One body, two souls.

di JoAngel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo.

 

Correva.
Correva a perdi fiato.
Correva senza sapere dove stesse andando.
Correva.
I tacchi delle sue scarpe scandivano il tempo nel quale lui l’avrebbe raggiunta.
Il suo respiro era affannoso.
I passi di lui che si facevano più vicini, mentre lei cercava una via di uscita da quel tunnel di due pareti, umide e di pietra.
Gocce di acqua scendevano e ticchettavano il pavimento, anch’esso di pietra.
L’edera rampicante sulle pareti.
Ancora passi.
Vedeva la luce fioca della luna schiantarsi contro il muretto pietroso.
Ancora qualche passo, e sarebbe stata libera, al sicuro da quel mostro.
Ma non fu così.
Un sibilo.
Lei si voltò di scatto.
La sua espressione esprimeva un chiaro sgomento e terrore alla sua di quell’essere.
Più che alla vista, alla sua presenza.
Era tutto nero.
Alle sue spalle, la luce della luna si era fatta più accesa.
Un grido.
Un tonfo.
Altri veloci passi.
Un corvo, rannicchiato su un ramo di quell’albero, vigile, vicino al muro, tutto secco, aveva visto tutto.
Era l’unico che avrebbe potuto descrivere l’orrore che, in quella notte scura di un lontano novembre, aveva scrutato e udito, fermo e impassibile.
Una pozza di sangue si allargò pian piano sul pavimento.
La testa inclinata della giovane.
Il sangue che sgorgava come un fiume in piena dalla gola di lei.
Le labbra socchiuse, ormai viola.
La pelle bianca.
Gli occhi ancora spalancati.
Erano pieni di paura.
Paura di ciò che, un momento prima del dolce richiamo della morte, avevano visto.
Il corvo si alzò in volo, e planò sul corpo inerme della donna, steso a terra.
Iniziò a zampettare nella chiazza di sangue, per poi salire sulla sua fronte.
Gracchiò rumorosamente.
Negli occhi neri come la pece dell’animale balenò una strana luce.
Un altro gracchio.
Sbatté le ali, e volò via, velocemente, come se anche lui avesse visto la morte vicina.
Tornò il silenzio.
Il corpo non venne mai ritrovato.
Quel corpo apparteneva a una donna.
Quella donna si chiamava …

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.

Aveva lo sguardo rivolto verso il cielo.
Fece un sospiro abbattuto vedendo che il tempo stava cambiando.
Maledette nuvole …
Voltò pagina e tornò con gli occhi sul libro.
Era annoiata.
Quel pomeriggio era più monotono degli altri.
Sbuffò, prese il segnalibro che aveva posto sul comodino, lo infilò tra le due pagine e chiuse il romanzo.
Si alzò dal letto e mise si avvicinò alla libreria.
La squadrò con lo sguardo: era davvero piena di libri, di tutti i tipi, dai romanzi gialli a tomi di tutti i generi.
Posò quello che aveva in mano al suo posto e si spostò in salotto; da esso raggiunse la cucina.
Prese un bicchiere dal mobiletto sopra al lavabo, lo riempì d’acqua del rubinetto e la sorseggiò, osservando i primi sintomi di una pioggia in arrivo.
Doveva riportare quel libro, che aveva messo sul primo ripiano del mobile vicino al caminetto in salotto, in biblioteca.
Era ormai da due mesi che lo aveva con sé, e non voleva prendersi rimproveri dal bibliotecario.
Anche se il tempo andava contro di lei, decise di fare un salto in biblioteca.
Posò il bicchiere nel lavandino, si stiracchiò emettendo un lieve gemito e andò in salotto.
Si mise il giaccone di pelle, scrollando le spalle, poi si infilò gli anfibi neri.
Si avvicinò al mobile accanto al caminetto e prese il libro.
Era bello spesso. Aveva una copertina marrone, con il titolo in dorato in centro. Era semplice. Le era molto piaciuto: narrava storie di donne che avevano passato momenti difficili, ma che poi si erano fatte forze e avevano ripreso in mano la loro vita.
Socchiuse gli occhi, riducendoli a due fessure, e poi prese le chiavi dell’auto, che erano riposte sulla mensola del caminetto.
Andò alla porta ed uscì, la chiuse a chiave e si diresse all’auto.
Entrò nella vettura, si allacciò la cintura e mise in moto.
Fece manovra ed uscì dal vialetto, iniziando a guidare verso la biblioteca.
Dopo alcuni minuti di strada asfaltata, curve e rotonde, semafori e strisce pedonali, arrivò alla meta.
Parcheggiò l’auto lì vicino, accanto al marciapiede, scese e si stiracchiò, rintanandosi per bene nel giaccone.
Sospirò, stringendo il libro al petto, e si avviò verso la porta della biblioteca.
La aprì, ed entrò. Si guardò intorno: anche se era aperta, non c’era quasi nessuno, se non una studentessa seduta ad un tavolo appartato, e un signore sulla quarantina che dava un occhiata al reparto dedicato ai libri scientifici.
Storse la bocca in una piccola smorfia e andò al bancone.
Non c’era nessuno.
Sospirò stizzita e posò il libro sulla superficie di legno.
Aspettò alcuni minuti ma non arrivò anima viva.
Sbuffò fortemente e decise che non avrebbe più riportato i libri se quello era il risultato.
Lasciò il romanzo lì dove l’aveva messo, e optò per andare a farsi un giro per le librerie.
Aveva il naso rivolto al soffitto, e gli occhi osservatori.
Prese due o tre libri e si appartò ad un tavolino, vicino alla finestra.
Un libro, tra i tre, non aveva titolo sulla copertina, e questo la incuriosiva. Non lo aveva aperto per vedere come fossero dentro, cosa che faceva di solito.
Iniziò a sfogliarlo, con lo sguardo fisso sulle sue pagine.
Ciò non le fece neanche notare che la studentessa si fosse alzata e uscita con fretta dalla biblioteca, e il signore come lei.
Neanche il rumore di alcuni passi le fecero distogliere l’attenzione dal libro.
Per caso, si trovò con gli occhi puntati su una immagine, disegnata in modo molto tenue, perché quel libro era molto vecchio. L’immagine ritraeva una donna stesa a terra, in una pozza di sangue. Il libro e l’immagine stessa risalivo alla prima metà dell’Ottocento.
Spostò lo sguardo dall’immagine alla didascalia. Essa diceva che la donna era una contadina, sparita nel nulla in una notte autunnale. La didascalia era in francese, come lo erano anche i testi dal libro riportati.
Si morse il labbro inferiore, ed iniziò a leggere la pagina accanto a quella dell’immagine.
Raccontava la storia della famiglia della giovane.
I suoi occhi si spalancarono quando lesse un cognome: Crane.
Aggrottò la fronte e continuò a leggere.
Questa contadina, di origini inglesi, aveva una fattoria in Francia, in un piccolo villaggio.
Una sera uscì di casa, una sera scura, e l’ultima persona che l’aveva vista era stata suo marito, Claudio, un pover uomo che aveva dedicato tutta la vita alla sua fattoria. Non avevano figli, lei non ne poté avere.
Quando il marito seppe della scomparsa dell’amata, si uccise.
Dio che storia triste …
Ma il suo pensiero principale era rivolto a quel cognome, Crane.
Possibile che … ?
Fece un sospiro e tenne il libro aperto a quella pagina.
Si alzò dal tavolino, e prese a cercare il libro nel quale fosse riportato l’albero genealogico di quel cognome.
Quella biblioteca era ben assortita, quindi sapeva che poteva trovare ogni singolo libro avesse voluto cercare.
Trovato , tornò al suo posto e lo aprì.
Si diresse alla pagina dove il nome della donna, Elizabeth Crane, spuntava e iniziò a percorrere tutta la storia della sua famiglia.
Ma figli non ne ha avuti, come poteva aver mandato avanti la discendenza?
Si passò una mano sul viso, sospirando.
Ticchettò le unghie sul tavolo, continuando a sospirare.
E se …
Riprese il primo libro, e riprese a leggere la storia della donna.
Ecco.
Voci dicevano che la donna un figlio lo ebbe.
Una bambina. Ethel.
Ma essa non fu mai trovata. Alcuni dissero che morì durante il parto, altri invece dissero che la stessa Elizabeth la uccise, perché la piccola era frutto di una relazione con un altro uomo, e non di Claudio. Altri dicevano che la bambina era un demonio, era figlia del Diavolo, e che quindi la donna non ebbe altra scelta che liberarsene in qualche modo.
Poggiò i gomiti sul tavolo, e mise la testa tra le mani, facendo un altro sospiro.
Aveva ancora lo sguardo sulla pagina.
Voleva sapere di più sui suoi antenati.
Si. Crane era il suo cognome.
I suoi genitori adottivi le avevano detto che i suoi veri genitori erano morti in uno strano incidente stradale. Il corpo del padre, Robert Crane, era stato ritrovato fuori dalla vettura, con il torace aperto in due e gli organi interni inceneriti. La madre invece dentro l’auto, sul sedile posteriore, sgozzata e le mani tagliate.
I poliziotti avevano archiviato il caso da anni ormai come un omicidio di un malato di mente.
Ma non tutti erano d’accordo su ciò. Soprattutto lei.
Rabbrividì nel giaccone, e strinse le spalle.
Deglutì a vuoto e si poggiò allo schienale della sedia, portando lo sguardo sulla la finestra.
Pioveva.
Avrebbe voluto accendersi una sigaretta, ma non poteva in quel luogo.
Chiuse gli occhi.
Tenne le labbra socchiuse.
Respirò freddo.
Aprì gli occhi di colpo, e vicino a sé si ritrovò un vecchietto, i capelli grigi, stempiato, un naso arcuato, gli occhiali da vista, le ciglia folte.
“Ehm … sì?”. Il suo sguardo si porse sugli occhi dell’uomo
“L’ho disturbata signorina? Non volevo.”.
“No … non mi ha disturbata, si figuri.”. Cercò di essere il più gentile possibile. Aveva sempre rispettato le persone più anziane di lei.
“Oh meno male.”. Fece un sorriso, rugoso, e spostò lo sguardo sui due libri aperti in bella vista. “Cosa stava leggendo?”.
“Ehm … nulla di interessante, cose …”. Chiuse i due libri lentamente, sorridendo fintamente. “ … cose futili”.
“Nulla è futile. Se fosse così non verrebbe letto.”.
Lei si morse il labbro nervosamente.
Chi era quel vecchio? Che voleva da lei?
“Allora? Mmm … un libro senza titolo. Che scelta strana”. Prese il libro e lo girò tra le mani, studiandolo.
“Ehm .. mi scusi, non voglio essere sgarbata, ma vorrei tornare a leggere tranquillamente.”.
Sentiva una strana sensazione.
Quella soffiata fredda di prima non le piacque. La temperatura non era così bassa per far sì che ciò fosse possibile.
“Le do fastidio?”. L’uomo puntò gli occhi sui suoi.
Lei deglutì a vuoto.
“Ora dovrei andare.”. E con ciò, si alzò in fretta, prese l’altro libro sul tavolo, che poco prima aveva chiuso, e fece per allontanarsi.
Ma il vecchio la fermò, poggiando il libro che aveva in mano sul tavolo.
“Non è ancora l’ora di scappare via, Lys.”.
Sentendosi richiamare, guardò l’uomo con un espressione preoccupata.
“Come fa a sapere il mio nome?”.
“So molte cose di te, cara Lys. So anche ciò che tu sei.”. Fece un sorriso maligno, mentre la fisonomia del suo viso cambiava, così come il corpo.
La ragazza trattenne il fiato, deglutendo a vuoto.
Si trovò davanti un uomo alto, biondo, massiccio, che la guardava con sguardo interessato. I suoi occhi erano come ghiaccio.
La prese per un polso, così da avvicinarla a sé, e la guardò intensamente negli occhi.
“C … chi diavolo sei tu?”. Fu l’unica cosa che riuscì a dire, paralizzata dalla paura.
“Ssssh ….”. Le posò un dita sulle labbra, per azzittirla.
Portò una mano dietro la sua nuca, percorrendo prima il suo collo.
“ Expergefactus dulcis daemon dormiebat.”.
Le sussurrò quelle parole sulla fronte, con un filo di voce.
Poi una luce, accecante.
Cosa …?

