Tutto in una settimana.

di Magnis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Due Scale. ***
Capitolo 2: *** Tutto per un braccio rotto. ***
Capitolo 3: *** Il giorno tra il tre e il cinque maggio. ***
Capitolo 4: *** Pasta alla carbonara e pizza napoletana. ***
Capitolo 5: *** Perchè io, non mi sono innamorato. ***
Capitolo 6: *** Come due calamite. ***



Capitolo 1
*** Due Scale. ***


C’è un tempo per i baci sperati, desiderati
Tra i banchi della prima B (…)
C’è un tempo per i primi sospiri, tesi e insicuri
Finché l’imbarazzo va via
Col sincronismo dei movimenti, coi gesti lenti
Conosciuti solo in teoria.

Guardava fuori dalla finestra. Ancora due ore e poi libertà totale. Sarebbe uscito, avrebbe preso un palone e cominciato a giocare, lasciandosi dietro tutto.
L’aria primaverile riscaldava un po’ gli ormoni di quello scemo in prima fila, che osservava la scollatura della nuova professoressa di storia.
Inoltre, pareva che Sonoko negli ultimi giorni si fosse allenata a rompere le palle.
Era diventata particolarmente brava. Continuava a pizzicarlo con la matita, forse per innescare la bomba ad orologeria che aveva dentro. Ad un certo punto, quando Sonoko si arrese, il suo sguardo si fermò su Ran, che guardava il cielo sbuffando. Era pur vero che di ragazze gli fregava ben poco. Gli bastava passare nei corridoi per avere centinaia di lettere di ammiratrici. Eppure quella ragazza, così calma e apprensiva che si poteva trasformare in una scatola di dinamite pronta ad esplodere, lo faceva fermare a riflettere.
Ecco che Sonoko ricominciava.

- A quando il matrimonio?! – sussurrò al giovane Shinichi, sghignazzando.
- Eh? Cosa? – fece lui, spaesato e balbettante. Ben tornato a Beika, Shinichi!
- Intendo il matrimonio con Ran!
Sonoko sghignazzò ancora.
- NON CI SARA’ NESSUN MATRIMONIO!Urlare, in quel momento, era un termine che esprimeva solo un centesimo di tutta la forza che ci mise Shinichi per dire quelle parole. Per non parlare del rossore, che lo faceva assomigliare a un pomodoro con un ciuffo di capelli in testa.
Solo due virgola trecentoquarantacinque secondi dopo, si accorse che tutta la classe sghignazzava verso di lui, mentre la professoressa lo guardava allibita.
Solo un secondo dopo si ritrovò in giro per i corridoi, sbattuto fuori dalla classe. Il lunedì sarebbe stato interrogato. Fantastico.

Congiunse le mani e lo pregò ancora. I ciliegi, facevano cadere i loro fiori sopra le teste dei due ragazzi. Quella piccola rompiballe accanto a lui, continuava a pregarla. Inutile urlarle contro tutti i “no!” possibili e immaginabili. Non gli si scrollava di dosso.
- Eddai, Heiji, te ne prego! Ho già comprato anche il suo regalo! – disse Kazhua, implorandolo.
- Mica mi stai nascondendo qualcosa? Lo sai, che sono il tuo datore di lavoro. Insomma, a chi devi dare questo regalo?!
La ragazza sbuffò. – A Shinichi.

Shinichi starnutì. Stavano parlando male di lui?
Ran e Sonoko camminavano davanti a lui, con la cartellina parallela alle ginocchia. Shinichi aveva le mani dietro la nuca e guardava il cielo. Cercava di capire cosa le due ragazze dicessero, ma niente. Ragazze… Sarebbe stato più facile capire il francese che lo giapponese che parlavano le due. A sbalzi irregolari sentiva il suo nome “Shinichi” e vedeva un arrossamento del viso di Ran seguito da un voltarsi (molto probabilmente un accertarsi se era stata sentita) e un fare segno a Sonoko di tapparsi la bocca. Mah, se si capivano loro era tutto ok.
Prima che si separassero però, Sonoko nominò l’ultima volta “Shinichi” e Ran assunse un’aria pensierosa. Ma che cavolo avevano?
Camminavano in silenzio. Lei guardava la strada che le passava sotto i piedi, lui osservava le nuvole che gli passavano sopra la testa. Possibile che non riuscissero mai a scambiarsi un parola?
- Palo ad ore dodici. – fece Shinichi.
Ran lo guardò con aria meravigliata, si girò e a un dito di distanza da lei c’era il palo dell’elettricità. Il suo amico scoppiò a ridere.
Poteva sapere cosa voleva da lei? Insomma, mica era perfetta che non sbagliava mai! Lo guardò e sospirò. Era contento solo se leggeva uno di quei libri scritti da Arthur Conan Doyle, se risolveva un caso, se correva dietro una palla o se lei stava per morire attaccata col naso a un palo dell’elettricità. E pure lo attraeva. Quelle volte in cui sorrideva, dopo un caso, dopo aver letto un libro, dopo che lei stava per morire, dopo essere stanco morto ma soddisfatto per aver corso tutto il tempo dietro a un pallone, lei non riusciva che guardarlo e fissarlo per lungo, scatenando l’invidia di tutte le ammiratrici del giovane detective liceale Shinichi Kudo. Perché quelle ammiratrici sapevano che li sguardi erano ricambiati dal detective stesso durante le lezioni. Una volta davanti al cancello di casa di Shinichi, Ran lo salutò.
- Prosegui da sola? – guardò il cielo – credo che tra massimo dieci minuti pioverà. Aspetta qui.
Corse dentro e dopo qualche secondo riuscì senza cartellina e con un ombrello.
- Ti accompagno! – concluse.
- Ma no, Shinichi non c’è bisogno! Non pioverà!
- Metti in dubbio le mie teorie? Beh, rimai anche sotto la pioggia, mia piccola Ran!
E con questo sghignazzò.
Una persona che passava in quel momento li avrebbe scambiati per due piccioncini che si affibbiavano nomignoli dolci del tipo ‘pucci pucci’ o ‘cippi cippi’.
Quel ‘piccola Ran’ era una presa per culo, e la ragazza lo sapeva. Si riferiva a come la chiamava suo padre, Kogoro Mori, ogni volta che la vedeva.
Presa da uno scatto d’ira, gli tirò un pugno che quel ragazzo schivò prontamente, ma nello schivarlo si beccò un calcio in mezzo alle gambe.
Sarebbe stato più piacevole il pugno.
Dopo essersi ripreso le buttò l’ombrello addosso.
- Prendilo. Mi ringrazierai domani, se i tuoi capelli non si rovineranno.
E con un gesto della mano la salutò, rientrando in casa.
Oddio, un altro calcio ci sarebbe stato bene.
Però… Perché le aveva dato l’ombrello se davvero non teneva a lei? “Che domande ti fai, Ran” disse tra se e se scuotendo la testa. “E’ normale: siete amici da sempre!”
Le faceva male la testa. Tutto quel pensare, pensare e pensare. Al diavolo, va! Era meglio risparmiarsi il pensare per tutte quelle equazioni con le x che vagavano nel libro. Domani, sarebbero usciti insieme e chissà se lui aveva capito il perché Ran gli aveva chiesto di andare a fare un giro.

Corsero verso l’aeroporto. La ragazza imprecava. Diceva qualcosa del tipo “il tuo pessimo senso di orientamento…” ma forse, la causa del ritardo, erano le valigie che Kazhua non aveva finito di preparare, più che il pessimo senso di orientamento di Heiji.
Il ragazzo avrebbe voluto tanto sbraitare. Ma in fondo perché perder… Stop. Kazhua si era fermata a baciare sulle guance un ragazzo. Castano, occhi neri, vispi e profondi. Divisa azzurra. Hm, faceva la guardia nell’aeroporto. Dalla posizione dei suoi piedi (uno più avanti dell’altro) si poteva dedurre che giocava a baseball. Aveva all’incirca 20 anni. Mancino. Kazhua lo stava abbracciando. COSA?! Kazhua lo stava abbracciando?!
Mollò lì le valigie e si avvicinò, prese Kazhua per il braccio e sbottò: - chi era quello?!
Kazhua scoppiò a ridere e si affiancò al moro prendendogli il braccio. Cavolo, il viso di Kazhua era identico a quello del ragazzo… E poi i lineamenti del ragazzo. Ehi stop. Quel ragazzo aveva un po’ di seno. Un ragazzo col seno?
Heiji divenne rosso.
- Mio carissimo compagno di scuola, ti presento mia cugina Haika! Fa la guardia di sicurezza qui, all’aeroporto.
A Kazhua piaceva sfottere Heiji e fargli fare figura di cacca. C’era riuscita. Quello non era un ragazzo. Una volta conosciuta la cara e dolce Haika, Heiji riprese le valigie e girò il berretto, coprendosi con la visiera il viso.
- Era attraente, quel ragazzo, vero? – continuava Kazhua.
Solo un’altra parola e l’avrebbe ficcata dentro la valigia.

Squillò il telefono. Si alzò dal divano e si mise in posizione eretta. Poggiò Il segno dei quattro sul tavolino e corse verso il telefono, scendendo le scale. Gli girava la testa, quasi fosse Plutone che girava in maniera impressionante intorno al Sole, peccato fosse Shinichi che cercava di raggiungere il telefono.
Ehi, un momento. Non mancava una scala? E perché ce n’erano due? Ci vedeva a doppio, forse?
Scese l’ultimo scalino. Alzò la cornetta del telefono. Fece in tempo a dire le prime tre lettere della parola pronto, che la persona all’altro capo del filo, ovvero Ran, sentì la cornetta del telefono cadere seguito da un tonfo sordo.

 

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Capitolo 2
*** Tutto per un braccio rotto. ***


Tu dici ‘non ho niente’,
Ti sembra niente il sole?
La vita, l’amore…
Meraviglioso.
L’amore di una donna
Che ama solo te.
Meraviglioso!

Salì in macchina trascinando il padre e in meno di qualche secondo arrivarono a casa di Shinichi. Bussò ripetutamente, ma nessuno rispondeva, come nessuno rispondeva al cellulare del ragazzo.
Non se lo fece ridire due volte da Kogoro che buttò giù la porta. Entrando vide la sagoma del ragazzo allungata per terra. Respirava. Morto non era. Però aveva perso i sensi.
- Qui c’è bisogno della respirazione bocca a bocca. – disse Kogoro.Ran arrossì. Scosse la testa. Ma certo, lei non la sapeva fare! Il padre scoppiò a ridere. Era l’ennesima prova per vedere cosa provasse veramente la figlia per quel detective da strapazzo.
Prese il ragazzo in braccio e lo caricò in macchina. Ran lo guardava fisso. Cos’aveva?

