Alla fine presi un vestitino nero corto senza spalline, che avevo adocchiato nelle vetrine di Tiffany’s da un bel po'.
Le mie amiche dissero che ero abbastanza sexy, ma già sapevo che mi sarei sentita a disagio. Ah, già. Con Alex tra i piedi anche al ballo, era ovvio che mi sarei sentita a disagio.
- Mmm.. - sentii dire a qualcuno non appena uscii dal camerino di prova col mio vestito addosso.
Mi voltai, e.. cavolo, anche qua!
- Ok, tu mi segui! - urlai, e una commessa si voltò a guardarmi. Le sorrisi, dicendo che era tutto ok!.
- Sei bellissima. - disse Alex, con solito sguardo da cattivo ragazzo.
- Che ci fai qua? - dissi io, ignorando il suo complimento.
- Ho accompagnato mia sorella a scegliere dei vestiti e.. poi ti ho vista. - Adesso lo guardavo dallo specchio. Era dietro di me, e si avvicinò.
- Che vuoi, Alex? - gli dissi. Ero stufa di trovarlo sempre nei posti dov’ero io. Credevo davvero che mi seguisse.
- Mmm.. tante cose. - Capii troppo tardi all’allusione. - Sei sola? - mi disse.
- Si.. cioè, no. - Perchè voleva sapere se ero sola? Che...
Mi guardò interrogativo.
- No, non sono sola. -
- Peccato. - (?) - Volevi fare un giro in moto, no? - continuò.
- No! Ti ho detto che non salirò più in moto con te. Sono con delle amiche, quindi cciiaao! -  risposi.
- Ti ho salvata quando stavi per annegare. Mi devi un favore. - disse, lanciandomi un’altro di quegli sguardi.
- Non ti ho chiesto io di salvarmi. Sei tu che hai voluto fare l’eroe. Quindi non ti devo un bel niente. - dissi.
Favori? Ma cosa voleva da me?
- Okok, ma qualche giorno vieni in moto con me, ok? - sorrise.
- NO! Ciao. - mi chiusi nel camerino, rimisi i miei vestiti e mi diressi verso la cassa.
Ma quando uscii, lui mi trascinò dentro il camerino di prova. © 

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Capitolo 12
*** Capitolo 10 - Inaspettato. ***


- Heei mollami! Che stai fac.. - mi tappò la bocca con la mano. A quel contatto sentii un brivido in tutto il corpo. La vicinanza con lui, la sua mano sulla mia bocca, mi facevano tremare. Mi stava addosso, il suo corpo toccava il mio. E il cuore cominciò a fare i capricci.
- Greta, sta’ zitta. Ora ti lascio.. ma tu devi stare zitta. Per favore, è importante. - Nella sua espressione lessi che era preoccupato.
Mi lasciò, ma mi stava ancora addosso. Era troppo vicino. Non avevo mai fatto caso a quanto fosse bello. C’era qualcosa in lui che.. mi attraeva. Purtroppo sì. Ero attratta da lui in una maniera spaventosa. Non volevo ammetterlo a me stessa, ma la vicinanza con lui mi faceva venire le farfalle nello stomaco.
- Mi spieghi che cazzo hai in mente? - sussurrai.
- Sssh! Non posso dirtelo. - rispose. - Non ancora. - aggiunse piano.
Non ancora? Non poteva dirmelo? Ma che...
- Cioè, tu vuoi dirmi che mi hai trascinata in un camerino di prova, tappandomi la bocca e dicendomi che non devo fiatare, e non vuoi dirmi il motivo? - dissi, con la voce strozzata dalla rabbia. Volevo prenderlo a pugni.
- In realtà, un altro motivo c’è.. E questo te lo farò vedere. - disse con il suo classico sorriso da cattivo ragazzo.
Rimasi impietrita quando capii. Stava avvicinando il suo viso al mio, mise le mani dietro il muro del camerino dov’ero poggiata, bloccandomi, e posò le sue labbra sulle mie. All’inizio restai ferma, come bloccata. Avevo mille pensieri che mi frullavano nella testa. Sentivo le gambe indebolirsi; sarei svenuta. Lo sentivo. Poi cominciai a muovere anchio le labbra con lui, a ritmo. Era come se danzassimo assieme. All'inizio fu un bacio timido, almeno da parte mia. Lui mise le mani dietro la mia schiena, e mi accarezzò. Poi il bacio divenne più intenso, appassionato.
- Dov’è finita Greta? Greta! Greta! - sentii le voci di Brooke e Carlie.
Dovevo uscire da quel dannato camerino. Mi spostai, lo allontanai piano e conclusi quel lungo, bellissimo bacio.
Lo guardai per un secondo, poi uscii dal camerino. Le mie amiche mi stavano per dire qualcosa, poi mi accorsi che il loro sguardo si spostò dietro di me. Capii che anche Alex era uscito, e a loro chissà quali pensieri svolazzavano nella mente.
Abbassai lo sguardo; non sapevo davvero cosa dire.
Mi schiarii la voce.
- Ehm.. io prendo questo. - Sorrisi imbarazzata, indicando il vestitino che tenevo in mano.
Sentivo le guance bollenti, avevo il fuoco in faccia.
Carlie e Brooke mi guardarono in cerca di una spiegazione. Ero sicura che anche loro non sapevano che dire. E io? Cosa avrei potuto inventarmi? Che mi stava dando un consiglio sul vestito? Dentro il camerino? Con la tendina chiusa?
Ad un tratto sentii un respiro sul mio collo. Alex mi toccò leggermente i fianchi con le mani.
- Io vado.. - mi sussurrò all’orecchio.
Le mie amiche mi guardavano ancora interrogative.
Due minuti dopo vuotai il sacco. Dissi tutto, anche della volta sulla moto, senza aggiungere troppi particolari.
- Vi siete baciati? Come bacia? - mi chiese Carlie con entusiasmo.
Lei ovviamente era contenta di quello che era successo. E anche Brooke.
Io non lo sapevo. Ero confusa. Era successo tutto in pochi minuti. Non avevo avuto neanche il tempo di pensare bene. Mi frullavano mille pensieri nella testa: uno diceva che stavo facendo la cosa giusta, un’altro che avrei dovuto interrompere subito quel bacio. Ma il secondo non lo ascoltai, non subito almeno.
Quando mi allontanai da lui, controvoglia, sentii che avevo bisogno di un altro, e un altro ancora di quei baci.
Dei suoi baci.
Era assurdo come da un giorno all’altro avessi cambiato idea su di lui. Voglio dire, non che adesso pensassi che fosse il principe azzurro. Anzi, tutt’altro! Io ero più il tipo da pirata.
Sapevo solo che desideravo ardentemente un altro di quei  baci. © 

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Capitolo 13
*** Capitolo 11 - Compagno di classe. / Part1; ***


Quella notte sognai di nuovo il bacio. Ogni volta che mi accadeva qualcosa di importante, la stessa sera era nei miei sogni. Quindi presumevo che quel bacio fosse stato abbastanza importante. (?)
Staccarmi dalle sue labbra era stata una fatica enorme, lo feci controvoglia. Prima non avevo coraggio di ammetterlo a me stessa, volevo essere io più forte. Non volevo essere attratta così tanto da lui, ma lo ero. Cazzo se lo ero! Ormai era incontrollabile. Ogni volta che lo vedevo il cuore faceva i capricci, si divertiva a fare le capriole, e non riusciva a stare fermo al suo posto. Non volevo questa storia -se così potevo chiamarla-. Mi sentivo tanto presa che mi faceva paura.
Ma forse avevo solo paura di.. innamorarmi?
A scuola arrivai in ritardo come al solito. Ma almeno stavolta cercai  di seguire la lezione senza addormentarmi. Anche se avrei tanto voluto farlo. Ero sicura che se avessi chiuso gli occhi sarei stata risucchiata di nuovo in quel sogno. Se non potevo avere un altro di quei baci -ed era meglio così- almeno ero libera di sognarlo. Ma dovetti resistere alla tentazione, quindi seguii la lezione -o almeno così feci credere- fingendomi estremamente interessata. La mia mente, però, era da tutt’altra parte. Non me ne fregava niente delle biomolecole e delle altre stronzate di cui non ricordavo nemmeno il nome. Quando la lezione di biologia finì, fui sollevala di cambiare aula.
Ma non di quello che vidi al mio ingresso.
Alex.
Nel banco dove mi ero sempre seduta io, assieme ad un’altra ragazza che frequentava il corso con me. Era appoggiato al banco ed esaminava la classe come se non l’avesse mai vista prima. E forse era così.
Alex sembrava più grande di me; credevo che avesse diciotto anni. Quindi che ci faceva nel mio stesso corso?
Quando entrai lui non mi vide, quindi misi l’mp3 alle orecchie e finsi di cercare qualcosa di inesistente nel mio zaino, facendo finta di non vederlo. Ma quando posai i libri sul banco, non potei più fingere. Mi disse qualcosa, ma non capii con la musica. Tolsi l’mp3.
- Cos’hai detto? - gli chiesi.
- Ho detto che sei ancora in ritardo - sorrise e si sporse in avanti.
- Se frequenterai il mio stesso corso dovrai abituarti a non trovarmi nella sedia accanto la tua prima delle 8:50 - sorrisi.
- Capisco. Non c’è bisogno che perdi tempo in bagno a truccarti, sei bellissima anche senza trucco. - mi disse guardandomi fisso negli occhi. Non staccava lo sguardo da me.
Arrossii.
- Ma non perdo tempo per quello! - protestai.
- E allora per cosa? -
- Saranno pure affari miei, no? - risposi, mettendomi a sedere.
- Non siamo più estranei, Greta. Non so se ricordi quello che è successo ieri al centro commerciale. Vuoi che ti rinfreschi la memoria? Mmm.. camerino, tenda chiusa, mani che si sfiorano, bocca su bocca.. - disse con un sguardo malizioso.
- Ricordo benissimo. - dissi.
- Mi fa piacere. - Mi guardò e sorrise. La sua gamba, sotto il tavolo, sfiorò la mia.
Suonò la campanella. Volevo chiedergli cosa ci facesse nel mio corso, ma non volevo parlargli. Sapevo che avrei cominciato a balbettare. Ma la curiosità prese il sopravvento.
- Sei stato bocciato? - dissi alla fine.
Sembrava sorpreso da quella domanda improvvisa.
- Sì, due anni. - rispose.
Ecco. Allora non ero l'unica a essere ribelle anche a scuola.
Non sono mai stata la figlia perfetta, e neanche la studentessa perfetta. © 

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Capitolo 14
*** Capitolo 12 - Sorpresa. ***