Buio.
Aprì lentamente gli occhi.
“Lyyyys …”.
Una voce acuta attirò la sua attenzione.
Si mise subito seduta.
Era su una lastra di pietra. Si trovava su una lastra tombale.
Intorno a lei era quasi tutto buio, se non per una fioca luce scaturita da una fiamma di una candela.
Lo sguardo di lei si posò su una figura minuta.
Sentì dei passi, e poi davanti ai suoi occhi apparve un viso.
Era una bambina.
Aveva due occhi verdi, chiari, grandi. I capelli castani, boccoluti e candidi, che le ricadevano sulle spalle, esili, come il resto del corpo. Le guance erano l’unica parte del suo corpo di colore vivo. Il resto era bianco come la neve.
Indossava un vestito bianco, come quelli che portavano le bambine secoli orsono. I piedi scalzi.
“D’ora in poi giocheremo insieme, vero?”.
Un sorriso. Quel sorriso le ghiacciò il sangue nelle vene.
“Staremo sempre insieme … Lys …”.
La fiamma della candela … si spense all’istante.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.


“Bisogna ucciderla!”.
La donna strinse il fagotto che aveva tra le braccia al petto, e chinò lo sguardo.
“No.”. Il suo tono era freddo, e la voce fievole.
“Quel mostro deve essere ucciso prima che …”.
Un fremito di rabbia pervase la donna, che drizzò il capo e guardò l’uomo dritto negli occhi.
“E’ mia figlia … non voglio ucciderla. Dio, è una bambina!”.
Non poteva continuare ad udire le sue parole.
Non poteva fare nulla però per farlo tacere.
Addolorata, si sedette sulla sedia di legno, vicina al caminetto, e cullò la piccina.
“Quando Claudio saprà di lei cosa farai?”.
“Io …”.
Deglutì a vuoto, e porse lo sguardo sulla piccola, che stringeva e pugnetti e dormicchiava sul suo grembo.
“Non puoi nasconderla per sempre, Elizabeth.”. La voce del uomo si addolcì, e si avvicinò a lei.
“Io … lo so, Philipe, ma … è la mia bambina, non posso … ucciderla.”.
Al solo pensiero di ciò, delle lacrime cominciarono a rigarle il viso.
“Come … hai fatto nascondere la gravidanza a Claudio?”.
“Io … ho mentito: gli dissi che era suo …”.
Abbattuto, l’uomo si mise in ginocchio vicino alla donna, e la guardò negli occhi. “E ci ha creduto?”.
“Lui …”. Ricambiò lo sguardo, con gli occhi lucidi di pianto. “ … sì.”. Fu la sua risposta, dopo alcuni attimi di silenzio.
Un sospiro. Di lui.
Guardò la piccola in fasce, che sonnecchiava tra le braccia della madre.
“Lui … mi … aveva sedotto, Claudio. Solo dopo capì cosa avevo fatto.”.
Le tornò in mente la scena.
Stava camminando per la campagna.
In braccio aveva un fascio di erba secca.
Arrivata a casa, seduto al tavolo della cucina non c’era suo marito.
Bensì un uomo, biondo.
Gli occhi di ghiaccio.
Un sorriso divertito sul volto.
Un gomito poggiato sulla superficie legnosa, il mento posato sulla mano.
Sembrava la stesse aspettando da un bel po’.
Lo sgomento pervase il viso della giovane donna.
“Tranquilla, non voglio farti alcun male.”. Quelle parole furono delle dall’uomo, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi cautamente a lei.
I loro sguardi si incontrarono, e la donna iniziò a respirare a fatica.
“Prenda ciò che vuole e se ne vada, siamo una famiglia di poveri contadini, non abbiamo nulla di prezioso in casa …”.
“Ma io non sono un furfante, giovane donna. Io posso donarti una cosa, posso darti in dono ciò che più vuoi.”.
Erano faccia a faccia, e l’uomo continuava a guardarla negli occhi.
“Voi non potete darmi nulla di ciò che ho già.”.
Cercò di rimanere impassibile, ma a quel punto l’uomo le prese il viso tra le mani, con dolcezza.
“Cara Elizabeth, so che ciò che vuoi. Ed io voglio offrirti un dono che non potrai rifiutare, no, perché tu lo brami troppo per non accettarlo.”.
“Come fa a sapere il mio nome?”. Il suo respiro si fece più affaticato.
“Io so tutto di te, dolce Elizabeth.”. Sul viso dell’uomo apparve un sorriso, più … sincero.
“Quale …”. Deglutì a vuoto, iniziando a tremare.
Non poteva chiamare aiuto. Era da sola, in preda al panico, che più l’uomo andava avanti a parlare, più si poteva scrutare nei suoi occhi.
“Il … dono che voglio offrirti è … un figlio.”.
“Ma io … figli non …”.
La fermò dal parlare, poggiandole un dito davanti alle labbra. “So anche ciò, ma io … posso far sì che tu possa averne uno.”.
Lo guardò negli occhi.
Quelle parole le sembravano così sincere e pure.
Aveva sempre voluto un bambino, un discendente della sua famiglia.
Ma Dio non glielo aveva mai concesso.
“In … che modo?”.
L’uomo fece un sorriso, prima di accarezzarle le gote, che avevano perso il loro colore roseo.
“Così …”.
Con quella semplice parola, poggiò una mano sul grembo della donna, e da essa si scaturì una luce, bianca, soave, calda.
La donna sentì un forte dolore alla pancia, e chiuse fortemente gli occhi.
Emise dei gemiti di dolore, e si dovette tenere all’uomo.
Egli la prese tra le braccia e la guardò negli occhi.
“Questo sarà il frutto del tuo seno. Avrai una figlia, la chiamerai Ethel, e dirai a tuo marito che essa è sua.”.
Mentre parlava, le carezzava il viso con delicatezza, e lei respirava lentamente, tenendo occhi e labbra socchiusi.
“E’ un dono Elizabeth, devi essere fiera di ciò che porti in grembo.”.
“Voi … chi siete?”. Furono le uniche parole che riuscì a sussurrare.
“Io … sono un angelo.”.
La donna, tra la sorpresa, il dolore che il gesto di lui le provocò, la stanchezza, svenne, prima di poter dire qualcosa a quella rivelazione.
Da quel momento, fu tutto nero.
Scosse la testa a quel ricordo, e fece un sospiro.
“Ti ha adulata, Elizabeth. Non sapevi neanche chi fosse!”.