Era tutto bianco. Non c’era nessuno. Ehi, un viso!
Protese la mano e toccò quel viso. Il viso arrossì indietreggiando. Mise a fuoco la situazione.
- Raaaaaaaan? – urlò.
In effetti il viso toccato era quello di Ran, che ora lo guardava vergognosa.
- Stai bene, Shinichi? Ci riaccompagnerà a casa tua il dottor Araide. Ti ho trovato allungato per terra e ti abbiamo portato da lui…
Ma Ran non finì a parlare che il medico entrò.
- Ciao Ran – le sorrise – incantevole il vestito che porti oggi! –sorrise di nuovo.
Shinichi lo guardò con aria sospetta.
- Dunque caro ragazzo, -continuò – hai avuto un calo di ferro. Una bella cura per una settimana e tutto sarà apposto. Però non potrai muovere il braccio destro. Nella caduta si è leggermente frantumato l’osso. Devi solo tenerlo a riposo con una leggera fasciatura e guarirai.
- Io non ne ho bisogno. – imprecò il ragazzo. Ma muovendole si rese conto che effettivamente faceva male. - Comunque sia, non ho bisogno di niente, io! Il ferro ce l’ho.
- Ah, no ragazzo! Siccome so che sei molto testardo, avrai una bella infermiera con te!
L’idea di passare una settimana accudito e riverito da una bella infermiera, non era nulla di male.
- Essendo che Kogoro è partito per una settimana, Ran starebbe da sola. Allora ho pensato che potrebbe stare da te. La tua casa è abbastanza grande, vero?Shinichi sorrise.
Ehi no, un momento.
La bella infermiera era Ran?!
Una settimana?
Ma quello era tutto matto?!?!
Prima che se ne potesse rendere conto era seduto sul salotto di casa sua con Ran che metteva in ordine da destra a sinistra.
La ragazza si lamentava del disordine che c’era e che era peggio di suo padre. Di sicuro non era lui ad averle detto di restare lì per una settimana!
Giurando a Ran che non aveva bisogno di nessuno perché stava benissimo, la ragazza volle una dimostrazione. Allora Shinichi si tolse le bende buttandole per terra e dirigendosi verso le scale, mosse il braccio. Se i primi dolori poteva tenerli, si rese conto che il suo braccio gli doleva veramente troppo. Più dei calci di Ran.
Si accasciò sulla prima scala e si tenne il braccio a se. Ran gli corse dietro con le bende.
- Oh, Shinichi. Altro che detective. Tu sei un fesso con la f maiuscola. Ma non capisce che ti puoi seriamente fare male…La ragazza continuava a parlare, mentre Shinichi notò che Araide aveva ragione. In effetti Ran portava un bel vestito. Corto, rosso con una grande cintura nera in vita. Carino. Soprattutto carino per via della scollatura. La scollatura… Non era tanto ampia eppure riusciva ad immaginare qualcosa. Si soffermò un po’ troppo sulla scollatura, senza che Ran se ne rendesse conto.
Lei continuava ad imprecare.
Venne il momento di passare una delle fasce sotto il braccio e legarla intorno al collo per tenere fermo l’arto. Nel farlo, Ran cinse il collo di Shinichi con le sue braccia e i due si ritrovarono a qualche centimetro di distanza. Dalla scollatura Shinichi si ritrovò a fissare gli occhi dell’amica.
Da quando li aveva così belli e profondi?
Ran distolse lo sguardo dal viso di Shinichi, evidentemente imbarazzata, e fece un nodo. Ma si ritrovò nuovamente a fissarlo.
Da quando, lui la guardava così?
Il momento, fu interrotto da uno sghignazzare improvviso.
Ran e Shinichi smisero di guardarsi per rivolgere lo sguardo verso la porta.
Heiji sghignazzava sotto i baffi mentre Kazhua era rossa, volenterosa che da quella scena nascesse qualcosa.
Troppi, decisamente troppi i film che si guardava e i romanzetti rosa che leggeva.
Shinichi si passò una mano nel ciuffo e arrossì.
- Chi vi ha aperto? – sbottò il detective.
Heiji degnò di uno sguardo la porta che era per terra.
Ah, già. Ran l’aveva sfondata.
- Spero di non aver interrotto niente! – disse Heiji, sghignazzando.Shinichi si bloccò. Ran abbassò lo sguardo.
- Hattori, stai leggermente fumato. Deduco che siete venuti qui per un po’, dato le valigie! – dedusse il detective dell’est.
- Per una settimana. – specificò Kazhua.
- Anche voi? Ma cos’è la maledizione di una settimana?! Bè, Hattori può stare da me! Ora ho chi si occupa di me, mia piccola Ran [si ostinava a prenderla per culo?!?!], quindi puoi andare a casa insieme a Kazhuina.
E con un gesto della mano, Shinichi fece cenno di smammare alle ragazze.
Ran strinse i pugni, chiuse gli occhi, e afferrò la valigia pesantissima di Kazhua come se fosse una piuma. Con l’altro mano prese per braccio l’amica e passando sopra la porta, la finì a sfracellare.

Erano di fronte all’ufficio investigativo, e Ran si tastò le tasche per cacciare le chiavi.
A proposito di chiavi. Nella furia di salvare Shinichi, dimenticò di prendere le chiavi.
Avrebbe aperto Kogoro in un’altra occasione. Peccato, che per una settimana suo padre non vi fosse. Kazhua la guardò maliziosamente. Ran aveva lo sguardo chino e pensava di chiedere ospitalità alla madre. O forse avrebbe preso in prestito da lei dei soldi per una stanza d’hotel Sennò c’era il Dottor Agasa. O Sonoko.
- Ran, muori dalla voglia di stare una settimana a casa di Shinichi, eh? – disse Kazhua. Ran arrossì indietreggiando, e nel farlo batté la testa al muro.
- Bè, in effetti sarebbe una buona idea…Ma non fece in tempo di finire a parlare, che Kazhua l’aveva spinta fino a davanti al portone-semi-sfracellato di Shinichi.
I ragazzi che erano seduti davanti alla TV, se la ridevano alla grande. Alla vista delle due ragazze (e nello ‘scoprire’ come avevano fatto entrare) Shinichi chiamò quel tizio che aggiusta le porte.

Dopo un’ora, i quattro suggellarono un patto:
Shinichi, avrebbe dormito in camera sua, Heiji nella stanza degli ospiti e Kazhua e Ran nel lettone di Yusako e Yukiko.
Le due ragazze si scontrarono con i ragazzi.
Kazhua voleva dormire in un letto singolo. Diceva che il letto matrimoniale era per sposati e lei non era sposata con Ran. Anche Ran pareva infastidita, in quanto voleva un letto solo per se.
Ma ormai il patto fu suggellato.
Illustrata la casa a Heiji e Kazhua, ognuno si ritirò nella propria stanza. Ran si rese conto che non aveva cambi.
Bussando alla camera di Shinichi non ottenne risposta, al che si fece prestare un paio di jeans e una maglietta da Kazhua.
Entrò in bagno e si tolse il vestitino rosso che aveva addosso. Notò che più che un bagno, sembrava un salone.
Il grande idromassaggio occidentale, occupava metà stanza e l’acqua era già (stranamente) presente fino all’orlo. Immerse il braccio per verificare la profondità. Doveva essere un buon metro. Mentre circumnavigava la vasca toccò qualcosa. Ah no, forse era stata la sua impressione.

Oh, casso! Ran gli aveva toccato la gamba! La ritrasse verso di lui.
Shinichi era lì dentro, sott’acqua. Aspettava solo il momento buono per fuggire. Ma se lo avrebbe fatto, si sarebbe rotto anche la gamba. Si era tolto la fasciatura per potersi immergere, lasciandola in camera sua. Ma ora quella ragazza era in reggiseno e mutande che si specchiava. Avrebbe tanto voluta un po’ di schiuma negli occhi, ma allo stesso tempo non voleva. Oddio mio che gambe che c’aveva! Erano così parallele.
E il ventre? Oh, era piatto. Gli esercizi di karate erano serviti a molto.
Aspetta, cosa faceva? Si stava calando la fine bretella del reggiseno. Oh mio Dio no!
Uscì dall’acqua, con le mani sopra gli occhi.
- NON FARLOOOOOO! – urlò.La ragazza si girò e si sedette per terra, coprendosi col tappeto. Adesso, quello nudo era lui. Si sedette nell’acqua, dando le spalle a Ran. Entrarono ansimando Heiji e Kazhua.
L’unica persona vestita in quella casa era la ragazza di Osaka, essendo che anche Heiji sfoggiava un paio di boxer neri e un petto nudo.
Shinichi vedeva Heiji e Ran nudi. Urlò.
Ran vedeva Shinichi ed Heiji nudi. Urlò.
Heiji vedeva Ran e Shinichi nudi e in più era guardato da Kazhua. Urlò.
Kazhua era abituata a vedere Ran in intimo, per le numerose volte che avevano dormito insieme e di conseguenza vestite insieme. Inoltre la vista di due ragazzi nudi, entrambi non-erano-niente-male, le piaceva. Ma per non darlo a vedere, urlò.
Dopo cinque minuti, la porta venne sfondata e salì un dottor Agasa seguito da due ragazzini e due ragazzine: Genta, Mitshuiko, Ayumi e Ai.
Il dottor Agasa rimase allibito. Le due ragazzine, scandalizzate, urlarono. I due ragazzi, vedendo Ran, spalancarono bocca e occhi.

Ci volle un po’ per ristabilire l’ordine.

- Ragazzi, ora mi dovete spiegare cosa stavate facendo. - Disse il dottor Agasa, seduto davanti a Kazhua, Heiji, Shinichi e Ran. I quattro ragazzini, invece assistevano zitti e muti.
- Non ci vuole tanto a capirlo. Io stavo facendo il bagno, Ran è entrata, io le ho urlato di non spogliarsi, lei ha urlato. Sono arrivati Heiji, nudo, e Kazhua preoccupati, e hanno urlato. E’ arrivato le i con i ragazzi e avete urlato. Ah già, dimenticavo. – si voltò verso la porta – avete anche ri-sfondato la porta appena aggiustata dagli uomini che aggiustano le porte.
Agasa rimase sconcertato. Ayumi guardava Shinichi. Era così carino! Avesse avuto la sua età, non gli si sarebbe mai staccato da dosso. Mentre i ragazzi se ne andavano, una vocina chiamo Shinichi con l’appellativo di “Signor Detective!”. Chinò la testa. La piccola Ayumi lo guardò con occhi dolci.
- Mi scusi signor detective, se lei non ha una ragazza, vorrei candidarmi.
Shinichi sbarrò gli occhi.
- Ma se ci portiamo dieci anni! – Ran gli calpestò un piede. Lui la guardò. Lei le fece cenno di essere un po’ più gioviale. Shinichi sbuffò.
- Oh, piccola…
- Ayumi.
- Eh, sì, Ayumi. Magari quando sarai più grande ne riparleremo! Inserirò la tua candidatura dopo quella di Ran.
- Ehi, io non mi sono mai candidata! – protestò Ran.
- Nessun problema, ti elimino subito!
Ma il povero Detective non si rese conto che sia Genta, sia Mitshuiko, stavano urlando minacce di morte verso il povero ragazzo. Cos’è che aveva fatto?!
Intanto c’era da risolvere il problema dei cambi di Ran. Fatto verbale al coordinatore signor Shinichi Kudo, di anni diciassette, esso poggiò il suo cellulare sul comodino in camera dei genitori e aprendo l’armadio, mostrò alla ragazza tutti gli abiti della madre.
Erano un vero gioiello. C’erano tutte le firme più prestigiose provenienti dall’Italia e dalla Francia. Erano colori delicati o forti, color pastello o colori mogi mogi. C’era di tutto e di più.
Ran congiunse le mani e ringraziò mille volte il suo amico, che chiuse la porta lasciando la ragazza con due fari al posto degli occhi. Il cellulare era lì sul comodino.
Trovò Il segno dei quattro poggiato sulla sua scrivania. Lo aprì e si mise sul suo letto. In breve le palpebre calarono e il sonno vinse su di lui.