Mia madre era una biondina simpatica, sempre allegra che sprizzava elettricità da tutti i pori. Trasformava una persona depressa nel contrario in pochi minuti. L'unico suo difetto era che, se mi piaceva un ragazzo, mi faceva mille domande, e se casualmente lo beccava per strada aveva pronto un interrogatorio anche per lui. Era.. imbarazzante. Ecco perchè mandai subito via Alex. Se l'avesse visto, con quell'aria da cattivo ragazzo di cui non ci si può fidare, col cavolo che me l'avrebbe fatto rivedere!
- Ciaaao tesoro! - mi abbracciò mia madre.
- Heei ciao mamma! - risposi all'abbraccio.
- Non vedevo l'ora di tornare. Fammi mettere queste valigie dentro - entrammo in casa, e mi dovetti lasciare alle spalle il ricordo di un bacio.
Io e mia madre non ci vedevamo quasi mai. Tornava solo per il week-end, se non perdeva il treno.
Stavo tutto il giorno sola in casa. Il che non mi dispiaceva, ma a volte mi sentivo troppo sola. Sentivo dei passi, il fruscìo degli alberi come se venissero strattonati, vedevo delle ombre sospette.
Non avevo mai avuto paura, però ultimamente si verificavano eventi troppo strani in casa mia. Mi sentivo.. spiata.
Ma cercavo di non farci troppo caso.
Dopo pranzo, mi chiusi nella mia stanza a studiare. Mia, la mia gatta, mi stava accanto sul letto. Per i primi venti minuti cercai di concentrarmi sui compiti, rilassandomi accarezzando il pelo soffice e bianco di Kristen. Ma era più forte di me, non riuscivo a memorizzare una fottuta parola di biologia. Quindi accesi la musica e cominciai a ballare.
Ballare mi faceva sentire libera. Ero in un altro mondo, nel mio mondo. Nella mia bolla personale, dove solo io potevo entrare. Ballai per due ore di seguito, poi spensi la musica e mi feci una doccia.
Quindi uscii, sentii dei rumori. Come di qualcosa che veniva scagliata contro la finestra. Mi affacciati in accappatoio e con i capelli bagnati e vidi un motore nel giardino. Il mio motore. Qualcuno aveva voluto fare qualche simpatico scherzo facendomi sparire il motore. Ma che senso aveva riportarmelo lo stesso pomeriggio sotto casa?
Poi vidi qualcuno che sbucò da un angolo.
Alex. (?)
Mi fece cenno di scendere. Gli indicai l'accappatoio per fargli capire che non potevo scendere in quelle condizioni. Lui sorrise. Classico sorriso. Misi un top viola, degli shorts a jeans e scesi con i capelli ancora bagnati. Molto spesso li lasciavo umidi, così quando si asciugavano diventavano mossi.
Scesi le scale di corsa.
- Dove corri così di fretta? - disse mia madre facendomi sobbalzare. Avevo dimenticato di non essere sola.
- C'è Carlie, mi ha riportato un libro che le avevo prestato. Stò 10 minuti in giardino a parlare con lei. - uscii di corda.
Dovevo mandare via Alex, e anche subito. Se mia madre l'avesse visto...
- Che ci fai qui? - gli chiesi.
- Volevo vederti. - sorrise. - e poi dovevo riportarti il motore. -
- L'avevi presto tu? - dissi troppo ad alta voce.
- No, l'ho trovato a un isolato da qui. Ho letto il tuo nome sopra -
- Cosa?! Che scherzi del cazzo! -
- Però.. voglio una ricompensa - sorrise.
- Soldi? - Ah bene, pensavo volesse fare un gesto 'carino'.
- No. Qualcosa che vale molto di più. -
Lo guardai interrogativa.
- Te. - Mi attirò ancora una volta a sè, come aveva fatto quella mattina.
- Alex, credo che dovresti lasciarmi andare. C'è mia madre in casa e.. -
- E..? - sussurrò.
- Non la conosci. Ti farebbe il terzo grado. -
- Quindi è per questo che non mi fai entrare. Mmm.. peccato.. -
- Non faccio entrare gli sconosciuti, e tu lo sei. - sorrisi.
- Uno sconosciuto che hai già baciato due volte. -
- Tu mi hai baciata, non io! - replicai.
- Non sembrava darti fastidio... - si avvicinò.
Arrossii. Lui si avvicinò ancora, e le sue labbra sfiorarono le mie. © 

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Capitolo 15
*** Capitolo 13 - Appuntamento. (?) ***


Sorrisi. Ormai stavo imparando ad abituarmi a quel contatto. Ci furono tanti piccoli, brevi baci. Poi gli sfiorai le labbra con due dita.
- Devo andare. Ho detto a mia madre che ero con Carlie. -
- Dille che ci stai anche uscendo, con Carlie. - Un altro bacio.
- Ma.. non lo so, Alex.. io.. - Non sapevo perchè, ma era come se qualcosa mi bloccasse. Avevo forse paura di uscire con lui? Era.. un appuntamento?
- Ci provo - mi avviai verso casa.
- Mamma, Carlie mi ha chiesto di andare a prendere qualcosa con lei e Brooke. Sto uscendo, okay? -
- Perchè non la fai entrare? Le offriamo qualcosa da bere.. - Sì c-certo.
- Nono, è fuori che mi aspetta - risposi di fretta.
Salii le scale, e inciampai nell’ultimo gradino. Mi precipitai nella mia stanza. Guardai fuori la finestra; il tempo era discreto, non c’era il sole ma non pensavo che si fosse messo a piovere. Frugai nell’armadio in cerca di qualcosa di decente e carino. Indossai un vestitino nero più o meno elegante, ma sportivo al tempo stesso. Misi delle scarpe col tacco, non troppo alto. Alla fine è solo un’uscita da niente, no?, pensai. I capelli si stavano asciugando, e misi un po’ di schiuma per renderli mossi. Scesi al piano di sotto, salutai mia madre e uscii. Speravo non avesse fatto caso a quanto mi fossi sistemata per uscire solo con le mie amiche.
- Sei bellissima - Alex mi guardò dalla testa ai piedi. Io sorrisi e arrossii.
Salii sulla moto, facendo attenzione a sistemare per bene il vestitino.
- Dove mi porti? -
- Ovunque vuoi che ti porti - allacciò il casco e mise in moto.
Mi strinsi a lui, ormai non ero più molto incerta. Era già la terza volta che salivo sulla sua moto e che lo stringevo per non cadere quando la velocità aumentava.
- Allora, terremoto. Dove vuoi andare? -
- Uhm.. cinema? - Almeno in parte non avevo mentito a mia madre.
- E cinema sia! - Sorrise.
Arrivati lì, dopo aver fatto i biglietti, ci sedemmo sulla sesta fila. Era un horror; scroprii che era anche il suo genere preferito. Da quando ero salita sulla moto, però, avevo avuto una brutta sensazione per tutta la strada, che continuò anche in sala. Durante il film Alex mi prese per mano.
Ma dal viso -che solitamente non faceva trapelare nessuna emozione- mi accorsi che era teso.
Il film durò 2 ore e 13 minuti come previsto, e dopo decidemmo di andare a mangiare qualcosa. Erano le 19:56, e mia madre chiamò per sapere se tornavo per cena. Le nuvole avevano oscurato il cielo, e mi chiesi se avevo fatto bene a indossare quel vestitino troppo estivo. Andammo a mangiare da Eat well, un ristorantino discreto e molto accogliente, dove andavo spesso con Carlie.
Ci portarono due menu e la cameriera disse qualcosa che mi fece riflettere.
- Buonasera, benvenuti da Eat well! Che bella coppietta! Cena per due? - Sembravamo davvero una coppia di fidanzati?
- No guardi... - stavo cominciando a mettere le cose in chiaro, ma Alex mi interruppe.
- Bene - si schiarì la voce. - che ci porta? - disse.
Facemmo le nostre ordinazioni, e venti minuti erano già sul nostro tavolo.
Tutta la sera parlammo di me, delle mie abitudini, di mia madre e del lavoro che la impegnava tutta la settimana. Poi Alex mi chiese di mio padre. Tasto dolente. Odiavo parlare di lui. Ci aveva abbandonate quando avevo dieci anni, e non si era più fatto vivo. L’unica cosa che ci lasciò fu un biglietto con scritto: “ Perdonatemi, vi vorrò sempre bene. Victor.”     Ma non riuscii a farlo.
- Greta? - richiamò la mia attenzione Alex.
- Non c’è l’ho un padre. - Risposi fredda, guardando altrove.
- Oh, scusa.. io.. -
- Tranqullo, non potevi saperlo -
- Già... - sussurrò, e abbassò lo sguardo.
Cercai di fare qualche domanda ad Alex, ma lui trovava sempre il modo di sviarle e indirizzarle verso me. Volevo sapere qualcosa in più su di lui, c’era troppo mistero. Le uniche cose che sapevo di lui erano il suo nome, che era diciottenne, e che aveva perso un fratello quand’era piccolo, a cui era molto legato. Lo capii dal suo sguardo. Mentre ne parlava, gli occhi erano diventati neri come la notte, di ghiaccio. Stringeva i pugni e si muoveva nervosamente sulla sedia.
Ad altre domande sembrava non voler rispondere.
Finita la cena, facemmo una passeggiata a piedi e lui non mi toglieva gli occhi di dosso. A volte il suo sguardo mi faceva paura. Camminammo per qualche isolato a piedi, fino a raggiungere un vicolo buio. La strada era bagnata, doveva aver piovuto o forse stava cominciando a farlo. Non c’era nemmeno una luce, era tutto molto buio. Si sentivano strani rumori, e dei vetri che sbattevano l’uno contro l’altro.
Per aumentare la tensione, con Alex lì e dopo un film horror.. un vicolo buio era proprio l’ideale.
- Che c’è Greta? Mi sembri tesa - Senti chi parla!, pensai.
- Potrei dire la stessa cosa di te - risposi. Mi sarei aspettata un suo classico sorriso, ma stavolta era serio. Troppo serio. E non ricevetti una risposta.
- Perchè mi hai portata qui? Voglio dire, al centro era tutto illuminato, c’era il pub che faceva una specie di festa, c’è la discoteca aperta... -
- Che c’è, il mio terremoto  ha forse paura? O forse sono io che ti metto paura? - Stavolta mi rivolse uno di quei sorrisi da cattivo ragazzo. Io gli lanciai un’occhiataccia.
Poi squillò un telefono, e Alex rispose.
- Sì.. sì ciao. - Riattaccò subito. Dava sempre risposte così strane quando parlava al telefono? Sul suo volto vidi la stessa freddezza di poco prima.
- Tutto bene? - dissi. Non ero sicura che se ci fosse stata qualcosa che non andava me l’avesse detto.
- Sì. - Serrò la mascella. Guardava fisso davanti a sè. - Greta, aspettami qui. Sto tornando. -
- Ma.. Alex..! - Si era già allontanato.
Sentii che parlava con qualcuno. Una voce che non riuscivo ad identificare, sapevo solo che era maschile.
- Dammi tempo.. dammi ancora tempo. - Sentii sussurrare in lontananza. © 

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Capitolo 16
*** Capitolo 14 - Chi è Alex? ***