“Lui … aveva detto che poteva offrirmi ciò che avevo sempre desiderato, poteva donarmi un figlio, Claudio! Ed io …”.
“E tu sei caduta nella sua rete.”.
“Non capisci: è stato … come un miracolo. Era davvero un angelo.”.
“Cosa stai dicendo?”. Quelle parole gli suscitarono sgomento.
“Era un angelo, Claudio. Mi ha dato questo dono, ha poggiato una mano sul mio grembo, e …”.
“Basta dire fandonie!”. Alzò la voce, non potendo continuare a sentire tutte quelle sciocchezze che la donna stava dicendo.
Le prese dalle braccia la bambina, che iniziò a piangere agitandosi.
“Cosa vuoi fare?!”. La donna si drizzò subito in piedi, e prese a seguire l’uomo, che, furioso, uscì fuori di casa e camminava tra la nebbia, che aveva dominato le campagne.
“Ciò che fin da subito bisognava fare …”.
Il pianto della piccola era diventato straziante.
L’uomo tenne a braccia tese, sopra un profondo dirupo che scendeva alla valle, la bambina.
Elizabeth prese a piangere disperata.
“Non farlo ti prego!”.
Le sue urla addolorate però non scalfirono il cuore di pietra dell’uomo.
Chiuse gli occhi.
Le guance della bambina grondavano di lacrime.
La donna si stringeva il petto, sentendo il cuore andare a pezzi.
La lasciò andare.
La lasciò cadere.
Lasciò che quella piccola creatura morisse per mano sua, per quel suo gesto.
Ma ciò fu solamente l’inizio della fine.

Alcuni anni dopo, Claudio fu trovato morto.
Impiccato ad un albero, senza occhi.
I polsi tagliati.
Un immagine che non venne mai cancellata dalle menti delle persone che la videro.
Poi Elizabeth.
Scomparse nel nulla, come una lacrima scompare tra le gocce di pioggia.
Di lei il corpo non venne trovato.
Come la causa della loro morte.

“Mamma è stata tanto cattiva con me …”.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3.

Si fregò le mani, con un sorrisetto in viso.
“Allora? Nuovi casi?”.
Il fratello lo guardò sospirando. “Noi abbiamo un caso enorme di cui occuparci, ovvero l’Apocalisse.”.
Prese il bicchiere di cartone del caffè e se lo portò alle labbra, sbuffando.
“Cass ha detto che per adesso possiamo solo aspettare, non abbiamo nessun indizio su cui indagare, quindi … non ci resta che svagarci un po’ con dei normali casi supernaturali.”. Con ovvia ragione, annuì convinto.
L’altro fece un altro profondo sospiro.
“Beh se vuoi possiamo prenderci una pausa da tutto e andare a divertirci da qualche parte.”. La malizia in quelle parole fu colta dal fratello, che lo fulminò con lo sguardo.
“Ehi ehi sto scherzando …”. Sbuffò di nuovo, e bevve un altro sorso di caffè. “Preso il giornale?”.
“Certo.”. Prese il giornale dall’interno della giacca, per non farlo bagnare dalla pioggia che da alcuni giorni assaliva la città, e glielo buttò davanti al naso.
“Ehi! La giacca!”. Il suo borbottio divertì il fratello, che sogghignò sotto i baffi.
Dean si sistemò e poi buttò un occhio alla pagina principale.
“Su internet hai trovato qualcosa di interessante?”.
“Ehm … no, cioè ho cercato più che altro informazioni su …”.
“Capisco capisco”. Prese a sfogliare il giornale, bevendo talvolta un sorso di caffè.
Sam decise di osservare il fratello. Dopo alcuni minuti spostò il suo sguardo sulla finestra.
La pioggia gli era sempre piaciuta. Era malinconica.
Si lasciò trasportare dai ricordi.
Gli venne in mente che, quando faceva temporale, da piccolo rimaneva insieme a Dean in casa, stretti stretti l’un altro sul divano, coperti da un plaid azzurro cielo. Guardavano sempre i cartoni in tv, mangiando patatine e bevendo bibite gasate.
Facevano così ogni volta che il padre li abbandonava per andare a caccia.
Ogni sera.
“Ehi.”. La sua attenzione venne richiamata da Dean, e lui si voltò sbattendo più volte le palpebre.
“Scusami … mi ero …”.
“Incantato, avevo notato.”. Fece scivolare il giornale sul tavolo, e con il dito indicò un titolo di articolo.
“Di che si tratta?”.
Ragazza sparisce nel nulla, i cittadini si chiedono dove sia andata.”.
“Sarà un normale caso di sparizione di persone, cos’ha di soprannaturale?”. Non capiva in che modo quel titolo avesse attirato l’attenzione del fratello.
“Leggi l’articolo.”.
Sam aggrottò la fronte e prese a leggere ciò che il fratello gli disse.
“Lys Crane è scomparsa da due settimane. I suoi amici si sono preoccupati non riuscendo più a rintracciarla. I genitori adottivi hanno saputo della sua scomparsa solamente dopo una settimana dall’accaduto. L’ultima volta che è stata vista era andata nella biblioteca della città.”.
“Che dici? Forse è un caso per noi?”.
Il fratello si passò una mano tra i capelli, e tenne gli occhi sull’articolo.
“Possiamo fare un salto a vedere, tanto è a pochi kilometri da qui per fortuna.”. Con ciò, chiuse il giornale e lo rimise nella giacca. Poi si alzò.
“Vado io a pagare, tu aspettami fuori”.
Dean si avviò alla cassa, mentre il fratello raggiunse l’auto fuori, parcheggiata vicino al marciapiede, poco lontano dall’entrata del bar.
Entrò nella vettura, e si stiracchiò socchiudendo gli occhi.
Alcuni minuti dopo, arrivò Dean, che salì in macchina, dopo aver chiuso con energia la portiera.
“Inizia a guidare, io mi rilasso.”. Con voce assonnata, si mise comodo sul sedile.
“Oooh certo principessa.”. Ironico, mise in moto, dopo essersi allacciato la cintura.
Fece manovra ed iniziò a sfrecciare sull’asfalto, con meta la città del caso.
Qualcosa lo aveva indotto a pensare che non fosse solamente un normale caso di scomparsa.
Ma era di più, secondo lui.
Aveva avuto una sensazione strana, appena letto quel nome, Lys Crane.
Con lo sguardo fisso sulla strada, continuò a guidare, stringendo il volante tra le mani.
 