Si accucciò alla persona nel suo letto. Poi gli circondò il braccio con l’arto sinistro, l’unico che poteva usare. Fattolo passare sotto il braccio del ragazzo, si mise il pollice in bocca.
- Ehi, Kudo. Vuoi un biberon?
Shinichi si svegliò di soprassalto. Heiji era lì, nel suo letto accanto a lui.
- Kudo, non farti cattive idee. Kazhua è venuta e mi ha buttato giù, dicendo che Ran russava. Non volevo andare a disturbare la tua ragazza. E poi credo mi avresti fatto un occhio nero se mi fossi azzardato a dormire con lei! Però, aprendo la porta, ho riconosciuto sul suo comodino il tuo cellulare ch’era illuminato. Credo che ti abbia o chiamato qualcuno o ti sia arrivato un messaggio.
Il detective dell’est sbadigliò e volse uno sguardo alla sveglia. Le ventidue e quarantatré minuti. Si alzò passandosi la mano nel ciuffo e sbadigliando. Aprì lentamente la porta di camera dei suoi genitori. Andò a colpo sicuro verso il comodino. Nell’oscurità non riusciva a distinguere il suo cellulare da quello di Ran. Ne prese uno a caso e lo aprì. Non era di certo suo. C’era un’immagine di Shinichi piena di cuoricini. Il ragazzo arrossì, quasi risplendendo nell’oscurità della notte. Prese l’altro cellulare e se lo mise in tasca. Poi si voltò verso la ragazza.
Lì, nel centro del letto, in posizione fetale, dormiva Ran. Non russava affatto. Di sicuro quello era stato un pretesto di Kazhua per avere un letto tutto suo.
La ragazza era la protagonista della stanza, con un sorriso sul volto e un pigiamino rosa, con pantaloncini e bretelline. Shinichi le scosse la spalla. Al ‘eh?’ assonnato della ragazza, rispose dicendogli che il suo cellulare era accesso. Ran afferrò la mano di Shinichi, convinta vi fosse il cellulare. Sentendola vuota tastò il materasso, ma non lo trovò. Aprire gli occhi, sarebbe stata la fatica più grande. – Me lo spegni tu? – sussurrò. Il ragazzo sorrise e spense il cellulare.
- Buonanotte, piccola Ran.
Nel sentirsi chiamare così, sgranò gli occhi. Ormai la porta era stata chiusa nuovamente. Guardò l’orologio. Le ventitré e quarantasei minuti.
Nel suo ‘piccola Ran’ vi era un non so che di strano. Non era la classica presa per i fondelli, era più qualcosa di dolce. Ma si sa, anche il povero Shinichi era stanco, e senza badarci, riprese sonno.

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Capitolo 3
*** Il giorno tra il tre e il cinque maggio. ***


3 - Il giorno tra il tre e il cinque maggio.


Respiri piano per non far rumore,
ti addormenti di sera e ti risvegli col sole (…)
Diventi rossa se qualcuno ti guarda
E sei fantastica quando sei assorta
Nei tuoi problemi, nei tuoi pensieri (….)
Tu, sola dentro una stanza
E tutto il mondo fuori.



Era a letto, con Heiji che ronfava. Gli avrebbe fiaccato benissimo le sue amiche bende in bocca. Oh, quasi dimenticava! Le bende! Si alzò e le prese. Non ancora le poteva rimettere dall’episodio della doccia, qualche ora prima. Guardò l’orologio e si dovette correggere. Erano le quattro e cinquantotto e quindi non era successo qualche ora fa, ma bensì il giorno prima. Quello che per lui era stato qualche minuto di sonno, erano in realtà quattro o cinque ore.
Scese al piano di sotto. Ormai per lui era giorno. Prese un bicchiere e si versò del latte, gelido, nella speranza che i neuroni gli si congelassero per morire sul colpo e quindi dormire un altro po’. Era strano, aveva sonno ma non voleva dormire. Si ricordò di avere lasciato il cellulare nella tasca del pigiama acceso. Lo aprì. C’era un messaggio di sua madre. Diceva qualcosa del tipo “Il mio piccolo domani, crescerà.”. Ma s’era fatta una canna?! Che razza di messaggi erano. Richiuse il cellulare lasciandolo cadere sul tavolo. Si bevve tutto un d’un sorso il latte. Buono.

Passò un’ora ma niente. Il braccio gli faceva male e lui era solo riuscito a mettersi una di quelle creme che Araide gli aveva prescritto. Riguardo alla fascia niente. Salì in camera sua, cercò di svegliare Heiji per farsi aiutare; quello stava con una faccia da babbeo e qualcosa che gli colava dalla bocca. Diceva parole senza senso logico. L’unica cosa che riuscì a capire fu “Eddai mammina, ancora cinque minuti”, ma poi ricominciò a conversare come solo lui sapeva fare.
Si passò la mano nel ciuffo. E guardò la benda. Aprì piano piano la finestra e si affacciò per notare se Agasa dormiva.
Le luci spente, gli suggerivano di sì. Richiuse e si avvio verso camera di Ran, o meglio, dove dormiva Ran. Aprì la porta e le mosse una spalla. Ran spaventata si sedette. Vedendo Shinichi, si riallungò e aprì solo un occhio.
- Io, stavo dormendo. – disse, amara.
- Lo so, ma mi serviva qualcuno che mi rimettesse queste. – e alzò le bende mettendogliele davanti all’occhio.
Ran chiuse anche l’unico occhio aperto. Poi lo riaprì piano piano e scoppiò a ridere.
Aveva un’aria così patetica. Shinichi sorrideva come un bambino di cinque anni che chiede alla sua mammina una caramella. Si alzò e si sedette sul letto. Gli fece cenno di aspettarla sotto e vide il suo amico uscire fuori.

Sembrava si stesse mettendo l’abito da sposa. Non scendeva più
Dopo qualche minuto, rumore di passi. E lei, con la divisa del Liceo (anche se senza cravatta, per comodità) comparve sulla soglia della cucina, stringendo un pacchetto. Glielo poggiò sul tavolo.
- Ma dove sei stata fino ad ora? E poi ti ho fatto vedere tutti i vestiti di mia madre, e te la divisa sei andata a scegliere?!
- Veramente m’interessava l’armadio più che i vestiti. Dovevo nasconderci quello.
Gli indicò il pacchetto. La ragazza velocemente rifasciò il braccio. Shinichi scartò il pacchetto.
Era un libro. Si intitolava Uno studio in nero, di Ellery Queen.
- Ho pensato ti potesse piacere. E’ la storia dell’investigatore più importante al mondo contro l’assassino più crudele mai esistito. – disse la ragazza, sorridendo.
- Grazie mille, ma se è per la mia ospitalità, non dovevi…
Ran si portò una mano alla fronte e sbuffò.
Possibile non si ricordasse mai di quella data?
- Che giorno è oggi, Shinichi? Che giorno importante è?! – disse Ran, sospirando.
- Io non saprei…
- Quattro maggio, signor detective.
Shinichi assunse un’aria pensierosa. Ran si scoraggiò e si lasciò cadere sulla sedia.

Era passata mezz’ora e Shinichi non poteva ancora arrivarci.
- E’ il tuo compleanno, Shinichi! Ma come ti fai a dimenticare di una data del genere?! Ogni anno è lo stesso casino! Come bisogna fare, con te? Sarai anche intelligentissimo, ma non lo dimostri mica!
Shinichi arrossì.
- E comunque auguri!
Il ragazzo era perplesso. Cosa aveva quel giorno di tanto importante? Insomma, faceva diciotto anni e basta. Non capiva poi tanto l’importanza dei compleanni. E poi scomodarsi a spendere soldi per un tizio. Ma chi lo fa fare alla gente? Fosse stato per lui, non avrebbe fatto regali a nessuno, nemmeno gli auguri. Ma per educazione ricambiava con regali e auguri.
Mentre guardava Ran allontanarsi dalla cucina, la fece fermare. Imbarazzato, pregò la ragazza di cambiare la foto che aveva come sfondo al cellulare. Ran sorrise e annuì.
Lungo le scale si chiedeva cosa avesse di male quella foto. Insomma, erano solo lei e Sonoko insieme!
Cacciò dalla tasca il cellulare e lo aprì. Scandalizzata si sedette sul gradino, arrossendo.
La foto era quella di Shinichi, piena di cuoricini. Chi diavolo avrebbe potuto metterla?!?! Le uniche persone che avevano toccato il suo cellulare, erano Shinichi, Kogoro e Kazh…
Menomale che si trattenne dall’urlare quel nome.
Riscese le scale.
- Shinichi… La foto… L’ha messa Kazhua, non io! – e poi abbassò la testa aspettando una risposta del ragazzo. Lui la guardò, non capendo.
- Ok, non riscaldarti! Perché non mangi qualcosa?
Alzando gli occhi, vide che il tavolo era apparecchiato per due. Due tovagliette, due bicchieri, due confezioni di fette biscottate.