- Vattene, ora vai via! - sussurrò ancora.
Poi tornò da me, guardandosi alle spalle e sorridendomi impacciato. Tempo? Tempo per cosa? Stava architettando qualcosa di grosso o erano solo tutte le mie stupide preoccupazioni a farmelo credere? Se c'era una cosa che sapevo, era che la curiosità mi stava pian piano divorando. Camminammo ancora un po'; io non gli feci domande, e lui non si azzardò a parlare. Lo guardavo di sottecchi, sperando che qualche sua espressione lo tradisse, ma.. niente. Il suo volto era tornato serio come prima, imperturbabile. Ogni tanto si voltava, cauto, per cercare qualcosa alle sue spalle. Qualcosa che avrei tanto voluto conoscere.
- Forse è meglio che mi riaccompagni a casa.. - dissi infine.
- No! - urlò Alex. - No - disse poi con più calma. - E'.. ancora presto, potremmo fare qualcos'altro. Chiedi e sarai accontata. - Con un invidiabile disinvoltura, mi mise una mano sulla spalla. Rabbrividii. Sorrise, ma sembrò un sorriso forzato.
- Alex, c'è qualcosa che non va? - Feci quella domanda, aspettandomi un chissachè di risposta.
- No, va tutto bene - rispose, e con una mano dietro la mia schiena mi condusse verso il muro dello stretto vicolo.
Ero con le spalle al muro, intrappolata dai suoi occhi neri. Mi catturarono, mi attirarono a sè come due calamite.
- Finchè sei con me - aggiunse. Ma prima che potessi controbattere, posò le sue labbra sulle mie. Ancora una volta sentii un formicolio in tutto il corpo. Restai ferma, contro il muro mentre le sue mani mi accarezzavano i capelli. Cancellai ogni pensiero cupo dalla mia mente, per godermi pienamente quell'istante, come se fosse l'ultimo.
La mia mano scivolò lungo la sua schiena, per poi salire fino agli scuri capelli. Alex era.. strepitoso. Ma appena il baciò finì e si allontanò, vidi uno strano luccichìo nei suoi occhi. Qualcosa che dovevo evitare, forse era meglio chiuderla lì una volta per tutte. D'altronde, cosa sapevo realmente su di lui? Ancora una volta stavo assecondando i baci di uno sconosciuto che mi aveva praticamente rubato il cuore e non voleva più darmelo indietro, nonostante i miei sforzi. Mi guardò con uno sguardo intenso, travolgente. Il cuore mi si bloccò in gola. 'Finchè sei con me'. Mi tornarono in mente le sue parole; dovevo sapere che voleva dire. Ma non azzardai a fare altre domande.
- Bene, credo che adesso dovresti proprio accompagnarmi a casa - dissi, sfuggendo a quello sguardo.
Alex d'un tratto si guardò intorno, circospetto. Lo sguardo divenne incredibilmente preoccupato.
- Alex, che c'è? Mi vuoi spiegare che succede? - Ma non rispose, mi afferrò la mano con un'incredibile forza, e mi trascinò per il vicolo.
- No! Lasciami! - riuscii -non so come- a sfuggire per un istante dalla sua presa - Voglio sapere che succede! Devi dirmelo! -
Lui mi afferrò per il braccio, stringendomi con forza e continuò a spingermi avanti.
- Ti ho detto di lasciarmi! Mi fai male! -
- Non puoi nemmeno immaginare il male che posso farti se non vieni subito via da qui! -
- Cos'è? Una minaccia? - gli urlai contro, dandogli un pugno abbastanza forte nella schiena. Ma lui non si scompose, come se l'avessi solo sfiorato. Continuai a dimenarmi, lui non mi lasciava. Gli diedi altri pugni, ma per lui erano solo carezze. E io ottenni solo una sua risata.
- Lasciami Alex! Smettila adesso! Che ti prende? - urlai.
- Greta, non posso spiegarti niente - mi guardò intensamente e allentò un po' la presa. I suoi occhi neri come la notte mi imploravano di ascoltarlo, di credergli. - Per ora. - aggiunse piano.
- Per ora? - urlai ancora più forte. - Che significa 'per ora'? -
Raggiungemmo la fine di quel vicolo infernale, opprimente, e lui mi lasciò il braccio per prendermi la mano. Come se non fosse successo niente. Ma io gliela lasciai di scatto. Era incredibile con che forza mi aveva stretta, le sue mani adesso erano fredde e il viso madido di sudore. Non riuscivo a capire perchè volessi, ancora una volta, -nonostante tutto- gettarmi tra le sue braccia e farmi rassicurare che andasse tutto bene. Che lui non corresse nessun tipo di pericolo. Non voleva spiegarmi che stava succedendo? Per ora? Significava che se fosse successo qualcosa, avrei invece capito tutto? Forse potevo anche scoprirlo da sola. Forse l'idea di Carlie di seguirlo non era poi così folle; ma se c'era qualcuno che doveva farlo, quella era io. © 

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Capitolo 17
*** Capitolo 15 - Sai che ti dico? Vai a fanculo, Alex. ***


- Alex ascoltami! Hai problemi con qualcuno? Cos'è? Droga? - azzardai.
Ma ricevetti solo una risata. Avrei tanto voluto gridargli Cosa diavolo ridi, idiota?! ma mi limitai a un:
- Sai che ti dico? Vai a fanculo, Alex. -
- Non sono io ad avere problemi - il suo sguardo era ancora intenso, ma adesso sembrava anche divertito. Oh certo, lo facevo divertire con le mie domande. Ma che andasse a fanculo davvero!
Intanto lui continuava a guardarsi intorno, con gli occhi furtivi.
- Chi allora? E cosa c'entri tu? Con chi parlavi poco fa? Che tempo ti serve? E per cosa? - dissi tutto d'un fiato. Era tutto quello che volevo sapere. Ma dubitavo che avrebbe risposto anche solo ad una delle mie domande.
- Altre domande? - rise.
- No. Per ora. Ma devi rispondere a queste. -
- Lo saprai, Greta. Forse anche prima di quanto tu creda. - Io volevo risposte, e lui continuava a far crescere dentro me mille domande.
Ad un certo punto scorsi da lontano la moto, e qualche secondo dopo eravamo lì davanti. Io lo pregavo di lasciarmi chiamare un taxi, lui mi continuava a ripetere che era meglio se andavo con lui.
Una volta sopra, non mi strinsi a lui. Ero troppo arrabbiata per abbracciarlo. Aveva rovinato una serata bellissima -almeno per me lo era- con i suoi stupidi misteri del cazzo. Mise in moto, e l'aria si fece più fresca. Respiravo l'odore della terra umida, bagnata dalla pioggia. Cadde una leggera pioggia settembrina, che cominciò a inzupparmi i capelli che restavano fuori dal casco.
Per fortuna la pioggia confuse le mie lacrime di rabbia.
La strada di ritorno sembrò non finire mai, ora che volevo solo togliermi i vestiti zuppi di pioggia e mettermi sotto le calde coperte del mio letto, con il mio thè alla fragola serale.
Quindici minuti dopo stavo scendendo di fretta -e cercando di non scivolare sull'asfalto bagnato- dalla moto di Alex. Mi sfilai il casco dalla testa, e glielo sbattei di sopra. Doveva capire che mi aveva fatta innervosire, doveva sapere quanto ce l'avevo con lui. Me ne andai verso casa di corsa, ma sentii che scese anche lui dalla moto dopo di me. Corse sotto la pioggia, mi afferrò per il braccio -stavolta non con la forza di prima, ma più dolcemente- e mi attirò a sè, baciandomi.
- Mi dispiace non poterti spiegare, vorrei tanto farlo ma... credimi, non posso. - I suoi occhi mi imploravano di credergli, di fidarmi di lui. Ma avevo l'impressione di non doverlo fare. Mi tirai indietro, e aprendo la porta di casa entrai di fretta, sbattendola. Salii di corsa in camera mia inciampando per terra. Era passata la mezzanotte da tempo ormai, e mi affacciai alla finestra per vederlo andar via, ma mi sorpresi di vedere che già non c'era più.



Mancavano solo due giorni al mio 18esimo compleanno e cinque all'homecoming. Carlie voleva a tutti i costi organizzarmi una festa di compleanno, nonostante il mio disappunto. Aveva già mandato gli inviti a tutta la scuola e io non avevo comprato nulla da mettermi per il mio giorno. Quel pomeriggio, quindi, andai da Tiffany's per trovare qualcosa di carino. Guardai per tutto il negozio, provando circa quindici vestitini, ma nessuno sembrava andarmi bene. Alla fine ne presi uno nero senza spalline, corto al punto giusto e abbastanza adatto all'occasione. Quel giorno dovevo solo pensare a divertirmi, perchè era il mio giorno e avevo tutta l'intenzione di godermelo al cento per cento. Tornai a casa verso le sette del pomeriggio. Ad accogliermi sulla soglia di casa fu mia madre, con il suo trolley blu ammaccato, pronta per partire per un'altra settimana di lavoro.
- Tesoro, mi dispiace di non poterci essere per il tuo compleanno, ma non dimenticherò di chiamarti per gli auguri, puoi starne certa. Ti voglio bene - mi abbracciò dolcemente, e cercai di godermi il suo abbraccio, sapendo che il prossimo l'avrei ricevuto tra una settimana. Subito dopo, la vidi partire con la sua strana macchina di chissà quale secolo.
La sera passò velocemente, e mi addormentai sui libri di scuola.
 

Non riuscii a capire dove mi trovavo. Credevo di esser diventata cieca, perchè non riuscivo a vedere più nulla. Riuscii solo a scorgere qualcosa che si avvicinava.
Si stava avvicinando a me. © 

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Capitolo 18
*** Capitolo 16 - 10:47. Ah ok. 10:47? Oh merda. Oggi è il mio compleanno! ***


Co-c os'è quella luce che mi.. mi sta venendo addosso?
Mi gettai d'impulso a terra, alla mia sinistra, evitando che quella cosa luminosa mi colpisse.
- Ho sempre saputo che sei una in gamba, signorina Parker. O forse dovrei chiamarti con il nome giusto, con quello che sei veramente.. -
Ok, adesso non ci stavo capendo più niente.
- Con quello che sono? Fammi vedere piuttosto chi sei tu. - risposi, sorprendendomi del mio improvviso coraggio.
- Heei, calma calma ragazzina. Mi avevano detto che eri una tosta... - esitò - Farai grandi cose, st.. - s'interruppe.
Un suono alle mie spalle, lui sgranò gli occhi. Io mi voltai, e vidi solo una luce immensa. In quel posto buio, privo di vita, dove regnava solo l'oscurità, quello sfarzo di luce mi constrinse a chiudere gli occhi e voltarmi. Ma lui non c'era più. Tornai a guardare la luce, che si era fatta meno fastidiosa agli occhi. Poi,ad un tratto, la figura apparve dietro di me. Dal nulla. Corsi, e dalla paura inciampai, ma ero già qualche passo lontana da lui. Mi voltai, aspettando che mi prendesse, ma lui era fermo dove l'avevo lasciato. Fu a quel punto che vidi di nuovo la prima luce rossastra, quella che mi veniva scagliata contro.
- Nooo! - gridò qualcuno, che mi si parò davanti nel preciso istante in cui la luce mi avrebbe colpita. Ma colpì lui. Adesso sapevo di certo che era una voce maschile quella che avevo sentito.
- L'hai voluto tu! - una risata malvagia echeggiò nel buio. E continuava a ridere ancora, e ancora.
- E tu, Greta, sarai la prossima. Ahahahahah! - Basta, basta per favore. Quella risata mi sta distruggendo  i timpani.
Poi,improvvisamente, qualcosa mi colpì.
 