Dopo due ore di intenso e trafficato viaggio, raggiunsero la città.
Parcheggiò alcuni metri dalla casa della ragazza.
“E’ qui?”.
Sam, strofinandosi gli occhi e sbadigliando, emise un verso.
Lui gli diede una colpo sulla nuca, e il fratello lo guardo in cagnesco. “Ahia.”.
“Allora è qui?”.
“Si si è qui.”. Sbuffando stizzito, aprì la portiera ed uscì, seguito dopo alcuni attimi dal fratello, che scuoteva la testa sospirando.
 Dean alzò lo sguardo, che si posò sulla facciata dell’edificio.
Era una casa davvero bella, vista da fuori, e soprattutto normale.
Si diressero alla porta.
“Per te verrà ad aprire se è scomparsa?”. Ironico, Sam fece un sorrisetto divertito e incrociò le braccia sul petto.
“Gne gne gne, provavo se fosse aperta …”.
“A me non sembra”. Furono le parole del fratello quando Dean mise la mano sulla maniglia e fece gesto di aprire la porta. Accorgendosi che era chiusa a chiave, a Sam scappò una risatina, nascosta dal colletto della giacca.
“Saputello del cazzo …”. Dean si affacciò alla finestra, e cercò di scrutare l’interno della casa.
“Vado a prendere …?”.
“Si, renditi utile.”.
Sam fece una smorfia, e tornò all’auto. Aprì il baule e prese il borsone di tela verde.
Per un attimo pensò che quella città sembrava morta. Non c’era molto movimento anche se fosse pieno pomeriggio.
Aggrottò la fronte a quel pensiero e chiuse il baule. Con ciò riprese il suo posto vicino al fratello.
“Hai il chiavistello?”.
Sam annuì e glielo passò. Il fratello iniziò a manomettere la serratura.
Fatto, fece un sorriso soddisfatto e aprì l’uscio.
Entrarono in casa e Sam prese il rilevatore di frequenze elettromagnetiche, il loro artigianale, e lo accese.
Intanto Dean iniziò a perlustrare la casa in ogni angolo, cercando qualcosa che potesse far capire il motivo della scomparsa della ragazza.
Capitò nella camera da letto. Guardò i muri pieni di foto.
Wow che bella ragazza …
Prese in mano un portafoto nel quale c’era una fotografia di Lys.
La osservò con interesse.
Ma poi sentì il fratello richiamare la sua attenzione, e sbuffò. Mise ciò che aveva in mano al proprio posto e raggiunse Sam in cucina.
“Trovato qualcosa tu?”.
“Ehm … no, solamente foto.”.
Sam sospirò abbattuto. “Non è un caso per noi, abbiamo sprecato solo gomme e benzina per venire qua.”.
“Non è detto. Andiamo alla biblioteca. L’ultima volta è andata là, forse ci sono ancora tracce.”.
“Tanto ormai siamo qua …”. Sospirando, Sam mise via il rivelatore.
Uscirono dalla casa e Dean chiuse la porta alle sue spalle.
Presero la macchina per raggiungere la biblioteca.
Fortunatamente per loro era aperta.
Dopo aver ripreso il borsone dal baule, entrarono nell’edificio e si guardarono intorno.
Si scambiarono delle occhiate e decisero di ispezionarla da cima a fondo.
Senza farsi vedere, cercarono degli indizi.
Con sorpresa di Dean, il rivelatore non segnò nulla.
Sbuffò innervosito.
I fantasmi non c’entrano …
“Dean!”.
Il bisbiglio fu udito dal cacciatore, che si affrettò a raggiungere il fratello.
“Cosa?”.
“Su questo tavolo c’è puzza di zolfo … e non solo.”.
Dean aggrottò la fronte e pose lo sguardo sul tavolo, che pareva normale e senza alcun segno soprannaturale.
“A me sembra a posto …”.
“E’ pieno di energia madame.”.
Una voce familiare intervenne al posto del cacciatore, e i due si voltarono.
Con stupore notare che era …
“Balthazar?”. In coro, sorpresi, si ritrovarono l’angelo che sorrideva.
“Si … purtroppo il vostro amichetto di giochi è occupato in non so cosa, e sono dovuto venire io, ma tranquilli, ritornerà.”.
“Troppo entusiasmo a stare con noi vedo …”.
“Oh, sempre il solito simpaticone te vero?”.
“Basta voi due …”. Sam interruppe i due, per poi sospirare. “Cosa intendi perè pieno di energia?”.
 L’angelo si schiarì la voce e incrociò le braccia sul petto.
“Diciamo che … posso sentire che questo tavolo è stato pervaso da una potente energia, scaturita da … non so dirvi.”.
“E se la ragazza fosse stata rapita da dei demoni?”.
“Mmm … i demoni non scaturiscono energia.”.
“Ma c’erano tracce di zolfo …”.
“Ehm …”. Balthazar alzò l’indice per parlare. “ … di cosa state parlando scusate?”.
“Siamo qui perché abbiamo letto di una strana comparsa di una ragazza sul giornale, Lys Crane.”.
L’angelo storse le labbra e si accarezzò il mento con una mano.
“Capisco … e la state cercando qui?”.
“E’ meglio Cass, almeno non fa domande così idiote …”. Dean fece un sospiro.
“Ehm … stiamo cercando tracce che potrebbero far risalire a lei …”. L’altro cacciatore abbozzò un sorriso sforzato.
“Oooh capisco capisco …”. L’angelo iniziò a girare attorno al tavolo.
Dean inarcò un sopracciglio osservandolo, mentre Sam ridacchiava divertito.
“Ci vuoi aiutare o vuoi togliere la polvere con la manica della giacca, aiutando il personale della biblioteca?”.
Balthazar finse una risata.
Già non lo sopporto … fu il pensiero di Dean, mentre sospirava.
“Dean … Troviamo un hotel e stanziamo qua per alcuni giorni, almeno fin che non avremmo capito con chi abbiamo a che fare …”. L’idea di Sam fu subito accettata dal fratello, mentre l’angelo guardò i due poco convinto.
“Ed io dove … starò?”.
“Ti manca la casa cucciolotto?”. Dean fece un sorriso beffardo.
“Voi angeli non avete bisogno di dormire, no?”.
“Ehm … si questo è vero …”.
“E sai dove potrai trovarci.”.
L’angelo, abbattuto, annuì.
In quel periodo si sentiva solo, anche se poteva avere tutta la compagnia, a lui sempre gradita, di tante donne, e bere e ubriacarsi quanto voleva.
Ma quelle cose non lo soddisfa vano più. Voleva … qualcosa di diverso.
Qualcuno su cui contare e poter essere utile.
“Beh … andiamo Sammy.”. Diede una pacca sulle spalle al fratello, e andò verso l’uscita della biblioteca.
“Ehm … ciao Balth.”. Con un mezzo sorriso, il cacciatore salutò l’angelo, per poi seguire Dean e tornare all’auto.
“C … ciao ragazzi …”.
Un sospiro, sconsolato.
Si sedette al tavolo e poggiò i gomiti su esso, portando il viso tra le mani.
Restò ad osservare l’Impala sfrecciare via.
Devo trovarmi degli amici …