Shinichi aveva pensato bene di preparare solo per lei. Poi, però, si disse che era una buona occasione per ripagarla del suo regalo e apparecchiò anche per lui. Stranamente, fu come se avesse sete di latte, nonostante prima lo avesse bevuto.
Si sedettero e cominciarono a discorrere su argomenti stupidi, come il professore di algebra o le lezioni di musica. Ma poi passarono ad argomenti più seri. Shinichi pose a Ran una domanda, che fece restare molto perplessa la ragazza. Quando mai, lui, si preoccupava così?
- Quello che dico… - si fermò, masticò un pezzo della sua fetta biscottata, ed ingoiò, - quello che dico, mia piccola Ran è perché fatichi tanto. Nel senso… - bevve un po’ di latte. – Nel senso, potresti benissimo trasferirti a casa di tua madre e lasciar fare tutto a tuo padre. Mi sono spiegato?
Mostrando la sua educazione, Ran annuì e aspettò che ciò che aveva in bocca scendesse fino a suo stomaco, a differenza di Shinichi, che parlando mostrava il suo bel palato.
- Inizialmente pensai che facendo così mio padre sarebbe tornato da mia madre disperato. Mi dovetti ricredere, in quanto dopo le lite si accentuarono sul fatto che quella casa era una topaia. A volte preferirei tornare a quando avevo sette anni! – lasciò cadere la testa sullo schienale della sedia, pensando al passato. – era tutto più facile…
Shinichi continuava a masticare, pensando. Pensava che lui, Ran, se la ricordava sempre uguale. La ragazza aveva sempre fatto la spesa e aveva sempre aiutato la madre nelle faccende domestiche; ma da quando i genitori andarono a vivere separatamente, lei faceva da madre, moglie e figlia a Kogoro.
- Invece tu? – Ran lo guardò negli occhi. – come fai a stare senza la tua famiglia?!
- Diciamo che la penso così. – poggiò la fetta biscottata, rendendosi serio e composto. – Io non ho bisogno di loro. Intendo: se andassi negli Stati Uniti con loro, oltre a perdere i miei amici [in quel momento Ran avrebbe voluto taaanto chiedergli a chi si riferisse, ma non lo fece.] e rifarmi una nuova vita, non sopravvivrei. Mio padre sta riscuotendo un grande successo con i suoi libri, e mia madre (anche se è da tanto che non lavora) è riconosciuta ovunque e chiamata in tutti i talk show. Lì sarei conosciuto solo come Il Figlio di Yusako e Yukiko Kudo un classico ‘figlio di’… Qui sono conosciuto più per le mie doti intellettive.
- Ora ti stai allargando, Shinichi… Sei rimasto qui solo per la fama? – sintetizzò Ran. – anche qui hai fatto un enorme successo perché eri ‘figlio di Yukiko e Yusako Kudo’ altrimenti Megure non ti avrebbe mai fatto prendere parte alle sue indagini.
Shinichi rimase fermo, immobile. Per la prima volta, una persona, più precisamente una ragazza, l’aveva ammutolito.
- Come Irene col grande Sherlock Holmes. – disse una voce.
Shinichi sporse un po’ il viso e dopo essersi rimesso a posto e guardato Ran se ne uscì con un sarcastico “Toh, nomini il Diavolo e spuntano le corna.”
Si riferiva naturalmente, a Yukiko e Yusako Kudo. Ran si alzò in piedi e salutò i due. Al seguito, Yukiko corse verso il suo adorato Shinichi, e prendendogli il viso tra le mani lo riempì di rossetto. Il detective dell’est era visibilmente imbarazzato. Primo, sua madre, quella donna lì, lo aveva riempito di baci davanti a (secondo) Ran, la sua amica d’infanzia. La cosa peggiore era che svegliati da quel trambusto scesero anche Heiji e Kazhua. Notando la rimpatriata, il padre convinse la moglie per l’optare per l’affittarsi una casa. Shinichi, avrebbe voluto ringraziare il padre, ma non lo fece per orgoglio personale.
Da parte dei genitori aveva ricevuto una specie di portachiavi decorato. Wow.

Erano all’incirca le dieci e ventisette. Heiji e Shinichi erano sul divano a guardare la televisione, mentre Kazhua e Ran confabulavano qualcosa. Heiji, all’improvviso andò al piano di sopra e tornando, buttò un pacchetto sul ventre di Shinichi. Il ragazzo lo aprì. Una felpa, verde.
- Lo ha scelto Kazhua, io non mi prendo nessuna responsabilità.
- Ehi, tu cosa vuoi dire, idiota?!
La ragazza alzò un pugno verso il detective.
In qualche minuto, tutto il salone si librava per aria. Compreso il divano. Fortuna che la porta rimase lì dov’era.
All’improvviso Shinichi, fece cadere del succo di arancia rossa sulla camicia della divisa di Ran cercando di schivare un libro che volava. La ragazza gettò un urlo.
- Questa è la mia camiciaaaa! – cominciò a urlare. Ripeteva quella frase ossessivamente, mentre Shinichi vagava per la casa alla ricerca di qualcosa per pulire la ragazza. Preso un fazzoletto, iniziò a strofinarlo sulla camicia. Questo suscitò grande imbarazzo e rabbia in Ran. La macchia si trovava sul ventre e si sentiva imbarazzata nel sentire la mano di Shinichi lì sopra. Cominciò a gettare urla qua e la, finche non lo riempì di schiaffi. Ormai la sua bella camicetta bianca, era impregnata di succo all’arancia rossa fino allo strato più profondo. Da lì, si scatenò un putiferio.
- Sai che esiste la lavatrice, no?! – urlò Shinichi.
- Sì, ma è bianca. O non sai dedurre nemmeno questo?!
- Bah, sei davvero fastidiosa! – poi Kudo, rivolse lo sguardo a Heiji e Kazhua che se ne urlavano di tutti i colori. – Fastidiosa come loro.
- Se vuoi me ne vado. – disse la ragazza, col muso.
- Ma magari! – le urlò verso Shinichi.
In uno virgola settantadue secondi, il detective dell’ovest si ritrovò con una manata alla faccia (segno indiscutibile di una sberla) e la porta che tra poco cadeva (segno indiscutibile che Ran era andata via. Con molta forza).
Dopo il “Vuoi andare anche tu, rompiballe?” di Heiji, rivolto a Kazhua, Hattori, si ritrovò nelle stesse condizioni di Shinichi.
Chissà quale spirito stava reggendo quella porta, impedendole di cadere.
I due ragazzi si guardarono intensamente negli occhi. Davvero se l’erano presa?! Cioè, era una cosa inconcepibile. Neanche Sherlock Holmes in persona poteva dar loro una soluzione. Forse la risposta era una: loro erano donne, creature impossibili da capire ma che facevano battere forte il loro cuore.

Il resto del pomeriggio lo passarono bighellonando su e giù per la casa. Ma verso le cinque, Agasa si presentò con i piccoletti. La-futura-fidanzata-di-Shinichi gli porse un biglietto, con scritto dove avevano nascosto il suo regalo. Genta e Mitshuiko imprecavano e maledicevano quel ragazzo. Ai, indifferente, si guardava in giro.
Agasa rise sonoramente. Quel codice lo avevano realizzato i ragazzi e sul biglietto c’era scritto così: 3;1;19;1_1;7;1;19;1.
Shinichi scoppiò a ridere e con un “Naturale” spiegò che per ogni numero corrispondeva una lettera dell’alfabeto latino.
Casa Agasa.
I ragazzi ci rimasero un po’ male nel vedere la facilità del loro amico, (nemico per i ragazzi) nel risolvere il codice. A casa di Agasa, Shinichi scoprì che il regalo era un cartellone, con un disegno di se stesso realizzato dai ragazzi. Fantastico! Sembrava un piccolo mostro. Ma fece l’indifferente e quella sera mangiò con i nanerottoli. Il compleanno più bello della sua vita.
La domenica passò sempre bighellonando.
Nel frattempo, Kazhua e Ran avevano chiesto ospitalità presso Eri, che naturalmente, le accolse.

Verso la domenica sera, saranno state le cinque o le cinque e mezza, arrivò un messaggio sul cellulare di Ran e Kazhua: “Per farci perdonare abbiamo prenotato per questa sera al ristorante italiano di Beika appena aperto dalla famiglia SUZUKI baci, baci”.
Le due ragazze si guardarono negli occhi. Che cos’avevano? Da quando in qua si sarebbero arresi? Dov’era il loro orgoglio? E poi, cosa voleva dire Suzuki, arci sottolineato?
 

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Capitolo 4
*** Pasta alla carbonara e pizza napoletana. ***


4 – Pasta alla carbonara e pizza napoletana.


Ti vidi nel tuo giorno nuziale
E t'invase una vampata di rossore,
Quantunque felicità ti brillasse d'intorno
E il mondo fosse tutto amore innanzi a te.

E il baleno che s'accese nei tuoi occhi
(quale ch'esso fosse per me),
Fu quanto alla Beltà di più conforme
Potesse svelarsi alla mia vista dolente.

Fu quel rossore, credo, pudore di fanciulla-
E ben si comprende che così fosse.
Ma un più fiero incendio quel baleno
Sollevò- ahimè!- nel petto di colui

Che ti vide nel tuo giorno nuziale,
Allorché ti sorprese quell'acceso rossore,
Quantunque felicità ti brillasse d'intorno
E il mondo fosse tutto amore innanzi a te.


Edgar Allan Poe “Canto”

Tamburellava nervosamente sul tavolo, guardando Heiji. Erano vestiti come due damerini. Smoking per Heiji, giacca e cravatta per Shinichi, che si tirava l’oggetto appeso al suo collo, nel tentativo di strapparlo. Colpa di Yukiko, che mentre era arrivato il messaggio di Ran e Kazhua, che volevano incontrarli per chiedere loro scusa, era lì e aveva letto il messaggino, costringendoli a conciarsi così. E fu una fortuna, perché quel ristorante era di grande eleganza. Aveva appena aperto, e quella era la loro prima serata. Come avevano fatto Kazhua e Ran a trovare un posto?

Dopo dieci minuti di attesa, Kazhua e Ran entrarono nella sala, con lo sguardo perso. Una volta trovato il tavolo di Shinichi ed Heiji, si sedettero davanti a loro. Portavano due abiti che lasciarono allibiti i ragazzi. Era un abito corto al ginocchio e di seta nera, per Ran, e un tubino azzurro per Kazhua.
Colpa di eri, che lesse il messaggio inviato dai due ragazzi a Kazhua e Ran, e le costrinse a conciarsi in quella maniera. Ehi, un momento. C’è una piccola incongruenza: se Heiji e Shinichi avevano ricevuto un messaggio da Kazhua e Ran per la cena, ma anche le due ragazze ne avevano ricevuto uno a testa dai due ragazzi… Chi gli aveva mandati veramente?!

Non fecero mai incontrare gli occhi, fin quando arrivò la cameriera, che sghignazzava.
- Desiderate?
Lo diceva, in tono isterico, come una palla piena di risate che stava per esplodere, ma non poteva. Shinichi, si avvicino e toccò il viso della ragazza, accarezzandolo lentamente.
- Amico, ma che fai?! Nemmeno la conosci! – diceva Heiji. Si avvicinò al suo orecchio e sussurrò qualcosa del tipo “Non puoi far ingelosire Ran con la prima che incontri!”
Shinichi era neutro, ma all’improvviso tirò via la pelle della ragazza. Con grande sorpresa, apparì Sonoko sghignazzante, che si buttò per terra dal ridere, mentre Shinichi, con il gomito poggiato sul dorso della mano, sbuffava. Heiji la guardò terrorizzato, mentre Kazhua e Ran si stringevano convinte che Shinichi, dallo Sherlock Holmes del nuovo millennio si fosse trasformato in Jack lo Squartatore dei nostri giorni.
- C’eri tu fino dall’inizio, vero Sonoko? – disse Shinichi, quasi scocciato.
Dopo altre e due risate, la ragazza si rimise in piedi. Poggiò le amni sul tavolo.
- Ero venuta per chiedere a Shinichi di partecipare all’inaugurazione di questo locale della compagnia Suzuki, anche se la cosa sarebbe stata molto complicata. Ho visto, poi, che c’erano anche i due di Osaka. Vi avevo sentito litigare, e mi sono limitata a sbirciare dalla finestra. Quando ho visto che Ran e Kazhua se ne andavano a casa di Eri, ho escogitato tutto: invaiando i messaggi a loro, fingendo di essere voi e viceversa, sareste venuti tutti, e io avrei fatto il doppio ruolo, avrei sia convinto Shinichi e poi…
Si portò una mano sul fianco, mentre con l’altra indicò il cielo: - E poi, sarei stata Sonoko-Cupida! Devo ringraziare Yukiko che mi ha fato questa maschera e Eri per avere spinto Ran e Kazhua qui!
I ragazzi rimasero a bocca aperta. Ma che diceva?!
Sonoko spiegò a Shinichi che doveva salire sul palco per un’intervista. Shinichi spiegò chiaramente che se anche fosse morto, non ci sarebbe salito.
- Ma pensa alle fans che ti farai! Ti ameranno tutte! E poi, può salire anche il tuo bel detective di Osaka! – fece Sonoko, puntando il dito verso Heiji.
Shinichi diede un’occhiata a Ran. La vide furiosa, per la frase di Sonoko ‘ti ameranno tutte’. Non sapeva spiegarsi perché, ma acconsentì anche se contro voglia.
Intanto Kazhua, stava per sbranare la ragazza. Ma come si permetteva di dire ‘bello’ ad Heiji?!
- Lui non salirà sul palco. – preciso a Sonoko.
Ma subito dopo fu smentita da Heiji, che accettò.
Ran, prese per il braccio (l’unico funzionante) Shinichi e chiese di accompagnarla al bagno.