Driiin! Driiin!
La sveglia suonò. Mi svegliai agitata, con il cuore in gola, e il viso madido di sudore.
10.47. Ah, ok.
10.47???? Oh, merda. Oggi è.. oggi compio 18 anni!
Non che me ne importasse molto, non amavo le feste in grande e i festeggiamenti. Ma non volevo deludere Carlie, dopo tutto quello che aveva organizzato. Per me. Mi alzai di corsa dal letto, con gli occhi ancora chiusi dal sonno. Scesi le scale, finendo quasi con il culo per terra.
Giù, regnava il silenzio.
Bene, dopo un risveglio così avevo solo bisogno di silenzio, accompagnato da latte, cioccolato e cereali integrali.
Andai in cucina per prendere il latte, che -non appena mi voltai- mi cadde a terra bagnandomi le pantofole.
- Tanti auguriiii a te! Tanti auguri a te! Tanti auguri a Greeta, tanti auguri a tee! - Oh. Merda.
Mia madre, mia nonna, e tutti i miei parenti sparsi per il mondo erano davanti a me. E io ero in pigiama, mezzoaddormentata e per di più bianca di latte.
Sorrisi, forzata, ma per poco non svenivo. Avevo dimenticato che per il mio compleanno mia madre -in un modo o nell'altro- mi faceva sembra qualche sgradita sorpresa. Ciò includeva la convocazione dei parenti che avevo sparsi per il mondo. Li odiavo tutti.
Erano mmm, vediamo.. insopportabili? Ed era poco.
Mai una telefonata, mai una cartolina, un messaggio, mai un gesto d'affetto. Si presentavano al mio compleanno con qualche fottuto regalo da chissà quanti soldi, e se ne andavano. Per non farsi vedere mai più. Ma solo perchè mia madre li pregava. E sì, diceva che voleva un compleanno in grande per la sua unica figlia. Ma io per 'compleanno in grande' intendo una cena in famiglia, io e lei. E una serata con gli amici. Questo mi basta. Ma non basta a lei. Non basta a lei che non mi ascolta mai. Non basta a lei che non mi capisce, che sta tutto il tempo fuori casa senza farsi sentire. Non basta a lei che ha rifiutato un lavoro abbastanza decente qui a New York, solo per il suo fottutissimo amore per Toronto e il suo lavoro lì.
Certo, e a me chi ci pensa? Non ci pensa nessuno, eh!
Perchè io sono solo la figlia sbagliata. Quella che è arrivata in un momento sbagliato. Che ha avuto un comportamento sbagliato per diciotto anni. Che a scuola si è comportata nel modo più sbagliato che esista. Quella che poi sarà sempre sbagliata 

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Capitolo 19
*** Capitolo 17 - Ero io quella che fino a pochi minuti prima non avevo voglia di vederlo? ***


- Grazie, grazie mamma - dissi a stento.
Sapeva bene che odiavo quelle feste e continuava ad organizzarle.
- Ma figurati tesoro! Vieni qui, fatti abbracciare. -
Cinque minuti dopo cominciammo a tagliare la torta e ad aprire i regali. T-shirt, pantaloni, gonne, t-shirt, gonne, una collana. L’ultimo era di mia madre; era un ciondolo con un triscele d’argento, attaccato ad una cordicina nera. Era bellissimo, mi.. incantava. Dopo aver finito di aprire tutti i regali, aver chiaccherato e mangiato la torta alla panna finalmente furono tutti fuori casa. Restammo io e mia madre, e fu a quel punto che le dissi per l’ennesima volta di non organizzarmi quelle feste.
- Stavolta è più importante tesoro, è il tuo 18esimo compleanno. Da una parte  bisogna festeggiare per bene... -
Da una parte? Per evitare ennesime discussioni non risposi e mi diressi verso la mia camera portando i regali con me per metterli al loro posto.
Le T-shirt erano orripilanti. Due erano rosa, di lana, e in una di esse vi era rappresentato un chiwawa che mangiava croccantini dalla ciotola. Dopo qualche minuto, realizzai che la loro sistemazione sarebbe stata il cestino dell’immondizia.
I pantaloni erano accettabili, e anche le gonne. Ma il regalo che mi sorprese fu il ciondolo di mia madre; gli altri anni anche lei mi aveva regalato orrende T-shirt o maglioni di lana ricamati a mano, mentre quell’anno fu il regalo più bello che potesse farmi. Quel ciondolo aveva qualcosa di speciale in sè, qualcosa che mi attraeva e incantava.
Mi lavai e mi vestii e quando scesi al piano di sotto vidi mia madre che preparava le ultime cose per partire.
Quindici minuti dopo la vidi andare via con il suo pick-up blu.
Salii di sopra per prendere gli ultimi compiti da fare, e mi sorpresi di trovare Mia, la mia piccola palla di pelo che giocava con il ciondolo. Sembrava strana, nervosa. Lo capivo da come le tremavano le orecchie, quindi tolsi il ciondolo dalla sua portata e lo posai sull’armadio, in modo che Mia non potesse arrivarci.
- Hei piccola, calma.. calma, cos’hai eh? - la accarezzavo dietro le orecchie; era il suo punto preferito, così pian piano smise di tremare. Finite le coccole scesi giù a pulire i piatti sporchi di panna e fragoline.
Driiiin! Driiin!, era Carlie.
Mi disse che la festa cominciava alle sei del pomeriggio, quindi avevo ancora sette ore abbondanti per preparmi psicologicamente e non a tutta la gente che avrei visto, che mi avrebbe abbracciata e rempita di baci e auguri. Altri regali, musica, cibo, bevande e diciotto candeline da spegnere. La festa era al Joe’s Pub, un locale carino per organizzare feste e roba del genere. Aveva organizzato tutto Carlie, e mi fidavo dei suoi gusti.
Poi, a me, bastava solo passare una serata con i miei amici per stare bene.
Con il da fare di quella mattinata, non avevo ancora pensato ad Alex. Alla festa ci sarebbe stato anche lui, ero sicura che venisse, anche se non volevo vederlo. Per la precisione, da una parte volevo vederlo per chiedergli spiegazioni sulla sera prima, da un’altra ero ancora arrabbiata per tutti i misteri che non voleva svelarmi. Quindi la soluzione ancora una volta era di evitarlo per non rovinarmi la serata.
Il tempo passò velocemente quella mattina, pulii i piatti, mi feci una doccia, e corsi a preparare le lasagne per il pranzo.
Il pomeriggio lo passai a scegliere i trucchi giusti, le scarpe, e a cercare di mettere apposto i capelli. Inizialmente li raccolsi in una coda alta, con il ciuffo che restava fuori. Ma scappavano sempre, quindi optai per tenerli sciolti e cercare di farli diventare mossi. Una volta che i capelli furono perfetti, passai all’operazione trucco. Ombretto argento, mascara, rossetto; perfetta, sì. Per una volta nella mia vita mi sentivo perfetta. Quella sarebbe stata la mia  sera, dovevo godermela al massimo. Liberare la mente, divertirmi, ballare, festeggiare ed essere me stessa. Potevo farcela.
Dopo aver ispezionato tutto l’armadio, scelsi le scarpe. Nere, col tacco; le mie preferite. Mancava il tocco finale, ma non riuscivo a trovare qualcosa che chiudesse in bellezza il mio aspetto.
Poi pensai al ciondolo. L’avrei inaugurato quella sera, la sera del mio compleanno.
Lo presi da sopra l’armadio dove l’avevo riposto quella mattina, mi avvicinai allo specchio e me lo portai al collo.
Ma prima di allacciarlo sentii il rombo di un motore.
Lo riconobbi subito.
Come non riconoscere quel rumore? Mi affacciai dalla finestra e lo vidi.
Alex, in perfetta forma come sempre. Sorriso smagliante, maglietta nera, jeans scuri e stivali.
Era lui, il mio Alex era sotto casa mia. Mi era venuto a prendere per la festa, a mia insaputa.
Quale regalo migliore di vederlo sotto casa mia con la sua Ducati nero fiammante?
Non potei fare a meno di sentire il cuore sobbalzare quando lo vidi sollevare la testa e sorridermi.
- Posso salire? - disse alzando la voce. Salire? A casa mia? Ma ero sola!
- Ehm, sì.. sono quasi pronta, sali - dissi alla fine.
Mi tolsi le scarpe per scendere le scale più velocemente, e gli aprii la porta.
- Ciao.. - mi disse, sorridendo e accarezzandomi la guancia con la mano. - Buon compleanno! - mi si avvicinò e mi baciò dolcemente. Potevo anche stare lì con lui all’impiedi per tutta la vita, con le sue labbra sulle mie e le braccia che mi stringevano.
Tenevo ancora le scarpe in mano, e mi guardò interrogativo.
Mi schiarii la voce.
- Le ho tolte per... dai, saliamo, devo finire di prepararmi. -
Ero io quella che fino a pochi minuti prima non avevo voglia di vederlo?
Mi prese per mano e ci incamminammo verso la mia stanza, che era completamente sottosopra.
Scarpe dappertutto, vestitini sul letto, trucchi sul comodino e roba varia.
- Che bel ciondolo... - mi disse Alex, prendendolo per esaminarlo.
- Si, è bellissimo. E’ un regalo di mia madre; me lo allacci? - scostai i capelli dal collo.
Lui mi si avvicinò e dallo specchio vidi che mi portava il ciondolo al collo delicatamente per poi chiudere il gancio.
Fu quando il ciondolo si attaccò alla mia pelle che sentii un brivido in tutto il corpo per qualche secondo.
Sulle prime pensai che fosse stato causato dalla vicinanza e dal contatto con Alex, ma quando lui si allontanò non smisi di avere i brividi. Ero sicura che fosse stato il contatto con il ciondolo a provocarmi quel brivido, quella sensazione di.. essere tornata a casa, al sicuro.© 

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Capitolo 20
*** Capitolo 18 - No. Quali fidanzati! Siamo amici. ***


 Pronta? Sei perfetta. - mi disse Alex.
Non riuscii a trattenere un sorriso. Stavo praticamente crollando ai suoi piedi. Nel vederlo mi ero sciolta come neve al sole, e lui ne era consapevole.
Presi la borsetta nera con le paillettes e uscii seguita da Alex che si chiuse la porta alle spalle.
Cinque minuti dopo mi stavo sistemando sulla sella in pelle nera della sua moto.
- Allora oggi è il grande giorno - disse mentre percorreva il vialetto di casa mia.
- Così sembra. Sto invecchiando anchio - risposi.
- Sarà meglio che ti tieni stretta, terremoto. - disse, e nella sua voce avvertii l'accenno di una risata. Poi accelerò di colpo.
Il suo volto era coperto dal casco integrale nero; avrei tanto voluto poterlo osservare per ore, ore, ed ore.
Poi tornai di colpo alla realtà.
Sarei ancora dovuta essere arrabbiata con lui per via della sera prima.
Ma mi era difficile, quasi impossibile. Era venuto a prendermi sotto casa, la sera del mio compleanno, ed ora stavamo correndo nella strada insolitamente sgombra di quel sabato sera. Qualcosa dentro me stava cambiando, lo sentivo. I miei sentimenti per lui lo stavano facendo. Stavano cambiando in qualcosa di più grosso di una semplice attrazione, qualcosa che avevo paura anche solo di nominare.
L’aria era fredda rispetto al solito, ma non fu solo quello a farmi rabbrividire. E non fu nemmeno Alex. Ripensai al ciondolo, e al brivido che mi aveva provocato al suo contatto. Quella sensazione di essere tornata finalmente a casa.
Pensando e ripensando, non mi accorsi che Alex stava imboccando il vialetto che portava al Joe’s Pub. Potevo sentire la musica da quella distanza, e il chiasso provocato dalla folla.
Merda, Greta! Preparati al ‘Taaanti auguuuri a te.. Tanti auguriii a tee..!’
Calma, calma. Sorridi e annuisci. Tecnica infallibile in certe situazioni.
Alex posteggiò la moto nel garage e ci avviammo verso il Joe’s. Lui mi prese per mano; era calda, e mi fece sentire più tranquilla. Entrammo così, mano per mano, come due... fidanzati? Quel pensiero mi fece girare la testa, e -con la scusa di sistemarmi i capelli- gliela lasciai.
No. Quali fidanzati! Siamo amici.
Ecco, quello che avevo pensato si stava avverando. Incominciarono a cantare e a battere le mani. Odiavo quelle occasioni, perchè mi facevano sentire al centro dell’attenzione. Non che mi dispiaccia una volta tanto, ma non so come gestire la situazione. Quindi sorrisi come una cretina che non sa cosa cavolo deve fare.
- Vai con la musica, Maaax! - sentii urlare a Carlie che mi stava venendo in contro.
- Auguri tesoro - e mi abbracciò.
Ricevetti gli auguri del resto della gente, anche conosciuta solo da Carlie, e vidi pian piano aumentare la montagna di regali accatastati sopra un divanetto rosso, in pelle rovinata.
Musica, cibo, bevande, i miei amici, Alex. Cosa potevo desiderare di più?
Ballai tutta la sera, ma ad un tratto dovetti fermarmi per un capogiro. Un bel capogiro!
Mi appoggiai al muro per non cadere, ma attorno a me vedevo girare tutto vorticosamente e mi era difficile riuscire a mantenere l’equilibro. Vedevo tutto sdoppiato, capovolto e sfocato. Eppure non avevo bevuto alcolici, di nessun tipo. Non era nel mio genere tornare a casa sbronza. Non l’avevo mai fatto, e tanto meno quella sera. Il DJ che si muoveva a ritrmo della musica, ora ai miei occhi sembrava quasi pazzo. Si muoveva troppo velocemente, ondeggiando da una parte all’altra, senza seguire più il ritmo dela musica. Poi ad un tratto tutto si stabilizzò. Il DJ ricominciò a seguire la musica, i tavoli erano al loro posto, e tutto si fermò. Come prima. Nessuno si accorse di me; la gente era troppo presa dalla musica. Così bevvi un bicchiere d’acqua e corsi al bagno. Mi sarei volentieri sciacquata la faccia, se non fossi stata truccata.
Mandai indietro i capelli; la mia temperatura corporea stava aumentando.
Fu allora che la vidi. Una macchia nera sul lato destro del mio collo. © 