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


Capitolo 4.
 
Era rannicchiata in un angolo.
Aveva gli occhi chiusi.
Non voleva vedere quell’essere immondo.
“Lyyyys!”.
“Lasciami in pace!”.
Una risata, stridula.
“Non farò mai ciò che mi chiedi …”.
“Io penso proprio di sì … chissà se i tuoi genitori addottivi sarebbero felici di ritrovarsi con la testa nella vasca da bagno, piena fino all’orlo di acqua bollente, con un liquido che porta piaghe in viso irrimediabili …”.
La bambina congiunse le mani dietro la schiena, facendo un sorrisetto malefico.
“Non toccherai i miei genitori!”. Alzò di scatto la testa, e la fissò negli occhi, con rabbia.
“Infatti non lo farei io … ma tu …”.
Le prese il viso con le mani, e continuò a sorriderle maleficamente.
“Non toccarmi brutta …!”.
Le diede un forte schiaffo sullo zigomo.
“Zitta umana! Tu sei il mio cagnolino e farai per mano mia tutto ciò che voglio …”. Dal tono alterato, man mano tornò pacata.
Lys gemette per lo schiaffo. Era sorpresa che un corpicino minuto come quello avesse una tale forza.
“Ora da brava ascolterai ciò che voglio, e lo farai …”.
“Preferisco morire invece di fare la servetta di una bambinetta del cazzo come …”.
Gli occhi della bambina divennero bianchi, e uno oscuro sorriso le parve in volto.
“Lys Lys Lys … proprio non capisci eh?”. Le tolse le mani dal viso, e prese a saltellare intorno alla tomba di pietra.
La ragazza la osservava, non sapendo se di tentar di scappare da quel luogo umido e freddo, isolato dal mondo esterno, il quale le sembrava così distante dopo almeno due settimane lì dentro.
“Non puoi far nulla contro di me … Papà  mi ha riportato in vita, e non voglio sprecare questa opportunità … Voglio vendetta!”.
La bambina, guardata con terrore da Lys, fece esplodere la tomba di pietra che aveva di fronte agli occhi, pieni di rancore, con un solo sguardo.
La ragazza tornò rannicchiata, a testa bassa, per non farsi colpire dai detriti che per l’esplosione saltarono via e si andarono ad infrangere sulle pareti.
“Tu non vuoi vedermi arrabbiata, vero Lys?”. Lo sguardo si era spostato dai resti di pietra ai suoi piedi, al viso della ragazza, che era tornata con la testa dritta.
I suoi occhi erano lucidi di lacrime.
“Quanto adoro vedere il terrore nello sguardo di chi mi teme …”. Batté le mani, felice della reazione della ragazza al suo comportamento. “Papà sarà felice di me!”.
Lys cercò di respirare lentamente.
“Ora passiamo al divertimento, sgualdrinella …”.
“Cosa … vuoi fare?”.
“Voglio la vendetta che mi spetta! E tu … tu mi servirai come mio tramite in ciò … eseguirai ogni mio ordine … senza discutere.”.
La ragazza deglutì a vuoto quando la bambina tornò davanti a lei, e prese ad accarezzarle i capelli.
“Giocherò con nuove bamboline di carne …”.
Doveva scappare da quell’essere.
Non voleva più sentirla parlare.
Ma più cercava di farlo, e più la voce della bambina rimbombava nella sua testa.
“Quanto sei bella Lys … anche io sarei potuto essere così bella come te …”.
Dopo quelle parole, delle lacrime solcarono la guance della bambina.
Ma subito le asciugò, tornando con uno sguardo colmo di rabbia.
Tirò i capelli della ragazza, facendole reclinare la testa su un lato, e la guardò negli occhi.
“Puttanella ora inizia il gioco vero e proprio … per queste settimane ti ho tenuta qui dentro, così che le persone ti dessero per dispersa, ma ora è il momento di uscire allo scoperto. Inizieremo a giocare insieme, e prenderemo il tè sedute al tavolo, con tazze di porcellana … e taglieremo le gole ai fagotti di carne … e ne mangerò l’anima …”.
Nelle pupille della bambina balenò una luce. Era eccitata a tornare a trucidare persone.
Da secoli aveva bramato ciò.
E ora poteva tornare a farlo.
“Andiamo!”.
La ragazza non ebbe neanche il tempo di commentare quelle parole, che le due scomparirono nel nulla.
 