Difronte alle porte del bagno, Shinichi, era appoggiato al muro osservando un tavolo dove era seduta una ragazza bionda. Ran uscì e lo raggiunse.
- Si può sapere perché non ci hai portato Kazhua, qui con te? Cioè, dico, sono un ragazzo, mica posso entrare e dirti “Ti ha sbavato la matita, mia piccola Ran!”. Non saprei manco metterla la matita io! Per non parlare del…
- Vuoi stare zitto?! – urlò Ran.
La ragazza guardava con aria circospetta il loro tavolo.
- Non capisco che cavolo guardi.
- Heiji e Kazhua.

I due erano seduti al tavolo. Avevano gli occhi piantati sul piatto. Heiji continuava a ripetere cose del tipo “non capisco perché non posso!” e Kazhua, ad ogni sua parola, stringeva sempre più il pugno.
- Sei uno stupido. Se io sono alle tue dipendenze, voglio essere la tua manager e decido io, cosa è meglio per te.
- No, idiota, so io cosa è meglio per me.
Possibile che ora si ci mettesse anche lei?! Quanto poteva essere stupida. Fare il giochetto stupido della segretaria e dl capo. Peccato che nei film, la segretaria fosse sempre e solo l’amante, del capo. Pur di fargli sputare una minima parola dolce, era capace di fargli vomitare sangue.
Si rimisero a guardare il piatto, vuoto.

- Non so più cosa fare. Urlano e sbraitano solo, eppure si vogliono bene.
Ran si mise le mani nei capelli e si sedette per terra. Shinichi guardò le sue gambe scivolare sul marmo. Ricominciò a fissare la biondina del tavolo vicino ai bagni.
- Chi è quella?!
Ran era affianco a lui. Ma non stava seduta, fino a cinque secondi fa?
- Una ragazza innamorata.
- E tu ti sei innamorato di lei?
- No, ma anche se lo fossi non avrei speranze, perché è innamorata e non ricambiata. E per questo è ancora più innamorata di quanto si possa pensare.
- Di sicuro è innamorato di uno di quei ragazzi seduti al suo tavolo.
Shinichi scosse la testa. Spiegò a Ran, che quella ragazza aveva cacciato ben tredici volte il cellulare dalla borsa guardando lo schermo, nella speranza di un messaggio o una chiamata. E poi fece notare, che nonostante fosse una cena di gala, la ragazza non era curata come tutte le altre ragazze della sua comitiva.
- Vedi, anche tu sei venuta in bagno per sistemarti e sei tutta agghindata. Quella ragazza sta aspettando il suo principe azzurro, anche se da come guarda sconsolata il cellulare, sarà successo qualcosa. A proposito, perché ti sei rimessa la matita? Insomma, che bisogno c’era?
Ma poteva essere così stupido? Ok. Dedurre il lavoro o la disciplina sportiva di una persona, ma leggerne i sentimenti come se fossero un libro aperto era impossibile. Eppure non riusciva a leggere Ran, che più aperta di un libro squartato, non poteva essere.
Sul palco diedero l’annuncio che stavano per cominciare i balli di coppia.
- Io mi sono truccata per un ragazzo. Io mi sono truccata così, per…
- Ho, capito. Per la persona che sta venendo nella nostra direzione.
Shinichi sbuffò, e si passò una mano nel ciuffo. Ran si voltò a guardare chi stesse venendo verso di loro.
No, non era per lui che si era truccata.
- Ciao Ran, buonasera Shinichi. Come va il braccio? – disse il dottor Araide, facendo il premuroso.
- Pare che non sono morto. Buon divertimento, Ran!
E andandosene, alzò il braccio in senso di saluto.

Era seduto da solo a tavola. Con una scusa del tipo ‘in quanto tua segreteria, ti devo insegnare a ballare!’, Kazhua aveva trascinato anche Heiji nella danza. Con aria scocciata, facendo finta di annoiarsi, invece avrebbe voluto urlare. Guardava Ran che dopo un bel ballo con Araide, sedeva al suo tavolo parlando con amici di lui. Rideva, di gusto. Almeno così pareva a Shinichi.

Si sforzava di ridere sonoramente, per farsi notare ed ogni tanto gli lanciava occhiate furiose. Perché aveva lo sguardo fisso sul piatto?! Insomma, non la degnava nemmeno di uno sguardo. Ormai le sue risate erano risate nervose ed isteriche. Lo avrebbe ucciso.

All’improvviso un uomo entrò correndo nel ristorante. Non aveva proprio l’abbigliamento adatto. Sembrò essersi perso, ma invece cercava qualcuno. Una volta trovata quella persona, si buttò ai piedi della biondina che Shinichi prima stava guardando e davanti a tutti, le fece una proposta di matrimonio.
La biondina scoppiò a piangere. Nella felicità, si baciarono tra gli applausi di tutti i presenti. Ran guardava Shinichi.
Il ragazzo batteva le mani controvoglia, quasi lo obbligassero e alzava gli occhi al cielo, come se aspettasse una punizione divina su quei due.

Oddio che cosa schifosa doveva essere. Le loro labbra non si staccavano più. Tipo essere fulminati entrambi, no? Era contento per la ragazza, ma quella cosa gli faceva schifo. O forse solo invidia? Al ritorno di Heiji e Kazhua, tornò anche Ran. Mangiarono Pasta al sugo, carbonara e una bella pizza. Poi, arrivò il momento dell’intervista sul palco di Shinichi ed Heiji.
Saliti sul palco, i due salutarono le persone che cominciarono a chiamare ripetutamente il nome del detective dell’est, lasciando Heiji nella penombra. Una volta seduti, li raggiunse Sonoko. Era lei la loro intervistatrice?!
- Ecco a voi, i più grandi detective del Giappone… Shinichi Kudo, da Tokyo [la folla applaudì, Shinichi si alzò e ringraziò tutti con un inchino] ed Heiji Hattori, di Osaka.
Heiji ripeté la stessa operazione di Shinichi. Ma forse il deserto era più rumoroso.
Il ragazzo, urtato, riprese posto.
- Dunque Shinichi, vuoi dirci qualcosa?
- Solo che spero finirai presto.
Sonoko forzò un sorriso. – Sempre simpatico il nostro amico, eh?

Dopo l’intervista, Shinichi salutò tutti e dicendo di non sentirsi bene tornò a casa. Nel taxi si rese conto che lo stomaco gli faceva molto male. Ma non era un dolore… era un fastidio. Era come se mille bachi erano stati lì per un decennio e solo allora stessero nascendo farfalline colorate. Che si aggrappavano al suo stomaco, tirandolo. Era fastidioso. Tornato a casa, guardò l’orologio. Erano le dieci e mezza di sera. Presto.
Si passò una mano nel ciuffo ed aprì la porta, buttandosi poi, sul divano.
Brontolava e pensava a quale potesse essere il problema. Ripensò a Ran che rideva freneticamente seduta vicino ad Araide. Oddio, che nervoso. Però gli scappò un sorriso. Vederla felice, lo rendeva abbastanza sereno.
Due o tre minuti dopo, rientrarono solo Kazhua ed Heiji. La ragazza, assonnata andò al piano di sopra, mentre Heiji si sedette davanti all’amico.
- Che bella serata sta sera, e senza che glielo vai a dire, Kazhua stava benissimo con quel vestito. Oddio, che spettacolo. – disse Heiji, buttando la testa all’indietro.
- Ma Ran?
- Eccola, la domanda che aspettavo! – Heiji si sfregò le mani. – E’ con quel dottore.
- COOOOSA??? Quello stupido dottore! Ha venticinque anni e lei ne ha solo diciassette! E voi l’avete lasciata fare?!
- Sapevo avresti reagito così. E’ per questo che ho scovato qualcuno che lo conoscesse e ho preso il suo indirizzo. Tieni. – gli porse un biglietto. – credo andrai a salvare la tua bella principessa!
E sghignazzò. Cosa rideva? Quelle erano cose serie. Afferrò la giacca e si slegò la cravatta buttandola sul pavimento per poi sbottonarsi i primi due bottoni. Era soffocante la situazione. Cose serie… Aveva pensato che erano cose serie?
Corse verso l’ingresso. Poi indietreggiò.
- Solo per tua informazione, la vado a prendere perchè quello potrebbe essere un maniaco.
- Ed io sono Babbo Natale. – rispose Heiji, vedendo quella porta vibrare per la forza con cui era stata chiusa.

Ringraziò il taxista e scese sotto casa. Suonò ripetutamente. Gli aprì Araide con un bicchiere di vino in mano.
Cretino. La stava facendo ubriacare. Con l’unico braccio che poteva usare lo prese per il colletto e lo buttò contro il muro, chiedendogli moooolto cortesemente, dove fosse Ran. “non è qui”. Fu la risposta. Dove cavolo era?
- A casa di un uomo. La stavo riaccompagnando e lui ci ha fermati. Ho visto che Ran lo conosceva e l’ha seguito. Non mi sono preoccupato più di tanto. Aveva sulla venticinque o ventisei diceva di essere un ispettore di polizia. Ma non aveva l’accento di Tokyo.
Shinichi si fece un po’ i conti e salutò Araide, scusandoti.
C’erano Takagi, Shiratori e Chiba, ma erano tutti di Tokyo. Poi Yamamura. Era l’unico sospettato. Prese il cellulare e tramite un giro di telefonate, riuscì ad ottenere il suo indirizzo. Chiamò il taxi e si fece accompagnare fino alla prefettura di Gunma.
 

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Capitolo 5
*** Perchè io, non mi sono innamorato. ***


5 – Perché io, non mi sono innamorato.


Si rideva, si scherzava e non capiva che
io la amavo.
Ed ogni volta che soffriva io soffrivo
Quante notti ho pianto senza dire niente
Perché… Non capiva che l’amavo.


La prese in braccio e salutò Yamamura, scusandosi per avergli quasi fatto un occhio nero. La poggiò sul sedile di dietro del taxi e le sorrise. Salito anche lui, cercava di reggerla ma la sua testa o sbatteva alla portiera dell’auto o alla sua spalla. Così la fece scivolare sulle sue gambe, tirandosi il più possibile al lato per fare spazio alle sue lunghe gambe. Come carina; aveva la stessa fragilità di un petalo di rosa. Arrossì al solo pensiero che quella ragazza paragonata da LUI a un petalo di rosa fosse la sua amica.
Perché lui, non ne era innamorato.
Guardava fuori dal finestrino e ripensava a quello che aveva fatto.