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Capitolo 21
*** Capitolo 19 - A meno che non sia diventata pazza, è proprio qui, sul mio collo, e non so come cacchio c'è finito! ***


Sembrava un tatuaggio. Ma fu la forma che mi fece sobbalzare. Un triscele. Lo stesso simbolo del mio nuovo ciondolo, il regalo di mia madre. Non potevo credere ai miei occhi. La mia pelle era macchiata di un simbolo nero, lo stesso del mio ciondolo. Non poteva essere vero. Credevo di sognare. Mi diedi un pizzicotto, sicura di dovermi svegliare. Ma niente. Tutto restò immutato. L’aria sembrò gelarsi di colpo, quando sfiorai la macchia sul mio collo. Era perfetta, precisa al triscele del ciondolo, leggermente rialzata. Non poteva essere un semplice tatuaggio, non lo era. Perchè -tranne se quella parte della mia vita era stata completamente cancellata dalla mia memoria- ero sicura di non essermi mai tatuata nulla. Aprii il rubinetto dell’acqua, e -bagnandomi le mani- sfregai con forza la macchia-tatuaggio, sperando che se ne fosse andata, ma quello che ottenni fu solo una macchia rossiccia sul triscele, causata dallo sfregamento.
Restai ferma li, ad osservarmi allo specchio la macchia per circa cinque minuti. Poi la porta del bagno si aprì, ed entrò Bryan -il ragazzo di Brooke- con un piatto in mano, dove c’era una grossa fetta di torta piena di panna e fragoline e vari frutti. Fui sorpresa di vederlo li, alla festa non l’avevo ancora notato. Ma non fu questo che mi sorpese.
Ero nel bagno delle donne, ed era lui quello fuoriposto.
- Greta, sei qui! - disse, masticando la torta.
Mi coprii velocemente la macchia con i capelli e sorrisi, come se nulla fosse.
- Mi cercavi? - dissi, fingendomi disinvolta.
- Non solo io. Tutti ti aspettano per il brindisi. -
- Ah sì, volevo.. ero.. - confusa, disorientata, spaventata. Ma dissi solo: - macchiata di.. Punch, una ragazza me l’ha versato di sopra per sbaglio. E sono venuta a pulirmi. -
Se solo mi avesse guardato il vestitino, avrebbe subito capito che mentivo. Ma lui era tanto concentrato a fissarmi in viso, che pensai di avere qualcosa che non andava in faccia. Lanciai un’occhiata allo specchio, sperando che qualche altra macchia-tatuaggio non mi fosse apparsa sulla fronte, magari. Ma non vedevo nulla che non andava, apparte la mia faccia sconvolta, ovviamente.
Fingendomi indifferente, gli chiesi: - Ho qualcosa che non va? -
- No no... sei uno schianto, stasera. -
Abbozzai un sorriso. - Grazie - dissi, abbassando lo sguardo.
- Solo che... hai una faccia... turbata. C’è qualcosa che non va? -
Ma no! Figurati! Solo una specie di tatuaggio praticamente identico al ciondolo che indosso, che però non mi sono fatta tatuare io. A meno che non sia diventata matta, è qui, proprio sul mio collo, e non so come cacchio c’è finito.
- No, è tutto okay. Tutto perfetto. Carlie e Brooke hanno fatto proprio un bel lavoro. - Sorrisi. Dovevo mandarlo via di li, o avrei svuotato il sacco in meno di qualche minuto.
Peccato che mi avrebbe solo riso in faccia per la grande stronzata che gli avrei raccontato.
- Faccio una telefonata a mia madre, e arrivo subito. - continuai, spingendolo praticamente fuori dalla porta.
Ero finalmente, di nuovo sola. Mi avvicinai allo specchio, e scostai i capelli fino a rendere di nuovo visibile la macchia. La sfiorai con l’indice, e, con l’altra mano, strinsi il ciondolo che portavo al collo. Un brivido mi percosse tutto il corpo, e, all’improvviso, mi sentii stranamente in forma, come.. rinata. Un’incredibile forza mi avvolse, come una folata di vento che ti ghiaccia, ma stavolta, mi sentii coperta, avvolta da quell’insolita energia. E poi di nuovo quella sensazione di veder girare tutto vorticosamente. Mi appoggiai al ripiano del lavandino, e lo strinsi per non cadere. Ma tutto continuava a girare, ora il mondo attorno a me era sottosopra. E fu a quel punto, che non riuscii più a stare in piedi. Caddi a terra e non capii più nulla.

 

- Greta, Greta! Mi senti? Greta? -

Un mondo tutto nero, pieno d’oscurità e d’ombra, opprimente e cupo, era apparso ai miei occhi. Nessuna luce, nessun punto illuminato. Solo un immenso, opprimente buio totale. Camminavo, avanzavo verso il nulla. Poi, in lontananza, scorsi una luce. Un bagliore violaceo, dei segni irriconoscibili ai miei occhi annebbiati dall’oscurità. Mi avvicinavo ancora, e ancora, quando lo riconobbi. Ancora lui, il simbolo che mi stava perseguitando. Lo vedevo ben distinto adesso: era come tre mezzicerchi uniti l’uno all’altro, uno in alto, due in basso. Poi, d’un tratto, una voce. Qualcuno chiamava il mio nome.

 

- Greta, Greta! Mi senti? Greta, apri gl’occhi! -

E sì, li aprii. Dapprima non riuscii a capire dove mi trovavo. Sapevo, però, di essere a terra.
No, non a terra. Tra le braccia di qualcuno.
Di Alex.© 

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Capitolo 22
*** Capitolo 20 - Perchè mi sentivo incredibilmente bene, tra le sue braccia. ***