Il cacciatore prese il cuscino e lo tirò addosso al fratello, che stava dormendo sopra la tastiera del pc.
“Ahia!”. Emise un verso e, tenendo gli occhi socchiusi e un broncio da cucciolo, alzò il capo e voltò la sua attenzione a Dean, che se la rideva di gusto.
“Sei proprio un bambino.”. Con voce assonnata, commentò l’atteggiamento del fratello, che continuava a ridere, steso sul letto.
“Oh ti eri addormento ed io ti ho svegliato …”. Fece un sorriso sornione, e Sam sospirò, strofinandosi gli occhi.
“Avevi trovato qualcosa su questa Lys comunque?”. Tornò serio, o almeno quasi, e si mise seduto sul materasso.
“Ehm … diciamo di no, cioè era una brava ragazza, si è diplomata 5 anni fa in una famosa università con il massimo dei voti, era disoccupata però in questo periodo, faceva dei piccoli lavoretti qua e là per avere i soldi necessari per …”.
“Altro?”.
“Fammi finire …”. Si schiarì la voce, e bevve un sorso di caffè dal cartoccio vicino a sé, per poi riprendere a parlare. “ … per vivere e pagare l’affitto. Una cosa c’è nella sua vita di inspiegabile: è stata adottata quando aveva 6 anni, i suoi veri genitori sono stati trovati … massacrati. Nel vero senso della parola. In un modo orribile, li hanno rinvenuti in un sentiero di montagna, su una strada dismessa … Hanno classificato la loro morte come … un omicidio compiuto da un malato di mente, uno psicopatico, a modo di film come Saw …”.
A Dean, mentre il fratello gli parlava, parve uno sguardo pensatore, aggrottando la fronte e ascoltando bene le parole dette da Sam.
“Mmmh … forse c’è un collegamento per tutto ciò … o almeno penso …”.
“Per me è unitile stare su sto caso Dean, lasciamo che ci pensi la …”.
Non finì di parlare, perché nella stanza apparve Batlhazar.
“Oh qual buon vento la porta qui?”. Dean sfoggiò un finto sorriso, al quale però l’angelo non diede alcuna attenzione.
“Sentivo che parlavate del caso. E’ più di ciò che pensiamo …”. Iniziò a camminare avanti e indietro per un tratto della stanza, e i due lo guardarono straniti.
Sam inarcò un sopracciglio sentendo le parole dell’angelo. “In che senso Balth?”.
“Lucifero si è mosso …”.
A quella confessione, i due fratelli si scambiarono un occhiata preoccupata. “In che senso?”.
L’angelo si fermò dal camminare, e puntò lo sguardo sui loro visi.
“Diciamo che … in gioco c’è un nuovo demone, e, dato che prima non se ne sapeva l’esistenza, crediamo che … Lucifero lo abbia … come dire … creato per … indebolirci …”.
“E c’è lo dici così? Sappiamo com’è fatto, come possiamo …”. Sam provò a cercare informazioni, ma l’angelo lo interruppe.
“No.”. Una risposta veloce e schietta. “Sappiamo solo che è potente …”.
“Oh bene … un altro fottuto demone da far fuori …”.
“Non è solo un demone, Dean … E’ un qualcosa che non abbiamo mai visto prima d’ora, né noi né voi.”
“Bella merda …”. Il commento del cacciatore fu sospirato.
“Possiamo … almeno fare qualcosa?”.
“Per adesso … possiamo solamente cercare la ragazza.”.
“Cosa c’entra ora quella?”. Dean non capì il coinvolgimento di Lys Crane in tutta quella storia.
“Trovatela … il resto ve lo dirò più avanti …”.
“Batlh …!”.
I due fecero un sospiro vedendo l’angelo sparire davanti ai loro occhi.
“Siamo punto a capo così … ed io che volevo trovare un caso semplice … non potevamo andare a caccia di vampiri o un fottuto licantropo, noo, noi dobbiamo complicarci la vita …”. Il cacciatore guardò Dean, alludendo al fatto che era colpa sua se ora avevano a che fare con un nuovo demone.
“Ehi! Non dare la colpa a me per ciò, che ne potevo sapere che fosse più complicato di quello che sembrava?!”.
“Senti … sono stanco …”. Sam si alzò dalla scrivania, e andò a sdraiarsi sul letto. “Ne parleremo domani a mente lucida … ora è tardi …”.
“Sammy … sono le nove e mezza …”.
“Appunto.”. Fece sprofondare la faccia nel cuscino, e chiuse gli occhi.
“Buon riposo, bella addormentata”.
Il fratello mormorò qualcosa, e Dean ridacchiò. Decise di andare a farsi una doccia.
Raggiunse il bagno, si svestì velocemente e si infilò nella cabina.
Accese l’acqua calda e lasciò che essa scorresse sulla sua pelle.
Chiuse le palpebre.
Lys Crane …
Crane …
Crane…
Crane!
Riaprì gli occhi e si passò le mani sul viso.
Quel cognome non gli era nuovo.
Finalmente ricordò dove lo aveva letto.
Si lavò velocemente, in maniera frettolosa, e poi uscì da sotto la doccia.
Si avvolse alla vita un asciugamano e corse nella stanza accanto, dove il fratello era caduto in un profondo sonno.
Dean iniziò a frugare nei vari borsoni, per poi trovare ciò che cercava.
Si sedette alla scrivania, accese la lampada che era posta lì vicino, e aprì il libricino ad una pagina indistinta.
Era il diario del padre, il diario di John.
Quel diario aveva sempre la risposta ad ogni domanda.
Si immerse in una ricerca speranzosa.
I suoi occhi si riempirono di stupore nel leggere una nota.
Quest’ultima parlava di alcune indagini compiute dal padre.
13 Novembre 1988.
Durham, North Carolina.
Mattina fredda. Ho preso un caffè di fretta ad un bar e mi sono precipitato sul luogo del caso che dovevo seguire. Bobby mi aveva informato che lo spettacolo non era dei migliori, bisognava avere uno stomaco di ferro per resistere a quella vista. Sotto mentite spoglie di indagatore poliziesco, ho perlustrato il luogo, l’auto e le zone vicine. Non ho trovato traccia di alcun essere. Quindi non poteva essere un licantropo. Morsi sul cullo non ce n’erano, quindi nemmeno un vampiro. Non ho nemmeno trovato tracce di zolfo.
Maledizione. La piccola Lys sarà orfana ora. Spero solamente che qualcuno la prenda sotto la sua ala.
Ho sentito che la zia della piccina la sta ospitando a casa sua.
Dovrei farle visita. La interrogherò, anche se non è molto opportuno per la morte dei coniughi Crane così vicina, ma devo avere più informazioni possibili per risolvere questo caso.
Rimase di stucco, leggendo tutto d’un fiato quel pezzo di diario.
Poi voltò pagina e tornò con gli occhi sul foglio, ingiallito e a tratti cancellato, con l’angolo alto piegato.
16 Novembre 1988.
Greensboro, North Carolina.
Scrivo prima di andare a parlare con Helen, la zia di Lys e sorella di Robert.
Ho riflettuto sull’accaduto. E’ un caso per me, Bobby non si sbaglia mai quando si tratta di queste cose.
Dean e Sam non voglio coinvolgerli, staranno insieme al zio adottivo per questa settimana, fin che non avrò risolto questo caso, così complicato.
Troverò una soluzione, ne sono certo.
Erano finiti sullo stesso caso che il padre stava cercando disperatamente di portare a fine, come si poteva capire dalle seguenti pagine di quel vecchio diario.
Fece un sospiro.
Si appoggiò con la schiena alla sedia, e osservò un punto vuoto della stanza, cercando una spiegazione a quella coincidenza.
Questo caso è più di cosa pensiamo …

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


Capitolo 5.
 
Un gracchio di un corvo.
Dei passi.
Cauti.
Lenti.
I rovi che scricchiolavano sotto le suole delle sue scarpe.
Si fermò da camminare.
Una chiazza di sangue.
Fresco.
Si chinò con il corpo e osservò il fagotto di lenzuola, avvolte attorno a qualcosa.
Con la mano, scostò un po’ il panno bianco e spalancò gli occhi.
Era una bambina di pochi mesi, con il viso tutto sporco di sangue. Il suo sangue.
La prese tra le braccia, per poi drizzarsi in piedi.
Alzò il capo verso il sole, che timidamente si nascondeva dietro alle nuvole grigie di una pioggia imminente.
“Questo non è il tuo mondo. Nessuno può comprendere il tuo potere. Nessuno.”.
Passò una mano sulla fronte della piccina, che sembrava morta.
Una luce soave si scaturì dal suo palmo, e la bambina iniziò a piangere.
“Diventerai importante. Nessuno saprà della tua esistenza. Ti vendicherai, Ethel, e diventerai forte. Ucciderai chi ti ha fatto questo torto, e la tua vendetta sarà servita su un piatto d’argento. La tua ira si riverserà su tutti i discendenti di questi pagani. Tuo padre sarà fiero di te.”.
La piccina, dopo quelle parole, si calmò, e guardò con i suoi occhietti l’uomo.
Quest’ultimo sorrise.
Gli occhi della bambina divennero bianchi, e agitò i pugnetti, tornando a vagire.
L’uomo storse le labbra in un mezzo sorriso.
“Non avranno scampo contro di te. Quando arriverà il giorno, sarai pronta.”.
Furono le ultime parole che si poterono udire, prima che l’uomo sparisse nel nulla.
Un altro gracchio.
E il vento tornò a smuovere le fronde degli alberi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


Capitolo 6.
 