Arrivato sotto casa di Yamamura suonò ripetutamente per farsi aprire, poi travolse il ragazzo di urla chiamando Ran. Pensare al perché quell’idiota l’aveva portata lì, lo faceva ridere. Essendo grande sostenitore di Kogoro, aveva pensato di far bere qualcosa alla ragazza nella speranza gli rivelasse come il padre poteva risolvere i casi. Per poco Shinichi si trattenne sul dirgli che i casi di cui trattava Kogoro erano di cani scomparsi.
Ran, mezza ubriaca per colpa di Yamamura, dormiva profondamente sul suo divano, nella seta nera del suo abito. Shinichi rideva, al pensiero che Yamamura, l’idiota, fosse arrivato a quel punto per Kogoro. L’importante era che la sua amica d’infanzia stava bene. Dopo aver minacciato Yamamura, che se avesse fatto un’altra volta un gesto simile lo avrebbe denunciato alla polizia per rapimento di una persona, il poliziotto si scosse e chiese scusa. Disse che la ragazza aveva accettato senza ripensarci due volte del Vodka.
Questo scosse Shinichi, che con lo sguardo fisso sulle luci notturne della città, rifletteva. Perché? Lei, sempre tanto infastidita dalla minima goccia di alcool che prendeva il padre, ora si era scolata due o tre bicchieri di Vodka.

Contemporaneamente al salvataggio ostinato di Ran, Heiji si era appena alzato dal divano e sghignazzava pensando a come prendere per culo Shinichi appena sarebbe tornato a casa. Si sfregava le mani. Andò in bagno e si lavò i denti. Passò davanti alla camera dove dormiva Kazhua e non sentì nessun rumore. Già si era addormentata, ed erano solo le dieci e quarantasei. Si tolse il vestito elegante, e infilò i pantaloni del pigiama. Optò per il restare senza maglia, visto che Kazhua dormiva e Shinichi era il suo unico compagno di stanza. Passò di nuovo davanti camera della sua amica… Mah! Forse si era soffocata sprofondando nel cuscino o la camera era insonorizzata. Si passò le mani tra i capelli sbadigliando e si lasciò andare sul letto.

O cavolo, Heiji era in camera di Shinichi! Si nascose sotto la scrivania e aspettò che il ragazzo si addormentasse. Ma dopo un’ora, quello si stava girando e rigirando nel letto. Ad un tratto si alzò e camminò via verso la camera dove alloggiava. Teneva stretto un diario e camminava in punta di piedi per non farsi sentire. Mentre si guardava a destra e sinistra, dimenticò di guardarsi davanti e batté contro il torace di Heiji. Sgranò gli occhi e si ricompose.
- Cosa fai qui? E soprattutto, cosa fai col diario di Shinichi in mano?!
Kazhua arrossì. Guardò per terra, in cerca di un modo per scappare. Ma era circondata dal ragazzo.
Heiji la squadrò dall’alto al basso. Oh, casso. Portava ancora quel dannato vestito. E per lo più i capelli erano sciolti e le circondavano il vaso ricadendogli sulle spalle. Trattenne l’emozione.
- Lo avevo preso per Ran. Volevo vedere se Shinichi scriveva qualcosa sul suo diario.
Heiji sbruffò.
- Non siamo come voi femminucce. Noi non scriviamo “oh, quanto è carina, oh, quanto la adoro” e smancerie varie sul diario scolastico. Anche un bambino può dedurne che essendo un diario sco-la-sti-co, contiene solo informazioni sco-la-sti-che! Non veniamo di sicuro a scrivere lì la ragazza che ci piace. Non siamo così stupidi da farci scoprire.
E così dicendo le strappò il diario dalle mani, avviandosi verso la camera di Shinichi per rimetterlo al suo posto. Kazhua gli rimase dietro, dandogli le spalle. Strinse forte i pugni.
- E perché dovreste nasconderlo! E’ questo che mi chiedo. Perché internare tutti i sentimenti, se invece potete prendere la ragazza che avete tanto nel cuore e dirle tutto.
Heiji poggiò il diario sulla scrivania e diede un’occhiata a Kazhua. L’avrebbe presa in quel momento e l’avrebbe buttata per terra. Oh, cosa gli ispirava!
- Bè, io non posso risponderti. Io non ho nessuna ragazza nel cuore.
Stupido. Perché mentiva a se stesso?
Kazhua sorrise malinconicamente e dopo aver dato la buona notte ad Heiji si chiuse in camera. Il ragazzo rimase per qualche minuto a fissare la porta della camera davanti a lui.
Con una mano cominciò a tirarsi pugni sulla fronte. Sembrava uno scemo. O forse lo era.
“Stupido, stupido, stupido!” continuava a sussurrarsi. Rientrò in camera e si buttò sul letto.
Kazhua aveva aperto uno spiraglio della sua porta, e guardava Heiji che con le mani dietro la nuca, era allungato sul letto, ma non dormiva. Perché si ostinava a rimanere così freddo?
Gli avrebbe voluto chiedere se era innamorato. Tanto lui non le avrebbe risposto o sarebbe scoppiato a ridere. Invidiava tanto Ran. Anche se Shinichi non si era mai dichiarato apertamente, sapevano di volersi bene a vicenda. Ma lei non sapeva cosa dire sul suo amico. Era così strano.

Heiji rifletteva. Su cosa, non si sa.
Lanciava occhiate ala porta di Kazhua. Com’era possibile, che sul più bello, su tutte le occasioni che aveva ricevuto, si bloccasse? Si sedette e afferrò il diario di Shinichi, cominciando a sfogliarlo. Ne cadde un foglietto. Lo raccolse e lo aprì. Era uno di quei bigliettini che si ci manda durante la lezione. La calligrafia era quella di una donna, che lo incitava a guadare dentro la posta elettronica. Heiji rimase un po’ a riflettere. Poi decise di chiamare pure Kazhua. Bussò ripetutamente e la ragazza si alzò subito dal suo letto, aprendo la porta. Aveva il pigiama. Heiji cercò di mantenere lo sguardo fisso sulla faccia della ragazza. Le fece cenno di seguirla. Si sedettero davanti alla scrivania del ragazzo e aprì il portatile. La password fu facile da capire: Sherlock Holmes.
- Che originalità! – disse Heiji. La ragazza sorrise.
Una volta che entrarono nella casella di posta elettronica di Shinichi, la cui login era già effettuata. Notarono che vi era un messaggio di due giorni prima mandato da Sonoko. Lo aprirono. Vi era un video, dentro.
- Heiji, non mi sembra una buona idea. E se Shinichi lo viene a scoprire?!
- Me la prendo io, la responsabilità.
- E’ colpa mia se hai trovato il biglietto e se ora siamo qui! – insistette Kazhua.
- Giusto! Ma io mi prendo la responsabilità.
Avviarono il filmato. A parlare e riprendere era Sonoko. Al centro dell’immagine c’erano Shinichi e Ran che bisticciavano.

“ Oddio Ran, no ti ho detto basta! Io quel film non lo vengo a vedere nemmeno morto.”
“ Ma dai Shinichi! Accompagnami almeno tu! “
“Tanto mi addormenterò.”
“Sei insopportabile! Ti odioooo!”
Nella scena, entrò un probabile compagno di classe dei tre.
“Oh, ma guarda! La signora e il signore Kudo.”
“Yumatsaki, parla ancora che ti strangolo! “ urlava Shinichi.
Sonoko sghignazzava tutto il tempo. Comparve anche la sua voce.
“I signori Kudo oggi discutono perché la signora vuole andare al cinema, il suo maritino no!”
“Mi dispiace! Ran, io sono libero! Ti accompagno io, se vuoi al cinema!” disse l’altro ragazzo.
Shinichi sembrava fare l’indifferente, ma quando Ran acconsentì alle pretese di Yumatsaki, Shinichi sbottò.
“Pensandoci potrebbe essere un buon film. Com’hai detto che si chiama?”

E il video si concluse con un messaggio di Sonoko, che diceva “Perché non ancora vi sposate?”.
Shinichi aveva risposto tramite mail: Perché io, non mi sono innamorato.

Kazhua rimase immobile a guardare lo schermo, mentre Heiji spegneva il pc.
- Quindi, mi sbagliavo. Shinichi non prova niente per Ran?
Heiji si stiracchiò. Inserì il bigliettino nel diario e rimise tutto a posto.
- C’è gente che non lo vuole dare a vedere, per paura di essere perennemente preso in giro, perché non ricambiati. O semplicemente per orgoglio personale. Shinichi è uno di quelli. Lo ha dimostrato per l’ennesima volta facendo una scenata di gelosia nel video e poi dire “Perché io non sono innamorato”.
- E tu, Heiji? Perché nessuno sa se sei innamorato o meno?
- Perché io, non mi sono innamorato.
A Kazhua brillarono gli occhi. Voleva solo sapere se fosse una presa per culo per Shinichi, che stava salendo le scale o, se era innamorato e voleva farle capire che il suo orgoglio non gli permetteva di rivelarlo a nessuno. Kazhua si ritirò in camera sua prima che Shinichi la potesse vedere. Heiji si allungò a letto.
Una volta entrato il suo amico, gli chiese cos’era successo. Ascoltò la spiegazione di Shinichi.
- Quello Yamamura è incredibile! – disse il detective dell’est, passandosi la mano tra il ciuffo. – mi ha fatto temere il peggio!
- Mh. – fu la risposta di Heiji, che aveva un’aria piuttosto vaga. – hai mia confessato a Ran quello che provi?
- Eh? – Shinichi rimase sorpreso. – Cos’è, disse abbassando il tono di voce, è una trappola di Sonoko?
- No, no Kudo! Dico seriamente. Lo hai mai fatto?
- No, ma io non sono…
- Non lo dire, Kudo. Parlo sul serio.
- Bè… No. Cioè… Io… No. – si passò la mano nel ciuffo. Di nuovo. – Lo farei ma… Credo di non avere il coraggio. Intendo: è fin da piccoli che ci conosciamo, fin da piccoli che ci diciamo tutto e di più. E’ un tale clima di magia… Non vorrei rovinarlo per le mie stupide emozioni. Non vorrei rovinare lei, così fragile.
Aveva lo sguardo dolce, piantato a terra. Sembrava che dentro di lui vi fossero quattro miriadi di emozioni che volevano uscire, ma erano compresse come in una cartella Compressa di un computer. Heiji lo guardava, scombussolato. Chi era quello davanti a lui?
Shinichi se ne rese conto ed arrossì. Poi lo salutò e se ne andò al piano di sotto.

La mattina, Shinichi si ritrovò sul divano situato di fronte al sofà su cui aveva poggiato la notte Ran. Lei, però, non c’era. Si alzò e andò in cucina. Non c’era nemmeno lì. Esplorò tuto il piano di sopra e vi erano solo Heiji e Kazhua. Prese il cellulare e la chiamò. Risultava spento. L’occhio, cadde sul calendario. Era lunedì. C’era scuola e lui era in ritardo di due ore. Decise di non andare. Avrebbe provato a cucinare lui, quel giorno.