Aveva uno sguardo terrorizzato, come di chi sa che sta per succedere qualcosa di tremendo. O che forse è già successo. Non sapevo quanto e cosa avesse visto, ma ero sicura che era al corrente di qualcosa.
Istintivamente mi portai la mano sul collo, sfiorando la macchia.
Ardeva.
- Stai bene? - sussurrò con voce flebile.
- Adesso sì. - risposi mettendomi a sedere, ma non era ciò che volevo dirgli.
Avrei voluto rispondere: ‘Adesso che sei qui con me, sì.’
Perchè mi sentivo incredibilmente bene, tra le sue braccia. Col calore del suo respiro sul viso, con le sue mani che mi sfioravano leggere e dolci.
- Sarà meglio che ti rimetti in piedi, terremoto o... -
- Il terremoto c’è l’ho in testa! - lo interruppi massaggiandomi le tempie, ma mi pentii immediatamente di quelle parole. Per lui era come se non fosse successo nulla, o forse era così. Forse avevo immaginato tutto: l’incomprensibile luogo buio, il vuoto, e il simbolo infondo a quel che potevo definire un oscuro tunnel.
Dubitavo che Alex avesse visto quella scena. Me ne avrebbe parlato. Mi avrebbe chiesto cos’era successo, che significava tutto. Ma lui era silenzioso; a tratti tranquillo, a tratti sconvolto in viso.
-  Credo che dovresti tornare alla festa. Si staranno chiedendo dov’è la festeggiata. - mi accarezzò una guancia, le sue mani erano bollenti. Come di chi sta trattendendo la più irrefrenabile ira, scatenata da qualcosa a me ignoto.
- Sì, io.. Alex.. - posai la mia mano sulla sua, ma lui la ritrasse.
- Sssh. Non dire nulla, vai e goditi la festa. -
Lo guardai negl’occhi, sperando che tradisse qualche emozione. Lui sostenne per qualche secondo il mio sguardo, poi lo abbassò e con una mano si accarezzò gli scuri capelli ribelli.
L’aria era abbastanza fresca quella sera, ma a me pareva ancor più gelida in quel luogo. La piccola finestrella del bagno, che sporgeva al giardino, fuori dal Joe’s, era semichiusa. Ma l’aria filtrava ugualmente, posandosi gelida sulla pelle.
Solo nel momento in cui ero tra le braccia di Alex, per terra, non sentivo freddo. Lui emanava una sorta di calore confortante e inquietante al tempo stesso.
Mi voltai, e uscii dal bagno.
Mi sorpresi di trovare tanti, troppi sguardi della gente puntati su di me.
Carlie mi corse incontro. - Ragazza, tu sei completamente fuori! Cosa ti salta in mente? Sparire dalla tua festa per quasi mezz’ora? Che fine avevi fatto?
- Carlie, io... -
- Non dirmi che te ne stavi lì, in bagno, a pomiciare col tuo ragazzo, eh? -
- No, è che... -
- Sì, è quello! E’ quello, lo sapevo! Hai la faccia colpevole! Ti pare il momento? -
- Carlie, non è come... -
- Oh, sì che lo è! Io ti organizzo una mega-festa-fighissima e tu ti rinchiudi a pomiciare col tuo ragazzo, sei.. sei... - il suo sguardo si spostò sul mio abito. - ..stupenda! Wow! Ti ho già detto che il tuo vestito è un incanto? Tu sei un incanto! - disse, esaminando il mio vestito.
Il DJ interruppe la musica, prese il microfono dal bancone, e gridò: - Un augurio speciale a  Greta che oggi compie diciotto anni! Auuguurii! -
Sorrisi, imbarazzata, ma il mio pensiero adesso era rivolto ad Alex. Era ancora alla festa? Oppure aveva deciso di andare via? Era in mezzo alla folla, magari a ballare con qualche ragazza? C’era una remota possibilità che mi stesse pensando?
E poi sentii la macchia bruciare talmente forte che gemetti. Potevo sentirla pulsare sotto la pelle. Era strano, assurdo, inspiegabile. Ma era così.
E poi il dolore cessò. La sfiorai con l’indice e il medio, e sentii che pian piano, sotto le mie dita, si stava raffreddando. Ancora non mi ero data una spiegazione a tutto ciò, ma ci pensavo continuamente. Cosa mi stava succedendo? Era inspiegabile. Fuori dal normale.
Mi sentivo forte, potente, nuova, rinata. Come dopo ore ed ore di sonno tranquillo.
Ma dovevo mettere da parte quei pensieri e quelle domande, se non volevo dar a vedere la mia preoccupazione. Quindi decisi di prendere un Punch da un vassoio di un cameriere di passaggio, e mi sedetti su un divanetto di pelle nera vicino Brooke, intenta a sorseggiare il suo drink, e a cercare con lo sguardo qualcuno tra la folla.
- Hei, Greta! Non ti ho potuto fare gli auguri prima, quindi.. beh, vieni qui fatti abbracciare - mi strinse in un caloroso e sincero abbraccio, quando da dietro le sue spalle, vidi spuntare delle scarpe da tennis, un pantalone color cachi e una maglietta arancione.
Bryan.
Sciolsi l’abbraccio, sorridendo. Poi intravidi che Bryan sorrideva a me.
- Ehi, amore - disse Brooke al suo ragazzo, alzando la testa per baciarlo.
- Ehm, vi lascio soli.. - dissi, sentendomi in imbarazzo.
- No! - rispose Bryan. - Resta pure.. -
- Torno subito ragazzi, ho intravisto una vecchia conoscenza e... - ma si era già allontanata.
Feci per allontanarmi, ma Bryan mi prese per il braccio.
- Aspetta. Possiamo parlare? -
- Certo, dimmi -
- No, non qui. In giardino, magari - disse, era fin troppo serio. Strano da parte sua. Bryan era un tipo sempre allegro, e sempre pronto a tirar tutti su di morale sparando qualche battutina, talvolta banale. Ma non quella sera.
Esitai.
- Si, okay.. -
Mi avviai verso l’uscita del Joe’s, e quando cercai di aprire la porta per il giardino, m’imbattei in Alex. Quando mi vide, sfoderò uno dei suoi irresistibili sorrisi, ma fu quando il suo sguardo mi passò oltre, che si rabbuiò. Aveva visto Bryan.
Ricambiai il sorriso, e lo superai, lasciandomelo alle spalle. Volevo fare la dura, quella che non cade ai suoi piedi. Mi ero già sciolta nel vederlo sotto casa, quella sera. Ma adesso basta fare la figura dell’idiota che non riesce a mantenere il suo autocontrollo!
Io e Bryan camminammo in silenzio per un po’, quando arrivammo in un punto del giardino con una grande e imponente quercia. Vicino vi era un cespuglio, dal quale sbucavano delle peonie bianche.
- Allora, sputa il rospo! - risi, cercando di buttarla lì, sul divertente.
- E’ importante, Greta. Noi siamo amici, giusto? - disse, cercando il mio sguardo.
Lo guardai interrogativa.
- Uhm, sì.. continua.. -
- E agli amici si possono confidare delle cose.. diciamo.. un po’ personali? Come questioni di cuore, no? -
- Certo - non capivo dove volesse andare a parare. Sapevo solo di avere una gran fretta di tornare dentro, cercare Alex e lasciarmi avvolgere da un suo abbraccio. Interrotto da qualche bacio, magari e...
- Ehi? Terra chiama Greta! -
- Sì, scusa scusa, continua.. ti ascolto - arrossii.
- Dunque, dicevo, cosa faresti se.. insomma.. fossi fidanzata con qualcuno che ti ama, e che tu ami molto, tanto, ci stai benone, ma che.. ad un certo punto capisci di non amare più tanto come prima? Insomma.. è un ipotesi.. -
Immaginai Alex.
No, a me non sarebbe successo. Primo, perchè non stavamo assieme. Secondo, perchè sentivo che i miei sentimenti per lui potevano solo aumentare.
- Oh, uhm.. cercherei di capire cosa provo realmente per quella persona. Insomma, magari cercando di.. ‘farmela mancare’ per un po’, fin quando capisco se i miei sentimenti sono cambiati o meno. Ma.. c’è qualche problema con Brooke? - Non volevo immischiarmi nel loro rapporto, ma avevo fretta. Volevo concludere quella conversazione per perdermi negli occhi neri di Alex e...
- No, cioè.. noi.. io.. beh, sì. - abbassò il volto, imbarazzato. - Credo che mi piaccia un’altra ragazza, che non è lei. -
- Credo che dovresti parlargliene. Lei ci tiene a te, parlale. -
- Vorrei prima capire se ne vale la pena. Io voglio capire se quella ragazza prova qualcosa per me, se.. se potrebbe funzionare. -
- Cosa?! Stai scherzando? E Brooke cosa sarebbe? Una seconda spiaggia? La ruota di scorta? Se non funziona con una, mi accontento di un’altra? Ma che razza di raggionamento è questo? -
Ma cosa pensava? Che non mi sarei alleata con la mia amica, solo perchè lui mi stava confidando tutto questo? Non sarei di certo corsa a fare la spia, ma lui doveva parlarle al più presto, altrimenti l’avrei fatto io.
- No, Greta! Non è questo quello che ho detto... -
- Sì che hai detto questo! Non giocare con le mie amiche, Bryan! O te ne pentirai. -
Stavolta aveva superato il limite. Aveva già giocato in passato, ma dopo Brooke si era messo la testa apposto. O almeno così tutti pensavamo.
- Greta io mi sono innamorato! Mi sono innamorato di... -
 No Bryan! Non voglio sapere più nulla. Parla con Brooke, solo questo. - Mi voltai, e tornai dentro, camminando svelta. Se aveva voglia di giocare con le barbie, che se ne comprasse una!
Brooke era mia amica, e l’avrei protetta, sempre. © 

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Capitolo 23
*** Capitolo 21 - Avrei preferito mille volte assaporare le labbra della persona dietro di me, che un muffin al cioccolato. ***


Mi incamminai verso l’entrata principale del Joe’s, lasciandomi alle spalle Bryan e le sue confessioni. Mi aveva delusa, pensavo fosse diventato un ragazzo serio, ma mi sbagliavo.
Fuori l’aria era sempre più fresca, e il cielo si stava ricoprendo di nuvole. Di lì a poco si sarebbe messo a piovere. Non sentivo altri passi oltre i miei, quindi capii che Bryan era rimasto indietro. Speravo che Alex mi avesse fatto qualche domanda sulla mia insolita chiacchierata con Bryan, e, una volta dentro, lo cercai con lo sguardo.
C’era gente che ballava dappertutto, che sventolava le mani in alto a ritmo, che beveva drink dentro, e altra gente che si avviava verso l’uscita per fumare una sigaretta fuori.
I piedi cominciavano a farmi male per via dei tacchi alti, e mi appoggiai distrattamente ad un bancone dove vi erano degli elaborati vassoi d’argento, con sopra vari bicchieri pieni e vuoti, muffin, e biscotti con glassa al caramello. Avvicinai la mano al vassoio per prendere un muffin, quando due mani mi sfiorarono i fianchi, da dietro. Il muffin cadde per terra, ai miei piedi. Poco importava; avrei preferito mille volte assaporare le labbra della persona dietro di me, che un dolcetto al cioccolato.
Un fresco profumo di shampoo e bagnoschiuma m’invase, e sentii un respiro sul mio collo.
- Mi concede un ballo, signorina? - disse Alex, in tono formale. Mi voltai.
- L’aria da bravo ragazzo non ti si addice proprio - dissi, ridendo.
- Ah, no? Perciò è questo che pensi, sono un cattivo ragazzo? - rispose, ridendo a sua volta.
Quando Alex posò lo sguardo sul mio collo, ricordai di essermi precedentemente scostata i capelli.
La macchia era visibile, e io ero nei guai.
- Ti piacciono i tatuaggi, vedo. - avvicinò le dita al mio collo per sfiorarlo, ma feci prima io a posare le mie su di esso, per evitare il contatto.
Poteva succedere anche a lui quello che pochi minuti prima era accaduto a me? Non volevo correre pericoli, quindi abbozzai un sorriso.
- Sì, è... nuovo. - tagliai corto.
Alex avvicinò il suo volto al mio, e avvertii brividi in tutto il corpo.
Volevo baciarlo, immediatamente.
Non mi importava quanta gente avrebbe notato quel bacio; avevo bisogno di posare le mie labbra sulle sue per sentirmi protetta, tranquilla.
Ma lui fece prima, e come se mi avesse letto nel pensiero, avvicinò le sue labbra alle mie.
Le nostre labbra si sfiorarono appena.
- Greta? Vieni, presto! Abbiamo un problema. - Carlie arrivò alle mie spalle e, prendendomi per il braccio, mi trascinò con se.
- Ma sei impazzita? Cosa ti salta in mente? Non hai visto... -
- Quando dico che abbiamo un problema, significa che abbiamo un serio  problema. -
- Spara. -
- Brooke sta discutendo con Bryan. - Merda. - Mi aveva detto che ultimamente era strano, freddo, non rispondeva alle sue chiamate. Ma non pensavo fosse una cosa seria! - disse Carlie, agitando le braccia in aria.
Mi portò al lato opposto del locale, dove c’era un’ampia finestra con le tendine rosse aperte. Dava al giardino dove poco prima avevo parlato con Bryan; ma adesso quella che discuteva animatamente con lui era Brooke.
- Vedi? Non credo stiano parlando di quello che hanno mangiato ieri sera per cena, e neanche di che marca è l’ultima busta di croccantini che Brooke ha comprato per il suo cane. Ergo, stanno litigando! Ciò significa ch... - disse Carlie tutto d’un fiato.
- Carlie, Carlie, Carlie! Stop. Ho parlato con Bryan poco fa. - vuotai il sacco. Lei spalancò gl’occhi, guardandomi interrogativa, in cerca di una risposta. - Non la ama più. E’ innamorato di qualcun’altra. - continuai.
- Ah, ecco! Avevo notato che faceva il figo con la cameriera bionda che distrubuisce muffin imburrati. Brooke l’avrà beccato con le mani nel sacco! -
- Non so chi è. Non l’ho voluto sapere. -
- Bella merda! Ora dovrò scoprirlo io. Pensi che l’abbia detto a Brooke? Ma no, figuriamoci! -
- Carlie, non sono affari nostri. -
- Ma io sono curiosa! - disse con voce stridula.
- Metti da parte la tua curiosità, allora. -
- Che palle! Ma ora dimmi.. come vanno le cose col tuo tipo li infondo? - disse, indicando Alex che aspettava appoggiato al muro, armeggiando con il colletto della camicia nera.
- Non è “il mio tipo”. Siamo.. amici. - risposi. - Credo. - aggiunsi dopo, arrossendo.
Carlie scoppiò in una risata fragorosa, piegandosi all’ingiù.
- Stai scherzando, Greta? Ti guarda come se ti volesse mangiare di baci! - scherzò.
Gli lanciai un’occhiataccia, come per dire: “Ma dai! Smettila.”
Pochi secondi dopo, Brooke entrò dall’ingresso principale con il viso che ardeva per la rabbia. Teneva gli occhi bassi, e le mani strette in un pugno. Fece per sedersi su uno sgabello, quando qualcuno le rovesciò un drink addosso, mormorando un “Oh, mi dispiace!”
Jessie.
Con un sorrisetto compiaciuto, la allontano col braccio e prese il suo posto sullo sgabello. Brooke -solitamente dotata di un autocontrollo inossidabile- la spinse, facendola rotolare all’indietro dal suo posto. Fu a quel punto che entrambe persero le staffe.
Jessie si alzò da terra, e una prese i capelli dell’altra, mentre in sottofondo si udivano degli “ooh” e degli “aah” della gente che osservava inerme la scena.
- Oh mio Dio! - esclamò stupefatta Carlie, che aveva afferrato il mio braccio con la mano fredda. - Questo sì che è uno spettacolo! - continuò battendo le mani.
Intanto Jessie e Brooke non smettevano di azzuffarsi, neanche quando un ragazzo e una ragazza cercavano di separarle.
Brooke non aveva mai litigato furiosamente con nessuno, neanche quando -appena arrivata a scuola- all’inzio dell’anno scolastico, la prendevano in giro per i suoi capelli “a cespuglio”. Neanche quando le rovesciarono il polpettone al sugo addosso. E nemmeno quando le attaccarono una chewing-gum alla menta sulla sedia.
Questo significava che Bryan aveva oltrepassato il limite della sopportazione, e ciò l’aveva resa molto nervosa. Tanto da reagire alle provocazioni di Jessie.
Le due ragazze furono allontanate l’una dall’altra, e io e Carlie accompagnammo Brooke in bagno, per calmarla e farci dare delle spiegazioni.
- Bryan ha un’altra. Non me l’ha detto chiaramente, ma non sono neanche stupida. Non mi bacia più allo stesso modo, non mi guarda più negl’occhi. E sapete da quanto non mi dice che mi ama? Non ricordo neanchio quando è stata l’ultima volta che mi ha detto ‘Ti amo’. - Le lacrime, adesso, le scorrevano libere sulle guance.
Avrei voluto abbracciarla e dirle che lui in realtà aveva occhi solo per lei, che non era cambiato niente, che il loro amore non era cambiato. Ma non potevo mentirle. Era tutto vero. Me l’aveva detto lui stesso chiaramente che amava un’altra, e al cuore non si comanda. Lo sapevo benissimo anchio. O magari Bryan credeva di essere innamorato, ma era una leggera attrazione passeggiera. Lo speravo tanto per la mia amica.
- Basta! Stavolta sono stufa! Sono stufa di lui! E’ finita! Non voglio mai più vederlo. - Continuava a parlare, mentre le sue lacrime scivolavano veloci sulle guance.
- Scusa, Greta. Non voglio rovinarti la festa, quindi me ne torno a casa. Mi dispiace, davvero, non... - ma il pianto la interruppe.
L’abbracciai, e a me si unì Carlie, che era rimasta in silenzio tutto il tempo, come se stesse per scoppiare anche lei.
Cinque minuti dopo, eravamo davanti l’auto di Brooke, quando una voce chiamò il suo nome.
Bryan.
Si avvicinava, e lei avanzò a grandi passi verso lui, sferrandogli uno schiaffo sulla faccia.
- Pezzo di merda! Non voglio più vederti. Esci dalla mia vita. Vaffanculo, stronzo! -
- Brooke, ascoltami, ti prego.. -
- Sparisci-dalla-mia-vita! - disse Brooke, scandendo bene le parole, prima di entrare in fretta in macchina, e partire via a tutta velocità.
Avevo paura per lei. In quello stato poteva succederle di tutto, ma dovevo fidarmi. Non avrebbe mai fatto una pazzia, speravo.
- Andiamo via, Greta. - disse Carlie, prendendomi per il braccio e lanciando un’occhiata di fuoco a Bryan.
- Aspetta, Greta. Devo parlarti. So che non è il momento, ma.. -
- Arrivo subito - mormorai alla mia amica. - Cosa c’è? - continuai, stavolta rivolta a Bryan.
- Non ti ho ancora detto di chi mi sono innamorato - disse, quando Carlie fu lontana.
- Ti ho già detto che non voglio saperlo. - replicai.
Lui, per tutta risposta, mi afferrò, e posò con forza le sue labbra sulle mie.© 