“Sam!”.
Emise un verso, e si rigirò nel letto, dopo lo scossone alla spalla che gli diede.
“Sam!”
Sbuffò.
Dio mio perché non mi lascia dormire?!
Si mise seduto sul letto, tenendo gli occhi socchiusi, e da sotto le ciglia guardò il fratello, con fare infastidito.
“Cosa?”. La voce assonnata, seguita da uno sbadiglio.
Erano le 5 e mezza di mattina. Per quell’ora era una cosa normale essere in quelle condizioni.
Non lo era per Dean però.
Era già vestito, in modo trasandato, e con i capelli spettinati.
“Ho scoperto una cosa sul caso.”.
“Oddio …”. Con quelle parole, Sam tornò con la faccia immersa nel cuscino.
Non poteva credere che lo avesse svegliato per parlare di quello, proprio ora.
“E’ importante Sam! Non fare il bambino. Alzati maledizione!”. Gli strattonò il braccio borbottando.
“Lasciami dormire, diamine!”. Diede una spinta al fratello, e si mise il cuscino sulla testa, restando sdraiato.
Dean fece divenire i suoi occhi due fessure, poi andò in bagno.
Prese un asciugamano e lo impregnò d’acqua.
Tornò dal fratello e, con un sorrisetto sul viso, gli diede un colpo di asciugamano sulla schiena.
Il fratello, subendo il colpo, imprecò,  aprendo di scatto le palpebre.
Si alzò immediatamente e volle quasi dare un pugno al fratello, ma si trattenne.
Dean se la rideva come un matto vedendo la sua espressione infuriata.
Sam strinse un pugno, stringendo i denti.
L’altro si asciugò le lacrime e tossì, più volte, cercando di calmarsi.
“Bene … ora che sei sveglio, lasciami che ti dica ciò che ho scoperto ieri notte.”.
Il cacciatore bofonchiò qualcosa per poi sbuffare.
“Sentiamo.”.
Dean lo fece avvicinare alla scrivania, e gli illustrò il diario del padre.
“Cosa c’entra papà con tutto questo casino?”. Inarcò un sopracciglio, non capendo il nesso tra le due cose.
“Leggi.”. Gli indicò il punto della pagina dove iniziare a fare ciò che gli disse.
Sam aggrottò la fronte, per poi iniziare a scorrere con gli occhi il documento.
Voltò le varie pagine, con occhi sbigottiti.
“Allora?”. Incrociò le braccia. In viso aveva l’espressione da “Che ti avevo detto?”.
“Beh …”. Era senza parole. Non poteva essere una coincidenza il fatto che fossero capitati su un caso che aveva già preso in considerazione loro padre.
Dean sfoggiò un sorrisetto soddisfatto.
Sam si sedette al tavolo e rimase in silenzio.
Il fratello lo osservava. Cosa gli prendeva ora?
Dopo alcuni minuti di pesante silenzio, il cacciatore scrollò le spalle e voltò il capo verso l’altro, che se ne stava in piedi poco distante da lui.
“Mi faccio una doccia e andiamo al caffè.”. Con ciò, si alzò e raggiunse il bagno, chiudendo la porta dietro di sé.
Dean inarcò un sopracciglio. Aveva cambiato in pochi secondi umore.
Scosse la testa e chiuse il diario, che, dopo essersi infilato il giaccone di pelle, mise nella tasca intera, riparato dalla pioggia.
Buttò un occhiata pensierosa fuori dalla finestra.
Lys Crane …
Quel nome gli risuonava in testa. Non ne capiva il perché.
Era rimasto così tanto tempo lì fermo, con lo sguardo perso nel vuoto, che quando Sam arrivò neanche se ne accorse.
“Ehi sei con me?”.
Dean sbatté più volte le palpebre, cadendo dalle nuvole.
L’altro ridacchiò e gli diede una pacca sulla nuca. “Andiamo va.”.
Il cacciatore emise un verso infastidito, vedendo il fratello aprire la porta ed uscire continuando a ridacchiare. Poi lo seguì.
Arrivarono al bar dopo alcuni minuti di camminare.
Sam aveva avuta l’accortezza di prendere una copia del giornale all’ingresso del caffè.
Si sedettero come al solito ad un tavolo appartato.
“Vedi se c’è qualcosa che ci può aiutare.”. Il cacciatore passò il giornale, facendolo scivolare sul tavolo, al fratello. Poco dopo si alzò e si diresse al bancone per ordinare la colazione.
Fortunatamente a quell’ora c’erano poche persone lì, ovvero dei signori anziani.
Dean, dopo essersi osservato intorno per un po’, aprì il giornale.
Si morse il labbro inferiore, facendo balzare lo sguardo da un titolo di cronaca all’altro.
Niente.
Sbuffò e fece per chiudere il giornale, quando, con la coda dell’occhio, notò un articolo.
“Uomo assassinato nella sua villa. Viene ritrovato il corpo inchiodato a mani e piedi al muro del salotto.”.
Leggendo quelle parole, rabbrividì immaginandosi la scena.
Tornò Sam al tavolo, con i mano due cartocci di caffè. Mise quest’ultimi sul tavolo, dandone uno al fratello, poi si sedette al posto libero di fronte a quello di Dean.
“E’ sempre così, le cittadine apparentemente più tranquille celano dietro sé omicidi su omicidi.”.
“Che vuoi dire?”. Bevve un sorso di caffè, guardando il fratello stranito.
Quest’ultimo gli fece vedere l’articolo al quale poco prima aveva dato una veloce vista.
“Damien Leroy è stato ritrovato morto ieri sera dalla moglie Carla inchiodato al muro del loro salotto. Si è iniziato subito ad indagare su chi potrebbe aver compiuto una tale atrocità ad un uomo che apparentemente di nemici non ne aveva. Alcuni pensano che ciò sia studiato da tempo …”.
“Non mi sembra una coincidenza questo assassinio.”.
“E’ un altro tassello del puzzle, Sam”.
“Beviamo il caffè e poi raggiungiamo la casa di questo Damien. C’è scritto se qualcuno ha visto ciò che gli è successo? I vicini hanno sentito qualcosa?”.
Il fratello aggrottò la fronte, bevendo un sorso dal cartoccio. “Mmmh … sull’articolo non c’è scritto nulla di queste cose. E’ un articolo di secondo piano, infatti è in fondo pagina, a fine giornale.”.
Sam annuì, assorto nei suoi pensieri.
Finirono il caffè velocemente, pagarono ed uscirono dal bar.
Dato che erano a piedi, decisero di raggiungere la casa della vittima in quel modo.
Fortuna che i due si portavano sempre dietro alcuni oggetti per indagare, mai essere impreparati. Lo avevano imparato nelle loro scorse cacce.
Dopo una camminata di una ventina di minuti, arrivarono alla meta.
“E’ pieno di poliziotti, come facciamo?”.
Dean sfoggiò il suo sorrisetto beffardo, quello di quando aveva un’idea, creduta da lui geniale.
“Lascia fare a me …”. Con quella frase, si allontanò dal fratello, per raggiungere due agenti appoggiati all’auto di servizio.
I due uomini si voltarono verso il cacciatore, interrompendo le loro chiacchiere.
“Si?”. Uno dei due domandò il perché della presenza di un civile in quel luogo.
“Ho visto qualcuno entrare nella casa, potrebbe depistare le prove.”. Il finto sgomento di Dean fece preoccupare i due, che si scambiarono un’occhiata stranita.
“Andiamo a vedere.”. Incitò il compagno a controllare se ciò che il ragazzo aveva detto fosse vero, quindi si divisero.
Uno controllava la parte destra della villetta, e di conseguenza l’altro controllava quella sinistra.
L’agente, quello bassetto, camminava cautamente, guardandosi intorno con fare indagatore, quando …
SBANG!
Cadde a terra con un tonfo.
Sam sorrise sornione vedendo l’espressione ebete con la quale l’agente era svenuto, e sghignazzò.
Rientrò in casa e posò la padella nella cucina, dove l’aveva presa.
Ne rimaneva uno.
Quest’ultimo stava ancora perlustrando la fiancata della casa.
Inarcò un sopracciglio sentendo un tonfo provenire dall’altra parte.
Si domandò cosa potesse essere stato, ma non ci diede tanto caso.
Continuava a camminare.
Poi si sentì cadere.
Sbatté contro qualcosa.
“Ma che diavolo …?!”. Non ebbe neanche il tempo di imprecare che la luce del Sole svanì, lentamente.
Iniziò a tastare con le mani il vuoto, per capire dove fosse.
Toccò qualcosa di pietra, dura.
Era finito in una cantina.
Sospirò e cercò in tutti i modi di uscire, pensando che se avesse beccato che gli fece quello, non l’avrebbe passata liscia.
 