Verso mezzogiorno, i due di sopra si svegliarono e raggiunsero Shinichi al piano di sotto. Lo trovarono a leggere un libro di ricette mentre si grattava la testa. Heiji rise di gusto, Kazhua gli rivolse un sorrisino dolce.
- Ma che carino! Prepari da mangiare per la tua dolce metà?? – diceva Heiji, sfottendolo. Shinichi non badò nemmeno. Kazhua si infilò un grembiule e prese Shinichi per un braccio.
- L’arma migliore, è la pratica. Non serve stare lì a leggere. Se non provi non riuscirai mai. Guarda devi fare così.
E Kazhua mostrò a Shinichi come preparare del Sushi. Insieme cominciarono a cucinare.
Heiji rimase a lungo sulla soglia della cucina a guardare. Poi si rese conto. Con lui Kazhua, non aveva mai fatto una cosa simile. Gli dava fastidio ammetterlo, ma era geloso. E per lo più di Shinichi! Era una cosa impensabile. Stava quasi sclerando.
Con un’occhiata veloce Shinichi se ne accorse. Di nascosto da Kazhua prese il riso e lo buttò.
- Oh, ma guarda! E’ finito il riso! Continua con Heiji, io vado a prenderne altro.
Strizzò l’occhio all’amico. Heiji sbuffò, pur di non dire grazie a Shinichi che lasciò soli i due.

- Bene, questo è il mio campo signor detective. – disse Kazhua aprendo le braccia e indicando la cucina. – qui sono io il tuo capo. Uno: tirati su le maniche. Due, prendi del sakè.
- Ehi, piccola. Tu non sei il capo di nessuno! Cioè, farmi comandare così da una bambinetta. Dove arriveremo?!
- Ah, dunque tu sei il mio capo quando fai il detective, ma io non posso essere il tuo in cucina?!

Agasa tese le orecchie.
- Lasci perdere, professore. – fece Ai. – Se sfonda di nuovo la porta cadranno le mura. Due minuti e finiranno.

Dopo mezz’ora Shinichi tornò con un sacchetto di riso.
- Qui vicino lo avevano finit… oh!
Heiji aveva la lingua in mezzo alle labbra e girava il riso che aveva con tutta l’attenzione che poteva metterci.
“più, lentamente… così si brucia” diceva ogni tanto Kazhua. Finché la ragazza aveva afferrato la mano del ragazzo e la manovrava come fosse la sua. Heiji era diventato rosso e guardava gli occhi di Kazhua, attenti a cucinare come si deve. Erano così profondi e verdi… Kazhua alzò lo sguardo verso di lui.
- Ehi, ma stai guardando o no?
Quando Ran uscì da scuola, trovò Kazhua ed Heiji e riprenderla. Al ritorno a casa, trovò tutto apparecchiato come si deve. E Shinichi che urlava.
- Cos’hai, chef? – chiese Heiji.
- C’è… -disse. –c’è che il sakè mi è caduto sulla maglia! Basta! Non cucinerò più in vita mia!
Il lunedì pomeriggio e il martedì passarono normalmente. Il mercoledì mattina, il Liceo Teitan era chiuso per un guasto all’impianto idraulico. E come se non bastasse, Sonoko aveva avuto la splendida idea di invitare mercoledì e giovedì tutti nella sua casetta in montagna.
Shinichi si dovette preparare psicologicamente.
 

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Capitolo 6
*** Come due calamite. ***


6 – Come due calamite.


A te che io, ti ho visto piangere nella mia mano
Fragile che potevo ucciderti, stringendoti un po’
E poi ti ho visto con la forza di un aeroplano
Prendere in mano la tua vita e trascinarla in salvo.
A te che mi hai insegnato i sogni, e l’arte dell’avventura.
A te che credi nel coraggio, anche nella paura.
A te che sei la miglior cosa che mi sia successa.


Con un tenero bacio, fu svegliato. Era contento. Forse quei giorni passati prima facevano solo parte di un incubo e quel bacio ne era la dimostrazione. Aprì delicatamente gli occhi con un sorriso che gli andava da orecchio a orecchio.
- Ran io… HATTORI?!
Shinichi arrossì. A baciarlo era stato Heiji?! Menomale che era un bacio sulla guancia.
Nel salone, c’erano anche Sonoko e Kazhua che sfottevano Ran, intanto rossa dalla vergogna.

Non avevano fatto nemmeno una decina di metri, che già Sonoko aveva il fiatone. Trascinava i piedi, attaccata al braccio di Makoto. Kazhua e Ran si lamentavano tra loro del fatto che non fossero state avvisate dell’arrivo del giovane karateka in città, ma Heiji e Shinichi, di proprio, non capivano dove persisteva il problema.
La radura era stupenda. Gli alberi erano in fiore e il cinguettare degli uccelli allietava tutto. Le tonalità erano tra il giallognolo e il verde, cosa che rendeva la giornata tranquilla e spensierata. Shinichi camminava con le mani dietro la nuca, mentre Heiji aveva le mani in tasca. Sghignazzavano ogni tanto su qualcosa che solo loro sapevano, guadagnandosi li sguardi incuriositi di Ran e Kazhua.
In un punto in cui gli alberi si aprivano di un metro circa, nascosto dai cespugli, vi era un torrente largo all’incirca un paio di metri. Quel posto gli dava una tale sensazione, un tale presentimento misto tra la felicità e l’incoscienza di quell’età.
Dopo essere stato richiamato dai suoi amici, si rimise sui suoi passi.
In breve raggiunsero la casa di Sonoko.

- Allora, Sonoko?! Cosa vogliono dire queste?!
Urlò Ran, sollevando il suo braccio mostrando alla ragazza delle manette che tenevano legato il suo braccio destro, al braccio sinistro di Shinichi, che intanto alzava gli occhi al cielo per le urla della ragazza. Kazhua imprecava contro Heiji, rivendicando il fatto che non voleva condividere il suo letto con lui, che nel frattempo cercava qualcosa da mettere in bocca alla sua amica per farla tacere, chessò, un calzino?
- Bè, io ve l’avevo detto che ci saremmo divertiti e vi divertirete. – sghignazzava Sonoko, fiera di mostrare il suo braccio incatenato a Makoto, che era diventato rosso come un pomodoro. – poi non è colpa mia se vi siete distratti…-
- No, cara, la cosa è diversa! – cominciò ad urlare Kazhua. – sei tu che ci hai fatto distrarre con urlo, e indicando qualcosa che stava fuori. Noi ci abbiamo creduto, visto che con questi detective da quattro soldi…
- Ehi, modera le parole! – fecero Heiji e Shinichi insieme.
- ZITTI VOI! – urlò Ran. Era peggio di una iena, in quel momento e i due non poterono far altro che ammutolirsi.
- Dicevo, visto che con loro i morti sbucano come fiori campestri. Invece era solo un pretesto, per cosa?! – alzò il suo braccio, mettendo in evidenzia le manette. – PER QUESTE! Io ho già dovuto passare una giornata intera ammanettata a questo qui, avevamo fatto anche il bagno insieme…
- Perché non metti dei manifesti, eh? – Disse Heiji.
- HO DETTO ZITTO – Heiji abbassò lo sguardo. Cavolo, com’era irascibile. Eppure quella situazione non gli dispiaceva affatto. Fare il bagno insieme, certo era un po’ troppo! Erano pure passati dieci anni o più da quel giorno!

Ran camminava furiosamente su e giù per la stanza, trascinandosi il povero Shinichi che ormai non poteva più usare nessuna delle due braccia. Lei ripeteva qualcosa su delle regole… della doccia… per il mangiare… Lui aveva capito solo confusamente, ciò che lei intendesse dire.
- Insomma, Ran! Basta con questa pagliacciata! Dove sono finiti i classici metodi di corteggiamento? C’è bisogno di mettere su tutta questa farsa? Caccia le chiavi e apri queste manette.
Ran quasi emise un ruggito e lo buttò sul letto, guardandolo fissò negli occhi.
- Uno, io non devo corteggiare nessuno perché non sono una delle tue fans che ti corrono dietro. Due, IO-NON-HO-LE-CHIA-VI!
A quelle parole decise, Shinichi spalancò i suoi occhi azzurri. Ed ora?

Heiji si torceva i capelli. Com’era possibile? Dopo così tanto tempo, di nuovo quella situazione?! Come cavolo poteva essere possibile? Seduto sul letto, stava per suicidarsi con un calzino! Benedetto calzino, quante cose doveva farci con quell’unico, benedetto calzino! Kazhua, era la fortunata con la mano destra libera e in quanto tale, se ne stava accovacciata dietro la schiena di Heiji, mentre scriveva il suo diario. Heiji la notò, e come fece per girarsi ricevette un urlo.
Oddio, sembrava stesse scrivendo le sue confessioni sopra quel coso! Il ragazzo non capiva: che bisogno c’era di annotare ogni singolo momento della giornata?! Non sarebbe stato meglio sfogarsi con una persona?!
Tornò a prendersela col suo calzino.

Ormai la notte era scesa e Shinichi e Ran erano a letto. Menomale erano riusciti ad accordare con Sonoko, che almeno per la doccia le manette fossero tolte. Ora però, erano di nuovo ammanettati l’uno contro l’altro e costretti a dormire guardandosi negli occhi. Shinichi gli aveva chiusi, cercando di prendere sonno mentre Ran continuava a sbadigliare e a guardare la finestra.
Dopo continue insistenze, riuscì a portare Shinichi fuori a fare una passeggiata. Camminavano lungo il sentiero alberato, mentre Ran teneva una torcia in mano. Si chiedeva come Shinichi avesse preso quella passeggiata. Non era un appuntamento, voleva solo uscire per svagarsi. Sperava che non avesse frainteso quel gesto.
Arrivarono proprio nel punto in cui Shinichi prima, si era fermato. Era lì dove scorreva il torrente.

Una volta che Kazhua si era addormentata, Heiji si sedette. Nonostante la camera era buio localizzò che il diario della ragazza si trovava sul suo comodino. Silenziosamente, mise un ginocchio vicino al fianco destro di Kazhua e l’altro vicino al fianco sinistro. Si ritrovò sopra il ventre della ragazza, in una posizione abbastanza compromettente. Cominciò a sudare a freddo. Stava quasi per afferrare il diario, quando Kazhua accese la luce sul comodino, si trovò sopra Heiji. Il ragazzo la guardò negli occhi.
Lei li mosse leggermente e riuscì a vedere che stava per afferrare il diario. Stava per gettare un urlo, che venne soffocato. Soffocato, dalle labbra di Heiji sopra le sue. Era solo un bacio a stampo, per tenerla buona, visto che una mano era incatenata e l’altra l’aveva troppo distante per farla stare zitta in tempo. Era solo un bacio a stampo, uno di quelli che ci si da tra amici e parenti. Non che lei avesse mai baciato un amico così, ma le piaceva.
Heiji si staccò e si asciugò le labbra. Che schifo! Aver baciato Kazhua…
Si sedette e si allungò, dormendo, senza dare spiegazioni alla sua amica. Appena lei spense la luce, ne approfittò. Ripeté la stessa mossa di prima, ma più cautamente. Riuscì ad afferrare il diario. Con il cellulare si fece luce e lesse.