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Capitolo 24
*** Capitolo 22 - Ancora una volta, tra le sue braccia, mi sentivo al sicuro e protetta da tutti. ***


Non esitai a spingerlo e allontanarlo da me all’istante. Ma lui mi afferrò di nuovo, intento a continuare il bacio.
Non provavo nulla per lui. Non mi piaceva. Non volevo un suo bacio.
Concentrai sulle mani tutta la forza e l’energia che avevo, per poterlo spingere via. E ci riuscii. Gli diedi uno schiaffo sulla faccia, che non avrebbe dimenticato facilmente.
Si toccò la guancia colpita con la mano.
- Greta, io ti amo! -
- Non osare mai, e dico, mai più baciarmi! - dissi con voce strozzata.
Poi accadde tutto molto velocemente.
Una mano picchiettò sulla spalla di Bryan, lui si voltò, e venne colpito con un pugno.
- Ma che... - cominciò Bryan.
- No! - urlai, sconvolta.
- Non toccarla mai più contro la sua volontà. Prova a sfiorarla soltanto, e ti spedisco dall’altra parte della terra, hai capito figlio di... - disse Alex, afferrandolo da terra per il colletto della maglietta.- Perchè, tu chi sei per dirmi cosa devo o non devo fare con Greta, eh? - rispose Bryan, sfrofinando con le dita il taglio insanguin
ato sul labbro inferiore causato dal pugno di Alex.
Bella domanda. Me lo chiedevo anchio, ed ero curiosa di sapere come avrebbe risposto.
- Senti idiota, Greta... - si schiarì la voce; ero sempre più impaziente di sentire la risposta. - Greta è la mia ragazza. E’ mia, chiaro? - rispose, abbastanza convinto delle sue parole.
Io rimasi a bocca aperta.
Cos’ero? Ero la sua ragazza?
Quelle parole mi convincevano sempre meno, mi suonavano strane.
Greta Parker la ragazza di Alex Barnes.
Massìì, suona bene!, pensai.
- Ah, sì? E’ vero, Greta? Sei la sua ragazza? - disse Bryan.
Cosa avrei dovuto rispondere? Io non mi consideravo la sua ragazza, perchè fino a quel momento non ci eravamo mai considerati “due fidanzati”, non ne avevamo mai parlato. E non era quella l’occasione giusta per cominciare a farlo.
- Io... - cominciai a dire, ma le parole non volevano uscire.
- Vedi? Non lo sa neanche lei. Avrebbe potuto rispondere di sì, se voleva esserlo. Invece, a quanto pare hai perso stavolta, Barnes. - disse Bryan, con un sorrisetto arrogante.
Alex aveva smesso di tenerlo sollevato per il colletto della maglietta, ma quando sentì quella risposta fastidiosa, gli sferrò un’altro pugno sulla faccia.
- Basta! Smettetela adesso! Tutto questo non ha senso! Sembrate due bambini che giocano con un giocattolo nuovo, senza saper decidere a chi appartiene. - gridai, ma loro non smettevano di fare a botte.
Quella sera era tutto assurdo. E come se non bastasse, la macchia -che avevo per qualche minuto dimenticato- cominciò a pulsare forte sotto la pelle, e ad ardere di nuovo.
Per colpa di Bryan, Brooke stava malissimo. Aveva litigato con Jessie. E adesso, per colpa mia, Alex stava facendo a botte con Bryan. E la macchia si surriscaldava sempre di più.
Alex, come se avesse sentito qualcosa, smise di prendere a pugni Bryan e si voltò verso di me. Ma, prima che potesse dire qualcosa, Bryan lo colpì alle spalle.
Dovevo fare qualcosa per fermarli, senza avvertire per forza qualcun’altro. Dentro nessuno capiva nulla, la musica era troppo forte per sentire qualcosa. Potevo contare solo su me stessa. Quindi decisi di mettermi in mezzo, beccandomi un pugno da Bryan.
- Oddio, scusa Greta! Amore mio, mi dispiace. - disse.
- Cos'hai detto??? - gridai, lanciandogli un’occhiatacchia.
- Amore un cazzo! - disse Alex, che si era parato davanti a me, cercando di contenere la voglia di sferrargli un altro gancio destro.
- Hai visto che hai combinato? Ti ho detto che non devi nemmeno toccarla con un dito e tu che fai? La prendi a pugni? Vattene, Bryan. Sarà meglio per te che non ti faccia vedere nei dintorni. - continuò Alex, in tono minaccioso. Lo guardava come se ancora non ne avesse abbastanza di prenderlo a pugni.
Bryan fece la cosa migliore che potesse fare: rivolse l’ultima occhiata ad Alex, e poi, una più dolce e ‘di scuse’ a me, prima di voltarsi e correre via.
Adesso ero sola con Alex, che si voltò verso di me, venendomi in contro per abbracciarmi.
- Stai bene? Ti fa male? - mormorò, e quelle parole mi avvolsero assieme alle sue braccia forti. Ancora una volta, tra le sue braccia, mi sentivo al sicuro, e protetta da tutti.
Ma lui era lì, che aspettava una risposta, ed io.. no, non stavo bene.
Ma non per il pugno ricevuto, quanto per la macchia che continuava ad ardere sul mio collo, sotto i capelli che la coprivano.
- Non più di tanto. Sono forte, cosa credi? - risi, e lui accompagnò la risata ad un altro caloroso e avvolgente abbraccio.
 Poi si fece d’un tratto serio.
- Mi dispiace per stasera. Ho detto solo quello che... -
- Quello che era giusto dire per non indurre più Bryan a baciarmi. - lo interruppi.
- Sai anche tu che non era quello che volevo dire. -
- Alex... - Da una parte volevo tornare su quell’argomento, per chiedergli delle spiegazioni. Per capire se l’aveva detto con intenzione, se credeva in quelle parole, o se -molto probabilmente- l’aveva detto solo per convincere Bryan. Dall’altra, ero in imbarazzo.
- Tu non volevi baciarlo, giusto? - Feci ‘no’ con la testa, e lui mi regalò uno dei suoi sorrisi che amavo tanto.
- E’ ancora il tuo compleanno. Esprimi un desiderio. - disse, sfiorandomi la guancia con la mano.
Mi guardò tanto intensamente negl’occhi, che non riuscii a distogliere lo sguardo.
Sapevo bene qual’era il mio desiderio in quel momento.
- Baciami. - ©

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Capitolo 25
*** Capitolo 23 - E i nostri cuori, ancora una volta, s’incastrarono l’un l’altro. ***


A svegliarmi fu il suono della radiosveglia sul comò che suonò alle 7:00. Era lunedì, e il pensiero di andare a scuola fece aumentare la stanchezza accumulata dalla sera prima. Non era stata la classica festa di compleanno, di qualunque personale “normale”. Dove si brinda, si mangia, si festeggia, si balla, ci si diverte e tanto altro.
Era successo davvero di tutto.
A cominciare dalla quella “cosa”  che non sapevo ancora come chiamare. Al mio risveglio credevo veramente di aver sognato tutto. Ma quando andai in bagno per prepararmi, rividi la macchia sul mio collo attraverso lo specchio. Ancora non riuscivo a realizzare che fosse davvero lì, senza sapermi dare una spiegazione logica. Perchè in quella situazione non c’era nulla di logico. Era assurdo come fosse comparsa sul mio collo da un momento all’altro. Era assurdo il capogiro che avevo avuto. Ed era assurdo che fossi svenuta, dopo essermi sentita così.. così.. così piena d’energia da poter scoppiare.
Ma il tempo scorreva, e io non ne avevo molto per cercare inutili e inesistenti spiegazioni.
Quando fui pronta per andare a scuola, presi le chiavi dal tavolo della cucina, e mi chiusi la porta alle spalle.
Ma quando fui fuori, sobbalzai.
Fuori, al centro del giardino, c’era una macchina.
Non ne capivo molto di auto, quindi a primo impatto non riuscii a capire di che tipo di macchina si trattasse.
Mi avvicinai per controllare se dentro c’era qualcuno che l’aveva lasciata lì per caso. O se apparteneva ai vicini. Ma, se così fosse stato, che motivo avrebbero avuto di posteggiarla nel mio giardino?
Dentro, in ogni caso, l’auto era vuota. Era nera, ben lucidata, forse persino nuova.
Poi squillò il cellulare.
Sul display apparve il nome “Nonna”, che lampeggiava ad intermittenza.
Ero molto affezzionata a mia nonna, solo che viveva parecchio lontano da me; ci vedevamo solo per le feste. Speravo che venisse per il mio compleanno, ma mi aveva chiamata giorni prima per dirmi che non sarebbe potuta venire per via di alcuni impegni.