Dean ridacchiò tutto contento ed entrò in casa, nella quale lo aspettava il fratello.
“Allora, non ho avuto una grande idea?”. Sorrideva spavaldo, con le braccia incrociate sul petto.
“Si …” sibilò con malavoglia Sam, per poi sospirare.
“Iniziamo ad indagare, forza.”.
Dean annuì e prese, come il fratello, a cercare degli indizi che potessero collegare quell’omicidio al loro caso.
Dovevano fare in fretta, se li avessero visti lì si sarebbero cacciati in guai seri.
Sam era preso a mettere sotto sopra le varie stanze, mentre Dean stava osservando il luogo dove avevano trovato il corpo di Damien.
Il muro era macchiato di sangue. Ai piedi della parete c’era un’enorme chiazza di sangue. Le tende erano strappate, impregnate dello stesso liquido rosso.
Si inginocchiò e studiò con attenzione gli oggetti che aveva davanti.
Sospirò trovando niente che gli potesse servire.
Si alzò, e scostò lentamente una tenda.
Una luce metallica balenò quando i raggi solari penetrarono dalla finestra.
Dean si voltò subito, e si chinò verso la chiazza di sangue.
In mezzo ad essa, c’era una collana
La prese in mano, e la osservò attentamente.
Era fatta d’argento, con un rubino incastonato al centro del ciondolo.
Una scintilla.
Quel oggetto risvegliò in lui un ricordo.
Fredda sera d’inverno.
“Papà …”.
Guardava il padre davanti a lui, dargli le spalle.
“Papà …”. Un altro richiamo.
L’uomo si voltò e guardò il figlio negli occhi.
“Non ora Dean … sono su un caso importante …”.
Lo guardò trafficare sulla scrivania. Non sapeva cosa stesse cercando.
Poi sentì il campanello suonare.
Corse subito alla porta, e, con un espressione curiosa in volto, la aprì.
Davanti agli occhi si ritrovò una donna, alta, magra, dai capelli mossi, castani, e due occhi gonfi di lacrime.
Accanto ad ella c’era una bambina.
Ricordò i suoi lunghi capelli corvini, raccolti in una treccia, posata su una spalla e scendente sul suo petto. I suoi occhi erano di un verde smeraldo intenso, e la sua pelle chiara.
Il viso era triste. Il suo sguardo era … morto, spento, senza vita.
Ricordò che rimase a osservarla, come se non riuscisse a dire alcuna parola.
Poi arrivò il padre, che fece accomodare le due in salotto.
Offrì loro un caffè caldo e un lieve conforto alla donna, che non riusciva a trattenere le lacrime.
La bambina, invece, se ne restava in silenzio, in disparte.
La ricordava, era seduta sulla poltroncina, con le mani congiunte sopra la gonnellina nera, e lo sguardo fisso verso le sue scarpe, anch’esse nere, lucide.
Quando alzò gli occhi, essi si posarono sul suo viso, e ricordò che rabbrividì.
Ricordò che in mezzo al petto della bambina poggiava un ciondolo.
Un ciondolo …
Quel ciondolo …
“Dean ….”.
Aveva lo sguardo assorto e fisso sull’oggetto che aveva tra le mani, che neanche si accorse che il fratello lo aveva raggiunto e che ora gli scrollava la spalla per risvegliarlo dai suoi pensieri.
“Sì?”. Prima che Sam potesse vederlo, mise il ciondolo in tasca, velocemente, e sfoggiò un sorriso.
“Trovato nulla?”.
“Ehm … no, niente, ho cercato ma nulla, solo sangue e tappezzeria macchiata.”. Si grattò la nuca, e posò lo sguardo alla pozza di sangue secco ai suoi piedi.
Sam sospirò abbattuto. “Torniamo al motel, io non ho trovato nulla che possa collegare la morte di Damien con la scomparsa di Lys.”.
Dean annuì, e così uscirono dalla casa, dalla porta posteriore.
 
“Lyyys …”.
Non doveva ascoltarla.
Continuò a passare la spazzola sulla canotta, non prestando attenzione alla voce che parlava nella sua testa.
“LYS!”.
Sobbalzò alzando lo sguardo dal lavandino, e vedendo dietro sé la bambina.
“Vai via …”. Era totalmente shockata.
L’ultima cosa che si ricordava era che stava tremando nell’angolino di quella tomba al cimitero.
Ora invece si trovava in una casa, abbandonata, che per fortuna aveva l’acqua corrente e la luce.
Aveva un vuoto totale, se cercava di ricordare qualcosa glielo impediva.
Era come … se l’azioni che aveva compiuto non fosse stata lei a farle.
Non ricordava per niente di essersi presentata alla porta di quel uomo.
Non ricordava che lui l’aveva fatta entrare e che quel gesto fu solo uno sbaglio per l’uomo.
Non ricordava che prima, di andare lì, aveva preso dei chiodi da un ferramenta.
Non ricordava che … con uno scatto aveva brutalmente crocifisso l’uomo sulla parete del soggiorno, conficcandogli i chiodi nelle mani e nei piedi lentamente.
Non ricordava che gli aveva tagliato la lingua per non farlo urlare e attirare l’attenzione dei vicini.
Non ricordava affatto che aveva provato gusto a far ciò.
Tremava come una foglia, e il suo respiro era irregolare.
“Non posso andare via, Lys. Io sono in te, non può scacciarmi.”.
Si voltò di colpo, mollando la spazzola nel lavabo.
La guardò con odio.
“Non ricordi niente vero? è ciò che la tua testolina sta pensando vero?”. Ridacchiò, divertita dallo stato psicologico della ragazza.
“Cosa mi hai fatto stronza?!”. Ringhiò a denti stretti quelle parole, stringendo un pugno.
“Io? Nulla mia cara, hai fatto tutto tu … io … ho solo dato l’input di uccidere quel uomo … poi il resto … è tutta opera tua …”. Sul suo viso, apparse un sorriso maligno.
Lys si mise le mani nei capelli.
“Mi cercheranno … la polizia ora mi cercherà … Sono fottuta.”.
Iniziò a camminare per la stanza, entrando in panico.
“Lys … non fare così … questo è solo il primo omicidio che compirai ”. Con quella che sembrava una inquietante promessa, sparì dalla sua vista.
La ragazza sbarrò gli occhi.
Si guardò allo specchio.
Nei suoi occhi, l’immagine indelebile del uomo che aveva torturato.
A fatica, si trascinò in una stanza, una stanza da letto.
Arrivata vicino al materasso, si lasciò andare su di esso a peso morto.
Avrebbe voluto che tutto quello fosse un incubo.
Avrebbe voluto che tutto quello non fosse reale.
Si addormentò, mentre tutto fuori taceva.

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