Mercoledì Sera;
Di nuovo in questa situazione! Non che la cosa mi dispiaccia!
Ammanettata a lui…
Mentre mi vestivo, ho scoperto che le manette scivolano molto facilmente, potrei togliermela… Mi ricorda tanto tempo fa… Possibile che il destino, prima o poi, ti si deve ritorcere contro? Non lo so, non capisce… Eppure mi sembra chiaro, ogni giorno glielo faccio sentire quello che provo…Ma lui preferisce risolvere casi! Cosa devo fare?
TI ODIO HEIJI!


Il ragazzo non continuò a leggere. Cos’è che provava quella ragazza? Cosa?
Le scosse la spalla. Lei sbuffò e si sedette sul letto. Heiji le porse il diario aperto. Lei arrossì.
- Io… Hai letto?
Ma che domande faceva? Logico, che lui aveva letto!
- Non intendevo quello… Io volevo solo… Heiji…
Le strappò dalle mani il diario e scribacchiò qualcosa. Si cacciò la manetta (facendole capire che aveva letto) e con aria disprezzante si allungò di spalle alla ragazza. Lei aveva gli occhi lucidi. Heiji se l’era presa, ecco! Ed ora?
Aprì il diario e lesse ciò che era scritto lì sopra. C’erano lettere occidentali e velocemente, le lesse.
I love you so much. Do you know?
L’aveva sentita tante volte nelle canzoni inglesi, quelle parole. Ti amo, tanto. Lo sai?
Scoppiò a piangere. No, no che non lo sapeva. Come poteva lei saperlo. Come poteva sapere i suoi sentimenti, che aveva lasciato dentro se a marcire per tanto tempo.
- Ora piangi? – disse lui.
- Davvero pensi quello che hai scritto?
- Si scrivono i fatti, non i pensieri. Tu lì sopra scrivi fatti che ti accadono.
- Anche pensieri…
- Ma io ho scritto un fatto.
Si alzò e andò in bagno. Si sciacquò la faccia. Cos’è, veramente che provava per Kazhua? Quello che aveva scritto? Passatosi l’asciugamano davanti alla faccia, si trovò la ragazzina davanti. I suoi enormi occhi verdi, brillavano.
Heiji camminò indietreggiando, fin quando si trovò le spalle al muro. Kazhua lo guardò.
- Ora dillo. – minacciò.
Heiji sgranò gli occhi. – C… cosa?
- Ciò che hai scritto, non è un fatto, è un tuo pensiero. Come posso sapere io se è vero? Capisci?
Oh, cavolo! Aveva ragione. Lui aveva espresso un pensiero. Ed ora? Lui, personalmente, voleva che quelle fossero solo parole o anche fatti?

Shinichi e Ran erano sulla sponda del torrente. Shinichi aveva gli occhi che brillavano, classico di quando illustrava qualcosa. Difatti, stava spiegando a Ran che le trote andavano contro corrente per cacciare meglio gli insetti. Con i suoi occhi, poi, le fece notare come le lucciole fossero ben presenti in questi luoghi, come la meraviglia di quelle foreste attraevano a loro quelle piccole stelle che volavano e come tutto questo agli occhi dei cittadini non fosse mai presente.
Tra tutto, Ran non capì niente. Guardava solo i suoi occhi che emanavano una luce fioca, che via via cresceva. Quando Shinichi se ne rese conto, fu troppo tardi. Lei già lo aveva baciato. Era stato un gesto degno della migliore karateka.
Era stato uno scatto fulmineo, come due calamite che vengono trattenute per un’eternità da chissà quale forza oscura. Ma, improvvisamente, vengono lasciate al loro destino.
Lui era sopra lei e la sua unica mano libera le teneva forte i capelli tra le sue dita. Si liberò della fascia, fregandosene di tutto, della frattura e del calo di ferro, e le cinse la vita facendo passare la sua mano sotto la camicetta di lei. La strinse forte a se, quasi a diventare un unico corpo.
Lei gli scroccava tre, quattro o cinque baci, piccoli, per farsi desiderare, per attrarlo verso di lei. E lui contraccambiava, con altrettanta passione. Finalmente erano lì, insieme. Passò una mano sotto la felpa di Shinichi, accarezzando la sua pelle morbida.
Sarebbe stato tutto più intenso, se non fosse stato per la voce di Sonoko e Makoto, preoccupati che li cercavano. Shinichi si mise in ginocchio. Oh, no! Ed ora? Certo, si sapeva che gli eterni sposini fossero stati plasmati lei per lui e lui per lei, ma se qualcuno gli avesse visti così, che avrebbe pensato?
Lo stesso passò per la mente a Ran. Dopo un fugace sguardo i due scomparvero nel nulla.
- Avrei giurato di sentire un rumore… - ripeteva Sonoko.
- Che vuoi che ti dica? Sarà stata la tua immaginazione. – rispose Makoto, invitandola a rientrare. – forse sono dentro.

Si trovava in una situazione di merda. C’erano due mini Heiji dentro di lui, che si contendevano lo stomaco. Cosa doveva fare? Sudava, sudava e risudava. Ora aveva più bisogno che mai del calzino. Doveva romperlo e ingerirlo, finché non sarebbe morto. Poi si fermò e ragionò. Quando non trovava il colpevole, cosa faceva?! Ecco, facciamo finta che quelle parole che voleva sentire Kazhua, erano colpevoli. Cosa doveva fare? Certo! Esaminare gli indizi e i testimoni! L’indizio era quella frase, scritta così, d’impulso. I testimoni erano il suo cuore, il suo stomaco e il cervello. Eliminò subito il cuore, che in fondo era un organo come altri; fin da sempre il cuore è simbolo d’amore, ma come se il cuore è solo un organo che fa tum-tum? E perché no il cervello, a questo punto! Erano il dolore nello stomaco e i pensieri nel suo cervello, i testimoni più importanti. Nello stomaco i piccoli Heiji avevano orgasmi e si allenavano a Kendo contro il suo organo. Nel cervello, i neuroni erano tutti lì a dialogare sul corpo di Kazhua, mentre quelli un po’ più romantici osavano dire che quella candida ragazza lo stava aspettando.
“Un ‘ti’ Heiji, dì un ‘ti’… “ pensava il ragazzo.
- Kazhua, io ti…
Si bloccò.
“Mettila, casso, mettila quella parola di cui hai tanta paura!”
Non parlava. Kazhua aspettava, ma lui niente. Come si poteva essere più stupidi?
- Va bene, Heiji. Ti capisco. Fa niente… Colpa mia!
La ragazza, ormai sconsolata, girò sui tacchi e fece il gesto di uscire.
“Ma bravo, Heiji, bravo! Vuoi un applauso?! Ok, te lo faccio, Heiji, te lo faccio! Dopo questa, vai a preparare del sushi in un ristorante, visto che ormai lo sai fare. A proposito, nessuno l’ha voluto ammettere, ma se non fosse stato per Kazhua i tuoi sushi avrebbero fatto schifo.”
- Ma insomma, stupida vocina del cavolo, vuoi stare un po’ zitta?! – urlò Heiji.
La ragazza si girò di colpo. Era diventato matto?
- Kazhua senti, prima che le voci mi tartassino il cervello, ti volevo dire che… Io ti..”
“Vedi che non sei capac…”
- IO TI AMO, OK? CONTENTA?!
Chiuse gli occhi per la vergogna. Kazhua fece scivolare una lacrima.
Gli buttò le braccia al collo e lo baciò.
Lui agì d’istinto e contraccambiò
Tutto, aveva fatto tutto con istinto. Però, cominciò a sentire quella ragazza sua, senza affidarsi a quello che usava per risolvere omicidi. Lei, quella che lo abbracciava e lo baciava, la piccola rompiballe, era sua.

Ridevano, sfiancati dalla corsa, come due ragazzini. Si guardavano, stesi sul letto, e ridevano. Finirono col bagnare tutte le lenzuola e Shinichi ebbe i primi sintomi di un raffreddore.
Dopo aver sentito Sonoko, s’erano tuffati in acqua e avevano nuotato fino a dove potevano arrivare, per poi entrare in casa. Ora erano lì che ridevano. Nello scappare in acqua i cellulari erano fusi, così come la torcia.
Si fece fasciare di nuovo il braccio. Nessuno dei due aveva detto quelle parole miracolose, tanto brutte. Ma si baciavano, quello sì. Avevano deciso però, che per i loro compagni di scuola, non era successo niente.

Finiti i due giorni di relax, i sei si incamminarono nuovamente per andare in macchina. Kazhua parlava con Ran di come Heiji si era dichiarato. Ran annuiva e basta, lanciando frecciatine con gli occhi a Shinichi. Nesuno doveva sapere niente, di loro.
Il ragazzo arrossiva ad ogni suo sguardo, poi si rivolse ad Heiji.
- Cos’è che mi devi dire?!
- Quello che dovevo dirti, lo ha già detto lei.
Ed indicò Kazhua.
- Tu piuttosto? Cosa sono quegli sguardi complici?!
Shinichi arrossì.
- Allora?!
- Niente… niente..
- Non sai mentire, Kudo.
- Solo… Qualche bacio… Ma basta.
Heiji si bloccò. Possibile non riuscisse a superare Shinichi in niente?

Il venerdì, uscito da scuola, non vide Ran. Nemmeno Sonoko. Com’era possibile? Scrutò il cortile. Vi erano gruppetti così, e poi una mischia di ottomila ragazze circa.
OTTOMILA RAGAZZE?
Corse verso il punto e si fece largo. All’esatto centro, trovò Ran e Sonoko. La prima, piangeva, mentre Sonoko diceva qualcosa riguardo alla giustizia uomo-donna.
Shinichi si fece largo. Prese Ran per il braccio e la trascinò via.
Per tutta la strada continuava a piangere. Non voleva dire a lui, che tanto l’aveva tenuta tra le braccia, il perché.
Rientrati a casa, Kazhua mollò il libro che stava leggendo e corse verso Ran. Heiji domandò al ragazzo cosa avesse fatto e lui alzò le spalle. Dopo due minuti che Kazhua e Ran avevano parlato da sole, la seconda si avvicinò a Shinichi e gli mollò uno schiaffo.
- Ma cosa… Ehi Ran…
Ed eccola che va al piano di sopra!
- Vergognati. Oggi che giorno è?! – fece Kazhua.
- Venerdì, perché? – rispose Heiji, saltando sopra Shinichi.
Kazhua fece una faccia sconvolta.
Anche lei, val al pian di sopra.
I due ragazzi si guardarono. Cos’aveva venerdì dieci maggio d’importante?
In un momento, tutti i baci del giorno prima, tutta la tenerezza erano spariti, insieme a Ran che chiudeva violentemente la porta, quella povera santa porta.
La porta tremava.
Kazhua era imbronciata, seduta, davanti ad Heiji.
Heiji la guardava, non capendoci niente.
Shinichi si accarezzò la guancia.
Era venerdì, venerdì dieci maggio.
 

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