 «Pronto?»
«Greta, tesoro? Non ti sento bene..»
«Nonna, mi senti?»
«Ecco, sì. Ti sento. Amore, come stai? Passato bene il compleanno?»
«Abbastanza»
«Mi dispiace di non poter essere venuta. Sarà per la prossima! Ma, dimmi.. trovato niente stamattina? Tipo una Chevrolet nel tuo giardino di casa?»
«Sei stata tu? E’ tua? Oddio, nonna! Sei qui? Sei qui a New York?» strillai, in preda alla felicità. Volevo vederla, abbracciarla, parlarle. Raccontarle tutto quello che mi era successo in questi giorni. Speravo che fosse apparsa da dietro la mia casa come in uno di quei programmi televisivi.
«No, tesoro mio. Non sono qui. E’ quell’auto non è mia. Ma tua!»
«Come?!»
«Quell’auto è tutta tua! Trovi le chiavi e i documenti in un pacchetto che ti ho fatto spedire.. dovrebbe essere da qualche parte.. se quello strambo e sbadato postino non ha sbagliato la consegna. Mi chiedo come facciano ad assumere certa gente così senza testa! Non capiscono quanti danni potrebbero causare? Pacchi spediti a gente sbagliata, consegne scomparse.. Neanche se assumessero me, sarei così sbadata!» cominciò a parlare a vanvera, come faceva spesso. Poi riprese il filo del discorso.
«E’ il mio regalo di compleanno per te. Così finalmente smetterai di andare in giro con quel ridicolo e poco sicuro scooter.»
«Grazie nonna, davvero. Sei la nonna più figa del mondo. Lo sai, vero? A dir la verità anchio avevo in mente di liberarmene solo che...»
«E la nonna ha pensato bene di prendertene una! Non ringraziarmi, non ringraziarmi. Ma ora devo lasciarti.. tuo nonno brontola da dieci minuti di fila! Sai com’è fatto... Ti voglio bene, piccola mia. A presto.»
«Ti voglio bene anchio» risposi «..e ti aspetto!» ma l’unica risposta che ricevetti fu un ‘tu-tu-tu-tu‘.

 Feci il giro della casa, e trovai il pacco di cui mia nonna aveva parlato. Era ben chiuso, con dello scotch che lo ricopriva quasi completamente. Per aprirlo dovetti romperlo, e dentro trovai chiavi e documenti dell’auto. Subito dopo corsi verso la macchina.
Stavo già per mettere in moto, quando ricordai di non avere la patente con me. Scesi dalla macchina, lasciando lo sportello aperto e mi precipitai dentro casa. Salii le scale come un fulmine, e frugai nel cassetto del comodino vicino al letto, dove -con un po’ di fortuna- trovai la vecchia patente che un anno prima avevo ottenuto.
Due minuti dopo, infilavo le chiavi nel quadro per mettere in moto la mia nuova auto.

 

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Biologia era sempre una noia tremenda. Alex non era a scuola, quindi non potei distrarmi nemmeno con lui. Speravo che avesse saltato solo la lezione di biologia, e che dopo fosse stato a quella di fisica.
Guardavo annoiata i miei compagni che si tiravano palline di carta, e il mio coach che strillava: “Fermi voi, li giù! Wilson! Smith! State buoni. Tu, Lewis! Stai composto. No! No, ragazzi! Gli aeroplanini no!”.
La testa mi scoppiava. Desideravo ardentemente che stesse zitto una volta per tutte. Stavo per urlargli qualcosa contro, quando vidi il coach che cercava di parlare, ma dalla sua bocca non usciva nessun tipo di suono.
Per fortuna sapevo leggere il labiale, e capii a malapena le parole che tentava disperatamente di dire: “La mia voce, la mia voce.”
Perfetto, dopo tutto questo urlare.. ci voleva solo questo.
Finalmente il silenzio. Il coach non strillava più, e i miei compagni avevano tutti stampato sulla faccia un chiarissimo ‘Ma che succede?’.
Poi scoppiarono tutti a ridere, e a muoversi freneticamente sulla sedia.
Il coach interruppe la lezione, e tutti cominciarono a fare ciò che volevano. Compresa io, che armeggiavo con il mio MP3, in cerca di una canzone che mi facesse rilassare.
Appoggiai la testa sul banco, e chiusi gli occhi.
Quando qualche minuto dopo li riaprii, a primo impatto non riuscii a capire cos’era la cosa che mi arrivò dritta in faccia.
Poi capii.
Il mio compagno di classe, James Wilson, mi aveva lanciato una delle sue cazzo di palline di carta. Il ragazzo in questione aveva avuto una cotta per me, ma quando gli feci capire chiaramente che a me lui non interessava, comincio a tempestarmi di scherzi e insulti. Finchè un giorno non gli rovesciai una soda in testa.
- Tieni quelle tue manacce a posto, idiota! - gli urlai.
- Ma dai, Parker, era solo una pallina! - disse James, che cominciò a ridere compiaciuto.
- Sai dove devi infilartele le tue fottutissime palline? - replicai, perdendo le staffe.
- Calma, bellezza, calma.. - la sua voce soffocava un’accenno di risata.
Io, che ne avevo abbastanza di lui e dei suoi stupidi scherzi, presi lo zaino e uscii dalla classe. Il professore non protestò.
E comunque, se lo avesse fatto, non sarei riuscita a sentirlo.
Ma, sulla soglia, improvvisamente mi bloccai.
Appoggiato ad una fila di armadietti, c’era Alex.
E non era solo.
Stava parlando con una ragazza bionda, alta, con una gonna che le stava sopra il ginocchio e un paio di leggins neri.
Lei poggiava tranquillamente le sue mani sulle spalle di Alex, o sul suo torace, parlando disinvolta. Lei non mi notò, e nemmeno Alex.
Io, senza alcun motivo, avvampai.Ebbi l’impulso di spedirla dalla parte opposta del corridoio, ma dovetti frenare il mio desiderio.
Solo quando la ragazza si voltò, la riconobbi.
Blythe Morris.
Era la figlia della preside: una ragazza ricca sfondata, capricciosa e sicura di sè. La classica “figlia di papà” che ottiene tutto con un semplice schiocco di dita.
Quando finirono di parlare, Blythe stampò un bacio sulla guancia ad Alex, lasciandogli la stampa del rossetto rosso fuoco che portava sempre sulle labbra.
Si allontanò, lasciando in lontananza il suono dei suoi tacchi.
Alex guardava in basso, poi il suo sguardo di ghiaccio si posò su di me, ancora ferma sulla soglia della porta a guardare inerme la scena. Quando mi vide, sfoderò uno dei suoi sorrisi, e si appoggiò disinvolto all’armadietto.
Provai il forte impulso di correre da lui, e baciarlo. Ma non lo feci.
- Che fai, scappi dalla classe? Avevi una voglia matta di vedermi, ammettilo. - disse, continuando a sorridere. Si accerezzò la mascella con la mano.
Ma io non risposi.
Aveva detto a Bryan che ero la sua ragazza, ma non avevo ancora chiaro il motivo della sua risposta. Smisi di guardarlo negl’occhi, e camminai a passi svelti verso un qualsiasi luogo dove avrei potuto stare da sola, in pace.
Ma Alex riuscì ad afferrarmi per il braccio, e farmi voltare verso di lui.
- Ehi, guarda che anchio ero stufo di ammirare i tuoi occhi da fuori la porta. -
- Non sono in vena, scusami. -
- Non sei in vena di parlare? Okay... - mormorò, avvicinando il suo volto al mio.
Lo scansai.
- Perchè non sei venuto a lezione? - dissi, alzandomi il cappuccio della felpa.
- Avevo degli affari da sbrigare. -
- Che genere di affari? Quella tipa bionda fa parte dei tuoi affari? - risposi, ma non fui contenta dell’impressione della “ragazzina gelosa” che diedi.
- Mmh.. diciamo. -
- Ah sì? E sentiamo, cosa c’entra Blythe con i tuoi affari? Oh, ma guarda! Se sono privati puoi anche lasciar perdere! - dissi in tono sarcastico. Volevo vedere l’effetto che scatenavano le mie parole in lui, ma Alex non si scompose. Tipico di lui.
Aveva un’invidiabile autocontrollo, anche in situazioni più o meno imbarazzanti.
- In effetti sono un po’ privati - Ah, certo! Non aveva un minimo di sensibilità, doveva proprio dirmelo così chiaramente che quelli con lei erano degli affari privati!
Trassi un lungo, lento respiro. - Era tutta una messa in scena quella di ieri sera? Tu che mi difendi, che dici a Bryan che sono... insomma, che sono... -
- Pensi che lo sia? - rispose, concentrando di nuovo l’attenzione su di me.
Mi guardò con occhi penetranti. Quando mi guardava in quel modo, non potevo, non riuscivo a distogliere lo sguardo. I suoi occhi mi catturavano, sapevano sempre come farlo. Riuscivano ad impedirmi di allontanarmi da lui, come due braccia che stringono forte.
Lui voleva stare con me. Lui mi amava. Lui non mi avrebbe mai abbandonata. Lui mi avrebbe sempre protetta. Sarebbe stato per sempre.
Non erano affermazioni. Erano domande.
Tanti punti interrogativi vagavano nella mia mente, cercando una spiegazione a tutto questo. Erano passate poche settimane da quando i nostri sguardi si erano incontrati per la mia volta, in spiaggia.
Ma era come se lo conoscessi da sempre, come se qualcos’altro ci legasse.
Io gli appartenevo.
Questa no, non era un’affermazione. Era quello che il mio cuore sentiva.
E in qualche modo, sentivo che poteva essere vero anche per lui.
Non importava se ero la sua ragazza o meno, io lo amavo.
Tante volte avevo cercato un motivo in più per dire ‘no’ al mio cuore. Ma lui sentiva di appartenere ad Alex.
E i nostri cuori, ancora una volta, s’incastrarono l’un l’altro.© 

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